Cronache semiserie di un gigantesco raffreddore

di Stria93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I - Mikasa ***
Capitolo 2: *** Armin ***



Capitolo 1
*** I - Mikasa ***


mikasa

Mikasa




- Eren! Come ti senti? -
Rapida come un fulmine, Mikasa attraversò la stanza e sedette sul bordo del letto, studiando il ragazzo con occhio attento e vagamente spiritato a causa dell'ansia.
- Hai mal di testa? Mal di stomaco? Ma di gola? Nausea? Vertigini? -
Eren alzò le mani nel tentativo di rassicurare la giovane e arginare quell'ondata soverchiante di domande. - Mikasa, non devi preoccuparti, davvero. Io sto... -
Lei non lo lasciò neanche finire e gli posò un palmo sulla fronte.
- Sei molto caldo, hai ancora la febbre. - sentenziò in tono grave. - Dobbiamo abbassarti la temperatura. -
Iniziò a rovistare in una capiente borsa a tracolla che Eren non aveva notato fino a quel momento. Ne estrasse un involto di tessuto riempito di ghiaccio e glielo depose sul capo.
- Ehi, Mikasa! Non serve che tu... -
Ma il tentativo di ribellione venne puntualmente stroncato da un violento accesso di tosse.
La ragazza scosse la testa. - Non è un buon segno. Il Dottor Jaeger diceva che in questi casi potrebbero essere a rischio i polmoni. -
Eren cercò di riprendere fiato tra uno spasmo e l'altro. - Mikasa, ho solo un maledetto raffreddore. Non ha senso allarmarsi così. -
La giovane lo guardò severamente. - Ha senso eccome, invece. - ribatté decisa. - Non devi trascurare la tua salute, Eren. So che vuoi ricominciare al più presto ad allenarti e migliorare l'indurimento per chiudere la breccia nel Wall Maria, ma se non riposi come si deve, rischi di peggiorare la situazione e prolungare ancora di più il periodo che dovrai passare a letto, oltre a danneggiare il tuo fisico. -
Suo malgrado, Eren dovette riconoscere la logica insita nella predica dell'amica. Inoltre, la prospettiva che quella prigionia si protraesse costituiva un ottimo deterrente e una leva efficacissima per indurlo a più miti consigli.
- Mi dispiace. - sospirò, lasciandosi ricadere indietro sui cuscini.
- Non fa niente. - rispose la ragazza, rimettendosi a trafficare con gli oggetti all'interno della borsa. - L'importante è curarti a dovere e fortunatamente qui ho tutto ciò che serve. -
Estrasse un vasetto di vetro contenente una sostanza vischiosa e verdastra.
- Togliti la maglia. - ordinò.
Eren strabuzzò gli occhi e si sentì avvampare. - Come, scusa? -
- Devo massaggiarti questo sul petto. -
- Posso farlo da solo. - protestò il ragazzo. - Non sono un bambino. -
- Allora smettila di fare tutte queste storie. - replicò Mikasa. - Stai molto male e sei indebolito dalla febbre. Per una volta metti da parte l'orgoglio e lascia che mi prenda cura di te. -
Con una certa riluttanza unita a una buona dose di imbarazzo di cui tuttavia non seppe individuare la fonte, Eren si sfilò la casacca, rimanendo a torso nudo.
Mikasa avvertì un lieve fremito percorrerle il corpo e concentrò tutta la sua attenzione sul vasetto di unguento. Svitò il coperchio e un intenso profumo di erbe balsamiche si sprigionò nell'aria. Eren lo identificò all'istante. Era un aroma inconfondibile che apparteneva alla sua infanzia e aveva attraversato lo spazio e il tempo per giungere intatto fin lì, esattamente uguale a come lo ricordava. Profumo di casa e di cure amorevoli.
- Ma questo... non sarà... -
Mikasa annuì, accennando un sorriso mesto. Era sicura che l'avrebbe riconosciuto. - Sì, è il vecchio rimedio di tuo padre. -
Eren le rivolse un'occhiata sorpresa. - L'hai preparato tu? -
L'amica si strinse nelle spalle. - Un giorno gli chiesi la ricetta e lui mi insegnò l'intero procedimento. Memorizzai tutto, così se in futuro ne avessimo avuto bisogno, avrei saputo come prepararlo. Non è poi così difficile,sai. Le erbe medicinali che occorrono sono piuttosto comuni. -
Eren non rispose, ancora una volta meravigliato dalle doti e dalla lungimiranza di Mikasa. A lui non era mai venuto in mente. Pur sapendo quanto abile fosse suo padre nell'esercitare la propria professione, non aveva mai pensato di chiedergli qualcosa riguardo alla preparazione dei medicamenti. A quel tempo, i suoi pensieri erano molto più attratti dall'ignoto oltre le Mura piuttosto che dalle piccole cose che costituivano la sua pacifica, banale quotidianità.
Una quotidianità che aveva erroneamente dato per scontata, finanche a detestarne la monotonia. Prima che questa venisse brutalmente calpestata dai Giganti. Ora, doveva ammetterlo, se ne vergognava. Se solo avesse potuto riavere indietro ciò che da bambino aveva tanto rifuggito...
Mikasa immerse le dita nel barattolino e iniziò a spalmare l'unguento sul torace del giovane che sussultò a quel contatto.
- Va tutto bene? -
- Uhm, sì, è solo che... be', è freddo. - tartagliò il ragazzo.
- Capisco. -
Gli massaggiò il petto con movimenti ampi e circolari, come il Dottor Jaeger le aveva insegnato, sforzandosi di ignorare le sensazioni che sentiva germogliare e fiorire prepotentemente dentro di sé mentre i suoi palmi scorrevano sopra la pelle di Eren, bollente di febbre. Gli anni di addestramento avevano scolpito i suoi muscoli, trasformando il ragazzino dal fisico nervoso in un adolescente prestante e robusto che presto sarebbe diventato un giovane uomo indiscutibilmente attraente. Lo amava fin dall'infanzia, ma ora quel sentimento aveva assunto una forma nuova, più dirompente e viscerale. Una forma selvaggia e dotata di denti, che talvolta le mordeva l'anima.
Prese un inspiro profondo nel tentativo di schiarire la mente e tenere a bada la parte più intima e femminile di sé che ruggiva a gran voce desideri inconfessabili.
- In realtà l'hai sempre fatto. - mormorò Eren, all'improvviso, distogliendola dal conflitto interiore con la propria libido.
Mikasa smise di frizionargli il petto e alzò lo sguardo. - A cosa ti riferisci? -
Il giovane distolse il proprio, prendendo a fissare un punto imprecisato della camera. - Ti sei sempre presa cura di me, fin da quando ci siamo incontrati da bambini. Inutile negarlo: sei sempre stata tu a proteggermi. Ogni volta. -
- Eren, questo non è vero. - La ragazza arrossì, schermendosi. - Tu mi hai salvata. Non sarei qui se non fosse per te. -
Lui serrò la mascella e con una mossa improvvisa avvolse le dita intorno al polso di Mikasa, facendo pressione per sollevare il busto fino a ritrovarsi ad un soffio dal suo viso.
- Eren?! -
- Non capisci? Volevo diventare forte. - continuò lui, ignorando l'effetto che quell'improvvisa vicinanza aveva prodotto sull'amica. - Forte abbastanza perché tu potessi guardarmi con ammirazione e considerarmi al tuo livello, senza che ti sentissi più in dovere di correre in mio aiuto e tirarmi fuori dai guai. E invece ancora una volta mi ritrovo a non poter fare altro che contare su di te. -
Spiazzata e incerta su come replicare, Mikasa optò per un silenzio evasivo. La presa sul polso bruciava come se la stesse ustionando e poteva intravedere il proprio riflesso sconcertato negli occhi di Eren. A un tratto, lei stessa si sentiva divorata dalla febbre e la gola le si era prosciugata al punto che non sarebbe riuscita ad emettere un suono neanche se l'avesse voluto. Non era abituata a sentirlo parlare così apertamente. Forse l'ipertermia lo aveva indotto al delirio. Aveva sentito di casi in cui la temperatura corporea troppo alta comprometteva le facoltà di raziocinio del malato.
Tuttavia, la necessità di trovare una risposta adeguata si volatilizzò nel momento in cui la porta si socchiuse e una voce gentile fece capolino nella stanza.
- Eren, sei sveglio? Il Capitano Levi mi ha detto di portarti la cen... Uh? -
Armin sostava sull'uscio, con un vassoio tra le mani.
I suoi occhi saettarono dal rossore che imporporava le gote di entrambi alle mani di Mikasa ancora poggiate sul petto nudo di Eren, lucido di unguento. Ovviamente non gli sfuggì il dettaglio del polso della giovane stretto fra le dita di lui e la vicinanza decisamente eccessiva tra i due.
I volti paonazzi nella stanza aumentarono di un'unità.
- Ah, scusatemi tanto! Non volevo interrompervi! Me ne vado subito. -
Mikasa tolse di scatto le mani dal torace di Eren. Nonostante l'innocenza delle sue intenzioni, poteva capire quanto quella scena risultasse equivocabile. Lei stessa si era abbandonata a fantasticherie innegabilmente audaci giusto un attimo prima e il suo battito cardiaco ancora non accennava a rallentare. Seppure in buona fede, non poté evitare di sentirsi colta in flagrante e provò a spiegarsi. - Armin, aspetta. Non è come pensi! -
- N-non penso proprio niente! Cosa dovrei pensare? Comunque, lascio qui la cena. Assicurati che Eren mangi qualcosa. -
Il ragazzo biondo depose il vassoio sul tavolo accanto alla finestra, stando ben attento a non lasciar cadere lo sguardo sulla coppia seduta sul letto dopodiché schizzò via sbattendosi la porta alle spalle, rosso come un peperone maturo.
- Ma che diavolo gli è preso? - fece Eren, confuso.
Mikasa gli restituì uno sguardo incredulo. - Davvero non l'hai capito? -
L'altro scrollò le spalle. - Forse doveva andare in bagno? -
La ragazza sospirò, rassegnata. Inutile aspettarsi che quel testone afferrasse il senso del comportamento di Armin o cogliesse l'ambiguità della situazione in cui egli li aveva sorpresi. Più tardi avrebbe chiarito il malinteso con il biondo ma la totale insensibilità (o meglio, ottusità) di Eren quando si trattava di quel genere di cose, finiva inevitabilmente per ferirla.
Eppure i sentimenti che nutriva per lui non sarebbero mai mutati. Di questo era certa. Una certezza che ardeva come una fiamma inestinguibile nel suo cuore fin da quel fatidico giorno in cui, ancora bambino, Eren l'aveva spronata a combattere per la propria vita. Chissà, forse in un futuro più o meno lontano lui avrebbe finalmente capito. Oppure, più verosimilmente, le sarebbe toccato raccogliere il coraggio a due mani e dichiararsi senza troppi giri di parole. Prima o poi...
- Sì, - rispose seccamente, riprendendo a strofinare l'unguento e mettendoci forse un po' più forza del necessario. La poesia di poco prima ormai evaporata. - Probabilmente hai ragione. Doveva andare in bagno. -



N.d.A.


Ciao a tutti! Rieccomi con un nuovo progetto!
Stavolta siamo decisamente su altri toni ma ammetto di essermi divertita molto nell'immaginare questi brevi scenari slice-of-life che vedono coinvolti Eren e gli altri, anche se non mancheranno momenti dal gusto un po' più amaro. D'altra parte, stiamo pur sempre parlando di SNK...
Purtroppo la domanda: “Ma i portatori dei Nove Giganti possono ammalarsi?” mi è venuta in mente praticamente a storie già concluse e quindi no, non ho intenzione di ritrattare. Vi prego di concedermi una piccola licenza, che poi sarebbe anche la conditio sine qua non che regge l'intera raccolta.
Mi auguro che vi possiate divertire tanto quanto mi sono divertita io nella stesura di ogni capitolo e se riuscirò a strapparvi almeno un sorriso, mi potrò ritenere più che soddisfatta.
Questa prima storia è stata la più difficile e anche la meno appagante in termini di risultato dato che non sento una grande affinità con il personaggio di Mikasa. Spero comunque di averle reso giustizia.
Come sempre, grazie di cuore a chiunque sarà passato da qui.
Al prossimo capitolo!



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Capitolo 2
*** Armin ***


Armin


Armin



Eren osservava il cielo di piombo oltre la finestra, grigio tendente al nero quanto il suo umore. Si stava domandando per quanto ancora la malattia l'avrebbe incatenato a quel letto tenendolo lontano dall'azione quando udì un garbato bussare alla porta della stanza.
- Avanti. -
L'uscio si aprì con un cigolio, rivelando una persona piuttosto minuta, abbigliata con l'uniforme del Corpo di Ricerca.
Eren non poteva vedere il visitatore in volto poiché questi reggeva tra le braccia un enorme mazzo di fiori che gli occultava del tutto la parte superiore del busto, tuttavia riconobbe la voce che si levò da dietro quel tripudio di corolle variopinte.
- Ciao Eren, come stai oggi? -
- Cosa? Armin, sei tu? -
- Sì, sì, sono io. Aspetta un attimo... -
Il ragazzo avanzò alla cieca e per poco non perse la presa sul fascio di steli quando questi urtarono lo stipite. I danni si limitarono a qualche gambo piegato e a una pioggerella rosa e bianca che si riversò sul pavimento.
- Oh, cavolo! -
Al secondo tentativo, Armin riuscì a centrare l'entrata della camera e si affrettò a depositare il suo carico profumato al sicuro sul tavolo con un sospiro.
Finalmente i due amici poterono guardarsi in faccia.
Eren indicò i fiori. - E quelli? Li hai raccolti tu? -
- Oh, no! Sono da parte di Christa, cioè, volevo dire Historia. - rispose Armin, spazzolandosi via rimasugli di petali e polline dall'uniforme e dai capelli. - O forse ormai dovrei chiamarla Sua Maestà. Non mi sono ancora abituato. -
- Come? Hai visto Historia? Raccontami. -
Eren fece cenno all'amico di accomodarsi sulla sedia accanto al letto e il biondo prese posto.
- Sì, sono stato alla fattoria dove accoglie i bambini orfani. Mi ha chiesto di te e quando le ho detto che ti sei ammalato ha chiamato tutti i suoi piccoli ospiti e li ha mandati a raccogliere fiori per farti una sorpresa. Alla fine li ha legati insieme con un nastro e mi ha incaricato di consegnarteli. Ha detto che si trattava di un preciso ordine della Regina delle Mura e che se non te li avessi portati, mi avrebbe costretto a spalare il letame nelle scuderie ogni santo giorno per il resto della mia vita. -
Eren si lasciò sfuggire un sorriso. - Capisco. È proprio da lei. -
Armin lo fissò, stranito.
- Mi riferivo ai fiori. - precisò l'amico. - Non al letame... -
- Be', sì, la conosci. - rassicurato, Armin si strinse nelle spalle. - Anche se ormai è la Regina, quando si tratta di fare qualcosa per il prossimo, non si tira mai indietro. -
- Già. Alla faccia della ragazza più cattiva di tutta l'umanità. - ridacchiò Eren, ricordando il momento in cui l'amica l'aveva liberato dalle catene nella grotta dei Reiss autoproclamandosi la ragazzaccia peggiore che esistesse sulla faccia della terra, e tuttavia incapace di voltare le spalle a un amico nei guai.
- Come hai detto? -
Eren si riscosse. - Oh, niente. Lascia perdere. Piuttosto, che novità ci sono dal mondo oltre questa stanza? Sono chiuso qui da così tanto tempo che ormai avrete già sconfitto i Giganti e richiuso la breccia di Shiganshina. -
Armin sorvolò sull'ironia amara di quella battuta pericolosamente vicina all'autocommiserazione e rilasciò un sospiro. - Mi piacerebbe fosse vero. Ma lo sai che entrambe le cose sono impossibili senza di te. -
Eren s'incupì e abbassò lo sguardo sulle lenzuola stropicciate. - Già, dovrei essere là fuori a perfezionare l'indurimento e invece sono bloccato qui a oziare senza poter essere utile a nessuno. A cosa serve essere la speranza dell'Umanità se basta un dannato raffreddore a mettermi fuori combattimento? -
Digrignò i denti e strinse forte l'orlo delle coperte tra le dita, consumato dalla frustrazione.
Armin rimase in silenzio per qualche secondo. Il suo amico d'infanzia aveva sempre sofferto quel genere di situazioni. Starsene a letto a riposare era un'attività che strideva con la sua natura impetuosa già a nove anni. Doveva misurare bene le parole. Lo conosceva a fondo e sapeva che inutili frasi di circostanza avrebbero solo peggiorato il suo malumore.
- Sai, in realtà, io sono convinto che tu abbia finito per ammalarti proprio a causa del troppo allenamento. Credo che ti sia sforzato eccessivamente. -
Eren gli piantò addosso un'occhiataccia offesa. - Che cosa vorresti dire? -
Armin si affrettò a correggere il tiro, facendo oscillare le mani davanti a sé. - Non prenderla male, non intendevo dire che sei debole o altro. Solo che forse... ecco, forse hai esagerato con il potere del Gigante. Sappiamo tutti che sei di costituzione forte. Da bambini non prendevi quasi mai il raffreddore e anche quando capitava, ti rimettevi immediatamente. Quello di salute cagionevole ero io, ricordi? Finivo sempre costretto a letto per qualche malanno. -
Finalmente l'espressione arcigna di Eren si ammorbidì mentre il ricordo d'infanzia evocato da Armin si materializzava intorno a loro come una bolla di sapone multicolore.
- Sì, hai ragione. - confermò. - Papà veniva a visitarti e poi incaricava me e Mikasa di passare a portarti le medicine che preparava e riferirgli come stavi. Eravamo molto fieri di quel compito. Anche se saremmo venuti a trovarti in ogni caso.- aggiunse, facendogli l'occhiolino.
Armin gli restituì un sorriso luminoso al ricordo di quei tempi relativamente spensierati. - Sì, è vero. Guardavo dalla finestra che dava sulla strada per tutto il giorno e aspettavo che arrivaste. E oltre alle medicine c'era sempre anche qualche biscotto o fetta di torta che poi mangiavamo tutti insieme. Alla fine, essere malato era quasi una fortuna! -
A quel punto il sorriso di Eren vacillò e assunse una piega triste. - Mamma faceva finta di nulla, ma scommetto che si accorgeva sempre dei dolci che sparivano quando io e Mikasa venivamo a trovarti. Li sgraffignavamo dalla cucina mentre lei non guardava. Anzi, ripensandoci ora, sono sicuro che ne preparasse in più proprio per te. -
Armin assentì mestamente. - Già, i tuoi genitori erano sempre molto gentili con me. -
I due tacquero, persi nei meandri del dolce veleno di quelle memorie. Un velo di tristezza scese sulla stanza come una ragnatela appiccicosa: più ci si dibatteva e più si rischiava di rimanere intrappolati. I ricordi felici erano un'arma a doppio taglio che occorreva maneggiare con molta attenzione e destrezza. Arrecavano una gioia effimera dal retrogusto amaro ma impiegavano meno di un secondo a trasformarsi in una lama che si abbatteva sulle ferite mai del tutto rimarginate e che tornavano puntualmente a sanguinare.
Armin si morse il labbro. Non era quella l'atmosfera che aveva in mente per distrarre l'amico dai suoi foschi pensieri. Doveva inventarsi qualcosa prima che quella cappa di malinconia si facesse troppo opprimente.
Pensa, Armin. Pensa. È la tua specialità, no?
A un tratto, l'idea giusta si presentò ammiccante. Un'idea un poco riprovevole ma che si adattava perfettamente al suo scopo.
- Aspetta qui, torno subito. - fece, alzandosi dalla sedia con uno scatto fulmineo finendo quasi per rovesciarla e scapicollandosi fuori dalla stanza. Il suono dei suoi passi concitati che scendevano le scale si spense, lasciando calare nuovamente il silenzio nella camera.
- Tranquillo, non vado da nessuna parte. - rispose tetro Eren al vano vuoto della porta.
Il biondo fece ritorno pochi minuti dopo con un canovaccio stretto tra le mani e un'espressione furba disegnata sul viso.
L'amico gli rivolse uno sguardo interrogativo.
- Cos'hai lì? -
Armin riprese posto sulla sedia e gli allungò l'involto. - Ecco! Per ricambiare il favore. -
Incuriosito, Eren dispiegò i lembi di tessuto e liberò due grosse fette di torta di mele. Perfino con l'olfatto inibito dal raffreddore riuscì a distinguerne chiaramente l'aroma delizioso.
Osservò l'amico, incredulo. - Hai rubato dalla dispensa? -
Il giovane arrossì con aria colpevole, tormentandosi le mani. - Be', ecco, non proprio. In realtà ho rubato direttamente dal forno, non dalla dispensa. -
Eren trovò quella risposta talmente buffa e l'azione clandestina di Armin così inusuale per lui che scoppiò a ridere di gusto.
Armin rimase a fissarlo a bocca aperta. Era da molto tempo che non sentiva il suo migliore amico emettere una risata così genuina, così spontanea. Si era ormai abituato ai suoi sorrisi tirati che non coinvolgevano mai gli occhi e al cipiglio cupo perennemente tormentato, come se reggesse le sorti del mondo sulle proprie spalle (metafora che in fondo non si discostava poi così tanto dalla realtà). Quella circostanza inaspettata gli fece un tale piacere che finì per imitarlo e i due ragazzi si ritrovarono a tenersi la pancia con le lacrime agli occhi.
- Sasha ti ammazzerà, lo sai, vero? - chiese Eren, lasciando esaurire l'attacco di ridarella. - Ti pianterà una delle sue frecce dritta in fronte. -
Armin si strinse nelle spalle. - Correrò il rischio. - rispose. - Tu e Mikasa l'avete fatto per me quando eravamo bambini, e ora è giusto che io faccia la mia parte. Anche se non sarò mai coraggioso come voi. -
Eren sorrise affettuosamente all'amico e scosse la testa. - Armin, preferirei affrontare cento Giganti in una volta sola piuttosto che incorrere nelle ire di Sasha dopo averle sottratto del cibo. Per come la vedo io, ora come ora sei il più impavido di tutti. -
Il viso ancora un po' fanciullesco di Armin si aprì in un gran sorriso. - Allora, prima di essere fatto a pezzi dalla nostra ragazza-patata, vogliamo goderci insieme i frutti del mio crimine? Dopotutto, potrebbe essere il mio ultimo pasto. -
I ragazzi gustarono la torta di mele ancora tiepida e trascorsero il resto del tempo parlando e ridendo come erano soliti fare da ragazzini.
Come se quegli anni insanguinati non fossero mai trascorsi. Tale era il potere dell'amicizia.


Tra una chiacchiera e un'altra si fece sera e gli altri membri della Squadra Levi rincasarono, terminate le incombenze della giornata.
La conversazione dei due amici venne troncata da una voce adirata levatasi dal piano di sotto.
- Ehi! Qui mancano delle fette di torta! Chi è stato?! Chi ha osato?! -
- Sasha, calmati. Non è successo niente di grave. - s'intromise una seconda persona, che avrebbe potuto essere Mikasa.
- È gravissimo, invece! Giuro che se trovo il colpevole lo sventro con le mie mani e poi lo metto a bollire per farci uno stufato! Un bello stufato di ladro di torte! -
Armin impallidì e incassò la testa tra le spalle, come a volersi rimpicciolire fino a scomparire.
Eren lo guardò con compassione mista a divertimento. - Be', è stato bello conoscerti, amico. Non dimenticherò mai il sapore di quella torta. Il tuo sacrificio rimarrà nel mio cuore. -
Il biondo accennò un sorrisetto incerto (con Sasha, non si poteva mai sapere). - Già, sembra proprio che mi toccherà finire bollito. Sinceramente, non ne ho nessuna voglia. -




N.d.A.


Rieccomi con il secondo atto di questa raccolta semiseria.
Dato che non ci sarà un capitolo dedicato a Historia, ho voluto includerla indirettamente tramite Armin. Mi sembrava giusto che venisse almeno menzionata, specialmente dopo gli eventi della prima parte della terza stagione.
Detto ciò, grazie come sempre a chi sarà passato da qui!

Alla prossima!

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