Mais velozes, mais furiosos

di La_Sakura
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 423-8512 Shizuoka-ken, Nankatsu-shi, Mizukoshi-ku, 19-8-3 ***
Capitolo 2: *** Drift War ***
Capitolo 3: *** Nissan Silvia Reloaded ***
Capitolo 4: *** L'autista ***
Capitolo 5: *** Alla corte di Malerba ***
Capitolo 6: *** Io, tu e la yakuza ***
Capitolo 7: *** Un futuro qui ***
Capitolo 8: *** Drifting Queen ***
Capitolo 9: *** Promesse o minacce? ***
Capitolo 10: *** Driver ai box ***
Capitolo 11: *** Una vettura sospetta ***
Capitolo 12: *** Le porte dell'inferno ***
Capitolo 13: *** Ultimo atto ***
Capitolo 14: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** 423-8512 Shizuoka-ken, Nankatsu-shi, Mizukoshi-ku, 19-8-3 ***


Velozes e Furiosos

423-8512

Shizuoka-ken,

Nankatsu-shi,

Mizukoshi-ku,

19-8-3

Il sole di mezzogiorno illuminò l’interno dell’officina e andò a rifrangersi contro lo specchietto retrovisore di una Mazda6 parcheggiata vicino l’ingresso.

Keiko sbuffò, portandosi una mano al volto per schermarsi, salvo poi lasciar cadere la chiave inglese a terra per dirigersi verso l’auto.

«Qualche problema col motore?»

«No, ho quel cazzo di riflesso che mi infastidisce.»

Una volta sistemata l’auto in modo che non potesse più riflettere nulla, tornò alla propria occupazione, nel totale silenzio. Tsubasa le si avvicinò con cautela, e le posò una mano sulla spalla.

«Tudo bem?»

Avevano preso l’abitudine contraria al Brasile: se là dovevano usare il giapponese per estraniarsi e parlare da soli, a Nankatsu usavano il portoghese, certi che nessuno li comprendesse.

«Sì.»

La osservò chinarsi nuovamente sul motore della Yaris di Ishizaki, quindi si avvicinò.

«Hai già provato a…»

«Ohi Bas, cê não tem nada melhor pra fazer?»

Tsubasa alzò le mani a mo’ di difesa e arretrò di un passo, incrociando poi le braccia al petto mentre la osservava terminare il proprio lavoro.

I lunghi capelli corvini erano raccolti nella sua classica coda bassa, ma alcune ciocche erano sfuggite all’elastico e le si erano appiccicate al collo. L’estate incombeva pesante su Nankatsu, e l’umidità ormai la faceva da padrone da parecchi giorni. Keiko si sollevò e gli porse la chiave inglese.

«Chiama Ishizaki-san, gli ho riparato l’auto, può venire a prenderla quando vuole.»

«Ne sarà contento.»

La donna non rispose: gli voltò le spalle e a lui non rimase che osservarla mentre si allontanava, diretta alle scale a chiocciola che conducevano al piano superiore, al loro appartamento.

Si rigirò la chiave inglese tra le mani, indeciso sul da farsi: nell’ultimo periodo Keiko era più scostante, e se inizialmente aveva pensato si trattasse di una fase, col passare del tempo aveva compreso che il malumore della compagna era dovuto alla loro permanenza in Giappone.

Posò l’attrezzo sul carrello da lavoro della ragazza e si avviò verso le scale per andare a parlarle, ma il trillo del telefono lo arrestò: avrebbe dovuto rimandare la conversazione a un altro momento nella speranza che non si tramutasse in un litigio, come soleva accadere ultimamente.

«Officina Katsumoto, sono Tsubasa.»

§§

Si sentiva come un’adolescente ribelle, incazzata col mondo anche per l’unghia che si spezza mentre apri la portiera. Seduta sul divano, Keiko continuava a fissare la mappa GPS, perennemente puntata sulla regione di San Paolo, in attesa che un puntino rosso apparisse e sparisse a ritmo.

«Mi hanno chiamato i Nakazawa, sono rimasti di nuovo a piedi con la batteria.»

«Non è la quarta volta che consigli di sostituirla?»

Si chinò su di lei per un bacio sulla nuca.

«La quinta.»

Lo percepì rimanere fermo alle sue spalle, e sapeva già cosa stesse facendo.

«Kei… ne abbiamo già parlato.»

«So quello che ho visto, Bas.»

«Il GPS di Cris non può aver funzionato, lui è…»

«Meglio che ti sbrighi, non vorrei che i Nakazawa pensassero che li fai attendere.» bloccò la conversazione, alzandosi per lasciare la stanza e chiudersi in bagno.

Due settimane prima quella maledetta luce del GPS si era accesa, ne era certa: ricordava ancora lo smarrimento iniziale e lo spasmodico tentativo di mettersi in contatto con la ricetrasmittente di Cristóvão, invano.

Forse Tsubasa aveva ragione, forse Cris era davvero morto per mano del PCC, ma quella tenue luce le aveva ridato una speranza che credeva di aver perso il giorno in cui avevano lasciato definitivamente il Brasile. Non biasimava il ragazzo, Nankatsu era stata la sua casa, la percepiva ancora come tale, ma lei non c’entrava nulla con quel posto, che sentiva ormai stretto come un paio di pantaloni vecchi dimenticati in fondo all’armadio.

Scese nuovamente in officina, decisa a passare il pomeriggio con la testa in qualche motore: Yuki sarebbe rimasto con Natsuko fino all’orario di chiusura, quando anche loro li avrebbero raggiunti per cenare tutti insieme.

«Credevo che non ci fosse nessuno.»

«Puta que… Mori. Mi hai fatto letteralmente venire un infarto, ti pare il modo? Che diamine ci fai qui?»

Il ragazzo uscì dall’angolo in cui si era rintanato e le si avvicinò, sinuoso come un gatto: infilò una mano nella tasca dei pantaloni stretti per estrarne il tabacco, quindi prese cartine e Zippo da sotto il borsalino e iniziò la sua operazione.

«Vengo a controllare il mio investimento, ché ho una reputazione da difendere.» Si giustificò, allargando le braccia e guardandosi intorno.

«Fai pure, sono da sola.»

«Tsubasa non c’è?»

«I Nakawaza hanno seri problemi con le batterie delle loro auto.» sbuffò, sollevando il cofano di una vecchia Buick che era riuscita a comprare online.

«E ovviamente lui accorre come un principe azzurro.» sogghignò lo yakuza, leccando la parte finale della cartina e chiudendo la sigaretta con un unico movimento di dita.

«Dovrà rifarsi ai loro occhi, ha mollato la figlia da un giorno all’altro senza dare spiegazioni, e quando è tornato era accompagnato da un’altra donna e da un bambino che porta il suo cognome.» si chinò sul motore si lasciò sfuggire un’imprecazione «Mi ci vorrà qualche altro pezzo di ricambio.»

«Quindi mantenete la rotta?»

«Ormai i soldi per il certificato di nascita li abbiamo spesi, tanto vale. E poi Yuki ha diritto a una famiglia che si avvicini il più possibile al concetto di normale.» sganciò il cofano e lo lasciò cadere.

«Quando mi hai detto che riparavi auto da corsa, mi aspettavo che ti facessi inviare qualcosa di diverso.»

«La 8 Sedan era la preferita di mio padre.» tagliò corto, posandosi al cofano e incrociando le braccia.

«Quindi sei da sola?»

«Ripeto la domanda: che vuoi, Mori?»

«Mi serve un autista.»

«Assumine uno.»

L’uomo le si avvicinò di un passo, abbassando il tono di voce.

«Solitamente preferisco guidare da solo le mie auto, non mi fido di molti altri, ma devo fare un paio di consegne speciali, e ho bisogno di qualcuno veloce e affidabile.»

«Tsubasa non corre più, lo sai.»

«Sì, lo so: tua sorella, l’incidente, blablabla…» snocciolò lui, gesticolando e smuovendo il fumo attorno a loro «Speravo che tu potessi convincerlo, in fondo eserciti un discreto ascendente su di lui.»

Keiko distolse lo sguardo: già una volta aveva convinto Tsubasa a guidare “un’ultima volta”, e come risultato avevano perso un membro della loro família; non avrebbe giocato di nuovo quella carta.

«Non posso, mi spiace.»

«Keiko, io ho davvero necessità di qualcuno che sappia guidare: hai idea di quanto sia difficile fidarsi di un autista, qui? Sono tutti impegnati a driftare, nessuno che voglia impegnarsi in qualcosa di più serio.»

«Tutti a cercare il titolo di Drifter.» sogghignò lei. Shuzo gonfiò il petto e gongolò.

«Se lo possono sognare.»

Aspirò l’ultimo tiro di sigaretta, quindi la lasciò cadere a terra per spegnerla con la punta dell’anfibio. Kei si chinò per raccoglierla e si allontanò verso il bidone per gettarla.

«Mi spiace che tu abbia compiuto un viaggio a vuoto, Mori: se vuoi posso offrirti da bere per addolcire l’amara sconfitta.»

«Nessuna sconfitta, mi siederò qui e aspetterò Tsubasa per parlarne direttamente con lui.»

«Cosa? No, assolutamente, te lo proibisco.» Keiko spalancò gli occhi per la sorpresa.

«Te l’ho detto, ho assolutamente bisogno di un autista, e lui è il più qualificato. A meno che tu non ci ripensi e cerchi di fare il lavoro sporco al posto mio…» concluse, languido, sollevandole la spallina della salopette da officina per riportarla sulla spalla, continuando poi la sua corsa fino al collo e carezzandole infine una guancia.

«Non posso farlo.» chiuse gli occhi e arretrò di un passo, sperando che il suo interlocutore rispettasse il suo bisogno di distacco.

«Ehi, Mori-san.» la voce di Tsubasa spezzò il silenzio, e Keiko sentì il cuore ripartire, come se quella cadenza così familiare le avesse rimesso in moto l’anima «Cosa ti porta da queste parti?»

«Una proposta, Tsubasa, una proposta.» replicò l’altro, rispondendo alla stretta di mano.

«Che tipo di proposta?» l’ex calciatore incrociò le braccia al petto e mantenne un sorriso sul volto, ma Keiko lo sapeva che era di circostanza.

«Ho un lavoretto per il miglior autista di San Pa…»

«Scordatelo.» tagliò secco, superandolo. Shuzo strabuzzò gli occhi, era evidente quanto non fosse abituato a ricevere un rifiuto così netto, ma superato lo stupore iniziale, rincarò la dose.

«Non si tratta di nulla di trascendentale, devi solo…»

«Ho detto di no.» ora il tono di Tsubasa era basso e tagliente. Shuzo si fermò alle sua spalle, palesemente deciso a non demordere.

«Non farmi usare la carta della riconoscenza, Ozora. Sai bene che mi dovete un favore.»

«È così, quindi? Voi yakuza credete di guadagnarvi il rispetto della brava gente a suon di “favori”?» ora erano l’uno di fronte all’altro, e Keiko non seppe dire chi dei due avesse il piglio più ostinato, di sicuro era una bella lotta, e Tsubasa aveva vissuto in Brasile abbastanza da non farsi intimidire da un malavitoso, per quanto di alto livello.

«Ho detto che non voglio usare quella carta, consideriamolo uno scambio: io vi ho parato il culo e vi ho portati qui, e tu guidi per me un paio di volte.»

«Trova un altro modo per ottenere riconoscenza dalla mia famiglia, Mori: noi non guidiamo più per nessuno.»

Sbatté la porta dell’ufficio con una veemenza tale che Keiko temette la mandasse in frantumi: Mori non sembrò colpito più di tanto da quell’atteggiamento, anzi, ne parve quasi affascinato.

«Beh, che dire, ho fallito nel mio intento. Per ora.» aggiunse, lanciandole un’occhiata maliziosa prima di uscire dall’officina.

Osservò lo yakuza salire sulla sua RX-7 VeilSide, e ne apprezzò ogni singolo particolare mentre la vide – o meglio, la sentì – allontanarsi. Da come rombava, immaginò che avesse apportato parecchie modifiche, e che dei pezzi originali fosse rimasta solo la carrozzeria.

«Non devi farti invischiare nei suoi affari.»

Sussultò nel sentire la voce di Tsubasa, ora di nuovo calma ma comunque ancora bassa, come se stesse trattenendo la parte rabbiosa di sé.

«Cercava te, mi ha solo chiesto di convincerti.»

«E tu che gli hai risposto?»

Scrutò lo sguardo del compagno, desiderosa di leggergli dentro come in passato.

«Che non ho potere su questo.»

Lui mantenne lo sguardo, senza distoglierlo, e Keiko si chiese cosa stesse cercando dentro di lei, a sua volta: un tentennamento? Paura?

«Non potrei mai farti questo, lo sai.»

Lui annuì, continuando a scandagliarla nell’anima, quella stessa anima che lui aveva salvato più volte e di cui ora pareva dubitare.

 §§

«Mi spiace che mio fratello vi abbia importunato.» Yuzo posò la birra sul tavolino davanti a lui e incrociò le mani dietro alla testa, godendo della leggera brezza che finalmente sembrava dare tregua all’afa «Se vuoi posso parlargli.»

Tsubasa scosse il capo, deglutendo l’ennesimo sorso.

«Credo di essere stato chiaro, non dovrebbe più farsi avanti. Che cazzo…» mormorò infine, masticando l’imprecazione.

Yuzo ne sorrise, ancora non si abituava a quell’aria da bullo che Tsubasa assumeva in certe situazioni.

«Shuzo sa essere molto insistente, quando ci si mette: quello che non mi spiego è perché sia venuto a cercare voi, con lo stuolo di gente che si ritrova a comandare.»

«Credi ci sia qualcosa sotto?» Tsubasa si concentrò su di lui.

«C’è sempre qualcosa sotto, quando si tratta di Shuzo Mori.» Yuzo fece spallucce «Piuttosto, avete novità su…»

Tsubasa si lasciò andare contro la sedia, e spostò lo sguardo verso l’esterno della terrazza.

«Kei insiste nel dire di aver visto il segnale GPS della ricetrasmittente di Cris, ma non si vede più nulla da allora.»

«Hai provato a indagare? Hai ancora contatti a San Paolo?»

«Io vorrei tanto credere che Cris sia vivo, ma abbiamo visto tutti e tre come sono andate le cose: quelli gli hanno sparato addosso, e hanno trascinato il suo corpo giù dal furgone davanti ai nostri occhi. Come potete pensare che…»

Yuzo allungò una mano e la posò sul braccio di Tsubasa, costringendolo così ad alzare lo sguardo su di lui.

«Credo che Kei abbia bisogno di quel barlume di speranza, ho notato che è parecchio tesa ultimamente. Va tutto bene?» si azzardò poi ad aggiungere.

L’ex calciatore si ritrasse appena per recuperare la propria birra e berne una lunga sorsata.

«Cris era uno di famiglia, vederlo morire così ha lasciato un segno indelebile: per quanto possiamo fingere che vada tutto bene, sappiamo entrambi che non è così.» un nuovo sorso, forse per prendere fiato o per raccogliere le idee «Sento come se si fosse spezzato qualcosa, e non posso biasimarla se mi dovesse accusare di non aver fatto abbastanza.»

«Kei non lo farebbe mai, ti vuole bene.»

«Quando sua sorella è morta e ci siamo ritrovati a doverci occupare di un neonato, si è creato un legame ancora più forte tra noi: siamo diventati una squadra, eravamo affiatati, ma da quando siamo qui…»

«Non vorrai mica dirmi che volete un altro figlio?» Yuzo cercò di stemperare la situazione, capendo quanto fosse difficile per Tsubasa esporsi in quel modo, e se non avesse conosciuto quella nuova versione dell’amico avrebbe quasi detto che fosse arrossito.

«Io e Kei non… noi non…»

«Frena, frena: non devi spiegarmi nulla.» gli sorrise, lasciando poi che il silenzio cadesse tra di loro e distogliendo lo sguardo.

«Ti manca?»

La domanda di Tsubasa lo colse impreparato, ma non aveva bisogno di chiedergli di chi parlasse. Annuì, continuando a mantenere lo sguardo fisso all’orizzonte.

«È strano, perché ci siamo conosciuti davvero per poco tempo, ma…»

«Cris sapeva farsi ben volere, e poi aveva davvero un debole per te.»

Le labbra gli si incurvarono in maniera automatica, in un sorriso dal retrogusto amaro.

«Mi sarebbe piaciuto approfondire la conoscenza con lui, era davvero speciale.»

«Speciale.» ripeté Tsubasa, come a voler sottolineare la veridicità di quella parola «A Cris.» alzò la bottiglia e la allungò verso di lui. Yuzo fece tintinnare la propria e annuì.

«A Cris.»

La porta della terrazza si aprì e Yuki li raggiunse di corsa. Si gettò subito tra le braccia di Tsubasa, per poi raggiungere anche Yuzo e stringerlo con affetto.

«Ciao, Yuki-chan.»

«Yuzo-kun.» gli sorrise.

«Ah, ma che bella finestrella che abbiamo qui davanti! Abbiamo perso un dentino?»

Il bambino annuì a più riprese, con orgoglio.

«E la fada do Dente mi ha portato dei soldini!»

Yuzo mostrò la propria meraviglia aprendo la bocca a disegnare una O perfetta, e spalancando gli occhi.

«Ma è fantastico!»

«Yuki, vieni che prepariamo la merenda.» Kei era sulla porta e osservava la scena con le braccia conserte e lo sguardo pieno d’amore verso Yuki. La salutò con un piccolo cenno, a cui la giovane replicò, mantenendo il sorriso che però perse un po’ di luce.

Quando il bambino sparì in casa, Kei si avvicinò loro per recuperare i vuoti.

«Ne volete un’altra?»

«No, grazie Kei.»

«Ti fermi a cena?»

«No, ero passato solo per…» spostò lo sguardo su Tsubasa poi lo riportò a lei «Beh, so che Shuzo si è fatto vivo.»

«Ti ha mandato a convincerlo?» domandò, ma mantenendo un leggero sorriso sulle labbra, segno che sapeva che non era così.

«Mi spiace che vi abbia importunato.»

La ragazza fece spallucce, a voler sminuire l’importanza della richiesta di Mori.

«Ti ha spiegato come mai cercasse un autista?»

La domanda di Tsubasa era più che lecita, ma Yuzo si stupì del fatto che non ne avessero già discusso, segno che la tensione tra i due era vera e palpabile.

«Ha solo detto che i suoi sono troppo presi a driftare, e gli serviva qualcuno di capace. Ero quasi tentata a chiedergli dove si trovassero per le gare…»

Kei fece per rientrare ma Tsubasa scattò in piedi, facendo rovesciare la sedia su cui si trovava.

«Non dirai sul serio?»

«Che male c’è? In realtà non mi dispiacerebbe ricominciare a fare qualche gara, adesso che Yuki è più grande.»

«Avevamo detto che…»

«No, tu avevi detto che non volevi più fare gare. Io e Cris avevamo un’opinione diversa.» mormorò, mantenendo però lo sguardo fisso su di lui. Yuzo si sentì in imbarazzo, come se la tempesta fosse in arrivo, e lui non voleva trovarsi nell’occhio del ciclone.

Tsubasa serrò i pugni, ma non disse nulla: il suo evidente tentativo di smorzare la tensione funzionò, anche se era chiaro quanto le parole di Keiko lo avessero indisposto.

«Se vuoi fermarti a cena con noi, sei il benvenuto, Yuzo.» concluse infine la giovane, voltando loro le spalle.

Rimasti soli, Yuzo si avvicinò a Tsubasa, che manteneva lo sguardo nel punto in cui era svanita la compagna.

«Capisci cosa intendo?»

«Ora sì.» ammise lui «Ora sì, amico mio.»

 

 

 

 


Oh ma che bello ritrovarci su questi schermi! Ho sentito tantissimo la vostra mancanza!

Innanzitutto, grazie a chi vorrà darmi fiducia leggendo questo sequel che - devo ammetterlo - è pronto da un po', ma ho voluto aspettare di essere operativa almeno all'80% per garantire una pubblicazione assidua e fissa (certi impegni della RealLife mi stanno monopolizzando *ridacchia*). 

Sono davvero felice di riuscire a pubblicare, questo sequel è stato molto amato e sofferto per certi versi, ma sono molto orgogliosa di ciò che ne è uscito: come sempre un grazie doveroso a Melanto che ha trovato il tempo e il modo di sopportarmi e supportarmi nella stesura (sappiamo che, senza di te, questo filone narrativo non avrebbe visto la luce). 

Avremo modo di chiacchierare lungo questo percorso, intanto vi mando un grosso abbraccio e non vedo l'ora di chiacchierare con voi!

La vostra Sakura 

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Capitolo 2
*** Drift War ***


Velozes e Furiosos

Drift War

Shuzo attese che i suoi uomini aprissero il portone del magazzino, quindi entrò a passo d’uomo. Parcheggiò in mezzo allo spiazzo e scese sbuffando. Gaho lo raggiunse subito, premurandosi di chiudere la portiera prima di affiancarsi a lui.

«Allora?»

«Allora niente.» Shuzo sbuffò nuovamente, estraendo l’occorrente per rollarsi una sigaretta e poggiandosi col sedere alla sua scrivania «Ozora ha rifiutato.»

Gaho non replicò, ma sul suo volto era palese la sorpresa.

«So cosa pensi.» lo yakuza continuò nel suo discorso, portandosi la sigaretta alle labbra e cercando l’accendino «Ma è un osso duro, e avevo messo in conto un suo rifiuto.»

«Come pensi di procedere?»

«Lascerò che sbollisca un po’, e tornerò alla carica. Non sono uno che si arrende facilmente.» e, così dicendo, piegò le labbra in un sorriso sardonico. Gaho annuì, quindi si inchinò appena e arretrò di un passo, lasciandogli aperta la visuale sul magazzino.

Molti dei suoi ragazzi erano impegnati a controllare lo stato delle auto parcheggiate a lisca di pesce lungo la parete di fondo: chi cambiava le gomme, chi modifica l’assetto, alcuni avevano sollevato le vetture sui ponti mobili e ne osservavano la scocca inferiore alla ricerca di eventuali danni.

Terminò di fumare la sigaretta seduto alla sua scrivania: Gaho gli aveva lasciato alcuni appunti, per lo più relativi agli incassi del locale a Yamabuki che usavano come copertura per la maggior parte dei loro affari. Usare Nankatsu come base logistica per molti era uno svantaggio, ma per lui era un modo per tenersi fuori dalla capitale, dove gli sbirri avevano gli occhi molto più aperti rispetto alla sua città natale.

Aveva appena iniziato a contare delle banconote estratte dalla sua cassaforte quando Gaho lo raggiunse.

«È tutto pronto per la Drift War di stasera.»

Shuzo annuì.

«Ho proprio voglia di divertirmi.»

«Vuoi partecipare?» Gaho sgranò gli occhi, sapeva che difficilmente il suo capo si metteva allo stesso livello dei partecipanti.

«Nah, osserverò la gara dalla partenza: c’è un punto, sulla collina del tempio, da cui si vede tutto il percorso.»

Gaho annuì, e fece per allontanarsi, quando Shuzo lo bloccò nuovamente.

«E tu?»

«Io?»

«È un po’ che non gareggi.»

«La mia auto è ancora in manutenzione.»

«Perché non chiedi ai ragazzi di darci un’occhiata? Mi sembra che la tua officina di fiducia ci stia mettendo un po’ tanto… altrimenti possiamo sentire Ozora e la Noshimuri, sono bravi.»

Gaho arretrò di un passo, quasi come a volersi allontanare.

«No, non importa.»

Gli voltò le spalle e si diresse verso i meccanici, urlando loro qualche ordine a cui i più risposero in coro, facendo seguire un inchino. Shuzo si accese l’ennesima sigaretta, e scrutò il suo collaboratore, picchiettando le dita della mano sinistra sulla scrivania.

 

  • §§

 

Kei aveva appena messo a letto Yuki, che come sempre era crollato a metà della favola della buonanotte, e si era rifugiata in terrazza con una birra. Dalla loro posizione potevano vedere tutta Nankatsu, a Mitzukoshi infatti molte abitazioni erano più basse della loro – piccole unifamiliari di famiglie borghesi e benestanti, seconde solo a quelle di Shutetsu – e permettevano di godere della vista sia della città che della boscaglia che conduceva alla collina del tempio.

«Hai sentito che Yuki russa?» Tsubasa la raggiunse e, dopo averle carezzato una spalla, si accomodò accanto a lei.

«È davvero stanco: iniziare le elementari e affrontare le lezioni in giapponese è impegnativo per lui.»

«C’è sempre l’opzione della scuola bilingue a Tokyo.»

Kei scosse il capo.

«Si abituerà.»

«E tu?» Tsubasa si sporse verso di lei, poggiando i gomiti sulle proprie ginocchia e fissandola.

«Io sto dove sta lui.»

Il tono le uscì più acido e perentorio di quanto avrebbe voluto, e la riprova fu che Tsubasa non replicò. Si lasciò quindi andare contro lo schienale della sdraietta e sospirò.

«Volevo dire…» mormorò, evitando di incrociare lo sguardo del compagno «che siamo venuti qui per garantirgli un futuro lontano dai guai, e Nankatsu mi sembra un buon posto per ricominciare.»

«E quando lo farai?» la incalzò, evidentemente deciso a non mollare la presa.

«Di che parli, Bas.»

«Quand’è che ti lascerai il passato alle spalle e ricomincerai a vivere, Kei: siamo qui da mesi e tu sei ancora ancorata a…»

«Non ricominciare, ti prego.» si passò una mano sul volto.

«Invece ricomincio.» si scostò dalla sedia e si inginocchiò davanti a lei, prendendole una mano «Lo vedo come ti logori nell’attesa di ricevere un segnale, qualcosa che possa riportarti in Brasile anche solo per un po’, ma questo non ti fa bene.» le carezzò il dorso, soffermandosi sulle nocche rovinate «Dormi poco e niente, mangi in piedi e di corsa, proiettata verso qualcosa che non tornerà.»

«Ho bisogno di sperare che…» deglutì rumorosamente, le lacrime che fecero la loro comparsa inumidendole gli occhi «Mi manca da morire, Bas…» ammise infine, serrando le palpebre. Tsubasa si sollevò, quindi la fece alzare e la abbracciò.

«Non c’è giorno in cui non pensi a cosa avrei potuto fare per farlo desistere dal suo intento, ma siamo consapevoli entrambi che non saremmo mai riusciti a fargli cambiare idea. Avremmo potuto salvarlo se tu non avessi accettato l’offerta di Tanaka-san o se io non avessi seguito Roberto in Brasile anni fa, ma che importa, ormai? Il passato è passato, continuare a struggerti coi “se” e coi “ma” non fa altro che farti star male.» si scostò appena e le sollevò il volto dal mento «Il regalo più bello che tu possa fargli è vivere la tua vita e rendere onore al suo sacrificio con…»

Un rombo in lontananza attirò la loro attenzione: Kei spalancò gli occhi per la sorpresa, conosceva bene quel tipo di rumore.

«Viene dalla collina del tempio.» sentenziò, sporgendosi dalla balaustra e stringendo gli occhi per visualizzare meglio «Sembrano delle auto che… merda, quella è una gara.»

«Che cavolo…»

Kei gli indicò il punto in cui le auto scendevano lungo le curve del sentiero e sparivano in mezzo agli alberi, per poi ricomparire alla curva successiva.

«Sono dei pazzi, il sentiero è lastricato.»

«Credo che sia quello il bello, Bas.» sorrise lei, quasi senza rendersene conto. Osservava i fari di quelle auto comparire e sparire, il cuore accelerato e le dita formicolanti.

«Andiamo, non voglio assistere a uno spettacolo increscioso.»

«Esagerato, noi facevamo anche di peggio.»

«Hai detto bene, “facevamo”.»

Kei lo seguì dentro casa, nelle orecchie il suono di quell’ultima frase che aveva decretato la fine di qualunque discussione a riguardo: Tsubasa aveva deciso già da tempo di non voler più gareggiare, e sebbene lei e Cris avessero ancora la volontà di farlo, avevano appeso il volante al chiodo per rispetto del loro amico e di ciò che era successo.

In realtà da quando era nato Yuki la voglia di correre le era un po’ passata, come se fosse stata relegata in secondo o addirittura terzo piano, per potersi dedicare al bambino. Ma ora che era lontana da casa sua e che si sentiva così sola, tornare a gareggiare le sembrava come un raggio di sole dopo mesi di buio.

«Non ti facevo così categorico…»

Tsubasa si voltò verso di lei molto lentamente, Kei comprese che stava trattenendo la rabbia dal mondo in cui aveva serrato i pugni.

«Niente. Più. Gare.»

«Che c’è, hai paura che ti tolga il titolo di miglior pilota?» ironizzò lei, dirigendosi verso la cucina.

«Pensi questo? Pensi che si riduca tutto a un “decretiamo chi sia il migliore tra noi”? Sai bene che non è così.»

«A me invece sembra che tu sia parecchio competitivo.»

«Kei, vuoi litigare?»

La ragazza aprì il frigo e ne estrasse una bottiglietta d’acqua. Con lentezza calcolata, la aprì, mantenendo lo sguardo fisso su di lui, quindi bevette un paio di sorsate e la richiuse.

«C’è niente che devi dirmi, Tsubasa?»

«Che vuoi dire?»

«Davvero mi credi così stupida da abboccare alla storia della batteria?»

«Di cosa stai parlando, Kei, io davvero non capisco.»

Keiko inspirò profondamente, chiudendo gli occhi: aveva sperato che il ragazzo optasse per la sincerità, ma a quanto pareva doveva forzare la mano. Si avvicinò di qualche passo, pur mantenendo una certa distanza da lui, e raddrizzò la schiena.

«Parlami di Sanae.»

Tsubasa accusò il colpo: spalancò gli occhi e sul volto gli si dipinse subito un’aria colpevole.

«Kei, io…»

«Sai qual è la cosa che mi ferisce di più, di tutta questa faccenda? Il fatto che tu non ti sia fidato di me. Ci conosciamo da nove anni, da sei anni tiriamo su un bambino insieme, gestiamo un’officina, e tu mi tieni nascosta una cosa così importante?»

«Non è una questione di fiducia, anzi. Io e Sanae… noi…»

Tsubasa distolse lo sguardo e rimase in silenzio: per Keiko, che lo conosceva ormai come le sue tasche, quel gesto valeva più di mille parole.

«Quando suo padre mi ha chiamato per la batteria, la volta scorsa, lei era a casa e ci siamo incontrati. Abbiamo parlato un po’ e lei mi ha chiesto se mi andava di rivederci, per mettere un po’ di punti fermi.»

«Lo avrei compreso, se me lo avessi detto.» ammise lei, comprensiva «Non ci siamo mai tenuti nascosto nulla, perché iniziare proprio ora?»

«Perché io…» Tsubasa fece una lunga pausa «Kei, io credo di essere ancora innamorato di lei.»

Una voragine si aprì sotto i piedi di Keiko e la inghiottì: sentì il proprio corpo sprofondare nell’abisso buio sottostante, mentre il volto era una maschera impenetrabile di passività da cui non traspariva nessuna emozione.

«Lo capisco.» replicò, a voce ferma, nonostante dentro di lei tutto tremasse.

«Abbiamo riparlato dell’incidente, lei ha… vissuto momenti difficili, per mesi ha avuto incubi della mia auto che si rovesciava…»

«Un incubo comune, Bas.»

«Lo so, scusa, ma per lei non è stato semplice: tu e Cris l’avete messa in fretta e furia su quell’aereo per rispedirla a casa e lei ha dovuto affrontare il trauma da sola…»

«Ho detto che capisco.»

Il silenzio che cadde tra loro era interrotto solo dai rumori notturni della città: Kei continuava a mantenere un atteggiamento passivo e imperscrutabile, anche se dentro si sentiva morire, mentre Tsubasa sembrava affranto e divelto dalla dualità dei suoi sentimenti.

«Che pensi di fare?» gli domandò infine, voltandogli le spalle per riporre l’acqua in frigo e prendersi un momento per togliersi la maschera e dare sfogo al suo dolore.

«Nulla, ci siamo detti di darci tempo e… kamisama, potrebbe essere la mia seconda occasione. Dopo tutto quello che ho perso, forse io… forse noi…»

Kei inspirò a fondo e congelò i tratti del viso: si voltò verso Tsubasa e cercò di ignorare la morsa allo stomaco nel vederlo così combattuto e angosciato. Si avvicinò di qualche passo e annuì.

«È tardi, andiamo a dormire.»

Lo superò, dirigendosi verso il bagno e chiudendosi dentro: una volta girata la chiave nella toppa, poggiò la schiena contro il legno e si lasciò scivolare a terra, passandosi le mani nei capelli e lasciando che le lacrime scorressero silenziose sul suo volto.

 §§

Sbadigliò per l’ennesima volta mentre riempiva il serbatoio della macchinetta del caffè: era il terzo che prendeva quella mattina, e sembrava non sortire comunque alcun effetto.

«Keiko?»

Sobbalzò, rovesciando l’acqua per terra e imprecando in portoghese.

«Ciao, Sanae.» la risalutò.

«Scusa, non volevo spaventarti.»

«Vuoi un caffè?»

La giovane annuì, e le si avvicinò: eterea come la ricordava, indossava un vestito rosa pallido che le arrivava a metà polpaccio e si fondeva con la carnagione.

«Tsubasa non c’è, è da alcuni fornitori a cercare dei ricambi.»

«Non importa.» scosse il capo lei, sorridendole «Vi ho portato una torta, l’ha fatta mia madre per ringraziarvi di tutti i salvataggi con la batteria. Abbiamo convinto papà a cambiarla.» ridacchiò.

«È stata molto gentile, ma sai bene che per Tsubasa è un piacere esservi utile.»

«E per te?»

Si raddrizzò sulla schiena e i muscoli del suo viso si tesero all’istante, i sensi all’erta per un eventuale attacco. Le porse il caffè e la fissò, spostando il peso su una gamba sola.

«Per me…?» la incalzò.

«Non abbiamo più avuto modo di parlare, da quando…»

«Già.» annuì, sapendo dove volesse andare a parare.

Rimasero in silenzio qualche istante, durante il quale entrambe sorbirono la loro bevanda con estrema lentezza, quasi fosse un modo per trovare il coraggio di parlare con schiettezza.

«Grazie per esserti presa cura di Tsubasa, dopo l’incidente. Posso solo immaginare come si sia sentito dopo la diagnosi.»

«È stata dura. Gli sei mancata tanto.» nasconderle la verità era inutile, e per quanto fosse algida, non era di certo una stronza, e non voleva ferirla inutilmente.

«Ma tu hai sopperito egregiamente alla mancanza, e Yuki è un bambino meraviglioso, state facendo un ottimo lavoro.»

«Sanae…» le si avvicinò talmente tanto che ora i loro visi quasi si sfioravano «Sai bene che si è trattata di una tragica fatalità, e che se le cose fossero andate diversamente, voi…»

«Lo so, ma so anche che Tsubasa ha fatto una promessa a Yukiko e Roberto, e non verrà mai meno alla parola data.»

Era vero, e lo sapevano entrambe.

Sanae sorrise nuovamente, con quella leggerezza che Keiko le aveva sempre invidiato, insieme alla famiglia apparentemente perfetta che aveva alle spalle.

«Ora però siamo qui, e…»

«Non voglio intromettermi nella vostra famiglia, Keiko.» Sanae scosse il capo, distogliendo lo sguardo «Vorrei solo avere la possibilità di…»

La berlina grigia col logo dell’officina entrò in quel momento: Tsubasa scese canticchiando e un’espressione di stupore gli si disegnò sul volto quando si accorse dell’ospite.

«Sanae-chan. Qual buon vento?»

«Mamma ti ha preparato una torta…»

Desiderosa di staccarsi da quel quadretto, Keiko si allontanò e provvidenzialmente il telefono iniziò a squillare, così colse l’occasione per chiudersi nell’ufficio.

«Officina Katsumoto, sono Keiko.»

«Ah, la mia meccanica di fiducia.»

«Ciao a te, Mori.» replicò, alzando gli occhi al cielo e sporgendosi appena per osservare Tsubasa e Sanae, apparentemente impegnati in un’allegra conversazione.

«Ho bisogno di un favore.»

«Chissà perché non avevo dubbi.»

«Puoi lavorare su una mia auto? Dovrei sistemare il motore per potenziarlo.»

«Di che si tratta.» distolse l’attenzione dalla coppia all’esterno dell’ufficio e si concentrò sulle parole dello yakuza.

«Una Nissan Silvia ’66.»

Kei spalancò gli occhi per lo stupore.

«E tu come diamine l’hai trovata?»

«Allora posso entrare?»

Le parole di Mori furono seguite da una sonora sgasata: Kei abbassò il cordless e uscì dall’ufficio giusto in tempo per vedere l’auto entrare nell’officina, sotto lo sguardo poco convinto di Tsubasa.

Si avvicinò al mezzo e ne carezzò le forme arrugginite, mentre Shuzo scendeva e salutava gli altri due presenti.

«Apri il cofano.» gli intimò, e lui non se lo fece ripetere. Keiko ne ammirò ogni singolo componente, sporgendosi appena per osservare che tutto fosse al suo posto.

«Che ti serve, Mori?» Tsubasa si era avvicinato e aveva salutato lo yakuza con la loro usuale stretta di mano.

«Ho trovato questo gioiellino e vorrei sistemarlo come si deve. Ho pensato che vi avrebbe fatto piacere lavorarci su.»

«Noi non…» provò a dire, ma Kei lo interruppe.

«Ti verrà a costare parecchio, a seconda delle modifiche che vuoi apportare.» constatò, incrociando le braccia al petto, lo sguardo che passava dal cofano a Mori, ignorando Tsubasa.

«Non è un problema, il mio obiettivo è che diventi la migliore auto in circolazione.»

«A che ti serve?»

Alla domanda, Shuzo non rispose subito: si limitò a inclinare le labbra in un sorrisetto sardonico mentre si preparava una sigaretta.

«Perché vuoi saperlo?»

«A seconda dell’uso che vorrai farne, dovremo ordinare i materiale corretti. Ad esempio, se tu dovessi driftare giù per la collina del tempio…»

Kei lanciò l’amo con noncuranza, voltandosi per aprire un paio di serbatoi e controllare il livello dei liquidi.

«Ah, dici che questa potrebbe essere un’auto da drift?»

Kei si sollevò appena, giusto in tempo per leggere lo sguardo soddisfatto di Mori e quello meno felice di Tsubasa.

«Affare fatto, allora. Ti farò avere un preventivo nel giro di qualche giorno.»

«Salta pure quella parte, passiamo direttamente al risultato finale.» le sorrise vittorioso lo yakuza «Mi fido del tuo giudizio.»

Shuzo salutò i presenti portandosi una mano alla fronte e mimando un saluto militare, quindi si incamminò verso l’uscita col suo passo ciondolante.

«Non dovremmo lavorare per lui.»

Kei si voltò verso Tsubasa, sapeva che avrebbe contrastato la sua scelta e probabilmente era una delle motivazioni che l’aveva spinta ad accettare immediatamente il lavoro.

«Ele nos paga, Bas.»

L’altro scosse il capo, avvicinandosi a lei.

«Non mi interessano i suoi soldi, non voglio entrare nei suoi affari.»

«Beh a me invece interessa poter lavorare su questa auto: la vedi?» e si scostò per permettergli di ammirare il veicolo «Questo è un gioiellino, quando ci ricapita?»

«Lui non…»

«Lui è un cliente, discorso chiuso. Hai rifiutato di fargli quel favore, almeno questo glielo dobbiamo.» concluse, decisa a mettere la parola fine «Io vado ad allenarmi un po’ prima dell’arrivo di Yuki. Ciao Sanae.» concluse infine, alzando una mano e mostrandole il palmo a mo’ di saluto. Voltò le spalle alla coppia e si diresse verso le scale dell’appartamento, decisa a sfogare un po’ di frustrazione al sacco da boxe.

 §§

 Tsubasa attese che Yuki si addormentasse e raggiunse Kei in cucina: la ragazza stava sistemando la lavastoviglie per farla partire, quando lui entrò deciso ad affrontare e chiudere l’argomento una volta per tutte.

«Noi non lavoriamo per Mori.»

Pronunciò quelle parole scandendole bene, concludendo la frase incrociando le braccia al petto e disegnandosi sul volto l’espressione più seria che poté.

Keiko non lo considerò, terminò il proprio lavoro, quindi estrasse dal frigo una birra e la aprì con l’apribottiglie che poi fece volare malamente nell’acquaio insieme al tappo.

«In questo caso è un cliente come un altro, Bas.»

«Non è un cliente come un altro, possibile che tu non lo capisca?»

Kei fece spallucce e lo superò, per dirigersi in terrazza.

«Ci fanno comodo i suoi soldi, e in questo caso ce li darà in maniera legale: più di così…»

«Più di così dopo vorrà altri favori. Già si è attentato a chiedermi di guidare per lui, con che coraggio poi.»

«Col coraggio di chi cercava il migliore, a suo dire.»

«Che assurdità.»

Tsubasa si passò una mano tra i capelli, lasciando che il silenzio cadesse tra di loro, e osservò il profilo della ragazza: Kei continuava a sorseggiare la sua birra, ignorandolo, lo sguardo puntato all’orizzonte.

Che le stava succedendo?

«So che non sei felice…»

Kei emise una risatina nervosa, poggiando la birra sul bracciolo della sedia.

«Felice, dici? E come potrei esserlo, Bas?»

Non aveva urlato, non aveva sibilato. Un sussurro quasi impercettibile, come se si fosse trattato di un pensiero uscito per sbaglio dalle sue labbra.

La osservò terminare la birra, quindi si alzò e gli passò accanto senza dirgli nulla: solo quando fu di fronte alla porta della camera gli parlò, senza però guardarlo.

«Vado a dormire, domani voglio iniziare il lavoro sulla Nissan Silvia. Ci frutterà un bel po’ di soldi.»

Non disse altro, ma entrando in camera si chiuse la porta alle spalle, come se sapesse che lui non l’avrebbe raggiunta, non subito per lo meno.

Si passò nuovamente una mano tra i capelli e sospirò, lasciandosi cadere sulla sedia che lei aveva appena lasciato libera. Sentì il cellulare vibrare in tasca e lo estrasse con la consapevolezza di cosa ci avrebbe trovato: lui e Sanae avevano preso l’abitudine di sentirsi tutte le sere, prima di addormentarsi, ed era come se fosse la sua coccola serale.

Quella sera, però, uno strano senso di colpa si impossessò di lui: troncò la conversazione dopo poche frasi e si diresse verso la camera da letto. Tentennò un attimo di fronte alla porta chiusa, quasi come se si sentisse in difetto, ma quando la aprì, e gli occhi si abituarono alla penombra, tutto quello che vide fu la schiena di Keiko, il suo respiro lento, segno che stesse già dormendo. Sospirò, accomodandosi accanto a lei e resistendo alla tentazione di abbracciarla, come avrebbe fatto in qualsiasi altra occasione, ma non in quella.

Sentiva che il legame che li teneva uniti era un segmento sfilacciato di ciò che era stato, e che presto o tardi l’avrebbe persa.

 


Sono davvero commossa dall'affetto con cui mi avete accolto dop tutto questo tempo, vorrei abbracciarvi *cuore* 

Vorrei essere brava e riuscire a rispondere a tutte le recensioni, mi ci metterò d'impegno giuro, ma per ora sappiate che vi leggo e vi rileggo e che sono onorata del vostro affetto! 

Come sempre, non mi piace tergiversare troppo e così in questo capitolo notiamo già la spaccatura intensa tra Keiko e Tsubasa, e Sanae che si insinua tra di loro - o forse riprende il suo posto di diritto, ceduto anni fa?

Scopriamo anche che lei era presente all'incidente, un dettaglio non da poco... 

Mori non si arrende e, non potendo avere un autista, decide di ripiegare su una vettura gestita totalmente dai nostri amici: Keiko è raggiante al pensiero mentre Tsubasa si mostra titubante. Sappiamo però che Keiko è testarda e non si farà fermare da un diniego - se si mette in testa qualcosa, la ragazza non si fa fermare da niente e nessuno. 

Grazie ancora e di nuovo per le vostre bellissime parole, vi mando un abbraccio 

La vostra Sakura

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Capitolo 3
*** Nissan Silvia Reloaded ***


Velozes e Furiosos

Nissan Silvia Reloaded

Ignorare Tsubasa diventava sempre più facile, concentrata com’era su quell’auto. Le sembrava un sogno: non aveva avuto indicazioni specifiche da Mori, ma intuendo che ne volesse trarre un’auto performante per eventuali fughe, si stava muovendo in quella direzione.

Seduta sullo sgabello, accanto alla vettura, stava osservando i progetti che aveva sviluppato: portare la potenza a un migliaio di cavalli, dotarla di un cambio sequenziale e valutare la doppia alimentazione – per sfruttare l’ossido di diazoto – erano i punti chiave per renderla l’auto regina del drifting.

Drifting Queen.

Un sorriso le incurvò le labbra, mentre sognava di tornare a sedersi al volante di un’auto per una race war di qualunque tipo.

Un fischiettare allegro attirò la sua attenzione, così alzò lo sguardo e notò subito Shuzo appoggiato all’ingresso dell’officina. Non era solo: il suo scagnozzo si osservava intorno guardingo con un’aria un po’ scocciata.

«Mori.» scese dallo sgabello, poggiandovi sopra i progetti, e lo raggiunse «Qual buon vento. Stavo giusto dando un’occhiata ai tuoi progetti.»

«Il lavoro procede?»

«Procede.» annuì, ficcando le mani nelle tasche della salopette. Lo scagnozzo dello yakuza la squadrò da capo a piedi ma non fiatò, sebbene sul suo volto fosse ben chiara la sua disapprovazione.

Shuzo la superò e recuperò i progetti: Kei non reagì, attendendo che fosse lui a esprimere un’opinione.

«Cosa significa questo segno?» le pose la domanda senza staccare gli occhi dal foglio.

«Ho dovuto cambiare un paio di componenti che si erano usurati.»

«Hai previsto addirittura due bombole di protossido di azoto?»

«Beh, una è di scorta.» gli fece l’occhiolino, spostando il peso sulla gamba destra «Anche se dipende sempre dall’uso che ne vuoi fare.»

Shuzo pareva interessato alle sue parole: abbassò i progetti e la fissò negli occhi.

«Tu che ne pensi?»

Kei fece scivolare lo sguardo lungo la carrozzeria dell’auto, soffermandosi sugli pneumatici, per poi alzare nuovamente la testa verso lo yakuza.

«A mio parere, è la migliore auto da drift mai esistita.»

La risata dello scagnozzo di Shuzo ruppe l’aria, costringendoli a voltarsi verso di lui.

«Questa è la cazzata più grossa che io abbia mai sentito, ma è chiaro, data la fonte da cui è scaturita.»

Kei non si scompose, si limitò a osservarlo con aria divertita.

«Perdonalo, Gaho non ha ancora imparato le buone maniere da utilizzare in presenza di una signora.» Shuzo ridacchiò, e fissò il suo braccio destro, dandogli così l’autorizzazione a parlare.

«Niente può battere la Cupra, quando si parla di drift.» concluse quindi l’altro, incrociando le braccia al petto e fissando Kei con aria di superiorità.

«Può darsi.» lei si avvicinò all’auto e fece scorrere la mano lungo la carrozzeria, come ad accarezzarla «Il mio è solo un parere professionale da meccanico. La vettura di cui parli è ottima, ma la Silvia, con le dovute accortezze, può batterla. Certo…» alzò lo sguardo e fissò Gaho negli occhi «Tutto dipende anche dal pilota.»

«390 cv. Cinque cilindri. Ripartizione della coppia su ciascuna delle ruote posteriori.» Gaho iniziò a sciorinare le caratteristiche della sua auto come se ne stesse leggendo il libretto di istruzioni «Da 0 a 100 km/h in 4,2 secondi.» concluse, incurvando le labbra in un sorriso soddisfatto.

«Wow, hai fatto i compiti a casa.» Kei applaudì, sapendo che quel gesto avrebbe indispettito lo yakuza «Quindi non hai toccato nulla, da quando è uscita dalla fabbrica: quelle sono le caratteristiche di base della VZ5, che gusto c’è a comprare un’auto nuova senza sporcarsi le mani per modificarla? Questa, invece…» Kei batté la mano sul cofano della Nissan «Questa sì che ha del potenziale: posso portare il motore a 4 cilindri a 2,1 litri, per generare 400 cv. Posso creare una fotocopia della Silvia che ha partecipato al D1 Grand Prix del 2015, anzi, posso farla anche meglio, non avendo i limiti imposti dalla legge.» concluse, voltandosi verso Mori «Devi solo dirmi a che ti serve, e io ti creerò l’auto perfetta.»

«Perfetta.» Gaho sbuffò, schifato da quella parola «Come può una femmina…»

«Alt! Basta così.» Shuzo alzò le mani per porre fine alla discussione, quindi si voltò verso Keiko «Puoi farlo davvero?»

«Posso farlo davvero.» ripeté lei, con sicurezza. Shuzo la squadrò da capo a piedi, forse in cerca di qualche segno di tentennamento.

«Procedi.» annuì, diventando improvvisamente serio «Fai quello che dici di poter fare, e dopo metteremo alla prova il tuo operato. Gaho avrà finalmente l’opportunità di ritirare la sua auto dall’officina dove pare l’abbia lasciata a riposare anche troppo. Quanto tempo ti serve.»

Kei soppesò il lavoro facendo viaggiare lo sguardo sulla vettura.

«Una settimana. Dieci giorni al massimo.»

Shuzo annuì, senza aggiungere altro, e uscì seguito dal suo scagnozzo che non nascose lo sdegno, riservandole un’occhiata tutt’altro che amichevole. Quando furono fuori dal suo raggio visivo, Kei si concesse un ampio respiro e si sfregò le mani.

«Bene. Iniziamo.»

 

Non aveva alcuna intenzione di toccare quella stramaledetta auto, e Kei non gliene dava neppure l’occasione: la teneva coperta da un telo scuro in un angolo dell’officina, e ci lavorava a tempo pieno lasciando a lui qualunque altra incombenza.

«Non ti sembra di esagerare?»

Non voleva sbottare, ma all’ennesimo giorno in cui l’aveva vista smanettare su quello stramaledetto motore, non ci aveva più visto.

Kei si passò una mano sulla fronte, mantenendo ben salda la chiave inglese, quindi si voltò verso di lui con una lentezza esasperante, lo sguardo di chi si accorgeva della sua presenza solo in quel momento.

«Ho quasi finito.»

«Che vuoi dire?»

Kei si scostò facendogli segno di dare un’occhiata: Tsubasa si affacciò e poté osservare l’egregio lavoro compiuto dalla giovane.

«Ti presento la mia Nissan Silvia Reloaded.» strinse la mani davanti a sé, gli occhi emanavano una luce che non le vedeva da tanto «Vieni, guarda!»

Lo strattonò malamente per un braccio e lo fece chinare sul motore, posandogli una mano tra le scapole.

«Un lavoro notevole, non c’è che dire.» e lo pensava davvero «Hai stretto bene quei bulloni?»

«Ehi, per chi mi hai preso?»

Si voltarono l’una verso l’altro nello stesso momento, e in quell’istante la rivide: rivide la sua Kei, la quindicenne sporca di unto che lo trascinava nel garage del padre per spiegarli tutto ciò che riguardava i motori, ché “per i compiti c’è tempo”. Rivide la Kei sedicenne che vinceva la sua prima Race War, con buona pace di Yukiko che avrebbe solo voluto tenerla lontana dai guai. Rivide la Kei diciottenne che piangeva al funerale della sorella, stringendo quel fagotto che sarebbe diventato la loro unica ragione di vita.

Il sorriso di Keiko si spense man mano che lo sguardo si perdeva nel suo: una nuova luce, diversa dalla precedente, che non aveva mai visto, si faceva largo ora tra le iridi marroni.

«Kei…»

Un sussurro, che riportò la ragazza sulla terra: le vide richiudere le labbra e scuotere la testa come a voler riportare la mente a quel momento.

«Ora penserò alla carrozzeria, ma il più è fatto. Che dici.» gli voltò le spalle per recuperare l’aerografo «Ti va di darmi una mano?»

«Mi piacerebbe, ma…» doveva dirglielo «Sto uscendo.»

Kei abbassò l’attrezzo e lo osservò con aria interrogativa.

«Hai una consegna?»

«No, io…» deglutì, perché era così difficile dirle la verità «Mi vedo con Sanae.»

«Oh.»

Oh.

Fu tutto quello che ottenne.

Keiko gli voltò le spalle e iniziò a sistemare l’aerografo: la osservò muoversi con estrema lentezza mentre caricava la bomboletta di colore, indossava mascherina e tuta protettiva, sempre evitando il suo sguardo.

Arretrò di un passo, tenendo gli occhi sulla sua schiena, poi si voltò e uscì dall’officina: salì in macchina, il cuore pesante, e la mente fissa su quella luce diversa che aveva percepito nelle iridi di Keiko.

Sanae lo stava aspettando davanti a casa, e lo salutò con un cenno della mano e un sorriso appena accennato: si sporse verso il sedile passeggero per aprirle la portiera e farla accomodare, lasciandosi avvolgere dal suo delicato profumo.

«Buonasera, signorina.»

«Buonasera.»

Ingranò la marcia e cercò di sgomberare il cervello per concentrarsi solo su di lei: seguì le indicazioni per il locale dove la donna aveva prenotato un tavolo.

«È uno dei posti più in di Nankatsu.» gli raccontò, mentre parcheggiava «Anche se ci sono molte voci, riguardo a certi loschi affari. Il cibo però è ottimo.»

Stava per domandare di quali affari si trattava, quando il suo sguardo cadde su una vettura conosciuta.

«È di Mori?»

«Come dici?» Sanae si voltò verso di lui, un piede già sull’asfalto del marciapiede.

«Il locale è di Shuzo Mori?»

«Oh, io… in effetti, lo è. C’è qualche problema?»

Strinse il volante, sentiva già il rancore ribollire nelle vene, ma decise di mantenere un basso profilo.

«No.» le sorrise, dolce «Nessun problema. Ho solo riconosciuto la sua auto.»

«Non mi abituerò mai a questa tua attitudine.»

Sanae attese che lui girasse attorno all’auto e la raggiungesse, quindi lo precedette verso l’ingresso: una giovane cameriera li fece accomodare al loro tavolo, nascosto dal resto del locale da una paratia di bambù.

Era bellissima: ora che la osservava bene, che l’aveva davanti, sentì il cuore tuffarsi e ballare a ritmo nella gabbia toracica.

«Di cosa hai voglia?» gli domandò, menù alla mano.

«Che mi consigli?»

«Qui sono molto buoni gli okonomiyaki.»

«Allora vada per quello. E una birra media.»

Sanae scostò il menù e lo scrutò.

«Birra?»

«Un vizio che mi porto dietro dal Brasile.» ammise, sorridendole. Sanae sghignazzò a sua volta, poi posò il menù.

«Acqua naturale per me.»

Dopo che il cameriere ebbe annotato il loro ordine, un silenzio imbarazzante cadde su di loro: sapevano bene di cosa dovevano parlare, solo che non sapevano come affrontare l’argomento.

«Allora…» mormorò lui, grattandosi la testa imbarazzato.

«Allora.» ripeté lei, arrossendo appena «Come vanno le cose con Keiko?»

«Strano che tu me lo chieda.»

«Perché dovrebbe: so bene cosa c’è tra voi, e…»

«Io e Kei non stiamo insieme, e mai lo siamo stati.»

Sanae prese un profondo respiro, come se stesse per affrontare un esame.

«Il vostro rapporto è molto più di una semplice relazione, Tsubasa: non state insieme ma vi gravitate attorno come due pianeti che non possono fare a meno l’una dell’altro. Negli ultimi anni avete costruito una famiglia che, per quanto atipica, ha comunque regalato serenità a un bambino destinato ad avere nulla, se non un genitore morto e uno totalmente incapace di prendersi cura di lui.»

L’analisi lo scioccò a tal punto che dovette ammettere che Sanae lo conosceva meglio di quanto immaginasse.

«Abbastanza accurato.» ammise infine, dopo che il cameriere ebbe appoggiato il bere. Afferrò il boccale e bevve un lungo sorso di birra, più per raccogliere i pensieri che per reale sete, quindi si pulì la bocca col dorso della mano.

«Tu e Kei non potete fare a meno del vostro rapporto, e non sarò di certo io quella che si intrometterà e distruggerà la vostra famiglia, ma…»

C’era quel “ma” che aleggiava su di loro da quando si erano rivisti.

Un “ma” carico di aspettativa, carico di amore, carico di una seconda opportunità.

«Ma.»

Lo ripeté, addolcendo il tono della voce. Sanae piantò le iridi castane su di lui e non lo mollò neanche quando il cameriere tornò con le loro ordinazioni.

«Ma?» lo incalzò, come se volesse che fosse lui ad affrontare l’argomento. Lui annuì, perdendosi nel suo sguardo.

«Ma ora sono qui. Siamo qui. Di nuovo. Abbiamo la possibilità di riprendere da dove ci siamo interrotti.»

Il sorriso che gli regalò Sanae fu in grado di illuminare il suo mondo: la vedeva di nuovo per quello che era, una splendida ragazza in grado di fargli provare un amore così puro e genuino come mai aveva provato nella sua vita. Perché Sanae era sempre stata l’unica, per lui.

«Coraggio, mangiamo.» lo invitò lei, afferrando le proprie bacchette e accingendosi a fare altrettanto. Dopo un paio di bocconi, constatando la bontà del piatto, Tsubasa pose quella domanda che gli ronzava in testa da anni.

«Com’è stato il rientro in Giappone, per te, dopo…»

«Intendi dopo l’incidente a cui nessuno sapeva avessi assistito?» concluse al suo posto, posando le bacchette e nascondendo le mani sotto al tavolo «Ho dovuto mascherare la sorpresa, quando la notizia del tuo ritiro è rimbalzata su tutti i network: gli ex Golden mi chiamavano di continuo per avere aggiornamenti, poi l’incidente di Taro a Sendai ha attirato tutta la loro attenzione e hanno smesso di pressarmi. La cosa più complicata è stata mentire ai miei, dire che non ne sapevo nulla: mia madre ha mangiato sicuramente la foglia ma non ha mai detto niente…»

Tsubasa annuì, comprendeva che per lei doveva essere stato difficile.

«Mi spiace per come sono andate le cose, io…»

Sanae allungò una mano sul tavolo e prese la sua, costringendolo con quel gesto ad alzare lo sguardo e incrociare i suoi occhi: non c’era rancore, nelle sue iridi.

«Lo so. Hai fatto la scelta giusta, Tsubasa. Non te ne faccio una colpa.»

«Sei sempre bellissima.»

Sanae si ritrasse appena, in un imbarazzo che si palesò sotto forma di rossore sulle guance, che cercò di mascherare fingendo di pulirsi la bocca col tovagliolo.

«E tu sei diventato un adulatore, Tsubasa. Credi di conquistarmi con due moine?» replicò Sanae, lo sguardo divertito.

«Ah, è così? Due moine, le chiami.»

Fece un cenno al cameriere per farsi portare il conto, che saldò velocemente per poi alzarsi e prendere per mano Sanae, invitandola a fare altrettanto.

«Dove andiamo?»

Le aprì la portiera dell’auto e la fece accomodare con galanteria, per poi richiudere lo sportello e saltare dall’altra parte della vettura scivolando sul cofano: Sanae si portò una mano alla fronte ma sorrise di quel gesto.

Quando giunsero di fronte all’officina, spense il motore ed emise un sospiro.

«Eccoci.»

«Sei sicuro che…»

«Vieni.»

Scesi dalla vettura, la prese per mano e la fece accomodare, passando dalla porta laterale: l’officina era al buio, tranne che per un paio di luci di emergenza accese ai lati.

«Questo è il mio mondo, il mio nuovo mondo, e mi fa piacere che tu ne faccia parte.» ammise, attirandola a sé per prenderla fra le sue braccia. Non aveva lasciato la sua mano, e lo fece solo in quel momento, per poterla stringere a sé e bearsi di quel contatto, lasciandosi avvolgere da quella fragranza delicata capace di fargli andare il cervello in pappa.

«Bramo di far parte del tuo mondo, Tsubasa, ma non voglio che sia un problema. Tu hai delle responsabilità verso Keiko e Yuki.»

«Continuerò a essere un sostegno per Kei e una figura paterna per Yuki, ma non voglio più rinunciare a te: già una volta ho dovuto farlo, e ha fatto male, tanto male.» alzò una mano per scostarle una ciocca di capelli dal volto «Ora mi sento come se finalmente fossi di nuovo intero, e sono… felice.»

«Felice.» ripeté Sanae, gli occhi incollati ai suoi.

Tsubasa si chinò su di lei e le sfiorò timidamente le labbra: il fremito, la scossa, il brivido, l’elettricità, tutto percorse il suo corpo facendogli risvegliare i sensi. Sanae schiuse le labbra e lui ne approfittò per baciarla, finalmente, dopo anni di lontananza si sentiva di nuovo a casa.

 

«Coraggio, muovete il culo, non ho tempo da perdere, muoversi, muoversi, muoversi!»

Shuzo batté le mani a più riprese e i suoi uomini si sparpagliarono per il capannone come formiche impazzite alla ricerca di cibo.

«Capo, abbiamo un problema all’ingresso.»

Si voltò verso Botan e lo scrutò assottigliando gli occhi fino a ridurli a due fessure.

«Non ti pago appositamente per questo?»

«Sì, ma…» lo scimmione sembrava visibilmente a disagio. In quell’istante, un clacson iniziò a suonare a più riprese, attirando l’attenzione di tutti.

«Ma che cazzo.» sbraitò Shuzo, dirigendosi all’ingresso e spalancando la porta in ferro. Chikao era rimasto in posizione, fucile alla mano, lo sguardo puntato verso l’auto piazzata proprio di fronte a lui.

«Keiko?»

La ragazza spense il motore e scese dalla vettura, incrociando le braccia al petto.

«Puoi dire a Gorilla1 e Gorilla2 di farmi passare?»

Chikao non prese molto bene l’appellativo, sbuffò infastidito e ringhiò come un cane rabbioso.

«Aprite il portone.» alzò una mano e ruotò l’indice in tondo. Chikao e Botan si mossero velocemente per eseguire il suo ordine e richiusero immediatamente l’ingresso una volta che furono tutti all’interno.

«Perdonali, ma hanno l’ordine di non far passare nessuno se non espressamente indicato da me.»

«Pensavo di essere nella tua white list.» gli sorrise, affiancandolo.

«Potresti entrarci.» ammiccò, spostando poi lo sguardo alla vettura «Così questa è la mia nuova bambina?»

«L’ho ribattezzata “Silvia Reloaded”, perché dell’originale ormai ha solo la scocca.»

Kei gli elencò tutte le modifiche che aveva apportato, e Shuzo si stupì nello scoprire quanto fosse riuscita ad attenersi al progetto e, soprattutto, quanto fosse riuscita e renderla un’auto degna di entrare nel suo parco macchine.

«Sono stupito.» la interruppe, smanioso di provarla, così allungò una mano verso Kei per indurla a passargli le chiavi.

La donna colse il suggerimento, così fece dondolare la chiave davanti a lui prima di richiuderla nel proprio pugno.

«Come intendi saldare?»

Sorpreso, Shuzo si portò le mani al petto.

«Non ti fidi di me

«Quando si tratta di soldi, non mi fido di nessuno. Mi è costato tanto, in termini di lavorazione ma anche di pezzi, non tutti sono riuscita a trovarli dal mio fornitore di fiducia e sono dovuta scendere a parecchi compromessi.»

Shuzo comprese in quel momento quanto si fosse sbagliato sul conto di Keiko e Tsubasa: lui era sicuramente quello che prendeva le decisioni principali, ma il vero fulcro della família era indubbiamente lei. Si avvicinò mantenendo saldo il contatto visivo, e quando le fu a un passo, alzò una mano; Kei non si mosse, mantenne gli occhi incollati ai suoi. Le sfiorò la spalla, quindi scese lungo il braccio, carezzò il polso sottile e infine sollevò il pugno chiuso per portarlo tra loro. Con delicatezza, incurvando le labbra in un sorriso, schiuse le dita e afferrò le chiavi.

«Avrai ciò che ti spetta, e credimi, la mia parola vale molto.»

La superò e si mise a sedere al posto di guida: Kei aveva incrociato le braccia e lo fissava ora con aria divertita.

«Che fai, non vieni con me a provare la tua creazione?»

«Capo…»

Gaho richiamò la sua attenzione, ma non aveva tempo per lui: doveva assolutamente testare se l’idea che si era appena fatto di Noshimuri fosse corretta.

«Non ora. Pensaci tu. Keiko, andiamo?»

Senza farselo ripetere due volte, la giovane sfilò davanti al suo braccio destro e Shuzo avrebbe potuto giurare che gli avesse persino rivolto uno sguardo di sfida, quindi si accomodò nel sedile del passeggero e allacciò la cintura.

«Vediamo se la vostra fama è all’altezza delle mie aspettative.» mormorò, mettendo in moto e godendo del rombo del motore che ruggiva da sotto al cofano.

 


Questo sequel svelerà un sacco di questioni rimaste irrisolte dalla prima storia, e qui finalmente abbiamo un incontro tra Tsubasa e Sanae. 

Un amore puro che vince nel tempo e che, una volta ricongiunti, permette loro di riavvicinarsi e - chissà - magari di ricominciare. 

Tutto questo mentre Kei ritrova una parte di sé stessa aggiustando la vettura di Shuzo. 

Per tutte le caratteristiche che leggete, ringrazio Santo Google, Santo Marito e Santo Amico Meccanico, che mi sopportano e supportano in queste situazioni ^^ 

Adoro che vi stiate lanciando in previsioni e supposizioni, non vedo l'ora di sapere se vi avrò stupito o se avete capito che direzione prende la storia *ridacchia*

Grazie per il vostro affetto commovente, come sempre siete il sole *cuore*

La vostra Sakura

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Capitolo 4
*** L'autista ***


Velozes e Furiosos

L’autista

L’aveva sentita arrivare ancor prima che aprisse la porta dell’appartamento: il rumore dell’auto che l’aveva riaccompagnata aveva sicuramente svegliato mezzo quartiere, e si sarebbe giocato la gamba sana per scommettere sull’identità del guidatore, con la certezza di vincere.

Quando Kei, silenziosa, si accomodò accanto a lui nel letto, si voltò deciso a non lasciar cadere l’argomento.

«Dove sei stata.»

«Ho consegnato l’auto a Mori.»

«A quest’ora?»

«Ha voluto testarla.»

«Ce n’era bisogno, Kei?»

Mantenendo le spalle verso di lui, la ragazza prese un profondo respiro.

«Sì, Tsubasa, ce n’era bisogno.» replicò, acida «Ci servono quei soldi perché fare i meccanici in questo posto non rende così bene, non ancora per lo meno. Non finché la gente vorrà parlare solo ed esclusivamente con te perché non si fida delle mie capacità in quanto donna.»

«Non è così, è solo che qui mi conoscono, e…»

«Beh, io non ci sto a rimanere in un angolo a fare la bella statuita. Mi piace il mio lavoro, e sistemare quell’auto mi ha dato grandi soddisfazioni.»

«Ti ha pagata, almeno?»

«Ti stupirebbe vedere quanti soldi ho appena portato a casa.»

Rimase in silenzio, combattuto tra il chiederle la cifra e il rimanere fisso nella sua posizione.

«Non possiamo immischiarci con lui, Kei, è troppo pericoloso. Siamo scappati da Tanaka-san e andiamo a impelagarci con Shuzo Malerba Mori?»

«Non possiamo neanche morire di fame…»

«Esagerata.»

Kei scostò malamente il lenzuolo e si mise a sedere: anche al buio, poteva leggere il fuoco nelle sue iridi.

«Io sono esagerata perché penso al nostro futuro? Dobbiamo pensare a Yuki, Tsubasa, o almeno io devo farlo. Tu…»

Lasciò cadere il resto della frase nel vuoto, ma l’insinuazione neanche troppo velata che aveva appena fatto lo ferì.

«Anch’io ci tengo al futuro di Yuki.»

«Allora è arrivato il momento di pensarci, invece che andare in giro a…»

Di nuovo lasciò la frase in sospeso: fece scivolare i piedi sul pavimento e uscì dalla loro camera da letto.

«Dove vai?»

«A dormire sul divano.»

«Non dire sciocchezze, Kei, vieni qui.» la seguì in salotto, cercando di mantenere il tono di voce basso per non svegliare il bambino.

«Ti prego, ho bisogno di stare sola.»

«Yuki farà delle domande, se ti vedrà lì.»

Kei lo fissò, fece per aprire bocca, ma la richiuse subito. Inspirò profondamente, serrando le palpebre, e quando le riaprì Tsubasa non vide più nessuna traccia del fuoco che vi aveva arso fino a poco prima.

«Gli darò delle risposte, nel caso. Buonanotte, Bas.»

La osservò accomodarsi sul divano, rannicchiata in posizione fetale, e sebbene una parte di lui ebbe la tentazione di attendere che si addormentasse per riportarla nel loro letto, non lo fece: si disse che lasciarla da sola a sbollire qualsiasi cosa avesse era la decisione migliore. O, almeno, così sperava.

 

Si era svegliata prima di Yuki e si era fatta trovare in cucina intenta a preparare la colazione, così il bambino non si era accorto di nulla e avevano potuto mangiare insieme. Tsubasa li aveva raggiunti quando stavano per terminare e si era comportato normalmente, come se nulla fosse accaduto, con un bacio sulla nuca di Yuki e una carezza a lei, carezza che però non le aveva provocato il solito brivido, bensì una sensazione di fastidio.

Si sentiva persa ora che aveva la certezza di non avere più il suo compare, impegnato in ben altri lidi. Non lo biasimava, sapeva che i sentimenti che provava verso Sanae erano forti e il fatto che fossero sopravvissuti a tutti quegli anni di lontananza era un chiaro segnale di come sarebbero finite le cose.

E lei non sarebbe stata di certo quella che avrebbe precluso a Tsubasa di essere felice, nonostante si fosse resa conto di provare qualcosa per lui che andava ben al di là del cameratismo che li aveva sempre contraddistinti.

«Porto Yuki a scuola.» sentenziò, mentre il ragazzo finiva di riempire la lavastoviglie. La salutò con un sorriso timoroso, forse neanche si rendeva conto di quanto fossero cambiati gli assetti; Kei ricambiò con un cenno del capo mentre sospingeva Yuki fuori dalla porta.

Dopo averlo lasciato davanti all’ingresso, si allontanò dall’edificio e percorse la strada che portava alla collina del tempio, lasciando l’auto nel parcheggio. Seduto sulla panchina, Shuzo stava osservando il panorama.

«Sembri un pensionato.»

«Ah, la mia cara vecchia Nankatsu: non mi stancherò mai di questa vista.»

Si accomodò accanto a lui e osservò il panorama della città, stupendosi di quanto avesse già imparato a riconoscerne gli scorci, nonostante la nausea che le dava vivere lì.

«A te non piace?» le domandò, spalancando le braccia e facendole scivolare lungo il bordo della panchina, alle sue spalle.

«Sono cresciuta con altri colori, altri odori… anche se mi sembra un’altra vita.»

«Datti tempo, Noshimuri, sei qui da pochi mesi.»

«Sembri quasi preoccupato per me.» lo schernì, rannicchiando le gambe sopra alla panchina e poggiando i gomiti sulle ginocchia.

«Di che mi volevi parlare? Il tuo messaggio stamattina era abbastanza criptico anche per uno come me.»

Kei strinse le mani a pugno e vi posizionò sopra il mento: lasciò vagare lo sguardo dalla villa di Wakabayashi alle montagne che racchiudevano la baia, fino a giungere al mare.

«Ti serve ancora l’autista?»

«Hai convinto Ozora?» esclamò Shuzo, quasi scattando in piedi dall’euforia.

«No.» ne placò subito l’animo, quindi prese fiato «Ma io sono disponibile, se il posto è ancora vacante.»

«Ti stai davvero offrendo al suo posto? Devi amarlo davvero tanto.» e scoppiò a ridere, divertito dalle sue stesse parole. Kei gli lanciò uno sguardo di biasimo ma non replicò: accorgersi di amare Tsubasa era stato un lento processo di consapevolezza iniziato quando erano rimasti soli, dopo la morte di Cris e il loro conseguente arrivo a Nankatsu, che si era bruscamente interrotto quando lui le aveva confessato di volerci riprovare con Sanae.

Chi era lei per impedirgli di essere felice, se era quello che lui voleva davvero?

Ma non sarebbe rimasta a guardare mentre lui inseguiva il suo destino: non era fatta per rimanere con le mani in mano, e l’idea di ricominciare a guidare in modo serio le aveva provocato una scarica di adrenalina come non provava da tempo, ormai.

«Allora, accetti o no?»

Shuzo estrasse il tabacco dalla tasca dei pantaloni e iniziò a prepararsi una sigaretta: dalla lentezza con cui eseguì tutte le azioni, Keiko comprese che era il suo modo per prendere tempo e riflettere sulle eventuali implicazioni di quella proposta.

«Lui lo sa?»

«Dovrebbe saperlo? Che ti cambia?»

«Cambia. Sposta l’ago della bilancia.»

Kei scattò in piedi, nervosa.

«Ho capito, qua non si muove una foglia se l’uomo di casa non lo permette.»

Si allontanò di qualche passo quando sentì la stretta salda della mano di Mori attorno al suo polso: cercò di divincolarsi ruotando il polso e, una volta libera, afferrò il suo, ribaltando la situazione. Dopo un primo momento di stupore, Mori alzò l’altra mano per afferrarla, ma lei si scansò all’indietro e gli torse il braccio, costringendolo a voltarle le spalle.

Credeva di averla vinta, ma un istante era in posizione dominante, e l’istante successivo si ritrovò sdraiata a terra nella polvere, con Mori che la sovrastava e le aveva bloccato entrambe le mani sopra la testa.

«Non male, per essere una pivellina.»

L’aiutò a rialzarsi, sorridendole vittorioso: Kei si spazzò la polvere dai pantaloni e sbuffò.

«Hai avuto fortuna.» lo redarguì.

«Hai già capito che non è un ambiente in cui le donne hanno vita facile.» Shuzo si era fatto improvvisamente serio «Credi di poter sopravvivere? Non potrò sempre guardarti le spalle, e non mi serve un’autista che non sa badare a sé stessa.»

«So quello che faccio, e guido meglio della maggior parte dei tuoi babbuini.»

«Ne sei convinta?»

«Al 100%.»

Shuzo la squadrò da capo a piedi e incrociò le braccia al petto: era palese che stesse soppesando la sua offerta.

«Ci vediamo stasera, mi dimostrerai la tua volontà.»

Lo yakuza si allontanò e Kei ne osservò la figura fino a quando l’uomo non sparì lungo il sentiero: tornò a sedersi sulla panchina, davanti a quella città che l’aveva adottata ma non accettata. Si sentiva fuori posto, e mai come in quel momento si pentiva della sua scelta, nonostante fosse servita a salvare Yuki.

Si lasciò andare con la schiena contro la panchina e alzò lo sguardo al cielo: sapeva che la sua decisione avrebbe indispettito Tsubasa, avrebbero discusso, litigato, e lui… lui probabilmente se ne sarebbe andato. Il cielo azzurro le rimandò una parvenza di serenità: sarebbe impazzita senza un appiglio a cui aggrapparsi, doveva trovare la forza di andare avanti da sola, e lo avrebbe fatto.

Ripensò a Yukiko, a quanto si doveva essere sentita persa per compiere una decisione simile a quella che stava prendendo lei – con la differenza che lei non si sarebbe mai svenduta, non avrebbe mai buttato via sé stessa, lo doveva a quel bambino che la chiamava mamma – e capì quanto le fosse costato, ai tempi, andare a chiedere la protezione di Tanaka-san.

Il trillo del cellulare la riportò al presente, Tsubasa stava reclamando la sua presenza in officina: rispose al messaggio e recuperò sé stessa per tornare alla vettura, all’officina, a quella vita che le stava andando decisamente stretta.

 

«Stasera puoi rimanere con Yuki? Devo fare una commissione.»

«C’entra con la tua visita al tempio di stamattina?»

Kei annuì, in fondo non era una bugia, solo una mezza verità condita da una buona dose di omissione. Tsubasa le si avvicinò e le posò una mano alla base della schiena e si chinò su di lei per poggiarle la fronte sulla nuca: il senso di colpa le si espanse nello sterno, provocandole quasi un conato di vomito che trattenne, cercando di concentrarsi sui piatti che stava sciacquando.

«Solo… non tornare troppo tardi, ok? Non sono abituato a dormire da solo.» le sorrise, il che segnò definitivamente la fine dei suoi buoni propositi di tenerlo lontano. Tsubasa le voleva sinceramente bene, anche se non nel modo in cui lei lo ricambiava.

«Non aspettarmi sveglio.» dopo essersi asciugata le mani, poggiò una mano sulla sua guancia godendo della sensazione della morbidezza della sua pelle. Carezzò la guancia col pollice, quindi si allontanò e andò a salutare Yuki.

«La mamma deve fare una cosa, stasera, farai il bravo con Tsubasa, vero?»

«Possiamo guardare un cartone, Tsu-chan?» Yuki sgranò gli occhi da cucciolo, espressione che assumeva sempre quando voleva indurre qualcuno a fare qualcosa. Kei gli diede un buffetto sulla testa, spettinandolo, e si chinò a dargli un bacio.

Una volta in officina, si lasciò andare a un lungo sospiro: non amava mentire, e poteva raccontarsi che non lo stava facendo, ma la verità era che tenere nascosta una parte di sé a Tsubasa era difficile. Lui era l’uomo che le era stato accanto negli ultimi anni, e quel distacco che stavano provando la faceva sentire più sola di quanto non fosse. Perché la realtà dei fatti era che aveva solo lui a guardarle le spalle.

Parcheggiò nel luogo che le aveva indicato Shuzo e raggiunse la vetta della collina passando da un sentiero nascosto: quando la radura si aprì davanti ai suoi occhi, un brivido di eccitazione le percorse la schiena.

Musica a tutto volume, ballerini, ma soprattutto auto, auto ovunque. La folla presente raccontava molto della portata di quell’evento.

«Noshimuri!» la voce di Shuzo la raggiunse, sovrastando il rumore. Lo yakuza la accolse a braccia aperte e la abbracciò, dandole un paio di amichevole pacche sulle scapole «Ce l’hai fatta.»

«Non mi hai dato molta scelta. Gaho.» salutò con un cenno del capo il braccio destro di Mori, che non nutriva molta stima nei suoi confronti e, se avesse potuto, l’avrebbe lanciata giù dalla collina con le proprie mani, ne era certa.

«Vieni, ti mostro le auto: la nostra Reloaded fa la sua figura.»

Le vetture erano disposte l’una accanto all’altra all’imbocco del sentiero lastricato su cui avrebbero dovuto driftare: Kei sentì una strana morsa allo stomaco, e le sue labbra erano incurvate in una sorta di sorriso ebete che non accennava a volersene andare.

Stava apprezzando le linee di una RX-7 quando una voce alle sue spalle attirò la sua attenzione.

«Ehi, bellezza, sei troppo vestita per fare la car girl

Con una lentezza disarmante, Kei si raddrizzò sulla schiena, piantò le mani nelle tasche dei pantaloni e si voltò verso la voce, stringendo appena le spalle.

«Ti sembro una car girl? Sono qui solo per i drift.»

L’uomo si passò il pollice sulle labbra, lisciando al contempo la sottile peluria che ne adornava l’arco di Cupido, e la squadrò da capo a piedi, soffermandosi parecchio sul suo petto, nascosto da una semplice canottiera nera.

«Beh, le curve sono sicuramente al punto giusto.» e, così dicendo, si morse il labbro inferiore.

«Quella è la tua espressione per rimorchiare? Mi sa che devi lavorarci, mano(1)

«Sei la ragazza di Ozora?» l’uomo spalancò gli occhi, piacevolmente colpito.

«Non sono la ragazza di nessuno, sono solo…»

«Noshimuri!» Shuzo la raggiunse, e a Keiko non sfuggì il modo in cui le posò una mano sulla spalla, quasi a definirne il possesso «Vedo che hai già conosciuto Sota: gareggerai contro di lui stasera.»

«Co… cosa??? Mi avevi promesso un avversario degno di questo nome, Mori-san! Con tutto il rispetto…» aggiunse poi, arretrando di un passo e chinando appena il capo, consapevole di aver appena alzato la voce con uno yakuza.

«Avevo promesso qualcosa di diverso dal solito, e così sarà.» Shuzo aveva risposto tagliente, alzando la voce in modo che tutti potessero sentirlo «Se a qualcuno non dovesse andare bene, può sempre andarsene, senza i soldi della scommessa, beninteso.» ghignò infine.

«Soldi? Non si era parlato di…» Kei fece per parlare ma l’uomo la interruppe.

«Sei la mia autista in prova, garantisco io per te, come tu mi hai garantito la vittoria.»

«E se dovessi perdere?» Kei incrociò le braccia al petto, mantenendo comunque lo sguardo ben saldo su lui. Shuzo strinse gli occhi a fessura, divertito.

«Sai bene come funziona in questo mondo, e non devo spiegarti io come dovrai ripagare l’eventuale debito. In fondo il tuo Tsubasa non aveva tutti i torti. Sei ancora in tempo per ritirarti, però, perché sono buono e compassionevole – e perché sei amica di mio fratello.»

Alzò il braccio sinistro davanti a sé e dalla mano fece penzolare la chiave della Nissan Silvia Reloaded: Kei passò lo sguardo da lui alle chiavi e viceversa, quindi le afferrò al volo e si diresse verso la vettura.

«Fammi vedere di che pasta sei fatta, Noshimuri.» le urlò, mentre lei prendeva posizione al volante. Una volta chiusa la portiera, Gaho le si affiancò e si affacciò all’interno.

«Il percorso è segnato dalle torce, che verranno tolte subito dopo il passaggio della prima vettura in gara. Sarete in quattro: tu, Sota, Wada e Shimata.»

«Che prestazioni hanno le loro vetture?»

«Sota è il migliore, la sua RX-7 è seconda solo alla VeilSide di Mori-san, anche se Sota cerca costantemente di eguagliare la vettura del capo. Wada partecipa da poco, ha trovato la sua dimensione con la Lancer Evolution laggiù.» e le indicò una Mitsubishi gialla «Nelle ultime gare è riuscito ad arrivare in fondo senza problemi.»

«Che mi dici di Shimata?» Kei voltò lo sguardo verso l’uomo che la guardava in cagnesco: sopracciglia rasate e corti capelli platinati, tatuaggi sugli avambracci in bella vista grazie alla camicia scozzese smanicata.

«Lui non gioca seguendo le regole, Noshimuri.» il tono duro con cui aveva pronunciato quella frase la indusse a riportare l’attenzione su di lui «Quando rimane come fanalino di coda tende a vedere rosso, letteralmente: la sua Golf R32 ha una bull bar che non serve di certo a farsi strada tra i tori.»

«Ho capito, quindi devo mettere qualcuno in mezzo tra me e lui.»

Si chinò per inserire la chiave nell’accensione e sgasò premendo l’acceleratore in fondo, dando poi un’occhiata soddisfatta a Gaho.

«Il capo conta su di te.» le disse, prima di allontanarsi del tutto.

Shuzo la osservava dalla prima fila, le fece un cenno del capo quindi salì su una vettura scura e anonima con cui sarebbe sceso a valle per attenderli all’arrivo: una car girl li fece sfilare nel piazzale e li fece accostare uno accanto all’altro, Kei era l’ultima sulla sinistra.

Sentiva gli sguardi degli altri partecipanti su di sé, ma cercò di mantenere bassi i battiti, per una maggior concentrazione.

Inspira ed espira, Kei-chan.

La voce di Yukiko le risuonò nelle orecchie, un refolo di vento entrò dal finestrino e le sembrò quasi di sentire il profumo della sorella.

Stiracchiò le dita delle mani e strinse il volante, mentre la finta bionda in culotte passava davanti a loro spiegando le regole.

«Siete pronti?» domandò infine, passando con l’indice da Sota a lei, e ritorno. I motori ruggirono.

Ready.

Steady.

Go.

Sota si infilò nel sentiero che loro dovevano ancora partire: mentre Shimata si lamentava per la partenza, lei e Wada si infilarono dietro alla RX-7, sportellandosi appena.

La prima curva, purtroppo per Kei, era verso destra, così Wada ebbe la meglio e riuscì a passare in seconda posizione: come predetto da Gaho, Shimata alle sue spalle si stava agitando, lo vide avvicinarsi velocemente incurante di picchiare contro ai rami che sbucavano sulla strada.

Aveva studiato il percorso quel pomeriggio, quando era tornata a prendere Yuki e aveva compiuto una piccola deviazione per percorrere quel sentiero, quindi sapeva come si muovevano le curve, anche se si rendeva conto di essere la più inesperta tra i partecipanti. Alla curva successiva, Wada perse un po’ di attrito e dovette rallentare per evitare di finire fuori strada: era la sua occasione, ma un colpo alle sue spalle la fece sobbalzare. Shimata l’aveva tamponata e ora la stava spingendo contro Wada, aveva tutte le intenzioni di farli finire fuori strada insieme per raggiungere Sota che, incurante della bagarre alle sue spalle, continuava coi suoi drift eleganti.

Kei scalò la marcia e il motore reagì di conseguenza, così riuscì a distaccarsi appena e si affiancò a Wada: la sua mossa non colse alla sprovvista l’avversario che cercò di stringerla per farla finire fuori strada. Un ennesimo sobbalzo dato dai colpi di Shimata, grazie alla luce dei  led poteva vedere gli occhi spalancati e lo sguardo irato del pazzo, come fosse sotto effetto di droghe: doveva ragionare in fretta. Premette l’acceleratore e scalò nuovamente la marcia, distanziando appena Wada e riuscendo in questo modo a superarlo con metà auto: la curva si stava avvicinando e si preparò al drift, ma appena lo iniziò si rese conto che Wada era troppo vicino. Accelerò ma il suo posteriore destro colpì il paraurti di Wada, facendolo roteare su sé stesso e finendo così in collisione con Shimata.

Terminò la curva e si lanciò all’inseguimento di Sota, non aveva alcuna intenzione di perdere; libera dagli altri due partecipanti, riuscì a raggiungerlo dopo solo due curve: ne mancavano tre.

Sota sembrava sorpreso di vederla, ma continuò a guidare in modo fluido: i suoi drift erano eleganti e sfioravano la boscaglia di pochi millimetri.

Alla prima curva verso sinistra, Kei lo raggiunse.

Alla seconda, sempre verso sinistra, lo affiancò sulla destra dopo averlo tallonato.

Ne mancava una: se la memoria non la ingannava, doveva essere dalla sua parte, la fortuna poteva girare.

Sota aveva un ghigno disegnato sul volto, la salutò con un cenno e l’attimo dopo le diede una sportellata per farla finire nella boscaglia, cogliendola impreparata, ma lei riuscì a reggere il volante e respingere il colpo ricambiando il favore.

Un colpo, due colpi, sentiva il volante vibrare ma non poteva e non voleva cedere.

Eccola.

La curva verso destra. Kei accelerò e iniziò il drift per prima: era un azzardo, Sota avrebbe potuto colpirla nel posteriore e farla volare. Scoperchiò il tasto del NOS, scalò la marcia e accelerò, rotando il volante verso destra e mantenendo lo sguardo sullo specchietto retrovisore. Sota si stava avvicinando, lei era quasi a metà curva, era il momento.

Appena premette il pulsante, la scarica le diede un contraccolpo tale da farle battere la nuca contro il poggiatesta e quasi perse aderenza, ma mantenne salda la presa sul volante e terminò il drift raddrizzandosi e accelerando fino all’arrivo, dove una car girl sventolò un reggiseno bianco e nero.

Per terminare l’effetto del protossido di azoto, Kei compì un paio di rotazioni, segnando di nero l’asfalto che si era sostituito ai sampietrini del sentiero, quindi si fermò col muso rivolto a Shuzo, che la osservava compiaciuto.

«Complimenti.» batté le mani un paio di volte, mentre lei scendeva dalla sua creazione e si appoggiava al cofano.

«Bella macchina, Mori-san, ottimo acquisto.»

Lo yakuza scoppiò a ridere, divertito, e fece per replicare, ma un rumore di motore su di giri attirò la loro attenzione: Shimata compì l’ultima curva e li raggiunse a tutta velocità, puntando dritto verso di lei.

Con un balzo, Kei scivolò lungo il cofano e rotolò lontano giusto un attimo prima che la Golf R32 impattasse contro la sua Nissan Silvia. Shuzo la raggiunse e la aiutò a sollevarsi, quindi la aiutò a salire su una vettura nera che li stava aspettando, giusto in tempo prima dell’esplosione che li travolse.

 

 

1 mano = un modo paulista per dire “bro”, “frà”.

 


Aaaaah, una bella gara di macchine, tamarra al punto giusto, come quelle che piacciono a me! 

E così, come qualcunə aveva già intuito, Kei è diventata l'autista di Mori al posto di Tsubasa (che non ne aveva alcuna intenzione, impegnato com'era a pasturare con Sanae). 

Direi che la spaccatura sia netta, ora: Tsubasa ritorna al passato, torna quindi ad essere un mite ragazzo giapponese tutto casa e lavoro, mentre Kei si ribella e fa di testa sua, scegliendo il lato oscuro. 

Shuzo - manco a dirlo - ci va a nozze con questa cosa, e accoglie la ragazza a braccia aperte, dopo averla messa alla prova... e che prova, ragazzi! A rileggere la scena della gara mi sono emozionata come la prima volta *occhi a cuore* 

Che dire, alla prossima e che il drift sia con voi *blink*

La vostra Sakura

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Capitolo 5
*** Alla corte di Malerba ***


Velozes e Furiosos

Alla corte di Malerba

Gaho le passò la borsa del ghiaccio e lei non perse tempo, poggiandola subito sulla testa.

«Stai bene?»

Non c’erano note di preoccupazione nel tono di voce di Mori, solo una domanda per constatare il suo stato di salute.

«Solo una botta e qualche graffio, niente di trascendentale.» annuì lei, chiudendo gli occhi per ignorare il fischio nelle orecchie.

Sentì i passi di Shuzo che si allontanavano e la sua voce che lanciava qualche comando ai suoi sottoposti, ma Gaho doveva essere rimasto nella stanza con lei perché non ne aveva percepito l’allontanamento.

«Il posto è tuo.» la voce del sottoposto la indusse ad aprire gli occhi. Se lo trovò davanti, in piedi, intento a fissarla con uno sguardo indecifrabile.

«Era ovvio, ho vinto.» fece spallucce e provò a richiudere gli occhi ma Gaho le porse un cellulare.

«Questo devi tenerlo acceso giorno e notte, possiamo chiamarti in qualunque momento e dovrai mollare qualsiasi cosa tu stia facendo per venire da noi. Che tu stia facendo la doccia, preparando la cena, imboccando il tuo bambino o facendo un pompino al tuo compagno, non ci interessa: hai dieci minuti di tempo per arrivare.»

«Come siamo sboccati.»

Fece per afferrare il cellulare ma Gaho lo ritrasse, costringendola così ad alzare lo sguardo su di lui.

«Non c’è posto per una come te, qui, alla corte di Malerba. Il capo se ne accorgerà presto e allora mi premurerò personalmente di toglierti quel ghigno strafottente dalla faccia, Noshimuri.»

Kei lasciò cadere la borsa del ghiaccio a terra e si alzò: il suo volto non tradiva alcuna emozione, anche se avrebbe spaccato volentieri il naso perfetto di quel pezzente.

«Avevo a che fare con la yakuza che tu ciucciavi ancora dalla tetta di tua madre, Gaho, so meglio di te cosa significa. Ora fammi un favore, smamma, se non vuoi che ti rovini quel bel visino.»

«Oh, ma che bello vedervi fare amicizia così.»

La voce di Shuzo arrivava dall’ingresso, ma nessuno dei due si voltò verso di lui, intenzionati com’erano a vincere la sfida dello sguardo. Solo quando lo yakuza decretò la fine primo tempo, Gaho le piantò malamente il cellulare sul petto, voltandole poi le spalle e uscendo.

«Questo fa parte di quello che ti dicevo, Keiko.» la voce di Shuzo aveva perso qualunque inflessione di scherno.

«Non ho paura di lui, è solo un pallone gonfiato, non so come tu faccia a fidarti.»

«Non lo faccio, infatti.» dopo averle girato intorno, come una tigre che si avvicina alla preda, si fermò accanto a lei e con la mano le carezzò il braccio nudo «Non mi fido di nessuno, è questo il mio segreto.»

«Devi vivere davvero una brutta vita, allora.»

Shuzo passò dalla spalla al collo, fino a raggiungere il mento: le sollevò il viso e avvicinò le labbra alle sue, soffiandoci sopra, Kei poté distinguere il fastidioso odore di tabacco tipico dei fumatori.

«Puoi andare, buonanotte.» le disse infine, voltandole le spalle e lasciandola da sola nella stanza.

 

L’acqua della doccia continuava a scorrere, e per un attimo gli venne il dubbio che Keiko si fosse addormentata sotto al getto. Alzò la mano a pugno, indeciso se bussare o meno, quando finalmente l’acqua venne chiusa e il rumore cessò: aveva appena fatto un passo indietro che finalmente la porta si aprì e la ragazza emerse, avvolta nel suo asciugamano di spugna, abbinato a quello che le conteneva i capelli.

«Tsubasa, ciao.» lo salutò sorpresa.

«Dove sei stata? Mi hai fatto preoccupare.»

«Non volevo svegliarti, ho dormito sul divano.»

«Che… aspetta.» lei gli aveva voltato le spalle per raggiungere la camera da letto ma lui la fermò, posandole una mano sulla spalla e costringendola verso di lui «Che hai fatto? Sembri graffiata.»

«Sono inciampata al tempio, non è niente.»

«C’era una gara di drift?»

Dal modo in cui reagì – spalle tese, rigorosamente voltate verso di lui – intuì di aver fatto centro.

«Kei-chan…» mormorò, senza premurarsi di nascondere la nota di biasimo.

«Ne avevo bisogno, Bas, è stato come tornare indietro, mi sono sentita nuovamente viva. Non togliermelo, ti prego. Non posso perdere anche questo…»

«Perdere? Che stai dicendo, Kei-chan?»

Solo quando lei si voltò verso di lui poté notare le lacrime che le avevano inondato gli occhi scuri: sembrava persa, smarrita, e per un istante rivide la Keiko a malapena diciottenne che attendeva con lui l’arrivo dell’ambulanza per Yukiko.

«Yuki si sveglierà a breve, vado a vestirmi.»

Aveva sbattuto le palpebre, e quando le aveva riaperte non c’era più traccia del vitreo dolore che la aveva attraversata poco prima. Kei-chan era tornata Keiko, la donna forte e imperturbabile che non veniva scalfita neanche dalle pietre.

Tornò in cucina e cercò di contenere il nervoso che gli stava montando dall’interno: la rabbia salì lungo l’esofago e lo portò a contrarre la mandibola più del dovuto.

«C’è da fare un po’ di spesa, accompagno Yuki a scuola e passo dal supermercato.»

«Yuki deve imparare ad andare a scuola da solo.» rimbeccò, tagliente. Kei si era allungata per recuperare i cereali dallo scaffale e si bloccò in quella posizione: rimase ferma qualche istante, prima di afferrare la scatola e posarla sul ripiano.

«Yuki imparerà, ma oggi devo andare al supermercato e lo accompagno io.»

«Questo tuo tenerlo sotto una campana di vetro non lo aiuterà a crescere, Keiko.»

La donna sollevò le sopracciglia e si morse il labbro superiore.

«C’è qualcosa che non va?» gli domandò, con aria innocente.

«Mi prendi per il culo?»

«Parla chiaramente, Tsubasa.»

«Hai disobbedito a un mio volere.»

«Oh, il padrone di casa sente che la sua leadership viene minata?» il tono era palesemente di scherno «Credevo che avessimo una relazione paritaria, in Brasile.»

«Non c’è nessuna relazione, a quanto pare.»

«Me ne sono accorta già da tempo.» concluse lei, e per chiudere definitivamente il discorso gli voltò le spalle.

Avrebbe voluto replicare ma Yuki entrò in cucina in quell’istante e catturò la sua attenzione, così si trovò costretto a rimandare.

Kei non gli diede modo di riprendere la discussione né dopo colazione, né una volta rientrata dalla spesa: si tenne a distanza da lui, ignorandolo, e il caso volle che quella mattina in officina ci fu un viavai di gente che gli impedì di terminare la conversazione iniziata al mattino.

Fu verso l’ora di chiusura che Shuzo arrivò. Tsubasa lo accolse a braccia conserte, non perdendo di vista lo scagnozzo che si mise a piantonare l’ingresso.

«Vengo in pace, Ozora. Ho avuto un problema con la macchina, e vorrei sapere se potete sistemarla.»

«Che tipo di problema?»

«È saltata per aria.» replicò con noncuranza, guardandosi intorno «Hai perso il tuo braccio destro?»

«Mettiamo le cose in chiaro, Mori-san.» gli si avvicinò e si fermò a pochi centimetri dal suo volto «Keiko non è una tua proprietà, e non lo sarà mai. Non so cosa tu abbia in mente ma devi tenere i tuoi viscidi tentacoli lontani dalla mia famiglia, altrimenti non importa che tu sia uno yakuza o meno, te ne farò pentire.»

«È una promessa, Ozora?» ghignò l’altro, sollevando l’angolo destro delle labbra in maniera sarcastica.

«Sono serio: lascia in pace la mia famiglia.»

«E quando parli della tua famiglia, ti riferisci a Keiko e Yuki, o a Sanae? Perché devi sapere che nel mio locale ci sono le telecamere, Tsubasa, e niente accade senza che io me ne accorga.»

Tsubasa contrasse la mandibola, le mani iniziarono a prudergli così le strinse a pugno, nel vano tentativo di fermare l’impulso di spaccare la faccia a quel bellimbusto.

«Un raduno di maschi alfa.» la voce di Kei spezzò la tensione. «Devo areare l’officina, troppo accumulo di testosterone.»

«Noshimuri!» Shuzo la salutò con un sorriso, e Tsubasa non poté fare a meno di notare il suo cambio di atteggiamento.

«Che ci fai da queste parti?»

«Ho un’auto da riparare, sai, ha avuto un piccolo scontro con una Golf, e…» e terminò mimando il gesto di un’esplosione.

«Non credo proprio sia recuperabile, l’hai fatta portare da te?» Shuzo annuì, e Keiko fece altrettanto. «Allora passo a darci un’occhiata, magari domani in mattinata.»

«Magari stasera, dopo cena.» la corresse lo yakuza.

«Stasera voglio stare con mio figlio, Shuzo.» e, così dicendo, gli voltò le spalle e tornò in ufficio, lasciandoli soli.

«Keiko era con te quando l’auto è esplosa?» la domanda era più che lecita, ma Mori si limitò ad alzare le spalle.

«Sai, Tsubasa…» Shuzo gli posò una mano sulla spalla sinistra «Devi avere cura di chi ami, altrimenti…» e si soffiò sulla mano libera, aprendo poi le dita a mimare il gesto di una farfalla che prendeva il volo. Schifato dal suo atteggiamento, si sottrasse al contatto e arretrò di un passo, mentre lo yakuza usciva dall’officina fischiettando.

 

Kei si grattò la fronte osservando la carcassa della fu Nissan Silvia.

«Non c’è molto da fare, Mori.»

«Andiamo, la Regina delle Automobili che getta il cacciavite così?»

Kei ignorò la frase dello yakuza e continuò a esaminare i resti, c’era qualcosa che la lasciava perplessa ma non riusciva a stabilire cosa fosse.

«Non è solo esplosa, sembra quasi…»

Carezzò quel che restava della carena e si guardò le dita diventate scure.

«No, non posso farci nulla. Cioè, potrei, ma costerebbe più di quanto hai speso per crearla, non conviene.»

Shuzo sospirò, estraendo il tabacco e iniziando il suo rito di preparazione di una sigaretta, in silenzio: filtrino all’angolo della bocca, dita impegnate a stendere il tabacco sulla cartina.

«D’accordo, quale vuoi?»

«In che senso?»

«È l’auto che dovrai usare tu, dimmi quale vuoi e te la procuro. Rivuoi una Silvia?»

«Beh, se posso scegliere…» si sentiva un po’ in imbarazzo, non le era mai capitato di poter scegliere la vettura su cui poter lavorare, di solito si doveva sempre accontentare di quello che trovava in giro, con conseguenti giorni e giorni di lavoro per rendere il tutto performante.

«Puoi.» Shuzo le si avvicinò, lo sguardo serio «Devi. Non avrebbe senso che ti affidassi io una vettura su cui non ti senti a tuo agio.»

«Allora la mia scelta ricadrà sulla stessa auto. Una S15.»

Lo yakuza sollevò le labbra verso destra, in un ghigno soddisfatto.

«Chissà perché, ma lo immaginavo: è di là.» le indicò una porta laterale «Andiamo. Gaho, che nessuno ci disturbi.»

L’uomo annuì, posizionandosi accanto alla porta non appena loro l’ebbero varcata, e chiudendola per dar loro maggior privacy.

La nuova Nissan faceva bella mostra di sé al centro di quella parte distaccata di officina: Kei sorrise entusiasta, e si sfregò le mani.

«Prima che tu ti metta all’opera, vorrei chiarire un paio di cose.» la voce di Shuzo si era fatta seria, e Kei comprese che si trattava del lavoro che avrebbe svolto per lui.

«Gaho mi ha già indottrinata: appena squilla il cellulare...» ma Shuzo alzò una mano a interromperla.

«Non parlo di quello, so che sei una persona affidabile. Parlo di Tsubasa.»

«Oh.» la questione la colpì «Lui non è un problema.»

«Sarai in grado di tenere a bada i tuoi sentimenti anche quando la relazione tra lui e Sanae diventerà ufficiale?»

Kei sentì chiaramente il pugnale affondare nel suo petto, colpire il cuore e squarciarlo.

«Non so di cosa parli, e comunque lui non sarà un problema.»

Shuzo le sfiorò le dita della mano sinistra, e proseguì il suo tocco appena accennato lungo il braccio: una volta giunto alla spalla, scostò i capelli lisci e si chinò sul suo collo. Quando sentì il contatto delle sue labbra, Kei si spostò, ottenendo una risata divertita come risposta.

«Come immaginavo.»

«Scusa se non sei il mio tipo, Mori-san.» incrociò le braccia al petto e corredò la frase di scherno con un sorriso divertito. Shuzo mantenne lo sguardo su di lei, divertito.

«Se Tsubasa rovina i miei piani, ne pagherai le conseguenze. Io non sono Tanaka-san, non rapisco bambini, non me la prendo con la tua família.» scimmiottò in un pessimo portoghese «Me la prendo con te.»

«So cosa comporta avere a che fare con la yakuza, ma noi abbiamo un accordo, dico bene?» Kei spostò il peso sulla gamba destra e con un movimento della testa si sistemò i capelli «Io devo solo fare da autista, nient’altro. E non farò altro, che sia chiaro, Mori. Io guido e basta.»

«Mi accontento.» annuì lui «Chissà magari ti verrà a piacere, e sarai tu a chiedermi ulteriori mansioni.»

«Ne dubito.» replicò perentoria, sciogliendo le braccia e tornando a dare attenzione all’auto «Mi serviranno alcuni pezzi, come faccio per recuperarli?»

«Fai una lista e dalla a Gaho, ci penserà lui.» la liquidò con un cenno della mano.

«D’accordo, allora mi metto all’opera.»

 

Tsubasa attese che Keiko lo raggiungesse in salotto, quindi le allungò una birra e si sedette accanto a lei sul divano.

«L’auto è recuperabile?»

«No, completamente distrutta, è rimasta solo la carcassa.»

«Dev’essere stata una discreta esplosione.»

«Già…»

Kei bevve un sorso di birra e si poggiò la bottiglia sul ginocchio, tenendo poi lo sguardo fisso sulla televisione spenta.

«Qualcosa non va?»

«Non mi sembravano i danni di una semplice esplosione, era come… come se dopo l’esplosione avesse preso fuoco.»

«Beh…»

«No, Bas, intendo un fuoco indotto. Come se fosse intrisa di un accelerante.»

«Credi sia stato voluto?»

«Credo che Mori-san si debba guardare le spalle.» annuì infine «E tu? Com’è andata la tua giornata?»

Tsubasa trasalì quando Kei gli rivolse lo sguardo: bevve un sorso di birra e puntò gli occhi altrove.

«Ah, normale amministrazione in officina, niente di esaltante.»

Sentì lo sguardo della donna che lo scandagliò come se fosse un radar, e cercò con tutto sé stesso di dissimulare l’imbarazzo.

«Va tutto bene? Sembri nervoso.»

Era il momento.

«Io…» un sorso di birra a darsi coraggio, quindi poggiò la bottiglia a terra e si voltò verso di lei, poggiando il gomito contro lo schienale del divano «Kei, lo sai che tu e Yuki siete tutta la mia vita, e che vi amo immensamente…»

«Ma?»

«Non è proprio un “ma”.» minimizzò, visibilmente in imbarazzo data anche la freddezza con cui Kei stava recependo quelle parole «È più un però.»

«Vai direto ao ponto, Bas.»

«Io e Sanae abbiamo deciso di riprovarci.»

Kei fissò un punto indefinito davanti a lei e portò la bottiglia al volto, poggiandone l’imboccatura appena sotto le labbra, come a volerci soffiare dentro.

«Riprenderete da dove avete interrotto.» mormorò.

«È quello che speriamo, sono passati tanti anni, tante cose sono mutate, ma ci siamo accorti di provare ancora qualcosa l’uno per l’altra, e…»

«Puoi andare a vivere da tua madre, se vuoi.»

Per un istante temette di non aver compreso, così rimase in silenzio: solo quando Kei si voltò verso di lui capì che si stava aspettando una sua reazione.

«Mi stai cacciando di casa?»

«Dormire in un letto matrimoniale non mi sembra corretto nei suoi confronti. A dirla tutta, neanche vivere con quella che fino a ieri era la tua famiglia mi sembra corretto. Ti lascio la scelta.»

«Voi siete ancora la mia família.» e sperò che dirlo in portoghese sottolineasse quanto ci tenesse davvero.

Kei annuì, ma non replicò. Si alzò, portandosi dietro la birra, e si diresse in balcone.

No, non avrebbe permesso che il discorso cadesse così.

«Non ti sto abbandonando, Kei-chan.»

«Non chiamarmi così, la tua nuova ragazza potrebbe offendersi.»

«La vuoi piantare? Che ti prende?»

«Mi sento abbandonata, va bene? Tu vivi la tua vita, e mi sta bene, ma io? Io rimango qui con Yuki, a tirarlo su in un posto dove tutti lo guardano come se fosse un mostro, e come pensi che possa sentirsi lui? E come posso sentirmi io, Tsubasa.»

«Tu non rimarrai da sola.» le prese i polsi e li strinse «Io ci sarò sempre, Kei-chan. Non ti abbandonerò mai, né te né Yuki. Te l’ho promesso, e io le promesse le mantengo.»

Le iridi di Keiko si allagarono, e le lacrime ruppero gli argini e le rigarono il volto, scivolando lungo la pelle diafana e andandosi a raccogliere sulla punta del mento, per poi cadere a terra: Kei fece un passo indietro, sciogliendo la presa e asciugandosi il volto con le mani.

«Andrà bene, staremo bene.»

Keiko pronunciò quelle parole più a sé stessa che a lui, poi si voltò dandogli le spalle: fece per dirle qualcosa, ma non voleva arrivare a litigare, doveva fare in modo che lei capisse che non l’avrebbe mai lasciata sola, ci sarebbe sempre stato per lei.

 

Sapeva che quel momento sarebbe arrivato dal primo istante in cui avevano messo piede a Nankatsu e Sanae si era palesata a casa Ozora, ma quello che non aveva previsto era che il suo cuore ne sarebbe uscito calpestato.

Aveva nascosto i sentimenti che si era resa conto di provare nella speranza che la situazione non evolvesse e che i due si rendessero conto di essere troppo diversi – perché lo erano, diamine se lo erano – ma non era servito. Almeno, tenendosi tutto dentro, non avrebbe fatto la figura della sedotta e abbandonata ma avrebbe mantenuto un briciolo di dignità, anche se il suo comportamento verso Tsubasa la diceva lunga su quanto le desse fastidio averlo accanto: persino averlo accanto in officina iniziava a disturbarla.

Certo, la preoccupazione per la reazione di Yuki era tanta, ma era un bambino sveglio, e in cuor suo sapeva che Tsubasa avrebbe fatto di tutto per farlo sentire amato, non se ne sarebbe lavato le mani.

Non era Roberto, lui.

«Kei, posso parlarti un istante?»

«Hai qualche problema con l’auto di Yamada-san?»

Tsubasa osservò la vettura e scosse il capo.

«No, è tutto sotto controllo.»

«Allora non abbiamo nulla da dirci.»

«Capisco come tu possa sentirti, e…»

«No che non puoi capire.»

«Anch’io ho vissuto in Brasile completamente solo.»

La frase le gelò il sangue nelle vene, e per un solo singolo istante meditò di fracassargli la testa con la chiave inglese, per vedere se all’interno ci fosse qualche forma di vita.

«Stai veramente paragonando la tua situazione alla mia, Bas?»

«Io…»

«Tu, sì, tu avevi Roberto, avevi una famiglia alle spalle che ti supportava, avevi l’amore di Sanae, avevi me e Cris.» contò sulle dita della mano «Io posso contare solo su me stessa, a quanto pare.»

«Ti darò tutto il mio aiuto, tu e Yuki…»

«So che continuerai a essere un buon padre per lui, non serve altro.»

Desistette dal continuare quella discussione perché non sapeva quanto sarebbe riuscita a trattenersi dal dichiarargli le vere motivazioni che la facevano stare così male: un tempo sarebbe stata felice per lui e Sanae, ma non adesso che l’ingresso della donna nelle loro vite comportava essere tagliata fuori dal mondo di Tsubasa.

«Andrà bene, staremo bene.» ripeté ad alta voce quella frase che, dalla sera precedente, era stata il suo mantra personale.

Non vedeva l’ora di chiudersi nel suo dolore, approfittando del fatto che Yuki avrebbe dormito da Natsuko, quando Sanae fece il suo ingresso in officina, mettendo la ciliegina sulla torta a quella giornata emotivamente infernale.

«Ciao, Keiko.» la salutò allegra.

«Ciao a te, Sanae.»

«Tsubasa c’è?»

Alzò la chiave inglese in direzione del retro dell’officina, ignorandola e fingendo di dedicarsi al motore di una Mazda, ma Sanae dopo averla superata, si voltò verso di lei.

«Tsubasa mi ha detto che avete discusso.»

Si sollevò, portandosi la fedele chiave inglese sulla spalla, e scrutò da capo a piedi l’eterea Nakazawa.

«Credevo ti avrebbe fatto piacere.»

«Non voglio rompere i vostri equilibri, Keiko.»

«Troppo tardi.» sorrise con amarezza, lasciando andare il braccio lungo il corpo.

«Tsubasa ti vuole bene, e ne vuole a Yuki.»

«Sanae, cosa vuoi esattamente da me, in questo momento? Perché onestamente fatico a vedere il senso di questa conversazione.»

«Volevo solo farti capire che non sarò un ostacolo per voi due.»

«Che tipo di ostacolo pensi di essere per me, precisamente? Perché ti assicuro che nella mia esistenza conti meno di una goccia d’olio usato.»

«Kei-chan.»

La voce di Tsubasa risuonò nell’officina, bassa e roca: le raggiunse e Kei poté vedere il suo sguardo cupo mentre la fissava con biasimo.

«O que?» Kei alzò le braccia con fare innocente, nonostante sapesse che con lui non avrebbe attaccato. Lo sguardo del ragazzo, infatti, non mutò.

«Para, por favor.»

«Como você quiser.(1)» replicò, secca, facendo cadere la chiave inglese che proruppe in un sordo rumore metallico. Si voltò verso l’ingresso dell’officina, decisa ad andarsene, quando si sentì trattenere per un polso.

«Kei, por favor…»

Trattenendosi dal reagire malamente, si liberò dalla presa ruotando su sé stessa e passando sotto al braccio di Tsubasa, che non poté far altro che mollare il suo polso. Salì sull’auto dell’officina e ingranò la marcia, grattando e imprecando: voleva andarsene da lì prima di crollare davanti alle ultime persone che dovevano vederla debole.

Quando parcheggiò davanti allo stabile di Shuzo, non diede tempo a Chikao e Botan di fare nulla: i due dovettero intuire dal suo sguardo che non era il caso di mettersi sul suo cammino, così si scostarono per farla passare. Si diresse velocemente verso l’officina parallela dove si trovava la sua S15 e si chiuse all’interno, decisa a passare la nottata su quella vettura per smaltire la rabbia che le era montata dentro.

Non seppe dire dopo quanto tempo Shuzo la raggiunse, ma non ebbe bisogno di voltarsi, percepiva la sua presenza alle sue spalle.

«Quando ho detto che eri di casa non pensavo mi avresti preso sul serio.»

Non replicò, non le venne in mente niente di intelligente da dire, così optò per il silenzio.

Shuzo le si affiancò, gettando un’occhiata al cofano aperto.

«Mi hai risparmiato una telefonata, ho una consegna da fare.»

Si sollevò, poggiando gli attrezzi sul motore, e afferrò lo straccio che aveva legato a un passante dei pantaloni per pulirsi le mani alla bell’e meglio.

«Dammi un attimo.» fu tutto quello che disse, prima di recuperare gli attrezzi per chiudere il cofano, ma Mori la bloccò, afferrandola per un polso.

«Userai la mia VeilSide finché la tua auto non sarà pronta, non posso rischiare.»

«Come ti pare.» annuì, dirigendosi verso il lavandino.

«Siamo di pessimo umore, Noshimuri?»

«Sono dell’umore adatto per guidare, ti basta?»

Shuzo inarcò le labbra in un ghigno divertito.

«Me lo farò bastare.» annuì «Gaho, prepara la valigetta e fornisci a Keiko le coordinate. Andrai con lei.»

Il braccio destro di Shuzo annuì, seppur a denti stretti, e uscì dalla stanza non prima di averle lanciato un’ultima occhiata torva.

 

 

«O que?» «Para, por favor.» «Como você quiser. »1 - «Che c’è?» «Smettila, per favore.» «Come desideri.»

 


E dopo averla acclamata a gran voce *ride* ecco la scelta di Tsubasa XD 

Era chiaro - o almeno, per me lo era - che non sarebbe passato molto tempo in questa condizione di ambiguità (ve ne dò atto) e così Kei non dico che lo sbatta fuori a calci in culo ma per lo meno prende le distanze da lui, per proteggersi in primis, ma anche per accelerare questo cambiamento che le sta costando fatica. 

Apprezzabile comunque che il suo pensiero fisso sia il benessere di Yuki. 

Ed eccoci anche alla prima "consegna", il suo primo lavoro da driver... che dire, vi ho interrotti sul più bello ma, credetemi, il meglio deve ancora venire *ridacchia*

Vi mando un grosso abbraccio e, come sempre, grazie per l'affetto 

La vostra Sakura 

EDIT: scusate per l'aggiornamento tardivo senza alcun preavviso ma mi sono beccata un bel virus stagionale...

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Capitolo 6
*** Io, tu e la yakuza ***


Velozes e Furiosos

Io, tu e la yakuza

Sanae aveva notato che l’umore di Tsubasa non era dei migliori, per questo non aveva contestato quando le aveva proposto di guardare un film a casa. Avevano cenato con Natsuko, Daichi e Yuki e ancora una volta aveva potuto constatare l’ottimo lavoro di educazione che lui e Keiko avevano impartito al bambino, che era di una dolcezza infinita.

«Va tutto bene? Mi sembri distratta.»

«Sì.» scosse il capo per enfatizzare la risposta «Pensavo a Yuki.»

«Scusa per stasera, ti avrà fatto impazzire a colorare quell’album.»

«Affatto, mi piace molto passare del tempo con lui, è un modo per avvicinarmi al tuo mondo.» e, così dicendo, gli posò la testa sulla spalla, avvinghiandosi contemporaneamente al braccio. Tsubasa le depositò un bacio sulla fronte e tornò a dedicare la propria attenzione allo schermo del televisore.

«Quanto sta capendo di quello che è successo?» azzardò a chiedere. Tsubasa contrasse la mandibola ma non distolse lo sguardo, così si sollevò appena per fissarlo in volto.

«Non ha ancora capito, è abituato a dormire qui di tanto in tanto, lui e Daichi vanno molto d’accordo. Lo capirà col tempo ma vorrei che fosse il più graduale possibile.»

«Sei un bravo padre.» ammise lei, tornando a dedicarsi al film. Era veramente convinta di quell’affermazione, Tsubasa era un punto di riferimento nella vita di Yuki, e lungi da lei volerlo portare via, sebbene il pensiero di come avrebbero gestito l’arrivo di altri eventuali figli l’aveva già sfiorata più di una volta.

Scosse il capo, arrossendo all’istante: avevano appena deciso di ricominciare da dove erano stati interrotti, non era il caso di volare troppo alto pensando già a matrimonio e figli, dopotutto Tsubasa era cambiato tanto, da che lo conosceva, e voleva darsi tutto il tempo per riscoprirlo piano piano.

Lo osservò di sottecchi, sentendosi nuovamente adolescente: aveva un leggero filo di barba che percorreva la linea della mascella fino alla punta del mento, le labbra leggermente dischiuse, negli occhi il riflesso azzurro del televisore.

«Stai guardando il film, Sanae?»

Sobbalzò, sentendosi colta in fallo, e voltò lo sguardo allo schermo.

«Guardavo qualcosa di meglio, in realtà.» arrossì ulteriormente, come se fosse possibile andare a fuoco per così poco.

Tsubasa ora aveva occhi solo per lei, e il suo cuore fece una piroetta nel petto, iniziando una corsa forsennata in accelerazione: quando le labbra del ragazzo furono sulle sue, si sentì così leggera da volare via, e quando la strinse tra le braccia, pensò che se il Paradiso esisteva, era di certo simile alla sensazione che stava provando.

Avevano appena iniziato ad approfondire il bacio quando il cellulare di Tsubasa iniziò a vibrare sul tavolino.

«Ignoralo.» le sussurrò, soffiandole sulle labbra prima di rituffarcisi, ma alla terza chiamata lo sospinse a malincuore.

«Magari è importante.»

Tsubasa sbuffò, alzandosi in piedi e afferrando il telefono.

«Yuzo, che succede? No, sono da mia madre. Sì, Yuki sta dormendo, io sono con Sanae…»

Lo scrutò attentamente in volto mentre, all’altro capo del telefono, Morisaki stava parlando animatamente, poteva percepirne la voce accelerata mentre notava il volto di Tsubasa tramutarsi in una maschera di rabbia.

«Non muoverti, arrivo subito.»

«Che succede?» scattò in piedi, percependo l’urgenza nelle sue parole.

«Vieni con me.»

Uscirono di casa e salirono sull’auto di Natsuko: non appena Tsubasa mise in moto, Sanae comprese che non sarebbe stato un viaggio semplice, e già alla prima curva si aggrappò alla maniglia della paura per reggersi.

«Tsubasa, qui non siamo in Brasile…» mormorò, quando lo vide avvicinarsi a tutta velocità al semaforo. L’uomo inchiodò esattamente sulla linea di arresto.

Giunsero al pronto soccorso, e lo seguì all’interno: Tsubasa quasi correva, e si fermò solo quando raggiunse Yuzo.

«Come sta.»

«Non ci hanno ancora detto nulla.»

«Come diamine è successo?»

«Tsubasa, calmati.» Yuzo lo prese per le spalle e lo costrinse a fissarlo negli occhi «Non era da sola.»

Sanae vide chiaramente il volto di Tsubasa trasformarsi nuovamente, una metamorfosi che non gli aveva mai visto compiere: strinse le mani a pugno e sibilò il nome del gemello di Yuzo.

«Felice di essere sempre nei tuoi pensieri, Ozora, ma non ero io con lei.»

Shuzo comparve in quel momento, con la sua tipica andatura ciondolante, incurante degli sguardi incuriositi degli altri occupanti del pronto soccorso. Sanae tuttora faticava a credere che un essere così gretto e meschino fosse davvero il gemello di Yuzo.

«Vorresti dirmi che sei estraneo a tutta questa storia?» Tsubasa lo accolse con freddezza.

«Non ho detto questo.»

Shuzo corredò la frase con un ghigno, parandosi di fronte a lui.

«Che cazzo è successo, Mori.»

«Sono qui per scoprirlo, Ozora: sono stato contattato da Yuzo, esattamente come te.»

L’attenzione venne quindi spostata sul gemello che, in disparte, stava osservando la scena a braccia conserte.

«Se avete finito di gonfiare il petto per farvi grossi, possiamo parlare di cose serie?»

«Dov’è Keiko, Yuzo?»

L’ex portiere indicò oltre la sala d’attesa dove si trovavano.

«Le stanno facendo alcuni controlli.»

«Mi vuoi dire che è successo?» ora Tsubasa era visibilmente spazientito, e Sanae non se ne stupì, dato che l’amico continuava a tergiversare.

«Kei mi ha chiamato, ha avuto un incidente.»

«La mia auto.» Shuzo si portò le mani alle guance, mimando un’espressione terrorizzata; Yuzo gli scoccò un’occhiataccia, ignorandolo.

«Alcune persone che hanno assistito hanno chiamato l’ambulanza, che ha condotto lei e l’altro qui.»

«Chi è l’altro?» il tono di voce di Tsubasa era sempre più duro.

«Gaho?» l’ipotesi di Shuzo era corretta perché il gemello annuì «E lui come sta?»

«Credo abbia un braccio rotto.»

La porta scorrevole dell’ingresso si aprì e Kei ne uscì scortata da un’infermiera che continuava a spiegarle qualcosa.

«Grazie mille. Ah, vedo che hai chiamato la cavalleria: ricordami di non chiederti più un favore quando ho bisogno di mantenere un basso profilo, Yuzo.» la ragazza ironizzò con lui, e quando si scostò i capelli dal volto per fermarli dietro all’orecchio sinistro, Sanae notò subito il cerotto all’attaccatura dei capelli.

«Che è successo?» Shuzo si era parato di fronte a lei ma Kei non aveva fatto in tempo a rispondere perché Tsubasa l’aveva afferrata per un braccio, tirandola da parte, e ora le stava controllando il punto coperto dal cerotto.

I due iniziarono a discutere animatamente fino a quando Kei allargò le braccia, alzando il tono di voce, e iniziando a gesticolare.

«Noshimuri-san, per cortesia…» l’infermiera che l’aveva accompagnata fuori le si avvicinò, ma Kei la ignorò, approfittando però del suo intervento per arretrare di un passo.

«Non farlo, Kei.» Tsubasa risultò perentorio, un aut aut lanciato come monito. La ragazza scosse il capo, sconsolata, gli poggiò una mano sul petto a mo’ di saluto, quindi si allontanò. Shuzo non perse tempo e la seguì all’esterno della struttura, lasciandoli da soli.

«Che è successo?»

A Sanae venne spontaneo domandarlo avvicinandosi a Tsubasa, e mentre lui seguiva Keiko con lo sguardo si ritrovò il cuore stretto in una strana morsa al pensiero che lui potesse riservarle certe attenzioni.

«Era in auto con uno dei tirapiedi di Mori, guidava lui e ha perso il controllo della vettura…»

«Oh…» mormorò, portandosi una mano alla bocca.

«Se l’è cavata con qualche graffio e pare abbiano escluso la commozione cerebrale. L’altro ha un braccio rotto e qualche contusione.»

«Ti ha detto perché era con quel tizio?»

Lui scosse il capo, riportando l’attenzione su di lei e riservandole un sorriso.

«Andiamo, ti riaccompagno a casa.»

 

Kei salì sull’auto sbattendo la portiera e prendendosela con la cintura di sicurezza che non voleva saperne di collaborare.

«Puta que pariu…» la diede vinta alla striscia scura che, incurante delle ingiurie, rimase ferma al suo posto.

«Non è che se la insulti, questa collabora.» Shuzo si sedette alla guida, quindi si sporse verso di lei per tirare la cintura «Vedi? Con le buone si ottiene tutto.» mormorò, fermandosi col viso a un soffio dal suo, mentre con le mani sistemava l’aggancio. Kei sbuffò, voltando lo sguardo verso l’esterno.

«Chi guidava?»

Inspirò a fondo, pensando a cosa dire: mentire non era un’opzione contemplata, aveva imparato molto presto dalla vita che le bugie hanno le gambe davvero corte.

«Gaho voleva mostrarmi qualcosa.»

«Sì, voleva mostrarti come si manda a puttane una consegna.» Shuzo sbatté la mano sul volante, facendola sussultare «Quel coglione merita molto di più di un braccio rotto. Ora mi tocca occuparmene di persona.»

Lasciò che lo yakuza masticasse qualche altra imprecazione e si lasciò andare contro il sedile, lo sguardo perso all’esterno mentre ripensava alle parole di Tsubasa.

«Che diamine è venuto in mente a tuo fratello.» mormorò «Perché ha chiamato Tsubasa?»

«Avevano parlato di una commozione cerebrale, temeva che ti servisse aiuto, o che qualcuno firmasse per te qualche carta, magari per la donazione degli organi.»

«Non riesci a essere serio neanche quando serve.» rise suo malgrado.

«Riesco a esserlo: la prossima volta che tu e Gaho distruggete una mia proprietà e mandate all’aria un accordo, anziché dall’ospedale passerete direttamente dall’obitorio. »

«Come ti pare, Mori.»

La brusca frenata la colse di sorpresa, costringendola a seguire il movimento cinetico e piegarsi in avanti, per poi ripiombare contro lo schienale con un colpo secco.

«Ti ha dato di volta il cervello, brutto…»

Shuzo le afferrò il volto, tirandola a sé e premendo le dita sulle guance.

«Il fatto che io sia così ben disposto nei tuoi confronti non ti autorizza a tenere questo atteggiamento, soprattutto quando mi gira il cazzo per un guaio che tu e quel coglione di Gaho avete causato. Quindi non trattarmi con sufficienza, né come se mi stessi facendo un favore, perché qui se c’è qualcuno che sta facendo un favore, sono io che ti ho salvato il culo con Tanaka e ti ho portato qui a vivere una cazzo di vita decente. Entende?»

Shuzo mollò la presa e Kei si ritrasse, muovendo la mandibola e massaggiandola per attutire il dolore della stretta. Shuzo ripartì, pestando l’acceleratore e mordendo l’asfalto, incurante di semafori e limiti.

Giunti a destinazione, girò attorno all’auto e le aprì la portiera, per farla scendere.

«Ora sorridi e cerca di essere accomodante, almeno così posso giustificare il mio ritardo.»

Entrarono in un edificio anonimo e si diressero con sicurezza al quarto piano, dove Shuzo bussò all’interno 408. Un uomo, un piccoletto dagli occhi stretti, aprì la porta e li fissò dallo spiraglio.

«Sei in ritardo.»

«Avevo di meglio da fare che vedere la tua brutta faccia.» e, con un cenno del capo, la indicò. L’uomo ghignò, quindi richiuse la porta per togliere il catenaccio e li fece accomodare.

«Tu aspettami qui, dolcezza.» e, così dicendo, Shuzo la afferrò per il collo e la baciò a stampo.

«Andiamo, Mori, non siamo in uno dei tuoi bordelli, qui.»

Kei rimase in piedi accanto alla porta, lo sguardo basso per cercare di non dare troppo nell’occhio, le braccia incrociate al petto. Tentò di ignorare gli sguardi degli scagnozzi presenti nella stanza, così come le gomitate che si davano a vicenda, e si ritrovò sollevata quando Shuzo tornò, dopo pochi minuti.

«Andiamo.» disse, lanciandole le chiavi dell’auto che lei afferrò al volo «Fammi vedere di che sei capace anche fuori dal letto.»

L’affermazione animò i presenti, che iniziarono a ridacchiare e annuire.

«Quale sarebbe il senso di questo tuo comportamento, Mori?» si azzardò a domandare, una volta usciti dall’appartamento.

«Hai presente i gatti che marcano il territorio, Noshimuri? Beh, io ho appena fatto la stessa cosa.» ghignò, passandole un braccio attorno alle spalle e attirandola a sé «Posso fare anche molto di più, se vuoi.»

«Mi basta questo, sperando di non doverlo più fare. E comunque non devi marcare il territorio, non ho intenzione di tradirti, non sono mica scema.»

«Tu no.» le aprì la portiera dal lato guidatore per farla accomodare, quindi la richiuse e si sporse verso di lei «Ma là dentro ci sono persone che non hanno alcuna remora a prendersi ciò che mi appartiene, soprattutto se si tratta di un bel bocconcino fresco. Te l’ho detto, non ci sono molte donne nella mia organizzazione.»

Kei si allungò verso di lui, fino a sfiorargli il naso col proprio.

«Io non ti appartengo, Mori. Io non sono di nessuno.»

Shuzo scoppiò a ridere, quindi scivolò sul cofano per raggiungere l’altro lato della vettura e accomodarsi accanto a lei.

«E allora vai, Figlia Rispettosa, e mostrami ciò che sai fare.»

Kei non se lo fece ripetere due volte: avviò il motore e ingranò la marcia, un sorrisetto soddisfatto dipinto sul volto. 

 

Aveva atteso oltre una settimana, nella speranza che Keiko finalmente si sbottonasse e gli raccontasse la verità su quanto accaduto, ma aveva dovuto fare i conti con l’amara realtà: non lo avrebbe fatto.

La osservò mentre, china sul cofano della vettura di Ishizaki, gli spiegava come si sarebbe dovuto prendere cura del motore, incurante dello sguardo da pesce lesso del ragazzo intento ad ammirare ben altro.

«Tutto chiaro?»

Kei si sollevò e gli sorrise, sicuramente consapevole dell’occhiata alla “carrozzeria” che l’altro aveva appena lanciato.

«Chiarissimo!» Ishizaki scattò sull’attenti, portandosi la mano alla fronte con fare militaresco.

«E cerca di tenere sotto controllo il livello dell’olio, questa volta era molto basso.»

L’altro annuì, guardando con aria distratta il cofano.

«Beh, posso sempre chiamarti, per quello. Giusto?»

Tsubasa decise di intervenire, e raggiunse l’amico d’infanzia.

«Ma solo per quello, Ryo-kun, altrimenti poi chi la sente Yukari?»

«Ah, non me ne parlare, Tsubasa.» il giovane si grattò la testa «Più la data del parto si avvicina, e più lei si agita. Non so come avete fatto voi a gestire questo stress.»

Tsubasa trasalì, ridacchiando con fare nervoso, Kei invece sorrise e posò una mano sulla spalla del ragazzo.

«Andrà tutto bene, e sarete dei genitori fantastici, ne sono certa.»

«A proposito!» Ryo si batté la mano sulla fronte «Me ne stavo quasi scordando. Abbiamo organizzato un baby shower, avremmo piacere che ci foste anche voi. Ci saranno anche tutti i parenti di Yukari, bambini inclusi.»

«Certo, perché no?» Kei lo anticipò, voltandosi poi verso di lui «Tu e Sanae potreste portare Yuki e Daichi.»

«Magari ne parliamo.» la redarguì, per niente contento che lei avesse preso l’iniziativa in quel modo.

«Certo, ne parliamo.» gli lanciò lo straccio e si allontanò.

«Va… tutto bene? Ho detto qualcosa che non va?»

«Tranquillo, Ryo, e grazie per l’invito: con Kei me la vedo io.»

Attese che la sagoma della vettura di Ishizaki sparisse all’orizzonte, quindi chiuse il portone dell’officina e raggiunse Kei in ufficio.

«Senti, non voglio litigare, ma vorrei parlare dell’incidente.»

«Che vuoi sapere?» glielo domandò senza neanche alzare la testa dalle fatture.

«Chi guidava?»

«Gaho.»

«Che è successo?»

«Ha perso aderenza in curva e siamo finiti con la fiancata contro un muro.»

«Avevi la cintura?»

«Ho sempre la cintura, Bas.»

Lo disse alzando lo sguardo verso di lui e fissandolo negli occhi, ma li riabbassò subito dopo.

«Kei… che ci facevi con lui?»

Si rese conto che la ragazza aveva abbassato le difese, non aveva intenzione di litigare, così si sedette di fronte a lei, intenzionato a mantenere la conversazione su toni miti.

«Doveva occuparsi di una consegna per Shuzo, e mi ha chiesto di accompagnarlo.»

«Perché? Perché a te? Non hanno altri a cui chiedere?»

Fu quando Kei alzò lo sguardo su di lui che si rese conto di ciò che aveva fatto.

«Hai accettato…»

Le parole gli erano uscite come affermazione, più che come domanda, perché gli era bastato leggere nelle iridi marroni per comprendere.

«Perché, Keiko? Perché hai dovuto venderti alla yakuza. Non ti è bastato ciò che è successo a Yukiko?»

«È diverso.»

«E come lo sarebbe?»

«Lo è perché io lo sono, e anche Shuzo. Abbiamo messo in chiaro tutto, io devo solo guidare.»

«E credi che lo farà? Sai bene com’è la yakuza, ci sei cresciuta in mezzo.»

«Proprio perché lo so sono consapevole che Mori manterrà la sua parola: ha bisogno di un driver e io sono più che contenta di farlo. Perché è questo che io sono, Bas.»

«Non ti riconosco più.»

«Nemmeno io ti riconosco…» Kei si ritrasse, facendo aderire la schiena alla sedia «E se ti guardi bene dentro, sono certa che neanche tu ti riconosca.»

«Non sai di cosa parli.» stavolta fu il suo turno di ritrarsi, offeso da quello parole.

«Ah sì? Io so chi sono, Tsubasa, e tu invece, tu lo sai chi sei?» Kei si sporse verso di lui «Io non ho paura di mostrarmi per quella che sono realmente, ma ho come l’impressione che questa cosa ti metta parecchio in imbarazzo, perché tu sai di assomigliarmi più di quanto vorresti ammettere, ed è per questo che stiamo litigando.» girò attorno alla scrivania e lo raggiunse, inducendolo ad alzarsi per rimanere allo stesso livello visivo «Perché hai compiuto una scelta, e fatichi a prendertene la responsabilità.»

«Non mi sono mai tirato indietro dalle mie responsabilità.»

«Lo so, e…»

Kei si ritrasse, come se avesse voluto aggiungere altro ma non ne fosse in grado.

«Per il bene di Yuki, dobbiamo mantenere un rapporto civile.»

«Il bene di mio figlio verrà sempre prima di qualunque altra cosa.» annuì lei, lasciandolo solo in quella stanza, con la sensazione che la frattura fra di loro fosse più netta e radicata di quanto avesse immaginato.

Si passò una mano tra i capelli, facendola scorrere fino alla base del collo e spostandosi poi sul davanti, andando ad accarezzare quella piccola cicatrice sulla clavicola che gli ricordava l’effimerità della vita.

Sebbene la tentazione fosse quella di correre dietro a Kei per convincerla che lavorare per Mori non era una buona idea, per la prima volta da sei anni a quella parte Tsubasa decise di non farlo: lasciò che la ragazza salisse al piano superiore e non la seguì, nonostante la decisione lo facesse sentire a disagio. Diede la colpa di quel malessere al fatto che negli ultimi nove anni lui e Keiko avessero condiviso tutto, e gli faceva strano pensare di allontanarsi da lei, perché più che un allontanamento fisico lo percepiva come mentale.

Non erano più sulla stessa lunghezza d’onda, ma era consapevole di essere nel giusto: Keiko si sbagliava, non sapeva chi era.

 


Alla fine Shuzo si è dovuto occupare personalmente della famosa consegna, perché con Gaho qualcosa è andato storto (e già vi vedo che annuite dicendo "io l'avevo detto!"). 

Kei confessa la sua scelta di diventare il driver di Mori a Tsubasa, che ovviamente non la prende bene, ma almeno abbiamo finalmente un confronto fra i due: confronto che finisce con una maggior consapevolezza da parte dell'ex calciatore di quanto lui e la ragazza siano distanti. Mai come ora si può dire che ci sia un oceano, tra di loro. 

Sanae ha il suo primo approccio alla nuova natura di Tsubasa, riuscirà a reggere il cambiamento?

E il povero Yuzo che viene tirato in mezzo da Kei nel momento del bisogno?

Quanta carne al fuoco ^^ che bel churraschinho che viene *ride*

Grazie di cuore per continuare a seguirmi con così tanto affetto *abbraccia*

La vostra Sakura

 

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Capitolo 7
*** Un futuro qui ***


Velozes e Furiosos

Un futuro qui

«Quindi Keiko non verrà? Che peccato…»

Yukari aveva pronunciato quelle parole con sincerità, ma Tsubasa non era ugualmente dispiaciuto dell’assenza della ragazza. Dopo la discussione pacifica avuta in officina, i loro rapporti si erano limitati a freddi messaggi scritti o orali riguardanti la gestione del lavoro o di Yuki, che continuava a essere contento di potersi dividere tra l’appartamento sopra l’officina e la casa di Natsuko.

«Aveva delle questione urgenti da sistemare.» mitigò portandosi la birra alla bocca, sperando che la conversazione non andasse nello specifico perché non aveva voglia di spiegare che le “questioni” di Keiko riguardavano Shuzo Mori.

«E voi due, invece?»

Yukari gli diede un colpetto di gomito, facendolo sussultare e arrossire allo stesso tempo.

«Noi due… chi? Cosa?»

«Ma come, tu e Sanae!» e così dicendo gli indicò la donna che si stava intrattenendo con i genitori di Ishizaki «È bello vedere che avete ripreso da dove avete interrotto.»

«Già…» si grattò la testa imbarazzato.

«Non lo ammetterà mai, ma ha sperato tanto in un tuo rientro, nonostante… beh, nonostante Yuki. È stato un duro colpo da metabolizzare, ma… sì, insomma.» Yukari si voltò verso il bambino e poi di nuovo verso di lui «È chiaro che tu l’abbia fatto per proteggere Keiko, non doveva essere facile essere una ragazza madre in Brasile…»

Tsubasa rimase con la bottiglia a mezz’aria, colpito da quelle parole: non aveva considerato che fino a prima del suo rientro in Giappone, tutti pensassero che fosse realmente il padre di Yuki, mentre una volta visto il bambino con quei tratti somatici misti, avevano realizzato che la sua paternità era solo una copertura.

Fece per rispondere, ma l’intervento provvidenziale proprio del bambino che portava il suo cognome interruppe l’imbarazzo.

«Bas! Bas!» gli corse incontro, e lui lo prese in braccio al volo.

«O que?» gli domandò, felice di vederlo così spensierato.

«Posso comer sorvete?»(1)

Annuì, depositandogli un enorme bacio sulla fronte, dopo aver scostato quei ricci scuri che gliela adornavano, e lo rimise a terra, osservandolo poi correre verso Daichi per trascinarlo in cucina.

«Ho l’impressione che assomigli a qualcuno che conosco, ma non saprei chi…» Yukari si era portata una mano al mento e aveva assunto una posa pensosa.

«Senti, Yukari…» decise di affrontare l’argomento una volta per tutte «Io capisco che ci sia molta curiosità attorno a Yuki, ma cerchiamo di tenere a mente che è solo un bambino di sei anni che è appena stato sballottato dall’unico mondo che ha conosciuto a uno completamente diverso. Lui parla giapponese, abbiamo cercato di fargli conoscere le sue radici, ma ha comunque parecchie difficoltà, e non vorrei aggiungere al pacchetto delle insinuazioni sulla sua origine.» chiarì, fissando la donna negli occhi «Yuki ha una famiglia, strana ma ce l’ha: abbiamo dovuto fare i conti con una perdita importante che realizzerà solo quando sarà più grande, non alimentiamo i traumi, te lo chiedo come favore personale.»

Gli fu evidente che Yukari non aveva pensato alle implicazioni delle sue frasi, o dell’impatto psicologico che avrebbero avuto se il bambino le avesse sentite: si portò le mani sul ventre pronunciato e annuì.

«Sei un ottimo genitore, Tsubasa, Yuki non poteva chiedere di meglio.» gli sorrise, e lui fece altrettanto, felice che la donna avesse capito.

«Ehi, di che si parla, qui?»

Sanae li raggiunse e lui ne approfittò subito per passarle un braccio attorno alle spalle e attirarla a sé: si rese conto solo dopo che quel gesto per lui così naturale aveva un impatto diverso su chi lo osservava.

«Yukari si stava complimentando con me per averti riconquistata.» mormorò, depositandole un bacio sulla nuca e sancendo in questo modo la sua totale messa a fuoco, da tanto che il volto le era arrossito.

«O forse sono stata io brava a farti ricadere nella mia rete?» replicò, sorniona.

«Ad ogni modo sono molto felice per voi, e sarò ancora più felice quando questo peso che mi porto qui dentro deciderà di uscire.» sdrammatizzò.

«Sei raggiante, lasciatelo dire.» Sanae si profuse in complimenti.

«Oh, sì, e goditi il momento: quando escono c’è da impazzire, soprattutto i primi mesi. Sono così piccoli e indifesi che ti senti davvero in difficoltà.»

«Ma non ditelo a Ryo, è ancora convinto che non cambierà nulla!»

Scoppiarono a ridere, e nel farlo Tsubasa si voltò alla ricerca di Yuki: lo trovò intento a disegnare, sotto lo sguardo vigile di Yuzo che stava decisamente scalando la classifica per ottenere il premio di “Zio dell’Anno”.

Si scusò con le due donne e lo raggiunse.

«Ehi, Tsubasa.» lo salutò con affetto.

«Tutto bene?»

«Mi spiace che lei non sia qui…» gli sussurrò. Tsubasa annuì, mantenendo lo sguardo su Yuki.

«Il tuo gemello non si risparmia, a quanto pare, e sfrutta al meglio la sua nuova driver.»

«Mi spiace anche di questo. Se vuoi…»

«No, è grande abbastanza da prendere le sue decisioni e assumersi le sue responsabilità.»

Un rumore conosciuto attirò la sua attenzione: era difficile che per Nankatsu girassero delle auto modificate, quindi aveva ben chiaro di chi si trattasse, e le sue supposizioni furono convalidate quando la figura di Kei fece la sua comparsa nel giardino.

«Mamãe!» Yuki mollò tutto quello che stava facendo e le corse incontro, felice.

«Ciao a tutti, scusate per il ritardo. Yukari, questo è per voi.» e, tenendo su il figlio, indicò la borsa che aveva poggiato ai suoi piedi.

«Non dovevi disturbarti.»

Yukari era a disagio, era evidente che nonostante Kei fosse inserita nell’invito, la sua presenza era fonte di imbarazzo.

«Oh, non preoccuparti: ho ripensato ai primi tempi, quando Yuki era piccolo, e ti ho preso un po’ di cose che credo ti saranno utili.»

«Mamma, vieni a mangiare il gelato?»

«No, piccolo, devo andare.»

«Di già?» a Tsubasa la domanda sfuggì dalle labbra, dove avrebbe voluto trattenerla. Keiko fece scendere il figlio, che corse verso Yuzo, e lo osservò con aria glaciale.

«So quando la mia presenza non è gradita, sono solo passata per dare il regalo e per ringraziare di aver invitato Yuki.»

«Non sei obbligata ad andartene.»

«Né a restare.»

Uno scambio di battute così freddo che, per un istante, gli sembrò che fosse calato l’inverno.

Un trillo di cellulare fece scattare Kei sull’attenti: estrasse il dispositivo dalla tasca, rispose e rimase in ascolto, quindi lo ripose nuovamente nella tasca posteriore.

«Devo andare.»

«Adesso hai anche il telefono personale?»

«Non ricominciare, Bas.» gli voltò le spalle.

«Ricomincio eccome.» fece un passo verso di lei e la obbligò in malo modo a voltarsi «Questa storia non finirà bene.»

«Finirà come deve finire, non sarai di certo tu a deciderlo.»

«Kei, pensa a Yuki.»

«E tu pensa a te stesso e alla tua menina.»(2)

«Kei…» fece per prenderle la mano ma lei lo scacciò in malo modo. Ora sentiva gli sguardi di tutti i presenti su di loro, così iniziò a parlare in portoghese, nella speranza di mitigare «Ti prego, cerchiamo di mantenere un basso profilo.»

«È quello che sto cercando di fare, ora ti prego, lasciami andare.»

Tenne gli occhi incollati su di lei, le cui iridi quasi lo supplicavano di lasciarla andare: le vide spostare lo sguardo da lui a qualcuno alle sue spalle, per poi tornare a focalizzarsi su di lui.

«Tudo ficará bem(3) gli carezzò una guancia, e per un istante lesse un sentimento diverso nei suoi occhi, ma fu solo un istante prima che indossasse la sua maschera e uscisse dal vialetto.

«Tsubasa?»

Si voltò verso Sanae, che lo osservava con aria preoccupata.

«Devo occuparmi di Yuki.» mormorò, raggiungendo il bambino.

 

Chiusa in auto in attesa che Gaho tornasse dalla consegna, continuava a rivivere la scena di poco prima nel giardino di casa Ishizaki. Si era sentita peggio di un pesce fuor d’acqua, e per un istante si era pentita di esserci andata, soprattutto quando Tsubasa aveva cercato di trattenerla, nella vana speranza di farle far parte di quel mondo. Ma lei non poteva farne parte, perché lei non era Sanae.

Sospirò, portandosi una mano alla fronte: la prima volta che aveva conosciuto Sanae si era sorpresa di come Tsubasa potesse essersi innamorato di una ragazza così diversa da lui, poi aveva capito che a tenerli legati era qualcosa di profondo, nato in gioventù e con basi solide. Tsubasa era partito per il Brasile sapendo che Sanae lo avrebbe atteso, qualunque cosa fosse successa. E così era stato: nonostante tutto quello che li aveva tenuti separati, loro erano tornati insieme.

Nonostante l’incidente.

Nonostante Yuki.

Nonostante lei.

«Andiamo, voglio fermarmi a prendere un milkshake.»

Gaho entrò in auto e si lasciò cadere malamente sul sedile.

«Una cosa veloce, ché devo tornare da mio figlio.»

«Sarai libera quando lo dirò io, Noshimuri.»

Kei si immise in autostrada e dopo pochi chilometri capì subito che c’era qualcosa che non andava.

«È normale che uno dei tirapiedi dell’ultima consegna ci stia seguendo?»

Gaho si voltò con discrezione, e imprecò tra i denti.

«Cambio di programma, non torniamo alla base: andiamo al locale.»

Kei sbuffò, ma non aveva scelta: se quelli si azzardavano a seguirli era per tentare un attacco al cuore dell’organizzazione, usando loro come cavallo di Troia.

Attaccò l’auricolare al cellulare e fece partire la chiamata, incurante della presenza di Gaho.

«Tutto bene?» la voce di Tsubasa era giustamente allarmata.

«Sì, ma tarderò parecchio…»

«Ci rimarrà male.»

Si concesse di chiudere gli occhi per un istante, giusto il tempo di mandare giù l’ennesima imprecazione.

«Mi farò perdonare, ma al momento sto vivendo un déjà-vu del PCC.» cercò di farsi capire da lui senza destare sospetti in Gaho.

«Merda, Kei

«Va tutto bene, è gestibile, solo che non posso tornare alla base e devo allungare il percorso. Non voglio chiedergli di aspettarmi sveglio.»

«Lo farà comunque. Fai attenzione.»

Tsubasa chiuse la comunicazione e lei sospirò pesantemente, alla ricerca di ossigeno.

«Problemi con il tuo fidanzatino?»

«Niente che ti interessi, Gaho.»

Lo yakuza si sporse verso di lei, con un ghigno divertito dipinto sulle labbra.

«Siamo suscettibili all’argomento, eh Noshimuri? Che c’è, il tuo merlo non accetta che tu sia diventata la puttana di Mori?»

Kei lasciò andare il gomito sinistro contro il viso di Gaho, che arretrò urlando.

«Mi hai spaccato il naso, puttana!»

«Sta’ zitto e lasciami guidare, o vuoi finire nuovamente fuori strada e romperti anche l’altro braccio, essere inutile.»

Gaho continuò a massaggiarsi il naso, che con sommo dispiacere di Keiko non era rotto: quando giunsero al locale, lo yakuza si diresse subito verso il piano superiore, lasciandola in disparte.

«Ehi, Keiko-san, il solito?»

Annuì al barista e si sedette a banco, aspettando che l’uomo le servisse la bevanda al guaranà che aveva iniziato a farsi spedire solo per lei.

Aveva appena iniziato a sorseggiarla quando i due posti al suo fianco vennero occupati: anche senza alzare lo sguardo riconobbe gli scagnozzi che stavano seguendo lei e Gaho poco prima.

«Ehi, bellezza, bevi qualcosa?»

«A posto, grazie.» mantenne lo sguardo sul bicchiere, seguendo la danza delle bollicine.

«Sicura?» mormorò quello alla sua destra, allungando una mano per scostarle una ciocca di capelli. Kei gli afferrò il polso e lo fissò negli occhi.

«Queste le tieni a casa tua.» e gliela lasciò in malo modo.

«Ehi, non toccare il mio amico.» l’altro scattò in piedi, Kei si ritrovò il suo viso a pochi centimetri dalla faccia. Con una lentezza esasperante, fece ruotare lo sgabello nella sua direzione.

«Io non lo tocco, lascio a te questa prerogativa.»

Il tizio alle sue spalle – più alto e corpulento – si mosse e le bloccò i movimenti, passandole le braccia attorno alle spalle, mentre quello basso davanti a lei caricò il pugno. Kei scostò la testa per schivare il colpo e lasciò andare un calcio che lo colpì nelle parti basse, quindi scivolò giù dallo sgabello e si chinò in avanti per far sbilanciare quello alle spalle, che mollò la presa.

Ruotò su sé stessa, facendo perno su una gamba, e con l’altra mollò un calcio in pieno volto al tizio che le aveva bloccato i movimenti, quindi si concentrò sull’altro. Era alto circa quanto lei, scuro di capelli e con il pizzetto che circondava la bocca piccola.

«Ora ti sistemo io, stupida puttana.»

«È la seconda volta che mi chiamano così, oggi, ho esaurito la pazienza.»

Schivò il pugno e si spostò di lato, quindi gli rifilò una gomitata tra le scapole: il tizio gemette, sbilanciandosi in avanti, ma si voltò subito e si rimise in posizione da combattimento.

«Vieni qui, bellezza.» le disse, piegando le labbra in un ghigno «Lasciati carezzare dal mio tocco, sarò delicato, lo giuro.»

Sapeva che stava cercando di provocarla per farla partire per prima, aveva partecipato ad abbastanza risse a San Paolo da sapere come gestirle – con buona pace di Cris e Bas. Con la coda dell’occhio notò che il primo tizio si era ritirato su ed era pronto a intervenire.

«Due contro uno non è corretto, però.» e, così dicendo, piroettò su sé stessa senza toccare il pavimento e si scostò, in modo da averli entrambi di fronte.

Fu il piccoletto a partire per primo, a passo di carica: lo schivò, tenendo d’occhio le sue mosse, e schivò anche l’altro, partito subito dopo. Cercò di difendersi fino a quando una svista la fece finire nella morsa del più alto, e il piccoletto non si attardò a rifilarle un bel pugno sullo zigomo.

Caricata dall’adrenalina del colpo, Kei lo colpì con un calcio in pancia e lo spinse via, quindi si chinò e fece ruotare quello alle sue spalle sopra di lei, per poi farlo atterrare alle sue spalle e approfittarne per dargli una gomitata in pieno stomaco.

I buttafuori la raggiunsero e afferrarono in malo modo i due aggressori per poi spedirli fuori dal locale; Gaho arrivò mentre si stava toccando lo zigomo dolente.

«Shuzo ti vuole vedere.»

Masticò un’imprecazione e raggiunse lo yakuza nel suo ufficio.

«Fortuna che ti avevo chiesto un basso profilo, Noshimuri.»

«Quei due hanno iniziato la rissa, non io.»

«Sì, ho visto.» annuì, mantenendo lo sguardo basso sulle carte che stava controllando «Chi erano?»

«Sono quelli che ci hanno seguito dopo la consegna.»

«Di che parli?» Shuzo lasciò cadere la penna e alzò lo sguardo verso di lei.

«Quando siamo ripartiti, ho notato un’auto che ci seguiva. L’ho detto a Gaho e lui mi ha suggerito di venire qui anziché tornare alla base.»

Shuzo lanciò un’occhiata a Gaho, che fece spallucce.

«E cosa volevano da te?»

«Hanno tentato un approccio maldestro, poi sono passati alle mani. Scusa se non ho approfondito, ho preferito difendermi.» biascicò toccandosi nuovamente lo zigomo, che ora le doleva parecchio.

«Vai a casa, Noshimuri, e curati quello zigomo. Ozora non sarà contento.» la punzecchiò, ridacchiando. Keiko lo liquidò con un cenno della mano e uscì dalla stanza, intenzionata ad andare a godersi un meritato riposo.

 

Il suono del campanello la fece sobbalzare: si era addormentata sul divano quasi senza rendersene conto. La borsa del ghiaccio giaceva per terra, molle a seguito dello scioglimento del contenuto, così la prese e la ripose in freezer.

Si lavò la faccia stando attenta a non sfregare la zona lesa, quindi si cambiò e scese in officina.

«Buongiorno. Nottata difficile?»

«Sono rientrata tardi.»

«L’ho immaginato, per questo ti ho lasciata dormire.»

«Mi ha svegliata il campanello dell’officina.»

Tsubasa era di spalle, così sgusciò verso la macchinetta del caffè, coprendosi la guancia con una mano: sapeva che non poteva evitarlo tutto il giorno, e rimpianse di non avere del fondotinta da poter mascherare la tumefazione.

«Prendo anch’io del caffè, ci vuole proprio.»

Le si affiancò e allungò una mano per prendere una tazza, Kei arretrò e volse lo sguardo altrove.

«Va… tutto bene?»

«Sì, sì certo.»

Falsa come poche volte nella sua vita, gli porse la guancia sana e gli sorrise in maniera sghemba.

«Dei del cielo…»

Tsubasa allungò una mano e le prese il mento, quindi la fece ruotare verso di lui.

«Non è niente.» minimizzò, cercando di sottrarsi al contatto, invano.

«Chi è stato?»

«Un tizio…»

«Quello che ti seguiva?»

Kei si scostò, arretrando di un passo: si sentiva in difetto, sotto lo sguardo indagatore e preoccupato dell’amico.

«Mi si è affiancato mentre ero a bancone a bere, ha allungato troppo le mani e gli ho spiegato dove poteva mettersele. Lui e il suo compare…»

«Ah, erano in due?» Tsubasa incrociò le braccia al petto, un scintillio di divertimento illuminò le sue iridi.

«Sì. Sono arrugginita.»

Tsubasa alzò nuovamente una mano e gliela posò sulla guancia: Kei socchiuse gli occhi e si godette il tocco delicato.

«Ti ha presa bene, eh?»

«Sì, ma… devi vedere com’erano messi loro.»

Bas scoppiò a ridere, pareva averla presa bene nonostante tutto.

«Ci hai messo il ghiaccio?»

«Sì, papà.» alzò gli occhi al cielo, risolvendosi a staccarsi da lui.

Tsubasa versò il caffè nelle tazze e gliene porse una, iniziando poi a sorseggiare la bevanda, addossandosi al muro.

«Devo considerarla una tregua?»

«Non voglio litigare, Kei.»

«Nemmeno io, Bas, nemmeno io…»

«Se guidare ti fa stare bene, e se mi giuri che si tratta solo di quello.»

«Si tratta solo di quello.» annuì.

Tsubasa sospirò, gli costava davvero tanto, ne era certa.

«E sia… non faccio i salti di gioia a saperti alla corte di Mori, ma se serve a farti stare bene… io vedo davvero un futuro, qui, e vorrei che lo vedessi anche tu.»

Annuì, concentrandosi sulla tazza tra le sue mani: il suo futuro era un po’ meno roseo rispetto a quello di Tsubasa, che si stava riconquistando il suo posto nel mondo, ma avrebbe fatto di tutto per rendere la loro vita migliore.

Perché, in fondo, continuavano a essere una família.

 

 

1

«O que?» - Cosa?

«Posso comer sorvete?» - Posso mangiare il gelato?

2 menina - un modo per dire "ragazza, donna"

3 «Tudo ficará bem.» - Andrà tutto bene

 

 


Una tregua all'orizzonte? Beh, speriamo, perché credo che Keiko ne abbia davvero bisogno. Benché abbia dimostrato di sapersela cavare nel mondo della malavita, dimostra comunque di aver bisogno del supporto del suo compare, e come biasimarla: non bisogna scordare che sono anni che si guardano le spalle a vicenda e, come sostiene spesso lei, le è rimasto solo lui, come membro della família. 

È forte e debole allo stesso momento, Keiko: forte nel momento del bisogno, ma che si lascia andare a una carezza quando la riceve. Un dualismo che raramente mostra, e solo con chi vuole lei. 

Mentre Tsubasa... da un lato ha Sanae, la sua àncora al passato; dall'altro Keiko, che lo conosce forse meglio di chiunque altro. Difficile dire come si muoverà in futuro. 

Grazie ancora e sempre per il vostro affetto e i messaggi (pubblici e privati) con cui mi fate sapere le vostre opinioni: siete ORO. 

Un abbraccio grandissimo 

La vostra Sakura 

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Capitolo 8
*** Drifting Queen ***


Velozes e Furiosos

Drifting Queen

Kei arrivò in derapata, sollevando qualche sassolino, e si fermò a pochi metri dal cordolo di persone intente a osservare la drift war.

Aprì la portiera e posò il piede a terra, quindi poggiò il gomito sinistro sopra la carrozzeria e alzò la mano destra col simbolo della vittoria.

Un coro entusiasta si alzò, frammisto grida di delusione di chi, evidentemente, non aveva puntato su di lei.

«Ok, ok, ma non esagerare troppo, Noshimuri, o non avrò più partecipanti.»

Sota la raggiunse e le strinse la mano, gongolando.

«Non ti lamentare: all’inizio ero la nuova, quella su cui nessuno avrebbe puntato. Adesso sono quella da battere.»

«La nostra Drifting Queen

«Non esagerare. Lo sai che Malerba tiene molto al suo titolo.»

Chiuse la portiera e seguì l’amico fino al bar improvvisato, dove una car girl le allungò una birra, che rifiutò.

«Abbiamo finito il guaranà.» si giustificò Sota, facendo spallucce.

«Non importa, devo andare: ho chiesto un favore a Tsubasa con Yuki, stasera, e non voglio approfittarmene.»

«Le cose vanno meglio, mi sembra, eh?» le diede una gomitata d’intesa.

«Se noi andiamo d’accordo Yuki ne giova parecchio, e siamo tutti più felici.» annuì, scrutando l’orizzonte «Cerchiamo di far funzionare questa strana famiglia che ci siamo costruiti.»

«Quindi con Sanae le cose procedono? Ma è vero che gli hanno offerto il posto di allenatore della Nankatsu?»

«Sì, della squadra elementare. So che ci sta riflettendo.»

Sota annuì distrattamente, era già intento a contare i guadagni della corsa e tutti gli altri discorsi erano finiti in ultimo piano. Kei si allontanò per dirigersi alla sua auto e tornare a casa.

Era quasi arrivata all’officina quando notò una vettura nello specchietto retrovisore: parcheggiò di fronte all’ingresso e scese, poggiandosi all’auto e incrociando le braccia al petto.

Non dovette aspettare molto affinché la Volkswagen si palesasse davanti a lei.

«Sei affezionato al marchio, a quanto vedo.»

Shimata lasciò la vettura in moto, coi fari accesi, e mosse qualche passo verso di lei.

«Salute a te, Noshimuri. La nuova Dea del Drift.»

«Che vuoi, Shimata.»

«Parlare con te senza la protezione di Malerba.»

«Non mi serve nessuna protezione.»

«Voglio la rivincita.»

«Parlane con Sota, gestisce lui il giro adesso.»

«Ne parlo con te, invece.»

Si avvicinò aggressivo, a denti stretti: dallo stato delle sue pupille non doveva essere proprio nel pieno della forma.

«Vattene a casa, Shimata, ne riparliamo quando non sarai strafatto.»

Gli voltò le spalle e fece per salire nuovamente in macchina, ma Shimata le fu addosso e la strattonò per i capelli, facendole poi sbattere il volto contro la carrozzeria.

«Non trattarmi con sufficienza, piccola stronzetta. Non sarai una gaijin ma sei comunque poco avvezza agli usi e i costumi di qui, quindi te lo spiego io come funziona.»

La strattonò nuovamente e la costrinse a girarsi, facendole sbattere la schiena contro la portiera posteriore dell’auto e bloccandola con le gambe.

«Non so quanti cazzi tu abbia succhiato per entrare nelle grazie di Malerba, ma sappi che a me non interessa con chi vai a letto: io non accetto di essere umiliato da una puttanella d’Oltreoceano.»

«Allora dovresti imparare a guidare meglio…»

Shimata le tirò nuovamente i capelli, costringendola ad arretrare con la testa: Kei sentì il suo fiato sul collo, la annusava e ansimava in preda a chissà quale eccitazione.

«Sai di esotico, Noshimuri…»

Kei resistette alla tentazione di reagire perché sapeva che avere a che fare con una persona alterata da droghe poteva essere pericoloso. Lasciò che l’uomo le annusasse il collo e chiuse gli occhi quando questi le cacciò il naso nel seno, leccandone il contorno.

Shimata arretrò di un passo, lasciandola libera, e si leccò le labbra. La luce del terrazzo alle sue spalle si accese, Kei ne vide il riflesso con la coda dell’occhio: Tsubasa la chiamò, così lei alzò una mano per farsi vedere.

«Buonanotte, Noshimuri.»

L’uomo risalì in auto e sgommò via, e solo quando non vide più i fari lungo la via, Kei si risolse a entrare in officina.

 

Attese che Kei parcheggiasse la sua vettura e salisse in casa, ma non appena mise piede nell’appartamento partì all’attacco.

«Chi era quello?»

«Un coglione che non sa perdere.» replicò lei, massaggiandosi la nuca.

«E per una drift war si prende la briga di seguirti fino a casa e minacciarti?»

«Era strafatto, Bas, non si comportava in maniera lucida. Avrà pensato che fosse una buona idea, che devo dirti?»

Kei si rifugiò in cucina ma lui non mollò, seguendola a breve distanza.

«Non mi piace che questa gente sappia dove abiti.»

«Gestiamo un’officina, Bas, tutti sanno dove abitiamo.»

«Ne va dell’incolumità di Yuki.»

«Non corre nessun pericolo, c’è sempre qualcuno di noi a proteggerlo, no?»

«Che macchina era? Mi sembrava una Volkswagen.»

Lei inspirò, e attese qualche secondo prima di replicare.

«Sì, mi pare.»

«Che auto era quella che ha fatto saltare la tua Reloaded?»

«Cosa vorresti insinuare?»

Kei si voltò verso di lui: era sulla difensiva, Tsubasa lo capì subito da come manteneva le distanze.

«Chi era quello, Kei?» lo domandò di nuovo, a voce bassa ma decisa.

La ragazza inspirò profondamente e si morse il labbro inferiore, chiudendo gli occhi.

«Gaho mi aveva messa in guardia da lui alla prima drift war, e già mentre scendevamo avevo notato che non era uno a cui piaceva stare nelle retrovie. Quando ho vinto, lui non l’ha presa bene, e ha diretto la sua R32 contro la mia Silvia, facendola esplodere.»

«Lo sapevo.» esalò, portandosi una mano alla testa.

«Va tutto bene, posso gestirlo, è solo un esaltato strafatto.»

«Cosa sarebbe successo se non mi fossi accorto di voi, eh Kei? Ti avrebbe aggredita? Ti avrebbe… kamisama, non voglio neanche pensarci.»

Kei continuava a torturarsi il labbro in evidente difficoltà, segnale che le sue parole avevano colto nel segno.

«Devi riflettere su ciò che fai, le tue azioni hanno delle conseguenze, che ne sarà di Yuki se ti succede qualcosa? Se tu muori, lui rimarrà da solo.»

«Come hai detto?» Kei aveva raddrizzato la testa talmente velocemente che Tsubasa si sorprese non si fosse rotta qualche osso del collo «Cosa vuol dire che rimarrà da solo? Ci sei tu con lui, o sbaglio?»

«Hai capito cosa intendevo.»

«No, non l’ho capito, spiegamelo.»

«Kei…» sospirò, portandosi le mani ai fianchi e arretrando di un passo.

«Bastano pochi mesi qui per farti pentire delle tue promesse? Già non sopporti più l’idea di prenderti cura di Yuki? Dov’è finito il tuo mantra “mi prenderò io cura di voi”.» scimmiottò le sue parole muovendo le mani come se fossero bocche.

«Io mi prenderò sempre cura di voi, qualunque cosa accada, ma devo pensare anche a me stesso.»

Kei rimase a fissarlo a bocca aperta, il che lo indusse a proseguire nel suo discorso, accorciando le distanze fra loro.

«Io pensavo…» deglutì, rendendosi conto solo in quel momento di quanto fosse difficile esternare ciò che aveva in mente «Tra me e Sanae le cose vanno bene, così pensavamo… volevamo…»

«Bas.» lo esortò, puntando le iridi scure su di lui.

«Vogliamo andare a vivere insieme.»

Lo disse tutto d’un fiato, e si sentì improvvisamente leggero e pesante allo stesso tempo.

Keiko rimase in silenzio, non disse nulla: furono istanti interminabili, dove si scrutarono a vicenda, come alla ricerca delle reciproche emozioni.

«Te ne vai…»

Un sussurro, una semplice constatazione carica di dolore.

«Non posso stare qui con te senza pensare di ferire i suoi sentimenti, e non ho intenzione di tornare a vivere da mia madre. Cercherò un posto qui vicino, e lei… noi ci proveremo, recupereremo il tempo perso. Ma sarò sempre qui, Kei-chan.»

Provò ad abbracciarla, ma Keiko si scostò, le iridi scure allagate: perché reagiva così? Non era felice per lui?

«Ed ecco un’altra persona che se ne va, e della mia família non rimane che un mucchio di ricordi.»

«Keiko…»

«Non toccarmi.» arretrò di un passo «Tu, Roberto, mio padre, siete tutti uguali, tutti della stessa pasta. Portate la gente a fidarsi di voi e poi la pugnalate dritta al cuore.»

«Adesso non essere melodrammatica, non ti sto abbandonando, abiterò qui in zona, ci vedremo tutti i giorni, mi occuperò di Yuki come ho sempre fatto, e avremo anche l’appoggio di Sanae.»

«Oh, certo. Certo…»

«Davvero non capisco quale sia il problema: pensavi che sarei rimasto qui a vivere con te e Yuki per sempre?»

Lo aveva detto come se fosse un’opzione non realizzabile, ma negli occhi di Keiko lesse tutt’altro.

«Kei…»

La ragazza uscì dalla cucina e si diresse verso l’atrio.

«Dove stai andando.»

Non gli rispose, mentre si infilava le scarpe.

«Keiko.»

Non servì. La porta d’ingresso si richiuse e lui rimase a fissarla, sperando che si riaprisse e che la donna tornasse da lui. Che tornasse a casa.

 

Botan le aveva aperto il portone del garage personale dove poteva occuparsi della sua auto in pace, senza essere disturbata dagli altri scagnozzi di Mori.

Aveva preso l’idro pulitrice e lavato l’esterno della vettura, quindi l’aveva asciugata con cura, e adesso stava lucidando carrozzeria e cerchioni.

Non riusciva a mettere bene a fuoco le sue azioni perché i suoi occhi erano velati da un costante strato di lacrime che, seppur spazzato via dallo sbattere delle palpebre, si riformava di continuo.

Tsubasa se ne sarebbe andato di casa.

Sarebbe rimasta sola con Yuki, mentre lui si sarebbe rifatto una famiglia, una vera famiglia, non quella congrega disastrata di amici come erano sempre stati loro.

Lanciò malamente lo straccio e si passò le mani tra i capelli: che stupida che era stata a fidarsi nuovamente di qualcuno. Aveva lasciato che Tsubasa prendesse talmente tanto piede nella sua vita da arrivare a convincersi di essere innamorata di lui.

Chikao entrò dalla porta laterale e la raggiunse in pochi passi: aveva in mano una bottiglia di cui non riconobbe le fattezze.

«Vuoi?»

«Ti sembro una che si sbronza?»

«Mi sembri una che ha troppi pensieri per la testa e ha bisogno di alleggerirla.»

Le porse la bottiglia e la mantenne alta davanti a sé, in attesa che lei si decidesse.

«Sì, come ti pare.»

La afferrò e ne svitò il tappo per tuffare il naso sull’imboccatura.

«Sembra alcool puro.»

«È whisky giapponese, ignorante.» la corresse, dandole le spalle.

Kei si sedette sui sedili posteriori e assaggiò la bevanda: aveva un odore terribile ma il retrogusto non era così male. Apprezzò soprattutto la sensazione di bruciore che le lasciò la scia alcolica lungo l’esofago, scia che dopo qualche sorso era diventata un vero e proprio inferno.

Eccola lì, a bere whisky in un posto pieno di yakuza che la proteggevano: se non fosse stato per l’alcool, le sarebbe parso di essere tornata bambina.

Era già a metà bottiglia quando Shuzo si palesò, stupito di trovarla lì.

«Credevo fossi a casa da tuo figlio.»

«Shimata mi ha aggredita nel parcheggio dell’officina.»

«Quella testa di cazzo l’ha fatto davvero.»

«Non ci sarà una seconda volta, lo spedirò a concimare margherite se non mi lascia in pace.»

«Non sembri una che uccide.»

«Sono una che si difende.»

Bevette un altro sorso di whisky, il bruciore all’esofago ormai era attutito dall’effetto dell’alcool.

«Qualche problema a casa?»

«Che cazzo sei, Mori, il mio psicologo?»

Lo yakuza le tolse la bottiglia e ne bevve due lunghe sorsate, quindi si pulì la bocca sull’avambraccio e gliela porse, mettendosi comodo sul sedile accanto a lei portandosi una mano sulla fronte.

«Chikao deve averti presa a cuore per darti una bottiglia della sua scorta personale.»

«Gli avrò fatto pena.» fece spallucce.

«Lo sai che noi giapponesi ci sbronziamo prima perché ci manca un enzima nel fegato?»

«In pratica beviamo di meno e ci ubriachiamo di più.» ne convenne lei.

«Se ci pensi bene, per i miei affari è un disastro: questi vengono nei miei locali, bevono poco e niente e sono ridotti come degli stracci.»

Keiko scoppiò a ridere, porgendogli nuovamente la bottiglia.

«La prima volta che ci siamo sbronzati è stato dopo la prima race war vinta da Tsubasa. Nessuno avrebbe scommesso su di lui, ma noi lo avevamo addestrato a dovere. Con una parte dei soldi della vincita, Cris ha comprato una bottiglia di un liquore improponibile e ce lo siamo bevuti nel giardino di casa, a notte fonda, guardando le stelle. Credo che Tsubasa abbia vomitato anche l’anima, prima di andare a letto, e il giorno dopo a scuola era uno straccio.» concluse, fissando il tettuccio della vettura e perdendosi nei ricordi.

«Io sono riuscito a far ubriacare Yuzo solo una volta, per il suo diploma. Me lo rinfaccia ancora adesso.» Kei voltò la testa verso di lui, corrugando le sopracciglia in una silenziosa domanda «Gli avevo corretto i cocktail analcolici a sua insaputa.»

«Sei un diavolo, Mori-san.»

Shuzo ridacchiò, ripensando probabilmente a quel momento.

«Ti chiedi mai…» Kei rannicchiò le ginocchia al petto e le abbracciò «Ti chiedi mai come sarebbe stata la tua vita senza la yakuza?»

«No, mi piace la mia vita.» fece spallucce, regalandosi un altro sorso di whisky «Tu invece sì, mi pare di capire.»

«Da che ho ricordo, ho sempre saputo di far parte di una famiglia che aveva qualche libertà in più rispetto alle altre, e che i soldi che avevamo non erano tutti frutto del lavoro da impiegato di mio padre. Dopo l’incendio, per Yukiko è stato naturale andare a chiedere protezione a Tanaka-san, in fondo eravamo già parte della famiglia… solo che senza la protezione di nostro padre eravamo semplici pezzi di carne da sfruttare a piacimento, così lei ha fatto da scudo in modo che io potessi avere una vita pressoché normale. Mi chiedo spesso come sarebbero andate le cose se lei avesse preso una decisione diversa.»

«Ah, Noshimuri, mi pare di leggere una vena malinconica nelle tue parole, e io non sono la persona adatta per questo genere di confidenze. Dovresti sfruttare di più mio fratello, lui è più bravo di me. Oppure Tsubasa, non è il tuo braccio destro? L’altra metà della tua mela?»

Kei sentì la rabbia montarle dentro, frammista ad alcol, una pessima combinazione.

«Tsubasa sta vivendo una nuova vita, e nel suo futuro la mia presenza non è contemplata.» ringhiò, voltando la schiena allo sportello e distendendo le gambe fino a toccare Shuzo.

«Ah, l’eterea Sanae ha ottenuto ciò che voleva, si è ripresa il suo manzo.»

«Auguri e figli maschi.» replicò lei, alzando un immaginario bicchiere per un brindisi.

«Forse è la tua occasione di riscatto: senza Tsubasa, puoi vivere davvero la vita che scegli.» Shuzo si sporse verso di lei «Che vorresti fare?»

«Credo che la cosa che mi renderebbe felice sarebbe tornare in Brasile, ma sono consapevole del fatto che manca comunque un pezzo di cuore per tornare là. Se anche lo facessi, non avrei il supporto di Cris, e comunque… comunque Tsubasa sarebbe qui. Abbiamo condiviso tutto in questi nove anni di conoscenza, è difficile pensare a una vita senza di lui.»

«Ma devi farlo: lui è proprio il classico uomo casa e famiglia, non mi stupirei se lui e Sanae si sposassero presto e avessero anche dei figli.»

«Tu non lo conosci.» Kei scosse il capo e si sporse verso di lui per afferrare la bottiglia quasi vuota «Forse una volta era così, sì, forse una volta lo era. Ma questo prima che il Brasile gli entrasse nelle vene e gli modificasse il DNA.»

Kei ingollò gli ultimi sorsi di alcol e porse la bottiglia vuota a Mori, che si limitò a lanciarla alle sua spalle attraverso il finestrino aperto, facendola finire in mille pezzi.

«Sei un coglione, Mori, io ci devo girare qui dentro.»

Kei scese barcollando e recuperò scopa e paletta da un angolo, radunò i cocci e li recuperò, non senza fatica.

«Chiamo Sota e ti faccio riportare a casa, non puoi guidare in quelle condizioni.»

«Non importa.»

«Importa a me: sei la mia unica driver al momento, finché quel coglione di Gaho non recupera la mobilità del braccio, quindi devo tenerti sotto una campana di vetro.»

«Non importa perché dormirò qui.»

Lo superò e tornò a sedersi nei sedili posteriori, guardandosi attorno alla ricerca di qualcosa da usare come cuscino. Shuzo si sporse verso di lei attraverso lo sportello aperto, la prese per una mano e la fece scendere.

«Non pensavo fossi una stupida ragazzina viziata che si rifugia a piangere quando le viene tolto il suo gioco preferito.»

«Io… cosa? Devo essere ubriaca perché sto sentendo discorsi senza senso.»

«Sì, tu sei ubriaca e io sono brillo, ma rimani una bambina viziata se adesso ti rifugi qui per non affrontare i problemi. Prendi Ozora e digli che è un coglione.»

«Parli di cose che non sai, per favore, taci.»

«Ascolta, te l’ho già detto, non me ne faccio di niente di un driver che ha altri pensieri per la testa. Rischio che tu ti perda mentre guidi e se ti succede qualcosa, succede qualcosa anche al mio prezioso carico. Che non sei tu, per inciso.»

«Grazie per la precisazione, ma quando guido sono perfettamente all’erta.»

Gli voltò le spalle per tornare a sdraiarsi in auto, ma Shuzo la afferrò per un braccio, glielo torse dietro la schiena e la spinse contro la portiera anteriore, la mano piantata in mezzo alle scapole. Kei rimase senza fiato per qualche secondo, poi recuperò la lucidità necessaria e con la mano libera afferrò la presa di Mori, premendo sul polso: quando percepì la morsa allentarsi, si voltò e lo allontanò con un piede, quindi si mise in posizione di guardia.

«Chi è che non è sul pezzo, eh, Malerba?» lo schernì. Shuzo non se lo fece ripetere e si avventò nuovamente su di lei, cercando di bloccarle le mani: Kei arretrò saltellando, fino a fermarsi contro la vettura, quindi approfittò di un gancio a vuoto di Mori per abbassarsi e volare alle sue spalle.

«Non male per essere sbronza, Noshimuri.»

«Non bene per essere uno yakuza, Mori-san.»

Shuzo si passò una mano sul volto, quindi alzò le braccia.

«Ok, ok, mi sbagliavo. Sei attiva.» Kei abbassò la guardia mentre lui si avvicinava «Resta il fatto che continui a pensare a lui, e non va bene.»

Sapeva che Mori non era uno che mollava, così stoppò il suo pugno sinistro, ma non aveva previsto lo sgambetto, e si ritrovò lunga distesa a terra, con lui che le teneva le mani ferme sopra alla testa.

«Questa posizione mi ricorda qualcosa…» sogghignò lui, il volto a pochi centimetri dal suo.

«Anche quella volta hai avuto fortuna.»

«Forse stavolta non è solo fortuna, forse sei tu che non sei nel pieno delle tue facoltà.»

«Ti ho già detto che sto bene, e che Ozora non sarà un problema.» ansimò, rendendosi conto solo in quel momento di quanto fosse sconveniente quella posizione e di quanto le labbra di Shuzo fossero vicine alle sue. Lo yakuza la fissò negli occhi, e si morse il labbro inferiore.

«Bene.» proclamò lui.

«Bene.» ripeté lei, con poca convinzione.

«E smettila di rispondermi a tono!» un lampo gli attraversò gli occhi mentre l’aiutava a sollevarsi.

«E tu smettila di trattarmi come se fossi una tua dipendente.»

«Lo sei.» ghignò.

«Sono solo la tua autista di fiducia.»

«Sei una mia proprietà.»

Kei lo afferrò per la maglietta e lo attirò a sé, fissandolo duramente negli occhi.

«Io non sono di nessuno, Mori-san, mettitelo bene in testa.»

Shuzo si limitò a sorridere, ma l’attimo dopo aveva infilato le mani all’interno dello spazio tra le sue braccia, sciogliendo la presa che lei aveva sulla maglietta, e l’aveva spinta malamente contro al muro.

«Finché hai a che fare con me, considerati parte del mio team. Sei fortunata, non a tutti è dato scegliere come farne parte e quando poterne uscire, quindi sì, in parte sei libera, ma solo quando lo decido io.»

«Fottiti, stronzo.»

La reazione di Shuzo fu tutto fuorché sensata: si era avventato sulle sue labbra e le aveva tappate con le proprie. Keiko si accorse di non ragionare più col cervello quando percepì le proprie gambe avvinghiarsi alla vita di Shuzo, che la sostenne dalle natiche mentre la baciava con foga.

Quando la bocca di Mori scese lungo il suo collo, Kei lasciò andare un gemito che provocò un ghigno soddisfatto in lui, portandolo a lacerarle la maglietta per avventarsi sui suoi seni.

«Mori…» mormorò, in un vano tentativo di fermarlo, ma ormai la miccia era stata innescata e non poteva più fermarla.

 


TAAA-DAAAAAN 

C'era chi se lo aspettava e chi mente XD 

Ma d'altronde, quando il fuoco incontra un accelerante, non può succedere altro *ridacchia*

Si aprono nuovi scenari, Shimata torna di prepotenza - in tutti i sensi - mentre Tsubasa spiega le sue ali e vola via dal nido. 

Non dico altro, ci vediamo venerdì prossimo ^^

Un abbraccio grandissimo

La vostra Sakura

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Capitolo 9
*** Promesse o minacce? ***


Velozes e Furiosos

Promesse o minacce?

Kei scostò il lenzuolo e posò i piedi sul freddo pavimento in ceramica: si chinò per raccogliere i suoi vestiti, o ciò che ne rimaneva, cercando di ignorare la fitta alla testa.

«Te ne vai già?» la voce di Shuzo la gelò all’istante «Credevo ci fossimo divertiti.» ammiccò quando lei gli gettò un’occhiata distratta.

«È tardi, devo andare in officina.»

«Noshimuri.»

Il tono di voce era perentorio, il che la indusse a voltarsi completamente verso di lui.

«Non fare quella faccia, un po’ di sesso non ha mai ucciso nessuno.» si sollevò, addossando la schiena al muro e scoprendosi dal lenzuolo, la sua nudità in bella vista.

«Non montarti la testa, Mori: è solo euforia data dall’alcool.»

«Oh, io lo so bene, e tu?»

Scese dal letto e la raggiunse, sollevandole il mento con due dita per obbligarla a fissarlo.

«Di che diamine stai parlando.» si scostò Kei, arretrando di un passo, desiderosa di mettere quanta più distanza possibile da lui.

«Sappiamo entrambi che sei innamorata di Ozora, e stanotte sembravi quasi…» abbassò il tono di voce «disperata. Non fraintendermi, forse il miglior sesso degli ultimi mesi, finalmente ho percepito passione, rabbia, non sei stata ferma imbambolata a gambe aperte ad attendere il Messia.»

«Oh, ti prego.» mormorò, portandosi una mano alla tempia che pulsava con intensità.

«Ozora non sa cosa si perde. Potrei sempre raccontarglielo, magari mi aggrego e lui e Yuzo una di queste sere.» portò le mani al mento con fare pensoso.

«Lascia Tsubasa fuori da questa storia.»

«E tu lasciaci i sentimenti, Keiko.» replicò duro «Ieri sera hai perso il controllo perché avevi la testa da tutt’altra parte.»

«Avrei perso il controllo scopando con te? Tu sei fuori di testa.»

Fece per uscire ma lo yakuza la trattenne per un polso, le dita strette a mantenere salda la presa.

«Sei venuta qui in preda allo sconforto, hai bevuto senza pensare che avrei potuto avere bisogno e ti sei lasciata andare al primo che ti faceva due moine, quindi sì, hai perso il controllo scopando con me.»

Kei non si fece intimorire, incurante della stretta sul polso che iniziava a pulsare, ridusse gli occhi a due fessure e gli puntò un dito sul petto.

«Anche con mezza bottiglia di whisky in corpo sono meglio di quei quattro sfigati che usi normalmente per le tue consegne, e non ero qui in preda allo sconforto bensì in cerca di pace, per mettere a posto i miei pensieri e decidere che direzione prendere. Non credere che io sia così vulnerabile da andare a letto col primo che mi mette le mani addosso, è stata una scopata e nient’altro, voluta da entrambe le parti, o sbaglio?»

Mori incurvò le labbra in un ghigno sarcastico, lasciando andare la presa.

«Buona giornata, Noshimuri.» e mimò il gesto di calarsi il cappello. Keiko scosse il capo e uscì dalla stanza, ignorando gli sguardi curiosi che gli scagnozzi di Mori le lanciarono mentre scendeva la scala in ferro che dall’appartamento portava al capannone.

Quando raggiunse l’officina, Tsubasa era già al lavoro e le lanciò un’occhiata interrogativa.

«Tutto bene?»

«Scusa il ritardo.»

«Non devi scusarti…» replicò, corredando la risposta con un sorriso dolce. Kei si trattenne dall’urlargli dove avrebbe potuto ficcarsela, la sua condiscendenza, si limitò a farsi un caffè e berlo ancora bollente, sperando che le risvegliasse anche l’intelletto e la riscuotesse dal torpore.

«Più tardi mi assenterò per un po’, vado a vedere un appartamento qui vicino con un agente immobiliare. È un vecchio compagno della Nankatsu, e…»

«Non devi giustificarti.» lo liquidò con un gesto.

«Kei, sono serio quando dico che continuerò a occuparmi di voi.»

Inspirò a fondo, chiudendo gli occhi, e affogando il senso di colpa nel whisky che ancora galleggiava nel suo corpo.

«Bas, va bene. È giusto così: hai ragione quando sostieni che non puoi rimanere a vivere per sempre con noi, hai delle esigenze, e…»

«Esigenze?» ripeté lui, alzando le sopracciglia con scetticismo.

«Sì, voglio dire: tu e Sanae, voi due avete perso così tanto l’uno dell’altra che è normale che vogliate recuperare il tempo perso. Solo…» riaprì finalmente gli occhi ed ebbe il coraggio di guardarlo «Ho solo bisogno di tempo per accettare la cosa e adattarmi al cambiamento, l’ennesimo. È stato un anno complicato, troppe cose da portare avanti, e un cuore troppo piccolo per contenere tutte le emozioni.»

Tsubasa allargò le braccia e la accolse in un abbraccio stretto: Kei si accoccolò sul suo petto e strinse il collo della maglietta, chiudendo gli occhi mentre il senso di colpa esalava l’ultimo respiro.

Un colpo di tosse attirò la loro attenzione.

«Ah, Kisugi-san!»

«Ciao, Tsubasa.» lo salutò l’altro. Kei sentì lo sguardo indagatore del ragazzo scrutarla da capo a piedi, prima di rivolgere l’attenzione all’ex compagno di squadra «È un piacere rivederti.»

«Anche per me! Aspetta.»

Tsubasa si sfilò la tuta da lavoro e la appoggiò sul carrello degli attrezzi: Kei lo squadrò da capo a piedi e ritorno, salvo poi distogliere lo sguardo con imbarazzo, la nottata appena trascorsa l’aveva resa più audace e le aveva riempito la testa di pensieri impuri.

Sì, perché Mori su una cosa aveva ragione: il suo era stato un sesso disperato.

 

Aveva apprezzato ogni singolo dettaglio della casa che Teppei gli aveva mostrato, e ora stava viaggiando con la mente, pensando a come avrebbe potuto arredarla, a come sarebbe stato viverci con Sanae, alla cameretta di Yuki e Keiko.

Un lampo gli attraversò la mente e si sollevò dal divano: la cameretta di Yuki e Keiko? Da dove gli era uscito quel pensiero?

Posò i piedi a terra e fissò il vuoto davanti a sé, rendendosi conto che la sua mente non era ancora settata per una vita in una casa in cui Kei non fosse presente. Certo, tutto quello che le aveva detto era vero – sarebbero stati vicini, non l’avrebbe abbandonata, eccetera – ma lei non sarebbe stata lì fisicamente.

La birra alle due di notte.

I tornei di poker improvvisato.

I sanduíche de mortadela.

Le grigliate in giardino.

Provò una fitta tremenda ripensando al suo giardino nella sua casa a Santos, la prima abitazione che avesse mai posseduto.

Mentre si stendeva nuovamente sul divano, ripercorse mentalmente i passi del vialetto, visualizzò l’ingresso e aprì la porta scostando la zanzariera che svolazzò per la corrente d’aria; vide Kei in piedi ai fornelli, intenta a preparare la cena, Yuki a tavola concentrato sul suo disegno, e udì Cris canticchiare sotto la doccia.

Riaprì gli occhi. Il ricordo del suo irmão era troppo doloroso per poterlo affrontare, non era ancora pronto. Diceva a tutti di aver affrontato il lutto ma la realtà dei fatti era che aveva semplicemente sotterrato il ricordo in un angolo e faceva di tutto per non pensarci.

Bip.

Controllò il cellulare, ma non c’era nessuna notifica ad attenderlo.

Bip.

Keiko aveva forse lasciato acceso il forno?

Bip.

Scattò in piedi e voltò lo sguardo verso il pc portatile: la mappa di San Paolo era aperta sullo schermo, come sempre, e un puntino rosso lampeggiava a ritmo col suono.

Bip. Puntino Rosso.

Bip. Puntino Rosso.

«Non è possibile.» mormorò, chinandosi davanti allo schermo e cercando di capire cosa dovesse fare.

Neppure il tempo di posare le mani sulla tastiera che il puntino era sparito, e il silenzio era piombato nuovamente nel salotto.

«Che stai facendo, Bas?»

La voce di Keiko lo fece trasalire, e si voltò verso di lei come colto in flagrante.

«Ah, io volevo guardare una cosa…»

«Usa quello dell’officina, questo è troppo lento.»

Sembrava non essersi accorta di nulla, e per non alimentare false speranze preferì non dirle ciò che aveva appena visto coi suoi occhi.

«L’appartamento com’era?» era tornata in salotto e si era seduta sul divano, birra alla mano.

«Molto bello, mi piacerebbe portarci Yuki per avere la sua approvazione e fargli scegliere la cameretta.»

«Cameretta?»

«Sì.» si sedette accanto a lei e le tolse la birra di mano per condividerla «Se avesse uno spazio tutto suo, sono certo che non si sentirebbe escluso.»

«Ne hai parlato con Sanae?»

«Sono certo che non avrà nulla in contrario.» replicò secco, bevendo un sorso di birra.

«Le stai già imponendo la presenza di un bambino, non sono certa che la prenderà bene.»

«Non le sto imponendo nulla, Yuki è mio figlio, è giusto che abbia i suoi spazi a casa mia.»

«Come ti pare.»

«Riesci sempre a rovinare l’atmosfera.»

Ed ecco nuovamente la magia tra di loro che si spezzava: non riuscivano più neanche ad affrontare una discussione civile senza finire col punzecchiarsi e dirsi cattiverie.

Si preparò alla replica piccata di Kei ma questa non arrivò: la osservò, si stava limitando a fissare davanti a lei, lo sguardo vuoto.

«Forse è giusto che tu te ne vada: da quando siamo qui…» sospirò, passandogli la birra «Non siamo più riusciti ad avere un dialogo, proprio noi che abbiamo sempre parlato di tutto.»

«Ti sei pentita?» le domandò, fissando lo stesso punto davanti a sé nella speranza di cogliere cosa stesse attirando la sua attenzione.

«Se mi stai chiedendo se rivorrei la mia vita di prima, la risposta è sì. Darei qualunque cosa. Ma…» tolse il focus da davanti a sé e si concentrò su di lui «So che non è possibile, quindi cercherò di andare avanti con quello che la vita mi offre, sperando di stare bene e di avere la salute.»

«Questa frase è molto da Beto.»

«Oh, sicuramente lui si sarebbe dilungato in una dissertazione filosofica su quanto sia necessario trovare il proprio equilibrio anche in situazioni difficili.» Kei si raddrizzò sulla schiena e puntò l’indice della mano sinistra verso l’alto «”Vedete, ragazzi, non è solo questione di vivere la propria vita, bensì di vivere la miglior vita possibile.”» citò, cambiando inflessione della voce per imitare quella maschile di Hongo, e scoppiando poi a ridere lasciandosi ricadere contro il morbido cuscino.

«Quanto mi manca…»

«Ti costa ammetterlo, vero?»

Tsubasa annuì, senza aggiungere altro. Sapeva che Keiko lo comprendeva, lo aveva sempre fatto: aveva sempre capito ogni singola cosa di lui, senza che dovesse spiegarsi o giustificarsi.

«Anche a me manca.»

La rivelazione di Kei era ancora più stupefacente della propria.

«Devo registrare questa confessione?»

«Non serve, tanto lui non c’è più, e non lo dirò mai più.» ridacchiò «Sono ancora arrabbiata con lui per non essersi preso la sua responsabilità con Yuki, trincerandosi dietro al fatto che con noi sarebbe stato meglio e che era più protetto, però mi rendo conto che l’ha fatto perché ci voleva bene. Sai, Yamai ha detto che parlava spesso di noi, e che aveva una nostra foto sempre con sé.»

«Un modo per ripulirsi la coscienza.»

«Forse.» fece spallucce «Anche tu lo fai, pensando alla cameretta di Yuki nella tua nuova casa.»

«Cosa? Non è vero, io non lo faccio per pulirmi la coscienza.»

L’occhiata che lei gli lanciò fu più che eloquente, così scattò in piedi.

«Sono quasi offeso della tua insinuazione.»

Kei scoppiò nuovamente a ridere, era così bello vederla finalmente un po’ serena. Si mise in piedi di fronte a lui e si allungò per schioccargli un bacio su una guancia.

«Boa noite, irmão.»

 

Yuzo suonò al campanello dove il kanji di Ozora faceva bella mostra di sé, e un attimo dopo si ritrovò proiettato in un luminosissimo salotto.

«Bem-vindo!» il padrone di casa lo accolse a braccia aperte, rifilandogli una sonora pacca sulla spalla.

«Hai trovato un appartamento bellissimo!»

«Kisugi è stato bravissimo, era un’occasione che mi ha fatto cogliere al volo. Gliene sarò eternamente grato.»

Yuzo lo seguì e raggiunsero la cucina tramite una porta scorrevole: l’ambiente era completamente diverso dal precedente, i mobili wengé in netto contrasto col bianco del salotto.

«Sono il primo?»

«Sì.» annuì l’altro, porgendogli una birra «Sanae arriva con Ryo e Yukari, Keiko è andata a portare Yuki da mia madre: ho pranzato qui con loro, volevo che fossero i primi a vederla.»

«Come l’ha presa?»

Tsubasa si prese il tempo di rispondere mentre deglutiva l’abbondante sorso di birra.

«Sincero? Non credo l’abbia presa. Passa pochissimo tempo a casa, appena può scappa nel covo di Mori e – scusa, so che è tuo fratello, ma la cosa mi preoccupa.»

«Shuzo mi ha detto di averla beccata a dormire nella sua auto, un paio di volte.»

L’altro scosse il capo, sconsolato.

«Non so che fare: se solo capisse che non cambierà nulla…»

Yuzo trasalì, non certo di aver sentito bene.

«In che senso “non cambierà nulla”, Tsubasa? A me pare ovvio che sia tutto diverso, ora che tu stai qui e che presto anche Sanae verrà a vivere con te.»

«Mi sono solo trasferito di pochi isolati, non è niente di che.»

«Davvero non te ne rendi conto?»

Dalla faccia che gli rimandò, Yuzo comprese che Tsubasa era rimasto il solito vecchio ingenuo: doveva ammettere, a sua discolpa, che Keiko era stata molto brava a nascondere i suoi sentimenti, di cui lui aveva il sospetto ma non la certezza.

«E Yuki come l’ha presa?» divagò, per nulla intenzionato ad avventurarsi in quel territorio inesplorato.

«Lui mi sembra contento: ha scelto la sua stanza, l’abbiamo arredata come voleva, onestamente non vedo l’ora di averlo a dormire qui. Oh, scusa, vado ad aprire.»

Gli altri ospiti invasero il salotto e si profusero in un coro di meraviglia, entrando, tranne Keiko. La donna rimase in disparte e parve illuminarsi solo quando si rese conto della sua presenza.

«Yuzo-kun.» gli diede un buffetto sulla spalla.

«Stai bene?»

Keiko annuì, cercando di sorridere.

«Starò bene.» sussurrò.

«Venite, la cena è quasi pronta! Ho preparato un picadinho da urlo per tutti voi.»

«Spero che stavolta tu abbia cotto bene la carne, l’ultima volta sembrava di mangiare una suola da scarpe.»

«Divertente, Noshimuri, molto divertente. Per favore, prendi le birre dal freezer.»

«Ancora lo fai? Non ti è bastato quando lo hai quasi fatto esplodere a casa di Hongo?»

«Ehi!» Tsubasa la redarguì brandendo un mestolo «È stato Cris a consigliarmelo, io neanche bevevo, all’epoca.»

«Sì. Certo.» replicò Kei, un sorriso beffardo dipinto sul volto mentre gli passava una birra che aveva appena stappato.

«Non ho capito una cosa.» Ryo accettò la birra che la ragazza gli aveva porto e si grattò una tempia «Abitavate tutti insieme?»

«Sì.»

«No.»

Kei e Tsubasa si scambiarono uno sguardo divertito.

«No, quando fece quasi esplodere il freezer io vivevo coi miei genitori e mia sorella.»

«Sì, ti eri appena trasferita, non ricordi?»

«Ti sbagli, Bas.»

«Kei, erano le birre per la race war di Cris.»

La donna rimase un attimo in silenzio, come se stesse riflettendo.

«No, quelle erano per la fine della scuola. Le birre della race war le avevamo messe in garage da me per evitare che Roberto le trovasse.»

Yuzo notò con la coda dell’occhio che Sanae si era come rabbuiata, e non faticò a comprenderne il motivo: la sintonia di Kei e Bas aveva colpito anche lui, la prima volta che aveva avuto a che fare con loro.

«Tá bom, andiamo a sederci. Kei, le birre.»

«Sì, sì.» lo liquidò con un gesto.

Tsubasa li fece accomodare, e sparì in cucina, da cui giunsero delle frasi sconnesse in portoghese e qualche risatina.

«Beh, pare che Keiko l’abbia presa bene, o sbaglio?» Ishizaki lo sussurrò per non farsi sentire.

«Cosa doveva prendere, mica stavano insieme.» rimbeccò Yukari, piccata.

«Certo che stavano insieme, hanno anche un figlio!»

«Non essere imbecille, Ryo.» Yukari pareva sul piede di guerra «Si vede lontano un miglio che quello non è figlio di Tsubasa, Keiko l’avrà costretto ad assumersene la responsabilità.»

«Yukari!» Ryo strabuzzò gli occhi per la sorpresa «Non mi sembra che Tsubasa si comporti controvoglia con Yuki, e sai bene che i figli sono di chi li cresce, non di chi li mette al mondo.»

«Vuoi che cresca questo figlio col postino, Ishizaki?»

Ryo alzò le mani in segno di resa, e si lasciò andare contro la sedia.

«Vedi, Morisaki, fai bene a non sposarti con una donna.»

Yuzo curvò le labbra in un sorriso di circostanza, poiché sapeva che l’amico non lo aveva detto con cattive intenzioni.

Tsubasa e Keiko si palesarono in quel momento, lui con una pentola in mano e lei con cinque birre tenute in mano con una destrezza che solo chi ci è abituato può avere.

«Ah, le hai anche già stappate: grazie, Keiko!» Ryo, sempre cordiale, si allungò per aiutarla.

Quando si furono accomodati, Yuzo percepì l’attimo di esitazione che Keiko ebbe nei confronti di Tsubasa: aveva la birra in mano e si era voltata verso di lui come ad attendere il suo benestare per poter iniziare la cena, quel “Saúde, família!” che gli aveva sentito pronunciare in svariate occasioni, quando si sedevano a tavola per mangiare.

«Beh, assaggiamo questa specialità!» esclamò quindi, avventandosi sulla portata e togliendo l’amica dall’impasse, un po’ come immaginava che avrebbe fatto Cris in quella situazione.

Ma se ci fosse stato Cris, forse la loro famiglia non si sarebbe disgregata.

Erano quasi al dolce quando sentì vibrare il cellulare nella tasca.

«Shuzo?» rispose di riflesso, voltandosi d’istinto verso Keiko.

«Ehi, fratello! Non è che chiederesti a Tsubasa di aprirmi la porta?»

«La porta?» si alzò in piedi e si diresse verso l’ingresso, seguito dal padrone di casa già scuro in volto.

«Esatto, ho portato un regalo.»

Tsubasa aprì la porta e si trovarono davanti a un’enorme pianta da appartamento, dietro alla quale fece capolino suo fratello.

«Ehi, eccomi qua.» avanzò costringendoli a scostarsi «Questa dove la metto?»

Senza attendere oltre, la posò in un angolo e si diresse in salotto, sfregandosi le mani.

«Ah, che bella compagnia.» decretò, lasciandosi sedere sulla prima sedia che aveva trovato libera – la sua.

«Sei venuto a rovinarci la festa, Mori-san?»

Keiko non perse tempo in convenevoli, iniziando a lanciare le sue frecciatine al ragazzo.

«Al contrario, sono qui per ravvivarla!» e, aprendosi il gilet, ne estrasse una bottiglia, lasciandola poi cadere rumorosamente al centro della tavola.

«Ah, ma questo è whisky giapponese!» Ryo la prese per leggerne meglio l’etichetta, e a Yuzo non sfuggì l’espressione di vivo terrore che si dipinse sul volto di Keiko.

«Il migliore.» Shuzo lo stappò e ne versò un’abbondante quantità nel bicchiere dell’ex difensore.

«Non hai nulla di meglio da fare, stasera?»

Keiko si era messa di tre quarti e teneva lo sguardo fisso su Shuzo.

«Ehi, sono venuto a festeggiare un amico, non siamo qui apposta?»

«Noi sì, tu sei un intruso.»

Shuzo ingollò il contenuto del suo bicchiere e degnò finalmente la ragazza del suo sguardo.

«È anche merito mio se siete qui, non sono autorizzato a festeggiare?»

«È merito tuo se siamo in tante altre situazioni…»

Nel momento in cui Shuzo afferrò il polso di Keiko, intenzionata ad afferrare la bottiglia di whisky per servirsene, un silenzio di ghiaccio calò nella stanza.

Yuzo si voltò verso Tsubasa, ancora al suo fianco, che aveva contratto la mandibola e stretto i pugni, e gli posò una mano sulla spalla nel vano tentativo di calmarlo.

Recuperata la lucidità, Keiko non si scompose: usò l’altra mano per afferrare il polso di Shuzo e fece pressione per fargli mollare la presa, quindi gli alzò il braccio tenendolo tra loro due.

«Non è il momento per l’alcool, Noshimuri. Dobbiamo andare.»

«Stasera no.» sussurrò lei, e a Yuzo sembrò quasi che lo stesse supplicando con gli occhi. Il suo gemello non si scompose e le si avvicinò di un passo, azzerando la distanza fra i loro volti.

«Stasera sì. Come sempre.»

Le voltò le spalle e recuperò il suo solito sorriso scanzonato.

«Beh, allora grazie per la bella serata, è stato un piacere. Mi spiace portarvi via un’ospite ma sapete com’è, gli affari sono affari.»

Afferrò un tozzo di pane e se lo ficcò in bocca, masticando a bocca aperta mentre rifilava una pacca sulla spalla a Ishizaki e mimava il gesto del cappello con Sanae e Yukari.

«Keiko resta dov’è.»

Le parole di Tsubasa riecheggiarono nel salotto facendolo ripiombare nel silenzio. Shuzo si mosse lentamente, con fare divertito, e lo raggiunse ciondolando.

«Mi fa piacere che tu ti sia accorto di aver bisogno di lei, Tsubasa, ma stasera Keiko ha di meglio da fare che giocare alla bella statuina mentre tu mostri a tutti che bella nuova vita ti sei cucito addosso, qui in Giappone.»

«Guai a te, Mori.»

«No, guai a te, Ozora.» sul volto di Shuzo non c’era più alcuna traccia di divertimento «Lascia stare il mio orticello o te ne farò pentire.»

«È una minaccia?»

«Una promessa.»

«Malerba, andiamo.» lo richiamò Keiko, che era sfilata accanto a loro e lo attendeva sulla porta.

«Kei.» Tsubasa si voltò di tre quarti «Non sei obbligata ad andare.»

Yuzo lo vide: vide chiaramente il tentennamento negli occhi di Keiko. Le vide passare lo sguardo da lui, a Sanae, e poi nuovamente su di lui.

«Lo so.» rispose, prima di chiudersi la porta alle spalle.

 


E buongiorno di nuovo e buon venerdì! 

Nessuna walk of shame per Keiko che, anzi, tiene testa - come sempre - a Mori, mettendo i puntini sulle i, anche se in cuor suo è ben consapevole di essersi lasciata forse un po' troppo andare. 

La nottata con Shuzo però sempra portarle consiglio perché riesce ad avere una discussione civile con Tsubasa, al suo rientro in officina, che non si domanda troppo dove fosse - forse anche lui cerca di rimanere civile e di chiudere un occhio. 

E finalmente arriviamo all'inaugurazione del nuovo nido d'amore di Tsubasa (che però finalmente ci mostra un lato di sè che finora aveva tenuto nascosto, quella saudades che credevamo non avesse) e Mori fa il suo ingresso per - a mio parere - spiscettare un po' come fanno i gatti per il controllo del territorio. 

Che dire, aspetto le vostre opinioni, non vedo l'ora ^^

Un abbraccio grandissimo

La Sakura

PS: come dite? Ah, quel puntino rosso? Eh eh eh...

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Capitolo 10
*** Driver ai box ***


Velozes e Furiosos

Driver ai box

Keiko guidava concentrata sulla strada, la mente cercava di vagare ripensando alla serata ma lei la riportava di prepotenza al presente, non avrebbe dato a Mori alcun appiglio per poterle rinfacciare di aver ragione.

«Svolta a destra.»

Scalò la marcia e mise la freccia, controllando la strada davanti e dietro per poter effettuare la svolta in sicurezza.

«Accosta lì davanti.»

Fermò il mezzo esattamente dove le aveva indicato lo yakuza.

«Aspettami qui.» si sporse verso di lei, con un sorrisetto beffardo «Faccio presto, così puoi tornare alla tua festicciola.»

«Stronzo…» sibilò, mentre lo osservava sfilare lungo la strada e perdersi nei vialetti.

Si chiuse all’interno dell’auto e si sdraiò, poggiando le ginocchia contro il volante e portandosi una mano alla fronte.

E così da quel giorno iniziava ufficialmente la sua nuova vita senza Tsubasa.

Sospirò, abbassando lo specchietto retrovisore e prendendo in mano la sua foto salvavita, che ritraeva lei, Bas, Yuki e Cris nel giardino della casa di Santos. La loro casa.

E invece adesso Tsubasa aveva una casa tutta sua, senza di loro.

Questo era la ferita maggiore, più profonda di quella causata dalla vista di lui e Sanae innamorati: sapere che dopo tutti quegli anni gomito a gomito lui non sentisse più il bisogno di averla accanto.

Voltò lo sguardo all’esterno, per osservare la fila di palazzi tutti uguali: Yamabuki era il quartiere che meno amava, perché per certi versi le ricordava la parte peggiore del bairro da Liberdade, dovendo venirci spesso per gli affari di Mori.

Tra le auto parcheggiate alle sue spalle, una attirò la sua attenzione: le R32 erano poco comuni, e lo erano ancora meno quelle attrezzate con una bull bar. Si raddrizzò immediatamente, i sensi all’erta, e strinse il volante, rimuginando sul da farsi: Mori ancora non si vedeva, e da quanto poteva notare Shimata era come sempre sotto l’effetto di droghe, lo vedeva agitarsi dallo specchietto.

Aprì la sicura e posò il piede sull’asfalto, guardandosi intorno con noncuranza per non dare l’impressione di averlo beccato, quindi scese e si piantò le mani nelle tasche dei pantaloni.

Il rumore di portiera le allertò tutti i sensi, e concentrò l’udito sullo scricchiolio dei passi alle sue spalle, voltandosi appena in tempo per schivare una mazza da baseball che Shimata aveva calato su di lei.

«Ma che cazzo…» biascicò, saltando indietro per mettere della distanza tra lei e quel pazzo furioso.

«Io ti ammazzo, stupida puttana.»

Un nuovo colpo calato su di lei che si infranse contro lo specchietto laterale dell’auto.

«Brutto coglione, quella è la mia auto!»

Ruotò su sé stessa e lo colpì in pieno petto con un calcio, facendolo arretrare di qualche passo, quindi si mise in posizione di difesa, i pugni ad altezza viso.

«Non avrai sempre Malerba a difenderti, puttana!»

Un nuovo tentativo di colpirla con la mazza che Kei schivò chinandosi all’indietro.

«Sei monotono, Shimata, ripeti sempre le stesse cose.»

L’uomo lasciò cadere la mazza ed estrasse una pistola, puntandogliela contro: di riflesso, lei alzò le mani.

«Così ragioniamo.» si avvicinò, e col calcio della pistola la colpì in pieno volto.

«Si può sapere che cazzo vuoi da me?» si asciugò il rivolo di sangue che le colava dall’attaccatura dei capelli e arretrò di un passo, trovandosi addossata al muro del palazzo.

«Mi hai umiliato davanti a tutti, giocando sporco per arrivare a vincere.»

«Io ho solo guidato, non è colpa mia se so farlo meglio di te.»

«Ci sono anche altre cose che sai fare meglio di me…» le puntò la pistola alla gola e con l’altra mano iniziò a slacciarle i pantaloni «E non vedo l’ora di scoprirle tutte.»

«Non farlo, non sarà una pistola a impedirmi di spedirti all’obitorio.»

Per tutta risposta, lui caricò il colpo mentre con l’altra mano si insinuava nelle sue mutande.

Kei deglutì e strinse il pugno destro, ma non ce ne fu bisogno: un attrezzo atterrò sulla testa di Shimata, stendendolo.

«Questa testa di cazzo di dimensioni epocali…» Shuzo gettò il mozzicone di sigaretta a terra e lo schiacciò con la punta dello stivale «Se devi scopare, almeno fallo in qualche luogo privato.»

«Fottiti.» ringhiò, mentre si riallacciava i pantaloni. Scavalcò Shimata, trattenendosi dal tirargli un calcio in faccia e tornò alla vettura.

«Stai bene?»

Annuì leggermente mentre si immetteva nel traffico notturno di Nankatsu.

«Devo risolvere questa questione, o rischio di dovermi guardare le spalle di continuo.»

«Ti serve un favore?» ghignò lui, rollando una sigaretta.

«No, Malerba, me la vedo io.»

«Allora vedi di farlo in fretta, ché non mi servi da morta.» replicò lui, quindi si sporse verso di lei e le scostò i capelli dalla fronte «Hai bisogno di punti.»

«Sto bene.» masticò, scostando malamente la sua mano.

Shuzo estrasse il cellulare e fece partire una chiamata.

«Ciao, fratellino! Posso chiederti un favore? Ma certo, che domande fai? Dovresti venire a prendere Keiko al pronto soccorso. Naaah, sta benissimo, ha solo avuto un incontro ravvicinato con una pistola. Nooo, col calcio di una pistola. Senti, raggiungici e lo vedrai coi tuoi occhi, va bene?»

Chiuse la conversazione e si voltò a osservarla.

«Badante avvisato.»

«Quindi è tuo fratello che tira te fuori dai guai, pensavo fosse il contrario.»

«Yuzo non ha bisogno di essere tirato fuori dai guai, è un bravo ragazzo, lui.»

«Siete così diversi che mi risulta difficile pensare che siate davvero gemelli.»

«Lui è la parte migliore di me.»

Shuzo volse lo sguardo fuori dal finestrino, Kei lo notò con la coda dell’occhio: lui non lo sapeva, ma lei capiva bene il senso di quella frase, Yukiko gliel’aveva ripetuta all’infinito quando cercava di tenerla fuori dai guai.

«Siamo arrivati.» mormorò, parcheggiando di fronte al pronto soccorso.

«Yuzo arriverà a momenti. Se ti chiedono come ti sei fatta male…»

«Tranquillo, so cosa fare.» concluse scendendo dalla vettura e dirigendosi barcollando verso l’ingresso. Sentiva la testa pesante e forse aveva perso più sangue di quanto avrebbe ammesso.

 

Tsubasa entrò in pronto soccorso come una furia con Yuzo alle spalle che cercava di calmarlo.

«Noshimuri Keiko.» e batté le mani sul desk della reception per enfatizzare la richiesta.  

«Stanza 4, ma non potete entrare, il medico… ehi!»

Incurante delle regole, percorse a grandi passi il corridoio e spalancò la porta, facendo sobbalzare il medico.

«Ma che modi sono? Lei chi è?»

«È il mio contatto di emergenza.» Keiko aveva gli occhi chiusi ed era particolarmente pallida.

«Non può entrare così.»

«Lo lasci, non importa.»

Borbottando un po’, il dottore terminò la sutura e si congedò.

«Si può sapere che è successo?»

«Shimata mi ha aggredita mentre aspettavo Mori, a Yamabuki.» biascicò, sdraiandosi sul lettino.

«Ti hanno dato qualcosa per il dolore?» Yuzo le si avvicinò e le carezzò una mano.

«Ho solo mal di testa, passerà.»

«Kei…» Tsubasa si avvicinò di un passo, sperando che lei aprisse gli occhi «Non puoi continuare così…»

«Non è niente, Bas, sono venuta in pronto soccorso perché Mori mi ha costretto.»

«Quanti punti ti hanno dato?»

«Boh, sei, otto, non ho chiesto, siete entrati come se foste l’A-Team e l’avete un po’ indispettito.»

«Kei…» si accomodò accanto a lei e le prese una mano. Lei aprì finalmente gli occhi, iridi stanche su un volto segnato.

«Sto bene.» gli sorrise in maniera forzata.

Lui allungò una mano e le carezzò la zona ferita, stando attento a non esercitare troppa pressione.

«Ti riaccompagno a casa e rimango con te, va bene?»

«Non serve: Yuki è da tua madre, starò bene.»

«Non voglio lasciarti da sola.»

«E io non voglio che tu rimanga.»

«Sai che sei proprio testarda?»

«Senti chi parla.»

«Rimango io.»

Si voltarono entrambi verso Yuzo, che aveva alzato le mani – i palmi rivolti verso di loro – come a intimare una tregua.

«Rimango io a dormire da Keiko, basta che la smettiate di battibeccare come due bambini dell’asilo.»

«Non serve, io…»

«Non voglio sentire storie, Keiko. Dormirò sul divano e mi assicurerò che tu passi la notte indenne, così siamo tutti contenti. O quasi.» concluse, rivolto a Kei che non sembrava apprezzare cotanta premura.

«Sei più carismatico di tuo fratello, mi congratulo.» ammise lei infine, richiudendo gli occhi e sottraendo le mani dal contatto con quelle di Tsubasa. Lui ci rimase male, ma cercò di non darlo a vedere: in fondo non se la sentiva di biasimarla.

Con un cenno, indicò a Yuzo che sarebbe uscito e ne approfittò per chiamare Sanae.

«Come sta?»

«Sta bene, le hanno dato qualche punto in fronte ma dovrebbero rimandarla a casa. Rimarrà Yuzo con lei.»

«Yuzo?»

«Sì, volevo rimanere io ma ha insistito per rimanere sola, e lui ci ha messo una pezza.»

Il silenzio all’altro capo lo indusse a controllare che la telefonata fosse attiva.

«Sanae, sei ancora lì?»

«Sì, io… ti aspetto qui.»

«È bello sentirtelo dire.» sorrise, felice «Torno presto.»

Quando rientrò nella stanza, il medico era tornato e stava dando le ultime indicazioni a Keiko che, già seduta sul bordo del letto, sembrava non vedesse l’ora di andarsene.

«… e torni nel giorno indicato sul foglio di dimissioni per rimuovere i punti.»

«Oh, non serve, so farlo da sola.»

«Noshimuri-san, la prego…» il medico sembrava davvero esasperato.

«Non si preoccupi, la porteremo noi. Arrivederci e grazie.» Tsubasa prese in mano la situazione e, seppur poco convinto, il dottore si congedò.

«Coraggio, andiamo.» la vide saltare giù dal letto e tentennare un attimo.

«Ti gira la testa?»

«Non è niente.» scostò in malo modo il suo tentativo di aiutarla e mosse qualche passo verso la porta «Andiamo?» li esortò quindi.

Tsubasa e Yuzo si osservarono e fecero spallucce, quindi la seguirono, sospirando in sincrono.

 

Keiko gli allungò un cuscino e un lenzuolo, che lui appoggiò sul divano, prima di avvicinarsi a lei.

«Ti senti bene?»

«Starò bene, grazie Yuzo-kun.» un sorriso stanco le solcò il pallido volto.

«Non mi riferisco solo a quelli.» e, con l’indice, indicò il cerotto sotto al quale erano nascosti i punti di sutura «Dico in generale. Ti va di parlare?»

Kei si portò una mano chiusa a pugno alla bocca e si morse le nocche, distogliendo lo sguardo da lui, poi si lasciò andare sul divano e si passò entrambe le mani tra i capelli.

«Che vuoi che ti dica.»

Approfittando del fatto che sembrasse in vena di confidenze, Yuzo si accomodò accanto a lei, cercando le parole con cui iniziare il discorso.

«Partiamo da Tsubasa?»

Lei alzò lo gli occhi al cielo.

«Proprio ciò di cui non vorrei parlare.»

«Lo so, ma devi affrontare la questione.»

«Non devo affrontare un bel niente: già una volta è stato costretto ad abbandonare il suo sogno e la donna che amava per colpa di…» gesticolò a vuoto un paio di volte, come se cercasse le parole «Non distruggerò nuovamente la sua vita, Yuzo. Non io.»

«Lui sa quello che provi?»

«Di che parli?»

«Io l’ho visto, il cambiamento nei tuoi occhi, Keiko.» si alzò e la raggiunse, prendendola per le spalle e costringendola a osservarlo «Ho visto com’eravate in Brasile e ti ho vista qui. Tu…»

«Non so cosa tu abbia visto, ma sicuramente è sbagliato.» minimizzò, sottraendosi alla presa.

«Quindi non glielo dirai?»

«Cosa, Yuzo, cosa dovrei dirgli?»

«Che sei innamorata di lui.» sentenziò, secco. Era un azzardo, non aveva la certezza della veridicità della sua teoria, ma doveva tentare se voleva arrivare al punto.

«Io non so se sia davvero amore…» Keiko stava sussurrando, tanto che per un istante pensò di averla solo immaginata, la sua voce «So che adesso che lui non è qui, mi sento persa. Senza lui, senza Cris, io non sono… niente.» concluse, voltandosi verso di lui e regalandogli uno sguardo sinceramente provato, le iridi scure allagate dalle lacrime.

«Keiko…» mormorò, avanzando un passo «Non è nascondendo i sentimenti sotto la sabbia che otterrai una vita felice.»

«Vita felice, dici?» lei si passò i polsi sugli occhi per asciugare le lacrime «Io non avrò mai una vita felice, Yuzo, non è nel mio destino. Yuki sì, Yuki può averla. Deve averla. E puoi star certo che farò tutto il possibile affinché la ottenga.»

«Anche affiliarti al clan di Shuzo?»

«Quello è… un effetto collaterale.» ridacchiò, facendo spallucce.

«Oh, in effetti lui è spesso un effetto collaterale.» ne convenne «Ma… non vorrei che tu ti buttassi via, ecco.»

«Che cosa sai?»

«So che Shuzo non mi ha mai chiamato per andare a prendere un suo driver al pronto soccorso.»

«Credo di essere privilegiata perché sono tua amica, e sa che non gli perdoneresti mai che mi succeda qualcosa.»

«E ha ragione.» ne convenne «Perché Cristóvão non me lo perdonerebbe a sua volta, e io voglio che sappia che mi sto prendendo cura di te al meglio.»

Keiko annuì, gli occhi nuovamente allagati dal ricordo dell’amico. Fece per voltargli le spalle ma qualcosa la trattenne: tentennò muovendosi sui piedi, quindi lo raggiunse velocemente e lo abbracciò, lasciandolo spiazzato, ma solo per un istante. L’istante successivo l’aveva cinta nel suo abbraccio e le stava carezzando la nuca, in un gesto fraterno che sentiva di doverle.

Quando si sciolsero l’uno dall’altra, Kei era visibilmente imbarazzata.

«Io non volevo… cioè… io so che tu… sì, insomma… non ci sto provando.»

Yuzo scoppiò a ridere, sinceramente divertito da quel tentennamento della giovane.

«Non l’ho pensato.»

Kei alzò una mano e gliela posò su una guancia.

«Cris aveva visto bene, sei davvero speciale.»

Stavolta fu il turno di Yuzo di chiudere gli occhi per trattenere l’emozione del ricordo: l’ultima volta che aveva visto il sorriso del nissei erano al Bas garage, e lui aveva fatto le sue solite battute su quanto sarebbe stato figo vivere a Nankatsu tutti insieme.

Tutti insieme, Yuzo.

Riaprì gli occhi che Keiko se n’era già andata, aveva rispettato il suo bisogno di solitudine. Voltò lo sguardo verso il portatile, sempre acceso e sempre fisso sulla mappa della regione di San Paolo: sperò di vedere comparire quel puntino rosso, speranza mai persa di ritrovare Cris sano e salvo.

 

«Gaho! Gaho!»

Shuzo si affacciò alla balaustra che, di fronte al suo ufficio, dava sul piano sottostante, dove i suoi ragazzi erano impegnati nelle attività più svariate.

«Botan, dove cazzo è Gaho?»

«Non lo so, capo.» replicò la guardia, alzando le spalle, intento a pelare una mela. Con un moto di stizza, Shuzo scese velocemente le scale in lamiera e raggiunse il centro dello spazio.

«Possibile che nessuno sappia dove si sia cacciato quel coglione?»

Il portone laterale che dava sul parco macchine si aprì in quel momento, e la vettura di Gaho sfilò lungo il corridoio centrale, fino a giungere al suo posto riservato. Il ragazzo ne scese e si allacciò il bottone della giacca elegante, quindi tolse gli occhiali da sole per lanciarli all’interno della vettura ed estrasse il pacchetto di sigarette dalla tasca.

«Alla buon ora.» Shuzo non amava i ritardatari, ma soprattutto non amava non sapere esattamente dove fossero i suoi collaboratori.

«Scusa, capo, ero indaffarato.»

Shuzo gli strappò di bocca la sigaretta e lo afferrò per il collo della camicia.

«Tu dici a me che sei indaffarato? E in cosa, di grazia, che l’unico tuo pensiero dovrebbe essere stare qui e ubbidire ai miei ordini, eh?» lo strattonò per poi lasciarlo andare «Voglio che vai a parlare a Shimata e gli dici che se non la pianta di importunare la mia driver, lo faccio finire a salutare i pesci nella baia.»

Gaho si lisciò la giacca, e non replicò.

«Tutto chiaro?»

«Non capisco perché dobbiamo proteggere quella puttanella.»

«Oh, non lo capisci?» Shuzo lo fissò stringendo gli occhi a due fessure «Il signorino non lo capisce. Botan, hai sentito?» l’uomo fece spallucce, continuando a pelare la mela «Vuoi che te lo spieghi, stupida testa di cazzo? Noshimuri dà dieci a zero, ma che dico, cento a zero a tutti voi, alla guida. Tutti. Te compreso, stupida testa di cazzo.» e gli picchiettò sul petto con l’indice.

«Solo perché ha vinto quella gara…»

«Gaho, da quanti anni lavori con me?»

«Quattro anni, capo.»

«E non hai ancora imparato che non devi mai ribattere a quello che dico? Noshimuri è parte della squadra.»

«E del tuo letto.»

Shuzo non replicò, si limitò a calare il suo destro sullo zigomo del tirapiedi. Gaho arretrò di un passo, tenendosi la guancia. Non pago, Shuzo lo strattonò nuovamente per il colletto.

«Non. Devi. Ribattere.»

«Va bene, va bene, capo.»

«Vai a cercare Shimata e spaccagli il culo. Non voglio più avere Noshimuri ai box per colpa sua.»

Gaho annuì, battendo i tacchi e mettendosi sull’attenti, quindi recuperò la sua 350Z e partì, non prima di avergli lanciato un’occhiata torva.

«Ci sei andato pesante, capo.» Botan pulì il coltellino svizzero sul pantalone e si mise in bocca l’ultimo spicchio di mela.

«Assicurati che Gaho faccia quello che gli ho richiesto. Non mi piace ripetermi.»

«Ok, capo.»

Shuzo lo osservò alzarsi lentamente e raggiungere uno dei nuovi arrivati, che dopo aver parlottato con lui si mise sull’attenti, recuperò una motocicletta e uscì sgommando.

 


Ormai ci abbiamo preso gusto a fare delle comparsate in ospedale: secondo me i medici del Pronto Soccorso quando vedono il nome di Keiko fanno a gara per scaricarsi la responsabilità di visitarla *ride*

Scherzi a parte, Shimata si sta rivelando un problema più grande del previsto e, benché Kei non abbia voluto l'aiuto di Mori, questo ci mette lo zampino. 

Nel mentre Yuzo si offre per stare con Kei e indagare sui suoi sentimenti - in pratica fa quello che vorremmo fare noi XD pone domande XD - e lei sembra lasciarsi andare a qualche confidenza in più. 

Tsubasa, infine, come sempre quando si tratta di Kei sragiona - e forse manco si rende conto di aver indispettito Sanae (non ci sono altre chiavi di lettura per quel silenzio, a mio modesto parere...) 

Grazie come sempre per l'affetto, vi auguro un buon fine settimana!

Sakura 

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Capitolo 11
*** Una vettura sospetta ***


Velozes e Furiosos

Una vettura sospetta

Keiko lasciò andare il cofano dell’auto e vi batté sopra con la mano.

«Fatto.»

«Grazie, Keiko-san.»

Il cliente si prodigò in molti inchini, mentre lei lo osservava con aria divertita.

«Ho solo cambiato l’olio.»

«Grazie. Grazie. Grazie.»

L’uomo raggiunse Tsubasa nell’ufficio per il saldo, e Keiko ne approfittò per andare al lavandino nell’angolo per pulirsi le mani: il campanello dell’officina suonò, avevano chiuso il portone e la porta sulla lamiera rimaneva l’unico ingresso.

«Ehilà.»

La voce di Mori risuonò nello spazio, facendola sbuffare.

«Che ci fai qui?»

«Sono venuto a vedere come stai, Yuzo mi ha detto che ti hanno tolto i punti.»

Lo afferrò per un polso e lo trascinò dietro al separé, giusto in tempo affinché il cliente non lo vedesse.

«Non puoi presentarti così, Mori: abbiamo una reputazione da difendere.»

«Sono pur sempre un cliente, anzi, il tuo miglior cliente.»

«Sì, sì… come ti pare.» biascicò, osservando Tsubasa chiudere la porta e raggiungerli.

«Che cosa vuoi, Mori?» lo interpellò.

«Salve a te, Ozora. Sono venuto a sincerarmi delle condizioni della mia driver.»

«Mi fai venire il mal di testa…» l’ex calciatore si portò una mano alla fronte e si massaggiò il ponte nasale.

Malerba scoppiò a ridere e gli rifilò un paio di pacche sulle spalle.

«Dovresti venire a qualche drift war, Ozora: lì sì che ti passerebbe ogni male.»

«Che sei venuto a fare?»

Alzò le mani e si fece serio.

«Solo una visita di cortesia, nulla più.»

Tsubasa contrasse la mandibola, fissandolo con astio, quindi si voltò verso di lei.

«C’è da recuperare Yuki.» sentenziò.

«Vado io, non ti preoccupare. Tu vai a casa, è stata una lunga giornata.»

«Quindi stasera giochiamo a fare i genitori?»

«Io sono il genitore, Mori-san, tu puoi andare dove vuoi.» si slacciò la salopette da officina e la fece scivolare lungo il corpo, quindi sistemò i pantaloni che aveva tenuto al di sotto di essa.

«Volevo parlarti di Shimata.»

Quel nome le provocò un moto di nausea che si tramutò in una smorfia.

«Che vuole ancora?»

«So che avevi detto che te ne saresti occupata tu, ma ho comunque mandato Gaho a spiegargli come deve comportarsi con i miei collaboratori.»

«Quanto sei coglione.»

«Ehi, puoi comunque spaccargli il culo, se vuoi: nessuno te lo vieta.»

Sbuffò, slegandosi i capelli e dirigendosi verso l’uscita.  

«Allora, posso venire con te a prelevare il pupo?»

«Assolutamente no. Devi stare il più lontano possibile da lui, non voglio che lui ti veda, né ti conosca, né sappia che faccia hai, niente. Lui starà lontano da tutto ciò che puzza di yakuza, giuro sulla tomba di mia sorella.»

Le labbra di Mori si piegarono in un ghigno sarcastico.

«Uuh, adoro quando ti trasformi in mamma chioccia.»

«Sono una fottuta leonessa.» replicò al ghigno, ma con un sorriso divertito.

«Mai messo in discussione.»

Uscirono dall’officina e si salutarono, Kei salì sulla sua Silvia per raggiungere casa di Natsuko. Fu quando tornò alla vettura, parcheggiata davanti al cancello, che si accorse di qualcosa che non andava: allacciò la cintura a Yuki, sul sedile posteriore, e una volta alla guida sistemò meglio lo specchietto.

«Ehi, cucciolo, ti va se andiamo a fare un giro in centro?»

«Gelato!» esclamò lui, alzando le braccia al cielo.

Guidò con calma nel traffico serale, fino al centro commerciale preferito del bambino: parcheggiò accanto all’ingresso e, sempre con un occhio sulla folla, lo condusse fino alla gelateria, dove gli concesse il dolce.

«Ho un’idea! E se adesso prendessimo la cena e ci autoinvitassimo a casa di Yuzo-kun?» gli propose, dandogli un buffetto sul naso.

«A me piacerebbe tanto, mamma.»

«Perfetto, allora andiamo.»

Tornati in auto, si diresse verso il Drive In del fast food e ordinò un po’ di tutto, quindi partì veloce verso casa di Yuzo. Una volta parcheggiato davanti alla graziosa villetta bifamiliare dei Morisaki, suonò alla porta e non appena il ragazzo le aprì, si fiondò all’interno, alzando i sacchetti del cibo.

«Ciaaaao Yuzo-kun, io e Yuki avevamo voglia di vederti e ti abbiamo portato la cena.»

«Ti abbiamo portato la cena!» ripeté il bambino.

Kei posò il tutto sul tavolo, quindi si diresse verso la portafinestra accanto all’ingresso e scostò leggermente la tendina: la vettura color ottanio era parcheggiata a pochi metri dalla sua.

«Merda…» biascicò, arretrando di un passo.

«Che succede?» Yuzo manteneva un tono di voce basso.

«Quando sono andata a recuperare Yuki a casa di Natsuko mi sono accorta di una vettura che ci seguiva. Sono andata al centro commerciale, e quella dietro. Siamo venuti qui, ed eccola che si parcheggia dal lato opposto della strada.»

Yuzo gettò un occhiata, scostando la tenda di pochi millimetri.

«Hai idea di chi si tratti?»

«Non conosco nessuno con una Nissan 350Z color ottanio.»

«350Z hai detto? Non è l’auto di Gaho?»

Kei alzò un sopracciglio.

«Gaho usa la Cupra.»

«Sì.» Yuzo gesticolò, visibilmente agitato «Ma la sua vera auto è quella. So che l’ha tenuta per un periodo in un’officina non so dove perché doveva sistemarla.»

«E perché, di grazia, Gaho dovrebbe seguirmi.»

«Non lo so.» Yuzo incassò la testa nelle spalle «È successo qualcosa con Shuzo?»

«Non abbiamo discusso. Non più del solito, comunque.»

Yuzo la prese per una spalla e la obbligò a dargli attenzione: il suo sguardo era duro.

«Non credo sia una buona idea che tu ti vada a immischiare con lui.»

«Perché parli così? È tuo fratello.»

«Proprio per questo posso permettermi di parlare a questo modo: lo conosco e conosco i suoi affari, Keiko.»

Distolse lo sguardo e si allontanò dalla finestra per raggiungere Yuki, che già scalpitava all’idea di abbuffarsi di hamburger e patatine.

«Amorzinho, la mamma deve uscire, posso lasciarti qui con Yuzo?»

«Posso guardare la tv?»

«Certo, se a Yuzo va bene…» lui annuì, sorridendo, così si chinò per dare un bacio sulla nuca al figlio «Fai il bravo, e obbedisci.»

«Certo, mamma. Yuzo è un po’ come lo zio Cris.» si sporse verso di lei «Ma meno divertente, però non glielo dire.»

Scoppiò a ridere, e gli scompigliò i capelli, poi tornò seria e si avvicinò all’amico.

«Queste sono le chiavi di casa, se vedi che tardo andate all’appartamento e chiudetevi dentro.»

«Se non torni avviso Shuzo, Tsubasa e pure la Guardia Nazionale, sappilo.»

Kei sorrise carezzandogli una guancia, quindi uscì fingendo noncuranza e salì sull’auto, decisa a scoprire se la Nissan dal colore particolare l’avrebbe seguita ancora.

 

Yuki era crollato e sistemarlo nel suo letto non era stato difficile: dopo cena, e dopo aver guardato un cartone animato, Yuzo aveva scelto di portare il bambino a casa, immaginando che la questione di Keiko sarebbe andata per le lunghe.

Gli aveva mandato un paio di messaggi, in cui gli confermava che la vettura era di Gaho, era riuscita a riconoscerlo. Non le aveva chiesto in che modo ci fosse riuscita, ma si era premurato di ricordarle di fare attenzione.

Gaho non gli piaceva: dal primo momento in cui aveva messo piede al cospetto di suo fratello lo aveva trovato gretto, meschino, opportunista e arrivista.

Le qualità migliori. Aveva sentenziato Shuzo, dopo che gli aveva espresso le sue perplessità.

Estrasse il cellulare e mandò un messaggio al gemello, che lo richiamò dopo pochi istanti.

«Perché vuoi saperlo?»

«Ho solo fatto una domanda.»

«Sì, ma è la natura della domanda che mi rende scettico.»

«Gaho è con te sì o no? Non mi sembra difficile.» sbuffò spazientito.

«Che sta succedendo, Yuzo.»

Non l’aveva chiesto, perché Shuzo non chiedeva mai: lui pretendeva. Si passò una mano tra i capelli e si voltò verso il corridoio buio che portava alla zona notte: lo faceva per Yuki.

«Gaho sta seguendo Keiko da quando è andata a prendere Yuki dagli Ozora.»

«Ne è certa?»

«Di cosa, che sia lui o che la stia seguendo?» ribatté, piccato.

«Gaho non c’è, non è qui. E non so perché ma non mi sorprende che stia alle calcagna di Noshimuri.»

«Che gli ha fatto?»

«Niente, direttamente, ma si è conquistata un posto al mio servizio e questo non gli va giù. Sai che Gaho è abbastanza narcisista da credere di essere indispensabile e insostituibile.»

«Se le fa del male, giuro che…»

«Nah, non le farà niente. Si assicurerà solo che lei non sia una minaccia e tornerà a casa. A meno che…»

Quella postilla non lo fece stare tranquillo. Per niente.

«A meno che?»

«Sai, hai ragione, la questione va approfondita. Ti richiamo.»

«Cosa? No, Shuzo!» ma il gemello aveva già riattaccato, senza dargli il tempo di aggiungere altro.

Che doveva fare? Avrebbe dovuto avvisare Tsubasa?

In condizioni normali lo avrebbe fatto, ma i rapporti tra lui e Keiko erano parecchio tesi e non voleva essere fautore di un’ulteriore spaccatura tra i due, ne andava del benessere di Yuki.

Si lasciò cadere sul divano e fissò il portatile: la mappa di San Paolo era sempre lì, ferma e inerte.

«Se ci fossi tu, sapresti di certo cosa fare…» mormorò, voltandosi poi verso la parete a ridosso della quale Keiko aveva allestito il Butsudan. Cris lo guardava sorridendo, i denti bianchi a contrasto con la carnagione abbronzata. Controllò il cellulare: nessuna notifica. Sbuffò e si alzò, iniziando a girare intorno al divano, le mani dietro alla schiena e lo sguardo basso.

Era passata un’ora quando Shuzo lo richiamò.

«Avevate ragione: Gaho e Shimata stanno seguendo Keiko e hanno in mente qualcosa.»

«Gaho e… chi? Ma che diamine…»

«Shimata, quello che ha fatto saltare in aria la prima Silvia di Noshimuri. Ho il sospetto che lui e Gaho se la intendano parecchio e abbiano cospirato ai danni di…»

«Ma porca puttana, Shuzo, e me lo dici così?» sbottò, pentendosene subito dopo: non voleva svegliare il bambino, ma dubitava che dopo la sua imprecazione stesse ancora dormendo.

«Stai calmo, sono già sulle loro tracce, li raggiungerò e sistemerò le cose. Tu continua pure a fare il babysitter, ok?»

Chiuse la comunicazione dopo aver mugugnato una risposta, e si diresse verso la cameretta: socchiuse la porta e grazie alla luce che gli proveniva dalle spalle lo vide dormire, pacifico e beatamente scomposto tra le lenzuola. Si chinò per carezzargli la testa, quindi tornò in salotto: la tentazione di chiamare Tsubasa era diventata un’urgenza, ma decise di trattenere l’impulso e fidarsi del gemello. In fondo li aveva già tirati fuori dai guai una volta, quello al confronto era un giochetto da niente.

 

Tsubasa saltò sul letto quando sentì la suoneria del cellulare.

«Che succede…» biascicò Sanae al suo lato.

«Yuzo mi sta chiamando.»

«Ma sono le quattro del mattino.»

Scostò le coperte e afferrò il telefono per rispondere.

«Morisaki.»

«Tsubasa, scusa l’orario, ma…»

«È successo qualcosa?»

«Qualcosa che non ti piacerà.»

Si passò una mano sul volto per cercare di svegliarsi.

«Keiko è nei guai?»

«Credo che sia meglio che tu mi raggiunga, sono a casa sua, Yuki sta dormendo.»

«No, facciamo al contrario, portalo qui.»

«E come faccio a portarlo lì, per la miseria!»

Tsubasa osservò lo schermo per essere sicuro di parlare col gemello giusto, quindi lo riappoggiò all’orecchio, con un vago sorriso divertito disegnato in volto.

«Prendilo in braccio, mettilo in macchina e portalo qui.»

«Sì, sì, va bene, va bene.»

Chiuse la comunicazione senza lasciargli aggiungere altro: ripose il telefono sul comodino e si allungò verso Sanae, che nel frattempo pareva essersi addormentata.

«Yuzo sta portando qui Yuki.»

«E perché ce l’ha lui?»

«Credo che me lo spiegherà a breve.» concluse, dandole un bacio sulla fronte e dirigendosi in salotto per attendere l’amico.

Dopo che Yuzo l’ebbe raggiunto e Yuki fu nuovamente al sicuro nel suo letto, Tsubasa chiuse la porta che separava la zona giorno dalla zona notte e incrociò le braccia al petto.

«Allora?»

«È successo un casino.»

«Che cos’ha combinato Keiko?»

Yuzo scosse il capo.

«Lei non c’entra, non stavolta. Sono stato io a combinare il disastro.»

«Tu?» Tsubasa alzò un sopracciglio, scettico.

«Keiko aveva notato un’auto che la seguiva, quando è andata a prendere Yuki dai tuoi, così l’ha portato da me e ha cercato di capire che stesse succedendo. Quando ha capito che era Gaho…»

«Gaho? Lo scagnozzo di Mori?»

Yuzo annuì.

«Ho chiesto spiegazioni a Shuzo e lui ha scoperto che lui e Shimata si sono alleati per…»

«Ok, ok, basta.» Tsubasa alzò le mani e le mosse davanti a sé, per interrompere il flusso di pensieri «Cos’è successo?»

«C’è stato un incidente.»

Tsubasa sentì la gravità farsi improvvisamente pesante e attirarlo a terra più del dovuto.

«Che tipo di incidente?»

«È all’ospedale.»

«È grave?»

«Non lo so. C’è Shuzo con lei.»

«C’è sempre Shuzo con lei, potrei quasi iniziare a pensare che ci sia del tenero tra loro.» e concluse la frase ridendo.

Yuzo, però, non rise, il che portò Tsubasa a sgranare gli occhi e avvicinarsi di un passo.

«Stai scherzando, vero?»

«Senti, non ho idea di cosa sia successo tra loro, ma Shuzo ha un occhio di riguardo per Keiko, e non lo so, forse vanno a letto, forse no, fatto sta che la cosa a Gaho non andava bene e si è messo in mezzo, e quel Shimata aveva già fatto saltare l’auto di Kei e…»

«Mi sta esplodendo la testa.»

«Dobbiamo andare in ospedale.»

«Va bene, avviso Sanae.»

«Tsubasa.» Yuzo attirò la sua attenzione dopo che gli ebbe dato le spalle.

«Sì.» si limitò a rispondere, dopo aver letto la preoccupazione nelle iridi scure dell’amico.

Anche lui era preoccupato per Keiko, anche lui aveva paura di perderla.

 

Aprì gli occhi e cercò di ignorare il dolore pulsante che la stava opprimendo, come se qualcuno le stesse trapanando la testa dall’interno.

Le sfuggì un lamento quando, provando a muoversi, una fitta le fece capire che c’era qualcosa infilato nel braccio sinistro.

«È una flebo.» le comunicò una voce maschile «Antibiotico, antidolorifico e fisiologica.»

«Avevano l’offerta tre per uno?» biascicò, la bocca impastata.

Finalmente riuscì a mettere a fuoco il volto di Yuzo.

«Ben svegliata.»

«Sei qui da molto?»

«Ho dato il cambio a Tsubasa, andava a prendere Yuki da scuola e lo portava da sua madre.»

Quindi era pomeriggio.

«Dov’è tuo fratello? Devo parlargli.»

«Lo stanno visitando, e comunque sa già tutto.»

«No.» cercò di sollevarsi ma sentì le forze venire meno «Non capisci, devo…»

«Gaho è scomparso.»

«Gaho è morto, ho visto il suo corpo nell’auto un minuto prima che esplodesse…»

«Non c’era traccia di lui nei resti della vettura. L’ho vista.»

«Ti sbagli…» la testa martellava incessantemente «Com’è possibile…»

«Keiko, devo saperlo: c’è un complotto alle spalle di Shuzo?»

«Uno yakuza del suo calibro avrà sempre qualcuno che cercherà di farlo fuori.»

«Allora dovrai aiutarmi a stanare quel maledetto.»

A Keiko scappò da ridere, ma se ne pentì immediatamente quando il dolore si irradiò dallo sterno.

«Cosa ti fa pensare che Shuzo si farà aiutare?»

«Non mi dirà nulla, sono suo fratello.»

«Gemello.» precisò lei, in un sorrisetto ironico.

«Non è stato un incidente, Kei: vi hanno spedito deliberatamente fuori strada. Sei salva per miracolo.»

«La cintura.» Yuzo non aveva capito, così lei si spiegò meglio «Indossavo la cintura di sicurezza. La indosso sempre, da quando…»

Yuzo annuì, poi le si avvicinò e le carezzò la testa.

«Ti prego, Kei-chan…»

Aveva lo sguardo smarrito di chi è preoccupato per la propria famiglia, e per lei fu il colpo di grazia.

«Non sono brava nel doppio gioco.»

«Devi solo proteggerlo.»

«Lui è il pericolo più grande, non posso salvarlo da sé stesso.»

«Ma puoi controllare che non si faccia troppo male.»

«Questo posso farlo…» ammise lei, chiudendo gli occhi e pentendosi di quella promessa un istante dopo averla stretta.

«Ora vado, ti lascio riposare…»

Lei annuì, rimanendo a occhi chiusi e sperando che il materasso la inghiottisse per l’eternità.

 


Possiamo dire di essere a un punto cruciale della storia: Gaho - che stava in culo a un sacco di gente XD - pare aver rivelato la sua natura (e se stiamo al giudizio di Yuzo, era solo questione di tempo prima che accadesse). 

Kei finisce nuovamente all'ospedale ma questa volta pare qualcosa di serio - e anche Mori, a quanto sembra. 

Capisco di aver detto un po' tutto e un po' niente, tranne per quella piccola rivelazione che Yuzo fa a Tsubasa: Kei e Mori vanno insieme, forse. Non si sa. Ma è probabile. 

La reazione di Tsubasa? Arriverà, oh se arriverà ^^ 

D'ora in poi saranno capitoli intensi, da tenervi incollati alle sedie (spero!) 

Un abbraccio grandissimo e a presto

La vostra Sakura 

PS: oggi il PC mi ha ricordato che inizia la fioritura dei ciliegi in Europa *cuore*

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Capitolo 12
*** Le porte dell'inferno ***


Velozes e Furiosos

Le porte dell’inferno

Era rimasto fermo a osservarla dormire per tutto il tempo, la gamba sana piegata sulla gamba incidentata, il gomito poggiato sul ginocchio e il pugno chiuso puntato nella guancia.

Keiko respirava lentamente, la carnagione pallida in netto contrasto con i capelli corvini che le incorniciavano il volto.

Continuava a osservarla perché se l’avesse svegliata probabilmente le avrebbe urlato contro cose di cui si sarebbe pentito, e l’ultima cosa che voleva era litigare con lei.

Non voleva litigare con Keiko, ma non voleva neanche perderla, e sapeva che se non avesse messo un freno a quella situazione probabilmente lei si sarebbe spinta troppo oltre, sempre che non l’avesse già fatto.

Lei e Mori: il solo pensiero lo fece rabbrividire e vomitare allo stesso tempo.

Come aveva potuto essere così stupida da cadere nelle grinfie di uno yakuza? Proprio lei, che aveva visto in che stato Yukiko si era ridotta quando era alla mercé di Tanaka-san.

Sbuffò, cambiando posizione e approfittandone per alzarsi e sgranchirsi le gambe.

Keiko si mosse e lui si sporse su di lei: quando la donna aprì gli occhi e le loro iridi si incrociarono, Tsubasa sentì finalmente la calma impossessarsi del suo corpo, ora che poteva constatare che stesse bene.

«Oi, Bas…»

«Lindeza…» le carezzò i capelli, sorridendole.

«Voglio andare a casa…»

«Ti dimetteranno a breve, hanno escluso trauma cranici.»

«Ho la testa dura.»

«Sì, questo è indubbio.»

«So che sei arrabbiato, è inutile che lo nascondi.»

«Scoprire che te la fai con Mori non mi ha di certo reso euforico.»

Lei spalancò gli occhi, improvvisamente sveglia e all’erta.

«Come…»

«Sesto senso maschile.» le fece l’occhiolino prima di mettersi a sedere e prenderle una mano «Me l’ha detto Yuzo.»

«Quei due devono proprio dirsi tutto… e comunque non è come pensi.»

«Tu sei meglio di così, Kei-chan.»

«Che ne sai…» mormorò, chiudendo gli occhi e deglutendo a fatica.

«Lo so perché ti conosco, non ti sono mai piaciuti i bad boys

Le sembrò che le sue labbra si incurvassero in un sorriso amaro ma non ne fu certo perché fu solo per un secondo.

«So cosa pensi, ma ti assicuro che non è la stessa cosa.»

«Dirò così a Yuki quando piangerà sulla tua tomba. Riporterò queste parole esatte.»

«Quanto sei melodrammatico, Bas. L’amore ti ha proprio rincoglionito.»

«Senti chi parla.»

«Estamos ficando…»

«E da quanto vi frequentate?»

Lei fece spallucce, mantenendo gli occhi chiusi.

«Che importanza ha?»

Arretrò, lasciando la presa su di lei e facendo aderire la schiena alla sedia.

«Perché hai alzato questo muro, Keiko? Perché mi tieni lontano.»

«Perché così è più facile, Tsubasa.» aprì gli occhi e si alzò a fatica, mettendosi a sedere sul materasso «Così è più facile fare i conti con la tua lontananza, è più facile mentire a Yuki dicendogli che non cambierà nulla quando in realtà è tutto cambiato e sembra che tu non te ne sia accorto, è più facile…»

Piantò gli occhi su di lui, poi distolse lo sguardo, come se non riuscisse a reggerlo.

«Keiko, voglio che tu comprenda una cosa: la tua vita e quella di Yuki sono quanto di più importante ci sia per me, insieme a quella di Sanae. Non esiterei a buttarmi nel fuoco per voi, per questo mi costa tanto dirti quello che sto per dirti, nonostante ci abbia riflettuto a lungo. Se riterrò che la vita di Yuki sia in pericolo, per qualunque motivo, e che tu possa essere un danno per lui, non esiterò a trascinarti in tribunale per ottenere la custodia esclusiva.»

«Non oseresti.» sussurrò lei, gli occhi ridotti a due fessure.

«Oserei, se la vita di Yuki fosse a rischio.»

Kei mantenne lo sguardo su di lui, occhi negli occhi, quindi strinse il materasso per darsi la spinta e scese dal letto.

«Dove vai?»

«A pisciare, Tsubasa.» replicò, agitando una mano.

Yuzo entrò in stanza in quel momento, e lo salutò con un cenno.

«Come va?»

«Meglio, dovrebbero dimetterla a breve. Tuo fratello?»

Yuzo piantò le mani nelle tasche dei pantaloni e fece spallucce.

«Ha un dito del piede fratturato. Non chiedermi come abbia fatto perché non ne ho idea. Però hanno escluso anche a lui dei traumi cranici, quindi…»

Keiko uscì dal bagno e quasi impattò contro Yuzo, rimasto a ridosso della porta.

«Yuzo-kun.»

Gli parve di cogliere un leggero imbarazzo tra i due, come se avessero difficoltà a guardarsi. Che nascondessero qualcosa pure loro? Sentì un lieve mal di testa formarsi, non ne poteva già più di tutti quegli intrighi.

«Novità?»

Keiko lo domandò mentre si stendeva nuovamente a letto.

«Gaho è ancora irreperibile, così come Shimata. Shuzo ha sguinzagliato i suoi segugi per trovarli.»

«E la polizia che dice?»

«La polizia, Tsubasa?» Keiko gli rivolse un’occhiata di biasimo «Davvero?»

«Beh, che ho detto?»

«Quando hanno saputo che c’era di mezzo Malerba hanno archiviato tutto, dai retta a me.»

Il lungo sospiro di Yuzo confermò le parole di Keiko.

«Mio fratello non va molto d’accordo con la legge, e viceversa: mi spiace per te ma non indagheranno.»

Fu il turno di Kei di fare spallucce.

«Non mi aspettavo nulla, sono abituata alla polizia che si volta dall’altra parte. Quando i miei genitori sono morti, le indagini sono durate dodici ore. Mezza giornata per sentirmi dire che era stato un corto circuito di una stufetta elettrica che non abbiamo mai avuto in casa…»

A Tsubasa venne spontaneo allungare una mano per prendere quella dell’amica, ma lei si ritrasse, forse non si era accorta del suo gesto.

«In ogni caso quei due figli di puttana non la passeranno liscia: li stanerò, fosse l’ultima cosa che faccio.»

«Questa frase, invece, te la faccio incidere sulla lapide.»

Yuzo strabuzzò gli occhi.

«Guarda che hai spaventato il ragazzino.» Kei ridacchiò, ma il suo volto passò dal divertimento a una smorfia di dolore «Ho il dubbio di avere una costola incrinata.»

«Ti hanno fatto tutti gli esami e non è emerso nulla.»

Lei inspirò a pieni polmoni, trattenne l’aria e poi la espulse in un solo fiato.

L’infermiera entrò in quel momento e si stupì di vedere quell’affollamento.

«È l’ora delle medicine, devo chiedervi di uscire.»

«Io torno in officina, se hai bisogno chiama, ok?»

Si chinò su di lei e le baciò la fronte, stupendosi di sentirla calda nonostante lei fosse pallida, un contrasto che lo fece sobbalzare e gli lasciò una strana inquietudine addosso.

 

Shuzo entrò nella stanza di Keiko aiutandosi con le stampelle: raggiunse a fatica la sedia accanto al letto e vi si lasciò cadere sbuffando.

«Sto riposando, Mori.»

«Dormirai quando sarai morta, Noshimuri. Adesso devi tirarti su e aiutarmi a prendere quei figli di puttana.»

Lei aprì gli occhi e li puntò su di lui per un frammento di secondo prima di richiuderli e voltare la testa dall’altro lato.

«Trovati qualcun altro, io mi chiamo fuori.»

«Ehi, non funziona così!» esclamò, sbattendo la stampella sul letto «Quel pezzo di merda di Gaho si merita le peggio cose, lo so che anche tu brami vendetta.»

«Ho un figlio da proteggere.»

«Proprio per questo devi aiutarmi.»

«No, è proprio per questo che devo starti lontano.» sbottò, spalancando gli occhi e sollevandosi sui gomiti «Se continuo in questo gioco malato, Tsubasa non esiterà a portarmi via Yuki.»

«Ah, quindi anche Ozora sa giocare sporco, sono colpito.»

«Io… ti ringrazio per questi mesi, mi hanno permesso di ricordare quanto io ami guidare e puoi star certo che non mollerò le drift war per nulla al mondo, ma devo chiamarmi fuori da tutto il resto.»

Shuzo annuì a più riprese, portando le mani davanti a sé e congiungendo le punte delle dita.

«Il tuo ragionamento è più che logico, e lo comprendo, sia ben chiaro, ma il tuo uscire dal giro non dipende da me, e nemmeno da te, temo.»

«Che vuoi dire.» sbuffò lei, scostando la coperta e mettendosi a sedere sul bordo del letto.

«Credi che a Gaho e Shimata importi qualcosa della tua decisione? Non basta asserire di essere fuori dal giro per decretarlo.»

«Mi vuoi incastrare?»

«Temo che tu ti sia incastrata da sola, come tuo padre e tua sorella. Lo definirei quasi un vizio di famiglia.»

«Sei un bastardo, Mori.»

«No, sono solo schietto, e lo sai. Stiamo ballando una danza pericolosa e io non posso concedermi il lusso di uscire dalla sala prima del tempo, ne va della mia leadership.»

«Avevi giurato che mi avresti tenuto fuori dai tuoi giochi di potere.»

«Sono cose che si dicono.» sminuì lui con un cenno «Comunque hai fatto tutto da sola quando hai scelto di correre quella gara, vincerla, entrare nel mio team, venire a letto con me…» elencò.

Keiko distolse lo sguardo e Shuzo comprese di aver ottenuto ciò per cui era entrato in quella stanza d’ospedale. Afferrò le stampelle e si alzò.

«Riflettici, io torno nella mia stanza, è l’ora del mio pompino quotidiano: quell’infermiera sa decisamente il fatto suo.» le strizzò l’occhio e si diresse verso la porta.

Era quasi giunto alla porta quando si sovvenne dell’ultimo particolare.

«Ah, un’ultima cosa.» appoggiò le mani sulla maniglia ma si mantenne di spalle a Keiko «Trascina Yuzo in questa storia e io non esiterò a portare tutti all’inferno con me.» concluse, aprendo quindi la porta e lasciandola spalancata.

 

«Tadaima

Tsubasa annunciò il loro arrivo e subito Yuki fu su di loro, su di lei. Si chinò per stringerlo nel suo abbraccio, assaporando il suo profumo di bambino e godendosi le sue carezze.

«Bentornata a casa, mamma. Vieni! Ti faccio vedere la mia camera, ho preparato il tuo letto, lo sai? Sanae mi ha aiutato ma ho fatto tutto da solo.»

«Arrivo subito, aspettami lì.» non appena il bambino sparì in camera, si voltò verso Tsubasa, che stava salutando Sanae «Non era necessario, posso stare nel mio appartamento.»

«Hai avuto un incidente, passa qualche giorno qui, così siamo tutti più tranquilli.»

Era stata proprio Sanae a pronunciare quelle parole, sorridendole, così non poté fare a meno di annuire e raggiungere il figlio in camera.

La stanza di Yuki era semplice ma era molto più di quanto entrambi avessero mai avuto: un letto in coordinato con l’armadio, dalle finiture in rovere chiaro. Pareti azzurre decorate con macchinine – le sue preferite. Una scrivania su cui fare i compiti senza doversi ridurre sul tavolo della cucina. Un moto di commozione la invase, mentre carezzava i capelli ricci di Yuki.

«È bellissima.»

Il bambino annuì, prendendola per mano e portandola verso il proprio letto.

«Tu dormirai qui, mentre io» si chinò ed estrasse un cassetto del letto contenitore, da cui comparve un letto già pronto «Dormo qui vicino a te.»

«Ma che meraviglia.»

«Tsubasa mi ha detto che così posso invitare gli amici. Volevo farci dormire Daichi però ho pensato che era più bello se ci dormivano insieme, per primi.»

Keiko annuì, sedendosi sul letto e carezzando il tessuto della copertina.

«Vado a farmi una doccia, dopo se vuoi giochiamo insieme, che ne dici?»

«Va bene ma prima devo fare i compiti e aiutare Sanae con la cena.» si avvicinò a lei per sussurrare «Voleva preparare qualcosa di brasiliano per te ma non è molto brava così le sto insegnando io come si fa.»

«Il mio adorabile cuoco.» gli carezzò una guancia. Yuki sorrise mostrando tutta la sua felicità, quindi la abbracciò e, presi i libri, uscì dalla camera.

Si accorse solo in quel frangente che Tsubasa li stava osservando.

«Mi sembra cresciuto così tanto da quando siamo qui.»

«Vorrei spezzare una lancia a favore della scuola giapponese che lo sta abituando a essere autonomo.»

«Sì, hai sempre avuto questo pensiero. Le superiori, però, le hai frequentate in Brasile, e non mi sembri proprio un illetterato.»

Risero entrambi, Tsubasa si grattò la testa con l’imbarazzo di chi aveva qualcosa di scottante da dire.

«Sono contento che tu stia meglio, anche quel dolore…» e le indicò lo sterno.

«Erano fitte dovute alla botta.»

«Kei-chan, io…» si sedette accanto a lei mantenendo lo sguardo basso «Ti devo delle scuse.» ammise infine.

«E per cosa, per il tuo primo vero atto da genitore?» gli diede un buffetto con la spalla, a cui lui replicò allo stesso modo «Mi odierei se Yuki dovesse anche solo lontanamente pensare che non mi interesso a lui o al suo benessere, Bas. Dal giorno in cui ha emesso il suo primo vagito, ogni mio respiro è andato in funzione della sua esistenza, mai una volta ho anteposto il mio benessere al suo. È sempre al centro dei miei pensieri.»

«Lui lo sa, Kei, e lo so anch’io. Non ti toglierei mai la patria potestà.»

«Lo faresti solo se lo considerassi necessario. E dovrai farlo, se dovessi davvero ritenerlo tale.»

«Kei…»

«Bas.» afferrò il coraggio andandolo a cercare in ogni fibra del proprio essere «Mi dispiace, ma io devo tornare da Mori.»

Il volto dell’ex calciatore mutò così velocemente che dimenticò subito com’era il suo sorriso.

«Che stai dicendo.»

«Gaho era appostato davanti a casa di tua madre. Ha seguito Yuki. Ha seguito me. Non sarò tranquilla finché non saprò che non rappresenta più una minaccia per la mia famiglia.»

«Ti farai ammazzare!» scattò in piedi e il suo tono di voce era alto, più alto di quanto Kei avesse mai udito.

«E se non lo faccio, mi ammazzeranno lo stesso!» si alzò a sua volta, intenzionata a tenergli testa «Credi che si accontentino di una mia dichiarazione? Credi che dire “Basta, sono fuori dal giro” sia sufficiente per chiudere tutto?»

Tsubasa si passò entrambe le mani nei capelli e la superò per dirigersi verso la finestra.

«Tu sei completamente pazza…»

«E tu sei un ingenuo, è palese che stare qui ti ha annebbiato il cervello e non ti ricordi più cosa voglia dire stare al mondo.»

«Io voglio vivere in maniera tranquilla, Keiko. Cosa cazzo non ti è chiaro? Non voglio più imparare a riconoscere i rumori delle auto che passano sotto alla mia finestra per paura che sia uno yakuza, o qualcuno che non ha mandato giù una sconfitta a una stupida gara di macchine.»

«Ci campavi, con quelle “stupide gare di macchine”, Bas, o te ne sei dimenticato? Hai la memoria corta o forse stare in Giappone ti ha reso più omertoso di quanto pensassi?»

«Mi ha reso giudizioso, cosa che in Brasile non ero, quando mi facevo coinvolgere in tutti i vostri giri.»

«Ah, quindi ora è colpa nostra. Colpa del Brasile. Ti abbiamo plagiato e non hai più avuto libero arbitrio nelle tue scelte. Povero Tsubasa ingenuo.»

«Smettila, Keiko.»

«No, smettila tu.» lo rimbeccò, la rabbia che si era impossessata di lei e stava traboccando, incontrollata «Smettila di fingere di essere chi non sei, di crearti una facciata di una persona che non c’è più. Non hai più quindici anni, e devi iniziare a fare i conti con ciò che sei davvero.»

Gli voltò le spalle e uscì dalla camera, convinta a tornarsene all’appartamento dove non si sarebbe sentita giudicata come una criminale.

«Se esci da quella porta, è finita.»

La voce di Tsubasa la raggiunse, bassa e baritonale, e la colpì più ferocemente di uno schiaffo. Mantenne la mano sulla maniglia, cogliendo poi con la coda dell’occhio Sanae e Yuki che, fermi in salotto, sembravano come sospesi. Percepì il proprio respiro, quasi affannoso, l’alzarsi e abbassarsi ritmico della cassa toracica a ogni riempimento e svuotamento dei polmoni.

Strinse la maniglia chiudendo gli occhi, consapevole che quel gesto avrebbe decretato la fine di tutto, e che Tsubasa non glielo avrebbe mai perdonato.

Diede un’ultima occhiata a Yuki che, sempre seduto a tavola, con la matita in mano, la guardava mantenendo un leggero sorriso sulle labbra. Le sembrò di cogliere un lieve cenno di assenso da parte sua, mentre chiudeva la porta, ma che ne poteva sapere un bambino di sei anni della sua difficoltà, del dualismo che albergava in lei, dell’amore che provava e che la portava, ancora una volta, a rivoluzionare la propria vita nell’intento di proteggere la sua família.

 

Shuzo ingollò un paio di pastiglie e lanciò la confezione in fondo al cassetto della scrivania.

«Botan, portami dell’acqua.»

«Sì, capo.»

Con la flemma che lo contraddistingueva, a netto contrasto con il suo aspetto, il buttafuori aprì il frigobar dell’ufficio, afferrò una bottiglietta e la porse al suo capo.

«Sempre con calma, eh.» replicò, afferrando malamente la bottiglietta.

«Sempre, capo.»

«Avete notizie di quel mercenario di Gaho?»

«Si è nascosto, capo, ma Chikao lo stanerà.»

«E Noshimuri?»

«È stata dimessa dall’ospedale, è andata a casa con Ozora.»

«All’officina?»

L’altro scosse il capo con lentezza.

«A casa di Ozora, capo. Sa quella bella…»

«Sì, sì, ho capito. Se la tiene a casa con sé, sarà più difficile mettersi in contatto con lei.»

«Non ha più il cellulare di servizio?»

«Non è sopravvissuto all’impatto, e comunque glielo aveva fornito Gaho, ho il dubbio che lo tracciasse.»

Un trambusto proveniente dall’officina attirò la loro attenzione: poco dopo, Keiko fece la sua comparsa sulla soglia dell’ufficio. Aveva lo sguardo duro ma determinato, lo stesso che Shuzo le aveva visto durante le drift war.

«Stavamo giusto parlando di te.»

«Voglio stanare quel figlio di puttana.»

«Queste sono le parole che volevo sentire!» esclamò Shuzo, battendosi una mano sul ginocchio «Fammi prendere le stampelle, e…»

«No, tu rimarrai qui. Non sei abile, col piede in quelle condizioni, e ho bisogno di mobilità e strategia.»

«Mi stai tagliando fuori, Noshimuri?» un ghigno malefico gli comparve sulle labbra.

«Quelli vogliono tanto me quanto te, ma io sono il bersaglio principale al momento, mi perdonerai se ti spodesto dal trono.» Shuzo mimò una riverenza, invitandola poi a continuare «Li stanerò dal nascondiglio dove si nascondono, come i vigliacchi che sono, dovessi cercarli per tutta la Prefettura. Punterò sulla brama di vendetta che alberga in Shimata.»

«Sei sicura che funzionerà?»

«Shimata se ne fotte delle beghe della yakuza, a lui brucia di più aver perso contro una donna. Gli darò quello che vuole.»

«Sei sicura di potercela fare? Sei appena uscita dall’ospedale, non sei al top della forma.»

Keiko spostò il peso su una gamba e incrociò le braccia al petto, chinando la testa per far ondeggiare la coda alta in cui aveva legato i capelli.

«Non importa il risultato: dove ci sarà lui, ci sarà anche Gaho. Me la vedo io, in qualche modo chiuderò la questione definitivamente.»

«Noshimuri, stai tirando fuori un lato del tuo carattere che non conoscevo: da quando sei così crudele? E comunque non se ne parla, non li affronterai mai da sola, non voglio averti sulla coscienza.»

Keiko si avvicinò alla scrivania e vi batté sopra i palmi delle mani.

«Hanno minacciato la mia famiglia.»

«Se avessi saputo che bastava così poco per accendere la miccia, lo avrei fatto io stesso molto prima. Vedo il fuoco ardere nei tuoi occhi, ed è proprio quello che cerco nei miei collaboratori. Saresti una yakuza perfetta, lo sai, Noshimuri? È un tratto di famiglia…»

«Eppure il tuo gemello non l’ha ereditato, o sbaglio?» replicò lei, chinandosi su di lui così tanto da arrivare a solleticargli il naso col proprio respiro.

«Botan, lasciaci soli.»

L’uomo uscì, e non appena la porta fu chiusa Shuzo afferrò Keiko per la maglietta e la attirò a sé, baciandola con impeto. Lei volò sulla scrivania e, senza sciogliere il contatto, gli si mise a cavalcioni. Con un gesto veloce, le tolse la maglietta e le sganciò il reggiseno per poi tuffarsi a solleticare i capezzoli con la lingua, appagandosi dei gemiti di piacere che Keiko lasciò andare.

Le sganciò il bottone dei pantaloni e la fece alzare per farli scorrere lungo le gambe magre ma muscolose, quindi le tolse le mutandine e si alzò a sua volta – non senza fatica – per liberare la propria erezione che pulsava prepotente nei boxer.

Keiko non perse tempo e gli si posizionò nuovamente a cavalcioni, iniziando a strusciare la propria intimità contro la sua.

«Devo trovarli… ma non so dove si nascondono…» gli sussurrò, prendendogli il membro in mano e iniziando a sollecitarlo.

«Chikao li sta cercando…» mormorò, deglutendo a fatica.

«Eppure pensavo che Gaho non avesse molti posti dove nascondersi…» e con la lingua gli leccò il padiglione auricolare, provocandogli una colonna di brividi lungo la schiena.

«No, infatti… casa dei suoi…»

«Quel magazzino abbandonato a Mizukoshi…» scese dall’orecchio al collo, continuando a masturbarlo.

«L’officina di quel coglione di Ito…»

«Non ci avevo pensato.»

Keiko si ritrasse e si allungò verso il secondo cassetto della scrivania, mentre Shuzo la teneva per la schiena per leccarle i capezzoli. Estrasse un preservativo e delle manette che fece girare sull’indice mentre lo guardava con aria ammiccante. Le posò sulla scrivania e scese da lui per chinarsi a infilargli il condom, mentre continuava a tenerlo attivo, quindi tornò a sedersi su di lui.

«In effetti l’officina è una buona idea.» asserì lei, sollevandosi appena per indirizzargli il membro verso la sua apertura e facendo piccoli movimenti di ingresso e uscita «Potrei iniziare da lì.»

«Non andrai da nessuna parte… senza di me…» ansimò lui, chiudendo poi gli occhi

«Devo, lo sai che sono brava in certe cose, posso chiudere la questione in poco tempo…»

«Non se ne parla…»

Keiko si era fatta penetrare e ora si muoveva sinuosa su di lui, passandogli le mani tra i capelli. Si sporse appena indietro, afferrò le manette, e gli sorrise seducente.

«Mi piace giocare con te, Mori-san…»

«Ti piace giocare con la Malerba.» ammiccò lui, lasciando che lo ammanettasse alla sedia.

La cosa continuò a essere piacevole fino a quando Keiko non scese dalla sua posizione e iniziò a rivestirsi.

«Ehi, non possiamo finire se ti rivesti.»

«Non finiremo nulla, Mori.» replicò lei, saltellando per far salire i pantaloni e agevolare la loro chiusura «Ho una missione da compiere.»

Lui fece per muoversi ma i polsi erano ammanettati dietro lo schienale della sedia presidenziale, rendendo impossibile qualunque movimento.

«Avanti, slegami. Vengo con te.»

«A-ha.» negò lei, indossando reggiseno e maglietta «Tu starai qui, buono buono, e aspetterai che ti porti quei due parassiti.»

«Noshimuri, non puoi lasciarmi così. Sono nudo

«Botan è asessuale, non gli scoccerà slegarti. La chiave è sempre nel secondo cassetto.» si fermò sulla soglia, portandosi la mano sinistra al mento «O forse l’ho spostata?» fece spallucce e terminò con un occhiolino, prima di chiudersi la porta alle spalle.

Shuzo rimase a osservare il pannello scuro, per poi scoppiare a ridere. Botan entrò dopo circa dieci minuti, girò attorno alla scrivania e prese le chiavi dal cassetto per slegarlo.

«Chiama Chikao e chiedigli se ha già visitato l’officina di Ito.»

«Ok, capo.»

«E prepara la mia VeilSide.»

«Ok, capo.»

«E guai a te se ne fai parola con qualcuno.» sbottò infine, massaggiandosi i polsi. Botan annuì nuovamente e uscì dall’ufficio, sempre con molta calma. Shuzo afferrò il cellulare e cercò in rubrica il numero del fratello: quando la chiamata partì, era già in auto con Botan che guidava.

«Che cazzo hai detto a Noshimuri?»

«A Keiko? Cosa dovrei averle detto?»

«Non fare il finto tonto con me, Yuzo, mi ha appena lasciato fuori dal suo piano di vendetta.»

«Lei cosa? Ma non era da Tsubasa?»

«Non cambiare argomento con me, sai? Ti conosco. Se mi ha lasciato nudo e ammanettato alla sedia c’è un motivo.»

«Cos’ha fatto?»

La risata di Yuzo lo costrinse ad allontanare il dispositivo dall’orecchio.

«Ah. Ah. Ah. Sì, ridiamo. Mi ha lasciato nudo e in bianco, e questa è la parte che ho apprezzato meno. Mi è piaciuto invece come mi ha estorto delle informazioni sollazzandomi il cazzo.»

«Preferirei rimanere vergine e non sapere nulla

Shuzo sghignazzo e indicò la svolta a Botan.

«Quindi non ne sai nulla, tu, di questo suo tentativo di suicidio?»

«Keiko ha in mente un solo obiettivo, ed è quello di proteggere Yuki. Farà qualunque cosa per portarlo a termine, credimi, l’ho visto coi miei occhi.»

«Si farà ammazzare, qui non siamo nella terra del samba.»

«Credi che sia così sprovveduta?»

«Credo che sia impreparata.»

Yuzo non replicò, rimase qualche istante in silenzio, tant’è che Shuzo dovette richiamare la sua attenzione un paio di volte.

«Ok, senti, potrei averle chiesto di tenerti fuori da questa storia perché temevo per te.»

«Grazie, fratellino, ma so benissimo cavarmela da solo, Gaho è solo un coglione che ha pestato una merda più grossa di lui.»

«Ti sei rotto un piede, Shuzo!»

«Un dito del piede, verosimilmente mentre scendevo dall’auto per correre dietro a quel maledetto. Non c’entra nulla l’incidente.»

«Beh, ad ogni modo sono contento che Keiko abbia accolto la mia richiesta, spero solo che non si cacci nei guai… oh…»

«Che succede?»

«Un messaggio di Tsubasa. Ti richiamo.»

«Vai nel mio ufficio e aspettami lì.»

Chiuse la comunicazione e il profilo dell’officina di Ito si stagliò all’orizzonte: lo stabile si trovava in una zona industriale alla periferia di Nankatsu, nell’omonimo quartiere, e sebbene fosse un’officina a tutti gli effetti, non serviva tutti i clienti, ma solo quelli affiliati al suo clan. Non amava particolarmente le prestazioni di Ito ed era anche per questo che aveva preferito affidarsi a Noshimuri quando era stato possibile.

L’auto di Keiko era parcheggiata in bella vista, ma di lei nessuna traccia.

«Non sarà stata così scema da entrare, spero.» domandò retoricamente a Botan mentre questi spegneva il motore, ma uno sparo riportò la sua attenzione all’edificio.

«Maledizione, Noshimuri.» sbottò, afferrando le stampelle e scendendo malamente dalla vettura.

 


Upsi ups!

Quando vi dicevo che ci sarebbe stato del pathos, mi riferivo proprio a questo. 

Tsubasa minaccia Kei, che estorce informazioni da Shuzo e lo lascia nudo e in bianco (per citarlo) per poter ottenere la propria vendetta. 

Che dire, toglietele tutto ma non toccatele la famiglia ^^ 

Che faccio, ve lo dico che il prossimo capitolo è decisivo... e finale? *ridacchia*

Un abbraccio grandissimo

La vostra Sakura 

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Capitolo 13
*** Ultimo atto ***


Velozes e Furiosos

Ultimo atto

Kei non aveva battuto ciglio quando Gaho aveva sparato. Lo yakuza aveva mirato alto sulla sua testa all’ultimo, e il colpo le era fischiato nelle orecchie, ma questo non l’aveva comunque smossa. Aveva mantenuto lo sguardo fisso su quel figlio di puttana, per fargli capire che avrebbe anche potuto colpirla, ma non gli avrebbe dato la soddisfazione di abbassarsi davanti a lui.

«Hai fegato, Noshimuri, devo ammetterlo.» sghignazzò quello, rinfoderando l’arma.

«Quando hai finito di giocare a chi ce l’ha più grosso, possiamo parlare? Vorrei chiudere la faccenda prima di cena.»

«Oh, la signora qui vuole andare a succhiare cazzi per cena.» Gaho si voltò verso il gruppetto alle sue spalle, a braccia aperte, causando risatine di sottofondo «Se vuoi posso darti il mio cazzo da succhiare, o non sono abbastanza in alto nella scala gerarchica per attirare la tua attenzione?»

«Se si alzasse, potremmo anche parlarne, ma la mia tariffa non è comunque per le tue tasche.» replicò lei, incrociando le braccia al petto e spostando il peso sulla gamba sinistra. Le risate di scherno rivolte a Gaho dal suo gruppo di supporto le diedero il tempo di guardarsi intorno di soppiatto per valutare la situazione, che di certo non era delle migliori.

«Che ci fai qui, Noshimuri?»

«Voglio concedere a Shimata la rivincita che tanto brama.»

Gaho sorrise, grattandosi il mento con la pistola, quindi si voltò verso l’interpellato.

«Che ne dici, Kaede?»

«Sono pronto.» replicò l’altro, leccandosi le labbra e puntando lo sguardo su di lei.

Keiko non si fece intimidire, aveva un piano ben preciso in mente che avrebbe chiuso i conti.

«Comunque devo farti i complimenti, Gaho: sei uscito da quell’auto in procinto di esplodere davvero velocemente, tanto che ero convinta ci fossi rimasto in mezzo.»

Lo yakuza le si avvicinò, negli occhi una luce di sfida.

«Ho mille risorse, dolcezza.»

«Me ne sono accorta, so riconoscere un talento quando lo vedo.»

Lo stupore si disegnò sul volto del suo interlocutore, evidentemente sorpreso da quell’affermazione: Kei sapeva come trattare coi boriosi arroganti e pieni di sé, e solleticare il loro ego era la base di partenza.

«Talento, dici?»

«Certo.» piegò la testa leggermente di lato, continuando a fissarlo negli occhi «È chiaro che stai crescendo e che presto potrai prendere il posto di Mori.»

La risata di Gaho riempì l’officina.

«Vedete? Questa è una in grado di riconoscere il mio valore.»

«E Shuzo è solo uno sciocco a non vederlo, ma se ne pentirà.» Keiko rincarò la dose, consapevole di aver centrato il nocciolo della questione e di aver punto Gaho nell’orgoglio.

«Mi piace questo tuo lato così perspicace, potrei quasi valutare di farti entrare nella mia squadra.»

«Io lavoro da sola, lo sai.»

«Quindi quella con Malerba è una collaborazione da esterna?» la schernì, mimando il gesto di ingropparsi qualcosa.

«Non so che idea ti sia fatto, ma tra me e Mori c’è un puro rapporto professionale, nient’altro.»

«Andiamo, ti ho vista uscire dal suo appartamento sopra il capannone, mezza nuda e spettinata.»

«E chi ti dice che non sia stata io ad approfittarmi di lui?»

Il silenzio calò nell’officina, e Kei seppe di aver instillato il dubbio nella testolina mezza vuota di Gaho: chi si stava approfittando di chi?

Fece un passo avanti per colmare la breve distanza che li separava e abbassò il tono di voce, affinché solo lui potesse sentirla.

«Io vengo dal Brasile, sono abituata a queste cose… non mi spaventano i mezzucci di Malerba» si sporse verso il suo orecchio «né tantomeno i tuoi.»

«Ehi, non sono stato invitato a questa riunione di famiglia!»

La voce di Shuzo riempì il locale, e la reazione di Gaho non si fece attendere: strattonò Keiko per un braccio, costringendola a voltarsi verso il loro capo e le puntò la pistola alla tempia.

«Uh, che reazione focosa.» ridacchiò Malerba «Sai che puoi anche farle saltare il cervello che non mi interesserebbe, vero?»

«Vaffanculo, Mori.» sibilò lei, consapevole che si trattava quantomeno della verità.

«Ok, va bene.» si schiarì teatralmente la voce e si portò le mani alla testa «No! Ti prego! Non ucciderla!»

Kei alzò gli occhi al cielo, la presa per il culo di Mori avrebbe indispettito Gaho e allora sì che avrebbe rischiato la vita: lo yakuza, però, parve non raccogliere la provocazione e lasciò andare la presa su di lei.

«Che vuoi, Mori?»

«Voglio capire che intenzioni hai, Gaho. Vuoi una lotta interna? Una sfida aperta? Che ti interessa il mio posto l’ho capito da tempo, benché tu abbia cercato di tenerlo nascosto. Anche ricoprire la Silvia Reloaded di accelerante nella speranza che sia io che Noshimuri rimanessimo vittime di un fatale destino è stato un ottimo piano.»

«Sei perspicace.» un ghigno si dipinse sulle labbra dell’ex tirapiedi.

«Andiamo, chiedi e ti sarà dato.» allargò le braccia, senza togliersi dal volto quell’espressione beffarda.

«Che ne dici di una bella drift war, Malerba?» Kei si voltò di scattò verso Gaho, a occhi sbarrati «In fondo siamo in quattro, e Shimata non vede l’ora di gareggiare contro Noshimuri per avere la sua rivincita, e sinceramente mi piace l’idea di toglierti quel sorriso del cazzo dal volto.»

«Credi di essere migliore di me?»

«Ne sono certo.»

Shuzo strinse gli occhi, inarcando le labbra in un sorrisetto sghembo e compiaciuto.

«Tu, io, Shimata e Noshimuri. Se Shimata batte Noshimuri avrà il posto di driver ufficiale. Se tu mi batti…» Gaho ne pareva convinto «avrai il mio regno.»

«Andata.»

Gaho voltò loro le spalle e iniziò a impartire ordini ai suoi scagnozzi, così Kei ne approfittò per raggiungere Shuzo.

«Sei sicuro di quello che fai?»

«Gaho ha una guida nervosa, quando c’è in gioco qualcosa che gli preme, e Shimata è solo un tossico. Non sarai mica preoccupata.»

«Non me ne fotte di vincere, mi preme portare a casa la pelle.»

Fece per superarlo ma lui la trattenne per un gomito.

«Ehi. Niente scherzi. Devi battere Shimata, intesi?»

Kei puntò lo sguardo nelle iridi di Mori, così simili a quelle di Yuzo: come poteva dire a Morisaki che, nel tentativo di proteggere il gemello, lo aveva trascinato in una drift war letale?

«Dovevi restarne fuori, Shuzo.»

«Sei preoccupata per me, piccola?» ammiccò lui, afferrandola per un fianco.

Kei non replicò; si limitò ad arretrare di un passo e superarlo per uscire dall’edificio. Necessitava della concentrazione necessaria per vincere la gara e chiudere la questione una volta per tutte.

 

Yuzo scattò in piedi non appena la porta dell’ufficio di suo fratello si aprì: osservò Shuzo e Keiko entrare e dallo sguardo della ragazza capì che c’era qualcosa che non andava.

«L’avete trovato?»

«Lui e la sua gang.» Keiko annuì, dirigendosi verso il frigo nell’angolo della stanza ed estraendone una birra. Shuzo le fece un gesto con la mano, così lei gliene lanciò una che lui afferrò al volo.

«E…? Non fatemi stare sulle spine.»

«E niente, fratello.» Shuzo si lasciò andare sulla propria poltrona, smollando la stampella a terrà e portando entrambi i piedi sulla scrivania «Ci aspetta una drift war coi fiocchi.»

Non capendo di cosa stesse parlando, si voltò verso la sua amica che, però, distolse lo sguardo, puntandolo verso la porta. Niente finestre, nell’ufficio di Shuzo, la privacy è molto importante per lui.

«Come pensi di fare?» Keiko lo disse mentre, con un cenno della testa, indicò il gesso al piede di Shuzo.

«Posso farlo togliere, non è un problema. Qualche antidolorifico e via. Tu, piuttosto, vedi di non deludermi proprio adesso: sei il cavallo migliore della mia scuderia.»

«Le tue metafore fanno schifo, Mori-san.»

Shuzo sorrise, il che fece comprendere a Yuzo che al suo gemello piaceva Keiko. Apprezzava le caratteristiche che la rendevano così diversa da tutte le donne giapponesi che conoscevano, anche quelle più dentro la yakuza. Kei era un esatto mix di culture, da entrambe aveva preso i tratti migliori e peggiori per diventare indipendente e sopravvivere in una vasca di squali.

«Quando sarà questa gara?»

«Stanne fuori, fratello.» lo redarguì subito Shuzo, consapevole che se gli avesse fornito troppi dettagli se lo sarebbe ritrovato in mezzo.

«Posso aiutarvi. Io e Tsubasa potremmo...»

«No.» Keiko lasciò andare la bottiglia sul tavolo con un gesto secco, tant’è che Yuzo temette che questa andasse in frantumi «Tsubasa non deve sapere nulla. Anzi, dovrai occuparti di tenerlo il più lontano possibile per il tempo necessario.»

«Non è giusto, lui vorrebbe sapere che...»

«Ho detto di no.» Kei lo interruppe per la seconda volta «Tsubasa al momento è…» bevette un lungo sorso di birra e calò di nuovo la bottiglia nello stesso punto, con la medesima veemenza di poco prima «Il Giappone gli ha obnubilato la mente.» concluse.

«Oppure è stata la figa.» Shuzo fece spallucce nell’esporre quell’ipotesi «Non credo che in Brasile si sia dato da fare a dovere, o sbaglio?»

«Tsubasa è sempre rimasto fedele ai suoi princìpi.»

«Lo dici come se fosse un dispiacere. Davvero non avete mai esplorato nulla l’uno dell’altra, in questi anni di vicinanza?»

Il silenzio di Keiko, corredato da uno sguardo di fuoco, sembrò risvegliare lo yakuza.

«Oh, allora non sa davvero cosa si perde.»

«Sei proprio uno stronzo.» lo appellò Keiko, terminando la birra e lasciando la bottiglia sulla scrivania.

«Ehi, dove vai?»

«A riposarmi, Mori: ho bisogno di tutta la concentrazione possibile per tirarmi fuori dal casino in cui mi hai cacciato.»

«Ti ho dato i mezzi per uscirne bene!» le urlò dietro, prendendosi come risposta un dito medio che Kei tenne alzato per tutto il percorso fino all’uscita dal capannone.

«Non guardarmi così.» Shuzo ora si rivolse al gemello.

«Quindi la gara è stata un’idea tua?»

«È l’unico modo per uscirne incolumi, o quasi. Keiko sa il fatto suo, quando si tratta di guidare, e quei due sono troppo presi dalla loro sete di potere e vendetta per poter ragionare in maniera lucida.»

«Io spero che tu sia sicuro di quello che fai, Shuzo, perché se dovesse succederle qualcosa, io non te lo perdonerei mai.»

Mantenne il contatto visivo con lui, nella speranza che capisse la gravità del suo gesto e quanto quello che stava per fare avrebbe condizionato il loro rapporto.

«Perché ti stanno tanto a cuore, Yuzo? Me lo spieghi?»

«Perché… ho fatto una promessa.»

«Il bel sangue misto ti ha proprio rubato il cuore. Peccato sia finito tre metri sotto terra.»

«Keiko ha ragione, sai essere proprio stronzo.»

Gli voltò le spalle e seguì i passi dell’amica, incurante delle parole del gemello per tenerlo lì: non gli avrebbe tolto la parola per sempre ma gli avrebbe fatto pesare quella discussione per molto tempo.

 

Keiko aveva il cuore in gola, e la cosa la faceva incazzare da morire.

Aveva partecipato a un numero considerevole di race wars, eppure da nessuna era mai dipesa la sua vita, e questo le faceva aumentare considerevolmente il livello di ansia.

«Tutto bene?»

Shuzo le comparve alle spalle, ma lei non si voltò a guardarlo: era ancora arrabbiata con lui per essersi intromesso e aver girato la situazione a modo suo, senza interpellarla.

«Gaho e Shimata stanno arrivando.»

«Adoro quando tiri fuori il tuo spirito selvaggio e annusi l’aria per sentire l’odore del nemico.»

«Riconoscerei i loro scarichi tra mille: rumorosi e inutili, esattamente come loro due.» piegò la testa per voltarla all’indietro, senza muovere il busto, e dopo pochi istante le due auto comparvero lungo la strada del tempio.

Gaho e Shimata inchiodarono a pochi passi da loro, e scesero dalle vetture lasciandole però accese.

«Ed eccoci qui.» Gaho si accese una sigaretta con una lentezza disarmante «La nostra piccola star d’oltreoceano e il capo che tutti non vorremmo avere.»

«Siamo nulla contrapposti al traditore e all’eterno secondo – senza offesa.» Shuzo alzò le mani ma il suo sguardo rimase impertinente.

«Il percorso lo conoscete, niente torce: ci faremo aiutare dai fari e dalla luce della luna.» Keiko infine si voltò, incrociando le braccia al petto. I fari delle vetture dei due contendenti le erano puntati in faccia e non poteva vederli chiaramente, ma dalla loro posa trapelava tutta la sicurezza che ostentavano.

«Prima le signore.» Gaho mimò un inchino e la fece sfilare davanti a sé.

Respira, Kei-chan.

Salì in auto strinse il volante, aprendo e chiudendo le dita un paio di volte per assicurarsi una presa agevole: aveva optato per dei guanti senza dita per evitare che il sudore eventuale le facesse perdere aderenza sulla finta pelle.

Shuzo andò a sistemare il meccanismo per far scattare la bandierina che avrebbe decretato la partenza ufficiale: in mancanza di una car girl, usavano un abile gioco di leve che, dopo un imprecisato numero di secondi, lasciava cadere a terra lo straccio. Variabili come vento, o mancanza di esso, rendevano ancora più imprevedibile le partenze di quel genere di sfide.

«Ci siamo.» mormorò a sé stessa, battendosi la mano destra sul cuore prima di recuperare la posizione. Sguardo fisso sull’obiettivo, doveva vincere e assicurarsi che Mori facesse altrettanto. Voltò leggermente lo sguardo verso di lui: il solito sorriso da testa di cazzo era fisso sulle sue labbra ma gli occhi erano concentrati sul drappo.

Un lieve movimento dell’oggetto li portò a premere il pedale dell’acceleratore, ma era un falso allarme. Questione di secondi, comunque.

Ricordati di respirare.

I consigli di Yukiko le tornavano in mente sempre nei momenti più opportuni: espirò nell’esatto momento in cui il panno si staccò dal suo supporto e questo le permise di partire per prima, ma Shuzo non si fece cogliere impreparato e prima dell’ingresso nel bosco la superò in maniera poco ortodossa. Scalò la marcia e fece per seguirlo ma Shimata la superò in quell’istante: aveva l’acceleratore a tavoletta e si piantò dietro allo yakuza.

«Merda.»

Gaho chiudeva la parata alle sue spalle.

Qualcosa nella guida di Shimata non la convinceva: si muoveva a zig zag, come se stesse aspettando il momento giusto per superare Shuzo – o almeno provarci – ma in un paio di occasioni che Kei avrebbe sfruttato, al suo posto, non si era fatto avanti.

L’approcciarsi della prima curva la costrinse a elaborare una strategia veloce: scalò la marcia e si piantò alle calcagna del suo predecessore quando questi accelerò all’improvviso, colpendo il retro della VeilSide di Mori e spedendolo dritto nella boscaglia.

Kei si impietrì: l’istinto le disse di fermarsi per controllare che lo yakuza stesse bene ma Gaho la incalzava e quasi la sospinse lungo la curva, impedendole di arrestarsi.

«Merda.»

Quei due stavano collaborando, ne era certa, e quello complicava ancora di più la gara.

Tentò di contattare Shuzo dalla ricetrasmittente, invano, così si concentrò sulla gara: avrebbe voluto chiamare Yuzo ma non poteva deconcentrarsi, o quelli avrebbero fatto fuori anche lei, in tutti i sensi.

Tentò a ogni curva e a ogni scanso di superare Shimata, senza successo: ogni volta che aveva un’occasione, Gaho le si faceva sotto e la toccava appena, facendole perdere aderenza e costringendola a spostare la strategia dall’attacco alla difesa. Solo un intervento esterno poteva salvarla, ma era sola contro due che non avevano più nulla da perdere, mentre lei aveva tutto l’interesse a rimanere quanto meno viva.

Il pensiero di Yuki le attraversò la mente: non poteva morire così, doveva portare a casa la pelle, a maggior ragione che Mori era uscito dai giochi. 

Si sentiva tra due fuochi, e la tensione le stava quasi facendo schizzare il cuore fuori dal petto: fu nell’ultimo rettilineo, dopo aver resistito all’ennesimo attacco di Gaho, che tentò una manovra più disperata che azzardata, e si affiancò a Shimata, superandolo di pochi centimetri sulla linea del traguardo.

Cercò di defilarsi ma Shimata non era della stessa opinione: la tamponò talmente forte da farla roteare su sé stessa un paio di volte, prima di riuscire a fermarsi.

Kei uscì dalla vettura e fece per gettarsi nella boscaglia ma Shimata fu di lei e la afferrò per i capelli, trascinandola nuovamente verso la vettura e sbattendola sul cofano. Il gesto la colse talmente impreparata che non riuscì a difendersi dai due pugni che le rifilò in pieno volto, costringendola ad accasciarsi.

«E adesso concludiamo quello che volevo fare da tempo…» mormorò l’uomo, slacciandosi i pantaloni e leccandosi le labbra. Kei era ancora intontita dai colpi, il sangue che colava dal sopracciglio le offuscava la vista.

Sbatté le palpebre e vide Shimata slacciarsi i pantaloni.

Le sbatté di nuovo e l’uomo si stava avvicinando.

Le sbatté per la terza volta e la VeilSide di Mori travolse Shimata, trascinandolo lontano.

Da dove era uscito quel figlio di puttana?

Si aggrappò al cofano della propria vettura e si voltò alla ricerca di Gaho: nessuna traccia dello yakuza.

«Kei!» Shuzo la raggiunse e la prese per le spalle per osservarla meglio «Cazzo, ti ha conciato proprio per le feste.»

«Gaho…»

«Non sarà più un problema» e con un cenno del capo indicò il corpo dello yakuza che giaceva accanto alla sua vettura.

Kei cercò di mettere a fuoco la scena ma si accorse di non riuscirci: si voltò verso Shuzo, che le stava parlando ma le parole erano sconnesse, poi il buio la avvolse e non sentì più nulla.

 

Le sembrava di avere le palpebre incollate da tanta che era la fatica ad aprirle: quando ci riuscì, un ambiente in penombra la accolse.

Cercò di sollevarsi sui gomiti ma la testa le girava, così stimò fosse meglio rimanere in quella posizione.

«Buongiorno, Principessa.» la voce sprezzante di Mori le giunse dalla penombra, e quando mise a fuoco la stanza capì di essere nel suo ufficio.

«Buongiorno un cazzo, Malerba.»

«Sono le undici, hai dormito tutta notte come un sasso, quindi sì, buongiorno.»

Kei riuscì finalmente a sollevarsi sui gomiti, la testa non le girava più così tanto e cercò di mettersi a sedere.

«Che è successo?»

«Oh, niente di che, ti ho semplicemente salvato il culo. Di nuovo.»

«Gaho e Shimata…?»

«Tre metri sotto terra, dubito che li troveranno tanto presto. Sei libera, mia piccola fiammiferaia.»

Si passò una mano tra i capelli, incredula.

«Dici sul serio?»

«Sì, dico sul serio: abbiamo risolto il nostro rapporto di lavoro, ti lascio libera. Ho stimato che da quando sei arrivata, mi hai portato solo guai, quindi fuori, sciò, non voglio più vederti.»

Quella storia puzzava più di una picanha dimenticata sulla griglia.

«Mori, sai bene che con me non attacca» si alzò in piedi e barcollò fino a lui «dimmi che cazzo succede.»

Nonostante la scarsa luce, lo vide adombrarsi, le sopracciglia talmente unite da sembrare un unico pezzo.

«Credo che sia meglio che tu vada a parlare con Tsubasa. Nonostante gli sforzi per tenergli nascosto il nostro piano, ieri sera la polizia è arrivata su al tempio, e per lui non è stato difficile fare due più due…»

«Puta que pariu…»

Shuzo si alzò e le si parò davanti, lo sguardo davvero contrito.

«Va’ da lui, e parlagli.»

Fu tutto quello che ottenne, perché lo yakuza uscì zoppicando dall’ufficio e la lasciò sola.

Recuperò le sue cose e uscì alla ricerca della sua auto, che trovò lucida e perfetta grazie al lavoro della cricca di Malerba: quando uscì dal garage il sole l’accecò e ci mise qualche secondo per abituarsi alla luce.

Seguì il proprio istinto e si diresse subito in officina: il portone era chiuso, e all’interno pareva non esserci nessuno.

«Bas?» chiamò, titubante.

Dall’ufficio buio ne uscì il ragazzo, lo sguardo tutt’altro che rassicurante.

«Sei viva.» e non era una domanda, bensì una semplice constatazione.

«È finita.» sospirò, lasciando andare le braccia lungo il corpo.

«Non è neanche iniziata, Kei.» Tsubasa la raggiunse, gli occhi scintillanti di rabbia «Ti avevo avvisato.» e le allungò un documento.

Non le ci volle molto per comprenderne il testo.

«Hai chiesto la custodia di Yuki…» sospirò. Come poteva biasimarlo? Lei stessa aveva avuto paura di morire, la notte precedente, il volto di Shimata le comparve davanti per un istante e le provocò vari brividi lungo la schiena.

«Puoi opporre tutta la resistenza che vuoi, ma Yuki starà con me d’ora in poi. Ti concederò di vederlo, ma-»

«Va bene.»

Le sue parole gelarono l’ex calciatore, che riportò lo sguardo su di lei. Kei non si premurò neanche di trattenere le lacrime mentre gli porgeva il foglio del tribunale.

«Firmerò quello che vuoi, mi basta poterlo vedere e far parte della sua vita. Non chiedo altro.»

Fu chiaro che la sua resa incondizionata colpì Tsubasa più del previsto, evidentemente si era preparato a uno scontro molto più acceso.

«Salgo a farmi una doccia e ti preparo le sue cose, poi te le lascio alla porta ed esco. Preferirei non esserci quando…»

Non terminò la frase ma fortunatamente non ce ne fu bisogno, Tsubasa annuì e le lanciò l’ennesimo sguardo, forse in cerca del suo bluff.

Ma non c’era nessun bluff, non in quel caso: non poteva e non voleva più mettere a repentaglio la vita di suo figlio, e sapeva che Tsubasa se ne sarebbe occupato al meglio. Il suo cuore era nuovamente a pezzi, ma non se ne curò: sarebbe andata avanti come aveva sempre fatto, dopo ogni caduta aveva sempre trovato la forza di rialzarsi e così sarebbe successo anche in quel caso.

Doveva solo rimettersi in sesto e recuperare sé stessa.

 


Scrivere questo finale mi ha spezzato molto il cuore, devo confessarvelo, ma era il giusto epilogo a tutta la faccenda... 

E a proposito di epilogo... in effetti la storia non è terminata, ci vediamo venerdì prossimo per l'epilogo: chissà cosa sarà successo di tanto importante da necessitare una riunione "di famiglia"? 

Un abbraccio immenso, grazie per il vostro affetto! 

La vostra Sakura 

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Capitolo 14
*** Epilogo ***


Velozes e Furiosos

Epilogo

Il messaggio di Yuzo era stato criptico, e neanche la telefonata gli aveva chiarito quale fosse l’urgenza dell’amico. Dopo aver messo a letto Yuki e aver pregato Sanae di portare pazienza, aveva recuperato l’auto e si era diretto al covo di Mori dove Yuzo gli aveva dato appuntamento.

I due scagnozzi all’ingresso lo fecero entrare senza porre domande e lo condussero al piano superiore, in quello che aveva tutta l’aria di essere l’ufficio di Shuzo.

«Tsubasa Ozora, quale onore!» Malerba lo accolse a braccia aperte e gli allungò la mano che lui evitò accuratamente di stringere «Eh, beh, capisco. Vieni, accomodati.»

«Non resterò a lungo, giusto il tempo di parlare con Yuzo.»

«Sì, mio fratello sta avendo qualche difficoltà a rintracciare l’altra metà della mela, lui…» si interruppe per rispondere al telefono, ma non doveva essere una telefonata che lo interessava perché liquidò l’interlocutore con poche frasi spicciole «Dicevamo? Ah, sì, Yuzo: lui è…»

La porta si spalancò e Yuzo entrò accompagnato da uno degli uomini più grossi e muscolosi che Tsubasa avesse mai visto, che trascinò all’interno una specie di sacco di juta che si agitava.

Il mugolio di dolore quando questi lo lasciò andare a terra gli rivelò la presenza di un essere umano all’interno.

«Yuzo, che modi, è così che tratti i miei ospiti?»

«Il tuo ospite aveva così tanta voglia di vederti che ho dovuto ricorrere alle maniere forti.» l’ex portiere si chinò per slegare il sacco. Tsubasa non trattenne lo stupore quando ne vide uscire Keiko.

«Si può sapere che cazzo ti passa per la testa, Malerba?»

«È tutta un’idea del tuo caro amico Morisaki, io te lo avevo chiesto con le buone.» alzò le mani questi, per difendersi.

«Ti ho già detto che non serve che io venga qui per…»

Forse accortasi della presenza di una quarta persona, Kei si interruppe e si voltò lentamente verso Tsubasa: quando i loro sguardi si incrociarono, lei lo distolse con imbarazzo.

«Che volete da me.» concluse, incrociando le braccia al petto.

«Quanta formalità: accomodati, vuoi una birra?»

Kei scosse il capo e si scostò i capelli dalla faccia, e solo in quel momento Tsubasa notò un undercut laterale che partiva dalla tempia sinistra e arrivava fin dietro l’orecchio.

«Va bene, accomodiamoci e beviamo questa birra, tanto ho l’impressione che finché non faremo ciò che dici non ci lascerai andare.»

«Sempre detto che sei quello saggio della família, Ozora.» Malerba gli lanciò un sorriso che doveva essere cortese ma risultò palesemente finto. Kei sbuffò e si lasciò andare sulla poltroncina, a debita distanza da dove si era accomodato lui.

«Ah, che bello, sembra una riunione tra vecchi amici. Stuzzichini?» Mori passò un vassoio a Kei, che non si mosse ma mantenne lo sguardo infuocato fisso su di lui «Ok, niente stuzzichini.» e riposò il tutto sul tavolo.

«Mi stai facendo venire mal di testa, si può sapere di che si tratta?» Kei era visibilmente spazientita, e aveva l’aria di chi avrebbe preferito essere ovunque tranne che lì. Tsubasa non riuscì a biasimarla, in fondo i loro rapporti erano praticamente inesistenti da quando le aveva tolto la custodia di Yuki: neanche l’officina era riuscita a mantenere un minimo di legame tra loro, essendosi divisi i turni di lavoro – lui al mattino e lei al pomeriggio.

«Yuzo ha smosso il mio lato umano e vi ho convocati per cercare di mediare una pace tra voi due.»

«Per il bene di Yuki» lo interruppe il gemello, avvicinandosi e chinandosi in mezzo a loro due «È un bambino intelligente ma soffre nel vedervi così distanti. Siete la sua famiglia, dovete trovare un equilibrio che…»

«Abbiamo già trovato un equilibrio.» Tsubasa non si trattenne, sibilando come un serpente velenoso «E se siamo giunti a questo punto è anche colpa tua.»

«Non dare colpe a Yuzo, lui non c’entra.» Kei intervenne a difesa dell’amico.

«Ok, calmi, calmi» l’ex portiere scattò in piedi e si frappose fra i due «Non ricominciate. Io ho le mie colpe, è vero, ma ho sempre cercato di agire per il meglio. Adesso, però, dovete ricomporvi perché c’è bisogno di voi.»

«Che vuoi dire?»

Kei scattò in piedi, pallida come un cencio.

«Il rilevatore di Cris…»

Yuzo la fissò in volto ma non disse nulla, e Tsubasa percepì il proprio cuore quasi esplodere nel petto.

«Volete spiegarmi?»

«No, non è il rilevatore di Cris, non sono riuscito a ottenere nulla di più di quel debole segnale nel bairro…»

«Avete cercato Cris senza di me

«Scusaci, noi volevamo avere qualche certezza, prima di venire a rompere il tuo idillio d’amore.» per una frase che iniziava con dolcezza, Kei trovava comunque il modo di terminarla con una stoccata.

«Cris era anche mio amico, se c’è la possibilità che sia ancora vivo voglio saperlo e soprattutto voglio partecipare a un’eventuale ricerca.»

«Aspettate, aspettate, vi prego…» Yuzo cercò di attirare la loro attenzione «è vero, abbiamo fatto progressi con la ricerca di Cris, pochi, ma ne abbiamo fatti. Il punto è un altro…»

Si spostò verso la scrivania di Shuzo e digitò velocemente qualcosa sul computer, quindi ruotò lo schermo verso di loro.

«Cos’è?» Tsubasa si avvicinò e cercò di mettere a fuoco l’immagine.

«Sembra la ripresa di un bancomat…» osservò Kei, avvicinandosi a sua volta, mantenendo le braccia conserte.

Tsubasa si focalizzò sulla ripresa, e il silenzio cadde nella stanza: un individuo con un berretto da baseball ben calcato in testa si avvicinò all’apparecchio, sembrò effettuare un’operazione allo sportello ma d’un tratto si bloccò e alzò la testa, puntando lo sguardo ben dritto alla telecamera. Pochi secondi, riabbassò la testa e si allontanò.

«Non può essere…»

Kei aveva esalato quelle parole col respiro accelerato e gli occhi spalancati.

«È uno scherzo, e pure di pessimo gusto, Mori.» Tsubasa fu categorico.

«La ripresa è di due settimane fa.» Yuzo rispose al posto del gemello.

«Roberto è morto, sepolto e decomposto!» replicò, battendo il pugno sulla scrivania.

«Posso rivederlo?»

La richiesta di Kei colse tutti un po’ di sorpresa: Yuzo la fissò quasi in attesa che cambiasse idea, ma negli occhi della donna si leggevano un misto di emozioni tra cui la predominante era la rabbia.

Il video venne riprodotto varie volte, sfruttando anche il fermo immagine, e al termine delle varie visioni il verdetto fu unanime: si trattava proprio di Hongo.

«Quel figlio di puttana.» il pugno di Tsubasa cadde nuovamente sulla scrivania.

Kei continuava a fissare lo schermo, immobile a braccia conserte, il respiro che ora pareva molto più controllato.

«Organizzami un volo.»

Tsubasa si voltò di scatto verso di lei, che però aveva spostato la sua attenzione su Shuzo: lo yakuza negò con la testa e finalmente parlò.

«Non se ne parla, è troppo rischioso.»

«Shuzo, se Roberto è vivo, io devo saperlo. E se me lo trovassi davanti, vorrei togliermi la soddisfazione di prenderlo a calci in culo.»

«Capisco, ma la mia risposta è sempre no. Non da sola, per lo meno.»

«Non ho bisogno della badante, e San Paolo è casa mia: posso fornirti l’esatta ubicazione di quel bancomat.»

«Non lo metto in dubbio, ma è passato troppo poco tempo dalla tua fuga e dallo sgarro a Tanaka-san, serve un basso profilo.»

«Shuzo, io…»

«Vado io con lei.» intervenne Tsubasa, avanzando di un passo.

«Ah, certo! Mandare voi due, fuggiti da quel casino all’aeroporto, è proprio l’ideale.» sbuffò Shuzo, scattando in piedi.

Kei si mosse a passo lento, superò la scrivania e raggiunse Shuzo, in silenzio: quando gli fu davanti, alzò lo sguardo su di lui e non disse nulla, si limitò a fissarlo negli occhi.

Tsubasa e Yuzo si scambiarono un’occhiata interrogativa, neppure il gemello dello yakuza riusciva a capire che stesse succedendo, il che la diceva lunga sul tipo di rapporto che era nato tra Kei e Mori.

«Me lo devi, Shuzo.»

A quelle parole seguì un nuovo lungo silenzio: Malerba contrasse la mandibola, continuando a sostenere lo sguardo di Keiko.

«E va bene, porca di quella puttana, va bene. Andremo in Brasile, sei contenta?»

«Vengo anch’io» Yuzo approfittò della situazione.

«Oh, certo, così dovrò pensare anche a portare a casa il tuo, di culo, oltre ai loro. Che cazzo…»

Kei era tornata al PC e aveva ripreso a osservare le immagini, come se avesse voluto imprimersi nella mente quella sequenza: Tsubasa le si avvicinò mentre i gemelli diversi disquisivano su come procedere.

«Credi davvero che sia lui?»

«Ne sono certa…»

«Perché avrebbe dovuto fingere la sua morte?»

«Ci sono svariati motivi per cui può averlo fatto, e ho intenzioni di vagliarli tutti mentre cerco quella sua faccia da culo per tutta San Paolo.»

«Credi che sia saggio tornare laggiù, dopo…»

«Puoi stare a casa, nessuno ti obbliga» scattò in piedi e gli voltò le spalle «Hai una famiglia a cui pensare e nessuno ti biasimerà se deciderai di rimanere.»

«Che racconterò a Yuki se ti dovesse succedere qualcosa?»

Finalmente lo degnò della sua attenzione, voltandosi verso di lui.

«Ti inventerai qualcosa, sei molto bravo in questo.»

«Kei, l’ho fatto per il suo bene, e lo sai.»

«Certo, per il suo bene e per il tuo, così avevi la coscienza pulita.»

«Sei ingiusta, ma lo accetto: la rabbia parla al posto tuo.»

«No, no Bas, non c’è nessuna rabbia nelle mie parole, io non ti odio…»

Tsubasa avrebbe voluto indagare oltre ma Shuzo si frappose fra loro.

«Allora, sia chiara una cosa: comando io, e dovrete fare quello che dico io, intesi?»

«Certo, capo.» Kei gli sfiorò una guancia con una mano, sottolineando la presa in giro della parola che aveva usato, poi uscì dall’ufficio.

Rimasto solo con Malerba, Tsubasa lo afferrò per un braccio per impedirgli di seguire Keiko: nonostante la mossa lo colse di sorpresa, lo yakuza non reagì, limitandosi a lanciargli un’occhiata sorniona.

«Devi dirmi qualcosa, Ozora?»

«Tieni giù le mani da Kei.»

«È un po’ tardi per avanzare delle pretese, dopo averle tolto tutto quello che aveva, non ti pare?»

«Ho solo pensato al benessere di nostro figlio, nient’altro.»

«Se allontanarlo dalla madre, a tuo parere, era a fin di bene, chi sono io per giudicarti? Di certo non ti sei premurato di valutare le conseguenze del tuo gesto, e se proprio devo essere sincero, Tsubasa, è solo per colpa tua che Keiko è di nuovo nel mio giro. L’avrei lasciata libera, dopo la faccenda di Gaho e Shimata.»

«E dovrei crederti? Perché lo avresti fatto?»

«Perché anch’io ho un cuore, Ozora, e non avrei mai tolto una madre a suo figlio. Non dopo tutto quello che hanno passato.» si scrollò dalla sua presa, arretrando di un passo «Credi di essere tanto diverso da me, ma sei semplicemente un bulletto un po’ cresciuto che crede ancora di dover fare tutto ciò che è in suo potere per proteggere i suoi cari, e cosa ti è rimasto? Un pugno di mosche, ecco che cos’hai. Keiko ti avrebbe donato tutta sé stessa e tu ci hai sputato sopra per rincorrere un sogno da adolescente, una vita con Sanae. Tzè.» imitò il gesto di uno sputo a terra «Sei felice di ciò che hai, Tsubasa? Sei soddisfatto della tua vita, eh? Dimmelo Tsubasa. Dimmi che sei felice di ciò che hai ottenuto dalla tua miserevole vita.»

Avrebbe voluto tirargli un pugno in faccia, avrebbe voluto sputargli addosso tutto quello che pensava di lui, tutto il male che aveva creato da quando si era insinuato nelle loro vite, ma non lo fece, perché era consapevole di averci messo del suo. Si limitò ad arretrare di un passo, concedendo a Mori di uscire dall’ufficio e lasciarlo lì, in penombra.

Voltò lo sguardo allo schermo dove il primo piano di Hongo riempiva i pixel: si chinò per osservarlo meglio, per cercare di comprendere cosa si celasse dietro quelle iridi scure.

Un grido d’aiuto?

Una richiesta di soccorso?

O un guanto di sfida?

Voltò le spalle allo schermo e uscì dall’ufficio, deciso a scoprire perché Roberto avesse deciso di mentire a lui, a loro, alla família.       

 


Ed eccoci qua, con questo finale che - spero - sia inaspettato. E già, perché mentre tutti - compresi loro - erano concentrati su Cris e quel segnale, ecco che ricompare Hongo. 

Il quesito finale di Tsubasa è quello che un po' tutti ci chiediamo: che è successo? Perché è ricomparso? Perché proprio ora? 

Direi che avrete capito che avremo presto una nuova storia della serie ^^ ovviamente i miei piani sono stati combinati e il sequel vedrà la luce più tardi del previsto per una questione di tempistiche di scrittura e betaggio, ma non temete, sono a buon punto ^^ 

Per il resto, vorrei davvero ringraziarvi di persona e abbracciarvi per le vostre belle, bellissime parole di sostegno perché mi avete tenuto compagnia in questi mesi e mi avete davvero supportato in questo percorso. Sappiate che le vostre recensioni sono preziosissime per noi autori e che apprezziamo davvero il tempo che spendete per dedicarci le vostre parole. 

Bene, ora vado ad asciugarmi le lacrime e soprattutto torno metaforicamente in Brasile, ché abbiamo una matassa da sbrogliare e non voglio lasciarvi a secco troppo a lungo. 

Un abbraccio virtuale e grazie, grazie davvero, grazie di cuore 

La vostra Sakura 

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