Vestigia

di Tynuccia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Eroe ***
Capitolo 2: *** 2. Mirino ***
Capitolo 3: *** 3. Pirro ***
Capitolo 4: *** 4. Mulini a Vento ***



Capitolo 1
*** 1. Eroe ***


Capitolo 1 
Eroe
 
 
 
Shiho Hahnenfuss alzò lo sguardo dal monitor quando qualcuno bussò alla sua porta. “Avanti”, chiamò, non stupendosi quando Dearka Elthman fece capolino nella stanza, apparentemente di buon umore. Quando ancora prestavano servizio sulla Voltaire e sulla Rousseau era diventata una sua fastidiosa abitudine disturbarla per sopperire alla noia; il trasferimento allo Stato Maggiore non aveva cambiato nulla, se non l’indirizzo dei loro uffici. “È urgente?”, sospirò, mantenendo una facciata cordiale. 
 
Il biondo emise un fischio, socchiudendo pigramente un occhio. “Ouch, abbi più considerazione nei confronti del cuore di un uomo”, la redarguì bonariamente. “Vengo in pace, tranquilla”.
 
“Scusa”, offrì lei con un sorriso appena accennato, quindi sventolò un dossier. “Temo che dovrò fare le ore piccole anche stasera, se non mi sbrigo”.
 
“Io credo proprio di no”, replicò solennemente Dearka, puntando il pollice verso il corridoio. “Il big boss ha indetto una riunione straordinaria, ci vuole tutti in sala briefing il prima possibile”.
 
A quella comunicazione, Shiho non poté fare altro che alzarsi dalla sedia e raggiungerlo. Gli ordini erano sacri, lo erano sempre stati, e di certo non desiderava alterare l’umore perennemente nero del loro capo. “Di cosa si tratta?”, domandò al collega. 
 
Quello si strinse nelle spalle. “Top secret, neanche la sua assistente ha saputo darmi un indizio, ma ha detto che era stranamente giocondo”. Scoppiò a ridere, scuotendo la testa. “Pover’anima, si lamenta costantemente del suo brutto carattere, ma nell’istante in cui si dimostra sereno, quella non perde tempo a sottolineare che trova la cosa inquietante”.
 
Shiho si concesse un sorrisetto. “Per chi non è abituato, dev’essere di sicuro più spaventoso del solito”, valutò. “Come un cagnolino che improvvisamente si mette a parlare”.
 
Dearka continuò a ridere e le fece dono di un’occhiata accondiscendente. “Hai appena paragonato Yzak Joule ad un cagnolino?”, domandò, estremamente divertito.
 
Lei sobbalzò, avvampando per quel malinteso. “Co-cosa? Aspetta, Dearka! Non intendevo quello!”, si affrettò ad aggiungere, correndo dietro di lui nella sala riunioni, dove era già riunita gran parte del team. E, in piedi vicino al podio, con l'aria tronfia, l’oggetto della loro conversazione, che li stava fissando severamente per il trambusto con cui erano entrati. “Signore, buon pomeriggio”, salutò, scattando sull’attenti.
 
“A riposo”, concesse Yzak, facendole un cenno. Evidentemente non aveva altro da aggiungere, perché tornò a dedicare la sua attenzione ad un fascicolo che reggeva fra le mani. Attese che anche gli ultimi ritardatari facessero il loro ingresso, e non si sprecò neppure a redarguirli per la mancanza totale di puntualità. Era troppo soddisfatto per rovinare tutto con degli imbecilli del loro calibro. “Molto bene”, disse infine, con una singola battuta di mani. “Aprite bene le orecchie, perché con oggi si apre un prestigioso incarico, e non ho intenzione di fare una figura di merda con il Consiglio”. Sì voltò ad azionare il monitor, su cui apparve la cartina dell’Africa. “L’anno scorso il Governo ha dato via all’Operazione Rommel, atta a smantellare una cellula terroristica ancora attiva”. Fece zoom, inquadrando la porzione settentrionale del continente. “ZAFT ha cooperato con le forze terrestri, e dopo mesi di indagini la task force ha individuato il nascondiglio dei Blue Cosmos, irrompendo nella loro base sotterranea. Quei bastardi hanno pensato bene di suicidarsi prima di poter essere catturati vivi”. Un altro click del telecomando e sullo schermo comparvero dodici foto. Erano uomini di varie etnie, vestiti da civili, ma era palese che fossero tutti dei Natural. “Pesci piccoli, ovviamente, ma avremmo potuto ricavare preziose informazioni”. Yzak serrò la mascella, infastidito, mentre le immagini divennero in bianco e nero, tranne che per una. “Questo è l’unico fuggitivo. L’EAF è sulle sue tracce mentre parliamo, ma non sarà semplice”.
 
“Tenente Colonnello”, parlò un membro dell’unità informatica, sollevando la mano ed attirando la sua attenzione. “È indubbiamente un successo encomiabile, ma cosa c’entra l’Intelligence?”.
 
L’albino sogghignò placidamente ed incrociò le braccia dietro la schiena. “Questo era soltanto il preambolo dell’intera vicenda”, annunciò con fierezza. Premette il telecomando, e le foto segnaletiche vennero sostituite da un filmato tremolante fatto da una telecamera a raggi infrarossi. Era inquadrato un corridoio polveroso, ed i cadaveri dei terroristi si potevano facilmente scorgere a terra, ma il vero focus era rappresentato da una porta blindata. Si vide una granata, che esplose distruggendo il pannello rinforzato. Quando il fumo si fu diradato, la voce del comandante della task force diede ordini concisi, sovrastata dall’inconfondibile sferragliare dei mitra caricati. L’obiettivo riprese una figura, emersa dal buco nella parete: si trattava di un uomo con i capelli e la barba incolti, che aveva le mani sollevate in un gesto di resa, negli occhi un’espressione spaurita e determinata al contempo. “Non sparate! Sono un Coordinator”, disse quello, a fatica. “Caporale Hank Garcia”. 
 
Yzak fermò il video, voltandosi a guardare la sua squadra. “Ovviamente abbiamo già fatto tutti i controlli del caso, e la storia regge”, assicurò, prodigandosi a proiettare la foto di un affascinante soldato di ZAFT, più giovane e più in ordine rispetto al protagonista del filmato, ma nessuno dubitò che potesse essere semplicemente un sosia. “Hank Garcia, appunto. Coordinator di prima generazione, classe del 45 e originario di November Three. Viene da una famiglia di stampo militare, ed è stato dichiarato KIA nel 71 durante la battaglia di Tabadiya”. Yzak lanciò uno sguardo a Dearka, che annuì. Entrambi vi avevano preso parte, a bordo dei loro Gundam, e il biondo era certo che al suo migliore amico ancora bruciasse ardentemente quella sconfitta per mano non tanto del nemico, quanto della sabbia. “Il nostro uomo faceva parte della squadra della Tigre del Deserto, ed è stato prigioniero dei Blue Cosmos per tre anni. Sono già stato informato del fatto che Andrew Waltfeld si sta recando a Gibilterra per dare la conferma definitiva”. 
 
Nella sala calò prima il silenzio, e poi si levò un mormorìo concitato. “Quindi fammi capire bene”, prese parola Dearka, passando il braccio attorno allo schienale della sedia. “Il Governo ha smantellato una cellula terroristica e, come ciliegina sulla torta, ha riportato a casa un eroe?”. Vide il loro superiore fare un cenno affermativo. “I mass media si staranno facendo una sega a due mani”.
 
“Capitano Elthman”, sibilò Yzak, affatto contento che il clima solenne di quella comunicazione fosse stato contagiato da risate goliardiche. “Ad ogni modo, tra qualche giorno il Caporale sarà nostro ospite per un interrogatorio. Voglio che vi prepariate a dovere, e per fare ciò ho già fatto caricare in rete il dossier dedicato. Hank Garcia dovrà diventare il vostro unico pensiero”. La squadra annuì e tanto gli bastò. “Potete andare. Elthman, Hahnenfuss, con me”.
 
Il trio uscì per ultimo dalla sala, il Tenente Colonnello ad aprire il corteo mentre sfilava con aria baldanzosa attraverso i corridoi asettici dello Stato Maggiore, attirando su di sé una sequela di occhiate stranite. Tutti, sui PLANT, conoscevano la leggendaria fama dell'albino. Iracondo e spiccio, a soli vent'anni, ancora da compiere, aveva sulle spalle una carriera che molti gli invidiavano, e la perfetta riuscita dell'Operazione Rommel era soltanto l'ennesimo diamante da sfoggiare. Con tutte quelle soddisfazioni era assurdo che Yzak Joule detenesse un comportamento tanto odioso, ma i due subordinati alle sue spalle lo conoscevano meglio delle malelingue. Ciò nonostante, il buonumore di quella giornata li lasciava perplessi, perché il loro superiore non era tanto ingenuo da compiacersi a quei livelli.
 
Arrivarono nel suo ufficio, e Dearka si chiuse la porta alle spalle, osservando con attenzione il suo migliore amico, che andò ad accomodarsi sulla poltrona, le dita pallide intente a slacciarsi il colletto dorato. "Dannazione, ti hanno promosso solo da pochi mesi, e già hai fatto faville", disse, con intento provocatorio. "Stasera offri da bere?".
 
Yzak perse immediatamente il sorriso ed imprecò, allungandosi verso la caraffa vicino alla scrivania per versarsi una tazza di caffè. Era stato il regalo di Natale della Hahnenfuss, che ben conscia della sua dipendenza dalla bevanda scura aveva pensato di evitare a lui e alla sua segretaria una dozzina di scarpinate giornaliere fino al bar dello stabile. Miglior regalo di sempre, valutò, riempiendosi le narici dell'aroma forte. "Là dentro non potevo certo dirlo", cominciò, dopo essersi concesso un lungo sorso, "ma tutta questa storia è marcia fino al midollo".
 
Dearka latrò una risata, e Shiho sospirò, accomodandosi sulla poltrona di fronte alla scrivania. "Bisogna essere coglioni per non pensare male", affermò il biondo, appoggiato al muro con le braccia conserte.
 
Yzak sbuffò, passandosi una mano tra i fini capelli argentei. "Garcia è fottutamente intoccabile, ora come ora. Il Governo ne farà un martire redivivo, non mi sorprenderebbe neppure se lo facessero entrare in Consiglio". Si occupò la bocca con dell'altro caffè, valutando che avrebbe voluto correggerlo con del whiskey. "Un Coordinator imprigionato per tre anni e che si salva dall'esecuzione dei Blue Cosmos? Ma per favore. Mi fiderei di più del fantasma di Le Kleuze".
 
"Cosa pensi di fare?", chiese Dearka. "Spionaggio laterale e nascosto?".
 
L'albino scosse il capo con fare deciso. "Il tribunale non ci concederebbe mai il mandato, e, se dovesse saltare fuori che abbiamo piazzato delle cimici sull'uomo del momento, finiremmo in carcere tutti e tre". Guardò i suoi due sottoposti, stringendo le labbra in una linea sottile. "Come potrete vedere dal rapporto, il bunker era alla periferia di Banadiya".
 
A quella informazione, Shiho sobbalzò. "Non è dove hanno avvistato qualche mese fa Samuel Johansson?".
 
"Bingo", borbottò Yzak, posando la tazza ormai vuota sulla scrivania. Samuel Johansson era uno dei vertici dei Blue Cosmos, latitante da anni, ma non per questo se ne stava con le mani in mano. Aveva collaborato con Muruta Azreael, prima, e con Lord Djibril all'estensione dei Logos, poi. Attualmente il gruppo terroristico era guidato da un Colonnello dell'EAF caduto in disgrazia di nome Michael, ma Johansson era un personaggio fuori dall'occhio pubblico, e ZAFT era sulle sue tracce già da quando il Presidente delle Clessidre era Siegel Clyne. "Sapete bene che non credo alle coincidenze, ed è qua che entrate in gioco voi due. Gli altri porranno delle domande all'acqua di rose, e voglio che voi facciate il poliziotto buono e il poliziotto cattivo con Garcia. Io, purtroppo, dovrò mantenere una posizione neutrale, visto il mio ruolo".
 
"Ah, ti prego", si lamentò Dearka, alzando gli occhi al soffitto. "Sono troppo simpatico per interpretare quella che dovrebbe essere tua parte".
 
"Ovviamente non parlavo di te". Yzak serrò la mascella, quindi guardò il Maggiore Hahnenfuss. Nelle rare volte in cui aveva potuto vederla arrabbiata, la sua sottoposta gli aveva incusso una paura fottuta. "Te la senti?", domandò con cautela.
 
"Certo", garantì Shiho, come sempre animata dalla ferma intenzione di non farsi mettere i piedi in testa solo perché era una donna. "Dubito, comunque, che darà risposte sincere". 
 
"No di certo, ma almeno potremo avere un quadro della situazione più chiaro", concesse l'albino, sentendosi alquanto sconsolato e con la speranza di sbagliarsi di grosso sul conto di Garcia. Si portò le mani alle tempie, massaggiandole esasperato. "Mi raccomando, faccio affidamento su di voi. Dimostratevi al settimo cielo per il rientro di questo coglione, e non fate parola dei nostri dubbi".
 
Dearka e Shiho scattarono sull'attenti e si scambiarono un'occhiata. Quella che poteva essere una grande vittoria per i PLANT si stava trasformando in uno sgradevole incubo.
 
*
 
Di tutte le persone che avrebbero potuto chiamare, Andrew Waltfeld era sicuramente il più idoneo. 
 
Non solo era stato il Comandante di Garcia, ma lui per primo era stato dichiarato KIA, lo stesso giorno, salvo poi tornare tra i vivi. Malconcio, ma sulle sue gambe. Eppure, seduto in una delle sale riunioni della base di ZAFT a Gibilterra, non riusciva ancora a crederci. Non tanto per l'esplosione del BuCUE, ma perché ricordava il Caporale come un uomo di poco polso, che avrebbe faticato a sopravvivere per tre anni nelle mani dei Blue Cosmos.
 
Waltfeld sospirò e fece una smorfia accostando la tazza alle labbra. Che razza di miscela servivano, di quei tempi? Non l'avrebbe servita neppure al suo peggior nemico.
 
La porta si aprì in quell'istante, rivelando la presenza di due Verdi. Alle loro spalle, ergendosi in tutta la sua altezza, Hank Garcia marciò nella stanza. Gli avevano accorciato i capelli, e la barba, e indossava nuovamente l'uniforme dei corpi stanziati in Africa. Per quanto emaciato e con due occhiaie pronunciate, non era particolarmente diverso dal subordinato che Waltfeld aveva in mente. A differenza sua non aveva perso gli arti, e sul volto non compariva neppure una cicatrice. Suppose che, però, sotto la stoffa portasse i tangibili segni della tortura. "Da quanto tempo", parlò, giusto per riempire il silenzio solenne che regnava, fin troppo pesante. 
 
Garcia scattò sull'attenti. "Comandante Waltfeld", lo salutò, fissando il muro dietro di lui. "Mi scuso per l'inconveniente".
 
Le labbra della Tigre del Deserto si incurvarono di poco. Se intendesse il suo viaggetto in Spagna, o essere finito in mano al nemico, proprio non riusciva ad intuirlo. 
Fece un cenno alla sedia vicino alla sua, e il suo sottoposto annuì, lasciandosi cadere, seppure rigidamente, su di essa. "Vuoi?", chiese, poi, agitando la tazza. "Cristo, questa brodaglia fa pena, ma mi si stringe il cuore a pensarti in quel buco senza neppure una goccia di caffè".
 
Garcia gracchiò una risata. Sapeva che il Comandante non era tanto frivolo da ridurre la sua condizione ad una mera astinenza da caffeina, e per l'assenza di pietà nel suo sguardo gli fu estremamente grato. "No, grazie", rifiutò scuotendo il capo. "Mi è bastata la cena a base di frutti di mare di ieri sera. A momenti mi sono messo a piangere".
 
Waltfeld emise un verso di assenso e ripensò alla valutazione psichiatrica che aveva letto quella mattina. Oltre agli evidenti problemi dovuti alla prigionia, il suo sottoposto non aveva riportato evidenti traumi emotivi. Gli sembrava, anzi, sereno. Forse troppo sereno, ragionò in uno slancio di cinismo, ma decise che non era compito suo preoccuparsi del suo meccanismo di recupero. Ciò che avrebbe dovuto fare era semplicemente confermare che Hank Garcia era chi diceva di essere e scortarlo sui PLANT; a casa, dove sarebbe stato accolto con tutti gli onori di sorta. Gli stessi che lui non aveva ricevuto per la sua decisione di unirsi alla Fazione Clyne, ma era conscio di non averne avuto bisogno. Il Caporale, però, dopo tre anni d'inferno, probabilmente ne avrebbe giovato, anche solo come ricompensa per aver tenuto duro tanto a lungo. "Non voglio stressarti con domande che ti sentirai ripetere fino alla nausea", gli disse, battendogli una pacca sulla spalla. Sapeva che lo Stato Maggiore lo avrebbe convocato, e un po' Hank gli faceva pena al pensiero che sarebbe andato in pasto a Yzak Joule. Lo vide annuire, con atteggiamento remissivo. "Quindi, ora", continuò, "ti farò un breve riepilogo sui tuoi impegni. I primi momenti saranno intensi, ma poi potrai goderti un lungo e meritato riposo". Si prodigò a presentargli la scaletta, a partire dal loro viaggio sullo shuttle diretto ad Aprilius One, luogo dell'incontro con il Presidente Clyne.
 
A quell'informazione, Garcia spalancò gli occhi dorati. "Addirittura?", fece, visibilmente lusingato. "Con tutti gli impegni che ha quell'uomo, è molto gentile a scomodarsi per me".
 
Waltfeld non riuscì a contenere un profondo sospiro. "Si tratta di Lacus-sama", precisò. "Siegel Clyne è stato ucciso qualche mese dopo Tabadiya, ed ora sua figlia è a capo di un'organizzazione per la preservazione della pace mondiale, chiamata Compass, i cui membri sono sia Natural che Coordinator. Dopo due guerre, era anche ora che le divergenze razziali venissero accantonate, non credi?".
 
Garcia annuì, in faccia un'espressione attenta, ma confusa. "Dannazione, mi sono perso un sacco di avvenimenti", valutò, con un certo imbarazzo. "Però ho sempre ammirato Lacus Clyne. Sarà un vero e proprio piacere conoscerla".
 
La Tigre del Deserto gli consegnò un dossier rilegato. "Partiamo questa sera alle diciotto in punto. Non pretendo che tu ti metta in pari entro quell'ora, ma qua dentro ci sono i punti salienti degli ultimi tre anni. Ti aiuterà ad essere aggiornato per questo nuovo mondo".
 
"Grazie, Comandante", disse l'altro, mentre si alzava. Si mise sull'attenti, con la promessa di trovarsi all'hangar per l'orario prestabilito, e tornò nella sua stanza. Chiuse la porta a chiave e strinse febbrilmente la presa attorno al dorso del fascicolo. Lo gettò sul letto e si infilò nel bagno adiacente, spruzzandosi il volto con dell'acqua gelida, godendosi la sensazione della pelle glabra sotto i polpastrelli. Si raddrizzò ed osservò brevemente il suo riflesso, un altro lusso cui non era più abituato, e anche se il tempo scorreva velocemente, non sarebbe stato un disastro se si fosse concesso qualche assurdo capriccio.
 
Aveva perso peso, e la massa muscolare di cui era stato tanto orgoglioso ai tempi della guerra era soltanto un ricordo lontano. Sbottonò il colletto dell'uniforme, aprendola per ispezionare le ferite mai curate, e che ora gli ricoprivano l'epidermide altrimenti immacolata. Guardandole, ebbe perfettamente chiaro il suo obiettivo, ed i suoi occhi si riempirono di dolorosa consapevolezza.
 
 "Per un mondo blu e puro", mormorò, solenne, arricciando le labbra in un sorriso sicuro. 
 
Il divertimento era appena cominciato.

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Capitolo 2
*** 2. Mirino ***


Capitolo 2 
Mirino
 
 
 
La hostess camminò fino alle poltroncine, regalando loro un sorriso che era tutto zucchero e professionalità. "Stiamo per iniziare le procedure di atterraggio", comunicò con un tono di voce gentile, ed i suoi occhi chiari indugiarono sulla figura di Garcia, ma non aggiunse nulla di diverso dalle frasi che era stata istruita a sciorinare. "Posso portarvi qualcos'altro?".
 
Waltfeld si limitò a mandare giù le ultime gocce di caffè nella sua tazza. Non era interessato a trovare una compagna, non dopo il disastroso modo in cui la donna della sua vita se ne era andata, ma l'elegante ambiente di quello shuttle privato lo aveva reso oltremodo audace. "No, grazie", rispose, le labbra incurvate all'insù che rilasciarono una risata roca. "Siamo stati due ospiti inusuali, hm? Io con il mio caffè, e lui con il suo succo d'arancia".
 
Come da copione, la ragazza si esibì in un verso civettuolo e scosse il capo, i boccoli magenta della sua lunga coda ondeggianti. "Per una volta che non ho a che fare con passeggeri ubriachi e molesti? Non sono così folle da lamentarmi". Fece un cenno del capo, lasciando un'ultima occhiata all'uomo del momento, e li lasciò nuovamente soli.
 
Waltfeld colse come anche Garcia avesse fatto dono di uno sguardo lusinghiero all'attendente di volo mentre spariva oltre la porta scorrevole, e non nascose il suo divertimento. "Assurdo", mormorò, pizzicandosi il naso. "Quando è uscita la notizia del tuo ritrovamento, l'informazione che ha attecchito maggiormente è che tu non fossi sposato".
 
Hank rise, leggero, e roteò il bicchiere che aveva in mano. "Immagino che sia più rassicurante rispetto all'idea di un prigioniero di guerra torturato in continuazione", ragionò, tornando serio. Preferì posare lo sguardo oltre il finestrino, scorgendo in lontananza le Clessidre. "Non è forse lo specchio perfetto della società di PLANT? La supponenza di essere migliori degli altri, a scapito delle cose realmente importanti?". I suoi lineamenti si indurirono, e preferì stemperare la situazione con una scrollata di spalle. "Probabilmente sarò sommerso da donne bellissime, povero me".
 
Il Comandante, a cui non era sfuggito il tono gelido mentre parlava dei loro compatrioti, decise di non dare troppo peso alla questione, ma dissimulò con una sonora pacca sulla spalla del suo sottoposto, reggendogli il gioco. "Lasciane qualcuna anche a chi non ha la tua fama", gli consigliò con fare cameratesco, quindi rimase con la mano sulla sua uniforme. "Però, sappi che, se hai bisogno di parlare di quello che ti è successo laggiù, sarai seguito egregiamente. So che ci sono cicatrici invisibili che faticheranno a rimarginarsi, e lasciarti annegare nell'amarezza non ti farà affatto bene".
 
Garcia guardò l'uomo con gratitudine, nonostante tutto. Ai tempi l'aveva seguito fidandosi ciecamente di quel soldato scaltro e buono, ed il suo stomaco si strinse. Osservò la cicatrice che gli chiudeva l'occhio sinistro, e il bastone appoggiato al sedile, e pensò che era tutta una follia. Nel rapporto che aveva pigramente sfogliato c'era scritto che anche la Tigre del Deserto aveva quasi perso la vita nella battaglia di Tabadiya, e che per un certo periodo era stato etichettato come nemico di ZAFT per l'aiuto fornito alla Fazione Clyne. Similmente, durante la seconda guerra, aveva continuato la collaborazione con la ex-idol, perpetrando il suo ruolo di traditore di PLANT. Non erano simili, i loro percorsi? Conoscendo il Comandante, all'epoca doveva aver avuto soltanto nobili ragioni per ribellarsi alla mano che l'aveva nutrito, un fine salvifico, e non di distruzione. In quello differivano, ne era conscio, ma per il resto faticava a provare l'astio che avrebbe dovuto. "Certo", accettò di buona lena per non farlo impensierire con il suo prolungato silenzio. "Me l'hanno consigliato anche a Gibilterra, ma prima vorrei vedere che impatto avrà su di me la quotidianità, signore". 
 
Soddisfatto, Andrew annuì e lasciò cadere la mano. "Forza, allacciamoci le cinture. Non vorrei che la tua ammiratrice tornasse per sgridarci. Sempre che la cosa non ti stuzzichi, ovvio".
 
Garcia si limitò a gracchiare l'ennesima risata di circostanza, mentre il sapore acre della bile gli infiammava la gola.
 
*
 
"Non è triste?".
 
Kira Yamato scostò lo sguardo sulla ragazza alla sua sinistra, un sopracciglio sollevato. Lacus se ne stava con le mani piegate in grembo, ed il suo bel profilo appariva tormentato in qualche modo. "Che cosa?".
 
"Non ha nessuno, quell'uomo", disse lei in un sospiro melodioso. "Lo shuttle sta atterrando, e ci siamo solo io e te, ad attenderlo. Trovo che sia una situazione alquanto malinconica".
 
Il Comandante Yamato non replicò, ma si limitò ad allungare un braccio per intrecciare le loro dita. Ormai su PLANT si parlava solo di Hank Garcia. Vita, (quasi) morte, e miracoli. Tutte notizie che erano abilmente ricamate attorno al fulcro della sua popolarità, passato quasi in secondo piano rispetto ai pettegolezzi. Quindi Kira, per quanto poco interessato alla cronaca scandalistica, sapeva perfettamente che il padre di Garcia, un alto ufficiale di ZAFT, aveva perso la vita quando Hank era ancora un bambino, mentre sua madre era morta qualche mese dopo Tabadiya per crepacuore. 
Capiva, dunque, cosa rendesse la sua compagna tanto miserabile, e lui stesso avvertì una sensazione raggelante, strascico degli orrori visti durante le guerre. L'impotenza di fronte alle disgrazie era una costante dei suoi incubi, dopotutto. 
 
Lacus poggiò la testa sulla sua spalla e socchiuse gli occhi. "Grazie per essere venuto qui con me", mormorò, lieve e gentile. Sapeva che Kira era terribilmente impegnato, era l'elefante nella stanza di cui non parlavano mai. Soprattutto perché non ne avevano il tempo materiale. "Significa molto", aggiunse, sperando che potesse fargli carpire quanto, davvero, avesse a cuore il suo supporto. 
 
Il ragazzo sorrise, stringendole la mano con garbo, ma non le disse nulla. Certo, l'aveva fatto per una questione di rappresentanza, ma il vero motivo che l'aveva spinto a presentarsi al porto di Aprilius per accogliere Garcia era che, in qualità di membro dell'equipaggio dell'Archangel, aveva preso parte alla battaglia di Tabadiya, e una piccola parte di sé temeva che ad aver fatto esplodere il BuCUE del Caporale, facendolo finire in mano ai Blue Cosmos, fosse stato lui stesso. Il pensiero lo lasciava inquieto, e sapeva che se avesse esternato quella preoccupazione ad alta voce avrebbe soltanto dato il via ad una catena di frasi fatte e malcontento generale. Doveva lasciarsi il passato alle spalle, ne era conscio e ci provava, ma quando episodi risalenti ad anni prima si presentavano tanto prepotentemente, il Comandante Yamato doveva fare i conti col giovane, inesperto ed insicuro soldato semplice Yamato, che dal raid di Heliopolis si era ritrovato catapultato in una situazione ben più grande di lui.
 
Due lievi colpi alla porta li fecero separare, giusto in tempo perché Lio Mai, la segretaria di Lacus, facesse capolino. "Presidente, lo shuttle è atterrato", li informò. "L'auto è pronta e vi aspetta per portarvi alla pista".
 
La ex idol annuì e si alzò, seguita dal suo compagno. "Andrà tutto bene", mormorò, e lui non seppe se stesse provando a infondersi da sola del coraggio, o se avesse captato il suo turbamento, senza che avesse avuto il bisogno di esternare i suoi sentimenti.
Kira le regalò un sorriso carico di gratitudine e annuì, sperando sinceramente che lei avesse ragione. Come sempre.
 
*
 
Hank non tornava in patria da più di tre anni, e l'effetto che ebbe mettere il piede fuori dallo shuttle fu assolutamente mozzafiato. Per prima cosa notò il paesaggio perfetto e artificiale, dove neppure un filo d'erba era fuori posto. Nei momenti iniziali della sua prigionia si era spesso ritrovato ad anelare a quella vista rassicurante e a regola d'arte, la medesima con cui era cresciuto, e che aveva giurato di difendere con la sua stessa vita, ed il pensiero che, ora, la sua missione era distruggerla lo rendeva malinconico, come se stesse ricordando i bei tempi andati, persi per sempre;
secondariamente, la sua attenzione venne attirata dal numeroso gruppo di giornalisti, accorsi sul posto per immortalare il rientro di un eroe. Da anonimo soldato era diventato l'uomo del momento, con tutti i benefici e gli svantaggi di sorta. Sentiva il suo nome acclamato, alla pari di una rockstar, e le domande urlate al suo indirizzo erano tante da mischiarsi nell'aria e formare un brusio indefinito.
 
"Sciacalli", commentò sottovoce Andrew, schioccando la lingua sul palato. 
 
Hank gli rivolse l'accenno di un sorriso, e dentro di sé la convinzione che tutto quello dovesse terminare si fece ancora più forte. Stupidi, ipocriti Coordinator. Se avesse potuto tornare indietro nel tempo, e scegliere personalmente, non avrebbe mai concesso la manipolazione dei suoi geni. Era tutta una vetrina, dove la notizia del giorno era destinata ad essere soppiantata ben presto da qualcosa di più succulento. Di norma gli sarebbe capitata la medesima cosa, salvo che, se tutto fosse andato per il verso giusto, il suo nome sarebbe stato marchiato a fuoco tra le pagine della storia. 
Quindi, con quella risoluzione che lo aveva tenuto in vita, si costrinse a comportarsi come loro avrebbero voluto: l'intrepido, mansueto e umile Caporale, al settimo cielo per essere sfuggito all'inferno, di ritorno sulle amate Clessidre. Azzardò perfino un saluto con la mano, che fece ridere il suo accompagnatore.
 
"Sembri essere nato per stare sotto le luci della ribalta", notò Waltfeld, che invece non stava minimamente prestando attenzione ai giornalisti. 
 
"Immagino che sarà tutto più semplice, se do loro quello che vogliono", fu la pratica risposta di Garcia. "L'ultima cosa che voglio è dover leggere titoli in cui mi definiscono un freddo ed ingrato psicopatico". Il fatto che lo fosse davvero, però, sarebbe uscito più in là con il tempo.
 
Andrew continuò a sghignazzare. "Devo ammetterlo. Quando eri sotto il mio comando non brillavi particolarmente per iniziativa, o carisma, ma adesso mi sembra di avere a che fare con una persona completamente diversa". Fece una pausa, chiudendo l'unico occhio che gli era rimasto. "E forse lo sei, con tutto lo schifo che ti è capitato".
 
"Ammetto di essere cambiato", assicurò Garcia, rimanendo sul vago di proposito. Una mezza verità per ritagliarsi del tempo prezioso; per tenere buoni gli altri e confermare la storia che volevano sentire. 
 
Oltre le transenne, il brusio delle troupe giornalistiche si intensificava, man mano che i due e la scorta si avvicinavano al palco allestito ad hoc vicino all'uscita, dove l'inconfondibile figura di Lacus rimaneva in attesa che li raggiungessero. Ai tempi della sua incondizionata fedeltà a ZAFT, Garcia era stato ammaliato dal suo personaggio, come tutti i Coordinator che conosceva, e probabilmente avrebbe gongolato come un ragazzino alla prospettiva di poter incontrare la idol più amata dei PLANT. Quando si trovò davanti a lei, intenta a sorridergli gentilmente, provò per un istante quello stesso sentimento puro ed ammirato. Scattò sull'attenti, posando lo sguardo sul ragazzo alle spalle di Lacus. Immediatamente tutti buoni propositi si infransero, riconoscendo in lui Kira Yamato. Un Coordinator che aveva combattuto al fianco dei Natural, esattamente come lui, ma con la differenza che non sarebbe stato ricoperto di gloria dal governo. 
 
"Caporale Garcia, è un piacere, e un onore, averla nuovamente con noi", stava dicendo intanto Lacus, con la voce melodiosa che aveva potuto sentire soltanto nelle varie trasmissioni televisive. 
 
"Altrettanto, Presidente Clyne", rispose lui, mettendosi a riposo e scatenandole una piccola, adorabile risata.
 
"Quello era mio padre. Può chiamarmi per nome, non la vedrò come un'offesa", assicurò la giovane, inclinando il capo. "Come si sente? Il viaggio è stato piacevole?".
 
Domande di routine. Di cortesia. Hank annuì, preferendo rimanere taciturno, mentre i suoi occhi gialli indugiarono sulla figura del compagno di Lacus, che sotto quello scrutinio proferì parola per la prima volta e gli tese una mano. La strinse, forse troppo vigorosamente, perché il giovane non mascherò la propria sorpresa, ma oltre a quello non manifestò ulteriore fastidio. "Sono Kira Yamato", si presentò lui. "Ho preso parte alla battaglia di Tabadiya a mia volta", aggiunse, ed il suo sguardo si posò su Waltfeld, che annuì, a conferma della cosa. 
 
"Il pilota dello Strike, certo", confermò Hank, con voce amicale sebbene non fosse affatto sereno nello scambiarsi convenevoli con quel moccioso che, a bordo del Gundam, aveva sparato contro il suo BuCUE. Nei suoi occhi saettò la consapevolezza, e il Caporale decise di rassicurarlo con una menzogna. "Per fortuna che non ho avuto modo, ai tempi, di incrociare le armi con lei, Comandante. Non sarei qui a raccontarlo".
 
La tensione nelle spalle di Kira sembrò sciogliersi, e Andrew esplose nell'ennesima risata. Il suo atteggiamento gioviale era l'unica cosa rimasta immutata negli anni. "O forse sì, dopotutto a me è successo il contrario".
 
"Waltfeld-san", fece Lacus, apparentemente e modicamente divertita, come se l'oggetto della discussione fosse una battuta un po' troppo provocante e non il fatto che, per mano di Kira, il suo ex Comandante avesse perso, in un colpo solo, un occhio, un braccio, il pieno utilizzo della gamba e l'amore della sua vita. Hank valutò che per loro fosse acqua passata, e si chiese come diavolo potessero scherzare sull'argomento con tanta facilità. Perfino Yamato, con la sua espressione benevola e quasi timida, non gli sembrò particolarmente scioccato da quella frecciatina. Perché se il giovane non avesse azzoppato il suo Mobile Suit, i Blue Cosmos non avrebbero prelevato il suo corpo dalla sabbia, e non gli sarebbero toccate le torture, e le interminabili giornate all'interno di un bunker senza finestre. 
 
"Siamo stati scelti da leggi più grandi di noi, Henry. Anche le miserie, alla fine, convergono in un punto fisso. Quello del proprio destino compiuto".
 
Le parole gli risuonarono nella testa, fottutamente convincenti come la prima volta che le aveva udite. Fu grazie ad esse che riuscì a fingere una risata, unendosi agli altri tre. 
 
"Presidente", mormorò una ragazza dai capelli corvini ed un completo verde acqua, avvicinandosi a loro con la testa bassa. "I giornalisti vorrebbero che il Caporale rilasciasse una dichiarazione, dopo un suo cappello introduttivo".
 
Lacus annuì e si avvicinò al podio. In quell'istante le macchine fotografiche cominciarono a scattare, i flash quasi accecanti che ricordarono ad Hank il bagliore della lampadina della sua cella che veniva accesa nei momenti meno opportuni. "Caporale Garcia", cominciò a dire quindi la ragazza, "come Presidente dei Compass, ma suppongo anche a nome del governo di PLANT e tutta la nazione, ho il privilegio di darle il bentornato". Si volse a guardarlo, gli occhi chiari e trasparenti. "Le va di dire due parole?".
 
Dai giornalisti e dai membri dell'esercito si levò un applauso scrosciante, unito alle note di un'allegra fanfara, come se fosse stata una parata di vittoria. Hank si limitò a portarsi vicino a lei, e l'intensità del battito delle mani aumentò. Le fece un cenno, e d'improvviso si ritrovò solo di fronte a quel pubblico affamato. Di lui, della sua miracolata presenza, della sua immagine che, fino a qualche giorno prima, sarebbe stata ignorata. "Grazie, Lacus-sama", disse, quindi afferrò il podio, abbassandosi per parlare direttamente al microfono. "Non sono mai stato troppo bravo con i discorsi, ma suppongo mi tocchi". Si levarono delle risate di circostanza. "Vorrei ringraziare, anche, tutti i membri della task force che mi hanno salvato. Senza l'eccellenza di ZAFT, a quest'ora sarei ancora a marcire in un buco". Fece una pausa, e le sue nocche divennero bianche dalla forza con cui si stava aggrappando al legno. "Sono un uomo fortunato. Ed è bellissimo essere a casa".
 
Casa. Un concetto che non gli era familiare da troppo tempo. Da quando si era arruolato nell'esercito per la causa e per la vocazione dei suoi parenti. Da quando, poco più che adolescente, si era iscritto in Accademia e, da lì, le mura domestiche erano state stanze asettiche a scuola, prima, e nelle basi militari, dopo, fino a ritrovarsi in una prigione sotterranea. 
 
Avrebbe voluto tornare su November, ma la sua missione lo costringeva su Aprilius, e nessuno ebbe nulla da obiettare sul suo desiderio di prolungare la permanenza nella capitale. Waltfeld lo accompagnò personalmente agli alloggi dei soldati di ZAFT, una notizia che evidentemente era già trapelata ai media, perché anche lì trovarono i giornalisti in attesa di uno scatto che avrebbe fatto vendere migliaia di copie al proprio tabloid. 
 
"Aveva ragione, signore", disse Hank, prima di scendere dall'auto. "Dei veri e propri avvoltoi".
 
Andrew sospirò, ed aprì un dossier che aveva in grembo. Gli consegnò una chiave magnetica. "Il tuo appartamento è l'H-2. La guardia ti darà ulteriori dritte in merito. Ovviamente mi è stato detto di riferirti che, se avessi desiderio di rientrare nell'esercito, saresti il benvenuto. Domani dovrai recarti allo Stato Maggiore per un interrogatorio. Una formalità". Frugò nella tasca dell'impermeabile blu polvere che indossava e gli tese un telefono cellulare. "Anche la tecnologia è cambiata, in questi anni, ma sono certo che non avrai problemi ad adattarti". Sorrise, perché quelle parole nascondevano un significato più profondo che scoprire le impostazioni digitali del nuovo palmare. "Ho già inserito il mio numero. Non esitare a chiamarmi, se dovessi averne bisogno".
 
Hank ricambiò il sorriso e gli strinse la mano, sperando che Andrew Waltfeld tornasse al più presto su Orb e non finisse vittima del pandemonio che avrebbe fatto scoppiare. Tra tutti, ragionò, era colui che meno se lo meritava.
 
*
 
Accasciato sulla ringhiera del ballatoio, Dearka Elthman emise una risata, il mento appoggiato agli avambracci, mentre Hank Garcia era in coda per passare sotto il metal detector all'ingresso dell'edificio. "Che superstar", mormorò, seguendolo con lo sguardo. "Potrei quasi essere geloso delle attenzioni che riceve".
 
"Stiamo parlando di un sospetto terrorista", sibilò Yzak, affatto divertito dalle leggerezze del suo migliore amico. "Per una volta, sii professionale".
 
"Signorsì", replicò il biondo, fingendo rigore. "Anzi, a tal proposito, avrei un suggerimento". Vide l'albino sollevare un sopracciglio, invitandolo a continuare. "Al posto di scervellarci su come prenderlo in castagna su eventuali minacce a livello nazionale, forse dovremmo sfruttare il fatto che il Caporale sia belloccio". Arricciò le labbra in un'espressione furba. "Sai, un po' di alcol, la promessa di una serata intrigante, e potremmo estorcergli una confessione con i fiocchi".
 
Yzak imprecò, imponendosi di non afferrarlo per il colletto e scuoterlo violentemente. "Bella idea di merda", lo rimproverò. "Sai che sono contrario a quelle signorine di cui ti avvali e che chiami spie dormienti". In tutta sincerità, le conoscenze di Dearka nell'ambiente delle escort avevano risolto più di qualche situazione spinosa con personaggi di dubbio gusto, ma dubitava che certe strategie potessero attecchire con qualcuno che, se davvero stava facendo il doppio gioco, potesse essere tanto ingenuo da farsi sfuggire dettagli tanto sensibili. 
 
Dearka fece spallucce, quindi lanciò un'occhiata al Maggiore Hahnenfuss, che se ne stava con le braccia conserte e lo sguardo puntato sul Caporale, ora impegnato ad appuntarsi al bavero del blazer un cartellino giallo che l'avrebbe etichettato come visitatore. "Un po' di supporto da parte tua sarebbe una meraviglia", le disse. "Insomma, sei una secchiona, avrai sicuramente memorizzato il suo fascicolo, e avrai visto le foto delle cicatrici su quel torace palpitante. Non senti il bisogno femminile di toccargliele?".
 
"No".
"Sicura? Perché una volta mi hai detto che quella di Yz— AHIA".
 
Yzak osservò stranito come la solitamente mansueta Shiho avesse appena pestato un piede al Capitano Elthman. "Vi sembra il momento di bisticciare come poppanti?", sbraitò, quando si fu scrollato di dosso la sorpresa. "E, se vogliamo mettere i puntini sulle i, non permetterei mai che la Hahnenfuss diventi una sottospecie di femme fatale che allarga le cosce in una missione a luci rosse. Non siamo quel tipo di squadra".
 
"Peccato", disse Dearka, apparentemente non furioso per l'assalto fisico della collega. "Tutto quel ben di Dio sprecato".
 
"Di cosa stai parlando?", si incuriosì Yzak, facendolo ridere e strappando un sospiro profondo alla sua sottoposta. 
 
"Il Comandante Joule ha ragione. Non è il momento". Shiho si schiarì la gola. "Non vorremo fare tardi al nostro stesso interrogatorio".
 
"Ben detto", approvò l'albino, quindi partì alla volta della sala prenotata dalla sua assistente, lasciando dietro di sé i suoi sottoposti.
 
Dearka passò un braccio attorno alle spalle del Maggiore, il suo sghignazzare uno strascico dell'ilarità di poco prima. "Non preoccuparti. Un giorno si renderà conto che sei una ragazza molto attraente".
 
"Spero che ci arriverai vivo, perché ora come ora vorrei soltanto strangolarti", ritorse Shiho, profondamente indignata.
 
"Però pensaci", insistette il biondo. "Yzak è estremamente competitivo, e checché ne dica, è immensamente protettivo nei tuoi confronti. Vederti tra le braccia di un uomo che, al momento, odia più di Athrun Zala potrebbe svegliarlo definitivamente".
 
Lei si morse il labbro inferiore, trattenendo a stento la stizza. Quel piano così arzigogolato aveva un fondo di verità, ma non avrebbe mai mandato all'aria una missione tanto sensibile soltanto per far ingelosire quello stitico emotivo di cui si era innamorata. Che Dearka, poi, avesse perfino la faccia tosta di proporlo come se fosse stata un'idea brillante aveva dell'assurdo. "Grazie", si limitò a mormorare. "Perché mi hai innervosita al punto che potrò fare un ottimo lavoro come poliziotto cattivo. Mi basterà immaginare che, al posto dell'imputato, ci sia tu. Sarà già un successo se non gli metterò le mani addosso".
 
"Ehi, magari gli piace", considerò Dearka con fare innocente ed ignorando volontariamente l'occhiata assassina che ricevette in cambio.

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Capitolo 3
*** 3. Pirro ***


Capitolo 3

Pirro


“Benvenuto allo Stato Maggiore, Caporale”.

 

Garcia si portò sull’attenti. “Grazie, Tenente Colonnello Joule. Ne è passato di tempo”.

 

Yzak si limitò a fare un cenno del capo, invitandolo tacitamente a seguirlo nella stanzetta adibita per l’interrogatorio. Come da prassi, era stata allestita in una delle sale riunioni, con le tende aperte ed invasa dalla luce naturale, per non mettere a disagio l’imputato del giorno. Ovviamente, all’albino quell’idea non andava particolarmente giù. Non con una personalità sibillina come Garcia, a cui voleva estorcere i segreti più inconfessabili. A partire da un suo eventuale coinvolgimento con i Blue Cosmos. 

Si umettò le labbra sottili, adottando un comportamento accomodante. “Vorrei iniziare con l’esprimere orgoglio per averla tra di noi. Molti degli uomini della task force che l’hanno salvata erano al mio servizio”.

 

“Grazie”, concesse Hank, accomodandosi sulla sedia. “Hanno fatto un lavoro eccelso”. Su quello, non poteva discutere, benché il suo ritrovamento fosse stato concordato a tavolino. Una scia di briciole, che aveva condotto i servizi segreti a scovare il suo nascondiglio. Ciò che, però, lo lasciava perplesso, era l’atteggiamento del giovane davanti a lui. Lo ricordava dai tempi in cui non era ancora stato rapito, e già all’epoca l’aveva trovato estremamente sgradevole, con quei modi di fare boriosi e insopportabili; aveva avuto persino l’ardire di abbaiare ordini al Comandante Waltfeld, sebbene fosse stato semplicemente un moccioso con la Redcoat. Ora, invece, gli appariva totalmente diverso. Posato, e gentile, e si domandò se la guerra non fosse stata troppo pesante perfino per un personaggio simile. Dietro la facciata cortese, però, riusciva a intravedere perfettamente un certo astio, oltre che un’evidente freddezza. Simulò una risata con un colpetto di tosse. Forse era lui l’unico che era profondamente cambiato, e si crogiolò nello status quo dell’albino con l’uniforme candida, intento a fissarlo con finta benevolenza. Era un esempio magistrale di nepotismo, con i suoi gradi militari direttamente proporzionali alla sua giovane età, e quel velo accondiscendente che gli riempiva gli occhi rappresentava alla perfezione il motivo per cui desiderava arrivare in fondo con il suo piano; per insegnare una lezione a tutti quei Coordinator tanto ciechi da credersi meglio degli altri. 

 

“Quella di oggi è una formalità”, stava intanto spiegando Yzak. “Capirà, Caporale, che le domande che le verranno poste saranno di routine, come è capitato a tanti nostri colleghi nel corso degli anni. Per lei va bene se cominciamo?”.

 

Hank annuì, ed attese che il ragazzo fosse sull’uscio per chiamarlo un’ultima volta. Non gli sfuggì il minimo guizzo di irritazione che gli indurì i lineamenti. “Una curiosità, signore. L’ultima volta che l’ho vista non aveva forse una cicatrice sul volto? Una di cui parlava in continuazione. Una specie di vendetta personale, se non ricordo male”.

 

Yzak indugiò sulla porta, sforzandosi di non soccombere al lato più fumantino del suo carattere. In ballo c’era la sicurezza nazionale, dopotutto. “L’ho fatta rimuovere, Caporale”, replicò con voce neutra. “Ho capito che un concetto simile era totalmente un capriccio infantile”. Cercò nella sua espressione qualcosa, qualsiasi cosa, che potesse fargli capire che aveva imboccato la strada corretta, ma ovviamente l’altro si limitò a fare un cenno del capo. Si giudicò estremamente ingenuo nell’aver sperato di metterlo in castagna con così poco, ma tanto valeva provare. “Se non ha altre curiosità sulla mia persona…”. Aspettò il suo benestare e schiacciò il pulsante, facendo entrare il primo agente della scaletta concordata, quindi fece il suo ingresso nella stanzetta adiacente. Si appoggiò al muro, le braccia conserte sul torace, ed osservò l’inizio di quello spettacolino attraverso il finto specchio che dava sulla sala riunioni. Libero di non recitare più alcuna parte, il suo volto si accartocciò, infastidito da quel pallone gonfiato. O lui stava prendendo fischi per fiaschi, o Garcia era un ottimo attore, un santo martire che era riemerso dalle viscere della Terra con una gran voglia di far commuovere la brava gente di PLANT. “Pezzo di merda”, sibilò. 

 

“E lo hai dedotto da una chiacchierata di pochi minuti?”, ritorse Dearka, intento a guardare qualcosa sul cellulare. “Forse avresti dovuto studiare psicologia”.

 

Yzak si voltò repentinamente a fulminarlo con lo sguardo. “Quel tipo non mi piace a pelle. Ed il fatto che sia stato in mano ai Blue Cosmos per tre anni dovrebbe farti suonare almeno un migliaio di campanelli d’allarme”, abbaiò, forte dell’insonorizzazione della stanza.

 

Il biondo si strinse nelle spalle e ripose il telefono. “Ehi, la penso come te, non c’è bisogno di scaldarti”, iniziò, con la dovuta cautela, “ma devi ammettere che in questi giorni non ne ha sbagliata mezza. Forse dovremmo iniziare a valutare l’ipotesi che sia semplicemente un povero diavolo con una tempra d’acciaio”.

 

L’albino schiuse le labbra per rispondergli a tono, ma un colpo di tosse alla sua sinistra lo fece desistere.

 

“Signori”, intervenne Shiho, con quel fare conciliatorio di chi è abituato a dover fare da paciere. Soprattutto fra i due, costantemente impegnati a bisticciare. “Non possiamo, innanzitutto, vedere come va a finire questo interrogatorio, prima di fasciarci la testa?”.

 

Yzak sbuffò, considerando che aveva ragione. Come sempre. “Tu, piuttosto. Ti senti pronta?”. La guardò, ed era il ritratto della calma passiva mentre assisteva alla scena oltre lo specchio come se fosse stato un film appassionante. “Non sarà semplice”.

 

“Sì, signore. Ha qualche modifica last minute?”. Shiho ricambiò lo sguardo, confusa da quella poco caratteristica indagine sul suo stato d’animo. Che il suo superiore fosse teso era evidente a tutti, e lei stessa non poteva fare altro che celare i suoi pensieri. Per quanto si fidasse ciecamente dell’istinto del Comandante, quella volta doveva schierarsi con Dearka: dal suo rientro, trasmesso sui media come un evento unico, Garcia non aveva dato l’impressione di essere un pericoloso nemico della patria. Tutt’altro. Si chiese se sarebbe stato più facile smascherare lui, o far cambiare idea al Comandante. Probabilmente la prima.

 

“Nessuna modifica”, disse Yzak, visibilmente più calmo. Sapeva di aver riposto la questione nelle mani più capaci della squadra, l’unico grattacapo rappresentato dalla grandissima faccia tosta di Garcia, che stava rispondendo alle domande con la calma di uno studente brillantemente preparato ad un’interrogazione.

 

Quando fu il turno di Shiho, Dearka le batté un paio di colpi sulla spalla ed alzò i pollici, facendole roteare gli occhi, e Yzak la chiamò prima di farle varcare la porta. “Fatti valere”, le raccomandò semplicemente, e la sicurezza che lampeggiò nei suoi occhi violacei fu sufficiente per rasserenare il suo animo burrascoso.

 

*

 

Hank si stava versando un bicchiere d’acqua nell’istante in cui la porta si aprì nuovamente. Si iniziò a chiedere per quanto tempo ancora sarebbe dovuta continuare la messinscena di routine, ma sollevò un sopracciglio nel vedere entrare una donna. Tutti gli agenti che lo avevano interrogato fino a quel momento erano stati uomini, del resto, e non si era aspettato che nel selezionatissimo entourage di YzakJoule potesse esserci un’esponente del gentil sesso. La guardò incuriosito mentre si accomodava e gli concedeva l’ombra di un sorriso. Non poteva avere più di vent’anni, ed il fatto che indossasse la Redcoat gli fece domandare se fosse per merito o per fortunati natali. 

 

“Buongiorno Caporale. Sono il Maggiore Shiho Hahnenfuss, d’ora in avanti sarò io a condurre l’interrogatorio”, parlò lei, con voce flebile e quieta.

 

“Piacere di fare la sua conoscenza”, replicò Hank, totalmente a suo agio. Una ragazzina non avrebbe certo rappresentato una minaccia, e si gustò il sorso d’acqua come se fosse stata una birra ghiacciata in una torrida giornata estiva. “Cosa vuole sapere?”.

 

Shiho scrollò le spalle, aprendo un quaderno ed agguantando una penna. “Vorrei concentrarmi sull’inizio della sua prigionia, se per lei va bene”. Lo vide annuire e poggiare il bicchiere con calma studiata sul tavolo. “Come sa, le prime settantadue ore di un rapimento sono cruciali. Dopo quanto tempo sono cominciati gli interrogatori?”.

 

“Quasi subito”, disse Hank, la voce monotona. 

 

Lei scribacchiò qualcosa sulla carta. “Cosa volevano sapere?”.

 

Garcia si strofinò il mento con fare meditabondo. “Tutto ciò che sapevo sulle operazioni di terra. I rifornimenti, le comunicazioni, le regole d’ingaggio”.

 

“Nel suo debriefing a Gibilterra ha dichiarato di non aver mai rivelato tali informazioni”. Shiho finì di prendere appunti e sollevò lo sguardo su di lui. “Corretto?”.

 

Hank si esibì in una risata roca e priva di humor. “Mi hanno addestrato bene all’eventualità di finire in prigionia, quando ero in Accademia. Dovrebbe aver seguito i medesimi corsi, Maggiore”.

 

Shiho dovette sforzarsi di non sorridere al pensiero che, se al suo posto ci fosse stato il Comandante, nell'udire quel tono derisorio avrebbe sicuramente fatto sanguinare il naso dell’imputato con un sonoro pugno. In barba alla terapia di gestione della rabbia. 

Invece, si limitò a dargli conferma con un cenno del capo e picchiettò la penna sul tavolo. Per lei, fare il poliziotto cattivo non significava necessariamente ricorrere alla violenza o a modi sgarbati, quanto non cedere all’altro un singolo centimetro di terreno. “Ironia a parte, Caporale, se lo sarà sicuramente chiesto”, continuò, il tono gentile nonostante tutto. Lo vide aggrottare la fronte e fermò il movimento della penna. “Il perché l’hanno tenuta in vita per tre anni sebbene si sia dimostrato tanto leale alla nostra causa”.

 

Il fare accomodante di Garcia vacillò appena, ma tornò sereno quasi subito, e sventolò con noncuranza una mano in aria. “Ho supposto che volessero preservarmi come preziosa merce di scambio”.

 

Shiho emise un verso pensieroso, trovando quella risposta alquanto ridicola. Faticava a credere che alle alte sfere potessero adoperarsi per pagare il riscatto di qualcuno tanto anonimo, e presumere che lei avrebbe potuto accettare una motivazione simile la offendeva su molti livelli. “Eppure nessuno ha mai avanzato pretese, ed il suo nome è rimasto nella tristemente lunga lista di soldati MIA e KIA durante la prima guerra”, obiettò, aprendo il fascicolo ed estraendone un foglio. “Come il suo collega, il Caporale Benedict Foster, che però non è riuscito a farcela, da quanto mi pare di aver capito”. Gli mostrò la fotografia istituzionale di un militare sulla quarantina, i capelli brizzolati e gli occhi nocciola. Osservò, trionfante, come per un attimo Garcia parve completamente smarrito. Il dettaglio di un suo compagno di squadra, rapito dai Blue Cosmos insieme a lui, era stato fornito dallo stesso Hank, a Gibilterra, come informazione di poco conto, quasi al pari della composizione del rancio. 

 

“Cosa sta insinuando?”, borbottò il Caporale, perdendo quell’atteggiamento cooperativo che aveva fatto infuriare il Comandante Joule. 

 

La ragazza si limitò a concedergli un sorriso di sbieco. “Sono solo curiosa. Nessuno dei due ha ceduto agli interrogatori, eppure è stato risparmiato soltanto lei”.

 

Hank strinse le labbra e distolse lo sguardo. “Ben non ha retto bene le torture. È morto durante la nostra seconda settimana di prigionia, e l’ho dovuto seppellire io stesso, appena fuori dal bunker. Sotto lo sguardo attento dei Blue Cosmos. E dei loro mitra”.

 

“Capisco”, disse Shiho dopo qualche istante, riappropriandosi della fotografia. Benché le sue parole fossero toccanti, dal suo tono di voce mancava totalmente quella nota di empatia che chiunque si sarebbe aspettato di sentire alla menzione di un camerata ucciso barbaramente. Sfogliò il dossier, rimanendo in silenzio mentre selezionava un’altra immagine. Se la rigirò tra le mani, pronta a porre la sua ultima domanda. “Il bunker di cui parla è appena fuori Banadiya, se non sbaglio”.

 

“Non sbaglia”, confermò Garcia, a denti stretti.

 

Lei gli allungò il foglio, che ritraeva Samuel Johansson, risalente al 71. “Conosce quest’uomo?”.

 

Hank schioccò la lingua sul palato, risentito. “Chiunque in ZAFT sa chi è”.

 

“Banadiya è il luogo in cui è stato avvistato più spesso”, affermò Shiho, con cautela, e nel momento in cui i loro sguardi si incrociarono sentì quasi un brivido pervaderla. “Lo ha mai incontrato, in questi tre anni?”.

 

Lui tergiversò, mantenendo un’espressione neutrale. Il ricordo di quando era stato portato in una nuova stanza del bunker, e si era ritrovato di fronte Johansson in persona, era ancora marchiato a fuoco nella sua mente. Il sorriso benevolo, ed il tono di voce carezzevole; il modo educato con cui si era rivolto a lui, offrendogli un sorso d’acqua e della frutta fresca dopo giorni di nulla. Il valore che, con il tempo, aveva acquisito per lui. Che, ora, una poppante troppo altezzosa glielo chiedesse con tanta leggerezza, con tanta ignoranza, gli fece venire voglia di sporgersi dalla sedia e schiaffeggiarla.

“Davvero pensa che uno dei maggiori ricercati dei Blue Cosmos si sia preso la briga di fare visita a me?”, ritorse, sputando fiele. 

 

“Non me la sento di escludere l’ipotesi. Ogni informazione, per quanto minuscola, potrebbe essere vitale nella cattura di quell’individuo”, replicò lei, intrecciando le dita. “E, Caporale, se posso permettermi... la sua non era una risposta”.

 

Hank balzò in piedi, rovesciando la sedia sul pavimento con un tonfo sordo. “Dove sta andando a parare, Maggiore Hahnenfuss? Non mi piace essere accusato di eresie simili”.

 

Shiho, abituata agli scatti d’ira del Comandante Joule, non batté ciglio. Come da copione, la porta alle sue spalle si aprì, e Dearka fece il suo ingresso. “Oi, Hahnenfuss, vedi di non strafare”, la rimbrottò, come se fosse seriamente infuriato per le sue domande scomode. In quattro anni era probabilmente la prima volta che si comportava per davvero come un suo superiore. “Mi dispiace, Caporale”, disse poi all’indirizzo di Hank, che era ancora aggrappato al tavolo con un’espressione livida in volto. “Posso accompagnarla all’ingresso? Direi che qui abbiamo terminato, grazie per il suo tempo”.

Garcia annuì e passò vicino a Shiho, lanciandole un’occhiata torbida, mentre Dearka gli sussurrava: “Donne, eh? Sarà stata in quel periodo del mese, mi scuso al posto suo”.

 

Rimasta sola, Shiho radunò le carte e spense la videocamera. Si concesse un sospiro soltanto quando tornò nella stanza adiacente. Di fronte a lei, Yzak Joule era praticamente raggiante, e stava addirittura sorridendo. “Ben fatto. Davvero ben fatto. Sei proprio la mia sottoposta migliore”, le disse, facendola avvampare intensamente.

 

“Grazie”, mormorò lei. “Si è agitato troppo, per non avere qualcosa da nascondere”.

 

L’albino sbuffò ed annuì. “La parte difficile inizia ora, perché non abbiamo comunque elementi sufficienti a cui aggrapparci”.

 

Shiho ripose il fascicolo nella borsa e lanciò uno sguardo al Comandante da sopra la spalla. “Quante probabilità ci sono che Dearka lo stia invitando fuori a bere?”.

 

Yzak si passò una mano tra i capelli, che rimasero comunque impeccabili. “Ti prego. Non voglio nemmeno pensarci”.

 

*

 

Due settimane, e Yzak si ritrovò a chiedersi se, magari, non sarebbe stato meglio se Dearka, effettivamente, avesse chiesto a Garcia di accompagnarlo in un tour dei nightclub di Aprilius.

 

Di carattere non semplice, il Comandante Joule non poteva tollerare che il suo istinto avesse fatto cilecca. Non quando l’interrogatorio aveva evidenziato determinati atteggiamenti. Shiho l’aveva punto nel vivo, e lui non aveva fatto nulla per smentirla. Certo, chiunque si sarebbe indignato nell’essere associato ad un criminale del calibro di Johansson, ma sotto la rabbia, Garcia aveva dato uno spiraglio di nervosismo. 

 

Dearka si era premurato di assecondarlo, nel tragitto fino all’uscita, ed essere accomodante il giusto per non fare in modo che vedesse nell’Intelligence un nemico palese. Dalle riprese delle videocamere, il sorriso che si erano rivolti doveva fargli dormire sonni tranquilli, e con tutta probabilità l’unica che il Caporale poteva detestare era Shiho, con le sue domande scomode ed il suo atteggiamento inflessibile.

 

Per quattordici giorni si erano attenuti al piano, limitandosi a scandagliare le uscite pubbliche di Garcia tra interviste ed ospitate in televisione, ma ogni volta avevano semplicemente assistito alla farsa dell’eroe dimenticato, capace di sopravvivere tra le mani dei terroristi ed uscirne solo con qualche cicatrice.

 

Come uno scarafaggio, rifletté Yzak, sistemandosi il colletto dell’uniforme mentre l’ascensore saliva. Non era contento di quello che stava per fare, neppure un po’, e Dearka non si era fatto troppi problemi ad esternare il proprio disappunto; perfino Shiho, che era sempre stata dalla sua parte, aveva stretto le labbra in un’espressione titubante. 

Lo sapeva da sé, non aveva bisogno di loro per capirlo, ma era l’ultima spiaggia. Soprattutto se si trattava della salvaguardia dei PLANT.

 

Le porte si aprirono alle sue spalle, e percorse i familiari corridoi del Consiglio Supremo, memore di quando, tra le due guerre, si era ritrovato al posto di sua madre. Era stato in quel frangente che aveva capito che la politica, con i suoi sottili giochi di potere, non sarebbe mai stata la sua strada, e che preferiva di gran lunga l’esercito.

 

Si fermò davanti ad una scrivania, e guardò l’impiegata. “Sono Yzak Joule. Ho un appuntamento”, la informò, poco interessato a vuote cortesie.

 

Quella arrossì, ben conscia di chi fosse l’albino e della fama da scapolo d’oro che lo precedeva, e si affrettò ad alzarsi. “Prego, Tenente Colonnello, da questa parte”. Lo condusse ad una porta finemente intarsiata e bussò un paio di volte, muovendo un passo di lato quando il suo superiore diede il via libera. Fece un cenno del capo all’ospite, premurandosi di aggiungere il sorriso più sfavillante che le riuscì, e se ne tornò alla sua postazione, ignara del tumulto interiore del giovane.

 

Yzak abbassò la maniglia e mosse un paio di passi in quello che, anni prima, era stato l’ufficio di Patrick Zala. Salvo che, ora, era occupato da un individuo ancora più detestabile, sebbene non sembrasse presentare gli squilibri mentali che avevano portato il padre di Athrun a commettere un genocidio. “Con permesso”.

 

L’uomo si alzò per andargli incontro, la mano tesa ed un sorriso appena accennato. “Yzak, da quanto tempo”. Hari Jagannath era il nuovo Presidente del Comitato per la Difesa Nazionale, ed apparteneva alla fazione radicale. Era un personaggio che gli faceva venire i brividi, per le sue convinzioni antiquate che i Coordinator fossero migliori dei Natural, e la storia sembrava si stesse ripetendo vista la sua animosità nei confronti del Presidente Lament, di vedute molto più ampie e ragionevoli.

A sua volta, ai tempi, Yzak stesso aveva combattuto con l’arroganza di avere la verità in tasca, e Jagannath era come uno specchio sul passato in cui non voleva vedere il proprio riflesso.

 

“Mi scuso per lo scarso preavviso, Presidente”, cominciò il giovane, la bocca amara per essere dovuto ricorrere ad un escamotage simile. Si accomodò sul divano nell’angolo, incrociando le gambe.

 

L’uomo scosse il capo e si sedette sulla poltrona di fronte. “Sciocchezze. Vuoi un espresso?”.

 

L’altro valutò che avrebbe desiderato una flebo di caffeina direttamente in vena, ma preferiva non prolungare troppo l’incontro. “No, grazie”, rifiutò, educato nonostante tutto. “Presidente, sono venuto per discutere una questione delicata, oltre che estremamente confidenziale”. Lo vide assottigliare appena gli occhi, incuriosito. “Si tratta di Hank Garcia”.

 

A quel nome, i baffetti di Jagannath vibrarono lievemente. “Ah, sì. Il nostro eroe del mese”, declamò, senza particolare enfasi. “Ci sono novità di cui dovrei essere messo al corrente?”.

 

Yzak serrò la mascella, sempre più convinto che lo stava facendo per un bene superiore. “Non ci sono prove a suo carico, ma è da quando l’ho incontrato allo Stato Maggiore per l’interrogatorio che ho il dubbio che non stia dicendo tutta la verità”.

 

Il Presidente si appoggiò allo schienale, lisciando l’uniforme viola con una mano. Gli rivolse un ghigno mesto e sospirò. “Sono accuse gravi da muovere sull’uomo del momento”, gli fece notare, con fare paternalistico.

 

“Ne sono cosciente”, replicò l’albino, tenendo a bada l’ira, “ma, se mi concedesse l’opportunità di renderla partecipe dei miei pensieri…”. Ridursi a supplicare un verme del genere, soltanto perché più potente di lui. Patetico. Ad un suo cenno, Yzak decise di far leva sull’aspetto più odioso del carattere dell’altro. “Mi sembra una barzelletta che un Coordinator in mano ai Blue Cosmos sia sopravvissuto tanto a lungo in veste di prigioniero. Quando una mia sottoposta l’ha interrogato, si è dimostrato particolarmente suscettibile circa alcune domande poste ad hoc, e sarebbe una vergogna se l’Intelligence sorvolasse su una minaccia nazionale soltanto perché i media lo stanno celebrando su larga scala”. Fece una pausa ed aggiunse: “Non vorrei che fosse in combutta con quelli. I Natural”.

 

Alla menzione della razza che tanto detestava, i piccoli occhi di Jagannath brillarono di un misto di rabbia ed interesse. “E dove entro in gioco, io?”.

 

Yzak si sporse appena, appoggiando gli avambracci sulle cosce, le mani intrecciate. Scacco matto. “Potrebbe procurarmi un mandato del tribunale per tenerlo sotto stretta sorveglianza?”, domandò. “Per scacciare totalmente l’ipotesi di finire vittime di un attentato dei Blue Cosmos. Sono sicuro che comprenderà le mie preoccupazioni”.

 

Il Presidente sembrò animato da un ardore nuovo ed annuì con ferocia. “Lascia fare a me. Ho un amico che è giudice, non sarà affatto complicato”. Lo guardò solennemente, facendosi serio. “Sia ben chiaro che non voglio che il mio nome venga associato a questa tua piccola indagine, qualora dovesse rivelarsi un buco nell’acqua e dovessero metterti in croce. Lament vorrebbe la mia testa, e io farei la figura dell’ipocrita. Sono stato fotografato mentre stringevo la mano di Garcia, Cristo santo”.

 

Pensando che Jagannath fosse proprio un ometto insopportabile, Yzak si limitò ad annuire. “Ha la mia parola, Presidente”, mormorò, stringendogli la mano ed ingoiando l’acre sapore di una mezza vittoria.

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Capitolo 4
*** 4. Mulini a Vento ***


Capitolo 4 
Mulini a Vento
 
 
 
Fu l'aroma del caffè a fargli sollevare le palpebre. Che non ricordava minimamente di aver mai abbassato. L'ambiente circostante, per una frazione di secondo, gli sembrò estraneo; diverso dal suo bell'appartamento in centro. 
 
"Buongiorno, Comandante".
 
Yzak alzò lo sguardo, trovando Shiho in piedi davanti al divano con in mano due tazze, una delle quali tesa verso di lui. Non ci pensò sopra due volte prima di agguantare il caffè. "Grazie", le disse, la voce ancora impastata dal sonno. La vide accomodarsi vicino a lui, e trovò per l'ennesima volta bizzarra quella convivenza forzata.
 
Jagannath era stato di parola, facendogli recapitare il mandato del tribunale il giorno seguente alla sua pietosa richiesta. La vera onta per Yzak, però, era stata doversi abbassare a chiedere l'aiuto dell'unico esperto di computer fidato a sufficienza per non far sì che quella missione divenisse di dominio pubblico all'interno dell'Intelligence di PLANT: Meyrin Hawke. Se Garcia avesse rappresentato una seria minaccia, probabilmente anche Orb avrebbe potuto incorrere in problemi simili, con la sua politica di tolleranza alla convivenza tra Coordinator e Natural in territorio neutrale, e coinvolgere Terminal era sembrata l'idea più sensata ai tre vertici del fu Joule Team. Con grande scorno del leader, che aveva affidato, come sempre, il compito di contattare i servizi segreti del Delegato Athha a Dearka.
 
Neanche a dirlo, sulle prime Athrun non si era dimostrato particolarmente entusiasta di ficcanasare negli affari di un uomo innocente fino a prova contraria, ma si era arreso all'evidenza che troppo ottimismo in tempi ancora tesi sarebbe stato l'atteggiamento peggiore da tenere. 
 
Yzak arricciò il naso, riempiendosi la gola con il caffè.
 
Tramite alcuni giri poco raccomandabili procurati, ovviamente, da Dearka, nel giro di poche ore erano riusciti a piazzare cimici e videocamere nascoste nell'alloggio di Garcia, e il genio della Hawke, in barba alla giovane età, si era manifestato nell'installazione da remoto di un bug nel cellulare del Caporale, che avrebbe permesso loro di monitorare eventuali comunicazioni scomode. 
Yzak, Shiho e Dearka si erano, quindi, momentaneamente trasferiti in un appartamento noleggiato con falso nome, dove per tre settimane si erano dati il cambio per un astruso reality show dove tenevano sotto controllo i filmati su ogni stanza, invadendo la privacy di Garcia in maniera scelleratamente illegale.
 
Neanche a dirlo, ne stava uscendo pulito. Hank Garcia sembrava un santo vero e proprio. Nessun messaggio strano, nessun incontro poco raccomandabile, a parte una signorina un sabato sera per quella che Dearka aveva definito 'sana ginnastica da camera da letto', mentre Yzak si era premurato di schiaffare una mano davanti agli occhi di Shiho per evitarle di assistere ad uno spettacolo poco adatto ad una signorina nubile. 
 
Il vero grattacapo, però, era che il mandato aveva una durata di ventotto giorni, dopo i quali non li avrebbe potuti salvare neppure il fantasma di Siegel Clyne, qualora fossero stati scoperti. Stavano finendo il tempo a loro disposizione, e l'ostinazione del Tenente Colonnello Joule non era diminuita. Tutt’al più si era mischiata ad una profonda frustrazione, più radicata del suo solito. 
 
“Non è successo niente degno di nota”. 
 
La voce pacata di Shiho lo riportò al presente, e Yzak si rigirò tra le mani la tazza vuota. “Non avrei dovuto addormentarmi”.
 
Gli occhi viola di lei, fissi sul monitor che mostrava Garcia intento a fare colazione a sua volta, si spostarono sul ragazzo. “Penso che si sia appisolato poco prima dell’inizio del mio turno”, mormorò, ripensando alle ore appena trascorse, con il Comandante intento a sonnecchiare al suo fianco sull’ampio divano a L. “Si è perso il Caporale a letto, nulla di più”.
 
Yzak strinse le labbra. Il sonno di Garcia era, probabilmente, l’unica cosa degna di nota del loro spionaggio. Agitato e convulso, la presunta spia passava le notti a mugugnare, vittima degli incubi. Il suo puntello, sempre a detta di Dearka, aveva lasciato l’appartamento in fretta e furia proprio a causa di quel turbolento dettaglio, quando si era ritrovata con l’uomo a cavalcioni su di lei e le mani strette attorno alla gola. 
 
Ma, nuovamente, non era una prova valida a sufficienza per giustificare i loro metodi poco ortodossi. Per un sopravvissuto del suo calibro non era poi così impensabile essere tormentato da sogni scomodi. Dannazione, sia lui che Shiho erano stati vittime di insonnia per svariati mesi dopo la prima guerra, con la differenza che non avevano mai attentato alla vita di nessuno.
 
Yzak si voltò di scatto, a quel pensiero. “Quella tizia”, iniziò, come colto da ispirazione divina. “L’avrà abbordata fuori dall’appartamento, giusto?”. Vide Shiho annuire, incuriosita dal suo tono di voce quasi allegro. “Se la rintracciassimo, magari potrebbe dirci qualcosa di più. Il coglione potrebbe essersi fatto scappare qualche dettaglio di cui non siamo a conoscenza”.
 
Shiho sembrò rifletterci sopra qualche istante, ma poi annuì convinta. “Mi sembra una splendida idea, signore”.
 
L’albino si schiaffeggiò una coscia, visibilmente di buon umore. “Potrebbe essere la volta buona”, dichiarò, faticando a tenere a bada l’eccitazione. 
 
“Però, Comandante”, parlò ancora lei, titubante. “Cerchi di non farsi prendere troppo dalla speranza. Non sopporterei di vederla più demoralizzato di quanto non sia già”.
 
Yzak schiuse le labbra per replicare, ma non uscì alcun suono. Era già successo, dall’inizio della missione, che trovasse la sua sottoposta strana. E non per via di chissà quale atteggiamento, ma perché con gli abiti da civile e in assenza dell’uniforme, il Maggiore Hahnenfuss gli ricordava che, innanzitutto, era in fin dei conti una ragazza, gentile e premurosa. Non che in ufficio si comportasse diversamente, era la solita Shiho, ma con l’aggiunta di una morbidezza che aveva sempre faticato ad individuare. 
Sospirò e si alzò in piedi, stiracchiandosi. “Non preoccuparti. Non sono così ingenuo”, assicurò, sorridendole. “Ti va di fare colazione? Ho voglia di cucinare qualcosa”.
 
Gli occhi di lei sfavillarono, soprattutto al ricordo delle inaspettate doti culinarie del suo superiore. “Volentieri”, accettò subito. “Se accade qualcosa la chiamo”.
 
Yzak sbuffò. “Sarà già un successo se l’idiota si mette le dita nel naso”, dichiarò, caustico. "Preferisci qualcosa di dolce o di salato?".
 
Shiho trovò altamente bizzarro quello scambio di battute, come se fossero semplici conviventi con nessuna preoccupazione in testa se non cosa mettere nello stomaco. Quel pensiero la fece arrossire e sentire colpevole. Non avrebbe negato che, al di là della stretta sorveglianza su Garcia, l'essere obbligati a dividere un appartamento le stava piacendo enormemente. Condividere la routine con il Comandante era stato inizialmente imbarazzante, ma dopo tre settimane si era abituata anche troppo a svegliarsi con la consapevolezza che lui sarebbe stato lì, nella stessa casa. "Quello che vuole lei, signore", si arrese a rispondere, perché, davvero, l'unica cosa che le importava era sedersi di fronte a lui e condividere il pasto. 
 
L'albino alzò gli occhi chiari al soffitto e si portò dietro il bancone della cucina a vista, arrotolandosi le maniche della camicia. "Dovresti iniziare ad essere meno passiva, lo dico per te", borbottò, affaccendandosi con delle uova. "Se vuoi qualcosa, comunicalo. Ne hai tutto il diritto".
 
Spostando lo sguardo sui monitor per non sostenere il suo, la ragazza annuì, mansueta. Non era consono imporre i propri desideri su un superiore, anche solo a livello culinario, e poi, ragionò, l'avrebbe odiata se avesse espresso ad alta voce ciò che davvero voleva. Una persona della sua estrazione sociale non avrebbe mai potuto essere abbastanza per diventare la nuova matriarca della famiglia Joule, ed il Comandante meritava di avere al proprio fianco una donna di classe e sofisticata, di certo non un soldato con un background tanto anonimo. Finché avesse potuto continuare a servirlo come sua sottoposta, sarebbe stata soddisfatta.
 
Continuò ad osservare le azioni di Garcia. Aveva deciso di riarruolarsi, il Caporale, sotto pressione del Consiglio, e le sue mansioni prevedevano esclusivamente visite alle varie basi di ZAFT per raccontare la sua storia, e sensibilizzare i cadetti al peggio, anche in periodo di pace. Se non gli avesse fatto perdere le staffe durante l'interrogatorio, Shiho avrebbe vacillato, perché l'uomo era il ritratto da manuale dell'eroe redivivo, e neanche nella sfera privata sembrava dare adito ai sospetti cui il Comandante si era attaccato con le unghie e con i denti. Eppure, il ricordo dei suoi occhi fiammeggianti all'insinuazione che avesse avuto incontri con Johansson la perseguitava, mantenendo viva la convinzione che l'uomo sapeva molto più di quanto non dicesse. 
 
"È pronto", annunciò improvvisamente Yzak, intento a trasferire le immagini delle videocamere sul tablet.
 
Shiho si alzò e lo raggiunse a tavola, sentendo lo stomaco ruggire di fronte alla colazione promessa. Nei piatti c'erano delle omelette, assieme a salsicce e pane tostato. Dopo aver augurato ad entrambi un buon appetito, provò le uova, e non riuscì a contenere un verso deliziato. 
 
"È di tuo gusto?", indagò Yzak, concedendosi un sorso del secondo caffè della giornata mentre la spiava incuriosito.
 
Lei annuì e si mise una mano davanti alla bocca mentre deglutiva. "Moltissimo. Non pensavo che il Comandante Joule fosse così bravo a cucinare".
 
L'albino prese un piccolo boccone e indugiò appena. "Se ti dico il motivo, prometti di non ridere?".
 
Intrigata, Shiho non poté fare altro che confermare. "Non potrei mai deriderla, signore", affermò, con lo stesso rigore che avrebbe utilizzato in ufficio.
 
Yzak sospirò, le guance leggermente arrossate. Non sapeva nemmeno perché stava per condividere un aneddoto tanto imbarazzante. "All'Accademia avevano organizzato una specie di gara. Ovviamente il mio obiettivo era battere Zala, quindi mi sono fatto in quattro per diventare eccellente, ma neanche a dirlo sono arrivato secondo".
 
"Ammirevole", commentò semplicemente Shiho, sorridendogli con fare incoraggiante.
 
Lui si strinse nelle spalle, mentre sul display del tablet Garcia iniziava a sfilarsi la felpa per indossare l'uniforme. Si prodigò a girare l'apparecchio verso di sé per non costringerla ad assistere ad un uomo intento a spogliarsi. "Bei tempi, se presi fuori contesto. Quando la mia unica preoccupazione era primeggiare su Athrun".
 
Notando l'espressione esausta che gli appesantiva i lineamenti altrimenti delicati, Shiho evitò di replicare, tenendosi impegnata con una fetta di pane tostato. "Dovremmo svegliare il senpai?", chiese invece.
 
"Non siamo le sue baby-sitter", le fece notare Yzak, seppure con una certa gentilezza nella voce, non volendo, chissà per quale ragione, interrompere la quiete di quel pasto a due con la sua sottoposta.
 
*
 
Dearka sistemò il bavero del blazer prima di uscire dall'auto a noleggio. "Mi sentite?".
 
"Forte e chiaro", confermò Shiho.
 
Premendo il dito contro l'auricolare, il Capitano Elthman sorrise al proprio riflesso nello specchietto. "Visto che a breve dovrò togliere questo coso, se dovessero esserci malfunzionamenti mandatemi un messaggio".
 
"Non siamo due completi idioti. Ce lo siamo ripetuti allo sfinimento". Questa volta, a parlare fu Yzak, ed il suo tono belligerante lo costrinse a sospirare. Averlo in cuffia era un attentato vero e proprio all'udito.
 
Tramite il software di riconoscimento facciale in dotazione ai servizi segreti, era stato un gioco da ragazzi rintracciare l'amante di una sera di Garcia. Marie Bouvier aveva ventisette anni ed era una studentessa di Economia. Coordinator di seconda generazione, era originaria di Junius Four, ma si trovava su Aprilius per conseguire un master. Appena Yzak gli aveva illustrato il suo piano, Dearka non si era fatto troppe remore ad immolarsi per la causa, e proporre di sfruttare il suo innegabile fascino per farle rivelare dettagli rilevanti su eventuali attività poco consone del Caporale.  
 
Per quanto sdegnato dalla rapidità con cui aveva elaborato quell'idea, il suo migliore amico non aveva potuto fare altro che acconsentire. Il vero problema, però, era stato il commento perplesso di Shiho.
 
"La signorina Haww non si arrabbierebbe, se dovesse venire a saperlo?".
 
Miriallia, probabilmente, avrebbe prima ostentato indifferenza in merito alla questione, e poi avrebbe sfogato la frustrazione che sembrava agitarla perennemente su di lui. Si considerò un masochista a pensare che, in fin dei conti, non gli sarebbe dispiaciuto particolarmente.
 
Abbordare la Bouvier, però, era un compito meramente lavorativo, e non era stato troppo difficile mettere in piedi un teatrino da commedia romantica fuori dal campus universitario, dove Dearka l'aveva travolta casualmente mentre usciva dalla struttura. Aiutandola a raccattare gli oggetti che le erano volati dalla borsa, aveva sorriso con fare seducente e le aveva proposto di offrirle un drink per scusarsi della propria sbadataggine. Neanche a dirlo, la giovane non si era fatta troppo pregare, ed ora lo stava aspettando fuori da un bar.
 
Dearka pensò che Garcia avesse sicuramente buon gusto in fatto di donne. Marie era una bellissima ragazza, con la pelle ambrata e lunghi capelli castani. "Scusa il ritardo, spero non stessi aspettando da troppo tempo", le disse, affrettandosi a raggiungerla.
 
"Sono appena arrivata", confermò lei, sorridendogli. "Vogliamo entrare?".
 
Lui annuì e le tese il braccio, galante, cui la giovane si appese senza troppe remore e ridacchiando divertita. Le aveva dato appuntamento in un locale non lontano dall'abitazione di Hank, e per quella sera la sua identità era Raphael Avery, ventiquattro anni, nato e cresciuto su Aprilius e attualmente disperato per i propri voti disastrosi alla facoltà di Marketing. Se solo non fosse stato ancora perdutamente innamorato della sua ex, si sarebbe divertito un mondo a prendere parte a quelle missioni che, oltre che utili, erano un bel palcoscenico per rimorchiare con facilità estrema senza il peso del suo cognome altolocato. Perfino studiare i nomi dei docenti universitari per non incappare in lapsus altrimenti pericolosi era stato uno spasso e, davanti al terzo gin tonic, si lasciò andare ad un sospiro esagerato prima di cominciare a lamentarsi di una certa professoressa Zegers, nota per essere particolarmente severa con gli studenti. Probabilmente aveva sbagliato carriera.
 
"Quello  che ha capito tutto. Ha vissuto l'inferno, ma ora sembra che non si parli altro". Dearka indicò con il mento il televisore che stava trasmettendo le news. Tre settimane dopo, Hank Garcia era ancora un argomento caldo, ed il servizio sul suo intervento in Accademia in onda al tg in quell'istante lo provava ampiamente. 
Vide Marie voltare il capo ed arricciare il naso alla vista del Caporale. Nascose il proprio sorriso dietro il bicchiere e prese un sorso. "Non sei una fan dell'eroe?".
 
Lei si fece titubante e mordicchiò un pezzo di carota, posando nuovamente sul suo accompagnatore gli occhi nocciola. "Prometti di non giudicarmi?", mormorò dopo qualche istante.
 
"Sono una canaglia a mia volta, non c'è nulla che mi scandalizzerebbe", promise Dearka, sporgendosi verso di lei con un sorriso malandrino. "E poi adoro i pettegolezzi".
 
Marie rise appena e scosse il capo, conquistata dai suoi modi di fare tanto amicali. "Non è esattamente un pettegolezzo", confidò, scrollando le spalle. "Sono uscita con quel tizio".
 
Il biondo spalancò gli occhi con fare teatrale. "Ma non mi dire!", finse di stupirsi. "Prima o dopo che diventasse il beniamino dei PLANT".
 
"Dopo", rispose lei, lasciandosi andare ad un sospiro. "L'ho incontrato in un bar, settimana scorsa, e mi sono congratulata con lui per il servizio reso alla patria. Insomma, non capita tutti i giorni di vedere un veterano di guerra, no?".
 
"Mai successo", dichiarò solennemente Dearka, sicuro che a quell'uscita Yzak avrebbe alzato gli occhi al cielo.
 
"Beh, una cosa ha tirato l'altra, e abbiamo trascorso la serata assieme. Sai, tipo questo", e Marie indicò i loro drink, "ed è stato davvero divertente. Al punto che mi ha convinta ad andare a casa sua. La serata non è finita benissimo, Garcia avrebbe un serio bisogno di fare alcune sedute dallo strizzacervelli".
 
"Non oso immaginare che traumi abbia cuciti addosso", disse Dearka, facendo spallucce. Passò un braccio attorno allo schienale della sedia, gli occhi che brillavano. "Beh? Nessuno scoop da condividere con il caterpillar che ti ha travolto fuori dall'università?", domandò, ammiccando. "Ho un caro amico che ucciderebbe per saperne di più. Lo ammira molto per la sua integrità e la dedizione alla causa". Davvero, si stava divertendo un mondo, e quasi invidiava Shiho, che poteva assistere alle reazioni esasperate del Tenente Colonnello Joule.
 
Marie si picchiettò l'indice sul mento, intenta a riflettere. "Nulla di troppo diverso dalle sue dichiarazioni pubbliche, in realtà, e abbiamo comunque bevuto molto", affermò, ma poi il suo tono di voce si abbassò, confidenziale. "Quando è arrivato il momento di pagare, però, ha detto che avrebbe voluto pensarci lui, al conto. Lì per lì non mi è sembrato tanto strano, ma ha aggiunto che il giorno prima gli era arrivata una gran bella somma di denaro sul conto corrente". Si interruppe e rise ancora. "Ma insomma, chiacchiere per fare colpo, suppongo".
 
"Ovviamente", mormorò Dearka, che nel frattempo stava esultando internamente per quella rivelazione. Da prassi sapeva che ZAFT tendeva a risarcire le vittime di guerra con tempestività, ed un bonifico dopo tre settimane dal suo rientro in patria non poteva provenire dall'esercito. "Che ne dici", cambiò quindi argomento, "andiamo in un posto più tranquillo a continuare la serata? Ho l'auto parcheggiata non troppo lontano da qui".
 
*
 
"Porca puttana, siamo degli idioti", ringhiò Yzak, faticando a credere alla propria ingenuità. Grossi trasferimenti di denaro erano all'ordine del giorno nei casi di spionaggio, ma si era concentrato talmente tanto su azioni lampanti che avrebbero potuto smascherare Garcia da non considerare il suo conto in banca come un plausibile tramite per scoprire qualcosa di più.
 
"Direi che la missione potrebbe aver dato i suoi frutti", considerò poi Shiho, sorridendo soddisfatta.
 
L'albino fece per risponderle, ma dagli speaker del computer giunse il rumore di bocche che schioccavano tra di loro, seguito da un profondo ed estasiato gemito di Marie, intenta a lodare Raphael per le sue mani d'oro.
 
Il Tenente Colonnello Joule e il Maggiore Hahnenfuss si irrigidirono sul divano, consci della gran faccia tosta del loro collega e del fatto che, volenti o nolenti, non potevano concedere ai due la dovuta privacy in caso di altre notizie utili alla loro indagine. "Quel coglione", borbottò Yzak, le guance in fiamme per i versi osceni che andavano intensificandosi. "Sempre a lagnarsi che gli manca la Natural, e poi...". Si voltò verso la sua sottoposta, benché la sola idea di incrociare il suo sguardo in una situazione simile gli fosse indigesta, e la trovò con un'espressione scandalizzata ed imbarazzata al contempo. "Ci penso io, qui", offrì, riluttante. "Tu vai pure a contattare Terminal nella tua stanza".
 
Shiho esalò un sospiro riconoscente e si alzò dal divano, agguantando il portatile e fuggendo, letteralmente, in camera sua. Inserì i codici pattuiti con Orb ed avviò la videochiamata, contenta di non dover interagire con Miriallia. Quando il bel volto di Athrun comparve sullo schermo, la ragazza si portò una mano tesa alla fronte, nonostante fosse seduta sul letto. "Colonnello Zala".
 
Athrun sorrise e scosse piano il capo. "Puoi darmi del tu", replicò, serafico, alla sua coetanea, che esibì una smorfia davanti all'impensabile idea di rivolgersi ad un soldato di grado superiore che non fosse il senpai Elthman con tanta confidenza. "Insisto", aggiunse poi. Si erano incontrati solo poche volte, ma nutriva nei suoi confronti parecchia ammirazione. Anche solo per essere resistita quattro anni alle dipendenze di Yzak senza finire in psichiatria. 
 
Lei prese un respiro profondo. "Athrun-san", disse quindi, crogiolandosi nel porto sicuro dell'onorifico, "ci sono stati degli sviluppi per quanto riguarda la missione concordata in precedenza. Dovrei parlarne con Meyrin".
 
"Ci sono!". La voce squillante della minore delle sorelle Hawke la raggiunse, e poco dopo la ragazza si mosse per essere inquadrata, sorridendole e sventolando graziosamente una mano. "Da quanto tempo, Shiho-senpai! Come sta andando la convivenza?".
 
Lei piegò leggermente il capo, sul viso un'espressione perplessa. "Bene", confermò subito, anche perché era la verità.
 
Meyrin si sporse verso la webcam, i suoi grandi occhi pieni di un sentimento che non riuscì subito a decifrare."E ci sono stati progressi fra te e il Tenente Colonnello?".
 
A quella domanda, Shiho avvampò furiosamente. "M-M-Meyrin!", la redarguì, spostando il portatile per allontanarlo dalla porta, oltre la quale il suo superiore stava continuando il monitoraggio dell'uscita del Capitano Elthman. "Non dire cose assurde!".
 
La più giovane dei tre si imbronciò appena. "E che male ci sarebbe? Se ti piace, questa è l'occasione propizia. Faccio il tifo per te, senpai!".
 
Athrun guardò prima la sua collega, quindi la ragazza dall'altra parte dello schermo, e improvvisamente gli fu perfettamente chiaro il motivo per cui la neuro non avesse ancora accolto il Maggiore Hahnenfuss. "Non credevo che uno con un caratteraccio simile potesse fare colpo", gli uscì, insieme ad una risata, che indusse l'altra a grugnire tra le mani strette al volto.
 
"Da che pulpito", continuò Meyrin, spiando il Colonnello Zala. "Il Delegato Athha ha tanti pregi, ma di certo non ha un carattere semplice".
 
Questa volta fu il turno di Athrun di riprendere la rossa, per quanto conscio che non avesse poi tutti i torti. "Rimane il nostro capo", le fece notare.
 
La giovane sospirò, divertita. "Voi due vi assomigliate più di quanto non credessi", cinguettò, schioccando la lingua sul palato.
 
"Possiamo tornare all'argomento principale?", la pregò Shiho, che davvero temeva che ci fosse un incidente diplomatico se il Comandante avesse scoperto che stavano chiacchierando di cotte e simili in un momento tanto delicato.
 
"Vi lascio, devo fare una telefonata", colse la palla al balzo Athrun, prima di defilarsi e lasciarle da sole.
 
"Deve sentire Cagalli-sama", confidò Meyrin dopo un attimo. "Sono veramente una coppia adorabile, sebbene possano vedersi raramente". Vide l'altra sorridere, e decise di mettere la parola fine sulle trivialità. "Allora? Cos'ha scoperto Dearka-senpai?".
 
"La ragazza ha confermato che il Caporale ha dichiarato di aver ricevuto un'ingente somma di denaro sul proprio conto, venerdì mattina della scorsa settimana", la informò Shiho. "Avremmo bisogno del tuo aiuto per fare un controllo".
 
Meyrin annuì ed iniziò a muovere le dita sulla tastiera. Il Maggiore Hahnenfuss considerò che la loro attività era estremamente criminale, ma quando dopo qualche istante la ragazza fece un'esclamazione vittoriosa, si sentì meno in colpa per quella lampante violazione della privacy del Caporale. "Ti condivido lo schermo", annunciò la rossa, e sul portatile le comparvero dei dati. "Attualmente Garcia ha due conti separati in due banche presenti su PLANT", la informò, trascinando il mouse sulle intestazioni distinte. Scrollò appena il mouse, ed evidenziò una riga. "Questo è il bonifico che ha ricevuto diciannove giorni fa, l'ordinante è ZAFT e si tratta dell'indennizzo di compensazione per il suo rapimento. In nessuno di questi appare un movimento in entrata risalente a venerdì scorso, ma guarda qui". Meyrin cambiò finestra. Shiho vide l'estratto conto di un terzo istituto, e sobbalzò vistosamente nel riconoscere in esso una delle principali banche dell'Eurasia. L'agente di Terminal ingrandì il documento, di modo che fosse lampante dove volesse andare a parare. "È una bella cifra, devo ammetterlo. Ti invio subito i file riepilogativi".
 
"Incredibile", sussurrò Shiho, sentendo le dita formicolare per quella scoperta. "Grazie, sei stata estremamente utile, come sempre".
 
Meyrin le sorrise, seppure senza particolare enfasi. "Sono contenta che abbiamo avuto ragione a sospettare di lui, ma ora dobbiamo prestare molta più attenzione".
 
Condividendo pienamente il sentimento, la più anziana delle due annuì. "Ti terrò informata sugli sviluppi", assicurò prima di chiudere il collegamento e dirigersi nuovamente verso il salotto, pronta ad informare il Comandante e lieta in minima parte di potergli confermare di non aver sbagliato a continuare a combattere quella battaglia contro i mulini a vento, ma tutto il suo entusiasmo si congelò nel trovarlo con il volto ormai di una sfumatura simile alla Red Coat, mentre gemiti acuti e grugniti continuavano a riempire la stanza. "Non hanno ancora finito?", non riuscì a non chiedere.
 
"Giuro che quando torna, glielo taglio quel dannato uccello che si ritrova", minacciò Yzak, stringendo i pugni così forte che le nocche divennero bianche.
 
"Può anche smettere di ascoltare, signore, Meyrin ha trovato qualcosa", disse allora Shiho, non azzardandosi ad andare a sedersi vicino a lui con certi contenuti scabrosi in atto. Lo vide mutare completamente espressione e guardarla con occhi spalancati. "Garcia ha due conti su PLANT, e uno presso la NSC Bank". Alla menzione dell'istituto terrestre, Yzak perse un po' di colore in viso. "Venerdì scorso ha ricevuto un bonifico di cinquecentomila dollari, e l'ordinante è Hossam Kader".
 
Noto conduttore radiofonico, Kader era un Coordinator di prima generazione sulla cinquantina, la cui storia aveva, ai tempi, stretto i cuori della popolazione dei PLANT per la fuga rocambolesca della sua famiglia, Natural, dalle idee progressiste nei confronti della nuova razza in ascesa, dalla zona di guerra d'origine. A poche miglia da Banadiya.
 
L'albino rimase in silenzio un attimo, poi scoppiò in una risata tesa. "Porca puttana, lo sapevo".

 

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