Wing of freedom Saga - Il Tesoro più prezioso

di MelaniaTs
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia si svolge in contemporanea con la storia di Gabriel Keller in Liberi di essere se stessi. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE -Albero Genealogico:I Thompson - I Keller

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Prologo pt 1

Londra dicembre 1982 -  1983

Ero figlia dei Visconti di Shaftesbury, mio padre uno dei discendenti degli Ashely Cooper però non verteva in buone acque.
Fallimento. Così lo aveva chiamato mamma. Per quanto fossimo di origini nobili, sia mamma che papà, la mia famiglia era fallita. Il lavoro di papà con i suoi investimenti sbagliati, ci aveva portato sul lastrico. Le nostre priorità col tempo erano state ipotecate tutte quante e a noi non restava più nulla. Almeno fino a quando Andrew Davis uno dei soci della London Bank non mi aveva vista in banca per firmare una proroga del debito. I miei genitori infatti stavano impegnando la mia eredità, il mio titolo di viscontessa, il palazzo a Richmond lasciatomi da mia nonna Gwendolyn Ashely Cooper, tutto ciò che possedevo solo perché ormai avevo diciotto anni e potevo ripagarli dei sacrifici fatti per me in quegli anni. La migliore scuola privata dalla nascita fino al college. Non potevo pensar di laurearmi, assolutamente. L'università non era contemplata, troppo costosa! Ma avevano pagato fior di sterline per istruirmi ed era necessario che anche io facessi il mio! Che ci mettessi tutta la mia eredità in quella situazione.
Eravamo lì nello studio di Lincoln Smith, Andrew Davis entrò per testimoniare la proroga del debito. Io avevo lo sguardo basso, non mi interessava di conoscere gente, per me i banchieri altri non erano che i miei giustizieri, per qualcosa che per giunta non avevo fatto.
Alzai lo sguardo solo perché mi sentii fissare con insistenza. Andrew doveva avere intorno ai trent'anni, capelli e occhi castani, pelle chiarissima, guance infossate e un naso aquilino. Mi guardava e sorrideva con le sue labbra sottili intanto che lo sguardo scendeva sul mio giovane corpo. Mi percorse un brivido, sapevo di essere una bella ragazza, pelle color miele, occhi azzurri proprio come il mio nome, Sapphire, capelli biondi dorato. Il fisico era minuti e snello, i seni ancora acerbi non erano comunque piccoli. Sii, sapevo di essere una bella ragazza.
"Questo è quanto!" Concluse di leggere Smith. Io ingoiai il groppo, dovevo firmare.
Mi tremava la mano, ma potevo farcela.
"Ci sarebbe un'altra soluzione." Intervenne Davis prima che io firmassi.
"Sarebbe?" Chiese mio padre.
Lui annuì. "Chiamiamo mio padre che è uno dei soci maggioritari della London Banks, Smith Leo resti pure qui, così avremo dei testimoni per sigillare il patto." Disse lui alzando la cornetta per digitare un interno.
"Posso confermare che Davis ha la liquidità necessaria per estinguere il vostro debito. Suo padre è marito di uno dei padri fondatori della London Bank." Spiegò Smith ai miei.
Intanto la porta si aprì lasciando entrare un uomo anziano simile a Davis.
"Mi avete fatto chiamare?" Chiese l'uomo vestito con un abito di alta sartoria.
"Si padre. Pensavo di assorbire io personalmente tutti i debiti dei Visconti di Shaftesbury." Annunciò Davis.
L'uomo senza presentarsi prese la cartella che il figlio gli porgeva e la lesse distratto. "A che pro? Non ci vedo guadagni." Asserì, notai che Smith faceva una smorfia, erano coetanei e soci quindi dovevano conoscersi molto bene.
"Io guadagnerei il titolo di visconte e le loro proprietà diventerebbero mie." Disse il figlio al padre.
"Non si prende un titolo nobiliare pagando un debito." Disse secco Smith.
"Infatti direi che un matrimonio sia un buon accordo." Rispose cinico Davis.
Un matrimonio?! Mi sentii gelare ripensando allo sguardo lascivo di Davis, preferivo di gran lunga essere povera. Mi alzai prendendo la cartella di mano al vecchio Davis. "Dove devo firmare?" Chiesi frettolosa a Smith.
"Accettiamo." Disse invece mio padre.
Assolutamente no! Pensai."Firmo!" Ripetetti a Smith.
"Edward!" Sentii mia madre richiamare papà.
"Sapphire ha compiuto diciotto anni il 18 novembre. Può convolare a nozze, ditemi dove e quando." Disse ancora mio padre.
"Padre!"  Sussurrai
"Edward!" Lo ammonì mia madre.
"È uno scambio equo." Disse ancora mio padre.
"H-ha quasi vent'anni più di me." Sussurrai tremante. Non volevo, ero una ragazza e avevo frequentato una scuota femminile. Volevo innamorarmi e vivere tutte le esperienze della mia età.
"Ho solo trent'anni Lady Sapphire." Ironizzò il banchiere.
"Ci sto!" Disse ancora mio padre.
"Non servirebbe a nulla se tu continuerai a indebitarti." Intervenne mia madre. Che razza di finanziamenti faceva papà per continuare ad andare ancora più in declino?
"Mi farò consigliare. Così però non perderemo la casa a Londra, ne il palazzetto del Surrey. E inoltre nostra figlia farà un buon matrimonio." Rispose papà.
Mi stava vendendo, mio padre mi stava vendendo come un sacco di farina. "Quando preferite ci sia il matrimonio?" Chiese ancora ai banchieri.
Andrew Davis sorrise avvicinandosi a me. Mi prese una ciocca di capelli guardandomi lascivo, un conato mi salì alla gola. "Sarà bellissima con un vestito che dia valore alle sue forme. Direi all'inizio dell'estate, pubblicheremo il matrimonio in primavera.
Stavano facendo tutto senza il mio consenso. Ma non avevo firmato, avevo ancora i miei soldi, la mia proprietà. Potevo rifiutare quell'accordo.
"Ovviamente come garanzia geleremo il conto di Sapphire e metteremo i sigilli anche alla sua proprietà." Disse Andrew. "Diciamo che è una garanzia perché lei non si lasci andare al suo vizietto visconte. Pagherò io per i preparatovi del matrimonio e per il vestito di Sapphire, ho già in mente come dovrà essere." Concluse Davis.
I miei genitori parlavano senza che io potessi dire nulla, avevano deciso e nessuno sembrava tener conto della mia opinione.
L'unica che sembrava dispiaciuta da tutto ciò era sembrata mia madre. Ma adesso anche lei contrattava. Sarebbero andati a stare nel Surray lontano dalle tentazioni, avrebbero ridotto tutte le loro spese. Era importante che non perdessero la faccia e il titolo e le loro tante amare proprietà.
Eppure potevano perdere la loro unica figlia!
Rincasata quella stessa sera mi disperai, chiesi ai miei di ripensarci, avevano le mie priorità e i miei soldi in garanzia.
"Tu non capisci. Sei un'ingrata, dopo tutto ciò che abbiamo fatto per te." Mi urlò contro mio padre.
"Mi stai vendendo padre! Ha diciassette anni più di me, è un uomo." Lo supplicai.
"Un buon partito. Vedrai che starai bene." Concluse.
"Madre ti prego. Non puoi farmi questo..." provai ancora in lacrime.
"Sai che ci è precluso piangere Sapphire." Mi disse rigida mia madre. "Adesso vai a dormire, domani conosceremo Andrew e i suoi genitori in un pranzo al Hilton organizzato dal tuo sposo. Dovrai essere bella." Concluse anch'ella.
Mi accorsi che non c'era via di uscita. Tutto questo perché mio padre non faceva i giusti investimenti, poi cosa doveva investire un golfista professionista non lo sapevo.
Il giorno dopo come promesso fummo a cena con i Davis, la signora Davis mi guardava con pietà. Sapeva a cosa andavo incontro? Non lo so.
Ma iniziò a frequentare casa nostra per preparare il matrimonio, fino a quando un giorno non restammo solo io, mia madre e lei in casa.
La donna mi passò una busta, non sapevo cosa conteneva. Furono però le sue parole a sorprendimi. "Mio figlio ha seguito gli insegnamenti di mio marito, si è cercato un buon partito per i suoi affari. Ma non sono bravi, ne mio marito a tenere i conti, ne Andrew a investire su ciò che ha. Ciò che prenderà da te avrà valore immobiliare e non solo, sei una nobile. Ciò che posso consigliarti è di vivere la tua gioventù finché non sarai sua moglie. In quella busta avrai qualcosa con cui vivere, quando lo finirai tornerai per sposarti, sta a tua madre inventare una scusa plausibile per la tua scomparsa." Disse la donna con distacco. "Non è giusto che tu paghi per i debiti di gioco di tuo padre, ma spesso e volentieri si riservano sempre sui figli e me ne dispiace. Quando sarai sposata comportati bene con Andrew e dopo aver avuto il tuo corpo fresco ti farò vedere che si stancherà e ti lascerà in pace." Concluse mettendosi il girocollo di pelliccia intorno al collo. "Ci rivediamo alle pubblicazioni del matrimonio allora, buon viaggio."
Gelai, non riuscii neanche a ringraziarla. Debiti di gioco? Era così che tutta la nostra eredità era andata via? Per dei debiti di gioco? E io dovevo sacrificarmi?
Mia madre aveva chiuso la porta e mi stava guardando. "Dirò a tuo padre e a Andrew che raggiungi mia zia nel Sussex. Tu vai via per un po', hai ragione quando dici che sei giovane e meriti di amare, trova il tuo amore quindi. Se riuscirai a trovare un lavoro, potrai vivere lì fuori per molto più tempo di ciò che pensa Elisabeth Davis."
"Perché resti con lui... tj ha portato in rovina?" Le chiesi.
"Perché nonostante tutto lo amo ancora." Mi rispose. "Ha detto si farà aiutare, andremo da uno psicologo, vedremo come muoverci." Concluse.
Piansi, scossi la testa e una volta in camera mia piansi. Preparai la mia borsa con poche cose, tanto per la primavera sarei dovuta rientrare, e mi addormentai. Quanto avevo di libertà? Era inizio dicembre, sarei dovuta tornare per marzo. Per la prima volta aprii la busta che mi aveva lasciato Mrs Davis, al suo interno c'erano mille sterline. Avrei potuto farcela con un lavoro, perché effettivamente preferivo essere povera che farmi toccare da lui, il suo sguardo mi aveva già schifato abbastanza.
Il giorno dopo andai via al mattino presto, non ebbi il coraggio di guardare in viso mio padre. Non dopo avere scoperto ciò che egli aveva fatto alla nostra famiglia.
Sarebbe stato il caso di cercarmi un posto dove stare, sicuro non nei pressi della zona antica di Londra. Probabilmente se mi fossi inserita nella city avrei potuto trovare un lavoro.
Ci pensai fino a quando non arrivai, la metropolitana mi portò nel cuore pulsante dell'economia del nostro paese. Donne e uomini in completi firmati e valigette in pelle trafficavano sui marciapiedi.
In confronto, nonostante i miei abiti di buona fattura, ero un insetto. Non avrei trovato un lavoro lì, non senza una laurea. Sconsolata mi sedetti ad un tavolino del primo bar che adocchiai e poggiando la valigia ai miei piedi sbuffai.
"Nessuna bella ragazza che si siede qui può sbuffare." La voce di una ragazza attirò la mia attenzione. Dovevamo avere la stessa età, ma lei indossava una camicia bianca, dei pantaloni a sigaretta neri e un grembiule nero appoggiato sui fianchi col logo del bar. "Cosa ti porto cara?"
Feci una smorfia. "Qualcosa di economico e un lavoro." Ironizzai divertita. "Scusa, un bicchiere d'acqua va bene."
La cameriere mi fissò. "L'acqua la offro io, prendi qualcosa da mangiare no? Per il lavoro invece so che al Library and snack più avanti cercano personale."
Ricambiai il suo sguardo. "Veramente?" Estasiata sospirai. "Prendo un panino al prosciutto e mi chiamo Sapphire." Le dissi presentandomi.
"Io sono Ebony piacere Saph. Se inizierai a lavorare qui ci incontreremo spesso. Vado a prendere il tuo panino."
"Grazie." Le dissi prendendo dalla borsa una banconota per pagare.
Quando Ebony ritornò col panino e l'acqua mi indicò il locale. "Il capo offre il panino, dice che sei carina e che puoi provare anche adesso a lavorare per loro. Tra un ora usciranno dagli uffici e come sempre ci sarà il pienone." Mi spiegò.
"Lavorare qui?" Chiesi sorpresa. Guardai lei e poi me. "Ho un jeans nero, può andare bene lo stesso?" Le chiesi indicandole la valigia.
Lei mi sorrise. "Mangia, avverto il capo nel frattempo e dopo ti faccio vedere il ripostiglio dove cambiarti."
Iniziai così. "Dopo il panino mi infilai i jeans, rimisi le mie scarpe da ginnastica e una camicia bianca e col grembiule datomi da Ebony iniziai a lavorare. Imparai presto, tutto stava nel prendere gli ordini e portali a tavola, sempre con un sorriso sulle labbra e una filosofia: il cliente ha sempre ragione. Il tempo di ridare e imparai subito e velocemente. Feci tutto il turno con Ebony e quando andò via chiesi al capo se potevo restare per il secondo turno. In realtà non sapevo dove andare e quello per ora era l'unico tetto che conoscevo.
Lui ovviamente non si fece pregare, così ripresi a lavorare.
Alle diciassette ci fu il secondo boom della giornata. I dipendenti degli uffici stavano lasciando le sedi e si riservavano per una cena veloce prima di tornare a casa. E fu così che conobbi Thomas.
Fu che lui ci provò con me spudoratamente. "La mia vita fa schifo, ma dopo aver trovato il mio angelo devo dire che è migliorata." Gli sorrisi accomodante, come con tutti i clienti.
Se non fosse stato per il suo sguardo scuro e magnetico che mi fece avvertire per la prima volta le farfalle nello stomaco.
"L'angelo è felice se gli lasci una bella mancia." Gli risposi.
"Questo è un problema. Sto cercando di avviare la mia società e non posso lasciare laute mance per il momento." Disse. "Si può dire società quando non si hanno soci?" Mi chiese.
"Decisamente no, anche se ne capisco proprio." Dissi posando sul tavolo il suo panino e il boccale di birra che mi aveva chiesto.
"Saph puoi staccare con lui." Mi disse il mio capo. "Domani vieni alle undici così potrai fare sempre doppio turno."
"Ok grazie Jack." Urlai lasciando anche il conto al bel tenebroso.
"Ehi! Se hai finito siediti con me. Ti offro la cena..." mi guardò supplichevole. "Ti prego ho bisogno di parlare con qualcuno." 
Lo fissai. Va bene, aspettami qui. "Gli dissi andando nel ripostiglio. Sostituii la camicia e il jeans con i pantaloni in velluto e il maglione e uscii prendendo un panino e un the caldo. "Va sul conto del moro al tavolo 14." Dissi alla mia collega.
"Oh il bel tenebroso! Ti ha invitato a cena con lui? Io e un po' che ci provo ma niente." Disse Molly l'altra ragazza.
"Forse non gli piacciono le rosse, ignora anche me che ho un bel davanzale." Scherzò l'altra.
Io risi. "Io vado, lascio qui la mia borsa, dopo vengo a prenderla ragazze." Dissi loro e raggiunsi il bel tenebroso come lo chiamarono le altre. "Eccomi. Scusami se non faccio cerimonie ma ho fame." Dissi addentando il panino con la salsiccia, decisamente molto calorico e poco dagli standard della mia famiglia.
"Fai fai! Mi fa piacere che mangi, credevo fossi a dieta per il tuo fisico." Disse lui sorseggiando la birra.
"Metabolismo rapido." Risposi col morso in bocca, se mi avesse vista mamma sarebbe rimasta inorridita. Era anche vero che prima di allora non avevo mai lavorato e diamine, avevo una fame senza freni. "Non chiedermi di diventare tua socia, uno non ho soldi, due non saprei cosa fare con i numeri."
Lui rise. "Il mio unico socio potrebbe essere solo mio fratello." Rispose.
"Strano, non mi sembra di vederlo qui." Gli dissi bevendo il the finché caldo.
"Non c'è! È rimasto in Germania con la sua ragazza." Disse.
Lo fissai. È rimasto, quindi veniva dalla Germania. "E perché non sei lì con lui."
Lui sembrò arrossire. Abbassò lo sguardo e parlò velocemente. "Sono andato a letto con la ragazza che amava e abbiamo litigato."
Restai col panino all'altezza della bocca, che era spalancata dalla sorpresa.
"Cioè... hai tradito tuo fratello?"
Lui sospirò. "Non proprio. È che lui si è innamorato di lei, sembrava che fosse ricambiate e qualcosa è scattato... poverina Inga, l'ho ingannata dicendole che mio fratello è gay."
Gli lanciai il tovagliolo in viso. "Sei pessimo." Gli dissi. "Spero tu abbia chiesto scusa e entrambi."
"Mio fratello mi ha preso a pugni." Rispose lui.
"Spero anche questa Inga!"
"No lei si è fatta bastare uno schiaffo." Concluse lui.
Lo fissai e risi di gusto. "Ha fatto bene, anzi tutti e due. Comunque scappare non era la soluzione."
Lui scosse la testa incrociando le braccia al petto. Cavolo se era muscoloso al punto giusto. "Lui invece che fidanzarsi con lei sarebbe dovuto venire qui con me. Avremo aperto insieme la nostra società."
"Invece adesso sei solo, senza soci e senza ragazza." Riassunsi.
"No, senza soldi. La ragazza non ci tenevo tanto, era più una sfida..." mise le mani davanti vedendo che stavo prendendo un altro tovagliolo furente.
"Ma quanti anni hai? Dovresti crescere sai? Le donne non sono oggetti." Anche se i padri ancora ti vendevano come merce di scambio. Pensai.
"Hai ragione, soprattutto perché lui ci tiene. Avrei dovuto scusarmi." Capitolò lui.
"Sei ancora in tempo." Gli ricordai.
"Ma mi hanno picchiato... no, prima gli dimostro che valgo qualcosa. Avvio la società per bene poi lo chiamo e mi scuso." Mi disse. "Ti va di farmi da socia? Niente soldi, mi serve solo un secondo nome." Mi propose.
"Sei serio?" Chiesi accartocciando la carta del panino.
Lui annuì. "Mi chiamo Thomas e ho aperto la T- KCG. Qui nel palazzo Callaghan." Disse indicando oltre la vetrata del bar.
Assurdo! Scossi la testa e bevendo l'ultimo sorso di the mi alzai. "Non dovevi bere la birra Thomas. Grazie per la cena." Conclusi sparecchiando e portando i vassoi al bancone.
"Grazie Saph. Ma avremo fatto noi." Disse Molly.
"Tranquille. A domani." Le salutai prendendo la valigia e uscendo all'aperto.
La notte era fredda, nevicava e io indossavo solo un cappotto di lana, avrei dovuto prendere qualcosa di più pesante. Raggiunsi le panchine intorno alla fontana del centro finanziario, l'acqua era chiusa. Aprii la valigia e ne tirai fuori cappello e guanti. Poi me la misi sotto le gambe e mi stesi, assurdo. Mi ero ridotta ad essere una barbona. Pensai osservando i fiocchi di neve che cadevano.
"Ma cosa stai facendo qui?" Irruppe la voce di un uomo.
La riconobbi subito, la prova era lo sfarfallio allo stomaco. Mi sollevai e lo fissai. "Hai bisogno?" Gli chiesi scocciata, non eravamo più cliente e cameriera.
"Neanche i barboni dormono sulle panche con la neve." Mi ammonì.
"Non vedo ostelli o alberghi qui." Gli dissi.
"Senza offesa, ma sei a Londra e un albergo anche a due stelle ti succhierebbe lo stipendio." Mi disse sedendosi al mio fianco.
"Non per dirtelo, ma ci eri arrivata." Gli dissi con una smorfia.
Lui rise guardandomi. "Sei acida."
"Ma smettila." Gli risposi.
Al che Thomas si alzò e mi tese la mano. "Vieni con me."
Era serio, non sarei andata a casa sua. "Dove?"
"Nel mio ufficio. Così ti convinco a diventare socia." Mi disse.
"Tu sei fuori." Dissi ridendo mentre mi tiravo su e prendevo la valigia. "Andiamo." In fondo non c'era nulla da temere, semmai fosse accaduto qualcosa sapevo dove trovarlo.
Camminammo per un altro paio di metri fino a fermarci di fronte ad un palazzo alto venti piani circa. Entrammo in un ascensore e selezionò il terzo piano.
Arrivammo in un appartamento che sembrava abbastanza spazioso, dopo l'entrata trovammo una stanza con due scrivanie e un computer portatile, una lavagna e dei grafici sulle pareti, un paio di poltrone e un divano per gli ospiti. "Questo è il mio mondo." Disse orgoglioso.
Io mi guardai intorno. "Pensavo ci fossero più uffici."
"Ci... saranno." Ammise lui grattandosi la testa. "Per ora basta questo che sono solo, le altre stanze visto che ho chiesto un finanziamento per i locali,  li sto usando personalmente. Tu se non vuoi dormire sotto la neve, puoi usare il divano che ha il letto dentro." Mi guardò facendo un colpo di tosse. "Anzi no! Ci dormo io, tu puoi andare dentro e dormi nel mio letto." Mi disse prendendo una chiave dal cassetto della scrivania . "Con questa si accede alle stanze."
"Quindi potrei restare qui e non temere che mi tocchi?" Chiesi sospetta.
"Se non vuoi, no." Rispose sincero.
"Come se non voglio!" Esclamai sorpresa.
"Beh io ci provo. Appena ti ho vista sono rimasto affascinato." Disse mettendo le mani davanti. "Però fidati, non ho mai obbligato nessuna a stare con me. Dammi il tempo..." Disse aprendo una delle due porte laterali. "Prendo il cambio per domani e ti lascio in pace. Puoi chiuderti dentro."
"Senza niente in cambio!" Gli urlai dietro.
"Una firma ... una società... siamo nella stessa barca no!" Rispose lui.
"Non direi."
Lui tornò con un paio di pantaloni puliti e una camicia grigia. Un sorriso spavaldo sul bel viso. "Hai ragione. Io ho un tetto." Concluse sornione.
Lo guardai minacciosa. "Dove trovo il bagno." Gli chiesi.
"All'entrata, prima stanza a destra." Rispose.
Iniziò così la nostra strana convivenza. C'erano delle regole, al mattino alle sette e trenta le porte della camera dovevano essere chiuse.
Thomas scendeva a fare colazione al library and snack,  presi anch'io quell'abitudine poiché li avevo modo di leggere gratuitamente i quotidiani, lui leggeva la pagina economica e internazionale, io quella politica e locale.
Alle 8.00 in punto l'agenzia apriva e iniziavano ad arrivare i clienti.
Alcuni li intrattenevo io, nell'attesa che Thomas si liberasse. Alle undici salutavo il mio coinquilino e mi dirigevo al lavoro.
Ci trovavamo come sempre alle 18.30 al Times with friend, per cenare insieme alla fine del mio turno.
Come promesso Thomas non mi toccava, ma mi chiedeva sempre la firma come socia. Probabilmente era importante ai fini legali, le sue continue insistenze mi portavano a chiedergli perché io e perché fare una società. Mi spiegò subito che la società aveva più valore di una ditta agli occhi di una papabile clientela, mentre invece aveva scelto me perché ad istinto gli avevo subito ispirato fiducia.
"Non ti dirò mai il mio nome completo." Gli dissi.
"Nemmeno tu conosci il mio cognome, se ci tieni tanto possiamo vidimare il contratto separatamente. Ti farò parlare con lo studio legale e darai i tuoi estremi. Il capitale sarà fittizio, ripeto mi serve un nome non i soldi." Mi ripeteva e alla fine cedetti, prima di Natale divenni sua socia.
"Posso darti mille sterline. Se non le prendi non si fa nulla." Dissi quando capitolai. Erano i soldi di Elisabeth Davis, non li avevo usati alla fine. Thomas mi ospitava gratis, mentre per il cibo era tutto compreso nel lavoro, dove comunque guadagnavo 150 sterline a settimana senza contare le mance e tanto mi bastava a sopravvivere.  L'unico vizio che ci eravamo concessi io e Thomas era infatti la lavanderia, o meglio lo era stata poiché Molly, la mia collega, quando glielo aveva detto si era offerta di fare lei per noi. A casa sua avevano la lavatrice, cosa che a noi due mancava, ma di cui non sentivamo la mancanza. Molly per incrementare le entrate in vista del secondo anno di università, faceva con piacere lavoro di lava e stira, così riusciva a conservare più  soldi.
Alla fine io e Thomas avevamo un bel rapporto, eravamo amici e ci prendevamo in giro, ammetto che mi ero innamorata di lui, era la sensazione più bella che mi fosse mai capitata.
La settimana  prima di Natale, dal momento che non ci concordavamo alcun capriccio gli chiesi di fare un alberello piccolino. "Per i clienti." Gli ricordai.
Lui acconsentì, così insieme la domenica andammo a scegliere l'albero e le decorazioni. "Aspetta che rientro per addobbarlo." Gli dissi lasciandolo al portone.
"Si signora. Lo lascio sopra e ti raggiungo al bar." Mi disse.
"Meglio di no. Non farti vedere che ormai ci chiamano coppietta." Gli dissi andandomene per non fargli vedere il rossore. Non sentii la sua risposta e una volta al lavoro io ed Ebony ci dividemmo come al solito i tavoli.
Dopo l'ora di punta del pranzo ecco che arrivò come sempre Thomas. Salutò Ebony e Mike, il mio capo e mi raggiunse. Sorprendendomi mi strinse tra le braccia e mi baciò sulle labbra.
"Ebbene si! Siamo una coppia bellissima." Mi disse raggiante.
Sorpresa annuì. Eravamo una bellissima coppia.
Come sempre alla domenica Thomas restava in un angolo del bar fino a quando non finivo il turno, eppure quella volta ero nervosa, mi aveva baciata di fronte a tutti anche se sembrava tranquillo mentre chiacchierava con Drake, il ragazzo di Ebony e successivamente quando lei andò via con Julio, il compagno di Mike, il mio capo. Dopo cena salutammo tutti e una volta a casa per nulla imbarazzato Thomas si arrotolò le maniche e indicò l'albero. "Dove lo mettiamo, come vuoi farlo?" Mi chiese.
Eccitata mi posi dietro la sua scrivania. "Qui, facciamolo qui."
"'Mm allettante." Disse lui allusivo trasportando il piccolo abete. "Facemmo l'albero in totale armonia e una volta finito Tom mi prese tra le braccia e iniziò a baciarmi.
Non gli dissi di no, anzi ricambiai i suoi baci meno casti di quello al bar. Lo volevo, lo amavo e volevo godermi quel momento  con lui.
"Ti amo!" Gli sussurrai in lacrime. Ed era così bello e non sarei potuta essere sua.
"Anche io angelo mio, ed è bellissimo. Adesso mi è tutto più chiaro." Mi disse lui riprendendo a baciarmi. "I nostri figli avranno i nomi degli angeli, ho deciso." Restai sorpresa ed emozionata al tempo stesso. Noi non avremo potuto avere dei figli, non con la spada di Damocle che pendeva sulla mia testa e sulla mia famiglia.
Tom gentilissimo mi asciugò le lacrime. Non mi chiese nulla, al contrario mi strinse a se cullandomi. Non facemmo l'amore quella notte, ma dormiamo insieme abbracciati e fu unico.
La vigilia di Natale andai prima al lavoro così che potessi chiamare casa prima di prendere servizio. Dissi a mamma che stavo lavorando e che la vita che stavo facendo mi piaceva, avevo delle amiche e anche un ragazzo che amavo. Piansi quando raccontai a mamma di Thomas. Lei mi disse e mi ricordò che dovevo vivere tutta quella storia a senza barriere, non precludermi nulla ed essere felice.
-Usali i soldi, comprati qualcosa di sexy e dimostra a Tom quanto lo ami. Vedrai, così il sesso sarà splendido.- Mi disse incitandomi a concedermi a Thomas.
Eppure nel mio piccolo temevo che dandogli il mio corpo lui poi si sarebbe stancato, come diceva Elisabeth di Andrew, e mi avrebbe lasciata.
Però se non lo avessi fatto con Thomas che amavo con chi sennò? Andrew? No mai. Seguii il consiglio di mamma e mi concessi alle spese folli, entrai in un negozio di intimo giocandomi tutta la settimana di lavoro in un completo bianco in pizzo, sperando che a Thomas piacesse come regalo di Natale.
Quella sera dopo il  brindisi fuori il coffee with friends, io e Thomas ci dirigemmo a casa stretti l'uno all'altra.
"Sei arrivato tardi." Gli dissi.
"Ero a preparare una cosa per te." Mi rispose sornione.
Una volta in casa gli feci una smorfia e posando il cappotto corsi in stanza. "Vado a fare una doccia. Poi scelgo cosa mangiare, anche se potevamo prendere qualcosa al take away più avanti." Gli dissi impertinente. Mi chiusi nel bagno lavandino e provando la famosa crema depilatoria consigliatami da Bethany.
-vedrai i peli e la crema verranno via con l'acqua.- aveva detto.
Ed effettivamente il risultato fu eccellente. Indossai il mio sexy completino e ci misi un vestito di sopra, dopodiché uscii e... la stanza era illuminata solo dall'albero e tante candele accese in giro. Una delle due scrivanie era apparecchiata con piatti e bicchieri di carta e vassoi di cibo, una candela e una rosa al centro.
"Buon Natale amore." Mi disse Thomas arrivando alle mie spalle.
"È stupendo." Gli dissi commossa.
"È il tuo regalo di Natale. Vieni?" Mi disse facendomi accomodare, nel piatto poggiato su un tovagliolo c'era un piccolo cofanetto.
"Ti va se mangiamo prima, altrimenti si fredda." Mi chiese Tom.
Assentii, mangiammo anche se ero talmente nervosa che non gustai tutto. C'era anche il dolce, Thomas aveva preparato tutto nei minimi particolari.
Io al contrario non avevo nulla di particolare per lui. A fine serata quando finalmente finimmo, lui mi fece aprire il pacchetto. Al suo interno c'era un anello senza tante pretese, con un piccolo zaffiro centrale. Lo apprezzai molto più di un diamante sapendo quanto lui amasse i miei occhi.
"Ti piace?" Mi chiese timido.
Se mi piaceva? Lo adoravo e glielo dimostrati baciandolo con passione. Lui ricambiò il bacio che in un attimo ci accese, lentamente lo trascinai verso la nostra stanza, lui si fermò guardandomi.
"Anche io ho un regalo per te." Gli dissi sfilandomi il vestito.
Mi fissò stupito ed estasiato, fino a prendermi tra le braccia e portami in camera per fare l'amore per la prima volta.
Fu splendido, quella volta e le successive. Eravamo innamorati e felici con poco e tanto mi bastava.
Col nuovo anno sembrava che Thomas aveva più clienti, fortunatamente andando a lavorare alle undici riuscivo a gestire chi era in sala d'attesa. Avevamo infatti messo delle sedie all'entrata e fatto una sorta di abbonamento con Mike per avere le bevande da offrire ai nostri clienti.
Ad un certo punto, a inizio febbraio mi sorprese vedere Drake in ufficio. Thomas lo aveva assunto come consulente poiché aveva bisogno di un aiuto. Ne ero doppiamente contenta, uno perché la società si stava bene avviando, due perché Drake era il ragazzo della mia amica Ebony.
A metà febbraio per San Valentino regalai a Thomas un nuovo completo intimo, inoltre avevo messo da parte abbastanza soldi per ricambiare il regalo che lui mi aveva fatto a Natale. Un bracciale in argento con una medaglia incisa. - Per sempre tua Sapphire.-
Poi arrivò la lettera di Inga Meyer, la presi io. Aiutando Thomas ero sempre io a raccogliere la posta, sapevo che Inga era la 'ragazza' del fratello. Chissà perché vedere quel nome mi diede una terribile morsa allo stomaco. In fondo non si erano mai amati.
Thomas aprì la lettera in mia presenza, la lesse più volte e solo quando fu certo di aver capito mi guardò.
"Inga aspetta un bambino. Da parte mia." Mi disse. "Mio fratello l'ha sposata e vuole riconoscere lui il bambino, ma no! È mio figlio." Disse.
"E te lo fanno sapere dopo quasi tre mesi?" Gli chiesi. "Sicuro che non sia di tuo fratello?"
Lui assentì. "La letttera è scritta da Tad. Mi ha assicurato che lui e Inga non hanno ancora scuro rapporti. Saph, cresciamo il bambino noi due, possiamo farlo. Ci amiamo e vogliamo una famiglia." Mi disse con un sorriso che iniziava ad albergare sul suo viso.
Io invece più parlava, più mi amareggiavo. "Pensa, se togliessi la pillola potremo avere anche noi un bambino e crescerebbero insieme."
Scossi la testa, io non avevo mai preso la pillola. "N-no... non posso tuo figlio e no...non prendo la pillola." Balbettai.
Thomas si avvicinò a me. "Come no? Credevo di si."
Ancora scossi la testa allontanandomi. "Ti amo Tom."  Sognavo, desideravo essere sua moglie e la madre dei suoi figli.
"Anche io angelo, vedrai che andrà tutto bene. Scriverò a Tad, gli dirò che sono pronto a prendermi le mie responsabilità, non ti sforzerò col figlio che avrò con Inga, ho fiducia in te.
Credo che quelle siano state le ultime parole famose nei miei confronti. Facemmo l'amore quella notte, e anche le successive a venire. Il tempo che Mike trovasse qualcuno che mi sostituisse poiché il giorno dopo la lettera andai a presentare le mie dimissioni. "Mi dispiace non posso più lavorare qui." Gli dissi.
Dopo una settimana dal fatidico annuncio affrontai Thomas,  lo allontanai i suoi baci erano una distrazione. "Non posso sposarti. Purtroppo la mia famiglia ha già disposto un matrimonio per me,  mi hanno concesso un ultimo periodo di libertà, sei stata la mia splendida evasione Thomas. Ma non posso sposarti."
Lui scosse la testa. "No! No Sapphire non puoi dirmi così, non puoi lasciarmi." Mi disse indicandomi. "Potresti essere incinta." Tentò in ultimo.
"Andrew stroncherebbe la tua società in un attimo. Anche se fossi incinta abortirei il nostro bambino." Gli dissi raggiungendo la porta. "Ti prego non seguirmi. Non informarti sul mio nome, me lo hai giurato. Se mi ami mantieni le tue promesse, sappi che io ti amerò sempre." Conclusi uscendo dalla porta e chiudendola a chiave, avevo tempo prima che Thomas prendeva la seconda chiave. Lo sentivo battere contro l'anta e chiamarmi, implorandomi.
Dovevo andare, prima che mi pentissi e tornassi da lui. Corsi in strada e mi incamminai rapida verso il taxi che mi aspettava da un bel po'. Presi posto accanto alla mia valigia e chiesi di partire verso il Surray. La mia bellissima libertà era andata.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia si svolge in contemporanea con la storia di Gabriel Keller in Liberi di essere se stessi. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
Il microstato del Keinsten non esiste, ne ho inventato uno a somiglianza del Lietchsten.
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna e Nord Europa INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE -Albero Genealogico:I Thompson - I Keller

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...Segue

Quando rientrai a casa dissi a mia madre che probabilmente ero incinta poiché mi era saltato il ciclo già due volte. Forse quella poteva essere un occasione perché io non sposassi Andrew Davis.
Mia madre sconvolta fece per parlare, ma le dissi che non avrei abortito il figlio del mio amore. Mai!
Forse quella poteva essere una buona scappatoia per non sposare Andrew Davis. Ma quando il furono delle pubblicazioni mia madre annunciò la gravidanza il grande stronzo disse che per lui potevamo proseguire col matrimonio.
"Facciamo le pubblicazioni. Attenderò a braccia aperte quel bastardo se proverà a venire a prenderti." Annunciò. "Ovviamente tu non lo vedrai più."
Ero sconvolta. Andrew avrebbe rovinato Thomas lo sapevo. Pubblicammo il nostro matrimonio e in contemporanea lasciai a mia madre un biglietto per Tom, lei era l'unica che poteva avvicinarlo se fosse venuto a cercarmi. Gli scrissi tutto il mio amore sperando che mi perdonasse.
Il matrimonio, causa il mio stato, fu anticipato di due mesi. Andrew andava di fretta, perché il fisico deforme avrebbe poi rovinato il fisico della sua bambola preferita.
Intanto avevo fatto la prima ecografia. Il bimbo cresceva era al terzo mese e stava benissimo.
A fine aprile mi sposai, ero felice perché il vestito molto sexy e attillato non riusciva a non nascondere la rotondità della mia pancia. Il piano di Andrew di avermi perfetta era fallito.
Sulle foto era più evidente la presenza di mio figlio, Thomas come suo padre, poiché al nuovo controllo avevo scoperto fosse un maschio.
La prima notte di nozze fu terribile, non perfetta, passionale e dolce come con Thomas. Andrew abusò di me prendendomi con violenza e picchiandomi dandomi della sporca sgualdrina.
Fu una tortura per tutto il viaggio di nozze, ma fu peggio a casa. Più la mia pancia cresceva, più le percosse continuavano. Più volte mia madre mi portò in ospedale per un rischio aborto. Ma il mio bambino era forte e resisteva ad ogni attacco. Inoltre avevo un angelo custode, mia suocera dopo il secondo ricovero si trasferì a casa nostra. Cambiò tutto, in un attimo mio marito divenne mite e obbediente. In quell'occasione restituii le mille sterline, se non di più, ad Elisabeth. Non li voleva, ma orgogliosa le diedi tutti i miei guadagni al coffee with friends. Quello fu anche un modo per mettermi alle spalle il periodo più bello della mia vita, povero ma felice.
Thomas Uriel, nacque con quasi un mese di anticipo, causa una sfortunata caduta dalle scale. Fu la mia gioia più grande averlo tra le braccia, fu inoltre amato da mia madre e mia suocera che lo accolsero come uno splendido miracolo. Uriel era il nome che più gli si addiceva, era l'angelo fiamma di Dio, un combattente e sapevo che avrebbe fatto grandi cose col tempo.
La nascita di Tom non mi diede però tregua d amico marito. Nonostante avessi partorito da poco esigeva ogni notte il mio corpo. A due mesi dalla nascita di Thomas scoprii di essere incinta e trentuno agosto a meno di anno da Thomas, venne al mondo Joel Zachary Davis. Cercai di farli crescere molto uniti, come Thomas mi ricordava erano stati lui e suo fratello Tad, riuscendoci. A Andrew il legame tra i due fratelli e il fatto che Joel mi somigliasse parecchio a me, come Thomas che aveva i miei colori, ma era identico a suo padre. Inutile negare che dovevo proteggere il mio primogenito dalla violenza di Andrew, mia suocera riusciva a proteggerci abbastanza, ma qualche volta mi trovavo a scorgere qualche graffio su Thomas difficile da giustificare.
Fortunatamente qualcuno lassù proteggeva il mio angelo. Una mattina infatti mia madre mi portò una lettera spedita per me dalla T-KCG London. La lettera mi invitava ad accettare l'iscrizione di Tom presso la scuola europea di Monaco. Ero incredula, sentii il cuore battermi forte, il mio Thomas sapeva di nostro figlio? Perché mi chiedeva di separarmi da lui? Inoltre non volevo che Tom e Joel si separassero.
Con coraggio chiamai la sede della T-KCG, ricordavo il numero. Quando mi risposero restai stupita nell'ascoltare una giovane voce.
"Buongiorno, sono Sapphire Davis, ho ricevuto una comunicazione da parte vostra." Dissi.
-Ah signora Davis! Un attimo che le passo mrs Harris.- Rispose ella lasciandomi in attesa. Mi batteva forte il cuore, Mrs Harris.
Che fosse la moglie di Thomas?
"Pronto, Saph sei tu?" Mi portò alla realtà la voce all'altro capo del telefono. Saph? Ci conoscevamo.
"Si, sono io." Dissi col cuore in gola.
"Saph sono Molly." Rispose lei.
"Molly?!" Sussultai, possibile che fosse Molly, la mia compagna cameriera. "Oh Dio Molly. Sei veramente tu?" Chiesi piacevolmente sorpresa. "Stia bene? State bene? Tu, Ebony e Jane? Oh Dio Molly, non mi aspettavo di risentirti dopo tutto questo tempo." Dissi tra i singhiozzi.
"Cosa credevi? Thomas si mise in affari con Drake non ricordi? Quando andasti via Thomas si riservò sul lavoro e per giugno aveva tirato su un buon ufficio. Prima di andarsene via per la nascita del figlio lasciò in gestione tutto a Drake e assunse anche me. Comunque mi sono laureata e adesso sono uno dei consulenti e gestisco con Drake la KCG. Ebony e Drake si sono sposati e sono in attesa del primo figlio. Sinceramente non voglio chiederti come stai, sappiamo già tutto." Rispose lei amareggiata.
"Come tutto?!" Chiesi. Non sapevano nulla.
"Ti prego Saph! Come disse Thomas vedendo le foto del tuo matrimonio è ben evidente che il bambino non sia di quel mostro."
"Quale mostro?" Ironizzai
"Oh Saph. Thomas si è assicurato che qualcuno ti controllasse. Dopo il tuo secondo ricovero ha anche fatto in modo che qualcuno si proteggesse."
"Thomas?" Chiesi sorpresa.
"Il tuo bel Thomas aveva molte più frecce al suo arco di quanto sembrava. Il suo obbiettivo era aprire una società per il padre con le sue sole forse e lo fece. Ma aveva anche il potere di potersi permettere un investigatore privato. Il piccolo Thomas è nato in anticipo, è un bambino tranquillo. Stranamente però ultimamente si ferisce senza motivo. Per questo Thomas lo vuole lontano da quell'uomo. La scuola in cui ha iscritto il piccolo è frequentata anche dal suo primo figlio, potrebbero conoscersi e crescere insieme. Tu puoi vederlo durante le vacanze invernali ed estive..." snocciolò Molly senza lasciarmi parlare.
L'idea che Thomas mi facesse controllare si era insinuata nella mia mente, sapeva anche che Thomas veniva picchiato.
"Molly io non posso... comprendo che sarebbe bello per Tom crescere col fratello maggiore, ma qui ho anche l'altro bambino. Non mi sento di separarli." Le dissi pensando a Joel. Probabilmente Andrew sarebbe stato contento di liberarsi di Tom, anche se per lui era una rivalsa essersi preso il figlio di Thomas che odiava senza conoscerlo. Ma separare i miei due figli mi sembrava ingiusto.
"Come si chiama il figlio di Thomas?" Chiesi. "Tu invece? Pensi di sposarti?" Le chiesi cambiando argomento.
Ci fu un attimo di silenzio poi la rossa rispose. "Io ho conosciuto un collega alla sede che abbiamo aperto a Edimburgo, ci siamo sposati e... c'è un bambino. Poi ti spiegherò." Una sede anche in Scozia? Cavolo se stavano espandendosi. "Non posso dirti il nome del bambino di Thomas." Continuò Molly. "Dice che, nel caso, vorrebbe che il loro sia un approccio naturale e non forzato. Anche perché il bambino stesso ha un fratello dell' era di Joel nato da Inga e Tad che frequenta la scuola." Ero basita a quella rivelazione, conoscevano il nome di Joel anche, compresi che probabilmente a Monaco Thomas aveva una buona situazione finanziaria. La scuola, avevo letto, era privata ed aveva una quota minima di circa 450 £ mensile (500€ circa nda).
"Capisco. Purtroppo però, come ti ho detto mi vedo costretta a rifiutare la vostra offerta Molly... mi piacerebbe però incontrarvi, te ed Ebony." Le dissi.
"Qualche mattina potremo organizzarci Saph. Adesso però devo salutarti, ho un cliente e devo prepararmi." Mi disse dolcemente. "Mi raccomando non fare come l'ultima volta, chiama. Il numero lo conosci benissimo e qua ti sanno come uno dei due soci fondatori, non ti faranno attendere." Mi si alleggerì il cuore a quella frase.
Sospirai dicendole che mi sarei fatta sentire.
Solo risentire Molly mi sollevò l'umore, lo notò anche Andrew quella sera, e i bambini.
"Cos'hai da sorridere?" Mi chiese sprezzante.
Lo fissai. "Penso che andrò a lavorare, al mattino. I bambini ormai vanno alla scuola preparatoria."(asilo nda)
Lui fece un ghigno. "No! Non permetterò che mia moglie faccia la cameriera, ne va del buon nome della mia e della tua famiglia." Disse lui.
"Farò lavoro di segreteria." Dissi tranquilla, mi sentivo forte sapendo che Thomas vegliava sempre su di me.
"Nessuno ti darà lavoro. Non permetterò che ti assuma nessuno." Mi minacciò.
Lo guardai con sfida."Sicuro? Potrei riuscirci e se lo farò inizierò a lavorare, con o senza il tuo permesso." Gli dissi, Andrew aveva ancora il mio conto e la mia priorità congelata, non ero indipendente e lavorare mi avrebbe garantito uno spiraglio di indipendenza che lui non voleva io avessi. Ma come aveva detto Molly, io ero socia della T- KCG. "Lunedì avrò un lavoro e tu non avrai potere decisionale in quell'ufficio."
"Ti ricordo che mio padre e anche io siamo soci della London bank." Concluse lui. "Sono tutti nostri clienti, nessuno ti assumerà."
Irritata non gli risposi. Ero socia, se non fosse comparso il mio nome da impiegata, Andrew non mi avrebbe trovata, giusto?
Avrei parlato del mio lavoro la domenica a pranzo con i suoi genitori e anche i miei. Nel tardo pomeriggio mia madre mi aveva chiamata dicendomi che sarebbero stati a Londra per il week end.
Ero in ansia, mia madre raramente si faceva vedere, con mio padre erano andati a stare in un cottage in Scozia. Lontano da ogni tentazione dal gioco, con una certa disciplina mio padre stava cercando di curarsi dal vizio che ci aveva portati in rovina. Non so come fosse loro venuta in mente l'idea di andare su un'isola delle highland scozzesi, ma sembrava che un po' di sano lavoro nella natura e lontani dalla società frenetica della capitale, papà si stesse riprendendo. Non vedevo i miei dalla nascita di Joel.
Così attesi tranquillamente l'arrivo della domenica. Purtroppo la mia ribellione ad Andrew ebbe delle conseguenze. Nei giorni che anticiparono la domenica ogni notte abusò di me, nonostante non volessi avere rapporti con lui. Alla mattina della domenica dopo aver coordinato la servitù per accogliere gli ospiti, mi ero dedicata ai miei bambini. Sopratutto a Thomas che aveva la caviglia danneggiata dall'ultima 'caduta' che aveva cercato di spiegarmi.
Gli sollecitai l'articolazione, dopodiché gli passai la crema sul polpaccio, dove un ematoma grande e lungo tutta la caviglia faceva mostra di se. Rifasciai l'arto e gli infilai la calza per coprirlo. "Adesso ti porto giù in braccio, così non sforzi il piede." Gli dissi prendendolo e dando un bacio prima a lui, poi a Joel.
Una volta giù trovai ad attendermi Andrew che già era in compagnia dei genitori.
"Quante volte devo dirti che i ragazzi hanno una tata che badi a loro." Mi ammonì Andrew.
"Quante volte devo dirti che come madre è mia la responsabilità di educarli ed essere presente." Risposi.
"Vanno all'asilo. Sono pronti a non averti più intono, non per nulla si chiama scuola preparatoria." Mi riprese lui.
Elisabeth intervenne in quel battibecco. "I miei due angeli, venite bambini abbracciate i nonni." Disse attirando Joel a se e prendendomi Tom dalle braccia.
Mia suocera li guardò attentamente. Non sapevo come avrei potuto fare senza di lei, in quella casa oltre me, la tata e la cuoca, solo lei dava ai miei figli l'affetto di cui avevano bisogno.
"Non viziarli Elisabeth." La richiamò mio suocero.
Lei scrollò le spalle guardandomi. "Non vedo l'ora che arrivino i tuoi cara. Prima di pranzo vorrei discutere di qualcosa con tutti voi." Annunciò sorprendendo tutti.
"In realtà anche io ho delle notizie per voi." Dissi dolcemente servendo loro un drink per aperitivo.
Venimmo raggiunti meno di mezz'ora dopo dai miei genitori.
Archie, il maggiordomo, fece accomodare i miei genitori nella stanza degli ospiti. Salutai entrambi con gioia, trovavo mio padre molto bene, più sereno e probabilmente in pace con se stesso. Versai anche a loro da bere e ci accomodammo.
Quando fummo tutti seduti e concentrati Elisabeth riprese la parola chiamando Joel e Thomas accanto a noi.
"Ho da dire una cosa importante ai bambini." Disse ella.
Mi chiesi cosa potesse essere. Elisabeth non aveva fratelli o altri figli, quindi non sarebbero mai arrivati dei cugini per i miei bambini.
"Andiamo parla Elisa." Sbottò mio suocero.
Elisabeth annuì guardando verso Thomas. "Piccolo mio, ti amo tanto, il mio bene è uguale a quello che ho per Joel."
Lui sorrise alla donna abbracciandola. "Anche io nonna."
Lei sospirò sorridendo malinconica. "Però quando non ci sarò più e gli angeli mi avranno chiamato al cielo, tesoro mio, non potrò darti nulla di mio. Non posso, Joel sarà il mio unico erede." Annunciò.
Non restai sorpresa, anche se non pensavo fosse il caso di dirlo a un bambino di appena cinque anni, quindi tacqui al contrario di mio marito che esultò.
"Il signore è grande. Finalmente lo abbiamo capito e lo diciamo." Annunciò mio marito.
"Non ho finito Andrew." Lo rimproverò mia suocera con lo sguardo e col tono che non ammetteva repliche. Andrew smise di parlare abbassando lo sguardo, mio suocero invece ancora sogghignava.
"Nonna!" La chiamò Tom. Lei assentì, mio figlio aveva tutta la sua attenzione. "A me non importa dei soldi. Nonna voglio che non muori e stai sempre con noi." Le disse.
Il mio cuore si riempì di orgoglio e di amore per Thomas. Aveva detto le parole giuste e infatti Elisabeth lo abbracciò.
"Ci sarà un giorno, miei angeli , che questo non sarà più possibile. Però sappiate che vi amo tanto, vostra madre è la figlia che non ho mai avuto. Vi sarò accanto con l'anima."
"A me va bene così." Disse Tom. "I soldi non mi servono, io lavorerò e diventerò il principe di mamma."
"Farai grandi cose Thomas, ne sono sicura. Ma hai capito che non sono veramente tua nonna?" Chiese lei. Restai basita dalla conversazione, non pensavo fosse il caso di dirlo a Thomas.
Il bambino improvvisamente collegò ed il suo viso assunse un'espressione di stupore. "Perché?"
Elissabeh annuì indicando Andrew. "Perché devi capire che lui non è il tuo papà. In pratica non ti vuole bene come farebbe un papà Thomas, non come la tua mamma che per voi farebbe di tutto." Spiegò. "Anche restare con lui."
Restai basita, non avevo parole. "Dimmi Thomas, perché non riesci a camminare?" Chiese ancora mia suocera.
"Sono caduto." Rispose lui con gli occhi bassi guardando mio marito.
"Sei sicuro?" Chiese Elisabeth guardandomi.
Annuii. "Così mi ha detto, non ero presente quando è accaduto."
Elisabeth prese il viso perfetto di Thomas tra le sue mani curate e lo guardò. "Thomas Uriel, ti andrebbe di raccontare la verità? Giuro, non ti sgriderà nessuno, anche perché se sei caduto avresti dovuto avere dei graffi sul davanti e non un grande livido sul polpaccio piccolo mio." Spiegò la donna.
Sapevo dove voleva arrivare, anche per me era sospetto tutto quello.
Thomas sembrava aver preso coraggio. "Papà mi ha dato un calcio dietro il ginocchio, sono caduto e poi mi ha schiacciato la gamba. Non gli piaceva che contassi bene benissimo." Disse con ingenuità.
"Piccolo bugiardo! Non è vero." Urlò Andrew alzandosi, anche mia suocera si tirò su fronteggiandolo.
"Non c'è nulla di più puro dei bambini, non mentirebbe mai." Disse lei.
"No, il bastardo sta mentendo." Si giustificò ancora lui.
"Come tua moglie quando va in ospedale e dice di essere caduta?" Concluse lei. "Credi che solo perché non sono qui ogni giorno, io non sappia? Credi non sappia che tua moglie cercherà lavoro e grazie al cielo lo troverà perché lavorerà per una multinazionale." Disse lei snocciolando tutto.
"Mente!" Urlò Andrew. Un sonoro ceffone esplose nella stanza. Oscar Davis era di fronte al figlio furente.
"Non ti ho mai educato a picchiare le donne, tua madre non è mai stata trattata così e non devi trattare in questo modo la madre dei tuoi figli. Non ti ho mai scalfito fino ad oggi, ma sei cresciuto. Sono i bambini che non si toccano, che siano tuoi o meno. Inoltre non ti ho mai insegnato a non portare rispetto a tua madre, quindi siediti, moderati e chiedi scusa a tutti." Sproloquiò.
Avvertii i miei figli piangere, li attirai tra le mie braccia per proteggerli da tutto quello. Joel singhiozzava forte.
"Il papà non è papà!" Piangeva.
"No tesoro. È il tuo papà. Solo ne avete diversi tu e Thomas." Spiegai dolcemente.
Mio figlio maggiore mi guardava stupito. "Per questo mi picchia sempre?" Chiese.
Scossi la testa, non potevo spiegarne i motivi molto più grandi di ciò che sembravano. Gelosia! Thomas assomigliava a suo padre, era bellissimo proprio come lui, inoltre come il padre aveva una spiccata tendenza a usare i numeri nonostante avesse solo cinque anni. Era acuto e sveglio e piaceva a tutti. Anche Joel era bello, mi somigliava tanto, sia fisicamente che di carattere. Mite e gentile.
"Tesoro." Disss Elisabeth. "Sei amato anche se non sei il figlio del tuo papà. Anche nonno Oscar ha tanto rispetto di te." Elisabeth era una donna molto intelligente, volutamente non aveva usato la parola amore perché il pensiero di Oscar era lo stesso di Andrew. Lui ignorava gentilmente Thomas intervenendo solo quando vedeva il suo spiccate senso pratico.
In quei casi le sue parole erano: Joel dovresti imparare da tuo fratello.
Oscar non amava Thomas, ma non gli piaceva neanche Joel. Spesso usava il maggiore per denigrare il minore, probabilmente proprio per metterli l'uno contro l'altro.
Sapevo che ad Oscar  faceva piacere vedere escluso Thomas dal testamento di Elisabeth.
"Ho capito nonna. Posso chiamarti sempre nonna, vero?" Chiese Thomas.
Ella annuì ed Elisabeth riprese il suo discorso. "Certo tesoro e proprio perché non meriti di essere trattato male credo sia il caso che tu e Joel andiate via da qui." Continuò.
"Via? Via dove?" Chiesi speranzosa, proponeva forse una separazione da Andrew?
"Tesoro." Intervenne mia madre guardandomi. "Nel collegio europeo che mi hai proposto l'altro giorno." Spiegò a tutti.
Il collegio? Non ne avevo parlato con lei, ne con altri.
"Giusto." Continuò Elisabeth. "Il collegio a Monaco, Thomas e Joel andranno lì a studiare già da adesso, lasceranno l'attuale scuola." Disse mia suocera. "Così Andrew non sarai più costretto a sopportare i bambini." Concluse guardando il figlio.
"Un collegio a... Monaco?" Chiese titubante. "Sarebbe costoso e io non spendo soldi per quel bastardo." Annunciò indicando Thomas.
"Fino a prova contraria figlio mio..." disse Elisabeth puntualizzando che era lei, sua madre, a comandare. "I soldi di cui ti vanti tanto è disponi, sono miei. Così come anche la posizione che hai alla London bank. Sei li perché tuo padre ti ci ha voluto dentro." Espletò Elisabeth mettendo le carte in tavola. "I soldi con cui hai estinto il debito dei Cooper sono i miei, nessuno te li ha mai regalati. C'era con tuo padre appositamente un accordo matrimoniale, proprio perché le posizioni nella nostra famiglia fossero chiare." Sospirò sorseggiando un po' del suo Martini, posò il bicchiere. "Per cui si fa ciò che dico io con i miei soldi. Ho già stipulato un testamento per cui, semmai dovessi venire a mancare, tutti i miei beni andranno a favore di Joel, tuo figlio e mio unico erede. Inoltre le proprietà dei Cooper torneranno ai loro proprietari. Tuo padre vivrà di rendita, ha diritto all'usufrutto della mia casa nello Yorkshire e negli appartamenti di Londra, fino alla sua morte. Entrambi avrete una rendita abbastanza ragionevole in realtà. Ma il mio erede prossimo sarà solo ed esclusivamente Joel, che verrà educato a Monaco, lontano da te." Terminò decisa.
"Il bastardo..." Emise Andrew indicando Thomas.
Mia suocera sollevò una mano. Prese la borsa e la aprì tirando fuori un walkie tolky, poi fissò il marito.
"Hai la cassetta col messaggio che hai ricevuto in segreteria, giusto?" Gli chiese.
Lui sospirò annuendo, prese dal taschino una mini cassetta e la porse alla moglie.
"Ascoltate." Disse Elisabeth avviando il nastro.
Ci fu un attimo di esitazione poi una voce uscì dagli altoparlanti. Lo riconobbi subito.
- Signor Davis, sono il padre di Thomas Davis. Non ho tempo per prenderci in giro, sappiamo entrambi che è così. Le chiedo gentilmente di tenere mio figlio lontano dall'uomo che vive con lui. Percosse su di lui come quelle che ha subito ultimamente non verranno accettate. Se scopro che accade di nuovo, non importa in quale parte del mondo vi trovate, io verrò lì e denuncerò vostro figlio infangando il nome della vostra famiglia. Inoltre sappia che non vi permetterò di insabbiare le mie denunce, poiché ho delle prove fotografiche che testimoniano l'atteggiamento di Andrew verso mio figlio. Non posso agire per conto della madre, ma come padre posso e mi permetto di difendere ed agire per il meglio al fine di dare un'infanzia serena a mio figlio. Spero di non dovervi contattare più. Grazie. -
Così finì la registrazione. Thomas sapeva cosa accedeva in casa nostra, me lo aveva detto Molly ed ora ne avevo un'ulteriore conferma.
Guardai mia madre che annuì.
"Con queste premesse." Intervenne mio padre. "Penso sia il caso per Sapphire di tornare a vivere con noi."
Un peso mi si sollevò dal petto! Oh si!
"No. Non può..." rispose irritato Andrew. "È incinta, deve restare a casa."
Scossi la testa. "No! Prendo la pillola." Affermai.
Lui mi guardò e rise quasi impazzito. "Ho scambiato le pillole con delle caramelline. Davvero pensavi che ti facessi andare a lavorare? Sei di mia proprietà."
Gelai! Era impazzito.
"Questa è casa dei Cooper. Sapphire non andrà da nessuna parte." Disse Elisabeth.
"Andrew." Intervenne gelido mio suocero. "È il caos che sia tu a lasciare per un po' questa casa e non il contrario. Raggiungere un centro di riabilitazione psichica potrebbe essere congeniale. I  bambini andranno in collegio e fino a Natale non potrai comunque vederli." Gli spiegò. "Devi solo pregare che dopo questo periodo di riabilitazione, Sapphire ti perdoni, per ora però deve andare così. Non possiamo permettere uno scandalo ne per la nostra famiglia, ne per i visconti. Lo capisci vero?"
Io non capivo! Era possibile che fossi incinta dopo gli abusi subiti? Non lo volevo un altro figlio, non da Andrew. C'era la possibilità che fossi incinta?
Lo guardai, era crollato in ginocchio. "Non pagherò, non firmerò nulla per il bastardo." Sussurrò impazzito.
Al che intervenni. "Il collegio è già pagato." Dissi, se Elisabeth avrebbe pagato per Joel i miei figli non si sarebbero separati. "Non voglio più vederlo, mi ha violentata e ha abusato anche della tata dei bambini che anche è incinta!" Affermai accusando Andrew.
Oscar Davis guardò ora me, ora Andrew. "È vero?" Gli chiese.
Lui scosse la testa. "Quella puttana doveva usare la pillola. Non lo ha fatto, non è colpa mia."
Mio scuocerò ci guardò tutti. "Porterò subito Andrew via, diremo che aveva bisogno di una vacanza. Tu Sapphrie dovresti farmi la cortesia di informarmi della ragazza e del bambino, veramente mi vergogno immensamente di questo. Ma reputo che Andrew sia malato ed è il caso che si faccia controllare, ti prego dagli un'altra occasione." Mi chiese per la prima volta con umiltà.
"Per ora non riesco." Ammisi. "Ma per il bene di Joel dopo la terapia gli darò un'opportunità per fare ammenda. A Natale, quando rientreranno dal collegio." Dissi.
"Perfetto." Disse l'uomo strattonando il figlio. "Elisabeth ti aspetto in auto, chiedi che ti preparino una borsa per Andrew e gentilmente , assicurati che nulla esca da questa casa." Concluse portando mio marito fuori dalla casa, dalla mia casa e quella dei miei genitori.
Attendemmo che la porta si chiudesse alle nostre spalle, solo allora mi rilassai scoppiando a piangere. "Grazie!" Sussurrai.
"Non ringraziare me, ma tua madre." Disse Elisabeth. "Io ho solo detto a Thomas di simulare una chiamata intimidatoria." Mi spiegò.
Guardai mia madre. "Mi ha chiamato quando hai rifiutato di mandare Tom al collegio, mi ha detto che era disposto a mandare entrambi i tuoi figli lì per allontanarli da lui. Margot gli raccontava cose allucinanti, tra cui l'abuso che ha subito, dopo che Andrew ha quasi rotto la caviglia a Tom, Thomas non ci ha visto più."
"Sei tu il suo legame con me? Anzi no, Margot." Dissi.
Mia madre annuì. "Tornò a chiamarmi prima della sua partenza per Monaco. Disse che aveva visto le foto del matrimonio e sapeva che tu aspettavi suo figlio. Mi diede un indirizzo mail chiedendomi di tenerlo aggiornato sul bambino. Fu lui a mandare Margot, la sua amica Ebony l'ha selezionata fra tante."
"Se Andrew non tornerà, posso tenere qui i bambini." Affermai.
"Tesoro davvero precluderesti a tuo figlio la possibilità di crescere col fratello?" Chiese mia madre.
"Piuttosto non so ancora quanto potremo tenere a bada mio figlio." Intervenne Elisabeth. "Albert oggi era indiavolato, la registrazione di Thomas senior lo ha urtato molto, se scopre che le prove erano un bluff riprenderà a comportarsi come sempre."
"Quindi non è lei ad avere potere nel vostro matrimonio." Affermai.
Mia suocera rise. "Ovvio che sono io. Andrew è uguale a suo padre, un nulla facente arrampicatore sociale. Mi sedusse! Ma mio padre non aveva debiti ed era scaltro e intelligente. Potevo sposare chi volevo ma con un accordo prematrimoniale e la separazione dei beni. Albert in mia presenza 'deve' comportarsi sempre in modo ineccepibile. Ha tante amanti, mi sta bene fin quando non infanga il mio nome, Andrew fa il suo stesso percorso, ma lo sta facendo in modo sporco. Anche per questo Oscar è sconvolto, ha sempre avuto una certa dignità, abolisce la violenza. Quindi mi raccomando, tu stai in guardia sempre. Cambia le serrature di casa e anche il personale. Puoi tenere Margot e la cuoca, Hannah. Il maggiordomo e le cameriere toglile, sono succubi di Andrew, se non fosse stato per Margot non avremmo mai saputo delle percorse a Thomas." Mi spiegò.
"Se mi prendono a lavorare posso farcela da sola." Dissi.
Mio padre annuì. "Col tuo 0,001% di quota, sicuramente ti daranno modo di lavorare." Ironizzò.
"Però si, come socia sicuramente potrai lavorare alla KCG. Sempre se sei intenzionata ad andare lì. Io adesso vado, questi sono gli assegni per i tuoi dipendenti, c'è la liquidazione." Disse Elisabeth porgendomi un carnet. "Fammi sapere se aspetti un altro angelo cara e aggiornami su Margot. Non penso che un figlio fosse nei programmi di quella ragazza, dille che posso prendermi io cura del bambino. Adesso voi due salutate la nonna." Concluse chiamando a se i bambini.
Trascorremmo il resto della domenica insieme. Mia madre mi aiutò a fare i bagagli per Thomas e Joel, mi raccontò di come in quegli anni Thomas fosse stato in contatto con loro e che era stato lui stesso a mandare papà a vivere nelle highlands, proprio a scopo terapeutico. Quello era il motivo per cui non sarebbero rimasti, papà avrebbe avuto troppe tentazioni in città ed era ancora in una fase primaria della riabilitazione.
Il giorno dopo, di lunedì, andai alla T - KCG. Drake e Molly erano lì, stavano organizzandosi con altri consulenti di cui non sapevo nome o altro quando arrivai. Appena mi videro, mi accolsero a braccia aperte. Mi presentarono come una delle socie e consulente per le pubbliche relazioni della sede, senza che io dicessi nulla.
Solo quando fummo soli ci prendemmo qualche minuto per noi, prima che Molly partisse per Edimburgo e me ne spiegasse il vero motivo. Sarebbe poi rientrata per una settimana il trimestre successivo. Dissi loro che avevo accettato di far partire i bambini per Monaco e che se era possibile avrei voluto lavorare con loro. La mia richiesta fu esaudita, fu così che iniziai la mia nuova vita.
Intanto le azioni di Andrew parvero non ebbero successo, poiché mi arrivò il ciclo, sapevo che per averne conferma però avrei dovuto aspettare almeno un altro mese.
A inizio ottobre ebbi modo di incontrare di nuovo Thomas. Fu un incontro doloroso, era venuto per conoscere un nuovo consulente e ci trovammo, con lui e suo fratello. Lo ringraziai di tutto ciò che avesse fatto per me e i bambini e la scintilla tra noi si riaccese. Fu una settimana intensa, fatta molto di sesso e poco di chiacchiere. Lui evitava di scendere molto nel personale e quando lo fece i risultati fossero disastrosi.
"Sei ancora sposata con lui. Fino a quando non scinderai il matrimonio non penso che ci sarà un futuro per noi." Mi disse allontanandosi da me. "Non avrei dovuto cedere... non con queste premesse."
Scossi la testa. "Potrei essere incinta di lui e non lo so, inoltre se lo lascerei la situazione potrebbe ripercuotersi contro di me e i bambini." Gli dissi. "Non posso costringerti a stare con me, o aspettarmi in eterno, non adesso e con queste premesse. Mi dispiace."
Lui si allontanò ancora di più sospirando. "Questo è quindi un addio, se è questo che vuoi non posso costringerti. Non sono tuo marito, non ti picchierò o torturerò per farlo." Mi disse. "Non posso decidere per te, sei adulta e dovresti sapere che solo tu puoi liberarti dall'infermo in cui sei caduta. Forse non eravamo semplicemente destinati a stare insieme." Mi disse. "Basta poco Sapphire..." mi disse tendendomi la mano. "Vieni via con me. A Monaco, dove ci sono già i tuoi figli."
Scossi la testa. "Molly mi ha detto che hai avuto un figlio." Gli confidai guardandolo, era sorpreso. "Vive a Edimburgo, la madre lo ha lasciato alla sede e lei non ti ha detto nulla, poiché col marito lo stanno crescendo come un figlio. Forse è il caso che pensi a lui invece che a noi." Scossi la testa. "Invece di avere delle relazioni instabili dovresti provare ad andare avanti."
Thomas si grattò la fronte. "Non ti salta per la testa che volevo solo te? O che non riesca più a fidarmi dopo che sei andata via?" Mi disse.
Annuii. "Anche tu non mi hai detto tutto."
"No! Ti ho detto che volevo fare tutto da solo, omettendo che mio padre aveva i soldi. Se avessi immaginato che eri fidanzata e mi avresti lasciato non mi sarei innamorato di te. Capisci il vuoto che hai lasciato nel mio cuore? Ho tante relazioni inconcludenti si... ma perché non voglio lasciarmi andare. Non voglio rivivere di nuovo tutto." Mi confidò. "Ti amo ancora e se immagino che Davis ti faccia del male e che tu glielo permetti... ti prego, proviamoci noi due."
"Ti rendi conto che sul certificato di Thomas risulta lui come padre, potrebbe portarmi via i bambini se provassi a lasciarlo. Sua madre gli ha detto che ha lasciato la sua eredità a Joel, non me lo lascerà mai. Quindi mi dispiace Thomas, ma non posso rischiare, non con i miei figli ancora indifesi."
Lui annuì. "Ho capito." Disse rivestendosi. "Domani parto per la sede di Sidney, poi parlerò con Molly del bambino. Per i tuoi figli invece, sappi che si stanno integrando. Sono seguiti dalla tata di Inga e Tad. Un domani, per non turbare la loro infanzia gli dirai che c'è un benefattore segreto dietro le spese del collegio. Possono restare lì fino alle superiori e poi scegliere l'università che vogliono. Non tornerò più a Londra Sapphire, così potrai lavorare qui senza problemi. Non ci incontreremo più, in questo stesso istante smetto di seguirti se è ciò che vuoi." Mi disse. "Un'ultima cosa. Margot è una ragazzina ancora, quindi ti prego proteggi quel bambino dal padre, posso pagare anche per lui il collegio. Ma libera Margot da tutti gli impegni con quel bambino, se anche sei incinta Margot dovrebbe partorire a breve, il bambino che hai in grembo potrete dire che è nato prematuro. Non sta a me riparare agli errore di Davis, tuttavia penso che il bambino non centri nulla in tutto ciò." Disse aprendo lo spiraglio della porta. "Vado a cena, così per quando rientrerò in albergo ti avrò dato tutto il tempo per andare via."
E così dicendo mi diede le spalle. Volevo piangere, ma dovevo essere forte per i nostri figli. "Thomas... perdonami e ti prego. Ama... ama non avere più il cuore arido. Ti prego." Lo supplicai.
Lo sentii esalare un respiro profondo. Non mi rispose, chiuse la porta e non lo vidi più. Questa volta era per sempre.
Margot partorì a fine ottobre, il bambino nato in casa, sotto consiglio di Elisabeth, venne riconosciuto come figlio mio e di Andrew.
Mentre io saltai il ciclo....

A giugno nacque mia figlia Diamond, i bambini erano tornati per le vacanze estive e Thomas era entusiasta. Mi raccontò che era in un dormitorio con dieci bambini e bambine e che era diventato molto amico di tre di loro. Aveva una fidanzatina e un migliore amico, stessa cosa per Joel. Aveva un amico e un'amica speciale, la scuola era bellissima e facevano tante cose belle.
Entrambi i bambini furono affascinati dalla sorellina, bionda come me, ma con gli occhi scuri, e da Samuel. Per loro era la prima volta trovarsi a che fare con dei neonati.
Per la nascita di Diamond, fu concesso anche a Andrew di venire a trovarci. Conobbe i neonati e trascorse l'estate con noi, sorvegliato da sua madre che viveva con noi da quando era in terapia e da suo padre che vigile non lo perdeva mai di vista.
L''anno successivo ricevetti una lettera di Thomas alla sede dell' ufficio. Aveva conosciuto una donna e seguendo il mio consiglio stava dandosi una nuova opportunità, aveva aperto il suo cuore a questa donna italiana di nome Marina.
Gli risposi augurandogli il meglio. Non ricevetti risposte da parte di Thomas in merito, se non una mail più avanti.
- Grazie. -
Fu di poche parole ma andava bene così. Anche io ero andata avanti vivendo una storia extra coniugali.
Avevo notizie di Thomas da Drake e Ebony. Fu così che due anni dopo scoprii che si sarebbe sposato con Marina a breve e che progettavano di mettere su famiglia.
Intanto a Elisabeth fu diagnosticato un altro tumore, questa volta allo stomaco. Iniziò una nuova terapia e sperammo riuscisse a riprendersi. I miei tornarono dalla Scozia per aiutarci ad assisterla. A dieci anni Thomas era diventato un bel bambino intelligente, quando tornò a trovarci per il Natale comprese che la nonna non stava più bene. Disse che voleva tornare a casa, ma ella stessa lo fece desistere, sempre più debole non riusciva ad avere potere sul figlio che non face iscrivere né Samuel, né Diamond alla scuola Europea. L'estate del 1998  Thomas decise di fare l'ammissione all'Eton college dove venne accettato con ottimi risultati. Purtroppo dopo il primo anno al college morì prima mio suocero per uso eccessivo di medicinali, una pillola entrata in commercio che aumentava il desiderio sessuale a quanto pareva, poi mia suocera. Con la morte di Elisabeth tutto cambiò, Andrew non era più sotto il controllo dei suoi genitori e Thomas era alla sua mercé.
Gli chiesi quindi di tornare a Monaco, dove aveva una costante garantita e soprattutto gli chiesi di non far tornare Joel a casa. Ormai mio figlio era grande e sapeva dove era bene e il male.
"Sii sincera con me! È il mio vero padre che mi paga l'istruzione." Affermò.
Sospirai, Thomas era grande e fin troppo intelligente anche se aveva appena quindici anni. Non potevo mentire. Annuii. "Purtroppo Andrew non ha acconsentito a far venire a scuola anche Diamond, tuo padre avrebbe pensato a tutti voi Thomas. Poi quando sarai grande ti racconterò tutto."
"Giurami che stai lontano da lui, prendi una guardia del corpo, qualsiasi cosa. Ma stai lontana da lui, non voglio che ti faccia del male mamma." Mi disse.
Fissai il suo bel viso, il labbro rotto e lo zigomo gonfio, non era di me che doveva preoccuparsi, ma di se stesso. "Tu vai! Io starò bene, ho degli amici che non permetterebbero mai che Andrew mi tocchi."
"La zia Ebony e lo zio Drake." Affermò.
Sorrisi. Mi erano rimasti i miei amici, quelli che avevo ritrovato nel momento del bisogno e da allora non li avevo più lasciati andare. Erano diventati la mia forza, contro qualsiasi male.
"Adesso che i nonni non ci sono più semmai lui dovesse farmi qualcosa, io lo denuncerò e fidati. Lo farò sbattere in galera senza farlo più uscire." Gli promisi.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia si svolge in contemporanea con la storia di Gabriel Keller in Liberi di essere se stessi. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
Il microstato del Keinsten non esiste, ne ho inventato uno a somiglianza del Lietchsten.
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna e Nord Europa INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE -Albero Genealogico:I Thompson - I Keller

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Londra 2005 - 18 anni dopo
Thomas Uriel Davis. Era il mio nome! Thomas perché, come avevo ben capito mio padre reale si chiamava così, Uriel perché era il nome di uno degli Arcangeli di Dio. Il significato del mio nome era luce di Dio, mamma lo aveva scelto proprio a simboleggiare che io ero luce e che Dio voleva che vivessi, poiché ero nato prematuramente.
La mia vita fino ad allora era stata serena e tranquilla. Di certo non perché la mia era la tipica famiglia accogliente. No, di accogliente a casa mia c'erano solo mamma e i nonni quando venivano a trovarci. Io e i miei fratelli vivevamo nel terrore che l'uomo che chiamavamo papà, prima o poi alzasse le mani su di noi.
Avevo avuto una vita abbastanza tranquilla perché ero staro allontanato da casa, andando a vivere a Monaco di Baviera. Da piccolo non avevo capito quell'esigenza di mia madre di mandarci via. Ma sapevo che quel cambiamento mi aveva portato tanta gioia. Nel collegio dove io e Joel eravamo stati portati c'erano tutti bambini nostri coetanei anche se non erano tanti e pochi adulti. Un gruppo di sette di noi, cinque femmine e solo due maschi, per il mio anno. Un gruppo di dieci tra maschi e femmine in quello di Joel. Le annate non avevano classi piene, tranne quella di Joel che era a due classi. Ma questo non ci escludeva di avere la stessa l'educazione dei nostri coetanei nella scuola pubblica anzi, avevamo un'istruzione migliore, più mirata e controllata già a cinque anni. Essendo classi piccole infatti, le maestre riuscivano a seguirci singolarmente, riuscivamo a seguire un programma e progredire velocemente.
Inoltre avendo nazionalità e tradizioni diversa eravamo molto più aperti alla conoscenza e ad interagire tra di noi, a comprendere altre lingue.
Avevo cinque anni quando avevo iniziato al collegio europeo e subito fui amico di tutto il mio gruppo. Gabriel però divenne il mio migliore amico, unico maschio con me nel mio gruppo. Bastò poco come un compleanno che ci univa.
Io e Joel eravamo arrivati da poco al collegio e come sempre i residenti di Monaco sarebbero tornati a casa per il fine settimana. Con Joel guardavamo i nostri compagni andare via, quando mio fratello vide un bambino dai capelli rossi correre incontro a lui lo fissai preoccupato.
"Restiamo qui questo fine settimana Joel." Disse serio il rosso.
Joel mi lasciò correndo dal suo compagno di classe. "Gellert! Gellert lui è fratellone." Urlò felice.
Io lo seguii, imbarazzato per la sua esuberanza. "Ciao..." Dissi.
"Io e Joel siamo migliori amici." Disse il bambino chiamato Gellert.
"Gellert! Gellert!"Intervenne una vocina conosciuta alle mie spalle. Era Gabriel Keller il mio vicino di letto. "Ehi Davis?" Mi salutò.
Ricambiai il saluto con un sorriso sincero.
"Non possiamo stare qui con il via vai dei compagni e dei genitori." Mi disse Gabriel.
"Può essere pericoloso?" Chiesi e Gabriel annuì.
"Signori Davis!" Chiamò la signora Schmidt nostra responsabile.
"Stiamo andando nelle nostre camere." Disse Gabriel spalleggiandomi.
La signora Schmidt ci sorrise oltre le lenti. "Andate nell'aria di ristoro. C'è una sorpresa per lei signor Davis?" Annunciò lei.
Guardai Joel, era impossibile fosse la mamma. Sapevo che l'avremmo vista a Natale.
Andammo nell'aria ristoro e su un'unica tavola faceva bella mostra di se una torta a cioccolato con delle candele accese.
"È una torta. Ma si..." urlò Joel. "Oggi è il 19 settembre, è il tuo compleanno Tom."
Sbigottito guardai la torta. Mamma si era ricordata.
"Siamo nati insieme Thomas." Disse Gabriel.
"Sei anche tu del 19 settembre?"
Scosse la testa. "Il dieci, siamo quasi uguali." Mi disse sorridendo. "Auguri."
Misi il broncio. "Auguri anche a te. Io non c'ero il dieci." Gli dissi.
"Neanche io ero qui, ho festeggiato a casa, papà è venuto da Boston per festeggiare con noi." Rispose.
"Dov'è Boston?" Chiesi con la mia ingenuità.
"Negli Stati Uniti." Disse allargando le braccia. "Mamma e lo zio Taddheus invece sono a Monaco." Raccontò.
"Bambini, avete altri compagni per la foto?" Chiese la signora Schmidt.
Scossi la testa. "Non ci sono, sono andati tutti via."
"Mamma dice che è importante ci siano le persone che contano. Fai finta ci siano tua mamma e tuo papà." Mi disse Gabriel.
"Fai il compleanno con me? Soffiamo insieme ti va?" Gli chiesi. "Mamma le soffiava sempre con me, così sentirò un po' meno la sua mancanza."
Lui annuì. "Si! Però l'anno prossimo festeggiamo insieme il mio compleanno, così potrò portare degli amici per una volta. Promesso?" Mi chiese
"Sei qui da prima di me. Non hai altri amici?" Gli chiesi.
Scosse la testa. "Ho solo Gellert, lui è mio amico."
Era come me! Senza amici, inoltre eravamo gli unici maschi della nostra classe quindi lo capivo. Gli sorrisi. "L'anno prossimo festeggiamo il dieci." Affermai.
Così suggellammo la nostra amicizia. L'anno successivo come promesso festeggiammo il nostro compleanno il dieci settembre. Sua madre Inga ci venne a prendere e al nostro gruppetto si aggiunse anche Heinrich Keller Shuber, arrivato al collegio il primo settembre, io e Gabe avevamo un nuovo amico .
Quella fu la prima volta che incontrai anche il papà di Gabriel. L'americano lo chiamavo nella mia testolina. Era venuto a festeggiare il compleanno del figlio con la signora Inga e il padre di Gellert, Taddheus. I due erano fratelli e non si somigliavano proprio. Sia per la forma del viso che per i colori. Thomas aveva capelli e occhi scuri, proprio come Gabriel, mentre Taddheus tendeva più al castano con occhi color nocciola.
Thomas aveva con sé un neonato, li riconoscevo da quando era nata mia sorella Diamond.
All'inizio fui titubante ad avvicinarmi a lui, temevo mi picchiasse, ma l'americano seppe come conquistarmi e con me anche Joel. Ci abbracciò, cosa che il papà non aveva mai fatto.
Mio fratello Joel con la sua ingenuità come sempre faceva domande indiscrete, ma l'americano rispondeva sempre tranquillo. Sembrava anche divertito.
"Siete veramente fratelli? Perché non vi somigliate? Perché sei il papà di Gabriel e non di Gellert... perché lui si chiama Rafael? Dov'è la sua mamma?"
"Basta Joel! Non si fa!" Lo ammonii.
Ma l'americano rise e guardò mio fratello. "Io somiglio a nostra madre e lui a nostro padre."
Iniziò a rispondere. "Questa è la più facile. La difficile è che sono stato con 'Inga' senza amore, ci siamo lasciati molto tempo prima che nascesse Gabriel. Per questo hanno subito avuto Gellert, nato dall'amore. La mamma di Rafael è in Australia, è rimasta lì perché non poteva partire e... Rafael perché i miei figli hanno tutti i nomi degli arcangeli. Gabriel e Rafael." Ci spiegò. "Ho deciso di chiamare così i miei figli quando ho conosciuto il mio angelo."
"Oooh." Esclamarono Joel e Gellert.
"Posso tenere Rafael. Anche io ho il nome di un angelo." Dissi all'Americano.
"Thomas non è il nome di un angelo." Intervenne Heinrich serio.
"Ma Uriel si!" Disse Gabriel. "Poi Tom è allenato, ha un fratellino di un anno e una sorellina come Rafael." Annunciò.
"Potete tenere Rafael dopo il soffio delle candele." Intervenne Inga.
Io e Gabriel ci guardammo complici andando alla torta. Era stranamente identica a quella dell'anno prima, solo c'erano sei candeline adesso.
"Tanti auguri a noi." Urlammo mentre cantavano happy birthday.
Quella vita a Monaco era stata veramente la mia isola felice. Fino a quando Gabriel era rimasto al collegio, suo padre spesso era venuto a prenderci al collegio, me e Joel con Gabriel e Gellert e la sua compagna Marina. Poi un giorno Gabriel mi disse che era nata Micaela, Gellert mi disse che Marina era salita in cielo con gli angeli e che il suo papà non era più lo stesso. Al nostro decimo compleanno l'americano non c'era, come non c'era stato al successivo, intanto feci l'iscrizione per l'Eton a Londra, la nonna stava male e volevo esserle vicino. Lo sapevo che dovevo restare a Londra, così sarei stato con lei fino all'ultimo, avevo ancora quattordici anni però quando nonna morì, era estate ed ero tornato definitivamente a Londra.
Piansi tanto e capii anche come si era sentito l'americano a perdere la sua Marina. Faceva tanto male la morte, ti stringeva il cuore e ti toglieva il respiro, questo perché chi c'era sempre stato non c'era più. Gabriel ed Heinrich scrivendomi e telefonandomi, Gabriel un po' di più, lui mi capiva.
Fortunatamente a settembre sarei entrato alla Eton school. Sapevo che Andrew Davis non avrebbe mai pagato per il college a Monaco. La nonna ci aveva tenuto, ma lui no. Non avrebbe mai pagato per il bastardo.
Quando fu il momento iniziai le superiori alla Eton. Gabriel invece per volere del padre era tornato a Boston, sembrava amareggiato e arrabbiato quando lo sentii al cellulare. "Perché fai così. Tuo padre ti vuole vicino."
"Per i suoi comodi. Non mi ama!"
"Certo che si. Io me le ricordo le nostre vacanze in Italia." Gli dissi.
Lui scosse la testa. "Papà e andato via tanto tempo fa con Marina. Da allora non è più lo stesso, sarò solo con una bambina piccola piccola."
"Io anche ne ho piccoli piccoli." Gli ricordai. "Scriviamoci e non perdiamoci di vista. Telefonami." Gli dissi. Neanche io volevo perdere Gabriel.
"Sempre." Mi disse lui che mi diede anche il suo indirizzo.
Alla Eton subito mi feci riconoscere per i voti alti. Fu un primo semestre soddisfacente, non avevo ancora legato con nessuno. Mi dedicavo allo studio e scambiare mail con Gabe e Heinrich.
A Natale mentre raccontavo a mia madre e Joel rientrato da Monaco, dei risultati scolastici pieno di soddisfazione. Samuel e Diamond, rispettivamente undici e dieci anni, ascoltavano anche loro estasiati.
"Dovresti mandare anche Diamond al Santa Maria." Dissi a mamma.
"Andrew non vuole. La sua parola viene prima della mia, dice che se li mando all'estero mi farà causa." Ammise mamma.
"Ma io e Joel.. cioè Joel ancora studia all'estero." Ed era suo figlio. Avrei voluto specificare. "Joel ha un benefattore che paga la sua retta." Un benefattore?
"Quando verrà?" Chiesi rivolgendomi a Andrew.
Mamma sospirò. "Spero dopo i nonni."
Purtroppo però arrivò prima lui. Quando aprii la porta di casa mi guardò come sempre con disgusto spingendomi via. "Assurdo che non possa entrare in casa mia."
"Questa è casa di mamma, come le altre sue due proprietà." Ci tenni a precisare chiudendo la porta.
Lui mi fissò malvagio. "Impugnerò il testamento. Ah si se lo farò." Disse raggiungendo mia madre, la prese per i fianchi stringendola a se. "Ciao tesoro, ti sono mancato?" Disse leccandole la bocca.
"Lasciala stare." Gli dissi raggiungendolo. "Non ti azzardare a toccarla." Lo minacciai allontanandolo da mamma.
Lei si pulí la bocca con il dorso guardando Andrew. "Ti ricordo che sei qui per far visita ai bambini. Cerca di non far vedere quanto tu sia repellente." Disse in un sussurro.
"Papà! Papà!" Urlò Samuel. "Ci hai portato un bel regalo?" Chiese.
"I soldi li ha mammina. Da quando ha deciso di affittare la tenuta per gli eventi e le cerimonie può permettersi di farvi tutti i regali che volete." Disse lui.
Mia madre lo guardò con sfida. L'idea di affittare la tenuta per gli eventi e dare in gestione il palazzo a Richmond per un B&B era stata mia. In sei mesi quelle novità avevano portato i loro frutti anche se a Andrew la cosa non andava giù. "Indipendentemente da ciò, un padre deve fare il suo doveri con i propri figli." Disse mamma.
"Basta far funzionare il cervello e anche tu guadagneresti profitti dalla tua casa nello Yorkshire." Dissi a Davis, odiavo aver il suo cognome. Avrei tanto voluto cambiarlo. "Io l'ho fatto con le proprietà di mamma e ho solo quindici anni."
Lui furente mi fissò. Mi prese per la faringe e mi tirò su. Sentii mia madre urlare mentre cercavo di liberarmi.
Hannah arrivò dalla cucina, I miei fratelli urlavano mentre Joel mi raggiungeva per liberarmi.
Mi sentii lanciare via quando una delle sue mani venne morsa da Joel. Andai a sbattere contro il muro, vedevo le stelle.
"Tu! Sangue del mio sangue... come ti permetti. Un po' della mia astuzia proprio non ce l'hai?" Urlava intanto Andrew, mi alzai tentennando e quando vidi lo schiaffo riservato per Joel impazzii. Mi scagliai su Davis lanciandolo via. Lui fece altrettanto dandomi un ceffone che mi spinse a terra, poi di seguito un paio di calci nello stomaco.
Sentivo mia madre urlare e poi due mani grandi afferrare Andrew Davis. "Esci da questa casa bastardo." Sentii urlare. La porta sbattette, non riuscii a parlare, respiravo a stento. Joel mi fu accanto implorando il mio nome. "Tom... Thomas."
"Sto bene." Sussurrai mentre una donna dai capelli rossi si chinava su di me. La zia Ebony?
"Non stai bene. Adesso ti medico, riesci a tirarti su? Drake aiutami." Disse rivolta a qualcuno che non vedevo.
"Questa Thomas non gliela perdonerà." Disse lo zio Drake tirandomi su.
"Ti prego non faglielo sapere. Ha la sua vita adesso e Tom tornerà a Monaco a gennaio." Disse mamma all'uomo.
"Sapphire lui deve sapere, è il figlio e aveva promesso che se fosse accaduto di nuovo..."
"Se ne sarebbe sbattuto di tutto. Lo so! Ma Samuel e Diamond sono piccoli. Andrew farà poi di tutto per togliermeli e potrebbe fare loro del male. Ti prego Drake, non dirlo a Thomas, i bambini hanno l'età dei tuoi figli, davvero li lasceresti in mano a un mostro del genere?" Chiese mamma perorando la sua causa.
Chi era Thomas? Intanto la zia Ebony mi tamponò il viso, finalmente avevo un respiro regolare. Mi sorrise.
"Voglio restare con mamma..." Dissi.
Lei scosse la testa. "Se ti succede qualcosa tuo padre non se lo perdonerebbe mai. Davvero vuoi mettere questo peso sulle spalle di tua madre?" Mi chiese la rossa.
No. Non potevo.
Alla fine acconsentii, ma sarei potuto tornare a Monaco? Dopo un po' si aggiunsero i nonni e Molly e Sean Harris con loro figlio Isaak, che come tutti gli anni festeggiavano con noi. Tutti notarono il mio viso tumefatto, a cominciare da Isaak.
"Che non sai difenderti?" Mi chiese con i suoi occhi scuri. Dove li avevo già visti occhi così scuri come la notte?
"Imparerò stanne certo." Gli risposi.
A tavola parlavano e avevano tutta la mia intenzione anche se non davo a vederlo. Ufficialmente parlavo con Isaak che come me era più intento a seguire ciò che i grandi si dicevano.
"Parlano di lui." Sussurrò per ogni volta che nominavano Thomas.
"Sai chi è?" Gli chiesi.
Lui scosse la testa. "So che mi permetterà di andare alla scuola di cucina. Mamma non voleva, ma l'altro ha detto che posso fare ciò che voglio."
"L'altro?" Gli chiesi fissando prima lui, poi i suoi genitori. Molly era piccola come la mamma, capelli biondi rossicci e un viso a cuore, occhi azzurri e pelle candida piena di lentiggini. Anche Sean era basso, non arrivava al metro e sessanta. In pratica sia io che Isaak gli arrivavamo senza problemi, aveva capelli biondi, occhi castani e un naso aquilino importante, il mento largo e un sorriso che arrivava agli occhi. Decisamente Isaak non assomigliava a nessuno dei due.
"L'altro." Disse Raziel, nome che usavamo al collegio. "Loro non me lo dicono, ma è palese che quando si prendono decisioni su cui non concordano ci sia di mezzo un altro. So vedermi allo specchio e sono abbastanza sveglio." Mi disse.
Thomas, l'altro, gli avrebbe pagato gli studi. Io sarei tornato a Monaco. Il mio benefattore e quello di Joel era lui, mio padre.
"Vieni." Gli dissi alzandomi da tavola e prendendolo per mano.
"Sono etero."
Sbuffai. "Anche io." Gli dissi strattonandolo e portandolo in bagno. Mi affacciai allo specchio attenendo che lo facesse anche lui.
Eravamo simili. Colori a parte, avevamo entrambi la stessa mascella squadrata, le mie labbra erano leggermente più sottili delle sue, ma il taglio delle sopracciglia no. I suoi capelli erano castani scuri, un po' po come quelli di Gabriel, gli occhi erano neri e il naso dritto di Isaak un po' più lungo del mio, che invece era più a patata.
"Oh cazzo!" Disse Isaak. "Mi rifiuto. Non è così che volevo un fratello e l'ho richiesto tanti anni fa, prima della pubertà." Mi disse allontanandosi.
Io feci spallucce. Sinceramente erano Joel, Samuel e Diamond i miei fratelli, mi era quindi indifferente il suo commento.
"Lo hai conosciuto?" Mi chiese.
"Chi?" Risposi io.
"L'altro ovvio." Disse.
Lo fissai in quegli intensi occhi neri. "Forse." Risposi. "Perché io i tuoi occhi già li ho visti da qualche parte."
"Bene. Digli di non farsi vedere, io ho già i miei genitori e che non intervenga nella mia vita. Se i miei genitori non vogliono che frequento la scuola culinaria, non lo farò." Disse.
Scossi la testa. "Sicuramente se c'è di mezzo lui sarebbe la migliore scuola in assoluto." Gli dissi. Cazzo il collegio europeo era una signora scuola, quindi anche lui avrebbe avuto la giusta istruzione.
"Vorrebbe che frequentassi la Westminster Kingsway collage. Quindi prima devo diplomarmi, poi andare lì." Rispose.
Feci un fischio di ammirazione, non conoscevo il college ma già sentire che era un Westminster faceva presagire grandi cose. "Fai come vuoi. Io raggiungo gli altri e buon Natale Raziel Isaak." Dissi salutandolo. Non lo avrei chiamato fratello, assolutamente.
Quando i nostri ospiti se ne andarono mia madre mi aspettava in sala. Era da sola.
"Tesoro dovresti tornare a Monaco. Sarei più tranquilla sapendoti lì." Mi disse.
"Mamma quel mostro..." iniziai.
"È il padre dei tuoi fratelli." Mi ricordò.
"Ha picchiato Joel, non avrebbe mai dovuto permetttersi." Dissi.
"Appunto. Quindi tu parti e porti Joel a Monaco, non farlo tornare. Dio solo sa come sarebbe felice tuo padre di poter manipolare Joel per beneficiare delle sue quote bancarie." Mi informò.
Soldi! Era quella la verità. Cosa avevano fatto di male i miei fratelli per meritarsi un padre del genere. "Quando tornerò avremo guadagnato abbastanza con i nostri investimenti. Saremo tutti lontano da lui."
Lei mi sorrise. "Quelli sono i tuoi investimenti riusciti, non miei. Per ora devi pensare a te e Joel."
"A te chi ci penserà mamma?" Le chiesi.
Lei sorrise. "Non hai visto? Ebony e Drake non permetteranno mai a Andrew di torcermi un capello." Mi disse.
Perché mio padre non lo avrebbe mai perdonato? Chi era mio padre? "Mamma." Lei mi guardò con i suoi splendidi occhi azzurri, gli stessi miei e di Joel. "È mio padre che ci mantiene a scuola vero?" Chiesi e lei annuì. "Lui lo sa, o almeno lo sospetta? Per questo non vuole mandare Diamond a Monaco." Che stronzo che era.
"Ci sono altre ragioni. Lui è geloso di Diamond, aspetta che sia grande per poterla avere. Ma glielo impedirò." Mi rispose.
"Va bene. Torno a Monaco." Le dissi per rassicurala.
Almeno una volta a Monaco potetti ritrovare Heinrich che studiava ancora lì. Iniziai anche a seguire corsi di autodifesa, kick boxing e taekwondo, non avrei più permesso a Davis di colpirmi.
Quando giunsero le vacanze di Pasqua andai con Joel e Sonia a trovare i Keller Meyer e con mia sorpresa c'era anche Gabriel e con lui il fantomatico London. Diventammo subito amici e complici nel prendere in giro Gabriel. Insieme passammo una settimana rilassante. Raccontai anche a Gabriel di Raziel Isaak.
"È mio fratello... ingrato per giunta." Gli dissi.
Lui rise. "Cosa ha fatto di male."
"Nostro padre cerca di dargli il meglio e lui non lo vuole, semplicemente perché non è i suoi genitori adottivi."
"Situazione intricata." Disse Gabriel.
"Cazzi suoi!" Risposi. "Quando ci rivedremo?"
"In estate andremo in vacanza insieme. Papà porterà Micaela in Toscana a trovare i nonni e quindi saremo tutti in Europa." Mi rispose.
"Festeggiamo il compleanno alla fine di agosto Gabe. Manteniamola questa tradizione, solo noi con Gellert, Joel Heinrich e London anche. Mi piace."
Mi guardò dolcemente. "Ma si dai! Ad agosto tutti qui."
"O in Italia. È tanto che non ci andiamo." Gli dissi, da quando Marina era morta. Forse come il padre non voleva tornarci.
Sta di fatto che divenne un abitudine festeggiarci ad agosto. Fino a che non ci toccò di andare all'università.
"Studierai all'università di Monaco, Tom?" Mi chiese London in vacanza con noi, questa volta eravamo a Dubai. Gabe mi guardava, probabilmente aveva quella domanda sulla punta della lingua da un po' .
"Sono stato ammesso a Oxford. Andrò lì." Dissi.
"Gabriel è stato ammesso ad Harvard." Mi disse London.
Gli diedi un pugno leggero sulla spalla ridendo. "Ma anche tu!" Lo canzonai.
Rise. "Anche io si! Mi raccomando, non perdiamoci di vista." Mi disse London.
"Passa a trovarmi a Londra... London." (Gioco di parole nda).
Ed ora eccomi qui, nella mia stanza da bambino a mettere in ordine tutte le mie cose. Erano lì da quando ero partito per Monaco tredici anni prima. Nulla era fuori posto, non era più la stanza ideale per un ragazzo di diciotto anni.
Lentamente svuotai la scrivania di tutti i fumetti di spider man e Batman che deposi nella prima scarola. Fu la volta dei libri, le favole dei Grimms, le storie di Roal Dahl, la prima foto scattata con Gabriel, Joel e Gellert, misi tutto in una scatola con su scritto: non donare.
Ovviamente anche i fumetti non li avrei donati, erano un investimento. Avrei potuto venderli per quanto erano tenuti bene e ci avrei fatto un bel guadagno. Aprii i cassetti per svuotarli e fui sorpreso di trovare al suo interno una cassetta che di sicuro non mi apparteneva. Era piccola, rettangolare e in legno intarsiato. Qualcosa di femminile, forse Diamond aveva giocato con le sue cose e le aveva nascoste da me per non farle prendere a Samuel. La presi e sotto di essa vidi che c'era una busta. Era indirizzata a me, i tratti dell'elegante scrittura di nonna Elisabeth.
No! Non era possibile. Mi si strinse il cuore, quello era l'ultimo dono di mia nonna, sapevo che da testamento non potevo avere nulla, ma li con quella scatola c'era qualcosa che valeva tante volte più di un qualsiasi valore materiale. Mi sedetti sul letto e aprii la busta.
Iniziai a leggerla emozionato.

«Mio caro Thomas Uriel,
Angelo mio. Quando leggerai questa lettera sicuramente sarà passato un bel po' di tempo dalla mia morte. Sarai abbastanza grande da poter capire quanti sacrifici tua madre abbia fatto per te e per i tuoi fratelli. Non torni in questa stanza da quando avevi cinque anni, se non per dormire. Arriverà un tempo in cui ti sbarazzerai del tuo passato, anche perché i momenti di gioia qui con noi non sono stati tanti.
L'uomo che credevi fosse tuo padre, altri non è stato che un usurpatore. Ha ricattato la famiglia di tua madre pur di averla, per lussuria e per avidità. Voleva il suo corpo, esserne il padrone assoluto e decidere per lei. Voleva il suo titolo nobiliare perché così si sarebbe dato più importanza. Io non so come sia stato possibile che Andrew sia uscito fuori dal mio grembo, pensavo di averlo cresciuto con dei valori e suo padre per quanto non fosse un esempio di virtù, non si è mai spinto a voler avere il potere su di me, a picchiarmi o a volermi tenere rinchiusa in casa.
Sappi che con questa mia lettera ti svelerò tutte le cose che non hai saputo fino ad oggi Thomas.
Andrew come detto aveva ricattato i nonni Cooper per poter sposare tua madre. Io quando lo seppi, impietosita per lei la resi libera per qualche mese, periodo che le consentì di conoscere tuo padre e innamorarsi. Tua madre non aveva molti soldi con se, le diedi solo mille sterline. Ma se le fece bastare poiché trovò un lavoro, un po' di fortuna e un uomo che le diede vitto e alloggio senza chiedere nulla in cambio se non una firma quota socio. Quell'uomo era tuo padre, li a Londra per dimostrare alla sua famiglia che poteva contare su se stesso per costruire un impero finanziario. Lui e tua madre divennero amici e poi amanti. Tuo padre fantasticava sul loro avvenire e quando scoprì di aspettare un bambino dalla sua prima ragazza, chiese a tua madre di sposarla e crescere insieme questo figlio e averne altri insieme. Tua madre però dovette rifiutare e lasciarlo per proteggere i suoi genitori, così tornò a casa sua pronta a sposarsi per non cedere al desiderio di restare con lui, nonostante sapesse di essere incinta.
Andrew quando seppe che stavi per nascere, ahimè, non annullò le nozze con tua madre. Tuo padre forte del suo amore per Sapphire però venne a cercarla. Andrew lo cacciò via, mossa a pietà Martha lasciò a tuo padre un messaggio di Sapphire così che lui sapesse che lei ancora lo amava.
Altre volte tuo padre tornò da tua nonna Martha, in un'occasione ella mi presentò anche Thomas, persona molto acculturata e che ci teneva a restare informato su di te. Il resto è storia e lo sai, tuo padre ti ha mandato a Monaco per farti vivere sereno ed ha ben pensato anche a Joel per non separarvi.
Ha cercato anche di convincere tua madre e tornare con lui, ma lei sai ha uno spirito di sacrificio enorme e per evitare che Andrew la separasse dai bambini rifiutò di seguirlo. Sappi però che ancora oggi, tuo padre Thomas, resta il più grande rimpianto di tua madre.
Non ho eredità da darti Tom se non questa lettera e il mio scambio epistolare con tuo padre. Perdonagli mio caro la sua scrittura distratta e veloce, testimonia la praticità che è in tuo padre. In ultimo troverai una lettera di tuo padre indirizzata a te, ed un mio piccolo dono per appoggiare la tua grande intelligenza e l'innata bravura che già hai adesso, presumo sia ereditata da tuo padre. Ti amo tanto Thomas. Mi sei stato nipote anche se non abbiamo avuto lo stesso sangue , spero questa mia eredità ti renda in qualche modo felice. Con amore tua nonna Elisabeth.

Ps ricordati che sei visconte e questo titolo non potrà mai togliertelo nessuno. Non appartiene a Andrew, bensì a tua madre.»
La lettera finiva così ed io ero maledettamente emozionato. Col groppo in gola presi la piccola chiave che accompagnava la lettera della nonna.
Aprii la cassetta e un odore di lavanda inondò le mie narici. C'erano delle lettere, aprii la prima sulla pila, era indirizzata alla nonna anche se non conoscevo la scrittura.

«Mia cara Elisabeth ti scrivo con piacere. Grazie per aver accolto la mia richiesta di aiuto nei confronti di Sapphire, quando Martha mi ha detto che era già stata due volte in ospedale sarei salito volentieri sul primo volo per raggiungerla.

Ti prego, proteggi Sapphire e il bambino che ha in grembo, da Andrew.
T.K.»
Ingoiai il groppo. Mamma era stata picchiata in gravidanza?
Presi la seconda lettera. Cos'era successo poi?
«Mia cara Elisabeth. Grazie! Grazie infinite e ancora grazie per aver protetto Sapphire e per avermi fatto conoscere Thomas. È così simile a suo fratello, semmai dovessero incontrarsi sembrerebbero gemelli! Mi rincresce che sia nato prematuro, almeno è nato nonostante Andrew abbia fatto di tutto per impedirlo.
È bellissimo e lo amo ancora più di quando era in grembo alla madre. Ti prego, se riesci dagli una carezza anche da parte mia.
T.K.»
Quindi ero nato prematuro per un motivo e avevo un fratello, come già la nonna mi aveva scritto, che era mio coetaneo e che non era Raziel Isaak. Un fratello che aveva vissuto con papà.
Lessi le altre lettere, tutte erano spicce e pratiche, la scrittura era disordinata. Cazzo era come la mia, dovevo migliorarmi.
L'ennesima lettera parlava di Margot.
«Mia cara Elisabeth.
Ebony e Molly, due carissime amiche di Sapphire hanno trovato una ragazza che possa accudire Thomas e aiutare Sapphire nella gestione domestica. Margot ha sedici anni ed ha dovuto lasciare la scuola dopo la morte del padre. Avrei premura, se volesse, assumesse anche la madre Hannah che dopo la morte del marito  non sa come sbarcare il lunario. Se Andrew non vuole assumersi le spese per Margot lascia che sia io a badare alla tata di mio figlio.
T. K. »
Le lettere andavano avanti così. Alle volte mio padre rispondeva a delle lettere di cui non conoscevo i fatti. Diceva alla nonna che le dispiaceva per il marito oppure le consigliava operazioni bancarie o ancora di trovare un socio di fiducia prima che la banca fallisse.
Questo fino a quando non arrivai alla lettera del settembre 1992.
« Sono riuscito a far giungere la torta di compleanno a Thomas. Già ha avuto parecchi traumi in questo periodo,  non avrei mai potuto permettere che non festeggiasse i suoi cinque anni. Sta diventando un ometto, ma è presto perché sia già maturo e serioso.  È la stessa torta che ogni anno faccio preparare a mio figlio, con crema al cioccolato e confetti colorati. Spero gli piaccia, spero si stia facendo degli amici e che non festeggi da solo, almeno ha suo fratello Joel al fianco.
T.K.»
Sobbalzai. La mia torta di compleanno, il doppio compleanno che ho festeggiato con Gabriel. Mi sollevai andando a prendere la foto nella scatola.
La fissai. Quella torta che pensavo mi avesse mandato mamma. C'era qualcosa che mi sfuggiva, lo sentivo.
Lessi la lettera successiva con il cuore in gola.
"Dopo che con Sapphire è finita definitivamente mi sono dato a una vita dissoluta. Proprio come la prima volta sono finito da un letto ad un altro senza tregua e senza rimorsi. Volevo punire Saph perché come sempre ha scelto Andrew invece di me. Lo avrà fatto anche per proteggere Joel e il figlio che ha in grembo, ma io avrei amato entrambi come se fossero stati miei, anche il figlio di Margot. Lei invece ha preferito così. Codarda a scegliere la via più facile.  Anche io ho scelto la strada più facile, sono tornato in America ma ne sono subito scappato, una ragazza molto gentile mi ha detto di sperare. Ma questa volta la pace non l'ho trovata nel sesso, non mi vergogno ad ammetterlo, sono andato a letto con almeno tre ragazze diverse come accadde già cinque anni fa e nacque Raziel. Questa volta però mi sono fermato, quando ho avuto di nuovo rapporti con la mamma di Raziel ho provato solo disgusto per me stesso...» Di seguito lessi della nascita di Isaak e la sua storia, come era finito al Santa Maria's ebbi pietà di lui.
Lessi la lettera successiva, dei dubbi infanti si stavano insinuando nella mia mente.
«Comunque sono stato di nuovo incastrato, ingannato. Ho avuto un figlio! Da una ragazza sprovveduta che mi ha usato per lasciare il paese. Credeva che con un figlio in grembo io la portassi via da Sidney, ma sua madre mi ha messo in guardia. Mi aveva detto di aspettare la nascita del bambino prima di saltare alle conclusioni e di non portare via Cali col bambino. Vedi, Cali ha origini aborigene e suo padre è giapponese.
Il bambino quando è nato era stupendo, ho dovuto fare  lo stesso il test. Ma sapevo che Rafael era mio figlio. Lo porterò a conoscere  il fratello maggiore. Cali invece resterà con i genitrici come deciso.
PS dopo questa penso che seguirò il consiglio di Sapphire e proverò ad aprire di nuovo il cuore. Rafael è un miracolo entrambi abbiamo bisogno di una famiglia solida.
T.K. »

Rafael? Ho un fratello minore di nome Raphael? Dove avevo già sentito questo nome? E la mamma? Veramente sceglieva la strada più facile fino a martirizzarsi per proteggerci? Se fossimo andati via saremo stati felici e... un attimo. Mio padre diceva che avrebbe amaro il figlio di Margot e il bambino che mamma aveva in grembo. Adesso ripensandoci e con maturità lo comprendevo anche io. Samuel non era figlio di mamma, lui e Diamond erano nati con pochi mesi di distanza.
Dovevo leggere, scoprire della mia famiglia paterna. Avevo due fratelli. Il maggiore e poi Rafael. Dove cazzo avevo già sentito questo nome?
«Ho conosciuto Thomas. Ancora oggi non ci credo... ho conosciuto Thomas. Dio volevo che Gabriel e Thomas crescessero insieme, ma non avrei mai creduto che il migliore amico del mio primogenito, fosse il mio secondogenito. Dio Elisabeth la mia emozione! Erano stupendi Thomas e Joel. Quante domande quel bambino, somiglia tantissimo a Sapphire e la sua genuina curiosità. Thomas ha voluto prendere in braccio Rafael, ho tutte le foto con me. Le custodisco gelosamente, tranne questa che ti invio. Guardali anche i tuoi nipoti, come sono felici.
Mi hanno già avvertito che l'anno prossimo festeggeremo il diciannove e non il dieci, non ho capito cosa stanno combinando Gabriel e Thomas.
T. K.»
Ero basito! Rileggevo la lettera di continuo. Il cuore mi batteva a mille. Gabriel. Gabriel. Gabriel. La foto del nostro sesto compleanno giaceva accanto a quella del quinto. La stessa torta dell'anno prima ma eravamo più felici con qualcuno in più. C'era Rafael in braccio a me, c'era Heinrich e c'erano Sonja e a Pamela la sorella di Gellert. Ovviamente c'erano anche lui e Joel ed eravamo molto più felici dell'anno prima.
Gabriel. Il mio migliore amico era mio fratello. Lo sapeva? Gabriel sapeva che eravamo fratelli?
Presi il telefono e lo chiamai incurante del fuso orario. Gabe mi rispose quasi subito.
"Thomas? Tutto bene? Cosa succede?" Mi chiese preoccupato.
"Gabriel." Sussurrai.
"Si Thomas sono qui. Dimmi tutto." Disse ansioso.
"Gabriel."  Ero un disco rotto.
"Sono qui Thomas." Mi disse. "Cosa succede?"
Cosa succedeva? Lo sapeva? Lo avrei sconvolto, come lo ero io? "Niente. Ti voglio bene Gabe." Dissi.
"Alle quattro di notte mi vuoi bene?" Disse lui. "Anche io ti voglio bene ma a quest'ora ti strozzerei con piacere." Mi disse.
Risi, erano le dieci del mattino da me, ma da lui no. "Scusami. Torna a dormire Gabe. Ci sentiamo con calma."
"Ok! Ciao." Mi disse staccando. Cazzo lo avevo fatto preoccupare.
Ripresi in mano le lettere e intanto continuavo a pensare che io e Gabriel eravamo fratelli.
«Mi sono innamorato. Non credevo fosse possibile ma ho conosciuto una donna che mi ha fatto tremare il cuore. Un'altra volta. Marina come Sapphire non me le manda a dire, inoltre è bellissima. Nei suoi occhi splende il sole dell'Italia ed è gioviale e viva come il suo paese. Marina ama Rafael, quasi come se fosse figlio suo. Io amo lei. Questa Pasqua porterò Gabriel in Italia a conoscerla e se saranno al collegio porterò anche Thomas e Joel con me. Voglio che conoscano Marina. 
Dio Elisabeth è così bello l'amore.
T.K.»
Le altre lettere parlavano di Marina e Rafael e di quando io e gli altri venivamo portati in Italia o a casa di Inga e Taddheus.
C'era anche quella dove mio padre diceva che probabilmente avrebbe ritirato Gabriel dal collegio. Lui e Marina si erano sposati e lei aspettava un bambino, avrebbe partorito a Boston. Io sapevo già come sarebbe andata a finire quella storia.
Mi si strinse il cuore per mio padre, per Gabriel che dopo la morte di Marina era diventato realista e cinico, per Micaela che non aveva potuto conoscere sua madre.
La lettera successiva non era scritta da mio padre, bensì da un certo Tobias.
«Salve Elisabeth. Sono Tobias il padre di Thomas. Le scrivo per informale che Thomas in questo periodo non è in se, sua moglie è morta per gestosi lasciando in lui un grande vuoto.
Thomas si è chiuso in se stesso. Nessuno riesce a percuoterlo da questo suo stato, rifiuta il conforto dei figli e della madre, la piccola Micaela, sopravvissuta a Marina, piange incessante. Ma il suo pianto non lo tocca, si è completamente estraniato. Potrebbe avere un modo per aiutarmi a salvare mio figlio e la sua famiglia?
Grazie
Tobias Keller. »

«Elisabeth è un piacere tornare a scriverle. Sono Tobias.
Mia moglie ha trovato utile il suo consiglio, inoltre pensa  che far venire qui Sapphire fosse un'arma a doppio taglio per salvare Thomas. Se da un lato ella potrebbe essere la sua salvezza, dall'altro un suo ennesimo rifiuto potrebbe essere  l'ennesima delusione. Pertanto le chiedo di tenere Sapphire all'oscuro della perdita di Marina.
Gabriel tornerà al collegio questo settembre, spero che Thomas li raggiunga per qualche week end come ha fatto fin ora.
Saluti
Tobias Keller.»
Un ultima lettera di T.K. Aperta e poi richiusa testimoniava la morte di mia nonna.
La aprii. Al suo interno un bigliettino.
«So che ultimante sono stato un pessimo amico di penna. Ma vorrei facessi arrivare a Thomas questa mia.
Grazie mie cara, sei stata una madre e un'amica unica. Thomas Edgar Keller. »
Posai il biglietto con mille sterline sul letto ed aprii la lettera. Al suo interno c'erano dei pezzi da cento dollari.
Volevo capire, ma non sapevo come. Così iniziai a leggere.
«Mio bellissimo e dolcissimo figlio,
Perdonami! Perdonami se non sono stato in grado di prendermi cura di te e di tua madre. Di essere stato troppo codardo da dire no, per paura di farla arrabbiare e farmi lasciare. Forse sarebbe stato meglio farla arrabbiare e litigare e forse chissà, saremo stati insieme e ti avrei cresciuto io. Non è accaduto. Ma ti ho amato al pari dei tuoi fratelli. Qualcuno potrebbe dire che un padre prova una forte emozione per il primo figlio, ma tu e tuo fratello avete così poca differenza che l'emozione è stata la stessa. Peggio, tu eri il figlio del mio grande amore e non ho potuto teneri tra le braccia al primo vagito.  Non ho potuto sentire la tua prima parola e vederti fare i primi passi. Mi è stato precluso in punizione della mia codardia e te ne chiedo perdono. Sappi però che da lontano ho seguito tutti i tuoi passi.
So Thomas che hai un intuito eccellente con i numeri. Non so quando Elisabeth ti darà questa mia, ma sappi che voglio far avere a te e tuo fratello maggiore le pari opportunità. Al compimento del suo diciottesimo compleanno avrete entrambi da parte mia un budget di cinquemila dollari. È la cifra che troverai tu in questa busta.
Puoi farne ciò che vuoi! Spenderli o investirli. Qualsiasi cosa. Usali come meglio credi. Tuo padre.
T. K.»
Cinquemila dollari. Cinquemila dollari da usare come meglio volevo, potevo sperperarli. Ma la mia natura me lo impediva. Cosa potevo fare con cinquemila dollari?
Chiusi la cassetta e mi sollevai dal letto, aprii la porta della stanza e fissai l'orologio. Cinquemila dollari.

 

...continua.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia si svolge in contemporanea con la storia di Gabriel Keller in Liberi di essere se stessi. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
Il microstato del Keinsten non esiste, ne ho inventato uno a somiglianza del Lietchsten.
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna e Nord Europa INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE -Albero Genealogico:I Thompson - I Keller

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...segue

"Hai sistemato la stanza come ti ha chiesto tua madre?" Mi chiese Hannah.
La fissai e andai a darle un bacio affettuoso sulla guancia. "Quasi. Adesso devo uscire, ho una cosa urgente da fare." Le dissi indossando la giacca, sempre con la cassetta sotto braccio uscii. Sapevo cosa avrei fatto con i miei cinquemila dollari, lo avevo già fatto altre volte. Per prima cosa andai in borsa, dove valutai le varie azioni e i mercati. Dopodiché divisi i miei investimenti. Mille dollari li investii subito in oro, senza esitazione. Cinquecento li usai per investire nel petrolio, il mercato petrolifero saliva e scendeva e non mi sentivo di fare affidamento su di lui, acquistai anche delle azioni della Royal Scotland Bank, Infine investii mille dollari in dei titoli di stato. Mi restavano mille e cinquecento dollari e sapevo anche cosa farne. Senza indugio mi diressi nella city, raggiunsi il palazzo Callaghan, dove mamma lavorava ed evitando l'ascensori salii le scale a falcate.
La porta in vetro della T- KCG era aperta come sempre. Erano quasi le tre del pomeriggio e gli uffici stavano per chiudere. Ero in tempo!
Salutai Ebony dietro la scrivania e le chiesi se  Drake era libero.
"Si! Stiamo per chiudere!" Mi rispose. "Tutto bene, è successo qualcosa?" Mi chiese preoccupata, sicuramente si riferiva a Andrew Davis.
"Certo! Voglio solo comprare una quota della società. Ho mille e cinquecento dollari in contanti e i proventi che mi spettano della villa a Richmond." Affermai.
Senza rendermene conto, iniziai la mia ascesa al successo, era bastato poco, se non una piccola spinta da parte di mio padre. Non usai le mille sterline che mi aveva lasciato la nonna, ci avrei messo la mano sul fuoco che erano quelle che aveva lasciato alla mamma quando era andata via di casa. Sarebbe stato un cattivo auspicio usarli e sperperarli. Li avrei tenuti, per le emergenze.
Drake accolse stupito la mia richiesta, mi affrontò e capì che ero deciso. "Devo chiedere al capo se posso venderti le quote. Fino ad oggi nessuno esterno ce l'ha mai chiesto. Che valore vuoi metterci su?" Mi chiese.
"Tremila dollari per ora. Mille e cinquecento te lo do in contanti altri da prelevare. Non puoi chiedere al grande capo, le banche chiudono tra quindici minuti, quindi prendere o lasciare. Altrimenti andrò altrove." Gli dissi deciso.
"M-ma..." sussurrò Drake titubante.
"Ok vado altrove." Affermai dandogli le spalle.
"Ok! Ok va bene. Ti vendo le quote, vieni nel mio ufficio e avviamo la pratica."
"Bene!" Gli dissi con un sorriso soddisfatto.
"Sei tale e quale tuo padre! Tutto e subito e a modo tuo." Mi disse Drake sedendosi. "Lo so che hai un piano."
Ero uguale a mio padre? Era questa la molla che mi era scattata dentro, che mi partiva ogni volta che vedevo qualcosa di fruttifero? Mi sedetti senza scoprire troppo le mie intenzioni. Ero uguale a mio padre! Ero uguale a mio padre!
Lo squillo del cellulare mi distrasse. Presi il telefono, era Gabriel...mio fratello pensai pieno di gioia. Adesso in America era un ora abbastanza normale.
"Pronto!" Risposi mentre Drake guardandomi di sottecchi lasciava partire la procedura.
"Vieni a prenderci. Ce la fai?" Mi rispose Gabriel.
A prenderlo? Fino in America? No, non ero pronto. "Sto bene, non posso venire negli Stati Uniti adesso."
"Ma io e London siamo qui! Al London city airport." Mi rispose. "Davvero credi che dopo la telefonata di stamattina ti avrei lasciato solo?" Chiese. "Vieni a prenderci."
Era venuto da me, per me! Senza che gli chiedessi nulla. "Arrivo, il tempo di firmare un contratto e ci sono."
"Ti aspettiamo! Ehi Tom, non potrei mai lasciarti da solo." Mi disse Gabriel.
"Posso chiederti da dove hai preso questi soldi?" Drake mi guardava con sospetto intanto che felice chiudevo la telefonata con Gabriel.
Chissà cosa ne aveva fatto dei suoi cinquemila dollari. "Investimenti. Tu dovresti saperlo meglio di me." Gli risposi tranquillo.
"Ma io guadagno dalla T-KCG." Mi rispose.
"Io anche guadagno... chiedi alla mamma. Guadagno il dieci percento dalla gestione di villa Richmond e altri proventi dall'affitto della tenuta." Gli dissi sincero. "Altrimenti non avrei potuto avere un conto in banca già a sedici anni."
Lui aveva sospirato. "Il dieci per cento." Mi disse.
Annuii. "Mamma voleva che prendessi di più poiché le propose erano mie. Ma mi sono attenuto ad un basso provento, così da poterlo dividere con i miei fratelli. Le priorità sarebbero di..." Samuel non era mio fratello. In quel momento mi fu chiaro. Ma eravamo lo stesso una famiglia. "Tutti!" Conclusi.
Qualcuno bussò alla porta, doveva essere il legale che avrebbe ufficializzato l'acquisto delle neo quote.
"Eccovi." Si annunciò mia madre, bella come sempre. "Come mai sei qui? Hai fatto ciò che ti ho detto?" Mi disse venendo a darmi un bacio.
"In parte." Le dissi. "Perché mi hai chiesto di farlo oggi? Oggi e non prima." Le chiesi. Volevo capire se era rimasta in contatto con mio padre.
Lei mi sorrise malinconica. "Era l'ultimo volere di tua nonna Elisabeth." Mi rispose tranquilla. "Ti ha lasciato qualche cosa di importante che solo tu dovevi trovare." Mi rivelò.
Annuii. "Mille sterline." Le dissi.
Mamma mi guardò scoppiando a ridere. "Erano in una busta ingiallita?" Mi chiese.
Ridemmo anche io e Drake. La storia dell mille sterline dovevano saperla tutti. "Si! Ho deciso di non spenderli. Proprio come facesti tu." Annunciai.
"In realtà decisi di metterli in questa società. Tuo padre me li restituì quando gli diedi i soldi guadagnati al bar di Mike." Mi rivelò.
"Vuol dire che non devono essere spesi. Sono di buon auspicio fermi dove stanno." Le dissi con una smorfia. Il cellulare tra le mani fissai mia madre. "Stasera non ci sarò. Sono arrivati i miei amici da Boston. Dovrei anche andare a prenderli in realtà, sto aspettando che Drake finisce l'operazione..."
"Puoi andare. La pratica è partita, domani possiamo chiuderla." Mi rispose lui.
"Poi mi racconti di questa storia? Perché hai deciso di prendere le quote della T-KCG?" Mi chiese mamma.
Scossi le spalle. "Semplicemente era giusto. È una cosa tua e di papà, devo esserci anche io dentro. Stop." Le dissi decidendo finalmente di chiamare papà il famoso Thomas.
Mia madre mi guardò sorpresa, annuì carezzandomi il viso e parlò. "Cosa ti ha lasciato Elisabeth? Posso saperlo?"
"Un lascito d'amore e la verità. So di Samuel, anche se penso ci fossi già arrivato prima della lettera della nonna. Non hai mai avuto il pancione in quel periodo e io ero a casa, avevo cinque anni ma ero a casa." Le dissi.
Lei annuì. "Sei sempre stato troppo sveglio. Margot aveva vent'anni quando Andrew abusò di lei, rimase incinta e... tuo padre mi consigliò di far passare Samuel per mio figlio, cosi da preservare la gioventù di Margot."
"Mio padre!" Le dissi sorpreso.
Annuì. "Dopo la tua partenza per Monaco, tornò a Londra, ci incontrammo e..." Si prese un attimo e sospirando continuò. "Mi chiese di andare via con lui. Di lasciare Andrew e ricominciare, noi cinque. Tuo padre aveva anche un altro figlio nato prima di te."
Quindi era il momento delle confessioni. L'eredità della nonna aveva aperto il vaso di Pandora. Sapevo già tutto. Mamma aveva detto di no a papà. "Non hai accettato." Le dissi amareggiato.
"Andrew non voleva che lavorassi. Me lo dimostrò abusando di me una settimana prima della tua partenza, cambiò il mio anticoncezionale con delle caramelle. Credeva che mettendomi incinta mi avrebbe tenuta chiusa in casa. Quando tuo padre tornò a Londra ero sicura al cinquanta per cento di non essere incinta perché mi era venuto il ciclo. Ma c'era ancora una probabilità, non potevo rischiare che andando via io sarei passata dalla parte sbagliata. Quella dove io avrei lasciato il tetto coniugale, in questo modo lui avrebbe potuto prendersi Joel e il bambino che forse avrei aspettato. Ti ricordo che Elisabeth aveva annunciato a tutti che Joel era il suo unico erede." Mi confessò mamma. "Poi a novembre ebbi la conferma di essere incinta. Tuo padre mi scrisse una lettera dove mi suggeriva di adottare Samuel e liberare Margot da ogni impegno, fingere di aver avuto un parto prematuro poi. Siamo in tre, adesso in cinque a conoscere la vera identità di Samuel." Concluse. "Otto mesi dopo la nascita di lui venne al mondo Diamond. Ad oggi vivo ancora legata ad Andrew per il loro solo bene. Io non ho potere decisionale su Samuel e lui lo sa troppo bene, mentre la mia Diamond..."
Annuii. Diamond era la bambina di mamma, la sua unica femmina e grande gioia. Ogni giorno era una sorpresa e la gioia nei suoi grandi occhi scuri come quelli di... non come quelli di Andrew Davis. Diamond aveva gli occhi di Gabriel. Ma certo, Diamond era mia sorella, mia e di Gabriel! "Non vuoi che ti porti via Diamond." Conclusi. "Quell'uomo non ha un minimo di amore verso nessuno di noi. Preserva solo il suo tornaconto, è un cancro per la nostra famiglia."
"Lo so! Manca poco." Disse mamma. "Samuel e Diamond hanno un'età ragionevole. L'anno prossimo Diamond inizierà la scuola superiore."
"Continuerà in Svizzera? Heinrich dice che ci sono delle ottime scuole private." Le proposi intanto che Ebony ci raggiungeva sconvolta.
"Ehi gente..." balbettò.
Tutti e tre la guardammo in attesa. Mancavano un quarto alle tre. Gli uffici erano chiusi al pubblico, dovevamo andare.
"Mamma adesso devo andare..."Sorrisi. "Gabriel mi sta aspettando in aeroporto e si sta facendo tardi. Prendi in considerazione la mia proposta però." Dissi tirandomi su e aprendo la porta. "Gabriel?!" Mi chiese.
"Il mio amico. Resto fuori ricordi?" Le dissi andando via.
La sentii lamentarsi con Ebony. "Anche quest'anno non festeggerà con me."
Cazz... era il mio compleanno. Mi dispiaceva lasciarla sola. Ma Gabriel era venuto appositamente per me dopo che lo avevo chiamato alle quattro di mattina.
Scesi e mi riservai in strada alla ricerca del primo taxi disponile. Appena lo trovai mi ci fiondai dentro in contemporanea con un ragazzo di colore.
"Ti prego prendiamolo insieme. Devo andare da mio fratello." Lo supplicai.
"Ehi bello! Non posso, ho l'aereo tra un'ora." Mi disse mettendosi comodo.
Feci altrettanto. "Se lo hai tra un'ora vuol dire che vai al city. Abbiamo la stessa destinazione."
Il ragazzo mi fissò sorpreso. "Al City AirPort fratello." Disse con confidenza. "Ehi fratello, hai urgenza di ritrovare tuo fratello?"
Scossi la testa, non poteva capire. "Ho scoperto poche ore fa che lo è. Certo che ho fretta."
"Per questo è qui?" Mi chiese.
Lo fissai, non per la curiosità, tanto per la domanda che mi aveva fatto. "No! Non so neanche se lui sappia che siamo fratelli." Ammisi.
"Ed è qui per te? Cioè è all'aeroporto per te?" Mi chiese. "Comunque sono Liam. Piacere di conoscerti bello." Mi disse tendendomi il pugno.
"È una lunga storia Liam. Nostro padre ci ha fatto crescere insieme. Ma temo che lui non sappia nulla, non so neanche come comportarmi. L'ho chiamato quando ho scoperto che era mio fratello e lui ha preso il primo volo per raggiungermi."
"Almeno vi volete bene fratello. Se ha preso un aereo per stare da te ovunque egli fosse, lui ci tiene a te." Precisò.
Annuii. "È qualcosa di reciproco. Io sono Thomas, grazie Liam mi hai ridato lucidità. Se avessi seguito il mio istinto avrei subito detto a Gabriel che siamo fratelli. Per dove parti?" Gli chiesi cercando di mostrare lo stesso interesse. Non sarebbe stato spigliato come il suo ma sapevo essere di compagnia anche io.
"Vado a Oxford. Il primo ottobre inizio l'università e vado a prendere possesso della mia stanza."
Lo guardai perplesso dalla testa ai piedi, saremo andati alla stessa università. "E parti con un solo zaino?" Gli chiesi.
"Mio padre ha già spedito tutte le mie valigie. Ha grandi aspettative su di me." Mi rispose con una smorfia.
"A quale collegio sei  stato assegnato? Cosa studierai?" Chiesi sempre più curioso.
"Sono stato ammesso al Trinity, l'ho saputo solo mese scorso e studierò economia e management." Mi disse orgoglioso. "Una volta laureato mi toccherà lavorare nello studio commerciale di papà." Disse con un'ennesima smorfia.
"Anche io... cioè seguiremo gli stessi corsi e sono stato ammesso al trinity. A differenza tua sono libero da impegni, fonderò una mia agenzia di investimenti. Ho già avviato qualche pratica in merito." Dissi orgoglioso mentre scendendo dal taxi dividemmo anche il conto.
"Sei fortunato. Anche a me piacerebbe fare qualcosa di mio, ma ho le mani legate." Rispose Liam intanto che mi guardavo intorno.
Di Gabriel e London non c'era traccia. "Fallo adesso qualcosa. Una volta a Oxford non avrai obblighi verso tuo padre." Gli consigliai.
"Si ma è lui che paga tutto, non posso deluderlo come anche i rettori. Sai meglio di me che li dovremo dare il meglio di noi." Mi ricordò.
"Non avrai paura di fare un passo avanti. Andiamo Liam, sono sicuro che tuo padre e i rettori saranno fieri se mostri intraprendenza." Gli dissi sentendomi chiamare.
"Thomas?" Mi chiamò London, aveva un bicchiere tra le mani e i capelli biondi scomposti. Lo raggiunsi prendendo Liam e trascinandolo come me mentre salutavo il mio amico. Poco distante Gabriel mi dava le spalle mentre litigava con il distributore automatico.
"Liam, lui è il mio amico London. Lon, ti presento Liam. Saremo compagni di corso a Oxford." Dissi intanto che Gabriel ci raggiungeva.
Mi fu di fronte e mi afferrò per le spalle scuotendomi. "Tutto bene Tommy? È successo qualcosa? Tuo padre ha picchiato di nuovo tua madre, o peggio uno dei tuoi fratelli?" Mi chiese sparando fuori tutto come una mitragliatrice.
"Sto bene Gabe. È stato un attimo, sentivo di doverti chiamare e non mi sono accorto dell'ora." Mi giustificai.
"Siete molto legati. Ci sta che ti chiami nel cuore della notte." Intervenne Liam.
Gabe si voltò verso di lui curioso, lo guardò poi gli tese la mano. "Gabriel Keller. Sicuro di ciò che dici? Se me lo dici tu ci credo, Tom cerca di non farmi preoccupare e spesso omette di dirmi cose." Mi apostrofò guardandomi sospetto.
Liam si grattò la testa riccia guardandoci l'uno accanto all'altro. "Liam Thomson, piacere. Siamo protettivi eh... sei il fratello maggiore?" Chiese Liam ironico.
"No." Rispose Gabe secco intanto che io mi irrigidivo. Gabriel mi strinse per il collo e sorrise a Liam. "Siamo gemelli, abbiamo solo nove giorni di differenza."
"Oh cazzo!" Rispose Liam mentre London afferrava per il collo il moro, proprio come aveva fatto Gabe con me. Un sorriso a trentadue denti sul bel volto.
"Oh cazzo, lo dico io. Abbiamo lo stesso cognome." Proclamò. "Dobbiamo festeggiare, siamo qui appositamente per farlo a Thomas che si sentiva solo e adesso festeggiamo anche noi due."
"Thomson anche tu?" Chiese Liam arruffando i capelli già in disordine di London.
"Thompson. Ma non è una lettera che cambia la cosa! Siamo fratelli." Rispose il biondino.
"Thomson & Thompson. Ok puoi andare." Disse l'altro complice.
"Peccato che abbia già aperto una società con Gabriel. Altrimenti avrei rischiato, mi piaci Liam. Andiamo a festeggiare?" Concluse.
"Una società. Ehi fratello ma quanti anni avete. Thomas fa investimenti, voi avete delle società..." disse sorpreso.
Io guardai Gabriel, avevo il sospetto che anche lui aveva fatto fruttare i suoi cinquemila dollari.
"Comunque non posso seguirvi, devo prendere un aereo per Oxford." Concluse Liam.
"Annullalo, ti portiamo noi a Oxford. Così vediamo anche dove studierà Thomas." Disse Gabriel.
"Mi portate voi?" Chiese Liam.
Gabriel annuì. "Papà appena ha sentito che ero preoccupato per te mi ha concesso il jet della società. È a mia disposizione fino al mio rientro." Disse prendendo il telefono. "Anzi lo chiamo un attimo e gli dico che stai bene. Anche lui era in pensiero." Disse allontanandosi.
Liam mi fissò, io feci spallucce. "Ti ho detto che dovresti iniziare a formare il tuo avvenire. Vieni con noi e parliamo del nostro futuro."
"Tu sei fuori fratello!" Mi disse Liam mettendo in spalla il suo zaino.
"Non penso proprio. Basta poco per aprire la società, anche una sterlina. Ciò che conta è l'intenzione di portarla avanti." Lo sfidai.
"Oh basta parlare di lavoro, strategie di mercato e società." Affermò London "Dobbiamo festeggiare e lo faremo."  Concluse portandosi via Liam.
Dopo un po' fui raggiunto da Gabriel che mi guardava imbarazzato. "La prossima giuro la aprirò con te. Avevo un'occasione per le mani e non potevo perderla." Mi disse.
"Lo capisco io stesso oggi ero impegnato per degli investimenti. Mi hai chiamato che stavo iniziando una pratica e ammetto non ho pensato ad aprire una società con te." Gli dissi.
"Investimenti immobiliari come la villa di tua madre?" Gli chiesi.
"Un po' di tutto, oro, qualche quota petrolio, titoli di stato." Ammisi.
"All'oro non ci ho pensato." Mi disse Gabe. "Appena ho dei profitti dai proventi dei bitcoin devo investire anche in oro. Grazie per la dritta Tom."
"Caz... la moneta digitale. Non ci avevo pensato!" Affermai guardandolo. "Ho speso gli ultimi millecinquecento dollari nelle quote societarie di mamma." Gli confidai.
"A quanto va?" Mi chiese mentre Liam e London tornavano.
"Ha una quotazione alta. Infatti ho solo iniziato a comprarla." Gli dissi. "Vorrei una bella quota poiché la società è stata fondata dai miei genitori." Gli spiegai.
"Però vuoi lavorartela. Ti capisco." Mi disse. "Dove vuoi andare a festeggiare?"'
"Con voi? Va bene qualsiasi cosa." Risposi.
"Chi di voi ha un'auto?" Chiese London.
"Nessuno." Rispose Liam.
"Perfetto, prendiamo una torta poi saliamo sul jet." Disse Gabriel.
"Figo." Disse Liam scambiando il cinque con London.
Fu il mio primo viaggio in un jet privato, anche solo per sorvolare i cieli di Inghilterra. Bevemmo la birra a disposizione del jet e mangiammo la torta. Non soffiavamo le candele da anni, ma la foto simbolo di un altro compleanno insieme era il dono più importante di quella giornata.
A fine serata Liam e London erano ubriachi, farneticavano che dovevano creare qualcosa insieme. Non si poteva essere Thomson e Thompson a caso, non si potevano avere in comune nomi che cominciavano con la L a caso. Era destino.
Non sapevo, non potevo dirlo. Però erano fortunati.
"Sarebbe bello avere una cosa in comune come loro, vero Tom?" Mi chiese Gabe.
"Si! Sarebbe splendido. Soprattutto non avere il nome di quell'uomo." Avevamo tanto in comune in realtà.. Ma probabilmente come mi aveva ricordato Liam, Gabriel non sapeva e non potevo turbarlo. Io sapevo di non essere il figlio di Davis, fortunatamente. Ma Gabriel no, aveva una vita relativamente normale.
"Ehi Tom. Volevo comunque dirti che anche io ti voglio bene." Mi disse Gabriel. Lo fissai e gli sorrisi. La telefonata di quella mattina. "Mi sei caro come un fratello. In fondo siamo cresciuti insieme, io, te, Gellert e Joel."
"Come fratelli." Ricordai. Lo avevamo fatto! Vero non c'era bisogno che sapesse.
All'alba del venti settembre atterrammo ad Oxford. Prendemmo un taxi e ci facemmo portare al trinity collage. Dopo qualche ora di sonno e i postumi della sbornia Liam sembrava abbastanza lucido.
"Ragazzi studierò qui!" Disse esaltato incamminandosi verso la struttura che non era molto grande.
"Dammi una settimana di tempo e ti raggiungo." Gli dissi positivo.
Liam si voltò e abbracciandoci salutò tutti. È stato un piacere conoscervi ragazzi. London scrivimi, hai i miei contatti."
"So di non essere sociale come London. Ma se ti fa piacere Liam sai come trovarmi." Lo salutò Gabriel.
"Ti chiamerò appena avrò bisogno del jet di paparino." Scherzò lui camminando all'indietro per mantenere il contatto visivo fino all'ultimo.
Tornammo al jet e poi a Londra dove Gabriel e London vennero a riposare un attimo a casa mia prima di tornare a Boston.
Mia madre quando rientrò dal lavoro nel pomeriggio e incontrò Gabriel quasi fu presa da un colpo. Avvertivo che fissava costante il mio amico. Ricordavo di Thomas Keller che aveva gli stessi colori di Gabriel, ma non il viso, probabilmente si somigliavano anche molto perché mia madre era bianca come un cadavere. A un certo punto con più confidenza inizió anche a chiedere a entrambi della loro famiglia. Decisamente stava informandosi su mio padre. Anche io scoprii un po' di cose. Che viaggiava il minimo indispensabile, per andare a Sidney a trovare suo figlio Rafael ad esempio, oppure andava in Italia a trovare la famiglia della moglie e in Germania per il fratello. Ma in linea di massima restava a Boston e dintorni, per stare con la famiglia e col padre che ormai era vedovo. I genitori di Gabe e London si conoscevano, ma lo avevano iniziato a frequentarsi da quando avevano iniziato la scuola. Micaela, l'unica sorella di Gabe era la migliore amica di Alaska, sorella di London.
"Micaela com'è?" Chiesi curioso. Assomigliava un po' a noi o a Diamond?
"Somiglia molto a Marina." Rispose Gabe.
"Wow! Allora è bellissima." Dissi ricordando la donna.
Non parlammo più, ne io, ne Gabe.  Evitammo di parlare della morte di lei, sapevo quanto era stato distruttivo il lutto nella famiglia di Gabriel. Il mio amico non ricordava più nulla di lei, se non dalle foto. Infatti lui cambiò argomento.
"Adesso è meglio che torniamo. Papà già ci ha scritto un paio di volte. Devo dargli un orario di partenza."
"Hai già comprato il biglietto Gabriel?" Gli chiese mamma.
"No no. C'è il jet della società. Papà mi ha visto disperato e mi ha mandato con qui con la sua benedizione." Disse Gabriel facendo l'occhiolino a London. "Qualche volta i miracoli esistono. Anche papà è clemente."
London rise. "Dai vedrai che prima o poi si scioglierà un po'. Grazie mille lady Cooper di averci ospitati."
"E ancora complimenti. È davvero bellissima lady Cooper. Tom sei fortunato ad avere una mamma così giovane e gentile."  Le disse salutandola.
"Grazie a voi ragazzi di essere venuti a festeggiare con Thomas il suo compleanno." Rispose mamma.
"Grazie sempre a papà Thomas." Scherzò London . "Arrivederci."
"Tom qualsiasi cosa chiamami sempre."
"Vai Gabe... vai. Certe volte mi stai col fiato sul collo più di mamma." Gli dissi sulla porta.
"Gemelli di sangue." Ancora mi canzonò Gabriel prima di salutare definitivamente mamma. "Arrivederci lady Cooper."
Chiusi la porta alle loro spalle e poggiai la testa contro lo scuro.
"Gemelli di sangue?" Mi distrasse la voce divertita di mamma.
"Abbiamo nove giorni di differenza. Ci abbiamo sempre giocato sopra." Lei tacque senza scoprirsi. "Ti sei innamorata di lui." La canzonai.
"È il mio ideale di bellezza. Ci vorrebbe solo qualche anno in più." Ammise.
"Te lo faccio incontrare più in avanti." Dissi. "Vedremo se ti piacerà  ancora."
Mi voltai a cercare il suo sguardo. "Hai le ricevute delle mie azioni?"
Annuì. "Sono sulla tua scrivania."
"Bene, vado su. Così metto tutto in valigia." Mi avvicinai a lei e le diedi un bacio sulla guancia. "Buonanotte mamma."
"Buonanotte tesoro." Mi rispose. Andai verso le scale, mi fermai quando mi richiamò. "Thomas." Mi voltai col piede già sul primo grandino e attesi. "Auguri di buon compleanno."
Annuii. "Grazie mamma, grazie di tutto." Con tutto intendevo veramente tutto, la vita che mi aveva dato e che aveva sacrificato per me e i miei fratelli. Tutto!
Mamma assentì. "Buonanotte Tom." Mi congedò.
Capii che non mi avrebbe detto altro. Soprattutto non mi avrebbe detto che Thomas Keller era mio padre.
La settimana successiva arrivai ad Oxford. Al trinity college tirava una bella aria e i corsi erano molto intensi. Ero vicini di stanza con un paio di scozzesi anche se non riuscivo a fare tanta conversazione con loro. Ritrovai Liam al primo corso di economia e la prima cosa che feci fu andare a sedermi accanto a lui.
Mi disse che a anche lui piacevano i corsi e dopo la lezione mi portò nella sua stanza che si trovava una ventina dopo la mia.
Posammo la borsa e andammo insieme a pranzo. Una volta in mensa prendemmo le nostre ordinazioni e quando fummo a tavola aprii il portatile per controllare le azioni e i beni che avevo acquistato. Salivano di valore ogni giorno, tanto che avevo venduto una parte della quota del petrolio e avevo investito i proventi in bitcoin. Il mio conto stava salendo e ne ero soddisfatto, spiegai a Liam come stavo muovendomi e gli mostrai quanto creare una società insieme poteva favorire entrambi.
"Una società di investimenti.  Possiamo decidere di partire da un capitale basso e gestendola noi due non saremo vincolati da eccessivi impegni.  Mettiti in gioco prima di entrare nello studio commerciale di tuo padre." Gli spiegai. "Come vedi è una cosa che riesco a fare da solo. Ma se vuoi possiamo provare insieme e se non riesci la sciogliamo, purtroppo le società con una sola persona non si possono creare." Gli dissi chiedendomi perché con Liam fosse così facile parlare con confidenza di tutto. All'inizio in un taxi poteva essere stato una sfogo con un perfetto sconosciuto. Ma dopo non più. Era entrato nel mio mondo con i miei più cari amici ed ora eravamo io e lui. Liam con i suoi profondi occhi scuri sembrava sapermi leggere dentro e con leggerezza.
"Ok! Ci sto." Mi disse. "Fammi capire cosa fai, fai provare me e se va apriamo la società. Come la chiamiamo?"
Gli sorrisi. "LTK investiment?" Proposi. Erano le nostre iniziali e poteva andare benissimo.
"Liam, Thomas e??" Chiese lui.
"Liam Thomson e Thomas Keller che è il cognome di mio padre." Gli rivelai.
"Non ti va proprio avere il nome Davis eh?!" Mi disse lui. "Dovrai raccontarmi la tua storia amico mio. In fondo stiamo aprendo una società insieme."
"A patto che anche tu mi racconterai la tua." Gli dissi fermo sulla mia posizione. In fondo di Liam conoscevo solo il cognome ed il fatto che il padre avesse uno studio di commercialisti.
Iniziò così il nostro sodalizio e la nostra amicizia. Eravamo io e lui, col tempo avevamo imparato a leggerci dentro anche solo con lo sguardo.
Il percorso universitario si muoveva in parallelo al percorso della nostra società che cresceva sempre di più.
Personalmente e a livello familiare ero riuscito a spostare Diamond in un collegio svizzero non femminile, al contrario non riuscii a fare nulla per Samuel che fu costretto dal padre ad andare all'Eton school.
L'estate del 2012 ero arrivato ad avere un bel patrimonio tutto mio e mi mancava un ultimo anno al conseguimento della laurea. Diamond aveva concluso il percorso al collegio ed era pronta a tornare a Londra da noi.
Il tredici luglio, al compimento del suo diciannovesimo compleanno, una festa sfarzosa con ospiti di alto rango accolse al grand hotel Rosewood, l'ingresso in società di Diamond. Quell'evento era stato fortemente voluto da Andrew, probabilmente dati gli ospiti le sue intenzioni erano quelle di dare in moglie la mia splendida sorella.
Diamond era veramente bellissima, come mamma aveva la pelle di porcellana, lineamenti gentili e capelli biondi con una tonalità scura come la mia però. A differenza di mamma uno sguardo sveglio e ribelle la faceva da padrona nei suoi occhi scuri, così simili a quelli di Gabriel.
Pronta per il suo ingresso in società indossava un vestito di Armani color pervinca, aveva categoricamente abilito il bianco, una piccola tiara faceva bella mostra di sé sul capo, era truccata in modo leggero.
"Probabilmente tuo padre proverà a venderti al primo miliardario che si fa avanti." Dissi a mia sorella mentre mi aggiustavo il cravattino.
"Tu cerca di tenerti lontana dai vecchi e da chi ti guarda in modo viscido." Intervenne nonno Edward.
Sorrisi. Adesso che avevo quasi venticinque anni i Visconti di Shaftesbury mi avevano raccontato tutta la storia di mamma, dei debiti di gioco che il nonno aveva contratto e dello spirito di sacrificio di mamma che si era sposata per salvare loro dalla disgrazia. Il nonno aveva cercato di chiedermi scusa, anche se aveva ammesso che per tutte le pene che io e mamma avevamo vissuto le sue scuse non sarebbero mai bastate. Evitai però di arrabbiarmi con lui, Edward Cooper aveva settant'anni e probabilmente aveva già pagato abbastanza per i suoi errori. Se lo aveva perdonato mamma, chi ero io per andargli contro? Almeno con Diamond, a mente lucida, sapeva da che parte stare.
"Facciamo che ci penso io!" Intervenne Diamond. "So come non farmi mettere i piedi in testa e se papà prova a minacciarmi gli faccio fare una figura colossale di fronte tutta la Londra che conta." Disse divertita.
Ecco la mia Diamond. Al contrario di mamma non era remissiva, nonostante fosse stata in Svizzera era abbastanza ribelle e questo carattere da ragazzina le aveva probabilmente fatto prendere anche qualche ceffone. Io purtroppo non c'ero stato e non sapevo se fosse o meno accaduto. Le testimonianze di Samuel erano state che Andrew lo aveva picchiato per tutte le volte che aveva pettinato i bellissimi capelli di Diamond o se si era provato i suoi vestiti.
Andrew Davis non ammetteva che l'unico figlio che gli somigliava avesse delle tendenze omosessuali fin da piccolo, e Samuel ne aveva pagato parecchio le conseguenze.
"Scendiamo. La créme della nobiltà londinese mi aspetta." Annunciò Diamond prendendo Samuel sotto braccio. Lui indossava un abito giacca bianca a fiori rosa e un pantalone a sigaretta bianco. Una camicia rosa alla coreana completava il suo look, scelto appositamente da nostra sorella.
Una volta in sala Diamond venne accolta tra gli applausi, quando il concierge la presentò quale Diamond Ariel Cooper Ashley, viscontessa di Shaftesbury con i suoi fratelli, Thomas, Joel e Samuel.
Tutti gli occhi furono puntati su di noi. Diamond fiera camminava a schiena dritta e sguardo alto verso il centro della stanza. Fino ad arrivare al mio amico Liam, voluto fortemente lì da me e mia madre.
"Ho scelto te come mio cavaliere per tutta la serata. Fammi ballare!" Disse prendendolo per mano intanto che Andrew boccheggiante la fissò.
"Devi ballare con i tuoi ospiti." Le disse.
"È quello che farò. Liam è un nostro ospite infatti. Buona serata a tutti." Concluse lei andando a centro stanza.
"Diamond. Obbedisci e sta lontana da quel ragazzo, non è... alla tua altezza." La richiamò Davis.
Liam rise. "Voleva dire nero?" Lo sfidò il mio amico. "È quindi anche razzista?"
Davis boccheggiò. "Non sei del suo rango, per cui Diamond obbedisci." La minacciò lui.
Alche mia sorella si staccò da Liam e applaudì al fine di attirare l'attenzione su di sé. "Miei cari ospiti ascoltate." Urlò aspettando di avere la giusta attenzione.
Una volta che fu calato il silenzio parlò.
"Miei cari ospiti, sappiate che questa sera. Al mio diciannovesimo compleanno, nella mia serata, io ballerò solo con Liam Thomson, un giovane laureando ad Oxford, che ha dimostrato già la sua natura altruistica e intraprendente." Annunciò. "Purtroppo mio padre, una persona che al contrario è egoista e senza scrupoli vuole proibirmelo, asserendo che Liam non sia alla mia altezza, non rientrando nei suoi canoni. Adesso mi chiedo, quali siano questi canoni. Mi minaccia! Quindi vi dico e lo faccio in vostra presenza così che tutti sappiate, che se domani mattina o anche in serata io avrò un graffio sulla mia candida pelle,. O se Liam sarà stato picchiato, ma anche mio fratello Samuel perché abbia mostrato questa sera la sua natura omosessuale avrà segni di percosse.
Che questi atti saranno commessi da mio padre." Un lieve brusio si sollevò nella stanza. Ero basito ma anche orgoglioso, Diamond probabilmente aveva scelto appositamente quella serata per mettere tutto allo scoperto. C'erano testimoni e tutta la gente che voleva compiacere Davis e che fino a quel momento lo aveva protetto.
"Andrew Davis, l'uomo che in questi anni ha picchiato e carezzato voluttuosamente me, sua figlia. Torturato fisicamente e psicologicamente mia madre e mio fratello, credendo di averne il diritto solo perché pensava di averne il potere. Ritiene che essere mio padre gli dia la libertà di decidere per me, per Samuel e Joel. Crede che essere il marito di mia madre, gli dia il diritto di picchiarla. Eppure mia madre lo ha cacciato di casa prima che io nascessi, ella che gli ha dato anche più volte occasioni di redimersi negli anni, facendolo partecipare alle feste di famiglia, come in questo momento. Ma lui ha continuato ad alzare le mani su di noi. Thomas e Joel sono dovuti andare in un collegio per non avere un'infanzia fatta di percosse, purtroppo la morte di nonno Oscar e nonna Elisabeth ha fatto sì che lui non ci facesse allontanare da Londra. Capite quindi a quali torture siamo andati incontro. L'uomo con cui fate affari e che vorrebbe entrare nelle vostre grazie, in realtà è un mostro che ha costretto mia madre a sposarlo con un ricatto. Con lo stesso ricatto ha abusato di lei ogni volta che dormivano insieme." Lo accusò fin quando non venne zittita da Andrew stesso.
"Smettila." Le urlò contro. "Mente! Lei e sua madre vogliono rovinarmi poiché ho in mano le loro finanze che non faccio sperperare." Si difese Andrew.
"Le loro finanze non vengono sperperate perché le gestisco io." Intervenni spalleggiando mia sorella. "Io ho investito nei beni immobili dei Visconti di Shaftesbury facendone salire il valore. Io gestisco le loro finanze e il loro conto." Annunciai.
"Sta zitto bastardo." Mi minacciò Davis.
Per quanto mi urlasse contro quella parola non mi offendeva, meglio bastardo che figlio suo. "Cosa fai se parlo. Mi picchierai come facevi quando avevo quattro anni?" Chiesi. "Oppure come quando ne avevo quattordici? Sai dopo quella volta ho iniziato a frequentare corsi di autodifesa. So difendermi e meglio, non ti permetterò più di picchiare mamma e i miei fratelli." Gli dissi guardando tutti i commensali. "Vi posso assicurare che quest'uomo ha solo delle piccole quote della London banks."
Rassicurai tutti i presenti. "Oscar ed Elisabeth Davis hanno lasciato la banca al legittimo proprietario, appena saremo laureati io e Joel ne prenderemo in mano le redini. Andrew non influirà sulla vostre finanze o sui vostri investimenti." Dissi prendendo una flûte per me e Diamond. "Andrew Davis si appella del nome di visconte di Shaftesbury, ma non lo è. Deve il suo tenore di vita alla rendita che gli hanno lasciato i genitori e una casa nello Yorkshire dove ha residenza. La festa che stasera vi godrete è opera nostra. Buona serata." Dissi alzando il flûte in un brindisi.
Anche Diamond alzò il calice. "Santé!" Disse chiudendo l'argomento.
Ma Davis probabilmente non la pensava così. Mi afferrò per il collo della camicia fissandomi malevolo. "Non ti permetterò di rovinare la mia serata." Mi minacciò.
"Lascialo stare Andrew." Lo richiamò mia madre. Ma lui non mi lasciava.
Al che mia madre ci raggiunse tirandolo per un braccio. "Lascia stare mio figlio." Disse autoritaria.
Lui in risposta la fissò con il suo sguardo gelido e lasciandomi andare la afferrò e la spinse a terra con forza. "Questa è colpa tua che non hai saputo educare questo bastardo. Puttana!" La minacciò intento a darle un calcio che fu fermato all'istante da un intervento esterno.
Mamma intanto si era coperta il viso con le braccia per attutire il colpo che sapeva stava arrivando.
"Posso aiutarla lady Cooper? Ci scusi avremo dovuto impedire che le facessero questo." Le stava dicendo un ospite aiutandola ad alzarsi.
Un altro teneva Andrew Davis per le spalle allontanandolo da noi.
Diamond aveva avuto un piano sin dall'inizio e stava funzionando. Andrew aveva mostrato la sua vera natura e avevamo dei testimoni. Era stato incastrato proprio mentre tentava di picchiare mamma. Adesso era veramente finita.
"Tutto bene? Stai bene caro?" Mi sentii dire.
Mi voltai. Una ragazza bionda con gli occhi verdi, le labbra leggermente gonfie anche se non naturali e il fisico prorompente mi era accanto carezzandomi il torace e aggiustandomi il colletto. "Che villano! Afferrarti in quel modo." Mi disse.
La fissai. Era carina e giustamente preoccupata. Forse era coetanea di Diamond, anno più anno meno. "Sto bene grazie." Le dissi educato.
"Vanessa Smith, piacere di conoscerti. Quindi studi a Oxford? Sai anche io inizierò a ottobre, al Magdalene college." Mi disse continuando a rassettare la mia camicia.
La trovai invadente in questo. Posai il bicchiere su un vassoio che passava in quel momento. La sicurezza stava portando via Davis, mamma era circondata da Joel, il nonno ed Ebony, stava bene.
Samuel chiacchierava con Drake e Isaak, Diamond aveva dato il via alle danza con Liam.
"Balliamo, ti va?" Chiesi a Vanessa.
"Speravo proprio che me lo chiedessi. Tu sei?" Mi chiese.
"Thomas Davis." Mi presentai, non immaginando che quella ragazza sarebbe diventata la mia fidanzata in poco tempo.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia si svolge in contemporanea con la storia di Gabriel Keller in Liberi di essere se stessi. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
Il microstato del Keinsten non esiste, ne ho inventato uno a somiglianza e ispirazione del Lietchsten. Nomi, luoghi e altro sono di mia invenzione
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna e Nord Europa INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE -Albero Genealogico:I Thompson - I Keller

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Io e Vanessa iniziammo a frequentarci poco prima della fine di luglio.
Uscivamo insieme, io, lei, Liam, Diamond e a seconda del caso i loro partner di turno. Il mio miglior amico non era decisamente attratto da mia sorella e viceversa.
Vanessa aveva una certa perseveranza nello starmi accanto. Alle volte me la trovavo nella sede della T- KCG oppure nell'adiacente ufficio che avevamo affittato per la LKT Investment. Una volta, la prima che avevo rivisto Vanessa era stata alla London banks.
Dopo i fatti del ballo infatti, Joel era stato chiamato e controllare le azioni di Andrew e come consulente mio fratello aveva voluto che fossi con lui. Eravamo nello studio di Lincoln Smith, l'altro socio della London Banks, coetaneo di Andrew a controllare i conti quando la porta si aprì lasciando emergere Vanessa.
"Nonno posso entrare." Si annunciò la ragazza che appena ci vide si illuminò.
"Nonno?" Chiesi a Smith che annuì.
"Vanessa mi ha accompagnato alla festa di Diamond. È la figlia di mio figlio, anche se James lavora alle casse qui in banca." Spiegò l'uomo. "Il fratello di Vanessa invece fa l'attore. Non se la sentiva di seguire le orme di famiglia."
In pratica come socio negli anni avrebbe incassato solo i proventi della banca. Che comunque stava andando in rosso.
"Se mi permette Lincoln vorrei tutti i movimenti bancari degli ultimi anni. La banca è a rischio fallimento, ne è consapevole vero?" Dissi tornando a dedicarmi a quello che era il socio più anziano in carica.
Lui annuì. "Credo sia chiaro che gestivo tutto io. Davis era più una presenza e più di una piaga non era. Come hai ben capito, i miei eredi non seguono la banca da vicino. A mio figlio basta fare lavoro di cassa e da quando ci sono le casse automatiche si è impigrito nel lavoro."
"Forse perché con le casse automatiche non può fare falso in bilancio." Dissi schietto. "Siete consapevoli che c'è una falla nel sistema di questa banca?" Chiesi ancora.
"Siamo in debito. Ma James non c'entra nulla, non farebbe mai niente che potrebbe nuocere la banca, è la nostra eredità. Vanessa andrà ad t e solo con un tenore di vita alto potrebbe frequentarla. Secondo te come ha fatto Andrew a pagarti l'università?" Mi disse l'uomo.
Quindi era probabile che era stato lui a presentare il falso in bilancio? Cazzo! Dovevo risollevare la banca, era il lascito della nonna e non potevo lasciare che fallisse per gli errori di altri nella scelta dei soci o nella gestione fiscale.
"Va bene. Le credo Lincoln. In fondo lei era uno dei soci di Albert Davis e suo padre era socio fondatore con Malcom Parker, il padre di mia nonna Elisabeth. Sicuramente non manderebbe il loro lascito emotivo in mano a dei creditori." Gli dissi. "Giusto?" Chiesi all'uomo che assentì tremante.
Probabilmente chiamandoci li aveva pensato di trovarsi di fronte un inetto come Andrew. Ma con me aveva sbagliato persona. Dovevo proteggere gli affari dei miei fratelli e per farlo dovevo intervenire. "Perfetto! Da domani lavorerò qui e vedrò di risollevare le redini della banca. Ho bisogno di avere tutti i tabulati degli ultimi sedici anni, da quando è morto Albert Davis in pratica. Ho solo tre mesi di tempo per risolvere i danni che sono stati fatti e per farlo questa estate resterò qui. Quando rientrerò da Oxford a dicembre, starò qui. Sarà un tour de force, ma riporterò questa banda agli antichi splendori." Annunciai.
"Posso aiutarti Thomas. Tu dimmi ed io farò ciò che vuoi." Mi disse Vanessa.
Io la guardai. "Cosa studierai a Oxford?" Le chiesi pensando che sarebbe stata lei a seguire le orme del padre e del nonno.
"Letteratura antica." Rispose.
"Fantastico. Serve quanto me..." mi sussurrò Joel con una risatina.
"Ok! Ti farò sapere Vanessa." Dissi abortendo una risata e dando una gomitata a Joel.
"Ti lascio il mio numero di cellulare. Così potremo sentirci." Disse scrivendolo su un post it. Lo staccò passandomelo, Joel lo prese al posto mio. "Adesso dammi il tuo."
"Il mio?" Chiesi interdetto.
"Ovvio! Devo registrarti." Mi disse in attesa.
Guardai ora lei, ora Lincoln che aveva le braccia incrociate sul petto con aria soddisfatta. Sospirai e nel farlo gli scandii il mio numero di telefono. "Ti lascio anche quello di Joel."
"No, non mi serve grazie." Mi disse mettendo il post it nella borsa. "Vi lascio al vostro lavoro adesso. Chiamami Thomas." Ci salutò.
Quando usciamo dalla banca Joel se la rideva. "Ha salutato solo te ignorando anche il nonno." "Ma no! Forse andava di fretta." Dissi ignorando il suo commento. Lo avevo capito anche io che mirava a me.
"Eppure hai avuto tante avventure. Dovresti averlo capito." Mi disse Joel.
Sbuffai. "Lo so! Era palese Joel, come è palese che sei innamorato della tua amica Sonia." Gli dissi sfidandoli.
Lui guardò verso i palazzi alti. "Dagli quello che vuole, così ce la togliamo di torno." Mi consigliò.
"Disse quello che crede nell'amore romantico. Mi dici sempre di non cambiare ragazze di continuo."
Lui rise. "Tu, London e Gabriel avete questa incostanza che qualcuno un freno deve darvelo." Mi ricordò.
"È la nipote di Lincoln Smith, non posso scoparmela e poi lasciarla. Lo sai vero?" Gli dissi.
"Lo capisco. Temi che ci sia falso in bilancio? Di cosa si tratta?" Mi chiese.
Lo fissai. "Ho dei sospetti, o almeno mi sono venuti quando Smith ha detto che il figlio si è impigrito con l'avvento delle casse automatiche. Gellert sta studiando diritto commerciale giusto?" Chiesi e Joel annuì. "Puoi chiedermi se può farmi un controllo? Sicuro è arrivato a livello che può capirci più di me."
"Sicuramente, sta seguendo Müller come stagista da anni. Gli manca solo il master per completare la specializzazione. Lo chiamo e vi faccio parlare insieme. Ok!" Mi disse.
Assentii dopodiché mi diressi alla LKT dove Liam stava incontrando un probabile cliente.
Senza disturbare andai nel mio ufficio acceso il computer e come da routine controllai tutti i miei investimenti. Probabilità di altri acquisti e presumibili vendite.
Alle 15:00 arrivò il mio appuntamento programmato, così facendo misi da parte me stesso e i pensieri che la London bank mi portava.
Meno di una settimana dopo avevo parlato con Gellert che mi promise di controllare le trattative della London se gli fornivo tutti i movimenti, le entrate e le uscite il bilancio finale e il legale che si occupava della London Banks. Io intanto cercavo un modo per risollevarne le sorti. Annunciai a Smith che avremo venduto delle azioni, la causale era il lascito di alcuni soci. Non volevo scatenare scandali e c'era bisogno di sollevare la quota sociale quanto prima. Anche io personalmente comprai una fetta delle azioni in vendita.
Stavo lavorando come un matto e quando mi squillò il telefono risposi senza controllare chi fosse.
"Ciao Tom! Sono Vanessa, ti ricordi di me?" Si presentò la ragazza a telefono.
"Certo che mi ricordo. Hai bisogno di qualcosa Vanessa?" Le chiesi impaziente.
"Non mi hai chiamato ed ho pensato che fossi timido." Assolutamente no! "Quindi ho telefonato io. Pensavo che potevamo vederci? Cosa ne pensi?" Mi chiese.
Pensavo che se ne poteva fare a meno, ma essendo la nipote di Smith evitai di dare voce al mio pensiero. "Certo! Va bene questo sabato sera?" Le chiesi.
"Oh con molto piacere. Ti do l'indirizzo dove puoi venire a prendermi." Certo!
Quando staccai la telefonata sbuffai. Cazzo! Vanessa non me lo faceva neanche drizzare, altrimenti una botta e via me la sarei fatta con piacere. Era carina ma c'era in lei qualcosa che mi tratteneva.
Così chiamai Liam e gli proposi un'uscita a quattro per quel sabato. "Trovati una ragazza, tanto lo so che subito fai." Gli dissi.
Quando andammo a prendere Vanessa quel sabato fui sorpreso che vivesse in una lussuosa casa del centro. Da tabulati suo padre era un semplice impiegato della banca e recepiva un minimo di rendita dalle quote bancarie.
Vanessa fu sorpresa che il nostro appuntamento non era tanto privato. Lo fu la prima volta e quella successiva e l'altra ancora.
"Dovremo uscire da soli. Sai, così per avere un po' di intimità." Mi disse una volta posando la mano al mio inguine.
Speravo vivamente che Diamond non fosse così disinibita con gli uomini.
"Non sarei tanto di compagnia. Sai ultimamente ho tanti pensieri." E me li danno tuo padre e tuo nonno. Pensai.
Gellert mi aveva avvertito che probabilmente c'erano state delle false dichiarazioni da parte della London Bank, in cui rientrava anche il mio patrigno. Essendo lui uno dei soci attivi fino a meno di due anni prima. Stavano ancora procedendo e stavamo andando con i piedi di piombo per non allarmare gli Smith e i loro legali, con altri probabili complici.
Questa situazione era troppo grossa per me e avevo bisogno di parlarne con qualcuno che sapesse come farci uscire in modo pulito. Fu quella l'occasione in cui conobbi Alexander e Malcom Thomson, rispettivamente il padre e lo zio di Liam. Era quasi la fine di agosto e non potevo lasciare andare quella cosa nel dimenticatoio, avevo bisogno di fidarmi dei miei collaboratori.
Rivelai loro i miei sospetti, girando tutta la documentazione e affermando che alcuni movimenti dal duemila e cinque ad oggi erano introvabili o incongruenti.
"Sono quasi dieci anni Thomas." Mi disse il padre di Liam.
"Dieci anni ai danni dei nostri creditori e debitori. Devo fare qualcosa, salvare il salvabile. Ho messo in vendita delle quote e ne ho anche comprate per risollevare la banca. Ma non so quanto potrà aiutarmi. Non posso fallire anche io per salvare qualcosa con del marcio dietro." Gli dissi. Cazzo ero giovane e stavo mettendo su un piccolo impero. Un passo falso con la London banks e sarei caduto.
Avevo bisogno di una guida! Ma chi? Non potevo andare da Drake se ne parlavo con lui o con qualcun altro alla T-KCG sarebbe stato riportato a mia madre che sicuramente non immaginava del disastro combinato alla London banks.
"Per favore, fate tutti i controlli. In mail vi invierò il contatto del mio legale commerciale, che sta seguendo le sue ricerche e tutti i bilanci di esercizio degli ultimi dieci anni." Dissi ad Alexander.
"Sei quindi riuscito ad avere tutti i bilanci." Mi disse l'altro Thomson serio.
"Liam è riuscito a recuperarli e a redigerne di reali degli ultimi tre anni. Questo solo sulla base di quello che c'era in banca. Ma sicuramente l'ufficio commerciale che segue la banca ha molto di più. Solo..."
"Potrebbe essere implicato nella dichiarazione del falso." Concluse Malcom.
Annuii. Alexander guardava il figlio orgoglioso. "Già è qualcosa essere riusciti a simulare un bilancio reale. Fateci avere anche quello e preparatevi al rientro ad Oxford. Questo è l'anno della laurea e si hanno grandi aspettative su di voi." Ci disse.
Quando ci lasciarono ringraziai Liam per avermi presentato il padre. All'inizio non se l'era aspettata la mia richiesta. Poi aveva capito, io mi fidavo di lui, di conseguenza lo facevo dei genitori. Al contrario non mi fidavo di altri.
"Non ti fidi dei soci della T-KCG?" Mi chiese.
"Loro fanno altro. Non si occupano di bilanci e banche." Gli dissi.
"E..."
Sbuffai. "E potrebbero raccontare tutto questo casino a mamma."
"E a tuo padre." Concluse Liam.
"Non me ne fotte un cazzo di Andrew Davis, lo sai." Gli dissi. Era di Joel e Samuel che mi preoccupavo.
"No! Io mi riferivo al tuo vero padre." Affermò Liam.
Lo guardai. Il mio vero padre... ma certo. Pensieroso indicai Liam. "Genio. Sei un genio." Dissi controllando l'ora per poi calcolare il fuso oraio. In America erano le 7.00 del mattino. Composi il numero di Gabriel e attesi che mi rispondesse. Al suo pronto una gioia immensa mi pervase.
"Ehi Gabe!" Lo salutai.
-Ciao fratello.- Mi salutò lui. - Qual buon vento, quando hai annullato la nostra vacanza annuale mi sono preoccupato.- Mi disse.
"Ho ancora una gatta da pelare. Per questo sinceramente ti chiamo, so che tra un po' partirai per Monaco e avrei bisogno di un favore." Gli dissi.
-Si, parto dopo domani. Se vuoi parto prima e passo da te a Londra.-Mi disse.
"Mi farebbe piacere, ma non puoi aiutarmi. Al contrario qualcuno con più esperienza potrebbe farlo." Gli dissi.
-Ah lo stronzo! Guarda Tom, ho litigato sia con papà che col nonno, parlane con me e ti aiuto io.-
"Sembri amareggiato. Cosa succede Gabe?" Gli chiesi guardando Liam. Ero stato talmente preso che avevo messo da parte anche Gabriel e London. A ben pensarci non sentivo Heinrich da almeno tre mesi. Ero un pessimo amico.
- Mio padre e mio nonno reputano opportuno un mio prossimo matrimonio. Ai fini di una buona impressione per i vertici dell'azienda. Nonno vuole che dopo lo stage a Monaco io prenda il posto di amministratore delegato e per darmi quella posizione esige che io mi sposi. Mio padre poi lo appoggia. Lui che non ha mai messo la testa a posto.- Si sfogò Gabriel.
Io sapevo perché suo padre non si era mai concesso seriamente a qualcuno a parte Marina. Ma non potevo rivelare ciò che era un segreto per lui e la sua famiglia. Avrei dovuto dirgli anche la verità su di me per farlo. "Avete urlato?" Chiesi.
- Sì! Ho detto al nonno che poteva tenersj la sua azienda. Io con la mia piccola G&L company sto bene. - mi confidò.
"E tuo nonno ha accettato questa cosa? Cioè pensavo fosse tuo padre il CEO."
-Si è lui per ora, ma nonno è il fondatore.- Mi spiegò.
"Così hai litigato con entrambi."
-Col nonno piuttosto. Perché poi in privato papà mi ha detto che non potevo aspettare e stare a guardare chi veramente amo.-Dice che qualcun altro potrebbe portarmela via. - Mi si strinse il cuore. Papà ci era passato, si era visto portare via la sua Sapphire.
"Parliamo di Heidi adesso." Affermai. Non la conoscevo, ma London spesso mi diceva che avanzi si trattava di sua sorella, Gabriel diventava un imbecille.
-Lei proprio.- Sbuffò Gabe. - Papà dice che I Thompson hanno dei progetti con gli Hoffman per lei e London mi ha confermato che vogliono accorpare l'impresa degli Hoffman. -
"Un matrimonio agevolerebbe le pratiche." Dissi immaginando la pena di mio padre in quel momento. Stava vivendo di nuovo attraverso Gabriel la sua agonica giovinezza.
"Ti consiglio anche io di farti avanti con Heidi. Rivelale i tuoi sentimenti, sei in tempo. Le chiedi di sposarti e tuo nonno non avrà più nulla da ridire e tu sarai felice con chi ami." Gli consigliai.
-Sei più saggio di me in questo. Sei stato ferito da qualcuno Tom?-
"No, io no. Ma mia madre sposò Davis perché fu data in sposa per pagare i debiti del padre." Confidai.
- Non mi avevi mai detto perché tua madre aveva sposato Davis e non tuo padre.-
"L'ho scoperto anni fa, quando disperato ti chiamai alle 4 di mattina." Gli rivelai ridendo. Adesso ero molto più rilassato in merito.
-Ecco perché eri sconvolto. Sai tutto delle tue origini.- Mi disse comprensivo.
"Si." Risposi. "E conosco il rimpianto che ancora alberga nel cuore di mia madre e i tentativi di mio padre di tornare insieme fino a quando avevo cinque anni." Finii di raccontare.
-Rimpianto anche suo.- sussurrò Gabriel.
"Ma mamma anche se non amava Davis era sposata con lui." Ricordai a Gabe.
-Devo seguire il consiglio di papà e andare da Heidi, dirle ciò che provo.- Affermò Gabe.
"Fallo e tienimi aggiornato." Gli dissi. "Fai buon viaggio fratello. Ti saluto." E così dicendo staccai la telefonata.
Sospirai. "Liam... pensi che devo sedurre Vanessa per entrare in casa sua?" Chiesi.
Non avevo altre alternative di quella. Il mio amico mi raggiunse. "Poi organizziamo una serata dai suoi e io mi intrufolerò nello studio del padre e del nonno."
Quello si che era un piano eccellente. Avrei iniziato da quella sera. Chiamai Vanessa, l'avrei sorpresa poiché non era sabato.
"Ehi Vane. Ti disturbo?"
-Tu non disturbi mai tesoro.-
"Usciamo stasera! Ti porto nel miglior ristorante francese di Londra."
-Sbaglio ho a Liam non piace la cucina francese? Me lo rinfaccia sempre quando lo propongo.- rispose accigliata.
"Infatti andremo solo io e te." Le dissi. La sentii esultare, era il ventisei agosto, avevo quaranta giorni per entrare a casa sua e se significava farla entrare nei miei pantaloni dal momento che il sesso non mi dispiaceva era un prezzo piacevole da pagare.
Squillò il cellulare che pensavo fosse Vanessa. "Vado a farmi una doccia e arrivo." Le dissi.
-Temo non sia una cosa veloce fino a qui- mi rispose una voce. Chi era?
"Mi scusi, pensavo fosse la mia fidanzata. Con chi parlo?" Chiesi in modo formale.
-Thomas Keller. Gabriel mi ha detto che avevi bisogno di una consulenza urgente. -
Papà. Crollai sulla poltrona. Non mi aspettavo che avrebbe chiamato. "Si.. c'è una situazione...."
-Tom! -
"Si!" Mio padre mi stava chiamando. Mio padre... - Ascoltami Tommy.- mi chiamò come faceva da piccolo. - Joel mi ha scritto di alcuni problemi con la London bank. So che stai facendo di tutto per uscirne.-
Annuii anche se non poteva vedermi. - Dovbiamo lavorare tanto Tom, ho chiesto a tuo fratello di girarmi tutta la documentazione fatta pervenire a Gellert.-
"Quindi sai tutto. Joel non sa che sto acquistando le quote della banca, così potrei..."
-Più ne compri più fai salire il valore sul mercato, ottimo se vuoi farla sembrare forte. Ma noi dobbiamo comprare altre quote Tom e non sono quelle pubbliche.-
"Le quote di Joel?" Chiesi.
-No quelle le lasciamo a lui. Dobbiamo pensare che un domani i tuoi tre fratelli dovranno avere un po' di sicurezza economica.- Mi disse spiccio.
Dovevo chiederle a Smith, ma ripensando alla casa di Vanessa e all'intervento chirurgico alle labbra non penso che avrebbero rinunciato. Non col loro tenore di vita.
"Non me le cederanno mai le loro quote." Dissi. "Semmai lo facessero comunque dovrei dar fondo a tutto il mio capitale." Tutti i miei guadagni di quegli anni.
-Non ti azzardare a toccare i tuoi soldi Tom. Ne hai tirati fuori già abbastanza e dovrai pagare Gellert e chissà chi altri hai messo al lavoro. -
"Il padre di Liam, è dottore commercialista e io devo partire per Oxford tra quaranta giorni, non riesco a seguire da lì."
-Perfetto, allora tieni i tuoi soldi per loro. Adesso ti dico cosa farai. A Liverpool ho una T-consulting che non mi ha mai fruttato tanto, infatti non è una T- KCG. Farò una chiusura della seguente e tutte gli introiti e varie le sposterò a te sulla T- consulting di Londra. Quello è il capitale che avrei per prenderti quelle quote. -
"E come faccio a prenderle dalla società?" Gli chiesi. Stava facendo sembrare tutto troppo facile .
-Credi seriamente che non sappia delle quote che comprasti quattro anni fa?- Rispose lui spiazzandomi.  - Thomas!-
"Sono qui." Risposi.
- So che quando non si tratta di donne hai sangue freddo e riesci a gestire ogni trattativa. London Thompson dice che tu e Gabriel siete assi in questo. Ho visto Gabriel in azione e quindi so di cosa si parla.-  Mi disse.
"Sono solo pragmatico e spiccio. Odio perdere tempo inutilmente."  Risposi.
-Anche io!- Disse lui. -Quindi io adesso chiudo la Liverpool  e passo tutto a Londra a nome tuo. Fidati mi sarà più facile di ciò che ti sembra. Intanto tu trova un modo per mettere con le spalle al muro Smith così che ti diano le quote. Se saprai gestire la cosa ti regaleranno proprio le quote fisse. Ma noi non mandiamo in aria le famiglie e quindi paghiamo. Fatto questo anche a Natale, inizi a selezionare la clientela della London bank. Così facendo le cambiamo il capitale sociale. -
"In che modo?" Gli chiesi, possibile che volesse distringere la banca della nonna?
-La privatizzi. Così avrai una clientela piccola ma di lusso, al suo interno dovrai semplicemente fare quello che già fai con la tua società, la LKT.-
"Posso privatizzare la banca?" Chiesi.
-Certo che si. La cosa richiederà tempo, prima però ci tocca di risolvere il problema attuale,  dobbiamo chiudere tutto e nel momento in cui i clienti verranno spostati ad un'altra banca dovremo far avere indietro i loro depositi. Quello che effettivamente c'è ad estratto conto, il cartaceo di cui la banca non dispone.-
"Questa è la parte più difficile. Solo con un fallimento riuscirei ad uscirne." Gli dissi.
-Un fallimento non è il minore dei mali se non ti vendono le quote. Falliscono, la banca verrà svalutata, noi la compriamo e tu la privatizzi.- Mi disse.
"E i debiti?" Gli chiesi.
-I debiti ricadranno su Smith e Davis nel momento in cui dimostrano che tuo fratello non era a conoscenza dei fatti. In questo caso Joel dovrà denunciare la frode così da uscirne pulito e anche danneggiato.-
"Così poi non andranno a toccare le proprietà di mamma?" Chiesi.
- No! Elisabeth ha donato le proprietà a tua madre nel momento della morte. Sul testamento c'era scritto che donava alla famiglia Ashley Cooper tutte le proprietà acquisite nel debito. Voi siete abbastanza fortunati perché Edward e Martha sono ancora vivi, quindi su carta non possono toccare quelle proprietà ne la villa a Richmond che non è mai rientrata tra i possedimenti di Andrew. In quel caso Elisabeth sapendo dell'esistenza dell'immobile in sordina lo fece intestare a te quando nascesti.-
Cazzo se sapeva più cose lui di me. "Quindi potrebbero prendersi quella proprietà."
-Thomas se c'è han cosa che tutta Londra scoprirà sarà che tu non centri niente con Andrew. Ha sempre detto che eri un bastardo, secondo te potrà mai cadere su di te il suo debito?- Mi chiese.
"No, assolutamente." 
-Quindi trova un modo per scendere a compromessi. Dovresti essere un po' machiavellico.-
"Più che andare a letto con la figlia di Smith  non faccio. Non sono un leccaculo." Dissi alternandomi.
- Questo è il tuo piano?- Mi chiese serio.
"Entrare in casa sua e quando abbassano la guardia cercare prove." Ammisi.
-Mi piace!- disse lui con una risata. - Tienimi aggiornato, io intanto procedo con questa operazione di Liverpool, ah avverti Drake che gli manderò un paio di nuovi consulenti.- Mi disse ancora con la risata nella voce.
"Grazie. Non sapevo come uscirne e avevo proprio bisogno..."
- Ci vogliono anni di esperienza e io ho quasi cinquantuno anni. Ciao Tommy. - Mi salutò.
"Ciao...." Papà, pensai staccando la cornetta.
Quella sera come promesso uscii con Vanessa. La prima di tante uscite insieme.
Scoprii che avrebbe compiuto diciannove anni a fine novembre. Oltre le labbra si era gonfiata anche il seno, amava la cucina alla moda, le scarpe alla moda e i social che iniziavano a dilagare nelle nostre vite. Erano tutte cose che non aveva in comune con me.
Per recuperare tempo cercavo di stare solo con lei, ma dal moderno che la strategia richiedeva anche la presenza di Liam a casa Smith che cercava prove, dovevo inserire anche lui.
I giorni da quaranta divennero trenta e poi venti. A meno di dieci giorni dalla mia partenza ancora non avevo concluso niente. Anzi perdevo tempo e denaro.
Perché Vanessa voleva festeggiare la nostra prima volta con un regalo in comune che pagai io.  Ovviamente si aspettava per il nostro primo mese insieme una serata spettacolare.
Liam mi disse che probabilmente si aspettava come minimo un pensierino per il nostro mesiversario oltre che dei fiori.
Così a meno di dieci giorni dalla nostra partenza  mi presentai a casa sua con un cesto di rose rosse e un braccialetto in dono. Venne ad aprirmi un giocane dall'aspetto scialbo. Dai lunghi capelli ricci che gli cadevano sul viso magro come il suo corpo. Doveva essere il fratello di Vanessa, l'attore. 
"Salve! Sono Thomas." Non mi sarei fatto cogliere impreparato.
"Ah si... il tizio di Vane. Mà!" Chiamò a bassa voce. "Entra pure."
Entrai in casa intanto che una Barbie versione vivente mi si presentò di fronte dopo pochi minuti. Stavo per far cadere il cesto per lo spavento.
La madre di Vanessa, pensai, aveva la pelle tirata e gli zigomi rifatti, la bocca molto gonfia e due seni che Vanessa a confronto non era rifatta.
"Tu sei Thomas. Finalmente ti conosciamo, adesso capisco perché Vanessa si sia innamorata di te. Sei molto, molto... bello." Concluse prendendomi i fiori di mano. "E questi fiori sono splendidi."
Ero sconvolto dalla sua presenza, tanto che non seppi cosa risponderle.
"Vanessa sta arrivando caro. Le ho proposto di portarti qui questo week end. Siamo tutti fuori, avrete casa solo per voi ." Mi disse riavvicinandosi a me.
Avrei avuto la casa a mia disposizione. "È una proposta allettante." Ammisi.
Lei mi guardò languida. "Si." Affermò afferrandomi il pene con audacia. "Vanessa dice che sai il fatto tuo. Vi divertirete."
Fissai la donna sgomento e con freddezza le staccai la mano dai miei attributi. "Grazie dell'invito." Le dissi distaccato mentre Vanessa arrivava con un lungo vestito aderente. I suoi preferiti.
"Siamo state all'atelier di Louis Chandler. Nessuno in tutta Londra ha questo vestito e a Vanessa sta benissimo.
Fissai la mia fidanzata e con un sorriso pensai che era ora di cominciare la mia recita. "Sei bellissima stasera." Le dissi baciandole le labbra lievemente.
"Sotto ho un regalo anche per te." Mi disse ammiccante.
"Bene andiamo." Le dissi prendendole la mano. "Grazie per l'invito Mes Smith, alla prossima." Le dissi trascinando via Vanessa.
"Dormirai da me da venerdì. Non vedo l'ora, saranno tre giorni e tre notti di fuoco." Mi disse mentre la portavo ad uno di quei locali alla moda che amava solo lei.
Ecco, dovevo trovare un modo per placare la sua voglia incessante di sesso. Sembrava non stancarsi mai. Ma in tre giorni si sarebbe stancata no?

"Dobbiamo studiare un piano." Disse Diamond rivolta a nessuno in particolare.
"Perché le hai raccontato tutto?" Chiesi a Liam.
"È stato Joel." Disse lui. "Da me è venuta solo per una conferma.
"Ehi! Non abbiamo tempo." Disse Diamond. "Se e insaziabile a letto devi farla crollare e c'è un solo modo."
"Sarebbe?" Chiese Liam.
"Sonniferi." Disse lei prendendo un portamonete. "Ne ho prese due alla mamma. Le polverizziamo e le mettiamo nell'acqua. Così durante la cena le verrà sonno. Dille di non bere vino, che la vuoi lucida a letto. Così non ci saranno effetti collaterali." Disse mia sorella.
"Stai facendo un corso di spionaggio, ammettilo." Disse Liam esaltato.
"Eh no! Farò giurisprudenza alla London university, poi andrò per il penale. Sarò l'avvocato delle donne." Annunciò.
Io fiero sorrisi a Liam. "È tanta roba la mia sorellina."
"Quindi riprendiamo il piano." Disse Diamond. "Andrai a casa sua. Mentre prepara la cena la aiuti con l'acqua e metti queste compresse granulate nella sua acqua. Inventa che non hai sete, non berla. Altrimenti sarebbe inutile."
"Beve acqua naturale mente io quella gasata. Non ho problemi per questo." Le dissi.
"È salutista" disse Liam. "Mi stupisco che non sia vegana. È così alla moda." La prese in giro il mio amico.
"Lo faceva, ma ha avuto un calo nei valori del sangue perché non mangia tutte le verdure e i genitori l'hanno costretta a mangiare di nuovo carne."
"Oh Dio. Mi dispiace sia stata male, comunque essere vegani per moda è assurdo." Disse Diamond.
"Dopo che si sarà addormentata avrò tutto il tempo per poter setacciare la casa." Dissi.
"Si, ma se si addormenta prima di finire la cena metti in ordine. Falle credere che siete andati a letto e che boh poi si è addormentata. Tanto sarà stordita." Mi consigliò mia sorella.
"Ok! Avrò un paio di ore almeno." Tutto il tempo. Mamma prendeva le compresse intorno le nove e solitamente alle cinque di mattina si svegliava.
Diamond annuì.
"Ok. Per lunedì avrò le mie prove schiaccianti." Affermai deciso.
Due sere dopo ero avanti casa di Vanessa con una sacca in una mano e dei fiori nell'altra. Iniziavo a non poterne più dei fiori di circostanza.
Vanessa venne ad aprire con indosso una vestaglia a kimono rosa e i capelli curati. Un trucco leggero sul viso scarno.
"Sei puntualissimo tesoro." Mi disse baciandomi e avvinghiando le gambe intorno ai miei fianchi.
Che accoglienza. Chiusi la porta alle nostre spalle ed entrai in casa portandola in giro.
"Dove ti porto?" Le chiesi curioso.
"In camera mia. Anzi no,  dai miei che hanno un letto gigante. Ho sempre voluto farlo in un letto a baldacchino. "  Mi disse leccandomi il collo e strappandomi la camicia.
"Wow sesso selvaggio." Le dissi assecondandola. "Indicami la strada, non vorrei finire nell'ufficio di tuo padre." Le dissi con un sorriso.
"Quello è qui! Noi dobbiamo salire al primo piano." Mi disse mentre le sue mani sgraffiavano la mia schiena. La portai su cercando di pianificare un modo per farla addormentare. Effettivamente potevo provare solo col sesso e senza sonniferi, anche se quelli mi avrebbero assicurato che neanche le cannonate la sceglievano. "Qui!" Le dissi aprendo una porta.
"No! Questa è la stanza del nonno, non possiamo entrare."
"Ovvio... potremo urtare la sua sensibilità." Le dissi memorizzando che forse si trattava di Lincoln e dormiva lì. La portai nella stanza che  mi indicò. Era grande con un letto centrale forse di due piazze e mezzo. Vanessa ci saltò sopra, si mise al centro e tolse il kimono scoprendosi tutta nuda. "Scopami Thomas." Mi disse togliendomi il pantalone e gli slip, afferrando il mio pene mi fissò. Ti voglio senza quel cosa di plastica.
"Il preservativo, come dice la parola serve a preservarci." Le dissi pragmatico.
Non era vero ciò che diceva mio padre. Ero puntiglioso anche durante il sesso.
"È tutto a posto Thomas. Stai tranquillo." Mi disse Vanessa prendendo la punta tra le labbra e leccandola. "Non abbaino bisogno del preservativo." Disse iniziando a succhiarlo.
Gemetti e la lasciai fare. Quello che faceva con la bocca mi piaceva parecchio.
La scopai più di una volta. Non scherzavo quando dicevo che Vanessa era insaziabile. Dopo la prima volta mi si mise cavalcioni e si penetrò da sola. Anche in doccia volle la sua dose di sesso, per non parlare della cucina quando andammo a spizzicare qualcosa. In quell'occasione mentre lei scaldava le vivande lasciate dalla cuoca io aprii l'acqua e versai il sonnifero. Doveva dormire, io dovevo dormire, altrimenti mi avrebbe ridotto a uno straccio in quei tre giorni. Le sue intenzioni erano scopare e basta.
Dopo aver piluccato un po'  e fatto sesso col cibo eravamo tornati su, non prima che la prendessi sul cornicione delle scale, avrebbe sempre voluto farlo così. Io mi assicurai solo che la sua bottiglia di acqua restasse integra e arrivasse su.
Una volta a letto giocai con lei, inducendola a bere, imboccando le l'acqua e versandomela sul ventre. Volevo che dormisse, doveva crollare.
"Mi piaci Thomas. Hai un uccello così grosso e bello. Bello come te, sei l'uomo più bello che conosca." Mi disse afferrandomi il membro e sedandolo.
Gemendo entrambi anche io stimolavo il suo clitoride infilando il dito sempre di più dentro di lei. Ero preciso e meticoloso anche in questo. Nel sesso mi piaceva far godere al pari del mio godimento.
Stavo venendo nonostante Vanessa stava rallentando i movimenti. Io invece ero sempre più rapido, o almeno ci provaci poiché il sssso si Vanessa invece che produrre coito sembrava seccarsi. Mi fermai quando allentò la presa e crollò sulla mia spalla.
Non gemeva e non parlava. Non emetteva alcun suono se non un leggero russare. Si era addormentata.
"Vanessa?" La chiamai scostandola. "Vane?" Dissi alzandomi lentamente. "Vanessa!" Urlai.
Niente, non dava segni di vita. Finalmente dormiva.
Indossi i pantaloni e accertandomi di avere in tasca il cellulare, per eventuali foto, e una forcina per eventuali porte chiuse a chiave. Uscii dalla stanza in silenzio, indossando i guanti di latrice che mi aveva suggerito Diamond, e mi diressi al piano inferiore, alla ricerca dell'ufficio. La prima porta che aprii era una sala degli ospiti con tanto di bar e impianto Dolby surround. Nella seconda stanza c'era la sala da pranzo.
Decisi di andare allora oltre l a cucina, nell'ultima stanza. E lì trovai l'ufficio.
A primo occhio sembrava il classico ufficio di un uomo che teneva la contabilità della famiglia. Accesi il computer spedando non ci fosse una password e iniziai ad aprire i cassetti. Un registro delle entrate e delle uscite mi rivelò che Ava, la madre di Vanessa andava a fare una siringa per la pelle ogni mese, inoltre scoprii che la cara mammina faceva uso di stupefacenti. La voce pusher Kevin e Ava diceva tutto.
Vanessa andava da un nutrizionista una volta al mese e uno psicologo ogni settimana.
Quel mese c'erano anche il pagamento di Oxford, una bella cifra e una rata ad un gruppo teatrale. Feci le foto di quel registro. Come si faceva ad avere quelle uscite quando Colin era un dipendente? Forse lo stipendio di Lincoln?
Ogni mese aveva le stesse rette, quelle di Oxford erano iniziate molto prima, quelle del teatro, del pusher e del chirurgo estetico erano fisse. Le visite del nutrizionista e dello psicologo erano invece iniziate a marzo, prima erano più intense, adesso si erano ridotte. Quello era il periodo in cui aveva avuto lo scompenso alimentare.
Dopo aver fotografato tutto il quaderno tornai a controllare i cassetti. Feci le foto di tutto ciò che trovavo, non avevo tempo per leggere. C'era sempre il rischio che Vanessa si svegliasse.
Riuscii ad accedere al computer. Anche se al suo interno non c'era altro che fotografie e film porno. Un canale televisivo in rilievo. Aprendolo scoprii che Smith era iscritto a dei canali porno.
"È di famiglia." Dissi andando a sedermi sul divano di fronte la scrivania. Speravo vivamente non si facesse delle seghe seduto lì. Ma se le faceva indubbiamente, iniziai a cercare tra i cuscini del divano. Ma non trovai nulla, lo apri anche e scoprii che era un divano letto. Quando aprii l'armadio compresi che Colin dormiva nel
suo studio. Altro che pervertito.
Probabilmente lui e la moglie non avevano rapporti da una vita.
Uscito da quella stanza dopo aver spendi tutto e rimesso le cose come stavano messe, mi diressi nella stanza del nonno.
Dentro tutto era in ordine asettico. La stanza era piccola, con un letto, un armadio e una cassettiera , tutto singolo . L'unico vizio era una scrivania con plichi di carte e un raccoglitore con su scritto 2015.
"Bingo!" Dissi aprendo il raccoglitore. Iniziai a fare foto a non finire, mi accertai che non venissero sfocate. Poi dopo aver fatto questo cercai dove potessero essercene altri. Aprii l'armadio ma era vuoto, nel comodino sarebbe stato assurdo guardare poiché era troppo piccolo per contenere dei raccoglitori. Al contrario mi stesi sul pavimento per cercare sotto il letto, ma niente.
Appoggiandomi al muro mi tirai su, anche se mi accorsi che... "Vuoto." Sussurrai. Il muro era vuoto. Spostai il comodino e studiando bene la parete notai che era sprovvista di battiscopa. Mi inginocchiai e facendo pressione aprii un piccolo antro della stanza, alto quando la parete e stretto per la lunghezza dei raccoglitori, che erano lì.
Li presi e li fotografai tutti. Non so quanto tempo ci avrei messo, ma dovevo prendere tutto.
Quando conclusi posai i raccoglitori e nel farlo lasciai cadere un libricino nero.
Di cosa si trattava? Mi chiedi raccogliendolo. Lo sfogliai distretto. Poi notando che c'erano segnate delle cifre, ricontrollai lentamente.
Quelli erano nomi e cifre. Sollevai la testa dall'ultimo scaffale, da dove era caduto il libro, tesi la mano e cercai. C'era qualcosa, un quaderno dei corrispettivi. Anno duemila dieci. Lo aprii c'erano delle bozze di bilancio, con delle cifre cancellate e sostituite.
Le mie prove. Dovevano essercene altri di quei quaderni delle entrate e delle uscite. Fortunatamente ero alto così dovetti solo all'interno il braccio per cercare. Erano lì, a tatto erano altri tre almeno. Li presi e inizia a fare le fotografie di tutto. Stessa cosa feci col libro, c'erano i nomi di alcune persone e accanto un importo in negativo. Probabilmente i soldi che avevano preso a quelle persone? Non lo sapevo, ma le date coincidevano con i corrispettivi. Dal 2007 al 2013, poi erano subentrate le casse automatiche e la gente aveva iniziato a versare e prelevare attraverso quelle. Lo sportello delle London bank ormai fungeva solo per informazioni, finanziamenti e investimenti. Poche persone andavano a versare allo sportello. Finito di fare le foto mi diressi in camera da letto dove Vanessa dormiva ancora. Posai il cellulare sul comodino e togliendomi i pantaloni tornai a letto. Mi addormentai subito tanto ero stanco.
Mi svegliai qualche ora dopo col bip del cellulare, uno... due... tre... quattro... insistente mi tirsi su prendendo il cellulare.
Il primo messaggio era di Gabriel.
«Buon compleanno a te che sei come me.»
Cazzo! Era il mio compleanno.
L'altro messaggio era di Heinrich, Liam, London, Gellert, Joel anchemi aveva scritto. Erano stati più di quattro gli avvisi.
Mamma, Diamond, Didier, Chester, Edgar, Sonia, Isaak anche, fantastico. Infine c'era anche un messaggio di mio padre.
«Buon compleanno Tommy. T. K.»
Thomas o Tom gli facevano schifo? Effettivamente a menoria non mi aveva mai chiamato Thomas o Tom, sempre Tommy anche da piccolo.
"Smettere sarebbe il caso. Tommy è da bambini." Dissi.
"Tom." Mugolò Vanessa.
Stava risvegliandosi. "Ehi."
"Con chi parli?" Chiese ancora con gli occhi chiusi.
"Amici e famiglia. Oggi compio venticinque anni." Le dissi pensando che mi ero fatto un gran bel regalo.
"Oh! Ma allora dobbiamo festeggiare. Cosa vuoi che ti faccia?" Mi chiese lei tirandosi su.
La fissai. "Mettiti a pecora." Le ordinai.
"Wow... mi prenderai di dietro." Esclamò. "Buon compleanno a noi."
Tornai a casa essusto la domenica sera. Mamma urlò sconvolta dal mio aspetto.
"Avete scalato una montagna tu e Vanessa?" Mi chiese.
"Magari." Le risposi.
Diamond sghignazzava. "È stato un bel compleanno?" Mi disse.
Alzai un pollice. "Ho sperimentato una cosa che ho sempre voluto fare."
"Racconta! Racconta...." Disse eccitata.
La guardai minaccioso e non assecondandola le diedi il cellulare. "Fanne ciò che vuoi." Le dissi allusivo.
"Si!" Esultò lei. "Ci sono foto di te nudo?"
"No... scema." Risi.
"Smettila Diamond." La ammonì mamma iniziando a massaggiarmi le spalle.
"Certo che sei ridotto male. Cerca di riprenderti per la settimana prossima Tom." Disse Samuel arrivando in quel momento.
Era sorprendente la sua somiglianza con Andrew, più cresceva e più somigliava al padre. Di Margot aveva solo la carnagione chiara e il naso schiacciato.
"Credo che la lascerò prima di partire. Stuferà anche lei ad Oxford e devo restare concentrato, mi resta un anno e mezzo e devo dare il massimo senza distrazioni."

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia si svolge in contemporanea con la storia di Gabriel Keller in Liberi di essere se stessi. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
Il microstato del Keinsten non esiste, ne ho inventato uno a somiglianza e ispirazione del Lietchsten. Nomi, luoghi e altro sono di mia invenzione
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna e Nord Europa INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE -Albero Genealogico:I Thompson - I Keller

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Avevo praticamente ignorato le chiamate di Vanessa  tutta la settimana, tutti i giorni in orario lavorativo.
Con Liam, suo padre Alexander e suo zio Malcom studiammo tutti i rendiconti effettivi della London Bank.
Avevo una settimana prima di andare via e non potevo lasciarmi distrarre.
Appena avevo dato il cellulare a Diamond lei si era mobilitata, aveva fatto il backup del mio iPhone  per scaricare tutte le foto sul cloud . Da lì aveva preso le foto e le aveva zoppate per poi portarle alla LKT dove le aveva stampate. Dopo questa operazione aveva cancellato tutto.
Diamond sarebbe stata in gamba anche nello studio della meccanica e dell'informatica se avesse voluto. Probabilmente le esperienze della mamma e successivamente le sue avevano influenzato le sue scelte. 
Stava di fatto che cob tutto questo da fare chiamaci Vanessa la sera.
"Usciamo, c'è una prima serata.  Ci saranno anche i giornalisti." Mi disse la prima sera.
"Vanessa sono stato al lavoro tutto il giorno. Non riesco ad esserci. Che ne dici di venire da me e ci rilassiamo guardando un film?" Le proposi.
La seconda sera mi chiese di andare a cena fuori. Ma la mia risposta fu sempre di no! Dopo essere stato a casa sua era più insistente del solito.
Il terzo giorno si presentò allo studio. Come sempre quando veniva si mise sulla sedia di fronte a me e aspettava che io le dessi le mie attenzioni. Ma ero intento a controllare uno dei bilanci della London Bank.
"Thomas quando hai un po' di tempo per me?" Sbottò.
"Te l'ho detto anche a telefono. Sono nel pieno del lavoro domenica sera parto per Oxford e devo lasciare tutto in mano a Drake." Le spiegai nuovamente alzando lo sguardo dal computer. "Poi non so se tuo nonno te lo ha detto, ma la banca è in rosso. Vorrei poter risolvere anche questa cosa, per il bene della mia e della tua famiglia." Le dissi in conclusione.
"L'università partirà a ottobre. Puoi partire dopo e noi potremo fare un week end fuori. Partiamo insieme." Mi disse.
Sbuffai. "Sono sempre partito qualche giorno prima per organizzare la mia stanza e sistemare le valigie. Non cambio la mia routine perché tu vuoi andare a fare un week end fuori che per giunta ti costerà una cifra. Cosa non capisci del fatto che la banca potrebbe chiudere da un momento all'altro? Tuo nonno e tuo padre potrebbero non avere più un lavoro. Andrew Davis, mio padre, potrebbe non avere più una rendita." Le dissi. Per quanto odiavo Davis non auguravo del male a nessuno e soprattutto non volevo che egli venisse a cercare mia madre o i miei fratelli per avere dei soldi.
"Cosa non capisci tu che il lavoro non è tutto?" Mi disse lei.
"Vane sai benissimo che per me il lavoro è tutto. Mi hai conosciuto che era tutto, ci stiamo frequentando che è tutto. Non cambierò le mie priorità per noi due. Ho degli obbiettivi da portare avanti e lo farò." Le dissi secco.
"Non puoi dirmi così. Tu mi ami!" Mi rispose.
"Non penso di avertelo mai detto." Risposi cinico. "E neanche tu. La nostra è una relazione basata molto sul sesso." Le dissi posando la penna. "Per il resto siamo diversi, tu vuoi divertirti io voglio lavorare, tu sperperi soldi, io voglio risparmiare. Tu vuoi andare nei locali chic, a me basta una birra. Tu segui la moda a me basta vestirmi, senza marche o fronzoli. Beviamo addirittura acque diverse Vanessa."
"Però stiamo insieme. Quando usciamo siamo in sintonia." Mi disse lei.
"Quando usciamo facciamo sesso. Addirittura se ceniamo fuori tu ordini e io mangio". Conclusi.
"Sai che sono vegana." Disse.
"Vorresti esserlo, per moda. Ma non puoi." Le ricordai.
"Però come hai detto il sesso è fantastico." Disse con un sorriso che ricambiai. In realtà era sfiancante.
"Indubbiamente facciamo buon sesso. Ma non è tanto fantastico. E io ho altre priorità adesso che torno ad Oxford voglio restare concentrato sullo studio. Vanessa io voglio laurearmi quest'anno e noi due è una grande distrazione. Tu hai bisogno di attenzioni e io al momento non riesco a dartele."
"Mi stai lasciando?" Mi chiese.
Io annuii. Ero perfino lo sapevo, l'avevo usata per i miei scopi , ma era stata lei fin le sue insistenze a portarmici.
"Quando sarai ad Oxford capirai che ci sono tutt'altre priorità. I rettori pretendono molto da noi Vanessa." Le dissi conciso.
"Mi stai lasciando Thomas." Affermò lei.
Io annuii. Non avevo mai avuto relazioni così lunghe, per me un mese era veramente tanto ed era più difficile di ciò che sembrava. In fondo mi ero affezionato a lei, non così tanto da definire la storia come amore però. "Sì. Sinceramente volevo aspettare un altro poco, perché siamo un'ottima compagnia reciproca. Ma dal momento stesso che ne stiamo parlando queste erano le mie intenzioni." Le dissi.
"Mi hai usata solo per il sesso!" Disse lei col broncio.
"Adesso non esagerare. Tu sei venuta da me fin da subito, solo per il sesso." Precisai ringraziando il cielo che le sue insistenze con me erano state sotto gli occhi di tutti, suoi parenti compresi.
Vanessa mi fissò e alzandosi mi raggiunse. Si mise seduta su di me e mi baciò con passione. Io risposi senza farmi travolgere. "Rinunceresti a questo Tom?" Mi disse portando la mano sul cavallo.
Io la fissai. "Certo. Non è pena capitale non scopare ogni tre o quattro giorni oppure tutta la notte senza sosta."
Vanessa mi guardò e alzandosi mi diede uno spintone. "Non finisce qui." Mi disse minacciosa, prese la sua borsa firmata e uscì dal mio ufficio sbattendo la porta.
Liam mi raggiunse dopo un po' con lo sguardo scuro divertito. "L'hai lasciata!"
"Doveva andare diversamente. Ma si." Gli dissi.
"L'avresti lasciata una volta a Oxford?" Mi chiese.
"Ovvio. Così avrebbe visto subito che non siamo fatti per qualcosa di duraturo. Che poi mi ha detto che lavoro troppo, l'ho sempre fatto da quando mi conosce." Ammisi.
"Su questo non ci sono dubbi. Cioè che lavori troppo e lei lo sapesse. Dovresti prenderti una pausa, hai solo venticinque anni e ragioni come un vecchio, fratello." Mi disse Liam.
Io lo guardai sorridendogli. "Lavorerò anche come un vecchio, ma al pari ho anche un reddito mio abbastanza proficuo. Come pochi vecchi." Gli ricordai.
E rise. Scossi la testa e gli indicai i fascicoli su cui stavo lavorando. "È talmente ingenua che non si è nemmeno accorta che questa è la scrittura del nonno. Devo comunque trovare un modo per preservarla dai disastri commessi dai genitori." Ammisi.
"Parlane con chi ti sta guidando." Mi disse Liam.
Aveva capito che c'era qualcuno dietro le mie mosse. Come cazzo faceva a leggermi dentro. "Mi ha consigliato di comprare la casa e poi intestarla a lei."
"Hai i soldi per comprare la casa?" Mi chiese Liam.
"No! Questo è il problema, quindi la farò assorbire dalla trattativa che faremo." Dissi. "Quando sarà il momento."
Il momento sarebbe arrivato per Natale. La mia priorità adesso era portare a termine l'ultimo anno di università.
I tempi per Oxford erano molto più lenti rispetto ad Harvard e Gabriel era un passo avanti a me. Anche se come mi aveva detto, avrebbe svolto un anno di master alla scuola di economia di Harvard. Io una volta laureato non avrei avuto bisogno di master.
Però volevo appunto fare le cose per bene e nei tempi stabiliti.
Tornai ad Oxford e fui immerso nella mia routine. Studio, esami, lavoro, pizza con i corso di corso e telefonate a mamma e ai miei fratelli. Diamond aveva iniziato a frequentare il King's college per laurearsi in diritto, Samuel stava procedendo, sempre lì,in scienze sociali e Joel quell'anno si sarebbe laureato a Monaco. Con Heinrich parlammo della specializzazione che avrebbe cominciato quell'anno, mi disse che si sentiva gli occhi di tutti addosso dal momento che i suoi genitori erano comunque conosciuti nell'ambito medico. Quando sentii Gabriel la sua gioia mi arrivò fino a Oxford nonostante i kilometri che ci separavano. Sapevo che lui e la sua Heidi stavano insieme. Mi scrisse un messaggio quattro giorni dopo la nostra telefonata ad agosto. Ma adesso percepivo qualcosa di più.
"Cosa succede? Stai esplodendo e sembri non trattenerti." Gli dissi.
-Aspetto un bambino... cioè Heidi! Diventerò padre Tom. A Natale mi raggiunge a Monaco e ci sposeremo, ci sarai vero?- mi chiese a manetta.
A Natale avevo altri impegni, molto più importanti, a Londra. "Mi dispiace Gabriel, ma quest'anno non riesco proprio. Ho da risolvere delle cose urgenti lasciate in sospeso per l'università. Che poi riguardano il motivo della mia chiamata ad agosto."
-Poi ti ha chiamato papà?- Mi chiese. -Sembrava sapesse già di cosa avevi bisogno.-
"Si, mi ha chiamato e sapeva già tutto. Joel glielo ha anticipato in una mail pare. Devono essere rimasti in contatto da quando frequentavamo casa vostra in Italia." Gli spiegai.
-In Italia? Sai che non ricordo! Comunque papà sembra diventato più saggio ultimamente. Il suo consiglio e il tuo sprone mi hanno dato modo di non perdere Heidi.- mi disse.
"Anche con me è stato molto disponibile, come quando eravamo piccoli. Ma davvero non ti ricordi dell'Italia? Le corse nei campi di grano e le passeggiate al mare? Marina che ci faceva trovare un dolce fatto in casa per la merenda..." gli suggerii.
-Mi ricordo il cielo azzurro e le vacanze perse a rincorrerci si. - Mi rispose sereno. -Ma mio padre non c'era e... chi era Marina?-
"Come chi era?  La moglie di tuo padre, l'abbiamo conosciuta a sette anni, abbiamo fatto due vacanze pasquali in Toscana con loro, Joel e Rafael." Gli raccontai. Erano stati momenti bellissimi quelli per me, probabilmente perché quella per me era la famiglia felice che avevo sempre sognato.
-C'era anche Rafael? Mio fratello?- Mi chiese sorpreso.
"Si! Lui, abbiamo fatto tante foto insieme. Io non ne ho ma erano bei tempi quelli Gabe." Gli dissi.
-Ma io non ho mai conosciuto Rafael, viveva a Sidney con sua nonna materna.- Mi rispose sincero.
"Credo ci sia andato dopo la morte di Marina. Tu ne rimanesti traumatizzato. Ti ricordi di quando mi dicevi che tuo padre voleva andare via con lei?" Gli chiesi.
-Cioè questa Marina è morta? Mio padre se se ne fosse andato all'epoca sarebbe stato meglio. Non ho avuto un padre violento come il tuo Tom. Ma papà è stato molto assente nella mia vita e in quella di Micaela. Preferiva lavorare e andare a donne. Poi Rafael ripeto è cresciuto con la nonna.-
Lavorare e andare a donne. Sembrava la mia vita. Eppure i miei ricordi e le lettere alla nonna, mi raccontavano un padre diverso. "Gabe credo tu abbia rimosso il periodo bello della tua infanzia. Probabilmente la morte di Marina è stata più traumatica di ciò che si crede, perché l'hai proprio rimossa. Non ti ricordi di Marina." Gli dissi.
Dall'altro capo del telefono avvertii solo silenzio, poi un sospiro. -Mi dispiace. Come ne parli tu era ancora più bello di ciò che ricordo io. Cioè papà...-
"Veniva a prenderci i week end al collegio, ci portava a pescare sull'Isar. Noi due, Joel e Gellert." Raccontai.
-Cazzo Tom! L'ho rimosso proprio, credimi.- disse Gabriel rammaricato.
"Non ti preoccupare Gabriel. So quanto hai sofferto a quel tempo. Solo una volta ne hai parlato e se si menzionava tuo papà o Marina ti chiudevi in te stesso. Però adesso ci sono tante cose belle, hai Heidi e state per avere un bambino." Gli dissi cambiando argomento.
-E non vedo l'ora di sposarla. Adesso ti lascio Tom, salutami Liam e la tua ragazza. A presto.- Mi salutò.
Non lo corressi, Gabriel era felice all'idea che entrambi avessimo trovato l'amore e per il momento non volevo disilluderlo. Eravamo diversi in questo senso, io non sapevo cosa fosse l'amore se non quello di mia madre nei miei confronti. Poteva dire ciò che voleva, ma Gabriel era cresciuto circondato da persone che si amavano, lo aveva rimosso, ma nel suo inconscio sapeva riconoscere l'amore perché lo aveva vissuto in persona. Con suo padre, con i nonni, con la madre e lo zio. Io al contrario non avevo avuto zii e i miei nonni 'paterni' tra di loro erano stati più freddi di un iceberg, mia madre era terrorizzata da Andrew che invece era ossessivo, violento e possessivo.
Forse per queste non ero in grado di amare. Avevo vissuto su pelle la realtà dei rapporti di coppia.
A inizio dicembre Liam mi aggiornò su quanto il padre era riuscito a fare per i conti della London bank. Ormai avevamo capito che avevano realmente falsato i bilanci, alcune cifre erano state nascoste negli estratti conto dei correntisti con false spese di bilancio, senza saperlo incuranti delle manovre degli smith erano state detratte più spese di quanto fossero in realtà.
Sul libro nero erano stati segnati invece i nomi degli acquirenti di titoli che in realtà avevano avuto poco del previsto. I contratti avevano parlato di investimenti in azioni bancarie, quando in realtà i titoli acquisisti erano altri, con doppi introiti che poi erano entrati nelle tasche degli Smith anziché dell'azionista.
Nello stesso periodo ritrovai Vanessa, era venuta a cercarmi appositamente, frequentava il Magdalene che era distante dal trinity.
Aveva il viso più gonfio, ammetto che le stava bene, e un aria corrucciata mentre guardava da me, a Liam, alla mia compagna di corso, Denise.
"Già mi hai sostituito. Dopo ciò che abbiamo avuto." Proruppe.
Mi guardai intorno sperando che non avesse attirato l'attenzione. Nel frattempo però Denise, che non se le teneva le rispose per me.
"Non abbiamo nessun tipo di relazione. Ho troppo rispetto di me per passare come tipo da una notte e via." Affermò fumandole in viso.
"Sai! Esiste una cosa chiamata amicizia." Dissi a Vanessa, non eravamo proprio amico con Denise. Ma la sua uscita le aveva fatto guadagnare punti.
"Io ti amavo!" Piagnucolò Vanessa. "Guardami. Per te hp deciso di cambiare."
Liam rise. "Quindi il tuo corredo firmato è comprato al mercato delle pulci?" Le disse prendendola in giro.
Lei gli mandò uno sguardo assassino. "A te potrà sembrare ridicolo Liam, ma per me non è stato facile rinunciare al mio fisico da modella per Tom." Rispaoe.
"Non mi pare di avertelo mai chiesto." Ci tenni a precisare. "E comunque stai molto bene. Un paio di chili in più non possono che farti bene." Le dissi sorridendole. "Comunque ... come procede la vita universitaria, ti piace?" Le chiesi cercando di non risultare menefreghista, in fondo non lo ero.
"Non va! Non con tuo figlio in pancia che non mi fa dormire la notte." Rispose lei.
Mi ammutolii! Anche Liam accanto a me fissava Vanessa esterrefatto, mentre Denise spense subito la sua sigaretta facendo aria.
"Ma non usavi sempre precisazioni Davis?" Chiese quando si riprese.
"Sempre." Affermai gelido, fissavo Vanessa mentre la rabbia mi sopraffaceva.. "Tranne quando non mi è stato detto di andare tranquillo, perché ci pensava lei alle precauzioni."
Vanessa mise il broncio. "Oh andiamo. Mi hai sentita meglio senza quel cosino di plastica. Lo volevi, tu vuoi tutto di me." Disse toccandosi il seno.
"Sinceramente le tue tette di plastica non mi sono mai piaciute." Le dissi sputandole addosso ciò che provavo. "Se è mio, sei ancora in tempo. Toglilo."
"Non potrei mai uccidere il frutto del nostro amore." Mi disse Vanessa.
"Ma quale amore!" Intervenne Liam. "L'amore non è farsi scorrazzare dove volevi tu, giusto per farsi vedere con uno dei ragazzi più belli e ricchi di Londra. L'amore non è pretendere dei regalini mentre siete in giro oppure raccontare alle tue 'amiche' che sposerai Thomas." Le disse disgustato. "Siete stati un solo mese e già facevi piani per il futuro. Forse perché appunto volevi incastrarlo. Fallo per te e per il bambino, non farlo nascere." Le disse Liam.
"Non abbiamo mai parlato di matrimonio. Ti stai sbagliando adesso Liam." Difesi Vanessa.
"Davvero?" Disse fissando Vanessa. "Party Thomas la tua compagna di tennis, è mia sorella. Neghi di averle detto che entro Natale avresti sposato Thomas Davis?  Chiese alla bionda.
Non conoscevo la sorella di Liam se non di vista. Sapevo che giocava a tennis e che puntava all'agonistico. Ma non sapevo conoscesse Vanessa. "Si parla fra ragazze dei propri fidanzati." Rispose lei piccata.
"Ma voi non eravate fidanzati." Puntualizzò Liam. "Soprattutto perché tu e mia sorella ci siete viste al tennis la domenica dopo che Tom ti aveva lasciata. Quindi ti prego, non offendere la nostra intelligenza."
Lei divenne livida puntando lo sguardo grigio su di me. "Sono incinta e non ho intenzione di abortire. Per te ingrasserò, quindi ti prenderai le tue responsabilità. Appena torno a casa dirò al nonno che non vuoi farlo, così vedremo chi capitolerà." Mi minacciò.
"Certo! Non vedo l'ora di tornare a Londra e incontrare tuo nonno." Le risposi, allora si che avremo visto chi doveva prendersi le proprie responsabilità. "Adesso vattene. Questo è il bar del trinity e tu non sei la benvenuta." Le risposi ancora incazzato.
Cosa andavano dicendo di me a Londra?
Questa volta non potevo nascondere la situazione a mamma. Così quella sera la chiamai per informarla delle novità.
"Ciao má!"
-Tom, tesoro come stai?- mi rispose subito.
"Uno schifo. Oggi ho visto Vanessa?" Le dissi.
-Per il vostro matrimonio? Credevo non me ne avresti parlato Tom. Avete litigato?- mi chiese dispiaciuta.
"Ma quale matrimonio? Mamma ti ricordi che la lasciai? Non so chi ha messo in giro queste voci. Ma non sono mai stato intenzionato a rimettermi con lei, figuriamoci a sposarla."
-Andrew è venuto a schiaffarmi in faccia il tuo matrimonio. Dicendomi che il mio perfetto figlio, aveva tappato e doveva fare un matrimonio riparatore. - Mi raccontò. - Sono bugie? Anche le foto tue e di Vanessa con l'anello di tua ninna Elisabeth?- Mi chiese.
"L'anello di nonna? Mamma ti ricordo che io non ho avuto nulla da lei. Oggi Vanessa è venuta ad annunciarmi di essere incinta. Mi ha incastrato dicendomi che prendeva la pillola. Sta sicura che non la sposo. Come non sono un Davis posso benissimo non essere un visconte per soccombere alla bella faccia della nobiltà londinese." Mi sfogai sempre più nero.
-Calmati Tom. Io ti credo... in senso, so che sei molto responsabile. Mi si è stretto il cuore, credevo Elisabeth ti avesse lasciato l'anello nella cassettiera e lo avessi donato a lei."
"Solo le mille sterline mamma, nient'altro." Le ripetetti. "Le ho detto di abortire. Sai che mi ha risposto: che ingrasserà per me e che dovrò prendermi le mie responsabilità." Mi sfogai.
Mamma sospirò. -Quanto sa che sei ricco?-
Che domande erano? Non ostentavo il mio denaro, ero molto umile in merito. "Sa che lavoro sodo." Affermai.
-Ok! Allora quando tornerai complice tua sorella che sa manipolare Andrew, faremo capire agli Smith che non sei suo figlio.- Disse mamma. - Vediamo come la prenderanno. In quanto al bambino, Thomas sono sempre una gioia. Non incolparlo per le azioni della madre, accettalo come un dono e basta.- Mi disse.
"Un dono! Come Samuel." Le dissi.
-Come Samuel si!- Mi disse.-Ti aspetto qui tra dieci giorni, intanto io farò passare un comunicato in cui diffamerò le notizie che stanno circolando.- Concluse mamma salutandomi.
Dieci giorni ed avrei avuto la resa dei conti.
Raccontai tutto a Liam e telefonai anche a Joel così da tenerlo aggiornato su quanto stava accadendo e soprattutto di non stupirsi se sentiva che ero io bastardo della famiglia. Joel era talmente sensibile da poter intervenire e prendere le mie difese. In fondo noi due eravamo stati sempre così.
Ritornammo a Londra per il venti dicembre. Il tempo necessario perché mi organizzassi ad affrontare gli Smith. Non ci fu bisogno di chiamarli per prendere appuntamento.
Lincoln Smith si era già fatto sentire da mia madre, dicendole che aveva urgenza di incontrare tutta la mia famiglia. Per cui avevano già un appuntamento a casa di mamma, per il ventidue dicembre.
Quando anche Joel arrivò a casa lo aggiornai sulle indagini che avevano portato avanti e lui stesso mi confermò che nonostante fosse a Dubai, Gellert era pronto a spalleggiarci in quanto nostro legale e detentore della causa.
Alle 10.00 di mattina del ventidue dicembre in via del tutto informale giunsero a casa di mamma, Lincoln Smith, con al seguito suo figlio e famiglia e guarda caso anche Andrew Davis, varcò la soglia di casa di mia madre.
Nel momento stesso in cui entrarono Joel avviò una conferenza video con Gellert così che non si perdesse neanche una parola di quella trattativa del tutto privata tra i soci della London bank. Al contrario Diamond dal suo angolino accese lo stereo in modalità rec., come diceva sempre: le prove erano fondamentali in un processo.
Mamma elegantissima con un semplice pantalone nero e una maglione bianco accolse i suoi ospiti con gentilezza. Li fece accomodare e loro parvero sorpresi di non trovarci soli.
Con me c'erano Liam e suo padre Alexander, Drake Sullivan, invitato da mia madre.
Joel in piedi mi raggiunse mettendosi alla mia destra, poiché alla sinistra c'era Liam.
Vanessa si guardò in giro sorpresa non aspettandosi tutta quella gente probabilmente.
"Buon giorno." Salutai così da sciogliere il ghiaccio. "Vi ringrazio di essere venuti e di avermi preceduto nel prendere questo appuntamento. Ero pronto a farlo io, per conto di Joel." Annunciai indicando mio fratello.
Lincoln fece un colpo di tosse e accomodandosi come suggerito da mia madre mi fissò. "Per ovvi motivi."
"Che sarebbe il saldo in rosso della London Bank." Affermai facendogli capire che non avrei fatto il suo gioco. "Mi sono appoggiato a degli esperti per capire cosa fosse successo. Vi presento quindi il dottor commercialista Alexander Thomson e suo figlio, mentre in linea abbiamo l'avvocato commerciale Gellert Keller Meyer." Dissi presentando i presenti. Lincoln iniziò a muoversi, alle sue spalle anche il figlio iniziò ad agitarsi.
"Eravamo qui per parlare del matrimonio tra te e Vanessa." Intervenne Ava Smith.
Misi le mani in tasca. "Non c'è nulla da dire in merito. Ho lasciato vostra figlia il ventitré settembre e da allora non l'ho più vista. Non le ho fatto alcuna promessa e quando settimana scorsa e venuta fino al trinity mi ha colto completamente di sorpresa. Questo perché con le donne ho sempre rapporti protetti." Affermai.
"Non con me!" Intervenne lei.
"Si, mi avevi detto che eri protetta. Per questo. Ma appunto non è la sede, alla nascita riconoscerò il bambino prendendomi le mie responsabilità e tanto basta." Conclusi mentre il mio cellulare iniziava a squillare. "Abbiamo cose più importanti di cui parlare e non hanno a che fare alla virtù di Vanessa, poiché quando l'ho conosciuta non era di certo vergine." Conclusi rispondendo. Il telefono suonava ancora insistente. "Pronto."
-È iniziata?- La voce di mio padre come sempre mi dava una stretta al cuore. Guardai Joel, ancora lo aveva informato?
"Si." Risposi.
-Mettimi in viva voce  per favore.- Disse papà.
"Ok!" Dissi posando il cellulare sulla tavola e arrivando il viva voce. "Sei con noi."
- Perfetto. Buon salve a tutti, scusate ma da me sono le quattro di mattina e dire buongiorno e sarebbe ironico.- Vero, in America era notte e lui era con noi nonostante l'ora e la distanza.
"Posso capire lei chi sia? Sembra un tribunale." Sbottò Smith senior.
-Per sua fortuna non lo è! - Rispose papà. - Io sono il finanziatore di Thomas, partecipo a questa telefonata per affari.-
"Con chi abbiamo l'onore." Intervenne Davis.
- Non vi interessa saperlo. Andiamo avanti Tommy?- Disse mio padre.
"Certo." Risposi guardando verso Lincoln. "Io e Joel siamo venuti a trovarvi in banca lo scorso giugno, dopo che Andrew Davis era stato estromesso per ovvi motivi." Spiegai ricordando a tutti i fatti passati e informando mamma e Drake della realtà che ruotava intorno la banda della nonna. "Nel farlo ci siamo resi conto che la banca, soprattutto la sede centrale che si trova a Westminster, rischia il crollo. Siamo a rischio bancarotta e in questi mesi ho cercato di capire cosa fosse successo perché la banca cadesse in fallimento. Ci sono  almeno dieci sedi a Londra, e molti sportelli in giro per l'Inghilterra. Gli sportelli delle varie contee si può dire che al momento siano la salvezza della banca. Assicurano delle entrate, ma anche delle uscite. La mia domanda è stata: perché stanno finendo in rosso? Come lei ben sa Lincoln ho subito pensato a un falso in bilancio. Per questo dopo aver chiesto la documentazione al commercialista interno alla banca ho contattato l'avvocato Keller Meyer e il dottor Thomson passando in loro mano, le pratiche della banca." Spiegai prendendo una sedia e accomodandomi tranquillo con le braccia incrociate sul petto. "Avevo ragione. Anni di studio e di lavoro e dei validi collaboratori, mi hanno confermato che c'è stato un problema di fondo dovuto alla gestione dei clienti, studiando i conti dei correntisti nell'arco degli anni dal duemila e sette al duemila e dodici, sono stati fatti dei rincari per giustificare delle perdite reali della banca. Inoltre anche a livello di investimenti ci sono state perdite non dichiarate. Ora come ora la banca non dovrebbe dichiarare fallimento. Dovrebbe andare sotto inchiesta proprio." Conclusi.
Lincoln sbattette la mano sul tavolo. "Non ci sono prove di un'accusa del genere."
Alexander fece un colpetto di tosse richiamando l'attenzione su di sé. "Non ci sarebbero prove di sapere chi è stato. Ma il danno a favore di terzi c'è ed è palese." Affermò.
"Quindi nel momento in cui Joel farà partire la denuncia per frode. L'esercizio, tutti gli esercenti e dipendenti sarete sotto inchiesta per frode e truffa." Intervenne Diamond. "Giusto avvocato Keller Meyer?"
-Giusto.- Rispose Gellert dal computer. "Verrà aperta un'inchiesta e i primi indagati saranno sicuramente i dirigenti delle banche, nel vostro caso la sede centrale di Westminster da cui è partito il contenzioso. Ci saranno comunque degli arresti, sta al tribunale decidere se cautelari oppure da scontare in prigione e ci saranno i sigilli sulle priorità.-
"La denuncia?" Scattò Smith. "Non potete denunciarci. Anche voi perderete tutto ciò che avete." Inveì contro tutti.
"Voi perderete tutto." Precisai. "Joel che denuncia i fatti, perché estraneo ai fatti fino ad oggi potrebbe perdere solo la banca."
"Davvero non ti interessa di perdere la banca Davis?" Mi chiese il padre di Vanessa. "È roba tua e di conseguenza di Vanessa che aspetta tuo figlio. Davvero vuoi perdere la banca?"
Sospirai. "Signor smith come le ho già detto mi prenderò la responsabilità del bambino. Ma con la banca non c'entra niente. Anche perché io sono solo il curatore finanziario di Joel. La banca è sua, non mia." Affermai tranquillo.
"La banca è tua!" Proruppe Vanessa.
Diamond scoppiò a ridere. "Fino a prova contraria la banca appartiene all'erede diretto di Elisabeth Parker in Davis. Ovvero l'unico figlio riconosciuto di Andrew Davis." Affermò mia sorella sedendosi accanto a me.
Intanto in sottofondo dal telefono sentivo qualcuno salutare il signor Keller e chiedere perché si fosse fatto il caffè da solo.
"Signor Davis può dire a sua figlia che lo sappiamo già?" Intervenne Vanessa.
"Signor Davis può dire a Vanessa che Thomas non è suo figlio." Le rispose Diamond guardandola con sfida. "Per questo ti sei fatta mettere incinta?"
"Signor Davis dica qualcosa." Intervenne Lincoln.
"Non ho mai  detto che il bastardo fosse mio figlio." Confermò.
"Anche perché è troppo sveglio e intelligente per esserlo." Disse Joel intervenendo per la prima volta. Lo sapevo che se lo avesse fatto, sarebbe stato per prendere le mie difese.
"Sono solo un contabile. È lui il proprietario della banca." Affermai.
"No!" Esclamò Vanessa. "No! No! No! Non può essere. Tu devi essere, sei il più bello e quello con le palle, sei tu quello che porta avanti la baracca. Tutto questo è tuo!" Concluse indicando la casa di mamma.
La guardai sorpreso. "Mi rincresce deluderti ma niente di tutto questo è mio." Le dissi. "Appartiene ai Visconti di Shaftesbury, che sono i genitori di mia madre. Questa casa è la loro e noi ne abbiamo l'usufrutto." Le spiegai.
"In più mi permetto di dire." Intervenne Joel. "Che fortunatamente sono me stesso e questo implica avere la mia personalità e le palle ce le ho, come anche il cervello. Infatti a differenza di Thomas non ti avrei mai considerata perché io cerco di più del sesso casuale." Questa era stata brutta.
"Sesso casuale?!" Urlò livido Lincoln. "Sei stato invitato in casa nostra. Sai che vuol dire?" Mi chiese.
"Semplice. Che avete organizzato tutto per farmi incastrare. Così una volta che Vanessa fosse stata incinta potevo sposarla e così darvi tutto il mio denaro o le proprietà?" Ipotizzai. "Sorpresa? Non ne ho." Dissi.
"Non hai neanche il diritto di parlare per la banca allora." Disse il padre di Vanessa.
"No, però mi avete fatto entrare in casa vostra. E se non ho diritto sulla banca ho le carte che custodisce segretamente Lincoln." Conclusi. Se volevano giocare sporco lo avrei fatto a den io. Ammutolirono tutti.
Tanto che si sentivano solo i dialoghi oltreoceano che arrivavano dal cellulare.
-Caffè papà.-
-Grazie Tom, se è tuo è speciale.- disse una voce anziana
-Signor Tobias. Non le piace il mio caffè.- era una donna adesso.
-Silenzio gente.- sentii dire da mio padre. - L'arrampicatrice ha finito di parlare.-
Diamond scoppiò di nuovo a ridere. "Adoro quest'uomo."
-Anche tu mi piaci. Sei sveglia ragazza.- Disse papà - Tommy, come hai notato qui c'è fermento. Vai con la proposta che poi stacco.- mi disse direttamente.
Annuii guardando gli Smith. "Non vi denuncerò." Dissi. "In cambio lascerete le vostre quote bancarie a me, la vostra quota capitale e le vostre proprietà esclusa la casa dove vivete. Non manderò Vanessa e Kevin in mezzo a una strada , e non perché lei è la madre di mio figlio, le voglio comunque bene e non le farei mai del male." Ammisi. "Questo vuol dire che il vostro tenore di vita scenderà. Niente più vestiti e abiti firmati, tennis club e appuntamenti dal chirurgo estetico." Dissi indicando Ava Smith. "Sia chiaro, non voglio arrivare a una denuncia per non infangare il nome di Elisabeth Parker Davis, figlia del fondatore della London banks."
-Stiamo parlando della banca di Elisabeth?- chiese il vecchio oltre oceano .
-Si papà. Tieni leggi qui e fammi ascoltare. - Rispose mio padre.
"Quindi?" Chiesi a Smith. "Ci state a darmi le vostre quote? Con quei guadagni potrei saldare metà conto, con la privatizzazione della banca gradualmente salderò tutto." Conclusi.
"Hai detto che non hai soldi." Affermò cinico il mio patrigno.
-Ma io ne ho Davis. Farti da parte, hai già fatto troppi danni.- Intervenne mio padre. - Signor Smith comprerò io le sue quote, come mi sono presentato all'inizio, sono il finanziatore di Thomas.-
"Che garanzie ho che tutto questo non uscirà da questa casa. Che non ci sarà una denuncia." Disse Lincoln.
-La garanzia che tu faccia ciò che ti è stato chiesto. - Intervenne Gellert. - È un buon compromesso per salvare l ma faccia della banca e non solo dal momento che anche lei avrà modo di salvarsi il culo.  Ha capito vero che sarebbe stato condannato per frode?-
"Con queste premesse non potrò mantenere la mia famiglia." Annunciò il padre di Vanessa.
"Avrebbe dovuto pensarci prima." Disse Liam.
"Ripeto." Intervenni. "Abbassate il tenore di vita, vi concedete dei lussi che potreste evitare." Dissi indicando Vanessa e Ava. "Io posso pagare le visite mediche di Vanessa, ma non per i suoi vestiti, i ristoranti e i vizi che vuole concedersi. Solo le necessità per la sua salute e quella del bambino." Affermai.
-Se permettete.- Intervenne papà oltre oceano. - Mi sono concesso di indagare sugli Smith in questo lasso di tempo Tommy. Avrei dei suggerimenti.-
"Cosa?!" Chiese Vanessa.
- Si ragazza. So, che sei entrata ad Oxford per il rotto della cuffia. Non so proprio perché hai chiesto di entrare lì quando non hai i requisiti. Avresti potuto scegliere un college più alla mano e più vicino. Adesso la retta è altissima, ma se mi porterai dei risultati posso offrirti una borsa di studio per farti studiare. Vuol dire studiare non perdere tempo.- concluse mio padre
"Io studio. Signore sconosciuto!"
-Ti prego, frequenti lo stesso college e la stessa facoltà di mio figlio. So che il tuo primo esame non è andato bene. - annunciò papà.
"Impossibile, non frequento i ragazzi dei miei corsi." Si difese lei.
-Vuoi che chiami Rafael?- chiese papà.
"Rafael?" Dicemmo un coro io, Joel e Vanessa.
Ella alzò la testa. "Lo conoscete? Cioè lei e il padre di Rafael?"
-Si! So tutto. Rafael non si vergogna a raccontami le sue scappatelle.-
"Anche Rafael!" Esclamò Joel. "Il mio piccolino?"
-Joel calmati.-
"Calmarmi? Si è scopata non uno ma... lasciamo stare."  Sbottò Joel.
-Stiamo perdendo il filo. Vanessa portami dei risultati, senza  chiedere favori attraverso il tuo corpo per favore, e io ti pagherò l'università. -
"Io..." intervenne Vanessa.
-Vanessa ti ho detto che Rafael mi ha raccontato tutto. - disse papà. - Sappi che gli farò cambiare college. Rafe aveva avuto più proposte grazie ai suoi voti in graduatoria, non lo ritroverai a gennaio. -
Lei sbuffò.
-Tornando a voi, ho un offerta anche per Kevin e Aca. - disse papà.
"Sarebbe? Kevin lavora è un attore."  Disse Ava chiamata in causa.
-Quando non potrete pagare più il suo stipendio alla compagnia teatrale non avrà più un lavoro cosi proficuo e quando non avrà più soldi non potrà pagare il pusher che voi non gli pagherete più. - Disse papà. - La mia proposta è di farlo ripulire, mi prenderò io la responsabilità di mandarlo in un centro riabilitativo dove potrà disintossicarsi e svolgere attività teatrali, ho cercato un paio di istituti in merito.- Spiegò papà.
Cazzo! Aveva pensato proprio a tutto. - Posso estendere la proposta a lei Ava.- concluse infatti.
"Andiamo! Io... io non ho bisogno di nulla." Concluse.
-Ok! Fate come volete, è la vostra famiglia in fondo. Thomas, sai dove prendere la liquidità che ti serve per comprare le azioni della London Bank.- concluse papà. Compresi che per lui il discorso era finito.
"Si, grazie." Dissi.
-Quote un corno.- Proruppe il vecchio. - parliamo della banda di Elisabeth Parker Davis. Ragazzo fammi avere una valutazione attraverso mio figlio, appena avrete finito questa pratica con le quote, assorbo io le banche così le privatizzi con comodo. - Disse il vecchio.
-Papà...-
-Società mia! Soldi miei. Tu fai pure il filantropo con i ragazzi figliolo, io faccio gli affari che ancora mi riescono. -
-Thomas. ..- Mi chiamò papà.
"Sì!" Gli risposi.
-Inizia a comprare le quote. Sai dov'è la moneta. Appena mi dai un valore delle banche procedo con l'acquisto.- concluse.
"Anche i grandi si fanno mettere i piedi in testa dai papà." Sussurrò Diamond.
-Ti ho sentita ragazza sveglia. - disse papà.
-buongiorno papi!- squillò una voce.
-Buongiorno amore.... Ragazzi devo salutarvi, aggiornatemi e buon proseguimento. Signori Smith aspetto che Joel mi faccia sapere cosa avete deciso. Addio.-
"Aspetta!" Intervenne Joel. Non c'era stato un click, era ancora in linea. "Rafael è in Inghilterra? Con chi passerà il Natale?"
Sentii papà ridere. -È a Londra con qualche ragazza penso. Ha detto che vuole festeggiare capodanno sul London eyes con una.-
"Lo chiamo, Natale è come Pasqua. Si passa in famiglia." Disse Joel.
-Fai come credi. Buon Natale Joel. -
"Buon Natale a te." Rispose Joel e la telefonata si staccò.
-Se l'accordo è accettato ne invio una copia a Diamond che la farà firmare a tutti gli interessati e stacco.- Disse Gellert.
Guardai i signori Smith, Ava e Vanessa e attesi una risposta. "Per me va bene la vostra proposta." Disse il padre di Vanessa.
Giustamente aveva avuto più di quanto potesse immaginare, una comunità di prim'ordine per il figlio, l'università pagata a Vanessa e... più nessun obbligo verso tutti. Lincoln se avesse sotterrato l'orgoglio comunque avrebbe avuto una chiusura di carriera con una pensione molto più proficua di tanta altra povera gente.
Ava non aveva voce in capitolo. Bisognava aspettare solo Lincoln che ci guardò tutti, uno ad uno.  "Accetto." Disse.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia si svolge in contemporanea con la storia di Gabriel Keller in Liberi di essere se stessi. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
Il microstato del Keinsten non esiste, ne ho inventato uno a somiglianza e ispirazione del Lietchsten. Nomi, luoghi e altro sono di mia invenzione
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna e Nord Europa INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE -Albero Genealogico:I Thompson - I Keller

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Dopo aver firmato tutti l'accordo gli Smith andarono via a testa bassa. Prima che andasse via fermai però Vanessa.
"Se ti va a Natale puoi stare con noi. Come amici." Le proposi.
"Come hai detto non abbiamo niente in comune." Mi rispose.
Io sempre a due metri di distanza annuii. "Vero, era così. Ma adesso abbiamo un bambino in comune, che, ti credo sulla parola, è nostro. Inoltre dovrai fare delle rinunce per cui forse potremo avere altro in comune." Le dissi lanciandole un sassolino di pace.
Guardò Joel. "Ci sarà anche Rafael?"
Feci spallucce. Non sapevo che rapporti c'erano tra mio fratello, mio padre e l'altro mio fratello in realtà. "Dipende da Joel."
"Ti faccio sapere." Mi disse e penso si riferisse a tutto, alla possibilità di abortire, all'università e forse al pranzo di Natale.
Dopo gli Smith fu la volta di Andrew Davis, Diamond gli aprì la porta col cellulare tra le mani. "Hai un ordine restrittivo. Ti consiglio di andartene adesso, prima che chiami la polizia." Furono le fredde parole.
Ovviamente seppur con cipiglio andò via. Fu la volta di Liam e suo padre che andarono via complimentandosi per come avevamo portato avanti la trattativa. Con Liam restammo che ci saremo visti la sera della vigilia per andare a festeggiare da qualche parte.
Quando fummo soli con Drake mamma mi affrontò. "L'uomo al telefono...".
"È il papà di Gabriel. Mi faccio dare consigli visto che è nel ramo della finanza." Gli dissi e non stavo mentendo, era la verità.
"Perché non ci hai detto che avrebbe chiamato?" Chiese Drake.
"In realtà questo vorrei saperlo anche io." Dissi andando da Joel che stava messaggiando con un sorriso a trentadue denti. "Joel. Cos'è questa storia. Perché il signor Keller sapeva di questo incontro?" Chiesi diretto.
"Mi ha chiesto di tenerlo aggiornato su tutto. Ci confidiamo a vicenda, siamo la spalla l'uno dell'altro." Mi disse con la mano sul cuore.
"Sei serio?" Chiese Deake.
Con aria innocente Joel si battette sul cuore. "Sono il suo angelo custode. È il papà che non ho mai avuto e mi aiuta in tutto, quando gli dissi della London bank mi disse che ci avrebbe pensato lui. Poi mi disse che lo chiamasti e seppi che tutto sarebbe andato al suo posto Tom." Concluse.
Era assurdo, sembrava che mio fratello avesse un rapporto più stretto del mio con mio padre. "Joel... sei serio?" Gli chiesi.
Lui mi guardò. L'aria innocente abbandonò il suo sguardo. "Sei arrabbiato con me. Ok, lo capisco. Ma..."
"Perché?" Gli chiesi deluso. "Perché non me lo hai detto prima. Gabriel lo sa? Hai anche contatti con Rafael?"
Joel sospirò. "Perché a differenza tua io ho visto Tom. Perché era bello che qualcuno mi prendesse in braccio e mi stringesse senza la paura che mi picchiasse. Perché era protettivo con me, perché eravamo felici quando passavamo Pasqua insieme! Ovvio che ho mantenuto i contatti con Rafael. Gli tenevo la mano mentre faceva i primi passi. Quando è andato in America ho cercato di mantenere i contatti, io li ho chiesti." Mi rispose.
"Lo chiami papà?" Gli chiesi sconvolto. Avevo il cuore che mi batteva a mille.
Joel abbassò lo sguardo. "No! Avrei voluto chiederlo, però poi avrei dovuto chiamare anche Marina mamma, e mamma non si sostituisce, lei è il top. Mica come mio padre."
"Avresti dovuto dirmelo Joel." Avrebbe potuto dirmi che si sentivano. Avrei partecipato anche io alle loro telefonate.
"Cosa?" Chiese Joel. "Forse non hai capito, io l'ho visto." Affermò ancora.
Non capivo. "Cosa hai visto?" Gli chiesi allora. Che ero incapace di socializzare a differenza sua?
"Tu e Gabriel." Disse.
Scossi la testa, io e Gabe era un altro discorso. Tipo gemelli separati alla nascita ,che poi era vero noi eravamo fratelli e... guardai Joel. Lui sapeva. "Oh!"
"Lo sapevi?" Chiese Joel.
Scossi la testa. Mi misi le mani nei capelli e lasciai la stanza. Joel lo sapeva, avevamo dieci anni quando Marina era morta. All'epoca già lo sapeva? "Non chiamarlo papà. Ti prego Joel, non farlo." Urlai chiedendomi la porta della cucina alle spalle. Aprii l'acqua fredda e me la passai sul viso.

DIAMOND
Seguii la scena interdetta. L'uomo al telefono, il tipo che mi piaceva come parlava, con una sola telefonata aveva sconvolto tutti. Mamma, Drake, Tom... Thomas per bacco . Lui sempre freddo e controllato era crollato quando Joel aveva aperto bocca.
E io non mi capacitavo, riuscivo solo a fare uno più uno. Ma il mio pensiero metteva insieme sciocchezze, ne ero sicura.
Poi Thomas andando via, sconvolto, disse. Non chiamarlo papà.
Mamma fissava ancora Joel interdetta. Drake al suo fianco la stringeva per le spalle comprensivo. Pensavo che sarebbero stati una bella doppia loro due. Ma Drake era il marito di Ebony, la migliore ancora della mamma e le mie fantasie da bambina si erano sciolte quando compresi due anche lui era amico di mama.
Io iniziavo a tremare.
Fu Joel a interrompere il silenzio. "Dirò a Rafael che la festa è annullata."
Mi riscossi. "Aveva accettato?"
Joel annuì, prese la sua giacca e se la infilò.
"Dove vai?" Gli chiese mamma.
"Rafael mi ha invitato a un brunch." Disse.
"Joel." Lo chiamò mamma. "Perché non mi hai detto che hai conosciuto Thomas?"
Lui fermò la mano sull'asola del bottone. "Temevo mi dicessi di allontanarmi da lui. Mamma... io gli voglio bene." Disse sincero.
Vidi mia mamma crollare. Iniziò a piangere e non ne capii il motivo. Fino a quando Tom non tornò da noi. La vide e andò ad abbracciala.
"La moglie di papà non ha mai preso il tuo posto nel nostro cuore. Te lo posso assicurare." Le disse confortandola.
"Quell'uomo era tuo padre!" Esclamai. "Oh Dio! È l'uomo che paga l'università a me e Samuel e non l'ho ringraziato. Oh Dio, ho parlato con il tuo papà." Esultai.
Per me era un eroe senza conoscerlo e adesso lo avevo sentito ed era stato fantastico. Un po' meno che Joel e Thomas fossero ai ferri corti. Non era nella loro natura scontrarsi.
Guardai ora l'uno ora l'altro. Le mie urla avevano attirato l'attenzione.
"Joel vuole annullare l'invito di Natale a Rafael." Dissi.
Avevo paura della reazione di Thomas. Avevo capito che se si trattava della sua altra famiglia ne restava sconvolto.
Con sguardo interrogativo fissò Joel. "Perché? Non può passare il Natale da solo o con una ragazza a caso."
"Pensavo che non vi andasse." Rispose abbottonando la giacca.
"Ci sarà anche Isaak, come sempre. Perché non dovrebbe andarmi? Fallo venire." Disse Tom.
"Cosa c'entra Isaak?" Si allarmò mamma.
Tom guardo ora lei, ora Drake. "Oh anche Thomas ci vede." Disse sarcastico.
"Isaak è palese. Anche se tu e Gabriel assomigliate molto più di lui a vostro padre. È il naso che a Isaak manca." Affermò Joel.
"Gabriel ha un naso importante e non abbiamo lo stesso naso." Disse Tom.
"Si, tu sei quello con il naso e il taglio degli occhi di Thomas. Gabe ha lo sguardo, la bocca e il taglio delle sopracciglia uguali, Isaak se non lo guardi bene non sembra. Poi si nota una cosa che tutti voi avete in comune." Spiegò Joel.
"La mascella e la carnagione calda." Disse Thomas.
"Quindi lo sapevate?" Chiese Drake.
"Anche Isaak lo sa. Sono dieci anni che ce lo siamo detti." Spiegò Tom.
"Isaak ha gli stessi occhi grigio scuro di Thomas." Disse Joel indossando il berretto. "Così intensi e unici, anche Gabriel e Diamond hanno i suoi stessi occhi e lo sguardo." Affermò aprendo la porta. "Mà guarda che Rafael non somiglia a Thomas o nessuno di loro. Farò tardi." Concluse chiudendosi la porta alle spalle.
Restai ferma a fissare la porta. Poi mi voltai verso mamma.
"Vado via anche io. Non è il caso che resti." Disse lo zio Drake afferrando valigetta e cappotto per poi uscire.
Guardai mamma che distratta stava rasserenando i bei capelli biondi.
"Ho gli occhi di Thomas senior?" Chiesi ai due in stanza.
"Mamma Joel ha troppo... occhio?" Chiese Tom.
"Io! Io non sono la figlia di Andrew Davis?" Chiesi intendo che un enorme masso si sollevava dal mio cuore.
Mamma e Thomas non parlavano e io ero in attesa. "Vi prego ditemi che non odio mio padre e che il disgusto che ho sempre provato per Andrew Davis era giustificato. Vi prego!" Li supplicai. "Perché se c'è anche una sola piccola possibilità che io non sia sangue del suo sangue finalmente potrò respirare e non sentirmi obbligata a provare qualcosa di positivo per lui." Dissi mentre le braccia di Thomas mi stringevano.
"Se te lo confermo non pensare che sarà facile." Mi disse. "Lui sapeva di me, ma non di te. Sa di me, ma è sempre rimasto dietro le quinte. Hai visto no? È più in contatto con Joel che con me che sono suo figlio naturale." Mi disse.
"Mi va bene lo stesso." Sussurrai.
"Tuo padre tornò per riprendermi con se." Raccontò mamma. "Tuttavia, per paura che Andrew mi potesse via Joel, decisi di restare a Londra. In quell'occasione venisti concepita tu." Mi disse. "La mia perla preziosa."
"Samuel invece?" Pregai per lui, che fosse il figlio di qualcun altro e non di quel mostro.
"È figlio di Andrew Davis." Disse mamma carezzandomi i capelli.
Fissai la mia famiglia. Poi iniziai a mettere insieme tutto. "Ho ben uno, due... sei fratelli. Tutti maschi e... Aaaaa!" Urlai prendendo a saltellare. "L'avete sentita la telefonata?" Urlai. "Ho una sorella! È probabile che io abbia una sorella." Urlai contenta. Finalmente una sorella.
"Ok calmati, tanto Mikaela è in America." Disse Thomas.
"Micaela?" Era un nome bellissimo.
"Si, la figlia di tuo padre e sua moglie Marina." Mi spiegò mamma con un filo di tristezza.
Lessi nel suo sguardo il rimpianto. Se avesse seguito papà ci sarebbe stata lei al posto di Marina, io sarei stata la sua Micaela e la mattina appena sveglia mi avrebbe chiamata amore.
Sospirai. "A Natale conoscerò Rafael."
"Così sembra." Mi disse Thomas facendo un passo indietro. "Vado a lavorare."
"Io invece vado a studiare... ho dei fratelli cervellotici." Dissi galvanizzata.

A Natale la prima persona che bussò alla porta di casa fu Isaak, adesso trovandomelo di fronte con la stessa carnagione e la mascella squadrata di Thomas, gli occhi come i miei e un sorrisone a trentadue denti, compresi che era veramente mio fratello.
"Ciao! Come mai già qui? E questi?" Chiesi indicando i pacchi.
"Auguri anche a te Diamond." Disse entrando. "Mi sono offerto di cucinare il pranzo di Natale per tutti."
"Wow! Un pranzo cucinato dal neo chef Isaak McMillian." Esultai. "Devo darti una mano."
"Per l'amore del cielo. Mi basta she mi aiuti a portare la spesa." Rispose divertito. "Ciao Samuel, buon Natale anche a te."
"Buon Natale Isaak." Rispose mio fratello venendo ad aiutar il nostro ospite con i pacchi.
Io chiusi la porta e tornai a sistemare i regali sotto gli alberi. C'erano quelli della mamma, quelli degli zii della t-KCG e quelli dei miei fratelli. In più come direi lei anni c'era un pacco gigante indirizzato a Joel, al suo interno c'erano tanti regalini che poi mio fratello divideva per tutti noi.
Dopo circa mezz'ora bussarono di nuovo alla porta, con sorpresa scoprii che era Vanessa Smith. La salutai augurandole buon Natale.
"Mi dispiace non ho nulla. Tom ha detto che bastava la presenza..." disse entrando.
Le feci spazio. "Basta che non ci siano frecciatine alla citronella e siamo a posto." Scherzai.
Thomas mi aveva detto che i genitori di Vanessa litigavano continuamente dai fatti del ventidue dicembre. Provavo un po' di pena verso di lei. Vero si era fatta mettere incinta di proposito. Ma era stata manipolata dai suoi familiari.
Lo stesso Thomas ci raggiunse dopo un po', le augurò buon Natale dandole un pacco da mettere sotto l'albero.
"Non si può non aprire un pacco più tardi." Le disse. "Vieni ti presento gli altri."
Intanto mamma e Joel mi raggiunsero per sistemare la tavola.
Isaak iniziò a portare vassoi in tavola accompagnato da Vanessa che indossava un grembiule. Mentre Thomas era in video chiamata con qualcuno.
L'ennesimo trillo annunciò l'arrivo di un nuovo ospite, Joel andò ad aprire.
Quando il ragazzo dai tratti orientali e la pelle d'ambra entrò in casa si illuminò la stanza. E noi donne compreso Samuel restammo affascinate.
Occhi a mandorla grigi scuri, capelli lisci, neri portati a caschetto sotto l'orecchio. Naso dritto, mascella leggermente squadrata e zigomi alti, fisico snello e asciutto, non muscoloso ma stava benissimo. Si tolse il cappotto nero e ci raggiunse dandoci un buon Natale generale e ringraziando la mamma dell'invito.
"Lady Cooper grazie mille per il suo invito. Dio lei è bellissima, questo si che è un regalo di Natale coi fiocchi." Concluse coi saluti. "Ah io sono Rafael Keller e... TOMMY!" Urlò Appena vide mio fratello, corse da lui e lo abbracciò.
Però Thomas col suo solito distacco lo ignorò.
"E abbiamo qui anche Rafael." Disse allo schermo del telefono.
"Ciao fratellone." Urlò con una smorfia Rafael.
"Chi te lo ha detto?" Chiese Thomas voltando il telefono e mostrando il bel viso di un ragazzo moro.
-Ciao Rafael, buon natale.- lo salutò mentre quest'ultimo prendeva il telefono e componeva un numero.
"Questa è un'occasione da non perdere fratellone." Disse con uno sguardo birichino. "Sto chiamando Miki, una videochiamata tutti insieme." Annunciò indicando la sala. "C'è anche la bambina di Thomas." Affermò.
-La compagna intendi. - Disse Gabriel mentre Thomas alzava il telefono per fare una panoramica della stanza. -Auguri a tutti anche chi non conosco.-
"No fratellone." Disse Rafael. "Mi riferisco alla bambina che ha in grembo. Un po' come te che aspetti un..."
-Ehi zitto.- ordinò Gabriel frenando l'eccentrico Rafael.
-Rafe ti rendi conto che sono le sei di mattina. Che ti chiami?- Si lagnò una vocina.
"Buon Natale sorellina!" Esultò Rafael eccitato. "Guarda con chi sono." Disse appoggiandosi sulla spalla di Thomas che mostrava ancora il cellulare.
-Gabe... oh tu sei Thomas... ma che fortunati voi li. - disse la ragazzina. -Posso fare gli auguri? Fammi vedere chi c'è!- ordinò la giovane.
Anche Rafael fece una paniramica. Vidi una ragazzina con i capelli neri in disordine e lo sguardo scuro vivace, augurava a tutti una giornata felice e quando la camera si fermò su di noi esultò. "Ci sono anche tre bellissime donne. Io invece sono in compagnia di papà e nonno. Che sfiga!"
-Mikiii.- la rimproverò Gabriel.
"Papà c'è Micky? Così gli facciamo gli auguri." Chiese Rafael.
-Qui sono le sei di mattina Rafe, papà è a fare la sua corsa mattutina. - Affermò. - Non puoi essere il cinquantenne più figo di Boston se non alleni il fisico.- Disse allusiva.
"Per essere fighi si deve aggiustare l'anima." Affermò Rafe.
-Torna a casa e aiutami a farlo. Oggi con nonno, papà e Denise andiamo a pranzo dalla zia Terry e Joan sta sempre sulle sue. Sai che due scatole giganti farò!-
-Mikiiii-
-Gabe zitto! Io dovevo essere lì a farti da damigella.- Rispose la giovene.
Certo che essere il fratello maggiore di due ragazzi così invadenti doveva avere il suo bel da fare.
"Auguri per il tuo matrimonio Gabriel." Urlai.
-Grazie Diamond, visto che ci sei impara un po' di educazione londinese a mia sorella. -
-Gna gna gna... hai un nome bellissimo bella bionda. Diamond...- Disse sospirando.
Sorrisi, quella ragazzina era mia sorella. La mia unica sorella. "Anche il tuo è bellissimo." Le dissi iniziando a chiacchierare con lei, era tutto un vociare tra noi e loro dall'altra parte.
Qualche volta si inserivano nella conversazione anche Isaak e Samuel. Mamma quando Gabriel la includeva nel discorso.
Facendo gli auguri a tutti li salutammo quando bussarono alla porta Molly ed Ebony. Era tempo per tutti di partecipare al pranzo di Natale o prepararsi nel caso si Micaela.
Durante il pranzo ci divertimmo tutti, Rafael schedava con Joel indicano Vanessa che scodinzolava dietro Isaak. Thomas quando lo sentiva gli dava dei lievi colpetti alla testa e lui rideva.
"Smettila Rafael." Disse Joel. "Ricorda non c'è due senza tre."
"Si ma questa volta deve averlo capito che è nostro fratello." Disse Rafael.
Ad un certo punto mi ero chiesta come facesse Rafe a sapere certe cose. Poi compresi che come Joel aveva una certa empatia per cui percepiva la verità.
Quando fu il momento di aprire i regali mamma ne fece trovare anche per Rafael e anche nel pacco gigante di Joel c'era un regalo per lui.
"Il vecchio non si smentisce mai." Disse Rafael aprendo un libro prima edizione assoluta di Alexander Dumas. Lo odorò e se lo strinse in un abbraccio. "Adoro." Disse.
Thomas dalla scatola ebbe un portachiavi d'argento con un ciuccio, un augurio per il bambino sicuro. A Samuel arrivò un modellino della torre di Pisa, amando lui l'architettura il regalo di stava a pennello. A me anche arrivò un libro, La Verità Sul Caso Harry Quebert. Non potevo crederci, un libro su un caso giuridico. Infine Joel ebbe una cartolina, la solida che apriva, leggeva e posava con gelosia insieme alle altre.
"A te il vecchio non fa regali Isaak?" Chiese innocentemente Rafael.
"Chi sarebbe il vecchio?" Chiese lui scettico.
"Nessuno. Non lo consoci." intervenne Joel sulla difensiva.
E capii! Forse per la prima volta tutti noi capimmo. Quei regali venivano da mio padre.
Incrociai lo sguardo con mamma che stava stringendo tra le mani la sera della sciarpa regalatale. Era stato il primo regalo che Joel, come ogni anno, aveva consegnato.
Papà ogni anno aveva un pensiero per tutti noi. Erano indirizzati a Joel. Ma non era suo complice poiché anche mio fratello riceveva un regalo ogni anno.
"Mamma?" Le chiesi sparecchiando. "Come arrivano qui I regali. Sappiamo che babbo Natale non esiste."
"Credo che tuo padre dica a Hanna o Margot di comprarli per lui." Mi rispose lei secca.
"E Isaak perché..."
"Isaak non lo vuole come padre. Anche se è riuscito a frequentare l'accademia di cucina grazie a lui. Molly e suo marito volevano che studiasse qualcosa di più concreto."
"Bisogna capirlo."'Le dissi. "A differenza di tutti noi, Isaak è amato dai genitori."

THOMAS
Il tempo volò via rapido. Tornai all'università a metà gennaio già pronto a dare gli esami. Le mie giornate erano assortite da lavoro, studio esami e telefonate a Vanessa.
Aveva deciso di non continuare con gli studi, non se la sentiva. Dopo che il padre le aveva confessato di averle pagato l'entrata a Oxford aveva fatto un passo indietro. Al telefono non la sentivo mai bene, piangeva dicendo che stava ingrassando. Io non sapevo come aiutarla se non mandarle mamma e Diamond a farle compagnia.
Sua madre non che l'aiutasse tanto. Era entrata in depressione poiché si stava rendendo conto che invecchiava, non poteva più farsi le siringhe di botulismo al viso e iniziava a vedersi.
Forse se non le avesse mai fatto non si sarebbe trovata in quella condizione, lei e mamma erano coetanee e a parte le rughe espressive mia madre stava benissimo.
Arrivai a maggio che presentai la tesi. Più in ansia per Vanessa che per il mio ultimo esito.
Io e Liam lasciammo il Trinity college il 25 maggio, subito dopo la consegna dell'attestato.
A casa la prima cosa che feci fu accompagnare Vanessa dallo psicologo, con cui mi fermai a parlare in privato mentre lei era in bagno.
"Ha sempre avuto la mania della perfezione, per lei l'evolversi della gravidanza è sempre più traumatico. C'è il rischio che possa andare in depressione." Mi disse.
Lo avevo compreso anche io. La sua paura di ingrassare, mangiare a stento, accusarmi di ingrassare per me quando mi disse della gravidanza. "Da piccola era una bambina obesa. Ovviamente dopo un'adolescenza bulimica aveva trovato il suo equilibrio. Non so perché abbia deciso di rischiare tanto con una gravidanza."
Scossi la testa. "Di sicuro non amore." Gli risposi sapendo in cuore mio che era stata manipolata dai genitori. "Ci frequentavamo da un mese quando è rimasta incinta, anzi io la lasciai. Avevamo un rapporto molto fisico." Gli raccontai.
"Usavi il preservativo e ti ha convinto a fare senza." Disse il medico. "Mi ha raccontato per sommi capi come sono andate le cose e credo che si sia affezionata a te adesso. Sei stato la sua ancora di salvezza. Mi racconta che ti preoccupi per lei. E non per ricevere qualcosa in cambio, questo è importante."
Annuii. "Spero non fraintenda. Io non la amo!" Gli dissi sincero. "La rispetto e le sono affezionato, nulla di più."'
"Lo capisce. Lei in questo momento è presa da te e dai tuoi fratelli. Dice che è attratta da Isaak e che anche lui la tratta bene. Ovviamente so anche di Rafael."
"Ha bisogno di stimarsi. Cosa posso fare io per lei?" Chiesi al medico prima che Vanessa tornasse.
"Continuare a fare ciò che stai facendo. Credo sia solo l'inizio, adesso la bambina la farà diventare più grossa e per lei sarà un trauma." Mi consigliò.
"Io pensavo di portarla a casa mia. L'aria che si respira dai suoi è molto pesante." Dissi.
"Credo sia un'ottima soluzione. Vediamo come andrà."
"Va bene. Grazie mille dottore..."
Non avrei mai immaginato che Vanessa avesse un profondo turbamento psichico. Speravo
con la mia presenza di riuscire a salvarla.
Avrebbe dovuto abortite quando glielo avevo detto. Forse ad oggi non si sarebbe trovata in questa situazione così in bilico.
Quando andammo via le feci la fatidica proposta. "Che ne dici di venire a stare da me fino alla gravidanza? Senza impegno ovviamente. Avrei la tua stanza e tutti i tuoi spazi. Inoltre ci saranno anche Diamond, mamma e Samuel." Le dissi.
"Samuel è adorabile. Mi vizia tantissimo, potrei accettare." Mi rispose.
"E allora fallo." Le dissi. Portandola alla casa paterna. "Posso chiederti una cosa?"
Vanessa annuì. "Tutto ciò che vuoi."
"Quando scoprirti la gravidanza, ricordi che ti proposi l'aborto?" Vanessa assentì. "Perché quando è uscita la tresca ideata dai tuoi non lo hai fatto? Perché con i tuoi turbamenti? Sei ancora giovane." Aveva solo diciannove anni e poteva scegliere.
Vanessa sospirò. "Ho visto la tua famiglia. Così unita e piena d'amore, nonostante non c'era l'amore di un padre.  Nonostante non aveste tutti lo stesso sangue." Mi confidò. "Ho penato che era un bambino e che non meritava un destino crudele. Soprattutto con la promessa di questa famiglia." Terminò.
Una famiglia disastrata ma bella. Aveva ragione.
E anche io avevo avuto ragione facendola trasferire a casa mia. Vanessa stava risorgendo dalle ceneri, i costanti complimenti di Diamond e mamma, le attenzioni giuste, stavano facendo i loro miracoli. Poi c'era Samuel.
Il figlio di Andrew Davis era l'opposto di suo padre, un tenerone che guardava film d'amore e raccontava favole alla bimba ogni sera seduto accanto a Vanessa.
Lei stava riprendendosi e aveva delle ricadute solo quando passava a trovare i suoi genitori che pretendeva di vedere l'unica figlia che era loro rimasta. Sapevo che dietro quelle richieste c'era Ava. Kevin era partito a gennaio per una comunità in Norvegia. Stava ripulendosi e aveva iniziato a lavorare insegnando la recitazione ai bambini. Non voleva tornare a casa, allo stress che si respirava  in casa. Vanessa era rimasta l'unica presente.
Ogni volta recuperare la sua sanità mentale era difficile.
A giugno mi chiamò Gabriel. Sentiva la mia mancanza e mi avvertiva che era nato suo figlio Adam.
Contento per lui, gli ricordai che presto sarebbe diventato 'zio ' anche da parte mia.  E che appena avremmo potuto viaggiare dopo il parto, sarei andato a trovarlo per conoscere Adam.
Giugno passò velocemente tra il mio lavoro e la privatizzazione della London bank, che era diventata un investimento della KCG centrarle. Stranamente però a dovere seguire quella privatizzazione ero io e non uno dei soci di mio padre.
Il ventisei luglio, durante una trattativa fui chiamale da mia madre. Vanessa stava rompendo le acque.
Kristal Elisabeth Davis, nacque meno di due ore dopo, fortunatamente aveva fatto penare poco sua madre.
Amai subito Kristal, dal primo momento che la ebbi tra le braccia. Fui inoltre sollevato dalla nascita della bambina per il bene di Vanessa. Nell'ultimo mese la sua pancia era cresciuta abbastanza da mandarla in crisi.
Non era una silhouette dopo il parto, le era rimasta una lieve pancia che il ginecologo le aveva assicurato sarebbe andata via in poco tempo. Doveva semplicemente sgonfiarsi.
Scrissi a Joel, Heinrich e Gabriel della nascita di Kristal.
Liam in quel periodo per me era la mia ancora di salvezza. Seguiva la mia società, viaggiava al mio posto e seguiva la LKT senza problemi.  Cosa più importante mi supportava durante i miei sfoghi.
Kristal era tranquilla, mangiava e dormiva. Però come sua madre quando andavano a trovare i nonni Smith, quando andavo a prenderle erano entrambe esaurite. La cosa peggiore era che non vedevo progressi in Vanessa, anzi mi sembrava peggiorata.
Eppure stava perdendo peso. Ogni volta che Kristal piangeva però andava in crisi anche lei. Eppure nostra figlia era una bambina molto tranquilla.
Quando arrivò settembre la prima cosa che feci fu prenderle un appuntamento con lo psicologo che rientrava dalla pausa estiva.
Intanto Ava pretese che la figlia tornasse a vivere a casa sua e occuparsi delle pubbliche relazione. Vivere a caaa mia fin tanto non volevo sposarla per lei era inaccettabile.
"La bambina ha bisogno di te e tu hai bisogno che io ti aiuti con lei Vanessa." Le dissi.
"Puoi tenerla tu. Io non la voglio, mi stanca, mi assorbe del tutto,  mi sto perdendo e non voglio lasciami andare come una vecchia per lei." Si sfogò.
Possibile che il problema fosse la bambina? Lasciai tornare Vanessa a casa sua e quando lo feci preso appuntamento con lo psicologo. Questa volta però ci andai solo io, con Kristal nel passeggino. Gli raccontai dei comportamenti di Vanessa dalla nascita della piccola fino al suo recente rifiuto di tenerla.
"Sua madre vuole che riprenda la vecchia vita, che si faccia vedere in società al fine di trovare un marito adatto a lei." Spiegai.
"Purtroppo lo stress preparato per la sua condizione fisica si è trasferito sulla bambina. È il simbolo del suo cambiamento, non ha più il fisico di ragazza. È diventata una donna, è fisiologico e positivo. Ma lei non lo accetta ancora." Mi spiegò il medico. "Ci troviamo nella fase della depressione post parto. Quello che posso consigliarti è di fare un passo indietro. Falla tornare a casa sua, falle riprendere le vecchie abitudini, falla uscire e vediamo se c'è qualche reazione." Mi consigliò. "Ovvio che se provi qualcosa di profondo per lei tutto cambia e dobbiamo trovare una soluzione alternativa."
"Le voglio bene come a una sorella. Ci tengo che stia bene, non mi fido dei genitori e del loro ambiente. Ma se dite che possa essere una soluzione proviamoci." Dissi.
"La bambina è molto tranquilla. Se in presenza della madre diventa isterica significa che percepisce la tensione della madre." Mi spiegò lo psicologo.
"Lei non immagina quando vado a prenderla dagli Smith. Me la trovo con i capelli rizzati." Affermai.
"Capisco. Facciamo così, lasciamo tornare Vanessa a casa dei suoi, proviamo questa ultima strada prima di arrivare a darle dei medicinali. Ritornare a fare la reginetta della festa potrebbe aiutarla." Mi disse.
Seguii il suo consiglio. Tenni Kristal con me e feci tornare Vanessa dagli Smith, per farle capire la mia solidarietà mandai lei e Samuel a fare shopping. Adesso aveva le curve più morbide e i seni sembravano meno plastici e più sodi, come i fianchi che erano belli rotondi.
Al rientro Samuel mi aveva detto positivo che l'aveva lasciata raggiante. Purtroppo però per farla riprendere non potevo mandarla a fare shopping ogni giorno.
Speravo che la bella vita la aiutasse. Noi, io, Kristal e  Samuel andavamo a trovarla ogni sera dopo il mio lavoro. E nei week end solo io e Kristal la prendevamo e ci concedevamo delle piccole vacanze.  Non sapevo se stava o meno bene, ma adesso Vanessa giocava con la bambina. La teneva in braccio e le cantava le canzoncine; pensavo positivo.
Poi quel pomeriggio di fine ottobre bussai alla casa degli Smith senza alcun risultato. Avremmo dovuto preparare le ultime cose per Halloween, il primo di Kristal. Avevo già comprato un vestito alla moda e ultra richiesto per Vanessa. Ma sembrava che non ci fosse a casa.
"Mamma non risponde." Canticchiai alla bambina. Ancora bussai alla porta, senza ottenere risposta la chiamai al cellulare. Niente. Restai fuori l'abitazione fino a quando ormai buio non rincasò Lincoln.
"Non c'è nessuno. Vanessa e Ava sanno che ogni pomeriggio sono qui. Avevano impegni?" Chiesi al vecchio.
"Non che io sappia, vieni ti faccio entrare io." Mi disse indicando la bambina. "Cresce."
"Ha tre mesi. Faremo Halloween e si vestirà come la mamma, vero principessa?" La vezzeggiai posando le borse.
Sul divano di fronte a noi fummo stupiti di trovare Ava che dormiva.
"Sveglia parassita." La richiamò Lincoln. "Ti sei ubriacata?"
"Lasciami." Si lagnò lei. "Vanessa ha preso tutte le medicine e non sapevo come sballarmi." Farfugliò.
Medicine? Quelli medicine. "Lo psicologo non ha dato medicinali a Vanessa." Dissi a Lincoln che mi prese la piccola da braccio.
"Vai a cercarla. Io chiamo io pronto intervento." Mi disse.
Corsi sopra nelle stanze, arrivai a quella di Vanessa e chiamandola aprii la porta. Era stesa a letto, il volto rigato di lacrime asciutte. In mano aveva un foglio di carta. Dormiva?
Mi avvicinai piano, sembrava dormisse, le carezzai io  viso, era gelido. Vanessa era morta.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia si svolge in contemporanea con la storia di Gabriel Keller in Liberi di essere se stessi. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
Il microstato del Keinsten non esiste, ne ho inventato uno a somiglianza e ispirazione del Lietchsten. Nomi, luoghi e altro sono di mia invenzione
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna e Nord Europa INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE -Albero Genealogico:I Thompson - I Keller

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THOMAS
Overdose. Vanessa era morta di overdose di farmaci.
Ava non avendo più disponibilità di fornirsi dal suo pusher aveva riservato sui medicinali la sua nuova dipendenza. Era stato facile per lei dire al medico curante che non riusciva più a dormire e che avesse bisogno sì qualcosa di forte per poterlo fare.
I suoi sonniferi avevano fatto addormentare per sempre Vanessa. Quando l'avevo trovata non avevo osato toccarla, avevo aspettato che arrivassero i soccorsi chiamati da Lincoln. Mi sentivo in colpa perché avevo fatto tornare Vanessa a casa dei suoi genitori, Lincoln e suo figlio si sentivano in colpa per aver assecondato Ava. Entrambi, soprattutto Oliver il padre di Vanessa, lavoravano per dare alla famiglia una parvenza di reddito e normalità. Nel farlo però avevano lasciato Vanessa sola con Ava, che dopo una perizia psichiatrica era risultata più instabile di sua figlia.
Eravamo tre uomini, tutti e tre in colpa. Anche Vanessa si era sentita in colpa. Quando erano arrivati gli inquirenti, mi informarono che il figlio che ella stringeva tra le mani era un lascito indirizzato a Thomas, Samuel e Isaak.
«Perdonatemi! Non sono forte come voi. Non riesco a reagire, mi sento inutile e in colpa per non aver dato importanza ai vostri sforzi. Vi vorrò sempre bene Vanessa.
Ps. Tom, so che nostra figlia con la tua famiglia sarà molto più felice di quanto lo sia stata io. Non poteva desiderare un padre migliore di te.»
Non so se avessi potuto perdonarla, ma dovevo reagire e andare avanti per Kristal.
Dovevo proteggerla da tutto lo scalpore che il suicidio di Vanessa avrebbe alzato.
Chiesi così a Diamond di portare la bambina e Samuel dai nonni nella Highlands.
Mi strinsi nel mio lutto, mamma e Joel mi sostenevano, per l'occasione anche Isaak e Molly si strinsero intorno a noi.
Mamma cercava di farmi capire che non era stata colpa mia, anzi che io avevo fatto il possibile per fare stare bene Vanessa.
"L'hai tenuta qui con te nonostante non stavate insieme. È stata lei a voler tornare a casa dei genitori." Mi disse.
"Ma io sapevo che discuteva con sua madre. Avrei dovuto fare qualcosa per lei." Mi rammaricai.
"No Tom! Tu la raggiungevi ogni sera. C'eri per lei, hai fatto in modo che andasse sempre dallo psicologo. Tu hai cercato di aiutarla." Mi ricordò mamma.
Liam e Joel osservavano inermi la reazione che ebbi, anche loro volevano convincermi che non era stata colpa mia.
Poi il giorno del funerale di Vanessa ebbi il supporto che mi risollevò. Gabriel ed Heinrich si presentarono alla mia porta con London, Chester e Edgar. Gellert e Didier ci furono per Joel.
Circondato dai miei amici che avevano lasciato tutto per me cercai di riprendermi.
Gabriel ed Heinrich restarono per una settimana a Londra. Mi supportarono, Gabe con la presenza.
Heinrich con modi più diretti. "A livello psicologico non potevi aiutarla, sono passi che dovevano partire da lei. Tu cercavi di farle fare dei passi avanti. Ma per uno fatto avanti con te, ce n'erano due fatti dietro con la madre." Mi disse.
Gabriel era più sensibile in merito. "Cerca di ricordare i momenti belli. Non eravate più amanti ma siete stati amici e sicuramente quando stava qui era felice. Mi hai detto che Samuel è devastato dalla sua morte perché erano molto amici." Mi disse. "Lei ha avuto da voi tanto e dovresti ricordare quei momenti. Per te stesso e per vostra figlia."
"Mi dispiace non avertela potuta presentare." Gli dissi.
Gabe mi guardò e richiamò l'attenzione di Heinrich. "Riesci a liberarti a dicembre? Per Natale." Gli chiese.
"Potrei organizzarmi per qualche giorno." Disse.
"Vi aspetto a Natale a Boston." Annunciò. "Così tu e Joel mi porterete Kristal, Heinrich avrà così modo di conoscere sia lei che Adam. Mia moglie non vede l'ora di conoscervi. Le ho parlato tanto di voi due."
"A casa tua?" Chiesi. Avrei avuto modo di rivedere mio padre dopo sedici anni? "Non saremo di troppo?"
Gabriel scosse la testa. "Papà non avrà problemi. Lo avverto appena torna del suo viaggio in Brasile. Mentre nonno si sta annoiando ultimamente, accoglierà con piacere tanta gioventù."
Annuii guardando mamma di sottecchi. "Non posso venire. Mi dispiace." Gli dissi.
"Io credo che dobbiate andare invece." Intervenne mamma raggiungendomi. "Lo vuoi tanto e non sarò io a fermarti. Cambiare aria ti farà bene e una vacanza anche. Non ne prendi una da quando hai iniziato l'università."
"La ringrazio lady Cooper. Ovviamente anche lei è invitata a Boston per Natale." Le disse Gabe.
Mamma però scosse la testa. "Credo che raggiungerò i miei genitori in Scozia invece, non ci sono mai stata da quando vivono lì."
"Ti porterò io in Scozia. Voglio vedere anche io le highland." Le dissi.
Con questa promessa Gabriel e Heinrich mi lasciarono più tranquilli. Salutai London che durante la permanenza ne aveva approfittato per formare una società con Liam e dissi a tutti che ci saremo visti a Boston.
Prima di allora volevo però riprendermi completamente dal lutto. Chiesi un ultimo incontro con lo psicologo di Vanessa, ne avevo bisogno per capire dove avessi sbagliato con lei. Fin quando Kristal era in Scozia dai nonni ero libero di muovermi come volevo.
Così l'ultima settimana di novembre incontrai il dottor Lambert.
Gli raccontai di tutti i miei dubbi e le incertezze. Quando terminai il medico sospirò.
"Se tutto quello che abbiamo fatto per lei fosse stato inutile, come tu dici. Allora il nostro lavoro sarebbe sminuito. Ora come ora penso che scegliere la via che avevamo deciso per lei, farla tornare a essere protagonista della sua vita. Sia stata la strada migliore." Mi disse. "Con queste premesse se le avessi dato dei calmanti ci avrebbe lasciata molto prima, subito dopo anche la nascita di Kristal." Mi spiegò. "Purtroppo non sapevamo che la prima persona da gestire era Ava, non l'ho mai avuta in cura. Non ho mai avuto modo di conoscerla in realtà. Era Oliver che mi portò Vanessa qui a quattordici anni, era bulimica e voleva salvare sua figlia."
"Oliver era al lavoro quando Vanessa si è suicidata. Adesso fa due lavori, il cameriere di sera e assistente al studio commercialista del mio amico Liam. Anche lui si sente malissimo, credo che stesse ancora con Ava per Vanessa."
"Si! Voleva dare alla figlia almeno un brandello di normalità. Il loro matrimonio è finito una decina di anni fa."
Annuii. "Vogliono vendere casa. Lincoln con la sua pensione può permettersi di andare in una casa di accoglienza, Oliver prenderà un appartamento solo per se adesso che Ava è nella clinica psichiatrica."
"Sarebbe la soluzione migliore. Così non sarà costretto a fare due lavori." Mi disse il medico.
"Con la vendita della casa potrebbe comprare benissimo un piccolo appartamento e avere una piccola rendita. Questo Natale vuole raggiungere Kevin in Norvegia." Gli dissi.
"Cerca di dare una presenza femminile a Kristal, una costante con cui stare serena e che riempia i vuoti quando non sei a casa." Mi consigliò.
Annuii alzandomi dalla sedia e tendendogli la mano. "Penso che comprerò la casa dei Lincoln per lei. Voglio che abbia qualcosa della madre." Dissi.
"Un'ottima idea anche questa. Ti saluto Thomas e semmai avrai bisogno di me, sai dove trovarmi." Mi disse il medico.
Lo salutai più sereno, consapevole che effettivamente avevo fatto il possibile per Vanessa.
Ripresi a lavorare molto più tranquillo, mi sorpresi di ricevere un messaggio da parte di mio padre.
-Ho saputo solo adesso del tuo lutto. Comprendo il tuo dolore e ti sono vicino come non ho potuto quando sono accaduti i fatti. TK.-
Sorrisi. Era un messaggio molto formale, ma mi scaldò il cuore.
Il venti dicembre chiudemmo gli uffici della LKT per le vacanze natalizie. Con Liam ci eravamo accordati che avremo seguito i mercati da Boston, alla G&L. Il giorno dopo andai a prendere Diamond all'università e poi accompagnai lei e la mamma in Scozia dove Kristal mi aspettava con i nonni e con Samuel.
"Mi dispiace non poterti portare con me a Boston." Dissi a mia sorella.
"Ma no! Mamma mi ha detto che è stato un invito che Gabriel ha fatto ai suoi amici. Un ritrovo tra maschi!" Mi prese in giro.
"A me dispiace non esserci stata quando è venuto. Mi sarebbe piaciuto conoscerlo." Mi disse.
"È stata una sorpresa anche per me vederli tutti intorno a me." Risposi.
La mia bambina quando mi vide mi saltò in braccio. Quella separazione era stata dura anche per me. Per tutto il tempo che restai a casa sei nonni infatti, la piccola non si staccò da me. Non ebbi il tempo di salutare i nonni o di raccontare loro come mi andava, voleva la mia attenzione e io gliela davo. Kristal era l'unica persona che mi faceva sciogliere il cuore in realtà, prima di lei non capivo l'amore. Ne avevo uno solo, quello verso mamma e quello verso i miei fratelli e amici. L'amore della famiglia! Nonostante Kristal fosse mia figlia il legame che sentivo con lei era qualcosa di unico e indiscusso. Con lei ridevo e sorridevo, mettevo da parte la freddezza che avevo avuto con le donne e con la sua stessa madre. Lei era la mia vita. Presi il volo verso Boston nervoso, non riuscii a riposare tanto lo ero, lo fui anche una volta atterrati. Fu Joel a rassicurarmi.
"Andrà tutto bene, rilassati. Sarà come ritrovare un vecchio amico." Mi consigliò.
"Facile a dirlo per te. Vi sentite ogni giorno?" Dissi sarcastico.
"No Tom, manteniamo un rapporto epistolare. Io per praticità gli scrivo molte mail, lui mi risponde sempre solo con un cartaceo." Mi disse per rassicurarmi. "Mi chiedo come tu abbia fatto ad avere il suo numero."
Fissai mio fratello. "Segreto." Dissi intanto che Liam se la rideva e si sbracciava.
"Ehi Lon! Siamo qui." Urlò cercando di attirare l'attenzione.
Poco distante infatti vedemmo London con Heinrich, arrivato il giorno prima di noi, che chiacchieravano.
"Ehi ragazzi." Salutai raggiungendoli. Kristal in braccio a me si guardava intorno.
Heinrich appena mi vide alzò la mano ritraendosi mentre guardava mia figlia, quasi fosse un alieno. London al contrario riuscì subito a mettere mia figlia ad agio.
"Ma ciao principessa." La salutò facendole una smorfia. "Ho la macchina parcheggiata qui fuori ragazzi, come è andato il viaggio?" Chiese poi a tutti noi.
Rispose Joel per tutti, intanto che io chiacchieravo con Heinrich e trascinavo il trolley di Kristal.
"Io sto da te, vero?" Sentii dire a Liam.
"Non dormirai con noi a casa Keller?" Chiesi al mio migliore amico.
"No, ma anche Heinrich essendo venuto da me credo dormirà a casa mia." Rispose London.
"So che arriveranno anche i genitori di Gellert domani. Non penso ci sia posto per tutti Tom." Disse Heinrich.
Ero stupito. Si erano già organizzati tra di loro, probabilmente molto prima della partenza. E io? Dove ero in tutto ciò? I gorgoglii di Kristal mi distrassero. Poi capii che i miei amici mi avevano dato il tempo di elaborare il mio lutto. Ne ero stato preso molto più di quanto pensassi.
Arrivati di fronte casa Keller scoprii che quello che avevo di fronte era un maniero. Altro che casa, ci sarebbe stato posto per tutti lì.
Però Liam non scese dall'auto.
"Ci vediamo al matrimonio di Chester gente. Questa sera esco con London." Mi avverti.
Ok! Se doveva andare così avrei affrontato tutto senza Liam, colui che riusciva a rendere leggera la mia giornata. Avrei avuto bisogno di lui quel giorno. Ma pazienza.
Qualcuno, una domestica forse, venne ad aprirci la porta. Era una donna sulla quarantina vestita in modo elegante e ci invitò a seguirla.
Una volta raggiunta una grande e confortevole open space incrociai lo sguardo di Gabriel. Subito mi calmai, gli sorrisi e lui ricambiò il mio sorriso.
"Finalmente a casa Tom." Mi disse Gabriel.
Il vecchio accanto a lui, una versione anziana di mio padre che restava leggermente distaccata dal gruppo si rivolse a Gabe.
"Presentali Gabe." Disse.
"Certo nonno, calma." Rispose lui, io sorrisi, quel vecchio era anche mio nonno.
E mentre Gabe ci presentava tutti io tenevo lo sguardo di mio padre che a un certo punto sorrise e si avvicinò a tutti noi.
"Posso prendere tua figlia? Ha cinque mesi, giusto?" Si informò.
Annuii passandogli la bambina con piacere e sperando che non piangesse. "Riesce a tenersi in piedi. Spero non piangi, difficilmente mi lascia." Papà assentì, ma sorprendendomi Kristal si lasciò prendere e gli sorrise anche. Piccola traditrice.
"Chiedo scusa per l'omonimia signor Keller, potete chiamarmi Tom, come fanno tutti." Dissi tra una cosa e l'altra al nonno intanto che li seguivo in una sala degli ospiti andando a sederci nei comodi divani.
"Sta tranquilla?" Chiesi a mio padre.
"Certo! Nessuna donna dai zero a novant'anni resiste al fascino dei Keller." Mi rispose.
Risi divertito mentre Adelaide Thompson in Keller finalmente prese confidenza. Iniziò infatti a fare molte domande e io mi rilassai studiandola.
Cercava di metterci a nostro agio, era loquace e poteva apparire come una ragazza comune. Eppure quello sguardo vivace era ciò che la contraddistingueva. La sua pelle ambrata entrava in contrasto con quella olivastra di Gabe ed era circa due spanne più bassa di lui. Però vedendoli insieme compresi che erano perfetti come coppia, per non parlare poi di Adam. Il figlio di mio fratello era stupendo.
Nonno Tobias pretese che tutti noi lo chiamassimo nonno! Heinrich imbarazzato fu reticente. Sembrava si sentisse fuori luogo, al che compresi perché aveva deciso di dormire da London. Lui si sentiva effettivamente nel posto sbagliato.
A fine serata seppi che la donna che ci aveva accolto era Denise, la compagna con cui mio padre stava viaggiando. Durante la cena Gabriel mi aveva detto che suo padre al momento stava visitando le varie sedi che aveva aperto e nel farlo stava facendo girare il mondo a Denise che non aveva visto tanto essendosi sposata giovane.
"Questa donna è rimasta affascinata dai brasiliani." La prese in giro papà. "Ahi ahi ahi! Se ci lascia non dare la colpa a me, ma al fascino latino." Continuò imbarazzandola.
Decisamente da quando eravamo arrivati era più loquace. Parlava dei suoi viaggi, degli amici in giro per il mondo e del suo paese preferito, l'Italia. Sicuramente perché dietro di esso c'erano tanti e molti ricordi belli.
Me ne diede conferma Gabriel il giorno dopo quando ci ritrovammo per una corsa mattutina.
"Mi piace l'aria che si respira a casa tua. Micaela è molto dolce." Gli dissi.
"Si! Da quando mi sono chiariti con papà si respira un aria molto più rilassata." Mi disse sereno. "Ti ricordi quando mi dicevi che probabilmente avevo rimosso il ricordo di Marina?" Mi chiese.
"Ovvio, te l'ho detto tante di quelle volte da stancarmi."
Rise. "Ecco! Però hai ragione, sono stati i momenti più belli della nostra infanzia." Mi disse. "Le nostre vacanze in Italia e Marina." Affermò. "Avevo rimosso tutto, ho saputo come è morta Marina e sono rimasto traumatizzato da quel periodo." Spiegò.
"Com'è morta?" Gli chiesi incuriosita. Dalle lettere della nonna la causa era stato il parto.
"Gestosi. Ebbe un emorragia in presenza di tutti noi. Adesso che ricordo tutto l'immagine di lei che perdeva sangue dalle gambe mi torna alla mente." Raccontò. "Probabilmente il trauma mi è partito da lì. Papà la portò di corsa all'ospedale, ma riuscirono a saldare solo Micaela." Concluse il racconto.
"Cazzo! Deve essere stato brutto." Dissi.
"Come ti dissi da bambino, Marina si era portata via papà. In pratica è un buon modo per dirti che papà ne rimase distrutto. Fortunatamente si riprese." Gli dissi.
"Si è ripreso benissimo. Vedo che lui e Denise vanno molto d'accordo." Gli dissi.
"Altra rivelazione. Il loro matrimonio è fasullo." Mi confidò. "Papà mi ha detto che è di copertura e che ha smesso di correre dietro le gonne o che le donne lo cerchino per entrare nelle sue grazie. Sono solo amici e per copertura si dicono sposati."
"E il viaggio?" Chiesi sorpreso.
Al che prese a raccontami del patto con suo nonno e della disponibilità di papà a sostituirlo sul lavoro estero.
"Dopo che ci siamo confrontati ci siamo avvicinati molto." Mi rivelò facendo uno scatto avanti e poi prendendo a correre di spalle. Eravamo uno di fronte l'altro. "Mi piacerebbe molto che recuperasse questo rapporto anche con gli altri suoi figli. Quelli non riconosciuti."
Mi sobbalzò il cuore. Gabe sapeva? "Ne ha di non riconosciuti?" Chiesi fingendo ignoranza.
Lui tornò al mio fianco. "Ne sospetta uno almeno." Mi disse ormai arrivati alla mansione.
Ci fermammo entrambi a riprendere fiato, ognuno perso nei propri pensieri.
La porta si aprì rivelando una figura esotica. Entrambi restammo a guardare Rafael che in piedi ci fissava. "Sorpresa!" Ci disse divertito. "Entrate forza, sono arrivati la zia Inga e lo zio Taddheus."
Fisai Gabe. "Quanti saremo?" Chiesi.
Rise. "Domani saremo a pranzo dai miei suoceri. Stasera però non ti lascio, conosci mamma e i miei zii e starai a tuo agio."
"Dovevo partire per Dubai come Gellert." Dissi. "Queste feste mi uccideranno."
Anche se furono belle. Dopo il matrimonio di Chester e Lilian, Heinrich tornò in Svizzera. Io, Joel e Liam invece restammo ancora.
Vedere mia figlia in compagnia di Adam era una grande gioia, vederla viziata e verseggiata da mio padre, dal nonno e da Micaela lo era ancora di più.
Micaela era molto diversa da come me l'aspettavo, bellissima come Marina. Aveva un'espressione ingenua e dolcissima, era molto calorosa e cercava abbracci ovunque. Dal padre, dai fratello, da me e... no, non da Joel. Tra i due si era creato una sorta di barriera che non sapevo definire.
Joel ci era rimasto male. Me lo disse una volta. "Io non sono te. Semplicemente lei ha messo in chiaro che non appartengo alla vostra famiglia. Fa male Thomas, perché è stupenda. Vorrei non essere il figlio di Andrew Davis eppure col suo rifiuto mi è sempre più chiaro ciò che sono. Chi sono."
"Tu sei mio fratello. Joel non devi sentirti da meno di me." Gli dissi fermo.
"Anche perché non è come sembra." Intervenne la voce di mio padre alle nostre spalle.
Indossava un dolce vita rosso e un pantalone classico che mostravano quanto il suo fisico fosse ancora tonico, i capelli erano disordinati. Probabilmente grazie a Kristal, lo sguardo dolce. "Micaela è intimorita dalla tua presenza." Spiegò. "I fratelli sa gestirli, i ragazzi un po' meno." Disse scompigliando i capelli di Joel. "Tu sei un bel ragazzo. Dalle tempo e si scioglierà."
"Dobbiamo tornare a casa." Disse Joel.
Papà annuì. "È passato velocemente il tempo." Ammise.
"Posso.. possiamo sentirci a telefono." Propose Joel.
Lui lo guardò. Ci diede le spalle dirigendosi al piano bar dove riempì tre bicchieri di scotch. Noi lo raggiungemmo. "Potrei! Quest'anno ancora non ti ho fatto il regalo di Natale."
"Non mi interessa il regalo. Queste vacanze valgono tanto di più." Rispose Joel.
"Ma io ho il regalo." Disse guardandoci. "So quanto ti pesino le azioni della London bank e volevo venirti incontro." Affermò. "Te le compravo, poi le avrei lasciate a Thomas e saresti stato libero."
Mio fratello sussultò. "Si potrebbe fare?" Chiese.
"Se sei sicuro di volerlo fare sì! Questa operazione significherebbe escludere tuo padre. Lo sai vero?" Gli disse.
Joel annuì. "È tornare alla banca. Dice che li l'ordine restrittivo non ha valore."
Papà prese il suo bicchiere iniziando a bere, io lo seguii a ruota. Quelli erano affari di Joel e non potevo influenzarlo.
"Tom, dai il mio numero a tuo fratello, sarà il suo regalo di compleanno." Disse mio padre. "Solo il privato, gli altri contatti non gli serviranno." Concluse mentre Gabriel ci raggiungeva con Rafael. "Pensaci a quella proposta e al limite mi fai sapere."
"Di cosa parlate?" Chiese Rafael raggiungendo papà, mentre si preparava un gin tonic.
"Regalo di Natale." Rispose il vecchio.
"Ecco parliamone. 'Book & cofee!' Cos'è?" Chiese.
"Una caffetteria con libreria annessa." Rispose il vecchio. Gabe se la ride prendendo il bicchiere di scotch che Joel non aveva toccato.
"Cosa dovrei farci?" Disse ancora.
"Hai speso i cinquemila dollari che ti ho dato in libri." Disse papà.
Quindi anche Rafael li aveva avuti. "Cosa avrei dovuto farci! Non tutti sono portati come voi." Disse indicando me e Gabe.
"Infatti. Il book and coffee è un luogo a cui sono molto legato. Ho comprato il palazzo dove si trova proprio per non farlo chiudere. Vorrei che tu lo portassi agli antichi albori, se sei in grado di leggere ancora cartacei saprai come fare per riportarlo in vita." Affermò riempiendosi di nuovo il bicchiere. "Forse tu non ci crederai, ma io investo ancora su di te."
"Una libreria sola no?" Chiese Rafael.
"Papà andava in quel bar a fare colazione con la sua prima..." Disse Gabriel fermandosi. "Papà si è innamorato in quel posto." Disse spiccio.
"Potresti chiedere a Isaak di aiutarti col bar." Dissi a Rafael.
"Potrei farlo anche io. Mi sono laureato e ho un po' di tempo." Intervenne Joel. "Dove si trova il bar, a Firenze?" Chiese raggiante.
"Sveglia Joel studio a Oxford." Disse Rafael. "È a Londra questo posto, dove papà ha la sua prima sede."
Ingoiai il groppo. Se era a Londra non si parlava di Marina, la persona di cui si era innamorato papà a Londra era stata la mamma. "Noi potremo darci un'occhiata se serve." Gli dissi. "Ma lui ha puntato su di te."
"Per risollevare un luogo molto importante." Affermò Joel.
"Se è importante fallo tu." Si lagnò Rafael con nostro padre. "Vai a Londra e aprilo."
Papà sbattette il bicchiere sul bancone. "Io non torno a Londra. L'ho promesso e non lo farò più." Disse secco. "Se non vuoi farlo passa la gestione a Joel. Sicuramente è più propenso di te." Uscì dal bancone del bar e ci guardò. "Vado dai bambini. Cerco di godermeli prima che torniate tutti alla vostra vita. Ah si!" Concluse papà sulla porta. "Non vi ho fatto fare biglietti per il ritorno perché anche io parto per l'Europa. Prenderemo tutti il jet." E così facendo sparì.
Quando fummo soli Gabriel con fare minaccioso si avvicinò al fratello minore. "Non nominare più Londra a papà." Gli disse.
Nessuno di noi parlò. Rafael si scostò e corrucciato bevve il suo gin tonic. Mi chiesi cosa sapesse Gabriel di mia mamma. Passavo ogni giorno accanto al book and coffee. Era un grande caffè chiuso da anni, le vetrine erano coperte di polvere e i giornali che le coprivano non facevano vedere ciò che c'era dietro. Lì si erano innamorati i miei genitori.
Partimmo il giorno dopo per l'Europa. Rafael si immerse nella lettura di un libro tenendo le distanze da tutti. Accanto a lui c'era seduta sua cugina Joel che stava riportando degli appunti. Taddheus e Inga si erano invece concessi la visione di un film, avevano le cuffie e si erano estraniati. Anche Joel era soprappensiero, forse per la proposta che gli aveva fatto papà delle quote bancarie.
Denise teneva Kristal cullandola per farla addormentare. Eravamo rimasti solo io, papà e Liam concentrati tutti sui nostri computer.
"Dovresti darle una figura femminile fissa, adesso che rientri a Londra." Mi consigliò mio padre.
Annuii. Me lo aveva consigliato anche il dottor Lambert. "Lo so. Avevo pensato alla mamma o a Diamond, però mamma al mattino lavora e Diamond ha l'università."
"Comprendo che tu voglia qualcuno di fidato. Sarà comunque un salto al buio." Mi disse papà.
"Il punto è che vorrei trovare una madrelingua tedesca. Io e Gabriel pensavamo di far frequentare il nostro stesso collegio ai bambini." Confidai.
"Tutti e due a Monaco? Adela non dice nulla?" Chiese Liam.
"No, perché è un'ipotesi. Ci sono ancora tanti se e tanti ma." Dissi.
"Una madrelingua sarebbe perfetta anche se non dovessero andare al collegio." Disse mio padre.
"Non sarebbe necessario." Affermò Liam.
"Kristal ha legami con la Germania e Heinrich vive in Svizzera. Sicuramente Tom spesso raggiungerà Joel a Monaco." Spiegò papà a Liam. "Una madrelingua tedesca sarebbe perfetta, perché in casa si parleranno due lingue." Mi guardò indicandomi Pamela. "Prova a chiederle se conosce qualcuno che vorrebbe trasferirsi. Studia lingue straniere all'Università di Monaco."
Seguii il suo sguardo scettico. "Ma sarebbe giovane, se poi invece che dormire con Kristal volesse farlo con me." Chiesi.
Papà mi guardò. Ma fu Liam a parlare. "Con i tuoi precedenti ti capisco benissimo. Ma non puoi stare sempre in allerta, devi fidarti Tom."
"Concordo con lui. Devi fidarti, nel bene e nel male starebbe con tua figlia tutto il giorno e la fiducia è importante." Mi disse. "Chiedi a Pamela. Eventualmente dille che cerchi una persona seria, senza grilli per la testa, che non cerchi partito. Pam adora Kristal, potrebbe anche decidere di cambiare università e proporsi lei stessa."
Effettivamente quella era una bella prospettiva, poi studiando lingue Kristsl poteva anche diventare multilingue. "Provo a parlarle."
Così facendo mi spostai verso il suo posto.
All'inizio parlammo del più e del meno, di cosa stesse studiando e poi di Kristal.
Proprio parlando di lei mi lasciai sfuggire casualmente che avrei dovuto cercarle una tata, ero titubante perché avrei voluto fosse madrelingua tedesca.
"Aspetta! Madrelingua?" Mi fermò Pamela.
Annuii. "Una mia amica, sta cercando lavoro, diciamo che lo ha anche trovato, fa l'aiuto cuoco in un ristorante. Però avendo studiato musica è sprecata in quel posto e vorrebbe continuare il suo percorso accademico."
La lasciai parlare per poi interromperla. "Comprendo che tu voglia aiutare la tua amica. Ma lo studio della musica le ruberebbe tempo." La stroncai subito.
"Ma non può iscriversi a musica fin quando non avrà racimolato un bel gruzzolo. Nel frattempo Kristal crescerebbe, non la mandi al nido?" Chiese Pam. "Adesso a Boston lei e Adam si cercavano di continuo."
Adesso stava toccando un tasto dolente. "È ancora piccola per il nido." Le dissi.
"Il prossimo settembre no! Eleonora potrebbe iscriversi alla Royal academy per allora. Avrebbe il tempo di risparmiare e tu avresti una tata stupenda. Sa anche cucinare." Mi disse.
La proposta sembrava allettante. "La royal academy è tanta roba." Le dissi.
"Ma lei ha studiato lì fino all'anno scorso. Sarebbe sprecata altrove come è sprecato che non completi l'università." Mi disse.
"Conoscila, vedi cosa ti sembra e valuta. Ho un'idea." Mi disse lei senza darmi modo di risponderle. "Posso far venire Eleonora adesso che atterri e se non ti va bene amici come prima."
"Pam fermati."le dissi carezzandomi la fronte. "La fai troppo facile. Ci sono troppi se. Se non va la tua amica perderebbe il lavoro."
"Può andare in ferie. Il capo l'ha fatta lavorare tutto dicembre." Insistette lei.
"Come fate a conoscervi se tu studi lingue e lei musica?" Le chiesi.
"Perché abbiamo fatto lo stesso collegio. Forse tu l'hai sentita suonare ai saggi di fine anno Thomas. Ha due anni più di me, spiccava tra tutte quando suonava il suo violino."
La fissai sbigottito. "Eleonora Hasler?" Chiesi mentre Pam assentiva eccitata sbattendo le mani."Come diamine c'è finita a fare l'aiuto cuoca?" Le chiesi abortendo la sua esultanza. Sapevo che Eleonora Hasler era imparentata con i principi del Liechtenstein.
"Eleonora è la figlia illecita del musicista Raoul Hasler e della defunta principessa del Liechtenstein Alberta. Tre mesi fa suo padre è morto e automaticamente il suo conto è rimasto congelato. Sia perché ancora non ha compiuto i ventuno anni, sia perché i figli legittimi di Hasler hanno impugnato il testamento. Eleonora non volendo tornare in Liechtenstein ha preferito restare a Londra dove è stata 'rilegata' dopo il collegio."
"Non riesce proprio ad andare avanti?" Le chiesi. Il fatto che fosse una figlia illegittima come me mi faceva avere pietà per lei. Io almeno ero cresciuto con mia madre e i miei fratelli.
"L'università a settembre ha dovuto rifiutare la sua iscrizione all'ultimo anno accademico." Mi raccontò.
"Suo zio, l'attuale regnante, le ha però dato una rendita per un appartamento e le spese e le paga le rette per la bussiness school."
"Non vuole proprio tornare nel Liechtenstein?" Le chiesi.
Pam scosse la testa. "Nonostante ci sia vissuta fino alla morte della principessa Alberta, non vuole. Dovrebbe rinunciare alla musica per una laurea finanziaria e non è il suo campo proprio, ti ho detto lo zio le paga quella scuola. Comunque entrerebbe in un circolo che non sente suo. Eleonora è bella, sai quanti pretendenti si troverebbe addosso solo perché è principessa? Il regnante ha solo figli maschi, gli altri zii anche e la zia nonostante abbia due femmine, sono ancora piccole."
"Avrebbe dei doveri." Dissi comprendendo la sua posizione. "A Londra potrebbe concludere alla royal il suo percorso accademico. Ma dovrebbe essere ri accettata."
"Thomas se ti sei ricordato di lei significa che lei verrà accettata. Quando c'eri tu al collegio puoi averla sentita suonare fino ai suoi quindici anni. È molto migliorata."
Talento. Andava alimentato e come diceva papà bisognava investire sul talento. Aveva lasciato un bar a Rafael per far crescere il suo valore.
"Ok! Dille di venire a Londra. Sappi che deciderà Kristal se lei andrà o meno bene come tata." Le dissi. "Se non va.... Parlo con Liam. Un lavoro al limite glielo si trova." Sicuro sarebbe stato meglio dell'aiuto cuoca.
"Anche nel mio bar se non si riesce come tata." Intervenne Rafael. Lo fissai, effettivamente da quando ero lì se aveva girato un paio di pagine era tanto.
Tornai da mio padre, nel frattempo raggiunto anche da Joel e raccontai della mia chiacchierata con Pam.
Papà annuì. "Fammi sapere se è quella giusta, tanto sarò a Edimburgo." Disse.
"Hai da fare degli investimenti a Edimburgo?" Chiesi.
Scosse la testa. "I miei amici Drake Robinson, Mike Porter e Sean Mcmillam mi aspettano per trascorrere qualche serata in giro." Risposi.
"In Scozia!" Dissi pensando che Drake stava a Londra, non aveva proprio intenzione di mettere piede a casa mia quindi.
"In Scozia." Confermò.
"Potresti passare a salutaci prima di andare via." Disse Joel dando voce al mio desiderio.
"Mi dispiace, ho fatto una promessa a me stesso vent'anni fa. Io a Londra non metto piede."
Vent'anni fa... era l'anno in cui fu concepita Diamond. L'anno che partii per Monaco e incontrai Gabriel per la prima volta. Le lettere di papà erano un indizio importante, in quell'occasione aveva deciso di non incontrare più la mamma.
Il giorno dopo ripesi in mano il mio lavoro. Diamond e Samuel mi cacciarono di casa dicendomi che ci avrebbero pensato loro a Kristal.
Andai alla LKT investiments per prima. Ma Liam mi mandò via immediatamente.
"Se Drake non c'è devi seguire anche di la e io oggi ho del lavoro allo studio di papà." Mi disse impegnato. "Quindi vai ora che oggi resti qui."
Sospirando ripresi la mia valigetta e andai all'ufficio di fianco al mio. Dentro c'era mamma con alcuni giovani consulenti.
Come previsto Drake non c'era. Effettivamente quella era l'occasione per dire a mamma che volevo prendere una tata e comprare la casa di Vanessa per Kristal.
Quando fummo soli fu però lei a prendere parola.
"Meno male che sei qui. Ebony e Drake saranno via per almeno tutta la settimana."
La guardai. "Ebony non c'è?" Chiesi.
Mamma scosse la testa. "Sono in Scozia con il nostro amico Mike e suo marito. Un escursione di coppia nelle highlands." Mi disse.
Chissà se sapeva della presenza di papà in Gran Bretagna, potevo parlarle di lui? Cosa era accaduto venti anni prima?
Ero curioso, troppo. "Mam.." la porta si spalancò lasciando entrare Rafael tutto affannato.
"Mamma Sapphire!" Esclamò.
"Rafael." Disse mamma imbarazzata. "Hai passato un buon Natale?"
"Mamma Sapphire." Disse ancora lui. "Cosa sai del book and coffee?" Chiese diretto.
Lei trasalì, poi un lieve sorriso apparve sulle sue labbra. "Era il mio luogo preferito. Ogni mattina prima di andare al lavoro ci fermavano lì io e Thomas. Io prendevo un the con latte, dei biscotti. Thomas invece un caffè amaro e un bagel, i quotidiani, li apriva sulla finanza e lasciava a me il resto. Carichi poi iniziavamo a lavorare. Lui qui, io alle undici andavo al bar di Mike. Ci tornavamo qualche volte la sera per un the caldo, con un bel libro davanti a chiacchierare con i nostri amici." Concluse sospirando.
Ingoiai il groppo. Quel bar era il loro posto.
"Mamma Sapphire." Sussurrò Rafael. "Aiutami con quel posto. Adesso è mio."
Mia madre lo fissò per poi esplodere come non l'avevo mai vista fare. "Si! Si che ti aiuterò Rafael. E hai il permesso di chiamarmi mamma. Chiamiamo Samuel, sta studiando architettura. Saprà darci qualche dritta." Disse prendendo Rafael a braccetto per andare via.
"Mamma Samuel è con Kristal." Le urlai contro.
"Ma Samuel non è una baby sitter, dovresti..."
"Sta arrivando la sua tata. Possiamo aspettare." Disse Rafael.
Accigliato puntai un dire contro Rafael. Dovevo dire io a mamma della tata.
"Drake non c'è." Dissi a mamma.
"Fortunatamente ci sei tu caro. Ah... ero venuta per dirti che è arrivata la proposta di acquisto per la casa dei Lincoln." Mi disse mamma con un sorriso. "In bocca al lupo Tom e tanti auguri." Mi disse andando via con Rafael.
Sprofondai nella mia scrivania. L'anno nuovo cominciava bene.

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia si svolge in contemporanea con la storia di Gabriel Keller in Liberi di essere se stessi. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
Il microstato del Keinsten non esiste, ne ho inventato uno a somiglianza e ispirazione del Lietchsten. Nomi, luoghi e altro sono di mia invenzione
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna e Nord Europa INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE -Albero Genealogico:I Thompson - I Keller

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ELEONORA

Non avevo ma passato il Natale da sola, lontano dalla mia famiglia. Quella per me era la prima volta. Fino all'anno prima avevo partecipavo ai balli di Natale al palazzo di Stern, nel Kleinsten, dove restavo fino al brindisi di capodanno raggiunta dai miei amici. Negli ultimi tre mesi però la mia vita era cambiata, i lussi di una volta non potevo permettermeli più.
Mia madre Alberta era stata una ragazza gracile fin da giovane. Come tutti i suoi fratelli era probabilmente destinata a studiare economia e finanza in una grande università. Lo zio Philip aveva frequentato Harvard, lo zio Giacomo era andato alla scuola finanziaria di Londra, la zia Matilde infine alla scuola europea di business. Forse anche mia madre avrebbe potuto se non fosse stata così fragile. Avevo un po' di quest'attitudine anche io. Ma nel mio sangue la passione più forte era per la musica. Talento ereditato da mio padre il compositore e maestro d'orchestra Raoul Ashler, nonché uomo sposato e con prole quando conobbe mamma.
Fu sedotta e ammaliata da lui in poco tempo, vissero una relazione seria per almeno un anno. Poi quando mamma scoprì la gravidanza venne fuori che papà non era divorziato.
Mamma concluse così il suo percorso universitario a Salisburgo, in economia. Tornò nel Kleisten, un principato e microstato tra la Germania, la Svizzera e l'Austria, dove mi mise al mondo e con l'autorità del nonno, mio padre dovette anche riconoscermi.
Nacqui a Salisburgo il 24 febbraio del 1986, indebolendo la mia gracile mamma che mi riservò comunque tutto il suo amore. Non seppi delle lotte legali che ci furono dietro la mia nascita. Mio padre però passava a trovarmi qualche volta e nel farlo mi portava sempre qualche spartito o uno strumento da farmi provare. Mi diceva sempre che dei suoi figli ero l'unica ad avere il talento musicale.
A cinque anni e mezzo, anziché entrare alla scuola di Stern, come tutti i discendenti del principato, papà disse che sarei entrata in un collegio a Monaco.
Intanto la mamma si sposò, con un uomo che aveva per lei molto più rispetto di mio padre, il duca Gustav di Baviera. Partii per Monaco con la promessa di rivederla per Natale, al rientro la mia cara mamma era però a letto. Aspettava un fratellino e come con me si indebolì, cercai di allietare la sua convalescenza suonandole le musiche di Natale e di non farla sforzare.
Non vidi il papà quel Natale, tornai a Monaco senza sapere come stesse. Quando ritornai a Pasqua avevo sei anni, mi sentivo più grande e pronta a fare la sorella maggiore. Passai i giorni a festeggiare con i miei cugini, a suonare il pianoforte per i nonni e farmi coccolare dagli zii.
Tornai al collegio ancora e poi per le vacanze estive fui finalmente accanto alla mia cara mamma. Sebastian venne al mondo il 16 luglio del 1992, era bellissimo come la mamma ed era la mia vita.
Passai tutta l'estate con loro. A settembre salutai la mamma pensando di rivederla a Natale.
Ma la mamma a Natale non ci fu più. Nonostante fosse fragile ella finì per un incidente d'auto insieme al suo Gustav.
Avrei voluto piangere, ma la nonna mi disse che era sbagliato farlo. Che avrei avuto modo in privato.
Volevo restare nel Kleisten con Sebastian. Nonna però mi disse che non potevo, papà voleva studiassi a Monaco e ritornai al collegio.
Feci tutto il percorso accademico a Monaco. L'ultimo Natale al collegio questo mio padre venne a trovarmi, quello era l'anno del diploma e delle scelte. Da quando mamma era morta era sempre così, veniva stavamo insieme e mi portava nel Kleisten dai miei parenti.
"Farò la domanda di ammissione al conservatorio di Vienna. Così possiamo vederci di più." Dissi a papà, sicuramente sarei stata presa.
"Non puoi venire a Vienna tesoro mio." Mi disse papà.
Stupita dalla sua risposta gli chiesi spiegazioni. "Non sei felice di avermi a casa? Saremo finalmente insieme."
"Mi dispiace Eleonora, ma ho degli accordi con mia moglie e per quieto vivere sarebbe il caso che tu non passi il confine con l'Austria." Mi spiegò. "Ma puoi fare domanda all'università della musica di Monaco. Pagherei qualsiasi cosa per alimentare il tuo talento."
"Se mi vuoi bene non mandarmi via papà. Fammi venire a Vienna, suoniamo insieme." Lo supplicai.
Lui scosse la testa. "Mi dispiace Eleonora, non posso." Mi disse. "Fai domanda altrove ma non a Vienna.Vita mia cerca di capire,per avere un certo tenore di vita, siamo tenuti...." Disse mio padre.
"Non mi importa del tenore di vita. Mi basta avere mio padre, insieme possiamo farcela anche con poco." Gli dissi.
"Mi dispiace Eleonora. Non posso, se lo facessi dovrei rinunciare a tutto." Concluse mio padre.
Ne ero rimasta sconvolta. Papà che diceva fossi la vita sua, mi rifiutava. "Portami nel Kleisten, torno dagli zii." Gli dissi delusa.
Non avrei più dovuto stupirmi di nulla dopo la sua dichiarazione. Non voleva tenermi con se, se ero io il suo problema poteva benissimo dirlo senza fare l'ipocrita. Ti voglio bene, ma non posso. Ma dove si sentiva che una figlia era un problema?
Io avrei dato tutto ai miei figli, non un collegio di lusso. Tanti miei compagni di collegio venivano lasciati lì dimenticati dai genitori. Poi c'erano altri che invece venivano a trovarli ogni week end, andavano via e stavano con le famiglie.  Non dovevano aspettare le vacanze estive per stare con i propri cari. Fortunatamente io in estate non venivo mandata in un altro collegio. A Natale tornavo nel Kleisten , non c'era più la mamma, ma i nonni e i miei zii mi accoglievano sempre con piacere.
Adesso di nuovo scappavo da loro. Nel Kleisten non avevo problemi. Dovevo seguire una certa etichetta ma ero amata, i nonni mi adoravano, ero l'ultimo ricordo della mamma, le somigliavo. Avevo lo stesso viso ovale, i suoi stessi capelli castani scuri  e gli occhi color ambra, la linea della bocca morbida e lo stesso naso a patatina.  Forse anche per questo papà mi amava, anche se pensavo che avendo un'altra moglie non fosse mai stato innamorato di Alberta del Kleisten. L'aveva usata, questo facevano gli uomini. Preferivo quindi non seguire sogni romantici. Invece dei romanzi leggevo libri gialli o libri di economia. Invece di sentire canzoni d'amore mi attendevo alla musica classica o da stanza, le canzoni erano solo inerenti la lirica.
Alla mia famiglia materna che non fossi una scapestrata andava bene. Mi avevano cresciuto  con un certo rigore  e un'etica, dovevo avere i giusti comportamenti. Alla fine non mi pesavano neanche molto, ero sempre stata una ragazza tranquilla. I nonni e gli zii mi amavano, andavo d'accordo con i miei cugini, Giovanni il figlio dello zio Giorgio era per me come un fratello, ci confidavamo a vicenda da quando lo zio e sua madre Janine si erano separati. Poi c'era Sebastian! Nonostante vivesse più a Monaco che nel Kleisten, eravamo molto uniti e i nonni lo avevano iscritto nel mio stesso collegio pur di farci stare insieme.
Per me tornare nel castello di Stern nel momento in cui papà mi aveva rifiutato, fu una liberazione.
Una volta tra le mura confortevoli del castello corsi a piangere dalla nonna. Nonostante fossi 'lo scandalo' del principato mi amavano. Ero principessa, ma al tempo stesso non lo ero poiché figlia di un adulterio. Però ero nipote e tanto bastava a farmi amare ai loro occhi.
Una volta alla Stern come se mi leggesse in viso la nonna mi chiese del perché ero già a Stern. Si aspettava come tutti due passassi qualche giorno con mio padre.
Fu lo zio Philip, attuale reggente a esprimere ciò che era chiaro a tutti. "Sicuramente l'ha lasciata per fare da zerbino a sua moglie." Affermò incurante della mia presenza.
"Philip!" Lo richiamò il nonno. "Ci vorrebbe un po' di tatto."
"Tranquillo nonno. Papà mi ha detto... cioè mi ha spiegato che non posso andare a studiare a Vienna e dì accontentarmi dell'università della musica di Monaco. Non mi vuole con se." Affermai.
"Vile!" Disse indignata la zia. "Non avremo dovuto permettergli di riconoscere Eleonora, sicuramente sarebbe stata tanto meglio con noi. Educata qui e frequentante le scuole di Vaduz come tutti." Disse più a mio nonno che a me.
"Volevo studiare al conservatorio di Vienna. Mi ha detto che dovrò andare a Monaco."
"Tesoro credo tu abbia capito che non è proprio una persona corretta nei tuoi confronti." Disse la nonna.
"Cosa ne dici se invece di dedicarti alla musica entrassi alla London business school. È un'ottima università e hai voto eccellenti nelle materie tecniche. Seguiresti le orme di famiglia, le stesse di tua madre Alberta." Disse il nonno.
Lo fissai. "E la musica?" Io amavo la musica, era la mia vita. Quando suonavo il violino riuscivo ad entrare in un mondo tutto mio, mio e di papà.
"Potresti studiarla lo stesso." Intervenne la nonna. "Fai domanda alla Royal academy. Tuo padre pagherà per quella come avrebbe fatto per l'università di Monaco." Disse decisa.
"A Londra?" Chiesi.
I miei nonni annuirono. "Quando sei nata pretendemmo che tuo padre ti riconoscesse, non potevamo infangare il principato." Raccontò il nonno. "Lui e sua moglie però pretesero che tu non mettessi, mai piede in Austria. Accettammo, con la condizione che ti trattasse come gli altri suoi figli e ti concedesse tutte le occasioni di studio possibili. Dovevi avere una rendita da parte sua, un'istruzione che avresti avuto a Stern. Purtroppo sua moglie decise che in quanto matriarca degli Hasler tu dovevi studiare lontano da casa, acconsentimmo per il bene di tua madre che non voleva litigare e toglierti l'amore di tuo padre. Ti relegarono a Monaco e ancora vorrebbero farlo." Concluse il nonno.
"Questa volta dovrai però essere tu a scegliere mia cara. Fin quando non avrai  compiuto ventun'anni non potrai attingere al tuo conto personale, che noi e tuo padre abbiamo provveduto a incrementare . Ma ti pagheremo con piacere la retta della LBS con una camera al college." Mi propose.
Sarebbe stata un'occasione, in questo modo avrei potuto anche visitare Londra, vivendoci per almeno tre anni, con la laurea alla royal academy.
"Quanto durerebbe la London Business school?" Chiesi valutando la loro proposta. Ero abbastanza brava nelle materie di economia e diritto da poter seguire i corsi. 
"Potresti fare dei corsi a tempo parziale e conseguire il Master in business e amministrazione." Mi spiegò la zia Matilda. "Così avresti tempo per studiare anche musica."
Annuii! Mi convinsero.
Così durante le vacanze, dopo l'annuale ballo di Natale al castello di Stern e il Brindisi di fine anno sulle Alpi del Kleinsten, tornai a casa facendo domanda di ammissione per le università scelte. Per scrupolo feci domanda anche alle università di Monaco, la Ludwig Maximilien, per economia e commercio e l'università dell'arte e della musica, per il violino.
A marzo ricevetti risposta da entrambi i siti, scoprii senza troppa appresa di essere stata ammessa a entrambe le università.
Nonostante non avessi tanti amici, molti mi trattavano da fans, l'ultimo giorno prima del diploma feci un piccolo party con poche persone che consideravo amiche. Tancredi del Liechtenstein, Nora Müller di Monaco entrambi del mio anno scolastico, poi Thea Johanssn, norvegese e ragazza di Tancredi, e Pamela Keller di Monaco, del penultimo anno. Erano loro i miei amici e confidenti. Lasciai a tutti i miei contatti dicendo loro di non dimenticarci, poiché sarei partita per Londra.
Avevo accettato, tra le tante sedi, quelle londinesi così da poter aver modo di conoscere l'Inghilterra e migliorare ancora di più il mio inglese.
Dopo le vacanze in Grecia salutai i nonni e gli zii e partii per Londra.
Dal momento che avrei studiato in due istituiti scelsi di cercare un appartamento tra le due accademie. Quindi nessuna stanza con coinquilini nei pressi dell'una o dell'altra scuola.
I miei nonni furono molto generosi in merito. La retta universitaria fu pagata per intero e mi invitarono a partire con un bagaglio leggero, poiché avrebbero pensato loro a spedirmi tutto il resto.
Papà invece scelse e mi pagò l'affitto per l'appartamento, compresa la caparra. La mia carriera università partì nel modo migliore. Dopo i primi due anni di università mi ero integrata, portando ottimi risultati in entrambi i campi didattici. Quell'estate partii per il Kleinsten come sempre per visitare i miei parenti, poi a fine agosto sarei stata in Italia, dove Tancredi e Thea si sarebbero sposati.
Mio padre decise però dovessi cambiare i miei progetti. Il diciotto agosto infatti morì dopo un incidente stradale, l'ennesimo nella mia giovane vita, per guida in stato di ebrezza. Non sapevo se essere addolorata o arrabbiata con lui, poiché si era procurato la morte decidendo di essere irresponsabile. L'incidente causato da lui, aveva infatti visto la morte di un'altra giovane coppia. Sarebbero potuti essere mamma e Gustav. Stava di fatto che non mi fu permesso di andare al funerale di papà.
Ci andai. Per l'amore del cielo. Ma con molta teatralità, la primogenita di mio padre Theresa Hasler mi cacciò via su richiesta di sua madre.
Venni raggiunta anche da quello che doveva essere mio fratello.
"Sappi che fino a quando non sarà aperto il testamento non ti sarà permesso di attingere all'eredità di papà. E se anche ti ha lasciato qualche bene, impugnerò il testamento." Lo fissai incredula, era simile a papà ma aveva uno sguardo calcolatore.
"Sappi che non mi interessa avere nessuna eredità. Ne ho una che vale molto più di tanti franchi, ed è l'amore per la musica e il dono di saperla suonare." Risposi con orgoglio.
Avrei voluto dargli un ultimo saluto, ma non mi fu possibile. Nora e Pamela, che mi furono vicine in quei momenti erano rimaste sconvolte dal trattamento degli Hasler, mi portarono via e mi consolarono come più potettero.
Io però quel vuoto che provavo dentro, non sapevo come condividerlo con loro. Entrambi i miei genitori erano morti per uno stupido incidente d'auto. Per quanto papà non mi avesse amata come un vero genitore, a modo suo mi aveva voluta bene.
Non andai in Italia al matrimonio di Tancredi e Thea, tornai nel mio piccolo mondo a Stern dove proseguii gli ultimi giorni di vacanza.
Le brutte notizie iniziarono a giungere quando la  prima settimana di settembre prenotai il volo per Londra. Al momento del pagamento non mi vennero riconosciute nessuna delle due carte che possedevo, inoltre non riuscivo a bonificare il biglietto neanche dall'applicazione della banca.
Chiesi informazioni a mio zio Giacomo, egli mi rispose che il conto era stato aperto da entrambi i miei genitori alla mia nascita, per cui non avrei dovuto avere problemi.
Mi promise che avrebbe contattato personalmente la banca di Strasburgo, per informarsi di cosa fosse accaduto al mio conto e pagandomi il biglietto mi rassicurò. Dovevo tornare a Londra e riprendere gli studi.
Seguii il suo consiglio. Una volta tornata a Londra mi misi di buona lena alle accademie. Andai alla LBS a prendere gli orari delle lezioni da seguire e di eventuali nuovi testi da acquistare, dopodiché fu la volta della Royal academy. Cercavo sempre di non far coincidere le lezioni di entrambe le scuole, per questo alla royal persi un po' più di tempo. Dopo aver gestito il programma andai alla ricerca delle mei amiche e colleghe Tony e Louise.  Le trovai che stavano andando in biblioteca a prenotare degli spartiti per la prima lezione di orchestra.
Passammo un po' di tempo insieme, un caffè e poi ognuna per la propria strada. Avrei dovuto far la spesa, per cui dovevo ricordarmi il giorno dopo di cambiare i franchi svizzeri che mi aveva lasciato lo zio, con le sterline.
Tornai a casa sfinita, prima di crollare però non riuscii a non prendere il violino e intonare una sonata di Paganini. Il mio concerto fu interrotto dal bussare continuo alla porta.
Andrai ad aprire trovandomi di fronte un uomo che non conoscevo. Non avevo molta confidenza con gli altri inquilini del piano, fino ad allora non avevo mai dato fastidio a nessuno con la mia musica.
"Prego? Buonasera signore." Chiesi cordialmente.
"Signorina. Ashler, sono il padrone di casa. Richard Sunmer." Si presentò.
Il padrone di casa? Non lo avevo mai conosciuto. Gli sorrisi e tesi la mano. "Salve. È un piacere conoscerla." Gli dissi cordiale.
"Tutto mio milady. Senta, la volevo avvertire che il primo del mese non è entrato l'affitto mensile. Spero sia un disguido." Mi informò l'uomo.
"N-non... l'affitto?" Gli chiesi perplessa.
"Si malady." Affermò l'uomo spazientito. "Ogni primo del mese c'è da pagare l'affitto."
Compresi che era sempre qualcosa legato ai soldi. "Chiedo scusa, se ne occupava mio padre che è venuto a mancare lo scorso mese." Gli dissi comprendendo il problema. "Posso risolvere in qualche modo? Pagare il mese prossimo?" Chiesi. Per allora avrei dovuto risolvere il problema del mio conto.
Mr Summer mi fissò. "Per ora detrarrò un mese dalla caparra che mi avete dato due anni fa. Se poi paga entrambi gli affitti ad ottobre non ci saranno problemi."  Mi disse.
La caparra, certo. In tutti i contratti di affitto le chiedevano. "Posso chiederle quanti mesi di caparra aveva versato mio padre?" Chiesi. "Ha tenuto lui il contratto, se potessi averne una copia." Chiesi pensando che finalmente avrei potuto sfruttare le lezioni alla London business.
"Certo. Non ci sono problemi Miss  Ashler. Spero sia solo un disguido e che questa situazione si risolva presto. Buonanotte." Mi salutò l'uomo.
Dovevo chiamare lo zio! Sapere cosa gli avessero detto in banca, ma dovevo dargli il tempo di parlare con la banca. Ero a Londra solo da due giorni e con i suoi impegni non sapevo se aveva già sentito il nostro responsabile.
Crollai sul letto, stranamente mi era passato il desiderio di suonare, non mi addormentai tanto erano i pensieri che mi passavano per la testa.
Il giorno dopo andai a cambiare i miei franchi. Furono un bel gruzzolo, con quello avrei potuto fare la spesa, pagare i testi di economia e avere una riserva di denaro. Lo zio era stato molto generoso.
Con queste premesse fui molto più tranquilla. Ripresi la mia routine anche se non andai a cena o al bar con le ragazze. Il pomeriggio successivo andai a ritirare i libri di economia alla Burke library, come tutti gli anni.
Sperai che i contanti che avevo con me bastassero, ma meglio che la carta tornasse in funzione.
"Buon pomeriggio signor Burke. Sono passata a prendere questo testo di economia e anche..."
"La musica classica incontra la musica moderna, miss." Disse lui regalandomi un sorriso.
Vidi i libri già preparati e con essi degli spartiti in bianco, quaderni, saggi di economia e marketing e la biografia di Wagner. Sarebbe stata una spesa ingente.
"Grazie mr. Burke." Dissi imbarazzata. "Credo che per ora prenderò solo i libri."
"Sua zia ha chiamato Miss, dicendomi di procurarle tutto ciò che le serviva oer il primo trimestre. Un regalo per il nuovo anno dice, ha anche saldato il conto, sarebbe un peccato lasciare qui il resto."
Dentro di me sospirai. Gli zii stavano proteggendomi ancora dal Kleinsten. "Va bene allora li prendo, dovrò prendere due sporte però. Altrimenti peseranno troppo."
Dovevo chiamare la zia e ringraziarla. Una volta a casa presi il telefono e composi il numero.
Prima però il telefono squillò. Era lo zio Giacomo.
"Eleonora." Mi salutò. In sottofondo avvertii la voce della zia Matilde e dello zio Philip.
"Tesoro ciao. Come stai?" Chiese la zia.
"Benissimo zia, grazie. Soprattutto grazie per aver pagato i testi per la scuola di musica anche." Le dissi.
"È il minimo tesoro, purtroppo non abbiamo risolto il problema con le banche." Mi informò lei.
"Che problemi ci sono? Perché non vanno le carte?" Chiesi preoccupata.
"I figli di Raoul hanno impugnato il testamento." Annunciò lo zio Giacomo. "Il tuo è un conto di risparmio cointestato a Raoul e Alberta in quanto tuoi tutori legali, tu puoi usufruirne liberamente una volta compiuto ventuno anni. Il problema è che col nome di Raoul sul conto i figli si sentono in diritto di contestarlo e prendersi ciò che pensano sia loro."
"Ovviamente abbiamo allertato i nostri avvocati, sei stata riconosciuta e legalmente sei la figlia di Raoul e Alberta. Inoltre sul tuo conto ci sono anche i versamenti che negli anni noi tutti ti abbiamo fatto. Non possiamo permettere che la moglie e i figli di tuo padre si prendano ciò che è tuo di diritto." Spiegò ancora lo zio Philip.
"Tu cerca di stare tranquilla tesoro. Vedrai che risolveremo tutto, purtroppo non possiamo mandarti dei soldi tramite il conto, poiché non riusciresti a prelevare."
"Me la caverò zia, non preoccuparti, anzi ancora grazie per i libri." Le dissi.
"Stai a sentire Eleonora." Intervenne lo zio Giacomo. "Non sei sola! La soluzione sarebbe che tu aprissi un conto in una banca locale e con i soldi che ti ha dato. Una volta che ci darai il conto corrente potremo fare un bonifico per darti una rendita durante il soggiorno a Londra." Mi disse lo zio.
"A ventuno anni non potrò usufruire dei miei soldi? Mancano cinque mesi circa. Si potrebbe sbloccare tutto." Dissi facendomi coraggio.
"Non saprei dirtelo, tesoro. La soluzione che ho trovato è questa per ora. Le rette scolastiche sono pagate e anche i libri. Una volta che avrei aperto il conto corrente avrai il liquidò necessario per vivere bene." Mi disse lo zio.
"Va bene. Domani provvedo a cercare una banca che mi convinca. Grazie miei cari zii. Siete la mia salvezza."
"Sei parte della famiglia Eleonora,  non dimenticarlo." Disse la zia Matilde.
Li ringraziai ancora. Quando staccai misi giù un programma delle mie giornate per poter fare tutto, dopodiché andai a dormire.
Furono giornate impegnative. Intanto il padrone di casa mi portò il contratto che lessi con attenzione. Mio padre aveva dato avanti tre caparre e la rata mensile era abbastanza alta. Era il caso di cambiare casa oppure di sub affittare una stanza. Comprendevo che papà non aveva badato a spese, spesso gli avevo detto che un appartamento di tre stanze e un bagno fosse troppo per me. Usufruivo della cucina, ma senza pretese. Quindi tutti gli elettrodomestici ad alta tecnologia non mi servivano.
Avevo due mesi di tempo per cambiare casa, fare le valige e racimolare le mie cose. Se riuscivo in poco tempo a cercare un monolocale sarei riuscita a tenermi anche un poco di caparra. Dovevo cercarmi anche un lavoro. Tutto era mirato a risparmiare fino a quando non avessi risolto il problema con la banca di Salisburgo. Il problema alla fine girava sempre intorno al rapporto burrascoso con l'Austria e chi si celasse dietro la moglie di mio padre. Sembrava che io dopo essere andata al funerale di papà, fossi stata espulsa da Vienna ed avessi ottenuto il divieto di ingresso nello stato austriaco.
Mia madre era stata parecchio accondiscendente se all'epoca aveva acconsentito che si aprisse il conto di risparmio in Austria. Probabilmente era andata comoda perché studiava ella stessa a Salisburgo. Però poi le cose erano cambiate. Tornata nel Kleinsten, non ne era quasi più uscita. Anche il duca Gustav di Baviera, lo aveva conosciuta alla festa di Natale che si teneva a palazzo Stern.
Ciò che mi conveniva fare adesso era quindi aprire un conto, iniziare a riempirlo e poi scongelato il conto, trasferire tutti i miei averi e chiudere definitivamente da Salisburgo. La cosa assurda era che mi trattavano come una criminale e questo non mi piaceva. Dovevo informarmi e capire se potessi o meno fare causa io stessa per riabilitare il mio nome. Per farlo avevo bisogno di un avvocato, avrei quindi dovuto chiedere allo zio Giorgio che era avvocato. Furono giorni di fuoco, mi dedicai a cercare un appartamento sempre nella stessa zona, una banca e infine un lavoro. Quest'ultima cosa era meglio non farla sapere agli zii, volevano che mi concentrassi completamente agli studi per laurearmi nei tempi alla LBS e un lavoro per loro sarebbe stata una distrazione. Dopo una settimana dalla chiacchierata con gli zii trovai una banca che soddisfacesse le mie esigenze. Avevo girato parecchi istituti di credito, ero stata alla Scotland bank, alla Loyd, alla HSBC e alla London Bank.
Optai per quest'ultima che privatizzata da poco aveva delle agevolazioni per i giovani con apertura del loro primo conto.
Quando ebbi gli estremi del conto chiamai a Stern, scoprendo che il mio cellulare non aveva linea telefonica.
Feci per chiamare il servizio clienti chiedendo spiegazioni, che ricordai anche il contratto telefonico era legato al mio conto in banca. Sbuffando decisi di non demordere. Il giorno dopo, durante le lezioni alla London business, approfittai del Wi-Fi per scrivere una mail con gli estremi e la richiesta di essere contattata dallo zio Giorgio quando fosse stato libero.
Ottobre arrivò senza che me ne accorgessi, significava che anche la seconda caparra stava per volarmi tra le mani.
La prima settimana del nuovo mese mi regalò però un lavoro. Le scelte date i miei orari non erano molte, avrei dovuto lavorare di sera, per cui ristoranti e bar erano la mia scelta. All'inizio chiedevo se cercassero pianisti, non avendo tanta fortuna chiesi anche per camerieri o altro. Avevo trovato alla fine un fisso come aiuto cuoco. La mansione era di tagliare e lavare le verdure, fare da lavapiatti e pulire i miei spazi. All'inizio fu dura, non ero abituata a quel tipo di lavoro, ma  gli assistenti dello chef furono abbastanza gentili con me da istruirmi e avere pazienza. Mi restava solo da trovare una camera qualsiasi adesso. Non importava dove, ma l'appartamento era da lasciare. Così chiamai il padrone di casa e lo avvertii che a fine mese gli avrei lasciato le chiavi dell'appartamento. Ero riuscita anche a parlare con lo zio Giorgio, gli chiesi se era possibile intentare causa contro gli Ashler, avendomi loro fatta espellere dall'Austria senza diritto di ritorno. Lo zio mi disse che aveva già provveduto a muoversi per preservare il mio nome e anche le mie finanze. Gli dissi che a livello di beni non testamentari non volevo nulla, non volevo litigare per questi motivi così materiali.
Volevo solo poter tornare in Austria e visitare la tomba di papà e riavere ciò che i miei genitori mi avevano messo da parte in vita.
Il problema, mi aveva spiegato lo zio, era la famiglia di papà. Sua moglie era stata figlia del primo ministro austriaco Stefan Ashler, uomo di potere e in vista a Vienna.
Avevano intentato causa contro di me perché avevo 'rubato' il loro nome, preso da papà al matrimonio. In pratica se per diplomazia alla mia nascita scavano accettato tutti gli accordi presi dal ministro e dal principato. Adesso alla morte di papà e del primo ministro gli Ashler avevano intentato causa per prendersi ciò che definivano loro.  Eppure ero nata a Strasburgo, quindi di nazionalità austriaca, inoltre non avevo mai chiesto nulla a nessuno degli Ashler. Non potevano lasciarmi in pace a vivere la mia vita?
"I figli di Raoul sono interessati ai diritti d'autore delle sue opere, volente o nolente avendo ti ho suo nome non sono gli unici eredi. Inoltre hai ereditato alcuni spartiti originali che anche varrebbero molto.
Ovviamente Raoul li ha lasciati a te sapendo che tu li avresti custoditi. Le proprietà, i valori monetari e chi più ne ha, più ne metta, quelli sono stati lasciati alla sua famiglia originale. L'unica postilla riguardante te parlava degli spartiti." Mi spiegò lo zio.
Non gli chiesi se nel testamento si citava l'appartamento a Londra. Probabilmente se non ne aveva fatto parola significava che non se ne parlava. In fondo il testamento era stato fatto in previsione della sua morte e papà di sicuro non sarebbe voluto morire a cinquantacinque anni, troppo presto anche per lui.
Avevo confermato allo zio che rinunciavo al testamento, soprattutto se avessero velocizzato lo scongelamento del mio conto. 
Zio mi promise di fare il possibile, voleva appellarsi fino in fondo. Perché quelli non erano soldi che appartenevano agli Ashler e soprattutto perché i miei fratellastro non facevano distinzione tra ciò che mi era stato versato dai Kleinsten e da papà.
Salutai lo zio dicendogli di telefonarmi appena aveva notizie. Sempre nel tardo pomeriggio, che non ero in facoltà o a lavoro.
Con l'inizio degli esami alla royal a fine ottobre, fui chiamata negli uffici amministrativi. Ci andai a testa alta, immaginavo già cosa aspettarmi. Papà aveva pagato di tasca sua l'appartamento e probabilmente anche la Royal aveva avuto la stessa prassi.
"Signorina Ashler buongiorno." Mi salutò la segretaria. "Anzitutto le voglio dire che ci dispiace molto della morte del maestro." Iniziò giocando con dei fogli.
"Grazie Miss Mariel." La dissi calma.
"Comprendo che suo padre le pagava la retta annuale all'accademia Miss Ashler. Ma noi ad oggi ci aspettavamo che il pagamento arrivasse."
Annuii. "Chiedo scusa. Pensavo la rata annuale fosse stata erogata prima della sua morte." Le dissi. "Al momento sono impossibilitata ad attingere al mio conto. I miei fratelli non me lo permettono." Dissi sinceramente.
"Capisco Miss Ashler. Mi rincresce dirle che non potrà accedere ai corsi e presentare gli esami con queste premesse." Mi confermò in modo pratico.
Annuii. "Potrò farlo quando mi avranno liberato il conto?" Chiesi.
Lei finalmente mi sorrise. "Potrà sempre concludere il suo ultimo anno, quando ne avrà la possibilità Miss Ashler. La
Royal riconosce che il suo sia un grande talento e saremo contenti del suo presto ritorno." Annuii, ero triste e mortificata, ma cercai di non farlo vedere. "Se cercare violinisti per il concerto di Natale, fatemi sapere. Sarò ben contenta di suonare con i miei colleghi." Le dissi ricordando l'evento della Royal.
Non avevo mai partecipato,  ma quello era l'ultimo anno per molti miei colleghi e sicuramente avrei dovuto tirare le stringhe anche per i viaggi in aereo.
"La terremo in conto Miss Ashler, grazie della sua disponibilità."
Tornai a casa afflitta. L'ultimo legame e mio padre era andato. Non mi restava che suonare sola con me stessa per poterlo sentire più vicino. Però scegliendo  di andare a vivere in un ostello, femminile, temevo di non poterlo fare liberamente per un po' ormai.
Alla fine scelsi un ostello il più vicino possibile al ristorante dove lavoravo. Così la notte avrei avuto da fare un tragitto breve per rientrare a dormire.
Iniziò così la mia nuova vita. Quando sentivo gli zii non dicevo loro che non studiavo più alla royal. Per loro era impostare che mi laureassi alla LBS, sinceramente ero talmente giù che anche a me, per il momento bastava quella laurea. Era l'unica cosa concreta che avevo.
Le mie mani non erano più curate a furia di tagli e acqua fredda.
L'ultima settimana di ottobre iniziai a portare le mie cose all'ostello. Un pacco con le lenzuola e i vestiti estivi lo lasciai sigillato in un angolo con il violino e i libri di musica. Anche quello con i vestiti più eleganti e raffinati fecero la stessa fine. Tirai fuori dall'ultimo pacco l'essenziale, jeans, maglioni e lupetti, le sneaker insostituibili. L'ultimo giorno di ottobre lasciai le chiavi al padrone di casa e con i soldi che mi restituì pagai due mesi di ostello.
All'ostello mi fu assegnata come compagna di stanza una ragazza francese, la titolare quando era venuta a conoscenza della mia fluidità con la lingua aveva optato per questa soluzione. Inoltre avevo un aria comune per il lava stiro, bagno e cucina in comune, quindi la spesa veniva categoricamente segnata pezzo per pezzo, e anche la doccia era da fare a turni. Wi-Fi per tutti, quindi mi potevo permettere di chiamare i miei con whatsapp e questo mi rallegrò. Iniziò il periodo della ripresa! Non dissi ai miei che lavoravo, ma confermai che non potevo esserci quel Natale a Stern per via del concerto di Natale. Quando sentii Nora e Thea dovetti raccontare loro la stessa scusa per giustificare la mia assenza.
L'unica a non verso la mia scusa fu Pamela che come sempre mi chiamava per organizzarci di vederci a Monaco prima della sua partenza per gli states il ventitré.
"Mi dispiace, questo mese  resto a Londra. Ho il concerto di Natale." Le dissi scoprendo che stavo diventando brava a mentire.
"Ti raggiungo lì allora. Poi parto per Boston." Mi disse.
Fui colta di sorpresa. Non poteva venire, non potevo ospitarla questa volta.  "Mi dispiace Pam. Non ho posto a casa per te quest'anno." Le rivelai.
"Oh! Se hai ospiti stai tranquilla. C'è mio cugino a Londra, starò da lui." Mi disse raggiante. "In fondo è importante vederci giusto un po'."
Quando avrei trovato il tempo? La sera lavoravo e col Natale c'era più lavoro di quanto immaginavo. "Lo stesso non ci sarei." Le dissi amareggiata.
Pam mi fissò attraverso lo schermo. "Ok! Adesso mi dici qual è la verità. Ti ho fatto qualcosa? So che alle volte parlo a sproposito, ma non penso di aver sbagliato e meritarmi il tuo rifiuto." Mi disse delusa.
La fissai, non era come pensava. "No Pam. Non sei tu il problema, veramente. Ma non posso..."
"Spara!" Esordì lei. "Non sono Nora, ma lo stesso posso essere la tua confidente. Se c'è qualcosa che non va su chi puoi contare se non sulle tue amiche?" Mi disse testarda.
Sospirai scrollando le spalle. Ma non rifiutai la sua richiesta, forse perché aveva ragione. Avevo bisogno di sfogarmi. Così le dissi tutto, dai conti congelati al lavoro nelle cucine, alla rinuncia della Royal academy. Alla fine del racconto non pensavo fosse possibile, ma mi sentii più leggera.
"Se anche dovessi venire, vivo in un ostello e lavoro dal tardo pomeriggio fino alle due di notte circa." Le spiegai dispiaciuta.
"Non devi scusarti." Mi disse lei. "Cavolo Eleonora! È stata ed è ancora dura, dovresti chiedere aiuto." Mi disse.
"Per ora mi accontento. Adesso al lavoro pagano anche di più per l'incremento di lavoro. Il mese prossimo tornerò a cercare però. Senza la Royal posso dare lezioni  private di piano ai bambini." Le dissi.
"Mio cugino è a Londra. Se so qualcosa ti faccio sapere, lo vedo settimana prossima a Boston." Mi disse.
Grata le augurai un buon Natale a lei e famiglia e la salutai.
Ripresi la mia routine non immaginando che entro poche settimane Pam mi trovasse lavoro.
-Dopo le feste presentati all'indirizzo allegato dopo le cinque di pomeriggio. Cercano una tata madrelingua tedesca per una bambina di sei mesi. Se piaci alla bimba sei assunta. Meglio del ristorante credimi e a settembre potrai ripartire con la Royal. Ti voglio bene Pam.-
Possibile che Pam mi avesse trovato un lavoro? Anche se avere a che far con i bambini significava dover cambiare i pannolini.  Ne ero capace? Non lo sapevo, eppure avevo imparato a lavare e tagliare le verdure, riconoscere se erano mature o marce e sapere gli abbinamenti giusti. Potevo anche imparare a togliere i pannolini.

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia si svolge in contemporanea con la storia di Gabriel Keller in Liberi di essere se stessi. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
Il microstato del Keinsten non esiste, ne ho inventato uno a somiglianza e ispirazione del Lietchsten. Nomi, luoghi e altro sono di mia invenzione
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna e Nord Europa INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE -Albero Genealogico:I Thompson - I Keller

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THOMAS
Nonostante il periodo di festività, alla sede legale della società il lavoro procedeva regolarmente.
C'era chi come me e Liam erano entrati il due gennaio e chi invece ancora doveva rientrare. Ma i mercati finanziari restavano comunque sempre aperti.
Se alla T- KCG il periodo era tranquillo, non si poteva dire lo stesso della LKT investimenti. Io e Liam quel pomeriggio ci liberammo solo dopo le tre del pomeriggio e ancora non saremo andati via.
Gabriel infatti ci aveva chiesto un incontro on line per parlarci di una proposta. Non sapevo cosa aspettarmi poiché ci eravamo sentiti solo quarantotto ore prima. Inoltre io e Gabriel, a malincuore, non avevamo affari in comune.
Forse voleva quindi parlare della 2L, la società che Liam e London avevano tirato su da soli.
Avevamo parlato anche di quella sempre in privato. I nostri migliori amici si erano prefissi da tempo di aprire qualcosa solo loro due, da quando si erano conosciuti in realtà. Nonostante ci fossimo sentiti esclusi non avevamo nulla da contestare per le loro scelte. Ci eravamo prefissati di non intervenire se non accettando e appoggiando la loro scelta.
Avevano aperto una società investendo sulle energie rinnovabili, London aveva sfruttato anche la conoscenza di suo fratello Chester per inserirsi nel mercato. Non era un socio Chester, ma il fornitore per eccellenza di pannelli solari e pale eoliche o materiali di ricerca e sviluppo in merito. Se non della sua competenza professionale anche. Sapevo che quando eravamo stati a Boston, Liam e London avevano portato a termine le ultime pratiche per la società. Andava bene così. Io e Gabriel in compenso avevamo deciso di dedicarci alla famiglia in quel periodo. A casa Keller infatti, era richiesto che non si parlasse di lavoro nei giorni festivi.
Gabriel mi aveva confermato che erano inclusi anche i week end in quella regola ferrea, consigliata proprio dal vecchio Tobias.
"Quando ha visto che papà era più preso dal lavoro che dalla famiglia, mise questa sorta di regola." Mi aveva detto il mio migliore amico e fratello.  "Questo è accaduto quando aveva circa quarant'anni se non di meno."
Era quindi accaduto dopo la morte di Marina, poiché prima mio padre si tagliava sempre uno spazio per dei week end con Gabriel e di conseguenza anche con me.
Ero quindi curioso di sapere perché Gabriel avesse chiesto quella riunione Skype urgente.
Chiuse le porte e con un orario decente per entrambi io e Liam ci sedemmo e aspettammo la sua chiamata.
Quando fu in linea, Gabe sembrava tranquillissimo.
"L'ultima sera che siete stati qui, io e mio padre siamo stati un po' da soli a chiacchierare." Esordì Gabe.
Certo che il vecchio aveva avuto modo di farsi un bel po' di chiacchierate con tutti. Con me e con Joel, aveva avuto modo, anche, di parlare a tu per tu con Rafael per la faccenda del bar libreria. Altrimenti non si spiegava perché adesso era più incline ad aprire la libreria. Mi chiesi perché non tutto ciò la compagna, Denise, non dicesse nulla.  Una . volta avviato il discorso, Gabriel ci spiegò come funzionava l'azienda di famiglia e ci disse che aveva anche lui, quasi quattro anni di tempo per aprire lui stesso, delle sedi che dessero dei risultati come tutte le KCG.  Quella era una piccola regola impostagli da papà che proprio per dimostrare al suo vecchio che valeva qualcosa, alla sua stessa età aveva svolto lo stesso percorso. Gabriel ci raccontò che a venticinque anni, papà aprì la sua personale prima sede a Londra. Si chiamava T- consulting e all'inizio era da solo, con una socia onoraria che era la sua compagna. Poi una volta tornato in America aveva pattuito col padre che ne avrebbe aperte altre cinque con gli stessi risultati lì in America. Se fosse riuscito, non solo le sue T consulting sarebbero state assembrate nelle KCG, ma papà avrebbe ottenuto anche la presidenza assoluta della KCG. Era riuscito nel suo obbiettivo ovviamente, aveva aperto sedi nella Nuova Inghilterra, a New York, in Pennsylvania, in Sud America, in Australia dove appunto era nato Rafael. In  Europa indubbiamente, lì aveva fermentato tanto la sua piccola fetta di KCG essendoci rimasto per suo figlio Gabriel. Rimasi sorpreso quando Gabriel annunciò che in Gran Bretagna solo c'erano almeno altre quattro T Consulting.. Papà stesso mi aveva rivelato, quando aveva assorbito la London Bank, di averne a Liverpool. Ce n'erano altre e sinceramente quando Gabriel mi disse di quelle T consultig provai un forte orgoglio filiale e desiderio di risollevarle. Ma  non sapevo come per ora, poi  Gabriel ci disse perché ci contattava. Lui cercava dei soci con cui partire per queste nuove società, soci anche in Europa poiché come papà voleva espandersi anche nella sua seconda patria. Ci fece la proposta di collaborazione a entrambi, non dissi nulla. Ne fui onorato e non c'era neanche bisogno che ci pensassi due volte. Avrei accettato. Tuttavia prima di dire sì cercai di valutare i pro e i contro di quell'offera. Sapevo per certo che papà aveva tanto viaggiato in quel periodo dell'anno. Fortunatamente nel frattempo prese parola Liam che rifiutò subito la proposta.
La causa era l'appena nata 2L corporation.
"Però non ti voglio chiudere una porta Gabe." Affermò Liam posando la penna sul blocco dove aveva segnato i punti essenziali di quella conversazione. Notai che aveva sottolineato con insistenza sulla voce T- consulting Manchester. "Diventiamo soci onorari. Non farò prestazioni ma mi avrai onorario, come accadde alla partner di tuo padre venticinque anni fa." Propose. "In cambio voglio la T- consulting di Manchester, la assorbiamo io e Thomas, e convinco London ad essere socio onorario anche lui."  Disse lasciando andare del tutto la penna.
Gabe annuì e sospirando  rispose. "Anzitutto London mi ha detto già di no, quindi non credo che lo farebbe, piuttosto convinci Tom che invece ancora non ha detto nulla." Disse lanciandomi uno sguardo, realmente pensava che lo avrei abbandonato? Quella era la nostra occasione. Intanto Gabe continuava a confrontarsi con Liam rifiutando di dargli la T- consulting e meno male, poiché quella era roba nostra, di nostro padre. "Mentre per la T- consulting no, non posso darti modo di assorbirla poiché è una società e per quanto non sia forte e produttiva come la T- consulting KCG, appartiene sempre a quel pacchetto di quote socie che diventeranno mie solo per il trenta per cento." Ci spiegò, anche se mi chiesi perché solo  il trenta, mi aveva fatto capire che ne avesse di più.
Liam scoppiò a ridere divertito all'ultima affermazione di Gabriel riscuotendomi dalle mie riflessioni . "Gabe tu hai London, ma Thomas ha me. So tante cose non dette ufficialmente e sappiamo tutti, London incluso, che lui farà parte della tua società, a parte che vuole farlo, lo sento. Ma cosa più importante, potrà farlo con te."  Ecco, Liam aveva detto a Gabriel che sapevo fossimo  fratelli, gli aveva detto quanto ci tenessi a preservare il nostro rapporto. "Di a tuo padre di lasciarti quella T- consulting e fammi vedere quanto sei bravo." Concluse Liam. No, la T-consulting non volevo dargliela.
Gabriel fortunatamente era del mio stesso parere, scosse la testa e gli rispose.  "Se anche papà lo volesse e mi lasciasse il mio 30% da gestire, saremo lo stesso fermi. In Gran Bretagna non sono io a comandare." Affermò tranquillamente, evviva gli altri soci quindi.
Liam interdetto  incrociò il mio sguardo. "Sei alla KCG di Londra, chi sono i soci?"
"Mia madre ha il 0,05%." Risposi subito, era lei il socio onorario. "Molly Sinclair il 10%, Drake Robinson il 10%. So che il resto è tutto di Thomas Keller, quindi non posso aiutarti." Anche io ultimamente avevo comprato delle quote, ma erano basse rispetto alle loro, non avevo voce in capitolo.
Liam fissò entrambi, c'era una disparità di azioni del 50 per cento, lo sapevamo tutti.
"Se tu hai il trenta dove finisce il restante 50?" Chiese a Gabe.
La voce di London si insinuò nel nostro discorso rispondendo a Liam. "I fratellini!" Urlò raggiungendo Gabe.
"I fratelli? Hanno loro il cinquantadue?" Chiese sorpreso Liam. "Quanti sono?"
"In totale siamo sei. O almeno mio padre mi ha detto di due fratelli che non conosco." Rispose Gabriel svelando un po' di più, altri fratelli? Era possibile? Ovvio che si. C'era un buco di cinque anni tra la prima e l'ultima volta che mamma aveva ritrovato papà e poi altri anni anche dalla nascita di Diamond e Marina. Intanto ascoltai Gabriel, volevo sapere dei miei probabili fratelli. "Uno dei due vive in Scozia ed ha il 5% di questa quota, il 2% verrà trasferito a Sapphrie Cooper e un altro 5 verrà diviso per gli altri tre fratelli." Gabe aveva parlato di Isaak e di lui ne sapevo molto più del mio gemello cazzo.
"Mentre il quaranta per cento è la gestione totale delle T-KCG in Gran Bretagna e quelle aperte in Europa appartiene all'altro mio fratello, il mio coetaneo." Spiegò Gabe spiccio senza guardarmi. L'altro fratello? Il suo coetaneo? In un attimo compresi. Io! Ero io suo fratello, il gemello per come ci eravamo definiti da piccoli. Ero io il proprietario della T- consultig! Papà mi aveva designato come suo erede senza che io lo sapessi. Mi esplose il cuore anche se cercai di non farlo a vedere.
"L'altro fratello?" Sussurrò Liam, avvertii il suo sguardo su di me.
Al che potetti dirgli cosa pensavo delle T-consultig.
Guardai Gabe annuendo. "Apriamo questa filiale, cerchiamo un nome e decidiamo dove aprire le sedi." Gli dissi, papà ne voleva cinque? Noi eravamo in due, potevamo fare anche di più.  Volevo Manchester e anche le altre. "Solleviamo anche le due T-consulting che non sono KCG, così la società madre le assorbirà." Gli dissi infervorato, guardai Liam carico di adrenalina. "In pratica no Liam, la T-Consulting non verrà assorbita dalla LKT Investment. Però va bene, voi soci onorari con noi e vi ricambieremo il favore appena apriamo la nostra società." Conclusi, papà puntava su di me. Nonostante non ci fossimo mai esposti tanto l'uno con l'altro, lui puntava su di me e tanto mi bastava.
Arrendevole Liam mi guardò. "Sei uno stronzo!"  Mi disse divertito prima di scoppiare a ridere. "Ehi Lon! Siamo soci onorari, quanto vogliamo metterci?" Chiese poi rivolto all'americano. "Direi che essendo il vostro campo, dovete decidere più voi che noi." Affermò London.
"La G&L non si occupa di società?" Chiese sorpreso Liam. "Sì! Fa consulenza societaria. Ma è un lavoro che risolleva le sorti di quelle società che altrimenti fallirebbero." Spiegò London. "Quando è il momento di acquistare ci pensa Gabriel. Io invece preparo un piano di ripresa aziendale, gestendo l'azienda di papà so muovermi con i dipendenti e i vari uffici meglio di Gabe."
"Capisco." Disse sorpreso Liam. "Ok ragazzi, vi saluto. Fatemi sapere quando firmare e cosa fare e ci sono." Concluse alzandosi e prendendo la sua valigetta.
Dopo un po' di convenevoli anche London andò via, così da dare modo a me e Gabriel di restare soli. "Finalmente." Disse lui. "Sei raggiante Thomas. Non ti ho mai visto sorridere con tanta enfasi anche con gli occhi come oggi." Mi disse. "Forse da bambini, ma neanche."
Annuii chinando il capo. Eravamo stati piccolo insieme quindi sapeva benissimo cosa stavo provando. "Hai sempre saputo Gabriel quanto mi sia sempre pesato avere il nome di un uomo che mi disprezzava e mi trattava male. Tu oggi con poche parole mi hai detto tanto e nonostante io sappia, perché lo so sia mamma che mia nonna Elisabeth mi hanno raccontato tutto  di papà. Quello che mi hai detto stasera per me è una prova tangibile che mio padre per me c'è. In questo ultimo anno c'è stato tanto. Le tue parole hanno reso reale qualcosa che era per aria e mi fa molto piacere averle sentite." Conclusi con la voce incrinata. Gabriel in silenzio mi aveva ascoltato, lui sapeva che avevo bisogno di parlarne.
"Papà mi ha raccontato anche della London bank, me lo ha detto quando sono tornato dai funerali di Vanessa." Mi sussurrò. "Se avevi bisogno di qualcosa di tangibile, devo presumere che non ti ha consegnato ancora il suo regalo di Natale."
Lo fissai! Il regalo di Natale? Quell'anno effettivamente Joel non mi aveva consegnato nulla. A casa Keller i regali erano stati tutti per Kristal e Adam, papà e nonno Tobias si erano sbizzarriti con loro due. A parte dei buoni fruttiferi ovviamente c'erano stati giocattoli e vestiti a non finire. Ma per me no! Infatti papà aveva confermato di non aver fatto un regalo anche a Joel. Probabilmente era tutto fermo per via della decisione di Joel per quanto riguardava le quote della London bank.
"No, anche se il viaggio a Boston è stato il più bel regalo in assoluto." Affermai.
Gabriel annuì. "Dobbiamo decidere un nome per la nostra società. Pensaci e fammi sapere, intanto se vuoi recuperare le T- Consulting in Gran Bretagna, credo sia il caso di farci un idea di come vanno."
Annuii. "Sto cercando una tata per Kristal. Pam mi ha consigliato una sua amica, ti ricordi di Eleonora Ashler?" Gli chiesi.
"Quella bambina così talentosa col pianoforte? Quella che camminava sempre a sguardo basso." Affermò.
Assentii. "Dopo che te ne sei andato ha iniziato a suonare il violino ad ogni concerto." Gli spiegai. "Comunque sembra che la sua famiglia sia in bancarotta e necessita di un lavoro. La sto aspettando per un colloquio."
"Bancarotta?!" Esclamò Gabriel. "Non ho sentito che il principato del Kleinsten sia fallito. Anzi so che nonostante sia il micro stato più piccolo del mondo è molto ricco e fruttifero." Mi disse.
"Cosa c'entra questo principato? Sinceramente non ne ho mai sentito parlare." Gli dissi.
"Eleonora è un'amica di Pamela, a casa nostra se ne parlava sempre. È la figlia della defunta principessa Alberta, nata da un adulterio di suo padre Raoul Ashler. Il suo micro stato si trova tra la Svizzera, la Germania e la Francia."
"Quindi è una principessa?" Chiesi sorpreso. "Pam non me lo ha detto, anzi quando le ho detto che mi serviva una tata madre lingue tedesca, mi ha subito detto che aveva bisogno di lavoro." Gli raccontai. "So che fa l'aiuto cuoca."
"L'aiuto cuoca?" Proruppe Gabriel. "Sei sicuro? No perché a questo punto penso che parliamo di due persone differenti. Al limite fammi sapere e tienimi aggiornato." Mi disse Gabe preoccupato.
"La incontro lunedì a ora di pranzo." Gli dissi tranquillo. "Poi ti aggiorno."
"Ovvio, devi chiamarmi quando avrai il regalo di papà." Mi disse.
"Vedo che insisti." Risi. "Ti faccio sapere." Conclusi chiudendo il discorso e anche la chiamata.
Quel fine settimana fu tutto per la mia bambina e la mia famiglia. Mamma invitò anche Isaak poiché i suoi erano in vacanza con Ebony e Drake. Ovviamente Isaak si offrì di cucinare per noi.
Spesso mi chiedevo di cosa vivesse dal momento che si era trasferito a Londra da almeno un paio di anni.
"Ti sta sfruttando per il tuo talento in cucina. Lo sai vero?" Gli dissi mentre gli pelavo delle rape.
"Meglio di niente fino a quando non troverò un lavoro stabile." Mi disse.
"Ancora niente? Potresti aprire qualcosa di tuo, ci sono finanziamenti per i giovani imprenditori." Gli dissi.
"Ci stavo pensando effettivamente. Cinque anni fa ho investito cinquemila dollari in alcuni titoli fruttiferi, potrei cambiarlo e chiedere un finanziamento. Ma ci vogliono veramente tanti soldi, se sei uno sconosciuto poi non è che ti tengono in considerazione." Mi disse mettendo il filetto in forno.
I famosi cinquemila dollari tornavano sempre quando meno me lo aspettavo. "Ti ricordo di Rafael?" Gli chiesi.
Annuì. "Tua madre dice che verrà in serata, ma io lavoro questa sera, quindi non ci incontreremo."
"Sta aprendo un bar libreria, credo che cerchi qualcuno che possa gestire l'angolo ristorazione. Prova a chiedere a mamma, lo sta aiutando col restauro." Gli consigliai, ero sicuro che a papà avrebbe fatto piacere sapere che Isaak partecipava all'attività del bar. "Per i tuoi titoli se vuoi gli do uno sguardo. Posso vedere se farli rendere un po' di più."
"Ci stanno pensando mamma e papà. Però si, puoi dargli uno sguardo." Mi disse prendendomi le rape. "Dopo parlo con tua madre per il bar."
Lo fece, ne parlarono parecchio durante il pranzo e il giorno dopo quando tornò per passare la domenica insieme ne parlò ancora anche con Rafael. Probabilmente avrebbe accettato di partecipare alla gestione del coffee and library.
Lunedì dopo aver passato la mattina alla T- KCG mi diressi a casa dove Hannah, la cuoca, stava tenendo Kristal, tra le mani avevo la lettera di Oliver Smith. Aveva ricevuto la mia offerta di acquisto per la sua casa e mi invitava ad incontrarci in presenza del suo legale.
Speravo non ci fossero problemi nell'acquisto, speravo che ne comprendesse le mie ragioni una volta che ci fossimo incontrati. Non comprendevo infatti perché volesse vedermi con un legale, temeva forse che volessi ingannarlo? Credevo che prima la nascita di Kristal, dopo la morte di Vanessa avevano messo da parte gli attriti per la fronde commessa da loro e l'intenzione di causa da parte nostra.
Per avere delle risposte non mi restava che aspettare l'incontro con il legale.
Arrivato a casa fui accolto dalle feste di Kristal. La mia bambina si sbracciava e gattonava verso di me, più sicura di poche settimane prima. Stare a Boston aveva fatto crescere anche lei, a furia di voler stare dietro Adam si era lanciata a gattonare.
Hannah dietro di lei mi guardò con un gran sorriso sulle labbra. "Pranza signor Davis?" Mi chiese.
Ricambiai il sorriso, odiavo essere chiamato signor Davis, mi ricordava Andrew e io non ero lui.
"Aspetto una visita Hannah. Al limite aspettiamo e vediamo se vuole pranzare anche lei." Le dissi.
"Una fidanzata?" Chiese lei speranzosa.
"Una tata per Kristal." Hannah fece per rispondermi, ma alzai una mano per azzittirla. "So che sei disponibile, ma cambierò casa presto. Ne ho trovata una più piccola solo per noi due e mi serve la disponibilità di viaggiare quando dovrò farlo." Le dissi pensando che effettivamente era vero. Se dovevo stare fuori casa per almeno uno o due mesi, volevo che Kristal stesse con me.
Avrei dovuto decisamente valutare anche questo. Ad orario stabilito bussarono alla porta di casa. Andai ad aprire io, con Kristal in spalla e un sorriso sulle labbra.
Non mi aspettavo però di trovarmi davanti lei! Era una ragazza bellissima, quando incrocia il suo sguardo d'ambra mi rimbalzò il cuore in gola, dovetti ringraziare di avere  la mano sulla maniglia, mi ci appoggiai per nascondere il turbamento.
"Ha bisogno?" Chiesi pregando che non fosse Eleonora Ashler. Non poteva essere lei, la ricordavo magra, ingobbita sul suo violino e con i capelli scuri che le coprivano il viso. La donna di fronte a me aveva invece un viso espressivo, la pelle chiara coperta dalle efelidi e un viso ovale perfetto. Occhi d'ambra dallo sguardo dolce e  limpido, infine lisci capelli castani dai riflessi rossi completavano il quadro. Il fisico era coperto da un giubbotto informe, indossava un jeans e delle sneaker e portava uno zaino in spalla.
"Salve, sono Eleonora Ashler, mi manda Pamela Keller Meyer." Disse ella presentandosi e salutando Kristal con la mano coperta dai guanti.
Era lei! "Si! Ti aspettavo, vieni entra." Le dissi facendole spazio.
"Grazie. Spero di non aver fatto troppo tardi. Il professore Wayne ci ha intrattenuto qualche  minuto in più." Mi disse entrando e togliendosi i guanti.
"Avevo capito che non studiavi più." Le dissi lasciandola accomodare.
Misi Kristal a terra e le posai il giaccone che stava togliendo. Dal pavimento Kristal gorgogliava e cercava di attirare l'attenzione.
Eleonora sembrava assecondarla molto più di me. "Vieni andiamo in sala da pranzo. Hannah sta per servire il pranzo."
"Oh allora vado subito via." Disse lei. "Al mattino studio alla London business school, non tutti i giorni però." Mi disse, io la fissai la scuola economica e quella di musica erano agli antipodi.
"Aspettavo te per iniziare, sei inclusa nel pranzo." Le dissi notando le dita delle mani tutte tagliate. "Quindi studi alla LBS, complimenti."
Le dissi entrando in sala e mettendo Kristal nel seggiolone.
Hannah mi raggiunse dopo un po' salutando Eleonora, la guardò con insistenza cercando di capire se le piacesse o meno. Dopodiché prese la bambina e se la mise in spalla. "Andiamo a lavare le mani e servo il pranzo." Ci disse sorridendo a entrambi, sembrava che Eleonora avesse avuto la sua approvazione.
Ci sedemmo e studiai Eleonora. "Non so se ti ricordi. Ma ci siamo incontrati al collegio di Monaco." Le dissi sinceramente. "Anni diversi, quindi di sfuggita, per questo sono curioso di capire come mai sei qui, con le mani tagliate e in cerca di lavoro, anziché altrove a suonare il violino o il pianoforte."

ELEONORA
Era il grande giorno. Il lunedì il locale dove lavoravo era chiuso. Avrei avuto quindi tutto il tempo per il colloquio a casa Davis e conoscere la bambina, poi tornare all'ostello e studiare.
Ero rimasta poco fuori la porta di quella casa maestosa e dall' aria antica. Ero abituata a case di quel genere e come appariva anche grande, non ero nervosa per questo. Infatti bussai subito, come un mal di denti, tolto il marcio si tornava a stare bene.
Non ci speravo tanto che mi avrebbero presa. Non ero mai stata a contatto con i bambini, avrei dovuto imparare e non sapevo quanto il mio capo sarebbe stato paziente con me.
Quando vennero ad aprirmi la porta restai bloccata sul posto dalla sorpresa.  Oh mio Dio! Pensai, quello non era un uomo adulto, vedovò di chissà quale vecchia moglie. Quello era un adone sceso in terra. Appena aveva aperto la porta i suoi occhi azzurri come il cielo lino avevano attirato i miei . Dovetti sbattere più volte le palpebre per riprendermi, nel farlo lo sguardo si espanse a tutto il viso, curato e senza barba, carnagione dorata, quasi fosse abbronzato, biondo, viso perfetto e mascolino, fisico asciutto e muscoloso. Il suo sorriso mutò nel vedermi.
"Ha bisogno?" Mi chiese. Si! Un po' d'aria perché me ne mancava.
Farnetivo qualche parola, scuse senza senso e per distrarmi guardai altrove. La bambina tra le sue braccia attirò la mia attenzione. La salutai sorridendole. Assomigliava al padre, capelli biondi, stessi occhi ma una pelle più pallida. Con la bocca gorgogliava: da da da! Era deliziosa, non pensavo che i bambini piccoli potessero esserlo così tanto.
Udii le parole pranzo e tu studi in modo ovattato.
Oh sì certo, studiavo! Però era il caso che mi ricomponessi e rispondessi alle sue domande.
Lo seguii in sala da pranzo dove ci raggiunse una domestica. Mi fissò con sguardo analitico, dopodiché mi sorrise portando via Kristal. La mia ancora di salvezza se ne andò.
Non potevo più ignorare l'uomo che forse sarebbe diventato il mio capo. Perché avevo pensato che avesse almeno dieci anni più di me? Perché pensavo che fosse apatico e flaccido?
Stava parlandomi e alla fatidica domanda non mi restò che rispondergli.
"Studiava al collegio di Monaco?" Chiesi cercando di ricordarlo. Lo feci, pensai a Pamela e poi suo fratello Gellert e infine agli amici del fratello.
Ricordai i tre biondi e i mori. Sussultai. Lui era il gemello biondo. Lasciarono il college quando io avevo dodici anni, poi però l'anno successivo il biondo era tornato. Da solo!  Annuii.
"Si, ora che me lo hai detto, mi ricordo. Eri nel gruppo del fratello di Panela." Decisamente troppo giovane per essere vedovo e me ne dispiaceva.
"Si, i miei zii, i principi del Kleinsten finanziano i miei studi. Purtroppo o per orgoglio, non conoscono tutta la mia situazione finanziaria. Cioè non sanno che dopo la morte di papà non mi è stato più pagato l'affitto e la Royal academy." Gli dissi iniziando a raccontagli tutto, di come gli zii mi fossero venuti incontro. Ma nonostante ciò avevo dovuto ridimensionare il mio tenore di vita. Mentre Hannah iniziava a servire il pranzo gli spiegai per filo e per segno cosa mi era accaduto, rispondevo alle sue domande e lo aiutavo a far mangiare la piccola.
Dopo aver concluso per sommi capi, tra una portata e l' altra da parte di Hannah.  Finalmente mi rilassai, non mangiavo così bene da una vita.
"Sono affascinato." Mi disse Thomas. "Sei stata furba e abbastanza previdente da prendere subito in mano la tua vita. Non hai aspettato che i tuoi zii ti fornissero il conto, hai reagito." Mi disse.
"Non avrei potuto farlo." Risposi. "Ammetto che papà mi ha viziata, non conoscevo i costi che richiedevano la mia vita qui e la royal. Avrei dovuto ringraziarlo per tutto ciò che ha fatto per me." Purtroppo non c'ero riuscita.
"Spero che i tuoi zii riescano ad aiutarti. Cioè i loro avvocati. Così riuscirai a tornare a Vienna e ringraziarlo." Mi disse lui.
"Almeno questa situazione mi ha insegnato a cadere e rialzarmi. Adesso so cosa sia importante. Per quanto ami la musica, per ora la metto da parte per cose più concrete. Lavorare è sfiancante e come me ci sono tanti studenti che fanno dei lavori part time per sbarcare il lunario." Dissi. "Io sono fortunata. La mia università è completamente pagata, all'ostello si sta bene e se soltanto parlassi, so che gli zii farebbero di tutto per farmi avere tutti gli agi. Non lo faccio perché sono spese enormi e non so... mi sembra di abusare di loro." Gli dissi prendendo la piccola in braccio, sembrava stesse chiamandomi per farsi prendere.
"Lo pensi perché non sono i tuoi genitori." Mi disse lui. Rimasi sorpresa nel notare che mi aveva subito capito. "Chiedere a tua madre sarebbe stato pii facile. Sai che loro non saranno mai i tuoi genitori e ti senti di troppo poiché hanno i loro figli e le loro famiglie."
Basita chiusi la bocca rendendomi conto che l'avevo aperta dallo stupore. "Cone fai a sapere come mi sento?"
"Il marito di mia moglie,  non era mio padre." Mi spiegò tranquillo. "So come ci si sente, anche se tu a differenza mia sei amata dai tuoi zii."
"Mi dispiace." Gli dissi sinceramente. "Non avrei dovuto essere ingrata. Credevo che tuo padre vi amasse entrambi..." dissi gesticolando. "Te e il tuo gemello." Posai la mano sulla schiena della piccola che si era addormentata e continuai. "Per questo a quindici anni lui non è tornato a Monaco?"
"Cosa?! Oh no! Non è come pensi, mio fratello Gabriel... Cioè io e lui non siamo gemelli. È un puro caso se siamo nati nello stesso periodo, mamma veniva moto picchiata quando mi aspettava e sono nato prematuro." Mi rivelò. "Papà, quello naturale, mi mandò al collegio proprio per proteggermi dal mio patrigno. Così sono cresciuto con mio fratello maggiore."  Lo guardai.
Quella storia aveva dell'incredibile. Chissà se mi avrebbe raccontato la storia di sua madre. "Vedi che sono fortunata! A casa mia non c'è mai stata violenza."  Dissi.
Sospirò. "Io vorrei anche darti un'occasione con Kristal, non so però se potresti essere disponibile a seguirla." Mi disse sincero, sapevo che era troppo bello trovare un lavoro più piacevole. "Sto per iniziare un nuovo lavoro che mi porterà a viaggiare molto." Si spiegò. "Ho deciso che Kristal verrà con me, non voglio separarmi da lei. Non quando potrei stare via almeno un mese, tu studi e la London è tanta roba. Non vorrei distrarti dal tuo studio, o anche farti annullare gli esami e perdere le lezioni." Mi disse indicando la piccola. "Le piaci, solitamente vuole stare solo con me o con mia madre e mia sorella. Ti ha cercata." Mi disse. "Come ho detto a Pamela deve scegliere Kristal. Ma non posso influenzare la tua vita."
Mi morsi il labbro inferiore rammaricata. "Non devi preoccuparti. Ho tenuto in conto di dover stare con la bambina invece che andare in facoltà." Gli dissi. "Sapevo già di questa situazione e ne ho parlato con i docenti. Ho detto loro che ho trovato un lavoro impegnativo, poi quando siete fuori posso recuperare le lezioni."
Mi guardò divertito. "Quando siamo fuori lo saremo tutti e tre." Affermò. "Perderesti le lezioni  in quel periodo. Puoi portare Kristal qui da Hannah se hai lezioni." Mi disse.
"Oh... " lo guardai sbigottita. "Oh! Partirei con vo?" Gli chiesi, ovvio a casa aveva la governante e la madre o la sorella. In giro per il paese invece c'ero io. "Posso venire con voi."
Lui annuì. "Questa è casa di mia madre, ne ho presa una più piccola dove ci trasferiremo." Mi disse ancora. Lo fissai lasciandogli modo di spiegarsi meglio. "Andremo a vivere lì."
Annuii. "Perfetto." Gli dissi per fargli capire che stavo seguendo il suo discorso.
"Anche tu." Mi disse.
Annuii. Anche io!  Oh! Non dormivo in casa degli uomini, sexy, single e con prole. "È necessario?"
"Una tata lo farebbe." Mi disse.
"Hannah non lo fa." Affermai.
"Hannah è una cuoca, vive comunque qui e sua figlia, la mia balia da piccola dormiva qui. Aveva una stanza vicino la nostra e correva ogni volta che ce n'era bisogno." Mi disse parlandomi della sua tata.
"Dov'è lei adesso?" Chiesi, perché non aveva chiamato lei. Pensai indispettita.
"Vive a Notthing Hill, si è sposata ed ha i suoi figli cui badare." Rispose tranquillo.
"Ci sta!" Risposi chinando la testa sulla bimba. Il suo respiro regolare era così tranquillo. "Posso provare." Dissi.
"Possiamo provare si!" Mi disse. "Vediamo come vai, Kristal come reagisce e anche l'organizzazione con i tuoi corsi. Al limite se non riesci posso inserirti in qualche lavoro di ufficio. Studi alla London business ed è un buon biglietto da visita."  Mi disse comprensivo.
Acconsentii. Se non fossi andata bene con la bambina avrei comunque trovato lavoro. "Quando posso iniziare la prova?" Chiesi.
Mi fissò mettendo la mano sotto il mento. "Direi che hai già iniziato Eleonora." Mi disse indicando la piccola. "Vieni, ti accompagno nella sua camera e ti faccio vedere dove dormiresti per ora." Mi disse alzandosi.
Lo seguii a ruota attenta a non svegliare la bambina. Seguendolo mi chiesi come era possibile che tenerla mi risultava così naturale. Era la prima volta che avevo una bambina in braccio eppure lei era lì che dormiva tranquilla come se lo facesse da sempre.
Arrivammo nella piccola nursery dai colori pastelli, c'era un po' di azzurro e un po' di rosa, senza distinzione. Una culla in vimini ricoperta da un velo bianco e una sedia a dondolo in un angolo. C'era vicino a un fasciato, un settimino in arte povera con delle foto incorniciate. Molte erano con Thomas nelle varie fasi della crescita di Kristal. Una sola ritraeva la piccola appena nata con una ragazza dall'aria afflitta. La riconobbi subito, se ne era parlato un po' quando era morta. Vanessa Smith, figlia di un facoltoso uomo d'affari, si era uccisa per un caso di depressione grave. La madre sua custode, anch'ella instabile, le aveva dato libero accesso ai suoi farmaci. Era quindi Vanessa la madre di Kristal? Questo era stato il destino della piccola?
Delicatamente la stesi nel lettino fissandola. Povero piccolo tesoro.
"Le manca la mamma?" Chiesi in un sussurro.
"No." Mi rispose Thomas. "Vanessa ha rifiutato la piccola che ancora le era in grembo. Quando è nata è stata meno di un mese a casa nostra, poi è tornata dai suoi genitori, alla vita spensierata che credeva fosse giusta per lei." Raccontò capendo che io sapevo chi fosse Vanessa. "Aveva solo vent'anni, troppo presto per diventare madre."
Evitai di rispondere. Io avevo la stessa età, se mi fossi trovata nella stessa situazione, temevo sarebbe stato difficile separarmi dalla bimba. Per tatto però non risposi e tenni per me la mia opinione.
"Vieni, ti faccio vedere la tua stanza." Mi disse aprendo una porta laterale. Dava su una stanza singola, il letto era in ferro battuto. C'erano un armadio e un cassettone, una panca e un televisore lcd alla parete. "Io dormo all'altro lato della nursery. Il bagno è di fronte a queste stanze." Mi informò.
Ancora annuii. Mi ricordò che nel bene e nel male, ovunque avremmo condiviso uno spazio intimo. Stava chiedendomi se accettavo quelle condizioni ed eventuali conseguenze.
Dai ricordi che avevo della morte di Vanessa Smith che riemergevano nella mia mente, sapevo che la figlia era una viscontessa di nascita. La Smith non lo era, quindi probabilmente era un titolo che spettava a Thomas. Questo significava che lui sapeva fossi stata cresciuta din un certo rigore.
"Dove dormono i tuoi familiari?" Chiesi in un sussurro.
"Anche mia madre dorme in questa ala della casa." Mi disse uscendo dalla piccola stanza. Tirai un respiro profondo. La sua presenza faceva sempre la canea accogliente in un angolo del mondo dove non c'era spazio per muoversi. Lo seguii e seguii il suo volto mentre mi indicava una stanza in fondo al corridoio. "Dorme lì. Quando c'è mio fratello Joel dorme nella stanza accanto al bagno. Mia sorella dorme al piano superiore insieme all'altro fratello Samuel." Spiegò ancora. Io registravo ogni cosa mi dicesse.
"Mi sono preso il pomeriggio libero, se vuoi ti accompagno a prendere le tue cose all'ostello." Mi disse.
"Se voglio!" Dissi deglutendo.
"Se vuoi!" Ripetette lui.
Lo volevo? Feci un passo avanti, poi un altro. "Andiamo." Dissi.

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia si svolge in contemporanea con la storia di Gabriel Keller in Liberi di essere se stessi. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
Il microstato del Keinsten non esiste, ne ho inventato uno a somiglianza e ispirazione del Lietchsten. Nomi, luoghi e altro sono di mia invenzione
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna e Nord Europa INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE -Albero Genealogico:I Thompson - I Keller

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THOMAS

 

Aveva accettato. Io come uno stupido avevo accettato di stare a stretto contatto con lei. Eleonora si era subito ben apportata a Crystal, il suo animo gentile ed educato si erano subito visti nel suo sguardo limpido , mia figlia li aveva percepiti. Temevo con i miei pensieri  peccaminosi di rovinare ciò che era quella ragazza. Non riuscivo a pensare a lei come a una semplice balia, aveva indubbiamente un bel fisico , anche se era nascosto sotto un maglione largo si notava. Cioè avevo notato la curva dei glutei avvolta nei jeans. 

Non avevo mai provato un'attrazione così intensa al primo sguardo con una donna, l'eccitazione che avevo percepito appena  sentita la sua voce mi aveva scosso. Eleonora si era presentata di fronte a me ricoperta dalla testa ai piedi, cappello guanti, giubbotto, nonostante tutti quegli strati di tessuto avevo percepito l'attrazione che mi spingeva verso di lei Non potevo permettermi di toccarla, era una mia dipendente, era una principessa , era pericolosa. Lo sapevo. 

Quando la portai a prendere le sue cose all'ostello percepii ancora più forte la tensione erotica tra di noi.

Mai con nessuna l'avevo provata. Lei cercò di parlarmi, di Vanessa. Mi chiese quanto avessi sofferto per lei. Si ci ero stato di merda! Mi ero sentito in colpa. Ma non ne sentivo la mancanza, non mi ero lasciato trascinare dalla disperazione come era accaduto a papà con Marina. Per me Vanessa era stata una ragazza che si era resa disponibile a letto e di cui ero diventato amico dopo. Non per niente avevo sempre tenuto a bado la mia libido con lei. 

Anzi ad un certo punto avevo trovato il sesso tra di noi snervante. Scappavo o inventavo scuse per non scopare. Sarebbe stato lo stesso con Eleonora? 

Se solo parlandole mi eccitavo, cosa sarebbe accaduto toccandola e sentendola più vicino? Non lo sapevo, per certo comprendevo che in un'auto tutti e due non andavamo bene. C'era troppa tensione sessuale. 

"Cosa vuoi da me?" Mi chiese. 

La fissai. Tutto, volevo tutto da lei.  Perder mi nelle sue carni, baciare la sua bocca, toccare il suo corpo invitante. 

"Scusa in che senso?" Le chiesi tornando in me.

"Cosa vuoi da me?" Chiese ancora. "Cosa dovrò fare con Kristal." 

Ah era quello!  Avevo perso di vista il motivo per cui ci eravamo incontrati. 

"Parlare ed educarla in tedesco. Mi farebbe piacere che Cristal impari a riconoscere la lingua, parlarla. Abbiamo origini e legami a Monaco." Le spiegai. 

"Giustamente." Disse lei. "Posso farlo con piacere e se continuerò a lavorare con lei da grande potrei insegnarle a suonare il pianoforte e tutto ciò che vuoi le insegni." 

Non insegnarle ad essere come te. Impazzirei sapendola così sexy. "Poi vediamo. Intanto pensiamo al presente." Le dissi parcheggiando di fronte all'ostello. 

Una volta prese le sue scatole le lasciai la bambina mentre recuperava il resto del suoi oggetti personali. Tutti gli spazi erano troppo ristretti quando eravamo insieme. 

Ciò che notai chiudendo il cofano fu che Eleonora aveva pochi effetti personali. Probabilmente essendo vissuta in un collegio, come me d'altronde, aveva imparato a vivere con lo stretto necessario. I libri avevano occupato la magggior parte del cofano. Le due scatole chiuse mi disse erano vestiti un po' più lussuosi o estivi, il resto degli abiti invece erano stati messi in valigia. Prendemmo la caparra che aveva dato per il mese di gennaio alla direttrice dell' ostello poi senza chiedere mi diressi in centro. 

"Dove andiamo?" Mi chiese sorpresa che non facessi la strada di casa.

"In agenzia telefonica. Se cambi operatore puoi trasferire il pagamento del contratto. Così potrai telefonarmi per qualsiasi emergenza." Le dissi. 

Comprendevo che si era privata del telefono per risparmiare, ma le cose da quel momento sarebbero cambiate. 

"Oh! Perché cambiando operatore si annulla il pagamento in conto?" Mi chiese. 

"Fai aprire un nuovo contratto, quindi devi dare i dati al nuovo operatore." Le dissi.

"Non ci avevo pensato. Che stupida che sono." Affermò.

"Non sei stupida, sei stata sommersa da tante cose insieme che non hai pensato a delle scappatoie. Anche nel cercare lavoro, hai sfruttato più la conoscenza della musica che quella imparata dalla LBS." Le dissi. "Secondo me avresti trovato lavoro almeno come segretaria. Conosci due lingue importanti." 

"Hai ragione. Vedo che sono stata..." La interruppi alzando una mano. Aveva l'aria e la voce mortificata. 

"Sei stata presa dai problemi e una volta trovato lavoro ti sei fermata dove sapevi che avresti avuto uno stipendio." Le dissi, effettivamente era vero. Mi mettevo nel gruppo delle persone che vivevano nella bambagia. Effettivamente però, una persona comune trovava difficoltà a sbarcare il lunario nonostante si avesse uno stipendio alto. Io stesso per acquistare la casa di Vanessa avrei dovuto chiedere un mutuo, la retta mensile non mi sarebbe costata molto non influendo molto sul mio reddito. Ma le persone che ci circondavano? Quelle che non erano benestanti, come Eleonora al momento, dovevano veramente fare salti mortali per arrivare a fine mese. 

Non potevo fare granché per loro se non garantire il lavoro ai dipendenti della banca e non farla arrivare alla bancarotta come stava accadendo l'anno prima. Eravamo in ripresa ma il cammino era ancora lungo. 

Dopo aver cambiato gestore, io Eleonora e Kristal tornammo a casa. Mamma e gli altri erano rientrati. 

Così mentre mamma, Diamond ed Eleonora facevano conoscenza chiesi a Samuel di aiutarmi a scaricare l'auto degli oggetti personali di lei. 

Non mi stupii quando finimmo di scoprire che Eleonora si era subito trovata bene con loro e viceversa. La mia era una famiglia alla mano, a primo impatto lo era anche Eleonora. In pratica era tutto da vedere e da scoprire. 

Ad una settimana dall'arrivo di Eleonora a casa la mia vita aveva preso una nuova routine che non mi aspettavo. Non vedevo l'ora di tornare a casa e non dipendeva  solo da mia figlia. Eleonora era brillante, la adoravo. Tornare a casa e sorprenderla a chiacchierare con Kristal o vezzeggiarla, ancora insegnarle delle paroline per poi sentirla ridere agli atteggiamenti di mia figlia. Erano stupende le sensazioni che mi lasciavano. Mi sentivo come se avessi finalmente trovato il mio posto. 

Però pensavo anche che non fosse normale. La conoscevo appena e quelle sensazioni e le emozioni che fino ad allora non avevo mai provato mi sembravano eccessive. 

Anche quel sabato, ero fremente e non vedevo l'ora di rientrare a casa. I mercati finanziari avevano chiuso ed ero pronto ad andare via. Stavo  spegnendo il portatile quando mia madre si annunciò in ufficio seguita a ruota da Drake ed Ebony. 

"Ehi! Siete tornati." Li salutai felice di rivederli. 

"Tom?!" Chiese Ebony guardando verso mia madre. "Adesso si che mi ricorda suo padre." 

Mamma si sedette di fronte a me e ignorandomi guardò l'amica. "Lo penso anche io. Così come non pensavo sarebbe mai accaduto." Le rispose mamma. "Mi sono sempre chiesta cosa rendeva Thomas così affascinante e adesso lo so." 

"Eri tu a rendere Thomas affascinante." Disse Drake invitando Ebony ad accomodarsi sulla seconda sedia degli ospiti della mia scrivania. 

Compresi che stavano parlando di mio padre e di come gli somigliassi. Però dovevo tornare a casa. 

"È successo qualcosa alla T-KCG?" Chiesi impaziente. "Avevo capito che rientravate lunedì. Cosa è successo?" In pratica era: è sabato qualsiasi cosa che non è urgente, rimandiamo a lunedì. 

"Nulla di che. Siamo venuti adesso perché sapevamo che non c'era nessuno.

Infatti prima di raggiungerti ne abbiamo parlato con tua madre." Mi rispose Drake.  

Effettivamente indossava abiti più comodi. Un pantalone a coste con un maglione e una camicia sbottonata al collo. Di rado non lo vedevo in giacca e cravatta. Anche i capelli castani striati di grigio erano portati in modo disordinato anziché composti. 

Compresi che dovevo sedermi, se avevano parlato con mamma doveva essere accaduto qualcosa. Forse le avevano detto che fino al giorno prima erano stati in Scozia con papà e lei non aveva reagito bene. Papà era stato in loro compagnia con Denise, la sua attuale compagna. 

"Drake in Scozia ha incontrato tuo padre." Annunciò mia madre nervosa. "E..." sospirò. "Tuo padre ha un regalo per te. Quando me lo hanno detto sono rimasta sorpresa, ancora lo sono in realtà." Disse mamma. 

Indubbiamente Drake aveva parlato delle azioni con mio padre. Non pensavo che mamma ne fosse rimasta sconvolta, per me era una cosa bella che papà mi avesse incluso nella sua eredità e non per il denaro. Pensavo che mamma capisse che per me era importante essere accettato come figlio e nient'altro.

"Non ti fa piacere che abbia un regalo per me?" Chiesi a mamma.

Lei sembrava emozionata. "Si e no! Si perché so quanto lo desideri, no perché comunque mi sembra ingiusto nei confronti di Diamond o anche perché non ci ho pensato io stessa. Sapevo quanto fosse importante per te questa cosa." Mi disse arrendevole. 

Effettivamente c'era la questione Diamond. Avevo omesso di pensare a lei in quel periodo, quando ero partito per Boston mia sorella aveva fatto un passo indietro nonostante voleva conoscere papà. Non lo aveva mai incontrato e ne era incuriosita. Solo sentendo la sua voce e poche frasi dette a caso, le aveva acceso dentro un forte senso di appartenenza. Voleva conoscere papà. 

Tuttavia, Thomas Keller non sapeva che Diamond era sua figlia. Di me lo aveva sempre saputo, con Diamond invece non c'era nessuna conferma. 

"Posso comprenderlo. Io e Joel abbiamo ritenuto opportuno non parlare di lei a papà adesso che siamo stati a Boston..." Le dissi, come fare a dirle che era un argomento delicato ed era difficile in presenza di tutta la famiglia. 

"Devo dirglielo io." Intervenne mamma. "Con Diamond siamo rimaste che glielo dirò una volta che si sarà laureata." 

Guardò verso Ebony assentendo poi tornò su di te. "Scusami. Avrei dovuto farlo io prima di lui, anche se probabilmente questo gesto per te avrà più valore che se fosse stato fatto da me." Mi disse mentre Ebony tirava fuori dalla borsa un plico in formato A4. 

"Tuo padre." Disse Drake. "Ha voluto che ne parlassi con tua madre prima di fartelo avere. Se lei non era d'accordo non avrei dovuto consegnartelo." Mi spiegò.

Sospirai. Stavano trasmettendomi la loro ansia, perché tutta quella storia per un'eredità. "Aprii la busta tirandone fuori un bel po' di carte, sembrava un contratto. Legata con una graffetta c'era una lettera indirizzata a me, la scrittura disordinata di papà fu subito riconoscibile.  La aprii e lessi le poche parole che c'erano scritte.

Essenziale e pratico come sempre. Feci un colpo di tosse e iniziai a leggere ad alta voce, se sapevano già tutto era assurdo tenere per me quella missiva.

"Gabriel mi ha detto quanto per te sia importante non avere il nome di Davis..." restai sorpreso. Il nome di Andrew Davis mi pesava e molto, sinceramente non pensavo quella lettera parlasse di questo. Ingoiai il groppo e continuai a leggere. "... se può farti piacere questo e il mio regalo di compleanno. È pronto da un po', avrei potuto dartelo a Boston.  Ma ho preferito che fosse tua madre ad acconsentirmi a questa cosa. Se per lei va bene ho fatto preparare una pratica anche per Kristal." Non capivo, cosa centrava Kristal. Possibile che non fossero le quote? La lettera finiva con un:  Se hai bisogno sai come trovarmi. Tuo padre. Non T.K., ma padre. Mi si strinse il cuore. Spostai la lettera e controllai il contratto. Era... era un documento dove mi riconosceva come suo figlio! 

No! Non poteva essere. Mamma e i suoi amici in silenzio non dissero nulla, mi diedero modo di leggere e assimilare quanto stavo leggendo. Papà mi aveva riconosciuto come figlio, lessi attentamente le carte. Tutte riportavano il logo dell'ufficio anagrafe di Londra e di un ufficio legale sempre londinese. Lessi attentamente, sempre più emozionato. Keller! Potevo diventare Thomas Uriel Keller. 

Ero sopraffatto dall'emozione.  Non sapevo cosa dire, ero felice. Guardai mamma, il volto rigato di lacrime. Adesso il suo discorso aveva un senso, Diamond era esclusa da tutto. Adesso eravamo io e papà. 

"Lo voglio! L'ho sempre desiderato." Le dissi. 

Mamma annuì. "Lo so!"  

"Ma non vuoi che accetti." Le dissi.

"Non posso proibirtelo. Tom avrei dovuto tempo fa darti il mio nome, sapevo quanto ti pesava avere quello di Andrew. Per il male che ti ha fatto sin da piccolo. Ho preferito rimandare, perché per me il nome mi dava la possibilità di rendervi fratelli, una cosa sola. Però più andava avanti e più tu soffrivi, ti ho sempre messo indietro rispetto agli altri pensando capissi. Invece no! Se Gabriel sapeva vuol dire che ogni volta ti sfogavi con lui." Mi disse rammaricata. Anche Joel sapeva, anche a lui pesava essere il figlio di Andrew. Ma omisi di dirlo a mamma e la lasciai parlare. "Ti ho trascurato e mi dispiace.  Comprendo però che il mio nome non ti sarebbe servito molto." Concluse sorridendomi. "È di questo che hai bisogno. Sarei contenta se accettassi. Parlerò io con tua sorella." 

"Quindi posso?" Chiesi speranzoso. 

Mamma annuì. "Puoi." 

Mi si strinse il cuore. Guardai tutti alzandomi e riunendo i miei fogli. "Grazie, di cuore." Dissi a tutti. Posai le carte e il portatile nella valigetta e presi il giaccone. "Posso andare? C'è altro?" Chiesi. 

Ebony scosse la testa. "È tutto." Disse la rossa. 

"Perfetto, allora vado. Non vedo l'ora di raccontare tutto a Eleonora."  Dissi chiudendo la cerniera. "Vieni con me mamma?" Chiesi. 

"Mi trattengo, Ebony e  Drake mi hanno invitati a cena fuori." Rispose malinconica. 

"Ti avverto già che ci sarà un nostro amico, così per non far sentire tua madre un terzo incomodo." Mi disse Ebony alzandosi. "Poi facci conoscere Eleonora." 

"Quando passate a trovarci." Risposi. "È la tata di Kristal." Affermai lasciando comprendere che non c'era nulla di che, eravamo amici e ci raccontavano tante cose. Salutai tutti e corsi verso l'auto e verso casa. 

 

SAPPHIRE

Mio figlio era cambiato. Il mio amato Thomas era cresciuto fin troppo presto. Il carattere violento di Andrew non aveva aiutato, partire per Monaco con Joel neanche. Thomas aveva sempre provato nei confronti di Joel un forte senso protettivo che si era rafforzato una volta a Monaco. Quando erano partiti per Monaco si era potuto pensare a una fuga. 

Non era stato così. Quel collegio me ne ero accorta da subito, era stato la loro salvezza. Nonostante all'istituto, già a cinque anni, volevano che i bambini fossero indipendenti, i miei figli erano cresciuti spensierati, con degli amici sinceri e soprattutto i legami che avevano creato ancora persistevano. 

Joel era molto sensibile, la sua empatia in quegli anni era diventato il suo punto forte. Aveva affinato il modo di approcciarsi agli altri senza avere paura di mostrarsi per ciò che era. Un ragazzo sensibile che pensava a chi voleva bene e non solo. Sapeva ascoltare e consigliare le persone e proprio per questo aveva scelto un percorso educativo appropriato a lui.

Quando aveva parlato dei suoi progetti sia a me che al padre, ovviamente Andrew aveva negato al figlio di inseguire i suoi sogni. "Sei mio figlio e studi ciò che è meglio per te. Non andrai all'università di quello la! Più vicino, farai l'esame di ammissione alla London business school così posso controllarti." Gli disse stroncando i suoi progetti. 

Joel aveva reagito. Mi disse che era rimasto in contatto con il suo benefattore in quegli anni e lui gli aveva assicurato che poteva continuare a studiare a Monaco. A sua spese ovviamente.

Era stato allora che la differenza tra  Thomas  e Andrew era stata ancora più evidente. Avrei potuto dire che non essendo Joel suo figlio, per Thomas era più facile da gestire. Però Thomas Keller non aveva pensato solo a mio figlio, ma anche a Gabriel suo figlio, al nostro Thomas e ad Isaak restando comunque in disparte dando modo a Molly e Sean di crescerlo come figlio. 

Sospirai. Anche Kiel era cresciuto subito grazie al padre che si era trovato. Stessa cosa era successa agli altri ragazzi,  non ero riuscita a proteggerli del tutto da Andrew. 

Quando veniva a trovarci non gli era sfuggito l'atteggiamento femminino di Samuel. Il suo secondo genito, l'unico figlio che gli somigliava fisicamente, era omosessuale e non lo accettava. Quante volte lo aveva picchiato per un'affermazione buttata così ingenuamente. Quante volte sia io che Diamond ci eravamo erte a scudi umani per lui. 

Mia figlia però era diventata una dura, l'esempio di un uomo come Andrew nella sua vita l'aveva fatta crescere subito, era sveglia e pratica.  Quando a diciotto anni aveva denunciato pubblicamente Andrew ero rimasta tanto sorpresa quanto orgogliosa. Aveva mostrato la natura di Andrew con dei testimoni che non fossimo noi. Era furba Diamond, come Thomas era stata sempre sofferente all'idea di essere figlia di Andrew, quando aveva scoperto che non era così avevo visto nel suo sguardo la felicità. 

Mi aveva chiesto però di non rivelare a nessuno di chi era figlia. 

"Thomas è un genio con i numeri, se ho ben capito anche Gabriel. Isaak quando ha un coltello tra le mani sforna piatti eccellenti, anche Rafael mi ha detto dei suoi voti in letteratura. Voglio laurearmi dando il meglio di me. Diciamolo solo quando avrò ottenuto il massimo dei risultati." Mi disse. 

Era una sua scelta e andava bene così. 

Quando Thomas aveva perso Vanessa in quel modo tragico tutti noi avevamo visto in modo positivo il viaggio in America. Così sembrava. 

Era iniziato tutto da lì. 

Quando Tom stava con i suoi amici Gabriel, Liam e London ne usciva sempre più galvanizzato e sereno. Poi era arrivata Eleonora. 

In quella settimana avevo rivisto in Thomas suo padre, con gli occhi azzurri, ma con lo stesso sguardo che mi concedeva ogni volta, ogni giorno da quando ci eravamo conosciuti a quando ci eravamo lasciati. 

Tom si era innamorato e ancora non lo sapevo. Trovavo Eleonora deliziosa, inoltre era talmente sincera e senza malizia che diceva tutto ciò che pensava. Era educata, essendo cresciuta nel nostro stesso ambiente sapeva come comportarsi e involontariamente quando spiegava le cose a Kristal, che aveva solo sei mesi, lo faceva proprio con questo criterio. 

Eleonora amava Kristal indubbiamente, vedevo poi il suo sguardo illuminarsi quando a sera rientrava Tom. Nonostante a cena ci fossimo tutti noi, i due prendevano a parlarsi e raccontarsi della giornata. Li beccavo a parlarsi seduti sul divano anche dopo cena, quando Kristal ormai dormiva  nella sua culla. Accendevano la piantana accanto al divano, riempivano i bicchieri di vino e iniziavano a chiacchierare. Mi piacevano tanto insieme, finalmente Tom stava lasciandosi andare con qualcuno che non fossimo noi della sua famiglia. 

Poi quel giorno Drake e Ebony erano rientrati dalla loro vacanza. Non mi aspettavo di vederli che lunedì. Invece erano lì. 

"Ho incontrato Thomas." Disse Drake arrivando al punto. "In realtà in questi mesi, dopo i fatti della London bank, siamo stati parecchio in contatto." Mi confessò.

"Credevo foste in contatto da almeno ventisei anni." Gli dissi piccata. 

Lui sorrise confermandomi che era così. "Si! Ma ci sentiamo ultimamente per una pratica legale che interessa Thomas e vostro figlio." 

"Per questo vi siete visti?" Chiesi. 

"Gli ho confermato che le carte sono pronte." Disse. 

"Di cosa si tratta?" Gli chiesi. 

"Thomas voleva il tuo permesso di riconoscere Tom in quanto suo figlio e dargli appunto il suo nome." Mi disse lasciandomi scioccata. 

Thomas avrebbe dato a nostro figlio il suo nome! Dopo tutti quegli anni era quindi venuto allo scoperto. 

Effettivamente sentirlo a telefono l'anno prima doveva farmi capire che non demordeva. Aveva creato un legame con i miei figli ed ora stava prendendosi ciò che era suo. 

Chi ero io per impedirlo? Più volte gli avevo tolto la felicità, la famiglia che sempre aveva desiderato, i suoi figli. Pensavo si fosse arreso quando si era sposato. Marina! Ricordavo ancora il suo nome e Joel ne parlava come di una donna bellissima. 

Però adesso la sua presenza era tornata più prepotente che mai. Da quando avevo conosciuto Gabriel al diciottesimo compleanno di Tom, mi ero aspettata la sua ricomparsa. 

Lo faceva nell'ombra, attraverso gli altri. Senza che io potessi incontralo. Solo l'anno precedente avevo scoperto che la scatola dei regali di Joel era in realtà da parte di Thomas. 

Nel profondo lo ringraziai per non essersi mai fatto vedere. Non volevo che i miei rimpianti, già perenni, tornassero a monte rivedendolo. Mi sarei resa ridicola e come sempre sarei corsa da lui abbracciandolo e cercando la sua bella bocca. Chissà se era invecchiato proprio come me. Apparentemente sembravo ancora giovane ma dentro mi sentivo tanto vecchia, distrutta. E lui? Era stato lì e non si era fatto vedere, manteneva le promesse. Aveva detto che non sarebbe tornato e non lo aveva fatto. 

"Quindi è stato a Londra." Dissi a Drake.

Ebony scosse la testa. "Lui non viene a Londra." Rispose la mia amica. "Lo abbiamo visto in Scozia."

"Ci disse che dopo il vostro ultimo incontro aveva chiuso."  Mi disse Drake. 

Non disse con me ma era compresa nella frase, lo sapevo, come capivo che Drake era dalla parte di Thomas. Non aveva mai apprezzato Andrew, soprattutto non aveva mai capito le mie ragioni per restare. "Si! Lo disse anche a me." 

"Basta poco per farlo tornare a Londra." Mi sussurrò Ebony. 

Scossi la testa. Non bastava nulla, era sposato e felice con Marina. Lo rimpiangevo già abbastanza così. Andare da lui, vederlo felice con Marina mentre le dava ciò che sarebbe potuta essere la mia vita, sarebbe stato solo peggio. 

Sospirai. "Per me puoi consegnare le carte a Thomas. Ancora non è andato via." Dissi a Drake indicando le porte che portavano alla sede della sua società. "Poi gli diremo che stasera ceno con voi. Ho bisogno di prendere un po' d'aria." 

"Credi che se la berrà?" Chiese Ebony. 

"Ha conosciuto una ragazza, Eleonora." Risposi. "Voi non ci crederete. Ma ultimamente mio figlio è distratto." Ammiccai. 

I miei amici restarono stupiti dalla mia affermazione.  "Sono curioso di conoscerla. Che tipo è? Vanessa era molto avvenente e non riusciva a distrarlo. Questa deve essere super sexy." Disse Drake. 

"Questa ci stupirà." Affermai alzandomi per andare in ufficio. "Presto prima che scappi, i mercati finanziari stanno chiudendo." Dissi ai miei amici piantandoli in asso per raggiungere Thomas. 

Come prevedibile stava già preparandosi. Drake prese in mano la situazione spiegandogli che aveva il regalo di Natale da parte di suo padre. 

Tom però andava di fretta, voleva tornare a casa da Eleonora. Così fu sbrigativo. Appena dopo aver avuto il mio consenso aprì la lettera lasciata da Thomas e quando la lesse ne restai sorpresa.

A mio figlio pesava avere il nome di Andrew e suo fratello Gabriel lo sapeva. 

Forse avrei dovuto io, molto tempo prima fare questa cosa per mio figlio. Questo però avrebbe significato fare delle distinzioni, chi era e chi non era mio figlio. Forse però era venuto il tempo di iniziare a essere onesti un po' con tutti. Avrei dovuto dire la verità a Samuel.

Dopo aver letto la lettera e il contratto di sfuggita Tom raccolse tutto di corsa. "Non vedo l'ora di raccontare tutto a Eleonora." Questa frase mi riscosse dalla commozione del momento. Ero felice per mio figlio, tutto stava andando per lui e speravo che questa felicità continuasse. 

Fuori palazzo Callaghan prima di separarmi da Ebony e Drake fissai la mia amica.

"Siete stati con lui in queste settimane. Non con Mike e Peter." Dissi.

Ebony spalancò la bocca mentre Drake si grattò la nuca guarendo i suoi piedi. "C'erano anche Mike e Peter e Molly con Sean. Eravamo veramente a fare un ritrovo per coppie." Mi disse. 

Thomas era incluso nelle coppie. "Grazie di tutto e buona serata, riposatevi che lunedì si torna al lavoro." Dissi loro sorridendo. 

Gli diedi le spalle e me ne andai. Non avevo a genio neanche di andare da Mike, lui raramente nominava Thomas. Ma probabilmente quella sera avrebbe raccontato della sua vacanza in Scozia. Il taxi mi portò al mio ristorante preferito. Cenai e sul tardi rientrai. 

Era tutto buio, sicuramente erano tutti a dormire. Il sussurrare di qualcuno mi rivelò però che Eleonora e Tom erano ancora in piedi. Mi affacciai per salutarli, entrambi agli estremi di due divani cercavano di tenere le distanze. 

"Sono rientrata." Dissi ai ragazzi. "Vado anche a dormire, sono distrutta." 

"Com'è andato il suo appuntamento?" Chiese Eleonora. 

"Un tipo noioso. Non penso che lo rivedrò più." Affermai. "Ah! Lunedì aiuto Rafael con la libreria, non ci sarò alla T- consulting." Dissi a mio figlio.

Non scappavo dai miei amici, ma avevo bisogno di spazio e veramente dovevo aiutare Rafael. 

"Ah si!" Intervenne Eleonora. "Se lunedì è al bar avverto Grunce di venire a portarle la lista di libri a metà prezzo. Quando gli ho detto del bar era entusiasta." 

"Grazie cara. Perfetto, così ci daremo una mossa. Isaak e Samuel anche si sono messi al lavoro." Dissi. "Adesso vado che sono stanca." Molto emotivamente. "Buona notte ragazzi." Li salutai e andai via.

Avevo bisogno di cambiare aria e lo feci proprio col bar. Mark Grunge fu una ventata di novità quel lunedì mattina, si presentò con la sua mite presenza e un elenco di libri, poi prima di andare via mi invitò a cena fuori. Fu così che iniziammo a frequentarci.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia si svolge in contemporanea con la storia di Gabriel Keller in Liberi di essere se stessi. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
Il microstato del Keinsten non esiste, ne ho inventato uno a somiglianza e ispirazione del Lietchsten. Nomi, luoghi e altro sono di mia invenzione
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna e Nord Europa INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE -Albero Genealogico:I Thompson - I Keller

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THOMAS 

Quando avevo ricevuto la documentazione in cui papà mi riconosceva come suo figlio ero corso entusiasta a parlarne subito con Eleonora. Incredibilmente era diventato necessario per me confrontarmi con lei su tutto. Era un rapporto vicendevole, lo facevo io come anche lei con me, qualsiasi novità ne parlavamo, che fosse anche una futilità, non ci fermavamo dal dirci tutto . Era incredibile il rapporto confidenziale che in poco tempo avevamo preso.

Alle volte Eleonora mi chiedeva anche consigli su qualche materia di studio io l'aiutavo con piacere oppure era lei stessa ad aiutare me senza accorgersene. Mi ero reso conto che eravamo un completamento l'uno dell'altra.

Com'era possibile che esistesse una persona del genere? Non lo sapevo, non avevo risposte.

Avevo scoperto che con lei era facile non avere risposte a tutto. Neanche al perché fossimo così attratti l'uno dall'altra, era palese e si respirava nell'aria. Era anche un argomento tabù, l'unico di cui non parlavamo e che per sottinteso entrambi dicevamo fosse pericoloso. Ogni sera quando tutti si ritiravano avevamo preso l'abitudine di fermarci a chiacchierare senza che Kristal o altri co disturbassero. All'inizio, la prima sera di Eleonora con noi, eravamo rimasti fermi a parlarci sotto l'arco che separava il salone dalle scale verso la zona notte. Fermi sui pilastri opposti eravamo rimasti a parlare per tanto, forse ore, non seppi dirlo. Dopo che anche la seconda sera ci eravamo fermati a parlare sotto l'arco della porta la invitai a prendere posto su uno dei due divani in pelle del salone. Dopo essersi accomodata avevo fatto altrettanto mettendomi sul secondo divano. 

Le distanze potevano aiutarci a non alimentare l'attrazione, potevo rinunciare a quello. Ciò che temevo mi sarebbe stato difficile rinunciare col tempo alle abitudini che stavamo prendendo. 

Sera dopo sera, a un mese dall'arrivo di Eleonora avevamo imparato a conoscerci. Dopo una settimana ci eravamo dati un tempo per le nostre chiecchiere, il tempo di un bicchiere di vino.

Tutti andavano via ed Eleonora prendeva i decanter mentre io sceglievo il vino da stappare o lo prendevo dal frigo, della sera prima. 

Terminato il nostro vino dovevamo ritirarci, ognuno nella propria stanza. 

Ad un mese dall'arrivo di Eleonora avevo incontrato anche Lincoln e Oliver Smith nello studio dell'avvocato.

Avevo portato con me Diamond. Nonostante mia sorella non era che al secondo anno di legge, sicuramente era molto più preparata di me con certi termini. 

Una volta nello studio legale i due Smith mi accolsero con calore. Sinceramente non mi aspettavo questa accoglienza. Pensavo non volessero che comprassi la loro casa e per questo mi avevano mandato a chiamare. 

Prendemmo posto e dopo le presentazioni il legale iniziò a parlare. 

"I signori Smith hanno saputo che lei signor Davis è intenzionato ad acquistare la loro casa, ha anche esposto una proposta di acquisto." 

Annuii. "Si! Sulle basi di quanto la banca ne valuta il valore. C'è una pratica di mutuo che deve essere solo inviata, in attesa che la mia proposta venga accettata." Affermai. 

"Posso chiederti Thomas perché con tante proprietà in possesso dei Visconti Cooper, tu vuoi acquistare la nostra umile proprietà?" Chiese Lincoln fissandomi intensamente.

"A parte ricordarvi che le proprietà sono dei miei nonni..." dissi con un sorriso sereno. "Ho voluto prendere la casa per Kristal. Credo che sia l'ultimo legame che le resti con la madre." Spiegai con sincerità. 

Oliver annuì. "Lo sospettavo. Per quanto riguarda la famiglia, in generale, hai sempre avuto un certo rigore. So quanto tu ci tenga a preservare i legami con tutti." Mi disse. "Lo dicevo anche a mio padre, rimandasti Vanessa a casa perché si credeva che la famiglia l'avrebbe aiutata." 

Assentii. "Purtroppo però non è stato da aiuto." 

"Comprendiamo il tuo desiderio." Continuò Lincoln eludendo l'argomento doloroso per tutti. "Per questo siamo qui. Hai effettivamente ragione a voler lasciare a Kristal qualcosa di sua madre. Purtroppo, ti avvertiamo già ci sarebbero dei lavori di ristrutturazione da fare, inoltre noi non siamo in grado per le spese che ci aspettano, di poterti dare la casa a costo zero, come dono ereditario." 

Compresi perché ero stato invitato lì. "Lo comprendo. Infatti non volevo chiedervi di donarmela, ho fatto una proposta di acquisto." Dissi.

"I miei clienti comprendendo i suoi motivi, l'hanno fatta chiamare per una proposta." Disse il legale. 

Guardai i tre uomini, poi mia sorella che stava prendendo appunti. "Ci dica." Disse lei al posto mio.

"La vendita della casa era mirata al fine di consentire l'acquisto di un appartamento in Norvegia. Kevin, il figlio di Oliver ne ha già visto uno. Potremo quindi proporre una somma più bassa per la villa, più un quindici per cento. Giusto da far modo agli Smith di integrarsi e cercare lavoro poi una volta che si saranno trasferiti." 

Rimasi sorpreso a quella rivelazione. "Vi trasferite?" Chiesi. 

Oliver assentì. "Vorrei raggiungere mio figlio. È pulito adesso, ma vuole restare a Oslo, ha un lavoro e aiuta in comunità. Papà è favorevole a partire con me. Un appartamento per noi due sarebbe l'ideale. Kevin ha una compagna e non vogliamo disturbarlo a casa sua. Io poi cercherò un lavoro." 

Compresi, felice dei progressi di Kevin. Probabilmente il giovane Smith reputava satura Londra per la sua sanità mentale e fisica. "Capisco. Quindi andata in porto la vendita procedete a lasciare l'Inghilterra." Oliver annuì. "Sto aprendo delle agenzie di consulenza in giro per l'Europa, se le va di fare una prova alla T-consulting potrebbe avere già un lavoro ad Oslo. Ci vorrà tempo per far partire la società, ma avrebbe già la certezza di uno stipendio fisso." Gli dissi.

"Interessante." Disse il legale. "Se a voi va bene la controproposta possiamo procedere e mettere tutto nero su bianco." Ci disse.

"Sinceramente..." dissi pensandoci attentamente. "Avrei un'altra controproposta." Dissi guardando gli Smith. "Voi donate la casa a Kristal. Mentre invece farete il finanziamento per la casa in Norvegia più il quindici per cento a nome mio. Così pagherò il vostro mutuo anziché la villa." Dissi guardando Diamond che annuì. 

"Potreste chiedere il mutuo alla banca dove già Thomas si è rivolto, poiché lui al momento sta cambiando cognome e con lui anche Kristal. La Scotland Royal bank ne è già informata e non ci sarebbero problemi col tempo." 

Gli Smith mi guardarono sorpresi. "Cambi nome?" Mi chiese Oliver. Effettivamente la cosa riguardava anche sua nipote.

"Si. Mio padre ha aperto una pratica che si chiuderà tra dieci giorni. Cambio nome, firma, codice ID e tutta la documentazione burocratica. Kristal con me, ovviamente." Rivelai col sorriso sul volto. 

"È una bella cosa." Affermò Oliver guardando poi l'avvocato. "Si può fare anche come chiede lui?" Chiese. 

L'avvocato annuì. "La cosa è fattibile si. Al limite anche per il trasferimento ereditario a Kristal aspettiamo il cambio di nome. Possiamo benissimo fare un lascito ereditario alla bambina per le priorità della madre defunta." Disse il legale. 

"Perfetto allora. Possiamo procedere con l'offerta finale di Thomas. Intanto noi toglieremo la villa dal mercato." Disse Lincoln e mentre Diamond si confrontava con l'avvocato io parlavo dei miei progetti agli Smith. Ci salutammo ricordando a Oliver che lo avrei aspettato alla T- consulting.

Nel pomeriggio contattai Gabriel così da proprio gli la prima sede da aprire e le mie motivazioni.

Non lo avevo più visto da quando avevamo fatto la videochiamata di inizio anno. La proposta due nomi della nostra consulting sfilavano nella nostra messaggeria ad ogni idea che ci balenava per la testa. Ma ancora non avevamo una sede legale o una ragione sociale. 

D'accordo con Gabe sapevo solo che la sede non poteva essere né Boston, dove si trovava la casa madre, né Londra dove era nata la prima T- Consulting. In Germania infine c'erano le sedi di Taddheus, quindi anche quell'ipotesi era da escludere. 

Quando all'ora stabilita partì la nostra conferenza accesi computer e web cam e attesi che mio fratello comparisse dal monitor. 

Appena lo sguardo scuro di Gabe apparve lo vidi fissarmi e poi sorridermi sornione.

"Cosa mi sono perso?" Chiese ammiccante. "Hai un sorriso gioviale. Mi ricorda di quando eravamo bambini." Affermò.

Possibile? Forse era perché mi sentivo felice. "Ho ricevuto il mio regalo di Natale." Gli dissi. 

Gabe mi fissò estasiato. "Hai accettato vero?" Mi chiese in attesa.

Annuii. "Senza pensarci due volte, io... come mi è stato detto alla consegna. Tu sai benissimo quanto mi pesava portare il nome di Davis." 

"Wow fratello allora adesso sei... cazzo sei mio... cioè adesso lo sei veramente... io, noi..." balbettò.

Già! Ci risultava familiare e abitudinario chiamarci fratello, ma adesso era realtà. Anche se era una situazione imbarazzante. "Siamo ciò che siamo sempre stati." Dissi pratico. 

"Giusto! Ma veniamo a noi, visto che adesso sei un Keller. Senti un po' la proposta di Heidi.

BK consulting, dove BK sta per Keller bros. Cosa ne pensi?" Mi disse esaltato. 

Keller bros. "Mi piace! Cavolo se mi piace, tua moglie è un piccolo genio." Gli dissi. 

"Ci resta solo la sede legale, io non ho idee in realtà." Mi disse Gabe galvanizzato come me.

"Io si, avrei un'idea e anche già la proposta della prima apertura." Gli spiegai di Smith e del fatto che volessi dargli una garanzia una volta a Oslo, che mi sentivo di farlo in nome di Vanessa. "Dal padre di Liam si sta comportando benissimo da quando è stato assunto." Terminai. 

"Pensavo che Alexander lo avesse assunto per tenerlo sotto controllo." Scherzò Gabe.

"Anche! Ma ha avuto un comportamento irreprensibile, probabilmente in banca aveva molte pressioni, per non parlare della situazione a casa." Affermai. 

"La moglie è sempre in ospedale psichiatrico?" Annuii alla domanda di Gabe. Era passato troppo poco tempo dalla morte di Vanessa e non credevo che sarebbe uscita tanto presto. Mio fratello mi sorrise. "Quindi vuoi creare a Oslo la sede legale? Effettivamente è un mercato dove le KCG non ci sono."

Scossi la testa. "In realtà pensavo più in piccolo. Cioè non pensavo io, ma Eleonora. Mi ha consigliato..."

"Fermo un attimo." Mi disse Gabriel fissandomi divertito. "Non puoi nominare Eleonora così come niente fosse. Cazzo Tom! Aveva ragione Liam. Ti sei illuminato." Disse battendo le mani sulla scrivania. 

"Cos... ma cosa dici? Di cosa parlate tu e Liam in mia assenza poi." Disse sorpreso, ma anche accigliato. 

Gabriel rise. "Eleonora!" 

Mi accigliai. Perché Liam parlava di Eleonora con Gabe e perché in mia assenza. "Cosa gli interessa di Eleonora, non penso che siano fatti suoi..."

"Calma... calmati Tom." Mi disse Gabriel. "Ha solo detto che da quando c'è lei sei più socievole." Mi disse. "Non essere geloso di lei. Stiamo parlando di te e di quanto questa ragazza ti faccia bene. " 

"Non sono geloso." Dissi provando una punta di risentimento. "Ma non vorrei che ne parlasse senza..."

"Thomas Uriel." Mi chiamò Gabriel. 

"Cosa c'è?" Chiesi esasperato.  

"Questa è gelosia. Ok, capisco che forse non sei ancora pronto a parlarne. Ma non dovresti essere geloso, non con i tuoi amici." Mi disse. "Liam è semplicemente felice per te, anche io ed Heinrich in realtà. Sarebbe anche il momento per te di trovare la felicità." 

"Eleonora non è la mia felicità." Affermai.

Lui annuì. "Quindi non vai di fretta, possiamo stare qui a parlare per un bel po'. Giusto?" Mi chiese incrociando le braccia al petto.

"Giusto." Dissi pensando che i mercati erano chiusi e avevo tutto il tempo che volevo. "Basta che torni a casa prima che Kristal vada a dormire."

"Mancano tre ore ancora per questo. Fortunatamente i nostri figli sono coetanei." Continuò lui. 

"Quindi sai cosa intendo." Conclusi. 

"Si, lo so benissimo." Mi disse. "Se non vuoi parlane va bene Tom. Adssso mi spieghi dove vorresti fare la sede legale del BK consulting? Nel caso dovremmo informarci delle leggi del paese e andarci per aprire." Disse spiccio tornando a parlare di affari. 

"Certo, Eleonora mi ha proposto di aprirla nel suo stato, il Kleinsten." Dissi. "Sinceramente ho valutato la sua proposta, mi ha detto che suo cugino si sta laureando a Stanford in economia e un domani potrebbe gestire un'eventuale sede. Tutta la sua famiglia è composta da economisti laureati tra Londra e Yale." 

"Il Kleinsten. Lo conosco, Eleonora Ashler di Kleinsten è amica di Pamela." Mi informò. "È quindi lei la balia di Kristal?" 

Annuii. "Si! Me l'ha mandata quando le ho detto che cercavo una madrelingua tedesca." Spiegai.

"Lo zio di Eleonora, Philip, attuale principe, si è laureato a Yale. Ha lavorato alla banca di Monaco e alla banca centrale dell'Unione europea. Suo fratello Giorgio è laureato in legge, diritto civile e commerciale, entrambe le lauree prese a Strasburgo, dovrebbe averne una terza. Cura gli affari della famiglia. Sua zia Matilde è fondatrice di parecchie fondazioni nel Kleinsten, con la sua laurea in economia a Strasburgo e la specializzazione alla LBS ha anche lei una carriera eccellente. I cugini Giovanni figlio di Giorgio e Steven di Giacomo, laureato a Oxford, stanno laureandosi in economia rispettivamente a Yale e Harvard. Il figlio del principe Philip, Leonard al momento lavora alla banca centrale di Berlino." Concluse di elencarmi Gabriel. 

Erano tanti e tutti con un curriculum invidiabile. "Tutti economisti!" Affermai. 

"Letizia, la figlia di Philip studia arte. La stessa Eleonora dovrebbe essere musicista." Mi disse Gabriel. 

"Eleonora deve concludere l'ultimo anno alla Royal. Ma sta studiando anche alla London business school per il MBA." Gli dissi. 

"È sprecata con i numeri. Io l'ho sentita suonare." Mi disse Gabe. 

"Anche io è favolosa. Non pensavo fosse brava con i numeri, però ultimamente ho dovuto ricredermi." Ammisi. "Credo ce l'abbia nel sangue, come noi d'altronde, l'istinto a sapere usare i numeri e farlo a favore di qualcosa di costruttivo. Ha entrambe i talenti nel sangue, quello per l'economia e per la musica." Spiegai.

"Ha detto che il Kleinsten è un buon posto per creare la nostra società." Disse Gabe. "Sono d'accordo con lei. È un micro stato fiorente e si trova in una posizione favorevole. Da lì possiamo aprire sedi in Francia e Italia se volessimo."  

Assentii sorridente. "Andiamo nel Kleinsten." 

"Andiamo nel Kleisten e cominciamo la nostra avventura." Mi disse nello stesso tono. 

Partimmo per il Kleinsten dopo che il mio cognome fu ufficializzato, alla fine della terza settimana di febbraio. 

Come avevo detto ad Eleonora, in quelle occasioni doveva perdere i collage e partire con me e Kristal. L'avevo subito fatta reinserire alla Royal proprio perché volevo proseguisse gli studi come da programma. Glieli avrei infatti rovinati spesso per il mio lavoro. 

Quando Gabriel arrivò a prenderci col jet della KCG, ebbi modo di presentare la mia tata a Gabriel, che già la conosceva, e Heidi. 

Non compresi quanto volessi che Eleonora piacesse a mio fratello, fino a quando non mi disse: è perfetta. Allora tirai fuori il respiro che non sapevo di avere trattenuto. 

Eleonora piaceva a Gabriel e per me era una grande  cosa. 

 

ELEONORA

Conoscere Tom era stata la mia salvezza. Non perché mi avesse dato un lavoro, ma perché era riuscito a farmi tornare lucida. In me albergavano due personalità, quella pratica e che subito si metteva in moto, e quella più distratta  che subito si lasciava andare al suo destino. Come mi aveva detto Tom, avevo, effettivamente, appena trovato un lavoro stabile mi ero rassicurata adagiandomi fatto di avere un lavoro e qualcosa di concreto, senza darmi altre possibilità di scelta. Pero come lui mi aveva fatto notare, dal suo punto di vista molto più pratico del mio, c'era da fare delle determinate cose nella mia situazione. La più importante era reagire, ma  continuare ancora a lavorare su me stessa per migliorare. Una cosa che io avevo fatto in modo passivo. Mi ero arresa all'idea di non dover continuare la Royal Academy, cosa per Tom molto sbagliata. Infatti dopo meno di una settimana che avevo iniziato a lavorare per lui mi portò alla Royal saldando lui il conto del primo trimestre. Addirittura aveva ridotto i costi, affermando che avrei partecipato solo alle lezioni legate agli esami o che avrei dato solo gli esami. 

Questa sua scelta era stata presa dalla prima sera che avevo iniziato a lavorare per lui. Dopo cena ci eravamo fermati a chiacchierare e Tom stesso mi aveva detto che dovevo continuare a studiare.

"Se ti fermi adesso, non tornerai più alla Royal. Verresti catturata dal sistema lavorativo nel momento stesso in cui inizierai a pagare le tasse e renderti conto che la vita lavorativa lascia scorrere via velocemente il tuo tempo. Un lavoro richiede costanza e impegno, ti responsabilizza e di conseguenza rimanderai sempre la Royal. Si capisce dal modo in cui subito ti sei arresa a inseguire il tuo sogno." Mi disse. 

Forse era vero, non lo sapevo. Però lui mi portò alla Royal e andato in amministrazione aveva cercato tutte le opzioni per venirmi incontro, anche in previsione dei nostri viaggi fuori Londra. Così facendo avevamo preso una sorta di routine, al mattino Tom diceva che dovevo lasciare la bambina alla governante e andare a studiare che fosse la London business School o la Royal Academy era relativo. Lui voleva, anzi pretendeva che io andassi a studiare. Quando rientravo a pranzo era il mio momento per stare con Kristal. Come mi aveva chiesto Thomas, le parlavo in tedesco,, coccolandola, cantandole 

delle canzoni e facendole il bagnetto. Era un continuo parlare alla bambina nella mia lingua madre. Tutto si fermava quando arrivavano Sapphire e Samuel, che non conoscevano il tedesco, con Thomas stesso parlavo invece tedesco. In realtà Diamond mi aveva confidato che sua madre aveva iniziato a studiare la mia lingua  quando Tom e Joel erano partiti per Monaco.

"Dovrebbe fare come Kristal, familiarizzare con la lingua." Mi disse nel suo tedesco dalla pronuncia più delicata. Avere studiato in un college svizzero dagli undici anni le aveva permesso di studiare il francese e il tedesco svizzero. Spesso ci fermavamo a confrontarci e studiare insieme e nel farlo utilizzavamo quelle due lingue. Evitavamo sempre di farlo,

in presenza di Samuel, proprio per non escluder3 nessuno. 

Mi stavo integrando in quella famiglia. Alla sera dopo il ritorno di tutti Tom richiedeva le attenzioni di sua figlia e io avevo così modo di stare con gli altri. Sapphire era splendida, a parte una donna stupenda che portava molto bene i suoi quarantasei anni. Era gentile e disponibile, una donna molto sensibile e di grande cultura, disponibile e materna. Mi chiedevo spesso, come mai una donna così bella non avesse un compagno. Diamond e Samuel stavano diventando miei amici invece, Diamond era stupenda, la adoravo per la sua grinta e l'acuta intelligenza, la forza che dimostrava sempre e il forte istinto di protezione nei confronti di Samuel. Lui era un coccolone, insicuro di sé stesso amava disegnare, queste era il motivo per cui aveva scelto di fare architettura dopo l'Eton college. Gli chiesi come mai dei quattro fratelli lui fosse stato l'unico a non studiare nel nord Europa. Lui era stato l'unico ad accennare a un padre con la frase. "Mio padre voleva tenermi sott'occhio." Il modo amaro con cui lo aveva detto mi fece desistere dal fare domande. 

La mia routine proseguiva con la cena e il dopo cena, momento in cui cercavo di aiutare Hannah che prontamente mi mandava via, la cucina era il suo impero e non voleva che vi entrassi. 

"Vai da Thomas, so che ti aspetta." Mi diceva sempre. 

Si! Mi aspettava. La prima sera era iniziata con me che gli davo informazioni su Kristal, poi avevamo parlato della mia istruzione accademica. La seconda sera dopo avergli raccontato la giornata di Kristal avevamo parlato della royal e di come si fosse imposto in segreteria. Da quella sera Thomas mi aveva proposto di spostarci in salone a parlare. Alla terza sera, notando che si faceva troppo tardi la notte decidemmo di imporci un limite, a parte quello fisico che di comune accordo ci aveva fatto prendere le distanze sui divani. Avremo finito di chiacchierare dopo aver finito un bicchieri prima di acqua, poi era diventato di vino. Con i piccoli sorsi che facevamo non è che ci ritirassimo presto. Però era diventata una bella abitudine. Dopo più una settimana dal mio arrivo, Thomas arrivò una sera eccitatissimo, aveva preso me e Kristal che avevo in spalla, tra le sue braccia muscolose e mi aveva abbracciato. 

"Ho il nome di mio padre... ho il nome di mio padre..." esultò.

Non capii, non sapevo di cosa parlava.  Gli dissi di calmarsi e di iniziare da capo, raccontando tutto per bene. Era la prima volta che lo vedevo così... sciolto. Era anche la prima volta che mi toccava e mi abbracciava e avrei voluto che mi tenesse sempre così stretta a se.

Il momento però passò! Fece un respiro profondo e mi guardò prendendomi la bambina dalle braccia. La riempì di baci dicendole che il nonno le voleva tanto bene. 

"Dopo cena ti racconto tutto. Quando siamo soli io e te." Mi disse. "Dobbiamo aprire il miglior vino." 

Non credevo fosse una notizia così importante da dover aprire il vino migliore. Ce n'era sicuro ancora della sera prima. Ma assentii. 

Dopo cena portammo Kristal nella sua camera, le misi il pigiamone raccontandole la favola di Hansel e Gretel la diedi a Tom che la mise nella culla. Restai a guardarli mentre si coccolavano e quando si fu addormentata lui mi guardò indicandomi la porta.

Presi il monitor accendendolo e scesi le scale. La cucina era deserta, Hannah aveva già rassettato. Andai a prendere i nostri due decanter dalla vetrina e raggiunsi Tom che aveva già sfiatato il vino prima di salire su. Riempì i calici e invece che prendere il suo mi spinse per le spalle in sala. Non gli dissi nulla, nonostante il tremolio alla schiena, probabilmente sentiva il bisogno di quel contatto. 

Quando ci fummo accomodati iniziò a raccontarmi per sommi capi la storia di sua madre. Ne restai stupita, non mi aspettavo mi avrebbe parlato di sua madre e soprattutto della triste storia di Sapohire. "Ti racconto ciò che so della storia di mamma. Una bellissima ragazza che andava incontro la sua giovinezza, ma che ebbe la sfortuna di incontrare Andrew Davis. L'uomo che rovinò l'amore dei miei genitori." Iniziò. 

Fu così che scoprii che la solitaria Sapphire era molto più generosa di quanto mi era apparsa. Quando a diciannove anni i genitori erano sul lastrico, accettò un matrimonio di convenienza per poterli salvare dai debiti. Nonostante ciò però ella si innamorò di Thomas Keller, un giovane che lavorava nel settore degli investimenti. Fu da egli ricambiata, ma Sapphire dovendo mantenere l'impegno del matrimonio per i genitori, lasciò Thomas. Prima del matrimonio scoprì di essere incinta, non volle però rinunciare al frutto del suo grande amore, così come Andrew Davis non volle rinunciare a lei. La sposò ugualmente presentandola alla società come la sua bellissima sposa. Mentre cresceva la pancia di Sapphire e il bambino in grembo, Andrew iniziò ad abusare di lei. La picchiava e faceva di tutto affinché perdesse il figlio di Thomas. Ma il piccolo era molto forte, tanto che non si arrese, venne al mondo prematuro dopo l'ennesima percosse. Ma nacque sano e forte, soprattutto nacque protetto dalla nonna che se ne fece angelo custode. La nonna, fu la persona con cui Thomas Keller si tenne in contatto per sapere del suo grande amore. Così egli seppe subito che in anticipo di quasi due mesi, nacque suo figlio Thomas Uriel Davis. Senior anche se non era presente sapeva di lui e di ciò che accadeva a casa sua, sapeva che Sapphire veniva violentata da Andrew e che il nuovo frutto che portava in grembo, era figlio dell'odio. Sapphire però per amore dei figli non si ribellò, intanto Davis iniziò a gettare la sua frustrazione sul piccolo che stava crescendo. Tom a tre anni già spiccava per l'acume e la passione per i numeri, inoltre era un bambino bellissimo e soprattutto identico al padre. Il secondo bambino, figlio di Andrew, anche era bellissimo, somigliava tanto a Sapohire e al di lei padre, tratti gentili, occhi azzurri e capelli biondi. Era la bontà fatta persona e amava il fratello maggiore, al contrario temeva il padre. Probabilmente era talmente sensibile che percepiva il dolore che Andrew causava alla mamma, i pianti nel cuore della notte non passavano inosservati ai due bambini. 

Il legame forte dei due fratelli non piaceva a Andrew, che Tom fosse bello e intelligente anche, per fermarlo quindi si scaraventava su di lui picchiandolo. Era furbo Davis, non permetteva che Sapphire lo scoprisse e diceva a Tom che se andava a piangere da sua madre, lui avrebbe fatto le stesse cose a Joel. 

Margot, la sua tata vedeva sempre cosa accadeva. Però Tom sapeva che anche lei aveva paura di Davis, se lo difendeva infatti lui la azzittiva mettendola sotto di se e schiacciandola. Tom non capiva quello che faceva Andrew, non sapeva fosse cosa brutta. Anche Margot piangeva per colpa di quell'uomo. Tom e Joel piangevano per ciò che il loro papà faceva alle persone cui volevano bene. 

Poi un giorno Andrew quasi ruppe una gamba a Tom. Era una ferita difficile da nascondere, Margot era rimasta impietrita da quel gesto meschino. Dopo qualche giorno che si era quasi rotto la gamba, arrivò la nonna a casa e rivelò a Tom che lui non era figlio del mostro. 

Tom nonostante avesse solo cinque anni ne fu sollevato, ma ciò che più gli fece piacere fu sentire la voce di suo papà da una telefonata. Diceva in sostanza che Andrew Davis non doveva più toccare suo figlio altrimenti lo avrebbe denunciato. Thomas Keller disse anche che il figlio non doveva crescere in quella casa, preferiva saperlo sicuro in un collegio a Monaco, dove c'era suo fratello maggiore di dieci giorni ad aspettarlo, col fratellino Joel. Così i due partirono .

Tom e Joel crebbero sereni a Monaco, conobbero il fratello  Gabriel Keller e il cugino Gellert Keller,  divennero molto amici. Tanto da passere i week end insieme a casa dello zio Taddheus. Un anno dopo per il compleanno di Gabriel, Thomas si presentò al collegio e al figlio minore. Da quel momento Thomas fu un ombra molto più tangibile per Tommy, così lui lo chiamava. Da allora, il padre ci fu sempre per il figlio. Quando la banca stava fallendo e alla morte di Vanessa, Tom aveva trovato il padre e il fratello a sostenerlo, quel Natale aveva accolto lui e Joel a casa sua proprio per farli distrarre. Era stato suo padre a consigliare a Tom di trovare una presenza costante per Kristal. E adesso dopo quindici giorni da che li aveva salutato suo padre gli aveva fatto consegnare il regalo di Natale che quell'anno ancora non aveva ricevuto. 

"Mi ha consegnato tutto la documentazione dove mi riconosce come suo figlio. Inoltre c'è anche quella per farmi  prendere il suo nome." Concluse a fine racconto.

Io non lo avevo mai fermato, avevo ascoltato sempre più commossa quel racconto. Sapphire per me era ancora più una grande donna, due volte aveva rinunciato al grande amore della sua vita per preservare alla sua famiglia. Adesso era una donna sola, ma le auguravo il meglio. Thomas e Joel, nonostante non conoscessi ancora quest'ultimo, si erano rivelati due fratelli molto uniti e sopratutto umili e altruisti nonostante le brutte esperienze. Essere cresciuti con un uomo violento, vedere la madre che subiva violenza e anche la tata, era stata un'esperienza traumatica. 

Però avevano avuto la presenza costante di suo padre i due fratelli. "Tuo padre è stato meraviglioso, c'è stato per tutti e due voi." Affermai.

"Papà ci sarebbe stato anche per Samuel e Diamond." Affermò Tom dispiaciuto. 

Sorseggiai altro vino. "Davis non ha voluto che Samuel frequentasse la scuola tedesca." Affermai memore delle parole di Diamond.  

Tom annuì. "Voleva tenerlo sotto controllo. Non ha ancora accettato il fatto che sia gay." Ammise. "Il suo unico figlio a somigliargli non è un esempio di mascolinità. Nel suo inconscio crede sia un'offesa personale, nella sua testa lui si vede come un uomo sexy e affascinante." Mi spiegò. 

"Lo è?" Chiesi curiosa. Non c'erano, a buon ragione,  foto di Andrew Davis in casa.

"Non lo so. A differenza di Samuel il mio occhio critico va alle belle donne." Ammiccò fissandomi. "Diciamo che se non fosse per il naso aquilino e le sopracciglia arcuate e il viso scavato, sarebbe la copia di Samuel." Spiegò per farmi capire come fosse fatto. 

Samuel era un bel ragazzo, il suo naso a patata stava bene sulle guance piene e il volto ovale e liscio. "Non somiglia a nessuno di voi. Samuel intendo." Gli dissi. "Margot era la figlia di Hannah, giusto?" Gli chiesi.

Lui annuì. "Si, adesso è sposata e vive a Glasgow, ha una bella famiglia e un uomo che la rispetta." 

"Viene mai a trovare lui... cioè! Non ci vuole molto a capire." Sottintesi, Samuel aveva lo stesso taglio d'occhio di Hannah e anche il naso era simile. 

Per quanto Diamond mi diceva di essere nata prematura, la carnagione più mulatta di Samuel lasciava intendere che almeno un genitore era di colore. Hannah lo era! 

"Fino a dieci anni fa viveva qui." Mi rispose Tom con un sorriso sul volto. "Poi suo marito è stato trasferito ed è andata via. Tu però sei fin troppo sveglia." Concluse. 

Scossi la testa sorseggiando l'ultima goccia di vino. "Data l'ora potrebbe essere tutto un sogno." Ironizzai. 

Anche lui finì il suo vino lasciando il decanter sul tavolino of fronte a noi. Ci guardammo negli occhi e indicai l'arco che portava alle scale. "Però il regalo di tuo padre domani non sarà un sogno. Ma un desiderio che si è concretizzato." 

Tom si strofinò le mani sul pantalone annuendo. Era sempre così quando finiva il vino, si cercavano delle scuse per restare ancora un po' . Ma il tempo scorreva e non potevamo salire insieme. Sarebbe stata una tentazione per entrambi. "Vai. Stasera tocca a me mettere i bicchieri in lavastoviglie." Mi disse dolcemente. 

Mi tirai su dirigendomi alle scale, le mani che mi prudevano dalla voglia di toccarlo e abbracciarlo erano nelle tasche dei jeans. "Grazie per avermi raccontato la tua storia. Per me è la testimonianza che non tutti i padri siano come il mio." 

Lui fece per parlare, ma io sollevai la mano per mettere le distanze. "Questa è un'altra storia. Questa sera è dedicata a te." Gli dissi. "Buonanotte Tom." È così dicendo sparii. 

Nelle sere successive come promesso gli raccontai del rapporto  assente con mio padre. Di come gli zii avessero cercato di non farmi sentire sola, ancora oggi, infine del legame con mio fratello Sebastiano e mio cugino Giovanni.  

Lui mi parlò del rapporto con Joel, poi di quello con Gabriel e della società che stavano provando a tirare su. 

"Non abbiamo ancora un nome né una sede legale. Non saprei dove farla nascere per non imitare o disturbare papà e lo zio Taddheus." Disse.

Ci pensai su anche io. Poi la buttai lì. "Potresti aprire la sede legale a Stern, nel Kleinsten." Proposi. "I miei cugini stanno per laurearsi in economia, avresti anche dei papabili consulenti." Spiegai. "Comunque nel Kleinsten non ci sono tante agenzie di consulenza." 

"Interessante come proposta." Rispose lui. "Quando meno me lo aspetto ecco che arrivi stupendomi. Adoro quando i tuoi talenti emergono." 

Mi sentii arrossire alla sua affermazione. "N-non sono talenti. Sono solo..."  Non sapevo cosa fossero, ma non erano talenti

"Affari." Concluse lui brindando. "Che tu lo voglia o meno te ne intendi." 

Risi divertita, presi il suo decanter e mi diressi verso la cucina. "Sono solo pensieri. Al limite mi informo meglio e ti faccio sapere. Buonanotte Tom." 

Anche lui si alzò, mani in tasca restò fermo al suo posto. "Buonanotte Eleonora." 

Intanto il tempo scorreva e mi informai con mia zia della probabilità di aprire un'agenzia di investimenti a Stern. Zia mi fece molte domande curiosa, pensava che parlassi di me.

Ma le tolsi subito la speranza dicendole che si trattava di un mio amico. 

Stranamente a questa affermazione la zia iniziò a dare domande. Io le facevo per la società e lei su Thomas. 

"Se si aprirà la società a Stern lo conoscerai." Tagliai corto alla fine. 

E diamine, quel giorno era arrivato. Thomas e Gabriel avevano preso per buona la mia proposta e dopo che i legali si erano messi al lavoro eravamo pronti ad atterrare a Stern, io con Kristal e tutti i Keller. Perché Tom era diventato effettivamente un Keller e io accanto a loro mi sentivo piccola piccola.

 

Continua...

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


...Segue

Fummo accolti dallo zio Giacomo in aeroporto. Era venuto a prenderci con due berline, appena lo vidi gli andai incontro abbracciandolo. Dopodiché gli presentai i Keller e Adelaide.
Durante il tragitto lo zio mi chiese come stavo, se c'era qualcosa che dovesse sapere o spalleggiarmi in qualsiasi situazione.
Non capii la sua frase sinceramente, forse perché la mia coscienza era abbastanza pulita da quando avevo ripreso a frequentare anche la royal academy.
"Vuoi darmi il terzo grado?" Chiesi divertita.
"Quando saremo a casa e ci saranno tutti." Disse divertito. "Io intendevo in via generale. Hai rapporti...amichevoli?" Chiese allusivo.
Rapporti amichevoli. Quando compresi arrossii, lo zio non era stato esplicito perché in auto con noi c'era Thomas. Ma compresi.
"Niente di compromettente. Sono..." proseguii in francese arrossendo. "Vergine."
Lo zio scoppiò a ridere. "Tesoro nonostante l'etichetta, ti ricordo che siamo di mentalità abbastanza aperta." Affermò parlando anche lui in francese. "Comunque sembra un uomo affascinante."
"Scusa mio zio Tom." Dissi tornando all'inglese. "Stava chiedendo cose imbarazzanti e ho preferito non farti vedere questo suo lato per ora." Allusi cercando di non fargli comprendere di cosa stavamo parlando.
"Tranquilli. Scusatemi piuttosto se mi sono intromesso nel vostro incontro di famiglia." Rispose lui intanto che giocava con Kristal.
"Tua figlia è bellissima Thomas, chissà che non succeda anche a me un giorno di avere un nipote." Gli disse malinconico lo zio.
"Non credo che Giovanni sia intenzionato a mettere la testa a posto per ora, zio Giacomo." Gli dissi.
Al che Tom iniziò a fargli domande sul figlio e sulla nostra famiglia in generale. Quando arrivammo al castello di Stern potetti dire che il mio datore di lavoro sapeva abbastanza dei miei cugini.
Ad accoglierci c'erano i nonni e gli zii tutti, nonché i miei cugini. Ero piacevolmente sorpresa, andai ad abbracciarli uscendo dai ranghi. "Che sorpresa. Cosa ci fate qui tutti?" Chiesi quando mi trovai di fronte a mio fratello Sebastiano giunto per il week end. Aveva sedici anni, ma stava quasi ad arrivarmi.
"Lunedì è il tuo ventunesimo compleanno." Disse fiero mio fratello. "Ovvio che siamo qui, rientrerò martedì al collegio."
Arrossii sperando che non avessero organizzato qualcosa in grande.
"Mi era sfuggita questa cosa." Sussurrai.
"A me no!" Intervenne Thomas avvicinandosi a noi. Mia zia Matilde sorrideva accanto a lui. "Dal momento che non sei tornata per Natale era il minimo venire nel Kleinsten per il tuo compleanno."
"Quando ci hai contattato dicendoci che saresti tornata questo week end abbiamo subito organizzato un piccolo ricevimento per il tuo compleanno." Disse lo zio Philip, guardando i miei compagni. "Fortunatamente il fine settimana i mercati finanziari sono chiusi, avremo così modo di farvi visitare il nostro paese intanto che le signore si preparano per il ballo di lunedì sera."
Sospirai guardando male Thomas. Perché non mi aveva detto nulla? Cioè perché aveva fatto tutto per il mio compleanno? Sicuramente avremo litigato se non fosse stato per i miei zii che gestivano la conversazione.
"Domani potremo portarvi a sciare oppure se vi piacciono le arrampicate potremo fare un percorso." Propose lo zio Giacomo. "Siete di Monaco, probabilmente qualche volta vi è capitato di andare sul massiccio del Giura a fare almeno delle scampagnate."
"Si, da piccolo papà ci ha portato qualche volta in gita." Disse Thomas.
"Sappiamo sia arrampicarci che sciare. Quindi ci rimettiamo alle scelte delle nostre compagne." Affermò Gabriel.
"Io credo che seguirò il consiglio della principessa Matilde e mi darei alle spese per il compleanno di Eleonora." Disse Heidi.
"Mia cugina Letizia ci farà compagnia con piacere. Lei sta studiando moda a Parigi." Dissi indicandola ad Adelaide.
Era di due anni più piccola di me, coetanea di Heidi, alta quanto noi e con i biondi capelli curati, sembrava più una fotomodella che una stilista. Il suo sorriso mascherava bene il suo carattere introverso, motivo per cui non riusciva ad apportarsi bene al prossimo. "Ho anche preparato dei modelli. Se vi piacciono durante questi due giorni potremo rifinirli e potrete indossarli." Disse avvicinandosi ad Heidi.
Le sfiorò i fianchi osservandola attentamente. "Li ho creati in base alle misure di Eleonora, tu hai sicuro i fianchi cinque centimetri più larghi, ad occhio le misure del seno sono le stesse. Sei più alta di due centimetri, dal momento che i tacchi non sono gli stessi deve essere così."
Heidi la fissò sbalordita. "Come hai fatto a..."
Letizia sorrise guardandomi. "Siamo cresciute a numeri e acqua." Affermai. "Poi Letizia ha usato tutti gli insegnamenti unendoli al suo talento artistico."
"Diciamo che ho buon occhio con le misurazioni. Tranquilla, non ti dirò il tuo peso di fronte a tutti." Rispose lei.
"Adesso se ci seguite, sono sicura che vorrete rinfrescarvi." Si intromise la zia Beatrice, moglie dello zio Philip. "Louise la governante vi porterà nelle vostre stanze, sono vicine quelle di Eleonora. Mentre Octavia si prenderà cura dei bambini." Disse indicando l'anziana tata di famiglia.
Iniziò così il nostro periodo nel Kleinsten. Letizia ci mostrò le sue bellissime creazioni, Heidi se ne innamorò subito. Non so se di Letizia o dei suoi vestiti, compresi però che le due si trovavano bene insieme. Erano l'opposto l'una all'altra sia di carattere che di colori, ma andavano molto d'accordo. Tanto che Letizia dopo averci portato nel suo atelier aveva preso talmente tanta confidenza da proporre ad Adela di provare tutto ciò che voleva.
Per il mio compleanno, ci avvertì mia cugina, ci sarebbero stati parecchi nobili, religiosi, politici e grandi imprenditori.
"Sarebbe dovuta essere un po' una presentazione ai giovani rampolli. Ma tu sei accompagnata da un bel tipo, quindi mi sa che mamma e le zie desisteranno su questo." Ci confidò Letizia.
Sospirai scambiandomi uno sguardo con Adelaide che se la rideva. Thomas non era il mio ragazzo, ma per evitare che mi propinassero un buon partito era meglio fare buon viso a cattivo gioco.
"Questa operazione marito non mi è nuova." Scherzò Adela misurando una decolté rosso amarena. "Mia sorella Brooklyn conobbe suo marito al suo ingresso in società. Io scappai al mio ingresso in società, poi però Gabriel mi trascinò di nuovo nella sala da ballo." Ci raccontò divertita. "I miei genitori non si arresero e dopo il diploma stavano organizzando un matrimonio combinato. Fortunatamente io e Gabriel avevamo altri piani, così me la sono scampata." Mi disse allusiva.
Letizia sospirò. "I nostri genitori ci lasciano abbastanza spazio. Però essendo personaggi di un certo rango ci chiedono sempre di frequentare le giuste persone, di comportarci in modo corretto e di non dare nell'occhio. Quando iniziamo una relazione è sotto gli occhi di tutti. Il fidanzamento, il matrimonio e il divorzio dello zio Giacomo per esempio, sono stata fonte di tanti pettegolezzi." Spiegò la ragazza.
"Hai conosciuto qualcuno a Parigi?" Le chiesi interessata.
Lei fece una smorfia divertita. "Non ancora, ma prima di partire mamma mi ha portato dalla dottoressa Dete. Prendo la pillola, proprio come te."
Arrossii. "In realtà non la prendo." Ammisi sincera.
"Come?" Esclamò Letizia senza lasciarmi spiegare. "Stai attenta, come fate tu e Thomas a non avere problemi?" Chiese poi.
Io e Thomas non avevamo rapporti. "Ci conosciamo solo da due mesi." Quasi. Ci è eravamo conosciuti il cinque gennaio ed era il ventuno febbraio.
"Questo non vuol dire nulla. Si vede dai vostri sguardi e dall'aria che tira che siete attratti." Intervenne Adela. "Comunque pendere la pillola senza uno stacco è controproducente. Ha fatto bene a fermarla, dovrai comunque riprenderla presto." Mi consigliò.
Sicuramente era nelle mie intenzioni, ma non per via di Thomas. Pensai arrossendo, le mie guance erano più rosa del vestito che stavo provando. Mi piaceva come Tom mi guardava? Ovvio. Per non parlare di quando li sorrideva o di quando lo avvertivo vicino a me, il suo profumo mascolino era una tentazione ogni volta. Ma resistevo, lo facevo io e anche lui. Avrei resistito ancora, era il mio datore di lavoro, anche se Tom mi aveva chiesto di non rivelarlo a casa, e non volevo perdere tutto ciò che stavo costruendo per una stupida attrazione sessuale. Solo a pensare a lui il fremito che percorreva tutto il mio essere, si faceva sentire.
"Vi prego non ne parliamo." Terminai con voce roca.
Letizia venne ad abbracciarmi. "Sicuramente la zia Priscilla ha pensato di far venire la dottoressa Dete a farti visita."
Sbuffai. "Ma io sono protetta." Ero andata a fare la visita, come tutte le mie cugine. Ma con tutti i miei impegni avevo chiesto un anticoncezionale qualcosa di meno impegnativo della pillola. "Ho l'anello vaginale." Ammisi togliendo l'abito a sirena rosa. "Non mi piace questo."
Letizia sospirò. "Meno male." Disse guardandomi. "Per il contraccettivo e per il vestito. Quando ho visto il colore mi è piaciuto molto, ma a te sta male." Spiegò.
"Come funziona l'anello? È sicuro? Io non so che farei se non avessi la mia pillola." Mi chiese Adela.
Annuii. "In realtà sarei ancora vergine. Però è comodo, ho la sveglia di quando toglierlo ogni tre settimane e quando metterlo, posso gestirlo da sola e non mi da alcun disturbo." Le risposi indossando un vestito color bronzo.
"Io con uno come Thomas non sarei più vergine da un po'." Annunciò Letizia stringendomi il corpetto.
Mi si strinse il cuore a quell'affermazione. Sapevo che Tom era un bell'uomo, bellissimo in realtà, inoltre aveva carisma ed era intelligente. "Smettila Letizia."
"Se non state insieme potrei provarci io." Disse . "A mamma e papà piace e adorano la bambina." Ma cosa stava dicendo mia cugina? Da quando era così impavida? Con Thomas poi, inoltre pensava anche al parere dei genitori. No, assolutamente.
"NO!" Affermai.
"Non ti piace neanche questo?" Chiese Letizia guardandomi critica. "Ti sta bene, anche la gonna svasata e lo spacco. Io..."
"No! Non parlo del vestito." Le dissi lisciandomi il corpetto. "Per l'amore del cielo, anzi per amor mio. Lascia stare Thomas." Dissi decisa.
Mia cugina mi fissò attraverso lo specchio alle mie spalle. Ci fissammo nel riflesso e capii. Lo aveva fatto apposta, lo sapeva, aveva capito cosa provavo. Il sorriso soddisfatto sulle labbra, mi strinse per le spalle e guardandoci attraverso lo specchio fece una smorfia.
"Tranquilla, non te lo tocco. Che poi non mi ha neanche degnata di uno sguardo." Ammise.
"Ha occhi solo per lei." Affermò Adela sicura.
"Sono tutti così I Keller?" Chiese Letizia. "Anche Gabriel ha occhi solo per te."
La cognata di Tom ci sorrise. "Sono tutti così. Il papà dei ragazzi ancora ama tanto la sua Sapphire." Ammise orgogliosa, io sentendo nominare la madre di Thomas non potetti non sorridere. Era una donna magnifica e ci credevo che dopo tanti anni, lui ancora l'amasse.
"Ok scelgo questo." Dissi a mia cugina che mi sorrise.
"Perfetto! Quello rosa è per me invece." Affermò l'altra scegliendo una tiara tra quelle che aveva in stanza, ponendola poi sui ricci di Adela. "Faremo faville alla festa." Concluse.
E tra accorgimenti e preparativi non ebbi quasi tempo di respirare. Inconsciamente mi preoccupavo di Crystal che era in compagnia della balia. Ottavia aveva cresciuto me, Sebastiano, Letizia e tutti gli altri miei cugini ed ora, si stava prendendo cura dei figli della zia Matilda e l'ultimo figlio dello zio Giacomo, erano grandi avevano quasi 10 e 12 anni. Però Ottavia ancora si prendeva cura di loro. Sapevo che i bambini stavano viziando Crystal e anche Adam, quando io e Adela passammo a trovarli erano infatti tutti insieme a giocare. Non mi stupii del fatto che la bambina quasi mi ignorasse, Adela stessa mi aveva detto che quando c'era Adam i due giocavano spesso insieme incuranti degli adulti intorno a loro. Mi mancava la mia piccolina, nonostante ci conoscessimo solo da due mesi era diventata fondamentale per me, eravamo quasi sempre insieme, forse per questo. Non lo sapevo, però per me Cristal era diventata la mia piccolina.
Tra una cosa e l'altra arrivò anche lunedì e con esso il mio compleanno. Non ero emozionata, ero abituata a questo tipo di ricevimenti quindi per me fu un'inizio giornata normale come tanti altri. Durante la mattina studiai qualcosa e addirittura chiesi consigli ai miei zii su alcune lacune che avevo in economia, spesso era Thomas ad aiutarmi. Però  con la presenza degli zii mi piaceva includerli in quella che era la mia vita accademica. Nel pomeriggio sentii le mie compagne di corso attraverso Skype, mi aggiornarono sulle lezioni e su cosa studiare. Verso le cinque del pomeriggio dopo aver preso il te tutti insieme, ci chiudemmo nelle nostre stanze per prepararci al ricevimento della sera.
Letizia e la zia Beatrice vennero ad aiutarmi col vestito e i capelli. Fu così che iniziai a percepire la tensione, la zia stava infatti curando tutto nei minimi particolari, chiedeva a Margaret, la mia dama di compagnia di acconciarmi i capelli in modo perfetto, oppure di dare un tocco di cipria in più sulle guance. Non amavo particolarmente truccarmi, per questo tutto ciò mi infastidiva.
Quando fui pronta tirai un sospiro di sollievo. Avevo un acconciatura alta, i capelli erano raccolti in uno chignon raffinato, qualche ciocca cadeva lungo il collo e ai lati delle orecchie. Gli occhi erano truccati con un ombretto color oro brillantinato, il fondotinta nascondeva benissimo le lentiggini sulle mie guance e sul naso, il rossetto effetto lucida labbra erano invece un faro nel mare buio. Avevo una bocca normale eppure mi sembrava grandissima.
Infilai dei sandali alla romana e quando fui pronta tirai un sospiro di sollievo.
Il vestito era semplice. Il bustino in satin color panna stringeva il mio vitino sottile. Sui seni la  fascia di raso color bronzo, come la gonna che scendeva svasata fino alla punta dei piedi, aveva dei movimenti ondulatori accurati. Avevo la schiena quasi del tutto nuda, e l'acconciatura alta non lasciava nulla all'immaginazione. Eppure adoravo il vestito che Letizia aveva disegnato appositamente per me.
"Gli accessori." Disse la zia prendendo una delle mie due tiare, quella dorata per l'esattezza.
Gli accessori! Sospirai, vero mancavano i guanti, la parure e la tiara.
Fortunatamente fui salvata dal leggero bussare alla porta. "Bussano." Dissi allontanandomi.
"Aprirà Margaret." Rispose la zia.
"No, questo è Thomas. È il suo tocco e non credo voglia nessuno di voi in questa stanza." Dissi ignorando tutte e uscendo nel piccolo open space delle mie stanza andai ad aprire.
Come previsto era Tom in uno splendido smoking che sembrava essergli cucito addosso. Restò impalato di fronte a me per un po' fissandomi. Non disse nulla facendomi preoccupare. Era accaduto qualcosa a Cristal?
"Entra." Gli dissi facendolo ridestare.
Lui mi sorrise entrando e nel farlo mi porse un pacchetto. "Volevo dartelo prima che iniziasse la festa." Mi disse.
Sorpresa gli sorrisi. "Non dovevi!" Dissi prendendo il pacchetto e aprendolo lentamente. La carta mi rivelava che il dono veniva da una gioielleria del centro di Londra. Mi aveva già regalato il compleanno con la mia famiglia e tanto mi bastava. Quando aprii il piccolo cofanetto restai sorpresa nello scoprire che si trattava di un girocollo Swarovski in oro giallo con un piccolo ciondolo di pietre gialle che formavano un fiore.
"Oh Dio mio! È stupendo." Esclamai affascinata. Era delicato e semplice, come mi piacevano gli oggetti, ma bellissimo.
"Sono contento che ti piaccia." Mi disse lui.
Annuii togliendo la collana dalla custodia. "Me lo abbottoni?" Chiesi dandogli le spalle. Volevo mettere questo quella sera.
"Certo." Mi disse lui, mi prese i lembi del girocollo dalle mani e nel farlo le nostre dita si sfiorarono. E ricordai. Io e lui non ci toccavamo, era un tacito accordo preso per sopprimere la nostra attrazione e io da stupida lo avevo appena invitato a toccarmi. Al tocco delle sue dita tremai e non di freddo, riconoscevo benissimo quella sensazione da quando conoscevo Tom.
Avvertii le sue dita sul collo, il pendente si adagiò tranquillamente sulla clavicola. Le mani di lui restarono lì, lentamente si poggiarono una sulla spalla, l'altra sulla schiena seminuda scese fino a toccare il tessuto del bustino sotto le scapole. Avvertivo il suo respiro lento sul collo, adoravo quella sensazione. Eppure sapevo che non potevo restare in quella posizione, così mi girai verso di lui e incrociai i suoi occhi azzurri.
Dio quanto li adoravo. "Grazie." Sussurrai avvicinando il viso al suo, ero come calamitata. Ero io o era lui ad avvicinarsi a me?
"Ancora auguri Eleonora." Mi disse lui a fior di labbra prima che le nostre bocche si unissero.
Le mani sul suo petto sodo, lasciai scivolarle lungo le spalle mentre rispondevo al suo bacio. La bocca di Tom era così morbida e invitante, quando la sua lingua carezzò la mia un'altra ondata di eccitazioni mi attraversò. Risposi al bacio con audacia e passione. Non credevo di essere così passionale, ma con lui tutto ciò in cui credevo era ormai andato a farsi benedire.
I baci si susseguivano tra di loro, non riuscivo a fare a meno della sua bocca sulla mia, ne delle sue mani che carezzavano la mia schiena attirandomi di più verso di lui col corpo. La mia mano carezzava ora il suo torace, ore le spalle, l'altra cingeva il suo collo attirandolo verso di me.  Avrei potuto... si avrei potuto fare l'amore con lui, in quel preciso istante.
Se non fosse stato per il colpo di tosse che distrasse entrambi facendoci allontanare l'uno dall'altra.
La zia Matilde era sulla porta pronta e paziente a fissarci, sua figlia Lotty sogghignava tenendo in braccio Cristal vestita con un abito in raso color champagne.
Nessuna delle due parlò, fu la zia Beatrice a testimoniare la sua presenza porgendo un candido fazzoletto a Thomas.
"Aggiustiamo il rossetto, mettiamo... i guanti, gli orecchini e i braccialetti e scendiamo." Disse composta mettendomi in ordine i capelli.
Arrossii imbarazzata, avevo dimenticato la presenza di tutte nel momento stesso in cui Tom mi aveva sfiorato con le sue mani, o prima ancora quando i nostri sguardi si erano incontrati. Non seppi dirlo, quell'uomo sapeva sempre come mandarmi alla deriva.
"Thomas caro, accompagni tu l'ingresso di Eleonora in sala?" Chiese la zia Matilde, ero contenta che anche lui apparisse spaesato per una volta.
Annuì intanto che si avvicinò alla figlia. Ma la zia Matilde ancora lo fermò.
"Farà il suo ingresso con i nostri figli più piccoli. Sarà una bella comparsa, tutti li ammireranno poi tornerà nelle stanza per la nanna col cugino." Gli spiegò la zia Priscilla mentre Letizia mi aiutava con la stola e i guanti.
"Tesoro ricorda il carnet delle danze." Mi disse la zia Matilde. Guardai Lotty, quanto avrei voluto avere quindici anni come lei in quel momento.
"Con chi dovrebbe ballare?" Intervenne Thomas accigliato.
"Diplomazia caro." Rispose la zia Matilda, "Eleonora intratterrà i rampolli dell'alta borghesia del nord europea." Gli rispose, chissà perché Tom sembrava arrabbiato, non avevo mai visto il suo sguardo così cupo.
"Non preoccuparti, aprirai tu le danze, anche con più di un ballo." Affermò la zia Matilda. "Quando Eleonora avrà finito sarà poi tutta tua, se le cose andranno bene tu e tuo fratello non avrete tanto tempo di ballare." Concluse.
Cercai di non essere troppo apprensiva, mi dispiaceva che Thomas si fosse arrabbiato non ne capivo il motivo, soprattutto ancora non dopo il bacio che ci eravamo scambiati. Esso era ancora vivido nella mia mente, ero ancora fremente e avrei voluto continuare a stare sola con lui per continuare ciò che avevamo iniziato. Purtroppo però il dovere mi chiamava, c'era una festa in mio onore che stava aspettandoci. Erano cose che odiavo, però dovevo farle per i miei zii, con Thomas al fianco mi sentivo protetta e sicura da tutti gli sguardi.
Entrai in sala accompagnata da Thomas che non mi fece assolutamente sfigurare, tutti gli occhi erano puntati su di noi. Sapevo di essere una ragazza carina, con lo stampo dei Kleinsten non era difficile, erano tutti biondi e con gli occhi azzurri. Nonostante avessi ereditato i capelli castani ramati e gli occhi di papà, i lineamenti erano gli stessi di mamma. Sapevo che in quel momento molte donne mi invidiavano e parecchi uomini in cerca di un buon partito erano contrariati dalla presenza di Thomas. Tra sguardi ammirati o ambigui, pochi erano veramente amichevoli, quello di Gabriel e Adela e quello dei miei zii e dei miei cugini.
La sala da ballo del castello era adornata dei miei colori preferiti, il turchese in tutte le tonalità, un po' di oro separava le varie tonalità per creare un forte contrasto nella sala. I camerieri già camminavano per la sala con vassoi di champagne e tartine. Quando raggiunsi lo zio Philip feci un leggero inchino.
Lui e la zia Beatrice attesero che porgessero anche a noi i calici e quando fu il momento il nonno e lo zio fecero un brindisi in mio onore.
"A Eleonora, il ventunesimo compleanno è un traguardo importante per chiunque, per te ancora di più. Ti vogliamo bene." Disse lo zio. Ringraziai tu sollevando il calice che tintinnò con quello di Thomas.
"A Eleonora." Brindarono tutti.
I miei occhi però erano puntati in quelli del mio compagno che mi fissava complice.
Dio se era bello! Lasciai che mi trascinasse al centro della sala e quando gli archi iniziarono a suonare la musica demmo il via alle danze.
Mi concessi due balli con Tom, ne avrei fatto un terzo se il nonno non fosse venuto a reclamare il suo ballo. Danzai con tutti loro, nonno, gli zii, i miei fratelli e anche Gabriel. Nonostante non lo vedessi per tutta la sera avevo avvertito lo sguardo di Thomas su di me e fu la sensazione più confortante delle serata.

THOMAS
Quei due giorni nel Kleinsten non furono di sicuro impegnativi e stressanti. I principi furono molto cordiali con noi. Io e Gabriel avevamo accettato la proposta di una scalata per la domenica del nostro arrivo. Nel farlo avevo ricordato i vecchi tempi e ci eravamo divertiti. Leonard e Giovanni, nostri coetanei ci avevano tenuto di buona compagnia. Erano dei tipi in gamba, addirittura scoprii che Leonard e Gabriel si conoscevano già avendo entrambi frequentato la business school ad Harvard. Entrambi i cugini erano biondi, Leonard aveva gli occhi azzurri, mentre Giovanni li aveva verde, quasi simili a quelli ambrati di Eleonora. Durante quelle ore di svago inesorabilmente la mia tata mi veniva sempre in mente. La sera prima non avevamo fatto la nostra solita chiacchierata notturna ad esempio. Mi mancava parlare con lei, incontrarci e restare soli senza alcuna distrazione, da quando eravamo nel Kleinsten questo non era stato possibile. Sapevo che per la festa di compleanno avrebbe avuto poco tempo per me. Quando settimane prima io e Gabriel avevamo approvato il principato come sede legale della nostra società, grazie a Eleonora contattai suo zio. Mi serviva qualcuno sul posto per poter avviare le pratiche e quando gli parlai lo informai che per concludere l'apertura della sede saremmo andati nel Kleinstein. A quella notizia Giacomo aveva colto la palla al balzo.
"Se venite per il compleanno di Eleonora possiamo farle una sorpresa, una festa. Con questo preavviso riesco a far tornare tutti i suoi cugini e il fratello nel principato." Mi disse. Il compleanno di Eleonora! Scoprii così che era il ventitré febbraio, sarebbe stato di lunedì. Ma Giacomo di Kleinsten mi fece ben capire che quando c'erano questi eventi poteva essere anche martedì, loro festeggiavano.
"Per lei il 21º compleanno è un traguardo. Probabilmente potrà anche accedere al suo conto bancario o almeno lo speriamo." Mi disse lo zio.
In quell'occasione l'uomo mi aveva infuriato della causa legale e a che punto fosse, delle implicazioni della famiglia e del problema del nome di Eleonora.
"Alla fine penso che le faremo rinunciare al nome. In fondo Ashler non era neanche del padre, ma di sua moglie." Mi disse. "Ovviamente se prima si sposerà non ci sarà neanche bisogno, le diremo di prendere il nome del marito, in questo caso la pratica sarà più veloce."
Sposarsi? Veloce? Assolutamente no. Eleonora non era neanche fidanzata, lei non poteva lasciarmi perché lo dicevano gli zii. "Credo si sbagli, sarà più veloce cambiare nome. Massimo venti giorni se ci sono dei cavilli." Gli dissi per esperienza personale. Non pensavo proprio che i tempi da Londra al Kleinsten fossero tanti di più. No, assolutamente no!
"Al suo compleanno, quando le parlerò del cambio di cognome, consocerà comunque tanti pretendenti. Fidati Keller, so il fatto mio nell'arco di un anno ho conosciuto e sposato mia moglie." Affermò.
Tacqui. Eleonora mi aveva detto di non avere mai conosciuto la moglie dello zio poiché si erano sposati in tempi record e altrettanto avevano divorziato. Il tempo di far nascere suo cugino Giovanni.
La seconda figlia invece, di undici anni, era nata dalla compagna attuale con cui l'uomo non si era sposato. Giacomo poteva in pratica considerarsi la pecora nera del principato di Kleinsten.
"Sarebbero comunque tempi lunghi principe Giacomo. Inoltre quando parliamo io ed Eleonora non affrontiamo mai l'argomento matrimonio." Dissi deciso.
"Correggimi se sbaglio. Sei il cugino della sua amica Pamela Keller Meyer, giusto?" Mi chiese Giacomo.
Annuii anche se non poteva vedermi. "Giusto." "Quindi non puoi sapere quali sono le relazioni di mia nipote ragazzo." Affermò.
"Non le conosco..." Dissi per poi darmi una regolata. Ma cosa cazzo mi accadeva. "Mi scusi principe Giacomo. Non sta a me intromettermi nei vostri affari, parlerò comunque con mio fratello e vi dirò quando arriviamo. Saremo in sei, io, Eleonora con mio fratello, la moglie e i nostri figli." Spiegai cambiando argomento.
L'uomo annuì. "Vi avverto già. Portate gli abiti da sera, per voi e i bambini, ci sarà un gran ricevimento in onore della nostra bambina. Voi sarete ospiti speciali, intanto preparo tutta la documentazione per avviare la sede legale della BK consulting. Vi aspettiamo." Mi rispose lui.
Da allora avevo tanto pensato ad Eleonora e la possibilità di perderla semmai l'avessi riportata nel Kleinsten. Eppure desiderava così tanto diplomarsi alla Royal e alla LBS, possibile che avrebbe rinunciato a tutto ciò per cui aveva lottato per un nome?
Ne parlai con Diamond, studiando legge mia sorella poteva capirne un po' di più rispetto a me. Ma anche lei non fu confortante.
"Non so nel caso di Eleonora se prendere un nome sia così facile come per te. Tu hai avuto papà che ti ha fatto pervenire metà della documentazione. Riconoscendosi era come se mettere il nome fosse solo una conseguenza. Ma un nome non si cambia così facilmente, ci vogliono delle buone motivazioni. Inoltre cosa fondamentale, Eleonora è nata a Strasburgo. Se ho ben capito non può entrare in Austria e la richiesta del cambio di nome dovrebbe farla lì." Mi spiegò Diamond.
"La faranno gli zii per lei." Le ricordai.
"Non penso si possa fare. Deve essere il diretto interessato a presentare domanda al prefetto, che prende in carica la domanda nell'arco di trenta giorni, poi se tutto va bene e nessuno si intromette si può procedere al cambio. Ma ripeto, deve andare Eleonora e non lo zio. Non è così che funziona." Precisò mia sorella.
"Che situazione, quindi l'alternativa più veloce sarebbe veramente un matrimonio?" Mormorai più tra me.
"Effettivamente sarebbe una buonissima alternativa. I matrimoni lampo non sono una novità, se ci si accorda si potrebbe fare anche un annullamento dopo aver ottenuto il nuovo nome." Disse guardandomi allusiva.
"Di! Cosa stai pensando in quel tuo cervello laborioso." La ammonii.
"Niente." Mugolò. "Pensavo solo che se sei tu a sposarla non si potrebbe annullare niente. Voi due vi salterete addosso appena sarete i signori Keller." Ammiccò. "Anzi, già vi siete saltati addosso."
Le concessi uno sguardo assassino. "Stupida, non l'ho mai toccata." Affermai.
"Uh! Eppure dagli sguardi che vi mandate pensavo ci foste già arrivati. Cioè, prende anche degli anticoncezionali. Se non è per te, perché si mette l'anello?" Mi chiese Diamond.
Ero interdetto. "Non le ho regalato nessun anello." Dissi, non le avrei regalato un anello.
"Non quello?" Urlò mia sorella divertita. "Intendo l'anello vaginale. Ti ricordo che dividiamo lo stesso bagno e io non lo uso." Non la sentivo.
Cioè dopo aver sentito la parola anello vaginale avevo dovuto concentrami. Eleonora usava un contraccettivo che si chiamava in quel modo? Impossibile, avrei giurato che non usava nulla, che forse era anche vergine.
"Divaghi!" Dissi a mia sorella.
"Quindi non fate sesso?" Mi chiese ancora.
"No!" Le dissi nervoso. "Non lo facciamo, non posso." Affermai. "È la balia di Cristal."
Diamond aveva riso divertita. "No! Hannah è la balia di Cristal. Eleonora è la tua compagna, lei si prende cura di tua figlia prendendo il posto della madre. È palese che per Eleonora Cristal non è un lavoro." Affermò.
"Basta Di." La ammonii. Quel discorso doveva finire lì, mi stava confondendo. "Settimana prossima partiremo per il Kleisten e li Eleonora troverà un fidanzato." Dissi amareggiato. Un uomo con cui avrebbe conseguito un matrimonio lampo, un uomo che l'avrebbe portata lontana da me e Cristal.
Mia sorella non rispose più, forse la mia espressione sconfitta l'aveva convinta molto più di tante parole. Mi diede un bacio e abbracciandomi mi disse di non commettere l'errore di papà.
Quale errore avrebbe mai fatto papà? Da che ne sapevo io, nessuno. Però effettivamente Diamond non conosceva tutta la storia dei nostri genitori, neanche io la sapevo nonostante avessi letto le lettere, come voleva saperla lei?
Non sapevo come comportarmi. Riuscii a chiedere aiuto solo a Liam, lui aveva sempre la risposta giusta e riusciva a leggermi dentro. Infatti aveva aspettato che io gli parlassi e quando lo avevo fatto mi disse solo: finalmente!
Erano passati otto anni da quando lo avevo conosciuto, era subito diventato il mio amico e confidente, inoltre era diventato anche più paziente. Lo dimostrava quella situazione, aveva aspettato che io gli dicessi cosa non andava anziché chiedere.
"Non vuoi ammettere che ti sei innamorato. Ma va bene così." Mi disse Liam. "A me lei piace. Non fraintendermi." Si fermò parandosi il viso. "Non in quel senso, è una ragazza socievole e mi piace vederti con lei, mi piacete voi due insieme. Si vede lontano un miglio che state bene e non parlo di estetica, ma dei vostri sorrisi, gli sguardi e la complicità che avete negli atteggiamenti." Mi rivelò. "Voi non lo vedete, perché vi manca l'altra parte. Noi tutti invece vi vediamo insieme nel complesso." Concluse.
"Cosa dovrei fare?" Chiesi a Liam.
"Quello che fai sempre con Eleonora." Mi disse lui. "Lasciati andare e non pensare, cosa le hai preso per il suo compleanno?"
Scossi la testa. "Ancora nulla. Pensavo di chiedere un consiglio a Diamond ma lei è così allusiva che demordo."
"Ti prego." Mi disse divertito Liam. "Va da solo, Eleonora non merita che altri scelgano il suo regalo. Lei non è Vanessa."
No, non lo era. Sarebbe stato facile se lo fosse stata, avrebbe chiesto e io avrei agito. Ma Eleonora non era così. Non chiedeva mai nulla.
Così ero andato in giro per Londra alla ricerca di un regalo per lei. Cercai di tutto, sciarpe, vestiti, borse, fino a quando una collana molto semplice non attirò la mia attenzione. Non era molto pretenziosa, ma le pietre dorate mi ricordarono gli occhi color dell'ambra di Eleonora.
"Non pensare." Mi dissi entrando nella gioielleria di Swarovski.
Andai spedito dalla commessa a chiederle il girocollo. La donna fu molto disponibile e mentre attesi mi guardai intorno.
Un anello spiccò ai miei occhi. "È interessato anche all'anello signore?" Mi chiese la commessa raggiungendomi.
La fissai. "No! Va bene la collana." Le dissi pragmatico, attesi che il pacchetto fosse pronto, pagai e lasciai la gioielleria.
Rientrai alla city con l'intenzione di tornare in ufficio. Invece mi diressi al coffee and book.
Mamma, Samuel e Rafael erano lì a finire di ristrutturare e rimodernare il locale che un tempo aveva visto i miei genitori innamorarsi. Bussai alla porta di vetro attendendo che mi aprissero.
Dentro c'era aria di pulito, le pareti erano per metà verniciate e per l'altra metà occupate da carta da parati a tema floreale. Lungo la vetrina erano disposte delle mini librerie che separavano i tavolini tra di loro così che poi i clienti avrebbero avuto un po' di privacy.
Al lato opposto c'era il bancone del bar dove si sarebbero preparati caffè e Isaak avrebbe servito dei finger food. Mamma era col suo 'amico' Mark che stava scartando dei libri.
Rafael e Samuel li sentivo chiacchierare dalla cucina.
"Ciao tesoro." Mi salutò mamma.
La fissai. "Mamma, posso chiederti una cosa ." Le chiesi impulsivamente.
"Certo." Mi rispose tranquilla.
"Hai raccontato la storia tua e di papà a Diamond?" Le chiesi.
Lei mi fissò sorpresa. "Assolutamente no! Un giorno lo farò, racconterò a entrambi la mia storia. A meno che tu non la sappia già!" Mi disse.
Scossi la testa e le sorrisi. "Non la conosco." Ammisi prendendo un libro, si vedeva che era molto antico. Eppure era ancora lì, solido e pronto ad essere letto. "Mamma..."
"Dimmi Tom." Disse lei paziente.
"Mi daresti l'oggetto più antico che hai?" Le chiesi.
Mi aveva assecondato. Anche io come Eleonora non chiedevo facilmente, non era stato quindi difficile ottenere ciò che avevo chiesto.
Adesso, nel Kleinsten stavo ripensando alla mamma, mentre bussavo alla porta di Eleonora per darle il mio regalo. Avevo bisogno di sapere e capire se provava almeno un po' dei miei sentimenti. Dovevo farlo prima che venisse di nuovo assorbita dalla sua famiglia e dai suoi doveri di principessa del Kleinsten. Se non avessi organizzato quella sorpresa con suo zio, probabilmente avrei potuto avere Eleonora tutta per me? Non so a chi la raccontavo, ma sicuramente non sarebbe stato così. Da quando eravamo arrivati non avevo più neanche visto mia figlia, in balia della tata di corte e di tre bambini dai dieci ai dodici anni, Cristal e Adam erano viziati e coccolati da tutti. Addirittura la principessa madre aveva avuto il coraggio di dire che Cristal era la loro prima pro nipote. A nulla erano servite le obiezioni mie e di Eleonora a cena. Avevo anche ben spiegato a tutti che Cristal era la figlia della mia precedente compagna deceduta da poco. Ma niente!
Sapevo che quella sera ci sarebbero stati dei pretendenti quella sera. Nonostante fosse stata figlia di un adulterio, Eleonora restava la prima nipote femmina, dopo la nascita di Leonard, Steven e Giovanni. Aveva degli impieghi e dei doveri, inoltre era molto amata dai nonni e dagli zii, era quindi un partito molto ricercato.
Per questo ero lì, dovevo cogliere l'attimo. Bussai delicatamente alla porta attendendo che mi aprisse, quando me la trovai davanti ebbi un colpo al cuore. Era stupenda in quel vestito color bronzo, i capelli raccolti le lasciavano il collo libero e i seni erano ben messi in evidenza dal corsetto. Ero fottuto.
"Entra!" Mi disse e mi riscossi.
Le sorrisi porgendole il mio regalo. "Volevo dartelo prima della festa." Le dissi.
"Non dovevi..." mi disse, eppure la sua espressione quando aprì il pacchetto mi fece comprendere che avevo scelto un pensiero semplice ma che era arrivato. Non pensare. Aveva avuto ragione Liam, con Eleonora era facile non pensare e che mi lasciassi andare.
Mi invitò ad allacciarle la collana, assentii avvicinandomi e agganciando il gioiello potetti essere a pochi centimetri dalla sua pelle. Non eravamo mai stati così vicini, avvertii la tensione sessuale tra di noi più trepidante del solito.
Il suo collo era così invitante e la schiena semi nuda era una tentazione a cui non seppi resistere. Le carezzai la schiena e nel farlo lei si girò ringraziandomi. La baciai, anzi no, ci baciammo ormai incuranti di tutto. La sua bocca era così invitante e finalmente potevo averla.
Le carezzai la schiena, volevo di più, molto di più. Ma un colpo di tosse mi fece tornare alla realtà. Le zie di Eleonora erano in stanza con noi e con loro c'erano anche le figlie e la mia piccola Cristal in un abito principesco a solo sette mesi, era stupenda.
Avvertii le parole della principessa Matilda, era ora di andare. C'erano le danze e dei programmi. Ma io ero sconnesso ancora per via del bacio. Così seguii le donne e feci ciò che mi dissero, entrai nella sala con Eleonora al braccio, brindai a lei e iniziammo le danze.
Poi il nonno ci separò e la persi. Fui calamitato dai principi Giorgio e Giacomo verso i loro ospiti. Tutti facoltosi uomini di affari e quando mi presentavano ero uno dei soci della BK consulting una società dí consultazione finanziaria già ben avviata a Londra, che adesso aveva aperto nel Kleinsten. Compresi finalmente le parole di Matilde, quella serata serviva anche a me e Gabriel, i principi stavano esponendoci come papabili collaboratori finanziari. Fui raggiunto anche da mio fratello, la serata iniziava ad essere interessante. Finalmente potevo iniziare a parlare di cose che comprendevo molto meglio delle situazioni sentimentali.
Tra una chiacchiera e l'altra non mi facevo sfuggire l'ennesimo ballo di Eleonora che volteggiava per la sala in compagnia di Adela, Letizia e le altre giovani dame presenti alla festa.
Poi alla fine scoprii tutta la verità sui miei genitori.
"Siete fratelli? Vi somigliate, ma anche no." Disse il presidente della Volkswagen.
"Siamo figli di due donne diverse. Mio padre usciva dalla relazione con mamma quando conobbe lady Sapphire." Spiegò Gabriel.
Steven che era molto curioso mi fissò prendere dello champagne per noi. "Uh sono curioso. Tua madre deve essere andata su tutte le furie quando lo ha scoperto." Mi disse.
"La realtà è stata molto più cruda." Disse Gabriel per me, così raccontò di come papà dalla Germania arrivò a Londra, dove conobbe mamma che era in fuga da un matrimonio combinato. I due si erano innamorati, ma il promesso sposo ricattando i genitori di Sapphire pretese di avere la giovane per se, anche se incinta di Keller. Gabriel raccontò minuziosamente come Sapphire, per proteggere i genitori aveva messo da parte la sua felicità con Thomas e si era sposata .
Era stata una coincidenza che Thomas fosse nato prematuro e con solo dieci giorni di differenza da lui.
"Quindi siete entrambi figli di un'avventura." Affermò Giovanni.
Mi si strinse il cuore a sentire definire mamma un'avventura.
"No." La risposta di Gabriel mi fece tornare in me. "Mia madre è stata un'avventura di ragazzo. Sapphire è stato l'amore della vita. Ancora oggi mio padre vive col rimpianto di non aver potuto vivere la felicità con Sapphire e anche il rimorso di non averla liberata da un mostro." Affermò mio fratello.
"Anche mamma ama ancora papà." Dissi ai principi del Kleinsten. "L'uomo che ha sposato aveva però molto potere e per impedire che facesse del male a me e ai miei fratelli mamma si è sacrificata a essere sua moglie, nonostante amasse papà. Infatti hanno anche un'altra figlia."
Rivelai a Gabriel stesso in quell'istante. "Anche mia mamma vive con rimpianto." Conclusi cercando con lo sguardo Eleonora.
E io? Io volevo vivere con dei rimpiatti così grandi? Potevo permettere che Eleonora sparisse dalla mia vita? Che fosse quella sera o più avanti, sarebbe accaduto se fossi rimasto fermo sulle mie convinzioni.
"Non pensare." Mi aveva detto Liam. E non dovevo farlo.
Lasciai il flûte a Gabriel e senza pensarci due volte raggiunsi Eleonora che stava ballando con un perfetto sconosciuto. La presi per mano e inginocchiandomi presi dal taschino della giacca un anello.
Il tesoro più antico della famiglia di mamma, l'anello appartenuto alla nonna. "Sposami." Le dissi.

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


ELEONORA

Sorprendendomi Thomas mi raggiunse. Stavo ballando col nipote del vescovo di Sten quando attirò la mia attenzione.
Quella di tutti nel momento stesso in cui si inchinò prendendomi la mano. "Sposami."
Ebbi un tuffo al cuore. Non ero una romantica, la mia situazione familiare mi aveva talmente tanto disillusa che a differenza delle mie coetanee non mi aspettavo rose e fiori. Alle volte mi chiedano se fossi realmente del segno dei pesci, rispondevo che non credevo neanche a queste cose.
Eppure quella proposta fatta così da Thomas mi aveva colpita.
Lo guardai sorridendogli. Non sapevo se stesse o meno prendendomi in giro, l'anello che aveva tra le mani non sembrava di quelli che si vedevano in giro. Era d'oro, con un solitario quadrato abbastanza grande, era qualcosa di vecchio e sembrava che la proposta fosse stata preparata. Eppure conoscendo Thomas ci stava che si fosse preparato, ma... c'era qualcosa che non mi tornava. Lentamente mi inchinai alla sua altezza, la gonna si gonfiò intorno a noi, sapevo che tutti ci stavano guardando, sentivo gli sguardi su di noi e il silenzio era tombale. Anche l'orchestra aveva smesso di suonare. Non sapevo se stesse o meno facendo sul serio, ma non potevo rifiutarlo di fronte a tutti.
"Si! Lo voglio." Gli dissi sorridendogli.
Lui sospirò mettendomi l'anello di sopra al guanto, poi si alzò tirandomi su con lui, intanto che intorno a noi si sollevarono degli applausi di auguri.
Io però, come sempre quando incrociavo lo sguardo di Thomas, ero calamitata solo su di lui. Si avvicinò a me e prendendomi il viso tra le mani mi baciò! Di nuovo. Come la prima volta anche adesso non gli resistetti. Mi lasciai pervadere dal bacio  accoccolandosi al suo petto, fino a quando come sempre qualcuno dei miei zii non ci fece tornare alla realtà.
"Un brindisi ai neo fidanzati."  Urlò il nonno facendo ripartire anche la musica.
"Ai neo fidanzati." Lascia che l'entusiasmo intorno a noi proseguisse e guardai Thomas.
"Poi mi spieghi vero?" Gli chiesi.
Lui annuì. "Ti racconterò tutto quando saremo soli." Rispose prendendo posizione e ricominciando a ballare.
"Un po' difficile da quando siamo qui."  Gli dissi.
"Mi mancano le nostre serate a chiacchierare."
Ammise lui. 
Mancavano tanto anche a me."Dai andremo via tra un paio di giorni massimo. Così torneremo alla normalità."
"Non credo. I tuoi zii ci hanno presentato a tanta di quella gente probabili clienti che dovremo restare qualche giorno in più."
"E la Norvegia?" Chiesi sorpresa.
"Appena saremo soli io e Gabriel ci organizziamo. Anche perché le pratiche per la succursale sono già pronte e abbiamo degli appuntamenti con Kevin settimana prossima." Mi spiegò.
Feci una smorfia. Anche se ondeggiando sulle note di un valzer stavamo parlando e la cosa mi faceva tanto piacere.
"Cos'è questa storia del matrimonio?" Chiesi.
Lui mi fissò. "Sapevo che i tuoi zii avevano organizzato il ricevimento al fine di farti consider un futuro marito." Ammise.
"Lo fanno sempre. Ad ogni compleanno, che sia mio o dei miei cugini. Sicuramente ci sono delle probabili scelte anche per loro." Gli dissi.
Al che mi guardò serio. "Non mi importa se ci sono sempre. Tuo zio Giacomo cercava qualcuno che potesse farti cambiare il nome in tempo breve." Mi rivelò lasciandomi questa volta sorpresa. "Non permetto a nessuno di manipolare la tua vita, anche se sono i tuoi zii e se vogliono restituirti ciò che è tuo di diritto." Mi rivelò.
Gli sorrisi. "Effettivamente tu sei il minore dei mali." Assentii comprendendo, ero un po' delusa, anche se sapevo ci fosse qualcosa dietro. I miei zii avrebbero dovuto informarmi delle intenzioni che avevano.
"Non sono il minore dei mali, semplicemente ci tengo a te." Disse guardandomi un po' sorpreso. "Cioè..."
"Shh..." gli dissi. "Credo di aver capito." Sorrisi scostandomi per una giravolta e tornai verso di lui. "Noi siamo una squadra." Ammisi.
Ballammo insieme per il resto della serata. Ad un certo punto iniziai a sentire la stanchezza, purtroppo ero la festeggiata quindi non potevo andare via. Fortunatamente quando lo zio Philip andò via anche gli ospiti iniziarono ad andare e finalmente mi rilassai.
Mi ritirai nella mie stanze lasciando che Gabriel e Adelaide mi seguissero con Thomas.
"Ti prego, racconta tutto ai tuoi familiari." Gli dissi una volta chiusi dentro.
Così anche io ebbi modo di scoprire la verità completa sul complotto dei miei zii.
"Lo zio di Eleonora non riesce ad andare avanti con la causa. Non fin quando i figli e la moglie di Raoul puntano sul furto del loro nome. Eleonora è una Ashler come loro, perché suo padre prese il nome della moglie, in realtà si chiamava Raoul Kurz ed era figlio di commercianti. All'epoca a Raoul faceva comodo prendere il nome dell'allora primo ministro. Aveva più risonanza nonostante fosse già un musicista promettente e con un buon conto corrente. Poi ovviamente è diventato molto più famoso. Quando iniziò la relazione con Alberta di Kleinsten e venne fuori la gravidanza, Raoul decise di aprire un suo conto bancario, così che i compensi dei diritti d'autore e dei suoi concerti entrassero nella sue casse e non in quelle della famiglia." Ci spiegò Thomas.
"Così è stato in grado di potermi mantenere a Londra e alla royal senza dover chiedere soldi alla moglie." Affermai iniziando a capire la situazione di mio padre.
"Giusto. Se ho ben capito tuo padre avrebbe anche divorziato dalla moglie Katherina per stare con tua madre. Ma nonostante fosse una persona rinomata e benestante, la famiglia Ashler aveva più potere di lui. Il primo ministro disse che non voleva scandali, la moglie rifiutò il divorzio e lui fu costretto a restare, avevano comunque due figli piccoli. Non divorziarono, Raoul restò con la moglie che non approvò la scelta del marito di riconoscere Eleonora come sua figlia. Ancora qui intervenne il primo ministro, Alberta non era una sgualdrina e non l'avrebbero comprata, soprattutto perché era principessa del Kleinsten un micro stato molto forte a livello finanziario." "Ma mi ha riconosciuta." Dissi a Thomas. "Infatfi!! La cosa non andò giù a Katharina che disse non voleva vederti né sentirti nominare, iniziò a mettere delle regole, quali che non dovevi crescere nel Kleinsten con Alberta perché non voleva essere fonte di paragone, inoltre vietò a tuo padre di portarti in Austria. Non voleva che mettessi piede nel suo paese, intanto anche lei era entrata in politica e nonostante non sia ancora primo ministro come il padre il suo percorso la stava portando molto in alto. Attualmente è il cancelliere federale dell'Austria." Rivelò Thomas.
"Per questo sei cresciuta in Germania." Mi disse Gabriel. "Effettivamente non capivo perché fossi istruita a Monaco quando tutti i tuoi cugini venivano istruiti qui nel Kleinsten."
"Giochi di potere!" Affermò Adelaide. "Alla fine lo stanno facendo anche adesso. Lei in quanto cancelliere federale ha trovato un escamotage per farti espellere definitivamente dal paese e non farti entrare." Ci disse.
"Hanno congelato il mio conto. Pensavo fosse perché non avevo ancora compiuto ventuno anni, poi gli zii mi hanno detto che i miei fratellastri hanno impugnato il testamento, non essendo io una..." Mi zittii. "Non sono un Ashler."  Confessai.
"Saresti una Kurz!" Riprese l'argomento Thomas. "Ma tuo padre chiamandosi Ashler alla tua nascita, ti diede quel nome."
"Lo zio Giacomo mi disse che loro avevano impugnato il testamento su queste basi. Falso riconoscimento, figlia non riconosci già e non Ashler. Tutto ciò che è sul conto di mio padre, per loro non appartiene a me." Dissi ai Keller. "Ma sinceramente non mi interessa del denaro. Mi farebbe piacere avere gli spartiti originali e antichi che ho ereditato. Per il resto possono tenerlo e vorrei che liberassero il mio conto." Dissi esasperata.
"Perché non fai richiesta di cambiare nome?" Mi chiese Adelaide.
"Non può farlo." Intervenne Thomas. "Il suo problema è che nascendo in Austria dovrebbe fare domanda al prefetto di Salisburgo, dove è nata."
"Ma non può entrare in Svizzera altrimenti la estradano immediatamente." Intervenne Adelaide pensierosa. "Se riuscisse a farlo tempo un mese, senza intoppi, riuscirebbe a cambiare nome."
Sarebbe stato così facile? Pensai mentre Adelaide e Thomas si confrontavano.
"I principi del Kleinsten volevano procedere così. Giacomo ha cercato anche di informarsi alla prefettura di Strasburgo. Se con una delega era possibile fare richiesta di cambiare nome."
"Così sarebbe troppo facile." Intervenne Adelaide. "Cambiare nome vuol dire cambiare identità. Tu ci sei passato, sai che devi esssre tu in prima persona a fare la richiesta. Dopo questo avrai fatto anche una perizia psichiatrica, perché la procedura richiede che ti sappia ciò che stai facendo." Mi informò Adela esponendo una parte della procedura.
Effettivamente avrei cambiato identità.
"Giusto." Affermò Thomas. "Sposandola invece accorcerei i tempi e svicoleremo alla richiesta diretta a Strasburgo, inoltre una volta che diventa Eleonora Keller, può entrare in Svizzera. Andare alla banca e fare almeno uno spostamento dei suoi beni sul conto a Londra."
Gabriel annuì. "Un matrimonio richiederebbe anche meno tempo di un mese. Non pensi che potrebbero insospettirsi?"
"Ho fatto una proposta abbastanza plateale." Asserì Tom, ecco perché si era mosso in quel modo. "Avranno tutti tempo di assimilare la notizia. Ci vogliono molti testimoni. Adesso siamo ufficialmente fidanzati, poi una volta a Londra ci sposeremo e cambierà il nome."
A Londra avrei cambiato nome. A Londra mi sarei sposata e... "NO!" Dissi interrompendo tutti.
Tom, Gabriel e Adelaide si voltarono verso di me. Fu la mia amica a parlare.
"Perché no! È una mossa eccellente."
"Indubbiamente." Dissi iniziando a togliermi le forcine, stava venendomi mal di testa e dovevo ragionare. "Va bene, si potrebbe procedere per il matrimonio. Ma andare lì e poi sposarmi, no!" Dissi scuotendo i capelli per scioglierli sulle spalle nude.
"Perché no? Non vuoi riprenderti la tua vita?" Mi chiese Thomas.
Sospirai avvicinandomi a lui, gli sorrisi annuendo. "Si! Lo voglio." Gli risposi. "Ma sposarmi a Londra implica che tua madre e i tuoi fratelli lo sappiano. Implica preparare una cerimonia e io non voglio mentire alla tua famiglia che adoro e al resto del mondo. Se domani i miei zii confermano che questa è l'unica soluzione, ci sposeremo qui. In via del tutto privata e senza far uscire pubblicamente le nostre nozze." Gli dissi.
"In pratica vuoi tenere il matrimonio nascosto." Mi disse Gabriel.
Annii. "Tom è stato pazzo a fare una proposta del genere. Ma è valida e accetto il suo aiuto." Dissi.
"Quindi ci sposiamo. Che problema c'è?" Mi chiese Thomas.
Sospirai prendendogli il viso tra le mani. "Sei il mio migliore amico. Accetto, però non voglio fare cose eclatanti, così sarai libero, prima, durante e dopo il matrimonio. Noi facciamo questa cosa e, risolta la mia situazione, faremo un divorzio lampo." Affermai. "Non voglio approfittare tanto di tutti voi, di te." Gli dissi guardandolo. "Soprattutto non voglio che per colpa mia tu debba mentire ai tuoi cari. Non è giusto, quindi facciamolo in sordina."  Gli chiesi.
Lui annuì prendendomi le mani e facendomele abbassare. "Sei sicura?"
Annui. Non volevo impedire a Thomas di essere felice con qualcuno. Obbligarlo ad essermi fedele e fare la faccia felice sotto i riflettori, per quanto piccolo il mio paese, era ricco. Un matrimonio di un qualsiasi principe attirava giornalisti e curiosi. Guardai Adelaide e Gabriel. "Per voi ci sono problemi?" Chiesi.
Gabe scosse. "Se a voi va bene così, noi manterremo il vostro segreto."
Sorrisi andando ad abbracciare Adelaide accanto a lui. "Grazie! Vi sono veramente riconoscente." Dissi loro.
"Non dirlo neanche." Rispose lei. "Adesso andiamo a dormire, domani dopo aver parlato con i tuoi zii deciderai come procedere." Mi disse lei.
Giusto, avrei dovuto parlare con gli zii. Probabilmente avevo messo il bue avanti al carro e Thomas aveva mal compreso i segnali di zio Giacomo.
Quando la coppia lasciò le mie stanze fissai Thomas che era invece rimasto. "Sono seria, semmai questa cosa si fa, ritieniti libero di vivere la tua vita. Esci con chiunque donna tu voglia, se trovi una persona che attira la tua attenzione, non farti scrupoli. Esci con lei e... prosegui." Gli dissi dandogli le spalle iniziando a sfilare i guanti. Posai l'anello che mi aveva dato sulla toeletta e tolsi rapida il guanto nervosa. Mi era costato dirgli quella cosa dovevo ammetterlo, ma non potevo legarlo a me.
Sentii i suoi passi dietro di me sperando che andasse via e mi lasciasse sola. Ma come sempre avvertii la sua presenza più forte e prepotente. Sbattetti nervosa il secondo guanto sulla toeletta e sospirai intanto che sentii afferrarmi per le spalle.
"Se dovessi fare ciò che mi hai detto..." Mi disse avvicinando la bocca al mio orecchio. Un brivido di piacere mi percorse la schiena. Era una tortura. "Allora dovrei proseguire con la ragazza che mi interessa da un po' di tempo a questa parte." Mi disse.
Sollevai la testa fissandolo, era proprio lì. I suoi occhi azzurri mi fissavano e non riuscivo a fare a meno di tenere lo sguardo nel suo. Lentamente le sue mani si spostarono sul collo, con una lentezza incredibile mi scostò i capelli su un lato.  Chiusi gli occhi nel momento stesso in cui i polpastrelli sfiorarono la pelle del mio collo e poi scesero sulla schiena semi nuda.
"T-Thomas?" Sussurrai roca.
"Eleonora!" Mi rispose.
Avevo la gola secca. Sospirai mordendomi istintivamente il labbro inferiore, non avevo il coraggio di parlare. Le ginocchia mi cedevano mi aggrappai alla toeletta per mantenere un minimo di contegno. Ma la mano di Thomas continuava a scivolare sulla mia schiena fino a che non arrivò al corsetto. Avvertii la cerniera scendere lentamente. Al che portai una mano al petto affinché non mi scoprisse.
"Vado via Eleonora?" Mi chiese Thomas.
Sgranai gli occhi. Mi chiedeva di scegliere cosa saremo diventati?  Ingoiai il groppo, se lo mandavo via sarei stata salva, anche se sapevo che mi avrebbe tormentato nei sogni. Se invece lo avrei fatto restare avrei potuto togliermi finalmente di dosso la costante attrazione che provavo per lui. Se avessi detto di sì non sarei più stata costretta a immaginare come sarebbe potuto essere.
Avvertii la sua mano che si allontanava dalla mia schiena. Il tempo stava scadendo, dovevo decidere.
Prima che si allontanasse  mi voltai verso di lui stringendolo per il collo e sollevandomi quel tanto che bastava per sfiorare le sue labbra che mi vennero incontro. Lo baciai e lui ricambiò con passioni, carezzandomi la schiena fece scivolare il corpettto e nonostante fossi completamente nuda non mi vergognai. Mi sembrava tutto giusto, anche quando iniziai a spogliarlo.
Non ebbi paura, forse avevo aspettato tento proprio per quel momento. Ma con Thomas mi era parso tutto giusto e perfetto fin dall'inizio e lo sarebbe stato anche quella volta. Lasciai che mi facesse scivolare il vestito e poi tra le sue braccia mi stese sul letto. Quando gli dissi che ero vergine lui non parve stupito e fu paziente dandomi tutto il tempo e la dolcezza di cui avevo bisogno. Quando fu dentro di me, tutto ciò che avevo immaginato fino a quel momento sul sesso, fu spezzato via dalle sensazioni esaltanti che Thomas mi fece provare. Non una volta, facemmo l'amore più di una volta quella notte ed ogni volta era sempre più appassionato. 
Il giorno dopo incontrai i miei zii chiedendo loro un colloquio sulla mia situazione, quando mi confermarono che cambiare nome era la soluzione per poter andare in Svizzera e risolvere la mia situazione ereditaria. Capii che dovevo muovermi!
Dissi loro che avevo accettato la proposta di matrimonio di Thomas, a condizione che ci saremo sposati lì e a porte chiuse.
"Non voglio grandi cerimonie e ufficializzazioni pubbliche. Dal momento che sappiamo tutti che è una farsa teniamocela per noi." Affermai decisa.
"Una farsa?" Mi chiese scettica zia Matilde. Annuii, ovvio che lo era. "Non lo penso, ma se tu dici che è così... va bene. Ti aspetto tra due mesi per l'annullamento del tuo matrimonio." Mi disse la zia.
Per quanto non ci credeva, doveva farlo. Era la verità, solo un accordo per aiutarmi, poi tutto sarebbe tornato alla normalità.
Lo dissi anche ai Keller a pranzo. Era confermato il nostro matrimonio, Gabriel e Adelaide furono felici di farci da testimoni. Poi sarebbero partiti per Oslo per incontrare Kevin Smith.
"Abbiamo deciso con Thomas che andremo solo noi ad Oslo. Qui stiamo inaspettatamente trovando dei clienti, resta quindi Thomas anche per insegnare a tuo cugino Steven come gestire la sede. Sarà la tua famiglia a fare da consulenti qui poi, o almeno loro vedranno come muoversi." Mi disse Gabriel.
"Il tempo che vi sposate e che Tom firmi le pratiche per Oslo e noi andremo via." Concluse Adelaide.
Ero sorpresa, quindi la società di consulenza aveva avuto una buona partenza nel Kleinsten. Non avevo previsto che la BK consulting potesse risultare da subito molto richiesta.
Speravo solo di tornare presto a casa, intendendo Londra. Perché fino a quando non avrei rimesso piede sul suolo britannico non sarei tornata alla normalità. La intendevo anche a scopo intimo, io e Thomas ogni sera ci chiudevamo la porta alle spalle e facevamo l'amore. Quello era un sogno che non poteva continuare, sicuramente una volta a casa saremo diventati di nuovo la tata e il datore di lavoro.

THOMAS

Da quando Eleonora aveva accettato di sposarmi il tempo era volato velocemente. Da quando avevo fatto l'amore la prima volta con lei, ero diventato insaziabile. Del suo corpo, della sua bocca e dei suoi occhi che si accendevano di passione solo per me. La volevo costantemente e anche lei sembrava mi volesse. Di comune accordo con Gabriel decidemmo che sarei rimasto nel Kleinsten a portare avanti la sede legale della BK Consulting, che era partita subito in quarta. Ovviamente favorevole la forza finanziaria del micro stato, eravamo stati avvantaggiati.
Il 28 febbraio a porte chiuse io ed Eleonora ci sposammo nella cattedrale del Kleinstein. Fu una cerimonia molto intima, Eleonora indossò uno splendido abito in seta bianco, con richiami color avorio. Era molto semplice, come lei d'altronde, ma era bellissima.
Mantenni la promessa che le avevo fatto, non dicendo nulla a mia madre delle nozze, sapevo avrebbe voluto partecipare. Ero il suo primo figlio e non poteva mancare. Ma mantenni la promessa fatta ad Eleonora, non potetti però evitare di far venire Joel nel Kleinsten. Lo volevo accanto a me in quel momento tanto quanto Gabriel. E come con il mio fratello gemello, anche con lui fui sincero dicendogli la verità sul mio matrimonio lampo.
Eleonora era convinta che, tempo due mesi ci saremmo separati, io in realtà ero convinto del contrario. Non le avrei lasciato andarsene così facilmente a meno che non lo avesse voluto realmente.
Così tra una trattativa alla BK Consulting, la presenza di mio fratello Joel nel Kleinstein e le notti trascorse stretto ad Eleonora, passammo tre settimane da sogno nel piccolo principato. Quando fu ufficializzato che Eleonora non era più una Ashler, ma una Keller in quanto mia moglie. Partimmo subito per l'Austria con suo zio Giacomo, così da chiudere le pratiche testamentarie di Raoul Ashler. Giacom aveva i contatti con i legali di degli Ashler, il notaio e la banca. Aveva inoltre preso tutti gli appuntamenti di cui necessitavamo. Quando atterrammo in Austria, dovevamo affrontare la prova definitiva per sapere se Eleonora potesse o meno entrare nel paese con il nuovo passaporto. Una volta lasciato il suo documento al check out, quando l'addetto ci fece passare augurando a entrambi buon viaggio e buona permanenza in Austria ne fumo sollevati.
Appena atterrati Eleonora volle andare giustamente a trovare suo padre al cimitero. Purtroppo una volta li non riuscimmo ad entrare nella cappella di famiglia Ashler. Ma Eleonora riuscì lo stesso a fare una preghiera per il padre a modo suo cantandogli l'Ave Maria di Schubert. Fu un momento emozionante anche per me che non avevo conosciuto il padre di mia moglie.
Il primo incontro che Giacomo aveva organizzato era quello con notaio, ci dirigemmo allo studio notarile di Vienna dove un uomo anziano, il notaio Rish, ci accolse con gioia. Egli fu il primo a fare delle sincere condoglianze a mia moglie per la perdita del padre. Quando ci sedemmo il notaio ci spiego la situazione di Eleonora, dicendoci che nel testamento la giovane non aveva ereditato nulla se non due spartiti originali di Johann Bach.
Purtroppo però, avendo i fratelli impugnato il testamento la giovane non poteva usufruirne, mentre a livello monetario Eleonora non aveva ereditato nulla.
Mia moglie impassibile disse al notaio, che effettivamente nulla le serviva poteva benissimo vivere di ciò che aveva. Ma aveva bisogno appunto che il suo conto venisse riabilitato.
Il notaio non potette aiutarla per questo. Dicendole che non era in suo potere agire sul conto corrente, però al contrario era in suo potere lasciarle qualcosa che Raoul aveva lasciato a lui in via strettamente amichevole per la sua figlia illegittima.
Quando Eleonora ebbe tra le mani la busta bianca indirizzata a lei scoppiò a piacere, il padre le aveva lasciato un'ultima lettera.
"Se può consolarla, troverà quanto cerca alla banca nazionale austriaca." Le disse.
Dopo averlo ringraziato ci congedammo. La tappa successiva dopo aver pranzato fu la banca, con la quale il principe Giacomo era stato spesso in contatto in quei mesi.
Giacomo aveva organizzato un appuntamento col direttore che quando vide Eleonora rimase basito.
Mia moglie ferma sulle sue posizioni chiese al direttore il trasferimento dei suoi fondi sul conto  della banca londinese sulla quale si era appoggiata. Il banchiere fu però restio ad accettare la sua richiesta fin quando, sorprendendo tutti Eleonora non tirò fuori dalla valigetta un grosso plico di carte.
"Dunque." Disse. "Non sono solita fare scenate, ma dal momento che lei non vuole venirmi incontro e restituirmi i miei soldi, sarò chiamata a mettere in chiaro le cose." Disse prendendo la prima stampa del fascicolo. "In data 10 marzo 1994, Alberta Kleinsten e Raoul Ashler aprono un conto deposito cointestato a favore della minore, Eleonora Maria Ashler del Kleinsten." Lesse. Passo dopo passo esplicò al direttore quanto già sapevo. Nata a Salisburgo, a Eleonora era stato aperto un conto deposito a cui avrebbe potuto accedere una volta ventunenne. I genitori avevano in quegli anni versato sul conto di Eleonora una piccola rendita che allo stato attuale era una piccola fortuna. Quando Eleonora aveva compiuto diciotto anni ed era partita per Londra, suo padre aveva sbloccato i conti al fine che ella potesse avere un accesso minimo al suo capitale, grazie a una carta di credito. La carta le era stata bloccata alla morte di Raoul quando gli Ashler avevano impugnato il testamento. Ciò che mi sorprese fu la minuzia con cui Eleonora mostrò i movimenti bancari sul conto da quando era fasce fino alla morte di suo padre.
"Come si evince dagli estratti, ogni ventotto del mese, per tutti questi anni e stato fatto un bonifico bancario a mio favore per un valore di duemila euro da parte della famiglia Kleinsten, a me personalmente. Tutte le entrate nel corso di questi anni, dopo la morte di mia madre. Sono state fatte sempre solo ed esclusivamente dal casato dei Kleinsten." Affermò decisa Eleonora poggiando la mano sulle carte. "Raoul Ashler non ha mai versato un singolo centesimo a mio favore su questo conto in tutti questi anni della mia vita. Quindi per quando agli Ashler possa dare fastidio la cosa, questi sono soldi miei e di nessun altro. Adesso, se non volete che io chiami la polizia europea e denunci l' estorsione che voi come banca volete farmi appoggiando la causa del consigliere Ashelr, io non ho problemi. Ma sappiate che questa storia non resterà chiusa tra queste quattro mura. Denuncerò l'accaduto ai giornali, alla banca centrale dell'Unione Europea dove mio zio a lavorato per dieci anni. Si fidi li il cancelliere non potrà muovere i fili poiché stiamo parlando di un altro stato e della giurisdizione tedesca. Io stessa sono stata cresciuta a Monaco di Baviera, il mio stato confina con la Germania con la quale abbiamo un ottimo rapporto di amicizia e collaborazione. Quindi adesso sta a lei decidere o meno se vuole rendermi i soldi che i miei zii hanno messo da parte per me in questi anni." Concluse lei impettita, le guance rosse per l'enfasi del momento, aveva gli occhi lucidi e fieri. Da quanto tempo si era preparata quel discorso? Tanto! Alcune cose erano emerse anche durante le nostre chiacchierate notturne. Quante volte mi aveva detto che gli zii avevano preso il posto di sua madre? Infinite volte.
"S-signo- ra..." balbettò il banchiere.
"Principessa! Principessa Eleonora Keller del Kleinsten." Disse sicura.
"Principessa al momento non ci è possibile trasferire una cifra così ingente." Disse il banchiere.
"Spero che non stia scherzando." Mi intromisi io. "Il capitale è in cassaforte e potrete sempre restituirglielo." Affermai forte del mio mestiere. "Stiamo parlando di una somma cospicua. Sono liquidi troppo importanti per farli..."
"Sono trecento settanta mila circa al lordo. Non ho conteggiato le spese che negli ultime tre anni Eleonora ha avuto. Potrei quindi supporre che siamo a circa trecentocinquanta , ma neanche dal momento che nonostante le uscite i soldi entravano anche." Affermai.
Eleonora mi aveva detto che spendeva solo quando doveva comprare degli abiti, o se usciva con gli amici, l'acquisto di un libro, le cene fuori, manutenzione sul violino e spese mediche. Non erano molte uscite, non se ogni mese entravano comunque mille e cinquecento euro e l'affitto compreso di luce e gas lo aveva pagato il padre. "Le dinamiche di una banca..." Cercò di spiegarsi il direttore.
"Le conosco." Dissi mantenendo freddezza io stesso. "Eleonora ha il conto nella mia banca, so benissimo come funziona. Così come so che c'è un caveau. Quindi non mi racconti frottole. Voglio che entro domani la metà del suo conto sia versato su quello nuovo che si trova presso la London banks. Adesso so benissimo che per via del grande capitale ci sarà un controllo, eppure come abbiamo visto mia moglie ha conservato tutti gli estratti dall'apertura del conto deposito ad oggi . Basta che la casuale sia semplicemente trasferimento per chiusura conto." Conclusi appoggiandomi sicuro alla spalliera della mia sedia.
Il banchiere guardò uno ad uno tutti noi. Me, Eleonora e infine Giacomo.
"La cancelliera..."
"Di cui non mi importa l'opinione." Dissi fermamente.
"Katherina Ashler e i suoi figli rischiano una denuncia se non scongelano il conto di Eleonora. Voi lo farete con lei nel momento stesso in cui verrà reso pubblica questa sorta di fronde si danno di mia nipote nonché mia cliente." Disse Giacomo prendendo finalmente posizione.
"Hanno impugnato il testamento."
"Su cui non ho interessi." Intervenne Eleonora. "Non sono intenzionata a mettere mani sul conto di mio padre. È importante ciò che ha fatto per me in vita non da morto." Concluse.
"Se è questo che preme alla signora Ashler sappia che Eleonora ha già firmato un documento dove ha dichiarato che non è intenzionata ad intaccare il patrimonio degli Ashler o anche a entrare nei loro affari di famiglia. Contraendo il matrimonio la principessa ha rinunciato al nome di suo padre così da estinguere ogni legami con gli Ashler." Affermò Giacomo. "Quindi quanto tempo diamo alla banca di Salisburgo per completare il trasferimento?" Chiese Giacomo tornando al motivo per cui eravamo lì.
Eleonora mi guardò. Al che sollevai le spalle. "Facciamo così. Un trasferimento di cinquantamila euro al mese per cinque mesi." Dissi al direttore. "Il resto lo girerete già in titoli di stato tedeschi, in Bubill. Una volta emessi i titoli a nome di Eleonora del Kleinsten saremo già un passo avanti." Affermai.
Eleonora mi fissò per poi guardare il direttore. "Credo sia un buon compromesso. Ho a saldo attuale trecentosettanta mila euro. Centomila li verserà in obbligazioni mentre ventimila li prelevo adesso, così pareggiamo i conti." Disse con un sorriso. "Credo di averle lasciato anche qualcosa per la chiusura del conto." Affermò alzandosi. "Andiamo in cassa?"
Il direttore era sconcertato. Lo si vedeva dal suo volto contratto e dal sudore che una tantum si asciugava. Da un lato c'erano gli Ashler che lo avevano in pugno, dall'altro c'era Eleonora con le prove evidenti che quei soldi non appartenevano agli Ashler e che era vittima di una scandalosa frode. Non sapeva cosa fare, in entrambi i casi cadeva male, io gli avrei consigliato di dare i soldi a Eleonora. Una cosa era discutere con un cliente, un'altra essere querelato per truffa dalla controparte. Sbuffò alzandosi.
"Andiamo alle casse. Seguirò io stesso la pratica." Affermò riverso su di se.
Arrivati alle casse Eleonora diede gli estremi del suo conto intanto che il direttore istruiva l'impiegato allo sportello. Un bonifico di cinquantamila euro fissi per cinque mesi a partire da quel mese. La conversione delle monete poi in obbligazioni tedesche sempre a nome di Eleonora. Infine mentre Eleonora faceva la richiesta andò a recuperare i ventimila euro dal caveau. Quando uscimmo dalla banca la valigetta di mia moglie era più piena di quando eravamo entrati.
In meno di ventiquattro ore avevamo portato a termine due dei nostri propositi. Parlare col notaio e chiudere le trattative con la banca. Per gli Ashler toccava al principe Giacomo parlare con loro.
In compenso io ed Eleonora trascorremmo la serata in giro per Vienna. Nessuno dei due era mai stato in quel paese e una cena sulle rive del Danubio non ce la toglieva nessuno. Per l'occasione Giacomo ci lasciò soli a goderci quella serata. Il giorno dopo avremmo visitato la banca austriaca e poi saremo tornati a casa da Cristal. Sinceramente mi faceva piacere godermi per qualche ora mia moglie.
"Cosa farai con i ventimila euro?" Le chiesi curioso. Io di natura li avrei investiti, ma Eleonora era diversa da me. "Pagherò la royal academy, per tutto l'anno." Mi disse.
Io la guardai, le stavo pagando io la scuola. Eleonora mi puntò gli occhi ambrati nei miei allusiva. "Oh andiamo!" Le dissi.
"Se non ti prenderai i soldi della scuola me ne vado." Mi disse convinta. "Non sto neanche lavorando, stare con Kristal e un piacere. A casa di tua madre non pago vitto e alloggio, in pratica non mi sono guadagnata ciò che hai fatto per me." Disse orgogliosa.
"Occuparti di Kristal è il tuo lavoro. Sono contento che per te sia un piacere, ma sei stata assunta proprio per farle da tata." Le ricordai.
"A cui hai pagato la scuola." Precisò lei. "Fammi ritornare indietro il prestito e chiudiamo la faccenda." Disse lei.
"Sei testarda." Affermai.
"Dovresti averlo capito ormai." Mi disse allusiva. "Facciamo così." Le proposi. "Godiamoci la nostra cena, il Danubio e l'Austria, poi una volta a casa chiudiamo questa cosa."
"Mmm.... Non vedo l'ora di godermi la nostra cena." Affermò prendendomi a braccetto.
La strinsi e intanto speravo che Eleonora non mi sfuggisse via prima di quanto me lo aspettassi. Aveva detto che voleva la separazione appena risolto i problemi con gli Ashler, ma non potevo permetterlo. Per farlo dovevo distrarla e agire di strategia, anche se avevo scoperto che quando si trattava delle situazioni romantiche la strategia non funzionava tanto.
Quello che funzionava tra di noi era il sesso. Riuscivo a distarla facilmente quando iniziavo a baciarla.
Decisi che la soluzione migliore per non perderla era assecondarla e farmi restituire i soldi per la royal academy.
Il giorno dopo andammo alla banca austriaca, dove erano custodite le cassette di sicurezza. Nella lettera pervenuta attraverso il notaio avevamo trovato la chiave e il numero della banca ed ora chiusi in una stanza attendevo che l'impiegato uscisse.
Una volta soli Eleonora aprì la sua cassetta di sicurezza e al suo interno scoprimmo che c'erano un bel po di lingotti d'oro e diamanti certificati. Incredula Eleanor prese la lettera che accompagnava quel piccolo tesoro. La aprì iniziando a leggere.
"Mia cara figlia, se hai aperto questa cassetta significa che io non ci sono più. Ti ho amata tanto, come ho amato tua madre. Purtroppo la mia situazione familiare era parecchio intricata e non ho potuto fare molto per te se non cercare una certa indipendenza economica solo mia. Così sono riuscito col tempo a pagarti le scuole e la tua casa a Londra. Ahimè non ho potuto comprartela per timore che Katherine avrebbe un giorno riconosciuto la proprietà come sua. Sappi solo figlia mia che tutto ciò che hai avuto sono stato frutto del mio lavoro, dei miei concerti e delle opere prime. Qui in questa cassetta troverai un lingotto d'oro di circa e un diamante, uno per orni tuo compleanno, dal valore di circa mille euro la coppia. Ci sono inoltre i diritti d'autore delle mie opere prime da poter registrare a nome tuo.  Sono di uno sconosciuto Raoul Kurz, ma fidati se le ascolti capirai che hanno molto più valore delle opere di Raoul Ashler.
Ti lascio inoltre con questa lettera tutto il mio amore. Avrei voluto poter fare di più per te, darti tutto l'amore che mi chiedevi, crescerti al mio fianco. Ma non ho potuto, spero tu possa perdonare il tuo vecchio, sperando che sia morto abbastanza vecchio, per essere stato un debole. Ti amo tanto, papà." Terminò Eleonora emozionata, la lettera stretta al suo petto.
"Papà mi amava." Sussurrò.
"Ti ha sempre amata Eleonora." Rispose il principe Giacomo prendendo in mano una scatola con un lingotto. "Ovviamente sono venti.  Mi sono sempre chiesto dove li avesse conservati." Concluse venendo verso di me.
"Sapeva dell'esistenza della cassetta?" Chiesi.
"Non la cassetta, sapevo però che aveva regalato dei beni fruttiferi a Eleonora per ogni suo compleanno." Ammise.
"Mille euro ogni anno. Più i vostri mille e cinquecento." Dissi, era un bel grido dietro. "Pensavamo fossero finiti nelle mani degli Ashler." Disse Giacomo iniziando a raccogliere tutto nella valigetta di Eleonora. "In realtà noi fratelli di Alberta ci eravamo prefissi di dare 500 euro a fratello. Ma abbiamo optato di pagare anche le tasse sui duemila euro annuali, così avrebbe avuto il lascito dei Kleinsten pulito."
"Una mossa intelligente." Dissi.
Lui annuì. "Raccogliete tutto e porta tu fuori la borsa Thomas. Katherina sa che Eleonora è qui, non vorrei la derubasse. Le opere prime di Raoul valgono dieci volte di più delle ultime. Vi aspetto fuori." Si congedò.
Fissai Eleonora ancora scossa e pensai che se l'avessi tenuta legata a me contro la sua volontà avrei fatto fare a lei lo stesso errore di Raoul.
"Cosa vuoi fare?" Le chiesi aiutandola a mettere tutto in borsa.
Lei mi guardò con le lacrime agli occhi. "Voglio andare a casa. Ho bisogno di abbracciare la mia bambina." Mi disse disperata.
Le sorrisi. Mia figlia era diventata sua senza che me ne accorgessi e forse in quel momento era veramente il modo migliore per aiutare Eleonora. "Torniamo nel Kleinsten."
"Torniamo a Londra Tom." Mi supplicò lei.
Avrei esaudito anche questo suo desiderio. Io tempo di prendere le nostre cose, salutare i principi del Kleinsten e Joel e saremo tornati in Gran Bretagna.

 

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 17 ***


DIAMOND
Mi dispiaceva molto non poter festeggiare il compleanno di Cristal tutti insieme. Ne avevamo festeggiato solo uno ed era stato in occasione del suo primo anniversario. Eravamo tutti noi, con Rafael e Isaak, i genitori di lui e lo zio Drake, Ebony e le loro figlie e mia carissime amiche Charlotte e Sheryl, il padre e il nonno di Vanessa. Era stata una festa favolosa, tra alti e bassi la bambina aveva compiuto il suo primo anno di vita. Poi tutto era cambiato.
La famiglia di Vanessa si era trasferita a Oslo, Thomas l'estate aveva iniziato a viaggiare per aprire le sedi della BK- consulting e così facendo i compleanni di Cristal erano stati festeggiati in modo privato con Gabriel, sua moglie e loro figlio Adam di un mese più grande di Cristal.
Non conoscevo Gabriel, ma un po' sentivo di odiarlo. Solo perché mi portava via Tom, Eleonora e Cristal. Da quando avevano creato quella loro società e da quando Tom era andato a vivere a Chelsea con la sua famiglia, il tempo per noi era diventato pochissimo.
Forse avrei dovuto propormi anche io di andare a vivere con loro, quando era partita la ristrutturazione di casa dei nonni.
Negli ultimi mesi avevo avuto più contatti con Eleonora che con Tom, perbacco! Non che non mi piacesse lei, la adoravo e forse aspettava anche un bambino.
La cosa mi rendeva felice! Ma erano partiti. Con Gabriel e Adelaide Keller e io non sapevo nulla di dove fossero e di cosa stessero facendo. Cosa  più importante, non sapevo se sarei diventata di nuovo zia e questa cosa mi tormentava. Finalmente a metà agosto ci raggiunse Joel, ero sicura che anche Tom sarebbe stato con lui e invece no. Però ci sorprese.
Fissò la mamma e come nulla fosse le disse.
"Tom ed Eleonora sono andati nel Kleinstein per un viaggio di nozze."
Mamma lo fissò sbalordita. "Lei voleva rivedere la sua famiglia, per stare un po' con la famiglia."
Io sentendo: viaggio di nozze rimasi ammutolita. 
Joel ci guardò tutti, era divertito infatti scoppiò a ridere. "Ebbene si! Si sono sposati e aspettano un bambino." Annunciò felice. "E io sarò il padrino del figlio di Tom."
Esplodemmo in un urlo di gioia. Via ogni cerimoniale, eravamo contente. L'unico problema era che ci avevano escluso dal giorno più bello della loro vita ed era triste.
"Avrebbero potuto aspettare, oppure invitarci a raggiungervi. Così saremo stati insieme al matrimonio."
Joel ci fissò tutti. "In realtà..." disse. "Si sono sposati anni fa nel Kleinsten." Spiegò."Eleonora non ha voluto farlo sapere perché pensava fossero motivazioni sbagliate per la loro unione."
Ok questa era difficile da digerire. Anni prima? Nel Kleinsten! Poi collegai quel periodo della nostra vita ad Eleonora e ai suoi problemi che erano terminati con il ritorno a casa. Poi le domande di Tom che mi chiedeva cosa richiedeva cambiare nome. Ma certo.
"A Eleonora serviva cambiare cognome senza dover andare in Austria." Affermai.
"Giusto. Temeva di deludere la mamma, se si fosse scoperta la verità." Rispose Joel.
"Tu lo sapevi però." Disse Samuel fissando nostro fratello.
"Eh... ero il testimone." Balbettò.
"Strano, avrei detto che poteva esserlo Gabriel."
"Si anche, sai essere una principessa implica avere un matrimonio molto sfarzoso. Tom ha dovuto scegliere anche un terzo testimone."
Mi tirai su. "Liam rimane qui nei viaggi della BK consulting, e dopo Gabe il primo amico di Tom è stato Heinrich Keller Shuber. Lui è stato il terzo." Affermò.
"Sei un genio sorellina." Disse Joel sulle sue. Aveva paura e aveva ragione di esserlo. Ci hanno tenuto all'oscuro di una situazione importante.
"Sto per laurearmi in legge. Devo essere sveglia." Conclusi.
Tom ed Eleonora ritornarono una settimana dopo Joel, erano talmente raggianti che ne ebbi forza di litigare con loro per averci tenuto all'oscuro del matrimonio. Addirittura Eleonora fu molto aperta nel parlare della sua famiglia.
"Lo zio non vede l'ombra di conoscervi! La prossima volta organizziamo un viaggio tutto insieme. Il Natale nel Kleinsten è superbo, da secoli si organizza una gran festa a palazzo. Vorrei vedeste quanto è bello il mio paese..." era entusiasta.
La sua insistenza nel nominare il suo paese mi fece supporre che avrebbe partorito lì. Quindi si sarebbe portata via Thomas. Credevo se lo sarebbero portati via papà e Gabriel, non Eleonora.
"Non vedi l'ora." Le dissi fiacca. "Quando nascerà il bambino?" Le chiesi poi.
"A marzo. Quindi c'è la facciamo benissimo a passare il Natale nel Kleinsten e tornarmene buona a casa. Il dottore anche nel Kleinsten ha affermato che fino al settimo mese posso viaggiare tranquillamente in aereo e in giro per il mondo." Ci disse serena. "Però dal settimo mese in poi basta, riposo." Disse sospirando.
Alla sua affermazione mi risollevai. Avrebbe partorito a Londra, con noi.
Così mi rilassai. Le giornate ripresero a trascorrere e a settembre mi misi di buona lena a studiare per la tesi. Poi avrei raggiunto Micaela in Puglia dove aveva iniziato il suo viaggio sabbatico con le sue amiche del college, Alaska Thompson e Mary Powel.
Non vedevo l'ora di raggiungerla così avrei passato un po' di tempo con lei conoscendola meglio, inoltre mi sarei riposata da quegli anni universitari. Era la prima volta che andavo in Italia, anche se al collegio svizzero dove avevo studiato avevo imparato la lingua.
Il diciotto settembre, dopo essermi laureata salutai, mamma e i miei fratelli e feci il mio primo viaggio all'estero. Non era più solo un volo diretto Londra-Berna, era partire dall' Inghilterra e conoscere altri posti e culture. Sarei andata in Italia.
Arrivai nel primo pomeriggio e scoprì di non essere sola a prescindere dal fatto che ero la più grande, con noi oltre le sue amiche Mary e Alaska  c'era il gemello dí quest'ultima Dallas con un  suo amico Philip. Chiesi a Micaela se ero di troppo, ma mi tranquillizzò .
"A Mary piace Philip, in realtà gli piace anche Dallas. Ma Dallas e così carismatico e divertente che piace a tutti. Lui è qui per stare con sua sorella prima di partire per la sua prima missione militare. Simon ha seguito l'amico giusto per non farlo stare solo con tre ragazze."
Osservai mia sorella digerita. Dallas era veramente un bel ragazzo, lui ed Alaska si somigliavano molto. Entrambi avevano la carnagione scura, gli occhi verdi e capelli castani scuri, la linea del naso era gentile, anche la bocca era morbida e sensuale in entrambi i fratelli. La differenza tra due, a parte il sesso era il carattere. Se da un lato Dallas era molto estroverso, dall'altro Alaska era più introversa, probabilmente molto insicura.
"Mi piacciano i gemelli e anche Mary." Dissi fissando la seconda ragazza, bionda come Philip, ma più stravagante di lui.
"Anche io li adoro." Mi disse lei abbracciandomi. "E adoro l'idea che tu sia qui."
"E dimmi... non c'è nessuno che ti interessa?" Le chiesi fissando ora Dallas, ora Simon.
Lei fece spallucce. "No, niente di che." mi disse.
Al che riformulai la domanda. "Capisco, non c'è nessuno che ti interessa a parte Joel?" Le chiesi divertita.
Lei mi fissò a bocca spalancata e io risi. "È palese piccola mia, anche Rafael lo ha capito."
Lei si coprì le guance improvvisamente rosse. "Anche papà e Joel?" Chiese.
"Non so che dirti di loro. Posso però dirti che Joel con te cambia, non è la persona accondiscendente che io conosco. Quando discutete lui si illumina di vita." Le dissi convita senza illuderla. Non sapevo se mio fratello amasse Micaela, però memore delle parole di Refe stetti sulle mie. Se Joel effettivamente ci teneva a preservare il rapporto con papà che ne era geloso. Quasi sicuramente Joelle, non avrebbe mai sfiorato con un dito Micaela.
"L'importante è che non lo sappia. Alaska mi ha consigliato di frequentare altri ragazzi, ma non riesco ad andare oltre i baci." Mi confidò dondolandosi sulle gambe. "Mi sono presa una cotta per Joel, quando lo conobbi a 16 anni." Mi raccontò con aria sognante. "Entrò in quella stanza bello come il sole. C'erano tanti bei ragazzi Thomas compreso, Liam, Heinrich e Joel. Ma lui oltre ad entrare nella mia casa entrò anche nel mio cuore. " Disse entusiasta, mi guardò coprendosi il volto. "Scusami, so che è tuo fratello ma non riesco a fare a meno di di provare queste emozioni verso di lui e finalmente." Mi confidò.
Le sorrisi. "Sembrano così sinceri i tuoi sentimenti. Non ne parli con nessuno oltre me?" "Solo con Alaska e lei ha una cotta per Philip, si è fatta da parte per Mary." Disse.
"Puoi parlarmi di Joel e di tutto quello che ti passa per la testa. Io avrei tanto voluto qualcuno che mi ascoltasse alla tua età e anche prima." Mi confidai.
"Ti capisco." Mi disse lei. "Io sono felicissima di averti incontrata, sai avevo 16 anni quando papà ci raccontò di tua madre. Poi con calma un giorno mi prese da parte mi disse che c'eri anche tu." Mi rivelò. "Per me fu come toccare il cielo con un dito, non puoi immaginarlo. Sono stata circondata da uomini per 16 anni della mia vita e l'idea che ci fosse qualcuno che non fosse la mia migliore amica, ma mia sorella per me è stato importante. Alaska ha due sorelle maggiori e si percepisce l'amore e il legame che c'è tra tutte e tre. Sai lo vorrei anche io questo legame." Mi rivelò arrossendo.
Mi scoppiò il cuore a quella confessione. "Forse ti chiedo troppo, però sì lo vorrei anche io." Le dissi.
Lei esultò abbracciandomi. "Papà non sa che mi avresti raggiunta, il fatto che io e te siamo rimaste in contatto in questi tre anni è una cosa mia. Non so se se mi spiego."
"Sì ti spieghi benissimo a parte Rafe anche io non ho detto niente a nessuno.
Anche se temo che mamma lo abbia capito, è difficile nasconderle qualcosa. Le basta uno sguardo e capisce tutto. Credo che Joel abbia ereditato da lei questa empatia naturale nel comprendere le persone."
Micaela sospirò. "Papà dice che Joel assomiglia molto a tua madre, ha gli stessi occhi, lo stesso sorriso dolce e lo stesso carattere." Affermò. "E quando l'ho conosciuta ho potuto confermarlo, anche se ero molto intimorita. Non ho avuto il coraggio di parlarle o di nominare papà."ma cosa sospirò. "Sai quando papà parla di tua madre, gli si illuminano gli occhi. A me farebbe piacere se qualcuno parlasse di me così. Papà non si lascia andare molto, non parla mai del suo passato né di tua madre lo ha fatto in una sola occasione. E allora percepii in quelle parole tutto ciò che si tiene dentro e non è una cosa bella che sia infelice e solo. Poi ci ha provato ad innamorarsi di nuovo e c'era riuscito. Però io gli ho portato via la mamma, è stato credo il momento più brutto della sua vita." Si confidò parlando. Restai sorpresa, Rafe ci aveva detto che a casa sua non si parlava di Marina.
Ma percepii nelle parole di Micaela che doveva essere stato un momento tragico della famiglia Keller quello.
"Mamma non ci parla mai di papà. O almeno non lo fa con me. Credo con Thomas, perché lui ha chiesto. Io evito di parlarle perché se solo le si nomina papà diventa triste." Dissi.
"Papà ci ha detto che è stata costretta a sposare Andrew Davis, una persona senza scrupoli." Mi disse, io annuii e lei continuò. "E quando papà venne a portarla via, lei per paura di perdere Joel restò a Londra con lui. In quell'occasione venisti concepita tu." Mi rivelò.
La guardai sorpresa. Mi ero sempre chiesta perché mamma aveva continuato ad essere semplicemente amante di papà. Perché lui non avesse lottato per lei. Mi ero chiesta perché non l'aveva difesa da Andrew che picchiava la mamma e poi successivamente anche a me.
Micaela mi stava dando quelle risposte che non avevo mai chiesto a mamma. Adesso da adulta compresi che effettivamente, Andrew avrebbe avuto il potere di toglierle Joel, soprattutto se mamma fosse andata via da casa. Perché nonostante fosse un uomo violento non c'erano mai stata denunce di violenza domestica, se mamma fosse andata via l'abbandono del tetto coniugale, le avrebbe portato via Joel.
Annuii sospirando e metabolizzando i sentimenti che stavo provando, dopodiché spiegai a Micaela le conseguenze dell'abbandono del tetto coniugale da parte di un coniuge. Le leggi a livello globale erano simili in tutti i paesi, servivano proprio per preservare la parte lesa.
"Ma adesso i tuoi, cioè tua madre e suo marito hanno divorziato?" Chiese Micaela.
Annuii. "Certo, una volta maggiorenne ho denunciato Andrew Davis pubblicamente per molestie domestiche. Ho fatto sì che ci fossero dei testimoni, così ho potuto allontanarlo definitivamente dalla mia famiglia. Ha avuto un ordine restrittivo, non può più avvicinarsi a me o a mamma. Né ai suoi figli di sangue in realtà, a meno che Joel o Samuel non vogliano incontrarlo." Le spiegai.
"Perché lo hai denunciato?" Mi chiese ingenuamente Micaela. "Non pensavo che un matrimonio combinato si potesse denunciare."
Scossi la testa. Giustamente nessuno le aveva raccontato nulla. "In pratica Andrew Davis oltre che un uomo avido e viscido, era anche un uomo violento. Samuel non è figlio di mia madre e tutti noi siamo stati vittime della sua violenza."
Micaela mi fissò inorridita, dopodiché mi abbracciò in lacrime. "Non è giusto. Mi dispiace tanto per voi Diamond."
"Ehi! Vedi che sto bene, anzi stiamo tutti bene." Affermai dolcemente.
"Si, ma non hai mai avuto modo di conoscere l'amore. Avete vissuto nella paura e questo non è giusto." Mi disse. "Ecco perché Joel ha sempre quell'aria malinconica e invece Thomas così battagliera."
Sussultai. Effettivamente i nostri caratteri riflettevano le nostre esperienza. Era possibile che anche io ne ero vittima? Forse per questo non avevo l'ingenuità di Micaela verso l'amore? Ero sfiduciata perché l'unica figura paterna che avevo conosciuto era stata di un uomo violento.
Fino ad allora mi sentivo insoddisfatta della mia vita sentimentale, invece era semplicemente la ritorsione della mia infanzia infelice.
"Grazie Micky." Le dissi abbracciandola. "Adesso però è tutto passato. Io sono qui e noi possiamo trascorrere questo periodo insieme."
"Devi conoscere papà." Mi disse. "Per quanto sia una persona dura e che pretende tanto da noi, sa darci tanto amore e se siamo così sicuri di noi è perché ci ha dato tanto amore." Affermò.
Le credetti. Per quanto Thomas Keller aveva dato a tutti una sorta di sicurezza economica a tutti, ciò che rendeva Micky e Rafael forti era la consapevolezza di essere amati. Anche se cadevano ci sarebbe stato sempre il padre a tendere loro la mano per farli rialzare.
Rafael si era visto smarrito quando aveva avuto i cinquemila dollari. Ma papà anziché punirlo o picchiarlo, come avrebbe fatto Andrew, aveva raccolto i cocci e lo aveva indirizzato verso qualcosa che invece era indicato a Rafe. Il coffee and books! E quando li sentivo parlare a telefono poi, Rafael rideva tanto quando era al telefono con papà. Nonostante la lontananza si sentivano, si volevano bene.
Sospirai. "Non vedo l'ora di conoscere tuo padre."
"Lo chiamerai papà?" Mi chiese Micaela.
"Se lui me lo permetterà." Le dissi.
Restammo a Gallipoli per due settimane. Quel posto era spettacolare e mi piacque molto, il clima mite inoltre ci permetteva di poter fare ancora il bagno. Dopodiché scoprii che ci saremmo spostati con lo yatch della famiglia di Simon per raggiungere la Grecia. Il padre di lui, lo aveva lasciato attraccato a Otranto dopo le sue vacanze proprio per permettere al figlio di partire per il suo anno sabbatico.
Aggiornavo mamma attraverso le mail per qualunque tappa toccassimo. Le raccontai delle bellezze di Otranto nell'ultima mail che le spedii. Poi prima di partire salutammo Dallas che sarebbe tornato negli Stati Uniti.
"Dai Ali, rientra con me." Disse alla sorella.
"Solo se tu non parti. Ti prego Dals." Lo supplicò la ragazza.
Potevo comprendere Dallas, da quando l'avevo conosciuta, avevo capito che come me era un anima in pena, che ancora non sapesse quale fosse il suo posto. La sua unica roccia era il gemello, che però si era arruolato. Le missioni per quanto fossero di pace non erano mai cos'è da prendere alla leggera e potevo capire Alaska, che era preoccupata per il fratello.
Potevo capire anche Dallas che voleva lei rientrasse a Boston. Alla fine infatti, Mary e Philip durante quella vacanza si erano avvicinati. Non sapevo se fossero innamorati, ma ostentavano molto la loro relazione con baci espliciti e carezze audaci. Ah se l'amica di mia sorella avesse saputo che prima di lei il suo ragazzo ci aveva provato con me.
Comprendevo che Alaska non avesse lottato facendosi da parte. Ma io da amica non avrei mai avuto un manifestato apertamente che andavo a letto con un uomo se piaceva alla mia amica.
"Ritirati dall'esercito e torno." Disse Alaska al fratello.
Lui scosse la testa. "Non posso... non voglio." Rispose lui. "Devo mettermi in gioco, voglio capire se posso fare qualcosa solo io. Lo capisci si o no?" Le disse Dallas.
Effettivamente essere il quinto di sei fratelli, di cui quattro di successo, doveva essere un bel peso. Ognuno aveva le sue difficoltà ad inserirsi nella società per avere il suo posto. Alaska doveva lasciare andare Dallas, era l'unica soluzione.
Così nonostante a malincuore, lei lasciò andare il fratello.
Dallas fortunatamente sapeva come prendere la sorella. L'aveva trattata con tanto amore che mi si strinse il cuore a quella vista.
Doveva essere qualcosa di intimo, ma lo avevamo accompagnato tutti all'aeroporto.
"Non tenermi il broncio e divertiti anche per me. Così al mio rientro mi racconterai tutto davanti una buona bistecca argentina." Le disse solleticandola. "Non possiamo lasciarci arrabbiati l'uno con l'altra, siamo una sola anima in due corpi."
"Starai bene?" Gli chiese lei.
"Ho la tua prudenza che mi accompagnerà." La rincuorò. "Tu prendi un po' della mia temerarietà per questa vacanza, goditi la vita, incontra un bel greco e divertiti come farei io." Concluse con un casto bacio sulle labbra.
Lei annuì. "Devi ricordarti che io ci sarò sempre anche se non ti sono vicino."
"Ovunque andrò tu sarai con me, finché starò bene tu lo saprai." Le disse lui.
"Ricordati di non cadere. Se cadi tu, cado anche io." Concluse lei scostandosi dall'abbraccio del fratello.
Dallas ci fissò tutti con il suo splendido sorriso genuino e venne ad abbracciarci. "Ciao ragazzi, è stato bello avere a che fare con voi. Ci rivediamo tra sette mesi a Boston." Ci salutò uno per uno. 
Ricambiammo i suoi saluti e dopo che l'aereo per Boston fu partito andammo al porto dove era pronto lo yatch degli Hoffman. Era uno yatch di piccola portata, un quindici metri e a bordo trovammo il capitano e l'aiuto ad attenderci.
Il capitano ci chiese se avessimo bisogno anche della cuoca, ma noi tutti rifiutammo. Saremmo stati a terra e per il poco tempo di navigazione avremo potuto arrangiarci da soli.
Partimmo in direzione delle isole Ionie, con i nostri tempi e in assoluta calma visitammo Zante, Corfù e Paxos, Leucate, fui affascinata da Itaca l'isola che nei poemi epici dicessero fosse dimora di Odisseo. Fortunatamente non avendo alcun impegno privato o di lavoro tutti noi potevamo dedicarci a quella vacanza, ottobre passò in un lampo solo a visitare le isole. Ma il viaggio ancora non era concluso.
Dopo le isole Ionie ci fermammo sulla penisola greca, lo ammetto richiesi io di fermarci a visitare Sparta, stavo continuando il viaggio di Ulisse e la mia foga venne accolta anche da Micaela e Alaska.
Philip e Mary non sembravano interessati, ma come disse Micaela loro ormai erano talmente concentrati su se stessi da escludere noi altre tre. Visitare Sparta fu come immergersi in un luogo mistico, perso tra realtà moderna e siti antichi quel luogo fu spettacolare.
Ci restammo poco! Philip era più interessato a partire per vantarsi della bravura nel navigare e raggiungere le isole Cicladi, che erano una vera alcova per i giovani turisti, prima però ci toccava passare per Creta.
Chiesi a Mike, l'aiuto marinaio, se era normale portare un panfilo di quindici metri per un ragazzo di diciotto anni. Ero convinta ci volesse la scuola nautica per portare un simile mostro.
Mike effettivamente mi diede conferma che portare delle barche già di più piccola cilindrata richiedeva la patente nautica. Il signorino Philip però era il padrone, quindi quando chiedeva di navigare si obbediva e basta.
Capii che sia Mike che il capitano si rassegnavano a obbedire in quei casi. Io che ero solo ospite non mi mettevo di certo a contraddire. A parte quando acquistavamo da mangiare per tutti e compravamo dei souvenir, grazie al panfilo di Mike non avevamo tante spese.
Così visitammo Creta, l'isola era più grande rispetto le alte e chiese più tempo affinché le visitassimo e ci godessimo le spiagge. Fortunatamente era arrivato novembre e con esso il pienone della stagione turistica di poteva considerare terminato. Così riuscimmo a vedere i siti storici e archeologi in breve tempo, per fortuna di Philip.
"Non andava bene in storia vero?" Sussurrai una volta ad Alaska.
Lei sorrise. "Non era una cima e basta. È riuscito a diplomarsi per merito sportivo." Mi rispose.
Al che risi. Alaska mi piaceva, era delicata e genuina, una giglio in mezzo a un campo di rose, con la sua eleganza spesso si lasciava scorrere le frecciatine di Mary come una grazia e una calma che le invidiavo.
"Solo perché non la do via facilmente, non vuol dire che non troverò un ragazzo. Si pentirà di essersi concessa subito a Philip, anche a scuola le aveva tutte e subito. Non duravano tanto le sue ragazze perché si stancava." Mi raccontò una volta. "Adesso sta durando solo perché siamo in mezzo al mare e Mary è l'unica che lo compiace quando naviga. Prima mi piaceva, ma stando a stretto contatto con lui, ringrazio il cielo che non mi abbia notato." Concluse.
Scoprii anche in quell'occasione che se fossero finiti insieme, Philip e Alaska, alle loro famiglie la cosa sarebbe andata benissimo. Infatti già con sua sorella Adelaide avevano provato una volta ad unire le famiglie, poiché entrambi i padri avevano società nell'ambito della costruzione navale. Non era andata bene con Adelaide e fortunatamente non era andata bene neanche con Alaska, che sicuramente una volta tornati a Boston si sarebbe tenuta lontana da lui. Alaska mi disse anche che non sapeva cosa avrebbe fatto del suo futuro, probabilmente avrebbe aperto una scuola di danza con Micaela, poiché era l'unica cosa che le appassionava entrambe e che forse potevano portare avanti. La scuola superiore che avevano frequentato, dava la possibilità di non doversi laureare. Lei se voleva poteva andare a a lavorare nella società paterna come segretaria, come era accaduto già a sua sorella Brooklyn che adesso era partita per l'Europa.
Avremmo lasciato presto Creta per dirigerci verso Santorini, Philip ormai si era designato come capitano, nelle traversate si faceva aiutare da Mary, quasi lei fosse un navigatore nato. La cosa iniziava a scocciarmi, come anche quel viaggio. Se fossimo state solo noi tre forse mi sarebbe andato bene. Ma con la non compagnia di Simon e Mary stava diventando assurdo. Inoltre eravamo arrivate a metà novembre, se non fossi rientrata presto mi sarei persa il viaggio nel Kleinsten organizzato da Eleonora e Thomas.
Così decisi che sarei tornata a casa dopo Santorini, lo scrissi anche a mamma in una mail, così che fosse pronta al mio rientro.
Avvertii anche Micaela di questo e con sorpresa Alaska si diede d'accordo con me. "Questa vacanza è diventata eccessiva, inoltre i venti che tiravano fino a poche settimane fa erano accettabili, adesso sembrano ingestibili. Rientro anche io." Disse.
"Visitiamo prima Santorini e poi rientriamo?" Propose Micaela.
"No, io passo. Non possiamo neanche più fare il bagno." Disse Alaska. "Rientro, siamo già a metà novembre e a Natale Dallas potrebbe chiamare a casa."
"Allora torniamo e la prossima estate ci torniamo noi tre sole a Santorini." Propose Micaela.
"Ci sto." Dissi sorridendo.
Col computer alla mano cercammo dei voli che partivano da Santorini. Ce n'erano per Londra e per Boston, ad orari diversi. Proposi allora di prenderne uno in contemporanea così ci saremo tenute compagnia. Oppure prenderne uno per Londra e da lì farle partire per Boston.
Micaela accettò questa proposta, così avrebbe avuto modo di passare a salutare Rafael e Alaska fu concorde.
Prima che spegnessi il computer ricevetti infine una mail di risposta di mia madre, mi chiedeva quando sarei arrivata a Santorini, voleva raggiungermi così da lì saremo andate a Monaco da Joel. Mi scrisse anche che mi avrebbe portato una valigia di abiti più pesanti per il cambio di temperature.
"Sii andiamo a Monaco." Urlò Micaela eccitata.
"Io potrei passare a Zurigo dove ora vive Brooke." Rispose felice anche Alaska.
Guardai le due. "Annullate i biglietti. Vado a chiedere a Mike fra quanti giorni arriviamo a Santorini, vi rendete conto? Mia madre non ha mai messo piede fuori dalla Gran Bretagna e adesso arriva a Santorini."

I venti continuavano a soffiare forti durante la traversata da Creta a Santorini, la situazione stava diventando abbastanza pesante, poiché il vento ci rallentava. Avevo avvertito mamma che avremmo attraccato il ventuno novembre al porto di Athinios, ma ormai ci credevo poco. Avrei dovuto avvertirla, soprattutto per non farla preoccupare che ci sarebbe stato un ritardo.
Il capitano ci aveva detto che i venti in quella zona erano normali, inoltre avvertì che più si andava incontro all'inverno, più le raffiche e il mare grosso diventavano una consuetudine.
"C'è un motivo se è chiamata stagione bassa." Disse.
Il problema comunque non era il capitano, lui le tempeste a cui eravamo andate incontro sapeva gestirle. Il problema era Philip. Quando si impuntava che doveva navigare, era un problema. Fortunatamente quella storia sarebbe finita una volta attraccate a Santorini.
Separarsi da Philip era un'esigenza ormai. Fortunatamente durante quella tempesta Mary si rifiutò di farle da secondino.
"Lasci capitano. Dirigo io la nave." Disse Philip. "La sentite l'adrenalina di dover affrontare questa tempesta?" Chiese a tutte noi.
"In realtà sento la tua avventatezza. Lascia che sia il capitano con Mike a portarci ad Athinios." Gli dissi.
"No no! Faccio io. Siamo vicini e sono in grado di portarvi fino a Santorini. Inoltre in questo periodo non c'è nessuno al porto, abbiamo via libera."
"Signorino Philip, non è il caso. Il vento è capriccioso e ci sono le mareggiate." Gli disse il capitano tenendo lo sguardo dinanzi a te e facendo forza sul timone dello yacht.
"Paolo sono io a comandare e decidere qui. Ti dico che devi lasciare a me il timone." Disse lui.
Sbottai! Decisamente Philip era più capriccioso del vento greco.
"Mi dispiace signorino ma non posso. Non con questo vento, ho la responsabilità di tutti voi e sono il capitano." Rispose fermo l'uomo.
"Ah si! La mettiamo così." Disse lui facendo dei passi avanti verso il capitano. "Sei licenziato, da questo momento non abbiamo bisogno di te." Gli disse afferrandolo per il collo della camicia.
Restai sorpresa. Aveva appena licenziato il capitano nel bel mezzo di una tempesta.
"Signorino Philip..." disse il capitano.
"Ti ho detto di levarti." Gli urlò contro strattonandolo. "Mary mi raggiungi al comando?" Chiese poi alla ragazza.
"Non so Philip. Sembra pericoloso." Rispose lei.
"Pericoloso ed eccitante, affrontiamo la tempesta e la vinciamo." Diceva esaltato.
Era pazzo! Pazzo! Mi strinsi nel mio salvagente di salvataggio e guardai il capitano che si rialzava e andava verso la radio. "Deve cominciare che mi ha destituito." Disse a Philip.
Lui rise sguaiatamente. "Il capitano Paolo Rossi è stato destituito dal suo incarico. Non voleva farmi navigare contro la tempesta e l'ho licenziato, sulla mia barca il padrone sono io e comando io, non lui." Urlò esaltato. "Se Paolo ancora mi contraddice lo butterò fuori dalla nave per ammutinamento, come facevano i pirati."
"Oh assurdo. Ci sono delle onde gigantesche Simon." Urlai aggrappandomi al mio posto accanto a Micaela e Alaska.
"Ti prego sta zitta! Non hai un minimo di coraggio, non hai voluto scopare con me, ricordi. Mi hai detto: sono più grande di te Philip." Mi scimmiottò.
Quel bastardo! Aveva confessato a tutti di quando aveva provato a sedurmi. "Sei stato con lei Simon? Mentre eravamo insieme?" Urlò Mary.
"No patatina! È stato prima di te, non ti tradirei mai." La rassicurò lui lasciando andare il timone.
"Signorino tenga il timone." Lo richiamò il capitano Paolo.
Io e le altre ci sentimmo sollevare dal pavimento in un attimo. La prua doveva essersi sollevata dalle acque.
"Simon. Passa il timone al comandante!" Ordinò Alaska mentre con un tonfo venivamo sballottate a destra e sinistra.
"Sapete nuotare tutte, vero?" Chiese il capitano raggiungendoci.
Annuimmo. "Proteggetevi a vicenda. Se la situazione si mette male prenderemo la barca di salvataggio." Ci disse.
Trasalii, speravo non si arrivasse a quel tipo di situazione. Anche se le premesse non c'erano. Ormai Philip non ragionava più e lo yatch era allo sbando.
"Ho detto a Mike di tenermi aggiornato sul signorino e lo sta assistendo. Noi andiamo verso poppa, più vicino al galleggiante siamo, meglio è!" Disse.
"Non voglio lasciare Philip." Si lagnò Mary.
Il capitano fece per parlare, ma ormai stanca intervenni io. "Certo non lo vuoi lasciare. Ci tieni alla tua vita? Se non lo lasci stai sicura che quella la perderai." Le dissi indicandole la strada. "Adesso andiamo." Ordinai.
Attesi che ci pensasse su. Poi mi passò davanti e si incamminò con Alaska e Micaela. La seguii a chiudere la fila c'era il capitano.
Una volta arrivati a poppa notai che Paolo aveva con sé un walkie talkie con chi stava cominciando con Mike, non aveva completamente abbandonato Philip. Inoltre quando staccava parlava con altri, forse il primo porto disponibile, per comunicare le nostre ultime coordinate. Aggiornava sulla potenza del vento e del mare, di quanto fossero alte le onde. Ero decisamente spaventata, strinsi la mano a Micaela. Non volevo perderla, non adesso che eravamo insieme.
Un tonfo, un rumore assordante e tornai alla realtà. Un salto mi spostò da una parete all'altra.
-Capitano abbiamo colpito qualcosa.- Lo avvertì Mike.
L'uomo bestemmiò nel tipico accento italiano. "Raggiungetemi, prendiamo il gommone." Disse. "E fagli mettere quel cazzo di salvagente." Concluse chiudendo la comunicazione.
Sorrisi sentendo gli sproloqui che lanciò in italiano verso Philip. Il capitano pensava forse che non lo capissimo, ma io parlavo l'italiano e anche Micaela, era madrelingua. Potevo affermare che concordavo con Paolo! Philip era un coglione figlio di papà e i suoi soldi poteva metterseli a quel posto.
Quando arrivammo a poppa il capitano Paolo iniziò a istruirci. Saremo salire sul gommone, oltre al salvagente dovevamo anche alloggiare la corda che ci avrebbe tenute legate al gommone in caso di sbalzi, dovevamo mantenere la calma e la posizione. Non erano ammessi isterismi, ne saremo usciti per bene.
Dopodiché salì sul gommone e mi invitò a seguirlo. Tenni Micaela per mano e con quella libera afferrai la cintura che mi porgeva Paolo, me la allacciai intorno la vita poi passai l'estremità a Micky che fece altrettanto. La assistetti e le strinsi la corda, fui io stessa infatti a passare il lembo ad Alaska seduta accanto alla migliore amica.
"Assicurati sia ben salda." Le dissi urlando sul vento e sulle onde intanto che Mary veniva a sedersi vicino a Micaela strappando la cintura dalle mani di Alaska.
"Faccio prima io! Non voglio morire." Disse in lacrime.
"Non morirai Mary." La rassicurò Alaska aiutandola con la cintura. Si sedette accanto a lei e prendendo il lembo si allacciò lei stessa.
Quando fummo pronte Paolo iniziò a slacciare le funi, un po' per volta, andava piano e nel frattempo sentiva aggiornamenti da Mike.
"Stanno arrivando." Ci disse.
Appena arrivarono e presero Paolo lasciò andare l'ultima fune. "Fate come me." Disse strinse le mani intorno alle maniglie del gonfiabile.
Facemmo come lui, tenendoci saldi al gommone. Ci allontanammo dallo yacht e potemmo vedere che la prua si era rivoltata su un lato. Le onde però erano alte e dovevamo allontanarci da lì se non volevamo schiantarci sulla nave.
"Rema Mike, rema." Ordinò Paolo passando un remo al suo marinaio.
Io lo aiutai con la mano ma lui mi ammonì. "Resta stretta. Non lasciare mai il gommone." Mi ordinò.
Obbedii tornando al mia posto composta. Io e Micky ci guardammo, le urla e i pianti di Mary non si sopportavano.
"Philip! Phil stammi vicino." Piangeva.
"Calmati Mary. Per favore." Le diceva Alaska.
"Non ce la faccio... lo so che a te va bene. Vuoi stare con lui... lo hai sempre voluto e adesso lo hai tutto per te." Urlava tra sputo di acqua e l'altro.
"Veramente Alaska?" Chiese compiaciuto Philip.
Che stronzo, stava pensando a mettersi in mostra con le ragazze dopo il disastro che aveva fatto.
"Ma anche no. Vieni, passa di qua." Disse Alaska a Mary.
"Non alzarti." Le urlò Paolo.
"Si scambiano di posto." Disse Mary. "Devo stare io con Phil." Urlò isterica.
"Non muoverti Alaska." Le chiesi.
"È un attimo." Disse lei staccandosi la cintura. "Muoviti Philip." Disse mentre un'ennesima onda ci faceva saltare altrove.
"No Ali! Ti prego non farlo." La implorò Micaela.
Eravamo tutti lì a dirle di restare al suo posto.
Ma Mary accanto a lei e Philip che le carezzò la coscia le fecero decidere di prendere il posto di Philip.
"No! Non ce la faccio con sti due." Ci disse alzandosi, cauta restò con una mano fissa intorno alle maniche del gommone.
Trattenemmo il fiato. "Muoviti Philip." Ordinò mentre ancora il gommone sbandava, il corpo di lei si spostava avanti e indietro, ma resisteva. "Muoviti!" Gli urlò.
Al che lui obbedì si stacco e scivolò sul sedile dove era stata lei dandole una pacca sul sedere. Ma che stronzo! Ormai avevo deciso che lo odiavo.
Dopo che se ne era andato Alaska subito scivolò accanto a Mike e sorridendoci rilassava afferrò la cintura per allacciarla.
Un'altra onda ci crollò addosso, Alaska si sollevò dalla sua postazione, fu spinta fuori dal gommone. Mike a fianco a lei riuscì ad afferrarla.
"Aiuto..." urlò prima di affogare. Mike la teneva mentre Alaska annaspava. "Aiuto..."
"Tienimi la mano. Ti tiro su." Disse Mike tenendosi verso di lei e dandole una spinta.
"Fatti forza Alaska." Urlò Micaela.
Non resistevo più, non potevo stare a guardare. Feci per slacciarmi la cintura ma una nuova onda si riservò su di noi. Quando il canotto si ristabilì di Mike e Alaska non c'era più ombra.
"Alaska!" Urlò Micaela. "Alaska!!!"

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


DIAMOND
Londra - Estate 2014
Da quando Eleonora e Tom erano rientrati dal Kleinsten avvertivo che tra di loro le cose erano cambiate.
Dovevo ammettere che erano stati abbastanza discreti da tenere ben nascosta la loro relazione. In quei tre mesi la nostra convivenza era rimasta con la stessa.
Eleonora si occupava di Cristal tra una lezione e l'altra. Intanto Thomas si occupava della T- consulting e della neonata BK - consulting. Spesso era fuori anche più del dovuto e raramente riuscivo a incontrarlo semmai mi gettavo sui libri per un esame. L'unica che realmente lo vedeva era Eleonora, era lei che aggiornava me e mamma dei progressi della BK oppure il motivo per cui il mio fratellone era così ostinato con le sedi della T- consulting che non fossero KCG.
Fu così che io e mamma scoprimmo dell'eredità di Thomas. Al compimento dei trent'anni sarebbe diventato il CEO delle sedi europee della KCG. Era un traguardo per lui, però ovviamente per raggiungerlo doveva lavorare e farsi valere.
In compenso, come ci aveva informate Eleonora, dopo l'approvazione del mutuo Tom si era anche mobilitato per la ristrutturazione della villetta degli Smith.
"Gli ho consigliato di chiudere il piano di sopra, o quello di sotto." Ci disse. "Ristruttura tutto, ma effettivamente saremo noi due e la bambina in una casa grande. Chiudere un piano e non arredarlo, per ora, sarebbe la soluzione più pratica."
Alle volte Eleonora mi sorprendeva con i suoi pensieri pratici. Sembrava che in lei persistevano due personalità. Quella dolce, sensibile e sognatrice che riservava tutta su Cristal. La seconda, quella pratica, pragmatica e calcolatrice. La riservava in momenti come quelli, dopo aver valutato pro e contro di una situazione. Come me nonostante non ne fosse appassionata, era portata per i numeri. Eravamo gli opposti fisicamente parlando noi due. Castana con riflessi ramati Eleonora, bionda io. Particolari occhi verdi tendenti al dorato lei, i miei erano invece neri come la pece.
Ero alta, almeno dieci centimetri più di Eleonora, il suo seno era probabilmente meno prosperoso del mio, eppure era bellissima.
Mio fratello giustamente ne era rimasto incantato. Avevano fatto dei progressi, lo sapevo e me lo sentivo, anche se non lo davano a vedere.
Mamma diceva che la sera, quando rientrava dalle sue serate in compagnia di Mark, li trovava sempre a chiacchierare.
Ovviamente c'erano le sere in cui ultimamente Thomas non c'era. Galvanizzato dalla società con Gabriel e desideroso di sollevare la T- consulting di Manchester e Aberdeen, aveva organizzato dei viaggi verso la Scozia e la vicina Manchester, per cui alcune notti dormiva fuori.
Avevano un obbiettivo lui e Gabriel e sicuramente lo avrebbero portato a termine. Ma
Tom aveva anche qualcosa di più importante.
Lui aveva Eleonora, per quanto lo nascondessero era palese che ormai erano amanti. Se solo fino a pochi mesi prima non si toccavano, adesso ogni occasione era buona per sfiorarsi, si cercavano con lo sguardo rendendo quello che già avevano come qualcosa di unico.
"Tuo fratello mi ricorda molto tuo padre." Mi disse una volta mamma.
"Ma non per i colori, giusto?" Chiesi.
"No, non in senso fisico. Ha lo stesso atteggiamento che tuo padre aveva con me. Quello sguardo così innamorato lo riconoscerei ovunque." Rispose.
"È palese che la ama. Ma credo ancora non lo abbia capito." Le dissi divertita. "Tu invece non hai quello sguardo con Mark e neanche lui." Dissi alla mamma.
Invidiavo Thomas? Si tanto, ma ancora di più Eleonora. Lei la invidiavo ancora di più.
Avere a fianco un uomo che la amava e la rispettava e sicuramente tra i due c'era una grossa affinità fisica.
A differenza di mamma, che non mi sembrava avesse quell'affinità con Mark Grunge.
"Siamo solo amici." Mi disse.
Non sapevo se crederle o meno, eppure mamma era rifiorita. Forse per il caffè che stava restaurando con Rafael, forse per Mark. Non seppi dirlo, ma era raggiante.
"Ti tratta bene quando lo fate?" Le chiesi preoccupata per lei.
Mamma mi guardò scandalizzata. "Diamond Ariel Davis!" Mi apostrofò. "Quando mai ti ho insegnato a parlare così."
"Oh mamma non scandalizzarti." Le dissi. "State insieme, è pur sempre normale."
"Abbiamo capito che tenerci compagnia ci basta. Non ce la giusta attrazione." Mi disse. "Ci abbiamo anche provato, dopo la seconda volta abbiamo rinunciato."
"Fin quando ti rispetta, a me lui sta bene." Le dissi.
Sospirando mamma mi baciò la fronte. "Mi rispetta, tanto basta. Tu invece? Mi dici cos'hai?" Mi chiese.
Ero insoddisfatta, la mia vita mi sembrava a senso unico. Ma non credevo fosse così palese la mia espressione. "Niente. Solo che... hai detto a papà che sono sua figlia?" Buttai lì.
"Mi hai detto di aspettare la laurea e prima che me lo chiedi neanche Joel e Tom lo hanno fatto." Mi disse. "Gli ho fatto giurare di non dire niente.
"Quindi non lo ha scoperto." Affermai dubbiosa intanto che Samuel entrava dalla porta d'ingresso seguito a ruota da Rafael.
Avevano qualcosa con se, non seppi cosa. Però ero sicura che non sarebbe stato un mistero, almeno non per molto ancora.
"Siamo a casa." Disse Samuel.
"Ehi mamma Sapphire." Sospirò Rafael sedendosi accanto a mamma, tirò fuori dalla sua borsa dei drappi di stoffa color pastello e li espose davanti a noi. "Scegli. Samuel dice che delle tende dai toni delicati ci stanno bene come decorazioni alle pareti. Dove non c'è la carta da pararti." Ci disse.
Sapevo come stava venendo il caffè e ad istinto quello bene con fiori rosa antico mi piacque.
"Direi di escludere il verde e l'azzurro." Rispose mamma.
"Questo." Dissi io indicando quello che mi piaceva. Mamma ci teneva tanto a quel posto e io volevo che fosse splendido nella sua semplicità e che avesse successo.
"Perfetto!" Affermò Rafael rivolgendosi a Samuel. "Te l'avevo detto che avrebbero scelto questo."
L'altro sorrise e tirò invece fuori due album. "Ok dai, scegliamo le stampe da muro e le cornici. Poi saremo pronti per l'inaugurazione." Ci disse sfogliando un album.
"Dimmi un po' Rafael." Buttai lì sfogliando l'album delle cornici.
"Spara!" Mi disse il mio fratellastro venendo ad abbracciarmi. Ci conoscevamo da poco meno di due anni ed avevamo legato subito.
"Hai detto a tuo padre di me?" Gli chiesi spiccia. Non mi piaceva girare intorno le cose.
"No, a Natale abbiamo parlato di tutto tranne di Londra. L'unica volta che è stata menzionata era per il bar." Mi disse.
"Perché volevi aprirlo?" Gli chiese Samuel curioso, forse contento che papà disapprovasse i suoi figli come Andrew faceva con lui.
"No, no. Perché lui ha acquistato i palazzi e ha voluto che riaprissi il coffee and book." Rispose Rafe. "Non è cosa mia in pratica." Le dissi. "Puoi capire l'ansia, spero che abbia successo."
Sam assentì. "Verrà all'inaugurazione?"
Ebbi un tuffo al cuore. Lo avrei conosciuto? "No! Papà non mette piede a Londra, credo sia un puntiglio che abbia preso anni fa." Rispose Rafael.
Esalai un respiro abbracciandolo. Se nessuno aveva parlato, come faceva papà a sapere di me?
"Ehi piccola..." Samuel richiamò la mia attenzione. "Cosa succede? Sei emozionata per l'apertura?"
Scossi la testa. "Sinceramente?" Dissi. "Siete tutti così realizzati e soddisfatti che un po' vi invidio." Ammisi.
"Anche tu hai un posto nel bar, lo sai vero?" Disse Rafael.
"Lo so! Ma non è questo che voglio. Poi al bar ci siete già, tu, Sam e Isaak." Affermai.
"Devi fare ciò che ti fa stare bene. Difendere il prossimo ti da soddisfazione, quindi sai cosa fare." Mi disse Rafe.
"Ci vogliono ancora due anni prima che mi laurei." Affermai.
"Struttali. Non devi per forza di cosa fare l'avvocato per procedere in ciò che ti piace." Mi disse Rafael.
Quasi comprendesse come mi sentivo, era sempre così con lui. Cercai il suo sguardo. "Cosa intendi?" Gli chiesi.
"Samuel mi ha raccontale di come hai smascherato suo padre al tuo diciannovesimo anno." Mi disse. "Tu e tua madre non siete state le uniche e se ti fa piacere io ho tremila dollari da investire."
Lo fissai. Potevo aprire un centro di accoglienza per le donne che subivano abusi. "Io ne ho cinque mila." Ammisi. "Li ho da quasi due anni."
"Cinquemila dollari?" Chiese mia madre. "Da dove li hai presi."
Rafael fece spallucce. "È un investimento." Disse a mamma. "Papà lo sa da tanto se ti ha mandato quei soldi. Io e te ancora non ci conoscevamo due anni fa." Affermò lui.
Aveva ragione! A quello non avevo pensato. Fissai mamma, non avevo niente in comune con i Keller, a parte gli occhi. Ma questo papà non poteva saperlo.
"Chi glielo ha detto?" Chiesi a mamma.
"Non lo so. Ma sarò pronta ad appoggiarti e sostenerti anche io se decidi di usare i soldi a sfondo benefico." Mi disse indicando i quadri che aveva scelto a Samuel.
Le passai l'album delle cornici e mi alzai guardando Rafael. "Vieni con me a documentarci?" Gli chiesi. Non sapevo come papà avesse scoperto di me, però avrei sfruttato come meglio credevo quei soldi.
Era quello il mio tarlo, per questo ero irrequieta. Quei soldi erano fermi in quella busta della mia stanza da quasi due anni. Troppo tempo per come ero fatta io.
Quando fui sola con Rafael tornai sull'argomento. "Come fa a saperlo. Inoltre se lo sapeva perché non ha chiesto anche a me di avere il suo nome?" Chiesi a Rafael.
Sapeva quanto ci fossi rimasta male a sapere che Thomas sarebbe diventato un Keller. Se papà lo sapeva, perché non lo aveva chiesto anche a me di diventare una Keller? "Immagini: Diamond Ariel Keller." Gli dissi. "Suona bene."
Rafe mi stoppò. "Aspetta, il tuo secondo nome è Ariel?" Mi chiese.
Sorrisi. "Come la Sirenetta."
Rafael scosse la testa. "Ma anche no! Ariel era uno degli arcangeli secondo alcune tradizioni. Ariel il leone di Dio." Annunciò mio fratello. "Ecco come faceva a saperlo Di!"
Ero sorpresa. "Ma come avrebbe potuto conoscere il mio nome per intero?" Chiesi.
Rafael fece spallucce. "Papà non viene a Londra da anni Di! Ma ha le sue conoscenze. I Robinson per esempio sono amici suoi, ogni anno si vedono e passano un po' di tempo insieme." Mi spiegò Rafael. "Se è riuscito ad avviare la pratica di adozione di Thomas da così lontano, non gli sarà risultato difficile scoprire il tuo nome." Affermò. "Poi non è difficile collegare... cioè Uriel, Ariel... tua madre ha molta fantasia con i nomi."
Lo fissai minacciosa. "Michael, Gabriel, Rafael, Uriel, Ariel, Chamael, Raziel, Jeremiel... finiscono tutti con el. Non essere sciocco." Gli dissi incrociando le braccia al petto.
Lui mi sorrise e come sempre riuscì a mettermi di buon umore. Se non fosse stato mio fratello avrei potuto benissimo innamorarmi di Rafael. Era dolce, sensibile e gentile. Non che gli altri non lo fossero, ma Thomas era molto autoritario anche se non lo credeva, era proprio caratteriale questa sua peculiarità. Joel invece lasciava correre! Rafael era una via di mezzo tra i due. Samuel infine mi viziava, troppo. Ecco lui era fin troppo clemente, non solo come me. Con tutti, a cominciare da suo padre.
Non so quando aveva iniziato a chiamarlo 'mio padre' e non nostro padre. Ma non volevo indagare e fare domande per non ferirlo.
Quando appurai che per aprire una fondazione benefica ci volevano almeno tre soci chiesi a mia madre di partecipare. Era stata lei stessa a dire che ci avrebbe aiutato con piacere in quell'impresa. Da quando poi Thomas aveva investito sulle proprietà degli Ashely Cooper, mamma aveva un bel gruzzolo, sarebbe stata un finanziatore molto più grande di me e Rafael messi insieme.
A metà giugno, Rafael e Isaak inaugurarono il coffee and books 2.0! Era una riapertura e aveva uno slogan bellissimo.
-Non perdere la speranza di volare con la fantasia. Leggi un bel libro con un dolce momento di golosità!- sapevo che lo slogan lo aveva pensato e scritto Rafael di getto. Ero orgogliosa di lui, ma anche di Isaak che per la zona bar aveva fatto proprio un mini angolo ristorazione.
Se sul lato davanti del locale infatti c'erano dei tavolini allineati con delle librerie, per dare tempo si un te o un caffè con dolcetti. Oltre la cucina si erano stesi per un altro luogo di ritrovo. Per pochi tavolini, la portata era di venti piccoli. Lo stile dell'arredamento era sempre classico, sui toni panna e beje, le pareti erano sempre per una parte pitturati, tono su tono, beige. Per l'altra parte c'erano invece la carta da parati, simil dorata, con dei richiami di fiori beige. Le lampade erano moderne, scendevano lungo il perimetro con lampadine giganti dalla luce rilassante. Lungo le pareti anche qui si trovavano dei libri, al fine di rendere i pranzi e le cene un momento di relax e riposo. Per scelta non c'erano radio o televisioni nel locale. Solo in un angolo un grammofono era libero di suonare della musica da camera soft.
Auguravo il meglio ai miei due fratelli. Sorprendendomi poco prima del taglio del nastro Rafael ricevette una telefonata. Parlava spigliato e faceva battute. Rideva! Non avevo mai visto Rafael ridere così tanto, pensavo fosse nervoso e invece era quello più tranquillo di tutti.
"Sarà una ragazza." Sbuffò Isaak.
"Almeno non è nervoso come te." Gli disse mamma che accanto a Molly e Sean attendeva che Rafael si liberasse per il taglio del nastro, il parroco per la benedizione e il sindaco erano arrivati, c'era Mark che accompagnava mamma, Tom con Eleonora e la piccola Cristal, Joel e Samuel e a gran sorpresa una bella ragazza dalla pelle olivastra, i capelli e gli occhi neri. Presumevo fosse lei la ragazza di Rafael data la confidenza, ma forse mi sbagliavo.
"Siamo pronti?" Chiese il sindaco.
Rafael annuì inerendo le air pods, passò il cellulare a Joel e prese le forbici.
"Prontissimi." Disse prendendo a braccetto Isaak.
Era ancora in linea col suo interlocutore a quanto pareva. Le porte si aprirono e con la benedizione del parroco Rafael e Isaak tagliarono il nastro col sindaco di Londra.
Il coffee and book 1.0 era ufficialmente aperto.
Rafael sospirò e prima che la gente gli fosse addosso riprese il telefono.
"Grazie papà! Era importante per me, almeno questa..." Disse divertito.
Poi aggiunse altre parole che non capii. "È la lingua degli aborigeni australiani. Non sono tante parole che dice, lo fa perché sa che alla nonna fa piacere sentirle." Mi informò la ragazza sconosciuta che aveva notato la mia sorpresa.
"Sta parlando con la nonna?" Le chiesi.
"Si." Disse Rafael raggiungendoci. "Papà è andato fino in Australia per partecipare via WhatsApp all'inaugurazione. La nonna Coco non si muove da Sidney, dovesse cadere il cielo lei da li non si muove. Vero nonnini?" Disse facendomi vedere il monitor. Una donna di colore, con rughe espressive e capelli castani bianchi spuntava dallo schermo, al suo fianco c'era un uomo dai tratti decisamente orientali, forse era un cinese o un filippino. "Salve nonni." Li salutai e loro ricambiarono con lo stesso sorriso di Rafael. "Adesso ho capito perché rideva tanto."
"A quello ci pensa papà. Quando si mette è un burlone." Disse divertito Rafe. "Adesso vi saluto, raggiungo Isaak dai nostri ospiti. Grazie nonni, dite a papà che lo richiamo quando è finita e gli racconto tutto." Concluse prendendo la mano della ragazza accanto a me. "Vieni andiamo a ricevere gli ospiti." Le disse.
Scuotendo la testa lei sorrise. "Resto con loro." Affermò prendendomi a braccetto. "Abbiamo gli stessi occhi." Concluse eccitata.
Lui ride. "Si! Siete sceme uguali." Disse andandosene tra la gente a servire i vari avventori. 
La mora gli fece la linguaccia per poi dare un pizzico a Joel. "Ci presenti tu? Mi fai conoscere tua madre?" Gli chiese curiosa.
Mio fratello sbuffò. "Di ti presento Micaela Keller, Mic, lei è Diamond... Mia sorella."
"Si fa per dire." Esclamò lei eccitata. "Diventeremo amiche vero Didì?" Mi chiese.
La fissai attentamente, quella ragazza era Micaela, mia sorella minore. "Dio sei tu! Ma sei bellissima." Le dissi stringendola forte.
Le indicai mamma e Mark che parlavano con Ebony e Drake. "Mamma è la minuta donna bionda."
Micaela seguì il mio sguardo fissando mamma nel suo bel tailleur azzurro, i capelli biondi raccolti elegantemente e un trucco leggero. Non era sfarzosa, ma con la sua semplicità catturava l'attenzione di tutti intorno a sé.
"Wow! È splendida. Papà me ne ha parlato tanto e annesso sono emozionata." Disse afferrando Joel per il braccio.
"Calmati ti prego Mic." Le disse mio fratello. "Continua così e non ti presenterò a lei."
Micaela fece una smorfia. "Me la presenterei eccome. Altrimenti mi arrabbio."
"I tuoi capricci non aiuteranno." Le disse Joel.
Io seguivo la scena sorpresa, Joel sempre mite  e condiscendete teneva testa a Micaela.
Li fissai fino a quando non venni chiamata proprio da mamma.
"Tesoro parlavo con il sindaco dell'associazione che vuoi aprire." Mi disse quando la raggiunsi. Al che inizia a spiegare un po' come volevo gestire l'associazione e di cosa si sarebbe occupata. Ero eccitata per il mio progetto e contenta che mi ascoltassero.
Dopo avermi fatto domande e dato informazioni il sindaco ci lasciò per raggiungere alcuni suoi accompagnatori. Eccitata abbracciai la mamma. "Sarà un successone."  Mi disse orgogliosa, dopodiché mi indicò Joel e mia sorella. "Non pensavo Joel si portasse la ragazza dietro. Non pensavo ne avesse una in realtà." Mi disse.
"Non è la sua ragazza." Le risposi. "Lei è..."
"La sua ragazza fidati!" Mi disse mamma. "E se ancora non lo è manca poco."
"Ehi mamma Sapphire!" Arrivò trafelato Rafe. "Che ti pare? Sta andando." Affermò eccitato.
Lei annuì. "È stato un successo. Vedo tanti avventori alle piccole biblioteche lungo i corridoi."
Rafe era contento. "Vuoi conoscere mia sorella? È venuta dagli states per potermi essere vicina."
Mamma sospirò sorpresa. "Certo, sarei  contenta.  È venuta con sua madre?"
Incerto il sorriso di Rafael svanì. Entrambe eravamo sorprese dal suo cambiamento brusco.
"Mamma non c'è più... cioè..." balbettò Rafael.
Dovevo dire a mamma che Micaela era venuta da sola. "Ho conosciuto Micaela, è la ragazza con Joel."
Mamma ancora più sorpresa ci guardò annuendo e senza parlare fece un gesto di avviarsi dai due a Rafael.
Lui ingoiò il groppo. "Non chiedete a Mik di sua madre per favore."
Adesso Rafe stava esagerando. Per quanto madre e figlia potessero aver litigato a me, Micaela non sembrava una persona cui non si poteva nominare la madre. "Neanche chiederle come stanno i genitori?" Ironizzai.
Ma Rafe non parve approvare la mia battuta che scuro in volto mi fissò. "Mik non ha mai conosciuto sua madre. Lei ci ha lasciati mettendola al mondo."
Sia io che mamma ci fermammo sul posto. Mamma sbiancò a quella notizia sconvolgente, era incredula.
"Ho... ho... scusatemi." Disse andando verso il bar. La vidi prendere un bicchiere di acqua  e buttarlo giù in un solo sorso.
Ebony e Molly la raggiunsero vedendola in quello stato.
"Non parlerò di sua madre. Dio! Mi dispiace tanto per lei." Affermai.
Rafe annuì. "Diciamo che lei ne ha risentito meno di tutti. È stato più traumatico per papà che ha dovuto farle da entrambi i genitori." Mi disse indicandola. "È venuta su bene  anche da sola. Ha carattere e non si fa mettere i piedi in testa."
"Anche tu sei così." Gli dissi abbracciandolo. "No, lei è tosta. Abituata ad avere tutto quando papà ha iniziato a darle delle regole ha dovuto lottare e farsi valere per ottenere ciò che voleva. Vuoi fare danza? Impegnati diventa la migliore e lo farai? Vuoi fare un vestito firmato? Sudatelo, lavora e poi con i tuoi guadagni compralo." Mi spiegò. "Papà è fatto così, vorrebbe che tutti noi non ci adagiassimo sul benestare della nostra famiglia. Vuole che tutti noi troviamo la nostra strada con le nostre sole forze. Micaela è stata cresciuta da lui e ha dovuto imparare presto, Gabriel stessa cosa. Io sono stato più fortunato perché quando mamma è morta, papà mi ha mandato dai nonni a Sidney." Continuò. "Sono un codardo! Ho deciso di studiare a Londra perché sapevo che lui non metteva piede qui. Papà mi ama, ama tutti noi. Eppure ho paura che con le mie scelte lo sto deludendo."
Lo ascoltavo affascinata. Era la prima volta che Rafael si apriva così tanto e parlava tanto della sua famiglia, dell'altra mia famiglia. Quella che non avevo mai conosciuto.
"Perché dovrebbe? Ti ha lasciato queste posto, significa che ha fiducia in te." Gli dissi invitandolo a sedersi in un angolo appartato.
"Me lo ha lasciato perché ho sperperato duemila dollari in libro. Sai i cinquemila di cui ti ho parlato..." disse scrollando le spalle.
"Si ma una parte di quei soldi li metterai nella fondazione. Non sperperi, investi in ciò che ami fare." Gli dissi.
Probabilmente stavo sbagliando, non dovevo aprire l'associazione. "Dovresti dire a tuo padre che stai aprendo un'associazione benefica."
"Assolutamente no!" Disse subito. "Dopo si insinuerebbe anche lui. In quel caso entrerebbero anche bei soldi. Poi però, non sarebbe qualcosa di nostro." Mi disse risoluto.
"Il motivo per cui non lo dico a Thomas." Affermai.
"Non dovrai dirlo neanche a Micaela. Tra un anno compirà 18 anni e sicuramente papà darà anche a lei i cinquemila. Se sa della fondazione vorrebbe partecipare e non posso permetterlo. Siamo noi due Di."
Ero interdetta! Micaela era sua sorella e la stava escludendo. "Non vuoi fare questa cosa con tua sorella?" Gli chiesi.
"Certo che la voglio." Disse lui. "Ma non con quella sorella. Diamond io e te non siamo cresciuti insieme, questo è un modo per aver qualcosa di nostro, non so se mi capisci."
Ero emozionata alle sue parole. Certo che lo capivo. Impulsivamente lo abbracciai. "Ti capisco. Non vedo l'ora di fare questa cosa insieme e senza dire nulla a Tom."
"Si giusto." Disse lui.
"Ah Joel sta presentando Micaela a mamma..." disse indicandomi un punto.
Mamma sembrava tornata quella di sempre e parlava tranquillamente con la coppia. "Stanno insieme? Chiesi.
"No. Joel non si è ancora accorto di ciò che prova, lei ha una cotta sicuro. Ma è talmente ingenua che ancora non ha metabolizzato." Mi disse. "Poi c'è da contare papà. Joel ammira tanto papà, ho tante foto di quando eravamo piccoli e Joel era sempre in braccio a papà. Credo che ci sia un rapporto filiale tra loro che va al di là del legame di sangue."
Annuii. "Si, a casa percepiamo tanto questo suo legame a papà. Probabilmente è riuscito a dargli più amore Thomas di Andrew."
"Vengono da questa parte." Mi disse Rafael con un sorriso. "Abbiamo fatto tavolini da due al fine di non disturbare la clientela dalla lettura. Un assembramento non sarebbe l'ideale." Scherzò Rafael mentre ci raggiungevano.
Micaela andò a mettersi vicino a lui dandogli un bacio sulla guancia. "Lady Cooper dice che posso dormire da loro durante la mia permanenza. Dice che anche tu dormi a casa loro!"
Rafe fece una smorfia. "Non sempre, però si." Rispose. "Questo vuol dire che stanotte qualcuno non dormirà da solo." Propose col suo solito savoir faire. Probabilmente non voleva dare fastidio alla mamma per questo lo disse.
"Oh si!" Esultò Micaela sbattendo le mani. "Trovo che sia una splendida idea." Annunciò guardandomi. "Possiamo dormire insieme, ho sempre desiderato dormire con..." concluse trattenendosi.
Oh Dio! Voleva dormire con me e io! Io stavo arrivando solo in quel momento alla conclusione che ancora non avevo legato realmente con mia sorella. Avevo sempre voluto una sorella ed ora era di fronte a me, chiedendomi semplicemente la stessa cosa che io non avevo. "Dormiamo insieme." Dissi eccitata.
Passammo la notte insieme a chiacchierare. Non dormimmo, lei mi raccontò della sua vita a Boston, di come spesso si sentiva soffocare poiché era amata si, ma viveva in una bolla di sapone. Circondata da papà, dal nonno e dai fratelli che volevano saperla al sicuro. L'unica presenza femminile fino ad allora era stata con gli amici, Alaska Thompson era la sua migliore amica.  A casa sua c'era un aria leggera e tranquilla, proprio come da loro. Ma si sentiva forte la presenza della mamma di Ali, come la chiamava lei, e delle sue due sorelle adesso sposate.
"C'è equità! Un papà e una mamma, tre fratelli e tre sorelle. Papà ha Denise, ma ci ha rivelato che è solo una compagnia, nulla di serio." Mi confidò.
Al che le dissi che anche io mi sentivo come lei. Samuel più si avvicinava all'idea di sorella, ma solo per via delle confidenze che potevo fargli. Tutto il resto era uguale, protettivo con me e con la mamma, sempre in allerta. Inoltre le dissi che anche per mamma, Mark era una compagnia. Più piacevole sicuramente rispetto al primo marito, ma solo una compagnia.
Sia io che Micaela ci chiedemmo se ci sarebbe mai stata una seconda occasione per i nostri genitori, anche se ci promettemmo che adesso che ci eravamo trovate avremo mantenuto tra di noi un bel legame.
Mik rimase con noi fino agli esami di fine anno di Rafael, aiutò lui e Isaak al bar e con l'appartamento al piano di sopra dove i due sarebbero andati a vivere.
Quando partì, direzione Firenze dove papà aveva una casa di proprietà, ci lasciammo i numeri di telefono.
"Avverti papà che prima di incontrarlo voglio realizzarmi. Quindi prima mi laureerò, poi vi raggiungerò ovunque voi sarete." Le promisi.

Mi ci misi d'impegno! Nello studio e nell'associazione. Mamma come promesso ci fece da terzo socio, con una quota cospicua per giunta. Si era data disponibile anche come testimonial in quanto vittima di abusi da parte di Andrew. A Natale di quello stesso anno, la women's smile aprì ufficialmente la sua attività con un'asta benefica.
Avevo colto l'occasione quando Eleonora mi aveva chiesto di prendere dalla vecchia casa Smith tutto ciò di cui avevo bisogno per l'associazione. Vedendo dei quadri e dei candelabri l'idea dell'asta venne da sé.
Anche mamma offrì dei quadri da casa di cui da tempo voleva sbarazzarsi e i nonni ci mandarono dei cimeli dalla Scozia e dal palazzetto nel Surray.
Fu un gran successo, un evento di Natale a cui parteciparono tutti con piacere. In quell'occasione Thomas si presentò all'evento in compagnia di Eleonora. In un attimo le loro foto iniziarono a comparire ovunque. Erano in pratica stati definiti una tra le coppie più belle e invidiate della Gran Bretagna, al pari di William e Kate, lo stesso lo eravamo diventati io e Rafael dal momento che nessuno a Londra conosceva il nostro legame fraterno. Ovunque andavamo mi facevo accompagnare da lui, i ragazzi con cui uscivo erano così sfuggevoli che nessuno poteva seguirmi agli eventi. Stessa cosa dicasi delle ragazze di Rafael. Flirtava un po' con tutte, soprattutto al bar, ma erano sciocchezza.
Il tempo trascorreva e con esso un nuovo anno. Nel febbraio del 2015 Thomas ed Eleonora lasciarono casa di mamma per trasferirsi alla vecchia, non più, casa Smith. Adesso quella era la casa di Thomas Uriel Keller, quindi casa loro. La ristrutturazione era finita e l'abitazione era irriconoscibile. Se all'esterno era sempre in stile classico, dentro tutto cambiava.
Samuel aveva arredato casa in stile classico moderno, con tonalità pastello e mobili in ciliegio. Qualche pezzo di antiquariato dava un tocco di classe qua e là. Anche la cucina era moderna, larga, spaziosa e luminosa.
La casa si apriva con un open space, che dava modo agli ospiti di venire accolti. La camera che prevedeva le scale che portavano al piano superiore, era stata adibita a ufficio, dopo le scale c'erano la sala da pranzo, un bagno e la cucina. Sul lato opposto un altro bagno e tre camere da letto. Così le stanze del piano di sopra, sempre con la stessa struttura non venivano toccate. Era tutto chiuso e le finestre avevano le ante in legno semi aperte giusto per far entrare un po' di luce. Segno che col tempo un'impresa di pulizia avrebbe comunque rinfrescato anche quel piano. Infine c'era la mansarda, mai usata neanche dagli Smith e che Tom aveva deciso di usare come ripostiglio per il momento.
Senza Tom, Eleonora e la bambina che iniziava a sgambettare e chiacchierare per casa, improvvisamente il palazzetto in cui abitavamo sembrò troppo grande per tutti noi. Mamma stava prendendo in considerazione l'idea di spostarsi nella sua casa a Richmond, così anche Hannah si sarebbe stancata di meno con le pulizie.
Tom però propose di ristrutturare anche il palazzetto ed eventualmente se Samuel diceva che era fattibile tirarne fuori più di un appartamento, così un domani ognuno di noi avrebbe avuto una casa per se.
Effettivamente era una bella proposta, ma dal momento che quella restava casa dei nonni, mamma doveva chiedere a loro il permesso. A differenza di Richmond che aveva avuto per eredità diretta da sua nonna Gwendolyn. Era diventato un bed and breakfast molto raffinato, ma avrebbe sempre potuto usufruire di una stanza sua in quel luogo.
"Comunque è una soluzione anche solo per dare modo a Samuel di ristrutturare le mura di questa casa." Dissero Thomas e Joel.
Effettivamente loro non avevano problemi. In fondo avevano ognuno una casa, chi a Londra e chi a Monaco.
Sorprendendoci i nonni ci diedero il loro benestare per ristrutturare il palazzetto e poterlo anche dividere per quattro.
"Ma io non ne ho diritto." Affermò Samuel sorprendendo tutti noi.
Mamma non parlò, al io ribattei. "Ne hai diritto tanto quanto noi." Gli dissi.
Lui sospirò. "Siamo sinceri, abbiamo un'età in cui le storie che ci raccontavano da piccoli non possono più essere credute." Ci disse.
Al che mamma intervenne. "Sei figlio di Andrew. Al momento non hai proprietà purtroppo, l'unica proprietà è quella dove vive tuo padre. Quindi tu avrai una parte di questo palazzetto come gli altri, perché io lo voglio." Affermò.
"Non posso accettare." Disse lui.
"Samuel ti abbiamo voluto con noi, sapevo che crescendoti mi saresti stato figlio, che avessimo o meno lo stesso sangue. Tu e Joel siete fratelli." Affermò.
"Si certo! Ho visto come mi ha voluto papà." Disse per una volta con tono cinico mio San. Non era da lui usare quel tono.
"Forse non hai capito." Intervenne ancora mamma. "Ti abbiamo voluto noi! Io e Thomas Keller e tua nonna Elisabeth." Rivelò lasciandoci sorpresi.
Perché a cosa mi sorprendevo sentendo delle cose fatte da mamma e papà insieme.
"Sei seria?" Esclamò Samuel. "E quando lo avreste deciso? Voi due non vi parlate da anni." Affermò.
"Ti prego Sam non offendere la tua intelligenza." Disse mamma indicandomi. "Non si fanno figli stando in due parti diverse del mondo."
"Oh... oh!" Affermò Samuel.
E io risi. "Quindi è deciso, questa sarà casa tua, quanto mia e di tutti noi altri." Gli dissi.
Ci eravamo trasferiti. Io ero andata a stare da Rafael e Isaak, stavano abbastanza tranquilli avendo entrambi bisogno di studiare in vista della laurea. Samuel era andato a stare invece dal cugino di Gabriel, Edgar e il suo compagno George, Eddy in pratica doveva essere anche un mio cugino. Ma non conoscendolo o avendo confidenza non riuscivo a dargli quel titolo.
Mamma non era andata a Richmond, Tom si era offerto di ospitare lei e Hannah dal momento che per andare a Richmond avrebbero dovuto lasciare Londra.
"Qui hai la tua vita e i tuoi amici." Le disse. "Dal momento che Hannah già viene da noi, potresti farlo anche tu." Propose.
Cosi ci eravamo separati. Mi ero impegnata al massimo negli studi insieme a Rafael. Per l'occasione passai tutta l'estate a studiare, avevo la tesi a settembre e non volevo farmi cogliere impreparata.
Non come Eleonora, quando Crystal ormai grande le aveva tolto il timer dell'anello vaginale ed ora c'era il rischio che fosse incinta.

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***



ELEONORA
Quell'anno era trascorso velocemente, mi ero diplomata alla royal con un anno di ritardo per via del mio fermo e dei viaggi che avevo eseguito con Thomas e Cristal.
Da quando al mio ventunesimo compleanno, Thomas aveva trovato un escamotage per rendermi la libertà di muovermi in Austria e i soldi che gli Ashler volevano portarmi via, ero diventata anche una moglie fittizia e un'amante reale.
Avremmo dovuto divorziare già da un po'. Quando dopo aver risolto con la mia eredità avevo avvertito Tom che potevamo annullare il matrimonio, lui mi aveva semplicemente risposto che essendo amanti non potevamo annullare. Vivevamo sotto lo stesso tetto, addirittura quando gli avevo detto che dovevamo procedere con il divorzio mi aveva dato la stessa motivazione per non farlo.
"Viviamo sotto lo stesso tetto. Troverebbero la motivazione non valida... anche perché abbiamo una vita sessuale molto attiva." Disse.
"Ma loro non lo sanno." Affermai io.
"Ma lo penseranno! Viviamo insieme." Disse.
Così tra una scusa e l'altra eravamo ancora spostati. Amanti, molto amanti. Non ci saziavamo mai l'uno dell'altra, inoltre nonostante non avessi più bisogno di quel lavoro io restavo.
Restavo per lui, per Kristal, per me stessa.
La mia bambina, perché per me questo era Kristal, avrebbe compiuto tre anni a meno di un mese. Saremmo partiti per la Francia e avrebbe festeggiato col suo cuginetto che invece li aveva compiuti a inizio mese. Poi al nostro rientro avremmo festeggiato anche con Sapphire e il resto della famiglia.
Il problema con Cristal era che crescendo aveva imparato ad essere indipendente e prepotente.  Camminava, anzi no, correva sgusciando via e sparendo, combinando un guaio dopo l'altro. Se quando era ancora piccola la viziavo e la coccolavo, di comune accordo con Tom avevamo deciso che se c'era da sgridarla, bisognava farlo. Dovevamo tenere il pugno soprattutto quando metteva il muso e faceva gli occhi dolci. Ma se non volevano che ci sfuggisse di mano quella era la soluzione per crescerla. A viziarla bastavano i nonni e Hannah.
Mi ero accorta della sua ultima malefatta troppo tardi purtroppo o per mia pura distrazione. Come sempre ogni mese avevo la sveglia che mi ricordava quando mettere e togliere l'anello vaginale. Tra la casa, la bambina, le lezioni di pianoforte che avevo racimolato  e aiutare Tom anche in banca e azienda, mi adagiavo molto sulla mia app del calendario mestruale.
Era lei ad avvertirmi quando togliere l'anello e quando rimetterlo.
Kristal aveva resettato tutti i miei dati mentre vedeva un episodio di masha e orso su you tube dall'ufficio.
"Me n'ero accorta tardi, troppo abituata all'avviso del giorno prima che mi diceva di inserirlo. Era stato grazie a Diamond se me l'ero ricordata, prevedeva un viaggio post laurea e un anticoncezionale sicuro e senza troppo impegno e voleva chiedermi dell'anello.
Era stato allora che avevo ricordato che quel mese non lo avevo tolto, o forse si quando mi era venuto il ciclo. Ma mi era venuto?
Non lo sapevo, sapevo solo che ero entrata in crisi. Non avevo previsto una gravidanza nella mia giovane vita, ma ero sempre stata regolare avevo iniziato a prendere l'anticoncezionale a sedici anni perché avevo il ciclo poco regolare e con flussi spaventosi. Ne ero diventata dipendente, mi ero adagiata sul fatto che fossi protetta e basta, come che intorno alla metà del mese avevo il ciclo e andava via dopo quattro giorni di flusso abbondante.
Memore che avessi il ciclo sempre a metà mese controllai il calendario.
Diamond mi diceva di stare tranquilla, ma non ci riuscivo. Però avrei dovuto. Così respirai e le raccontai come funzionava l'anello. Le dissi anche che se si segnava le date e aggiungeva l'applicazione apposita, come avevo fatto io, avrebbe avuto sotto controllo tutte le volte che doveva toglierlo e metterlo.
"Assicurati che tua nipote non prendi in mano il cellulare e sei a posto." Le dissi cercando di ironizzare.
Quando Diamond se ne andò, la prima cosa che feci, fu chiamare il mio ginecologo a Chelsea. Lo informai della permanenza dell'anello ancora nella vagina e lui mi invitò a toglierlo e fare un test di gravidanza in caso avessi avuto rapporti, lui comunque mi avrebbe fatto un prelievo.
In caso? Io e Tom avevamo sempre rapporti e da quando eravamo andati a vivere a Kensington, ci eravamo sentiti liberi di poterlo fare come e quando volevamo una volta che Cristal dormiva. Ci eravamo dati una calmata solo quando Hannah e Sapphire ci avevano raggiunto a casa nostra. 
Sbuffando rimasi col medico che ci saremmo visti l'indomani per una visita, intanto io avrei fatto un test di gravidanza.
Attesi che la piccola si svegliasse dal sonnellino pomeridiano e quando fu sveglia la preparai per uscire.
"Non devi giocare col mio cellulare Cris. Mi cancelli le cose." Le dissi passeggiando mano nella mano.
"No gioco! Io guardo Masha..." mi disse.
"E giochi." Le dissi.
Lei sollevò le braccine. "Nooo."
Impossibile stare a discutere. Dovevo trovare un modo per bloccarla e non darle più il cellulare era una buona soluzione.
In farmacia presi non uno bensì due test di gravidanza, dei cerotti per bambini e assecondando i capricci di Cristal delle vitamine a caramelle.
Quando tornammo a casa trovai Tom già pronto a preparare la tavola.
"Ehi! Sei arrivato presto." Gli dissi togliendo la giacchetta a Kristal.
"Papà!" Urlò intanto la piccola volando tra le braccia del padre.
"Piccola peste." La strinse lui baciandola.
"No! Io sono Angelo." Gli rispose.
Tom sospirò. "La nonna è in cucina con Hannah. Se ti da un dolcino non mangi le caramelle, intesi?" Le disse serio.
Posate le giacche e la borsa lo raggiunsi fissandoli. Cristal aveva il broncio, io presi le caramelle dalla confezione e le poggiai sul tavolo.
"Ne prenderai una solo dopo cena." Dissi osservando un pacchetto al centro tavola. "E questo?" Chiesi a Tom.
Lui fece spallucce. "La soluzione ai nostri problemi. È un Clempad, tablet per bambini. Così quando venite in ufficio vedrà da li i suoi cartoni." Mi disse.
"Masha e orso." Urlò Cristal.
"Principessa." Salutò Sapphire raggiungendoci.
"Nonna."
"Andiamo a lavarci le mani così ceniamo?" Disse Sapphire.
"Siiii." Esultò la bambina andando via con lei.
Seguii la scena fin quando non fui sola con Thomas. "Diamond ti ha detto tutto?" Chiesi.
"A parte!" Disse lui. "La settimana scorsa ha tolto un app anche dal mio cellulare e se la mettiamo ai computer va a finire che ci fa saltare il sistema."
"Sono un po' titubante a lasciarle un dispositivo. Dovremo darle delle limitazioni però." Gli dissi.
"Ovviamente. Resta comunque una bambina di tre anni e dovrebbe fare tante attività che non implicano Masha e orso." Mi disse fissandomi.
Ingoiai il groppo. "Dopo faccio un test di gravidanza e domani sarò a Chelsea dal ginecologo per rimettere tutto in circolo."
"Scusami, avrei dovuto aiutarti anche io. Il test perché devi farlo?" Mi chiese.
Gli sorrisi. Togliere e mettermi l'anello era diventato uno dei giochi erotici preferiti di Thomas, effettivamente quel mese non lo avevo incluso in quell'attività che ormai era diventata sua peculiarità. "Il dottore ha detto di farlo se ho avuto un po' di vita sessuale."
Alzò le mani. "Libera di gestire la tua vita sessuale come vuoi. Sappi che ho comprato anche dei preservativi." Mi disse.
Eccolo previdente come sempre. "Spero che servono." Lui annuì guardando verso la direzione dei bagni.
"Vediamo dopo cena, così ne parliamo con calma." Mi disse intanto che Cristal ci raggiungeva con Sapphire.
"A lavare le mani nona!" Mi ordinò repentina in tedesco con l'appellativo francese che mi dava da quando aveva iniziato a chiamarmi ancora bebé .
Io risi. "So benissimo cosa devo fare signorina." Le risposi nello stesso tono.
Ci mettemmo a tavolo includendo nella conversazione tedesca anche Sapphire e Hannah che nel suo piccolo cercava di seguirci. Ora più che mai Cristal assorbiva come come una spugna ogni nostra parola, i gesti e le spiegazioni. Di comune accordo con Tomas avevo addirittura iniziato a parlarle in francese e lui in italiano, quando mi raggiungeva a pianoforte inoltre non la allontanava e le facevo vedere come suonavo e seguivo il suo modo di fare musica. Era una costante nella sua vita imparare da tutto ciò che noi facevamo, la sua curiosità era molto attenta.
A fine cena andammo a farle il bagnetto e quando tornammo Sapphire e Hannah ci diedero la buonanotte ritirandosi nelle stanze aperte per loro al piano di sopra.
Portata Cristal a letto la coprii per bene mentre il padre prese a leggerle una favola, le diedi un bacio e lasciai i due da soli uscendo dalla camera.
Intorno era tutto silenzioso, sentivo il mio respiro, presi il test di gravidanza e andai in bagno a farlo. Dopodiché lo lasciai a riposare per i fatidici quindici minuti.
Uscii fuori e mi diressi al pianoforte che presi a suonare con un adagio. Conoscevo le note a memoria, non c'era bisogno dello spartito.
Quando aprii gli occhi Tom era di fronte a me, il decanter che gli oscillava tra le mani, il secondo appoggiato sul piano.
Gli sorrisi. "Lo hai fatto?" Mi chiese.
Annuii continuando a suonare. "Questa cosa non ti va giù." Disse ancora.
Sospirai. "Non era programmata."
"Partiamo dal presupposto che sia successo." Mi disse lui. "Lo vorresti il bambino?" Chiese spiccio.
Impossibile che per Thomas non ci fossero filtri, andava sempre diritto al punto. "Non è questo. Amo i bambini, amo Cristal come se fosse mia." Gli dissi, erano i presupposti sbagliati. Un figlio lo si voleva per amore e noi eravamo solo amanti.
"Qual è il problema allora?" Mi chiese Tom.
"Lo sappiamo entrambi!" Gli dissi. "Siamo cresciuti in un collegio per motivi simili." Affermai.
Mi ero sempre promessa che un mio figlio non avrebbe mai avuto il mio stesso trattamento. Che sarebbe stato amato! Preferivo non averne che dare a mio figlio il tormento che avevo avuto io da piccola. Ancora adesso a ventitré anni soffrivo per la solitudine che la mia situazione familiare aveva creato. Avevo tanti zii, si. E avevo dei cugini e anche un fratello.
Ma non ero mai stata amata come un genitore dovrebbe amare la figlia. Mia madre mi aveva amato tanto, ma il tempo che c'era stato assegnato era stato breve.
Avevo sentito la sua mancanza e pianto per la sua morte, l'abbraccio di consolazione delle zie non erano stato però gli stessi che mi aveva dato mamma.
Era il motivo per cui davo tutta me stessa a Cristal. Non volevo che sentisse la mancanza della sua mamma, che crudamente era venuta a mancare. 
Thomas posò il suo decanter e venne a prendermi, lo sentii avvolgermi tra le braccia. "Noi non siamo i nostri genitori Eleonora." Mi disse. "Per quanto noi siamo cresciuti senza padre, noi non siamo loro e le nostre situazioni non sono le stesse." Mi disse stringendomi e guardandomi fisso negli occhi. "Mia madre è stata ricattata e anche tuo padre sotto certi punti di vista, le loro erano situazioni diverse dalle nostre. Tuo padre ti ha scritto una lettera dove ti ha detto che ti ha amata e ti chiedeva scusa per non esserci stato." Chinai lo sguardo, le sue parole stavano entrandomi nell'anima, calde lacrime scivolarono sulle mie guance. "Lo so, è una magra consolazione la sua lettera. Però Eleonora noi non siamo i nostri genitori. Ma se non vuoi tenere il bambino ti capirò. Non ti forzerò, non lo feci con Vanessa all'epoca e non lo farò adesso con te. È una scelta tua, per questo quindi non ti dirò cosa provo in merito. Però Eleonora non negarti questa cosa adesso o fra anni, solo perché hai come monito tuo padre." Mi disse lasciandomi le spalle e asciugandomi il viso. "Non ti dirò come mio padre, perché lui nel bene nel male per me c'è stato. Per quanto sia stato assurdo e per quanto sia stato forse anomalo lui c'è stato. È stato una presenza costante per me e anche per Joel che lo reputa più padre dell'uomo che lo ha concepito." Concluse allontanandosi. "Adesso se vuoi ti lascio sola con i tuoi pensieri oppure con il tuo esito. Ma ti prego non tenermi fuori da tutta questa storia qualsiasi decisione tu prenderai."
Sussultai. Mi avrebbe lasciata sola con l'esito? Lo fissai, noi eravamo una squadra.
Avevamo deciso che avremmo fatto tutto insieme, qualsiasi scelta e qualsiasi decisione. Mentre adesso stava dicendomi che andava, che mi avrebbe lasciata al mio destino. Ovvio non mi abbandonava, anzi voleva essere incluso nelle mie scelte. Ma se non l'avessi fermato ero sicura che mi avrebbe lasciata da sola. Non ero in grado di andare a vedere da sola quale sarebbe stato l'esito della mia vita. Aveva però ragione su una cosa! Io non ero mio padre. Io non avrei mai potuto lasciare mio figlio in un collegio se tra me e Tom le cose sarebbero finite. No! Io sarei andata avanti col nostro bambino ovunque comunque.
"Perché non vieni con me a vedere il test?" Gli chiesi prima che andasse.
Thomas annuì. "Se mi vuoi ci sarò."
Gli presi la mano e lo trascinai con me in bagno. I quindici minuti erano passati da un po' , agitata accesi la luce indicandogli il blister appoggiato sul ripiano. "È quello, il dottore ha detto che mi farà anche un prelievo." Lo informai.
"Vedrai che starai bene." Mi disse incoraggiandomi.
Andai al lavabo e presi il blister, due strisce lievi si vedevano appena. "Che risultato è?" Mi chiese Tom.
"Una striscia è negativo." Sussurrai. "Ci sono due strisce, ma si vedono appena."
"Probabilmente..." iniziò Tom. "Abbiamo avuto rapporti che eri nel periodo più fertile e non lo sapevamo."
Lo guardai accigliata. "Noi abbiamo sempre rapporti." Gli dissi incrociando le braccia al petto.  "Sei insaziabile."
Mi sentii afferrare e baciare il collo. "Normale amministrazione per un uomo di quasi ventinove anni." Disse prendendo a carezzarmi la schiena.
"Lo stai rifacendo." Sussurrai tra un gemito e l'altro.
"Cosa?" Chiese facendo scorrere le mani sotto la camicetta, lungo la pelle nuda. Tremai di puro piacere.
"Distrarmi... sedurmi..." risposi prendendogli la testa con entrambi le mani e cercando il suo sguardo.
"Tu con me lo fai solo respirando." Rispose poco prima che lo baciassi.
Thomas rispose al mio bacio creandosi un varco con la lingua per potermi baciare con passione. Io mi avvinghiai a lui, che di peso uscì dal bagno.
Dio! Dopo due anni ancora riusciva ad accendermi con poco, non mi stancavo mai dei suoi baci e delle sue carezze. Quando non c'era per lavoro mi sentivo come un'orfana lasciata a se stessa. Ma quando c'era tutto intorno a me prendeva vita.
"I preservativi..." sussurrò a fior di labbra.
"Lascia stare." Gli dissi io. Avevo deciso, che fossi o meno incinta ero pronta ad una gravidanza. Ad avere un figlio, era l'unico uomo dal quale volevo una famiglia. Perché volente o nolente, potevo nasconderlo a tutti ma non a me stessa. Io amavo Thomas. 
Il mattino dopo fummo accolte da due donne raggianti. Sapphire aveva un sorriso che la illuminava tutta, arrivava agli occhi. Anche Hannah sorrideva mentre mi passava il succo d'arancia.
"Desideri qualcosa cara?" Mi chiese premurosa.
La fissai scettica. "N-no, nulla." Pensai guardando tutti preoccupata. Poi un ricordo mi passò per la mente. "Siete andate nel bagno?" Chiesi alzandomi di scatto.
"Quello di servizio, come sempre." Disse Hannah.
"Io... io devo andare." Dissi rapida andando verso il bagno padronale del piano di sotto.
"Nona anch'io!!!" Mi chiamò Cristal.
"Ti accompagna papà a fare la pipì tesoro." Le disse però Tom prendendo la figlia, doveva aver capito la mia urgenza perché scappò con Cristal nel bagno di servizio.
Entrai nel bagno padronale trafelata. Il blister del test di gravidanza era ancora poggiato sullo stesso ripiano della sera precedente. Lo presi, con l'involucro e la confezione e misi tutto nella busta della farmacia. Poi lo deposi nel mobile sperando che Hannah non andasse a curiosare. Le dicevo sempre che pensavo io alle pulizie della casa, ma da quando si erano trasferite era sempre lì a cucinare e pulire.
Sapphire aveva detto che sarebbe stato scortese non aiutar il suo aiuto e che poteva cercarsi un altro lavoro se mi intestardivo. Così lasciavo correre! Ma quella volta non doveva toccare nulla, così decisi di mettere il test nascosto tra gli asciugamani puliti. Sicuramente non lo avrebbe trovato.
Quando uscii erano tutti a tavolo a chiacchierare divertiti grazie a Cristal che teneva banco.
Mi accomodai e presi la mia spremuta sperando di essere quanto più naturale possibile.
"Mamma io ed Eleonora siamo fuori a sistemare le ultime cose per il viaggio in Normandia. Non è che potresti darci uno sguardo a Cristal in nostra assenza?" Chiese Thomas.
"Certo tesoro. Fate pure con calma, tutto ciò che avete da fare." Rispose lei.
"Mamma..." sussurrò Tom. "Hai conosciuto un uomo? Ti sei rimessa con Mark?" Chiese.
Effettivamente il suo buon umore te poteva dipendere da quello.
"Assolutamente no! Però sono felice." Disse tirandosi su e togliendo le sue stoviglie. "Hai sentito Cristal, oggi staremo insieme tutto il giorno."
"Io voglio nona." Si lamentò lei.
"Nona e papà hanno da fare." Intervenne Hannah. "Non essere una bimba capricciosa forza."
"Dopo ti portiamo a vedere gli animali, vuoi?"  Chiese Sapphire e anche Cristal si illuminò.
Nella tarda mattinata Tom mi accompagnò a Chelsea per incontrare il dottore Sanders. Gli avevo detto che potevo fare da sola, ma era stato irremovibile.
Arrivati lì Sanders ci accolse sereno. Mi fece per prima cosa il prelievo, dopodiché diede la fiala col sangue alla sua infermiera mentre mi cambiavo e mettevo il camice sterilizzato.
"Controlla la BetaHCG Rebecca." Le disse per poi rivolgersi a noi.
Sanders era un medico di circa quarant'anni con i capelli brizzolati e uno sguardo rassicurante sempre in viso. Mi fece domande sul mio ciclo, come sempre e quando avevo presumibilmente usato correttamente l'anello. Gli risposi con tutte le domande cui sapevo rispondere.
Ricordavo di aver tolto e messo l'anello il mese prima, era il gioco preferito di Thomas e ogni volta ricordavo sempre quello che mi faceva per metterlo.
"E ieri non lo hai tolto come ti ho detto a telefono, giusto?" Mi chiese ancora. Annuii. "Dai conteggi che avevo io sono pressapoco quaranta giorni che hai l'anello. Stenditi che vediamo un po' cosa c'è lì sotto." Mi disse mentre prendevo posto sul lettino e a gambe aperte aspettavo che mi visitasse.
Sanders mise i guanti in lattice e procedette a togliermi l'anello, nel farlo si massaggiò il pollice con l'indice e il medio. "Il tuo utero è burroso. Significa che si sta preparando." Mi disse gentilmente allontanandosi. "Rivestiti, non c'è bisogno dell'ecografia. Non ancora almeno, sarebbe troppo presto." Mi disse andando a sedersi. "Con le analisi posso darvi un periodo approssimativo della gravidanza."
Disse guardando ora me, ora Thomas. "Prendevi l'anticoncezionale per regolare il ciclo, una gravidanza era comunque nelle tue previsioni?" Mi chiese.
Io infilai la gonna e annuii. "Non era in programma, ma non la si butta via." Risposi tranquilla.
"Benissimo." Disse il medico studiando la mia cartella clinica. "Ti segno delle analisi da fare e ti indico le vitamine che devi iniziare a prendere per la gravidanza. Intanto rispondi a queste mie domande..." iniziò e io paziente iniziai a rispondere a tutte le domande.

THOMAS
Diamond mi chiamò in ufficio preoccupata per Eleonora. L'aveva lasciata che era molto scossa, dopo avere scoperto di non aver tolto l'anello vaginale in quel periodo. Non sapevo cosa questo comportava fin quando non chiamai il nostro medico di famiglia. Fu così che scoprii ci poteva essere la possibilità che Eleonora fosse incinta. Dopo questa scoperta non ero riuscito più a concentrarmi sul lavoro.
Eleonora incinta. Avevo provato sentimenti contrastanti! Da una parte l'idea di diventare di nuovo padre e di Eleonora per giunta, mi aveva esaltato.
Dall'altro lato invece la paura che l'incubo vissuto con Vanessa, potesse tornare. Quattro anni prima avevo chiesto a Vanessa di eliminare la gravidanza se non si sentiva pronta ad affrontare. Lei per perseguire il piano dei genitori di incastrarmi, aveva perseverato e nonostante i suoi problemi depressivi era andata avanti. Le conseguenze però dopo la nascita di Cristal erano state disastrose, dopo mesi di depressione post parto, Vanessa si era uccisa.
Se fosse capitato una cosa del genere con Eleonora non avrei retto. Lo sapevo già, con lei tutto era diverso da Vanessa o da chiunque altra. Eleonora era la mia metà, con lei mi piaceva iniziare le mie giornate e arrivane alla giusta conclusione. Con lei tutto era giusto.
Non ero infatti deluso o arrabbiato all'idea che potesse essere incinta. Con lei avrei fatto anche più di un figlio.
Eravamo in fondo sposati, anche se in quei due anni ero staro io a dover mettere a tacere le richieste di separazione portate avanti da Eleonora. Era mia moglie in tutti i sensi e accanto a me era nel posto giusto. Divorziare era un'opzione che non accettavo, non quando la nostra famiglia andava bene così.
O forse no! La nostra famiglia poteva andare bene anche con un figlio nostro. Un fratello o una sorella per Cristal. Sarebbe stata felice anche lei se la sua nona le avesse dato un fratellino.
Probabilmente era stato voluto per mia figlia cancellare proprio quell'applicazione. Sembrava casuale che lo avesse fatto, eppure stranamente a me aveva cancellato l'applicazione dove monitoravo i miei investimenti personali, l'unica che controllavo anche una volta rientrato in casa e che le toglieva le mie attenzioni. Che fosse stato un caso se, dopo di me, anche per Eleonora la bambina aveva tolto proprio l'app più utile e importante?
Non seppi dirlo. Però dovevo risolvere quella situazione, tornare a casa e dare modo a Eleonora di dirmi come stava, cosa provava e sentiva e cosa volesse fare.
Quando dopo cena compresi che il suo tarlo era il rapporto che non aveva avuto con il padre, le ricordai che noi non eravamo i nostri genitori. Non le dissi che l'idea di diventare padre di nostro figlio mi esaltava e mi rendeva molto più umile di tante altre situazioni che affrontavo. Le dissi che era lei a dover scegliere della sua vita, qualsiasi scelta io volevo restarle accanto. Perché senza di lei la luce che mi circondava lo sapevo poteva sparire in un attimo.
Fortunatamente accolse la mia richiesta di non fare le cose da sola. Insieme scoprimmo che il test di gravidanza era probabilmente positivo.
Cercai di non farle pesare la cosa baciandola e poi andando a letto insieme. Dopo aver fatto l'amore fui irremovibile.
"Vengo con te dal dottore domani. Voglio esserci." Le dissi.
Titubante aveva fatto una smorfia per poi assecondarmi. "Va bene."
Dio se era bella e se la amavo. Quella situazione mi piaceva sempre di più. E quando il giorno dopo disse al medico, che aveva confermato la gravidanza, che il bambino sarebbe nato, tocco il cielo con un dito.
Nonostante ciò ero comunque spaventato dalla reazione di Eleonora alla gravidanza. Se anche lei avesse sofferto post partum? E se il problema di tutto ciò ero io che non sapevo prendermi cura della mia compagna?
Tanti dubbi si erano presentati alla mia porta con quella notizia. Non per il bambino, assolutamente. Lo avevo voluto da subito, poi era nostro. Mio e di Eleonora e lo rendeva tanto speciale. Con lei ero pronto a tutto, tranne a rivelarle il mio peggior incubo.
Non volevo che parlandone con mia moglie, avrei potuto alimentare in qualche modo il suo inconscio.
Mia moglie! Quella donna era mia moglie e probabilmente era il caso di ufficializzare la cosa anche in famiglia. Per quanto lei avesse voluto nascondere a mamma del matrimonio, in previsione della separazione, erano passati più di due anni ed era giusto soprattutto con l'arrivo del bambino dire a mamma e Diamond, tutto.
Per questo sulla via di casa mi costò accettare la proposta di Eleonora.
"Probabilmente tua madre e Hannah hanno visto il test di gravidanza questa mattina." Mi disse. "Oppure Diamond ha parlato con tua madre della mia situazione. Possono essere tante cose." Affermò
"Quindi?" Le chiesi iniziando a immaginare il suo bel cervello che arrancava scuse.
"Partiamo, poi diamo loro la notizia." Disse sicura.
"Perché vuoi partire prima?" Le chiesi.
"Hai visto questa mattina Hannah? E l'hai vista con la madre surrogata di Samuel?" Mi chiese.
Certo che si! Da quando aveva deciso di avere un figlio e avvalersi della fecondazione assistita, Samuel aveva preso in casa una ragazza che gli portasse avanti la gravidanza. Era uno stress dovevo ammetterlo. Hannah preparava ogni giorni dei manicaretti da portare alla ragazza: è così magra! Questa era la scusa.
Poi c'erano in successione: siediti e riposa, non faticare. Non prendere Cristal in braccio è un peso e cose varie come questa. La povera Caroline appena sentiva la voce di Hannah scappava a rifugiarsi in camera ormai ed era solo al terzo mese di gravidanza.
"Non vorrei mi dicessero di non partire. Ci tengo ad esserci e giuro sarò prudente con Cristal e Adam e..." Disse eccitata. "Potremo dire lì a Cris del fratellino, così sarebbe un momento tutto nostro." Concluse.
Questa si che era un'idea che mi piaceva molto. Aveva vinto.
"E Joel? Lui ci raggiunge in Normandia." Le chiesi, sarebbe stato difficile mantenere il segreto con Joel e Gabriel.
Eleonora mi sorrise. "Gli chiederemo di farci da padrino."
Restai piacevolmente sorpreso alla sua affermazione. Quello! Quello e tanti altri erano i motivi per cui la amavo. "Io ti a..." iniziai per poi zittirmi, stavo per lasciarmi andare e non potevo permettermelo. "Io ti ringrazio. Tu mi capisci sempre, non ci avevo neanche pensato. Ma mi farebbe enorme piacere chiedere a Joel questa cosa." Le dissi correggendomi.
Arrivammo a casa con mamma che stava leggendo una storia a Cristal. Mia figlia come sempre fermava ogni frase per chiedere cosa significasse una parola e mamma paziente si fermava e le spiegava.
Come promesso ad Eleonora non dicemmo niente. Al contrario iniziammo a parlare del prossimo viaggio.
Eleonora mostrò a mia madre il vestito che avevamo preso per il compleanno di Cristal che quando lo vide iniziò a gridare.
"Principessa... principessa! Sarò una principessa." Urlò saltellando.
Eleonora mi guardò sorniona. Mi aveva avvertito che il vestito in chiffon color pervinca sarebbe piaciuto tanto a mia figlia. Non immaginavo così tanto però.
"Il suo sogno è essere una principessa." Mi disse.
"Prima o poi le dirai che tu lo sei veramente?" Le chiesi.
Lei rise. E ogni volta era un tuffo al cuore. "Adesso lo metto in camera." Disse a mia figlia. "Domani prepariamo le valige?"
"Siii! Adam è il mio principe. Vado da Adam nonnina." Urlò ancora correndo dietro mia moglie.
Eleonora si allontanò nella stanza di mia figlia intanto che mamma mi fissava. Aveva ragione Eleonora. Sapeva tutto!
"È più eccitata di me per questo viaggio." Dissi per non dover rispondere alle sue domande.
"Sta credendo e ogni giorno comprende sempre di più." Mi spiegò mamma. "Adam è l' unico bambino che frequenta e sicuramente freme più di te a rivedere il cugino."
"Beh io sento Gabriel almeno una volta a settimana. Però effettivamente sta crescendo sola, con Eleonora aspettavamo a mandarla in una scuola per via dei viaggi frequenti." Le dissi.
"Tra un po' arriverà un altro bambino in casa." Disse mamma.
Ignorai la sua allusione annuendo. "Il bambino di Samuel riempirà un po' questo vuoto." Risposi secco.
"Potete valutare di iscrivere Cristal alla scuola preparatoria dove sei stato prima di partire per Monaco." Disse mia madre comprendendo. "È privata e non avendo obbligo di frequenza, puoi portarla con te tutte le volte che vuoi."
Annuii. "Così starebbe con dei bambini suoi coetanei."
"Eccoci. Ha voluto di nuovo scegliere i vestiti da mettere in valigia." Annunciò Eleonora tornando. "Che ci scommettiamo che domani mattina cambia di nuovo le preferenze?" Scherzò tenendola per mano. "Raccontami cosa hai fatto oggi con la nonna." Chiese poi in tedesco alla bambina.
Le sentii chiacchierai e iniziai a valutare al tempo stesso l'idea di una scuola preparatoria. In fondo era giusti nei confronti di mia figlia crescere con i suoi coetanei e non aspettare di incontrare il cugino ogni quattro mesi.
Quella sera ne avrei parlato con Eleonora e avrei sentito cosa ne pensava.
"Hai sentito Rafael?" Chiese mamma facendomi tornare al presente.
"Solo Joel." Le risposi. "Ci troviamo domani sera all'aeroporto di Rouen. I nostri aerei arrivano con mezz'ora di differenza."
"Dagli un bacio da parte mia. Anche se mi disse che dopo aver compiuto il suo lavoro a Rouen mi avrebbe raggiunta e saremo stati un po' insieme."
"Cosa dice Rafael?" Le chiesi.
"Vogliono ampliare il coffee and book. Il ristorante sta avendo successo e lo spazio che hanno a disposizione è diventato poco."
Assentii. "Si c'è sempre gente negli orari di pranzo e cena. Con Liam ed Eleonora una volta abbiamo dovuto pranzare su a casa loro."
"Purtroppo Isaak non vuole chiedere altri locali nello stabile. Rafael invece vorrebbe andare dal padre e chiederne la disponibilità." Mi spiegò mamma.
"Il solito Isaak." Sospirai scuotendo la testa. "Ancora ad avercela con papà. Che poi non ne capisco il motivo."
"Joel dice che potrebbe non essersi sentito accettato." Ammise mamma. "Però io so che anche Molly e Sean non vorrebbero che Isaak avesse contatti con lui."
"Hanno paura che ad Isaak potrebbe piacere papà." Dissi. "Anche lui poi, non è stato abbandonato, semplicemente papà ha saputo tardi della sua esistenza."
Non volevo giustificare papà. Ma sicuramente come aveva cercato di prendersi cura di tutti noi fino a quel momento, lo stesso sarebbe stato per Isaak se ne avesse avuto l'occasione. Ne ero certo.
"Sta di fatto che Isaak sta cercando un locale più grande dalle parti anche di Notting Hill o Chelsea."
"La verità è che vuole scappare da Patty! Non capisco perché l'ha scelta come seconda cuoca del Coffee & book." Dissi, era chiaro come il sole che c'era attrazione tra di loro.
"La conosce dall'accademia di cucina e hanno lavorato già insieme." Intervenne Eleonora sedendosi accanto a mamma.
"Sa quanto vale e i suoi dolci superano quelli di Isaak di un bel po' di punti." Disse la mamma.
"Lui vuole espandersi e non può farlo con Patty." Dissi. "Adesso il merito del successo del coffee and book andrebbe ad entrambi."
"La verità è che lui non vuole starle troppo vicino. Patty ha accettato di lavorare al ristorante solo perché hanno turni diversi, non si vedono." Spiegò ancora Eleonora.
"Sai tante cose di lei." Disse mamma.
Anche io ero incuriosito, Eleonora mi aveva detto che passava molto tempo con Patty, ma non credevo avessero un rapporto così stretto.
"Una volta le ho tenuto il figlio, Easter, quando aveva il turno di sera. Ti ricordi quando sei stato a Oslo e ti ho detto che mi tenevo impegnata?" Mi chiese.
Fui sollevato dallo scoprire che si trattava di un bambino. "Easter è amico mio." Disse Cristal.
"Ah si! Sei felice di avere un altro amico?" Le chiesi fissandola attentamente.
"Si! Tanto tanto." Affermò. "Domani vado da Adam."
"Adesso invece bisogna cenare." Intervenne Hannah richiamando la nostra attenzione.
Portai Cristal a lavare le mani e durante la cena Eleonora ci raccontò di Patricia Becket, detta Patty. Ella era entrata in accademia un anno dopo Isaak, si erano conosciuti durante i corsi in comune di pasticceria e all'ultimo anno di Isaak in accademia si erano messi insieme. Si erano poi lasciati quando lui una volta diplomato era tornato in Scozia.
Isaak l'aveva chiamata a lavorare perché sapeva che era una brava pasticciera, per cui poteva lavorare al coffee and book al mattino, al posto suo che con la mole di lavoro non riusciva più ad avere un minuto per se. Quando l'aveva chiamata avevano litigato, ma lei alla fine era rimasta perché Isaak le aveva assicurato che non ci sarebbe stato modo di vedersi tra di loro. Che Rafael avrebbe pensato anche a darle lo stipendio.
Patty aveva accettato perché salvo qualche volta, l'orario le era comodo. Al mattino lasciava il figlio che ancora dormiva e quando rientrava a casa aveva perso poco della sua giornata.
"Probabilmente Isaak l'ha ferita andando via." Disse mamma alla fine del racconto.
"Predica bene e razzola male." Affermai deluso. Disprezzava tanto papà, poi si comportava in egual maniera se non in modo peggiore? Ma che andasse a farsi fottere.
"Thomas." Mi ammonì mamma.
"Chiedo scusa." Le dissi alzandomi e togliendo il mio piatto. "Non voglio litigare con te. Domani partiamo e staremo via almeno due settimane."
Detto ciò andai a posare le mie stoviglie nel lavabo seguito a ruota da Hannah.
"Raggiungi Eleonora in bagno, così fai in tempo a partecipare al rituale della buonanotte." Mi disse.
Accettai e dopo aver portato a termine la nostra routine serale, bagnetto, favola della buonanotte e bacini, mi ritrovai con Eleonora in salone.
Il vino era già pronto nei decanter e la fissavo carezzare il bordo del suo bicchiere.
"Forse è giusto mandare Cristal a scuola." Dissi.
Lei annuì. "Quando sono andata a prendere Easter due settimane fa, fissava gli altri bambini con desiderio." Ammise.
"Easter va a scuola?" Chiesi.
"Ha compiuto due anni ad aprile, ma va già alla scuola preparatoria. Patty lavora." Disse.
"Adesso è tutto chiaro." Affermai.
"Potremo mandarla alla sua scuola o quella che hai fatto tu da piccolo." Mi propose.
"Sarebbe un'idea si. Non sarebbe giusto privarla di una vita normale."
Eleonora mi sorrise. "Quando rientriamo vediamo cosa c'è di giusto per lei e per noi". Mi disse avvicinandosi e baciandomi.
Le sorrisi prendendola in braccio, lei era la mia donna e sapeva sempre come mi sentivo e cosa avevo bisogno di sentirmi dire, anche con Cristal. Come potevo non amarla? Impossibile non farlo.
Il giorno dopo partimmo per Rouen. Le pratiche della società furono portate avanti da Adela, intanto Joel incontrava possibili dipendenti della BK consulting ed Eleonora badava ai bambini.
Al nostro arrivo dicemmo a mio fratello della grande novità, Joel la accolse felicissimo e io colsi la palla al balzo per chiedergli di essere il padrino del bambino, qualsiasi sesso avesse.
Al contrario non dissi nulla a Gabriel, lui e Adelaide stavano provando ad avere un bambino da un po', ma senza successo.
Dopo il periodo in Francia salutai i miei due fratelli in direzione Kleinsten, così da andare a salutare la famiglia di Eleonora e dare loro la notizia.
Joel mi salutò con un sorriso complice. "Dirò a mamma che siete in viaggio di nozze." Mi disse divertito. "Le confermo che aspettate un bambino?"
Scossi la testa. "No, per quello falla soffrire ancora un po'." Risposi divertito. Dopodiché partimmo verso il Kleinsten.

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia si svolge in contemporanea con la storia di Gabriel Keller in Liberi di essere se stessi e da questo momento anche con la Thomas & Sapphire story. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE Albero Genealogico:I Thompson - I Keller - Kleinsten

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SAPPHIRE
Le giornate trascorrevano via più lentamente da quando i ragazzi avevano intrapreso la via dell'indipendenza. Ancora di più da quando Diamond era partita, quello era stato la dimostrazione che erano definitivamente cresciuti. Lo avvertivo nelle mie giornate, nonostante Diamond cercava di scrivermi costantemente aggiornamenti sulla sua quotidianità. Lento e inesorabile il tempo trascorreva. Avevo compiuto 47 anni, da sola,  e mi stavo rendendo conto che effettivamente la mia vita stava volando via. La ragione della mia esistenza fino a questo momento, erano stati i miei figli. Tutte le azioni, i sacrifici e le rinunce erano state per loro. Ma adesso erano cresciuti. Thomas finalmente aveva riconosciuto di amare Eleonora, aspettavano un bambino stavano decidendo la loro vita insieme. Le prime avvisaglie erano arrivate quando due anni prima si era trasferito a casa sua. O quando Joel aveva deciso di restare a Monaco, dove avrebbe lavorato nella società dei Keller come responsabile delle risorse umane. O ancora Samuel che aveva deciso di avere un figlio nonostante fosse solo, aveva preso una decisione per se stesso. Infine Diamond era partita per un viaggio da cui non sapevo quando sarebbe tornata.
Mi sentivo decisamente vuota e sola.
"Ehi mamma Sapphire."
Ritornai alla realtà fissando Rafael di fronte a me. Lo amavo! Non era mio figlio, ma lo amavo come tale da quando aveva solcato la porta di casa mia quattro anni prima. Credo sarebbe stato difficile per tutti non amare Rafael, era un ragazzo genuino empatico e soprattutto che dava amore. Era riuscito a dare amore a Samuel nonostante egli si sentisse escluso dalla nostra famiglia da quando aveva capito di non essere mio figlio. Era riuscito a dare amore ad Isaak, che scettico cercava di tenersi lontano dalla nostra famiglia. Ma Rafael cercava sempre un modo per includerlo in tutto ciò che faceva, con insistenza. Infine Rafael aveva amato incondizionatamente senza che qualcuno glielo chiedesse Diamond.
Loro due avevano subito trovato un legame che andava aldilà di tutto, prima che scoprissero di essere fratelli. Mi aveva subito chiamato mamma, ancor prima di scoprire che ero stata la compagna di suo padre. Anche Rafael però, stava spiegando le sue ali. Aveva accettato il compromesso di Isaak di aprire un'altra sede del coffee and books, era stato fermo su questo, doveva essere lo stesso posto e dovevano esserci tanti libri da leggere. Lui doveva fare il suo lavoro, spronare la gente a leggere. Probabilmente avrebbero scelto un posto che fosse la Scozia o peggio l'Australia , paese di origine di Rafael.
Lui era il mio angelo, in realtà tutti i miei figli erano angeli, avevano tutti i nomi di angeli Thomas Uriel, Joel Jophiel, Samuel, Diamond Ariel. Poi c'era Rafael.
Lo guardai posando la tazza di tè che non avevo bevuto. "Dimmi caro?"
"Sei pensierosa." Mi disse poggiando il vassoio sul mio tavolino e sedendosi al lato opposto, la sedia che un tempo era stata di Thomas, suo padre.
Scossi la testa. "Niente di che!" Gli risposi. "Temo di sentire la mancanza di Diamond, tutto qui! La sua allegria riempie le mie giornate."
Rafael annuì. "Sai, manca anche a me, senti che ne dici se la raggiungiamo dove si trova?  Lasciamo qui Isaak e Patty, così forse concluderanno qualcosa." Mi disse eccitato.
"In che senso concluderanno qualcosa?"
Chiesi osservando di sottecchi la cuoca mentre portava dei dolci al bancone del bar. Alta, elegante e poco formosa, capelli ramati, occhi verdi come il prato. "Ti ricordo che ha accettato di lavorare qui, proprio perché non faceva orari con Isaak. Non vuole avere a che fare con lui."
"Ma si amavano." Mi rispose Rafael. "Lo vedo quando si guardano. Se quel cretino di Isaak non l'avesse lasciata per tornare in Scozia adesso starebbero insieme." Mi disse. "Oh andiamo mamma! Non hai visto suo figlio? È identico a Isaak." Mi disse, di nuovo qualcuno mi nominò quel bambino senza volto.
"No! Non l'ho visto. Me ne ha parlato però Eleonora. Easter giusto?" Gli chiesi.
Rafe assentì. "Si!  Ed è stupendo mamma, è la prima volta che vedo una persona con i tratti e i colori di papà, ma con gli occhi verdi come il prato." Mi disse puntualizzando più volte la frase: è stupendo mamma. Io ebbi un tuffo al cuore quando mi disse che assomigliava a Thomas. Poteva essere quindi più figlio suo due si Isaak il bambino. In fondo Thomas aveva seminato un bel po' in giro per il mondo.
"Vorrei che mi chiamasse zio e quel cretino di Isaak ancora non ha capito che Patty aveva messo da parte la carriera di chef per prendersi cura del figlio. Me lo ha raccontato Eleonora che è in confidenza con lei. Tre anni fa, quando scoprì la gravidanza decise di laurearsi e mettere da parte i suoi sogni per seguire suo figlio. La proposta di Isaak di venire a lavorare qui per lei e stato un compromesso facile da accettare , avrebbe avuto un l'acoro che amava fare e con i turni del mattino, tempo per stare con Easter."Mi raccontò.
"Quindi quale sarebbe il tuo piano? Se Patty non ha detto nulla a Isaak si vedrà costretta a rinunciare al suo sogno." Gli dissi.
"Il mio piano..." Mi rispose. "È partire. Nel momento stesso in cui partirò, Isaak dovrà fare anche il turno di mattina. Così  loro due avranno modo di stare insieme, di parlare e di potersi avvicinare Se poi in tutto ciò fortuitamente Isaak incontrasse il bambino, non può non capire che è suo tutto ti torna?" Concluse.
Era un piano che poteva effettivamente funzionare. "Ok! Capisco il tuo ragionamento, ma che io sappia Patty non ha mai fatto voce sul bambino. Noi ne conosciamo l'esistenza grazie a Eleonora. Quando Liam ha fatto l'assunzione, Patty non ha chiesto agevolazioni per la maternità. Sarà  quindi molto difficile che Isaak scopri del bambino."
"Hai ragione." Disse Rafael pensieroso. "Devo trovare un modo,  ci penso io prima di partire."
Concluse. "Dirò a Patty che ho visto Easter con Eleonora e che se vuole può farlo venire qui tutte le volte che vuole." Disse sempre più concentrato. "Poi dirò a Isaak che ho dato il permesso a Patty di portare Easter, senza dirgli che è il figlio,  al locale, così gli metterò la pulce nell'orecchio. Potrebbe chiedersi chi sia Easter, un amico o un fidanzato? Glielo potrebbe chiedere, che ne dici?"
Guardai Rafael. "Ci può stare." Sussurrai. "Quindi raggiungiamo le tue sorelle?" Chiesi.
"Dove sono?" Chiese alzandosi.
"A Creta." Risposi.
"Allora andiamo a scriverle. Le diremo che la raggiungi e poi da lì andrete nel Kleinsten."
Assentii. Era un bel programma. Così senza pensarci troppo seguii Rafael nell'ufficio, aprii la mia mail e scoprii che Diamond era di ritorno.
"Oh scrive che si sta annoiando e torna a casa." Dissi a Rafael.
"No! Così il nostro piano non funzionerà. Prendi tempo, scrivile che vuoi raggiungerla." Mi disse Rafe.
"Ok." Dissi rispondendo alla mail di Diamond. "Le ho scritto che sto raggiungendola in Grecia, le ho anche detto che le porto un cambio più pesante e che andremo in Germania." Mi voltai verso Rafael raggiante. "Raggiungiamo Joel a Monaco è tanto che non lo vedo. Poi da lì andremo nel Kleinsten." Spiegai a Rafael.
"È un piano perfetto."
"Oh si! Sai io non ho mai viaggiato, questa cosa mi piace. Chiederò a Diamond quando saranno a Santorini così le faremo una sorpresa e ci faremo trovare al porto." Proposi al mio figlioccio.
"Dio se mi piace. Prenoto l'aereo, prima partiamo e prima la raggiungiamo. Poi procedo col parlare con Patty e dirò ad Isaak che tornerò almeno tra una settimana." Concluse.
Ci preparammo quindi a quel viaggio, appena Diamond mi scrisse che sarebbero attraccato ad Athinios, il porto di Santorini il ventuno novembre, avvertii Rafael.
Il venti eravamo sull'isola greca, cercai di godermela per bene. Tirava un bel vento, ma il clima mite rendeva le giornate piacevoli. Feci un giro per i negozi di prodotti tipici, assaggiai l'ouzo e ballai il sirtaki con Rafael e gli isolani.
Il giorno dopo, poiché non avevamo un orario facemmo colazione nei pressi del porto, dopodiché ci avviammo ad attendere lì lo yacht. Diamond mi aveva detto che era lungo quindici metri, avremo quindi dovuto vederlo da lì. Quelle che potevo vedere io oltre la costa però erano solo dei nuvoloni grigi. Non mi spaventava il vento forte che tirava, gli isolani tutti avevano detto che il vento era all'ordine del giorno da quelle parti.
Eppure più il tempo trascorreva, più le nubi nere, ora accompagnate dalla pioggia, mi preoccupavano. Eravamo lì già da mezz'ora, tanto che non resistetti. Intanto che Rafael aspettava all'arrivo delle navi, io raggiunsi la costiera.
"Mia figlia doveva tornare oggi. Si può cercare la sua barca attraverso le radio. Potete mandare qualcuno a controllare?" Chiesi.
La risposta fu che era in arrivo una tempesta e che non potevano uscire in mare. Sicuramente, anche lo yacht di mia figlia era fermo da qualche parte.
Una tempesta?
"Rientri anche lei Kyria." Mi disse l'uomo.
Scossi la testa uscendo dalla casupola della guardia costiera. Raggiunsi Rafael e gli riferii ciò che mi avevano detto.
Lui sospirò. "Torniamo al bar, pranziamo e teniamo d'occhio l'orizzonte. Da lì si riesce a vedere il porto."
Mi parve la soluzione migliore. Pranzammo, intanto che un temporale si era scatenato oltre le mura. Preoccupata controllai più volte la mail. Diamond forse mi aveva scritto che non erano partite o se si erano fermati al sicuro. Ma niente.
Quando nel primo pomeriggio il temporale terminò ritornammo al porto e questa volta fu Rafael a cercare la guardia costiera, che terminata la tempesta si riservò in mare alla ricerca del panfilo che avevo loro indicato.
"Si chiama Caroline, è lungo 15 metri e prodotto dalla Hoffman Boats." Riferii.
Restammo ancora ad aspettare. Dello yacht non c'era traccia in mare e la costiera non ci fece avere notizie.
Al calar del sole un elicottero iniziò a solcare i cieli distraendoci dai nostri pensieri. Lo fissammo allontanarsi verso il mare.
"È bianco rosso! Appartiene alla guardia costiera." Disse Rafael allarmato.
No! No assolutamente no. Presi il cellulare iniziando a chiamare Diamond, doveva rispondermi. Ma l' utente chiamato non era al momento raggiungibile.
"Prova a chiamare Micaela. Stupida me che non le ho mai chiesto il numero."
Rafe annuì, come un automa fece ciò che gli dissi. Digitò il numero della sorella più di una volta, ma niente. Poi ne fece un altro, mi disse apparteneva ad Alaska. Ma anche in quel caso non ottenne risposta.
Si allontanò continuando a parlare a telefono, forse chiamava altre forze dell'ordine o non immaginavo chi altro.
Finalmente qualcosa accadde, in lontananza le luci di una barca testimoniavano che stava arrivando qualcuno.
"Può essere lo yacht di Diamond, Rafe?" Chiesi speranzosa.
Lui mi strinse forte, sentivo il suo cuore battere all'impazzata, i pensieri in tumulto scoprimmo che era la barca della guardia costiera solo quando attraccò. Delle ambulanze stavano arrivando alle nostre spalle.
Dopo un po' iniziarono a scendere dalla barca, avvertivo qualcuno che piangeva. E qualcun altro che diceva: "dovete cercarli. Erano lì con noi, per favore."
Era la voce di Diamond.
"Signorina è notte adesso. I soccorsi saranno sospesi fino all'alba, appena sarà un po' visibile." Rispose l'uomo.
"Quando sarà visibile, sarà tardi." Rispose Diamond. "E se ci sarà un'altra tempesta? La prego, li cerchi." Supplicò lei.
"Diamond... Diamond..." la chiamai lasciando andare Rafael.
Mi diressi alla nave dalla quale stavano scendendo aiutate da uno dei marinai. Mia figlia si ammutolì guardando nella mia direzione.
"Mamma... Oh Dio mio! Mamma..." disse trascinandosi dietro la ragazza a cui era abbracciata. Mi venne incontro e si strinse a me. "Mamma... Oh Dio mamma..." piangeva. Mia figlia piangeva.
"Diamond.... Micaela..." le chiamò Rafael circondandoci tutte bel suo abbraccio. "Dio ti ringrazio. Cosa è successo."
"Rafe... oh Rafe..." piangeva la seconda ragazza. "Rafe... Alaska è caduta in mare durante la tempesta."
Gelai a quell'affermazione. Alaska era l'altra compagna di viaggio delle ragazze.
"Come è caduta in mare? E adesso dove si trova? L'hanno soccorsa con l'elicottero?" Chiese Rafael.
Lei scosse la testa. "No... la stavano cercando. È caduta dal gommone di salvataggio con il marinaio che ha cercato di salvarla." Spiegò Micaela.
"Siete tutte bagnate." Dissi. "Dovete asciugarvi e bere qualcosa di caldo, siete sotto shock." Dissi alle ragazze.
"Kyria venga, c'è l'ambulanza che le aspetta." Disse un agente. "Stiamo stilando il verbale, dovrebbe venire a firmare la sua richiesta di soccorso." Concluse poi.
Annuii. "Rafael vai tu con le ragazze, io vi raggiungo." Dissi prendendo il viso mia figlia tra le mani. Le lacrime erano asciutte e tremava. Le diedi un bacio stringendola forte. "Arrivo subito."
Dopodiché feci altrettanto con la figlia di Thomas, la strinsi forte e la baciai. "Vedrai che andrà tutto bene." La rassicurai.
Attesi che partissero e mi diressi nello stabile della guardia costiera.
Nel verbale era riportato che la mattina del ventuno novembre mi ero recata da loro a chiedere informazioni della Caroline, barca della Hoffman boats, dal momento che doveva attraccare in mattinata. Dopo aver atteso qualche ora e che passasse la tempesta, avevamo sollecitato il ritrovo e la guardia era partita alla ricerca della citata barca.
La barca era stata trovata semi affondata alle 18.13 ore locali al largo di Santorini. Fortunatamente gli ospiti non c'erano, trovati dalla guardia intorno le 19.00 circa avevano preso un gonfiabile di salvataggio.
Purtroppo durante la tempesta un marinaio Mike Thorn e un civile Alaska Thompson, erano caduti dalla scialuppa di salvataggio. Al momento la guardia, supportati da personale aereo ancora non aveva trovato i corpi dei due dispersi.
Civili e personale militare trovato.
Philip Hoffman
Mary Louise Summer
Diamond Ariel Davis
Micaela Keller
Capitano di corvetta Paolo Morelli.
Firmai, avevo le mani che tremavano e immaginano che al posto di Alaska poteva esserci Diamond anche Micaela.
Nelle mail di mia figlia, Alaska era la migliore amica di Micaela. Erano cresciute insieme e avevano dei progetti per il futuro insieme.
Adesso invece sembrava che lei due non avessero più nulla. Aveva bisogno di respirare e di pregare.
Pregare affinché quelle due persone fossero vive e che il mare non se le fosse prese.

Mi svegliai nel letto del mio albergo, ero stata irrequieta tutta la notte. Micaela che dormiva accanto a me più volte si era svegliata urlando il nome di Alaska in lacrime.
L'avevo accolta nel mio letto quando disperata aveva preso a piangere come una disperata. Così si era calmata un po' ed era riuscita ad addormentarsi. Al contrario Diamond sembrava non riuscire a dormire. Più volte le avevo chiesto di raggiungermi.
Ma era come indemoniata, si era messa a computer e farneticava. "Lo denuncio! Dio se lo mando in galera." Parlava tra se e se.
Mi aveva raccontato come erano andati i fatti. Da quando avevano lasciato Otranto ad allora.
"Ogni volta voleva portare lo yacht e non ha un cazzo di patentino." Disse isterica.
Non sapevo come fare per aiutarla. Quando mi svegliai già non c'era più.
Mi soffermai a guardare però la ragazza che mi dormiva accanto. Le guance olivastre avevano il segno delle lacrime ormai asciutte. I capelli erano di un bel castano cioccolato, le sopracciglia scure e arcuate, sapevo che gli occhi erano grigi scuri, come quelli di Diamond e Isaak, e sapevo che spesso prima di quel giorno, erano raggianti.
Mi tirai su quando bussarono alla porta. Presi la vestaglia e indossandola andai ad aprire non prima di essermi aggiustata un po' i capelli.
Probabilmente erano Rafael e Diamond.
Aprii e invece mi trovai di fronte l'unica persona che non mi sarei mai aspettata di incontrare.
Alto, capelli neri ingrigiti alle tempie, occhi grigi scuri, volto cesellato, coperto da qualche piccola ruga espressiva dovuta agli anni. Dopo ventidue anni rividi Thomas.

MAR EGEO
La mia barca abbandonò il piccolo antro dove l'avevo ormeggiata, appena avevo notato che i venti non erano favorevoli alla navigazione. Era un piccolo veliero che mi consentiva di fare avanti e indietro dal golfo di Kymi alla mia piccola isola privata. Ogni giorno dal lunedì al venerdì percorrevo sempre lo stesso tragitto, lavoravo nell'azienda di papà e avevo racimolato abbastanza da poter comprare una delle piccole isole abbandonate dell'arcipelago delle Sporadi. Il mio sogno era quello di creare un paradiso terrestre, dove potessi trovare pace la sera dopo ore di lavoro. Amavo lavorare alla compagnia di papà, ancora di più andare a trovare i nonni contadini da generazione e coltivare qualcosa con loro e per loro. Amavo tanto anche navigare, mettere tutte queste cose insieme era per me il massimo della pace interiore. Stava per tramontare, fortunatamente la tempesta era passata, ci avrei messo un po' in più a tornare a casa. Ma sarei tornato. Davanti a me l'orizzonte era immenso, i piccoli massi che spuntavano erano le isole che ci circondavano, tutto l era tranquillo, qualcuno stava facendo il bagno e... qualcuno faceva il bagno? Abbassai la vela e presi il binocolo. Guardai in direzione del bagnante.
C'era qualcuno che si stringeva forte ad un remo.
"Cazz... non è un bagnante, ma un naufrago." Mi riservai verso quella persona e cercai subito di aiutarla. Era una ragazza e sembrava aver perso i sensi. L'aiutai a salire a bordo e quando fu su cercai di svegliarla. Respirava, non aveva bevuto acqua fortunatamente.
L'adagiai sulla poppa e abbassai la vela, misi in moto lo scafo, dovevo rincasare presto. Far asciugare la ragazza e capire cosa le era accaduto.

DIAMOND
Non mi davo pace. Il giorno prima dopo che Alaska era caduta in acqua io e Micaela avevamo urlato tutto il tempo il suo nome. Volevano richiamare la sua attenzione, Paolo aveva anche lanciato un paio di fuochi di soccorso per farsi notare. Ma Alaska non rispondeva, le sue richieste di aiuto non arrivavano più e noi non l'avevamo più vista.
Eravamo dispersi in mezzo al mar mediterraneo e non potevo fare nulla se non consolare Micaela.
Ciò che mi dava più sui nervi era che Alaska stava salendo sulla barca accanto a me. Ma quella frignona di Mary aveva deciso diversamente per tutti. Perché doveva essere la prima a salvarsi. Non contenta aveva voluto poi Philip accanto a se, ma facendo spostare Alaska in precedenza non avrebbe dovuto proprio parlare. Invece no! Insistente aveva pianto fino a quando paziente Alaska non si era spostata.
Il capitano lo aveva detto. Nessuno avrebbe dovuto muoversi dal suo posto. E invece per amore di pace Alaska si era slacciata.
Non era stata in grado di riallacciarsi perché Philip da perfetto cretino aveva perso tempo.
Tanto lui alla fine si era salvato.
Aveva avuto anche l'ardire di lamentarsi delle nostra urla. "Smettetela di chiamarla. È andata."
Bastando figlio di buona donna. Lo avrei denunciato. Avevo sfilato una relazione di tutto ciò che era accaduto.
Mamma era riuscita a calmare Micaela, non me che mi sentivo l'adrenalina in circolo. Bastardo! Ecco cos'era.
Quando finalmente albeggiò in silenzio abbandonai la stanza. Scesi al piano di sotto e mi scoprii a trovare Philip già lì con le autorità e la guardia costiera e un paio di uomini.   
Stava raccontando delle frottole su quanto era accaduto ieri e non potevo permetterlo.
"Ho afferrato Alaska, ma mi è scivolata dalle mani."
"Bugie." Intervenni raggiungendo il gruppo. "Hai toccato Alaska solo per sfiorarle il sedere pervertito." Lo accusai puntando il dito verso di lui. "Stavi dicendo che il capitano ci ha dirottato la barca, ma anche qui non è vero. Hai preteso che ti lasciasse navigare e quando ha detto di no, lo hai licenziato."  Raccontai.
"Lui non naviga ragazzina." Intervenne l'uomo che era accanto ai poliziotti.
"Sono un avvocato, non una ragazzina. È stato segnalato il licenziamento alle autorità tramite radio prima che Philip iniziasse a navigare." Dissi. "Lo ha preteso da quando abbiamo iniziato la traversa da di navigare e avevo chiaro anche se avesse il patentino nautico."
L'uomo biascicò. "Non so chi tu sia, ma vattene. Non sai contro chi ti stai mettendo ragazzina."
Fissai il gruppo, poco distante da noi su una poltrona c'era una donna dai capelli scuri e la pelle mulatta che piangeva, un uomo biondo sulla cinquantina la abbracciava consolandola.
Un uomo alto e moro fissava invece noi ascoltando come erano andati i fatti. Dove lo avevo già visto?
"A me non importa chi siete tutti voi. Forse non avete capito che non mi farete stare zitta, non quando Philip ha quasi ucciso tutti noi." Affermai.
"Attenta a come parli ragazzina." Disse l'uomo accanto a Philip.
"Philip è un esaltato. Recuperate la scatola nera dello yacht e riparliamone." Dissi a tutti, soprattutto alle autorità.
"Non staremo a sentire questa ragazza? Posso sapere chi è?" Disse intanto che l'uomo dai capelli neri ci raggiungeva, mani in tasca se ne stava tranquillo ad ascoltarci.
"Un'amica di Micaela, si è intrufolata alla nostra gita senza essere invitata." Rispose subito Philip.
Restai basita. Senza essere invitata? "Tu non eri previsto." Precisai. "Io dovevo essere in questo viaggio dall'inizio, poi tu ti sei aggregato a noi quando è venuto anche Dallas. Invece di andartene con lui, hai continuato con la scusa che avevi una barca." Conclusi riportando i fatti.
"Lui non era invitato?" Rispose sarcastico quello che forse era o il padre o l'avvocato di Philip. "Signorina lui aveva tutto il diritto di esserci, in quanto amico e compagno di tutta la compagnia. Lei invece non mi sembra di averla mai vista alla Boston Latin e soprattutto essendo un avvocato deve essere anche più grande."
"Viene da Londra papà." Disse soddisfatto Philip. Davvero pensavano con queste premesse di farmi stare zitta. Ecco svelato l'arcano, era il padre.
"Quindi è uscita così all'improvviso... tsk! Vi prego mandatela via." Ordinò Hoffman serio.
Feci per ribattere ma l'uomo accanto a me fece un passo avanti coprendomi la visuale. "Mia figlia non si muove da qui Roland." Disse deciso.
Ebbi un tuffo al cuore. Mia figlia?! Quell'uomo era... quell'uomo era Thomas Keller?
"Tu-tua fu-figlia?" Balbettò l'uomo.
Lui annuì. "Mia figlia si! Cosa vuoi fare adesso? Al limite ricordarti chi sei tu e chi sono io? Oppure chi sono i Thompson che hanno lasciato che la figlia partisse con la tua barca?" Chiese all'uomo di fronte a sé. Erano alti uguali, ma nella stanza si percepiva subito chi era il predatore e chi la preda.
"Ha accusato..." balbettò ancora Hoffman.
"Tuo figlio, in quanto testimone dei fatti." Rispose mio padre. "Diamond si è laureata a pieni voti alla London university, seguendo  cause con degli esercenti in questi anni. Sa bene come funzionano queste cose, quindi non farebbe mai accuse infondate." Precisò a Hoffman.
"Staremo a vedere. Sentiremo cosa dice il capitano." Biascicò Hoffman.
"Prima di sentirlo." Intervenne finalmente anche il terzo uomo fissando Roland Hoffman. "Ditegli che avrà un lavoro sul mio yacht armeggiato a Genova." Disse guardando poi le autorità. "Non voglio che non parli con nessun altro se non con voi e in nostra presenza oltre un vetro separatore."
Furbo! Pensai.
"Andiamo Simon. La stai facendo una questione di stato adesso." Disse Hoffman.
"Scusami Roland! Ma non è stato tuo figlio ad essere sballottato fuori  dalla scialuppa e ad essere ora disperso in mare. È stata mia figlia! La mia piccola Alaska." Precisò l'uomo dai gelidi occhi azzurri. "Non sorvolerò su questo e tu non incontrerai il capitano. Non permetterò che la tua autorità gli faccia chiudere la bocca su come sono andati i fatti." Concluse avvicinandosi.
"Stiamo parlando della vita di Alaska e anche delle altre ragazze che avrebbero potuto morire." Intervenne anche la donna avvicinandosi al marito. La fissai, viso rotondo, grandi occhi castani dal taglio felino, naso piccolo a patata, pelle mulatta e capelli scuri. Nonostante l'età sembrava una giovane donna, senza alcun bisogno di ritocchi. Proprio come mamma. Ed era stupenda.
"Quindi valla raccontare a qualcun altro la storia:  andiamo Simon!" Riprese l'uomo biondo. Anche lui era molto affascinante, il fatto che con la moglie fossero agli opposti li rendeva una coppia bellissima. "Noi non siamo amici." Continuò a parlare. "Avremmo potuto esserlo in più occasioni, ma non siamo amici. Metti  sempre il tuo tornaconto avanti. Adesso mia figlia non c'è più e questo perché qualcuno si è intrufolato nella vacanza di sole ragazze che era stata organizzata." Concluse fissandomi. "Non era lei l'intrusa e non dire che non è così. Dallas è rientrato a metà ottobre e Philip sarebbe dovuto tornare con lui."
"Philip aveva diritto di esserci come le altre ragazze." Si impuntò Hoffman.
"Philip è partito per Dallas, quindi doveva tornare a casa con Dallas. Non doveva restare con le ragazze, noi non lo avremo mai permesso." Disse la signora Thompson.  "Le ragazze avrebbero continuato il viaggio attraverso l'Italia." Spiegò rivelandomi così che mi ero persa un tranquillo viaggio nel paese più bello del mondo.
"Invece no!" Disse battagliero il papà di Alaska. "Philip si è intromesso in questo viaggio, ha offerto la sua barca gettando fumo negli occhi alle ragazze che avrebbero dovuto fare un viaggio in Italia. Dovevano arrivare in Toscana dove c'era la casa di Thomas invece no sono andata da tutt'altra parte in Grecia." Sbottò decisamente arrabbiato. Feci un passo avanti per poter seguire meglio, ma venni afferrata per le spalle. Mio padre mi stava stringendo con fare protettivo. Sollevai lo sguardo verso di lui che stava seguendo attento la discussione.
"Mi stai accusando di qualcosa Simon?" Lo attaccò Roland Hoffman.
Thompson fece spallucce. "No! Saranno le autorità a chiarire i fatti. E spero che riescano anche a trovare mia figlia e il marinai scomparso." Concluse con le mani a pugni, sua moglie gli stringeva un braccio, forse per calmarlo.
"Non credo che far indagare le autorità sia necessario." Continuò Hoffman.
"Ancora!" Sbottò papà. "Ti rendi conto che sono scomparse due persone o no? Le autorità le cercheranno comunque. Adesso sta a te decidere di collaborare o meno. La scatola nera verrà presa comunque in carica."
"Se penso che Alaska aveva programmato
Il viaggio in Italia con minuzia. Voleva specializzarsi nella lingua italiana, andare a vedere la Scala a Milano.,  a conoscere le etoile. Perché voleva aprire una cazzo di scuola di danza con Micaela." Raccontò Simon Thompson. "Ti prego Roland, non rompere il cazzo adesso. È così che andrà." Concluse.
Mi sentii stringere il cuore a sentire i genitori di Alaska parlare in quel modo della figlia. Dei suoi progetti per il futuro e della passione per la danza che già lei e Micaela mi avevano raccontato.
"Alaska è viva! Cioè io sento che è viva. Non può essere morta." Dissi con un groppo alla gola. Non mi sarei arresa in merito. Crollasse il cielo io l'avrei ritrovata. "È stata colpa mia! Quando siamo salite sulla scialuppa avrei dovuto insiste ad averla seduta vicina." Dissi prendendo a piangere. "Invece no! Lei magnanima si è spostata per dare posto a Mary che aveva fretta di salire. Dopo è stato un susseguirsi di eventi, avrei dovuto tenere Alaska vicino a me e non lasciarla andare come ho fatto con Michaela perdonatemi." Li supplicai cercando di far capire loro come era andata la situazione. Non volevo più accusare nessuno, ero stanca e non volevo raccontare com'erano andati i fatti. Di come Mary e Philip fossero stati egoisti era inutile.  Avevo capito che Philip viveva nella bambagia, il padre gli lasciava passare tutto ciò che faceva. Probabilmente la stessa cosa era con Mary, di cui non vedevo i genitori o la presenza. Però volevo che i genitori di Alaska capissero e mi perdonassero
Sua madre si avvicinò a me prendendomi il viso tra le mani, mi asciugò le lacrime scuotendo la testa. "Anche io avrei protetto mia sorella e me ne sarei fregata di tutti gli altri." Mi disse schietta. "Non devi scusarti Diamond."
Sorpresa la guardai e lei annuì. "So come ti chiami, durante il vostro viaggio Alaska mi ha tenuta aggiornata e anche Dallas c'ha parlato di te. Io e Simon sappiamo chi sei, sappiamo che hai insistito molto sul non fare portare la barca a Philip, e che hai reso questo viaggio qualcosa di indimenticabile portando le ragazze a esplorare e imparare la storia di questi posti. Non devi perdonarti nulla sappiamo anche che tu volevi tornare a casa, che come Alaska ti eri stancata della traversata." Mi raccontò.
"Purtroppo le cose sono andate diversamente." Intervenne Simon. "Ma adesso rimedieremo." Concluse.
Scrollando le spalle Roland Hoffman afferrò il figlio decidendo di lasciarci perdere. "Basta! Noi andiamo a fare colazione." Disse allontanandosi.
Scossi la testa. "Io voglio restare qui. Non mi darò pace finché non ritroverò Alaska." Affermai.
"Tua madre vuole partire per Monaco." Intervenne papà. "Poi da lì andremo nel Kleinsten, È ciò che faremo."
"Non mi sento di festeggiare con ciò che è accaduto." Dissi cocciuta.
Lui sospirò. "Diamond non puoi salvare tutti. Questo devi capirlo." Mi disse deciso.
"Non posso andare! Non è questo." Conclusi. Se voleva discutere io ero pronta. "Lei è lì fuori." "Come hai detto anche tu. Alaska non è morta." Precisò Simon. "Restiamo noi per ora qui, cerchiamo di non calamitare troppo i media altrimenti le ricerche verranno boicottate da barche ed elicotteri di giornalisti." Mi disse.
"Ti terremo informata cara, ma per ora Micaela ha bisogno di lasciare la Grecia." Mi disse la signora Thompson. "Anche io credo sia viva, lo sentirei se non ci fosse più. Voi andate."
Mi sentii stringere per le spalle. "Vieni, anche tu hai bisogno di mangiare." Mi suggerì. "Simon dimmi quando ci dicono che parlano con il capitano." Concluse poi trascinandomi via.
"Non ho fame." Dissi. Se voleva conoscere il lato peggiore di me, lo avrebbe fatto. Mi sarei imputata.
"Va bene." Rispose lui tranquillo.
Come? Cioè finiva lì? Pensai, eppure stava portandomi verso la sala colazione. "Chi ti ha detto che mamma vuole andare a Monaco?" L'aveva incontrata? Cosa era successo e quando?
"Me lo ha detto Rafael quando è partito." Disse fermandosi fuori la sala ristoro. "Adesso però fa silenzio." Concluse.
Non capii, feci per parlare ma mi mise le mani sulla bocca. dalla sala ristoro si si fosse comportato diversamente da come aveva progettato.all'inizio non capì poi parola dopo parola mi tutto chiaro.
"Dovevi andare a Otranto sedurre Alaska." Diceva Roland Hoffman. "Tu dovevi iniziare una relazione con lei, non con Mary Summer. Ti rendi conto sì o no che questa era l'ultima occasione per non perdere la Hoffman."
"Si papà l'ho capito. Ma Dallas mi ha minacciato, ha detto che mi faceva il culo se toccavo Alaska e lui ha fatto l'addestramento militare." Si lamentò il figlio.
"Me ne frego di Dallars. Tanto Dallas il culo te lo farà lo stesso adesso che hai perso la sua adorata gemella nel bel mezzo del mar Mediterraneo."
"Lo so papà !" Piagnucolò lui.
"Complimenti genio!" Disse Hoffman. "Una sola cosa avresti dovuto fare, sedurla e chiederti di fidanzarvi. Invece no! Il tuo cervello ragiona con l'uccello, sei andato dalla prima che te l'ha data."
"No... no non è vero! Prima c'ho provato anche con Diamond, ma lei non l'ha voluto." Spiegò lui. Feci una smorfia disgustata.
"Dio santo! Ma ti ascolti quando parli? Ti avevo detto Alaska! Adesso invece tutto salta. Con un matrimonio la Hofmann boats sarebbe  stata ancora nostra. Mentre invece adesso Simon assorbirà la nostra compagnia e noi non avremo più un cazzo."
"Ma papà abbiamo le stesse compagnie è impossibile che lui sia più ricco di noi e possa prendersi tutto. Fatti valere! La nostra azienda lavora anche qui nel Mediterraneo." Disse sbrigativo Philip.
"Può farlo. perché tu non ragioni con la testa. Simon si è associato con un società marittima italiana quindici anni fa, si trova a Genova. La differenza tra me e lui e che i figli c'hanno le palle e ci sono dentro nell'azienda paterna. Il maggiore dopo essersi laureato in economia e commercio ha lanciato le quote della Thompson & sons. in borsa con successo. Il secondo si e laureato in meccanica e lavora nel settore delle macchine restando a contatto con gli operai. Inoltre hanno avuto le pale anche di muoversi individualmente." Spiegò al figlio amareggiato.
"Una soluzione ci sarà no papà?" Chiese Philip. "Adesso che Alaska non c'è più non posso sposarla."
"Stolto. Tu e tuo fratello non riuscite a combinare un cazzo. Ronal si è fatto soffiare Adelaide da Gabriel Keller, il padre è uno dei nostri finanziatori. Tu invece vai a farmi morire l'ultimogenita di Thompson. Bravo, complimenti genio."
"È capace che oggi la ritrovino e sia ancora viva." Disse Philip.
"E tu credi che se è viva lei accetterà di sposarti? Nel bene o nel male, che sia viva o morta, Simon si prenderà l'azienda. Se sua figlia non si trova, se la prenderà senza spillarmi neanche un soldo. Questo perché una denuncia per omicidio mi costerà molto di più. Ti rendi conto che stiamo perdendo tutto per le tue cazzate?"
"Cosa posso fare papà?" Chiese umilmente Philip. Finalmente l'aveva capita.
"Andare di là e chiedere scusa ai Thompson. Purtroppo le figlie di Keller sono sveglie e quella Diamond è tosta... fatti vedere umile e chiedi scusa. Offriti di partecipare ai soccorsi. Questa storia non deve uscire dalla Grecia, altrimenti ci rovineremo completamente." Rispose l'uomo.
"Va bene papà. Farò come mi dici."
"E sta lontano dalla figlia dei Summer per ora. Se ritroviamo Alaska dovrai essere irreprensibile." Accanto a me papà sospirò. "Hai sentito Simon?" Chiese.
Sollevai il capo così da notare che era al telefono. «Tutto! Con sti cazzi che gli avrei consegnato Alaska su un piatto d'argento. Ho fatto l'errore pensando che potessimo fare qualcosa con Adelaide e Ronald. Dallas non mi ha mai parlato bene di Philip e ora sono convinto avesse ragione.»
«Pà se non vuole fare uscire le cose dalla Grecia adesso ci penso io!» intercede una seconda voce che non conoscevo. Doveva essere uno dei fratelli di Alaska. «Mi libero di un paio di cose qui a Boston, passo per Monaco e poi ti raggiungo a Santorini. Ci prendiamo la Hoffman che è in Grecia.» concluse la voce, probabilmente doveva essere stato tutto il tempo a telefono con uno dei genitori mentre papà era a telefono con l'altro.
Era un genio anche lui.
"Adesso entriamo. Così manteniamo l'alibi di essere venuti a fare colazione." Li saluto papà.
Era un genio indubbiamente.
Alla fine mi convinsero a partire con loro per Monaco. Rafael venne con noi, ma giustamente sarebbe sarebbe rimasto per poco.
Quando atterrammo ad accoglierci in aeroporto c'era Joel. Se all'inizio per lui doveva essere una sorpresa, adesso tutto era cambiato.
Sorprendendoci la prima persona verso cui si rivolse il mio fratello maggiore fu Micaela. Le andò incontro e abbracciandola le chiese come stesse cercando il suo sguardo. Solo quando si accertò che stesse bene si rivolse a noi altri, mi chiese come stavo e varie cose. Però percepii che la sua priorità fosse Micaela, mi chiedevo quanto sarebbe andata avanti questo ignorarsi tra di loro. Joel non era intenzionato a mettersi con Micaela, almeno non ancora. Vuoi per il rapporto che aveva con papà, vuoi perché lei era troppo piccola, lui non si lasciava andare.
Rafael partì qualche giorno dopo tornando a Londra da Isaak. Mentre io, mamma e Micaela fummo concentrate a fare spese. Eravamo senza in guardaroba e per ora Micaela metteva ciò che mamma mi aveva portato dietro, poca roba in confronto a ciò che avevo lasciato e perso sulla barca.
Eravamo state a casa di Joel qualche giorno, il tempo di andare in giro a trovare lo zio Taddheus e la zia Inga, fare un salto alla KCG e aggiornarsi su come procedeva la società. Poi papà aveva optato per non disturbare e tornare in Italia, nel casale che aveva a Firenze. 
"Tanto era già pronto ad accogliervi e Giovanna ancora ti aspetta Micaela." Disse papà.
In quell'occasione conoscemmo i nonni materni e gli zii di Micaela, decisamente somigliava alla famiglia materna se non fosse stato per gli occhi.
Non sapevo come fossero i rapporti tra mamma e papà. Li trovavo spesso a confabulare tra di loro. Quando arrivavamo io o Micaela però cambiavano discorso, mantenendosi su qualcosa di generico. Ciò che ci sorprendeva era che comunque si parlavano tanto.
Per Natale come promesso ci ritrovammo tutti nel Kleinsten. Samuel mi fece da accompagnatore, mentre Rafael per via delle prenotazioni al coffee and books non potetti venire. Non mi stupii quando notai che l'accompagnatore di Micaela era Joel. I miei due fratelli maggiori  sembravano essere di casa lì, Eleonora era splendida nel vestito che non nascondeva il pancione evidente ed era una degli ospiti più gradevoli che avessi conosciuto. Per la prima volta ella non fu la nostra amica, ma la principessa del Kleinsten e Thomas ne era il principe consorte.
Il ballo di Natale fu spettacolare, come anche la festa dell'ultimo dell'anno col brindisi. Occasione in cui Tom es Eleonora annunciarono di aspettare un maschietto.
Terminate quelle vacanze papà mi avverti che i Thompson erano rientrati a Boston per il Natale, periodo in cui Dallas poteva contattarli. Mi informò anche che di Alaska non c'era stato alcun ritrovo.
"Perché me lo dici solo adesso?" Gli chiesi nervosa.
"Perché sei come tua madre Diamond. Testarda e buona, lotti per le persone che ami. Se ti avessi detto che non avevano trovato Alaska, tu saresti partita a cercarla." Mi rispose.
Ero così trasparente.  "È quello che farò." Gli dissi.
Lui sospirò. "Lo so! Però prima sei riuscita a passare il Natale con tutti noi. Per me è stato importante che Tom avesse vicino almeno voi in queste settimane." Mi disse.
Tirai su gli occhi per evitare di piangere. Mi ero sorpresa a scoprire che Gabriel non c'era. Ma adesso collegai, la moglie di Gabriel era la sorella maggiore di Alaska. Ovviamente le era accanto, non a fare una festa sfarzo da quando solo un mese prima Alaska era scomparsa nel mar mediterraneo.
"Dallas come sta?" Chiesi.
"Dice che Alaska sta bene." Mi disse papà.
"Io la troverò." Affermai.
Lui annuì. "Promettimi che sarai prudente." Annuii, lo sarei stata, ma dovevo andare. "Ok." Disse papà. "Andrai nel golfo di Kymi in Eubea. Lì ci sono i cantieri Poseidon, una società associata con la ex Hoffman e adesso della Thompson & sons." Mi disse e capii che aveva organizzato già tutto per la mia partenza. "Avrai a disposizione una barca, con un capitano. Il capitano Morelli si è offerto e io ho accettato. Lui sa come deve muoversi, se c'è vento o qualche rischio si fermerà. La barca ha comunque una cabina dove potrai riposare, ti lascio infine anche la mia American express. Ci sono domande?"
Lo fissai stupita, aveva organizzato tutto  nei minimi particolari.
"No! È tutto chiaro." Gli dissi.

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia i primi tre capitolo si svolgono in contemporanea e sono in ordine di lettura La storia di Thomas Il tesoro più prezioso; la storia di Gabriel Keller in Liberi di essere se stessi e da questo momento anche con la Thomas & Sapphire story. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE Albero Genealogico:I Thompson - I Keller - Kleinsten

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DIAMOND
Ariel! Con papà eravamo rimasti che dovevo passare inosservata. Non era per proteggermi che papà chiese questo.
"Hoffman ha qualcuno dei suoi scagnozzi in Grecia. Meglio non fargli sapere che gli stiamo con il fiato sul collo. Trova Alaska con discrezione, la barca che ti ho messo a disposizione non è molto grande ma sarà ottima per darti un tetto." Mi disse.
"Non si insospettiranno vedendomi in giro col capitano Paolo?" Era stata quella la mia domanda e annuendo papà mi sorrise.
"Paolo non dormirà sulla barca, che comunque è di proprietà dei Thompson, Simon ha detto ufficialmente a tutti che lo avrebbe assunto." Mi spiegò.
Ricordavo benissimo quando lo aveva detto, ero presente. Simon Thompson aveva preso posizione di fronte ad Hoffman dicendo che avrebbe assunto il capitano. In pratica Roland Hoffman in questo modo non avrebbe avuto modo di minacciarlo in caso di testimonianze a suo sfavore.
La barca quando la vidi mi sbalordì! Pensavo fosse piccola, invece era un veliero di circa dieci metri se non di più. Quello di Philips era dieci e questo sembrava più lungo.
Quando Paolo Morelli mi ci portò iniziò a farmi da guida lasciandomi sbalordita. A parte il maestoso albero della vela, restai favorevolmente colpita dal fatto che sulla prua erano installati dei pannelli solari.
Al piano di sotto c'era un open space confortevole e luminoso, c'era un angolo adibito a sala da pranzo diviso da una penisola dal salotto con tanto di zona relax, una biblioteca con titolo di diverso genere, un televisore e un angolo bar. Non c'era una sola stanza, giustamente avevo la mia camera, come aveva detto papà. Ma ne contavo almeno altre sette oltre la mia. Paolo mi rivelò che le stanze usate sarebbero state la mia e le due vocine col relativo bagno.
"Dovrebbero arrivare i fratelli di Alaska." Mi avvertì Paolo. "Il signor Thompson ha portato il veliero dall'Italia poco dopo la sua partenza, quando è in Grecia pernotta sulla barca come te." Mi informò.
"Perfetto! Mi piacciono i Thompson." Dissi. "Grazie di tutto Paolo, adesso stilerò un programma. Così ti dico dove vorrei andare." Gli dissi congedandolo.
Perché effettivamente avevo un piano. Il marinaio Marco era stato ritrovato morto e per come avevo studiato la fisica e mi aveva spiegato Paolo, un corpo se non aiutato da un peso non poteva affondare, doveva per forza di cose tornare a galla.
Alaska era viva! Avrei cercato la mia amica sulle isole intorno le quali era stato ritrovavo Marco. Non seguivo lui, ma le correnti che c'erano state durante la tempesta e nei giorni successivi. Il mio piano era setacciare le piccole isole una per una, alcune se avevano più di cinquecento abitanti, era tanto. Quindi se Alaska si trovava in una di quelle era facile ritrovarla.
Iniziai così le mie spedizioni, all'inizio quando nel nostro percorso incontravamo delle burrasche ero un po' intimorita. Poi col tempo avevo compreso che Paolo era veramente un bravo navigatore, sapeva destreggiarsi con le tempeste, valutava la forza del vento, del mare e nel caso anche la pioggia. Alcune volte con vento molto forse aveva anche deciso di fermarci in posizione strategica. Era un vero uomo di mare! Ora più che mai ero certa che se quella fatidica notte ci fosse stato lui al timone, Alaska sarebbe stata ancora con noi e anche Marco.
Iniziai a setacciare le isole limitrofe la zona del ritrovo senza però ottenere risultati. Ero andata in giro a chiedere se avessero trovato una ragazza sulle spiagge il passato novembre, avevo io stessa a controllare tutte le rive, non volevo lasciare nulla al caso. Infatti andavo anche dalle forze delle ordine, chi più di loro poteva essere informato? Ma niente. Sei giorni e le mie ricerche per il momento erano inconcludenti.
Poi arrivò il settimo giorno, in realtà non era domenica, era infatti un lunedì, quando mi raggiunsero sull'imbarcazione Paolo e una coppia.
Fortunatamente ero sveglia da un pezzo e vestita. Ero nell'open space a studiare il mio prossimo viaggio quando Paolo entrò sotto coperta seguito dalla donna e l'uomo invece era rimasto appena fuori a parlare al telefono.
Riconobbi subito nella donna una giovanissima Manila. Quella donna doveva essere una delle sorelle di Alaska, la più somigliante alla signora Thompson che avessi visto fino ad ora.
"Salve..." salutai alzandomi dal mio posto e raggiungendoli.
"Ciao! Tu devi essere Ariel, giusto?" Disse la giovane mora.
"Ciao, si. Sono ospite dei tuoi genitori per questo periodo in Grecia." Le dissi tendendole la mano.
"Si papà ci ha spiegato che sei qui per cercare mia sorella." Mi disse lei con un bel sorriso sincero. "Piacere, io sono Adelaide Thompson, puoi chiamarmi Ada."
Lei mi fissò annuendo sorpresa. "Aspetta! Tu sei la moglie di Gabriel." Dissi collegando il suo nome a quello di mio fratello maggiore.
"Si! Sono io... ho accompagnato mio fratello per delle trattative." Affermò indicandomi l'uomo che stava raggiungendoci.
Restai basita! Mi si seccò la gola mentre con la sua sola presenza riempiva tutta la stanza. Alto più di un metro e ottanta, forse quanto Tom, aveva i capelli biondi ordinatamente tiranti indietro, un viso elegante e gli occhi azzurri ghiaccio. Era in pratica un giovane Simon Thompson.
"E allora?" Chiese lui con voce profonda. "Chi è la nostra ospite?" Chiese alla sorella e Paolo.
"Papà ci ha avvertito che ospitava Ariel per un po' sulla barca." Disse Ada. "Quindi cerca di essere meno burbero e presentati per bene."
"Ah..." disse lui fissandomi dalla testa ai piedi... nudi ovviamente. "Salve sirenetta." Mi salutò.
"Ariel... mi chiamo, Ariel..." poi collegai la sua affermazione al mio nome. "È il nome di un angelo." Dissi mettendo le mani sui fianchi.
"Ah... addio sogni infranti." Disse lui posando la valigetta sulla tavola dove stavo lavorando. "Comunque io sono London." Concluse tornando al capitano. "Domani siamo in azienda, abbiamo delle pratiche e vorrei liberare il prima possibile mia sorella. Ci sono delle novità che la guardia costiera non ci ha detto?" Chiese.
"No signore. La signorina Ariel sta facendo delle ricerche, ma ad oggi ancora non abbiamo trovato nulla."
"Spero con discrezione." Disse rivolto più a Paolo che a me. "Il responsabile Olympic di Hoffman è ancora qui. Ho sentito da Giannis Papas che viene ancora in azienda nonostante sia stato escluso dalle operazioni aziendali di tutti i generi."
"Papà non gli ha lasciato il lavoro?" Chiese Ada.
Lui scosse la testa. "Le decisioni sulla vecchia Hoffman le prendo io. Tutti i fidati di Hoffman devono lasciare la Grecia, gli operai e i dipendenti di ufficio no." Affermò.
"Forse sei stato troppo drastico. Se era il responsabile di sicuro conosce meglio di te la Olympic boats." Disse Ada.
"Se era il responsabile, vuol dire che è culo e camicia con Roland Hoffman e quindi no. Non posso permettermi che resti in azienda." Concluse lui sedendosi. "Grazie di tutto Paolo. Qui adesso ci penso io, poi ti aggiorno quando ho bisogno." Concluse congedando il capitano che salutò tutti noi.
Notai Adelaide sbuffare mentre sprofondava nel primo divano. Suo fratello aveva invece aperto la valigetta e stava tirandone fuori un computer e una cartella.
"Dovresti ripensarci." Disse Ada. "Solitamente il proprio nemico lo si tiene sempre vicino."
"Non mi è nulla! Ne amico, ne nemico. Semplicemente ho assorbito la Hoffman Europe e valuto io chi tenere o meno." Concluse.
"Sinceramente concordo con lui." Mi intromisi rivolgendomi ad Adelaide. "Roland Hoffman è uno che vuole cadere sempre in piedi. È stato viscido quando Alaska si è persa nell'Egeo, pensava al suo tornaconto e non a ritrovarla."
Sfogliando delle carte London tirò su la testa cercando la sorella. "Ecco! Forse adesso la cosa ti è più chiara."
"Eri qui?" Chiese Adelaide.
Al che annuii. "C'ero e con Micaela abbiamo cercato di tirarla su. Ma il capitano ci ha detto di non togliere le cinture e ha lasciato a Marco il compito di aiutarla a risalire." Raccontai.
"Marco è il secondo marinaio." Disse London posando le carte dopo aver opposto una firma. "Lui è l'uomo trovato morto su un isola poco lontana da Santorini." Spiegò alla sorella.
Sicuramente London sapeva molto più di ciò che sembrava.
Raggiunsi il mio posto piegando le mappe che stavo studiando. "Si! Io sto cercando Alaska intorno quell'arcipelago, con discrezione e senza essere invadente." Precisai. Quando decidevo una meta partivamo la mattina all'alba e sul porto non c'era mai nessuno. "Purtroppo per ora non ci sono ancora risultati." Conclusi mettendo le matte e i resoconti nella mia valigetta. "Avete fame? Posso prepararvi qualcosa di veloce." Dissi guardandoli, non ero brava a cucinare. Però i panini sapevo farli.
"Siii ho tanta fame, sia io che Abel abbiamo fame." Disse carezzandosi il pancino.
La fissai! Vero, Adelaide ed Eleonora erano rimaste incinte in un periodo simile. "Panini? Pasta fredda alla greca?" Chiesi non andando oltre.
"Doccia!" Rispose London alzandosi. "Poi mangio con piacere un panino." Concluse. "Adela ti serve il bagno?"
Lei lo guardò sorniona. "Posso usarne un altro." Affermò.
London la guardò in cagnesco. "Guarda che pulisci tu, qualsiasi cosa sporchi." Concluse prendendo la sacca che aveva lasciato all'ingresso e sparendo.
Io lo seguii fin quando non se ne fu andato. Poi tornai su Adelaide che senza farsene accorgere mi aveva raggiunto guardandomi raggiante.
"Dio se sei bella Diamond." Mi disse abbracciandomi. "Tuo padre mi ha detto che sei qui in incognito."
Ricambiai il suo abbraccio. Quindi sapeva che ero la sorella di Gabriel. Mi sentii scaldare il cuore. "Grazie per l'accoglienza Adelaide. Finalmente ci conosciamo... Eleonora mi ha sempre parlato tanto di te."
"Avremo tanto da raccontarci. Ma non ora... quando il mostro non c'è. Altrimenti comincia a dire che sono solo chiacchiere." Concluse prendendo in giro il fratello.
"Quando vuoi." Risposi. Tanto da qui non mi muovo."
Lo facemmo! Da un lato io e Adelaide cercavamo ogni occasione per conoscerci e chiacchierare un po' di tutto. Lei era curiosa, poiché a differenza mia conosceva solo di vista Rafael. Mi chiedeva di mamma di cui tanto aveva sentito parlare e della vita a Londra. Infine mi chiedeva delle ricerche, poiché eravamo rimasti che mentre loro erano a lavorare durante il giorno, io continuavo a cercare proprio lì a Kymi tracce di Alaska.
"Sei stata alle Cicladi?" Mi chiese un giorno London.
Il suo atteggiamento di superiorità mi faceva drizzare i capelli. Al contrario che con la sorella, con lui diventavo battagliera. Quasi dovessi dimostrargli qualcosa.
"No! Come vi ho detto ho cercato nella zona tra Cipro e Santorini." Risposi ancora una volta.
"Potremo andare a Policandro e Anafi che sono le più vicine a Santorini allora." Propose alla sorella.
Anafi?! "Ci sono stata ad Anafi, era nella mia lista." Affermai.
Mi lanciò uno sguardo assassino. "Sei seria? Hai appena detto che non hai fatto le Cicladi."
Ecco che si ricominciava. Era più forte di me, se lui diceva si, io rispondevo no e viceversa, se voleva avere ragione io alzavo la voce ancora di più perché volevo vincere e viceversa. Quella era una nuova battaglia, sapevo che come sempre non ci sarebbe stato un vincitore, era quasi un mese che erano con me in Grecia e ormai quello era l'andazzo per noi due.
"Ho detto che non ho fatto le Cicladi, sono quasi tutte isole interne a Santorini, ma Anafi è più esterna. Quindi ci sono andata, al contrario non sono stata Policandro." Affermai.
Il suo sguardo diventato scuro come il mare in tempesta faceva già presagire una sfuriata. "Perché non hai dato prima una risposta così esaustiva? Così non ci sarebbe stata questa discussione." Affermò.
Oh bene! Quindi anche lui era stanco di quella situazione. "Cosa cosa vorresti dire? Non ho fatto le Cicladi." Confermai ancora.
"Tranne Anafi! Piccole parole che aggiunte alle altre chiudono il discorso." Affermò. "Invece no! Sei sempre evasiva e non racconti niente." Mi disse .
Cercai di contare fino a dieci, potevo comprendere che fosse deluso dal fatto che ancora non avessimo trovato Alaska. Per questo ci andai piano a rispondergli. "Io non racconto niente?  Sto dicendovi tutto."
"Ma fammi il piacere... Diamond." Rispose lui usando il mio primo nome. Come lo aveva scoperto? Credevo che ad Ada andasse bene che mi facessi chiamare Ariel.
Lui si avvicinò a me minaccioso. "Sono il migliore amico di Gabriel, è stato tuo fratello Tom a dirmi chi sei."
"Ah!" Per la prima volta rimasi senza parole. Ebbi un flash , i pannelli solari sul ponte, avevano il marchio 2L corporation, la società di Liam. 2 L, uguale a Liam e London Thompson o Thomson era relativo. "Sei il migliore o amico di Liam anche."
Lui allargò le braccia. "Devi raccontarmi tutto!" Disse. "Tuo fratello me lo ha detto che non sarebbe stato facile con te, ma non pensavo così." "Sono molto di più di ciò che sembri, poi dovevo passare inosservata agli Hoffman. Non potevo farmi chiamare Diamond." Affermai riprendendo la grinta.
"Per l'amore del cielo, lungi da me farti scoprire..." Disse ironico. Ma quella non era ironia, era sarcasmo, ormai lo conoscevo bene. "Ok ragazzi basta." Intervenne finalmente Ada."il suo piatto era pulito, segno che aveva terminato tutta la cena.
"Ho finito tutte le pratiche che richiedevano la mia presenza." Disse a London.
Li fissai, adesso capivo perché erano così sconfortati. "Vai! Ci penso io a ritrovare tua sorella." Dissi incoraggiante.
"Non è così facile. Ormai credo che avesse ragione mio marito, lei non vuole farsi trovare." Affermò Ada, mi aveva raccontato l'ipotesi che aveva portato avanti Gabriel, possibile che Alaska stava nascondendosi?
"Ma avete sentito Dallas?" Avevano quel rapporto empatico che probabilmente ci avrebbe aiutato a ritrovare Alaska. "Cioè loro sono così uniti che sicuramente..."
"Dallas dice che Alaska sta trovando il suo posto." Intervenne London. "Ma lui non sa che è smarrita in mare e che potrebbe essere morta." Disse pragmatico.
A quella frase mi alzai di scatto sbattendo le mano sul tavolo. "Non dirlo nemmeno. Lei è viva." Dissi affrontandolo.
"Tsk! Davvero credi ancora alle favole ragazzina?"
"Sai a differenza tua io cerco di capire. Mi studio tutte le eventualità e le ipotesi, sono laureata in legge e sono abituata a ragionare così." Dissi battendo il pugno sul tavolo.
Sbuffò evitando il mio sguardo. Ovviamente sapeva anche che ero un avvocato, sapeva tutto di me senza che glielo avessi detto.
"Cosa intendi? Forse ci è sfuggito qualcosa?" Mi chiese Ada.
Annuii sedendomi , li al ristorante non avevo la valigetta con tutte le mappe, ma avevo dietro l'agenda, la presi e la apri. "Alaska indossava degli abiti leggeri e un salvagente nel momento in cui è caduta in acqua. Non aveva nulla di pesante con se, quindi anche se fosse annegata, il corpo sarebbe dovuto rinvenire a galla. Proprio come quello di Marco."
"Quindi il suo corpo non si trova nei fondali marini." Disse Ada con una nuova speranza negli occhi. .
"È impossibile." Dissi, era fisica in fondo. "Dopo il ritrovamento di Marco, sapete sono andata in giro per le piccole isole limitrofe, sia per visitare le locali forze dell'ordine sia per cercare tra gli isolani Alaska. Ho pensato, se le correnti hanno portato fin lì il corpo di Marco, potevano portare anche quello di Alaska."
"Ma non l'hai trovata." Mi disse London.
"No! Non l'ho trovata, ma persevero." Affermai sottolineando alcune voci. "Queste sono tutte le isole che ho visitato fino ad oggi. Con relativa polizia e guardia costiera. Questa parte del mar Egeo è colma di isole. La troverò! E sarà viva! Nessun telegiornale o quotidiano parla del ritrovamento di un corpo negli ultimi tre mesi. Quindi Alaska è viva! Viva!" Dissi decisa.
"È viva." Affermò Ada guardando London che ancora era scettico.
"La troverò io." Affermò poi prendendo un pacchetto di Malboro dalla sua giacca.
"La troverò io invece." Dissi sfidandolo.
"Ragazzi posso partire tranquilla?" Chiese Ada a entrambi.
"Certo che si. Cercheremo Alaska tra un lavoro e l'altro." Disse London.
"Io non aspetto te. La cerco e basta, ho tutto il tempo." Dissi secca.
"Posso farti un'offerta dal momento che sei senza impegni?" Intervenne Ada guardandomi..
"Cosa intendi?" Le chiesi sorpresa.
"Sei laureata in legge. Non ti andrebbe di iscriverti all'università di Atne e prendere il master in diritto aziendale?" Mi chiese lasciandomi stupita, in realtà lo avevo già preso per quando aiutavo Tom, ma non glielo dissi. "Così potresti aiutare London dal punto di vista burocratico. Io adesso parto e a maggio partorisco il bambino. Sarà difficile per me tornare." Veramente mi aveva appena proposto di lavorare per lei? "Se prendi il master e ti appassioni al lavoro potrei farti entrare come socia del mio studio legale. Si occupa solo di diritto aziendale e internazionale, inoltre una volta socia potresti farti una clientela qui nel Peloponneso." Mi spiegò, ma il mio cervello già stava galoppando. "Sempre che tu lo voglia."
La fissai, dovevo essere sincera con lei. "Pensavo di prendere la specializzazione nel penale. Per difendere i più deboli. Però posso aiutare tuo fratello, per sommi capi so come funziona il diritto aziendale che spesso ho aiutato mio fratello in alcune trattative. Ho seguito i corsi extra alla London university per questa branchia del diritto ed ho già il master." Le dissi sinceramente, non avevo accantonato la mia scelta di difendere i più deboli, eppure quell'opportunità mi dava modo di non oziare troppo.
"Oh grazie Ariel. Mi sollevi da un pensiero se aiuti London."
Le sorrisi abbracciandola. "Non ti preoccupare. Non lo lascerò solo un attimo."
"Non ho bisogno della balia." Disse lui che aveva seguito la conversazione in silenzio.
"Stop!" Intervenne ancora Adelaide. "Vi prego, voglio partire tranquilla per Zurigo. Fino a quando non lascio Kimy potreste non litigare?" Chiese.
London sbuffò prendendo una sigaretta e accendendosela. Non disse nulla, segno che acconsentì.
"Dovresti uscire per fumare." Precisai.
"Siamo all'aperto. Posso fumare qui." Rispose lui.
"Certo! Ma tua sorella è incinta, un minimo di rispetto. Il fumo potrebbe arrivare a lei."
Lui si scostò leggermente con la sedia. "Così non le arriva." Disse tranquillo.
Avvertii Ada sospirare, effettivamente suo fratello era parecchio testardo.
I giorni trascorsero, Adelaide andò via lasciandomi delle direttive per parlare con Eddy, uno dei suoi due soci che viveva a Londra, per il mio inserimento in società. Assurdo, mi voleva in quella impresa e io stavo accettando.
"Digli che al limite divide la mia quota con te se ci sono problemi. Sei come me, impavida e idealista e voglio lavorare con te." Mi disse abbracciandomi.
"Lo chiamerò. Mi mancherai Ada." Sapevo che quel periodo sola con London sarebbe stato un inferno.
Stranamente però, dopo la partenza di Adela infatti mi venne incontro chiedendomi dove volevo andare a cercare Alaska.
"Questo è il piano! Durante la settimana ci dedichiamo al nostro lavoro, in più stiliamo un programma per il fine settimana al fine di decidere dove andare a cercare Alaska. Non interferirò col tuo lavoro, ne capisco di finanza non di leggi, quindi mi affiderò a te con fiducia." Mi disse pragmatico. "Dimmi dove vuoi andare domani e sarò il tuo navigatore."
Veramente? Non avrebbe dissentito per le mie scelte lavorative? Voleva lavorare con me? In modo civile? "Non puoi portare questa barca tu da solo."
Lui sollevò un sopracciglio divertito. "Navigo da quando ho diciotto anni, ho il patentino e lo aggiorno ogni cinque anni. Comunque tranquilla, Paolo verrà con noi se vuoi. Anche se per viaggi così brevi e venti moderati non abbiamo bisogno di marinai." Mi disse.
Annuii. "E non interferirai col mio lavoro?" Chiesi ancora.
Lui sorrise cinico. "Tuo lavoro, tue responsabilità! Io firmo solo... ovvio mi spiegherai cosa andrò a firmare. Ma ad ognuno il suo."
"Quindi non discuterai più con me!" Dissi vittoriosa.
Lui scoppiò a ridere. "Adesso chiedi troppo! Questo spazio comune che condividiamo non tratterrebbe a lungo la tensione che rilasciamo." Disse. "Al lavoro si sta composti e si fa il proprio dovere... qui siamo liberi come persone." Affermò.
"Ok! Ci sta." Dissi facendo una smorfia. "Però se mi lasciassi fare sono sicura possiamo evitare di litigare anche qui in via privata. Non ci sarà tensione tra di noi!" Affermai.
Lui mi guardò divertito. "Seria?!" Chiese. "E cosa farai, mi leggerai al letto e mi scoperai per tenermi buono!" Disse spiccio.
Provai un tuffo al cuore, o un pugno allo stomaco, forse tutte e due. Non poteva averlo detto sul serio, certo era bello. Molto bello! Era sexy e affascinante e aveva un fisico invidiabile. Ma non ero attratta da lui. "Non sono quel genere di ragazza." Dissi.
"Va bene, non lo sei. Ma non puoi negare che la tensione che proviamo l'una per l'altro può essere mitigata solo col sesso e tu lo sai." Disse andando a sedersi sul divano. "Decidi dove vuoi andare domani e partiamo." Concluse accendendo la tv.
"Sei serio?" Gli dissi avvicinandomi al divano. "Mi parli di sesso e tensione sessuale, poi mi dici tranquillo cosa voglio fare domani?" Chiesi fissandolo sgomenta.
Lui mi fissò dal basso all'alto. "Cosa dovrei fare scusa? Non si muore mica a parlare di sesso, inoltre non ti obbligherò a fare sesso con me. Anche perché per ora viviamo insieme, le relazioni non mi piacciono. Sono più tipo da una notte e addio e con te non sarebbe possibile."
"Perché non sarebbe possibile. Guarda che so gestirle queste cose, non sono mica una santa!" Gli dissi, non avevo mai avuto una storia che durasse più di un mese, quindi potevo capirlo quando diceva che non gli piacevano le relazioni. A me non piaceva legarmi alle persone, gli uomini ti ferivano e semmai ne avessi avuto uno si sarebbe approfittato di me, magari maltrattandomi fisicamente e psicologicamente. Sapevo che a livello inconscio stavo riflettendo l'esperienza di mamma. Lei si era trovata a vivere la sua vita con un uomo simile con Andrew Davis. Mio papà sembrava aver pieno rispetto della mamma, per ora però l'esperienza che avevo vissuto mi aveva ben aperto gli occhi sulle relazioni, erano tossiche.
"Non ti ho detto che sei una santa, ho detto che dal momento che viviamo insieme dopo potremmo distruggerci a vicenda." Affermò London facendomi tornare in me. "Semmai dovesse accadere Diamond Ariel Keller, non andrò oltre una piacevole scopata. Vorresti essere trattata così?" Mi chiese fissandomi serio.
Mi avvicinai lentamente a lui mantenendo lo sguardo. Senza dargli tempo di reagire, divaricai le gambe mettendomi cavalcioni su di lui.
"Il punto è che io con gli uomini faccio proprio così! Un attimo, giusto per assecondare un bisogno fisiologico e poi addio." Affermai incrociando le mani dietro il suo collo. "Avresti dovuto dirmi facciamolo... allora ti avrei detto no e avremmo discusso come sempre." Gli dissi, perché in fondo era così. Facevamo sempre il contrario di ciò che diceva l'altro.
"Sbagliato." Disse lui. "Avremmo discusso e visto che non c'è nessuno che ci dia un freno avremmo scopato lo stesso."
Lo fissai. Cazzo aveva ragione! "Sta zitto!" Gli dissi non volendo dargliela vinta.
Mi obbedì! Non disse nulla, al contrario mi afferrò per i fianchi e mi baciò! E che bacio...

LONDON
Io e Adelaide partimmo per l'Eubea poco dopo l'inizio dell'anno. Avevo tergiversato un paio di giorni, giusto per salutare Gabriel. Purtroppo la sua permanenza in Connecticut sembrava perdurare, così il sette gennaio partimmo.
Ero già stato a Kimy il passato fine novembre. Dopo aver ascoltato a telefono gli imbrogli che volevano fare Hoffman e figli verso la mia famiglia, mi ero mobilitato. Avevo concluso subito gli affari che avevo lì a Boston passando tutto in mano a Chester ed ero partito per Kymi. Una volta lì, senza scrupoli avevo imposto a Hoffman di  cedermi volontariamente la Hoffman Europe, senza che noi pagassimo un centesimo. Pretesi anche di essere messo a conoscenza di tutti i dipendenti di Roland, dovevo capire di chi potessi o meno fidarmi. Avevo infine sentito il capitano Morelli sui fatti del venti novembre, per poi mandarlo a Genova.
"C'è un veliero pronto al ritiro. Al mio rientro a gennaio sosterrò lì." Dissi spiccio. "Se parti e vai a prenderlo mi faresti un piacere. Fammi sapere se hai bisogno di qualche aiuto marinaio e te lo farò trovare in porto."
Il Persefone era il primo veliero progettato da Chester con l'ausilio della 2L. Era un veliero a risparmio energetico ed ecosostenibile, fornito di pannelli solari, vele in plastica riciclata, il sistema idrico era a riciclo e quanto più vicino allo sfruttamento delle energie rinnovabili. Per aumentare l'efficienza energetica, c'era un sistema di illuminazione con sensori di presenza, che consentivano una gestione intelligente della luce e degli altri device spegnendosi automaticamente quando non c'era nessuno nelle stanze.
Era il nostro vanto, papà ci aveva dato carta bianca e adesso che ero tornato in Grecia, avrei testato la sua buona riuscita della nostra opera.
Avrei pernottato lì, con Adelaide e un ospite di mamma e papà di cui non sapevo ancora nulla.
Sinceramente quando si trattava degli ospiti dei miei genitori non facevo mai domande soprattutto perché la mia testa era calamitata sul trovare Alaska e sul mio nuovo lavoro.
Fortunatamente avevo lasciato Boston con la certezza di non dovermi preoccupare. Solitamente alla Thompson io lavoravo sull'amministrazione e Chester sulla progettazione, adesso che papà era rientrato la mia assenza non avrebbe avuto ripercussioni amministrative poiché c'era papà.  Con un computer avrei potuto gestire gli affari da Kymi. Gabriel mi aveva assicurato che ci avrebbe pensato lui alla G&L, con la promessa che io avrei pensato alla sede europea, mentre per la 2L arrivando in Europa sarei stato molto più presente. Ovviamente la mia mole di lavoro sarebbe aumentata, perché una volta in Europa  avrei dovuto gestire la Thompson europe che era a Genova e quella che avevo assorbito a Hoffman nel mese di dicembre, dovevo insediarmi alla Olympic Boats. Bastava poco, solo gli ultimi cavilli legali e la Hoffman sarebbe sparita dal mercato europeo. Per molti potevo risultare senza cuore, ma chi non l'aveva avuto era stato Roland che avrebbe senza problemi approfittato di Alaska per entrare in sordina nella nostra società.
Roland Hoffman se ne era proprio fregato della scomparsa di Alaska. Io ancora mi chiedevo come era potuto accadere? Fin da piccoli eravamo tutti preparati su come si viaggiava su una barca. Eravamo a conoscenza di tutti i rischi e su come si affrontavano le intemperie. Prima il nonno, poi papà ci avevano iniziato alla navigazione tutti quanti, senza distinzione di sesso. C'era chi era più portato come me, Chester, Alaska e un po' Brooklyn e chi come Dallas e Adelaide preferiva essere portato. Ma sapevamo, eravamo a conoscenza dei comportamenti da mantenere. Come aveva  fatto Alaska a cadere dal gommone? E Philip Hoffman cosa c'entrava in tutto ciò? Aveva raggiunto le ragazze quando ancora erano in Italia, la scusa era tenere compagnia a Dallas. La realtà era che doveva sedurre la piccola Ali.  Quel porco, proprio come il fratello Ronald,  voleva approfittarsi di Alaska per avere il nostro supporto economico. Meno male che avevamo scoperto tutto, non potevamo accusare di nulla se non che fosse stata colpa di Philip Hoffman quella catastrofe. Decidere di affrontare una tempesta senza esperienze di navigazione era stato un gesto stupido e irresponsabile. Le conseguenze però le avevano pagate Alaska e il marinaio Marco.
Ma avrei indagato, non sarei stato con le mani in mano. Arrivato in Grecia incontrai di nuovo Kostas Papas e Milos Sarmas, i soci anziani della Olympic boats, con essi conobbi anche il primogenito di quest'ultimo Giannis, che si pronunciava con la I e non con la G, progettista della Olympic e come scoprii più tardi, coetaneo di Chester e suo fratello Angelou coetaneo di Brooke.
Angelou era per ora un semplice operaio.
Finito l'incontro con i dirigenti della Olympic io e Adela potevamo andare sulla barca per riposare.
Le presentai Paolo, il nostro capitano e al momento chaperon, visto che era venuto a prenderci. Cercai di fare conversazione con loro, ma ahimè il cellulare suonava continuamente.
La prima telefonata fu di papà.
Voleva sapere come era andato l'incontro e cosa ne pensavo degli altri dirigenti. Risposi in modo neutro, Milos era alla mano come Kostas, Giannis a primo impatto mi era piaciuto, anche se avevano avuto poco tempo per parlarci. Angelou invece ancora non lo avevo inquadrato, voleva mettersi in mostra, però alla fine risultava troppo invadente.
Salutai papà dicendogli che lo avrei tenuto aggiornato, lui mi disse di essere un buon padrone di casa e trattare bene la sua ospite.
Lo rassicurai, gli premeva proprio tanto. Lasciai andare la telefonata e scendendo dall'auto risposi alla seconda intanto che prendevo le valige mie e di Adela.
"Gabe stiamo andando in barca. Il viaggio è andato bene e anche l'incontro alla Olympic." Dissi rispondendo.
"Si! Mi ha detto Adela." Mi disse. "Volevo solo sentirti."
Risi alla sua affermazione. "Sto bene, grazie amico."
"Ok! Qualsiasi cosa chiamami." Mi disse divertito.
"Non chiamarmi tuti i giorni però." Risposi divertito mentre il ticchettio dell'avviso mi avvertiva di una nuova telefonata. "Gabe rispondo a Liam, ci sentiamo appena mi sistemo."
"Ok! Salutami Li." Si congedò lui.
"Certo, lo faccio subito." Dissi salendo sulla barca, posai le valige e tolsi le scarpe. Poi mi trascinai il trolley di Ada dentro.
"Ehi Li! Sono atterrato e adesso sto andando nelle mie stanze." Risposi salutando il mio amico del cuore. "Ti saluta Gabe."
"Stai bene Lò?" Mi disse lui.
"Certo che si! Perché me lo chiedi?" Dissi restando all'ingresso rispondendo.
"Ho saputo che stai ospitando Diamond. Dal momento che è una tosta pensavo fossi in difficoltà."
Risi divertito. "Perché dovrei? Stai parlando della sorella di Tom, giusto?" Chiesi. Era l'unica Diamond che sapevo di nome. 
"Si lei proprio." Rispose Lì .
"Allora giusto che sia una guerriera. È un avvocato giusto? Ricordo che ha gestito la situazione della London Bank con Gellert anni fa e ancora non era laureata." Dissi entrando in stanza e cercando con lo sguardo qualcuno che mi ricordasse Tom e Joel.
"Ok! In bocca al lupo e se ti serve aiuto fai un fischio." Mi disse Liam.
Ancora risi! Staccai il telefono e raggiunsi mia sorella che stava parlando proprio con una chioma bionda. Doveva essere Diamond.
Io non mi persi a fissarla! Era bella, l'avevo sempre immaginata come tale. Sua madre era stupenda, i suoi fratelli anche erano uomini affascinanti.  Non mi aspettavo di meno da Diamond Keller, forse gli stesso occhi azzurri dei figli di Lady Sapphire. Ecco a differenza dei fratelli Diamond aveva gli occhi scuri di Thomas Keller senior. Il viso ovale e delicato come la madre e un fisico snello che le stava benissimo.
"Papà ci aveva detto di Ariel..." la voce di Adelaide arrivava ovattata. "Sii meno burbero..." si certo, potevo farlo.
"Salve sirenetta!" La salutai. Probabilmente si muoveva col suo secondo nome. Infatti mi confermò che era il nome di un angelo.
Subito si dimostrò battagliera e la cosa mi divertì, almeno non ci saremmo annoiati. Ovviamente non mi sarei fatto mettere i piedi in testa da lei. Se voleva darmi battaglia, io avrei risposto.
E così era stato! Era da una parte eccitante, dall'altra frustante dover discutere con lei per qualsiasi cosa. Se dicevo bianco per lei era nero, se lei diceva giorno io controbattevo  notte. Non avevamo timore a dire ciò che pensavano e fortunatamente c'era Adelaide che ad una certa ci dava un freno.
Mi chiesi cosa sarebbe successo quando fosse andata via mia sorella. Dovevo trovarmi una nuova casa? Si probabilmente era la soluzione migliore, oppure dovevo mandarla vis, avrei trovato io da solo Alaska.
Mi chiesi come fosse a casa con i suoi fratelli. Infatti quando ebbi modo di sentire Tom pronto a una settimana dal mio arrivo a "Kimy."
"Buongiorno London! Dimmi che sono stato il primo a chiamarti." Mi disse Tom.
Non compresi al momento ma mugolai. "Decisamente! La tua telefonata mi ha svegliato. Ho un mal di testa tremendo." Risposi tirandomi su.
"Hai fatto baldoria con una bella greca?" Scherzò lui.
"Magari!" Risposi divertito. "Purtroppo ho solo litigato con tua sorella, lei è molto.... Testarda. Ha un suo pensiero e non lo lascia andare." Gli dissi andando in bagno a lavarmi la faccia.
"Ah vero! Si è testarda e proprio per questo riesce a fare tutto ciò che si prefigge." Mi rispose. "Però non ci ho mai discusso, anzi parliamo tranquillamente."
"Forse perché sei il fratello maggiore e non un estraneo con cui combattere. Liam mi aveva avvertito che ha un bel caratterino."  Dissi toccandomi il mento. Avrei dovuto fare la barba.
"È questo che pensi? Comunque neanche Liam ci litiga, vanno molto d'accordo loro due, una sorta di sorella per Liam." Rispose Tom.
"Allora discutiamo solo noi due." Ammisi. "È frustante! Ma è più forte di me, appena parla mi prudono le mani."
"Non è che sei attratto da lei vero?" Mi chiese Tom. "Non fraintendermi, non che non approverei una vostra relazione ma...."
"Una relazione?! No Tom... no!" Dissi sorpreso.
"È proprio questo. Nessuno di voi ha mai fatto sul serio nei rapporti di coppia. L'unico ragazzo fisso di Diamond è stato... anzi no, non è stato. Tra te e lei non so chi si lascia andare di più alle relazioni casuali."
Sbuffai. "Vabbè Tom. Il problema non c'è. Tanto non sono attratto da lei." Ammisi.
"Sicuro?" Mi chiese il mio amico.
Guardai il mio riflesso nello specchio, l'altro me sembrava fissarmi divertito, stava ponendomi la stessa domanda. "Sicuro?! Certo che no... cioè si... cazzo Tom è bella ovvio che ci butto l'occhio." Ammisi.
Lo sentii ridere sfacciatamente. "Ti prego smettila." Dissi scuotendo la testa. "Piuttosto, perché mi hai chiamato così presto? Sono le otto, da te sono le sei?" Gli dissi.
"Mi sveglio sempre presto! Tu al contrario dormivi... la Grecia ti fa male." Rispose lui.
"È domenica." Affermai.
"Resta il fatto che ti ho chiamato per farti gli auguri. Buon compleanno London."  Esplose.
Cazzo! Era il mio compleanno. "Caz... Grazie amico. Cazzo Tom... Grazie, grazie... grazie." Con tutto ciò che stava accadendo mi era proprio passato di mente. Avevo ventott'anni, ma mi sentivo tanto più vecchio.
"Più tardi chiamerò Diamond e le dirò di fare la brava almeno oggi." Mi disse.
"No ti prego lascia. Almeno finché si litiga..." mi fermai.
"Non si scopa?" Concluse Tom.
Già! Non si scopava ed era meglio.
"Ok!  Forse sono attratto da lei." Ammisi.
"Ok... facciamo così. Se non riuscite a gestirla lasciatevi andare, ve la spassate e amici come prima. Mettetevi delle regole, tanto una, massimo due settimane e la finite anche."
Questo era certo. "Vedrò di resistere. " disse sentendo l'avviso di chiamata. "Tom ho mio padre in linea. Devo lasciarti."
"Certo tranquillo... London... ti farà strano detto da me. Ma, lasciati andare! Ok?" Mi disse.
"Ci penserò." Gli risposi. 
Ci avevo pensato?  Si cazzo! Ci avevo pensato e adesso che Adelaide non c'era più rifilandomi anche Diamond come mio legale, ero fottuto.
Glielo dissi! Spiccio e senza mezzi termini. Avevamo due scelte: litigare, quella che preferivi io, o scopare. Ma non sapevamo dove ci avrebbe portato. Fu lei a decidere! Mi si mise cavalcioni e mi sfidò. "Sta zitto!"
Zitto io? Zitta tu! Pensai baciandola. Quello sarebbe stato l'inizio della nostra fine.

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia i primi tre capitolo si svolgono in contemporanea e sono in ordine di lettura La storia di Thomas Il tesoro più prezioso; la storia di Gabriel Keller in Liberi di essere se stessi e da questo momento anche con la Thomas & Sapphire story. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE Albero Genealogico:I Thompson - I Keller - Kleinsten

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LONDON
Facemmo sesso tutta la notte. Non era nulla di romantico, infatti ciò che cercammo l'uno dall'altra fu solo piacere.
Bisogno fisiologico! Così lo chiamava Diamond. Effettivamente parlavamo di assecondare un capriccio del nostro corpo, il problema di per sé era assecondarlo con il primo venuto, prenderci ciò che volevamo e poi addio.
Nel caso di Diamond invece c'era un'attrazione di base perpetuata per almeno un mese con discussioni continue. Infatti anziché scoparmela e basta, dopo la prima volta, ce ne fu una seconda e poi una terza. Per la prima volta dormii anche con una mia amante. Ero sempre stato informale, trattandosi di incontri passeggeri infatti, andavamo nel primo luogo disponibile e poi amici come prima. Mi era capitato di andare a casa delle mie amanti, nonostante ciò da quando ero tornato a vivere a casa dei miei non avevo mai portale una donna lì. Nel periodo universitario al contrario mi era capitato di portare delle ragazze a casa. Io e Gabriel ci eravamo sempre imposti delle regole, se c'era una ragazza bastava chiudere la porta e si sapeva che non eravamo soli, successivamente quando Chester si era aggiunto a noi, in questi casi invece che dormire con me, andava nella stanza di Gabriel e viceversa. Le ragazze che frequentavano il nostro appartamento però, sapevano che alla mattina dovevano sparire.
Al mattino appena sveglio, frenai il desiderio di svegliarla e prenderla ancora. Dovevo creare dei limiti e delle regole. Così mi alzai dirigendomi al bagno, feci una doccia veloce e uscii senza dirigermi in stanza. Col solo telo intorno ai fianchi e scalzo andai in cucina a prepararmi un caffè. Sorprendendomi la trovai lì che stava sorseggiando qualcosa.
Alzò lo sguardo dalla tazza per nulla imbarazzata dalla notte appena trascorsa, al contrario mi fissò.
Indifferente del suo sguardo mi diressi al piano cottura, la macchina del caffè era ancora calda. Così me ne versai per me e iniziai a berlo.
"Quando arriva il capitano Morelli?" Mi chiese.
La raggiunsi bevendo il mio caffè, intanto aprii l'app dei quotidiani iniziando a leggere le prime notizie. "Paolo non verrà! Partiremo solo noi, sono in grado di navigare per le isole greche." Le dissi calmo.
"Oh... quindi siamo noi due soli. Andiamo a Policandro?" Mi chiese.
Annuii. "Se non hai una meta si." Affermai pensieroso. "Il tempo che faccio colazione e mi vesto."
"Ok!" Mi disse andando a posare la sua tazza, prese del pane con la Nutella dal pensile e mi guardò. "Sai una cosa?"
"Mmm..." dissi godendomi il caffè.
"Sai, non l'ho mai fatto sul tavolo di una cucina." Disse facendomi sputare il caffè. "E tu sembri proprio apparecchiato a puntino per me." Concluse con voce roca.
La fissai sgomento. C'erano delle regole e una di queste era proprio non fare cose troppo personali. Lei mi guardava in attesa intanto che farciva il suo pane, chiuse il barattolo e tornò a posarlo.
"Ferma!" Le dissi perentorio.
"Ne vuoi uno anche tu?" Mi chiese. "Avevo capito che non eri goloso." Concluse portandomi il barattolo al tavolo.
Mi sollevai raggiungendola. "Non comunemente goloso." Affermai prendendola in braccio e sedendola sullla tavola. "Ti concedo una fantasia in cambio di un'altra." Contrattai prendendo la Nutella.
Lei guardò ora me, ora il barattolo. "Anche io..." sussurrò con sguardo scuro.
Non me lo feci ripetere. Le tolsi la t-shirt extra large che portava sempre e cominciai a gustarmela in tutti i modi possibili.
Il sesso tra noi stava diventando da fisiologico a esplorativo.
Passammo il week end a Policandro cercando Alaska per tutta l'isola. Anche se era relativamente più grande rispetto a quelle visitate fino a quel momento da Diamond.
"Come facevi a visitare tutte le isole?" Le chiesi la domenica sera davanti a un piatto di insalata greca.
"Avevo tempo. Noi siamo ridotti perché durante la settimana lavori, da domani anche io lavorerò. Sicuramente dovremo tornare ancora a Policandro." Mi disse.
Il tempo! Era sempre quello, io temevo che mi sfuggisse di mano. Che più tempo passava, poi Alaska si allontanava da noi. "Hai detto che eri con loro." Le dissi. "Hai conosciuto anche Dallas." Annuì. "Ti va di raccontarmi ciò che è successo dal tuo punto di vista?"
"Certo! Sappi che quando sono arrivata io loro erano a Otranto già da una settimana almeno." Affermò iniziando a raccontare. "Fui accolta con calore, Micaela mi presentò come la sua sorellana, i tuoi fratelli furono ben felici di conoscermi e anche gli altri. C'era interesse nei loro sguardi. Scoprii un paio di giorni dopo a cosa fosse interessato Philip poiché ci provò spudoratamente con me, io sapevo che Alaska aveva una cotta per lui e anche Mary gli Moria dietro. Rifiutai quindi le sue avance e mi godetti le vacanze con gli altri. Sembrava che Dallas fosse lì per redarguire Philip, ogni volta che si avvicinava troppo ad Alaska, lui lanciava delle occhiate eloquenti. Fui poi io a dire ad Ali che Philip ci aveva provato anche con me. Subito se lo mise alle spalle e continuammo a goderci la vacanza. Poi, poco prima di lasciare Otranto Philip fece arrivare il suo yatch al porto, intanto aveva iniziato una relazione con Mary che si mise con lui a convincerci a partire per la Grecia e cambiare programma. Io sinceramente non lo conoscevo il programma, però sapevo che non avrei lasciato Micaele e neanche Alaska, da sole. Lo promisi anche a Dallas che mi sarei presa cura della gemella. Così dopo le innumerevoli insistenze Ali e Mic cambiarono programma per partire verso le isole greche. All'inizio sembrava tutto tranquillo, esplorammo le isole che lasciavano l'Italia e successivamente ci dirigemmo verso le isole Ionie. Fu durante quella prima traversata che per la prima volta Philip si mise al timone, non c'era vento e il mare era tranquillo così Paolo glielo fece fare, ovviamente visionandolo. Lui e Marco si alternavano nell'essergli accanto. A me faceva strano, sapevo che erano tutti coetanei con Micaela, quindi Philips aveva diciotto anni. Chiesi a Marco se non ci volesse una scuola o una qualsiasi cosa per portare una barca di quella portata. Mi rispose che per portare le barche ci voleva il patentino e che il signorino la portava senza perché era visionato ed era il 'proprietario '. Andava avanti così per tutto il viaggio, quando ci fermavano loro andavano in spiaggia e noi in giro. Philip si lamentava sempre delle escursioni che facevano, ma il tempo mite era ormai passato e di fare il bagno a noi non andava. Arrivammo infine a Cipro che era metà novembre. Io sinceramente mi ero stancata e avvertii mamma che sarei rientrata, lo dissi a Micaela e sorprendendomi Alaska concordo con me, quella vacanza stava iniziando a stancare. In pratica una volta a Santorini ci saremmo fermate tutte e tre." Il racconto proseguiva diretto, come mi aveva raccontato papà il maremoto era accaduto durante il tragitto da Cipro a Santorini. Diamond prese fiato e bevve un po' d'acqua prima di continuare. "Ci godemmo comunque i giorni a Cipro, era un'isola grande e culturalmente ricca così approfittammo anche del mal tempo che non ci permetteva di partire, per visitarla. Quando finalmente il tempo si calmò partimmo, Paolo disse che era abituarsi a gestire i venti greci e quindi ci affidammo a lui.
Nonostante ciò durante il tragitto Philip di nuovo chiese il posto del capitano, Paolo si rifiutò e anche io gli dissi che con il vento non era il caso. Ma lui insistette! Diceva che voleva e poteva affrontare il vento e Mary lo esortava. Strada facendo il tempo peggiorò iniziò anche a piovere e Paolo chiese ancora di riprendere il timone. Purtroppo la tempesta non spaventava Philip che era come drogato, licenziò Paolo e urlava che lui avrebbe sconfitto la tempesta. Paolo una volta assolto dei suoi servizi decise però di prendere in mano la situazione. Ci invitò ad indossare per bene i giubbotti di salvataggio e ci portò verso la scialuppa di salvataggio, un gommone circolare. Iniziammo a seguire seguendo le istruzioni di Paolo, salite, allacciatevi e non muovetevi dal vostro posto. Salii io per prima e mi portai Micaela dietro, mentre Alaska stava salendo, Mary prese il sopravvento piangendo che doveva salire per prima, che non voleva restare lì e cose così. Paziente Alaska la fece salire per prima e poi la seguì. Sentimmo uno strattone, anche se non compresi di cosa si trattasse. Solo più tardi mi dissero che la barca era andata contro uno scoglio. Venimmo raggiunte da Marco e Philip e lasciammo la barca. La tempesta era diventata incessante e il vento era forte, le onde alte. Io e le altre ci tenevamo ferme al gommone tramite le sue maniglie. Di nuovo Mary ripreee a piangere: voglio stare con Philip! Voglio stare vicino a lui, non è il tuo posto Alaska. Era snervante e le accuse di Mery erano infondate. Però tua sorella buona come sempre decise di assecondarla e scambiare di posto con Philip. La cosa non mi piaceva perché si sarebbe allontanata ancora di più da noi. Poi penso che poteva benissimo cambiare posto Philip, invece no. Alaska gli cedette il posto e rimase un po' in bilico, anche se si teneva sempre stretta alla maniglia, Philip al contrario perdeva tempo e nel farlo palpò volutamente il sedere ad Alaska senza muoversi. Intanto le onde erano sempre più alte, incitammo Philip a muoversi e cambiare posto e allora lo fece, intanto un'altra onda ci sballottò! Alaska però si teneva salda e nonostante l'equilibrio precario restò in barca, è stato mentre si sedeva che con l'ennesima onda fu sballottata fuori dal gommone. Cercai di afferrarla alzandomi, ma Paolo e Marco mi fermarono, il secondo si sporse dal gommone per prendere Alaska, aiutandosi anche col remo che possedeva. Ma nel farlo cadde anche lui. Li chiamammo e li cercammo per tutto il pomeriggio, fino a quando la tempesta finì e i soccorsi non arrivarono." Concluse fissandomi. "Quel bastardo ha fatto finta di niente e io ancora non mi sono arresa. Troverò Alaska." Mi disse.
Quando finì il discorso espulsi il fiato che avevo trattenuto per tutto il racconto. Versai dell'ouzo a entrambi dopodiché lo buttai giù in un sorso. "Finalmente qualcuno che mi ha raccontato come sono andate le cose dall' inizio alla fine." Dissi accendendomi una sigaretta.
Diamond prese il suo bicchiere iniziando a sorseggiare l''ouzo. "Papà mi ha desso che se volevo tornare dovevo avere un profilo basso e non farmi riconoscere. Da domani le cose cambieranno se sarò il tuo avvocato, non potrò più presentarmi come Ariel."
Annuii. "Continua a farlo. Sarai Ariel Davis, tanto gli scagnozzi di Hoffman si aspettano che tu sia una Keller." Le dissi.
"Tu sei convinto come mio padre che gli uomini di Hoffman ci controllino." Disse.
"Adesso ti dico ciò che sospettiamo io e mio padre, tuo padre Thomas concorda che sia una possibilità." Dissi facendo un tiro di sigaretta.
"Cosa non so!" Mi disse raggiungendomi, mi prese la sigaretta di mano e fece un tiro per poi ripassarmela.
"Fin quando non si trova il corpo di Alaska, tutti noi abbiamo una speranza che sia ancora in vita." Le spiegai. "Il responsabile di Hoffman è ancora qui, come anche qualcun altro sicuro. Sospettiamo che anche loro siano alla ricerca di Alaska, ma non per senso di colpa o altruismo." Le raccontai. "Trovare il suo corpo significherebbe togliere a noi la speranza di ritrovarla. Mentre per loro sarebbe la prova di un doppio omicidio."
"La scatola nera è stata trovata?" Chiese Diamond.
Assentii. "Come anche la registrazione via radio di Philip che comandava e licenziava. Sulla sua testa già pende l'accusa di un omicidio, la famiglia di Marco però è povera e non può smuovere tanto agli Hoffman. C'è una causa e verranno rimborsati, ma la cosa resterà qui in Europa, in Italia precisamente. Se invece si trovasse Alaska..."
"Il caso arriverà in America e Philip verrà condannato lì?" Chiese Diamond.
"Sicuramente papà chiederà lì a Boston il processo. In questo modo Philip verrà giustiziato e suo padre non può permettersi neanche di fare un passo falso. Sarà un gioco di potere, a chi è più potente di."
"Tuo padre è... potente?" Mi chiese titubante.
"Mio padre ha i suoi appoggi e le sue conoscenze. Ha anche la tua famiglia che lo appoggia e tanti altri amici e conoscenti. Inoltre il senatore Jenkins è in debito con noi. Dopo aver diffamato mia sorella, mio padre lo ha denunciato ed è pronto a rendere pubblica la denuncia e i fatti che ne seguono. Semmai dovesse prendere le parti di Hoffman, il senatore sarà un altro di quelli che cade. Comunque si, papà è potente." Dissi. "Però ciò che sospettiamo su Hofman non è che trovato il corpo lo renda pubblico. Non loro almeno."
"Perché sarebbe un duplice omicidio." Affermò Diamond.
"Giusto. I genitori di Marco hanno accettato che sia stata per fatalità la morte del figlio, loro a differenza nostra non sanno la verità. Noi invece la sappiamo, inoltre fin quando non troveremo il corpo non possiamo muovere accuse."
"Potrebbero occultare il corpo?" Chiese sorpresa Diamond.
"È quello che pensiamo, si. Se occultano il corpo a noi resta la speranza che Alaska sia viva e gli Hoffman hanno le spalle coperte."
"Che stronzi! Potrebbero veramente farlo." Disse lei.
"Si. Per questo sono stato attento quando siamo partiti, mi sono accettato che nessuno ci seguisse. Paolo non è con noi, poiché gli ho dato il compito di seguire James Palmer, il responsabile di Hoffman rimasto qui." Le rivelai.
"Adesso mi è tutto chiaro." Rispose. "Cercherò di passare inosservata e farò un buon lavoro." Mi disse.
Spensi la sigaretta nel posacenere e la fissai. "Tom dice che sei bravissima. Mi fido di te a livello lavorativo, quindi basta solo che mi informi di cosa firmo." Le ricordai ancora.
Lei annuì. "Bene! Che si fa adesso?" Mi chiese intanto che pagai.
"Torniamo alla barca che domani partiamo all'alba." Le dissi.
"Si signore." Disse divertita per poi aggiungere allusiva. "Quindi dormiremo?"
Risi. "Vedremo. Se devo soddisfare un bisogno fisiologico chi sono io per non aiutarti."
"Hai tutto?" Mi chiese incamminandoci verso il porto.
Si! Avevo comprato i preservativi. In due giorni avevo finito tutta la scorta che avevo dietro. E forse qualche volta mi era anche sfuggito di metterlo, come la mattina prima in cucina quando avevamo giocato con la Nutella. "Li ho! Hai mai pensato di usare anticoncezionali?"
"Certo, ma non mi proteggono dalle malattie."
"Sono sano come un pesce." Affermai.
"Comunque volevo usare l'anello vaginale. Ma ho desistito e ho continuato con la pillola che ho smesso dopo la tempesta, avevo tutto in barca e quindi dovrei ricominciarla." Mi disse. "Se inizio anche a prenderla appena ho il ciclo, tra una settimana, comunque devo aspettare che entri in circolo."
E per allora probabilmente la nostra relazione sessuale sarebbe finita. "Mi sacrificherò per ora. Ma fossi in te prenderei lo stesso la pillola." Le dissi.
"Quante ne hai saltate senza protezione?" Mi chiese lei con ammonizione.
"Vuoi vedere che è colpa mia!" Le dissi sulla difensiva. "In cucina sabato mattina e stanotte penso."
"Eravamo a letto!" Affermò lei.
"E io dormivo quando qualcuno di nostra conoscenza mi ha svegliato." Le ricordai.
"Stai dando la colpa a me?" Chiese.
"È sempre colpa tua. Anche ieri mattina, ero solo con un asciugamano. Mi dici da dove li avrei presi? Non ho mai fatto sesso in una cucina." Le feci il verso.
"Guarda... sei ridicolo. Stai incolpando me sul serio."
La fissai. "Posso contrattare per un cinquanta e cinquanta." Le dissi.
Lei sbuffò salendo sulla barca. "Almeno la settimana prossima avrò il ciclo."
Annuii. "Lo faremo tutti i giorni. Col ciclo non si è fertili, giusto?" Le chiesi.
Lei mi guardò pensierosa per poi annuire. "Anche subito dopo. Davvero lo faresti con tutto quel sangue?"
Mi immaginai un rapporto col ciclo. "Se ce n'è tanto no, posso contrattare per l'ultimo periodo quando sei più pulita, senza che io usi la bocca, forse potrei le mani che tanto le lavo dopo."
"Oh vedo che stai organizzando tutto." Disse spogliandosi al centro della sala. Mi fissò allusiva e andò a stendersi nuda sul divano. "Ancora non abbiamo questo problema e tu hai dei preservativi nuovi da usare." Concluse invitandomi a raggiungerla.
Sospirai. Non potevo esimermi, era così convincente che proprio non potevo. Pensai togliendomi la felpa e i jeans.
Il giorno dopo presentai Diamond allo staff dell'Olympic. C'erano Kostas, Milos e Giannis.
"Lei è Ariel Davis l'avvocato che sostituirà Adelaide nel mio team. È sempre uno dei legali più efficienti che abbiamo e sarà felice di lavorare con i vostri legali per il periodo che serve."
Milos sorrise. "Contento che sia un'altra giovane. I nostri avvocati, come ha visto anche l'avvocato Thompson sono anziani e quindi un po' indietro, nuovi cavilli legali a loro sfuggono."
"Spero di aiutarvi allora. Non vi deluderò!" Rispose lei stringendo le mani a tutte.
Dopo le presentazioni ci separammo, Giannis con la promessa che avremmo pranzato insieme accompagnò Ariel nell'ufficio dei legali e io iniziai  il mio lavoro gestionale con gli altri.
Rividi Giannis a pranzo, ero cotto poiché tra una pratica e l'altra avevo anche fatto una video conferenza con Liam e lavorato su un paio di società in mano alla G&L, nei giorni successivi avrei dovuto sentirmi con i dipendenti per valutare un piano d'azione.
Giannis mi fissò attentamente per poi sorridermi. "Andiamo a mangiare alla taverna Kamara, cucina locale e salutare, penso tu ne abbia proprio bisogno."
"Ti ringrazio. Ho una fame incredibile, abbiamo appena acquistato due società a Norimberga e in San Gallo e devo organizzare lo staff con un piano di ripresa." Gli dissi.
"Vero! Tu ti occupi anche della ripresa delle società in fallimento." Mi disse strada facendo.
"Si! Dal momento che sono in Europa al momento la gestione della sede è tutta sulle mie spalle, mentre il mio socio pensa alla principale di Boston." Gli spiegai.
"Ti occupi anche di alberghi per caso?" Mi chiese.
"Non ci ho mai provato in realtà. Non sarebbe il mio settore." Dissi.
"E se lo comprassi e io lo risollevassi?" Mi propose.
Lo guardai interessato. "Spiegami."
"Ti spiego! Appena ne ho la possibilità compro delle isole al comune. Ne ho presa una nelle Sporadi e un altro tra Santorini e Milo, l'ho chiamata Nea zoi, nuova vita. Adesso confinante a Nea Zoi c'è un'altra isola un po' più grande dove si erge un albergo. Il titolare vende e io sarei disposto a comprare l'isola."
"Ma hai difficoltà con l'albergo." Dissi. "Puoi farne delle residenze da affittare no?" Chiesi.
Lui scosse la testa. "In realtà pensavo, semmai comprassi tutto, di fare una sorta di resort senza intercessioni moderne. Un luogo dove la gente viene a disintossicarsi dal lavoro e dalla società frenetica in cui ci troviamo."
Ero interessato, per me il luogo di pace in quel caso era la barca e il mare. Ma per altre persone che non potevano permettersi una barca effettivamente quella era una grande alternativa. "Ti servo per l'albergo, il resto lo faresti da solo." Gli spiegai.
"Mi servi per l'albergo e per le energie rinnovabili. Ho già tutto in mente, mi piacerebbe inserire dei mulini ad acqua lungo il fiume che percorre l'isola. Ma sarei interessato a inserire delle pale eoliche ed eventualmente su ogni bungalow i pannelli solari." Mi spiegò.
"Lontano dalla tecnologia, ma che se ne riserva l'utilizzo per salvaguardare l'ambiente." Dissi. "Mi piace. Ne parlo col mio socio e ti faccio sapere."
Lui annuì. "Sicuramente l'albergo sarà il meno dispendioso delle spese che farò sull'isola. Però mi farebbe piacere avere il tuo aiuto, sei uno che sa il fatto suo e ciò che mi serve è nelle tue mani." Mi disse rispondendo al telefono che suonava. Rispose intanto che pensavo a quella proposta, mi piaceva molto dovevo ammetterlo. Ma ne avrei dovuto parlare con Gabriel. "Ne parlo con Gabriel e ti faccio sapere." Gli dissi quando attaccò.
Entrammo nella locanda e sentii Giannis chiedere un tavolo per quattro. "Stanno raggiungendoci Eleni e Ariel." Mi disse.
"Clio è la figlia di Milos, giusto?" Chiesi al mio amico.
"Si, lei si occupa del settore risorse umane. È molto brava nel suo lavoro." Mi disse orgoglioso.
Lo fissai. "State insieme?"
Scosse la testa. "No, la reputo al pari di una sorella. Non riuscirei mai a vederla diversamente, inoltre io ho una ragazza."
"Ah! E io che pensavo che fossi uno spirito libero." Gli dissi.
"Lo sono. Poi ho conosciuto Ali e tutto è cambiato." Mi raccontò. "In realtà non volevo neanche iniziarla questa storia, ma lei ha insistito tanto."
"Non ti piaceva? O forse ti hanno imposto di fidanzarti con lei?" Chiesi.
Lui scosse la testa. "No, non è questo. Vedi Ali soffre di amnesia, non ricorda nulla del suo passato o almeno così dovrebbe essere. Il dottore dice che le azioni che fa in automatico sono presenti nel suo inconscio. Infatti lei continua ad andare in barca tranquillamente, alle volte accenna ai suoi genitori e anche cose basiche come la storia o la matematica, ti risponde tranquillamente."
Mi sorprese, non mi aspettavo stesse vivendo una situazione così drammatica dal momento che era sempre vivace. "È la figlia di qualche tuo amico o cliente?"
Lui scosse la testa. "No, presumo che sia inglese. Quando l'ho conosciuta già aveva perso la memoria."
Wow! Quella si che era una storia. "Quindi sai che andava in barca perché?..." Gli chiesi.
"Perché me lo ha detto lei quando l'ho portata in barca. Mi disse: lascia fare a me, sono una skipper." Raccontò. "Infatti tutto torna, l'ho conosciuta durante il periodo delle selezioni alle regate di Rodi."
"Ma sai che è inglese." Dissi.
"Perché è la sua lingua, parla discretamente lo spagnolo e a quanto pare ha conoscenze di italiano." Disse desolato. "Vorrei aiutarla a ritrovare se stessa, ma senza passaporto non riuscirei a farla uscire dalla Grecia, all'ambasciata poi non sanno nulla della sua scomparsa." Concluse.
"L'ambasciata?" Chiesi sorpreso.
Lui annuì. "Certo, l'ambasciata britannica in Grecia. C'è quella americana per te e Ariel e quella britannica per Ali." Gli dissi.
Ovvio l'ambasciata ! Perché non eravamo stati li? "Non sono riusciti ad aiutarti. Ma se ti muovi con la barca probabilmente riesci a portarla in Inghilterra, è un'isola." Gli suggerii.
"Si giusto, potrei. Grazie London, mi hai dato una dritta interessante." Disse alzando la mano 033 farsi vedere da Diamond ed Eleni.
"Salve a tutti. Si mangia?" Chiese Eleni col suo sorriso smagliante. Era una bella donna, mora e molto formosa, indubbiamente affascinante. L'opposto di Diamond fisicamente parlando, sembrava che andassero molto d'accordo.
Si sedettero al tavolo, e ordinarono.
"Cosa succede?" Mi chiese Diamond.
"L'ambasciata!" Affermai io.

DIAMOND
Il week end che avevo passato con  London era stato esplosivo. A livello di ricerche era stato inconcludente, non avevamo trovato Alaska e sicuramente saremmo dovuti tornare a Policandro. A livello intimo invece era stato il massimo. Non avevo mai fatto sesso con un uomo, tante volte come in quei due giorni con London. Era stato un record, non so perché, ma riusciva ad accendere la mia libido. Potevo dire che il fattore scatenante fossero le discussioni, tuttavia quando gli avevo chiesto di fare sesso in cucina, non stavamo discutendo. Ma lui era lì, appena uscito dalla doccia, con solo un telo a coprirgli i fianchi, i capelli biondi umidi e disordinati e cazzo! Mi ero eccitata. E aveva acconsentito senza indugi a solleticare la mia fantasia, aveva fatto di meglio, l'aveva migliorata grazie all'utilizzo della Nutella. Al solo ricordo un fremito ormai riconoscibile mi pervadeva l'interno coscia. Quel desiderio convulso che provavo era la causa scatenante di tutte le volte che lo cercavo, nel pieno della notte, appena sveglia, appena rientrati da una ricerca. Sempre! Speravo sinceramente che prendendo a lavorare mi dessi un freno. Fino ad oggi non avevo mai avuto così bisogno di sentirmi sopraffare da un uomo come mi accadeva con London.  E in tutto ciò almeno due volte aveva dimenticato di indossare il preservativo. Le mie paure si erano insinuate lentamente quando avevamo parlato del mio ciclo. Sarebbe arrivato a breve e poi sarei stata poco fertile. Non glielo dissi, ma forse come me ci era arrivato anche lui. Avevamo fatto sesso non protetto mentre ero fertile.
Per queste aspettavo fremente che mi venisse il ciclo, se fosse arrivato, mi sarei sentita più tranquilla.
Fortunatamente il lavoro alla Olympic mi aveva tenuto la mente occupata. Avevo anche avuto modo di parlare a telefono con Eddy che a quanto pareva già sapeva come stavano i fatti.
"Fammi avere i tuoi documenti che ti assumo. Inoltre..." disse pensieroso. "Metterò voce che c'è un  nostro consulente in Grecia così potrai avere anche altri lavori.
"Grazie mille. Ti mando subito un fax con i miei documenti, sei stato gentilissimo Eddy." Dissi.
"E di cosa! Benvenuta a bordo Diamond." Mi disse salutandomi.
A metà mattina conobbi anche Eleni, la responsabile alla risorse umane nonché figlia di Milos Sarmas. Era più grande di me di due anni, ma molto espansiva, tanto che subito facemmo amicizia. A pranzo non potetti rifiutare il suo invito, soprattutto perché avevo fame.
Così la seguii in un ristorante locale, dove scoprii che c'erano anche London e quel gran figo di Giannis Papas.
London non sfigurava vicino a lui, ma erano agli opposti. Se London aveva la carnagione leggermente ambrata, Giannis aveva la tipica carnagione olivastra dei greci, il taglio degli occhi cerulei era sottile e messo in risalto dalle folti sopracciglia nere. Aveva un naso greco importante e una bocca carnosa. Infine portava una barba appena visibile ma che denotava molto fascino. Sicuramente era un tipico Latin lover.
Spostai lo sguardo su London andando a prendere posto accanto a lui dando modo ad Eleni di sedersi accanto a Giannis. London era strano? Lo percepivo.
"Cosa succede?" Gli chiesi.
"L'ambasciata." Affermò.
"L'ambasciata?" Chiesi curiosa fissandolo.
Fu Giannis a intervenire. "Stavo dicendo a London che ho cercato indizi sull'identità della mia ragazza, all'ambasciata britannica." Mi spiegò.
"Ali, la ragazza di Giannis è inglese, ha perso la memoria durante le qualifiche per la regata di Rodi questo autunno. Avendo perso il passaporto non conoscono l'identità precisa di lei."
"Oh! Cavolo mi dispiace e quindi sei andato all'ambasciata?" Chiesi guardando London che sembrava scioccato. Effettivamente era brutta la situazione del suo nuovo amico.
"Si per cercare di capire il suo nome. Lei è una skipper." Disse Giannis.
Guardai ancora London, quindi cosa voleva dall'ambasciata? Lo fissai e mi passò come un lampo la risposta. "Non abbiamo visitato l'ambasciata!" Affermai.
Lui annuì. "Devo chiedere a papà." Disse. "Ma ci ho pensato anche io."
"Non capisco, di cosa parlate?" Chiese Eleni.
Io e London ci guardammo, fu lui a rispondere. Effettivamente toccava a lui rivelare il motivo della nostra presenza lì.
"Ti ricordi quando a dicembre arrivai a prendere posizione in azienda destituendo Roland Hoffman?" Chiese, i due greci annuirono. "Ebbene, abbiamo preso la società a Hoffman come risarcimento per aver fatto sparire mia sorella."
"Che cosa!" Esclamarono sconvolti i due.
"Il figlio di Hoffman era in vacanza con mia sorella, per sedurla il bastardo, solo che strada facendo l'ha persa ed ora non la troviamo più. È svanita nel nulla." Raccontò in breve.
"Ma che caz..." esclamò Giannis.
"Non si sa nulla di tua sorella?" Chiese preoccupata Eleni.
"Nulla, infatti la stiamo cercando. L'unico indizio che abbiamo è l'isola di Cerigotto." Spiegai ad Eleni.
"Avete visitato gli ospedali?" Ci chiese Giannis. "Anzi no, scusatemi. Sto pensando che con Ali siamo andati lì per la sua amnesia e invece non c'entra nulla con tua sorella London."
"Gli ospedali!" Disse lui. "Anche quelli abbiamo omesso."
"Non scoraggiarti. Vero, non ci abbiamo pensato. Ma siamo sempre in tempo." Dissi a London. Ero stata una stupita, ero andata alle forze dell'ordine ed ero continuamente in contatto con la guardia costiera. Ma avevo dimenticato gli ospedali.
"Se volete posso portarvi all'ambasciata di Atene, sicuramente anche Ali vorrà aiutarvi." Affermò Giannis.
"Ma no, lasciala stare. Anzi lasciare stare entrambi. Avete i vostri problemi e aggiungerci anche i miei non vi aiuterà." Disse London. "Ma grazie, mi hai aperto delle possibilità che non avevo calcolato."
"Una dritta a testa. Tu hai aiutato me, io lo faccio con te." Gli disse lui.
"Mangiamo!" Chiese Eleni. "Parlatemi un po' di questo arrampicatore sociale che si è perso la Thompson." Chiese.
Trascorremmo così un'ora circa a parlare e mangiare. Dopo aver parlato di Philip, raccontando che soggetto fosse, cambiammo argomento spostandoci sulla ragazza di Giannis, che adesso viveva a casa Papas, sull'isola Sciro.
"La sera quando rientro sulla mia isola, la trovo lì però." Disse divertito Giannis.
"Non vivi a Sxiro?" Chiesi.
"No! Ho comprato una delle isolette che la circondano, vivo lì."
"In totale solitudine." Dissi cercando di immaginarlo da solo. Guardai verso Eleni. "Tu hai un fidanzato?" Le chiesi convinta che stesse con Giannis.
Lei sorridendo mi mostrò un anello all'anulare. "Sono fidanzata da tre anni col migliore amico di Giannis, Krios, ci sposiamo il due aprile e passeremo la luna di miele alle Maldive." Disse eccitata.
"E chi sarà il testimone?" Canticchiò Giannis.
"Krios lo ha chiesto a Giannis, a questo punto ho chiesto ad Ali di farmi da damigella, lei è bellissima e starà bene col colore che ho pensato per i vestiti delle damigelle. Verde pastello."
Ascoltai felice le loro conversazioni, mi ero sbagliata su tutti i fronti. Indubbiamente Giannis ed Eleni erano solo amici.
"Ovviamente, se sarete ancora qui,  siete invitati anche voi al mio matrimonio. Non potete mancare." Ci disse.
Io feci spallucce sollevando le spalle e guardando London che sorridente accettò.
Sarei stata ancora lì ad aprile? E se fossi rimasta incinta? Cosa avrei fatto? Di nuovo quei pensieri tornarono a tormentarmi. Ma non dovevo pensarci, dovevo stare rilassata e vivere alla giornata. Si avrei fatto così. 
Nel pomeriggio ripresi a lavorare, chiamai anche tutti gli ospedali e gli ambulatori delle isole che avevamo visitato per chiedere se negli ultimi mesi una ragazza americana fosse stata ricoverata o cosa. Diedi la descrizione fisica e caratteriale, tutto ciò che poteva passarmi per la testa lo dissi a loro.
Non ottenni risposte se non la conferma che la scomparsa di Alaska coincideva con le qualifiche per le regate di Rodi. Eagazze straniere ricoverate in quel periodo ce n'erano state, due francesi, una tedesca, un'australiana e un'americana. Ma nessuna di loro era Alaska, l'unica americana era una ventottenne di Malibu.
Quella sera raccontai tutto a London, lui mi rispose che aveva contattato il padre chiedendogli se avesse contattato l'ambasciata alla scomparsa di Alaska.
"Ci andò la mamma. Ne denunciò la scomparsa e anche di come si fossero svolti i fatti. Quando poco prima di Natale sono rientrati a Boston, sono comunque rimasti con l'ambasciatore che  in caso Alaska si presenti all'ambasciata, verranno avvisati."
"Bene! Non hanno lasciato nulla al caso."  Dissi lavando le stoviglie della cena.
"Da questo momento anche noi non lo faremo." Affermò lui che stava asciugando i piatti.
Chiusi l'acqua e asciugai le mani sospirando. "Saremo più attenti." Gli dissi. Incrociando le braccia al petto.
Lui asciugò l'ultimo bicchiere e mi sorrise. "Andiamo a dormire?"
Annuii. Si ero stanca e volevo andare a dormire. Spegnemmo le luci e come se avessimo raggiunto un tacito accordo andammo ognuno nella propria stanza.
Non gli chiesi nulla e vedendolo così amareggiato compresi che a frenare entrambi fu il fatto che pensavamo di aver fallito.
Era stato un trauma per entrambi capire che non ce l'avevamo messa tutta. Per me ancora di più! Mi ero promessa di ritrovare Alaska, ma avevo sorvolato. Non avevo cercato minuziosamente.
Inutile! Non riuscivo a dormire, come quando avevo perso Alaska ero smarrita e amareggiata. Non sarei riuscita a dormire. Mi alzai raggiungendo il ponte dove mi sedetti su un divano a fissare il mare scuro. Era abbastanza tranquillo, molto più che a novembre, molto più di me.
Rabbrividii! Quando sarebbe passata quella brutta sensazione  che mi portavo dentro? Avvertii il leggero calore di una coperta sulle spalle. Mi voltai, dietro di me c'era London che mi fissava. Venne a sedersi accanto a me e ci copri entrambi con la coperta affinché restassimo al caldo.
"Domani sarà un giorno migliore." Mi disse abbracciandomi.
Gli crederti! Mi strinsi nel suo abbraccio e poggiai la testa sulla sua spalla. "Si, domani andrà meglio."

 

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia i primi tre capitolo si svolgono in contemporanea e sono in ordine di lettura La storia di Thomas Il tesoro più prezioso; la storia di Gabriel Keller in Liberi di essere se stessi e da questo momento anche con la Thomas & Sapphire story. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE Albero Genealogico:I Thompson - I Keller - Kleinsten

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DIAMOND
I giorni si susseguirono, andare a lavorare al mattino con London, chiudermi nell'ufficio e portare avanti delle pratiche aziendali, o internazionali, stava diventando una routine. Tra una pratica della Olympic e l'altra, Eddy me ne passava anche alcune da alcuni clienti europei, pratiche su cui potevo lavorare dalla Grecia senza dover partire. Così riuscivo a tenermi impegnata durante le giornate.
Come sempre a pranzo ormai avevamo preso l'abitudine di trovarci Eleni ed io, alle volte con London e Giannis, altre solo noi. Ancora pranzavamo col fratello di Giannis e cosa ancora più interessante conoscemmo Krios, il fidanzato di Eleni.
Riprendemmo anche le ricerche. Più minuziosamente! Oltre i paesini e gli enti pubblici avevamo insistito a perlustrare anche le isole deserte, spiaggia dopo spiaggia fino ad arrivare al punto più alto delle isole. Quando si trattava di piccoli atolli, riuscivamo in una giornata a perlustrare tutta la zona. 
Nonostante io e London avessimo ripreso ad avere dei rapporti ci fermammo. Perché fortunatamente mi venne il ciclo.
Più rilassata affrontavo le giornate con una carica in più e lo stesso obbiettivo. Cercare e trovare Alaska.
Quindici giorni dopo l'inizio del mio lavoro come avvocato, lasciai anche per la prima volta la Grecia, con London. Dovevamo vedere dei clienti con la G&L in Italia e non volendo chiamare Adela, il mio amante reputò cosa giusta portare me per le pratiche legali.
"Adela si occupa della G&L, quindi penso non ci siano problemi se la sostituisci. Ma sentila prima." Mi disse.
L'avevo sentita e Ada era stata ben contenta che non andassi io in Italia.
"Sono ancora impegnata nel Kleinsten, poi dovrò andare ad Amsterdam." Mi disse.
Perfetto! Se le cose stavano così sarei partita. "Viaggi molto." Le dissi.
"Lo farai anche tu se ti piacerà e prenderai il giro." Mi disse lei felice.
Effettivamente non ci avevo pensato, ma se accettavo quel lavoro e soprattutto di entrare in società, quello sarebbe stato il mio destino.
Comunque partii, anzi partimmo. E per la prima volta io e London dopo il lavoro ci comportammo come due turisti. La società che la G&L aveva acquistato si trovava in Abruzzo.
Veniva chiamato il cuore verde dell'Italia, poiché era l'unica regione a non essere bagnata dal mare. Ne rimasi estasiata, amavo quel posto, l'aria che si respirava, il clima, il cibo e soprattutto la gente. A malincuore lasciai l'Abruzzo, fortunatamente dovendo riavviare l'azienda non restammo all'Aquila per due soli giorni, ma molto di più.  Così se il giorno lavoravamo, London molto di più, nel pomeriggio facevano i turisti e la notte gli amanti.
Forse mi stava sfuggendo di mano il significato di bisogno fisiologico, anzi no! Mi era sfuggito, con il significato di una notte e via. Era praticamente un mese che io e London avevamo rapporti e ancora nessuno dei due ne era stanco.
Tornammo in Grecia a inizio marzo,  c'erano leggere piogge primaverili, eppure le temperature iniziavano ad essere più miti. Era piacevole.
Mi piaceva il lavoro che facevo, mi piaceva stare con London, mi piaceva vivere su una barca, mi piacevano i miei nuovi amici. Fino a quel momento i miei amici erano stati solo i miei fratelli. Samuel, Thomas, Joel, poi era arrivato Rafael Che comunque aveva un migliore amico dall'università, si chiamava Cham. Come Micaela aveva Alaska, i miei amici fratelli avevano tutti degli amici. Io no! Non avevo stretto amicizie al collegio femminile dove ero stata iscritta. Quando ero arrivata i gruppi già si erano formati e non includevano la ragazza arrivata dall' Inghilterra.
Non avevo tanti amici, Eleni era la mia prima compagna. Uscire con lei e Krios era bello. Era un peccato che Giannis non usciva tanto con noi. La sera voleva tornare a casa, su Sciro, dove c'era la sua Ali ad aspettarlo.
Eleni era comunque diventata la mia amica. Era stata lei a portarmi dalla sua ginecologa per farmi segnare la nuova pillola, o forse potevo optare per un anello vaginale, come Eleonora. In fondo io non avevo Cristal a casa che poteva toccare le mie cose.
A metà marzo andai rilassata a fare la visita medica, Eleni mi avrebbe fatto da interprete se la dottoressa non conosceva alcuni termini inglesi. Ma ero sicura che ce la saremmo cavata.
La dottoressa Nanoupolo fu molto cordiale. Era probabilmente coetanea di mia madre e quando iniziai la visita ero molto rilassata.
"Dunque Diamond! Cosa mi racconti di te?" Mi chiese mentre mi spogliavo e mi stendevo sul lettino.
"Ho una storia clinica molto semplice. Sono sana, non ho malattie ereditaria, il ciclo è regolare." Risposi. "Dovrebbe infatti arrivare tra il diciannove e il ventuno." Le spiegai. "Vorrei riprendere la pillola oppure mettere un anello vaginale."  Si! Sarebbe stato più comodo quello, avrei dovuto metterlo e toglierlo solo una volta al mese.
La dottoressa mi sorrise prendendo il tampone per il pap-test. "Adesso valutiamo il tutto. Ho una pillola con gli stessi valori di quella che prendevi da consigliarti." Mi disse tastando il collo dell'utero con le mani. "Quando hai avuto l'ultimo ciclo?" Mi chiese.
"Il 18 febbraio, è arrivato un po' in ritardo rispetto al solito." Ammisi.
"È stato regolare?" Chiese ancora la dottoressa posando la sonda. "Credo sia inutile fare il pap-test al momento." Concluse togliendosi i guanti. "Devi fare delle analisi per me prima."
Mi rimisi seduta stringendo le gambe. Era successo qualcosa? Perché non mi aveva fatto il pap-test? "Tutto bene?"
Lei annuì. "Si tranquilla, al momento osservando il collo dell'utero mi sono un attimo fermata." Disse prendendo una siringa. "Controlliamo un attimo i valori della Betahcg e dopo valutiamo il da farsi."
Si avvicinò al lettino e mi fece un prelievo. Dopodiché chiamò un infermeria a cui lasciò la fiala col mio sangue. Nel frattempo mi rivestii e raggiunsi Eleni alla scrivania che mi sorrideva confortante.
"Stai tranquilla, sono sicura che qualsiasi cosa London ti sarà vicino." Mi disse.
La guardai sospetta. "Conosci questo esame che devo fare?" Le chiesi.
"Sì, lo ha fatto mia cugina Cleo due mesi fa. Serve a controllare i valori ormonali quanto sono alterati."
"Quindi potrei star male?" Le chiesi.
Lei rise. "Ma no! Potresti essere solo incinta."
Sbiancai all'istante. Incinta! No. Non volevo e non potevo essere incinta.
"Va tutto bene Diamond?" Mi chiese Eleni. "È un cosa bella no?"
Scossi la testa. "Non era programmato. Non adesso... è... è presto, troppo presto." Dissi in preda al panico. Avevo tante cose da fare, progetti da portare avanti. Le cose dovevano essere fatte con criterio, io e London non eravamo neanche una coppia.
La dottoressa entrò di lì a poco. La fissai mentre prendeva posto.
"Io non posso avere un figlio, io non posso essere incinta!" Le dissi in preda al panico. "Ho iniziato adesso a lavorare, mi piace lo voglio portare avanti. Ho dei progetti in testa e né io né il padre avevamo in mente di avere un figlio." Mi sfogai.
"Tra un poco arriva il risultato delle analisi e eventualmente se mi sono sbagliata ti metterò l'anello vaginale." Disse serena la dottoressa. "In caso contrario ci sono delle soluzioni, sta a te dirmi cosa vuoi fare." Concluse professionale. 
"In che senso soluzioni?" Le chiesi sempre più agitata.
"Per la pillola del giorno dopo penso sia tardi, dipende dal tuo ultimo rapporto non protetto, faremo i conteggi in base alle analisi e all'ultimo suo ciclo, dobbiamo anche vedere se ti torna il ciclo questo mese, per questo non ti consiglio la pillola del giorno. Dovremo quindi intervenire chirurgicamente e sai di cosa parlo. Sei una donna intelligente, hai 25 anni, quindi dovresti sapere come funziona."
La guardai sempre più sconvolta. "Dovrei abortire?" Le chiesi intanto che un nodo mi stringeva la gola. Davvero mi stavano chiedendo di uccidere un bambino? Io non ero quel tipo di persona, non volevo diventare mamma in in quel momento! Non ancora, era presto. Tutto qui.
La Dottoressa mi guardò. "Aspettiamo prima il risultato delle analisi e vediamo quanto tempo hai a disposizione poi deciderai con calma cosa tu voglia fare. Hai di tempo fino al terzo mese per decidere se abortire o meno."
Era quella la soluzione? Abortire? Dovevo uccidere un bambino? Io non sapevo se sarei stata in grado di farlo, ma non volevo neanche essere incinta.
Non dovevo fasciarmi la testa prima del previsto, dovevo aspettare le analisi e sperare che la dottoressa si fosse sbagliata. Solo due volte, solo due non avevamo usato il preservativo. Tutte le altre volte London era stato minuzioso, tanto da lasciare ovunque i preservativi pur di averli a portata di mano. Nessuno di noi due voleva diventare genitore, quindi speravo e pregavo di non essere incinta.
I miei pensieri furono interrotti dal bussare alla porta. La dottoressa invitò ad entrare, una giovane donna in divisa infermieristica le consegnò il foglio. Era come una scena al rallentatore.
L'infermiera lasciò la stanza e nonostante fosse stata delicata mi parve che la porta fosse stata sbattuta con violenza.
La dottoressa studiò le mie analisi con minuzia. Dopodiché mi guardò. "Dal risultato delle analisi, controllando l' alterazione direi che hai passato il periodo di fecondazione, sei almeno di tre settimane. Se vuoi informarmi avremo la conferma la settimana prossima, ma direi che...". Disse iniziando a fare un calcolo. "Tuo figlio dovrebbe nascere il 25 novembre circa. Se vuoi abortire hai di tempo fino al dieci maggio per decidere, non andrei oltre." Concluse distaccata.
Sembrava stesse contrattando, come facevo io solitamente con i miei clienti. Era assurda quella situazione.  "Nel frattempo, ti invito comunque a prendere dell'acido folico e delle vitamine per la maternità. Non hai chiaro cosa vuoi fare e il mio compito adesso è preservare il feto, che è più piccolo di un chicco di riso adesso." Mi disse. "Questo è il motivo per cui non ti farò un'ecografia e non ti darò la pillola dell'aborto. Ti invito anche a fare delle analisi e ritornare il mese prossimo. Tranquilla, il bambino sarà grande come un fagiolo, potrai vederlo formato solo al terzo mese. Ma se decidi di toglierlo non ci arriverai a vederlo, così non ti affezionerai a lui."
Annuii. "Le farò sapere." Dissi alzandomi. "Quanto le devo?" Chiesi.
"Per il conto e il prossimo appuntamento devo andare alla reception. Queste sono le ricette con gli esami che mi servono ad aprile."
Assentii prendendo le carte. "Va bene. Grazie." Le dissi salutandola.
Durante il tragitto verso la Olympic la mia testa era un ingorgo di pensieri. Eleni non parlò, la ringraziavo per la sua comprensione. Quando giungemmo alla sede dell'impresa navale dovetti però chiederle di mantenere il segreto della gravidanza.
"Per ora ho bisogno di... devo capire cosa voglio, senza pressioni." Le dissi cercando di farle capire la mia situazione.
Lei mi abbracciò. "Va bene. Ti capisco, ti sarò vicina qualsiasi scelta tu prenda." Mi disse.
E meno male. In quei giorni fu il mio sostegno. Sicuramente London aveva capito che qualcosa non andava e mi guardava spesso con sospetto.
Ero più distaccata, lo sapevo gli unici momenti in cui mi avvicinavo a lui era quando venivo pervasa dal desiderio di averlo. No, il desiderio sessuale non era scomparso e fortunatamente lui mi assecondava ancora. Fortunatamente pensava che la compressa dell'acido folico fosse la pillola.
Sapevo come distrarlo, era lo stesso modo in cui ci riusciva lui. Lo trovavo sempre eccitante, quando era appena sveglio, quando mangiava o dormiva, quando lavorava e cazzo, quando indossava gli occhiali da vista durante il lavoro non riuscivo proprio ad resistergli, più era composto e serio più mi eccitava.
Questa era una cosa che non riuscivo a comprendere, avevamo una relazione da più di un mese e ancora non mi ero stancata di lui. Quando sarebbe finito questo desiderio immenso che provavo nei suoi confronti? Non lo sapevo però intanto mi godevo quella che mi veniva offerto. Non mi venne il ciclo, la dottoressa mi aveva avvertito; era stato per scrupolo che mi aveva detto di aspettare. Ma non mi venne il ciclo il 18, ne 20 o successivamente. Era la conferma del periodo della gravidanza, anche se a telefono la dottoressa mi informò che solo con la translucenza nucale avrei avuto il periodo certo della gravidanza.
"Ma tu non arriverai a farla." Mi ricordò. Già avevo meno di due mesi per decidere cosa volessi fare di quella gravidanza e la Nanoupoli me lo ricordava.
I mio umore ormai era variabile, addirittura London non discuteva neanche più con me, forse comprendendo che c'era qualcosa che non andasse. Infatti a un certo punto mi fissò dicendomi quando me ne sarei andata.
"Dovresti partire e andare a casa." Mi disse spicccio.
Rimasi stupita, mi stava cacciando?
"Che fai mi cacci?" Gli urlai contro. "Vuoi sbarazzarti di me come se nulla fosse? Io ci sono dentro in questa storia come te se non di più! Non puoi mandarmi via non adesso." Urlai non sapendo se parlassi di Alaska o del bambino. 
London mi fissò basito. "No! Non ti sto cacciando, ti sto chiedendo di andare via. Sei nervosa e lo capisco. Tuo fratello sta per diventare padre e non sei con lui, è a pochi passi da te quindi vai nel Kleinsten." Mi disse calmo. "Vai, sta vicino a tuo fratello e sua moglie. Assisti alla nascita di suo figlio e poi torna, non ti sto dicendo di non tornare più, ti sto dicendo di andare da tutta la tua famiglia." Mi spiegò.
Mi mordi il labbro, dal momento che ne io ne Joel eravamo a Londra, alla fine Thomas ed Eleonora avevano deciso di fare nascere il figlio nel Kleinsten. Giustamente così Eleonora avrebbe avuto vicino le sue zie, tanto mamma aveva a disposizione il jet di papà per volare subito da mio fratello. Guardai London che sospirava.
"Forse è giunto il momento che tu li raggiunga e non lo sto dicendo per me." Mi disse. "Ormai sono abituato a te ai tuoi scleri e a tenerti battaglia. Io sono abituato, non gli altri. Devi andare dalla tua famiglia, sei stanca e qui da inizio gennaio, sicuramente ti mancano. Quindi vai da loro, sono sicuro che che hai bisogno di questo. In aziende non ti  regge più nessuno, mentre vuoi fare una cosa ne pensi un'altra, non è più me contro te. È diventato Diamond contro tutti, l'hanno avvertito anche gli avvocati dell'Olimpic. Ti prego vai nel Kleinsten e circondati della tua famiglia fino a quando non nasce Alberto. Poi tornerai." Mi disse paziente.
Quindi sarei dovuta andare dalla mia famiglia, incontrare mia madre che eventualmente avrebbe capito che c'era qualcosa di nuovo nella mia vita. Si, mamma avrebbe subito capito che aspettavo un bambino. Ci avrei messo la mano sul fuoco, era questo che volevo? Non lo sapevo, però quella frase: circondati della tua famiglia, era vera. Avevo bisogno della mia famiglia, perché effettivamente mi mancavano, era tre mesi che non li vedevo. Forse era il caso per me di allontanarmi un po' dalla Grecia e da London. Non me ne ero resa conto, se non me l'avesse detto lui non avrei mai capito che stavo esagerando e diventando pesante per tutto lo staff.
Quella non ero io, dovevo darmi una svegliata e capire cosa fare della mia vita e del bambino che portavo in grembo.
"Cosa dirò ad Eleni?" Chiesi, mi aveva invitato al suo matrimonio.
"Dille che la nascita di tuo nipote per te è importante e che poi ti rifarsi." Mi disse London.
Aveva ragione, sin dall'inizio volevo essere presente alla nascita di Alberto? Perché improvvisamente cambiavo tutte le mie decisioni? Non era per Alaska lo sapevo, forse era perché... guardai London. Cosa sarebbe successo se fossi andata via? Avrebbe chiesto a un'altra di soddisfare il suo desiderio fisiologico?
Era lui il problema! Stavo facendomi inconsciamente influenzare da lui, ciò che mi ero sempre ripromessa si stava avverando. Dipendevo da un uomo?  Non volevo! Volevo dipendere solo da me stessa.
London mi si avvicinò scrollandomi per le spalle. "Cosa aspetti, prepara le tue cose e vai in aeroporto. Tuo padre ha mandato qui il jet settimana scorsa, ti stanno aspettando." Mi disse sorridendomi.
Io invece piangevo. Maledetta gravidanza, non riuscivo a trattenermi e proprio di fronte a lui. Avvertii il suo abbraccio forte e confortante. "Quando non riuscirai a dormire, immaginami come sempre accanto a te. Vedrai che prenderai sonno." Mi disse ricordandomi tutte le volte che mi raggiungeva sul ponte coprendomi e sedendosi dietro di me. Da quando sapevo della gravidanza erano diventate consecutive quelle notti e lui c'era sempre stato.
"Ritornerò!" Gli dissi in lacrime.
"Ovvio! Altrimenti chi mi farebbe le ricerche di Alaska? Giuro non vado da nessuna parte senza di te." Così mi preparai.
London fu molto gentile, più del solito. Mi aiutò a preparare le valige, mi portò alla Olympic a salutare tutti e infine mi accompagnò all'aeroporto dove il jet di papà era già pronto al decollo.
"Li ho avvertiti che stavi arrivando." Mi disse London inaspettatamente baciandomi. "Fai buon viaggio e salutami tutti."
Annuii, dopodiché salii la scaletta che mi avrebbe portato sul jet. Era giustamente vuoto, a parte la presenza di un hostess e dei due piloti che avevo incontrato di sfuggita. Partii col magone! Da una parte volevo scappare da London e dalle sensazioni che mi faceva provare, dall'altra non avrei voluto lasciarlo. 

Arrivai nel Kleinsten nel primo pomeriggio, il viaggio era durato meno di due ore. Una macchina era ad attenermi all'aeroporto, dentro alla guida c'era Joel. Appena lo vidi gli corsi incontro. Solo quando lo strinsi mi resi conto di quanto effettivamente mi fosse mancato.
"Sei sempre più bello." Gli dissi baciandogli il viso.
"Tu invece sei sempre più Diamond. Ma andiamo, mamma, papà e Micaela non vedono l'ora di abbracciarti." Mi disse trascinandomi alla macchina con tanto di valigia.
"Eleonora?" Chiesi fremente.
"Non ce la fa più. O almeno è quello che dice, ma è ancora più bella del solito." Mi rispose mettendo il trolley nel cofano della Maserati blu scuro.
Era una macchina stupenda. "Concessione del Kleinsten." Disse Joel salendo e mettendo in moto.
"È comoda." Risposi. "Come vanno le cose? Tu e Micaela?" Chiesi.
"Mmm... resisto." Rispose evasivo. "Tanto è solo per il periodo qui nel Kleinsten."
"Ma perché se la ami non ti lasci andare? Sareste felici entrambi." Gli dissi.
"Ha solo diciotto anni e ne ho otto più di lei." Mi disse. "Inoltre non voglio che si aggrappi a me come a un'ancora di sicurezza. Non sono il ripiego di Alaska."
Compresi il suo punto di vista, così decisi di non insistere. "Non l'abbiamo ancora trovata."
"Ti prego, se non ti chiede non menzionarla. Mi andrebbe di godermi questo periodo insieme e sicuramente lo pensano anche mamma e papà."
Mi misi la mano sul petto annuendo. "Croce sul cuore. Non accennerò a lei."
"Come ti trovi in Grecia?" Mi chiese Joel.
"Benissimo da quando ho un lavoro." Ammisi. "Mi sento completamente appagata."
"Era ora!" Scherzò Joel intanto che entravamo al castello. I giardini erano verdi e curatissimi, alcuni cespugli erano in fioritura e lo spazio era immenso.
Una volta nell'immenso palazzo, scoprii che eravamo ubicati in un area del palazzo, quella dove un tempo risiedeva la mamma di Eleonora. C'erano proprio tutti e venni accolta a braccia aperte. Mamma mi fissò attentamente prima di iniziare a fare domande su quel periodo in Grecia, senza mai affrontare l'argomento Alaska. Mi chiedeva come stavo, se andava bene la mia residenza, fino ad arrivare al lavoro che le avevo scritto avevo iniziato.
"Il lavoro è bellissimo ed ho trovato anche un'amica. Si chiama Eleni e si sposerà tra dieci giorni. Ovviamente sono stata invitata al suo matrimonio." Raccontai raggiante.
"Sembri pienamente soddisfatta Di! Sono contenta per te." Mi disse Micaela seduta accanto a me.
"Voi invece cosa mi raccontate di bello? Spero che siate rientrati a Londra." Dissi lanciando uno sguardo a Tom che sembrava essere rilassato accanto ad Eleonora.
"Si! Mamma e papà ci hanno raggiunto questa domenica, Micaela invece è arrivata due giorni fa dall'Italia." Mi raccontò mio fratello.
"Avete lasciato la società nelle mani di Drake." Come sempre da che avevo memoria.
"E dell'amico di Rafael. Cham è parecchio preparato e per lui ogni occasione è buona per imparare. Gli ho detto che se mi porta dei risultati durante la mia assenza, lo assumerò." Mi raccontò mio fratello.
"Cham è talmente bello che potrebbe fare il modello, invece si perde dietro i numeri." Affermai delusa.
"Vero! È bellissimo, poi alle volte ha quell'aria malinconica che lo rende ancora più affascinante." Ammise Micaela.
"Sei stata con lui?" Mi chiese.
"No! Nonostante sia moro e con gli occhi scuri ha un'aura così eterea che mi sembra impossibile toccarlo." Ammisi.
"Ha gli occhi verdi, non scuri." Disse Eleonora intervenendo.
"Credo che una delle figlie di Drake si sia presa una cotta per lui. Ma non avvicina nessuna." Raccontò papà guardandomi attentamente. "Tu invece? Quando metterai la testa a posto con i ragazzi."
"Io non do fastidio a loro e loro non lo fanno con me." Scherzai.
"Hai smesso di discutere con London?" Mi chiese Tom fissandomi, ebbi un tuffo al cuore a sentire il suo nome. "So che durante il periodo in cui c'era Adelaide eravate sempre in contrapposizione."
"Lo siamo ancora e ne vado fiera." Risposi.
"Ma come! Diamond... pensavo che London avesse risolto."  Disse Tom.
Io risi. "Certo come no!  Non crederei che mi abbia in pugno."
"Tu hai..."
"No, no! Neanche io. Non sarebbe più divertente se lo mettessi nel sacco. Non trovi." Gli dissi divertita.
Lui mi fissò attentamente. "Pensavo che... cioè London.... Voi due non..." mi chiese Tom evasivo.
Feci una smorfia contrita cercando di non fissarlo. Possibile sapesse della nostra relazione?
"Diamond." Mi chiamò Tom. Mi riscossi e lo guardai. "Avete avuto qualcosa, giusto?" Mi disse meno esplicito possibile.
"Abbiamo avuto?..." perché al passato? Veramente mi aveva mandato lì per liberarsi di me? "No! No." Dissi più decisa. "Non abbiamo avuto. C'è e io tornerò presto a Kimy, non ti azzardare Tom a fare illazioni." Lo accusai.
Lui mi guardò esterrefatto. "Calmati Di! Per l'amor del cielo. Non ho detto niente."
"No! Tu hai detto che mi ha mandata qui per liberarsi di me." Dissi singhiozzando.
"No, che non l'ho fatto. Diamond..." Mi richiamò Tom. "Ti prego Di!"
"Tu..."
"Tesoro." Mi chiamò la mamma. Cosa c'era adesso, non potevo urlare contro il suo adorato Tommy? "Tesoro vuoi che ti mostri la tua stanza?" Mi chiese.
La mia stanza? Pensai asciugandomi il viso. Dio! Stavo piangendo copiosamente. "Si! Forse è meglio." Dissi remissiva.
"Vieni, sicuramente il viaggio ti ha stancata più di quanto pensi." Mi disse mamma.
E io la seguii stringendole la mano che mi tendeva, proprio cone quando ero piccola.

THOMAS
Con il termine della gravidanza di Eleonora mi annullai completamente. Non pensavo fosse possibile, non era stato così con Vanessa. Perché doveva essere differentemente con Eleonora? Forse proprio io perché si trattava di lei, della mia dolcissima e adorabile Eleonora. Eravamo stati nel Kleinsten da Natale a capodanno, per la prima volta mi vissi il Natale in quel paese ed era stato magico. Il palazzo del principato era stato addobbato a festa in tutti i suoi angoli, la neve, la gente e il profumo di cannella nell'aria aveva reso intorno a noi, la vera aria del Natale. Forse perché ero stato lì con Eleonora, Kristal, i miei fratelli ed entrambi i miei genitori. Era stato perfetto sia il Natale che il ballo di fine anno, quando avevo finalmente conosciuto gli amici di Eleonora. A parte mia cugina Pamela, avevo conosciuto anche Tancredi e sua moglie e Nora Müller che avevo conosciuto già in precedenza in quanto responsabile della sede legale. Ero stato bene.
Dopo la partenza dal Kleinsten pensaci che non sarei più tornato lì se non per presentare mio figlio al piccolo regno. Però i programmi erano cambiati da quando Diamond era partita per la Grecia e sembrava essersi ormai stabilita lì.
Io ed Eleonora, dopo esserci confrontati con mamma e papà avevamo deciso di tornare nel Kleinsten e farla partorire lì.
"Cham è eccezionale, posso provare a lasciargli la gestione della LKT e anche i miei clienti KCG, tanto sarà supervisionato da Drake e Liam quando passa alla LKT." Proposi.
"Per me va bene. Ma dopo la nascita di tuo figlio dovrò tornare a Boston. Ho lasciato il nonno per troppo tempo." Mi ricordò papà.
"Dopo la nascita di Alberto, prometto che ritorno al mio posto e se Cham ha fatto un buon lavoro lo assumo. Tu che ne pensi?" Gli chiesi.
"Per me va bene. Tanto sarò lì e vedrò come si comporta."
Così ero partito. Chi meglio di papà poteva guidare la KCG in mia assenza? Nessuno, soprattutto perché la società era sua. La conosceva come le sue tasche e io avevo bisogno che Eleonora stesse bene.
Era stato bene durante quel periodo, avevo anche incontrato di nuovo Nora che mi aveva aggiornato sui progressi delle due BK consulting che aveva aperto con sua sorella in Austria e del progetto di aprirne un'altra ad Amsterdam. Ero contento dei risultati che stava portando e la esortai ad andare avanti. Non che volessi crescere ancora, da quando Eleonora era incinta mi si erano insinuate altre priorità. Per queste avevo accettato la proposta di Nora e sua sorella Zora di entrare in società. Addirittura nei nuovi progetti, loro avevano il cinquantacinque per cento, io e Gabe il quarantacinque. Loro responsabilità, loro rischi. Stava andando bene e io mi sentivo più leggero. Mi bastavano già la gestione della KCG, delle BK europee, la London bank e la LKT.
Poi avevo sentito London, era da quando aveva conosciuto Diamond che non lo sentivo e la sua voce mi sembrava allarmata.
"Sono preoccupato per lei. Solitamente discute solo con me, adesso invece sembra gli diano fastidio tutti. Ha sempre da ribattere, è volubile e piange per un niente. Forse è il caso che la richiamate a Londra." Mi disse amareggiato.
"Non siamo a Londra. Eleonora ha finito i conti il quindici marzo e siamo nel Kleinsten in attesa." Risposi. "Sono arrivati anche mamma e papà adesso."
"La faccio venire lì! Forse con voi si calmerà un po'." Mi disse London.
"Mando il jet, quando vuole raggiungerci sarà pronto." Gli dissi.
Ed ora eccola lì, Diamond ci aveva raggiungo e sembrava sempre la solita. Poi avevo fatto il nome di London, provando a chiederle in modo evasivo se erano stati a letto insieme. Non mi sarei mai aspettato quella sua reazione.
Ciò che mi aveva raccontato il mio amico, sulle crisi isteriche di mia sorella stava avverandosi sotto i miei occhi. Possibile che mia sorella e uno dei miei migliori amici fossero più che amanti? No, non lo era. Nessuno dei due era tipo da relazione duratura. Erano entrambi più tipi da una notte e via, amici come prima. Cosa era successo a Diamond?
Appena lei e mamma lasciarono la stanza esalai un respiro. "Non pensavo stesse così male."
"Tom..." mi chiamò Joel richiamando la mia attenzione. "Ma lei e London stanno insieme?"
Scossi le spalle. "Non lo so. Cioè London mi aveva detto che erano attratti l'uno dall'altra, ma anche se sono stati insieme..."
"Si sarebbero già lasciati." Intervenne Samuel. "Diamond non è tipo da storie lunghe, lei non vuole legami."
Neanche io volevo legami! Però se dovevo pensare alla mia vita senza Eleonora, avrei preferito essere legato per tutta la vita a lei che una vita da solo.
"London è un ragazzo responsabile. Mi sembra strano che sia stato lui a ridurre così Diamond." Intervenne papà.
"Basta." Intervenne Micaela tirandosi su. "London l'ha mandata qui per risollevarla, il nostro compito è questo. Quindi mobilitiamoci e aiutiamo la nostra sorellina." Affermò impavida.
Sospirai guardando Eleonora che annuì. Joel ancora non proferì parola, al contrario si alzò andando verso la porta. Solo quando fu sull'uscio diede la sua opinione.
"Si è innamorata di lui, adesso sta affrontando una guerra interiore tra la sé stessa innamorata e quella che vorrebbe non dipendere dai sentimenti." Concluse. "Dobbiamo darle tempo."
Diamond si era innamorata di London? Oh cazzo. E adesso?
Non ne parlammo durante la cena, Eleonora era nervosa e non aveva fame. Furono i suoi zii a fare da padroni di casa alla mia famiglia. Però sembrava che Diamond adesso era più tranquilla.
Andammo a dormire presto, la prima a lasciare la stanza fu proprio Diamond che sobbalzò nel sentire squillare il telefono. Si scusò con tutti e andò via.
Una volta in camera io ed Eleonora non prendemmo sonno. Lei aveva mal di schiena ed era irrequieta, alche le feci compagnia camminando con lei per la stanza. Almeno fino a quando non le si ruppero le acque.

DIAMOND.
Una volta nella mia stanza scoppiai a piangere tra le braccia di mia madre. Non c'era bisogno che parlassi, sembrava capisse benissimo come mi sentivo.
Non fece domande, mi carezzò solo i capelli biondi come quando ero piccola e Andrew Davis si arrabbiava o con me o con lei. Sapeva sempre come consolarmi.
Non mi chiese niente finché non mi calmai. Andai a sciacquarmi il viso e al ritorno mi fissava.
"Vuoi parlane?"
"Non c'è niente da dire... sono qui con voi."
"Lo sappiamo, ti aspettavamo." Disse.
"Sapevate tutto." A quanto pareva London aveva organizzato tutto alle mie spalle.
"Era preoccupato per te. Ha sentito di non poterti aiutare, il passo che ha fatto contattando noi è stato importante. Non ha voluto lasciarti da sola." Mi spiegò mamma.
"Intanto mi ha spedita qui però." Dissi con le lacrime agli occhi. "Pensavo che la mia vita fosse perfetta. Ma appena mi ha messo sul jet mi sono sentita abbandonata." Raccontai piangendo. "Io non voglio sentirmi così per una persona che non sono io. Non voglio legarmi a un uomo che poi potrebbe farmi del male. Non voglio vivere il tuo stesso inferno." Piansi.
Mamma riprese a carezzarmi i capelli. "Lui si è preoccupato per te. Non vivreste mai il mio inferno con Andrew. Però se rifiuti ciò che provi potresti vivere il mio stesso inferno, sola e senza tuo padre." Mi disse facendomi aprire gli occhi. "Il rimpianto è stato il mio peggior inferno. Sapere che amava un'altra donna mi aveva sollevata perché non stava condannandosi all' infelicità. Al tempo stesso però mi aveva distrutta, perché sapevo che non sarebbe stato più mio e me l'ero cercata."
"È difficile mamma! È diverso..."
"A me sembra proprio una situazione simile." Disse carezzandomi il ventre. "Non c'è niente di più bello che amare un uomo, se non ciò che il vostro amore può generare." Mi disse silenziosa.
"Sapevo che lo avresti capito." Dissi a mamma.
"Dovreste dirlo anche a lui. Così comprenderebbe meglio gli sbalzi di umore oppure la tua libido esaltata." Mi rivelò mamma, poi che ne sapeva lei della mia libido. Oh Dio! Dipendeva dalla gravidanza quel bisogno insaziabile di sesso?
"Non so... non era programmato, ne il bambino ne che stessimo ancora insieme." Le rivelai.
"Potete fare i programmi che volete, quando arriva l'amore non ci si può esimere dal provarlo. Anche se lui non condivide i tuoi sentimenti, lo stesso dovresti rivelargli i tuoi. Così starai meglio." Mi disse mamma.
Quindi era così! Dovevo aprirgli il mio cuore. "Volevo lavorare, mi piaceva ciò che facevo."
"Continuerai a farlo." Disse mamma.
"Mamma, Adelaide viaggia molto per questo lavoro e..."
"Ed è incinta e partorirà a breve il suo secondo figlio. Quindi? Non puoi farlo anche tu?" Mi chiese mamma. "Non ti manca l'istinto materno, hai cresciuto anche tu un po' Kristal. Tesoro devi affrontare le tue paure, solo così riuscirai a stare bene." Mi disse mamma.
"Io..." dissi interrotta dallo squillo del telefono. "Arrivo subito."
Presi il cellulare dalla borsa. Non smetteva di suonare, segno che era importante. Sul display appariva il nome di London.
"Pronto." Risposi titubante.
"Sei arrivata?" Mi chiese frenetico.
"Almeno un'ora fa." Risposi.
"E perché diamine non mi hai chiamato?" Mi rispose lui. "Cazzo Dì, ero un pensiero."
"Scusami."
"Si certo." Disse secco. "Senti ti chiamo più tardi, adesso ho un incontro con Krios ed Eleni, ma ti chiamo quando rientro. Ok?" Mi disse.
Annuii piangendo. "Va bene... scusami."
"Dì ti prego... non piangere." Mi chiese.
"Scusami. Sono stanca, adesso riposo un po' così starò meglio. Prometto che dopo non piangerò."
"Ecco brava, cerca di tornare in te. Ultimamente non ti riconosco più." Mi disse, anche io non mi riconoscevo più, quindi potevo capirlo. "A dopo."
"A dopo." Sussurrai staccando. "Era arrabbiato." Dissi a mamma.
"Per essere uno a cui non interessi si preoccupa parecchio." Disse mamma facendomi stendere. "Adesso riposati, ti aspettiamo a cena, ci saranno i principi quindi dovrai dare il meglio di te."
Assentii. Mi addormentai e la sera a cena feci come mi era stato chiesto. Diedi il meglio di me! Effettivamente dopo aver pianto e parlato con mamma, mi sentivo meglio. Ero di nuovo felice. Era quindi possibile non rinunciare alla mia carriera per il bambino, avere entrambi in eguale misura? Se ci riuscivano Adelaide e Gabriel potevo anche io? La mia risposta era sì.
Così dopo cena quando squillò il cellulare sobbalzai. Mi scusai con i principi del Kleinsten e mi allontanai per rispondere a London. "Ehi americano."
"Ho un sonno assurdo." Mi disse al telefonino.
"Io ho dormito tanto invece..." gli raccontai raggiungendo la mia stanza e stendendomi a letto.
"Ci avrei scommesso." Mi prese in giro lui. Risi e presi a parlare. A raccontargli di Joel, Samuel e Micaela, del pancione di Eleonora, di papà e mamma, dei principi e... non so quando mi addormentai. Ma lo feci, me ne accorsi perché mamma venne a bussare alla mia porta. Ero ancora vestita e il telefono cronometrava una telefonata ancora in corso iniziata due ore prima. "Mamma?" Chiesi.
"Tesoro Eleonora ha rotto le acque." Disse mamma.

 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia i primi tre capitolo si svolgono in contemporanea e sono in ordine di lettura La storia di Thomas Il tesoro più prezioso; la storia di Gabriel Keller in Liberi di essere se stessi e da questo momento anche con la Thomas & Sapphire story. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE Albero Genealogico:I Thompson - I Keller - Kleinsten

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Cosa mi era preso? Perché l'avevo chiamata quando sapevo che era al sicuro con la sua famiglia? Non lo sapevo. Ma era partita e non mi aveva ne scritto ne telefonato per avvertirmi che era arrivata.
Nessuno mi aveva avvisato. Neanche Tom o Joel. Begli amici che mi ero ritrovato.
Così l'avevo chiamata io, le avevo dato un buon margine di tempo dal presunto arrivo. Volevo solo sapere se fosse o meno arrivata, infatti avevo anche inventato la scusa che dovevo uscire con Krios ed Eleni per non farmi sentire disperato.
Però l'avevo richiamata, quando la notte era diventata troppo buia e silenziosa, il mare era tranquillo e non c'era un alito di vento. Ne avevo sentito la mancanza.
Nonostante poi mi fossi addormentato quando non avevo sentito più le sue chiacchiere, non avevo spento il cellulare. Ero stato infatti il primo a sapere della nascita di Alberto.
Diamond mi aveva tenuto in linea durante tutto il travaglio. Tanto che mi ero congratulato con Tom, Eleonora e tutti i suoi fratelli.
Nei giorni successivi mi premurai di non chiamare Diamond, dovevo frenare quel desiderio istintivo che avevo di sentirla. Però lei aveva deciso per il contrario. Se all'arrivo nel Kleinsten non mi aveva chiamato, la sera successiva mi chiamò lei subito dopo cena. Di nuovo parló tanto, soprattutto del piccolo Alberto , e di nuovo si addormentò mentre eravamo al telefono.
"Ci sentiamo domani?" Mi chiese poco prima di addormentarsi.
"Ci sentiamo domani." Le promisi.
E così era andata per i successivi tre giorni, o chiamavo io o lei. Tutto scorreva liscio, a breve marzo sarebbe passato e i mari avrebbero iniziato a riempirsi di barche. Come mi aveva annunciato Giannis, a maggio ci sarebbe stata la regata di Rodi e i mari avrebbero iniziato a popolarsi. Ma non era la sola novità che la fine del mese mi portò, perché qualcuno bussò alla mia porta.
"Signor Thompson c'è una visita per lei." Mi informò la segretaria.
Sollevai lo sguardo dal computer e tolsi gli occhiali. "Ma non ho appuntamenti per almeno una settimana, giusto Clio?" Le chiesi.
Avevo in programma una trasferta a Londra da Liam. "No signore. In realtà non so neanche come sia entrato." Ma disse rammaricata la segretaria.
"Guarda che se gli dici chi sono mi lascia passare." Urlò qualcuno alla spalle di Clio.
Io conoscevo quella voce. Pensai alzandomi. "Dallas?!" Chiesi sorpreso lasciando gli occhiali sulla scrivania.
"Dio ti ringrazio, la tua segretaria ancora non vuole farmi passare." Affermò la voce oltre la porta.
"Ha veramente un militare per fratello signor Thompson?" Chiese Clio.
"Certo che si." Dissi spalancando la porta.
La figura di Dallas subito mi apparve oltre l'uscio. Sembrava più alto, di sicuro le spalle erano diventate più muscolose, aveva i capelli castani scuri a una lunghezza di circa un centimetro, niente barba. Indossava la tuta mimetica, un borsone verde in spalla e un berretto i mano che sbatteva sull'altra libera. "Dallas." Dissi felice andando ad abbracciarlo. "Come mai sei qui?"
Lui fece spallucce indicando il mio ufficio. Lo feci entrare dicendo a Clio di non disturbarci e chiusi la porta alle nostre spalle.
"La missione è finita. Invece che scendere a Norfolk ho chiesto di concludere qui la missione. Sia tu che Brooke mi avete detto di non stare a casa e ho pensato. Adesso mi fermo anche io in Europa." Raccontò.
"Quindi sei fermo." Gli dissi sedendomi accanto a lui. Cazzo se sembrava più maturo adesso.
"Si! Ho due mesi di licenza, quindi starò un po' con te, poi andrò a Zurigo da Brooke. Infine torno da mamma e poi di nuovo alla base al lavoro a preparare la prossima missione." Concluse.
"Bel programma. Perché non sei andato prima da Brooklyn. È tanto tempo che non la vediamo."
Lui annuì guardando fuori dalla mia finestra. "Volevo respirare l'aria del paese che si è scelta." Mi rispose.
Non capii. Lo guardai titubante in attesa di una spiegazione che non tardò ad arrivare. "Non sono uno stupido Lon. Tutte le volte che ho chiamato Alaska non c'era mai, lei non mi ha mai cercato a telefono e non è normale. Non per il rapporto che abbiamo sempre avuto." Affermò.
Alaska, ovvio. "Perché credi che sia qui? Non me la sono portata dietro." Gli dissi.
"Andiamo Lon! Sono venuto da te perché sei concreto e realistico, non mentiresti mai al fine di illudere le persone." Rispose. "Davvero non vuoi dirmi cosa succede? Perché Alaska non mi cerca?"
Lo fissai. Era il caso che gli raccontassi tutta la verità, così avrei evitato che lo facessero mamma e papà almeno. "Ok! Ti racconto tutto." Gli dissi. "Ti ricordi che Alaska partì con il panfilo di Philip Hoffman anziché fare il tour in Italia?" Gli chiesi.
Dallas annuì, al che io presi a raccontagli i fatti con minuzia, proprio come me li aveva raccontati Diamond.
Gli raccontai della sua telefonata di Natale, quando ci disse che Alaska stava cercando la sua strada e non dovevamo starla addosso, di come lo stesso Gabriel avesse detto a tutti noi che ogni persona aveva bisogno ad un certo punto di staccarsi dalla famiglia per capire chi fosse.
Conclusi con me stesso, dicendogli che con Diamond stavamo cercando Alaska per l'arcipelago, per avere la certezza che fosse ancora viva.
A fine racconto Dallas sospirò lanciando un pugno contro la finestra. "Quel porco di Philip. Gli avevo detto di stare lontano da Alaska, invece no!" Ringhiò. "Però ha ragione Diamond. Alaska viva, sta bene." Affermò tornando accanto a me per guardarmi con un sorriso. "È relativamente felice, nel posto dove vuole essere." Disse indicando la finestra. "Ultimamente riesco a percepire quanto sia felice, è stata una sensazione di circa una settimana fa, lei si sentiva libera. Le piaceva sentire il vento tra i capelli e l'odore di salsedine. Sicuramente è nella penisola greca."
Ero basito di ciò che stava dicendomi. Sapevo che Alaska e Dallas avevano un rapporto unico ed empatico. Ma non pensavo arrivasse a tanto.
"T-tu... puoi portarci da lei?" Gli chiesi.
Dallas sospirò. "No. Lei adesso vuole stare da sola, la sento vicina, molto. Ma la tradirei se seguirei il mio istinto e la trovassi. Ti prego London, smetti anche tu di cercarla." Affermò.
Dovevo smetterla, lasciarla andare? "Vorrei almeno vederla. Dals..."
"È presto. London nostra sorella sta fiorendo, se andiamo a prenderla adesso sarebbe come farla appassire prima del tempo." Mi spiegò Dallas.
"Diamond non si arrenderà." Gli ricordai.
"Le parlo io. Portami da lei, sono sicuro che mi ascolterà." Disse Dallas.
"Al momento è nel Kleinsten, suo fratello ha avuto un bambino." Risposi.
"Andiamo in questo Kleinsten." Affermò lui tranquillo. "Hai capito vero che ho poco tempo?"
Sospirai. "Si l'ho capito. Ma non puoi dirmi in quale parte della Grecia si trova?"
Dallas si alzò andando a prendere la sacca. "No! Adesso alza il culo e andiamo. Voglio vedere Diamond e rassicurarla." Disse aprendo la porta.
Dietro di essa a pugno alzato c'era Giannis che lo fissò spaventato.
I due si scambiarono uno sguardo sorpreso, dopodiché mio fratello diede una pacca sulla spalla di Giannis. "Ehi! Ciao, sono Dals, il fratello di London."
"Salve, io sono..."
"Giannia giusto?" Chiese. "Lon, ha accennato alla vostra amicizia."
Più che altro gli avevo detto il nome dei titolari greci della Olympic. Come aveva fatto a capire che lui era Giannis?
"Si sono io, ero venuto a prendere London per la prova vestiti." Rispose il greco.
"Prova vestiti?" Chiese Dallas.
"Sì. Fra tre giorni si sposano i migliori amici di Giannis e siamo stati invitati anche io e Diamond."
"Ma Diamond non c'è! Scusa Giannis, ma stiamo andando da lei." Disse Dallas. "In nord Europa, giusto?" Mi chiese.
Annuii per poi spostarmi su Giannis. "Mi dispiace davvero. Ma non posso venire al matrimonio, non senza Diamond." Affermai.
Giannis mi guardò sereno sorridendomi. "Lo capisco. Anche io non riuscirei a muovermi senza Ali."
"Oh che bella cosa l'amore." Intervenne Dallas. "Sarete tutte coppie al matrimonio?"
"La fidanzata di Giannis è una skipper. Questo maggio avrebbe dovuto partecipare alla regata di Rodi."
"Una skipper!" Chiese sorpreso Dallas. "Ma certo... fantastico. La tua ragazza è una skipper." Disse entusiasta.
Giannis annuì. "E sicuramente in questo momento sta solcando il mare tra il golfo e l'isola Andro." Disse orgoglioso Giannis.
"Vabbè in bocca al lupo allora. Hai ragione London, meglio partire adesso. Con tutte le coppie che ti circondano potresti sentirti solo. Andiamo?" Mi chiese Dallas.
"Vai, parlo io con Eleni e Krios. Poi noi ci vedremo... a fine maggio spero." Mi disse.
"Quindi è deciso." Gli dissi.
"Si! Io ed ali partiamo dopo il matrimonio. Andremo in Inghilterra, anche se lei vorrebbe andare in Irlanda. Probabilmente viene da lì, ha infatti detto che sua madre viene da un posto molto colorato." Mi raccontò.
"Pensa positivo. Sono sicuro che troverete la sua famiglia." Gli dissi salutandolo.
"È stato un piacere Giannis, buona fortuna." Lo salutò Dallas.
Andammo via e mi diressi verso il porto. "Andiamo a piedi." Dissi indicando le barche lungo la riva.
"Abiti vicino?"
"Sulla Persefone. Così potrai vederla." Gli dissi orgoglioso.
"Ma la fidanzata di Giannis perché non partecipa alla regata? Perché partono?" Mi chiese curioso Dallas.
"La fidanzata di Giannis ha perso la memoria durante le selezioni della regata di Rodi. Stanno prendendo ogni spunto da cose che lei dice inconsciamente per ritrovare le sue origini. Senza un nome non può partecipare alla regata e non può richiedere un passaporto. Così andranno in Gran Bretagna via mare." Spiegai.
"Adesso capisco." Sussurrò Dals. "Ecco cosa non mi spiegavo." Mi sorrise correndo verso la zona dedicata agli yacht. "Sicuramente via mare non avranno i controlli che ci sono a terra."
"Gli ho dato io la dritta. Mi dispiace solo non essere ancora riuscito a conoscere Ali, Giannis ci teneva a presentarcela. Ma vive a Sciro con la madre di lui al momento e ancora non siamo riusciti a organizzarci. Poi Diamond è partita e ancora abbiamo dovuto rimandare." Dissi salendo sulla barca.
"Diamond! Diamond! Diamond. Fate le cose insieme o ti piace?" Mi chiese Dallas. "Io la adoro, anche Alaska la adorava."
Scrollai le spalle e gli passai il telefono. "Chiama la compagnia aerea. Se non c'è un volo, prendine uno per Monaco o la Svizzera che da lì prendiamo il treno." Gli dissi. "Vado a preparare un bagaglio leggero... chiama anche un taxi..." urlai infine dalla mia stanza.
Intanto che gettavo dei cambi nella valigia pensai che dovevo chiamare Paolo per farlo venire sulla Persefone e anche Liam, se partivo per il Kleinsten non potevo raggiungerlo ancora a Londra.
Misi una camicia e un paio di maglie con dei jeans nella borsa, poi aprii il cassetto del comodino per prendere il passaporto.
Fissai attentamente il contenuto. Delle forcine, delle compresse e un pacchetto di assorbenti intatto. Era il cassetto di Diamond, sorrisi. Poco alla volta si era trasferita nella mia stanza.
Presi le compresse curioso, possibile che prendesse degli antidepressivi? Per questo ultimamente era così volubile? Lessi la marca e il principio e ne restai sorpreso. Multivitamine per gravidanza! Sollevai il tappo, non era sigillato e sembrava che ne mancassero.
Tirai su il fiato che avvertito mi stava mancando. Incinta! Diamond era incinta.
"London! C'è un aereo per Monaco tra un'ora. Ho prenotato anche il treno che ci porta nel Kleinsten." Urlò mio fratello facendomi tornare alla realtà.
Scossi la testa e misi le compresse nella borsa, poi come un automa andai a prendere il passaporto dal mio comodino, misi la borsa in spalla ed uscii raggiungendo Dallas.
"Andiamo! Tra un po' arriva il taxi." Mi disse Dallas frenetico.
Io annuii, ero lì ma non c'ero. "Chiama Paolo, digli che stiamo lasciando il Persefone incustodito e dovrebbe stare lui qui fino al mio ritorno." Gli dissi andando a prendere un bicchiere d'acqua. Dovevo tornare in me.
"Eh Lon! Tutto bene?" Mi chiese Dallas preoccupato.
"Si... passerà è solo un giramento di testa." Lo rassicurai. Dovevo riprendermi, sicuramente c'era una spiegazione a tutto.
Come agli sbalzi di umore di Diamond, che fossero dovuti alla gravidanza? Perché non mi aveva detto niente? Perché me ne aveva volutamente tenuto all'oscuro? Avevamo una relazione di solo sesso, ma cazzo un bambino era una cosa grossa.
Non so come entrai in auto. Dallas mi ci aveva trascinato senza che me ne accorgessi. Cercai il suo sguardo preoccupato.
"Hai una brutta cera Lon." Mi disse.
"Ho... ho scoperto che Diamond mi ha nascosto una cosa importante." Gli rivelai.
"Le donne nascondono sempre cose." Affermò lui.
Scossi la testa. "Non Diamond. Lei è un libro aperto, preferisce dirti una cosa anche offensiva piuttosto che mentire." Spiegai.
"Allora avrà avuto i suoi motivi."
"Ma poteva dirmelo." Affermai.
"Non ti ho mai visto così per una cosa che non ti viene detta. Ovvio noi non siamo Diamond, ma proprio perché non è la tua famiglia fa strano."
"Cosa vuol dire non è la mia famiglia. Lei è... lei è comunque... una parte della mia vita." Cercai di spiegare a Dallas.
"Ah... oohh.... Aspetta Lon! Ti sei innamorato." Disse Dallas lasciandomi sorpreso. "Oh cazzo ecco il problema, la amo per questo ci stai di merda."
"Aspetta... no! Hai capito male, io e lei siamo solo..." lo frenai.
"Cosa, cosa! Ho capito male?" Chiese lui con una luce vivace negli occhi.
Cosa eravamo? Avevamo superato da un po' lo stato di una notte e via, eravamo amanti ovviamente. Anche se gli amanti non condividevano una casa, un letto e le notti insonni su un divano. "Non sono affari che ti riguardano." Risposi a Dallas.
"Ok!" Rispose lui sornione. "Se non sei innamorato di lei potrei provarci io."
Istintivamente gli tirai una gomitata. "Provaci e ti faccio il culo." Lo minacciai.
"Siamo gelosi eh... scusa. Non posso provarci con lei, siamo amici. Ma volevo capire, guarda che non è un male innamorarsi." Mi disse.
Per quanto fosse cresciuto in quel periodo restava sempre un sognatore. "L'amore è sopravvalutato." Affermai. Soprattutto se la ragazza con cui stavi ometteva di dirti di tuo figlio.
Arrivammo in aeroporto in assoluto silenzio, il tempo di fare il check in e fummo a bordo. Intanto il mio umore non cambiava, Diamond aspettava un bambino. Avrei avuto un figlio da lei. Ero pronto a diventare padre? Quella si che era una responsabilità. Avere un figlio significa educare una persona innocente, non era come tenere Adam o Cristal, con loro ci giocavo, li coccolavo e li viziavo. Un figlio invece oltre a questo aveva bisogno anche di venire educato alla vita. Avremo dovuto rendergli la mano quando avrebbe iniziato a camminare, passo dopo passo dovevamo insegnargli a vivere nella nostra società, dopodiché quando sarebbe stato grande avremmo dovuto lasciare andare quella mano. Scossi la testa. Era presto per un pensiero del genere, il bambino era ancora nel grembo di Diamond. Per diventare adulto ci sarebbe voluto ancora un bel po' di tempo. Pensai sorridendo.
Un dubbio si insinuò nella mia mente, le crisi isteriche di Diamond, soprattutto l'ultima quando le avevo consigliato di raggiungere la famiglia. "Vuoi sbarazzarti di me come se nulla fosse? Io ci sono dentro in questa storia come te se non di più! Non puoi mandarmi via non adesso..."
Possibile che quella frase non si riferisse ad Alaska, ma al bambino. Possibile che Diamond aveva dei dubbi se tenerlo o meno? Ma se non lo voleva perché prendeva dei multivitaminici. Non ne avrebbe avuto bisogno in fondo. Erano tante le domande e le risposte poteva darmele solo Diamond.
Così quando arrivammo a Monaco ero trepidante anche se non lo davo a vedere. Prima saremmo arrivati a Stern, prima avrei rivisto Diamond e parlato con lei.

Non ebbi modo di parlare con Diamond una volta nel Kleinsten. Fummo accolti da Tom, Eleonora e tutta la famiglia di lui, compreso Thomas Keller e Micaela. Io fui subito catturato dalla piccola Cristal che appena mi vide mi saltò addosso.
"Ziooo Loooo!" Urlò felice nel vedermi.
Intanto Dallas che passò più inosservato si prese da parte Diamond. Mi aveva detto lungo il tragitto per il palazzo che avrebbe subito affrontato l'argomento Alaska con lei. Così avrebbe potuto godersi il soggiorno nel piccolo stato.
Così tra una chiacchiera con i Davis e il padre del mio amico, lasciai che Cristal mi facesse fiera da padrona di casa quando mi mostrò il fratello. Ancora una volta rimasi incantato. "Il miracolo della vita. È bellissimo." Dissi complimentandomi con Tom ed Eleonora. "Ancora auguri ragazzi, vi auguro il meglio per tutta la famiglia." Affermai prendendo il neonato in braccio.
"Grazie London. Siamo contenti di vederti di persona." Mi disse Eleonora.
"Non era previsto. Ma Dallas voleva parlare con Diamond, così eccoci qui." Affermai indicando mio fratello e Diamond che confabulavano in un angolo. "Almeno mi godo un po' questa delizia, quando ci rivedremo sicuramente sarà circondato da molti più Keller." Conclusi carezzando la mano del piccolo Alberto. Istintivamente mi strinse l'indice, ebbi un tuffo al cuore. Quello era il miracolo della vita.
"Questo palazzo è enorme." Disse Dallas raggiungendoci. "Ma sembra deserto. Posso fare surf nei corridoi?"
"Dals, ti prego." Lo ammonii.
"Il palazzo non è vuoto." Rispose Eleonora. "Questa è la mia ala. Ogni famiglia ha la sua così può avere un po' di privacy, soprattutto adesso che è nato Alberto e vengono a trovarmi spesso. In questo modo non disturbiamo gli altri."
"Stai rilassato fratello. Mi comporterò bene." Mi rispose Dallas fissando il piccolo Alberto. "È stupendo. Fortunatamente sarò a casa per la nascita di Abel." Gongolò. "Vengono a vedere il bambino? Cioè oggi sei qui per noi?" Chiese ingenuo mio fratello. Almeno fece una domanda a cui anche la mia curiosità voleva una risposta.
"Resta pur sempre un principe. Appena London mi ha scritto che stavate arrivando ci siamo liberati per il vostro arrivo. Ma accogliamo gli ospiti nella sala principale del palazzo, col principe e il principe uscente. Stanno arrivando anche da Monaco e dalla Svizzera per conoscere Alberto. È il primo discendente dell'ultima generazione di principi." Concluse.
"Anche se in linea di massima questa è l'accoglienza che si fa a tutti i principi appena nati." Ci spiegò Eleonora.
Dallas fece un fischio di ammirazione. "Quindi qui non incontreremo il regnante e altri principi?" Chiese.
"Giusto. Puoi incontrare solo la servitù che sta per servirci la cena o qualche dama che prepara i vostri letti." Concluse Eleonora divertita.
"Evvai! Allora si mangia." Esultò Dals.
Scossi la testa divertito, passando il bambino alla madre. "Visto, anche io ho il mio bambino."
"Mangi vicino a me, zio Lo?" Mi chiese Cristal.
Le sorrisi prendendola in braccio. "Certo, lo sai che esaudisco tutti i tuoi desideri." Affermai facendole il solletico.
"Siiii!" Esultò guardando verso la nonna e Diamond. "Da grande mi sposo col bimbo dello zio London. Vero zio? Dillo anche alla nonna."
Sorrisi per poi restare un attimo muto. "Temo che... ho paura di non poter mantenere questa promessa tesoro."
La piccola sbatté i suoi begli occhi azzurri facendomi il broncio. "Perché?"
"Beh perché... io..." Biasicai. "È difficile." Conclusi.
Avvertii una risata divertita. "Lo zio London non sa cosa dire." Affermò divertita Diamond avvicinandosi a noi. "Tesoro, perché non sposi Adam, avete anche la stessa età." Chiese alla nipote.
"Adam è il mio cuginetto." Rispose lei arricciando la bocca a cuore. "Non si sposano i cugini."
"Ah no! Quindi se io divento la ragazza dello zio London, non puoi sposare il tuo cuginetto. Giusto?"
La bambina fissò entrambi scettica. "Ma..." disse sempre con la bocca a cuore. "Io sono la tua fidanzata bambina sempre?"
Risi dandole un bacio. "Sempre principessa."
"Adesso basta." Intervenne Diamond. "Scendi e va a lavarti le mani con lo zio Samuel. Io porto lo zio London nella sua stanza e poi vi raggiungiamo."
"Vado io... vado io..." disse la bambina eccitata.
"Kristal fa la brava e scendi." Intervenne Sapphire Cooper. "Potresti perderti tra i corridoi. Adesso noi andiamo a prepararci e anche lo zio London e Dallas faranno altrettanto."
Sospirai mettendo giù la bambina. "Forza Dals, andiamo."
"Ci perderemo, lo so già." Rispose Dallas divertito.
"Sei un soldato, te la caverai." Gli disse divertita Diamond incamminandosi. Salimmo per delle scale e poi ci dirigemmo verso un lungo corridoio. Arrivati a una porta la indicò a mio fratello. "Tu dormi qui."
"Solo io?" Chiese.
"Ovvio." Rispose. "Non ti dirò qual è la stanza di tuo fratello. Adesso vai, rinfrescati e poi torna giù, dove ci sarà almeno una persona della servitù che ti indicherà la sala da pranzo." Disse spiccia.
"Vai di fretta... venitemi a prendere. Così è sicuro che non mi perdo." Si lamentò Dallas.
Realmente temeva di perdersi. Feci per rassicurarlo, ma Diamond ebbe il sopravvento. "Mi dispiace, ma noi abbiamo da fare e potremo arrivare più tardi."
Lui ci guardò serio. "Ok. Me la caverò da solo. A dopo." Disse aprendosi la porta e sparendo dietro di essa.
"Andiamo." Mi disse Diamond.
La seguii. Cosa dovevo fare? Dirle che sapevo del bambino? "Hai fatto capire a Cristal e tutti i presenti che siamo una coppia."
"Tu non hai smentito. Quindi ok!" Rispose. "Era il modo più facile per farle capire che non può sposare tuo figlio."
"Potrei avere anche una figlia. A casa mia ancora non si vedono femmine e sarebbe una bella festa." Ammisi seguendo Diamond in una stanza poco distante da quella di Dallas.
Lasciai la borsa in un angolo studiando l'arredamento classico, nei caldi colori del rosso e del bianco.
Su una poltrona laterale c'era una coperta e un libro aperto, si sentiva un profumo di Iris, tipico di Diamond. Il letto anche era un po' sgualcito, su un comodino c'erano il cellulare di Diamond e delle compresse, quelle che gli avevo visto prendere. La pillola anticoncezionale! Quindi mi ero sbagliato.
"Vuoi fare una doccia?" Mi chiese andando a stendersi sul letto.
La osservai decidendo di raggiungerla. "No! Da quando è arrivato Dallas mi sto rilassando solo adesso." Dissi stendendomi e fissando il tetto del letto a baldacchino.
La vista mi si annebbiò, vidi solo il viso di Diamond che mi fissava. "Sono stata pessima in questi ultimi giorni."
"Adesso stai meglio?" Le chiesi sincero.
Annuì, le si riempirono gli occhi di lacrime. Di nuovo! Quindi non stava bene. "Dovevo chiarirmi un po' le idee. In Grecia mi sentivo realizzata e avevo capito cosa volessi fare della mia vita, avevo tuffo: un lavoro che mi piaceva, degli amici, io che mi sono sempre circondata degli amici dei miei fratelli ne avevo di miei, infine avevo... te. Stavo bene." Mi disse.
Annuii, sollevai una mano carezzandole la guancia e portandole i biondi capelli dietro l'orecchio. "Poi cosa è successo?"
"Poi..." disse con voce tremante. "Sono andata dalla dottoressa, per la pillola."
"Il funesto giorno in cui tutto è cambiato." Sospirai. Potevo dire con certezza che era stato da allora che Diamond aveva iniziato con le crisi isteriche.
Sospirò anche Diamond. Si allontanò da me e si sedette portando le ginocchia al petto. "Mi disse che non poteva darmi la pillola, che doveva farmi degli accertamenti e che il mio utero stava subendo una trasformazione."
"Ti disse che sei incinta." Affermai.
Lei nascose il viso tra le ginocchia. "Non l'ho programmato. Non ci voleva adesso, sto avviando la mia carriera e mi piace. Lo dissi anche alla dottoressa, lei mi rispose che era tardi per la pillola del giorno dopo. Ma poteva intervenire con un intervento chirurgico." Sussurrò. "Dovevo solo decidere, dovrei ancora decidere..." disse piangendo.
"Diamond. Non devi decidere da sola, avresti dovuto parlarmene prima." Le dissi cercando di non assaltarla.
"Cosa avrei dovuto dirti? Noi non siamo una coppia... siamo solo sesso." Affermò.
"E allora! Facciamo sesso, ma ci rispettiamo anche. Sei sempre stata sincera con me e il risultato di non esserlo stata più è che adesso stai male. E così non va bene." Le dissi tirandomi su e mettendomi di fronte a lei. "Adesso io voglio solo capire, tu vuoi abortire?" Le chiesi.
Lei scosse la testa. "La dottoressa l'ha fatta facile. Ma io al solo pensiero mi sento male." Disse scoppiando a piangere.
Mi si strinse il cuore. La strinsi nel mio abbraccio dolcemente. "Non devi abortire Diamond. Non piangere, vedrai che si risolverà."
"Ma così perderò quello che sto costruendo. E non voglio obbligarti a... cioè..."
"Ma tu non mi obblighi. Diamond io ho accettato il bambino ancora prima di entrare nel castello." Le dissi.
Lei mi fissò in lacrime. "Ma come? Non lo sa nessuno, solo la mamma e non lo dirà a nessuno fino a quando..."
Scossi la testa. Mi alzai dal letto e andai a prendere la borsa dalla quale estrassi le compresse. La raggiunsi e gliele passai. "Queste non sono mie."
"Oh... oh mio Dio. Le ho cercate tanto." Mi disse prendendomi il tubetto di mani.
"Penso che una persona che si prende cura del figlio, non sia intenzionata a buttarlo via." Le dissi. "Nel momento stesso in cui hai iniziato a prendere queste, tu hai accettato il bambino Diamond."
"La dottoressa mi ha detto che dovevo prenderle." Affermò.
"Forse perché anche lei non era convinta del tuo rifiuto. Quando torniamo in Grecia verrò anche io con te. Va bene?" Le dissi.
"Ma..."
"Questo è mio figlio Keller." Le dissi risoluto.
"Sono pessima. " mi disse.
Io sorrisi. "Questo lo sappiamo già."
"Anche tu sei pessimo." Mi disse pizzicandomi il braccio.
Risi. "Siamo pessimi entrambi, però Diamond devi dirmi le cose. Ci sono rimasto di merda quando ho trovato le vitamine."
"Per via della gravidanza." Affermò.
"No!" Le dissi sincero. "Perché non me ne avevi parlato."
"Scusami. Sono pessima, pessima!" Disse ancora.
"Non fa niente. Adesso stai meglio?" Le chiesi.
Annuì. "Io vorrei continuare a lavorare."
"Perché dovresti smettere. Sei incinta non ammalata." Le dissi.
Lei mi fissò con sfida. "E dopo il parto?"
"Ci sono anche io!" Risposi. "Anzi sai cosa, potrei proporre un asilo aziendale alla prossima riunione del consiglio." Affermai. "Poi ne farò aprire uno alla Thompson & sons. "
"Stai pensando a lungo." Mi disse.
"Devo! Sembra ieri che Tom e Gabe mi hanno detto delle gravidanze e Alberto già è nato." Dissi scendendo dal letto e dandole un bacio. "Vado a fare una doccia."
"Vuoi compagnia?" Mi chiese lei.
Le sorrisi allusivo. "Ti aspetto."

Come previsto arrivammo tardi alla cena. Nessuno era stupito, anche se la piccola Cristal era corrucciata. "Zio Lon cattivo."
"Scusa tesoro. Lo zio si è addormentato." Le dissi dando un bacio alla bambina.
Dopodiché mi guardai intorno alla ricerca di Dallas. "Dov'è mio fratello?" Chiesi intanto che mi servivano un filetto di manzo.
"Non è ancora arrivato. Pensavamo fosse con te." Rispose Samuel leggermente acido.
"Io e London dovevamo parlare di un paio di cose." Intervenne Diamond. "Lo abbiamo lasciato in stanza."
"Spero non si sia perso." Dissi ripensando a quanto fosse sopraffatto dalla maestosità di quel posto. "Vi dispiace se lo telefono?" Chiesi.
"Fa pure." Mi disse il padre dei miei amici.
"Voi cominciate pure a mangiare." Dissi alzandomi per chiamare Dallas.
Il telefono squillò parecchio prima che Dals rispondesse.
"Lon! Scusami mi ero perso e mi sono messo a chiacchierare con un'inserviente che mi ha trovato. Sto arrivando." Mi disse col fiatone. "Mi ha indicato la strada, tra un po' ci sono."
"Ok, ti aspetto." Dissi staccando. Tornai al tavolo e presi a mangiare. "Si è perso."
"Il tempo di abituarsi." Disse Eleonora. "Quanto resterete?"
"In realtà io il quattro sarei partito per Londra." Dissi mentre la porta si apriva ossidando entrare un Dallas trafelato che si scusava.
Prese posto accanto a me e in silenzio si mise a seguire i nostri discorsi.
"Avete da fare un contratto?" Mi chiese interessato Keller.
"No, è tanto che non ci vediamo e spesso facciamo questi viaggi lampo per stare insieme." risposi. "Giusto un paio di giorni per aggiornarci."
"Capisco. Se ti serve un passaggio io devo rientrare in America e il jet lascia prima Tommy a Londra." Si offrì il padre del mio amico.
"Voglio venire anche io. Così passo a salutare Rafael, Isaak e Liam. Perché non me lo hai detto prima?"
"Abbiamo parlato di altro." Le ricordai.
"Anche io con zio Lon e zia Dì!" Disse Cristal intervenendo nel nostro discorso.
"Tesoro, tu resterai con me e Alberto qui. Ti ricordi?" Le disse Eleonora.
"Mmm... voglio stare con lo zio Lon... domani giochiamo insieme?" Mi chiese la piccola.
"Se obbedisci alla mamma si. Poi vado via con il papà."
La piccola annuì contente dalla mia risposta. Durante la serata parlammo del più e del meno, a ruota prendevano il piccolo in braccio.
Dallas sembrava irrequieto. Voleva andare subito via, tanto che gli chiesi che problemi avesse.
"Sei stanco?" Chiesi preoccupato.
Lui scosse la testa. "No... ma la ragazza... dama, inserviente o altro non so cosa fosse. Abbiamo fatto amicizia e se faccio presto forse la ritrovo." Mi disse con un sorriso complice.
Scossi la testa divertito. "Cerca di non combinare guai e spezzare cuori."
Lui fece schioccare la lingua. Poi guardò ora me, ora Diamond. "Avete risolto? "
Diamond gli sorrise. "Avevamo bisogno di parlare e..." disse alzandosi. Prese una forchetta e la fece tintinnare al suo bicchiere. "Scusatemi un attimo, prima che chi più chi meno, vi ritirate. Ho un annuncio da fare." Disse guardando tutti.
Tutti fecero silenzio aspettando che Diamond parlasse.
Fece un colpo di tosse e riprese. "Io devo chiedervi scusa, in questi giorni sono stata irritabile e sinceramente non so per quanto ancora lo sarò." Disse. "Qualcuno, mamma, mi ha detto che sono gli ormoni e che passerà, ma non ora. Questo perché... aspetto un bambino. Sono piccola, cinque settimane ad oggi. Ma aspetto un bambino." Disse a tutta la sua famiglia.
Accanto a me Dallas si alzò sorpreso battendomi la mano sulla spalla. "Oh cazzo era questo.... Oh ca... perché non me ne hai parlato prima. Un bambino... auguri... auguri...." Disse raggiungendo Diamond e abbracciandola.
E non fu l'unico. Micaela anche corse ad abbracciare la sorella mentre Tom mi raggiungeva felice.
"Ma benvenuto nel club... cognato?" Mi disse divertito.
Gli sorrisi. "Non ci credi andoea..."
"Ho iniziato a capire che c'era qualcosa quando mi hai detto che eri alla stazione. London che fa qualcosa di impulsivo è troppo."
"Lo è anche per te." Gli dissi divertito.
"E guarda dove sono adesso." Mi rispose sempre più divertito. "Mi raccomando, prenditi cura di lei." Concluse abbracciandomi.
"Lo farò, a modo nostro." Risposi.
Mi alzai raggiungendo Diamond e guardai verso i suoi genitori.
"Nonostante la gravidanza, non ci sposeremo." Affermai, ciò che avevo capito in quel periodo con Diamond era che temeva i legami. Probabilmente dipendeva dalla sua infanzia con Andrew Davis, per il matrimonio che era stato imposto a sua madre da ragazza. Per questo non le avrei chiesto di sposarla. "Vivremo insieme, come già stiamo facendo. Avremo il bambino, che sarà riconosciuto da entrambi. Ma per ora, non avremo altri vincoli." Dissi tenendo lo sguardo su Thomas senior che annuì.
"A me va bene, ciò che importa è che non tarpi le ali a Diamond." Mi disse Thomas tirandosi su. "Ma so che non lo farai, hai sostenuto tua sorella anni fa, perché non dovresti farlo con Diamond."
Sospirai. "Le ho già detto che deve continuare con la sua vita. Anche per questo non ci sposiamo per ora. Non ne abbiamo bisogno."
"Va bene. Allora auguri e... questa volta l'ho saputo prima di tuo padre. Consentimi di sentirlo domattina per dirglielo." Concluse.
Al che risi. A parte la gravidanza di Adam, per Abel, Adela era andata con mamma dal ginecologo, quindi papà subito lo aveva saputo a differenza di Thomas.
"Sappia che non chiederemo mai il sesso del bambino. Per noi sarà una sorpresa alla nascita, quindi se Diamond non dirà niente alla madre è per questo."
"Il bambino si chiamerà Hope, indifferentemente dal sesso. Perché noi non abbandoniamo mai la speranza."
Si! Perché la speranza di ritrovare Alaska, nonostante Dallas ci avesse detto di smettere di cercarla, non ci avrebbe mai abbandonato. Ci restava quella e tanto bastava a farci credere che un giorno l'avremo rivista. Ne avevamo parlato anche con Micaela, che come noi aveva dovuto sorbirsi la paternale di Dallas. Eravamo convinti che avesse ragione, che Alaska era viva e stava scoprendo se stessa, solo per questo tutti e tre ci eravamo arresi alla sua richiesta. 
Così un paio di giorni dopo salutammo il Kleinsten col jet personale di Thomas Keller. Andammo a Londra dove sostammo due giorni. Ma salutai Dallas nel Kleinsten, poiché mi disse che sarebbe stato un altro po' lì, per esplorare il paese. Ovviamente aveva lasciato il palazzo con me, andando a stare in un bad and breakfast. Quando rientrai in Grecia, più di dieci giorni dopo, lo sentii e mi disse che era partito per Parigi. "Poi andrò a Zurigo da Brooklyn, per ora però mi sto godendo la mia ragazza del Kleinsten." Mi disse.
"Va bene, ma mi raccomando..."
"Si si! Sarò prudente. Ciao Lon."
Fu l'ultima volta che lo sentii così allegro. Successivamente per via del suo lavoro nell'esercito non ebbi più modo di percepire la sua fanciullezza.

Tornammo in Grecia che tutto sembrava cambiato. Giannis era partito per l'Inghilterra e sarebbe stavo via a tempo indeterminato. Krios ed Eleni erano in luna di miele e li avremo rivisti al ritorno. Alla fine io e Diamond decidemmo di concentrarci su di noi, capire come andare avanti adesso che le ricerche di Alaska erano interrotte. 

 

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