For ever yours, for ever mine

di Demy77
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** capitolo 13 ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


Il temporale era scoppiato all’improvviso. I due pescatori avevano fatto appena in tempo a trascinare la barca in secca, recuperare le reti con il bottino della giornata e ripararsi in un anfratto tra le rocce. Da lì, con i capelli grondanti d’acqua, intirizziti per il vento sferzante, con la serenità di chi si sente scampato ad una minaccia imminente, osservavano la burrasca che squassava le coste della baia di Falmouth.
Ad un tratto uno dei due esclamò: “Si starà ballando, a bordo del Lucifero!”, puntando con il mento in direzione di un’imbarcazione che era ormeggiata poco più al largo, un battello di medie dimensioni la cui polena riproduceva l’immagine ferina di un demonio dal volto affilato e barbuto.
L’altro rise. La barca beccheggiava pericolosamente tra la spuma, sollevandosi ed inabissandosi ritmicamente, sballottata dai flutti e dal vento. “Tanto, quello lì, non lo ammazza nemmeno la buriana!” – commentò con un certo fastidio, sputando in terra un sigaro smozzicato. Il proprietario dell’imbarcazione non doveva essergli, evidentemente, molto simpatico.
Il primo che aveva parlato convenne con il suo compagno: quell’uomo, il padrone della barca, era un tipo parecchio strano, selvaggio, solitario e fiero; talmente freddo e brutale che il nome che aveva scelto per il suo vascello gli si addiceva proprio! Era arrivato da un paio di mesi sulle coste corniche, a bordo di quella nave dal nome curioso; si vociferava che fosse originario di quelle parti, ma nessuno lo conosceva; pareva avesse combattuto in America, ed infatti in battaglia aveva rimediato una cicatrice a sinistra del volto, poco più in basso dell’occhio, che correva lungo la guancia e gli conferiva un aspetto tetro.  Doveva avere circa trent’anni, era scuro di capelli, di poche parole e stava sempre da solo, eccezion fatta per gli uomini della sua ciurma, che era composta da un pirata scalcagnato di mezza età, da due fratelli, uno smilzo e l’altro più robusto, e da un giovane mozzo che poteva avere 14 o 15 anni. Quella barca – con cui certamente si dedicava al contrabbando, si dissero i due, benché le autorità non lo avessero ancora pizzicato – era anche la sua casa; ci mangiava, ci dormiva, non se ne allontanava mai, se non per concludere qualche affare al porto. Le uniche volte che lo avevano visto in paese era stato al Red Lion, ad imbottirsi di gin. Non si era mai ubriacato, però, al punto da non riuscire a reggersi in piedi; spesso, anzi, lo si era visto salire al piano di sopra, ove si trovavano gli alloggi, per intrattenersi piacevolmente con qualche cameriera. I due pescatori, con malcelato disprezzo, commentarono che alle donne non interessa che un uomo non spiccichi una parola, purché sappia fare altro… e non c’erano dubbi che quell’uomo, nonostante lo sfregio sul viso, fosse uno che alle donne piaceva molto. L’aria di mistero che lo circondava certamente contribuiva al suo fascino. Quale cognome avesse, per esempio, non lo sapeva nessuno. L’unica cosa certa era che si chiamava Ross. La gente del posto aveva preso a chiamarlo “il Capitano”, scimmiottando quelli del suo equipaggio, che si rivolgevano a lui con questo appellativo: non si sa se per il grado militare acquisito in guerra o perché era colui che a bordo del Lucifero dettava legge.
I due tacquero, continuando ad osservare il bastimento sballottato fra le onde, e mentre il vento e la pioggia lo sferzavano impietosamente restarono in silenzio, quasi in segno di rispetto. Al di là di tutto, non si poteva negare che quel Ross avesse un fegato fuori dal comune.
§§§
Nella elegante dimora appartenente da secoli alla famiglia Poldark, Trenwith, il vecchio Charles osservava la pioggia battente sui vetri con le mani conserte dietro la schiena. Era pensieroso, il gentiluomo, quella mattina. Non erano certo gli affari a tenerlo sulle spine: quelli non avrebbero potuto andare meglio. Da generazioni attivi nel settore minerario, i Poldark possedevano diversi giacimenti e davano lavoro alla maggior parte dei minatori della zona. Mentre costoro riuscivano appena a sopravvivere, con salari da fame, il padrone si era arricchito notevolmente negli anni, complice anche l’incapacità della concorrenza ed un paio di congiunture favorevoli: Charles aveva ereditato tutti i beni di famiglia quando il fratello minore, Joshua, aveva disonorato la famiglia fuggendo con una donna di malaffare di origini irlandesi, ed era stato per questo motivo diseredato dal padre; Charles aveva avuto un unico figlio, Francis, e ciò consentiva di mantenere integro quel cospicuo patrimonio.
La principale preoccupazione di Charles era data appunto da quest’unico figlio. Francis era un giovane di circa 25 anni, biondo, delicato, timido. Sebbene Charles lo avesse affiancato a sé negli affari fin dalla giovane età, insegnandogli tutto ciò che sapeva, Francis era un sognatore, un idealista, e spesso si mostrava sprovveduto, incapace di alzare la voce con i sottoposti e di farsi rispettare. L’unico aspetto positivo del suo carattere era che adorava il mondo delle miniere, conosceva a perfezione la tipologia delle rocce e dei metalli e non aveva timore di inoltrarsi anche negli strati più profondi del sottosuolo, quando vi era la speranza di reperire un nuovo filone, insieme a suoi operai.
Era giunto ormai il tempo che il ragazzo prendesse in mano le redini dell’attività di famiglia, prendendo le decisioni come si addice ad un vero capo; con la supervisione del padre, certo, ma assumendosi le responsabilità delle sue scelte. Charles si crucciava perché non era stato capace di allevare il ragazzo come avrebbe voluto; a sua discolpa, però, bisognava considerare che il fanciullo era rimasto orfano di madre ad appena due anni ed era sempre stato molto cagionevole di salute. Per tali motivi il padre non se l’era mai sentita di usare troppa fermezza con lui. Nonostante tutto, Francis era un figlio che aveva dato sempre grandi soddisfazioni: aveva avuto buoni risultati negli studi, dimostrando ai suoi precettori attitudine alla riflessione e all’approfondimento. Quelle doti erano certamente utili quando si dovevano studiare nuove tecniche di scavo, stare al passo con il progresso dei tempi, verificare scrupolosamente i conti. Quello in cui ciò difettava Francis era il polso, la capacità di comandare, ma in fin dei conti era una questione di indole, sulla quale si poteva intervenire fino ad un certo punto.
Charles aveva sempre guidato e consigliato il figlio, ma sapeva di non essere destinato a vita eterna. Era necessario che il figlio trovasse una compagna di vita forte, matura, capace di valorizzare anche i suoi punti deboli. Non vi erano, in zona, molte candidate rispondenti ai requisiti che l’ambizioso gentiluomo si prefiggeva di trovare nella sua futura nuora. Qualcuna era troppo vecchia; qualcun’altra troppo giovane; altre non gli sembravano caratterialmente adatte; altre ancora non avevano il lignaggio opportuno.
Alla fine, la sua scelta si orientò verso Elizabeth Chynoweth. Era una delle ragazze più belle della contea, aveva nobili origini ed un titolo di contessa da trasmettere ai propri figli. Era una ragazza elegante, garbata, ma anche di intelligenza viva e spigliata. L’unico aspetto negativo era che i Chynoweth erano poveri in canna ed Elizabeth, probabilmente, non aveva neppure una ghinea da portare in dote. Questo, però, non costituiva un problema: i Poldark avevano denaro in abbondanza, ed un titolo nobiliare aveva di per sé un valore non trascurabile. La signora Chynoweth, anche dopo la vedovanza, aveva continuato a frequentare gli ambienti che contano ed era anche grazie alle buone relazioni intessute che era riuscita a gestire con decoro le scarse risorse che il marito le aveva lasciato in eredità. Grazie al legame con quella famiglia importante Francis avrebbe potuto consolidare il suo ruolo in società e, perché no, avventurarsi anche in politica, oppure accedere a cariche amministrative e giudiziarie. Chi veniva dal commercio infatti, seppure dotato di potere economico, veniva sempre guardato con una certa diffidenza dagli ambienti più tradizionalisti; meno che mai un semplice proprietario di miniere poteva ambire ad essere ricevuto a Corte!
Invitare la signora Chynoweth a Trenwith per discutere della faccenda uno dei giorni a venire era la cosa migliore da fare, si disse Charles mentre osservava le chiome degli alberi del giardino pericolosamente agitate da quel temporale scoppiato all’improvviso.
Era normale che i matrimoni nelle famiglie di un certo rango fossero organizzati dai genitori dei nubendi; per quanto fosse un genitore piuttosto autoritario, Charles Poldark non era talmente privo di senno da porre il figlio dinanzi al fatto compiuto; decise pertanto di anticipare a Francis l’oggetto delle sue riflessioni.
“Chiamatemi mio figlio, Spencer” – intimò Charles al maggiordomo, dopo averlo convocato con un trillo di campanello.
Quando il padre gli comunicò il nome della fanciulla cui aveva pensato come moglie, Francis sgranò gli occhi e balbettò: “E…E…Elizabeth Chynoweth? Si sposerà con me?”
“Devo ancora discuterne con sua madre, ma che diamine, non penso che si azzardi a rifiutare la proposta! Non esiste partito migliore di te in tutta la Cornovaglia, figliolo!”
Il giovane riccioluto continuava a fissare il padre con poca convinzione, restio a farsi contagiare dal suo entusiasmo. Quando il padre, spazientito, gli domandò la ragione della sua titubanza, Francis spiegò che Elizabeth era certamente una ragazza gradevole e dalla raffinata educazione, ma che di fatto loro due non si conoscevano. Si erano incontrati soltanto in occasione di qualche ricevimento ed avevano scambiato poco più di qualche parola. Lui era un ragazzo molto timido, invece Elizabeth era spigliata, amava conversare e ad ogni festa era sempre al centro dell’attenzione, circondata da un nugolo di giovani corteggiatori. Francis dubitava, dunque, di essere il tipo di uomo che potesse piacerle.
“In realtà, ho sempre trovato più gradevole discorrere con sua sorella Demelza…”- accennò timidamente Francis.
“Sciocchezze!” – esclamò il padre , rammentando a Francis che quella ragazza non era la sorella di Elizabeth, ma soltanto un’orfana, generosamente accolta in casa dal conte Chynoweth. Molti anni prima, in occasione di un viaggio a Londra, il padre di Elizabeth si era imbattuto in questa bambina gracile e sporca, poco più piccola di sua figlia, che chiedeva l’elemosina. Impietosito, l’uomo l’aveva portata a casa come compagna di giochi per Elizabeth. Superando la durezza della moglie - che non faceva che rinfacciargli che si erano messi in casa una stracciona che costituiva solo una bocca in più da sfamare - Jonathan aveva preteso che Elizabeth e Demelza fossero cresciute ricevendo la stessa educazione e godendo delle stesse possibilità. Nonostante gli sforzi del capo famiglia, Demelza agli occhi del mondo non era mai stata considerata alla pari dell’unica figlia legittima: la vera Chynoweth, colei che doveva tramandare i fasti dell’illustre cognome, era la contessina Elizabeth. Demelza veniva considerata solo un’ospite in casa Chynoweth, una sorta di dama di compagnia, una compagna di giochi e di avventure per Elizabeth che non doveva mai farle ombra.
Demelza non era di una bellezza appariscente come quella di Elizabeth, ma aveva una sua grazia e gentilezza nei modi che la rendeva apprezzata da tutti. Sapeva bene che senza la generosità del signor Jonathan sarebbe morta o vissuta in povertà, senza cibo, istruzione, un tetto sulla testa. Per questo, non si doleva di quel suo ruolo comprimario, sempre un passo dietro Elizabeth, e non provava nei suoi confronti né invidia né gelosia. Elizabeth, dal canto suo, tollerava Demelza proprio perché non le sottraeva nulla, anzi la assecondava in tutto e per tutto e a volte la proteggeva anche da qualche ramanzina dei genitori; in cuor suo la considerava una ragazza scialba e poco interessante, ma dopo tanti anni era una presenza nella sua vita cui si era abituata e persino, a modo suo, affezionata.
Charles fece osservare al figlio che la signora Chynoweth non avrebbe mai consentito che Demelza si sposasse prima di Elizabeth.  Correva anzi voce che Demelza avesse avuto vita facile finché il conte Jonathan era rimasto in vita, ma dopo la sua morte la contessa l’aveva relegata in una posizione ancora più marginale in famiglia, impartendole degli ordini quasi come fosse una governante. Non era certo la sposa adatta a suo figlio, sebbene educata come si conviene ad una Chynoweth.
“Non dicevo di volerla sposare, padre… so bene chi è e da dove proviene. Volevo solo dire che ha un carattere molto affabile, mi è sempre stato più facile parlare con lei che con la sorella… ad esempio al ballo dei Linton abbiamo discusso parecchio, perché a nessuno dei due piace ballare, e così…”
Charles lo interruppe e sentenziò che per la buona riuscita di un matrimonio non era necessario che gli sposi avessero un carattere simile; anzi, le diversità erano un fattore fondamentale, perché ognuno dei membri della coppia, reciprocamente, arricchisse l’altro e traesse dall’altro ciò che gli difettava. Inoltre, il figlio non doveva farsi scoraggiare dal fatto che Elizabeth fosse una ragazza molto corteggiata; sua madre non avrebbe mai dato il consenso a che sposasse uno spiantato, e non vi era nessuno nella contea tanto ricco da poter sposare una donna priva di dote.
Alla fine, anche Francis si convinse dei vantaggi di quell’unione e cominciò ad accarezzare l’idea di un matrimonio con l’avvenente contessina dai lunghi capelli castani….
§§§
“Sono stufa di questa pioggia! Stufa!” – sbottò Elizabeth sbattendo i piedi per terra con stizza, lo sguardo rivolto ai balconi offuscati dal temporale. “Avevo voglia di andare a cavalcare sulla spiaggia questa mattina” – aggiunse in tono più pacato, rivolgendosi alla sorella adottiva che era intenta a cucire in poltrona.
“Abbi pazienza, ci andrai domani,– commentò, accondiscendente, Demelza – piuttosto, dimmi su quale abito vuoi che ti applichi questi pizzi che ci ha regalato Miss Hatkinson: su quello viola o su quello rosso?”
Elizabeth lanciò uno sguardo distratto ai due vestiti. “Cosa vuoi che me ne importi, decidi tu – rispose con malagrazia – in ogni caso si tratterà di abiti vecchi rimaneggiati! Possibile che dobbiamo andare alle feste in queste condizioni? Che non abbiamo mai diritto ad un abito nuovo, ad un cappellino, a delle calze di seta? La gente se ne accorgerà che sono abiti fuori moda, già indossati più volte, nonostante tutti i tuoi sforzi di abbellirli con merletti e trine! Come farò a trovare un marito, se a tutti i balli cui partecipo assomiglio ad una pezzente?”
Demelza la fissò con uno sguardo di leggero rimprovero.
“Se non troverai marito, non sarà a causa dell’abito, ma della tua cocciutaggine e del tuo brutto carattere! Sai bene di tutti gli sforzi che fa nostra madre per assicurarci una vita dignitosa. Questi abiti non hanno nulla che non va, e con qualche piccola modifica saranno ancora più graziosi. A te, poi, sta bene tutto, e certamente non sfigurerai…“
Il complimento addolcì la ragazza bruna, che tra i vari difetti aveva quello di essere estremamente vanitosa.
“Mi piacerebbe molto avere del denaro per comprare tutto quello che voglio: vestiti, gioielli, profumi…ma, senza dote, il mio destino sarà quello di restare zitella, oppure sposare un vecchio vedovo brutto e grasso…. come sir Hugh Bodrugan!”- si lamentò Elizabeth.
Demelza ridacchiò. Sir Hugh era davvero brutto e grasso, ed in più aveva la nomea di allungare un po’ troppo le mani sulle fanciulle. Cercò di consolare la sorella: anche se fino a quel momento non si erano fatti avanti dei pretendenti, non era detta l’ultima parola: le cose potevano cambiare, non doveva perdere la speranza. La signora Chynoweth aveva molte amicizie anche a Londra, ed una ragazza bella come Elizabeth avrebbe certamente trovato un marito giovane e degno di lei.
Dopo aver fantasticato sulla possibilità di trasferirsi a Londra grazie ad un buon matrimonio, Elizabeth aveva ritrovato un po’ di buonumore. Concordò con la sorella le modifiche da apportare all’abito rosso, scegliendolo tra i due che Demelza le aveva proposto; poi si allontanò per leggere un libro in biblioteca.
Demelza, rimasta da sola, sospirò. Se Elizabeth era angosciata all’idea di rimanere zitella, lei aveva la certezza che quella sarebbe stata la sua sorte. La signora Chynoweth, alla morte del marito, era stata ben chiara: se fosse riuscita a mettere qualche risparmio da parte, lo avrebbe destinato alla dote di Elizabeth. Aveva rimarcato che Demelza era stata accolta in quella casa e doveva essere grata per aver avuto una vita serena, per essere stata nutrita, vestita, istruita, per aver imparato a leggere, fare di conto, suonare il pianoforte, cavalcare: tutte attività che le sarebbero state precluse se il conte non l’avesse strappata alla miseria in cui si trovava. Di più, però, non poteva chiedere: senza dote e senza prospettive, il suo destino era il convento, oppure un lavoro da istitutrice, a servizio in casa d’altri.
Per questo motivo, fin da quando era piccola, la signora Chynoweth aveva insistito affinché Demelza imparasse a cucinare, a cucire, a svolgere delle attività manuali, anche di giardinaggio. A casa Chynoweth vi era solo una cameriera, Ginny, e per il resto sopperiva a tutto Demelza. Probabilmente, una volta sposata Elizabeth, il destino di Demelza sarebbe stato quello di rimanere a fare assistenza alla signora Chynoweth nella sua vecchiaia, oppure avrebbe allevato i figli della sorella. In alternativa, avrebbe dovuto cercare un impiego come bambinaia oppure come sarta, perché amava molto cucire; ma lontano da Truro, perché sarebbe stato disdicevole che una Chynoweth, sebbene non tale per nascita, lavorasse per mantenersi!
Eppure anche Demelza, come ogni fanciulla della sua età, aveva dei sogni. Le sarebbe piaciuto innamorarsi, incontrare il principe azzurro delle fiabe descritto nei libri della sua infanzia. Nessuno lo sapeva, non si era confidata neppure con Elizabeth, ma da qualche tempo c’era qualcuno che le aveva fatto battere il cuore: Francis Poldark. Si erano incontrati una sera ad un ballo ed avevano trascorso molto tempo insieme, perché a nessuno dei due piaceva ballare. Si erano dunque appartati in un salottino ed avevano avuto una conversazione molto piacevole. Entrambi erano piuttosto timidi e riservati, ma si erano sentiti subito in sintonia. Avevano scoperto di avere delle passioni in comune, la poesia ad esempio, e la musica: Demelza suonava il pianoforte ed amava cantare, mentre Francis aveva studiato violino da ragazzo ed ancora adesso, ogni tanto, si cimentava con qualche brano.
Demelza era stata conquistata dallo sguardo limpido di Francis. Spesso, la notte prima di addormentarsi, ripensava a quegli occhi azzurri e si sentiva battere forte il cuore. Le sarebbe piaciuto rivederlo e parlare ancora con lui, ma la signora Chynoweth non era solita ricevere persone in casa, tranne qualche amica molto fidata o qualche parente, date le note difficoltà economiche. Demelza non osava neppure andarlo a cercare dalle parti delle miniere: che scusa avrebbe potuto trovare? Sarebbe stato inappropriato per una ragazza fare il primo passo, ed inoltre, a che pro? Sapeva bene che si trattava solo di un sogno impossibile, perché non avrebbe mai potuto sposare Francis. Eppure, quel sogno ad occhi aperti era una delle poche cose che la teneva viva…
§§§
Il giorno successivo il sole era tornato a splendere sulla Cornovaglia. La spiaggia recava ancora le tracce della bufera del giorno precedente: rottami di legno, pezzi di metalli arrugginiti, cumuli di alghe trascinati sulla sabbia dai flutti impetuosi. Elizabeth, in sella al suo destriero bianco, percorreva la spiaggia di Hendrawna. I tiepidi raggi dorati, insieme allo sforzo della cavalcata, avevano impresso sul suo viso un bel colore rosato, che faceva risaltare ancora di più i suoi occhi verdi dalle ciglia ricurve. Dopo una bella galoppata la fanciulla teneva ora il passo, godendosi la passeggiata ed il tepore primaverile.
Ad un tratto, poco lontano dalla riva, la ragazza intravide dei marinai che movimentavano casse tra un’imbarcazione e la riva. Avvicinandosi, notò una nave che non aveva mai visto prima. Sulla fiancata sinistra campeggiava una scritta in rosso “Lucifero”, e dalla parte anteriore della prua si protendeva verso il mare una specie di scultura scura, probabilmente di metallo, che raffigurava un mostro barbuto. Pareva a tutti gli effetti una nave pirata; all’uomo con il codino grigio che dirigeva le operazioni sembravano mancare solo un uncino ed una benda sull’occhio, pensò Elizabeth.
Ad un tratto, una voce perentoria, ma al tempo stesso calda e profonda, provenne dal ponte della nave: “Peter! Datti da fare con quelle funi!” – e dopo un po’ si vide un ragazzino magro, agile come una scimmia, issarsi sull’albero maestro e srotolare le vele ad una ad una.
Elizabeth, incuriosita, scrutò in direzione della parte superiore della nave. Fu allora che vide un giovane dai capelli scuri come la pece, di media lunghezza, sciolti, che stava a torso nudo al centro del ponte ed impartiva ordini agli altri che erano di sotto. Non era certo la prima volta che Elizabeth vedeva un uomo a torace scoperto, ma quel giovane dalla posa statuaria aveva in sé qualcosa di magnetico e selvaggio: i capelli sciolti ed ondulati, contrariamente alla moda del tempo che prevedeva per gli uomini di tenere i capelli lunghi legati con un nastro; la spavalderia con cui esibiva quei pettorali al vento, benché non fosse una giornata eccessivamente calda; il coltello infilato nella fusciacca alla vita, come se attendesse da un momento all’altro di doversi cimentare in un duello corpo a corpo.
Mentre Elizabeth lo guardava ammaliata, il giovane marinaio voltò lo sguardo verso di lei, notandola a sua volta. Un sorrisetto malizioso e compiaciuto si dipinse sul suo volto. Elizabeth distolse lo sguardo, imbarazzata, proseguendo comunque la marcia in direzione del Lucifero; cambiare direzione all’improvviso, infatti, avrebbe attirato ancora di più l’attenzione. Intanto, anche gli altri uomini della ciurma scrutarono la graziosa contessina a cavallo; quello più anziano, quello che somigliava ad un pirata, le fece addirittura una riverenza togliendosi il berretto e scoprendo in un sorriso un paio di denti cariati.  Elizabeth rispose timidamente a quel saluto con un cenno del capo. Sentì poi la voce del giovane capitano che diceva: “Mentre voi terminate di caricare, io vado a farmi un bagno!”, frase cui seguì, dopo poco, l’inequivocabile rumore di un tuffo.
Elizabeth si voltò e vide il giovane bruno che dava delle vigorose bracciate nella stessa direzione che lei stava percorrendo a cavallo. Guardando di sottecchi si accorse che l’uomo si dirigeva verso la riva ed emergeva dalle onde, giusto nel momento in cui lei sopraggiungeva a cavallo, tanto da non poter evitare di trovarsi l’uno di fronte all’altra.
“Buongiorno - la salutò Ross, che nel frattempo, notò Elizabeth, non indossava più il pantalone scuro con la fusciacca ed il coltello, ma soltanto un pantalone di tessuto leggero chiaro, che doveva costituire il suo abbigliamento intimo – è raro vedere qualcuno che non sia un pescatore da queste parti… soprattutto una cavallerizza affascinante come voi…”
Elizabeth, sebbene a disagio nel trovarsi davanti un uomo seminudo che le si rivolgeva con tanta sfrontatezza, mostrò di saper gestire la situazione: in fondo, era sempre stata una maestra nel civettare e farsi desiderare dagli uomini, senza concedersi troppo.
“Voi, invece, dovete essere un gran maleducato per presentarvi in questa maniera ad una dama!”
Ross rise.
“Dovete perdonarmi, signorina: come vedete, non ho né l’abito né i modi di un cavaliere. Questo non vuol dire, però, che non conosca anche io la buona creanza. Mi presento: sono il capitano del Lucifero, la nave che avete visto ormeggiata poco più in là. Sono arrivato circa tre mesi fa dal Nuovo Mondo; mi occupo di commercio tra le coste della Cornovaglia ed il nord della Francia. Mi chiamo Ross…e voi, qual è il vostro nome?”
“Elizabeth Chynoweth” – replicò lei con sussiego, stendendogli una mano da baciare, che egli prontamente afferrò appoggiandovi lievemente le labbra, fissandola negli occhi con uno sguardo talmente intenso e sensuale che Elizabeth si sentì improvvisamente avvampare. Fu allora che notò lo sfregio sul viso di Ross, ed assunse un’espressione sconcertata.
“Elizabeth: un nome antico, regale…- commentò lui –  non lasciatevi spaventare dal mio aspetto, miss Elizabeth: posso sembrare un poco di buono, con questa cicatrice in viso, ma in realtà essa è una testimonianza del mio coraggio. Me la sono procurata grazie ad una baionetta nemica in America, ho rischiato quasi di perdere l’occhio… ed il nostro generoso re mi ha ricompensato con un titolo da Capitano! In guerra ho messo da parte il denaro sufficiente per comperare una barca, e così, dopo la disfatta delle nostre truppe, mi sono dato da fare. Avevo sempre sognato di stabilirmi in questa regione dell’Inghilterra, riveste un fascino particolare per me! E voi? Abitate da queste parti? Posso sperare di rivedervi?”
“Chi può dirlo… - insinuò lei, civettuola – ma, se voi viaggiate per commercio, come dite, potrebbe essere difficile rincontrarci…”
Ross rispose che sarebbe partito di lì a poco per una consegna da effettuare in zona e che sarebbe tornato già in serata. Solo dopo qualche giorno sarebbe poi ripartito per la Francia. Le chiese se era mai stata su una barca: c’erano delle calette pittoresche poco distanti che si potevano ammirare solo dal largo e disse che gli avrebbe fatto piacere mostrargliele.
Elizabeth rispose che il mare le piaceva molto, ma che le incuteva anche un certo timore, quando era agitato.
“Con me non dovrete temere nulla – disse Ross – e poi non preoccupatevi: dopo la furia degli elementi cui abbiamo assistito ieri, ci attendono dei giorni di bonaccia”.
Elizabeth lo salutò con fredda cortesia, con il pretesto di dover rientrare presto a casa dove la attendevano, e non promise nulla; in cuor suo, però, decise che sarebbe tornata presto su quella spiaggia. Non sapeva dire il perché, ma quel Ross aveva qualcosa di irresistibile. Era come una fiammella accesa intorno alla quale le sue ali da farfalla vorticavano impazzite, incuranti del pericolo di bruciarsi.

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


“E’ molto grave, dottore?” Il medico, un tipo altezzoso e scostante con una ridicola parrucca grigia sul capo, scrutò il preoccupatissimo Francis dal retro del pince nez con uno sguardo truce; senza scomporsi, proseguì nella visita del paziente.
“Sapreste elencarmi tutto ciò che ha mangiato vostro padre ieri, signor Poldark?”
Francis snocciolò il menu del pranzo e della cena precedente, tutte le pietanze che avevano consumato entrambi, ma aggiunse che il padre era molto goloso e lui non poteva sapere se di nascosto aveva mangiato dell’altro. Nel frattempo il malato si dimenava, in preda ai dolori addominali ed alla febbre; ammise che aveva ingurgitato una spropositata quantità di cioccolatini al liquore, e per questo dovette subire anche i rimproveri del medico, che gli ricordò come alla sua età era il caso di osservare una dieta ferrea, altrimenti il cuore, il fegato e i reni non avrebbero retto a lungo.  A differenza del figlio, che aveva una corporatura esile, il capostipite dei Poldark era infatti pingue, con un addome prominente, e non era la prima volta che andava soggetto a patologie dello stomaco o dell’intestino ogni qual volta eccedeva nei piaceri della tavola.
Alla fine della visita il medico sentenziò che doveva trattarsi di un’intossicazione alimentare; gli prescrisse delle cure – oltre ad un’alimentazione leggera per almeno una settimana – ed assoluto riposo per lo stesso periodo.
“Ma io devo vedere la signora Chynoweth!” – si lamentò Charles, cercando di drizzarsi dai cuscini, sui quali ricadde pesantemente a causa della mancanza di forze.
“Andiamo, padre, calmatevi – gli disse il figlio, accomodandogli con premura i guanciali dietro la schiena – dovete riguardarvi, come ha detto il dottore! Un po’ di pazienza e starete presto di nuovo in piedi; con la signora Chynoweth parlerete non appena vi sarete ristabilito! Si tratta di attendere solo una settimana: che differenza potrà mai fare”?
§§§
Era trascorso appena un giorno da quell’incontro fortuito sulla spiaggia, ma Elizabeth ne era rimasta tanto colpita che smaniava per replicarlo. Dopo la morte del padre ed il licenziamento di quasi tutta la servitù le due sorelle Chynoweth non avevano uno chaperon che le accompagnasse nelle loro uscite; per questo motivo, giocoforza, godevano di un discreto grado di libertà. Il fatto che le ragazze uscissero in coppia, ed in particolare la presenza della più giudiziosa Demelza, era un elemento che tranquillizzava la signora Chynoweth, che non poneva troppe domande sulle attività delle ragazze. Quel giorno, per di più, la madre era attesa ad Illugan per un evento di beneficenza, e non sarebbe tornata a casa che dopo il tramonto. Prima che uscisse, quando la madre chiese alle figlie come avrebbero occupato la giornata, Elizabeth rispose che avrebbero fatto una passeggiata sulla spiaggia a cavallo e che sarebbero rientrate per pranzo. Quando però la signora se ne fu andata, Elizabeth supplicò la sorella di “coprirla”, perché la verità era che voleva uscire da sola e non sarebbe, forse, neppure rientrata per pranzo. Elizabeth, per quanto vivace e capricciosa, non era solita fare richieste del genere e Demelza la interrogò sulle sue intenzioni, rifiutandosi di mentire alla madre a causa sua senza conoscerne neppure il motivo. Elizabeth non voleva rivelare alla sorella del suo incontro del giorno prima con l’affascinante capitano del Lucifero; era qualcosa che al momento voleva tenere per sé. Cercò di trovare una scusa plausibile. “Voglio andare sulla spiaggia a cavallo, davvero; ti assicuro che non c’è nessun mistero e che non ho intenzione di fare niente di avventato. Che male c’è nel desiderare un po’ di libertà? Siamo sempre rinchiuse qui dentro, senza poter vedere nessuno…”
Demelza obiettò che non erano affatto rinchiuse, che non più tardi di tre giorni prima erano state a casa dell’amica Ruth Teague e che la spiaggia di Hendrawna non era propriamente un luogo per fare conversazione.
Elizabeth colse la palla al balzo. “Infatti non devo incontrare nessuno, ma ieri c’era una luce talmente affascinante sulla spiaggia che ho voglia di tornarci e fare un disegno con i miei pastelli; so che tu hai altro da fare qui in casa e che ti annoieresti a seguirmi nel mio vagare senza meta…”
Demelza, in effetti, dopo la pioggia di due giorni prima aveva intenzione di dedicarsi a sistemare il giardino. Cercò di far notare alla sorella che la madre si sarebbe accorta, trovando le aiuole in ordine, che Demelza era rimasta in casa tutto il tempo e avrebbe rimproverato Elizabeth per la sua bugia. La maggiore delle due fanciulle, però, non si scoraggiò ed insistette così tanto che Demelza alla fine la lasciò andare, promettendo di mantenere il segreto.
Una volta arrivata sulla spiaggia in sella al suo cavallo, Elizabeth vide il Lucifero ormeggiato al largo e cominciò a percorrere la riva, sperando di essere notata da chi era a bordo. Dopo aver fatto numerosi giri in tondo, di tanto in tanto lanciando sguardi speranzosi verso il battello, notò una scialuppa che si dirigeva verso la riva. Era Ross che remava a larghe bracciate. Appena fu abbastanza vicino alla ragazza, le rivolse un ampio sorriso.
“Elizabeth! Non avete perso tempo a tornare a trovarmi!” – le disse sornione.
Concordarono di legare il cavallo della fanciulla ad un tronco d’albero poco distante per potersi dedicare comodamente alla loro traversata per mare. Ross aiutò Elizabeth a salire sulla scialuppa e remò fino a raggiungere una caletta poco distante, nascosta tra gli scogli e visibile solo da mare, in quanto priva di collegamenti con la terraferma. Si trattava, infatti, di una stretta lingua di terra incastonata tra due alti costoni rocciosi. La spiaggia era talmente ristretta che vi era appena lo spazio per tirare in secca la barca senza che le onde la raggiungessero.
“Che cosa preferite, Elizabeth? Fare il bagno, oppure esplorare la grotta?”, ed indicò uno spazio oscuro che si apriva tra i due costoni.
Elizabeth sbottò, scandalizzata, che non poteva fare il bagno vestita e che non era neppure la stagione più adatta per farlo. Ross rise. “E’ ovvio che il bagno non si fa con i vestiti. Immagino che abbiate un corsetto, sotto l’abito, e dell’abbigliamento intimo. C’è poi anche chi preferisce fare il bagno completamente nudo. Sarebbe una bella idea, visto che non c’è anima viva qui, a parte noi due!”.
“Siete uno screanzato! – sbottò Elizabeth, imbarazzata e risentita. Quell’uomo aveva il potere di metterla a disagio come non era stata mai in vita sua – come osate propormi qualcosa di così indecente?”
Ross rispose che stava solo scherzando e che, affinchè la ragazza non dubitasse delle sue buone intenzioni, sarebbero rimasti sulla sabbia ad osservare la placida distesa del mare e scambiare due chiacchiere. Elizabeth acconsentì. Ross le chiese qualche notizia di sé: dove viveva, se aveva parenti, se era sposata. Elizabeth gli rispose che viveva in una tenuta chiamata Cusgarne, ereditata dal suo trisavolo, conte di Chynoweth, con sua madre e sua sorella; gli raccontò della recente morte del padre e delle ristrettezze economiche in cui erano costrette a vivere. L’unica speranza per risollevarsi dalla miseria poteva essere un buon matrimonio, ma la ragazza aggiunse che non credeva avrebbe trovato un pretendente tanto presto, visto che la madre non aveva una dote da darle.
“Le vostre usanze sono molto bizzarre – commentò Ross – nel vostro ambiente una donna, per potersi sposare, deve pagare; io invece, pur di avere una donna come voi al mio fianco, sarei disposto a dare via tutto quello che ho….”
Elizabeth incassò il complimento facendo vibrare in maniera prolungata e vezzosa le lunghe ciglia. “Parlate come se apparteneste ad un altro mondo, ad una società con regole diverse dalle nostre: da dove venite, Ross?”
Fu subito chiaro, durante la conversazione, che Ross non amava tanto parlare di se stesso. Raccontò che era nato in Cornovaglia, ma sua madre era morta poco dopo averlo dato alla luce ed anche suo padre era morto quando lui era molto piccolo; che aveva ricevuto cure ed istruzione grazie alla generosità di un vecchio amico di suo padre; che da bambino era vissuto per lo più tra il Devon e la città di Londra, ma all’età di 17 anni si era arruolato per combattere con le truppe inglesi in America. L’esperienza della guerra era stata quella che più lo aveva segnato, non solo fisicamente, ma anche nello spirito. Uno spreco di tempo, soldi e vite umane, questo era la guerra. La gestione oculata delle paghe ottenute nel periodo bellico gli aveva consentito di acquistare il Lucifero, come le già aveva spiegato il giorno prima; con esso aveva viaggiato molto, soprattutto in Francia del Nord, ma si era spinto anche più lontano, verso i Paesi Bassi. Parlarono un po’ dei suoi viaggi, dei posti che aveva visitato e del fatto che le donne più belle al mondo erano le italiane. “Non sono belle quanto voi, però!” aveva aggiunto Ross, al che Elizabeth aveva commentato che raramente aveva conosciuto uomini sbruffoni come lui. Ross rispose che aveva il difetto di dire sempre ciò che pensava, per questo non sopportava le ipocrisie della cosiddetta gente perbene, che nascondeva i propri peccati o i propri pensieri impuri dietro una maschera di rispettabilità, spesso ottenuta grazie al denaro, neppure conquistata onestamente. Aveva avuto brutte esperienze nella vita con tale classe di persone, e per questo era sempre guardingo e cauto negli affari, nonostante ciò gli avesse procurato una cattiva nomea di uomo scontroso ed intransigente.
Proseguì dicendo che era sciocco negare che Elizabeth gli piacesse, e molto; nei suoi confronti si era mostrato con sincerità per quello che era, senza finzioni: spettava a lei, ora, decidere se tenersene alla larga oppure considerarlo “un amico, e fedele servitore”, parole che Ross accompagnò con un perfetto baciamano.
Elizabeth non riusciva a celare la sua attrazione per quella sorta di pirata gentiluomo. Al tempo stesso, era consapevole che quell’uomo non poteva offrirle nulla: non poteva accompagnarla in società, meno che mai avrebbe potuto garantirle un fidanzamento o delle nozze prestigiose. Era combattuta fra il desiderio di scoprire di più di lui ed il timore che, una volta spintasi troppo in confidenza, sarebbe stato difficile tornare indietro. Per il momento decise di sfruttare al massimo il piacere della sua compagnia e gli propose, prima di rientrare a terra, di esplorare la famosa grotta. Si trattava di uno spazio non eccessivamente profondo – quanto meno la parte illuminata dalla luce esterna – al centro del quale il gioco delle maree aveva creato una pozza d’acqua. Ross spiegò che secondo una leggenda raccontatagli da gente del luogo quell’acqua, un tempo più estesa e più profonda, era stata benedetta da san Sawle e per questo motivo la grotta veniva considerata una specie di pozzo dei desideri.
“Avete un desiderio che volete si avveri, Elizabeth? Pensateci, chiudete gli occhi e non pronunciatelo a voce alta. Io farò lo stesso”.
Elizabeth disse che si trattava di sciocche superstizioni e dubitava che quell’acqua avesse il potere di tramutare i desideri in realtà.
“Perché siete così scettica? Io, invece, credo che il mio desiderio abbia buone probabilità di avverarsi presto…” – aggiunse l’uomo.
Si rimisero in barca e ritornarono nel punto in cui avevano lasciato il cavallo. Dovevano essere trascorse non più di due ore. Ross si scusò per non potersi trattenere oltre, ma strappò ad Elizabeth la promessa di tornare l’indomani e pranzare insieme sul Lucifero. La sua ciurma l’avrebbe allontanata con una scusa, sarebbero stati da soli. Era l’ultima occasione per vedersi, poiché il giorno ancora seguente Ross e i suoi sarebbero partiti per la Francia e sarebbero tornati dopo una settimana.
Nell’accingersi ad aiutare Elizabeth a montare a cavallo Ross, che stava alle sue spalle, la prese per la vita, facendola sobbalzare per quel gesto ardito. Si voltò verso di lui, e fu in quel momento che il giovane, tenendola sempre con le mani per la vita, la avvicinò a sé e piegò il suo viso verso quello della ragazza, sfiorando le sue labbra in un bacio che da tenero divenne sempre più esigente….
Elizabeth non aveva mai baciato un ragazzo. Aveva flirtato con parecchi suoi coetanei, ma non aveva mai concesso loro troppo. Qualche bacio sulla guancia, al massimo; qualcuno era stato abbastanza audace da sfiorarle il lobo dell’orecchio o il collo con le labbra. Solo una volta il giovane Warleggan, il figlio del più ricco banchiere del contado, le aveva strappato un bacio sulle labbra, anzi una serie di baci, che le avevano dato l’impressione che lui volesse sbocconcellarla come se si trattasse di un tozzo di pane! Non ne conservava, insomma, un ricordo piacevole. Il bacio di Ross era qualcosa di completamente diverso: era intenso, ammaliante, talmente piacevole che Elizabeth da principio vi aveva corrisposto… poi tornò in sé, rammentando che non era un comportamento appropriato per una ragazza della sua classe. “Ross, vi prego, smettetela… - esclamò turbata -  non è proprio il caso…”
Ross si scusò, ma a modo suo, ribadendo che lui agiva sempre d’istinto e faceva sempre ciò che voleva; in più aveva avuto ragione, poco prima, a dire che il suo desiderio si sarebbe avverato presto. A quel punto, non poté che strappare un sorriso ad Elizabeth, che lo definì “incorreggibile”.
Fu così che la tensione fra di loro si stemperò, e si salutarono da vecchi amici, dandosi appuntamento all’indomani.
Elizabeth riuscì ad eludere ancora una volta i controlli della madre e di Demelza, adducendo, questa volta, il pretesto di dover andare a pranzo dai Teague; si sarebbe incaricata successivamente di mettere sull’avviso l’amica Ruth e non farsi smascherare. Il gusto del proibito che aveva tutta quella faccenda, il mare, il sole, il fascino di quel ragazzo bruno che l’aveva scombussolata quanto mai nessuno prima di allora, era tutto così eccitante che valeva la pena rischiare la ramanzina della madre, oppure dover inventare qualche altra bugia con quella bacchettona di Demelza, che certamente non avrebbe approvato il comportamento della sorella.
Per pranzo Ross aveva fatto preparare, nella modesta cucina del Lucifero, del pesce arrosto e un’insalata di patate lesse; cibo semplice, da gente di mare, si giustificò lui, che sembrava  rimarcare che su quella barca non si servivano i cibi raffinati cui doveva essere abituata la contessina.
Elizabeth smentì quel pregiudizio, affermando che dopo la morte del padre in casa loro era rimasta a lavorare solo una cameriera, Ginny, che si adattava anche a cucinare, con l’aiuto della sorella Demelza. Elizabeth non ritenne opportuno spiegare che si trattava di una sorella adottiva, perché era certa che il capitano avrebbe trovato da ridire sul trattamento riservato all’orfana accolta in famiglia, inferiore a lei per nascita. Preferì lasciare ad intendere che la sorella minore svolgesse di buon grado le mansioni domestiche, anzi che la madre avesse educato entrambe le figlie allo stesso modo, e che lei stessa era una brava donna di casa.
Ross intuì che doveva trattarsi di una piccola bugia, infatti ironizzò sul fatto che gli avrebbe fatto comodo una massaia a bordo, soprattutto per lavare le stoviglie o il bucato della ciurma, e che un giorno o l’altro avrebbe potuto mettere alla prova le qualità di Elizabeth!
Già prima del pranzo i due giovani erano passati a darsi del tu. Dopo essersi baciati sarebbe stato stupido il contrario; era però un patto implicito, perché nessuno dei due sembrava voler fare cenno a quanto accaduto il giorno precedente. Chiacchierarono amabilmente, per lo più rievocando buffi episodi riguardanti la ciurma, cosicché a fine giornata Elizabeth era in grado di inquadrare perfettamente ciascuno dei membri dell’equipaggio come se li conoscesse di persona: il vecchio Tholly, i due fratelli Paul e Mark, ex minatori, il piccolo mozzo Peter, riscattato dalla miseria nel porto di Plymouth e da allora vissuto sempre al fianco del capitano. Risero e brindarono con qualche bicchiere di porto, anche se Elizabeth aveva precisato di non essere troppo abituata a bere. Quel pizzico di alcol in corpo e le risate avevano reso le sue gote ancora più rosee ed i suoi occhi lucidi e brillanti come perle. Era bella ed era felice, Elizabeth, in quel momento si sentiva viva come non mai.
Ross le fece esplorare ogni angolo della nave: il ponte di coperta, la prua, la poppa, la stiva, in cui già erano ammassate numerose casse di legno per il viaggio dell’indomani. Giunsero infine dinanzi alle varie cabine dell’equipaggio, e Ross le mostrò la sua. Si trattava di una stanza estremamente semplice, con un tavolaccio di legno ricoperto di carte nautiche, una boccetta d’inchiostro con calamaio, un libro con rilegatura spessa (che doveva essere il giornale di bordo, pensò Elizabeth) ed un cannocchiale.  Accanto v’era una sedia sulla quale erano stati gettati in maniera disordinata un gilet ed un pantalone; in un angolo, una brocca smaltata con un bacile e del sapone. Due oblò davano luce all’ambiente, e proprio davanti agli oblò una misera cuccetta con un cuscino basso, ricoperta soltanto da un lenzuolo di tela grezza, di colore chiaro.
“Quindi ogni notte, prima di addormentarti, guardi il mare” – disse Elizabeth.
“Sì, ma non è romantico come può sembrare. Il più delle volte sono talmente stanco che crollo a letto vestito. Come puoi notare, non c’è molto spazio, il mio giaciglio non è particolarmente comodo!
Elizabeth gli diede una risposta distratta, dicendo sostanzialmente che concordava con lui, doveva essere difficile prendere sonno su un letto così duro e scomodo.
In realtà, non riusciva a smettere di pensare che su quella stoffa ruvida, di infimo valore, Ross stendeva il proprio corpo nudo; le sembrava quasi di percepire nell’aria l’odore di quella pelle maschile, l’odore del sale misto a sudore al termine di ogni giornata di lavoro per mare; ripensò al bacio del giorno precedente ed immaginò di essere lei stessa in quella stanza con Ross a torso nudo, con la luce della luna che penetrava dai due oblò ed illuminava debolmente la stanza, e lui che la stringeva a sé con passione….
La forza di quelle immagini, che sembravano vive e reali davanti ai suoi occhi, costrinse Elizabeth a sedersi sul letto. Cosa le stava accadendo? Come poteva fare quel genere di pensieri con riguardo ad un uomo appena conosciuto?
Ross le domandò se stesse bene, lei disse che aveva avuto un leggero capogiro e chiese un bicchier d’acqua. Mentre lui andava a prenderglielo, cercò di calmare i battiti del suo cuore. Ripensò alla sua solitudine, all’ansia di vivere, di essere amata, tutte cose di cui non riusciva a godere appieno nel suo mondo di tutti i giorni. Nelle rare occasioni in cui partecipava a qualche festa, c’erano, sì, dei ragazzi che la corteggiavano, ma con loro intratteneva conversazioni banali e non aveva mai incontrato qualcuno che le piacesse davvero. Tutti così educati, vuoti, imbalsamati… Ross era diverso da chiunque altro, conduceva una vita libera e selvaggia, e sentiva che non l’avrebbe giudicata come una ragazza di facili costumi se l’avesse baciato di nuovo. Ross viveva secondo regole proprie ed apprezzava chi, come lui, aveva il coraggio di ribellarsi alle convenzioni. Elizabeth immaginò, con orrore, di dover baciare un uomo come sir Bodrugan, di dover andare a letto con lui… se questa era la sua unica prospettiva, tanto valeva divertirsi con un uomo giovane e bello…
In quel momento rientrò Ross. Elizabeth bevve l’acqua a piccoli sorsi e disse che si sentiva già meglio. Ross si sedette sul letto di fianco a lei.
“Sei sicura di sentirti bene? Vuoi che ti riaccompagni a casa?” – le chiese premuroso.
“No, no, davvero, sto bene, grazie” – rispose la ragazza.
“Elizabeth – disse Ross prendendole le mani – prima che termini questa giornata vorrei chiederti una cosa. In questi giorni siamo stati bene insieme, ci siamo mostrati per quelli che siamo l’uno all’altra, senza finzioni. So che tu sei una contessa ed io sono solo un marinaio di modesta condizione, senza famiglia, senza un cognome altisonante da offrire. Ma se, per assurdo, io diventassi abbastanza ricco da potermi permettere una vita come quella che tu desideri, con una bella casa, abiti, gioielli, accetteresti di sposarmi?”
Elizabeth balbettò: “Io…”
Ross la sollevò dall’imbarazzo. Disse che comprendeva che quella domanda poteva averla lasciata interdetta; lui stesso non riusciva a spiegarsi come fosse possibile che quella donna gli fosse entrata nel cuore come una freccia, all’improvviso, così in profondità; e dire che di donne, lui, ne aveva avute tante! Eppure era quello che sentiva, ed aveva bisogno di sapere se Elizabeth provava i suoi stessi sentimenti. Come le aveva già spiegato, che non avesse dote non gli importava nulla. Elizabeth, dal canto suo, pensò che sua madre si sarebbe ripresa dal colpo di vederla andare sposa ad un marinaio dalla dubbia fama, se questi fosse stato davvero ricco e disposto ad accettarla anche in mancanza di dote. Dubitava che Ross potesse divenire ricco da un giorno all’altro, a meno di non commettere un furto; però in fondo, cosa le costava rispondere di sì?
“Se quello che tu dici si realizzasse davvero … se riuscissi a guadagnare tanto denaro da mantenerci, senza che tu debba più viaggiare per mare, se mi garantissi tutto ciò che mi hai appena promesso, perché non dovrei sposarti?” – rispose lei, raggiante.
Ross le prese il viso e la baciò, stringendola a sé.
“Aspetta! – le disse ad un tratto. Rovistò in un cassetto e ne trasse un cerchietto di metallo molto semplice.
“Posso considerarti la mia fidanzata, in attesa di regalarti un anello vero, come Dio comanda?” – disse, infilandole all’anulare sinistro il disadorno monile.  
Elizabeth sorrise, e gli gettò le braccia al collo. Fu lei a ricercare le sue labbra per prima, ma lasciò che fosse lui a guidare il bacio nella maniera sensuale di cui era capace.
Seduti vicini su quello scomodo lettuccio, i baci si susseguirono uno dopo l’altro senza più freni. L’euforia di quel momento rese Ross sempre più audace ed Elizabeth sempre più malleabile cera fra le sue mani.
Ben presto, le maniche del vestito che Elizabeth indossava calarono, lasciando scoperte le spalle, esposte ai baci di Ross. Il vestito stesso, su quella stretta tavola di legno che costituiva il letto, divenne d’ingombro. Ross si sfilò la camicia ed allentò i lacci del corpetto della ragazza, da cui, a causa del respiro affannoso, debordarono due seni candidi. Ross li afferrò con decisione tra le mani, mentre Elizabeth, in preda a sensazioni sconosciute, incarcò d’istinto la schiena, lasciando che Ross affondasse la testa sul suo petto.
Distesi l’uno sull’altra, con la passione che diveniva più prepotente ad ogni bacio e ad ogni carezza, Elizabeth dimenticò completamente chi fosse e persino come si chiamava. Quando ritrovò la lucidità, era completamente nuda sotto il lenzuolo, distesa di fianco ad un Ross altrettanto discinto, che le accarezzava dolcemente un fianco, muovendosi sensualmente in direzione del suo punto più intimo che aveva appena violato.
“Adesso sei mia davvero – le sussurrò all’orecchio – spero che non te ne sia pentita… sta’ tranquilla, non sono così incosciente, sono stato attento, non rischi di ritrovarti con un piccolo me fra i piedi!”, poi aggiunse: “Parlo sul serio, Elizabeth, non avrei mai voluto mancarti di rispetto, ma sei meravigliosa, ed averti qui così vicina, sfiorare la tua pelle morbida.. io… non potevo resistere!”
Elizabeth lo tranquillizzò: tutto ciò che era accaduto in quella stanza, lo aveva voluto anche lei. Inoltre, non era stato come concedersi a chiunque, visto che lui le aveva proposto di sposarla!
“Ross, dimmi una cosa: come pensi di mantenere la promessa che mi hai fatto? Come pensi di diventare ricco in così breve tempo?”
Ross sospirò. “Ieri ti ho detto una piccola bugia. Il nostro viaggio per la Francia… non sarà per pochi giorni. C’è una persona, di cui non posso farti il nome, con cui ho deciso di collaborare. Devo effettuare numerose consegne per conto suo; se andranno a buon fine, mi darà molto denaro e mi affiderà altri incarichi; secondo i miei calcoli, basteranno pochi mesi per diventare ricco sfondato. È un’attività, però, non priva di rischi, dobbiamo essere prudenti…”
“Contrabbando” – fece lei, e Ross annuì.
“Quanto tempo starai via?” – domandò Elizabeth.
Ross non ebbe il coraggio di fissarla negli occhi. “Almeno due mesi” – mormorò, rivolto al mare.
Elizabeth emise un gemito disperato.
Ross rispose che non importava che non si vedessero un mese, o due, o anche tre: lei ormai gli apparteneva, ed aveva promesso di sposarlo!  
“Giuramelo, Elizabeth: giura che mi aspetterai, qualunque cosa accada!”
“Te lo giuro, Ross!” – rispose la ragazza, gettandogli le braccia al collo, con l’unico desiderio di essere amata ancora, fino all’ultimo respiro, fino all’ultimo istante che quel giorno concedeva loro.

 

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Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


Charles Poldark e la signora Chynoweth trattarono il tema del matrimonio dei loro figli da affaristi navigati. Charles si era rimesso in salute, complice anche la dieta rigorosa del dottor Choake che gli aveva fatto perdere un po’ di peso, conferendogli un aspetto meno torpido. Nei giorni di convalescenza aveva imparato quasi a memoria il discorsetto da fare, pertanto, quando erano finalmente riusciti ad incontrarsi nel suo studio di Trenwith, aveva esposto alla signora i vantaggi di quell’unione in maniera così convincente da far impallidire il miglior avvocato di Truro per la sua oratoria.
La vedova di Jonathan, dal canto suo, era una donna furba. Gongolava all’idea di quel matrimonio, la cui proposta era giunta inaspettata proprio in un momento in cui la situazione finanziaria della sua famiglia iniziava a destare preoccupazioni; non poteva però mostrarsi troppo propensa alla cosa, per non dare l’impressione che lei, e soprattutto la figlia, fossero all’ultima spiaggia. Rispose a Charles, con estrema diplomazia, che non avrebbe mai imposto alcun matrimonio a sua figlia e che il futuro sposo avrebbe dovuto trovare il suo gradimento, i due giovani avrebbero quindi dovuto frequentarsi per qualche tempo e verificare le loro affinità prima di unire le loro vite in un vincolo indissolubile. Charles non ebbe nulla da obiettare, anche se tenne a precisare che Francis aveva già manifestato un grande apprezzamento per Elizabeth ed era certa che quest’interesse si sarebbe rivelato reciproco; non perché fosse suo figlio, ma Francis aveva mille qualità che non potevano lasciare indifferenti alcuna fanciulla dotata di un minimo di sensatezza.
Quando la signora Chynoweth riferì ad Elizabeth della proposta di matrimonio di Francis erano trascorsi sei giorni da quando la ragazza aveva salutato Ross. Durante quei giorni aveva più volte pensato a lui, rigirandosi al dito l’anellino che le aveva donato, che però di solito teneva occultato in fondo ad un cassetto, perché diversamente avrebbe dovuto dare spiegazioni a madre e sorella.
Ripensava a Ross e a quello che c’era stato fra loro, ripensava anche alla sua proposta di matrimonio, che forse era stata troppo avventata ad accogliere con tanto entusiasmo. Le aveva promesso di cambiare vita, di diventare ricco, ma restava pur sempre un orfano dalle dubbie origini, un uomo impresentabile in società, un contrabbandiere, un avventuriero, non propriamente il genere di persona con cui una fanciulla di buona famiglia desidera trascorrere tutta la vita. La passione, scoppiata con la veemenza di un temporale, avrebbe potuto svanire altrettanto all’improvviso, lasciandola con un mucchio di cenere fra le mani.
All’udire la notizia che, dopo mesi in cui si era tormentata nell’incertezza, un giovane l’aveva chiesta in sposa, e non un giovane qualsiasi, ma uno dei più ricchi della contea, Elizabeth si sentì mancare. Se solo fosse accaduto una settimana prima! Se fosse accaduto prima di conoscere Ross e di diventare donna fra le sue braccia! Solo in quel momento giunse a comprendere di aver commesso una tremenda imprudenza. Se avesse sposato Francis, questi si sarebbe accorto di non essere il suo primo uomo. Come avrebbe potuto giustificare la sua condotta? Passare per una donnaccia sarebbe stato intollerabile! Il marito l’avrebbe ripudiata e le ragioni sarebbero divenute di dominio pubblico. Quello che Elizabeth temeva di più era essere oggetto di pettegolezzi, di maldicenze, essere additata quando camminava per strada, essere trattata come un’appestata, esclusa dagli inviti dalle persone che contano. D’altro canto, il matrimonio “riparatore” con colui che si era preso la sua illibatezza era una soluzione ancora peggiore. Rifiutare un Poldark per sposare un pirata l’avrebbe messa sulla bocca di tutti, e sua madre non lo avrebbe mai consentito. Doveva trovare una soluzione, e in fretta.
La madre riferì ad Elizabeth di aver preso tempo, con il pretesto di dover sentire la sua opinione e la figlia non potè che approvare la sua scelta. Aveva bisogno di tempo per verificare come sistemare la questione con Ross. Magari lui non sarebbe tornato ricco dal suo viaggio, onde, per forza di cose, la sua balzana idea matrimoniale avrebbe dovuto essere accantonata; forse, parlandogli con calma, lui avrebbe capito la situazione, nulla vietava che continuassero ad essere amanti anche se lei avesse sposato Francis; oppure poteva fingere di accettare il fidanzamento con Poldark e se Ross fosse davvero ritornato ricco avrebbe valutato il da farsi. Per il momento, tenere il piede in due scarpe era la soluzione migliore.
Francis non la entusiasmava: aveva un viso da bambolotto inespressivo, era timido da far paura ed Elizabeth pensò che una vita intera con lui sarebbe stata estremamente noiosa. Intanto, però, era opportuno trarre i massimi vantaggi da quella situazione in attesa degli sviluppi. La madre infatti aveva detto che Charles Poldark aveva lasciato intendere che una volta formalizzato il connubio, né lei né Demelza avrebbero più dovuto preoccuparsi di nulla; forse il padre di Francis avrebbe addirittura garantito una modesta dote a Demelza, affinchè la vedova Chynoweth potesse trascorrere serena la vecchiaia, sapendo sistemate entrambe le ragazze.
La proposta di Charles Poldark, come era ovvio, fu comunicata anche a Demelza dall’euforica signora Chynoweth. La giovane cercò di sorridere, mostrando di condividere l’entusiasmo della madre anche per gli aspetti che la riguardavano personalmente, ma in cuor suo si sentiva morire. Era consapevole che Francis non avrebbe mai potuto essere suo, ma addirittura, fra tante ragazze, sposare proprio sua sorella… in tal modo avrebbe dovuto vederlo continuamente, sarebbe stata costretta ad assistere alle loro effusioni e tenerezze, avrebbe dovuto crescere i loro figli… Francis sarebbe stato di Elizabeth, avrebbero fatto l’amore , generato dei figli…Demelza sarebbe stata, per lui, solo una sorella acquisita da trattare con amabilità e senso di protezione, ma null’altro… come avrebbe fatto a sostenere il suo sguardo? A parlare con lui senza arrossire, senza tradire i sentimenti che nutriva? E come nasconderli ad Elizabeth, a sua madre? Pensò che sarebbe stato preferibile allontanarsi per sempre, subito dopo il matrimonio, e se possibile anche prima. Con quale scusa, però?
Mentre a Cusgarne accadevano tutte queste cose, in casa di sir Francis Bassett, governatore della contea, si stava svolgendo una riunione con il capo delle guardie ed i magistrati del tribunale di Truro. Il responsabile delle forze di polizia stava riferendo dei progressi nelle indagini per la repressione del contrabbando. In particolare, riportava alle autorità che negli ultimi mesi si era notato un incremento di sbarchi nei porti della zona e numerosi giovani del luogo avevano addirittura abbandonato il lavoro nelle miniere per essere assoldati come marinai, anche se privi di esperienza. Il gendarme riferì che la maggior parte delle navi in questione era diretta o proveniva dalla Francia; si ipotizzava, quindi, che vi fosse un florido smercio illegale, all’apice del quale vi era probabilmente un certo Joseph Trencrom. Il suo  nome era giunto alle orecchie dei tutori dell’ordine  tramite una soffiata , ma non vi era alcuna prova contro di lui. A quanto pareva Trencrom soleva avvalersi di golette di medio-piccole dimensioni, cui affidava carichi di rum e di tabacco da trasportare al di fuori del regno; era probabile, però, che si trattasse di imbarcazioni munite di sofisticati sistemi di doppio fondo, perché per quanto si fosse cercato non era mai stata trovata merce di contrabbando a bordo di nessuna delle barche ispezionate. Trencrom doveva avere anche dei basisti in zona, probabilmente cittadini apparentemente rispettabili che si prestavano, dietro compenso, a trattenere la merce in casa loro in attesa del momento giusto per l’imbarco.
Bassett esclamò che il contrabbando era una piaga che andava estirpata. Cary Warleggan, che era il decano dei giudici del tribunale del distretto, affermò che se fossero riusciti ad intercettare anche solo una delle dannate barche che collaboravano con Trencrom avrebbero arrestato dal primo all’ultimo dei membri dell’equipaggio ed avrebbero applicato pene esemplari, come deterrente per chiunque osasse imitare tali condotte.
Elizabeth, intanto, aveva deciso di mostrarsi lusingata dalla proposta dei Poldark, ma aveva chiesto che prima di annunciarlo in società si attendesse qualche settimana. Pareva così virtuosa e seria, una ragazza che chiedeva del tempo per conoscere meglio il suo promesso sposo, prima di dargli una risposta definitiva! Francis era incantato: i due giovani cominciarono ad incontrarsi, a volte a Trenwith e a volte a Cusgarne. Come accadeva per tutti i fidanzamenti tra giovani di buona famiglia, i due ragazzi si incontravano sempre alla presenza dei rispettivi genitori e molto raramente potevano trascorrere degli istanti da soli, sempre sotto il vigile occhio dei parenti. Quando però capitava che i due potessero allontanarsi qualche istante passeggiando in giardino, Francis non faceva che adulare Elizabeth, dicendo che non esisteva uomo più fortunato di lui, che era una donna stupenda e ricca di virtù e non vedeva l’ora di sposarla.
Elizabeth fingeva interesse, ma in cuor suo sbuffava: Francis non amava balli e feste, gli unici argomenti su cui sapeva discutere erano le miniere oppure il violino. Con il passare dei giorni, per fortuna, la conversazione tra i due divenne più sciolta e Francis si rivelò un ragazzo capace anche di una certa ironia. Conoscendolo meglio era simpatico, e, cosa importantissima, era molto accomodante. Elizabeth era certa che una volta divenuta sua sposa l’avrebbe accontentata in tutto e per tutto. Conoscendo ad esempio la passione di Elizabeth per i cappellini, si offrì di accompagnarla dalla modista e farle un regalo anticipato di compleanno; la sua gentilezza e la sua generosità cominciarono a fare breccia nel cuore di Elizabeth ed allentare piano piano quelle resistenze iniziali, legate al fatto che lei provava la passione vera per un altro, l’uomo affascinante cui si era concessa sul Lucifero.
Demelza viveva quel periodo come un martirio. Si era resa conto che né sua madre né soprattutto Elizabeth apprezzavano davvero Francis. Quando si parlava di lui e della sua famiglia, i termini in cui le due donne si esprimevano facevano pensare più ad una mucca da mungere che a persone da apprezzare e da rispettare. Elizabeth si soffermava sugli aspetti esteriori, sulle opportunità che quel matrimonio le garantiva e non pareva curarsi minimamente dei sentimenti di Francis. Demelza si sentiva morire ed avrebbe avuto voglia di gridare che il loro comportamento era ingiusto, ma si tratteneva, perché troppo interesse avrebbe rivelato la reale natura dei suoi sentimenti per Francis, ed era troppo orgogliosa per ammetterli.  
In più, aveva sentito che quel matrimonio poteva comportare un grosso mutamento di vita anche per lei. A dispetto di quello che pensava la madre, non riusciva proprio a fingere di essere contenta di avere una dote; a questo riguardo, era consapevole che, forse, sarebbe andata in sposa allo Hugh Bodrugan di turno, non potendo certo sperare nella sorte di Elizabeth. A quel punto, pensò, forse la soluzione migliore era fingere una vocazione religiosa: vi erano in Cornovaglia dei conventi di suore cattoliche, lì avrebbe trovato il silenzio e la pace di cui necessitava, magari la preghiera avrebbe potuto infondere nel suo animo la serenità e la rassegnazione. Magari in quel luogo di raccoglimento,  allontanandosi da Francis, si sarebbe dimenticata del suo amore per lui…
Le due ragazze Chynoweth erano dunque agitate da mille pensieri riguardanti il loro futuro. Mentre però Elizabeth diveniva ogni giorno più carina, complici anche gli abiti nuovi che aveva potuto acquistare grazie la munificenza dei Poldark, Demelza si chiudeva sempre più in se stessa, smagrita e spenta, con l’unica consolazione dei suoi ricami e dei suoi fiori da curare.
Una sera Charles e Francis avevano invitato a cena la famiglia Chynoweth. Demelza, con una scusa oppure l’altra, aveva sempre evitato questi incontri, perché non sapeva come comportarsi con Francis e non tollerava di sedersi alla stessa tavola con lui che avrebbe avuto occhi solo per Elizabeth.
Anche quella sera chiese alla madre di scusarsi con gli ospiti per la sua assenza, ma addusse un terribile mal di capo, a causa del quale desiderava soltanto andare a dormire nel buio completo. Mentre quindi madre e sorella si recavano a Trenwith, Demelza si mise in camicia da notte e si coricò, sforzandosi di non pensare a Francis né a sua sorella e ripromettendosi di parlare il prima possibile con la madre della vocazione, per potersi trasferire il prima possibile in un convento e porre fine a quella tortura.
Proprio mentre era in quella fase di dormiveglia in cui gli occhi diventano più pesanti ed il corpo sta per abbandonarsi al sonno, udì un rumore secco e poi qualcosa di simile ad un bisbiglio. Dopo pochi istanti, il mormorio divenne più chiaro: “Elizabeth…”. Demelza aprì gli occhi e le si parò dinanzi un’ombra. Non ebbe neppure il tempo di gridare, che una mano le serrò la bocca ed una voce le disse, con tono basso ma con fermezza: “Non abbiate timore: non voglio farvi del male!”
Demelza, atterrita, cercò di divincolarsi da quella presa, ma poi si rese conto che effettivamente l’intruso non aveva cattive intenzioni, e pensò che se si fosse mostrata arrendevole avrebbe potuto appurare chi, e soprattutto perché, si era introdotto in camera sua nel cuore della notte, chiedendo della sorella.
“Chi siete? Che cosa volete?” – replicò con voce flebile e tremula, cercando l’acciarino per accendere la candela ed illuminare la stanza, guardando meglio in volto quella sagoma scura, che  aveva intuito, dalla voce, essere un giovane suppergiù della sua età.
“Da voi, nulla - aveva risposto la voce, con un pizzico di sarcasmo – cerco Elizabeth. Dov’è?”
Demelza scrutò alla luce della candela quel bel volto virile, ma sobbalzò alla vista della cicatrice. Raccogliendo tutto il coraggio che aveva , disse che avrebbe gridato ed allertato la servitù se quell’uomo non le avesse immediatamente detto chi era e come aveva osato entrare di nascosto in casa sua, di notte.
Ross la prese in giro, dicendo che sapeva benissimo che in quella casa non vi era servitù, ma una sola cameriera. Ribadì che non era un ladro e non era venuto con cattive intenzioni: era un amico di Elizabeth, era tornato da un lungo viaggio e desiderava parlarle con urgenza.
Demelza si vide costretta a dire all’intruso che Elizabeth era uscita con sua madre e che non sapeva a che ora sarebbe tornata. Aggiunse che nessuna persona per bene si introduce in casa d’altri in quel modo e che vi sono altre forme ed orari per recapitare messaggi di qualsiasi natura.
Ross fece una risatina e replicò che il messaggio che doveva dare ad Elizabeth non poteva essere recapitato per interposta persona. Poiché aveva fretta disse che non poteva aspettare il rientro di Elizabeth, e con spavalderia chiese a Demelza di dire alla sorella che “Ross era venuto a cercarla”.
Poi si allontanò nella maniera furtiva in cui si era avvicinato, calandosi dalla finestra giù in giardino e scomparendo nella notte.
Inutile dire che Demelza non riuscì più a prendere sonno. Attese sveglia il ritorno di Elizabeth, con cui condivideva la stanza, e dopo averle riferito della visita notturna di Ross e registrato la sua sorpresa, ma al tempo stesso la gioia nell’apprendere che era tornato, Demelza pretese dalla sorella qualche spiegazione.
Elizabeth cercò di non offendere l’intelligenza di Demelza, tacendo però tutto ciò che la comprometteva. Quell’uomo era un marinaio che aveva conosciuto sulla spiaggia, lui le aveva parlato dei suoi tanti viaggi, avevano civettato in maniera innocente, lei lo aveva incaricato di portarle un profumo francese consegnandogli del denaro; forse lui era passato per consegnarglielo, ma poiché gli aveva raccomandato segretezza non aveva osato presentarsi di giorno…
Demelza disse che quell’uomo poteva anche essere un marinaio, ma di certo non era passato di là solo a consegnare un profumo. Il suo tono di voce, la sfacciataggine con cui aveva parlato di lei e pronunciato il suo nome, lasciava ad intendere che fra i due vi fosse un rapporto molto confidenziale. La ragazza dai capelli rossi rimproverò aspramente la sorella, dicendo che era la fidanzata di Francis Poldark, e non poteva permettersi di agire con superficialità e leggerezza. Ricordò delle sue numerose passeggiate in spiaggia qualche settimana prima, disse che non poteva abbassarsi a farsi corteggiare da un uomo di così bassa estrazione sociale, un delinquente forse, data la cicatrice che aveva sul viso. Elizabeth negò, giurò e spergiurò che quel Ross si era invaghito di lei ma che non aveva fatto nulla per incoraggiarlo; disse che lo avrebbe cercato il giorno dopo per dirgli di non permettersi mai più di avvicinarsi a casa sua, che tra l’altro non sapeva come aveva fatto a trovare, perché lei non gli aveva mai detto dove abitava. Demelza accettò, sul momento, quelle spiegazioni, disse ad Elizabeth che voleva crederle, ma qualunque cosa fosse accaduta con quell’uomo doveva prenderne immediatamente le distanze, perché se si fosse resa conto che stava ingannando Francis si sarebbe vista costretta a dirlo alla madre e forse agli stessi Poldark.
Elizabeth litigò con lei, dicendo che non doveva intromettersi nella sua vita e rovinargliela. Non era ancora sposata, ed anche se fidanzata non le era vietato parlare con un ragazzo che non fosse Francis. Demelza si era espressa con tanta acrimonia solo per invidia, sperando di far saltare il matrimonio con Francis per una sua maldicenza, proponendosi lei al suo posto…
“Credi non mi sia accorta che ti piace quel bamboccio del mio fidanzato? Tu per lui sei trasparente come l’aria, non esisti, non ti ha neppure mai nominato in questi giorni! Ho capito benissimo che ti stai struggendo di gelosia, e che non sei mai venuta a Trenwith perché non sopporti di vederci insieme! Prova a raccontare di Ross a nostra madre, ti renderesti solo ridicola, sarebbe la tua parola contro la mia! Dovresti ringraziarmi: solo grazie a me potrai sperare di trovare un marito! Non ti devi preoccupare per Francis: sarò per lui la moglie migliore del mondo, lotterò per lui, e non permetterò che una spiantata come te me lo porti via!”
Demelza scappò in bagno in lacrime, colma di vergogna per essere stata così trasparente nelle sue emozioni. Si rese conto che al momento non poteva che tacere sull’incursione notturna di quell’uomo, non poteva rovinare la vita della sorella e dello stesso Francis solo per un sospetto. Inoltre Elizabeth  aveva ragione: o non le avrebbero creduto, oppure avrebbero pensato che calunniasse la sorella solo per gelosia. Sarebbe stata la classica goccia che fa traboccare il vaso: la vedova Chynoweth avrebbe avuto la scusa perfetta per disfarsi per sempre di lei, e che fine avrebbe fatto? Soffocò i singhiozzi, fece un ampio respiro e tornò in camera, scusandosi con la sorella , promettendole che non l’avrebbe intralciata, ma lei, Elizabeth, doveva prometterle di comportarsi rettamente con Francis e la sua famiglia, interrompendo ogni legame con quell’avventuriero.
Elizabeth gongolò per aver messo la sorella con le spalle al muro. Inutile dire che la sua promessa di fedeltà a Francis rimase vana. Nei giorni successivi lei e Ross si videro spesso e non fecero altro che fare l’amore, a bordo del Lucifero, sulla spiaggetta nascosta teatro della loro prima passeggiata, addirittura anche nei boschi che circondavano Cusgarne. Elizabeth, non fidandosi pienamente delle cautele di Ross, aveva preso le sue precauzioni, ricorrendo ad una guaritrice di Sawle che le aveva dato un sacchetto con delle erbe per non restare incinta.
Con Ross si era guardata bene dal raccontare di Francis, anche perché lui aveva esordito dicendo che era tornato per pochissimi giorni e sarebbe ripartito per un viaggio ancora più lungo del precedente. Aggiunse che i controlli sui porti erano molto più serrati e che se davvero voleva mantenere la promessa di tornare ricco per sposarla doveva essere molto cauto.
Elizabeth gli ribadì la promessa di aspettarlo e gli giurò di essere sua per sempre, pretendendo lo stesso giuramento da parte di Ross.
In quei giorni Demelza non aveva potuto fare a meno di notare come Elizabeth fosse sempre sfuggente e trascorresse molte ore fuori casa, mentre lei era stata coinvolta più del solito da sua madre, che ad esempio le aveva chiesto di accompagnarla a Truro per acquisti, poi in visita da un cugino del suo defunto marito che era reverendo, al quale aveva anticipato del fidanzamento di Elizabeth e gli aveva chiesto quale tempo minimo occorresse per organizzare le nozze. In realtà anche Demelza era favorevole a che i tempi delle nozze si accelerassero, da un lato per porre fine alle sue angustie, dall’altro perché pensava che Elizabeth una volta sposata avrebbe posto fine alle sue intemperanze. Trascorrendo molto più tempo insieme Demelza aveva cominciato ad accennare alla madre alla volontà di condurre una vita ritirata in convento, decisione che la signora non aveva accolto molto bene, pensando, forse, che della dote graziosamente concessa dai Poldark avrebbe usufruito la Chiesa e che sarebbe andata perduta l’occasione di ottenere degli ulteriori vantaggi connessi al matrimonio. Il consuocero Charles le aveva accennato che da poco si era trasferito in zona un giovane medico, che collaborava con lui alle miniere: si chiamava Dwight Enys ed era un ragazzo molto giovane e di buona indole; se lui gli avesse parlato di Demelza, era certo che Enys avrebbe accettato di prenderla in moglie. Non era ricco, ma per lo meno non era un ubriacone e svolgeva una professione onesta.
Demelza aveva visto il dottor Enys di sfuggita nel corso di qualche celebrazione in chiesa, si erano scambiati un saluto e le era parso una persona gentile, ma il suo cuore apparteneva a Francis e non riusciva proprio ad immaginare un altro uomo dinanzi a sé. Disse alla madre che non poteva pensare di sposarsi quando il suo cuore era rapito dal fervore verso Dio, e che chiedeva soltanto del tempo per riflettere sulla sua vocazione. La madre adottiva rispose che ci avrebbe pensato e che, per il momento, aveva bisogno della sua collaborazione per organizzare le nozze di Elizabeth.
Il fidanzamento fu formalizzato, fu stabilita la data del matrimonio di lì a tre mesi. I Poldark acquistarono per Elizabeth un corredo degno di una regina, Demelza si fece forza e partecipò attivamente ai preparativi. Incontrò anche Francis in varie occasioni e conversarono amabilmente, come si conviene a due futuri cognati.
Elizabeth recitava la parte della fidanzata capricciosa ed ansiosa, cui si perdonano tutti gli sbalzi d’umore. Man mano che si avvicinava il tempo delle nozze cercava di escogitare pretesti per rimandarle, ma non aveva la minima idea di cosa fare e soprattutto non sapeva se e quando Ross sarebbe tornato e come fargli digerire che avrebbe sposato un altro.
Alla fine, a dissipare ogni remora di Elizabeth, fu un incontro inaspettato che avvenne due settimane prima della data fissata per le nozze. In un’osteria di Truro Elizabeth intravide Tholly Tregirls, il pirata più anziano dell’equipaggio di Ross. Con una scusa, allontanò la madre e la cameriera Ginny e rivolse la parola a quell’uomo, che si ricordava benissimo di lei.
“Ah, signorina, non vi so dire quando tornerà il capitano! Un mese fa ci hanno bloccato al porto di Brest, ci hanno arrestato tutti ed il Lucifero è stato sequestrato… dopo tre giorni mi hanno rimesso in libertà insieme al moccioso, Peter. Il capitano ci ha detto di tornare a casa prima che ci ripensassero, mentre i fratelli Daniels sono  rimasti lì… il capitano, lo accusano di contrabbando… le ultime notizie che ho avuto da lui è che lo avrebbero riportato in Inghilterra per il processo, ma in realtà un mio amico di qui mi ha detto che la cosa più probabile è che sconti la pena lì in Francia… quattro, cinque, forse anche dieci anni di prigione, signorina… io sto cercando di trovare qualcun altro che mi imbarchi, perché sono certo che, comunque vada, il Lucifero non glielo restituiranno… che peccato, davvero, Ross era un ottimo padrone…”
Fu così che Elizabeth Chynoweth, rassegnatasi a non rivedere più il tenebroso capitano del Lucifero, convolò a giuste nozze con Francis Poldark, nel corso di una cerimonia sfarzosa con oltre duecento invitati.
La mattina successiva alla prima notte di nozze la cameriera chiamata a rassettare la camera degli sposi trovò sulle lenzuola l’inequivocabile segno della purezza della sposa. Quello che la governante non poteva sapere era che Elizabeth aveva curato che Francis bevesse molto quella notte, fino quasi ad ubriacarsi, e che aveva portato con sé un flaconcino di vetro contenente il sangue di un animale, con il quale aveva sporcato le lenzuola, poco dopo essersi coricata. Il matrimonio era stato consumato, ma Francis non aveva certo l’ardore di Ross, neppure sotto i fumi dell’alcol.
Elizabeth si guardò intorno, osservò tutti i particolari di quella lussuosa camera da letto: l’armadio enorme contenente molti più vestiti di quanti ne avesse posseduti in vita sua, la specchiera che rifletteva la sua graziosa immagine, l’ampia finestra vetrata che affacciava sull’enorme giardino di Trenwith. Pensò che quella era la sua vita, ora. Scacciò dalla mente l’immagine del capitano del Lucifero: le meravigliose ore passate fra le sue braccia avevano rappresentato solo una piacevole parentesi in una vita noiosa, un dolce ricordo che non significava più nulla. Il povero Ross, chissà dove diavolo era ed in quale lurida prigione scontava la sua pena, non avrebbe mai potuto darle tutto quello che aveva ottenuto sposando Francis. Era la signora Elizabeth Poldark ora, e doveva essere felice.  

 

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Capitolo 4
*** capitolo 4 ***


Gli sposi partirono per Londra subito dopo il matrimonio per trascorrervi la luna di miele. Nel frattempo, Demelza e sua madre erano rimaste ospiti di Charles Poldark a Trenwith, dal momento che un violento temporale qualche settimana prima aveva fatto crollare il tetto della loro casa di Cusgarne, rendendola inagibile.
Demelza trascorreva le sue giornate nell’ampio giardino di Trenwith, ricco di alberi da frutto e piante ornamentali dalle mille varietà, contemplando con stupore le meraviglie che la natura offriva ai suoi occhi. Al limitare del giardino vi era una piccola dependance ove viveva il fattore con la sua famiglia, tra cui in particolare due bambini di sette e nove anni. La scuola del villaggio era troppo distante affinchè i bambini la frequentassero, così Demelza si era offerta di dare loro delle lezioni gratuite affinchè imparassero quanto meno i rudimenti della lettura e della scrittura.
La signora Chynoweth ed il suo consuocero avevano ampiamente approvato questa decisione, anche per scongiurare l’ipotesi del convento che Demelza aveva manifestato con tanta convinzione nelle settimane precedenti. Il vecchio Charles riteneva che la soluzione migliore per Demelza fosse rimanere a vivere accanto alla sorella; manifestò quindi la sua disponibilità ad ospitarle per quanto tempo desiderassero, sia lei che la madre, indipendentemente dal completamento dei lavori di riparazione della loro casa (di cui, inutile dirlo, si era fatto carico Charles stesso). In tal modo la famiglia sarebbe stata unita, ma Elizabeth avrebbe avuto la sua vita accanto a suo marito, mentre Demelza, se proprio non voleva sposarsi, avrebbe potuto dedicarsi all’istruzione di quei bambini sfortunati. Charles aggiunse che vi erano tanti nelle stesse condizioni dei figli del fattore cui fare del bene e che non v’era bisogno di rinchiudersi fra le quattro mura di un convento per realizzare la volontà di Dio.
Demelza non aveva molte alternative, e poi il discorso del padre di Francis non era affatto irragionevole. La sua proposta le garantiva parecchie ore di autonomia e di libertà, aveva l’impressione di essere padrona del suo tempo molto più di quando viveva a Cusgarne; inoltre l’aiuto  da poter offrire a quei bambini disagiati e lo spettacolo della natura che si concentrava nel giardino  di Trenwith le sembravano quasi propiziare quella ricerca della pace interiore che era il suo obiettivo primario.
Le capitava, ogni tanto, di ripensare a Francis, ma con tenerezza, senza rimpianti, ed ogni sera, prima di coricarsi, pregava che egli potesse avere, accanto a sua sorella, la felicità che meritava.
§§§
Qualche giorno dopo le nozze di Elizabeth e Francis, nella banca Pascoe di Truro si era presentato un uomo elegantemente vestito che chiedeva di poter parlare con il titolare.
Il banchiere Harris Pascoe era un uomo di circa sessant’anni di media statura, dai capelli grigi, gli occhi scuri e sinceri ed un sorriso bonario ed accogliente. Aveva una banca di piccole dimensioni, ma era noto per la sua onestà e correttezza negli affari. Era raro che fosse talmente impegnato da non poter ricevere chi domandava di lui; chino sulle sue carte, non appena l’usciere fece accomodare l’uomo elegante, il vecchio banchiere sollevò il volto , che dopo un attimo di stupore si illuminò nel più ampio e schietto dei sorrisi.
“Ross Poldark! Che gioia rivederti, figliolo! Come stai?” – disse, accogliendo a braccia aperte il nuovo arrivato.
Ross abbracciò con calore il vecchio banchiere, amico di sempre di suo padre Joshua: Pascoe era il benefattore che dopo la tragica morte di entrambi i genitori si era preso cura di Ross, aveva finanziato i suoi studi, affidandolo ad un istituto per ragazzi bisognosi presso il quale lo andava a trovare periodicamente. Harris rimproverò il suo pupillo lamentandosi del fatto che non aveva avuto più sue notizie da tempo, anzi le ultime che aveva ricevuto lo avevano addolorato non poco, perché sembrava che il giovane avesse preso una brutta strada.
Ross sorrise, disse che in principio era proprio così, ma ora aveva deciso di voltare pagina con quella vita ai margini della legalità, voleva dedicarsi al commercio lecito… raccontò che era stato arrestato al porto di Brest, con l’accusa di contrabbando, che gli avevano sequestrato la nave ed arrestato anche tutto l’equipaggio; senonché, mentre era detenuto vi era stato un incendio nella prigione ed egli aveva messo a repentaglio la propria vita pur di salvare quella di tutti gli altri, i carcerati, le guardie e soprattutto il direttore del carcere. Per il suo atto di eroismo era stato graziato e gli era stato restituito anche il Lucifero. Rimessosi in viaggio, nel corso di una tempesta lui e i suoi uomini (o meglio i pochi rimasti al suo fianco, ché alcuni erano fuggiti) avevano dovuto riparare su un’isoletta, sulla quale giaceva il relitto di una nave battente bandiera scozzese. Calmata la bufera, avevano esplorato la carcassa del battello  ed avevano trovato un forziere pieno di monete d’oro e gioielli. Rivenduti i preziosi, Ross aveva ricavato una somma cospicua ed ora voleva chiedere consiglio al suo amico banchiere su come investire quel denaro. Innanzitutto intendeva acquistare una bella proprietà immobiliare, perché aveva conosciuto una ragazza di cui si era innamorato follemente e voleva sposarla.
Pascoe si congratulò con Ross e cominciò a fornirgli qualche informazione di massima sulle valutazioni da compiere in proposito. Quando però il giovane, sollecitato dal banchiere, gli comunicò il nome della fortunata fanciulla che aveva conquistato il suo cuore, Pascoe impietrì.
“Elizabeth Chynoweth: che cosa stai dicendo Ross, non può essere! Esiste un’unica ragazza con quel nome, e si è sposata domenica scorsa con tuo cugino Francis!” – esclamò il buon uomo , esterrefatto. Così dicendo, mostrò a Ross l’invito al matrimonio, cui il banchiere non aveva potuto presenziare a causa di un improvviso attacco di gotta.
Ross lesse e rilesse quel biglietto dalle lettere dorate che Pascoe gli aveva appena sventolato sotto il naso: I nomi di Elizabeth e Francis figuravano intrecciati fra di loro da un decoro a forma di edera. Le frasi gli danzavano davanti agli occhi e gli apparivano così vuote…. “sono lieti di annunciare le nozze dei loro figli” … “la cerimonia avrà luogo…”; più in basso, un versetto della Bibbia recitava “per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne”.
“Non capisco – balbettò il giovane bruno – aveva giurato di aspettarmi… aveva promesso che mi avrebbe sposato… Elizabeth è mia, maledizione, come ha potuto farlo… con mio cugino, poi!”
Pascoe, imbarazzato, cercò di trovare una spiegazione razionale a quell’equivoco. Forse Ross aveva frainteso… a quel che sapeva lui, il fidanzamento risaliva ad almeno quattro o cinque mesi prima e quando esso era stato annunciato in società i due ragazzi erano apparsi da subito molto felici ed affiatati. Ross continuava a ripetere che non era possibile, che quando si erano conosciuti Elizabeth gli aveva detto che non era fidanzata e che non si sarebbe mai sposata perché non aveva dote. Pascoe confermò che la famiglia Chynoweth non navigava in buone acque, ma aggiunse che, a quanto si sapeva, Francis aveva accettato Elizabeth senza dote poiché al vecchio Charles faceva gola il titolo nobiliare che la primogenita dei Chynoweth poteva vantare.
Ross si sforzava di ricostruire i fatti: quando si erano conosciuti, poteva anche essere accaduto che Elizabeth gli avesse detto la verità; certamente però, quando si erano rivisti, ella aveva già ricevuto la proposta di Francis e glielo aveva deliberatamente taciuto! Non v’era altra spiegazione.
Una rabbia tremenda lo invase. Di colpo, Ross si sentì un imbecille. Si era innamorato alla follia di quella donna, si era fidato di lei, per lei era stato disposto a cambiare vita, aveva affrontato viaggi pericolosi al solo scopo di guadagnare abbastanza denaro per rendersi presentabile alla sua famiglia, e lei non era stata capace di essergli fedele neppure pochi mesi! Ma non poteva finire così, non sarebbe rimasto a mani vuote, soprattutto considerando chi era stato a portargliela via!
Uscì come una furia dalla banca, montò a cavallo senza curarsi neppure di Pascoe, che gli urlava dietro implorandolo di fermarsi, e partì al galoppo verso Trenwith, speronando senza pietà i fianchi del povero cavallo per far sì che non rallentasse la marcia.  
Durante il tragitto, in preda alla rabbia, aveva dinanzi agli occhi soltanto il momento in cui avrebbe rivisto Elizabeth. L’avrebbe svergognata davanti a tutti, si sarebbe goduto lo spettacolo, vendicandosi nel contempo di quella famiglia che lo aveva privato di tutto.
Intenzionato a  fare una scenata, giunse a Trenwith con gli zoccoli del cavallo ancora fumanti. Varcò l’ampio cancello di ingresso, che nelle ore diurne era sempre aperto, e cercò uno stalliere cui affidare la povera bestia, messa a dura prova dalla cavalcata. Nei pressi delle stalle si imbatté in Demelza, che stava lucidando il manto della sua cavallina Honey.
“Voi qui!” – esclamò la ragazza, riconoscendolo. Anche lui, sebbene l’avesse vista una sola volta e al buio, comprese subito di chi si trattava.
“Sì, sono io. Dov’è Elizabeth?” – le chiese in maniera brusca.
“Non è qui” – rispose asciutta Demelza, che nel frattempo incaricò un servitore di prendere in consegna i due animali portandoli all’interno della stalla.  Poi, pur temendo la reazione di quell’individuo, pensò di dire subito la verità: “E’a Londra con suo marito, in viaggio di nozze”.
Ross, che non sembrava stupito della notizia, chiese quando sarebbero tornati e Demelza gli rispose che non lo sapeva, che non erano affari di Ross, che doveva andarsene immediatamente, non avendo nulla da poter pretendere.
“Nulla, dite? – esclamò Ross furioso, ponendosi ad un passo dal suo viso – non sapete che io e vostra sorella siamo stati amanti? Amanti, anche se questa parola vi scandalizza! – aggiunse, notando il rossore sulle guance della fanciulla – aveva promesso di sposarmi, aveva giurato di aspettarmi, e invece al mio ritorno la trovo sposata con un altro! Credo di aver diritto a qualche spiegazione da parte sua!”
“Capisco la vostra rabbia, ma che senso ha adesso venire qui? Elizabeth è sposata ormai, che cosa potrebbe dirvi? Perché volete che delle persone innocenti soffrano?”
“Innocenti? Qui l’unico innocente sono io! Sono io l’ingannato, il tradito, quello messo da parte come una carta straccia per un.. per un…!”
“Non è vero! – disse Demelza, per la prima volta alzando la voce ed interponendo il proprio corpo dinanzi a quello di Ross, come per impedirgli il cammino verso la casa padronale – l’unica vera vittima innocente è il marito di Elizabeth, un uomo onesto, innamorato, che è ignaro persino della vostra esistenza! Mia sorella non si è comportata bene con voi, ne convengo, ma perché trascinare nel fango  e nel disonore due famiglie che non hanno alcuna colpa dell’accaduto?”
Ross ribatté che era dispiaciuto per lei, che si ritrovava con una donnaccia come sorella; che compativa il povero cornuto, che se l’era portata a Londra in viaggio di nozze, talmente ingenuo da non essersi neppure accorto, dopo la prima notte, di quanto era svergognata la donna che aveva sposato; che forse poteva provare pietà pure per la signora Chynoweth e per tutti quanti sarebbero stati coinvolti dallo scandalo, ma tutto ciò non lo avrebbe fatto desistere dai suoi propositi. Nessuno poteva permettersi di offenderlo impunemente, non poteva essere lui solo a perdere, avrebbe trascinato tutti nel fango in cui Elizabeth lo aveva spinto.
Mentre Demelza cercava di convincere un Ross furibondo  ad andarsene, pregandolo di abbassare la voce, sopraggiunse il padrone di casa. Attirato dal vociare ed intuendo che non si trattava di una conversazione serena, il vecchio Charles chiese che cosa stesse succedendo.
Demelza, sconcertata, rimase in silenzio ed indietreggiò fino ad appoggiare la schiena al muro di cinta, mentre Ross con spavalderia si fece avanti, fronteggiando a testa alta il padrone di casa, che improvvisamente impallidì come se avesse visto un fantasma. Enorme fu la sorpresa di Demelza nel sentire Ross pronunciare al suo indirizzo queste parole: “Vedo che mi avete riconosciuto, caro zio! Del resto, non deve essere stato difficile: tutti dicono che sono il ritratto vivente di mio padre! Sono proprio io, Ross: il vostro unico nipote, il figlio di vostro fratello Joshua, ricordate? Quello che per egoismo avete privato di tutto: onore, famiglia, proprietà. Quello che avete condannato a morire lontano, povero, reietto, mentre vi impossessavate della sua miniera e della sua casa…mi hanno detto che si chiama ancora Wheal Grace: strano che non le abbiate cambiato nome, visto che odiavate tanto mia madre…Ma non preoccupatevi, non sono qui per parlare del passato, ma del presente.”
Charles sembrò sul punto di scoppiare di rabbia, tanto più che la sparata di Ross era avvenuta davanti a Demelza, che pur essendo una ragazza riservata era pur sempre un’estranea.
“Cosa ti conduce qui, Ross?” – gli chiese, dissimulando una calma che non possedeva.
Ross lanciò un’occhiata furtiva a Demelza. Era buffo vedere fino a che punto sia lei che lo zio Charles fossero atterriti, per motivi diversi, da quanto era in procinto di dire.
“Sono stato da Harris Pascoe questa mattina, e mi ha informato del lieto evento che di recente ha rallegrato questa casa. Volevo congratularmi con mio cugino e sua moglie ed approfittare un po’ della vostra ospitalità prima di rimettermi in viaggio. Sono un uomo di mare, sapete? Ed ho anche una discreta posizione economica, nonostante voi abbiate fatto di tutto affinchè crescessi come un miserabile…”
“Ora basta, Ross! – sbottò lo zio – non mi sembra il caso di usare questo tono con me, tanto più in presenza di miss Chynoweth, la cognata di Francis! Le accuse che mi muovi sono completamente false: tuo padre è stato l’unico artefice della sua sfortuna, dapprima innamorandosi di quella sgualdrina …”
“Non parlate in questi termini di mia madre, o giuro che non rispondo più di me! – disse Ross, facendosi più aggressivo – sono ben altre le sgualdrine, ad esempio ….”
“Vi prego, Ross! – esclamò all’improvviso Demelza, prendendo le mani del capitano fra le sue, e frapponendosi fra lui e lo zio – in questo momento siete troppo alterato, e sia voi che vostro zio rischiate di dire cose di cui potreste pentirvi… in tutte le famiglie possono accadere delle diatribe e dei fraintendimenti: ognuno pensa che le proprie ragioni siano quelle giuste e ci vuole tempo per riuscire a capirsi, soprattutto quando gli avvenimenti del passato sono tanto dolorosi. Vi ho già spiegato che Francis e sua moglie non ci sono: ritornate a Trenwith fra qualche giorno, ed allora saluterete vostro cugino e mia sorella con animo più sereno…”
“No, miss Demelza – tuonò Zio Charles – Ross ha ragione, gli sono dovute delle spiegazioni, e preferisco che le abbia prima dell’arrivo di Francis. Mio figlio non sa neppure di avere un cugino: sono tutti fatti avvenuti quando non era neppure nato…”
Charles chiese a Ross dove fosse alloggiato ed il giovane, con il consueto sarcasmo, rispose che viveva sulla sua barca, non aveva un alloggio sulla terraferma, giacché Nampara non gli apparteneva più.
“Parleremo anche di questo…” – concluse Charles, ed invitò il nipote ad accomodarsi in casa.
Ross, prima di seguire lo zio, fece un inchino con la testa rivolto a Demelza, e le lanciò uno sguardo malizioso che voleva dire: avete visto?
La ragazza rimase nel cortile, con il cuore che le batteva a mille, terrorizzata da quello che Ross avrebbe potuto fare o dire.
L’intervento improvviso dello zio e la piega che il loro dialogo aveva assunto aveva fatto riflettere Ross. Forse Demelza non aveva neppure tutti i torti: armare uno scandalo gli avrebbe reso una soddisfazione momentanea, una rivincita sulla donna che lo aveva tanto fatto soffrire, ma nessun concreto vantaggio.
Se invece avesse finto di voler riallacciare i rapporti con Francis, di voler perdonare i torti subiti, se avesse acquistato la sua fiducia, magari la bontà del cugino si sarebbe manifestata restituendogli il maltolto: la Wheal Grace e Nampara. Solo allora avrebbe compiuto la sua vendetta: avrebbe convinto Elizabeth a fuggire con lui, si sarebbe ripreso tutto, tutto ciò che era suo!
Che Charles non avesse la coscienza a posto per come si era comportato con il fratello fu chiaro fin da subito. Dichiarò che Joshua aveva abbandonato tutto per amore di una donna indegna del loro casato: non era certo colpa di Ross, ma il nonno Claude non avrebbe mai acconsentito ad un matrimonio di Joshua con tale tipo di persona. Joshua ne era consapevole, ciò nonostante aveva scelto di rinunciare a tutto, al suo buon nome, alla miniera ed alla casa sulla collina, Nampara. Charles raccontò che dopo la sua partenza aveva ricevuto dal fratello soltanto una lettera che annunciava dello stato di gravidanza della donna, con cui nel frattempo si era sposato, ma di non aver mai saputo se il bambino era nato. Soltanto dopo molto tempo, tramite dei conoscenti, aveva avuto notizia che sia suo fratello che quella donna erano morti e che il bambino nato dalla loro unione era stato condotto in un orfanotrofio nel Devon, ma poi non era riuscito a sapere nulla di più.
Charles sosteneva di non aver avuto alcun ruolo nella vicenda, ma, a voler credere a quanto gli aveva detto invece Pascoe, Claude Poldark subiva molto la personalità del figlio primogenito e certamente non era stata tutta sua la decisione di diseredare Joshua. Chiaramente Charles ne aveva beneficiato, perché alla morte di Claude aveva ereditato anche la parte che sarebbe spettata a Joshua. Era molto furbo suo zio, pensò Ross: consapevole di aver tratto un indebito vantaggio dalla situazione, si finse ora disponibile a trovare un accordo per risarcire, per dire così, Ross; un accordo che, in realtà, era un’elemosina.  
La Wheal Grace, all’epoca in cui Joshua era partito, era una miniera con una vena di stagno esaurita. Soltanto molti anni dopo, grazie a nuove tecniche di estrazione ed agli investimenti fatti da Charles, era stato scoperto un filone di rame. Charles disse che era disposto a valutare di riconoscere a Ross una somma forfettaria, perché per dividere gli utili con lui avrebbero dovuto diventare soci, ripartire anche i costi e le perdite. Per quanto riguardava Nampara, lo zio disse che era disposto a cedergliela gratuitamente, ma non si trattava di un buon affare: da venticinque anni la casa era disabitata, cadeva in rovina e le spese per rimetterla a nuovo erano quasi superiore al suo valore.
Concluse che, in totale, per la miniera e per acquistare una piccola casetta in cui vivere, al posto di quella proprietà troppo grande per un uomo solo, era disposto a versargli cinquemila ghinee.
Ross rispose che avrebbe riflettuto su quell’offerta  e disse che doveva allontanarsi, perché aveva lasciato alcuni affari in sospeso.
Quando si recò in cortile a riprendere il cavallo Demelza era ancora lì ad aspettarlo.
“Allora? Che è successo?” – gli chiese ansiosa.
“Non ho detto ancora nulla di vostra sorella, se è quello che temete. Abbiamo parlato d’altro.”
“Dio sia lodato!” – esclamò la fanciulla.
“Ma non crediate starò zitto per sempre – precisò Ross – è solo questione di tempo… e poi, tutto dipende da come si comporterà Elizabeth. Se si dimostrerà sufficientemente pentita, non escludo di poterla perdonare. E a quel punto…”.
“A quel punto cosa?” – chiese Demelza, seguendo Ross all’interno della stalla.
“Voi fate troppe domande – sentenziò il giovane – su cose che non sono affar vostro. Mostrate una preoccupazione eccessiva per questa vicenda. Se Elizabeth ed io saremo abili, nessuno scandalo vi travolgerà, di conseguenza non avrete di cosa lamentarvi. Adesso scusatemi, ma ho degli affari da sistemare a Truro.”
“No! – esclamò Demelza – aspettate, dovete ascoltarmi”.
Ross replicò che non avevano più nulla di dirsi e che aveva fretta, ma Demelza lo trattenne, afferrando le briglie del suo cavallo.
Ross rimase colpito dalla veemenza di quella ragazza e decise di ascoltare ciò che aveva da dire. Demelza gli ribadì che non doveva ritornare mai più, non doveva tormentare Elizabeth. Sua sorella era una ragazza capricciosa e volubile, che agiva d’impulso, in maniera sconsiderata. Se lo avesse rivisto, sarebbe stata capace di tutto… persino di continuare ad ingannare Francis, e questo non doveva assolutamente accadere. Ben presto Ross si rese conto che dietro lo strano comportamento di Demelza si celava una insolita devozione nei confronti di suo cugino, di cui non comprendeva la ragione. Possibile che anche la rossa si fosse innamorata di Francis?
Con poco tatto, Ross le pose una domanda diretta. “Siete per caso innamorata di lui? A maggior ragione, scusatemi, dovreste essere contenta se io ed Elizabeth riuscissimo a fuggire insieme. Francis, con il cuore spezzato, resterebbe libero e pronto a farsi consolare da voi…”
Demelza lo guardò con sdegno. “Siete un uomo senza ritegno, senza valori, un egoista pronto a calpestare i sentimenti degli altri! Voi non amate affatto mia sorella, siete solo ferito nel vostro ego! Chi ama vuole il bene dell’altro, anche a costo di sacrificarsi! Se l’amate davvero, non tornate mai più! E badate, se decidete di tornare, troverete in me la vostra prima nemica! Dovrete passare sul mio cadavere, prima di fuggire con Elizabeth!”
Ross le sghignazzò in faccia. Quell’esile creatura, come avrebbe potuto ostacolare una fuga tra lui ed Elizabeth?  Eppure, c’era qualcosa in lei, una forza interiore nascosta dietro quell’apparente pacatezza, qualcosa che la rendeva completamente diversa dalla sorella, tanto che lo incuriosiva scoprire fino a che punto sarebbe arrivata per difendere l’onore dei Poldark e delle Chynoweth.

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Capitolo 5
*** capitolo 5 ***


Dopo il colloquio con lo zio, Ross tornò alla banca di Pascoe. Si era congedato in maniera brusca e maleducata dal suo caro benefattore ed era necessario dargli qualche spiegazione. Il buon uomo, dopo aver ascoltato il resoconto del colloquio con Charles e dello scontro avuto da Ross con la sorella di Elizabeth scosse la testa amareggiato. Come saltava in mente al suo pupillo di invischiarsi in una situazione talmente pericolosa? Il consiglio di miss Chynoweth era più che sensato, doveva lasciar perdere Elizabeth e la sua famiglia acquisita. Inoltre, non aveva fatto ricorso all’aiuto economico dei Poldark quando era in difficoltà e ne avrebbe avuto tutte le ragioni, e lo faceva ora che era ricco a sufficienza? Ciò non aveva alcun senso!
“Non mi aspetto che mi comprendiate, Harris – disse Ross – ma è una questione di principio. Sono stato ingannato, e non è giusto che resti a mani vuote. Mi ero illuso di poter avere una moglie, una contessa, una donna che amavo con cui costruire un futuro. L’ho perduta, e non per colpa mia: come pensate che possa placare la mia rabbia? Pensate sia facile, per un uomo come me, rassegnarsi alla sconfitta? Devo essere sempre io l’eterno perdente, mentre mio cugino ottiene tutto ciò che desidera con uno schiocco di dita? Devo lasciare che una donna falsa e bugiarda calpesti la mia dignità senza farle subire alcuna conseguenza, dandole così la dimostrazione che ha fatto bene ad agire come ha agito?”
Il povero banchiere si rese conto che qualunque argomentazione razionale non avrebbe avuto presa sulla mente di quel cocciuto giovane; gli raccomandò soltanto di essere prudente, perché determinate offese, se venute alla luce, potevano essere lavate solo con il sangue.
A dispetto dei buoni consigli dell’amico, il testardo Ross decise di tornare a Trenwith. Nel frattempo Elizabeth e Francis erano a bordo della carrozza che, da Londra, li stava riconducendo alla tenuta. Erano felici e spensierati come solo una coppia di novelli sposi può essere. Per la verità, quello al settimo cielo era Francis, innamorato come non mai e ciecamente convinto della devozione e sincerità della propria sposa. Elizabeth era come una bambina divertita dalla novità, contenta di tutti i benefici che aveva acquisito con il matrimonio e speranzosa di poter condurre una vita agiata e ricca di lussi.
Con il capo mollemente appoggiato sul petto del marito, fantasticava sulla festa che avrebbe dato a Trenwith per festeggiare il loro ritorno a casa, su cosa avrebbe indossato, sugli amici e le personalità che avrebbe invitato, sulle pietanze con cui i cuochi di Trenwith avrebbero deliziato i palati dei loro ospiti… e che gioia nel sentir pronunciare da Francis soltanto mormorii di approvazione ad ogni sua richiesta! Il marito non le negava nulla, limitandosi a rimproverarla bonariamente solo quando le sue idee rischiavano di tradursi in spese esorbitanti; in cambio, riceveva gridolini di giubilo e teneri baci a fior di labbra. 
Demelza, intanto, era tormentata. Quel Ross le era parso arrogante e determinato, una mina vagante, e lei era preoccupata di non riuscire a frenarlo. Su sua sorella non era il caso di fare alcun affidamento: incostante com’era, sarebbe stata capace di commettere qualsiasi pazzia. La giovane era in pensiero per il povero Francis: sentiva che non avrebbe retto al disonore di un eventuale tradimento da parte di Elizabeth, o, peggio ancora, di un suo abbandono. Demelza non poteva confidarsi con sua madre, né con Charles Poldark, né con nessun altro: era una questione talmente riservata che si vergognava di parlarne persino con il reverendo Odgers.
Fino al rientro degli sposi, Demelza sfruttò ogni occasione per cercare di convincere Ross a desistere dai suoi propositi, con l’unico effetto di irritarlo ancora di più e di indurlo a disertare il pranzo e la cena, pur di non incontrarla: o adduceva impegni esterni, oppure si faceva servire piatti leggeri in camera.
Alla madre di Elizabeth Ross era stato presentato come nipote di Charles. Nella zona tutti sapevano della vicenda di Joshua ed era quindi naturale che la signora Chynoweth fosse rimasta sorpresa nel fare la sua conoscenza. Charles però, da buon affarista quale era, abituato a manipolare la realtà per trarne profitto, finse di essere molto contento del ritorno all’ovile di quella pecorella smarrita. Aggiunse, ovviamente non in presenza di Ross, che sperava di poter porre rimedio alle sue sfortunate origini, dotandolo non solo dei mezzi necessari per condurre una vita dignitosa, ma anche dei consigli volti a non incappare in problemi giudiziari, come la sua indole fumantina lasciava purtroppo presagire.
Nei rari colloqui che ebbero, la madre di Elizabeth ebbe modo di comprendere quanto quel giovane fosse sprezzante e sarcastico, ai limiti della maleducazione. Le sue idee erano moderne, dissacranti, contrarie alla tradizione e ad ogni buon senso. Aveva proprio ragione il suo consuocero, a voler intervenire per evitare che una persona del suo stesso casato divenisse un pendaglio da forca. Ross Poldark era capace di giustificare il furto, la sedizione, il bracconaggio, con il pretesto che la gente del popolo aveva fame ed i governanti nulla facevano per rimediare: ma di quel passo, senza regole e senza rispetto per il potere costituito, dove si sarebbe andati a finire? La signora commentò con Demelza che era preoccupata che questo Ross potesse avere una cattiva influenza sul genero, così debole di carattere ed ingenuo. Demelza, fra sé e sé, pensò che ben altre erano le conseguenze negative che la vicinanza del cugino avrebbe potuto procurare a Francis. Dal punto di vista delle sue idee, invece, Demelza non era del tutto convinta che Ross fosse in errore. Le famiglie ricche non avevano idea di cosa voleva dire patire la fame, ricordo che invece la ragazza aveva ben vivido dalla sua infanzia. Persone disperate potevano essere capace di tutto pur di sopravvivere o dare da mangiare ai propri figli: rubare, mentire, imbrogliare, persino vendere il proprio corpo… Non si poteva giudicare finché non ci si trovava nelle stesse condizioni, e Ross dimostrava di essere una persona sensibile. Era uno scavezzacollo borioso, ma forse, in fondo in fondo, aveva un cuore nobile e generoso, più di tanti damerini imbellettati che erano cresciuti nella bambagia e ripetevano acriticamente le idee con cui li avevano cresciuti i padri, senza formarsene una propria.
Con perfetto tempismo, tre giorni dopo che Ross aveva messo per la prima volta piede a Trenwith la carrozza con a bordo Elizabeth e Francis varcò il cancello di accesso, carica di bauli e cappelliere. Lo sferragliare delle ruote sul selciato mise in subbuglio la gente di casa, che si affrettò a rendere il dovuto omaggio al figlio del padrone e alla nuova signora. Oltre al maggiordomo e alla governante, signora Tabb, Charles Poldark si precipitò in giardino per accogliere figlio e nuora, seguito a ruota dalla consuocera e da Demelza, che mirava a prevenire la sorella sulla presenza di Ross. Quest’ultimo, mostrando un minimo di buon senso, si era mantenuto defilato, sulla soglia di casa, con le braccia conserte e gli occhi stretti come due fessure, scrutando rabbioso la donna che gli aveva rubato il cuore, sotto braccio al consorte, con un sorriso raggiante mentre indicava alla madre i numerosi pacchi che i solerti camerieri già stavano provvedendo a scaricare.
Ad un tratto Demelza si avvicinò alla sorella per abbracciarla, e Ross notò che le sussurrava qualcosa all’orecchio. Elizabeth si guardò intorno impaurita; Ross la vide quasi vacillare ed impallidire, al punto che Francis, al suo fianco, le si avvicinò premuroso e la sorresse. Tutti le furono intorno, e Ross, alla distanza, non comprese se Elizabeth stesse solo fingendo di perdere i sensi o fosse svenuta davvero. Ne seguirono momenti concitati, a seguito dei quali Ross fu costretto a ritirarsi nell’abitazione, attendendo un momento più propizio nel quale fare il suo ingresso in scena.
Poco più tardi, dopo che Elizabeth venne condotta a distendersi nella camera matrimoniale che era stata riservata a lei e Francis, quest’ultimo discese in salotto e Charles gli presentò il cugino. Francis apparve subito a Ross come un ragazzo cordiale e generoso, anche se timido ed insicuro. Si chiese cosa potesse trovare una donna passionale come Elizabeth in una persona così scialba e l’unica risposta che riuscì a darsi fu che l’attrattiva del cugino era rappresentata dal suo denaro e dal potere legato al cognome glorioso che portava. Cercò di trattenere la rabbia che provava, sforzandosi di recitare la sua parte nel miglior modo possibile per la riuscita del piano che aveva architettato. Raccontò al cugino dei suoi trascorsi in guerra ed in mare, di come aveva fatto fortuna durante l’ultimo viaggio, di come intendeva mutare vita. Lo interrogò ripetutamente sulle miniere, dicendogli che era molto incuriosito dall’attività tradizionale di famiglia e che gli sarebbe piaciuto imparare qualcosa di più. Francis, con sincerità, gli disse che era suo padre colui che avrebbe potuto istruirlo in materia, poiché lui si limitava ad andare a ruota del genitore. Si chiusero comunque in biblioteca ad esaminare le mappe della Wheal Grace, e Francis gli propose di recarsi alla miniera il giorno successivo, in modo da rendersi conto di persona di quali fossero le nozioni principali da apprendere. Lo zio Charles aveva deciso di lasciare i due ragazzi da soli, ma vedendo che si trattenevano tanto tempo nel luogo della casa che custodiva i documenti più importanti ebbe il sospetto che il nipote, misteriosamente riapparso all’improvviso, avesse delle mire nascoste e decise di intervenire. Dinanzi ai due ragazzi che facevano progetti senza consultarlo, Charles espose al figlio l’idea che aveva già rappresentato a Ross qualche giorno prima: avrebbe risarcito il nipote con una quota dei guadagni già realizzati, ma non era praticabile la soluzione di consentire a Ross di rilevare una quota della Wheal Grace. Diventando soci si sarebbero impoveriti entrambi; inoltre i finanziatori non avrebbero gradito questa modifica della compagine proprietaria, che generava incertezza e rendeva meno solida la gestione, che da sempre era stata in mano ad un unico soggetto. Ross, che non era privo di astuzia, concordò con lo zio e disse che gli interessava conoscere il mondo delle miniere non tanto per sovvertire l’ordine precostituito, ma per potersi confrontare sulle questioni che lo riguardavano con maggiore cognizione di causa.
Francis se ne mostrò entusiasta: disse al cugino che al circolo presso cui era solito giocare a carte aveva inteso che in Galles erano state create delle compagnie di minatori dedite anche alla fase della trasformazione del minerale, oltre che dell’estrazione. Era chiaro che, potendo contare sui guadagni anche per tale fase, era possibile offrire cifre più alte alle aste e quindi garantirsi profitti più elevati per la prima fase, il che avrebbe compensato i maggiori costi per l’avvio della seconda. Sia lo zio Charles che gli altri tenutari della zona non avevano abbastanza spirito di iniziativa per cimentarsi in una simile impresa, ma un giovane audace quale appariva Ross poteva portare una ventata d’aria fresca ed introdurre un cambiamento anche in abitudini commerciali consolidate.
Mentre gli uomini discettavano di affari, Elizabeth aveva finto di desiderare la compagnia e l’assistenza della sorella in modo da poter interrogare approfonditamente Demelza sulle intenzioni di Ross. La sorella le riferì che il bel capitano era furioso per essere stato preso in giro e redarguì la sposina con parole pesanti come macigni: come aveva potuto promettere a quell’uomo di sposarlo, sapendo di non poter mantenere quell’impegno? Elizabeth non cercò di negare di aver ingannato Ross, e, disperata, si dolse di non aver conosciuto prima il suo cognome: se anche lui era un Poldark, benché decaduto, non sarebbe stato uno scandalo sposarlo. “Perché non me lo ha detto? Perché?” – ripeteva, torcendo il copriletto di raso sotto le mani nervose. Ammise con Demelza che lo amava ancora, osservò che forse non tutto era perduto; anche lui, ne era certa, l’amava ancora e sarebbe riuscita ad ammansirlo. In fondo, quando si erano innamorati lei non sapeva ancora che Francis l’avrebbe chiesta in moglie, e poi aveva ricevuto la falsa notizia che Ross era stato condannato a svariati anni di prigione in Francia. Disse che per poter risolvere la situazione aveva bisogno dell’aiuto di Demelza, doveva incontrare Ross senza che nessuno li disturbasse. Demelza si sottrasse alla richiesta e le due sorelle litigarono a lungo, la rossa che insisteva sui doveri morali che Elizabeth aveva assunto con il matrimonio che le imponevano di sacrificare i suoi istinti, mentre la castana perorava le ragioni del suo cuore ed assicurava che nessuno avrebbe sofferto, perché ella, a modo suo, amava anche Francis e non desiderava abbandonarlo o far scoppiare uno scandalo.
Alla fine, dopo mille insistenze, Demelza pensò che prima o poi il confronto fra i due ex amanti doveva avvenire, era inevitabile. Pregò che Ross, disgustato dall’opportunismo di Elizabeth, desistesse dal proposito di fuggire con lei e che tacesse con il cugino dei loro trascorsi. Per quanto di indole pacifica, a fronte di un’offesa nell’onore Francis avrebbe potuto sfidarlo a duello, ed era probabile che sarebbe stato proprio lui il soccombente. Ross era stato in guerra: si supponeva che con fucili e pistole avesse una certa dimestichezza, a differenza del cugino.
Demelza ed Elizabeth si accordarono nel senso che la moglie di Francis, dicendo di sentirsi meglio, sarebbe scesa in sala da pranzo per la cena. Sicuramente Charles o Francis l’avrebbero presentata formalmente a Ross; lei doveva mostrarsi educatamente distaccata ed ignorarlo – o quasi – per il resto della cena. Dopo mangiato si sarebbero trasferiti in sala da musica, dove Elizabeth era solita intrattenere gli ospiti suonando l’arpa; gli uomini avrebbero bevuto liquori, fumato e magari giocato a carte. Nel frattempo Demelza doveva trovare il modo di trasmettere un messaggio di Elizabeth a Ross; i due dovevano incontrarsi: sarebbe stata cura di Elizabeth trovare un sotterfugio per allontanarsi dal marito, magari con l’aiuto della sorella, che si sarebbe trattenuta nei pressi per vigilare che i due potessero parlare indisturbati, senza essere scoperti.
Elizabeth dunque si cambiò d’abito, scese in sala e con una grande faccia di bronzo porse la mano a Ross per il dovuto baciamano, quando Francis la presentò al cugino. Nel corso della cena Elizabeth cercò di non guardare mai dal lato dove era seduto Ross, per evitare di tradire le sue emozioni. Era in ansia per quello che Ross avrebbe potuto fare o dire quando si sarebbero rivisti a tu per tu. Il giovane, invece, pareva del tutto tranquillo e a suo agio. Osservava sornione tutti i commensali, ridendo della loro ipocrisia e dei loro discorsi perbenisti. Lo incuriosiva molto l’atteggiamento delle due sorelle, le uniche a quel tavolo a sapere il vero motivo per cui egli si trovasse lì.
Quanto erano diverse quelle due donne, come il giorno e la notte! Non si trattava solo dell’aspetto fisico. Elizabeth era ciarliera, vanitosa, voleva essere al centro dell’attenzione, la interessava solo l’apparenza e gli argomenti che toccava nella conversazione erano frivoli e banali. Demelza era silenziosa, schiva, premurosa, eppure non era priva di forza di carattere, per come lo aveva affrontato il giorno del suo arrivo a Trenwith. Porgeva il piatto vuoto ai camerieri, ringraziava quando veniva servita, chiacchierava con gli altri commensali a tono di voce basso, era sorridente e garbata. Ross notò che aveva anche dei bellissimi occhi verdi…chissà se dietro quell’apparente amabilità nascondeva la stessa doppiezza della sorella, che non aveva ancora occasione di mostrare.
La cena si svolse secondo i piani di Elizabeth. Demelza riuscì a trasmettere il messaggio della sorella a Ross, che salutò tutti i presenti dicendo che era molto stanco e si ritirava in camera sua. Elizabeth si trattenne ancora un po’ a suonare, impaziente come non mai; quella sera pareva che sua madre non ne volesse sapere di andare a dormire, mentre suo suocero e Francis non incominciavano la solita partita a carte. Demelza ebbe allora un colpo di genio: disse ad Elizabeth che in sua assenza aveva iniziato a ricamare una camicia da notte per lei e voleva assicurarsi che le piacesse prima di proseguire il lavoro. Le due sorelle salirono quindi al piano superiore. La camera da letto di Ross si trovava in fondo al corridoio, poco distante da quella di Demelza, all’ala opposta rispetto a quella padronale di Charles e a quella degli sposi. Elizabeth, con il via libera di Demelza, sgattaiolò verso la camera di Ross e bussò timidamente alla porta. Senza neppure attendere risposta, si introdusse all’interno.
Ross era in piedi, la stanza in penombra, illuminata dalle candele. Elizabeth fece il gesto di lanciarsi fra le sue braccia, ma Ross la freddò, intimandole di non avvicinarsi. Elizabeth, impudente, si sedette sul letto, mentre Ross si trattenne in piedi di fianco alla scrivania. Fu un confronto molto duro, con Ross che non risparmiò termini poco lusinghieri per definire la sua ex amante, mentre Elizabeth cercava di impietosirlo con le sue lacrime tardive, giurando e spergiurando di amare solo lui, che era stata costretta a quelle nozze per bisogno economico, perché la famiglia era in rovina. Inoltre, disse che era stata ingannata dalle parole di Tholly, che aveva asserito che Ross era stato condannato a parecchi anni di prigione da scontare in Francia e che forse non sarebbe più tornato in Cornovaglia. Ross la trattò con sprezzo, disse che queste affermazioni potevano anche contenere un fondo di verità, ma la realtà era che Elizabeth non aveva mai pensato seriamente di sposarlo perché non era mai stata disposta ad affrontare uno scandalo per stare con lui: Gli aveva mentito fin dall’inizio, prendendosi gioco dei suoi sentimenti in maniera crudele.
Dopo qualche timido tentativo di negare la realtà Elizabeth si lasciò sfuggire questa frase: “Se soltanto mi avessi detto da subito chi eri …”. Ross a quelle parole non ci vide più. Rispose che avrebbe voluto essere accettato per quello che era, non per il suo cognome.
Elizabeth continuò ad implorare Ross di perdonarla, lo pregò di essere ragionevole, perché il danno ormai era fatto e non si poteva rimediare, ma ciò che contava erano i sentimenti reciproci. Aggiunse che per lei quella storia non era finita, che si era rassegnata a perderlo solo sulla base delle parole di Tholly ma lo amava disperatamente…Potevano trovare il modo di vedersi come prima, usando le dovute cautele, a maggior ragione adesso che Ross, dato il legame di parentela, poteva frequentare liberamente quella casa ed i suoi occupanti.
Ross replicò, sdegnato, che avrebbe potuto perdonare Elizabeth solo se era disposta a fuggire via con lui: mai avrebbe accettato una relazione con una donna che, stanca del letto del marito, saltava allegramente in quello del suo amante, per poi ritornare dal primo.
Elizabeth, non riuscendo ad ottenere ciò che sperava con le sue consuete moine, uscì da quella stanza furiosa, non prima di aver minacciato Ross: se pensava di incuterle timore con la sua presenza in quella casa si sbagliava di grosso. Sarebbe andata lei stessa a spiattellare tutto a Francis, a raccontare di come Ross l’aveva sedotta ed ingannata, umiliandola, a dire che aveva taciuto tutto per vergogna, per timore di essere ripudiata dal marito se avesse saputo la verità; in ginocchio avrebbe chiesto al marito di vendicare il suo onore, uccidendo Ross, o facendolo sbattere in galera per il resto dei suoi giorni…
Demelza, nel vedere uscire sua sorella con tanta furia dalla stanza di quell’uomo, ebbe l’istinto di interrogare lui piuttosto che lei, per sapere la verità su quel burrascoso colloquio.  
Sebbene avesse consentito l’ingresso nella sua stanza dicendo “avanti”, Ross si fece trovare a torso nudo dinanzi al bacile, intento alle sue abluzioni. Demelza arrossì e balbettò : “mi avevate detto che potevo entrare…” “E allora?” –  replicò lui con la solita ironia tagliente.
“Potreste almeno coprirvi!” – disse la fanciulla, imbarazzata.
Ross rise, e frizionò con gesti misurati il collo ed il busto con un’asciugamani di lino. Poi, indossò una camicia pulita, che lasciò però aperta sul petto.
“Dovreste sapere, cara signorina, che non sta bene entrare di notte nella camera di un uomo… cosa siete venuta a fare? Insistere affinchè me ne vada? Fiato sprecato! È una vostra iniziativa, o è la cara sorellina che vi manda, sentiamo? Avrà pensato che, dove non è riuscita lei con i suoi artigli da tigre, poteva arrivare a commuovermi l’agnello sacrificale! Elizabeth sa, immagino, della vostra  particolare devozione per suo marito…”
Demelza decise che ne aveva abbastanza di sopportare il sarcasmo di quell’uomo sfrontato e volgare, tutto per colpa di Elizabeth e della sua mancanza di decenza.
Sfortunatamente per Demelza la governante di casa, la signora Tabb, la vide uscire dalla camera di Ross. Lì per lì la donna non disse nulla; la mattina successiva però, con quel senso del dovere che imponeva ai servitori delle case illustri di informare i loro padroni di ogni minimo dettaglio che accadeva nelle loro abitazioni, riferì il pettegolezzo a mister Charles. Questi rimase sbalordito, perché conosceva Demelza come una fanciulla seria e coscienziosa; tuttavia dei piccoli particolari ricordati all’improvviso (la prima volta che Ross era arrivato a Trenwith stava conversando con Demelza; anche di seguito li aveva visti varie volte parlottare insieme, l’ultima era stata la sera precedente poco dopo cena, mentre Elizabeth suonava l’arpa) insinuarono nella sua mente il terribile dubbio che il nipote fosse arrivato nelle loro vite per insidiare la sorella di sua nuora. Decise che da quel momento in poi avrebbe vigilato con discrezione su quei due.
Nel frattempo Ross aveva trascorso una piacevole ed istruttiva mattinata in miniera. Aveva verificato che Francis non era in grado di rispondere alle sue domande, ragion per cui si era intrattenuto soprattutto con il capitano della miniera, un uomo di una cinquantina d’anni che si chiamava Henshawe che gli disse di aver collaborato addirittura con suo padre. Visitò i cunicoli, esaminò i campioni di materiale, cercò di comprendere quali fossero i costi ed i rischi dell’attività; apprese che lo zio Charles possedeva anche un’altra miniera, la Grambler, ma paradossalmente proprio quella che sarebbe spettata a suo padre Joshua era quella al momento più fiorente.
Elizabeth, intanto, aveva riflettuto a lungo e non aveva, ovviamente, messo in atto la sua minaccia. In fin dei conti ella teneva davvero a Ross e non voleva che gli capitasse nulla di male. Non voleva capitasse nulla di male neppure a Francis: era un marito gentile e premuroso, dopo tutto, e semmai fosse morto per mano di Ross, sfidandolo a duello, il suo destino sarebbe stato segnato, avrebbe perso sia l’uno che l’altro. La miglior cosa era tenere gli equilibri stabili: Francis non doveva sospettare nulla e Ross doveva cominciare a sbollire la rabbia e credere alla sua buona fede. Il tempo avrebbe risolto tutto. Certo, Ross era un amante straordinario e non si poteva negare che Elizabeth avrebbe desiderato molto riaverlo nel suo letto; tuttavia, se non era disposto ad accettare il ruolo di amante, Elizabeth doveva cercare di avere in lui almeno un amico, un alleato.
Demelza invece era molto preoccupata. Aveva appreso che Ross e Francis erano andati alla miniera insieme, immaginava che avrebbero trascorso molte giornate fianco a fianco, e non si poteva escludere che uno screzio improvviso, una parola fuori posto, un riferimento più esplicito potessero rivelare ciò che Ross aveva promesso, per il momento, di tacere… La rossa non riusciva a convivere con quell’angoscia costante, ed era irritata dal fatto che la sorella, proprio la responsabile di quell’incresciosa situazione, vivesse invece con maggiore tranquillità e rassegnazione.
Ad un certo punto Demelza non ne poté più di custodire quel terribile segreto da solo e rivelò tutto alla signora Chynoweth. La donna fece una scenata ad Elizabeth per la sua sconsideratezza, ma fu concorde con lei con la necessità di insabbiare tutto per proteggere il loro buon nome. Demelza aveva una prospettiva leggermente diversa, perché si crucciava per l’onore di Francis, prima di tutto. La madre di Elizabeth, dopo aver riflettuto, disse però che l’idea della figlia di dipingersi come vittima di un abuso da parte di Ross non era sbagliata: era evidente che quell’uomo arrogante e senza regole sarebbe stato capace di quello ed altro, dunque Elizabeth sarebbe stata senz’altro creduta dai Poldark, e Ross messo alla berlina, se non anche denunciato o ucciso: in tal modo la sua presenza non avrebbe più costituito fonte di ricatto né di turbamento per Elizabeth. Demelza non era affatto d’accordo, sia perché Ross avrebbe pagato un crimine non suo, sia perché Francis avrebbe potuto sfidarlo a duello e pagare a sua volta, da non colpevole, per la leggerezza di Elizabeth. La signora Chynoweth allora annunciò che avrebbe parlato con quel Ross e gli avrebbe dato ad intendere che se non accettava di sparire per sempre dalle loro vite avrebbe lei stessa messo in atto ciò che Elizabeth si era limitata a minacciare.
Il legame tra Francis e suo cugino diveniva sempre più solido. Il figlio di Charles era entusiasta di Ross, lo reputava l’amico ed il fedele confidente che non aveva mai avuto, un fratello maggiore da ammirare ed imitare. Ross, dal canto suo, accantonate le ragioni che aveva per odiarlo, pensava di lui che fosse un bravo ragazzo, un uomo onesto che poteva ancora correggersi dalle abitudini sbagliate della sua classe sociale. Ross, per esempio, gli aveva fatto notare come fosse opportuno che i lavoranti fossero controllati da un medico, in quanto aveva udito alcuni emettere dei brutti colpi di tosse; se avevano i polmoni rovinati, poteva essere pericoloso mandarli nel sottosuolo, perché rischiavano di morire. Tenerli in buona salute non era un vantaggio solo per quegli uomini e le loro famiglie, ma per gli stessi datori di lavoro, che avrebbero dovuto altrimenti assumere altri lavoratori privi di esperienza, sprecando tempo per istruirli. Francis lo aveva guardato con profonda ammirazione, e aveva subito dato disposizioni di chiamare il dottor Enys per effettuare delle visite di controllo.
Vedendo il figlio talmente soggetto all’influenza del cugino, Charles non aveva potuto esimersi dal raccontargli il pettegolezzo della signora Tabb. Francis replicò che sia Ross che Demelza erano incapaci di commettere bassezze simili e che se il cugino avesse avuto un interesse per sua cognata glielo avrebbe confidato. Ross non era affatto privo di mezzi, a quello che aveva detto, e per Demelza poteva essere addirittura un matrimonio onorevole. Asserì che era un’eventualità propizia e che lui stesso ne avrebbe parlato a Ross il giorno seguente.
In quegli stessi minuti la signora Chynoweth e Demelza stavano affrontando Ross. La disputa non si era rivelata facile per la compassata dama, ché quel giovane era un soggetto che non si faceva intimidire, anzi, se aggredito, reagiva con maggiore lucidità e spietatezza sferrando a sua volta attacchi micidiali. Disse che vi erano testimoni che avevano visto Elizabeth salire liberamente a bordo del Lucifero e domandare di lui dopo il suo arresto, cosa che non sarebbe accaduta se fosse stata veritiera la faccenda dell’abuso. La Chynoweth rise di lui: la marmaglia di plebei alle sue dipendenze non sarebbe mai stata valutata attendibile in un processo a suo carico, soprattutto rispetto alle dichiarazioni di gente rispettabile come lei, sua figlia, Francis…
“E voi, Demelza? – sbottò Ross – anche voi sareste disposta a dichiarare il falso in tribunale? A far condannare un innocente, pur di coprire le brutture di vostra sorella? Non siete poi così diversa da lei allora…”
“Non è vero!” – replicò fieramente Demelza.
“Non mortificate Demelza con le vostre stupide accuse – gli intimò la signora – non vi basta aver disonorato una fanciulla di buona famiglia? Non capite che ciò che pretendete da mia figlia è impossibile?”
In quel momento apparve Francis. Guardò Ross con disgusto, esitando qualche istante prima di trovare le parole adatte.
“Tu… come hai potuto? Ti credevo un uomo retto, ti ammiravo per la tua forza di carattere e le tue idee progressiste, mentre tu ti insinuavi nelle nostre vite per pugnalarci alle spalle…”
“Francis, calmati, per favore…” – emise Demelza in un sussurro.
“Non osare difenderlo, dopo ciò che ha fatto! Nessun uomo che pretende di definirsi tale può approfittarsi di una fanciulla innocente! Pensare che non volevo crederci, quando mio padre mi ha riferito ciò che la signora Tabb aveva visto, l’altra sera…. Non avrei mai creduto che potessi approfittare di lei sotto il nostro stesso tetto!”
Ross, sentendosi attaccato con tale veemenza, replicò: “Io non mi sono approfittato di nessuna ragazza innocente: è stata lei che…”
“Taci, cane! – lo interruppe Francis, sconvolto - Non solo non neghi le tue malefatte, ma osi addirittura ritenere lei unica responsabile?  Non riesco a crederci! Ma non pensare di cavartela a buon mercato! Dovrai rimediare al tuo errore, sposandola!”
“Sposandola?” – disse Ross sbalordito, e la signora Chynoweth gli fece eco.
Francis annuì. “Sposandola, certo! Pensare che era proprio quello che volevo proporti, dopo che la signora Tabb l’aveva vista uscire dalla tua stanza l’altra sera… La scoperta di oggi accelera solo gli eventi. Signora, Ross dovrà sposare Demelza, riparando così la mancanza che ha commesso nei suoi confronti. Voi stessa avete detto, poco fa, che ha disonorato vostra figlia... Gli sto offrendo la via d’uscita per rimediare, senza che debba scoppiare uno scandalo.”
“Demelza… ma…” – balbettò la madre. Ross, compreso il terribile equivoco in cui il cugino era caduto, restò in silenzio. Che cosa avrebbe potuto dire? Non poteva nuocere ad Elizabeth pur di venire in soccorso di Demelza: spettava a lei, rifiutando il matrimonio riparatore, sottrarsi all’imposizione del cognato.
Inaspettatamente, invece, Demelza ruppe il silenzio che si era venuto a creare, dichiarando, con voce ferma: “Hai ragione, Francis. Non c’è altra soluzione. Io e Ross ci sposeremo il prima possibile. E perdonaci se abbiamo in qualche modo offeso l’ospitalità che ci hai concesso. Non avremmo dovuto farlo”.
La signora Chynoweth provò a biascicare qualcosa, dicendo che non v’era motivo di agire con tanta sollecitudine, bisognava pensarci meglio, ma Francis la fronteggiò allibito: cosa si doveva aspettare, visto che l’irreparabile era già avvenuto? Aggiunse che era veramente stupito, e che non si sarebbe mai aspettato che Demelza potesse agire con tanta leggerezza.
La ragazza, colpita dall’espressione di delusione della persona che stimava di più al mondo, corse via disperata ed in lacrime. Ross se ne rammaricò e sperò che quelle parole servissero a far ricapacitare quella sconsiderata fanciulla: come poteva accettare di sposarlo, quando lo disprezzava ed amava un altro? Era disposta a sacrificare la propria vita e la propria felicità pur di difendere quella dell’uomo che le aveva preferito un’altra e l’onore di una sorella che non le era neppure particolarmente affezionata? Oltretutto, lasciando che Francis pensasse di lei che si era concessa ad un uomo prima di sposarsi? Che razza di modo di ragionare era quello? In che situazione si trovava, per colpa di quelle due? Sperava solo di non diventare lo zimbello della seconda Chynoweth, dopo essere stato preso in giro dalla prima.

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Capitolo 6
*** capitolo 6 ***


Demelza era corsa in camera sua a sciacquarsi il viso. Il cuore le batteva all’impazzata, e non poteva credere di aver accettato su due piedi di sposare Ross Poldark. In un primo momento, come probabilmente anche sua madre e Ross, aveva pensato che Francis avesse scoperto la tresca fra suo cugino e sua moglie. Per un colpo di fortuna, quando la signora Chynoweth aveva parlato di una ragazza di buona famiglia disonorata da Ross, “sua figlia”, Francis, trovatosi ad origliare, aveva pensato alla sorella minore, senza essere neppure sfiorato dal dubbio che si potesse alludere ad Elizabeth. Si poteva definire un colpo di fortuna, perché l’equivoco in cui Francis era caduto, complice anche un’indiscrezione della governante di qualche giorno prima, distoglieva l’attenzione da Elizabeth. Demelza era la colpevole, Demelza si assumeva le sue responsabilità: pagato questo prezzo, lei e Ross si sarebbero allontanati da Trenwith e l’onore di Francis sarebbe stato salvo. Nessuno avrebbe avuto ragione di rivangare il passato e nessuno scandalo avrebbe travolto le loro famiglie.
Solo in quel momento Demelza rifletté che Ross poteva non essere d’accordo con quella decisione. Se le avesse opposto un rifiuto? Come avrebbe potuto sopportare quella vergogna? Che cosa avrebbero pensato tutti di lei? Doveva assolutamente parlargli e convincerlo ad accettare, fargli capire che era l’unica via d’uscita onde evitare di incorrere in conseguenze peggiori.
Anche Ross era ansioso di avere quanto prima un colloquio con Demelza L’ultimatum di Francis aveva posto entrambi in una posizione molto sgradevole; tra l’altro, per come aveva cercato di opporsi alla decisione del genero, la signora Chynoweth non era affatto favorevole a quelle nozze. Ross doveva ammettere che un po’ lo stuzzicava l’idea di maritarsi con la sorella di Elizabeth: quale modo migliore per farla ingelosire? Gli ripugnava, però, l’idea di usare Demelza per i suoi scopi: a suo modo aveva imparato ad ammirare e rispettare quella fanciulla. Aveva dei principi, delle idee che manifestava con coraggio, senza pensare al proprio tornaconto. Gli aveva poi fatto tenerezza il suo imbarazzo quando lo aveva sorpreso mezzo nudo nella sua stanza, e gli aveva chiesto di coprirsi…Ross era abituato a ben altro tipo di donne e non ne aveva conosciuto molte capaci di mostrarsi indifferenti al suo fascino.
Mentre Demelza e Ross meditavano sul da farsi Francis, molto irritato, aveva comunicato al padre  quanto appena accaduto e la decisione che aveva assunto, obbligando il cugino a rimediare alle sue colpe. A sua volta Charles era rimasto sbalordito e deluso. C’era qualcosa, in tutta quella situazione, che gli appariva stonato e fuori luogo, ma non sapeva ben definirlo. Forse era vero che il nipote era nato sotto una cattiva stella: proprio come sua madre, che era stata la rovina di Joshua, quel giovane riapparso all’improvviso rischiava di trascinare nel fango la loro gloriosa famiglia. Charles doveva ammettere che il figlio si era comportato in maniera coscienziosa: quelle nozze avrebbero messo a tacere ogni pettegolezzo, ed in un certo senso avrebbero suggellato ancora di più il legame fra i Poldark e la famiglia Chynoweth, cosa cui aveva mirato fin da quando aveva organizzato le nozze di Francis con Elizabeth. Un po’ gli dispiaceva consegnare Demelza in pasto a quell’avventuriero del nipote, ma evidentemente il destino voleva così. Ross e Demelza, a conti fatti, provenivano dalla stessa feccia: chissà, infatti, che sangue scorreva nelle vene di quella giovane, sangue non certamente nobile ed onorato come quello dei Poldark. Se quei due si erano scelti, voleva dire che si meritavano a vicenda.
Charles pensò che non tutto veniva per nuocere, anzi: il matrimonio avrebbe tenuto Ross impegnato e lo avrebbe distolto dalle sue mire affaristiche: Anche su questo aspetto, Charles non credeva minimamente alle buone intenzioni predicate dal nipote. Ross era furbo, certamente abituato a vivere di espedienti, ed una voce interiore gli suggeriva di tenerlo alla larga dalla Wheal Grace. La sua condotta con Demelza, oltretutto, giustificava da parte dello zio un trattamento meno generoso rispetto alla proposta iniziale. Di una casa la coppia avrebbe avuto certamente bisogno; gli avrebbe restituito Nampara, unitamente ad una somma come dono di nozze, ma al di là di questo nulla di più. Charles gongolò, pensando che la sfacciataggine del borioso nipote gli si ritorceva contro.
Dopo il breve confronto con suo padre, Francis si ritirò nella camera padronale, dove Elizabeth lo attendeva. La donna si era struccata, lavata e svestita ed attendeva il marito sotto le lenzuola. La presenza di Ross le aveva risvegliato certi ricordi e pensava che fosse il caso di sfruttare quell’estro con Francis, in modo tale che anche lui si distraesse e non dubitasse di lei e del suo amore. Francis, però, non pareva dello stesso avviso: era nervoso, di malumore, si strappò quasi con rabbia il fazzoletto dal collo e la camicia.
“Mia cara, non hai idea di cosa è successo poco fa! Una cosa di una gravità inaudita che, purtroppo, riguarda tua sorella!” - le disse sconsolato.
Elizabeth si drizzò a sedere sul letto, ed il suo volto cambiò mille espressioni man mano che ascoltava il racconto di Francis. Cominciò a indagare, con una serie di domande incalzanti, se Ross aveva accettato di sposare Demelza, ed il marito le rispose: “Vorrei ben vedere! Quel farabutto non ha altra scelta, l’ho messo con le spalle al muro”. Elizabeth era sconvolta, si alzò dal letto e, a piedi nudi, percorse la stanza fino a raggiungere il marito; lo fronteggiò, quasi in lacrime, dicendo: “Mia sorella non può sposare quell’uomo! Non può! Devi assolutamente impedirlo!”. Francis pensò che Elizabeth contrastasse le nozze perché Ross non era un gentiluomo, la persona adatta per sua sorella. Con fare comprensivo, disse che lui stesso non era troppo lieto della cosa, perché era affezionato a Demelza e Ross si era rivelato una persona inaffidabile; ma se quest’ultima gli si era concessa voleva dire che provava del trasporto per lui, ed ora doveva pagare le conseguenze del suo gesto… d’altra parte, se non avesse sposato Ross, disonorata com’era, sarebbe rimasta da sola per sempre. Inoltre Ross aveva assicurato di disporre di qualche sostanza, ed anche lui e suo padre non avrebbero mai consentito che la sorella di sua moglie vivesse in ristrettezze.
Elizabeth assicurò al marito che conosceva bene sua sorella e che era impensabile che avesse avuto una relazione carnale con Ross… aggiunse che era certa di questo, perché una ragazza scialba come Demelza non poteva piacere ad un uomo come Ross, dunque quelle nozze erano del tutto inutili.
Francis aggrottò la fronte. “Tesoro, come puoi dire questo? Cosa ne sai tu, di cosa può piacere a mio cugino? Tu sei una ragazza ingenua, ma per un uomo come lui ogni donna è una conquista, e, mi vergogno a dirlo, quanto più una fanciulla è pura ed innocente, tanto più rappresenta un trofeo per tipi simili. Inoltre Demelza ha confessato: che motivo avrebbe di mentire su una faccenda tanto delicata? Non te lo avevo ancora raccontato, ma la signora Tabb una notte l’ha vista entrare in camera di lui. Che motivo aveva di cercarlo, se non per quello che immaginiamo?”
Elizabeth si morse la lingua, e comprese che Ross e Demelza si erano trovati nella stessa sua condizione: non potevano dire la verità, ma solo recitare il ruolo che Francis aveva loro assegnato in quell’assurda commedia.
Quella notte, per motivi diversi, tutti in quella casa erano sulle spine.
La mattina successiva Ross si alzò prima del solito cercando, mentre la casa dormiva ancora, di avere un confronto importante con Demelza. Anche Elizabeth desiderava parlare con il suo antico amante prima che prendesse una decisione irreparabile, ma quando bussò alla sua porta, Ross era già uscito.
Demelza era sempre molto mattiniera, perché sapeva che il fattore e sua moglie si alzavano all’alba per occuparsi del lavoro dei campi ed i bambini restavano da soli. Preparava loro la frugale colazione, ma quasi ogni giorno vi aggiungeva qualche prelibatezza presa di nascosto dalla cucina della tenuta; la consumava insieme ai bambini, si esercitavano un po’ con la lettura e la scrittura e poi Demelza ritornava alla casa padronale, oppure andava a cavallo o a passeggiare in giardino. Quella mattina si era avviata ancora prima del solito, perché avrebbe fatto di tutto pur di evitare Francis, Ross, sua madre, sua sorella… tuttavia Ross, avendo trascorso vari giorni in casa dello zio, era al corrente delle sue abitudini e si recò a cercarla proprio nella casetta del fattore.
Appena Demelza aprì la porta, Ross si scusò per averla importunata, ma Demelza stessa lo invitò ad entrare, non potendo fare diversamente. La casa del fattore si componeva di un’ampia cucina con il focolare e di due stanzette in cui dormivano i bambini e i genitori. Demelza lasciò i bambini accanto al tavolo ad esercitarsi con i loro fogli e calamai e lei e Ross si accomodarono davanti al camino ancora tiepido. Nessuno li avrebbe cercati lì, e, dopo tutto quello che era successo, che qualcuno li sorprendesse insieme era il male minore.
Demelza disse che non c’era molto da discutere: Francis era stato chiaro, quel matrimonio doveva avvenire al più presto. Non importava che quella decisione si fondasse su premesse sbagliate: l’importante era distogliere l’attenzione da Elizabeth e dalle vere intenzioni per cui Ross era giunto a Trenwith. In più, con Ross sposato a sua volta, Elizabeth non avrebbe osato commettere pazzie, ed il suo matrimonio con Francis sarebbe stato salvo.
Ross, premettendo che era il caso di passare a darsi del “tu”, visto che erano in procinto di sposarsi, disse: “Mi stai dicendo che sei disposta a sacrificare la tua vita, sposando un uomo che disprezzi, pur di separarmi da Elizabeth e salvaguardare la felicità di mio cugino?”
“Io non vi disprezzo! Cioè, volevo dire non ti disprezzo – si corresse Demelza – non ho approvato i tuoi scopi, la maniera in cui sei arrivato qui; ritengo inqualificabile il modo in cui ti sei comportato con mia sorella, ma devo ammettere che la colpa è stata anche sua. Per il resto, non ti disprezzo affatto. Penso, al contrario, che tu sia un uomo da ammirare per il coraggio con cui difendi le tue opinioni ed affronti le avversità. Non è colpa tua se non hai potuto godere della vita agiata di Francis”.
“Ti ringrazio – rispose Ross con un sorrisetto compiaciuto – ma hai risposto solo in parte alla mia domanda. Forse non mi disprezzi, magari con il tempo potrai arrivare a nutrire un po’ di stima per me, ma il matrimonio è qualcosa che presuppone… non dico l’amore (che fra di noi evidentemente non esiste), ma almeno una qualche forma di … intimità. Noi non ci conosciamo affatto, non proviamo nulla l’uno per l’altra. Ti chiedo, dunque: sei disposta a dividere la vita con me solo per proteggere tua sorella e suo marito? Pensi che al tuo posto loro farebbero lo stesso per te?”
Demelza avvampò. In effetti all’aspetto dell’intimità non aveva pensato. L’unica cosa che le interessava era proprio quella che aveva indicato Ross: separarlo da sua sorella e tutelare così la serenità di Francis.
Cercò di difendere la bontà delle sue ragioni, sottolineando, con una certa amarezza, che la vita non le poneva grosse alternative. Sua madre ed il signor Poldark le avevano praticamente impedito di prendere il velo; era molto probabile che le imponessero di sposarsi, ma qualsiasi altro partito non avrebbe fatto differenza, in quanto Francis era l’unico uomo che amava. Se proprio era costretta a sposarsi, che almeno servisse a qualcosa. Piuttosto, chiese a Ross di essere sincero: era lui che non gradiva sposarla? Ross rispose che non doveva pensare questo: Demelza era una ragazza graziosa e ricca di pregi, qualsiasi uomo sano di mente avrebbe fatto carte false per sposarla. Il fatto è che non trovava giusto il suo sacrificio in favore di individui immeritevoli e non voleva che per una scelta impulsiva ella fosse condannata ad una perenne infelicità. Ross aggiunse che di sé non gli importava, era disposto ad uniformarsi a qualunque decisione Demelza avesse preso. Aggiunse che su una cosa non transigeva: non era giusto che Francis pensasse di lei che non era una ragazza onesta. Le disse che avrebbe trovato il modo di far capire al cugino che l’aveva sì corteggiata, ma che non era accaduto ciò che lui definiva l’irreparabile, cosicché non vi era tutta questa urgenza di sposarsi.
Demelza scosse la testa. Il matrimonio doveva avvenire quanto prima, il tempo di ufficializzare le pubblicazioni. Elizabeth, la conoscevano entrambi, avrebbe cercato di opporsi strenuamente e bisognava metterla dinanzi al fatto compiuto.
Alla fine, concordarono di dire che Ross aveva conosciuto Demelza durante una passeggiata sulla spiaggia e se ne era invaghito; tornato dopo diversi mesi in Cornovaglia, era andato a cercarla a Cusgarne, dove aveva trovato la casa sprangata e gli era stato riferito del recente matrimonio di Elizabeth con suo cugino; così, era andata a cercare Demelza a Trenwith per dichiararle il suo amore. Demelza inizialmente lo aveva respinto, ma Ross non demordeva. Aveva approfittato della parentela con i Poldark per trattenersi a Trenwith ed aveva sfruttato ogni occasione per cercare di convincere Demelza. Alla fine lei aveva ceduto alle sue lusinghe perché ne era innamorata, ma le intenzioni di lui erano serie, l’avrebbe chiesta in moglie anche se Francis non glielo avesse imposto.
Elizabeth, intanto, era come una tigre in gabbia. Non trovando Ross e neppure Demelza in casa era andata a sfogarsi da sua madre, ma il loro colloquio non l’aveva soddisfatta. Innanzitutto si era innervosita ad ascoltare quanto era stato ottuso l’uomo che aveva sposato, e poi la signora Chynoweth era d’accordo con Francis: sacrificare Demelza era la scelta migliore nell’interesse di tutti. Elizabeth non condivideva quel parere ed era folle di gelosia. Non poteva essere proprio sua sorella a rubarle Ross: avrebbe lottato con tutta se stessa per impedire quel matrimonio assurdo.
Nel corso della giornata riversò la sua ira sia su Demelza che su Ross.
Alla prima disse che, come al solito, si immischiava nella sua vita e pretendeva di giudicare cosa fosse giusto e cosa sbagliato. La schernì dicendo che Ross non l’avrebbe mai amata, che la sposava solo per una ripicca, che avrebbe continuamente fatto confronti tra le due, che Demelza non sarebbe stata mai alla sua altezza e, in particolare, mai in grado di soddisfare un uomo passionale come Ross.
Demelza le rispose che era Elizabeth a non doversi immischiare nella sua vita e pretendere di imporle decisioni. Avrebbe sposato Ross, che le piacesse o no; quali erano le sue motivazioni, non era affare di Elizabeth.
Non ottenendo nulla da Demelza (di cui conosceva la testardaggine, al di là dell’apparente dolcezza di carattere), Elizabeth cercò di convincere Ross. Gli disse che era uno sciocco ad accettarla in moglie perché Demelza era molto diversa da lui, era un’ipocrita, una santarellina, inoltre era innamorata di Francis e non di lui. Ross le rispose freddamente che quello era un problema suo e che Elizabeth non doveva permettersi di intromettersi, dopo i danni che già aveva fatto.  Con sarcasmo le disse che aveva sognato di avere come moglie una contessa, l’aveva perduta, e non si poteva biasimarlo per cercarne un’altra. Elizabeth sghignazzò: Demelza non possedeva nessun titolo nobiliare perché era una figlia illegittima! Cominciò a denigrarla ulteriormente, a definirla una parassita che era sempre vissuta alle spalle della sua famiglia, una miserabile degna di Ross. Udendo quelle parole così offensive, Ross ebbe la definitiva conferma della pochezza di Elizabeth. Semmai avesse nutrito qualche dubbio, ora era più che mai convinto di accettare di sposare Demelza. Elizabeth fingeva di disprezzarla, ma moriva di gelosia. I suoi parenti pensavano forse di umiliarlo dandogli in sposa una trovatella, ma Ross avrebbe dimostrato che lui e Demelza erano le uniche persone degne in quella combriccola.
Appena gli fu possibile, Ross chiese di parlare sia con Francis che con lo zio Charles. Sebbene Demelza non fosse d’accordo, Ross ritenne doveroso cercare di proteggerne l’onorabilità ed accennò con i suoi parenti al fatto che lui e Demelza avevano soltanto amoreggiato, ma la ragazza era ancora vergine e qualsiasi medico avrebbe potuto comprovarlo, benché volesse a tutti i costi risparmiarle quell’ignominiosa verifica. Francis non gli credette, anche perché Demelza pareva aver ammesso tutt’altro. Ross disse che la sua innamorata lo aveva fatto perché era così pura ed ingenua che viveva con vergogna il solo fatto di aver compiuto atti sconvenienti nella casa in cui era ospite.  “Dovresti conoscerla meglio di me…” – insinuò Ross, ma Francis non colse l’allusione. Ross pensò che il cugino doveva essere un vero imbecille a non essersi accorto non solo dei sentimenti che Demelza provava per lui, ma anche della sua integrità.
In quell’occasione Ross e lo zio toccarono anche il discorso economico. Ross disse che per garantire alla futura moglie una sistemazione degna di lei era costretto ad accettare la proposta dello zio di restituirgli Nampara. Era impossibile, infatti, trovare una casa disponibile a buon mercato in così breve tempo. Charles disse che fin dal loro primo incontro gli aveva precisato che si trattava di una casa disabitata da 25 anni, in rovina, e che non poteva assicurargli anche il denaro necessario per ristrutturarla. Era disposto a concedergli solo cinquemila ghinee, come proposto la prima volta. Ross tentò il tutto per tutto e rialzò la posta, chiedendo diecimila ghinee, tenendo conto del fatto che Demelza non aveva una dote e che qualsiasi altro uomo avrebbe preteso da Charles, in quanto consuocero della madre di Demelza,  una somma ben superiore. Francis questa volta fu d’accordo con il cugino: la sorella di sua moglie meritava di abitare in una dimora degna, ed era giusto essere generosi.
Il giorno dopo Ross andò ad ispezionare la proprietà che lo zio voleva rendergli. Si trovava in collina, immersa nel verde, ma lo stato di abbandono in cui versava era desolante. Il cancello di ingresso, neppure stabile sui suoi cardini, era invaso dall’edera; il portone di casa, di legno, era completamente marcio; in terra vi erano tegole e calcinacci, il muro di contenimento era sgretolato in vari punti.  Ross aprì la porta con una chiave in ferro che lo zio aveva fortunosamente recuperato e con somma sorpresa scoprì che l’abitazione non era stata preda dell’usura del tempo o dello sciacallaggio di persone senza scrupoli: presentava, anzi, gran parte di quelli che dovevano essere gli arredi di un tempo. Si trattava di una tipica casa di campagna, non lussuosa come Trenwith, ma all’epoca del suo massimo fulgore doveva essere stata decorosa ed accogliente. Entrando, si accedeva in un grande salone, che in qualche punto presentava tracce di umidità. Vi era un ampio camino, una sala da pranzo adiacente e, procedendo sul lato opposto, una cucina con una grande dispensa. Vi era una scala per recarsi al piano superiore, i cui gradini parevano integri, benché sotto i suoi passi producessero un terribile cigolio. Al piano superiore vi erano due stanze da letto con un piccolo scrittoio adiacente.
Quella rapida perlustrazione diede a Ross l’idea che Nampara fosse messa meno peggio del previsto. Sicuramente c’era da intervenire rapidamente per renderla abitabile, ma non sembravano esserci danni strutturali.
Accanto alla casa vi era un fienile, e dei terreni che sarebbe stato molto difficile rendere nuovamente fruttiferi in breve tempo. La cosa migliore da fare sarebbe stata sistemare anche il fienile affinchè potesse presto accogliere almeno una mucca e due cavalli.
A Ross serviva innanzitutto del personale, gente di fiducia e con buona volontà che lo aiutasse a sistemare la casa. Gli unici due servitori che riuscì a trovare a buon mercato erano i coniugi Paynter, che si presentarono come vecchi amici di suo padre. Furono loro a spiegare a Ross che se Nampara al suo interno si era mantenuta intatta era anche grazie a loro, che nel tempo ogni tanto si erano recati a dare un’occhiata, ad aprire le finestre e dare una pulita. Ross sospettò che i due lo avessero fatto per dare assalto alle riserve di gin di suo padre e che la loro presenza non fosse stata del tutto disinteressata: era probabile che qualche oggetto di valore fosse stato sottratto per ripagare il loro disturbo. Tutto sommato, però, non si poteva lamentare di loro.
I suoi vecchi marinai, il mozzo Peter e i due fratelli Daniels (Tholly era sparito nel nulla, nel frattempo), si dichiararono disposti a dargli una mano con i lavori di muratura e a strappare le erbacce tutto intorno. Ross chiamò un paio di contadini per dissodare il campo e, tempo una settimana, Nampara aveva ripreso almeno in parte un aspetto dignitoso.
Furono effettuate le pubblicazioni, presi accordi con il sacerdote, trovato l’abito di nozze (che Demelza volle estremamente semplice). Si sposarono il 24 giugno, giorno di San Giovanni. Al termine di una modesta cerimonia nella cappella del villaggio e di un ricevimento sobrio e con pochi invitati, tenutosi nel cortile antistante l’edificio religioso, Ross e Demelza salirono in carrozza e salutarono parenti ed amici per dirigersi verso la loro nuova vita insieme.
Elizabeth, livida dalla rabbia, vestita con un abito verde come il colore del suo viso in quel momento, si avvicinò a Demelza per salutarla con un bacio e le sibilò all’orecchio: “Maledetti… vi auguro di essere infelici come meritate!”. Ross non si scompose e ad alta voce, affinchè tutti sentissero, rispose: “Auguriamo altrettanto a te, cara cognata!”. Strinse la mano di Demelza, le sorrise e con l’altra mano colpì la fiancata della carrozza, per dare segno al cocchiere di partire.
Nampara distava circa un quarto d’ora dal luogo della celebrazione. Durante tutto il tragitto Demelza fu silenziosa. Fino a quel momento era stata presa dall’ansia di organizzare tutto, di tenere a bada le ire di Elizabeth, di vigilare su Ross affinchè non cambiasse idea. Adesso era cosa fatta, aveva giurato dinanzi all’altare di amare e rispettare Ross e di essergli fedele per l’eternità. Avrebbe dovuto vivere al suo fianco come legittima sposa; con tutta probabilità lui quella notte avrebbe preteso di esercitare i diritti coniugali. Demelza non aveva esattamente idea di cosa questo significasse, ma certamente sarebbe stato qualcosa di imbarazzante e di umiliante. Ross intuì il suo turbamento e con grande delicatezza cercò di distrarla, parlandole di Nampara, delle migliorie che aveva apportato e di qualche altro piccolo cambiamento che si poteva fare… disse a Demelza che da quel momento sarebbe stata la padrona e che poteva liberamente disporre con la servitù, per gli acquisti, per la gestione della casa e per qualsiasi cosa desiderasse.
Nonostante la stagione estiva, durante il tragitto era scoppiato un violento temporale. Giunti a destinazione, si ripararono la testa alla meglio e corsero in casa, dove li accolse Prudie, la domestica, che insieme al marito Jud abbozzò un goffo inchino verso la nuova padrona. Demelza si guardò intorno e notò che la casa appariva ancora piuttosto in disordine, ma nel complesso era accogliente. Ross incaricò Jud di caricare i bauli fino al piano superiore e mentre l’uomo bofonchiava qualcosa che pareva una tiritera Demelza rifiutò di cenare, dichiarando che si sentiva ancora sazia per il rinfresco. Ross le fece eco, sebbene non avessero mangiato molto. Una volta sceso Jud, i due novelli sposi diedero la buonanotte ai servitori e salirono al piano superiore. La scala era stata riparata, e l’unico rumore che si udiva era il fruscio dello strascico della sposa sul pavimento.
“Spero che ti piaccia. Il letto è quello originale, mentre la cassapanca è nuova, così come la biancheria sul letto… non potevo sapere se Prudie sarebbe riuscita a lavare e stirare decentemente le lenzuola che erano di mio padre” – disse Ross, mostrando la spaziosa camera da letto a Demelza.
“E’ tutto molto bello, Ross, grazie…” - rispose Demelza, sfiorando il copriletto candido.
Seguì un silenzio imbarazzante. Demelza aveva ancora in mano il suo bouquet da sposa, e sistemò i fiori in un piccolo vaso, riempendolo d’acqua con la brocca che Prudie aveva lasciato accanto alla finestra.
Ross capì che gli conveniva subito mettere in chiaro le cose con sua moglie.
“Demelza, ascoltami: so bene che per te non è semplice, viste le circostanze in cui sono maturate le nostre nozze. Qui siamo solo noi due e non abbiamo motivo di fingere. Posso capire che tu non abbia nessuna voglia di dormire nella mia stessa stanza, né tanto meno essere mia moglie… in tutti i sensi. Non sono abituato a prendere le donne con la forza, e mai ti costringerei a fare qualcosa che non desideri. Per questa ragione ho dato disposizioni a Prudie di preparare un letto nella stanza di fianco, mi accomoderò lì, fin quando tu non deciderai diversamente. Non preoccuparti – disse Ross, scorgendo una forma di perplessità da parte di Demelza – di quello che potranno pensare i domestici. Qui comando io, e basterà ricompensarli adeguatamente affinchè tengano la bocca chiusa. Sei d’accordo?”
“Va bene, Ross” – si limitò a replicare Demelza, grata che Ross avesse compreso il suo disagio.
Prima di uscire, però, il marito le fece una raccomandazione: “Inutile dire che, quando Elizabeth ti domanderà (perché sono certo che morirà dalla voglia di metterti in imbarazzo) com’è andata la nostra prima notte di nozze, dovrai metterla a tacere senza mostrare titubanza alcuna. Buonanotte”.
Demelza rimase sola nella grande stanza. Non sapeva dire se si sentiva più sollevata o più spaventata dal fatto che Ross le avesse fatto quel discorso. Apparentemente era un uomo che la rispettava e mostrava di tenere da conto la sua opinione: ma se Elizabeth avesse avuto ragione? Se Ross aveva accettato di sposarla solo per vendicarsi di Elizabeth, ma in fondo al suo cuore continuava ad amarla, sua sorella sarebbe sempre stata una presenza incombente fra di loro. Era vero che qualsiasi uomo, in un confronto fra le due, avrebbe scelto sua sorella? Le malignità di Elizabeth le rimbombavano in testa. Francis le aveva preferito Elizabeth, Ross aveva dovuto sposarla come ripiego e forse si era sistemato in un’altra stanza perché lui stesso non aveva alcuna voglia di avere un rapporto fisico con lei, perché Elizabeth era l’unico oggetto del suo desiderio. A dispetto di tutto, i due vecchi amanti avrebbero potuto trovare il modo di incontrarsi ancora. Quel matrimonio era una farsa, Ross era stato onesto nel ricordarglielo… ad un tratto le sembrò tutto più difficile del previsto. Demelza rovesciò la testa sul guanciale e, scossa dai singhiozzi, versò le sue prime lacrime da signora Poldark.

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Capitolo 7
*** capitolo 7 ***


Nampara si trovava in un luogo piuttosto isolato e per i primi giorni dopo il matrimonio il bisogno di tranquillità di Demelza fu soddisfatto. L’unica visita, come aveva previsto Ross, fu quella di Elizabeth, che moriva dalla voglia di trovare una falla nel rapporto fra sua sorella ed il marito e non vedeva l’ora di contribuire a mettere zizzania fra i due. Ebbe da ridire sulla casa (troppo tetra e sperduta), i servitori (sciatti e volgari), criticò il fatto che Ross fosse uscito lasciando Demelza sola in casa “a fare la contadinella”; rimproverò alla sorella di essersi rovinata la vita con le sue stesse mani, a causa della presunzione e della superbia. Ammise spudoratamente di essere ancora interessata a Ross e che quelle nozze non cambiavano nulla: se avesse davvero voluto, se lo sarebbe ripreso in ogni momento, bastava un suo cenno e Ross sarebbe corso da lei come un fedele cagnolino.
“Sarà anche venuto a letto con te, ma lo ha fatto per dovere, e ricorda che è stato mio prima di essere tuo. Questo non potrà mai cambiare, per quanto tu dica e faccia.” – concluse Elizabeth malevola.
Effettivamente Ross era spesso fuori casa in quei giorni, ma era comprensibile. Doveva riprendere in mano i suoi affari, ora che aveva anche una moglie da mantenere. Spesso si recava a Truro alla banca Pascoe per avere consigli su come investire il proprio denaro e si tratteneva talvolta al pub Red Lion, occhi ed orecchie ben aperti per captare notizie interessanti per i suoi obiettivi finanziari. Era sempre più intenzionato ad acquisire le quote di qualche miniera, sia perché attirato dalla tradizione di famiglia, sia allo scopo di recare un po’ di disturbo ai suoi altezzosi parenti facendo loro concorrenza.
In una di queste giornate gli capitò di imbattersi in Elizabeth, che si era recata a Truro a fare degli acquisti. Non lo rivelò a Demelza, ma la cognata tornò alla carica con la proposta di continuare ad essere amanti. Ross rifiutò, dicendo ad Elizabeth che non si poteva, entrambi erano sposati e quel che c’era stato fra di loro era ormai morto e sepolto. Nei giorni successivi, però, non poteva evitare di sentirsi turbato. Aveva amato molto Elizabeth e non era vero che ogni sentimento che provava per lei fosse scomparso. Semplicemente, la rabbia e l’orgoglio ferito avevano cancellato dal suo cuore l’amore che nutriva, però il desiderio di lei bruciava ancora, tanto più che era un uomo giovane e per il momento Demelza non pareva propensa ad avere una relazione fisica con lui.
Tormentato da questi pensieri cavalcò verso casa dove, intorno all’ora di cena, trovò Demelza ginocchioni per terra che strofinava con spazzola e liscivia il pavimento della sala.
“Che stai facendo? Alzati subito, non è il caso, c’è Prudie che viene pagata appositamente per farlo!” – le disse, prendendola per gli avambracci.
Demelza gli oppose resistenza e restò ferma sul pavimento. “Ross, la casa è grande, Prudie è di corporatura robusta, non è affatto agile. Un po’ per l’età, un po’ per pigrizia non riesce a svolgere tutte le faccende di cui la incarico. Se voglio che questo pavimento diventi davvero pulito, conviene che lo lustri da me. Che c’è di strano? È anche casa mia, no? Vedrai domani, alla luce del sole, come ti sembrerà lucido!”
Ross le sorrise. “Mi fa piacere che ti impegni a rendere più gradevole la nostra casa, ma non voglio che ti stanchi. Non mi sono sposato per procurarmi una sguattera gratis”. Demelza, continuando a strofinare, commentò che era abituata ad occuparsi delle faccende domestiche. Gli narrò per sommi capi come era stata la sua vita da quando il conte Jonathan, il padre di Elizabeth, l’aveva adottata, e com’era cambiata dopo la sua morte.
Dopo che Demelza fu andata a rinfrescarsi e cambiarsi d’abito per la cena la conversazione continuò. Ross era molto interessato a conoscere la storia di Demelza, e dopo aver ascoltato a sufficienza sentenziò che sua moglie era stata troppo arrendevole: aveva sopportato i capricci di Elizabeth e le ripicche di sua madre, ma neppure la gratitudine per l’accoglienza ricevuta dal conte giustificava la sopportazione di umiliazioni e soprusi. Demelza ribatté che non si era trattato di arrendevolezza, ma di quieto vivere. Lui era uomo, non poteva capire; senza l’aiuto della famiglia Chynoweth ella sarebbe morta di fame o di malattia e per sopravvivere avrebbe dovuto mendicare, o peggio, prostituirsi.  Non ricordava la sua vera madre, ricordava vagamente l’immagine di una donna malata in uno squallido lettuccio di periferia londinese, ricordava di essere vissuta in strada con un uomo adulto, forse un parente, che la picchiava se non riportava indietro abbastanza monete quando elemosinava. I Chynoweth, con tutti i loro difetti, una parvenza di famiglia gliel’avevano data, e a Cusgarne aveva dimenticato cosa volesse dire avere fame. Aveva ricevuto un’istruzione, e a quell’epoca per una donna non era affatto scontato. Ross comprese quello che Demelza intendeva dire: anche a lui era sempre mancato l’affetto di una famiglia, una madre, un padre, fratelli con cui crescere, anche lui aveva conosciuto i morsi della fame, la tristezza e la solitudine. In quanto uomo, e grazie al sostegno di Pascoe, aveva potuto riscattarsi, ma una ragazza vissuta in strada non avrebbe goduto di analoghe possibilità. Sentiva comunque un profondo disagio ed un senso di ingiustizia per il trattamento ricevuto da Demelza alla morte del conte Chynoweth, per colpa di quelle due arpie di Elizabeth e sua madre.
Prudie servì la cena, e Ross scoprì che Demelza, oltre a pulire il pavimento, aveva anche avuto il tempo di infornare un ottimo pasticcio di carne. Disse, scherzosamente, che aveva fatto proprio un ottimo affare a sposarla! Si raccontarono a vicenda cosa avevano fatto in giornata. Ross raccontò delle sue imprese a Truro, Demelza disse invece aveva scambiato qualche chiacchiera con il dottor Enys, l’unico vicino che talvolta le capitava di incontrare. Enys abitava in un cottage ad un miglio da Nampara, e ci passava sempre davanti a cavallo per recarsi a Sawle. Ross commentò che il medico era una persona molto gentile: lo aveva conosciuto un giorno con Francis alla Wheal Grace. Demelza annuì, il dottor Enys era il medico cui si ricorreva per i problemi alla miniera. Incautamente rivelò che per un periodo lo zio Charles aveva pensato di proporglielo come marito. Ross si mostrò sorpreso ed un po’ risentito. “E’ una brava persona, un onesto lavoratore ed è anche un giovane di bell’aspetto. Avresti potuto accettare. Perché non lo hai fatto? La solita solfa del grande amore per mio cugino, che ti impediva di apprezzare chiunque altro non fosse alla sua altezza?”
Questa volta fu Demelza a mostrarsi offesa. “Avevamo fatto un patto, Ross. Non avremmo rivangato il passato. Enys è certamente un brav’uomo ed una persona di gradevoli fattezze, ma non avevo alcun motivo per sposarmi con lui.”
“Già, dimenticavo che nel mio caso avevi invece l’ottima motivazione di salvare l’onore di Francis Poldark, detto anche Dio-sceso- in-terra! Nonostante io sia meno onesto, meno gentile e meno bello del dottor Enys”- ridacchiò Ross, ingollando in un sol colpo un bicchiere di gin.
“Comportandoti in questa maniera, certamente non ti mostri gentile ed amabile! E smetti di bere, stai esagerando, tra poco dovrò chiamare Jud per farti coricare” - gli intimò, furente, la moglie. Ross non le diede retta: prese con sé l’intera bottiglia di liquore e se la portò in camera, senza rivolgerle la parola.
Era ancora in grado di stare in piedi, ma i fumi dell’alcol avevano cominciato ad annebbiargli la mente. Riconosceva di aver trattato male Demelza senza ragione e non sapeva neppure spiegare perché: forse gli bruciava ricordare che la fanciulla lo aveva sposato solo per proteggere l’onore di un altro. Avrebbe dato tutto quello che possedeva per essere amato da una donna con la stessa devozione con cui Demelza amava Francis.  Non riusciva a capire che cosa avesse di tanto eccezionale il cugino. Elizabeth e Demelza, entrambe gli preferivano Francis: l’abbandono della prima rendeva più amara la distanza che lo separava dalla seconda. Lo feriva pensare che non valeva abbastanza per poter aspirare all’amore di una fanciulla come Elizabeth, e neppure a quello di Demelza, troppo impegnata a crogiolarsi nel ricordo di un amore impossibile.
Si gettò sul letto a pancia sotto, ma perdendo l’equilibrio urtò con le gambe, e fece cascare con un tonfo sordo, uno sgabello sul quale aveva appoggiato la giacca. Dopo poco Demelza bussò alla sua porta. La sentì rialzare lo sgabello da terra, avvicinarsi al letto e sfilargli gli stivali, spostandogli poi le gambe sopra il letto. Alla luce della candela e con gli occhi semichiusi per la sbornia percepì sua moglie come un angelo vestito di bianco, che emanava un gradevole profumo. Capì che gli si era seduta a fianco.
“C’era proprio bisogno di ridursi in questo stato, Ross? Ti avevo anche avvisato… perché ti sei ubriacato?” – gli domandò con pazienza.
 Ross rispose con un mugolio.
“E’ per Elizabeth? Ne vale davvero la pena, Ross? Perché non la smetti di struggerti per lei e cerchi di trarre benefici da ciò che hai ottenuto? Hai una casa, abbastanza denaro, un mucchio di progetti per il futuro… perché non guardi avanti, perché?”
Demelza stava parlando a se stessa, perché Ross non era più in condizione di ragionare. Lo lasciò russare e si ritirò in camera sua. Ci avrebbe pensato Jud a spogliarlo e ficcarlo sotto le coperte.
Si sfilò la vestaglia e si infilò a sua volta tra le lenzuola, sospirando. Ross era incapace di dimenticare Elizabeth. L’uomo che aveva sposato era talmente cieco che non riusciva a notare come in Demelza si stessero producendo dei piccoli cambiamenti. Stava scoprendo, giorno per giorno, che Ross era un uomo interessante, che era piacevole vivere con lui e che avevano tanti aspetti in comune. Se solo fosse stato un po’ meno cinico e sprezzante, non le sarebbe stato difficile innamorarsi di lui. Ma Ross voleva Elizabeth, sempre e solo Elizabeth… come Francis, che aveva seguito la volontà paterna, preferendole la sorella. Demelza era stanca di essere un ripiego, avrebbe voluto essere amata e desiderata da un uomo con la stessa intensità con cui Ross ancora voleva Elizabeth, ma era convinta che questo non sarebbe mai avvenuto.
Nei giorni successivi la situazione tra i due si rasserenò: Ross non si ubriacò più e chiese scusa per il suo comportamento di quella sera. Demelza non era persona da portare rancore a lungo, la discussione terminò lì e ne segui un periodo di tregua.
Man mano che i giorni passavano, anzi, tra Ross e Demelza si consolidava un rapporto di simpatia e complicità: Demelza si dimostrava una compagna affettuosa e presente; curava la casa, il giardino, i terreni, assumeva iniziative, apportava modifiche alla casa, impartiva disposizioni alla servitù ed ogni giorno Ross notava la sua proprietà rifiorire, sotto la guida di una padrona attenta. Ross, dal canto suo, lavorava alacremente recandosi quotidianamente al porto oppure in banca per gestire i suoi affari. Aveva stretto amicizia con i proprietari di una fonderia, e tramite loro stava cercando di reperire contatti per acquisire le quote di una miniera. Era in buoni rapporti con tutti i confinanti e per curare la fattoria ed i terreni aveva assunto un paio di giovani volenterosi, le cui famiglie non smettevano di ringraziarlo.
Demelza, intanto, esplorando la soffitta aveva trovato un vecchio baule che conteneva un abito azzurro di taffetà. Si trovava in ottimo stato, anche se la foggia era fuori moda. Quando lo mostrò a Ross, il giovane concluse che quell’abito doveva essere appartenuto a sua madre; probabilmente era stato dimenticato lì per caso, oppure lei e Joshua erano dovuti scappare di corsa da Nampara con l’essenziale e lo avevano volutamente lasciato nel baule in attesa di venire a riprenderlo in tempi migliori, che non erano mai arrivati.
Demelza chiese se poteva prenderlo ed apportarvi delle modifiche; Ross concluse che non aveva senso farlo marcire nella cassapanca e che poteva senz’altro utilizzarlo come meglio credeva. Demelza si accinse a rimodernare l’abito con entusiasmo: accorciò leggermente le maniche a tre quarti sull’avambraccio, ampliò leggermente la scollatura applicandovi una bordatura di pizzo dello stesso colore e rese più scivolata la linea della gonna. Soddisfatta del risultato, indossò il vestito e si ammirò nello specchio. Non sapeva se ci sarebbe occasione di utilizzarlo, ma era felice perché non aveva mai posseduto un abito così bello.
L’occasione arrivò grazie ad un invito a Trenwith per la vigilia di Natale. Erano trascorsi sei mesi dal loro matrimonio e Ross e Demelza non avevano avuto più contatti con l’altro ramo dei Poldark. La signora Chynoweth era rimasta a vivere a Trenwith adducendo come scusa la solitudine, sebbene i lavori di riparazione del tetto a Cusgarne fossero terminati da tempo. Visto che non era sola e che non aveva più bisogno dell’aiuto materiale di Demelza in casa, non sentiva neppure il dovere di fingere una familiarità con la figlia adottiva che non era mai esistita. Soltanto due o tre volte Elizabeth era stata in visita a Nampara, per curiosare, più che per affetto verso la sorella. Talvolta Ross aveva incontrato Francis a Truro, ma si erano limitati ad un saluto di sfuggita. I due giovani non avevano quindi mantenuto rapporti stabili con nessuno dei loro parenti.
In quei sei mesi Ross e Demelza avevano stretto amicizia con il dottor Enys. Viveva da solo, a poche miglia da Nampara, e dopo un primo invito a cena avevano scoperto quanto fosse piacevole la reciproca compagnia. Ross aveva trovato in Dwight una persona perbene ed un amico leale. Grazie a Dwight, Demelza aveva aperto gli occhi su Francis: il medico le aveva raccontato che il cugino di Ross era troppo debole e viveva in un mondo tutto suo, non aveva mai il coraggio di opporsi alle decisioni di suo padre. A dispetto delle visite che periodicamente Dwight effettuava sui lavoranti, i Poldark non consentivano che i minatori osservassero periodi di riposo qualora in malattia, se non per lo strettissimo necessario, e se quelli necessitavano di cure non erano neppure disponibili ad anticipare loro la paga mensile. Dwight a volte si era trovato a dover offrire gratuitamente dei preparati ai più bisognosi, e nonostante i suoi sforzi qualcuno era morto. Innumerevoli erano i tristi resoconti di intere famiglie cadute in miseria a causa della morte, o di una malattia grave incompatibile con il lavoro in miniera, del capofamiglia. Ross aveva cercato di aiutare qualcuno dei più sfortunati prendendolo a lavorare sul Lucifero, ma per quanto potesse adoperarsi il suo aiuto era come una goccia nel mare. Nelle serate dinanzi al camino a sorseggiare del brandy Dwight e Ross discutevano spesso di politica e concludevano che la Cornovaglia avrebbe potuto risollevarsi solo se uomini forti avessero deciso di impegnarsi per il bene comune. Purtroppo quella prospettiva pareva lontana dal concretizzarsi, anzi l’attuale candidato per il Parlamento era George Warleggan, il giovane banchiere nipote del severo giudice Cary. Demelza lo conosceva bene: George aveva corteggiato per un periodo Elizabeth, ma ad entrambe le sorelle non era mai stato simpatico. Era un presuntuoso, per lui contavano solo il potere ed il denaro, ma quasi tutti i possidenti in zona facevano affari con la banca Warleggan e quindi George aveva un suo seguito elettorale. Dwight era indignato e disse che un uomo intelligente ed ardito come Ross avrebbe dovuto avversare uomini della pasta di Warleggan. Ross rispose che nessuno lo avrebbe sostenuto se si fosse candidato, data la sua brutta fama. In realtà, negli ultimi tempi la generosità di Ross nei confronti dei più deboli aveva portato il suo nome sulle bocche di tutti, era una persona stimata ed ammirata ed inoltre l’oculatezza con cui stava amministrando le sue sostanze lo aveva reso uno degli uomini più ricchi della zona. Demelza era felice della buona nomea che Ross stava costruendosi e dell’ammirazione di tante persone, ma il marito l’aveva messa in guardia dall’ipocrisia dei falsi amici, che lo adulavano solo per un tornaconto e non per reale condivisione dei suoi valori.
Quando arrivò l’invito da Trenwith, Ross non nascose la sua sorpresa, ma Demelza disse che tutto aveva una spiegazione. Ross stava diventando un personaggio carismatico per tanta gente, poteva influire sul voto, e Charles aveva sicuramente invitato alla festa sia Cary che George Warleggan. “All’improvviso siamo diventati ospiti desiderabili!” – commentò cinicamente Ross. “Non lo so, Ross. Se è vero ciò che Dwight racconta, vorranno metterti alla prova. Devi essere molto prudente nell’esprimere le tue opinioni. Non ti esporre troppo”- gli raccomandò Demelza.
Ross rise “Cha saggia donna ho sposato!” . Poi le ricordò che sarebbe stata una serata di gala, e le chiese se aveva bisogno di acquistare un abito nuovo. “No, Ross, userò quello azzurro di tua madre” - rispose Demelza con semplicità.
Sebbene Demelza non fosse una ragazza frivola, i giorni precedenti la vigilia furono caratterizzati da una serie di prove dell’abito e dell’acconciatura. Un giorno Ross la sorprese a rimirarsi allo specchio e rimase a bocca aperta. “Sei bellissima – le disse – farai impallidire tutte le altre donne, alla festa”. Demelza arrossì. “Forse dovresti alzarti i capelli, così – aggiunse Ross, prendendo le chiome rosse tra le mani e lasciando solo qualche ciocca scendere libera sul collo – in modo tale che si noti meglio una cosa che ho preso per te”. Così dicendo, Ross trasse fuori dal panciotto un cofanetto di velluto verde. Lo aprì, dinanzi ad una stupefatta Demelza, e ne tirò fuori un ciondolo con una pietra di zaffiro lucente, attaccata ad un cordoncino di seta color oro. “Ross, no… è troppo… che cos’hai fatto?” “Sciocchezze! Dimmi solo se ti piace il regalo”. “Certo che mi piace – osservò Demelza lisciando con le dita il prezioso gioiello – ma avrai speso una cifra spropositata, e non ne valeva la pena…”.
“Ne valeva la pena, eccome!” – Ross le infilò il gioiello al collo, e Demelza si vide bella ed elegante come una principessa. Ross, riflesso nello specchio alle sue spalle, la guardava compiaciuto. La fece girare verso di sé e le disse che nulla era abbastanza per lei. Demelza aveva compiuto un miracolo: gli era stata vicina in quei mesi, aveva condiviso la sua quotidianità, aveva reso la sua casa un posto accogliente, e, in sintesi, gli aveva restituito la gioia di vivere. Nessuno aveva mai mostrato tanto interesse per Ross e per il suo mondo, e per questo le era estremamente riconoscente.
Demelza rispose che a sua volta era grata a Ross, per averla resa padrona e signora di quel piccolo mondo che era Nampara: Ross ascoltava la sua opinione, la consultava su tutto, le lasciava campo libero e rispettava ogni sua scelta. Disse che nessuno aveva mai dato peso alle sue opinioni come faceva Ross, ed era bello potersi confrontare con lui su qualsiasi argomento, senza essere zittita solo perché donna.
I loro cuori sembravano molto vicini in quel momento, ed entrambi sembravano sul punto di confessare qualcosa in più sui propri sentimenti… ma in quel momento le urla di Prudie all’indirizzo di Jud imposero a Ross di scendere al piano di sotto, per evitare che qualche suppellettile ne facesse le spese.
Venne il giorno della festa e Ross e Demelza decisero di affittare una carrozza. Insieme a  loro viaggiò anche Dwight, che era stato invitato al ricevimento a Trenwith: ulteriore conferma che non si trattava di una ristretta riunione in famiglia per festeggiare il Natale, ma di un vero e proprio evento mondano.  
Appena Demelza fece il suo ingresso nel salone al braccio di Ross, tutti gli occhi dei presenti furono su di lei: gli uomini la fissavano meravigliati e le donne con un pizzico di invidia. Elizabeth notò che il modo in cui Ross guardava sua moglie era molto diverso dal solito: era lo sguardo di un uomo innamorato. Francis, da perfetto padrone di casa, andò incontro ai nuovi arrivati dando loro il benvenuto e si complimentò con Demelza per il suo aspetto raggiante. Elizabeth, qualche passo più indietro, accettò con sussiego il baciamano di Dwight e di Ross e baciò con freddezza sulle guance la sorella adottiva. Indossava un abito nuovo color prugna, di velluto, e per quanto fosse agghindata con estrema cura non era affascinante come Demelza. Elizabeth brillava per la sua impeccabile perfezione e compostezza, ma Demelza attirava gli sguardi perché aveva una luce particolare negli occhi, il cui colore risaltava ancora di più grazie all’azzurro della pietra che portava al collo. Stizzita, anche perché Ross non la stava degnando di uno sguardo, Elizabeth prese sotto braccio sua madre, l’unica con cui potesse sparlare di Demelza. Quella pezzente ripulita rischiava di oscurarla in casa sua, quella sera.
Sia Ross che Demelza trovarono ben presto compagnia. Le conversazioni, nei vari punti del salone, erano interrotte soltanto dai camerieri che si aggiravano nelle sale con vassoi colmi di cibo e bevande, distribuendoli agli ospiti. Ogni tanto Ross lanciava qualche sguardo di sfuggita a Demelza, che si era separata da lui ed era stata circondata da un gruppetto di uomini: sir Hugh Bodrugan, il capitano Mc Neil ed il famigerato George Warleggan. La rossa era piuttosto taciturna, e pareva ascoltare più che parlare. Sir Hugh era uno smargiasso amante della buona tavola e delle belle donne. Parlava con un tono di voce decisamente alto ed intervallava i suoi discorsi con grasse risate. Mc Neil faceva parte dell’esercito locale, un tipo furbo dall’aspetto sornione che anche in società non perdeva lo sguardo indagatore. In realtà Ross notò, con una punta di gelosia, che quella sera aveva lo sguardo fisso più che altro sulla scollatura di Demelza. George era semplicemente intenzionato a farsi vedere in compagnia di tutti i partecipanti alla festa, per darsi risalto e farsi propaganda.
Lo zio Charles si avvicinò a Ross, in compagnia di Cary Warleggan. “Immagino conosciate mio nipote” – lo presentò lo zio. “Lo conosco solo di fama. Non ci eravamo mai incontrati di persona” – replicò l’altro. Ross increspò appena le labbra per un sorriso tirato e gli strinse la mano. Come inevitabile, lo zio gli parlò della candidatura di George e di quanto fosse importante che la Cornovaglia mandasse a Londra un rappresentante capace. Ross, come raccomandatogli da Demelza, fece buon viso a cattivo gioco e non lasciò trapelare la sua opinione sul candidato, né gli promise il suo appoggio, concedendosi solo generiche considerazioni sull’importanza del principio rappresentativo in una società democratica. 
“Vostra moglie è diventata molto più graziosa di quanto la ricordassi – sentenziò ad un certo punto Cary – qualche anno fa era una ragazza magrolina ed insignificante… stasera sta quasi offuscando la bellezza della padrona di casa”. Chiaramente la frase fu pronunciata mentre Charles era impegnato nella conversazione con altro ospite e non poteva sentire quella indelicatezza ai danni di sua nuora.
“Competere in bellezza con Elizabeth è un’impresa quasi impossibile, signor giudice, ma non lasciatevi ingannare dall’apparenza. Demelza è una donna affascinante, non posso negarlo, ma le qualità interiori che possiede superano di gran lunga quelle esteriori… Sono un uomo molto fortunato. Con permesso.” Così dicendo, Ross si allontanò.
Intanto, i musicisti erano già pronti con i loro strumenti e Ross non avrebbe permesso a nessuno di sottrargli l’onore del primo ballo con Demelza, sebbene ballare non fosse tra le sue passioni. Si avvicinò al gruppo con cui Demelza stava parlando e rivendicò sua moglie per aprire le danze con lei.
Elizabeth a sua volta era pronta a volteggiare con il marito, ma alla prima occasione avrebbe voluto fare uno scambio di cavalieri: il bersaglio era Ross ovviamente, per il capriccio di sottrarlo alla sorella e ricordargli chi doveva essere il vero oggetto della sua ammirazione. Il suo piano però non andò a buon fine. George Warleggan, che all’inizio aveva come compagna di danze Ruth Teague,  scambiò il suo posto con Francis e pretese da Elizabeth un giro di valzer. Quella donna era sempre stata un suo pallino, e per lui che era discendente di un fabbro sposare una contessa sarebbe stato un sogno. Purtroppo le antiche famiglie nobili davano un grande peso alla stirpe, e finivano per imparentarsi sempre fra di loro. George ne soffriva, e sperava che la sua candidatura desse l’avvio ad un cursus honorum che gli facesse scalare i gradini della scala sociale.
Mentre Elizabeth doveva sorbirsi l’appiccicosa galanteria di Warleggan, Ross e Demelza si erano allontanati dalla sala da ballo per riprendere fiato accanto al camino.
“Ti sei resa conto che tutti ti guardano stasera? Sono tentato di metterti sotto chiave affinchè non ti rubino!” – scherzò lui.
Demelza arrossì e rispose che evidentemente Ross non era avvezzo ai ricevimenti: era normale che queste fossero occasioni per le donne per scrutare le rispettive mise, per fare a gara nell’esporre i gioielli più preziosi… ed il regalo di Ross aveva avuto parte importante nel porla al centro dell’attenzione.
Ross scosse la testa. “Non è merito del gioiello, non fare l’ingenua… sei tu che brilli stasera. E mi fa molto piacere. Vorrei vederti sempre così felice”.
Dwight li interruppe, dicendo loro a bassa voce: “Ebbene, cari amici, temo che se Warleggan voleva che alla festa si parlasse solo di lui, rimarrà deluso. Non si parla che di voi due! Con chiunque abbia chiacchierato questa sera, ho ascoltato una marea di commenti lusinghieri su di voi. Hanno colpito nel segno lo charme di Demelza e l’intelligenza del capitano Poldark. Altro che Francis ed Elizabeth, siete la più bella coppia della serata!”
Demelza soggiunse che questo non sarebbe piaciuto affatto ad Elizabeth e che proprio per questa ragione aveva deciso di stare un po’ in disparte, senza essere al centro dell’attenzione, per godersi la serata in santa pace.
Elizabeth, però, non aveva ancora subito lo smacco finale. Al momento del brindisi di mezzanotte Francis volle omaggiare il cugino e la cognata, sottolineando che era lieto di aver trascorso quel momento di festa così importante con loro. Dinanzi a tutti ammise che non era stato molto contento, all’inizio, di quell’unione, perché come tutti si era lasciato condizionare dalle apparenze. In seguito, però, si era reso conto di quanta stima Ross era stato capace di raccogliere in pochi mesi nella loro comunità, di come lui e sua moglie si stessero adoperando per dare lavoro ai bisognosi e per fare opere di carità, tanto che fino a Truro e Sawle si era diffusa la loro buona fama. Concluse augurando loro una vita matrimoniale lunga e serena.
Dopo un applauso generale e tutti i calici elevati in loro onore, Ross ricambiò la cortesia, ringraziando il cugino delle belle parole e dell’ospitalità. Disse che le circostanze della vita avevano fatto sì che lui e Francis crescessero separati, si erano conosciuti ormai uomini, ma non era troppo tardi per vivere in concordia e pace. Aggiunse che anche Francis faceva tanto per la comunità cornica, grazie alle sue miniere che davano lavoro a tanti disperati, e gli augurava di non anteporre mai il profitto al senso di umanità che doveva contraddistinguere chi era nato più fortunato degli altri. 
Concluse poi dicendo che la vita di ogni uomo era scandita da una serie di incontri, fortunati o sfortunati – a tali parole guardò Elizabeth – e di poter affermare con convinzione, senza tema di smentita, che quello con Demelza era stato l’incontro più fortunato della sua vita. Era lei che doveva ringraziare per ciò che era diventato.
Mentre, a conclusione della serata, i vari ospiti si congedavano, Elizabeth tentò la sua ultima carta: “Volete fermarvi a dormire qui stanotte? Dirò alla signora Tabb di farvi preparare una stanza. È molto tardi e la neve ricopre i sentieri…”
“Ti ringrazio, Elizabeth, ma desideriamo ritornare a casa nostra. E’ il nostro primo Natale da sposati, di certo comprenderai…” – rispose Ross. Non sarebbe rimasto in quel covo di serpi, eccettuato Francis, nemmeno per tutto l’oro del mondo.
Rincasarono completamente intirizziti, benché Demelza indossasse una pelliccia sopra l’abito di tessuto leggero. Salirono svelti al piano di sopra, e Ross riattizzò per bene il camino nella stanza di Demelza. Mentre si trovava lì, Demelza gli domandò se era vero ciò che aveva detto davanti a tutti, cioè che reputava il loro incontro la più grande fortuna della sua vita, oppure se lo aveva detto solo per far ingelosire Elizabeth.
“Pensavo che avessi imparato a conoscermi almeno un po’. Sarei stato così ipocrita da mentire solo per provocare l’invidia di Elizabeth? Ho capito da tempo che non vale la pena dare troppa importanza a tua sorella. Ho detto ciò che ho detto perché lo penso. Già qualche giorno fa ti ho ringraziato per quello che fai … e per quello che sei”.
Ross le si avvicinò. Il camino emanava bagliori dorati nella stanza buia.
“Non capisci quanto sei importante per questa casa… e per me?”
Le strinse fra le sue le mani ancora gelide. Demelza rabbrividì, sebbene avesse indosso ancora la pelliccia. Ross si chinò verso di lei e la baciò dolcemente. La fanciulla si abbandonò al contatto con quelle labbra piene e calde, ma appena Ross lasciò scivolare la pelliccia dalle sue spalle stringendola più forte al suo petto Demelza si staccò bruscamente da lui e andò ad accovacciarsi di fianco al fuoco.
“Che cosa c’è?” – le chiese deluso.
“Oh, Ross….il fatto è che io non so nulla di queste cose!” Demelza aveva paura di deluderlo per la sua inesperienza, di non essere all’altezza di Elizabeth e delle numerose altre donne che Ross doveva aver avuto in passato.
Ross la fissò con tenerezza e l’accarezzò dolcemente. “Ti assicuro che non ne so nulla nemmeno io… voglio dire, è come se fosse la prima volta anche per me, perché non mi era mai capitato di provare nulla di simile per nessun’altra, te lo giuro”.  Anche Ross aveva paura di compiere un gesto sbagliato e rovinare tutto. In quel momento, senza Demelza, la sua vita non avrebbe avuto senso.
Colpita da tanta dolcezza, Demelza gli gettò le braccia al collo. Si era resa conto di amarlo, e molto, giorno dopo giorno. Aveva piena fiducia in Ross, non doveva avere timori: tutto ciò che proveniva da lui non poteva che essere meraviglioso. Non c’era più bisogno di parole. Chiuse gli occhi e lasciò che il marito la trasportasse in braccio sul letto, le labbra sulle labbra che tra un bacio e l’altro mormoravano il nome dell’altro come una preghiera. Le luci della festa, le chiacchiere della gente, Elizabeth e Francis: tutto quanto accaduto poche ore prima sembrava distante secoli. Era come se la vita iniziasse in quel momento per loro, e nulla fosse importante fuori di quella stanza.

 

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Capitolo 8
*** capitolo 8 ***


Nel periodo successivo al Natale Prudie intuì subito che qualcosa doveva essere cambiato tra i suoi padroni. Innanzitutto, all’improvviso la camera al piano superiore da rassettare era diventata soltanto una, segno che di notte quei due dormivano nello stesso letto. Anche di giorno capitava di vederli sempre più spesso in atteggiamenti affettuosi, anzi “appiccicati come cozze allo scoglio”, come diceva Jud. Non era raro che passeggiassero per casa o per il giardino mano nella mano con le dita intrecciate e lo sguardo sognante, oppure che stessero a guardarsi dritti negli occhi, per poi scoppiare a ridere di gusto; la sera, dopo cena, era divenuto di abitudine che si fermassero a chiacchierare abbracciati davanti al camino, la testa di lei sulla spalla di lui. Quando padron Ross rientrava, qualunque cosa la signora stesse facendo, la lasciava da parte e correva fra le sue braccia. Una volta, lei e la signora erano in cucina ad impastare un dolce ed il signor Ross era arrivato di soppiatto alle spalle della moglie, l’aveva afferrata per la vita e l’aveva baciata con ardore sul collo, incurante della presenza della cameriera.
Jud commentava, quasi disgustato, che i padroni facevano troppe smancerie e diceva a Prudie di stare in guardia, ché di quel passo quei due avrebbero riempito la casa di marmocchi, e addio pace e tranquillità.
Ross e Demelza erano talmente felici che non riuscivano a nasconderlo. Avevano capito di essere innamorati alla follia l’uno dell’altra e grazie a questo sentimento avevano scoperto tratti di sé che neppure conoscevano, ad esempio la pazienza di Ross e la passionalità di Demelza. Francis ed Elizabeth erano soltanto dei sbiaditi ricordi; mai Ross e Demelza avrebbero potuto immaginare che un’unione nata per caso si sarebbe rivelata la scelta più appropriata delle loro vite.
Anche Elizabeth, come Prudie, dopo averli visti insieme al ricevimento aveva compreso che sua sorella e Ross erano molto affiatati e la cosa, naturalmente, non le aggradava affatto. Quello sciocco di Ross era un donnaiolo e doveva essersi accontentato di una donna insulsa come Demelza, non potendo ottenere di meglio. Demelza non aveva mai attirato le attenzioni di nessun uomo e probabilmente doveva essersi montata la testa per il fatto di avere un marito così giovane, bello ed anche ricco, a quanto sembrava. Elizabeth era convinta di essere l’artefice della fortuna di Demelza, perché era solo grazie a lei che aveva trovato quell’ottimo partito, ma la reputava un’ingiustizia. Rifiutava di credere che quei due potessero andare d’accordo, erano troppo diversi, il suo antico amante non era fatto per accontentarsi di una donna sola e ben presto glielo avrebbe dimostrato.
Da poco prima che si svolgesse la festa di Natale a Trenwith Elizabeth aveva il sospetto di essere incinta. Non aveva ancora voluto chiamare un medico per averne la certezza e non era una notizia che la riempiva di gioia: non amava Francis e guardava con orrore alla prospettiva di mettere su peso, sformarsi, mettere al mondo una creatura da sfamare, pulire,  cullare, senza più un attimo di pace. L’unica sua speranza era quella di convincere Ross a fare l’amore con lei almeno un’ultima volta, in modo da potergli attribuire la paternità del nascituro e tenerlo legato a sé per sempre. Contemporaneamente avrebbe fatto soffrire Demelza e avrebbe ottenuto la sua rivincita. Francis non avrebbe mai dovuto sapere la verità, ovviamente, non lo avrebbe mai lasciato, ma il solo fatto di poter tenere Ross sulla corda con la storia del bambino era una forma di crudele vendetta cui Elizabeth sentiva di non poter rinunciare.
Certo, non era facile mettere in atto il suo piano e doveva farlo in tempi rapidi. Poteva fingere che il bambino nascesse in anticipo di un mese, ma non di più, altrimenti Ross avrebbe compreso di essere stato ingannato.
Elizabeth meditò a lungo ed alla fine convinse Francis ad invitare il cugino e sua moglie a trascorrere qualche giorno insieme a Bath. Era una città termale, Elizabeth aveva tanto desiderio di visitarla, in più Ross e Demelza non avevano avuto modo di fare un viaggio in occasione delle loro nozze ed i cognati potevano mostrarsi molto generosi nell’offrire loro una vacanza. Per rendersi più convincente Elizabeth confessò a Francis che Demelza si era sposata con Ross come ripiego, perché in realtà era sempre stata innamorata di lui, tanto che lei, Elizabeth, si era sempre sentita profondamente a disagio e si era opposta alle nozze con Ross proprio per evitare che la sorella prendesse una decisione affrettata solo a causa di una delusione d’amore. Francis restò basito, commentò che non si era mai accorto di nulla, anche se si guardò bene dal confessare alla moglie che lui stesso aveva provato una certa attrazione per Demelza, prima di fidanzarsi con la sorella su pressione del padre Charles. La bella Chynoweth aggiunse che proprio per questa ragione entrambi i cognati dovevano sentirsi responsabili del benessere di Demelza, assicurarsi che fosse felice, che Ross la trattasse come meritava. La sottile psicologia di Elizabeth fece centro: era ovvio che Francis fosse lusingato nello scoprire di essere stato oggetto di un profondo amore da parte della cognata (anche se Elizabeth aveva asserito che, a parer suo, Demelza doveva ormai averlo dimenticato) e nel suo animo, in fondo, si agitava la curiosità di sapere se davvero quei sentimenti erano ancora vivi nel cuore della fanciulla.
Ross e Demelza rimasero sorpresi nel ricevere tale invito. Il capitano era molto impegnato negli affari, anzi sapeva che di lì a poco avrebbe dovuto effettuare un viaggio in Francia, in quanto l’intermediario che di solito curava i suoi commerci in loco era deceduto e Ross voleva occuparsi personalmente di ogni dettaglio, considerati anche i problemi avuti nel corso della precedente trasferta a Brest.
Sebbene la compagnia di Francis ed Elizabeth non fosse allettante, egli pensò che Demelza sarebbe stata felice di una vacanza. Conoscendo Elizabeth, avrebbe pianificato tutto alla perfezione ed avrebbe preteso una perfetta e confortevole sistemazione. Demelza meritava tutto questo, e lui da solo non sarebbe stato in grado di organizzare un viaggio altrettanto sfarzoso. Il suo orgoglio gli impediva di accettare un viaggio gratis e dunque impose la condizione di contribuire alle spese. L’accordo fu raggiunto e partirono tutti insieme. Il viaggio in carrozza fu scandito dalle chiacchiere di Elizabeth, che interrogava in mille modi la sorella e non perdeva occasione di metterla in imbarazzo ricordando le sue abitudini quando viveva a Cusgarne, in particolare la sua semplicità, la passione per il cucito e per le faccende domestiche. Commentò che non si stupiva affatto del suo gradimento per la vita campestre, lì sulla sperduta collina di Nampara. Chiese poi a Ross, con malizia, se aveva già portato Demelza a fare un giro sulla sua barca, il Lucifero. Ross rispose di no, suscitando lo stupore di Francis. Il cugino non poteva certo immaginare che quello era il luogo in cui si era consumata la passione tra Ross ed Elizabeth, che Demelza ne era al corrente e che Ross, per questa ragione, trovava indelicato condurvi sua moglie. Il capitano, però, rifletté che prima o poi gli sarebbe piaciuto portare Demelza con sé per mare una volta che il loro rapporto si fosse consolidato superando i fantasmi del passato. Forse anche Demelza era dello stesso avviso: rispose che subito dopo il matrimonio era stata molto impegnata con la sistemazione di Nampara e che in primavera, magari, avrebbe accompagnato con piacere Ross in uno dei suoi viaggi.
L’albergo in cui alloggiavano si trovava proprio al centro di Bath. Le due camere prenotate si trovavano sullo stesso piano, affiancate sul corridoio, ma ciascuna disponeva di un bagno autonomo. Era un periodo dell’anno piuttosto piovoso in cui non c’erano tanti turisti, nella sala comune infatti, al momento dei pasti, vi erano pochissime altre coppie e qualche viaggiatore solitario.
Nella giornata successiva al loro arrivo visitarono le terme romane, risalenti all’epoca dell’imperatore Vespasiano, l’abbazia gotica, gli edifici in stile georgiano costruiti solo pochi anni prima, quando Bath era divenuta un importante ritrovo alla moda per l’élite britannica. Demelza ammirava con interesse la maestosità degli edifici e le bellezze naturali, la colpivano le tracce di storia che permeavano quel luogo: cercava di immaginare lo stupore degli antichi romani rispetto alle calde acque delle sorgenti e quello dei suoi contemporanei nel percorrere il ponte sul fiume Avon. La Cornovaglia aveva paesaggi stupendi, ma anche questa cittadina era incantevole. Era ovvio che una città del genere, frequentata da gente altolocata e ricca di svaghi, fosse il luogo ideale per Elizabeth: dopo la scarpinata ella pretese di fermarsi in un locale del centro a bere del tè e consumare pasticcini alla marmellata.
Usciti dal locale, Elizabeth spudoratamente si mise sotto al braccio di Ross, invitando Francis a fare altrettanto con Demelza. Disse, ridendo, che il marito le aveva riempito la testa con un libro di poesie che aveva acquistato di recente, ma lei non era troppo amante del genere ed ora aveva l’occasione di parlarne con Demelza, che come lui era una grande appassionata di letteratura e prediligeva, in particolare, la poesia.
“Io e Ross siamo più prosaici, vero, Ross? “– squittì Elizabeth, e fece in modo da accelerare l’andatura, in maniera tale da essere tre o quattro passi davanti all’altra coppia e non poter udire esattamente cosa si dicevano.
Mentre Francis e Demelza conversavano, Elizabeth spargeva il suo veleno con Ross. “Finalmente, grazie a me, si sono ricomposte le coppie così come dovrebbero essere. Sai che ho raccontato a Francis che Demelza era molto innamorata di lui? Gli ho detto che si è sposata con te per ripiego, per dimenticarlo – il che, poi, non è troppo lontano dalla verità! –  Sapessi che faccia buffa ha fatto! Credo che questa rivelazione renda Demelza molto più interessante ai suoi occhi. Magari, se lui le darà un po’ di attenzione, lei finalmente cederà ai suoi veri sentimenti… così tu lascerai da parte i tuoi scrupoli e ti renderai conto che non sei fatto per stare con lei… tu hai bisogno di una donna che tra le lenzuola ti faccia divertire, e non di una suora mancata! Il breviario Demelza lo porta anche a letto, per curiosità?”
Ross la mise a tacere con stizza. Non solo era geloso marcio di Francis, ma una parte di lui dubitava ancora di Demelza. Si era concessa a lui con fiducia e con trasporto, dimostrava di amarlo ogni giorno anche con piccoli gesti, ma Francis era pur sempre il suo primo amore, ed ora conosceva la verità sui sentimenti della ragazza… Demelza, ricevendo delle premure da parte sua, avrebbe potuto rivivere quel sentimento e pentirsi della sua scelta.
Si voltò a guardarli: Francis e sua moglie chiacchieravano e parevano effettivamente molto in sintonia. Sorridevano e scherzavano, incuranti di Elizabeth e Ross che li precedevano affiancati. 
La giornata proseguì con il pranzo, consumato nello stesso albergo in cui alloggiavano, mentre per la serata Elizabeth aveva prenotato dei biglietti a teatro. Grazie ad uno dei suoi stratagemmi, però, Elizabeth riuscì a far sì che fosse predisposta, per venirli a prendere ed accompagnarli a teatro, una carrozza che aveva soltanto due posti. Contemporaneamente, fece sì che Ross fosse trattenuto, per una questione amministrativa legata ai titoli di credito consegnati in pagamento, dal direttore dell’albergo, al quale aveva elargito una discreta somma affinchè le reggesse il gioco. Elizabeth, fingendo poi che le si fosse strappata la gonna, dichiarò che doveva tornare in camera a cambiarsi e convinse Francis e Demelza, che erano già pronti nell’atrio, a partire insieme nella carrozza: avrebbe atteso lei Ross, e li avrebbero raggiunti non appena la carrozza fosse ritornata a prenderli.
Ottenuto il suo obiettivo, Elizabeth corse davvero in camera sua, ma non a cambiarsi, bensì ad attendere Ross. il direttore, infatti, aveva avuto istruzioni di trattenere Ross fino a quando il cab non fosse partito, successivamente doveva condurre l’uomo nella camera di Elizabeth, dicendo che c’era stato un cambio di programma ed i suoi amici lo attendevano lì per giocare una partita a carte. Inutile dire che Ross montò su tutte le furie appena capì di essere stato ingannato e non volle minimamente cedere alle offerte amorose di Elizabeth, che pure si era fatta trovare praticamente nuda. La donna, furiosa a sua volta, rifletté che tutta quella organizzazione non era andata completamente sprecata, in quanto il ritardo con cui i due cognati sarebbero giunti a teatro era sufficiente a far credere all’ingenua Demelza che qualcosa fosse avvenuto tra Ross e la cognata. Inoltre, se il buon Francis per una volta avesse compiuto il suo dovere, Ross, irritato per il tempo sprecato con il direttore e con Elizabeth mentre Demelza era stata tutto il tempo fianco a fianco del suo primo amore, avrebbe sicuramente sfogato la sua rabbia sulla moglie, una volta tornati in albergo.
Ross, comunque, non era stupido, e comprese che Elizabeth aveva fatto di tutto per separarlo da Demelza. La ammonì severamente di astenersi dal creare ulteriori occasioni di attrito tra i coniugi, perché stava per perdere la pazienza ed alla prossima alzata di testa avrebbe raccontato tutto a Francis. Elizabeth, però, ancora una volta fece leva sui sentimenti di Ross e gli rispose che a lei non importava proprio nulla, che si facesse pure sfidare a duello da Francis, non le interessava se in tal modo l’uno o l’altro dei cugini sarebbe morto. L’onore di lei sarebbe stato comunque salvo, perché nessuno avrebbe creduto alla buona fede di Ross, con la fama di seduttore che aveva… “Qualunque esito avrà il duello, perderai la tua cara Demelza … sia se muori, ma anche se sarai la causa della morte di Francis, perché lei non te lo perdonerà mai! Pensaci bene, se ti conviene essermi nemico” - asserì Elizabeth velenosamente.
I due giunsero a teatro, come immaginabile, a spettacolo già iniziato, con Francis e Demelza parecchio preoccupati. Ross era tetro in volto e si esprimeva a monosillabi. Demelza capì immediatamente che doveva essere accaduto qualcosa di poco piacevole tra lui ed Elizabeth.
Soltanto una volta rientrati in albergo, rimasti finalmente da soli nella loro camera, Ross si sfogò e disse che era stato uno sciocco ad accettare quella vacanza insieme al cugino e a sua moglie: Elizabeth stava facendo di tutto per separarli  e Dio solo sa quale altra menzogna avrebbe inventato per metterli l’uno contro l’altra.  
Demelza rispose che la sorella non sarebbe mai riuscita nel suo intento, perché era innamorata di Ross e si fidava di lui. Francis era stato molto gentile con lei quel giorno, ma era ingenuo e non si rendeva conto di che donna avesse sposato. Demelza aggiunse che continuava a farle molta pena e non trovava giusto che fosse preso in giro in quel modo. Da un certo punto di vista disse che anche lei avrebbe preferito che Francis sapesse tutto; parlandogli con calma magari avrebbe compreso come si erano svolti i fatti e non avrebbe preteso di lavare l’offesa con il sangue. Ross obiettò che Elizabeth avrebbe preteso invece una reazione forte da parte del marito, era maligna e sentiva il bisogno di fare del male a chi la circondava, non sopportava di vedere intorno delle persone più felici di lei. Forse, aggiunse, l’unica possibilità di sottrarsi a quella minaccia era andare via dalla Cornovaglia, vivere da qualsiasi altra parte del mondo lontano da Elizabeth. Fu Demelza, a quel punto, a non essere d’accordo: la loro casa era Nampara, lì avevano i loro amici più cari, non era giusto dover cambiare i loro progetti solo per colpa di una ragazza capricciosa e vendicativa. Si ripromise di parlare chiaro e tondo con la sorella una volta tornati a casa, loro due da sole.
Le cose, però, non andarono secondo i desideri di Demelza. La mente diabolica di Elizabeth, andato a monte il piano iniziale, continuava instancabilmente ad elaborare strategie. Durante il viaggio a Bath aveva appreso che Ross doveva recarsi per un viaggio in Francia e che sarebbe stato lontano un paio di settimane. Appena tornati da Bath si mostrò molto amorevole ed affettuosa con il marito, con l’intenzione di collocare temporalmente il concepimento proprio in quel periodo. Appena apprese che Ross era partito, fu lei a chiedere a Demelza di venirla a trovare a Trenwith. La rossa sperava che fosse l’occasione per chiarire finalmente ogni questione e togliersi qualche sassolino dalle scarpe, ma l’esito fu esattamente contrario. Elizabeth le confessò che avevano un problema molto serio da risolvere: lei era incinta, e il bambino era di Ross. Demelza mostrò di non credere minimamente a quelle accuse, ma la castana seppe mostrarsi molto convincente: quella sera a Bath Ross era furioso perché Elizabeth gli aveva rivelato la verità e lui non aveva intenzione di assumersi le sue responsabilità. Le disse che lei e Ross non avevano mai smesso di essere amanti, che avevano continuato a vedersi sia sul Lucifero che a Trenwith, quando Francis e Charles non erano in casa. Se non ci credeva, Demelza poteva chiedere alla servitù , oppure all’equipaggio della nave di Ross. Se poi non voleva credere neppure a loro, ella possedeva una prova ben più eloquente che poteva mostrarle. Trasse fuori dal corsetto una minuscola borsetta di stoffa, che a sua volta conteneva un pezzo di carta ripiegato più e più volte, per formare un rettangolino. Nonostante fosse estremamente spiegazzato, il foglietto era una breve lettera, vergata con la chiara grafia di Ross, che Demelza ben conosceva. La lettera, datata pochi giorni dopo Natale, recitava così: “Amore mio, non sai quanto sento la tua mancanza! Vorrei averti fra le braccia, sentire il profumo dei tuoi capelli, il sapore delle tue labbra… Ogni giorno mi costa di più tenere in vita la finzione con tua sorella, ma entrambi sappiamo che è l’unica soluzione per evitare che lo scandalo ci travolga. Non vedo l’ora che arrivi domani per essere di nuovo insieme… con Demelza troverò una scusa come al solito. Ti aspetto, non tardare. Sai dove trovarmi. Tuo, Ross”.
Demelza, incredula e silenziosa, cercava di trovare una spiegazione razionale a quello che aveva appena letto. Qualche giorno dopo Natale effettivamente Ross aveva detto che andava a Truro e che sarebbe stato fuori tutto il giorno, ma non poteva credere che proprio nei giorni in cui le aveva rivelato di amarla si vedesse di nascosto con Elizabeth.
Era stato un amante dolce e appassionato la notte di Natale, le sue parole sembravano così sincere… com’era possibile fingere fino a questo punto? Demelza tentò un’ultima, disperata mossa: disse che non credeva all’autenticità della lettera, la avrebbe mostrata a Ross al suo ritorno dalla Francia, ed in ogni caso non c’era alcuna prova che Elizabeth fosse incinta e sul periodo esatto del concepimento. Il padre del bambino poteva tranquillamente essere Francis. Elizabeth sghignazzò: il dottor Choake era passato lì quella stessa mattina e aveva confermato lo stato di gravidanza, che risaliva ad almeno un mese e mezzo prima. Quanto a Francis, disse Elizabeth, era ovvio che poteva essere il padre del bambino, ma ne dubitava, perché cercava di evitare i rapporti intimi con lui nei giorni fertili, precauzione che non usava invece quando si incontrava con Ross.
Demelza andò via profondamente turbata, mentre Elizabeth gongolava. Entrambe le ragazze però ignoravano che ben altre nuvole scure si stavano addensando sul capo del bel capitano amato da entrambe.
Charles Poldark nei mesi precedenti aveva rinsaldato la sua amicizia con Cary Warleggan e suo nipote George. Spesso capitava che si recasse a Truro presso la loro banca e che si trattenesse per una bicchierata insieme in un pub. In una di tali occasioni gli era capitato di imbattersi in un uomo che aveva tutto l’aspetto di un pirata e che, nel sentirlo chiamare signor Poldark, lo aveva avvicinato dicendo di aver lavorato anni per Ross e che purtroppo, a causa di un malinteso, questi gli aveva dato il benservito, rifiutandosi di riassumerlo alle sue dipendenze. Charles, che in cuor suo mirava sempre a trovare delle buone ragioni per allontanare Ross dalla sua famiglia, aveva cercato di ottenere delle rivelazioni compromettenti sul passato del nipote e ci era riuscito. Di chiacchiera in chiacchiera, davanti a qualche invitante boccale di birra, il vecchio Tholly aveva rivelato allo zio di Ross che quell’ultimo sfortunato viaggio cui aveva preso parte come membro dell’ equipaggio del Lucifero, il capitano Poldark lo aveva intrapreso allo scopo di fare fortuna e poter sposare una ragazza di cui si era innamorato, una bellissima ragazza bruna che aveva conosciuto da poco e che veniva a cercarlo di continuo sulla sua barca. Dalla descrizione della ragazza fu facile, per Charles, comprendere che si trattava proprio di sua nuora. Per averne la certezza, con un pretesto diede un appuntamento a Tholly proprio il giorno in cui Elizabeth doveva recarsi dalla modista a Truro, ed il marinaio, nascosto in un angolo tra due vicoli, confermò che la persona di cui parlava era proprio quella che Charles gli aveva indicato.
Da quel momento Charles comprese come erano andate davvero le cose, la furia di Ross arrivato a Trenwith, il tentativo di Demelza di sedare la sua ira e quel matrimonio organizzato in fretta e furia. Comprese che la remissiva Demelza doveva essersi sacrificata per amore di Francis e per salvare l’onore delle due famiglie. Charles era certo che Elizabeth non aveva mai commesso nulla di sconveniente a Trenwith, la fedele servitù in caso contrario glielo avrebbe riferito, ma nulla escludeva che quella svergognata della nuora e quello scavezzacollo del nipote avessero trovato il modo di vedersi all’esterno, magari con la complicità di quell’altra sgualdrina della trovatella di casa Chynoweth, serpe bugiarda, che sapeva tutto ed aveva taciuto.
Dopo ampia riflessione Charles confidò la sua preoccupazione all’amico Cary, omettendo i particolari che erano più lesivi della dignità del figlio. Fece comunque intuire al giudice che il nipote era un soggetto pericoloso che metteva in pericolo la pace del suo casato e che costituiva una minaccia per l’intera comunità cornica. Disse che Tregirls gli aveva fatto delle confidenze, ma che non sarebbe mai stato disposto ad accusare di contrabbando il suo vecchio padrone in tribunale, neppure se subornato. Attualmente non lavorava più per lui, quindi non era possibile chiedergli di fare la spia e procurarsi prove a suo carico. Cary insinuò che le prove, volendo, potevano fabbricarsi… Charles scoprì quindi che quell’alto magistrato non era affatto integerrimo come voleva apparire, era soltanto accondiscendente con i forti ed implacabile con i più deboli. Una volta appreso che Ross era partito per la Francia e che sarebbe stato via almeno due settimane Cary, suo nipote George e Charles ordirono un piano ai suoi danni: tramite il capo della prigione di Bodmin si procurarono il cadavere di un detenuto, un uomo privo di parenti che potessero chiedere notizie di lui, gli fecero sparare un colpo di fucile in fronte per far credere che fosse morto di morte violenta e lasciarono il corpo nel magazzino dove Ross custodiva la sua merce. In quello stesso posto nascosero una partita di armi di contrabbando che erano state sequestrate dai gendarmi una settimana prima, facendo sparire il rapporto di polizia che menzionava tali armi.
Accadde quindi che appena Ross rientrò dalla Francia e si recò nel magazzino per scaricarvi le merci acquistate oltre Manica venne sorpreso da una pattuglia (incaricata di svolgere una ronda da quelle parti ed in quel preciso momento su indicazione dello stesso Cary) che scoprì sia il cadavere che le armi e trasse senza indugio Ross in arresto, conducendolo in una lurida cella del carcere di Bodmin.
Demelza ne fu informata solo il giorno dopo, e così pure Elizabeth. Quest’ultima, in particolare, venne avvisata dallo stesso suocero, che, rivelandole che conosceva il suo segreto, le disse che per il suo bene doveva comportarsi in maniera irreprensibile, perché lui stesso da quel momento avrebbe vigilato sulla sua condotta. Francis non avrebbe mai dovuto sapere nulla, in caso contrario avrebbe ammazzato la nuora con le sue stesse mani. Disse che era una fortuna che quel delinquente del nipote fosse stato arrestato, dalle accuse a suo carico era probabile che gli avrebbero dato almeno trent’anni di carcere. Elizabeth pianse, giurò e spergiurò che non aveva avuto più alcun contatto con Ross dopo essersi sposata con Francis, disse che Ross l’aveva sedotta ma il bambino che aspettava era di suo marito e che, come madre dell’erede dei Poldark, non meritava di essere trattata dal suocero come una donnaccia. Inoltre, accusò espressamente Charles di essere parte di una combutta per incastrare Ross, essendo molto strano che fosse stato arrestato proprio appena lo zio aveva scoperto il suo segreto. Aggiunse che non era giusto che Ross pagasse per crimini che non aveva commesso. Charles, incurante del suo stato di gravidanza, le diede un sonoro schiaffo, diffidandola dal pronunciare simili, infamanti accuse nei suoi confronti all’interno della sua stessa casa. Le ricordò che lei non era nessuno, era solo una parassita che aveva mirato al patrimonio dei Poldark senza amare Francis, e che non avrebbe consentito che ora facesse cadere il disonore sulle loro teste. Ross era davvero colpevole per quei reati, il fatto che fosse stato arrestato dopo che lo zio aveva scoperto della loro antica relazione era una semplice coincidenza e se Elizabeth avesse osato riferire a qualcuno dei suoi sospetti avrebbe fatto un brutta fine.
Demelza venne a sapere dell’arresto da Dwight, il quale la accompagnò subito alla prigione; non riuscirono, tuttavia, ad incontrare Ross sulla base di precise disposizioni che erano state impartite da Cary Warleggan, vietando le visite sulla base della particolare pericolosità dell’accusato. La donna era disperata: consultatasi con Harris Pascoe - che pure si era recato a Bodmin senza riuscire a vedere Ross, ma gli era stato concesso almeno di leggere i capi di accusa nei suoi confronti – apprese che la situazione del marito era compromessa: il cadavere e le armi di contrabbando erano state trovate in un locale di sua proprietà, vi erano testimoni che affermavano di aver udito la lite tra Ross e l’uomo ucciso non appena era sbarcato dalla Francia e la pattuglia di ronda era giunta qualche minuto dopo gli spari, senza che nessuno fosse uscito dal magazzino.
Dwight suggerì di cercare subito un avvocato e fare delle indagini alternative, interrogando persone e cercando prove a favore di Ross; non riusciva a credere che il suo amico, pur dal carattere irascibile, fosse capace di commettere un omicidio a sangue freddo.
Nel frattempo Elizabeth riuscì ad eludere il divieto di entrare in carcere, corrompendo il funzionario preposto e seducendolo con le sue moine. L’uomo la accompagnò davanti alle sbarre che rinchiudevano Ross, il quale rimase molto sorpreso nel vederla lì. Elizabeth gli raccontò che Charles aveva scoperto tutto e che sospettava che il decano dei Poldark avesse molto a che vedere con la sua incarcerazione. Ross le chiese notizie di Demelza ed ella, mentendo sprezzante, gli riferì che Demelza era sdegnata dalle accuse mosse nei suoi confronti e che aveva affermato di non voler più vedere quel marito di cui si vergognava profondamente.
“Tuo zio mi ha detto che ti daranno trent’anni di carcere, e conoscendo la sua amicizia con il giudice Warleggan non dubito della sua parola… devi cercare di evadere, Ross! Perché non fuggiamo insieme? Potremmo far credere che siamo fuggiti per mare, e far saltare in aria la tua barca… così ci crederanno morti, e potremmo rifarci una vita insieme…”- propose la donna.
Ross rifiutò categoricamente: non poteva farlo, perché amava Demelza ora.
Elizabeth lo derise: una donna che si vergognava di lui e lo aveva sposato pur amando un altro! Andò via seccata, ma fiduciosa perché aveva instillato nel prigioniero un tremendo dubbio sulla devozione di sua moglie.
Demelza, intanto, smaniava dalla voglia di parlare con Ross ed assicurargli il suo appoggio. Era sua moglie, lo amava nonostante ciò che le aveva riferito Elizabeth, sentiva il dovere di dargli il suo sostegno e, soprattutto, non credeva affatto alla sua colpevolezza. Il signor Pascoe le aveva spiegato che il divieto di visita al prigioniero non era superabile neppure andando a pregare il giudice Warleggan in ginocchio. La rossa tentò allora un’altra strada: andò a parlare con il reverendo Odgers. I preti erano tenuti a recarsi periodicamente in carcere per portare ai prigionieri la parola di Dio ed il conforto religioso. Demelza propose allora al sacerdote di accompagnarlo, travestita a sua volta da prete, con una tonaca scura ed un ampio cappuccio che mascherasse i suoi appariscenti capelli. L’inganno funzionò, in quanto i gendarmi non sospettarono nulla e lasciarono accedere alle celle i due prelati. Mentre Odgers espletava la sua missione, recando parole di consolazione ad alcuni prigionieri, Demelza si recò alla cella più in fondo, che era occupata da Ross e da altri due uomini, che giacevano sul lurido pavimento, su un giaciglio improvvisato con teli sporchi, a poca distanza da un buco che raccoglieva i loro stessi bisogni corporali.
Demelza, con un fazzoletto, tamponò il naso per attutire quel terribile tanfo e, consapevole di non avere che pochi minuti a disposizione, pronunciò a mezza voce il nome del marito.
Ross, incredulo, balzò in piedi e subito si avvicinò alle sbarre, tendendo le braccia per stringere a sé quella figura che aveva riconosciuto come la moglie tanto amata.
Tra lacrime e baci, Demelza gli spiegò di non essere venuta prima perché non le erano consentite visite e aveva dovuto usare quello stratagemma pur di vederlo. Ross rispose che non era possibile che fossero vietate le visite, perché il giorno precedente era venuta Elizabeth… Demelza all’udire quel nome si irrigidì. Si fece forza, pensò che non fosse il momento per recriminare. Ross proseguì, dicendo ciò che Elizabeth gli aveva riferito a proposito di Charles e della possibile condanna, tacendo però sulla sua proposta di fuga. Demelza gli assicurò che avrebbe fatto di tutto, con l’aiuto di Dwight, Pascoe ed altri amici, per evitare che fosse condannato. Non doveva perdere la speranza, e gli garantì che credeva nella sua innocenza e non si vergognava affatto di lui.
Il reverendo si avvicinò alla coppia, sollecitando Demelza ad abbandonare quel luogo prima che arrivasse il turno di ronda ed il loro inganno venisse scoperto. Ross piegò la testa contro le sbarre, alla ricerca di un ultimo intenso bacio da sua moglie. Gli altri disperati che condividevano la sorte di Ross osservarono la scena in silenzio, rispettosi di quel sentimento, pronti a difendere il segreto del loro sventurato compagno e speranzosi che anche per loro potesse aprirsi un giorno uno spiraglio di luce in quella nera desolazione.

 

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Capitolo 9
*** capitolo 9 ***


Demelza uscì rapidamente dalla prigione al seguito di Odgers quasi in trance, come se si fosse trattato di un sogno. Mentre percorrevano le spoglie vie che costeggiavano il carcere le salirono agli occhi copiose lacrime, pensando allo squallore delle condizioni di prigionia di Ross e all’ingiustizia di quanto gli era accaduto. Poco più in là, in uno slargo, l’attendeva Jud con il calesse. La donna si liberò del cappello e dell’ampio abito scuro, sotto il quale celava i suoi vestiti femminili, e restituì gli abiti talari al sacerdote, con l’intesa di ripetere il travestimento la settimana successiva, se non ci fosse stato altro modo di vedere il marito. Ricevute parole di commiato e di conforto dal reverendo Odgers, che la spronava a non perdere la fede, Demelza sedette a cassetta a fianco del servitore, cui riferì in breve l’accaduto, e fecero strada verso Nampara.
La visita di Demelza, intanto, aveva gettato Ross nella disperazione più cupa. Lo consolava pensare che sua moglie si fidava di lui e non lo reputava colpevole, gli aveva dato gioia rivederla, ma ora gli pesava sul cuore il senso di colpa per averla trascinata, suo malgrado, in quella sorte scura. Aveva sempre vissuto da solo, senza dover rendere conto a nessuno ed affrontato le sventure a testa alta. Adesso, invece, si sentiva responsabile di quella donna che era sua secondo le leggi di Dio e degli uomini, e sentiva di aver fallito: non era quella la vita che sognava per loro due. Ross era sempre più convinto di essere nato stato una cattiva stella, e gente come lui non era fatta per avere una famiglia e rendere infelice chi condivideva la sua vita.
Sapeva di essere innocente, certo, ma la gente non lo sapeva e Demelza sarebbe stata bollata come moglie di un delinquente. Se Elizabeth non lo aveva ingannato, avrebbe subito una pesante condanna, sempre che fosse riuscito a sopravvivere in quelle condizioni malsane. E Demelza? Ella era nel fiore della gioventù, ma lo avrebbe aspettato? Forse ora era innamorata e questo sentimento la rendeva determinata come gli era apparsa poco prima, ma con il passare degli anni, con il marito chiuso in prigione, privata della gioia di mettere al mondo un figlio, si sarebbe pentita della sua scelta ed avrebbe maledetto il suo destino …forse si sarebbe davvero chiusa in un convento, scontando anche lei una pena ingiusta.
Ross ripensava anche alle parole di Elizabeth. Non condivideva, naturalmente, la sua proposta di fuga, tuttavia l’idea di un’evasione lo solleticava. Se vi era stata una cospirazione contro di lui, i potenti che avevano usato i loro mezzi per incastrarlo ne avevano necessariamente altrettanti per far sì che si giungesse ad una pena esemplare. Elizabeth aveva parlato di trent’anni, ma vi era la seria probabilità di finire sulla forca per omicidio. Per quanto Pascoe, Dwight Enys e gli altri pochi amici che aveva potessero adoperarsi, era  difficile opporsi a Warleggan, se davvero c’era lui dietro tutto quello. Ross cominciò allora a studiare gli angusti spazi in cui era recluso, il personale, gli orari, le abitudini di quel luogo maledetto, per cercare di scoprire una falla nel meccanismo di custodia che gli consentisse di scappare dal carcere.
Per quanto il luogo fosse scarsamente illuminato, ricordando anche il tragitto che aveva fatto la prima volta comprese che l’unica via di fuga era il corridoio. La finestrella che dava luce alla sua cella, ammesso di poter trovare un modo per salire così in alto, era un quadrato largo circa un piede e quindi di superficie insufficiente affinchè una persona passasse al suo interno. Percorso tutto il corridoio si giungeva ad una specie di stanzetta occupata dalle due guardie di turno. Vi era poi una rampa di scale che conduceva al piano superiore, dove si trovavano molte altre guardie e, probabilmente, gli uffici del direttore del carcere. Ross non aveva notizia di qualcuno che, negli anni precedenti, fosse riuscito ad evadere da Bodmin. Se fosse stato condannato alla pena di morte, pensò che sarebbe stato davvero rocambolesco evadere il giorno stesso dell’esecuzione, mentre veniva condotto all’esterno… ma poi pensò che ciò avrebbe richiesto un’organizzazione impeccabile, tenuto conto dello spiegamento di forze di polizia che ci sarebbe stato e della presenza di una folla inferocita, attratta dalla vista del sangue che scorre, che avrebbe riempito le strade; insomma, un piano del genere richiedeva un’accurata programmazione e l’aiuto di un gruppo nutrito di amici fidati, che però Ross sapeva di non poter vantare.
Giorno dopo giorno, però, il prigioniero non abbandonava quell’idea e cercava di sfruttare la sua astuzia ed il suo ingegno puntando verso quell’obiettivo, anziché abbattersi per la sua sorte sventurata e addolorarsi per la solitudine di Demelza. Ross si era accorto che vi erano almeno sette, otto guardie che si alternavano giorno e notte, ma uno solo era l’addetto che serviva il pranzo e la cena. Era un uomo di mezza età, dai capelli completamente grigi e radi, molto corti, con gli occhi chiari sottili come due fessure, forse resi tali anche dall’assuefazione all’oscurità di quel luogo. L’uomo era estremamente taciturno, ma pareva cauto ed attento come un gatto. Quando gli si rivolgeva la parola, rispondeva a monosillabi. Sembrava l’unico del personale che bazzicava nel carcere a non aver perduto un barlume di umanità. Non alzava mai la voce e non si spazientiva; se qualcuno dei detenuti implorava una seconda razione d’acqua, o di pane, o un po’ di minestra in più, egli non rispondeva nulla, perché in effetti non era cosa che dipendesse da lui; ultimato il giro, però, se gli avanzava qualcosa, tornava da quello che gli aveva fatto la richiesta ed in silenzio, quasi furtivamente, gli rovesciava un altro mestolo nella scodella, gli faceva scivolare una fetta di pane in grembo, oppure svuotava la brocca nel suo bicchiere. I detenuti avevano quindi compreso che il suo silenzio non era scortesia ma prudenza ed avevano imparato ad apprezzare il suo come l’unico volto amico lì dentro. Ross era venuto a sapere che l’uomo che distribuiva i viveri si chiamava Philip. Anche se era molto difficile entrare in sintonia con lui e si fermava pochissimo tempo fra le celle, spesso sotto il vigile occhio delle guardie,  Ross riuscì un giorno a dargli da parlare. Gli chiese se viveva da quelle parti e se aveva famiglia. Philip rispose che era di Bodmin e che aveva moglie e tre figli: lavorava lì in carcere da sette anni circa, da quando, a causa della crisi, le miniere avevano cominciato a chiudere. Ross gli disse che anche suo padre e suo nonno erano nati nel mondo delle miniere. Philip rispose che lo sapeva, che aveva sentito il suo cognome, e tutti da quelle parti avevano sentito parlare di Joshua Poldark. Nei giorni successivi Ross cercò di fargli comprendere che si trovava lì per errore, che era innocente: ma in fondo, non era quello che dicevano tutti i prigionieri? Era insolito che qualcuno si professasse colpevole. Non era quella, dunque, la strategia per entrare in confidenza con quell’uomo. Ross si sforzava di mantenere un certo grado di cordialità con lui, vincendo la sua apparente freddezza. Una sera ebbe un’intuizione: il cadavere che era stato trovato nel suo magazzino non poteva certo appartenere ad un uomo che aveva famiglia e che ne avrebbe reclamato la scomparsa. Quale soluzione migliore, per procurarsi un morto, di attingere al carcere, magari ai prigionieri in attesa di esecuzione, così da risparmiare anche il costo del boia? Decise quindi di interrogare Philip, per sapere se qualche prigioniero era sparito improvvisamente poco prima che lui fosse arrestato. L’uomo non rispose subito, ma si strofinò la fronte, come per concentrarsi. Alla sua solita maniera flemmatica, Philip ultimò il giro di consegne di viveri e tornò da Ross, facendo attenzione a non farsi scorgere dai carcerieri.
“C’è stato un uomo che non ho più visto, in effetti. Era nella prima cella sulla destra, era molto malato, nessuno veniva mai a fargli visita, benché fosse qui da un paio d’anni… gli ultimi giorni aveva una tosse spaventosa, sarà stata la tisi forse. Non mi stupirei se fosse morto”.
Ross lo incalzò: quanto tempo prima che lo incarcerassero era sparito quell’uomo? Philip ci pensò e rispose che doveva trattarsi di uno o due giorni prima. Ross gli chiese come si chiamava il detenuto scomparso e di che reato rispondeva. Philip rispose che gli sembrava si chiamasse John; non conosceva il crimine di cui si era macchiato, ma , essendo lì da almeno un paio d’anni, poteva trattarsi forse di bracconaggio.
Per il momento Ross poteva dirsi soddisfatto delle informazioni acquisite: certo, John era un nome molto comune, ma con un po’ di fortuna si poteva risalire alla sua identità e se un detenuto era misteriosamente sparito proprio prima che quel cadavere fosse stato rinvenuto, per lo meno si poteva tentare di far cadere l’accusa di omicidio.
Nel frattempo Harris Pascoe era riuscito a trovare un avvocato per Ross, una persona onesta che non si era lasciata scoraggiare dalla complessità del caso. Si erano messi alla ricerca di prove, ma avevano dovuto scontrarsi con una profonda reticenza. Nessuno sembrava aver visto nulla quella sera, ma la diffidenza di molti e la paura con cui tanti sfuggivano alle domande facevano pensare che vi fossero state minacce a carico di chi parlava. I principali accusatori di Ross erano degli scaricatori di porto che non erano del posto, gente di passaggio che - probabilmente ben pagati - avevano reso le loro testimonianze, raccolte per iscritto dalla polizia; quelli poi erano tornati al loro paese, senza neppure poter essere nuovamente ascoltati dal difensore di Ross.
Poi c’era il cadavere: quello era un fatto, certo, ma possibile che nessuno ne conosceva l’identità e nessuno ne aveva denunciato la scomparsa? Qualcuno vociferava che anche il morto era un compagno di quei due che avevano testimoniato, un forestiero, e per quel motivo nessuno lo conosceva e nessuno era stato in grado di identificarlo.
Seppure con grande fatica, la difesa di Ross segnò il primo punto a favore riuscendo ad ottenere i documenti relativi alle armi sequestrate nel magazzino del capitano Poldark. Ogni fucile recava una sigla, tramite la quale era possibile risalire al luogo di fabbricazione. Effettuate delle minuziose ricerche, il legale riuscì a scoprire che quelle armi provenivano da un fortino nel Kent ed erano state rubate un anno prima; successivamente, però, erano state ritrovate in un covo di malviventi e sequestrate proprio dai gendarmi di Bodmin, come dimostrava un dispaccio che era giunto nel Kent; per tale motivo, trattandosi di armi sotto la custodia della polizia, era impossibile che fossero state oggetto di contrabbando da parte di Ross Poldark. Qualcuno, poi, doveva spiegare come tali armi fossero uscite dalla gendarmeria di Bodmin e finite a Sawle nel magazzino di un privato cittadino… intanto però che l’amico di Pascoe svolgeva le indagini ed effettuava tali scoperte, i Warleggan erano stati molto più rapidi a calendarizzare il processo di Ross, molto prima rispetto all’ordinario. La prima udienza era stata fissata il 15 marzo. Nessuno avrebbe potuto aspettarselo, così presto.  Cary disse a Charles che occorreva giocare d’anticipo, non dare tempo al difensore di Ross di approntare un’efficace difesa. 
Mentre Ross si dibatteva, a sua insaputa, contro i tentacoli di una giustizia corrotta, Elizabeth cercava in tutti i modi di convincere Francis a farsi carico della situazione del cugino, non fosse altro che per il bene di Demelza, che era sempre più disperata e sola. Francis non era mai stato un cuor di leone, le accuse a carico del cugino erano oggettivamente gravi ed infamanti, Charles non faceva che sobillarlo contro il cugino “disonore della famiglia”: il giovane era preso davvero tra due fuochi: era difficile tenere testa a sua moglie, ma suo padre era pur sempre il capofamiglia e non poteva contrariarlo. Demelza, dal canto suo, non aveva neppure tentato di chiedergli aiuto. Intuiva che Charles avesse ordito quella trama nel tentativo di sbarazzarsi di Ross e proteggere il figlio dall’amara verità, dunque lo zio avrebbe impedito con ogni mezzo a Francis di intervenire in favore di Ross. Discutere coi Warleggan era altrettanto inutile. Non aveva confidenza con loro, li conosceva ma di un rapporto molto superficiale, e la sua matrigna non l’avrebbe certo agevolata. Erano mesi che non frequentava la signora Chynoweth, aveva smesso di andarci in quanto ogni volta veniva da lei accolta con freddezza, livore e recriminazioni. Figurarsi ora che Ross era in carcere, quanto rancore e quanto veleno avrebbe potuto riversare su di lei quella donna che non l’aveva mai amata.
L’unica occasione di sfogo per Demelza era la compagnia di Dwight. Il caro amico medico passava tutte le sere da Nampara, prima o dopo cena, la rincuorava con tenerezza, cercava di tenerle su il morale, ed insieme immaginavano vari stratagemmi per salvare Ross. Demelza non era sprovveduta, aveva compreso che vi era la possibilità che Ross fosse condannato alla pena di morte; bisognava però assolutamente evitarlo. Dwight aveva un amico giornalista a Londra e meditava di mandarlo a chiamare per dare risonanza alla vicenda di Ross, in modo da sollecitare un giusto processo dinanzi all’opinione pubblica. Di fronte alla prospettiva di essere messo in cattiva luce nella Capitale – dove poteva addirittura giungere voce al Re di come si amministrava la giustizia in Cornovaglia – magari Cary Warleggan si sarebbe trattenuto dal compiere abusi. La moglie di Ross commentò che era un’ottima idea.
“Potrei tentare anche con un altro mezzo, benché mi ripugni agire così…” – soggiunse il giovane medico.
Dwight spiegò che fra i giudici del Tribunale, oltre al corrotto Warleggan, ve ne erano altri due: Halse e Penvenen. Entrambi erano stati, in alcune occasioni, suoi pazienti; invero, sebbene tradizionalmente essi erano clienti del dottor Choake, quest’ultimo si stava rivelando un borioso affarista che prescriveva cure inutili che giovavano al suo portafoglio, ma non agli ammalati. Sempre più spesso, dunque, anche persone abbienti ricorrevano per consulti al più competente dottor Enys: ciò era avvenuto per Halse ed anche per Penvenen: in realtà non per lui direttamente,  ma per la sua pupilla, la giovane nipote Caroline, una diciottenne di cui il giudice era diventato tutore alla morte dei genitori della ragazza. Miss Caroline era una biondina davvero affascinante, dalla personalità molto forte, a dispetto della giovane età, e non faceva che punzecchiare il dottore ogni volta che si incontravano. Dwight l’aveva visitata perché soffriva di un dolore alla gola, che si era rivelato dovuto alla spina di un pesce ingoiata accidentalmente. Miss Caroline si era sentita imbarazzata ad aver commesso un errore tanto stupido ed aveva trattato il medico con superbia, all’inizio; poi si era scusata con lui e, per farsi perdonare del disturbo arrecatogli - poiché Dwight non aveva voluto essere pagato – gli aveva fatto recapitare un carretto pieno di agrumi per curare lo scorbuto che affliggeva tanta povera gente che ricorreva alle cure di Dwight. Il medico non lo voleva ammettere davanti a Demelza, ma era affascinato da Miss Caroline, la quale a sua volta lo trattava con grande familirità. Dwight era certo che non gli avrebbe negato il suo aiuto, se le avesse fatto presente la questione di Ross. Miss Caroline era infatti anche molto battagliera, odiava le ingiustizie, e certamente avrebbe preso le parti del marito di Demelza. In varie occasioni gli aveva confidato che a causa del lavoro di suo zio era costretta a frequentare ogni settimana i Warleggan e che non sopportava né George né suo zio. Miss Penvenen poteva essere un’alleata in quel frangente, se Demelza lo autorizzava a raccontarle l’accaduto. Tramite lo zio, ed eventualmente il giudice Halse, era possibile perorare un trattamento più benevolo da parte dei magistrati. Dwight sapeva che non era giusto tentare di manovrare la giustizia, ma bisognava cercare di neutralizzare gli abusi di Warleggan. Demelza naturalmente assentì: in quella situazione talmente insolita ogni possibile alleanza era la benvenuta. Dwight rispose che non avrebbe perso tempo e la mattina successiva avrebbe inviato un messaggio a miss Caroline chiedendo di essere ricevuto per illustrarle la faccenda.
Elizabeth, nel frattempo, smaniava. Doveva assolutamente recarsi un’altra volta in carcere e convincere Ross a fuggire con lei. Era disposta addirittura a vendere una preziosa collana che il marito le aveva donato qualche mese prima, per corrompere qualcuno del carcere. Il piano di fuga, però, era estremamente pericoloso. Da Bodmin, Ross doveva giungere incolume alla zona portuale di Sawle, dove avrebbe trovato ad attenderlo Elizabeth con una barca. Si sarebbero spinti al largo con quella barca, che poi sarebbe stata fatta esplodere, in modo da farli credere morti in mare. In realtà un’altra imbarcazione, sulla quale salire di nascosto, li avrebbe condotti in Francia. Era un piano non solo complicato e di ardua riuscita, ma anche costoso, richiedeva l’impiego di molto denaro per tacitare i complici e procurarsi barche ed esplosivo. In un primo momento Elizabeth aveva ipotizzato di sedurre George Warleggan, che aveva sempre avuto un debole per lei, ma George non avrebbe avuto alcun tornaconto nel favorire la fuga di lei con un altro uomo; inoltre, George era amico di Francis e, a quanto lei ne sapeva, non sopportava un uomo carismatico come Ross, che gli faceva ombra. Né poteva rivolgersi a quella sciocca della sorella, infatuata di Ross, a quanto sembrava, e non disposta a perderlo.
Mentre il processo si avvicinava - ma Elizabeth non lo sapeva ancora - la donna riuscì a sottrarsi al ferreo controllo di Charles Poldark approfittando del fatto che era giorno di paga alla miniera. Al marito disse che doveva recarsi dalla modista, perché con la gravidanza che avanzava i vestiti le sarebbero presto andati stretti. Inutile dire che Francis era al settimo cielo alla notizia che sarebbe diventato padre, e mal comprendeva come suo padre ostentasse invece tanta freddezza al riguardo.
Recatasi dunque al carcere, pagato profumatamente il solito funzionario corrotto, Elizabeth discese nuovamente tra le celle, con un mantello grigio calato sul capo per non farsi riconoscere. Appena vide Ross, ebbe un colpo al cuore: era smagrito, con i capelli unti, la barba di giorni e le occhiaie violacee. Poco ricordava dell’uomo affascinante che l’aveva sedotta sul Lucifero l’anno prima. “Ross!”- mormorò avvicinandosi, e gli chiese subito come stesse. Il giovane era profondamente malinconico e quasi infastidito dalla sua presenza. Elizabeth esordì lamentandosi di come veniva trattata dal suocero, della crudeltà di Charles, dell’ignavia di Francis e della sua frustrazione per non riuscire ad aiutarlo in nessun modo. Sottovoce, gli chiese di avvicinare l’orecchio alle sbarre e gli riferì il piano che aveva pensato per l’evasione. Ross la interruppe, dicendo che non aveva alcun senso discuterne, perché lui non sarebbe mai fuggito insieme a lei. “Preferisci forse marcire qui dentro per trent’anni?” – gli disse stizzita-. “Può darsi mi uccideranno prima – rispose lui - non sai che se mi riconoscono colpevole di omicidio mi aspetta la forca?” “A maggior ragione! Vuoi farti ammazzare da innocente? Io non potrei sopportarlo! Io ti amo, Ross, perché non vuoi capirlo?”. E, nel dire ciò, gli strinse le mani e due lacrime le scivolarono lungo le belle gote. “Elizabeth – replicò Ross in tono più affabile – io non dubito che, a modo tuo, provi dei sentimenti per me, sentimenti che ti ostini a chiamare amore anche se mi hai preferito un altro. Posso anche capire che sei stata spinta a questo matrimonio dalle circostanze, che non ami mio cugino e che questa vita ti renda infelice. Devi però capire che io non ti amo più, amo tua sorella, dunque non potrei mai abbandonarla per fuggire con te….”
Elizabeth staccò le mani da quelle di Ross con un gesto infastidito. “Demelza, sempre Demelza! Quella stracciona figlia di chissà quale donna di malaffare! Ricorda che, se Demelza è quello che è, lo deve solo alla generosità di mio padre! Che cosa ha fatto Demelza per te, per tirarti fuori di qui, a parte frignare, forse? Io sono venuta già due volte, rischiando molto per te, scervellandomi senza tregua per trovare una soluzione per liberarti!”
“Ti sono grato per l’interessamento, ma non dovresti esporti in questo modo. Tu non hai colpa di quanto mi è accaduto: o meglio, abbiamo commesso un errore entrambi, ma io sono l’uomo e non avrei mai dovuto disonorarti.  E’ colpa mia se ora Charles ti tratta con disprezzo, però devi mostrare maturità, stare al fianco di tuo marito in maniera irreprensibile, e dimenticarmi!”- concluse Ross.
La giovane scosse la testa. “Non posso, non posso, perché ti amo disperatamente Ross! Il ricordo dei tuoi baci, delle tue carezze, è come una ferita che mi lacera l’anima! So di essere stata causa della nostra separazione, e non mi do pace! Quello che mi fa più male è pensare che io stessa ti ho spinto fra le braccia di quella santarellina di mia sorella ed ora quei baci e carezze li dai a lei!”. Elizabeth, per una volta, era completamente sincera. Proseguì: “ Lei non ti ama, e mai potrà amarti, così tanto come ti amo io! Demelza non è capace di provare passione, è fredda, timorata di Dio, e sono sicura che menti se affermi che il piacere che provi facendo l’amore con lei è paragonabile a quello di quando stavi con me!”
“Elizabeth, ti scongiuro, questi non sono discorsi da fare in una prigione!” – le disse Ross, intimandole, oltretutto, di tenere la voce bassa, ché notava i suoi compagni di cella con le orecchie tese per captare parte del discorso. La fanciulla lacrimava e singhiozzava, dopo aver messo a nudo il suo cuore. Pareva davvero sul punto di crollare.
“Ascoltami, per l’ultima volta te lo ripeto: noi due ci siamo amati intensamente, abbiamo vissuto dei momenti piacevoli che non intendo rinnegare, ma siamo troppo diversi… non saremmo mai stati felici. Io ti ho dimenticato, è la verità, e devi farlo anche tu. È sciocco da parte tua chiedermi di fare dei paragoni; non conta neppure se mi ami più tu di Demelza: importa solo ciò che sento io. Io amo tua sorella, è l’unica donna della mia vita, non posso stare senza di lei… preferirei mille volte morire che vivere sapendo di averle mancato di rispetto, o di darle un dolore… per questo non potrei mai fuggire con te, neppure se fosse l’unica via per recuperare la mia libertà”.
Udite quelle parole, accompagnate da uno sguardo talmente nostalgico da far tremare il cuore, Elizabeth comprese che era davvero finita: nessun argomento sarebbe servito a smuovere Ross dai suoi propositi. Si asciugò le lacrime con furia cieca e gli voltò le spalle, senza neppure salutarlo.
Ross sospirò. Provato com’era, non era stato facile affrontare quell’argomento con Elizabeth. Effettivamente rievocare i momenti trascorsi insieme gli faceva male, perché l’aveva amata profondamente; ma quel sentimento impallidiva di fronte all’amore che provava per Demelza. Lo rendeva così felice! Era nato tutto in maniera inaspettata, ma Ross sentiva che sarebbe stato capace di dare la vita per lei.
In carrozza, di ritorno verso Trenwith, Elizabeth diede libero sfogo al suo pianto. Aveva perso, e Demelza aveva vinto, non c’era altro da aggiungere. Poteva urlare, distruggere oggetti, arrabbiarsi, ma la realtà non sarebbe mutata: aveva perso Ross per sempre. Eppure, miglio dopo miglio, maturava in lei una convinzione: non aveva bisogno di Ross accanto, l’amore era una truffa, un inganno, serviva solo a rendere gli individui deboli e sofferenti. Giurò a se stessa che non avrebbe più versato una lacrima per lui.
Al rientro, ad attenderla all’ingresso c’era la sagoma massiccia del suocero, a braccia conserte e con lo sguardo corrucciato.
“Dove sei stata?” – la interrogò con malagrazia.
“Dalla mia modista” – fu la secca risposta.
Charles le sbarrò il passo parandosi dinanzi e l’afferrò per un polso, trascinandola nello studio tra improperi biascicati.
“Maledetta bugiarda – la apostrofò una volta che la porta fu chiusa a chiave – non sei andata dalla modista a Truro! Ti ho fatta seguire, sei andata a Bodmin!”
“Ebbene sì – gli disse di rimando, con aria di sfida - sono stata in prigione a trovare vostro nipote!”
Prima che la mano di Charles, già levata in alto e pronta a colpire, la toccasse Elizabeth specificò: “Sono andata a trovare Ross per dirgli che aspetto un figlio da mio marito e che fra noi non può esserci nient’altro. Ve l’ho detto, è stato lui a sedurmi, io ho stupidamente ceduto alle sue lusinghe perché a quel tempo ero immatura, sola e disperata… non sapevo che Francis mi avrebbe di lì a poco chiesto in moglie, altrimenti mai avrei… e comunque, da quando sono sposata, Ross non mi ha sfiorato con un dito. Dovete credermi!”
Il suocero fece per interromperla: “Tu sei solo una ipocrita sgualdrina e non credo ad una sola parola di ciò che…”
“Per dimostrarvi che non m’importa più nulla di Ross, ma solo di vostro figlio e del bambino che porto in grembo, voglio chiedervi una cosa. Esiste la possibilità che Ross sia condannato a morte? Voi mi avevate parlato di trent’anni di carcere…”
Charles meditò sulla risposta da dare. Per l’omicidio la pena era quella capitale, ma lui era pur sempre un buon cristiano e non voleva macchiarsi la coscienza facendo assassinare il nipote, sapendolo innocente. Per questa ragione si era accordato con Warleggan per una condanna esemplare, escludendo però la forca.
Balbettò qualcosa, dicendo che non conosceva bene la legge, ma che opinava che il carcere a vita fosse una pena sufficiente, perché Ross era pur sempre un Poldark e la condanna a morte sarebbe stata disonorevole per tutto il casato.
“Eppure – disse Elizabeth, mentre un lampo sinistro le attraversava lo sguardo – se è vero quello che mi avete detto, cioè che voi non avete nulla a che fare con l’arresto e le incolpazioni di Ross, avete in famiglia un omicida, ed è giusto che egli riceva la punizione che normalmente si commina agli assassini.
Come vi dicevo poco fa, per dimostrarvi che di Ross non mi importa nulla, visto che siete amico di Cary Warleggan, vi invito a chiedergli che gli venga applicata la pena più severa. Così nulla potrà trapelare di quell’assurdo legame che ci ha uniti, in ogni caso cessato da tempo, e Francis, io e voi dormiremo sonni tranquilli. Se lo amassi non vi chiederei mai una cosa simile, vi sembra?”
Il vecchio strabuzzò gli occhi. Se sua nuora stava mentendo, aveva un ammirevole sangue freddo. D’altra parte, non poteva confessarle che c’era proprio lui dietro le quinte dell’incriminazione e che Ross non aveva commesso alcun omicidio. Ciò che proponeva Elizabeth non era assurdo, per quanto immorale. Un Ross morto non avrebbe più potuto nuocere agli interessi dei Poldark, patrimoniali e non. Forse, sogghignò lo zio, se Ross non era ancora un assassino, si poteva creare la situazione affinchè lo diventasse davvero… e, a quel punto, nessuno lo avrebbe salvato dalla forca.

 

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Capitolo 10
*** capitolo 10 ***


“La signora non si sente bene stamattina. Non ha fatto altro che vomitare da quando ha messo piede in terra. Non credo possa venire con voi da Miss Pendleton o ‘come cavolo si chiama’ la nipote di quel giudice!”
Dwight restò basito, fissando Jud che, senza fornire altre informazioni, trascinava pigramente i piedi in cortile. Dalla cucina provenivano rumori di stoviglie inframmezzati da lamentele, segno che Prudie stava rigovernando. Dwight pensò che se Demelza stava tanto male come Jud sosteneva, doveva essere in camera sua. Così, senza attendere di essere annunciato da qualcuno della servitù, salì al primo piano, sicuro che la padrona di casa avrebbe scusato il suo comportamento, dal momento che in quella casa veniva trattato come una persona di famiglia.
La porta della stanza padronale era aperta: Demelza era a letto, pallida come un cencio. Dwight chiese permesso di entrare e, ottenuta risposta affermativa, le si sedette di fianco, chiedendole come stesse. La rossa aveva l’aria particolarmente sconsolata. Si scusò, ma non era in condizioni di presentarsi a casa di miss Caroline come avevano stabilito. Il medico le chiese quali sintomi avesse e quando erano insorti. Demelza, stancamente, narrò della forte nausea che l’aveva colta quella mattina, dei continui conati di vomito, che in misura meno aggressiva c’erano stati anche nei giorni precedenti. “Non c’è bisogno che aggiunga altro, vero Dwight? Avrai senz’altro capito la natura del mio malessere…”
Enys annuì. “Quando è stata l’ultima volta che hai avuto il ciclo?”- le chiese.
“Poco prima che partissimo per Bath” – fu la risposta.
“Perché non mi sembri contenta, Demelza? - le chiese il medico con dolcezza - Mi rendo conto che può sembrare il momento meno adatto, con i problemi giudiziari che affliggono Ross, ma un figlio è sempre una benedizione e sono sicuro che tutto si risolverà! Riusciremo a dimostrare la sua innocenza, ne sono certo!”
Demelza scosse la testa. “Non è questo il problema, Dwight. Il fatto è che non sono sicura che Ross voglia questo figlio…” e gli narrò, cosa che non aveva mai fatto prima, i trascorsi tra Ross ed Elizabeth, le circostanze in cui era maturata la loro decisione di sposarsi, il discorso che la sorella le aveva fatto mentre Ross era in viaggio, la lettera che le aveva mostrato (che sembrava confermare il proseguire della loro relazione), il fatto che Elizabeth era a sua volta incinta e, a quanto Ross stesso aveva riferito, andava a trovarlo in carcere.
Dwight replicò che i suoi timori erano assurdi: Ross non si era mai confidato apertamente con lui sui suoi sentimenti per Elizabeth, ma aveva sempre parlato di Demelza con affetto e premura, e il giovane Poldark non era un ipocrita capace di fingere un interesse che non provava realmente. Bastava guardarlo negli occhi per leggervi un amore immenso nei confronti di sua moglie. Dwight frequentava la loro casa da molti mesi e disse che gli erano sempre sembrati una coppia unita ed affiatata. Oltretutto, Elizabeth era una donna ferita che forse non aveva mai dimenticato Ross e non sopportava di vedersi sconfitta. Rincuorò Demelza dicendo che esistevano soggetti senza scrupoli capaci di falsificare le calligrafie in maniera sufficientemente credibile, formando documenti che a prima vista potevano apparire autentici. Quando viveva a Londra, aggiunse Dwight, aveva incontrato almeno un paio di soggetti dediti a tali attività illecite; ben potevano esserci individui simili anche a Sawle o a Truro. Caso strano, proseguì il medico, Elizabeth aveva atteso che Ross fosse in Francia per fare le sue rivelazioni in modo tale da instillare in Demelza un terribile dubbio del quale non poteva chiedere subito smentita all’interessato: tutto induceva a credere che si trattasse solo di una vile menzogna.
Demelza sembrò sollevata alle parole dell’amico: aveva bisogno di credere in Ross e nella sua sincerità, e desiderava quel figlio più di quanto volesse ammettere con se stessa. Prima di congedarsi per recarsi all’importante appuntamento con Miss Caroline, Dwight consigliò a Demelza una tisana e le raccomandò di ristabilirsi in fretta, perché dopo il colloquio con la nipote del giudice era necessario tentare di nuovo l’ingresso in prigione , affinchè Ross fosse informato delle loro mosse.
Dwight non si sbagliava: Miss Caroline fu estremamente gentile e provò un’estrema indignazione nell’apprendere che un uomo innocente era stato messo in carcere per vendetta. Le confidenze di Demelza avevano infatti convinto Dwight sempre più che il suo caro amico fosse vittima di una congiura ordita proprio dallo zio Charles, per liberarsi di quello che credeva uno scomodo rivale per suo figlio.
Miss Caroline aveva molto in comune con Ross, perché, pur essendo di buona famiglia, era anticonformista e odiava i soprusi ai danni dei più deboli. Disse che avrebbe chiesto a suo zio informazioni sull’avvocato che Pascoe aveva scelto, se era davvero in grado di occuparsi del caso, altrimenti lei stessa ne avrebbe cercato uno a Londra, offrendosi di contribuire al suo onorario. Aggiunse che bisognava cercare di sottrare il caso a Warleggan, che era un giudice disonesto e al servizio dei più forti;  si sarebbe informata con lo zio se esisteva questa possibilità. Commentò molto favorevolmente l’idea di Dwight di coinvolgere il suo amico giornalista, anzi disse che non c’era un minuto da perdere e gli fornì carta e calamaio per contattarlo subito.
Nel frattempo, non erano solo gli alleati di Ross ad organizzarsi. Charles, solleticato dai vaneggiamenti della nuora, si recò nuovamente da Warleggan chiedendogli di fare in modo che Ross fosse coinvolto in una rissa in carcere, in modo da potergli addossare anche la colpa di disordini o di lesioni a danno di altri detenuti, e suggerì che solo la forca era una pena adeguata per un delinquente come il nipote. Si trattò, però, di una mossa falsa da parte del decano dei Poldark. Cary Warleggan infatti si insospettì per questo cambio di strategia, e si meravigliò che uno zio odiasse a tal punto il nipote da volerlo morto, pur sapendolo innocente dei reati di cui lo si accusava. Cary mise al corrente dei suoi dubbi suo nipote George, il quale, da buon politico, era abituato alla doppiezza e riusciva sempre a scorgere i secondi fini nelle azioni della gente. Il giovane banchiere diede allo zio giudice un suggerimento molto scaltro: bisognava risalire alla reale natura dei rapporti fra i Poldark, e forse poteva essere d’aiuto a questo scopo il vecchio marinaio della ciurma di Ross, un ubriacone che aveva visto avvicinarsi con fare circospetto a Charles in più di un’occasione mentre si trovavano al Red Lion.
Cary sogghignò e mandò immediatamente a chiamare il suo sgherro Tom Harry per acciuffare, con le buone o con le cattive, quel pirata mezzo sdentato e con una mano offesa che bighellonava sempre intorno al più noto pub di Truro.
Dopo che Tholly fu portato al suo cospetto, l’astuto giudice gli disse che lo avrebbe sbattuto in cella per ubriachezza molesta, così che sarebbe andato a fare compagnia a Bodmin al suo vecchio padrone, che presto sarebbe stato impiccato. Al sentire ciò, Tholly si pentì immediatamente di aver parlato con Charles ed ipotizzò che fosse stato proprio lui, sotto i fumi dell’alcol, a farsi scappare di bocca qualcosa – che al momento non ricordava affatto – di compromettente su Ross Poldark. Si maledisse più volte, e maledisse quella serpe di Charles, che l’aveva convinto a vuotare il sacco in cambio di qualche moneta sonante. Cary, dopo aver zittito con una scudisciata il profluvio di parole di quello zotico, gli chiese che cosa avesse lui a che vedere con un gentiluomo come Charles Poldark, il cui buon nome non doveva osare infangare. Tholly, massaggiandosi il braccio colpito dalla frusta e senza più alcun freno, spiegò che quel signore non era affatto una brava persona, lo aveva ingannato e doveva avercela a morte con Ross a causa di una certa signorina molto graziosa, dai capelli lunghi e scuri, con cui il nipote aveva avuto una storia. Non fu difficile per Cary ricostruire come si erano svolti i fatti, e grande fu la soddisfazione di comunicare al nipote il gustoso pettegolezzo che aveva appreso. Charles non ce l’aveva con il figliol prodigo perché con la sua condotta rovinava il buon nome del suo casato, ma perché aveva reso cornuto quell’imbecille di suo figlio Francis!
George non stimava affatto Francis, anzi lo aveva sempre invidiato sia per il suo cognome e le sue ricchezze che per la bella donna che aveva sposato. Quest’ultimo particolare, dopo aver scoperto che tipo di donna era Elizabeth, veniva ora in secondo piano, ma il giovane banchiere pensò di sfruttare il ghiotto segreto appena appreso per prendersi una rivincita su quei superbi dei Poldark.
Chiamò un suo impiegatuccio e gli dettò una lettera anonima; poi chiuse la lettera all’interno di un’altra busta, che spedì a Londra ad un suo fiduciario, con le istruzioni per spedire la busta che si trovava al suo interno a Trenwith House. Queste precauzioni erano state prese per far sì che non si potesse risalire al luogo di spedizione della lettera ed al mittente. Ci sarebbe voluto più tempo, ma godersi il risultato sarebbe stato ancora più appagante.
Mentre la compromettente missiva viaggiava verso Londra, il giorno del processo a Ross si avvicinava, cosicché era stato concesso al suo avvocato di conferire con lui. In tal modo Ross aveva appreso quanto il legale aveva scoperto a proposito dei fucili, e gli aveva a sua volta riferito del prigioniero misteriosamente sparito dalla prigione qualche giorno prima del ritrovamento del cadavere.
Dwight, intanto, era riuscito a contattare l’amico giornalista e questi, anche grazie ai buoni uffici di miss Caroline, il cui nome a Londra riusciva a smuovere le montagne, si era recato immediatamente in Cornovaglia.
La prima udienza del processo si tenne a porte chiuse, nonostante le proteste del difensore di Ross, mentre il pubblico all’esterno vociava in maniera talmente feroce che dovette intervenire personalmente il giudice Penvenen a ricordare al collega Warleggan che secondo la procedura egli poteva sgomberare l’aula in caso di disordini, ma non poteva impedire al pubblico di assistere. Dopo che Warleggan ebbe rigettato tutte le richieste della difesa di Ross, il giornalista amico di Dwight pubblicò un articolo talmente duro ai danni di Warleggan che il giorno successivo sir Francis Basset, il deputato di Truro uscente, presentò un’apposita interrogazione parlamentare sul tema.
Cary, onde elaborare una strategia e far calmare le acque, rinviò la data dell’udienza di una settimana. Nel frattempo, Demelza era riuscita a rivedere Ross assistendo al processo, ma non aveva avuto modo di comunicargli che era incinta. Le si era stretto il cuore a vederlo così dimagrito e sciupato, nonostante egli cercasse di mostrarsi forte e sicuro di sé. Lei, passandogli accanto, gli aveva gettato le braccia al collo, ma le guardie che tenevano le braccia di Ross legate dietro la schiena lo avevano subito allontanato. Harris Pascoe e Dwight l’avevano poi accompagnata a casa ed avevano pranzato insieme, in un’atmosfera resa triste dalle circostanze, ma rallegrata dalla lieta notizia della gravidanza. Pascoe disse che avrebbe considerato quella creatura una sorta di nipotino adottivo e che era un segno del cielo che quel bambino fosse stato concepito proprio prima di quel brutto periodo, per donare speranza e consolazione.
Demelza si accarezzò il ventre. Amava davvero quel bambino, si stava abituando all’idea che fra qualche mese lo avrebbe tenuto fra le braccia. Promise a suo figlio che il papà sarebbe tornato presto accanto a loro… lei avrebbe lottato con tutta se stessa per rendere tutto ciò possibile.
George Warleggan intanto, messo a parte delle ambasce dello zio, ebbe un’altra idea che poteva essere utilizzata a loro favore. Non era il caso, disse, che lo zio rischiasse la carriera per colpa di un’insulsa vendetta che non gli avrebbe fatto ottenere, per giunta, alcun tornaconto personale. Il sostegno dei Poldark alla sua candidatura non era poi così indispensabile, perché non c’era un altro candidato capace di ostacolare l’elezione di George al Parlamento. Il caso di Ross Poldark era troppo scottante, e seppure non fosse stato direttamente tirato in ballo il nome di Cary, il sospetto di una corruzione dei funzionari pubblici era assolutamente da scongiurare. Visto che, secondo i suoi calcoli, tempo un paio di giorni Francis Poldark avrebbe ricevuto la lettera da Londra e scoperto della tresca fra sua moglie e Ross, era sufficiente consegnare il cugino nelle sue mani, e ci avrebbe pensato lui a toglierlo di mezzo…Ross Poldark andava assolto e liberato, questa era l’unica soluzione.
Lo zio obiettò che non poteva compromettersi con Charles facendo assolvere il nipote, a dispetto dei loro accordi. Forse l’unica soluzione era farlo evadere… se non era stupido, Ross si sarebbe nascosto o sarebbe fuggito lontano, e si sarebbero placati anche i problemi di ordine pubblico procurati dalla gente del popolo, che protestava e procurava continui disordini, ritenendo che quell’uomo così ben voluto e generoso fosse vittima di un’ingiustizia. Se era stupido, avrebbe affrontato lo zio, ma in quel modo sarebbe stato facile preda dell’ira del cugino.  A quel punto, l’esito del processo passava in secondo piano: anche in caso di condanna, non si poteva certo impiccare un latitante o un morto.
Ignaro delle trame che si stavano formando intorno a lui, Ross era sempre più deciso ad evadere. Era sempre stato un testardo, e le parole dell’avvocato e dei suoi amici non lo avevano affatto tranquillizzato. Non era la prima volta che subiva un processo, ma non aveva mai visto un giudice prevenuto e mal disposto come quel Warleggan. Elizabeth gli aveva parlato di una condanna a trent’anni , segno che il suocero e l’amico giudice dovevano già essere d’accordo sull’esito del processo. Lui non poteva subire quella condanna, non era giusto, e non poteva neppure attendere l’esito di un eventuale appello. Si sentiva sempre più debole e non era certo che sarebbe sopravvissuto, continuando a vivere in un ambiente malsano, ad alimentarsi poco e male senza ricevere cure. Il giorno prima uno dei compagni di cella era morto di stenti, eppure era un uomo robusto, anche se più anziano di lui. Convinto a tentare il tutto per tutto, propose al vivandiere Philip , in cambio di parecchio denaro, di procurargli un coltello e di drogare la cena dei secondini in modo da far sì che cadessero in un sonno profondo e lui potesse scapapre. L’uomo si rifiutò, aveva troppa paura di essere scoperto ed ucciso; eppure quella sera stessa, con suo enorme stupore, Philip gli fece scivolare un pugnale nella manica e gli disse che non ci sarebbe stato nessuno di guardia quella sera.
Ross, incredulo, gli chiese com’era possibile e l’uomo gli rispose che gli era stato dato l’ordine di aiutarlo ad evadere dal carcere. Poldark non riuscì a capire esattamente chi avesse dato quell’ordine, perché Philip era stato vago come al solito, e temette seriamente che fuori della prigione ci fosse qualcuno ad attenderlo per un agguato. Perché però, allora, gli era stata data un’arma per difendersi?
Con cautela, Ross percorse i corridoi della prigione e si rese conto che, stranamente, tutto era stato predisposto per consentire la sua fuga. All’esterno, nulla sembrava indicare la presenza di uomini pronti a tendergli una trappola: così, con circospezione ma in maniera fulminea, si dileguò fra i vicoli del paese. Nella campagna circostante cercò un rifugio di fortuna per la notte, ed iniziò ad elaborare un piano, perché l’indomani la notizia della sua evasione sarebbe stata sulla bocca di tutti ed i gendarmi sarebbero stati mandati alla sua ricerca mettendo a ferro e fuoco Bodmin ed i suoi dintorni.
Al processo avevano assistito anche Francis e suo padre, e a cena i due commentavano la vicenda. Francis, più obiettivo, osservava che Warleggan non gli era sembrato equilibrato nei confronti di Ross, mentre l’avvocato difensore pareva conoscere il fatto suo, ed era curioso di conoscere quali elementi avrebbe portato a conoscenza della giuria la settimana successiva. Charles tentò di troncare il discorso dicendo che le accuse a carico del nipote erano serie e circostanziate, non poteva trattarsi di invenzioni nate dal nulla, vi era un cadavere, armi di contrabbando e vi erano testimoni. Francis obiettò che Ross aveva una buona posizione economica, si era appena sposato e sembrava innamoratissimo di Demelza, non aveva alcuna ragione per rischiare la sua felicità commettendo dei reati. Charles rispose che il figlio era sempre stato un sognatore, e che da sempre lui lo aveva messo in guardia, cercando di contrastare la simpatia che aveva manifestato verso Ross dopo averlo conosciuto. Sapeva che Francis si sarebbe fatto abbindolare e lo avrebbe giudicato in maniera poco obiettiva, perché Ross aveva una personalità manipolatrice e subdola. Aggiunse che lui aveva sempre capito che il figlio di Joshua era un calcolatore, che era piombato in casa loro con un obiettivo ben preciso, e che se non lo avesse tenuto alla larga avrebbe indirizzato le sue mire al loro patrimonio, approfittando del buon carattere del cugino. La signora Chynoweth aggiunse che lei non aveva mai avuto piacere che Demelza sposasse quell’uomo, e giacché quella pareva esserne innamorata persa era evidente che Charles aveva ragione: Ross doveva essere un vero demonio, capace di fare presa su personalità più deboli e di piegarle al suo volere. Charles, fissando la nuora dritta negli occhi, disse che il nipote aveva un ascendente molto forte su alcune persone, ma sperava che almeno la giuria ne fosse immune e riuscisse a pronunciarsi secondo giustizia.
Francis disse che gli dispiaceva molto per Demelza: l’aveva solo intravista all’udienza ma non aveva potuto salutarla, e propose alla moglie di recarsi insieme a Nampara per farle visita e recarle conforto. Charles non potette obiettare nulla ed Elizabeth, naturalmente, dovette rispondere positivamente, anche se non aveva alcuna voglia di rivedere la sorella dopo il loro ultimo incontro.
Ross, intanto, aveva vagato tra i boschi riuscendo a mettere sotto i denti qualche radice e qualche frutto: troppo poco per saziarsi. Doveva mettersi rapidamente in contatto con qualche amico, ma uscire allo scoperto o tornare a casa era troppo pericoloso. L’unica soluzione adeguata, per il momento, fu di nascondersi all’interno di una miniera abbandonata, nella quale rimediò anche una vecchia coperta sdrucita che poteva servirgli a coprirsi durante la notte.
Poiché, nel frattempo, la notizia della sua evasione era trapelata al di fuori del carcere e a Bodmin e Truro non si parlava d’altro, ne vennero a conoscenza tutti gli amici di Ross e sua moglie, i quali, a loro volta, erano preoccupatissimi e cercavano di ipotizzare dove Ross potesse essersi nascosto, per dargli aiuto senza esporsi personalmente e senza rischiare di porre lui nuovamente in pericolo di essere riacciuffato dai gendarmi.
Alcuni affittuari di Ross furono inviati a perlustrare i boschi intorno a Bodmin , altri amici di Dwight e di Pascoe chiesero informazioni in giro ai contadini, ma nessuno lo aveva visto. Solo parecchi giorni dopo un ragazzo di Sawle riuscì a trovarlo, e dopo una rapida staffetta riuscì a procurargli provviste sufficienti per qualche giorno. Ross mandò un messaggio da riferire a sua moglie, che stava bene e che l’amava, che non doveva avere paura di nulla, perché presto sarebbero stati di nuovo insieme. Il secondo messaggio fu per Dwight: non poteva trattenersi a lungo in quel posto, era necessario mutare spesso nascondiglio, anzi la cosa migliore sarebbe stata cercare la maniera di fuggire via mare, facendosi poi raggiungere da Demelza in un secondo momento. Ricevuto il messaggio, Dwight cercò insieme a Pascoe di trovare il modo di far partire Ross a bordo di una scialuppa di notte, ma era molto difficile perché le spiagge e i porti erano tutti pattugliati in quei giorni.
La mattina in cui Francis ed Elizabeth si stavano preparando per andare a Nampara a trovare Demelza giunse a Trenwith la notizia dell’evasione di Ross. Elizabeth rosicò, pensando che Ross le aveva rubato l’idea e che invece di fuggire insieme, avrebbe cercato la maniera di scappare con Demelza. Commentò stizzita che il suocero aveva ragione, Ross era un opportunista e la sua fuga era una prova evidente della sua colpevolezza, dell’incapacità di rispettare le regole. Aggiunse che bisognava mandare qualcuno a Nampara a vigilare su sua sorella, per evitare che Ross la obbligasse a fuggire con lui. Che vita sarebbe stata quella della povera fanciulla a fianco di un malvivente fuggiasco? Francis all’inizio era abbastanza titubante, non voleva immischiarsi apertamente nelle vicende del cugino, ma poiché Demelza era la sorella adottiva di sua moglie ed era vittima di Ross (anche se prendeva le sue difese a spada tratta), pensò che non ci fosse nulla di male a volerla proteggere. Propose, quindi, di invitarla a Trenwith finché le acque non si fossero calmate. Elizabeth scosse la testa “Demelza è testarda, non accetterà mai di vivere qui! Non puoi mandare uno dei tuoi uomini di fiducia di sentinella, per vedere se Ross si avvicina alla casa?” Francis disse che sicuramente Warleggan avrebbe mandato dei gendarmi a fare delle ronde, ma dubitava che Ross si sarebbe fatto vivo a Nampara, se non era imprudente. Era il luogo più ovvio, il primo dove lo avrebbero cercato, al pari del Lucifero, che era stato sequestrato ma si trovava sempre ancorato nella baia dove Ross l’aveva lasciato. Discussero ancora un po’, e Francis disse che non esistevano luoghi davvero sicuri nei dintorni per gestire una lunga latitanza. A meno che non avesse qualcuno disposto a nasconderlo in casa sua, al posto di Ross avrebbe cercato di fuggire via mare. Elizabeth pensò subito a Tholly Tregirls e decise che sarebbe andata a cercarlo, dicendogli di andare ad avvisarla subito se Ross fosse andato a cercarlo chiedendo il suo aiuto per fuggire… forse non era detta ancora l’ultima parola.
La visita dei coniugi Poldark a Nampara si svolse in un clima di fredda cortesia. Demelza era preoccupatissima per Ross, da un momento all’altro aspettava notizie da parte di Dwight, ma doveva fingere di voler prendere le distanze dal marito. Diede ragione a Francis quando questi disse che Ross era stato un folle ad evadere. Commentò che se il marito fosse ricomparso non avrebbe certo potuto negargli il suo aiuto, ma lo avrebbe convinto a costituirsi e consegnarsi nuovamente alla giustizia. Lo giustificò soltanto richiamandosi alle dure condizioni del carcere e sottolineò la profonda ingiustizia del trattamento che aveva ricevuto, senza neppure poter ricevere una visita di sua moglie. Francis si disse meravigliato ed aggiunse che, se lo avesse saputo prima, avrebbe potuto chiedere, tramite l’amico George Warleggan, quanto meno degli incontri, sebbene il carcere non fosse un luogo adatto a signore della classe di Demelza…La moglie di Ross fulminò la sorella con lo sguardo e disse al cognato che lo ringraziava, ma non aveva voluto dargli un incomodo, immaginando quanto suo padre dovesse essere seccato della faccenda.
Elizabeth colse poi l’occasione, con fare mellifluo, per parlare della sua gravidanza, con l’intento di ferire la sorella. A Demelza si strinse il cuore vedendo l’ingenua felicità di Francis; ricordò le parole incoraggianti di Dwight, Ross non poteva essere il padre di quel bambino, per cui si mostrò serena ed affettuosa, e rivolse gentili parole al cognato, dicendo che il bambino era molto fortunato ad avere un padre così attento e premuroso. Si guardò bene dal dire che anche lei era incinta: nessuno doveva saperlo prima di Ross, e soprattutto non quell’invidiosa di sua sorella.
Trascorsero i giorni; il processo proseguì in assenza di Ross ed il suo difensore cominciò a portare in aula i primi elementi che consentivano di scardinare le accuse a carico dell’imputato: non solo i documenti relativi alle armi rubate dal fortino nel Kent, ma anche la morte del detenuto – la cui identità era finalmente riuscito a scoprire – avvenuta proprio il giorno prima del rientro di Ross in Cornovaglia. L’avvocato chiese che venissero chiamati a testimoniare tutti i prigionieri e tutte le guardie del carcere in proposito, poiché la morte di quell’uomo non era stata annotata, come dovuto, nei registri del carcere.
Dato anche il fedele resoconto che il giornalista amico di Dwight effettuava dopo ogni udienza, il caso si stava rivelando effettivamente piuttosto scottante per Cary Warleggan; gli era giunta voce che il Primo Ministro avrebbe mandato degli ispettori in tribunale, e così il giudice non potette evitare di ammettere alcuni testimoni, istruendoli però in modo tale da non far svelare l’intera macchinazione che era stata ordita ai danni di Ross. La piega che gli eventi avevano preso aveva generato nella giuria dei seri dubbi, che ben potevano condurre all’assoluzione di Ross. Restava, tuttavia, in carico l’ulteriore accusa di evasione; a tal proposito il difensore riteneva opportuno che Ross si rifacesse vivo quanto meno per l’ultima udienza, al fine di spiegare che era stato costretto a fuggire in quanto vittima di un complotto, e così avrebbe cercato di far annullare l’accusa di evasione, o almeno fargli comminare una pena molto lieve.
Nel frattempo, però, la lettera anonima scritta da Warleggan viaggiava e venne recapitata sulla scrivania di Francis un’assolata giornata di aprile, subito dopo colazione. Il giovane aprì la busta con un tagliacarte e si accinse a leggere la lettera. Man mano che scorreva le righe, il suo stupore e la sua ira crescevano: gli sembravano delle insinuazioni talmente assurde che avrebbe voluto immediatamente cestinarla e bollarla come uno scherzo di pessimo gusto. Tuttavia, si fermò un attimo a riflettere e rivisse dinanzi a sé alcune scene dei mesi precedenti: lo sgomento di Ross e Demelza quando li aveva sorpresi insieme e li aveva praticamente obbligati a sposarsi; le parole della signora Chynoweth, che aveva fatto riferimento al disonore arrecato a  “sua figlia”: che sciocco ad aver pensato a Demelza, quando la signora aveva due figlie! Ma se era Elizabeth che Ross aveva disonorato, voleva dire che Ross era tornato a Trenwith per Elizabeth, non per Demelza! Tutti, dunque sapevano che Elizabeth era stata la sua amante! Che vergogna, che ignominia! Ad un tratto, ricordò che Elizabeth la loro prima notte di nozze continuava a riempirgli il bicchiere di spumante, si erano spogliati e stesi sul letto, ma era talmente brillo che non ricordava quasi nulla… probabilmente, quella donnaccia lo aveva ingannato per fargli credere che fosse pura, quando non lo era! E Demelza? Era allora proprio vero quanto sosteneva Elizabeth, lo amava così tanto da sacrificarsi sposando un uomo che non stimava, pur di proteggere il suo onore! Povera Demelza! Oh, se solo avesse avuto il coraggio di difendere le sue opinioni con Charles, avrebbe sposato lei, e non Elizabeth!
Come una furia, si recò nella loro camera da letto, dove Elizabeth, in vestaglia, stava dinanzi allo specchio a pettinarsi. Dopo averle sbattuto sotto il naso la lettera chiedendole spiegazioni, Elizabeth cominciò a tremare e balbettare, segno evidente che i suoi sospetti non erano poi così infondati. Francis allora la afferrò per il collo, la gettò sul letto e stringeva come se davvero avesse voluto ammazzarla. Le loro urla fecero accorrere la madre di Elizabeth e la servitù, ed il maggiordomo riuscì ad allontanare Francis, portandolo via, mentre Elizabeth, in lacrime, massaggiava il segno violaceo che le era rimasto intorno al collo.
Elizabeth, disperata, raccontò a sua madre cos’era successo, e la donna disse che l’unica soluzione era gettarsi ai piedi del marito e chiedere perdono, ma Elizabeth rispose che non lo avrebbe mai fatto, che preferiva essere ripudiata piuttosto che umiliarsi davanti a quell’idiota di suo marito. Lei non aveva nessuna colpa: non era fidanzata quando aveva conosciuto Ross e non sapeva chi fosse. Pensava fosse solo un contrabbandiere senza arte né parte: affascinante, certo, ma privo di mezzi. Se ne era innamorata, ed erano state solo le circostanze a condurla alle nozze con Francis, perché le avevano riferito che Ross sarebbe marcito in prigione per dieci anni. Si era data ad un uomo ma per amore, e non aveva mai tradito il marito. Non meritava, dunque, di essere trattata come una prostituta, come i Poldark avrebbero certo fatto. In grembo portava il loro erede, e meritava rispetto. La madre commentò che le sue giustificazioni non avrebbero avuto alcun valore agli occhi di Charles e che gli uomini avevano un concetto esasperato dell’onore. Francis non si sarebbe placato se non lavando nel sangue l’offesa che gli era stata arrecata, ammesso che il cugino fosse riapparso. L’astuta contessa disse che era una fortuna che Ross fosse latitante, perché nessun duello sarebbe avvenuto e lo scandalo sarebbe rimasto in famiglia. Certo, Elizabeth avrebbe dovuto riconquistare la fiducia del marito, con pazienza e mitezza, sopportando anche eventuali limitazioni e castighi. Elizabeth non aggiunse altro, ma dentro di sé pensò che se Tholly le avesse obbedito, non avrebbe dovuto chinare il capo dinanzi a nessuno e avrebbe realizzato il suo sogno di scappare con Ross… anche se lui le aveva fatto intendere a chiare lettere che non la voleva, non le avrebbe certo rifiutato il suo aiuto, dopo avergli spiegato che Francis sapeva tutto e che non aveva altra via d’uscita se non la fuga, per non dover vivere come una reietta. In più, quello sciocco di Francis ora era furioso e pazzo di gelosia ed avrebbe impedito con ogni mezzo a Demelza di riunirsi a Ross, per cui... non ogni male veniva per nuocere.
Al piano inferiore, intanto, Charles era stato informato dello scatto d’ira del figlio e cercava di calmarlo. Inizialmente pensò di fingere che non sapeva nulla e di convincere Francis che quelle della lettera erano accuse fasulle. Una volta però compreso che quella sciocca della nuora non era stata capace di inventare delle scuse credibili e si era tradita, visto che Francis aveva improvvisamente ritrovato energia ed aveva iniziato a comprendere che doveva esserci proprio il padre dietro l’incarcerazione di Ross, Charles dovette ammettere che, seppure solo di recente, aveva scoperto della tresca di Elizabeth e Ross. Gradualmente il padre rivelò al figlio ciò che sapeva e lo confortò dicendo che Elizabeth giurava e spergiurava di non aver avuto più nulla a che fare con Ross dopo il matrimonio. Francis sbottò che quella vipera era una bugiarda, ricordò come si era comportata a Bath, facendo di tutto per restare sola con Ross: chi gli assicurava che il figlio che aspettava non fosse del cugino? Charles gli raccontò anche della conversazione avuta con Elizabeth poche settimane prima, quando la donna gli aveva detto che non le importava più nulla di Ross e desiderava vederlo sulla forca. Francis ribadì che non credeva più ad alcuna parola uscita dalla bocca della moglie. Nonostante fossero appena le dieci di mattina, afferrò la bottiglia del rum e bevve copiosamente. Il padre gli tolse la bottiglia, spronandolo ad uscire, in modo tale da allontanarsi da Trenwith e poter conversare tranquillamente senza tema di essere uditi. Non era il momento di lasciarsi andare, bisognava restare lucidi, e dalla loro parte vi era il fatto che Ross era sparito e non bisognava affrontarlo subito. Quanto ad Elizabeth, si poteva benissimo relegarla nella casa di Cusgarne, ormai riparata, insieme a sua madre, fino al momento del parto, se Francis non tollerava la sua vista, oppure poteva rimanere a Trenwith in un’ala separata della casa: non era il caso di armare uno scandalo. Francis parve calmarsi ed accettò la proposta del padre. I due uomini uscirono dunque insieme a cavallo, dando disposizioni che la signora e sua madre rimanessero in casa. Molti erano gli argomenti da affrontare e quelle due intriganti non dovevano avere il tempo di consultare nessuno, in attesa che gli uomini di casa decidessero il da farsi.
Ross intanto, esplorando la miniera abbandonata – attività che era il suo unico possibile passatempo - aveva scoperto delle rocce di colore rossastro che potevano far ipotizzare la presenza di minerali di rame. Con un oggetto acuminato staccò dalla parete dei campioni e se li mise in tasca. Al momento opportuno avrebbe fatto esaminare quel materiale al capitano Henshawe, dipendente dello zio ma vecchio e fedele amico di suo padre. Nascosto nel sottosuolo, il giovane bruno non poteva immaginare tutto quello che lo aspettava nel caso fosse riapparso alla luce del sole.

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Capitolo 11
*** capitolo 11 ***


Erano passate due settimane dall’evasione di Ross ed altre due ne mancavano dall’udienza di discussione finale al processo. Demelza aveva superato le nausee mattutine e trascorreva le mattine dedicandosi a lavori di fattoria: dava da mangiare alle galline, raccoglieva le uova dal pollaio, puliva le gabbie dei conigli, raccoglieva le verdure nell’orto. I lavori più pesanti, tra cui la mungitura della mucca, li svolgevano Prudie e Jud. Sebbene non avessero molti animali, i possedimenti che circondavano Nampara consentivano loro di cibarsi regolarmente e di trarre qualche guadagno dal ricavato della vendita di ciò che era sovrabbondante. Anche gli affitti dei piccoli cottage limitrofi, tra cui quello in cui abitava il dottor Enys, offrivano a Demelza una certa tranquillità economica in quel periodo di assenza di Ross.
Una mattina, proprio mentre era in giardino a curare le rose, vide un bambino correre nel cortile con un cestino in mano. Le si avvicinò e le tese il cestino, che era pieno di more. “Per voi, signora”- disse il piccolo, e scappò via senza dare alla rossa il tempo di chiedere spiegazioni. Demelza si guardò intorno, ma il bambino era ormai troppo lontano e non le aveva dato ascolto, benché lo richiamasse a gran voce pregandolo di fermarsi. Chi le aveva mandato quel cestino? Le more erano tra i suoi frutti preferiti… cominciò a piluccarne qualcuno, e con sorpresa notò che sul fondo del cestino vi era un biglietto di carta ripiegato.
Lo aprì e lo lesse con il cuore in gola. Riconobbe subito la grafia di Ross: questa volta non c’erano dubbi. Era un messaggio molto sintetico. “Questa sera lascia la porta sul retro senza la spranga. Fai preparare a Prudie la tinozza per il bagno. Poi chiuditi in camera con il lume acceso e non muoverti per nessuna ragione”.
Le balzò il cuore nel petto. Possibile che quello sconsiderato di Ross avesse in mente di introdursi in casa quella sera? Moriva dalla voglia di rivederlo, ma era terrorizzata dall’idea che qualcuno potesse scoprirlo e condurlo nuovamente in carcere. Era notizia di pochi giorni prima che era stata posta una taglia sulla sua testa, il che rappresentava un’enorme tentazione anche per chi fino a quel momento gli era stato fedele. La somma promessa dalle autorità per chi consegnava Ross era sufficiente ad una famiglia media per sfamarsi per circa un mese, e non era un aiuto da sottovalutare in quei tempi grami. Demelza non sapeva dove Ross fosse nascosto, ma sospettava che avesse dovuto mutare più volte nascondiglio e che avesse contatti con pochissime persone fidate. Neppure Dwight le aveva rivelato nulla; forse su ordine di Ross stesso, per non angosciarla. Era stata interrogata più volte dai gendarmi, che quasi ogni giorno effettuavano ronde intorno a Nampara. Dwight e Pascoe, ne era certa, erano stati pedinati per vari giorni. Demelza non usciva di casa praticamente da due settimane, cosicché le forze di polizia si erano dovute rassegnare al fatto che era impossibile che quella donna avesse contatti con suo marito. Anche Dwight aveva diradato le visite a Nampara ed i messaggi che ogni tanto inviava a Demelza erano talmente generici che seppure le guardie li avessero letti non avrebbero intuito nulla di compromettente. Si trattava di consigli medici e di vaghi riferimenti alla buona salute “dei suoi pazienti” per i quali stava cercando “nuove cure”. Demelza era certa che Dwight voleva trasmetterle un messaggio in codice, per farle capire che la situazione di Ross era invariata e che l’amico continuava ad interessarsi di lui, per quanto poteva. Le poche volte in cui si erano visti di persona Dwight le aveva sussurrato, badando bene che neppure Prudie e Jud udissero, che Ross stava bene, che Demelza era costantemente nei suoi pensieri, che doveva avere pazienza e fede in Dio, perché presto tutto si sarebbe risolto.
Leggere ora quel messaggio di Ross le aveva fatto davvero battere il cuore. All’improvviso, però, pensò che di quel biglietto doveva far sparire ogni traccia. Lo bruciò alla fiamma di una candela fino a vederlo divenire cenere. Combattendo contro l’emozione, cominciò a ragionare. Alle 19 avrebbe cenato, come sempre; avrebbe detto a Prudie di prepararle il bagno in cucina per le 20 e l’avrebbe mandata a dormire, dicendo che si sarebbe occupata lei di riordinare. Prudie e Jud, una volta a letto, dormivano di sasso e non avrebbero sentito nulla. Avrebbe poi tolto la spranga dalla porta che separava la cucina dal cortile sul retro, quello di accesso al fienile, e sarebbe andata a letto, proprio come le aveva ordinato Ross.
Le sorprese per quella mattina, però, non erano finite. Prudie le consegnò un biglietto che era appena arrivato da Trenwith. Era Francis che preannunciava una sua visita per quella mattina stessa: il messaggero attendeva una risposta. Demelza vergò due righe, rispondendo che era in casa e lo avrebbe ricevuto volentieri.
Erano circa le dieci di mattina quando il cognato arrivò a cavallo. Era vestito con un mantello scuro e aveva un volto molto serio. Dopo i primi, dovuti convenevoli e dopo che Prudie ebbe servito loro del tè e delle focaccine dolci, Francis le spiegò che era venuto per mostrarle qualcosa: così le tese la lettera anonima giuntagli da Londra poco tempo prima. Demelza, leggendola, ebbe un moto di terrore sul viso. Non ebbe neppure il tempo e la forza di negare, che il cognato la apostrofò: “Come hai potuto farmi questo? Come hai potuto nascondermi una cosa simile, proprio tu che mi volevi bene? Hai permesso che la vergogna cadesse sulla mia persona e sulla mia famiglia!” “Non è così, Francis! – esclamò la ragazza, disperata – ti giuro che non ne sapevo nulla. O meglio, sapevo che Elizabeth aveva conosciuto un uomo di cui si era invaghita, ma non potevo sapere fino a che punto si fosse compromessa con lui… poi tu la chiedesti in moglie e lei mi giurava che non le interessava nessun altro, solo tu, che non potevo rovinarle la vita con una bugia, che tutti avrebbero creduto che parlassi solo per invidia e gelosia, perché io…”
“Perché tu mi amavi, vero? Me lo ha detto tua sorella. Oh, Demelza, perché non abbiamo avuto il coraggio di aprire il nostro cuore confidandoci ciò che provavamo? Anche tu mi piacevi, e se avessi saputo che ricambiavi i miei sentimenti, mi sarei imposto con mio padre, avrei chiesto la tua mano al posto di quella di Elizabeth, quella sguadrina bugiarda che non ha fatto altro che mentirmi dal primo istante…”. Francis prese le mani della moglie di Ross fra le sue. “Io non ce l’ho con te, mia cara… capisco la tua posizione, so che non volevi farmi soffrire, che eri vincolata dai doveri di obbedienza e lealtà verso la famiglia che ti ha accolto… sono sicura che ti hanno imposto il silenzio, facendoti pesare che quel matrimonio avrebbe finalmente risolto ogni vostro problema economico!  Tutto quello che è accaduto dopo… tu sei una povera vittima delle circostanze, al pari di me! Non sai quanto mi addolora pensare che io stesso ti ho gettato fra le fauci del lupo… ti ho consegnato, pura ed ingenua, a quell’uomo spudorato che non ti merita!”
“Non è così – gridò Demelza – io amo davvero Ross, e lui non è quello che pensi! Elizabeth lo ha ingannato, gli ha promesso che lo avrebbe sposato al suo ritorno da un viaggio in Francia nel quale ha rischiato la vita, pur di fare fortuna e potersi presentare da persona rispettabile a nostra madre… durante quel viaggio Ross ebbe delle vicissitudini, fu arrestato per errore e qualcuno della sua ciurma disse ad Elizabeth che non sarebbe più tornato perché doveva scontare una condanna a dieci anni di carcere … nel frattempo voi vi sposaste, e Ross, una volta ritornato in Cornovaglia, scoprì che la donna che amava non era più libera.”
“Fu per questo che giunse come una furia a Trenwith, non è così? Perché non mi ha affrontato da uomo a uomo, perché non mi ha reclamato il torto che gli avevo arrecato, perché non mi ha conteso quella svergognata di tua sorella, se tanto l’amava?”
“Era ciò che avrebbe voluto fare, ma quando giunse a Trenwith eravate ancora a Londra per il viaggio di nozze e sono stata io ad impedirglielo, facendolo ragionare… avevo paura che vi sfidaste a duello e tu potessi essere ferito o peggio, morire!”
“Era per questo che gli giravi sempre intorno? Per convincerlo ad andarsene? Ah! – sbottò Francis – non ti rendi conto che, con l’intento di proteggermi, mi hai reso ridicolo ai suoi occhi?”
“No – replicò Demelza – Ross ben presto capì che tu eri una vittima al pari suo, e che non era il caso di spargere sangue fra di voi. Siete cugini, per l’amor del cielo! Comprese che non valeva la pena di turbare la tua pace familiare, tu non avevi alcuna colpa ed Elizabeth… Ross pensò che doveva vivere la vita che aveva scelto accanto a te e dimenticarsi di lui”.
“Anche tu sei completamente accecata da quel mascalzone, mio padre ha ragione… lui è l’unico che non si è fatto abbindolare da Ross! La verità è che il mio caro cugino finse di assecondarti perché capì che per lui era più conveniente fingersi mio amico, anzi il fratello che non ho mai avuto… recitare la parte del figliol prodigo che torna a casa pentito…sono sicuro che lui ed Elizabeth erano in combutta: lei gli avrà promesso di continuare ad essere la sua amante, purché si rassegnasse al fatto che era sposata e non mi desse troppe noie. La sua vendetta è stata farsi restituire Nampara: tu pensa che se mio padre non fosse stato categorico gli avrei restituito anche la miniera di zio Joshua, oppure lo avrei reso mio socio. Sappi che non lo giudico male per questo: in fondo, imbrogli e disonestà sono stati il suo pane quotidiano fin da quando è nato, non ha fatto che seguire la sua indole. Ciò che non gli perdono, è aver accettato di prenderti in moglie. Immagino che Elizabeth gli avesse detto che tu mi amavi e che avresti accettato qualsiasi sacrificio pur di risparmiarci il disonore e lo scandalo … e ha pensato bene di approfittarne, quel bastardo!” “Ti ripeto che non sono andate così, le cose! – ribatté Demelza – Ross mi parlò in maniera onesta e mi lasciò libera di scegliere se sposarlo. Era preoccupato che facessi una scelta sbagliata solo per proteggere te ed Elizabeth. Fui io a dirgli che volevo che il matrimonio avvenisse il prima possibile e che era l’unica cosa sensata da fare. Sai bene che avrei voluto entrare in convento e che mia madre e tuo padre mi osteggiavano. Non volevo che mi costringessero a sposare qualcuno, ma sapevo che era solo questione di tempo. Se proprio dovevo sposare un uomo che non amavo, scelto da altri per me, che almeno servisse a qualcosa. Pensai che, una volta sposato con me, Elizabeth non avrebbe più cercato Ross, e lui ugualmente…”
“Povera illusa! Tu pensi davvero che quei due non abbiano avuto più legami dopo le vostre nozze? Non ricordi a Bath, quando con un pretesto ci mandarono da soli a teatro? Mi dispiace dirtelo, Demelza, ma sono convinta che Elizabeth e Ross non abbiano mai interrotto la loro relazione, e poi questa lettera…”
“La lettera dice il falso! Dio solo sa chi l’ha scritta, allo scopo di ferirti e spargere infamie! Io credo a Ross: lui mi ha giurato più volte che dopo essere tornato da qual viaggio ed aver scoperto che Elizabeth era sposata con te non c’è stato più nulla fra di loro; semmai è stata lei a creare delle situazioni per provocarlo, come a Bath!”
“Facile accusare Elizabeth! No, Demelza, mi dispiace: mi hai mentito una volta, a fin di bene, ma questa volta non tollero bugie da parte tua. Sei una donna virtuosa ed obbediente, hai assunto dei voti dinanzi ad un altare ed immagino che tu non voglia tradirli o ammettere dinanzi a me l’errore che hai commesso. Ti comprendo e ti rispetto: però devi dirmi la verità su una cosa. Tu hai paura che sfidi Ross a duello e che lui mi ammazzi, vero? Mi ami così tanto che non esiti a prendere le sue difese , purché io non corra pericolo!”
“Non è così! – Demelza era disperata, non sapeva più come farsi capire dal cognato - è vero, ti ho amato molto un tempo; o meglio, credevo di amarti. Pensavo che se ti fosse accaduto qualcosa di brutto non lo avrei sopportato. Ma poi ho conosciuto Ross, ed è stato tutto diverso… come posso spiegarti…”
Già: come era possibile spiegare che tipo di uomo era Ross Poldark? Capace di trascinarti in un attimo dalla gioia alla disperazione, travolgente e passionale ma sfuggente e misterioso al tempo stesso. Come spiegare ciò che non era ben chiaro neppure a lei, come era possibile che fosse nato nel suo cuore un sentimento così profondo per un uomo che fino a poco prima considerava come causa della disgrazia della sua famiglia? Come far capire a Francis che ora la sola idea di poter perdere Ross le faceva mancare il fiato?
Demelza proseguì. “Mi sono innamorata di Ross giorno dopo giorno, semplicemente standogli accanto… lui è nobile, generoso, mi ha sempre rispettato – la turbava rivelare un fatto così intimo, ma per dimostrare la buona fede di Ross confidò a Francis che il loro matrimonio non era stato consumato che la notte di Natale – Piano piano anche lui si è innamorato di me, ha dimenticato completamente Elizabeth, devi credermi, Francis… non ha alcun senso sfidarvi a duello, non ne vale la pena. Ciò che c’è stato fra lui ed Elizabeth è avvenuto prima delle vostre nozze, il vero offeso da tutta la situazione è stato Ross, che si è visto rubare la donna che aveva scelto per sé. Lui ha dimenticato, perdona anche tu, ti prego: fammi stare tranquilla… perché se succedesse qualcosa di male a Ross io potrei morirne…”
Demelza, in lacrime, si sfiorò la pancia, ma si trattenne dal rivelare che dentro di lei cresceva una nuova vita. Nessuno doveva saperlo prima di Ross, tanto meno Francis.
Francis la fissò quasi con disprezzo. Se era vero ciò che diceva, era la seconda donna che un tempo aveva amato che gli preferiva Ross. La rabbia verso il cugino, se possibile, aumentò ulteriormente. Le fece capire che le voleva bene, dopo tutto, e non avrebbe mai voluto farla soffrire, ma Demelza doveva comprendere che non c’era altra scelta. Era andato a Nampara per riferirle che, se aveva modo di mettersi in contatto con Ross, doveva informarlo che lui era al corrente di tutto e che attendeva soddisfazione… che non pensasse di sfruttare la sua latitanza per sottrarsi al duello! “Digli che se non si fa vivo spontaneamente sarò io stesso a stanarlo… non esisterà un luogo sulla terra dove sarà al sicuro dalla mia vendetta!”  “Sappi che, se oserai torcere a mio marito un solo capello, sarai tu a dover cercare un posto dove nasconderti per ripararti dalla mia, di vendetta!” – replicò fiera Demelza. Francis, avesse preso o meno sul serio quella minaccia, girò le spalle e se ne andò.
Rimasta da sola, Demelza, angosciata, pensò che Charles non doveva essere affatto d’accordo con la posizione di Francis. Se voleva trovare un alleato per evitare che quel duello si svolgesse, doveva cercare sostegno dallo zio di Ross.
Demelza non si sbagliava. Charles aveva cercato a lungo di distogliere il figlio dal proposito di sfidare il cugino, e per il momento pregava che il nipote continuasse la latitanza che lo metteva al sicuro dall’ira di Francis. Una volta raccolto il guanto di sfida, tuttavia, Ross non sarebbe stato così codardo da sottrarsi al duello: avrebbe accettato, e a quel punto Charles temeva fortemente per la vita del figlio. Ross doveva essere un ottimo tiratore, ed in più era un maledetto fortunato, come dimostrava tutta la sua dannata esistenza. Purtroppo, nulla si poteva più ottenere da Warleggan, che chiaramente non era più disposto a rischiare la sua carriera per favorire un amico. Poteva solo sperare che la taglia posta dalle autorità servisse a riconsegnare Ross alla giustizia: lì in carcere Francis non avrebbe potuto duellare con lui. Una volta rinchiuso, ci avrebbe pensato lui ad assoldare qualcuno per farlo fuori… meglio macchiarsi di un delitto simile, piuttosto che rischiare che a morire fosse il suo unico, amato figlio.
Elizabeth, intanto, era stata confinata nella casa di Cusgarne insieme a sua madre, sotto la stretta vigilanza di alcuni fedeli servitori che dovevano accompagnarle ovunque e riferire a Charles ogni loro passo. Per questa ragione Elizabeth non aveva avuto più possibilità di cercare Tholly, né di organizzare altri intrighi. Era in balia degli eventi, e sperava che questo benedetto duello avvenisse, e che a morire fosse Ross; ma anche se fosse morto Francis, finalmente sarebbe stata libera, vedova, una ricca ereditiera, anche se posta sotto il giogo del suocero, e magari un domani avrebbe potuto cercarsi un nuovo marito… chissà, magari proprio quel George Warleggan che le faceva la corte anni prima, un buon partito che ora era quasi parlamentare! Sì, non vedeva l’ora che quel duello si svolgesse, perché qualunque suo esito sarebbe stato vantaggioso per lei. 
Demelza trascorse il resto della giornata in ambasce per Ross e per quello che le aveva detto Francis. Perlustrò i dintorni della casa più e più volte, mandò Jud in giro a riferirle se per caso Francis aveva fatto sorvegliare la casa, ma non notarono nulla di strano. Verso le sei del pomeriggio ci fu una ronda dei gendarmi, con le loro baionette perlustrarono tutto il fienile, tutti i cottage degli affittuari e l’intera abitazione padronale. Demelza fremeva, perché non sapeva a che ora Ross si sarebbe fatto vivo. Finalmente, dopo un’ora, le giubbe rosse si allontanarono e Demelza ordinò a Prudie di servirle la cena e di prepararle il bagno per le otto. Prudie si stupì che la signora si bagnasse a quell’ora tarda, e per di più la vedeva molto più agitata e nervosa del solito. “Volete che vi aiuti a fare il bagno?” – chiese la donna, pensando che magari, nel suo stato, avesse paura di scivolare e farsi male. “No, grazie, non ce n’è bisogno. Andate pure a dormire, è stata una giornata stancante, con tutte queste guardie in casa…” I due servitori convennero con la padrona, e si lamentarono dei soprusi dei gendarmi, che avevano addirittura rotto un vaso e che avevano fatto faticare Jud come un mulo, spostando gli animali ed i sacchi di mangime da una parte all’altra nel corso della loro perlustrazione. Mentre cenavano, Prudie aveva messo a bollire l’acqua. Ultimata la cena, marito e moglie versarono abbondanti secchi di acqua bollente nella tinozza di rame che i padroni usavano per fare il bagno, Prudie vi aggiunse degli oli profumati che aveva creato Demelza stessa, poi pose i piatti e bicchieri in un catino, che veniva abitualmente usato per lavare le stoviglie, e disse che vi avrebbe provveduto l’indomani mattina. Demelza attese circa dieci minuti; sbirciò nel corridoio che portava alla stanza dei servitori e non udì alcun rumore. Allora tornò in cucina, tolse la spranga alla porta sul retro e salì di sopra, talmente in ansia che non si svestì neppure.
La luce del lume a petrolio era accesa, come aveva ordinato il mittente del biglietto. Mai il tempo le sembrò scorrere così lentamente. Per ingannare l’attesa si era messa a pregare, ma ripeteva una litania dopo l’altra senza concentrarsi davvero. Udì l’orologio del salotto battere le otto e trenta. Istintivamente si affacciò alla finestra, ma era tutto buio e silenzioso in cortile. Dopo l’accurata perlustrazione del pomeriggio, era abbastanza certa che le guardie non sarebbero tornate quella notte. Tese l’orecchio ed aprì la porta della sua stanza, ma anche dalla casa non sembrava provenire alcun rumore. Poi ad un tratto… udì dei passi. Trattenne il fiato, guardò giù dalle scale, ma ebbe paura nel pronunciare il nome di Ross… poi se lo trovò davanti, e solo allora la tensione crollò e finalmente gli sussurrò : “Amore mio…”
Fu un attimo, e si ritrovò nella stanza, dietro la porta chiusa, stretta fra le sue braccia. Ross era a torso nudo, avvolto nell’asciugamano che Prudie aveva lasciato accanto alla tinozza, pensando che servisse alla signora. Aveva i capelli umidi che profumavano dell’olio di Demelza, e le sue labbra insaziabili l’avevano subito avvinta in un bacio appassionato. Demelza lo strinse forte a sé, carezzandogli il dorso, e cercò di parlare, ma non ebbe tempo di dirgli nulla, perché lui riprese a baciarla con ardore. Lo sentì armeggiare con il suo vestito, tanto era il desiderio che lo animava. “Amore mio, quanto mi sei mancata…” – le disse, mentre non distoglieva lo sguardo dalla sua pelle candida, rivelata dallo scollo del vestito che si allargava, man mano che i lacci posti sulla schiena si allentavano.
“Ross, ti prego, so che non abbiamo molto tempo a disposizione, ma devi ascoltarmi! – lo interruppe la moglie, e gli narrò brevemente della lettera anonima, della rabbia di Francis, della volontà di sfidarlo a duello e della sua paura al riguardo. “Ti prego, amore mio, devi restare nascosto finché tuo cugino non ricapaciterà!”. Ross la guardò stupito. La accarezzò: era un’altra dura prova che la ragazza doveva sopportare. La strinse fra le braccia per rassicurarla, perché Demelza era scoppiata in lacrime. “Amore mio, ti prometto che non farò nulla per alimentare la rabbia di mio cugino o per provocarlo, ma se dovesse sfidarmi a duello, sai bene che non potrò sottrarmi… sarebbe come ammettere una colpa, e ciò mi renderebbe indegno dinanzi agli occhi di tutti… ma non parliamone adesso. Ho bisogno di qualche momento di tranquillità fra le tue braccia, voglio dimenticare per qualche ora tutti i drammi che mi affliggono, pensando solo a noi due…”
Si baciarono, questa volta più dolcemente. Ross accarezzò dolcemente il viso e le spalle della moglie, che ricordò quanto fosse pericolosa quell’incursione notturna. “Ross, anche tu mi sei mancato da morire, ma hai commesso una grave imprudenza a venire qui! Sei completamente pazzo!”
“Forse sono pazzo, ma di te! – rise Ross – sta’ tranquilla, ho organizzato tutto per bene: tramite la signorina Penvenen, che lo ha scoperto grazie allo zio giudice, avevo saputo che ci sarebbe stata una ronda oggi pomeriggio ed ho immaginato che, non trovando nulla, i gendarmi non sarebbero ritornati a controllare a breve… Miss Caroline è eccezionale, pensa che mi ha nascosto a casa sua, la notte scorsa!”
“ Sei stato nascosto a casa del giudice Penvenen? Oh mio Dio!” – esclamò Demelza esterrefatta. Ross spiegò che la signorina aveva preso a cuore il suo caso e, poiché lo zio era fuori per lavoro fino a tardi, lo aveva fatto nascondere in un vecchio studio polveroso al terzo piano, dove non saliva mai nessuno. Grazie al suo aiuto Ross aveva potuto finalmente rifocillarsi a dovere e dormire su una vecchia poltrona, sdrucita ma sicuramente più comoda della dura brandina che aveva rimediato alla vecchia miniera.  
Ma Ross non aveva più voglia di parlare. Fece distendere dolcemente la moglie sul letto, le sfilò la parte superiore dell’abito e cominciò ad armeggiare con il corsetto, senza smettere di baciarla. L’asciugamano che gli copriva i fianchi nel frattempo si era allentato e gli cadde di dosso, lasciandolo completamente nudo. Demelza provava sempre un certo imbarazzo in quelle situazioni; inoltre sapeva bene fin dal primo momento quali erano le intenzioni con cui Ross era giunto lì quella notte. “Ross, io non so se possiamo farlo, perché vedi, io… aspetto un bambino!”.
A quelle parole Ross si paralizzò. Guardò il ventre di Demelza con tenerezza e stupore, lo accarezzò dolcemente, e poi guardò lei dritta negli occhi. “Mi stai dicendo che avremo un figlio?”. La ragazza annuì e, timidamente, mormorò: “Ne sei contento?” Il marito la baciò e rispose che non avrebbe potuto comunicargli una notizia più bella. “Un figlio mio e tuo… un bambino tutto nostro! Cosa potrebbe rendermi più felice? Io ti amo da morire, Demelza, sei l’unica cosa che conta per me. Insieme a lui o lei, ovviamente!”. Disfò il letto sollevando il copriletto, e i due si infilarono sotto le lenzuola. Si avvinsero l’uno all’altra, anche per consentire ai loro corpi di acquisire rapidamente un po’ di calore a contatto con le lenzuola fresche. Ross tranquillizzò sua moglie sul fatto che il bambino non avrebbe corso alcun rischio e che avrebbe usato tutte le cautele necessarie; poi si amarono a lungo, ritrovando l’intesa perduta. Sfiniti poi dalla passione consumata, con una stanchezza acuita anche dalla tensione che qualcuno li potesse sorprendere, si addormentarono abbracciati. O meglio, fu Demelza che si addormentò, mentre il sonno di Ross fu breve e tormentato, come accadeva nelle ultime settimane, in cui si era abituato a vegliare costantemente. Verso le tre del mattino l’uomo si alzò, prese dall’armadio degli abiti puliti e si rivestì. Poi svegliò Demelza e le disse che si sarebbe nascosto per un po’ nel loro fienile; da lì, sarebbe scappato attraverso i boschi verso casa Penvenen, e poi insieme a Miss Caroline avrebbero deciso se poteva rimanere ancora lì o doveva trovare un nuovo nascondiglio.
“Sii prudente, Ross, ti scongiuro”. “Lo sarò ancora di più, adesso che so di questa creatura che vive dentro di te. Qualunque cosa accada, ricordati che sei la mia vita. Ti avrei proposto di fuggire con me, ma nelle tue condizioni non me la sento di metterti a rischio.”
“Oh, Ross, portami con te, ti prego – supplicò Demelza – l’ansia di non sapere dove sei e come stai mi uccide! Preferisco condividere la tua sorte, ma restare insieme! Se riusciamo a lasciare la Cornovaglia, potremo vivere liberi e lontani dalla minaccia di Francis…”
Ross scosse la testa. “No, tesoro mio. La vita da profugo della giustizia non è semplice, e non mi perdonerei se ti accadesse qualcosa, a te o al nostro bambino. Ti giuro che tutto si risolverà, e cercherò di tornare a casa quanto prima. Anche se fisicamente non ci sono, devi immaginarmi sempre vicino a te, perché il mio cuore resta qui con te”.
“Oh, Ross, tu il mio cuore lo hai già portato via…” – rispose Demelza.
“Non mi rendere tutto più difficile, ti supplico – le disse Ross, mentre le lacrime scorrevano copiose sulle guance di Demelza ed ella cercava il contatto con lui, con mille baci e carezze– non posso più restare”.
Ross indicò a Demelza un sacco che aveva lasciato in terra, pieno dei suoi abiti sporchi, quelli che aveva tolto per farsi il bagno. Demelza disse che lo avrebbe fatto sparire, prima che Prudie o Jud se ne accorgessero. Parevano servi fedeli, ma la prudenza non era mai troppa: la taglia sul capo di Ross poteva trasformare chiunque in un avido traditore.
“Ah, dimenticavo – aggiunse Ross prima di andare – per nessuna ragione Elizabeth deve sapere che aspetti un bambino. Sta’ lontana da lei il più possibile. Conoscendola, non potendo farmi del male direttamente, cercherà sicuramente di colpirmi in ciò che ho di più caro… è furiosa contro di me perché mi ha proposto di fuggire con lei quando ero in carcere ed ovviamente ho rifiutato.” Demelza glielo promise, ed aggiunse che anche Elizabeth era incinta, anzi in un primo momento ella aveva cercato di farle credere che Ross fosse il padre del bambino. Ross, sdegnato, assicurò a Demelza che non doveva credere alle menzogne di Elizabeth. Il problema, disse Demelza, era che ci credeva Francis… Ross confortò sua moglie, dicendo che avrebbero superato anche quella prova. Il tempo che doveva trascorrere nascosto lo avrebbe sfruttato anche per pensare a come venire fuori da quella ingarbugliata situazione.
Si salutarono a malincuore. Demelza si infilò a letto e cercò di rimettersi a dormire, ma era praticamente impossibile non ripensare all’incontro con Ross. inoltre, era sconcertata da quanto il marito le aveva detto a proposito di Elizabeth: forse Francis aveva ragione nel non fidarsi di lei! Possibile che quella donna non si sarebbe mai rassegnata ad aver perso Ross? Era disposta a calpestare i sentimenti di tutti, pur di non arrendersi?
Attese le prime luci dell’alba, immaginando che il suo amato fosse già diretto alla tenuta dei Penvenen. Poi si alzò, si preparò e chiese a Jud di accompagnarla con il calesse alla Grambler, per cercare il signor Charles Poldark. Il capitano della miniera rispose che il padrone sarebbe passato, ma solo in tarda mattinata. Demelza e Jud allora si diressero verso Trenwith, senza avvicinarsi troppo per non dare nell’occhio, e a metà del cammino riuscirono a intercettare lo zio di Ross che si recava a cavallo alla miniera. Demelza lo pregò di seguirla a Nampara e l’uomo, pur sorpreso e quasi seccato, accettò.
Demelza fece accomodare lo zio del marito in biblioteca e andò subito al dunque: gli riferì della visita di Francis del giorno prima, delle sue intenzioni e della sua sete di vendetta nei confronti di Ross. Gli disse che voleva evitare a tutti i costi che quello scontro avvenisse, anche perché Ross non era colpevole di nulla, se non di aver creduto alle promesse di Elizabeth; d’altra parte, non era giusto neppure che Francis rischiasse la vita. Propose quindi all’uomo di aiutarla a far fuggire sia lei che Ross dall’Inghilterra; prima o poi Francis si sarebbe rassegnato alla loro scomparsa e non li avrebbe più cercati.
Charles la fissò con disprezzo e commentò: “E quale utilità pensi che possa avere io, da tutto questo? Tu e quel delinquente liberi e felici di rifarvi una vita lontano da qui, mentre Francis vive tormentato ed oppresso, al fianco di una donna bugiarda e fedifraga?” “Elizabeth sta per dargli un figlio, e spero che almeno voi siate consapevole che il bambino non può essere di Ross. Immagino che mia sorella ve l’abbia detto. Una volta nato, Francis gli si affezionerà e dimenticherà le sofferenze del passato. Elizabeth è superficiale, ma non sciocca. Sa benissimo qual è il suo ruolo e non verrà meno ai suoi doveri di moglie e di madre” – replicò Demelza.
Charles le rispose che Elizabeth agiva esclusivamente per proprio tornaconto, che gli aveva spiattellato in faccia che seguitava ad amare Ross e che andava a trovarlo in carcere, quella svergognata, e sebbene in un secondo momento avesse addirittura dichiarato che preferiva di vederlo sulla forca, il suocero non le credeva affatto. Aggiunse che l’aveva reclusa a Cusgarne con sua madre, e che solo per questa ragione aveva la certezza che non potesse più nuocere. Una volta nato il bambino, la creatura sarebbe stata cresciuta a Trenwith, ed Elizabeth vi sarebbe stata riaccolta al solo scopo di non destare sospetti ed insinuazioni nel vicinato, accompagnando Francis solo nelle occasioni ufficiali in cui era indispensabile presentarsi come una coppia.
Demelza rispose che lo trovava ingiusto, Elizabeth aveva sbagliato, ma chiunque meritava una seconda possibilità e, a dirla tutta, lo stesso Charles era responsabile dell’accaduto: se avesse lasciato il figlio libero di scegliere chi sposare e non fosse stato abbagliato dal titolo nobiliare di Elizabeth, si sarebbe accorto del carattere frivolo della futura nuora e, soprattutto, non avrebbe lasciato il suo unico figlio in balia di una donna ambiziosa che non provava alcun sentimento per lui.
All’udire quelle parole Charles riversò su Demelza la sua ira, offendendo lei e la sua genìa: come osava una trovatella rivolgersi in quel modo a lui, quando le vere colpevoli della situazione erano Elizabeth e sua madre, che avevano vilmente ingannato i Poldark per ottenere vantaggi economici? Charles accusò la stessa Demelza, che ora si ergeva a paladina della giustizia, di aver taciuto quando ancora le nozze si potevano evitare: anche lei era colpevole dell’offesa arrecata. Concluse che il posto adatto per Ross era la prigione e che il duello non sarebbe avvenuto perché lui stesso si sarebbe adoperato affinché il nipote fosse acciuffato e severamente condannato.
Demelza, sconsolata, comprese che non vi era modo di smuovere lo zio di Ross dalla sua posizione e sperò di non aver peggiorato le cose con quel suo tentativo perché, se Francis era una minaccia, Charles, con la sua determinazione e la sua cattiveria, costituiva un pericolo ancora più concreto per la sicurezza del marito fuggiasco.

 

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Capitolo 12
*** capitolo 12 ***


Alle prime luci dell’alba Ross giunse nei pressi di Killewarren, la casa dei Penvenen, si acquattò dietro un cespuglio ed attese. Fu la stessa miss Caroline che gli andò incontro, nel punto prestabilito, facendogli strada verso la sua dimora. In quel momento, disse, lo zio stava facendo il bagno e tutta la servitù era intenta a preparare gli abiti che gli occorrevano per uscire e la colazione: nessuno avrebbe badato a loro. Dalla porta sul retro, ben attenti a non fare rumore, Caroline e Ross salirono delle scale, fino a raggiungere un’ala della villa che era da tempo non utilizzata. Si trattava di uno studio/biblioteca che necessitava di lavori di ristrutturazione che il giudice Penvenen aveva sempre rimandato, non perché avesse problemi economici, ma perché era un uomo estremamente abitudinario e gli seccava avere lavoranti dentro casa. Del resto, Killewarren aveva spazi talmente ampi ai piani inferiori che interdire l’accesso ad un paio di camere non era certo una tragedia. Miss Caroline disse a Ross che poteva rimanere lì tutto il tempo di cui aveva bisogno, purché si comportasse come un fantasma: non doveva fare rumore in quanto, anche se la stanza immediatamente sottostante era la sua camera da letto, era meglio non rischiare, anche perché sarebbe stato increscioso coinvolgere proprio lo zio, stimato magistrato del territorio, nel favoreggiamento di un evaso.
Ross si profuse in ringraziamenti nei confronti della nobildonna, la quale si schermì dicendo che egli era vittima di una grande ingiustizia ed era un obbligo morale per lei aiutarlo. Aggiunse che avrebbe provveduto a procurargli degli alimenti e delle bevande per ristorarsi nel corso della giornata.
“Questa mattina avete un aspetto decisamente migliore del solito, capitano: merito del cambio d’abiti o dell’incontro con vostra moglie?” – insinuò maliziosa la giovane.
Ross sorrise e rispose: “Forse è merito di una bella notizia che mi ha comunicato Demelza e che mi rende immensamente felice: sto per diventare padre!”
“Oh. bene! Me ne rallegro per voi, ma perdonate se non riesco a manifestare eccessivo entusiasmo. Non amo troppo i marmocchi, neppure se si tratta di quelli degli altri. Creature urlanti, querule, con il naso perennemente gocciolante… no, grazie!”
Ross la fissò divertito. “Dite così solo perché non avete trovato ancora la persona giusta con cui metterli al mondo…”
“Voi pensate di averla trovata, capitano? Amate molto vostra moglie?” – gli domandò incuriosita.
“Come non ho mai amato nessuna.” – rispose Ross con sincerità.
Caroline sospirò. “Deve essere una donna davvero fortunata, la signora Demelza, ad aver conquistato il vostro cuore. Mi rammarico di non esserci conosciuti prima, io e voi: ritengo che avremmo potuto formare una bella coppia: non vi pare?”
Ross era abituato ad essere sommerso di complimenti, sguardi seduttivi, avances da parte del sesso femminile, tanto che quell’allusione non lo turbò più del dovuto. Miss Caroline era una donna molto bella ed affascinante, in tempi passati non avrebbe esitato a cogliere l’occasione al volo e fare il galante con lei, magari anche sedurla, come aveva fatto con Elizabeth. Da quando conosceva Demelza, però, tutto era cambiato: non gli interessava nessun’altra donna, le conquiste con cui passare la notte non facevano più per lui, dopo aver scoperto che cos’era l’amore vero. Ribadì alla sua benefattrice che, per quanto avessero effettivamente dei tratti caratteriali simili, ciò non era garanzia della buona riuscita di un rapporto. Le augurò di trovare presto una persona che potesse farle battere il cuore. Ross aveva intuito che il suo amico Dwight aveva un debole per la bella contessina, ma si rendeva conto che non sarebbe stato facile per lei, seppure ne avesse condiviso i sentimenti, vincere le convenzioni sociali e sposare un uomo di rango più basso del suo. Un tempo si era illuso che Elizabeth potesse farlo con lui, ma comprendeva ora che quei pregiudizi secolari erano difficili da abbattere e che le donne della sua epoca avevano ancora meno strumenti degli uomini per far ascoltare la propria opinione.
Nel frattempo Charles doveva quotidianamente fronteggiare gli sbalzi d’umore del figlio, che aveva sguinzagliato vari uomini di fiducia alla ricerca di Ross ed era sempre più frustrato in quanto non riusciva a trovarlo. Tracce della sua presenza erano state trovate nella vecchia miniera abbandonata e ciò rendeva Francis ancora più furioso: se solo la lettera anonima fosse arrivata prima, magari avrebbe potuto intercettare Ross in tempo! Il giovane era sempre più convinto che il cugino fosse ospitato nella casa di qualcuno, se non addirittura a Nampara, in qualche stanza segreta. Il padre continuava a ripetergli che conosceva bene Nampara ed era impossibile, non vi erano stanze nascoste, per di più i gendarmi l’avevano perquisita più e più volte e Ross doveva essere per forza nascosto altrove. Azzardò che forse era già lontano dalla Cornovaglia e che Francis doveva rassegnarsi perché non sarebbe più tornato. “Non mi rassegnerò mai! Sono disposto a dare via fino all’ultimo scellino, lo cercherò in capo al mondo, se necessario! Finché avrò vita, il mio obiettivo sarà ammazzarlo, oppure ripagarlo con la stessa moneta!” Charles chiese al figlio cosa intendesse dire, ed in risposta dovette subire gli strali di Francis, che lo accusò di averlo condizionato, impedendogli di chiedere la mano di Demelza, che solo ora si era reso conto di amare perdutamente. Quale grande soddisfazione sarebbe stata quella di portargli via Demelza e farla sua, così come Ross aveva avuto Elizabeth nel suo letto!
Charles parve scorgere una via d’uscita ai problemi di famiglia e propose al figlio di consultare un avvocato al fine di far annullare le nozze di Ross e Demelza per indegnità, o per inganno, o per qualsiasi altro cavillo che gli avvocati erano ben in grado di individuare. Francis scosse la testa: innanzitutto Demelza asseriva di essersi innamorata di quel farabutto, e poi le sue convinzioni le avrebbero impedito, finché era valido il matrimonio religioso, di legarsi ad un altro uomo. “E poi, dimenticate che io stesso sono tuttora sposato con quella donna squallida? Io e Demelza non potremo mai sposarci, finché quei due maledetti sono vivi!”.
Trascorsero i giorni e le parole di Francis erano cadute nel vuoto, ma un evento drammatico le riportò alla memoria della mente machiavellica di Charles Poldark. Durante una tranquilla passeggiata a cavallo nei dintorni di Cusgarne l’animale montato da Elizabeth aveva inciampato con lo zoccolo in una radice sollevata dal suolo ma poco visibile. La donna era stata sbalzata violentemente in terra. Immediatamente soccorsa e riportata a casa, Elizabeth era stata visitata dal dottor Thomas Choake, il medico di famiglia dei Poldark, il quale aveva riferito che la sposa di Francis era in preda ad una grave emorragia, aveva certamente perso il bambino, e l’unico modo per salvarle la vita era asportare immediatamente sia il feto morto che l’utero: ciò però significava che Elizabeth non avrebbe mai più potuto avere figli. Convocati immediatamente gli uomini della famiglia, i due Poldark non poterono che prendere atto del parere del medico e lo autorizzarono a procedere come aveva suggerito. Elizabeth urlava di dolore e di spavento, temeva di morire e la atterriva ancora di più la prospettiva di essere ripudiata, ora che non era più in grado di dare ai Poldark il tanto bramato erede. Difatti, appena ebbe ripreso conoscenza ed un minimo di forze il suocero chiese di parlarle in privato, senza neppure la presenza di sua madre, e le fece capire a chiare lettere che ormai era una sposa inutile ed era soltanto un intralcio nella vita di Francis. Sebbene fosse una donna amorale ed immeritevole di considerazione, il suocero le propose di offrirle un’ultima via d’uscita, a condizione che fosse estremamente sincera, almeno per una volta nella vita.
Charles le riferì che Francis continuava a ripetere che si era infatuato di Demelza e che avrebbe voluto rubarla a Ross, per rendergli la pariglia; Demelza però non avrebbe mai accettato una cosa simile, date le sue profonde convinzioni religiose. L’unica soluzione era che entrambi rimanessero vedovi.
“Avete intenzione di ammazzare me e Ross?” – mormorò Elizabeth, per una volta perdendo la sua aria spavalda.
“No. – rispose il suocero – Ho intenzione di aiutarvi a fuggire dalla Cornovaglia via mare, facendo però credere a tutti che la vostra barca sia saltata in aria. in tal modo Demelza e Francis, rimasti vedovi, potranno successivamente convolare a nozze. L’unico problema è che tua sorella stessa mi ha chiesto di aiutarla a propiziare una fuga di Ross per mare e sicuramente si insospettirebbe se ciò accadesse, non potrebbe che accusarmi di essere coinvolto nella fuga e nella morte del marito. Per questa ragione ho bisogno del tuo aiuto. Dobbiamo far credere a Demelza che intendo aiutarla, organizzare il tutto e poi all’ultimo momento troveremo un pretesto per trattenerla e sarai tu a partire, anziché lei”.
“E come faremo con Ross? Lui non mi vuole, è innamorato di quella stupida di mia sorella, non accetterebbe mai di lasciarla e tornerebbe indietro! A meno che – ed impallidì nel dirlo – non vogliate ammazzarci davvero: come facciamo a fidarci di voi?”
Charles sogghignò. “Non mi interessa macchiarmi di un delitto, non mi conviene. Potrei fare in modo che il Lucifero finisca contro una roccia, far credere ad una casualità. Sono convinto che una donna come te sia più che capace di utilizzare l’arma della sua bellezza per ottenere ciò che vuole. Mio nipote è un uomo come tutti gli altri: con la prospettiva della libertà ed un’amante disinibita a disposizione, non dovrebbe essere difficile trattenerlo lontano da Nampara e dalla Cornovaglia per sempre. Tua sorella non ha certamente il tuo fascino; è graziosa sì, ma piuttosto scialba. Sta a te riuscire a riconquistare Ross. E se proprio non volesse… cercheremo un mezzo per renderlo inoffensivo almeno per il periodo necessario a far sì che Demelza e Francis si sposino. Anzi, non immagini quanto mi renderebbe lieto che un giorno Ross tornasse e trovasse la sua donna sposata ad un altro: Francis otterrebbe la sua vendetta, sarebbe una soddisfazione ancora più grande che saperlo ridotto a mangime per i pesci!”
Elizabeth era molto titubante, ma sapeva di non avere vie d’uscita ed accettò.
Nel frattempo il processo a Ross si era concluso con un verdetto di assoluzione per i reati di cui era accusato inizialmente, ma di condanna ad una pena piuttosto pesante per l’evasione: sette anni di prigione. L’avvocato difensore si rammaricò e disse che se Ross fosse stato meno cocciuto e si fosse presentato all’ultima udienza, come lui aveva consigliato, forse avrebbe potuto essere assolto completamente. Harris Pascoe si offrì di pagare le spese del processo di appello e l’avvocato si rese disponibile, ma il processo si sarebbe svolto a Londra e non prima di sei mesi.
Lo zio Charles pensò che quella condanna era una fortuna per i suoi scopi, in quanto Ross non poteva certo restare nascosto per sette anni e la fuga era la sua unica speranza. Doveva però augurarsi che il nipote si fidasse di lui ed accettasse il suo aiuto: oppure doveva semplicemente attendere che Ross organizzasse la sua fuga e modificarne le condizioni secondo i suoi desideri. Era impossibile che dopo la condanna Demelza o Dwight o Pascoe non cercassero di mettersi in contatto con Ross: fu sufficiente incaricare delle persone di fiducia di seguire i tre e così Charles ebbe modo di verificare che avvenivano visite piuttosto frequenti del dottor Enys a casa Penvenen. Con un pretesto Charles, sfruttando le sue conoscenze, cercò un’occasione di incontro con il giudice e, parlando del più e del meno, gli chiese se lui o sua nipote erano stati in cattiva salute negli ultimi tempi. Avendo il giudice negato, intuì che Ross doveva essere nascosto a casa Penvenen e che Dwight fungeva da suo messaggero. Affrontò così il dottor Enys apertamente e gli disse che aveva scoperto tutto e che doveva vergognarsi: mettere a repentaglio la reputazione del giudice Penvenen per colpa di un delinquente! Disse che si asteneva dal denunciarlo proprio per non mettere in difficoltà quella persona per bene, ma che Ross doveva immediatamente lasciare il paese e non incrociare più la sua strada con quella di Francis. Charles riferì al medico la proposta di Demelza di qualche settimana prima e disse che era disposto ad aiutarli a fuggire, così che Francis potesse desistere dai suoi propositi di vendetta. Doveva però convincere Ross ad accettare, a tutti i costi.
Dopo un’ampia discussione che coinvolse anche il banchiere Pascoe e Demelza, Dwight e Ross, ignari dell’ignobile progetto di Charles, accettarono la sua proposta. La notte del 18 maggio, data stabilita per la partenza, una scialuppa avrebbe caricato Ross e Demelza a Hendrawna Beach; da lì sarebbero saliti sul Lucifero, che li avrebbe attesi al largo poco distante.
In realtà Ross, che a ragion veduta non si fidava completamente dello zio, disse a Dwight che avrebbe solo finto di accettare il suo aiuto e che dopo aver preso la scialuppa lui e Demelza non sarebbero mai saliti sul Lucifero, ma su un’altra barca che li avrebbe attesi al largo, condotta dai fidati fratelli Daniels, gli unici marinai della sua vecchia ciurma che gli erano rimasti fedeli. L’unico inconveniente era che avrebbero dovuto raggiungere questa barca a nuoto in mare aperto e Ross temeva che per Demelza fosse troppo faticoso. Dwight disse che avrebbe potuto accompagnare Demelza via terra verso la baia di Falmouth e che la barca dei fratelli Daniels, dopo aver caricato Ross, avrebbe potuto raggiungere Falmouth ed avvicinarsi alla riva quanto bastava per rendere la traversata in mare meno faticosa per la moglie di Ross. Trascorsero dunque giorni frenetici, nell’una e nell’altra fazione, per mettere a punto tutti i dettagli dell’operazione.
Charles, in particolare, doveva tenere Demelza lontana da Nampara la notte della partenza, senza sapere che ella stessa era in procinto di organizzarsi con Dwight, a mezzanotte, per raggiungere Falmouth e ricongiungersi a Ross. Lo zio di Ross si presentò a Nampara verso ora di cena, tutto trafelato, e disse che Elizabeth aveva perso il bambino e che la fuga doveva essere rimandata al giorno successivo. Demelza non aveva tempo di consultarsi con Dwight, perché lo zio del marito le metteva fretta; inoltre, non sapeva che Elizabeth aveva perso il bambino diversi giorni prima, perché sia la sorella che la madre adottiva da tempo avevano interrotto ogni rapporto con lei. Demelza, sebbene avesse intenzione di mantenere la promessa fatta al marito di stare il più possibile lontana dalla sorella, di fronte alla notizia che stava così male non poteva mostrare disinteresse, e così, presa già una borsa contenente l’occorrente per fuggire con Ross, salì sulla carrozza di Charles, il quale solo strada facendo le disse che Elizabeth e sua madre si trovavano da tempo a Cusgarne e che era proprio lì che si stavano recando, non a Trenwith. Una volta arrivati a destinazione, Charles la lasciò scendere e mentre Demelza si introduceva nell’abitazione attese l’arrivo di Elizabeth, per portarla a Hendrawna Beach. Demelza si recò nella stanza di Elizabeth senza trovarvi nessuno; chiese allora spiegazioni a sua madre, che la accolse con una certa freddezza e le disse che Elizabeth aveva perduto il bambino una settimana prima, a causa di una caduta da cavallo, e che la grossa tragedia era che non poteva più avere figli. Le riferì che era ancora convalescente, la ferita le doleva e stava piano piano rimettendosi, ma era estremamente preoccupata perché temeva che i Poldark la ripudiassero. Demelza ascoltò con educazione le lamentele della signora Chynoweth, continuando a chiedersi dove fosse Elizabeth, visto che non era nella sua stanza. La signora si meravigliò molto a quella notizia; le due donne e qualche cameriera chiamarono Elizabeth a gran voce e perlustrarono l’intera dimora senza trovarla. Affacciandosi in cortile, Demelza notò che non vi era più la carrozza di Charles con la quale era giunta lì e cominciò ad insospettirsi. Tempestò la madre di domande, ma notò che la donna era sincera, era stupita almeno quanto lei che Elizabeth non si trovava da nessuna parte ed era seriamente preoccupata che fosse uscita di casa, essendo non ancora pienamente ristabilita. La signora disse che non aveva affatto sentito il consuocero quel giorno e che non attendeva una sua visita; anzi, si era meravigliata nel vedere piombare la figlia adottiva in casa a quell’ora e senza preavviso. Demelza ebbe la certezza di essere stata vittima di un inganno da parte di Charles e chiese alla madre con quale mezzo poteva fare ritorno a Nampara. La madre adottiva rispose che non disponevano né di carrozza né di calesse e che poteva prestarle un cavallo, ma non era il caso, data l’ora notturna, la distanza da Nampara e quanto era accaduto ad Elizabeth solo pochi giorni prima. Demelza non aveva altra scelta e si fece sellare il suo vecchio cavallo. Non le importava sapere quali fossero le intenzioni di Charles, ma le premeva rientrare subito a Nampara per incontrare Dwight e chiedergli spiegazioni. A quel punto, dubitava anche del fatto che la fuga fosse stata rimandata. Forse Charles voleva impedirle di fuggire con Ross… ma perché? E cosa c’entrava Elizabeth?
Nel frattempo, la carrozza dei Poldark era giunta a Hendrawna Beach, dove si trovava, nascosta in una grotta, una scialuppa. Tholly Tregirls era incaricato di remare e portare Ross ed Elizabeth fino al Lucifero. Elizabeth si sedette in terra, piuttosto affaticata; era vero che la ferita all’addome le faceva male e che non si era ancora ripresa, ma peggio sarebbe stato dover sottostare alle ire del suocero. Quest’ultimo le ripetette ancora una volta, fino allo sfinimento, quello che doveva dire a Ross e che, appena lontani dalle coste, li avrebbe raggiunti un’altra imbarcazione recante un vessillo verde sull’albero maestro. Consegnò alla nuora un sacchetto di monete e le disse di non sprecare quel gruzzoletto, che sarebbe bastato per sostenere le loro prime spese. Una volta doppiato il capo Lands’End, lasciatesi alle spalle le isole Scilly, sarebbero giunti in breve a Roscoff in Francia, fino a far perdere le proprie tracce. Charles poi si allontanò, facendo portare la carrozza su un poggio dal quale poteva seguire con lo sguardo il tragitto della scialuppa.
Era circa mezzanotte quando Ross arrivò sulla spiaggia. Lì Tholly gli fece cenno di entrare nella grotta e l’uomo vi trovò la cognata, coperta da un mantello con cappuccio blu.
“Cosa ci fai tu qui?” – le chiese.
“Tuo zio ha deciso così. Poi ti spiego. E Demelza?”
“Demelza ci raggiungerà in un altro posto” – aggiunse Ross sibillino. Elizabeth pensò che anche Ross doveva diffidare dello zio e ciò la agevolava, perché le consentiva di risparmiare tutte le frottole che Charles le aveva propinato per giustificare con Ross l’assenza di Demelza nel luogo dell’appuntamento. Ross non era affatto tranquillo, la presenza di Elizabeth era d’intralcio nella fuga e desiderava avere altre spiegazioni dalla donna; ma Elizabeth gli intimò che dovevano sbrigarsi e che gli avrebbe spiegato tutto strada facendo. Mentre la scialuppa, al buio, solcava le quiete acque della baia Elizabeth gli narrò che la settimana precedente aveva perso il bambino e rischiato di morire, che era viva per miracolo ma non poteva più avere figli; per questo, Charles voleva liberarsi di lei affinché Francis trovasse una nuova moglie. Gli mostrò il sacchetto pieno di denaro che le aveva dato per rifarsi una vita altrove. Ross era ancora profondamente dubbioso e qualcosa gli sfuggiva. Solo quando stavano per avvicinarsi al Lucifero Ross le dovette confessare che i suoi progetti erano altri; intendeva sì recarsi in Francia, ma non con i mezzi che lo zio gli metteva a disposizione, in quanto non si fidava di lui: non sarebbe mai salito a bordo della sua antica imbarcazione, ma di un altro battello che si doveva raggiungere a nuoto. Visto che Elizabeth non era in condizioni di poter nuotare, poteva benissimo rispettare le condizioni di Charles e salire sul Lucifero. In fondo, non era necessario che Elizabeth fuggisse insieme a lui e Demelza, anzi non era neppure raccomandabile, sia perché in tre sarebbero stati più riconoscibili, sia a causa di tutto quanto era accaduto in passato fra di loro. A quel punto Elizabeth dovette scoprire le carte: disse che Charles aveva previsto che salissero sul battello di Ross ma solo fino a st. Ives, dove lo zio aveva predisposto un cambio con un’altra scialuppa, perché il Lucifero sarebbe naufragato e l’indomani ne avrebbero trovato solo i rottami. Di fronte alla richiesta di chiarimenti di Ross, Elizabeth fu costretta a confessare che il vero scopo di Charles era allontanare Ross e lei dalla Cornovaglia e farli credere morti perché Francis, rimasto vedovo, potesse sposarsi con Demelza, vedova a sua volta. Ross protestò, disse che non avrebbe mai accettato simili condizioni e che Demelza lo attendeva a Falmouth quella notte. Elizabeth rispose che Demelza non poteva raggiungere il luogo convenuto perché Charles l’aveva trattenuta con un inganno a Cusgarne; pregò e scongiurò Ross di aiutarla, almeno per quella sera, e fingere di assecondare lo zio. In un secondo momento, poteva pure tornare a cercare Demelza, ma per quella notte era necessario seguire alla lettera il piano di suo zio. Lo supplicò di venirle incontro, perché se qualcosa fosse andato storto il suocero gliel’avrebbe fatta pagare; inoltre, lui stesso avrebbe rischiato la vita per colpa di Francis, oppure il carcere per sette anni, se l’avessero riacciuffato. Ross, però, rifiutava di salire a bordo del Lucifero, insisteva che non avrebbe mai accettato di far credere a tutti, Demelza compresa, che era fuggito con sua sorella, e che per giunta era morto; se proprio doveva gettarla tra le braccia di Francis, preferiva morire quella sera stessa. Inoltre, Demelza si fidava di lui ed avrebbe compreso subito che era una bugia, non sarebbe mai scappato con Elizabeth abbandonandola. Avrebbe sofferto della sua morte, e non era giusto farla patire con questa menzogna; solo dopo qualche tempo, giunti in Francia, Ross avrebbe potuto mandarle una lettera dicendole che stava bene, ma ciò era pericoloso perché avrebbero potuto intercettare la lettera e scoprire dove si era rifugiato.
Ross inveì contro lo zio, che si accaniva contro di lui e sua moglie senza motivo. Tholly, che aveva udito tutta la conversazione, disse che era molto rischioso lasciare la scialuppa visibile per troppo tempo al largo e che dovevano sbrigarsi a trasferirsi sul Lucifero. Che continuassero pure a litigare lì, ma lui doveva andarsene al più presto. Ross lo minacciò, e gli ordinò di aiutare la signora a salire a bordo della barca, mentre lui si sarebbe tuffato per raggiungere la barca coi fratelli Daniels che lo attendevano.
Elizabeth allora, disperata, trasse fuori da una tasca del mantello una pistola e la puntò verso Ross. L’uomo le ordinò di abbassare l’arma, che certamente non sapeva usare e rischiava di farsi male lei stessa. Elizabeth, piangendo, disse che non aveva altra scelta: se lui non accettava di seguirla con le buone, lo avrebbe seguito con le cattive.
“Elizabeth, dammi quella pistola” – proseguì Ross tendendo la mano verso di lei.
“Abbassa il braccio, e sali su quella barca” – gli fece lei di rimando, indicandogli la corda che i marinai a bordo del Lucifero avevano già calato.
“Ti ho spiegato mille volte perché non posso, e devi accettarlo” – replicò Ross.
“Capitano, vi prego, datele retta, salite…” – mormorò Tholly, spaventato anche lui dalla furia distruttiva di quella donna, con in mano una pistola che forse non sapeva nemmeno utilizzare correttamente.
“Ora basta, Ross!” – urlò la donna sparando, e per effetto del rinculo cadde all’indietro, sbattendo violentemente la schiena sulla prua della scialuppa.
“Capitano! Signora!” – esclamò Tholly, non sapendo chi dei due soccorrere per primo. Poiché Ross gli era più vicino, gli si chinò accanto e vide che aveva il fianco sinistro completamente insanguinato ed era privo di conoscenza. “Giuda! Che diamine avete fatto? Lo avete ucciso…”
Elizabeth, con il cappuccio ormai calato sulle spalle per effetto dello schianto, riprese l’equilibrio e si avvicinò carponi all’uomo che amava e che aveva appena ferito, scrutandolo attentamente. Gli prese il polso e premette per sentire il battito.
“Sciocco, non è morto. Presto, tu e quell’altro issatelo a bordo del Lucifero. Dobbiamo allontanarci al più presto da qui; poi penseremo con calma a come curarlo…”
***
Quella notte stessa Demelza, galoppando con le velocità massima che il suo stato le consentiva, giunse a casa di Dwight, il quale trasecolò nel sentire il resoconto di quanto accaduto a Cusgarne. Disse all’amica di tornare a casa, lui avrebbe cercato di scoprire quale inganno si celava dietro il comportamento di Charles, a costo di svegliare tutta Trenwith. Demelza era preoccupata per Ross, forse lo zio l’aveva tradito e fatto arrestare… Dwight le diede un calmante e la invitò a riposare, il giorno dopo le avrebbe riferito tutto.
Grazie al farmaco, Demelza si addormentò. Il mattino dopo fu svegliata da robusti tocchi al portone.
Prudie salì di sopra e le riferì che c’erano delle guardie. Demelza si allarmò e pensò che era proprio come temeva: lo zio aveva fatto arrestare Ross. In realtà le cose non erano andate così. Il portavoce dei gendarmi, un biondino dall’accento scozzese che si presentò come capitano Mc Neil, disse a Demelza che il marito era fuggito la notte precedente a bordo del Lucifero e le chiese se avesse idea di chi potevano essere i suoi complici. Demelza si meravigliò che parlassero della barca di Ross, visto che il suo progetto era di fuggire a bordo di altra barca, ma tutto sommato si tranquillizzò, pensando che Ross era fuggito come avevano deciso e che solo per colpa di Charles ella aveva mancato all’appuntamento a Falmouth. Prima o poi, pensò, Ross avrebbe trovato il modo di farle sapere come rivedersi: l’importante era che lui fosse sano e salvo. Grande però fu la sua sorpresa quando alla porta bussò Paul, il più giovane dei fratelli Daniels, che la notte precedente avevano atteso invano l’arrivo di Ross. Vedendo le guardie, il ragazzo ebbe la prontezza di dire alla signora che era arrivato per aiutare Jud con la mungitura , e Demelza gli disse che lo avrebbe subito raggiunto nella stalla. Appena Mc Neil e i suoi se ne furono andati, Demelza corse nella stalla e seppe dal ragazzo che Ross non lo avevano proprio visto. Quando Demelza disse che il capitano delle guardie sosteneva che Ross fosse fuggito a bordo del Lucifero, Paul disse che lui e suo fratello, preoccupati nel non vedere arrivare Ross, avevano perlustrato un bel tratto di mare ed effettivamente avevano notato il Lucifero in lontananza, che si dirigeva verso le isole Scilly, ma non vi avevano dato importanza. Qualche ora dopo giunse Dwight, scuro in volto, pregando Demelza, come primo suggerimento, di stare calma. Le disse che era venuto a sapere da Charles, la sera precedente, che Ross era fuggito con Elizabeth e che i due avevano pregato lo zio di aiutarli, con la promessa di sparire per sempre dalla vita di Francis ed evitare, così, che si tenesse il famigerato duello. Demelza disse che non credeva ad una sola parola, Ross non sarebbe mai fuggito con Elizabeth, per di più dopo aver organizzato tutto per fuggire con lei. Doveva trattarsi dell’ennesimo inganno di Charles e sua sorella, sicuramente complici nell’intento di proteggere Francis, ma questa volta avrebbe fatto sentire le proprie ragioni. Proprio in quel mentre, bussarono di nuovo alla porta. Era di nuovo Mc Neil, che si mostrò sollevato nel trovare un medico a Nampara e comunicò alla signora che doveva essere forte, perché era appena giunta notizia che al largo di st. Ives erano stati trovati i relitti del Lucifero , la nave con la quale il capitano Poldark era fuggito, e che probabilmente sia lui che tutti gli occupanti erano morti.
Demelza svenne.
Dwight fece preparare i sali e con l’aiuto della domestica la distese sul divano. Lo stesso Mc Neil, preoccupato, attese al suo capezzale finché la donna non riprese conoscenza.
“Non può essere, non può essere…” – continuava a ripetere la poveretta. Era talmente disperata che stava per confessare davanti al capitano delle guardie che Ross era davvero intenzionato a fuggire la notte precedente ma con lei, ma Dwight opportunamente la zittì. Le consigliò di stare calma e riposare, sarebbe andato lui ad appurare tutti i particolari dalle autorità e poi glieli avrebbe riferiti in giornata. All’esito delle sue verifiche, Dwight tornò mestamente a Nampara e disse a Demelza che purtroppo doveva farsi coraggio ed accettare la realtà: Tholly Tregirls aveva accompagnato Ross ed Elizabeth a bordo di una scialuppa fino al Lucifero, come da lui stesso ordinatogli qualche giorno prima; li aveva visti salire insieme sulla barca, poi si era allontanato, ma non sapeva altro. Tholly, ovviamente, era stato ben remunerato da Charles per tacere sia del suo coinvolgimento nella vicenda che del dialogo intercorso fra Ross e la sua antica amante.   
Le autorità dissero che il Lucifero era naufragato finendo contro una scogliera a causa delle forti correnti che si erano alzate nel corso della notte lungo il canale. Era impossibile che qualcuno fosse sopravvissuto, sia perché l’acqua era gelida in quella stagione, sia perché le correnti erano così forti che anche un abile nuotatore avrebbe avuto difficoltà a resistere a galla. Non erano stati trovati i corpi delle vittime, ma era stato trovato in acqua un mantello di donna lacero (che Tholly aveva riconosciuto come quello della signora Elizabeth) ed il tricorno del capitano Poldark.
Come se non bastasse, di gran carriera giunse a Nampara anche Francis, gongolante della notizia della fuga, che confermava i suoi sospetti sull’infedeltà di Ross ed Elizabeth  e sul loro doppio gioco; inoltre, percepiva la loro tragica fine come un segno della giustizia divina.
Demelza gli disse che non credeva ad una sola parola, che lui e suo padre dovevano solo vergognarsi, e gli raccontò della proposta che aveva fatto a Charles qualche settimana prima e che lui aveva prima rifiutato e poi finto di accettare, dell’inganno che Charles aveva ordito la sera in cui ella doveva fuggire con Ross, probabilmente allo scopo di far fuggire Elizabeth. Aggiunse che suo padre era un assassino, che li aveva ammazzati lui, evidentemente per liberarsi di una nuora ormai scomoda e di un nipote che poteva uccidere il suo amato figlio a duello. Disse che lo avrebbe denunciato, avrebbe affrontato qualsiasi scandalo pur di onorare la memoria di Ross, ingiustamente infangata.
Francis le disse che le conveniva rassegnarsi: quei due erano stati visti fuggire insieme, non certo costretti ma di loro spontanea volontà; Charles non aveva il potere di provocare naufragi a distanza, d’altra parte, seppure il naufragio fosse stato una mossa dello stesso Ross per evitare di essere cercato, ciò era ulteriormente indicativo della sua doppiezza: evidentemente Elizabeth e quel disgraziato volevano essere liberi di rifarsi una vita altrove e non desideravano alcun legame con i loro coniugi…. Per Francis, a quel punto, era indifferente che sua moglie e quell’altro fossero vivi o meno, l’importante era che fossero morti per il mondo intero.
“Non capisci che ci hanno reso un favore? Io e te siamo liberi, liberi! Nulla ci vieta di risposarci…”
“Come puoi parlare di risposarsi, santo cielo? Sei così cinico che non ti riconosco più…” – rispose Demelza.
Francis le baciò le mani e le si inginocchiò ai piedi. “Demelza, quanto accaduto stanotte, vero o falso che sia, è un segno del destino, che vuole ripagarci delle sofferenze subite. Io e te meritiamo di essere felici. Io non desidero risposarmi con una donna qualsiasi, ma con te. Tu conosci la mia storia, sai tutto ciò che ho patito, sei vittima del mio stesso inganno. Con te non avrei bisogno di spiegare, di chiarire, di confidare i miei patimenti. Capisco che per te possa essere presto, ma sappi che ti offro il mio amore incondizionato e la mia protezione fino all’ultimo mio respiro…”
“Francis, io non posso amare nessun altro, non capisci… Ross non mi avrebbe mai abbandonato… aspetto un figlio suo!”
Francis ammutolì. Si rialzò, ed abbracciò la cognata.
“Mia cara Demelza, come ti ho detto più volte, sei solo una vittima delle circostanze. Se Ross ti ha lasciato per tua sorella pur sapendo della gravidanza, a maggior ragione è un mascalzone. Se non lo ha fatto, e non è morto sul serio, troverà il modo di farti sapere che è vivo, non pensi? Sappi però che, se ciò non accadesse, io sono pronto ad amare tuo figlio come se fosse mio, se mi concederai l’immenso onore di sposarmi. Quando deve nascere il bambino?”
“A novembre.” – mormorò Demelza.
“Mancano sei mesi. Troppo poco per farlo passare come mio – meditò Francis- in ogni caso, la mia proposta di matrimonio è valida. Io ti amo da sempre, sono solo stato troppo debole per ammetterlo. Tu meriti un uomo che ti veneri, che ti protegga, che ti sostenga…”
Demelza si morse il labbro. Lei un uomo così lo aveva, e non poteva credere né al tradimento, né alla morte di Ross.
Passarono i giorni, e di Ross nessuna traccia e nessuna notizia. Demelza vestì a lutto, e dopo dieci giorni dal naufragio nella cappella di famiglia dei Poldark fu celebrato il duplice funerale. Demelza, con i capelli raccolti ed un abito nero di foggia molto semplice, dovette sostenere gli sguardi di compatimento della gente ed i pettegolezzi che si erano ormai diffusi in merito alla fuga di Elizabeth e Ross, che ovviamente Charles aveva tentato di giustificare gettando la colpa di tutto su Ross, dicendo che aveva rapito la cognata per vendicarsi della famiglia del cugino Francis, che a suo dire lo aveva abbandonato nel momento del bisogno. Demelza era come cieca e sorda a tutte le provocazioni; era come morta, assente, intontita dal dolore e stanca. Dopo il funerale, una bella donna bionda le si avvicinò.
“Sono Caroline Penvenen” – le disse nel presentarsi.
“Oh, miss Caroline. Vi sono grata dell’aiuto che avete reso a… alla mia famiglia”.
Caroline s’impietosì di fronte a quella donna così provata. “Signora Poldark, ascoltatemi, non dovete credere a nulla di quanto vi raccontano, Ross non può essere fuggito con vostra sorella. Vi amava profondamente, ed era pazzo di gioia alla notizia del bambino. È stato lui stesso a confidarmelo. Sono stata con lui gli ultimi giorni prima della fuga, ed era un uomo profondamente innamorato di sua moglie. Certe cose non si possono fingere. Lui voleva fuggire con voi, continuava a ripeterlo! Ci sarà sicuramente una spiegazione alternativa a questa assurda situazione, e la troveremo!”
Demelza pianse, senza trattenersi, tra le braccia della contessina.
“Se è come voi dite, perché Ross non torna da me? Comincio a credere sul serio che gli abbiano fatto del male…”
“Lo scopriremo, mia cara, lo scopriremo. Non siete sola. Io e il dottor Enys vi daremo tutto il nostro appoggio. Venite da me a Killewarren appena vi sentirete abbastanza in forze, e cercheremo di ricostruire tutti i passaggi di quella maledetta notte”.
Demelza si rasserenò. Le parole di Miss Caroline rafforzavano la sua convinzione che Ross non fosse un traditore e forse, con un po’ di fortuna e con l’aiuto di persone amiche, sarebbe riuscita a riabbracciarlo.

 

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Capitolo 13
*** capitolo 13 ***


“Caroline, mi sembra assolutamente disdicevole che tu trascorra tanto tempo in compagnia della vedova Poldark! La nipote di un giudice che frequenta la moglie di un evaso! Che cosa penserà la gente?”
La giovane fece una smorfia di disappunto e rispose: “Zio caro, fino a prova contraria è stato condannato lui, non lei. Inoltre, non dimenticare che Ross Poldark venne condannato per essere fuggito da una prigione in cui era stato recluso ingiustamente, perché non aveva commesso alcun crimine!”
Lo zio abbozzò un mesto sorriso. “Questo è vero, anzi, devo dire che quel Cary Warleggan avrebbe potuto meglio approfondire gli argomenti portati dalla difesa di Poldark… chi, ad esempio, avesse fabbricato le false prove a carico dell’imputato e per quale ragione… ciò non toglie che quell’uomo, quand’anche fosse stato vittima di un’ingiustizia del sistema, era moralmente un dissoluto! Ti rendi conto di cosa si dice di lui? Che avrebbe rapito la moglie del cugino, sorella di sua moglie oltretutto, perché si era invaghito di lei! Un adultero, un licenzioso, un perverso!”
“Le tue stesse parole, zio, confermano che Demelza sia una donna meritevole di considerazione, per aver reagito con estrema dignità e riserbo alla spiacevole condizione in cui si è venuta a trovare. La sua amicizia è per me preziosa e motivo di vanto, così come quella con il dottor Enys.”
“Ah! – fece il giudice, scuotendo la mano destra in aria , come a voler allontanare da sé l’argomento – non parliamone neppure! Con tutto il rispetto per quel giovane medico e la sua professione, dovresti circondarti di persone del tuo rango, nipote mia… hai già vent’anni ed io non sono eterno. Prima di morire vorrei vederti sposata, con una famiglia tua…eppure, continui a rifiutare qualsiasi pretendente io ti proponga!”
Caroline elencò allo zio tutti i difetti dei potenziali mariti che le aveva presentato nel corso degli ultimi mesi. Uno era brutto come la peste, uno era troppo vecchio, uno era sciocco ed ignorante, un altro, poveretto, era morto di polmonite prima ancora che si incontrassero.
Lo zio, che dopo tutto era una persona molto paziente, ascoltò lo sfogo della volubile nipote e comprese che era il momento di giocare d’astuzia. Aveva già in mente una nuova, possibile unione, ma preferiva dare l’impressione a Caroline che fosse lei a scegliere. Avrebbe fatto in modo di far conoscere alla nipote il giovane che aveva in mente tramite un incontro casuale presso il club che frequentavano entrambi. Unwin Trevaunance era il rampollo di una famiglia per bene, disponeva di una buona rendita e, ad avviso del giudice, aveva un carattere sufficientemente fermo per tenere testa alle bizze della capricciosa Caroline. Era già d’accordo con il padre di Unwin e l’incontro tra i due ragazzi sarebbe avvenuto presto.
Come notato dal signor Penvenen, nelle settimane successive al funerale Caroline e Demelza si erano incontrate varie volte per cercare di scoprire qualcosa sulla fuga di Ross e tramite questa frequentazione e la scoperta di un’affinità caratteriale erano diventate molto amiche. Purtroppo, i loro sforzi non avevano condotto a nulla, perché Tholly Tregirls era scomparso ed in giro si diceva che fosse partito per il Nuovo Mondo; il Lucifero era stato distrutto, e non v’erano dubbi che si fosse trattato di un naufragio. Non era stata denunciata la scomparsa di nessun’altra imbarcazione quella notte e nessuno aveva visto nulla. Elizabeth e Ross erano stati dati per morti; per la prima, una lapide di marmo era stata posta nella cappella di famiglia dei Poldark, in cui si alludeva al fatto che fosse stata strappata all’affetto dei suoi cari da “un’azione vile e crudele”. Per Ross, il reverendo Odgers accolse con favore la proposta di Demelza di prevedere una semplice croce in legno, con il nome e la data di nascita e morte del marito ed un simbolico luogo di sepoltura a Nampara, anziché nel prato circostante la cappella. Il reverendo si toglieva, così, dall’imbarazzo di dover decidere se era ammissibile o meno la sepoltura in terra consacrata di un uomo che certo non aveva ucciso nessuno, ma aveva comunque commesso adulterio senza pentirsi.  
Caroline, Dwight e Demelza si erano dovuti arrendere all’evidenza e abbandonare ogni ricerca di Ross. Sebbene non convinti che fosse fuggito volontariamente abbandonando Demelza, potevano solo ipotizzare che Elizabeth, perduto il bambino e divenuta incapace di procreare, fosse divenuta un fardello di cui Charles si voleva liberare e che proprio lo zio di Ross avesse organizzato la loro fuga, in modo tale da garantire anche la vendetta del figlio, che era sempre più pressante nei confronti di Demelza.
La moglie di Ross, in quegli stessi giorni, stava meditando sul proprio futuro. La fattoria e gli affitti le consentivano di vivere e di pagare i domestici, ma ben presto ci sarebbe stata un’altra bocca da sfamare. Lavorare non era possibile: con il bambino da crescere non avrebbe potuto dedicarsi a nessuna attività, quale ad esempio quella di istitutrice, nella quale si era cimentata prima di sposare Ross. Era troppo orgogliosa per accettare l’aiuto economico di Caroline; men che meno quello di Francis.
Il cognato andava a farle visita almeno due volte a settimana e non mancava mai di portarle regali, che il più delle volte Demelza accantonava in un angolo oppure offriva a Prudie e Jud, se si trattava di dolciumi. Era evidente come continuasse a farle la corte, senza comprendere quanto a Demelza ciò fosse sgradito. Un giorno la rossa si era fatta coraggio e si era recata a Trenwith, aveva fronteggiato Charles e gli aveva detto che sapeva benissimo che era stato lui ad orchestrare la fuga di Ross ed Elizabeth impedendo a lei di partire con un pretesto; poi aveva inscenato la loro scomparsa, o forse li aveva fatti davvero ammazzare. Non aveva prove per dimostrarlo, ma ne era convinta: Se la giustizia umana nulla avrebbe potuto contro di lui, Demelza non dubitava nella puntualità di quella divina. Lo maledisse per aver privato suo figlio di un padre, anche se Charles, da navigato attore quale era, rispose che era stato Ross stesso a fargli sapere che avrebbe accettato il suo aiuto solo se fosse stata Elizabeth, non Demelza, a fuggire con lui, minacciando, in caso contrario, che avrebbe cercato Francis, lo avrebbe affrontato a duello e lo avrebbe ammazzato con estremo gusto. Demelza gli fece capire che sarebbe morta piuttosto che sposare il figlio dell’assassino di suo marito e che doveva convincere Francis a smettere di corteggiarla. Charles finse di non essere favorevole alla scelta del figlio di risposarsi con lei e che lo avrebbe certamente dissuaso, tanto più sapendo che Demelza era incinta del primo marito.
In effetti quest’ultimo particolare, di cui Charles non era al corrente, complicava le cose, perché il capostipite dei Poldark non accettava che il figlio di quel ribelle di Ross fosse allevato a Trenwith. Se Demelza e Francis non avessero avuto dei figli insieme, chi avrebbe ereditato la fortuna di famiglia? Proprio il discendente di Joshua, colui che era stato diseredato per indegnità? Non era concepibile una cosa del genere!
Più trascorrevano i giorni, più Demelza si convinceva che il futuro suo e di suo figlio non poteva essere a Nampara. Quel luogo le ricordava Ross , inoltre vivendo lì sarebbe stata sempre oggetto di controllo da parte di Francis e di suo padre, anche se non avesse accettato di risposarsi. Un uomo talmente malvagio e senza scrupoli non avrebbe esitato a fare del male anche al bambino, pur di raggiungere i suoi scopi. Così, la giovane prese la decisione di trasferirsi a Londra e chiedere accoglienza al convento delle monache agostiniane. Lì avrebbe proseguito la gravidanza e dato alla luce suo figlio, dedicandosi ogni giorno al lavoro ed alla preghiera. Francis non doveva sapere nulla della sua destinazione, e neppure la signora Chynoweth. Demelza comunicò a Dwight la decisione che aveva preso e lo pregò di rispettarla. Gli disse che appena nato il bambino lo avrebbe avvisato tramite lettera; aggiunse che lo aspettava per Natale, in tale occasione lui e Caroline avrebbero potuto fare da padrini di battesimo al neonato. Demelza incaricò Harris Pascoe di mettere in vendita Nampara, in modo tale da dare a Francis l’impressione della definitività del suo allontanamento; ma poiché in cuor suo continuava a sperare che Ross fosse vivo, disse al banchiere di richiedere un prezzo molto alto, così da non rendere rapida la vendita.
Fu così che, circa un mese dopo la presunta morte di Ross, Demelza, in gran segreto, partì per Londra per chiudersi in convento e cercare di trovare un po’ di pace fra quelle sacre mura.
Demelza non era la sola ad aver vissuto in ambasce durante quel periodo.
Subito dopo essere stato ferito, Ross era stato caricato a forza sul Lucifero secondo le disposizioni dettate da Elizabeth. Uno dei marinai, un giovane bretone dal viso affilato, aveva esaminato la lesione ed aveva assicurato di essere in grado di estrarre il proiettile, lo aveva fatto in più occasioni. Stordito Ross con un’abbondante quantità di gin, passata la lama del coltello sopra una fiamma, l’uomo aveva estratto la pallottola, per fortuna non penetrata troppo in profondità, e con delle bende improvvisate aveva cercato di tamponare il sangue che fluiva copioso. Ross aveva perso di nuovo conoscenza e non udì la conversazione che ne seguì. I marinai giurarono che Ross sarebbe morto prima di arrivare in Francia se la ferita non fosse stata rapidamente suturata: l’unica possibilità di aiutarlo a sopravvivere era fermarsi alle isole Scilly, dove viveva una guaritrice, una donna meticcia proveniente dalle colonie, che ricuciva la gente, effettuava impacchi e misture con le erbe e che forse poteva salvare Ross. Elizabeth protestò, non si fidava e non gradiva che il piano di fuga subisse una variazione, ma non vi era altra scelta, se non ritornare indietro e cercare un medico vero, con tutti i rischi connessi, anche per quanto concerneva le sue responsabilità per il ferimento di Ross. Fu così che il Lucifero, in piena notte, fece scalo alle isole Scilly; il ferito fu condotto in fretta e furia nella capanna della guaritrice, che si chiamava Zira, la quale accettò di curarlo, anche se precisò che si trattava di un’impresa disperata. Elizabeth disse che l’avrebbe pagata bene se lo salvava. La meticcia non era di molte parole; si limitò a scrutare quella dama dagli abiti strappati ed il volto pallido e le intimò di coricarsi su una branda, perché doveva rimanere da sola con il ferito. Elizabeth provò un’istintiva repulsione per la donna, ma non poteva che obbedire, si distese e dopo poco si addormentò. I tre marinai completarono il piano secondo le indicazioni di Charles Poldark: distrussero il veliero di Ross facendolo sbattere contro le scogliere, si gettarono in mare, raggiunsero la costa ed attesero, alle luci dell’alba, un altro battello che proveniva dalla Bretagna e che li riportò in Francia.
Il mattino seguente Ross era ancora vivo. Zira disse che lo aveva ricucito e gli aveva somministrato un infuso per sfiammare la ferita. L’emorragia si era fermata, ma ben presto gli salì la febbre. Elizabeth non faceva che domandare quando sarebbero potuti ripartire e Zira le rispose, seccamente, che bisognava pregare che Ross sopravvivesse; se fosse sopravvissuto, gli sarebbero occorsi vari giorni per rimettersi in piedi. “Siete sua moglie?” – le domandò la guaritrice. “No, ma è come se lo fossi”- mentì lei. “Chi gli ha sparato?”- domandò ancora, scrutandola con gli occhi scuri indagatori.
Elizabeth abbassò lo sguardo. “E’ stata una disgrazia. Un colpo partito per caso. Anziché fare tutte queste domande, non potreste dargli qualcosa per abbassargli la febbre e farlo guarire prima?”- asserì in tono sgarbato.
Zira rispose che stava facendo quanto in suo potere e che tutto dipendeva dall’organismo di Ross e dalla voglia che aveva di vivere. “E’ un giovane forte e sano: muscoloso, scattante. Sento che ha una grande energia dentro”. Guardò poi nuovamente Elizabeth. “Voi invece, siete sicura di sentirvi bene? Non avete una bella cera”.
Elizabeth rispose che si sentiva molto debole e che era tutta colpa del viaggio. Disse che erano dovuti scappare perché Ross era ricercato per un crimine che non aveva commesso, ma che la guaritrice non doveva preoccuparsi, perché nessuno li avrebbe cercati. Un loro amico, infatti, aveva organizzato un piano per far sì che fossero creduti morti.
“Eravate diretti in Francia?” – chiese Zira, ed Elizabeth annuì.
Nel corso della giornata Ross riprese conoscenza, ma cominciò a delirare, invocando Demelza.
“Che cosa sta dicendo? Chiama qualcuno?” – chiese la guaritrice.
Elizabeth si morse il labbro. “Chiama mia sorella, la donna con cui è sposato”.  Zira accolse la notizia senza scomporsi. Elizabeth si sentì in dovere di riassumere, a modo suo, com’erano andati i fatti.
“Io e Ross eravamo molto innamorati. Lui era un contrabbandiere, e mi promise che avrebbe cambiato vita pur di sposarmi. Affrontò un viaggio pericoloso, fu arrestato in Francia e tramite uomini del suo equipaggio mi giunse notizia che era stato condannato a dieci anni di prigione. Ignara della verità, distrutta dal dispiacere, accettai di sposare un altro uomo, suo cugino. Quando Ross tornò dalla Francia e mi trovò sposata con Francis, furioso, sposò mia sorella per ripicca”.
Zira chiese di conoscere il seguito della storia. Elizabeth provò a soffermarsi sui guai giudiziari di Ross e disse che lei gli aveva promesso di aiutarlo ad evadere e di fuggire insieme, con l’aiuto di un uomo ricco e potente che aveva finanziato il tutto. Purtroppo la fuga non era andata come sperato, perché Ross era rimasto accidentalmente ferito.
Terminato il racconto, quella strana donna scosse la testa. “Sento che non mi avete detto la verità, ma non importa. O sarà lui a raccontarmela, se in condizioni di farlo, oppure lo farete voi a tempo debito, senza che io vi costringa”.
Elizabeth non comprese il senso di quelle parole e tacque. In ogni caso, Zira la inquietava. Aveva l’aspetto di una strega, e forse lo era davvero. Aveva quasi timore a bere e mangiare ciò che quella donna le propinava, temeva che volesse avvelenarla. Nei giorni successivi accadde l’impensabile: mentre Ross mostrava timidi segni di miglioramento, Elizabeth cominciò a sentirsi male. Fortissimi dolori al basso ventre le squarciarono il corpo ed una mattina si ritrovò in un lago di sangue. Suo malgrado, fu costretta a raccontare a Zira tutta la verità sull’aborto e ciò che ne era conseguito. La meticcia si scurì in volto e la ammonì: mai e poi mai Elizabeth avrebbe dovuto accettare di affrontare quel viaggio nelle sue condizioni! Esaminò anche la cicatrice e notò che la ferita doveva essersi infettata a causa dell’acqua di mare. Le applicò lo stesso intruglio che aveva dato a Ross, le fece bere un liquido verdastro ed amarissimo per bloccare l’emorragia, ma Elizabeth era sempre più pallida e non accennava a migliorare.
Ben presto i ruoli si invertirono. Ross riprese conoscenza, Zira gli spiegò chi era e dove si trovava. Anche se molto debole, Zira lo aiutò a mettersi sollevato per dargli da mangiare. Ross aveva ancora molto dolore al fianco, ma la febbre era calata. Il suo primo pensiero andò a Demelza: spiegò alla guaritrice la situazione, ma ella gli disse che non doveva essere precipitoso e che doveva restare presso la sua capanna almeno altre due settimane per ristabilirsi completamente. Ross scalpitava, ma dopo essersi agitato la guaritrice gli fece notare che le bende si erano di nuovo sporcate di sangue e che se non collaborava rischiava di allungare i tempi di convalescenza. Inoltre, gli fece capire che Elizabeth era messa molto male. I due, conversando sotto voce mentre Elizabeth sonnecchiava, discussero della situazione della ragazza e Zira disse che Elizabeth rischiava la vita. Ross le fece capire che gli dispiaceva molto, ma che sua moglie aveva la priorità, anche perché aspettava un bambino. Zira conobbe dalla bocca di Ross la sua versione dei fatti ed ebbe la conferma di quanto aveva già intuito, cioè che era stata proprio Elizabeth a sparargli. “Quando l’amore si tramuta in ossessione può diventare molto pericoloso - asserì la donna – hai rischiato parecchio, ma il destino ti ha voluto risparmiare. Hai dentro di te una grande vitalità, ed uno scopo per vivere. Forse lei non ce l’ha – disse, indicando Elizabeth – ed è per questo che non riesce a superare la crisi”.
“Dovrei darle una speranza? – chiese Ross – però non posso mentire… io non la amo più, amo mia moglie e voglio tornare da lei…”
“Non devi mentire, ma potresti aiutarla a riscoprire una ragione per vivere. La conosci abbastanza bene per sapere a cosa tiene, o no?”
Ross chiuse gli occhi. Erano stati amanti per un breve ed intenso periodo ed aveva conosciuto la passionalità di Elizabeth, ma non aveva mai saputo cosa le interessasse davvero. Per ciò che aveva visto e per quanto gli aveva riferito Demelza, Elizabeth era sempre stata una ragazza ambiziosa e viziata, abituata ad averle vinte tutte, a sopraffare gli altri. Il benessere economico, la ricchezza, l’apparenza, erano ciò che sembrava interessarle. L’unica molla che l’aveva spinta ad agire diversamente, a mettere a repentaglio le sue sicurezze era l’amore per Ross: un amore ossessivo e malato però, un amore che voleva possedere ed imbrigliare l’altro. Ross poteva provare a perdonarla, ma non poteva fingere di essere un’altra persona.
Seguirono giorni in cui Elizabeth stava sempre peggio. Il flusso emorragico si era fermato, ma la ragazza era troppo debole e non riusciva neppure quasi ad alimentarsi. La febbre, poi, non calava se non per poche ore nel corso della mattinata. Un giorno Zira disse che sarebbe uscita per qualche ora per raccogliere delle erbe e pregò Ross, che nel frattempo era riuscito a fare qualche piccolo passo all’interno della capanna, di sdraiarsi al capezzale di Elizabeth e controllarla fino al suo ritorno.
Elizabeth era pallida e debole, ma quando vide che Ross le era vicino aprì le sue labbra in un grato sorriso. “Ross, sei qui…”
Ross le strinse una mano e la tranquillizzò.
“Sì, sono qui, non temere”.
“Sono contenta che tu stia bene: non avrei mai voluto colpirti, ero in preda al panico e non ho mirato bene, puoi perdonarmi?” Ross rispose che aveva compreso le sue ragioni e quanto fosse disperata e che la perdonava. Una lacrima corse lungo le belle gote della fanciulla. “Ironia della sorte, ora sono io che sto per morire”. Ross cercò di negare, ma Elizabeth disse che aveva compreso tutto, che le forze la stavano abbandonando e che Zira li aveva lasciati soli affinchè Elizabeth potesse prendere congedo dalla vita con il suo unico grande amore al fianco.
Elizabeth intrecciò le dita della sua ossuta e pallida mano a quella calda e muscolosa di Ross.
“Il più grande errore della mia vita è stato aver sposato Francis”- sussurrò con voce flebile.
Ross le rispose che non aveva senso rivangare il passato e non doveva stancarsi con quelle sciocchezze.
Elizabeth scosse debolmente il capo e disse: “No, è importante che tu sappia quanto io ti ho amato e che in fondo ho sempre sperato di poterti riconquistare. So che mi hai detto più volte che ami Demelza, ma se io riuscissi a sopravvivere, accetteresti almeno la possibilità di vivere del tempo insieme e valutare se fra di noi è davvero finita, o provi ancora qualcosa per me? Se tu decidessi di tornare da Demelza, di me cosa ne sarebbe? Non potrei certo ritornare a Trenwith, né a Cusgarne…”
Ross rispose che non ci aveva ancora pensato, ma certamente non l’avrebbe abbandonata al suo destino. Avrebbe voluto trovare la maniera di ricongiungersi con sua moglie, ma senza pregiudicare Elizabeth, e soprattutto tenendola lontana dalle grinfie dei Poldark. Piuttosto, il problema era come lasciare le Scilly una volta guariti.
Elizabeth rispose che aveva sentito i marinai assoldati da Charles dire che sarebbero ripassati dopo circa un mese per portarli in Francia come prestabilito. Nel frattempo, non dovevano preoccuparsi: le Scilly contavano sì e no un centinaio di abitanti e Zira conduceva una vita molto solitaria.
La parte della capanna in cui Elizabeth e Ross venivano curati era la stanza in cui Zira stessa dormiva: qualsiasi altra persona che le si rivolgeva per erbe e medicamenti veniva invece accolta all’ingresso. Nessuno si sarebbe accorto della loro presenza, se avessero agito con cautela. Zira, poi, faceva fronte ai propri bisogni alimentari soprattutto grazie ai prodotti che coltivava nel suo stesso orto, solo ogni tanto acquistava pesce o formaggio o carne e uova da qualche contadino dei dintorni. Altre volte, i suoi servigi venivano pagati direttamente in derrate alimentari. Zira non necessitava di nulla: né di soldi, né di beni, né di amici.
Mentre Ross meditava tutte queste cose, e pensava che mancava ancora parecchio tempo alla data del presunto ritorno dei marinai bretoni, posò amorevolmente sulla fronte di Elizabeth un panno fresco, per abbassare la temperatura. La ragazza si assopì serena. Tutti gli sforzi di Ross e di Zira, però, furono vani: la febbre proseguì senza sosta, Elizabeth era troppo debole anche per bere e mangiare ed il giorno undici giugno esalò l’ultimo respiro, con l’unica consolazione di avere accanto l’amore della sua vita che la teneva per mano. Ross pianse amaramente alla sua morte: Elizabeth, nonostante i suoi errori, era una ragazza nel fiore degli anni cui aveva voluto bene. Quel sentimento era svanito, ma la sua morte non poteva essergli indifferente. Zira pietosamente ricompose il cadavere , avvolgendolo in un suo scialle colorato. Ross le baciò la fronte per un’ultima volta. Con il favore della notte, lui e Zira scavarono una fossa dietro la casa, vi adagiarono il corpo della fanciulla e lo ricoprirono di sassi, terra e foglie per far sì che gli animali non ne facessero scempio. Per Ross sorse a quel punto il problema di come lasciare l’isola. Attendere i marinai bretoni significava dover sopportare un ulteriore trasbordo in Francia; d’altra parte, palesarsi all’improvviso a qualche pescatore della zona e chiedere di essere riportato dalle parti di Sawle significava dover dare spiegazioni sulla sua presenza alle Scilly. Zira gli suggerì di non avere fretta: con una ferita come la sua, già salvarsi era stato un miracolo e ciò intendeva dire che il destino aveva ancora qualche cosa in serbo per lui.
Ross ascoltò il suggerimento, anche se la pazienza non era il suo forte. Avrebbe voluto almeno scrivere a Demelza per farle sapere che stava bene, ma non era prudente; senza contare che Zira non scriveva mai a nessuno e ciò di per sé avrebbe reso la missiva sospetta. Nei giorni residui Ross aiutò la donna con l’orto, cercando di dimenticare, attraverso la fatica fisica, le pene che lo affliggevano. Era ormai giugno inoltrato, chissà se il ventre di Demelza si era arrotondato… chissà se aveva creduto che lui l’avesse abbandonata per sua sorella, se stava soffrendo o stava maledicendolo… Ross sperò vivamente che Demelza non cedesse alla corte di Francis. Per come la conosceva, immaginava che avrebbe almeno atteso di mettere al mondo il bambino, prima di valutare se risposarsi o meno, e confidava in questo pensiero, sperava di avere tempo a sufficienza per ritornare da lei prima che fosse avvenuto l’irreparabile.
Un altro pensiero che non gli dava tregua riguardava lo zio. Non aveva prove per dimostrarlo, ma sapeva che c’era lui dietro il suo arresto e tutti i guai che ne erano conseguiti. Elizabeth aveva pagato per le sue colpe con una morte terribile, ma Ross non avrebbe avuto pietà degli altri che gli avevano fatto del male. Se la sua esigenza più urgente era tornare da sua moglie, il giovane capitano aveva anche il bisogno di elaborare una strategia di vendetta, onde evitare che lo zio nuocesse ancora a lui e alla famiglia che aveva formato.

 

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