Cronache semiserie di un gigantesco raffreddore di Stria93 (/viewuser.php?uid=319287)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I - Mikasa ***
Capitolo 2: *** Armin ***
Capitolo 1 *** I - Mikasa ***
mikasa
Mikasa
- Eren! Come ti senti? -
Rapida come un fulmine, Mikasa
attraversò la stanza e sedette sul bordo del letto, studiando il
ragazzo con occhio attento e vagamente spiritato a causa dell'ansia.
- Hai mal di testa? Mal di stomaco? Ma
di gola? Nausea? Vertigini? -
Eren alzò le mani nel tentativo di
rassicurare la giovane e arginare quell'ondata soverchiante di
domande. - Mikasa, non devi preoccuparti, davvero. Io sto... -
Lei non lo lasciò neanche finire e gli
posò un palmo sulla fronte.
- Sei molto caldo, hai ancora la
febbre. - sentenziò in tono grave. - Dobbiamo abbassarti la
temperatura. -
Iniziò a rovistare in una capiente
borsa a tracolla che Eren non aveva notato fino a quel momento. Ne
estrasse un involto di tessuto riempito di ghiaccio e glielo depose
sul capo.
- Ehi, Mikasa! Non serve che tu... -
Ma il tentativo di ribellione venne
puntualmente stroncato da un violento accesso di tosse.
La ragazza scosse la testa. - Non è un
buon segno. Il Dottor Jaeger diceva che in questi casi potrebbero
essere a rischio i polmoni. -
Eren cercò di riprendere fiato tra uno
spasmo e l'altro. - Mikasa, ho solo un maledetto raffreddore. Non ha
senso allarmarsi così. -
La giovane lo guardò severamente. - Ha
senso eccome, invece. - ribatté decisa. - Non devi trascurare la tua
salute, Eren. So che vuoi ricominciare al più presto ad allenarti e
migliorare l'indurimento per chiudere la breccia nel Wall Maria, ma
se non riposi come si deve, rischi di peggiorare la situazione e
prolungare ancora di più il periodo che dovrai passare a letto,
oltre a danneggiare il tuo fisico. -
Suo malgrado, Eren dovette riconoscere
la logica insita nella predica dell'amica. Inoltre, la prospettiva
che quella prigionia si protraesse costituiva un ottimo deterrente e
una leva efficacissima per indurlo a più miti consigli.
- Mi dispiace. - sospirò, lasciandosi
ricadere indietro sui cuscini.
- Non fa niente. - rispose la ragazza,
rimettendosi a trafficare con gli oggetti all'interno della borsa. -
L'importante è curarti a dovere e fortunatamente qui ho tutto ciò
che serve. -
Estrasse un vasetto di vetro contenente
una sostanza vischiosa e verdastra.
- Togliti la maglia. - ordinò.
Eren strabuzzò gli occhi e si sentì
avvampare. - Come, scusa? -
- Devo massaggiarti questo sul petto. -
- Posso farlo da solo. - protestò il
ragazzo. - Non sono un bambino. -
- Allora smettila di fare tutte queste
storie. - replicò Mikasa. - Stai molto male e sei indebolito dalla
febbre. Per una volta metti da parte l'orgoglio e lascia che mi
prenda cura di te. -
Con una certa riluttanza unita a una
buona dose di imbarazzo di cui tuttavia non seppe individuare la
fonte, Eren si sfilò la casacca, rimanendo a torso nudo.
Mikasa avvertì un lieve fremito
percorrerle il corpo e concentrò tutta la sua attenzione sul vasetto
di unguento. Svitò il coperchio e un intenso profumo di erbe
balsamiche si sprigionò nell'aria. Eren lo identificò all'istante.
Era un aroma inconfondibile che apparteneva alla sua infanzia e aveva
attraversato lo spazio e il tempo per giungere intatto fin lì,
esattamente uguale a come lo ricordava. Profumo di casa e di cure
amorevoli.
- Ma questo... non sarà... -
Mikasa annuì, accennando un sorriso
mesto. Era sicura che l'avrebbe riconosciuto. - Sì, è il vecchio
rimedio di tuo padre. -
Eren le rivolse un'occhiata sorpresa. -
L'hai preparato tu? -
L'amica si strinse nelle spalle. - Un
giorno gli chiesi la ricetta e lui mi insegnò l'intero procedimento.
Memorizzai tutto, così se in futuro ne avessimo avuto bisogno, avrei
saputo come prepararlo. Non è poi così difficile,sai. Le erbe
medicinali che occorrono sono piuttosto comuni. -
Eren non rispose, ancora una volta
meravigliato dalle doti e dalla lungimiranza di Mikasa. A lui non era
mai venuto in mente. Pur sapendo quanto abile fosse suo padre
nell'esercitare la propria professione, non aveva mai pensato di
chiedergli qualcosa riguardo alla preparazione dei medicamenti. A
quel tempo, i suoi pensieri erano molto più attratti dall'ignoto
oltre le Mura piuttosto che dalle piccole cose che costituivano la
sua pacifica, banale quotidianità.
Una quotidianità che aveva
erroneamente dato per scontata, finanche a detestarne la monotonia.
Prima che questa venisse brutalmente calpestata dai Giganti. Ora,
doveva ammetterlo, se ne vergognava. Se solo avesse potuto riavere
indietro ciò che da bambino aveva tanto rifuggito...
Mikasa immerse le dita nel barattolino
e iniziò a spalmare l'unguento sul torace del giovane che sussultò
a quel contatto.
- Va tutto bene? -
- Uhm, sì, è solo che... be', è
freddo. - tartagliò il ragazzo.
- Capisco. -
Gli massaggiò il petto con movimenti
ampi e circolari, come il Dottor Jaeger le aveva insegnato,
sforzandosi di ignorare le sensazioni che sentiva germogliare e
fiorire prepotentemente dentro di sé mentre i suoi palmi scorrevano
sopra la pelle di Eren, bollente di febbre. Gli anni di addestramento
avevano scolpito i suoi muscoli, trasformando il ragazzino dal fisico
nervoso in un adolescente prestante e robusto che presto sarebbe
diventato un giovane uomo indiscutibilmente attraente. Lo amava fin
dall'infanzia, ma ora quel sentimento aveva assunto una forma nuova,
più dirompente e viscerale. Una forma selvaggia e dotata di denti,
che talvolta le mordeva l'anima.
Prese un inspiro profondo nel tentativo
di schiarire la mente e tenere a bada la parte più intima e
femminile di sé che ruggiva a gran voce desideri inconfessabili.
- In realtà l'hai sempre fatto. -
mormorò Eren, all'improvviso, distogliendola dal conflitto interiore
con la propria libido.
Mikasa smise di frizionargli il petto e
alzò lo sguardo. - A cosa ti riferisci? -
Il giovane distolse il proprio,
prendendo a fissare un punto imprecisato della camera. - Ti sei
sempre presa cura di me, fin da quando ci siamo incontrati da
bambini. Inutile negarlo: sei sempre stata tu a proteggermi. Ogni
volta. -
- Eren, questo non è vero. - La
ragazza arrossì, schermendosi. - Tu mi hai salvata. Non sarei qui se
non fosse per te. -
Lui serrò la mascella e con una mossa
improvvisa avvolse le dita intorno al polso di Mikasa, facendo
pressione per sollevare il busto fino a ritrovarsi ad un soffio dal
suo viso.
- Eren?! -
- Non capisci? Volevo diventare forte.
- continuò lui, ignorando l'effetto che quell'improvvisa vicinanza
aveva prodotto sull'amica. - Forte abbastanza perché tu potessi
guardarmi con ammirazione e considerarmi al tuo livello, senza che ti
sentissi più in dovere di correre in mio aiuto e tirarmi fuori dai
guai. E invece ancora una volta mi ritrovo a non poter fare altro che
contare su di te. -
Spiazzata e incerta su come replicare,
Mikasa optò per un silenzio evasivo. La presa sul polso bruciava
come se la stesse ustionando e poteva intravedere il proprio riflesso
sconcertato negli occhi di Eren. A un tratto, lei stessa si sentiva
divorata dalla febbre e la gola le si era prosciugata al punto che
non sarebbe riuscita ad emettere un suono neanche se l'avesse voluto.
Non era abituata a sentirlo parlare così apertamente. Forse
l'ipertermia lo aveva indotto al delirio. Aveva sentito di casi in
cui la temperatura corporea troppo alta comprometteva le facoltà di
raziocinio del malato.
Tuttavia, la necessità di trovare una
risposta adeguata si volatilizzò nel momento in cui la porta si
socchiuse e una voce gentile fece capolino nella stanza.
- Eren, sei sveglio? Il Capitano Levi
mi ha detto di portarti la cen... Uh? -
Armin sostava sull'uscio, con un
vassoio tra le mani.
I suoi occhi saettarono dal rossore che
imporporava le gote di entrambi alle mani di Mikasa ancora poggiate
sul petto nudo di Eren, lucido di unguento. Ovviamente non gli sfuggì
il dettaglio del polso della giovane stretto fra le dita di lui e la
vicinanza decisamente eccessiva tra i due.
I volti paonazzi nella stanza
aumentarono di un'unità.
- Ah, scusatemi tanto! Non volevo
interrompervi! Me ne vado subito. -
Mikasa tolse di scatto le mani dal
torace di Eren. Nonostante l'innocenza delle sue intenzioni, poteva
capire quanto quella scena risultasse equivocabile. Lei stessa si era
abbandonata a fantasticherie innegabilmente audaci giusto un attimo
prima e il suo battito cardiaco ancora non accennava a rallentare.
Seppure in buona fede, non poté evitare di sentirsi colta in
flagrante e provò a spiegarsi. - Armin, aspetta. Non è come pensi!
-
- N-non penso proprio niente! Cosa
dovrei pensare? Comunque, lascio qui la cena. Assicurati che Eren
mangi qualcosa. -
Il ragazzo biondo depose il vassoio sul
tavolo accanto alla finestra, stando ben attento a non lasciar cadere
lo sguardo sulla coppia seduta sul letto dopodiché schizzò via
sbattendosi la porta alle spalle, rosso come un peperone maturo.
- Ma che diavolo gli è preso? - fece
Eren, confuso.
Mikasa gli restituì uno sguardo
incredulo. - Davvero non l'hai capito? -
L'altro scrollò le spalle. - Forse
doveva andare in bagno? -
La ragazza sospirò, rassegnata.
Inutile aspettarsi che quel testone afferrasse il senso del
comportamento di Armin o cogliesse l'ambiguità della situazione in
cui egli li aveva sorpresi. Più tardi avrebbe chiarito il malinteso
con il biondo ma la totale insensibilità (o meglio, ottusità) di
Eren quando si trattava di quel genere di cose, finiva
inevitabilmente per ferirla.
Eppure i sentimenti che nutriva per lui
non sarebbero mai mutati. Di questo era certa. Una certezza che
ardeva come una fiamma inestinguibile nel suo cuore fin da quel
fatidico giorno in cui, ancora bambino, Eren l'aveva spronata a
combattere per la propria vita. Chissà, forse in un futuro più o
meno lontano lui avrebbe finalmente capito. Oppure, più
verosimilmente, le sarebbe toccato raccogliere il coraggio a due mani
e dichiararsi senza troppi giri di parole. Prima o poi...
- Sì, - rispose seccamente,
riprendendo a strofinare l'unguento e mettendoci forse un po' più
forza del necessario. La poesia di poco prima ormai evaporata. -
Probabilmente hai ragione. Doveva andare in bagno. -
N.d.A.
Ciao a
tutti! Rieccomi con un nuovo progetto!
Stavolta
siamo decisamente su altri toni ma ammetto di essermi divertita molto
nell'immaginare questi brevi scenari slice-of-life che vedono
coinvolti Eren e gli altri, anche se non mancheranno momenti dal
gusto un po' più amaro. D'altra parte, stiamo pur sempre parlando di
SNK...
Purtroppo
la domanda: “Ma i portatori dei Nove Giganti possono ammalarsi?”
mi è venuta in mente praticamente a storie già concluse e quindi
no, non ho intenzione di ritrattare. Vi prego di concedermi una
piccola licenza, che poi sarebbe anche la conditio sine qua non
che regge l'intera raccolta.
Mi
auguro che vi possiate divertire tanto quanto mi sono divertita io
nella stesura di ogni capitolo e se riuscirò a strapparvi almeno un
sorriso, mi potrò ritenere più che soddisfatta.
Questa
prima storia è stata la più difficile e anche la meno appagante
in termini di risultato dato che non sento una grande affinità con
il personaggio di Mikasa. Spero comunque di averle reso giustizia.
Come
sempre, grazie di cuore a chiunque sarà passato da qui.
Al
prossimo capitolo!
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Capitolo 2 *** Armin ***
Armin
Armin
Eren osservava il cielo di piombo oltre
la finestra, grigio tendente al nero quanto il suo umore. Si stava
domandando per quanto ancora la malattia l'avrebbe incatenato a quel letto
tenendolo lontano dall'azione quando udì un garbato bussare alla
porta della stanza.
- Avanti. -
L'uscio si aprì con un cigolio,
rivelando una persona piuttosto minuta, abbigliata con l'uniforme del
Corpo di Ricerca.
Eren non poteva vedere il visitatore in
volto poiché questi reggeva tra le braccia un enorme mazzo di fiori
che gli occultava del tutto la parte superiore del busto, tuttavia
riconobbe la voce che si levò da dietro quel tripudio di corolle
variopinte.
- Ciao Eren, come stai oggi? -
- Cosa? Armin, sei tu? -
- Sì, sì, sono io. Aspetta un
attimo... -
Il ragazzo avanzò alla cieca e per
poco non perse la presa sul fascio di steli quando questi urtarono lo
stipite. I danni si limitarono a qualche gambo piegato e a una
pioggerella rosa e bianca che si riversò sul pavimento.
- Oh, cavolo! -
Al secondo tentativo, Armin riuscì a
centrare l'entrata della camera e si affrettò a depositare il suo
carico profumato al sicuro sul tavolo con un sospiro.
Finalmente i due amici poterono
guardarsi in faccia.
Eren indicò i fiori. - E quelli? Li
hai raccolti tu? -
- Oh, no! Sono da parte di Christa,
cioè, volevo dire Historia. - rispose Armin, spazzolandosi via
rimasugli di petali e polline dall'uniforme e dai capelli. - O forse
ormai dovrei chiamarla Sua Maestà. Non mi sono ancora abituato. -
- Come? Hai visto Historia? Raccontami.
-
Eren fece cenno all'amico di
accomodarsi sulla sedia accanto al letto e il biondo prese posto.
- Sì, sono stato alla fattoria dove
accoglie i bambini orfani. Mi ha chiesto di te e quando le ho detto
che ti sei ammalato ha chiamato tutti i suoi piccoli
ospiti e li ha mandati a raccogliere fiori per farti una sorpresa.
Alla fine li ha legati insieme con un nastro e mi ha incaricato di
consegnarteli. Ha detto che si trattava di un preciso ordine della
Regina delle Mura e che se non te li avessi portati, mi avrebbe
costretto a spalare il letame nelle scuderie ogni santo giorno per il
resto della mia vita. -
Eren si lasciò sfuggire un sorriso. -
Capisco. È proprio da lei. -
Armin lo fissò, stranito.
- Mi riferivo ai fiori. - precisò
l'amico. - Non al letame... -
- Be', sì, la conosci. - rassicurato,
Armin si strinse nelle spalle. - Anche se ormai è la Regina, quando
si tratta di fare qualcosa per il prossimo, non si tira mai indietro.
-
- Già. Alla faccia della ragazza più
cattiva di tutta l'umanità. - ridacchiò Eren, ricordando il momento
in cui l'amica l'aveva liberato dalle catene nella grotta dei Reiss
autoproclamandosi la ragazzaccia peggiore che esistesse sulla faccia
della terra, e tuttavia incapace di voltare le spalle a un amico nei
guai.
- Come hai detto? -
Eren si riscosse. - Oh, niente. Lascia
perdere. Piuttosto, che novità ci sono dal mondo oltre questa
stanza? Sono chiuso qui da così tanto tempo che ormai avrete già
sconfitto i Giganti e richiuso la breccia di Shiganshina. -
Armin sorvolò sull'ironia amara di
quella battuta pericolosamente vicina all'autocommiserazione e
rilasciò un sospiro. - Mi piacerebbe fosse vero. Ma lo sai che
entrambe le cose sono impossibili senza di te. -
Eren s'incupì e abbassò lo sguardo
sulle lenzuola stropicciate. - Già, dovrei essere là fuori a
perfezionare l'indurimento e invece sono bloccato qui a oziare senza
poter essere utile a nessuno. A cosa serve essere la speranza
dell'Umanità se basta un dannato raffreddore a mettermi fuori
combattimento? -
Digrignò i denti e strinse forte
l'orlo delle coperte tra le dita, consumato dalla frustrazione.
Armin rimase in silenzio per qualche
secondo. Il suo amico d'infanzia aveva sempre sofferto quel genere di
situazioni. Starsene a letto a riposare era un'attività che strideva
con la sua natura impetuosa già a nove anni. Doveva misurare bene le
parole. Lo conosceva a fondo e sapeva che inutili frasi di
circostanza avrebbero solo peggiorato il suo malumore.
- Sai, in realtà, io sono convinto che
tu abbia finito per ammalarti proprio a causa del troppo allenamento.
Credo che ti sia sforzato eccessivamente. -
Eren gli piantò addosso
un'occhiataccia offesa. - Che cosa vorresti dire? -
Armin si affrettò a correggere il
tiro, facendo oscillare le mani davanti a sé. - Non prenderla male,
non intendevo dire che sei debole o altro. Solo che forse... ecco,
forse hai esagerato con il potere del Gigante. Sappiamo tutti che sei
di costituzione forte. Da bambini non prendevi quasi mai il
raffreddore e anche quando capitava, ti rimettevi immediatamente.
Quello di salute cagionevole ero io, ricordi? Finivo sempre costretto
a letto per qualche malanno. -
Finalmente l'espressione arcigna di
Eren si ammorbidì mentre il ricordo d'infanzia evocato da Armin si
materializzava intorno a loro come una bolla di sapone multicolore.
- Sì, hai ragione. - confermò. - Papà
veniva a visitarti e poi incaricava me e Mikasa di passare a portarti
le medicine che preparava e riferirgli come stavi. Eravamo molto
fieri di quel compito. Anche se saremmo venuti a trovarti in ogni
caso.- aggiunse, facendogli l'occhiolino.
Armin gli restituì un sorriso luminoso
al ricordo di quei tempi relativamente spensierati. - Sì, è vero.
Guardavo dalla finestra che dava sulla strada per tutto il giorno e
aspettavo che arrivaste. E oltre alle medicine c'era sempre anche
qualche biscotto o fetta di torta che poi mangiavamo tutti insieme.
Alla fine, essere malato era quasi una fortuna! -
A quel punto il sorriso di Eren vacillò
e assunse una piega triste. - Mamma faceva finta di nulla, ma
scommetto che si accorgeva sempre dei dolci che sparivano quando io e
Mikasa venivamo a trovarti. Li sgraffignavamo dalla cucina mentre lei
non guardava. Anzi, ripensandoci ora, sono sicuro che ne preparasse
in più proprio per te. -
Armin assentì mestamente. - Già, i
tuoi genitori erano sempre molto gentili con me. -
I due tacquero, persi nei meandri del
dolce veleno di quelle memorie. Un velo di tristezza scese sulla
stanza come una ragnatela appiccicosa: più ci si dibatteva e più si
rischiava di rimanere intrappolati. I ricordi felici erano un'arma a
doppio taglio che occorreva maneggiare con molta attenzione e
destrezza. Arrecavano una gioia effimera dal retrogusto amaro ma
impiegavano meno di un secondo a trasformarsi in una lama che si
abbatteva sulle ferite mai del tutto rimarginate e che tornavano
puntualmente a sanguinare.
Armin si morse il labbro. Non era
quella l'atmosfera che aveva in mente per distrarre l'amico dai suoi
foschi pensieri. Doveva inventarsi qualcosa prima che quella cappa di
malinconia si facesse troppo opprimente.
Pensa, Armin. Pensa. È la tua
specialità, no?
A un tratto, l'idea giusta si presentò ammiccante. Un'idea un poco riprovevole ma che si
adattava perfettamente al suo scopo.
- Aspetta qui, torno subito. - fece,
alzandosi dalla sedia con uno scatto fulmineo finendo quasi per
rovesciarla e scapicollandosi fuori dalla stanza. Il suono dei suoi
passi concitati che scendevano le scale si spense, lasciando calare
nuovamente il silenzio nella camera.
- Tranquillo, non vado da nessuna
parte. - rispose tetro Eren al vano vuoto della porta.
Il biondo fece ritorno pochi minuti
dopo con un canovaccio stretto tra le mani e un'espressione furba
disegnata sul viso.
L'amico gli rivolse uno sguardo
interrogativo.
- Cos'hai lì? -
Armin riprese posto sulla sedia e gli
allungò l'involto. - Ecco! Per ricambiare il favore. -
Incuriosito, Eren dispiegò i lembi di
tessuto e liberò due grosse fette di torta di mele. Perfino con
l'olfatto inibito dal raffreddore riuscì a distinguerne chiaramente
l'aroma delizioso.
Osservò l'amico, incredulo. - Hai
rubato dalla dispensa? -
Il giovane arrossì con aria colpevole,
tormentandosi le mani. - Be', ecco, non proprio. In realtà ho rubato
direttamente dal forno, non dalla dispensa. -
Eren trovò quella risposta talmente
buffa e l'azione clandestina di Armin così inusuale per lui che
scoppiò a ridere di gusto.
Armin rimase a fissarlo a bocca aperta.
Era da molto tempo che non sentiva il suo migliore amico emettere una
risata così genuina, così spontanea. Si era ormai abituato ai suoi
sorrisi tirati che non coinvolgevano mai gli occhi e al cipiglio cupo
perennemente tormentato, come se reggesse le sorti del mondo sulle
proprie spalle (metafora che in fondo non si discostava poi così
tanto dalla realtà). Quella circostanza inaspettata gli fece un tale
piacere che finì per imitarlo e i due ragazzi si ritrovarono a
tenersi la pancia con le lacrime agli occhi.
- Sasha ti ammazzerà, lo sai, vero? -
chiese Eren, lasciando esaurire l'attacco di ridarella. - Ti pianterà
una delle sue frecce dritta in fronte. -
Armin si strinse nelle spalle. -
Correrò il rischio. - rispose. - Tu e Mikasa l'avete fatto per me
quando eravamo bambini, e ora è giusto che io faccia la mia parte.
Anche se non sarò mai coraggioso come voi. -
Eren sorrise affettuosamente all'amico
e scosse la testa. - Armin, preferirei affrontare cento Giganti in
una volta sola piuttosto che incorrere nelle ire di Sasha dopo averle
sottratto del cibo. Per come la vedo io, ora come ora sei il più
impavido di tutti. -
Il viso ancora un po' fanciullesco di
Armin si aprì in un gran sorriso. - Allora, prima di essere fatto a
pezzi dalla nostra ragazza-patata, vogliamo goderci insieme i frutti
del mio crimine? Dopotutto, potrebbe essere il mio ultimo pasto. -
I ragazzi gustarono la torta di mele
ancora tiepida e trascorsero il resto del tempo parlando e ridendo
come erano soliti fare da ragazzini.
Come se quegli anni insanguinati non
fossero mai trascorsi. Tale era il potere dell'amicizia.
Tra una chiacchiera e un'altra si fece
sera e gli altri membri della Squadra Levi rincasarono, terminate le
incombenze della giornata.
La conversazione dei due amici venne
troncata da una voce adirata levatasi dal piano di sotto.
- Ehi! Qui mancano delle fette di
torta! Chi è stato?! Chi ha osato?! -
- Sasha, calmati. Non è successo
niente di grave. - s'intromise una seconda persona, che avrebbe
potuto essere Mikasa.
- È gravissimo, invece! Giuro che se
trovo il colpevole lo sventro con le mie mani e poi lo metto a
bollire per farci uno stufato! Un bello stufato di ladro di torte! -
Armin impallidì e incassò la testa
tra le spalle, come a volersi rimpicciolire fino a scomparire.
Eren lo guardò con compassione mista a
divertimento. - Be', è stato bello conoscerti, amico. Non
dimenticherò mai il sapore di quella torta. Il tuo sacrificio
rimarrà nel mio cuore. -
Il biondo accennò un sorrisetto
incerto (con Sasha, non si poteva mai sapere). - Già, sembra proprio
che mi toccherà finire bollito. Sinceramente, non ne ho nessuna
voglia. -
N.d.A.
Rieccomi con il secondo atto di questa
raccolta semiseria.
Dato che non ci sarà un capitolo
dedicato a Historia, ho voluto includerla indirettamente tramite
Armin. Mi sembrava giusto che venisse almeno menzionata, specialmente
dopo gli eventi della prima parte della terza stagione.
Detto ciò, grazie come sempre a chi
sarà passato da qui!
Alla prossima!
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