A light in the dark

di lady lina 77
(/viewuser.php?uid=18117)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno ***
Capitolo 3: *** Capitolo due ***
Capitolo 4: *** Capitolo tre ***
Capitolo 5: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 6: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 7: *** Capitolo sei ***
Capitolo 8: *** Capitolo sette ***
Capitolo 9: *** Capitolo otto ***
Capitolo 10: *** Capitolo nove ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Ross Poldark, un giovane attraente, prestante, pieno di idee e unico erede di Joshua Poldark, un piccolo proprietario minerario della Sassonia, portava avanti i lasciti paterni dopo una adolescenza turbolenta. Spirito libero e indomito come il padre, lo differenziava da lui lo spirito, decisamente romantico ma non libertino come quello visto, finché era stato in vita, nel genitore.
Joshua Poldark, reduce della prima guerra mondiale dove si era distinto per il suo coraggio, dopo il conflitto era tornato a casa dall’amatissima moglie Grace e dai due figli piccoli, Ross e Claude, che erano nati poco prima dello scoppio del conflitto.
Annaberg-Buchholz, piccolo borgo e perla di rara bellezza dei monti metalliferi, aveva visto sbocciare l’amore di Joshua, ebreo non praticante, uomo di fatica e miniere, e Grace, donna della media borghesia e maestra elementare del villaggio. E col loro amore così particolare e forse osteggiato inizialmente dalla famiglia della donna, aveva assistito anche alla nascita della loro famiglia. La guerra aveva messo in ginocchio sia la regione che la Germania intera e le due piccole miniere dei Poldark, una che estraeva piccole quantità d’argento e l’altra che estraeva carbone, erano diventate l’unica speranza di lavoro per i poveri minatori della zona.
Il clima infuocato del dopo-guerra riusciva, in quell’angolo di Germania incastonato fra foreste, miniere e antiche tradizioni della lavorazione del legno, a rimanere tutto sommato lontano grazie all’unione di famiglie e persone che, fra i vicoli e le casette a graticcio, si davano una mano per riuscire a sopravvivere alla carestia e alla perenne mancanza di cibo.
Joshua pensava che col tempo le cose sarebbero migliorate. Aveva una casa dignitosa e arredata con gusto dalla sua graziosa moglie, che avevano ribattezzato ‘Nampara’, posta al delimitare della foresta, alla periferia del paese, aveva la sua Grace, aveva due bambini vivacissimi e intelligenti che avrebbero presto potuto portare avanti il suo nome. Non poteva davvero credere di più e il suo spirito indomito pareva aver trovato pace e un posto solido nel mondo...
Ma il vento cambiò improvvisamente per lui, spezzando ogni suo sogno e ogni sua velleità: il 1919 si portò via l’amata Grace, stroncata dalla terribile epidemia di spagnola che flagellava l'Europa fin dagli ultimi istanti della guerra e l’anno successivo toccò al suo figlio più piccolo, Claude, portato via dalla stessa malattia.
La morte di Grace gli tolse la voglia di vivere ed iniziò a trascorrere le giornate in maniera dissoluta fra donne, gioco d’azzardo e contrabbando. La luce che lo aveva guidato, la sua amata Grace, si era spenta e le sue miniere andarono avanti grazie alla volontà dei suoi compagni di lavoro. E fu così che il piccolo Ross crebbe senza una vera guida, trasportato dagli eventi, quasi senza più figure di riferimento. Le figure della madre e del fratellino divennero presto sbiadite nei suoi ricordi e cercò di crescere da solo, imparando dal mondo ciò che aveva da insegnargli.
Negli anni 20 divenne un ragazzo difficile che scappava spesso da scuola, incline alle risse, decisamente attirato come il padre dal gioco d’azzardo e perennemente nei guai con la legge tanto che Joshua, per salvarlo dalla prigione, nel 1930 lo mandò per alcuni anni a combattere nella legione straniera.
Fu durante la sua assenza che Joshua morì, consumato dal dolore, dagli alcolici e da una vita che senza il suo sole, Grace, non aveva più senso.
Ross venne a sapere di essere rimasto solo quando tornò a casa, nel 1932, a 23 anni ormai compiuti. Della sua amata famiglia non era rimasto che lui. Cresciuto nel fisico, indurito dalla vita militare e orientato al pessimismo, si trovò solo, con delle miniere ormai quasi in rovina portate avanti unicamente dalla volontà di coloro che da sempre erano stati gli amici di famiglia, con un futuro incerto davanti e senza veri appigli affettivi a cui aggrapparsi. Senza un soldo, pieno di debiti, si trovò anche a fronteggiare ulteriori dolori perché la ragazza di cui era innamorato prima della partenza, la bellissima Elizabeth, figlia di un contabile locale, sembrava averlo dimenticato e si era avvicinata a colui che riteneva il peggiore abitante di Annaberg-Buchholz, George Warleggan, il rampollo di una avida famiglia di proprietari terrieri e minerari nonché di una banca che stringeva la cinghia coi suoi tassi di interesse esorbitanti a molti dei cittadini della zona. George era avido, spietato ma incredibilmente ricco. Compagni di classe da bambini, erano coetanei, non lo aveva mai sopportato e spesso si erano azzuffati nel fango. Come poteva una ragazza dolce ed intelligente come Elizabeth essersi fatta sua amica? George era un ragazzo anaffettivo, incapace di provare veri sentimenti di affetto, empatia, amore... E poi, con Elizabeth, non aveva nulla da spartire, erano come il giorno e la notte. Certo, lui era benestante e per la famiglia della ragazza questo contava molto, aveva tanto da offrirle mentre lui non aveva nulla, però, però... Tanti sorrisi, tante promesse, tante speranze che li avevano uniti prima che lui partisse non potevano essere stati dimenticati così da Elizabeth e Ross era certo che dietro al suo avvicinamento a George ci fossero i genitori. Era così, non poteva che essere così!
E poi nella sua vita c’era Nampara, il cui antico splendore era andato perso a causa dell’incuria e del fulcro del suo focolare, sua madre Grace. Era la casa dei suoi genitori, il suo unico posto nel mondo, la sua eredità, il nido costruito con amore da sua madre e suo padre e Ross, in loro memoria, al suo ritorno si rimboccò le maniche per ridargli splendore o quanto meno decoro, aiutato dai fidati amici di sempre, Zachy il minatore e Dwight Enys, il giovane medico di Annaberg-Buchholz. Non aveva molto, non sapeva come risollevare le sue miniere e di certo avrebbe avuto bisogno di capitali per riuscire a darsi una ripartenza ma era testardo e aveva lottato con tutte le sue forze per farcela.
Un piccolo anziano banchiere di Annaberg-Buchholz, vecchio amico e consulente del padre, il signor Pascoe, gli aveva garantito un piccolo prestito sulla parola e da lì era ripartito. Sul finire del 1932 aveva ‘assunto’ una ragazzina come domestica, Demelza Carne, conosciuta a una piccola sagra di paese dove l’aveva trovata a difendere il suo spelacchiato cane in una rissa con dei ragazzi. La piccola, una quattordicenne dai capelli rossi come fuoco, proveniva da un minuscolo borgo vicino. Figlia di un minatore spesso ubriaco, sempre violento, vedovo e con una nidiata di bambini, era scappata di casa col suo cane, stanca di prendere botte. Accettò subito di lavorare per lui e da quel momento rappresentò la rinascita di Nampara. Anche se era giovane, un pò selvaggia e dal carattere particolare, la sua solarità e la sua voglia di fare, il suo essere instancabile e in fondo di carattere votato all'ottimismo, Nampara con lei riprese vita. E anche Demelza parve rinascere, lontana dalla miseria e dalle botte del padre. Cantava spesso, aveva una bella voce, non stava mai ferma e col suo cane sempre al seguito, Garrick, era diventata parte della realtà casalinga di Ross Poldark. Ross le aveva regalato un abbecedario affinché imparasse a leggere e scrivere - non era mai andata a scuola - e lei si era dimostrata da subito un animo attento e curioso di imparare. Adorava anche la bicicletta e Ross gliene regalò una, vecchia e trovata chissà dove, per andare al villaggio quando doveva fare compere. E adorava il cinema tanto che spesso, quando Dwight arrivava a Nampara per due chiacchiere assieme a Caroline, la sua affascinante fidanzata, le due ragazze si mettevano a chiacchierare di attori e cinema, tutte cose di cui Ross non sapeva un accidenti. Non riusciva proprio a capire come alla gente piacesse chiudersi in un cinematografo per vedere una tela con immagini in movimento!
E poi arrivò il 1933 e un’altra tegola, proprio quando sembrava che le cose andassero meglio, arrivò a turbare la vita tranquilla di Ross Poldark: Adolf Hitler era salito al potere con il partito nazista e di colpo tutto cambiò e lui capì che doveva iniziare a guardarsi sempre le spalle.
Perché Ross Poldark era sì tedesco ma era soprattutto ebreo, anche se non praticante come il padre. E il nuovo partito salito al governo, col suo fuhrer, questo non glielo avrebbe perdonato, gli ci volle poco per capire che tipo di politica avrebbe governato la Germania. Non sapeva ancora cosa lo avrebbe atteso ma riusciva a comprendere che per la sua nazione si stavano avvicinando anni nerissimi e soprattutto pericolosi.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo uno ***


Annaberg-Buchholz, 3 agosto 1934

Era una mattina stranamente soleggiata e calda per la Sassonia e a Ross sembrava quasi una beffa quel cielo sereno che sembrava promettere meraviglia mentre invece ogni cosa pareva precipitare.
Da oggi devi stare attento Ross. Come ti ho detto settimane fa dopo l’assasinio di Rohm, ancor più devi tenere un profilo basso adesso. Con la morte di Von Hindenburg e l’ascesa al potere come cancelliere di Hitler col partito nazista, nessuno potrà stare tranquillo e si dovrà imparare a misurare parole e pensieri. Soprattutto tu, soprattutto gli ebrei. Hitler sarà a capo di TUTTO, anche delle nostre vite e ogni tentativo politico di opposizione sarà osteggiato ed eliminato nel sangue”.
Ross guardò con amarezza l’amico. Dwight era un giovane medico talentuoso, leale, gentile, una delle persone più amate ad Annaberg-Buchholz per la sua gentilezza, le eccellenti conoscenze mediche, per le cure che prodigava a tutti, casa per casa, accontentandosi di poche monete. Era un ragazzo tanto talentuoso quanto modesto e senza pretese, affascinante senza capire di esserlo, suo grande amico fin dagli anni di servizio nella legione straniera dove aveva fatto praticantato come medico. Fidanzato con la giovane e biondissima ereditiera Caroline Penvenen che sperava presto di sposare, era uno di quei tedeschi di ‘razza pura’, come amava definirli Hitler, che più sembravano inorriditi dalla piega politica presa dal loro paese. Uno dei pochi, assieme alla sua civettuola fidanzata… Pur consapevoli che l’amicizia con un ebreo non era ben vista, non si erano allontanati da lui ma gli erano rimasti a fianco cercando di consigliarlo e dandogli supporto. “Come può essere che la Germania sia arrivata a questo punto, Dwight? Sono tedesco e ne sono orgoglioso, la mia famiglia lo è da secoli e da generazioni lavora per questo paese. Sono ebreo ma non praticante, potrei andare in Chiesa così come in Sinagoga senza alcun problema, non credo in nulla se non negli uomini… Alcuni uomini… Cosa sta succedendo a questo nostro nobile popolo che sembra pendere dalle labbra di un folle forcaiolo che vuole abolire ogni diritto civile di chi non sopporta?”.
Dwight sospirò. “Prendi un folle, lasciagli dire cose che la gente ama sentirsi dire, lascia che lo faccia in modo convincente e questo è il risultato. Non tutti amano quanto sta succedendo ma la maggior parte ha paura a dirlo, china la testa e sta zitto. Altri adorano le sue parole, sentirsi definire ‘razza superiore’ gli appare estremamente gratificante”.
Ross strinse i pugni. “Ho ancora le mie miniere, no? Danno lavoro a tanta gente e so che non sarò tradito dai miei uomini. In fondo… per ora… non va così male”.
Dwight scosse la testa. “Guardati le spalle comunque”. Era triste dirlo ad alta voce ma anche estremamente sciocco nascondere la testa sotto la sabbia. Sia lui che Ross erano consapevoli che le cose avrebbero potuto solo peggiorare e che quanto successo fosse solo l’inizio di una discesa all’inferno.
Già, anche Ross lo sapeva e temeva che quella finta calma prima della tempesta sarebbe durata poco. Hitler era salito al potere, un potere assoluto, solo da un giorno e già tutto il mondo aveva capito che il vento era cambiato e che la Germania non sarebbe più stata la stessa. Come si sarebbe comportato il nuovo cancelliere? Si sarebbe limitato a una politica aggressiva e discriminatoria all’interno dei confini della nazione o l’avrebbe estesa al resto d’Europa e del mondo? Se lo chiedeva lui e se le chiedevano probabilmente i capi di Stato di tutta Europa e oltre, che stavano fermi ad osservare in attesa di vedere le sue mosse.
Dwight gli poggiò amichevolmente la mano sul gomito. “Facciamo colazione da qualche parte?”.
Ross sorrise. “L’ho già fatta, Demelza prepara sempre ottime torte salate per la mattina”. La ragazza era alle sue dipendenze ormai da due anni, era cresciuta e si era trasformata in una sedicenne decisamente meno selvaggia di quando l’aveva conosciuta. E inoltre si stava dimostrando un’ottima cuoca.
Sì, Caroline me lo dice sempre!” – rispose Dwight, a volte incredulo che la sua fidanzata apparentemente capricciosa e frivola potesse aver stretto una così forte amicizia con una domestica apparentemente diversa come il giorno dalla notte da lei. Caroline aveva diciotto anni, due più di Demelza, discendeva da una famiglia tedesca antica e nobile che, si favoleggiava, fosse persino imparentata con il nobile casato degli Hesse, amava i pettegolezzi, i gioielli, i bei vestiti e la moda. Eppure dietro all’apparenza distaccata e frivola, si nascondeva una giovane sensibile che adorava divertirsi ma che era anche intelligente e sensibile al mondo sempre più difficile che la circondava e forse era stato questo ad avvicinarla a Demelza e al suo di mondo, fatto di semplicità, dapprima per curiosità e infine per stima. Si erano trovate caratterialmente e quando con Dwight veniva in visita a Nampara, le due ragazze si mettevano a chiacchierare dopo che Demelza aveva servito tè e biscotti, unite anche dalla passione comune per il cinema. Caroline adorava Clark Gable ed era certa che prima o poi avrebbe girato un film memorabile che i posteri avrebbero adorato per sempre, Demelza invece era affascinata da Charlie Chaplin che considerava un genio. Era anche capitato che nelle sere libere lei e Caroline fossero andate insieme al cinematografo del paese a vedere qualche nuovo film ma sia Dwight che Ross temevano che presto avrebbero dovuto abbandonare questa loro passione. Con Hitler al potere, probabilmente avrebbero iniziato a trasmettere solo film di propaganda. Anche se – e Ross ne era divertito – Demelza sosteneva che Chaplin fosse anche una passione del Furher perché convinto che portasse i baffetti in suo onore e che per questo i suoi film non sarebbero mai stati censurati. Ne avevano parlato giusto la sera prima, davanti al fuoco…
Senti Dwight, sono quasi le 11, il tempo della colazione è passato. Ora possiamo goderci il tempo di una buona birra però. Se andiamo al chiosco di Hans, per poche monete ci da anche delle ottime salsicce di Norimberga”.
Dwight scoppiò a ridere. “L’alcol ti ucciderà Ross”.
Lui alzò le spalle. “Beh, come morte la preferisco a una per mano di Hitler”.
Dwight ammirò il modo di fare di Ross, il suo cercare di non farsi prendere dallo sconforto e dall’ansia. Il suo amico non era stupido ed era consapevole di quanto rischiava eppure non aveva perso la voglia di esserci, di lottare, di far valere i suoi diritti e far sentire la sua voce. “Come medico…”.
Ahhh”. Ross lo zittì con un cenno della mano ed entrambi scoppiarono a ridere talmente forte che alcuni passanti si voltarono per vedere cosa avessero da sghignazzare tanto.
Fu la voce antipatica dietro a quelle persone a spezzare quel momento leggero.
Ross Poldark… Ancora in zona? Ancora non hai trovato la prima nave che ti faccia fuggire in America?”.
Quella voce sgradevole… Da bambino era gracchiante, ora era semplicemente odiosa. Ross sospirò, non lo aveva mai sopportato e ora più che mai lo avrebbe preso a schiaffi. Elizabeth era accanto a lui, a braccetto, altera e irraggiungibile come sempre. E sembrava trovarsi a suo agio accanto a quell’imbecille… Mille promesse ed ora eccola lì, assieme all’essere peggiore a cui la Sassonia avesse dato i natali. George Warleggan – la serpe – ed Elizabeth, il suo antico sogno e primo amore…
La ragazza lo guardò sostenendo il suo sguardo con la stessa leggerezza con cui avrebbe osservato uno sconosciuto. Ovviamente nessuno sapeva del loro innocente amore giovanile – tanto meno George – e lei sembrava averlo rimosso da se stessa e dalle sue esperienze ma lui no, a lui faceva ancora male quel voltafaccia e come lei lo avesse lasciato dietro di se senza alcun rimorso. “Ross Poldark, vi trovo bene” – disse, con cortesia.
George ridacchiò. “Gli ebrei stan sempre bene, campano sulle spalle altrui, che cosa potrebbe scalfirli, mia cara?”.
Accanto a lui, Dwight parve irrigidirsi e con un gesto gli prese la stoffa della manica della camicia per non far esplodere il carattere burrascoso dell’amico. Ross era ebreo e da quel giorno in poi una qualsiasi disputa con un tedesco di ‘razza pura’ poteva costargli caro.
Ross prese un lungo respiro, sapeva anche lui di non potersi più permettere liti e zuffe con quel bell’imbusto e con quelli come lui. “In realtà ho una attività e delle miniere, non mi appoggio su nessuno se non sull’onesto lavoro”.
Sull’onestà c’è sempre da dubitare, se si parla di ebrei” – insinuò malignamente George.
Un pugno, uno solo, solo uno ben assestato. Sarebbe stato infinitamente grandioso farlo, al pari di un orgasmo dopo una notte di passione con una bella donna. Peccato solo per la galera che ne sarebbe conseguita, per la chiusura delle sue miniere e per i suoi minatori in mezzo a una strada… Peccato, dannato Hitler! Un giorno avrebbe pagato pure questo, ne era certo. “Ci penserà l’ufficio delle tasse a controllare ma ti ringrazio per il gentile pensiero” – si limitò a rispondere ironicamente.
Ci penserà il nuovo Furher a rimetterti a posto! Sistemerà il marcio che c’è in Germania”.
La voce di George era sibillina e anche se fingeva di conoscerlo solo marginalmente, Elizabeth sapeva come potevano essere le reazioni di Ross. Ammirava il suo inaspettato auto-controllo ma non voleva rischiare scenate in strada ed eventuali scandali. Cosa avrebbe detto di lei la gente se l’avesse vista coinvolta in una zuffa fra un ebreo e un tedesco? Come aveva fatto Dwight, anche lei prese la stoffa della camicia pomposa di George, prendendolo poi sotto braccio. “Mio caro, ci aspettano dai baroni Von Tripp, non facciamoli aspettare”.
Ross la osservò sprezzante, da quanto sapeva essere così glaciale e controllata? “Il nuovo cancelliere, il nuovo partito…” – mormorò.
Sì?” – disse George, sperando dicesse qualcosa contro il governo che lo condannasse per sempre.
Ma Ross lo deluse. “Stanno distribuendo le tessere. Scommetto che la tua sarà la numero 2, dopo quella del nostro benemerito nuovo cancelliere”.
Sarebbe un onore ma mi accontento anche della numero 875”.
Ross ridacchiò. “Oh, quindi da bravo tedeschino sei già corso a giurare fedeltà ai nuovi capi. Ma in fondo me lo aspettavo, l’acconsiscendenza è nel tuo stile…”.
Come ogni buon tedesco sono fedele alla nazione” – rispose George, piccato.
Ross annuì, sprezzante. “Come ogni buon tedesco, già…”.
Dwight lo trascinò via. “Ross, andiamo!”.
Anche Elizabeth fece altrettanto. “George, non ne vale la pena. Fra l’altro dovresti evitare. Parlare con un ebreo non è ben visto per un tedesco. Lascialo stare, non farti provocare”.
George guardò la fidanzata. Elizabeth non gli aveva detto nulla ma voci di paese erano giunte tempo addietro alle sue orecchie e sapeva che lei era stata il sogno di quel dannato ebreo spiantato. Conquistarla, col suo fascino e col potere dei soldi della sua famiglia, era stata la sua vittoria più grande. E ora a spingere Poldark nel fango, definitivamente, ci avrebbe pensato il nuovo governo. “Nessuna provocazione mia cara. Tremava come un agnellino, mi ha assecondato senza attaccare per paura di una denuncia. E’ ebreo, sono per natura dei codardi”.
Elizabeth si morse il labbro, decisa a cambiare argomento per non esporsi troppo. “Devo dirlo anche a mio padre. Deve fare quanto prima la tessera del partito anche lui”.
Assolutamente. Ognuno deve dare il proprio contributo e la Germania tornerà grande!”.


Avrei voluto spaccargli i denti uno ad uno” – borbottò Ross mentre a grandi falcate si dirigeva verso una via laterale alla piazza.
Lo capisco e lo avrei fatto anche io ma sai che non si può!”.
Ross si fermò, fronteggiando Dwight. “Sarà sempre così? Dovrò farmi insultare senza battere ciglio? Non potrò difendermi? Santo cielo, cos’è diventata questa nazione?”.
Dwight scosse la testa, non aveva risposte certe da dargli. “Ross, non sarà sempre così e presto torneranno a regnare pace, sicurezza e rispetto verso tutti. Ma per ora devi cercare di tenerti lontano dai guai e avere un profilo basso. Non farti provocare, ne avresti solo la peggio e lo sai”.
Lo so” – disse Ross, stringendo i pugni e sentendosi impotente. Il viso di Elizabeth continuava a danzargli nella mente, lei, tanto bella, lei, con la sua leggerezza, lei, col suo modo di fare controllato. Lei, a braccetto con LUI. “Tu, Dwight? Farai anche tu la tessera del partito?” – chiese, a testa bassa.
Dwight sospirò, sentendosi impotente. “No, finché potrò evitarlo. Ma quando vi sarò costretto, dovrò chinare il capo come dovrai imparare a fare anche tu. Se voglio continuare a curare la gente di questo posto e svolgere il mio lavoro di medico senza grattacapi, temo che quel giorno sarà inevitabile. Ross, non siamo eroi, siamo persone normali gettate in qualcosa più grande di noi che al momento non possiamo combattere. Dobbiamo sopravvivere giorno per giorno anche ingoiando bocconi amari in attesa di trovare la strada per uscirne. Promettimi che farai altrettanto e che non giocherai a fare l’eroe!”.
Prometto… che tenterò di tenere i guai alla larga” – rispose Ross. Dwight come sempre era la voce razionale della sua vita e della sua coscienza. Avrebbe voluto spaccare il mondo ma questo non avrebbe risolto alcun problema.
Andiamo da Hans?” – chiese Dwight per cambiare argomento.
Cosa?”.
La birra, le salsicce di Norimberga”.
Ross scosse la testa, dopo quell’incontro aveva ben altri appetiti e il suo umore non era dei migliori nemmeno per gustare una birra. “Non ho più fame, ci si vede domani” – disse, liquidandolo ed allontanandosi sulla strada acciotolata.
Dove vai?” – urlò Dwight.
Ross non si voltò nemmeno. “Da Margareth Vospel”. Era la donna che soddisfava i bisogni fisici di uomini disperati come lui. Non amava quel genere di oblio che non corrispondeva alla sua idea di amore ma in quel momento lei era esattamente ciò di cui aveva bisogno. Ammaliante, che non faceva domande e che non chiedeva tessere di partito, almeno per ora. Sarebbero bastate poche monete, abbassarsi i pantaloni e prenderla senza troppi giri di parole. Come piaceva a lei, come avrebbe fatto volentieri con Elizabeth se l’avesse avuta fra le mani. Piacere e oblio, non chiedeva altro.


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo due ***


Era stata una giornata strana quella, per Demelza Carne.
La sera prima era rimasta sconvolta dalla nomina a cancelliere del Reich di Adolf Hitler, un uomo visto solo al cinematografo ma che le incuteva terrore e le era da sempre apparso malvagio, tanto più per il suo odio verso gli ebrei che, come diceva il suo padrone, da quel momento in poi non avrebbero più potuto stare tranquilli.
Demelza aveva passato un’infanzia ‘selvatica’. Prima di sette figli, con sei fratellini tutti maschi e più piccoli di lei, dopo la morte della madre si era trovata, a soli 8 anni, ad essere padrona di casa e punto di riferimento per i più piccoli. Con il padre, un povero minatore sempre ubriaco, era andata a scuola pochissimo ed era cresciuta negli stenti, nell’ignoranza e nella violenza. Percosse, botte, cinghiate, con suo padre Tom erano state all’ordine del giorno fino a due anni prima quando, ormai quattordicenne, a una fiera aveva incontrato Ross Poldark che l’aveva presa con lui come domestica. Da quel momento la sua vita era cambiata. Nampara, la casa del suo padrone, era diventata anche la sua di casa e lei aveva sempre fatto del suo meglio per tenerla pulita, in ordine e renderla accogliente quanto più possibile. Ross Poldark era un uomo spesso taciturno e distante ma con lei si era sempre dimostrato gentile, le aveva insegnato a leggere e scrivere meglio, le aveva permesso l’accesso alla biblioteca di famiglia e spesso la invitava a cenare con lui la sera. Era piacevole, spesso chiacchieravano e anche se lui era ombroso e lei invece vivace e curiosa, gli scambi fra di loro divertivano entrambi proprio per il modo diverso che avevano di approcciarsi alla vita.
Demelza era affezionata a Ross Poldark, era stato la sua ancora di salvezza in una vita durissima che poco aveva da offrirle e si sentiva talmente leale e fedele a lui e al suo mondo che non lo avrebbe mai tradito ed abbandonato. Sapeva che era ebreo e che ora le cose per lui si sarebbero messe male ma non aveva paura di dargli il suo supporto per quel poco che valeva e che poteva fare una ragazzina sedicenne. Era bello, leale, pieno di ideali e a lei pareva quasi un essere ultraterreno da venerare. Ciò che diceva Hitler degli ebrei non la riguardava, Ross Poldark rimaneva intoccabile e niente e nessuno gli avrebbe fatto cambiare idea. Nemmeno il credo religioso era mai stato un problema fra loro. Ross era ebreo solo di nome, non professava la sua fede e anche l’avesse fatto, non ci sarebbero stati problemi. Lei era protestante, come la maggior parte dei tedeschi, ma come il suo padrone, decisamente poco praticante. Suo padre diceva che sarebbe bruciata all’inferno per questo, le diceva che doveva lasciar perdere il lavoro e tornare a casa a una vita morigerata e lontana dal peccato eppure, al momento, la percentuale di stipendio che Ross gli inviava a casa non lo aveva reso insistente più di tanto.
Ma quella mattina, mentre il suo padrone era in piazza con Dwight Enys, suo padre era arrivato a Nampara col suo migliore vestito e un pacchetto per lei.
Ancora incredula, dopo ore guardava ciò che conteneva, poggiato sulla sedia. Santo cielo, suo padre non le aveva mai regalato nulla e ora… Che beffardo destino e che assurdo genitore le era capitato!
Demelza sbuffò, ricordando il loro colloquio della mattina.
Figlia, la vita nella dissoluzione e nel peccato accanto a un ebreo dovrebbero finire per il tuo bene ma allo stesso tempo il denaro del tuo stipendio mi è tristemente necessario. Ma posso redimerti, almeno un po’”.
Demelza lo aveva guardato con un sospiro, ribadendo che non c’era alcun peccato di cui vergognarsi, che lavorava come domestica in modo onesto e che il suo padrone la trattava con rispetto e gentilezza. Cosa che, negli anni, non si era potuta dire di suo padre. Ma questo se ne guardò bene dal dirlo…
L’uomo poi le aveva dato il pacchetto in mano. “E’ per te”.
Cos’è?”.
Un vestito, una divisa, ogni buona ragazza tedesca da oggi dovrebbe vestirsi così”.
Accigliata, Demelza aprì il pacchetto che conteneva una gonna nera a pieghe lunga fino al ginocchio, una camicia bianca e una cravatta scura. Riconobbe subito cos’era perché l’aveva vista al cinematografo in alcune parate naziste, una divisa, un qualcosa che rappresentava una entità a lei totalmente nemica ed estranea. “Non ho mai avuto alcun abito nuovo e ora… arrivi con questo?” – aveva chiesto, quasi rabbiosa che suo padre le avesse fatto un dono simile.
Hai sedici anni, sei una giovane ragazza che per età fa parte della gioventù hitleriana e devi indossarlo da ora in poi. Ho speso molto per comprartelo, per il tuo bene e per il bene della nazione”.
Demelza aveva stretto con rabbia i pugni. In realtà avrebbe voluto ridergli in faccia ma ancora non aveva superato la paura dei suoi schiaffi e delle sue cinghiate, quindi rimase quanto più neutra possibile. “Che bene fa alla nazione l’indossare questa cosa?”.
Lui le si era avvicinato viso a viso, minaccioso. “E’ per il TUO di bene ragazza, io penso a te, è mio dovere di padre farlo. Bambina, il vento è cambiato, prima lo capisci, prima di togli dai guai! Poldark è ebreo, presto dovrai andartene da qui per la tua salvezza e per salvezza intendo LA VITA! Ma per ora che è ancora possibile farlo, visto che ci tieni tanto a stare qui, accetta i compromessi! Sei tedesca, hai doveri verso il tuo Stato e vestirti con una divisa non è gran fatica! Sono tuo padre, sta a me decidere cosa fare per il tuo bene”.
Avrebbe voluto urlare e sbraitare, dire no e ancora no ma non sarebbe servito. Voleva che se ne andasse e quindi prese il pacchetto, gli diede qualche moneta avanzata dall’ultimo stipendio e lasciò che sparisse alla sua vista. Avrebbe voluto dirgli che del suo bene, a lui non era mai interessato nulla e che non sarebbe bastato un vestito a renderlo un padre modello. Ma lo fece andare senza aprire bocca, ricordandosi che Ross Poldark una volta le aveva spiegato che è l’ignoranza che spesso rende cattive e sciocche le persone. E suo padre non aveva mai letto un libro e da quel che sapeva di lui, sapeva a stento scrivere il suo nome. Era cresciuto a sua volta, probabilmente, nella miseria e nella fame e la violenza era tutto ciò che la vita gli aveva insegnato.
Rimasta sola con questi pensieri così complessi per la sua età, aveva poggiato la divisa sulla sedia della cucina e poi aveva proseguito con le sue faccende domestiche cercando di non pensare più né a suo padre, né alla divisa né alle parole che le aveva detto che, benché non volesse ammetterlo, avevano un fondo di logica e verità non trascurabili.
Ross Poldark non tornò per pranzo ma solo a pomeriggio inoltrato, con una faccia ancora più sconvolta della sua.



L’incontro con Margareth Vospel era stato…. ‘movimentato’. Oh, alla donna piaceva essere presa con un certo vigore e lui quel giorno le aveva dato esattamente quello che voleva. Per ore, nel suo letto, aveva lasciato che l’oblio lo cullasse, assieme ai gemiti della ragazza che si contorceva sotto di lui. Ma finito tutto, si era sentito sporco. Suo padre amava quel tipo di passatempi senza conseguenze, dopo la morte della madre aveva passato la sua esistenza a cercane l’essenza in ogni donna che gli andava a tiro, ma Ross non era mai stato così…
Margaret era l’appiglio ai momenti duri, capitava di rado ma quel giorno sentiva di aver bisogno di annullarsi nel nulla. Dopo averla pagata era andato in montagna, si era lavato in un torrente e per ore era rimasto solo ad ascoltare i rumori del bosco, sempre uguali e confortanti a dispetto del nuovo corso della storia.
Poi era tornato a casa, senza passare dalle sue miniere quel giorno. Voleva solo pace, una buona cena, leggere un libro e dormire ma quando entrò dalla porta e vide che pure Demelza sembrava di cattivo umore, comprese che forse nemmeno lì a Nampara avrebbe trovato tranquillità.
La osservò, era davvero strano trovare quella ragazzina di cattivo umore. In realtà lei era tanto solare quanto lui era solitamente ombroso. “Ti ha morsicata una tarantola?” – chiese, poggiando il gilet sulla sedia.
Lei lo fulminò con lo sguardo ma non rispose sgarbatamente. “Sarebbe stato meglio”.
Lui si accigliò, incuriosito. “Che è successo?”.
E’ passato mio padre”.
Ah”. Ross si sedette, tagliando una fetta di pane dal tagliere. “Non gli avevo già versato la sua quota mensile del tuo stipendio?”.
Sì, ma ci teneva a darmi questo!” – disse la ragazza, spingendo il pacchetto sul tavolo fino a farlo arrivare a lui.
Ross la osservò di sottecchi. Demelza era cresciuta molto in quei due anni a suo servizio e ora c’era ben poco in lei della mocciosa sporca e malvestita che aveva incontrato a una fiera assieme al suo cane. Anche lui, Garrick, si era raffinato e ora non passava più le giornate a seguire le sue galline ma preferiva starsene appollaiato davanti al camino o seguire educatamente la sua padrona. Demelza era graziosa, aveva lunghi capelli rossi e stava crescendo in fretta, avida di quella conoscenza e quel sapere che i suoi primi anni di vita le avevano negato. Le aveva insegnato a leggere e scrivere meglio – era quasi analfabeta quando si erano conosciuti – faceva molte domande sulla storia, la società e la politica e dimostrava una intelligenza e un senso pratico fuori dal comune per una bambina cresciuta nel nulla. Si era anche raffinata anche se a volte imprecava ancora e tutto sommato si era dimostrata un’ottima domestica. Nampara non era mai stata tanto pulita ed in ordine dai tempi in cui c’era sua madre a prendersene cura.
Il viso stava perdendo i tratti infantili e ora stava diventando una ragazzina graziosa, anche bella. Non era bionda come il partito nazista avrebbe voluto ma i suoi occhi verdi e la lunga chioma rossa erano più che sufficienti per definirla 'ariana’. Anche se a lei quell’aggettivo non piaceva nemmeno un po’. E non le piaceva nemmeno Hitler che definiva malvagio, gobbo e vecchio. E anche poco ‘ariano’, visto che non c’era traccia in lui di capelli biondi o occhi azzurri…
Cos’è?” – le chiese, prendendo fra le mani il pacchetto. Sembrava terribilmente imbronciata e quando era così si riaccendevano sul suo viso i tratti tipici dell’infanzia.
Un vestito… Un completo”.
Ross parve stupito. “Tuo padre ti ha comprato un vestito? Wow, ci vedo dei progressi”. Lo disse con ironia, Tom Carne non gli era mai piaciuto, così come non gli piaceva nessun uomo che alzava le mani contro una ragazzina indifesa. Certo, nemmeno lui era un santo e aveva passato la mattina a rotolarsi nel letto di una prostituta, ma quanto meno aveva saputo donare a Demelza un tetto, tranquillità e un onesto lavoro.
Demelza sbuffò. “Temo che questa nuova moda nazista abbia contagiato pure lui. E’ la divisa delle ragazze della gioventù hitleriana. La odio ma lui sostiene che devo metterla per il mio bene! Ma io lo so da sola cosa fare per il mio bene e non è toccare roba del partito nazista!”.
Ross sapeva che Demelza lo diceva anche per lui, consapevole dei guai in cui si stava cacciando a causa della religione a cui apparteneva. Ma anche se gli faceva piacere quella presa di posizione tanto leale nei suoi confronti, allo stesso tempo gli risuonavano in testa le sagge parole di Dwight di quella mattina. “E’ solo un vestito, non ti renderà diversa se lo indosserai quando necessario” – disse, a denti stretti, odiando se stesso per quel consiglio che in altre situazioni non le avrebbe dato MAI.
Voglio bruciarlo!”.
La bloccò. “E’ un abito nuovo” – disse, toccando la stoffa – “Ne hai mai avuto uno tuo?”.
Demelza abbassò lo sguardo. “No”.
E allora trattalo come tale”.
Non mi piace, signore!”.
Ross scosse la testa, era necessario che fosse lui fra i due, quello che agiva con saggezza. “Ma questi non sono tempi adatti a fare gli schizzinosi, giusto?”.
Demelza picchiò le mani sul tavolo, arrabbiata. Di solito si tratteneva, aveva imparato a farlo, ma a volte il suo animo selvaggio riusciva ancora ad uscire anche in presenza del suo padrone. “Giudas, no! Lo capite cosa rappresenta?”.
Ross si alzò, oltrepassando Garrick che dormicchiava nel cesto. Si avvicinò al camino, poggiando la mano contro il muro. “Demelza, non indossarlo potrebbe crearti dei guai se la situazione si facesse pericolosa. Indossarlo non renderebbe Hitler né più forte né più debole. E’ solo un vestito, un vestito nuovo. Trattalo come tale e se non ti piace, indossalo solo quando le circostanze ti costringeranno a farlo”.
La ragazza abbassò lo sguardo. “Siete d’accordo con mio padre, allora? Lui ha detto circa le stesse cose”.
Ross alzò gli occhi al cielo, dannazione a Tom Carne. “Per una volta, sì. Non essere sciocca, non siamo sciocchi! Stamattina Dwight mi ha detto le stesse cose che sto dicendo a te. E’ un mondo folle Demelza, dobbiamo agire con scaltrezza ma senza fare gli eroi, cercare di sopravvivere anche facendo compromessi e aspettare che tutto finisca”.
Demelza osservò il vestito sul tavolo. “Sì… Dwight è spesso saggio, lo dice pure Caroline”.
L’hai vista, oggi?”.
Oggi, sì. Prima di pranzo quando sono andata da Peter Hauffman per prenotare la legna da mettere nel camino per l’inverno. Lei passeggiava sulla via che porta al paese, io in direzione opposta”.
Ross si stupì. “Passeggiavi? Hauffman vive fuori Annaberg Buchholz, quasi a ridosso dei monti. Ci sei andata a piedi? Non hai preso la bicicletta?”.
Demelza sbuffò. “Mi è caduta la catena”.
Di nuovo?”.Beh, non c’era da stupirsene troppo. Le aveva comprato quella bicicletta vecchissima a un mercatino, probabilmente di terza o quarta mano, ruggine, dura da pedalare e per niente comoda. Demelza la adorava ma era più il tempo che era rotta che quello che era funzionante.
Sì e sistemarla è orribile. Odio quel grasso nero che mi cola sulle mani”. 
Ross scoppiò a ridere. Demelza era una lavorante instancabile, faceva di tutto, eccetto toccare la catena della sua vecchia bicicletta che continuava a cadere. Odiava il grasso e alla fine era sempre lui a sistemargliela. “D’accordo, dopo ci darò un occhio”.
Grazie!”. Di nuovo di buon umore a quelle parole, Demelza decise di informarlo della sua giornata. “Caroline mi ha detto che suo zio Ray le regalerà un’auto nuova fiammante per il suo diciottesimo compleanno. Dice che costringerà Dwight a salire con lei per fare lezioni di guida insieme!”.
Ross la fissò con terrore. La viziata, irrefrenabile Caroline Penvenen alla guida di un’auto? “Santo cielo, non basta Hitler ad attentare alle nostre vite senza che ci si metta pure lei?”.
Dice che sarà bravissima!” – lo schernì la ragazza, divertita.
A buttar giù muri, certo! E forse anche persone, anche se mi auguro di no”.
Ma se imparerà, la sera potremo andare in auto al cinematografo. In inverno la sera fa tanto freddo ad uscire a piedi”.
Oh, a quando il vostro prossimo film?”.
Non lo so, aspettiamo titoli interessanti. Ne avete qualcuno da consigliarci, signore?”.
Ross rise. “Io? Io che odio tutte queste diavolerie moderne come i cinematografi, cosa potrei consigliarvi? Non ho nemmeno idea di chi siano gli attori più in voga del momento. Ma una cosa la so e ve la consiglio: vi conviene andarci quanto prima a guardare un film, finché avrete facoltà di scelta su cosa vedere?”.
Demelza lo fissò senza capire. “In che senso?”.
Nel senso che a breve il caro vecchio Furher assumerà un ministro della propaganda che riempirà i cinematografi di tutta la nazione di spazzatura nazista. Cinema di regime per indottrinare al suo volere tutti i tedeschi ‘di buona volontà’”.
Giudas, sarebbe orribile!” – sbottò la ragazzina, picchiando i pugni sul tavolo.“Giudas, sarebbe orribile! Che mezzo uomo terribile il nostro cancelliere!”.
Ross sospirò. “Non dirlo mai ad alta voce, potrebbe costarti la galera se non di peggio”.
Ma anche Chaplin sarà bandito, secondo voi signore?”.
Ross sorrise suo malgrado, lei aveva un modo di fare che riusciva a metterlo di buon umore anche nelle giornate nere come quella. “Non capirò mai il tuo amore per il cinema, ragazzina. E nemmeno l’amore che nutri per uno che porta i baffetti come il Furher”.
Dovreste venire con me allora, stupirebbe anche a voi vedere che genio sia Chaplin. ‘Il monello’, avete mai visto quel film? Così soave, così poetico…”.
Ross sorrise di nuovo, divertito dal modo in cui lei si appassionava a quegli argomenti. “No, me lo sono perso. A breve Hitler impedirà sicuramente a noi ebrei di frequentare i cinematografi e questa sarà una cosa di cui dovrò ringraziarlo”.
Non ditelo, signore!”.
Ross le si avvicinò, poggiando paternalmente la mano sulla sua spalla. “Demelza, la vita di tutti noi cambierà giorno dopo giorno e speriamo che i cinematografi siano una delle poche cose che quel folle toccherà”.
Demelza deglutì. “Sì, signore, speriamo”.
Per il resto? Com’è andata la tua giornata? Tuo padre, la divisa, Caroline e l’automobile a parte…?”.
Hauffman dice che ci porterà la legna per l’inverno entro dieci giorni. E’ indaffarato, sta intagliando statuine per i presepi da vendere durante l’Avvento ai mercatini”.
Ross annuì, Hauffman oltre ad essere un boscaiolo, era uno fra i più rinomati intagliatori di legno della regione. “Capisco”.
Vorrei riuscire a compare qualcosa da lui, a Natale. Fa presepi tanto belli con la legna, mi accontenterei solo della Sacra Famiglia da mettere sul comodino”.
Ross le strizzò l’occhio. “Daremo qualche moneta in meno a tuo padre e con quanto risparmiato, ti prenderai il tuo presepe”.
Demelza divenne rossa in viso dalla contentezza, prendendo poi a saltellare. “Sì, si, sì!”.Ma poi si fermò. “E a voi non dispiacerà avere in casa un presepe?”.
Perché dovrebbe?”.
Beh, siete ebreo”.
Lui alzò le spalle. “E allora? Io rispetto te, tu rispetti me. Un presepe non esclude altri credo e inoltre lo sai, la religione è qualcosa di molto lontano da me”.
Demelza annuì. “Quindi potrò davvero compare le statuine?”.
Ross le si avvicinò. “A una sola condizione: quando DOVRAI, metterai quella divisa”.
La gioia divenne in un attimo serietà. “Per il mio bene?”.
Per il tuo bene” – le rispose, domandandosi per quanto avrebbe potuto permettersi di tenerla alle sue dipendenza senza esporla ad eccessivi rischi.


Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo tre ***


Le convenzioni sociali dicono che questa cosa va proprio fatta e quindi io e Dwight vi invitiamo al nostro matrimonio che si terrà il 10 dicembre 1935 nella piazza principale della città. Siete ovviamente nostri graditi ospiti - Hitler se ne farà una ragione - e condannati a morire di noia – ma a mangiare bene – per quel giorno”.
In questo modo Caroline Penvenen aveva annunciato a Ross Poldark e alla sua giovane domestica Demelza il suo matrimonio con Dwight Enys in un giorno di fine settembre del 1935. Con la solita noncuranza, cercando di non tradire alcuna emozione circa quell’evento, aveva portato a Nampara gli inviti per le nozze assieme a un Dwight che invece, di mascherare le sue emozioni, non aveva alcun interesse ed era rosso e paonazzo per l’emozione.
L'invito era stato recapitato ai due pochi giorni dopo l'emanazione delle Leggi di Norimberga con cui Hitler aveva privato gli ebrei residenti in Germania della cittadinanza tedesca e decretato la loro espulsione dagli uffici pubblici e dalle attività economiche. Ma Ross era fra i loro migliori amici e per niente al mondo avrebbero rinunciato ad averlo alla loro tavola nel giorno più importante della loro vita.
In quei tempi bui in cui era difficile anche solo decidere il da farsi per il domani, in cui tutto ciò che aveva conosciuto si stava sgretolando davanti ai suoi occhi e non era più cittadino gradito nella nazione dove era nato, quell'attestato di stima riempì il cuore di Ross di immensa gratitudine. Aveva ancora molti amici fra i suoi minatori, le sue miniere in un modo o nell'altro sarebbero andate avanti ma Ross sapeva che con il passare del tempo si sarebbe trovato sempre più solo. La repressione verso gli ebrei sarebbe aumentata di certo e chi gli era vicino sarebbe stato costretto ad allontanarsi per aver salva la vita.
Di umore meno cupo, alla notizia Demelza si era gettata felice fra le braccia dell’amica, entusiasta e sognante. Dwight e Caroline ai suoi occhi erano l’amore romantico dei film che vedeva al cinematografo e ormai diciassettenne, attraverso di loro iniziava a fantasticare di quando e come avrebbe potuto lei stessa trovare il suo principe azzurro. Non che aspirasse a molto, non si era mai sentita né carina né interessante e non poteva nemmeno contare su una dote e in tutta franchezza pensava che ci volesse coraggio per un uomo, interessarsi a una come lei. Eppure ci sperava che un giorno…
Ross strinse le mani all’amico, augurandogli buona fortuna. Dwight era un bravo ragazzo, un medico scrupoloso ed onesto e soprattutto adorava Caroline. Il loro matrimonio, seppur diversi come il giorno e la notte, nasceva sotto i migliori auspici e non dubitava che sarebbe stata una unione di successo. Per quanto lo riguardava invece, era ormai piuttosto disilluso sia dalla vita, sia dall’amore. La situazione politica tedesca somigliava ormai a quella di uno stato militare, le libertà civili stavano sparendo senza che la gente se ne accorgesse e vivere e respirare diventava sempre più difficile per un ebreo. Le leggi di Norimberga erano solo una piccola parte della tragedia che stava vivendo la Germania e presto tutti avrebbero compreso che il tributo che avrebbe chiesto la politica di Hitler sarebbe stato caro per chiunque, ariani compresi. E poi c’era Elizabeth, sempre troppo vicina a George Warleggan che, voci di paese, davano ormai prossimi al matrimonio. Da quando Hitler era salito al potere lo evitava e se proprio non poteva farne a meno perché si incontravano faccia a faccia per le vie del paese, si limitava al massimo a un impercettibile cenno del capo come saluto. Frettoloso, quasi vergognandosene. Forse la capiva, George doveva assillarla su tutto e soprattutto su di lui e poi c’erano le leggi razziali che non vedevano di buon occhio l’amicizia fra tedeschi ed ebrei, però…
Però faceva male perché in fondo in molti, fra chi lo conosceva da sempre, continuavano a trattarlo come un amico, Dwight, Caroline e Demelza lo includevano nella loro vita e amicizia senza problemi e paure mentre Elizabeth… Era davvero cambiata? Oppure la sua natura era volubile come il vento? Oppure – ma si rifiutava di crederlo – era più nazista di quanto lui avrebbe mai potuto accettare di sapere?
Dopo quell'annuncio Ross passò l’autunno a lavorare come un matto nelle sue miniere, attorniato dalla sua gente che in lui non vedeva ‘l’ebreo’ ma un amico e un uomo d’affari che dava loro lavoro e da vivere. Sotto terra, lontano dalla politica e dall'odio che contrapponeva uomini ad altri uomini, solo fra rocce, polvere e sudore riusciva a trovare pace.
A Nampara era invece Demelza a brillare, casa sua non era mai stata tanto in ordine come da quando aveva assunto come domestica quella ragazzina inizialmente selvatica che stava sbocciando sotto i suoi occhi quasi senza che se ne accorgesse. Era una lavoratrice instancabile, tanto entusiasta della vita quanto lui ne era disgustato, sempre allegra, sempre pronta ad affrontare la giornata senza pregiudizi, in grado di farlo sorridere anche nei momenti per lui più cupi. Una lavoratrice fedele, che nemmeno si sognava di allontanarsi da lui nonostante fosse ebreo e nonostante l'emanazione delle leggi razziali che definiva 'una sciocca buffonata'. Era ironica talvolta, soprattutto quando le circostanze la obbligavano ad indossare l’odiata divisa della gioventù hitleriana e lei imprecava contro Hitler e il suo assurdo credo. C’erano momenti dove trovava piacevole sentirla parlare dell’adorazione per le stelle del cinema e di come lei e Caroline bisticciassero sul fatto che Clarke Gable fosse o meno meglio di Charlie Chaplin. Stranamente la stava ad ascoltare, anche se di fatto conosceva quei nomi in modo approssimativo e del cinema non gli interessasse nulla.
Era cresciuta molto nei tre anni a suo servizio e ora a diciassette anni stava diventando una bella ragazza e ben poco era rimasto in lei della bambina emaciata che aveva conosciuto e assunto nel 1932. Aveva un viso luminoso, i suoi capelli rossi ormai erano lunghi fino alla vita e aveva imparato a pettinarseli e farli sembrare meno ribelli. Aveva un bel sorriso che sapeva colmare spesso i suoi vuoti d’animo e il suo scoramento e spesso si trovava a pensare al momento in cui avrebbe dovuto allontanarla se le leggi razziali gli avessero imposto di scegliere fra il tenerla a servizio con se o la sicurezza di rimandarla a casa da suo padre, uomo violento ma non ebreo. E questo ormai faceva la differenza…
Per regalo comprò, per gli sposi, un servizio di piatti di porcellana che aveva scelto Demelza. La ragazza partecipò alla spesa chiedendogli di detrarre una parte di stipendio, insistendo affinché lo facesse. Lui acconsentì anche se non ce n’era bisogno e lasciò a lei il piacere di impacchettarlo con nastri e carta colorata.
Il matrimonio si svolse nella Chiese della Piazza di Annaberg-Buchholz in una giornata nevosa dove ad addolcire l’atmosfera c’erano le bancarelle di legno e le luci dei mercatini di Natale. Profumi di dolci e spezie si mischiavano nell’aria mentre tanti bambini biondi correvano fra le casette osservando i giochi di legno e le decorazioni esposte.
Caroline fu la regina del giorno e Ross si trovò a pensare che avesse scelto il periodo dell’Avvento proprio per farsi notare dalla piazza gremita di avventori. Degno di lei, classe e piacere di mischiarsi alla gente erano innate nella neo signora-Enys che all'uscita da Chiesa, col suo bouquet, si gustò fino in fondo il grido della piazza che accompagnò la sua usita: 'Viva la sposa, viva gli sposi'. Il grido scaldò di piacevole allegria la piazza e tante persone che nemmeno la conoscevano, davanti alle bancarelle, brindarono a lei con fumanti tazze di Gliwhein in mano. C'era sempre, in Germania, un buon motivo per mandar giù qualcosa di alcolico, giusto?
Il pranzo di nozze, per pochi fidati intimi, si tenne nella grande villa dei Penvenen che da quel momento sarebbe stata anche la casa di Dwight.
Vestita di bianco, coi capelli raccolti, la sposa si avvicinò a Demelza che stava gustando un pasticcio di carne di maiale con patate. “Che te ne pare?”.
La ragazza le sorrise. “Matrimonio da sogno! Oh, sono così contenta per te!”.
Caroline fece spallucce. “Da sogno sarebbe stato con Clarke Gable! Oh che meraviglia averlo come ospite! Il mio primo ballo lo avrei riservato a lui!”.
Ma… Ma Dwight!” – sbottò Demelza.
Ahhh, avrebbe capito!”.
Le ragazze scoppiarono a ridere e Ross e Dwight, che parlavano in un altro angolo della sala si voltarono a guardarle.
Caroline si avvicinò all’orecchio di Demelza per bisbigliare. “Beh, il ballo era per Clarke, la notte per Dwight”.
A quella allusione, Demelza avvampò. Non aveva chiaro proprio del tutto come fosse ‘l’amore fisico’ e si trovò in estremo imbarazzo. “Hai paura?”. Sicuramente doveva essere così, davanti alla prospettiva di un qualcosa di sconosciuto e tanto intimo.
Caroline sospirò. “L’ho sposato e mi fido del suo amore e che sarà gentile. Ma sì, forse ho un po’ paura, circolano racconti spaventosi sulla prima notte di nozze. Le anziane del paese dicono che noi donne dobbiamo stringere i denti, non lamentarci e lasciar fare”.
Demelza alzò gli occhi al cielo. Non ascoltarle, andrà bene, la signora Dauchmann e le sue amiche sono vecchie zitelle acide ormai”.
Caroline annuì. “Esatto, facciamoci da noi le nostre esperienze senza ascoltare quella petulante vecchia di Ghertrude Dauchmann”.
Demelza si trovò d’accordo. Chissà per lei quando sarebbe arrivata ‘la prima volta’ e chissà con chi l’avrebbe vissuta…?
Quasi leggendole nella mente, Caroline le bisbigliò all'orecchio. "Fallo in fretta, potremo crescere assieme i nostri futuri marmocchi! Troverei intollerabile pensare da sola a pappe, poppate e pannolini".
Demelza la guardò storto. "E con chi potrei fare un bambino? Non credo di essere un soggetto interessante".
"Peter Wegher ti fa spesso gli occhi dolci quando vai a comprare il pane da suo padre".
"Peter Wegher ha sedici anni".
"Solo uno meno di te, mia cara Demelza. E' pure ariano, Hitler sarebbe fiero di te e della scelta e vi darebbe la sua benedizione" - concluse Caroline imitando la voce del Furher.
Demelza mascherò un sorriso, era incredibile come Caroline riuscisse a scherzare anche su argomenti tanto cupi. "Dovrebbe sposarselo lui allora, Peter Wegher".
"Sicura? E' un buon partito, il caro Peter" - continuò a prenderla in giro Caroline.
"Sic... Anzi no, Hitler non dovrebbe sposarsi affatto! A volte penso a cosa debba aver passato Geli Raubal con lui, prima di spararsi nel petto! Dicono che avesse con lei un rapporto... malato".
Il silenzio cadde su quel nome pronunciato da Demelza inizialmente con leggerezza. La triste storia di Geli Raubal, nipote di Hitler morta suicida quattro anni prima a causa delle attenzioni morbose dello zio, era ancora un argomento tabù di cui non parlare.
Con un sospiro, la sposa decise di cambiare argomento virando su tematiche meno... pericolose. "E Ross? Come l'ha presa?".
"Cosa? La storia di Geli?".
"Ma no, sciocca! La notizia che a gennaio saranno George ed Elizabeth a sposarsi...".
Demelza si morse il labbro, anche quello era stato un argomento tabù a Nampara. Tre settimane prima erano state affisse le pubblicazioni di matrimonio fra l'antico amore del suo padrone e il suo acerrimo nemico e Ross era stato intrattabile per giorni tanto da arrivare ad alzare la voce con lei in più di una occasione per motivi sciocchi. Una sera era scoppiata a piangere e lui le aveva chiesto scusa. Da allora aveva cercato di tornare ad essere gentile e avevano fatto pace ma ci era voluto un pò perché il clima cupo si affievolisse. "Non benissimo... La ama ancora, forse la amerà sempre".
Caroline scosse la testa. "Dovrebbe dimenticarla, lei per lui non spreca nemmeno un attimo del suo tempo, nemmeno un pensiero".
"Lo so Caroline, lo so... Forse lo sa anche lui ma non vuole ammetterlo".
"Testone..." - mormorò Caroline. Voleva aggiungere altro ma un cavaliere arrivò a chiederle la mano per il primo ballo. Non era Clarke Gable ma poteva andare bene lo stesso.
"Allora, signora Enys, volete ballare con me?".
Caroline sorrise. "Credevo non arrivassi più a chiedermelo, signor Enys!".
Dwight strizzò l'occhio a Demelza. "Non ho il fascino di Clarke ma posso andar bene ugualmente, no?".
Demelza sorrise mentre Ross raggiunse il suo fianco. "Decisamente!".
"Di che parlate?" - le chiese il suo padrone.
"Cinema...".
Ross sbuffò. "Anche oggi?".
"Anche oggi...". Demelza lo osservò, ripensando a quanto si erano dette lei e Caroline fino a poco prima. Attorno a loro gli altri ospiti mangiavano, bevevano e ballavano e nella sala c'era un clima sereno. Eppure, era certa, Ross non poteva non pensare a QUELL'ALTRO matrimonio che sarebbe avvenuto a breve e sarebbe stato decisamente più pomposo e ricco. Si diceva che George avesse invitato anche alcuni gerarchi nazisti locali e che non avrebbe badato a spese per rendere memorabile quel giorno. "E' così che dovrebbe essere un matrimonio, signore. Tutto il resto è esibizionismo e arroganza".
Ross la guardò senza capire a cosa alludesse. "In che senso?".
"Calore, piacere, gioia ma anche semplicità! Come Dwight e Caroline, non come quello che avverrà...".
Demelza si bloccò notando quanto lo sguardo di Ross, a quelle parole, fosse diventato cupo. Aveva capito a CHI si stava riferendo, non c'era bisogno di fare nomi e forse era sbagliato che lei si intromettesse ma Caroline aveva ragione, Ross si stava facendo del male per niente, per nessuno. E a lei spiaceva. "Signore...".
Ross le prese il polso, stringendolo lievemente. "Non parlarne, non voglio!".
"Mi fate del male, signore! So che non è affar mio, ma...".
"Esatto, non è affar tuo!". L'uomo la trascinò fino alla balconata, bisognoso di aria e di farla stare zitta! Quando furono soli, sul terrazzo, con la neve che cadeva sulle loro teste, la affrontò. "Che diavolo ti viene in mente? Chi ti da diritto di parlare di cose che non ti riguardano, ragazzina?".
"Non sono più una ragazzina!" - rispose lei, a tono, decisa a non farsi intimorire stavolta.
"Pensavo fosse chiaro che queste sono cose che non ti riguardano!".
Era vero, in teoria non la riguardavano affatto eppure...
Demelza alzò gli occhi, Ross era davanti a lei, a pochi centimetri. Fino a quel momento lo aveva visto come un buon padrone, un ragazzo gentile, quasi un fratello maggiore. Ma adesso... I suoi occhi sembravano sprizzare furore e passione e rabbia e il suo viso non gli era mai parso tanto affascinante... Sì, si era accorta che era bello già da molto ma adesso, guardandolo, sentiva di trovarlo bello 'in un modo differente'. Deglutì, sentendo le sue guancie bruciare. "Non volevo farvi arrabbiare ma mi preoccupavo...".
Ross rise, ironico. "La mia situazione è quindi così miserabile da farti provare pietà?".
Demelza scosse la testa. "No, non pietà. Preoccupazione, che è diverso! E' tutto così difficile per voi e io vorrei fare di più per rendervi la giornata meno... complicata! Ma dovete cercare di rendervela meno complicata voi stesso tanto per cominciare e pensare e struggersi per chi non lo merita... non è un buon modo intelligente per vivere!".
Ross spalancò gli occhi, sorpreso da quel moto di coraggio e quella franchezza che la Demelza conosciuta tre anni prima mai avrebbe avuto. In realtà ben pochi gli avevano parlato in quel modo così diretto e la cosa lo destabilizzava. Era una situazione strana ed assurda qualla a cui Demelza aveva dato vita e anche lui iniziò a guardarla in maniera diversa e non più come una sorellina a cui fare da tutore e padrone. Quando era cresciuta così tanto? E da dove aveva tirato fuori quel coraggio e quella faccia tosta? Prese un profondo respiro, tentò di calmarsi comprendendo cosa si agitasse in Demelza e soprattutto percependo le sue buone intenzioni. Non erano molti quelli che si preoccupavano davvero per lui ormai e invece di arrabbiarsi doveva sentirsi grato che ci fossero persone che lo avevano genuinamente a cuore. Con un gesto gentile le sfiorò la spalla. "Sta tranquilla, non me la prendo più. Come hai giustamente detto, non ne vale la pena".
"Davvero?". Non sembrava crederci molto.
Beh, i dubbi di Demelza erano legittimi e non era del tutto vero ciò che aveva appena detto ma sapeva di dover ormai accettare lo stato delle cose che forse, a mente lucida, gli stava mostrando la vera natura delle persone che lo circondavano. "Davvero. E tu invece ragazzina, da quando sei diventata così saggia?".
Demelza sorrise mentre il calore della mano di Ross sulla sua spalla si irradiava per tutto il suo corpo. "Da quando guardo Charlie Chaplin al cinematografo! Ve lo dico da sempre che è un genio".
Ross scoppiò a ridere. "Dovrò davvero venirci, prima o poi, a vedere questo tizio con quei baffetti inquietanti!".
"Beh, potreste essere accontentato presto! Nel 1936 uscirà il suo nuovo film, pare che si chiamerà 'Tempi moderni', dicono che è un capolavoro".
Ross alzò gli occhi al cielo. Tempi moderni, è? Che tragica ironia della sorte per uno che odiava il cinematografo, le diavolerie del nuovo secolo e all'auto preferiva ancora il cavallo.
Come intuendo ancora una volta i suoi pensieri, Demelza gli offrì una alternativa. "Oppure c'è l'animazione di Walt Disney!".
Ross rise ancora. "Ok, mi rimangio il pensiero di poco fa, sei ancora una ragazzina che ama i cartoni animati!".
Demelza lo osservò incuriosita. "Quale pensiero?".
Ross ricambiò lo sguardo, era decisamente sbocciata e stava diventando molto bella e fin troppo brava a leggere nella sua mente. "Un pensiero sciocco, piccola fans di Mikey Mouse".
"Allora ne sapete qualcosa?".
Ross arrossì, preso in castagna ma pronto a ribattere affinché lei non partorisse l'orrendo pensiero che lui guardasse di nascosto i cartoni animati. "Il figlio più piccolo di Zaky ha un pupazzo di quel topo".
"Piacerebbe averlo anche a me!" - disse Demelza.
"Ragazzina!" - mormorò. Ma in quei pochi minuti aveva compreso che non lo era più e che la piccola mocciosa raccolta anni prima si stava trasformando in una creatura strana, misteriosa e che ancora non riusciva a decifrare del tutto. E questo lo sconvolgeva.


Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo quattro ***


Annaberg-Buchholz, 20 dicembre 1936

Piccole scimmiette ammaestrate!” – mormorò Caroline, fra i denti, abbastanza piano per non essere sentita da chi era distante due o tre posti ma cristallina per il marito e Demelza che sedevano a fianco di lei.
Era passato un anno dal suo matrimonio con Dwight e la ragazza poteva definirsi una moglie felice. Dwight era un marito premuroso e gentile, il lato intimo del loro rapporto la elettrizzava e a parte il fatto che non si sentisse ancora pronta a diventare madre e per questo venivano prese le giuste precauzioni, si sentiva soddisfatta.
Era stato un anno stranamente prospero e di grande visibilità per la Germania, culminato con le olimpiadi che si erano tenute a Berlino. Tutto il mondo, a detta del furher, aveva ammirato la grandezza del Reich e di certo la stampa internazionale doveva esserne rimasta elettrizzata.
Ma a parte questo, il partito nazista stava tingendo di rosso e sangue la vita dei tedeschi, togliendo loro poco a poco le libertà senza quasi che se ne accorgessero. Non erano solo gli ebrei ad essere nel mirino del partito ma anche tutti coloro che manifestavano anche il più piccolo dissenso. Le bandiere con la svastica sventolavano ovunque, sia davanti agli edifici pubblici, sia davanti alle case dei privati cittadini che in questo modo plateale volevano esprimere il loro assenso al loro ordine delle cose.
La propaganda nazista toccava ogni piccolo aspetto della vita, la sicurezza pubblica era gestita secondo i criteri che piacevano al partito e violenze e sopraffazioni a danno degli ebrei tedeschi non solo erano tollerate ma addirittura lodate. Ogni tedesco aveva imparato a fare il saluto nazista, ogni tedesco aveva dovuto fare la tessera del partito, scuola e propaganda avvelenavano la mente delle giovani generazioni e tutto pareva disintegrarsi davanti agli occhi degli oppositori di quella follia.
Il ministro della propaganda Goebbels aveva messo mano, col suo operato, su tutti i cinematografi nazionali ed era sempre più difficile guardare dei buoni film, soppiantati da video governativi che esaltavano la razza ariana e la grandezza del popolo tedesco ‘puro’. Aveva anche coinvolto la sua famiglia, soprattutto i figli, nel suo operato di persuasione delle masse. La moglie Magda, a causa di voci piuttosto vicine al vero, aveva dovuto chiudere non uno ma due occhi sulle relazioni extraconiugali del marito e una volta all’anno circa metteva al mondo un marmocchio da immolare alla causa del nazismo. I bambini, ancora piccolissimi e spesso ripresi in compagnia di Hitler che si atteggiava a zio o nonno, venivano filmati per essere usati a discrezione del partito e infatti quella sera tutta la cittadina era dovuta andare al cinematografo per assistere al video di un loro piccolo spettacolo in cui, vestiti con abiti tradizionali, auguravano ai bravi e puri cittadini tedeschi un felice Natale.
Demelza, seduta accanto a lei, coi capelli raccolti in due lunghe trecce, la gonna nera fino al ginocchio e la camicetta bianca con la cravatta come si confaceva alla ragazze della gioventù hitleriana, le scarpette in vernice con la fibbietta e il bottone dorato la bloccò. “Shhhh, vuoi farti arrestare?”.
Anche Dwight guardò storto la moglie. “CA-RO-LI-NE!!!”.
Lei, noncurante, alzò le spalle. “Non sopporto i marmocchi, che posso farci?”.
Questi sono marmocchi particolari, i bambini d’oro della nostra nazione” – la rimbeccò il marito in un misto fra il tono di rimprovero e lo scherzo.
A me sembrano solo delle piccole scimmiette ammaestrate, vestite in modo ridicolo che rappresentano qualcosa di cui nemmeno conoscono il significato. Non ho ancora deciso se mi fanno pena o se esserne disgustata”.
Demelza alzò gli occhi al cielo mentre nella sala si alzava un vivace chiacchiericcio, alla fine della proiezione. Erano molti i compromessi che i tedeschi avevano dovuto imparare ad accettare, lei stessa doveva pettinarsi e vestirsi come tanto piaceva al partito e quei bambini – che, a differenza di Caroline, le facevano una tenerezza infinita – erano nella medesima situazione, con la differenza che stavano rappresentando qualcosa di orribile senza rendersene conto. Erano troppo piccoli per capire che quell'uomo che chiamavano 'zio Adolf' era in realtà un mostro.
La gente iniziò a defluire dalla sala e sia Caroline che Demelza si misero la mantella sulle spalle e il cappello di lana in testa.
Ti riaccompagno a Nampara, è buio ed è tardi!” – asserì Dwight.
Demelza gli sorrise. “Non è tardi, è solo buio. Passerò dalla piazza e in men che non si dica sarò a casa!”.
Insisto!” – ribadì Dwight. “Fuori è pericoloso!”.
Demelza allargò le braccia. “Trecce, divisa da gioventù hitleriana, scarpette di vernice! Sono l’orgoglio del partito, chi potrebbe far del male a una ariana di razza purissima?”. Era ironica, tristemente ironica… Ma allo stato delle cose attuale, in Germania funzionava così.
Caroline le si avvicinò. “Si dice che i giovani del partito siano autorizzati a prendere le donne, anche contro la loro volontà, affinché generino piccoli ariani da immolare alla gloria della nazione”.
Demelza sospirò. Aveva sentito voci simili ma almeno per quello, si rifiutava di credere che fosse vero. “Non mi succederà nulla, fa troppo freddo, i nostri giovani soldati saranno tutti a casa attorno al fuoco”.
Demelza!”.
Dwight, dico sul serio, torno a casa da sola. Hai una moglie a cui badare e io sono grande abbastanza per prendermi cura di me stessa, so difendermi e non ho nulla da temere. Anzi, sono talmente cresciuta che forse a breve la divisa della gioventù hitleriana sarà inadatta per una ‘attempata’ come me! Ho quasi diciotto anni, a breve sarò considerata adulta anche dal signor partito!”.
Dwight e Caroline si guardarono in viso, poi furono costretti a cedere. “Sta attenta, mi raccomando!”.
Demelza annuì. “Certo, come sempre!”.
Si salutarono e la ragazza si avviò verso la piazza. Faceva freddo, c’era una incredibile quantità di neve a terra e qualche fiocco insisteva a cadere dal cielo. Man mano che si allontanava dal cinematografo le strade si facevano sempre più vuote e quando arrivò in piazza, la trovò glaciale e deserta. Le bancarelle di legno dei mercatini di Natale erano chiuse in attesa di riaprire la mattina successiva e del chiasso del giorno non c’era che uno sbiadito ricordo. Da bambina ammirava quelle bancarelle piene di dolci, colori e luci e fantasticava su quanto sarebbe stato bello poter comprare qualcuno di quegli oggetti o caramelle. Da quando lavorava per Ross Poldark e aveva uno stipendio, aveva potuto permettersi, ogni anno, l’acquisto di qualche piccola decorazione e nella sua stanza aveva addobbato un piccolo angolo del Natale che riusciva a scaldarle il cuore.
Rabbrividì, una folata di vento gelido la investì e lei maledì il fatto che la gonna fosse tanto corta e che le calze bianche che indossava non fossero abbastanza pesanti. “Judas, il signor Adolf non poteva inventarsi una divisa invernale più calda?”. Ogni tanto Ross Poldark le ricordava che con quella ironia pungente, prima o poi si sarebbe messa nei guai e lei, sempre a tono, gli rispondeva che la prediva arrivava da un ben strano pulpito. La paura a rapportarsi con lui dei primi anni aveva lasciato spazio a una incredibile sfrontatezza e voglia di dire sempre la sua.
Fece per incamminarsi verso il sentiero che dalla piazza portava al limitare del bosco e a Nampara quando il suo occhio cadde su una figura inginocchiata davanti alla vetrina di un negozio. Demelza lo riconobbe subito, era l’anziano ciabattino del villaggio, Smuel Sauberman. Aveva quasi ottant’anni e le sue mani sapienti avevano fatto a mano le scarpe di generazioni di abitanti di Annaberg-Buchholz. Anche per lui, al pari del suo padrone, dopo una vita di onesto lavoro, era diventato difficile vivere in Germania. Era ebreo e questo non poteva essergli perdonato. Aveva perso tanti clienti e tante persone che aveva servito da sempre gli avevano tolto la parola.
Che ci faceva inginocchiato davanti al suo negozio, con quel freddo? Era anziano e alla sua età doveva essere al caldo, a letto, davanti al camino.
Gli andò vicino. “Signor Sauberman, che…?”. Si bloccò, capendo appieno cosa fosse successo.
L’uomo, inginocchiato, con una spugna in mano e un secchio d’acqua a fianco, strofinava il muro e la vetrina della sua attività dove qualcuno aveva scritto, con della vernice rossa, ‘negozio ebreo’.
Smuel alzò gli occhi su di lei, stupito di trovarsela davanti. “Oh, la piccola Demelza…”.
La ragazza si inginocchiò davanti a lui, prendendogli la spugna dalle mani. “Signor Sauberman, che ci fate qui fuori? Fa un freddo terribile, soffrite di reumatismi e non vi fa affatto bene non essere a casa davanti a un bel fuoco”.
L’uomo le sfiorò la mano con la sua, rugosa e segnata dai reumatismi e da tanti anni di lavoro. “Demelza, Demelza, sei una delle poche persone con la divisa del partito che trovo piacevole da ammirare”.
Sapete che sono costretta a portarla, anche se la odio…”.
Lo so... Come sta il signor Ross? Anche per lui deve essere dura”.
Demelza strizzò la spugna, cercando di pulire quello sfregio così ingiusto fatto sicuramente da chi un tempo era stato amico di quell’uomo onesto e mite e ora lo trattava con spietatezza senza un perché, solo perché al governo c’era chi asseriva che era giusto torturarlo. “Si chiude nelle sue miniere e lavora come un forsennato per la maggior parte del tempo”.
Lo conosco da quando era piccolo, lo sai Demelza? Facevo le scarpe per la sua mamma, la signora Grace, e suo padre si raccomandava sempre che usassi i materiali migliori. Da bambino ha indossato un paio di scarpine simili a quelle che hai ai piedi tu, di vernice, con la fibbietta. Era davvero adorabile con l’abito alla marinaretta…”.
Demelza scoppiò a ridere, immaginando la scena. Era davvero difficile immaginare il suo padrone da piccolo, agghindato come un bambolotto e con delle scarpe da bambina. “Forse è meglio che lui non lo ricordi…”.
Nonostante tutto, anche Smuel sorrise. “Già…”.
Con un gesto gentile, Demelza gli sfiorò il braccio. “Potrà pulire domani, verrò ad aiutarla, lo giuro. Ma adesso vada a casa, è tardi e fa freddo”.
L’uomo, gli occhi lucidi, scosse la testa. “Perché? Perché succede questo? Sono nato qui, i miei genitori prima di me han fatto scarpe per la gente del posto, siamo sempre stati tedeschi onesti e ora ci trattano come bestie”.
Demelza non aveva risposte da dargli, così come non ne aveva da dare al suo padrone. “E’ un mondo impazzito, Smuel. E la gente è impazzita con lui”.
Smuel la guardò con aria grave, come se nel suo sguardo portasse con se tutto il peso dei suoi anni e della sua esperienza. “Moriremo tutti, lo sai ragazza? Sento sempre più vicino l’eco dell’esplosione che ci porterà tutti quanti sotto terra. Noi per primi, il resto dopo. Questo mondo pazzo, come dici tu, pagherà a caro prezzo quello che sta succedendo”.
Demelza rabbrividì. Odiava quanto stava vivendo la Germania, l’odio di cui era impregnata, il dolore di tanti innocenti che subivano ingiuste sevizie. E forse dentro di lei aveva la stessa certezza di Smuel ma non aveva mai avuto il coraggio di formulare in modo concreto quel pensiero. E ora sentirlo dalla voce di un uomo con esperienza e saggezza, faceva male. Sarebbero davvero morti tutti? Davvero i primi sarebbero stati gli ebrei? Smuel? Ross…? “Non dica così”.
Il signor Sauberman le sorrise, nonostante tutto. Non volevo spaventarti, piccola. Va a casa, può essere pericoloso essere visti dare una mano a un ebreo”.
Solo se ci andrete anche voi” – rispose, a tono.
Sei testarda!”.
Lo dice pure Ross Poldark”.
E ha ragione”.
Andrete a casa, allora?”.
Fra pochi minuti, prometto! Ma tu va, ragazza, è tardi”.
Demelza gli sfiorò la guancia rugosa, quell’uomo poteva essere una specie di nonno che non aveva mai conosciuto. “Una promessa è una promessa”.
Smuel sorrise tristemente. “Siamo persone di parola noi ebrei, a dispetto di quello che afferma il furher”.
Ne sono sicura”.
Con una infinita preoccupazione nel cuore, Demelza si strinse nel mantello e corse verso casa mentre nelle orecchie le rimbombavano le fosche previsioni di Smuel. “Moriremo tutti, moriremo tutti, moriremo tutti”. Lui aveva avuto il coraggio di dirlo ad alta voce e ora che l’aveva sentito, nulla sarebbe apparso fittizziamente tranquillo come prima. Senza accorgersene, silenziose lacrime presero a scendere dai suoi occhi all’idea di perdere le persone a cui teneva e davanti alla prospettiva di non poterci fare nulla. Non c'era da stare allegri e tranquilli, una parte di lei lo sapeva e immaginava che le cose sarebbero diventate ancora più dure ma l'dea che quella strada fosse senza ritorno la annientava e non aveva mai voluto ammetterlo a se stessa. Si asciugò il viso solo davanti casa, quando decise che non era il caso di farsi vedere dal suo padrone mentre frignava come una bimbetta isterica. In realtà non l’avrebbe vista affatto, a quell’ora Ross era già a letto, quindi si stupì quando, entrando, lo trovò invece perfettamente sveglio seduto davanti al camino.
Il suo sguardo era truce e per niente amichevole. “Dove sei stata, sai che ore sono?” – le chiese, con tono severo.
Demelza sussultò. “Alla proiezione”.
Che è finita quasi due ore fa! Non posso uscire per il coprifuoco, credevo che ti fosse successo qualcosa dannazione! Dwight non ti ha accompagnata a casa?”.
No, ha insistito ma non ho voluto”.
Ross gettò un ciocco di legno nella stufa, con un gesto di stizza. “Piccola irresponsabile”.
Le mani di Demelza tremavano dalla rabbia. Le parole di Smuel, il modo il cui era stato conciato il suo negozio, il rimprovero di Ross, il nazismo, i figli di Goebbles che cantavano come pappagalli ammaestrati, era davvero troppo! Picchiò il piede a terra come forse faceva da bambina quando faceva un capriccio, gettò il mantello, e scoppiò. “Ho i vestiti che dice LUI, ho i capelli agghindati come dice LUI, ho persino imparato a fare quel SUO dannato saluto! Che diavolo devo fare ancora per non essere in pericolo? E voi non siete mio padre, signore!”.
La furia di quello sfogo colpì Ross che in realtà non voleva sgridarla ed era stato seriamente preoccupato nel non vederla tornare. Si alzò dalla panca e si avvicinò a lei, timoroso che invece qualcosa fosse le fosse accaduto. La strinse per le spalle, stranito da quello strano sfogo che ben poco aveva a che fare col carattere solare di Demelza. “Hei, calma! Che è successo?”.
Gli occhi le si riempirono nuovamente di lacrime. “Moriremo tutti?”.
Cosa?”.
Smuel Sauberman dice che moriremo tutti” – singhiozzò.
Ross la fissò senza capire cosa dicesse e perché fosse tanto sconvolta. Non era da lei comportarsi a quel modo e perdere il controllo eppure tremava e piangeva, cosa che non l’aveva mai vista fare. “Beh, un giorno sicuramente”.
Dico, ora?”.
Ross le accarezzò la guancia. “Ora siamo vivi, anche se hai il viso talmente ghiacciato da sembrare effettivamente…”.
Lei si morse il labbro. “Non ho voglia di scherzare!”.
Ross sussultò, ultimamente Demelza sembrava aver sviluppato un notevole senso critico e la voglia di dire sempre la sua. “Dimmi che è successo!”. Non era una richiesta, ora era un ordine!
Demelza sospirò, si avvicinò al camino e crollò sul divanetto su cui Ross era stato seduto fino a pochi istanti prima. Poi gli raccontò dell’incontro con Smuel, di cosa avessero fatto al suo negozio e del loro dialogo.
Ross scosse la testa. Santo cielo, davvero i loro compaesani erano arrivati a tanto? “E’ andato a casa?”.
Mi ha detto che lo avrebbe fatto ma non ne sono sicura”.
Ross si mise l’impermeabile, scuro in volto. “Vado a dare un occhio”.
Demelza lo fissò, terrorizzata. “Non potete, signore, avete il coprifuoco!”.
Al diavolo Hitler e il coprifuoco!”.
Demelza diede un pugno allo schienale del divano. “Judas, sapevo che dovevo rimanere lì e non dirvi niente! E’ pericoloso!”.
Ross si mise il cappello. “No, hai fatto la cosa giusta, era pericoloso per te rimanere ad aiutare un ebreo! Io invece, da ebreo, posso sentirmi in diritto di aiutare un mio simile! Ed è quello che farò! Se non vado da lui, ci passa la notte in piazza e domani avrà una polmonite che farà dannare Dwight!”. Fece per uscire, poi si fermò per un attimo sulla porta. “Ah, per la cronaca, non sono tuo padre ma fammi preoccupare un’altra volta in quel modo e ti dovrò prendere a sculacciate come si fa coi bambini troppo impertinenti!”.
E detto questo, scomparve dietro l’uscio.
No, non l’avrebbe sculacciata, questo Demelza lo sapeva bene. E in fondo la inteneriva il fatto che lui si fosse preoccupato per lei, nemmeno il suo vero padre l’aveva mai fatto. Però questo non poteva toglierle di dosso la paura che Ross si poteva cacciare nei guai e con lui Smuel.
Si accasciò sul divano mentre i più foschi pensieri affollavano la sua mente. E scaldata dal fuoco del camino, con le lacrime che le rigavano nuovamente il viso, sfinita cadde in un sonno profondo ma agitato.



Ross tornò che erano quasi le due di notte, con le mani congelate e il forte desiderio di un bagno caldo. Come immaginava, in giro non c’era nessuno. A parte Smuel, che era stato un grande amico di suo padre e che nonostante la promessa fatta a Demelza, non si era mosso dallo scempio combinato al suo negozio dagli appartenenti alla Schutzstaffel. Non c’era stato verso di smuoverlo da lì e alla fine aveva dovuto arrendersi al fatto che per mandarlo a casa doveva aiutarlo a pulire tutto.
Trovò Demelza rannicchiata sul divanetto, con ancora indosso la divisa della gioventù hitleriana. Vestita così sembrava ancora una ragazzina, anche se di fatto si era accorto ormai da molto che nella vita di tutti i giorni ormai Demelza era una giovane donna con un carisma e una intelligenza particolari, uniti a un fascino ancora acerbo che lei non era consapevole di avere ma che era ben evidente a chi gli stava attorno. Era impertinente, era complicato avere l'ultima parola con lei e stava sviluppando un senso critico e feroce verso la situazione politica della nazione ancor più radicato di lui che spesso le doveva ricordare di stare attenta a quel che diceva e a quel che faceva.
Mentre la guardava gli venne in mente Smuel e quanto gli aveva detto pochi minuti prima.

E’ davvero diventata una bella signorina, la piccola Demelza”.
Già”.
Avessi trenta… quaranta anni in meno anche, le farei la corte”.
Smuel Sauberman, che diavolo…?”.
Dovreste farlo, sareste sciocco a non apprezzare la bellezza e la dolcezza di quella ragazza”.
E’ la mia domestica, Smuel. E ho dieci anni più di lei”.
Io ne avevo ben quindici in più della mia amata Ingrid ed abbiamo avuto un matrimonio felice”.
Sono ebreo, Smuel. Demelza o chiunque altra non farebbe un buon affare a legarsi a me”.
E’ solo questo? O ancora pensi alla neo-signora Warleggan? Sai che è incinta?”.
Elizabeth? Sì, ne ho sentito parlare e immagino che George starà gongolando. Ma non penso a nulla, non a lei e al massimo il mio desiderio è ripulire questa scritta e rimandarti a casa, Smuel!”.

Attento a non svegliarla, le tolse le scarpe di vernice e poi le mise una coperta addosso. Il fuoco era quasi spento e nella stanza iniziava a fare freddo, tanto che si affrettò a mettere altri ciocchi nella brace.
Fu inevitabile fare un po’ di rumore e quando si voltò, trovò Demelza sveglia e seduta. “Scusa, non volevo disturbarti”.
Con l'aria stanca, lei sospirò. “Signore, siete vivo!”.
Lui ridacchiò. “A quanto pare… Ma non avevo in programma di morire stasera!”.
Lei lo guardò storto, non aveva molta voglia di scherzare. “E Smuel?”.
Non c’è stato nulla da fare, ho dovuto stare con lui finché non abbiamo ripulito tutto. Non servirà a nulla e domani qualcun altro rifarà quella scritta ma lui non se ne sarebbe tornato a casa lasciando il suo negozio in quello stato. Gli ho consigliato di raggiungere suo figlio in Svizzera, lì sarà più al sicuro”.
Lo farà?”.
Non credo, è più testardo di me”.
La ragazza si strofinò gli occhi. “Che ore sono?”.
Le due, le tre… E’ notte e nevica terribilmente, fuori ormai le strade sono impraticabili”.
Qualcuno vi ha visto in giro?”.
Ross le strizzò l’occhio. “Parli dei membri della Schutzstaffel? Con questo tempo sono tutti sotto le coperte a dormire, non congeleranno il loro sedere in nome di Hitler, se non a parole”.
Le si avvicinò, sedendosi vicino a lei. Una delle trecce della ragazza si era sciolta quasi del tutto e ribelli ciocche rosse le cadevano sul collo e sulla guancia. Era effettivamente bella, desiderabile, attraente. E lui non doveva fare pensieri del genere anche se Smuel aveva tentato di mettergli in testa strane idee ora però non più così assurde davanti a una diciottenne che stava sbocciando. L’aveva raccolta che era una monella e l’aveva vista crescere come si guarda a una sorellina e ora non poteva, non DOVEVA avere pensieri diversi nei suoi confronti. La sua compagnia era piacevole, amava chiacchierare con lei e il loro rapporto era quasi di amicizia, ben oltre quello di padrone/domestica, ma… Ma lui era ebreo e lei no, Demelza era giovane ed inesperta e lui, dopo la delusione con Elizabeth, non voleva altre delusioni. Era fin troppo difficile stare al mondo e ulteriori complicazioni non erano contemplate ed inoltre sì, forse assecondare l’istinto sarebbe stato piacevole e Demelza glielo avrebbe anche potuto permettere ma lui non era e mai sarebbe stato un uomo che si approfittava di una ragazzina. Quindi, discorso chiuso! “Mi dici cosa ti ha sconvolta tanto? Voglio dire, non può essere solo il pessimismo di Smuel…”.
Lei lo fronteggiò, viso a viso. “Non lo so ma fino a stasera non ho mai davvero voluto pensare che potrebbe andare tutto male, alla fine di questa storia. Ma Smuel ha detto una cosa che potrebbe essere vera e io non voglio perdere le persone che sono diventate il mio mondo”.
Ross sospirò. “Demelza, il fatto che tutto andrà male è una possibilità piuttosto concreta e non possiamo fare finta di non saperlo e ora sei grande abbastanza per saperlo anche tu. Possiamo ignorare la cosa, fare finta, ma dentro di noi lo sappiamo. Le cose per gli ebrei andranno sempre peggio e la nostra nazione inizierà ad essere vista come nemica dagli Stati stranieri. Hitler ha manie di espansionismo, credi che gli altri glielo lasceranno fare?”.
Demelza deglutì. “Pensate a una guerra?”.
Prima o poi…”.
E non possiamo fare nulla per impedirlo?”.
Ross scosse la testa. “Ci sono tanti oppositori al regime, ma devono lavorare di nascosto nel buio. Formazioni partigiane, giovani come te che non hanno perso la testa per la svastica ma… sono comunque troppo pochi e scarsamente organizzati e troppo grande è il potere che vorrebbero combattere”.
Mi piacerebbe farne parte!”.
"Di cosa?".
"Di questi gruppi?".
Ross scosse la testa, di nuovo stava esprimendo idee pericolose che certo, lui al suo posto avrebbe perseguito con forza ma non aveva piacere di vedere le persone a cui teneva correre dei rischi folli. Lui era lui e giocare sul filo del rasoio faceva parte del suo essere ma gli altri non dovevano seguire il suo esempio, ecco. “Per farti ammazzare? Demelza, non essere sciocca, ci saranno fin troppi morti da piangere in questa disgraziata nazione, prima o poi”.
Demelza rimase in silenzio. Aveva ascoltato e compreso il suo consiglio eppure le sarebbe piaciuto fare, nel suo piccolo, qualcosa per fermare quella follia. Ma cosa?
Ross sembrò leggerle nel pensiero. “Sei giovane e hai una vita davanti, non gettarla. E non rischiare, a meno che non sia strettamente necessario”.
Demelza sembrò sconsolata. “Come fate, signore, come fate ad accettare tutto questo?”.
Ross sorrise. “Mi chiudo in miniera e spacco pietre tutto il giorno. L'alternativa sarebbe recarmi a Berlino e sparare a tutto il partito, ma temo che non mi aprirebbero le porte per entrare”.
Lei rispose al sorriso. “La miniera, è? Dovrei venirci pure io un giorno, a spaccar pietre”.
Non dirlo troppo ad alta voce perché con la penuria di personale degli ultimi tempi potrei prenderti in parola!”.
Con un gesto della mano, la ragazza si scostò i capelli dal viso. Senza volerlo, Ross la trovò attraente in quel semplice gesto. “Signore?”.
Sì?” – rispose, distogliendo per un attimo lo sguardo da lei. Dannazione, da quando la trovava così affascinante?
Ho quasi diciotto anni, per quanto dovrò portare ancora questa dannata divisa della gioventù hitleriana?”.
A lungo, spero… Più ti crederanno giovane, meno ti chiederanno per il bene del partito”.
Demelza rabbrividì. “Dicono che chiedono alle donne di generare figli con gli appartenenti al partito”.
Ross le accarezzò la guancia. Non voleva farlo ma gli venne naturale. “Lo dicono e forse non è vero. Ma nel caso, rimani ragazzina più a lungo che puoi”. In realtà Ross sapeva che era vero e che c’era un programma che prevedeva la nascita di perfetti bambini ariani generati da puri tedeschi, non importava se sposati o meno, se consenzienti o meno. Molte donne avrebbero dovuto sottostare a quella follia, sottoponendosi a veri e propri stupri nella maggior parte dei casi. Pregò che a Demelza non capitasse nulla del genere perché sicuramente non avrebbe potuto proteggerla.
Sarebbe davvero terribile signore, mettere al mondo piccole scimmiette naziste ammaestrate”.
Cosa?”.
Caroline… E’ così che chiama i figli del ministro Goebbels”.
Ross scoppiò a ridere, nonostante tutto. “Severa ma giusta, Caroline non si smentisce mai! Ma come te, deve fare attenzione a quello che dice!”.
Lo ha detto alla proiezione!”.
Ross alzò gli occhi al cielo. “Dwight avrà presto tutti i capelli bianchi”.
Signore?”.
Dimmi, che c’è ancora?”.
Demelza si alzò in piedi e con un gesto secco di tolse la cravatta della divisa. “Questa cosa mi strozza!”.
Il gesto con cui lo fece fu brusco ma ancora una volta Ross la trovò attraente. Come faceva a non accorgersene lei stessa? “Va a letto, adesso…” - le suggerì, con voce strozzata.
Non mi va, è stata una serata troppo difficile. Restiamo qui?”.
Qui, sul divano?”.
Sì, non voglio stare sola”.
Ross le si avvicinò e stavolta non frenò i suoi istinti. La abbracciò e lasciò che lei appoggiasse la testa sulla sua spalla. “Sta tranquilla. Ora siamo qui e stiamo bene e staremo bene anche domani. Al poi ci si penserà…”.
Demelza alzò gli occhi su di lui. “Giurate – non come Smuel che non mantiene la parola – che non morirete!”.
"Farò del mio meglio". Ross la osservò, leggendo nei suoi occhi verdi tanta sincera preoccupazione. Demelza era davvero l’unica al mondo a cui importasse di lui e non era per la casa che le aveva dato, il lavoro o la protezione dalle angherie del padre a spingerla a temere per il suo futuro, Demelza era davvero affezionata a lui. Si chinò e la baciò con fare fraterno sulla fronte, inspirando un profumo delizioso di cannella e mela che emanava dai suoi capelli. In quel momento si rese conto che avrebbe desiderato baciarla in tutt’altro modo sulle labbra e forse non sarebbe riuscito a trattenersi troppo a lungo. Ma per quella sera resistette. Soprattutto per lei e il suo bene… L’avrebbe baciata e forse sarebbe andato oltre, se avesse lasciato agire i suoi istinti, ma l’istinto più grande era proteggerla.
La accompagnò sul divanetto, lasciò che le appoggiasse la testa sulle gambe e rimase a guardarla mentre si addormentava.
Fu invaso da una sensazione di pace, nonostante tutto. Non sapeva se fosse il camino, la neve o la presenza di Demelza accanto a lui ma per un momento gli sembrò che tutto il brutto del mondo fosse rimasto fuori da quella porta e non potesse toccarli.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo cinque ***


Annaberg-Buchholz, maggio 1937

Anche se solo pochi giorni prima gli aerei della Lutfwaffe, assieme ad altri appartenenti al regime fascista italiano, avevano preso parte alla distruzione della città spagnola di Guernica, il clima in Germania pareva sereno e incurante del fatto che molti temessero che questo non fosse che una prova generale per una guerra su più ampia scala.
La gente viveva come se la cosa non la riguardasse, in una sorta di strana tranche guidata dall’utopia di non venire mai toccati perché protetti dal grande ed invincibile Furher. Anche se non tutti erano così ottimisti e più persone vivevano in silenzio la loro preoccupazione non potendo e non sapendo cosa fare, la vita procedeva in una strana tranquillità dove veniva lasciato sempre più spazio alla politica e alle leggi del regime come se fosse giusto così e non ci si potesse fare nulla. Le bandiere con le svastiche adornavano sempre più case, strade e piazze, le divise naziste erano ormai parte dell’abbigliamento comune e persino la scuola ormai era diventata parte integrante della propaganda e i bambini venivano educati ai dettami del governo e all’odio verso chi doveva essere ritenuto diverso e inferiore.
Demelza aveva ormai compiuto diciotto anni e anche se si riteneva grande abbastanza per non dover indossare più la divisa della gioventù hitleriana durante le manifestazioni di piazza, Ross Poldark l’aveva quasi costretta a continuare a farlo, dicendo che per il suo bene doveva fare così.
La ragazza aveva dovuto cedere ma la indossava solo quando effettivamente era necessario farlo – e lo diventava sempre più spesso perché il nazismo stava prendendo piede in ogni campo anche della vita privata dei cittadini – ma per quella domenica aveva deciso che non era necessario. Era il suo giorno libero ed aveva ricevuto un invito…
Pochi giorni prima, mentre faceva la spesa in piazza, aveva incontrato un giovane ragazzo inglese, uno studente di nome Hugh Armitage. Poco più grande di lei di un anno o due, stava conducendo i suoi studi universitari all’università di Dresda durante il semestre invernale e aveva conosciuto alcuni ragazzi di Annaberg-Buchholz che lo avevano invitato a trascorrere qualche giorno di vacanza con loro. Quella domenica avevano organizzato un pic-nic e il ragazzo, attaccando bottone con lei mentre aspettavano di essere serviti dal panettiere, l’aveva invitata.
Demelza conosceva gli altri ragazzi che avrebbero fatto parte della combriccola: c’erano Hans Koiffer e sua sorella Thereza, i giovani Johan Strable e Mark Hessman e infine Thomas Schulz, il figlio del sindaco del villaggio. Da bambini avevano giocato qualche volta nella piazza del villaggio ma Demelza aveva smesso di frequentarli perché di classe sociale troppo differente e successivamente anche per la loro vicinanza al partito e alle idee naziste.
Però Hugh Armitage, coi suoi occhi color verde, i suoi capelli chiari e leggermente ondulati e la sua dolcezza e simpatia, l’avevano convita ad accettare.
Si legò i capelli, si mise un vestito rosso con le maniche a sbuffo e infine prese un cappello di paglia ornato con un nastro del medesimo colore dell’abito e si apprestò ad uscire prima delle dieci del mattino. Avrebbero pranzato in campagna, fuori dal villaggio, e poi lei e Hugh sarebbero andati al cinematografo. Era uscito un cortometraggio animato di Walt Disney, Biancaneve e i sette nani, e Hugh, appassionato di cinema e teatro oltre che di musica e poesia, l’aveva invitata ad andare a guardarlo. Sarebbe stata una domenica diversa e forse, anche se le idee erano divergenti come il giorno e la notte, sarebbe stato divertente passare del tempo con dei ragazzi della sua età.
Mentre Garrick, in cortile, rincorreva le galline, in casa regnava la pace. Demelza aveva lasciato pronto del pasticcio di carne per il suo padrone, aveva pulito la casa e lui non avrebbe avuto problemi durante la sua assenza del pomeriggio.
Scendendo le scale, Ross la incrociò mentre si metteva il cappello in testa. Starnutì vigorosamente una, due, infine tre volte. Poi tossì. “Passerai ancora la giornata con Caroline al cinematografo?”.
Demelza lo osservò starnutire di nuovo. “No…”. In realtà non aveva raccontato a nessuno i suoi piani per la giornata anche se non c’era motivo di tenerli nascosti, però si sentiva imbarazzata a raccontare dell’invito di Hugh.
Ross parve sorpreso. “Oh… Che gran novità!”.
Demelza sorrise. “Caroline oggi è con Dwight a trovare una sua zia, saranno suoi ospiti a pranzo. Io invece andrò a un pic-nic con alcuni ragazzi del paese”.
Ross starnutì di nuovo. “Credevo non ti fossero particolarmente simpatici”.
Demelza annuì. “E’ solo per un pranzo e un pomeriggio. In realtà sono stata invitata da un ragazzo inglese che si è unito alla loro compagnia dopo averli conosciuti in università a Dresda. E’ un giovane artista che arriva da Londra, starà qui in villeggiatura pochi giorni e ci siamo conosciuti mentre facevo la spesa. E’ gentile e mi ha invitata e ho pensato che forse mi divertirò pure, dopo tutto, con gente della mia età. O cominceranno a pensare che sia diventata un’orsa brontolona!”.
Ross sentì una stretta allo stomaco. Un ragazzo l’aveva invitata? Di che si stupiva, poi? Era cresciuta, non era più una ragazzina ed era normale che stesse succedendo. Però...
Starnutì di nuovo e poi tossì e stavolta Demelza si preoccupò. “Signore, state bene?”.
Benissimo”.
Non smettete di starnutire e tossire. Vi state ammalando, temo… Forse sarebbe meglio chiamare Dwight stasera”.
I Poldark non si ammalano MAI e non ho bisogno di Dwight!” – tagliò corto lui.
Demelza lo fissò, scettica. Poi alzò una mano a toccargli la fronte. “Scottate un po’”.
Il contatto con la mano fresca e liscia della ragazza gli provocò un brivido e Ross si ritrasse subito. “Ti ho detto che sto bene e se continuerai a perdere tempo con me, arriverai tardi al tuo appuntamento”.
Non è un appuntamento, è un pic-nic”.
Anche Ross sembrò non credere alle sue parole e quasi come una piccola vendetta, gli venne voglia di stuzzicarla e farla imbarazzare. “Lo è, se un ragazzo ti ha invitata ad uscire”.
Non la vedo così”.
Starnutì di nuovo. “Sarà, ma sta attenta”.
A cosa?”.
Ross sospirò, sentendosi schifosamente paternalista. “Ai desideri dei ragazzi. Dei maschi…”.
Lei arrossì, anche se si sentiva ancora abbastanza inesperta in materia, la imbarazzava quel botta e risposta con lui e sentiva di doversi giustificare anche se non sapeva bene per cosa. “Non è quel genere di…”.
Ross si sentì irritato. “Certo, come no!”.
Volete che stia a casa?” – chiese lei, confusa.
Perché dovresti farlo?”.
Siete malato”.
Non sono malato! E tu hai un appuntamento!”.
Demelza strinse i pugni, irritata. Non sapeva perché la infastidiva il fatto che lui pensasse a una cosa simile ma le sue parole la facevano sentire nervosa e improvvisamente confusa. Forse avere diciotto anni ed essere diventata in qualche modo ‘grande’, rendeva tutto più complicato. “Non è un…”.
Demelza, va e sbrigati!”.
Il tono di Ross sembrava perentorio, come se glielo stesse ordinando. E lei vi scorse una sorta di strana tensione che non riusciva a decifrare. “Il pranzo è nella pentola, cercate di riposare e stare in casa per oggi. Tornerò presto”.
Non ce n’è bisogno”.
Demelza lo guardò con aria di sfida. “Io penso di sì!”. Poi si mise il cappello in testa e dopo avergli lanciato un’occhiata nervosa e tesa, uscì diretta al luogo di ritrovo con gli altri ragazzi.
Ross rimase ad osservare in silenzio la porta dietro a cui lei era scomparsa. Era strano ma provava sentimenti contrastanti. Da un lato gli mancava la ragazzina senza freni accolta in quella casa ormai quattro anni prima, dall’altro lo intrigava e attraeva questa nuova Demelza ormai quasi donna, decisa, ironica, intelligente e affascinante. Il problema era che forse non era l’unico a provare questo genere di sensazioni e anche se sapeva che era giusto così, che lei DOVEVA stare con persone della sua età e vivere tutte le esperienze collegate, da un altro punto di vista si sentiva fuori dai giochi e dalla vita di quella ragazza fino a quel momento strettamente connessa alla sua. Demelza aveva reso di nuovo Nampara una casa accogliente, aveva riempito molti vuoti del suo animo tormentato e ora stava per spiccare il volo chissà per dove. E lui, ebreo e con dieci anni più di lei, poteva farci ben poco. Poteva, DOVEVA essere contento per lei ma in realtà non lo era affatto.
Starnutì di nuovo e poi si toccò la fronte.
Forse era davvero il caso di mettersi a letto e di smettere di pensare a lei in modo così diverso…


Mangiarono salsicce, wurstel e patate e il pic-nic fu divertente. O quanto meno lo fu fino al momento del brindisi quando Thomas Schulz decise di brindare alla salute del Furher e alla grandezza del Reich. D’altronde era il figlio del sindaco, che poteva aspettarsi di diverso? Quanto meno ringraziò il fatto che nessuno accennò mai al suo impiego verso un uomo ebreo e anzi, soprattutto i maschi si dimostrarono gentili e premurosi…
Però ecco, il brindisi al Furher fu il neo della giornata. Demelza si irrigidì, odiava farlo, odiava sempre quella parte ormai immancabile delle loro vite. Si morse il labbro sperando che gli altri non cogliessero il suo disappunto e brindò a denti stretti mentre Hugh Armitage non le toglieva lo sguardo di dosso. Sperò che non se ne fosse accorto e che eventualmente non lo raccontasse in giro, non andare in estasi alla parola ‘Furher’ poteva essere pericoloso nella Germania di quegli anni.
Per fortuna fu solo questione di pochi attimi prima di passare alla crostata di mele e cannella portata da Hugh.
Lei e il ragazzo lasciarono gli altri alle quattro del pomeriggio, poi andarono al cinematografo per gustarsi quella storia che, scoprirono, era decisamente infantile ma anche tenera e romantica. Demelza pensava che Walt Disney fosse un mago e riuscisse, con la sua mano e la sua matita, a creare sogni e magie. I suoi disegni, i colori, le ambientazioni e la storia di Biancaneve, della strega cattiva e l’amicizia sincera coi nani la intenerivano. E il bacio col principe azzurro le fece battere il cuore e sognare un amore simile, forte e puro. Si stupì perché era sempre stata un maschiaccio fin da bambina mentre ora, negli ultimi tempi, stava sviluppando una strana attitudine anche per il romanticismo.
Quando uscirono dal cinematografo, erano ormai le sei del pomeriggio passate. Si stava facendo tardi e Demelza, nonostante fosse soddisfatta della giornata, si sentiva inquieta. Ross Poldark quella mattina non era in forma e mentre lei era in giro a divertirsi, forse era in un letto preda di febbre e tosse e senza nessuno che potesse occuparsi di lui. Certo, la logica le doveva suggerire che non era un problema suo e che quello era il suo giorno libero da obblighi però sapeva di non potersi permettere di sentirsi così. Ross Poldark, da quando lo aveva conosciuto, era sempre stato più di un semplice datore di lavoro. L’aveva salvata dalla miseria, le aveva aperto mondi ed orizzonti, le aveva insegnato a leggere e scrivere, le aveva permesso di accedere alla sua biblioteca, le aveva dato una casa, stabilità, pace e gentilezza, una sorta di intimità vagamente famigliare che non aveva mai provato prima. La sera, dopo cena, era bello chiacchierare e scherzare con lui sulle cose accadute durante la giornata così come erano preziose ai suoi occhi la sintonia e l’intimità delle loro conversazioni e l’atmosfera serena che sapeva chiudere le brutture del mondo fuori dalla porta di casa… Ed ora non poteva non sentirsi preoccupata per lui.
Hugh le indicò la piazza. “Ci facciamo una passeggiata davanti ai negozi?”.
Lei sembrò combattuta. “Non so, forse sta diventando tardi”.
Le giornate si stanno allungando, siamo in piena primavera. O hai impegni?”.
Demelza sospirò. “No… Ma il mio padrone non stava bene stamattina e forse dovrei…”.
Hugh sembrò perplesso. “E’ un uomo adulto, sarà pur capace di occuparsi di se stesso senza dover essere assistito”.
Sì certo… Ma…”.
Hugh le indicò un negozio di dischi. “E’ il tuo giorno libero Demelza e non hai obblighi. Adoro la tua compagnia e purtroppo domani dovrò ripartire. Dai, fermati ancora un po’”.
La ragazza abbassò il capo, combattuta. Hugh aveva ragione e anche lei trovava che lui fosse un’ottima compagnia ma si sentiva comunque preoccupata per Ross, anche se non ce n’era effettivamente motivo. “D’accordo, solo due passi…” – rispose infine, arrendendosi alle sue insistenze almeno per qualche minuto ancora.
Hugh le studiò l’espressione del viso. “Sembri molto coinvolta… Insomma, è  solo il tuo padrone, no?”.
Demelza avvampò. “Certo… Ma ecco… Gli sono affezionata”.
Lui parve perplesso. “Più che affezionata, sembra”.
Quelle parole la colpirono. Da quando si sentiva così legata a Ross Poldark? Perché si sentiva così? Perché non ci aveva mai pensato fino alle parole di Hugh? Era sbagliato sentire verso di lui quella sorta di affetto e quel legame? Era una ragazzina al suo servizio dopo tutto e lui il suo padrone. E quello era il suo giorno libero, che diavolo le prendeva?! Deglutì, decidendo di non pensarci al momento e cambiando discorso. “Ti è piaciuto il film?”.
Hugh non parve troppo sorpreso da quel cambiamento di argomento così repentino davanti a un argomento che forse per lei stava diventando scottante ed imbarazzante. “Sì, forse era da bambini ma io studio arte ed architettura e quei disegni animati per me sono pura poesia. E a te?”.
Demelza sorrise. “Sì… Forse sto sviluppando uno strano animo sentimentale e forse, come dice il mio padrone, sono ancora una bambina dopo tutto”.
Ancora il suo padrone? Doveva essere ben più di questo per lei, sospettò il ragazzo… “E’ ebreo, dicono. Sei coraggiosa a lavorare per lui”.
Lei si incupì. “Non c’è nulla di coraggioso nel lavorare onestamente”.
Lo so, intendevo rispetto a questi tempi dove in Germania, essere ebreo…”.
Demelza lo fissò negli occhi con irritazione. “Per me questo non rappresenta affatto un problema”. E voleva che fosse chiaro!
Hugh ricambiò lo sguardo, colpito da tutta quella determinazione e fedeltà. “Me ne sono accorto”.
Demelza avvampò di nuovo. “In che senso?”.
Lui sorrise. “Beh, non sembravi propriamente felice oggi, a brindare al Furher e alle sue idee”.
Lei deglutì. “Si notava molto?”.
Hugh scoppiò a ridere. “Abbastanza! Se vuoi un consiglio, esercitati a diventare più convincente o ti caccerai nei guai”.
Demelza rimase per un attimo in silenzio. In quegli ultimi anni era riuscita a trovare un buon equilibrio fra i suoi pensieri e le sue azioni e se dentro di se odiava senza se o ma Hitler e il nazismo, in pubblico aveva imparato a denti stretti a non farlo notare, a rimanere nell’ombra e a mostrarsi fintamente compiacente nei fatti che riguardavano la politica tedesca. Ross le aveva detto di stare attenta e soprattutto per lui, perché si fidava dei suoi consigli, lo aveva fatto. Aveva partecipato alle manifestazioni di pubbliche del partito, aveva indossato la divisa della gioventù hitleriana e aveva imparato a fare il saluto nazista se necessario e anche se odiava tutto ciò che quel mondo rappresentava e il male che stava facendo agli ebrei, si era piegata perché aveva avvertito, nei consigli di Ross, affetto e preoccupazione sinceri verso di lei. Ross, ancora Ross, sempre Ross nei suoi pensieri, dannazione! E lei stava bivaccando lontana da casa e lui forse aveva bisogno che tornasse…
Osservò Hugh, indecisa se fidarsi o meno. Lui era inglese e apparentemente non aveva nulla a che fare con la politica locale ma in quegli anni lei aveva imparato che vi erano spie ovunque e che non ci si doveva fidare di nessuno o quasi. Quindi rimase sul vago. “E’ che certe cose mi sembrano così sciocche a volte… Voglio dire, Hitler non era lì, che piacere potrebbe provare da un brindisi in suo onore di cui non sa nulla?”.
Hugh parve stupito da quella risposta e si sentì ammirato per la sua intelligenza e per come sapeva condurre la discussione senza tradirsi. “Questo è vero, ma voi tedeschi amate nominarlo sempre e comunque, no?”.
Non è proprio così…”.
Lui, Hitler, quindi ti piace?”.
Demelza si morse il labbro davanti a quella domanda così diretta. “E’ il capo di questa nazione e non ci sono alternative e quindi spero che possa lavorare bene”.
Non hai risposto alla mia domanda, però”.
Demelza decise di giocare ancora sul sottile gioco della furbizia. “Non posso farlo, non capiresti”.
Perché?”.
Perché voi avete un re, è tutto diverso”.
Hugh scoppiò a ridere. “Oh si, ma ti stupiresti se ti dicessi che nella mia nazione non tutti amano la monarchia?”.
No, ma credo che abbiate la libertà di dirlo se vi va”.
Hugh scosse la testa. “Insomma, non del tutto… Comunque sì, abbiamo un re salito al trono a sorpresa l’anno scorso dopo che il fratello ha abdicato per fuggirsene in America con una divorziata”.
Demelza parve divertita dalla piega che prendeva il discorso, lei e Caroline spesso discutevano di gossip, di re e regine e scandali vari e la fuga del re inglese oltre oceano era stata al centro dei loro pettegolezzi per mesi. “Sì certo, se n’è parlato pure qui”.
Hugh si stiracchiò, passeggiando sotto i portici. “Ora c’è un re nuovo, dicono che balbetti. Ma ha una bella moglie e due graziose bambine, Elizabeth e Margareth, e rappresentano la famiglia ideale per guidare la nazione agli occhi degli inglesi. Amanti dei cani, con due bambine di mezzo piene di boccoli e vestiti di pizzi e merletti, di cui una diventerà regina, la gente si affeziona per forza”.
E noi abbiamo Hitler che non ha bambini” – concluse Demelza. Avrebbe voluto aggiungere ‘grazie al cielo’ ma se lo tenne per se.
Hugh annuì. “Sì ma sa essere convincente e usa, per intenerire, i figli di quel suo braccio destro, Goebbles. E urla, urla tantissimo, sa parlare e gridare in modo davvero efficace il vostro furher. La gente va in visibilio”.
Demelza scoppiò a ridere, Hugh sapeva rendere grottesca la figura di Hitler in modo adorabile. “Sì, urla parecchio. Forse è per farsi sentire ovunque… Non è molto alto dopo tutto”.
Hugh le mostrò un dipinto in una vetrina. “Sì, elogia la razza ariana, l’uomo tedesco alto e biondo. Cosa che, mi pare, lui non sia. Non ho mai capito se se ne renda conto…”.
Demelza rise di nuovo, divertita ma comunque sempre attenta a quel che diceva. “Lui è austriaco, non tedesco. E forse in casa non ha specchi e i suoi collaboratori non osano dirgli che non è biondo”.
Hugh le sfiorò la mano, ammirato da come lei stesse tenendogli testa senza sbottonarsi. Era palese che non amasse la figura del Furher e per questo la ammirava. Ma soprattutto era colpito da come, nonostante ciò, riuscisse a parlare di quell’uomo senza dire cose vietate ma al contempo senza elogiarlo andando contro se stessa.
Demelza osservò il sole ormai più basso, che iniziava a scomparire fra i tetti spioventi delle case. “Quando tornerai a Londra?”.
Alla fine degli esami, a giugno. Mi mancherà la Germania, ho visto posti meravigliosi in questa terra”.
Quali?”.
Hugh sorrise. “Beh, Dresda è davvero incantevole ma ho visitato anche Norimberga e Monaco di Baviera. E soprattutto Fussen, era il mio sogno fin da bambino andare lì”.
Il viso di Demelza si illuminò. “Oh, sei stato nei castelli del re folle?”.
Il ragazzo annuì. “Re folle? Re Ludwig? Era un genio, altro che folle!”.
Demelza si stiracchiò, ricordando quando Ross, anni prima, le aveva raccontato la storia dietro a quei castelli che da bambina, quando li vedeva in cartolina, la lasciavano a bocca aperta. “Beh, qui lo chiamiamo a quel modo. Era un sognatore, un visionario. Costruì castelli magnifici, da fiaba come quello in cui Biancaneve e il principe sono andati a vivere alla fine del film. Ma per costruirli, dilapidò il suo patrimonio e mandò in lastrico la Baviera. La sua morte è avvolta nel mistero, morì apparentemente annegato in una pozza d’acqua di dieci centimetri e si narra che il suo fantasma ancora vaghi fra le stanze dei suoi castelli”.
Hugh era deliziato, adorava parlare con lei di arte e storia. “Folle? Ha costruito castelli magnifici. E sì, forse spese molto ma ha lasciato un patrimonio inestimabile a tutti noi”.
Demelza lo occhieggiò, divertita. Forse Hugh non conosceva proprio tutta la storia… “L’ultima cosa che disse, che urlò – un po’ come Hitler – quando lo rinchiusero in uno dei suoi castelli come prigioniero, era che nessuno avrebbe mai posato piede su quei pavimenti. Li costruì per lui, non per i posteri”.
Ma dopo la sua stramba morte, furono aperti al pubblico per rientrare nelle spese. E in tre secoli la Germania ha recuperato alla grande quanto speso. E’ un genio e ciò che ha creato è magnifico”.
Demelza alzò le spalle. “Sì, sono belli!” – ammise.
La campana della piazza rintoccò le sette e la preoccupazione tornò ad attanagliare Demelza. “Hugh, sul serio, ora devo andare”.
Lui sembrò deluso. “Posso accompagnarti?”.
Preferisco andare da sola, cammino velocemente quando ho fretta”.
Il ragazzo le si avvicinò, accarezzandole la guancia e facendola arrossire. “Mi auguro che il tuo padrone sia consapevole della fortuna che ha”.
Lei non rispose ma quelle parole la colpirono, di nuovo. “Quella fortunata ad averlo incontrato sono io, mi ha cambiato la vita”.
E forse tu l’hai cambiata a lui, sei così bella e speciale”.
Demelza sorrise dolcemente, Hugh era un vero galantuomo. “Sono solo una mocciosa cresciuta nella miseria, dubito di poter cambiare la vita di qualcuno”.
Non sottovalutarti, sei molto più speciale di quello che pensi. E sei anche molto intelligente”.
Con un gesto d’affetto e gratitudine per quelle parole che la fecero sentire speciale, Demelza gli diede un leggero bacio sulla guancia. Hugh doveva aver compreso molto di lei, senza che lei gli spiegasse apparentemente nulla di ciò che pensava davvero. “Spero di rivederti prima o poi”.
Hugh sorrise. “Lo spero anch’io. E sta attenta”.
A cosa?”.
Ad essere convincente durante i brindisi”.
Lei rise. “Me lo ricorderò. Grazie di tutto Hugh, è stata una bella giornata e mi auguro che i tuoi studi e il rientro in Inghilterra vadano bene”.
E’ stata una bella giornata anche per me, grazie della tua compagnia. E ora va, si vede che non vedi l’ora di tornare a casa da lui”.
Lei avrebbe voluto replicare che era solo preoccupazione ma dentro di se sapeva che non era del tutto vero e che si sentiva legata a Ross Poldark più di quanto in quel momento sapesse ammettere anche solo a se stessa. “Buona fortuna”.
Poi corse via e lui la guardò sparire nel vicolo.
Che strano posto la Germania e che strane persone la abitavano. Non solo fanatici del regime, indottrinati e senza spina dorsale ma anche persone che avevano le loro idee e cercavano di farle valere in un mondo che metteva a tacere chi la pensava diversamente.
Demelza non lo aveva detto apertamente ma era palese che fosse contraria al regime ed anche se era giovane, in se aveva la forza che forse, assieme a tanti come lei, un giorno avrebbe portato alla rinascita della Germania dopo il buio che la stava avvolgendo. Avrebbe voluto conoscerla meglio ma doveva rientrare. Gli spiaceva non essere stato del tutto sincero con lei ma non poteva dirgli di non essere solo uno studente ma anche e soprattutto una spia del governo inglese, inviata per capire meglio come si muoveva la società tedesca sotto Hitler. Ma d'altronde quelli erano tempi duri e nessuno era completamente sincero, nemmeno Demelza lo era stata in fin dei conti.
Hugh sorrise, quella ragazza gli piacevole e nel suo rapporto avrebbe raccontato anche di lei, senza metterne il nome. Sarebbe stato davvero piacevole dire, nel suo rapporto, che non tutti seguivano come pecore quell’uomo sinistro dai baffetti scuri che urlava e blaterava cose folli alle folle ma che c’erano anche persone oneste per le quali valeva la pena lottare affinché potessero vivere in una nazione libera e prospera, amica delle altre nazioni e non più un pericolo per esse.
No, non avrebbe dimenticato Demelza Poldark e in cuor suo sperava di rincontrarla un giorno…
Anche se, temeva, prima di allora li aspettavano tempi difficili.
Ma per il momento il sole era ancora visibile in cielo ed era stata una bella giornata. Questo per ora bastava.


Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo sei ***


Al ritorno a casa, Demelza trovò Nampara insolitamente buia e silenziosa. Certo, c’era ancora luce ed era primavera, il suo padrone non era solito accendere il lume se non era necessario e poteva anche essere uscito, però la situazione le sembrò ugualmente strana.
Trovò Garrick che sonnecchiava davanti al recinto (ben chiuso) delle galline ma di Ross nessun segno. Era forse uscito nonostante non avesse impegni e non si sentisse affatto bene?
Demelza entrò in casa e in cucina trovò totalmente intatto ciò che aveva lasciato preparato per pranzo al suo padrone. Il cuore prese a battere più forte, stava forse così male da non potersi alzare dal letto per mangiare?
Di corsa salì al piano di sopra e aprì la porta della stanza patronale immersa nella penombra dovuta alle imposte semi-chiuse. Ross Poldark era ancora a letto, avvolto nelle coperte, piuttosto pallido in viso.
L’uomo, sentito l’uscio che si apriva, sollevò il capo. “Non si usa più bussare prima di entrare nella stanza di qualcuno?”.
Demelza si morse il labbro e arrossì. A quanto sembrava lui era ancora di cattivo umore come quella mattina. “Beh ecco, sì… Ma di sotto ho visto il cibo intatto e mi sono preoccupata per un aggravamento delle vostre cond…”.
Ross la bloccò con un gesto della mano, mettendosi a sedere. “Ti ho detto che sto benissimo! Un uomo potrà pur decidere di voler stare a letto nel suo giorno di riposo, no? Sono sano come un pesce!”.
E io ribadisco che è una bugia!” – sbottò lei, picchiando il piede sul pavimento.
Ross la fissò con irritazione. Sapeva di non aver motivo di avercela con lei, che Demelza durante la sua giornata libera poteva fare ciò che voleva ed era abbastanza grande per fare le sue scelte ma era irritato. Forse con se stesso più che con lei perché in quella giornata solitaria non aveva fatto altro che chiedersi cosa Demelza stesse facendo e se quel bell’imbusto inglese le avesse messo le mani addosso. Anche quello non doveva essere affar suo ma l’idea gli faceva ribollire il sangue. Demelza era in grado di tenere alla larga qualsiasi persona a lei sgradita ma se quel ragazzo non le fosse stato sgradito affatto? La osservò in viso chiedendosi se lo avesse baciato, se fosse in qualche modo diversa dalla ragazza che era uscita da quella stessa casa quella mattina ma non riuscì a leggere nulla nella sua espressione. Si sentì in colpa, una sorta di guardone della vita altrui e non capiva perché gli importasse tanto. Ma Demelza era cresciuta con lui, davanti ai suoi occhi si era trasformata in una giovane e bella donna e l’istinto di protezione e il ruolo padrone/domestica facevano ormai a pugni con l’attrazione che provava verso quella ragazza che stava sbocciando. Non la amava, non voleva più amare nessuno dopo essersi scottato con Elizabeth ma la desiderava e sarebbe stato sciocco non ammetterlo a se stesso. E questo lo confondeva perché non capiva da cosa nascessero questi istinti verso una persona che fino a poco tempo prima vedeva come una pestifera ed impertinente ragazzina. Non poteva cedere a certi istinti, farsi avanti… Intanto non era detto che lei nutrisse un qualche genere di interesse per lui, non aveva nulla da offrirle, era tedesca e lui ebreo e un rapporto fra loro non avrebbe fatto altro che metterla in pericolo ed inoltre non sarebbe stato giusto. Demelza meritava ben altro, amore e affetto sinceri e non un uomo che provava per lei pura e semplice attrazione. Non che non le volesse bene, gliene voleva molto e rispettava la sua intelligenza e il suo acume, adorava il rapporto amichevole e famigliare che si era instaurato fra loro ma questo non poteva bastare. Non per lui e i suoi dettami morali. “Quando fai così, sembri proprio una mocciosa. Solo i mocciosi picchiano il piede a terra”.
Anche far finta di essere un uomo di ferro che non si ammala e che invece se ne sta a letto come un cencio stropicciato, bianco come un fantasma, è da mocciosi”.
Colpito e affondato. Ecco, c’era un’altra cosa che apprezzava in lei, la sua mancanza di peli sulla lingua. Quando Demelza metteva in luce questo lato del suo carattere davanti agli altri lo trovava divertente, un po’ più difficile era gestirlo quando lo faceva con lui migliorando la sua tecnica di volta in volta. “Sembro un cencio stropicciato?”.
Sembrate uno con la febbre”.
Ho mal di testa, tutto qui”. Era vero ed era atroce, un dolore fisso sulle tempie che pulsava senza sosta e forse aveva anche la febbre ma ostinatamente non voleva ammetterlo.
Demelza si sentì in colpa per essere uscita perché benché lui minimizzasse, era palese che fosse malato. “Volete che chiami Dwight?”.
No”.
Signore, ma…”.
NON-HO-NULLA!”.
La ragazza non si scoraggiò e si avvicinò, appoggiandogli dolcemente la mano fresca sulla fronte. Faceva così quando era bambina e i suoi fratelli parevano malati… “Scottate. Non molto ma un po’ si”.
Ross sentì un brivido a quel contatto. Demelza era gentile, era palese che si preoccupasse per lui e in cambio stava ricevendo solo scortesia e saccenza. “Non è nulla, domani starò meglio”.
Demelza si sedette al suo fianco. “Se mi aveste detto di non stare bene stamattina, non sarei uscita. Non avete nemmeno toccato cibo e non è da voi”.
Era il tuo giorno libero e avevi un appuntamento!”.
Demelza arrossì. “Non era un appuntamento!”.
Certo, non era un appuntamento come io non ho la febbre” – rispose Ross, sarcastico.
Demelza sospirò, divertita nonostante tutto. “E’ così importante definire la nostra giornata?”.
Si trovò d’accordo con lei. Lui aveva indubbiamente la febbre e lei era uscita con un ragazzo, tutto banalmente qui, senza motivo di recriminazione. “Non sei obbligata a stare a casa, sei una persona libera e hai diritto al tuo giorno di riposo”.
Sarei rimasta a casa volentieri”.
Non sapeva se crederle o no ma sapeva che era sincera per quanto riguardava il suo stato di salute. “Non ho nulla di grave, una buona dormita e domani sarò come nuovo”. Avrebbe voluto aggiungere che le era mancata e che sì, le avrebbe fatto piacere saperla in casa quel giorno ma ovviamente non poteva farlo, andava oltre al loro rapporto che doveva rimanere strettamente professionale. “Com’è stata la tua giornata?” – chiese infine, cambiando discorso volontariamente.
Lei si trovò in imbarazzo. Non sapeva perché ma raccontare a Ross Poldark di Hugh Armitage la metteva a disagio. “E’ stata bella… più o meno”.
Ross entrò in allarme. L’inglesino aveva tentato qualche approccio esagerato? “Più o meno?”.
Durante il pic-nic sono stata costretta a fare un brindisi al furher” – rispose, sospirando.
Ross si trovò a mascherare un sorriso, trovava a suo modo divertente l’avversione di quella ragazza puramente ariana per Adolf Hitler. “Capisco…”.
Demelza si alzò dal letto, avvicinandosi alla finestra. “A parte questo però, è stata una giornata piacevole, divertente. Non mi capita spesso di uscire con ragazzi della mia età e a parte Caroline, non vedo mai praticamente nessuno dei miei coetanei del paese. E’ bello ogni tanto essere solo una ragazza…”.
Ross la osservò, trovandosi a pensare a quanto, da sempre, la vita di quella giovane donna fosse stata dura. Orfana di madre da piccolissima, sei fratellini di cui prendersi cura, un padre alcolista e violento, un lavoro presso di lui come domestica e forse mai un vero sogno o ambizione da perseguire. Demelza era stata cresciuta con l’idea che fosse adatta solo a lavorare e ora che stava iniziando a formare una personalità propria – una forte personalità – sentiva giustamente il bisogno di vivere la spensieratezza della sua età. La capiva, in fondo nemmeno lui aveva avuto una infanzia e una giovinezza libere da pensieri e anche se in fondo aveva potuto trovare il tempo di fare il ragazzino e cacciarsi nei guai vivendo i rischi dell’età, sentiva su di se il peso di una madre assente e un padre con la mente addolorata e lontana. Né lui né Demelza erano cresciuti attorniati dal cosidetto ‘focolare domestico’ e questo gliela faceva sentire incredibilmente vicina in quel momento. “Capisco, davvero. Forse dovresti uscire più spesso”.
Demelza, a quelle parole, ripensò a quanto dettole da Hugh. “Può essere pericoloso. Per via di Hitler, sapete…”.
Sei tedesca e ariana, puoi fare ciò che vuoi”.
Ma non so fingere troppo bene. Il mio scarso entusiasmo per il furher prima o poi mi tradirà!”.
Ross scoppiò a ridere a quelle parole. “Chi ti ha detto una cosa simile?”.
La ragazza sospirò. “Quel ragazzo, Hugh” – sussurrò, arrossendo.
Hugh… Nel sentire quel nome, Ross si irrigidì. Ecco il punto del discorso, il tarlo che lo aveva divorato tutto il giorno. Quel nome sentiva di detestarlo anche se non conosceva il proprietario. Ma era giovane, inglese, non ebreo e acculturato. Tutto ciò poteva apparire estremamente seducente agli occhi di una giovane ragazza. “Che gli hai detto?” – chiese, allarmato che lei si fosse sbottonata troppo nel parlargli dei suoi sentimenti verso il nazismo.
Nulla di compromettente, sono stata attenta”.
Lui la bloccò. “Ci sono spie ov…”.
Anche lei lo fermò. “Ovunque, lo so”. Avrebbe voluto aggiungere che secondo lei Hugh non lo era affatto ma qualche cosa del suo istinto la bloccò. In fondo le spie non erano mica abili a cammuffarsi? Difficilmente un giovane studente inglese poteva esserlo ma sapeva anche che perorare quella causa davanti a Ross Poldark l’avrebbe condotta a una cocente sconfitta. Lui avrebbe trovato mille valide ragioni per farglielo sembrare sospetto e sapeva che quelle mille ragioni potevano essere plausibilissime.
Ross si accorse che quel silenzio nascondeva imbarazzo. “E’ andato tutto bene con lui? Ti sei divertita?”.
Demelza sorrise. “Sì, siamo stati al cinematografo a vedere quel film di animazione di Walt Disney, Biancaneve. Ohh, è stato così magico!”.
Ross alzò un sopracciglio. Un maschio, UN RAGAZZO, che andava a vedere cartoni animati per bambini? Iniziava a provare curiosità per questo Hugh… “Non che mi intenda di cinema ma questo Disney non fa mica cose per ragazzini?”.
Gli occhi di Demelza brillarono. “Oh, no, non solo! Lui crea magie e la magia è bella per tutti!”.
Per una ragazza di certo” – obiettò Ross – “ma un giovane uomo…”.
Demelza lo bloccò. “Sembrate il furher”.
Scusa?”.
Lei alzò le spalle e ironicamente imitò la voce di Hitler. “Gli uomini devono fare la guerra con nervi di acciaio, essere pronti a morire per la patria e non possono permettersi debolezze e sentimentalismi”. Annuì, fiera della sua interpretazione. “Lui direbbe così!”.
Ross rise, in effetti il ragionamento non faceva una piega. “Ok, magari un uomo potrebbe essere una buona via di mezzo fra un combattente ariano e uno che va a vedere un cartone animato”.
Demelza ci pensò su. “Non c’è niente di male ad andare al cinematografo a vedere un cartone animato”. Ne era estremamente convinta e sapeva che anche Hugh lo aveva trovato divertente.
Ross sospirò. Nonostante la conversazione fra loro fosse diventata improvvisamente piacevole, stavano avvicinandosi a un livello di confronto troppo personale. “Demelza, sicuramente Hugh ti ha accompagnata unicamente per compiacerti”. Non voleva dirlo ma non riuscì a frenarsi…
Lei parve non capire. “Perché avrebbe dovuto farlo? Se non fosse stato interessato, sarebbe bastato dirlo e avremmo cambiato programma. Hugh è un artista, un poeta, uno studioso… Credo trovi affascinante la tecnica dell’animazione”.
Ancora una volta, Ross non riuscì a trattenersi. “Credo trovi più affascinante te… Per questo ti ha chiesto di uscire”.
Quelle parole la riempirono di imbarazzo e non riuscì a trattenersi dall’arrossire. “Vi… sbagliate. Come potrebbe interessarsi a me un giovane colto come Hugh?”. Era impossibile anche solo pensarlo!
Perché non dovrebbe?” – insistette Ross – “Avete circa la stessa età, siete liberi e abbastanza grandi per questo genere di cose”. Dirlo ad alta voce faceva male, così come la consapevolezza che stava spingendosi troppo oltre, forse per metterla in guardia, forse per farle capire qualcosa di se stesso oltre che di Hugh. I sentimenti e le pulsioni di un uomo verso una donna erano uguali ad ogni latitudine del mondo dopo tutto e un giovane ventenne bombardato dagli ormoni della pubertà non poteva che desiderare carnalmente una giovane ragazza in fiore come Demelza.
La risposta di Demelza interruppe il flusso dei suoi pensieri. “E’ uno studioso, signore. Inglese, colto, un universitario che presto tornerà a casa. Cosa potrebbe trovarci di interessante in una domestica quasi analfabeta che non ha mai messo il naso fuori da questo paesello?”.
Ross provò un momento di gioia. “Sta per tornare in Inghilterra?”.
Sì, a fine semestre”.
Quindi non lo rivedrai più?”.
Lei scosse la testa. “No, non credo, non lo so… Mi ha detto che mi scriverà però. Devo esercitarmi meglio nella lettura e nella scrittura, la sera. Almeno saprò rispondergli in modo comprensibile”.
Ross abbassò il capo, pensieroso. Improvvisamente in mal di testa era aumentato. “Quindi ci tieni al fatto che ti scriva?”.
Credo di sì, è un ragazzo così piacevole e gentile. E sa così tante cose anche del nostro paese che è bello parlarci e discuterne”.
Solo per questo?”. D’accordo, stava andando decisamente troppo sul personale, Ross lo sapeva. Ma interrompere quella conversazione stava diventando una impresa sempre più impossibile.
In che senso?”.
Ross scosse la testa. “Avanti Demelza! Lui è quasi un uomo, tu quasi una donna, non siete più ragazzini e alla vostra età, se si desiderano la compagnia di qualcuno e le sue attenzioni, non è certo per andare al cinema a vedere un cartone animato. Non solo per questo, almeno…”.
Lo sguardo di Demelza si indurì, le dava fastidio che lui sentisse il bisogno di farle quella ramanzina. “Non sono una ragazzina e so bene cosa succede fra un uomo e una donna! Ma Hugh è stato un gentiluomo educato e semplicemente ha provato piacere a passare un pomeriggio con me! Non so se l’abbia fatto per compiacermi, forse sì ma sicuramente ha fatto qualcosa che piaceva anche a lui. E voi non siete mio padre per dirmi queste cose!”.
Spesso, quando le cose fra loro diventavano personali, Demelza gli ricordava che lui non era suo padre e se fino a poco tempo prima in effetti a volte si sentiva in dovere di essere la figura adulta che guidava le azioni della ragazza, ora le cose erano diverse. Era bella, desiderabile, per lui quanto sicuramente per Hugh e qualsiasi altro ragazzo. “Non mi sento decisamente tuo padre e questo vorrei che fosse chiaro una volta per tutte!”.
E allora perché mi dite queste cose?”.
Ross la fissò a lungo, non sapendo come uscirne. Era stato lui a portare la conversazione verso binari che sarebbe stato meglio evitare ed ora non poteva tirarsi indietro nascondendosi con mezze frasi e allusioni generiche. “Perché… forse… un po’ ero preoccupato dal saperti sola con quel ragazzo straniero”.
Preoccupato?”.
Forse non è la parola giusta Demelza… E forse non dovremmo nemmeno avere questa conversazione”.
Lei si morse il labbro, con il cuore che le martellava nel petto. C’era qualcosa di altamente personale fra loro, qualcosa a cui forse non aveva mai osato sperare e pensare e che magari non aveva la maturità per comprendere appieno ma sentiva che doveva insistere visto che Ross sembrava non riuscire a essere sincero del tutto e pareva frenarsi. “L’avete iniziata voi questa conversazione, non io!”.
Lo so, non ricordarmelo”.
Demelza strinse la stoffa della sua gonna, stropicciandola con la mano. “Ma dubito si possa tornare indietro, quindi forse dovreste dirmi quello che sentite e che volete intendere”.
Io credo che forse non dovrei! Magari straparlo, magari ho davvero solo la febbre!”.
Demelza scosse la testa. “Non siete moribondo!”.
Ross sorrise, nonostante tutto era affascinante il suo strano sarcasmo. Prese un profondo respiro, forse affrontare il nocciolo della questione lo avrebbe aiutato a vedere le cose in una prospettiva più innocente e meno compromettente per entrambi. “Credo mi desse… fastidio… saperti al cinema con quel tizio”.
Demelza rimase in silenzio alcuni istanti dopo quelle parole. Poi prese un profondo respiro. “Avreste potuto venirci voi al suo posto… Ve l’ho chiesto tante volte, tante volte mi avete promesso che lo avreste fatto e invece avete sempre trovato una scusa”.
Non amo il cinema, lo sai! E inoltre le leggi mi vietano di venire nei luoghi pubblici destinati agli ariani”.
Demelza scosse la testa, stava trovando mille scuse patetiche. “Le leggi che lo vietano esistono, è vero! Ma non da così tanto tempo e fino a poco fa avreste potuto…”.
Non è una cosa che mi appassiona… Nemmeno la radio, nemmeno tutte le cose tecnologiche che stanno inventando e che invece voi sembrate apprezzare tanto!” – tentò di giustificarsi.
Come fate a dirlo se nemmeno le avete provate? Molte di quelle invenzioni aiutano a renderci la vita meno pesante e difficile. Non parlo del cinema ma gli elettrodomestici… E comunque non è un peccato divertirsi con musica e cinema, ogni tanto. La vita non deve essere fatta di solo lavoro e doveri” – ribatté lei.
Ross alzò lo sguardo su di lei che in quel confronto pareva schiacciarlo dimostrando una maturità decisamente superiore ai suoi anni. Continuava a ostinarsi nel volerla trattare da ragazzina, si sentiva in colpa per l’attrazione che provava verso di lei e non riusciva ad accettare di avere davanti una donna ormai fatta e finita, intelligente, scaltra, saggia oltre che molto bella. “Mio padre mi diceva sempre, in effetti, che la mia cocciutaggine non mi permetteva, a volte, di guardare oltre…”.
Demelza si avvicinò alla finestra, osservando il bellissimo tramonto primaverile che si dipanava fuori dalla stanza. La natura era un tripudio di colori e il cielo, terso e limpido, sembrava quasi beffardamente appoggiarsi su un mondo e su anime in subbuglio. La ragazza pensò al suo padrone, un uomo che, da quando l’aveva conosciuto, aveva venerato. Affascinante, gentile, giusto, dal carattere a volte complicato ma che non poteva non colpire chi sapeva e voleva conoscerlo bene. Era testardo, spesso diventava un mulo e se si fossilizzava sulle sue idee era difficile fargliele cambiare ma anche questo faceva parte del suo fascino ai suoi occhi. Per Demelza, negli anni, l’ammirazione infantile si era trasformata pian piano in profonda riconoscenza e fiducia incrollabile nonché in un totale senso di appartenenza a lui e a quella casa. Era un uomo che, quando la guardava, le faceva ribollire il sangue come nessuno e che giudicava bello come e più di un divo del cinema. Se ne sentiva attratta certe volte e forse avrebbe dovuto dirgli che nessun Hugh Armitage avrebbe potuto competere con la visione che aveva di lui, ma… Aveva senso aprirsi a lui, al suo padrone, in quel modo? Lei, una misera piccola stracciona presa per pietà come domestica come poteva anche solo pensare di esporre certi pensieri a un uomo come Ross Poldark? Un uomo un tempo – e forse anche adesso – innamorato di una dea vivente come Elizabeth, che cosa poteva vedere in una ragazzina come lei? La verità era che negli anni Ross per lei era diventato tutto,  tanto da non toglierselo dalla testa nel suo giorno di riposo a spasso con un altro uomo, sapendolo malato. Ma l’altra faccia della medaglia era che sicuramente per lui non era così. Però sapere che era stato preoccupato sapendola in compagnia di un giovane che magari poteva non essersi comportato un gentiluomo, le aveva scaldato il cuore. Improvvisamente i ricordi del piacevole pomeriggio con Hugh sparirono lasciando spazio a un forte desiderio di dirgli anche solo in parte come si sentiva. “Se mi aveste chiesto, detto, di voler venire al cinematografo con me, io ne sarei stata felice. Non ci avrei messo mezzo secondo ad annullare l’uscita con gli altri ragazzi e con Hugh. Me lo avete promesso un sacco di volte ma non lo avete fatto mai! E lo so, a volte le bugie si raccontano per far star zitti i bambini troppo insistenti e quindi da un po’ non ve lo chiedo più ma ci sarei venuta davvero, con voi, oggi, a vedere Biancaneve o qualunque altra cosa voi aveste proposto”.
Parlò senza voltarsi, con lo sguardo rivolto verso la finestra, dandogli le spalle, in un tono decisamente serio. Difficilmente lui ricordava di averla mai sentita parlare in modo tanto serio…
D’istinto Ross si alzò dal letto e la raggiunse, poggiandogli le braccia sulle spalle e costringendola a voltarsi. “Non ti vedo e non ti tratto come una bambina, tutt’altro. Forse un tempo è stato così ma ti assicuro che da un po’ le cose sono decisamente cambiate. Ed è questo il problema”.
Demelza sussultò. “Cosa intendete?”.
Ross alzò la mano, sfiorandole d’istinto una ciocca di capelli che le sfiorava la guancia. Forse era giusto essere onesti visto che Demelza lo era e si stava dimostrando abbastanza adulta per quella conversazione. “Intendo che vederti come una bambina era molto più facile. Ma ora non è più così e no, non ti voglio fare da padre o da mentore o fratello maggiore. E a volte certo di mantenere le distanze per evitare di essere troppo vicino a te. Hugh, io, chiunque altro siamo uomini, nient’altro che uomini con istinti a volte forti per essere tenuti a bada. Proviamo desiderio quando guardiamo una donna e spesso quel desiderio è guidato puramente da istinti egoistici”.
Demelza sussultò, arrossendo. “Desiderio? Parlate di…”.
Ross le si avvicinò ulteriormente, ormai i loro visi erano a pochi centimetri. “Parlo di ciò che è evidente. A me, a Hugh e sicuramente a qualcun altro. Sei cresciuta, sei bella e noi uomini ci sentiamo attratti davanti a una giovane che diventa donna come lo sei diventata tu. Ma quel desiderio è un bene o un male? Nel mio caso lo avverto e lo sento come un male”.
Demelza si sentì vorticare il mondo attorno. Lui stava dicendo che era attratto da lei? Aveva davvero capito bene? Perché conosceva l’amore solo da quanto visto nei film al cinematografo ma non ne aveva esperienza e non era certa di aver compreso appieno quello che il suo padrone le stava dicendo. Ma di una cosa era certa, però! “Credo che voi pensiate troppo” – si azzardò a dire.
Come?”. Era sarcastica o seria? “Hai idea di chi sono, della mia età e della politica di questo dannato paese?”.
Demelza alzò lo sguardo su di lui e i suoi occhi azzurri erano di fuoco. “Sì, pensate troppo a cose in cui forse dovreste farvi guidare dall’istinto. Avete dieci anni più di me, non così tanti. Siete un uomo onesto e vivete sentimenti umani e sì, so anche cosa vive questo paese visto che devo indossare da anni quella dannata divisa da ragazza della gioventù hitleriana che odio. Ma so anche che questa è la vostra casa, che ci vivo da anni e qui comandate voi, non Hitler e le sue leggi! Di certo quelle leggi non hanno mai comandato ME! Sto dicendo che, se ho compreso bene, ciò che mi avete detto mi rende felice e che se è quello che sentite, non sarò io a fermarvi, tutt’altro…”.
Ross dovette far resistenza a se stesso per non baciarla, spingerla sul letto e farla sua. Con gli ultimi brandelli di coscienza che gli rimanevano prima dell’oblio, tentò una ultima difesa. “Non sono l’uomo per te, non lo sono più per nessuno dopo Elizabeth e i miei sono sentimenti tutt’altro che romantici. Non fa per me l’amore e non voglio provarlo. Provo desiderio, davvero questo ti basta?”.
Sì, le bastava perché sapeva che Ross era troppo severo verso se stesso e aveva tanto da dare ad una donna anche se sembrava aver chiuso il suo cuore. Sapeva che non l’amava, non era tanto sciocca da illudersi di una cosa del genere, ma sapeva di volerlo e che essere desiderata da lui era quasi come un sogno che si avverava. Se pensava alla sua prima volta, a quel rapporto fra uomo e donna spesso accennato ma mai spiegato fino in fondo da Caroline, era con lui che voleva avvenisse, era un desiderio che aveva cullato segretamente anche da se stessa da tanto. “Mi basta, sì”.
Non essere sciocca!”.
Lei alzò lo sguardo, decisa. “Non sono sciocca e non mi getto via. So bene del vostro rapporto con  Elizabeth e di certo non posso competere con lei ai vostri occhi. Ma so che tenete a me, so che non volete ferirmi e lo so perché avete mille preoccupazioni a mio riguardo. Mi basta, mi basta solo questo, davvero! E’ più di quanto chiunque abbia provato per me da quando sono nata”.
Ti farò del male!”.
No, non credo!”.
Ross scosse la testa, tentò di resisterle ma dovette cedere. Le strinse la vita, la attirò a se e poi la baciò furiosamente sulle labbra. Labbra mai toccate da nessuno, era felice che Hugh non le avesse violate.
Demelza rispose al bacio, tremando per quelle sensazioni nuove e quel contatto fisico mai vissuto prima. Santo cielo, si sentiva ribollire e Ross altrettanto.
Ma quando lui la strinse a se facendole avvertire il suo corpo e la sua virilità, si irrigidì e avvertendolo, Ross si staccò da lei.
Demelza, vattene!”.
Signore, io…”.
Lui si allontanò, con notevole fatica. Non poteva permettere che succedesse, troppi erano i rischi e troppo poco ciò che poteva offrirle. “Vattene! Vai nella tua stanza e restaci!”.
Ferita, Demelza indietreggiò. “Non voglio!”.
Lo sguardo di Ross si fece furioso, doveva cacciarla, per il suo bene! “Vattene e dimentichiamoci di tutto questo! Vattene o dovrò rimandarti da tuo padre!”.
A quella minaccia, gli occhi di Demelza si riempirono di lacrime. Indietreggiò, si avvicinò alla porta e sparì dietro all’uscio.
Ross la lasciò andare prima di chiudere la porta e dare un pugno alla parete. Il corpo gli faceva quasi male e il bisogno di allontanarla faceva a botte con il suo desiderio per lei. E ora che ne sarebbe stato del loro rapporto e della loro amicizia? Come avrebbero potuto proseguire come se nulla fosse stato? Come avrebbe potuto resisterle?
Non doveva succedere, non doveva!!!


Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo sette ***


Dopo che Ross l’aveva allontanata da se dopo il bacio che si erano scambiati, su Nampara era calato un fitto gelo e le conversazioni fra i due si erano come congelate in uno stato di tensione e risentimento. Ross usciva al mattino presto, rientrava la sera tardi, cenava, spiegava freddamente a Demelza i suoi compiti per il giorno successivo e poi si chiudeva o in camera o nel suo studio. Delle loro chiacchiere e risate serali non vi era più traccia e ognuno pareva essersi chiuso in se stesso, rifugiandosi nei rispettivi ruoli di padrone e domestica. Questa era stata infatti l’unica cosa che Ross aveva detto il giorno dopo quel bacio. “Io sono il tuo padrone, tu la mia domestica, i ruoli sono quelli. Ricordalo”.
Demelza era amareggiata ma ancor più, si sentiva ferita. Non tanto per il rifiuto di Ross Poldark di affrontare la situazione che si era creata fra loro, quanto per il fatto che sembrava aver dimenticato la parte amichevole e bella del rapporto costruito da entrambi fino a quel momento, quel rapporto che non la faceva sentire una normale domestica ma parte di quella casa. Tutto finito, tutto dimenticato… Ma in fondo di cosa si stupiva? Alla fine cos’era se non davvero una banale domestica arrivata dal nulla? E lui non era forse un proprietario minerario discendente di una antica e blasonata famiglia? Davvero lei aveva rivestito una qualche importanza nella sua vita? Come aveva potuto illudersi?
Anche se non era nella sua natura, Demelza stessa si era irrigidita e si limitava a poche parole con lui, a semplici scambi verbali relativi unicamente al lavoro da svolgere. “Sì signore, va bene signore”. Tutto semplice, tutto facile, nessun coinvolgimento. Non era così che doveva comportarsi una brava domestica?
C’erano stati momenti in quelle settimane in cui aveva pensato che forse sarebbe stato meglio andarsene. Ma dove? Non aveva altri lavori, non voleva tornare da suo padre e soprattutto non voleva lasciare lui e Nampara. Ross Poldark significava tanto per lei e da quando era nata era stato l’unico a trattarla con rispetto, a interessarsi a ciò che voleva dire, a cosa avesse fatto durante la giornata, al suo mondo e ai suoi pensieri… E anche se ora tutto sembrava finito e lui sembrasse semplicemente distante ed indifferente, per lei non era finita affatto. E quindi, finché non fosse stato il suo padrone a cacciarla, lei sarebbe rimasta al suo posto e avrebbe quanto meno svolto al meglio il suo lavoro senza dargli disturbo.
Era ormai giugno e il tempo era caldo e piacevole.
Erano passate più di tre settimane da quella domenica incriminata e quel pomeriggio era andata in bicicletta in piazza per comprare scorte per la dispensa. E visto che la sfortuna non arriva mai da sola, giunta a destinazione le era caduta nuovamente la catena della bicicletta. Imprecò fra se e se, come faceva da bambina. Poteva fare tutto ma odiava sporcarsi le mani con l’olio nero degli ingranaggi e siccome capitava spesso, era sempre stato Ross a sistemarle la bicicletta. La prendeva amabilmente in giro per questo aspetto del suo carattere che trovava divertente ma ora le cose erano cambiate e non se la sentiva di chiedergli più niente. Quindi optò per portare la bicicletta dal ciclista di Annaberg-Buchholz, il signor Spieldarman, fece la spesa e poi tornò a piedi a casa. La bicicletta, aggiustata, le sarebbe stata restituita dopo due giorni al costo di pochi spiccioli. Soldi ben spesi, pensò…
Arrivò accaldata, con le borse in mano, percorrendo a lunghe falcate il sentiero che dal villaggio portava a Nampara e quando aprì l’uscio, scoprì che Caroline e Dwight erano venuti a far visita e con Ross stavano conversando amabilmente in salotto.
Quando entrò Ross non la salutò nemmeno, al contrario di Dwight e Caroline che le andò incontro. “Mia cara, che fine hai fatto? E’ un po’ che siamo qui”.
Demelza sorrise, poggiando le borse della spesa in terra. “Sono stata al villaggio a fare compere e la catena della bicicletta mi ha di nuovo tradita. L’ho lasciata dal signor Spieldarman per farla riparare e sono tornata a piedi, per questo ci ho messo tanto”.
Dwight rise. “Oh, quindi Ross si è stancato del lavoro di ciclista!”.
Per un attimo calò un silenzio imbarazzato che però Demelza fu veloce a stoppare. “No, è che ero troppo lontana da casa e non ce l’avrei fatta a tornare con la bicicletta rotta e le borse della spesa, quindi ho deciso di rivolgermi a Spieldarman”.
Caroline e Dwight si guardarono brevemente negli occhi, avvertendo una strana tensione che mai avevano avvertito nel rapporto rilassato fra Demelza e Ross. Ma non chiesero nulla e Demelza gliene fu grata.
La ragazza prese le borse, dirigendosi verso la cucina. “Vi preparo del tè?”.
Ci siamo arrangiati mentre tu non c’eri e abbiamo bevuto del sidro, non ci serve nulla!” – rispose Ross, freddamente.
Demelza si irrigidì. “Sì signore. Allora vado a sistemare e se avete bisogno, sono di la”.
Caroline e Dwight si fissarono nuovamente. Che stava succedendo? Quando arrivavano a Nampara, quello fra loro era un incontro fra quattro amici, non c’erano ruoli, non c’erano ospiti, padrone e domestica mentre in quel momento avvertivano un forte distacco fra Ross e Demelza, quasi che ognuno non volesse avere a che fare con l’altro. Avevano discusso? Demelza in fondo era molto portata a rispondere a tono e Ross era una persona che si accendeva facilmente quando colpito nel vivo…
Caroline strinse i pugni, decisa a far terminare subito quella situazione strana e incomprensibile. “Aspetta! Volevo giusto che ci fossi anche tu! Io e Dwight abbiamo due notizie importanti da darvi! Una bella, una brutta!”.
Dwight sospirò alzando gli occhi al cielo mentre sia Ross che Demelza sembrarono assumere un atteggiamento più curioso.
Demelza poggiò nuovamente le borse. “Che succede?”.
Caroline le si avvicinò. “Partiamo dalla bella notizia! Clarke Gable ha appena firmato il contratto per il film dell’anno, anzi, DEL SECOLO!!! Con Vivien Leigh sarà il protagonista dell’adattamento di Via col vento! Prevedo un successo planetario, prevedo un film che resterà per secoli negli annali del cinema, prevedo di piangere tutte le mie lacrime quando lo vedrò”.
A Demelza scappò da ridere, Caroline era davvero spassosa quando parlava di Gable con quella venerazione, quasi quanto lo era lei quando parlava di Chaplin. “Ottimo! E la notizia brutta?”.
Caroline sbuffò. “La notizia brutta è che non so quando potrò vederlo visto che un mini-Enys è in arrivo e accidenti, romperà le scatole proprio all’uscita del film!”.
Ross spalancò gli occhi e Demelza ci mise un attimo a capire. Poi scoppiò a ridere e col consueto entusiasmo con cui si approcciava sempre alle belle notizie indipendentemente dal suo stato d’animo, abbracciò quella brontolona della sua cinica amica che, poteva scommetterci, era felice anche se non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura.
Caroline sbuffò. “Sei incaricata di venire a salvarmi da un mondo fatto solo di pannolini e latte! Le nostre uscite al cinematografo devono rimanere immutate!”.
Demelza sospirò, divertita. Era da giorni che non provava sensazioni tanto belle ed era felice perché quel bimbo sarebbe stato amato e accudito con mille cure e tanto amore. “Farò del mio meglio”. E così la vita andava avanti, con le sue meraviglie, i suoi dolori, i suoi cambiamenti. La gente cresceva, si evolveva, abbracciava nuove esperienze e chissà quando questo sarebbe potuto succedere anche a lei…
Ross poggiò la mano sulla spalla di Dwight. “E così seguite i dettami del regime e contribuite alla politica militare di Hitler con un futuro piccolo soldato. Eppure, sono comunque felice per voi”.
A quelle parole, Caroline lo bloccò. “Spero sia femmina, altro che soldato! Mi ci manca solo di avere per casa un marmocchio che saluta alzando il braccio e brinda col biberon alla salute del furher o che mi diventa una piccola copia sputata delle scimmiette dei Goebbels! Che dannato incubo!”.
E Demelza bloccò lei, trattenendosi dal ridere, con l’animo improvvisamente più leggero. “Santo cielo, povera bambina! Costretta a mettere per anni quella dannata divisa della gioventù hitleriana e a danzare sulle note di canzoni naziste”.
Fu una battuta leggera, tipica di Demelza che riusciva a sdrammatizzare anche le situazioni che riteneva più antipatiche. Ross avrebbe voluto sorriderne, come aveva sempre fatto, ma si impose di voltare il viso, rimanere neutrale e far finta di non averla nemmeno sentita. Alzò semplicemente il calice col sidro e fece per accennare a un brindisi quando qualcuno bussò alla porta.
Postino, ho una missiva per Fräulein Demelza Carne”.
Ross parve sorpreso, da quando Demelza era stata assunta non le aveva mai scritto nessuno e anche la ragazza sembrò incerta sul da farsi. Con un cenno, l’uomo la intimò ad aprire. “E’ per te, a quanto pare”. Era assolutamente curioso, chi diavolo poteva averle scritto? Ovviamente non le avrebbe chiesto niente.
Fu Caroline a venirgli in aiuto, interrogando subito Demelza appena la ragazza ebbe in mano una busta colorata dalle tenui tonalità pastello. “Chi è?”.
Demelza rigirò la busta, lesse il nome del mittente e sorrise osservando il disegno e il timbro sul francobollo. “Allora ci è andato!”.
Caroline parve non capire. “Allora! Non fare la misteriosa, chi è?”.
Demelza mise la busta nella tasca del vestito, decisa a leggere la lettera con calma, da sola, quella sera. “E’ una cartolina di Hugh Armitage. A quanto pare prima di tornare in Inghilterra è stato a Fussen per visitare i castelli di re Ludwig. Ne avevano parlato quando siamo usciti”.
Caroline si esibì in una espressione maliziosa. “L’inglesino?”.
Già!”. Demelza non aggiunse altro, non voleva parlare di cose personali davanti a tutti e sentiva di voler tenere gli aspetti della tenera amicizia nata con Hugh per se. Non che ci fosse qualcosa da nascondere o di cui vergognarsi ma nelle ultime
settimane aveva maturato la necessità di tenere le sue cose personali per se. Fosse stata sola con Caroline, forse avrebbe raccontato di più ma non le andava di parlare di Hugh in presenza di Ross dopo quanto detto tre settimane prima.
Ross la osservò silenzioso, con sguardo duro, ma non disse nulla. Si chiese se Demelza stesse cercando di provocarlo o se semplicemente avesse deciso, come le aveva chiesto, di mantenere le distanze fra loro. Non era stato forse lui a ribadirle che non erano altro che il padrone e una cameriera? Che non c’era spazio per altro? Che non le aveva più rivolto la parola se non per darle ordini? Quindi che diavolo aveva per sentirsi irritato? Alla fine strinse nuovamente il calice, lo alzò e guardando Caroline e Dwight accantonò i suoi pensieri e l’argomento-Hugh di cui non gli importava NIENTE! “Brindiamo! Al piccolo o alla piccola Enys che sarà sicuramente – alla faccia di Hitler – motivo di gioia per tutti i presenti”.
Caroline sospirò, fece per riprendere in mano il bicchiere ma l’occhiataccia di Dwight la fermò. “Lo so, lo so, niente alcolici”. Osservò poi Demelza. “Sai mia cara? Forse lo gradirei davvero un buon tè”.
Demelza le sorrise. “Te lo preparo subito”.
E sparì in cucina.
...

Cara Demelza, dopo il nostro bel pomeriggio insieme non ho potuto che andare a visitare i castelli di Re Ludwig a Fussen prima del mio ritorno in Inghilterra. Non ho fatto altro che pensare alla piacevole chiacchierata avuta in merito con te e il mio animo artistico e forse sognatore non ha potuto che rimanere estasiato davanti alla bellezza di tali opere che racchiudono in loro una magica visione della vita, un animo estroverso, il giusto mix di egocentrismo, arte, storia e fiaba. E’ stata una piacevole disgressione dai miei studi e mi auguro di tornare in quei luoghi quanto prima. Magari con te come compagna di avventura per un’altra piacevole gita. Ti lascio, unito alla presente, il mio indirizzo inglese in modo che potrai, se vorrai scrivermi, trovarmi senza problemi. Sperando tu possa stare sempre bene in questo mondo difficile che ti circonda, ti saluto con profondo affetto.
Il tuo fedele amico, Hugh Armitage”.

Dopo che Dwight e Caroline se n’erano andati, Demelza aveva sistemato la spesa, aveva cucinato a Ross quello che lui aveva chiesto, aveva riordinato la sala da pranzo e la cucina e una volta finito tutto il suo lavoro si era seduta sulla panca fuori casa, che dava verso il bellissimo bosco che si estendeva fino al paese e si era concessa quel momento di pace per leggere quella missiva prima che facesse buio e fosse ora di andare a letto.
C’era una piacevole tranquillità attorno a lei e il culmine dell’estate che faceva tramontare il sole ad ora tarda le donava la luce necessaria per leggere.
Era stata felice di ricevere quella lettera, un balsamo per il suo animo triste e in subbuglio. Si era sentita sola in quelle settimane e la situazione creatasi col suo padrone le aveva fatto dimenticare il piacevole pomeriggio con Hugh, la spensieratezza di quella giornata da normale ragazza che si viveva la sua età, la dolce sensazione che ci fosse qualcuno che trovava piacevole la sua compagnia.
Divorò quelle poche righe avidamente, ormai era diventata piuttosto brava nella lettura e impegnandosi, anche nella scrittura. Gli avrebbe scritto presto che sì, le sarebbe piaciuto andare a scoprire con lui i castelli di Fussen. Un giorno vivere sarebbe diventato più semplice, un giorno forse avrebbe visto altro, avrebbe scoperto il mondo o quanto meno ciò che c’era fuori da quel villaggio dove era nata e dal quale non si era mai allontanata. Un giorno, forse…
In realtà nel suo animo non era così ottimista circa il futuro e ogni volta che era costretta a vedere segni del nazismo che si faceva spazio attorno a lei, veniva colta da foschi presagi che le suggerivano che ci si stava incamminando verso un sentiero pericolosissimo. Ma quella lettera di Hugh le alleggeriva il cuore tanto da renderla serena in un momento della sua vita strano.
Piegò la lettera dopo averla riletta per l’ennesima volta e rimase ad osservare la cartolina del castello di Neuschwanstein che Hugh vi aveva allegato, sognando di principi, favole ed epiche avventure. Solo quando fu davvero buio si decise ad entrare in casa per andare a dormire.
Giunta in salotto, si accorse che Ross era ancora sveglio ed era intento ad osservare alcune mappe delle sue miniere.
L’uomo alzò lo sguardo, poi lo riabbassò. Non le rivolgeva la parola da ore… “Hai letto la lettera del tuo spasimante?”.
La stava provocando? Beh, non ci sarebbe riuscito stavolta. “Sì, l’ho letta”.
Quella risposta lo spiazzò. “E ora hai fretta di chiuderti in camera per rispondergli?”.
Può darsi”.
Ross strinse la matita che teneva fra le mani. Che diavolo gli veniva in mente di chiederle qualcosa? E soprattutto, che diavolo di risposte stava ricevendo? Si sentì irritato perché rispetto a tre settimane prima dove Demelza aveva negato qualsiasi coinvolgimento con Hugh, ora sembrava voler affermare l’esatto opposto.
Demelza si fermò davanti alle scale, aspettando che chiedesse altro. “Posso andare? O avete bisogno di me per qualcosa?”.
Non ho bisogno di niente!” – fu la gelida risposta.
La ragazza gli voltò le spalle, salì al piano di sopra di nuovo di cattivo umore ed entrò nella stanza. Si sedette sul letto, improvvisamente stanca di tutto, di tutti e di quella situazione assurda che si era creata. Nampara era stata l’unico luogo in cui si era sentita a casa e improvvisamente non lo era più…
Dopo aver appoggiato sulla scrivania la lettera di Hugh si sciolse i capelli, fece per pettinarseli ma fu interrotta da un forte bussare alla sua porta.
Demelza, apri!”.
La voce di Ross la fece trasalire, poi fece quello che le era stato chiesto. “Signore?”.
Voglio del ruhm. Adesso!” – le ordinò appena la ebbe davanti.
V… Va bene… Ve lo devo portare nella vostra stanza o in salotto?”.
Lui si morse il labbro. Non sapeva nemmeno perché fosse andato da lei e non aveva bisogno e voglia nemmeno di bere alcolici. Che diavolo gli prendeva? Cosa aveva in se di così magnetico quella dannata ragazzina per confonderlo così? Perché lo scambio verbale di poco prima fra loro lo aveva spinto a salire da lei? Non era solo la sua domestica? “Ho cambiato idea, non voglio più il ruhm!” – disse solo, sentendosi decisamente idiota.
Demelza sospirò. “E cos’altro volete, signore?”.
Non so, qualcosa”.
Si sentì irritata. La stava prendendo in giro? Voleva mancarle di rispetto prendedosi gioco di lei? Era la sua domestica, certo, ma era abbastanza grande per comprendere quali comportamenti fossero leciti e quali no anche per un padrone. “Beh, quando lo avrete deciso tornate e fatemelo sapere”. Irritata fece per chiudere la porta, che lui facesse quello che voleva. Che la licenziasse per la sua impertinenza, che si decidesse a chiedere cosa volesse bere, pazienza! Se doveva vivere così, tanto valeva tornare da suo padre.
Ross bloccò l’uscio, il suo viso sembrava furibondo. “Non ti permetto di rispondermi con quel tono!”.
E io a voi di prendervi gioco di me!”.
Lei glielo disse adirata, guardandolo negli occhi in un modo in cui lui non era più capace di fare. Si sentì in colpa, in realtà non voleva prenderla in giro, in realtà non sapeva nemmeno cosa diavolo lo avesse spinto lì. “Non era quello che stavo facendo”.
Mi sembra di sì”.
E io ti dico di no”.
Demelza sospirò, si sentiva così stanca. “Cosa desiderate, signore?”.
Anche Ross si sentì improvvisamente stanco del gelo che si era creato fra loro e che MAI avrebbe desiderato. “Non lo so… Dirti qualcosa, non so cosa però. Sono salito e basta”.
Demelza rimase in silenzio, poi uscì nel corridoio e lo fronteggiò. Il suo sguardo era serio e sembrava decisamente più maturo dei suoi 18 anni. “Io non so cosa vogliate dire voi ma per quel che mi riguarda ho tanto da dire io, da tre settimane a questa parte. Non mi parlate o se lo fate, lo fate a malapena quasi aveste paura di me. Non mordo, non chiedo nulla, non faccio nulla di male e cerco di lavorare al meglio. Più di questo non so fare e se ritenete che non lo faccia al meglio, cacciatemi e trovatevi un’altra domestica. Se la mia presenza vi infastidisce, la soluzione rimane quella che vi ho appena suggerito. Siete il mio padrone, questa è la vostra casa, dite cosa volete e io lo farò”.
Ross si sentì turbato da tanta risolutezza che lui, in preda a mille dubbi, non riusciva ad avere. Allargò le braccia. "Solo fare la cosa giusta. E non so come farla".
"La cosa giusta? Relativa a cosa?".
"Lo sai, Demelza!".
La ragazza gli si avvicinò di alcuni passi. Ross Poldark non le aveva mai chiesto cosa pensasse, cosa sentisse, come guardasse a quel mondo che attorno a loro stava cambiando in modo feroce. Erano diversi e diversi erano i loro ruoli all'interno della società che Adolf Hitler aveva creato ma dannazione, a LEI lui aveva mai chiesto qualcosa in merito? "Sapete qual'è per me la cosa giusta?".
Ross sembrò confuso. "No".
Demelza si guardò attorno, indicandogli poi una finestra del corridoio. "Pensate che Hitler, Goebbels o Himmler o chiunque altro siano quì fuori a sbirciare cosa facciamo?".
"Beh, no! Ma decidono delle nostre vite in modo pericoloso" - rispose lui.
Demelza scosse la testa. "Certo, non dovete spiegarmelo! Voi signore siete ebreo e siete PER FORTUNA esentato dalla vita del partito nazist. Ma io quello che dicono e fanno lo conosco e lo capisco bene!".
Ross rise, sarcastico. "Esentato? Per fortuna? Demelza, noi ebrei non siamo ben accetti da nessuna parte ormai!".
Anche Demelza parve diventare sarcastica. "E gli permettete di farlo, anche noi gli permettiamo di farlo, questo è il problema. Hitler parla e i tedeschi obbediscono come burattini, Hitler vi distrugge la vita e voi ebrei gli spalancate le porte di casa e gli permettete di farlo".
Ross si sentì irritato. Stava dandogli del codardo? "Che pretendi che faccia? Che inforchi un fucile, vada a Berlino e spari a tutto il Bundstag? Sto cercando di sopravvivere Demelza e ti assicuro che stare zitto è la cosa più difficile per me e se mi conosci almeno un pò, sono certa che lo sai! Rimanere in vita, per noi ebrei, è più difficile che per te e quelli come te. Non voglio, non posso trascinare nessuno nell'inferno in cui sta piombando la mia vita, lo capisci?".
La ragazza scosse la testa, fingendo di non sentirlo. "Non mi avete mai chiesto cosa si dice, cosa ci fanno vedere al cinematografo quando la sera ci sono le proiezioni propagandistiche di Goebbels".
Ross alzò le spalle. "Parlerà male di noi ebrei, che c'è da chiedere?".
Demelza scosse la testa. "No...Cioè, non solo... E' che lui, loro... ti parlano attraverso dei video su quanto sia bello essere tedeschi puri, di come Hitler ci ami, di come sarebbe bello morire per lui e per la patria. E tutto quello che mi viene da pensare, quando ascolto, è che ci stia preparando per una guerra, che ci stia rendendo mansueti in modo da mandarci al macello come agnelli sacrificali, felici di morire per seguire la sua follia".
Ross spalancò gli occhi, non poteva credere a qualcosa del genere. "Avanti Demelza, sicuramente Hitler non sarebbe tanto folle da distruggere tutto ciò che ha ricostruito a livello economic...".
Demelza lo fermò, con un gesto stizzito della mano. Poi scosse la testa, esasperata dal fatto che lui fingesse di non voler capire. "Credete che si fermerà alla Germania? Credete che si accontenterà di essere al governo di una sola nazione? Judas, quando farà scoppiare l'apocalisse e le bombe cadranno su questo disgraziato paese, che cosa credete che succederà? Credete che avergli obbedito fedelmente ci salverà? Questo paese sarà distrutto, sarà raso al suolo fra non molto e molti di noi non saranno quì a vederlo ricostruire! E allora ho deciso che non mi comanderà, che se deve distruggere la mia esistenza, prima di morire voglio vivere! Come voglio io, secondo ciò che provo io! Che finché ci sarà qualcosa di bello e buono che mi rende felice, io ne godrò! Io ho scelto di non farmi comandare da Adolf Hitler, ho scelto di maledirlo in silenzio ogni volta che vedo una svastica, di prendermi gioco di lui con Caroline, di continuare a fare le cose che amo! Non mi dirà chi frequentare, cosa fare, come devo pensare! Non lo farà fino alla fine. Se per la sua follia dovrò morire, quanto meno sarà dopo che ho vissuto! Voi fate ciò che credete giusto ma non scegliete per me! Non servirà a salvarmi e non salverà nemmeno voi probabilmente! Non dovete andare a Berlino a fare una strage nella sede del partito nazista, nessuno ve lo chiede! Ma se volete un consiglio, cercate di rendere felice il vostro piccolo angolo di mondo finché potete!".
Ross rimase totalmente spiazzato. Chi diavolo aveva davanti? Una ragazzina? Santo cielo, Demelza era più matura di lui di almeno dieci anni, era una sognatrice ma era anche estremamente consapevole di cosa la circondava. Aveva in se una lucidità rara in una persona tanto giovane, osservava tutto e forse aveva capito più di lui tutto ciò che stavano succedendo.
Davanti al suo silenzio, Demelza si riavvicinò alla porta. "Beh, ora credo che andrò a dormire! Se avete bisogno di qualcosa, sapete dove trovarmi".
Sparì dietro la porta, fece per chiuderla e a quel punto una forza sovrannaturale si fece più forte di qualsiasi resistenza si fosse imposto. Le prese il polso, la afferrò fermamente e la costrinse a tornare indietro e voltarsi. Demelza aveva dannatamente ragione, perché si rifiutava di vivere e seguire ciò che di buono l'esistenza gli offriva, finché poteva farlo? Aveva davanti una giovane donna bella, intelligente, che lo attirava come una calamita. Al diavolo tutto, al diavolo Hitler, al diavolo la legge!
Le lasciò il polso, la afferrò per la vita, la spinse contro la parete e la baciò sulle labbra e sul collo, affamato di lei. La voleva, come non credeva possibile. Dopo baci lunghi, passionali e profondi, si staccò da lei per un'ultima fievole resistenza. "Non ho nulla da offrirti se non questo! Non posso prometterti alcun futuro, solo la mia compagnia e la passione che sento per te! So che ti voglio, che queste settimane senza parlarci mi hanno distrutto e che non posso andare avanti così. So che sono un uomo passionale con esigenze forti, non sono come il tuo inglesino che parla di arte e castelli e che ti desidero come donna. Totalmente! Quindi ora Demelza sta a te, se vuoi mandarmi via è l'ultima possibilità che hai per scegliere".
Mandarlo via? Judas, era pazzo? Tutto ciò che sognava stava avverandosi e lui le chiedeva se voleva mandarlo via? Sapeva che non poteva offrirle nulla ma anche lei aveva sofferto quelle settimane di silenzio e ora non desiderava che di essere sua, totalmente. Non credeva, anche se lo adorava, che la sua lontananza emotiva avrebbe potuto farla soffrore così ed ora era come se la spada che aveva nel cuore da settimane si stesse sciogliendo come neve al sole. Era inesperta e forse un uomo come Ross non avrebbe trovato chissà quali soddisfazioni da lei ma era pronta a donarsi a lui. A lui soltanto. "Nemmeno io ho nulla da donarvi, signore! Ma so che questo è esattamente ciò che voglio e al diavolo il futuro, il presente, tutto. Non vi manderei via per tutto l'oro del mondo".
"Ci stiamo cacciando in un grosso guaio".
Lei sorrise. "Beh, almeno non potremo dire di vivere esistenze noiose e condizionate da altri".
"Potrei farti male".
"Mi fido di voi...".
Ross non disse più nulla, lei aveva detto tutto ciò che aveva bisogno di sentirsi dire. Si chinò su di lei, tornò a baciarla e non staccandosi fra loro, giunsero fino al letto. Lui le sollevò il vestito che Demelza aveva iniziato a slacciarsi prima che piombasse nella sua stanza, glielo sfilò e poi le sollevò la sottoveste. Era inebriato da quel corpo giovane che nessuno aveva mai sfiorato. Quando gliela tolse, la invitò a sdraiarsi sul letto e prima di stendersi su di lei la osservò inebriato. Si baciarono, si toccarono, lui le baciò il seno e il petto prima di tornare alle sue labbra. Poi le tolse anche gli ultimi indumenti intimi prima di spogliarsi a sua volta. Lei lo aiutò a sfilarsi la camicia e lui fece da solo coi pantaloni. Poi si guardarono, completamente nudi, lui le accarezzò il viso sentendosi responsabile per quella ragazzina che stava per far diventare donna. "Se ti farò male, dimmelo".
"Va bene..." - mormorò lei.
La fece stendere, con delicatezza forzò le sue ginocchia ad aprirsi e poi si stese fra le sue gambe. La osservò negli occhi verdi e trasparenti, era bella davvero... Poi la baciò, entrando in lei con tutta la delicatezza di cui era capace. Per alcuni istanti la sentì irrigidirsi e aggrapparsi a lui e si sentiì in colpa per averle provocato quel dolore inevitabile... Cercò di di rassicurarla, le accarezzò i fianchi e con baci gentili cercò di farla abituare a quella nuova realtà che stava scoprendo con lui.
E quando la sentì rilassarsi iniziò a muoversi dentro di lei, prima lentamente e poi man mano più forte. E dopo pochi istanti entrambi si resero conto che i loro corpi sembravano fatti per incastrarsi fra loro perfettamente e persino Ross, che di donne ne aveva avute molte ed esperte, sentì che nessuna gli aveva mai dato sensazioni tanto forti.
Demelza chiuse gli occhi, il dolore sparito e una valanga di sensazioni nuove tutte da scoprire. Era quindi questo il piacere di cui parlava Caroline, la massima espressione di intimità fra uomo e donna? Era tutto così sconvolgentemente bello che le veniva voglia di urlare...
Si concentrò sulle spinte di Ross, cercò di seguirne il ritmo ed entrambi persero la percezione del tempo, dello spazio, di cosa li circondava. E si fusero in un amplesso sconvolgente.
Sulla scrivania, come muta testimone, la lettera di Hugh Armitage... Probabilmente ci sarebbe voluto molto tempo prima che Demelza si ricordasse di rispondergli...

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo otto ***


Ross, nel silenzio della stanza intervallato unicamente dal rumore del placido respiro di Demelza accanto a lui, si sentiva incredulo per quanto appena successo. Demelza, la bambina selvaggia e sporca raccolta dalla strada anni prima per senso di pietà e giustizia, si era trasformata in una giovane donna affascinante, appassionata e capace di attrarlo come una calamita. Ciò che c'era appena stato fra loro era stata pura elettricità, senza inibizioni, reticenze, paure. Lei si era donata a lui, gli aveva donato la sua verginità senza remore, con naturalezza. E si era dimostrata una amante passionale, forse inesperta ma capace di portarlo a un genere di estasi che mai aveva provato. Era come se il corpo di quella ragazzina fosse stato creato apposta per fondersi perfettamente con il suo ed ora si sentiva frastornato, incapace di comprendere i suoi sentimenti e decidere il da farsi. Questa Demelza sensuale e appassionata conosciuta nell'intimità come avrebbe potuto conciliarsi con la ragazza solare, amante del cinema e degli attori, con cui aveva condiviso la vita negli ultimi anni?
Si voltò verso di lei e la trovò stranamente silenziosa, col viso rivolto verso il soffitto di legno. Si erano cacciati in grossi guai, LEI soprattutto. Ciò che c'era stato e che ci sarebbe stato fra loro in futuro, per la sua sicurezza, sarebbe dovuto rimanere un segreto. Il partito nazista vietava ogni rapporto fra ariani ed ebrei e di certo una giovane tedesca che si donava a 'un impuro' avrebbe potuto andare incontro a conseguenze pericolose.
Demelza era bella, affascinante, con un corpo fresco e perfetto. Avrebbe dovuto uscire con un ragazzo della gioventù hitleriana, donarsi a lui, fare figli con lui in nome di Hitler e del partito ed invece aveva fatto una scelta diversa, coraggiosa e irrevocabile. Le aveva detto che non la amava ma questo non l'aveva fatta arretrare. Certo, le voleva bene e le era affezionato ed ora si sentiva pure inebriato per quanto accaduto ma questo bastava per metterla in pericolo lanciandosi in quella relazione tanto folle?
"Demelza, a cosa stai pensando?" - chiese infine, stanco di quel silenzio.
Lei voltò il viso. "A nulla di particolare, mi sento la mente... vuota...".
L'uomo sospirò, in preda agli stessi mille dubbi che l'avevano frenato nelle settimane precedenti. "Non avrebbe dovuto succedere".
"Perché?".
Lui strinse i pugni. "Lo sai bene, ci sono mille ottimi motivi!".
La ragazza sospirò. "Ma è successo lo stesso e questo non può essere cambiato. Lo volevamo, no?".
"Per i motivi sbagliati!".
Demelza parve ferita da quelle parole e rimase in silenzio. Lui se ne accorse e si sedette sul letto, fronteggiandola. "Prima che accadesse, sono stato chiaro, no? Ero attratto da te, lo sono ancora e se dipendesse da me ti prenderei di nuovo anche subito. Ma l'amore... l'amore è altro, dovrebbe includere altro... Meriti di meglio di me, meriti di meglio di qualcuno che non sa più amare e che potrebbe mettere a rischio la tua vita".
Anche Demelza si mise a sedere, coprendosi il petto nudo col lenzuolo. "Il meglio che mi sia capitato da quando sono nata, è stato oggi. E voi siete stato la persona che più mi ha avuta a cuore da quando sono nata. A parte mia madre, forse... Non sono pentita e non mi sento sbagliata. So cosa mi avete detto prima, so che non posso essere neppure lontanamente la donna dei vostri sogni e so bene cosa sto rischiando ma non mi importa. Io sto bene, BENE. Ed è stato bello quanto successo, io nemmeno immaginavo che ci si potesse sentire così. E se mi volete prendere ancora, anche adesso, io sono pronta. Sarò sempre pronta per voi. Preferisco rischiare ma essere felice che vivere come nelle ultime settimane dove sembravate non sopportare più la mia presenza".
Quelle parole lo fecero sentire in colpa. "Mi dispiace, cercavo solo un modo per proteggerti da me. Ma l'ho fatto nel modo sbagliato... Mi è mancato non parlarti, non avere a che fare con te, scherzare con te...".
"Anche a me"- rispose lei, prendendogli la mano. "Potete riavermi anche subito, dico sul serio. Ogni volta che volete sarò pronta per voi. Ma non dite che non è giusto che succeda perché io la vedo diversamente. C'è così poco di cui gioire in questo mondo, in questi anni, perché privarci di un momento di piacere e pace?".
Era un invito eccitante, se non si fosse sentito così responsabile per lei, l'avrebbe spinta sul materasso e l'avrebbe posseduta subito ancora e ancora. Ma Demelza era giovane, aveva appena conosciuto intimamente il corpo di un uomo e non era nemmeno certo che stesse bene. "Non dovresti parlare in modo tanto spudorato, una ragazzina per bene non parlerebbe così".
"Io sono abituata a dire ciò che penso, sempre".
Ross sorrise, suo malgrado. "Sì, me ne sono accorto. Ma prima di fare qualsiasi cosa, devo parlarti Demelza, e devi stare a sentirmi".
"Quali cose?".
Alzò la mano ad accarezzarle la guancia. "Puoi darmi del tu quando siamo da soli, soprattutto a letto. E' piuttosto assurdo che tu dia del lei a un uomo con cui fai l'amore".
Lei spalancò gli occhi. "Ma... ma... signore!".
"Chiamami Ross, è più semplice. Siamo quì, nudi, abbiamo appena fatto l'amore e siamo perfettamente sullo stesso livello, solo un uomo e una donna".
Demelza sorrise anche se non era certa di riuscirci. "Va bene, ci proverò".
"Seconda cosa: la nostra intimità deve rimanere segreta! Se qualche nazista zelante ne venisse a conoscenza e lo dicesse a chi di dovere, potresti essere perseguitata. Sei ariana, nessuno si aspetta o sospetta che tu venga a letto con un ebreo. Può essere pericoloso e basto già io a rischiare la vita, non è necessario che la rischi anche tu".
La ragazza si morse il labbro. "Nemmeno a Dwight e Caroline?".
Lui scosse la testa. "Mi fido di loro, so che sarebbero contenti per noi. Ma sapere e tacere la cosa, diventare parte di questo segreto, metterebbe a rischio pure loro. Caroline aspetta un bambino, Dwight è un dottore da cui dipendono tante vite quì. Devono vivere al sicuro".
Demelza ci pensò su e giunse alla conclusione che lui avesse ragione. "Va bene".
Ross sorrise. "Ultima cosa: stai bene? Hai male da qualche parte?".
Lei si accigliò, poi sorrise dolcemente. "Ho avuto un pò di male all'inizio, quando voi...". Si bloccò, arrossendo mentre ripensava a Ross che entrava dentro di lei. Ma poi riprese coraggio e capì che doveva rassicurarlo. "E' durato pochi istanti, poi mi è piaciuto subito. Sto bene, non ho male da nessuna parte". Non mentiva. Non aveva dolore e l'unica cosa che ricordava era la sensazione di stare fra le sue braccia, coi loro corpi fusi che si muovevano all'unisono in una sorta di danza dell'amore.
Ross la osservò, era bellissima con quei lunghi capelli rossi che le ricadevano sulle spalle nude. Anche se celata dal lenzuolo, poteva scorgere sotto di essere quel corpo e quelle curve che lo avevano fatto sentire in paradiso fino a poco prima. "Ti voglio, ancora! Adesso".
Lei annuì. "Anche io, signor... Ross".
Lui la baciò sulle labbra, avidamente. Poi raggiunse il suo collo, il petto. Crollarono sul materasso, si stese su di lei ed entrambi scivolarono gradualmente, di nuovo, verso l'estasi.
Ross comprese che non c'era nulla da fare, non poteva opporsi a quella forza che lo attraeva senza possibilità di sottrarsi. Quella ragazza lo aveva stregato...

...

Erano passate sei settimane dalla notte che per Ross e Demelza aveva segnato l’inizio di qualcosa di nuovo, inizialmente indecifrabile ma col tempo sempre più intenso.
Ross era felice, condizione strana per una persona solitamente cupa e poco propensa all’ottimismo come lui. Non sapeva se fosse solo per Demelza, per quelle notti di passione che condividevano o per il fatto di sentirsi meno solo in quel mondo che stava diventando sempre più folle e oscuro, però era così. Era felice e tutto pareva meno difficile da affrontare, anche la sua condizione di ebreo nella Germania sempre più nazista. Forse Demelza aveva ragione, lasciare la politica e il nazismo fuori dalla porta di casa non era poi una così cattiva idea…
Demelza, dal canto suo, rimaneva una creatura indecifrabile ai suoi occhi ma lo affascinava sempre di più. La vivace ragazzina, instancabile lavoratrice, entusiasta della vita e amante di cinema e attori, sempre sorridente e dotata di un notevole spirito di osservazione nonché di una maturità sorprendente per la sua giovane età, era cresciuta e diventata donna davanti ai suoi occhi. Bella, seducente, disinibita, passionale, riusciva a confonderlo e a farlo sentire in paradiso quando erano insieme. Apparentemente lei non era cambiata, il suo modo di fare non era mutato dopo le loro prime esperienze intime insieme e rimaneva la stessa fresca, giovane ragazza entusiasta della vita, un’ottima conversatrice ma anche una silenziosa ascoltatrice quando si fermavano a parlare di tutto o niente di importante davanti al fuoco del camino. La passione fra loro, unita a una conoscenza reciproca che si era consolidata in un rapporto costruito negli anni aveva prodotto un qualcosa di profondo, molto più di quanto lui avrebbe potuto immaginare. E se nei primi giorni ad unirli era il puro bisogno fisico, man mano si trovava sempre più spesso a chiedersi cosa fossero diventati ‘insieme’. Perché la passione, man mano che passavano i giorni, si stava mischiando sempre più alla tenerezza e a un rapporto che stava diventando ‘altro’ anche se ancora lui non sapeva definirne la natura. Eppure era stato chiaro dall’inizio, con lei e con se stesso: non era più capace di amare e non aveva voglia né di farlo né di soffrire di nuovo. Ma cominciava a capire che mente e cuore spesso non andavano d’accordo e ognuno prendeva la sua strada senza che lui potesse farci niente.
L’estate era nel pieno del suo splendore e quel pomeriggio aveva lasciato la miniera piuttosto presto per andare ad acquistare dei libri contabili per le sue attività.
Era andato nella piazza di Annaberg-Buchholz di malavoglia, lo faceva sempre meno da quando il partito nazista aveva preso piede e ad ogni angolo delle strade si notavano bandiere con la svastica, ma non poteva farne a meno. Il caro Hitler odiava gli ebrei ma sembrava gradire particolarmente le esose tasse che questi pagavano allo Stato e non aveva voglia di avere più grande di quante ne desse la sua condizione di ebreo diventando anche evasore.
Dopo aver preso dei libri contabili nuovi dal cartolaio, ignorato da chi lo incrociava, lo conosceva da una vita ma non voleva averci a che fare, a passo spedito si avviò verso il viottolo che dalla piazza portava alla periferia e di lì alla campagna e al sentiero di montagna che lo avrebbe condotto a casa.
Stava diventando un lupo solitario – non che fosse mai stato il re delle feste nemmeno prima - ma ultimamente gli pesava ancora di più frequentare quel paese dove un tempo si recava con piacere per bere una birra o mangiare qualche salsiccia con i suoi minatori. Ma i tempi erano cambiati, la gente era cambiata e non era facile per un ebreo essere in mezzo a persone che conosceva da sempre che per paura o avversione ora lo trattavano con disprezzo e supponenza e lui era consapevole di non essere propriamente bravissimo ad ignorare eventuali provocazioni. Per questo era ormai solo Demelza a scendere in paese per fare compere e lui si limitava a passare le giornate fra miniera e casa.
Stava per lasciare la piazza quando improvvisamente e assolutamente a sorpresa, si trovò davanti Elizabeth. La donna, vestita con un elegante abito verde e con i capelli raccolti sotto a un elegante cappellino di peltro, spingeva la carrozzina che ospitava il bambino nato a febbraio di quell’anno dall’unione con George Warleggan.
Ross impallidì quando vi si trovò faccia a faccia, lei impallidì ancora di più. Erano mesi, forse un anno, che non si vedevano e Ross si era sforzato di dimenticarla e non pensare più a lei. Elizabeth era ormai parte del suo passato e aveva reso ben chiari quali fossero ormai i suoi orizzonti e le sue priorità. E lui non ne faceva parte!
Era bella come sempre, la gravidanza sembrava non aver lasciato alcun segno sul suo fisico snello e appariva aggraziata e aristocratica più che mai.
Elizabeth si guardò attorno preoccupata prima di tornare a fissarlo con aria grave. “Ross… E’ molto che…”.
Lui si accorse del suo disagio e della paura di essere notata mentre parlava con un ebreo. Aveva sposato il nazista più nazista del paese, ne aveva abbracciato le idee – per forza o forse per piacere, temeva – e ora doveva essere ben difficile trovarsi in quella situazione. “E’ molto, sì. Ma suppongo di non esserti mancato”.
La donna osservò il bambino di sei mesi che sgambettava nella carrozzina. Aveva i suoi stessi capelli neri ma gli occhi erano piccoli e ravvicinati come quelli del padre e parevano esprimere una freddezza inconsueta per la sua età. “Beh, ho avuto molto da fare, sì”.
Ross annuì, fissò brevemente il bambino e poi ancora lei. “E’ grazioso. Come si chiama?”.
Elizabeth rispose con un sorriso di circostanza. “Valentine perché è nato il 14 febbraio. Non sei obbligato ad essere gentile con me e a chiedermi di mio figlio, comunque”.
Lui la fissò, serio. “Non me la prendo con un bambino a causa delle sue parentele ma hai ragione, non siamo obbligati ad essere cordiali e a parlarci” – le rispose, a tono, deciso a non farsi sopraffare dai ricordi e dai sogni che aveva cullato per lei. Elizabeth si stava dimostrando molto diversa da come aveva creduto.
Quasi fosse stata punta sul vivo, consapevole di non essere più il centro dell’adulazione dell’uomo che aveva davanti e irritata per questo, lei arrossì nervosamente. “Comprendo che tu possa pensar male di me e ne hai motivo, ma cerca di capire, sono tempi difficili per tutti e dobbiamo fare delle scelte…”.
Lui sorrise, sarcastico. “Oh, lo so bene che sono tempi difficili, non c’è bisogno che tu venga a spiegarlo a un ebreo”.
Elizabeth tentò un approccio più dolce, avvertendo sarcasmo e disprezzo in lui. Amava essere adulata e anche se ora era la signora Warleggan e Ross rimaneva un ebreo e per questo per legge gli era inferiore, desiderava sentirsi ancora al centro della vita di quell’uomo tanto virile. “Mi dispiace per la tua condizione, davvero”.
Lui la fissò, non credendo a mezza parola. No, a lei non dispiaceva, lei era stata la prima a voltargli le spalle dopo l’emanazione delle leggi razziali. Aveva scelto, aveva fatto in fretta a farlo e aveva intrapreso la strada più comoda e sicura senza preoccuparsi delle macerie che lasciava attorno a se. Ci aveva messo molto a comprendere la natura di quella donna su cui un tempo aveva posato gli occhi ma alla fine aveva dovuto arrendersi al fatto che lei fosse così. Non cattiva ma sicuramente accentrata più su se stessa e la sua tranquillità che agli altri. “Dubito tu ci perda il sonno”.
Dico davvero!”.
Ross sorrise ancora, sarcastico. “E allora perché ti guardi attorno con paura, come se temessi che qualcuno ti veda parlare con me?”.
Lei scosse la testa, esasperata. “Te l’ho detto, sono tempi difficili e noi non dovremmo…”.
Ross scosse la testa, strinse a se i registri appena acquistati e poi la fronteggiò prima di andarsene. “Sono tempi difficili, sì. Eppure accanto a me ho persone che non mi hanno voltato le spalle e hanno continuato ad essermi amiche. Senza di loro sarei completamente solo al mondo. Loro mi danno speranza che in questa Germania tanto folle e crudele ci sia ancora posto per l’umanità e ci siano le basi per ricostruire tutto un po’ meglio di come è ora”. Demelza, Dwight, Caroline, i suoi minatori… Per loro lui continuava ad essere un amico, un affetto, come un fratello. Per loro lui era una persona, non un ebreo di cui vergognarsi se lo si incrociava per strada. Erano tempi difficili e pericolosi anche per quelle persone ma a differenza di Elizabeth avevano fatto altri tipi di scelte che li avevano mantenuti umani e non macchine comandate da un folle coi baffetti.
Non tutti siamo coraggiosi, Ross” – mormorò lei.
Lui scosse la testa. “Ma tutti dovremmo sforzarci di rimanere perlomeno umani”. E detto questo se ne andò senza salutarla o darle modo di rispondere, felice di lasciarsela alle spalle. C’era stato un tempo in cui sognava di incontrarla ad ogni angolo di strada mentre ora, mentre parlava con lei, non sentiva che la necessità di andarsene verso chi lo attendeva a casa con un sorriso e affetto. Quella bella ragazza non era mai stata adatta a lui e forse doveva ringraziare il nazismo per averglielo fatto capire. Non era rancoroso, Elizabeth seguiva semplicemente la sua natura volubile e delicata. Ed era questo il problema: in comune non avevano mai avuto nulla e si sarebbero resi infelici a vicenda.
Riprese la sua strada verso casa sentendosi leggero, come se quell’incontro avesse spezzato l’ultimo velo che ancora non aveva scoperto ai suoi occhi la vacuità che lo aveva legato un tempo alla figura di Elizabeth. Si sentì libero, incredibilmente sereno, come se quell’incontro fosse l’ultimo tassello mancante per consentirgli di andare finalmente avanti con la sua vita.
Quando arrivò a Nampara, circondata dagli alberi del bosco al pieno del loro splendore estivo, trovò Garrick che dormiva nel portico perfettamente rassettato. Demelza aveva spazzato tutto, sistemato le piante e i fiori e non c’era nulla fuori posto.
Dalla finestra aperta che dava sulla cucina usciva un invitante profumo di stufato di carne e patate che gli risvegliò l’appetito. Si sentì a casa, felice di esserlo e in pace col mondo.
Quando entrò, trovò Demelza seduta al tavolo davanti ai fornelli, intenta ad osservare delle stampe tutte sparse davanti a lei. Indossava la divisa della gioventù hitleriana, quella sera ci sarebbe stata una proiezione nel cinematografo del paese e lei era costretta a parteciparvi. Le sorrise. “Che stai facendo?”.
Anche Demelza sorrise, serena. “Mi sono portata avanti, odio fare le cose di fretta. Ho messo a cuocere la cena anche se è ancora presto e ho già indossato questi dannati vestiti. Mi chiedo che diavolo avrà da dirci Goebbels di tanto importante… Con tutti i bei film che potrebbero trasmettere al cinematografo, è davvero un delitto che venga occupato da lui”.
Ross si sedette accanto a lei, poggiando sul tavolo, accanto alle stampe, i nuovi registri contabili. Le accarezzò le trecce, scompigliandole i capelli con fare affettuoso e scherzoso. “Dovrà rendervi edotti di quante volte ieri Hitler sia andato a fare pipì”.
Demelza scoppiò a ridere, divertita. “Già, suppongo che potrebbe trovare la notizia di estremo interesse per la popolazione. Resta il fatto che però morirò di noia”.
Fingi di ascoltare e pensa ad altro, io facevo così a scuola”.
La ragazza rise ancora. “Buona idea!”.
Ross tornò ad osservare le stampe che Demelza stava spargendo sul tavolo. Non che ne capisse molto ma sembrava roba attinente a cinema, attori eccetera, tutte faccende a lui totalmente sconosciute. “Cos’è questa roba?”.
Fiera di se stessa, felice che glielo avesse chiesto, Demelza si alzò dalla sedia indicandogli le stampe una ad una. “Le ho comprate ieri dal cartolaio. So che non dovrei spendere denaro per queste cose ma non ho resistito”.
Lui osservò le foto. “Sono soldi tuoi che ti guadagni con fatica, sei libera di farci ciò che vuoi”.
Mio padre non sarebbe d’accordo!”.
Tuo padre non è qui e comunque gli verso già parte del tuo stipendio, mensilmente. Il resto del denaro è tuo. Chi sarebbero questi divi?” – chiese poi, cambiando discorso.
Demelza prese una stampa raffigurante un uomo e una donna. “Questa l’ho presa per Caroline, sono Clarke Gable e Vivien Leigh, i protagonisti del film che aspetta tanto, Via col vento. E’ follemente innamorata di Gable, quasi quanto di Dwight”.
Ross rise. “Oh, il famoso rivale…”. Osservò altre stampe, alcune di Chaplin, grande passione di Demelza. Era il suo, di rivale? Poi lo sguardo gli cadde su una donna affascinante, dai capelli chiari. Lei era davvero interessante… “Lei, chi sarebbe?”.
Demelza spalancò gli occhi, stupita. “Oh Ross, davvero non sai chi è?”.
Lui la guardò storto. “Ti ricordo la mia avversione per queste diavolerie moderne…”.
Demelza sospirò “Già, dimenticavo che sei fermo all’ottocento… E’ una attrice tedesca, si chiama Marlene Dietrich. E’ quella de ‘L’angelo azzurro’, non ne hai mai sentito parlare? Un film così famoso…”.
Ross si rese conto di avere uno sguardo ebete e di essere effettivamente fuori dal mondo. Forse troppo… “Ehm…no!”.
Demelza sospirò di nuovo. “E’ tedesca, pare che Hitler ne sia innamorato e le abbia scritto numerose lettere con offerte amorose a cui lei non ha risposto”.
Ross sorrise, sempre più interessante questa Marlene che mandava in bianco il tanto osannato Furher. Allora era vero, ce n’erano tante di donne che avevano avuto il coraggio di scegliere, dire no e vivere rimanendo fedeli a loro stesse. Elisabeth diventava una figura sempre più piccolina… “Oh, questo le farà guadagnare un posto in qualche campo di lavoro” – commentò, sarcastico.
No, non credo. Si è trasferita negli Stati Uniti e dubito voglia tornare qui. Si dice che sia totalmente contraria all’ideologia nazista”.
Ross prese la foto della donna, osservandola con ammirazione. “Interessante, interessante”.
Demelza lo osservò assorta e orgogliosa di aver risvegliato in lui un qualche tipo di interesse per le sue passioni. Le mostrò quindi un’altra stampa, raffigurante una bimbetta paffuta e piena di boccoli. “Lei invece è Shirley Temple. Piccola ma famosissima, negli Stati Uniti la adorano, fa film su film da quando non aveva che due o tre anni. Per loro è quasi una dea”.
Ross osservò la graziosa bimbetta vestita di trine e merletti. Graziosa, sicuramente con tutte le caratteristiche necessarie per mandare in visibilio mamme e nonne d’America, ma non condivideva l’entusiasmo di Demelza. “Una bambina dovrebbe essere solo una bambina. Scommetto che preferirebbe passare le giornate a giocare e non sotto i riflettori. C’è il tempo del lavoro e credo che non lo sia alla sua età”. Poi osservò Demelza. “A proposito…”.
Cosa?”.
Lui guardò verso la finestra. “Ho visto il portico, è più lucido di uno specchio”.
L’ho pulito stamattina”.
Lui la osservò, preoccupato. “Non dovresti lavorare troppo e stancarti, non è necessario tirare a lucido l’esterno”.
Lei scosse la testa. “Ma è il mio lavoro!” – obiettò. “Lo faccio da sempre”.
Ross le prese la mano, costringendola ad alzarsi. Si accorse di essere apprensivo, di preoccuparsi per lei e di volere unicamente il suo bene. Demelza era ormai troppo preziosa per lui e se la guardava, non vedeva più la sua domestica ma quanto di più caro possedesse. Si trovò a pensare che non avrebbe voluto sentirsi legato così a qualcuno, che c’erano mille buone ragioni per non farlo ma al suo cuore non poteva comandare e Demelza era entrata dentro di lui troppo in profondità per poter ignorare i suoi sentimenti. “Credo di considerarti ben altro. Non ti vedo affatto come la mia cameriera”.
Lei rimase incerta, silenziosa. “Ma… Mi hai assunta…”.
Le accarezzò la guancia. “Direi che le cose sono cambiate, no? Voglio solo che tu faccia il necessario, non c’è necessità che Nampara somigli a un museo”.
E cosa dovrei fare tutto il giorno quando non ci sei?”.
Le sorrise, baciandola sulla fronte. “La signora di questa casa. Siediti, guardati le tue stampe, porta a spasso Garrick, leggi. Ma non lavorare troppo duramente, non è necessario”.
Non sono affatto la signora di questa casa, Ross”.
La bloccò, prendendole il viso fra le mani. “Demelza, ascolta…”.
La ragazza, col cuore che le martellava in petto, deglutì. Erano ormai molto vicini, intimi, eppure percepiva che c’era qualcosa di diverso fra loro in quel momento, ben più della vicinanza che condividevano mentre facevano l’amore. “Ross…” – mormorò, incerta.
Lui, serio come raramente lo aveva visto, la guardò negli occhi. Non poteva darle molto se non il suo cuore ed era inutile negarlo o derubricare il loro rapporto a semplice passione. Demelza era la sua ragione a tornare a casa di sera, quel qualcosa che ancora gli dava fiducia nel mondo e negli esseri umani, la donna che condivideva con lui confidenze, intimità, tenerezza, passione. E nel giro di poco era diventata quanto di più caro avesse al mondo. “Ascolta! Prima di tornare, in piazza, ho visto Elizabeth per caso…”. La sentì irrigidirsi e volle subito tranquillizzarla. “Solo poche parole, non vedevo l’ora di andar via perché volevo tornare da te! L’avevo davanti e mentre la guardavo sì, notavo che è ancora bella come quando me ne ero innamorato ma che mi sbagliavo, lei non  è affatto adatta a me. Non lo è mai stata! Che vedevo un’illusione mentre tu sei la mia realtà adesso”.
Ross…”. Demelza tremava, non riusciva a credere a quanto lui stava dicendo. Cosa intendeva, cosa stava cercando di farle capire?
La baciò sulle labbra, un bacio lungo, dolce e gentile. Poi appoggiò la fronte contro la sua, sospirando. “Demelza, quello che voglio dirti è che ti amo, che non sei la mia domestica ma la donna che desidero al mio fianco. E non è solo perché facciamo l’amore insieme ed ogni volta è fantastico, è che tu mi completi e sento – spero – di completare a mia volta te! Se ti ho fatto dei torti in passato, perdonami! Non posso prometterti nulla, né che sarà facile ma sei parte di me e non voglio rinunciarci. Sei settimane fa mi hai detto che siamo vivi e che dobbiamo assaporare al meglio ciò che le nostre esistenze ci danno e il meglio non è più solo la passione che condividiamo a letto ma tutto. Io voglio tutto di te! Sono un uomo complicato, a volte difficile e con una vita difficile. Ma tu mi rendi felice e credo non mi sia mai successo davvero”.
Demelza si sentì senza fiato. Aveva davvero sentito bene? Davvero lui aveva usato la parola ‘amore’? Per lei, lei??? “Ross, caro Ross… Io vivo per te, da sempre. E ti amo forse da prima di capire il significato di questa parola” – disse, con gli occhi lucidi. Come avrebbe anche solo potuto sperare in qualcosa di tanto bello lei, una piccola stracciona raccolta anni prima forse per pietà da un giovane che le era apparso bello ed irraggiungibile?
Lui le sorrise dolcemente, come percependo il suo stupore e i suoi pensieri, prima di baciarla di nuovo per riaffermare quanto appena detto. “Allora siamo d’accordo”.
La prese per la vita, la sollevò e la mise sul tavolo, scostando le stampe degli attori. Poi la baciò ancora, mai sazio di lei, scompigliandole i capelli con le mani mentre cresceva il desiderio di amarla.
Lei rise contro le sue labbra. “Stai scompigliando le mie bellissime trecce da brava ragazza ariana. E la mia bella e amatissima divisa” – sussurrò, sentendo le mani di lui sotto la sua gonna.
Ross rise, rideva sempre quando era con lei, sentendosi stranamente leggero. “Immagino tu sia disperata per questo”.
Lei per risposta lo baciò. “Parecchio…” – sussurrò, ironica.
Ross si staccò lievemente. “Fra quanto devi andare alla proiezione?”.
Fra tre ore”.
Lui sorrise. “Abbiamo tutto il tempo per darti qualcosa a cui pensare mentre Goebbels parlerà di sciocchezze!”. Era fantastico, con lei riusciva a scherzare anche di cose così drammatiche come il nazismo e l’impatto sulle loro vite senza provare ansie e paure. Non era forse questo l’amore? Amare, essere riamato e condividere tutto fino all’anima con la persona che scegli di avere accanto?
Demelza si trovò d’accordo. “Ottima idea. Penserò a questo e a quello che mi aspetterà quando tornerò a casa”.
Lui la baciò, lei sapeva diventare così attraente e seducente quando erano vicini... Erano stesi su un tavolo e si sentivano lo stesso assolutamente comodi. “Torna a casa subito, appena finita la proiezione!”.
Demelza rise, maliziosa. “Sembri mio padre però, se parli così”.
Di tutta risposta lui la baciò con passione, tornando ad alzarle la gonna. “No, non sono tuo padre, decisamente no!”.
La amava, la desiderava e lei amava e desiderava lui. Forse sul letto sarebbero stati più comodi ma non riuscivano nemmeno a pensare di riuscire ad arrivarci.
La passione, fra due anime gemelle che avevano ormai ben chiaro di esserlo l’uno per l’altra, esplose. Avevano scelto, si erano scelti e avevano avuto il coraggio di farlo! E questo era tutto quello che contava.


Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo nove ***


La piccola Sophie Enys vide la luce il 30 gennaio 1938, in un gelido giorno d’inverno dove la natura sembrava addormentata sotto uno spesso strato di neve bianchissima.
La gravidanza era stata perfetta a detta del dottore – che era anche il padre della piccola – ma questo non aveva impedito a Caroline di lamentarsi per le caviglie gonfie, per il mal di schiena, per il fatto di non poter andare a cavallo e al cinema e per non essere più in grado di rotolarsi sul tappeto del salotto assieme al suo carlino Horace. E poi c’era il cinematografo, una vera tragedia che Dwight non avesse voluto farla uscire nelle ultime settimane di gravidanza, con ghiaccio, neve e pancione… Si era chiesta spesso se Clarke Gable l’avrebbe mai perdonata per questa sua mancanza…
La bimba, biondissima come la madre, coi suoi stessi lineamenti fini e con un faccino vivace, venne al mondo strillando come un’aquila, tanto che Dwight aveva subito affermato che avrebbe potuto fare la venditrice del pesce al banco del mercato da grande. Caroline invece si era chiesta subito per quanto avrebbe potuto tollerare quel piccolo essere urlante che attentava alle sue orecchie e all’integrità dei vetri.
Ross e Demelza erano andati a trovarli, a piedi, due giorni dopo, in una serata buia, oscura ma quanto meno asciutta.
Il tratto di bosco che separava Nampara da Killewarren era fitto di alberi ed appariva buio e pieno di ombre sinistre. Se non avessero conosciuto, sasso per sasso, albero per albero quella strada, probabilmente si sarebbero sentiti come Hansel e Grethel mentre cercavano la via per tornare dai loro genitori. “Forse ci apparirà dal nulla una casetta di marzapane” – mormorò Demelza, tenendo stretto il pacchetto di cioccolatini che avevano comprato per Caroline.
Ross sorrise, strano come spesso pensassero alle stesse identiche cose, anche alle più stupide. “Sperando non ci sia dentro una strega da mettere nel forno”.
Si guardarono negli occhi e sorrisero.
Da quell’estate fino a quel momento erano stati mesi intensi e bellissimi per loro. Nonostante tutto, nonostante il mondo che diventava sempre più violento e cupo, con amore e passione erano riusciti a far crescere la loro storia e a chiudere i problemi fuori dalla porta di casa. Si amavano intensamente, notte dopo notte, senza reticenze, imbarazzi, sensi di colpa. Si amavano, si baciavano, ridevano e vivevano insieme, un uomo e una donna innamorati senza nulla a dividerli.
Ross trovava che Demelza fosse cresciuta molto in quei mesi. Alcuni tratti più infantili del suo carattere erano spariti lasciando al loro posto un animo intelligente e malizioso pieno di curiosità per la vita ma anche più consapevole delle forze oscure che si agitavano attorno a tutti loro. In realtà lo era sempre stata ma ora pareva avvertire maggiormente la gravità della situazione che via via andava dipanandosi davanti a loro e alla Germania. Demelza rideva spesso ma a volte, se si metteva ad osservarla di nascosto, la vedeva assorta, cupa, persa in pensieri che ancora non aveva voluto condividere con lui. Era preoccupata per la sua sorte di ebreo, era chiaro, e forse pensava di proteggerlo semplicemente non parlandogli dei suoi timori. Eppure sembrava anche consapevole del fatto che presto avrebbero dovuto fare scelte difficili ed affrontare quella guerra che il mondo sembrava voler fare a chi, come loro, si amava a dispetto dei dettami sempre più stringenti del nazismo.
Era dura per entrambi nascondere il loro amore e non poter fare come tutti, passeggiare mano nella mano, andare al cinematografo o a fare una gita, baciarsi in una via o mangiare un gelato in piazza insieme. Certo, nel loro piccolo mondo di Nampara, quando chiudevano la porta, erano felici, ma fin quanto tutto questo poteva durare? Fin quando sarebbe bastato accontentarsi di quegli scampoli di tempo rubati di nascosto al mondo? E soprattutto, sarebbe arrivato il giorno in cui Demelza si sarebbe stancata di vivere un amore unicamente clandestino?
Questo e mille altri tarli si mangiavano l’animo di Ross, così come quello di Demelza era attanagliato dalla preoccupazione per il suo uomo.
Ross la prese per mano. Di notte, nel bosco, in pieno inverno, nessuno li avrebbe visti.
Demelza parve sorpresa ma poi rispose alla stretta con forza.
E in silenzio raggiunsero la grande casa degli Enys, antica, austera ed elegante, circondata dai silenzi del bosco, comoda per vicinanza al borgo di Annaberg-Buchholz ma abbastanza lontana per vivere appartata la sua placida esistenza senza intromissioni esterne.
Fu Dwight ad accoglierli. Il giovane medico dai lineamenti e dai modi gentili li accolse indossando una calda camicia da camera bianca e pantaloni verdi. Era raggiante e Ross gli strinse subito la mano. “Ti credevo più provato!” – commentò, scherzando.
Lui rise. “Sì, c’è stato un momento dove ero certo di soffrire più di Caroline ma me ne sono ben guardato dal dirglielo!”.
E hai avuto salva la vita” – rispose Ross con sarcasmo.
Ross e Demelza risero e dopo aver ricevuto le loro congratulazioni, l’uomo li fece entrare e li condusse nel grande salone riscaldato da uno scoppiettante camino.
Caroline, vestita con un morbido abito azzurro, li aspettava sul divano assieme ad Horace. Davanti a lei, sul tavolino, c’erano un vassoio con dei pasticcini e una bottiglia di vino bianco. Di fianco al divano, una culla.
Demelza corse ad abbracciare l’amica. Caroline sembrava il ritratto della salute e il viso reso più pieno dalla gravidanza la rendeva ancora più bella. Sembrava già tornata in perfetta forma e solo un accenno di pancia indicava che aveva partorito da poco. Poi andò a vedere la bimba, placidamente addormentata. “Oh Caroline, è davvero perfetta!”.
L’amica alzò le spalle. “Perfettamente rompiscatole! Dovessi sentirla la notte quando strilla perché ha fame e pretende di ricevere attenzioni immediate fregandosene del bisogno di dormire della sottoscritta!”.
Demelza rise. “Beh, i neonati son così, non lo fanno apposta! Mia madre morì che ero piccola e ho cresciuto i miei sei fratelli tutta da sola, ne so qualcosa”.
Caroline, dopo quelle parole, guardò Dwight. “Tesoro, dimmi che possiamo rubarla a Ross e assumerla come bambinaia, ti prego!”.
Ross rise. “Scordatelo! Nampara necessita di Demelza ben più di te”. Lo disse scherzando ma in cuor suo non poté non chiedersi se per la sua amata non sarebbe stata una soluzione migliore e più tutelante. Ma ricacciò indietro quel pensiero quasi doloroso…
Sì sì certo, Nampara…” – mormorò maliziosamente Caroline, sotto voce.
I quattro si sedettero attorno al tavolo parlando di bambini, parti, di cinema, di cani, di tutto e niente, ridendo e scherzando come non facevano da tanto.
Quando la piccola Sophie si svegliò, fu Demelza a correre per prenderla in braccio. Non vedeva l’ora di spupazzarsela a dovere…
Ross la osservò in silenzio. Santo cielo, come aveva potuto considerarla tanto a lungo una ragazzina? Era una donna bella, giovane, piena di vita, appassionata ma anche tenera. E con quella bimba fra le braccia non poteva non immaginare, sognare una vita al suo fianco non solo come amanti clandestini ma come una futura famiglia… Faceva male anche quel pensiero perché quel sogno accarezzato forse per la prima volta, sarebbe stato irrealizzabile fino a che Hitler e il nazismo avessero dettato legge.
Demelza intercettò il suo sguardo a cui rispose, quasi leggendogli nel pensiero, con un sorriso, mentre cullava la bambina.
Anche Caroline intercettò lo sguardo fra i due, sorridendo nuovamente maliziosa. “Sophie è come me, capricciosa e desiderosa di una amica del cuore! Sinceramente non voglio per casa una marmocchia ariana che corre per i corridoi cantando canzoni naziste come i pargoletti-Goebbels, io voglio che abbia una amica VERA e soprattutto intelligente! Quindi, Demelza e Ross, impegnatevi e fornitegliene una!”.
Ross e Demelza sussultarono mentre Dwight la fissò ad occhi spalancati. “CA-RO-LI-NE!!!”.
Lei guardò il marito con noncuranza e finta innocenza. “Avanti, smettiamola di nascondere l’elefante che passeggia nella stanza!”.
Dwight accentuò lo sguardo di rimprovero ma Caroline finse di ignorarlo, rivolgendosi ai due amici. “Sappiamo… O meglio, abbiamo capito tutto già da un po’ io e il dottor Enys! Ci chiedevamo quando avreste voluto dircelo!”.
Ross si irrigidì. “Dirvi cosa?”.
Di voi!” – ripose la donna, con tono calmo. “Credo sia parecchio che ormai, chiusa la porta di casa vostra, non siate più padrone e domestica. Giusto?”.
Demelza arrossì e Ross rimase in silenzio, presi decisamente alla sprovvista. E ora? Da cosa avevano capito tutto?
Fu Dwight a toglierli dall’imbarazzo, deciso a fare una bella ramanzina a Caroline una volta rimasti soli. Sia lui che sua moglie conoscevano fin troppo bene Ross e Demelza per non accorgersi dei cambiamenti nel loro rapporto ma per mesi avevano taciuto, rispettando e comprendendo la scelta dei due di tenere nascosta la loro relazione. E ora che diavolo prendeva a Caroline? “Tesoro, non sono fatti nostri”. Poi, con un sospiro, guardò Ross negli occhi. “Scusa, mia moglie non voleva essere inopportuna ed invadere la vostra privacy”.
Caroline balzò in piedi. “Sì che volevo! Che amici saremmo se non fossimo sinceri? Avanti, lo sappiamo che siete una coppia, credevate che non l’avessimo capito? Che non avessimo captato gli sguardi furtivi fra di voi in nostra presenza? Credevate che non vi avremmo appoggiato?”.
Demelza prese un lungo respiro, a spiegarsi era da sempre migliore di Ross. “Ovviamente contiamo da sempre sul vostro supporto, ma…”.
Ross la interruppe, era giusto che fosse lui a spiegare le cose, era il più grande e si sentiva il più responsabile di quella situazione. “Avete ragione, dall’estate scorsa molte cose sono cambiate fra me e Demelza e non volevamo certo tenervene all’oscuro per mancanza di fiducia. Volevamo solo proteggervi, sappiamo bene cosa succede a chi non denuncia un legame fra un ebreo e una ariana. Volevamo solo che foste al sicuro, assieme alla vostra bambina in arrivo”.
Dwight sorrise, poggiando amichevolmente una mano sulla sua spalla. “Lo sappiamo Ross e vi supportiamo in ogni cosa! E siamo felici per voi”.
Caroline abbracciò Demelza, che teneva in braccio sua figlia. “Già, felici! Era da così tanto che volevo dirtelo mia cara”. Poi avvicinò le labbra alle sue orecchie, sussurrando sotto voce. “Poi, un giorno che saremo da sole, mi racconterai di com’è Ross sotto le lenzuola. Mi ha sempre dato l’idea di uno che sa come prendere una donna. O sbaglio?”.
Demelza divenne rossa come un peperone, comprendendo assolutamente bene a cosa alludesse la sua amica.
Non rispose e Caroline le strizzò l’occhio. “Sono felice per te e per voi, siete una bella coppia insieme”.
Ross si sentiva commosso per la felicità degli amici ma il suo animo non poteva non tormentarsi per loro, oltre che per Demelza. “Ragazzi, saperlo vi pone di fronte a dei rischi. State attenti, non dite nulla”.
Caroline alzò le spalle. “Siamo stati zitti per mesi e continueremo a farlo, non essere ansioso”.
Dwight rimase in silenzio, assorto. Conosceva Ross, era il suo migliore amico da molto e condivideva le sue preoccupazioni. Lui stesso, benché ariano e gradito al partito, era angustiato per la situazione del paese e per l’impatto che questo avrebbe avuto su sua moglie e sua figlia e non poteva non comprendere i timori di Ross che si trovava in una situazione ancora più pericolosa per lui ma soprattutto per Demelza. Sapeva quanto si sentisse responsabile verso di lei, come da sempre fosse stato protettivo e ora il legame fra loro non poteva che aver acuito questi sentimenti.
I due uomini, mentre le ragazze si occupavano di Sophie che si era messa a piangere e necessitava di essere cambiata, si avvicinarono alla grande finestra che dava sul giardino.
Ross abbassò lo sguardo, fissando l’oscurità che regnava fuori da Killawarren. “Dwight, ti chiedo un favore enorme e tu e Caroline siete gli unici di cui mi fidi davvero”.
Dwight annuì, forse presagendo cosa Ross volesse da lui. “Non preoccuparti, qualunque cosa accada, io e Caroline ci saremo sempre per Demelza”.
Ross per un attimo parve sorpreso ma poi sorrise. Lui e Dwight erano come fratelli e forse era normale leggersi nella mente e capirsi. Entrambi amavano due donne, entrambi vivevano in un’epoca storica difficile ed entrambi comprendevano quanto incerto fosse il destino davanti a tutti loro. “Non sappiamo cosa ci aspetta domani e se dipendesse da me fermerei il tempo a questa serata perfetta, alle nostre risate, confidenze, alla gioia per la nascita di Sophie, alla reciproca compagnia. Ma il tempo non si può fermare e gli eventi corrono veloci. Se tutto diventasse difficile, se per necessità dovessi dovermi separare da Demelza vi prego, prendetela con voi. La battuta di Caroline di poco fa, di farne la bambinaia di Sophie, forse non è così folle. Da voi sarebbe più al sicuro che con me”.
Dwight si morse il labbro, avrebbe voluto dirgli che non ce ne sarebbe stato bisogno ma entrambi avrebbero saputo che era una illogica illusione, una bugia. “Te lo prometto. E che Hitler e il nazismo ce la mandino buona”.
Ho dei forti dubbi, Dwight”.
Anche io! Ma stasera dobbiamo festeggiare, godercela come dici tu! Gioire delle amicizie vere e della vita che trionfa nonostante le brutture del mondo”. Alzò il calice di vino. “A noi, perché un giorno, fra un mese, un anno, dieci anni o chissà, ci si possa trovare di nuovo insieme in questa stanza a brindare senza paure, problemi, senza Hitler e in un mondo di pace fatto da uomini liberi e uguali gli uni davanti agli altri”.
Ross fece tintinnare il bicchiere contro quello dell’amico, pregando che quel desiderio potesse avverarsi davvero quanto prima. “A noi e a tutto ciò che c’è di buono, perché succeda presto e se non è presto... prima o poi”.


...


Ross e Demelza lasciarono la casa degli Enys quando mancava poco a mezzanotte. Avrebbero voluto lasciar tranquilli i neo-genitori ben prima, ma Caroline aveva insistito affinché rimanessero ancora un po’, adducendo che sentiva la necessità di sana vita sociale dopo giorni in cui si era sentita una mucca circondata da pannolini.
I due si misero in cammino verso Nampara sotto una fitta nevicata, stringendosi nei mantelli, in rigoroso silenzio. E se il non essere particolarmente loquace era una delle caratteristiche predominanti del carattere di Ross, lo stesso non si poteva dire per lo spirito vivace e allegro di Demelza.
La ragazza camminava assorta, seria, osservando distrattamente il sentiero davanti a loro.
Ross la osservò attentamente, sembrava improvvisamente triste e non ne capiva il motivo dopo una serata tanto piacevole. Certo, anche lui aveva molti pensieri per la testa ma la chiacchierata con Dwight e la sua disponibilità ad aiutare Demelza nel caso ce ne fosse stato bisogno, lo aveva alleggerito di un pesante fardello. “Cosa c’è?” – chiese alla ragazza, preoccupato per quello strano mutismo.
Demelza scosse impercettibilmente la testa. “Nulla”.
Ross le si affiancò, Demelza aveva un passo incredibilmente svelto quella sera. “Ti conosco e direi proprio che c’è QUALCOSA”.
La giovane si fermò, alzando gli occhi al cielo per osservare i candidi fiocchi di neve gelata che le cadevano sul viso. “Pensavo…”.
A cosa?”.
Lei sorrise, tristemente. “Da piccola adoravo la neve, mi sembrava una creatura magica che arrivava sul mondo per pulire tutto lo sporco a terra per poi riempire ogni cosa di magia. Mi piace ancora ma non riesco più a pensare che sia magica”.
Ross alzò le spalle. “Beh, pulisce l’aria”.
Ma non le nostre vite, Ross” - commentò, amaramente.
L’uomo sussultò davanti a quella apparente battuta che però nascondeva tutta la tragedia della loro vita e della Germania in quel momento. “No, non le nostre vite purtroppo”.
Demelza si voltò a fronteggiarlo. “Sai, guardavo Dwight e Caroline con Sophie, prima. E non potevo non pensare che dopo tutto loro hanno una speranza e uno scopo. Crescere, prosperare come famiglia, vivere ciò che va vissuto alla luce del sole. Nonostante Hitler, nonostante il nazismo…”.
Ross scosse la testa, ricordandosi di una piccola confidenza fattagli da Dwight poco prima, sotto voce per non essere udito da Caroline. “Non è così nemmeno per loro, Demelza. Questo non è un buon momento per nessuno per mettere al mondo bambini. Anche chi si crede al sicuro, non lo è davvero”.
Demelza sussultò. “Beh, ma c’è chi ha comunque qualcosa più di noi, più di me e te che dobbiamo nasconderci nell’ombra nonostante non stiamo facendo nulla di male”.
Ross sentì un brivido lungo la schiena. “Stai… stai cercando di dirmi che sei stanca di me, di noi e di…”.
Demelza lo bloccò. “No, nulla del genere” – disse con urgenza – “Sto solo dicendo, sto solo chiedendomi… Vedremo mai la luce in fondo a questo tunnel? Potremo vivere come tutti gli altri un giorno?”. I suoi occhi si riempirono di lacrime. “Ross, io vivo per te e posso sopportare tutto. E lo farò sempre, ma… Ma poco fa, osservando Caroline e Dwight con la loro bimba… mi sono chiesta se un giorno potremo vivere anche noi qualcosa di simile senza paura, senza nasconderci, con gioia. Non ho potuto non chiedermi che ne sarà di noi se le cose non cambieranno”.
Ross alzò la mano per accarezzargli la guancia ed asciugarla dalle lacrime. Ecco cosa temeva, ecco perché non voleva legarsi a lei. L’aveva trascinata in un mondo di incertezze e insicurezze, non poteva darle un futuro, garantirle nulla! “Ora lo capisci perché inizialmente ti volevo tenere lontana, senza legami con me? Non volevo che vivessi questo, non volevo che tu soffrissi! Non volevo privarti di quella gioia che ora vivono Caroline e Dwight e che al momento può darti chiunque altro eccetto me”.
Demelza si sentì in colpa per quello sfogo e per aver caricato Ross delle sue paure e ansie. “Ma io non voglio nessun altro che non sia tu. Vorrei solo essere certa che ci sarà una fine a tutto questo e che il mondo tornerà ad essere un luogo di pace fatto da uomini liberi, uguali e che non devono nascondersi”.
Ross le sorrise. “Certo che tutto questo finirà, DEVE finire in un modo o nell’altro. Ho paura quando penso a come si risolverà la cosa ma so che qualunque strada intraprenderà il mondo, sarà purtroppo necessaria anche se non indolore. Dobbiamo solo avere pazienza e vivere giorno per giorno in attesa di avere anche noi, io e te, un futuro. Nemmeno io voglio rinunciare a te e nemmeno io voglio una donna che non sia tu al mio fianco. E sarà sempre così”.
Demelza tirò su col naso. “E’ che ho così delle brutte sensazioni”.
Ross guardò il cielo. Anche lui, dalla notte di capodanno di quel 1938, aveva brutte sensazioni. In realtà gennaio era passato relativamente calmo ma sentiva che nell’aria c’era qualcosa di sinistro pronto ad abbattersi su tutti loro. La abbracciò, forte. “Andrà tutto bene, amore mio. Non so dirti quando ma sarà così”.
E allora Ross, tienimi forte a te”.
La baciò sulla nuca. "Non posso fare che questo, per ora". Poi la baciò sulle labbra, per la prima volta fuori da casa loro, dalle sicure mura di Nampara.
Demelza rispose a quel bacio dolce in modo un pò nervoso, guardandolo poi negli occhi. "Siamo all'aperto, Ross! E se qualcuno ci vedesse?".
Lui scosse la testa, per una volta deciso a far prevalere l'aspetto più selvaggio del suo carattere. "Non c'è in giro nessuno, siamo in un bosco, di notte, sotto la neve. Tutto questo appartiene a noi e nessun altro in questo momento e se qualcuno passasse di quì... che vada al diavolo e si faccia i fatti suoi". Lo disse con furore, baciandola nuovamente. "Non stiamo facendo nulla di male, hai ragione tu" - sussurrò contro le sue labbra. Poi le sorrise. "Ti prometto che arriverà un giorno in cui usciremo insieme mano nella mano fra la gente senza paura, il giorno in cui vivremo come Caroline e Dwight e potremo rivendicare al mondo il nostro diritto di essere una coppia e una famiglia. Ti giuro anche che il nazismo finirà e che da quel giorno ti porterò spesso, almeno una volta al mese, al cinematografo!".
Demelza inclinò il capo, sorridendo. Era sincero, non stava promettendo qualcosa solo per tranquillizzarla, Ross pareva crederci davvero e questo faceva sentire la sua anima più leggera. "Non fare promesse che non puoi mantenere" - lo rimbeccò.
"Parli del nazismo e della sua fine?".
Lei rise. "Parlo del fatto che verrai al cinematografo una volta al mese! Lo odi, come odi tutte le cose moderne! Fosse per te, la gente si sposterebbe ancora a cavallo".
"Che sarebbe un bel modo per vivere" - osservò lui, perfettamente convinto di quel che asseriva.
Poi la abbracciò, coprendola con il suo mantello. "Torniamo a casa adesso, fa freddo".
Lei annuì, facendosi avvolgere dalle sue braccia.
Camminarono nelle neve candida, con quel vago senso di inquietudine per delle sensazioni a cui non sapevano ancora dar nome, che non se ne voleva andare.
Perché lo sapevano, la storia stava facendo il suo corso e Ross e Demelza, assieme alla Germania, si stavano avviando verso un pericoloso punto di non ritorno.
Fra l'11 e il 13 marzo le truppe tedesche avrebbero invaso l'Austria, annettendola al Reich. Una invasione tutto sommato pacifica, a cui seguirà l'annessione, a settembre, della regione cecoslovacca dei Sudeti. Il tutto mentre, qua e la nella nazione e nel totale silenzio, nascevano i primi 'campi da lavoro'.
Ma quel che Ross e Demelza non potevano immaginare, sarebbe avvenuto a novembre, dieci mesi dopo. E da quel momento in poi il buio sarebbe piombato sulle loro vite e ci avrebbe messo tantissimo tempo a diradarsi.
Le leggi razziali che attanagliavano la vita degli ebrei erano già di per se terribili ma la Notte dei Cristalli sarebbe piombata su tutti loro con la sua furia, distruggendo quel poco di speranze che erano rimaste. Le vite di molte persone sarebbero andate in frantumi, esattamente come le vetrate dei negozi e delle case degli ebrei che quella notte sarebbero finite in un incubo senza ritorno.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4061102