Cronache dell'Outworld

di S05lj
(/viewuser.php?uid=46911)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lo Stregone ***
Capitolo 2: *** Chi è Degno di Fiducia? ***
Capitolo 3: *** Drahmin ***
Capitolo 4: *** Il Traditore ***
Capitolo 5: *** Regina senza Regno ***
Capitolo 6: *** Bugiardo, Bugiarda ***
Capitolo 7: *** Il Volto dietro la Maschera ***
Capitolo 8: *** Vincitori e Vinti ***
Capitolo 9: *** Battaglia Serrata ***
Capitolo 10: *** Coscienza ***
Capitolo 11: *** Punto di Rottura ***
Capitolo 12: *** Vendetta ***
Capitolo 13: *** Nitara ***
Capitolo 14: *** Illusioni ***
Capitolo 15: *** Una Causa Comune ***
Capitolo 16: *** Fazioni ***
Capitolo 17: *** Dubbi ***
Capitolo 18: *** Xiangqi ***
Capitolo 19: *** Vittime ***
Capitolo 20: *** Un Nuovo Piano ***
Capitolo 21: *** Forze Divine ***
Capitolo 22: *** Il Minore dei Mali ***
Capitolo 23: *** Addio Yane ***



Capitolo 1
*** Lo Stregone ***


Prologo:

Nella sala del trono di Edenia tutto sembrava fermo, immobile, come sospeso nel tempo; le torce che ne dovevano illuminare il trono erano spente, le guardie che solitamente sorvegliavano l’entrata erano assenti, le mattonelle di pietra erano mute, così anche le mura non riecheggiavano le voci delle persone che solitamente gremivano la stanza. Tutto era spento, immobile, oscuro.

Edenia non era così. Edenia era piena di colori, di voci, di suoni.

Eppure la stanza del trono non sembrava appartenere ad Edenia, quel giorno era cupa, scura, taciturna, sembrava rassegnata, forse dolorante. Quel giorno sembrava appartenere ad un altro reame.

Un reame lontano, tetro, sanguinario, fosco, con un cielo vermiglio, le terre aride, la roccia appuntita e fredda. Un reame che portava il nome di Outworld. Un reame che aveva dichiarato guerra ad Edenia. Un reame che adesso Edenia ospitava sotto forma di un esercito imponente accampato appena fuori le mura della città.

Un assedio che durava da anni e che presto avrebbe visto la sua fine.

Re Jerrod, signore di Edenia, quella mattina non era nella sala del trono, quella mattina era immobile davanti alla culla della sua piccola principessa, nata da poco meno di 2 settimane, proprio nel bel mezzo di quell'incubo.

Accarezzò la testolina pelata della figlia, dove già stava crescendo una parvenza di capigliatura castana, la bambina dormiva, non si accorse del padre, ma al sovrano parve vederla sorridere.

-Come mai sei qui? -

Voltandosi vide la figura di sua moglie, la regina Sindel.

-Volevo salutare Kitana, prima dell'assalto di questa mattina. -

Entrambi parlavano a bassa voce, per non rischiare di svegliare la bambina.

-Perché? - Gli domandò nuovamente la donna.

-Perché guardarla mi dà forza. - Osservò sua moglie, il suo viso pallido, gli occhi castani cerchiati da occhiaie di chi ha passato la notte insonne. Jerrod sapeva che non era solo colpa della bambina se sua moglie aveva perso il sonno. Eppure non gli importava se il suo volto fosse stanco, se il suo fisico fosse leggermente spossato dalla gravidanza da poco passata, lui la trovava bellissima. Le passò una mano intorno alla vita, tirandola a se e le dette un lungo bacio sulla fronte, assaporando la freschezza della sua pelle. -Tu mi dai forza. - Aggiunse staccandosi a malapena da lei.

Sindel sospirò, accarezzando il volto del marito, quella mascella squadrata con la sua tipica barba castana che non si toglieva mai e i suoi occhi castani scuri che la guardavano come se fosse la cosa più bella del mondo.

-Sei qui perché non credi di riuscire a vincere? -

Jerrod sospirò. - Non si può mai essere sicuri della vittoria. - Le prese le mani. -Ma ti giuro, mia Regina, che farò tutto ciò che è in mio potere per vincere. Combatto per Edenia, e per voi. Non posso permettermi di perdere. - Le dette un bacio sulle labbra e quando si scostarono la donna lo guardò con preoccupazione crescente. Conosceva suo marito, sapeva cosa nascondeva dietro il suo viso di pietra, aveva imparato da tempo a cogliere le sue emozioni dietro la sua corazza da condottiero autoritario e impassibile, e questa volta, sapeva che aveva paura.

Anche lei aveva visto i combattenti dell’Outworld, la furia con cui lottavano, la forza dei loro corpi e delle loro anime. Erano terribili. Eppure Jerrod non poteva perdere, non poteva succedere a loro di venir invasi da quei mostri. Che ne sarebbe stato di Kitana? E di lei?

Strinse il suo uomo in un abbraccio che sapeva di addio, lo strinse più che poteva cercando di ignorare il dolore che sentiva crescere dentro di lei, la paura, il pensiero di non poterlo più rivedere e abbracciare in quel modo. Lui ricambiò affondando il naso tra i suoi capelli corvini, inspirandone l’odore.

Quando si discostarono, Sindel gli disse solo una parola.

-Vinci. -

 

Capitolo 1: Lo stregone

1 anno dopo…

Sindel era ferma, immobile, seduta davanti la finestra della sua stanza. Da quella posizione poteva praticamente vedere tutto il cortile interno del castello.

Le guardie le sembravano così piccole viste da lassù.

Quanto era in alto? Forse abbastanza in alto perché il suo corpo si spappolasse in mille pezzi una volta toccato il suolo.

-Mia Regina… -

Una voce femminile la fece voltare di scatto, distraendola dai suoi pensieri.

Sulla porta c’era Sheeva, la sua guardia del corpo… o carceriera, a seconda dei punti di vista. Era stato Shao Kahn, imperatore dell’Outworld e assassino di suo marito ad affiancargliela: per la sua sicurezza, aveva detto, ma la verità era che la doveva tenere d’occhio, perché non scappasse o non facesse qualche azione irrazionale, come ad esempio, buttarsi da quella finestra.

-La piccola si è addormentata. - Sheeva era una Shokan, una razza dell’Outworld, una razza che si diceva erano incrociati con i draghi, o i felini. Gli Shokan erano famosi per la loro stazza, solitamente superavano i 2 metri di altezza e avevano 4 braccia, erano molto forti, ma chissà perché Shao Kahn non ne era molto attratto, preferiva i Centauri, forse perché la razza di guerrieri-draghi era molto longeva, si diceva che potessero vivere ben oltre i 1000 anni, e un alleato così longevo facilmente poteva avere dei dubbi sulla propria lealtà ed essere incline al tradimento. O forse era proprio perché la lealtà degli Shokan andava prima al proprio popolo e al loro sovrano e poi, in un secondo momento all’imperatore dell’Outworld.

La Shokan avanzò di qualche passo dentro la stanza, aveva la pelle del colore del legno, gli occhi gialli, con la pupilla a mezza luna, il naso piccolo e la bocca grande, eppure Sindel aveva trovato quel volto armonioso, sicuramente gradevole, se non addirittura bello. Sheeva portava una cresta nera, piuttosto lunga, con i ciuffi che le ricadevano all’indietro sul collo.

Shao Kahn glie l’aveva presentata come una nutrice, eppure aveva i muscoli talmente sviluppati da sembrare quelli di un uomo. Sindel non aveva mai visto un esemplare maschio di Shokan, ma se le femmine erano così muscolose, se li immaginava come degli armadi.

-Si addormenta sempre mentre mangia. - Il sorriso di Sheeva mostrò dei bianchissimi denti dai canini leggermente più allungati.

-Già. - Sindel staccò Kitana dal seno e fece per alzarsi, ma la Shokan allungò le braccia verso di lei.

-Se permettete… ci penso io. -

-No grazie. - Ribatté freddamente, alzandosi e posando sua figlia nella culla.

Non si curò degli occhi della Shokan che si abbassavano. Non si sarebbe fatta abbindolare dai suoi modi gentili e dalla sua finta cortesia. Lei era una spia di Shao Kahn e non voleva averci niente a che fare. Shao Kahn aveva ucciso suo marito, distrutto il suo mondo, l’aveva rapita e segregata in quel castello, il suo castello. No, piuttosto la morte.

-Cosa eri venuta a dirmi? - Domandò sempre in maniera fredda, forse anche altezzosa.

-Shao Kahn richiede la vostra presenza mia signora. -

-Digli che non posso. Sono indisposta. - Sindel tornò a sedersi davanti alla finestra, mentre Sheeva, alle sue spalle sembrava in imbarazzo.

-Scusate se mi permetto mia Regina, ma… -

-Io non sono la tua Regina! - Sbottò lei voltandosi di scatto. -Non sono la regina di nessuno! Mi sono spiegata? -

-Vi chiamerò come desiderate voi, mia signora… ma, se posso permettermi… Shao Kahn deve parlare con voi e io non vi consiglio di evitare la sua richiesta o… - Allargò le braccia in un segno di rassegnazione. -...non vorrei che venisse qui, in questa stanza, per costringervi. -

Sindel la guardò contrariata, Shao Kahn nella sua stanza, un pensiero veramente riprovevole, e notando lo sguardo fugace di Sheeva a Kitana che dormiva serena nella sua culla, una morsa di panico le attanagliò il cuore. Shao Kahn avrebbe potuto farle del male? Magari poteva ricattarla di uccidere Kitana se lei non avesse fatto quello che voleva. No, doveva essere più saggia di così.

Si strinse nella vestaglia bianca che indossava, e accennò un’affermazione con la testa.

-Mi preparo e scendo. -


Mentre camminava per i lunghi corridoi del castello, sentiva i suoi passi rintoccare sulle pietre scure. Le torce sulle pareti non bastavano ad illuminare la vastità di quel corridoio, c’erano così tanti posti in ombra, dove Sindel si immaginava che ci fosse sempre qualcuno nascosto in agguato, pronto ad attaccare, o spiare.

Sheeva dietro di lei non la lasciava mai un attimo sola, ma i suoi piedi scalzi non facevano rumori su quelle fredde pietre scure.

Si fermarono davanti ad una porta, dove due guardie dall’aspetto umanoide, ma con una grande bocca piena di denti aguzzi, che aveva appreso, si chiamavano Tarkatan, sbatterono i tacchi in un saluto e aprirono la pesante porta di ferro e legno.

La sala del trono di Shao Kahn era enorme, spoglia, le pareti erano di pietra come il pavimento; degli arazzi pendevano interrompendone la monotonia. L’unico arredamento della sala era un trono in pietra, gigante, al fianco del trono c’erano altre due sedie, anche quelle in pietra.

Seduto sul trono c’era Shao Kahn.

Quando lo vide, Sindel ebbe un accenno di mancamento.

Alla mente tornarono le immagini della prima volta che lo aveva visto.

Quell’essere ripugnante le aveva gettato ai piedi il corpo senza vita di suo marito, del suo amore; e aveva decretato che Edenia era sua. Che tutto ciò che era di Re Jerrod, adesso era suo, lei e sua figlia comprese.

-Diverrai la mia regina. - Queste parole erano bastate a farle capire che la sua vita era appena finita in un vortice di sofferenza, solitudine e umiliazione.

Ma se pensava di avere la vita facile con lei, si sbagliava di grosso. C’erano molte cose che non sapeva e non avrebbe mai accettato di concederglisi senza lottare. Sarebbe morta piuttosto che giacere con lui.

-Fatevi forza. - La voce di Sheeva dietro di lei la riportò alla realtà. -Non mostratevi debole. - Le sussurrò vicino all’orecchio.

Le dispiaceva ammetterlo, ma la Shokan aveva ragione. Non doveva dimostrarsi debole, non poteva. Per Kitana.

Si drizzò sulle spalle e continuò ad avanzare verso quel mostro di Shao Kahn.

L’uomo, se così si poteva definire, era rimasto immobile, seduto sul trono, non aveva mosso un muscolo e non aveva proferito parola nel vederla varcare la soglia della sala.

Sindel tenne gli occhi fissi su di lui, studiò la sua figura nei minimi dettagli.

Shao Kahn era alto, almeno 2 metri, era alto quanto Sheeva, all’incirca, il suo corpo era muscoloso fino all’inverosimile, sia la struttura del suo corpo, che la pelle, ricordavano quelli di qualsiasi altro umano, eppure il suo volto era seminascosto da un elmo con le fattezze di un teschio, che ne celava i tratti e lasciava vedere solo il mento squadrato e gli occhi rossi. Come tutti nell’Outworld, anche Shao Kahn non indossava abiti pomposi, anzi, i loro vestiti erano molto ridotti, lui indossava solo i rudimenti di un’armatura antica, composta solo dalle spalliere, da una falda e dalla scarsella a scaglie che arrivava fino a metà coscia.

Sindel avanzò altera, ostentando sicurezza e altezzosità. Quando gli fu davanti si limitò a guardarlo di sottecchi.

-Mi avete chiamata? - Domandò.

-Si. - Shao Kahn le fece cenno di sedersi in uno dei troni più piccoli, alla sua destra, e mentre lei obbediva, con un gesto della mano impartì un ordine ad una delle guardie all’interno della sala, che uscì frettolosamente dalla stanza e rientrò poco dopo.

Sindel corrugò appena la fronte notando quello che le guardie Tarkatan stavano strattonando all’interno della stanza.

Un uomo aveva il collo legato ai polsi e alle caviglie da delle catene, per questo avanzava con passo goffo e incerto, non era dell’Outworld, era evidente, per molti aspetti assomigliava ad un edeniano, aveva la pelle chiara, forse tendente leggermente all’oro, i capelli corvini erano lunghi e tenuti legati in una coda di cavallo, ad esclusione di alcune ciocche che ricadevano in maniera disordinata sulle spalle e sul volto. L’uomo venne colpito con un calcio dietro al ginocchio da uno delle due guardie, costringendolo carponi.

-Inginocchiati davanti all’imperatore Shao Kahn! -

L’ordine ebbe come effetto il volto dell’uomo che lanciò una rapida occhiata al Tarkatan. Aveva un volto leggermente allungato e forse un po’ spigoloso, il naso adunco e la bocca sottile si sposavano perfettamente con quei lineamenti taglienti, conferendogli un aspetto acuto, reso ancor più marcato dalle sopracciglia arcate sopra degli occhi dai tratti affilati.

Sindel si sporse, quasi senza volerlo, leggermente verso di lui; chi era quell’uomo? Un Edeniano? Cosa aveva fatto per farsi portare lì? Il corpo era quello di un guerriero, le spalle larghe, la vita stretta, i muscoli disegnati… eppure non lo aveva visto alla battaglia per Edenia, in effetti tutti i migliori lottatori di Edenia erano morti. E poi c’erano i vestiti. Indossava quella che sembrava una tonaca, anche se la parte sopra era stata strappata in più punti, i pantaloni erano larghi e neri, fasciati dal ginocchio alla caviglia da delle bende bianche. Non aveva mai visto nessuno indossare dei simili indumenti.

L’uomo alzò lo sguardo verso di lei, i loro occhi si incontrarono per un attimo, la bocca si piegò in un sorriso che mostrò dei denti bianchi, macchiati di rosso. In effetti solo adesso Sindel si era accorta che il labbro era spaccato, sulle braccia e sul corpo portava dei lividi e dei tagli. Aveva combattuto, dal modo in cui sollevò la testa e ciondolò sul busto sembrava stremato.

-Imperatore… - L’uomo chinò appena il capo. -I miei omaggi a voi e alla vostra regina. -

Shao Kahn era silenzioso, si limitava ad osservarlo intensamente come se cercasse di decidere cosa fare di lui, mentre la guardia vicino al prigioniero decise di insegnargli le buone maniere con un calcio ben assestato all’addome, che lo fece piegare su se stesso e tossire sangue.

-Non rivolgerti all’Imperatore senza essere interpellato! - Gridò o forse era meglio dire ringhiò e non dovette piacergli lo sguardo che gli lanciò il moro, perché lo colpì ancora, questa volta con un manrovescio al volto che lo fece cadere di fianco sul pavimento.

-Smettetela immediatamente! - Sindel si rese conto che quel gesto doveva averla fatta apparire molto debole agli occhi di Shao Kahn, ma non sarebbe stata ferma e zitta, mentre un uomo veniva torturato davanti ai suoi occhi.

La guardia sembrò sorpresa, ma chinò immediatamente la testa. -Perdonatemi mia Regina. -

Nella sala del trono era calato un silenzio assordante, Sindel lentamente si voltò a guardare Shao Kahn e si accorse dei suoi occhi rossi che la fissavano da dietro la maschera. Uno sguardo non molto rassicurante a dire la verità. Lei si drizzò sulla schiena, continuando a guardare l’uomo in catene, che lentamente si rimetteva in ginocchio, non volendo assolutamente incrociare lo sguardo dell’Imperatore.

Lo sentì sospirare. -Che cosa ha fatto? - Chiese infine.

-Ha ucciso 5 dei nostri fratelli! - Il Tarkatan sembrava fare un enorme sforzo di volontà per tentare di reprimere la rabbia che lo logorava.

-Perdonatemi, se non ho apprezzato il fatto che i vostri “fratelli” abbiano tentato di uccidermi. - Il prigioniero e il Tarkatan si sfidarono con lo sguardo. -Vi faccio le mie più sentite scuse. -

L’arroganza del prigioniero sembrò rallegrare Shao Kahn che si lasciò sfuggire un grugnito divertito, mentre la guardia assottigliò ancora di più lo sguardo.

-Quanta tracotanza, da parte di un essere così minuscolo. - Shao Kahn si alzò dal trono, rivelando tutta la sua stazza, perfino il prigioniero sembrò impressionato dalla sua mole. L’imperatore scese uno dei tre gradini di pietra che portavano al trono. -Non sei dell’Outworld, è evidente. - Scese un altro gradino. -E immagino tu non sia nemmeno di Edenia. -

Il prigioniero corrugò appena la fronte, assimilando le parole che l’imperatore pronunciava mentre gli si avvicinava. Probabilmente stava cominciando a temere per la propria vita. E a ragione.

Shao Kahn scese l’ultimo gradino, rimanendo immobile davanti all’uomo, guardandolo dall’alto in basso, forse beandosi della visione dell’ennesimo essere costretto in ginocchio dalla sua presenza.

La sua mano saettò velocemente verso la gola del moro, afferrandola saldamente e sollevandolo da terra, con la sola forza del braccio destro.

Sindel si alzò di scatto preoccupata per le sorti del prigioniero. Non poteva uccidere un uomo solo perché aveva osato difendersi da quei mostri.

-Quindi dimmi… - Osservò il suo volto contratto, alla ricerca di aria, impossibilitato a qualsiasi movimento per via delle catene. -...oltre alla stupidità… cosa muove tanta spavalderia? -

D’improvviso gli occhi del prigioniero, altrimenti neri, si accesero di un fuoco innaturale. Allungò le mani verso l’imperatore e dalle mani fuoriuscì una fiammata che scaraventò Shao Kahn, di schiena, contro la poltrona del trono.

Il prigioniero cadde a terra, annaspando aria, ma non fece in tempo a riprendere un attimo di respiro che le due guardie Tarkatan gli furono addosso. Lo colpirono con una serie di calci, prima di immobilizzarlo in ginocchio, tenendogli le spalle.

-Sei morto! - Ringhiò Shao Kahn rialzandosi.

-Mio signore, aspettate! - L’uomo tentò di dimenarsi, ma inutilmente. -Sono mortificato per il malinteso… vi prego… concedetemi il tempo di spiegare… - Nelle mani di Shao Kahn si materializzò un martello da guerra. Il prigioniero strabuzzò gli occhi. -Non volevo mancarvi di rispetto… - Shao Kahn alzò il martello sopra la testa e l’uomo chiuse gli occhi in attesa del colpo di grazia, quando una voce fece fermare tutti quanti.

-Aspettate! - Sindel corse davanti a Shao Kahn. -Ha solo tentato di difendersi. -

-Nessuno osa mancarmi di rispetto e vivere tanto a lungo per raccontarlo! -

-Io non ho mai visto una cosa simile… un colpo del genere. - Ammise indicando l’uomo ancora immobilizzato. -E voi? -

Shao Kahn sembrò pensarci qualche istante, poi abbassò il martello e scostò malamente Sindel per poter guardare l’oggetto di tutta quella confusione. -Come sei arrivato qui? -

-Alchimia mio signore. Io… sono una specie di stregone. -

-Una specie? - Shao Kahn si chinò appena sulla schiena. -Che specie? -

L’uomo parve confuso. -E’ un modo di dire… Io... pratico quel tipo di magia. -

-Sei venuto qui di tua spontanea iniziativa? -

-Si, io sto cercando di accrescere i miei poteri. - A questa affermazione l’uomo guardò negli occhi Shao Kahn, e agli occhi di Sindel parvero per un istante, non più un Imperatore e un prigioniero, ma due uomini che parlavano alla pari.

-Perché? -

-Perché, mio signore, da dove vengo io, non ho eguali. -

Questa affermazione fece ridere Shao Kahn e quella fu la prima volta che Sindel sentì la sua risata. Si stupì di come anche un suono allegro come quello, nella sua gola risultasse macabro e spaventoso. Non sapeva dire se fosse un bene o un male, se da un lato mostrava un po’ di umanità, dall’altro era agghiacciante.

-Liberatelo. - Ordinò d’improvviso alle guardie che si guardarono sconcertate.

-Ma imperatore… - Fece per iniziare uno di loro.

-Ho detto: Liberatelo! -

I due non se lo fecero ripetere, era palese dal tono del loro imperatore che non ci sarebbe stato un altro condono ad una loro esitazione. Liberarono il prigioniero dalle catene, che lentamente si alzò in piedi.
-Obbligato. - Disse rivolto a Shao Kahn, e anche se lui non lo vide, a Sindel non sfuggì lo sguardo di gratitudine che rivolse a lei, quel suo piegare la testa nella sua direzione in un muto ringraziamento.

-Come ti chiami, stregone? -

-Shang Tsung, mio signore. -

-Molto bene… Sei accusato dell’omicidio di cinque Tarkatan, mie guardie imperiali, per questo passerai la notte nelle segrete del castello. - I due Tarkatan si lanciarono un rapido sguardo, forse non avevano intenzione di fargli passare una nottata tranquilla. -Se… - Shao Kahn marcò particolarmente quella congiunzione. -...domani mi convincerai con la tua magia a non decapitarti, forse avrai la conoscenza che brami. -

Shang Tsung abbassò la testa. -Grazie mio signore. -

-Portatelo via. - Shao Kahn si sedette nuovamente sul trono e attese che le guardie uscissero con il prigioniero.

Quando furono soli l’Imperatore si rivolse a lei.

-Non tollero che mi si manchi di rispetto. -

-Quando vi avrei mancato di rispetto? -

Vide la mascella serrarsi. -Come mai hai protetto quell’uomo?! -

-Non meritava di morire solo per essersi difeso. -

-Non è solo questo. - Ringhiò avvicinandosi a lei. -Che cosa provi? -

Non poteva credere alle proprie orecchie. -Come? -

-Ho visto come lo guardavi! -

-Come lo guardavo? - Era schifata da quell’essere. -Voi avete ucciso mio marito. - Gli puntò il dito contro rendendo ancor più efficace l’accusa. -Soltanto un anno fa, avete gettato il suo corpo privo di vita ai miei piedi e adesso… - Si bloccò non riuscendo a reprimere il disgusto. -Ma voi lo sapete che cosa siano i sentimenti? -

Shao Kahn si drizzò sulla schiena. -Certo… sono quello per cui voi Edeniani avete perso, mentre noi dell’Outworld abbiamo vinto. - Le si avvicinò, chinandosi appena verso di lei. -I sentimenti sono la causa della morte di tuo marito. -

Sindel partì con uno schiaffo, ma la sua mano venne bloccata da quella enorme dell’Imperatore.

-E se insisti su questa condotta, presumo che saranno il motivo anche della tua morte. -

-Meglio la morte che essere la regina di un mostro come voi. -

Uno schiaffo violentissimo la gettò a terra. Sindel non lo aveva nemmeno visto arrivare. Si portò una mano al volto, fece appena in tempo a vedere Sheeva che faceva un passo verso di lei, prima che la figura di Shao Kahn le si parasse davanti.
-Prova nuovamente a mancarmi di rispetto e la prossima volta farò sfregiare tua figlia! -

Quella minaccia bastò ad ammutolirla. Non aveva veramente capito con che razza di mostro avesse a che fare. Sentiva il suo corpo fremere per la paura e la rabbia. Era tanta la voglia di ribellarsi e combattere. Ma come poteva? Una mossa falsa, e a farne le spese sarebbe stata Kitana.

-Adesso vattene. - Quelle parole erano uscite come un ringhio e Sindel non se lo fece ripetere, si alzò e se ne andò il più velocemente possibile.

Mentre camminava frettolosamente, verso la sua stanza, cominciò a piangere di rabbia, vergogna e impotenza.

Notò gli occhi curiosi, quasi sconvolti di alcune guardie Tarkatan che incrociò lungo il tragitto, ma non le importava.

Shao Kahn non sapeva chi lei fosse. Non ne aveva la minima idea. Era la regina di Edenia, certo, moglie di re Jerrod; ma quello che lui ignorava era che fosse anche una delle guerriere più forte e temute del suo regno. La nascita di Kitana le aveva impedito di combattere durante la guerra, e ancora non riusciva a perdonarsi, a pensare che se avesse partecipato, forse, le cose sarebbero potute andare diversamente. Lei e Jerrod avevano voluto tenacemente Kitana, ma se solo avessero aspettato...

Entrò nella stanza, Kitana era sveglia e stava piangendo, forse si era svegliata perché lei aveva sbattuto la porta. Non si diresse alla culla, ma alla finestra.

Era inutile raccontarsi frottole. Shao Kahn non aveva preteso ancora niente, ma presto sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbe reclamato il suo diritto di giacere con lei.

Sindel spalancò la finestra e osservò il cortile, gli occhi sbarrati nel vuoto.

Quel giorno cosa avrebbe fatto?

-Mia signora! - La voce di Sheeva la fece voltare di scatto.

-Vattene! - Le urlò.

-Mia signora vi prego... - La Shokan avanzò lentamente. -Io capisco la vostra disperazione… -

-Tu capisci?! - Si lasciò sfuggire una risata isterica. -Ne dubito fortemente. -

-Non risolverete niente con un gesto del genere. Pensate a Kitana. -

D’improvvisò guardò la culla, la sua bambina stava piangendo con quanto fiato avesse in corpo. Sheeva aveva ragione, non poteva lasciarla da sola con quel mostro. Chissà che cosa le avrebbe fatto se non ci fosse stata lei a proteggerla.

Si diresse alla culla, senza proferire parola prese la bambina in braccio e cominciò a cullarla. Nella mente si affollavano milioni di pensieri, e nessuno dei quali era positivo.

 

Sheeva si diresse velocemente a chiudere la finestra, dopodiché rimase qualche attimo in silenzio ad osservare la Regina cullare la Principessa. Sapeva della guerra di conquista di Edenia e del destino di quella dimensione, annessa ormai all’Outworld, conosceva anche la triste vicenda della morte di Re Jerrod, marito della Regina; ma se dentro di se provava pena per quella donna, dall’altra parte non comprendeva il suo comportamento verso l’Imperatore. Shao Kahn aveva vinto la guerra, si era dimostrato il più forte, aveva tutto il diritto di rivendicare quello che gli spettava. E non era forse questo lo scopo di una regina? Governare su di un reame? Come mai gli era così ostile? Shao Kahn le stava offrendo ricchezze e potere. Le guerre ci sono sempre state, che colpa ne aveva lui?

Tuttavia, la sua maestra le ripeteva sempre che ogni razza era differente, molti non avevano le stesse priorità degli Shokan, addirittura c’erano razze inferiori che pretendevano la pace senza imporla. A lei era sempre sembrata una utopia.

Comunque aveva capito che il disprezzo della Regina non era solo per Shao Kahn, ma anche per lei. Forse odiava l’intero Outworld. E chissà… forse per lei era giusto così.

Sapendo di non essere ben voluta fece per andarsene, ma la voce della donna la richiamò.

-Aspetta… -

-Si, mia signora? -

-Non mi va di rimanere sola. Siedi un po’ qui con me. -

Sheeva la guardò sorpresa. Era felice di quella richiesta, voleva dire che stava svolgendo bene il suo lavoro, ma era strana. Comunque fosse le si avvicinò.

 

Sindel doveva ammettere che forse si era sbagliata sul conto della Shokan. L’aveva vista preoccupata quando Shao Kahn l’aveva picchiata, forse, se riusciva a farla affezionare a lei, sarebbe stata un’ottima alleata contro quel mostro. Di certo sembrava aver preso sul serio il compito che le era stato assegnato.

-Vorrei che tu mi parlassi dell’Outworld, delle razze che lo abitano, della vostra cultura… -

Sheeva sorrise e cominciò ad esporle tutto quello che sapeva. Cominciò parlando della sua razza, gli Shokan, le raccontò che vivevano in un regno sotterraneo, anche loro avevano una monarchia, le raccontò di alcuni usi e costumi, poi le parlò dei Tarkatan, della loro tribù marziale, del modo in cui gestivano i villaggi, poi passò ai Centauri, agli Osh-Tekk, fino agli uomini rettili di Zaterra. Sembrava che nei secoli l’Outworld avesse annesso talmente tanti reami, da essere popolato da una miriade di razze.

-E Shao Kahn? - Le domandò a brucia pelo. -Di che razza è l’imperatore dell’Outworld? -

Sheeva si grattò la guancia pensierosa. -In verità, mia signora, non saprei… non ho mai visto l’Imperatore senza il suo elmo e poi… bé…. Lui è come se ci fosse sempre stato. -

Sindel corrugò lo sguardo. -Ah… e non hai idea da dove possa venire lo straniero? -

- Quello strano essere? No mia signora, mi dispiace, non ne ho idea. Deve essere un luogo che ancora noi non conosciamo. -

Sindel sorrise appena, mentre cullava la figlia in grembo. -Per te è strano… eppure è così simile a noi di Edenia… - Sindel la guardò dritta negli occhi. -Credi sia possibile andare a parlare con lui? -

Sheeva storse il naso. -Come mai? -

-Curiosità… insomma… se Shao Kahn domani dovesse ucciderlo, io non potrei mai sapere niente di questo sconosciuto, con esseri così simili al mio popolo… Credi che sia possibile? -

Il sospiro della Shokan le fece capire che aveva vinto.

-Mia signora, credo che nessuno vi impedirà di fare ciò che volete, ma se posso permettermi… un uomo che viaggia tra i regni in cerca di potere, non può portare niente di buono. -

Sindel si alzò di scatto. -Voglio solo parlare. - Decretò avviandosi alla porta con Kitana in braccio.

 

Sheeva sapeva che se ne sarebbe pentita, se lo sentiva sin nelle ossa. Le era bastato uno sguardo per capire che quel tipo portava guai, e di fatti, già a poche ore dal suo arrivo, loro si stavano già cacciando in un mare di guai. Inutile negare l’evidenza, se Shao Kahn fosse venuto a conoscenza di quello che stavano facendo si sarebbe infuriato. Non si era bevuta la balla delle informazioni, che cosa aveva in mente la regina Sindel? Che stesse tramando qualcosa? No, non sembrava una stupida, non avrebbe mai osato fare niente contro Shao Kahn. Ma allora… che l’Imperatore avesse ragione sul modo in cui aveva guardato il prigioniero? Lei non aveva notato niente di tutto ciò, ma se non era quello, che cosa poteva essere?

Arrivate alle lunghe e strette scalinate che portavano nelle segrete, Sheeva fu costretta a percorrerle di traverso o avrebbe sfregato le spalle contro la roccia.

Arrivate nei sotterranei, la guardia Tarkatan alla porta le salutò con un reverenziale inchino e le fece entrare senza fare domande.

Sheeva stava ringraziando la sua buona sorte, quando Sindel le fece la domanda che temeva da quando avevano lasciato le sue stanze.

-Potresti lasciarmi da sola con lui? -

In che guaio si stavano mettendo maledizione?

 

Sheeva annuì e rimase indietro, lasciandola libera di avanzare.

Le segrete, se possibile, erano addirittura più spoglie del resto del castello. Tra pareti e pavimento non c’era differenza, tutto della stessa pietra. Un corridoio si estendeva dalla stanza di guardia, dove erano entrate al termine delle scale, fino in fondo, dove svoltava a destra e proseguiva verso altri cunicoli. Ai lati c’erano numerose celle, sbarre di metallo chiudevano un perimento quadrato dove un uomo poteva a malapena sdraiarsi, erano tutte vuote, tranne una.

Si fermò ad osservare l’uomo che seduto in fondo alla sua cella, sembrava stesse scrivendo qualcosa sulla pietra vicino ai suoi piedi.

Shang Tsung alzò lo sguardo e quando i suoi occhi neri incontrarono quelli marroni della Regina, sorrise in un modo che Sindel non aveva mai visto. Quell’uomo aveva un sorriso strano, era come se sorridesse solo con la bocca e non con gli occhi.

-Mia regina… - Si alzò da terra e si avvicinò alle sbarre, aveva ancora i polsi legati fra loro. -...che piacevole sorpresa. - Sporse la testa per guardare se ci fosse qualcun altro. -Scusate se mi permetto… non c’è il vostro signore con voi? -

Sindel si avvicinò di qualche passo. -Non è il mio signore. -

-Ah… - Il sollevarsi delle sue sopracciglia in quel modo quasi canzonatorio e quel tono pacato le fecero per un attimo tremare le gambe. Aveva degli occhi veramente tenebrosi, sembravano quasi delle palle nere senza vita. D’improvviso le parole di monito di Sheeva le tornarono alla mente.

Forse la sua guardia del corpo aveva ragione. Forse era più pericoloso di quanto pensasse… e forse per lei era un bene.

-Il reame da cui provieni… come si chiama? Parlamene. -

Shang Tsung stirò nuovamente le labbra in una parvenza di sorriso. -Perché? -

-Perché te lo chiedo io. Sono tutti come te? -

-Oh no… io sono un esemplare unico. - Sembrava sinceramente divertirsi, poi i suoi occhi si soffermarono sul fagottino che Sindel teneva in braccio. -E’ vostra figlia? -

-Si. - Per un attimo le parve che i suoi occhi fossero attraversati da un lampo di umanità.

-E’ molta graziosa… - Chinò la testa nell’osservarla, salvo poi riportare il suo sguardo su di lei.

-Sarei imperdonabilmente sfacciato se vi dicessi che è un bene che abbia ripreso da voi e non dall’Imperatore? -

Sindel buttò giù il magone alla gola. -Shao Kahn non è il padre di mia figlia. - Lanciò una rapida occhiata all’inizio del corridoio, dove Sheeva stava parlando con le guardie Tarkatan, poi si avvicinò ancor di più alla cella. -Io non sono la regina dell’Outworld, la mia patria si chiama Edenia. Sono stata rapita da Shao Kahn, dopo che lui ha conquistato il mio reame e ucciso mio marito. - Ormai era talmente vicina che, se avesse allungato una mano, avrebbe potuto toccarlo al di là delle sbarre. -Come avrai notato anche tu, le razze dell’Outworld sono estremamente differenti da noi due… quindi ti chiedo… da dove vieni... sono tutti come te, o me? -

-Il mio reame si chiama Terra... e si, niente energumeni con 4 braccia o uomini-squalo. -

Sindel fece un profondo sospiro di sollievo, i suoi muscoli si rilassarono, non sapeva cosa fossero gli squali, ma l’importante era sapere che da dove veniva quell’individuo, qualsiasi posto fosse e ovunque si trovasse, non c’erano quei mostri.

-Grazie. - Fece per voltarsi, ma la voce dell’uomo la richiamò.

-Mia signora, posso chiedervi il perché di queste domande? -

Gli sorrise, senza nascondere l’apprensione. -Vinci… e lo saprai. -

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Chi è Degno di Fiducia? ***


Capitolo 2: Chi è Degno di Fiducia?

Quella fu la prima volta che Sindel poté vedere l'arena di combattimento dell'Outworld. Era grande, forse addirittura più grande di quella di Edenia. Quella mattina c'era un gran numero di persone. Razze di tutti i tipi erano giunti per osservare il famigerato scontro che si sarebbe dovuto svolgere. Sindel non sapeva se l'Outworld, come Edenia si servisse di pergamene o strilloni per comunicare al popolo le iniziative del regno, ma sapeva che qualsiasi fosse il loro mezzo di comunicazione, doveva essere veramente efficace. L'arena era al completo.

A lei era stato riservato il posto d'onore accanto a Shao Kahn, e la cosa da sola, già bastava a disgustarla. Ma ancora di più la disgustarono gli spettacoli cruenti e sanguinosi che vennero presentati. I condannati a morte erano costretti ad affrontare fiere terribili. Animali talmente feroci da non lasciare quasi niente dei poveri malcapitati.

Sapeva che gli occhi di Shao Kahn erano vigili sui suoi comportamenti, e così si impose di non distogliere mai lo sguardo.

Ci fu un boato quando Shao Kahn annunciò che aveva lasciato il meglio per l'ultimo prigioniero.

Shang Tsung venne fatto entrare nell'arena trascinato da due guardie, i polsi e le caviglie erano legati tra loro da pesanti catene. Sindel spalancò la bocca quando si accorse che avevano intenzione di farlo combattere in quelle condizioni.

-Ma... non lo hanno liberato dalle catene. - Protestò.

Shao Kahn le rivolse un'occhiata veloce. -Ha dichiarato di essere il più grande stregone del suo reame. Ora vedremo quanto è sottile il confine tra verità e menzogna. -

Sindel si morse il labbro. Non era giusto, ma non poteva ergersi ancora in difesa dell'uomo, ne sarebbe andato della vita di entrambi.

Le mani si strinsero intorno ai braccioli di pietra del piccolo trono vicino a quello dell'imperatore dell'Outworld, le su unghie graffiarono la pietra nuda, provocandole un fastidio che le si arrampicò fin sotto la pelle delle dita, per poi irradiarsi lungo la mano.

Nell'arena venne fatta entrare la bestia contro cui l'uomo avrebbe dovuto scontrarsi. Era enorme, con lunghe zanne e artigli ricurvi che sembravano taglienti come rasoi.

Come avrebbe mai potuto sopravvivere?

Eppure Shang Tsung sembrava tranquillo.

O era pietrificato dalla paura o aveva in mente qualcosa?

La regina vide l'animale balzare verso la sua preda, l'uomo alzò le mani verso il cielo, era sicura di averlo sentito proferire parole in una lingua sconosciuta, il terreno sotto la bestia si animò, sembrò prendere vita, la sabbia cominciò ad alzarsi, Sindel era sicura di aver anche sentito una scossa di terremoto, dal terreno sotto il ventre della bestia, uscirono fuori tre palle di fuoco che si abbatterono inesorabile sull'animale. Quello emise un verso terribile quando l'impatto lo fece balzare in aria. Il suo corpo prese fuoco e cadde pesantemente sul terreno come una cometa. Le terribili grida dell'animale si mischiarono al boato eccitato della folla, poi dopo qualche minuto il grottesco ammasso di fuoco smise di muoversi, i versi cessarono e tutto fu silenzio.

Shang Tsung aveva vinto.

Sindel notò con la coda dell'occhio la contrazione della mascella di Shao Kahn, eppure vide i suoi occhi brillare, le sue spalle si erano mosse leggermente in avanti. Era contrariato, ma allo stesso tempo piacevolmente sorpreso.

Lei invece era felice, ma quando vide lo stregone voltarsi leggermente verso di lei, ciò che lesse nei suoi occhi le fece morire il sorriso sulle labbra.

Sheeva aveva ragione.

Quello era un uomo pericoloso.

 

Sheeva detestava molte cose del regno di superficie, per prima cosa detestava la sabbia. Quei piccoli granellini finissimi e rossi, perennemente alzati dal vento che si infilavano dappertutto, tra i capelli, negli occhi, perfino nel naso. A volte, quando il vento soffiava forte e la sabbia le colpiva le gambe, le dava la sensazione di essere bucata da centinaia di aghi. Un'altra cosa che detestava era il sole cocente del giorno che bruciava le spalle, e le notti secche.

Sheeva adorava invece il clima umido del regno sotterraneo, il regno degli Shokhan, le rocce umide e le flebili luci delle torce le donavano un piacevole refrigerio dalla secchezza dei venti in superficie.

Aveva ricevuto ordine di recarsi al palazzo reale, un grande onore. Ma l'eccitazione faceva a pugni con l'inquietudine di una richiesta così inusuale e inaspettata. Come mai a corte avevano chiesto di lei?

Si muoveva veloce e sinuosa tra le vie ciottolate della capitale, maschi e femmine Shokahn affollavano le vie indaffarati nei lavori quotidiani. La città era costruita con una struttura a piramide, la parte più bassa era abitata dalle famiglie più umili, via via che si saliva verso l'alto, verso il palazzo reale, le classi sociali aumentavano, i guerrieri e i membri dell'esercito si trovavano poco sotto la famiglia reale.

Il cambio di classi sociali era facilmente intuibile dalle costruzioni degli edifici familiari, grezzi e dissestati nel punto più basso, alti e maestosi via via che salivano.

Si fermò solo una volta, lungo il suo tragitto, ad osservare uno degli ingressi alle miniere di cobalto. Shao Kahn usava quel posto come prigione di tortura per tutti quei nemici che condannava ad una morte lenta e dolorosa, lasciava a loro la gestione di ogni cosa e gli Shokahn eseguivano in maniera molto diligente.

Ciò che catturò l'attenzione di Sheeva fu uno dei prigionieri che cadde pesantemente a terra, spezzando la fila di creature che si dirigevano verso l'entrata. Una della guardie di sorveglianza Shokahn gli tirò un calcio e il cadavere del prigioniero rotolò giù per la strada. Quei prigionieri erano tutti così piccoli, dallo sguardo rassegnato e grigio, il corpo scheletrico, con la pelle resa quasi trasparente da quanto aderiva alle ossa. Erano così miserabili... patetici, rassegnati alla morte... facevano rabbia. Veniva voglia di porre immediatamente fine alle loro insulse vite.

Finalmente Sheeva raggiunse l'entrata del palazzo reale, scavato direttamente nella roccia, eppure così maestoso e regale. Venne fatta entrare ed accolta in una delle sale che venivano usate per i consigli di guerra.

La stanza aveva un grosso tavolo centrale, ma a parte lei non c'era nessun altro.

Era la prima volta che veniva convocata al palazzo, era un onore senza eguali. In merito a questo onore decise di attendere in piedi e di non accomodarsi fino a che qualcuno non glie lo avesse ordinato.

Dopo pochi minuti la porta da cui era entrata si spalancò, lasciando entrare nella stanza due maschi Shokhan.

Il più anziano indossava i simboli dei generali, mentre il più giovane aveva i colori della famiglia reale, era più alto e muscoloso del suo accompagnatore.

Doveva essere il principe Goro.

Sheeva cercò di controllarsi, ma improvvisamente la gola le era divenuta secca.

-Come ti chiami? - Domandò il più anziano.

-Sheeva, mio signore. -

-Sei la nutrice della regina Sindel? -

-Si, mio signore. -

-Ascoltami bene. - Il generale si portò le quattro braccia alla lunga vita. -Da questo momento voglio che tu riferisca a me ogni singolo movimento e parola che la regina ti rivolgerà. -

Sheeva corrugò appena la fronte, non capiva il motivo di quella richiesta, gli occhi saettarono per un attimo dal generale al principe.

Non era certo un suo diritto sapere il motivo di una simile scelta, ma non poteva vedere quella richiesta in altro modo, se non come una richiesta di tradimento della sua protetta.

-Con tutto il rispetto generale... un vincolo di onore mi lega alla regina Sindel... -

-Il vincolo di onore ti lega alla famiglia reale! - La interruppe quello avvicinandosi con fare minaccioso.

Sheeva non poté fare a meno di irrigidirsi intimorita, ma una mano trattenne la spalla del generale.

Il principe Goro abbozzò un tenue sorriso su quella bocca larga e sottile.

-Nessuno ti chiederà di rompere quel giuramento mia fedele suddita. -

Il generale abbassò la testa e indietreggiò, mentre Goro si faceva più vicino.

-Per troppe generazioni i figli Shokahn si sono visti umiliati alla corte di Shao Kahn, in favore dei nostri nemici giurati, i Centauri. -

Goro le mise le mani sulle spalle e si chinò appena verso di lei.

-Ti è stata affidata una grande missione, se avrai successo arrecherai un grande servigio alla tua razza, e a me, tuo principe. -

Sheeva non riusciva a crederci, si sentiva completamente intirizzita, deglutì un paio di volte emozionata per la vicinanza del principe. Goro parlava con saggezza e giustizia. Un giorno sarebbe stato un grande re.

-Vogliamo che tu sfrutti la tua permanenza alla corte di Shao Kahn e la tua vicinanza alla regina Sindel per portare gli Shokahn all'attenzione dell'Imperatore. -

Era un grande onore, Sheeva si sentì gli occhi umidi di lacrime di felicità e gratitudine, mai avrebbe sognato di ricevere un tale privilegio.

Abbassò leggermente la testa in un principio di inchino.

-Si, mio principe. -

 

Era tutta la mattina che Sindel non vedeva Sheeva, la cosa cominciava a turbarla e indispettirla.

Se da un lato cominciava a provare apprensione per le sorti della Shokhan, dall'altro non faceva che ribollire di rabbia per il momento in cui l'avrebbe vista varcare la soglia della sua camera per rimproverarla a dovere.

Sapeva che Shao Kahn, aveva convocato Shang Tsung nella sala del trono dopo la sua esibizione nell'arena, lei doveva parlare immediatamente con lo stregone terrestre, doveva convincerlo ad aiutarla. Aveva paura che l'uomo potesse decidere di schierarsi con l'Imperatore invece che con lei.

Ma dove era Sheeva?!

Proprio in quel momento la pesante porta della sua stanza si aprì, rivelando l'imponente figura della Shokahn.

Sindel l'aggredì verbalmente con tutta la foga possibile.

-Dove ti eri andata a cacciare?! -

Sheeva sembrò sorpresa da una tale collera e chinò subito la testa.

-Perdonatemi mia signora, ma ero stata convocata nel mio regno, dal mio re. Non potevo rifiutarmi di presenziare. Perdonate la mia incompetenza. -

Sindel strinse le labbra e si lasciò sfuggire un sospiro, in fin dei conti non poteva negare di essere felice che non le fosse accaduto niente.

-Ho bisogno di parlare con Shang Tsung. Credi sia possibile per te organizzarmi un incontro con lui? -

-Certamente mia signora, ma se posso permettermi, non sarebbe saggio convocare nelle vostre stanze lo straniero, dareste vita a pettegolezzi e sospetti. Shao Kahn potrebbe non gradire... -

-No? - Un sorriso leggero si dipinse sul volto della donna. -Allora credo proprio che convocherò l'uomo nelle mie stanze. -

Sheeva fece per aprire la bocca, ma il lampo di divertimento che lesse negli occhi della regina le fece capire che proteggerla, sarebbe stato più difficile di quello che pensava.

-Mia signora, vorrei invitarvi a contemplare il rischio che comporti invitare un maschio nelle vostre stanze. Non sappiamo niente di questo individuo, non ne conosciamo il passato, o le intenzioni, ma quel che peggio non sappiamo cosa animi le sue passioni. Potrebbe essere un assassino a pagamento, o potrebbe aggredirvi. -

-Per questo ci sei tu Sheeva. - Sindel si strinse nelle spalle. -Non essere così apprensiva, chi mai rischierebbe di incombere nell'ira di Shao Kahn aggredendomi? -

Sheeva sospirò. La regina si divertiva a sfidare l'Imperatore, era il suo modo infantile di dargli fastidio, per fargliela pagare. Ma poi... fargli pagare che cosa?

Comunque non poteva sottrarsi ad un ordine della sua regina, e così annuì rassegnata. Cominciava a percepire che la missione che le era stata affidata non sarebbe stata per niente facile se la regina continuava su quella condotta.

 

Sheeva trovò Shang Tsung in una ala remota del castello, gli era stata concessa una delle stanze in quell'area, non era certo la più sfarzosa, ma neppure la più misera.

Quello strano essere doveva aver suscitato interesse da parte del loro Imperatore. Senza ombra di dubbio gli aveva suscitato anche qualche paranoia, visto e considerato che l'ala in cui gli era stata concessa una stanza, fosse la più distante a quella dove si trovavano le stanze della regina.

Quando l'uomo aprì la porta, i due rimasero un attimo interdetti nell'osservarsi.

Era palese che lui non si aspettasse una visita, e non certo da parte sua. Per quanto la riguardava invece, lei non si aspettava di ritrovarselo lavato e pulito, in fin dei conti era un bel cambiamento, da quando, sporco e stracciato, era stato condotto al cospetto del loro imperatore.

Shang Tsung superò frettolosamente il momento di sbigottimento.

-Desiderate qualcosa? -

Si spostò dal vano della porta per permetterle di entrare, ma Sheeva preferì rimanere nel corridoio.

-Io no. - Ci tenne a precisare. -La regina Sindel vorrebbe parlarti. Ti attende nelle sue stanze. -

Le spalle e il collo dell'uomo si irrigidirono. Allora anche lui aveva il senso del pudore, la cosa era sicuramente un bene. Eppure stava tentando di mascherare lo stupore, non gli riusciva benissimo, ma ci stava comunque provando.

Rimasero entrambi in silenzio e immobili, poi Sheeva si voltò e si avviò per il lungo corridoio. Si lasciò sfuggire un sorriso quando sentì i passi dell'uomo dietro di lei.

 

Quando Sheeva entrò, annunciando lo stregone, Sindel era alla culla di Kitana e la stava guardando mentre dormiva.

-Mia regina... - La voce dello stregone era incredibilmente bassa, sembrava avesse paura di farsi udire. Forse aveva paura che qualcuno sapesse della sua presenza nelle sue stanze, o forse non voleva svegliare la piccola.

Alzò lo sguardo con un sorriso tenue.

-Volevo complimentarmi con te, per la vittoria di oggi. -

-Sapevo che voi facevate il tifo per me. -

Sindel notò la faccia di Sheeva contrarsi, era evidente che non apprezzasse la galanteria del suo ospite.

-Sono più pericolose le tue parole, che le tue braccia. - Affermò con gentilezza.

Shang Tsung sorrise brevemente. -Credo mi stiate sottovalutando. -

-Sono tutti così arroganti sulla Terra, da cui provieni? -

-Mi sembra di averlo già detto... io sono un esemplare unico. -

Sindel gli fece cenno di accomodarsi a sedere in una delle poltrone nell'anticamera, davanti ad un tavolino di vetro.

-Accomodati. Gradisci qualcosa da bere? -

-Con il vostro permesso, mia signora... preferirei rimanere qui dove sono. -

Sindel si sedette, accavallando le gambe e poggiando il mento sulla mano.

-Hai paura di me? -

Shang Tsung sorrise appena e si lanciò uno sguardo attorno, come se temesse che ci fosse qualcuno nascosto dietro le tende sfarzose, o magari dentro un armadio.

-Perché? Non dovrei? -

-Vorrei che tu mi considerassi un' amica. In fin dei conti, siamo molto simili noi due. -

-Con tutto il rispetto, voi siete la regina dell'imperatore che mi ha appena concesso la grazia; la quale potrebbe farmi uccidere per un semplice capriccio. Mentre io, sono lo straniero con ancora tutto da dimostrare, che non si può negare a nessuna richiesta. In cosa esattamente saremmo simili? -

-Io non voglio costringerti a fare niente. - Ribatté offesa.

-L'imperatore sa di questa visita? -

Il silenziò calò pesantemente sulle tre figure.

-Lo immaginavo. -

Sindel si alzò da sedere e decise di fronteggiarlo. -Mi sembrava di essere stata chiara. Lui non è mio marito e io non sono la sua regina. Non ho niente da dirgli o da spiegare. Lui non ha nessun diritto su di me. -

-Tuttavia vi ha sposato e io non posso permettermi di farmi trovare nelle stanze della moglie dell'uomo che mi ha accolto. Sto rischiando la vita per un vostro capriccio. Se davvero è la mia amicizia che vi preme, non credete che potremmo trovare modi... "alternativi" per coltivarla? -

Non doveva fargli vedere quanto le costasse rivolgergli quel sorriso, non doveva fargli capire quanto fosse delusa dalle sue parole.

Pensava di aver trovato un alleato prezioso, ma forse l'uomo aveva bisogno di più tempo e magari più incentivi per aiutarla.

Doveva capire che cosa desiderasse, ed esattamente come aveva fatto Shao Kahn, usarlo per portarlo dalla sua parte.

-Ma certo. Scusa la mia sfacciataggine. Immagino che nel vostro reame siate molto più pudici. - Allargò il sorriso, cercando di farlo diventare il più dolce possibile. -Inoltre immagino anche che tu sia stanco. Perdonami, e spero che vorrai continuare con me questa conversazione in tempi e circostanze meno... compromettenti. -

-Vi ringrazio per la comprensione. - Shang Tsung fece un rapido inchino e si congedò.

Sindel, rimasta sola con Sheeva stava cercando di capire come fare la prossima mossa, ma per quanto si sforzasse di cercare un'alternativa, doveva ammettere che l'unico passo che poteva fare era quello di parlare con Shao Kahn. Lui solo poteva sapere il ruolo che Shang Tsung avrebbe ricoperto nel regno.

Sospirò pesantemente osservando Kitana dormire nella sua culla.

-Sheeva, oggi cenerò con l'imperatore. Ti prego di preparare Kitana, voglio che ci sia anche lei. -

La nutrice sorrise felice, forse cominciava a vedere uno spiraglio di luce nella sua missione. Chinò la testa con un sorriso e rassicurò alla regina che Kitana sarebbe stata pronta in pochi minuti.

 

Quella sera, da un anno a quella parte, fu la prima volta che Sindel cenava in compagnia di Shao Kahn.

L'imperatore sembrò piuttosto sorpreso quando venne annunciata la regina e la principessa.

Sindel entrò con la bambina in braccio, Sheeva le aveva fatto indossare un vestitino blu e viola.

Shao Kahn era in piedi a capotavola, il suo volto sempre seminascosto dall'elmo con il teschio, la sua figura sempre vestita con la sua classica armatura, eppure la sua bocca sembrava quasi distesa, possibile che stesse sorridendo?

Sindel prese posto alla sua destra, e l'imperatore attese che fosse lei a sedersi per prima, poco dopo si accomodò anche lui e dette ordine di servire la cena.

C'era un silenzio piuttosto imbarazzante, poi fu l'imperatore a parlare per primo.

-Mi fa piacere, della tua decisione di unirvi a me per la cena. -

Sindel chinò appena la testa. Doveva controllarsi, doveva tentare di ripudiare la rabbia che provava nei suoi confronti. Il ricordo di come fosse entrato nella sala del trono, con il cadavere di suo marito e di come lo avesse gettato a terra, nemmeno fosse stato una bambola di pezza, continuava a tormentarla anche da sveglia. Se voleva ottenere delle informazioni da lui, doveva tentare di governare le proprie emozioni.

Altri minuti interminabili di silenzio.

-Se qualcosa a te o a Kitana non piace, potete ordinare molto altro. -

-Grazie. Ma è tutto adeguato. -

Shao Kahn aveva dei modi bruschi, era evidente non fosse abituato ad essere garbato, lo si percepiva dal tono perentorio che usava, quel suo patetico tentativo di iniziare una conversazione di cortesia, inutile negarlo, le fece quasi tenerezza.

Ma non poteva dimenticare. Non era disposta a perdonargli niente di quello che aveva fatto.

-Ho saputo che quello stregone è stato risparmiato. - Lo disse con il tono più casuale di cui era capace, cercando di far trasparire quella domanda, come una semplice curiosità di nessun interesse personale.

-Si. - Rispose semplicemente lui.

-Come mai? -

-Ha vinto lo scontro. I vincitori hanno il mio rispetto. -

Sindel serrò la mascella. -A volte c'è onore anche nel risparmiare il perdente. -

Shao Kahn si lasciò sfuggire un sospiro. -Vivere solo grazie alla pietà di chi è più forte, non è vivere. -

-A volte, subire delle umiliazioni per il bene di una persona che amiamo, è un segno di grande forza. E merita rispetto. -

-Tsk. Vivere per gli altri è da deboli. -

I due si guardarono per qualche attimo negli occhi, Kitana di fianco a lei aveva cominciato a piangere, forse il tono spazientito dell'imperatore l'aveva spaventata.

-Un uomo come voi, non può che ragionare sotto questi termini. -

Shao Kahn accusò il colpo, non disse niente in sua difesa, forse nemmeno aveva capito che la sua intenzione fosse quella di offenderlo, di crederlo una persona da poco, ma in fin dei conti loro due erano proprio agli antipodi. Ciò che per lei era forza, per lui era debolezza e viceversa.

Sindel prese Kitana in braccio e la tenne sulla ginocchia, la bambina al contatto con la madre sembrò calmarsi, l'abbracciò inspirando il suo odore e si voltò ad osservare la figura che doveva averla spaventata.

-Quello stregone conosce anche le pratiche di cura? - Si informò la regina.

-Hai dei problemi di salute? - La domanda a bruciapelo ebbe quasi una tonalità di urgenza.

-Si. - Mentì spudoratamente. -Spesso ho dolori alla testa... Ho il vostro benestare se mi reco da lui? -

Shao Kahn lasciò attendere la sua risposta, forse era stata troppo remissiva, poteva avergli fatto sorgere dei dubbi più che legittimi.

-Puoi fare quello che vuoi. - Sentenziò infine. -In fin dei conti sei la regina, e come per ogni imperatore, mi impegnerò ad esaudire ogni tuo desiderio. -

Sindel cercò di trattenere il sorriso, non doveva farsi vedere troppo felice di averlo ingannato.

-Ma sarei più tranquillo se Sheeva ti accompagnasse. -

-Non vi fidate di lui? -

-Io non mi fido di nessuno. - Sentenziò guardandola di sottecchi.

Anni di potere e conquista, dovevano averlo reso paranoico.

In quel momento Kitana si sporse oltre la spalla di sua madre, protendendo le braccia quasi a tentare di afferrare la spalliera, o forse l'elmo dell'imperatore.

La risata, quasi un vagito, della piccola principessa, si smorzò in un singhiozzo, quando Sindel, in maniera brusca la tirò a se.

Shao Kahn aveva guardato Kitana in un modo molto strano, sorpreso forse era il termine più appropriato, ma c'era qualcosa di inquietante nel suo sguardo, qualcosa di violento, nel modo in cui i suoi muscoli si erano contratti e la sua bocca si era piegata in una smorfia, a metà tra il ribrezzo e lo stupore.

-Scusatela. - Si affrettò a dire Sindel, mentre la bambina cominciava a fare le bizze perché voleva scendere, allontanarsi dalla presa ferrea della madre.

Ma no, non si sarebbe certo lasciata intenerire, non l'avrebbe mai lasciata libera di gattonare per la sala da pranzo, libera di esplorare quel luogo tetro e lugubre, e non sia mai, se l'avesse lasciata libera di avvicinarsi a quel mostro.

Chissà che cosa sarebbe stato capace di farle.

-Dovrebbe imparare ad essere forte, e non ad essere protetta. -

Quello era troppo, con che diritto le dava consigli su come crescere sua figlia?

-Piange perché è stanca. - Si alzò di scatto nascondendo malamente lo sguardo stizzito e i gesti nervosi. -E lo sono anche io. - Shao Kahn la osservò senza battere ciglio. -Con il vostro permesso... - Sindel fece un rapido inchino e si allontanò il più velocemente possibile.

Abbracciò ancora più stretta la piccola Kitana, mentre nelle orecchie le risuonavano le parole di Shao Kahn.

Cosa voleva intendere che la sua piccola sarebbe dovuta divenire forte? Che futuro perverso aveva in mente quel mostro per la sua bambina?

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Drahmin ***


La sala del consiglio di guerra, era molto grande. Al contrario delle altre stanze, dove le pareti erano spoglie, ad eccezione di qualche arazzo, la sala della guerra presentava una mostra invidiabile di armi appese al muro, a circondare l’enorme tavolo di legno scuro, robusto e antico almeno quanto lo stesso Outworld. Le armi appese alle pareti erano le armi di potenti guerrieri che avevano combattuto per il regno, un tempo, prima di Shao Kahn, c’erano anche delle targhe con i nomi di chi le aveva brandite in guerra, ma adesso di quei nomi era stato cancellato perfino il ricordo.

Shao Kahn sedeva a capo tavola, la sua sedia era più grande e sfarzosa di tutte le altre, presenti intorno al tavolo.

Il consiglio era quasi terminato, e i convocati stavano lasciando la sala nel più completo silenzio, ma la voce di Shao Kahn richiamò due dei suoi migliori generali.

-Drahmin, Reiko, voi no. -

I due uomini si lanciarono una rapida occhiata e tornarono sui loro passi.

Non appena furono soli, il loro imperatore parlò nuovamente.

-Come procedono le azioni contro i rivoltosi? -

A rispondere fu Drahmin.

-I rivoltosi sono male organizzati, ma purtroppo sono ancora numerosi mio signore. Sono divisi in cellule indipendenti tra loro, e spesso nemmeno conoscono l’esistenza gli uni degli altri. -

-Sono solo scuse quelle che sento. - Il ringhio dell’Imperatore fece irrigidire le spalle del generale.

-Farò meglio, mio signore. Inasprirò le pene per chi aiuta i ribelli e per chi si oppone al vostro dominio incontrastato. - Si inchinò in maniera reverenziale, battendo i tacchi.

L’attenzione di Shao Kahn si posò sull’altro uomo.

-Reiko, voglio che l’esercito si prepari per l’assetto da guerra. Voglio che reclutiate tutti gli Zaterran che possono partecipare ad una guerra e che vengano addestrati. -

Reiko corrugò appena la fronte, come mai il suo imperatore gli chiedeva degli Zaterran?

Comunque, non era così stupido da fare una domanda a Shao Kahn, vista la fine che avevano fatto tutti coloro che si erano anche solo azzardati a contraddirlo. Chinò a sua volta la testa e finalmente anche loro poterono uscire dalla sala di guerra.

Drahmin e Reiko sembravano appartenere alla razza Osh-Tekk, una tra le razze più umane presenti nell'Outworld. Gli Osh-Tekk erano guerrieri possenti, arrivavano ad altezze anche di 2 metri, la loro pelle era leggermente più scura di quella dei Tarkatan, spesso gli uomini avevano dei lineamenti marcati, con mascelle squadrate e volto lungo, ma a parte una predisposizione fisica maggiore, erano uguali ai terrestri e agli edeniani.

Drahmin era leggermente più anziano del suo interlocutore, aveva i capelli castani chiari, una rarità per gli Osh-Tekk, che invece avevano colori che variavano dal castano scuro al moro. Il generale portava i capelli lunghi, legati in una coda alta che gli arrivava alle spalle, i suoi lineamenti erano spigolosi e le rughe, simili a solchi nel terreno, avevano appena fatto la loro comparsa sul suo volto di pietra. Portava una barba di qualche giorno che gli scuriva e rendeva ispida la mascella squadrata.

-Preparare l’esercito? - Domandò al suo collega.

Reiko invece era leggermente più basso di Drahmin, il fisico era più scattante e meno esplosivo. Al contrario dell’altro generale, Reiko presentava i tratti caratteristici della sua razza. Pelle scura, capelli neri, che portava rasati ai lati e più lunghi in vetta, viso lungo, la bocca era larga e dal tratto duro, la mascella era larga e squadrata.

-E poi quella richiesta di arruolare gli Zaterran… - Reiko scosse appena la testa. -Pensi abbia in mente un’altra invasione? -

-C’è solo una cosa che il popolo ama più di un Imperatore, ed è un Conquistatore. -

Reiko rimase colpito da quelle parole.

Certo il popolo ama i vincenti, i conquistatori, gli eroi, e Shao Kahn, era tutto questo, ma avrebbe dovuto continuare a vincere, a conquistare, ad essere forte, altrimenti avrebbe perso tutto, e allora qualcuno avrebbe dovuto prenderne il posto.

Niente era eterno, e neppure Shao Kahn.

-A cosa stai pensando? -

La domanda di Drahmin lo riscosse dai suoi pensieri.

-Ai piani dell’imperatore… -

-Non ci pensare. -

Il tono che aveva usato era stranamente pungente, guardandolo negli occhi Reiko capì che aveva intuito i suoi reali pensieri.

Drahmin era il responsabile della sicurezza del regno, gli anni ad apprendere le tecniche di interrogatorio gli avevano conferito una inquietante capacità di percepire quando qualcuno stava mentendo, ma non erano solo gli anni di esperienza, Reiko avrebbe giurato che c’era qualcosa di mistico nel suo essere. C’erano voci che dicevano fosse un bastardo, un incrocio tra un Osh-Tekk e un’altra razza proveniente da un altro reame, chissà se proprio da quell’altra razza lui aveva preso una mente tanto acuta, quanto disturbata.

Reiko non aveva mai visto nessuno così violento, nemmeno lui riusciva a presidiare ai suoi interrogatori, per non parlare delle vittime che aveva mietuto in guerra.

Se c’era un uomo di cui era felice dirsi amico, quello era proprio Drahmin.

Camminando erano ormai giunti all’enorme sala d’ingresso della fortezza, solo allora Reiko si voltò verso il suo camerata.

-Drahmin io partirò per le terre degli Zaterran, hai bisogno di uomini per sedare i rivoltosi? -

-No! - Rispose secco l’altro. -Per quei vermi basta la mia legione, voglio avere il piacere di averli tra le mani io personalmente. Che capiscano cosa comporta mettersi contro l’Imperatore. -

-Non capisco come mai l’Imperatore dia così tanta importanza a quelle nullità. -

-Prendi una spiga e la spezzerai facilmente, ma se leghi un fascio di spighe, sarà tutto più difficile. -

-Quei bastardi usano mezzi da codardi. Attento a non cadere in uno dei loro vili attentati. La tua presenza sarebbe utile per il morale degli uomini durante una presunta invasione. -

-Tsk… sarebbe un bello scherzo del fato, dopo tante guerre, morire senza gloria per l’attentato di uno di quei maledetti. -

I due si strinsero la mano in segno di saluto e si separarono.

 

Drahmin rimase qualche secondo ad osservare la figura di Reiko che si allontanava. L’uomo camminava con passo sicuro, le braccia leggermente più larghe, con i gomiti in fuori e le spalle ricurve in avanti. Anche nel suo modo di camminare c’era un che di pericoloso. Eppure non era la forza fisica che lo preoccupava. Ormai da mesi aveva notato qualcosa di strano nel comportamento del generale. Come tarli, delle idee sbagliate si stavano facendo largo nella sua mente fragile a discapito delle ideologie, come rispetto e devozione verso il loro Imperatore.

Fece un profondo sospiro, prima di girarsi sui tacchi e riprendere il cammino nel corridoio della fortezza, svoltando a sinistra, verso la sala ovest del castello.

Avrebbe preferito non dover sfruttare le sue conoscenze nella tortura su di un camerata, ma era da tempo che si era abbandonato all’idea che per necessità, avrebbe fatto anche quello.

Salì le scalinate che portavano al piano di sopra, superò delle schiave che stavano portando delle ceste con dei vestiti che gli lanciarono una rapida occhiata schiva, ed entrò nella Biblioteca.

La stanza era grande, ma sembrava angusta per l’enorme quantità di libri e scaffali che la occupavano.

Una figura solitaria se ne stava seduto ad un tavolo, china su di un libro, la sua figura era parzialmente nascosta da due pile di libri, tanto che un visitatore poco attento avrebbe potuto addirittura non vederlo.

Accortosi del generale che avanzava verso di lui, l’uomo seduto al tavolo alzò lo sguardo. La sua figura era completamente vestita di nero, ad eccezione della fascia larga che portava in cintura, di colore rosso, con le rifiniture in oro.

-Sei tu Shang Tsung? - Gli domandò Drahmin.

-Si. - Rispose semplicemente l’altro guardandolo dal basso verso l’alto.

-Io sono Drahmin, generale della legione Ko-Tar, addetto alla sicurezza dell’impero. - Allungò la mano verso di lui e notò che l’altro si alzò per stringergliela.

Drahmin serrò la presa sulla mano dell’altro, per sentire di che pasta fosse fatta. Fu stranamente sorpreso nel sentire le mani dello straniero ruvide al tatto. Era un uomo abituato alla fatica, o forse al combattimento. Si concesse un attimo per studiarne la figura, ora che era in piedi.

Era il fisico di un combattente, anche se non aveva mai visto un guerriero dilettarsi nella lettura.

Si finse amichevole, per indurlo a fidarsi di lui.

-Noto che vi piace leggere. -

-Mi piace essere informato… per me tutto qui è una novità. -

Drahmin sorrise appena, i suoi occhi castani fissavano intensamente quelli neri dello straniero. Strani i suoi occhi. Non aveva mai visto un colore così scuro.

-Il nostro imperatore Shao Kahn, mi ha suggerito voi per un compito. -

Lo vide leggermente sorpreso, lo straniero doveva imparare a gestire meglio le proprie emozioni, per lui era un libro aperto.

-Si, certo, ne sono onorato. -

-Molto bene. Seguitemi. -

Drahmin lo condusse nei sotterranei, lo guardò con la coda degli occhi, ma l’altro non si lasciò trarre in inganno e non si voltò a guardare l’ala che portava alle celle.

Proseguirono per i corridoio scuri, illuminati debolmente da torce appese alle pareti di pietra nuda e grigia.

Giunsero ad un posto di guardia, due Tarkatan rivolsero un saluto militare al generale. Non appena varcarono la soglia un urlo disumano fece fermare lo straniero, che sembrò leggermente smarrito. Lo sguardo che gli restituì fu di biasimo.

-Credo che vi stiate facendo un’idea sbagliata. Io non mento mai alle mie vittime. - Gli fece cenno di seguirlo. -Non gli farei mai questo garbo. -

Shang Tsung non sembrava comunque intenzionato a proseguire.

-Perché mi avete portato qui? -

-Ve l’ho detto. Vi piace apprendere? Prendetela come una lezione importante per poter vivere nell’Outworld, e alla corte del nostro imperatore Shao Kahn. -

Finalmente proseguirono lungo il corridoio, superando molte porte chiuse, altre urla si erano fatte sentire, dalle più acute di donna, fino alle più rauche.

Drahmin entrò finalmente in una delle porte del corridoio, al suo interno un uomo era legato in catene al centro della stanza, un Tarkatan lo stava sorvegliando, ma come da ordine, non aveva osato ancora toccarlo.

Quella stanza puzzava di sangue e morte, le pareti e il pavimento erano sporchi di liquami e muffa, Shang Tsung lo seguì e rimase con lo sguardo leggermente corrucciato ad osservare il prigioniero e la stanza. Chissà se l’odore lo nauseava? Chissà come avrebbe reagito all’inizio della tortura?

-Conosci le razze dell’Outworld? - Domandò Drahmin al terrestre.

-Alcune. -

-In verità è impossibile conoscerle tutte. L’Outworld è un reame vasto, con il tempo ha annesso molti altri mondi e conquistato terre molto lontane. Con il tempo imparerai a riconoscerle. Ma per me il mondo si divide in due grandi razze. Coloro che supplicano, e coloro che muoiono con onore. - Indicò il prigioniero al centro della stanza. -Questo ad esempio è un rivoltoso. Aveva una locanda, ed ha assassinato con del veleno cinque sotto-ufficiali dell’esercito. Ti va di scoprire a che razza appartiene? -

Shang Tsung non rispose, si limitava ad osservare in silenzio, mentre Drahmin cominciava il suo interrogatorio.

-Lavori con altri membri della resistenza? - Domandò afferrando un martello.

Il prigioniero cominciò immediatamente a piangere e supplicare, cominciò a sciorinare una serie di nomi e luoghi, ma questo non bastò a salvarlo. Drahmin lo colpì con il martello sul piede, il crack delle ossa si mescolò all’urlo straziante del malcapitato.

Il generale si rivolse a Shang Tsung. -Il trucco è colpire con la forza necessaria per rompergli qualche osso, ma non troppo forte da farlo svenire. -

Voleva che sapesse che ogni sua azione era calcolata, voleva si rendesse conto dell’arte che si trovava dietro al torturare qualcuno, e che lui, le conosceva tutte.

Colpì nuovamente il prigioniero con il martello, ancora sul piede, Shang Tsung osservava con occhi passivi, il suo volto stava attento a non tradire alcun tipo di emozione, ma era tutto troppo impostato.

Ormai il piede aveva assunto un colore violaceo, sembrava un pezzo di carne macinata, era gonfio e sanguinolento, decise di passare all’altro piede.

La prima martellata gli ruppe le dita, dopo la seconda martellata ormai il prigioniero piangeva senza ritegno, supplicava, gridava dal dolore, dalla paura, si era perfino urinato addosso, ma Drahmin non si fermò.

Shang Tsung osservava la tortura con un’espressione incredibilmente attenta, forse stava cogliendo l’arte dietro quell’apparente mattanza.

Dopo i piedi passò alle ginocchia e poi salì ancora, voleva vedere fin dove poteva arrivare, quanto era capace di sopportare. Quando colpì i genitali dell’uomo notò finalmente Shang Tsung distogliere lo sguardo. Aveva capito il suo punto debole.

Poteva ritenersi soddisfatto, ma non si fermò. Lo straniero doveva apprendere. Doveva capire.

Le urla finalmente cessarono, il prigioniero non reagiva più, era morto, dissanguato forse, o per lo shock del dolore, poco importava.

Drahmin gettò il martello a terra e si pulì velocemente dal sangue che gli era schizzato sul collo.

-Questo è ciò che capita a chi tradisce la fiducia dell’Imperatore. - Fronteggiò il terrestre fissandolo negli occhi. -Presto imparerai che qui dentro sono tutti della solita razza. Perché tutti supplicano. -

Non se lo aspettava, e dunque non gli piacque.

Shang Tsung abbozzò un sorrisetto arrogante e chinò appena la testa.

-Vi ringrazio per la vostra preziosa lezione, generale. -

Era arrogante quel piccolo bastardo. Questo voleva dire che, molto presto, avrebbe avuto il piacere di dargli una lezione alla quale non avrebbe assistito solo come spettatore.

-Non c’è di che. - Ricambiò con un ghigno di sfida.

 

Sindel aveva deciso di visitare il castello, se ci doveva vivere, doveva conoscerne ogni angolo, ogni passaggio segreto, ogni stanza e ogni punto cieco.

Sheeva era al suo fianco e rispondeva ad ogni sua domanda.

La Shokan sapeva muoversi, ma non conosceva alcun passaggio segreto, segno che ci aveva abitato poco e sempre con mansioni poco importanti.

-Mia signora no! - Sheeva l’afferrò per un braccio, impedendole di imboccare il corridoio alla sua sinistra.

-Che ti prende? - Chiese infastidita.

-Questo corridoio porta ai sotterranei. - Spiegò.

-Siamo già state nei sotterranei. - La sua espressione confusa, si fece preoccupata nel vedere il panico negli occhi della sua guardia del corpo.

-Non da questa parte. Mia signora, qui si va in quelle che vengono chiamate le Fosse di Carne. L’ala dove i prigionieri sono sottoposti ad interrogatori e dove gli alchimisti fabbricano le loro pozioni. È proibito recarsi in questa ala, a meno che non siate un membro dell’esercito. -

-Da quando in qua una regina non può andare in ogni ala della sua fortezza? -

-Mia signora… in questa dimora non vi è mai stata una regina. Anche se siete la più cara all’Imperatore, rimanete comunque una sua suddita. -

Sindel corrucciò l’espressione, c’erano fin troppe affermazioni in quella frase che non le andavano a genio, ma le sue considerazioni vennero interrotte da una figura vestita di nero che giungeva dal corridoio che a lei era impossibile conoscere.

Lo riconobbe immediatamente, quel fisico snello e quei capelli corvini erano inconfondibili.

-Shang Tsung. - Quando lo chiamò, notò che l’uomo alzò lo sguardo, come se fosse immerso nei propri pensieri e fino ad allora non l’avesse vista.

-Mia signora… - Rispose di rimando con un lieve inchino della testa.

C’era qualcosa di strano nella sua espressione, sembrava innervosito, forse spaventato, o forse eccitato, come se avesse visto una cosa che lo avesse profondamente scosso, ma non riusciva a capire se fosse stupito, o turbato, perfino le mani sembravano colte da quasi impercettibili tremiti. Forse anche lui se n’era accorto, e difatti portò le mani dietro la schiena, drizzandosi e rivolgendole un sorriso di circostanza.

-… Posso aiutarvi in qualche modo? -

-No… grazie. - Rimasero per qualche attimo in silenzio, quasi imbarazzati, come se entrambi volessero chiedere qualcosa all’altro senza riuscirci.

Sindel voleva chiedergli se si sentiva bene, le sembrava pallido, i suoi occhi sembravano persi nel vuoto, ma non sapeva se potesse permettersi tanta confidenza. Forse aveva qualche problema, il fatto che provenisse dalle Fosse di Carne non era un buon segno. Possibile che fosse stato torturato? Ma non aveva segni e la sua andatura era normale, non come un prigioniero che aveva subito percosse o torture. Che lo avesse messo lei nei guai chiedendogli di entrare nelle sue stanze?

Se fosse stato così non se lo sarebbe mai potuto perdonare.

Kitana, tra le sue braccia cominciò a dimenarsi, voleva scendere. Il dimenarsi della piccola dovette essere di sollievo per l’uomo, visto che i suoi occhi divennero più umani e meno vitrei, anche il suo sorriso sembrò più caloroso.

-La principessa già cammina? - Domandò, notando la donna che poggiava la bambina a terra.

-Ha appena un anno. - Intervenne Sheeva con freddezza.

-Sta imparando, a piccoli passi. - Continuò Sindel lanciando una rapida occhiata di rimprovero alla Shokan, tuttavia notò che quella freddura aveva fatto sorridere di più l’uomo, che rivolse uno sguardo impertinente alla sua guardia del corpo.

-Noto che non sono ben accetto, e quindi vi saluto e vi auguro buon proseguimento. -

Fece un inchino e si allontanò, lanciando un ultimo sorriso a Sheeva che ricambiò con uno sguardo glaciale.

-Ti pregherei di non comportarti mai più così. -

-Mia signora quell’uomo si prende troppe libertà. -

-Lo hai detto tu stessa. Siamo tutti sudditi dell’Imperatore. -

Sheeva si morse il labbro e si irrigidì, l’aveva nuovamente messa in difficoltà, ma non le interessava, doveva imparare a stare al suo posto, lei non era una sprovveduta.

Mentre si chinava per riprendere nuovamente in braccio Kitana, che stava gattonando molto dietro a Shang Tsung, con la coda dell’occhio le sembrò di vedere una figura svoltare un angolo.

Non poteva essere lui, non era possibile. Prese in braccio la bambina e scattò in quella direzione, ma l’uomo era già sparito.

Sheeva le arrivò di fianco. -Mia signora… cosa è accaduto? -

-Credevo… mi era sembrato di vedere una persona che conoscevo… - Sindel si guardava intorno sconvolta. -Ma è impossibile… è morta durante l’invasione di Edenia. -

Eppure non se lo era immaginato.

Quello era Rain.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Il Traditore ***


Erano giorni che Sindel non riusciva a darsi pace, era convinta di ciò che aveva visto, eppure una parte di lei non voleva crederci.

Rain era uno dei più grandi generali dell’esercito di Edenia, la sua scomparsa aveva segnato un punto di svolta nella guerra per il dominio del regno. Lei aveva sempre dato per scontato che fosse morto, ma forse… era sopravvissuto.

Si, ma se era sopravvissuto ed era davvero lì nel castello, questo voleva dire che aveva tradito. Aveva consegnato Edenia a Shao Kahn, aveva fatto uccidere Jerrod ed era il responsabile di tutte le sue sventure.

Non voleva crederci.

Ma sapeva anche quello che aveva visto. Erano giorni che si torturava con queste domande e supposizioni, aveva cercato anche l’aiuto di Sheeva, ma se in un primo momento la Shokan era sembrata più che colpita dal suo racconto, ben presto aveva assunto un comportamento piuttosto indisponente quando parlavano di quell’argomento. Forse aver fallito una missione che le aveva affidato l’aveva afflitta, oppure c’era dell’altro.

Comunque fosse, se voleva trovare Rain e sapere il motivo della sua permanenza in quel castello, non poteva contare su di lei.

Ma allora a chi poteva chiedere aiuto?

Anche se non voleva metterlo nei guai, non poteva che ammettere che Shang Tsung era l’unica figura su cui poteva fare affidamento.

Sheeva non prese particolarmente bene la sua richiesta di accompagnarla dallo stregone, aveva fatto una smorfia di disappunto ma alla fine, si era dovuta limitare ad acconsentire. Da parte sua, Sindel, si impegnò a cercare un luogo di incontro che non fossero le stanze di nessuno dei due.

Anche se un luogo pubblico non le avrebbe garantito riservatezza, era sempre meglio di niente.

Trovò lo stregone nel cortile, era piegato su di un libro, i suoi occhi eppure non si muovevano, sembrava perso in altre reminiscenze; notò che era pallido, forse di più dell’ultima volta che lo aveva visto. Che fosse malato?

Dette Kitana a Sheeva e le fece cenno di giocare con lei e lasciarla da sola con l’uomo.

Come era già capitato, Shang Tsung si accorse di lei all’ultimo minuto, quando la sua ombra oscurò le pagine che fissava; senza carpirne il significato, gli occhi che le restituì erano sconvolti, quasi spauriti.

-Salve. - Lo salutò la donna abbozzando un sorriso cortese.

-Mia Regina… - Shang Tsung si alzò in piedi e le fece un inchino. -Che piacevole sorpresa. -

C’era qualcosa che non andava in lui, non era lo stesso uomo che aveva conosciuto nelle segrete del castello e dopo nelle sue stanze, sembrava impostato, molto accorto ad ogni movimento e gesto che faceva, come se volesse placare ogni tipo di sentimento e temesse che i suoi gesti potessero rivelare qualcosa di troppo.

-Se non ti disturbo, ti va di passeggiare con me? -

Shang Tsung chiuse il libro con un gesto della mano. -Voi non disturbate mai, mia signora. -

Si incamminarono per il cortile del castello, piuttosto grigio e arido, ma con numerose statue di discreta fattura che ritraevano dei guerrieri.

-Come ti trovi qui al castello? -

A quella domanda, l’uomo si incupì e le rivolse un sorriso che non aveva niente di allegro, era un sorriso malato, quasi folle, che non riusciva a nascondere il dolore che trapelò dai suoi occhi.

-Diciamo che sto apprendendo molte cose. -

Immediatamente si ricordò di quando lo aveva visto emergere dall’oscurità del corridoio che portava alle Fosse di Carne, forse il suo subconscio collegava quel suo stato d’animo a quell’evento.

-Quali cose? - Domandò tastando il terreno.

Shang Tsung distolse lo sguardo e quando parlò, lo fece fissando davanti a se.

-Avrei preferito di gran lunga non conoscere certe… pratiche… -

Sindel abbassò lo sguardo, non era facile aprirsi con nessuno, a maggior ragione con un estraneo, soprattutto considerando il dolore che ancora le attanagliava il cuore.

-Credo di capire, il disagio che provi. - Parlavano senza guardarsi. -Questo posto è incredibilmente violento e atroce. -

-Ma forse… è il posto più adatto ad un uomo come me. -

Sindel lo guardò sconvolta. Cosa intendeva? Tuttavia Shang Tsung si affrettò a cambiare discorso.

-Avevate bisogno di qualcosa, mia signora? -

-Come mai, mi fai sempre questa domanda? - C’erano altre mille domande che avrebbe voluto fargli, ma quella le uscì di getto.

-Perché non ci sarebbe altra ragione per cui una regina come voi, voglia parlare con un umile suddito come me. -

-Buffo. - Ammise con un profondo sospiro. -Pochi giorni fa, qualcuno mi ha fatto notare che siamo tutti sudditi di Shao Kahn. Questo non basterebbe a rendere legittima la nostra amicizia? -

-Voi mi parlate di amicizia, ma io apprendo in fretta, e ho imparato presto a leggere nell’anima delle persone. - Si fermò e si voltò verso di lei. -Mia signora, vi prego di non farmi lo sgarbo di considerarmi uno sciocco. -

Sindel lanciò una rapida occhiata a Sheeva, era abbastanza distante da loro, ma continuava a tenerli d’occhio con sguardo severo.

-Mi dispiace che pensi questo di me. Io sto cercando davvero un’amicizia sincera, poiché mi piacerebbe fidarmi di te. Ma hai ragione… ho una richiesta da farti. - Gli si avvicinò e gli prese il libro dalle mai, quando parlò, lo fece a bassa voce e sfogliando le pagine del libro. -Ho visto un uomo qui al castello, si chiama Rain. Sono giorni che sto cercando di rintracciarlo, ma sembra essersi dissolto nel nulla. Sheeva vuol farmi credere che io sia stata vittima di un’allucinazione, ma so con esattezza che cosa ho visto. - Gli restituì il libro. -Ti chiedo la cortesia di trovarlo. Non posso fidarmi di nessun altro. -

Shang Tsung le sorrise in modo furbo, i suoi occhi vennero attraversati da una luce discola, come se con quella richiesta gli avesse fatto venire in mente qualcosa di divertente.

-Ma certo mia signora. Per me, ogni vostro desiderio è un ordine. -

 

Sheeva camminava spedita per i corridoi del castello, la mente era affollata da pensieri e dubbi. Sindel era una donna dalla mente piuttosto acuta, era difficile ingannarla e ancor di più era difficile dissuaderla dalle sue idee. Aveva una caparbietà incredibile.

La sua richiesta di trovare quell’uomo, Rain, l’aveva gettata in una catena di eventi che faticava a gestire.

In verità non era stato difficile rintracciare l’uomo, tuttavia l’imperatore Shao Kahn l’aveva fatta convocare e le aveva imposto il silenzio sulla misteriosa figura.

Aveva fatto del suo meglio nel tentare di convincere la regina che quell’uomo non esistesse, per il bene di entrambe e della piccola Kitana, ma sapeva anche che Sindel non l’aveva bevuta, troppo fiduciosa nelle sue capacità cognitive e visive.

Poi nuovamente era tornata ad incontrare quello stregone, quello Shang Tsung.

Lo aveva visto sin da subito, che quello era uno che portava solo guai, e ogni giorno che passava, ne era sempre più convinta.

La sua missione diventava difficile se la regina Sindel e quel miserabile straniero le remavano contro.

Entrò nella sua stanza, quella che Shao Kahn le aveva assegnato per permetterle di essere sempre a disposizione della regina. Uno strano profumo pervadeva l’aria della camera, quasi completamente spoglia di mobili, ad eccezione di un letto, un comò, e una vasca da bagno, dietro delle tende bianche, che notò essere piena di acqua profumata.

Era sorpresa, chi le aveva preparato un bagno da regina? Forse la sua signora Sindel aveva voluto premiarla per la sua discrezione?

Poco importava, un bagno rilassante era proprio quello che le ci voleva.

Si spogliò di ogni indumento ed entrò nella tinozza d’acqua tiepida. Poco le importava se l’acqua calda si fosse rinfrescata, o se chi le avesse preparato il bagno sapeva che gli Shokan adoravano le temperature tiepide, per lei era perfetta.

Si lasciò rilassare dalle tiepide carezze umide dell’acqua sulla sua pelle di bronzo, lasciò sprofondare completamente il corpo, lasciando fuori solo la testa e chiuse gli occhi con un sorriso rilassante.

-È davvero incredibile… - Una voce maschile, pacata e canzonatoria le fece aprire gli occhi di scatto, immediatamente riconobbe Shang Tsung seduto sul suo letto, che la guardava con un sorriso soddisfatto in volto. -… eppure devo ammettere che sei un esemplare femminile di rara bellezza. -

-Straniero, non sai in che guaio ti sei cacciato. - Ribatté furiosa, mentre con due braccia si copriva il petto, e con le altre due afferrava il bordo della vasca, pronta ad uscire.

Shang Tsung allargò il suo sorriso e fece oscillare il proprio dito indice davanti al viso.

-Io credo invece che questa sarà l’inizio di una grande amicizia. -

-Tu sei pazzo! E per questo affronto ti staccherò la testa dal collo! - L’ultima cosa che avrebbe voluto era proprio quella di farsi vedere senza veli da un essere indegno come quello, ma era più decisa che mai ad ammazzarlo. Fece per alzarsi dalla vasca, ma con orrore notò l’uomo alzare la mano verso di lei, notò una strana oppressione sulle spalle, come se stesse trasportando un peso invisibile.

-Come ho già detto alla nostra regina Sindel, io apprendo in fretta. - I suoi occhi erano neri come il carbone, sembravano bruciati dall’interno, aveva un’espressione vuota, inquietante con quel sorriso che sembrava un ghigno. -Ed è la conoscenza il potere più grande che una mente possa apprendere. -

-Cosa stai blaterando stregone? Credi forse che io non riesca a contrastare la tua misera magia? - Sheeva fece forza sulle gambe e sentì che nonostante il peso, poteva muoversi.

-Non sforzarti, io non voglio combattere, e in fin dei conti non lo vuoi nemmeno tu. -

-Stai forse farneticando? Non esiste che io ti permetta certe libertà nei miei confronti. -

-Io invece dico che me le permetterai. Perché la regina Sindel mi ha affidato il compito di trovare Rain. -

Quel nome la fece bloccare, strabuzzando appena gli occhi.

-Vedo che cominci a calmarti, molto bene. - Shang Tsung fece un breve respiro, come se stesse pregustando le parole che stava per dire. -Adesso immagina che la regina Sindel venga a sapere che sono stato ucciso da te, la stessa suddita a cui aveva assegnato lo stesso compito e che aveva miseramente fallito. Non credi che potrebbe insospettirsi? Che potrebbe credere che tramassi contro di lei? - Si strinse nelle spalle quel lurido bastardo. -Potrebbe farti cacciare dalla sua corte e farti macchiare di tradimento. Ho letto che voi Shokan prendete i vostri giuramenti d’onore molto sul serio. -

-Solo un verme come te potrebbe essere senza onore. - Ribatté cercando una soluzione a quella nefasta previsione.

-Sei arrabbiata con me? Che peccato, e io che speravo di udire ancora quei gemiti di piacere che ti sei lasciata sfuggire mentre ti immergevi nel bagno che ti ho preparato. -

Era lì sin dall’inizio. E lei stupida non lo aveva visto, troppo immersa nei suoi stessi pensieri. Mai abbassare la guardia. E aveva anche la sfrontatezza di prenderla in giro. Perché, fosse dannato lui e lei con lui, se mai si fosse lasciata abbindolare dai suoi falsi corteggiamenti. Non voleva farle un complimento, non la stava seducendo, voleva solo imbarazzarla, e accidenti a lui ci era riuscito.

-Cosa vuoi? - La domanda voleva uscire con un ringhio di sfida, ma invece ebbe più un tono di rassegnazione.

-Non mi è stato difficile trovare il generale Edeniano Rain, traditore del suo re e ora nelle file di Shao Kahn. Non mi è stato nemmeno difficile conoscere i dettagli del suo tradimento, di come egli stesso abbia fatto entrare l’esercito di Shao Kahn oltre le mura della capitale, fino ad allora inviolabile, e abbia permesso la vittoria dell’Outworld. -

Sheeva non conosceva tutta la storia si era sempre e solo limitata ad eseguire gli ordini, ma adesso capiva come mai Shao Kahn non voleva che Sindel sapesse della sua esistenza. La presenza di Rain era la prova schiacciante che l’Imperatore non aveva vinto con gloria e onore, ma grazie al disonore di un generale traditore, che aveva venduto la propria patria per chissà quali ricchezze.

-Sono dell'idea di mentire alla regina, salvando così il tuo onore. - Parlava tenendo i suoi inespressivi occhi neri fissi su di lei.

-E a cosa devo tanta gentilezza? - Ribatté furiosa.

-I sudditi devono darsi una mano a vicenda. Non trovi? - Finalmente si alzò dal suo letto, ma rimase fermo in piedi, con le mani dietro la schiena ad osservarla, sembrava un serpente che pazientemente aspettava la sua preda, anche le sue movenze ricordavano l'odioso rettile, e il suono della sua voce sembravano più lo strisciare delle spire che una voce di uomo.

-Confido che in cambio, tu mi permetta di... come dire... coltivare la mia amicizia con la regina Sindel. -

Sheeva corrugò lo sguardo, non capiva quali orribili trame stesse tessendo lo straniero, e non capiva fino in fondo perché si interessasse all'amicizia della regina. Solo una cosa aveva imparato su di lui, che era un dannato bugiardo, un imbroglione di prima categoria. Lo aveva studiato bene nelle loro conversazioni, ne aveva studiato il volto e le espressioni, e aveva guardato spesso con occhio critico il suo modo di muoversi e salutare la regina quando la incontrava nei corridoi. Le sue movenze non erano le solite di adesso, il suo sguardo non era il solito, nemmeno la sua bocca.

Quello era un mostro con sembianze umane. Era capace di modificare in maniera repentina il tratto della bocca, l'angolazione delle sopracciglia, forse anche il colore dei suoi occhi, e con l'inganno stava mostrando alla regina un uomo che in realtà lui non era, la stava manipolando a suo piacimento, e adesso stava costringendo anche lei al silenzio. L'unica persona che la metteva in guardia sulla pericolosità dell'individuo, adesso, suo malgrado, ne doveva diventare complice.

Sheeva si strinse nelle spalle, cominciava ad avere freddo.

-Hai vinto stregone. Ti concederò quanto mi chiedi. Ma stai attento... se mi accorgessi che stai per farle del male... io ti ammazzerò. Ti strapperò la colonna vertebrale insieme alla testa. -

Il bastardo della sua minaccia, sorrise inarcando solo un angolo della sua sottile bocca.

-Ma certo... tuttavia ti garantisco che le mie intenzioni nei tuoi confronti sono senza ombra di dubbio... amichevoli... - Terminò con un movimento mellifluo della mano e un sorriso che poteva essere gentile, se solo non avesse avuto un espressione tanto canzonatoria.

 

Quando Rain fece il suo ingresso nella sala del trono dell'Outworld, certo non aveva idea di che piega stavano prendendo gli eventi, ma da subito trovò curiosa la presenza del generale Drahmin nella stanza, insieme ad almeno cinque sottufficiali Centauri, tuttavia avanzò con passo sicuro di se. Aveva un modo di muovere le spalle e di portare un piede davanti all'altro, che vedendolo, chiunque avrebbe accennato che sembrava un individuo altezzoso e arrogante, assomigliava nell'incedere delle movenze ad un felino.

Quando fu davanti a Shao Kahn, non si inchinò, e non mostrò alcuna sottomissione.

-Mi avete mandato a chiamare? - Domandò.

Shao Kahn si prese un secondo per studiarlo, Rain era un Edeniano, certo, eppure c'era qualcosa nella sua postura, nel suo sguardo, che lo facevano dubitare delle sue reali origine.

Aveva combattuto per molti anni ad Edenia, aveva incontrato guerrieri di tutti i tipi, dai più forti ed intrepidi, ai più pavidi ed inetti, tuttavia c'era una cosa che li accomunava tutti quanti; quello sguardo fiero, profondo, anche nella paura, era come se riuscissero a mantenere una dignità regale. Perfino le donne che solitamente sono inferiori agli uomini in battaglia, ad Edenia combattevano alla pari dei loro compagni, e come loro sopportavano gli orrori che si accomunano alla guerra.

Ma nello sguardo del generale che gli era davanti, non c'era fierezza o regalità, c'era astio, rabbia, violenza.

Shao Kahn non poteva sapere che ciò che leggeva negli occhi del generale Rain, era odio. Un sentimento che a quel tempo gli era ancora sconosciuto, semplicemente perché odiare qualcuno, poteva equivalere ad esserne spaventato, e lui non era spaventato da nessuno. Ancora.

Shao Kahn aveva sempre creduto che Rain avesse tradito il suo popolo per ricchezze infinite, per viltà, per paura che l'Outworld potesse vincere comunque e assicurarsi un posto tra i vincenti, ma non era così. Adesso poteva capire che Rain non aveva paura di lui, non ne aveva timore, né soggezione.

-Ti avevo detto di non farti vedere al castello. - Shao Kahn lo sfidò con lo sguardo e l'Edeniano raddrizzò il collo in una smorfia.

-Se ci sono entrato, avevo le mie buone ragioni. -

-Le tue buoni ragioni hanno rischiato di svelare la tua presenza alla Regina Sindel. -

Rain sorrise. -E perché mai dovrei nascondermi alla mia regina? -

-Perché te lo ordino io! - Shao Kahn sbatté la mano sul bracciolo di pietra, rischiando di incrinarlo. -Non osare sfidarmi. - Sibilò poi, sporgendosi verso di lui.

Drahmin al lato della stanza, notò con una certa soddisfazione il deglutire a vuoto dell'Edeniano, il leggero rivolo di sudore che gli percorreva la tempia, gli sguardi rapidi che lanciava alle guardie intorno a se. Tutti segnali tipici che nonostante le apparenze, Rain aveva paura.

In fin dei conti, solo uno stolto non ne avrebbe avuta, aveva visto con i suoi occhi cosa erano in grado di fare i generali e le truppe dell'Outworld, ma soprattutto aveva visto la forza dirompente e selvaggia del loro Imperatore. Solo un pazzo lo avrebbe affrontato a cuor leggero.

-Vi ho consegnato Edenia su di un piatto d'argento, ma al contrario di voi, io non ho avuto la mia parte. Dove sono i miei fratelli? Deagon e Taven? Parte dell'accordo era che venissero massacrati insieme a tutti gli altri. -

Quando parlava Rain piegava la bocca in una specie di ringhio, era forse quello l'odio che lo alimentava?

Drahmin lanciò uno sguardo al suo Imperatore, sicuro che avrebbe ammazzato quell'arrogante lì dove stava, magari impalandolo con la sua lancia, ma invece Shao Kahn fece una cosa del tutto inaspettata.

-Drahmin, voglio che ti occupi delle ricerche dei generali Deagon e Taven, voglio sapere se si nascondono nel regno. Rain, ti darà tutti i dettagli di ciò che ha scoperto. - Guardò fisso negli occhi l'Edeniano davanti a lui. -Non voglio mai più vederti al castello. Ti ho dato ricchezze in quantità. Trova un altro posto. -

Rain storse la bocca in una smorfia, non prendeva molto bene gli ordini, tuttavia si voltò e fece per uscire dalla porta. Drahmin stava per seguirlo, ma Shao Kahn lo richiamò. Come succedeva spesso, attese che tutti fossero usciti dalla stanza prima di parlare.

Era un gesto, quello, che lo riempiva di orgoglio, voleva dire che si fidava di lui.

-Che mi dici dello stregone? -

-Ho sottoposto Shang Tsung a diverse sedute di tortura, per il momento, solo come spettatore, per sondare la sua natura. Sicuramente è un uomo abituato alla violenza, non ha reagito in maniera molto scandalizzata ai primi interrogatori, ma si è dimostrato particolarmente infastidito di fronte a scene di natura sessuale. Potrebbe essere un segno della sua cultura, o forse un trauma personale. Ho concentrato il resto degli interrogatori su quel particolare. Sotto pressione reagisce piuttosto bene, non è debole come potrebbe apparire, anche se credo abbia vomitato qualche volta, lontano da occhi indiscreti. - Questo ultimo particolare lo fece sorridere divertito, lui riusciva sempre a mettere a nudo le debolezze di chiunque.

-Mi dà comunque l'impressione che stia apprendendo, a volte mi si rivolge come un alunno farebbe con il suo precettore. Dubito che quell'uomo sappia cosa voglia dire essere onesto, e per quel che vale, mi dà l'idea di un uomo che calcola almeno sette passi avanti ad ogni azione che compie. Tuttavia sono sicuro che abbia detto la verità. Se avesse mentito, a quest'ora se la sarebbe già data a gambe. -

-Quindi escludi che sia di Edenia? -

-Senza ombra di dubbio. Nonostante dall'aspetto possa confondersi, la sua cultura è molto diversa. Un qualsiasi Edeniano non avrebbe mai concepito un trattamento come quello che gli ho riservato. Shang Tsung invece comprende, ha una cultura molto simile alla nostra, anche se con molte sfaccettature diverse, ma completamente astruse da quelle di Edenia. Sono convinto che la sua natura sia più deviata e violenta di quanto lui voglia ammettere, e ciò che conta è che lui se ne sta rendendo conto. -

Shao Kahn si prese qualche minuto per pensare.

-Mettilo alla prova. Portalo con te ad Edenia. -

Drahmin batté i tacchi insieme, poi fece un inchino con la testa e con un retro-front puramente militare si avviò verso l'uscita.

-Drahmin! Solo un'altra cosa. -

Il generale si voltò annuendo.

-Qual'è il suo punto debole? -

-Le donne mio signore. Le torture alle donne lo provano particolarmente. -

-Voglio che lo pieghi. Spezzalo. Disintegra la sua personalità. E poi riplasmalo. Rendilo un uomo degno di divenire il mio arcistregone. -

-Sarà fatto mio signore. - Quando Drahmin chinò la testa in segno di rispetto e commiato, nascose il sorriso sadico e compiaciuto che gli era sorto sulle labbra.

Quello era un ordine degno della sua fama.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Regina senza Regno ***


Sindel non aveva mai realizzato fino a quel momento quanto le figure a lei vicino fossero importanti per la sua salute mentale. Ormai erano settimane che non aveva notizie di Shang Tsung, sapeva solo che era partito per una missione importante con il generale Drahmin, e che ormai sarebbe dovuto tornare a breve. A detta di Sheeva era una missione dalla quale ne sarebbe andato del suo futuro.

In tutto questo tempo Sindel doveva ammettere che Sheeva era la persona più importante della sua vita, dopo Kitana ovviamente. Nella Shokan aveva trovato un'amica sincera, al di là dei suoi doveri, Sheeva le aveva dimostrato la sua impagabile fedeltà e amicizia, e si stupiva nel rendersi conto quanto le fosse di conforto la sua possente figura.

In quelle settimane, si era tuttavia resa conto che anche la figura di Shang Tsung le mancava. Le mancavano le loro chiacchierate lungo il corridoio o nei giardini del castello, contraddistinte sempre dai sorrisi educati dello stregone e dalle occhiatacce gelide di Sheeva.

Mentre cullava al petto Kitana, si rese conto di star sorridendo, e si sentì in colpa. Alla fine si stava abituando a quella vita, a quelle presenze estranee, si stava abituando alla vita di corte nell'Outwold, e chissà se un giorno si sarebbe mai abituata anche a Shao Kahn, dimenticando chi era stata un tempo, le persone che l'avevano amata, che le avevano donato amicizia e sostegno. Come poteva abituarsi ad una vita così misera e dolorosa?

Una vita senza amici, senza amore, senza libertà o potere. Una vita, che a dispetto del suo titolo di regina, era più simile a quella di una schiava.

-Mia signora... - Sheeva entrò nella sua stanza dopo aver ricevuto il suo permesso. -... Se posso permettermi, non vi fa bene rimanere chiusa nelle vostre stanze per tutto il giorno. Posso consigliarvi una passeggiata in cortile? Anche per Kitana. Le farebbe bene una boccata d'aria. -

Sospirò guardandola con un sorriso triste.

Si vergognava per il modo in cui l'aveva trattata i suoi primi giorni al castello, e le dispiaceva che la loro amicizia fosse così sbilanciata dai ranghi. Si ricordò come l'avesse giudicata mostruosa la prima volta che l'aveva vista, mentre adesso trovava il suo corpo e il suo viso incredibilmente armoniosi.

-Si, hai ragione. - Sentenziò alzandosi da sedere. -Una boccata d'aria ci farà certamente bene. -

Scesero nel cortile interno del castello, dove Sindel lasciò Kitana libera di gattonare e camminare ovunque, mentre lei e Sheeva la seguivano a qualche metro di distanza.

La bambina indossava un completino viola che la facevano risaltare in mezzo alle statue di pietra e al ciottolato scuro del cortile. Passarono due guardie Tarkatan che le rivolsero un'espressione incuriosita, ma non si fermarono al suo tentativo di raggiungerli, poi un Centauro sbuffò scocciato quando la bambina, con un gridolino, tentò di attirare la sua attenzione porgendo le manine paffute verso di lui.

A Sindel dispiacque che la sua piccola non avesse nessuno con cui giocare, ma in fin dei conti era meglio stare da sola che avere a che fare con certi mostri.

Buttando di tanto in tanto un occhio alla piccola, si rivolse a Sheeva.

-Si sa niente di Shang Tsung? -

La Shokan fece un lungo sospiro rassegnato. -No mia signora. L'ultima notizia conosciuta era che fossero di ritorno da Edenia. -

Sindel la guardò di sottecchi. -Non mi è piaciuto quel sospiro. -

-Mi dispiace mia signora, ma non posso fare a meno di essere indisponente di fronte all'argomento in questione. -

Sindel sorrise, aveva imparato a divertirsi con poco, e il disappunto di Sheeva nei confronti dello stregone non poteva che divertirla. Non capiva come mai non le piacesse, e se la stuzzicava sull'argomento aveva delle reazioni per lei molto divertenti, come se fosse una vecchia zia che cerca di proteggere la propria nipotina dalle attenzioni scomode di un bandito.

Il suo sorriso tuttavia le morì sulle labbra quando notò con orrore la piccola figura di Kitana, dirigersi a passo spedito, anche se trotterellante, verso Shao Kahn, che proprio in quel momento stava attraversando il cortile dalla parte opposta.

-Kitana! - Il suo urlo fece alzare di scatto la testa all'Imperatore, come se non si fosse ancora accorto di lei, in quel preciso istante notò la testa di Shao Kahn spostarsi da lei, alla bambina.

Kitana aveva le braccia protese verso di lui, come se gli stesse chiedendo di prenderla in braccio.

Sindel partì di corsa nella loro direzione, i suoi occhi erano spalancati di terrore immaginandosi quell'essere colpire con un calcio la sua bambina, o peggio pestarla, travolgendola nel suo avanzare implacabile come se fosse un banale insetto, o magari avrebbe potuto afferrarla per gettarla chissà dove...

Il suo cuore si fermò quando Kitana afferrò una delle ossa che ornavano i suoi stivali e che spuntavano, come piccole lame, dallo schiniere di metallo.

Nella frenesia della paura tuttavia riuscì comunque a notare come Shao Kahn fosse immobile di fronte alla bambina, la guardava in un modo strano, come incuriosito, ma fu un attimo. Sindel prese Kitana e la tirò via dall'Imperatore.

-Scusatela, mio signore. - Era terrorizzata, nemmeno si accorse del titolo con cui lo aveva chiamato, tanta era la paura che lui potesse far loro del male. -Mi sono distratta un momento... -

Non disse niente, le sorpassò come se non esistessero.

Sindel era ancora a testa bassa e non trovò il coraggio di alzare lo sguardo finché non lo sentì lontano da lei.

In quel momento si rese conto di quanto fosse avvenuto, del modo in cui doveva essere apparsa debole, instabile, una vittima perfetta.

Corrugò lo sguardo rendendosi conto di come Shao Kahn avesse storto la bocca, quasi infastidito da quella vista, ma non era stata colpa di Kitana, ciò che lo aveva irritato era stata lei con il suo comportamento isterico, debole, pietoso.

Brontolò Kitana, rifilandole uno sculaccione che la fece piangere, la brontolò ingiustamente, e lo sapeva, ma in quel momento non le importava. Che fosse giusto o meno, Kitana doveva imparare che mai e poi mai si sarebbe dovuta avvicinare a Shao Kahn.

 

Pochi giorni dopo Shang Tsung e Drahmin tornarono dalla missione ad Edenia, e Shang Tsung venne nominato arcistregone di corte, titolo che gli valse l'accesso al lavoro del suo predecessore e che gli conferì libertà di spostamento e di accesso in ogni angolo del castello.

La cerimonia fu breve, ma il banchetto e i giochi si protrassero per almeno una settimana.

Molti, furono i guerrieri che si esibirono in quei giorni nell'arena, tra duelli, giochi ed esecuzioni, il popolo dell'Outworld era molto attivo, addirittura i ribelli sembrarono attenuare le loro misere rappresaglie. Durante i banchetti, artisti da tutto il regno si esibirono in recite, canti, acrobazie e danze per allietare il convivio. Shao Kahn, seppur presenziando ad ogni avvenimento, sembrava interessato solo ai duelli e alle esecuzioni nell'arena, mentre era poco propenso verso gli artisti, che eppure, riuscivano a stupire e rallegrare tutti gli altri commensali. In quei giorni Sindel poté vedere all'opera gli Shokan, il popolo da cui proveniva Sheeva, il loro principe Goro, era giunto con un manipolo di soldati dal regno sotterraneo, portando doni e partecipando ai giochi e ai duelli, e poté vedere con i suoi occhi l'accesa diatriba tra la razza Shokan e quella dei Centauri, che non disdegnavano mai di competere tra loro.

Anche Reiko era tornato dalla terra degli Zaterran, accompagnato dai regnanti di quella stirpe.

In quei giorni il castello pullulava di persone, e colori. Sindel si meravigliò di trovarsi a salutare una miriade di generali e graduati che passando, si fermavano ad inchinarsi al suo cospetto, con Sheeva alle spalle che le diceva chi fossero, proprio come le capitava nei giorni di festa ad Edenia. Si sorprese più di una volta a sorridere dei complimenti e delle lusinghe dei suoi ospiti e si trovò a rivalutare per molti aspetti l'intera popolazione dell'Outworld, che non era poi così differente per quanto riguardava feste e celebrazioni dalla sua madre patria.

L'ultimo giorno di festeggiamento, durante il banchetto, Shao Kahn si alzò in piedi annunciando un altro evento molto importante per l'intero regno, l'Outworld sarebbe sceso in guerra contro il reame Vaeternus, un reame che Sindel non aveva mai sentito nominare, ma immediatamente si sentì vicina alla popolazione, che presto avrebbe affrontato il medesimo destino che era toccato a lei e al suo popolo.

 

Quando venne il momento per tutti di ritirarsi dalla cena, Shang Tsung si avviò di passo veloce nelle sue stanze. Era piuttosto palese che non avesse voglia di parlare con nessuno, non ancora. Erano stati giorni in cui non aveva dovuto far altro che presenziare ad eventi e conoscere persone; quando, in verità, l'unica cosa che gli interessasse era finalmente poter mettere le mani su quei segreti, che fino ad allora gli erano stati negati. E magari dimenticare quegli ultimi giorni. Ma d'improvviso si arrestò, sentendo la schiena venir attraversata da un brivido di gelo.

Si voltò immediatamente e si ritrovò davanti l'imponente figura di Drahmin.

Si dovette trattenere da lasciarsi sfuggire un'esclamazione stupita, ma sentì il cuore martellargli nel petto per la paura.

-Ti ho spaventato? - Il generale stava sorridendo in un modo che a dire inquietante sarebbe stato riduttivo.

Shang Tsung non rispose, sforzandosi di non mostrare alcuna espressione, ma l'altro non aveva bisogno di parole per scorgere le emozioni dei suoi interlocutori.

-Vieni... camminiamo. - Disse facendo un rapido gesto con la testa.

Shang Tsung sapeva che controbattere non sarebbe servito a niente, di conseguenza lo seguì senza proferire parola, assoggettato dall’autorità e pericolosità dell’uomo.

Dopo la confusione che aveva regnato il giorno e i giorni precedenti, il silenzio dei corridoi e della notte, lasciava un inquietante vuoto, permettendo ai pensieri ed ai timori di prendere corpo nella mente dello stregone, arrampicandosi e muovendosi in una macabra danza dentro di lui.

Giunsero nel cortile, dove la brezza della notte lo schiaffeggiò in pieno, facendogli rendere conto solo in quel momento, che stava sudando freddo.

Drahmin parlò senza guardarlo.

-Sai chi fosse quella donna che abbiamo... interrogato ad Edenia? -

-No. - Rispose, imponendosi di evitare di mostrare alcuna emozione.

-Probabilmente lo scoprirai a breve... - Convenne fronteggiandolo. -Non voglio che tu parli con nessuno di quello che è successo... sono stato chiaro? -

Non era una domanda, era un ordine.

-Pensavo che facesse parte della missione. -

Il sorriso di Drahmin divenne più inquietante, i suoi occhi sembrarono dilatarsi.

-Diciamo che quello è stato un extra. - La sua mano scattò fulminea afferrandolo per il bavero. La sorpresa si unì allo sgomento, non lo aveva nemmeno visto arrivare. -Se tu adesso sei dove sei, lo devi a me. - Se lo avvicinò al volto, Shang Tsung sentì l'olezzo del vino, forse adesso capiva meglio. Si era ubriacato. -Sei un miserabile, viscido, figlio di puttana. Posso distruggerti quando voglio. -

Si guardarono per qualche istante, i loro occhi si fronteggiavano e probabilmente ciò che Drahmin vide negli occhi dello stregone gli piacque, perché scoppiò a ridere in un modo sguaiato, quasi folle. Lo lasciò andare, ma la sua mano pesante lo colpì alla guancia in un misto tra uno schiaffo e una carezza.

-C'è ancora del lavoro da fare ragazzo... ma un giorno mi ringrazierai. -

Solo quando si allontanò di qualche passo Shang Tsung poté ricominciare a respirare.

-Quando tornerò dalla guerra ti plasmerò a mia immagine e somiglianza. - Lo indicò sorridendo in maniera disturbante. -Hai del potenziale... lo ammetto. Ma ricorda quello che ti ho detto. Vorrei averti al mio fianco quando torturo le persone... come ad Edenia... non davanti. - Si voltò agitando una mano in segno di saluto e tornò dentro al castello.

Shang Tsung rimase da solo, cercando di reprimere velocemente le immagini a cui era stato costretto ad assistere ad Edenia. Inutilmente però. E la cosa peggiore era che dentro di se sapeva che non sarebbe stato un caso isolato.

Alzò lo sguardo ad osservare la luna pallida dell'Outworld, fin troppo simile a quella terrestre, ebbe per un attimo un brivido che gli percorse la schiena.

Doveva prevedere e prepararsi a quanto stava per accadere, o tutto quello che era riuscito a guadagnarsi, sarebbe andato perduto.

 

La preparazione per l'imminente guerra cominciò il giorno dopo. Sembrava che il castello fosse stato invaso. Tutti i giorni, generali con la propria guardia personale, presenziavano al castello per le riunioni tattiche di guerra e per i pasti, tutti tranne i Tarkatan, che preferivano rimanere con il proprio esercito.

L'ultima sera, prima della partenza, Shao Kahn fece convocare Sindel nella sala del trono. La regina entrò in modo altero e superbo, dimentica dell'atteggiamento remissivo e spaventato che aveva avuto prima dei giorni di festeggiamento.

Sheeva sempre al suo fianco, sempre un passo indietro, avanzò dopo di lei.

-Mi avete chiamata? - Domandò la regina osservando l'Imperatore seduto sul suo trono.

Shao Kahn aveva la testa leggermente abbassata e la fissava di sottecchi con un'espressione poco aggraziata, sembrava innervosito.

-Non trovi di tuo gradimento i vestiti che ti ho fatto portare nelle tue stanze? - Chiese con voce rauca. Sembrava cercare di trattenere una rabbia che voleva divorarlo dall'interno.

-No, sono bellissimi. Vi ringrazio. -

-Hai qualche richiesta particolare? - Domandò con un tono di voce quasi spazientito.

-No. Sto bene così. - Lasciò passare qualche secondo di pausa. Sheeva aveva tentato di addolcire il suo animo, cercando di insegnarle a ringraziare sempre l'Imperatore dei doni che le faceva, ma non era una pratica che le riusciva molto bene. -Vi ringrazio. - Aggiunse in un modo che sembrava più una presa in giro che un vero e proprio ossequio.

-Allora, spiegami come mai non ti ho mai vista indossare nessuno di quegli abiti. -

-Non sapevo fossi obbligata a farlo. -

-Alle cerimonie del regno, devi presentarti con abiti appropriati, non con quegli abiti che ti sei portata da Edenia. -

-Ma io sono di Edenia. E indosserò abiti di Edenia. -

-Edenia non esiste più! - Tuonò sporgendosi verso di lei. -E prima ti entra in testa e meglio sarà per tutti! -

-Vorrà dire che gli abiti che ho, saranno i soli che indosserò. A costo di ricoprirli di toppe e cuciture. - Ribatté stringendo le mani a pugno.

Sheeva prevedeva un disastro. Tutti i suoi sforzi gettati così al vento e per cosa? Per degli abiti. Non capiva come mai la regina Sindel facesse certe ripicche, che cosa voleva dimostrare? Che era forte? Ma non lo era.

Che poteva averlo in pugno? Nessuno teneva in pugno Shao Kahn.

Non capiva nemmeno come mai il suo Imperatore fosse così accondiscendente nei suoi confronti, chiunque altro avesse osato tanto, lo avrebbe fatto frustare fino all'osso.

-Impara a stare al tuo posto, donna! - Le puntò un dito contro, i suoi occhi rossi brillarono di una luce furiosa. -Non tollero certi atteggiamenti insubordinati! -

La sala calò in un silenzio di tomba, Sindel si impedì di abbassare lo sguardo, serrò addirittura la mascella, con gli occhi nocciola che mandavano lampi di furia omicida.

-Domani sarà l'ultimo giorno, poi partirò per la conquista di Vaeternus. Voglio che indossi un abito appropriato all'evento. -

-Vedrò cosa posso fare. - Ribatté guardandolo in maniera antipatica.

-Non è una richiesta, è un ordine. -

-Altrimenti? -

A quella sfida Shao Kahn si alzò in piedi con una lentezza, come se dovesse misurare ogni gesto o sarebbe scoppiato in una carneficina.

-Ti avverto... Non sfidarmi. -

Quelle parole, pronunciate come un ringhio, non vennero accolte come avrebbero dovuto.

Per tutta la sera, e la mattina e il giorno seguente, Sheeva tentò di convincere la regina ad ascoltare le parole dell'Imperatore, ma erano parole al vento, e lo sapeva bene.

Prevedeva un disastro, e anche se non avrebbe voluto farlo, quel pomeriggio si diresse dall'unica persona che forse la regina avrebbe ascoltato.

Bussò alla pesante porta di legno e ogni minuto che passava, si pentiva sempre di più di quella decisione, ma non vedeva molte alternative.

Shang Tsung aprì la porta, come al solito indossava una specie di vestaglia, molto larga, dalla stoffa pesante e nera, stretta in vita da una fascia di colore rosso, ma quando notò la figura della Shokan, si lasciò sfuggire un sorriso irrispettoso.

-Ammetto che una vostra visita, sarebbe certamente stata più gradita in tarda serata. -

-Sono abituata a ben altri maschi, stregone... e altre misure. - Aggiunse sfoggiando un espressione di sfida.

L'uomo però non parve essere offeso, anzi allargò il sorriso, e per un attimo le parve addirittura genuino, mentre si lasciava sfuggire una leggera risata appena soffocata.

-Volete entrare? -

-Preferirei di no. - Ammise guardandosi attorno, notando il corridoio semi deserto, ma udendo in lontananza le voci degli ospiti. -Tuttavia, vi devo parlare di una situazione... come dire... delicata. -

Shang Tsung si fece da parte e la lasciò entrare nelle sue stanze.

Quella era la prima volta che vedeva dove viveva lo stregone, e per un attimo si stupì della quantità di libri e materiale che vedeva sparso un po' ovunque.

Sentì la porta chiudersi alle sue spalle e, voltandosi, lo osservò mentre le si avvicinava con le mani dietro la schiena.

-Vedo che la vostra promozione ad arcistregone, ha già dato i suoi frutti. - Sheeva indicò un tomo magico, l'ultimo di una lunga pila appoggiata sul tavolino.

-Già... la conoscenza delle arti magiche del mio predecessore era veramente immensa. Sono grato all'Imperatore per la nomina e la possibilità di affinare le mie conoscenze. - Le si avvicinò ancora, raggiungendola di fianco.

-Immagino comunque voi non siate qui per complimentarvi con me. -

Erano strani i suoi occhi. Non aveva mai visto occhi strani come quelli del terrestre, erano stretti, ma lunghi, e le sue iridi erano neri come un cielo senza stelle, erano enigmatici, riuscivano ad essere freddi e affascinanti al contempo.

Il suo essere era un enigma che non riusciva a comprendere.

-Si tratta della regina Sindel. - Shang Tsung annuì appena. -Temo si stia mettendo in un grosso guaio. L'Imperatore le ha imposto di indossare un abito di fattura dell'Outworld, ma lei insiste nel voler indossare abiti di Edenia. -

La risata sardonica di Shang Tsung la fece infuriare.

-Lo trovi divertente? - Sbottò.

-Volete davvero che mi metta a discutere di vestiti, con la regina Sindel? -

-Temo per la sua vita. Non credo che l'Imperatore passerà sopra anche a questo. Lo sta sfidando, e quel che peggio potrebbe minarne la sua figura in pubblico. Come apparirebbe agli alleati, se non sa nemmeno tenere a bada sua moglie? -

-L'Imperatore non ucciderà la regina. - Sentenziò alzando appena le spalle.

-E da cosa lo deduci? Non mi sembra che tu conosca così bene l'Imperatore da poter azzardare ipotesi con tanta sicurezza. -

Shang Tsung sollevò le sopracciglia con un sorrisetto furbo stampato in volto.

-Davvero non ve ne siete accorta? - Sheeva rimase in silenzio, corrugò lo sguardo pensando a cosa le fosse sfuggito, quale fosse quel dettaglio così importante che non era riuscita a cogliere.

Poi la rivelazione dello stregone la sconvolse.

-Ne è innamorato. -

Quell'affermazione la fece sbuffare in una risata. -Ma di che stai parlando? L'Imperatore non può esserne innamorato... sarebbe una debolezza. -

-E forse lo pensa anche lui, ma questo è un dato di fatto. Perché ancora non ha consumato le nozze? Ci avete mai pensato? Anche se dovesse prenderla con la forza, sarebbe un suo diritto. Perché non lo ha fatto? -

Sheeva rimase interdetta, cercò di balbettare qualche scusante, ma sapeva che niente reggeva ad una simile verità.

-Niente però lascia presumere che non lo farà. - Riuscì a dire infine.

-Certo prima o poi lo farà, e anzi, credo che dobbiate preparare la regina al riguardo. Prima o poi si dovrà concedere, volente o nolente. -

Quello era un argomento che davvero prima o poi avrebbe dovuto affrontare, ma sperava vivamente di non doverlo mai fare.

-Potrebbe comunque farle del male, o farne a Kitana. -

Shang Tsung si strinse nelle spalle.

-Tutto qui? - Sheeva lo fissava con occhi sgranati per la sorpresa, come era possibile che non gli interessasse niente di tutte quelle conseguenze? Che razza di uomo era? -Dì qualcosa! -

-La regina se la caverà con qualche livido che magari avrà il pregio di inculcarle un po' di buon senso in testa. Magari diventa più furba, e impara a scegliere meglio quale siano le battaglie che vale la pena combattere. -

Non ci poteva credere, lo guardò sconvolta, continuava ad agitare lentamente la testa cercando di negare a se stessa quanto aveva appena sentito.

-Non capisco a che gioco tu stia giocando stregone... francamente mi disgusti. La regina Sindel è stata buona con te, e tu la ripaghi con tanta superficialità? Non sai di cosa è capace Shao Kahn. -

Non voleva rimanere in quella stanza un secondo di più, non avrebbe potuto sopportare la vista di quell'essere disgustoso. Uscì sbattendo la porta.

E lei? Cosa avrebbe fatto?

Rimase impotente di fronte alla testardaggine della sua regina di indossare per l'ennesima volta un abito di Edenia.

Rimase sorda ai pettegolezzi di corte e cieca allo sguardo pieno d'ira dell'Imperatore che preannunciava la catastrofe.

E infine, dovette rimanere immobile, quella notte, dopo la cena, quando Shao Kahn entrò nelle stanze della regina come una furia.

Il pianto della piccola Kitana risuonava così forte tra le mura della stanza, sopra le grida della regina, sopra gli schiaffi che rimbombavano, che per un attimo Sheeva agì d'istinto.

Afferrò la piccola in braccio e corse fuori da quella stanza, lontano da quanto stava avvenendo, lontano dalla sua impotenza, lontano da una promessa che non avrebbe potuto mantenere.

Nel correre per mettere al sicuro la principessa, nemmeno si accorse di essere passata davanti alla figura di Shang Tsung.

Probabilmente se si fosse voltata avrebbe visto per la prima volta, un'espressione di sorpresa sul suo volto.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Bugiardo, Bugiarda ***


Sindel venne colpita nuovamente, questa volta lo schiaffo l'aveva fatta cadere carponi sul letto.

Shao Kahn l'afferrò per i capelli tirandola da dietro.

-Ti avevo avvertita, donna! - La girò verso di se e la colpì nuovamente. -Hai messo a dura prova la mia pazienza! - Questa volta, quando lo schiaffo la colpì, Sindel sentì il labbro spaccarsi e del sangue inondarle la bocca. Shao Kahn non si risparmiava, la colpiva a mano aperta e poi con il dorso. Aveva tentato una reazione smanacciando, e forse doveva averlo anche graffiato sul collo, ma sembrava inarrestabile.

L'ennesimo schiaffo, la fece volare a terra, batté la testa contro il pavimento, per un attimo le si offuscò la vista, poi si alzò appena per vedere Shao Kahn che afferrava degli abiti e li strappava in due, erano i suoi abiti. Quelli di Edenia.

Era troppo da sopportare. Le ultime cose della sua casa, della sua vita prima di quell'incubo, stracciate in mille pezzi, irrecuperabili. Le ultime cose che le ricordavano un tempo felice, una vita vera, un amore, la gioia della vita, distrutte.

La consapevolezza che con il tempo, senza niente che glie lo avesse ricordato, si sarebbe dimenticata di quel tempo felice, con tutte le sue sensazioni. Era una cosa che non poteva sopportare, si alzò di scatto.

-Fermo, maledetto animale! - Gridò lanciandosi contro di lui. -Lascia stare i miei vestiti! -

Shao Kahn la colpì con un pugno in pancia, facendola piegare in due, poi l'afferrò per i capelli.

-Ne manca ancora uno. - Con un ringhio le afferrò il colletto di pizzo dell'abito e tirò con forza, scoprendole il petto.

Sindel si sentì sprofondare in un abisso di vergogna, era stata denudata da quella bestia, i suoi abiti completamente a brandelli.

E chissà che altro voleva farle.

Agì, d'istinto e lo colpì con un calcio all'addome che lo spinse lontano da se.

Un gesto che sembrò sorprendere l'Imperatore che rimase immobile ad osservarla per qualche istante.

Sindel si coprì velocemente il petto con le braccia.

-Non avreste dovuto sfidarmi! - Ripeté Shao Kahn con un ringhio. -Questo lo avete voluto voi! -

-Io non ho mai voluto niente! - Ribatté furiosa. -Ti sei preso il mio regno! Mio marito! La mia vita! E ora ti sei preso anche i miei ricordi! -

Il silenzio era calato grave e pesante come un macigno.

-Vi detesto con tutte le mie forze. Mi fate schifo! Vi odio! -

-Bene. - Ribatté l'altro. -Renderà più interessante il giorno in cui vi farò mia! -

Si voltò e se ne andò, lasciandola assorbire bene il peso di quelle parole, la gravità delle conseguenze che l'avrebbero attesa.

Finalmente sola, Sindel si lasciò cadere a terra. Dolorante, isolata, e disperata, finalmente si lasciò andare al pianto.

Urlò, graffiò il pavimento con le unghie fino a spezzarsele, la furia di Shao Kahn aveva rotto i lumi, e nel buio più completo, rannicchiata sul pavimento, finalmente si addormentò.

Se fosse stato un sogno o realtà, non lo avrebbe saputo dire, ma aveva freddo, forse si era svegliata, o forse era nel dormiveglia, ma c'era qualcuno nella stanza con lei, qualcuno che la sollevò da terra e la posò sul letto, cercò di aprire gli occhi ma era troppo stanca, il letto troppo comodo e così sprofondò nuovamente nel sonno.

A svegliarla fu Sheeva, che aprì le tende, per aprire le finestre e far entrare dell'aria fresca.

Sindel aprì appena gli occhi e a giudicare dall'espressione sconvolta della sua damigella, il suo viso doveva essere messo peggio di quanto credeva.

-Mia regina... - Si portò una mano alla bocca, non sapendo cosa dire.

-Sono messa così male? - In effetti il viso le doleva tutto e sentiva le labbra gonfie, doveva avere anche un occhio nero, a giudicare da come le pulsava.

-Mi dispiace. - La Shokan si inginocchiò davanti ai suoi piedi. -Mi dispiace non averla potuta difendere, mia regina ma... -

-No. Non devi scusarti. - Si alzò faticosamente a sedere. -Non è colpa tua... ma di quell'animale. - Lanciò una rapida occhiata ai vestiti stracciati, poi guardò la culla con Kitana che dormiva. -Grazie per esserti presa cura di lei. -

-Era il minimo che potessi fare. Ma vi prego, ditemi, come posso aiutare voi, adesso. -

La damigella era fin troppo preoccupata, voleva chiedere, ma sapeva che non era rispettoso; per un attimo pensò che avrebbe potuto farle credere che Shao Kahn le avesse usato violenza, ma il punto di vista di Sheeva sulla questione matrimonio era incredibilmente distante da quella che aveva lei, e poi non era corretto mentirle in quel modo, anche se avesse accresciuto il suo odio per l'Imperatore, non avrebbe comunque ottenuto nient'altro, se non una fedeltà che già aveva.

-Tranquilla... non mi ha usato violenza... voleva solo impartirmi una dura lezione. - Si stirò la schiena in dietro, sentendola scricchiolare, aveva tutti i muscoli indolenziti, anni di inattività si facevano sentire, sorrise vedendo la Shokan rilassarsi.

-Sei stata tu a mettermi a letto questa notte? -

Sheeva sembrò non capire e scosse appena la testa, invitandola a spiegarsi meglio.

-Mi ero addormentata sul pavimento, ma qualcuno mi ha rimessa a letto... pensavo fossi stata tu... -

-No mia signora, mi dispiace, io ho passato tutta la notte nelle mie stanze con la principessa. -

-Capisco... - Eppure la stazza della persona che l’aveva sollevata da terra, le era sembrata simile a quella della Shokan.

Chi poteva essere stato allora? Chi si sarebbe mai permesso di entrare nelle sue stanze?

Quelle domande vennero immediatamente accantonate allo scoccare di una nuova idea.

-Sheeva, voglio allenarmi. Tu sai combattere? -

-Si, certamente mia regina, noi Shokan siamo addestrati al combattimento sin da tenera età, a prescindere dal ceto sociale o dal sesso. -

-Perfetto, voglio andare in un posto tranquillo, lontano da occhi indiscreti. -

-Mia regina, sono tutti partiti per la conquista di Vaeternus, possiamo allenarci dove preferiamo. -

-Chi comanda il regno in assenza dell'Imperatore? -

-Normalmente sarebbe il suo arcistregone, ma vista la carica così giovane, Shao Kahn ha affidato il comando del regno ad un vecchio generale dell'Impero, ma non credo lo incontrerete mai, preferisce gestire le faccende burocratiche dalla sua fortezza, lontano dalla capitale. -

-Perfetto. Il cortile andrà benissimo. -

Erano anni che non praticava più le arti marziali, dopo il matrimonio, suo marito Jerrod le aveva detto che non ne avrebbe più avuto bisogno, che ci sarebbe sempre stato lui, poi la nascita di Kitana l'aveva completamente fermata, e poi tutto quello che era successo...

Tornare a riattivare i muscoli esercitandosi con Sheeva, le sembrò in un certo senso di rinascere.

Sheeva aveva uno stile di combattimento molto rude, ma sicuramente efficace, tuttavia Kitana pretendeva spesso attenzioni e l'una o l'altra dovevano fermarsi.

-Non sapevo che voi sapeste combattere. -

La voce di Shang Tsung giunse alle sue spalle, ma conscia del suo aspetto, quando gli parlò lo fece rimanendo voltata.

-Era da tanto che non praticavo più. -

Sheeva le fu subito di fianco. -Che ci fai qui? - Domandò aggressiva verso lo stregone e fu in quel frangente, voltandosi per fermare l'avanzata della Shokan, che Sindel si girò, rivelando i lividi sul suo volto.

Tuttavia le sembrò incredibilmente fasulla la sua espressione di sorpresa, come se già sapesse. Per un attimo le balenò nella testa la possibilità che fosse stato lui, quella notte a riportarla sul letto... possibile che fosse stato tanto sfrontato da entrare nelle sue stanze?

Scosse appena la testa. -Cosa vi porta qui? - Gli domandò.

-Io... volevo chiedervi scusa mia signora. - Chinò appena la testa, ma Sheeva lo colpì con una spinta alla spalla, facendolo indietreggiare.

-Ipocrita! -

-Basta! - Sindel guardò incredula la sua damigella, ma come mai così tanto rancore verso Shang Tsung, che diavolo c'era stato tra loro per scusare un simile odio? Guardò Shang Tsung, i suoi occhi sembravano sfuggire alla vista dei suoi lividi. -Di cosa volevate scusarvi? -

Finalmente alzò lo sguardo su di lei, affrontando la conseguenza delle sue azioni. Voleva scusarsi di essere entrato nella sua stanza di notte? Di averla vista quasi completamente nuda? Di che cosa voleva scusarsi?

-Sheeva mi aveva chiesto di parlarvi... e di convincervi, per il vostro bene, ad agire con buon senso... ma io mi sono rifiutato. -

E quelle dovevano essere delle scuse? Ma con chi pensavano di avere a che fare? Con una mentecatta?

-Pensate forse che io non sappia ragionare da sola? - Osservò entrambi sconvolta. -Credete forse che sia pazza? -

-Assolutamente no, mia regina... - Si affrettò a dire Sheeva.

Shang Tsung però, avanzò verso di lei, bloccando la risposta della Shokan.

-Noi crediamo che voi abbiate sofferto molto. Crediamo che il vostro dolore vi stia lacerando ogni giorno dall'interno. Come un fuoco, questo dolore vi brucia l'animo e vi annebbia la testa. Spesso perdete di vista l'obiettivo finale della vostra esistenza. -

-L'obiettivo finale? E quale sarebbe? - Domandò sempre più indisposta.

-Vostra figlia. -

Sindel abbassò appena lo sguardo, in fin dei conti Shang Tsung aveva ragione, lei aveva già deciso cosa avrebbe fatto della sua vita. Ma Kitana? Doveva fare di tutto per riuscire a metterla in salvo, e spesso doveva ammettere di dover scendere a compromessi, anche dolorosi... forse umilianti, ma Kitana era di primaria importanza.

Annuì appena e con Kitana in braccio si diresse verso le sue stanze, chiamando Sheeva con se.

Quando la Shokan passò vicino a Shang Tsung lo guardò con odio.

-Hai una bella parlantina. -

-Non credevo che Shao Kahn arrivasse a tanto. -

-Lo sapevi eccome. Ma non ti sei interessato, e ora fai il sensibile, ma non mi inganni stregone. Io so che razza di uomo sei. -

-Ah si? - La fronteggiò con lo sguardo, sollevando appena le sopracciglia. -E che tipo di uomo sarei? -

-Sei il tipo d'uomo che se ne frega di chiunque finché non gli fa comodo. Non so per cosa ti serva la regina Sindel, ma finché le sarò a fianco, non ti permetterò di usarla. -

Quel bastardo le sorrise, con quegli occhi neri che sembrarono divenire ancora più oscuri, il suo sorriso fu un tenue stirarsi di labbra, mentre le sue sopracciglia arcate si alzarono in un ghigno canzonatorio.

-Non avete capito però il tipo di uomo che non sono. Non sono il tipo d'uomo incapace di difendere la persona che ho giurato di proteggere. -

Sheeva si sporse verso di lui. -Ma sicuramente siete uno stronzo. -

Nel passargli di fianco gli tirò una spallata, spostandolo dal suo cammino.

 

Il giorno seguente, Sindel raggiunse Shang Tsung nella biblioteca, l'uomo sembrava indaffarato nel barcamenarsi tra 3 libri aperti davanti a lui.

Per qualche istante, rimase sulla porta ad osservarlo. Non sapeva perché, ma trovò quella immagine incredibilmente gradevole. Un’ immagine quotidiana, un uomo seduto ad una scrivania intento a districarsi fra tomi magici, o anche documenti di ordinaria amministrazione.

Il ricordo di suo marito Jerrod la investì prepotentemente, facendole dolere il petto. Jerrod era solito riempire la scrivania del suo studio, di ogni tipo di scartoffia, e lei era solita affacciarsi sulla porta, nell'osservarlo agitato a cercare di mettere ordine tra le questioni più urgenti e importanti. Spesso quando lui si accorgeva di lei, alzava gli occhi dai fogli e le sorrideva chiedendole se si stesse divertendo, salvo poi chiederle di aiutarlo, perché a suo dire, lei leggeva più veloce di lui.

Quel ricordo la fece sorridere, o forse fu Shang Tsung, facendo un gesto che non gli aveva mai visto fare prima di allora e per quello le sembrò talmente naturale e strano da risultare buffo. Aveva arricciato le labbra nello stesso istante in cui le sue sopracciglia si erano corrugate, e per un attimo le sembrò l'espressione corrucciata di un bambino.

L'uomo sollevò la testa dai libri, vedendola sulla porta si alzò immediatamente in piedi.

-Mia signora, perdonatemi, non vi avevo visto. -

Sindel avanzò nella grande biblioteca, e il pavimento di marmo rintoccò al suono del suo tacco. -Semmai sono io a doverti chiedere scusa. Ti ho disturbato? -

Quello abbozzò un sorriso, forse un po' troppo sicuro, per non essere spudorato.

-Sapete benissimo che voi non disturbate mai. -

Sindel allungò il collo verso i tre libri aperti sul tavolo. -Cosa stavi facendo? -

-Studiavo la disposizione dei reami e l'apertura dei portali. Il fatto è che ogni reame ha regole differenti per questo tipo di magia, con rune in diverse lingue e... - Shang Tsung aveva nuovamente abbassato lo sguardo sui libri e quando lo rialzò si ritrovò gli occhi della regina puntati su di se e un sorriso imbarazzato in volto. -... e immagino non vi interessi. - Concluse.

Sindel rise, e come era consono fare ad una regina, si portò la mano davanti alle labbra. -Scusami, ma è come se stessi parlando un'altra lingua. -

-Ma certo. -

Sindel notò nuovamente quel suo strano modo di sorridere. Era una cosa comune a tutti i regni e a tutte le razze, quando qualcuno rideva, lo faceva sia con la bocca che con gli occhi, ma in Shang Tsung, sembrava che occhi e bocca non comunicassero le stesse cose. La sua bocca sorrideva, ma i suoi occhi erano vuoti, e lei non capiva se erano gli occhi a mentire, o la bocca.

-Avevate bisogno di qualcosa? -

Quella era esattamente la domanda che stava aspettando, sapeva che adesso doveva stare molto attenta a quello che avrebbe detto e come.

Il giorno prima, quando Shang Tsung le aveva detto che doveva concentrarsi su quali battaglie fossero importanti e sullo scopo della sua vita, le aveva fatto capire che aveva per troppo tempo indugiato. Anche se quello che stava facendo non era corretto nei suoi confronti, per il bene di Kitana, doveva giocare sporco, perché i tempi stringevano.

Dal fronte, erano già giunti i primi successi in battaglia delle armate dell'Outworld, anche se pregava che Shao Kahn morisse, non poteva fare a meno di fare i conti con la realtà.

Finse imbarazzo, sapeva come fare. Era una regina, una donna adulta, era da tempo che non provava più imbarazzo per nessuno, ma anche lei era stata una bambina alle prese con segreti che non voleva rivelare al padre, o una ragazzina inesperta alle attenzioni di un marito amabile, e così le fu facile ricordare quei momenti, le fu facile arrossire e sfuggirgli con lo sguardo, e le dita che si tormentavano furono un tocco di classe.

Ottenne il risultato sperato, perché gli occhi dell'uomo che le stava di fronte, si fecero più attenti.

-Io... non voglio... presentarmi ai miei sudditi in queste condizioni... - Con un movimento veloce e nervoso della mano si indicò il volto, ancora livido dalla punizione di Shao Kahn. -... mi chiedevo... se tu conoscessi le arti di cura... -

Per un breve attimo lo stregone assottigliò ancor di più lo sguardo già tagliente di suo, come se cercasse di studiarla, come se ci fosse qualcosa che non gli tornasse. -Si, certamente. - Ammise poi drizzandosi sulle spalle e portandosi una mano dietro la schiena, mentre l'altra si mosse in un gesto mellifluo. -Se volete attendermi, andrò a prendere l'occorrente e tornerò immediatamente. -

-Se non ti dispiace vorrei venire con te. -

Sembrò sorpreso, probabilmente stava capendo che c'era qualcosa dietro.

-Mia signora, dovrò andare nelle mie stanze e non è appropriato che voi... -

-Lo so. - Si avvicinò di qualche passo e notò l'irrigidirsi dei suoi muscoli sulle spalle. Ogni volta che gli si avvicinava, sembrava all'erta, come se temesse un attacco. -Ma... devo discutere con te di una cosa... privata... lontano da occhi e orecchie indiscrete. -

Lui sospirò, non si poteva sottrarre ad una richiesta della regina, e lo sapevano bene entrambi, non erano solo le leggi del castello ad imporlo, ma anche una regola del galateo di un ospite.

-Non sta bene che una donna entri nelle stanze di un uomo. Se per voi è lo stesso mia signora, verrò io da voi, non appena avrò radunato le cose che mi servono. -

Gli sorrise, cercando di sfoggiare nuovamente quei modi timidi da adolescente.

-Grazie. - Così dicendo si voltò e si allontanò di passo svelto, per fargli credere che tutto quello fosse incredibilmente imbarazzante.

 

Si vergognava di quanto fatto e di quanto stava per fare, anche se continuava a ripetersi che a mali estremi, estremi rimedi, non poteva che sentirsi in colpa per quel tiro mancino che aveva preparato insieme a Sheeva. Certo, c'era da dire che la Shokan era stata più che accondiscendente a quel piano, e anzi, si era dimostrata incredibilmente celere e stranamente euforica all'idea di una simile condotta. Solo quella mattina si era leggermente tirata indietro, ma era bastato un suo ordine perentorio per riportarla in linea con il piano ideato.

Il bussare alla porta la distolse dai suoi pensieri.

Shang Tsung entrò dopo il suo permesso, aveva con se due ampolle e delle garze che appoggiò sul tavolo al centro dell'anticamera. Si guardava spesso attorno, non sapeva se fosse preoccupato o curioso.

-Sheeva non c'è. - Lo rassicurò, o deluse, non aveva ancora capito che tipo di rapporto ci fosse tra quei due. Sheeva sicuramente non lo sopportava, eppure sapeva che ne era anche affascinata; la natura curiosa della Shokan prevaleva spesso sul suo buonsenso e sapeva che la figura enigmatica dello stregone, proveniente da un regno sconosciuto, la interessava. Ogni particolare strano la incuriosiva, a partire dal suo aspetto così singolare, fino agli abiti che era solito indossare, quelle specie di vestaglie nere, larghe, con le maniche talmente ampie, che spesso quando l'uomo era in attesa, ci nascondeva le braccia dentro incrociandole sul petto.

Shang Tsung di controparte sembrava sempre cercare con lo sguardo la Shokan; che fosse anche lui per curiosità nei confronti di una creatura talmente singolare, o semplicemente perché trovava incredibilmente divertente farla adirare, questo ancora non lo aveva capito.

-Peccato. Le avrei spiegato come apportare le lozioni. -

Quello non se lo aspettava, ma in fin dei conti doveva prevederlo. Non era certo da bene che un uomo toccasse una donna che non fosse sua moglie, anzi, per giunta sposata con un altro uomo.

-Non voglio che Sheeva sappia... o veda... certe ferite. Mi dispiace dovertelo chiedere... immagino sia molto sconveniente per te... ma sei l'unica persona amica che ho. - Sindel si voltò di spalle, allargandosi la scollatura del vestito per mostrare un grosso livido all'altezza della spalla. -Non si è limitato a prendermi a schiaffi. - Aggiunse con voce bassa. Non le era difficile rievocare ricordi tristi che le facessero tremare la voce e inumidire gli occhi.

Lo stregone cedette, ma era una vittoria preannunciata, lui non poteva sapere che la sera prima Sheeva si era recata dalle serve Shokan incaricate di pulire i sotterranei. Le donne le avevano parlato di alcune voci che giravano tra le guardie delle Fosse di Carne, che definivano lo straniero come incredibilmente sensibile al gentil sesso, e che il generale Drahmin gli aveva fatto fare una cura particolare, costringendolo a vedere tutti gli interrogatori fatti alle femmine. Avevano sentito dire che aveva vomitato più volte e che sembrava sempre sul punto di cedere emotivamente. Quelle informazioni non avevano fatto altro che far vacillare le convinzioni di Sindel sul suo piano, mentre Sheeva ne parlava con gioia, pur non sapendo che ciò che considerava debolezza, per la sua regina era forza.

Quella mattina aveva costretto Sheeva a lasciarle dei segni sulla schiena, sui polsi e sulle gambe, per rendere più convincente la sua recita. Adesso che era riuscita a far breccia nel suo carattere, doveva capire quale aiuto poteva trarne.

Shang Tsung le si era seduto di fianco, sul bordo del letto, ma lei si era voltata dandogli le spalle per permettergli di medicarle i lividi sulla schiena. Si era portata i capelli davanti, lasciando scoperte entrambe le spalle, e notò una certa titubanza da parte sua nel toccarla.

-Mi dispiace... - Continuava a ripetere, cercando di indurlo a pensare che tutto quello fosse incredibilmente imbarazzante anche per lei, quando in realtà aveva un rapporto estremamente sicuro con il suo corpo e poi era anche un test di prova per capire se fosse stato lui, la sera delle percosse, a rimetterla a letto.

-In verità mia signora... da dove vengo io, un uomo di buona educazione non dovrebbe mai toccare una donna di rango superiore. -

Non seppe se a farla rabbrividire fu il liquido freddo a contatto con la sua pelle o l'alito caldo dell'uomo sul collo.

-Ma tu... è come se fossi il mio curatore... anche in questo caso non vi è permesso toccare una donna? -

-In questo caso il permesso dovrebbe venire direttamente dal marito. -

-Mi sembra di capire che in questa Terra, da dove vieni tu, le donne non contano poi molto. -

Lui sospirò. -Da dove vengo io le donne vivono per educare i figli e servire il proprio marito, il quale le rispetta e le fa rispettare come meritano. -

-Lavorano? -

-Si certamente, sono instancabili lavoratrici. Spesso partoriscono addirittura sul posto di lavoro. - Dal livido sulla spalla, passò a quello sulla schiena.

-E tu hai una moglie? -

-No. - Fu una risposta molto secca, sembrava quasi infastidito da quella domanda.

-Posso chiederti come mai? -

-Preferirei di no. -

Seguirono minuti di silenzio, la seguente domanda la fece abbassando la testa.

-Anche nel tuo regno succedono queste cose? -

-Immagino succedano ovunque. - Rispose dopo qualche secondo di silenzio.

-Cosa accade nel tuo reame quando una moglie disubbidisce al marito? -

Lui rimase in silenzio, non appena lei si voltò per guardarlo vide i suoi occhi persi nel vuoto. -Shang Tsung... -

Lui la osservò come se si fosse destato da un ricordo. -Ho finito, voltatevi. -

Obbedì tirandosi su il vestito e le prime ferite che cominciò a curare furono quelle sul volto. Questo le permise di guardarlo dritto in faccia e notò che la sua espressione era persa.

-Volete sapere cosa penso? - Disse con voce atona, come se fosse privo di qualsiasi sentimento. -Se siete una donna che non è in grado di difendersi, evitate di andarvele a cercare. -

-Cosa stai insinuando? - Si fronteggiarono, lei furiosa, lui sembrava vuoto, senza alcuna emozione. -Che me la sono meritata? Pensi questo? -

-L'Imperatore non vi avrebbe usato violenza se non per punirvi. E vi ha punito perché voi gli avete disubbidito, più volte e in maniera irriverente. -

-Ma come ti permetti? - Si scostò leggermente da lui con orrore. -Shao Kahn è un mostro. -

Questa volta fece un mezzo sorriso arrogante, molto canzonatorio. - Forse... Ma voi siete poco furba. -

Era rimasta a bocca aperta come un'ebete, da dove la tirava fuori tanta arroganza? Era sempre stato così gentile ed educato, chi diamine era questo bastardo che le stava di fronte?

-Potrei farti frustare. - Ribatté indignata.

Sembrò riprendersi, ritrovare quello zelo che lo contraddistingueva, distolse gli occhi dai suoi. -Sono stato spregevole, mi dispiace. -

Lei continuava a fissarlo come se cercasse di capire chi avesse davanti. Era stato come vedere due personalità differenti condividere lo stesso corpo.

-Il fatto è che, nei giorni della mia permanenza nelle Fosse di Carne, ho dovuto vedere talmente tante vittime di violenze e abusi, che immagino stia sviluppando una specie di odio nei loro confronti. -

Quella confessione riuscì ad addolcirle un po' il cuore.

-Cosa intendi? -

-Non capisco perché arrivare a tanto. Perché farsi infliggere una simile umiliazione e dolore? Non sarebbe più semplice parlare... o sottomettersi, che lasciarsi infliggere certe cose? -

-E dove sta la dignità degli ideali e l'onore della persona? - Gli sorrise appena, non ci aveva mai fato caso, ma quando non aggrottava le sopracciglia aveva un'espressione quasi buona. Senza pensarci troppo allungò una mano per toccargli il braccio. -Non sei tu, è Shao Kahn che ti spinge verso un simile odio per i deboli, ti spinge ad odiarli perché così ti sarà più facile ucciderli. - Fece scorrere la sua mano, lungo il bicipite, fino all'avambraccio, per poi afferrare la mano di lui, che ancora teneva la garza con cui la stava medicando. -Puoi essere migliore... -

Abbozzò un sorriso disilluso, quasi amaro. -Ma a quale scopo? -

Una domanda a cui non aveva una risposta. Abbassò lo sguardo sulle loro mani, mosse leggermente le dita, per saggiarne la consistenza; era una mano lunga, dalle dita affusolate, eppure notò che le nocche presentavano innumerevoli calli e cicatrici. Ciò che le fece corrugare lo sguardo però fu il notare che si doveva essere rotto la mano, in più punti e probabilmente più volte, perché nel risaldarsi, le ossa avevano creato un piccolo rigonfiamento. Quella non era la mano di uno studioso, ma di un guerriero.

-Mi dispiace... non so risponderti. -

Lui tolse la mano da quella di lei, che subito lo guardò per capire se lo aveva disturbato. Non sembrava un uomo molto incline al contatto fisico, sempre così rigido e impostato, per qualche secondo si sentì in colpa per il modo in cui lo stava seducendo, per indurlo a fidarsi di lei, ma poi si costrinse a pensare a Kitana e il motivo per cui si stava comportando in modo tanto deplorevole. Sospirò lasciandolo continuare il suo lavoro, nessuno dei due disse più una parola, finché Shang Tsung non si discostò da lei.

-Ho finito. La maggior parte delle ferite sono lividi di lieve entità. - La fissò in modo strano, come se stesse cercando di scavarle dentro. -Fatevi preparare un bagno caldo e metteteci questi cristalli. - Aggiunse indicando l'altra fiala che si era portato dietro. -Domani mattina quei lividi saranno spariti. - Si alzò e si avviò verso la porta, lei lo seguiva a poca distanza, ma quando fu sulla soglia, si voltò e gli sorrise, ma il sorriso che le rifilò le fece scorrere un brivido lungo la schiena, sembrava un animale che mostrava le zanne, più che un sorriso.

-C'è altro che posso fare per voi? -

-No. Grazie... -

Fece un breve inchino con la testa ed uscì dalla sua stanza.

Non appena richiuse la porta, Sindel vi si appoggiò con la schiena. Senza dubbio aveva ottenuto un buon avvicinamento, ma come mai quel sorriso strano? Che avesse qualche sospetto? C'era forse qualcosa, nella sua recita che non lo aveva convinto fino in fondo? O era stata lei a tradirsi con qualche parola di troppo? E poi... quel repentino cambio di umore ed espressione... per un attimo si era sentita come davanti ad un estraneo.

Comunque fosse, c'erano dei buoni propositi su cui lavorare.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Il Volto dietro la Maschera ***


Passò quasi una settimana da quella fatidica sera, Kitana diveniva sempre più brava nel camminare, e a giudicare da come la piccola si impegnasse di più, durante i suoi allenamenti mattinieri con Sheeva, le faceva pensare che la principessa un giorno avrebbe praticato le arti marziali; per di più aveva cominciato a pronunciare le prima parole complete, tra cui "mamma", o "civa" che stava per Sheeva. Anche i suoi capelli erano cresciuti e ora portava un codino sbarazzino al centro della testa.

Fu proprio giocando con lei, rincorrendola per le mura del castello che si imbatté nuovamente in Shang Tsung.

Lo stregone era sopra i bastioni delle mura, era a petto nudo e si muoveva in maniera strana, a volte velocemente, a volte lentamente. Le braccia facevano strani movimenti, a volte sembrava stesse mimando di colpire un avversario invisibile, ma nel complesso sembrava quasi stesse danzando. Sindel rimase immobile ad osservarlo; con il sole che stava tramontando, la sua figura si stagliava scura sul cielo arancione e rosso. Il tutto era molto suggestivo.

A rompere l'incantesimo fu un grido stridulo di Kitana dopo un salto da parte dello stregone, che mimando un calcio rotatorio, aveva svolto una specie di giravolta.

Sindel si portò un dito alla bocca intimandole di fare silenzio, aveva paura che l'uomo distraendosi, cadesse di sotto dalle mura, ma invece quello fece un altro salto con capriola, e atterrò davanti alla bambina che rise nella maniera stridula degli infanti e cominciò a battere le manine tra loro tutta felice, mentre l'altro le faceva un inchino come se fosse stato un intrattenitore.

-Mi dispiace... ti abbiamo disturbato. -

-Lo sapete mia regina, che voi non disturbate mai. -

-Che cosa stavi facendo? Sembrava una danza di combattimento. -

Shang Tsung sorrise, chinandosi per prendere la casacca che aveva appoggiato lì vicino ed indossarla.

-Si chiama Taolu. Da dove vengo io lo usiamo per allenarci a combattere. -

Non era educato e lo sapeva, ma le scappò un sorriso sghembo. -Non sembrava un allenamento... sembrava una danza. -

-Mi state sfidando? - Le riservò un'espressione arrogante, con un sorrisetto impertinente.

-Io e Sheeva ci alleniamo tutte le mattine nel cortile. Se ti volessi unire a noi... ne sarei felice. - Prese Kitana in braccio che stava tentando di arrivare alla casacca nera dell'uomo che, essendo aperta sul davanti, aveva i lembi che penzolavano. -Così potrai dimostrare quanto sia efficace la tua danza. - Lo canzonò avviandosi verso l'interno.

La mattina seguente, mentre si stavano allenando, Shang Tsung fece la sua apparizione alle spalle della regina.

-Lo avete intuito, vero, che Sheeva vi sta facendo la grazia? -

Sindel si distrasse e Sheeva le arrivò con un pugno che la colpì appena allo stomaco. Rise vedendo la Shokan ritirarsi spaventata per il colpo andato a segno.

-Mia regina... -

Fece cenno con la mano che non era niente e si voltò verso lo stregone.

-Forse nemmeno io stavo facendo sul serio. -

Quello sollevò un sopracciglio evidentemente poco convinto. -Se lo dite voi. -

-Non credevo saresti venuto. -

Shang Tsung avanzò verso di loro con un braccio dietro la schiena.

-Non mi tiro mai indietro da un combattimento. - Si fermò davanti alla regina. -Soprattutto se ho la certezza di vincerlo. -

Sindel lo guardò per qualche istante, quell'arrogante aveva sfoggiato la sua peggiore faccia da schiaffi, la stava provocando.

-Ma di che blateri? - Chiese Sheeva.

-Una cosa tra noi. - Sindel non toglieva gli occhi di dosso dall'uomo. E così la voleva sfidare in combattimento? Interessante.

-Mia regina... non vorrete combattere con lui? -

-Si. Perché non dovrei? -

Sheeva rimase in silenzio, ma sembrava preoccupata.

-Se la cosa vi può tranquillizzare vedrò di non farle troppo male. -

Adesso voleva prenderlo davvero a schiaffi. -Mi sottovaluti. - Si sporse verso di lui. -Sarà peggio per te. -

Sheeva si allontanò, prendendo Kitana in braccio e limitandosi ad osservare i due che si studiavano con lo sguardo.

Sindel partì all'attacco con un calcio frontale, ma l'uomo si spostò lateralmente schivando l'attacco, non appena la gamba in avanti di Sindel toccò terra, partì con l'altro piedi in un calcio girato, anche quello mandato a vuoto da un movimento all'indietro del busto del suo avversario.

La regina non si arrese e tentò di colpirlo ancora.

Era impressionante vedere con che apparente facilità l'uomo schivasse ogni tipo di attacco, e il tutto con ancora una mano dietro la schiena.

Sindel forse non se ne accorgeva, ma la stava provocando apposta, non attaccava, si limitava a schivarla e sghignazzare, e la cosa la stava mandando fuori dai ranghi.

Sheeva lo vide. Il momento esatto in cui lo stregone smise di schivare i colpi. Lo vide molto chiaramente.

Cambiò guardia, invertendo la posizione dei piedi, la mano destra, quella che fino a quel momento aveva tenuto dietro la schiena, roteo all'altezza del fianco, alzando il gomito, andando ad intercettare un pugno della regina, per poi afferrarle il polso e facendole compiere un ampio movimento rotatorio, assecondando la sua spinta in avanti, la fece roteare per l'aria in una capriola. Sindel atterrò a sedere sul pavimento, talmente forte che sollevò un polverone.

Rimase interdetta, un simile attacco non se lo aspettava. Si voltò sconvolta verso di lui, che si era allontanato di qualche passo e le rifilò la sua espressione più saccente ed arrogante del suo repertorio.

-Tutto bene mia regina? - Domandò Sheeva.

-Si, sto bene. - Sindel si rialzò spolverandosi il fondo schiena, non le andava giù di fare una simile figura.

-Volete ritirarvi? - Domandò quello con un ghigno di sfida.

-Giammai. - Sindel si mise in guardia studiandolo attentamente. Combatteva in un modo che non aveva mai visto, ma doveva tener conto che anche lei, doveva avere uno stile di combattimento che lui non aveva mai visto.

Socchiuse gli occhi.

A meno che non l'avesse vista di nascosto allenarsi con Sheeva.

Se così fosse stato, di certo non aveva capito una cosa.

Partì nuovamente all'attacco, lo vide continuare a muoversi con movimenti fluidi, mandando a vuoto i suoi attacchi.

Non aveva capito che quello che aveva detto era vero. Lei non stava facendo sul serio.

Colpì con un calcio frontale, Shang Tsung fece nuovamente lo stesso movimento di gambe di prima, cambiò posizione, stava per attaccare.

Invece di insistere nell'attacco frontale, Sindel piegò la schiena indietro, mandando a vuoto il suo pugno, facendo perno sulle braccia, fece una ruota con le gambe, colpendolo sul braccio.

Lo vide ritrarsi agitando la mano colpita, mentre lei, con un movimento elegante, tornò in posizione diritta.

-Te lo avevo detto di non sottovalutarmi. -

Shang Tsung le lanciò un'occhiata incredibilmente furiosa, perfino la bocca si era piegata in un ringhio, ma fu solo un attimo, un momento quasi impercettibile, dopodiché riacquistò la sua classica espressione di sempre. Fu talmente repentino il cambiamento del suo sguardo da farle dubitare addirittura di ciò che aveva visto.

-Vi faccio i miei complimenti, mia signora. - Le fece un inchino con un sorriso bonario. -Non credevo foste così abile. -

-Grazie. Ma capisco quando qualcuno mi sta solo adulando. - Gli si avvicinò, si era divertita, ed era da tempo che non si sentiva così di buon umore. -Perché non ti alleni più spesso con noi? Mi piacerebbe imparare quel Taolu, che ti ho visto fare. Era davvero molto bello. -

-Vi ringrazio. -

Fu così che cominciarono a passare giorni, settimane, e poi mesi.

Giunse il secondo compleanno di Kitana, insieme alle notizie che su Vaeternus la guerra si stava facendo sempre più sanguinosa e tremenda. Molti erano i morti da entrambe le parti. Se fosse vero o meno Sindel non avrebbe saputo dirlo, ma arrivavano notizie dettagliate sulle imprese titaniche di Shao Kahn, giungevano voci che da solo fosse riuscito a sbaragliare un intero battaglione di nemici.

Nel frattempo Sindel continuava ad avvicinarsi a Shang Tsung, erano soliti allenarsi insieme, e la regina aveva cominciato ad interessarsi agli studi sulle pratiche magiche. Aveva imparato che la magia non era poi così distante dall'utilizzo dell'energia vitale che se saputa concentrare e canalizzare, permetteva di lanciare colpi a distanza e sviluppare una resistenza e una forza fuori dal comune, o addirittura modificare alcune parti del corpo.

Da generazioni la famiglia di Sindel usava quelle pratiche per combattere, lei aveva sviluppato quello che veniva chiamato lo spirito del Banshee, era in grado di lanciare delle onde soniche attraverso il suo grido. Una volta per dimostrazione, colpì talmente forte Shang Tsung che lo fece volare contro il muro, riuscendo addirittura a creparlo. Lo stregone si era detto strabiliato, non aveva mai visto niente del genere.

Purtroppo la magia, anche se simile, aveva delle regole del tutto diverse dall'utilizzo di quello che lo stregone chiamava Chi, e non potendo apprendere la pratica che le permetteva di aprire portali tra i mondi, doveva continuare a mentire a Shang Tsung, perché aveva bisogno del suo aiuto.

Ma più i giorni passavano, più si vergognava di se stessa.

Con il tempo lo stregone era divenuto una figura importante, ormai era inutile negarlo. Quando non lo vedeva, spesso andava a cercarlo. Le piaceva parlare con lui, gli domandava spesso del mondo da cui veniva, e ne aveva appreso molto sulla cultura, come ad esempio che quegli abiti che indossava spesso si chiamavano Hanfu o Kesa, e che erano degli abiti tradizionali del suo popolo. Con il tempo aveva cominciato a trovare la figura dell'uomo incredibilmente rassicurante.

Eppure c'era qualcosa di strano, a volte Shang Tsung cambiava espressione, erano piccole cose, una luce più fredda negli occhi, un sorriso poco convinto, un leggero assottigliarsi dello sguardo, piccolezze che cambiavano la sua espressione da amichevole ad inquietante. Pur passando quasi tutti i giorni con lui, a volte aveva l'impressione di avere davanti una persona del tutto sconosciuta.

Sheeva, come era prevedibile, non vedeva di buon occhio la loro amicizia, ed era solita rimproverarla e metterla in guardia nel dare confidenza all'uomo, ma quando le chiedeva se sapesse qualcosa, lei si limitava a dirle che lo stregone non era quello che appariva e che la stava prendendo in giro.

Fu proprio a seguito di uno di questi ragguagli che Sheeva le fece una richiesta piuttosto singolare, che la sorprese per le controversie che ne sarebbero potute venire fuori.

-Vi prego allora di fare quello che dovete, così da mettere fine a questa storia. -

Aveva ragione. I tempi erano maturi, non doveva attendere il ritorno di Shao Kahn per agire, e a giudicare dalle notizie che giungevano, ormai Vaeternus stava cadendo. Alcune voci dicevano che prima della prossima luna le truppe dell'Outworld sarebbero tornate in patria con una nuova conquista.

Doveva ammettere che in quel periodo era stata bene, ma quella non sarebbe stata la sua vita, presto Shao Kahn sarebbe tornato e il suo incubo sarebbe ricominciato.

Doveva porre fine a tutto quello.

Fece convocare Shang Tsung nelle sue stanze, questa volta però chiese a Sheeva di restare. Fu una richiesta istintiva, era come se un dubbio atroce le martellasse il cuore. Come un ratto che scava una galleria nella terra, così il dubbio si insinuava tra le certezze così faticosamente create.

L'uomo si presentò puntuale, anche lui sembrò notare che qualcosa di differente stava aleggiando nell'aria tiepida di quella sera.

Lanciò una rapida occhiata a Sheeva, ma non tradì alcun tipo di emozione avanzando con passo deciso.

-Mia signora... - Chinò appena la testa, come faceva sempre in segno di saluto e rispetto.

Sindel avanzò verso di lui con passo indeciso, cercò coraggio nello sguardo della sua damigella, nei suoi occhi gialli, eppure così espressivi.

Deglutì a vuoto, prima di fermarsi ad un passo dall'uomo.

-Devo farti una richiesta, ma prima, voglio che tieni di conto il fatto che ciò che sto per chiederti, te lo sto chiedendo da amica, e non da regina. -

Shang Tsung alternò il suo sguardo da lei a Sheeva, non lasciava trapelare molto da quegli occhi neri come la notte, ma poteva indovinare come il suo cervello stesse formulando tutte le ipotesi possibili, così da essere pronto ad ogni evenienza.

-Ti prego... porta me e Kitana sulla Terra... permettici di fuggire da qui. - Fu una richiesta talmente accorata che in quel momento di slancio emotivo gli aveva afferrato una mano con entrambe le sua, portandosela davanti al viso.

Non ebbe la reazione che aveva sperato, per cui aveva lavorato. Per la prima volta si accorse di non vedere né affetto, nei suoi occhi, né alcun tipo di emozione positiva, anzi. Per un attimo, l’uomo alternò il suo sguardo da lei a Sheeva, poi d'un tratto lasciò cadere la maschera che aveva rivestito per tutto quel tempo, la sua bocca ebbe una smorfia quasi di disgusto, quelle iridi scure e fredde la osservarono con superiorità e malcelato fastidio.

Il tutto era durato poco meno di un secondo, ma a Sindel parve un'eternità vedere come i suoi lineamenti si trasformassero, come l'amico che aveva desiderato e coltivato si trasformava nel nemico da temere.

-Ah... - Fu il suo laconico commento togliendo la mano dalla sua leggera stretta.

-Shang Tsung... -

-Finalmente capisco il vostro gioco. - Si lasciò sfuggire un sorrisetto impertinente. -Sinceramente mi sarei aspettato un piano leggermente più articolato, ma in fin dei conti, ciò che vi dissi mesi fa rimane attuale. - Si chinò su di lei, portando i loro occhi alla stessa altezza. -Siete poco furba, mia signora. -

Sindel fece qualche passo indietro.

Chi era quell'individuo così raccapricciante che le rivolgeva parole tanto dispregiative? Dove era finito quell'uomo gentile, con i suoi modi così lusinghieri?

Voltò lo sguardo verso Sheeva, ma lei rimase immobile, i suoi occhi gialli la fissavano con rimprovero. In fin dei conti quante volte l'aveva messa in guardia dallo stregone? Quante volte le aveva ricordato che un uomo, che vaga per i reami in cerca di conoscenze occulte, non poteva portare niente di buono?

-Di cosa stai parlando? -

-Avevo intuito che avevate bisogno del mio aiuto, ma certo non immaginavo per una fuga. Credevo un assassinio, e credetemi... - Si portò la mano al petto, come a tentare di farle credere che stesse dicendo la verità. -... per quello vi avrei sicuramente aiutata. -

Non sapeva neppure cosa dire, aveva la lingua paralizzata, i suoi occhi saettavano da una iride nera all'altra. Era sempre stato così Shang Tsung? E lei non se n'era mai accorta? Così convinta... no... bisognosa, di vedere in lui non solo una somiglianza fisica con il suo popolo, ma anche caratteriale, che non si era mai preoccupata di quante volte lo aveva sorpreso con lo sguardo vitreo, di quante volte la sua bocca mentisse non solo nelle parole, ma anche nei sorrisi. Le fu così chiaro il motivo per cui la luce dei suoi occhi non riuscisse sempre a mantenere la linea di bugie che mostravano le sue labbra.

Le tornarono alla mente tutti i momenti passati con lui, ma soprattutto le emozioni che aveva provato in sua compagnia. Quel calore che sentiva quando la guardava, quella felicità che la pervadeva quando si incontravano, quel fascino che la attraeva mentre rispondeva paziente a tutte le sue domande. Menzogne.

Erano tutte menzogne.

-Farai quello che ti ha chiesto, stregone. - Disse ad un tratto Sheeva, rimanendo sempre al suo posto, ma lasciando trasparire tutta la sua fermezza dal tono di voce.

-E perché dovrei, di grazia? - Domandò l'altro sollevando le sopracciglia arcate, che mai, come in quel momento le erano sembrate dal tratto tanto malvagio.

-Perché dubito che tu voglia che Shao Kahn apprenda delle tue visite nelle stanze della regina. - Sheeva inarcò a sua volta un sopracciglio. -Se ho contato bene, ad oggi sono sedici. -

Shang Tsung sembrò sorpreso, assottigliò lo sguardo pensando sicuramente a qualcosa per cavarsi d'impiccio.

-Shao Kahn sa che gli ho giurato fedeltà... non crederà mai ad una cosa del genere, è la vostra parola contro la mia. -

-Una difesa piuttosto labile stregone. - Ribatté Sheeva con un tono incredibilmente soddisfatto. -Non dirmi che non hai mai notato quanto il nostro imperatore sia paranoico... o geloso. - Aggiunse con un sorriso divertito.

Sindel cercò di riprendersi; era dura, era una bella batosta, ma doveva reagire, lanciò uno sguardo glaciale a Shang Tsung il quale la stava fissando con una furia che non aveva mai creduto di poter vedere nel suo sguardo. Non rivolto a lei per lo meno.

-Non posso fare quello che mi chiedete. - Ribatté mantenendo la sua linea di difesa.

-Allora non hai capito bene le conseguenze delle mie minacce. - La voce di Sheeva si era fatta leggermente più alterata. -Shao Kahn ti farà prima castrare e poi ti darà la morte per impalamento. -

Shang Tsung deglutì a vuoto, quella doveva essere una fine che certo non auspicava, e anche se cercava in tutti i modi di non darlo a vedere, era nervoso e preoccupato.

-Voi non capite. - Rispose ad un tratto.

-Cosa vuoi? - Gli domandò Sindel ritrovando il coraggio di affrontarlo.

Lui tornò ad osservarla. -Se facessi quello che mi chiedete, per me sarebbe la fine qui nell'Outworld. -

-Non è un nostro problema. - Si intromise Sheeva.

-Non puoi essere così ottusa. Credi davvero che se la regina Sindel sparisse, tu potrai tornartene alla città degli Shokan senza conseguenze? - Le rivolse un mezzo sorriso che riuscì a far trapelare tutto il suo sadismo. -Avete descritto minuziosamente la fine che mi spetterà se non acconsentissi a questo ricatto. Ma ditemi Sheeva, cosa pensate che accadrebbe ad una Shokan? -

-Io sono pronta alla mia punizione. -

Shang Tsung si voltò verso Sindel. -E voi mia signora? Voi lo sapete che cosa le faranno? Lo sapete a cosa andrà in contro la vostra preziosa dama di compagnia? -

-Non l'ascoltate mia regina. -

-Getterà un'onta sulla sua gente, verrà marchiata come traditrice, e dopodiché Shao Kahn la getterà ai Centauri, che la violenteranno e sevizieranno fino a che non morirà di stenti. Dopotutto è noto l'odio che i Centauri hanno per gli Shokan, non aspettano altro. Siete pronta a questo? -

Sindel lanciò uno sguardo a Sheeva che scosse la testa.

-Sta mentendo. -

-Non è vero, e lo sai. -

-Ti interessi del mio futuro? Sei veramente un sentimentale. -

Shang Tsung le rispose con un sorriso e un'espressione canzonatoria. -Lo sapete che ho un debole per voi. -

Sindel si intromise prima che Sheeva scattasse per colpirlo con uno schiaffo.

-Basta! Fatela finita! - Nella stanza calò un silenzio carico di tensione, si prese il tempo per osservarli entrambi.

-Non rischierò la tua vita Sheeva. -

-Ma mia regina... -

-Non ammetto repliche. Dunque ti do due scelte. Potrai venire con me, o rimanere qui, ma se decidi di rimanere qui, sappi che da domani non sarai più la mia dama di compagnia, così dal sollevarti da ogni responsabilità. -

Sheeva rispose con troppa enfasi. Dopo, ad acque calme le avrebbe posto di nuovo la stessa domanda.

-Vengo con voi mia regina. -

-La tua ambizione sicuramente non si accontenta di essere l'arcistregone di qualcuno più forte di te. Cosa vuoi? -

-Ve l'ho detto. Ho bisogno di tempo. -

-Cosa stai cercando? -

-La magia delle anime. -

Sindel corrugò la fronte in un'espressione sconcertata, che tipo di magia oscura stava cercando quel folle?

-Di quanto tempo hai bisogno? -

-Non lo so, forse un anno, forse di più. - Si strinse appena nelle spalle.

Sindel si morse il labbro, credeva di essere così vicina alla sua fuga che adesso si sentiva come quando ad un gioco a cui sei arrivato quasi in fondo, devi ricominciare da capo. Shang Tsung, anche se si era rivelato un bastardo senza eguali, rimaneva la sua unica possibilità di fuga. Per il momento.

-Va bene... ma stai attento stregone... se avrò anche solo il dubbio che tu possa circuirmi, non esiterò a dire a Shao Kahn quello che mi hai fatto in questa stessa stanza. -

Shang Tsung le rivolse un sorriso infido. -E lui vi crederà, vista la poca convinzione con cui vi siete difesa dai suoi istinti. -

Agì d'impeto. Lo colpì con uno schiaffo talmente forte dal fargli voltare la testa di lato. Lui non sapeva che Shao Kahn non le aveva mai usato violenza, ma le sue insinuazioni non le piacquero ugualmente, e poi non era solo per quello. Colpendolo fu una liberazione, fu come se gli avesse sbattuto in faccia la sua condotta tanto meschina.

-Non azzardarti mai più a parlarmi con un tono del genere, o la prossima volta giuro che ti farò frustare fino all'osso. Sono stata chiara? -

Shang Tsung la osservò in silenzio per qualche istante, era incredibile come riuscisse a risultare freddo e arrabbiato allo stesso tempo.

Lei continuava a fissarlo senza riuscire a nascondere la delusione nel suo sguardo. Scosse appena la testa. -Adesso vattene. -

Ne aveva abbastanza per quella sera. Voleva rimanere sola.

Shang Tsung fece un rapido inchino ed uscì, non senza aver prima rifilato a Sheeva un sorriso di scherno.

Quando Sindel si voltò a guardarla, Sheeva non ebbe il coraggio di dire niente, forse capiva il suo stato d'animo, o forse no.

-Immagino che un "ve lo avevo detto" è di obbligo. -

-Mia regina, non è mai stato un difetto cercare del bene in questo mondo. - Fece un profondo sospiro. -Chi ha sbagliato è stato Shang Tsung, non voi. -

-Mi piacerebbe crederlo... - Sindel guardò la porta da cui lo stregone era uscito. -... ma non è la verità. -

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Vincitori e Vinti ***


L'esercito dell'Outworld fece il suo ingresso nel regno natale da vincitore. Shao Kahn guidava il corteo, dietro di lui venivano i generali, poi i graduati, i soldati semplici e così via, fino al termine della fila, dove uomini e donne di Vaeternus venivano trascinati in catene, legati per impedirgli la fuga, strattonati via via che rallentavano. Erano stati costretti ad una marcia di duecento chilometri a piedi, completamente scalzi erano stati costretti a camminare sulle rocce, sulla sabbia rovente, sulle sterpaglie spinose. Quello era il prezzo della debolezza per aver perso la guerra.

I vincitori sfilarono lungo le strade della capitale e la folla li salutava con saluti e urla festanti. Molti di loro rispondevano con altrettante urla, non era solo un modo per festeggiare la vittoria, era anche un modo per scaricare la tensione della guerra, per esorcizzare la paura della morte scampata. Quelle urla che per tutti erano grida di vittoria, per molti soldati erano urla di liberazione.

Sindel, con Kitana in braccio e Sheeva di fianco, accolse il ritorno di Shao Kahn e dei suoi ospiti come una vera regina. Indossava abiti dell'Outworld, che ne mettevano in risalto la bellezza serafica. Per tutti coloro che poterono bearsi della sua figura era senza dubbio una visione divina. Non era difficile credere che per lei avessero combattuto così a lungo ad Edenia, chiunque avrebbe combattuto per averla.

I festeggiamenti per le strade e al castello, davano l'idea di protrarsi per molte settimane, nessuno si sarebbe mai immaginato di vedere un soldato dell'esercito dell'Outworld seduto a bere, da solo ad una taverna, in una strada fuori mano che portava alla capitale.

Il gestore della locanda si avvicinò all'uomo porgendogli una bottiglia.

-Questa la offre la casa. - Disse con un sorriso.

Il soldato sembrava poco più che un ragazzo, dimostrava circa diciassette anni, eppure beveva come un veterano.

Alzò gli occhi marroni, annebbiati dall'alcol verso il gestore della locanda.

-Grazie. -

-Per un eroe come te, questo e altro. - Il gestore si allontanò non curandosi del modo in cui quel ragazzo era rimasto immobile a fissare il vuoto davanti a se. Forse stava cercando di mettere a fuoco qualcosa, o forse stava solo cercando di capire cosa ci fosse di eroico in ciò che aveva fatto, o di come aveva vissuto.

Bevve fino a dimenticare i suoi incubi, le atrocità che aveva visto e che aveva fatto, bevve fino a che i fumi dell'alcol lo fecero piombare in un sonno privo di sogni e di incubi.

Una figura, in disparte, nascosta da un mantello e un cappuccio nero, lo aveva osservato per tutta la sera, e quando uscì dalla locanda, si fermò ad un angolo, appiattendosi contro il muro, nascondendosi nel buio della notte.

Quando il ragazzo uscì barcollava vistosamente, passò vicino alla figura ammantata, nascosta contro la parete, si fermò osservando il cielo notturno e in quel preciso istante una leggera folata di vento gli scompigliò i capelli neri.

Si voltò verso il suo assalitore esattamente nello stesso momento in cui aveva estratto il coltello, la lama dell'arma scintillò nella notte, illuminando un volto molto più giovane di quanto l'aggressore avesse immaginato, gli occhi del ragazzo brillarono di una luce limpida, quasi euforica.

-Sei qui per uccidermi? - Domandò con un sorriso aperto, di chi è felice di vedere un vecchio amico.

Ma l'assassino si immobilizzò, non credeva fosse così giovane, non credeva che un soldato delle armate di Shao Kahn potesse essere così fragile.

-Vuoi morire? -

La voce della figura ammantata non era come il ragazzo si era immaginato, corrugò la fronte, pensando che forse aveva bevuto troppo, ma questo non gli impedì di tracannarsi un altro sorso della bottiglia che stringeva nella mano.

-No, no, no. - Disse in una cantilena strascicata. -Sono io che ti ho fatto la domanda per primo, e... - Si mosse incerto verso la sua destra. -... stai fermo... non girarmi intorno... - Poi bevve un altro sorso e cadde a terra con un tonfo sordo.

La figura ammantata rimase qualche attimo immobile ad osservarlo, poi si abbassò il cappuccio rivelando un volto gentile di una giovane donna con i capelli neri. La donna indugiò sulla figura del giovane soldato, indecisa se compiere ciò per cui si era spinta fin lì.

Fu una decisione sofferta, ma alla fine rinfoderò il coltello e se ne andò velocemente, coprendosi nuovamente la testa con il cappuccio nero.

 

Shao Kahn era di buon umore, una vittoria lo metteva sempre di buon umore. I festeggiamenti si sarebbero protratti per molti giorni ancora.

La sala da pranzo era piena di ospiti, il tavolo del banchetto era assortito di ogni prelibatezza, ma come spesso accadeva quando tanti graduati dell'esercito si ritrovavano a corte, quello che più andava erano gli alcolici. I servi non facevano che passare a riempire i boccali.

Drahmin osservava, con sguardo perso nei meandri delle proprie considerazioni, la figura dell'arcistregone che stava parlando con la regina Sindel.

Difficile non notare come la regina lo guardasse. C'era un certo astio nel suo sguardo, però c'era anche qualcosa che era meglio che Shao Kahn non venisse mai a sapere.

La regina era senza ombra di dubbio una donna bellissima, ma quel ragazzo si stava mettendo veramente in un mare di guai.

Reiko gli si avvicinò in maniera trafelata.

-Hai preso una bella fissazione per quel ragazzo. -

-Già. - Rispose laconico l'altro senza distogliere lo sguardo da Shang Tsung. -Ma non come pensi tu. - Finalmente lo guardò negli occhi. -Quel ragazzo ha talento, potrebbe diventare il miglior arcistregone che sia mai entrato alla corte di Shao Kahn. Devo solo capire come fare a modellarlo. -

Reiko osservò l'oggetto della conversazione, con un'espressione lussuriosa. -Io un paio di idee ce le avrei. - A giudicare da come Drahmin lo aveva trapassato con lo sguardo, non doveva essere in vena di battute. -Non preoccuparti, non te lo tocco il tuo pupillo, ho già il mio bottino di guerra, dieci ragazze e sei ragazzi. -

-Sei venuto a vantarti, o c'è un motivo per questa conversazione inutile? -

Reiko sembrò riacquistare la sua professionalità. Se si era lasciato andare non era stata colpa sua, l'alcol doveva averlo reso su di giri.

-Hanno trovato due soldati uccisi appena fuori città. -

-Come? -

-Sono stati accoltellati. - Reiko fece oscillare il vino dentro il calice che teneva in mano. -Pensi siano stati i ribelli? -

-I ribelli usano metodi più eclatanti... e spesso meno efficaci. - Si concesse un altro sorso prima di riprendere a parlare. -Potrebbe trattarsi di qualcos'altro. -

-Tipo cosa? Un assassino seriale? Perché? -

-Cercare spiegazioni sul motivo che spinge certa gente a gesta tanto assurde è pressoché impossibile. Si prende quello che ci capita e si cerca di impedire che succeda di nuovo. -

Reiko sembrò perdersi nell'osservare il liquido nel bicchiere. -Tu pensi che siano stati gli Zaterran? -

Quella domanda catturò completamente l'attenzione dell'altro generale.

-Adesso mi incuriosisce il motivo per cui lo pensi tu. -

Reiko si strinse nelle spalle. -Non lo so... il modo in cui sono stati ammazzati. Sembrava che qualcuno li avesse attesi nell'ombra per poi ucciderli a tradimento. Li hai visti? Riescono a rendersi invisibili. Sono dei mostri. -

Non era solo la sbronza, i suoi occhi non erano solo annebbiati dall'alcol, forse era angoscia?

-Hai fatto qualcosa agli Zaterran? - Lo aveva messo a disagio, aveva fatto centro. -Reiko, c'è qualcosa che dovrei sapere? -

Tentennò un poco, ma sapeva che era impossibile mantenere un segreto con Drahmin, trovava sempre il modo di scoprirlo.

-Gli Zaterran non sono contenti. Si sono lamentati per il loro dispiegamento durante la conquista di Vaeternus. Hanno subito perdite superiori a qualsiasi altra razza. -

Lo guardava gesticolare mentre parlava, il suo pronunciare le parole più velocemente del solito, gli occhi che saettavano da una parte all'altra.

-L'imperatore sa di questo malcontento? -

-Sei impazzito? Ero io l'agente di contatto tra l'Imperatore e loro. - Diede maggior enfasi a quella constatazione battendosi il pollice sul petto. -Se gli Zaterran arrivassero all'Imperatore, chiederebbero la mia testa. -

-Magari l'Imperatore potrebbe avere clemenza. -

Reiko lo guardò torvo. -Non sapevo ti stessi esercitando per diventare un giullare. Shao Kahn non ha pietà di nessuno. -

Drahmin fece un profondo sospiro. -Allora cosa vuoi? Che ti copra? -

-Vorrei che prendessi tempo. Durante le indagini degli omicidi intendo. -

C'erano solo due categorie che Drahmin detestava in maniera irrazionale, ed erano i patetici e gli incompetenti.

-Un ritardo nei rapporti, una inesattezza, o una incompletezza, avrebbero delle pesanti ripercussioni su di me. - Buttò giù l'ultimo sorso, considerando che quella conversazione era esattamente come il suo vino. Finita. -Sono affari tuoi Reiko. Non contare sul mio aiuto. - Fece per andarsene, ma Reiko lo afferrò per una spalla, costringendolo a guardarlo.

-Drahmin stai attento... se tu non mi aiuti adesso, non contare sul mio aiuto il giorno in cui sarai tu a finire nei guai. -

Drahmin guardò prima la mano che continuava a tenerlo per la spalla, poi lo sguardo furioso e spaventato dell'altro.

-Mi stai minacciando? -

La luce nei suoi occhi era folle, quasi malata, forse una parte di lui avrebbe voluto che fosse così, che Reiko lo stesse minacciando per avere la scusa per porre fine alla sua inettitudine, troppe volte premiata, perché troppo abile a nascondere i clamorosi insuccessi con vittorie di poco conto; ma l'altro non aveva intenzione di lottare.

Ritirò la mano, con un'espressione disillusa. Drahmin era così, non aveva amicizie o affetti, si era solo illuso di valere qualcosa per lui.

-Non è una minaccia, ma una constatazione. -

Gli rivolse un sorriso sprezzante, passandogli accanto per poi allontanarsi. Lui non aveva bisogno di fare favori a nessuno, perché lui non aveva bisogno di alcun favore.

 

Sindel si avviò lungo il corridoio, che dalla sala da pranzo portava alle sue stanze, portava Kitana in braccio e camminava in maniera impettita. Non riusciva a credere che si era fatta delle illusioni su quel depravato.

Qualcuno uscì fuori dall'angolo di un corridoio, per poco Sindel non gli andò a sbattere contro, stava per bofonchiare una scusa di circostanza, quando si accorse che era Shang Tsung.

-Ancora tu? - Gli chiese lanciandogli un'occhiata glaciale.

-Ho pensato di accompagnarvi. - Rispose quello affiancandola e camminando con le mani dietro la schiena.

-Non ne ho bisogno. - Ribatté in modo acido.

-Lo faccio solo per cavalleria. -

Sindel si fermò e lo fronteggiò guardandolo furiosa. -Come quando mi hai proposto di passare la notte con Shao Kahn? -

L'altro continuava a sorridergli con quel ghigno arrogante.

-Se l'Imperatore fosse di buon umore sarebbe senza dubbio più incline a sbottonarsi su certi segreti. -

-Ho smesso di farmi manipolare da te. - Riprese a camminare cercando di allungare il passo, ma quello le era sempre di fianco.

-Mi permetto di ricordarvi che i nostri accordi erano ben precisi. -

-Non andrò a letto con Shao Kahn! -

-Prima o poi ci dovrete andare. -

Si fermò nuovamente osservandolo con un'espressione schifata. -Sei disgustoso. -

-Non ho mai considerato il sesso coniugale una cosa disgustosa. -

Era insopportabile. Ma lo era sempre stato? E poi aveva sempre quella faccia da schiaffi...

Sindel cercò di calmarsi, o avrebbe finito con lo schiaffeggiarlo sul serio.

-Forse voi preferite quello extra coniugale? - Domandò con un sorrisetto impertinente.

-Ti ricordo che sono ancora la tua regina. -

Questa volta il sorriso di Shang Tsung divenne più genuino e divertito.

-Si, ma adesso siete... come dire... ricattabile. -

La donna si costrinse ad un lungo sospiro per tentare di calmarsi.

-Ti ricordo che Shao Kahn ha già usufruito dei suoi diritti di marito. E senza il mio consenso. -

-Non fatemi il torto di credermi uno stupido. So che l'Imperatore non vi ha mai usato violenza. -

Si bloccò di scatto guardandolo sorpresa.

-Come hai fatto a scoprirlo? - Chiese.

-Ma le avete viste le sue concubine? Non avrebbe alcun motivo per usarvi violenza. -

-Ti avverto che mi stai diventando sempre più odioso ogni secondo che passa. - Ammise riprendendo a camminare.

-E poi... - Lui le era di nuovo di fianco e camminava sempre con le braccia dietro la schiena. -... Ho visto abbastanza vittime di abusi da saperle riconoscere a prima vista. -

Sindel lo guardò con la coda dell'occhio, era forse disperazione quella che aveva intravisto nel suo sguardo?

-Non è una cosa che si supera facilmente. La vostra recita era convincente ma... un simile dolore non si può fingere. -

Finalmente era arrivata alla porta della sua stanza.

-Grazie per il suggerimento, me lo ricorderò la prossima volta che tenterò di fare breccia nel cuore di un freddo e viscido manipolatore. -

Aprì la porta, ma la voce dell'uomo alle sue spalle la fece voltare nuovamente.

-Non vi chiederò scusa, potete anche smetterla di essere arrabbiata con me. -

-Io non sono arrabbiata. - Lo fronteggiò fissandolo negli occhi.

In quell'istante, se qualcuno fosse passato e li avesse visti uno di fronte all'altro, li avrebbe potuti paragonare al ghiaccio e al fuoco.

Sindel era il fuoco, furiosa, emanava energia e rabbia, tutte le sue emozioni erano visibili come una lingua di fuoco e prorompenti come il suo calore.

Shang Tsung era il ghiaccio. Fermo, immobile, dai suoi occhi non traspariva alcuna emozione genuina, niente che lasciasse intendere che cosa si muovesse dietro quelle iridi scure, se davvero un cuore battesse e il corpo fosse veramente animato da qualche sentimento.

-Io sono furiosa. - Gli si avvicinò di un passo. -Sono delusa, e stanca, e sono sull'orlo di una crisi di nervi. - Ormai gli era a pochi centimetri dal volto. -Ma non con te; sono furiosa con me stessa, perché non è colpa tua se sei un lurido verme bastardo, schifoso e degenerato; la colpa è mia che non me ne sono accorta. Che mi sono lasciata prendere in giro da te. E mi faccio schifo da sola. - Quando era arrabbiata in quel modo, parlava con la mascella leggermente spostata in avanti e quando pronunciava determinate parole, mostrava i denti come se stesse ringhiando. -Sono riuscita a diventare dipendente da un essere spregevole come te. Non potevo davvero cadere più in basso. -

L'uomo aveva accusato tutti quegli epiteti con fredda non chalancé, al culmine delle offese si era limitato a muovere leggermente un sopracciglio, ma appena la regina ebbe finito, si chinò appena su di lei, se solo avesse allungato una mano, si sarebbero toccati.

-Io ho fatto esattamente quello che voi stavate facendo con me. Solo che l'ho fatto meglio. -

-Io non ti ho usato. -

-Ah no? Non vi siete avvicinata a me per la mia origine terrestre? Perché sono stato in grado di viaggiare tra dimensioni; per avere un alleato contro l'Imperatore e una via di fuga sicura per voi e la principessa? - Gli occhi prima arroganti, divennero più vitrei. -Ed eravate talmente presa dalla vostra fuga, che non avete nemmeno pensato alle conseguenze a cui sarebbe andata in contro Sheeva, o il sottoscritto. -

-Vattene. - Riuscì solo a sibilare, mentre le sue parole continuavano a rimbombarle in testa come tuoni.

-Io vi aiuterò mia signora, ma ho bisogno che voi aiutiate me. -

-No.... tu mi aiuterai, perché altrimenti io dirò a Shao Kahn che sei venuto a letto con me. -

Non attese altra parola da parte sua, lo lasciò accusare quella frase come un pugno in pieno stomaco ed entrò sbattendo la porta.

Non le faceva bene passare del tempo con lui. Al di là di quello che aveva pensato in passato. Lo odiava.

Sistemò Kitana nella culla, la bambina si era addormentata e adesso, da sola, non poteva fare a meno di essere onesta con se stessa.

Non era vero. Non lo odiava.

Si vestì per la notte, ma aprì la finestra e si lasciò refrigerare dal vento serale.

Ed aveva ragione lui. Era stata cieca e avventata. Talmente distrutta dal proprio dolore che non aveva pensato ai guai in cui poteva cacciare chi le era stato intorno.

Era stata egoista e stupida.

Ma quanto dolore provava ancora. Quanto vuoto sentiva ancora dentro di se per la perdita di tutto quello che aveva. Quanta amarezza.

Lasciò le lacrime libere di uscire dai suoi occhi e rigarle le guance.

Quante lacrime ancora sentiva di dover piangere, prima di potersi giudicare finalmente vuota da tutto quel dolore?

 

Quando il ragazzo si svegliò dalla sbronza della sera prima, si ritrovò in mezzo al castro dei maiali, poco lontano dalla taverna. A giudicare dalla luce tenue del cielo doveva essere il tramonto. Accidenti se aveva dormito.

Si guardò attorno ed un grosso suino grugnì lì vicino mangiando qualcosa a terra. Guardò la bottiglia che ancora stringeva nella mano, nonostante il mal di testa, tentò di bere, ma la sera prima doveva esserci andato giù pesante e infatti ne uscì solo una gocciolina malinconica che gli cadde sulla lingua.

Non era sufficiente a bagnarsi la gola secca, e così si mise faticosamente in piedi. Aveva gli abiti zuppi e sporchi di fango, indossava ancora gli abiti con cui era tornato dalla guerra, doveva avere un odore terribile, ma poco gli importava.

Aprì la porta della taverna, notò gli sguardi degli avventori infastiditi dal suo puzzo, anche il padrone, quell'uomo così gentile della sera prima, adesso sembrava sorpreso e infastidito dalla sua presenza.

Ma in fin dei conti chi se ne importava?

Ne aveva ancora di alcol da bere prima di decidere che ne aveva avuto abbastanza.

Non sapeva a che bicchiere, o bottiglia fosse, quando una giovane donna gli si sedette davanti. Indossava una mantella nera che ne copriva le forme, e il viso era seminascosto da un cappuccio del medesimo colore.

-Ti dispiace se mi siedo con te? -

-Assolutamente. - Fece cenno all'oste di portare un altro bicchiere e un'altra bottiglia, e mentre l'oste li serviva si prese il tempo di studiare la figura davanti a lui. Anche se la memoria era annebbiata dai fumi dell'alcol, l'aveva riconosciuta, era la donna che la sera prima voleva ucciderlo.

-Sei venuta a finire il lavoro? - Domandò versandole da bere.

-Forse. - Rispose in maniera guardinga.

-Allora magari un po' d'alcol mi aiuterà a non sentire dolore. - Rise di cuore, divertito da quella prospettiva. In realtà in quel momento gli interessava solo bere.

-Perché vuoi morire? - Gli domandò d'un tratto, a brucia pelo.

-Chi ti dice che voglia morire? -

-Tu me lo hai detto. Ieri notte. - La donna toccò il bicchiere, contemplando il liquido ambrato. -E poi me lo dicono i tuoi occhi. -

Le sorrise. -Questo ti renderà più facili le cose no? -

-In realtà questo mi rende le cose molto difficili. - Si sporse sul tavolo. -Ho già ucciso cinque soldati in questi due giorni, nessuno di loro si è accorto di me, e nessuno di loro anelava la morte. Tu sei un'anomalia. -

-Oh bé... mi hanno detto di peggio. - Alzò la bottiglia. -Brinderò a questo. -

-Sei molto giovane per essere un soldato. E decisamente troppo piccolo per bere così tanto. -

Lui sorrise con le labbra a ridosso del collo della bottiglia.

-Si vede che non sei dell'Outworld. Di dove sei? -

-Vaeternus. -

Sospirò. -Ah... ora capisco perché ti aggiri ad uccidere soldati. Bé... che ti devo dire... fai bene... quello che abbiamo fatto è stato abominevole. -

-Per questo vuoi morire? Per quello che hai fatto a Vaeternus? -

-Vaeternus... Edenia... e chissà quanti altri nel mio futuro. Shao Kahn non si fermerà e io non so fare altro che combattere. - Sorrise in maniera malinconica. -E lo sai qual'è la cosa buffa? Sono anche forte. - Scoppiò a ridere. Non è che riuscisse a fare ragionamenti molto sensati. -Brinderò a questo. - Riprese a tracannare alcol dalla bottiglia.

-Si può combattere anche per una giusta causa. -

-Ad esempio? - Domandò lasciando perdere la bottiglia e interessandosi finalmente alla conversazione.

-Per la libertà, la giustizia, la pace. Scegli tu, non fa differenza. - Si alzò da sedere. -Ma se vuoi davvero trovare un motivo per cui combattere, vieni con me. - Gli rivolse un sorriso compiaciuto. -Chissà, se sarai fortunato, magari morirai anche. - Sollevò il bicchiere. -Brindiamo a questo. -

Il ragazzo la imitò, buttando giù l'ennesimo sorso dalla bottiglia, dopodiché si alzò a sua volta. Lo aveva convinto. Forse era l'alcol, ma lo aveva davvero convinto.

Chissà se la mattina seguente se ne sarebbe pentito.

Ma per il momento ne era convinto.

Allungò la mano verso di lei. -Mi chiamo Bo' Rai Cho. -

La donna glie la strinse, aveva mani diafane, con dita sottili, bellissime.

-Nitara. - Disse solamente con un sorriso più maturo degli anni che dimostrava.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Battaglia Serrata ***


Come si distrugge un uomo?

Quando era giovane, Drahmin pensava che il dolore fisico distruggesse chiunque, che la tortura fosse infliggere più dolore possibile, per più tempo possibile alla propria vittima; ed in effetti la tortura fisica era molto efficace per far cantare chiunque, ma aveva dei grossi handicap. Solitamente l'interrogato se non parlava nei primi dieci minuti di tortura, era molto plausibile che non parlasse più. E non perché magari non gli infliggevi abbastanza dolore, ma semplicemente perché dopo i primi dieci minuti, la vittima aveva provato così tanto dolore che la sua mente era completamente andata in pappa. Non ragiona, dice qualsiasi cosa tu gli domandi, e spesso nemmeno sa che cosa gli è stato chiesto.

Il dolore mai provato, era sempre il dolore migliore da infliggere, ed era un peccato poterlo infliggere solo una volta. Era un peccato avere un numero così basso di arti e organi da amputare.

L'umiliazione era un metodo che decisamente apprezzava di più. Quando privi una vittima della sua dignità, l'hai privata di tutto. Spesso l'umiliazione veniva accompagnata all'abuso, ma solo per il semplice fatto che quando abusi di una vittima, questa si percepisce come un pezzo di carne, comincia a disprezzare il suo stesso corpo, la sua stessa persona. Rendi la vittima un involucro senza vita che non anela ad altro che alla morte.

Ma non si può plasmare un guscio vuoto.

Le sue reminiscenze vennero interrotte dall'arrivo di un suo subalterno, che aveva fatto chiamare.

-Agli ordini generale. - Quello lo salutò mettendosi nella consona posa militare, davanti a lui.

-Voglio che facciate un rastrellamento. Ho bisogno di almeno una decina di esemplari donne, per il resto prendete quello che vi capita. Devono essere rigorosamente Osh-Tekk o similari. -

La guardia era proprio un Osh-Tekk, ebbe un fremito, ma annuì. -Si signore. - Salutò di nuovo e sparì lungo il corridoio.

Drahmin si avviò dopo qualche minuto. Sapeva esattamente dove trovare chi stava cercando.

Bussò allo stipite della biblioteca, disturbando Shang Tsung che stava leggendo qualcosa.

-Se mi volevi evitare dovevi trovare un luogo diverso dove svolgere i tuoi studi. -

Quello gli sorrise in maniera fredda. -Chi vi dice, che voglia evitarvi? -

-A giudicare da come sei scappato il giorno del banchetto della vittoria, e di come abbia evitato ogni sorta di contatto con me, nei giorni dei festeggiamenti, direi proprio che vuoi evitarmi. - Gli sorrise cercando di metterlo a suo agio. -O ti spavento così tanto? - Domandò avvicinandosi.

L'altro non rispose, si limitò a sostenere il suo sguardo.

-Vieni con me. - Gli fece cenno di seguirlo.

-Non posso. Ho scoperto delle pratiche interessanti e... -

-Andiamo... - Gli batté una pacca sulla spalla. -Voglio solo offrirti da bere. -

La prospettiva di non andare nelle Fosse di Carne sembrò ridargli un po' di colorito e anche di coraggio, visto che si decise a seguirlo.

Forse pensava che gli stesse mentendo, ma quando uscirono dall'ingresso principale finalmente, notò che lo stregone aveva allentato leggermente la tensione sulle spalle.

Quando lo portò dentro ad una taverna, finalmente lo poté vedere tranquillizzarsi. Si sedettero ad un tavolo e Drahmin ordinò da bere per entrambi. Si concesse del tempo per guardarsi attorno, notare le facce che gli circondavano, c'era anche qualche soldato.

Shang Tsung invece lo guardava poco convinto, ma si decise ad esternare i suoi dubbi solo dopo minuti di silenzio.

-Come mai siamo qui? -

-Per bere. - Rispose sorridendo, prima di alzare il boccale e bere una lunga sorsata. -E per parlare. -

Shang Tsung osservò il suo boccale senza toccarlo.

-Di cosa? -

Si strinse nelle spalle. -Cosa ti ha spinto ad abbandonare la tua terra natia per l'Outworld? -

-Immagino la stessa ragione che ha spinto te. - Shang Tsung chinò appena la testa, non sembrava particolarmente festante per quella risposta, nonostante sapesse che aveva ragione, per qualche motivo non si reputava soddisfatto.

Drahmin gli sorrise. -Da cosa lo hai capito? -

-Dai cavalli. Qui nell'Outworld non ce ne sono, ma tu ne cavalchi uno. -

-Mia madre era una terrestre. Ma io non l'ho mai vista la Terra, ho sempre vissuto qui. - Bevve una lunga sorsata e poi si pulì la barba con il dorso della mano. -Allora? Come mai sei venuto qui? -

-Per il potere. -

Sbuffò divertito. Davvero ancora credeva di potergli mentire? -E da cosa scappavi? - Dopotutto quando si convinceva di una cosa, non solo spesso aveva ragione, ma era anche impossibile fargli cambiare idea.

Lo stregone lo fissò per qualche secondo senza rispondere, poi abbozzò un sorriso, ma i suoi occhi erano seri e continuavano a fissarlo.

-Da niente. -

-Però neppure niente ti tratteneva. -

-Già. - Rispose solamente, bevendo un sorso dal suo boccale.

Evidentemente era un argomento che voleva lasciare cadere, ma a Drahmin interessava invece approfondire.

-Hai perso qualcuno? -

-Tutti, raggiunta una certa età perdiamo qualcuno. - Rispose secco.

Quanto gli doveva bruciare quell'argomento. Il generale cercò di trattenersi dal sorridere, il loro era divenuto una sfida di sguardi.

-Ma tu sei giovane, quanti anni hai? Una ventina? Forse trenta? -

Non rispose, ma si limitò ad abbozzare un sorriso che sembrava sfidarlo a continuare con le sue insinuazioni, come se la cosa non gli interessasse e fosse del tutto fuori dalla verità. Ma non era così.

Lui non poteva accorgersi di quell'impercettibile movimento che fecero le sue labbra, che per una leggera frazione di secondo parvero arricciarsi in una smorfia di disappunto, voleva dire che ci aveva visto giusto.

E quel breve, ma significativo, leggerissimo tremolio della palpebra superiore sinistra. Era irritato. Quell'argomento gli stava dando fastidio, probabilmente perché conteneva una sua debolezza.

-Non è stata la perdita della nonna o dei genitori a metterti nei guai. - Lo fissò di sottecchi. -Era per caso una donna? -

Questa volta toccò a lui sbuffare in un ghigno. -Cadi un po' troppo nel banale. Oserei dire quasi romantico. -

Gli restituì lo sguardo divertito. -Sei un bravo baro, ma ne hai ancora di strada da fare. Sei abbastanza arguto, ma non sai difenderti. - Si appoggiò con i gomiti sul tavolo, sporgendosi verso di lui. -Ti do una dritta ragazzo. Il trucco non è nascondere le proprie emozioni, ma non provarle. -

-Grazie del consiglio. -

Non glie ne fregava niente, ma era comunque un ottimo consiglio. Adesso era arrabbiato, ma poi, a mente fredda avrebbe capito.

Calò un silenzio di qualche minuto, poi a parlare fu nuovamente Drahmin.

-Ci sono stati degli omicidi. Cinque soldati sono stati trovati uccisi alla periferia della capitale. Si sospetta siano stati i ribelli. -

Lo stregone finalmente bevve un sorso. -Quindi... ci saranno degli interrogatori? -

Drahmin annuì. -Dovrai essere tu a dirigere gli interrogatori, ed io avrò il compito di supervisionarti. - Bevve un altro sorso. -Sai come fare. -

-Già... - Aveva ancora tanto da imparare, troppo spesso i suoi occhi si perdevano nelle remore della coscienza.

-Ascolta... - Drahmin si appoggiò allo schienale della sedia di legno, che scricchiolò appena. -... lo so che ti può sembrare che a volte sia crudele con te, ma lo faccio per il tuo bene. Se non sei pronto a fare quello che devi, non durerai alla corte di Shao Kahn. -

Shang Tsung gli rivolse uno sguardo incredibilmente sicuro.

-Mi parli come se non ci fossero alternative. -

Gli sorrise, quel ragazzo era convinto di riuscire a nascondere i propri sentimenti e timori, e forse con le persone normali ci riusciva anche. Per loro probabilmente era un blocco di ghiaccio. Ma non per lui. Sapeva leggere ogni sua microespressione, ogni reazione del suo corpo, ogni impercettibile movimento dei muscoli o degli occhi. Era un libro aperto.

Prima di rispondere si prese il suo tempo, cercando le parole più adatte. Per un attimo si perse a giocherellare con il boccale di sidro che aveva davanti, roteandolo in modo da osservare il liquido ambrato che si muoveva a formare un mulinello.

-Non ci sono alternative per uomini come te... - Smise di giocare con il boccale e lo fissò negli occhi. -... tu sei il classico uomo che pensa di poter ottenere la botte piena e la moglie ubriaca allo stesso tempo. Ma ci sono sempre dei compromessi da accettare. - Si sporse appena sul tavolo. -Sei venuto qui per un motivo, e non te ne sarai andato fino a che non lo avrai ottenuto. Sei un tipo intelligente, e ambizioso, quindi pensaci su questa notte, e decidi cosa vuoi fare. - Si alzò, rimanendo con le mani appoggiate sul tavolo. -Se vuoi ottenere quello per cui sei venuto, preparati a scendere a compromessi. In caso contrario sbrigati a giocarti la tua alternativa. -

Lanciò delle monete sul tavolo e con un rapido saluto, si allontanò dalla taverna.

 

Per festeggiare la conquista Vaeternus, Shao Kahn proclamò tre giorni di giochi per il popolo, per renderli partecipi della vittoria, dove venne messa in scena nell'arena, una specie di rivisitazione della battaglia appena vinta, con gladiatori che dettero spettacolo in combattimenti all'ultimo sangue, tra questi c'erano molti schiavi prelevati da Vaeternus.

Il terzo giorno venne indetto un torneo per i guerrieri semplici. Chi vinceva avrebbe avuto la possibilità di sfidare un generale dell'esercito e vedere aumentato il proprio rango.

I combattimenti avvenivano uno contro uno, senza armi, la sabbia di una clessidra delimitava un tempo limite di cinque minuti a combattimento, in caso di parità, i generali avrebbero decretato il proprio vincitore.

Quello spettacolo venne accolto con grande entusiasmo sia dal popolo che dai soldati che si precipitarono in massa a combattere.

I combattimenti erano uno spettacolo particolarmente apprezzato anche dalla regina Sindel che partecipò con maggiore interesse agli avvenimenti nell'arena, tanto che Shao Kahn con la coda dell'occhio, più di una volta l'aveva vista sporgersi per guardare meglio, e a volte sembrava in tensione quando il suo combattente preferito era in difficoltà, o se perdeva.

Tra quella miriade di ragazzi e uomini di tutte le razze, ben presto cominciarono a delinearsi i guerrieri più forti. Fino a quel momento mai nessun combattimento era finito in parità e i generali si limitavano ad osservare divertiti, a volte parlottavano fra loro, oppure esultavano quando un soldato che portava i colori della propria divisione vinceva.

Bo' Rai Cho si passò una mano sulla fronte madida di sudore. Non era solo per i combattimenti tenuti fino ad allora, ma quel giorno il sole batteva più forte del solito, sentiva la pelle bruciare, e la sabbia dell'arena che per via del sudore gli si era attaccata alle spalle e al collo gli prudeva da impazzire.

Socchiudendo gli occhi perché la luce non lo accecasse, provò a guardare verso le tribune. L'Imperatore Shao Kahn, in alto, osservava quello spettacolo senza mostrare molto coinvolgimento, mentre la regina Sindel si agitava spesso sul trono. Per un momento ebbe il pensiero che sarebbe stato bello se avesse tifato per lui.

Ma il pensiero fu fugace e quasi immediatamente svanì.

I generali, nelle tribune più in basso, ma sempre all'ombra invece, sembravano particolarmente entusiasti e partecipi.

D'un tratto un'altra figura attirò la sua attenzione. Nella parte più alta delle tribune, dove normalmente ci stavano quelle persone che non avevano trovato posto a sedere, solitamente la parte più affollata dalla plebe, ma sopra l'Imperatore, in solitaria, ci stava un uomo. Aveva un abito nero, se ne stava con una spalla appoggiata alla colonna e osservava la scena sotto di se.

Dovevano dare davvero un bello spettacolo se anche l'arcistregone di corte era andato a vederli.

-Tocca a te! - Lo chiamò un colonnello, che per sua sfortuna, era stato designato come arbitro dei combattimenti.

Trovò naturale chiedersi che cosa avesse fatto quel poveretto per meritarsi una giornata sotto il sole ad arbitrare una mandria scalmanata di ragazzi arroganti e battaglieri, impazienti di veder aumentato il proprio rango.

Si portò al centro dell'arena, il suo avversario nemmeno lo aveva mai visto, tanto era ampio l'esercito dell'Outworld.

Era un giovane uomo più o meno della sua età, intorno ad una ventina di anni, era alto e asciutto, aveva i muscoli disegnati in una maniera quasi esasperante.

Bo' Rai Cho invece, non era ben proporzionato come il suo avversario. Nonostante fosse di un'altezza media, aveva spalle larghe e petto ampio che lo facevano sembrare più tozzo. I muscoli del busto e delle braccia erano grossi, ma non disegnati come la maggior parte degli altri ragazzi presenti quel giorno.

Gli venne da pensare che così a prima vista, nessuno avrebbe scommesso sulla sua vittoria, e probabilmente vedendoli uno di fronte all'altro i generali e l'Imperatore stesso dovevano averlo già dato per spacciato.

Chissà se la regina parteggiava per il suo avversario solo perché più avvenente di lui?

Sorrise divertito, mentre si metteva in posizione di combattimento, attendendo l'inizio.

Non appena il colonnello urlò: -Combattete! - L'avversario fece un salto verso di lui, con il pugno destro caricato dietro la spalla, pronto a colpirlo dall'alto.

Pessimo errore.

Bo' Rai Cho lo colpì con un calcio al volto che probabilmente gli fece partire almeno un paio di denti.

Forse non sarebbe più stato poi così avvenente senza i denti davanti.

Prima che quello potesse rialzarsi lo colpì con un altro calcio alla tempia, facendolo svenire.

Il colonnello si accertò delle condizioni dello sconfitto e poi decretò la sua vittoria, che venne accompagnata da applausi e boati.

Quella era sicuramente stata la sua vittoria più veloce. Un record che sarebbe stato difficile da battere.

Bo' Rai Cho collezionò vittorie su vittorie, una buona parte del pubblico cominciava a fare il tifo per lui, e ogni volta che doveva combattere vide che anche i generali gli prestavano molta più attenzione.

Quando dovette disputare la finale, ormai il sole stava cominciando a calare.

Era stanco, gli dolevano le spalle, e le braccia. Con il senno di poi, non doveva essere stata una grande mossa sollevare quel Centauro per le corna. Anche se la folla aveva apprezzato, forse si era stirato qualche muscolo.

Le gambe erano pesanti, non avevano più l'agilità delle ore precedenti, e il calcio di quel Tarkatan al nervo sciatico ancora gli faceva dolere il muscolo della gamba sinistra. Senza dover stare a contare i lividi che aveva sparsi per tutto il corpo, e le escoriazioni di quando quel calcio frontale dell'ultimo avversario lo aveva fatto rotolare a terra.

La maglia blu di yuta che aveva indosso, era strappata in più punti e sporca di sangue, a causa di quello zaterrano che lo aveva graffiato sul pettorale sinistro. Probabilmente dopo quella giornata l'avrebbe buttata nel fuoco.

Si portò al centro dell'arena, insieme all'altro finalista, un Tarkatan che ancora non aveva le ossa del braccio pronunciate, anche lui doveva essere molto giovane, e come lui portava i segni dei combattimenti precedenti. Aveva i denti macchiati del suo stesso sangue, a causa di una ferita che gli aveva fatto sanguinare copiosamente il naso. All'inizio, quando avevano cominciato, aveva una casacca bianca smanicata, ma nel corso de torneo era stata ridotta in brandelli e ora il busto era completamente scoperto, ricoperto di lividi che variavano dal rosso al violaceo.

Quando si guardarono la folla emise un boato esultante.

Non ne avevano ancora abbastanza di combattimenti? Era tutto il pomeriggio che giovani tra i migliori dell'esercito si davano battaglia. Avevano dato uno spettacolo non da poco, ma non bastava.

Capì perché Shao Kahn era così popolare tra i suoi sudditi. Non erano mai sazi di sangue e guerra. Non avevano la minima pietà per quei ragazzi appena giunti da una guerra di quasi un anno, volevano vederli soffrire, sanguinare, morire.

Per la prima volta da quando aveva cominciato quel torneo ebbe un profondo rispetto per il suo avversario, con le sue ferite, i suoi dolori, eppure lì, davanti a lui. Quando il colonnello decretò l'inizio dello scontro, Bo' Rai Cho allungò una mano verso di lui, con un sorriso bonario, e l'altro con un grugnito di divertimento glie la strinse, prima di riprendersi le dovute distanze e cominciare il combattimento.

Al Tarkatan era proibito usare le lame ossee retrattili dell'avambraccio, anche se Bo' Rai Cho si domandò se fosse abbastanza grande da averle già sviluppate.

Il suo avversario era più basso dei Tarkatan visti fino ad allora e molto più esile, perfino i suoi denti acuminati non erano lunghi come quelli dei suoi simili, almeno non ancora. Per un attimo ebbe la tentazioni di chiedergli se sua madre sapesse quello che stava facendo, ma poi, ricordandosi che era arrivato in finale battendo ragazzi e uomini di tutte le età, decise di prenderlo sul serio.

Il primo ad attaccare fu lui, partì con un calcio frontale, era troppo stanco per schivarlo e così lo parò con le braccia. La suola della scarpa del Tarkatan gli graffiò l'avambraccio con la sabbia, procurandogli un'altra escoriazione.

Come tutti gli esemplari della sua razza, anche lui cercò la vittoria nella foga della battaglia e cominciò a martellarlo con una serie di pugni.

Il ragazzo alzò le braccia davanti al volto accusando una serie di colpi di una forza veramente elevata. Sentì le braccia dolergli sempre più forte, ma doveva aspettare, non scoprirsi ancora. Contava nella mente il numero di pugni che gli arrivavano e quando si accorse che la fatica lo aveva fatto rallentare, nella pausa tra un pugno e l'altro, venne il momento di reagire.

Colpì con un gancio allo stomaco, e uno al volto, cominciò ad avanzare e gli spazzò il piede d'appoggio, ma l'altro si gettò all'indietro, con una capriola e poi, sfruttando la forza delle gambe, gli si lanciò contro, colpendolo con la forza di una palla di cannone.

Non se lo aspettava, doveva ammetterlo, rotolò a terra e non ebbe il tempo di tirare nemmeno una boccata d'aria che gli era nuovamente addosso. Un pugno dovette incrinargli una costola sul fianco sinistro, ma grazie a quel sacrificio riuscì a bloccargli un braccio sotto l'ascella.

Lo colpì due volte al volto e una allo stomaco, dopodiché se lo tirò orizzontalmente sulle spalle e lo scaraventò a terra con un tonfo sordo.

Aveva accusato il colpo, perché ci mise qualche secondo a rialzarsi.

Buttò fuori l'aria dalla bocca con uno sbuffo. Quanto duravano cinque minuti?

La folla scoppiò in un boato mentre la lotta si stava facendo sempre più serrata, i due contendenti si scambiavano un numero impressionante di colpi.

Un gancio incrociato li fece cadere entrambi a terra, ma il Tarkatan si alzò per primo e gli si lanciò incontro, cercando di bloccarlo sotto di lui, cominciò a colpirlo con una quantità di pugni devastanti.

Bo' Rai Cho, si copriva con entrambe le mani, e mentre i colpi si abbattevano sui suoi avambracci, sentiva i lividi cominciare a sanguinare.

Era in quei momenti che sarebbe stato facile lasciarsi sopraffare dal dolore, dalla disperazione; ma era proprio in quei momenti che l'avversario si lasciava sopraffare dalla sicurezza e non si preoccupava di coprirsi, e non si immaginava una reazione.

Quando l'ennesimo pugno destro si abbatté su di lui, Bo' Rai Cho si spostò sul suo fianco sinistro, schivando il pugno e bloccandogli il braccio sotto l'ascella destra. Adesso era lui ad essere scoperto e impossibilitato ad ogni tipo di reazione. Tentò di sfilare il braccio, ma non riusciva a fare forza, e così a Bo’ Rai Cho fu facile passargli il braccio sinistro intorno alla gola e cominciare a stringere.

Il Tarkatan era girato di spalle sopra di lui, scalciò, cercò di colpirlo alla testa con pugni alla cieca, e poi tentò con le gomitate, ma niente. Era troppo vicino alla vittoria per non riuscire a sopportare anche quei colpi. Strinse più forte che poteva, aiutandosi anche con l'altro braccio, e dopo secondi che sembrarono ore, sentì la sua reazione farsi sempre meno forte, fino a che le braccia non ricaddero sul terreno e le gambe si stirarono esanimi.

Stava svenendo.

Il colonnello intervenne per separarli, ma Bo' Rai Cho aveva già allentato la presa. Aveva vinto.

Il boato della folla sembrò un tuono, e lo scroscio degli applausi sembrò un irrefrenabile acquazzone.

Anche i generali applaudivano, e perfino la regina Sindel, e l'arcistregone. Era davvero una bella sensazione.

Il giovane Tarkatan era rimasto a sedere, per riprendersi dallo strangolamento, poi si alzò e lentamente si allontanò dall'arena. Chissà se lo avrebbe rivisto in futuro? Era un combattente formidabile già a quell'età, chissà come sarebbe divenuto tra qualche anno?

Finalmente l'Imperatore si alzò in piedi, anche a quella distanza era di una statura veramente imponente, la folla subito si azzittì.

-Abbiamo finalmente un vincitore! - Allargò un braccio. -Scegli quale sarà il generale che vuoi sfidare! - A quel gesto Bo'Rai Cho osservò i volti dei graduati che sorridevano e parlottavano fra di loro.

Chissà se nascondevano la loro inquietudine della sfida dietro quei sorrisi beffardi. Chissà se avesse vinto, quale onta avrebbe portato alla sua vittima.

Li passò tutti in rassegna, mentre nel frattempo recuperava fiato.

Non voleva macchiare l'onore di nessuno combattendo al massimo delle sue capacità, e c'era un generale che su tutti non poteva essere in alcun modo scalfito, un generale che aveva dato talmente tante prove del suo valore in battaglia, che nessuno avrebbe dubitato del suo onore, e perché no, nemmeno della reale forza di Bo'Rai Cho.

-Io sfido il generale Reiko! -

Si alzò un brusio eccitato da parte degli spettatori e i generali si voltarono all'unisono verso uno dei generali più forti e temuti di sempre.

 

Quel ragazzino... o era idiota, o aveva fegato.

Reiko sorrise divertito e non si fece attendere. Non appena si alzò da sedere la folla lo accolse con urla e applausi. La sua fama lo precedeva.

Drahmin seduto accanto a lui non sembrava aver apprezzato particolarmente quelle lodi.

-L'incontro avrà la durata di tre minuti. - Decretò Shao Kahn sedendosi nuovamente sul suo trono di pietra.

Reiko si tolse la casacca rossa e nera che indossava, rimanendo a petto nudo, rivelando un fisico da guerriero, temprato dalla fatica e dalle atrocità delle guerre.

Si prese il suo tempo, e quando si avvicinò al suo avversario lo fece con arroganza, con un sorriso divertito.

-Sei sicuro ragazzo? Puoi ancora tirarti indietro. Nessuno ti giudicherà. -

-Si, signore. Sono sicuro. -

Si domandò sotto le file di quale generale servisse, ma se era ancora un guerriero semplice, probabilmente non aveva doti così stupefacenti. In effetti bastava guardarlo. Non aveva la prestanza fisica dei suoi coetanei e colleghi, e a giudicare dal ventre leggermente prominente, non doveva essere per niente disciplinato.

Eppure era arrivato in finale, con un altro bambinetto, certo, ma avevano vinto contro tutti gli altri.

Si portò davanti a lui e attese che l'incontro iniziasse.

Lo aveva visto combattere, via via che procedeva nella graduatoria, prestava sempre più attenzione, ma non aveva visto niente in grado di meravigliarlo. Si sapeva muovere e sapeva picchiare forte, questo glie ne dava atto, ma quello che aveva davanti, rimaneva pur sempre il meglio della mediocrità.

Il colonnello dette il via all'incontro.

Era indeciso se stenderlo immediatamente o giocare un po' con lui. In fin dei conti aveva fatto un buon lavoro, ma era anche vero che aveva osato sfidarlo, e chissà se fosse abbastanza idiota da credere di vincere.

Non aveva la faccia da guerriero, anzi, aveva un grosso faccione che gli infondeva un'aurea di gentilezza e onestà che gli dava il volta stomaco. A guardarlo bene sarebbe stato perfetto per un lavoro come oste, o magari come locandiere. Era una vergogna che uno in quelle condizioni militasse nell'esercito e fosse riuscito a vincere tutti quegli incontri.

Era un gioco che doveva terminare ancor prima di cominciare. Gli avrebbe rotto un piede, un incidente che può capitare, e così lo avrebbe rimesso in riga, avrebbe imparato a stare al suo posto, e chissà, magari cambiava mestiere.

Gli si avvicinò velocemente, tirò un paio di pugni per tenerlo impegnato, tutti andati a vuoto, poi partì con un calcio basso, mirando al collo del piede, ci mise tutta la sua forza, voleva chiudere subito, non gli andava di dare spettacolo, e se anche con un colpo fortunato fosse riuscito a colpirlo, Drahmin ne avrebbe approfittato per deriderlo.

Il calcio andò a vuoto, colpì il terreno alzando una nuvola di polvere e terra, prima che se ne rendesse conto si ritrovò il piede di quel marmocchio davanti agli occhi, e doveva ringraziare il suo istinto, che lo fece piegare in dietro sulla schiena se non era stato colpito.

Un calcio in quel modo, come minimo gli avrebbe rotto qualche dente.

Fece una capriola all'indietro rimettendosi in posizione. Doveva prendere quell'incontro più sul serio. Forse non era così impreparato come lo aveva giudicato.

Decise di tastare ancora il terreno, questa volta cercò di colpirlo con un pugno al volto, mandato a vuoto da un movimento del busto dell'avversario, ma poi partì con un calcio frontale, colpendolo all'addome, anche se non ebbe l'effetto sperato.

La pancia di quel ragazzino sembrava di acciaio, aveva portato tutto il peso in avanti e il calcio, essendo troppo basso per colpirgli lo stomaco, aveva incontrato l'ostacolo degli addominali, che per poco non gli fecero perdere l'equilibrio.

Sorrise. Allora voleva proprio combattere.

Si fronteggiarono pronti a colpire e rispondere ad ogni attacco, ci fu una serie di colpi e parate di livello veramente importanti, tanto da scaturire un boato di perplessità e stupore dalla folla, poi Reiko mise a segno un calcio girato all'indietro che fecero volare il ragazzo a terra, ma quello fu rapido a rialzarsi con una capriola all'indietro, e proprio come aveva fatto il piccolo Tarkatan con lui, fece perno sulle gambe e gli si lanciò addosso, come fosse una palla di cannone.

Reiko tentò di schivarlo con un salto, ma l'altro, appoggiando le braccia a terra sollevò le gambe in una verticale, e lo colpì ad una gamba, che gli fece perdere lo slancio e rischiare di cadere a terra.

Ma un generale, i suoi gradi se li guadagna sul campo di battaglia e le battaglie di Reiko erano talmente numerose, che erano quasi impossibili da ricordare tutte.

Con qualche difficoltà riuscì a riatterrare in piedi.

Adesso cominciava a capire la pericolosità di quel ragazzo. Era imprevedibile.

Non agiva a casaccio, anzi, ogni sua mossa era calcolata, ma la sua logica era pressoché impossibile da anticipare. Non seguiva le regole di nessuno stile di combattimento adottato fino ad allora.

Gli cominciava a piacere.

Attese che attaccasse lui e di fatti non si fece attendere, forse aveva annusato una piccola possibilità di vittoria. No, non era uno stupido.

Quando gli arrivò in contro con i pugni, Reiko parò agilmente, constatando che aveva una forza davvero sorprendente. In fin dei conti aveva delle braccia che sembravano dei tronchi d'albero, ma secondo Reiko, la sua arma speciale, non risiedeva nelle braccia, ma bensì nelle gambe, perché vedendolo, nessuno avrebbe giurato che un ragazzo tozzo come lui riuscisse a tirare calci così alti e potenti. Di fatti il calcio rotatorio interno che partì, se lo avesse preso, probabilmente lo avrebbe fatto piroettare per l'aria, da quanta forza racchiudeva.

Optò per una soluzione differente, e sicuramente più spettacolare e plateale.

Si voltò con un calcio in rotazione e incrociò la sua gamba con quella dell'avversario.

Il rumore sordo delle due gambe che si colpirono, fu come il gong per l'inizio dell'esultanza del pubblico.

Rimasero qualche secondo immobili in quella posizione, Reiko gli sorrise, prima di tornare in guardia, ma sapeva che il colpo che gli stava arrivando non avrebbe avuto alcun seguito.

Il tempo era scaduto.

Shao Kahn decretò la fine dell'incontro esattamente nello stesso istante in cui Reiko fermò il pugno diretto al suo volto.

Le urla festanti del pubblico rendevano quasi impossibile sentire cosa stesse decretando l'arbitro. Anche se la sua vittoria era scontata, visto che era una mera formalità.

-Devo ammetterlo, mi hai veramente stupito. -

-Grazie generale. -

-Come ti chiami ragazzo? -

-Bo' Rai Cho signore. -

Si massaggiò il mento pensieroso. -Voglio farti una proposta, che ne dici di entrare a far parte della mia divisione? - Vedendo il ragazzo piuttosto stupito, cercò di metterlo a suo agio battendogli una pacca sulla spalla. -Sono sicuro che diventerai un guerriero formidabile un giorno. E quel giorno, mi piacerebbe prendermi del merito. E poi, vivresti al castello. -

Lo vide annuire e si strinsero la mano.

Quel ragazzo aveva davvero un enorme potenziale, era meglio averlo come alleato, prima che qualcun altro degli altri generali glie lo potesse soffiare via, e averlo come nemico.

E poi aveva già una missione in mente.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Coscienza ***


Quella giornata era stata interminabile. I giochi, poi il torneo. Era stanco morto.

Bo' Rai Cho uscì dall’Arena e si diresse lungo le stradine secondarie della capitale.

Il silenzio della sera era un nettare per le sue orecchie, dopo tutto il frastuono che aveva dovuto sopportare per tutto il giorno.

Si sentiva dolori ovunque e non osava pensare alla mattina dopo. Chissà se il generale Reiko gli avrebbe concesso un giorno di riposo.

Quel tipo era veramente inquietante. C'era qualcosa di sinistro nel suo sguardo e quando sorrideva sembrava folle, piuttosto che felice. Aveva sentito spesso le storie che accompagnavano la sua figura e chissà che forse non si lasciava condizionare da quelle.

Eppure era famoso per la sua furia e violenza in battaglia, tanto quanto le sue perversioni fuori dagli scontri.

Sentì un brivido arrampicarsi lungo la schiena, e lo attribuì al sudore che gli si stava ghiacciando addosso, piuttosto che all'inquietudine della figura del generale. Ma in fin dei conti ce n'erano anche di più inquietanti. Come ad esempio il generale Drahmin. Era famoso per essere l'inquisitore dell'Imperatore, e dicevano che fosse un vero sadico. Non era un caso che i suoi aiutanti fossero dei Tarkatan, in fin dei conti era la razza più sanguinosa e brutale che popolasse le lande dell'Outworld.

Dopo l'ennesimo svincolo, si appoggiò al muro, attendendo qualche secondo, tanto per essere sicuro che nessuno lo seguisse, dopodiché riprese a scendere verso la città vecchia.

Prese una stradina che portava alle mura, fino a costeggiarle, e lì, nascosta nell’ombra della sera, la figura snella di Nitara, avvolta da un mantello nero, era quasi invisibile ad un occhio che non sapeva dove guardare.

-Allora dicevi sul serio. Sei veramente forte. - Lo accolse così, avanzando lentamente verso di lui.

-Mi hai visto combattere? - Domandò portandosi le mani sui fianchi e ostentando un sorriso borioso.

Ma Nitara non rispose, Bo' Rai Cho si immaginò che avesse sorriso. Quando gli fu a pochi cm di distanza allungò una delle sue splendide mani a toccargli un taglio sulla fronte.

-Come potevo mancare? -

Non riusciva a capire se lo voleva mettere alla prova o se fosse fiera delle sue vittorie. Ci fu un breve istante in cui avrebbe voluto avere il coraggio di tirarle giù il cappuccio e guardarla ancora in volto, ma sapeva che non poteva. Non doveva.

Lei era bellissima, e lui era l'assassino che aveva contribuito a portarle via ogni cosa. Deglutì a vuoto, scacciando quei pensieri.

-Mi devi qualcosa da bere. -

-Perché? - Domandò chinando la testa di lato e rivelando una parte del mento sottile e le labbra carnose.

-Perché sono dentro. - Fu la sua risposta divertita. -Sono nella divisione personale del generale Reiko. Da domani vivrò al castello. -

-Bo' Rai Cho, lo sai che puoi ancora tirarti indietro? -

Aveva un tono greve, forse cominciava ad avere ripensamenti.

Ma lui no.

-Magari un'altra volta. - Le puntò contro l'indice. -Questa sera intanto andiamo a bere. E offrirai tu. -

 

Nitara non poteva fare a meno di sorridere vedendo quel ragazzo, con quel carattere così bizzarro. Non avrebbe mai creduto che la gente dell'Outworld potesse essere come lui. Chissà se anche quei soldati che aveva ucciso sapevano ridere come Bo'Rai Cho, e scherzare e bere come lui?

Chissà se anche loro sarebbero stati in grado di farla ridere, come la faceva ridere lui.

Scacciò quei pensieri.

Doveva solo attenersi alla missione. Non doveva avere ripensamenti. Questa era la strada che aveva deciso di percorrere, non c'era ritorno, né redenzione. E Bo'Rai Cho, era esattamente come lei.

 

Il generale Drahmin aveva la fama di essere un sadico e un sanguinario spietato.

Tuttavia lui non amava quell'aggettivo. Sadico.

Non lo trovava propriamente attribuibile alla sua persona.

Lui non trovava piacere nel dolore o nelle urla delle sue vittime, non ci aveva mai trovato niente di eccitante. Tutto ciò che faceva lo faceva con uno scopo. Non era per soddisfare il suo ego, o i suoi bisogni, che infliggeva torture disumane e umilianti, ma era perché le azioni peggiori che si possano compiere, sono anche quelle di cui abbiamo più paura. Lui conosceva le sue vittime, sapeva cosa li spaventava, cosa sarebbero stati pronti a sopportare. Incredibile a dirsi, ma molte vittime erano disposte a sopportare ogni genere di tortura o umiliazioni, ma l'unica cosa che davvero non potevano sopportare era l'idea di morire.

Ma prima che una vittima se ne renda conto, ci vuole del tempo, ce lo devi portare a capire quale sia la cosa che più teme, se il dolore, l'umiliazione o la morte.

L'interrogatorio cominciava molto prima che entrasse l'inquisitore. La vittima doveva essere isolata da tutti gli altri, lasciata senza mangiare e bere, per almeno un paio di giorni, poi quando veniva portata nella stanza degli interrogatori doveva essere nuda, legata in modo che i suoi punti vulnerabili fossero facilmente raggiungibili.

La stanza sporca, l'isolamento, l’umiliazione e anche la fama che circondava la figura dell'inquisitore, mettevano la vittima in uno stato d'ansia e paura che solitamente, all'arrivo di quest’ultimo, era già pronta a parlare.

Le prime fasi dell'interrogatorio erano a voce, tramite alcune domande cercavi di ricavare le prime informazioni, solitamente tutte quelle informazioni che la vittima era convinto di poterti rivelare senza causare troppi guai. Con la fase successiva, in cui alle domande si accompagnano i primi accenni di violenza fisica, si capisce cosa la vittima teme, ed è in questa fase che la vittima solitamente si lascia andare a rivelazioni di informazioni che possiede a livello inconscio, ogni minima cosa che gli viene in mente la dice. Sta all'inquisitore vagliare quelle utili da quelle no.

Ma come sosteneva sempre, la perfezione sta nei dettagli.

Poi arrivava la terza fase, dopo la minaccia delle azioni terribili che teme, arriva la tortura vera e propria, dove l'individuo viene privato di ogni singolarità, e diviene solo un pezzo di carne nelle mani dell'inquisitore.

Questa terza fase, non era accompagnata dal rilascio di alcuna informazione, solitamente solo urla e suppliche uscivano dalla bocca della vittima. Molti pensavano che quell’ultima fase servisse solo al piacere dell’inquisitore, ma la verità era che doveva solamente infliggere più dolore possibile e in maniera più evidente possibile, così da aumentare la paura nei ribelli, quando avessero ritrovato il corpo. Perché dovevano avere paura di quello che gli sarebbe successo se fossero finiti nelle sue mani. Dovevano temere ciò che la vittima aveva potuto rivelare sotto quelle terribili torture. Non era nemmeno un caso che le guardie che attendevano alla tortura, fossero incitati a parlare con più persone possibili di quello che vedevano nelle Fosse di Carne.

Niente veniva fatto a caso.

Shang Tsung lo aveva imparato molto bene, era stato con lui per mesi, aveva assistito a centinaia di interrogatori, e ora stava a lui condurli.

Adesso, doveva dimostrare di che pasta era fatto.

Conosceva il suo punto debole, ed era venuto il momento di sapere fin dove si sarebbe spinto per la sua sete di potere.

Già quando entrarono nella stanza dell'interrogatorio, Drahmin cominciò ad osservarlo attentamente.

Sembrava che l’odore di sangue, muffa, vomito e altre secrezioni, di cui la stanza era impregnata, ormai non lo disturbassero più, eppure, non appena vide la donna seminuda, legata alle catene che penzolavano dal soffitto, Shang Tsung si fermò sulla soglia.

-Qualche problema? - Gli domandò, per saggiare il terreno.

-No... assolutamente. - Rispose, ostentando sicurezza.

Non cominciava bene, teneva gli occhi bassi, come se non riuscisse a guardare il corpo della vittima.

-Vi prego... - Cominciò quella piangendo. -Vi dirò tutto... vi prego... lasciatemi andare. - Si era perfino urinata addosso. Una scena veramente patetica. Ma la sua attenzione era tutta focalizzata sul suo pupillo.

Così non andava, quel movimento quasi impercettibile della mascella, quel sospiro spezzato, quel vagare con lo sguardo per la stanza. Non la stava nemmeno guardando, quando il contatto fisico era fondamentale in un interrogatorio. Era palese che non le avrebbe torto nemmeno un capello.

-Sei stata arrestata, con addosso delle informazioni sul tragitto di una pattuglia dell'esercito. A chi la dovevi portare? - Il tono di voce era giusto, lento, calcolato e fermo, tutto il contrario dei movimenti del suo corpo.

-Io... li portavo a Kar-Chir, è lui che sta organizzando un attentato alla pattuglia di sorveglianza alle mura... -

La donna piangeva e parlava, stava dando una serie impressionante di informazioni, e il tutto senza nemmeno minacciarla di chissà cosa.

Continuò a farle delle domande, girandole attorno, lo faceva per inquietarla, o perché non voleva che anche lei si accorgesse che era in evidente difficoltà?

Forse per lei, che si ritraeva e squittiva come un animale ferito, poteva sembrare minaccioso, forse addirittura una fiera in attesa di consumare il suo pasto, ma per lui, era solo un ragazzino spaventato che non aveva le palle di fare quanto era necessario.

Non capiva? Perché non capiva? Come avrebbe potuto sperare di sopravvivere nell’Outworld se non si dimostrava pronto a fare quanto necessario?

Ad un certo punto le domande terminarono, Shang Tsung si girò per dirigersi all'uscita, ma Drahmin era rimasto davanti alla porta con le mani incrociate sul petto. I due si fronteggiarono in silenzio per qualche secondo.

Alla muta domanda del generale, lo stregone rispose con una leggera alzata di spalle.

-Non sa altro. - Era patetico quel vano tentativo di ostentare arroganza e sicurezza.

Fece un mezzo sorriso, tanto per innervosirlo ancora di più. -E tu che ne sai? -

-Se avesse saputo qualcos'altro me lo avrebbe detto. - Ribatté con fermezza.

La donna stava supplicando e piangendo, ma la ignorò, era come se per lui non esistesse. Per lui non era nemmeno un essere umano.

-Ne sei sicuro? - Chiese.

Shang Tsung si voltò, indicando la donna che stava continuando a piangere.

-Guardala... qualsiasi altra informazione, non sarebbe attendibile, parla solo per paura. -

-E allora? - Gli fece cenno con la testa. -Continua. -

Shang Tsung si voltò, e in quello stesso istante la donna cominciò a gemere e supplicare. Lo vide serrare i pugni, la mascella ebbe un tremolio, i muscoli stessi delle braccia e delle spalle sembrarono tremare. Non ce la faceva.

-Continua. - Insistette Drahmin con tono autoritario.

Rimaneva immobile. Deglutiva a vuoto, come se tentasse di fare forza sul proprio corpo per farlo muovere, ma inutilmente.

Perché non voleva continuare? Sapeva cosa doveva fare. Glie lo aveva mostrato.

-Continua! -

L'urlo gli fece avere un sussulto, le urla della donna terminarono, ma non la smetteva di piangere.

Shang Tsung chinò la testa, quasi volendo nascondergli il suo sguardo.

-No. -

Fu un sussurro. Per un attimo credette addirittura di non aver sentito bene.

-Come? -

-Ho detto no. - Ripeté voltandosi verso di lui.

Come erano seri e determinati i suoi occhi, come era serrata la sua bocca. Aveva preso una decisione. Non si voleva spingere oltre quel limite.

Stupido.

Che atteggiamento assurdo. Se si vuole ottenere qualcosa, si deve essere pronti a tutto. Altrimenti si è solo dei deboli.

-Sarebbe solo un infierire senza senso. - Disse, cercando di controllare il tremolio della propria voce.

-Senza senso? Il suo corpo martoriato servirà da monito per i suoi amici della resistenza. Perché non le chiedi se ha visto i cadaveri recuperati dalle Fosse? Chiedile le voci che girano tra la resistenza. Meglio morti che in mano all'inquisitore dell'Imperatore. -

-A cosa serve ottenere bugie? Si potrebbe arrestare tutta l'Outworld e chiunque, pur di non soffrire violenze, accuserebbe chiunque, completamente a caso. -

-Questo non è certo un nostro problema. Se uno degli arrestati è colpevole, avrà la giusta punizione e se fosse innocente, servirebbe da monito per tutti coloro che hanno anche solo il sentore di ribellarsi all'Imperatore. -

-È una follia. -

Parole forti, e il suo tentativo di ribellione era quasi commovente. Peccato che la paura che provasse fosse talmente evidente da fargli avere il fiato corto, e brividi lungo il corpo. Per lo meno non era uno stupido. Quella paura derivava dalla consapevolezza che stava per morire.

Ma se pensava che fosse pronto ad arrendersi con lui, si sbagliava di grosso.

-Una follia sarebbe non fare quanto ti ho detto di fare. - Disse con tono spazientito.

Se davvero pensava che lo avrebbe ucciso, questo voleva dire che non aveva capito niente di lui.

Shang Tsung non si mosse e per Drahmin quell'irremovibilità valse più di mille parole.

-Sei debole ragazzo. - Bussò alla porta e il Tarkatan, che era fuori di guardia, aprì quasi immediatamente. -Ed è un peccato. - Drahmin indicò lo stregone, rivolgendosi al Tarkatan. -Mettilo agli arresti. -

Per un attimo la guardia rimase perplessa, forse non credeva di aver capito bene.

-Mi hai sentito? Portalo nelle segrete! -

Shang Tsung parve sorpreso, alternò per un breve attimo lo sguardo sconvolto da lui, alla guardia, salvo poi serrare la mascella e lasciare che quest’ultima gli mettesse le catene ai polsi.

Drahmin lo fissò dritto negli occhi.

-Qui non siamo sulla Terra, ragazzo. Qui non ti puoi permettere il lusso di avere una coscienza. - Fece un rapido cenno con la testa e il Tarkatan lo strattonò fuori dalla stanza.

 

L'ultima volta che Sindel aveva parlato con Shang Tsung era stato almeno una settimana fa. Fino a quel giorno aveva fatto di tutto per non pensare a lui e non rischiare di incrociarlo per i corridoi, ma adesso qualcosa era cambiato.

Già da un paio di giorni vagava senza troppe remore, e non lo aveva mai visto, neppure per sbaglio. Era perfino andata in biblioteca, ma la sala era in ordine e vuota.

Ci impiegò quasi una giornata intera per decidersi di andarlo a cercare.

Continuava a ripetersi che non lo faceva perché le mancava. Era ancora arrabbiata con lui e ancora non voleva averci niente a che fare, ma era comunque strano che in una settimana non lo avesse mai visto. E poi lui era la sua via di fuga sicura. Un minimo di contatto dovevano pur averlo.

Si diresse nelle sue stanze, ma nessuno le rispose, credendo che non fosse da bene aprire senza permesso, desistette.

Ancora una volta doveva chiedere l'aiuto di Sheeva.

Come era prevedibile non fu molto felice di ricevere l'incarico di scoprire dove fosse lo stregone, ma era anche sicura che avrebbe comunque adibito al suo dovere.

Il giorno dopo, capì che non dovevano essere buone notizie dal momento in cui la vide entrare nelle sue stanze.

-Scoperto qualcosa? -

Sheeva sospirò. -Mia regina, vi prego di non perdere la calma... -

Nella mente di Sindel cominciarono ad affollarsi i peggiori scenari.

-Cosa è successo? -

-Shang Tsung è nelle segrete. -

-Che cosa ha fatto? -

-Non lo so. Lo ha fatto arrestare il generale Drahmin. -

Sindel afferrò una mantella per coprirsi le spalle ed uscì dalla stanza.

-Mia regina che volete fare? -

-Vado a parlare con Shang Tsung. -

Si diresse di passo svelto verso le segrete. Mentre il pavimento rintoccava i suoi passi, le pareti le restituivano l'eco, tanto che chi avesse sentito quel rumore, avrebbe avuto qualche difficoltà a capire in quante persone fossero. Mentre camminava continuava a pensare allo stregone, al modo in cui avevano cominciato a conoscersi e come poi era andata a finire. In fin dei conti aveva ragione, si erano usati a vicenda, e non avrebbe mai permesso che fosse solo lui a pagare. Ma due guardie Centauro le sbarrarono la strada.

-Mia regina, mi dispiace... ma non può passare nessuno. -

-Io non sono nessuno. Sono la vostra regina! E ora fatevi da parte. -

Le due guardie si guardarono preoccupati, in evidente difficoltà. -Non possiamo... abbiamo degli ordini. -

-E adesso sono io ad ordinarvi di lasciarmi passare! - Vedendo il silenzio dei due continuò. -Vi farò frustare per la vostra insolenza se non mi obbedite! -

-Regina Sindel... -

Una quarta voce si aggiunse nel corridoio, Sindel si voltò di scatto e vide il generale Drahmin che avanzava lentamente verso di lei.

-Di cosa sono accusate le mie guardie, per meritarsi delle frustrate? -

Quella era la prima volta che lo vedeva da vicino. Si stupì nel constatare che aveva un viso più simile ad un Edeniano che ad un abitante dell'Outworld. Aveva un viso lungo, dalla mascella importante, coperta da una barba castana ben curata che gli copriva una bocca piuttosto banale. Gli occhi erano piccoli di un azzurro inquietante e i lunghi capelli castani erano legati in una coda bassa.

-Non vogliono lasciarmi passare. -

-Ma non lo fanno per insubordinazione. Rispettano solo un ordine che io stesso gli ho imposto. -

Sindel avvertiva qualcosa di strano in quell'uomo, aveva un atteggiamento che poteva sembrare pacato, ma avvertiva una strana sensazione di inquietudine in sua presenza. Era come trovarsi al cospetto di un animale feroce, hai sempre la sensazione che stia per attaccarti.

Ma lui non le poteva fare proprio niente.

-Molto bene. Allora vi pregherei di dir loro di lasciarmi passare. -

-Mi dispiace... è impossibile. -

-Vi rifiutate di eseguire un mio ordine? -

-Esatto. - Rispose semplicemente. -Questo non è un posto per una regina. -

-Devo vedere l'arcistregone. -

-L'arcistregone è agli arresti. -

-Da quando in qua la gerarchia si è ribaltata? Dovreste essere voi ai suoi ordini. -

Quello stirò la bocca in un ghigno. -Con tutto il rispetto, ma io rispondo direttamente all'Imperatore, se la cosa non vi fa piacere. Parlatene con lui. -

-Certamente. -

Che persona disgustosa, pur di fargliela pagare era più che felice di parlare con Shao Kahn.

Constatò purtroppo abbastanza velocemente che l'Imperatore non sapeva far altro se non continuare a contribuire al suo odio per lui.

Sembrava che Drahmin fosse intoccabile. Non era valso a niente avergli raccontato di come le avesse mancato di rispetto, il generale sembrava godere della sua cieca fiducia.

Ma chi diavolo era quel bastardo?

Uscì dalla sala della guerra che doveva sembrare lo spettro del Banshee, da quanto era adirata.

-Non è andata come speravate? -

La voce alla sua destra la fece voltare di scatto, ed eccolo lì quel maledetto, quanto gli dovevano piacere le entrate ad effetto.

-Non crediate che sia finita qui. - Lo minacciò.

-Oh, io credo invece che debba proprio finire qui. - Si staccò dal muro a cui era appoggiato. -State facendo un sacco di confusione per niente. - Sollevò le sopracciglia con un sorriso divertito. -Non ucciderò Shang Tsung. State tranquilla. -

-Vedo difficile fidarmi di uno come voi. -

Il sorriso si spense sulle sue labbra e il suo sguardo divenne inquietante.

-La mia fama mi precede, ma vi state sbagliando. Non siete l'unica a tenere a quel ragazzo. -

Ma di cosa stava parlando? Stava parlando di Shang Tsung? Le stava dicendo che lui teneva a Shang Tsung?

-E lo dimostrate così? Facendolo rinchiudere? Magari lo state anche torturando, come avete fatto mesi fa, costringendolo a guardare le vostre torture disumane. Sperate forse di farlo diventare come voi? - Sindel gli si avvicinò con fare minaccioso. -Perdete il vostro tempo, lui non è una bestia come voi. -

-Io faccio solo ciò che è necessario per tenerlo in vita. Voi invece finirete con il farlo ammazzare. -

Scosse la testa, ma in quel momento le tornarono alla mente le ultime parole che le aveva rivolto Shang Tsung quella fatidica sera dei festeggiamenti. Le aveva chiesto aiuto e lei stupida non lo aveva capito.

-Ve lo prometto generale. Finché avrò vita, farò tutto ciò che è in mio potere per tenerlo lontano da voi. -

Se ne andò senza dargli la possibilità di ribattere.

Doveva trovare il modo di salvare Shang Tsung da quello psicopatico.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Punto di Rottura ***


Da quanto tempo era lì dentro?

Non lo sapeva. Drahmin si presentava con cadenza irregolare per chiedergli se fosse stato pronto a fare ciò che era necessario e dopo una sua risposta negativa se ne andava.

Aveva la sensazione che a volte passassero giorni e a volte solo pochi minuti.

Aveva perso completamente la cognizione del tempo.

Dovevano essere passati dei giorni, ma quanti? Una settimana? Un mese? O magari erano passati solo tre giorni?

Non lo facevano dormire, come si addormentava qualcuno lo svegliava, non riusciva nemmeno a capire se lo svegliassero subito o se lo lasciassero dormire per qualche ora.

Ogni tanto si presentava qualcuno che gli bagnava le labbra con dell’acqua o gli dava qualche briciola da mangiare, ma sempre ad intervalli irregolari, in modo che non potesse calcolare il tempo che passava.

Aveva dolore ovunque, alle braccia legate al soffitto, ai muscoli delle spalle che non riusciva a muovere, alle gambe che non riuscivano più a sorreggerlo.

Che razza di tortura era quella? Era diversa da quelle a cui aveva assistito, eppure, così tremenda, e altrettanto spietata.

Non riusciva nemmeno più a ragionare. Immagini della sua terra natia si mescolavano a quelle dell'Outworld, volti e voci di chi aveva conosciuto si confondevano con coloro che attualmente occupavano la sua esistenza.

D'un tratto il volto di quella donna gli tornò alla mente, il suo corpo, quando l'aveva vista nella stanza delle torture, e poi quando Drahmin glie l'aveva portata nella cella.

-Quello che non hai avuto il coraggio di fare tu, lo hanno fatto altri. - Gli aveva detto gettandola ai suoi piedi.

Non aveva più nemmeno la forza di piangere o lamentarsi. Come l'avevano ridotta...

-Adesso sei pronto a fare quello che devi? - L'aveva afferrata per i capelli e sollevata da terra. -Ti sembra ancora una donna? -

C'erano dei limiti che non era disposto a varcare.

-Perché non mi uccidi? - Gli aveva domandato.

-Perché la tua morte non servirebbe a niente. - Tirò fuori un coltello. -Ma la sua si. - Le piantò il coltello alla gola, la vide strabuzzare gli occhi, nemmeno gridò, cadde a terra cominciando a gorgogliare dalla ferita. Drahmin se ne andò lasciandola a dissanguarsi davanti a lui.

Significava qualcosa la sua morte per lui? In fin dei conti aveva visto morire così tante persone, e anche lui ne aveva ammazzate tante nel corso della sua vita. Sia in battaglia che in tempo di pace, che si chiedeva come mai Drahmin credesse che la vista di quella donna lo avrebbe scosso.

Eppure aveva ragione quel maledetto.

Sentiva qualcosa per quella donna. Non era affetto, non la conosceva nemmeno, e non è che fosse talmente particolare, che la sua bellezza lo avesse colpito in maniera così importante. Non era niente di tutto questo, ma sentiva un legame con lei.

In qualche modo quella donna incarnava i suoi principi, non oltrepassare un certo limite.

Sentì la porta delle segrete aprirsi, i passi nel corridoio rimbombavano. Sembravano quasi una marcia di morte.

Drahmin apparve oltre le sbarre della cella e aprì la porta.

La luce delle fiaccole lo illuminavano a malapena, sapeva che era lui, anche se la stanchezza e la sofferenza gli permettevano a malapena di aprire gli occhi.

-Allora? Hai finalmente deciso cosa vuoi fare? -

Non rispose, non ne aveva bisogno, e nemmeno ne aveva la forza.

-Perché ti ostini con questa condotta? -

Sollevò lo sguardo per fissarlo. Se mai fosse uscito di lì glie l'avrebbe fatta pagare.

-Non guardarmi così. Io sono l'unico che ti sta aiutando. -

Quella era veramente tutta da ridere, peccato che non avesse le forze e gli uscisse solo una risata smorzata.

-Si... lo vedo... - Aveva la gola talmente arida che la sua voce risuonò roca e irriconoscibile.

Doveva averlo ferito, perché sembrava risentito.

-Ci sono solo due tipi di persone ragazzo. Noi, e loro. - Concluse indicando fuori dalla cella.

Si lasciò sfuggire un sorriso.

-Sei malato. Non c'è motivo per le torture e le atrocità che mi hai costretto ad assistere. - Addirittura parlare gli costava fatica e sofferenza.

-Come è possibile che ancora non lo hai capito? C'è sempre un motivo. -

Non aveva senso ribattere, e non aveva senso nemmeno preservare le forze. Non aveva mai agognato tanto la morte come in quel momento.

-Devi decidere da che parte stare e cosa sei disposto a fare. -

-So cosa sono disposto a non fare. -

Sospirò rassegnato, forse era perfino triste.

-Se decidi di stare dalla loro parte, ti riserverò lo stesso trattamento che riservo a loro. -

Quelle parole gli riportarono nuovamente alla mente quelle tremende immagini a cui era stato costretto ad assistere. Sentì il cuore cominciare a pompare più velocemente.

Se solo fosse scoppiato ammazzandolo in quel momento... come sarebbe stato facile. Veloce e pulita, una morte dolce. Ma sapeva che il destino non sarebbe stato clemente con lui.

-So cosa ti spaventa. So cosa ti ferisce l'orgoglio, più che il fisico. So quali tabù la tua cultura ti ha imposto, e so cosa farti, per spezzarti. -

Drahmin gli parlava guardandolo dritto negli occhi, e lui era troppo stanco per fingere o combattere. Anche se si vergognava come un cane, non riuscì a nascondere la sua disperazione.

No. Non lo avrebbe sopportato. Quelle umiliazioni... no.

Tutto ma non quello. La sua dignità di uomo era l'unica cosa che gli restava, l'unica cosa a cui teneva più che alla sua stessa vita.

Ne aveva bisogno. Era il suo unico appiglio. Cosa gli sarebbe restato sennò?

Quante volte aveva visto fare certe cose? Ma poi quei poveracci avevano trovato la morte. E lui? Avrebbe trovato pace nella morte? O Drahmin lo avrebbe lasciato in vita, così che vivesse con quel ricordo? E quante volte sarebbe stato costretto a subire?

No. Non ce la poteva fare. Non poteva sopportare una cosa del genere.

No.

Nello sconforto più cupo, la domanda gli uscì di getto, quasi in una supplica.

-Perché? -

-Perché quando ti guardo io vedo due uomini. L'uomo che sei, e l'uomo che potresti essere. - Gli si avvicinò di qualche passo. -E ti assicuro che saresti invincibile. -

 

Sheeva entrò nelle stanze della regina.

-Mia regina, Shang Tsung si dice dispiaciuto, ma dice che non può venire al vostro cospetto. -

Sindel mise a terra Kitana che cominciò a gattonare e camminare per tutta la stanza.

-Lo hai visto? -

-No, mia regina. Non mi ha nemmeno aperto. -

Era preoccupata, era ormai quasi una settimana che era stato fatto uscire dalle segrete e ancora non era riuscita a vederlo. Lo aveva fatto convocare, ma ogni volta si rifiutava di presenziare. Per di più era impossibile trovarlo per i corridoi, da quando era stato rilasciato si era rinchiuso nelle sue stanza e non faceva entrare nessuno.

Aveva fatto chiedere a Sheeva e, a giudicare da quello che le aveva raccontato la serva che gli puliva le stanze, non sembrava stare molto bene fisicamente.

-Tutto questo è ridicolo. - Sindel si alzò di scatto. -Sheeva bada a Kitana. -

-Ma... mia regina... che cosa volete fare? -

-Vado io da lui. -

Uscì sbattendo la pesante porta e si diresse di passo svelto verso l'ala ovest. Non badò a nessuno, camminava spedita verso la sua meta, ben decisa ad attuare il suo piano.

Quando si trovò davanti alla porta delle stanze dell'arcistregone, nemmeno si azzardò a bussare, ed entrò.

Shang Tsung si voltò di scatto, doveva essere appoggiato al comò, davanti allo specchio tondo sopra di esso, che era stato ridotto in frantumi.

Indossava una lunga vestaglia nera di seta, i capelli erano sciolti, e ricadevano lisci e morbidi sulle spalle, lungo la schiena. Doveva essere pronto per coricarsi.

-Regina Sindel... adesso sono dodici, le volte che siamo stati da soli in una stanza da letto. -

Quel commento tagliente non riuscì a camuffare il suo aspetto agli occhi della regina. Era pallido in una maniera quasi spettrale, doveva essere dimagrito, le guance erano scavate, una barba incolta, nera, gli disegnava il mento e la mascella tagliente e gli occhi gonfi e contornati da pesanti occhiaie. Era evidente che non dormisse.

-Cosa ti è successo? - Gli domandò richiudendosi la porta alle spalle e avanzando verso di lui.

-Niente che vi riguardi. - Si voltò dandogli le spalle. -Andatevene adesso, che devo coricarmi per la notte. -

-Shang Tsung... - Gli si avvicinò ancora. -Io non sapevo che fossi nei guai... quella sera... -

Lo sentì ridere, era la prima volta che lo sentiva ridere, ma quella non poteva essere la sua vera risata. Era una risata amara, senza allegria, quasi isterica.

-Quanta premura mia signora. Direi quasi che vi importi di me. -

-A me importa di te! - Lo afferrò per una spalla con l’intenzione di voltarlo, ma lui la anticipò, girandosi di scatto verso di lei.

-Sono stufo delle persone a cui importa di me! - Le urlò di rimando con una foga tale da farla arretrare di un passo.

Vedere un uomo come lui, sempre pacato, attento a non mostrare mai nessuna emozione, perdere il controllo, era una visione davvero scioccante.

Dopo quello scatto di nervi, seguì qualche minuto di silenzio, i suoi occhi sembravano febbrili, tanto erano lucidi e deliranti, si muovevano a destra e sinistra, senza sapere dove posare lo sguardo.

Era un uomo dalla mente a pezzi. Stava impazzendo, la sua psiche si stava logorando e sgretolando lentamente. Si stava alienando dalla realtà.

Si voltò nuovamente, dandole le spalle, forse tentava di nascondersi al suo sguardo, non farle vedere la miseria a cui era stato ridotto.

Se ci avesse ragionato sopra, probabilmente non avrebbe agito in quel modo.

Ma quella, era una visione troppo penosa. Qualsiasi rancore ci potesse essere tra loro, non poteva sopperire alla pena di un uomo distrutto.

Lo abbracciò da dietro, avvolgendogli le braccia in vita, che non si era mai accorta fosse così esile. Gli appoggiò la testa sulla schiena e le parve di avvertire il ghiaccio della sua pelle, anche attraverso la stoffa della vestaglia.

Lo sentì irrigidirsi al suo contatto.

-Cosa state facendo? - Fu un sussurro la sua domanda, era incredulo, ma avvertì anche una nota di timore.

-Perdonami. - Gli rispose stringendolo più forte.

Lo sentì tremare.

Che cosa gli avevano fatto? Come lo avevano ridotto quei maledetti?

D'un tratto si piegò appena in avanti, la sua schiena ebbe dei sussulti. Possibile che stesse piangendo?

O era stata lei a sussultare lasciando le lacrime libere di rigarle il volto.

Un uomo come Shang Tsung ridotto a quello spettro febbricitante. Come erano riusciti a spezzarlo?

-Che cosa ti hanno fatto? - Gli domandò.

-Andatevene. - Rispose con tono fermo, drizzandosi nuovamente sulla schiena.

-Parlami, ti prego. Posso aiutarti. -

Ci fu un lungo minuto di silenzio, poi le afferrò le mani che continuavano a stringerlo e le sciolse con un movimento di repulsione. Per qualche secondo rimasero immobili, poi voltandosi verso di lei, sembrò un uomo diverso.

I suoi occhi erano più pacati e decisi.

-Renderò fede ai nostri patti mia signora. Non preoccupatevi. Saprò riprendermi... -

-Smettila. - Lo interruppe fissandolo negli occhi. -Smettila di mentirmi, ma soprattutto smetti di mentire a te stesso. Se continui così impazzirai! -

Abbassò finalmente gli occhi, forse lo aveva convinto.

-Io posso tirarti fuori dalle Fosse di Carne. Ma posso farlo solo se tu mi aiuti. -

Storse appena la mascella in una smorfia di disappunto e vergogna, alzò lo sguardo portandolo oltre la sua testa, fissando la porta dalla quale era entrata, poi si allontanò qualche passo da lei.

-No, no, no… - Cominciò a ripetere con tono lamentoso, muovendo la testa come se stesse cercando qualcosa. -Non fatemelo fare... - La sua voce tremava, come se contenesse a stento la rabbia, si mosse nervosamente per la stanza. -Sarebbe troppo umiliante... -

-Umiliante? Shang Tsung, per salvare Kitana io sarei disposta a tutto, sopporterei ogni cosa. Farei, ogni cosa. -

Si voltò di scatto fissandola come se fosse un fantasma, uno spettro giunto da chissà dove, come se non fosse nemmeno sicuro che fosse lì con lui. Gli occhi si erano dilatati quasi all’inverosimile, poi la bocca si piegò in un ghigno e scoppiò nuovamente in una risata senza allegria, folle, roca e a tratti stridula.

Non poteva negare che le stesse facendo paura. Dovette lottare contro l’istinto di sopravvivenza per non fuggire di corsa da quella visione.

D’improvviso la risata si arrestò, trasformandosi in una specie di gorgoglio, gli occhi si spostarono da lei fissando un punto indefinito dietro di lei, oltre la sua spalla.

-Forse le mie motivazioni non sono altrettanto nobili? - Domandò rivolto a qualcuno che non era certamente lì con loro, in un sussurro piagnucoloso, come un bambino può chiedere una fetta di torta alla nutrice cercando di intenerirla.

-Ascoltami bene. - Gli si avvicinò mandando giù il magone alla gola. Era difficile, ma lei doveva mantenere un tono di voce pacato e calmo, nella speranza di riuscire così, a calmare anche lui. -Io non cambierò la mia opinione su di te. Non importa cosa ti hanno fatto. -

-Cosa mi hanno fatto... - I suoi occhi di scatto tornarono a puntarsi su di lei. -Cosa mi hanno fatto? - Le chiese in maniera quasi minacciosa. -Cosa hanno fatto, a me? - Ringhiò d’un tratto facendo un passo in avanti con una foga tale da costringerla ad arretrare per mantenere la loro distanza invariata. -Il punto, non è cosa loro mi hanno fatto... ma cosa ho fatto io! -

Quella rivelazione la sconvolse, stava nuovamente peggiorando, le mani gli tremavano, si portò una mano a coprirsi la bocca e la lasciò scivolare verso il mento, sulla barba incolta.

-Sotto il comando dell'Imperatore, il generale… Drahmin... mi sta formando per essere un “degno” arcistregone di corte. - Annuì con convinzione e Sindel non seppe se stava parlando con lei o a se stesso. -Mi ha mostrato per mesi le tecniche di interrogatorio da lui condotte... pensavo servisse a farmi apprendere ma, in realtà, servivano a lui. - Muoveva la testa in assenso, i suoi occhi avevano ripreso a vagare per la stanza, schizzando da una parte all’altra. Stava tremando, era evidente dal movimento convulso delle spalle e delle braccia, che sembravano non trovare un posto dove stare. D’improvviso colpì con la mano la propria spalla, come se avesse visto un insetto e avesse tentato di schiacciarlo.

A Sindel tornarono in mente le parole del generale, fuori dalla sala della guerra.

-A cosa gli servivano? - Chiese con espressione preoccupata, cercando di mantenere il tono più pacato e dolce di cui fosse capace. Un tono materno e comprensivo.

-A scovare le mie debolezze. - Un barlume di sanità nei suoi occhi, finalmente.

Shang Tsung sospirò e si diresse ad un mobile vicino al letto, dal quale ne tirò fuori una bottiglia di chissà quale intruglio e una coppa di vetro soffiato.

-Non gli ci è voluto molto a capire quale fossero i miei limiti. -

Lo vide bere in un solo sorso quello che doveva essere un liquore piuttosto forte, visto che le parole che gli uscirono dopo, erano rauche, come se gli bruciasse la gola.

-Ha continuato per mesi a farmi assistere alle peggiori atrocità, sia su uomini… - Si fermò nuovamente, lei non poteva vederlo in volto, era girato di spalle, ma poté vedere bene il tremolio delle sue spalle, come se fosse scosso da brividi di freddo. -... e in particolare sulle donne. - Concluse alla fine riempiendosi nuovamente il bicchiere.

A giudicare da come continuava a bere, stava cercando in quella bottiglia il coraggio di proseguire. Le venne naturale chiedersi quante volte si doveva essere ubriacato per poter solo dormire. O calmare il tremore del corpo.

Ora capiva il tremolio delle mani e il gonfiore dei suoi occhi.

-Dopo i festeggiamenti per la conquista di Vaeternus, aveva deciso che a condurre gli interrogatori dovessi essere io… - Si voltò nuovamente verso di lei con un sorriso quasi orgoglioso, ma d’improvviso deglutì e quel sorriso gli morì sulle labbra, mentre i suoi occhi prendevano una piega disperata. -Ma non gli bastava che ottenessi le informazioni… - Sembrava sull’orlo di una crisi di pianto, ma d’improvviso occhi e bocca mutarono, divenendo furiosi, colmi di una rabbia primordiale, quasi animalesca, un’espressione che non gli aveva mai visto in volto. E quando parlò, sembrò quasi più il sibilare di un serpente che una voce umana. -... lui voleva che infierissi sulle vittime, che imparassi a non considerarle persone... che tirassi fuori il peggio del peggio... - Si fermò, i suoi occhi erano persi in chissà quale ricordo. Rimase immobile, con gli occhi fissi nel vuoto per diverso tempo, la mano stava stringendo la coppa talmente forte da tremare. Sentì il vetro della coppa fare un leggero crick e capì che si sarebbe presto rotta sotto la pressione della sua presa.

-E poi... che cosa è successo? - Gli domandò con tono calmo e paziente. La sua domanda parve scuoterlo appena.

-Poi... c'è stata quella donna... - Scosse appena la testa, scacciando chissà quale immagine. -Lei... parlò subito, non c'era bisogno di infierire... -

Sembrava che respirasse molto velocemente, non inspirando abbastanza aria, perché stava ansimando. D’un tratto i suoi occhi si puntarono su di lei, ma non sapeva dire se stesse parlando davvero con lei o con qualche fantasma del suo passato.

-Ti somigliava sai? -

Le aveva dato del tu, lui non le dava mai del tu, questo le fece credere che in realtà non stesse parlando davvero con lei, anche se la stava fissando. D’improvviso i muscoli del suo viso si distesero, sembrò cambiare, non lo aveva mai visto con un’espressione tanto gentile e dolce, colma di un affetto sincero, capace di cambiare quei tratti taglienti in qualcosa di buono.

-Non c’era bisogno di infierire. - Ripeté quasi in un lamento.

-Shang Tsung… - Lo chiamò con delicatezza e lui parve riscuotersi, tornò lucido per un attimo e ripeté il discorso finalmente con un senso logico.

-Lei, parlò subito, mi dette tutte le informazioni che volevo, non c’era bisogno di sporcarsi le mani... non c'era bisogno di infierire. -

Notò che la mano che stringeva il bicchiere stava nuovamente tremando. D’istinto si diresse da lui, gli prese la mano fra le sue, districandogli le dita dal bicchiere, con delicatezza, per poi porlo nuovamente sul mobile.

-Ma lui voleva che io… - Sussurrò fissando un punto imprecisato del pavimento. -Voleva che riducessi il suo corpo ad un ammasso di carne... - Terminò infine fissandola.

Adesso lo vide. I suoi occhi divennero lucidi, cercava di trattenere le lacrime ma non ce la fece, e quelle scesero impietose a rigargli gli zigomi fino a perdersi tra i peli della barba.

-Io... non ce l'ho fatta. -

Sindel deglutì a vuoto e istintivamente gli carezzò una guancia, tentando di calmarlo. Quel contatto dovette fargli scattare qualcosa, perché si ritrasse e tolse velocemente la mano da quella di lei fissandola come se gli avesse fatto uno sgarbo imperdonabile, come se solo con quel contatto lei lo avesse violato.

-Non toccatemi! - Ringhiò allontanandosi da lei e cominciando a camminare avanti e indietro per la stanza come una bestia innervosita dal proprio ammaestratore.

-Debole… debole… debole… - Stava ripetendo, poi d’un tratto si fermò, si voltò verso lo specchio in frantumi sopra il comò. Sembrò quasi riconoscere qualcosa in quell’ammasso di vetri spezzati, fece un passo in quella direzione e sferrò un pugno con tutta la forza che aveva in corpo contro lo specchio, facendo volare schegge di vetro ovunque.

Sindel si lasciò sfuggire uno grido di sorpresa e paura, presto soffocato dalle mani, che rapide si portarono alla bocca.

-Faccio paura? - Chiese lui con quel sorriso folle e malato. -È bene incutere paura… - Sembrava tentare di trattenere una risata, la sua gola emetteva singulti striduli. -Ti faccio paura?! - Gridò ad un tratto.

Saltava da un’emozione all’altra in un maniera talmente preoccupante da spaventarla. Sindel tentò inutilmente di trattenere le lacrime. Le faceva troppa pena vederlo ridotto in quel modo.

Gli si avvicinò scuotendo appena la testa, aveva capito che non voleva essere toccato, eppure quando gli prese la mano ferita dai vetri, non fece resistenza. Sindel fissò le nocche rosse di sangue, scosse appena la testa, poi alzò lo sguardo verso il suo viso e con un gesto istintivo gli posò una carezza sulla guancia ispida. Questa volta lui non si ritrasse.

-Smettila… - Gli disse tra le lacrime. -Io non ho paura di te. - Gli sorrise dolcemente, forse proprio come una madre poteva sorridere al proprio figlio e i suoi occhi sembrarono trovare finalmente un po’ di pace. Lo condusse sul bordo del letto tenendolo per mano e lui vi si lasciò cadere a sedere.

-Continua a parlarmi. Cosa è successo? - Domandò sedendosi di fianco a lui.

Shang Tsung chiuse gli occhi, imponendosi un respiro più regolare, anche se continuava ad alzare e abbassare i piedi, in un gesto nervoso che gli faceva tremare le gambe.

-Perché mi sono rifiutato di torturare quella donna… sono stato messo agli arresti... - Disse ad un tratto ritrovando nuovamente la lucidità. -Mi tenevano legato in quella cella... non potevo muovermi... non potevo mangiare, né bere, né dormire. - Tolse repentinamente la mano da quella di lei e la chiuse a pugno, come se stesse per colpire qualcosa, ma fu un gesto rapido, subito sedato dal ritorno della lucidità. -Mi era impossibile capire da quanto tempo fossi rinchiuso; ad un certo punto mi sembravano anni… - Buttò fuori il fiato in uno sbuffo e respirò lentamente, come se tentasse di calmarsi. -Poi mi hanno portato quella donna... - Deglutì a vuoto. -Quello che non avevo avuto il coraggio di farle io... lo avevano fatto altri. - Con l'indice della mano sinistra, cominciò a martoriarsi la pelle intorno all'unghia del pollice, in un tic nervoso. -E poi... l'hanno uccisa davanti a me. - L’indice scavava nella pelle intorno all’unghia con gesti talmente frenetici e nervosi da aprirgli una ferita rosata.

-Ma tu non hai colpe. - Sindel gli toccò la spalla con fare rassicurante. -Non è stata colpa tua. Sono stati quegli animali. -

Si lasciò sfuggire un sorrisetto amaro che si trasformò in una smorfia di divertimento, paura e follia. Aveva la bocca distesa e contratta, con le labbra serrate, il respiro gli usciva a intermittenza dal naso, con le narici appena dilatate, le sopracciglia erano piegate in un’espressione di sofferenza.

-Drahmin mi ha detto che se non fossi stato pronto a fare il necessario, lui mi avrebbe fatto la stessa cosa. - Disse infine con la voce che tremava, esattamente come il suo corpo.

Sindel strabuzzò gli occhi inorridita. Quanto doveva essere malato un uomo per arrivare a fare una cosa del genere?

-Quella donna... era felice di morire... ma io dubito che avrei avuto la sua stessa fortuna dopo. - La ferita intorno al pollice ormai era diventata di un rosso vivo, i suoi occhi fissavano un punto imprecisato e il suo corpo era scosso da tremiti incontrollabili, sembrava avesse freddo, eppure la fronte era lucida di sudore e la vestaglia sembrava aderire al suo corpo come se avesse fatto un allenamento intensivo.

Adesso stava cominciando a capire. D'istinto si allontanò con il busto leggermente da lui.

-E cosa hai fatto? - Gli domandò, pur avendo paura di udire la risposta.

I suoi occhi scattarono verso di lei, fissandola in maniera fin troppo lucida. Tutto sembrò fermarsi, come se fossero sospesi nel tempo, il corpo dell’uomo aveva smesso di tremare, era come irrigidito.

-Del mio peggio. - Disse con tono fermo, sembrando tornare l’uomo che aveva conosciuto, salvo poi lasciarsi andare ad un sospiro e i gli occhi si abbassarono in un tentativo di fuga dai suoi. Sospirò, sembrando esalare la sua stessa anima, come se si fosse afflosciato sotto il peso delle proprie colpe.

Sindel deglutì a vuoto, non gli piaceva ciò che vedeva negli occhi dello stregone, se prima ne aveva avuto pietà, adesso ne aveva paura. Erano occhi così vuoti, quasi folli, in un misto di rabbia, desolazione e nulla.

Cercò di non farsi scoraggiare o spaventare. Allungò la mano, afferrando la sua, interrompendo quel tic nervoso che stava continuando a scavare nella carne del dito. Era gelida.

-Non è stata colpa tua. Non avevi scelta. -

-Abbiamo sempre una scelta. Io ho scelto la vita, piuttosto che la moralità, e l'orgoglio, invece dell'onestà. - Sembrava sofferente, si piegò leggermente in avanti, quasi dondolando, come se avesse dei crampi allo stomaco. -Credevo di salvare la mia dignità... -

Era crudele ciò che gli avevano fatto. Orribile il modo in cui lo avevano spezzato. Shang Tsung era un uomo intelligente, ma freddo, spietato nella sua sete di potere; ma si era posto delle regole. Si era imposto un codice d'onore, forse un rimasuglio della sua terra natia, o delle sue esperienze passate, ma quel codice era forse l'unica cosa di umano che albergava in lui. E Drahmin glie lo aveva tolto. Forse quel codice era l'unica cosa che lo tenesse ancorato al suo passato, l'averlo violato lo aveva portato a distaccarsi completamente dall'uomo che era stato un tempo, e il nuovo Shang Tsung, sarebbe stato modellato sulle esigenze di Shao Kahn. Un uomo privo completamente di ogni tipo di scrupoli, senza anima e la benché minima possibilità di redenzione. Un uomo a cui non sarebbe rimasto niente, se non la morte e la sua ambizione. L'unica cosa che era in grado di tenerlo in piedi.

-Ascoltami bene... - La mano grande dello stregone, sparì tra le sue, più piccole, eppure più sicure e calde. -In guerra, non è importante vincere o perdere, vivere o morire. Ma è il modo in cui conduciamo la battaglia che ci decreta vincitori. L'importante è conservare il proprio cuore. - Gli sorrise, cercando di rassicurarlo, proprio come una madre fa con il proprio figlio. -A me non importa cosa ti hanno costretto a fare... - Portò la sua mano destra a toccargli il petto, sentendolo battere lentamente sotto il suo tocco. -Io non cambierò la mia opinione su di te. - I loro sguardi si incatenarono, lo sentì sbuffare appena in un mezzo sorriso, come faceva sempre quando qualcosa lo stupiva, o chissà se non gli ricordasse qualcosa che gli era già stato detto nel suo passato. -Tu puoi essere più forte di loro. -

Si voltò nuovamente di scatto verso di lei, lo sbuffo di prima si trasformò in una risata isterica senza allegria, tanto da non riuscire a capire se stesse ridendo o piangendo.

Stava nuovamente peggiorando e in quel momento Sindel agì d’istinto, forse un istinto materno non giustificato, che la portò ad accarezzargli prima una spalla, poi la testa. In un primo momento ebbe l’impulso di abbracciarlo nuovamente, ma si trattenne. C’era qualcosa di terribilmente sbagliato in tutto quello.

La risata cessò quasi di scatto. Socchiuse gli occhi e sembrò concentrarsi su qualcosa nel pavimento. Finalmente aveva cambiato espressione, sembrava essersi calmato, si voltò verso di lei, la guardava in una maniera talmente intensa che la fece arrossire. Si accorse solo in quel momento che la mano che prima sembrava fredda come il marmo, adesso lasciava trasparire un po' di calore, e aveva ricambiato lievemente la sua stretta.

Chissà se era riuscita a ridargli un po' dell'amor proprio perduto?

Non riuscendo a sostenere il suo sguardo quasi adorante, abbassò gli occhi sulla sua bocca, sottile, semicoperta dalla barba nera. La mano che prima gli aveva carezzato la testa si arrestò, scivolando fra i suoi capelli neri.

Nemmeno si accorse per quanto tempo era rimasta a fissarlo, e non avrebbe nemmeno saputo dire se fosse stato lui ad avvicinarsi, o lei. L'unica cosa che sapeva era che non andava bene. Le sembrava di essere una madre con un figlio, o una donna con un bambino, ma quello non era un bambino e men che meno suo figlio. Quello era un uomo che in passato le aveva suscitato ben altri sentimenti, o istinti.

Tutte quelle sensazioni erano disgustose. Per un attimo sentì che anche solo quei gesti innocenti con cui lo aveva toccato, altro non erano che un abuso fisico.

Con la mano sul suo petto, sentiva il battito del cuore, regolare e lento, quasi ipnotico, e d'istinto, come se d'un tratto il suo corpo bruciasse, ritirò entrambe le mani, portandosele in grembo e drizzandosi sulla schiena per annullare la vicinanza che si era venuta a creare.

Provò un forte senso di disagio e imbarazzo.

Sindel era ancora innamorata di Jerrod, dopo di lui era sicura che non ci sarebbe mai più stato alcun uomo. Sapeva che mai sarebbe riuscita ad amare qualcun altro, come aveva amato suo marito. Però lei era una donna, ed era ancora viva, e giovane, ed era normale che a volte, in momenti di debolezza o tristezza, si ritrovasse a fantasticare su un altro uomo, salvo poi vergognarsene subito dopo. Quello però non era stato come quei fugaci pensieri che ogni tanto le attraversavano la mente. Era stata una situazione strana, quasi malata.

-Cosa sai di Drahmin, che possiamo usare contro di lui? -

Lo stregone scosse appena la testa, riacquistando compostezza e lucidità.

-L'Imperatore ha piena fiducia in lui... non saprei proprio... - Si interruppe corrugando la fronte e guardandola con una strana espressione, come se gli fosse venuto in mente qualcosa per cui si stesse dando dello stupido, per non averci pensato prima. -La missione ad Edenia... - Disse ad un tratto.

Quando la guardò, i suoi occhi brillarono di una luce vendicativa e furba.

-Avevate ragione mia signora... voi potete aiutarmi. -

Era tornato quello di prima.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Vendetta ***


Quella era forse la prima volta nella sua vita, che Drahmin rimaneva senza parole. La guardia davanti a lui era immobile, stava cominciando a sentirsi a disagio, e in fin dei conti era capibile, visto e considerato che invece del consueto permesso di andarsene, aveva ricevuto solo un'espressione infastidita e vagamente sconcertata.

-Signore... - Si azzardò, non riuscendo a sostenere ancora l'espressione del generale.

-Si... puoi andare. - Lo liquidò velocemente avviandosi a sua volta lungo il corridoio.

Shao Kahn lo aveva fatto chiamare, ma perché? Non c'erano novità che spiegassero la sua presenza al cospetto dell'Imperatore, ma la cosa che lo insospettiva, era il fatto che lo avesse fatto chiamare, guarda caso, proprio dopo che Shang Tsung si era detto indisposto.

Sapeva che il suo allievo era solito cercare il coraggio di ciò che andava fatto in una bottiglia di distillato, e anche se durante gli interrogatori riusciva ad ingannare le sue vittime, a lui non glie la faceva. Troppe volte lo aveva visto cercare di bloccare il tremore alle mani, o mentire sul gonfiore dei suoi occhi o sulle labbra esangui. Era palese che non dormisse, vomitasse e piangesse spesso. Aveva i nervi a pezzi, e probabilmente il suo malore mentale si rispecchiava in malori fisici. Non gli era sfuggito nemmeno il fatto che fosse dimagrito in maniera preoccupante, chissà da quanto era che non faceva un pasto decente? Per cercare di distrarlo gli aveva fatto mandare anche delle serve, tra le più esperte nell'arte erotica, ma le aveva rifiutate.

Doveva ancora entrare nell'ottica... capire. Era difficile, lo comprendeva, forse anche brutale, ma era l'unico modo per sopravvivere.

Per questo, quando si era detto indisposto, aveva preferito lasciar perdere, concedergli un giorno di riposo, con la speranza che la solitudine e l'inoperosità, lo mettessero nella giusta direzione da percorrere.

Ma ora... questa convocazione a sorpresa da parte di Shao Kahn lo faceva vedere sotto un'altra ottica.

E se ci fosse di mezzo lui?

No, impossibile, perché mai avrebbe dovuto tradirlo? E poi godeva della piena fiducia dell'Imperatore.

Camminava così, con la mente affollata da congetture e dubbi, che sempre più prepotenti si facevano largo tra i suoi pensieri. Svoltò uno dei corridoi che portavano alla sala del trono, e per poco non investì un ragazzino che doveva essere entrato da poco nell’età adulta.

Lo riconobbe quasi immediatamente, non era facile dimenticarsi del suo aspetto singolare, e anche della sua performance nell’Arena.

Era quel ragazzino che aveva vinto il torneo e che adesso era entrato nella legione personale di Reiko.

Quello bofonchiò delle scuse, e si strinse l'apertura della casacca sul petto, un'azione inutile per un occhio attento come quello di Drahmin.

Stava nascondendo una pergamena.

Lì per lì decise di non dire niente, non sapeva bene cosa fosse quell'inquietudine che lo tormentava, era come un tarlo che rosicchiava le meningi, forse avere una merce di scambio, o un'informazione da poter usare sarebbe potuto essere utile.

Quando giunse di fronte alla pesante porta in ferro e legno, ornata con intagli e pietre preziose, si stupì di essere impaziente.

Spinse la pesante anta e fece il suo ingresso.

Shao Kahn era seduto sul suo trono. Quello al suo fianco, che doveva appartenere alla sua regina, era vuoto, ma quello che preoccupò più di ogni altra cosa il generale fu la presenza di due guardie Centauro e tre Tarkatan, una presenza poco consolante.

-Mi avete mandato a chiamare, mio signore? - Domandò, con un inchino rispettoso.

Shao Kahn lo guardava impassibile, ma il suo tono di voce tradiva una certa rabbia.

-Gravi accuse sono state mosse nei tuoi confronti. -

Drahmin alzò la testa di scatto. Chi poteva essere stato quell'infido bastardo che...

I suoi occhi incontrarono una figura, seminascosta dall'oscurità della stanza, nell'angolo dietro al trono.

Shang Tsung.

D'improvviso tutto gli fu chiaro. Si drizzò sulla schiena, i suoi ultimi istanti in vita, non voleva passarli inginocchiato.

-Parlate di Edenia? - Domandò, pur sapendo la risposta.

-Mi è stato riferito ciò che hai fatto alla Veggente. E le sue premonizioni sul futuro. -

-Ciò che ho fatto, mio Imperatore, l'ho fatto per la gloria e la potenza dell'Outworld. -

-Taci stolto! - Shao Kahn si alzò di scatto dal trono, i muscoli delle spalle erano in tensione, era furioso. -Sai contro chi hai usato violenza? La Veggente di Edenia era una prediletta dagli Dei Anziani! -

Certo che lo sapeva, ma se nessun Dio, anziano o giovane che fosse, era intervenuto a salvarla da ciò che le aveva fatto prima di ammazzarla, voleva dire che non era poi così prediletta. Ma non era il momento di esternare certe perplessità.

-Non voleva collaborare. -

Shao Kahn arricciò appena il labbro superiore, mostrando i denti appuntiti in una specie di ringhio.

-Le tue azioni si riflettono su di me! Sai quali potenze hai scatenato, contro di noi? -

-Esseri talmente potenti da non riuscire a difendere la propria pupilla dalla violenza di un mortale... non mi sembrano così temibili. -

Forse aveva esagerato, ma come poteva, un essere come Shao Kahn, temere entità mai viste, lasciarsi soggiogare da mere superstizioni.

Eppure Shao Kahn lo guardava sconvolto, come se non si aspettasse una risposta come quella. Chissà se stava rivalutando la sua sottomissioni ad esseri tanto evanescenti?

-Tu non hai idea delle trame che gli Dei hanno in serbo. Non conosci il loro potere. -

Ripensandoci bene, Shao Kahn non era solo arrabbiato, ma anche spaventato. Che impressione vedere un uomo con la sua forza e il suo potere, spaventato. E che pena.

Possibile che avesse dei debiti con quegli esseri? Forse derivava da loro la sua incredibile forza? O il suo potere?

Era un'opzione che non aveva mai considerato. Aveva sempre creduto che si fosse guadagnato la propria posizione e le conquiste, con la sola forza del suo braccio.

Ed aveva sbagliato. Che pena.

Ma il suo tono cambiò, adesso quel velo di paura era scomparso, al suo posto c'era un tono rassegnato, quasi sconvolto, lo guardava come se fosse un estraneo, come se nemmeno lo riconoscesse.

-Sei uno sfregiatore di Dei! Un folle! - Fece una lunga pausa, forse cercava di calmarsi. Si risedette sul trono. -Sei sollevato dalla pena di morte, previo detenzione nel Netherrealm, come punizione esemplare per i tuoi crimini di guerra. -

Non disse niente, c'era ben poco da dire, e niente da fare. Non era arrabbiato, o sconvolto o spaventato, ma era solo tanto amareggiato.

Si era sempre considerato un po' il guarda spalle dell'Imperatore, i suoi occhi e le sue orecchie erano pronti a cogliere ogni sentore di cospirazione o pericolo. Se avesse saputo con che razza di pusillanime ingrato aveva a che fare, probabilmente avrebbe cercato qualcuno all'altezza dei suoi servigi. Peccato che avesse scoperto la verità sul suo conto così tardi.

L'imperatore dell'Outworld, il temuto Shao Kahn non era che un codardo, superstizioso, timorato degli Dei.

Gli scappò da ridere, una reazione che probabilmente nessuno si aspettava. Le guardie rimasero di sasso, e Shao Kahn... pensava che non si fosse accorto dell'irrigidirsi dei muscoli sul suo collo? Era irritato.

-Vi preoccupate degli Dei, Imperatore? - Voleva che quel titolo risultasse ironico, ma forse non così tanto. -Invece di temere chi vi ha dato il potere, forse fareste meglio a temere chi vuole portarvelo via. -

Le guardie gli legarono le mani insieme, ma non smetteva di fissare Shao Kahn con un sorriso di sfida.

-Di chi stai parlando? -

-Avete fatto la vostra scelta imperatore. Pregate i vostri Dei, perché sia quella giusta. - Forse non era proprio la reazione più educata, eppure gli venne così naturale ridere, mentre le guardie lo portavano via.

Era difficile capire cosa fosse più folle, il fatto che trovasse divertente l'essere stato condannato ad una punizione peggiore della morte, eppure così simile, o l'espressione così sconvolta di chi lo circondava.

Chissà se Shao Kahn gli avrebbe mandato Shang Tsung ad interrogarlo.

Quella si che sarebbe stata una bella sfida per quel moretto.

Il solo pensiero non faceva che farlo ridere ancora di più.

E la sua risata risuonò tetra tra i corridoi del castello, giungendo a molte orecchie in ascolto, riecheggiando come una minaccia, o un monito, per i tempi a venire. Come delle unghie sulla lavagna, anche quella risata generò un lungo brivido a coloro che ebbero la sfortuna di udirla.

 

Quando Shang Tsung uscì dalla sala del trono, si concesse qualche attimo per lasciare che la tensione scivolasse via dai muscoli del collo e delle spalle.

Chissà se Drahmin lo aveva visto?

D'un tratto quella risata così malata gli tornò alla mente, sentì lo stomaco chiudersi, e le mani gli tremavano.

Era come quando si preparava a combattere, da ragazzo, quando sentiva l'adrenalina fargli accelerare i battiti del cuore e tremare le mani, lo portava ad uno stato mentale tale, che tutto ciò che aveva intorno spariva e rimaneva solo con il suo avversario. Per molto, quelle sensazioni, nella stoltezza della giovinezza, erano state come una droga e spesso lo avevano portato a fare azioni sconsiderate.

Da tempo aveva imparato a gestire l'adrenalina che serpeggiava tra i nervi e i muscoli, quando si avvicinava l'ora della battaglia. Aveva scoperto che l'impassibilità, la lucidità mentale, che ti permette non solo di concentrarti sul tuo avversario, ma anche sull'ambiente e le energie che ti circondano, era un'arma assai più potente e letale della foga e la bramosia del combattimento.

Eppure a distanza di decine di anni e centinaia di battaglie, tornò a sentire l'adrenalina scorrergli prepotentemente in circolo.

Quella risata non era stata partorita da una mente sana. Che fosse bastato così poco a far crollare psicologicamente un uomo come Drahmin?

No. Impossibile.

O stava premeditando qualcosa, o sapeva qualcosa.

L'Imperatore gli aveva ordinato di interrogarlo, di scoprire di chi stesse parlando, ma era molto plausibile, che stesse parlando di lui. Forse Drahmin pensava, o sapeva che avrebbe tradito anche Shao Kahn.

Probabilmente era proprio per quello, che sentiva nuovamente l'adrenalina scorrergli sotto pelle.

L'idea di una guerra psicologica con Drahmin lo allettava. Ma adesso avrebbe avuto lui il coltello dalla parte del manico.

Alzando lo sguardo, incontrò il suo riflesso in uno specchio a parete, che gli restituì un ghigno demoniaco. Completamente in contrasto con la sensazione paradisiaca di avere il proprio carnefice tra le mani.

Non vedeva l'ora di fargli vedere quanto bene avesse appreso le sue lezioni. Glie le avrebbe fatte scontate tutte in una volta.

Si avviò verso le segrete, con passo deciso, pregustando il sapore dolciastro della vendetta.

Cominciò a scendere le scale. Ogni gradino che scendeva, contava le schifezze che era stato costretto a vedere o fare.

Era come se non fosse solo il suo corpo a scendere nelle tenebre dei sotterranei, ma anche la sua anima si immergeva in profondità oscure, da cui non sarebbe mai più riuscito a riemergere.

Il sinistro cigolio della pesante porta in ferro e legno gli parve un tetro benvenuto. Troppe volte aveva udito quel cigolio come una beffa alla sua condanna, ma adesso oltrepassava quella porta da carnefice.

Percorse il lungo corridoio, lentamente; voleva che Drahmin sentisse i suoi passi, e quando arrivò all'ultima cella si fermò ad osservare il generale all'interno.

Le mani erano legate tra loro da pesanti bracciali in ferro, a loro volta legati alla parete da una pesante catena.

Drahmin era seduto a terra, ma quando lo vide, si alzò in piedi, riserbandogli un sorriso che si sarebbe potuto definire quasi paterno.

-Speravo che mandassero te. -

Sperava forse che ne avesse pietà? Era veramente così cieco?

-L'Imperatore vuole sapere cosa sai. Se sei a conoscenza di piani contro di lui. -

L'altro rise. -Andiamo... puoi fare meglio di così. -

Gli riservò un'espressione boriosa. -Senza dubbio. - Si avvicinò alle sbarre lentamente. -Me lo hai insegnato te. -

Vide la follia brillare nei suoi occhi, mentre si sporgeva verso di lui e la catena tintinnava ad ogni movimento.

-Allora fai del tuo peggio. - Gli ringhiò con il volto vicino alle sbarre.

Non aveva mai visto una persona tanto ansiosa di essere torturata. Eppure sapeva i metodi che gli aveva insegnato quali fossero. Come poteva essere impaziente di subire certe mostruosità? Era davvero così ingenuo che sarebbe stato lui a farlo? Avrebbe mandato a chiamare i Tarkatan, o forse i Centauri per un lavoretto del genere.

No... c'era qualcos'altro sotto.

Non riusciva a cogliere tutti quei particolari come faceva lui, e non riusciva a capire se stesse bluffando oppure no.

Forse credeva che facendosi prendere dal sentimento di vendetta, avrebbe calcato di più la mano uccidendolo, così da non lasciarlo andare in quel posto, quel Netherrealm? Oppure quello era il suo ultimo tocco, a quello che aveva definito il suo piccolo capolavoro?

Ghignò in maniera divertita.

-No. - E scandì la parola, così che gli entrasse bene in quel cervello malato. Adesso lo poteva fare. Poteva negarsi, e non gli avrebbe data quell'ultima soddisfazione.

Drahmin pareva sorpreso, ma anche vagamente dispiaciuto, come se lo avesse deluso. Pensava che lo avrebbe ucciso con la scusa della tortura per evitargli una fine che sicuramente giudicava peggiore? Si sbagliava di grosso, e se temeva così tanto quel posto, allora era proprio la punizione adatta. Capiva anche perché Shao Kahn si era controllato e non gli aveva fracassato la testa con il suo martello da guerra, come aveva minacciato di fare a lui, la prima volta che lo avevano portato al suo cospetto, o come lo aveva visto fare decine di volte ai condannati a morte.

-Mi deludi ragazzo mio. -

-Non chiamarmi in quel modo. - Ecco l'ennesimo schiaffo morale. -Non sono un ragazzo, e tanto meno il "tuo". -

Drahmin fece un sorriso amaro. -Sei arrabbiato con me? Bhè... lo capisco. - Si appoggiò con una spalla alle sbarre, la catena era giunta alla sua massima estensione e così lo costrinse ad una posa quasi di profilo. -Ma il lavoro di un genitore è anche questo non trovi? Farsi odiare, pur di inculcare i giusti insegnamenti. -

Ma a che livelli di follia era scivolata la sua psiche? Che razza di castelli si era costruito nella sua mente malata?

-Sei proprio crollato. - Sbottò con un sorriso beffardo. -Blateri di cose senza senso. Non sei mio padre. Per me non sei nessuno. -

Non ebbe la reazione sperata, perché non vide amarezza nel suo sguardo, né rabbia, possibile che lo guardasse con affetto?

-Adesso dici così, perché sei arrabbiato. Ma con il tempo capirai. Credevi che io mi divertissi a fare, o farti fare certe cose? - Alzò il mento come se volesse indicarlo. -Se vuoi sopravvivere alla corte di Shao Kahn, devi essere pronto a fare quanto è necessario. Ecco quello che ti ho insegnato. -

-Tu non mi hai insegnato, mi hai costretto, ad essere una bestia. - Questa volta non era riuscito a controllarsi e quell'ultima parola gli uscì con un ringhio.

-Perché chi credi che calpesti questo suolo? Credi che i buoni sentimenti, i principi etici e filosofici, o l'onore... ti portino da qualche parte? - Sembrava davvero un padre che parlava al figlio, aveva lo stesso tono di voce spazientito di chi non comprende l'ostinazione di un ragazzo indisciplinato e arrogante, a voler continuare in una condotta errata. -La violenza, la crudeltà, il controllo e il potere, ti rendono forte. Tutto il resto è zavorra, debolezza. -

Era una logica cinica e barbara, anche se doveva ammettere che non aveva tutti i torti. In poche parole aveva descritto perfettamente l’Outworld, quel mondo alieno in cui viveva da quasi un anno, e che lentamente gli stava facendo dimenticare cosa volesse dire essere umani.

Questa sua riflessione doveva essere stata colta, perché riprese a parlare.

-Lascia che ti dia un ultimo consiglio ragazzo... - Continuava imperterrito ad affibbiargli quel vezzeggiativo che gli dava veramente sui nervi. -... lasciala perdere quella donna. -

I secondi di silenzio che seguirono furono brevi, eppure interminabili. Di che donna stava parlando?

-La regina Sindel ti rende debole. -

Questa volta fu il suo turno di beffarsi di lui. -Non sai di cosa stai parlando. Io la regina, ce l'ho in pugno. -

Fece una finta, odiosa, espressione di sorpresa. -Oh, si certo. Continua a raccontarti questa favolina, se la cosa ti fa piacere. -

-Già... assomiglia tanto alla favolina che ti racconti tu. Sai quella dove ti ripeti all'infinito che non sei un pazzo? - Si portò una mano al petto, rifilandogli un'espressione esageratamente ironica. -Anche se la mia preferita, rimane quella della necessità, che suona molto come perversità, e si abbina perfettamente a sadismo; un termine, che se non ricordo male, non approvi per niente. -

Non colse nemmeno quella provocazione, o comunque fu bravo a ricacciare indietro la frustrazione di non poterlo prendere a pugni.

Un balsamo per il suo orgoglio, poterlo sfottere così apertamente e vederlo così impotente.

-Io non sono un sadico... -

Quanto non sopportava quell'appellativo, essere accostato a quella perversione lo faceva veramente uscire dai ranghi, tanto da riuscire a fargli tremare la voce dalla rabbia. Così decise che rispondergli con una semplice alzata di sopracciglia fosse la reazione che lo avrebbe fatto infuriare di più.

Non pensava che anche lui avesse imparato a conoscerlo in quei mesi di forzata convivenza? Al di là delle sue parole, non doveva avere una grande considerazione delle sue doti. Forse il suo primo, grosso, errore.

-Io lo vedo come guardi quella donna, e vedo come lei guarda te. Vuoi forse farmi credere che non ti sei mai accostato alla sua persona, per il semplice piacere di sentirne l'odore? O per bearti di quel calore tiepido che emana un corpo a distanza? -

-Io so stare al mio posto. -

-Non ne dubito. Ma quante volte, la notte, prima di addormentarti, nella solitudine della tua stanza, ti sei immaginato di possederla? - Gli rivolse un sorriso inquietante. -A me puoi dirlo... hai mai pensato a lei durante gli interrogatori? -

Maledetto bastardo. Nonostante fosse legato e impotente, riusciva ancora a tenergli testa. Riusciva a metterlo in difficoltà, farlo vergognare anche solo con le insinuazioni che la sua mente malata riusciva a concepire. Riusciva a mescolare un’intuizione geniale, con allusioni talmente depravate, da far ribrezzo al solo pensiero.

Il suo silenzio, e probabilmente il suo sguardo contrito, gli dettero la baldanza di andare avanti. -Lo so che cosa vuoi sapere da me adesso, se abbia notato la stessa lussuria che alberga nel suo sguardo quando ti guarda. - Lo stava guardando come una fiera che si sta preparando a saltare addosso alla sua preda. -Per quanto tempo riuscirai a tenere a bada i tuoi istinti? O i suoi? -

Dovette sforzarsi per riuscire a rispondere, nella speranza di farlo smettere di parlare.

-Credi che non abbia mai avuto una donna? O che non possa averla? Non sono una bestia, non mi faccio governare da certi istinti. -

-Ma lei non è solo una donna non è vero? Lei è una promessa. Una dolce speranza, che ti induce a pensare che un uomo come te possa ancora avere una vita normale. Come avevi avuto un tempo magari? O come non hai potuto avere? Un sogno stroncato sul nascere, forse. - Mai come in quel momento aveva notato quanto fosse, non inquietante, ma disturbante il sorriso di Drahmin. Con quegli occhi che erano un connubio perfetto tra pazzia e freddezza, e quella voce che era sempre calma ma a tratti raggiungeva delle intonazioni minacciose, capace di far gelare il sangue nelle vene di qualsiasi uomo. -Sono convinto che ne hai fatte di cose deplorevoli nella tua breve vita, per fuggire dalla propria terra natia e vagare in lande terribili alla ricerca di chissà quale potere. E tu ancora hai il coraggio di incolpare me per l'uomo che sei? -

Proprio mentre gli veniva posta quella domanda, lui stesso era arrivato alla conclusione che Drahmin, era senza ombra di dubbio un uomo da ammirare per le sue incredibili capacità deduttive.

-Io forse ti ho tirato fuori il peggio, ma quello che sei, non è colpa mia... -

Deglutì a vuoto, distogliendo per la prima volta lo sguardo dal prigioniero. Quanta confusione aveva in testa. Aveva ragione? Aveva torto?

Non riusciva a decidersi. Aveva fiducia nelle sue capacità deduttive, ma non voleva ascoltarlo. Non voleva ancora prendere coscienza di quella parte di se, fino ad allora nascosta, e a volte esitante, ma sempre presente, sempre pronta a prendere decisioni scomode per poter sopravvivere. Da quando era giunto nell'Outworld, quella parte di se, che sapeva cibarsi solo di disgrazie, dolore, e paura, era cresciuta a dismisura, come un gigante antropomorfo, si stava cibando a poco a poco della sua umanità. Sapeva che presto, dell'uomo che un tempo aveva vissuto sulla Terra, non ci sarebbe stato più niente.

-Quel giorno... ti dissi che vedevo davanti a me due uomini. L'uomo che eri, e l'uomo che saresti potuto diventare. Io ti ho mostrato la via. Ora sta a te decidere che strada percorrere. -

Magari fosse ancora ad un bivio. Purtroppo quella scelta l'aveva già presa molto tempo fa. Aveva ragione, ne aveva fatte di cose terribili nella sua vita. Forse troppe per tornare indietro, o anche solo per dare un'ultima occhiata a ciò che si era lasciato alle spalle.

Sorrise, e forse quella fu la prima volta che vide lo sguardo di Drahmin sorpreso, chissà cosa avesse notato che lo aveva così stupito.

-E io ti ringrazio. - Si portò il braccio sinistro dietro la schiena, per assumere la giusta postura che gli era stata insegnata. -E ti sono anche grato per i tuoi insegnamenti. E in tutta libertà e coscienza... - Si strinse nelle spalle. -Credo proprio che non muoverò nemmeno un dito per alleviarti nemmeno un minimo le sofferenze che ti aspettano. - Lo vide sgranare gli occhi. -Anzi credo proprio che ti augurerò un buon soggiorno nel Netherrealm. -

Si avviò per andarsene, ostentando una risatina divertita.

-Stai attento stregone... perché anche se un uomo viene mandato a morire, ha molti modi per ritornare a vendicarsi. -

 

Quel giorno non gli dette peso, in fin dei conti chi mai avrebbe potuto immaginare che quella semplice frase, racchiudesse in se anche il suo destino?


 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Nitara ***


Solo la capitale dell'Outworld, contava da sola un terzo della popolazione dell'intero reame, e solo nella capitale le varie razze convivevano più o meno pacificamente tra loro, anche se suddivisi in ghetti. Al di fuori delle pesanti mura c'era un arido deserto che separava il centro della politica e del commercio dalle altre città, poco più di borghi che contavano un migliaio di persone e spesso erano suddivisi per razza. Poi c'erano le tribù nomadi, e quelli che venivano chiamati i beduini, ovvero delle popolazioni di pirati che aggredivano le carovane dirette alla capitale per il giorno del mercato. Anche se raramente sopravviveva qualcuno ai loro attacchi, c'erano voci piuttosto concrete che i beduini non fossero altro che dei Tarkatan, al soldo di qualche Naknada interessato solo a mettere le mani su qualche merce da rivendere al miglior offerente al mercato nero, o anche solo alle famiglie delle vittime. Infatti i Naknada si facevano passare per dei cacciatori di tesori, quando solitamente non erano altro che semplici e volgari usurpatori. Dall'indole avara e meschina, gestivano il giro del mercato nero, ovvero vendevano le merci che volevano, ai prezzi che decidevano, senza sottostare alle leggi di regolazione dei costi dell’impero. Erano immischiati nel giro delle scommesse e dello strozzinaggio. C'era una specie di regola non scritta, in cui se avevi bisogno di qualcosa di illegale, dovevi andare a cercare un Naknada.

Nei bassifondi della capitale, sconosciuto ai più che non bazzicavano la malavita di quel posto, si trovava un negozio clandestino, gestito proprio da un Naknada che si chiamava Tork, ma tutti lo conoscevano e lo chiamavano con il nome di Kollector, un nomignolo che si era guadagnato a causa della sua mania di collezionare ogni cosa, dalla più comune alla più rara. Se cercavi qualcosa di sottobanco, Kollector ce l'aveva.

Non era stato facile trovare quel posto, e Nitara doveva ammettere che se non fosse stato per Bo'Rai Cho, probabilmente non ne sarebbe mai venuta nemmeno a conoscenza.

Si voltò verso il ragazzo che l'affiancava, ripetendo per l'ennesima volta la solita frase.

-Non sei obbligato a venire. -

Bo'Rai Cho sorrise con uno sbuffo. -Lo so. Ma volevo accompagnarti. -

C'era qualcosa in lui che la faceva sentire di buon'umore. Anche la sua camminata le risultava simpatica. Teneva le spalle ferme, si muovevano solo le braccia, che ciondolavano pigramente lungo i fianchi e mentre avanzava, sembrava dondolare da una gamba all'altra.

Ma tutto di quel ragazzo era strano. Era un'accozzaglia di difetti che però lo rendevano incredibilmente piacevole.

Aveva un viso che molti avrebbero definito rotondo, ma in realtà, aveva una mascella squadrata, dal mento leggermente allungato, aveva la punta del naso rotonda, che somigliava ad un tubero, ma il setto nasale presentava le irregolarità tipiche di chi se lo era rotto diverse volte. Le sopracciglia erano leggermente arcate, e contornavano la palpebra superiore. Gli occhi erano l'elemento più contrastante del suo volto. Aveva occhi leggermente allungati, profondi, del colore della corteccia degli alberi. Occhi che sapevano leggerti dentro, che sapevano far tremare il cuore, così determinati, eppure così tristi. Non era facile sorpassare quel sorriso raggiante e soffermarsi sui suoi occhi, eppure se uno ci riusciva, poteva scorgervi una grande tristezza all'interno, al di fuori di quella facciata gioiosa che era solito sfoggiare. A volte Nitara si chiedeva se il ragazzo che quella fatidica notte le rivolse parole tanto tetre, poteva essere lo stesso che adesso gli camminava a fianco.

Che razza di vita doveva aver avuto se già alla sua età anelava la morte? Ma poi quanti anni aveva realmente? Sembrava un ragazzo, ma invece era evidente che fosse un uomo.

Chissà a quante guerre aveva già partecipato, e quanti uomini aveva ucciso. Chissà di quanti suoi connazionali aveva le mani sporche di sangue?

Con un rapido movimento della testa scacciò quei pensieri.

Bo'Rai Cho, era un bravo ragazzo, anzi, era una brava persona.

In fin dei conti, come scordarsi il motivo per cui aveva accettato di aiutarla? Lui stava solo cercando di morire, a parer suo, in modo onorevole.

Forse aveva sbagliato a coinvolgerlo. La missione al castello era pericolosa, e lei si stava solo servendo delle sue debolezze.

Abbassò la testa, cercando di scacciare quei pensieri, ricordarsi perché stava facendo tutto quello. Si concentrò nel ciottolato dei viottoli, via via che si allontanavano dal centro e scendevano ai margini della città, le strade si facevano più dissestate e le costruzioni più fitte e miserabili. Dalla pietra intonacata del centro, erano passati alla pietra grezza, o addirittura baracche di legno. Molte erano le persone dimenticate agli angoli delle strade a chiedere le elemosina, o anche solo ferme immobili, in attesa della morte. Molti erano gli animali randagi sporchi che si aggiravano in cerca di cibo, pieni di malattie e parassiti.

Bo' Rai Cho si fermò all'entrata di un vicolo, dove l'odore di cibo si mescolava all'olezzo delle fogne aperte.

La sua attenzione venne catturata dalle luci di una locanda poco più avanti, da dove uscivano urla e musica, mescolandosi al chiacchiericcio della gente che camminava, e al latrato dei cani che chiedevano qualcosa da mangiare.

Il sole era appena calato, ma il cielo era ancora illuminato da varie tonalità di blu, fino a raggiungere il viola, che si mescolava al giallo dell'orizzonte, stendendo sulla città una luce color malva, che si mescolava alla fiamma delle torce appena accese.

Le dette una strana sensazione di nostalgia.

-Dobbiamo andare di qua. -

Bo' Rai Cho le fece cenno di entrare nel vicolo maleodorante, e Nitara non poté fare a meno di osservare con desiderio la locanda; non sarebbe stato sicuramente più bello lasciar perdere ogni cosa, e andarsi a fare qualche bicchiere insieme? Lasciarsi tutto alle spalle, magari ricominciare, anziché entrare in quel vicolo maleodorante e imbarcarsi in una missione che sarebbe finita solo con la loro morte.

Ma non era quello che entrambi cercavano?

Si nascondeva dietro belle parole e nobili ideali, ma alla fine era identica a Bo' Rai Cho, anelava la morte per non dover vivere in un mondo di dolore.

Lo seguì lungo il vicolo, senza riuscire a nascondere il disagio che le provocava quella puzza indicibile, che le penetrava nelle narici e la colpiva direttamente allo stomaco.

-Questo odore è insopportabile. - Si lamentò tappandosi il naso con le dita.

Bo’Rai Cho sorrise fermandosi davanti ad una porta in legno, semi illuminata da una lanterna a sinistra, che doveva avere l’ingrato compito di rendere leggibile la scritta sul cartello malridotto.

-Siamo arrivati. - Decretò bussando alla piccola porta.

Nitara cercò di leggere quanto c'era scritto, ma era pressoché impossibile, l'umidità e il tempo avevano marcito e annerito il legno, tanto che ormai, della scritta originale si poteva solo leggere qualche parola.

Una voce rauca proveniente dall'interno li invitò ad entrare.

Varcando la soglia di quel negozio, Nitara ebbe la sensazione di aver attraversato un portale.

Vedendolo da fuori, il negozio sembrava molto più piccolo, l'interno era stracolmo di ogni tipo di cosa, oggetti provenienti da ogni parte dell'Outworld, c'erano addirittura parti anatomiche conservate in barattoli di formaldeide, e poi mobili, gioielli, amuleti, vestiti, spade, armi di ogni genere.

Non aveva mai visto un Naknada, e doveva ammettere che fossero piuttosto inquietanti, anche se forse bizzarri era l'aggettivo più adeguato.

Il gestore del negozio era pelato, aveva gli occhi gialli, un piccolo naso adunco e una piccola bocca piena di denti acuminati, il suo colore della pelle era di un grigio tendente al blu, era molto secco, e quella pelle sembrava talmente sottile da far trasparire i muscoli delle braccia. Aveva sei braccia, quattro lungo i fianchi e due erano incrociate sulla schiena. Era vestito con abiti miseri, e piuttosto grezzi, e le venne naturale domandarsi come mai una persona dovrebbe vestire in maniera così malconcia se poi aveva a disposizione tutti quegli oggetti illeciti e una cospicua somma di denaro provenienti dagli stessi.

Ma ancora non sapeva della proverbiale avarizia dei Naknada.

-Cosa cercate? - Domandò il negoziante scrutandoli dalla testa ai piedi.

Non le piaceva quello sguardo, sembrava soppesasse e desse un prezzo ad ogni centimetro del loro essere. Le dette la sgradevole sensazione di essere un animale al mercato di una fiera, piuttosto che un'acquirente in un negozio.

-Per lo più armi. - Rispose Bo' Rai Cho guardandosi attorno.

-Allora siete nel posto giusto. - Il negoziante allargò le braccia alla sua sinistra, portando alla loro attenzione una serie di spade e lance ammassate in quella direzione.

-Non cerchiamo quel tipo di arma. - Intervenne, ponendo fine a quel teatrino.

-E che tipo di arma cercate? - Domandò l'altro continuando a fissarla in modo acuto.

-Del tipo che ha ucciso delle guardie imperiali diversi mesi fa. -

Il Naknada fissò per qualche istante Bo' Rai Cho, poi scosse la testa. -Non so di cosa parliate. -

-Io penso di si. - Insistette Nitara facendo un passo verso di lui.

-E io credo di no. - La sua voce era quasi gracchiante, sicuramente più consona ad un rapace che ad una persona. -Possiamo andare avanti così tutta la sera, oppure potete mettervi l'anima in pace e abbandonare la mia proprietà. -

Non le piaceva quel vecchio Naknada, non le piaceva la sua voce, non le piacevano i suoi occhi così fissi e attenti, ma soprattutto non le piaceva quello sguardo che la faceva sentire una merce, una cosa da fare a pezzi e rivendere al miglior offerente.

-Sei un maledetto bugiardo. - Scattò verso di lui, afferrandolo per il colletto della tonaca malconcia e lo sbatté con forza contro lo scaffale alle sue spalle.

Lo stesso scaffale su cui aveva visto dei denti da vampiro. Il suo popolo. Quel maledetto vendeva parti anatomiche del suo popolo. Non ci vedeva dalla rabbia, nella foga dello scatto le era perfino scivolato il cappuccio dalla testa, rivelando il suo volto al commerciante, che parve piuttosto sorpreso.

-Parla viscido verme! - Lo sbatté nuovamente contro lo scaffale e degli oggetti caddero a terra.

-Non so niente. - Si lamentò quello cercando di liberarsi dalla ferrea stretta della donna.

-Se non parli ti farò capire che cosa si prova a venir fatti a pezzi e infilati in un barattolo. - Questa volta, sbattendolo con foga, gli fece battere la testa. -Sei in contatto con una cellula dei ribelli? -

-Quelli mi ammazzano... -

-Perché? Io che ti faccio? -

Una mano grande e calda, le afferrò una spalla. -Nitara... -

La voce di Bo' Rai Cho la fece voltare di scatto, si era quasi dimenticata che ci fosse anche lui.

Quando i loro sguardi si incrociarono, vide che la guardava preoccupato.

Che cosa aveva fatto? Aveva perso il controllo e adesso chissà che cosa pensava di lei?

Improvvisamente si vergognò terribilmente, lasciò andare quel miserabile, che cadde pesantemente a terra, e si ricoprì velocemente la testa con il cappuccio nero.

-Una discendente di Vaeternus... - Il negoziante la guardava stupefatto, i suoi occhi brillarono di ammirazione. Quasi in trance si alzò da terra e fece per avvicinarsi a lei, ma Bo' Rai Cho si frappose fra i due.

-Tu sai chi sono io? -

Il Naknada finalmente smise di guardarla, rimase in silenzio per qualche secondo, poi finalmente parlò.

-Si... dopo quel torneo il tuo volto è famoso. E presto il tuo nome e le storie da taverna cancelleranno il tuo volto ed innalzeranno il tuo nome. -

Bo' Rai Cho fece un sorriso sbieco, a metà tra il divertito ed il deluso.

-Presto si dimenticheranno di entrambi. -

-Immagino che questo dipenda da te. Ma ad oggi, un qualsiasi oggetto appartenuto a te acquisterebbe automaticamente del valore. -

Lei trovò incredibilmente offensiva quell'affermazione, ma invece Bo' Rai Cho scoppiò in una sonora risata.

Trovava divertente che lui lo trattasse come una dispensa di guadagno? Che lo guardasse con occhi tanto avari?

-E cosa mi dici del tuo nome? Tutti ti chiamano Kollector, dicono che possiedi ogni genere di oggetto. -

-Così dicono. - Rispose quello sulla difensiva. -Ma io colleziono oggetti, non rischi. E non do mai niente per niente. -

-Io posso mettere le mani su oggetti provenienti direttamente dal palazzo reale. - Si era chinato appena verso di lui ed aveva abbassato la voce, assumendo un tono cospiratore.

A Kollector si illuminarono gli occhi, istintivamente si sfregò le mani insieme.

-Voglio solo una informazione. -

-Cosa mi dai in cambio? - Domandò allungando lo sguardo verso la bisaccia che portava a tracolla.

Bo' Rai Cho estrasse un diadema d'oro, piuttosto semplice, presentava delle piccole gemme chiare e degli intarsi. Prima che lui potesse spiegare che cosa fosse, Kollector lo anticipò.

-Il diadema che indossava il Generale Drahmin il giorno della sua nomina a generale dell'esercito di Shao Kahn. Indossata durante le tre guerre di conquista. - Allungò le mani per afferrarla, ma Bo' Rai Cho la ritrasse verso di se.

-Voglio qualcosa in cambio. -

-Ti darò qualsiasi cosa. - Biascicò quello senza distogliere lo sguardo dal diadema.

-Chi sono i ribelli dell'attentato ai generali Tarkatan? -

-Si fanno chiamare la Resistenza, il loro capo è il macellaio Osh-Tek in fondo alla strada. Saranno rimasti in dieci, dopo l'ultima rastrellata del generale Drahmin. -

Bo' Rai Cho gli consegnò il diadema e si voltò verso di lei con un sorriso. Aveva ottenuto quello per cui erano andati in quel vicolo puzzolente al cospetto di quello spregevole individuo. Era stato bravo, c'era poco da dire, lui aveva mantenuto la calma, mentre lei l'aveva persa, aveva saputo parlare quando lei aveva scartato ogni possibilità di trattativa.

A sua discolpa andava detto però, che Nitara mai si sarebbe aspettata di trovarsi davanti un essere tanto abietto, da vendere qualcuno che lottava per la libertà del proprio popolo e quindi anche per la sua.

Kollector, o come diamine si chiamasse realmente, era un essere veramente abominevole.

-Ho un'altra richiesta da farti. -

Prima che potesse proseguire, Kollector si strinse al petto il diadema, come se temesse che volesse riprenderselo. Ma Bo' Rai Cho estrasse da sotto la casacca delle pergamene arrotolate.

-Questi sono i registri delle ronde delle guardie della città. - Glie le consegnò e quello le afferrò con avarizia. -Presto qualcuno verrà a chiedertele. Quando succederà, voglio che tu me lo faccia sapere. In cambio puoi tenerti i soldi che spillerai a quel poveraccio. -

Kollector le srotolò per osservarle attentamente. -Si, certamente. - Le ripose accuratamente in un cassetto dietro al bancone e quando si voltò, rivolse ad entrambi un sorriso, che forse voleva essere di cortesia, ma risultò solamente inquietante.

-Vi rivedrò vero? -

-Se tutto andrà come stabilito... - Rispose Bo' Rai Cho con un cenno della testa.

Forse si dissero anche qualcos'altro, ma Nitara, non appena lui aveva aperto la porta, era semplicemente corsa fuori. Non lo aspettò, non riusciva a stare lì un minuto di più. Improvvisamente il puzzo di quella strada era diventato ancora più insopportabile.

Si avviò di passo svelto verso la strada da cui erano arrivati e solo quando la sua figura venne illuminata dalle torce della via con la taverna, si fermò e si voltò indietro.

Bo' Rai Cho era lì. Immobile a pochi metri da lei, la guardava con un'espressione indecifrabile.

In contrapposizione alla sua figura ferma, lei continuava a muoversi avanti e indietro, presa da un nervosismo e rabbia che non credeva di poter provare ancora.

-Ho perso la calma lo so. - Disse prima che lui potesse riprenderla. -Ma quando ho visto... - Le parole le morirono in gola. Al solo pensiero di quei denti... delle ali... occhi, orecchie... quel macellaio aveva acquistato cadaveri o pezzi dei suoi fratelli caduti in battaglia, o magari tenuti prigionieri da qualche parte. Chissà quanti dei suoi connazionali erano vittime di certi sciacalli che li acquistavano solo per farli a pezzi e rivenderne i resti al mercato nero. -Non succederà più. - Finalmente si fermò e trovò il coraggio di fissarlo negli occhi. I suoi erano occhi difficili da ignorare, profondi e caldi, capaci di una tale intensità da riuscire a far distogliere lo sguardo a chiunque. Anche a lei.

-Comunque sia, abbiamo avuto successo. Io dico che ci meritiamo un goccetto. -

Gli era grata che non avesse voluto approfondire. Aveva visto quella muta domanda nel suo sguardo. Quella domanda a cui lui non aveva voluto dare voce e a cui lei non sarebbe riuscita a dare risposta.

Stai bene?

Due parole che in quel momento l'avrebbero potuta far crollare, perché non stava bene. Non stava bene per niente. La vendetta che tanto agognava la stava gettando in un inferno personale fatto di compromessi e affari loschi di cui era solo all'inizio. Perché in quel maledetto negozio si era resa conto che la vendetta, fino ad allora, era stata più importante della liberazione e sopravvivenza del suo popolo. Se invece di sprecare le sue energie nel cercare di ammazzare più persone possibili, si fosse concentrata sin da subito a salvare coloro che erano tenuti schiavi, quanti ne avrebbe potuti salvare?

Seguì Bo' Rai Cho alla locanda, sperando vivamente che qualche sorso di sidro le facesse dimenticare tutti quei pensieri, ma prima del sidro, ci fu Bo' Rai Cho, con il suo fare chiassoso, con il suo sorriso contagioso e le sue storie divertenti. Era bello stare in sua compagnia. Riusciva a far dimenticare tutti i problemi che l'affliggevano.

Ma come un relitto sul mare continua a tornare a galla, nonostante le onde continuino a sommergerlo, così anche i pensieri e i problemi sulla missione che si era prefissata, continuavano a tornarle alla mente, nonostante l'atteggiamento del ragazzo riuscisse momentaneamente a sommergerli.

-C'è una cosa che non ho capito... - Disse ad un tratto, passando un dito sul bordo del boccale, con fare pensieroso. -Come fai ad essere sicuro che qualcuno andrà a comprare quei registri? -

Bo' Rai Cho stava bevendo e le lanciò uno sguardo da dietro il boccale, prima di posarlo rumorosamente sul tavolo e pulirsi la bocca con una passata di mano.

-Le guardie avevano arrestato una donna qualche settimana fa, con addosso dei fogli simili. Durante l'interrogatorio, è emerso che lei faceva solo da corriere. Le prendeva da un uomo e le consegnava in un punto.. - Si appoggiò allo schienale della sedia e quello scricchiolò sotto il suo peso. -Ora... sia la donna che l'uomo in questione sono morti. Ma non hanno mai saputo chi fosse il destinatario di quelle informazioni. Qui vige una specie di regola non scritta, dove se cerchi qualcosa e non ce l'hai, se la chiedi a Kollector, lui te la trova. -

Nitara si rabbuiò. -Lo conosci bene quell'individuo? -

-No. - Bo' Rai Cho alzò il boccale in direzione dell'oste per chiedergliene un altro. -Lo conosco di fama. Quando eravamo di stanziamento con l'esercito, ci veniva passato solo il cibo e l'acqua. Se avevi bisogno di altre... come dire... sostanze... -

-Come l'alcol? - Domandò lei con un sorriso sbieco.

-Esatto! C'era un ragazzo che conosceva un tipo, che tramite Kollector, pagando ovviamente, ci faceva avere quello che si chiedeva. - Si strinse nelle spalle ringraziando la cameriera che era giunta con la sua ordinazione.

-E questi tuoi amici... -

-Sono tutti morti. - L'anticipò lui bevendo una lunga sorsata.

Erano morti, probabilmente durante la conquista di Vaeternus. Ecco perché quella sensazione di vuoto nei suoi occhi. Come lei, aveva perso i suoi fratelli.

-Sai... - Bo' Rai Cho parlava senza guardarla. -Chi li vedeva in battaglia, chi ha sofferto per le loro gesta, forse non potrà mai capire che persone fossero fuori dalla guerra. Non può sapere che molti di loro cercavano il coraggio di quello che andava fatto in qualche bicchiere di troppo... o magari in qualche sostanza stupefacente... - Chiuse gli occhi facendo un profondo sospiro. -Io capisco il tuo odio... il tuo desiderio di vendetta... ma loro... io... noi non avevamo scelta. -

Non voleva cominciare quella conversazione. Non voleva barcamenarsi in una discussione su chi avesse ragione in quel conflitto. Il suo pensiero era semplice. Se non avessero attaccato, non sarebbero morti nel tentativo di conquista. Capiva tuttavia che dei semplici soldati non potevano sottrarsi agli ordini di chi aveva un rango superiore, ma quello non cambiava il fatto che il suo popolo non aveva colpa. Era un loro diritto e dovere difendersi e gli assalitori avevano usato metodi che nemmeno degli animali avrebbero usato.

Ma al dilà di quello, lei non lo odiava. Non avrebbe mai potuto odiarlo. Non lui.

-Lo so che non è colpa tua. - Gli sorrise dolcemente, e lo vide guardarla sorpreso, forse non si aspettava tanta gentilezza? -Siamo stati due soldati che hanno combattuto in fazioni avverse. A suo tempo siamo stati nemici, ma adesso siamo qui... e combattiamo da amici. - Allungò il suo boccale fino a farlo scontrare con un tintinnio contro quello di lui. -E credo che questo meriti un brindisi. -

Quella luce cupa svanì dai suoi occhi marroni e un sorriso si allargò sulla sua bocca. Alzò il boccale e bevve ancora un altro lungo sorso.

Era vero. Era tutto vero. Se prima si era avvicinata a lui per pietà, e per utilità, adesso sentiva che la loro collaborazione, da alleati li aveva portati ad essere qualcosa di molto più profondo. Amici era una bella parola da poter condividere con lui. A dimostrazione che anche nei momenti peggiori e più bui, le cose belle possono accadere, la loro amicizia era un dono di cui era grata, e che avrebbe custodito con diligenza e gelosia.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Illusioni ***


Ora che Drahmin era stato messo fuori combattimento, il suo futuro gli sembrava più roseo. Reiko camminava per i corridoi del castello indossando la sua nuova armatura.

Chi lo incrociava lo fissava con una strana espressione confusa. Forse non erano abituati a vederlo così sorridente.

Ma come non poteva essere felice? Drahmin, con le sue straordinarie doti intuitive, ormai non era che un ricordo, tutto adesso era molto più facile.

Ma c'erano un paio di persone che si doveva accertare non fossero un problema.

Il primo era il pupillo di quello psicopatico.

L'arcistregone Shang Tsung.

Drahmin insisteva nel sostenere che fosse molto intelligente, ma chissà se aveva ereditato dal maestro anche le sue capacità deduttive?

Dopo la condanna del suo mentore, Shang Tsung aveva avuto l'incarico di gestire le Fosse di Carne e quello aveva immediatamente trasformato una stanza in una specie di laboratorio. I suoi informatori gli avevano riferito che ci passava ore, se non addirittura intere giornate.

Non doveva essere molto normale. Dopotutto come si fa a preferire passare le proprie ore rinchiuso in una stanza, a fare chissà che intrugli, invece di godere delle gioie che schiave e schiavi ti potevano offrire?

Le Fosse di Carne, erano per lo più gallerie, presentavano porte solo le celle di detenzione, così non gli fu difficile raggiungere il Laboratorio dello stregone e spiarlo senza fare rumore.

Shang Tsung era di spalle e stava osservando una specie di mappa, appesa ad una parete, anche se non riconosceva nessun punto geografico appartenente all'Outworld, e nemmeno la conformazione del terreno era uguale. Doveva essere la mappa di un altro reame.

Quella stanza aveva davvero tutto l'aspetto di un laboratorio, oltre a scaffali pieni di libri, c'erano anche strane pozioni sistemate un po' ovunque, e diversi alambicchi; c'era perfino un tavolo anatomico.

-Generale Reiko, buonasera. - Aveva parlato senza voltarsi, probabilmente aveva avvertito la sua presenza.

Decise di venire fuori con un sorriso sornione. -Buonasera a voi arcistregone. -

Quando si voltò non poté fare a meno di corrugare lo sguardo. C'era qualcosa di diverso in lui.

Si ricordava che la prima volta che lo aveva visto lo aveva giudicato subito delicato, quasi effemminato, gli ricordava molto i suoi schiavi. Ma adesso c'era qualcosa di diverso.

I tratti degli zigomi alti e della mascella che un tempo gli erano sembrati tanto dolci, adesso avevano assunto un'impressione più acuta, complice forse quel pizzetto nero che gli contornava la bocca sottile, facendogli sembrare il mento più a punta e il naso più adunco. Stranamente gli occhi allungati e neri che aveva trovato così poco virili la prima volta che li aveva visti, adesso avevano assunto un tratto malvagio, penetrante ed ambiguo.

Forse poteva rappresentare un problema.

-Quella mappa è piuttosto bizzarra. - Commentò, notando con una certa soddisfazione che Shang Tsung lo aveva scrutato da capo ai piedi con un'occhiata sorpresa.

Forse gli piaceva ciò che vedeva.

-Non è la mappa dell'Outworld non è vero? -

-No. - Rispose solamente portandosi una mano dietro la schiena e rivolgendogli un sorriso di cortesia. -C'è qualcosa che posso fare per voi? -

In realtà c'erano molte cose, ma forse era meglio andare con ordine.

-Adesso che Drahmin non c'è più, noi due dovremo collaborare. - Passò con un dito sopra una bottiglia abbandonata su di un tavolo. -Passarci informazioni... - Si strinse nelle spalle ostentando un sorriso bonario e un viso accondiscendente. -Magari farci qualche bicchiere dopo il lavoro... -

Quello si limitò ad uno stirarsi di labbra che di cortese e gentile non aveva assolutamente niente, anzi, i suoi occhi fissi e le sopracciglia leggermente corrugate stavano ad indicare un'espressione insofferente, vagamente irritata.

-Non vorrei essere scortese generale... -

-Chiamami pure Reiko. Siamo colleghi, diamoci del tu. -

-Il fatto, generale, è che ho del lavoro da sbrigare... se cortesemente voleste dirmi il motivo per cui mi avete fatto visita... -

Era arrogante e snob quel bastardello, e per un secondo valutò l'idea di mollare la facciata da amico e trattarlo come veramente meritava, ma Shang Tsung stava velocemente scalando la piramide di gradimento dell'Imperatore, mentre lui stava rischiando di scivolare alla base. Doveva tenerlo buono. Poteva sopportare, tanto con il tempo glie le avrebbe fatte pagare tutte.

-Drahmin pensava che dietro gli omicidi dei soldati avvenute dopo la vittoria di Vaeternus ci fossero gli Zaterran. - Aveva ottenuto la sua attenzione. -Sono un popolo con cui io ho lavorato ultimamente come ambasciatore, li conosco bene. Se volete potrei occuparmi delle indagini. -

-Drahmin non mi aveva mai detto niente degli Zaterran. -

-Io e il generale eravamo amici. Me lo aveva confidato durante una nostra chiacchierata. Eravamo rimasti d'accordo che lo avrei aiutato, ma dopo quanto è successo... mi domandavo se tu avessi bisogno di aiuto. -

-Se il generale Drahmin vi aveva affidato questo incarico, non vedo perché dovrei oppormi. -

Allora era meno perspicace di quanto credeva. Drahmin lo aveva sopravvalutato. Chissà che cosa ci aveva visto in quel ramoscello secco che tanto lo aveva attirato? Chissà se forse aveva a che fare con il fatto che Drahmin fosse un bastardo e Shang Tsung uno straniero proveniente da un altro reame.

Voleva quasi andarsene, credeva di non aver più niente da dire a quello stronzetto, quando d'un tratto si ricordò il nome del reame da cui proveniva Shang Tsung.

-Quella mappa... - Indicò quella appesa al muro, la stessa che Shang Tsung stava scrutando quando lui era arrivato. -Rappresenta il vostro reame? La Terra? -

Shang Tsung aguzzò lo sguardo e chinò appena un angolo della bocca in una smorfia che forse poteva sembrare un sorriso.

-Si, ma non è completa. -

-Come mai? -

-Perché me ne sono andato presto dal mio reame, sono convinto che ci sia ancora molto da scoprire, sia per via terra, che per via marina. -

Reiko fissò a lungo la mappa, forse troppo, perché Shang Tsung cominciò ad osservarlo con sospetto. Ma lui doveva imprimersi nella mente ogni contorno, ogni fiume, o catena montuosa, ogni confine.

In fin dei conti Shang Tsung gli poteva tornare molto utile.

Abbozzò un sorriso di saluto, doveva andarsene, doveva riprodurre quella mappa per il suo signore e poi avrebbe cercato e trovato altri particolari.

Non badò allo sguardo che Shang Tsung gli riservò. Forse se lo avesse guardato con più attenzione, avrebbe riconosciuto in quegli occhi neri, lo sguardo freddo e penetrante di Drahmin, e sicuramente avrebbe capito che quello sguardo, era lo stesso che aveva il generale quando scrutava con minuziosità le microespressioni delle sue vittime e coglieva nelle loro reazioni corporee, verità che agli occhi degli altri erano celate.

Quello fu il suo primo, vero, errore.

 

Sindel vedeva il suo futuro, e quello di Kitana sempre più roseo, ed il suo stato d'animo si rispecchiava sul suo volto, che da una settimana a quella parte era divenuto più raggiante. Lei stessa si era sorpresa più di una volta a sorridere, cosa che credeva non le sarebbe mai più capitato.

Dopo l'arresto di Drahmin, aveva stabilito con Shang Tsung che lui si sarebbe adoperato a predisporre il piano di fuga. Ormai non gli restava che apprendere la magia delle anime, quella strana arte arcana per cui aveva abbandonato il suo reame natio ed era giunto nell'Outworld.

Ma era sicura che in parte, quella fosse solo una scusa per starle lontano. Dopo quella sera, quando lei era entrata nella sua stanza e lo aveva visto in quelle condizioni, lui faceva di tutto per evitarla, e le poche volte che era riuscita a scambiarci due parole, era diventato più indisponente e antipatico del solito.

Uomini...

Di qualsiasi reame fossero non mancavano mai di autocelebrare il proprio orgoglio. Mostrarsi deboli, agli occhi di una donna, gettava un'onta nel proprio onore difficile da ripulire, e così si sentivano in imbarazzo e reagivano in modo aggressivo. Come se ormai non li conoscesse.

-Regina Sindel... - Era una voce che non aveva mai udito prima, voltandosi di scatto vide il generale Reiko avvicinarsi. -Posso osare nel dirvi che siete più bella del solito? -

Sapeva chi fosse, lo aveva già visto alle cerimonie ufficiali.

-Vi ringrazio. - Rispose facendogli un inchino di cortesia, ma nell'abbassare la testa lanciò una rapida occhiata a Sheeva, sapeva che lo sguardo della sua damigella le avrebbe rivelato se poteva fidarsi oppure no. -A cosa devo la vostra gradita presenza generale? -

Sheeva sembrava stupita, evidentemente quello non era né il posto, né il modo in cui si aspettava di incontrare il generale Reiko.

Era un uomo alto, dai muscoli scolpiti, indossava i rudimenti di un'armatura, molto simile a quella che indossava Shao Kahn, il suo corpo era attraversato da innumerevoli cicatrici, evidentemente era un uomo abituato a combattere in prima linea. Aveva dei lineamenti allungati, duri e piuttosto marcati, con una mascella volitiva, dal morso leggermente inverso che quando rideva gli faceva mostrare l'arcata inferiore invece di quella superiore. I capelli neri erano quasi rasati ai lati, ma lunghi al centro della testa, tanto da legarli in una coda bassa. Nel complesso non era un uomo brutto, ma la sua espressione era strana, dava la fastidiosa impressione di osservarti con insane intenzioni. E poi Sindel non riusciva a sentirsi al sicuro in sua presenza.

-Voi siete ormai la nostra regina da quasi due anni. Mi chiedevo se vi interessasse visitare la capitale del vostro regno. -

In verità non le interessava per niente un giro di cortesia, o rischiare di provare pietà e amore per un popolo che sentiva non le appartenesse, ma doveva ammettere che le sarebbe piaciuto uscire da quelle quattro mura che erano il palazzo reale.

-Vi ringrazio... la vostra proposta è molto gentile e ne sarei veramente onorata. - Gli rivolse un sorriso di sentita cortesia, era stato molto garbato ad invitarla. -Purtroppo l'Imperatore non vuole che io lasci il palazzo reale. -

Il generale si portò le mani dietro la schiena. -L'Imperatore è un Kahn molto saggio. Purtroppo i pericoli sono ovunque. Sono onorato che lui mi abbia scelto personalmente per farvi da scorta. -

Non capiva esattamente dove volesse andare a parare, nonostante le sue parole, aveva degli strani modi di porsi, era come se non fosse abituato a quel genere di cose, sembrava impostato, come un attore mediocre che si è imparato le battute, ma non è capace di esprimere al contempo le emozioni giuste, così le sue parole erano deferenti, ma il suo tono di voce invece sembrava innaturale.

-Ho chiesto il suo permesso, prima di permettermi di invitarvi. -

Guardò titubante Kitana, che incurante dell'uomo stava continuando a scorrazzare per il cortile.

Voleva uscire di lì. Inutile negarlo. E voleva avere anche una persona vicina che non fosse come Shang Tsung, così ambiguo e indecifrabile. Reiko al contrario non sembrava molto bravo a nascondere le sue vere intenzioni, per un uomo d'azione come lui, fare la scorta, anche se alla regina, doveva essere visto come un compito incredibilmente noioso. Eppure aveva fatto di tutto per dimostrarsi cortese a premuroso. In fin dei conti era bello ricevere le attenzioni di un uomo che sembra normale.

-In questo caso... grazie. Verrò con voi molto volentieri. -

Reiko abbassò appena la testa e si spostò lateralmente per farle cenno di andare, così non le restò che dare le ultime indicazioni a Sheeva, per Kitana e seguirlo lungo l'entrata del cortile.

Il generale sembrò abbozzare un sorriso soddisfatto, ma non disse niente, fino a che non giunsero al grande portone dell'ingresso.

-Devo essere sincero con voi. Non credevo che accettaste. - Confessò aprendo le pesanti ante con un semplice movimento del braccio.

Fuori ad attenderli c'era una carrozza aperta, con una piccola scorta che si posizionò intorno al veicolo. Sindel venne fatta salire e Reiko le si sedette di fianco.

-Immagino che avreste preferito essere in qualsiasi altro posto, piuttosto che incastrato in un incarico tanto noioso. -

Quello le rivolse un sorriso garbato, e ancora una volta le sue parole le giunsero troppo impostate per sembrare vere.

-Non direi noioso, ma pacifico. E ogni tanto la pace è gradita. -

-Ogni tanto? - Domandò studiando la sua reazione.

Quello fece una leggera smorfia. -Non tiratemi fuori parole non dette, mia regina. -

-Non c'è niente di male a sperare in una vita pacifica. -

La carrozza cominciò a muoversi, percorrendo la strada principale.

-Io e voi abbiamo due culture differenti, per quel che ne so, la pace non è uno stato naturale delle cose. Se si vuole la pace, la si deve imporre. -

Sindel sospirò pesantemente, aveva ragione, provenivano da due culture differenti, anche se non era del tutto errato ciò che aveva detto.

-Ma rispetto la vostra visione delle cose. - Aggiunse poco dopo. -Anzi, sono incuriosito di sapere come faceva vostro marito, Re Jarrod, a mantenere la pace nel regno di Edenia. -

Quello proprio non se lo aspettava, lo guardò come se lo vedesse per la prima volta. Forse non era a suo agio nella figura dell'accompagnatore o nel doversi relazionare con lei, però non si sarebbe mai aspettata una simile domanda. Un guerriero dell'Outworld che le chiedeva come mantenessero la pace ad Edenia, magari per apprendere da loro.

Ci cadde con tutte le scarpe.

Parlò tantissimo, da quanto non le era più capitato, e si sorprese nel ritrovarsi a parlare a ruota libera, come non aveva mai fatto con Shang Tsung, e solo raramente con Sheeva.

Shang Tsung era arrogante, anche quando ascoltava a volte si lasciava sfuggire delle occhiate irriverenti, o delle frecciatine, che spesso la facevano sentire a disagio in sua presenza, come se ci tenesse a farle presente che non era altro che costretto ad ascoltare le sue conversazioni. Sheeva invece aveva un pensiero dettato dalla sua cultura, completamente astruso rispetto al suo, e tra loro c'era sempre quel vincolo sociale, che spesso intimava alla Shokan di non lasciarsi troppo andare nei commenti. Per di più aveva intuito che la sua ancella tendeva a sedare, anziché alimentare, i suoi pensieri contro l'Imperatore.

Reiko invece era diverso, aveva parlato pochissimo, ed aveva ascoltato pazientemente tutti i suoi discorsi, non l'aveva mai guardata con supponenza, e mai per un attimo, le aveva dato l'impressione che ascoltasse perché costretto, mordendosi la lingua per non dire ciò che pensava realmente. Anzi, sembrava piuttosto concentrato su ogni parola che gli diceva.

Si ritrovò a pensare di aver trovato un altro amico, magari un amico vero questa volta, che non fosse costretto alla sua compagnia per dovere, o comodo.

Reiko da parte sua, le mostrò la via principale della città, la portò fino alla piazza centrale, dove le spiegò che veniva svolto il mercato ogni inizio e fine settimana.

La capitale dell'Outworld era una città immensa e variegata da centinaia di razze che la abitavano. Si ritrovò a pensare, che in un certo senso anche Shao Kahn, in quel posto, aveva portato pace e armonia.

Al tempo ancora non sapeva dei ribelli e delle lotte intestine degli oppositori a Shao Kahn.

Al contrario di Edenia, ricca di vegetazione, l'Outworld era molto brullo, di fatti non c'erano spazi verdi in città, o almeno nella via principale, le case erano fitte e costruite una sopra l'altra, con pietra levigata e intonacata. Avevano tutte delle strutture piuttosto quadrate e basse, e da quello che poteva vedere aguzzando lo sguardo, più si avvicinavano alle mura, più le case si facevano piccole e ammassate.

Ma al di là dell'enorme differenza di colori, e architettura, Sindel si ritrovò a pensare che quella città fosse bellissima. I cittadini vestivano con colori che variavano dalle tonalità di pastello, a tutte le sfumature del giallo. Gli odori dei forni e il chiacchiericcio della folla, facevano respirare un’aria piena di vita.

Forse più che bella. Era particolare, sicuramente ipnotica.

Il giro le sembrò incredibilmente corto, ma si accorse, una volta tornata al castello, che erano stati fuori per più di due ore.

Reiko scese per primo e l'aiuto a fare altrettanto.

-Spero che vi siate divertita. -

-Sono stata benissimo. Vi ringrazio con tutto il cuore. -

Le rivolse un sorriso forse troppo sicuro di se, ma tuttavia piacevole.

-Allora posso permettermi di domandare ancora se posso accompagnarvi in futuro? -

Le si illuminarono gli occhi, era stata bene, si era divertita, ed uscire da lì l'aveva messa di buon umore.

-Ne sarei onorata. - Rispose, senza preoccuparsi di tenere a freno la gioia, per quella eventuale possibilità.

Non si preoccupò nemmeno di negare il sorriso, quando voltandosi incrociò gli occhi con Shang Tsung. Vide il suo sguardo, così oscuro e ambiguo, sempre così difficile da decifrare. Sembrava la guardasse con biasimo, o forse disappunto, o rancore. O meglio ancora, somigliava allo sguardo del suo maestro, quando gli disubbidiva. Uno sguardo che scoprì, in seguito, essere di delusione.

Ma perché Shang Tsung le aveva lanciato quello sguardo? Perché dopo giorni che non si faceva né vedere, né sentire, adesso la guardava in quella maniera? In quale modo si era meritata una simile occhiata? Forse l'arcistregone, nell'alto della sua arroganza, si era elevato a suo maestro? Quale lezione credeva di insegnarle? O forse, dietro quel biasimo, c'era solo gelosia? Si, la gelosia di un'amicizia, un affetto a cui lui si era negato, per orgoglio o vergogna e che ora vedeva promesso ad un altro uomo. Ma certo... in fin dei conti gli uomini sono tutti uguali. Non si accorgono di quello che hanno fino a che non lo vedono minacciato da qualcun altro.

A questo pensiero, il suo sorriso mutò, divenendo più consapevole delle proprie potenzialità.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Una Causa Comune ***


Nonostante la sua dedizione alla regina Sindel, Sheeva doveva tener conto della sua lealtà anche verso il suo popolo.

Da quando aveva accettato quell'incarico, aveva continuato a fare rapporto, mensilmente, al soldato Shokan che si presentava al castello, a portare il tributo che il suo popolo pagava all'Imperatore.

Da quando era stata convocata al palazzo reale, non aveva più visto il principe Goro, e non aveva mai avuto nessun indizio, o aiuto, sulla missione che le era stata affidata.

Portare il popolo Shokan alle favorevoli attenzioni dell'Imperatore, servendosi della regina, era un piano che vedeva sempre più dedito al fallimento.

Non solo l'Imperatore e la regina non sembravano avvicinarsi minimamente, così distanti nel loro concetto l'uno dell'altra, da non trovare mai un punto in comune. Ma peggio che mai, c'era anche il piano di evasione della regina, cosa di cui era stata ben attenta a non menzionare nei suoi rapporti. Eppure sapeva bene che la riuscita di una missione, comprometteva in maniera irrimediabile l'altra.

E lei da che parte si sarebbe dovuta schierare?

Durante l'ultimo rapporto aveva chiesto udienza a palazzo, per ricevere un qualsiasi tipo di supporto, ma ancora non aveva ricevuto risposta.

Stava cominciando ad innervosirsi, non sapeva più dove andare a sbattere la testa, e per la legge che le disgrazie non arrivano mai da sole, adesso la regina si era avvicinata incredibilmente al generale Reiko.

Sindel sembrava un faro di luce per tutti i peggiori elementi dell'Outworld.

Prima Shang Tsung, ora Reiko.

Se solo sapesse la metà delle nefandezze commesse da quel tipo, dubitava che le rimanesse ancora vicino.

Ma era difficile parlarle ultimamente, per di più Reiko, era sempre presente in qualche modo, e se non c'era lui, c'erano i suoi uomini.

Si accorse presto di essere sorvegliata costantemente.

Quell'individuo aveva sicuramente qualcosa in mente.

Trovandosi al perso, non trovò altra soluzione che tornare a chiedere aiuto a Shang Tsung.

Trovare udienza da lui, si rivelò più difficile del solito. Non solo seminare i mastini che Reiko le aveva piantato alle costole non era facile, ma si accorse ben presto che anche Shang Tsung era sorvegliato costantemente e il generale era solito fargli visita di continuo.

Trovò tuttavia modo di fargli pervenire un biglietto, grazie alla serva che doveva pulirgli le stanze.

Non c'era scritto molto, ma solo che aveva bisogno di parlargli e che erano entrambi sorvegliati.

Magari dove lei non aveva trovato alternative, lui avrebbe trovato una soluzione.

Dopo giorni di silenzio, stava perdendo le speranze.

 

Quella sera, giunse nella sua stanza più avvilita del solito. Ancora non era riuscita ad avvisare la regina su Reiko, e non aveva potuto impedirle di uscire nuovamente con lui. Cominciava a dubitare che le loro gite fossero tutte approvate dall'Imperatore.

Una folata di vento gelido la colse impreparata e voltandosi di scatto notò la finestra aperta. Eppure era sicura di averla chiusa, ma ignorò quel pensiero, in fin dei conti ultimamente aveva talmente tanti pensieri per la testa, che una svista ci poteva stare benissimo.

Si diresse in quella direzione, scrutando nell'oscurità del buio, ma notando solo le luci in lontananza, che illuminavano la città, poi qualcosa si mosse davanti a lei. Le sembrò incredibile, ma qualcosa di invisibile aveva attraversato la finestra, in quel momento infatti le luci si erano per un attimo deformate.

Si bloccò di colpo. Chi poteva mai essere? Chi padroneggiava l'invisibilità? E perché mai era fuori dalla sua finestra? A giudicare dall'altezza della sua stanza, doveva essere anche un abile scalatore.

-Non gridare. - Una voce, che sembrò un sussurro sibilato.

Nello stesso istante in cui lei corrugava lo sguardo, una figura si materializzò davanti a lei, sopra il davanzale della finestra.

Lo strano individuo vestiva con una divisa completamente nera, con un cappuccio che gli copriva la testa e lasciava intravedere solo gli occhi gialli e la pelle verde e squamosa intorno ad essi. Doveva essere uno Zaterrano.

-Non parlare. - Disse nuovamente con un sussurro.

Dopodiché estrasse da sotto la giacca una boccetta di un liquido ambrato e glie la porse.

-Prendetela. Vi sentirete male. Quando presentate i primi sintomi, fate chiamare l'arcistregone. -

Quando parlava, lo Zaterrano strascicava e allungava le “esse” facendo sembrare la sua parlata simile al sibilo di un serpente.

Avrebbe voluto domandargli qualcosa, ma prima di poterlo fare, quello tornò invisibile come prima e scomparve dalla sua finestra.

Se si fosse buttato, o arrampicato, non avrebbe saputo dirlo, era stato più silenzioso di una folata di vento.

Sheeva guardò la boccetta nella propria mano. Che cosa si era fatto venire in mente quel disgraziato? Voleva avvelenarla?

A pensarla bene, comunque, non è che avesse molte alternative.

La stappò e la bevve tutta d'un fiato. Aveva un sapore indecifrabile, dolce e amaro al contempo, come mangiare una mela acerba. Nascose la bottiglietta sotto il proprio materasso, e dopo ore di attesa, in cui non avveniva niente, si distese sul letto e si addormentò.

Venne svegliata da un forte dolore allo stomaco. Un crampo continuo e dolorosissimo che la fece rannicchiare in posizione fetale, stringendosi l'addome. Il dolore allo stomaco divenne presto nausea, riuscì tuttavia a chiamare aiuto, prima di voltarsi e vomitare una strana sostanza verde.

Le guardie di pattuglia nei corridoi, entrarono nella sua stanza chiedendo se andava tutto bene, ma quando videro il vomito, e lei che gemeva dal dolore, ancora prima che lei dicesse niente, uno di loro era già corso a chiamare l'arcistregone.

Furono momenti interminabili. Sheeva ringraziò il cielo che ad accorrere alle sue urla fossero state delle guardie Tarkatan e non Centauri, altrimenti avrebbe rischiato che quelli rimanessero immobili a godersi la sua morte, senza muovere neppure un dito.

Il dolore allo stomaco diveniva sempre più continuo e doloroso, sembrava che qualcosa la stesse divorando da dentro.

Quanto rimase a contorcersi sul letto, neppure lo sapeva. A lei sembrarono ore, ma forse non furono nemmeno dieci minuti.

Non appena Shang Tsung apparve sulla soglia, ordinò a tutti di uscire dalla stanza.

Quando furono soli, lei lo guardò con un ringhio furioso.

-Che cosa mi hai fatto? - Chiese con un lamento di dolore.

-A mali estremi, costringono ad estremi rimedi. - Le porse una piccola ampolla. -Bevete. -

Nemmeno fece in tempo a terminare di dirlo, che l'aveva già bevuta tutta d'un fiato.

Immediatamente i sintomi cominciarono ad attenuarsi e riuscì a trovare pace, rimanendo sdraiata nel letto, in un bagno di sudore.

Shang Tsung prese una sedia e le si sedette vicino.

-Che cosa mi hai dato? - Volle sapere sentendo i crampi allo stomaco sparire gradualmente.

-Un veleno. Non letale, non dubitate. Ma avevo bisogno di qualcosa che mi permettesse di parlarvi senza orecchie indiscrete. - Anche Shang Tsung parlava a bassa voce, quasi un sussurro, probabilmente qualcuno stava ascoltando fuori dalla porta.

Sheeva deglutì a vuoto, assaporando il lieve torpore del corpo non appena svanisce un dolore acuto.

-Perché ci hai messo tanto? - Gli chiese poi guardandolo male, erano passati almeno cinque giorni, stava cominciando a disperare.

-Dovevo mettere a punto un veleno che presentasse dei sintomi che non si potevano imitare. - Gli rivolse un sorriso sardonico. -Non credevo foste così impaziente di avermi nelle vostre stanze. -

-Shang Tsung... - Lo guardò malissimo, ormai aveva imparato a conoscerlo, aveva capito da tempo che le sue frecciatine erano solo per innervosirla o imbarazzarla, non le voleva certo fare la corte. -... Piantala. -

Lo stregone si lasciò sfuggire una risatina sommessa.

-Ho bisogno di parlarti della regina Sindel... -

-Ah... - Si limitò a dire l'altro incrociando le braccia sul petto e guardandola in modo saccente.

-Dobbiamo aiutarla... il generale Reiko non mi piace. Dubito che dica la verità... si allontanano insieme per ore, la porta fuori dal castello... ho paura le possa accadere qualcosa... - Si appoggiò sui gomiti per sollevarsi appena. -E poi... da quando è entrato nelle grazie della regina... lo vedo ovunque e i suoi uomini mi... anzi... ci, sorvegliano. -

-Mi sembrava di ricordare, che fossi piuttosto brava a gettare ingiurie su ogni tipo di uomo che si avvicinasse alla regina. -

-Mi biasimi perché la mettevo in guardia da te? - Non ci poteva credere. -Sei davvero così ipocrita? -

Shang Tsung sospirò, ma tacque in attesa che lei continuasse.

-Ho provato a parlare con la regina, ma non mi vuole dare ascolto, è convinta che Reiko voglia essere suo amico. -

-Cosa vuoi da me, Sheeva? - Chiese infine fissandola con intensità.

-Voglio che le parli. -

-Perché io? -

-Lo sai perché. Lei ha bisogno di te per scappare da qui... voi due siete legati. -

-Ha parlato del suo piano di fuga con Reiko? - Finalmente vide una fiamma di paura ardere flebile in fondo a quello sguardo impenetrabile.

-Ancora no... non credo... -

-Quella donna non è sana. -

A quella affermazione avrebbe voluto ribattere, come si permetteva di offendere la regina? Ma non poteva. Era vero.

Purtroppo la Regina Sindel aveva dei grossi problemi, legati alla morte di suo marito, alla distruzione della sua vita e alla schiavitù alla corte di Shao Kahn. Aveva paura, era disperata, ma ancora si aggrappava alla flebile speranza di riuscire ad avere ancora degli amici, di riuscire a fuggire, di riuscire a vivere.

-Cosa sapete del generale Reiko? -

Quella domanda a bruciapelo la fece trasalire. -Non molto... -

-Non importa. - Le si avvicinò ancora di più. -Parlatemene. Raccontatemi ogni singolo momento in cui lo avete visto, non importa se vi sembrerà irrilevante o futile. Voglio sapere ogni pettegolezzo che avete udito, ogni movimento che ricordate. Ogni cosa. -

Sheeva passò da fissare un'iride all'altra. All'inizio credeva stesse scherzando, ma adesso le sembrava incredibilmente serio, e così, dopo qualche secondo di esitazione cominciò a parlare. Spesso tra un episodio e l'altro, si fermava a riflettere, per raccogliere bene le idee e non tralasciare niente.

Non c'era molto che sapesse sul generale Reiko, non avrebbe saputo dire quando fosse giunto alla corte di Shao Kahn, e di conseguenza non avrebbe saputo dire se fosse originale dell'Outworld o facesse parte di uno dei reami minori, conquistati dall'Imperatore nel corso del sue guerre.

Però sapeva quello che veniva raccontato di lui.

Era descritto come un tipo senza scrupoli, violento, estremamente brutale in battaglia, ma non solo. Poteva dare l'impressione di essere un guerriero come tanti, l'intera armata di Shao Kahn aveva la nomea di essere violenta e brutale, ma Reiko era un sadico anche fuori dal contesto bellicoso. Le sue schiave e i suoi schiavi, raramente sopravvivevano per più di qualche anno sotto la sua egemonia. C'erano racconti piuttosto agghiaccianti su cosa facesse loro, o li costringesse a fare, ma erano tutte storie sentite o raccontate da coloro che vedevano o sentivano qualcosa sul come fossero morti i suoi schiavi personali.

Shang Tsung ascoltava molto attentamente, a volte distoglieva leggermente lo sguardo, e quando lo faceva sembrava pensieroso, come se un dettaglio dei suoi racconti lo avesse interessato più di un altro.

-Non avete mai raccontato niente di tutto questo alla regina? - Domandò infine.

-Non me lo permette. Ci ho provato, ma reagisce con rabbia e liquida ogni mia parola come frutto di gelosia o calunnia. - Da quando Reiko era entrato nelle grazie della regina Sindel, parlare con lei era divenuto sempre più difficile, se non impossibile. -Io... credo le stia facendo il lavaggio del cervello. -

-No... non è così in gamba. - Fece un profondo sospiro. -Non è Reiko il problema, ma Sindel... purtroppo la regina ha dei forti disturbi emotivi e non è lucida nel giudicare le persone. -

-Già... come ha fatto con te. -

Lui le rivolse un sorriso al mezzo tra il divertito e il saccente. -Proprio non vi vuole andare giù che la regina apprezzi la mia compagnia. - Le si avvicinò appena. -Ma a giudicare da come spesso anche voi mi venite a cercare, non devo essere indifferente neppure a voi. Dico bene? -

-Se farmi schifo è un sinonimo del sentimento che tu pensi, allora no, non mi sei indifferente. - Tentò di mostrare la sua faccia più antipatica, ma in fin dei conti, con se stessa poteva anche essere onesta.

Non era vero che Shang Tsung le faceva propriamente schifo. Non rappresentava certo i suoi canoni di bellezza, così esile, dai modi sempre così pacati, quasi indolenti, con quei lineamenti così lisci ed effemminati, niente a che vedere con i maschi Shokan, e con il principe Goro. Alti e muscolosi, in grado da soli di occupare l'intero vano di una porta del palazzo reale, con i volti duri e mascolini, con i loro modi grezzi e attraenti.

Eppure Shang Tsung la incuriosiva, e lui di questo se n'era accorto. La sua curiosità non era fisica, ma mentale, c'era qualcosa nel suo modo di comportarsi, che riusciva a far sentire piccola e indifesa anche una Shokan come lei. In qualche modo lui riusciva a darle sicurezza, i suoi modi la facevano sentire desiderabile e le piaceva quella sensazione di lusinga che provava ogni volta che lui le parlava in quel modo.

E anche se lo negava, sapeva che la regina Sindel non gli era indifferente sotto nessun aspetto. Sicuramente ciò che Shang Tsung le dava, era una sicurezza fisica e mentale che le serviva, che probabilmente le faceva ricordare ciò che provava con suo marito. E capiva anche come mai adesso Reiko fosse una figura così importante per lei. In fin dei conti non è quello che cercano tutte le donne? Di qualsiasi razza fossero, in fin dei conti, non piacerebbe a tutte avere qualcuno che le infondesse una sicurezza fisica e mentale tale da permettersi di abbandonarsi completamente a questa persona?

Sindel era rimasta scottata con Shang Tsung, e come aveva fatto con lui, adesso si rifiutava di ascoltare quella flebile vocina che le gridava di non fidarsi, di notare le contraddizioni del suo comportamento, analizzare ciò che diceva e come lo diceva.

-Cosa facciamo? - Gli chiese infine.

-Reiko sta cercando di disfarsi degli Zaterran. So che a causa sua ne sono morti molti durante l'ultima conquista. -

-Non capisco cosa c'entri. - Ammise corrugando lo sguardo.

-Reiko non ha mai subito tante perdite in battaglia come a Vaeternus. Ci deve essere un motivo per cui stia tentando di disfarsi di loro. -

-Pensavo avessi già preso contatti con gli Zaterran. -

-Si, è vero. Ma sono un popolo molto sospettoso, è certo che non hanno simpatia per il generale Reiko, e a causa sua il popolo si è diviso tra sostenitori di Shao Kahn e oppositori. - La fissò intensamente, come se gli fosse appena venuto in mente un piano in cui gli serviva il suo aiuto. -Devi fare una cosa per me. -

-Di cosa si tratta? - Fidarsi di Shang Tsung era l'unica via possibile, eppure aveva sempre il timore che una sua compartecipazione ai piani dello stregone la portassero sempre più lontano dalla regina, ma forse sempre più vicino alla missione che il principe Goro le aveva affidato.

-Tu hai agganci tra la servitù, e loro sono sempre i primi a sapere quando uno dei loro signori è alla ricerca di un nuovo schiavo. Quando accadrà, voglio che me lo facciate sapere. -

Sheeva annuì, non voleva sapere che cosa aveva in mente. Era sicura che non saperlo le avrebbe permesso di continuare a dormire serena.

-E poi entra in contatto con qualcuno di loro. Fatti amici gli schiavi che gli devono ripulire la stanza, o preparare il bagno. Trova un modo perché loro ti raccontino cosa vedono nella sua stanza. -

-Perché questa richiesta? -

-Ho bisogno di sapere le sue abitudini. - Lanciò una rapida occhiata alla porta chiusa. -Non posso trattenermi oltre. - Si alzò in piedi, dirigendosi al tavolino al centro della stanza, dove afferrò la brocca dell'acqua e ne versò un po' in una tazza di ferro. -Potreste accusare dei lievi crampi allo stomaco durante la notte... - Versò una polverina dallo strano odore di erba fresca dentro al bicchiere e le si avvicinò nuovamente. -Questo, dovrebbe attenuare ogni tipo di disturbo. -

Sheeva avrebbe voluto ringraziarlo, ma poi si ricordò che era a causa sua se era stata avvelenata, e così bevve senza proferire parola.

Solo quando lui tornò al tavolo, posando la tazza, le venne in mente una domanda a cui non poteva rimanere indifferente.

-Cosa facciamo con la regina? -

-Me ne occuperò io. -

-Ma gli uomini di Reiko... -

Le rivolse un sorriso arrogante, abbinato ad un'espressione spregiudicata, che le ricordò lo sguardo di un serpente che si accinge a divorare la preda appena avvelenata. -Dovete imparare ad avere più fiducia nelle mie capacità. -

Non aveva capito che lei non dubitava delle sue capacità, ma della sua morale. Era dura da ammettere, ma l'unica persona che poteva scalzare la figura di Reiko dai pensieri della regina, era proprio lui.

Ma somigliava tanto alla scelta del male minore, quando la soluzione diviene inarrivabile.

Sospirò, sperando che con quella scelta, riuscisse a salvare almeno una delle due missioni che si era prefissata.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Fazioni ***


La Resistenza, come si facevano chiamare, era solo uno, dei numerosi gruppi armati di ribelli che agiva nella capitale. Il loro capo, l'Osh-Tekk Torkias, aveva una visione molto personale del concetto di libertà. Per lui si era liberi solo quando a comandare non ci fosse stato Shao Kahn. Il suo odio nasceva da una buona dose di speranza che chi fosse succeduto all'imperatore attuale sarebbe stato sicuramente meglio. Sicuramente era un idealista, e qualche lutto familiare a causa delle leggi di Shao Kahn, lo avevano portato a mettere insieme quello che ormai si trattava di un manipolo di dieci uomini Osh-Tekk, con cui organizzava di tanto in tanto qualche sabotaggio ai danni delle guardie o delle esecuzioni pubbliche.

L'uomo che Kollector aveva riferito essere andato a cercare la cartina delle ronde delle guardie, era invece un Edeniano, appoggiato da molti suoi connazionali che, come Nitara, non si volevano arrendere alla sconfitta in guerra e continuavano a lottare per essere liberi. Lui e il suo gruppo erano ancora in una ventina, ma quasi tutti erano schiavi, con poche possibilità di libertà di movimento, economiche e materiali; si arrangiavano con quello che potevano, spesso raccattavano i pezzi per strada e ci fabbricavano armi. Erano senza dubbio i più agguerriti e determinati, ma anche i più avventati e forse i più stupidi. Era stato opera loro l'attentato alle guardie Tarkatan.

Poi c'erano almeno un'altra decina di cellule più piccole, peggio organizzate, ma che ogni tanto riuscivano a mettere a segno un buon colpo, e spesso ci rimettevano tutti la pelle.

Non era stato facile trovarli tutti e radunarli. Ci avevano impiegato quasi un mese, ma alla fine erano lì.

Durante le prime ore di assemblea, chiusi in quella che un tempo era stata una locanda per forestieri, Nitara aveva capito bene due cose.

La prima, era che ognuno di loro era spinto da un motivo personale, e la seconda, che nessuno di loro aveva un passato da soldato.

Erano disorganizzati, inadatti, guidati solo da ideali e forza di volontà, mal celata dal fanatismo.

Volevano uccidere, ma non sapevano come farlo, e si accontentavano di colpire a tradimento, o alle spalle, perché in verità, avevano una paura che gli faceva tremare le gambe e la mano, non sapevano guardare realmente la morte in faccia.

Bo' Rai Cho, in piedi al suo fianco, sembrava estremamente divertito dalla confusione che si era creata nella piccola sala, troppo piccola per contenere tutte quelle persone. E mentre i ribelli si urlavano addosso colpe e accuse su attentati non riusciti, Bo' Rai Cho si divertiva ad incitare quando un gruppo, quando un altro, per alimentare la rissa che stava per scoppiare.

-Adesso basta! - Non urlò più di tanto, ma il suo tono deciso fece voltare tutti i presenti. -Non vi ho radunati per vedervi litigare l'osso, o per sentire i vostri racconti su quante vittime, ipotetiche, siano state mietute dai vostri attentati. -

Adesso aveva la loro attenzione.

-Vi ho radunati per creare una coalizione. -

-Hey ragazzina, ma sei seria? Hai visto quante razze sono riunite qui dentro? - A parlare era stato il capo della Resistenza.

-Si, sono seria. - Rispose lei avvicinandoglisi. -E non chiamarmi ragazzina, potrei essere tua madre. - C'era una vaga nota di minaccia in quella frase, un sentore di violenza repressa pronta ad esplodere.

-Dovete abbandonare ogni sentore di disputa fra di voi, e coalizzarvi, per colpire con un unico fronte unito, il nemico principale. Shao Kahn. -

-Non abbiamo armi, né risorse... quello che facciamo mette in pericolo noi e le nostre famiglie. Esporci più di così sarebbe un suicidio. -

-Si, è vero. - Nitara guardò l'uomo che aveva parlato dritto negli occhi. -Voi avete pensato a colpire il più forte possibile con quello che avevate, e questo è un errore. - Lasciò vagare il suo sguardo sulle persone che la stavano ascoltando. -Quanti di voi hanno prestato servizio in un esercito? - Nessuno alzò la mano, ma questo lei già lo immaginava. -Una guerra si combatte se si ha possibilità di vittoria. Quando siamo in inferiorità numerica, logistica, e armamentaria, non si combatte, si tratta un armistizio. -

-Per te dovremmo arrenderci? - Domandò qualcun altro.

-Se volete insistere a combattere in queste condizioni, si. Vi consiglio di arrendervi, stare il più possibile con le vostre famiglie e accettare i compromessi necessari per vivere una vecchiaia serena. - Strinse forte i pugni. -Ma se quello che volete è sbarazzarvi di Shao Kahn, io vi dico di unirvi a me. Lasciatevi addestrare, lasciatevi guidare. Io vi darò le armi e le armature, vi fornirò le informazioni necessarie e vi guiderò lungo la strada che ci porterà alla libertà. -

Sembrava averli convinti, cominciarono a parlottare tra di loro, ma sapeva che almeno la metà li aveva convinti.

Bo' Rai Cho si sporse leggermente verso di lei, parlandole a bassa voce nell'orecchio. -Bel discorso ispirato. Ma una guerra si combatte con dei soldati, non con macellai e fornai. -

-Una guerra si combatte con questo. - E si portò una mano a toccarsi il lato sinistro del petto.

Il ragazzo si lasciò andare uno sbuffo a mezzo tra lo scocciato e il divertito.

-Il cuore non ferma la lama di un Tarkatan o un Centauro al galoppo. -

-Per questo ci sei tu. - Gli sorrise in maniera strafottente. -Per aiutarmi ad addestrarli. -

 

Quanto era passato dalla caduta di Edenia? Yane non riusciva a contare il tempo, le era difficile. Passava le sue giornate rinchiusa nella sua camera, in attesa del prossimo cliente. Se in un primo momento aveva odiato la vecchia Fenzy, la donna che gestiva la casa di tolleranza, per il suo approccio così indelicato e i suoi modi rozzi e sbrigativi, senza un briciolo di pudore o remore nello sbattergli in faccia quello che era divenuta, dal momento in cui la sua patria era caduta e lei l'aveva acquistata, con il tempo aveva imparato ad apprezzarla.

Fenzy ci teneva alle sue ragazze, non gli faceva mancare niente, e pretendeva che gli avventori facessero altrettanto.

Quando la porta della camera si aprì, il volto rugoso della vecchia apparve sul vano. La vecchia Fenzy usava vestire abiti incredibilmente pomposi e usava un trucco pesante nel vano tentativo di nascondere rughe talmente profonde da sembrare le venature di un tronco d'albero.

-Che succede? - Domandò incuriosita dalla sua presenza.

La vecchia entrò lentamente nella stanza, ma aveva una strana luce negli occhi, sembrava quasi gioiosa. Non l'aveva mai vista così contenta.

-C'è un signore che vorrebbe... comprare una ragazza con le tue qualità. - Fenzy le si fermò a pochi cm dal viso. -Vuole conoscerti, ma sono sicura che gli piacerai. -

Yane corrugò la fronte, il panico l'assalì. -Volete vendermi? Non potete. Che ne sarà di mia figlia! Comprerà anche lei? -

Fenzy mosse le mani in su e in giù come a tentare di farle capire che doveva calmarsi. -Lo sai che io sono disposta a tenerti. Mi porti un sacco di buoni clienti e buoni soldi, ma quest'uomo... - Sembrava veramente su di giri. -Devi vederlo... lo sai, se non vuoi, io sono disposta a tenerti qui, ma secondo me faresti l'errore della tua vita. -

Yane annuì deglutendo a vuoto, con una lentezza esasperante si alzò e si posizionò sul letto. Sapeva che quella posa riusciva a far perdere la testa ad ogni uomo.

Fenzy sembrò contenta del suo comportamento ed uscì, la sentì parlare con qualcuno nel corridoio, poi dalla porta fece il suo ingresso un uomo che non aveva mai visto.

Sembrava un edeniano, ma non lo era. Aveva la pelle più chiara, tendente all'oro, lunghi capelli neri gli ricadevano sulle spalle, tirati indietro in un chignon. Aveva un volto strano, più lungo che quadrato, non presentava rughe, aveva un volto liscio e impassibile, ad eccezione del pizzetto nero che gli nascondeva una bocca sottile.

Dava l'idea di essere un aristocratico, anche se aveva un fisico piuttosto sviluppato a giudicare dalle pieghe che gli abiti prendevano, soprattutto sul petto e intorno alle spalle.

Aveva dei lunghi e profondi occhi neri che la guardavano in una maniera che le sembrò la stessero perforando.

Si sentì a disagio.

Avrebbe dovuto dire qualcosa per spingerlo tra le sue braccia, ma quello sguardo, invece, la spinse a coprirsi. Afferrò il lenzuolo del letto e se lo portò davanti al petto seminascosto dal corsetto che indossava.

-Fenzy mi ha detto che volete acquistarmi. -

-Non è esatto. - Rispose l'uomo con un leggero movimento ironico del sopracciglio destro. -Sono venuto qui per proporvi un lavoro. - Avanzò con passo sicuro nella stanza, abbozzando un sorrisetto che era un perfetto connubio tra spavalderia e ironia. -Non molto differente da quello attuale, devo ammettere... -

Non le piaceva come le si rivolgeva, aveva un'aria da superiore che la irritava. Un'aria che aveva visto tante volte nello sguardo dei clienti più altolocati. Sorrise maliziosamente, sfidandolo con un'occhiata irriverente. Quanti clienti con quello sguardo avevano perso la loro superbia sdraiati nel letto con lei, per lasciarsi andare ad espressioni e gemiti ben più imbarazzanti.

-Non sono abituata a tanti rigiri di parole. Cos'è che volete? -

-Acquistare i vostri servigi. - Corrugò la fronte come se si fosse ricordato in quel momento di qualcosa d'urgente. -Che sfacciato, non mi sono nemmeno presentato. Io sono Shang Tsung. - Le fece un inchino, salvo poi godersi la sua espressione sorpresa nell'udire quel nome.

-Shang Tsung? L'arcistregone dell'Imperatore? -

-Vedete... un generale del'Imperatore è sospettato di avere, come dire, degli affari piuttosto... individuali. Se accettaste il lavoro vi dovrete infiltrare tra le sue schiave personali e spiarlo. -

Le scappò da ridere. -Perché mai dovrei immischiarmi in affari di stato? La mia vita qui è redditizia. Fenzy mi tratta bene, e non rischio la vita. Perché dovrei lasciare tutto e rischiare il collo per colui che mi ha costretto i questa condizione? - Si alzò dal letto e indossò una vestaglia per coprirsi. -Conosco i membri dell'esercito, sono delle bestie. Shao Kahn merita di venire spolpato da quei miserabili di cui si è circondato. -

-Io vi darei la libertà. - La buttò lì, come se fosse la cosa più scontata di questo mondo.

-Come? -

-Avete sentito bene. Lavorate per me, fate un buon lavoro, e voi e vostra figlia sarete libere. -

Il suo sguardo doveva valere più di mille parole, come faceva l'arcistregone di corte a sapere di sua figlia?

Come se fosse in grado di leggerle nel pensiero, l'uomo riprese a parlare, con un sorriso affabile, per metterla a suo agio.

-Sono abituato ad essere scrupoloso nelle mie ricerche. -

Mentre attendeva una sua risposta inclinò appena la testa verso destra, con quel sorrisetto compiaciuto, era sicuro di aver avuto quello per cui si era spinto fino ai bassifondi della città.

-Accetto, ma ad una condizione. - Si alzò in piedi e gli si avvicinò fino ad arrivare a pochi centimetri da lui. -Mia figlia deve restare fuori da questa situazione. Non voglio che diventi un bersaglio o che rischi chissà quali pericoli al palazzo. Lei deve rimanere qui, con Fenzy. -

-Come volete. -

Accettò, ma Shang Tsung già lo sapeva, come era possibile rifiutare?

La sua bambina la salutò sulla soglia della porta, l'abbracciò forte e dovette trattenere a stento le lacrime per non spaventarla. C'era qualcosa di strano in quel momento. Non capiva cosa fosse, forse un presentimento, forse era semplicemente il fatto che fino ad allora non si era mai separata dalla sua piccola per più di un giorno, ma quella sera, mentre la stringeva tra le braccia inspirando il suo odore, sentiva un enorme peso gravarle sul petto.

-Mamma, perché te ne vai? - Le chiese guardandola con i suoi grandi occhi marroni.

-La mamma deve andare a lavorare per un po' da quell'uomo. - La bambina lanciò solo una fugace occhiata truce all'arcistregone che l'attendeva pochi metri più avanti, vicino ad una carrozza. -Ma tornerò presto amore mio. - Le carezzò una guancia. -Tornerò a prenderti e ce ne andremo solo tu ed io. E staremo sempre insieme. -

Fenzy, dietro alla bambina, fece un profondo sospiro mentre le toccava una spalla per cercare di trasmetterle un po' di forza, tramite quelle dita ossute e ferme.

Le dette un bacio sul naso con un sorriso triste, prima di alzarsi e guardare negli occhi la vecchia che l'aveva tenuta in vita per tutti quegli anni e che più di tutti si era dimostrata gentile nei suoi confronti.

-Grazie di tutto. -

-Vai cara. Ci penso io a lei. Stai tranquilla. -

Annuì con un movimento rapido della testa, prima di voltarsi e raggiungere il suo accompagnatore.

-Mi dispiace avervi fatto attendere. -

Lui non rispose, le aprì la portiera della carrozza e lei lo osservò titubante, ma salì in silenzio.

Chissà perché lo aveva fatto? Guardò sua figlia e Fenzy, ancora ferme sulla porta a salutarla, e riuscì a distogliere lo sguardo solo quando il cocchiere svoltò l'angolo nascondendole alla sua vista.

-Non dovevate farlo. Il vostro rango è superiore al mio. -

Shang Tsung la osservò per qualche istante, sembrava pensieroso, per un attimo ebbe l'impressione che le stesse per dire qualcosa, ma poi sorrise in maniera breve, come se con quel lesto sorriso avesse scacciato un pensiero.

-Sono nato gentil'uomo, miss Yane. Voglio che vi fidiate di me. - Si piegò in avanti, avvicinandosi a lei. -Sono curioso. Vostra figlia vi somiglia molto, ma ditemi, anche suo padre era di Edenia? -

-Si. Morì durante la battaglia di conquista. -

Non parlarono più per il resto del viaggio, ma stranamente sentiva una connessione con quell'uomo. Era come se con quelle poche parole si fossero legati con un legame indissolubile. Ma aveva ragione lui. Lei si doveva fidare. Anche e soprattutto perché una volta dentro le mura del castello, lui avrebbe significato la sua unica conoscenza e in caso estremo, sarebbe stato la sua unica ancora di salvezza.

 

I primi attentati colpirono delle ronde di guardia, in ogni attentato morirono quattro soldati semplici, di loro vennero trovati solo i corpi nudi. Le uniformi e le armi erano sparite.

Poi erano stati attaccati dei carri rifornimenti, durante l'ultimo attacco era morto un tenente.

Tra i soldati il morale stava calando a vista d'occhio, e gli episodi di violenza gratuita contro la popolazione aumentavano.

Shao Kahn non aveva mai lasciato dubbi in merito al suo comportamento, se mai fosse scoppiata una rivoluzione popolare non avrebbe esitato a sedarla nel sangue, e non aveva dubbi sulle sue capacità combattive, o su quelle dei suoi uomini, ma era altrettanto vero che non era una soluzione a cui auspicava, di conseguenza, per evitare che il popolo insorgesse contro i soldati prima, e contro di lui poi, decise di affiancare Shang Tsung a Reiko.

In fin dei conti l'arcistregone era stato un allievo di Drahmin, avrebbe senza dubbio saputo affrontare meglio un interrogatorio, e la sua indole scaltra e riflessiva sarebbe stata di aiuto ad un carattere violento e brutale come quello del generale.

Shao Kahn era appoggiato allo stipite alla finestra della sua stanza, osservava con sguardo perso le costruzioni della città, cercando di riconoscere quali di quelle costruzioni esistessero prima del suo impero.

Quel pensiero lo fece correre immediatamente alla figura dell'arcistregone.

Per tanti versi Shang Tsung gli ricordava se stesso da giovane, quando giunse alla corte del suo signore Onaga, anche lui, come il terrestre, era in cerca di potere e conoscenza, ma allo stesso tempo i due divergevano su molti aspetti. La più importante era l'ambizione. Spesso aveva la sensazione che Shang Tsung non avesse un vero e proprio scopo per fare quello che faceva, sembrava che vagasse senza alcun intento preciso ed era un peccato, visto che quando gli era stata affidata una missione aveva dimostrato un acume e un intelletto veramente sopraffino. Certo doveva considerare anche che se così non fosse stato, se Shang Tsung si fosse dimostrato ambizioso come lui, forse lo avrebbe ammazzato seduta stante quella volta che i Tarkatan lo portarono al suo cospetto in catene.

L'ambizione era pericolosa, spingeva i codardi a tentare imprese eroiche e gli eroi ad ergersi ad imperatori.

Guardò pensieroso il calice di vino che stringeva nella mano e facendolo roteare tra le sue dita osservò il liquido vermiglio che rifletteva la luce della stanza, tornando con la mente a secoli, se non addirittura ere prima di tutto quello. Fu inevitabile pensare che Onaga stesse bevendo un calice di vino come quello quando fu tradito.

Si voltò di scatto ad osservare le schiave che dormivano esauste nel suo letto. Chi di loro gli aveva versato da bere? Ed esattamente quando?

Allungò la mano fuori dalla finestra e versò il vino nel vuoto sottostante. Non poteva fidarsi di nessuno.

Gli fu inevitabile pensare a Drahmin. Non si sarebbe mai immaginato che un uomo dall'intelletto affinato e scaltro come lui potesse arrivare a sfidare forze talmente potenti da essere inconcepibili.

Lui non poteva sapere del rischio che gli aveva fatto correre, non sapeva che il suo trono gli era stato offerto direttamente dagli Dei e che quel gesto sconsiderato poteva rovinare tutto quanto. Lo aveva definito stolto, ma quello che agiva contro poteri incommensurabili era lui.

Il calice che stringeva in mano sembrò incrinarsi e si accorse solo in quel momento che lo stava stringendo con forza.

Doveva calmarsi, il pericolo era passato, gli Dei non avevano incolpato lui per quanto accaduto alla Veggente, ma solo Drahmin, che adesso avrebbe passato l'eternità nel Netherrealm sottoposto ad atroci torture, plasmato dalla magia degli Dei in modo da non morire, condannato ad un'esistenza di dolore e sofferenza.

Un destino che non avrebbe augurato a nessuno, anche se doveva ammettere che il disegno divino fosse ironico. Un uomo come il generale, che aveva passato la sua intera esistenza ad infliggere dolori, adesso doveva passare l'eternità a subirli. Gli scappò un mezzo sorrisetto, ma fu inevitabile pensare a quale sarebbe stata la sua fine. Un uomo come lui, che aveva fatto del potere la sua esistenza, come sarebbe morto? Forse malato, senza più facoltà motorie? Senza nessuno che si occupasse di lui?

Pensiero stolto. Lui non sarebbe finito in quel modo. Piuttosto sarebbe morto prima, lui non sarebbe finito come uno storpio, non sarebbe diventato dipendente da nessuno. La sua morte sarebbe stata in un'esplosione di luce e gloria. Così se ne va un Imperatore, così se ne va un Kahn.

 

Sindel osservava pensierosa il suo riflesso allo specchio, il suo volto era mutato, così come il suo corpo. Nel corso di quei due anni era dimagrita, i muscoli avevano lentamente cominciato a riemergere da sotto la pelle, sulla pancia cominciavano ad intravedersi gli addominali, mentre i muscoli sulle gambe sembravano tornati ad essere quelli di un tempo.

Non poteva fare a meno di riflettere che il suo corpo, non era mai stato il corpo di una regina, ma bensì di una guerriera.

Il solo momento nella sua vita in cui si era sentita davvero una regina era stato durante il suo matrimonio con Jarrod. Ed era emblematico come infatti il suo corpo fosse cambiato, divenendo più morbido e meno tonico, addolcendole la linea della mascella e degli zigomi. Adesso che era dimagrita, il suo viso era pallido, gli occhi sembravano più grandi del solito e gli zigomi alti davano alle guance un apparenza ancora più magra.

Allungò un braccio e ne osservò il muscolo stendersi e contrarsi ad ogni suo movimento. Era ancora un braccio delicato, ma gli allenamenti con Sheeva si facevano vedere, presto le sue braccia sarebbero divenute alla pari di quelli di un uomo. Doveva mettersi in forma, tenersi pronta. Non poteva più permettersi di rallentare, doveva combattere. Non per se, ormai si giudicava perduta, ma per Kitana, per la sua felicità. Non le importava se la sua vita sarebbe stato un calvario di lotta e sofferenza, ma il suo sacrificio sarebbe servito a dare felicità alla sua piccola.

Lei non avrebbe mai permesso che le succedesse qualcosa. Non avrebbe mai permesso che soffrisse come le era successo a lei, avrebbe fatto di tutto. Anche trasformare il suo corpo in uno strumento. Sarebbe stata capace di tutto per lei.

La sua vita, la sua morte, e tutta la sua esistenza sarebbero stati per lei.

 

Nitara aveva trovato quel posto per caso. Un giorno era salita su quel tetto, che a prima vista avrebbe definito uno dei più alti, per controllare lo svolgersi delle attività quotidiane nelle strade; adesso invece ci era salita per sfuggire, per una notte, alla pressione della guerra.

Quel pensiero, era inutile negarlo, le aveva fatto un po' paura, mai, durante la guerra per Vaeternus aveva pensato di sfuggire, anche solo per qualche minuto, alla battaglia. Era vano domandarsi che cosa fosse cambiato in lei, perché in fin dei conti era cambiato tutto.

Era cambiato il motivo per cui combatteva, a Vaeternus lo faceva per la sua patria, per i suoi fratelli, adesso lo faceva solo per vendetta. Aveva caricato i ribelli, colmato il loro cuore di speranza per una vittoria impossibile, e tutti la guardavano come se fosse stata una messia.

Abbozzò un sorriso amaro assaporando la brezza serale che era solita levarsi al calar del sole. Era bello sfuggire alle menzogne ogni tanto.

Non era una messia, non era una salvatrice e non era nemmeno una ribelle, era solo una veterana di guerra con tanto odio e tanta rabbia che usava dei disperati per mettere a tacere l'irrequietezza del suo animo. Cercava vendetta non per il suo popolo, ma per il suo orgoglio.

Una folata di vento le buttò giù il cappuccio nero che solitamente le celava il viso, alzò la testa ad osservare la luna grande e alta nel cielo, la sua pelle, era chiara proprio come la luce di quella luna.

-Immaginavo di trovarti qui. -

Voltandosi di scatto vide Bo'Rai Cho che avanzava lentamente verso di lei.

-Stai attento a dove metti i piedi. - Lo ammonì con fermezza, ma al contempo stupendosi di quanto sapesse essere silenzioso un uomo della sua stazza.

Uomo, ma cosa pensava? Bo' Rai Cho non era un uomo, era poco più di un ragazzo, e lei lo stava usando. Aveva preso la sua disperazione e l'aveva reindirizzata per il suo tornaconto personale. A volte si faceva schifo da sola, ma al contempo non riusciva a tirarsi indietro.

-Come mai quassù tutta sola, in solitaria solitudine? - Le si sedette a fianco, con un'espressione canzonatoria, la luna illuminava anche il suo volto. Aveva smesso di farsi la barba e ora una leggera peluria nera gli ombreggiava mascella e mento, facendolo sembrare più vecchio.

-Potrei farti la stessa domanda. - Ribatté non riuscendo a negargli un sorriso.

-Allora credo che mi toccherà rispondere per entrambi. - Bo' Rai Cho rivolse il suo sguardo alla città sotto di loro. -Direi che è bello ispirare questi ribelli nel loro intento, ma a volte è altrettanto bello sfuggire alla pressione di essere un leader e ritirarsi un po' da soli, in compagnia di noi stessi. -

-Davvero è questo il motivo per cui sei venuto quassù? - Era incredibile come riuscisse a capirla in quel modo, possibile che anche lui provasse i suoi stessi timori e magari anche lui veniva assalito dai suoi stessi dubbi?

-No, in realtà dovevo parlarti di una cosa importante e ti avevo visto salire qui. -

L'aveva presa in giro, ma la cosa non la fece arrabbiare, anzi, la fece ridere e lo colpì con un pugno alla spalla.

-Sempre il solito. Riuscirai mai ad essere serio? -

-Ci sei già tu che sei abbastanza seria per entrambi. - Si strinse nelle spalle. -E poi mi piace vederti sorridere. -

Erano strani i suoi occhi, ma tutta la sua figura era strana, era un misto di antitesi che andavano a convivere in perfetta e affascinante armonia.

-Di cosa dovevi parlarmi? -

-Temo che Reiko abbia scoperto la mia copertura. -

Lo guardò con ansia, se così fosse, era in grave pericolo di vita. -Ne sei sicuro? -

-No, ma c'è qualcosa di strano nei documenti che trovo. Prima pensavo fosse una semplice coincidenza, ma adesso... non so che pensare. - Si appoggiò sui gomiti quasi sdraiandosi sul tetto. -Ho trovato dei documenti che parlano di un avamposto di ribelli degli Zaterran. A quanto sembra il popolo dei sauri si è diviso dopo la guerra di Vaeternus, a causa delle enormi perdite che hanno subito. Un generale si è distaccato ed ha formato una divisione di ribellione all'impero. Ma il modo in cui l'ho trovato... era come se non dovesse trovarsi lì. -

-Ed è solo una tua sensazione? -

-No, c'è qualcosa di più. Ho accesso alle sue stanze, ma solo ad una minima parte, è come se lui volesse farmi entrare solo lì, fornirmi quei documenti. -

-E perché mai Reiko dovrebbe guidarci contro il suo stesso imperatore? -

-Non lo so. -

Entrambi rimasero in silenzio, poi a parlare fu Nitara.

-Gli Zaterran sono degli abili soldati, imbattibili per quanto riguarda la furtività, averli come alleati per noi sarebbe un dono inaspettato. -

-Forse nemmeno più di tanto. Non so come mai dovrebbe ordire certe trame, ma sono convinto che Reiko voglia che ci avvaliamo del loro aiuto. -

-Finché i nostri scopi coincidono con i suoi dobbiamo approfittarne. -

Bo' Rai Cho annuì, ma i suoi occhi erano persi nel vuoto.

-Qualcosa non va? - Gli domandò la donna.

-Non mi piace seguire un piano se non so a cosa conduce. -

-Se pensi che sia troppo rischioso... -

-Non è alla mia vita che penso. - La interruppe. -Ho sentito voci talmente inquietanti sul suo conto che rabbrividisco al solo pensiero, e non conoscere le sue reali intenzioni mi innervosisce. Non vorrei fosse una trappola. -

-Probabilmente lo è, faremo degli accertamenti, ma se quello che hai trovato è vero, gli Zaterran sarebbero degli alleati formidabili. Forse potremmo addirittura vincere. -

Bo' Rai Cho rimase in silenzio, ma aveva lo sguardo grave, forse pensava che stava prendendo la faccenda troppo sotto gamba, in fin dei conti anche lei aveva visto la forza sproporzionata di Shao Kahn, lui da solo valeva come un esercito.

-Pensi che Reiko stia tradendo Shao Kahn? - Gli domandò.

-Non lo so, non ci capisco niente degli intrighi di corte. So che l'Imperatore gli ha affiancato Shang Tsung per le indagini sugli attentati. Ma non saprei se lo ha fatto per mancanza di fiducia, o paranoia, o solo per dargli una mano. Shao Kahn è un paranoico, e questo lo sanno tutti, e Reiko è stato visto spesso in compagnia della regina Sindel. Ma se davvero Shao Kahn dubitasse della sua lealtà non glie lo permetterebbe, e non sarebbe certamente ancora sulle sue gambe. -

-Devi trovare un alleato all'interno del castello, è l'unica possibilità che abbiamo. Cerca di scoprire che cosa ha in mente Reiko, solo così potremo essere certi delle informazioni che raccogliamo. - Gli appoggiò una mano sulla spalla. -Ma fai attenzione, e non esitare a fuggire se hai il presentimento che le cose si possano mettere male. - Voleva dirgli di più, ma non ce la fece. Non sapeva dare voce a quell'affetto così forte e prorompente che sentiva per lui. Non sapeva nemmeno dargli un nome. Era più forte dell'amicizia, o forse della stessa intensità, eppure diverso. Voleva dire di più. Voleva dirgli che non avrebbe retto alla sua perdita, che doveva rimanere vivo per lei, per farla ridere, per tranquillizzarla, per essere la sua spalla in eterno. Voleva dirgli tante cose, ma non ci riusciva, perfino la sua mano sulla sua spalla le sembrò un gesto così fuori luogo, talmente tanto da ritirarla immediatamente.

-Me la so cavare. - Ribatté con un sorriso sicuro.

-Quell'informazione sugli Zaterran, anche se è un rischio, dobbiamo provare. Non abbiamo alternative. -

-Si, lo capisco. - Sospirò pesantemente. -Reiko mi vuole con se durante le indagini, c'è la possibilità che non ci rivedremo per diverso tempo. Farete lo stesso l'attentato che avete progettato? -

-Si, è tutto pronto ed è troppo importante per i nostri piani per rinunciarvi. -

Quella era una brutta notizia, infatti entrambi rimasero in silenzio per diverso tempo, poi fu di nuovo lui a rompere l'imbarazzo che si era venuto a creare.

-Ci andiamo a fare un goccio? -

Quella domanda, così assurda, detta con quel tono così allegro, con occhi così birboni, in perfetto contrasto con la triste notizia che le aveva appena dato, la fece ridere di gusto.

La sua risata si perse tra i vicoli della città addormentata, nell'oscurità della notte.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Dubbi ***


L'attentato fu una vera strage, morirono ventisette soldati semplici, due caporali e un colonnello.

Quando Bo' Rai Cho arrivò sul posto, ancora non era stato toccato niente, i corpi delle vittime giacevano ancora nella polvere, l'olezzo delle interiora lasciate al sole aleggiava nell'aria, ma non sembrava dare fastidio a nessuno. Ormai si erano abituati a quell'odore durante le guerre che avevano combattuto, ed era divenuto talmente familiare da essere quasi piacevolmente rassicurante.

Il generale Reiko aveva appena spostato con la punta del piede un cadavere, voltandolo sulla schiena e mettendo a nudo la profonda ferita che gli squarciava l'addome, talmente profonda da aver perforato le budella ed aver quasi raggiunto l'osso della spina dorsale.

Osservando le guardie che erano lì con loro, era facile leggere l'odio e il ribrezzo per quell'atto, considerato vile ed aberrante, ma osservando lo sguardo di Reiko, niente traspariva dal suo volto di pietra, se non la più totale e completa indifferenza. D'un tratto lo sentì addirittura ridere, ma per fortuna notò che non erano i corpi dei soldati a divertirlo, ma l'arcistregone.

In effetti quell'odore non destava ribrezzo a nessuno, tranne che a lui, il quale si era portato una manica a premere contro il naso, nel vano tentativo di ostacolare il puzzo con la stoffa.

-Un tipo del genere starebbe più a suo agio con le donne che con gli uomini. - Gli si era rivolto in modo confidenziale, dando le spalle all’arcistregone, per non farsi udire. Sembrava volesse farsi bello ai suoi occhi, un comportamento che Bo’ Rai Cho trovò particolarmente strano. Sarebbe stato normale il contrario.

Reiko si avvicinò allo stregone, che si era chinato su uno dei corpi. -Se stai per vomitare, ti consiglio di allontanarti. - Fece un rapido gesto con la testa, indicando le guardie presenti. -Non credo che prenderebbero bene se vomitassi sul corpo di uno dei loro commilitoni. -

Shang Tsung allungò una mano e dalla ferita del cadavere estrasse quella che a prima vista sembrava una lunga spina, la osservò attentamente, proprio come fecero anche Bo' Rai Cho e Reiko.

-Che cos'è? - Non si riuscì a controllarsi dal chiedere.

-Una scheggia di metallo. - Rispose quello pulendola con le dita e mostrando la lucentezza del materiale.

-E allora? - Chiese Reiko con un sorrisetto canzonatorio.

-Solo l'esercito utilizza armi di metallo. - Shang Tsung ripose la scheggia in una sacca di pelle marrone, che portava legata alla fascia in vita. -I ribelli stanno utilizzando le armi che hanno rubato negli attentati precedenti. -

-Non capisco cosa ci sia di così sorprendente, in fin dei conti le avranno rubate per questo. - Reiko si mise le mani sui fianchi e girò la testa ad osservare qualcosa in lontananza, socchiudendo gli occhi per la forte luce del sole che gli picchiava in faccia. -Ti lascio il ragazzo per le indagini Shang Tsung, io vado a bussare alle porte dei soliti sospetti. -

-Non mi serve, può venire con te. - Ribatté con fare distratto.

-Insisto. -

Il loro scontro di sguardi fu quasi divertente. Da un lato l'arcistregone ostentava tutta la sua supponenza, mentre dall'altro, Reiko dette sfoggio di un falso sorriso di cortesia, che non avrebbe tratto in inganno nemmeno un bambino.

Nel mezzo Bo' Rai Cho, che cominciava a sentirsi vagamente a disagio.

Alla fine Shang Tsung non disse altro, e il generale prese quel silenzio come un assenso, così gli dette una paterna pacca sulla spalla e una parola di incoraggiamento tanto fugace quanto asettica, ma chissà, forse quello per lui era il massimo dell'affettuosità che riusciva a dimostrare, e si allontanò con quella sua tipica camminata prepotente.

Dopo un primo momento di indecisione, Bo’ Rai Cho si avvicinò a Shang Tsung che stava dando disposizioni, affinché portassero i cadaveri nelle Fosse di Carne.

-Che cosa ne pensate? - Domandò indicando i cadaveri con un sorriso bonario in volto.

-Che non mi piacciono le spie. - Rispose laconico quello, senza guardarlo, salvo poi voltarsi verso di lui e ostentare un'espressione sorpresa nel vedere il suo sguardo basito. -Ah... tu stavi parlando dell'attentato. -

Non gli era piaciuto quel commento. Che cosa voleva insinuare? Possibile che avesse capito? Che sapesse?

No. Come era possibile? Nessuno lo aveva mai visto entrare e uscire dalle stanze di Reiko.

O forse credeva che Reiko lo avesse lasciato lì per spiarlo?

-Non sono una spia. - Balbettò sconvolto. Grosso errore. Anzi un errore madornale.

Shang Tsung lo guardò a lungo, chinò appena la testa di lato come se qualcosa nel suo volto avesse attirato la sua attenzione, poi abbozzò un ghigno che forse voleva essere un sorriso e si voltò ad osservare la strada.

Guardò per terra per qualche secondo e poi cominciò a camminare seguendo una pista invisibile.

Bo' Rai Cho in un primo momento non seppe che fare, poi optò per seguirlo.

-Avete scoperto qualcosa? -

-Si. - Rispose semplicemente l'arcistregone continuando a camminare.

Bo' Rai Cho lo seguiva in silenzio, guardandosi spesso intorno, notando come il loro passaggio destasse tanto interesse dai cittadini che svolgevano quotidianamente la propria vita. Si costrinse al silenzio, quando vide che Shang Tsung svoltò per dirigersi nella parte bassa della città, proprio verso il covo di Nitara e dei ribelli.

Ma non poteva sapere dove si fossero diretti dopo l'attentato, era impossibile. Continuò a seguirlo, divenendo sempre più preoccupato ad ogni passo che gli avvicinava a Nitara.

-Non credo che dovremmo andare laggiù... -

Shang Tsung era in procinto di scendere le scale che portavano alla zona limitrofa alle mura, troppo vicino perché stesse camminando alla cieca. Ma come poteva sapere dove fossero i ribelli? Come?

-Se non vuoi venire, torna pure indietro. So badare a me stesso. -

-Non è questo... ma mi chiedo cosa ci facciamo qui. -

Shang Tsung indicò per terra. -Seguiamo delle tracce. -

Lui guardò, ma non vide niente.

-Hanno usato un carro per fuggire dalla zona dell'attentato, le tracce sono ben visibili. -

-Voi sapete seguire le tracce? - Non credeva che un arcistregone fosse in grado di fare una cosa come quella, pensava che gli stregoni se ne stessero chiusi nel proprio laboratorio a mescolare intrugli e fare chissà quali esperimenti.

Dovette accusare un'occhiataccia ovvia e proseguire.

-Pensate che i ribelli si nascondano da queste parti? - Era un azzardo fargli una domanda tanto diretta, ma doveva rischiare.

-Si, certamente. - Si fermò all'altezza del vicolo che portava al negozio di Kollector.

-Lo avete dedotto solo dalle tracce? -

-No. Questa è la parte più povera della città, di conseguenza la più mal-soddisfatta. -

Era un rischio, ma forse con Shang Tsung doveva essere l'opposto che con Reiko, se con uno doveva essere cauto, forse la chiave per ingraziarsi l'altro era l'audacia.

-Allora non credete che dovremmo fare qualcosa? Non lo so, forse un rastrellamento. -

Quello rise sommessamente. -Non ce n'è bisogno. Non ancora. -

Bo' Rai Cho lo affiancò e si guardò attorno, fingendo noncuranza, mentre in realtà cercava una faccia amica, con la paura che potesse finire nelle grinfie di quell'inquietante individuo che gli stava di fianco.

-E allora che facciamo? - Gli domandò.

-Niente. - Shang Tsung osservò il vicolo alla sua destra e Bo' Rai Cho pregò gli Dei perché il tanfo delle fogne aperte lo scoraggiasse ad avventurarsi lì dentro. -Per il momento io non farò assolutamente niente. - Lo guardò dritto negli occhi e Bo' Rai Cho sentì un brivido arrampicarsi lungo la schiena, non aveva mai visto occhi tanto freddi, che fosse una prerogativa dei nativi della Terra avere occhi così inespressivi e vuoti? Privi di anima?

-Ma tu andrai in quella locanda e se sei intelligente ti ubriacherai talmente tanto da avere dei postumi inconfondibili domani. - Lo guardò stupito, non capiva dove volesse andare a parare. -Quando Reiko ti chiederà un rapporto sulle indagini, gli riferirai che abbiamo seguito delle tracce fino al pomeriggio e abbiamo passato il resto della sera a bere insieme in quella locanda. -

Era sconcertato, ma che aveva in mente?

-Non capisco. -

-Vedrò di farti capire meglio. - Si passò una mano leggera sul pizzetto nero, mentre i suoi occhi divenivano più tetri, il tono di voce calò di poco, divenendo leggermente più roco. -Fai quello che ti dico e noi due non avremo problemi. -

Il sangue gli ribolliva nelle vene, quanto avrebbe pagato per potergli rispondere a tono. Shang Tsung era certamente un tipo inquietante, e forse era proprio quell'inquietudine nei suoi confronti a mettergli in circolo l'adrenalina che sentiva strisciare lungo i nervi. Ma non poteva, e così si limitò ad asserire in silenzio. Lo guardò allontanarsi cercando di calmarsi, accorgendosi solo allora che aveva tenuto per tutto il tempo le mani serrate in pugni chiusi.

Quello stregone era un tipo piuttosto ambiguo e misterioso, non riusciva a capire bene che cosa avesse in mente e cosa sapesse. Dava l'impressione di sapere ogni cosa, ma era impossibile, quindi stava sicuramente bluffando, e lui doveva stare attento a non cascare nelle sue trappole. Però era anche intelligente, acuto e pieno di risorse. Era un tipo pericoloso, non c'era dubbio, e se non stava attento avrebbe finito col farsi scoprire.

Per il momento era meglio assecondarlo, in fin dei conti stare al suo gioco gli avrebbe permesso di capire meglio cosa ci fosse in ballo e quali fossero i suoi piani, e poi così aveva la possibilità, contro ogni pronostico, di andare a salutare Nitara.

 

Ogni giorno Sindel aveva continuato a praticare arti marziali. Era un ottimo modo per distrarsi, ma soprattutto si voleva tenere in forma contro ogni evenienza. Vivere sotto lo stesso tetto di un mostro come Shao Kahn la costringeva ad essere pronta a tutto, i suoi nervi erano sempre a fior di pelle, e purtroppo, sentiva dentro di se che questa situazione, lei stessa, la stava riversando su Kitana. Troppo piccola per capire che cosa stesse consumando in quel modo sua madre e il motivo dei suoi comportamenti, forse troppo esagerati ad un occhio esterno e magari più maturo. Era triste da ammettere, ma starle lontana faceva bene ad entrambe.

Ormai era divenuta una pratica quotidiana che agognava, attendeva quasi trepidante, forse proprio quanto quelle gite che faceva con Reiko.

Il generale era un uomo strano, spesso i suoi occhi si alienavano, chissà a cosa pensavano, se alle atrocità della guerra o chissà quale altro orrore aveva dovuto subire o vedere per essere nella posizione in cui era.

Spesso si domandava che razza di infanzia passassero gli abitanti di quella terra, come doveva essere crescere e vivere in un posto del genere senza conoscere altri mondi o possibilità.

Chiuse gli occhi, da quando aveva visto Shang Tsung, sui piloni delle mura, aveva preso l'abitudine ad allenarsi lì, era un ottimo esercizio per allenare mente e corpo all'equilibrio. Chissà se inconsciamente si dirigeva proprio lassù per incontrarlo. Era mesi che la evitava.

Scacciò quel pensiero, cercando di estraniarsi, concentrandosi sul vento caldo che tirava nel brunire della sera, e che le asciugava il sudore addosso.

Improvvisamente una presenza alla sua sinistra la distrasse, aprendo gli occhi vide la figura di Shao Kahn fermo immobile all'entrata della torre.

Quasi non capendone il motivo, scese dai pioli.

-Non smettere a causa mia. - Disse l'Imperatore avanzando di qualche passo.

-Comunque ho finito. - Rispose secca e accorgendosi in quel momento che per rientrare avrebbe dovuto passargli accanto.

-Avevo già visto quei movimenti, ad Edenia, ma non sapevo che anche tu sapessi praticarli. -

Chissà da quanto tempo era lì a spiarla? Come aveva fatto a non accorgersene? Adesso aveva bruciato il suo effetto sorpresa.

-Sto solo cercando di tenermi in forma. La vita sedentaria non fa per me. -

Shao Kahn non disse niente, tra loro calò, come al solito, un silenzio imbarazzante, carico di tensione. Sembrava che l'Imperatore non fosse in grado di sostenere una conversazione di cortesia. Quella parte di lui, così negata per le relazioni sociali, le faceva quasi tenerezza, e a volte si sentiva una stronza a respingere tutti i suoi patetici tentativi di instaurare una conversazione.

Scacciò velocemente quel pensiero ricordandosi che cosa avesse fatto quel mostro alla sua casa, al suo amore e alla sua vita.

-Se permettete, vado da Kitana. - Si avviò verso l'entrata della torre, questa volta non abbassò lo sguardo, sostenendo i suoi occhi rossi come il sangue.

-Reiko non può più accompagnarti fuori dal castello. - Sputò quella frase con una fredda determinazione, quasi un ordine militare.

Lo guardò furiosa, non si aspettava una carognata come quella.

-Cosa? Perché? Cosa gli avete fatto? -

Shao Kahn si prese il suo tempo per rispondere, la bocca fissa in un'espressione autoritaria.

Si sentiva montare la rabbia dentro. L'ennesimo dispetto, l'ennesima rinuncia per cosa? Aveva fatto finire Reiko nei guai? Che cosa gli aveva fatto quel mostro? Senza accorgersene si ritrovò a pochi passi da lui. Dentro di se, voleva convincersi che si sarebbe battuta con lui, che avrebbe lottato con tutte le sue forze, ma in realtà, ogni volta che si trovava in sua presenza, non riusciva a mantenersi lucida e non riusciva a ignorare quella sensazione di inquietudine e timore che la divoravano.

-Non gli ho fatto niente. - Rispose ad un tratto. -Le strade ultimamente non sono sicure. Ci sono dei disordini dovuti a degli attacchi terroristici, e non è consigliabile per te uscire nelle strade. -

Spesso si chiedeva come mai Shao Kahn non dicesse tutto e subito, era solito dire le cose a metà, ancora non aveva capito che quello era il modo più sicuro per farla arrabbiare?

Si ricompose, sentendosi sciocca ad essersi arrabbiata in quel modo per niente.

-Va bene. Adesso mi fate passare? Per favore? - Non riusciva a non dimostrare rabbia e disprezzo nei suoi confronti era più forte di lei.

-Nessuno te lo impedisce. - Ribatté quello, salvo poi richiamarla quando lei gli passò di fianco. -Se comunque vuoi uscire, ti accompagno io. -

Sembrava più un ordine che una richiesta, e fu in quel momento che si rese conto di quanto il modo di fare di Shao Kahn fosse simile a quello di Reiko. Entrambi non sembravano concepire una richiesta di gentilezza, completamente astrusi dalla vita sociale normale, troppo abituati ad una vita militare per concepire qualsiasi tipo di relazione che non comprendesse una gerarchia marziale.

-Pensavo non fosse consigliabile per me uscire. - Ribatté acidamente.

-Infatti. Ma visto che tendi a trasformare ogni capriccio in una questione di stato, preferisco evitare problemi in questo momento delicato. - Si chinò appena verso di lei. -Non è consigliabile mettere alla prova nemmeno la mia flessibilità. - Si fissarono negli occhi, e questa volta fu fiera di se, perché con cocciuta determinazione riuscì a ricambiarlo. -Impara a dire grazie. -

-Grazie. - Rispose a denti stretti e sapeva fin troppo bene che invece di una cortesia, quella parola risultò più come una sfida. Ma non le importava, anzi, voleva che capisse che era pronta a combattere e non aveva paura di lui.

Gli passò accanto, fiera, senza sfiorarlo, senza guardarlo ulteriormente, in un certo senso temeva che se avesse ancora incrociato il suo sguardo, le sue certezze sarebbero venute meno, Shao Kahn era un uomo che incuteva un certo timore, e nessuno ne era immune. Nemmeno lei.

Sentiva il cuore rimbombarle nel petto, e si domandò se l'Imperatore lo avesse udito, riuscì a calmarsi solo quando si ritrovò a diversi metri di distanza. Camminava veloce, quasi temesse che lui potesse rincorrerla.

La mente era affollata da pensieri e constatazioni. Shao Kahn la spaventava, era un pensiero al quale doveva farci l'abitudine, e ancor meglio avrebbe dovuto conviverci, accoglierlo, prenderne atto e contrastarlo. Fino ad allora si era imposta di non averne spavento, ma era impossibile negarsi un sentimento tanto forte.

Non era solo ciò che poteva farle ad intimorirla, ma anche quello che avrebbe potuto fare a Kitana. In passato l'aveva già minacciata, al tempo solo per spaventarla, ma chissà che in futuro non avrebbe fatto seguire i fatti alle parole.

In quei mesi si era avvicinata parecchio a Reiko, tanto da fargli delle confidenze, ma adesso si chiedeva se, con il suo atteggiamento, non lo avesse messo in pericolo. Forse era proprio quello il motivo per cui Shang Tsung si era allontanato da lei.

Mentre aveva la mente affollata da tutti quei pensieri, non si accorse di una presenza dietro ad un angolo appena sorpassato, se ne accorse solo quando si sentì afferrare saldamente per un braccio, neanche il tempo di gridare che si ritrovò una mano a pressarle contro la bocca. Istintivamente fece per colpire l'aggressore, ma si ritrovò incastrata tra la parete e il suo corpo.

All'inizio fu un odore a tranquillizzarla, ancor prima di rendersi conto di non correre alcun pericolo, e fu un odore speziato, dolciastro, sapeva di incenso misto al fresco dei fiori di campo, era un odore che aveva già sentito, e di fatti sgranò gli occhi riconoscendo la figura scura che la teneva premuta contro il muro.

-Non urlate. Sono io. -

Sindel gli spostò con malagrazia la mano che le impediva di parlare e lo spinse via da se.

-Sei forse uscito di senno? -

Doveva aver alzato troppo la voce, perché Shang Tsung le tappò nuovamente la bocca.

-Non urlate... Fate silenzio. -

Fece per spingerlo via, ma questa volta non ci riuscì. E questo contribuì ad aumentarne la rabbia. Cercò di urlargli ancora contro, ma a causa della mano pressata sulla bocca uscirono solo mugolii furiosi.

-Mi dispiace per questo. Ma devo parlare con voi. In privato. -

L'offesa che gli uscì di bocca, seppur nascosta dalla mano dell'uomo dovette essere comunque udibile allo stregone, che sollevò un sopracciglio e si lasciò sfuggire un sorrisetto sghembo.

-Un linguaggio degno di voi, mia signora. -

Furiosa come non mai gli dette un morso alla mano, proprio tra il pollice e l'indice, questo fu sufficiente a liberarsi.

-E di questo che mi dici? Lo trovi degno di me? -

-Ma che vi prende? - Questa volta fu lui ad alzare appena la voce, massaggiandosi la mano morsa.

-Cosa prende a me? - Gli tirò una spinta per allontanarlo da se, non le piaceva averlo troppo vicino, i suoi abiti, le sue mani, profumavano di filtri e pozioni, spezie e fiori. Erano odori che le davano alla testa. -Cosa prende a te?! Mi eviti per mesi, non mi rivolgi la parola, né mi guardi quando ci incontriamo. E poi mi aggredisci in mezzo al corridoio? -

-Abbassate la voce. Se mi vedono, o mi sentono, finisce male. -

-Che cosa hai fatto questa volta? - Si pentì immediatamente di quella domanda, alzò una mano come a fermare una sua risposta. -No, anzi, non mi interessa, non me ne frega niente. -

Fece per andarsene, ma Shang Tsung le afferrò il polso.

-Concedetemi qualche minuto per spiegare. Almeno questo. -

Non voleva guardarlo, ma fu inevitabile nel voltarsi incrociare il suo sguardo.

Che fossero genuini questa volta i suoi occhi?

Era questo il problema con un uomo come Shang Tsung, non sai mai quando ti mente e quando dice la verità, e anche se dentro di se, conosceva la risposta, ancora una volta cadde nelle sue menzogne.

Sospirò rassegnata, dandosi mentalmente dell'idiota.

-Va bene. - Incrociò le braccia davanti al petto e sollevò appena il mento verso di lui. -Avanti... spiegami. -

Lui le mostrò una porta, poco più avanti. -Andiamo in un posto più tranquillo, vi spiace? -

Sbuffando si avviò verso la porta, e lo vide che aveva sorriso quel maledetto, conscio di averla ancora spuntata. Arrogante bastardo, sapeva bene dove colpirla e come, ed era consapevole di farlo fin troppo bene.

Entrarono dalla porta, ritrovandosi nell'anticamera in una stanza, evidentemente di un servitore.

-Di chi è questa stanza? -

-Di una schiava. - Rispose lui chiudendo la porta.

-Allora cos'è che vuoi? - Tagliò corto, non volendo tirarla troppo per le lunghe, era già riuscito a mandarle il sangue al cervello.

-Reiko vi sta usando. -

Per qualche secondo non riuscì a comprendere bene quelle parole, poi scoppiò a ridere.

-Certo. E da cosa lo hai dedotto? -

-Lui non è quello che pensate, mia signora, Reiko è un uomo molto diverso da ciò che appare. -

-Come te? -

Lo stregone accusò il colpo, la fissò per qualche istante corrugando appena la fronte, aveva abbandonato la maschera dell'amico, e adesso aveva più l'espressione di un teppista che fissava curioso e arrogante una rissa per strada.

-Voi non state bene mia signora. - Se solo avesse avuto un'intonazione preoccupata, sarebbe parsa la frase accorata di chi cerca di aiutare, ma il tono che aveva usato sembrava più lo scherno di un ragazzino che cerca di fare a pugni con chi è più grande di lui.

-Ma come ti permetti ad usare una simile confidenza con me? Impara a stare al tuo posto stregone... -

-O mi farete frustare, non è così? - La interruppe avvicinandosi di qualche passo. -Voi non siete lucida. Siete come una bambina sperduta che si aggrappa alla mano del primo uomo che incontra per strada, e non vuole rammentarsi di quanto sia pericoloso fidarsi degli estranei. -

-Ma non preoccuparti, ho una certa dimestichezza con chi mente per i propri scopi. - Avrebbe voluto colpirlo. Avrebbe voluto schiaffeggiarlo e urlargli contro tutto il suo rancore per averla lasciata da sola.

-Evidentemente non abbastanza. - Entrambi si erano avvicinati e adesso si fronteggiavano proprio come se stessero per iniziare un combattimento, i muscoli tesi, gli occhi fissi a cogliere ogni cedimento o guizzo dell'altro.

-Si, vi ho mentito, ho usato le vostre debolezze per avvicinarmi a voi e approfittarmi della vostra ingenuità, per raggiungere i miei scopi. Ma noi due abbiamo raggiunto un accordo, ve lo ricordate ancora? -

Come dimenticarsene? La sua unica via di fuga. La sola speranza di dare a Kitana una vita normale.

-Cosa vuoi? Parla chiaro. -

-Voglio che apriate gli occhi. Che vi svegliate dal vostro sogno di principessa. Nessuno cerca la vostra amicizia per il vostro bell'aspetto, non siete l'unica donna appetibile dell'Outworld, quindi smettetela di comportarvi come se ogni uomo volesse solo infilarsi sotto la vostra gonna. Non siete voi che usate gli altri, sono gli altri che vi usano per i propri scopi. -

Questa volta non riuscì a trattenersi e lo colpì con uno schiaffo.

-Come osi fare certe insinuazioni su di me? -

Non se lo aspettava, ma lo schiaffo che le venne restituito fu così forte che le fece voltare la testa di lato.

Era sgomenta. Aveva davvero osato alzare le mani su di lei?

L'avrebbe pagata cara.

Fece per colpirlo, ma lui le bloccò la mano a mezz'aria.

-Davvero non avete visto che Reiko indossa gli stessi abiti di Shao Kahn? Davvero non scorgete la falsità nel suo modo di porsi? Non capite che sta fingendo? - Non voleva ascoltarlo, ma mentre lui le parlava, erano numerose le scene che si ripresentavano alla memoria in cui aveva notato qualcosa che non andasse nel generale. -Davvero credete che sia capace di provare sentimenti come l'amore? Lui non vi desidera per amore. Lui vi vuole, perché vuole tutto ciò che ha Shao Kahn! -

-Stai mentendo. - Strattonò la mano per liberarla dalla sua presa, ma ottenne, invece, il risultato di avvicinarlo a se.

-Che motivo ne avrei? - Domandò.

-Non lo so. Stai solo cercando di usarmi! -

-Non vi siete chiesta come mai Sheeva si trattiene dall'esporvi il suo reale pensiero? Perché io non mi sia più avvicinato? Non avete visto i suoi uomini che vi seguono continuamente? -

-Sono per la mia sicurezza. -Lo spinse via, riuscendo a liberare anche la mano. -Non devo rispondere a te di niente! Niente! Tu non sei niente per me! E io non sono niente per te! Ci siamo solo usati! Che altro vuoi dalla mia vita?! - Alla fine era scoppiata, nemmeno si accorse che stava piangendo mentre urlava.

Se non altro aveva ottenuto l'effetto di scioccarlo.

Shang Tsung serrò la bocca in un’espressione corrucciata, come se stesse valutando se dire o meno quella a cui pensava.

-Io vi sono debitore. - Disse infine tutto d’un fiato. -Non che la cosa mi piaccia, sia ben chiaro. Ma vi sono debitore. Voi una volta mi avete salvato la vita. Stavo cercando di fare lo stesso. -

Adesso stava a Sindel rimanerci di sasso.

Lui sospirò profondamente, rompendo il silenzio che si era venuto a creare.

-Io vi capisco. So cosa vuol dire perdere ogni cosa. Ci si sente come naufraghi in mezzo al mare e ci si attacca ad ogni detrito che vediamo, pensando che possa tenerci a galla, ma non è così. -

Era mai possibile che fosse sincero?

Era confusa, non sapeva più di cosa o chi fidarsi. I suoi occhi sembravano sinceri, ma poteva sempre essere un altro dei suoi trucchi. Ma perché le stava facendo quello?

-Lui vuole spodestare Shao Kahn. -

-Hai delle prove? - Domandò sconvolta.

-Non ancora, ma le avrò presto. - Ribatté lui con quella sua tipica sicurezza, di chi ha tutte le risposte pronte.

Sorrise con uno sbuffo e si asciugò velocemente le lacrime dal viso. -Tu... sei veramente incredibile... - Scosse la testa sconvolta. -Perché mai dovrei essere dispiaciuta, se Reiko spodestasse Shao Kahn? -

-C'è un motivo per cui vi ho portata qui. - Shang Tsung si mosse verso la porta che dall'anticamera portava alla camera da letto, facendole segno di seguirlo.

Quando aprì la porta, con la mano libera le fece cenno di non fare confusione.

Su di un misero letto, c'era una donna, bellissima, dalla pelle leggermente abbronzata, lunghi capelli corvini sciolti che ricadevano sul cuscino, il suo volto era rilassato, stava dormendo.

Sul comodino di fianco al letto c'erano delle garze sporche di sangue, anche il suo collo era fasciato.

Sindel si voltò di scatto verso l'uomo al suo fianco, che come se le avesse letto nel pensiero, cominciò a rispondere alle sue domande.

-Si chiama Yane, è un'edeniana come voi. Adesso è una serva di Reiko. -

Lei lo guardò sconcertata, non capendo ancora dove volesse andare a parare.

Sahng Tsung si avvicinò al letto e delicatamente spostò il lenzuolo che copriva la donna, rivelando il busto completamente fasciato.

Istintivamente Sindel si portò una mano alla bocca. Le bende erano sporche di sangue in più punti.

-Tutti i giorni, dopo le... "esigenze" del generale, io la curo e la rimetto nuovamente in piedi. -

Sindel deglutì a vuoto e distolse lo sguardo.

-Ti prego, lasciamola in pace. -

Le faceva male vedere una sua connazionale ridotta in quel modo. Chissà chi era prima dell'invasione dell'Outworld, una donna così bella... non voleva pensarci.

Entrambi tornarono nell'anticamera.

-Perché? - Gli domandò solamente.

-Voi mi avete chiesto perché non dovreste volere che Reiko spodesti Shao Kahn. L'Imperatore vi ha mostrato rispetto, dubito che Reiko faccia lo stesso. -

Rimase in silenzio qualche secondo, la sua mente era affollata da mille pensieri, non ce la faceva, aveva bisogno di restare sola e pensare.

-Devo andarmene... - Disse ad un tratto.

Si avviò verso la porta, ma quando fece per aprirla, si voltò verso di lui.

-Il nostro accordo è ancora valido? -

-Ovviamente. - Rispose senza scomporsi.

Fece un profondo sospiro e sparì oltre il vano della porta.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Xiangqi ***


Yane non stava dormendo, ormai erano mesi che non dormiva affatto, e non era solo per le ferite fisiche, ma soprattutto per quelle psicologiche.

Quando Shang Tsung rientrò nella sua camera da letto, la trovò seduta.

-La regina mi sembra una donna molto gentile. -

Shang Tsung sorrise in maniera sghemba, avvicinandosi lentamente a lei.

-Gentile, a volte è solo un sinonimo di stupida. -

Lei gli rivolse un'espressione di biasimo. -Anche voi siete gentile, ma non siete uno stupido. -

La guardò in modo strano, le lanciò uno sguardo furbo, con un sorriso che sembrava senza allegria.

-Io non sono gentile, sono educato, anche se ammetto che spesso le due cose possano essere confuse. -

Yane era abituata ad avere uomini nella sua camera da letto, il suo senso del pudore si era spento ormai da anni, tuttavia c'era qualcosa in quell'uomo che la faceva sentire in imbarazzo. Era come se, con lui, non si sentisse nuda esteriormente, ma interiormente.

Istintivamente si tirò il lenzuolo a coprirsi il petto fasciato, un gesto assurdo visto e considerato che ormai erano mesi che la vedeva nuda per poterla curare da quelle atrocità.

Dovette percepire qualcosa, perché smise di rassettare le cose sul comodino e si voltò completamente verso di lei.

-Avete dei ripensamenti? - Le domandò.

-No... per quello che mi avete promesso sarei disposta a tutto, anche a cose peggiori di queste... ma... temo che presto gli verrò a noia, e allora non vi sarò più utile. In quel caso... -

-Manterrei comunque la mia promessa, non temete. Ciò che mi avete detto mi è stato molto utile. -

La verità era un'altra, lei lo sapeva benissimo, e quel che peggio, era che fosse sicura lo sapesse anche lui.

Rimasero in silenzio per qualche istante, poi finalmente si decise a parlare.

-Non ce la faccio. - Disse tutto d'un fiato. -Quell'uomo è un mostro perverso... io... io... - Si portò le mani al viso cominciando a piangere, sia per disperazione, che per l’imbarazzo.

Shang Tsung si sedette sul bordo del letto, non la toccò, non la toccava mai se non per curarla.

-Si, che ce la fate. - Disse con voce suadente. -Non è certo il primo uomo che vi costringe a certe pratiche, è il vostro lavoro accontentare i clienti. -

-Voi non capite... - In gesti nervosi stringeva il lenzuolo, asciugandosi la faccia con quello. -Le ferite che vedete tutti i giorni sul mio corpo non sono niente... - Era difficile far comprendere cosa volesse dire per lei sopportare quelle oscenità, un uomo, o anche una qualunque altra persona, doveva pensare che per lei certe cose fossero all'ordine del giorno, che ci dovesse essere abituata, ma non potevano immaginare che cosa dovesse sopportare nelle stanze del generale, di che insane perversioni fosse capace.

Improvvisamente Shang Tsung le toccò la spalla nuda, un contatto inaspettato, delicato, quasi titubante, ma capace di sorprenderla quanto uno schiaffo in piena faccia.

-Lo so. - Aveva uno sguardo così delicato, comprensivo, la fece sentire al sicuro. -Conosco le origini di ogni livido o ferita che vi medico, e non oso immaginare quanto debba essere difficile per voi sottostare a certe bassezze... - Si chinò appena verso di lei, abbassando appena il tono di voce, rendendolo più suadente. -Ma so anche che la vostra anima è abbastanza forte da superare ogni cosa. - Aveva degli occhi neri profondi e lucidi, non ci aveva mai fatto caso fino a quel momento. -Pensate a vostra figlia. -

Aveva ragione. Riuscì a calmarsi al pensiero della sua bambina, al ricordo di lei che la salutava con la manina il giorno in cui lui l'aveva portata al castello. Ormai doveva avere quasi quattro anni. Doveva riuscire a finire quel lavoro per lei, per loro.

Si asciugò velocemente gli occhi. -Mi dispiace... - Si sentiva debole ad essersi fatta prendere in quel modo dallo sconforto in sua presenza.

-Avete ragione... - Eppure il pensiero di tornare in quella stanza con il generale la terrorizzava. -Ma forse potrei esservi utile in altri modi... -

Shang Tsung ritirò velocemente la mano, e quel distacco le fece avvertire una brezza gelida che la fece rabbrividire.

-E io non potrei che esserne più contento. - Si alzò dal letto, c'era qualcosa di strano in lui, ebbe come la sensazione di trovarsi davanti ad un attore che stava improvvisando in attesa di ritornare al copione studiato. -C'è un altro motivo per cui ho portato la regina Sindel nella vostra camera, a parte quella di scioccarla, ma soprattutto perché si rendesse conto degli orrori che subite, così da potervi salvare da questo amaro destino. - Sospirò rassegnato. -Purtroppo io non ho il potere di togliervi dalle vostre mansioni attuali, ma lei si. Forse potrete essere riassegnata a qualsiasi altra mansione entro breve, ma... - Si avvicinò al comodino e prese un sacchettino. -Fino ad allora, sono costretto a chiedervi di tenere duro. Però posso alleviare i vostri tormenti, con questa. - Le porse il sacchetto.

-Che cos'è? - Aprendolo ne svuotò il contenuto nel palmo della mano, sembravano dei semi di una pianta.

-Chiamiamola medicina. Prendetene quattro o cinque, prima di entrare nelle stanze del generale, vi aiuteranno a tollerare meglio certe cose... e anche a non ricordare. - Il suo sguardo sembrò perdersi in qualche ricordo, durò un attimo, ma ebbe la sensazione che parlasse per esperienza personale.

Medicina l'aveva definita lui, ma forse era più appropriato chiamarla droga.

Deglutì a vuoto, aveva sentito storie terribile su chi si era lasciato trascinare dagli effetti di certe sostanze, anche se non ne conosceva né le proprietà, né l'origine. Sapeva che alcuni uomini dell'esercito ne facevano uso prima delle guerre, proprio per attenuare la coscienza. Chissà, forse era proprio quello che faceva al caso suo.

-Quando potrò smettere? -

Le mise una mano sulla spalla e delicatamente la spinse con la schiena sul materasso.

-Presto. Concedetemi ancora un po' di tempo. - Le sorrise gentilmente mentre le rimboccava le coperte come un padre premuroso. -Nel frattempo permettetemi di viziarvi un po'. - Si sedette nuovamente sul bordo del letto. -Ditemi, che cos'è che desiderate più di ogni altra cosa? -

-Vedere mia figlia. - Rispose immediatamente.

-Ogni vostro desiderio è un ordine. - Lo vide buttare della polvere in un bicchiere e poi metterci dell'acqua, salvo poi porgergliela. -Adesso dormite, riposatevi, ne avete bisogno. -

Sorseggiò appena l'acqua dal bicchiere e cadde in un sonno senza sogni né incubi.

 

Bo' Rai Cho si svegliò sicuramente ad un'ora indecente. Era rimasto tutta la notte nella locanda a bere, nella speranza di vedere Nitara, ma probabilmente lei non era una cliente abituale di certi posti, e se lo doveva immaginare, lei era una donna di classe, non come lui.

E doveva anche ammettere che ci era andato giù pesante con gli alcolici e che probabilmente quelle ore dimenticate erano dovute ad un vuoto di memoria a causa del bere; come lo era il martellante mal di testa che gli aveva dato il buongiorno insieme ad un raggio di sole che, filtrando dalla finestra, lo colpiva direttamente agli occhi.

Mugolò tirandosi a sedere sul letto, sentendo il dolore alla testa farsi più intenso per poi attenuarsi una volta raddrizzatosi con il busto.

-Buongiorno. -

La voce che lo aveva salutato era inconfondibile. Si alzò di scatto, scendendo dal letto per fare il saluto militare, proprio mentre la figura del generale si delineava dal profilo della porta d’ingresso e dalla quale era rimasto ad osservarlo per chissà quanto tempo.

Dettaglio piuttosto inquietante, visto che non lo aveva svegliato. Istintivamente guardò il letto, per fortuna non si era portato nessuna donna di facili costumi, o magari il generale non sarebbe stato così indulgente con lui.

-Tranquillo ragazzo, non sono qui per rimproverarti. -

Indossava sempre quella strana armatura, così simile a quella dell'Imperatore eppure così strana vista addosso a lui, c'era qualcosa di insano nel suo abbigliamento, anche se non capiva bene da cosa derivasse quella sensazione.

-Di cosa avevate bisogno, generale? -

Quando sorrideva, il generale, mostrava l'arcata superiore dei denti in un sorriso largo, ma i suoi occhi si socchiudevano come un predatore può osservare un animale ferito, pregustandone la morte per stenti.

-Solo di fare due chiacchiere. Come sono andate le indagini, ieri con Shang Tsung? -

-Bene signore. Shang Tsung ritiene che gli attentatori risiedano nella parte povera della città, quella più vicino alle mura. - Si toccò il collo dolorante, probabilmente aveva dormito in una posizione scomoda. -Purtroppo siamo entrati in una locanda per carpire delle informazioni... ma temo che ci siamo lasciati prendere la mano nel mimetizzarci con la plebe. -

Reiko assottigliò lo sguardo e poi scoppiò in una sonora risata, ma senza spontaneità, più simile all’inquietante richiamo di una fiera.

-Vuoi dirmi che avete passato la serata di ieri, insieme, ad ubriacarvi? -

Finse imbarazzo. -Sinceramente mi ricordo di Shang Tsung solo fino ad un certo punto... poi credo che i miei ricordi siano annebbiati dal troppo alcol... -

Reiko gli batté una mano sulla spalla continuando a ridere. -Va bene. E non avete scoperto altro? -

-Non ancora generale, ma vi assicuro che ieri è stata solo una svista, mi impegnerò di più in queste indagini e... -

-Ma lo so. - Reiko gli strinse le spalle con entrambe le mani. -Ne sono sicuro. -

Non era facile, per Bo' Rai Cho sentirsi assoggettato a qualcuno, anzi, si era sempre considerato un tipo difficile da impressionare, eppure il generale Reiko riusciva a metterlo a disagio. Era inquietante, perché sembrava sforzarsi di nascondere, senza riuscirci, la sua natura deviata.

-Devo chiederti anche un'altra cosa... - Non smetteva di stringerlo per le spalle e questo non fece che metterlo ancora di più a disagio, sembrava quasi morboso.

-Non pensare chissà che... è solo pura e semplice curiosità... ma se ti fosse possibile, gradirei sapere qualcosa di più del reame da cui proviene Shang Tsung. -

-Ma certo, signore... farò il possibile, signore. -

Finalmente lo lasciò e solo in quel momento si accorse che aveva trattenuto il fiato per tutto il tempo.

Appena se ne fu andato si vestì in tutta fretta e andò a cercare Shang Tsung. Anche se non era un ammiratore dell’arcistregone, doveva ammettere che fosse sicuramente meglio di Reiko.

Trovò l'uomo nel suo laboratorio, stava leggendo qualcosa, anche lui non sembrava molto in forma.

-Se anche voi dovevate sbronzarvi, tanto valeva che rimaneste con me in quella locanda. -

Shang Tsung gli lanciò un'occhiata sbieca, dal basso verso l'alto.

-Dal tuo cattivo umore, deduco che Reiko l'abbia bevuta. -

-Così sembra... -

-E sei ancora assegnato a me? -

-Così vuole il generale, ma non appoggerò i vostri strani atteggiamenti sabotativi. Devo portare risultati, prove concrete... -

Lo stregone si lasciò sfuggire una breve, quanto troppo calcolata, risata.

-Credimi, quando ti dico che Reiko non vuole assolutamente dei risultati. -

-Non capisco. -

Lo stregone si alzò da sedere. -Allora seguimi. -

Uscirono dalla stanza e si avviarono lungo i corridoi, spingendosi sempre più nelle segrete, fino a raggiungere le vecchie celle di detenzione.

Shang Tsung si muoveva agilmente tra i corridoi, e non sembrava curarsi delle urla o dei rantoli che giungevano dalle celle o lungo le mura.

D'improvviso gli fu chiaro perché quell'ala del castello fosse stata denominata le Fosse di Carne.

Bo' Rai Cho non riusciva a fare a meno di guardarsi intorno, la sua era una curiosità malata, non voleva vedere, ma non poteva farne a meno, e così si rese conto delle aberrazioni che venivano fatte lì sotto, e capì come mai venissero usati i Tarkatan per quei lavori, nessun popolo era sanguinario come loro.

Cercò di costringersi a non guardare dalle porte aperte, mentre i Tarkatan uscivano trascinandosi dietro qualche corpo maciullato.

Finalmente Shang Tsung si fermò davanti ad una porta e bussò tre volte, prima che un Osh-Tek aprisse dall'interno.

-Signore... non sapevo che volevate pensarci voi. -

-Non ti preoccupare. - Lo liquidò con un movimento rapido della mano ed entrò nella cella, facendogli segno di seguirlo.

Bo' Rai Cho appena mise piede lì dentro dovette trattenere un coniato di vomito. Ne aveva sentiti di odori terribili in guerra, ma quello... quello li batteva tutti.

L'odore del sangue, lo riconosceva bene, e se l'olfatto non fosse stato sufficiente, c'erano anche numerose macchie rosse e nere lungo i muri e per terra. Probabilmente, dopo ogni interrogatorio, veniva gettato un secchio d'acqua per togliere il grosso dei fluidi corporei perduti, ma la grata di scolo nell'angolo a destra era piccola, e probabilmente dava direttamente negli scoli cittadini, e quello spiegava l'odore di escrementi e di fogna che respirava, ma c'era anche dell'altro. Era un odore più forte, qualcosa che colpiva allo stomaco e procurava coniati di vomito.

Solo dopo diversi minuti si accorse della donna legata con delle catene ai polsi al centro della stanza. La malcapitata era vestita solo da una sottoveste color crema, tremava, piangeva ed era evidente che la vescica non avesse retto alla paura. Non l'aveva mai vista prima di allora, non la conosceva, ma provò un'immensa pena per lei.

-Non ti preoccupare, tappati pure il naso se vuoi. - Shang Tsung si avvicinò all'unico mobile della stanza, un tavolo dalle assi marce, che propagava nell'aria un terribile odore di muffa. -La prima volta che entrai qui dentro mi costrinsi a non farlo, ma ti eviterò questa tortura. -

Bo' Rai Cho non se lo fece ripetere. Guardò ancora la donna che aveva cominciato a supplicare e tentava di arretrare, per quanto le catene sopra la sua testa le potessero concedere, poi notò che Shang Tsung stava sfiorando gli attrezzi che c'erano sul tavolo, ci passò sopra la mano quasi li stesse accarezzando, una cosa molto inquietante.

Quando si voltò a guardarlo abbozzò un ghigno canzonatorio e afferrò quella che sembrava una tenaglia.

-Se io cominciassi a torturarla, tu cosa faresti? -

Bo' Rai Cho deglutì a vuoto, ma a causa del tanfo, quel gesto rischiò di farlo rimettere.

-Perché mai dovreste torturarla? - Chiese.

-Reiko l'ha fatta arrestare come probabile complice dei ribelli. -

-Guardatela, non può essere una ribelle. -

-Perché? - Gli domandò semplicemente lui senza scomporsi, senza mostrare nessuna emozione. -Perché piange? Perché ha paura? Perché credi che quella non sia dignità? - Domandò indicando la pozza di urina sotto di lei.

Shang Tsung sospirò e guardò la donna. -Sei una ribelle? -

-No, signore... vi prego... io non so niente... vi prego... -

-Lasciatela stare. - Si intromise Bo' Rai Cho facendo un passo avanti. -Non mi importa se può essere una ribelle o meno, questa è una cosa schifosa. -

Fu così strano il modo in cui lo stava fissando, era sorpreso, ma più che sorpreso lo guardava con ammirazione... o forse era odio?

-Cosa faresti se cominciassi a torturarla? -

-Vi fermerei. -

Sorrise senza allegria. -Sareste morto, dopo. -

-Non mi importa. -

-No... certo... perché non sai che cosa ti farei. -

Ci fu qualche secondo di silenzio, poi Shang Tsung si voltò nuovamente verso la prigioniera. -Lo sai che cosa capita alle donne che vengono catturate? All'inizio vengono picchiate, ma non troppo... in realtà servono solo a farti spaventare, e in alcuni casi ad eccitare il boia. Poi vieni stuprata. -

La donna riprese a piangere con singhiozzi sempre più forti supplicando e gemendo di paura.

-E se ancora non parli... continuano... ancora, e ancora... e ancora... fino a che non avrai più la capacità di controllare i tuoi orifizi, tanto che diverrai un ammasso di carne che nessuno toccherebbe più nemmeno con un dito. Nemmeno le bestie che hai visto qui dentro. - Si voltò verso Bo' Rai Cho. -E non credere che ad un uomo potrebbe andare diversamente. -

Stava tremando, se ne accorse dalla mano che teneva sotto il naso. Sperava vivamente che lui non se ne accorgesse.

Shang Tsung fissò nuovamente la prigioniera che piangeva con mugolii atroci, quasi fosse un cucciolo di animale.

L'arcistregone però tornò sui suoi passi e posò l'attrezzo che aveva in mano, sul tavolo.

-Vedi... sono questi i metodi di coercizione che si "devono" usare qui dentro, ma queste bestie non sanno che le persone tendono a sottovalutare la loro soglia di dolore, e una minaccia di un dolore mai provato, è cento volte più forte di qualsiasi tortura. - Si appoggiò al tavolo guardandolo con un mezzo sorriso. -Questa donna è la figlia di uno dei palafrenieri dell'esercito, abitano a diversi chilometri di distanza da dove abbiamo presupposto che operino i ribelli. Non è l'unica parente di qualche servo di corte, ne ha presi molti. - Si massaggiò il pizzetto. -Sembra quasi che voglia creare malcontento sul nostro Imperatore, fra i sudditi. -

Bo' Rai Cho non era convinto di aver capito bene che cosa stesse accadendo o cosa stesse dicendo, per il momento gli importava solo che non facesse del male a quella donna.

Le lanciò uno sguardo fugace, come se temesse che guardandola gli potesse ricordare che lei era lì, o che magari si accorgesse che stava parlando in sua presenza.

Stava ancora singhiozzando, i suoi grandi occhi nocciola scattavano velocemente per tutta la stanza, anche lei sembrava attenta a non fare alcun rumore, probabilmente aveva avuto la sua stessa idea.

-Reiko sta probabilmente preparando un colpo di stato, questi prigionieri, le indagini, tutto, è solo una copertura per non far insospettire l'Imperatore. -

-Sono accuse piuttosto pesanti. Deduzioni date da cosa? Un conto è fare male il proprio lavoro, un altro è cospirare alle spalle dell'Imperatore. -

-Le prove ci sono, anche se difficili da notare. -

Ignorò quel brivido di freddo che gli si arrampicò lungo la schiena e fece lo stesso la domanda che sapeva essere sbagliata.

-Che prove? -

-Ormai sono mesi che Reiko fornisce ai ribelli informazioni su obiettivi ben precisi. Se addirittura non lo ha sempre fatto. - Lo fissò a lungo, come un serpente fissa la propria preda. -Dovresti esserci tu al posto di quella donna, dico bene? -

Bo' Rai Cho si guardò attorno in difficoltà. -Di cosa state parlando? Non capisco. -

-Non fare l'errore di considerarmi uno sciocco, perché non lo sono, e non lo è nemmeno il generale, per quanto si diverta a darlo a vedere. -

Bo' Rai Cho guardò ancora la donna, aveva paura che se mai fosse stato costretto a combattere, Shang Tsung avrebbe potuto ferirla o usarla in qualche modo contro di lui.

-Perché non andiamo in un altro posto? - Domandò.

-Qui va benissimo. Nessuno ci ascolta. E lei non dirà niente a nessuno. Non è vero? -

La donna scosse convulsamente la testa. -No, signore, assolutamente. -

Shang Tsung le rivolse un sorriso, o ghigno, perché quello stirarsi di labbra non poteva essere definito un sorriso.

-Voi mi state accusando senza prove. -

-Forse, ma tuttavia è piuttosto strano che, dal giorno che hai messo piede al palazzo, i ribelli abbiano cominciato a conoscere con esattezza le rotte dei carri di rifornimento e attaccarli a colpo sicuro. Una strana coincidenza, che non credo il nostro Imperatore troverà piacevole e tu non gli sei certo così vicino da esigere delle prove a sostegno. -

-Mettiamo che sia vero. Come faceva Reiko a sapere che facevo parte dei ribelli? -

Quella domanda sembrò impensierirlo.

-Sicuramente ha usato delle spie. -

-Questo se si presuppone che io non mi sappia accorgere di quando vengo seguito, e vi assicuro che non è così. Per di più sono entrato nella guardia personale del generale dopo aver vinto il torneo dei soldati semplici, e vi assicuro che il torneo non era truccato. E poi c'è la questione dei ribelli. Per far arrivare le informazioni dovevo già essere un membro della ribellione e nessuno poteva saperlo. -

-Questo ha poca importanza. Se il suo piano comprendeva usare un soldato nuovo a corte, non aveva importanza chi avrebbe vinto. Come se già facevi parte dei ribelli o meno. Probabilmente già lo sapeva, per questo ti ha chiesto di entrare nel suo plotone scelto, ma anche se non lo fossi stato, avrebbe fatto in modo di infiltrarti, o ti avrebbe manipolato in qualche modo per portarti esattamente dove voleva. -

Non ci aveva mai pensato prima di allora, aveva sempre creduto di essere stato lui a fregare Reiko e non viceversa. Non era una bella sensazione.

-Non metterai il broncio. -

Quella presa in giro lo fece riprendere immediatamente e acquistò un'espressione più battagliera, perché l'arcistregone smise l'espressione divertita per tornare a quella maschera inespressiva di sempre.

-Da dove vengo io c'è un gioco che si chiama Xiangqi, è un gioco di strategia piuttosto complesso. - Cominciò ad avvicinarsi lentamente alla donna, che non appena lo vide cercò di ritirarsi, contorcendo il busto per quanto glie lo concedessero le catene che le legavano i polsi al soffitto. -Un gioco che riproduce le strategie della guerra, per questo alcuni pezzi sono più importanti di altri. - Si fermò davanti alla prigioniera, ma si voltò per guardarlo in faccia quando riprese a parlare. -Ci sono dei pezzi che vengono chiamati pedoni, rispecchiano un po' i soldati semplici. - Si voltò nuovamente verso la donna e in concomitanza con un suo movimento mellifluo della mano, la serratura delle manette che la tenevano incatenata si aprirono.

Tanto fu lo stupore che le gambe della malcapitata non ressero al peso inaspettato del suo corpo, e sicuramente sarebbe caduta a terra sulla sua urina, se il suo aguzzino non l'avesse sorretta con un braccio.

-Durante il gioco, molti sacrificano i pedoni, per permettere ai pezzi più importanti di avanzare... -

Bo' Rai Cho si domandò come facesse un uomo dal corpo tanto snello come quello dell'arcistregone a riuscire a sorreggere l'intero peso di un'altra persona, per un attimo credette che entrambi crollassero sul pavimento, ma fu piuttosto evidente che quell'uomo dovesse essere più forte di quanto sembrava.

-Io invece preferisco preservare tutti i pezzi il più possibile... -

Ci fu quasi dolcezza nel modo in cui osservò la ragazza tra le sue braccia, ma una dolcezza piuttosto inquietante, quasi malata, come se tra le mani non tenesse una persona, ma un animale feroce a cui stava meditando chi dare in pasto. -...perché non si sa mai che un pedone non possa diventare un cannone, o una torre. -

Non avevano senso le sue parole, ma tutto quello a cui aveva assistito o sentito lo aveva? Bo' Rai Cho era andato in confusione totale. Tutti i suoi piani erano stati ribaltati durante quella chiacchierata, e non sapeva quale fosse la tattica giusta da usare, a chi appoggiarsi e soprattutto perché? La consapevolezza che avrebbe dovuto prendere una decisione in completa autonomia, senza prima consultarsi con Nitara, lo metteva in difficoltà. Quella era la sua guerra, la sua rivolta, la sua vendetta. Lui cosa c'entrava in tutto quello? Aveva accettato di far parte dei ribelli solo perché aveva creduto di poter fare ammenda al male che aveva contribuito ad infliggere, prima di morire. Adesso invece non era più nemmeno convinto di chi cazzo fosse, o cosa stesse succedendo.

Shang Tsung si tolse il primo strato della sua casacca nera, mettendola sulle spalle nude della donna, coprendola, come se temesse potesse prendersi un malanno. I suoi modi signorili e gentili, cozzavano perfettamente con i suoi occhi vitrei, mentre osservava la donna cullata dai suoi gesti, che si riappropriava della propria identità e cominciava a provare vergogna per il suo aspetto e il suo comportamento davanti a uomini sconosciuti.

Osservò scioccato come Shang Tsung riuscisse a oscillare, come un trapezista, dal carnefice al samaritano in pochi semplici passi. Nemmeno capì di cosa stavano parlando, lei gli aveva detto il suo nome e lui le stava spiegando qualcosa, ma non riusciva a focalizzare l'attenzione sulle loro parole, era come impietrito nel prendere coscienza in quale gioco si era trovato in mezzo.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Vittime ***


Che qualcosa fosse cambiato era fin troppo evidente.

Reiko non aveva mai dato importanza a quei minuziosi dettagli, di cui si avvaleva Drahmin durante i suoi interrogatori, in verità, aveva sempre trovato quei particolari eccessivamente esagerati. Era fermamente convinto che non ci fosse bisogno di grande minuzia per riconoscere cosa passasse per la testa delle persone e, come al solito, doveva riconoscere di aver avuto ragione.

La regina Sindel era arrabbiata con lui, non c'era bisogno di notare quella piccola e quasi impercettibile ruga che compariva ai lati della sua bocca delicatamente imbronciata, o notare di come il piede si muovesse ritmicamente, battendo sul pavimento, scalpitando all'idea di riversare su di lui la sua furia, bastava guardarla negli occhi e sarebbe stato impossibile non notare il suo sguardo furioso e glaciale.

La salutò con reverenza.

-Mia regina, è sempre un privilegio potervi vedere. -

 

Sindel dovette reprimere una smorfia di disgusto. Le parole di Shang Tsung continuavano a rimbombarle nella testa, e fu così che in quell'atteggiamento e in quei comportamenti lei rivide lui.

Reiko sembrava imitare in maniera esasperata i comportamenti degli altri, come se in quel modus operandi, lui riuscisse ad avere un atteggiamento normale.

In effetti, lei stessa aveva visto di che cosa era capace quando lasciava libero di uscire il suo vero io.

-Ho visto cosa fai alle tue schiave... -

Reiko sembrò per un attimo irrigidirsi sulla schiena. -Non capisco che cosa intendiate. -

-Non fingere con me... Shang Tsung mi ha mostrato la tua schiava edeniana, come la riduci... - Scosse appena la testa. -Sei disgustoso! -

Per un attimo ci fu un lampo di furia nei suoi occhi, per un brevissimo istante ebbe la netta sensazione che stesse per attaccarla, quasi inconsciamente fece un passo indietro, ponendosi in posizione difensiva.

-Voi state parlando di Yane... - Fu rapido a mutare la sua espressione e il suo sorriso appena accennato, forse fu il primo vero sorriso che gli vide fare. -Mia regina, io non so come dirvelo, e mi rendo conto che si tratta della mia parola contro la sua, ma Yane mi è stata donata proprio da Shang Tsung, e vi assicuro che non le ho mai fatto del male, anzi, l'ho sempre trattata nel migliore dei modi. -

-Mi prendi per un'idiota? Io l'ho vista! Ho visto le ferite, le fasciature, il suo corpo... -

-Ma ci avete parlato? -

Quella domanda la spiazzò totalmente, rimase inebetita, sconcertata e stupita.

-Io temo che Shang Tsung vi abbia fatto vedere quello che voleva lui... ho ragione di sospettare che i due abbiano una relazione, e probabilmente non è così, ma se davvero quella povera donna presentava ferite tanto realistiche, io temo che sia stato proprio Shang Tsung ad infliggergliele. -

Non ci voleva credere, Shang Tsung non sarebbe potuto essere capace di una cosa del genere, non dopo quello che le aveva confessato, che era stato costretto a fare nelle Fosse di Carne. No. Era impossibile.

-Perché mai avrebbe dovuto farlo? - Domandò più a se stessa che al generale davanti.

-Credo che questa domanda abbia più di una risposta, e nessuna di queste è quella che volete sentire. - Gli si avvicinò cautamente, come se temesse che lei potesse respingerlo. -Probabilmente è presto per parlare di tradimento ma, scusate se mi permetto, voi non avete idea di cosa sia capace quell'uomo. - Le posò una mano sulla spalla. -Voi non sapete che cosa faccia nelle Fosse di Carne... -

-Lui... lui non farebbe mai del male ad una donna... lui... - Era nel pallone, le parole di Reiko la stavano confondendo, non riusciva più a distinguere la realtà dalla finzione... stava forse impazzendo?

-Lui non è quello che appare, credetemi... e non sarebbe nemmeno la prima volta che fa del male ad una donna... spero vivamente che non dobbiate mai assistere ad uno dei suoi interrogatori... -

Si voltò di scatto togliendosi la mano dalla spalla, guardandolo furiosa, colma di rabbia e tristezza. Non si poteva fidare di lui... non si poteva fidare di nessuno.

-Lasciatemi sola. - Con queste parole si avviò verso le sue stanze, cercando di trattenere le lacrime fino a che non fosse stata completamente sola.

 

Reiko la guardò andar via, anche se non sapeva se fosse riuscito a convincerla, certamente era stato abbastanza bravo da instillarle il dubbio, e tanto bastava.

E così quel viscido bastardello era passato all'attacco.

Il suo era stato un colpo basso, ma doveva capire perché lo avesse fatto. Era stato troppo bravo e accorto perché sospettasse di qualcosa, quindi probabilmente lo aveva fatto solo per gelosia nei confronti della regina o dell'Imperatore. Probabilmente voleva creare una minaccia fantasma da poter sgominare e spodestarlo dalle grazie di Shao Kahn, un po' come aveva fatto con Drahmin.

Ma questa glie la pagava. Eccome se glie la pagava.

Intanto doveva fare una lunga e appagante chiacchierata con Yane, visto che aveva voglia di sfogarsi.

 

Yane non sapeva decidere cosa fosse peggio, se il dolore fisico che mano a mano si stava manifestando sul suo corpo martoriato, la paura che aveva provato, talmente tanta da convincerla a prendere quella "medicina" che Shag Tsung le aveva donato, o l'umiliazione nel prendere coscienza di tutto quello che aveva subito con orrore e disgusto. Questa volta però, avevano assunto sfumature talmente estasianti da rendere il tutto grottescamente piacevole.

No, forse la cosa peggiore in assoluto, adesso che ci pensava bene, erano state le parole di soddisfazione e gli apprezzamenti sgarbati e rozzi che il generale le aveva riservato per tutta la durata dell'atto.

No, si sbagliava... la cosa peggiore era sicuramente la consapevolezza che quegli aggettivi che il suo carnefice le aveva rifilato con tanta soddisfazione, non facevano che rispecchiare perfettamente la realtà.

Ma forse Yane non poteva concepire, in quel momento, che il peggio per lei doveva ancora arrivare.

Era ancora immobile, sdraiata sul freddo pavimento di pietra, ad attendere che l'effetto della droga svanisse, lasciandole lentamente prendere coscienza di quanto era successo, di cosa avesse effettivamente subito e cosa avesse provato. Sentiva che lentamente stava riprendendo possesso del suo corpo, fino ad allora abbandonato al volere di una persona estranea. E proprio nel momento di maggior fragilità, proprio nel momento in cui la sua coscienza prendeva atto di quanto fosse avvenuto, che la porta della sua stanza si aprì.

Si voltò, non avendo nemmeno la forza di alzare la testa, ma avrebbe voluto poter scappare velocemente, non appena si rese conto di chi avesse varcato la soglia della camera da letto.

Shang Tsung era rimasto fermo immobile sulla soglia, lei non ebbe la forza ne' il coraggio di guardarlo negli occhi. Avrebbe preferito di gran lunga essere incosciente, non avere la consapevolezza dei lividi sul suo corpo, del sangue che affiorava dai punti più sensibili, della natura del liquame in cui era stata abbandonata, così, come se fosse stata un oggetto senza coscienza o sentimenti.

Ma per come si era comportata, per quello che aveva provato, si meritava davvero un trattamento diverso?

Chiuse gli occhi, in quel momento non aveva la forza di fare altro, se non piangere.

Sapeva che quella era l'ultima punizione che il generale le aveva voluto impartire quel giorno. Quando era entrato nella stanza, prima di cominciare a picchiarla, il suo rapporto con lo stregone di corte era stata la prima scusa per poter dare sfogo alle sue manie violente. Far vedere come l'aveva ridotta, a chi dei due era un offesa? A lei? O a lui?

Avrebbe voluto poter fare qualcosa, se non tremare o piangere, avrebbe voluto dirgli di andarsene, ma la bocca le doleva, la lingua gonfia, le labbra spaccate, forse perfino la mascella era dislocata... l'unica cosa che poteva fare era subire l'ennesima umiliazione.

Farsi vedere in quel modo da lui.

Shang Tsung non disse una parola, le si avvicinò, le passò le braccia sotto la schiena e le ginocchia e la sollevò dal pavimento.

Ebbe l'impulso di nascondere il volto contro il suo petto, ma non voleva sporcarlo e si voltò dall'altra parte, cedendo al pianto e alla disperazione.

Lui l'adagiò lentamente dentro la vasca di rame, come se temesse di farle male e le versò dell'acqua calda sulla testa.

L'acqua sembrò lavarle l'anima, quel senso di sporco e disagio cominciava lentamente ad abbandonare il suo corpo; trovò perfino la forza di coprirsi le nudità e quando lui si sedette sullo sgabello, pronto a lavarla, come uno schiavo fa con il suo signore, trovò finalmente il coraggio di parlare.

-Vi prego... no. -

Ancora non riusciva a guardarlo in faccia, non riusciva a sostenere il suo sguardo e così si concentrò sulla sua mano che stringeva la spugna impregnata di acqua.

-Faccio da me. - Quando toccò la sua mano si rese conto che quella era la prima volta che riusciva ad avere un contatto con lui in maniera attiva. Infatti fino ad allora era sempre stato lui a toccarla per medicarla delle ferite.

-Come desiderate. - Rispose solamente lasciandole la spugna. Forse comprendeva il suo disagio, forse perfino lui lo provava, e viveva quel gesto come un obbligo nei suoi confronti. Chissà se si sentiva in colpa per tutto quello?

Shang Tsung uscì, lasciandole lo spazio necessario per abbandonarsi finalmente ad un pianto disperato.

L'acqua calda cominciava a diventare tiepida, quando dalla porta entrò una Shokan. L'aveva già vista al castello, era l'ancella personale della regina Sindel.

-Cosa ci fate voi qui? - Domandò, biascicando le parole per il gonfiore delle labbra martoriate.

-Shang Tsung mi ha chiesto di prendermi cura di te. Spero non ti dispiaccia. -

Non era la prima Shokan che vedeva, ma di certo era la più bella che avesse mai visto. C'era una mistica armonia tra i suoi difetti, tanto che era sicura risultasse attraente anche per i canoni di bellezza di altre razze.

-Non dovete... - Tentò di alzarsi, ma una fitta al costato la fece desistere immediatamente.

-Non sforzarti. Ci penso io. -

Lei si chiamava Sheeva e, nonostante le sue proteste, si prese cura di lei trattandola proprio come una regina.

Sheeva era gentile, ma percepiva una rabbia latente e vibrante, ogni volta che doveva aiutarla a camminare, o posava lo sguardo sulle sue ferite.

Tra le due si creò un clima di omertà. Sheeva non le chiese niente, un po' perché non doveva, un po' perché non voleva sapere davvero cosa fosse accaduto, e dall'altra Yane non avrebbe raccontato niente, per non far riaffiorare tutto il disgusto che provava per se e quanto era stata costretta a subire.

Sheeva si congedò dopo averla lavata, improfumata, vestita e pulito la stanza.

La sentì parlare con qualcuno nell'anticamera, e poco dopo Shang Tsung entrò nuovamente.

-Vi sentite meglio? - Le domandò.

Sheeva l'aveva fatta sentire una regina, ma il fantasma della consapevolezza del modo in cui l'aveva vista, continuava a farla fuggire al suo sguardo.

-Si, grazie... non dovevate... -

Shang Tsung le si avvicinò fino ad arrivare al suo letto.

-Si, invece. Dovevo. E poi vi ho promesso che mi sarei preso cura di voi. -

Si vergognava, era inutile negarlo, avrebbe solo voluto che lui se ne andasse. Distolse lo sguardo cercando di non farsi vedere mentre piangeva.

Percepì il suo movimento, e l’affondarsi del materasso accanto a lei, nel punto in cui si era seduto.

-Perché piangete? -

Quella domanda così ingenua, quasi stupida, non fece che farla piangere ancora di più.

La lasciò sfogare qualche minuto. -Non c'è niente di cui vi dovete vergognare. -

-Ci sono molte cose, invece... -

Lui sospirò, come un insegnante che cerca di far ragionare un'alunna cocciuta.

-Di cosa dovreste vergognarvi? -

-Ho preso quella droga che mi avevate dato... - Si portò velocemente una mano alla bocca, come a tentare di impedirsi di parlare, o forse voleva solo impedire ai singhiozzi di uscire. -Io dovevo essere disgustata da quello che avveniva... e invece... io... -

-Questo è il motivo per cui vi ho dato quella medicina. -

-Per fare meglio il mio lavoro? - Chiese stringendo forte i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi della mano.

-Per non farvi soffrire. - Disse invece lui con una strana dolcezza nella voce, talmente strana da farla voltare a guardarlo negli occhi. -La scelta, mia signora, non è di questo mondo. In verità, credo che non sia di nessun mondo. Spesso dobbiamo subire delle atrocità indicibili... o commetterle. Ci piacerebbe pensare di avere un'alternativa, ma la verità è che l'unica scelta che abbiamo, è quella di sopravvivere. E andare avanti. - Lo guardò confusa, le avevano insegnato che c'è sempre un'alternativa, la scelta delle proprie azioni è l'unica cosa che li distingueva dalle bestie. -L'unica scelta che possiamo arrogarci è quella di decidere come farlo, se da vittime, o da carnefici. -

Vittima o carnefice? Era fin troppo evidente in che categoria si trovasse. Abbassò lo sguardo, continuando a non riuscire a reggere gli occhi neri dello stregone.

-Voi non siete una vittima, Yane. Voi siete un carnefice. Io vi darò il potere di vendicarvi su chi vi sta facendo del male. -

Erano parole convincenti, lo stregone sapeva parlare e sapeva dosare il tono della sua voce nel modo giusto, quando pacato, quando più deciso.

Però Yane sentiva di non meritarsi quei complimenti, lui la definiva forte, ma lei non si sentiva tale. Non riusciva nemmeno a smettere di piangere.

La mano che si posò sulla sua spalla fu leggera, ma le trasmise una scossa che le fece accapponare la pelle. E nel voltarsi, vide una cosa che la stupì.

Lui la capiva. Non poteva sapere che cosa ci fosse nel passato dell’uomo, quali fossero i suoi traumi; eppure aveva capito, che anche lui aveva fatto uso di quella sostanza per annientare la coscienza, anche lui, così pacato e controllato, forse, a suo tempo, non era stato padrone del suo corpo.

Non poteva saperlo, ma le dava la netta sensazione, che lui capisse fin troppo bene la sua situazione. Lo si capiva dal modo che aveva di parlarle, o di guardarla. Un uomo dall'aspetto aristocratico, come lui, molto rigido nel portamento, che non sembrava per niente a suo agio nel contatto fisico con un'altra persona, usava estrema delicatezza quando la toccava per curarla, ma mai imbarazzo. Si rivolgeva a lei dandole del voi, come se fosse una signora, e la trattava come una sua pari, e non come una serva.

Fu istintivo per lei domandarsi se fosse sempre così delicato, anche nell'intimità, e sentì di aver bisogno di quella delicatezza, aveva bisogno di sentirsi una donna, e non un oggetto, e in quel lampo di follia e di bisogno, si sporse verso di lui, cercando le sue labbra.

Arrivò talmente vicina da poter sentire il suo respiro sulla sua pelle, un respiro regolare, calmo, irreale per la situazione in cui lo aveva spinto.

Ma cosa stava facendo? In quel momento non era certo del suo corpo che aveva bisogno, gli fu grata di non aver accettato quella provocazione, che altro non era se non un gesto disperato di una mente confusa e ferita.

Ancora una volta, aveva dato l’idea di capirla fin troppo bene.

Istintivamente si morse il labbro inferiore e si tirò indietro.

-Mi dispiace... scusatemi... non dovevo permettermi... -

Erano pesanti quegli occhi vitrei, glaciali eppure penetranti. Occhi che la facevano sentire veramente nuda, imbarazzata, proprio come una donna qualsiasi; non erano occhi che giudicavano, ma che guardavano, e proprio quello sguardo la faceva sentire bene. D'un tratto si accorse che non era del suo corpo che lei aveva bisogno, ma della sua presenza, del suo sguardo e della sua voce, perché lui era l'unico che la guardava come una donna e non una schiava, era l'unico che la faceva sentire ancora come una ragazzina vergine, e non una prostituta disinibita.

Le scappò un sorriso per scaricare la tensione, mentre prendeva coscienza del proprio errore.

-Non so cosa mi sia preso... davvero... -

Lui si alzò dal letto. -Vi avevo fatto una promessa ricordavate? -

Lo guardò corrugando le sopracciglia, e notò un leggero e velato sorriso, mentre si dirigeva alla porta.

Quando l'aprì, capì a cosa si stesse riferendo e tutti i dubbi e le paure svanirono in un istante.

-Mamma!!! - Dalla porta entrò sua figlia, come un ciclone corse verso di lei e saltò sul letto abbracciandola.

Quello era il più bel regalo che potesse ricevere e l'unica cosa di cui avesse veramente bisogno. Stringendola al petto, alzò solo una volta lo sguardo, per vedere lo stregone uscire e in quel momento seppe che aveva ragione lui.

Avrebbe fatto di tutto per sua figlia. Sapeva cosa doveva fare e come.

 

Quando Shang Tsung uscì dalle stanze di Yane, Bo' Rai Cho lo stava aspettando appoggiato ad una colonna del lungo corridoio.

Il ragazzo non si stupì affatto della freddezza che lesse nel suo sguardo, non lo conosceva da molto, ma qualcosa di lui l'aveva capita. Una di queste, era che l'arcistregone non mostrava mai alcun sentimento che potesse essere catalogato come debolezza, ma forse ignorava che nonostante la sua giovane età, Bo' Rai Cho fosse un soldato, un guerriero abituato al combattimento, alla violenza, alla morte e alla rabbia.

E fu la rabbia che credette di vedere nei suoi occhi neri, o forse volle vedere. Perché nello sguardo dell'arcistregone, per un breve istante Bo' Rai Cho rivide i suoi commilitoni, e sentì un forte coinvolgimento emotivo.

Se fosse capitato a lui, se lui avesse dovuto vedere quello che aveva visto Shang Tsung in quella stanza, non sarebbe riuscito a non cedere al disprezzo e probabilmente sarebbe morto pochi minuti dopo, mentre tentava di vendicare quella poveretta.

Ma quello che Bo' Rai Cho ancora non capiva, proprio a causa della sua giovane età, era che non tutti erano come lui.

-Cosa facciamo? - Gli domandò.

-Niente. - Con una lentezza e una metodicità esasperante, Shang Tsung aveva cominciato a sciogliersi le maniche che si era arrotolato fino al gomito. -Reiko si aspetta una reazione. La cosa migliore è non fare niente. -

-Si aspetterà comunque qualcosa da me. Cosa dovrò dirgli? -

Quando lo stregone lo guardò negli occhi, si sentì gelare il sangue nelle vene, non c'era niente di normale in quello sguardo. Era di una freddezza disarmante.

-Che ero fuori di me dal dolore, ovviamente. -

-Ovviamente. - Ripeté mal celando la nota di rabbia che espresse la sua voce.

Shang Tsung stirò le labbra in quell'inquietante mezzo sorriso privo di allegria.

-Qualcosa non va? -

-Non so... ditemelo voi. Perché da quello che vedo io, non vi importa niente di quello che ha subito quella povera donna. -

In quei brevi attimi di silenzio lo stregone chinò appena la testa di lato, per un attimo rivide la stessa espressione che gli aveva rivolto nella cella delle torture, poi gli si avvicinò lentamente.

-Sai come si manipola una persona? -

Una domanda a cui non sapeva dare una risposta, e così non poté fare a meno di aggrottare lo sguardo stupito.

-La si costringe ad un sadico patto. Il suo peggiore incubo, in cambio del suo più grande peccato. Si priva di orgoglio, e dignità. - Con un rapido gesto della mano indicò la porta da cui era appena uscito. -E poi gli si dà un sogno a cui aggrapparsi. Uno scopo. E quella persona farà di tutto per raggiungerlo... e lo sai perché? Perché non gli resta altro per cui vivere. -

Bo' Rai Cho deglutì a vuoto, sembrava una belva pronta all'attacco, c'era freddezza e ferocia nei suoi occhi. Era qualcosa di incredibilmente inquietante.

-Dirai a Reiko che la visita a Yane mi ha sconvolto, lo convincerai che farle del male equivale a colpirmi nell'orgoglio. -

-Se glie lo dico... lui le farà nuovamente del male. -

-Ci proverà... questo è certo. Ma non ci riuscirà. -

Non capiva, ma per tutta risposta ebbe un'altra domanda.

-Sai come si distrugge una persona? - Da sotto la manica della tunica estrasse una boccetta, il suo sorriso divenne un perfetto connubio di divertimento e sadismo. -Si prende il suo peggiore incubo... e lo si trasforma in realtà. -

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Un Nuovo Piano ***


Bo' Rai Cho continuava a rigirarsi per le mani quella boccetta che gli aveva dato l'arcistregone, con l'ordine di somministrarla con l'inganno al generale. Voleva forse avvelenarlo? No, era evidente che il suo piano fosse molto più subdolo. Non gli era nemmeno difficile versare qualche goccia di quella fiala nella sua brocca dell'acqua, visto e considerato che Reiko sapeva, che si infiltrava nell'anticamera per rovistare tra le carte che lasciava in bella vista per lui, ma la domanda che continuava a ronzargli in testa come un insetto fastidioso era: E se fosse stato scoperto?

In fin dei conti Reiko sapeva che lui faceva il doppio gioco con i ribelli, se avesse avuto anche solo il minimo sospetto di un avvelenamento, era logico supporre che i sospetti ricadessero su di lui.

I suoi pensieri vennero interrotti dai passi del generale lungo il corridoio, ormai aveva imparato a riconoscerlo, per poterlo evitare.

Versò rapidamente quattro gocce della fiala nella brocca e se la nascose rapidamente all'interno dell'armatura, dove non sarebbe stato possibile notarla nemmeno ad un occhio attento.

Reiko entrò nell'anticamera e lo salutò con un sorriso finto e inquietante.

Era sempre più disturbante notare quanto si sforzasse di sembrare una persona qualunque.

Reiko non era un uomo, non lo poteva essere. Reiko era una creatura demoniaca con le fattezze umane. Solo così si poteva spiegare la sua completa assenza di umanità.

-Riposo. - Disse avviandosi alla brocca e versandosi subito un generoso bicchiere d'acqua.

Bo' Rai Cho sentì il cuore saltargli un battito, mentre pregava gli Dei che quell'intruglio che ci aveva versato, fosse insapore e inodore.

Ma Reiko buttò giù l'acqua con un sorso e finalmente lui poté riprendere a respirare.

-Avanti, dimmi quello che hai visto. -

-L'arcistregone era sconvolto. - Notò un ghigno compiaciuto e uno sguardo sadico.

-Sconvolto? Mi piace. Dimmi di più. - Si appoggiò alla console a parete con le braccia incrociate sul petto e quel sorriso demoniaco stampato in faccia.

Il generale era un sadico, la sua fama lo precedeva, tuttavia Bo' Rai Cho era intelligente e sapeva fingere.

-Sapete come è fatto l'arcistregone, signore, cerca sempre di nascondere le proprie emozioni, ma era evidente che fosse sconvolto. Immagino che provi qualcosa per quella schiava. Anche se non capisco come sia possibile. -

Reiko sospirò come un padre di fronte ad un'affermazione sfrontata di un figlio.

-Ricordati ragazzo che lui non è dell'Outworld, ma della Heartrealm. La loro realtà è piuttosto contorta, rispetto alla nostra. Assomigliano di più agli edeniani, ma sono più deboli. - Chinò appena la testa di lato. -A proposito, hai saputo qualcosa di quel reame? -

-Si signore... - Bo' Rai Cho raccontò quello che Shang Tsung gli aveva detto del suo reame di appartenenza, ma non si sentiva molto a suo agio a parlare di vegetazione prolifera, sorgenti d'acqua cristalline che sgorgavano dalle montagne, cime innevate e fiori... qualsiasi cosa fossero. Metà delle cose che diceva non le capiva, nell'Outworld l'acqua era data dai pozzi, scorreva tramite fiumi sotterranei, non riusciva ad immaginarsi acqua che scorreva in superficie e ancor meno come potesse un'acqua di superficie, non filtrata dalla sabbia e dalla roccia, essere cristallina, così come non concepiva cosa fossero le stagioni, quei particolari mesi dell'anno in cui a dire dello stregone cambiava temperatura e scandiva la fioritura delle piante e i periodi di semina, ma nonostante la sua titubanza, Reiko sembrava capire ogni minima parola e termine, come se non fossero cose nuove per lui.

-Ti ringrazio. - Disse infine. -Mi raccomando, fatti raccontare ancora dell'Heartrealm. Più dettagli mi offrirai, più sarò generoso nei tuoi confronti. - Gli batté una mano sulla spalla. -Adesso vai pure. -

Bo' Rai Cho era sempre contento di lasciare quelle stanze, ai suoi occhi il generale diveniva un pericolo sempre più crescente e aveva la netta sensazione che presto sarebbe successo qualcosa di estremamente distruttivo.

 

Raramente Nitara usciva alla luce del giorno.

Il sole dell'Outworld era accecante, caldo e secco, la sabbia fine del terreno, alzata e spostata dal vento o dalle persone, le si insinuava nel naso, le raschiava la gola, le dava la netta sensazione di respirare male.

Rimpiangeva ogni momento la sua terra di origine, fresca, umida, con il cielo dai colori tenui che non ferivano gli occhi che tentavano di bearsi della sua bellezza.

Tutto nell'Outworld le procurava dolore o fastidio.

Eppure quello era l'unico modo per potersi incontrare con Bo' Rai Cho.

Nessuna notte, nessun buio, nemmeno il più tetro e oscuro che potesse immaginare, riusciva a nascondere bene come una folla di persone.

E quel giorno sembrava che l'intera Outworld si fosse radunata per le strade della capitale, in fermento per la notizia del giorno.

Gli Zaterran erano stati attaccati e uccisi dai ribelli. Una notizia magnifica... ad eccezione del fatto che non erano stati i ribelli.

Una mano l'afferrò per il gomito scuotendola dai suoi pensieri, e nel momento in cui si voltò infastidita si ritrovò davanti due occhi che non avrebbe mai più potuto dimenticare in tutta la sua vita.

-Seguimi. - La sua espressione era seria, non ebbe il tempo nemmeno di guardare quanto fosse cambiato, quanto fosse cresciuto in quel periodo di lontananza.

Ma lo seguì in silenzio, lanciandosi fugaci occhiate per essere certa che nessuno facesse caso a loro.

Bo' Rai Cho svoltò un angolo e si ritrovarono in un vicolo stretto, che puzzava di fango.

-Cosa sta succedendo? - Domandò osservando come Bo' Rai Cho stesse controllando che nessuno li avesse seguiti.

-Pensavo me lo sapessi dire tu. -

Non lo aveva mai visto così spaventato.

-Sei stata tu? -

-Te l'ho già detto. No! - Nitara lo afferrò per un braccio costringendolo a stare fermo e guardarla negli occhi. -Stavo cercando di mettermi in contatto con gli Zatherran in disaccordo con Shao Kahn... sai se erano loro? -

-Presumo di si, ma anche se così non fosse... sarebbe troppo rischioso adesso prendere contatti con loro. Vi ritengono responsabili dell'attentato... -

Si appoggiò al muro e adesso lo poteva vedere bene.

In quei mesi era cresciuto in un modo che non si aspettava, il volto da ragazzo era divenuto più marcato, la barba incolta stava diventando ispida, gli occhi spensierati erano divenuti pesanti, ma mantenevano ancora quella gentilezza che lo contraddistingueva.

-Cosa sta succedendo? - Gli chiese.

-Non lo so. - Rispose, lui, ancora agitato.

Nitara gli toccò una spalla. -Perché sei così preoccupato? -

-Perché sono stato usato. - Bo' Rai Cho si staccò dal muro e cominciò a camminare avanti e indietro. -Credevamo di fargliela sotto il naso e invece è stato il contrario. E' stato lui ad usarci, è sempre stato lui. -

-Di chi stai parlando? -

-Di Reiko! - Finalmente si era fermato. -Tutto questo fa parte del suo piano e io non riesco a capire di cosa si tratti! Le informazioni che raccoglievo erano tutte pilotate da lui. Vi ha fatto rubare quelle armi, perché adesso incolperanno voi dell'attentato. - Si portò una mano a strofinarsi la barba del mento. -E invece è stato lui! Quel bastardo ha rigirato tutti come voleva. -

Ci fu qualche minuto di silenzio, poi fu lui a parlare di nuovo.

-Devi andartene Nitara. Lascia la città, se ti è possibile lascia l'Outworld... -

-Non dire assurdità. Questa è la mia vendetta! E non rinuncerò per niente al mondo. - Una persona ha bisogno di un motivo per vivere e uno per morire. Il primo se n'era andato e ora le rimaneva solo il secondo. -Se vuoi fare qualcosa per me. Aiutami. -

Quanta delusione in un solo sguardo.

-Per te si tratta solo di questo? Di vendetta? - Abbozzò un sorriso senza allegria. -Credi non ci sia qualcosa di meglio per cui valga la pena vivere? -

-Non lo so. Dimmelo tu. Perché a quanto mi ricordo, sei tu quello che non ha più niente per cui vivere. -

-La gente cambia. -

-Quasi mai in meglio. - Sapeva che lo stava per ferire, ma era giusto così. Gli avrebbe fatto solo bene sentirsi dire la verità. -Ti ho lasciato che eri un ragazzo pronto a tutto per fare la cosa giusta, e ti ritrovo un uomo confuso che non sa più nemmeno da che parte stare. Talmente disorientato da non riconoscersi nemmeno più in quel gruppo che aveva contribuito a creare, da rifarsi a loro con "voi", quando invece dovrebbe essere "noi". -

Bo' Rai Cho si raddrizzò sulla schiena, lo faceva spesso quando qualcosa lo irritava.

-Io mi sto solo preoccupando per te. Shao Kahn ordinerà un rastrellamento dai numeri sbalorditivi... qualcuno che sa qualcosa verrà sicuramente preso. E allora tu non avrai alcuno scampo. -

Allungò appena la testa verso di lui. -Non ti preoccupare per me. Io so cavarmela benissimo. Credo sia di te stesso che devi preoccuparti. -

Come erano grevi i suoi occhi, così matura la sua espressione, quella fu la prima volta che non riusciva a capire che cosa stesse pensando quel ragazzo troppo cresciuto, e fu l'ennesima cosa che non le piacque.

-Devo sapere cosa hai intenzione di fare. Se sei ancora dalla mia parte. -

Bo' Rai Cho sospirò. -Sai benissimo che non ti abbandonerei mai. -

Era sincero, come sempre, questa era una cosa che non poteva cambiare.

-Abbiamo bisogno di alleati, gli Zatherran rimangono comunque la nostra opzione migliore. -

Scosse la testa poco convinto. -Non mi piace. Prima dobbiamo scoprire quale sia il piano di Reiko. -

Sembrava ne fosse ossessionato, o forse spaventato. -Perché è così importante? -

-Perché non voglio essere nuovamente manipolato da lui. Non voglio giocare al suo gioco. -

-Se il suo scopo è quello di uccidere Shao Kahn... -

-Non lo dire. -

-Perché no? Dobbiamo assecondarlo. -

Quel sorriso non era il suo sorriso, era freddo, sembrava una presa in giro. -Non sai quello che dici. Stiamo giocando ad un gioco che non conosciamo, e lo stiamo facendo con il fuoco. -

-Ti spaventa così tanto? Hai così tanta paura di morire? - Non sapeva nemmeno lei come sentirsi. Non aveva il diritto di sentirsi delusa, ma sicuramente si aspettava molto di più da lui e forse fu proprio per questo che si stupì così tanto della sua reazione violenta.

-Io sono già morto! - Bo' Rai Cho si era chinato appena verso di lei, premendosi l'indice contro il petto, urlandole in faccia una verità che non era pronta a sentirsi dire.

Ma Nitara non riusciva a concepire il significato di quella frase. Non era possibile, non era una soluzione accettabile.

Ne seguì un pesante silenzio, carico di significato.

-Alla fine, comunque vada a finire, io sarò morto. -

-Perché dici questo? - Balbettò confusa.

-Te l'ho detto prima. Giochiamo ad un gioco di cui non sappiamo niente... se non il finale. Reiko potrà ottenere o no quello che vuole, ma in qualsiasi caso, io sarò la vittima sacrificale che gli permetterà di scagionarsi agli occhi dell'Imperatore... o del popolo, a seconda della riuscita del piano. - Fece un profondo respiro, forse per calmarsi ancora, o forse per cercare le parole giuste. -Sto cercando di impedirti di fare la stessa fine, anche se so già che non ci riuscirò. Ma una cosa posso dirtela con certezza. Se assecondi i piani di Reiko, la vendetta sarà l'unica cosa che non otterrai. -

-Allora cosa proponi? Fermare la rivoluzione? -

-Per il momento si. Se fermo la fuga di notizie, sarà obbligato a muoversi per primo. Ho degli alleati a corte che tramano per il nostro stesso scopo. Credo di poterlo indurre in un errore. -

-In che modo? - Domandò Nitara.

-L'arcistregone di corte gli sta somministrando del veleno, o droga, crede che questo lo porterà a commettere sbagli fatali. -

-L'arcistregone? Credi di poterti fidare? -

-Francamente non lo so. -

Nitara era confusa, si portò le mani alla testa, come se le facesse male, ma in realtà stava solo tentando di frenare i milioni di pensieri e domande che le stavano affollando le meningi.

-Lo so che può sembrare una follia, ma fidati di me. Ti prego. Voglio solo impedire che ti venga fatto del male. - Insistette Bo’ Rai Cho.

Gli sorrise commossa. -Ti preoccupi per me, quando è di te stesso che dovresti preoccuparti, stupido. - Lo colpì piano con un pugno alla spalla e si sentì leggera quando lo vide sorridere divertito per quel gesto. -Mi fido di te. Dimmi solo cosa vuoi che faccia. -

-Ho bisogno che tu vada a parlare con Kollector e gli porti una cosa. - Da sotto la giacca estrasse una pergamena e glie la porse. Nitara l'aprì incuriosita e strabuzzò gli occhi quando vide il disegno di quello che sembrava un medaglione, o un sigillo.

-Che cos'è? - Chiese.

-Di preciso non lo so nemmeno io. Lo ha disegnato una spia, infiltrata tra le schiave del generale. L'arcistregone crede sia una cosa importante. -

Nitara annuì, anche se c'era qualcosa di familiare in quel simbolo, in un certo senso era convinta di averlo già visto da qualche parte, anche se non si ricordava esattamente dove.

-Farò tutto quello che posso, per aiutarti. - Rispose riponendolo in tasca.

Bo' Rai Cho la salutò con un sorriso triste, ma al contempo gentile e fiducioso, e quando voltò l'angolo, sparì sommerso dal mare di folla.

Nitara si appoggiò al muro, era felice di averlo potuto vedere ancora e triste di averlo lasciato andare nuovamente, con la certezza che sarebbero passati mesi prima che potesse nuovamente incontrarlo.

Gli mancava quel ragazzo e se ne accorgeva sempre di più, ogni volta che era costretta a non vederlo. Ma la sua determinazione ad ottenere vendetta era altrettanto forte. Non poteva permettere a Shao Kahn di farla franca. Il sangue della sua gente gridava soddisfazione.

Eppure le parole di Bo' Rai Cho continuavano a rimbombarle in testa. Ma non gli avrebbe permesso di morire. Non finché lei era viva.

Si staccò dal muro più determinata di prima, con una nuova consapevolezza di cosa doveva fare e quale strada doveva percorrere.

Anche se nella sua mente aveva ben chiaro il piano da seguire, si era dimenticata di una regola fondamentale per chi, come lei, si muoveva nell'ombra.

Mai abbassare la guardia.

Troppo presa da pensieri che spesso cozzavano con la sua missione principale, non si era mai accorta, nemmeno una volta, della figura che li aveva seguiti per tutto il tempo e osservati dall'alto, nascosto tra i tetti degli edifici.

E a niente sarebbe valso il farle notare che la spia in questione sapeva rendersi invisibile, Nitara "doveva" accorgersi di lui. Non erano solo gli occhi che facevano di una spia una brava spia, c'erano una serie di sensi difficili da spiegare ma fondamentali, che permettevano di accorgersi di uno sguardo che li osservava o di percepire un'intenzione aggressiva. Sensi che Nitara aveva sviluppato con anni e anni di addestramento e combattimenti, ma che in quel momento non le erano valsi a niente, perché la sua mente non era lucida. Non aveva l'obiettivo chiaro in testa e questa confusione l'aveva portata a commettere un errore imperdonabile.

Per sua fortuna, il misterioso individuo non aveva intenzioni aggressive, e non appena la vide scivolare fuori dal vicolo, si mosse, arrampicandosi lungo il muro e salendo sul tetto dell'edificio. Solo quando fu lì, la sua sagoma cominciò a delinearsi, mostrando una figura maschile, vestita con un abito nero e verde che copriva ogni centimetro del suo corpo, ad eccezione di una maschera che lasciava intravedere due occhi gialli, da rettile, su di una pelle verde e squamosa.

La spia si appollaiò sul tetto ad osservare le persone sotto di lui, nessuno che avesse alzato lo sguardo per vederlo, era invisibile anche quando era visibile e quel pensiero lo fece sorridere.

Al contrario di Nitara, la sua missione era incisa nella sua mente con le ferite e il sangue del suo popolo, gli Zaterran.

Si drizzò sulla schiena osservando il castello che si stagliava maestoso sopra la città, e gli piacque pensare che la sua vendetta era proprio come l'ombra di quel castello, imponente, inarrestabile, e oscura.

Reiko l'avrebbe pagata cara. Eccome se l'avrebbe pagata.

Con quei pensieri sparì agli occhi di tutti, cominciando a muoversi velocemente tra gli angoli più bui della città.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Forze Divine ***


Nitara scivolò silenziosa oltre i muri di pietra e fango delle abitazioni più povere, nemmeno il chiaro di luna riusciva a rivelare la sua presenza agli occhi vigili delle guardie che pattugliavano il perimetro, o agli sguardi distratti dei mariti che tornavano a casa dalla taverna, o a quelle anime solitarie che avevano cercato consolazione tra le braccia disperate di chi sopravvive alla miseria del genere umano.

Imboccò il vicolo che portava al negozio di Kollector e non poté fare a meno di storcere il naso. Avrebbe di gran lunga preferito non incontrare ancora quell'essere disgustoso e viscido, ma ormai aveva imparato da anni, che troppo spesso, nella vita, si è costretti a scendere a patti con ciò che più schifiamo o giudichiamo.

Fece un breve respiro e spinse la porta. Subito, l'odore di naftalina le invase le narici, ma doveva ammettere che era un profumo, rispetto all'olezzo delle fogne aperte del vicolo.

-Buonasera. Cosa... - La frase morì nella gola del proprietario nel vederla avanzare. -Cosa, ci fai tu qui? -

-Ho bisogno di informazioni. -

Kollector fece una smorfia di disappunto. -Per chi mi hai preso? Io non do mai niente per niente. -

Nitara fu talmente veloce che neppure la vide arrivare.

Nemmeno il tempo di sbattere le ciglia e Kollector si ritrovò sbattuto contro il bancone del negozio.

La botta alla schiena lo fece gemere e un dolore sordo si irradiò tutto lungo la spina dorsale.

-Io invece credo proprio di si. -

-Picchiarmi non ti servirà a niente... - Gemette cercando di controllare il dolore.

-Invece non sai quanto mi rilassa. - Lo proiettò a terra, sempre tenendolo per il bavero della casacca malconcia, facendolo piombare sul pavimento. Subito portò un ginocchio a premergli sullo sterno, mentre le mani premevano sulla carotide.

Il dolore questa volta fu ancora più intenso.

-Allora? Ti senti più collaborativo? -

Kollector sorrise, mostrando lunghi denti bianchi, macchiati di sangue.

-Non ti servirà a niente. - Il sorriso si trasformò in una risata gracchiante. -Non ti darò niente per niente. - La risata si trasformò in brevi colpi di tosse.

-Non sai quanto dolore posso procurarti. - Provò a minacciarlo.

-Oh... lo immagino... ma il risultato non cambierà. E cosa avrai ottenuto? Solo un omicidio. -

Si fissarono in silenzio per qualche secondo, non voleva scendere a compromessi con quel verme schifoso, trafficante di organi e di dolore, ma guardandolo negli occhi, si accorse che non avrebbe avuto alternativa. Non si trattava solo di lei, ma anche di Bo' Rai Cho, e doveva farlo per lui.

Lo lasciò andare con uno strattone, alzandosi da terra e osservandolo dall'alto in basso, mentre quello riprendeva aria e attendeva che il dolore delle percosse passasse.

-Va bene. - Incrociò le braccia davanti al petto. -Cosa vuoi? -

Collector si mise a sedere portandosi una mano a massaggiarsi la gola.

-Adesso si che ragioni. - Sorrise soddisfatto, ma anche lei rimase soddisfatta nel vederlo rialzarsi dolorante da terra. -Gli articoli di Vaeternus vanno alla grande in questo momento. Siete la moda del periodo. -

Assottigliò lo sguardo fissandolo con odio, cercando di controllare l'istinto omicida che le gridava di rompergli la testa contro il muro.

-Una ciocca di capelli credo che basterà. -

-Una ciocca di capelli? -

-Si. Hanno delle proprietà antibatteriche. Mi servono per creare delle sostanze da vendere. -

Nitara si strinse nelle spalle, se avesse saputo che si sarebbe accontentato di una ciocca di capelli, probabilmente non lo avrebbe picchiato.

Quello che Nitara non sapeva, era che i Naknada consideravano i capelli come una caratteristica di bellezza, e il tagliarli era per le donne un atto tremendamente vergognoso. Poco, gli importava sapere che per lei non era così. Si beava lo stesso nel vederla compiere un gesto, per lui così umiliante. E poi era vero. I capelli dei Vaeternus avevano innumerevoli proprietà, la più marcata era proprio la proprietà antibatterica. I saponi ricavati con essi andavano a ruba tra i dottori, e le donne che si curavano particolarmente del loro aspetto, per lavoro o per hobby.

Afferrò con avidità la ciocca che lei gli porse e la legò con uno spago per non perderne nemmeno un filo.

-Bene. Di cosa hai bisogno? -

Nitara gli porse la pergamena e gli mostrò il disegno. Gli occhi di Kollector si illuminarono, le strappò il disegno dalle mani portandoselo più vicino.

-Lo conosci? - Gli domandò.

-Dove lo hai preso? - Non sapeva capire se fosse felice o spaventato.

-Non posso dirtelo. -

-Questo è il disegno del medaglione del Dio decaduto, Shinnok. -

-Il Dio Anziano? - Adesso cominciava a ricordare le vecchie nozioni sul folklore della sua gente. Erano storie a cui non aveva mai dato molta importanza. -Cosa c'entra quel disegno con un Dio Anziano? -

Kollector le riservò uno sguardo glaciale, di quelli che si possono riservare solo a chi ha appena detto la più grossa idiozia della sua vita.

-Non conosci la storia, vero? - Lei non rispose e lui le riservò un'occhiataccia amara. -Questo è il disegno del medaglione che gli Dei Elementari fecero per sigillare Shinnok nel Netherrealm e impedirgli di evadere. - Le restituì la pergamena. -Mi sorprendo sempre dell'ignoranza delle persone. -

-Come io mi sorprendo della loro mancanza di scrupoli. -

Kollector chinò appena la testa, come un attore che ringrazia il pubblico dell’applauso al termine della sua performance.

-E adesso ti pregherei di andartene. Mi sembra che nessuno dei due goda della compagnia dell'altro. -

Nitara uscì dal negozio senza nemmeno salutare, continuava a fissare la pergamena nelle sue mani.

Cosa c'entrava Reiko con Shinnok?

Alzò la testa ad osservare il cielo plumbeo che cominciava a coprire la luna piena.

Bo' Rai Cho aveva ragione. Non sapevano a che gioco stavano giocando. Quella storia stava diventando ogni giorno più criptica e pericolosa. Stavano per affrontare o forse già affrontando forze che non conoscevano e probabilmente più grandi di quanto potessero immaginare.

 

Sindel osservava pensierosa fuori dalla finestra delle sue stanze, non poteva fare a meno di continuare a pensare a Reiko, a Shang Tsung e a quella schiava. Non sapeva a chi credere, non sapeva cosa ritenere giusto o sbagliato e ogni volta che credeva di aver trovato una risposta, un altro dubbio la faceva ricadere nel suo personale turbinio di indecisione.

Sentì la porta aprirsi, ma nemmeno se ne curò più di tanto, probabilmente era Sheeva che aveva riportato Kitana, ma una voce forte e roca al contempo la stupì.

-Alzati, andiamo. -

Shao Kahn era nelle sue stanze e l'unica cosa che le impediva di urlare infuriata, per una tale mancanza di rispetto, era la sorpresa per una mossa tanto sfrontata.

Non ebbe nemmeno il tempo di rispondere che quello le si avvicinò velocemente e con un modo di fare sbrigativo, l'afferrò per un braccio e la sollevò quasi di peso dal balcone della finestra.

-Non ho tutto il giorno, donna. -

-Ma che vi prende? - Si rifiutò di farsi trascinare fuori dalla stanza di prepotenza, pur rendendosi conto che uno scontro fisico non era pensabile al momento.

Ritirò il braccio guardandolo sconvolta.

-Andiamo. Ti mostro la città. - Non riusciva a dargli un’intonazione gentile e così quelle parole uscirono atone e prive di ogni sentimento.

-No! Non voglio vedere la città con voi. -

-Non mi interessa. - Fu la sua risposta afferrandola nuovamente per il braccio e trascinandola fuori dalla stanza.

-Siete un bruto! - Protestò sconvolta, cercando di liberare la mano da quella di lui. -Si può sapere che cosa vi è preso? -

Shao Kahn con uno strattone, la spinse davanti a se, il suo sguardo altero, era adornato da una smorfia di disappunto e disgusto.

-Già una volta ti avevo avvertito di non mettere alla prova la mia pazienza. Adesso sto cominciando a irritarmi. - La spinse verso il corridoio. -Adesso esci e sali sulla carrozza. -

Perché obbedì, neppure lo seppe. Forse dentro di se aveva paura, forse sapeva che non poteva combattere, o forse... in fondo in fondo, sentiva che c'era un motivo ben preciso per quel comportamento, e chissà che non fosse proprio quello di cui aveva bisogno?

Camminò in silenzio fino all’ingresso, e salì sulla carrozza ferma ad attenderli, senza aprire bocca. Attese che Shao Kahn si sedesse davanti a lei.

L'Imperatore dell'Outworld dette ordine al cocchiere di partire e rimase immobile, con le braccia incrociate sul petto ad osservarla con occhi critici.

Non poté fare a meno di constatare che, nonostante quella fosse la carrozza reale, non era decorata come quella che aveva ad Edenia, le ruote erano di legno e non rivestite di metallo prezioso, le decorazioni erano rozze e misere, senza tettuccio, il sole forte della mattina rischiava di scurirle la pelle. L'unica cosa decente erano le sedute imbottite con una stoffa morbida, straordinariamente comode.

Rimasero in silenzio per diverso tempo, mentre il cocchiere sfilava per la strada principale catturando l'attenzione di tutti quei sudditi che riconoscendoli si fermavano per osservarli. Alcuni bambini li salutarono e i colori della città cominciavano a farsi più vividi via via che si avvicinavano al mercato.

Fu Shao Kahn ad interrompere quel silenzio carico di tensione.

-Non sopporto chi si macchia di negligenza verso i propri doveri di coniuge, regina e madre. -

-Come vi permettete... - Prima che potesse dire altro il suo sguardo glaciale riuscì a freddarla e inquietarla quel tento da calmarla all'istante.

-Sono giorni che trascuri i tuoi doveri e tua figlia per leccarti le ferite di una vita che non ti appartiene più. -

-Questa vita è causa vostra. - Quell'accusa glie la sputò in faccia con tutto il rancore e la rabbia di cui era capace.

-Questa è la vita che esiste da secoli. I forti vincono ed ottengono quello che vogliono, mentre i deboli si sottomettono e subiscono. -

Tutta la sua figura era un connubio di forza e prepotenza, dalla sua muscolatura esasperata, fino al suo tono di voce, greve e potente.

-Per voi non esiste compassione? -

Che domanda. Certo che no. Shao Kahn era un mostro.

-Non ti ho ancora toccata. -

Quella risposta la spiazzò completamente.

Aveva ragione. Non l'aveva mai toccata. Anche se avrebbe potuto, anche se ne era un suo diritto, mai si era permesso di possederla. Perché? Perché non era mai arrivato a pretendere ciò che era naturale pretendere? Per la prima volta non vide il sovrano, il tiranno o il guerriero, per la prima volta vide un uomo. Dietro quella maschera d'osso, oltre quegli occhi del colore delle braci vive, c'era un uomo capace di provare compassione? Capace di capire il dolore che le aveva arrecato?

Ma allora perché? Perché se capiva, lo aveva fatto lo stesso? Perché l'aveva sposata pur sapendo che l'avrebbe resa infelice? Perché non l'aveva uccisa e basta?

Il suo pensiero andò immediatamente a Kitana, al solo pensiero che anche lei sarebbe morta con loro, il suo cuore si spezzò.

Qualcosa nello sguardo di Shao Kahn però la riportò alla realtà, un rumore alle sue spalle la fece voltare di scatto e nello stesso istante in cui una lancia trafiggeva il cocchiere, Shao Kahn si alzava in piedi sulla carrozza.

Tutto successe in breve tempo, la carrozza venne accerchiata da un gruppo armato di uomini, saranno stati una decina, indossavano armi e armature dell'esercito, ma era ovvio che non fossero soldati.

Shao Kahn li guardò uno ad uno. -Che cosa credete di fare? -

-Poniamo fine alla tua tirannia! Mostro! - Il primo che lo attaccò cercò di trafiggerlo con la lancia, anche se non erano soldati il lancio era preciso e potente, e fu inumanamente sorprendente la facilità con cui Shao Kahn, non solo schivò il colpo con un breve passo laterale, ma addirittura afferrò l'arma al volo.

Tutti erano rimasti sconvolti, Sindel vide la paura nei loro occhi, e nemmeno lei seppe descrivere cosa provò in quel momento. Da un lato provò pietà per loro, per l'orrenda fine che stavano per fare. Ma dall'altro... una parte di se pensava che se lo meritassero, se l'erano andata a cercare. Come potevano aver, anche solo pensato, di fare un attentato così mal organizzato ad un condottiero come Shao Kahn? Un uomo che da solo aveva raso al suolo città, distrutto eserciti, e conquistato regni.

Rimase immobile ad osservare Shao Kahn rimandare al mittente la lancia che teneva nella mano, con la differenza che il povero malcapitato venne trapassato da parte a parte all'altezza del petto. L'urlo che esalò si trasformò presto in rantolo, mentre si accasciava sull'asta della lancia.

Lo stupore degli altri ribelli fu fatale ad almeno altri due di loro. Non si aspettavano una reazione così fulminea e soprattutto tanto letale. Nemmeno il tempo di spostare lo sguardo dal proprio compagno assassinato al loro bersaglio, che Shao Kahn era già sceso dalla carrozza e colpito con un calcio frontale quello più vicino, togliendogli nel frattempo la lancia dalle mani. Quello cadde a terra proprio davanti al suo carnefice, che lo colpì con un forte calcio alla schiena mentre, roteando la lancia, tagliava la pancia dell’altro.

Guardare la morte in faccia non era facile. Era molto più facile ribellarsi quando si sa che si rischia come tutti gli altri, quando a pagare il prezzo dei nostri ideali non siamo noi. Era in quei momenti che si riconoscevano gli idealisti dagli opportunisti. Erano in dieci quando il primo ribelle aveva ucciso il cocchiere, adesso che Shao Kahn era tra loro, solo tre rimasero immobili nella loro posizione a guardare la morte in faccia, pronti a giocarsi la vita per una giusta causa. Gli altri stavano scappando creando un gran polverone.

Vigliacchi.

Era l'unica cosa che Sindel riusciva a pensare. Schifosi vigliacchi, capaci solo di fare vili attentati.

Shao Kahn non si perse in considerazioni, non sapeva se per lui, quei tre rimasti, erano degni di rispetto o meno, in quel momento erano solo dei nemici che avevano attentato alla sua vita. La fine era un pronostico fin troppo facile.

Provarono ad attaccare tutti insieme, una strategia piuttosto scontata, ma se fatta bene, molto efficace. Purtroppo ci vogliono anni di addestramento e guerre per poter coordinare il proprio attacco con quello di un compagno, ed era piuttosto evidente che quei tre non sapessero nemmeno tenere ben salda in mano una lancia, figurarsi effettuare un attacco combinato.

Shao Kahn schivò il più veloce e colpì alla gola il più lento, la punta gli trafisse la trachea e per poco non gli staccò la testa dal collo.

Il terzo ribelle cercò di attaccarlo alle spalle, ma roteando l'asta sotto il proprio braccio Shao Kahn lo infilzò allo sterno. Fu in quel momento che il più veloce tentò di colpirlo di nuovo, pensando che fosse scoperto, ma si sbagliava, la sua lancia venne deviata da un calcio rotatorio esterno, dopodiché venne afferrato per il collo con una mano.

L'Imperatore dell'Outworld guardò quel miserabile boccheggiare alla ricerca di ossigeno, mentre lentamente lo sollevava da terra. Chinò appena la testa di lato osservando con soddisfazione come i suoi occhi da lucidi cominciassero a divenire opachi, mentre esalava l'anima.

Lo gettò tra la polvere di malagrazia, proprio nello stesso istante in cui giungeva un plotone di guardie.

-Mio signore! -

-Prendete quei codardi che sono fuggiti! - Mentre i soldati cominciavano a correre nella direzione indicata da Shao Kahn la voce dell'Imperatore si sollevò potente come un tuono. -Li voglio vivi! -

In tutta quella confusione Sindel era rimasta immobile, come in trance, quasi non rendendosi ancora conto di quanto era avvenuto.

Non credeva che Shao Kahn fosse tanto forte. Quei ribelli non erano dei soldati, era vero, ma erano in superiorità numerica, la sua velocità di giudizio, reazione ed esecuzione era stata sorprendente.

Chiunque altro non sarebbe potuto uscirne senza nemmeno un graffio.

-Tutto bene? -

La voce roca e potente dell'Imperatore la riportò alla realtà.

-Si... certamente. -

Era più temibile di quanto avesse mai pensato. La sua non era una forza umana, ma divina.

La domanda le sorse spontanea.

Chi accidenti era Shao Kahn?

 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Il Minore dei Mali ***


Quando Shang Tsung entrò nella sala del trono, Shao Kahn lo osservò impassibile, cercando nel suo atteggiamento un minimo segno di nervosismo. Erano ormai quasi due anni che lo straniero aveva varcato la soglia del suo castello, ed era innegabile che ne avesse fatta, di strada. Da prigioniero, ad arcistregone, doveva ammettere che aveva saputo valorizzarsi. Però sapeva che non era tutto merito suo, perché l'uomo che aveva davanti, non era certamente lo stesso che gli portarono in ginocchio quel giorno di due anni fa.

Drahmin lo aveva modellato ad arte, lo aveva reso più spietato, cinico, pericoloso, astuto e violento di quanto non fosse. Ma non bastava. Non era ancora finita.

-Hai punito i responsabili dell'attentato? - Domandò con un velo di impazienza nel tono di voce, voleva vederlo tremare, voleva vedere il timore nei suoi occhi.

E ci riuscì.

Il suo era più un ordine che una domanda, notò il moro piegare appena la testa, era una reazione involontaria, meccanica, che faceva ogni volta che doveva ringraziare o sottomettersi a qualcuno, una specie di inchino veloce, fatto solo con il capo. Era sicuro che fosse una delle mille abitudine che si portava dietro dal suo reame natio.

-Ho interrogato i prigionieri, mio signore. Presto cattureremo anche gli altri. -

Shao Kahn chinò appena la testa di lato continuando a scrutarlo. -Mi hanno riferito che i tuoi metodi sono molto più "leggeri" rispetto a quelli usati dal generale Drahmin. - Lo aveva punto nell'orgoglio perché adesso non si preoccupava di dimostrarsi servizievole e lo fissava dritto negli occhi. -Mi chiedo se tu non abbia bisogno di una "rinfrescata". -

L'angolo destro della bocca dello stregone si incurvò appena in un abbozzo di sorriso sghembo, un'espressione irriverente, che durò pochi attimi, ma fu abbastanza per convincerlo che quel moccioso fosse un bastardo arrogante impenitente.

-Mio signore... il fatto che i miei metodi siano "differenti" non vuol dire che siano più leggeri. Con tutto il rispetto, il generale Drahmin era un macellaio, i suoi interrogatori non servivano ad estorcere informazioni, ma solo a procurare dolore. -

Chiunque conoscesse un minimo Shao Kahn, sapeva che c'erano molte cose che non sopportava dai suoi subalterni, una di queste era l'arroganza. Tuttavia c'era qualcosa in quelle parole e in quello sguardo che irrimediabilmente gli ricordarono se stesso, più giovane.

A quel tempo era lui in ginocchio, in un inchino reverente, nei confronti del suo Imperatore. Era lui che sentiva i suoi metodi criticati, nonostante i risultati fossero innegabili.

Quel ricordo fu la salvezza di Shang Tsung, ma lui, questo, non lo seppe mai.

-Allora ti conviene ottenere risultati. Io non tollero gli insuccessi. -

-Certo mio signore. -

Gli fece cenno di andarsene, ma lo stregone avanzò invece una domanda.

-Perdonate la mia sfacciataggine, mio signore, ma se posso, vorrei chiedervi un'informazione riguardo un simbolo che ho trovato addosso ad uno dei rivoluzionari. -

Shao Kahn non rispose, si limitò ad un grugnito di assenso, già valutando l'ipotesi che fosse un incompetente che neppure volesse sprecare il suo tempo a cercare nell'archivio. Se gli avesse mostrato qualcosa di sciocco questa volta lo avrebbe fatto flagellare, tanto per ricordargli quanto fosse prezioso il suo tempo e quanto dovesse valutare bene le domande da porgli.

Tuttavia, il simbolo che l'arcistregone gli mostrò, lo fece ricredere.

-Lo aveva uno dei rivoluzionari? - Domandò prendendo la pergamena con il simbolo disegnato.

Shang Tsung rimase qualche attimo in silenzio, l'Imperatore non poteva sapere che stesse valutando se dire la verità o meno.

-Si, mio signore. Ma non ci sono informazioni di nessun tipo su di un simile simbolo. -

-Ovvio. Questo simbolo è molto antico. - D'un tratto si pentì di aver distrutto ogni informazione che parlasse dell'Outworld prima di lui. Lo aveva fatto per cancellare la figura di Onaga, ma aveva finito per cancellare molto di più.

-Si tratta del sigillo del Dio decaduto Shinnok. - Si rese conto in quel momento che sapeva veramente poco del reame da cui proveniva Shang Tsung, quale religione fosse presente, se conoscessero o meno l'esistenza di altri reami e altri popoli oltre al loro, o fossero così primitivi da concepire una sola realtà. Dette per scontato che l'arcistregone sapesse ormai le basi del loro mondo, la sua storia, ma soprattutto le sue imprese. Per un breve attimo meditò di passare quell'incarico a qualcun altro, forse a Reiko, o a qualcuno che conoscesse meglio, che fosse alla sua corte da più tempo.

Ma poi, c'era veramente qualcuno di cui poteva fidarsi ciecamente? Non gli era sfuggita la reazione di Sindel quando aveva nominato il generale, era innegabile che preferisse la vicinanza del generale alla sua, dunque davvero poteva fidarsi di Reiko? Era solo da parte della regina questa smania per quelle passeggiate assurde, o anche il generale stava tramando qualcosa alle sue spalle? Non si poteva fidare di nessuno. Chiunque fosse a corte e conoscesse il suo potere, sapeva che non poteva competere. Ma i seguaci di Shinnok sarebbero stati un valido aiuto, ed il Dio decaduto un valido alleato.

No.

Shang Tsung fra tutti era il meno ambizioso. Bramava la conoscenza, era capace di passare giorni interi ad apprendere, ma a combattere per ambizione? L'ambizione richiedeva sacrifici inenarrabili e Shang Tsung non era quel tipo di uomo. Il suo crollo psicologico di fronte alle torture di Drahmin, ne era la prova. Un tipo ambizioso non si sarebbe fatto scrupoli nel fare quanto fosse necessario, per arrivare al suo scopo. Non avrebbe avuto rimorsi, o pentimenti.

La strada dell'ambizione era una strada devastante che porta a continue rinunce, perché ogni obiettivo raggiunto, non è mai un traguardo, ma solo un altro punto di inizio.

Era viscido, questo si, ma puntava solo ad un traguardo, niente di più. Una volta raggiunto si sarebbe fermato.

Si. Shang Tsung era la sua migliore opzione.

-Shinnok era uno degli Dei Anziani, che venne corrotto dalla bramosia di potere per un reame. Pur di averlo, cominciò una guerra contro gli altri Dei, che perse, e venne rinnegato nel Netherealm. - Gli mostrò la pergamena. -Questo è il disegno del medaglione che gli Dei Elementari fecero per impedirgli di attraversare i reami. -

Parve confuso, assorto nei propri pensieri. -Mio signore... è possibile che il reame sia l'Outworld? -

-No. Si tratta di un altro reame. - E chissà che tipo di reame fosse in grado di ossessionare fino alla disfatta persino un Dio Anziano? -Se ti è possibile, scoprilo. Ma non anteporre niente alla cattura e l'esecuzione dei rivoluzionari. -

-Ma certo, mio signore. -

Sempre reverente, servizievole, educato. Con quel suo inchino personale, riprese la pergamena e si allontanò dalla sala del trono.

Shao Kahn lo osservò pensieroso, non lo temeva, ma di certo non lo avrebbe sottovalutato. Non gli era piaciuto rivedersi nel suo sguardo, e nemmeno nel suo atteggiamento borioso.

Nessuno si sarebbe spinto fin dove si era spinto lui. Nessuno avrebbe osato quanto lui e nessuno sarebbe riuscito ad eguagliare la sua forza, lui aveva sfidato forze divine e si era guadagnato il posto che adesso occupava. E nessuno poteva avanzare accuse sul modo in cui se l'era guadagnato.

Quando aveva menzionato Shinnok, però, non aveva visto timore nel suo sguardo, ma piuttosto un'inquietante curiosità. La domanda adesso era: anche lui era disposto a sfidare certe forze?

Perché se lo era, forse, dopotutto, doveva rivedere il suo giudizio.

 

Sheeva osservava divertita la principessa Kitana correre per il cortile del castello.

Ormai aveva tre anni, i capelli neri erano cresciuti abbastanza da poter essere legati in una piccola coda di cavallo. Il viso paffutello cominciava a mostrare i lineamenti della madre, le piccole gambe tozze e robuste cominciavano a muoversi velocemente, ed era divertente vederla correre avanti e indietro cercando di sfuggirle, in un gioco che divertiva i bambini dall'alba dei tempi: Acchiappino.

Nel guardarla correre non si sarebbe mai detto che all'inizio camminava in maniera goffa alzando e abbassando i piedini come se cercasse di calpestare qualcosa, piuttosto che camminare. E nel sentirla ridere, nessuno avrebbe potuto immaginare che da piccola raramente emetteva un verso differente dal pianto.

Le passò vicino sfidandola a prenderla. -Sheeva!!! - La chiamò con le braccia in aria.

-Ti prendo! - Le gridò lei di rimando facendo finta di cominciare a rincorrerla. Bastò un mezzo passo perché la piccola si voltasse con un verso stridulo e prendesse a correre per tutto il cortile, spesso e volentieri coinvolgendo anche le guardie presenti.

La maggior parte la ignoravano, alcuni la guardavano con disprezzo, e poi c'erano quelli che invece si prestavano volentieri al gioco. In questa ultima categoria, i più numerosi erano certamente i padri di famiglia, e si riconoscevano facilmente, perché al di là della razza, della posizione sociale e della cultura, i bambini sono bambini, e i padri rimangono padri. Addirittura i Tarkatan si prestavano al gioco, ed era piuttosto divertente vedere quei guerrieri tanto sanguinari in battaglia, prestarsi a far finta di voler spaventare o acchiappare quella mocciosetta che non faceva che ridere ed emettere gridolini striduli di divertimento. Ma in fin dei conti solo uno straniero o un pivello si sarebbe potuto stupire, i Tarkatan, come gli Shokan erano particolarmente legati alla prole, soprattutto in tenera età, prima che gli iniziassero al combattimento e alla guerra.

Mentre era assorta nei propri pensieri, venne affiancata da una figura che riconobbe immediatamente.

-Buongiorno... - Era la donna che Shang Tsung le aveva chiesto di accudire quella notte di qualche settimana prima. Anche se non avesse saputo chi fosse, era facile intuire che ruolo ricoprisse a corte.

Che non fosse una schiava qualunque lo si intuiva facilmente dall'abito. Solo le concubine si potevano permettere abiti di una fattura pregiata. Yane indossava un abito lungo verde e viola, legato in vita da una cintura argentea, con maniche lunghe e larghe. Non indossava gioielli, non le era permesso, ma qualcos'altro del suo abito colpì particolarmente Sheeva, a parte le mani e il volto, non c'era un centimetro di pelle scoperta. Ma questo non bastava a nascondere i segni del suo padrone.

Yane aveva un occhio nero, il labbro inferiore presentava un taglio ed era più gonfio del normale, mentre un livido le oscurava lo zigomo sinistro.

-Buongiorno. Mi fa piacere rivederti. - Non seppe nascondere la preoccupazione dietro la falsa cortesia e la domanda seguente le uscì di getto, con un tono certamente più preoccupato di quanto convenisse per dei convenevoli del genere. -Come stai? -

La donna sorrise appena, ma era un sorriso falso, infatti i suoi occhi erano tristi, persi in chissà quali terribile esperienze. Non avrebbe augurato al suo peggior nemico di finire come schiavo di Reiko.

-Sto bene... - Si portò una mano a spostarsi una ciocca di capelli neri dietro l'orecchio, lo sguardo attento della Shokan notò immediatamente i lividi sul collo e sui polsi. -Mi sono ricordata di non averti mai ringraziato... sai... per quella notte. -

Sheeva scosse la testa, facendole cenno che non doveva nemmeno pensarci, lo aveva fatto volentieri. Se solo avesse potuto, se solo il suo rango sociale glie lo avesse permesso, avrebbe fatto passare a quel depravato di Reiko, dolori ed umiliazioni cento volte peggiori. Purtroppo il suo posto era un altro.

Rimasero in silenzio per qualche istante, e Sheeva notò che sul volto della donna si dipinse un sorriso genuino nell'osservare Kitana giocare divertita.

-Anche io ho una bambina della stessa età della principessa. - Disse ad un tratto con una certa pesantezza nella voce, come se tentasse di respingere un improvviso magone alla gola. -Prima che venissi qui... non ci separavamo mai, mentre adesso devo chiedere il permesso per poterla andare anche solo a trovare. -

Sheeva non sapeva che dire, lo sfogo di quella donna l'aveva messa in imbarazzo, prima di qualche settimana fa nemmeno sapeva della sua esistenza e adesso veniva a conoscenza di confessioni tanto personali.

Dovette accorgersene, perché si affrettò a scusarsi. -Perdonami, sono stata indiscreta e ti ho disturbato mentre svolgevi il tuo lavoro. - Allungò la mano verso di lei con il palmo rivolto verso l'alto. -Shang Tsung mi ha detto che devo venire da te per quella... "cosa". -

Sheeva annuì e le consegnò la piccola fiala che Shang Tsung le aveva passato di nascosto la mattina prima, quando l'aveva incontrata lungo il corridoio.

Mentre Yane chiudeva la mano sulla piccola fiala vide un sorriso sadico dipingersi sul suo volto angelico e fu una visione piuttosto inquietante. Sapeva che non avrebbe dovuto, ma come poteva non chiederglielo?

-Sai che cosa è? - Le domandò a bassa voce.

-La mia vendetta. - Rispose lei con sguardo crudele.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Addio Yane ***


Reiko colpì la schiava talmente forte che la malcapitata volò di sotto dal letto.

Non ci riusciva.

Si guardò furioso in mezzo alle gambe, ma non sentiva niente. Fissò con rabbia la sua schiava edeniana che era rimasta a terra, con un rigolo di sangue che le usciva dal labbro spaccato; completamente nuda stava osservando, con un sorriso inebetito, il soffitto e dondolava le gambe da destra a sinistra.

Solo qualche settimana prima, gli sarebbe bastato solo l'idea di possederla per essere già eccitato, e invece adesso nemmeno la visione del suo corpo nudo, invitante e perfetto, riusciva a destare alcun segno di vita là sotto.

Con un ringhio di frustrazione scese dal letto fino a raggiungerla, avrebbe voluto incolparla di ogni cosa, ma sapeva fin troppo bene che non era colpa sua, non era l'unica schiava con cui aveva avuto quel problema, ormai né uomini, né donne riuscivano a destare in lui alcuna reazione, nessun tipo di sesso riusciva a smuoverlo. Il giorno prima aveva massacrato di botte uno dei suoi schiavi preferiti, perché non era riuscito ad eccitarlo, e non era l'unico che aveva incontrato quella fine. Per un momento ebbe la tentazione di fare la stessa cosa con lei, ma una schiava edeniana, di sangue puro, proprio come la regina, non sarebbe mai più riuscito a trovarla. Solo lui e l'Imperatore godevano di una tale fortuna.

Mentre la osservava, pensieroso sul da farsi, notò per la prima volta una cosa che fino ad allora non aveva mai notato. Le pupille della donna erano dilatate. Si chinò e l'afferrò per i capelli portandole il volto vicino al suo. Lei si lasciò sfuggire un gridolino misto tra dolore ed eccitazione.

Ma certo, adesso capiva perché il suo cambio di atteggiamento durante i loro incontri. Si lasciò sfuggire un verso gutturale di delusione, fino ad allora aveva creduto di essere riuscito a modellarsi la schiava perfetta, capace di subire di tutto e trovarci piacere e invece adesso scopriva che era drogata fino al midollo.

La lasciò andare e lei riprese a ciondolare le gambe da un lato all'altro, gli occhi persi in chissà che tipo di allucinazioni.

-Ma quanta ne hai presa? - Le chiese con una smorfia di disgusto.

Solo una persona poteva averle procurato certe sostanze e probabilmente non doveva essere un caso che lui avesse cominciato a trovare difficoltà, proprio dopo quella fatidica volta.

Si vestì velocemente e si avviò verso le Fosse di Carne, era sicuro di trovarlo laggiù. Percorse i corridoi ad ampie falcate, non concedendo a nessun incontro di interrompere o rallentare la sua avanzata.

Lo trovò dietro ad un tavolo da lavoro, le mani appoggiate al tavolo e la testa china su dei documenti.

-Tu! - Lo indicò con l'indice e avanzò furioso nella sua direzione. -Che cosa mi hai fatto?! -

Shang Tsung si staccò dal tavolo, rivolgendogli un sorriso di circostanza, chinando appena la testa di lato.

-Potreste essere più preciso, generale? -

Reiko si guardò rapidamente intorno, ancora non c'era nessuno, ma immaginava che se avesse provato ad attaccarlo, sarebbero giunte guardie da ogni dove, pronte a fermarlo e a giurare che fosse impazzito e lo avesse aggredito senza alcun motivo.

-Cosa mi hai fatto? - Insistette stringendo forte i pugni fino a conficcarsi le unghie nel palmo della mano.

-Assolutamente niente. Voi di cosa mi accusate? -

Maledetto bastardo, quello non era un sorriso innocente, sembrava un predatore che si leccava i baffi dopo aver sventrato la sua preda, beandosi delle sue sofferenze.

Solo il pensiero di star facendo il suo gioco, gli permise di calmarsi. Scoprire le sue carte non avrebbe fatto altro che segnare la sua sconfitta.

Doveva cambiare tattica. Si sforzò di reagire e ragionare, per quanto la rabbia gli stesse offuscando il cervello doveva pensare a qualcosa.

Si passò una mano sul viso in un gesto di estrema difficoltà. -Io... mi dispiace essermi scagliato così contro di te... ma credo di essere stato vittima di un avvelenamento. -

Shang Tsung sollevò le sopracciglia, in un'evidente espressione di scetticismo.

-E quale sarebbero i sintomi? - Domandò.

Reiko lo osservò con odio. Doveva calmarsi, pensare che tanto stava mettendo tutto in conto e prima o poi glie le avrebbe fatte scontare tutte, con gli interessi per giunta.

-Non riesco più a consumare un rapporto sessuale. - Disse tutto d'un fiato.

-Ah... - Fu la laconica risposta dell'altro, mal celando un sorrisetto irritante. -E pensavate che fossi stato io? -

-Devi ammettere che sia una coincidenza piuttosto ambigua, dato che questo "problema" si è verificato proprio dopo la punizione inferta alla mia schiava edeniana. - Seguì un silenzioso duello di sguardi, entrambi pronti a cogliere il minimo cedimento negli occhi dell'altro.

Alla fine fu Shang Tsung a rompere il silenzio.

-Con tutto il rispetto... ma se avessi la possibilità di influenzare l'eccitazione sessuale delle persone che abitano il castello, voi sareste veramente l'ultimo della lista. -

Lo stava sfottendo, che ridesse pure, ma ride bene chi ride ultimo.

-Mi sento offeso... - Ammise appoggiandosi ad uno degli scaffali presenti nella stanza, mitigando con un sorrisetto divertito la rabbia che non poteva esporre. -Ma scommetterei sul nome della tua prima scelta. -

Questa volta lui non rispose, si limitò ancora a sollevare le sopracciglia, poi si mosse dietro il tavolo, dirigendosi ad un baule in legno alla sua sinistra.

-Si tratta della regina Sindel, dico bene? -

Shang Tsung non rispose, gli lanciò una rapida occhiata oltre il baule davanti il quale si era chinato.

-Ti capisco, la bellezza della nostra regina, come tutte le donne del suo reame, è abbagliante. - Osservò la cartina sul muro, notò che c'erano stati dei piccoli sviluppi. -Ma, ahimé, il nostro Imperatore è l'unico a potersi godere una simile compagnia. - Gli lanciò un'espressione tronfia. -Ah, no. Anche la mia schiava è edeniana. -

-Si, ma non è la regina. - Shang Tsung si alzò nuovamente in piedi, in mano teneva un sacchettino di stoffa marrone.

Reiko non rispose, in fin dei conti era vero. Lui poteva solo accontentarsi delle imitazioni, degli scarti di Shao Kahn. Non poteva ancora avere ciò che era suo.

Ancora.

Sorrise, cercando di sforzarsi di sembrare più bonario possibile.

-Che cos'è? - Domandò indicando con un rapido movimento della testa il sacchettino che lo stregone gli stava porgendo.

-Un rimedio per il vostro "problema". -

Reiko corrugò la fronte poco convinto. Solo un idiota, nella sua posizione, si sarebbe fidato di Shang Tsung.

-Non voglio avvelenarvi, ve l'ho detto. -

-No? - Domandò alternando il suo sguardo dagli occhi scuri dell'arcistregone al sacchettino marrone che teneva in mano.

-No. Voglio solo un favore. -

"Ci siamo" Pensò fissandolo seriamente. -Che tipo di favore? -

-L'edeniana. La voglio io. -

In Reiko le emozioni si alternarono velocemente, dallo sgomento, all'incredulità, per poi passare alla rabbia, e alla frustrazione.

Da una parte sapeva esattamente che senza quel rimedio avere una schiava in quel modo sarebbe stato del tutto inutile, ma dall'altra, quella schiava era l'unica cosa che lo avvicinava ad avere ciò che aveva Shao Kahn e ciò che lui bramava.

-Perché? - Domandò a denti stretti.

-Lo avete detto voi stesso. Solo voi e l'Imperatore potete avere un'edeniana nella vostra camera da letto. Ebbene... è quello che voglio anche io. E purtroppo, credo che andrà a vostro discapito. -

Stava tirando la corda, lo notò da quel sorrisetto malevolo che continuava ad ostentare, quell'espressione saccente e indisposta, come se stesse parlando ad un idiota. Quanto detestava quel suo atteggiamento.

Era convinto lo stesse ancora mettendo alla prova, lo stava spingendo al limite della sopportazione per costringerlo ad un passo falso.

Non ci sarebbe caduto. Era più intelligente di quanto potesse immaginare.

Annuì abbozzando un sorriso. -Ma certo. Sarà vostra. -

Nonostante gli stesse sorridendo sapeva che era deluso della sua risposta. Chissà che cosa si sarebbe aspettato.

Senza aggiungere molto altro, prese la sua medicina e se ne andò.

 

Il corpo di Yane venne ritrovato senza vita nelle stanze del generale Reiko quello stesso pomeriggio. A trovarla fu la schiava che si occupava di preparare il bagno al generale. Quando entrò, la ritrovò supina, distesa sul pavimento, completamente nuda, con gli occhi spalancati e vitrei verso il soffitto.

Era immediatamente corsa a chiamare aiuto, ma sapeva che non sarebbe valso a niente.

 

Bo' Rai Cho non la conosceva bene. Erano stati rari i momenti in cui era riuscito a scambiare qualche parola con lei, e adesso se ne dispiaceva profondamente. Yane l'aveva colpito per due particolari, la prima era la sua bellezza, e la seconda erano i suoi occhi.

Non erano occhi comuni, erano occhi tristi, di chi conosceva la perdita, ma al contempo brillavano di una strana luce, quasi battagliera, di chi lotta per qualcuno a cui tiene e non è disposto ad arrendersi.

Il suo primo pensiero andò a sua figlia. Quella povera bambina adesso sarebbe rimasta da sola. Sperava che ci fosse qualche parente che potesse accudirla, altrimenti, chissà che vita avrebbe fatto.

Il secondo pensiero, fu cosa legava quella donna a Shang Tsung.

L'arcistregone era un uomo che non mostrava mai i suoi veri sentimenti, tuttavia era pronto a scommettere che quando l'aveva vista sdraiata su quel pavimento, fosse rimasto scosso. Al contrario, Reiko aveva pensato bene di scoppiare in una risata sadica.

-Adesso è tutta tua, beccamorto! - Aveva esordito, poco prima di ordinare a tutti quanti di lasciare le sue stanze.

Bo' Rai Cho aveva notato il modo in cui Shang Tsung aveva sollevato il corpo di Yane da terra, con una delicatezza strana, la stessa delicatezza che gli aveva visto avere con la donna interrogata nelle Fosse di Carne, come se temesse di farle del male. Una delicatezza inutile su di un cadavere.

Comunque fosse, si sentiva in dovere di vedere come stesse. In fin dei conti era tutto il pomeriggio che non lo vedeva, nelle Fosse di Carne non si era presentato, e nemmeno nella biblioteca.

Lo vide solo quando uscì nel cortile, quasi d'impulso alzò lo sguardo e notò una figura a sedere nella parte più alta del mastio, con le gambe a ciondoloni nel vuoto. Si accorse che si trattava di Shang Tsung solo quando lo raggiunse.

-Hey... - Lo chiamò non sapendo che cosa aspettarsi. Non pensava certo che sarebbe saltato giù nel vuoto, ma d'altronde non si aspettava nemmeno di trovarlo in un posto come quello.

-Cosa c'è? - Gli domandò senza distogliere lo sguardo dall'orizzonte.

-Niente... che ci fai quassù? -

-Pensavo alla mia prossima mossa. -

Bo' Rai Cho lo raggiunse in cima al muro e gli si sedette di fianco. Lo osservò per qualche secondo con attenzione. Non se n’era mai accorto prima, ma Shang Tsung non doveva essere molto più vecchio di lui. Era consapevole di dimostrare meno della sua vera età e non sapeva quanto vivesse un terrestre, però a occhio e croce, ancora non aveva raggiunto la mezza età.

-Posso sapere quale sarà? - Chiese con cautela.

-Ci sto ancora pensando... -

Rimasero in silenzio per qualche istante.

-Hai intenzione di rimanere qui con me ancora per molto? - Shang Tsung lo osservò con la coda dell'occhio.

-Sinceramente no. Non mi sento a mio agio a rimanere con le gambe penzoloni nel vuoto. Però volevo chiederti se vuoi venire a farti qualche bevuta con me. -

Notò il suo sguardo tagliente, evidentemente non ne aveva alcuna voglia, ma lui sapeva bene come fargli cambiare idea.

-Nell'esercito è una usanza, brindare al ricordo dei compagni morti in battaglia. Pensavo di farmi qualche bicchierino in onore a Yane. In fin dei conti si è guadagnata il nostro rispetto. Che ne dici? -

Shang Tsung sembrò pensarci qualche secondo, poi la sua espressione sembrò voler mandare al diavolo ogni altro tipo di pensiero, ed annuì.

-Perché no? - Si alzarono entrambi in piedi, ma quando scesero dalle mura, lo stregone lo stupì. -Però lo decido io dove andremo. Seguimi. -

Allungò una mano e all'improvviso un vortice rosso e nero, come un cerchio di fuoco, cominciò a roteare davanti ai loro occhi.

-Andiamo. -

Mentre Shang Tsung attraversò il vortice camminando tranquillamente, Bo' Rai Cho ci saltò dentro stringendo gli occhi per la paura.

Si ritrovò in una città che non aveva mai visto prima. Le strade non erano acciottolate, le case erano costruite per lo più di legno ed erano piuttosto rade le une dall'altre. C'erano molte persone che camminavano per strada, assomigliavano in una maniera incredibile a Shang Tsung, avevano gli stessi capelli neri, gli occhi allungati e la pelle chiara, solo i lineamenti cambiavano marginalmente da un soggetto all'altro.

Una leggera folata di vento lo fece voltare, e solo allora si accorse di trovarsi alle porte di una città straniera, dietro di loro la strada si estendeva in lontananza, fino a perdersi verso un bosco.

-Siamo ad Edenia? - Chiese, non potendo credere che fossero sopravvissuti così tanti edeniani alla guerra e addirittura avessero ricostruito una città come quella.

-No, questo è il reame da cui provengo io. - Shang Tsung si lasciò sfuggire un sorrisetto. -Quando venni nell'Outworld, questo era un villaggio di pochissime persone. - Gli fece cenno di seguirlo.

Era tutto strano e diverso, a partire dalle porte dei locali che si aprivano scorrendo orizzontalmente, ai pavimenti completamente in legno, fino alle donne che servivano le pietanze, così piccole, esili, eppure alcune erano molto carine. Tutti lo osservavano con rapide occhiate, forse non erano abituati a vedere uomini con i suoi lineamenti. Chissà come doveva sembrare ai loro occhi?

Tutti i pensieri e le domande svanirono quando una cameriera portò da bere. All'inizio non credeva a quello che vedeva, il bicchiere in cui veniva versato il liquido era talmente piccolo che quasi scompariva nella sua mano.

-Ma è uno scherzo? - Chiese osservando il bicchierino.

Shang Tsung bevve tutto d'un sorso il liquido bianco, e quando parlò, si stava già versando il secondo bicchiere. -Prima di criticare, assaggialo. -

Ed aveva ragione. Dopo aver bevuto il primo bicchiere, Bo' Rai Cho si rese conto che non avrebbe mai più potuto fare a meno di una cosa del genere.

Ci vollero tre bottiglie, prima che riuscisse a pronunciare correttamente il nome di quel liquore. -Baijiu! - Esultò alzando il bicchiere in alto, ma ce n'era voluta solo una goccia perché lo apprezzasse.

Si versò l'ennesimo bicchiere di Baijiu e osservò Shang Tsung al di là del tavolo, che osservava pensieroso il bicchierino tra le dita. Assottigliò lo sguardo cercando di capire quanto avesse bevuto, ma a giudicare da come gli era presa la malinconica, doveva averci dato giù pesante anche lui.

-Stai pensando a Yane? - Probabilmente se non avesse bevuto in quel modo non gli avrebbe mai fatto una domanda tanto diretta.

-Mh... - Fu la laconica risposta dell'altro. Probabilmente se anche lui non avesse bevuto in quel modo, nemmeno gli avrebbe risposto.

-Scusa se te lo chiedo ma... esattamente di cosa è morta? -

Shang Tsung bevve e si riempì subito un altro bicchiere. -E' morta soffocata dal suo stesso vomito. - Si lasciò sfuggire una risatina che sapeva essere inquietante e malinconica al contempo. -Il destino... Non trovi che sia divertente? -

Bo' Rai Cho lo guardò confuso.

-Era libera... - Sospirò tornando a fissare l'alcol, facendolo roteare con un movimento circolare della mano. -Era tutto finito... - Sembrò imbambolarsi in qualche reminiscenza. -Tutto finito... - Ripeté, forse più a se stesso che a lui.

-Ma... perché? Che le è successo? - L'immagine del corpo nudo di Yane, con il rigolo di vomito che le colava dal lato della bocca fino sul collo, fu un ricordo che gli costò un altro sorso.

-Le avevo dato una droga, per permetterle di svolgere meglio il suo incarico... - I suoi occhi sembrarono perdersi nel liquido bianco del bicchiere. -Il problema è che ne ha abusato... deve essere svenuta, non si è accorta di dover vomitare ed è rimasta soffocata nel sonno. - Bevve d'un sorso e se ne versò un altro. -Alla fine non è stato il suo aguzzino ad ucciderla, ma quello che considerava come il suo salvatore. - Si lasciò sfuggire un sorrisetto macabro, come se davvero la trovasse una cosa divertente.

Bo' Rai Cho avrebbe voluto dire qualcosa, come ad esempio che non era stata colpa sua, ma in fin dei conti era veramente così? Una parte di lui avrebbe voluto gridargli di essere un bastardo, prenderlo a pugni e sputargli addosso per il destino a cui aveva condannato quella povera donna, ma un'altra parte di lui conosceva fin troppo bene il senso di colpa, quanti errori aveva commesso in guerra che erano valsi la morte di valorosi compagni? Quante volte si era maledetto per le sue scelte, che con il senno di poi, erano risultate insensate o addirittura stupide?

Conosceva la vacuità di uno sguardo che non si dava pace, e l'amarezza delle parole di chi contempla le proprie colpe e le proprie speranze.

-Purtroppo non sempre le cose vanno secondo i piani. - Decretò infine. -Adesso cosa facciamo? -

Lo stregone lo guardò in maniera inquietante, con occhi fin troppo lucidi, considerando tutto l'alcol che si era scolato. -Adesso dobbiamo solo aspettare. Reiko farà una mossa falsa, ne basta solo una... e sarà tolto dalla circolazione per sempre. -

-Il generale Reiko gode dei favori dell'Imperatore. -

-Tsk... Shao Kahn è paranoico, non si fida di nessuno, quando Reiko cadrà in errore, sarà facile farlo fuori. -

Bo' Rai Cho si appoggiò alla spalliera della sedia e guardò degli uomini che stavano entrando in quel momento, avevano armature grandi e ingombranti che gli coprivano interamente il busto, sotto il braccio tenevano un elmo che ricordava vagamente quello di Shao Kahn.

-Questo è il tuo piano? Aspettare? - Domandò deluso.

-La calma è la virtù dei forti. -

Gli sorrise divertito. -Mi piace questa massima. - Lanciò uno sguardo critico al cimitero di bottiglie che avevano al loro tavolo. Accidenti quanto avevano bevuto. D'improvviso venne attanagliato da un dubbio. Nelle condizioni in cui versava, Shang Tsung sarebbe riuscito a riportarli nell'Outworld?

-Forse credo sia il caso di uscire da qui... - Con un enorme sforzo di volontà Bo' Rai Cho si mise in piedi, stringendo gli occhi per sopportare meglio il giramento di testa, notando con una certa soddisfazione che lo stregone dovette sorreggersi, addirittura allo schienale della sedia, per trovare un minimo di equilibrio.

Entrambi barcollanti uscirono dalla locanda, cercando ogni tipo di appiglio per non cadere a terra.

Mentre si avviavano alla porta della città, Bo' Rai Cho perse l'equilibrio e riuscì a ritrovarlo solo quando finì praticamente abbracciato ad una ragazza che stava camminando insieme a quelli che sembravano essere i suoi genitori.

-Oh! Mi dispiace... - Biascicò lui cercando di ritrovare stabilità sulle gambe, voltandosi, per la prima volta poté vedere Shang Tsung che rideva.

-Ma cosa fai?! - Gridò il padre della ragazza spingendo Bo' Rai Cho lontano da sua figlia. -Come ti permetti di toccare mia figlia?! -

-Mi dispiace... - Barcollando raggiunse lo stregone, ma avendo sbagliato a calcolare la distanza, dovette sorreggersi ad una sua spalla.

-Si... è meglio tornare da dove siamo venuti. -

Bo' Rai Cho gli sorrise. -Sai... mi stavo chiedendo... una volta che ci saremo liberati di Reiko... cosa accadrà? -

-Cosa intendi dire? -

-Adesso siamo alleati... ma dopo? Io farò ancora parte dei ribelli e tu invece sarai ancora l'arcistregone di corte. -

Shang Tsung sembrò pensieroso. -Ce ne occuperemo quando verrà il momento. -

Era ubriaco, certo, ma quelle parole se le sarebbe ricordate bene, perché anche se ubriaco, Bo' Rai Cho non si illuse mai, neppure per un momento, che Shang Tsung non ci avesse ancora pensato e non avesse fatto ancora nessun piano.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4070370