I FRATELLI FETT - Storia di cacciatori di taglie, alieni spaventosi, astronavi velocissime e morti stupide

di Orso Scrive
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Eroismo nel deserto ***
Capitolo 2: *** I jedi salveranno la Galassia? ***
Capitolo 3: *** Un altro capitolo inutile di una storia completamente inutile ***
Capitolo 4: *** La persona più audace, subdola, intelligente e calcolatrice di tutta la Galassia lontana lontana ***
Capitolo 5: *** Il reclutamento di Bubo e Buba ***
Capitolo 6: *** Final Battle: Fratelli Fett vs. Imperatore Palpatine ***
Capitolo 7: *** Epilogo tragico ***



Capitolo 1
*** Eroismo nel deserto ***


I.

EROISMO NEL DESERTO

 

Luke Skywalker, con la sua spada laser verde, stava compiendo un vero e proprio macello a bordo della scialuppa volante da dove, in teoria, lui, Han Solo e quell’ammasso di pelo di un wookie sarebbero dovuti essere gettati all’interno della fossa del Sarlacc, quella ripugnante schifezza che Jabba aveva tirato fuori da chissà dove.

Solo in teoria, però, dato che nei fatti stava accadendo esattamente l’opposto.

Gli sgherri dello Hutt non valevano un accidente e non facevano altro che rimanersene fermi ad aspettare di essere colpiti dai fendenti di quello spadaccino da quattro soldi, per poi cadere di sotto, incapaci persino di colpire gli altri due prigionieri, ancora ammanettati e che, grandi e grossi com’erano, avrebbero dovuto offrire un bersaglio piuttosto facile. Solo, per di più, non vedeva niente, quindi non faceva altro che andare a sbattere qua e là come un sacco di patate.

Boba Fett si aggrappò alla ringhiera per osservare la scena, domandandosi come facesse ad essere tanto temuto Jabba, se ai propri ordini aveva solo gente incapace persino di maneggiare un blaster e di colpire una palla di pelo alta più di due metri ed un cieco che aveva trascorso gli ultimi sei mesi imprigionato in una lastra di grafite; poi, però, si rammentò che un intero Impero Galattico era tenuto in vita da idioti con un pentolone bianco in testa, che non avrebbero indovinato mai nemmeno la tazza del gabinetto. Figurarsi prendere la mira e sparare a qualcuno.

Scuotendo il capo con aria sconsolata, fece un cenno ai suoi due figli perché si avvicinassero. Indossavano entrambi l’armatura mandaloriana di colore giallo scuro che gli aveva regalato lui stesso per il loro compleanno e sarebbero stati del tutto indistinguibili se la ragazza non avesse avuto sul davanti della corazza due protuberanze a sottolineare la sua femminilità.

«Bubo e Buba», disse il genitore con la sua voce metallica, chinandosi e ponendo le mani sulle spalle di entrambi. Bubo era la femmina, Buba il maschio. «Vedete quello scalmanato che si crede un cavaliere jedi là in fondo? Jabba pagherà una bella ricompensa a chi lo ucciderà. In breve, pagherà una bella ricompensa a me, così potrò riprendere a divertirmi come piace a me. Perché sì, vostro padre ora vi dimostrerà tutte le sue doti, anche quelle più nascoste. Voi rimanete qui, guardate con attenzione tutto quello che faccio e non dimenticate di prendere appunti.»

«Come desideri» risposero in coro Bubo e Buba, con le voci metalliche identiche a quelle di Boba. Poi, uno dei due - Boba non comprese bene chi - aggiunse: «Lo disintegrerai?»

Il padre fissò il figlio - o la figlia - che aveva posto quella domanda

«Anche io, un tempo, la pensavo allo stesso modo», rispose. «Una bella disintegrata e via. Cosa c’è di meglio, per iniziare la giornata? Il fatto, però, è che quando riduci l’avversario che devi catturare alle dimensioni di un midichlorian, corri il rischio che il viscidume galattico che ti ha ingaggiato non voglia pagare, dicendo che non ci sono prove dell’avvenuta uccisione. Quindi, regola numero uno, figli miei: niente disintegrazione. Non scordatelo mai e poi mai. Ora statevene qui buoni e guardate vostro padre che vi insegna il mestiere.»

Un attimo dopo, Boba attivò lo zaino a reazione ed atterrò sulla scialuppa volante con la stessa grazia di un vaso di fiori precipitato dall’ultimo piano di uno dei chilometrici grattacieli di Coruscant. I minuti che seguirono furono un avvicendarsi continuo di violenza, eroismo ed arditezza allo stato puro: peccato solo, però, che nessuna di queste qualità fosse emanata dal celebre cacciatore di taglie. Colpito per sbaglio - sì, per sbaglio - da Han Solo, che per inciso era pure cieco, lo zaino a reazione di Fett si attivò da solo e mandò il suo proprietario, che per un momento parve nuotare a mezz’aria nel tentativo di afferrarsi a qualcosa, a sbattere contro il vascello del deserto di Jabba; subito dopo, il poveraccio cadde sulla sabbia e rotolò fino alla fossa del Sarlaac, dal quale fu assaporato, ingerito e apprezzato con un rutto soddisfatto.

Sotto le loro maschere, Bubo e Buba rimasero a bocca aperta.

«Credi che questo dovremmo toglierlo dai nostri appunti?» domandò la sorella.

«Lui ci ha detto di tenere a mente tutto», le ricordò il fratello.

«Come desideri», rispose lei.

Restarono fermi ad osservare Han Solo che, in un modo o nell’altro, recuperava il suo amico Lando prima che finisse a sua volta trangugiato dal mostro delle sabbie.

«Ma quello non è la feccia traditrice che ha venduto Solo all’impero permettendo a papà di farsi tutti quei bei soldoni con cui se l’è spassata per mesi tra orge e bagordi con tutte quelle twi'lek, prima che rischiasse di avere l’infarto?» chiese Bubo.

«C’hai ragione, è lui!» esclamò Buba. «Ma perché Solo lo salva? Non sarebbe più logico sparargli?! Che cosa combina Lucas, con la sceneggiatura?»

«Quei ribelli sono gente strana», affermò la sorella, scuotendo la testa con aria rassegnata. «Sperano di salvare la galassia, ma cosa vogliono fare? Dico io, guarda quella come se ne va in giro vestita. Ti pare il caso che una si vesta in quella maniera? Ed è pure un pezzo grosso della Ribellione! Figurati quando comanderanno loro, che cosa succederà. Ci sarà un deperimento della morale e dei costumi!»

Indicò al fratello la principessa Leia, rivestita del suo scomodissimo bikini di metallo dorato - che, continuando a ballare ed a spostarsi qua e là lasciando fin troppa pelle scoperta, rendeva del tutto superflua la propria presenza - la quale, dopo aver strangolato quel povero morbidone innocente di Jabba, si apprestava ad abbassare il cannone laser verso il vascello.

«A me non dispiace!» ammise Buba studiando le principesche grazie, prima di prendersi un ceffone sulla maschera da parte della sorella.

Un attimo dopo, Leia saltò in braccio a Luke che, dopo averla palpeggiata un po’ troppo con la scusa di tenerla bene e non rischiare di farla cadere, diede un calcio al cannone e saltò via aggrappandosi ad una fune come Tarzan ad un liana, facendo esplodere tutto il veliero. I due fratelli Fett, investiti in pieno dall’esplosione, furono scagliati fuori dal vascello ormai distrutto e volarono tra le grinfie del Sarlaac che, però, dopo il lauto pasto della giornata, si era fortunatamente messo a dormire pacifico e beato, e non si sarebbe più svegliato fino al termine della sua digestione, vale a dire per un migliaio di anni.

«Dobbiamo arrampicarci sulla sabbia per provare ad uscire da qui», disse Bubo.

«Ma non credi che dovremmo farci mangiare anche noi?» domandò Buba.

«E perché, sei impazzito?!» gridò la sorella, dandogli un altro ceffone.

«Be’, papà ha detto di prendere appunti e di fare sempre come lui, per diventare i migliori…»

«Non fare l’idiota ed esci da qui!»

Arrampicarsi sulla sabbia scivolosa ed asciutta non fu per nulla semplice, perché per ogni metro guadagnato i due fratelli scivolavano all’indietro e ne perdevano quattro o cinque; tra l’altro, la fetida puzza del Sarlaac ed il caldo torrido non rendevano affatto migliore la faccenda. Alla fine, in un impeto di lucidità decisero di utilizzare i loro razzi per poter venire fuori da quella buca; dopo il breve volo, però, crollarono entrambi al suolo, perché le batterie si erano già scaricate.

Finalmente, però, erano liberi, anche se appiedati e con indosso chili e chili di armatura metallica nel mezzo di quell’immensa distesa arida e sabbiosa rischiarata da ben due soli.

Perché, come diceva quello, two gust is megli che one.

Maxibon is bon.

 

 

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Capitolo 2
*** I jedi salveranno la Galassia? ***


II.

I JEDI SALVERANNO LA GALASSIA?

 

La pioggia cadeva battente sulle immense e selvose foreste del sistema di Dagobah, il pianeta che il grande maestro Yoda aveva eletto come sua personale dimora in cui trascorrere serenamente e senza più alcuna preoccupazione i giorni del proprio meritato pensionamento, conseguito dopo ottocento anni di valido servizio e di contribuiti versati nelle casse della Vecchia Repubblica. Peccato solo che l’Impero avesse annullato tutti i vecchi versamenti, così il povero vecchiaccio si era trovato fregato e senza niente. Adesso era costretto a vivere in un tugurio come un reietto qualunque.

«Io trovo che starcene qui impalati a mangiare erbe amare e a bere acqua fetida non aiuterà la Ribellione a fare secco l’imperatore», constatò l’opalescente Obi-Wan Kenobi (o, meglio, il suo fantasma, così incorporeo che ogni volta che camminava spostava i rami degli alberi e faceva scricchiolare il selciato), scuotendo il capo in maniera sconsolata. «E gli starebbe bene, a quel vecchio avido: io sono stato costretto a vivere in un deserto a mangiare gli avanzi dei Tusken, e tu te ne devi stare qui. Ci ha fregato la pensione, quel ladrone. Deve morire! Come minimo, dovrebbe cadere in un reattore ed esplodere!»

Cucinando radici in un paiolo e fischiettando allegramente un motivetto di John Williams - sì, esatto, proprio il dindindin della Cantina Band - Yoda gli fece cenno di avvicinarsi.

«Pazienza. Anche per jedi c’è ora di cena. E non è necessario essere venali.»

«Maestro… io sono morto. Non ceno più» gli ricordò Obi-Wan, convinto che il grande cavaliere jedi, col tempo, avesse cominciato a perdere i colpi. «E però scusa, ma io non sono venale: sono realistico. Quello mi ha fregato la pensione. Uno si spacca la schiena tutta la vita e poi… e poi… eh! Dannati politici!»

«Radici, io cucino.»

«Tornando a noi, penso che tu sia stato troppo duro con lui, durante l’addestramento.»

«Il ragazzo è avventato.»

«Ero diverso io, quando tu mi insegnasti?»

In quel preciso istante, alta e rabbiosa, risuonò la voce di Qui-Gon Jinn, il quale non era visibile, essendo ridotto alla forma di un semplice midichlorian, ma comunque presente e sempre attento acciocché nessuno lo relegasse in secondo piano per il semplice fatto che fosse resistito per lo spazio di un solo film (e che il suo interprete Liam Neeson non fosse tornato un’altra volta per essersi rotto una gamba poco prima delle riprese).

«Tecnicamente parlando, vecchio ingrato che non sei altro, sono stato io a insegnarti tutto quello che sai, non questo tuo piccolo verdastro amico! E io sono pure morto prima di poter andare in pensione, quindi qui, se c’è qualcuno che deve lamentarsi, quello sono io!»

«Maestro…» tentennò Obi-Wan, un po’ indeciso. «La colpa non è mia, ma di Lucas che ha deciso solo in un secondo momento di inserirti nella storia e…»

«Niente scuse, Obi-Wan! E la prossima volta, ci penso due volte, prima di insegnarti la via dell’immortalità! Ad averlo saputo, avrei chiesto il TFR anticipato e mi sarei ritirato a vivere su Tatooine, per trascorrere il tempo a piazzare scommesse sulle scorse degli Sgusci!» riprese la voce del jedi invisibile, diventando via via più isterica mano a mano che proseguiva a parlare. «Che poi cosa credevi che fosse mai?! Pensavi davvero di diventare così potente che persino Vader avrebbe tremato al tuo cospetto?! Vecchio idiota! Imbecille! E io che avevo fiducia in te! I due soli di Tatooine oltre ad averti sbiancato la barba - che in diciannove anni ti sei ritrovato messo peggio di mio nonno quando compì duecento anni - devono anche averti rinsecchito il cervello! L’unica cosa che hai saputo fare, oltre a trascorrere vent’anni rintanato in un deserto a mangiare lucertole, lamentarti della pensione che non ti è stata corrisposta e osservare il tramonto per poi tornare allo scoperto e farti affettare come un salame da un falso invalido, è stato cianciare a vanvera! “Usa la Forza, Luke! Gnegne! Segui il tuo istinto! Gnegnegne! Fidati di me! Gnegnegnegne! Obi-Wan, ma vattella a pija…!»

«Quel falso invalido di Vader prende un mucchio di soldi ogni mese di pensione di invalidità, e io volevo dimostrare che non gli spetta e…»

Uno scappellotto invisibile colpì il vecchio jedi sulla nuca, interrompendolo. Massaggiandosi la parte dolorante ee un po’ mortificato da quella lavata di capo che non pensava di meritarsi, Obi tornò a concentrarsi su Yoda, che stava mangiando di gusto le sue radici cucinate nel fango di palude.

«Molta rabbia, in lui…» biascicò l’antico jedi, tra un boccone e l’altra.

«Anche troppa», brontolò Obi-Wan. «Lui fa presto a dire così, ma è morto giovane… Insomma, quello che ha lavorato tutta la vita – e non ha preso niente di pensione – alla fine sono stato io, sì o no?»

«Non di Qui-Gon io parlo», lo rimbeccò Yoda. «Ma del ragazzo. Molta rabbia… come in suo padre…»

«Va be’, rabbia o no, è la nostra unica speranza», minimizzò il vecchio. «E, poi, cos’altro potrebbe fare? E lasciamo che si faccia trasportare dalla rabbia, se ci tiene, no? Tanto… Voglio dire, ormai i jedi sono stati sterminati, peggio di così non potrebbe andare… così, magari, mi toglie di mezzo quel falso invalido, e io posso provare ad andare allo sportello del Sistema Previdenziale Imperiale a reclamare la mia pensione. È la mia unica possibilità di prendere almeno la minima.»

«No, ce n’è un’altra», precisò Yoda, suggendo rumorosamente il brodo torbido rimasto nella tazza.

«Di possibilità di prendere la pensione?» si stupì il perlaceo spettro. «Credi che possa avere qualcosa di più, della minima? Questa mi giunge nuova!»

Se avesse potuto, Yoda avrebbe colpito quel fantasma rincitrullito e attaccato ai soldi con il suo piatto ormai vuoto. E poi si meravigliava che Qui-Gonn se la prendesse tanto.

«Di speranza, Obi-Wan. Oltre al ragazzo. Un’altra speranza, noi abbiamo.»

Obi-Wan guardò male verso il vecchio. In quel momento, sarebbe stato difficile determinare chi dei due fosse più convinto del rintronamento dell’altro.

«Guarda che lo so!» borbottò, grattandosi i baffi. «Quando i piccoletti stavano per nascere, hai mandato me ad assistere Padmé in sala operatoria perché tu avevi paura del sangue e perché ti faceva senso il parto! E sai quanto mi hanno pagato? Lo sai?! Niente!»

«Questo vero non è», s’indignò Yoda. «Gesto altruistico il mio fu!» Eppure, divenne verde scuro, segno che stava arrossendo.

«Un corno!» s’impuntò lo jedi. «Stavi per svenire!»

«Stanco io ero. Il duello con Darth Sidious perduto avevo. Ottocentoottant’anni io avevo, giustificato ero.»

«E, allora, io… Bah, non parliamone più» tagliò corto Obi-Wan. «Piuttosto dimmi. Hai intenzione di mettere al corrente il ragazzo del fatto che Palpatine sappia sparare fulmini di Forza dalle mani?»

«No.»

«E perché?»

«Non necessario questo è. Sua spada laser il ragazzo con sé in quel momento avrà. Di altro bisogno non avrà.»

«E se per caso…»

«Avventato lui è, ma non avventato al punto di affrontare l’imperatore disarmato.»

«Be’, certo, ma non credi che ci sia la possibilità che…»

«Contraddirmi tu non devi, Obi-Wan. Ora nasconditi. Sento che astronave di giovane Skywalker in avvicinamento è. Vuoi che qualcosa per te io gli comunichi?»

«Caso mai decidessi di parlargli assieme, lo farei senza bisogno di un portavoce, grazie. Tu parla con lui. Io vado a compilare i moduli per la richiesta della pensione da inoltrare allo sportello…»

«Favore farti soltanto io volevo. Di prendertela bisogno tu non hai.» Yoda fece un sospiro rassegnato e scosse la testa. «L’insolenza di Qui-Gon dopo tanti anni ancora in te io avverto. Tempo cambiato non ti ha, se non in peggio. Ora, vai. Vederti lui non deve.»

«Prima, però, ho un’ultima domanda.»

Sebbene scocciato, Yoda volle concedergliela. «Falla, poi vattene.»

«Perché non vai con lui a confrontarti con l’imperatore? Sono certo che, in due, potreste farcela facilmente. Io, poi, potrei darvi sostegno morale facendo il tifo!»

All’improvviso, Yoda, che fino a quel momento era stato arzillo e in salute, si incurvò tutto e cominciò a tossire come un vecchio locomotore.

«Vecchio sono. Malato diventato», confessò con la voce rauca. «In pensione, io sono.»

«Ma…»

«Tanto vecchio appaio, ai tuoi occhi?»

«Ma se fino ad un attimo fa…»

«Quando novecento anni di età, bello non sembrerai!»

«Maz Kanata ne ha più di mille…»

«E bella lei sembra ai tuoi occhi?»

«Be’, proprio bella non direi, ma…»

Stufo di quel dialogo che stava cominciando a diventare troppo lungo, Yoda sfoderò tutte le sue conoscenze nella Forza e scagliò lontano Obi-Wan, facendolo scomparire nell’intrico della foresta. Questo, però, lo privò di tutte le energie accumulate con la sua ricca cena a base di radici e, quindi, non ebbe neppure bisogno di continuare a fingersi vecchio.

Cinque minuti dopo, Luke atterrò sul pianeta e Yoda, moribondo, si mise a letto. Dieci minuti più tardi, era già un tutt’uno con la Forza ed aveva lasciato al giovane Skywalker tutte le responsabilità: insomma, gli aveva scaricato addosso tutti i propri errori giovanili e che ora si arrangiasse da sé a cavare le castagne dal fuoco. Da qualche parte, un gungan impiegato all’Ufficio Contabilità e Previdenza Sociale depennò il nome di Yoda dalla lista dei pensionati che non avevano mai ricevuto la pensione.

«Non posso farcela da solo…» mormorò Luke, sconsolato.

«Yoda sarà sempre con te», risuonò una voce.

Luke si volse e vide sopraggiungere Obi-Wan, tutto scarmigliato dopo il volo tra i rami degli alberi che gli aveva fatto fare il piccolo jedi verdognolo. Affaticato e ansante, il vecchio fantasma si mise a sedere con un grugnito sopra un masso.

«Lui e anche la speranza di una pensione che non riceverai mai», soggiunse.

«Maestro Obi-Wan», chiese subito Luke, «perché non mi hai detto che Darth Vader è mio padre?»

Il vecchio annuì gravemente.

«Vedi, Luke, le verità che affermiamo dipendono dal nostro punto di vista. Anakin era un buon amico e in più aveva una moglie bellissima che io, ogni tanto… be’, perché la tua mamma era una che… insomma ci stava… ma lasciamo perdere questo…»

«Mi stai dicendo, vecchio pervertito, che tu ti sei…?» sbottò Luke, facendosi guardingo.

«No, no, figurati…»

«È proprio così, invece, vecchio idiota! Di’ le cose come stanno! Dille, a fregnacciaro!» risuonò una voce, eterea ma vicinissima. «Mignottaro! E digli anche di che cosa facevi con zia Beru, mentre zio Owen faticava nei campi a guadagnarsi la pensione!.»

«Campi, quali campi, non ci sono campi su Tatooine», protestò lo spettro, sudando abbondantemente. «E poi zio Owen non emetteva le fatture, quindi che non si lamenti se poi ha preso la pensione più minima che ci sia!»

«Di Qui-Gon le parole confermo», disse una seconda voce incorporea. «Obi-Wan come il tempo libero passare sapeva, mentre si lamentava della pensione che era sempre lontanissima.»

«Insomma, mi volete far andare avanti?! Qui c’è in gioco il destino della galassia, oltre che la mia merita pensione!» gridò Obi-Wan, riducendo tutti al silenzio. «Dunque, dov’ero rimasto…? Ah, sì, ecco. Allora. Dicevo di Padmé… no, no, volevo dire Anakin! Anakin fu sedotto dalla parte oscura della Forza. Tutto il bene che era in tuo padre scomparve. Cessò di esistere come Anakin Skywalker e divenne Darth Vader. In pratica, trovo il miglior modo di sempre per fregare l’Impero e farsi riconoscere una pensione di invalidità. E sai cosa mi ha fatto davvero rabbia? Che si è tenuto tutto per sé! Non ha voluto condividere con me il modo per beccarsi i soldi! Che ingratitudine! Dopo tutto quello che ho fatto per lui! Quindi, ciò che ti dissi era vero, da un certo punto di vista.»

«Da un certo punto di vista?» ripeté Luke, sconcertato.

«È quello che ho detto, da un certo punto di vista! Non farmi dire due volte le cose», lo rimproverò Obi-Wan.

«Perché, io quante volte te le dovevo ripetere, prima che te le ficcassi in quella testaccia vuota, eh? Eh?» urlò Qui-Gon. «Ogni giorno speravo di poter andare in pensione, invece di dover avere a che fare con te!»

Il vetusto spirito si sforzò di ignorarlo.

«Anakin, quindi, divenne quel falso invalido che fa anche finta di avere l’asma che mi ha tagliato in due. E sai perché lo ha fatto? Te lo dico io: per non permettermi di dimostrare quale razza di truffatore sia. Tu dovrai affrontarlo e ucciderlo. Insomma, devi vendicarmi! Bisogna che la smettano di versare a lui i soldi che spettano a me!»

«Non combatterò mai mio padre. Sento che c’è ancora del bene in lui!»

Obi-Wan scosse il capo.

«Chissenefrega del bene, Luke! Pensa ai soldi che sta fregando a me, a te e a tutta la gente onesta, facendo il falso invalido…»

«Ma come si è ridotto così?» indagò Luke.

«Be’…» il vecchio non poteva certo confessargli di essere stato lui ad affettarlo e, poi, ad abbandonarlo in preda alle fiamme anziché concedergli un rapido colpo di grazia per lenire tutte le sue sofferenze, che oltretutto gli avrebbero impedito di farsi riconoscere l’invalidità. «Credo che… non so… ah, ecco, ora ricordo! È stato Yoda!»

«Yoda?!»

«Non ripetere tutto quello che ti dico, Luke. La situazione è già abbastanza esasperante senza complicarla ulteriormente… ti ricordo che avanzo un diritto di quarant’anni di pensione che nessuno mi ha mai corrisposto…»

Luke abbassò lo sguardo, incredulo.

«Non posso credere che Yoda sia stato tanto crudele con mio padre.»

Obi-Wan si guardò fugacemente attorno, ma lo spirito di Yoda non pareva essere nei paraggi. Doveva essere andato a cercare radici da qualche altra parte. Poteva parlare liberamente.

«Yoda non è mai stato una buon’anima. Fregava soldi. Chiedeva mazzette. Imbrogliava sui contributi versati. Si faceva intestare le eredità, persino. Ed era pure lui, un falso invalido: andava in giro zoppicando e grugnendo, ma poi avessi dovuto vedere che razza di salti che faceva, quando voleva. Aveva un sacco di conti nei paradisi fiscali oltre l’Orlo Esterno, il farabutto. Ed era pressoché intoccabile, perché aveva unto dappertutto. Ma lasciamo andare, via. Devi combattere Vader, Luke. È tuo destino.»

«Non posso farlo, Obi-Wan», ripeté Luke, con testardaggine. «Alla fine, l’Impero è legittimo, no? Non puoi obbligarmi a fare qualcosa contro la legge…»

Obi-Wan gettò un’occhiata allo stagno putrido che, per una ventina d’anni, era stato il luogo in cui aveva vissuto Yoda.

«Allora l’imperatore ha già vinto. Tu eri la nostra unica speranza. Anzi, la mia. Non avrò mai la mia pensione. Porco mondo, che ingiustizia!»

«Prima di crepare, quel farabutto di Yoda ha farfugliato qualcosa su un’altra.»

Lo jedi annuì, mestamente. «È vero. Si riferiva alla tua sorella gemella.»

Quella notizia sorprese Luke sopra ogni altra cosa.

«Mia sorella?! Io non ho sorelle… Non dirmi che mi hai taciuto anche questo, vero? C’è qualcos’altro che tu sai e che io dovrei sapere ma non hai intenzione di dirmi, vecchio bugiardo?»

Obi-Wan non si scompose di fronte a quelle accuse, era troppo morto per potersi ancora risentire di fronte a siffatte parole. E poi, sapeva di essere nel giusto. Era a lui, che aveva fregato la pensione, mica ad altri.

«Cerca dentro di te, Luke. Tu sai che è vero. Chi è l’unica donna - oltre la vecchia Beru, che però escludiamo, essendo morta - comparsa in questi film, almeno fino ad adesso?»

Luke chiuse gli occhi, si portò le mani alle tempie ed iniziò a concentrarsi, facendo fluttuare nell’aria le pietre attorno a loro, compresa quella su cui sedeva Obi-Wan, che fu costretto ad aggrapparsi ad un ramo per non cadere a terra.

«Vedo un’isola in mezzo all’oceano… un vecchio con la barba, un brontolone che tu, in confronto, sei un gentiluomo. Anche lui se ne sta lì a lagnarsi di aver perso la pensione. E una ragazzina assillante e snervante che non capisce nulla. È lei, mia sorella? Cosa ci fa, con quel vecchio maniaco?»

«No, Luke, è il futuro, ciò che vedi. Concentrati sul presente, non sull’avvenire. Quella è un’altra storia, che avverrà dopo che Lucas avrà venduto tutto alla Disney.»

Luke si concentrò meglio, iniziando subito a volare a mezz’aria insieme alle pietre. All’improvviso, un lampo di comprensione attraversò il suo volto ed egli, insieme a tutte le pietre, crollò al suolo. Uno dei massi colpì il gomito del vecchio maestro, che finì a sua volta in terra, brontolando e lamentandosi.

«Bubo Fett! La figlia di Boba Fett! È lei mia sorella?» urlò Luke. «Ma quindi io sarei figlio di Boba Fett? Ma non ero figlio di Anakin…?»

«Il tuo intuito ti guida…» cominciò Obi-Wan, ma poi si interruppe. «Ma, no, Luke! Pensa meglio! Da dove le tiri fuori, certe stupidate, proprio non lo so.» Si rialzò con estrema fatica e si rimise a sedere sul suo masso, borbottando: «Non mi merito, tutto questo… anche perché lo sto facendo gratis…»

Skywalker aggrottò le sopracciglia, facendo uno sforzo.

«…uhm… fammi indovinare…»

Obi-Wan gli rivolse uno sguardo pieno di paterna comprensione.

«Ti capisco, Luke. Sono stato giovane anche io, cosa credi? So che non vuoi dirmelo perché, se diventasse tua sorella, dovresti vergognarti di tutte le fantasie erotiche che hai fatto su di lei… ma dai, so che lo sai!»

«Vuoi dire che mia sorella è una Hutt?!» esclamò Luke, sorpreso.

«Ma, no… come ti salta in mente? Non dirmi che tu fai fantasie erotiche sulle Hutt!» ribatté Obi-Wan, palesemente disgustato al solo pensiero.

Luke non rispose, tenendo il capo basso con estrema vergogna. Arrossì fino all’attaccatura dei capelli. Non si sarebbe mai aspettato che il suo maestro potesse scoprire quel segreto.

«Ti prego, Ben, dammi almeno un indizio», lo implorò, cercando di trattenere le lacrime.

Il vecchio sospirò. «E va bene. Tua sorella si chiama L…»

«L…» ripeté il giovane.

«Le…»

«Le…»

«Lei…» continuò a scandire Obi-Wan, guardandolo con gli occhi sgranati nel tentativo di fargli comprendere l’ormai palese verità.

«Lei…» provò a dire Luke. «Leima? No, non la conosco. Leiana? Uhm… no, no. Lei.. Lei.. Leia.. Leia è mia sorella?!»

Obi-Wan sbuffò, senza nascondere la propria malcelata impazienza.

«Uff, ce l’hai fatta, finalmente. Il tuo intuito ti guida bene, giovane Skywalker. Con prodigiosa lentezza, d’accordo, ma ti guida. Certo che, se vi avesse messo ancora un po’, a guidarti, saresti andato in pensione!»

Luke era incredulo, quella notizia lo aveva colpito come una mazzata.

«Ma, Obi-Wan, io e Leia abbiamo…» si avvicinò al fantasma e gli sussurrò a lungo in un orecchio, mentre lo sconcerto si dipingeva sempre più palese sul volto del vecchio jedi.

«Ma… no… pure… non è possibile… ma…» si lamentò lo jedi, mentre il racconto di Luke proseguiva. «No, questo è troppo…! Ma in che senso, con frustini e dildi?!»

Luke tornò a raddrizzarsi.

«Comunque è colpa tua, vecchio scemo, che ti sei tenuto i tuoi segreti pensando che non fosse necessario mettermi al corrente di nulla.»

«È stato Yoda a volere che…» tentò di giustificarsi Obi-Wan.

«Non prendertela con Yoda, è morto e non può più difendersi. Assumiti le tue responsabilità, piuttosto!» sbottò Luke, guardandolo in tralice.

«Anche io sarei morto, a voler dire tutta la verità…»

Luke saltò in piedi. Adesso, nel suo sguardo era accesa una luce risolutiva e determinata.

«Ho deciso, vado a far secchi l’imperatore e quel falso invalido di Vader!» comunicò.

«Per garantirmi la pensione?!» esclamò Obi Wan, commosso e sorpreso.

«Che me ne frega della tua pensione», sbottò Luke. «Ma questa cosa di Leia che sarebbe mia sorella non deve sapersi in giro, vecchio pazzo. Se venisse fuori tutto quello che ti ho detto… meglio non pensarci. Quindi non posso rischiare: se anche loro ne sono al corrente, non devono parlare! Anche perché, a quel punto, nessuno saprà nulla e io e lei potremo continuare a fare le cose che ci piace fare!»

Obi-Wan assunse immediatamente un’aria da uomo saggio e la sua voce si fece profonda.

«Attento, Luke! Non sottovalutare i poteri dell’imperatore. Egli è potente, molto più potente di quanto tu possa immaginare!»

Skywalker scosse le spalle.

«Ti ho già sentito una volta fare un discorso simile, e abbiamo visto poi che bell’aiuto ci hai dato, effettivamente, con la tua spropositata potenza» disse, con sarcasmo. «E, poi, che paura dovrei avere, di quel vecchio bavoso? Non sparerà mica raggi laser dal culo, no?»

«Be’, dal culo proprio no, però…»

Luke non gli badò. Biascicò un saluto e, saltato a bordo del suo X-wing, decollò verso l’eterna purezza dello spazio siderale, deciso a porre fine a quella storia il più in fretta possibile.

Ma lasciamo perdere i jedi e le loro paturnie e torniamo ai nostri due protagonisti: Bubo e Buba. Nel prossimo episodio, però.

 

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Capitolo 3
*** Un altro capitolo inutile di una storia completamente inutile ***


 

III.

UN ALTRO CAPITOLO INUTILE DI UNA STORIA COMPLETAMENTE INUTILE

 

Camminare in un deserto non è una cosa facile. Prima di tutto, non ci sono strade, ma solo dune, dune e ancora dune, nemmeno si fosse su Arrakis. E, peraltro, le dune sono tutte incapaci di mantenere la medesima posizione per più di mezza giornata. Provateci voi, ad orientarvi nel mezzo di un paesaggio che cambia di continuo, secondo il capriccio del momento, prendendo la direzione meridionale o quella settentrionale, a volte andando a ponente e altre ancora a levante. E poi l’est, l’ovest, il nord, il sud, nel mezzo di quel vuoto cosmico si annullano completamente e perdono di significato, garantito. Non potete neppure aspettare la notte per cercare la stella polare, tanto non la troverete, su Tatooine mica c’è. E di giorno, poi, provateci voi ad orientarvi seguendo l’andamento di due soli. Robe da pazzi.

Se, almeno, un cartello avesse indicato la strada giusta e più veloce, ci si sarebbe potuti fare un’idea del percorso da seguire; ma quel vecchio, viscido e avaro lucertolone di Jabba, per risparmiare, non aveva fatto neppure un piccolo investimento nella cartellonistica stradale. Sempre a spendere denaro in orge e bagordi, lui, senza volgere neppure un pensiero al bene pubblico. Risultato: i nostri poveri Bubo e Buba, ormai, arrancavano da giorni e giorni nel bel mezzo del nulla, tentando inutilmente di raggiungere il palazzo da dove erano partiti.

Camminare con indosso le armature mandaloriane, poi, è una delle cose peggiori che possano capitare ad un essere umano; certo, i modelli più recenti sono dotati di ogni comfort, dall’aria condizionata alla radio collegata ad internet, dalla frenata assistita fino ai sensori di parcheggio. Ma le loro… be’, quel tira a campare di loro padre non si era certo potuto permettere nulla di meglio che vecchissime armature usate, rimasugli bellici delle guerre mandaloriane, che doveva aver trafugato dai depositi di qualche museo.

Se solo quel taccagno avesse avuto un modello funzionante per bene, adesso non sarebbe stato condannato a venire digerito per mille anni da quella schifezza incastrata in un buco nel deserto; ben gli stava, comunque, almeno la prossima volta ci avrebbe pensato due volte, prima di tirare sul prezzo per ogni singola cosa.

Ma i suoi figli se la passavano davvero male dentro quelle armature rugginose che stavano cominciando a tramutarsi in forni crematori.

Buba, per esempio, aveva già le traveggole. Attorno a sé vedeva fiumi di disgustoso latte blu, quella sostanza imbevibile e dall’aspetto rivoltante per la quale, adesso, avrebbe dato volentieri una mano, da quanto gli si era fatta arida la bocca.

Sua sorella Bubo, nondimeno, sembrava in preda agli effetti di qualche allucinazione auditiva, dato che continuava a modulare frasi senza senso con la voce robotica che le conferiva il casco.

«Disintegrazione… rabbia, questa è la via per il lato oscuro… come desidera… ho un brutto presentimento… diretto da George Lucas… fortuna e gloria…»

Si trascinavano, più che camminare, si trascinavano senza sapere neppure loro dove stessero andando di preciso; ammettere di essersi perduti avrebbe significato una sconfitta, per cui preferivano non dire nulla ed andare avanti, certi che, prima o poi, qualcosa sarebbe accaduto.

Dopo un altro giorno di marcia, Buba cominciò a ripetere all’infinito la medesima frase.

«Come desideri… come desideri… come desideri… come desideri… come desideri… come desideri… come desideri… come desideri… come desideri… come desideri… come desideri…»

Bubo, che pure non faceva altro che ripetere frasi insensate a causa del caldo, della sete e della stanchezza, dopo un po’ perse la pazienza.

«Ma la vuoi piantare di dire quella scemenza? Che diavolo ti è preso, si può sapere?! Se non la smetti subito, giuro che ti folgoro!»

Per rendersi maggiormente minacciosa, tolse il blaster dalla cintura e glielo puntò contro.

«Come desideri… come desideri… come desideri…» rispose Buba, prima che il primo colpo di laser gli facesse saltare l’antenna del casco. A questo punto, il giovane cacciatore di taglie si tolse di testa l’elmo e lo gettò via con stizza.

«Quel dannato coso si era incantato!» spiegò. «Non è colpa mia… ma… ehi! Senza quell’affare indosso si respira molto meglio!»

Detto questo, sfilò l’intera armatura e rimase con indosso solamente la tunica rappezzata che portava di sotto. I suoi piedi nudi, a contatto con la sabbia ustionante, lo obbligarono a zampettare qua e là senza sosta, ma in un impeto di orgoglio non disse alcunché alla sorella, lasciando che anche lei, persuasa che senza armatura si stesse meglio, se la sfilasse a sua volta. Per pudore e per creanza, non tradurremo dalla lingua mandaloriana gli insulti che la dolce ragazza rivolse al consanguineo.

«Bröt fiöl de la gran vaca che t'ha cagà, semo d’un semo, minchiù d’en babao! Se te branche te fo negher! Ve chè, che te spache la facia! Te fo veder, t’ensegne me a tirarm per el cül! Semo! Semiot! Caso ghet en chela crapa marsa?! Encület te e le tò pensate!»

Stendiamo un velo pietoso su tale turpiloquio, che certo non si addiceva ad una simile pulzella, e soffermiamoci per un momento su un dato di fatto molto interessante.

I nostri eroi, infatti, ora che mostravano visi, gambe e braccia nudi, avevano un aspetto davvero strano, poiché la loro pelle era di un color carta da zucchero, un azzurrino pallido quindi, che i forti raggi UV provenienti dai due soli stavano già rapidamente trasmutando in un blu oltremare.

A che cosa era dovuta tale caratteristica pigmentazione? Scopriamolo insieme.

 

Il viaggio continua… Sì, ma tra un attimo: dopo la pubblicità!

 

VOCE FUORI CAMPO, CHE SCORRE SOPRA IMMAGINI D’EPOCA, OSSIA OLOGRAMMI BLU UN PO’ MOSSI E SFOCATI:

 

Bubo e Buba, gli ultimi eredi della grandiosa stirpe dei Fett – la quale, stando alle cronache tratte dal Giornale dei Whill (di recente eliminato dall’indice del libri proibiti e pertanto uscito in edizione economica presso la Stamperia Imperiale S.p.A., al modico costo di tre crediti e quarantaquattro), risaliva addirittura al celebre e leggendario sith Darth Fetter, il famoso cacciatore di jedi che, nel 9500 BBY, perì in un duello contro il maestro Yukko, dopo averlo attaccato del tutto disarmato, dando così inizio alla lunga sequela di morti idiote che non risparmiò nessuno dei suoi discendenti – furono il frutto di una notte di follia tra Boba (all’epoca non ancora famoso, dato che era un semplice contabile impiegato presso l’amministrazione imperiale di Coruscant) e un’aliena appena conosciuta in una delle peggiori bettole di Mos Eisley, dove era solito passare i fine settimana in compagnia di alcuni amici; l’aliena, una Chiss dalla pelle blu, aveva fatto ubriacare Boba quel tanto che fosse stato sufficiente a sfilargli il portafogli dalla tasca posteriore dei pantaloni. Fu allora che accadde l’irreversibile.

Dopo essersi a sua volta ubriacata – spendendo tutti i soldi del povero Boba – l’aliena blu era tornata tra le braccia del contabile mezzo intontito quel tanto che era bastato a rimanere incinta. Nel giro di poche ore soltanto, essendo le gravidanze dei Chiss le più rapide di tutta la galassia, la donna aveva dato alla luce due gemelli, un maschio ed una femmina, dalla pelle di un tenue color carta da zucchero.

Furiosa per quello che Boba le aveva fatto, sebbene il Nostro, per l’intera durata del loro incontro, fosse stato sprofondato in uno stato semicomatoso a causa del troppo bere, la donna gli aveva affibbiato i due bambini, pretendendo pure una cospicua rendita vitalizia per non denunciarlo.

Capirete, quindi, la disperazione del Nostro, trovatosi con a carico due figli e una donna, tutti da sfamare con il misero stipendio che l’imperatore Palpatine passava a quel tempo ai suoi dipendenti, parandosi dietro sinistre promesse di futuri e ricchi pensionamenti, a cui peraltro nessuno credeva.

Dopo essersi consultato con i suoi migliori amici, il famoso e plurilaureato chirurgo estetico (folle) dei vip dottor Cornelius Evazan e il famigerato pluriomicida Ponda Baba – due esempi di umanità ammirevole – Boba Fett decise di lasciare l’amministrazione imperiale e di dedicarsi al mestiere che, un tempo, aveva reso celebre suo padre Jango: il cacciatore di taglie, che certo gli avrebbe fruttato più denaro. Mezz’ora dopo il suo licenziamento, Palpatine prese la decisione di concedere un netto aumento di stipendio a tutti i suoi impiegati, e di metterne in pensione anticipata una gran parte, per dimostrare di non essere il vecchio avido che tutti pensavano che fosse.

I primi tempi non furono facili, per il povero Boba Fett, che spesso doveva interrompere le sparatorie in cui era invischiato per cambiare il pannolino ai bambini o dar loro la pappa oppure un biberon di latte di bantha (la schifezza azzurra più diffusa nella galassia); una volta, fu addirittura costretto a lasciarsi sfuggire un ricercato su cui pendeva una taglia da mezzo milione di crediti per correre a portare dal pediatra Bubo che aveva male al pancino.

Col trascorrere degli anni, tuttavia, riuscì a gestire meglio i due bambini e il proprio tempo e mise da parte abbastanza denaro da permettersi l’acquisto di una casa in centro a Bespine, sempre su Tatooine. Certo, non un superattico con vista sull’oceano come quelli che si potevano permettere ad Alderaan i ricchi senatori contrari all’elezione a Gran Moff di Tarkin (il quale, per nulla irritato da questa loro predisposizione, aveva caldeggiato con molto entusiasmo l’acquisto di quelle abitazioni da parte di quelle specifiche persone), e neppure un castello gigante alle pendici di un vulcano come Darth Vader che, in quanto falso invalido, percepiva soldi a volontà; o nemmeno una villa affacciata sul lago di Como come quella in cui si sposava la gente facoltosa di Naboo; dai, non era neanche un bell’appartamento sporto sulla grandiosa artificiosità di Coruscant, del tipo di quelli in cui abitavano miliardari e pezzi grossi dell’amministrazione imperiale; non era manco il palazzo di Jabba the Hutt, con tutte le sue comodità, le prigioni, le segrete dove si compivano indicibili torture e il postribolo in cui trascorrere le ore morte, d’accordo. Ma, perlomeno, non era un bugigattolo, una topaia infestata dalle cimici e dalle pulci come quella in cui si era trasferito a piangere sulla mancata pensione quel vecchio scemo dal cervello bacato di Ben Kenobi, che in confronto le case sugli alberi degli orsacchiotti fuffosi di Endor erano dei bigiù.

Comunque, le cose per il Nostro cominciarono a mettersi meglio e in quella nuova casa egli poté addirittura installare un droide che facesse da balia per i due piccini che, mentre lui era in giro a fare soldi catturando ricercati e criminali, crebbero forti, sani e intell… vabbe’, crebbero forti e sani.

In ogni caso, questa fu l’incredibile genesi dei fratelli Fett, adesso costretti a vagare nel deserto ed a insultarsi pesantemente.

Cosa ne sarà di loro?

Lo scopriremo nel prossimo episodio!

 

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Capitolo 4
*** La persona più audace, subdola, intelligente e calcolatrice di tutta la Galassia lontana lontana ***


IV.

LA PERSONA PIÙ AUDACE, SUBDOLA, INTELLIGENTE E CALCOLATRICE DI TUTTA LA GALASSIA LONTANA, LONTANA...

 

I nostri, alla fine, uscirono dal deserto e fecero ritorno nel palazzo di Jabba, dove poterono accendere l’aria condizionata e rilassarsi al fresco. Non starò a raccontarvi in quale modo, di preciso, riuscirono a trovare la strada di casa: prendetelo come un buco di trama e andate avanti.

Mentre Buba gironzolava per il palazzo deserto sentendosi ormai il re incontrastato di tutta Tatooine, sua sorella Bubo sfilò la tunichetta e si immerse in una Jacuzzi che aveva riempito di latte di bantha freddo: aveva sentito raccontare, infatti, che Cleopatra (una regina che sarebbe vissuta tanto tempo dopo, in una galassia lontana, lontana) era solita (o sarebbe stata solita, visto che in verità doveva ancora nascere) farsi il bagno nel latte d’asina per mantenere il candore della propria carnagione, quindi lei pensò bene di immergersi nel latte blu per far ritornare la sua pelle del solito e incantevole color carta da zucchero, visto che i due soli l’avevano resa blu cobalto.

Quando Buba arrivò ad esplorare il bagno, la trovò intenta a quella sua cura di bellezza, con una cannuccia stretta tra le labbra per bere, di quando in quando, una sorsata di latte blu.

«Dove hai trovato tutto quel latte?» le domandò il fratello. «Il palazzo è deserto e non c’è più nulla né da bere né da mangiare, al punto che credevo di dover macellare il Rancor per poter mettere finalmente qualcosa sotto i denti.»

Bubo si limitò ad un’alzata di spalle. Affamato e assetato, suo fratello pensò bene di afferrare il bicchiere che conteneva gli spazzolini da denti di Jabba (non ve li descriverò) per intingere un po’ di quel latte e bersene un sorso. Nel farlo, però, inciampò e cadde dritto nella Jacuzzi, spandendone il contenuto tutto attorno.

«Guarda cos’hai fatto, imbecille!» gridò la sorella, tirandogli un pugno per toglierselo di torno. «Fila a prendere una scopa e dai una rassettata, mentre io finisco di recuperare la mia sopraffina bellezza!»

Lui gonfiò il petto. «E se mi rifiutassi?!»

«Farò esplodere il detonatore termico che tengo in mano!» spiegò lei, con aria minacciosa.

«Stupida bugiarda, non hai nessun detonatore e…»

Non sopportando di essere apostrofata come bugiarda, Bubo fece scattare il detonatore che, effettivamente, aveva realmente in mano. Con un’esplosione spaventosa, l’intero palazzo di Jabba si disintegrò ed entrambi furono scagliati come razzi fino alla lontana Desolazione dello Jundland, senza che il povero Buba avesse potuto bere anche solo un goccio di latte di bantha o che la pelle della disgraziata Bubo avesse riacquistato la sua traslucida tonalità.

 

La senatrice Mon Mothma era la donna più severa ed austera che fosse mai vissuta in tutto l’universo. Non si era mai sposata, non aveva mai avuto relazioni amorose di alcun tipo, nemmeno con se stessa, non si era mai neppure persa dietro alla pur minima fantasia. Non che fosse frigida, era semplicemente convinta che nessuno – uomo, donna o Wookie, men che meno lei stessa – potesse essere degno di lei e delle sue attenzioni. Neppure se fosse stato l’Imperatore Palpatine a chiederla in sposa, offrendole come pegno d’amore l’intera Galassia, si sarebbe lasciata sedurre. Lei voleva di più.

Per questo motivo, a regolare le sue giornate, era il lavoro, lavoro, sempre il lavoro. Lavoro che, ovviamente, lei svolgeva perfettamente, in completa solitudine; come capo assoluto dell’Alleanza Ribelle, non si concedeva mai nemmeno il lusso di una pausa caffè, anche perché non aveva la benché minima idea di che cosa fosse un lusso. Di certo, non qualcosa da poter gestire alla perfezione.

Era così convinta della propria superiorità, da essersi infine persuasa di poter essere lei la sola che avrebbe potuto uccidere l’imperatore Palpatine; e lo avrebbe anche fatto, non fosse stato per il suo essere obbiettrice di coscienza, il che l’aveva indotta a ripudiare per sempre l’utilizzo della armi. Disintegratori, siluri protonici, blaster, raggi laser… queste non erano cose con cui lei avrebbe mai potuto sporcarsi le mani, per questo trascorreva intere giornate a firmare ordini su ordini in cui delegava ad altri tali compiti ingrati.

Tuttavia, essendo consapevole della propria grandezza, aveva deciso di creare una straordinaria macchina - il Calcolatore Plus - che, scandagliando tutti gli abitanti della galassia (i cui dati anagrafici erano stati trafugati dagli archivi imperiali, una missione in cui molti Bothan erano morti, sebbene si fosse poi scoperto che sarebbe bastato fare una richiesta firmata all’apposito ufficio per poter entrare in possesso di quelle informazioni senza colpo ferire), e mettendoli a confronto con una lunghissima scala di valutazione che partiva dalla senatrice in persona e terminava con i gungan – con, nel mezzo, tutte le varie specie conosciute – avrebbe permesso di conoscere il nome della persona più audace, subdola, intelligente e calcolatrice di tutta la galassia; la quale, quindi, si sarebbe rivelata in grado di uccidere l’imperatore Palpatine.

Certo, ufficialmente era già in atto un tentativo di distruggere la seconda Morte Nera – dove in quel momento si trovava l’imperatore – ma lei non voleva fare affidamento soltanto su Han Solo, Luke Skywalker e la principessa Leia: doveva poter contare su un piano B, e grazie alla sua prodigiosa macchina ci sarebbe riuscita alla perfezione.

A occuparsi della programmazione fu il generale Dodonna, il quale installò il programma del Calcolatore Plus sull’hardware di R2-D2.

«Ecco», disse, mostrandolo alla senatrice. «Non rimane che riavviare il sistema ed il programma sarà operativo.»

«Proceda pure, generale». replicò la donna, con il suo tono altezzoso, guardando con disgusto l’ispida barba bianca del vetusto militare.

Con una serie di bip, gorgoglii elettronici ed altri suoni astrusi, R2-D2 si riavviò e comunicò che il Calcolatore Plus era funzionante.

«Benissimo», approvò la senatrice. «R2, calcola immediatamente il nome della persona più audace, subdola, intelligente e calcolatrice di tutta la galassia.»

Il piccolo droide obbedì immediatamente, cominciando a far funzionare i propri circuiti; evidentemente, l’energia richiesta dal nuovo e avanzatissimo programma fu superiore a quella prevista per le sue funzioni, perché dovette accendere la ventola di raffreddamento per non surriscaldarsi. Tuttavia, in un paio di minuti, comunicò il proprio risultato, proiettando di fronte a sé una scheda olografica, che recava il volto ed il nome della senatrice stessa.

«Chiaramente, la più indicata sarei io, il che ci fa comprendere come il programma funzioni a perfezione», disse Mothma, contenta. «Ma, a quanto pare, bisognerà trovare colui – o colei – che si trova appena un gradino sotto di me. R2, procedi.»

Ancora una volta, il droide cominciò a lavorare, facendo vorticare molto rapidamente la sua ventola interna. Questa volta, impiegò quasi cinque minuti per emettere la propria sentenza.

«Palpatine», commentò il generale Dodonna, osservando la scheda olografica. «Evidentemente, è lui la seconda persona più audace, subdola, intelligente e calcolatrice di tutta la galassia.»

«È troppo intelligente per mettersi in trappola da solo e suicidarsi», disapprovò la senatrice. «R2...»

Senza bisogno che lei ripetesse la richiesta, l’astrodroide si era già messo all’opera per la terza volta. A questo terzo tentativo, mettendo a serio rischio i propri circuiti e rischiando quasi di far staccare dal suo supporto la ventola interna, gli ci volle un quarto d’ora per poter produrre un nome.

«Darth Vader», disse la senatrice.

«Decisamente siamo fuori rotta, perché se fosse lui, ad uccidere l’imperatore, sarebbe solo per prenderne il posto e aumentarsi lo stipendio da falso invalido», borbottò il generale. «Ci ritroveremmo dalla padella nella brace. Credo che bisognerà chiedere un altro sforzo al nostro piccolo amico meccanico.»

Conscio che l’intero destino della galassia, in quel momento, pesasse del tutto su di lui, R2-D2 riprese la propria ricerca.

Questa volta, però, sforzò troppo il proprio processore, al punto che si avvertì puzza di bruciato e, emettendo suoni a volontà, fece roteare completamente la testa. Cominciò a fumare e a emettere scintille.

La senatrice ed il generale temettero che si sarebbe fuso ma, quando già stavano per mettere mano alle manichette antincendio, videro un ologramma uscire dall’occhio blu del droide. Rappresentava un ragazzo e una ragazza che non sembravano avere un’aria particolarmente sveglia.

«Buba e Bubo Fett, figli di Boba e nipoti di Jango», lesse il generale. «No, via, è impossibile, nessuno di loro può essere la persona più audace, subdola, intelligente e calcolatrice di tutta la galassia.»

La senatrice si sentì offesa. Aveva ideato lei il Calcolatore Plus, quindi ammettere che funzionasse male era praticamente inammissibile.

«Se R2 dice che o Buba o Bubo sono la persona più audace, subdola, intelligente e calcolatrice di tutta la galassia, allora significa che uno di loro è proprio la persona più audace, subdola, intelligente e calcolatrice di tutta la galassia.»

Il generale la guardò come se fosse impazzita.

«Ma lei si ricorda il famigerato gene Fett?»

No, la senatrice non lo ricordava, probabilmente quel mentecatto di Dodonna se l’era appena inventato.

Di fronte a quell’obbiezione, il generale insistette.

«L’armata dei cloni della vecchia Repubblica, come saprà, venne ereditata dall’Impero. Dopo un po’, tuttavia, i cloni cominciarono a combinare guai, provocando bizzarri incidenti spesso mortali. Furono sottoposti a un attento studio e si scoprì che, nel loro dna, era contenuto un gene proveniente dalla matrice originale, Jango Fett. Questo gene, chiamato gene Fett dagli scienziati imperiali, era il responsabile della crescente idiozia dei cloni.

Interpellati in merito, i clonatori kaminoani provarono in ogni modo a estirparlo, ma senza successo: questo spinse l’imperatore a smobilitare l’armata dei cloni e ad arruolarne una di leva. Non possiamo affidarci a questo Buba o a questa Bubo: se sono idioti come i loro antenati, rischieranno di far saltare in aria la Morte Nera non appena vi avranno messo piede.»

La senatrice Mon Mothma studiò il vecchio, domandandosi se per caso non si stesse rimbambendo e, magari, non fosse giunto il momento di mandarlo in pensione.

«Se la distruggessero in così poco tempo, risolverebbero ogni nostro problema», gli ricordò. «Inviate immediatamente tutte le sonde disponibili per scoprire dove si trovino: li voglio a bordo di questa nave prima di stasera.»

Anche se abbastanza dubbioso, Dodonna obbedì, mentre R2-D2 rimase fermo al suo posto, emettendo volute di fumo e spandendo tutt’attorno il puzzo dei suoi circuiti rotti.

 

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Capitolo 5
*** Il reclutamento di Bubo e Buba ***


V.

IL RECLUTAMENTO DI BUBO E BUBA

 

L’astronave velocissima uscì dall’iperspazio e si attaccò come una sanguisuga alla nave ammiraglia da dove l’anima pia della senatrice Mon Mothma controllava tutta la flotta ribelle sparsa nel cosmo, pronta a dare ordini sanguinari in qualsiasi momento. Chiusi all’interno di una capsula medica, i due fratelli Fett vennero condotti al centro medico, dove furono affidati alle cure di un droide medico. Avevano proprio delle cure di un medico, insomma.

Prontamente avvisata dell’avvenuto recupero, la senatrice si precipitò loro incontro.

«Hera Syndulla a rapporto, senatrice», disse la ribelle che li aveva recuperati.

«Dove li avete trovati?» chiese il capo dell’Alleanza.

«Tatooine», spiegò la twi’lek. «Chissà perché, in questi film, qualsiasi cosa succeda si va sempre a finire su quell’inutile ammasso di sabbia. Comunque sia, erano stati catturati da alcuni mercanti Jawa, che intendevano rivenderli ad alcuni Sabbipodi per i loro rituali: pare che fossero stati destinati ad un cruento sacrificio in onore del dio dei Tusken: essere mangiati vivi, o essere costretti a mangiarsi vivi tra di loro, non ho capito bene.»

La senatrice Mothma osservò le ferite e le bruciature che ricoprivano i due gemelli Fett – ora messi a mollo in una vasca di liquido medico – e pensò a quanto fossero barbari quei Sabbipodi.

«Non appena questo Impero oppressivo e malvagio sarà stato debitamente annientato e la Repubblica, la libertà e la democrazia saranno state ristabilite in tutta la galassia, come capo supremo ed assoluto del nuovo stato darò immediatamente l’ordine di sterminare i Sabbipodi. Non è giusto che bestiacce del genere vaghino sopra un pianeta mezzo disabitato come Tatooine!»

Syndulla approvò con un cenno del capo, ma ci tenne a sottolineare che le ferite che vedeva sui corpi dei due giovani cacciatori di taglie non erano dovute ai predoni – per le cui mani non erano neppure passati û ma a loro stessi.

«In base alle analisi della capsula medica, uno di questi due imbecilli ha fatto scoppiare un detonatore termico in una stanza piccolissima, all’interno della quale si trovavano entrambi. Bisogna essere davvero stupidi per farlo!»

«Un incidente può capitare a chiunque», tagliò corto la senatrice, che non aveva certo intenzione di ammettere che il suo prodigioso Calcolatore Plus potesse essersi sbagliato nel designare i due fratelli come la persona più audace, intelligente eccetera di tutta la galassia. «Fateli rinvenire in fretta. Usate un po’ di aceto, se necessario. Non appena saranno pronti, portateli da me.»

 

Come furono estratti dalla vasca medica ed ebbero riacquistato conoscenza, Bubo e Buba non si stupirono tanto di trovarsi a bordo di un’astronave sconosciuta, bensì di aver acquisito una colorazione che variava dal grigio scuro al nero, a causa della forte esplosione.

«Idiota, stupido, cretino!» gridò la sorella. «Guarda cosa hai combinato!»

«Sei stata tu a far saltare il detonatore, mica io!» replicò lui.

«Ma se tu mi avessi lasciato fare il mio bagno in pace, anziché venire a rompermi l’anima anche lì, non sarebbe accaduto proprio nulla!»

Con un salto, Bubo balzò addosso al fratello e lo colpì con una ginocchiata in mezzo alle gambe. Lui rispose con un pugno in pieno viso, lei aggiunse un calcio negli stinchi. Immediatamente, si ritrovarono a rotolare per tutta l’infermeria, azzuffandosi e accapigliandosi, distruggendo le preziose attrezzature e non prestando alcun ascolto al droide medico, che tentava di farli smettere strillando come un disperato.

Fu necessario l’arrivo di un intero battaglione, comandato da uno stratega formidabile come Dodonna, per separarli e ridurli a più miti consigli.

Il vecchio generale li studiò con attenzione, per nulla sicuro che quella sarebbe stata la scelta giusta, quindi disse loro: «Piantatela di fare gli imbecilli. Indossate queste e seguitemi.»

Consegnò loro due armature bianche da soldato imperiale, mentre entrambi rispondevano: «Come desidera.»

Impiegarono qualche minuto per riuscire ad infilarsi le armature, che erano estremamente complicate – nonché completamente inutili, dato che non fermavano nessun colpo di laser. Anche i caschi non avevano alcuna utilità pratica, se non quella di impedire una buona visuale e giustificare, così, la totale incapacità dei soldati di prendere la mira.

«Questa cose mi stringe le tette, non posso indossarla!» si lamentò Bubo con sofferenza, cercando vanamente di chiudere il corpetto di plastica. «Io sono una signora per bene, ho bisogno di abiti che mi calzino a pennello!»

«Poche storie», abbaiò Dodonna. «Con quello che vi pagheremo per indossare quelle armature, non sarà certo un’ammaccatura in più o una in meno sulla vostra pelle a fare la differenza. Trattieni il fiato e vedrai che ci starai dentro benissimo!»

«Come desidera», si arrese la ragazza.

Finalmente rivestiti delle loro nuove armature – che, in realtà, erano state recuperate in brandelli da uno scarico dei rifiuti e che, una volta riassemblate, erano risultate essere un miscuglio di armature recenti e di vecchi pezzi arrugginiti provenienti dalle corazze dei cloni – i fratelli Fett furono condotti lungo una serie interminabile di corridoi e di stanze, fino a giungere all’ufficio di Mon Mothma.

La senatrice si alzò per accoglierli e girò loro attorno come un avvoltoio in attesa di calare sulla preda.

«Finalmente ci incontriamo», disse, dopo averli studiati con attenzione. «Voi forse non ve ne rendete conto, ma il mio portentoso Calcolatore Plus non sbaglia: nessuno – va be’, quasi nessuno – è al vostro livello, nella galassia. Per questo, abbiamo deciso di affidarvi una missione: uccidere l’imperatore.»

Fratello e sorella si scambiarono un’occhiata. Per due come loro, far fuori quel vecchio bavoso sarebbe stata poco più che una passeggiata. Ma loro non facevano mai niente per niente.

«Piano, cocca», disse Bubo, cercando di allargarsi un poco l’armatura per riuscire a respirare.

«Noi costiamo», le fece eco Buba.

«E parecchio», aggiunse Bubo, allentando un po’ le viti del corpetto. Ora le pareva di avere una certa libertà in più a livello tette.

La senatrice sorrise e si portò una mano al mento. «Vi daremo centomila crediti, per il vostro servizio…»

«Centomila?!» sbavò Buba. «Accettiamo!»

La sorella gli tirò un pugno sul casco, mettendolo al tappeto.

«No, che non accettiamo!» gracchiò. «Ti sei già scordato di quell’avviso di taglia che abbiamo trovato all’ingresso del palazzo di Jabba, quando siamo tornati? Scrofa The Hutt, la moglie di Jabba, ha messo una taglia di duecentomila crediti sulla testa dell’assassina di Jabba! E, trovando lei, troveremmo anche quel dannato Han Solo che ha ucciso il nostro paparino, e potremo vendicarlo come abbiamo giurato! Quindi, meglio cercare quella là e guadagnare di più, che rimetterci cercando l’imperatore!»

La senatrice aveva fretta ed alzò la posta. «Vi offro un milione di crediti.»

Anche attraverso le maschere, fu facile vedere gli sguardi inebetiti dei due fratelli.

«…ha detto…» fece lei.

«…ha proprio detto…» continuò lui.

«…è sicura di avere detto…»

«…non è che ha detto…»

Mon Mothma non aveva certo tempo da perdere.

«Ho proprio detto», concluse, sbrigativa. «Vi darò un milione quando, su questa scrivania, appoggerete la testa dell’imperatore Palpatine. Solo allora, però. E in più», sedette e congiunse le punta delle dita delle mani con fare cospiratorio, «vi dirò dove potrete trovare Leia e Solo. Pensate che bell’affare, che vi sto proponendo.»

E così, da astuta e subdola calcolatrice quale era, si sarebbe persino sbarazzata della principessa che poteva insidiare il suo primato di Miss Bellezza della Galassia.

«Come…» cominciò Buba

«…desidera», concluse Bubo.

La senatrice sorrise. Ormai nulla avrebbe impedito che quel vecchio caprone di Palpatine morisse. Finalmente, avrebbe potuto restaurare la Repubblica, restituendo la libertà all’intera galassia. A quel punto, non le sarebbe restato altro da fare che scoprire il modo di vivere per sempre in maniera da poterla governare come leader supremo per tutta l’eternità. Un leader supremo giusto, buono e disinteressato, che non avrebbe compiuto inutili stragi come quelle perpetrate dall’Imperatore e dai suoi accoliti, ma che si sarebbe limitato a sterminare chiunque fosse in disaccordo con il suo personale punto di vista. Del resto, come disse una volta un vecchio saggio andato alla conquista di Marte, la dittatura è un sistema per opprimere il popolo; la democrazia, è un sistema per costringere il popolo a opprimersi da solo.

«Ora andate, miei giovani amici», disse loro. «Solo un appunto: niente disintegrazione.»

Quella notizia lanciò nello sconforto fratello e sorella; del resto, era una richiesta più che comprensibile: se volevano portare indietro la testa, non potevano ridurla a polvere di stelle.

«Il generale Dodonna si occuperà di darvi tutte le informazioni necessarie e di farvi trasportare di nascosto a bordo della Morte Nera», continuò la senatrice. «Ricordate, la ricompensa sarà qui ad aspettarvi. Che la Forza sia con voi.»

I due fratelli uscirono dall’ufficio, chiedendosi cosa mai fosse quella Forza. Nulla di cui preoccuparsi, comunque: di certo, non qualcosa che avrebbe permesso a quel vecchio bacucco dell’Imperatore di difendersi da loro sparando raggi di energia dalle mani!

Quel milione di crediti era praticamente regalato.

 

 

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Capitolo 6
*** Final Battle: Fratelli Fett vs. Imperatore Palpatine ***


VI.

FINAL BATTLE: FRATELLI FETT vs. IMPERATORE PALPATINE

 

Alla guida del suo spider cabriolet di ultimo modello, Dodonna condusse i due fratelli all’Avamposto Imperiale 5440, su Bespin; lì, i due fratelli, sebbene indossando armature che davano nell’occhio, arrugginite com’erano – per non parlare di quella di Bubo, che la ragazza aveva praticamente aperto sul davanti fino a crearsi una scollatura che le permettesse di respirare – si mischiarono molto presto ad un battaglione diretto alla Morte Nera.

Furono fatti salire sopra un incrociatore che, decollato ed entrato nell’iperspazio, li condusse in poche ore a destinazione.

Durante il viaggio, seduti all’interno dell’alloggio che era stato loro assegnato, fratello e sorella si persero a fantasticare su quello che avrebbero fatto con la loro parte del milione.

«Io riscatterò la nave di papà, che al momento si trova in un deposito di veicoli sequestrati su Jakku per aver girato per anni senza bollo e assicurazione», disse Buba. «Poi, assolderò una banda di cacciatori di taglie e di contrabbandieri e fonderò un sindacato criminale. Lo chiamerò Alba Fett. Contrabbando di spezia, furto, omicidi, rapimenti… metterò i miei uomini a disposizione di sobillatori e ribelli… insomma, diventerò il più famoso signore del crimine di ogni epoca. Che bello!»

«Tu sei troppo violento», replicò Bubo, con aria disgustata. «Dopo questa avventura, ho deciso che deporrò il disintegratore e mi ritirerò. Per prima cosa, andrò dal dottor Cornelius Evazan, il chirurgo estetico dei vip, e gli chiederò di restituirmi la mia naturale tinta color carta da zucchero. Dopodiché, mi comprerò una tenuta con vista sul lago di Como, a Naboo, e mi ci trasferirò per coltivare la poesia e le arti. Prenderò come sguatteri dei gungan e, magari, mi sposerò con un uomo ricco e bellissimo. Magari con il Grand Ammiraglio Thrawn: blu com’è, faremo di sicuro dei bellissimi bambini blu, tipo puffi.»

In quel momento, suonò un allarme per indicare che, a breve, sarebbero giunti a destinazione.

«Finalmente, non vedo l’ora di togliermi questa robaccia di dosso, tra un po’ non mi sentirò più le tette», si lamentò Bubo. «Ora, apri bene le orecchie: fai tutto quello che ti dirò, alla lettera, e ogni cosa filerà liscia.»

Il fratello la guardò sorta. «Non ci provare. Sono un maschio e comando io. Ho ideato un piano che non fallirà.»

Lei rise. «Smettila di dire cretinerie! Sono io quella intelligente, mica tu. Si fa quello che dico io e basta!»

«Non prendo ordini da una donzelletta che non riesce neppure a indossare una semplice armatura senza mettersi a piangere!» riuscì a sbraitare Buba, prima che la sorella lo colpisse in pieno viso con un pugno, fracassandogli la maschera.

«Guarda cos’hai fatto, brutta schifosa!» ringhiò lui, cercando di togliersi i frammenti di vetro e di plastica che gli si erano conficcati in faccia. «Aspetta solo che ti metta le mani addosso e ti faccio vedere io…!»

Prima che potesse aggiungere altro, lei gli si era già avventata contro. L’alloggio era così stretto che, ben presto, si ritrovarono a sbattere contro le pareti, con le armature che andavano in mille pezzi ad ogni singolo colpo. Volarono calci, pugni, morsi e grida, prima che Buba, agguantato il blaster, riuscisse a colpirla con il raggio stordente.

«Mefitica donnaccia», ansimò, riprendendo fiato.

Nella stanzina non c’erano specchi - e, se anche ce ne fosse stato uno, lo avrebbero di certo fracassato - ma non fu necessario guardarsi per capire che la sua armatura era ormai inservibile.

Quindi, sfilata quella a sua volta molto malandata della sorella, fece una cernita dei pezzi migliori e li mise insieme con della colla vinilica, nastro biadesivo e forbici dalla punta arrotondata. Il risultato non era poi tanto male.

Risuonò un secondo allarme, ad annunciare che erano atterrati sulla Morte Nera. Buba, senza più degnare d’un solo sguardo la sorella, aprì la porta automatica e si unì ai soldati che percorrevano a passo di corsa il corridoio.

 

Una volta schierate nell’ampio salone, le truppe furono passate in rivista dal Moff Jerjerrod.

Non appena si fu trovato davanti agli occhi Buba, l’ufficiale sembrò in preda ad una sincope.

«Cosa sarebbe, questa?!» sbraitò. «Una parodia uscita male?»

«No, signore», rispose Buba.

«Non parlare in mia presenza, soldato! Neppure i soldati imbarcati sulla prima Morte Nera erano conciati peggio di te, dopo che venne distrutta!» gracchiò. «Fila a farti consegnare un’armatura decente, dopodiché sarai reindirizzato alla miniera di spezia di Kessel per la tua insubordinazione! Io non ammetto che sulla mia stazione orbitale ci sia gente del genere, specialmente quando c’è in visita l’Imperatore! Fila!»

«Come desidera», rispose Buba, correndo via.

A ogni passo perdeva un pezzo di armatura, ma la cosa non gli interessava: l’importante era essere riuscito a defilarsi in fretta, così adesso poteva avere campo libero per il suo piano. Gettò uno sguardo al suo orologio cosmico, che segnava l’ora spaziale 8 : 7 : 234 : 89 : 50 : 42 : 99 : 195404 : 0000 : 113657 :0,0005 :9845648236 : 1. In pratica, mezzanotte e mezza. L’Imperatore, vecchio com’era, doveva essere già andato a letto da tre ore buone, se non di più, quindi non gli sarebbe servito che un attimo per poterlo annientare.

Continuò a incedere, perdendo via via sempre più pezzi di armatura. Quando giunse di fronte alla camera da letto di Palpatine - la riconobbe sia perché era presidiata da guardie rosse sia perché, alla maniglia, era attaccato un cartello con scritto “Imperatore a riposo - Siete pregati di non disturbare” - era rimasto praticamente in mutande.

Ma questo non lo avrebbe fermato, perché aveva con sé il proprio blaster e tanto bastava. Fece un balzo in avanti, gridando come un pazzo, e le due guardie – atterrite dalla sua bruttezza, visto che era conciato davvero male – morirono di infarto senza che fosse necessario sparare un solo colpo.

Il ragazzo si volse verso la porta della stanza da letto.

«A noi due, Palpatine!» mormorò Buba. «Vali un milione e io sto venendo a prenderti!»

 

Bubo venne risvegliata dal gungan delle pulizie, che la rinvenne ancora stordita nel suo alloggio.

«Chi es que tu es?» chiese l’inserviente. «Mi son Jar Jar Binks! Mi svegliato con buena pappa a colazione e mi mandato a pulir bagni di nave pieni di schizzi perché soldati non indovinano mai buco, ed ecco io trova te che dormi! Ma tu no es un rifiuto che io devo buttar via, ja?»

Ignorando lo sproloquio del gungan, la cacciatrice di taglie cercò di riordinare le idee. All’improvviso, ricordò: quel maledetto di suo fratello l’aveva stordita e le aveva rubato l’armatura. Perlomeno non aveva più alcun dolore al seno, ma non poteva neppure andarsene in giro nuda come un verme. Guardò Jar Jar e le venne un’idea.

«Fammi entrare nel sacco della spazzatura e conducimi alla sala del trono!» ordinò.

«Ma mi non so se posso…»

«Obbedisci!» gridò la ragazza.

E il povero gungan, che aveva perduto tutta la propria autostima da quando qualcuno aveva deciso che il suo personaggio fosse troppo stupido per un film di Star Wars e tutti gli altri fan, come pecoroni, gli erano andati dietro mettendosi a sproloquiare contro quel personaggio e contro George Lucas, fece esattamente ciò che gli era stato richiesto.

Giunto davanti all’ingresso della sala del trono, però, si ritrovò la via bloccata dalle guardie imperiali.

«Dove credi di andare, gungan?» lo derise uno dei suoi soldati. «Solo perché la tua mozione al senato, vent’anni fa, ha permesso all’Imperatore di acquistare tutti i suoi poteri, non significa che tu possa andartene a spasso come desideri.»

«Ma mi…» provò a protestare il poveretto, facendo un passo all’indietro quando le due guardie gli puntarono addosso le loro armi per intimorirlo.

All’improvviso, dal sacco dell’immondizia, ricoperta di bucce di banana, sporcizia e altre schifezze, saltò fuori Bubo, impugnando il suo blaster in modalità disintegrazione.

«Ferma!» gridò uno dei due, prima di essere ridotto alla forma di un midichlorian da un preciso colpo della ragazza. Il secondo, invece, venne solamente stordito.

Veloce e astuta, Bubo lo spogliò completamente ed indossò la lunga tunica e il mantello rosso, coprendosi poi il viso con il copricapo. Quest’abito di lino era decisamente più fresco, leggero e maneggevole della brutta armatura che le aveva fornito l’Alleanza; oltretutto, non le dava problemi a nessuna parte del corpo. Pronta ad agire, buttò il corpo della guardia stordita nel sacco dell’immondizia.

«Gettalo in un compattatore di rifiuti ed acqua in bocca», ordinò a Jar Jar, che si dileguò alla svelta gridando: «Esta è follia! Io ritorna a Gungan City rapido rapido! Meglio morto allà che morto accà!»

La ragazza si volse verso la porta della sala del trono.

«A noi due, Palpatine!» mormorò Bubo. «Vali un milione ed io sto venendo a prenderti!»

 

Buba Fett entrò nella stanza da letto dell’imperatore. Trattandosi di un personaggio oscuro e malvagio, credeva che anche la sua camera rispecchiasse la sua figura pubblica. Ma si sbagliava di grosso.

La stanza era tutta bianca e ammobiliata con comodini e armadi laccati di rosa acceso. Sopra un divanetto, erano ammonticchiati numerosi morbidi peluche di tutte le forme e le dimensioni, mentre dal soffitto pendevano stelline e api colorate; alle pareti, erano appesi quadri con scene tratti da famosi film a cartoni animati (che sarebbero stati prodotti in un’altra galassia, di lì a qualche miliardo di anni): Bambi, Biancaneve e i sette nani, La spada nella roccia e pure Frozen. Uno stereo, diffondeva in sottofondo le più famose colonne sonore cantate da Cristina D’Avena.

Incuriosito, Buba si avvicinò a uno scaffale su cui era appoggiata una collezione di pupazzetti di gomma dai colori accesi e sgargianti. Stava per afferrarne uno per scoprire se avrebbe emesso qualche suono nel schiacciargli la pancia, quando alcuni grugniti lo fecero voltare verso il grande letto circolare che si trovava in mezzo alla stanza.

Lì, due twi’lek maschi, muscolosi e sudati, oliati dalla testa ai piedi, emergevano dalle lenzuola, tenendo abbracciato l’imperatore e facendo cose che, per non incorrere nella censura imperiale, sarà bene non descrivere. Se Buba, anziché uno spietato cacciatore di taglie, fosse stato un paparazzo, avrebbe guadagnato miliardi fotografando quella scena e rivendendola alle maggiori testate scandalistiche della galassia.

All’improvviso, però, si levò una voce stridula da sotto le lenzuola.

«Sei stato molto abile a giungere fino a me, giovane Fett», parlò l’imperatore. «Ma questo non ti salverà. Unisciti al Lato Oscuro o sarai distrutto!»

Buba guardò verso il Lato Oscuro, fatto di muscoli, sudore e altri liquidi maschili di varia origine. Decisamente, non faceva per lui.

«Preparati a morire, piuttosto!» lo sfidò Buba, tenendolo sotto il tiro della sua arma. «Ormai è suonata la tua ora, vecchio pervertito! Neppure se tu sparassi fuoco e fiamme dalla bocca, riusciresti a impedirmi di avere il mio milione!»

Le lenzuola si scossero e l’Imperatore Palpatine emerse in tutta la sua orripilante bruttezza; fortunatamente, si era drappeggiato la coperta attorno al corpo a mo’ di toga, risparmiando al povero spettatore di vederlo al di sotto del viso.

«Fuoco e fiamme dalla bocca, mio giovane avversario?» sogghignò. «No, quelle no.»

Il raggio laser del blaster di Buba partì nell’esatto momento in cui fulmini di Forza azzurrini emanavano dalle mani dell’Imperatore. Il raggio laser fu rispedito al mittente e, subito dopo, i fulmini colpirono il poveraccio. Cinque minuti dopo, dell’eroico Buba Fett rimaneva solo una massa informe e gelatinosa.

«Mandate a chiamare quel gungan delle pulizie e fategli portare via quella sbobba dal mio pavimento», ordinò l’imperatore ad uno dei twi’lek, mentre l’altro, sceso dal letto insieme a lui, lo aiutava ad indossare il suo lungo mantello nero. «Io ho un appuntamento con Darth Vader e con il giovane Skywalker.»

 

Bubo era stanca di aspettare e stava quasi decidendosi ad andare a sedersi un po’ sul trono quando, all’improvviso, le porte si aprirono e Palpatine emerse dall’ascensore, camminando adagio e appoggiandosi ad un bastone. La ragazza, nascosta perfettamente dal suo travestimento, sorrise: le sarebbe bastato sparargli un colpo nella schiena e tutto sarebbe finito.

Però, prima di agire, doveva sbarazzarsi delle altre guardie.

Osservò il vecchio giungere quasi sfinito al suo trono e lo vide sedersi con un grugnito, prima di girarsi e guardare fuori dalla vetrata i lavori nel cantiere della nuova Morte Nera, che procedevano a rilento.

«Ai miei tempi sì, che si lavorava bene», lo udì bofonchiare. «Giovani lavativi!»

Dieci minuti dopo, le porte dell’ascensore si spalancarono di nuovo e ne emersero un falso invalido con il mascherone e l’asma e il giovane Luke Skywalker, che lei già conosceva.

L’Imperatore diede l’ordine alle guardie di lasciarli da soli e Bubo ne approfittò per nascondersi in un anfratto, in attesa del momento buono per poter agire.

Fra i tre uomini ebbe inizio un’accesa discussione su filosofie orientali e strane dottrine di vita, tutte cose che Bubo non riuscì – né ci tenne particolarmente – a comprendere; lei voleva solo che si dessero una mossa e facessero accadere qualcosa di significativo da cui poter trarre vantaggio.

E quel qualcosa avvenne. Il falso invalido con l’asma e il giovane Skywalker cominciarono a duellare con le loro spade laser, facendo a pezzi qualsiasi cosa gli capitasse sottomano: a Bubo ricordò le pacate discussioni che aveva di quando in quando con il fratello.

Dopo un po’, Luke si nascose e il falso invalido cominciò a cercarlo.

«Smettila di giocare a nascondino, Luke!» sbottò Vader. «Sei grande, ormai, per queste cose. E a me cominciano a fare male le giunture! Non puoi sfuggirmi in eterno. I tuoi pensieri ti tradiscono… sento che… no! Così tu hai una sorella gemella. Obi Wan è stato saggio a tenermela nascosta, ma ora il suo fallimento è completo. Ma… aspetta… Leia è tua sorella?! E tu le hai…?! E lei ti ha…?! Con un dildo ti ha…? Non posso crederci, scandaloso!»

La lama verde di Luke si accese all’improvviso e il giovane balzò fuori dall’ombra.

«Noooo!» gridò. «Leia… non… è… mia… sorella!»

A ogni parola corrispondeva un affondo e quando giunse a “sorella”, dopo aver atterrato Vader, gli tranciò di netto la mano che impugnava la spada laser rossa. Il falso invalido sollevò l’altra in segno di resa.

«Bene! Bene!» approvò Palpatine, facendo un passo in avanti e battendo le mani. «Così hai fatto qualche giochino di troppo con tua sorella, giovane Skywalker. I tuoi sentimenti ti hanno tradito! Ora, se non vuoi che le riveli la verità, convertiti al Lato Oscuro e prendi il posto di tuo padre al mio fianco! Solo allora potrai fare con Leia [censura] e [censura].»

Luke guardò la propria mano robotica, identica a quella di suo padre; lo guardò negli occhi, domandandosi se lui avesse mai avuto una sorella. Meglio non chiederlo. Scosse il capo e lanciò via la spada laser.

«No, mai!» disse, in un tono che non ammetteva repliche. «Avete fallito, altezza. Sono uno jedi, come mio padre prima di me! E se una cosa è sbagliata, allora tale resterà per sempre. Non toccherò mai più Leia e, anzi, le dirò tutto. Metteremo una pietra sopra il passato e non andremo mai più oltre un semplice bacetto sulla guancia in occasione dei pranzi di Natale e di Pasqua!»

Il volto truce di Palpatine si fece, se possibile, ancora più satanico.

«Sia come vuoi, jedi!» sentenziò.

Il resto lo conoscete dal film e non starò certo qui a ripetervelo.

 

Non appena Luke ebbe trascinato via con estrema fatica il corpo senza forze di suo padre – quando, invece, avrebbe potuto farlo lievitare facilmente con la Forza, per trasportarlo senza perdere tempo a bordo di una nave spaziale e provare a salvarlo – Bubo sgusciò fuori dal suo nascondiglio e cominciò senza indugi a calarsi lungo il condotto in cui Darth Vader aveva fatto precipitare l’Imperatore o, meglio, il suo milione.

Fortunatamente, c’erano appigli dappertutto, quindi in meno di un quarto d’ora fu alla base dell’altissima torre. Il corpo senza vita di Palpatine, che ancora emanava qualche residuo di fulmini di Forza, si era sfracellato contro il reattore principale e, a causa del calore intenso emanato dal macchinario, stava cominciando ad abbrustolirsi. Tuttavia, era ancora sufficientemente riconoscibile per fare sì che la senatrice Mothma dovesse cacciare il malloppo senza fare storie.

Bubo Fett, la graziosa e ultima esponente della lunga e gloriosa stirpe dei Fett, sorrise di soddisfazione sotto la maschera rossa da guarda imperiale; ce l’aveva fatta! Aveva compiuto un’impresa che non era riuscita mai a nessuno, né a suo padre, né a suo nonno, né ad alcun altro dei suoi antenati; era riuscita a impadronirsi di un cadavere del valore di un milione di crediti spaziali! E, per di più, non era morta in maniera stupidissima come tutti gli altri Fett prima di lei. In una sola parola, lei era la migliore.

Presa da questi pensieri esaltanti e colmi di gloria, che la distrassero da qualsiasi altra cosa nel prospettarle il più roseo dei futuri, non badò al Millennium Falcon ed all’Ala-X di Wedge Antilles che si avvicinarono velocissimi ai reattori, sparando e distruggendoli.

Un minuto più tardi, la Morte Nera e tutti i suoi occupanti vennero disintegrati e non restò che uno sbiadito ricordo, destinato a svanire nel freddo oblio delle immense vastità stellari.

 

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Capitolo 7
*** Epilogo tragico ***


VII.

EPILOGO TRAGICO

 

Il nuovo sterminio di burocrati imperiali, provocato per l’ennesima volta da quei bonaccioni dei Ribelli, determinò la sconfitta finale dell’Impero Galattico e l’ascesa della Nuova Repubblica di cui, come aveva previsto, la senatrice Mon Mothma divenne immediatamente il signore assoluto. Come primo atto, dopo aver emanato un indulto generale, la brava ragazza fece internare e sommariamente uccidere tutti coloro che, in un modo o nell’altro, avevano servito sotto Palpatine, compresi dunque, oltre ai militari e agli spietati ufficiali, anche impiegati, cuochi e gungan delle pulizie.

La morte di entrambi i fratelli Fett non venne pianta proprio da nessuno e in tutta la galassia non si udì mai più parlare di quella stirpe di imbecilli; il terribile gene Fett, che in passato aveva decretato il fallimento totale dell’armata dei cloni, fu infine debellato.

 

Sulla luna boscosa di Endor, come in ogni altra parte dell’Universo, si tennero grandi festeggiamenti, a cui, però, Luke Skywalker partecipò controvoglia. Non era tanto l’aver appena deposto il suo ritrovato padre sulla pira funebre, a rattristarlo, quando, invece, l’idea di dover per sempre rinunciare a Leia. Va bene, davanti all’Imperatore si era dichiarato disposto a rivelarle la verità, ma adesso aveva cambiato idea, e vederla baciare quel bellimbusto di Han anziché lui lo faceva rodere dentro come non mai. Avrebbe avuto tanta voglia di mettere mano alla sua spada laser e farlo a fettine; peccato solo che l’avesse lasciata a bordo della Morte Nera prima che saltasse tutto in aria.

Con una smorfia disgustata, guardò il contrabbandiere staccarsi dalle labbra della ragazza e venire verso di lui con un gran sorriso stampato in viso. Cosa ci fosse tanto da sorridere, poi, non riusciva proprio a spiegarselo!

«Ragazzo, tu sei un jedi». constatò Han.

«Così dicono», rispose Luke, scrutandolo trucemente. Non poteva credere che Leia avesse scelto quella canaglia inespressiva, anziché lui: perché? Perché?! PERCHÉ?!

«Quindi, hai anche il dono della preveggenza, vero? Voglio dire, puoi vedere il futuro?»

Il volto di Luke si fece sospettoso.

«Certamente», rispose. Omise di riferirgli quello che aveva detto quel mentecatto di Yoda: «Sempre in movimento, il futuro è.» Del resto, Han era un sempliciotto, perché mai angustiarlo con tecnicismi che non avrebbe compreso?

«Che ne diresti, allora, di leggere un po’ nel mio futuro? Così, giusto per darmi qualche dritta su quali affari compiere e quali lasciare perdere… potresti magari suggerirmi qualche numero da giocare alla lotteria o cose così… ovviamente ti darei una percentuale sulle vincite!»

«Uhm», fece Luke. Forse, se avesse sfruttato bene le proprie capacità divinatorie, avrebbe avuto ancora qualche speranza, con Leia. Chiuse gli occhi, si sedette a gambe incrociate e si concentrò, cominciando immediatamente a fluttuare in aria.

«Vediamo… dunque… vedo, vedo che… tu e Leia vi sposerete ed avrete un figlio.»

Emozionato, Han fece un sorrisone.

«Ma è meraviglioso!»

«…lo chiamerete Ben…»

Il sorriso di Han si attenuò un poco a quella notizia.

«Ben? Come il vecchio pazzo? Avrei preferito qualcosa di meglio, per mio figlio, ma tant’è…»

«…verrà addestrato come un cavaliere jedi…»

«Grandioso! Mio figlio sarà una celebrità!»

«…il ragazzo abbandonerà l’addestramento e si volgerà al Lato Oscuro…»

«Cosa?!» sbraitò Han. «Dopo tutta la fatica che abbiamo fatto per…»

«…a causa sua, tu e Leia divorzierete», continuò imperterrito Luke. «E non ti dico neppure che razza di cifra dovrai passarle per gli alimenti, perché è una somma allucinante.»

«Aspetta un attimo!» scoppiò Han. «Aspetta un attimo, Luke! Tra di noi, quella ricca è lei! Perché diavolo dovrei essere io a versarle…?»

«…vostro figlio si unirà al Primo Ordine e farà crollare un’altra volta la galassia nel caos, distruggendo pianeti, compiendo stragi su stragi e altre cose così…»

«Ma…»

«…tu cercherai di salvarlo, ma lui ti trafiggerà senza alcuna pietà, prima di farti precipitare in un baratro senza fondo sopra un pianeta che, dopo cinque minuti, sarà completamente disintegrato. Capisci, Han? Il futuro non è granché bello, vero? Han? Han…?»

Luke riaprì gli occhi e si guardò attorno. Di Han Solo non c’era più alcuna traccia ma, in lontananza, vide decollare in tutta fretta il Millennium Falcon, che compì il balzo nell’iperspazio prima ancora di aver lasciato l’atmosfera di Endor. Udendo un passo alle proprie spalle, si volse e vide sopraggiungere Leia.

«Luke, hai visto Han?» domandò la ragazza. «Non lo trovo da nessuna parte.»

Il jedi sorrise e le passò amabilmente un braccio attorno alle spalle.

«Han doveva seguire la sua strada, Leia. Ma non ti preoccupare, ci sono qua io, per te.»

«In che senso… non capisco…» mormorò la giovane.

«Lo so che sarà dura ascoltare ciò che sto per dirti, ma…» gli occhi di quel volpone di Luke si illuminarono. «Han aveva un’altra donna, su Corellia. Ora che è tutto finito, ha deciso di tornare da lei. Ma non piangere, Leia, ci sono qua io per consolarti. Vieni, entriamo in quella capanna, puzza un po’ di Ewok, ma ci staremo ugualmente comodi…»

Leia, alla prima, rimase impacciata. Ma poi lo seguì nella capanna buia e, dopo un lungo dibattere e cercare insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani, e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia nella Forza li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore. Questa conclusione, benché trovata da un fratello e una sorella che non sapevano di esserlo (o fingevano di non saperlo), c’è parsa così giusta, che abbiamo pensato di metterla qui, come il latte di Bantha di tutta la storia.

La quale, se non v’è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l’ha scritta, e anche un pochino a chi l’ha raccomodata (ma raccomodata giusto un poco, perché vi basti la visione del film per comprenderne le profonde e intatte similitudini). Ma se, invece, fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta.

 

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