Wa no Kuni

di Scarlett Queen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atto I: Il Passo di Montagna ***
Capitolo 2: *** Atto II: Verso la Cima ***
Capitolo 3: *** Atto III: La fine tanto agognata ***



Capitolo 1
*** Atto I: Il Passo di Montagna ***


Atto I: Il passo di montagna

 

«È stato orribile… faccio quella strada ogni giorno, da dieci anni, avanti e indietro dal villaggio! Certo, ci son o sempre state scorrerie di banditi e taglia gole, i ronin spesso possono chiedere una tassa per il passaggio… ma mai avrei immaginato di assistere ad uno scempio del genere! Credete a me, le guerre fra i Daimyo saranno il male minore, il Paese presto sarà condannato!»

Fuori le nuvole erano pesanti e di un tetro grigio-scuro, ilo vento soffiava gelido e implacabile, correndo e gridando sulle sue gambe veloci e invisibili. I bambù si spiegavano sotto la sua spinta, le foglie frusciavano fra loro e i fiumi, i laghi e i torrenti si gonfiavano. I Kami sembravano essere in competizione gli uni con gli altri e non più di due settimane prima un violento terremoto cavava fatto franare l’estremità di un promontorio. Sotto il tetto in fascine di paglia della locanda, nella sala comune al piano terra, gli avventori si riunivano attorno ai bassi tavolini, scambiandosi le dicerie, le chiacchiere e i fatti.

«È così vi dico! Presto di queste terre non resterà altro che sangue e cenere e allora, solo allora il cielo si sarà calmato e le nostre anime avranno mangiato da tempo il cibo partorito dalle fornaci dello Yomi»

La voce del contadino venne incrinata dal pianto; aveva i piedi e le braccia sporche di terra, la punta del naso arrossata per il troppo bere e lo sguardo languido; attorno a lui era andato radunandosi un discreto pubblico che ascoltavano assorti il racconto. Non visto, in un angolo della sala comune, ascoltava anche un altro cliente, solitario e silenzioso. Portava un kimono nero, così come i suoi hakama; ai piedi portava bianche calze e i sandali di paglia lo attendevano all’esterno, sotto la tettoia.

Stretta alla vita portava una Obi, anch’essa nera e alla cintura erano assicurati i foderi di due lame: una lunga, la katana e un’altra più corta, una wakizashi che i samurai si portavano dietro, dedicata al rituale del seppuku. Teneva i capelli agghindati alla maniera tipica dei samurai e mangiava da una ciotola di riso e da una di verdure bollito. Poteva sembrare un fantasma per quanto era silenzioso, ma le sue orecchie ascoltavano attentamente quanto dicevano i contadini.

Non erano le prime dicerie che sentiva in tal senso… aveva seguito quei racconti per tutta la provincia, attraversando le pianure e le montagne, fermandosi nei villaggi più isolati dai grandi centri abitati e alla fine, aveva trovato un nesso: in quella zona c’era stata una base degli Ikko-Ikki, poi da qualche tempo di loro non se ne era saputo più nulla ed erano cominciati gli eventi misteriosi: sparizioni, omicidi, violenze indiscriminate… persino le bande di disertori e di samurai sbandati avevano iniziato a tenersi alla larga da quel passo di montagna. Portò la mano sinistra al fodero della katana, sentendo un brivido freddo lungo la schiena.

«Avevo il carro ben carico sacchi di riso, persino qualche fiasca di sakè, sapete, è stata una buona annata e Amaterasu è stata benevola con noi, per una volta… ma quando ho girato l’angolo… Per il Cielo! Avrei volentieri abbandonato tutto ciò che avevo pur di non dover vedere un orrore del genere!»

La sua voce venne rotta da un singhiozzo e si portò la mano alla gola, trattenendo a stento una crisi di pianto, sentendo gli occhi che gli bruciavano per il sale trattenuto dietro le palpebre. Ma quella parte della storia non importava al giovane samurai; quando ebbe finito di mangiare, fece ricadere sul tavolo che aveva occupato una manciata di mon di rame e uscì dalla locanda, recuperando i sandali, calzandoli ai piedi e uscì sotto la pioggia battente che aveva iniziato ad infangare la strada polcverosa.

*

https://youtu.be/GykBI4E6Puw

Le case fiancheggiavano il sentiero e oltre ad esse, stavano le risaie, immerse nell’acqua, con ,la via che andava restringendosi e i flutti la inondavano, spinti dalla tempesta. Fra le nuvole si scorgevano le sagome dei fulmini, qualche tuono squarciava il silenzio dello scrosciare della pioggia e il vento raggelava la pelle e le ossa. Non ci volle molto perché il tessuto del kimono e degli hakama gli si attaccasse al corpo magro e forte, perché i capelli si attaccassero alla testa e la paglia dei sandali si insozzasse di fango, al pari delle sue calze.

Già dal basso si poteva distinguere la pagoda in legno, la torre si sollevava in mezzo agli alberi per otto piani, dai tetti in tegole con la struttura che andava restringendosi verso l’alto. Da lì gli Ikko-Ikki facevano partire le proprie incursioni nella regione, poi… poi qualcosa era cambiato, e al posto dei monaci, quelle terre erano state infestate dal sentimento della paura.

Poco fuori dal villaggio, su di una roccia ai margini del sentiero sedeva una donna. Fra le mani teneva uno shamisen. I capelli rossi ricadevano in due ciocche ai lati del viso perfetto, una coda intrecciata invece scendeva fra le spalle, coperte da un semplice yukata in seta, viola e dei fiori rossi a decorarlo. A piedi nudi, teneva le gambe accavallate, come mai nessuna dama giapponese avrebbe pensato di porsi e le sue dita pizzicavano le corde. Vedendo il giovane samurai, la donna smise di suonare, i suoi occhi, gialli e segnato da tre sottili cerchi concentrici neri si poggiarono sulla sua figura, seguendo il suo incedere, diretto alla montagna sconsacrata.

«Stavolta non ci sarò io con te – la sua voce era morbida, sensuale e gentile, le sue iridi tornarono allo strumento, agitò quasi pigramente il piede destro, fermando il ragazzo dal suo incedere – quello sul passo di montagna è un Akuma diverso dagli altri… il suo Mantra è di quarto livello, tu sei solo al terzo stadio della tua crescita».

«Mi stai dicendo che sto andando verso morte certa?» il samurai si voltò a guardarla, tenendo le braccia lungo i fianchi, guardamndola attraverso la coltre di pioggia, a quel pensiero, il suo cuore non tremava e quando parlò, la sua voce suonò apatica, come se ciò che sarebbe successo al suo corpo non lo riguardasse più «La cosa non mi spaventa lo sai… Ho continuato a seguirti solo perché mi hai promesso che avrei trovato una buona morte. Questa sembra esserlo. Quindi, se non verrai con me, allora devo ringraziarti per questo inaspettato favore».

«Mi hai frainteso – la donna lo guardò da sotto i capelli, muovendosi fluida sulle gambe, scendendo a terra e ancheggiando sulla punta dei piedi, girandogli attorno – non ti faccio andare da solo affinché tu possa andare incontro alla morte… lo faccio perché è l’unico modo che ho di insegnarti». In un movimento sciolto, il suo corpo longilineo si tese contro di lui, le mani ghiacciate si serrarono attorno al suo volto e la donna lo guardò negli occhi, con una luce ambigua nelle pupille, prima di sfiorargli le labbra con un bacio «Io ti prometto… che avrai paura della morte» e con un guizzo, divenne una volpe, una magnifica volpe dal manto rosso e balzò via, co0n tre code fulve ad ondeggiare dietro di lei.

Il giovane strinse i denti; percepiva distintamente la propria erezione sotto gli hakama e provò vergogna. Quella strega lo dominava completamente… dominava ogni aspetto della sua vita, era lei a tenerlo in vita, privandolo del seppuku, della morte da samurai di cui già aveva privato suo padre, sua madre… ed era anche la “custode” del suo desiderio. Deglutì a vuoto e strinse a fondo la presa sull'elsa della katana, con la lama rivolta verso l’alto.

Si mise a correre, picchiando con i sandali contro le pozzanghere gelide, insudiciandosi l’orlo inferiore delle vesti; le sue lacrime si mescolarono alla pioggia, il suo grido venne soffocato dal fragore del temporale, la sua rabbia bruciò come una torcia morente sotto quella cascata d’acqua.

*

Il sentiero prese a salire, le curve si fecero più strette, gli argini della strada si piegavano verso l’alto e le ombre della vegetazione si allungarono sulla sua via, continuò a correre tenendo la sinistra sull’elsa finché non si immerse del tutto fra rami, foglie e tronchi, qui si piegò sulle ginocchia, sentendo come, tutto attorno, l’acqua avesse assunto sfumature di suoni differenti. Le percepiva, le percepiva tutte: la goccia che, scendendo da un ramo, picchiava sulla pietra, la goccia che scivolava lungo un fusto di bambù, la goccia scossa dal vento che deviava dalla sua traiettoria.

Il passo di montagna non era molto distante dalla sua posizione, il sentiero continuava a tagliare attraverso la boscaglia per qualche miglio ancora prima di correre lungo il fianco montuoso; il tempio dominava la cima dell’altura mentre il percorso continuava lungo il fianco opposto, portando alla città. Quando si riaffacciò sul mondo esterno, u fulmini zigzagarono in cielo, le nuvole erano fitte e scure e basse, il vento si era fatto più feroce e ora urlava impetuoso. Il samurai si stagliò contro la natura indomita, una natura contro la quale neanche i più grandi signori della guerra potevano sollevare le armi e vincere.

Alla sua sinistra si aprì uno strapiombo, la parete cadeva sul fitto della vegetazione e dal fianco montuoso dalla sua destra l’acqua ruscellava in discesa. In mezzo al fango che andava formandosi notò le impronte lasciate dalle ruote dei carretti, dei piedi nudi e degli zoccoli dei buoi; poi, girando un’ampia curva, trovò ciò di cui il mercante aveva parlato alla taverna. In mezzo alla strada stavano una mezza dozzina di corpi, un’intera famiglia riversa in mezzo al suolo inzaccherato di sangue.

Gli arti erano stati loro strappati dal corpo, le teste staccate a morsi, il busto diviso dalle gambe, con gli intestini riversi sotto il cielo invernale. Si avvicinò al luogo del massacro con circospezione, ogni pelo sul suo corpo teso nella concentrazione, il cuore che picchiava contro il costato, il sangue che scorreva veloce nelle vene. Chinandosi sul corpo della donna più anziana, probabilmente la madre, si portò una mano davanti alla bocca, faticando a trattenere un conato di vomito.

Il suo ventre era stato squarciato dall’interno… e osservando i resti, riuscì a comprendere il come questo fosse successo. L’aggressore, nella fretta di soddisfare la sua perversa lussuria l’aveva uccisa mentre la violentava. «È questo… è così che condividete questo mondo?!» quasi schiumava di rabbia mentre si muoveva fra i corpi, la furia degli elemnti rifletteva il suo turbamento interiore. Ciò che accadde dopo, fu dettato dal semplice, bestiale istinto più che dall’effettiva volontà del suo corpo.

Ci fu il suono secco di tronchi spezzati, di foglie calopestate, di un corpo pesante che si muoveva in mezzo alla vegetazione. La bestia emerse rapida e precisa, con le zanne snudate, spostandosi su quattro arti grotteschi. Il giovane samurai ebbe appena la fugace visione di un primate privo di pelliccia, con l’epidermide esposta e dalla fitta ventatura in rilievo. I treocchi sanguigni coronavano una bocca scimmiesca dotata di denti ricurvi come pugnali e gli arti disumani regevano un corpo che andava levandosi per quattro metri dal suolo.

Agì rapido, snudando la katana e, grazie alla lama rivolta verso l’alto, riuscì a sferrare un poderoso fendente, i cinquanta strati dell’acciaio aggredirono la carne dell’Akuma, le vene vennero tranciate e il muscolo venne aggredito dal filo affilato della spada. Il sangue esplose in una massa scura e la scimmia balzò via con insospettabile agilità, atterrando sugli arti posteriori. Il ragazzo si volse contro il suo avversario, sollevando la katana sopra la testa. «Yeyeyeye, da quando ho assunto questa forma, nessun uomo è mai riuscito a ferirmi! Devi essere tu quello che chiamano “Estirpatore di Demoni”… un ragazzino! Sarà un piacere porre fine alla tua patetica leggenda!»

*

https://youtu.be/sAtcfy7TnxQ

Non ci fu un autentico spostamento fisico, semplicemente, un attimo prima il corpo della scimmia era davanti a lui, a qualche metro di distanza, poi il mostro gli comparve davanti. Sgranando gli occhi dalla sorpresa, lo spadaccino poté appena parare il montante con la spada, sentendo le ossa delle braccia urlare di protesta mentre il suo corpo veniva sollevato da terra. Il fulmineo manrovescio lo colpì appieno, andò schiantandosi contro il terreno della scarpata ora alla sua sinistra, spezzando i tronchi del bambù e franando in mezzo alla terra e al fango.

«Terzo Mantra: Respiro dell’Anima».

La katana venne attraversata da un sussulto, l’aria si èiegà attorno a lui quando lo spiroito emerse in superfice, libero dalla sua gabbia di carne e ossa. Un velo azzurro gli coprì gli occhi, con i capelli che si sollevavano verso il cielo, colorandosi del bianco della neve fresca, come appena poggiatasi al suolo. «Avrei dovuto capirlo da prima… un mercante che trova un Akuma intento a consumare il suo appetito e sopravvive… non era credibile dopotutto».

La bestia gli fu nuovamente addosso, con entrambe le mani unite in un maglio che si preparò a calare sulla sua testa, sul volto u sorriso empio e maligno; il samurai espirò e si mosse in avanti, sferrando un solo, preciso fendente tenendo la katana con la sola mano destra, la sinistra tenuta contro il fianco. Fu la sua anima e non l’acciaio a colpire questa volta: il taglio fu formidabile, il corpo della scimmia venne diviso in due parti, il busto e le zampe vennero separati da un torrente di sangue e i tre occhi si spalancarono per l’incredulità mentre il rosso plasma grondava al suolo come da una cascata.

I pezzi caddero in terra con un tonfo sordo e fiamme azzurrine iniziarono a consumarli, aggredendo in profondità lo spirito corrotto dell’Akuma. «Non sei tu il demone dal quarto mantra, non è vero? - la voce del ragazzo suonava apatica mentre ilo suo avversario gorgogliava, morente, consumato dalla sua stessa energia spirituale – l’ho capito al primo attacco, quando sono riuscito a ferirti… la forza spirituale in questo mondo funziona in maniera schematica… fossi stato più forte di me, il semplice acciaio non avrebbe mai potuto arrecarti danno. Sparisci da questo mondo… senza lasciare tracce».

Mentre parlava, il corpo dell’avversario diveniva ossa, le ossa bruciarono sino al midollo e si trasformarono in una polvere grigiastra; al nuovo soffio del vento, la volontà dello spadaccino fu rispettata, e dell’Akuma non restò altro che il ricordo dello scontro. Con un sospiro, la katana venne riposta nel fodero e il giovane tornò in mezzo alla strada. La sua anima aveva fatto sì che il corpo si riprendesse dai due colpi che aveva subito, ma quando un umano affrontava un Akuma, era lo spirito a scontrarsi con una forza analoga, sebbene contraria… e i danni non erano mai superficiali. Ad ogni scontro, sentiva come se la sua essenza si sporcasse sempre di più.. per questo anelava di poter morire… ma quella donna glielo impediva, continuando a spingerlo avanti, ancora,e ancora… e ancora.

«Mi hai mentito… non sai fare altro, Makima?» la sua voce risuonò carica di disprezzo quando si rivolse alla donna che era apparsa lungo il sentiero, con i capelli sciolti e lo yukata aperto sul ventre piatto, Lei si limitò a sorridere, portando le mani dietro la schiena, stringendosi il polso sinistro nella destra e si mosse sulla punta dei piedi. La sua figura sfidava le regole di quel mondo, la sua bellezza accendeva la lussuria in chiunque la guardasse, fosse esso maschio o femmina e quando parlò, le sue parole gli risuonarono in testa, rendendola leggera, al pari di un dente di leone spinto dalla brezza estiva.

«Forse il tuo giudizio è affrettato, piccolo degli Hayakawa… forse io mi riferivo a qualcosa di più grande che di una scimmia sodomita… forse, il tuo cammino deve portarti alla vetta, dove… incontrerai la morte che desideri. Ma, e questa è una promessa… sarai tu stesso a rifiutarla». L’indice destro venne sollevato, e seguendolo con lo sguardo, il giovane intravide la sagoma del tempio sconsacrato: Makima gli sorrise ancora, portandosi davanti a lui e gli sfiorò il volto con la mano, gelida, umida, morbida come il tocco di una seta intessuta con i petali di un ciliegio «Non essere così arrogante da pensare di avere il controllo di questa vita, Aki Hayakawa, ricorda che sono a tenere al guinzaglio la tua anima, letteralmente» e baciandolo sulle labbra, stringendolo piano per il collo, lo fece sprofondare in un dolce, sensuale oblio.

*

https://youtu.be/_8BwHHEopec

Nelle profondità del tempio, avvolto dalla foresta, con la pagoda centrale che si sollevava contro il cielo in fermento, le nebbie e le ombre avvolgevano pilastri divorati dalla vegetazione, le statue del Buddha giacevano in terra, ridotte a pezzi dorati e legno laccato. Le effigi delle volpi guardiane stavano in frantumi e il pavimento era sfondato, con chiazze erbose che facevano capolino. Fiamme rossastre danzavano nella sala centrale,a qualche piede da terra, mandando empi bagliori.

Lì, nella semi oscurità, un volto ferino emerse dalle sue stesse ombre, la bocca si arcuò in un sorriso folle, occhi purpurei si apirono su tutto il corpo della Nokitsune, il manto candido contrastava con il colore del suo cuore, nero come il peccato. Anche a quella distanza, la bestia aveva percepito l’anima del giovane cacciatore e la fame l’aveva risvegliata dal suo sonno. Un appetito che un tempo conosceva bene… la fame insaziabile che l’aveva spinto, tempo prima, sin nel cuore della regione sotto il controllo del clan Hayakawa.

La bava colò dalle zanne mentre si sollevava sui sei possenti arti e guardava estatico il cielo, percependo un brivido d’eccitazione lungo la schiena. «Kon… il divoratore di anime – il suo nome abbandonò la gola come una sentenza di morte, e nella seguente risata, poche parole suonarono come un giuramento, un giuramento che strisciava fuori dagli angoli più angusti delle paure dell’uomo – ti sta aspettando, sopravvissuto degli Hayakawa».

Un fulmine squarciò la notte che incombeva sul mondo, mentre la ruota del Karma si muoveva, in quel Paese degli Dei.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

 

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Capitolo 2
*** Atto II: Verso la Cima ***


 

Atto II: Verso la cima

 
Quando scese la notte, la tempesta andò placandosi; a poco a poco le nuvole si diradarono, il vento si fece più gentile, i tuoni si allontanarono e il chiarore delle stelle e della luna tornò a puntellare il cielo come tante piccole gemme in un mantello blu scuro. Aki si svegliò in mezzo alla boscaglia, nudo e steso sulla sch9iena: i suoi vestiti giacevano piegati su di un masso lì vicino, oltre il muschio che ricopriva il basamento del loro supporto e le spade erano avvolte da un drappo per proteggere i foderi dagli elementi. Di Makima non c’era alcuna traccia, ma sentiva ancora il suo profumo nelle narici, la sensazione del suo corpo premuto contro il proprio, l’inebriante piacere che sapeva regalargli, dominandolo con il sesso e il desiderio.
Si passò una mano sul volto, mettendosi a sedere, piegando il ginocchio destro, col piede sinistro sotto la gamba e vi poggiò il braccio, osservando la pietra, i vestiti e poi, più in alto, la sagoma del tempio sconsacrato dall’Akuma. Anche a quella distanza, Hayakawa Aki sentiva le spirali di un potere malevolo strisciare sino a valle, tentacoli invisibili che lo sfioravano, che avvolgevano gli alberi, che s’insinuavano fra le mille fessure del terreno. Poi si accorse di un’altra cosa. In quella montagna non c’era un singolo essere vivente. Le creature degli dei avevano abbandonato quel luogo, restava solo lui. «Sembra proprio – sussurrò – che questa sarà la mia ultima scalata… Dopo tanto tempo che la aspetto.» Con gesti calmi e sicuri, il giovane samurai si riacconciò i capelli, indossò la sottoveste, il kimono e gli hakama, strinse la cintura e vi assicurò li fodero delle due spade; sopra la katana, sotto la wakizashi, la prima sempre con la lama rivolta verso l’alto.
Indossate le bianche calze e i sandali di paglia, prese un profondo respiro, e riprese la scalata, mettendo un piede davanti all’alto. Il suo Mantra gli permetteva di fendere le fitte ombre della notte con lo sguardo, la sua anima emergeva appena dalla carne, creando un sottile strato protettivo che gli consentiva di sfidare la maligna volontà che albergava nella montagna. Trovò il sentiero che proseguiva verso l’alto e ne seguì la forma sinuosa, trovandosi circondato da una vegetazione selvaggia e incontrollata, le fronde sopra la sua testa divennero incredibilmente fitte e ad ogni passo, il freddo si faceva più vivo, pungente e crudele. Era come se dita glaciali, con unghie di ghiaccio gli artigliassero le viscere, desiderose di strappargliele dal ventre.
«Ora capisco – disse snudando la spada con un gesto rapido e preciso, disegnando un arco discendente nell’aria – questa montagna… è stato un campo di battaglia tempo fa! Gli Ikko-Ikki non l’hanno abbandonata… sono stati massacrati!» e come a dare conferma alle sue parole, alla rabia che gli bruciò nel cuore a quel pensiero, lungo la strada si sollevarono delle zolle di terra, alla sua destra e alla sua sinistra si levarono fiamme come mura inviolabili. Aki strinse i denti, serrando la mano sinistra attorno all’elsa della katana, sotto la destra e portò in avanti un piede, sollevando la katana sopra la testa. «Terzo Mantra: Respiro dell’Anima.» E così com’era successo contro il demone dalle sembianze scimmiesche, il suo spirito proruppe prepotentemente, avvolgendo la lama nella sua interezza, facendo tremare l’aria attorno ad essa.
Dalla terra emersero cadaveri consumati, la carne era stata divorata da tempo dai vermi, vermi che ora formavano i muscoli e i tendini, facendo muovere le ossa di coloro che furono monaci, contadini e nobili minori: i non morti si levarono illuminati dal sinistro rosseggiare delle fiamme, brandivano fra le mani lame aggredite dal tempo, divorate dalla ruggine, aste di yari, nagitana, alcuni samurai brandivano pesanti ōtsuchi, martelli da guerra in legno, adoperati negli assedi per abbattere i portoni delle fortezze. Un vento ferale soffiò in mezzo alla via che si apriva davanti ad Hayakawa e il giovane digrignò i denti, sentendo una cieca rabbia che alimentava il suo fervore. «Non ti basta dannare le loro anime! Le usi come fossero i tuoi burattini, dannata bestia!» Eppure, in cuor suo egli gioiva, poiché forse aveva trovato una degna battaglia che potesse porre fine al suo vagare in quel mondo di dolore.
 

https://youtu.be/hXtjlgRTG9U
Il Mantra dei non morti era corrotto, debole, non più del lumicino di una candela… ma diecimila candele possono diventare un impetuoso incendio. Quella notte, la strada era rischiarata dalle anime dei Non Morti costretti a calcare nuovamente il suolo dei vivi, ma ancor di più arse la fiamma dell’anima di Hayakawa. Un samurai non poteva ritirarsi dalla sua battaglia, l’onore stava nell’affrontare la prova che gli si parava davanti, e la spada del giovane danzò in mezzo al sentiero, mentre si lanciava in avanti, urlando e balzando. Colpì più volte, girando rapido su sé stesso, segnando l’aria con il fuoco del suo spirito, incenerendo i corpi dei suoi avversari; i vermi cadevano al suolo e avvizzivano mentre il suo acciaio tranciava le loro ossa, spezzava le aste in legno, distruggeva i pesanti martelli da guerra.
Per quanti potessero frapporsi fra lui e la cima, Aki avanzò a testa alta, deviando gli attacchi, schivando i fendenti e gli affondi, tagliando teste e torsi, sfondando costati. Le frecce sibilavano sopra la sua testa, le punte a coda di rondine lo ferirono, conficcandosi nella carne. Un sorriso incontrollato gli segnò la bocca, cambiò posizione e portò dei fendenti dal basso, con i colpi di ritorno che scendevano veloci. Il sangue imbrattava il suo kimono con macchie rossastre e la sua anima lo guariva, col Mantra che ardeva, ardeva con forza. «È tutto qui?» il suo grido esplose dalla bocca, distrusse un ōtsuchi con un rapido fendente, mandandolo in schegge fiammeggianti e passò da parte a parte la fronte del monaco Non Morto, facendolo esplodere in una nube di fuoco «Non è abbastanza per uccidermi… non è ABBASTABNZA!»
«Terzo Mantra: ABBRACCIO DEL FUOCO!» e calò la catana davanti a lui: le fiamme avvamparono in linea retta e quando agitò la katana, il fuoco si mosse come fosse una frusta e fece scattare il braccio in avanti; le sue fiamme aggredirono i malefici vermi, il loro crepitio ebbe lo stesso fragore dei cannoni sul campo di battaglia e le agghiaccianti strida dei nemici si levarono mentre venivano consumati e andavano in pezzi. «Ancora! Non posso morire per così poco, mandamene ancora!» ci fu una raffica di vento, i fendenti di Aki si propagarono oltre le fiamme, tranciando i tronchi degli alberi, facendo tremare le barriere e riprese a correre, abbattendo i nuovi Non Morti di slancio, con un guizzo argenteo della sua spada.
Un Oni gli si parò davanti, un orco dalla pelle di un rosso cupo, con un solo occhio in mezzo alla fronte, nudo dalla cintola in su; con la bava che gli grondava dalle zanne, sollevò da sopra la spalla destra la massiccia testa di un’ascia di ghisa, e con un sorriso dalle labbra scorticate, con i denti acuminati e il torace coperto da un vello olezzoso. L’aria tremò quando sferrò il suo colpo, Aki si fece sotto, attingendo alle riserve di mantra. «Terzo Mantra: PROTEZIONE DELLA MONTAGNA!» I suoi muscoli si gonfiarono sotto le vesti sbrindellate e zuppe di sangue e quando le due armi entrarono in contatto, il terreno sotto i loro piedi andò crepandosi, e i non morti vennero sbalzati via dalla sola onda d’urto.
La ghisa andò in pezzi, Hayakawa si mosse in avanti, tranciandogli il torace sul lato sinistro, facendo esplodere il sangue in galloni rossastri. Il fluido scarlatto lo inzaccherò da testa a piedi, l’acciaio avvolto dal suo spirito fendette i muscoli, i tendini, le ossa e tranciò gli organi interni dell’Oni. Le fiamme fecero il resto, mondandone l’esistenza da quel Paese degli Dei. Ci fu quindi un momento di immobilità, i Non Morti restavano a distanza, ondeggiando pigramente sugli arti tenuti insieme dagli ammassi di vermi. I loro numero continuava a dilungarsi in avanti, e fin dove Hayakawa spingeva lo sguardo, vedeva null’altro che cadaveri in movimento. 
«Molto bene… MI SENTI? CHIUNQUE TU SIA, IO, HAYAKAWA AKI, ACCETTO LA TUA SFIDA A DUELLO!» E lo sfidante non si fece attendere.
 
Prima di vederlo, fu il suo Mantra a colpirlo con la violenza di un macigno contro il costato; sentì il suo respiro mozzarsi in gola e le ginocchia tremare. Per un attimo, la sua emanazione spirituale venne meno, pulsando debolmente, poi l’Akuma apparve. Sovrastava gli altri non morti di tutta la testa, una testa di rettile, nella quale si aprivano quattro acquosi occhi iniettati di sangue. Aki sentì un lieve fremito vedendo quella lucertola giganteggiare su di lui, brandendo una ōdachi dalla luma lunga due metri. La sua bocca senza labbra si spaccò in due metà quando sorrise, snudando die file di denti.
«Un Mantra di livello quattro… sei l’avanguardia del tuo signore vero?» Un sorriso nervoso si dipinse sul volto di Aki e fu solo con un considerevole sforzo di volontà che riuscì a mantenere il controllo sulla propria energia; solo con un livello a separarli, la differenza di potere era tale da spezzargli le gambe… e la sua preda designata era ancora più forte. Sentì sudore gelido lungo le tempie e d’istinto fece un passo indietro. “Ho paura? Io? Paura della morte? No… No, questo mondo mi ha già portato via tutto… NON GLI FARÒ PORTARE VIA ANCHE IL MIO DESIDERIO DI MORIRE!” [https://youtu.be/gh3VJ1E36W4] Quella volontà alimentò nuovamente le fiamme del suo spirito, brandelli si staccarono dal suo vestito, volteggiando nell’aria notturna prima di diventare cenere. Con un urlo, affrontò il nuovo avversario, le due lame entrarono in contatto e i loro spirito si diedero battaglia.
L’Akuma lo sbalzò via, pestando a terra la lunga coda squamosa e sferrò un altro fendente, sghignazzando. Aki girò su sé stesso deviando il colpo; corpo e anima tremarono allo stesso modo, cadde rovinosamente a terra e schivò di leto, sferrando un colpo alle zampe. La differenza spirituale fu tale che riuscì appena a farlo sanguinare prima che la coda lo centrasse all’addome, spezzandogli le costole e facendolo rotolare in mezzo alla polvere. Tossì sangue, la sua mente era colmata da esplosioni di luce bianche e i passi della creatura erano pesanti, sentiva le vibrazioni attraverso il terreno. E in quel momento, Hayakawa Aki sollevò lo sguardo, e conobbe la paura.
I quattro, orrendi occhi del demone rettile lo fissavano immobili e folli, la lingua guizzava fra le zanne e le sue squame verdastre mandavano sinistri bagliori ad ogni movimento. Iniziò a tremare, il suo Mantra ebbe un fremito e deglutì a vuoto. Vide sé stesso come un agnello, un agnello davanti ad una bestia senza raziocinio, mossa solo dal desiderio di annientarlo. “Io ti prometto – le parole di Makima gli risuonarono nel cervello in tono di scherno – che prima della fine, tu avrai paura della morte”. «Maledetta… Maledetta volpe! Perché non mi lasci morire in pace?! Io voglio… voglio solo che tutto quanto finisca!» Eppure, in quel momento, accadde qualcosa. L’Akuma rettile strinse entrambe le mani sull’elsa della ōdachi e scattò in una risata folle, calando la lunga, pesante lama ricurva su di lui.
Sarebbe stato facile, estremamente facile così, tutto ciò che doveva fare era stare fermo, e il suo desiderio si sarebbe realizzato. Ma no; il suo Mantra reagì al posto del suo corpo, qualcosa dentro di lui rigettò l’idea della morte e la vita, la sensazione del freddo e del caldo, della fame e della sete, del dolore e della passione gettò nuova legna sul suo fuoco interiore. «ORYAAAAAAH! – le fiamme esplosero con prepotenza verso il cielo, la sua anima straripò dal corpo mentre si risollevava, il corpo che veniva sanato e un nuovo potere a scorrergli nelle vene – NON POSSO MORIRE QUI… NON POSSO PERMETTERMI DI MORIRE PER MANO DI UN BASTARDO COME TE!»
Il suo Mantra crebbe di intensità, i suoi capelli divennero più lunghi, il suo corpo divenne più forte, gli occhi si cerchiarono di bianco mentre una coda albina comparve alle sue spalle. «QUARTO MANTRA: AFFONDO DEL DRAGO!» e affondò tendendo la katana in avanti; il ruggito di un drago si sollevò dall’acciaio dell’arma e si proiettò in avanti. L’Akuma poté solo sferrare un disperato attacco, ma la ōdachi andò in frantumi e la punta della spada lo passò da parte a parte, le fiamme lo investirono in pieno e, così come i due Akuma che lo avevano preceduto su quella montagna, egli cessò di esistere e la sua anima venne annientata. Non ci sarebbe stato nessun “dopo” per lui, solo l’oblio, e i ricordi che, col tempo, sarebbero sbiaditi, come la memoria di un gelido inverno che viene spazzato via dai colori e i profumi della primavera.  
 
https://youtu.be/qo1DT0BFLe4
La notte tornò quieta, le fiamme che facevano da mura sparirono come cenere al vento e i Non Morti ricaddero in terra, ridotti a pochi brandelli di ossa e stracci. Aki restò al centro del sentiero, respirando a pieni polmoni; il mondo gli parlò con i suoi profumi e odori, con i suoi rumori e i suoi scricchiolii. Nei suoi occhi scuri si riflesse il cielo notturno: stelle, luna, costellazioni… riuscì a sentire il profumo dello spazio e il tocco dell’aria sulla pelle. Scosso dalle emozioni, dal sentirsi “vivo”, cadde in ginocchio, affondando le dita nel terreno, sporcandosi le unghie e urlò, urlò con quanto fiato avesse in corpo, facendo sgorgare fiumi amare di lacrime. Dei passi gentili lo raggiunsero, sottili dita gelide gli sollevarono il volto, abbracciandolo con dolcezza.
I capelli rossi di Makima gli coprirono gli occhi, il suo volto venne premuto contro il solco dei pieni seni della kitsune e la sensazione di quell’abbraccio si diffuse in ogni parte del suo essere, andando sempre più a fondo. «Hayakawa Aki – sussurrò Makima, baciandogli la fronte – ora sei pronto per la tua battaglia» e così dicendo, si ritrasse, indicando con il braccio sinistro la cima della montagna: non mancava che una curva, ormai il tempio era direttamente sopra di loro e all’interno di esso, Kon, la volpe, attendeva, a stento capace di trattenersi. «Solo con la paura della morte e l’abbraccio della vita potevi salire di livello… e non era qualcosa che io potessi spiegarti». Aki guardò la kitsune, i suoi capelli, neri, erano tornati normali e così il suo corpo; buttò fuori l’aria dai polmoni e le afferrò il polso destro, facendola voltare di scatto, con un luccichio nei suoi occhi sinistri.
«Makima… se sopravviverò a questa notte… io ti libererò dalla tua maledizione» parlò veloce, ma in tono deciso, sentendo le gote arrossarsi; Makima lo guardò, per la prima volta in vita sua presa alla sprovvista: c’era un solo modo con cui un uomo poteva liberare una Kitsune dalla maledizione che affliggeva quelle come lei. Innamorarsi sinceramente e farla sua moglie. Tentò di sorridere, ma riuscì solo a emettere un gemito quando Aki la baciò sulle labbra. Quella notte, era diventato un uomo… era diventato, il degno erede del Clan Hayakawa. Mancava solo l’ultima battaglia, e l’avversario lo attendeva, in cima alla montagna, nella sua fortezza dove il male pulsava e sbavava, smanioso di battersi.
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Atto III: La fine tanto agognata ***


Atto III – La fine tanto agognata

 
Tentacoli di nera malevolenza strisciavano oltre le mura che circondavano il tempio degli Ikko-Ikki; l’erba selvatica ne aggrediva le pietre e gli alberi frusciavano senza emettere un suono. Il sentiero proseguiva al di sotto di una fila di Torii laccati di rosso e correva oltre il portale d’ingresso. Un tempo, dei monaci armati di Nagitana avrebbero fatto la guardia a quella via d’accesso, un tempo lanterne luminose avrebbero rischiarato le ombre della notte e la corte esterna sarebbe stata vivacizzata dai focolari, dai racconti e dall’odore del riso e del sakè.
Ma quando Aki avanzò, con la katana assicurata al proprio obi, i capelli sciolti sulle spalle e il proprio Reikon fremeva impaziente di emergere e danzare ancora una volta ala luce della luna. Dietro di lui, seduta ai margini del sentiero, Makima suonava il suo strumento a corde, a occhi chiusi, con le gambe accavallate. Ora il pulcino stava entrando nella tana del mostro, sarebbe stato solo, faccia a faccia con il destino che aveva così tanto testardamente inseguito. Superati gli archi in legno, Aki si trovò davanti a ciò che restava dei due battenti: erano stati strappati dai cardini, schiantati al suolo e calpestati da una creatura di grande forza e violenza.
Calpestò il loro legno marcito, portandosi al di qua delle murate e prese un profondo respiro. Il palmo della mano sinistra andò poggiandosi sull’elsa della katana e sollevando la testa e lo sguardo sulla pagoda centrale, urlò la propria sfida. «DEMONE CHE INFESTI QUESTO POSTO, ESCOI FUORI E AFFRONTAMI! PERCEPISCO LA TUA MERDOSA PRESENZA DA QUI!» La voce si levò sino al cielo, riecheggiando in tutta la montagna. L’aria immobile ebbe un fremito, un vento appena percepibile solleticò la pelle nuda del torace e del ventre e un lieve brivido gli attraversò la colonna vertebrale. Ci fu un attimo di immobilità nel tempo e nello spazio, come se la terra e il cielo fossero rimasti in attesa. Poi le tenebre all’interno del tempio si mossero, una massa si spostò sulle grosse zampe, raschiando il pavimento di quel luogo sacro con gli artigli.
Occhi rosso sangue su di un manto bianco, il colore del lutto e della purezza; Aki fronteggiò la volpe Kon, le sue zanne sbavanti, la sua testa grottescamente grossa, il corpo snello e forte, le code che si agitavano alle sue spalle. Eppure Hayakawa non indietreggiò, si piegò sul ginocchio destro, portando in avanti il piede e nascondendo così dietro la schiena la lunghezza del fodero. Una raffica d’aria si levò dal suolo, facendo danzare le ciocche bianche del manto della creatura e questa esplose in una risata sadica e veloce. Aki affilò lo sguardo… la tensione si poteva fendere con un movimento dell’indice.
«la vostra forza è pari, adesso – sussurrò Makima seduta sul proprio masso – Aki, sei stato ingenuo a farmi una promessa… che sai di non poter mantenere.» Eppure, nonostante ne fosse pienamente consapevole, Makima pianse, stringendo lo strumento al seno, sentendo le spalle tremare per i singhiozzi. Per tutto quel tempo, lei… aveva solo fatto si che Aki potesse trovare la fine che cercava contro l’avversario più degno per donargliela. «Per questo avevo bisogno che tu temessi la morte – disse con un filo di voce, con lacrime di cristallo che le scivolavano via dalle guance – perché solo apprezzando davvero la vita si può cogliere l’essenza e la bellezza della morte. Hayakawa Aki… questo sarà il tuo seppuku.»
 
[https://youtu.be/6B4jLisDpU4]
«QUARTO MANTRA – PROIEZIONE DELLO SPIRITO!» E l’anima di Aki emerse ancora una volta dal suo corpo, attraversò con una poderosa fiammata il fodero della katana, aggredendo le sue carni, le sue ossa, i suoi capelli che si fecero lunghi e bianchi, la coda che apparve alle sue spalle. Gli occhi si tinsero di azzurro e le unghie crebbero sulla punta delle dita. Sotto di lui, il terreno si piegò verso il basso, andando a spaccarsi in una ragnatela di fenditure zigzaganti. «Avanti! KOOON!» la volpe non si fece attendere. Il suo manto venne attraversato dai fulmini, i suoi occhi si spalancarono puntandosi sullo sfidante e, snudando le zanne, balzò in avanti.
La terza corda dello shamisen i spezzò, Makima sussultò, lasciando cadere lo strumento a terra e si alzò sulla punta dei piedi nudi, portandosi la mano destra al petto. «È finita.» la sentenza lasciò le sue rosse labbra e in quel momento, galloni di sangue abbandonarono il palato di Kon mentre la lama della spada fendeva la carne e risaliva sino al cervello della creatura. Eppure, allo stesso modo, i suoi denti penetrarono a fondo nella spalla e nel petto di Aki, recidendone i muscoli tesi e gli organi interni. Il rosso scarlatto del sangue irrorò a fiotti il terreno del tempio. Stringendo i denti, Hayakawa serrò entrambe le mani attorno all’elsa della katana e rovesciò il corpo del nemico sul fianco, strappandola dalla ferita mortale, lasciandola ad agonizzare, agitando le zampe negli ultimi spasmi che precedevano la morte.
Rimase fermo, in piedi nonostante le lacerazioni subite. Fece qualche passo in avanti, ondeggiando ora su una gamba, ora sull’altra e incespicò in avanti, trovando l’equilibrio sulle dita del piede. «Madre… Padre… ora posso… posso…» Il suo corpo cadde all’indietro, sulla schiena; assieme al sangue, il suo spirito lasciò il suo corpo, veleggiando verso il cielo; tre stelle cadenti segnarono il firmamento in quel momento e una sensazione di profonda pace pervase il corpo del giovane samurai.
 
“sotto il cielo
su questa nuda terra
muoio infine.”
 
Le mani di Makima lo raggiunsero che aveva già abbandonato il Paese degli De. La kitsune lo cullò dolcemente, scostandogli i capelli dalla fronte, con gli occhi che le bruciavano per le lacrime, il petto in tumulto, un doloro nodo alla gola. Alla fine aveva fatto quel che era suo solito: portare un uomo già morto nel posto della sua fine… ma con Hayakawa Aki era stato tutto diverso… faceva male, ed era un dolore che cresceva man mano che sentiva il corpo del giovane samurai farsi sempre più freddo. Pianse a lungo, pianse in silenzio e mentre piangeva, il corpo di Kon veniva cancellato dalle fiamme di Aki e il cielo andava facendosi a poco a poco più colorato.
Le stelle si spensero una ad una, la luna si fece sempre più pallida e il grigiore dell’alba iniziò a prendere forma contro il blu scuro della notte. Quello era il Pese degli Dei, il Giappone… e quella era la via del Samurai e Aki aveva scelto di percorrerla, affrontando il proprio karma fino alla fine, a testa alta, fronteggiando la morte non più da disperato e cieco, ma da uomo che sapeva finalmente cosa stava lasciandosi alle spalle. La morte va meritata con cuore sereno, con la consapevolezza di essere giunti alla fine di un percorso, che ciò che si sta per compiere è la somma volontà del cielo.
Fu solo quando il rosa dell’alba allungò le sue dita dorate sul mondo, quando i rumori e i profumi tornarono a vivacizzare la montagna, quando si udì nuovamente il frullare delle ali degli uccelli e i versi dei piccoli animali che Makima si lasciò alle spalle il tempio, raccolse lo Shamisen da terra e, guardandosi alle spalle, sorrise fra le lacrime. «Grazie… per avermi amata, anche se solo alla fine.» iniziò così il suo viaggio, uno nuovo; una strada s’interrompe e una porta si apre sui nuovi sentieri che i Kami hanno tracciato per loro. Il Giappone stava per entrare in un lungo periodo di conflitti civili, le ombre della guerra avrebbero gravato sul Sol levante per quasi duecento anni e altre anime avrebbero perso la vita combattendo quel conflitto segreto contro gli Akuma.
E per quanti altri Makima avesse spinto fra le braccia della morte per mondare il mondo dalla presenza dei più empi demoni, nessuno sarebbe più riuscito a farle sentire ciò che Aki le aveva fatto sentire. Non ci riuscì Nobunaga, non lo fece Hideyoshi e neppure Miyamoto Musashi. Tutti, lei spinse in quel cammino, guidata dal Karma, la il calore dell’ultimo degli Hayakawa la avrebbe accompagnata per secoli. Anche dopo Sekigahara, anche dopo la Restaurazione Meiji, la kitsune avrebbe continuato a perpetrare quel ciclo del quale non se ne vedeva la fine. Perché affinché il corrotto ed empio spirito di un Akuma di alto rango possa essere annientato, il suo uccisore deve consumarsi nell’impresa, ardendo con la propria anima sino ad andare egli stesso incontro alla morte.
«Eppure, ancora non riesco a dimenticarti… a pensare che tu avresti potuto spezzare questa mia maledizione.» Il filo di pallido fumo si sollevava dall’estremità accesa della sua sigaretta. Davanti a lei, la natura aveva del tutto preso il controllo del tempio e pochi escursionisti si spingevano così in cima a quella montagna. Certo, persino dopo secoli ancora quel bosco risentiva del rilascio dell’an9ima di Aki, tanto che persino gli umani riuscivano a percepire l’energia intrinseca. Soffiò il vento dalle rovine, fece danzare i suoi capelli rossi raccolti in una coda di cavallo, gli orli del suo cappotto nero, la cravatta nera che ricadeva sulla camicia bianca. «Lui ti piacerebbe Aki… sono certo che Denji ti piacerebbe davvero.» e così dicendo, così com’era stato tempo prima, diede le spalle al tempio, mettendosi le mani nelle tasche e sorrise al ragazzino che stava poggiato con le natiche al cofano della macchina. I suoi capelli biondi decoravano un volto giovane, ingenuo, il volto di chi, forse…
«È sicura di stare bene signorina Makima? Questo posto mi fa venire i brividi… Sembra come se le anime non l’abbiano mai abbandonato davvero.» parlò con fare imbarazzato, grattandosi la nuca. Makima gli sorrise, aprendo la portiera sulla destra e annuì, guardando gli alberi tutto attorno a loro. «Chiunque abbia combattuto qui – rincarò Denji salendo in macchina a sua volta e mettendosi la cintura – doveva essere davvero straordinario.»
«Si Denji – sussurrò la donna mettendo in moto – doveva essere… un uomo davvero unico, credo.»
 
 
The End (?)
 
 
 
 
 
 
 
 

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