CRAZY WAR SURVIVOR

di The Lone Soldier
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Omicidio alla Taverna ***
Capitolo 2: *** In carcere ***
Capitolo 3: *** Rivelazioni ***
Capitolo 4: *** Stessa Storia ***
Capitolo 5: *** Nel Bosco - Parte 1 ***
Capitolo 6: *** Nel Bosco - Parte 2 ***



Capitolo 1
*** Omicidio alla Taverna ***


La Seconda Guerra Mondiale è alle battute finali e la potenza che per molto ha devastato e conquistato l’Europa, la Germania nazista, sta capitolando sotto i colpi dell’armata rossa, degli inglesi e degli americani. A Sheffield, vive un individuo di nome Deacon Baker, in cura da uno psichiatra, un agitatore politico che sostiene ci siano dei fiancheggiatori del Terzo Reich nella sua città e li vuole eliminare. Il suo odio per i nazisti, però, ha radici lontane: nel 1918, quando aveva vent’anni, stava per sparare ad un soldato tedesco ma per un caso fortuito non lo uccise. Quel tale, però, era Adolf Hitler. Deacon non si perdona il fatto di non averlo ucciso quel giorno e si sente colpevole della guerra. La sua volontà di cercare simpatizzanti lo porta anche a pensare ad un piano più grande: uccidere quell’uomo a cui non sparò nel 1918. Sheffield, Inghilterra, 24 dicembre 1944. Un’altra Vigilia di Natale con la guerra a imperversare e per chi bazzicava nella taverna Saint Mary il morale era molto basso: chi credeva che l’apparente ritirata dei nazisti porterà ad una loro riscossa e chi non vedeva di buon occhio l’intervento americano. Deacon Baker, un sopravvissuto della Prima guerra mondiale seduto a bersi una birra caratterizzato da capelli arancioni, cappotto pesante di colore marrone, pantaloni di velluto nero, scarpe lucide, sentire questi discorsi gli portava sempre più rabbia e il fatto che non avesse ucciso Hitler era risaputo nella città di Sheffield. L’oste, il signor Montgomery Evans, scrutava da lontano Deacon con fare rabbioso pulendo un boccale vuoto e grattandosi l’ampia fronte stempiata. Appoggiò il boccale e si sfregò le mani nell’abito lungo e grigio. -Se qualcuno quel giorno avesse sparato seguendo gli ordini probabilmente non avremmo milioni di morti! – La frase si riferiva a Deacon e quest’ultimo colpì il tavolo con un pugno. Si alzò e guardò l’oste con altrettanta rabbia. -Io non eseguì quell’ordine datomi da te stesso perché credetti che quel debole soldato tedesco sarebbe morto l’indomani. Mi cruccio ogni giorno per tale errore e vorrei togliermi la vita … - Evans scosse il capo. -Non lo hai fatto perché sei un debole e nient’altro! Rimedia al tuo errore e vai a Berlino. Uccidilo! – Deacon batté le mani sul bancone, minacciando l’oste. Nel frattempo, un uomo in giacca e cravatta e cappello, che assisteva alla scena senza proferire parola, si avvicinò ai due. -Calmatevi! – Nel parlare, però, mostrò un evidente accento tedesco e ciò portò alla frustrazione di Deacon che prese un bicchiere vuoto dal bancone, lo ruppe e sembrò avvicinarsi all’uomo ben vestito. -Tu sei uno di loro e la tua parlata lo dimostra! – Evans continuò a scuotere il capo. -Non vuol dire che, se vengo da quella terra, sono un nazista. Stai minacciando una persona senza colpa, ricordatelo! – disse l’uomo. Lo sguardo di Deacon si trasformò e i suoi occhi erano come iniettati di sangue, i denti erano stretti e il volto tirato. -Aiutatemi! – urlò l’uomo. All’improvviso irruppero due gendarmi in divisa che tenevano le mani accanto alle fondine ove stavano le pistole. -Non commettere atti di cui ti potresti pentire! – dissero, rivolgendosi a Deacon. Si girò e li guardò divertito, scoppiando a ridere. -Dovreste arrestare l’uomo che ho alle spalle che è una spia! Sospetto anche di altre persone che prima di perdere il lume della ragione erano dalla parte giusta della storia! – Con l’indice della mano sinistra indicò l’oste. -Ex Comandante, Montgomery Evans! – Dalla tasca sinistra tirò fuori una pistola di piccole dimensioni e sparò un colpo all’oste, colpendolo al polmone sinistro. Le urla e la paura serpeggiarono tra le persone presenti alla taverna. Deacon guardò l’oste che l’aveva accusato scivolare di schiena, gettò a terra l’arma, allargò le braccia e rise di gusto: era in preda alla pazzia. I due gendarmi si avvicinarono a passo spedito e senza che ci fosse opposizione lo bloccarono, lo ammanettarono e lo trascinarono fuori dal locale mentre rideva senza sosta. L’uomo che aveva ricevuto le minacce si era seduto ed era ancora scosso. Si tolse il cappello grattandosi i capelli biondi e ben curati ed alzò il sopracciglio destro.

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Capitolo 2
*** In carcere ***


Ore più tardi Deacon Baker venne caricato su un furgone e gli venne messa la camicia di forza per essere portato al manicomio cittadino. Mark Adamas, lo psichiatra che l’aveva in cura, gli fu comunicata la notizia che il paziente aveva ucciso un uomo e di dirigersi da lui per cercare di capire cosa l’avesse spinto a compiere quel gesto così insensato. Quest’ultimo, nel suo studio privato situato in una via adiacente il centro, si mise la camicia bianca, la giacca e i pantaloni grigi e si sistemò per bene i capelli ricci castani e folti. -Io a certi individui non darei alcuna possibilità di potersi confrontare con un professionista quale sono io! Potessi avere diritto di poter togliere di mezzo certi pazzi! – disse, tenendo la bocca stretta mostrando contrarietà. Uscì dalla stanza e dalla sua proprietà, entrò nella sua auto, appoggiò la borsa sul sedile passeggero e girò la chiave per accendere l’auto. Fu il suo ultimo gesto: appena girò l’interruttore l’auto scoppiò e le fiamme divamparono nella zona. Il Dottor Mark Adamas fu incenerito e qualcuno ne era responsabile. Al manicomio arrivò il prigioniero che non smise di ridere nemmeno per un secondo dopo aver ucciso una persona innocente. I paramedici, due uomini di mezza età dai capelli corti e grigi che indossavano abiti lunghi e bianchi che lo tenevano sul furgone erano stanchi della sua risata paranoica, tanto da non vedere l’ora arrivasse a destinazione. Uno dei due, che teneva un orologio dorato sul polso destro, si avvicinò a Deacon e lo schiaffeggiò con veemenza. -Chiudi quella bocca o giuro che non arrivi vivo a sera! – Il tono della voce del paramedico rese serio Deacon che smise di colpo di ridere, i suoi occhi erano fissi e glaciali, quasi immobili. Si alzò, si avvicinò a colui che l’aveva colpito e gli disse all’orecchio. -Grazie! Ora vedrai! – Gli morse l’orecchio stringendo i denti con quanta pressione aveva e fu necessario l’intervento dell’altro paramedico che prese per la vita Deacon, lo sollevò e lo sbatté contro la parete destra del furgone. A quel punto bussò allo spioncino del guidatore e, per sua fortuna, poterono arrivare al manicomio. Il portellone posteriore venne aperto da un uomo corpulento, alto, capelli rasati e pizzetto grigio che teneva in mano un manganello. -Mi ha colpito quel maledetto essere immondo! – disse il paramedico che aveva subito il morso. L’uomo alto spalancò gli occhi e salì sul mezzo e colpì Deacon alla schiena così forte da portarlo ad urlare e farsi sentire dagli altri detenuti. Gettò l’arma e lo prese per il collo, lo tirò su. -Benvenuto all’inferno maledetto! – Lo caricò sulle spalle, si allontanò dal veicolo e percorse il vialetto d’ingresso che portava all’edificio principale a tre piani e su ciascuno di esso si potevano vedere dieci stanze, che davano sul giardino. Il trambusto portò uno dei prigionieri che stavano al secondo piano a vedere ciò che stava succedendo all’esterno e la particolarità di questo detenuto era che fosse un pittore e aveva tele messe in diversi punti, ognuna delle quali erano stati apposti disegni di cerchi uno sopra l’altro. -Carne fresca. Spero che tu, povero, possa fare la conoscenza di un artista quale sono, il pittore Callum Martin. Lasciate ogni speranza o voi che entrate! –

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Capitolo 3
*** Rivelazioni ***


Deacon venne trascinato per il corridoio tenuto per i capelli dall’uomo alto ed era così forte la sua presa che il prigioniero provò in tutti i modi ad aggrapparsi a qualsiasi oggetto, senza successo. Si fermò all’improvviso e mollò la presa sul prigioniero per aprire la cella dove lo avrebbe condotto ma quest’ultimo, facendo leva sui gomiti si alzò e provò a scappare correndo a piedi nudi per il pavimento. Arrivò davanti all’apertura della cella del corridoio e provò ad aprirla, scassinandola. Dall’altra parte si palesarono due uomini con un camice bianco e berretto nero, che non mostrava bene i volti. -Dove pensi di andare? – disse uno di loro. Prima che Deacon potesse rispondere il gigante l’acciuffò di nuovo per i capelli, lo tirò lontano dalla porta e lo colpì con un pugno sulla parte alta della testa, facendogli perdere i sensi. -Bravo Jonathan! – dissero, all’unisono, i due uomini in camice bianco. Costui, a quel punto, si caricò sulle spalle il prigioniero e a passo deciso lo portò nella cella, appoggiandolo sul pavimento e chiudendo l’entrata con una chiave in ferro. -Era ora! – disse, con tono deciso. Tornò sui suoi passi e percorse il corridoio delle celle. -La tua determinazione di perseguire scopi ignoranti mi fa rabbrividire, da un certo punto di vista, ma dall’altro mi stupisce. Caro Jonathan, ti diverti come un matto a far soffrire le persone! – Il gigante si fermò e sorrise. -Pittore fallito e pazzo che non sei altro, hai finito di parlare senza senso? Fosse per me brucerei questo posto oggi stesso e vi lascerei bruciare: siete inutili e non servite a molto! – Callum Martin si avvicinò alle barre dell’entrata della cella e il suo volto era sporco di pittura viola. -Io dico cose con senso. Io prevedo ciò che avverrà e so che quel poverino che hai portato ti ucciderà e lo farà con godimento e non si risparmierà! – Jonathan sferrò un colpo di manganello contro le sbarre e per poco non colpì sul volto Martin. -Stai molto attento! Di notte nessuno sorveglia il vostro sonno e potresti non risvegliarti. Ricordatelo bene! E quei disegni fanno pena: non sei un grande pittore, Callum Martin. Sei solo un fanfarone! – Il pittore applaudì. -Beata ignoranza! Quando starai per morire ti ricorderai le mie parole e penserai che avessi ragione! – Deacon, improvvisamente, si riprese e inveì contro Jonathan. -Ciò che ti farò sarà mille volte peggiore di qualsiasi cosa tu abbia visto! – Il gigante schiumò di rabbia ed era intenzionato a colpire di nuovo Deacon ma i due inservienti di prima corsero per fermare il loro collega. -Il Direttore ti vuole! – Jonathan annuì e lasciò perdere. -Ricordati che esistono tante versioni di noi e conosco molte cose e le tue, Jonathan, muoiono sempre e io e Deacon fuggiamo da questo posto, insieme! – Il gigante non ascoltò ma Deacon sì e si rivolse al pittore. -Di cosa si tratta? – Più tardi, nell’ufficio del Direttore dell’istituto, Jonathan era seduto sulla sedia di fronte alla scrivania di chi gestiva la struttura e si presentò un uomo minuto, stempiato, giacca e cravatta. Si sedette e prima che Jonathan potesse chiedere il motivo della visita entrò nella stanza lo stesso uomo che era presente alla taverna mentre Deacon uccideva l’oste di essa. -Chi è lei? – chiese l’inserviente. -Stia pure lì! – disse, con accento tedesco. -Il prigioniero che avete portato qui è prezioso, così come quel pittore, Callum Martin. Interessano al Reich per cui lavoro e, in particolare, a mio fratello Gerolf! –

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Capitolo 4
*** Stessa Storia ***


-Sei davvero sicuro di voler sapere ciò che so io? Ciò che dirò ti spaventerà a morte! – disse Callum Martin. Deacon sorrise sornione, mostrando interesse. Alzò le sopracciglia, tirò fuori la lingua. -Dimmi ciò che sai, artista! – -Parto col dire che nessuno qui ha le capacità per capire cosa ho scoperto … - -Silenzio! – Jonathan era tornato alle celle, aprì quella dove si trovava Callum Martin e, armato di manganello, sembrava volerlo picchiare. Colpì una volta, due, tre volte fino a quando le ginocchia del pittore cedettero, trovandosi sul pavimento. Sferrò un pugno sul volto, lo tirò su prendendolo per il collo e cominciò a soffocarlo. -Non avrò pietà! – disse l’inserviente. Alle spalle i due inservienti di prima accorsero per allontanarlo ma era una furia e li colpì. Uno dei due, che teneva le chiavi, dopo esser stato colpito da Jonathan diede le spalle a Deacon e fu un grosso errore: quest’ultimo, dopo aver messo fuori le braccia, tirò contro le sbarre l’inserviente e strinse il collo con l’avambraccio. Nel mentre prese le chiavi con la mano sinistra. Spinse contro la sbarra l’inserviente una volta in più sbattendo la testa. Deacon aprì la cella e ne uscì, prese il manganello e si avvicinò a Jonathan. Caricò il colpo ma venne fermato sul nascere: l’altro inserviente lo bloccò. Jonathan, nel frattempo, aveva lasciato perdere Callum Martin e si rese conto che Deacon era uscito. Afferrò quest’ultimo alla vita. -Non mi scapperai! – Martin, con un impeto, si rialzò e fu dietro Jonathan e mise le dita negli occhi del gigante facendo pressione sia con le dita che con le unghie stesse, facendolo sanguinare. Deacon, caduto a terra, si era alzato e con il manganello colpì sulla fronte l’inserviente. Urlò per il godimento e sentì le vibrazioni nel corpo, una scarica di adrenalina. Si voltò verso Jonathan e riprese il manganello per colpirlo ma Martin lo fermò. -Uccidiamolo in una maniera straordinaria, da leggenda, che rimarrà nella storia! – Deacon scoppiò a ridere e si sfregò le mani. -Facciamolo alla svelta, però: arriveranno altri ed è meglio andarcene da questo posto! – Si misero ai lati di Jonathan che premeva sugli occhi feriti e lo sollevarono di peso. -Che facciamo? Come lo uccidiamo? – domandò Deacon. Martin chiuse gli occhi per diversi secondi; poi rispose: -Gettiamolo dalla finestra ma a testa in giù e poi ce ne andremo! – disse Callum. Trascinarono il corpo dell’inserviente fino alla finestra più vicino e che dava sul giardino esterno frontale. Callum chiuse gli occhi, nuovamente. -Perché fai così? – chiese Deacon. -Lo capirai! – rispose il pittore. Tirarono su il malcapitato e lo spinsero contro il vetro, facendolo cadere giù per diversi metri e, una volta a terra, batté violentemente il collo rompendolo. Deacon scoppiò a ridere. -Stesse persone, stessa storia. Ogni volta. Ti avevo avvertito! – esclamò Martin. Deacon lo guardò con curiosità.

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Capitolo 5
*** Nel Bosco - Parte 1 ***


Callum Martin e Deacon Smith, poi, furono in grado di fuggire dall’edificio e raggiungere il fitto bosco che si trovava a nord est della struttura e, per loro fortuna, non c’erano inseguitori: la paura serpeggiava nel personale. Proprio dal luogo della fuga arrivò l’uomo con accento tedesco e indossava un impermeabile grigio, cappello nero tra le mani. Si diresse deciso nella stanza del governatore della prigione per capire come fosse stato possibile che due pazienti, così importanti, fossero fuggiti così facilmente e senza che nessuno si mettesse sulle loro tracce. Il Direttore era visibilmente a disagio e l’uomo con accento germanico dapprima si sedette, appoggiando delicatamente l’impermeabile sulla scrivania in legno ed attese che il proprio interlocutore parlasse. -Vi avevo avvisato della massima importanza dei due soggetti e colui che avevate assunto è stato ucciso barbaramente, ma non solo: non vi siete nemmeno adoperati per cercarli. Questo Signor Brown è veramente inaccettabile! – L’uomo minuto cominciò a sudare, abbassò lo sguardo e chiese perdono. -Mio fratello Gerolf non è contento! – S’inginocchiò dinanzi al tedesco. -Chiedo perdono! – lo disse singhiozzando. -Alois Franke può perdonare a differenza di Gerolf! – Il Direttore lo ringraziò ma non si accorse che l’uomo tirò fuori una pistola, la punto alla tempia di chi gestiva la struttura e sparò. Si alzò dalla sedia ed uscì dall’ufficio. Callum e Deacon continuarono a correre per ore e ore fino a quando la fatica, che credevano di poter gestire, non presentò loro il conto e stramazzarono al suolo uno accanto all’altro. -Tu li vedi? – chiese Martin. -Non mi sono mai posto il problema mentre correvo. Quante ore? Quanto è fitta questa boscaglia? Tu lo sai? – rispose Deacon ansimando. -Ho visto molte volte gli alberi ma non so quanto possa essere vasto tutto ciò. Troveremo di certo una via, ne sono certo! – disse il pittore. Deacon scosse il capo, non convinto di quella risposta. In quei momenti, mentre tremava e respirava a bocca aperta, intravedeva i raggi del sole filtrare tra gli alberi e immagini, forse dettate dalla stanchezza accumulata. Le orecchie fischiarono e mise le mani a protezione. -Che ti succede? – domandò Martin. Deacon soffriva talmente tanto da non poter rispondere mentre il fischio nelle orecchie aumentava sempre più. -Ti ha salvato? Se questo è salvarti! Uccidilo, liberati di lui! – Nella sua testa sentì queste strane voci e si riferivano al compagno di fuga. -Uccidilo! Uccidilo! Uccidilo! – -Basta! – urlò Deacon, facendo echeggiare la voce nel bosco. Callum Martin provò ad avvicinarsi ma Deacon lo spinse via in malo modo e si diede un pugno sullo zigomo destro così forte da mandarlo di lato. CONTINUA

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Capitolo 6
*** Nel Bosco - Parte 2 ***


-Che stai facendo Deacon? Ti colpisci da solo? Sono la tua salvezza, sono nella tua testa …sono la tua coscienza! Uccidilo ora! – Callum Martin si avvicinò al compagno di fuga ma intravide qualcosa di sinistro nel suo sguardo che non aveva mai visto. -Questo era ciò che non pensavo! – disse il pittore. Deacon schiumò di rabbia e la bava usciva dalla bocca, gli occhi si erano alzati; sembrava posseduto. -Non lasciare che fuoriesca! Combatti Deacon Smith! – disse Martin. All’improvviso quest’ultimo svenne in avanti e sputò sangue. Callum Martin si armò di un sasso grande quanto la sua mano come arma di difesa. -Chi ho di fronte? Deacon Smith o Havoc? – domandò il pittore. Il suo interlocutore scoppiò a ridere di gusto e le sue risate echeggiarono forte nella fitta boscaglia. -Havoc mi hai chiamato …bel nome, mi si addice per ciò che sono ora! Hai aiutato quest’uomo a fuggire da una prigione dove sarebbe morto, hai asserito cose di cui non conosco nulla, come se sapessi molte cose e ora mi dai un nome che nemmeno conoscevo! Quante cose sai Callum Martin? – -Non osare avvicinarti! Ti ucciderò! – Deacon, anzi Havoc, assalì improvvisamente il pittore e cominciò a sferrare colpi a mano aperta molto forti ai polmoni, ai fianchi, per poi passare ad affondare le unghie negli occhi del pittore fino a fargli uscire sangue; in questi atti Havoc se la rideva di gusto, si divertiva. Ad un certo punto mollò la presa, il suo volto cominciò a cambiare, come se stesse rinsavendo. -Dove mi trovo? Dove sono? – Guardò le mani ed erano sporche di sangue e a terra c’era colui che l’aveva aiutato a fuggire. -Callum! – Volle andare al capezzale dell’amico sincerandosi delle sue condizioni e il pittore, che era una maschera di sangue, con voce tremante disse: -Il mio destino in ogni linea temporale era quello di svegliare quella tua parte sopita, malvagia, vera che hai sempre avuto e ora eccola qua. Speravo di potermi salvare, almeno io, ma il destino dei Callum Martin è quello di essere la prima vittima ufficiale di Havoc. – Mise la mano destra sulla guancia sinistra del compagno di fuga, gli sorrise. -Ora uccidimi e ti sei sempre inventato un modo diverso di farlo! – Deacon Smith, ancora in sé, scoppiò a piangere e sembrava colpevolizzarsi di quegli atti ma una scintilla prese possesso del suo corpo e tornò l’anima malvagia. Havoc sollevò Callum Martin e lo trascinò sul terreno irregolare con le radici sparse qua e là fino ad un piccolo ruscello. Lì immerse la testa del pittore e lo tenne per circa un minuto fino a quando non si batté più: era stato ucciso. Tolse il capo di Martin e lo guardò: sorrideva, come se fosse soddisfatto, nell’ultimo istante, di morire. Havoc si batté i pugni sul petto, felice e soddisfatto. -Deacon non esiste più! Oggi è il giorno di nascita di Havoc! – FINE

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