Piccoli momenti della Lancia e dello Scudo

di Nenottina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Meritato riposo ***
Capitolo 2: *** Quell’incredibile battuta flottante ***
Capitolo 3: *** Quell’incredibile battuta flottante - Parte 2 ***
Capitolo 4: *** Pausa pranzo in compagnia ***
Capitolo 5: *** I nuovi occhiali sportivi ***
Capitolo 6: *** Incidente di percorso ***
Capitolo 7: *** Un patetico liceale ***
Capitolo 8: *** Prospettive future ***
Capitolo 9: *** Una serata tranquilla ***
Capitolo 10: *** Una serata tranquilla - Parte 2 ***
Capitolo 11: *** Una piccola stella ***
Capitolo 12: *** Sprazzi di gelosia ***
Capitolo 13: *** Chiedere scusa ***
Capitolo 14: *** Sendai Frogs ***
Capitolo 15: *** Pericolo scampato ***
Capitolo 16: *** L’ultimo anno ***
Capitolo 17: *** L’iscrizione al liceo ***
Capitolo 18: *** Impegno costante ***



Capitolo 1
*** Meritato riposo ***


Tutti i membri del club maschile di volley del liceo Karasuno erano finalmente seduti ai propri posti sull’autobus che li avrebbe riportati alla loro scuola dopo una splendida vittoria pienamente meritata.
Ognuno di loro aveva fatto del proprio meglio, ma ormai la stanchezza si faceva sentire, ed anche solo tenere gli occhi aperti risultava sempre più difficile.
L’atmosfera festosa di poco prima si trasformò presto in quiete, come era ormai consuetudine dopo una partita impegnativa – che fosse ufficiale o meno, tutta la squadra si impegnava sempre al massimo per raggiungere la vittoria.
Yamaguchi e Tsukishima si erano sistemati come loro solito l’uno accanto all’altro, e quando finalmente la gran confusione che regnava normalmente nella squadra si fu placata, tutta la tensione accumulata nel corso della partita generò sbadigli frequenti e palpebre pesanti.
Il biondo fu il primo a crollare, avendo giocato più tempo rispetto all’amico d’infanzia, e senza neanche rendersene conto scivolò in un sonno profondo durante il quale, dopo l’ennesima curva, venne sospinto contro la spalla altrui. Yamaguchi, dal canto suo, aveva appena chiuso gli occhi per dormire quando avvertì una piccola pressione dovuta proprio al capo di Tsukishima in cerca di una posizione comoda. Lentamente, si limitò ad aprire gli occhi e ad osservare il viso del più grande. Gli occhiali leggermente fuori posto, il respiro regolare, ed il calore che emanava solamente grazie alla sua vicinanza contribuirono a fargli spuntare un sorriso.
Era semplicemente giusto. Loro due, stremati dalla partita, seduti su quel pullman insieme, l’uno accanto all’altro. La stanchezza non gli stava certo facendo realizzare completamente la situazione in cui si trovava – l’unica consapevolezza del moro era proprio quella di non essere mai stato tanto appagato come in quel momento.
« Sei stato bravo, Tsukki » gli sussurrò d’istinto, con la voce leggermente impastata dal sonno, richiudendo gli occhi ed adagiando il capo sopra a quello altrui. Per qualche motivo, in quel momento si sentiva incredibilmente bene – talmente bene da essere spinto a ricercare un contatto maggiore senza quasi accorgersene. Lentamente, le loro dita andarono ad intrecciarsi, e fu solo a quel punto che anche Yamaguchi finì per crollare del tutto in preda alla stanchezza.
 
Passò diverso tempo prima che il pullman si fermasse, e di nuovo, tra i due, Tsukishima fu il primo ad accorgersene ed a risvegliarsi.
Ritrovarsi davanti il viso addormentato di Yamaguchi a pochi centimetri di distanza era l’ultima cosa che si aspettava, tanto che per un attimo finì per sgranare appena gli occhi dalla sorpresa. Non riusciva a credere di essere stato talmente stanco da aver finito per dormire appoggiato all’amico per tutto il viaggio di ritorno.
Quando poi si accorse anche che, in qualche modo, erano perfino arrivati a prendersi per mano, non poté fare a meno di arrossire leggermente e scostarsi neanche fosse stato appena scottato da una fiamma ardente – finendo così per svegliare anche il ragazzo che aveva accanto, ancora addormentato fino ad un istante prima.
« Siamo arrivati…? » mugugnò infatti quest’ultimo, ancora immerso nel dormiveglia. Tuttavia, anziché rispondere subito, il biondo si soffermò ad osservare le piccole lentiggini che costellavano guance e naso altrui. Per un attimo, gli passò perfino per la mente il pensiero che quelle lentiggini fossero incredibilmente carine, ma lo scacciò subito in favore di un atteggiamento più razionale, come gli si addiceva.
« Sì. Svegliati, o ti lasciamo qui » asserì, con un sogghigno sul viso spuntato praticamente dal nulla – un’altra cosa con cui si sentiva a proprio agio. In un momento come quello, aveva decisamente bisogno di ritornare nel proprio elemento naturale.
« Eddai, Tsukki… Dammi un attimo… » mugugnò subito Yamaguchi, sfregandosi gli occhi, mentre uno dopo l’altro anche i ragazzi attorno a loro venivano richiamati dal coach Ukai e dal professor Takeda. Ormai, entrambi si erano completamente risvegliati, e le voci dei compagni attorno a loro dimostravano che non erano i soli.
« Ehi, a proposito… Ti ho disturbato mentre dormivo, per caso? » domandò il più piccolo, mentre l’altro lo precedeva lungo lo stretto corridoio dell’autobus.
Era incredibile come Yamaguchi fosse tanto abituato all’umorismo fuori dagli schemi del biondo da non preoccuparsi minimamente neanche davanti a quella finta minaccia; tutto perché entrambi erano perfettamente consapevoli che quelle pronunciate poco prima non erano altro che parole a vuoto: nessuno avrebbe lasciato il moro sul pullman da solo, e di certo non lo avrebbe fatto Tsukishima.
« Ho dormito tutto il tempo » gli spiegò a quel punto l’altro senza scomporsi, come nulla fosse – senza tuttavia menzionare i salti che gli aveva fatto il cuore nel corso dei minuti precedenti.
Non erano da lui, e non era un caso se Tsukishima faticava a spiegarsi i segnali che il suo stesso corpo gli mandava nel momento in cui si trovava tanto vicino al moro – troppo differenti rispetto al senso di fatica e pressione che avvertiva durante una partita, o alla piccola soddisfazione provata davanti ad uno schema di gioco che aveva ideato lui stesso e che aveva funzionato. Praticamente, si trattava di segnali impossibili da analizzare per una mente razionale come la sua.
« Meglio così! » Yamaguchi concluse la conversazione con un largo sorriso a trentadue denti - e per qualche motivo, quel sorriso fu in grado di cancellare momentaneamente ogni traccia di malizia che si era creata tra loro. Nonostante il più grande fosse pronto a punzecchiarlo ulteriormente fino ad un attimo prima, difatti, si ritrovò solamente a domandarsi come fosse possibile che qualcuno potesse mostrare un sorriso così sincero e luminoso durante una conversazione tanto banale come quella.

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Capitolo 2
*** Quell’incredibile battuta flottante ***


Ryu Tanaka, il miglior Senpai che si potesse chiedere, era pronto a porgere i propri saluti al termine di quella lunga giornata di intensi allenamenti al club di pallavolo. Sembrava tutto preparato alla perfezione: erano quasi tutti pronti ad andarsene, perciò quell’ultimo commento sarebbe stato l’apice del suo successo come compagno più grande. O almeno, così credeva lui.
« Ragazzi, avete fatto un ottimo lavoro! A do- »
« A domani, ragazzi! » con un energico scatto, il giovane Nishinoya utilizzò le spalle del più alto come appoggio per compiere un grande salto, lasciando non solo il piccolo Hinata a bocca aperta, ma anche e soprattutto il coetaneo privo di qualsivoglia frase ad effetto.
« Siete così fighi anche dopo gli allenamenti! »
« Lo stavo per dire io…! Non rubarmi le battute, Noya! » lo schiacciatore, per ripicca, si mise ad arruffare i capelli del libero, iniziando così un piccolo battibecco bellamente ignorato dal resto della squadra.
« Per oggi riprendetevi, nei prossimi giorni ci aspetta ancora molto lavoro » concluse il capitano a quel punto, allacciandosi la felpa con aria soddisfatta prima di rivolgere un sorriso sincero ai più giovani, ancora particolarmente energici nonostante gli sforzi compiuti quel giorno. Di fatto, sembrava quasi che la maggior parte di loro avrebbe potuto continuare ancora per molto.
« Io vorrei rimanere ancora per un po’, se non è un problema » con l’asciugamano ancora tra le mani, la voce di Yamaguchi sovrastò per un attimo quelle dei compagni « Metterò a posto io » precisò subito dopo, rivolgendosi a Sawamura stesso in cerca di approvazione – come se il solo fatto di sistemare la palestra una volta terminato fosse davvero la carta che gli avrebbe permesso di continuare gli allenamenti da solo. La sua espressione non lasciava trapelare nessun tipo di agitazione o nervosismo, ma fu immediatamente chiaro a tutti che il moro era intenzionato a prendersi del tempo per perfezionare la battuta flottante su cui stava ormai lavorando da settimane.
Il più grande, a quel punto, esitò solamente qualche attimo prima di assentire ed inserire le chiavi nella serratura « Lascio qui le chiavi, allora. Ricordati di portarle domani, e non fare troppo tardi »
« Yamaguchi! Fammi rimanere con te! » Hinata non perse tempo a sfoderare il proprio entusiasmo, seguito a ruota dal libero della squadra, che non voleva essere da meno.
« Anch’io! Anch’io! »
« Voi due avete già corso abbastanza per oggi… » si intromise Kageyama, schietto come sempre, con un’espressione tanto scocciata sul viso quanto il suo tono era stato tagliente.
Yamaguchi si limitò ad osservare la scena con aria perplessa, non sapendo bene se accettare la loro proposta o meno. Molto probabilmente, per i due compagni sarebbe stata solo una perdita di tempo – allo stato attuale, il suo servizio colpiva la rete od usciva dal campo la quasi totalità delle volte, perciò, con la rete in mezzo, non era un esercizio adatto per allenarsi nella ricezione, tanto meno nelle schiacciate.
« Rimango io » rimasto in silenzio fino a quel momento, Tsukishima si limitò a posare la borsa ed a slacciare la felpa di modo da rimettersi in divisa, senza neanche aspettare che qualcuno acconsentisse. Anche lui era perfettamente consapevole dei limiti del moro, ed era proprio per quello che sapeva che, in quel momento, Hinata e Nishinoya non sarebbero stati d’aiuto – al contrario, si sarebbero spazientiti, forse senza darlo a vedere, e ciò avrebbe solo spinto Yamaguchi a fare più errori del necessario.
La spontaneità del gesto colse tutti alla sprovvista, battitore compreso, spingendo di conseguenza l’intera squadra a fissare il biondo come se nessuno credesse a ciò a cui aveva appena assistito. Di contro, Tsukishima non ci mise molto ad accorgersi della reazione dei propri compagni di squadra, ai suoi occhi decisamente eccessiva « Cosa avete da guardare? »
Lo sguardo tagliente del ragazzo con gli occhiali bastò perché tutti si riprendessero dalla sorpresa iniziale e si avviassero alla porta uno dopo l’altro, appena imbarazzati.
« Eh?! Perché tu sì e noi no?! »
« Hinata ha ragione, questo non è giusto! »
Le proteste di Hinata e Nishinoya, purtroppo per loro, non diedero i frutti sperati, perché a quel punto i due ragazzi vennero sistematicamente trascinati via, rispettivamente da Kageyama ed Azumane, senza lasciare a nessuno dei due il tempo di aggiungere altro.
« Buon allenamento! » concluse Tanaka con un largo sorriso, sollevando il pollice prima di chiudere la porta della palestra ormai semi vuota.
A quel punto, erano rimasti solo Yamaguchi e Tsukishima, il quale, come promesso, si rivolse finalmente all’amico prima di avviarsi verso la metà campo opposta « Prendi i palloni »
Tutto si era svolto talmente in fretta che, per qualche attimo, al più piccolo sembrò di essere rimasto in balia di quella strana veloce della coppia formata da Hinata e Kageyama.
« Sì! » la voce gli uscì istintivamente, ed il corpo stesso si mosse da solo in direzione del carrello contenente i palloni da pallavolo dopo aver abbandonato l’asciugamano sopra la propria borsa. Fu solo in un secondo momento che il moro realizzò completamente la situazione, cosa che lo spinse a fermarsi a metà strada per rivolgersi a Tsukishima con un largo sorriso « Grazie dell’aiuto, Tsukki! »
Di contro, l’interlocutore si limitò ad un gesto vago della mano mentre camminava, ancora voltato di spalle, per far capire al compagno che non era necessario perdere tempo con i ringraziamenti – per quanto, in fondo, gli avessero fatto piacere.
 
Qualche minuto più tardi, Yamaguchi aveva il carrello con i palloni sistemato poco lontano, ed una palla tra le mani, mentre il biondo si era posizionato al centro della metà campo opposta.
Improvvisamente, il nervosismo del più piccolo si fece decisamente più marcato. Sapeva che l’amico non si stava concentrando particolarmente sulla ricezione, perciò non poté proprio non sentirsi in colpa per avergli concesso di rimanere nonostante i limiti del suo speciale servizio. La battuta flottante avrebbe anche potuto non raggiungerlo mai, quella sera.
« Si vede la tensione da qui » commentò infatti il più grande dopo qualche attimo, suggerendo dunque all’altro, non troppo sottilmente, di calmarsi prima di battere.
Se Tsukishima avesse dovuto fare un’ipotesi, avrebbe immaginato che l’amico d’infanzia fosse nervoso perché avrebbe preferito non coinvolgerlo – ma era stato lui stesso ad offrirsi, proprio perché Yamaguchi doveva abituarsi anche ad avere degli avversari davanti su cui direzionare la palla. Insomma, avrebbe fatto bene a stemperare la tensione in qualche modo.
Dopo un attimo di esitazione, Yamaguchi strinse le labbra e chiuse gli occhi, prendendo un respiro profondo e concentrandosi per eseguire la battuta al meglio.
D’altronde, era solo un allenamento – pensarla in quel modo, per qualche motivo, ridimensionò l’intera situazione. Non doveva fare altro che colpire come aveva sempre fatto.
Riaperti gli occhi, lanciò in alto la palla e spiccò un salto, ma il colpo terminò esattamente sul nastro. Dall’altro lato del campo, Tsukishima per un attimo parve pronto a scattare, ma rinunciò nel momento in cui si rese conto che in ogni caso la palla non sarebbe arrivata dalla sua parte.
« Mi dispiace! » Yamaguchi si affrettò a portare una mano ben tesa davanti al viso in segno di scuse, per poi afferrare rapidamente un nuovo pallone, il cui lancio, tuttavia, ebbe il medesimo risultato, dato che colpì nuovamente il nastro della rete.
La terza ebbe una conclusione differente, ma altrettanto demoralizzante, poiché finì per superare la linea della fine del campo e portò Tsukishima a correre senza che fosse necessario.
Alla quinta battuta sbagliata, il moro finì dunque per buttare fuori un sospiro demoralizzato, prima di alzare la voce e rivolgersi all’amico dall’altra parte della rete « Forse è meglio che io prosegua da solo, Tsukki »
Nonostante la proposta, il più grande si limitò a tornare in posizione con la medesima serietà tenuta fino a quel momento « Fai silenzio e concentrati, non ce ne andremo finché non avrai battuto almeno dieci servizi buoni »
Nonostante l’apparente durezza di quelle parole, il commento non era stato fatto casualmente, e la stessa espressione del biondo non aveva nulla a che fare con il rimprovero. Tsukishima sapeva che l’amico poteva farcela, per quanto al momento necessitasse delle giuste condizioni. Doveva solamente guadagnare una maggiore fiducia in se stesso – il problema era che il ragazzo con gli occhiali non era minimamente in grado di supportarlo nel modo giusto come invece sapevano fare alcuni dei loro compagni di squadra e degli adulti che li circondavano.
Colto, ancora una volta, alla sprovvista, Yamaguchi si ritrovò a prendere automaticamente un nuovo pallone « Non è esattamente come mi aspettavo, ma… » giunto in posizione, strinse appena le labbra e puntò lo sguardo sulla palla per qualche secondo, dopo di che prese un respiro profondo e puntò il dito contro Tsukishima con decisione, come se fosse un effettivo avversario « … Farò dieci battute flottanti perfette! »
Non avrebbe sprecato l’occasione che il più grande gli stava dando per fare pratica.
Sul viso del biondo, a quel punto, si disegnò immediatamente un sogghigno soddisfatto « Fatti sotto, Yamaguchi! »

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Capitolo 3
*** Quell’incredibile battuta flottante - Parte 2 ***


« Mettiamo a posto » il suggerimento di Tsukishima, quando ormai tutti i palloni erano stati sparpagliati dentro e fuori dal campo, parve più un ordine, ma incontrò ugualmente l’approvazione di Yamaguchi, che evidentemente sentiva di essersi allenato abbastanza e di aver fatto qualche progresso, seppur minimo.
Alla fine, il più piccolo era realmente riuscito a fare dieci battute flottanti in modo corretto, e non avrebbe potuto chiedere di meglio.
I due ragazzi iniziarono dunque a raccogliere i palloni a terra per rimetterli al proprio posto, spendendo diversi minuti con il viso rivolto verso il pavimento e le schiene curve.
« Tsukki? » iniziò Yamaguchi in quel momento, richiamando il compagno di squadra « Non ti è servito a molto, non è vero? Aspettare le mie battute, intendo »
Ancora non aveva dimenticato il fatto che Tsukishima fosse rimasto con lui praticamente senza motivo, soprattutto dal momento che i servizi che il giovane centrale con gli occhiali era stato in grado di ricevere erano stati una minima parte rispetto a quelli effettivamente battuti dal moro. Non poteva non esserne dispiaciuto, per quanto avesse apprezzato moltissimo la sua compagnia – come sempre, d’altra parte.
« È servito a te » replicò tuttavia il più grande con sincerità, senza neanche alzare lo sguardo, come se rimanere in palestra fino a tardi per aiutare Yamaguchi fosse la cosa più naturale del mondo.
Non ci volle molto perché la risposta facesse accennare al più piccolo un sorriso, nonostante tutto.
Una volta che tutti i palloni vennero ritirati e gli stracci furono passati a terra per asciugare l’eventuale sudore causato dagli allenamenti intensivi, i ragazzi si occuparono di trasportare insieme il carrello verso lo sgabuzzino.
Si trattava di uno spazio piuttosto angusto, tanto che due giovani come loro riuscivano a mala pena a passare insieme, perciò fu il moro a procedere più a fondo ed a sistemare il carrello con i palloni al suo posto. Solo una volta fatto ciò si accorse che mancava ancora del materiale da ritirare. Gli spazzoloni con gli stracci che avevano utilizzato per pulire il pavimento erano rimasti posati al muro della palestra.
« Ah! Gli spazzoloni, li ho dimenticati… » mormorò tra sé, riuscendo a farsi udire appena dal compagno. Quando tuttavia tornò sui propri passi, scoprì anche che la figura robusta del biondo gli stava completamente bloccando la via d’uscita, cosa che lo portò ad esitare appena per capire come districarsi da quella situazione.
Tsukishima, d’altro canto, non era certamente messo meglio: era decisamente più difficile lasciare lo spazio necessario per far passare il compagno di squadra che non entrare nello sgabuzzino uno alla volta.
Alla fine, i due si ritrovarono con la schiena al muro, a pochi centimetri l’uno dall’altro.
Tecnicamente, il più piccolo avrebbe dovuto passare per varcare la soglia e recuperare ciò che mancava, ma i secondi passavano, ed a quel punto nessuno dei due parve più intenzionato a muoversi.
Probabilmente, prima di allora non si erano mai ritrovati tanto vicini come in quel momento, quanto meno in modo consapevole – e la suddetta consapevolezza aveva portato rapidamente ad una situazione di stallo in cui nessuno dei due fu in grado di fare altro che non fosse incrociare lo sguardo altrui.
« Scusa, Tsukki… Dovrei… » mormorò a quel punto il moro, con una nota di timore nella voce e le gote appena rosse per la vergogna. Dopo un attimo, posò le mani sul petto di Tsukishima – gentilmente ma fermamente – con il solo intento di tenere l’altro ad una distanza accettabile prima di crollare del tutto e cedere all’attacco di panico imminente. Aveva già il cuore in gola, ed anche solo quel gesto gli era costato molto più del previsto. Lentamente, scivolò di lato per passare, ma a quel punto il più grande si riscosse e lo bloccò per le spalle, sospingendolo indietro con la medesima fermezza.
« Ci penso io »
Senza aggiungere altro, il biondo si diresse subito a passo di marcia verso la porta con un pugno premuto sulla bocca e le guance completamente arrossate per l’imbarazzo – che fortunatamente non erano visibili dalla posizione di Yamaguchi. A suo dire, quello sembrava l’unico modo per liberarsi rapidamente dall’emozione sconosciuta che stava provando in quel momento. Il solo fatto di non riuscire a comprendere, di non poter analizzare razionalmente i sentimenti che avvertiva quando si trovava insieme a quel ragazzo, lo metteva in agitazione.
Dal canto suo, una volta rimasto solo, il moro finì per piegarsi sulle ginocchia ad occhi sgranati e soffocare un grido pregno di panico, ancora incredulo di come il suo intero corpo fosse finito per impazzire davanti a dei contatti tanto fugaci con Tsukishima.
In fondo, non era altro che un vecchio amico d’infanzia.

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Capitolo 4
*** Pausa pranzo in compagnia ***


L’inizio delle scuole medie, per Tadashi, aveva significato, tra le altre cose, incontrare dei nuovi bulletti dell’ultimo anno a cui divertiva particolarmente prendersela con i nuovi arrivati che non avevano il coraggio di ribattere.
Quel giorno in particolare, i ragazzini più grandi avevano finito per rovesciargli il bento durante la pausa pranzo, rendendo di conseguenza ogni cosa praticamente immangiabile.
I resti di cibo giacevano in mezzo all’erba, mentre il moretto, seduto lì accanto, faceva il possibile per evitare di mettersi a piangere da bambino patetico qual era. Anche se il gruppetto si era già allontanato, lui non voleva dar loro quella soddisfazione – ed allo stesso tempo non poteva non demoralizzarsi all’idea di dover digiunare fino all’ora di cena.
« Tieni »
Una voce conosciuta richiamò l’attenzione del piccolo Tadashi, che nel momento in cui sollevò lo sguardo si ritrovò davanti la figura alta e slanciata di Kei che gli porgeva un onigiri. Non era sorridente, anzi, di fatto sembrava che gli importasse poco nulla dell’intera situazione, eppure a Tadashi bastò vedere un volto amico per strofinarsi gli occhi e sforzarsi di sorridere per entrambi. Quando prese tra le mani la polpetta di riso, Kei gli diede immediatamente le spalle ed andò a sedersi in un angolo tranquillo a pochi passi di distanza, cosa che spinse l’altro a fare lo stesso subito dopo.
« Tsukki, grazie… »
« Dovrai fartelo bastare » volle specificare il biondino a quel punto, mentre i due si sedevano uno accanto all’altro – come se l’amichetto potesse davvero osare chiedergli altro.
« Basterà! »
Il moretto si apprestò dunque ad addentare il primo morso, e lo stesso fece il piccolo Kei – la differenza fu che, a quel punto, tutta la tristezza di Tadashi tornò a galla in un istante, facendolo scoppiare silenziosamente a piangere tra un morso e l’altro.
Kei era stato tanto gentile nel regalargli una parte del proprio pranzo, ed il ragazzino dai capelli scuri si sentiva un emerito sciocco a piangere in quel modo proprio davanti a lui – non avrebbe fatto altro che confermare la teoria secondo la quale lui non fosse altro che uno di quei bambini patetici che Kei sembrava non sopportare. L’amicizia del biondino era diventata fin troppo importante per potervi rinunciare, eppure lui ancora non riusciva a trattenere le lacrime quando necessario.
« Che ti prende adesso, Tadashi? Non puoi metterti a piangere solo perché l’onigiri non ti piace » quella, quanto meno, era l’unica spiegazione che il più grande era riuscito a darsi in merito. Gli era ancora difficile comprendere cosa passasse nella testa altrui.
Tadashi, in tutto ciò, non aveva nemmeno osato alzare lo sguardo, ma replicò ugualmente scuotendo il capo « M-Mi piace l’onigiri… »
L’espressione del piccolo Kei, a quel punto, si fece decisamente più scocciata. Non aveva la minima idea di come reagire davanti ai pianti di quel bambino, e probabilmente non l’avrebbe mai avuta.
« Allora non piangere »
Dopo qualche secondo di silenzio, il moretto addentò l’ultimo boccone del proprio pranzo, dopo di che si asciugò gli occhi con la manica e si decise finalmente a guardare in volto il suo interlocutore « T-Tsukki, io voglio essere ancora tuo amico. Noi… Possiamo essere amici lo stesso? »
Non importava se i due ormai si conoscessero da almeno un paio d’anni, perché il timido ed introverso bambino con le lentiggini era ancora convinto di dover essere all’altezza di quell’amicizia, quanto meno evitando di mostrarsi così debole quando finiva per mettersi a piangere per un nonnulla.
La domanda, comunque, bastò per spiazzare Kei e renderlo incapace di rispondere per diversi secondi – come se gli occhioni del moretto non bastassero già a metterlo a disagio. Non era affatto una domanda logica da porre in un momento come quello, né gli era chiaro cosa intendesse esattamente il suo interlocutore.
« Come…? »
« A te quando piango non piace, ma io… Non riesco a non farlo. Cioè, non sempre. Però vorrei comunque che noi due continuassimo ad essere amici… » spiegò il piccolo Tadashi a quel punto, tornando con lo sguardo basso per la vergogna ed iniziando a torturarsi le mani in attesa del responso.
« Ah. Patetico » commentò il biondino con un sospiro rassegnato, una volta realizzato ciò che davvero premeva all’amichetto – il quale, a quel commento, si strinse semplicemente nelle spalle, pronto a ricevere il colpo di grazia « Se non ti avessi più voluto come amico te lo avrei detto già molto tempo fa »
Tempo un istante, ed il viso di Tadashi si illuminò come se non avesse aspettato altro che quelle poche parole « Tsukki! » esclamò, solo per andare a stringere il più grande in un abbraccio subito dopo, il quale, di contro, si ritrovò a sgranare gli occhi per la sorpresa con le braccia bloccate a mezz’aria.
Evidentemente, quando vi era di mezzo il moretto, era impossibile fare previsioni accurate.
« Era meglio stare zitto… »

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Capitolo 5
*** I nuovi occhiali sportivi ***


Da quando Tsukishima aveva iniziato ad indossare gli occhiali sportivi regalatigli dal fratello, Yamaguchi si era ritrovato a fissarlo perfino più del solito, quando ne aveva l’occasione.
In quel momento, i due erano intenti a fare una pausa, seduti a lato del campo a bere qualche sorso d’acqua per reidratarsi al meglio, ma se l’unico pensiero del biondo sembrava essere legato a qualche ingegnoso schema da mettere a punto per la sfida successiva, il più piccolo non poteva evitare di rimanere ad osservarne i lineamenti nel dettaglio. Gli piaceva particolarmente, quando l’altro se ne stava in silenzio a riflettere – e d’altronde non era un caso se tutti definivano Tsukishima un giocatore freddo che difficilmente si lasciava cogliere dall’emozione del momento. Solo il moro sapeva quanto in fondo sapesse essere una persona attenta agli altri. Bastavano i piccoli gesti quotidiani per comprenderlo.
« Ti stanno bene gli occhiali nuovi, Tsukki » esordì alla fine Yamaguchi con quel suo grande sorriso, quando l’altro si accorse di essere osservato.
« Sono solo un paio d’occhiali, nulla di eclatante » immediatamente, il biondo voltò lo sguardo ancora una volta, colto di sorpresa dal complimento sincero, smuovendo così un’espressione ora decisamente più criptica da parte dell’amico.
« Però sarebbe un peccato se… » con un rapido gesto, il moro gli sottrasse gli occhiali nuovi e sollevò il braccio, come a voler sfidare l’altro a riprenderseli con la forza – una mossa poco saggia, in realtà, visto che Tsukishima era più alto di lui di quasi una decina di centimetri « … Qualcuno li prendesse! »
« Cosa… Yamaguchi, ridammi gli occhiali » subito, il biondo dovette socchiudere gli occhi con un sospiro per mettere a fuoco la scena seguente, ovvero il più piccolo che, dopo qualche attimo, si provò i suddetti occhiali con aria divertita. Sostanzialmente, aveva ignorato la richiesta e la mano tesa del compagno – il quale, al contrario di quanto Yamaguchi si aspettava, usando le maniere forti temeva di rovinare il regalo del maggiore.
« Wow, Tsukki, ma sei praticamente cieco! » anche il moro si ritrovò ben presto con gli occhi socchiusi a causa del fastidio provocato dalle lenti, ma nonostante ciò regalò comunque a Tsukishima un’occhiata chiaramente divertita « Come mi stanno? »
La visuale del più grande, in realtà, era a dir poco sfocata – e per un attimo Tsukishima stesso maledì la propria vista per non permettergli di vedere l’amico con quel paio d’occhiali; tuttavia, alla fine si limitò a mettersi in ginocchio e ad avvicinare il viso a quello del moro ben più di quanto non facesse di solito, tutto per poter rispondere alla domanda con onestà, e forse, in piccola parte, anche per poter approfittare del momento per avere quel visetto spruzzato di lentiggini più vicino di quanto normalmente non fosse.
La reazione fu abbastanza inaspettata da spingere Yamaguchi ad irrigidirsi in un istante. Erano davvero troppo vicini, perfino di più rispetto a quanto non si fossero ritrovati nello sgabuzzino, e ciò era abbastanza per renderlo nervoso. Aveva sempre ammirato e stimato il giovane centrale con gli occhiali, tuttavia, ormai stava iniziando a credere che quell'ammirazione e quella stima si stessero lentamente ed inesorabilmente trasformando in qualcosa di più – si trattava di una prospettiva decisamente terrificante.
Solo dopo secondi interminabili passati a fissarsi negli occhi giunse finalmente la sentenza definitiva.
« Gli occhiali non fanno per te »
Con delicatezza, il più grande sfilò i suddetti dal volto del moro e se li rimise, il tutto mentre Yamaguchi stesso si limitava ad osservare in silenzio – bastava davvero poco per zittirlo, quando c’era di mezzo Tsukishima.
Fu solo dopo qualche attimo che il più piccolo fu in grado di tornare presente a se stesso « … Perché? »
Non che si aspettasse qualcosa di eccezionale – al contrario, il biondo sarebbe stato capace di trovare una risposta sagace in grado di ammutolirlo all’istante.
« Ti nascondono le lentiggini » sincero e diretto, il più grande concluse la conversazione rimettendosi in piedi e tendendogli una mano per aiutare il compagno ad alzarsi.
Ovviamente, le lentiggini appena menzionate non erano esattamente nascoste, ma gli occhiali attiravano interamente lo sguardo dell’osservatore, e ciò bastava a mettere quei piccoli puntini in ombra. Fosse stato in Tsukishima, il moro non ci avrebbe minimamente pensato – anzi, se il giovane centrale con gli occhiali glielo avesse detto solo qualche anno prima, Yamaguchi non avrebbe minimamente preso in considerazione il fatto che le sue lentiggini potessero essere anche solo piacevoli da vedere.
Se doveva essere sincero con se stesso, quella pelle imperfetta qualche volta ancora lo disturbava, ma se, a detta del più grande, le sue lentiggini non avrebbero dovuto rimanere nascoste, allora, probabilmente, anche lui avrebbe dovuto iniziare ad accettarle e ad andarne fiero.
Eppure, dall’espressione che aveva sul volto, era come se il giovane dai capelli biondi non gli avesse appena detto la cosa più carina dal giorno in cui i due si erano conosciuti.

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Capitolo 6
*** Incidente di percorso ***


« Tsukki! Tsukki, aspetta! »
« Se vuoi che ti aspetti, vedi di muoverti »
Mentre Yamaguchi era intento a correre dietro al compagno, il biondo si limitò a rallentare impercettibilmente la propria andatura, senza neanche voltarsi. Il grido del moro, incredibilmente, gli era giunto alle orecchie nonostante le grosse cuffie e la musica alta, ma ciò non gli impedì di proseguire per la propria strada come aveva sempre fatto.
« Tsukki » con un sospiro, Yamaguchi gli arrivò accanto ed iniziò immediatamente a camminare al suo passo, rivolgendogli un sorriso dopo essersi preso qualche attimo per ricomporsi « Buongiorno! »
Era ancora mattina presto, e Tsukishima finì per domandarsi per l'ennesima volta come Yamaguchi ed i ragazzi energici come lui riuscissero ad acquistare tutte quelle forze fin dall'arrivo nei pressi dell’edificio scolastico. Alla fine, il biondo si limitò a replicare con un cenno del capo in segno di saluto.
« Come ti senti? Sei carico per gli allenamenti di oggi? » domandò a quel punto il più piccolo, cercando tuttavia di parlare con un tono di voce più alto del solito per sovrastare ancora una volta la musica che, evidentemente, il compagno non aveva intenzione di smettere di ascoltare.
« Mi sento in forma » fu l’unica replica del biondo, che fece spuntare all’amico l’ennesimo sorriso. Yamaguchi sapeva perfettamente quanto poteva osare, ed il fatto che il compagno avesse deciso di tenere le cuffie fino all’arrivo in palestra era un chiaro segno del fatto che avrebbe fatto bene a non disturbarlo ulteriormente. Probabilmente, il più grande era già concentrato, dunque la conversazione si concluse in quel modo. Non sarebbe certo stato Yamaguchi a spezzare quella calma che l’altro si era creato.
I due ragazzi, dunque, si limitarono a camminare a ritmo sostenuto, fino a quando, da un momento all’altro, non avvertirono delle grida di battaglia ed il rumore di passi spediti.
Fecero appena in tempo a realizzare che si trattava niente meno che di Hinata e Kageyama intenti a correre proprio nella loro direzione, che questi ultimi passarono loro accanto, ed il grande alzatore del Karasuno finì per urtare Yamaguchi abbastanza forte da farlo inciampare sui suoi stessi passi. In un attimo, quest’ultimo si ritrovò sbalzato contro Tsukishima, che fu costretto a sua volta ad afferrarlo al volo.
Ovviamente, nessuno dei due sfidanti si fermò a controllare, ma tutto ciò, a quel punto, aveva un’importanza decisamente relativa.
Dopo un primo momento di sorpresa da parte di entrambi i centrali, nessuno dei due fu in grado di incrociare lo sguardo dell’altro – e, allo stesso tempo, nessuno dei due poté comunque evitare di arrossire violentemente una volta resisi conto della situazione in cui si erano ritrovati loro malgrado. Erano stati entrambi colti di sorpresa, perciò non avevano avuto il tempo di prepararsi psicologicamente.
Di fatto, il moro avrebbe dovuto essere ormai abituato ad incrociare quegli occhi color caramello, così come Tsukishima non avrebbe dovuto essere tanto scosso nell’osservare quelle piccole lentiggini che tanto adorava e lo sguardo nocciola dell’altro – solo che così non era.
Nonostante ciò, quella stretta piacevolmente inaspettata rendeva il momento molto più godibile. Da quella posizione, Yamaguchi poteva distintamente avvertire il cuore del più grande che accelerava i propri battiti – il quale, se si escludeva la risata sincera di Tsukishima, era forse il suono più bello che le sue orecchie fossero state in grado di ascoltare fino ad allora.
Alla fine, tuttavia, il biondo fu il primo a riprendersi. Schiaritosi la gola, si assicurò che il più piccolo riuscisse ancora a reggersi in piedi e si sfilò le cuffie, lasciandole attorno al collo.
« … Tutto bene? »
Ancora imbarazzato dalla situazione, a Yamaguchi ci volle qualche secondo prima di riuscire a mettere insieme una frase di senso compiuto « Sì… Sì, direi di sì… »
Di fatto, avrebbe voluto rispondere che stava molto più che bene, stretto tra quelle braccia forti – solo che l’espressione del biondo si trasformò rapidamente in un ghigno che mostrava tutta la sua ira.
« Bene, perché quei due oggi passeranno un pessimo allenamento mattutino… »
Secondo la visione di Tsukishima, non solo quello scherzo gli era costato tutta la fredda calma che normalmente lo caratterizzava, e di conseguenza la concentrazione – quel contatto, benché piuttosto fugace, lo aveva scombussolato fin troppo – ma decisamente non poteva tollerare che Yamaguchi avesse subito un trattamento del genere senza che i due compagni di squadra mostrassero il minimo segno di rimorso.
Non diede neanche il tempo al più piccolo di aggiungere altro; semplicemente, si diresse a passo svelto in direzione della palestra, costringendo così Yamaguchi stesso a corrergli dietro, improvvisamente nel panico dopo essersi reso conto di cosa quell’incidente avesse appena scatenato.
« Tsukki! Fermo, non ucciderli! »

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Capitolo 7
*** Un patetico liceale ***


Vedere Akiteru tifare per la propria squadra dagli spalti era stato un vero e proprio trauma per il piccolo Kei, e non importava quanto Tadashi cercasse di risparmiargli ulteriori ferite zittendo il loro compagno che, senza pudore o rispetto, si ostinava a far presente che il maggiore dei fratelli Tsukishima non fosse un giocatore titolare, perché in quel momento l’unica cosa che il bambino dai capelli biondi era in grado di percepire era lo sguardo allarmato del più grande dall’altro lato della palestra.
Akiteru era talmente incredulo e sorpreso da risultare, semplicemente, un adolescente patetico.
« Voglio andare via… » finì per mormorare il piccolo Kei, staccandosi dalla ringhiera ed indietreggiando istintivamente, mentre amarezza e disgusto prendevano rapidamente il posto dell’emozione che stava provando fino ad un attimo prima al pensiero di poter osservare finalmente il più grande in azione. Akiteru gli aveva mentito, e null’altro contava.
Se non fosse stato per il piccolo Tadashi che gli afferrò prontamente la mano e lo trascinò verso l’uscita – non senza prima aver lanciato un’ultima occhiata storta al loro compagno di classe con il suo stupido libretto informativo in mano – il biondino non sarebbe stato in grado di allontanarsi da solo, nonostante l’urgenza di mettere la maggiore distanza possibile tra sé ed il fratello maggiore.
Solo una volta giunti all’esterno il moretto prese finalmente la parola, con una nota di preoccupazione nella voce « Quello vuole sempre avere ragione »
« Questa volta ha ragione » Kei stava tremando, proprio lui, che sembrava non avere paura di nulla – Tadashi lo poteva avvertire tramite la stretta di mano. Era la prima volta che lo vedeva tanto scosso.
« Ah, io… Ma- »
« Ha ragione lui, Akiteru non gioca » rimarcò subito l’altro, con un tono ancora più freddo rispetto a quello tenuto fino a poco prima « Non ha mai giocato. Quindi non cercare scuse, Tadashi! »
Il grido del biondino bastò perché il piccolo Tadashi lasciasse la presa, sorpreso e spaventato dalla piega degli eventi. Era raro che l’amichetto alzasse la voce in quel modo, soprattutto contro di lui, perciò gli fu difficile capire come comportarsi e come agire per farlo tranquillizzare.
L’espressione dura del bambino con gli occhiali sembrava chiedergli di lasciarlo in pace, ma una delle poche cose che il moretto aveva compreso di tutta quella situazione era proprio che in quel momento il suo migliore amico avesse bisogno di supporto. Dopo aver stretto le labbra, si riavvicinò e gli tese la mano una seconda volta, con l’unica speranza che Kei la accettasse. Anche se non sapeva cosa fare, avrebbe improvvisato in qualche modo – in quel momento bastava semplicemente essergli vicino.
« T-Tsukki… Magari… Adesso potremmo andare al parco a- »
Quella mano protesa verso l’altro venne scacciata prima ancora che il piccolo Tadashi potesse terminare la frase, portando di conseguenza gli occhi del moretto a riempirsi di lacrime. Non riusciva a credere che il piccolo Kei potesse diventare tanto cattivo perfino con lui.
« A giocare a pallavolo? A che serve?! Vacci da solo se ci tieni tanto! » la comprensibile rabbia del bambino con gli occhiali in quel momento esplose del tutto, spingendo quest’ultimo a dare le spalle all’amichetto e ad incamminarsi con i pugni stretti per la frustrazione « Anzi, vattene e basta! » tempo un istante, e si mise a correre via definitivamente, ignorando completamente le lacrime del migliore amico che, dal canto suo, aveva subito tutto in silenzio.
« Tsukki…! »
Nonostante la protesta di Tadashi, l’interessato finì ugualmente per allontanarsi e sparire dietro l’angolo, lasciando l’amico a calmarsi da solo tra un singhiozzo e l’altro.
Probabilmente, aveva sbagliato a menzionare il parco, ma si era trattata della prima cosa che gli era passata per la mente quando aveva cercato qualcosa che potesse distrarlo.
Alla fine, non poté fare altro che passare diversi minuti con lo sguardo basso e le dita intrecciate a sfogare tutte le lacrime che aveva accumulato in quel breve lasso di tempo, nonché a riflettere su come rimediare all’errore e sui motivi che avevano spinto il più grande a reagire tanto duramente, ma con poco successo. Fu solo nel momento in cui riuscì asciugarsi le lacrime ed a tornare in sé che si decise finalmente a cercare il biondino e si avviò proprio nella direzione in cui quest’ultimo era scomparso.
 
La ricerca non durò più di tanto, perché il piccolo Tadashi trovò il migliore amico seduto su una panchina nei pressi della fermata dell’autobus più vicina – non tanto perché il bambino con gli occhiali volesse effettivamente salirci, quanto perché era stato il primo luogo sicuro dove potersi andare a sedere.
Quando lo vide, il moretto si affrettò a raggiungerlo con un nuovo sorriso in volto, sollevato nel vedere che stava bene – rabbia a parte. Senza dire una parola, andò a sederglisi accanto, ma Kei non si sforzò nemmeno di alzare lo sguardo. A mente leggermente più fredda, si era reso conto di aver agito d’impulso e di aver sbagliato ad urlare contro Tadashi, che nonostante tutto era completamente estraneo alla faccenda.
Eppure, a discapito del trattamento ricevuto, lui era ancora lì quasi come se nulla fosse accaduto – ed almeno una piccola parte di gratitudine, in quel vortice di delusione e risentimento, fu d’obbligo.
« Scusa se ti ho detto di andare al parco » esordì il moretto alla fine, spingendo l’altro a sollevare le spalle per fargli intendere che il suggerimento, a quel punto, non aveva la minima importanza.
Akiteru, il suo eroe nonché fantastico fratello maggiore, evidentemente non aveva giocato neanche una partita nonostante tutto l’impegno che ci metteva giorno dopo giorno, altrimenti non l’avrebbe tenuto all’oscuro per tutto quel tempo – dunque il più piccolo non aveva motivo di sprecare tempo ed energie per finire nella medesima situazione. Kei amava la pallavolo, e non aveva intenzione di smettere di praticare quello sport meraviglioso, ma in quel modo probabilmente si sarebbe quanto meno risparmiato buona parte della grande stanchezza che giungeva inesorabilmente a fine giornata, nonché una grande delusione.
In tutto ciò, quel bambino introverso dai capelli scuri era diventato una presenza pacata e tranquillizzante semplicemente rimanendogli seduto accanto.
« Tadashi » iniziò Kei alla fine, sollevando lo sguardo chiaramente deluso verso l’altro.
« Sì…? »
« Akiteru mi ha mentito. Non capisco il perché… »
« Non lo so, Tsukki… Però io non penso che volesse renderti triste… »
Dopo qualche altro secondo di silenzio, una volta sicuro che il biondino si fosse effettivamente calmato, il piccolo Tadashi osò prenderlo per mano, con una lieve esitazione che rendeva evidente quanto ancora non fosse sicuro di stare facendo la cosa più giusta. Kei, per tutta risposta, gliela strinse.
Da quel momento in avanti, i due bambini rimasero semplicemente mano nella mano, in silenzio, per tutto il tempo che ritennero opportuno. Nessuno dei due si mosse, e nessuno dei due aggiunse altro al discorso.
Non era necessario.

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Capitolo 8
*** Prospettive future ***


Affermare che Yamaguchi si fosse preoccupato a seguito dell’infortunio alla gamba del suo migliore amico avrebbe voluto dire utilizzare un eufemismo. Di certo, la tensione accumulata nel corso del torneo aveva fatto la propria parte, insieme all’uscita improvvisa di Hinata a causa della febbre, ma nonostante ciò il crampo rimaneva pur sempre un infortunio di poco conto e sicuramente non era necessario trattare quel piccolo incidente come se ne andasse della vita del giovane centrale con gli occhiali. Quello per cui avrebbero dovuto essere realmente in pensiero era proprio il piccolo schiacciatore dai capelli rossi.
« Allora… Come va la gamba? » domandò il moro, avvicinandosi a Tsukishima nel tragitto verso l’albergo dove alloggiava la squadra. Era ancora leggermente in apprensione, ma la preoccupazione iniziale era decisamente scemata rispetto a poco prima.
« Sto bene, Yamaguchi. In ogni caso, per quest’anno è finita. Immagino che avrò comunque molto tempo per riprendermi » replicò l’altro, sollevando appena lo sguardo verso il cielo. Il sole stava iniziando a calare, ma la luce era ancora particolarmente splendente.
Per quell’anno, dovevano rassegnarsi ed accettare di essere arrivati tra le otto migliori squadre del paese – ma nulla vietava loro di riprovare nel corso dei due anni successivi, e di certo lui era più che determinato a non far passare più neanche un pallone una volta giunto sotto la rete.
Ormai aveva compreso che non era necessario disperare in caso di errore. Ci sarebbe sempre stato qualcuno alle sue spalle, pronto a recuperare la palla – e soprattutto ci sarebbe stato Yamaguchi pronto a battere un servizio in grado di creare scompiglio nella squadra avversaria. Servizio e muro erano semplicemente perfetti per loro.
« Giusto… » si limitò a mormorare il più piccolo a quel punto, incassando la testa nelle spalle.
Al contrario dei ragazzi del terzo anno, era chiaro che per loro ci sarebbe stata un’altra occasione per brillare. Per quanto lo riguardava, Yamaguchi avvertiva dentro di sé che avrebbe potuto fare molto di più, soprattutto per aiutare Tsukishima e tutti i giocatori a muro. Fu proprio allora che decise che si sarebbe impegnato ancora di più perché quell’occasione potesse fruttare a dovere.
Il resto della squadra si era ormai distanziato di almeno qualche metro, visto che Tsukishima procedeva più lentamente del solito – un ottimo momento per poter dire all’amico ciò che il moro aveva tenuto in serbo per un’occasione particolarmente importante e solenne; tutto riguardante la pallavolo, naturalmente, poiché per qualunque altra cosa avrebbe dovuto racimolare ancora molto coraggio prima di aprire bocca.
In un attimo, si piazzò davanti all’altro per bloccargli la strada e lo afferrò saldamente per le spalle, ignorando l’espressione stranita del ragazzo con gli occhiali che, di contro, non comprese dove l’amico d’infanzia volesse andare a parare.
« Tsukki! » esordì infine a gran voce dopo qualche momento di silenzio, con un’espressione al contempo seria e nervosa « …Con me accanto, sarai il più forte di tutti! L’anno prossimo… L-L’anno prossimo faremo dieci, no, quindici… No, io ti aprirò la strada, e giocheremo insieme per l’intero set! »
Vedere il moro tanto determinato era insolito, ma non così inusuale come poteva esserlo in passato – un’osservazione che al più grande bastò per riuscire a rilassarsi. Non poteva che confermare ciò che già aveva appurato, ovvero il fatto che Yamaguchi fosse cresciuto a vista d’occhio e fosse diventato un ragazzo eccezionale.
Davanti alle labbra strette del più piccolo, che evidentemente faticava a contenere le lacrime, quelle del biondo si incresparono in un sorriso « Guarda che ci conto »

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Capitolo 9
*** Una serata tranquilla ***


I ragazzi del club maschile di volley del Karasuno avevano terminato da poco gli allenamenti, e mentre uno dopo l’altro si apprestavano ad uscire dalla palestra, Yamaguchi aveva tirato fuori il cellulare per controllare eventuali messaggi e chiamate. Tempo qualche secondo – il necessario per leggere un messaggio in particolare – e raggiunse con una rapida corsa proprio Tsukishima, prendendolo a braccetto con l’unico intento di convincere l’amico d’infanzia ad ascoltarlo per davvero prima che si rifugiasse nella sua musica.
« Tsukki, ho una proposta! » iniziò con entusiasmo, mentre l’altro si limitava ad un’occhiata rassegnata, ormai fin troppo abituato al comportamento espansivo altrui per protestare ogni singola volta « Mia madre mi ha appena ricordato che stasera i miei escono per il loro anniversario. Verresti a cenare da me? »
Come sempre, il sorriso speranzoso del moro, unito alla domanda inaspettata, bastò a far destabilizzare il più grande per qualche secondo, che non fu in grado di reggere ulteriormente lo sguardo di Yamaguchi e finì per tornare a puntare la strada davanti a sé « Non sei un po’ troppo grande per aver paura a rimanere in casa da solo di sera? »
A quella domanda, il più piccolo gli diede una spinta scherzosa che lo fece barcollare, fintamente offeso « Lo sai che non è quello che intendo! Dai, ci divertiamo… Come da piccoli, quando stavi a dormire da noi. E dopo cena possiamo metterci davanti alla TV e guardare le qualificazioni per la nazionale, non dirmi che non ti alletta neanche questo! »
Si vedeva perfettamente quanto tenesse all’idea, specialmente perché era da diverso tempo che i due non riuscivano a passare del tempo insieme, da soli, al di fuori del club – e Tsukishima, al più piccolo, mancava non poco. Non che importasse più di tanto dove andassero o cosa facessero: Yamaguchi aveva semplicemente colto l’occasione, ma in fondo ciò che realmente contava era la compagnia del biondo. Mettere di mezzo la pallavolo sembrava un’ottima scusa, agli occhi del giovane battitore, per catturare l’attenzione altrui e dipingere una serata molto più accattivante di quella che sarebbe stata all’effettivo.
La realtà era che il suo interlocutore era già stato convinto fin dalla prima frase, ma Tsukishima non poté non ammettere a sé stesso che quei cosiddetti bonus aggiuntivi rendevano il tutto ancor più appetibile. Più ci rifletteva sopra, e più la prospettiva lo attirava. Cenare insieme all’amico d’infanzia per poi guardare una partita di pallavolo con lui rasentava la serata perfetta agli occhi del giovane centrale con gli occhiali, solo che non lo avrebbe mai ammesso.
« Passo alle sette »
Bastarono quelle tre parole per illuminare in un istante il volto del moro, che si ritrovò a stringere istintivamente i pugni in segno di vittoria « Perfetto! »
 
Tsukishima si presentò, come promesso, alle sette in punto davanti a casa Yamaguchi, riuscendo perfino a porgere i propri saluti ai genitori del suo amico appena prima che i due uscissero di casa.
In un certo senso, era come essere tornati indietro nel tempo, ai tempi in cui poteva considerare quelle quattro mura come la sua seconda casa, visto tutto il tempo che ci passava – e lo stesso si poteva dire per Yamaguchi nei confronti di casa Tsukishima. Era imbarazzante, considerando che le visite si erano diradate con il passare del tempo, ma allo stesso tempo poteva avvertire un’aria familiare, perché di fatto non era cambiato proprio niente.
Quando alla fine i due ragazzi rimasero soli, si spostarono in cucina ed una volta preso il necessario iniziarono ad apparecchiare il tavolino sistemato davanti al televisore.
« Allora… Cosa ti andrebbe di mangiare? » domandò Yamaguchi nel posare i due tovaglioli e le bacchette, mentre Tsukishima si occupava dei bicchieri e dei piatti.
« Qualcosa di leggero »
Dopo una breve discussione, i due optarono per la zuppa di miso e tornarono sui loro passi per mettersi ai fornelli.
« Io penso a tagliare le verdure » si offrì il più piccolo, iniziando immediatamente a prendere tutto l’occorrente « Tsukki, potresti iniziare a preparare la pentola con l’acqua? Ricordi dove sono, giusto? »
« Basta che tu faccia attenzione a non tagliarti anche le dita » si accodò l’altro, aprendo con sicurezza proprio il grosso cassetto dove erano contenute pentole e padelle. Evidentemente, ricordava eccome.
Tagliare gli ingredienti, scaldare l’acqua, ed in generale preparare un buon pasto caldo, erano gesti così quotidiani ed al contempo intimi che sembrava impossibile giungere ad una simile intesa tanto in fretta senza aver passato un solo giorno di convivenza insieme – eppure era come se quei due giovani studenti vivessero in quella casa da sempre.
 
Non molto tempo dopo, Tsukishima e Yamaguchi erano finalmente seduti al tavolino con i cucchiai e le rispettive ciotole di zuppa davanti.
Anche se si trattava di un piatto leggero, nessuno dei due fece complimenti viste le energie perse con gli allenamenti della giornata.
« Beh, buon appetito Tsukki! » augurò il moro con un sorriso soddisfatto, unendo le mani in preghiera prima di buttarsi sulla propria cena. Tempo un istante, e finì per illuminarsi « Ehi, però è davvero buona! »
Gli sembrava impossibile che fossero riusciti a preparare qualcosa di accettabile da soli, eppure quella zuppa aveva davvero un ottimo sapore – l’unico che non se ne stupì fu proprio il biondo.
« Sì, perché non dovrebbe esserlo? »
A quel punto, Yamaguchi si limitò ad accennare una risata ed a scuotere il capo, per poi allungare la mano con il palmo rivolto verso l’alto, chiedendo così esplicitamente all’amico di battere un cinque « Siamo stati bravi »
Il più grande non poteva che confermare, ma tutto quell’entusiasmo solo per una cena gli parve eccessivo – eppure, dopo qualche secondo andò ugualmente a battere il cinque con uno sbuffo divertito « Abbiamo… Fatto un buon lavoro » concluse, salvo poi scoprire che il moro lo stava osservando con un sciocco sorriso e non sembrava intenzionato a lasciargli la mano tanto presto. Era un contatto troppo piacevole per essere ignorato, e certamente troppo confortevole per essere interrotto, ma era chiaro che il più grande non era abituato, visto il modo in cui finì per schiarirsi la gola « Yamaguchi? »
Fu solo dopo diversi secondi di silenzio imbarazzante che il suddetto ragazzo finalmente tornò in sé e si staccò, stringendosi nelle spalle « Ah, certo. Mangiamo »

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Capitolo 10
*** Una serata tranquilla - Parte 2 ***


« La partita! Speriamo non sia già iniziata… » commentò d’un tratto Yamaguchi, che stava finendo di sistemare le stoviglie lavate ed asciugate al proprio posto « Tsukki, puoi andare ad accendere? Ti raggiungo subito »
Il biondo si limitò ad un cenno di assenso prima di raggiungere il divano ed accendere la televisione come gli era stato chiesto. Dopo alcuni secondi passati a scorrere un canale dopo l’altro, finalmente sullo schermo comparve la tanto ricercata partita di qualificazione. Il punteggio segnalava che il match era, fortunatamente, ancora all’inizio.
« Sono ancora due a uno » informò a quel punto, alzando la voce quanto bastava per farsi sentire fin nella stanza accanto ed accomodandosi successivamente sul divano di modo da cercare, fin dove possibile, di mettersi a proprio agio. Ancora una volta, la nostalgia gli riportò alla mente le giornate passate davanti a quello schermo insieme a Yamaguchi, ad emozionarsi per una schiacciata particolarmente efficace o un recupero quasi impossibile andato a buon fine. Quella volta, tuttavia, avvertiva un’atmosfera diversa – oppure si trattava semplicemente della sua immaginazione, e lui neanche ricordava che la sua immaginazione potesse essere tanto fervida.
Dopo alcuni minuti, finalmente Yamaguchi si presentò con due bicchieri colmi di una bibita densa e li posò sul tavolino con soddisfazione.
« Frullato proteico » annunciò, ma davanti all’espressione decisamente più contrariata del biondo non ci mise molto a rimarcare l’importanza di una dieta equilibrata « Anche tu devi reintegrare dopo gli sforzi di oggi. Giuro che è meglio di quanto sembra »
« Ci sforzeremo comunque anche domani, e dopodomani… »
Yamaguchi, tuttavia, ignorò completamente la protesta e si affrettò a prendere una coperta che era stata sistemata su quello stesso divano in precedenza, dopo di che si accomodò accanto al biondo ed avvolse sia se stesso che l’amico con attenzione.
« Ora si ragiona. Mettiti comodo, Tsukki » invitò a quel punto, notando come le gambe di Tsukishima sporgessero dalla coperta.
« Sto bene così… »
Tutto ciò stava diventando decisamente troppo intimo, ma concentrarsi sulla partita in corso sicuramente aiutò entrambi i ragazzi a rilassarsi quanto bastava perché l’imbarazzo iniziale scomparisse, sostituito, tra uno scambio e l’altro, solo da un piacevole tepore.
Avvolti tra le coperte, i due studenti si sporsero in avanti quasi in contemporanea nel bel mezzo della partita, increduli davanti all’azione che si era appena svolta davanti ai loro occhi.
« … Un lungolinea al limite! » si stupì Yamaguchi a seguito di quell’ultima schiacciata, afferrando il braccio del giovane centrale con gli occhiali solo per scuoterlo e sfogare l’emozione del momento. Era stata un’azione incredibile, ed il moro non poté che rimanerne ammirato.
L’espressione sbigottita del più grande, invece, sembrava quella di un cane pronto a ringhiare al primo sconosciuto di passaggio « Ero convinto che il muro l’avrebbe bloccato… »
Logico e razionale com’era, perfino Tsukishima era stato portato a credere che lo schiacciatore avrebbe tentato una diagonale – come aveva sempre fatto fin dall’inizio del set.
« Si vede che sono dei professionisti » senza neanche pensarci, Yamaguchi finì per posare il capo sulla spalla del biondo con un sospiro invidioso, ma non poté non soffermarsi ad osservare da sotto in su il volto ora incredibilmente più concentrato del più grande, che a quel punto si era chiaramente messo in testa di anticipare le azioni delle due squadre per poterle metaforicamente fermare. Come sempre, non poteva non mettersi ad ammirare ogni dettaglio di quel volto serio e perdere la cognizione del tempo. Era semplicemente più forte di lui.
Quando Tsukishima si rese conto dello sguardo altrui su di sé, tuttavia, il moro finì solamente per stringere le labbra e sgranare gli occhi, colto in flagrante e certo di aver fatto una magra figura. D’altra parte, nessuna persona sana di mente si metteva a fissare in quel modo un compagno.
« Mi stai distraendo » lo accusò infatti il giovane centrale con gli occhiali, senza tuttavia alcun accenno di rabbia nella voce. In un certo senso, fino ad un istante prima perfino lui si stava godendo il momento con Yamaguchi accanto, al caldo e comodamente adagiato sul divano, ma quello sguardo insistente gli stava facendo perdere la tranquillità guadagnata.
« Eh…? » mugugnò il più piccolo, accigliandosi per un istante prima di tornare completamente dritto « N-No, sei tu che distrai me, Tsukki! »
« Ah, davvero? »
Per tutta risposta, Yamaguchi assentì e nella foga del momento gli afferrò il viso tra le mani, stringendo forse perfino troppo per un momento importante come quello « Quando sei concentrato non riesco a smettere di guardarti » esordì con una convinzione che decisamente non gli apparteneva, mentre di contro, fortunatamente per lui, il più grande non interruppe, limitandosi a sgranare appena gli occhi, palesemente confuso, con un leggero rossore che finì per fare capolino sulle gote « Quindi è colpa tua! … No in realtà mi piaci anche se non sei concentrato, ma probabilmente non è questo il punto! »
Neanche avessero reagito sul serio a quell’improvvisa dichiarazione, gli spettatori esultarono proprio in quel momento per il punto guadagnato dalla loro squadra.
« C-Colpa mia?! » rimbeccò l’altro con aria corrucciata, afferrando con la medesima energia le mani del moro per allontanarle dal proprio volto « Allora… Allora, se è davvero colpa mia… Che dovrei fare io, sentiamo?! Dovrei smettere di analizzare le strategie degli altri giocatori perché lo dici tu?! »
Nonostante tutto, perfino l’impassibile Tsukishima aveva finito per reagire alla provocazione – se così poteva essere chiamata – incredulo di essere stato accusato di qualcosa su cui, di fatto, non aveva il minimo controllo. Di solito, il ragazzo più grande sapeva bene come centrare il punto, ma in quel caso si stava rifiutando, benché inconsapevolmente, di toccare il cuore della questione: il suo migliore amico gli aveva appena detto che lui gli piaceva. La sua logica, in ogni caso, era rimasta impeccabile anche sotto stress.
« … Non lo so! » sbottò Yamaguchi a quel punto, ancor più frustrato, senza più riuscire a fare altro che non fosse fissare il suo interlocutore con un broncio che mostrava chiaramente tutta la difficoltà nel trovare una replica accettabile. Tsukishima aveva ragione, ed il ragazzo dai capelli scuri non poté che dargliene atto: spettava al più piccolo risolvere il problema in qualche modo, non certo al biondo.
A nulla servì quello scambio di sguardi. Poco alla volta, tutta l’energia accumulata scemò fino a raggiungere nuovamente il livello precedente, ed entrambi i ragazzi tornarono ad appoggiarsi allo schienale del divano senza aggiungere altro. Era stato fin troppo imbarazzante, ed i due giovani centrali ne erano perfettamente consapevoli vista la tensione con la quale ripresero a seguire la partita. Erano rigidi come due pezzi di legno.
Nonostante ciò, Yamaguchi ancora fremeva per non essere stato in grado di tirare fuori tutto ciò che sentiva dentro quando stava con il suo migliore amico. Non poteva davvero sprecare l’occasione e dimostrarsi ancora una volta il ragazzo patetico che si era ripromesso di non essere.
Sarebbe stato rapido. Qualcosa di veloce e, sperava, indolore.
Proprio come quando si apprestava a colpire il pallone, il più piccolo chiuse gli occhi e si concentrò, respirando profondamente e prendendosi qualche attimo per scacciare ogni pensiero disfattista che si stava intrufolando senza permesso nella sua mente, dopo di che finalmente si protese verso Tsukishima senza più riflettere. In un attimo, gli prese ancora una volta il viso tra le mani – stavolta con maggior delicatezza – e si affrettò ad unire le labbra a quelle altrui, con gli occhi ben chiusi ed il cuore in gola.
Non aveva senso ignorare ancora i suoi sentimenti quando ormai era giunto fin lì, e probabilmente non avrebbe neanche avuto un’occasione migliore per essere completamente trasparente con Tsukishima neanche se avesse cercato di crearla.
Non osò nemmeno provare a guardare quale fosse la reazione del biondo dal tanto che avvertiva l’emozione, ma se lo avesse fatto, si sarebbe reso conto che non era stata tanto male come credeva.
Che fosse stato colto di sorpresa era indubbio, e quel bacio inaspettato contribuì ulteriormente ad agitare e mescolare quel mare di emozioni nei confronti del compagno che Tsukishima si portava dentro. Nemmeno quella sua fastidiosa tendenza a minimizzare ciò che accadeva quotidianamente poteva vincere contro quell’ammasso informe di emozioni che non era in grado di placare. L’incredulità sul suo volto fece spazio ad un’espressione più rilassata solo dopo secondi interminabili – non tanto perché il giovane centrale con gli occhiali fosse stato in grado di calmarsi perfino in una situazione simile, ma semplicemente perché, alla fine, aveva concluso che la sua tanto amata razionalità aveva ben poco a che fare con quello che gli stava accadendo in quel momento.
Trovare una spiegazione ragionevole allo stomaco improvvisamente in subbuglio o al battito accelerato del cuore era una perdita di tempo, l’unica cosa che poteva fare era accettare le reazioni del proprio corpo e lasciarsi coinvolgere dal momento – esattamente come quando aveva urlato al mondo la propria gioia per quel fatidico ed importantissimo muro nel corso della partita contro lo Shiratorizawa.
Solo un punto. Solo un bacio.
Quel piccolo pensiero insistente gli fece affiorare alla mente un’ulteriore ed importante realizzazione: probabilmente, con Yamaguchi, avrebbe fatto bene a superare l’attuale concetto di solo.
Una volta preso il via, il sapore dolciastro del frullato rimasto su quelle labbra più soffici del previsto fu l’unica cosa concreta e reale che consentì al moro di tornare presente a se stesso. Temeva per ciò che avrebbe potuto vedere una volta riaperti gli occhi, ed avrebbe voluto che quel momento potesse durare in eterno solo per poter rimanere immerso in quell’attimo perfetto di cui, era certo, non si sarebbe mai stancato.
Lentamente, si tirò indietro, cosa che portò Tsukishima a sporgersi inconsciamente in avanti a sua volta solamente per poter protrarre ulteriormente quel bacio – almeno fino a quando il più piccolo non lo fece tornare con i piedi per terra schiarendosi la gola « Non avevo finito… Ora ho finito »
Finalmente, lo sguardo nocciola di Yamaguchi incontrò quello color caramello del più grande, che a discapito di tutti i pronostici del moro era più luminoso del previsto – quanto meno fino a quando Tsukishima non realizzò il significato indiretto dietro a quelle parole e non finì per accigliarsi.
Non era ancora abbastanza.
« Finito…? Io non ho finito » e detto ciò, si chinò nuovamente verso il più piccolo. Neanche prese in considerazione lo sguardo improvvisamente più allarmato di Yamaguchi; al contrario, lo afferrò per il colletto appositamente perché non fuggisse e riprese esattamente da dove avevano interrotto.

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Capitolo 11
*** Una piccola stella ***


L'intenso ritiro presso il liceo Nekoma era iniziato solamente da un giorno, ma i ragazzi non si stavano minimamente trattenendo con i propri allenamenti, cosa che aveva avuto come risultato corpi e menti stanche per via del duro lavoro a cui tutti erano stati sottoposti.
Rientrati nei rispettivi alloggi, ciascuno preparò il proprio futon per la notte, dopo di che la maggior parte degli studenti si apprestò a coricarsi immediatamente.
Tra coloro che decisero di rimanere alzati, Tsukishima scelse di uscire sul balcone della stanza per prendere una boccata d’aria e godersi qualche minuto di quiete prima di mettersi a dormire – senza i soliti compagni rumorosi, da cui, per quanto ormai ci avesse fatto l’abitudine, preferiva momentaneamente rimanere in disparte. Giunto alla ringhiera, vi posò gli avambracci e chiuse gli occhi, godendosi la brezza serale per qualche secondo prima di tornare ad osservare il paesaggio cittadino. Il panorama di Tokyo era completamente differente da quello che poteva osservare dalla propria casa.
Neanche a farlo apposta, la tranquillità tanto agognata venne spezzata quasi immediatamente dal richiamo di Yamaguchi, che varcò la soglia della portafinestra e gli posò le mani sulle spalle « Tsukki! » esordì, con un sorriso tutto denti, prima di sistemarsi accanto a lui di modo da guardarlo finalmente in viso « Non vieni a dormire? »
« Tra un attimo » replicò l’altro, cogliendo la palla al balzo « Ma tra noi due sei tu quello che dovrebbe pensare a riposare. Pensavo che non ti reggessi in piedi »
A quel punto, sul volto del più piccolo si formò una smorfia leggermente delusa, che non se ne andò nemmeno nel momento in cui posò il mento sulla spalla del biondo « Beh… Ho pensato che magari potremmo passare un minuto qui fuori in silenzio a guardare le stelle… »
Cosa gli fosse passato per la mente quando aveva impulsivamente fatto quella proposta, non se lo spiegava neanche il moro stesso. Voleva passare del tempo con l’amico d’infanzia con cui si sentiva tanto in sintonia, e ciò era bastato – anche perché quella era effettivamente una splendida serata, troppo splendida per rinunciarvi. Oppure, si trattava semplicemente dell’aria di città.
Qualunque fosse la causa, davanti a quegli occhioni quasi supplicanti nemmeno Tsukishima era in grado di resistere troppo a lungo, ma ciò non gli impedì comunque di stringere i denti e puntare un dito verso il cielo « Siamo a Tokyo, non si vedono le stelle »
Di fatto, era solo la cruda verità – nel cielo scuro, in quel momento, il massimo che si poteva osservare ad occhio nudo era la luna, perché le luci del paese nascondevano praticamente ogni altra fonte luminosa naturale.
D’altra parte, Tsukishima avrebbe potuto avere davanti l’intera via lattea, ed avrebbe comunque guardato alla sua piccola stella: la luce che emanava Yamaguchi era nulla in confronto a quel sole luminoso ed abbagliante che era Hinata per la loro squadra, eppure era proprio quella stella che era stata in grado di guidare il biondo fino a quel giorno. Sapeva che il più piccolo sarebbe stato in grado di farlo tornare in carreggiata – proprio come era già accaduto in passato – e non ci avrebbe rinunciato neanche in cambio di decine di soli splendenti.
Quella era l’unica stella che contava davvero in quel momento.
 
A discapito di tutto ciò, una freccia conficcata nel petto del più piccolo avrebbe fatto meno male di quell’unica frase, che era stata in grado di stroncare alla radice ogni buon proposito – ma con il ragazzo con gli occhiali era così che funzionava, e lui lo sapeva bene.
« T-Tsukki! Usa un po’ di immaginazione! » si lamentò infatti il moro, scostandosi e stringendo i pugni davanti al petto. A detta di Yamaguchi, non doveva certo essere lui a farlo presente, perché il più grande avrebbe quanto meno dovuto rendersi conto da solo che era necessaria dell’inventiva. L’unica cosa che ottenne dall’amico d’infanzia, tuttavia, fu un sospiro rassegnato.
In tutto ciò, il giovane centrale con gli occhiali si accorse solo in quel momento di aver perfino dimenticato che, in fondo, anche il sole era una stella – e non poté non domandarsi se il solo fatto di passare del tempo con gli altri membri del club lo stesse rendendo più stupido.
Il momento di stizza di Yamaguchi, in ogni caso, durò ben poco, sostituito quasi immediatamente da un tuffo al cuore nell’attimo in cui si sentì circondare la schiena con un braccio e sospingere verso la soglia.
Il tocco di Tsukishima, in quel momento, era più delicato di quanto il moro si sarebbe mai aspettato.
« Non fare l’idiota. Avanti, andiamocene a letto »

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Capitolo 12
*** Sprazzi di gelosia ***


« Tsukki, ma tu… Cosa ne pensi di Hinata? » aveva domandato Yamaguchi di punto in bianco al giovane centrale con gli occhiali, prima di proseguire con il discorso con un’aria più divertita « Ho la sensazione che si stia trascinando dietro tutta la squadra, non credi? A volte penso di aver subito anch’io il suo… Uh… Fascino… » continuò, una volta assicuratosi che l’altro lo stesse ascoltando, ma l’aria pensierosa di poco prima si trasformò subito in un’espressione decisamente più nervosa e preoccupata quando lo sguardo del moro incrociò nuovamente quello del più grande « C-Cioè… Non credo che fascino sia esattamente la parola giusta… »
La correzione non fu certamente un caso, perché l’aura che Tsukishima aveva iniziato ad emanare, nonostante il volto inespressivo, era inequivocabilmente un segno di pericolo. Che quello in pericolo fosse Yamaguchi stesso, o il ragazzo che era diventato il loro argomento di conversazione, non era dato saperlo, ma il più piccolo era pur sempre una persona previdente di natura.
La parola che avrebbe voluto utilizzare sarebbe stata influenza, perché di fatto il ragazzo dai capelli rossi era stato un trainante fin dal primo giorno in cui aveva messo piede in palestra – e forse nemmeno se ne rendeva conto – tuttavia, vista la reazione del biondo, Yamaguchi evitò di buttare benzina sul fuoco e si limitò ad un neutrale silenzio fino all’inizio delle lezioni.
 
Quando più tardi i ragazzi si erano ritrovati in palestra per il loro solito allenamento, Tsukishima si era appositamente assicurato di riscaldarsi con i passaggi proprio insieme all’amico d’infanzia – o meglio, a colui che ormai avrebbe fatto bene a considerare il suo ragazzo.
Non che sapesse spiegarsi perché avesse sentito la necessità di tenerlo vicino da un giorno all’altro, aveva semplicemente assecondato quel bisogno che stava iniziando ad avvertire come qualcosa di sempre più impellente, e quello era uno dei pochi modi che aveva per passare il tempo con lui. La sua mente razionale gli suggeriva che Yamaguchi non se ne sarebbe andato da nessuna parte in ogni caso, ma il suo stomaco, per qualche motivo, non era d’accordo.
Comunque fosse, da quando il piccolo Hinata si era messo in testa di voler migliorare nella ricezione, non c’era stato modo di tenerlo a freno. Oltre a lavorare sulle sue rapidissime schiacciate in coppia con Kageyama, aveva iniziato a domandare spesso aiuto ai compagni di squadra perché schiacciassero o battessero dei servizi contro di lui.
Se da un lato questi ultimi accettavano di buon grado, dato che si trattava pur sempre di un esercizio utile ad entrambe le parti in causa, dall’altro non avevano potuto non domandarsi cosa avesse scatenato quel cambiamento. La cosa sicura era che il periodo passato al ritiro degli studenti del primo anno gli era tornato utile.
« Yamaguchi, posso allenarmi con te? » puntuale come un orologio, una volta terminato il riscaldamento l’esca più forte del Karasuno approcciò con un grande sorriso proprio il suddetto battitore, che di contro gli rivolse un cenno di assenso prima di tornare a rivolgere la sua attenzione proprio a Tsukishima.
« Certo. Tanto qui abbiamo finito, giusto, Tsukki? »
Neanche fece in tempo a terminare la domanda, che il più grande aveva già iniziato a fissare il piccolo schiacciatore con la medesima aura emanata quella mattina, il quale, a sua volta, finì per socchiudere gli occhi, improvvisamente più aggressivo « C-Che vuoi, Tsukishima?! »
A quel punto, l’intervento di Yamaguchi fu inevitabile – per quanto neanche il moro avesse effettivamente compreso in pieno cosa fosse accaduto al ragazzo per farlo reagire in quel modo « Scusalo, Hinata… Oggi è più nervoso del solito »
Il tutto si concluse con una breve risata da parte del giovane battitore volta unicamente a stemperare la tensione, dopo di che, Tsukishima venne richiamato da Tanaka per allenarsi a murare insieme a Kageyama, mentre Yamaguchi ed Hinata si spostarono sul fondo della palestra per provare, come promesso, servizio e ricezione.
« La palla ha davvero cambiato traiettoria da un momento all’altro! » si stupì il giovane dai capelli rossi dopo qualche servizio « Grande Yamaguchi! » dopo l’ennesimo grande sorriso rivolto al moro, il piccolo schiacciatore tornò in posizione, di nuovo perfettamente concentrato, esattamente come ogni volta che aveva davanti a sé un obiettivo ben preciso in mente. Yamaguchi ammirava tutta quella dedizione.
« Mi sono allenato molto. Con la rete è più difficile, in realtà, ma in questo modo posso concentrarmi completamente sull’effetto da imprimere alla palla… » gli spiegò subito, non senza una nota di soddisfazione nella voce.
Poco lontano, Tanaka era pronto a schiacciare, e benché Tsukishima sembrasse tutto fuorché concentrato sul gioco, intento com’era ad osservare proprio Hinata e Yamaguchi, sia lui che Kageyama saltarono in sincrono e riuscirono a bloccare il pallone – con somma frustrazione da parte dello schiacciatore. La medesima frustrazione che aveva permesso a Tsukishima di saltare verso l’alto e mantenere le braccia ferme perfino più del solito.
L’unica differenza era che la fonte di tale frustrazione era completamente diversa.
« Suga, alzamene un’altra! Stavolta passerà! » ringhiò Tanaka con foga una volta tornato a terra, mentre Kageyama si prese un momento per posare lo sguardo sul compagno che aveva accanto.
« Oggi sei strano. Più del solito » volle informarlo, mentre l’altro tornava a focalizzarsi sui due ragazzi sistemati sul fondo della palestra – e l’espressione del biondo dava perfettamente ragione all’alzatore.
« Non so di cosa tu stia parlando »
Ciò di cui non si era reso conto Tsukishima era che, al momento del salto a muro, anche Yamaguchi aveva voluto osservarlo per qualche secondo e controllare come se la stesse cavando.
 
« Senti, Tsukki… Ti andrebbe di accompagnarmi dal signor Shimada? Dobbiamo allenarci con la battuta flottante » una volta pronto per andarsene, Yamaguchi si decise ad approcciare finalmente l’amico d’infanzia, non senza esitazione, visto lo strano comportamento tenuto durante l’intera giornata. Non aveva ancora capito cosa lo avesse tanto disturbato, ma immaginava che avrebbe avuto il tempo per aiutarlo a risolvere ciò che gli premeva se avessero avuto modo di camminare insieme per diversi minuti e parlare da soli.
« Va bene » Tsukishima replicò con un cenno di assenso, salvo poi osservare ancora una volta Hinata con uno sguardo a dir poco glaciale nel momento in cui il rosso osò salutare il suo interlocutore con un grande sorriso e ringraziarlo rapidamente per l’allenamento prima di concentrarsi, come suo solito, sulla scaramuccia in corso con Kageyama « Sei stato troppo buono con i servizi di oggi » si ritrovò a commentare istintivamente, prima di avviarsi all’uscita.
Rimasto ad osservare il tutto in silenzio, a quel punto Yamaguchi non poté fare a meno di trattenere un sorriso divertito. Sostanzialmente, il problema era sempre stato solo Hinata, il che era una sciocchezza facilmente risolvibile.
Non che il moro volesse smettere di trattare amichevolmente il piccolo schiacciatore – il saluto lo aveva pur sempre ricambiato – ma, per lo meno, ora aveva compreso la causa del particolare atteggiamento di Tsukishima.
Una volta all’esterno, dunque, i due iniziarono a camminare l’uno accanto all’altro in silenzio, fino a quando il moro non trovò le parole giuste per iniziare la conversazione.
« Tsukki, non sarai mica geloso di Shoyo? » domandò una volta preso coraggio, forse fin troppo direttamente, puntando lo sguardo verso il viso altrui, deciso a non distoglierlo fino a quando non fosse giunta una risposta accettabile. Di fatto, probabilmente ne sarebbe uscito solo un discorso confuso durante il quale avrebbe unicamente finito per agitarsi di più, ma non poteva non tentare di tranquillizzarlo.
Il più grande, tuttavia, a quella domanda gli lanciò solamente un’occhiata di striscio con aria leggermente perplessa, ed iniziò ad armeggiare con le proprie cuffie « … Hinata ti ha colpito in testa, per caso? »
« No. Ho ragione? »
« No »
A quella conclusione, il più piccolo finì solamente per tornare a sorridere con aria divertita « Tsukki, ormai ci conosciamo da… Non so neanche più da quanto. Shoyo non potrebbe mai sostituirti, neanche tra cent’anni! Non hai motivo di essere geloso, sul serio… Sì, sarà anche simpatico… Voglio dire, è buffo se ci pensi, ma dopo quello che è successo… Noi due siamo su un altro livello, non ti pare? »
In tutto ciò, Tsukishima aveva indossato le cuffie ed acceso la musica, alzando il volume quanto bastava per evitare di ascoltare il lungo discorso del suo interlocutore che, sospettava, sarebbe durato fin troppo per i propri gusti – ed a giudicare dalle espressioni e dai gesticolii di Yamaguchi, aveva fatto bene.
In sostanza, si stava limitando ad osservare il più piccolo che muoveva le labbra con la musica in sottofondo.
« … Non ce l’hai con me solo per essermi allenato con Shoyo, giusto? No, in realtà non è da te… Allora, quello che voglio dire è che non dovresti prendertela con lui solo perché mi ha- »
Da un attimo all’altro, Tsukishima gli strinse le guance con una mano e si chinò in avanti per piazzargli un bacio sulle labbra a tradimento, portando così il moro a bloccarsi sul posto, improvvisamente paonazzo.
« Stai zitto, Yamaguchi »
In un modo o nell’altro, finalmente lo aveva fatto smettere di parlare – quella, almeno, era la scusa ufficiale.

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Capitolo 13
*** Chiedere scusa ***


« Non… Non volevo urlarti contro… »
Yamaguchi non riusciva a capire cosa gli fosse preso il giorno prima, quando era arrivato a gridare e strattonare il biondo per la maglia pur di dar sfogo alla propria frustrazione. Tsukishima era un giocatore – ed un ragazzo – eccezionale, ma vederlo così poco determinato quando si trattava di prendere parte agli allenamenti del club lo aveva fatto infuriare come non mai.
Tutti, nessuno escluso – perfino lui, il moro che aveva ben poche qualità rispetto al suo migliore amico, lui che non stava dando il minimo contributo alla squadra neanche con l’unica cosa che stava cercando di imparare solamente perché, quando arrivava il suo momento, si lasciava prendere dall’emozione – ogni singolo membro del club maschile di volley del Karasuno stava facendo il possibile per migliorare e rimanere al passo con i giocatori migliori dell’intero paese. Ogni singolo membro, ad eccezione di Tsukishima.
Il più piccolo non era ancora riuscito a comprendere i motivi dietro ad una simile decisione, ma la risposta disfattista del biondo era stata l’ultima goccia perfino per lui.
Lo aveva invidiato, perché Tsukishima era forte ed intelligente. Se quel ragazzo lo avesse voluto, sarebbe potuto diventare facilmente un grande giocatore, ed il più piccolo avrebbe fatto carte false pur di avere quella freddezza mentale che lo contraddistingueva nelle partite così come nella vita.
Yamaguchi era solo il battitore che sbagliava il servizio, ma Tsukishima aveva potenzialità praticamente illimitate – eppure, vedere il biondo mentre rinunciava spontaneamente alle occasioni che gli si presentavano, mentre lui non faceva altro che impegnarsi per migliorare almeno quel piccolo aspetto, lo faceva imbestialire.
Voleva vedere il suo migliore amico che spiccava il volo, che si impegnava e metteva tutto se stesso nel volley come quando era piccolo e non faceva altro che parlare del fratello maggiore con orgoglio – perché giocare a pallavolo era quello per cui era nato.
Alla fine, tuttavia, tutta l’agitazione di Yamaguchi era tornata a galla da un momento all’altro. Avrebbe potuto giurare che con quello sfogo avesse rovinato ogni cosa, dalla loro amicizia, alla loro intesa durante allenamenti e partite, ai ricordi condivisi nel corso degli anni – aveva letto la sorpresa e l’incredulità nello sguardo del più grande, e non si sarebbe stupito se quest’ultimo avesse deciso di liquidarlo in malo modo. In fondo, non era nessuno per poter obbligare il biondo ad impegnarsi, perciò se lo sarebbe meritato.
L’unico dettaglio fuori posto, in tutto ciò, era che Tsukishima gli aveva sorriso, e non si trattava di un sorriso tirato e stampato sul volto con il solo scopo di non mostrare le proprie reali emozioni, ma di un vero sorriso sincero. Era bastato quel volto sorridente a destabilizzare il più piccolo, ed alla fine Yamaguchi non era più stato in grado di aggiungere altro a riguardo, almeno fino a quel momento.
« Ed io non credevo fossi diventato così saggio, eppure… » fu l’unico commento del giovane centrale con gli occhiali, che al contrario di ciò che aveva immaginato il più piccolo non sembrava essersela presa minimamente « Comunque, non è necessario che ti scusi »
Il più grande sapeva perfettamente che, nonostante i modi bruschi, il moro avesse avuto buone intenzioni. L’impegno che Tsukishima metteva negli allenamenti non avrebbe minimamente influenzato la vita del più piccolo, perciò il giovane dai capelli biondi non poteva prendersela con lui per aver detto la verità. Era cresciuto non poco rispetto al timido bambino che aveva conosciuto tempo prima, ma era come se quest’ultimo non se ne fosse mai reso pienamente conto fino a quel momento.
Quella piccola consapevolezza, tuttavia, portava ad una realtà ben più complicata da accettare: tra tutti, l’unico che stava effettivamente rimanendo indietro era proprio lui. Nessuno sarebbe rimasto ad aspettarlo, nemmeno Yamaguchi.
« Ho esagerato » replicò il moro poco dopo, evitando accuratamente lo sguardo altrui e passandosi una mano sulla nuca in segno di imbarazzo. Aveva voluto trovare del tempo nella pausa pranzo appositamente per porgere le proprie scuse, dunque aveva tutte le intenzioni di giungere fino in fondo nonostante i sensi di colpa.
« D’accordo, ma non sono arrabbiato » con quel tono serio e diretto, Tsukishima dovette sperare che dar corda all’amico d’infanzia bastasse perché l’altro smettesse di preoccuparsi inutilmente. La conversazione stava già iniziando a prolungarsi troppo, per quanto lo riguardava.
« Avrei dovuto trovare un modo migliore per parlarti senza alzare la voce » asserì nuovamente il giovane dai capelli scuri, facendo definitivamente nascere una smorfia scocciata sul volto del più grande.
Insomma, se Yamaguchi voleva portarlo all’esasperazione ci stava riuscendo perfettamente.
« Yamaguchi »
« Tsukki…? »
« Stai zitto »

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Capitolo 14
*** Sendai Frogs ***


La partita della Sendai Frogs stava per cominciare, e di certo Yamaguchi non avrebbe mai potuto perdersi il debutto di Tsukishima nella nuova squadra.
Per sua fortuna, quel giorno non aveva lezioni né impegni di alcun tipo, perciò si era assicurato di giungere sul luogo con un leggero anticipo per poter trovare una buona posizione da cui poter osservare l’intero gioco. Non solo, ma fece anche in modo di accordarsi con Yachi per incontrarsi con lei una volta giunto sugli spalti, proprio come si erano ripromessi in precedenza.
Anche se non riuscirono ad incontrare il ragazzo con gli occhiali prima che le squadre entrassero in campo, i due amici non dovettero comunque attendere molto prima che la partita cominciasse, e quando il commentatore che stava presentando tutti i giocatori uno per uno giunse infine al nome del biondo, annunciando che si trattava proprio della partita d’esordio di un ottimo elemento, il moro finì quasi per commuoversi.
« Tsukki! » salutò immediatamente, sollevando le braccia per farsi notare dal più grande fin sugli spalti non appena notò la chioma bionda altrui – e neanche gli importò se un paio di ragazze poco lontano si misero a fissarlo con aria perplessa. Di contro, Tsukishima si limitò a puntare lo sguardo sul moro, con le mani ai fianchi ed un’espressione al limite del disgusto – tutto unicamente per comunicargli di aver ricevuto il messaggio, nella speranza che da quel momento in avanti il più piccolo potesse calmarsi.
Non fu così.
Dal fischio d’inizio, Yamaguchi gioiva e si disperava ad ogni colpo messo a punto dalle due squadre sfidanti proprio come quando era ancora in panchina e giocava nel club scolastico. Il fatto che perfino una come Yachi riuscisse a rimanere più composta la diceva lunga sull’emozione del ragazzo con le lentiggini.
« Deve essere un vero appassionato… » mormorò una delle due giovani sedute poco lontano all’altra ad un certo punto, notando come il moro si fosse immedesimato nei giocatori della squadra con la maglia di colore verde.
Non soltanto il giovane spettatore ebbe modo di osservare colui per il quale era venuto a fare il tifo, ma scoprì anche che nella medesima squadra giocava perfino una loro vecchia conoscenza, Kyotani del liceo Aobajohsai – e non poté non domandarsi quanto quei due andassero d’accordo, visti i loro caratteri.
 
Quando i Sendai Frogs guadagnarono un nuovo punto, Tsukishima giunse finalmente al centro del campo, sotto la rete, a seguito della rotazione – la posizione ideale per sfruttare la sua abilità – ed istintivamente non poté fare a meno di stamparsi un sogghigno sul volto, rivolto verso i giocatori avversari.
« Vai Tsukki, fagli vedere di cosa è capace lo scudo del Karasuno! » commentò Yamaguchi tra sé, con i pugni stretti dal nervosismo.
Dopo un potente servizio da parte della propria squadra, il biondo raccolse in un attimo tutte le informazioni di cui aveva bisogno per agire: l’alzatore non avrebbe utilizzato i due attaccanti in prima linea; quella volta l’attacco sarebbe arrivato dal centro, tramite il potente schiacciatore in seconda linea. Quell’informazione bastò perché il biondo decidesse di attendere qualche istante in più per saltare e di dare un chiaro segnale anche ai due compagni che gli erano accanto, i quali, probabilmente, stavano per cadere nella trappola.
« … Due… Tre! »
Il ritardo di pochi istanti fu abbastanza perché i tre ragazzi riuscissero a murare perfettamente l’attacco, mandando la palla nella metà campo avversaria.
Il tifo esplose in un boato di approvazione, mentre i commentatori si affrettarono ad informare tutti i tifosi dell’accaduto.
« … Il muro della Sendai Frogs ha previsto l’attacco dalla seconda linea e riesce a bloccare la schiacciata del suo avversario! »
« Fantastico Tsukki! » Yamaguchi, dal canto suo, non poté proprio fare a meno di sporgersi dalla ringhiera, completamente su di giri e fin troppo emozionato per reagire come un normale tifoso qualunque « Avete visto?! Quello è il mio- »
Ragazzo, avrebbe aggiunto, se solo non avesse ricordato all’ultimo quanto il più grande fosse restio a rivelare al mondo la loro relazione – anche perché, di fatto, il moro non era da meno, e se ne sarebbe stato volentieri in silenzio se solo non fosse stato preso dall’entusiasmo.
Purtroppo per lui, Tsukishima aveva sentito le urla, e non perse neanche un istante a fulminarlo con lo sguardo come solo lui era in grado di fare.
« Conosci quello con gli occhiali? » una delle due ragazze sedute poco lontano vinse la timidezza e si rivolse proprio a Yamaguchi, il quale, a quel punto, si ricompose sotto lo sguardo perplesso dell’amica.
« … Lui è il mio… Mio ex-compagno nel club di volley. Giocavamo insieme al liceo… »
« Wow, è bravissimo! Sei stato fortunato! » aggiunse l’altra, ammirata.
Quel commento bastò perché sul volto del moro si disegnasse un sorriso appena imbarazzato, tornando poi a puntare lo sguardo ammirato sul giocatore in campo « Moltissimo… »

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Capitolo 15
*** Pericolo scampato ***


« Tsukki è in casa…? » esordì timidamente il piccolo Tadashi, fermo davanti alla soglia di casa Tsukishima, quando finalmente il fratello maggiore di Kei aprì la porta e gli rivolse un sorriso gentile.
« Kei, c’è Tadashi! »
Dopo che Akiteru ebbe richiamato il minore, ci volle solamente un minuto perché il biondino comparisse all’ingresso con le scarpe da ginnastica ed una palla da pallavolo tra le mani – e ciò bastò a far comparire un sorriso sul volto del piccolo dai capelli corvini.
I due bambini si diressero insieme verso un parchetto non molto lontano, e lì iniziarono a palleggiare insieme.
Kei era sicuramente più abile dell’amichetto, ma quando quest’ultimo osservò come il pallone gli fosse stato restituito tramite un bagher non poté non incuriosirsi, desideroso di emulare il colpo. Quando la palla cadde a terra per l’ennesima volta, dunque, Tadashi colse al volo l’occasione.
« Voglio colpirla anch’io dal basso come hai fatto tu. Lanciamela, fammi provare! » in men che non si dica, intrecciò le dita delle mani con un sorriso, erroneamente convinto di eseguire perfettamente la posizione del bagher. La passione di Kei per la pallavolo, in qualche modo, aveva iniziato a contagiare anche lui.
« Stai sbagliando tutto » il minore di casa Tsukishima, a quel punto, lasciò la palla a terra e si avvicinò all’amichetto per affiancarlo e mostrargli la posizione corretta più da vicino « Devi metterti così, vedi? »
Gambe piegate, braccia tese, ed il palmo della sinistra posato sul dorso della destra con i pollici che creavano una superficie piana adatta a ricevere anche i palloni più ostici: quando anche il piccolo Tadashi fu pronto, il più grande gli annuì e corse a recuperare la palla.
La ricezione, come c’era da aspettarsi, non fu delle migliori – al contrario, prima ancora che i due se ne accorgessero il pallone era già schizzato via e rotolato in mezzo alla carreggiata.
« Oh, no! Scusami Tsukki! O-Ora vado a prenderlo… »
Senza aspettare risposta, il piccolo Tadashi si fiondò verso la strada, dispiaciuto per l’accaduto. Talmente era concentrato sul suo obiettivo, che una volta giunto al marciapiede non si degnò neanche di controllare se nel frattempo stesse sopraggiungendo qualche macchina.
« Tadashi, fermo! » il grido di Kei per poco non venne sovrastato dal potente suono di un clacson appartenente niente meno che ad un grosso camion, cosa che tuttavia servì a far sobbalzare il bambino dai capelli scuri quando bastava da farlo cadere a terra sul marciapiede, prima ancora che vi mettesse piede al di fuori.
Pochi secondi dopo era già tutto terminato. Il camion si era allontanato, il pallone ancora integro era quasi giunto al marciapiede opposto a causa della forza del vento, ed il piccolo Kei fece appena in tempo a raggiungere l’amichetto ancora a terra che gli occhioni di quest’ultimo finirono per riempirsi di lacrime.
« T-Tsukki…! » iniziò, piagnucolando, mentre l’altro si apprestava ad inginocchiarsi accanto a lui per assicurarsi che stesse effettivamente bene « H-Ho avuto tanta paura…! »
Sostanzialmente, il più piccolo si era preso solo un grosso spavento, ed una volta appurato ciò sul volto di Kei comparve immediatamente un’espressione decisamente più furiosa « Non ti hanno detto che si deve guardare prima di attraversare la strada?! Stupido Tadashi! »
L’altro, tuttavia, non replicò: si limitò semplicemente a nascondere il viso nell’incavo tra il collo e la spalla del biondino, senza che le lacrime accennassero a diminuire. Il più grande, a quel punto, finì per stringerlo a sé d’istinto, incerto tuttavia su come comportarsi da quel momento in avanti. Quell’incidente gli aveva confermato ulteriormente quanto l’amichetto fosse un bambino patetico, ma c’era qualcosa, in quel bambino, che spingeva il minore di casa Tsukishima a rimanergli ugualmente accanto – ed a preoccuparsi enormemente per lui, come in quel caso.
« Stupido Tadashi… Stupido… »
Per fortuna di entrambi, quell’abbraccio fece il proprio lavoro egregiamente, perché i singhiozzi di Tadashi da quel momento in avanti iniziarono lentamente a diminuire, ed il battito cardiaco ed il respiro tornarono poco alla volta più regolari.
« S-Scusami Tsukki… Prometto che da ora in poi guarderò sempre… »
« Sarà meglio »
Anche se nessuno dei due poteva saperlo, il piccolo dai capelli corvini avrebbe mantenuto la sua promessa anche negli anni a venire.

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Capitolo 16
*** L’ultimo anno ***


Il terzo anno di liceo era iniziato da poco, eppure Yamaguchi non si era ancora abituato all’idea di essere stato nominato capitano del club maschile del Karasuno. Nonostante l’autostima del moro fosse aumentata di giorno in giorno, si sarebbe aspettato che le redini della squadra sarebbero state prese da uno dei due membri più logici del gruppo – Tsukishima o Kageyama. Tuttavia, Yamaguchi era il più equilibrato tra loro, e soprattutto era diventato incredibilmente abile a calmare gli animi dei suoi tre amici più stretti, che non erano cambiati di una virgola rispetto al loro primo anno.
Come se non bastasse, la prima partita ufficiale dell’anno era ormai alle porte, ed uno degli ultimi ragazzi iscritti al club non aveva potuto fare a meno di esternare tutto il suo nervosismo nell’ultimo allenamento. Era il dovere del capitano trovare le parole giuste per trasformare quell’ansia da prepartita in energia e motivazione. Prima che se ne andasse, Yamaguchi richiamò dunque il kohai e lo invitò a sistemarsi con lui in un angolo della palestra – senza accorgersi che, poco lontano, Tsukishima aveva finito per notarli ed aveva deciso di aspettare che il moro si liberasse per poter tornare a casa insieme a lui.
« Quella di domani sarà la tua prima vera partita, non è vero? » gli domandò gentilmente, quando i due furono finalmente comodi, ricevendo in risposta solo un cenno di assenso – ma lo sguardo basso del più giovane parlava per lui, e ciò spinse il capitano a proseguire, nella speranza che l’altro si aprisse almeno in piccola parte « Sarà una bella sfida »
« Già… Sicuro »
A quel punto, i pallavolisti rimasero in silenzio per diversi secondi, almeno fino a quando il maggiore non riuscì a trovare le parole giuste.
« … Vuoi sapere com’è stata la mia prima partita? » a quella domanda, il kohai si fece immediatamente più interessato, cosa che convinse Yamaguchi a proseguire su quella strada « Al primo anno non ero un titolare. Entravo solo per battere, perché mi stavo esercitando con la battuta flottante »
« Non giocavi?! Ma in difesa sei fortissimo! » esclamò l’altro, suscitando un sorriso divertito nel suo interlocutore, ed anche in Tsukishima, che era rimasto ad ascoltare con una spalla posata al muro.
« Forse adesso lo sono, ma di sicuro un paio di anni fa non lo ero per niente. Me la cavavo appena, e poi avevamo già un libero eccezionale, ed anche il vecchio capitano era molto forte in ricezione. Comunque, quando venne il momento il coach Ukai mi fece entrare per il mio primo servizio, ma io ero talmente teso che tremavo come una foglia… Alla fine, il pallone colpì il nastro » nel dire ciò, anche lo sguardo di Yamaguchi si abbassò leggermente, nel ricordare la delusione provata quel giorno – tutto il contrario di quello del più piccolo, che quasi non credeva alle proprie orecchie.
« Ma se il tuo è un servizio incredibile! È potente quasi quanto il servizio killer di Kageyama, e gli avversari non possono nemmeno sapere se farai una battuta flottante o una battuta in salto normale »
Yamaguchi, a quelle proteste, sollevò di nuovo lo sguardo e regalò un ulteriore sorriso al più giovane « Non ci credi, eh? Ero patetico » il giovane giocatore con gli occhiali, nel sentire quella specifica parola, finì per storcere il naso, ma lasciò che il moro proseguisse il discorso senza interrompere « Essere nervosi è normale, ma l’importante è provarci comunque. Si può sempre rimediare ad un punto perso, perché in campo siamo pur sempre in sei. Io… Credo di averlo capito un po’ troppo tardi. Cerca di non fare lo stesso errore »
Il kohai aveva probabilmente bisogno di tempo per metabolizzare, vista la sua espressione molto più pensierosa di prima, oltre che serena, ma Yamaguchi immaginò che le sue parole avessero ottenuto l’effetto desiderato.
« Ehi » finalmente, Tsukishima si decise a farsi avanti, rivolgendosi al compagno più piccolo con un sogghigno crudele ed al contempo divertito in volto « Vuoi sapere la reazione di Shoyo alla sua prima partita? »
« Ah, Tsukki… » le parole del biondo misero Yamaguchi leggermente in difficoltà, dato che conosceva bene l’accaduto, ma il più piccolo si dimostrò entusiasta di saperne di più ed assentì con interesse.
Qualche secondo più tardi, il kohai non poté fare a meno di scoppiare a ridere nell’immaginare il ragazzo dai capelli rossi che vomitava addosso ad un compagno – e non solo: il capitano avrebbe dovuto tenere un comportamento più maturo, ma anche lui si ritrovò a sua volta a sghignazzare, nonostante tutto.
« Vi ringrazio, ragazzi. Mi sento meglio… Anche se probabilmente domani non giocherò molto, vi prometto che mi impegnerò » concluse a quel punto il più giovane, una volta che le risate si furono calmate. Dopo un attimo, si alzò nuovamente in piedi e regalò ad entrambi un rapido inchino prima di afferrare le proprie cose ed avviarsi all’uscita.
 
Una volta che il loro kohai si fu congedato, Tsukishima si spostò dietro al moro ancora seduto sulla panchina e gli posò le mani sulle spalle, guardandolo così dall’alto in basso « Non sembrava un gran discorso motivazionale, capitano »
« Dammi tregua, Tsukki! Devo ancora imparare a fare dei bei discorsi » si giustificò subito l’altro, salvo poi afferrare il biondo per i polsi e tirarlo verso di sé per obbligarlo a farsi stringere in un abbraccio « Però devo ammettere che mi piace quando mi chiami capitano »
Di contro, il più grande si ritrovò a stringere appena le labbra, leggermente più rosso del solito; era stato colto di sorpresa dall’agguato improvviso, ma finì comunque per chinarsi e rafforzare la stretta, avvolgendo il moro tra le braccia « È il tuo ruolo adesso, come dovrei chiamarti? »
Come al solito, la sua logica era impeccabile, e ciò bastò a far ridacchiare Yamaguchi di cuore « Sì, hai ragione » concluse infatti, voltando il viso e lasciando un bacio sulla guancia del biondo « Tsukki? »
« Cosa? » inutile dire che il rossore era solo che aumentato, ma per lo meno Tsukishima era ancora abbastanza in sé da poter rispondere.
« Domani vi aprirò la strada. Conto anche su di te e sul tuo muro per vincere » solo a quel punto Yamaguchi lasciò i polsi altrui e rivolse il palmo della mano verso l’alto, chiedendo così indirettamente al compagno di battere un cinque. Era diventata una sorta di routine, per il più piccolo, quella di focalizzarsi sull’idea di far breccia nella difesa avversaria con il servizio e lasciare che fossero gli schiacciatori ed il muro ad occuparsi di collezionare punti per il Karasuno, ma quello, ormai, il ragazzo con gli occhiali lo sapeva bene.
Con uno sbuffo appena divertito, Tsukishima batté dunque il cinque e finalmente si staccò da quella posizione fin troppo intima, chiudendo la felpa fino al limite, con il chiaro intento di prepararsi per uscire.
Tsukishima aveva sempre trovato tutte le banalità che si raccontavano sull'amore fin troppo irrealistiche ed irrazionali, ma il calore che avvertiva nel petto in quel momento era tutt’altro che irreale. Era grato di avere Yamaguchi al suo fianco, anche se quest’ultimo finiva per commuoversi per un nonnulla.
« Sei sudato e fa freddo, perciò vedi di coprirti come si deve prima di uscire » concluse, avviandosi proprio verso l’entrata della palestra « Ti aspetto fuori »
« Prendo le mie cose e arrivo! Ah, Tsukki? » di nuovo, il biondo fu costretto a fermarsi ed a voltarsi in direzione del capitano, che gli regalò un ultimo dolce sorriso « Ti amo anch’io »

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Capitolo 17
*** L’iscrizione al liceo ***


Una volta superati gli esami al termine delle scuole medie, ci si sarebbe aspettati che tutto ciò che sarebbe venuto dopo sarebbe stato in discesa, eppure per Tsukishima e Yamaguchi non sembrava affatto così. Trovare un buon liceo da poter frequentare l’anno successivo si era rivelato più ostico del previsto, e così i due si erano ritrovati seduti alla scrivania in camera del minore dei fratelli Tsukishima, con opuscoli e volantini sparpagliati sul tavolo, insieme al computer portatile acceso con aperte diverse pagine web, tutto dedicato ai licei della zona – e qualcuno anche piuttosto lontano.
La realtà era che il biondo non aveva mai avuto molti dubbi sulla propria scelta, e di certo Yamaguchi non era tanto schizzinoso da opporsi alla scelta dell'amico: il liceo Karasuno, la stessa scuola frequentata anche da Akiteru, era l'opzione più plausibile. Il vero problema era che una volta scoperto che il club di volley non era più in vetta alle classifiche come un tempo, conoscendo la loro passione, più di una persona aveva consigliato ai due di guardarsi intorno ed informarsi anche su altri licei, che certamente avrebbero avuto un club di pallavolo migliore.
Da un punto di vista razionale, non avevano torto.
« Dobbiamo deciderci o finiremo per non poterci più iscrivere. Ci sono scuole che hanno messo la scadenza tra meno di una settimana » asserì il più grande, buttando con noncuranza uno di quei fogli di carta nel mucchio con un sospiro stanco. Aveva perso il conto delle ore passate a fare tutte quelle ricerche sulla rete e non.
« A te le altre scuole proprio non convincono, vero? » domandò il moro a quel punto, cercando di essere il più pacato possibile  « Vuoi comunque andare al Karasuno, anche se la squadra di pallavolo è messa male »
Tsukishima inizialmente si limitò a stringere le labbra, deciso a perseverare sulla strada del buon senso a discapito del suo egoistico desiderio. Scegliere il liceo Karasuno significava negare a se stesso ed a Yamaguchi una buona istruzione ed un’ottima squadra di pallavolo – squadra che tuttavia sarebbe comunque durata solo tre anni, e che si sarebbe sfaldata e riassemblata ogni singolo anno nel momento in cui i diplomati se ne fossero andati. Fatto stava che, se non a sé ed alla propria vita, doveva per lo meno pensare al futuro dell’amico.
« È una pessima idea. Ci sono altri ottimi licei con dei club molto forti. Sembra che lo Shiratorizawa sia un'ottima scuola, ed altrettanto il suo club di volley. Ci sono almeno una decina di scuole migliori del Karasuno, su entrambi i fronti »
Per sottolineare il concetto, il giovane dai capelli biondi batté un dito su un piccolo mucchio di volantini raccolti in precedenza: il Date Kogyo, l’Aoba Johsai, il Nekoma, e qualche altro liceo che offrivano agli studenti decisamente più possibilità di carriera rispetto al Karasuno – perfino i test d’ingresso che andavano superati per potersi iscrivere, probabilmente, erano più complessi, ma quello per loro non era sicuramente un problema.
« Ma non sono il Karasuno » sottolineò Yamaguchi, chinandosi in avanti unicamente per sottolineare l’occhiata eloquente rivolta al più grande. Era inutile negare che in fondo l’amico ci tenesse, ma evidentemente toccava a lui farglielo notare.
« Yamaguchi, è solo un club scolastico! Forte o meno, in ogni caso ci giocheremo solamente per tre anni e basta »
« E giocheremo nello stesso club di Akiteru » aggiunse subito l’altro, rimarcando il nodo focale della discussione – una discussione che di fatto era solamente nella loro testa.
Tsukishima, a quel punto, non replicò più, limitandosi ad una smorfia che poteva essere interpretata sia come un sì, è vero anche questo sia come se non la smetti di parlare ti faccio tacere io, cosa che spinse l'altro a buttare fuori una risata nervosa e ad abbassare gli occhi sul primo depliant disponibile.
« D’altra parte, se sono diventati davvero tanto scarsi come dicono, avremo più possibilità di giocare come titolari. L’idea non ti piace? » continuò il biondo poco dopo, nuovamente indeciso – in un certo senso, era un disperato tentativo di convincere entrambi che in fondo il Karasuno fosse la scelta giusta.
« A me basta poter continuare a giocare con te, Tsukki » spiegò Yamaguchi, accasciandosi sulla sedia con un sorriso sereno volto proprio a tranquillizzare il suo interlocutore.
Se doveva dirla tutta, quello che avrebbe potuto fare strada nel mondo dello sport tra i due era proprio Tsukishima, perciò era lui che avrebbe fatto bene a scegliere un liceo con una buona reputazione ed un ottimo club di pallavolo. La sua altezza, unita alla razionalità che riusciva a mantenere anche sul campo, lo rendevano uno dei migliori giocatori con cui il moro avesse mai avuto a che fare nel corso della sua giovane vita, e di certo in un liceo come l’Aoba Johsai o il Date Kogyo sarebbe stato un contributo non indifferente per la squadra.
In ogni caso, tutto ciò passava in secondo piano se il più grande voleva frequentare lo stesso liceo del fratello maggiore per poter entrare nella stessa squadra di cui l’altro faceva parte a suo tempo: se quello era ciò che voleva Tsukishima, non sarebbe stato lui a negarglielo.
« Perché sono alto? » domandò il biondo, ad un tratto improvvisamente più incuriosito dall’ultima affermazione. In un certo senso, si poteva quasi definire una vera e propria provocazione, se solo il ragazzo con gli occhiali non fosse stato realmente interessato a sentire quanto aveva da dire il più piccolo sull’argomento – vista la freddezza con cui trattava gli altri, non avrebbe dovuto stupirsi se le uniche ragioni per cui una persona come Yamaguchi voleva stare in squadra con lui fossero legate alle sue abilità come pallavolista.
Il moro, a quel punto, rise di nuovo, ma quella volta si trattava di una risata di gusto « Ma che domande fai? Voglio stare con te perché siamo amici! ... E sì, immagino anche perché sei alto, intelligente, e forte a pallavolo »
A quella risposta, Tsukishima si limitò a fissare il migliore amico in silenzio con un’espressione leggermente confusa sul volto, senza essere in grado di reagire a dovere davanti a quei complimenti. Fu solo con qualche secondo di ritardo che Yamaguchi si rese conto di aver parlato ad alta voce ed a ruota libera, cosa che comportò un lungo silenzio imbarazzante da parte di entrambi gli interlocutori – anche se nessuno dei due ne comprese il motivo.
Nella speranza di superare l’impaccio, fu sempre il più piccolo ad alzarsi in piedi ed a dirigersi verso la porta della stanza « Dovrei andare un attimo in bagno… M-Ma tu riflettici ancora un po’, va bene? »
« Come vuoi… » assecondò il ragazzo con gli occhiali, passandosi una mano sulla nuca, di nuovo in conflitto davanti all’ardua scelta. Una volta solo, il suo sguardo si posò su una foto di alcuni anni prima sistemata su uno degli scaffali, che ritraeva i due fratelli Tsukishima sorridenti ed entrambi con un pallone in mano.
Nonostante il distacco che vi era stato tra lui ed Akiteru a seguito della cocente delusione avvenuta in passato, il più piccolo voleva indossare la stessa maglia del maggiore, quella del Karasuno. Era un doppio senso, completamente irrazionale, che non sarebbe dovuto nemmeno esistere, ma che esisteva – similmente all’affetto che provava nei confronti di quel bambino, ormai ragazzo, particolarmente emotivo, i cui comportamenti risultavano patetici il più delle volte.
Aveva appena fatto la sua scelta. Evidentemente, nemmeno lui era in grado di cancellare del tutto ciò che provava.

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Capitolo 18
*** Impegno costante ***


Il campetto da pallavolo all'aperto era illuminato solamente dalla luce delle lampade installate lungo il perimetro quando Yamaguchi spiccò l'ennesimo salto della serata, facendo sollevare leggermente la maglietta e lasciando così intravedere lo stomaco con relativi addominali. In quei pochi istanti, si librò in aria con una leggerezza tale che Tsukishima non riuscì minimamente a distogliere lo sguardo da quella visione – e certamente la musica proveniente dalle sue fidate cuffie non lo aiutò a ridimensionare la meravigliosa scena svoltasi davanti ai suoi occhi. Fu solo quando il moro soffocò un ringhio frustrato, una volta tornato a terra, che anche il più grande si rese conto che il pallone aveva toccato il nastro ed era finito a terra senza aver superato la rete. Era chiaro che quello non era il risultato che cercava il compagno di squadra.
Se da un lato il biondo avrebbe potuto abituarsi alla vista di quel corpo tonico in campo, dall’altro vi era ben poco che potesse fare per supportare il compagno di squadra che già non facesse il signor Shimada, colui che da qualche tempo era diventato l’insegnante personale del suo migliore amico. Mentre lui rimaneva semplicemente ad osservare, il più piccolo era andato a recuperare la palla, dopo di che riprese la sua posizione in battuta con l’intenzione di riprovare – tuttavia, quella volta non andò come previsto, perché Yamaguchi atterrò scorrettamente e prese immediatamente una storta alla caviglia, cosa che lo portò a lanciare un grido di dolore ed a sollevare immediatamente la gamba interessata.
« L-La caviglia… Maledizione… » mugugnò, iniziando a saltellare goffamente mentre Tsukishima si affrettava a togliere le cuffie e ad alzarsi per raggiungerlo, attirato dall’espressione dolorante altrui. L’umore del giovane centrale con gli occhiali era drasticamente peggiorato in un istante.
« Ti avevo detto di non esagerare » senza neanche scomporsi, il più grande gli fece passare il braccio attorno alle spalle di modo da sorreggerlo e farlo camminare verso il muretto poco lontano « Mi sembra scontato, l’allenamento di oggi si conclude qui »
« Scusa Tsukki… » Yamaguchi assecondò l’amico, dispiaciuto per l’accaduto, ed una volta che fu finalmente seduto andò a controllare la caviglia, la quale effettivamente stava già iniziando a gonfiarsi e ad arrossarsi. A quel punto, vi era ben poco da dire, perciò il moro si limitò ad un sospiro e ad una smorfia sofferente. Di certo dovevano trovare un modo per tornare a casa senza sforzarla troppo.
« Perché lo fai? » domandò Tsukishima a bruciapelo, ancora in piedi davanti all’amico, innervosito dall’accaduto: per lui era ancora inconcepibile impegnarsi tanto da arrivare a farsi addirittura del male solo per reggere il confronto con il resto della squadra, soprattutto se si trattava del benessere di Yamaguchi. Il suo ruolo si limitava al servizio, perciò secondo la sua logica non era necessario arrivare a tanto.
L’espressione del più piccolo, a quel punto, dopo un primo momento di confusione finì per addolcirsi. Vedere che Tsukishima si preoccupava per lui gli faceva piacere, anche se sembrava non capire cosa significasse veramente per il moro far parte del club di volley. Aveva compreso fin dall’inizio che sarebbe stato costantemente messo da parte in favore dei giocatori migliori, ma aveva anche scelto di non limitarsi a rimanere in panchina a fare il tifo, dunque, se voleva realmente dare il proprio contributo, doveva ritagliarsi il proprio posto all’interno della squadra, ed era proprio quello che stava facendo.
« Perché tu no? » gli disse infatti, e detto ciò batté la mano sul muretto accanto a sé per invitare il biondo a sedersi; dato che l’altro si limitò a stringere le labbra e ad accomodarsi senza più guardarlo in faccia, tuttavia, si decise a proseguire « Io voglio essere all’altezza della squadra. Non voglio essere un peso, ma non sono bravo come te, o come Shoyo e Tobio. La mia unica arma è la battuta flottante, perciò ho intenzione di affilarla ed aiutarvi come posso »
« Non ne vale la pena » replicò il più grande, decidendosi finalmente a guardare in viso il suo interlocutore senza smuoversi dalla propria convinzione.
« Per me sì… Per me è importante » concluse Yamaguchi, stringendosi nelle spalle. Si sentiva sciocco a parlare in quel modo davanti allo sguardo serio dell’amico, tanto che a quel punto fu lui ad abbassare gli occhi per l’imbarazzo. Era evidente che le loro visioni sull’argomento fossero diametralmente opposte, ma, se il compagno proprio non riusciva a condividere la sua visione, si augurava che riuscisse quanto meno a comprenderla.
Tsukishima non aggiunse altro, si limitò ad alzarsi di nuovo in piedi con uno sbuffo come unico commento, dopo di che diede le spalle al suo interlocutore e piegò le gambe, in attesa « Dai, ti porto a casa. Muoviti prima che cambi idea »
Era chiaro che il più grande era intenzionato a trasportarlo in spalla, anche perché far camminare Yamaguchi in quelle condizioni era fin troppo complicato, e quella era la soluzione più logica che gli era venuta in mente. Probabilmente avrebbe dovuto fermarsi a riposare lungo il tragitto, ma non avevano molta altra scelta.
« S-Sì…! » senza farselo ripetere una seconda volta, il moro scattò in piedi, quasi dimenticandosi dell’infortunio, e non appena posò le mani sulle spalle altrui venne sollevato dal più grande senza troppe difficoltà.
« Mi devi un favore » asserì Tsukishima a quel punto, iniziando a camminare mentre il più piccolo si metteva a proprio agio, posando il mento sulla spalla altrui con un sorriso decisamente più sereno – per qualche motivo, la caviglia non faceva più tanto male.
« Tutto quello che vuoi, Tsukki »

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