A soft place to fall

di Padme92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parting ways ***
Capitolo 2: *** Growing distances ***
Capitolo 3: *** Dinner matters ***
Capitolo 4: *** Phone calls ***
Capitolo 5: *** Secrets & surprises ***
Capitolo 6: *** Dear Annie ***
Capitolo 7: *** Unexpected turns ***
Capitolo 8: *** Misunderstandings ***
Capitolo 9: *** Thoughts & hopes ***
Capitolo 10: *** Venice ***



Capitolo 1
*** Parting ways ***


1.





Annie stava guidando ormai da ore senza sosta e aveva già attraversato tutto il Wyoming. Il trailer di Pilgrim ondeggiava dolcemente trainato dal Lariat, tutt’altra storia rispetto all’andata. Il panorama era quasi identico a quello che aveva attraversato insieme a Grace solo pochi mesi prima, eppure niente dentro di lei era rimasto uguale. Il turbamento che le si leggeva negli occhi era di tutt’altro tipo rispetto alle preoccupazioni che si portava dentro quando era partita da New York. Allora aveva attraversato quasi dieci stati immersa in una solitudine diversa, il silenzio testardo di Grace che faceva a suo modo un rumore continuo, dandole inconsapevolmente più forza per andare avanti, alla ricerca di qualcosa – qualunque cosa – che avrebbe potuto alleviare il loro muto dolore, quei fili intricati di vite imperfette che si soffocavano l’un l’altra nel tentativo stesso di respirare. Annie, nella sua disperazione di madre e di moglie, ruoli nei quali non riusciva più a riconoscersi, rincorreva la speranza di trovare qualcosa di più, un fantomatico deus ex-machina che risolvesse il rompicapo, rimettendo ognuno al proprio posto, sciogliendo la matassa delle incomprensioni. E in effetti diverse cose straordinarie – miracolose, a ben dire – erano accadute: madre e figlia avevano recuperato un’armonia da tempo perduta e il loro rapporto sembrava essersi aggiustato, proprio come quello col cavallo. E tutto era accaduto grazie a una singola persona. Un uomo sconosciuto che ora per lei significava tutto. Per questo non era riuscita a dirgli addio.
Mentre percorreva col Lariat le migliaia di chilometri che la allontanavano sempre più da Tom Booker, Annie non riusciva a smettere di pensarlo, stringendo spasmodicamente la stringa che aveva intrecciato le loro dita così spesso nelle settimane precedenti. Le lacrime non facevano in tempo a seccarsi sul suo viso, che altre le nascevano dagli occhi. Si sentiva lacerata dentro. I pensieri si rincorrevano in circolo, tutti quei “perché”, “se”, “forse” e “mai più” la tormentavano senza tregua: perché era successo? perché non si erano incontrati prima? e se si fosse rifiutata di partire? e se una volta a New York avesse lasciato Robert? forse si sarebbero rivisti, forse Grace un giorno l’avrebbe perdonata. E se invece non si fossero rivisti mai più? Se Grace l’avesse odiata per sempre, e così pure Robert? Le sembrava di impazzire a causa di queste domande e, quel che è peggio, sentiva di avere paura di scoprirne le risposte. La verità era che avrebbe voluto conoscere questo amore molto prima, invece aveva sposato l’uomo sbagliato. Aveva scelto di amare Robert perché era ragionevole: un uomo buono e onesto, di solidi principi, che la stimava e la supportava e che, per di più, si era dimostrato un ottimo padre. Tom stesso aveva dovuto ammetterlo quando lo aveva conosciuto: non c’era niente che non andasse in Robert. Era sensato stare con uno come lui. Ed era proprio questo il problema: invece di scegliere il compagno di vita col cuore, Annie l’aveva scelto col cervello, pensando di aver fatto l’affare. Aveva sottovalutato il potere dei sentimenti, il potere dell’amore. Ora che lo conosceva ogni cosa le pareva trasfigurata, ogni istante della sua vita pareva avesse significato solo in funzione dell’amore per lui. Si volevano, era certo. Non stavano rinunciando l’uno all’altra per non fare del male a Robert, ma per non fare del male a Grace. Era lei che non avrebbe mai accettato questa realtà, specie ora che era appena riuscita a far pace con la sua nuova, menomata vita. In fondo il suo dolore non era paragonabile a quello di Grace, Annie lo sapeva: il suo era un sentimento egoista. Eppure, ne era sicura, non avrebbe mai smesso di far male.
Fu nel bel mezzo di questi lambiccamenti interiori che la prima tappa del suo viaggio di ritorno fece capolino dietro una bassa collina, illuminata appena dall’ultima luce del crepuscolo. Quando scese dal Lariat, Annie aveva le gambe indolenzite. Andò a bussare alla porta del suo anfitrione, una donna sui quaranta di nome Allison che all’andata l’aveva accolta con molto calore.
“Non sembra nemmeno lo stesso cavallo!” aveva esclamato quando erano andate a occuparsi di Pilgrim. Annie aveva annuito con un sorriso stanco. Si rendeva conto che la donna avrebbe voluto farsi raccontare tutta l’esperienza, ma proprio non se la sentiva. Allison capì che qualcosa non andava dalla sua faccia stravolta e, dopo aver ottenuto un paio di risposte laconiche, non insistette oltre con le domande.
“Dovrai essere stanca, ti ho preparato il letto,” disse offrendole una via di fuga “hai mangiato? o vuoi che ti porto qualcosa?”
Annie fu grata di cambiare argomento e chiese se poteva avere solo una tazza di latte caldo e qualche biscotto. Pur non assomigliando a una cena canonica, la donna le scaldò il latte e glielo lasciò sul tavolino della camera da letto insieme a un’intera scatola di biscotti al cioccolato.
“Se hai bisogno di qualcosa non esitare a chiamarmi,” fece Allison uscendo dalla stanza.
Annie annuì e quando fu di nuovo sola si lasciò cadere sul letto, sfinita emotivamente, più che fisicamente. Rimase lì ferma come un sasso per quelle che le parvero ore, il latte che si intiepidiva senza che lei lo avesse ancora toccato. Si sentiva svuotata. Nella stanza calò il buio. Dopo un tempo ragionevolmente lungo, passato a chiedersi come doveva sentirsi Tom e se la stesse pensando, Annie trovò infine la forza di svestirsi e infilarsi nella doccia. Il tepore dell’acqua sembrò rinfrancare per un attimo il suo spirito. Trasse lunghi e sonori sospiri, tentando di convincersi che ce l’avrebbe fatta, che era tutto a posto e che, come aveva detto Tom, erano solo due persone. Ma non servì, perché la diga si ruppe di nuovo ed Annie aumentò il getto della doccia perché coprisse il suono dei suoi singhiozzi.
 
Tom non passava una giornata così malinconica da molto tempo, forse da quando Rachel se n’era tornata a Chicago senza di lui. D’improvviso i campi e il cielo che aveva tanto amato gli sembravano infinitamente vuoti e privi di significato. Si stupì del suo stato d’animo, ignaro che nel suo cuore ci fosse ancora posto per sentimenti così totalizzanti. Quel mattino, dopo aver sellato Rimrock a dispetto del fatto che lei aveva solo finto di voler fare un’ultima cavalcata, aveva galoppato verso la collina per poterla osservare allontanarsi. Mentre seguiva con lo sguardo il Lariat e il rimorchio che trasportava Pilgrim, provò un moto di tristezza così forte che dovette stringere gli occhi per impedire alle lacrime di affiorare. Solo quando Annie fu sparita all’orizzonte si decise a voltare il cavallo e tornare al lavoro, nel vano tentativo di dare a quella giornata un’impronta normale. Servì a poco: era distratto e nel sistemare il filo spinato di una palizzata si fece un brutto taglio sulla mano. Corse a metterla sotto il getto d’acqua fresco e continuo del torrente e, mentre aspettava che il flusso di sangue rallentasse, un sentimento acuto di desolazione lo colpì a sorpresa, serrandogli lo stomaco. Si trovava infatti in una posizione simile quando Annie per la prima volta gli aveva sfiorato il volto. Quella notte, bagnati dalla luce della luna, si erano baciati con passione. Un ricordo così meraviglioso, che però al momento gli risultava quasi insopportabile. Entrò in casa e si fasciò lentamente la ferita, senza smettere di pensare a come quella stessa mano, solo poche ore prima, aveva toccato la schiena di Annie, mentre si abbracciavano, mentre lei piangeva, mentre lui cercava in tutti i modi di non cedere, di non chiederle di restare, di fare quello che riteneva fosse la cosa più giusta per tutti. La più giusta, sì, ma non la migliore.
Uscì di nuovo e il suo sguardo cadde senza volerlo sulla piccola casetta sul fiume ormai bagnata dalla luce morente del crepuscolo.
“Al diavolo…!” imprecò gettando il cappello per terra, mentre gli occhi gli si velavano di lacrime.
Poi, buttandosi carponi come un uomo in preghiera, Tom urlò. Non a causa della mano sanguinante che pulsava di dolore, ma a causa di una ferita aperta molto più profonda, provocata dall’amore sconfinato e bruciante che provava per Annie.

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Capitolo 2
*** Growing distances ***


2.





Sud Dakota. Adesso torno indietro. Iowa. Mi fermo, giro la macchina e torno indietro. Illinois, Indiana. Arrivo a New York, lascio Pilgrim a Chatham e torno indietro. Ohio. Controllo Grace e parlo con Robert, poi torno indietro. Pennsylvania. Sì, parlo con Robert e gli dico che…
New York. Sono arrivata e non posso più tornare indietro.
Annie fece sistemare Pilgrim nella sua vecchia scuderia, minacciando di fare causa qualora fosse venuta a sapere che il cavallo veniva maltrattato in qualunque modo.
“Voglio che sia trattato coi guanti, mi sono spiegata?” intimò alla proprietaria, lanciando occhiate affilate ai suoi due figli che già curiosavano increduli nel box.
Ormai mancavano solo un paio d’ore di viaggio, poi sarebbe arrivata finalmente a casa. La scatola di biscotti al cioccolato giaceva vuota sul sedile del passeggero. Allison aveva insistito perché se la portasse via, così Annie aveva sgranocchiato biscotti di continuo mentre guidava. Rovistò alla ricerca di qualche briciola rimasta sul fondo, ma rimase delusa. Non aveva mangiato molto in quei giorni, forse per questo si sentiva così debole. Non le sembrava di avere più nemmeno la forza per piangere. O forse aveva semplicemente finito le lacrime. Uno strano senso di vuoto l’aveva assalita nelle ultime ore, si sentiva la testa ovattata, come una nebbia mentale che le procurava un distacco emotivo insperato. A volte le sembrava quasi di vedersi in terza persona mentre guidava. Doveva essere qualche meccanismo di difesa inconscio che entrava in azione per impedirle di andare direttamente a schiantarsi con la macchina contro qualche albero, e farla finita.
Quando entrò a New York la prima cosa che notò fu il rumore stordente del traffico, la seconda fu invece la mancanza di spazio. Edifici e grattacieli si ergevano in ogni direzione, nascondendo il cielo, l’orizzonte, la natura. Annie si scoprì d’un tratto estranea a quel luogo, come se appartenesse a una vita precedente. Quasi indovinando il suo stato d’animo, dal cielo iniziarono a cadere gocce d’acqua.
Trovò parcheggio sotto casa e con lentezza ingiustificata scaricò il veicolo e trasportò i bagagli su per le scale. Quando varcò la porta, un profumo famigliare le riempì di narici. Era l’odore di casa sua, quello a cui ci si abitua talmente tanto da non sentirlo più quando ci si vive. Si guardò attorno stralunata, come se si stupisse di trovare tutto come l’aveva lasciato. Un rumore di passi e una voce acuta le rivelarono la presenza di Grace, che appena la vide la strinse in un abbraccio, cosa che l’aiutò a ricollegarsi almeno in parte alla realtà.
“Ciao tesoro, hai già mangiato?” domandò seguendo il copione di vecchie consuetudini.
“No, aspettavo te e papà. Ha detto che non avrebbe tardato oggi,” spiegò Grace con un sorriso.
“Io… Io non pensò che cenerò, Grace.”
La stanchezza di quattro giorni di viaggio sembrò arrivarle addosso tutta insieme, si sentiva persino instabile sulle gambe. Si appoggiò al tavolo e Grace la guardò un po’ preoccupata.
“Ma’, stai bene?”
“Sì, tesoro. Sono solo stanca, vado a farmi un bagno se non ti dispiace.”
Dopo aver abbandonato le valigie in stanza, Annie riempì la vasca da bagno e si spogliò. Quando si fu immersa nell’acqua bollente lasciò ricadere indietro la testa ed emise un lungo sospiro. Fuori era scoppiato il temporale, di quelli brevi e violenti tipici del periodo estivo. Fu in quel momento che finalmente realizzò: era a casa. Era disoccupata. E, soprattutto, era perdutamente innamorata.
 
Durante le settimane che seguirono la partenza di Annie, Tom era diventato, se possibile, ancora più silenzioso. Per natura non parlava mai più del necessario, ma questa volta il suo mutismo sembrava assumere un carattere quasi sacro.
“Hai per caso fatto voto di silenzio?” gli domandò ironico Frank, l’unico che credeva di sapere perfettamente cosa stesse attraversando il fratello. Tom sbuffò.
“Se anche fosse, la cosa ti disturberebbe?”
“A me no,” rispose Frank con piglio allegro “purché non ti risolvi a comunicare a grugniti, come i maiali, sei libero di tacere per sempre.”
Suo malgrado, Tom abbozzò un sorriso. Essendo cresciuti insieme e andando particolarmente d’accordo, i due fratelli erano spesso in grado di comprendersi senza il bisogno di parole. Tom era grato per questa loro connessione profonda: rendeva ogni cosa più semplice. Le parole troppo spesso sono una fonte di malintesi.
“Ad essere del tutto onesto con te, Frank” cominciò Tom mentre strigliava il suo palomino “In questo periodo penso che non mi sarebbe dispiaciuto nascere animale. Nessuno si sarebbe mai lamentato del mio silenzio. Avrei potuto essere, che so, un cavallo o una pecora.”
“O una vacca,” suggerì Frank, ricordando le parole che Tom stesso aveva rivolto a Annie la prima sera in cui avevano cenato tutti insieme, ma subito si pentì di aver fatto quel riferimento, perché sul volto del fratello sembrò calare un’ombra.
Tom non rispose infatti, catapultato nel ricordo dei primi momenti in cui aveva osservato Annie, il modo in cui gli angoli della sua bocca si incurvavano quando sorrideva, lo sguardo insieme indignato e divertito che gli riservava quando lui la prendeva in giro. Non riusciva a credere che non l’avrebbe più rivista, che i loro sguardi non si sarebbero incrociati mai più.  I primi giorni aveva quasi sperato di vederla tornare. Non era riuscito a impedirsi di lanciare di tanto in tanto un’occhiata alla strada, nell’illusione di vedere il suo Lariat fare capolino da dietro la curva. Sapeva di essere patetico, ma era più forte di lui. C’era però una cosa che aveva preso a fare e per cui si sentiva appena colpevole: più o meno una volta ogni due o tre settimane componeva uno dei mille numeri di telefono di Annie e ascoltava la sua voce registrata come segreteria telefonica. Era un’abitudine stupida, ma forse lo elettrizzava il fatto di sapere che lei avrebbe potuto alzare la cornetta da un momento all’altro. Non era mai successo però, anche se un paio di volte doveva aver aspettato troppo a lungo prima di riagganciare, e così il rumore del suo respiro era rimasto registrato in un messaggio altrimenti vuoto.
 
Annie aveva ripreso a lavorare come giornalista, la sua passione di sempre, che tra le altre cose le regalava più tempo da passare con Grace. Di tanto in tanto riceveva delle chiamate anonime cui evitava di proposito di rispondere. Talvolta si illudeva che potessero essere di Tom, e quando le era capitato di ascoltare un paio di brevissimi messaggi vuoti lasciati da questo misterioso mittente, le aveva sì sfiorato la mente che potesse trattarsi sul serio di lui, ma alla fine aveva deciso di evitare di alimentare fantasie dolorose e cercare di ignorare la cosa.
Grace intanto aveva ripreso la scuola e le cose per lei andavano bene. I weekend li passavano nella casa di campagna dove Annie ora si trovava maggiormente a suo agio. In segreto stava meditando di trasferirsi lì a tempo pieno fin dal suo arrivo. Un modo per alleviare, almeno in parte, il disagio che provava in presenza del marito. Lei e Robert dormivano ancora nello stesso letto, ma non facevano più l’amore. Come per una sorta di tacito accordo, cercavano di evitare accuratamente ogni contatto fisico. Per loro le cose non erano migliorate da prima degli eventi nel Montana, anzi erano peggiorate inesorabilmente, sebbene entrambi si sforzassero di mantenere una tregua. Lo facevano soprattutto per Grace: portavano avanti quella recita nel tentativo di proteggerla, e nella segreta, impossibile speranza che senza nulla dire le cose tra loro si aggiustassero e un giorno scoprissero di amarsi di nuovo come il primo giorno. Forse se si fossero impegnati abbastanza, la finzione alla fine si sarebbe trasformata in realtà. Robert era quello che abbracciava con più convinzione questa farsa, mentre Annie in certi momenti non vedeva proprio come fosse possibile aggiustare le cose, impedire alla loro famiglia di cadere a pezzi. Le tornavano allora in mente, eloquenti, le parole di Tom durante la loro prima cavalcata insieme “Forse dovresti lasciarle cadere”. Quel giorno gli aveva risposto di non potere, ed era esattamente questa la ragione per cui era tornata a casa: le era intollerabile l’idea di non provarci nemmeno. O forse no, questa non era altro che un’altra patetica scusa per cercare di sentirsi meno in colpa quando, inevitabilmente, la fine del matrimonio con Robert fosse giunta, presto o tardi che fosse. Entrambi sapevano che le cose non funzionavano, Robert addirittura aveva detto di saperlo dall’inizio che lui l’amava di più e forse per questo si ostinava a dimostrarle che il suo amore poteva bastare per entrambi. Aveva desiderato con tutto sé stesso di costruire una vita insieme con lei, se non perfetta, perlomeno felice. Ma Annie felice non lo era, e mentre si passava la spugna sulla pelle, come nel tentativo di togliersi di dosso la colpa di cui si era irrimediabilmente macchiata, una volta di più le tornò in mente la verità delle affermazioni di Tom: “Saperlo è facile, è dirlo ad alta voce che è difficile.”
Aveva maledettamente ragione.

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Capitolo 3
*** Dinner matters ***



3.





Erano usciti dalla stalla sporchi di fango e pelo dalla testa ai piedi, dopo aver cambiato i ferri a diversi cavalli. A Tom doleva la schiena, mentre Frank aveva un gran mal di testa. Dopo essersi lavati le mani e il viso al fiume ed essersi scrollati di dosso un po’ di polvere, rientrarono per mettersi a tavola con Diane e i bambini. Aveva preparato bistecche al sangue e piselli verdi, cosa che fece storcere leggermente il naso a Tom, il quale ormai prediligeva una dieta vegetariana, ma non aveva avuto ancora il cuore di dirlo a Diane. Frank invece lo sapeva e gli lanciò un’occhiata significativa, accompagnata da un accenno di sorriso. Tom alzò gli occhi al cielo avendo cura che Diane non stesse guardando dalla sua parte.
Non era sicuro del motivo per cui non gli andasse più di mangiar carne. Non era una scelta razionale, era qualcosa di istintivo. E poi, anche Annie sembrava evitarla… No. Che c’entrava questo? Tom scosse la testa e tentò di concentrarsi solo sul suo piatto. Per un po’ il tintinnio delle posate e i risolini continui dei gemelli furono gli unici rumori di accompagnamento, almeno fino a che Diane non prese la parola, vogliosa di tenere viva la conversazione durante ogni pasto, gli unici momenti della giornata in cui si trovavano tutti insieme.
“Stavo pensando alla donna di New York prima,” cominciò mentre versava da bere a turno ad ognuno, “nessuno di voi l’ha più sentita? Così, per sapere come gli vanno le cose, a lei e alla bambina.”
I due uomini si scambiarono un’occhiata eloquente, poi Frank si prese la responsabilità di dare una risposta.
“No, ma immagino che vada tutto bene sia con Grace che col cavallo,” disse generalizzando, “In caso contrario ce la ritroveremo qui la prossima primavera, a implorarci di darle lezioni di ippoterapia.”
Tom annuì, fingendo di trovare la cosa divertente, mentre Diane assunse un’espressione contrariata.
“Dio, spero proprio di no. Con tutto il rispetto, ma era una donna talmente diversa da noialtre.”
Frank alzò le spalle.
“Beh, che pretendi da una inglese che ha vagato in giro per il mondo solo per finire a fare il nido nella Grande Mela Marcia.”
“Può aver fatto il nido dove ti pare, ma non mi ha dato affatto l’impressione di essere una buona madre.”
“E questo cosa vorrebbe dire, Diane?”
Tom aveva rotto il silenzio, la voce insolitamente alta, la forchetta levata a mezz’aria. Diane lo guardò appena, non riuscendo a sostenere il suo sguardo. Sapeva di essersi inoltrata in terreni pericolosi, ma era più forte di lei. Al vedere Tom che soffriva ancora per quella donna provava allo stesso tempo un forte fastidio e un piacere perverso. Voleva sminuirla ai suoi occhi, mostrargli che fortuna era il fatto che se ne fosse andata prima di rovinare la vita di tutti, della sua famiglia e della propria, prima di portarlo via come aveva fatto Rachel tanti anni addietro.
“Niente,” fece con un fare innocente che le veniva malissimo, “dico solo che sono dei poveri disgraziati, tutti e quattro. Lei, la figlia, il cavallo e pure il marito.”
“Perché Robert sarebbe un disgraziato?” domandò con sincera curiosità Joey, che stava ascoltando la conversazione con molto interesse. Grace infatti gli mancava molto.
Tra un boccone e l’altro Diane si prese tutto il tempo per rispondere alla domanda, ponderando ogni parola.
“Perché ha sposato una donna che chiaramente non lo merita, Joey, ecco perché.”
“Credo che adesso stai esagerando”, disse Frank piano alla moglie, allarmato dagli occhi di Tom che ora mandavano lampi, “Annie è un’ottima persona.”
“Sai Diane,” intervenne Tom posando la forchetta e pulendosi gli orli della bocca con un tovagliolo “Per la prima volta in tanti anni, mi trovo costretto a dirti che non sono affatto d’accordo con te.”
Detto ciò si alzò da tavola e si congedò, lasciando la carne sul piatto, intatta.
Appena fu solo, si lasciò andare a un raro sfogo di rabbia picchiando il pugno sull’armadio. Gli andò bene che non spaccò l’anta che nascondeva lo specchio dal lato interno. Si guardò il palmo arrossato: era la stessa mano a cui si era fatto male il mese precedente. La cicatrice rosa era ancora molto evidente. Senza quasi pensare a cosa stesse facendo, Tom prese in mano il telefono e compose un numero di cellulare che ormai sapeva a memoria. Quando sentì il famigliare tuu-tuu iniziò a contare gli squilli prima che partisse la segreteria. Uno… due… tre… quattro… Poi silenzio. Tom rimase un attimo interdetto, era saltata la linea? Poi però si rese conto di un fatto molto più semplice: qualcuno aveva alzato la cornetta e aspettava all’altro capo del telefono senza dire niente. Dopo lunghissimi istanti di esitazione, durante i quali il cuore aveva iniziato a martellargli nel petto, pronunciò l’unica parola che gli riempiva la testa in quel momento:
“Annie?”
Sembrò che la sua voce si perdesse nel vuoto, perché, dopo un attimo di sospensione, la linea si interruppe e il telefono riprese il suo indifferente tu-tu-tu-tu. Prima che ciò accadesse, tuttavia, Tom poteva giurare di aver sentito qualcuno trattenere il respiro.
 
Annie era rientrata da pochi minuti con Grace. L’aveva accompagnata alla seduta di fisioterapia mentre lui finiva di sbrigare alcune pratiche per lo studio. Gli aveva raccomandato di rispondere al telefono ogni volta che suonava perché stava aspettando una chiamata importante. Non aveva detto di chi e lui non aveva fatto domande. Così, per tre volte, aveva alzato la cornetta. Il fatto è che Robert era convinto che non si sentissero più, che Annie se lo stesse lasciando alle spalle. Non era preparato alla possibilità di sentire la voce di quell’uomo che chiamava a casa sua. Il timbro era inconfondibile: una voce matura, leggermente rauca, pacata. Aveva chiamato il nome di Annie con un tono così confidenziale che era stato come ricevere un secco colpo al cuore. Ma la cosa non aveva suscitato in lui fastidio o gelosia, quanto un infinito senso di tristezza.
“Ha chiamato qualcuno mentre eravamo via?”
La voce di Annie lo raggiunse come da molto lontano.
“Robert?”
Lui si riscosse dai suoi cupi pensieri e annuì.
“Sì, ha chiamato la dottoressa Bishop per confermare l’appuntamento… e poi anche Liz. Dice di richiamarla quando puoi.”
Annie sembrò vagamente delusa.
“Ah, okay. La richiamerò dopo cena,” disse sbrigativa, poi alzò la voce in direzione delle stanze “Grace, mi aiuti ad apparecchiare il tavolo? Tra dieci minuti si mangia.”
“Ci penso io,” fece Robert alzandosi per prendere la tovaglia dal cassetto della cucina. “Da chi è che aspettavi una telefonata esattamente?” continuò con tono casuale.
“Oh, quello… Non fa niente,” rispose Annie evasiva mettendo l’acqua sul fuoco.
“Hai detto che era importante,” insistette lui mentre sistemava ordinatamente le posate ai lati dei piatti.
“Sì… Cioè, no…” fece lei, indaffarata a scaldare il sugo sul padellino “Era importante ma non urgente, ecco. Andresti a prender la pasta nella dispensa?”
Le risposte sfuggenti di Annie non fecero che accrescere in Robert la sensazione che le stesse nascondendo qualcosa. Quando tornò in cucina coi maccheroni decise di affrontarla apertamente.
“Ti ricordi cosa ti ho detto l’ultimo giorno che eravamo insieme nel Montana?”
Annie si bloccò. Lui la osservava attentamente per valutare la sincerità delle sue reazioni.
“Sì,” disse lei piano, senza guardarlo, “perché?” aggiunse poco dopo alzando la voce.
Si stava mettendo sulla difensiva.
Robert sospirò, scoprendo di non avere né le forze né la voglia per un litigio.
“Perché forse è il caso di essere sinceri, Annie,” disse semplicemente.
“Cosa vorresti dire con questo?” ribatté lei sentendosi accusata di qualcosa che provava, ma che tentava in tutti i modi di nascondere.
“Ti stai sentendo con quel cow-boy. Booker,” disse arrivando subito al dunque, “Vero?”
Annie sgranò gli occhi in quella che parve una sincera reazione di sorpresa.
“Come, prego?” fece interdetta, ignorando il sugo che si surriscaldava nel pentolino d’acciaio “Q-questo…” farfugliò completamente spiazzata “…da cosa l’avresti dedotto?”
Robert si fermò sul posto, iniziando a dubitare delle sue supposizioni.
“Ha chiamato, ed io ho risposto. Ti stava cercando.”
L’aria vagamente sorpresa di Annie si trasformò in puro stupore. La fronte le si coprì di fitte rughe sottili. Era rimasta senza parole, e fu questo, più di ogni altra cosa, a convincerlo che l’espressione sul suo viso era genuina.
“Come non detto,” si affrettò ad aggiungere nel tentativo di chiudere la conversazione prima che arrivasse Grace.
“No, aspetta. Ormai lo hai detto,” fece Annie tentando di riprendersi dallo choc iniziale “Come fai ad essere sicuro che era lui? Si è presentato?”
“No, ho riconosciuto la voce. Tutto qui,” ammise Robert prendendo posto a sedere “Guarda che stai bruciando il sugo.”
Annie imprecò e tolse il pentolino dal fornello. Il sugo era salvo per un pelo.
“Beh, non ti avrei detto di rispondere al telefono se avessi saputo che avrebbe chiamato.”
La frase gli era uscita in fretta, un modo per cercare di provare la sua innocenza che al contrario suonava come un errore non calcolato.
“Voglio dire…” riprese cercando di spiegarsi meglio.
“No, ho capito perfettamente, Annie,” la interruppe lui caustico.
“No, che non hai capito,” ribatté lei come sempre ostinata a non lasciar cadere la discussione “Intendevo dire che non ha mai chiamato finora. Quindi, che ne so… Magari voleva qualcosa.”
Sì, te, pensò Robert esasperato, ma si guardò dal dirlo ad alta voce.
“Che succede?”
Grace era entrata in cucina, allarmata dalle voci che si erano alzate di volume. Annie e Robert evitarono di guardarsi, ma per una volta erano entrambi grati del tempismo di Grace.
“State litigando?” domandò fingendo un tono di voce annoiato.
“No, tesoro,” fece Annie cercando di suonare neutrale “tuo padre mi stava solo aggiornando sulle telefonate.”
Servì la pasta e tutti presero posto attorno al tavolo.
“Uh, per caso ha chiamato Liz, papà?” chiese Grace, i lati della bocca già sporchi di rosso, “La settimana scorsa aveva detto che ci avrebbe avvisati se si fosse liberato un posto per Pilgrim nel nuovo maneggio.”
“In effetti sì, ha chiamato. Ma non ha accennato niente di questo, voleva parlare con tua madre.”
“Davvero?” fece Grace improvvisamente entusiasta “Che aspetti a chiamarla, mamma?”
“Calma, Grace, l’ho appena saputo,” cercò di frenarla Annie, “Stasera la sento, non c’è fretta.”
Grace sbuffò il suo disappunto, ma non insistette. Intenta a infilzare maccheroni mormorò solo:
“A volte vorrei tanto che non ce ne fossimo mai andati dal ranch dei Booker.”
Come se si fossero letti nel pensiero, Annie e Robert decisero di ignorare l’affermazione della figlia, concentrandosi solo sui loro piatti. Grace però non aveva intenzione di lasciare cadere l’argomento.
“Una giorno possiamo telefonare a Tom, mamma?”
All’udire quel nome per la seconda volta nel giro di cinque minuti ad Annie andò di traverso un boccone e iniziò a tossire. Vedendo che diventava rossa come un pomodoro, Robert le diede qualche pacca sulla schiena.
“Tutto bene?” le chiese osservandola da vicino.
“Sì, sì, grazie…” rispose lei riprendendo fiato e riempiendosi il bicchiere d’acqua.
“Allora?” incalzò Grace come se non fosse successo nulla.
“Non lo so, Grace…” fece lei tra un sorso d’acqua e l’altro, “Perché d’un tratto vuoi chiamarlo?”
“Perché non lo sentiamo da quando siamo partiti, mamma, si chiederanno anche loro come stiamo. E poi mi manca Joey.”
Disse quest’ultima cosa con una vocina più piccola e un pizzico di riluttanza, restia a sentire eventuali commenti sarcastici sulla sua piccola cotta come quelli che le avevano riservato le sue amiche di scuola.
“Insomma,” continuò nell’ansia di non riuscire a controllare l’acutezza della sua voce “Dopo tutto il tempo che abbiamo passato da loro, mi aspettavo che saremmo rimasti in contatto. Tu andavi così d’accordo con Tom, mamma, non ti chiedi mai se sta bene?”
L’innocenza delle parole di Grace colpì Annie direttamente allo stomaco e d’improvviso si rese conto di non riuscire più a mandare giù neanche un maccherone. Robert non sapeva come venirle in aiuto e, soprattutto, non sapeva se volesse farlo.
Ormai completamente impanicata Annie si alzò dal tavolo, decisa a darsi alla fuga da quel torrente di domande inaspettate.
“Sono sicuro che staranno tutti benone, Grace, non c’è da preoccuparsi,” disse alla fine Robert, vedendo che Annie esitava un po’ troppo a lungo a rispondere.
“Sì, ma è una questione di buona educazione, o no, papà? Loro sono stati gentili con noi. Che cosa ci costa dargli un colpo di telefono una volta ogni tanto? Io contavo anche che saremmo tornati a trovarli, prima o poi… Tipo la prossima estate?”
Il tono speranzoso delle proposte di Grace aprì il cuore di Annie su una possibilità che fino a quel momento si era proibita di contemplare. Era chiaro che la figlia si era innamorata di quel luogo e ci pensava più spesso di quanto non volesse far credere, proprio come lei si era innamorata dell’uomo, il quale occupava i suoi pensieri molto più spesso di quanto fosse opportuno. Fu allora che iniziò a vedere Grace come una potenziale alleata in un impossibile scenario futuro in cui lei decideva di lasciare tutto e trasferirsi nel Montana. Forse Grace sarebbe andata con lei.
Anche Robert sembrava percepire il pericolo, ma si ritrovava a guardare impotente mentre il dramma si svolgeva sotto i suoi occhi, a tratti volutamente ciechi. Non avrebbe mai potuto costringere Annie a rimanere insieme a lui, ma lasciarla tornare nel Montana sarebbe stato come sventolare bandiera bianca.
“Va bene,” se ne uscì d’un tratto Annie, obbligandolo a raddrizzarsi meglio sulla sedia.
“Va bene cosa?” le domandò con giustificato timore.
“Domani chiamo la fattoria e gli chiedo se puoi parlare con Joey,” spiegò Annie assumendo il tono professionale che usava a lavoro.
“Evviva!” Grace saltò in piedi gioendo per la vittoria e corse ad aprire il freezer, “Gelato?”
Robert ed Annie evitarono di guardarsi negli occhi fino alla fine del loro dessert.
 

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Capitolo 4
*** Phone calls ***


4.






Le giornate al ranch si susseguivano, se non tutte uguali, perlomeno molto simili. Solo il ridursi del numero di ore solari segnalava il lento avvicinarsi della fine dell’estate, ma per il momento i caldi, pigri pomeriggi d’agosto facevano venire voglia di crogiolarsi al sole, dimenticando ogni preoccupazione, distesi bellamente in mezzo al prato, oppure spingevano alla ricerca di una zona ombrosa, dove poter pisolare tranquilli con la schiena appoggiata contro il tronco ruvido di un pioppo. I bambini, invece, avevano sempre voglia di fare il bagno nel fiume o di andare a pesca. Joey in particolare amava preparare la canna e trascorrere lunghe pacifiche ore presso il torrente, in attesa che una trota cedesse alle lusinghe della sua esca colorata. Tom condivideva questa sua passione e, spesso, quando lo vedeva particolarmente desideroso di abbandonare la chiassosa compagnia dei suoi fratelli, si offriva di accompagnarlo a pescare in uno dei loro posti “segreti”. Non si trattava che di punti specifici un po’ più a sud lungo il corso del fiume, dove questo formava delle pozze d’acqua e delle cascatelle, perdendosi in diversi rigagnoli che zigzagavano tra i tronchi di una macchia d’alberi di betulla.
Era in uno di questi posti speciali che si trovavano quel pomeriggio, le canne strette in mano, ora concentrati, ora persi ciascuno nei propri pensieri, scambiandosi di tanto in tanto una parola o due. Joey aveva un carattere mite ma solitario, e tra tutti i nipoti era quello che assomigliava di più allo zio. Tom provava un certo qual senso di orgoglio per questo, soprattutto quando lo osservava lavorare con i cavalli: a 14 anni si intuiva già il suo dono nel rapportarsi agli animali. Talvolta Tom si era ritrovato quasi a desiderare che fosse figlio suo.
“Zio Tom?”
La voce del ragazzo lo interpellò da pochi passi più indietro rispetto a dove era seduto.
“Sì?” fece lui senza sentire il bisogno di voltarsi nella sua direzione.
“Credi che Annie e Grace si siano già dimenticate di questo posto?”
Tom non tradì la sorpresa di sentire nominare Annie, e invece intuì quello che il ragazzo aveva voluto dire veramente, ovvero: Credi che Grace si sia già dimenticata di me?
Si prese un attimo prima di rispondere, cosa che d’altronde faceva quasi sempre.
“Io non credo, Joey, “disse infine con semplicità, “Penso solo che siano molto indaffarate ora che sono tornate alla loro vita normale.”
Joey annuì, ma non sembrava soddisfatto della risposta.
“Pensi che torneranno a trovarci l’anno prossimo?” domandò, gli occhi fissi sulla lenza, ma senza vederla veramente.
“Non ne ho idea,” rispose Tom onesto, “Ti manca Grace?”
La sua era una provocazione. Sapeva che quando il giorno prima a cena Frank aveva accennato in modo scherzoso alla possibilità che Annie si facesse rivedere la primavera seguente, Joey aveva segretamente sperato che avesse ragione. Come lui, del resto.
Le orecchie di Joey si fecero paonazze a quell’insinuazione implicita, ma non provò a negare.
“Sì,” disse solo.
Tom ammirò la sua trasparenza. Per un breve momento provò a immaginarsi come sarebbe stato se, una volta cresciuti un pochino, tra lui e Grace fosse sbocciato un sentimento di natura più profonda della semplice amicizia.  E come sarebbe stato se, Dio volendo, Annie fosse tornata lì ogni estate insieme a lei. Per un attimo gli scorsero davanti agli occhi della mente tutta una serie di immagini che appartenevano ai ricordi più preziosi che aveva di lei: Annie che contemplava il tramonto durante la loro prima cavalcata insieme; Annie che gli si avvicinava silenziosa sotto una candida luna; Annie che, completamente nuda, teneva stretto il suo sesso guardandolo con occhi pieni di desiderio.
Il suo sognare ad occhi aperti fu interrotto dal grido trionfante di Joey. Si voltò e non poté fare a meno di sorridere al nipote che teneva alta la canna da pesca, dal quale ora penzolava una trota che si agitava forsennata nel tentativo di liberarsi dall’amo. Non fece in tempo a complimentarsi che sentì tirare a propria volta e, con muta concentrazione e qualche colpetto di gomito, alla fine si ritrovarono entrambi a riva a contemplare il loro bottino.
“Bel colpo, zio!” fece Joey estasiato dalla loro fortuna “due pesci in un due minuti, è un record.”
“Stasera ce li facciamo cucinare da tua madre, direi che ce lo meritiamo,” gli assicurò Tom, dopodiché smontarono le canne e, presa in una mano la cassetta da pesca, negli altri il sacchetto coi pesci, ripresero la via di casa.
Quando giunsero sulla veranda, Tom risistemò la cassetta nella cassapanca, mentre Joey correva in casa a far vedere le trote ai fratelli e alla madre.
“Guardate che abbiamo preso! Sono enormi,” lo sentì annunciare con entusiasmo Tom.
Le voci dei gemelli e di Diane si aggiunsero subito dopo.
“Fammi vedere!”
“Bravissimo, Joey!”
“Mamma, stasera li mangiamo?”
“Se fate i bravi fino all’ora di cena, può darsi di sì.”
Udì l’urlo di gioia dei più piccoli e poi Diane cambiare completamente tono di voce mentre chiedeva a Joey dov’era rimasto lo zio. Fu allora che Tom decise di entrare a sua volta nella casa. Non parlava con Diane dalla sera precedente, ma quando la vide sul suo viso non c’era traccia di risentimento o imbarazzo, solo i suoi modi tradivano una certa freddezza.
“Mi cercavi?” le chiese lui, aspettandosi come al solito un qualche tipo di richiesta o raccomandazione.
“A dire il vero sì…” cominciò Diane mordendosi il labbro. “All’inizio mi sono chiesta se fosse il caso di avvisarti, ma poi Frank ha detto che dovevo assolutamente dirtelo.”
“Dirmi cosa?” la interrogò disorientato.
“La signora MacLean ha chiamato più o meno un’ora fa. Vi cercava.”
“Chi?”
“La donna di New York. Annie.” chiarificò Diane “Il marito fa MacLean di cognome.”
“Ah. E chi cercava?” domandò brusco.
“Te e Joey,” disse lei come se si trattasse di qualcosa di ovvio “Lei e la figlia volevano salutarvi.”
“E tu che gli hai detto?” incalzò lui.
“Che vi avrei portato i loro saluti…”
Vedendolo aggrottare le sopracciglia come un falco pellegrino, Diane si affrettò a terminare la frase.
“… e che le avreste richiamate una volta tornati dall’uscita a pesca.”
Le sopracciglia di Tom si rilassarono, poi superò la cognata a grandi passi per dirigersi al piano superiore. Mentre saliva le scale si fermò, come se avessi dimenticato qualcosa, e disse solo:
“Diane. Grazie per il messaggio.”
Il solco sul suo viso si incurvò appena in una specie di sorriso e Diane capì che era disposto a dimenticarsi delle sue parole del giorno prima.

Quando aveva abbassato il ricevitore, Annie si era rimproverata l’agitazione con la quale aveva detto a Diane che avrebbe voluto parlare con Tom. La sensazione di non stare per niente simpatica alla cognata si era acuita enormemente da quel breve scambio di parole. Non poteva biasimarla, non dopo che Tom le aveva raccontato della loro breve frequentazione tanti anni prima che conoscesse la sua prima moglie. D’altra parte era convinta che niente di quello che lei o il cognato facessero o pensassero di fare fossero affari che la riguardavano. La sua gelosia aveva un non-so-ché di ridicolo, eppure era un ostacolo che la metteva di malumore, così come quella di Robert. Ciononostante si era decisa a chiamare, a sfidare i loro giudizi e a voler sentire di nuovo la voce dell’uomo che amava. Grace era rimasta accanto a lei e aveva gridato un saluto a Diane, salvandola almeno in parte dall’imbarazzo di quella conversazione, ma era rimasta delusa quando aveva saputo che né Tom né Joey erano in casa.
“Riproveremo più tardi”, le aveva assicurato Annie, sebbene ora si sentisse più restia a farlo.
Ma non ce ne fu bisogno. Quando Annie aveva ormai altro per la testa, immersa nella stesura di un’intervista che aveva condotto la settimana precedente, il telefono squillò.
“Annie Graves”, rispose lei in automatico.
Utilizzava sempre il suo nome da nubile, forse per il desiderio di conservare la sua identità e insieme la sua libertà come individuo unico. Un’altra di quelle scelte che Robert aveva rispettato, seppur non condividendola.
“Ah, quindi non sei la signora MacLean?” si sentì rispondere da una voce tanto famigliare che le venne la pelle d’oca.
Presa in contropiede, rimase un attimo interdetta prima di parlare di nuovo.
“…Tom?” disse alla fine, stupefatta.
“Ho saputo che hai chiamato,” fece lui con la sua solita pacata sicurezza.
“I-io…” cominciò nel tentativo di riprendersi dalla sorpresa “Sì, in effetti. Però non mi chiamo MacLean, mi sono rifiutata di cambiare cognome da sposata.”
“Mi pareva,” fece Tom per nulla stupito.
“Spero perdonerai il disturbo,” affastellò lei “ma Grace ha insistito tanto, ci teneva a sapere come andavano le cose. E poi a dirla tutta credo che le manchi Joey.”
“E a te?” domandò lui.
“E a me cosa?” fece Annie senza capire.
“Non ti manca niente di questo posto?” chiese Tom a bruciapelo.
Annie inspirò profondamente prima di formulare una risposta.
“Mi mancano i tramonti,” disse poi, il che era una parte di verità.
“Capisco,” fece Tom e ad Annie parve quasi di vedere il lieve sorriso che gli si formava sul viso.
“Solo i tramonti?” continuò lui, stavolta con tono chiaramente allusivo.
“No, Tom…” ammise infine, chiedendosi perché dovevano giocare a far finta che non fosse accaduto niente tra di loro, “Non solo i tramonti. Lo sai.”
“Lo so,” fece lui, impregnando quelle due sillabe di mille significati.
Annie non sapeva più come andare avanti. I suoi occhi iniziarono a luccicare di commozione, ma a tutti i costi voleva impedirsi di piangere. Non sarebbe giovato a niente.
“Tutto bene?” chiese Tom dopo un istante di silenzio un po’ troppo lungo.
“Sì, tutto bene,” mentì lei.
“Sono contento di sentirti,” disse lui in modo dolce, come indovinando la verità dietro la menzogna.
“Anch’io sono contenta,” fece lei con voce velata.
“Grace è lì?” domandò lui, pensando di intuire già la risposta.
“No, no… È andata con Robert a vedere il nuovo maneggio dove abbiamo trasferito Pilgrim.”
“Oh,” commentò Tom, “Sta bene?”
“Sì, sì. Abbiamo deciso di portarlo lì perché non ci fidavamo più degli altri proprietari, non dopo come l’avevano trattato.”
“Avete fatto bene, senza dubbio.”
Annie esitò ancora qualche attimo, poi si risolse a fargli la domanda che l’assillava da tempo.
“Senti, c’è una cosa che vorrei chiederti…” iniziò incerta.
“Spara,” la invitò lui.
“Questa non è la prima volta che chiami… vero?”
Silenzio. Annie non sapeva come interpretarlo.
“Tom?”
“È vero,” fece lui alla fine, come se gli costasse uno sforzo ammetterlo, “Ho telefonato ieri. Sei stata tu ad alzare la cornetta?”
Ad Annie prese a battere il cuore un po’ più forte.
“No, a dire il vero è stato Robert.”
Tom restò in silenzio.
“Ha detto che… Che mi cercavi. Anche per questo mi sono decisa a chiamare.” 
Un altro silenzio, questa volta più lungo. Tom se lo era aspettato. All’inizio era convinto che fosse stata Annie a tenere il ricevitore quando aveva sentito respirare. Per questo aveva chiamato il suo nome. Ma una volta abbassata la cornetta gli era sorto il dubbio che non fosse lei. Per la prima volta provò una vena di imbarazzo e non gli riuscì di pensare a una scusa plausibile da addurre per quel gesto. Alla fine optò di nuovo per la verità.
“Mi manchi, Annie,”
A sentire il suo nome pronunciato con cotanta tenerezza dall’uomo che amava, Annie si sentì leggermente mancare. Cosa stavano facendo?
“Mi sembra che avessimo deciso di non parlarne più. Di non sentirci più. Perché hai chiamato? Ieri e tutte le altre volte, lo so che eri tu. Come puoi pretendere che io vada avanti se – se tu…” Ecco che la voce le si incrinava e i suoi occhi iniziavano a minacciare un acquazzone.
“Non capisci che così non ce la faccio?” sbottò in preda alla frustrazione.
“Perdonami,” sussurrò Tom come se le stesse parlando all’orecchio “Non era mia intenzione farti soffrire ancora di più. Davvero.”
Lacrime silenziose le sgorgarono dagli occhi, appannandole la vista.
“Non so se ti perdono,” gli disse con voce rotta “Non so se ce la faccio, Tom.”
Sentendosi finalmente libera di dare voce a quello che aveva nel cuore, nella casa vuota di Chatham e per la prima volta dopo essere tornata nello stato di New York, Annie pianse fino a perdere le forze.

Tom si maledisse per il fatto di non poter essere lì con lei, di non poterla stringere fra le braccia, consolarla, dirle quello che voleva sentire.
“Nemmeno io mi perdono per averti lasciato andare via,” sussurrò piano, consapevole di rigirare il coltello nella piaga aperta dei loro cuori.
I singhiozzi di Annie lo facevano sentire impotente e nell’ascoltarli gli occhi gli si velarono a sua volta. Ma non avrebbe pianto. Doveva essere forte, ora più che mai, doveva resistere per lei.
Oh, Annie, pensò nella disperazione più totale, se solo le cose fossero diverse da come sono, mi sarei permesso di amarti fino alla vecchiaia, fino alla morte stessa. E voleva dirglielo, voleva dirle una volta di più quanto l’amava, anche adesso che erano lontani, forse più di prima. Ma qualcosa lo bloccò.
“Non fare così, Annie,” la pregò dolcemente “Non c’è bisogno di piangere. Siamo qui, siamo ancora noi due, l’uno nel cuore dell’altra.”
“Tom… Oh, Tom,” continuava a ripetere lei, accarezzandogli l’anima ogni volta che pronunciava il suo nome. Per chissà quale ragione suonava così diverso detto da lei?
“Annie,” disse a sua volta, cercando di rassicurarla quanto più poteva col suono della sua voce.
Avrebbero voluto dirsi tante cose, ma non ce n’era bisogno: ognuno dei due riusciva a indovinarle. Sapevano entrambi che il motivo per cui era meglio evitare ogni contatto era proprio quello che stava succedendo in quel momento e che avrebbe reso solo più difficile il ritorno a una vita che non li comprendeva insieme.
“Cosa dovremmo fare?” sentì Annie chiedere, dopo essersi un po’ calmata.
“Non dobbiamo fare niente, Annie,” rispose con sincerità “Dobbiamo solo aspettare. Tentare di vivere la nostra vita separati e vedere come sarà tra un anno, due anni, o dieci. Per ora le regole sono queste, e non possiamo fare altro che seguirle.”
Intuì subito che Annie non era affatto soddisfatta di quella risposta, ma era sicuro che in fondo comprendesse la verità delle sue parole.
“Grace mi ha chiesto di tenerci in contatto. Parla già di venire a trovarvi la prossima estate, capisci?
“Capisco,” mormorò rendendosi effettivamente conto delle implicazioni.
Se lei e Robert avessero voluto farla felice, si sarebbero lasciati convincere a tornare nel Montana, presto o tardi che fosse. E poi c’era la questione di mantenere i rapporti: voleva dire telefonarsi almeno per le feste canoniche, due o tre volte all’anno, come minimo. Come avrebbero potuto lasciare che il tempo raffreddasse i loro sentimenti, farli pervenire a una qualche forma di accettazione della loro situazione, se continuavano a sentirsi?
“Robert come la pensa?” chiese dopo qualche istante di valutazione.
“Non me lo dice,” rispose Annie “Ieri credeva che io e te ci sentissimo di nascosto. Gli ho spiegato che non era così, ma non so se si è convinto.”
“Si è arrabbiato con te?” le chiese rammaricato di averle causato ancora più problemi.
“No, non era arrabbiato, era solo… triste,” disse lei.
Tom si rabbuiò. Puoi giurarci che è triste, pensò preso da un vago senso di colpa.
“L’ho ferito, Tom,” fece Annie seria “Le cose già non andavano prima del Montana, adesso sono proprio ferme, in bilico. Non penso di essere in grado di salvarle.”
Non penso di volere salvarle, era quello che voleva dire in realtà. Tom afferrò il sottotesto. Rammentò quando le aveva chiesto perché non le lasciava cadere e basta. Lei non aveva risposto. Forse non lo sapeva nemmeno lei perché non riusciva ad arrendersi, anche se questo avrebbe voluto dire poter tornare da lui. Certo, Grace avrebbe sofferto, ma la verità è che avrebbe sofferto comunque nello scoprire, presto o tardi, che i suoi genitori avevano recitato una farsa per anni pensando di proteggerla. Personalmente al suo posto avrebbe preferito conoscere e affrontare la verità. Ma sapeva che la sua opinione non contava nulla, non aveva nessun diritto di interferire né poteva decidere per Annie.
Trasse un lungo, profondo respiro, ponderando bene le parole da rivolgerle.
“Tu sai già come la penso, Annie,” disse andando a sedersi alla sedia della sua scrivania “Devi fare le tue scelte, e io sarò felice di rispettarle.”
“Certo che non mi rendi le cose più semplici così…” commentò lei scuotendo la testa.
“Le cose non sono mai semplici né complicate, Annie. Sono e basta. Proprio come le persone e i loro sentimenti.”
Annie sospirò.
“Non so come fai ad avere sempre ragione,” fece un po’ imbronciata.
Tom rise sommessamente.
“Non lo so nemmeno io.”
“Grace direbbe che sei l’unica persona che riesce ad averla vinta con me,” commentò lei.
“E adesso ci sto riuscendo?”
Annie non rispose subito. Sapeva cosa intendeva dire: l’avrebbe convinta a lasciare Robert? Non glielo avrebbe mai chiesto in modo esplicito, ma tutto girava attorno a questo.
“Penso che lo scopriremo presto… In un modo o nell’altro.”
“Sì,” convenne “Lo penso anch’io.”
Una voce maschile lo chiamò da dietro la porta. Era Frank e aveva bisogno di aiuto per un lavoro. Anche Annie lo sentì. Era giunto il momento dei saluti.
“Allora salutami Frank,” fece lei in fretta “E dì a Joey che se chiama stasera verso le otto faccio rispondere Grace.”
“Va bene, lo farò senz’altro.”
“Va bene,” ripeté lei.
“Allora ciao,” le disse con una sfumatura divertita nella voce.
“Sì,” fece Annie, riluttante a chiudere la telefonata “Allora… Ciao, Tom.”
“Ciao Annie.”
 

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Capitolo 5
*** Secrets & surprises ***


5.




 
Passarono un paio di mesi. Le giornate si accorciavano sempre di più e l’autunno aveva in messo in mostra i suoi colori. Quando usciva di casa il mattino presto, le scarpe da ginnastica ai piedi, Annie doveva coprirsi bene per non prendere freddo: nell’aria c’era molta umidità, ma la corsa l’aiutava a ignorare le condizioni metereologiche. Era come meditare, per lei. Si trattava forse dell’unica parte della giornata durante la quale poteva rimanere sola coi propri pensieri. Non sentiva la mancanza dell’estate, in qualche modo trovava la malinconia di quel periodo dell’anno più consona al suo stato interiore. Tom non aveva più chiamato, nemmeno per sbaglio. Grace e Joey, al contrario, si sentivano circa una volta al mese, per aggiornarsi a vicenda sulla situazione dei cavalli e delle mandrie. Annie la ascoltava parlare al telefono con una punta di invidia, tale era la sua gioia e spontaneità. Da quando erano tornati dal Montana sua figlia non aveva mai perso il sorriso. Robert le aveva dimostrato una profonda gratitudine per il fatto di avergli restituito una Grace molto simile a quella pre-incidente. Forse per questo perseverava nel suo silenzio gentile, evitando di porle domande scomode. Dopo la sua telefonata con Tom, infatti, Annie si era tranquillizzata molto, perché la flebile speranza di rivederlo l’anno seguente abitava ora il suo cuore, riscaldandola dall’interno come una piccola fiammella. Era sicura che lui provasse lo stesso, e questa consapevolezza le era di enorme consolazione.
Tra una cosa e l’altra non si sentirono fino al giorno del Ringraziamento, quando Grace volle a tutti i costi che fosse lei a chiamare i Booker, cosa che fece con un sorriso di circostanza, sotto lo sguardo rassegnato di Robert, che quando fu il suo turno di prendere in mano il ricevitore si dimostrò amabile e interessato come sempre. Era davvero un uomo straordinario, e questo la faceva sentire un mostro ingrato. Chissà, forse era proprio questo il suo piano: essere talmente perfetto da farla sentire troppo in colpa all’idea di abbandonarlo. Quando lei e Tom si scambiarono gli auguri, le sembrò di rinascere e dimenticare per un minuto tutto il resto.
“Allora ci sentiamo per Natale,” le aveva detto prima di chiudere la telefonata, in un modo che sembrava le stesse facendo l’occhiolino.
“Sì, certamente,” aveva risposto lei con un po’ troppo entusiasmo.
Rimase di buonumore per tutta la sera, almeno fino a quando, verso la mezzanotte, Robert non la cercò sotto le coperte. Annie si immobilizzò, incapace di assecondare il marito. Era stupita di quella sua muta richiesta che, per quanto legittima, non si sarebbe mai aspettata. Robert non la forzò a fare l’amore quella notte, ma non si poteva dire nemmeno che lei lo fece con piacere. Ebbe il tremendo sospetto che lui sapesse perché era stata così allegra durante una cena a base del più tradizionale piatto di tacchino e patate, e che quel suo gesto fosse un modo di rubarle la gioia e di reclamare il suo corpo per sé. In fondo era ancora sua moglie. Ma se andare a letto con lui era diventato un tale sacrificio, Annie non vedeva come avrebbe potuto sopportare di sottoporvisi ancora a lungo.
Trascorsero ancora un paio di settimane, e poi accadde. L’imprevisto. Si era verso la fine di novembre ed Annie stava rovistando sul tavolo alla ricerca di alcune riviste, quando, senza preavviso, ebbe un conato di vomito e rigettò il caffè mattutino sul piano di lavoro.
“Merda,” imprecò più preoccupata per il disastro che aveva fatto sul tavolo, che per il possibile significato di quel sintomo così inusuale per lei. Andò a sciacquarsi la bocca in cucina, poi tornò a sistemare: buttò via le pagine illeggibili e i fogli rovinati e riordinò il resto. Nel mentre nei suoi pensieri iniziò a domandarsi se non avesse iniziato a soffrire di una forma di reflusso gastro-esofageo. In passato, quando lavorava come editor, le era capitato di soffrire di gastrite, sicuramente a causa dello stress lavorativo e dei pasti irregolari, ma da quando era stata nel Montana e aveva lasciato quel lavoro non le era più capitato. Decise di affrontare il resto della giornata con più calma e di mangiare in bianco per qualche giorno in modo da mettere a riposo lo stomaco. Ma non cambiò niente: quasi ogni mattina aveva conati di vomito accompagnati da mal di stomaco. Robert si mostrò più preoccupato del necessario quando notò il suo stato di salute e, malgrado le iniziali resistenze, alla fine Annie si decise a farsi visitare da un dottore. Disse a Robert che sarebbe andata dal gastroenterologo, ma in verità prese appuntamento con la sua ginecologa, che l’aveva seguita durante la gravidanza di Grace e tutti i successivi episodi di aborto spontaneo. Da quando usava la spirale, però, non aveva più avuto motivo di andarci. Ora, tuttavia, un dubbio atroce si era insinuato nella sua mente e sentiva di aver bisogno subito di risposte certe. La mattina della visita uscì di casa come sempre per correre, ma al ritorno si fermò in una farmacia e comprò il test di gravidanza più affidabile che ci fosse. Una volta a casa si infilò subito in doccia, nel tentativo di prepararsi psicologicamente a quello che sarebbe venuto dopo. Una volta uscita e asciugatasi, ancora nuda si sedette sul wc e aprì il test con mani tremanti. Due minuti più tardi, mentre aspettava il verdetto, Annie scrutò il proprio corpo allo specchio, alla ricerca di un indizio, come un piccolo rigonfiamento del ventre o un aumento della misura del seno. Il suo occhio critico le fece pensare di aver messo su un po’ di peso, niente a cui non avrebbe potuto rimediare. Ma quando tornò con lo sguardo allo stick, il suo cuore perse un battito: due sottili linee rosse confermavano una realtà impossibile, assurda, insensata. Annie si rifiutò di credere a quello che diceva il test finché non ebbe parlato con la ginecologa. Uscita dal bagno per prima cosa compose il numero e si fece dare un appuntamento, dopodiché si fiondò in cucina a farsi una tazza di tè rigorosamente senza zucchero, un’abitudine da vera inglese che non si era mai tolta. Mentre lo sorseggiava, il vapore della bevanda le scaldò le guance e, a poco a poco, il battito del suo cuore rallentò fino a riprendere un ritmo quasi normale. I due giorni successivi non riuscì quasi a toccar cibo e si domandò se lo scarso appetito fosse dovuto alla nausea da gravidanza o all’ansia terribile che le stringeva lo stomaco. La cosa più difficile era assumere un’aria di indifferenza davanti a Grace o a Robert, motivo per cui Annie era quasi impaziente di avere conferma della verità.
Finalmente, un grigio martedì di fine novembre, eccola varcare la soglia dell’ambulatorio privato della dottoressa Marrigan, una mano istintivamente sul grembo, l’altra stretta spasmodicamente attorno alla tracolla usurata della sua borsa di pelle preferita, la stessa che stringeva tra le mani nel Montana ogni volta che partiva dalla fattoria per andare in città. La ginecologa l’ascoltò e la visitò con attenzione e infine le propose di togliersi ogni dubbio facendo un’ecografia. Lei acconsentì, e quando le immagini nello schermo annunciarono la presenza di una nuova vita nel suo ventre, l’emozione fu così forte che le sembrò di sentirsi male.
“Direi che, su per giù, sei tra l'a nona e la decima settimana, Annie,” disse la ginecologa.
Si conoscevano da così tanti anni che ormai si davano del tu.
“So che questa gravidanza è inaspettata, ma ti prometto che faremo di tutto per riuscire a portarla a termine, se è quello che vuoi.”
Ancora stordita dalla novità Annie non capì subito di cosa parlasse la donna. Quando riuscì finalmente a dare un significato alle sue parole, si turbò.
“Certo che lo voglio, Wendy,” disse con tutta la determinazione che aveva.
Non esisteva un mondo in cui questo bambino non sarebbe venuto alla luce. Non esisteva e basta. E anche se non poteva averne la certezza assoluta, almeno per il momento, Annie sentiva che questo bambino era frutto dell’amore tra lei e Tom. Portava in grembo suo figlio. Un Booker. Questa era la realtà a cui voleva credere con tutte le sue forze. Una realtà che, presto o tardi, tutti avrebbero dovuto accettare.
 
A dicembre il ranch si ricoprì di uno strato di neve spesso quasi mezzo metro. Frank e Tom ebbero un bel da fare a spalare neve fino a Natale. Il lato positivo era che in quel periodo la mandria non dava granché da fare, mentre i lati negativi erano diversi: la neve inumidiva i vestiti facendo entrare il freddo fin nelle ossa, i bambini volevano continuamente giocare a palle di neve o costruire pupazzi in giardino, mentre Diane si prodigava in continui lamenti e rimproveri, arrivando a minacciare con una vanga chiunque varcasse la porta di casa senza essersi prima levato gli scarponi e aver cambiato i calzini. Le feste natalizie di solito portavano una ventata di allegria e colore nella fattoria, un’atmosfera spensierata che Tom si godeva volentieri, specialmente durante le lunghe sere invernali trascorse a bivaccare davanti al camino acceso, sbocconcellando i biscotti allo zenzero di Diane o bevendo una cioccolata calda mentre i nipoti lo sfidavano a carte. Ma quell’anno era diverso. C’era qualcosa di indescrivibilmente malinconico nel suo occupare la poltrona di chintz nell’angolo del salotto, sprofondando in un silenzio quasi religioso, per poi tirare fuori la vecchia pipa di suo padre in un gesto ormai rituale. Era un’abitudine tornata da poco che faceva storcere il naso a Diane, ma lui non se ne dava pensiero, al massimo evitava di farlo davanti ai bambini. Ma il punto è che Tom non fumava da anni. Da quando, in effetti, si era lasciato con sua moglie una quindicina d’anni prima. Essa rappresentava uno dei tanti motivi per cui non riuscivano ad andare d’accordo: Rachel odiava l’aroma dolciastro del tabacco, un odore che a lui invece ricordava l’infanzia, evocando memorie lontane di quando suo padre, Peter Booker, lo teneva sulle ginocchia seduto su quella stessa molle poltrona che pareva essersi deformata sotto il suo peso con l’andare degli anni. Aveva smesso solo quando aveva scoperto di aspettare un bambino. Non era sicuro del motivo per cui non aveva ripreso subito, una volta che si erano lasciati, ma ora quel piccolo vezzo gli dava conforto. Ogni tanto si domandava se ad Annie fosse dispiaciuto. In tal caso, forse si sarebbe risolto a smettere del tutto. Ma questo solo nella remota possibilità che il suo sogno si realizzasse ed Annie tornasse da lui. Sapeva che era pericoloso crogiolarsi troppo nelle sue fantasie, motivo per cui aveva pensato di concedersi una piccola coccola quotidiana, la sensazione di quel piccolo oggetto di legno tra le dita, il piccolo sbuffo di fumo che emetteva una volta acceso, il respiro profondo che lo obbligava a fare. A suo modo di vedere, era un’abitudine quantunque migliore di quella di fare telefonate fantasma a casa di Annie.
Dal canto loro, Frank e Diane cercarono di non turbare il suo silenzio luttuoso, chiacchierando animatamente coi bambini durante i pasti e coinvolgendoli in varie occupazioni, in modo da dissuaderli dall’andare a disturbare lo zio. Solo Joey, il più tranquillo ma anche il più maturo dei tre, veniva lasciato spesso in compagnia dello zio, il quale gli dedicava volentieri la sua attenzione. Il ragazzino sembrava condividere con lui lo stesso stato d’animo malinconico e, anche se non sempre dava voce ai suoi pensieri, Tom riusciva quasi sempre ad indovinarli. Non che fosse particolarmente difficile: ogni volta che squillava il telefono, per esempio, Joey scattava all’allerta, come un coniglio che rizza le orecchie. Era sempre in attesa di una telefonata da parte di Grace, come lui del resto.
“Perché non le scrivi una lettera?” gli propose Tom una sera che lo vedeva particolarmente amareggiato.
“Una lettera?” ripeté Joey dubbioso “Ma zio, oggi ci sono i telefoni… Le lettere sono roba da vecchi.”
“Dici?” fece Tom vagamente sorpreso “Eppure sono piuttosto sicuro che alle donne di oggi piacciano ancora.”
Joey non sembrava convinto.
“Non so… Quanto ci mette una lettera dal Montana ad arrivare a New York?”
“Una o due settimane, direi,” rispose Tom “Se la mandi subito potresti fare in tempo per Natale, o per l’anno nuovo.”
“Ma così, una lettera senza regalo?” fece il ragazzo incerto.
“Beh, allora mandale un pacco. Ci metti dentro quello che vuoi, lo porti all’ufficio postale e per una cosa come 9 dollari te lo fanno arrivare entro una decina giorni. Provare per credere.”
Il volto di Joey parve illuminarsi a queste parole.
“Un pacco!” esclamò con improvvisa eccitazione “Zio, sei un GENIO!”
Tom sbuffò un mezzo risolino insieme al fumo della pipa.
“Modestamente,” si umiliò mentre guardava il nipote saltare in piedi e andare a cercare una scatola di cartone adatta allo scopo.
“Domani preparo il pacco e giovedì chiedo a papà di andare a spedirlo,” disse Joey parlando più a sé stesso che a Tom.
“Zio, per caso vuoi metterci dentro qualcosa anche tu?”
La domanda lo prese in contropiede.
“Eh?” esclamò con sorpresa “Ti ringrazio, ma non saprei proprio cosa metterci…”
“Ma come no? Una bottiglia di vino, un dolce… Sai, quelle cose che gli adulti si regalano a Natale.”
Tom considerò per un momento l’offerta.
“In effetti non è una cattiva idea…” mormorò piano.
“Certo che non lo è! Dai, possiamo fare un pacco tutti insieme e mandarglielo per Natale. Vado a dirlo a papà.”
“Dirmi cosa?”
Frank comparve proprio in quel momento, una bottiglia di Scotch in una mano e due bicchieri nell’altra. Joey gli riferì la fantastica idea dello zio Tom di fare un pacco pieno di regali da mandare alla famiglia di Grace e lui non ne smorzò l’entusiasmo, ma lo spedì a letto dicendogli che ci avrebbero pensato l’indomani. Così, dopo aver augurato una buona notte allo zio, Joey salì a passo allegro le scale diretto in camera sua, mentre Frank, dopo aver riempito i due bicchieri di liquore, avvicinò una sedia al camino e vi prese posto, allungandone uno al fratello che spegneva la pipa.
“Grazie,” fece quello laconico, e ne bevve un sorso.
Dopo qualche minuto di silenzio, in cui entrambi si godettero il bruciante calore del liquido alcolico che gli scendeva nello stomaco, accompagnati dal crepitio rilassante del fuoco che lentamente si andava spegnendo, Frank parlò per primo.
“Così vuoi fare un regalo ad Annie.”
“Ma quale regalo,” si difese Tom “E’ a Joey che manca Grace. Io sto a posto.”
“Ehi,” lo richiamò dolcemente Frank “Sono tuo fratello. Non sono laureato, ma non sono stupido. Ti conosco da tutta la vita e so quando stai soffrendo.”
Tom ostentò un’aria di indifferenza.
“E ha importanza?”
“Beh, da quello che vedo mi sembra che ne abbia. E molta, anche.”
“So che ti dai pensiero per me, fratellino, e ti ringrazio, ma non serve. Io sto bene, sul serio. Non mi manca niente. Ho il ranch, i cavalli, una marea di marmocchi intorno… Cosa può volere di più un Booker?”
“Mah, non so…” fece Frank facendo finta di pensare a fondo “Forse… una donna?”
Tom fece spallucce, indifferente.
“Ma una donna ce l’ho.”
Frank gli lanciò un’occhiata incredula.
“Davvero? Vai a letto con una?” gli domandò a bruciapelo.
Tom rise tra sé prima di rispondere.
“E io che pensavo te ne fossi accorto.”
Frank sbarrò gli occhi.
“Chi è? Una che conosco?”
“Si chiama Christie,” fece Tom, enigmatico.
“Christie…?” Frank si fece pensieroso un momento “Non sarà quella ragazza nuova giù al pub… Dio, Tom, avrà meno di vent’anni.”
“Ma no, Frank, no”, fece Tom alzando una mano a mo’ di diniego “Questa qui è matura. Fin troppo, direi… Dio, ha più anni di me.”
“Ma che diavolo…?” Frank iniziava a sentirsi preso in giro “Tu menti. Non c’è nessuna Christie. Non sono così scemo, lo so che non hai mai frequentato una donna della tua età, figurarsi una più grande. Non ti sentiresti all’altezza.”
Tom non riuscì a trattenere una grassa risata.
“Tranquillo, fratellino, hai vinto,” fece fingendo di sventolare bandiera bianca “Te la presento, anche se vi conoscete già.”
E detto ciò prese la pipa che aveva appoggiata sul bracciolo della poltrona, tenendola bene in vista sul palmo della mano.
“Eccola qui, è lei. Christie, Frank. Frank, Christie.”
Frank scoppiò a ridere a propria volta, ma non risparmiò un gestaccio al fratello. Christie Pipes era la marca di pipe preferita dal loro defunto padre.
“Non so come abbia potuto non venirmi in mente,” ammise tornando serio.
“E dire che me la faccio tutte le sere nel tuo salotto,” fu il commento di Tom.
Almeno per quella sera, Frank smise di fare domande.

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Capitolo 6
*** Dear Annie ***


 6.

 



Non erano ancora iniziate le vacanze invernali, ma Grace e Robert avevano già finito di addobbare l’albero di Natale, mentre Annie si era data da fare per pulire a fondo la casa di Chatham, dove tutti e tre si sarebbero stanziati fino al rientro di Grace a scuola. Robert era riuscito a farsi dare alcuni giorni di ferie per passare più tempo possibile in famiglia, ma Annie non riusciva a nascondere un nervosismo crescente in sua presenza. Aveva iniziato a fasciarsi il ventre, sebbene ancora la curva dell’ombelico non si fosse allargata che di paio di centimetri. Probabilmente si trattava di ritenzione idrica, ma sapeva bene che il problema non erano i primi mesi: i cambiamenti si sarebbero notati a partire da febbraio/marzo. Stava ancora pensando a un modo per parlarne a Tom, ma le sembrava tremendo fare un annuncio del genere al telefono. Allo stesso tempo, però, si sentiva consumare da un segreto così grande che in taluni momenti riusciva più a respirare. Certe mattine osservava il suo corpo allo specchio, ancora incredula che dentro di lei ci fosse una nuova vita. Ciò che più la spaventava era la possibilità, fin troppo concreta, di perdere un altro bambino. Aveva paura che lo stress continuo di recitare la parte della mamma in forma e dedita come in passato solo al lavoro, potesse aumentare il fattore di rischio. Per questo motivo cercava di passare quanto più tempo poteva da sola, lontana da sguardi indiscreti e, soprattutto, lontana dal letto di Robert. Ma sotto Natale era diventato impossibile. Robert voleva invitare i suoi genitori per il cenone della Vigilia, mentre Annie avrebbe voluto dirgli di portare Grace a casa loro come l’anno precedente, quando lei era arrivata giusto in tempo per le palline in brodo e se ne era andata dopo una sola fetta di dolce. Grace adorava i nonni, i quali non mancavano di viziarla fino alla nausea ogni volta che la vedevano. Toccava sempre ad Annie fare la parte della cattiva, controllando che non esagerassero con le mance e i cioccolatini, ma quell’anno non le importava. Grace si meritava tutto quello che potevano dargli e anche molto di più. Il suo piano, però, era fallito: Robert era stato irremovibile e Annie si era domandata il perché di tanta fermezza, date anche le sue scarse doti culinarie.
“Sai come mi manda in agitazione cucinare per tutti, Rob…” si era lamentata.
“Grace ha detto che alla fattoria hai cucinato volentieri,” aveva detto lui con tono allusivo.
“Sì, un piatto di pasta condito con uno scadente sugo di pomodoro comprato al discount. Sai che roba,” aveva ribattuto Annie, ignorando la frecciatina.
“Beh, tesoro… Vedila come un’occasione per fare pratica.”
Annie aveva sbuffato, ma alla fine si era adeguata, forse per il senso di colpa di portare dentro di sé la prova fisica del suo tradimento. Con Grace, Robert riusciva a fingersi beatamente ignorante dei suoi trascorsi, ma ogni volta che i loro sguardi si incrociavano, Annie riusciva ancora a vedere un’ombra di tristezza negli occhi del marito. Forse nutriva ancora una certa ansia di tornare a casa e scoprire che se n’era andata. E non aveva torto a preoccuparsi: sempre più spesso ad Annie veniva la tentazione di prendere l’aereo senza dire niente a nessuno, e tornare prima che qualcuno se ne accorgesse. Ma non aveva più quindici anni, e lo sapeva. Doveva comportarsi come una donna adulta, come una madre responsabile. Per questo motivo cercò di mettercela tutta per regalare alla sua famiglia un Natale sereno e il giorno della Vigilia si alzò presto per potersi dedicare con calma alla preparazione di ogni vivanda: dagli antipasti, principalmente tartine di salmone o caviale e vari tipi di salatini, alle due portate principali: risotto di asparagi e anatra al latte. Era talmente indaffarata che, quando suonò il campanello, nemmeno se ne accorse. Fu Grace ad aprire la porta al postino, che dopo averle chiesto di firmare, scaricò un grande pacco nell’ingresso. Quando diede un’occhiata, Grace si stupì di leggere il proprio nome sull’etichetta.
“Maaamma!” chiamò verso la cucina.
“Che c’è Grace? Mamma è molto occupata al momento.”
“Hai ordinato un regalo di Natale per me?”
“Eh?” Annie si asciugò le mani nello strofinaccio prima di affacciarsi alla porta che dava sul salotto “Cosa c’è tesoro?”
“È arrivato questo pacco… C’è scritto sopra il mio nome. Posso aprirlo, mamma?”
“Credo di sì,” fece Annie perplessa “I tuoi regali sono già tutti pronti sotto l’albero, Grace.”
Detto ciò le si avvicinò per dare un’occhiata alla grossa scatola di cartone. L’indirizzo era scritto a mano, in stampatello. Grace trafficò per provare ad aprirlo ma senza riuscirci, c’erano metri di nastro adesivo che lo ricoprivano quasi completamente. Annie andò a prendere un coltello e aiutò Grace a strappare via l’involucro. All’interno c’era una grande quantità di cose: un sacchettino di sassolini colorati che sembravano biglie, un carillon a forma di cavallino, una palla decorativa dipinta a mano, un paraorecchie per cavalli e una sciarpa blu e bianca che sembravano essere stati realizzati all’uncinetto; poi una bottiglia di vino rosso datata 1955 e diversi pacchi di dolciumi. In fondo, c’erano due lettere. La prima era indirizzata a Grace, e la seconda era per…
“Mamma!!”
Grace sembrava sul punto di saltare di gioia, se solo la sua disabilità non le fosse stata di ostacolo.
“Sono i Booker! Guarda, questa è di Joey, mentre questa è per te!”
Grace le allungò una busta che recava la scritta a lettere corsive: Annie Graves.
Il cuore le balzò nel petto mentre la afferrava con mani incerte. Fortunatamente, Grace era tutta presa dai regali e dalle tenere parole di Joey, che le auguravano un gioioso Natale descrivendole una per una le tradizioni natalizie della famiglia Booker, e Annie riuscì a nascondere la busta indirizzata a lei nella tasca del grembiule.
“Sono stati carini, vero?” chiese Grace notando il silenzio attonito di sua madre “Vero, mamma?”
“Sì, tesoro, molto” la liquidò lei “Tra oggi e domani dobbiamo assolutamente telefonare per ringraziarli.”
Mentre Grace gongolava felice, Annie le ricordò di mettere tutto in ordine prima di tornarsene in camera sua, poi decise di ritirarsi a sua volta per leggere il contenuto della sua lettera con calma. Prima ancora di aprirla, sapeva di chi fosse. Perciò quando, con mani tremanti, tirò fuori due fogli di carta scritti in una fitta grafia sottile e leggermente sghemba, le si mozzò il fiato e rimase in apnea fino a che i suoi occhi ebbero decifrato ogni singola parola.
 
Quando aveva consigliato a Joey di scrivere una lettera a Grace, in realtà Tom stava esprimendo un pensiero che aveva in mente già da qualche giorno. Voleva trovare un modo per comunicare con Annie che non fosse la solita telefonata spiccia per scambiarsi due auguri in modo formale, ma allo stesso tempo aveva paura di rendere la situazione ancora più complicata. Era combattuto tra il desiderio di sentirla, ridirle tutto il suo amore e tentare di convincerla a scegliere lui e il fare un passo indietro per lasciare Annie completamente libera di pensare al bene della sua famiglia, senza influenzarla ulteriormente. Questa tensione costante tra volere e dovere era estenuante. Inizialmente aveva creduto che il loro mancato addio, quel fatidico giorno di settembre, avesse rappresentato un punto di non ritorno, la fine della loro storia. Ora invece aveva maturato l’idea che, se non fosse stato messo un punto ad alta voce, le cose tra loro sarebbero rimaste sempre in sospeso e la relazione non poteva dirsi veramente conclusa. E così, dopo i brevi scambi telefonici degli ultimi mesi, Tom aveva preso atto del fatto che le cose tra loro non erano ancora finite: c’era ancora una ragionevole speranza che Annie trovasse un modo per uscire da quella situazione, una vita che non le piaceva, ma che si sentiva obbligata a scegliere per il bene di Grace e per il senso di colpa verso una brava persona come Robert. Sapeva che c’era comunque un fondo di egoismo in quello che stava per fare, mascherato dalla convinzione di sapere cosa fosse meglio per tutti – soprattutto per lui – ma non riuscì a impedirselo: la sera che Joey aveva annunciato di voler spedire un pacco a Grace, dopo quel breve scambio di battute con Frank, era salito in camera e aveva preso carta e penna. Seduto alla sua scrivania, la vista sulla casa vicino al torrente che sembrava solo acuire la sua nostalgia per Annie, aveva indugiato a lungo sul modo di cominciare la lettera. Alla fine si era deciso, e più di un’ora dopo questo era ciò che aveva scritto:

 Cara Annie,
 
sono giorni che penso di scriverti questa lettera. Ho cercato di impedirmelo, ma invano, e alla fine ho trovato una scusa per farlo. Spero che mi perdonerai. Vedi, Annie, io non sono un uomo perfetto. Anzi, sono molto più egoista di quello che si potrebbe pensare. Sono convinto che Robert, tuo marito, sia un uomo molto migliore di me e che al mio posto gli riuscirebbe di fare la cosa giusta, proprio come quel giorno che è partito lasciandoti sola qui da sola, consapevole di cosa avrebbe significato. Ecco, lui ti ama davvero, Annie, per questo ti ha lasciata libera di scegliere. Io, invece, pur avendoci provato, non sono stato alla sua altezza. E ti dico la verità: al suo posto non penso che sarei riuscito a fare quello che ha fatto lui. Sono troppo geloso di te, del tuo corpo, per accettare di cederti a un altro. Eppure, non sarei capace di cambiare la mia vita per farla combaciare con la tua: al contrario, chiederei a te di adeguarti alla mia. Vedi che persona egoista? Lui, d’altro canto, probabilmente rinuncerebbe a tutto, anche a sé stesso e al suo amor proprio pur di stare con te. Sacrificherebbe la sua felicità per la tua. Questo è il motivo più valido per cui dovresti tenerti stretto Robert e dimenticare me. Potresti considerarmi una cotta estiva, uno di quegli amori adolescenziali effimeri, che bruciano tanto ma alla fine si trasformano in dolci ricordi d’infanzia. Davvero, dovresti farlo, per il tuo bene. Dovremmo farlo entrambi. Vorrei davvero imparare a vivere il resto della mia vita senza di te. Ma so che, anche se dovessi essere costretto a farlo, non ci riuscirò mai. Perciò, lo dico di nuovo: spero che perdonerai l’egoismo con il quale ti ho scritto. Ti amo, Annie.

                                                                                                                                          Tuo,
                                                                                                                                                    Tom

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Capitolo 7
*** Unexpected turns ***


7.




Annie rilesse la lettera tre volte di seguito, soffermandosi tutte le volte su due semplici parole: ti amo. Sfiorò col dito l’inchiostro sulla carta, proprio in quel punto, e una lacrima solitaria le sfuggì dall’occhio destro, rigandole il viso e atterrando sulla carta stropicciata, vicino alla firma di Tom. Era una lettera contradditoria: parlava solo dei motivi per cui loro due non avrebbero dovuto stare insieme, ma alla fine smentiva il tutto con quelle tre sillabe finali. La gioia di leggerle, insieme allo scoprire come anche per lui quella lontananza fosse insopportabile, si tramutò ben presto in confusione: qual era lo scopo di quella lettera? Aiutarla a prendere una decisione o aumentare il suo senso di colpa, mettendole ancora più dubbi? Su una cosa era d’accordo con Tom: era una lettera davvero egoista. Non menzionava Grace nemmeno una volta. Suonava quasi come un tentativo di autosabotaggio, un’apologia dell’eroe incompreso della storia – Robert – e una condanna rivolta a sé stesso, l’amante arrogante, geloso e possessivo. Annie scosse la testa. Non era da Tom Booker un atteggiamento del genere, non ne sarebbe stato capace. Eppure la sua mente aveva partorito quei pensieri, la sua mano li aveva trascritti sulla carta, i suoi occhi avevano riletto quelle righe, le sue dita avevano piegato il foglio e lo avevano infilato in una busta. Infine, aveva trovato il coraggio di spedirla.
“Papà!”
I ragionamenti di Annie furono bruscamente interrotti dalla voce di Grace, l’unica cosa che ancora la teneva ancorata alla realtà. Robert era rientrato. Automaticamente Annie ripiegò la lettera e la infilò di nuovo nella busta, che ebbe cura di nascondere nel cassetto della sua biancheria. Poi tornò in fretta in cucina, ignorando Robert che stava pazientemente ascoltando il resoconto di Grace sulla sorpresa che avevano appena ricevuto. Dal suo tono di voce leggermente forzato, Annie intuì che il marito non era così entusiasta come voleva apparire. Non poteva biasimarlo. Quando quello entrò in cucina e le si avvicinò da dietro per darle un bacio sulla guancia, Annie s’irrigidì. Robert era diventato stranamente affettuoso da un po’, sembrava quasi che fosse tornato a corteggiarla, riempiendola di attenzioni come ai primi tempi del loro matrimonio.
“Buona Vigilia, Annie,” le sussurrò all’orecchio “Ti ho portato un regalo.”
“Un regalo in anticipo?” provò a scherzare lei, ma il disagio che provava le cambiava la voce, facendola suonare terribilmente falsa.
“Sì,” fece lui stringendole i fianchi.
Annie inspirò bruscamente per tirare indietro la pancia, mentre Robert la faceva voltare per mostrarle cosa c’era sul tavolo. Una busta.
“Aprila,” la incitò lui.
Lentamente, Annie la aprì e tirò fuori due biglietti. Sbatté gli occhi un paio di volte, incredula. Erano due posti su un volo per l’Italia che partiva il 2 gennaio.
“Cos’è?”
“La proposta di una breve vacanza a Venezia.”
“Ci abbiamo fatto la luna di miele,” gli fece notare Annie.
“Lo so,” disse lui semplicemente.
“Robert, n-non possiamo…” farfugliò lei, presa totalmente alla sprovvista “Come facciamo con Grace?”
“Tutto sistemato. Starà dai miei genitori fino al rientro a scuola, lei è contenta.”
Annie aprì la bocca per ribattere, ma non le venne nulla da dire. Le serviva una scusa per non andare ma non riusciva a trovarla. Robert sapeva che in quei giorni avevano preso ferie entrambi.
“Sei sicuro?” gli domandò allora, sconfitta.
“Sì,” rispose lui.
Annie non replicò. Robert la strinse più forte a sé e lei deglutì forte. Sentiva il gonfiore della sua erezione contro i glutei.
 
Il giorno dopo Tom Booker fece una cosa che non gli capitava di fare da un millennio: dormì fino a tardi. Certo, “tardi” era un termine relativo, visto che erano solo le otto, ma in confronto alle levate delle quattro o delle cinque… Quando aprì gli occhi ci mise un po’ a fare mente locale e, una volta accortosi dell’orario, assunse un’espressione incredula e si precipitò fuori dalla stanza per recarsi al piano di sotto. Portava ancora addosso i vestiti della sera precedente. Si era addormentato solo verso le prime ore del mattino, perché era rimasto a lambiccarsi il cervello sul fatto di spedire o meno la lettera che aveva scritto ad Annie. Con stupore, al risveglio, aveva notato di avere addosso una coperta militare di lana pesante, di quelle che usavano per tenere caldi i cavalli in inverno. Non ricordava di averla tirata fuori, d’altronde si sentiva ancora piuttosto confuso. In cucina non trovò nessuno, tranne le tazze della colazione abbandonate sul tavolo da Frank e dai nipoti. Notò che Diane aveva messo da parte qualcuno dei biscotti che aveva fatto il giorno prima, probabilmente in attesa che lui si alzasse. Ne prese uno e se lo infilò in bocca, mentre si occupava di preparare il caffè, il tipico americano lungo, rigorosamente senza zucchero. Il cielo era coperto da una coltre di nuvole bianchissime che promettevano neve e gli infastidivano gli occhi chiari. Mentre Tom se ne stava con la tazza bollente tra le mani a guardare fuori dalla finestra, Frank rientrò in casa. Lo riconobbe dal modo in cui sentiva battere gli scarponi sulla soglia.
“Buongiorno. Ti sei preso un giorno di ferie senza dirmelo?”
Tom sogghignò.
“Mi merito anch’io un po’ di riposo.”
“Beh, tanto sta venendo a nevicare. Agli animali abbiamo pensato io e Joey, mentre Smokey sta accompagnando Joey a spedire il suo pacco. Stamattina lui e Diane hanno trovato un po’ di cose da infilarci.”
Fu solo allora che a Tom tornò in mente la lettera che aveva scritto. Alla fine il destino aveva scelto per lui: non l’avrebbe inviata, e sentiva che era meglio così. Suonava tanto come lo sfogo di una pagina di diario, più che come una lettera d’amore. Chissà, forse era stato lo Scotch della sera prima a renderlo più emotivo del necessario.
“Cosa ci avete messo dentro?” domandò sinceramente incuriosito.
“Mah, dolci, vino, qualche lavoro a maglia di Diane…” elencò Frank noncurante.
“Capisco,” fece lui finendo il suo caffè.
Stava lavando la tazza, quando Frank buttò lì una frase enigmatica.
“Alla fine hai deciso di fare la tua mossa.”
“In che senso?” chiese Tom senza capire.
“La lettera per Annie,” rispose Frank come se si trattasse di qualcosa di ovvio.
“E tu come lo sai?”
“Beh, l’ho vista, Tom, era insieme a quella di Joey,”
Tom ammutolì per un lungo istante. Frank iniziò a capire che qualcosa non andava dall’espressione che aveva in viso.
“Tutto okay?” domandò improvvisamente preoccupato.
“Sì… Cioè, no. Non capisco,” fece Tom confuso “Ho scritto una lettera ad Annie, ma alla fine avevo deciso di non spedirla e l’avevo lasciata sulla scrivania. Sei entrato nella mia stanza, Frank?”
Il fratello si sorprese.
“Certo che no,” disse “E non credo che nemmeno Joey sia il tipo da fare una cosa del genere.”
“No, infatti,” concordò lui.
“Vediamo…” continuò Frank pensieroso “Chi è che in questa casa tratta le cose degli altri come se fossero le proprie?”
I due fratelli si scambiarono uno sguardo di intesa prima di rispondere all’unisono:
“Diane.”

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Capitolo 8
*** Misunderstandings ***


8.

 
 
 
Il giorno di Natale, mentre Robert stava sistemando le lucine difettose che avevano messo in balcone, Annie approfittò del fatto che fosse momentaneamente occupato per dire a Grace di telefonare alla fattoria. Lei non se lo fece ripetere due volte e non perse l’occasione per raccontare a Joey per filo e per segno i regali che aveva ricevuto. Poi lui aveva passato a turno il telefono a Frank e Diane e si erano scambiati gli auguri. Infine Grace parlò con Tom, il quale le chiese gentilmente di passarle sua madre. Annie faceva finta di essere occupata a sistemare la cucina, ma in realtà aveva le orecchie tese.
“Mamma!” Grace aprì la porta della cucina e disse “C’è Tom.”
Annie si morse un labbro prima di portare il telefono all’orecchio e dire, con la voce più indifferente che le riusciva di simulare:
“Pronto.”
“Buon Natale a te,” sentì rispondersi da quella voce così familiare.
Annie sospirò.
“Buon Natale,” disse, cercando di suonare più dolce.
“Spero tu lo stia passando bene,” fece lui, e suonava sincero.
“Io… Diciamo che ci sto provando,” disse Annie, abbassando la voce.
Non aggiunse altro e Tom si chiese se non ci fosse Robert nei paraggi.
“E’ un brutto momento?”
Dal labbro di Annie cominciò a uscire un rivolo di sangue.
“Annie?” la chiamò Tom, un po’ allarmato.
“Ti devo parlare,” disse lei alla fine.
Tom parve capire.
“Se è per la lettera, ti chiedo scusa,” cominciò lui, nel tentativo di giustificarsi.
“Non è per quello,” lo interruppe Annie, categorica.
Tom attese che continuasse, desiderando di poterla vedere negli occhi mentre gli parlava.
“Anche se devo ammettere che non ha aiutato,” aggiunse lei nel tentativo di sdrammatizzare.
“Che succede, Annie?” domandò lui, piano.
Annie non riuscì a rispondere subito. Sentiva che le si stava rompendo la voce, si rimproverò per non essere in grado di fare buon viso a cattivo gioco almeno il giorno di Natale. Ma sentiva dei pesi enormi sul cuore, di cui avrebbe voluto liberarsi. Il problema è che non sapeva come farlo senza ferire Tom. Voleva dirgli del bambino, del viaggio pianificato da Robert, del fatto che avesse ricominciato a cercarla la notte; le sembrava di tradirlo ogni volta che il marito la toccava, proprio come era successo il giorno prima del loro breve idillio amoroso, e che per questo motivo aveva l’atroce dubbio che il bambino nel suo grembo, per quanto desiderasse che fosse figlio suo, in realtà potesse essere di Robert. Questa prospettiva l’agghiacciava. Ma, in un caso o nell’altro, si sentiva condannata, obbligata dal fato a ferire tutte le persone che le volevano più bene.
Dopo un tempo indefinito, Annie sussurrò al ricevitore:
“Sono incinta.”
 
L’aveva detto così piano, che Tom non era sicuro di aver sentito bene, anche a causa del fracasso che facevano i suoi nipoti: tutti avevano ripreso a mangiare o a giocare giochi da tavola. Quindi, sentendosi gli occhi di Diane incollati alla schiena, si era dileguato in cucina alla ricerca di un po’ di privacy.
“Scusa Annie, ho dovuto cambiare stanza perché i bambini urlavano,” disse tentando di riprendere il discorso.
“Tranquillo,” fece lei con voce incolore “Non importa, anzi è meglio che anch’io torni di là.”
“No, aspetta,” cercò di trattenerla Tom impaziente “Ripetimi quello che hai detto, ti prego.”
Annie non rispose.
“Per favore,” insistette lui.
Sapeva che era qualcosa d’importante, lo avvertiva dalla sua voce, che suonava spenta, stanca, forse persino malata.
“Stai male?” la incalzò.
“Non ce la faccio, Tom,” fece lei, con voce rotta “Non so cosa devo fare.”
I singhiozzi di Annie gli fecero sprofondare il cuore. Tentò di trovare qualcosa da dire per consolarla, ma alla fine era sempre la stessa questione, lo stesso problema a sovrastarla. Era lui.  Annie non riusciva a trovare pace a causa del suo comportamento immaturo. A causa delle sue telefonate incoscienti, di quella stupida lettera che aveva scritto, del suo insaziabile desiderio di sentire la sua voce e, non da ultimo, della sua speranza egoistica che lasciasse il marito. Non poteva andare avanti così, le stava facendo solo del male. E ne stava facendo anche a sé stesso, alimentando un’illusione pericolosa. Del resto, se Annie avesse davvero voluto lasciare Robert, probabilmente l’avrebbe già fatto. Ma non poteva fargliene una colpa.
“Annie…” disse piano, cercando con dolcezza di calmarla “Ascoltami. Mi ascolti?”
Annie tirò su col naso e sbiascicò un flebile “Sì.”
“Non sopporto più il pensiero di causarti tanta sofferenza e non voglio rovinare il tuo ultimo tentativo di far funzionare le cose con Robert,” cominciò parlando lentamente e in modo chiaro, perché lei non fraintendesse “Io voglio che tu sia felice, Annie, anche senza di me. So che riusciresti a trovare consolazione molto presto, se solo mettessimo un punto.”
Annie aggrottò la fronte, senza capire.
“Cosa stai dicendo, Tom?”
“Sto dicendo che non puoi prendere una decisione con obiettività, se io ti sto addosso così, tentando di influenzarti.”
“Ma io ti amo,” protestò lei, iniziando a impanicarsi.
“Lo so, anch’io ti amo, Annie,” disse lui in un sussurro “Ed è per questo che dobbiamo mettere una distanza.”
“No, non capisci…” tentò di spiegare lei “Non sei tu il problema, il problema è un altro…”
“Il problema è che ancora non sai cosa vuoi, Annie,” disse Tom, caustico “E non lo capirai mai finché non avrai lasciato che i tuoi sentimenti per me si raffreddino.”
“Smettila, non dire così, non è vero,” ribatté lei.
“Sì, che è vero. Guarda in faccia alla realtà. Continuare a tormentarci così non ci porterà da nessuna parte, semmai finiremo per esasperarci a vicenda.”
“Non stai parlando sul serio,” disse Annie, con un fil di voce.
“Invece sì,” replicò lui, secco “E se non lo farai tu, allora dovrò farlo io. A partire da questo momento.”
“No, Tom, ti prego, ascolta,“ si affrettò a dire lei, supplichevole.
“Ricordati sempre che ti amo, Annie.”
“Lo so, io–“
La voce di Annie si interruppe bruscamente quando Tom mise giù il telefono, poi tornò in camera sua senza dire niente a nessuno. Sentendosi come se avesse appena reciso l’unico legame che ancora lo teneva in vita, si lasciò cadere sulla sedia come una marionetta senza fili.

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Capitolo 9
*** Thoughts & hopes ***


10.




“Tom!”
Annie si era ritrovata a parlare da sola, chiamando quel nome più volte, chiedendogli di aspettare. Si era accovacciata per terra lì dov’era, facendo scivolare la schiena contro l’anta della credenza, il ricevitore ancora stresso in mano, appoggiato alla spalla. Scoppiò in un pianto disperato che si sforzò di rendere il più silenzioso possibile, per non attirare l’attenzione di Grace. Da una parte non poteva credere a quello che era appena successo, si sentiva affranta, quell’improvvisa decisione di Tom arrivava come un colpo basso nel momento peggiore. Dall’altra, una parte di lei si vergognava terribilmente di quel suo nuovo modo di gestire le emozioni, lasciando che la travolgessero come un torrente in piena. Non era una persona emotiva, non si era particolarmente turbata nemmeno alla notizia della morte di Judith, o della perdita della gamba di Grace. In effetti, l’ultima volta che Annie si ricordava di aver pianto in quel modo – a parte dopo essere partita dal Montana – era stato quando era morto suo padre. Aveva più o meno l’età di Grace e quel giorno aveva provato così tanto dolore da decidere che mai più avrebbe permesso a qualcuno – o a qualcosa – di farla stare così male. Perciò si era creata una corazza. Ma il distacco emotivo che si era imposta per tutti quegli anni, sebbene efficace nelle situazioni difficili e un’ottima skill per affrontare le questioni lavorative più spinose, la rendeva anche meno sensibile a tutto il resto. Per questo motivo le veniva difficile empatizzare con gli altri, o anche solo esprimersi con sincerità; non sopportava di sentirsi vulnerabile. Solo durante l’estate in Montana era finalmente riuscita ad allentare il controllo sulle sue emozioni e, contemporaneamente, su Grace e su sul suo lavoro. Tom l’aveva invitata a rilassarsi, le aveva offerto un esempio di cosa significasse accettare le cose della vita con mitezza, godersi i piccoli momenti nella natura, o insieme alla famiglia, e vivere della fatica delle proprie mani, in armonia con tutto ciò che lo circondava. In quei grandi spazi verdi, Annie aveva provato, per la prima volta da quando era bambina, un immenso senso di pace. E in quel terreno fertile, arato a dovere nei mesi successivi, era sbocciato l’amore per Tom. Con lui era la persona che sentiva profondamente di essere. Non aveva bisogno di fingersi migliore di quello che era, perché lui accettava ogni lato di lei. Annie provava lo stesso nei suoi confronti: aveva visto cosa albergava nella profondità del suo cuore, la compassione che aveva verso tutti gli esseri viventi, la silenziosa generosità che lo caratterizzava. Nonostante il fisico spigoloso, temprato da anni di duro lavoro manuale, Tom era un uomo dolce, capace di estrema tenerezza. Sarebbe stato un padre meraviglioso anche per Grace, se solo lei lo avesse accettato. Ma era sbagliato chiederle di farlo, quando il suo vero padre, che lei adorava, era non solo vivo, ma sempre presente. Annie sapeva di non poterlo fare e Tom gli stava dicendo: “Arrenditi alle cose così come sono: se cadono, lasciale cadere, ma se restano in piedi, non buttarle giù a forza”. Era un saggio consiglio, degno di un monaco buddista. Il fatto, però, è che a Annie sembrava che il castello costruito con Robert fosse fatto di carta, sempre sull’orlo della distruzione, mentre lei cercava di incollare i pezzi man mano che questi volavano via. D’altra parte, se il rapporto con Robert non sembrava salvabile, il legame con Grace era diventato più forte: ora erano più affettuose l’una con l’altra, si capivano meglio. Come avrebbe reagito all’arrivo di un fratellino? Sarebbe stata felice, visto che l’aveva desiderato tanto, o avrebbe odiato lui così come avrebbe odiato lei, se fosse venuto fuori che il padre era un amico di cui si fidava e che li aveva tanto aiutati? Sicuramente Grace si sarebbe sentita tradita da entrambi, e si sarebbe attaccata a suo padre ancora di più. Per giunta Robert era un avvocato in gamba, e se fossero finiti in tribunale non avrebbe avuto dubbi sul fatto che Grace sarebbe stata affidata a lui. Non voleva diventare una persona deprecabile, abbandonare Grace avrebbe voluto dire fare la stessa scelta passata di Tom, quando non aveva seguito la moglie e il figlio a Chicago, di fatto scegliendo di perderli. Per lui il ranch, i cavalli, gli spazi aperti, contavano più di qualsiasi altra cosa al mondo. Anche più di Annie. Proprio come a lei importava di Grace più che di chiunque altro, probabilmente anche di Tom. Ora le sembrava quasi di capire le parole che aveva detto parlando della sua storia con Rachel, cioè che non era destino, semplicemente. Era così anche per loro due? Avrebbe davvero fatto qualche differenza scoprire che il bambino nel suo grembo era di Tom? No, si disse Annie. Lui aveva avuto un figlio da Rachel, ma questo non era bastato a tenerli insieme. Forse lui era fatto per quel tipo di solitudine, ma lei no. Annie non poteva rischiare di rimanere senza nessuno, da sola non ce l’avrebbe fatta ad andare avanti. In questo era diversa da Tom. E forse quella lettera che le aveva mandato, per quanto suonasse strana, conteneva due importanti verità: la prima era che Robert rappresentava davvero la scelta più ragionevole, la seconda era che, forse, Tom era davvero una persona terribilmente egoista.
 
Nei giorni che seguirono Annie fece appello a tutta la sua forza interiore per evitare di rimanere a letto tutto il giorno. Non aveva appetito, si sentiva stanca, ma ogni volta che Robert o Grace facevano un’osservazione a proposito, lei li liquidava dicendo che forse le sarebbe bastata la vacanza imminente per tirare un po’ il fiato. Passò tutto il giorno di capodanno stesa sul divano con qualche lineetta di febbre.
“Vuoi che annullo il viaggio?” le chiese Robert, preoccupato che non si riprendesse in tempo.
“No, vedrai che domani mi sarà passato,” fece Annie, avvoltolandosi meglio nella coperta.
“Non siamo obbligati,” insistette lui “Posso chiedere il rimborso dei biglietti.”
“Non te lo faranno mai a due giorni dalla partenza.”
“Me ne faranno uno parziale, almeno.”
“No, senti Rob, non mi va proprio starmene qui fino alla fine delle vacanze di Grace. Preferisco andare via per un po’. Davvero. Sono sicura che mi farà bene.”
Il viso di Robert si aprì in un dolce sorriso.
“Sono sicuro che farà bene a entrambi,” disse, poi andò in cucina a prepararle una tisana.
Nel mentre Annie aveva acceso la TV, nel tentativo di distrarsi un pochino. Quando Robert tornò con un vassoio, le si sedette a poca distanza.
“Grazie,” fece Annie, prendendo in mano la tazza bollente.
“Figurati. Vuoi che resto qui stasera?”
“No, no… non serve” disse scuotendo la testa “Vai con Grace, sai quanto ci tiene a vedere i fuochi d’artificio.”
“Va bene,” acconsentì lui docile.
Un’ora più tardi Annie rimase sola col suo muto dolore e mille pensieri per la testa che non poteva mettere a tacere impegnandosi in qualche attività come al solito. Mentre si avvicinava la mezzanotte, riusciva solo a constatare quanto fosse cambiata la vita di tutti loro nel giro di soli trecentosessantacinque giorni. Mai si sarebbe aspettata di ritrovarsi in una situazione del genere. C’erano sì dei dubbi riguardo come sarebbe proseguito il rapporto tra lei e Robert, ma nessuno dei due avrebbe avuto il coraggio di parlarne apertamente se una terza persona non si fosse messa in mezzo, obbligandoli ad affrontare la verità. Tom aveva ragione: saperlo era facile, ma dirlo ad alta voce era più che difficile, sembrava impossibile, almeno per Annie. Doveva ammettere che non ci stava riuscendo. Al contrario, dopo l’ultima telefonata con Tom si stava convincendo sempre di più che doveva sfruttare l’occasione della vacanza per vedere se riusciva, una volta per tutte, a far funzionare le cose con Robert. Forse in Italia si sarebbe ricordata di tutti i motivi per cui era stata attratta da lui anni addietro, forse sarebbero riusciti a ritrovare quella complicità persa da tempo e, forse, avrebbe deciso che non importava di chi fosse il bambino, lei e Robert avrebbero potuto crescerlo insieme, magari li avrebbe addirittura aiutati a sanare le ferite che si portavano dietro. “Sì,” si ripeteva nel tentativo di convincersi “Devo dimenticarmi di Tom per un po’, devo dare a Robert una chance per poter rimettere le cose a posto.” E in certi momenti riusciva quasi a credere che potesse succedere davvero. Almeno fino a che, la notte, nei suoi sogni compariva un uomo a cavallo, che la fissava da lontano, e che lei, disperata, tentava di raggiungere, senza tuttavia mai riuscirci.
Quando la mezzanotte suonò, Annie udì in lontananza rumore di scoppi e di spari che la fecero sussultare. Poi si accarezzò il ventre e con dolcezza sussurrò: “Non è niente, dormi. È solo il futuro che bussa alla porta.”

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Capitolo 10
*** Venice ***


10.



Venezia. Per il solo fatto di essere lì, a Robert prese una sensazione di euforia. Erano arrivati nel tardo pomeriggio, ed Annie si era detta così stanca dal viaggio che erano andati dritti in hotel con un taxi e si erano fatti portare qualcosa in camera per cenare senza tanti complimenti. In realtà, la cosa si era rivelata più romantica del previsto, perché avevano mangiato spaghetti alle vongole a lume di candela in una stanza dall’aspetto molto confortevole, arredata con mobili di legno laccato e una grande finestra che offriva una vista suggestiva sui canali. C’era un’area salotto piuttosto ampia, con un grande divano di pelle, un mini frigo e un tavolo dalla forma ovale, mentre la zona da letto era più piccola e aveva solo lo stretto necessario, ovvero un comodino su cui era appoggiata una vecchia abat-jour e un semplice armadio per i vestiti in un angolo. Mentre mangiavano Annie non parlò molto, fu lui più che altro a portare avanti la conversazione, commentando il sapore del vino o suggerendo un programma per l’indomani. Annie annuì a tutto, ma senza sbilanciarsi. Evitò di toccare il vino, preferendo invece l’acqua, ma pian piano sembrò abbandonare la composta rigidezza che l’aveva caratterizzata durante il viaggio e rilassarsi. Al vederla più tranquilla, anche Robert tirò un sospiro di sollievo. Aveva temuto in qualche momento di tensione, visto come l’aveva vista scendere dall’aereo, e invece non ebbero alcun battibecco. Al contrario, dopo aver guardato svogliatamente un po’ di televisione, entrambi si infilarono sotto le coperte e, con sua sorpresa, Annie gli si avvicinò senza esitazione e iniziò a toccarlo. Era la prima volta che lo cercava da anni e già solo questo pensiero bastò a provocargli un’erezione quasi immediata. Ma non si mosse. Nonostante la voglia che aveva di lei, s’impose di rimanere immobile, per vedere come si sarebbe comportata. Non voleva che si sentisse costretta a fare l’amore con lui solo perché ora si trovavano lì, nello stesso luogo dove avevano trascorso la loro luna di miele. Aveva paura che Annie volesse limitarsi a dargli un contentino e avesse accettato solo per non dover sopportare la sua reazione delusa. Ma dovette ricredersi, perché lei gli si strusciò addosso con una foga tale che lui non poté ignorarla più e, rispondendo ai suoi gesti, al suo corpo sempre più caldo, palpò le sue curve mentre tentava di sfilarle la camicia da notte. Annie, dal canto suo, gli infilò una mano dentro i boxer e si aggrappò al suo sesso come a un salvagente, mentre coi movimenti del corpo pareva gridare aiuto. Nel darsi a lei, Robert si sentì come se stesse salvando Annie dall’annegamento. Non si baciarono mai sulle labbra, o meglio, lei non lo baciò mai, ma la collisione delle loro intimità fu così carica di erotismo che non si fermarono fino a notte inoltrata. Non parlarono affatto, e Robert si chiese dove Annie tirasse fuori l’energia per una performance del genere. Era come se fossero tornati quindici anni più giovani. A un certo punto, invece di continuare a farsi domande, decise semplicemente di godere, lasciandosi trasportare da quel momento insperato eppure così tanto atteso. I gemiti di Annie erano tutto ciò che importava. Robert sentiva che soffriva, e non solo per gli spasmi dovuti al piacere, ma, come lui, soffriva per la loro situazione attuale, soffriva per ciò che era successo con il cowboy in Montana, soffriva per il destino ingiusto di Grace, soffriva per i figli concepiti e mai venuti al mondo. Nel penetrarla con forza, lui stesso stava dando sfogo a tutti i sentimenti di rabbia e umiliazione che lo avevano divorato negli ultimi mesi. Perfino la paura di non essere più in grado di soddisfare Annie sessualmente, di non essere un partner all’altezza del suo amante. In un misto di amore e dolore, raggiunsero il culmine insieme più di una volta, per poi addormentarsi, nudi e sfiniti, l’uno accanto all’altra.
 
 
Il giorno dopo, Annie aveva le anche doloranti per la notte di fuoco. Ciononostante, camminò per ore a fianco di Robert, seguendolo nei musei e arrivando addirittura a tenergli la mano nei vicoli labirintici della città. La mattina lui l’aveva sorpresa a letto con la tipica colazione italiana – cappuccino e cornetto – offerta su un vassoio. Mentre addentava la brioche, Annie si era resa conto di avere ancora in bocca il sapore degli umori del marito, ma non ne aveva provato fastidio. Durante tutta la giornata si sentì stranamente serena e fu anche molto più chiacchierona rispetto al giorno precedente. Mangiò con gusto nei ristoranti in cui lui la portava e fecero anche un giro sul vaporetto nel Gran Canale. La città aveva compiuto la sua magia: riposto il pensiero di Tom in un angolino del suo cervello, Annie era riuscita a godersi la vacanza come se si stesse svolgendo in una dimensione parallela. Per tre notti fece l’amore con Robert come se si fossero appena fidanzati, mentre durante le ore diurne assumeva un’espressione gioconda – vivace ma al tempo stesso enigmatica – che donava un’aria ambigua a ogni suo gesto. Intrigato da questo atteggiamento, Robert le si avvicinò di soppiatto nel bagno, mentre si stavano preparando per andare fuori a pranzo, abbracciandola da dietro, una mano sul ventre e l’altra sulla prominenza del petto. Annie si lasciò andare un pochino all’indietro e portò la mano di Robert più in basso sul ventre. Lui le strinse forte con le dita tra le gambe e lei sussultò, bloccandogli il braccio.
“E’ meglio andare o faremo tardi,” disse con voce non troppo convinta.
“Ma come, scusa, prima lanci il sasso e poi nascondi la mano?” scherzò lui.
Annie fece un debole sorriso, stupita delle reazioni del suo stesso corpo. Si rendeva conto che Robert l’avrebbe presa anche lì sul lavabo senza starci a pensare troppo, automaticamente invogliato dalla sua palese eccitazione, ma per la prima volta in tre giorni stava mostrando una resistenza e questo parve coglierlo alla sprovvista. Qualunque tipo di pensiero fosse a frenarla, Robert la stava invitando a lasciarlo cadere, per concentrarsi solo sui suoi sensi.
“Robert…” lo rimproverò Annie, ma la voce in lieve affanno la tradì.
Allora lui approfittò di quell’attimo di défaillance per sedurla nuovamente e, sentendola cedere lentamente alle sue avances, dovette provare una fulminea sensazione di trionfo. Annie avvertì un angosciante desiderio di possesso pervadere il marito e, poco più tardi, mentre osservava nello specchio il riflesso dei loro corpi nudi avvinghiati, riconobbe nella propria espressione, avvinta dal piacere, qualcosa che la disgustò.
 
Il quarto giorno di quella specie di seconda luna di miele Robert sentì l’esigenza di trasformare in parole quello che era avvenuto tra lui ed Annie a livello fisico ed emotivo. Voleva parlare apertamente del loro rapporto, perché una volta ritornati a casa non si creasse una situazione d’ambiguità. Quello che era accaduto a Venezia sarebbe rimasto a Venezia? Aveva paura di sì, ma voleva sentirselo dire da Annie. Voleva risposte chiare. Stavano consumando una cena a base di pizza in un rustico locale italiano e l’atmosfera era incantevole. Non avevano camminato molto quel giorno, perciò erano ancora svegli e vigili. Così, quando il discorso cadde sull’imminente viaggio di ritorno, Robert colse al volo l’occasione per dare voce ai suoi pensieri.
“Dove siamo, Annie?” chiese semplicemente, prendendole la mano.
Lei lo guardò con un’aria un po’ stupita.
“A Venezia?”
Robert fece un debole sorriso.
“Intendo, dove siamo noi.”
Il viso di Annie si adombrò appena e la sua espressione rilassata fu sostituita da una decisamente più tesa.
“Non lo so,” ammise lei, gli occhi bassi fissi sulla sua fetta di pizza Napoli.
“A me piacerebbe saperlo,” continuò lui “prima di atterrare a New York.”
“Cosa vuoi sapere esattamente, Robert?”
“Voglio sapere cosa succederà una volta a casa. Cosa devo aspettarmi. Come devo comportarmi. Sia quando siamo soli che davanti a Grace. Vorrei evitare altri errori, Annie.”
Annie fece un lungo sospiro, per nulla rassicurante.
“Non serve che menti,” aggiunse lui “Voglio solo la verità, anche se so che potrebbe non piacermi.”
La mano di Annie si mosse nervosamente nella sua, ma non accennò a mollare la stretta. La vide mordersi il labbro, un’abitudine che aveva da sempre quando voleva dire qualcosa ma non sapeva come.
“Il fatto è che…” cominciò lei, incerta.
Silenzio.
“Dai, Annie,” la incoraggiò, incapace di leggerle dentro.
D’un tratto lei lo guardò dritto negli occhi, come se finalmente si fosse decisa a d’affrontarlo. In quello sguardo c’era un’aria di sfida che lo destabilizzò.
“Sono incinta, Robert,” la sentì dire.
La sorpresa fu così grande da togliergli le parole. Aprì la bocca e poi la richiuse, come un merluzzo. Guardò Annie con un’incredulità che non si affannò a nascondere, e i suoi occhi perlustrarono le forme di Annie, alla ricerca di qualche segnale di conferma che si doveva essere lasciato sfuggire tutte le volte che l’aveva toccata i giorni precedenti. L’unica cosa che aveva notato – e non senza una punta di piacere – era che i seni di Annie erano più pesanti del solito, due lune piene che gli avevano riempito i palmi senza fatica. Il resto del suo corpo non presentava ancora rotondità particolari, il che lo portò a formulare una prima domanda:
“Sei sicura?”
“Strasicura.”
“Quante settimane?”
Annie esitò un momento prima di rispondere.
“Sono più di tre mesi, Robert.”
Non ci mise molto a fare il conto mentale, solo per rendersi conto che doveva aver concepito nel mese di settembre. Ma la vera domanda che ora aveva in testa era:
“Dopo il Montana? O durante?”
La voce di Annie si fece più flebile.
“Credo… durante. Ricordi, quando sei venuto a trovarci?”
Certo che ricordava. La prima notte passata nella casa sul torrente l’aveva invitata a fare l’amore ed Annie aveva insistito per fargli un lavoretto con la bocca che lo aveva piacevolmente stupito. Era stato allora che, inconsapevolmente, avevano regalato la vita a una nuova creatura? Un secondo figlio, dopo anni di speranze deluse?
“Ti sei fatta togliere la spirale senza dirmelo?” chiese, ancora un po’ dubbioso.
“Certo che no,” rispose Annie un po’ scandalizzata “E’ successo e basta.”
“Quindi il padre sono io,” disse poi Robert, quasi ragionando tra sé.
La mano di Annie si mosse leggermente tra le sue dita che indebolirono la presa. La vide tornare a mordersi il labbro, cosa che lo mise a disagio. C’era altro che non sapeva?
“Annie, mi stai nascondendo qualcos’altro?” le domandò senza giri di parole.
“No,” confessò lei, ma adesso sembrava di malumore e ritirò la mano per afferrare il bicchiere e bere un sorso d’acqua.
“Ora capisco perché non hai voluto toccare nemmeno una goccia di vino,” osservò tentando di mantenere un tono di voce neutro, “Mi pareva strano che fossi diventata astemia tutt’un tratto. Va bene che ha la gastrite, mi dicevo, però…”
“Lo so che è un brutto momento,” lo interruppe Annie, restia a divagare col discorso.
Robert la guardò perplesso.
“Non che non lo è, Annie,” le disse, sincero.
“No?” fece lei, incerta.
“No, affatto. Direi, anzi, che è il momento perfetto. Per noi. Per Grace.”
Lo credeva veramente. I suoi occhi tentarono di comunicare a Annie un senso di sicurezza.
“Possiamo ricominciare,” aggiunse a mo’ di spiegazione “Che ne dici?”
“Io… Era quello che speravo…” ammise lei, sebbene si sentisse un sasso nello stomaco.
Il viso di Robert si aprì in un largo sorriso.
“Da quanto lo sai?” le chiese, sinceramente curioso.
“Non molto,” mentì lei.
“È meraviglioso, Annie,” disse, visibilmente felice, versandosi un bicchiere di rosso.
E lo era davvero.

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