Wexford

di mikybiky
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Buongiorno Wexford ***
Capitolo 2: *** Chris Braight ***
Capitolo 3: *** L'invito ***
Capitolo 4: *** Daigh Morgan ***
Capitolo 5: *** Nuovi arrivati ***
Capitolo 6: *** Compagne di classe ***
Capitolo 7: *** Sabato ***
Capitolo 8: *** La partita ***
Capitolo 9: *** Chiacchierate ***
Capitolo 10: *** Collaborazione ***



Capitolo 1
*** Buongiorno Wexford ***


Creative Commons License
Wexford by mikybiky is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License.
Based on a work at www.efpfanfic.net.

Anticipazioni- ciao a tutti! Questa è la mia prima fic originale che sia ambientata all'estero, per cui ho avuto un po' di difficoltà a ricostruire località, usi e costuimi. Premetto che la Wexford High School è opera della mia fantasia, ma per quanto riguarda la contea ed i villaggi, esistono veramente. Ho ricercato informazioni su wikipedia a qeusto link http://it.wikipedia.org/wiki/Wexford. Se sono errare non me ne assumo la responsabilità.
Dunque, l'introduzione ha uno stile un po' strano, come se il narratore fosse lo speaker di una radio. Questo capitolo non è molto bello, lo ammetto, ma è solo l'introduzione, quindi se non lo trovate molto interessante, provate comunque ad andare avanti, perchè poi cambierà!
Per aiutarvi, vi metto la pronuncia di alcuni nomi un po' strani:
Maiti- Metti
Sèanait- Shennit
Mairsil - Marsel
Bairre- Berri
Daigh- Dei

Tutti gli altri si pronunciano come sono scritti.
Buona lettura!




WEXFORD


1. BUONGIORNO WEXFORD


Buongiorno, Wexford. È il 2 ottobre, sono le sette e trentadue di mattina ed è una bella giornata.
La contea si sta accingendo a svegliarsi, oppure si è già alzata, ma non confiderei molto in questa possibilità: la gente qui non è troppo mattiniera. Diciamo che gli abitanti di Wexford non sono proprio conosciuti per la loro puntualità.
Se sei alla ricerca di fama, soldi e successo, questo è un ottimo giorno per fare affari: si dice che il celebre regista Benjamin Braight sia sbarcato proprio oggi in Irlanda, in vista dell’altrettanto famoso Wexford Festival Opera, che si tiene in questa cittadina ogni anno. Ovviamente, non poteva mancare al suo seguito quella sciacquetta di Abigail, la sua figlia minore, che l’ha portato al successo solo grazie alla qualità di ottima attrice. Dublino la ricorda ancora per la sua pessima fama di “distruggi-palcoscenico”, ma quella è un’altra storia.
Per quanto riguarda il resto, niente fuori dall’ordinario sta sconvolgendo queste fresche ore mattutine di inizio ottobre: la lucida e perfetta Volkswagen di Sèanait ha già fatto il giro Castlebridge e ora sta scortando a scuola il branco delle “Comando io”, mentre la squadra di rugby è già nel cortile ad allenarsi, sotto la severa autorità dell’allenatore O’Bowen.
Ma c’è sempre qualche inatteso evento pronto a sconvolgere le giornate. La novità? Chris Braight ha seguito il padre in Irlanda, ed ora si trova proprio qui a Wexford!
L’ultima volta in cui un essere umano ne ha sentito parlare è stato quando ha deciso di far costruire una scuola solo per sé, che consta di tutti gli insegnanti migliori del mondo; non uno per materia, no, ben tre!
Sorge quindi spontaneo chiedersi: che cosa ci fa l’adolescente single più famoso e pretenzioso di tutta l’America in una contea di 9.449 persone?


7:32: Maiti si allacciò l’orologio al polso e, stringendosi nel cappotto, si avviò a passo veloce verso la fermata dell’autobus. I suoi genitori erano ancora a letto, come ogni mattina, del resto. Non che più della metà di tutta la contea si fosse già destata a quell’ora, no di certo. Per gli abitanti di Wexford dormire era l’attività favorita. Dopo, ovviamente, c’erano l’ozio, la tv, i divertimenti, gli amici...
Gli unici a rimetterci erano gli studenti: per loro alzarsi presto la mattina non era un dovere, era un obbligo. E se proprio fossero giunti tardi in classe, avrebbero avuto la loro punizione, che la maggior parte delle volte coincideva con un’interrogazione.
Maiti prese avvio lungo la via principale, che collegava direttamente il villaggio di Bridgetown, dove viveva lei, al centro di Wexford. La strada era poco affollata; erano per lo più ragazzi infreddoliti che ne approfittavano per fare colazione in pasticceria, o dog-sitter che correvano per stare dietro ai cani.
Una ventata fredda investì la ragazza, che si avviluppò ancora di più nel giaccone pesante. Ottobre non era di certo il periodo più caldo dell’anno, ma almeno quel dì non pioveva.
Nonostante il freddo sferzante, il cielo era sereno e per la prima volta nell’arco della settimana non pioveva. Le previsioni meteorologiche avevano pronosticato un cielo senza nubi per almeno due giorni, un record per i primi di ottobre, viste le condizioni atmosferiche di quell’anno.
Maiti raggiunse la fermata: non distava più di cinque minuti da casa sua. Mentre si sedeva intirizzita sulle panchine, in attesa che arrivasse il bus, osservò l’ambiente circostante: Wexford di mattina non era particolarmente invitante, specialmente se era piovuto fino alla sera precedente. Enormi pozzanghere invadevano la strada, e le macchine non potevano non centrarle, spruzzando i pedoni, che di rimando imprecavano contro l'automobilista.
Wexford, pensò la ragazza, appoggiando la testa al muro dietro di sé. Una cittadina così piccola, ma una meta così ambita.
Sorridendo, sperò con ardimento che il 15 di ottobre le temperature non scendessero sotto lo zero (cosa assolutamente improbabile) e che, se proprio sarebbe dovuto piovere, fosse stata almeno una pioggerella leggera.
Intanto che fantasticava sulle sorti del tempo, il pullman si fermò davanti a lei, con uno stridio sordo, slittando appena sull’asfalto bagnato, e con un rumore di ferro arrugginito le porte si spalancarono, facendo salire lei ed altri ragazzi.
Il 15 ottobre si sarebbe aperto il Wexford Festival Opera, e la voce che il regista Benjamin Braight vi avrebbe preso parte aveva già fatto il girò di tutta county town. A Bridgetown non si parlava d’altro da ormai due settimane.
Maiti attraversò il corridoio del pullman e prese posto su un sedile libero, accanto al finestrino. Durante tutto il tragitto osservò l’ambiente circostante. Bridgetown non si trovava direttamente sul mare, ma le enormi spiagge irlandesi erano comunque visibili: erano l’oggetto preferito dei disegni che Maiti si dilettava ad istoriare.
Arrivò a scuola presto, come ogni mattina. Scese dall’automezzo, si issò la cartella in spalle e percorse tutto il perimetro esterno dell’inferriata, finché non giunse davanti al cancello.
L’auto di Sèanait era già parcheggiata nel posteggio adiacente all’istituto, e si confondeva con tutte le altre lasciate in sosta in quella parte dell’area di servizio. Maiti scosse la testa, sprezzante.
A Castelbridge erano tutti ricchi, e sicuramente Sèanit non faceva nulla per nasconderlo. Ogni mattina sua madre faceva il giro per raccogliere le amiche della ragazza, Ina, Mona e Mairsil, e poi le portava a scuola. Era l’insegnante di educazione fisica, la signora Connel, ma nel suo carattere non compariva nemmeno uno dei tratti dell’indole presuntuosa della figlia.
Lascia perdere, si disse la ragazza, scuotendo la testa e proseguendo.
« Hey, Maiti! ».
Si girò. Cristin la stava raggiungendo. Era una sua amica, e per fortuna anche una compagna di classe. Non si era amicata molti studenti lì alla Wexford High School, ma quei pochi frequentavano il suo stesso corso.
« Ciao, Cristin » rispose. « Cosa ci fai qui? Pensavo che dovessi passare in redazione per finire quell’articolo. Che ne è stato? »
« L’ho già consegnato » affermò la ragazza. « Sèanit ha anticipato la scadenza, e io ero già in ritardo ».
Maiti era perplessa. Sèanit era la direttrice del giornalino scolastico: certo, era solita pressare i compagni affinché consegnassero il loro pezzo, ma non aveva mai spostato una consegna prima.
« Per quale motivo? » domandò, irritata. « Non aveva detto che il prossimo numero sarebbe dovuto uscire a metà ottobre? »
« Maiti! » esclamò l’amica. « Ti sei già scordata del festival? »
« Il festival? E cosa c’entra con il giornalino? »
Cristin fece spallucce, sistemandosi meglio la borsa sulle spalle.
« Vuole inserire il programma » disse, « e qualcuno ha anche dovuto scrivere un articolo per lei. È particolarmente ossessiva in questo periodo ».
Maiti rise sarcasticamente.
« E quando mai non lo è? »
Il vento freddo scompigliò i capelli alle due ragazze, facendole rabbrividire. Sfregandosi le mani contro le braccia, andarono a sedersi sulle gradinate di legno che fiancheggiavano il campo da rugby.
I ragazzi della squadra stavano finendo proprio in quel momento l’allenamento; il signor O’Bowen si stava congratulando con loro per l’impegno che ci avevano messo e li incoraggiava per la partita che si sarebbe svolta il sabato successivo.
« Guarda che movimenti fluidi » commentò Maiti, assorta, fissando nella direzione di Daigh Morgan, il capitano della squadra. Era un fusto alto quasi un metro e novanta, capelli biondi e occhi verdi. Era popolare tra le ragazze, ma era territorio proibito: era il ragazzo di Sèanit, e Maiti lo sapeva bene.
« Togliti quello sguardo! » commentò divertita Cristin. « Da questa distanza possono vederti tutti! »
Maiti le diede un pizzicotto, riscuotendosi. Tentò di sedersi in modo più composto, ignorando l’aria fredda che le sferzava il viso. Fissò un punto vuoto davanti a sé e si sforzò a non alzarsi e correre via per la vergogna. Anche se Cristin diceva certe cose solo per scherzare, la maggior parte delle volte succedevano sul serio.
« Era lo stesso identico sguardo che assumevi tu quando Brecc ti passava davanti » ribatté, imbronciata.
Cristin si alzò e, sorridendo, si separà dall’amica, dirigendosi verso i membri della squadra, che si stavano allontanando, tra i quali c’era anche Brecc Stoker, il suo ragazzo.
« Sì, ma io almeno non mi facevo notare » rispose, maliziosa.
Maiti ridacchiò, mentre Cristin scendeva in campo.
« Pazza » mormorò tra sé.
Restò da sola a fissare il paesaggio che si poteva ammirare al di là della strada. Era meraviglioso: a sud la steppa si estendeva a perdita d’occhio, in tutti i suoi colori caldi, nonostante fosse autunno. Ad est, invece, si poteva ammirare la costa e le tonalità scintillanti del mare d’Irlanda.
È meraviglioso, pensò. Merita.
Dalla cartella estrasse una piccola videocamera. Oltre al disegno, l’altra sua grande passione era filmare. Incideva su pellicola tutto ciò che poteva; perché, al contrario di quando disegnava, filmava in luoghi affollati, dove c’erano ricordi da catturare.
Iniziò a riprendere l’orizzonte macchiato di rosa, il colore del mattino. Poi puntò l’obiettivo sulla squadra di rugby, filmando prima Cristin e Brecc Stoker, passando successivamente al signor O’Bowen, che le strizzò l’occhio. Infine si fermò su Daigh Morgan.
« Avanti, girati e fammi un bel sorriso » disse, avvicinando l’obiettivo.
« Ciao Maiti! »
Per poco la ragazza cadde a terra, tanto fu lo spavento che prese. Lasciò andare la videocamera e si appoggiò al suolo di legno, voltandosi con occhi sgranati verso chi l’aveva interpellata.
« Oddio » mormorò, ancora scioccata.
Il ragazzo che aveva davanti le tese una mano, evidentemente mortificato. Maiti accettò l’aiuto e si alzò in piedi, un po’ stordita. Si voltò, in cerca della telecamera, ma non la trovò.
« Maiti, mi dispiace » disse il ragazzo, rammaricato. Era alto quasi quanto Daigh Morgan e aveva i capelli biondo scuro, la pelle abbronzata e gli occhi marroni. Indossava una divisa da rugby, con stampato sopra il numero 16.
Bairre Allen, pensò Maiti.
« Non fa niente Bairre » disse. « Non è successo nulla di grave. Mi hai solo fatto paura. Sei spuntato all’improvviso ».
« Hai… hai ragione » balbettò il ragazzo. « Mi dispiace. Non lo farò più ».
« Ti ho detto che non ti devi preoccupare ». Tentò di sorridergli. « Nulla di grave. È solo che non trovo più la mia telecamera. L’hai vista? »
Il ragazzo chinò lo sguardo ispezionò la zona. Alla fine la individuò. Scese un paio di gradinate, poi saltò sul prato e si intrufolò sotto l’impalcatura. Ne uscì qualche secondo dopo, con in mano la videocamera di Maiti.
« Ha fatto un bel volo » disse, con il cuore in gola. « Spero sia tutto a posto ».
Maiti l’afferrò con veemenza dalle mani del ragazzo. La tastò: sembrava a posto. La girò e rigirò; i lati erano un po’ ammaccati, ma l’importante era che funzionasse ancora.
Bairre nel frattempo la osservava con malcelata ansia. Temeva il peggio, e se così fosse stato non se lo sarebbe mai perdonato.
Maiti l’aprì e constatò che si era spenta. Allora la riaccese.
« Non si è staccata nemmeno la batteria » disse, un po’ sollevata. « Probabilmente l’erba ha attutito il colpo. È stata una bella fortuna, non me ne potrei proprio permettere una nuo… oh, no! »
Bairre fece un salto di dieci centimetri. Iniziò ad agitarsi e a stritolarsi le mani, tentando di vedere quale fosse il danno.
« Co… cosa è successo? » domandò, in pasto all’angoscia più totale.
« I cristalli liquidi sono partiti » affermò la ragazza, sconsolata.
Bairre trangugiò.
« Maiti, io… io… non so cosa dire, sono mortificato, sul serio ».
« Forse si può ancora filmare » lo rassicurò Maiti, scocciata.
Il ragazzo stava per dire qualcos’altro, ma in quel momento Cristin tornò, interrompendoli. Assieme a lei c’era una ragazza castana, Moira, un’altra amichs e compagna di classe.
« Entriamo, Maiti? » disse Cristin, allegra. « Tra poco iniziano le lezioni ».
«» confermò lei, voltando le spalle a Bairre. « Entriamo ».
« Mi dispiace sul serio, Maiti, » urlò il ragazzo, tremendamente afflitto. « Farò in modo di farmi perdonare! »
Ma la ragazza si era già allontanata.

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Capitolo 2
*** Chris Braight ***


2. CHRIS BRAIGHT


Dublino, Hotel Finnigan, 8: 43.

Banjamin Braight si era destato presto quella mattina. Aveva viaggiato tutta la notte a bordo di un aereo diretto in Irlanda; era sbarcato dall’America la sera precedente, ed aveva viaggiato per diverse ore, sorvolando l’Oceano Atlantico. Aveva avuto un sonno pesante, dovuto anche, forse, al senso di vuoto che sentiva allo stomaco ogni volta che volava. Si era svegliato verso le sei, pochi minuti prima che atterrassero.
I suoi figli invece non avevano proprio dormito. Abigail era rimasta sveglia tutto il tempo a limarsi le unghie e a sistemarsi lo smalto, che cambiava ogni due ore con la scusa che a causa dell’instabilità dell’aereo l'aveva applicato sbavato. Chris, invece, non aveva fatto altro che controllare carte su carte, senza voler spiegare al padre di che cosa si trattasse, e aveva già iniziato a scrivere una lettera ai suoi insegnanti e ai suoi domestici, per assicurargli che stava bene e che presto gli avrebbe inviato la tredicesima.
Una volta che avevano messo piede a terra, Abigail era andata alla ricerca di un gabinetto per ripassarsi il trucco e Chris si era attaccato al cellulare, ed era rimasto al telefono con la madre per tutti i ventitré minuti che avevano impiegato ad arrivare all’albergo.
Allora la figlia si era struccata per buttarsi nel letto e non alzarsi più, mentre il figlio si era chiuso nella sua stanza per ripassare latino, greco, storia, matematica e mille altre materie.
Allora Benjamin aveva fatto una bella doccia ristoratrice, si era rasato ed infine si era vestito di vestiti caldi e pesanti. Solo allora si era sentito a posto.
Benjamin era un uomo poco più in là della quarantina. Era ancora affascinante: i capelli castani gli ricadevano sbarazzini appena più sopra del lobo delle orecchie, e le punte erano tutte un ricciolo ribelle. Gli occhi erano di un verde intenso.
All’epoca del suo primo figlio, Chris, aveva 27 anni e non era sposato. Si era unito in matrimonio alla moglie Sharon solo due anni dopo, quando lei era incinta di Abigail.
All’inizio non era un regista molto famoso, ma ben presto la ragazzina dimostrò il suo talendo da attrice e lui la fece recitare in un film che girò, La luna sotto le stelle; era stato allora che aveva riscosso un grandissimo successo, che l’aveva costretto a girare molto. Viaggiava assieme ad Abigail, e lasciava a casa Sharon e Chris. Così sua moglie l’aveva piantato dopo dodici anni di matrimonio.
Da allora aveva avuto diverse storie, ma nessuna finita bene. Era ancora innamorato di Sharon, per questo non riusciva a trovare chi gli calzasse a pennello.

Erano arrivate le otto e quaranta e Chris si era degnato di uscire dalla stanza per dire al padre che aveva fame e voleva fare colazione; ma di Abigail nemmeno l’ombra.
« Papà, sei pronto? » domandò il ragazzo, uscendo dal bagno allacciandosi i polsini della camicia. « Non devo fare colazione troppo tardi, altrimenti non smaltisco le calorie entro l’ora di pranzo e la mia dieta sballa ».
Benjamin raccolse da terra le sue scarpe e si sedette sul letto, infilandole. Guardò il figlio con aria interrogativa, prima di chiedergli:
« Perché, da quando segui una dieta? »
Chris osservò il padre con occhi severi, poi distolse lo sguardo e si diresse verso la porta.
« L‘ho sempre seguita, papà » rispose. « Sono le otto e quarantatre minuti, non posso aspettare altro. Ti vuoi muovere? »
« Sono pronto » disse il padre. « Possiamo andare ».
« Abigail? »
« Sta dormendo ». Poi, avviandosi verso la porta, Benjamin aggiunse: « Allora, non avevi detto di voler fare colazione il più presto possibile? »
Chris osservò il padre con aria sconvolta; tentò di ricomporsi, ma non mosse un passo dal posto in cui era. Quindi, con arriva ovvia disse:
« Non vorrai andare a fare colazione senza di lei, spero ».
Benjamin si voltò verso il figlio, un po’ stupito.
« Bé, non vedo che male ci sia, se sta riposando ».
Chris era letteralmente sconvolto. Conosceva le abitudini di suo padre, ma non riusciva a capacitarsi del fatto che aveva intenzione di fare colazione senza sua figlia.
Il padre si accorse che il ragazzo non approvava le sue intenzioni e, con aria un po’ più comprensiva, aggiunse:
« Conosco Abigail, non le crea nessun disturbo mangiare da sola; anzi, con ogni probabilità si farà portare la colazione in camera ».
Chris scosse la testa, contrariato.
« Non va bene » disse. « Almeno l’avviso ».
Si accostò alla porta di una stanza e bussò due volte. Dall’interno provenne un cupo mugugno.
« Abigail » disse Chris. « È ora di fare colazione ».
« Mhm ».
« Ti aspettiamo? »
« No… scendo tra dieci minuti ».
« Bene » disse Benjamin. « Visto che avevi così tanta fretta ora possiamo andare? »
Chris annuì, e scesero in sala da pranzo. Si accomodarono al tavolo riservato per loro, dove calò un silenzio imbarazzante.
Chris Braight aveva diciassette anni; era un ragazzo estremamente diligente, proprio come la madre gli aveva insegnato ad essere. Era alto e snello, con i capelli mossi e castani, sempre molto ordinati, e gli occhi verdi. Aveva ereditato molti tratti dal padre, ma per quel che riguardava il carattere, aveva preso tutto dalla madre.
« Allora » proruppe Benjamin. « Cosa te ne pare dell’Irlanda? »
Chris si strinse nelle spalle, prendendo in mano una posata e passandola minuziosamente ai raggi x.
« È un paese sommamente freddo » disse. « Questo Hotel è di classe. Perché dovremo andarcene? »
« È ottobre, Christopher; fa freddo anche a San Francisco ». Alzò la mano, per chiamare il cameriere, che si accinse a raggiungerli. « Oggi stesso raggiungeremo Wexford e soggiorneremo lì. Dublino era solo di passaggio. Anche quell’hotel sarà di classe, vedrai ».
« Immagino che i continui spostamenti rientrino nella tua vita ordinaria » commentò il ragazzo, acido. « Fino a quattordici anni cambiare casa in continuazione è stata anche la mia vita ».
Benjamin lanciò a Chris uno sguardo severo, che il ragazzo ricambiò.
« Cosa posso portarvi? » domandò il cameriere, cortese.
« Per me un cappuccino va bene » rispose Benjamin.
« Male » criticò Chris, contrariato. « La colazione è un pasto importantissimo, non puoi limitarti a bere latte e caffè ».
« E va bene » replicò il padre. « Allora mi porti anche una brioche ».
« E per il signore? » continuò il cameriere, rivolto al ragazzo.
« Una spremuta d’agrumi » rispose questi. « Latte macchiato, uno scatolino di yogurt, pane fresco e marmellata, rigorosamente confezionata. Tutto chiaro? ».
« Assolutamente signore ».
Benjamin osservò Chris con perplessità. Suo figlio era diventato un maniaco?
« Abigail mangia? » domandò il ragazzo, improvvisamente serio.
« Ma certo » rispose tranquillamente il padre. Si appoggiò allo schienale della sedia, ma quando si accorse dello sguardo indagatore del figlio aggiunse: « Non pretenderai che non mi accorga se mia figlia è anoressica ».
Chris tornò ad ispezionare gli effetti presenti sulla tavola, rispondendo con severità:
« Non me ne stupirei ».
Benjamin decise di non ribattere. Ormai riconquistare suo figlio era una causa persa.
La colazione venne servita con velocità, e il regista la consumò in modo rapido. Quindi si asciugò la bocca con il tovagliolo, lo risistemò e si apprestò ad alzarsi.
Abigail arrivò in quel momento. Era una ragazza di quindici anni, molto bella e molto magra. Aveva i capelli tinti di biondo e gli stessi occhi del fratello. Li raggiunse quasi saltellando.
« Ciao papà » disse, allegra. « Scusate il ritardo, mi sono dovuta rifare il trucco e rimettere lo smalto. Il colore di stamattina proprio non mi piaceva. Dici che l’ombretto azzurro si addice al maglioncino? ».
Benjamin rise.
« Io di moda e company proprio non capisco niente » affermò. « Ti lascio con tuo fratello, io devo incontrare un tizio della Universal. Ci siamo dati appuntamento per stamattina ».
« Te ne vai di già? » domandò Chris, severo.
« Tornerò verso l’ora di pranzo » spiegò il padre. Diede un bacio ad Abigail e si allontanò.
Chris lo guardò con amarezza, mentre usciva dalla sala da pranzo.
« Come al solito » disse.


A ricreazione Maiti si concentrò sulla sua videocamera: i suoi genitori avevano speso una fortuna per comprargliela; con che coraggio, ora, si sarebbe presentata per dirgli che lo schermo era diventato praticamente monocromatico?
« Maledizione » borbottò, sperando che l’oggetto non avesse subito altri danni. « Per fortuna c’è anche l’obiettivo non digitale… ».
« Eccoti qua; che fine avevi fatto? »
La ragazza si girò verso chi l’aveva chiamata: Mairtin, il suo migliore amico. Si alzò prontamente dalla sedia e gli sorrise.
« Ciao, Mairtin! »
« Cosa ti è successo? Mi sembri abbastanza scocciata ».
Maiti sospirò, chiudendo la telecamera.
« Bairre Allen » annunciò, scocciata.
« Dove? » domandò Mairtin, guardandosi attorno.
« Intendevo dire che Bairre Allen è il problema » spiegò. « Mi ha fatto volare la videocamera di mano, e quella si è rotta ».
Mairtin sgranò gli occhi.
« Non è possibile » disse. « Come ha fatto? »
« Ero assorta » rispose Maiti. « Io… stavo riprendendo Daigh Morgan ».
A quelle parole, l’amico scoppiò a ridere.
« Maiti! » esclamò. « No, non Daigh! Lo sai, lui è terreno di Sèanait. Cosa credi che ti farebbe se scoprisse che hai una cotta per il suo ragazzo? »
« E cosa credi che ti farei io se tu lo urli ancora un po’? » ribatté la ragazza a denti stretti. « Ti ricordo che se Daigh Morgan è terreno di Sèanait, allora anche Sèanait è terreno di Daigh Morgan ».
Mairtin arrossì violentemente. Aveva una cotta colossale per la ragazza dai tempi delle elementari, e persisteva anche adesso che avevano quindici anni. Immergendosi nei ricordi di quando aveva sentito per la prima volta il suo inconfondibile profumo, non captò i segnali di fumo che Maiti gli stava inviando. Così, quando si voltò, si trovò faccia a faccia con Sèanait.
Diventò improvvisamente paonazzo.
« C-ciao, Sèanait » disse, balbettando.
Lei lo guardò come se fosse la prima volta che lo vedeva.
« Ciao Mairtin » rispose. Poi, come se non fosse mai esistito, si rivolse a Maiti, scocciata. « Sono venuta ad accertarmi che tu sia a buon punto con il video » disse, aspra.
« Certo » rispose la ragazza, con lo stesso tono. « Devo solo montarlo ».
« E allora perché non lo fai? »
« Ci sto lavorando, Sèanait! »
« Vedi di sbrigarti, il Wexford Festival Opera si aprirà solo tra tredici giorni! »
« E tu vedi di calmarti! »
Il viso di Sèanait si contrasse per la rabbia e l’agitazione. Maiti ebbe l’impressione che da un momento all’altro sarebbe scoppiata.
Purtroppo per Maiti, le due ragazze si erano ritrovate a lavorare assieme per un lavoro che avrebbero dovuto presentare al Festival di Wexford. Si trattava di un video inerente il paesaggio della contea. Sèanait era stata l’ideatrice, mentre a Maiti era toccato il ruolo di sottostare ai suoi ordini.
« Lo voglio domani » affermò la ragazza, con un tono che non ammetteva repliche. Poi si allontanò, lasciando Maiti e Mairtin da soli.
« Quant’è bella » commentò il ragazzo, abbacinato.
« Quant’è stupida » replicò l’amica, irritata. Quindi, con la telecamera in mano, si avviò verso la sua classe.



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Ecco il nuovo capitolo; anche questo è servito più che altro da introduzione per i personaggi Braight.
Ringrazio Kinderbuena89 per avere recensito =D, e Kokky e _New_Moon_ e per averla inserita tra le seguite ^^. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, perché non lasciate una piccola piccola recensione per dirmi la vostra opinione? **

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Capitolo 3
*** L'invito ***


3. L’INVITO


Maiti lasciò Mairtin a fantasticare sull’utopica storia d’amore che sarebbe sicuramente nata tra lui e Sèanait. A passi pesanti si diresse verso la sua aula, scocciata sia per la discussione avuta con la sua insopportabile compagna di classe che per la fine che aveva fatto la telecamera. In cuor suo sapeva che Bairre Allen era un ragazzo davvero buono e che non avrebbe mai nuociuto a una mosca di proposito, ma la telecamera in quel momento era la sua priorità.
« Magari un po’ si riesce a vedere ancora » disse, sconsolata. « L’importante è che filmi ».
Stava per girare dietro l’angolo quando vide arrivare verso di sé il signor O’Bowen. La stava guardando sorridendo, così la ragazza capì che voleva parlare proprio con lei. Si fermò, osservandolo un po’ stupita. Non giocava a rugby né tanto meno era una ragazza pon-pon: che cosa voleva?
« Ciao, Maiti » cominciò l’allenatore, fermandosi davanti a lei.
« Salve, signor O’Bowen » rispose la giovine.
« Vedo che sei già in azione. Non ti stanchi un minuto, eh?» constatò, divertito.
Maiti non capì subito. Lo guardò perplessa, però poi ricordò di avere ancora la videocamera in mano, con lo sportellino aperto.
« Oh » disse. « Già, più o meno ».
« Allora, come va il video che stai organizzando per il Wexford Festival Opera? » le domandò l’insegnante, curioso.
« Bene » rispose la ragazza. « Sèanait lo vuole vedere domani ».
« Quindi l’hai già finito? »
« Sì, devo solo montarlo ».
Il signor O’Bowen rifletté per un momento. L’espressione che assumeva ogni volta che lo faceva era sempre buffissima: i baffi gli fremevano leggermente, e lui alzava gli occhi al soffitto. Alla fine sputò il rospo.
« Presumo quindi che sabato non sarai più impegnata ».
« No, certo, sarò libera » disse Maiti, desiderosa di sapere. « Per quale motivo? »
« Mi servirebbe un’ottima candidata che filmi la partita di rugby ».
A quelle parole, Maiti rizzò le orecchie, attentissima.
« Sta dicendo sul serio, signor O’Bowen? Vuole che io filmi la partita per lei? »
« Ma certo! » affermò lui, entusiasta. « Le tue ottime doti da regista hanno fatto notizia ».
La ragazza arrossì, come capitava spesso; era diventata una cosa di talmente ordinaria amministrazione che ormai non la turbava più. Un tempo invece era stata una fonte di grande disagio, soprattutto quando esprimeva concetti errati in pubblico. Tutti iniziavano a ridere, e lei si sentiva piccola e insignificante in un cerchio di giganti. Quel che appunto non riusciva ad accettare era che i suoi compagni iniziassero ad esclamare “guardate com’è diventata rossa!”
Alienando quei ricordi, tornò a concentrarsi sulla proposta del signor O’Bowen. Era davvero contenta di poter riprendere tutte le vicissitudini della squadra di rugby della scuola.
« Passa da me domani a ricreazione » aggiunse l’allenatore. « Così ti darò l’attrezzatura della scuola in comodato d’uso ».
« Certamente, signor O’Bowen » rispose la ragazza.
Finito il discorso l’uomo si allontanò, cercando di farsi spazio fra la mandria imbufalita di studenti, che si godevano gli ultimi minuti di ricreazione.
Maiti, ancora estasiata, si appoggiò al muro; senza pensarci, si portò la telecamera al petto e la strinse forte. Si trattenne dal sorridere solamente perché non amava farsi notare, ma dentro di se bolliva di gioia.
Proprio in quel momento apparve Daigh Morgan. Era in compagnia di Bairre Allen e Brecc Stoker, il ragazzo di Cristin. Maiti odiava ammetterlo, poiché non amava la popolarità, ma quello di cui faceva parte Daigh Morgan era il gruppetto più popolare della scuola. Un po’ per gli atteggiamenti sovrani del ragazzo, che amava fare pubblicità a sé e a chiunque ne ritenesse degno, e un po’ perché loro erano tra i più carini dell’istituto. A Maiti questo non piaceva, ma doveva farselo andare bene comunque, visto che era cotta di lui.
Per un frazione di secondo lo sguardo di Daigh Morgan vagò e si posò su quello della ragazza. Subito ella chinò la testa, questa volta preoccupandosi del rossore che le stava mandando il volto in fiamme. Ma lui, come se Maiti fosse stata invisibile ai suoi occhi, continuò a voltare lo sguardo.
Fu Bairre ad accorgersene. Notandola in quella posizione, si sentì mancare per un secondo.
« Oddio » mormorò.
Brecc lo guardò con espressione interrogativa.
« Cosa è successo? » domandò, circospetto. Seguì la direzione del suo sguardo e quando notò che era fisso su Maiti aggiunse: « Non ti creerà uno shock solo vederla, mi auguro. Altrimenti sei messo male ».
« Io credo di averle distrutto la telecamera » ribatté l’amico. « Guarda come la sta stringendo ».
« Stai parlando della scena di stamattina, Bairre? » gli chiese Daigh, ascoltando la loro conversazione.
« Tu l’hai vista? » domandò l’amico, avvampando.
Brecc e Daigh ridacchiarono, divertiti.
« Tutti l’hanno vista, Bairre ».
Il ragazzo abbassò la testa, pieno di vergogna. Avrebbe voluto fare qualcosa per ripagare il suo danno, ma sapeva che era impossibile.
Brecc invece gli colpì il braccio, strizzando l’occhio.
« Perché non ne approfitti per andare a parlare? »
Bairre sospirò.
« Se ogni volta che le parlo combino dei danni… »
Si diresse verso di lei, scoraggiato. Non aveva mai faticato a conquistare una ragazza, ma con lei era completamente diverso.
Maiti stavolta lo vide prima che arrivasse. Alzò lo sguardo e trasse un sospiro annoiato.
Bairre Allen, pensò.
Quando il giovane le fu davanti, ella tentò di sorridergli e di non sembrare ostile, ma il suo cipiglio era tutto fuorché lieto.
« Ciao Maiti » proruppe il ragazzo, impacciato.
« Ciao Bairre » rispose lei in modo naturale, suo malgrado.
« Senti, io… ». Fece una pausa. Non sapeva cosa dire. « La telecamera è completamente distrutta, vero? »
Maiti lo guardò con aria sorpresa. Si era aspettata una delle sue solite scenate in cui la avvicinava giusto parlarle, ma dove non diceva niente di sensato perché non sapeva cosa dire.
« No » rispose, confusa. « Cosa te lo fa pensare? »
« Bé… » Bairre si strinse nelle spalle. Era sollevato, ma allo stesso tempo stupito. Maiti era proprio avvinghiata alla telecamera. « Il modo in cui la stringi » disse infine.
La ragazza si rese conto che stava ancora premendo la sua videocamera al petto, proprio come un affezionato oggetto che si è appena rotto.
« Oh, no » esclamò, rendendosi conto del fraintendimento. « No, il mio era solo un gesto di gioia. Sai, il signor O’Bowen mi ha proposto di filmare la partita di sabato sera ».
« Già, a proposito di sabato sera » disse Bairre. « Per farmi perdonare per averti fatto cadere la telecamera mi piacerebbe invitarti a prendere posto nelle tribune riservate. Sai, quelle dove si vede meglio la partita. Ci vanno tutti coloro che sono, diciamo, in qualche modo privilegiati ».
« So cos’è , Bairre. Ti ringrazio, ma non devi preoccuparti. Riprenderò bene lo stesso anche se sarò in qualche altro posto ».
« Avanti, è il minimo che possa fare » insistette il giovane. « Altrimenti continuerò a sentirmi in colpa ».
Maiti inorridì. Sapeva che Bairre non avrebbe mai smesso di ossessionarla se si fosse sentito in colpa. Non che avrebbe smesso comunque, ovvio. Ma non aveva davvero intenzione di subirlo per tutto l’anno a venire.
« Non lo so, è che da sola… » biascicò, tentando di trovare un’ultima scusa.
« Ci saranno le tue compagne di classe, Sèanait, Ina, Mona e Mairsil » dichiarò con enfasi il ragazzo.
« Sai che compagnia ».
« Avanti! »
Maiti sospirò.
« D’accordo, Bairre » accettò infine. « Prenderò in considerazione la tua offerta ».
« È perfetto; grazie Maiti! ».
Detto questo si allontanò e raggiunse Daigh Morgan e Brecc Stoker. Maiti lo guardò sconsolata.
« Sarei io a dover ringraziare te » aggiunse sottovoce, rientrando in classe.


L’aria irlandese era davvero fredda. Benjamin Braight si strinse nel cappotto, mentre scendeva dalla limousine, che l’aveva portato da una parte all’altra di Dublino, e attraversava la strada.
« Forse Chris ha ragione, riguardo al clima » borbottò, guardandosi attorno alla ricerca dei suoi candidati “colleghi”.
Schivò un numero indefinito di pozzanghere, fino a raggiungere l’altro lato della banchina. Fu in quel momento che vide Jack Parker, il suo caro, vecchio amico e alleato. In passato era stato il titolare di una piccola e sconosciuta casa cinematografica, ma ben presto era diventato socio della Universal Studio.
« Jack! » esclamò, raggiungendolo.
« Ben, che piacere rivederti! » rispose con enfasi l’altro, tendendogli la mano. « Da quanto tempo che non ci vediamo! Che cosa hai fatto tutto questo tempo? ».
Benjamin si strinse nelle spalle, afferrando la palma dell’amico e stringendola forte. La sua stretta era energica, proprio come tre anni prima, l’ultima volta che lo aveva visto.
« Ho girato un telefilm » disse. « a Miami. Ma passiamo ai fatti: cosa mi proponete stavolta? »
La faccia di Parker cambiò subito espressione: si gonfiò fino ad assumere la forma di un palloncino in procinto di scoppiare e gli occhi commutarono in due sfere translucide che sprizzavano interesse ed orgoglio da tutti i pori. Era buffissimo.
Benjamin pensò che dovesse trattarsi di un progetto davvero interessante, pronto a catturare l’interesse di tre quarti delle persone.
« È strepitoso! » affermò infatti l’amico. « Oh, vedrai Ben! Siamo incappati in un produttore davvero valido. È un progetto davvero redditizio! E se farai bene il tuo lavoro avrai l’onore di accaparrarti le riprese anche del prospetto futuro ».
« Quindi avete già in mente l’idea di una saga? ».
« Sarà fantastico! »
Benjamin annuì, soddisfatto. Quando si trattava di lavoro e di soldi era sempre un piacere per lui.
« Vieni, ti presento il produttore, Andrea Cremi. È inglese, ma di origini italiane ».
Il regista seguì Parker lungo il marciapiede e poi all’interno di un edificio sul ciglio della strada. L’ingresso era parecchio affollato, pieno di gente d’affari, uomini in giacca e cravatta e pezzi grossi. Benjamin non ci mise molto ad individuare John Crowford, l’elemento più importante della casa cinematografica. Era in compagnia di un omino smilzo e allampanato, con i capelli arruffati e la cravatta storta.
Ben stava per andargli incontro, ma Parker gli fece cenno di seguirlo. Stupito, entrò nell’ascensore panoramico con lui.
« Niente Crowford, oggi » spiegò il collega.
Benjamin diede uno sguardo ai piani che stavano superando, e azzardò una domanda:
« Dove diamine vi siete sistemati? ».
« Abbiamo preso in affitto un piano di questa sede di uffici » rispose Parker, stringendosi nelle spalle. « Eccoci arrivati » aggiunse poi, quando la campanella emise un lieve rintocco.
I portelli si aprirono, e i due uomini si avviarono lungo il corridoio. Alla fine giunsero di fronte ad una porta in legno, con affisso il cartellino: “Andrea Cremi”.
« È la sua stanza » annunciò Jack. Bussò e una voce femminile disse di entrare.
Quando furono dentro, Benjamin notò la segretaria seduta al telefono davanti ad una scrivania, dietro alla quale c’era un’altra porta.
« La ringrazio, arrivederci ». La signorina concluse la conversazione e rivolse un sorriso ai nuovi arrivati. « Buongiorno, signori » disse, cordiale. « Vi stava aspettando ».
Senza dire altro, alzò la cornetta del telefondo e premette un tasto, annunciano il loro arrivo.
« E chi paga la segretaria? » borbottò Benjamin all’amico. « Il signor Cremi o voi? »
Ma prima che Parker facesse in tempo a bloccarlo, una donna apparve nella stanza, uscendo dall’uscio dietro alla scrivania. Lo osservò arcigna. Gli si avvicinò e gli porse la mano.
« Lei deve essere il signor Braight. Io sono Andrea Cremi ».
Per un momento il regista rimase sconcertato nello scoprire che il produttore era in realtà la produttrice.
Ma prima di avere il tempo di dire altro, la dnna aggiunse, aspra:
« I miei servizi non sono a carico di nessuno, se non miei. Ora venite, vi mostro il progetto ».
Benjamin capì immediatamente di avere fatto una pessima impressione. Senza abiettare, seguì la donna nell’altra stanza.




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Eccomi! Sono stata un po' lenta, lo so. Ma da domani avrò concluso tutte le interrogazioni, e potrò aggiornare con più velocità =).
Kinderbuena89: sono contenta che ti piaccia ^^. Del resto, io e te ci sosteniamo a vicenda, nevvero??
Kokky: *___* hai fatto la descrizione psicologica completa dei personaggi ^o^. Sì, ognuno di loro avrà un'evoluzione, e anche la storia avrà una svolta: sarà del tutto innaspettata!

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Capitolo 4
*** Daigh Morgan ***


Wexford 4

4. DAIGH MORGAN

Le onde del mare si infrangevano impetuose sul lido della spiaggia deserta. L’aspetto era più simile a quello di una laguna, estesa per chilometri e chilometri, senza nemmeno la sagoma di un ombrellone.
La giornata era coperta e molto ventosa. Alcuni schizzi d’acqua andavano a inumidire la sabbia rorida e compatta. L’Irlanda era così: spesso caratterizzata da un vento freddo, anche d’estate.
Dopo l’immagine prolungata del litorale, si susseguirono quelle di diverse steppe verdeggianti, dall’erba rigogliosa e irrorata. Davano l’idea di un tempo meno uggioso rispetto alla spiaggia.
« Wexford ». La faccia gioviale di Maiti occupava tutto il primo piano. Dietro di lei ancora si stendevano le praterie virenti della county town. « Una contea così bella e così florida, ma allo stesso tempo, si può dire, contraddittoria. Da una parte il freddo ma incantevole mare d’Irlanda; dall’altra le steppe assolate e mirabili ».
Apparve l’immagine di un pascolo brado: tante pecore brucavano tranquille in una distesa di erba priva di recinzione. Accanto, un contadino seminava verdure e ortaggi per la primavera a venire.
Di nuovo rispuntò il volto di Maiti, che indicava gli animali che pascevano.
« L’allevamento segue le regole della giusta alimentazione e il nutrimento è rigorosamente a base di erba. Gli ovini qui possono pascolare liberi e indisturbati. Quando c’è quiete si posso anche sentire i loro belati…».
« Beeeee» una voce scherzosa provenne da un punto imprecisato dello schermo.
« Mairtin piantala! » esclamò Maiti, divertita. « Sei uno stupido! Stava venendo fuori un pezzo bellissimo! »
« Io ti stavo solo aiutando a fare sentire i belati delle pecore! » ribatté il ragazzo, ilare. « Senti, le pecore fanno beeee! ».
Mairtin assunse una posizione buffa simile alla postura di una pecora e iniziò a girare su se stesso, fingendo di brucare e continuando ad imitare i belati degli animali.
« Oh, zitto, te la faccio vedere io! ».
Maiti gli saltò sulla schiena, facendogli perdere l’equilibrio. Entrambi caddero a terra, inumidendosi tutti i vestiti. Iniziarono a ridere, divertiti, mentre un contadino gli passava accanto, osservandoli con espressione buffa.

Maiti sorrise. Mordicchiò la punta della matita, mentre si allungava per prendere il telecomando dal comodino. Pigiò un tasto e diminuì il volume dello stereo, mentre sua madre strepitava dalla cucina di abbassare « quella maledetta musica ». Riponendo l’oggetto sulla scrivania, schiacciò lesta un pulsante sulla tastiera del computer e il video si bloccò.
La ragazza stava montando il filmato che Sèanait voleva pronto per il giorno seguente. Era stato difficoltoso registrare i vari pezzi, soprattutto quando ad aiutarla c’era Mairtin.
Armeggiò con il mouse e con i comandi del computer, selezionando, eliminando e infine assemblando i vari spezzoni.
« Così dovrebbe andare bene » disse, soddisfatta di se stessa. « Bé, la parte sul paesaggio è completata. Ora mi manca quella sui luoghi frequentati dai ragazzi e… ». Si alzò dalla sedia per prendere i dischetti su cui aveva filmato il resto, ma alcuni schiamazzi provenienti dall’esterno richiamarono la sua attenzione.
Infastidita, si accostò alla sua finestra e guardò il gruppo di ragazzi sul marciapiede, la causa di tutto quel rumore. Per un momento le mancò il fiato.
« Daigh Morgan » sussurrò. I suoi occhi si soffermarono su di lui, così bello, così perfetto. Scherzava assieme ad alcuni amici; i suoi movimenti erano così fluidi, così sciolti… aveva un equilibrio perfetto, senza farlo volutamente.
La sua attenzione fu distolta solamente dalla porta che sbatteva e sua mamma che entrava in camera a tutta birra, arrabbiata.
« Maiti! Non ti ho forse detto di abbassare questa musica? ». Senza aspettare repliche, individuò il telecomando sulla scrivania, lo afferrò e dimezzò il volume. « Ora va bene ».
Maiti si voltò verso di lei, soprapensiero.
« Scusa, mamma » replicò. Raggiunse lo stereo, premette il pulsante “off” e la canzone cessò. Poi tornò alla finestra e riprese a fissare il gruppo di ragazzi: assieme a Daigh Morgan c’erano anche Bairre Allen, Uilliam McWilson e Bran O’Friel, due ragazzi che aveva visto ancora assieme a Brecc Stoker. Facevano tutti parte della squadra di rugby. Stranamente.
Maiti era imbambolata di fronte all’infisso, con gli occhi puntati su Daigh. Doveva fare qualcosa. Doveva fare maledettamente qualcosa. Voleva solo che lui la notasse, solo quello.
Faresti di tutto, si disse. Faresti di tutto pur di attirare la sua attenzione.
E così, ancora prima di ragionare e di scartare del tutto quell’opzione, chiamò Bairre. Non ebbe nemmeno il tempo di pentirsi.
« Ehy, Bairre! »
Lui si girò immediatamente. Il suo sguardo divertito divenne immediatamente stupito, poi imbarazzato. Rimase evidentemente senza parole: Maiti l’aveva salutato. Stava per blaterare qualche cavolata senza senso, ma Bran O’Friel gli tirò una gomitata. Lui sembrò riscuotersi.
« Ciao, Maiti! » disse, più rilassato. « Non sapevo che abitassi qui ». Fece una pausa, evidentemente cercando altri argomenti sensati da proporle. « Che cosa ci fai rinchiusa in casa con un tempo come questo? ».
Maiti guardò il cielo: si stava ricoprendo di nuvole. I suoi amici trattennero a stento una risata. Bairre diventò rossissimo.
« Bé… non avevo niente di importante da fare » rispose, cercando di toglierlo dall’imbarazzo. Sapeva perfettamente come ci si sentiva. Ma la sua attenzione ora era rivolta a Daigh Morgan. Aveva mosso il primo piede e per completare il passo doveva muovere anche il secondo. Non poteva tirarsi indietro a metà.
« Allora, ehm… voi cosa state facendo di bello? »
Trattienili prima che se ne vadano, si diceva, agitata.
« Noi… noi stiamo andando a fare un giro. Stiamo aspettando Brecc ».
« Come hai detto? »
Bairre alzò la voce:
« Stiamo aspettando Brecc ».
« Non capisco ». Bugia. « Aspetta, scendo un attimo ».
Si voltò di scatto, infilò le scarpe in qualche maniera, si sistemò i capelli alla bell’è meglio mentre scendeva la scale, afferrò il giubbotto e disse a sua mamma:
« Esco ».
« Ricordati di andare a prendere Tòmas alle cinque » cantilenò la donna. « E non fare troppo tardi ».
« Con ogni probabilità rientrerò tra un minuto » ribatté la figlia, prima di aprire la porta e uscire.
L’aria era fredda e sferzante e, a dispetto di quella mattina, il tempo stava peggiorando. Grosse nuvole cariche d’acqua sormontavano la valle, minacciando di piovere. Il vento forte scuoteva con violenza le piante, ma per la gente del posto era pressoché normale.
Maiti si strinse nel cappotto, un gesto usuale per chi abitava in Irlanda. Guardò Bairre, che la scrutava a sua volta, con speranza. Si sentì un’infame: lo stava utilizzando per i suoi scopi. Era ancora in tempo per lasciarli andare e tornare indietro, ma proprio mentre trovava una scusa per tagliare corto, Daigh Morgan piantò gli occhi su di lei. A questo punto ogni buon proposito per fare la brava ragazza si spense, soffocato da quelle iridi verde intenso.
Le parole le morirono in gola, lasciandola con la bocca aperta e lo sguardo fisso sul suo. Per un momento le sembrò di essere su un altro pianeta, magari su un mondo parallelo. Daigh Morgan la stava guardando. Stava guardando lei.
Bairre se ne accorse subito e abbassò il volto a terra. Poi lo rialzò, nascondendo la frustrazione, e si schiarì la voce, annunciando:
« Maiti, io credo che tu conosca Daigh. Ehm… Daigh, lei è Maiti ».
Daigh le sorrise, cordiale. Maiti si sentì morire. Era sicura che stesse sognando e che quando si sarebbe svegliata avrebbe avuto solo un bel ricordo di un altrettanto stupenda immaginazione.
« Io… tu… noi… voglio dire… cioè, sono Maiti. Ciao ».
Abbassò immediatamente gli occhi, imbarazzata. Come aveva potuto fare un discorso così “non discorso”? Ora Daigh si sarebbe messo a ridere e non l’avrebbe più filata. Ma come si faceva a balbettare cose senza senso in quel modo?
Era pronta a fare dietrofront e tornare in casa, turbata, ma un’occhiata di Bairre le fece capire di non fare stupidate, che stava andando benissimo. E in quel momento seppe di non essere mai stata più vile e abietta. Perché lo stava facendo? Perché solo per attirare l’attenzione del ragazzo che le piaceva aveva utilizzato spudoratamente una persona che avrebbe preferito evitare in ogni istante della sua vita? C’era forse con la testa, o l’aveva persa nel preciso attimo in cui aveva visto Daigh Morgan sul marciapiede davanti a casa sua?
« Ciao Maiti » rispose il ragazzo. « È un piacere conoscerti ».
« Lo è anche per me » disse lei. Guardò Bairre. Le sorrise, ma era chiaro che fosse tutto tranne che contento. Aveva intuito le intenzioni dell’amico ancora prima che lui le avesse in mente. « Bé, ora torno in casa » continuò la ragazza. « Credo sia meglio ».
« Oh, ma non dai nessun fastidio » replicò Daigh, lanciandole un sorriso ammiccante.
La ragazza faticò a trovare una risposta; era in completa agitazione. La sua mente le stava inviando una sola informazione: “Daigh Morgan è di fronte a te e ti sta parlando”. Sperando che la sua agitazione non fosse notata, pronunciò le prime parole che le vennero in mente: « I-i-io ti ringrazio, ma voi dovrete andare, e io… io devo… insomma ». Deglutì. In un solo istante sentì tutti i mali possibili assalirla: lo stomaco le bruciava e la pancia le doleva; la sudorazione e la salivazione erano aumentate e aveva la bocca impastata. « Voi comunque dovrete andare » concluse, banale.
« In effetti… » rispose Uilliam McWilson, un po’ scocciato.
« Non dire stupidaggini » lo rimbeccò Daigh, senza nemmeno guardarlo. « Stiamo ancora aspettando Brecc ».
« Già » ribatté Uilliam, sottolineando l’insistenza nella parola. « Ma quando arriverà dovremo andare, e questa è una riunione di noi amici solo per noi amici; non ci sono nemmeno le rispettive ragazze. L’hai stabilito tu ».
« Sì, ma per lei si può fare un’eccezione ». Questa volta il ragazzo guardò l’amico dritto negli occhi, con uno sguardo severo. « Anche Bairre è della mia opinione, vero Allen? ».
Bairre, paonazzo, puntò lo sguardo sul ghigno divertito di Daigh. Quando anche gli altri due ragazzi risero, lui guardò altrove, chiaramente a disagio. Maiti non desiderò mai come in quel momento non avere richiamato la sua attenzione cinque minuti prima alla finestra.
« No…non fa niente » si affrettò a precisare, mentre una folata di vento le spettinava i capelli castani. Lesta, afferrò il ciuffo ribelle con una mano e lo rimise a posto. « Non fa niente, sul serio. Io devo finire quel maledettissimo video per domani, quindi davvero, torno in casa. Se non sarà pronto per domani Sèanait si arrabbierà tantissimo ».
« Oh, non c’è problema, con Sèanait posso parlarci io » propose il ragazzo.
« No! » esclamò Maiti. « No! No, no-no! È meglio se lasci stare. D’accordo… d’accordo! Verrò con voi. In fondo il video posso finirlo anche più tardi ».
Daigh le sorrise.
« Bene » disse, con l’aria di chi non ne perde una. « Ora manca solo Brecc ».


Abigail fu la prima a scendere dalla luccicante limousine laccata di nero e sfilare lungo il corteo di paparazzi, seguita a ruota da suo padre Benjamin, che davanti alle telecamere non si staccava da lei un minuto. I flash arrivarono da ogni parte, e Abigail si sentì in dovere di assumere le pose più fashon per apparire sulle riviste più popolari del momento.
L’ultimo a scendere dall’auto fu Chris, che si mosse tranquillamente come se per lui tutta la gente attorno non esistesse. Ignorò le tredicenni ululanti che bramavano un suo autografo e oltrepassò i giornalisti indemoniati che si tiravano le macchine fotografiche in testa per realizzare lo “scatto esclusivo”.
Quando furono entrati tutti nell’hotel, Benjamin fu l’unico ad avvicinarsi al bancone per chiedere informazioni. Abigail estrasse uno specchietto dalla borsetta e iniziò subito a specchiarsi, terrorizzata che il brufolo che le era cresciuto sotto il mento non fosse minuziosamente coperto di fondotinta.
« Scherzi? » ironizzò Chris, mentre si attaccava al cellulare per chiamare la madre. « I giornalisti scovano tutte quelle imperfezioni ».
« Christopher, lascia stare tua sorella » ordinò il padre, mentre la ragazzina scappava urlando su per le scale, spaventando tutti i presenti. « Sembra di stare all’asilo » aggiunse poi, rivolto al portiere. « La giornata è già stata terribile abbastanza ».
L’uomo gli sorrise, porgendogli una tesserina. Benjamin l’afferrò, ricambiando il sorriso.
« Camera numero 1214, signor Braight. I vostri bagagli vi saranno recapitati tra pochi minuti ».
« La ringrazio ». Benjamin si voltò, sbirciando lungo gli scalini ricoperti da una sontuosa moquette rossa. « Vedrò di andare a recuperare mia figlia da qualche parte. Qual è il bagno più in vista salendo le scale? ».
« No, non ho detto che sono Sharon Jakobs, maledizione! » strepitò nel frattempo Chris al telefono. « O forse credete che abbia subito un intervento alle corde vocali?! Non me ne faccio nulla delle sue scuse! Voglio parlare con mia madre, santo cielo! Mi passi lo studio di Miranda Carlington, immediatamente! Ma quali chiamate estere? Ma di che diamine di prefisso sta parlando? Santo cielo! Sì, sì, proprio lei. Me ne frego se è in riunione in questo momento, voglio parlare con lei, sono suo figlio! Mi chiamo Chris Braight. Che cosa significa che lei è Batman, mi sta forse prendendo in giro? Prono? Pronto! Mi hanno riattaccato! ».
Il portiere guardò Benjamin comprensivo.
« Primo piano, seconda porta a destra; è il primo bagno che trova ».
Il regista fece un cenno con la testa e, sconsolato, si diresse verso le scale. Osservò il figlio infuriato pretendere di fare una chiamata dall’hotel, permettendo l’addebito sulla sua carta di credito.
Scosse la testa, salendo i gradini. Che famiglia strana, la sua.


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Chiedo venia xD. Lo so che avevo promesso di postare il più in fretta possibile, ma non ci sono riuscita. Del resto, come avete visto anche voi, questo capitolo non è dei migliori. Mi sono bloccata davvero molte volte.
Rngrazio, come sempre, coloro che mi hanno inserita tra le storie seguite, e invito Davilcat e_New_Moon_ a lasciarmi i loro pensieri su questa storia *_*.
Sarò sadica, ma a volte mi piacerebbe ricevere anche delle critiche xD laddove siano costruttive.
Kinderbuena89: ahaha mi dispiace ma non è arrivato così in fretta come speravi questo capitolo. Comunque, spero ti sia piaciuto anche questo, nonostante non sia un granché!

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Capitolo 5
*** Nuovi arrivati ***


nuovi arrivati
5. NUOVI ARRIVATI

Ben tornato, Wexford. Un altro nuovo giorno è iniziato, ma sembra che sia destinato ad essere meno noioso del solito. Niente di ordinario nel tempo: oggi ha ripreso ad essere nuvoloso e la povera, piccola Maiti non sembra apprezzare questo inconveniente: il 15 si avvicina. Come al solito, la Volkswagen di Sèanait ha già fatto il giro di Castelbridge e la squadra di Rugby si sta allenando nel cortile della scuola.
Qual è la novità di questoggi? Pare che il tanto ambito e popolare Daigh Morgan si sia reso conto della presenza della sconosciuta quindicenne, che però ha dei risentimenti verso il noioso Bairre Allen. Non è, magari, solo un pretesto per non comparire sulla lista nera di Sèanait? Presto scoprirà che il suo territorio è stato invaso e allora sarà allarme rosso.
Ma non ti preoccupare, povera e piccola Maiti: forse la tua storia non sarà destinata a diventare la solita routine che tutti conosciamo. Non hai ancora conosciuto Chris Braight.

Maiti inclinò irruente la moca del caffè verso la sua tazza, versandone buona parte sul ripiano della cucina. La sbatté furiosa sul fornello, asciugando con uno Scottex il lago che si era creato.
« Ti ho già detto che mi dispiace, mamma! » esclamò, furibonda. Andò a sedersi al tavolo, appoggiando con veemenza la scodella. « Non mi sembra il caso di farne una tragedia! ».
« Sei tu quella che ne sta facendo una tragedia! » rispose la madre, seccata. « Gli adolescenti non impareranno mai a comportarsi di dovere finché non avranno punizioni adeguate! ».
« Adeguate? Adeguate? Mamma, ti rendi conto di quello che mi stai facendo? ». La ragazza era davvero agitata. Se il giorno prima la stessa agitazione era stata di euforia, questa volta lo era di terrore. « Tu non hai idea delloccasione che mi sia capitata e ora me la stai rovinando! ».
« Suvvia, non essere così drastica. Almeno la prossima volta imparerai ad eseguire i tuoi compiti prima di concederti allo svago ». La madre era irremovibile.
« Già oggi sarà un giorno terribile, perché non ho finito il video per Sèanait. Se ora ti ci metti anche tu sarà proprio una catastrofe! E poi ho promesso a Bairre che sarei andata ». Si bloccò.
La madre staccò gli occhi dalla sua colazione, colta nel pieno delle sue facoltà di genitore e osservò la figlia con sguardo severo e stupito al contempo.
« Chi è questo Bairre? » domandò, comprensiva.
« Ehm, lui è Bairre Allen. Un compagno di scuola, sai. Gioca nella squadra di rugby ed è daccordo, solo un pretesto. Ma non puoi impedirmi di andare! Il signor OBowen confida in me! ». Avvicinò la tazza alla bocca, bevendo il caffè con tanta trepidazione da rovesciarne buona parte sui vestiti. « Fantastico! » strepitò. « Anche questo ci mancava! ». Finì di bere la sua bevanda e si alzò dalla sedia per dirigersi in camera, iniziando a spogliarsi ancora prima di salire le scale.
« Rimango della mia opinione » concluse la madre con tranquillità, per far capire alla figlia che largomento era chiuso. « Sabato non andrai da nessuna parte ».
« E io ci andrò comunque! » urlò la ragazza, precipitandosi per gli scalini. « Dovessi anche scappare di casa o rapire Tòmas! ».
Scuotendo la testa, la donna tornò a concentrarsi sulla sua colazione.
« Adolescenti » commentò.

« Stai scherzando? ».
Il coretto di Cristin e Moira arrivò alle orecchie di tutti gli studenti, che si voltarono verso le ragazze, curiosi.
« Suvvia! » esclamò Maiti, un po imbarazzata. « Vi ho solo detto che ieri Daigh Morgan mi ha invitata di uscire. Ma non lo dovete far sapere a mezza scuola! » aggiunse sottovoce, severa. « Non voglio che Sèanait o le sue amiche stupide lo sappiano ».
« Sappiano cosa? ». Una voce fastidiosa giunse dallorda barbarica di alunni che affollavano il cortile.
Maiti si voltò, sprezzante.
« Ina » commentò, osservando la ragazza bionda tinta che le stava di fronte.
« Che cè? » chiese Cristin, ironica. « Sèanait ti ha lasciata a piedi? »
« Ah! » fu la risposta della ragazza. « Come se dovessi stare solo ed esclusivamente con lei, proprio come fate voi tre oche ».
« Chiudi il becco Ina » la interruppe Moira. « Sèanait, Mona e Mairsil sono alla riunione rappresentanti, alla quale tu non sei ammessa, visto che non sei una rappresentante. Non compiere inutili tentativi di farci credere che se fossero libere stamattina tu non saresti con loro. Lo sappiamo tutti che non hai altri amici ».
« Senti che faccia tosta » disse la ragazza, scocciata.
« E quando avrai le prove che noi siamo sempre assieme, come tre oche, puoi tornare a dircelo » continuò Maiti. « Ma la vedo dura: tanto per cominciare, la mattina ci rechiamo a scuola con mezzi diversi. Al contrario di qualcun altro ».
Ina sbuffò, stizzita.
« Questo non vuol dire che non abbia altri amici » ribatté, incapace di arrampicarsi sugli specchi.
« Hai appena ammesso di non separarti mai da loro tre » disse Cristin, con sarcasmo.
« Ma sentile! » replicò Ina. Girò sui suoi tacchi e se ne andò, non essendo capace di ribattere a tono.
« Ma dimmi un po chi si crede di essere » criticò Maiti. Laria fredda le sferzò il viso, facendola rabbrividire. Come suo solito, si strinse nella giacca. « Forza, entriamo » suggerì. « Fa freddo qua fuori ».
« Ehy, guardate un po » disse però Moira, meravigliata. Indicava un punto davanti a sé, con unespressione incredula stampata sul volto.
Le due amiche seguirono la traiettoria da lei indicata e, con altrettanta incredulità, si trovarono a fissare una lunga e luccicante limousine nera ferma davanti al cancello della scuola.
« Wow » commentò sarcastica Cristin. « A Sèanait forse serviva una macchina più capiente in grado di contenere nuovi amici? ».
« Non ci posso credere » disse Maiti, esagitata. « Quelli devono sicuramente essere Chris e Abigail Braight! ».
« Stai scherzando? » le domandò Moira, trasecolata. « Vuoi dire lattrice e quello scorbutico di suo fratello? ».
« Ma cosa me ne importa di loro! » ribatté la ragazza. « Loro sono i figli di Benjamin Braight! Il regista! Ve ne rendete conto? ».
A quel punto tutti i ragazzi che erano fuori in giardino si erano accorti della lussuosissima macchina, che si era fermata proprio davanti alla loro scuola, e ora Abigail ne stava scendendo, mostrando tutta la sua impudenza, come se si trovasse di fronte alle telecamere. Sfilò attraverso il cortile, lanciando a tutti i presenti sguardi del tipo “tu per me sei un insetto insignificante”.
Chris, invece, li ignorò. Passò in mezzo a loro come se non esistessero, come se non si fosse nemmeno reso conto della loro presenza. Continuò a fissare di fronte a sé trapassando ogni essere vivente con lo sguardo di chi crede di essere l’unico al mondo. Nel frattempo parlava al cellulare.
« Ma tu guarda che sciacquetta » giudicò Maiti con disprezzo, mentre Abigail le passava accanto, sculettando. La stava seguendo con lo sguardo, quando Cristin le tirò una gomitata. La ragazza si girò, sussultando; era sicura che da qualche parte stesse arrivando Daigh Morgan, spiegazione più che plausibile vista la reazione dellamica; ma si rese conto troppo tardi di avere fatto invece una pessima figura: Chris Braight le stava passando accanto proprio in quel momento e, se riusciva a fare finta che non esistesse nessuno, non poteva ignorare tutte le voci che gli arrivavano alle orecchie, soprattutto se erano insulti diretti a sua sorella.
Per un momento rimase stupito a guardare Maiti, come se fosse stato alieno che esistesse almeno un essere umano che non apprezzava una famosa attrice come Abigail. Poi però distolse lo sguardo e tornò al telefono, dimentico di quella quindicenne sciocca che giudicava a prima vista.
« Sì, mamma, ci sono ancora. Wexford è ripugnate: fredda, umida e soprattutto ventosa… ».
Maiti scosse la testa, imbarazzata.
« Coraggio » disse, prima che le amiche commentassero laccaduto. « Entriamo. Inizia a piovere ».

« Hai già fatto colazione » affermò Abigail, aspra.
Suo fratello era fermo davanti alle macchinette, schiacciando più volte il bottone per diminuire lo zucchero nella bevanda. Senza nemmeno voltarsi verso la sorella, rispose, serio:
« Questo non è un buon motivo per non prendermi un caffè. Credi che questo aggeggio dia il resto? ».
Il macchinario iniziò ad emettere rumori strani, finché il bicchierino non fu sceso e il liquido bollente versato al suo interno.
Abigail sbuffò.
« Hai paura di addormentarti durante le lezioni? » commentò, acida.
Quando il bicchiere fu pieno, Chris lo estrasse; si voltò verso la sorella, placido.
« No » rispose, tranquillo. « Non ho paura di ingrassare ».
Si allontanò, diretto verso le scale. Gli era già stato indicato il piano sul quale si trovava la sua aula ed era più che risoluto a raggiungerla prima che suonasse la campanella. Dopo pochi secondi, Abigail lo raggiunse.
« Hai già notato qualcuno di interessante? » gli domandò, curiosa. Nonostante tutto, aveva paura di non trovare amici e restare sola. Ma era quel che le capitava ogni volta, visto il suo caratteraccio.
« No » rispose Chris, secco. Non aggiunse altro.
« Bé, sono sicura che attaccherai bottone velocemente ». Aspettò che il fratello le desse una risposa, ma quando vide che non era in procinto di aprire bocca, aggiunse: « Nessuno mi ha ancora avvicinata, per il momento. Certo, sono qui solo da pochi minuti, ma pensavo che essendo così famosa ».
« Qui non pensano bene di te » la informò il ragazzo, fermandosi accanto ad un termosifone ancora libero. Avrebbe aspettato linizio delle lezioni per entrare in classe.
La sorella lo guardò, scioccata.
« Non troppo schietto, mi raccomando » farfugliò, appoggiandosi accanto a lui.
« Hai ragione, la prossima volta affermerò che tutti ti amano » ribatté il ragazzo, ironico.
« Sempre troppo comprensivo, Chris ».
Fra i due cadde un silenzio al quale Abigail non era abituata. Con Chris era così: era un ragazzo taciturno, lesatto contrario di lei e suo padre. Sperava di recuperarlo durante il suo soggiorno a Wexford, ma le prospettive andavano declinando. A quanto pare, anche suo padre ci aveva rinunciato. In un certo senso, Chris non lo aveva mai perdonato per averlo staccato alla madre e averlo portato in Irlanda, un posto così ripugnante.
Sospirò. Se lo voleva conquistare, doveva fare il suo gioco.
« Che cosa dicono di me? ».
« Che sei una sciacquetta ».
« Cosa? ».
Ogni buon proposito per restare calma e non farsi condizionare dalle voci che circolavano su di lei si infranse.
« Ma non possono darmi della sciacquetta! » strepitò. « Io sono Abigail Braight! ».
« Vedi » disse Chris, sorseggiando il liquido bollente. « È proprio per questo che non parlano bene di te ».


« Mai dai, tua mamma ti ha messo in punizione? » spettegolò ironico Mairtin, prendendo in giro la sua migliore amica. « Stento a dirlo, ma la cosa mi è familiare ».
« Smettila di prendermi in giro, Mairtin » sibilò la ragazza, assestandogli un buffetto non troppo affettuoso sulla spalla.
Il ragazzo ridacchiò, fermandosi di fronte alla sua aula, in mezzo alla torma selvaggia che imperversava i corridoi.
« Per farla breve, ti ha punita solo perché sei tornata a casa un po’ tardi? » continuò Mairtin, divertito. « Dai, poteva essere comprensiva: insomma, sei uscita con Daigh Morgan! ».
« Ti ho detto di smetterla di prendermi in giro! » ribatté la ragazza, spingendolo indietro. « E secondo te chi andava dire ad una strega indemoniata che ero uscita con “Daigh Morgan”? È bastato farle il nome di Bairre, stamattina, che subito si è allarmata. Ti dico, pensava che uscissi con lui! ».
Mairtin scoppiò a ridere.
« Non è così grave » la consolò. « Ma allora per quale motivo si è arrabbiata così tanto? Non dirmi che è stato solo perché sei rientrata per l’ora di cena ».
Maiti sospirò e si appoggiò alla colonna che era accanto al termosifone.
« No » disse. « È solo che mi sono dimenticata di andare a prendere Tòmas a scuola e a lei non è andata giù la faccenda ».
Mairtin strabuzzò gli occhi.
« Cosa hai fatto? » esclamò, sconcertato.
« L’hai detto te, Mairtin: mia mamma avrebbe potuto essere più comprensiva, visto che ero fuori con Daigh Morgan ».
« Ma Maiti » disse l’amico, incredulo. « Hai dimenticato tuo fratello a scuola! ».
« E allora? » ribatté lei. « Ha tredici anni; avrebbe potuto benissimo venire a casa da solo, visto che se fossi andata a prenderlo io saremmo comunque tornati a casa a piedi ».
« Tua madre ti ha chiesto un favore » confutò il ragazzo. « Oh, certo: tu eri troppo occupata ad uscire con Daigh Morgan per ricordartelo ».
« Mairtin, per favore, non ti ci mettere anche tu! » si lamentò Maiti, scocciata. « E ti do un consiglio: non parlare mai più di quella storia se non vuoi finire con un occhio nero ».
Mairtin era piuttosto stupito: perché aveva cambiato tono in modo così repentino?
« Ma che ti prende? » le disse, interdetto.
L’amica gli lanciò un’occhiataccia, che lui non comprese al volo; ma quando una voce glaciale risuonò alle sue spalle tutto gli fu più chiaro.
« Voglio avere il video, subito ».
Sèanait comparve, più risoluta che mai.
« Il video? ». La voce di Maiti, invece, si fece piccola e tremante. « Oh certo, il video! »
Sèanait la guardò con occhi furenti. Mairtin tentò di alleggerire la situazione.
« Ciao Sèanait » disse, raggiante.
« Ciao Mairtin » rispose lei, senza nemmeno guardarlo. « Maiti, dov’è il video? ».
« È… a casa ».
« Maiti, spero tu stia scherzando » l’avvisò con voce minacciosa la ragazza. « O che tu l’abbia dimenticato a casa finito. Perché se non è così, non immagini nemmeno la punizione in cui incorrerai! ».
Maiti deglutì.
Era consapevole che la sua vita stava per finire in quel momento, ma sperava ancora in una via d’uscita. Tentò di trovare giustificazioni, ma la compagna la incenerì con uno sguardo.
« Temo ci sia una spiegazione più che plausibile » proruppe Mairtin. Ignorò l’avvertimento intimidatorio che l’amica gli mandò e sorrise al volto scettico dell’altra. « Vedi, ieri Maiti è uscita con un ra… ».
« Chiudi il becco! » strepitò quest’ultima.
Ma Sèanait si voltò verso di lei, arcigna.
« Un ragazzo? » ripeté. « Hai abdicato il tuo dovere solo per uscire con un ragazzo? Ma questo proprio un insulto per chi crede di poter diventare regista un giorno! ».
« Il fatto è che Mairtin si sbaglia, non sono uscita con un ragazzo… ».
« Ha ragione » si scusò il ragazzo. « In effetti erano cinque ».
Entrambe le compagne sgranarono gli occhi, esterrefatte.
« Oddio » mormorò Sèanait.
« Non fraintendere! » esclamò Maiti, in preda al panico. « Ti posso spiegare ».
« Non ce n’è bisogno » si affrettò a dichiarare la bionda. « Non fa niente. Ah, e il video me lo puoi portare pure domani ».
Detto questo, si voltò e se ne andò velocemente. Scomparve tra la massa di gente. Maiti la guardò finché non fu totalmente sparita.
« Sei un cretino » biascicò, con gli occhi persi nel vuoto. Non si prese nemmeno la briga di guardare in faccia il suo migliore amico.
« Bé, almeno ti ho tolto dai guai, no? ».
L’occhiataccia che l’amica gli lanciò era eloquente: stai zitto.
« Credo di dovermi ritirare, a questo punto » farfugliò Mairtin. Non si sprecò di fornire altre scuse, consapevole dell’enorme equivoco che aveva causato. Con un cenno della testa la salutò ed entrò in classe.
« Fantastico » borbottò la ragazza, voltandosi di scatto. Fu un’azione così repentina che andò a sbattere contro ad uno studente. Sentì improvvisamente qualcosa di caldo ricoprirla: abbassò gli occhi e con orrore notò una chiazza di caffè espandersi sulla sua maglietta. « Oh no! » esclamò, agitata. « Non ancora caffè! Ne ho abbastanza ».
« Accidenti » proruppe il ragazzo, con in mano il bicchierino ormai mezzo vuoto. Si affrettò ad estrarre un fazzoletto e a porgerglielo. « Che pasticcio » commentò. « Mi dispiace per la tua maglietta, ma è stata colpa tua; mi sei venuta addosso tu ».
Maiti alzò la testa per fissare quel ragazzo così impertinente, che si permetteva di criticarla quando a rimetterci era stata lei, e i suoi occhi si trovarono a fissare quelli che, poco prima, si erano posati su di lei, stupiti e contrariati: si trovava davanti a Chris Braight.
Anche lui parve riconoscerla, ma non vi fece caso. Allora lei riprese a strofinare la macchia con il fazzoletto, che ormai si era infradiciato.
« Potresti almeno chiedermi scusa » brontolò.
« Chiederti scusa? » ripeté l’altro, sarcastico. « Se non te ne fossi accorta, e sicuramente è così, io sono sempre stato fermo qui, anche quando te e i tuoi amici parlavate delle tue conquiste ».
Maiti squadrò il ragazzo, ostile. Aveva tutta l’aria di voler dire “non sono affari tuoi”. Evidentemente Chris se ne accorse, perché per un momento sembrò scusarsi con gli occhi.
« Non perdere tempo con le bisbetiche come lei, Chris » affermò un ragazza bionda, accostandolo. Maiti la riconobbe: era Abigail Braight. « Le sta bene quel che le è successo ».
« Ma come ti permetti? » disse con enfasi la ragazza.
« Non fa niente » intervenne Chris. « Smettetela entrambe. Non ti immischiare, Abigail, non ce n’è bisogno. E quanto a te, mi devi un caffè ».
« Cosa? Ma se si è rovesciato addosso a me! Non ti ho rotto un vaso di porcellana! ».
« Quel che è giusto è giusto » affermò il ragazzo.
Imbestialita, Maiti si voltò e si allontanò, borbottando qualcosa come: « Se vuoi ti restituisco anche il fazzolettino. Tirchio! ».


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A voi il nuovo capitolo ^^. Ringrazio di cuore ale_9038 e damy per avere aggiunto la storia ai preferiti e grow tra le seguite.
ale_9038: una nuova lettrice =D. Mi fa davvero piacere il tuo apprezzamento ^^ grazie per i complimenti.
Kinderbuena89: tu mi vizi XD. Esageri sempre XDXD, però sono davvero contenta che ti piaccia la storia. :D

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Capitolo 6
*** Compagne di classe ***


6. COMPAGNE DI CLASSE

Maiti si allontanò da Chris a passi svelti e pesanti. Continuava a strofinare la macchia di caffè con il fazzolettino che prima lui le aveva offerto per sistemare un po’ quel pasticcio.
Quando quella mattina la ragazza si era svegliata, aveva subito capito che la giornata non si prospettava bene: le era bastato dare un’occhiata al cielo coperto per capirlo.
Le sue previsioni, infatti, si erano rivelate proprio azzeccate; tanto per cominciare, la mamma le aveva proibito di andare alla partita di rugby sabato sera, poco importava se le era stato affidato un incarico molto importante. Poi si era macchiata il suo maglione preferito con un’abbondante tazza di caffelatte e successivamente anche alla sua maglia verde era toccata la stessa sorte. Non aveva concluso il video per il Wexford Festival Opera che si sarebbe tenuto di lì a dodici giorni e infine, ciliegina sulla torta, stava per andare a dire al signor O’Bowen che non avrebbe potuto filmare la partita.
Fuori la pioggia aveva iniziato a scendere a catinelle, così per raggiungere gli spogliatoi passò per i corridoi della palestra. Con un po’ di fortuna il professore sarebbe stato ancora lì; con molta fortuna, invece, nessuno l’avrebbe beccata. Era proibito passare di lì da soli senza l’autorizzazione di un insegnante.
Fortunatamente l’allenatore si trovava all’interno dello spogliatoio maschile, assieme ad alcuni dei giocatori. La porta era aperta, così a Maiti bastò annunciare la sua visita senza problema. Riguardo alla sua presenza senza permesso, il signor O’Bowen avrebbe chiuso un occhio.
« Buongiorno, signor O’Bowen » proclamò.
Interrotti dalla sua voce, tutti i presenti si voltarono verso di lei. Maiti cercò con gli occhi Daigh Morgan e, con sua somma gioia, lo trovò. Ovviamente affiancato da Bairre Allen. Come al solito.
« Buongiorno a te, Maiti » rispose luomo, cordiale. « Cosa ti è successo? »
Imbarazzata, la ragazza abbassò la testa e si guardò la macchia marrone che ancora non aveva finito di espandersi sulla maglia.
« Oh, un piccolo incidente con il caffè di un altro ragazzo » rispose, arrossendo. Tentò di sorridere per distogliere la curiosità degli studenti che la stavano fissando. E i suoi occhi incrociarono quelli di Daigh Morgan, che le sorrise.
« Capisco » rispose il signor OBowen. « Allora, suppongo tu sia qui per lattrezzatura della scuola »
« In realtà » lo interruppe la ragazza, « la stavo cercando per darle una notizia. E non so quanto potrebbe piacerle ».
« Oh, a proposito: anche io avrei una notizia per te ».
« Signor OBowen » tentò di spiegargli Maiti, che non amava illudere la gente.
« La partita è stata spostata nel primo pomeriggio ».
« Come? » domandò sorpresa e perplessa la ragazza.
«» confermò lallenatore. « Per sabato sera è stato previsto il diluvio universale e ho preferito anticipare la partita ».
« Oh ». Maiti non sapeva cosa dire. Una possibilità le si era presentata davanti e ne avrebbe sicuramente approfittato.
« Per te è un problema? Voglio dire, hai altri impegni? ».
« No! » si affrettò ad esclamare. « No, assolutamente ».
« Ma non hai lincontro per il giornalino, quel giorno? ».
Maiti lanciò uno sguardo assassino a Brecc Stoker, che rimangiò subito quelle parole.
« Te lha detto Cristin? » gli domandò, austera.
« No, me lha detto Daigh ».
La ragazza guardò con curiosità il giovane chiamato in causa, che, stringendosi nelle spalle, si scusò con un: « A me lha detto Bairre ».
Lo sguardo di Maiti vagò per lennesima volta, fino a posarsi sul volto paonazzo di Bairre Allen, che dopo un momento rispose:
« Sì, è vero ». Chinò il capo in segno di scuse.
Maiti fu sul punto di ribattere, ma si bloccò con un sospiro. In fondo si sarebbe dovuta aspettare che il ragazzo fosse informato su dei lei, dal momento che le moriva dietro.
« In ogni caso, la riunione è stata spostata » mentì. « Non si preoccupi, signor O’Bowen, sabato pomeriggio ci sarò! ».
« Perfetto! » esclamò l’uomo. « A proposito, volevi dirmi qualcosa? ».
« No » si affrettò a rispondere la ragazza. « Niente. E riguardo all’attrezzatura? ».
« Purtroppo la preside mi ha vietato di farla uscire dall’edificio scolastico, quindi sarai obbligata a venirla a prendere sabato stesso ».
« Bene, non è un problema. Arrivederci, signor O’Bowen ». Si accinse a voltarsi ed andarsene, ma il professore la fermò.
« Perché non prendi una delle magliette della tuta delle cheer-leader? È da ginnastica, ma è comoda e pulita. Morgan ti accompagnerà ».
Maiti avvampò. Fissò per un momento Daigh, che ricambiava lo sguardo, sorridente.
« Ti dispiace, Morgan? » lo invitò l’allenatore, allontanandosi.
« Affatto » rispose il ragazzo. Guardò l’uomo uscire dalla porta e quando si fu allontanato aggiunse, ghignando: « Vieni anche tu, Allen? ».
Bairre lo fissò, sconvolto. Balbettò qualcosa senza senso, ma non riuscì a trovare una buttata sferzante da rimandare all’amico.
« Non ho bisogno di una squadra per trovare una maglietta » intervenne Maiti. Intimò a Daigh di farle strada.
Lo seguì fuori dalla porta, lungo il corridoio ed infine nello spogliatoio delle ragazze. Non era mai stata lì: le cheer-leader avevano una stanza apposita, che non aveva niente a che vedere con gli angusti camerini dove si cambiavano prima dell’ora di educazione fisica.
Le panche non erano sgangherate e mezze rotte e aleggiava un ottimo profumo. Vi erano anche un paio di armadietti di latta, evidentemente contenenti le divise delle ragazze. Maiti aveva il terrore di dover indossare una di quelle, ma con suo sollievo Daigh estrasse dallo scaffale la maglia di una tuta. Aveva le maniche rosse e il corpo bianco, diviso in due da una zip.
« Tieni » le disse il ragazzo, porgendole la felpa. « Spero ti vada bene ».
« Mi auguro che non ci sia scritto il nome » commentò lei, balbuziente. « Sai, Ina e Mairsil sono due cheer-leader e io sono in classe con loro; non vorrei avere problemi ».
Daigh ridacchiò. « Ma figurati. Puoi dire che sono stato io a dartela. Ormai… ci conosciamo, no? ».
La ragazza chinò il volto, visibilmente imbarazzata.
Il giorno prima era stato davvero disagevole: era l’unica femmina in mezzo a cinque maschi. Uilliam McWilson l’aveva completamente ignorata, non gli era andato giù il fatto che Daigh l’avesse invitata, e nemmeno Bran O’Friel le aveva dato confidenza. Per fortuna conosceva bene Brecc, che l’aveva sostenuta tutto il tempo, cercando di unirla alla conversazione, quando poteva. Poi c’erano Daigh e Bairre: uno l’isolava completamente dalla chiacchierata perché il discorso concernesse solo loro due, l’altro tentava di avviare un dialogo sensato prima che arrivasse il primo ad attirare nuovamente la sua attenzione. In poche parole, si poteva giudicare l’uscita del giorno prima come un appuntamento imprevisto tra Maiti e Daigh Morgan.
« In ogni caso » disse il ragazzo per sciogliere la situazione di remora che si era creata, « quella è la taglia più grande che abbiamo; per un motivo a me ancora sconosciuto, tutte le ragazze pon-pon sono pelle e ossa, e forse non hanno nemmeno quelle. Ma non mi sembra che tu abbia problemi con la taglia ».
« L’importante è non avere una maglia sporca di caffè » rispose Maiti, sfilandosela e rimanendo a mezze maniche. Alzò lo sguardo e contemplò per qualche secondo l’espressione perfetta di Daigh. Gli sorrise, contenta, e per la prima volta riuscì a farlo senza disagio.
, si disse. Ci conosciamo.


Il professore si sedette alla cattedra e intimò agli studenti vaganti di prendere posto ai loro banchi.
Maiti si accostò velocemente a Cristin, prima che si sedette accanto al suo compagno. Le tirò una gomitata furtiva.
« Ho bisogno del tuo appoggio per saltare la riunione del giornalino di sabato pomeriggio » le disse, supplichevole.
« Stai scherzando » affermò l’amica, seria. « È la tua prima e unica occasione. Sèanait è la direttrice e se salterai la riunione non avrai altre possibilità ».
« Il giornalino non ha bisogno delle mie illustrazioni tanto quanto io ho bisogno dell’incarico del signor O’Bowen! ».
« Ma se sei in punizione! » esclamò l’amica, irritata.
« Credo che il Cielo abbia ascoltato le mie preghiere di supplica: la partita è stata spostata al pomeriggio per cause di forza maggiore ».
« O’Bowen allora potrà parlare con il docente che si occupa del giornalino e… ».
« No! » strepitò Maiti, agitata. « Questo starebbe a significare che ho un problema, e io ho detto che non ne ho. Ma quello stupido di Allen è andato a dire che avevo la riunione; ormai non posso più rinunciare. Ti prego! ».
« Ne riparliamo dopo, Maiti » disse Cristin, sedendosi. « La lezione sta cominciando ».
Anche la ragazza si sedette al suo posto, accanto al suo vicino di banco. Sospirò e lanciò un’occhiata circolare alla stanza finché la sua attenzione non cadde con stupore e disgusto su una figura che non avrebbe mai dovuto essere in quell’aula: Abigail.
Anche quest’ultima parve accorgersi della presenza indesiderata: per un momento si squadrarono, arcigne. Nessuna delle due dava l’impressione di volere gettare acqua sull’accaduto di pochi minuti prima. Né tanto meno avrebbero distolto lo sguardo: sarebbe stato uno sciocco gesto, che indicava che la bandiera bianca era stata issata.
Fu il professore a interrompere la scarica elettrica che sprigionava dalle due, interpellando la nuova arrivata.
« Ah, signorina Braight » disse, entusiasta. « Mi avevano avvisato che oggi sarebbe arrivata ».
« Infatti mi chiedo come avrebbero potuto non avere avvisato qualcuno » ribatté lei, sostenuta. Aveva tutta l’aria di voler dire che dalla frase pronunciata dal professore la sua presenza lì non fosse del tutto scontata .
Tutti si voltarono a guardarla, stupiti e contrariati.
« Vieni Braight » ingiunse il professore. « Mi piacerebbe che ti presentassi ai tuoi nuovi compagni. Naturalmente chiameremo a raccolta anche le rappresentanti di classe, che saranno incaricate di agevolarti il più possibile, mostrandoti il programma svolto fino ad adesso e cercando di includerti, dove possibile, nelle attività che prediligi ».
Maiti guardò Cristin tentare di nascondersi dallo sguardo del professore, che la invitava a recarsi accanto ad Abigail.
A Cristin era toccata la sfortuna di essere stata eletta rappresentante accanto a Mona, che ora si stava già alzando, raggiante, per raggiungere Abigail. Si sentiva onorata di poter “servire” una tale “icona”.
Alla fine, riluttante, si alzò anche l’altra ragazza ed assieme raggiunsero la nuova compagna.
« Ciao, tu sei Abigail, vero? » esclamò euforica Mona. Pensava che amicarsi quelle come lei l’avrebbe elevata al successo, ma, con suo enorme disappunto, la ragazza la guardò come se le avesse fatto la domanda più sciocca del mondo e poi attese altri commenti più sensati.
« Ti faremo recapitare a breve il programma di ogni singola materia » intervenne Cristin, professionale. « E il calendario delle interrogazioni future. Ti farò avere anche il materiale su cui abbiamo lavorato fino ad adesso e ti mostrerò tutte le circolari che illustrano le iniziative proposte dalla scuola ».
Mona la squadrò in cagnesco. Era stizzita per non essere riuscita a parlare in quel modo ad Abigail.
« Hai altre domande da fare? » le domandò allora, cercando di adottare lo stesso tono cattedratico che aveva utilizzato prima la sua compagna.
«» affermò la nuova ragazza. « Voi due siete le rappresentanti definitive? ».
Le due compagne rimasero interdette, senza sapere cosa rispondere.
« Bé, sì » disse Cristin. « Però c’è ancora tempo per candidarsi membro del comitato studentesco, se ti interessa la politica scolastica ».
« Io mi candiderò presidente » dichiarò Abigail.
« Bene, sono contento delle tue ambizioni scolastiche » convenne il professore. « Sono sicuro che sarai una studentessa modello ».
« Lo faccio solo per rendere la scuola più accessibile a mio fratello, non creda ».
« Ma le decisioni sono prese di comunque accordo assieme agli altri membri » si azzardò a contraddirla Cristin.
« Non fa niente » tagliò corto lei.
« Hai già conosciuto qualcuno? » intervenne il professore.
« Sì, certo » rispose Abigail. « Quella ragazza laggiù ».
Con suo sommo orrore, Maiti constatò che stava indicando proprio lei. La pelle le si accapponò e un brivido le corse lungo la schiena. Abigail aveva appena affermato di conoscerla.
« Allora ti affiancherò a lei per un concorso di disegno che la scuola ha indetto. Sai disegnare? ».
« Ma professore » intervenne Maiti, disperata. « Sono già in coppia e io e il mio compagno abbiamo già pianificato tutto. Non può dividerci proprio adesso ».
« Vorrà dire che sarete in tre » decise.
« Ma… ».
« Niente ma. Cosa ne pensi, Braight? ».
« Oh, sarà perfetto » esclamò. « Mi piace colorare ».


« Colorare ».
« Consolati, ci sono cose peggiori ».
Maiti lasciò andare la testa contro il muro e aspettò che Mairtin le esponesse i suoi problemi. La rabbia per la figuraccia che le aveva fatto fare le era già passata. Aveva cose peggiori a cui pensare. Come ad esempio i suoi perfetti fumetti in bianco e nero che Abigail si era riproposta di colorare. Magari a pennarello.
« Non ti disperare se Abigail è un’allocca. Meglio un’insopportabile stupida che un insoffribile serio. Credimi ».
« Cosa vuoi dire, Mairtin? » domandò la ragazza, sconsolata.
« Indovina ».
Maiti lo ignorò. Non gli interessavano i suoi sproloqui in quel momento; aveva diverse cose a cui badare: identificare Bairre e fare in modo che non si avvicinasse. Individuare Daigh e far sì che nemmeno lui si avvicinasse. Focalizzare Sèanait e non farla insospettire del suo comportamento. Non voleva essere la prossima vittima.
Poi, mentre vagava con la mente attraverso i suoi propositi, ricordò lo scontro con il caffè avvenuto tre ore prima davanti alla classe di Mairtin e associò il tutto alla sua affermazione. Allora sgranò gli occhi e fissò a bocca spalancata il suo migliore amico.
« Sei in classe con Chris Braight? » chiese, strepitando.
« Se era un: “wow, sei in classe con Chris Braight?”, no ».
« No, era più che altro un “per carità del cielo” ».
« Allora sì ». Si interruppe, ridendo. « Mi dispiace di essermi perso la tua scena col caffè ».
« Fidati, non ti sarebbe piaciuto assistere » lo ammonì la ragazza, scocciata. « Fra me, Chris e Abigail tu saresti stata la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso ».
« Perché? » domandò imbronciato Mairtin.
Maiti rise. Lo guardò intensamente negli occhi e si staccò dal muro, tirandogli un buffetto. Voleva davvero troppo bene a quel ragazzo.
« Perché ti conosco, Mairtin » rispose, stiracchiandosi.
L’amico stava per ribattere quando dalla classe uscì Sèanait, infervorata. Dimenticò le parole che stava per pronunciare e tentò di salutarla, ma lei lo stroncò sul nascere, rispondendo ancora prima che parlasse.
« Ciao Mairtin » disse brusca. « Sì, sono molto arrabbiata » aggiunse poi, quando intuì che Maiti stava per fare un commento. « Quindi non me lo chiedere ».
« Wow, cos’è successo? » chiese piatta l’altra ragazza, poco interessata.
« Se non ti importa saperlo non me lo domandare » chiosò Sèanait, scorbutica.
« Che cosa sei venuta qui a fare? » l’apostrofò Maiti, arrecandosi un’occhiataccia da Mairtin.
« Visto che ho delle amiche troppo inette per rimproverare chicchessia, devo essere io a chiederti per quale motivo indossi una tuta delle ragazze, nonostante io non sia una di loro! ».
Maiti era perplessa. Per quanto non apprezzasse Sèanait, non l’aveva mai vista così aggressiva nei confronti delle sue amiche.
« Perché ce l’hai così tanto con Ina e Mairsil? » si arrischiò a domandare.
« Tu pensa a rispondermi! ».
Maiti era così confusa dall’insolito atteggiamento della compagna di classe, che non si rese nemmeno conto della risposta che le diede.
« Me l’ha data Daigh ».
Per un momento calò il silenzio. Sèanait fissò Maiti negli occhi, troppo spiazzata dalla sua risposta per dire qualche cosa.
Ci pensò Mairtin a dare spiegazioni.
« Stamattina Maiti ha avuto un incidente con il caffè e il signor O’Bowen, dopo averla vista, ha suggerito a Morgan di darle una maglia pulita ».
« È così? » indagò Sèanait, poco convinta.
«» ribadì Mairtin. « Tanto ormai loro due si co… Oggi è proprio una brutta giornata, ma una bella cioccolata può tirare su l’umore. Vieni, te ne offro una, ti va? ».
La ragazza sospirò e poi acconsentì. Si allontanò assieme al giovane, che guardò Maiti con aria truce, promettendole lo stesso calcio negli stinchi che lei gli aveva rifilato.
L’amica gli sorrise. L’aveva bloccato in tempo prima che rivelasse a Sèanait che aveva conosciuto Daigh il giorno prima. Ogni volta che cercava di aiutarla finiva sempre con il metterla nei casini il doppio.

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Questo è sicuramente il ritardo più mastodontico che si ricordi nella storia del mio account (non è vero, una volta ho impiegato tipo otto mesi per postare l'ultimo capitolo di una storia XD). Mi scuso, ora non ho più nemmeno la scusa dei compiti a mio favore.
Per riscattarmi, posterò il settimo il più presto che posso.
Ringrazio:
kinderbuena89: un grazie speciale a te che mi sei sempre d'aiuto per qualsiasi evenienza <3. Grazie, grazie grazie!
ale_9030: per persistere nel leggere questa storia. Un complimento non è mai scontato *.*
DarkViolet92: per avere aggiunto la storia ai preferiti e per avere recensito^^.

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Capitolo 7
*** Sabato ***


7. SABATO

È risaputo che per almeno il sessanta percento degli studenti il lunedì è il giorno più pesante della settimana e il sabato, invece, il più atteso.
Per Chris Braight non era così. Quando il sabato sopraggiungeva un senso di pressione si impossessava di lui e non vedeva l’ora che arrivasse il lunedì.
A Wexford era notoria la maniacale passione di Chris per la scuola, ma non era di certo per quello che non amava il week-end. Ciò che temeva era suo padre.
Ora sedeva a tavola, composto. Sua sorella era di fronte a lui che stava gustando il dessert a piccoli bocconi, lamentando che era troppo buono e che avrebbe rischiato di mangiarlo tutto.
Chris, invece, era fermo ancora alla minestra e la stava assaggiando a fatica. Guardava con invidia i commensali che stavano già finendo di mangiare assieme e maledì suo padre per non essere ancora arrivato. Per un po’ era riuscito a trattenersi, ma quando aveva visto che il secondo era già stato servito a tutti quanti aveva capito che il suo desiderio iniziava a trasformarsi in illusione.
« Avanti, Chris, non rovinarti il pranzo in questo modo » cantilenò Abigail, assaggiando un ultima briciola del suo dolce lasciato a metà. « Stai solamente facendo la figura del capriccioso ».
« E tu stai facendo la figura della complessata con il cibo » ribatté secco il fratello, senza battere ciglio.
La ragazza sbuffò, irritata. Incrociò le posate in mezzo al piatto e si alzò, sistemandosi il vestito.
« Bé, tu fai come ti pare » disse, prendendo la sua borsetta e assestandosela sulla spalla, come se si stesse preparando per uscire. « Io torno in camera ».
Chris posò il cucchiaio con classe e incrociò le braccia con accurata eleganza.
« Te ne vai? » rincarò, stupito e contrariato. « Che gesto scortese. Dovremmo aspettare papà e alzarci assieme a lui ».
« Smettila, Chris » ribatté sua sorella. « Lo sai bene che tutto ciò è solo falsità ».
« Lo dici proprio tu » si arrabbiò il ragazzo, « che pensi all’immagine più di ogni altra cosa ».
« Io penso alla mia immagine. Non a quella della mia famiglia ».
Detto questo alzò i tacchi e se ne andò. Era irritante il fatto di riuscire ad avanzare una conversazione con suo fratello solo quando discutevano.
Chris la guardò con astio mentre si allontanava. Come poteva difendere il padre nonostante tutto?
« Famiglia » borbottò tra sé. « Ma se non ne conosci nemmeno il significato ».
Scocciato allontanò il piatto e chiamò il cameriere. Questi lo raggiunse, mostrandogli un sorriso caldo, che il ragazzo ricambiò.
« Desidera che le porti via il piatto, signore? » domandò.
Chris annuì e mentre l’uomo caricava la sua minestra e il dolce di Abigail sul carrello chiese:
« Mio padre non ha fatto sapere niente? ».
« Il signor Braight ha avvisato il primo giorno che per via del suo lavoro avrebbe potuto ritardare sia a pranzo che a cena quasi ogni giorno, quindi ci siamo messi a sua disposizione per tenere la sala aperta fino al suo arrivo. Guardi, ora sta arrivando ».
Chris alzò gli occhi fino a raggiungere il punto indicato dal cameriere. Suo padre era appena entrato nella sala da pranzo, riponendo il cellulare nella tasca e raggiungendolo.
Il servitore gli domandò se doveva portargli il primo e lui rispose che gli fosse servito direttamente il secondo.
Quando si fu allontanato, il figlio lo guardò con espressione ponderata.
« Avvisi l’hotel che puoi essere in ritardo ogni giorno e non pensi di avvertire i tuoi figli? ».
Benjamin si riempì il bicchiere con l’acqua e ne bevve un sorso.
« Avvisare l’albergo è un dovere » rispose, aspettando che arrivasse la portata.
« Occuparti di noi invece è un’optional » ribatté il ragazzo con misura.
« Io mi occupo di voi, Christopher ».
Il cameriere tornò con due piatti in mano. Li posò davanti ai due convitati e si allontanò con un cenno della testa.
Chris prese forchetta e coltello e iniziò ad affettare la carne con stile, riducendola a piccoli bocconi e masticando lentamente ogni singolo pezzo.
« Hai fatto la battuta del secolo? » domandò sarcastico, quando ebbe ingoiato il primo morso.
« Chris, per cortesia, non darmi lezioni su come crescere i miei figli » obiettò Benjamin, tagliando la bistecca più rozzamente e mangiandola con foga.
« Io sono tuo figlio, papà! » replicò Chris, ostentando tuttavia ad una calma innaturale. « E ti sto dicendo come vorrei che tu mi avessi cresciuto ».
« Io non sono tua madre » sbottò secco l’uomo, bevendo un’altra sorsata d’acqua.
« Stiamo parlando di me o stiamo parlando di lei? ».
Benjamin fissò gli occhi verde intenso del ragazzo e per un momento ci si specchiò dentro. Poi abbassò la testa e continuò a mangiare.
« Papà » continuò Chris, severo. « Hai voluto un’altra possibilità e io te l’ho concessa. Hai fallito, per me non c’era altro da aggiungere. Invece mi hai obbligato a dartene un’altra, e qual è il risultato? ».
« Io non ti ho obbligato proprio a far niente! ».
« Ah no? » obiettò il ragazzo. « Io sono qui in Irlanda di mia spontanea volontà? ».
« È stata una decisione che io e Sharon siamo stati costretti a prendere » dichiarò Benjamin, sull’orlo del collasso.
« Non chiamare in causa la mamma, adesso. Il problema sono io, papà: tu vorresti che fossi diverso, ma allora avresti dovuto crescermi tu fin da piccolo, e non allontanarti ogni piè sospinto per girare chissà quale film sconosciuto! ».
« Chris, io ti ho cresciuto come meglio ho potuto » contestò Benjamin.
« È chiaro che allora non sei capace di fare il padre ». Posò le posate, si asciugò la bocca con un tovagliolo, riponendolo con cura accanto al piatto, e si alzò dalla sedia. « Io non ho più fame » dichiarò, allontanandosi.
« Chris, aspetta » lo chiamò il padre. « E adesso dove vai? »
« A scuola » rispose secco il ragazzo.
« Di sabato pomeriggio? ».
« C’è una partita di rugby a cui voglio assistere. Ci vediamo questa sera ». E, andandosene, estrasse il cellulare e chiamò la madre.


Infine quel sabato Maiti si trovava a scuola, con l’attrezzatura che il signor O’Bowen le aveva dato in comodato d’uso, pronta a filmare la partita.
Era agitatissima. Non le era mai capitata una cosa del genere. Brecc Stoker ora si trovava con lei che l’aiutava a montarla, cosicché sarebbe già stata pronta per quando il match fosse iniziato.
« Come hai fatto a saltare l’incontro con il giornalino? » le domandò Brecc, avvitando una vite.
« Cristin mi ha dato una mano » rispose Maiti. « Non so cosa abbia detto a Sèanait, ma va bene così. Quando si ha a che fare con lei meno si sa meglio è ».
« Spero solo che non ti scopra » commentò il ragazzo, ridacchiando.
« E io spero che la tua ragazza abbia inventato una scusa plausibile che spieghi la mia presenza qui, altrimenti Sèanait non taglierà la testa solo a me, ma anche a lei ».
Maiti sorrise e volse la testa verso Brecc, sicura che la sua battuta facesse sorridere anche lui. Con disappunto notò invece che stava finendo di avvitare tutte le manopole della videocamera con un’espressione quanto mai strana.
« Brecc » disse, seria. « Qualcosa non va? ».
Lui sospirò e lasciò il suo lavoro in sospeso per un attimo. Guardò Maiti e la sua espressione lieta, e per un momento si sentì in colpa per averle fatto intendere che c’era qualcosa che doveva sapere. Poi riprese i suoi lavori, come se avessero reso più semplice ciò che doveva dire, e iniziò a parlare.
« Vedi, stamattina, mentre ero con Bairre, è arrivata Sèanait a tutta birra ».
« Bairre ha detto qualcosa che non doveva dire? ».
« No, no, affatto… ».
« Sèanait voleva sapere se era vero che pochi giorni fa il signor O’Bowen aveva detto a Daigh di darmi una maglia? ».
« Maiti » la interruppe Brecc. « Perché non mi lasci parlare? ».
« Hai ragione. Scusa ».
« Sèanait è particolarmente suscettibile in questo periodo e… bé, ciliegina sulla torta, girano voci secondo le quali Daigh avrebbe messo gli occhi su un’altra ragazza ».
Maiti sussultò. Stava impedendo ad un sorriso di allargarsi sulle sue labbra. In quel momento non le interessava che l’ira di Sèanait le si stesse per abbattere contro; aveva occhi e orecchie solo per Daigh Morgan.
« Il punto è che Sèanait è convinta che sia tu ». Le parole di Brecc la riportarono bruscamente alla realtà.
« Cosa vuol dire il punto? » domandò, irritata. Stava forse dubitando? C’era anche lui il pomeriggio di tre giorni prima.
« Significa che Daigh ha effettivamente messo gli occhi su un’altra ragazza ». Sottolineò con accortezza la parola “un’altra”.
Lì per lì Maiti lo guardò senza intendere. Ma poi capì e le speranze le si frantumarono nel cuore.
« Oh » rispose. Stava per aggiungere altro, ma non se la sentì. Abbassò la testa e continuò con il suo lavoro.
« Maiti… ».
« Ascolta, Brecc, io sapevo perfettamente di non avere speranze con Daigh; il punto è che da quando ci siamo conosciuti, dal modo in cui si comportava con me… insomma, sembrava quasi che gli interessassi ».
« Non fraintendermi, Maiti » si affrettò a spiegare il ragazzo, fissando la telecamera sul cavalletto. « Non ho detto che tu non gli interessi… ».
« Frena » lo bloccò l’amica. « Brecc, Daigh è fidanzato con Sèanait, ha messo gli occhi su un’altra ragazza ed è interessato a me. No, la cosa è assurda. Nessun ragazzo è così ».
« Daigh lo è invece » il tono di Brecc non ammetteva repliche.
Maiti lo fissò per un attimo, indecisa se credere che la cosa fosse attendibile o meno. Poi iniziò a ridere istericamente.
« Maiti, Daigh è fatto così: è interessato alle belle ragazze e tu sei una bella ragazza ».
« Ti prego, non infierire adesso » tagliò corto la ragazza, armeggiando bruscamente con il trespolo. « Io non sono proprio all’altezza di Sèanait o di quelle come lei ».
« Forse non sei il tipo di ragazza che si distingue tra la massa di studenti ordinari, ma non ci hai messo molto a farti notare quando hai spudoratamente attirato la sua attenzione pochi giorni fa alla finestra ».
Maiti arrossì violentemente e conficcò i piedini del treppiede nel terreno, squarciando la poca erba secca che rimaneva.
« Stavo salutando Bairre » ribatté, balbuziente.
« Pensavo che non facessi altro che evitarlo, in realtà ».
« Tu non hai una partita tra quaranta minuti? Perché sei ancora qui e non in palestra ad allenarti con i tuoi compagni? ».
Brecc sospirò. Estrasse il cavalletto e lo sistemo meglio, senza immobilizzarlo completamente.
« Oggi gioco come riserva » la informò; poi le fece l’occhiolino e corse verso l’edificio scolastico.

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Eccomi con il nuovo capitolo ^^. Spero di non avervi fatto attendere troppo.
Grazie mille a DarkViolet92 per avere recensito *w* e a CuddleAddict per avere aggiunto la storie alle seguite :). Come ho fatto con tutte le altre, ti invito a lasciarmi un commentino *.*
A presto!

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Capitolo 8
*** La partita ***


8. LA PARTITA

I giocatori della squadra di rugby entrarono in campo alle due e mezza in punto. I primi furono i giocatori in casa, quelli della scuola. Arrivarono esultanti nelle loro divise verdi, urlando e salutando il pubblico. La maggior parte degli spettatori li acclamò alzandosi in piedi e urlando frasi di augurio.
Maiti, seduta sulla panca più bassa, davanti alla telecamera, filmava e fissava tutti quei momenti sulla pellicola. Era sicura che il signor O’Bowen sarebbe stato contentissimo del suo lavoro.
Mentre riprendeva l’altra squadra che, vestita di rosso, faceva la sua entrata, con gli occhi cercò Daigh Morgan. Lo trovò schierato in fila tra Bran O’Friel e Bairre Allen. Si stupì di come quei due potessero essere sempre assieme, persino alle partite di rugby.
Che assurdità, pensò tra sé e sé.
Non se ne intendeva molto di sport, ma se ne intendeva abbastanza di riprese, così, una volta assegnata la palla alla squadra dei rossi, zumò l’inquadratura sul volto teso del capitano. Quando l’arbitro suonò il fischietto, schiacciò un bottone e il campo tornò alla grandezza naturale, senza rimpicciolirsi gradualmente, ma scattando direttamente da un campo all’altro.
Wow, pensò. Quest’attrezzatura è davvero fantastica.
La partita prese così avvio, fra urla ed acclamazioni. Maiti seguiva tutte le mosse di chi aveva la palla in mano. Si sentiva un re sul trono con quella telecamera.
Quando i verdi si impossessarono del pallone ci fu un boato di felicità. La ragazza non aveva mai assistito ad una partita di rugby della scuola, prima, ma un chiasso del genere le sembrava inappropriato per una partita di così basso livello. Tuttavia non si scompose e continuò a filmare le scene. Ora Daigh Morgan aveva la palla in mano e correva verso la porta a forma di ‘H’. Quando fu raggiunto dal nugolo di avversari, tentò di lanciare il pallone a Bran O’Friel, ma un rosso fu più lesto e l’afferrò prima. Allora fu assalito dai ragazzi della scuola, che si avventarono con forza su di lui. Dalla catasta ne uscì Bairre vincitore. Maiti si sbrigò e zumò l’obiettivo fino a che l’immagine del ragazzo non occupò l’intero campo visivo. Da così vicino Maiti lo poteva vedere bene: aveva un’espressione talmente sicura che a momenti stentava a riconoscerlo. Staccò gli occhi dallo schermo e lo guardò dal vivo per un attimo. Il numero 16 stampato in bianco sulla divisa verde faceva risaltare i suoi capelli biondo scuro, che ora ricadevano gli spettinati sul volto serio.
Maiti rimase per un secondo incantata da quella figura così decisa e sciolta. Sembrava Daigh Morgan.
Bairre si guardò in giro e, approfittando di quel momento in cui gli avversari si stavano rialzando da terra, iniziò a correre con velocità verso l’area nemica.
Un ragazzo seduto accanto a Maiti si sporse in avanti, eccitato, e la colpì per sbaglio con un gomito. Lei sussultò e si rese conto di avere abbandonato la telecamera. Allora, agitata, afferrò una manopola e la girò velocemente verso il giocatore. Diminuì il campo e diede spazio anche agli altri.
Presto i rossi iniziarono a correre nella direzione di Bairre. Erano così veloci che lo raggiunsero, ma lui riuscì a lanciarsi per terra e a realizzare la prima meta.
Ci fu un scoppio di urla concitate da parte di tutti gli studenti della scuola e borbottii di delusione emessi da quelli che invece erano lì per assistere ai rossi.
Sul tabellone comparirono cinque punti. Bairre si alzò, raggiunto dai suoi compagni di squadra, che si congratularono con lui, battendogli una mano sulla schiena. Portando in primo piano l’obiettivo, Maiti notò con disappunto che Daigh fu l’unico ad essere un po’ turbato da quella cosa.
Un arbitrò entrò in campo e infilò una piazzola nel terreno, appoggiandoci sopra lo sferoide prolato. Un giocatore scelto, che Maiti riconobbe come Fia Doyle - uno dei tanti privilegiati amici di Daigh -, si preparò a calciare. La ragazza si affrettò ad inquadrare solo lui. C’era tensione e nessuno fiatava. Doyle guardò con intensità la porta e chiuse gli occhi. Li riaprì di scatto e con un respiro profondo calciò la palla, che volò lungo tutta l’area avversaria e centrò in pieno i tre pali bianchi a forma di ‘H’.
Altri due punti andarono ad aggiungersi al punteggio totale, costituendo un sette a zero per i verdi.
Ancora urla di felicità e la partita continuò. Era piuttosto movimentata e turbolenta e Maiti continuava a passare l’obiettivo da un giocatore all’altro, a seconda di chi aveva la palla.
Era talmente concentrata che la pelle le si accapponò quando qualcuno le alitò sul collo. La prima cosa che pensò fu “Sèanait”. Ma poi vide un ragazzo farsi spazio tra gli spettatori esagitati e sedersi accanto a lei. Se non avesse saputo che Bairre Allen era in campo avrebbe creduto che fosse lui.
Pur essendo curiosa, non lo guardò; non poteva distrarsi dalla cinepresa . Fu lui a parlare.
« Ho visto come facevi le riprese. Te la cavi, senza dubbio, ma continui a focalizzare l’attenzione su chi ha la palla in quel momento ».
« Ovvio, no? ».
Maiti voltò leggermente la testa per vedere chi era lo scocciatore, ma la sua vista la lasciò a bocca aperta: Chris Braight, il maniaco del caffè. Per poco non buttò a terra l’attrezzatura.
« Hai anche da ridire sulle mie qualità cinematografiche? » sbottò, scocciata. « Non ti è bastato tingermi la maglia di caffè? »
« Non esagerare; sarai pure bravina a filmare, ma non hai di certo i prerequisiti tecnici per poterti definire una professionista ».
« E, a meno che tu non lo sia, non darmi consigli su come fare. L’incarico è stato dato a me ».
Voleva far capire a Chris che non era il caso di aggiungere altro, ma ancora non sapeva che il ragazzo non demordeva facilmente.
« Mio padre è regista » proseguì, infatti. « E » aggiunse seccamente, sovrastando il “lo so” di Maiti, « le uniche conoscenze che mi ha trasmesso in tutta la mia infanzia sono state lezioni teoriche sulle riprese ».
Poco importava, pensò, se ero l’oggetto dei divertimenti dei bulli di quinta elementare. A lui stava a cuore solo che suo figlio di sette anni sapesse come girare un buon film.
La ragazza scrollò le spalle e tornò a fissare lo schermo. La palla era finita un’altra volta nelle mani di Bairre e di nuovo Maiti si ritrovò a fissare due occhi color nocciola che non aveva mai notato prima. Si sentì pervadere da uno strano brivido e in quel momento decise di accettare i consigli di Chris.
Il gioco procedeva a favore dei rossi, soprattutto grazie a Bairre, che stava per realizzare nuovamente una meta; c’era quasi, ma inaspettatamente Daigh Morgan gli si buttò addosso e lo fece cadere per terra. L’arbitro fischiò e, mostrando il cartellino giallo, intimò al giocatore di non azzardarsi mai più a fare una cosa del genere.
Mentre Daigh e Bairre discutevano sul perché di un’azione così avventata, Chris incalzò ancora Maiti.
« Questo, invece, è uno di quei classici momenti in cui dovresti inquadrare solo loro due, o comunque… ».
« Senti » eruppe Maiti. « Per caso qualcuno ti ha chiesto di dispensarmi lezioni cinematografiche? ».
« Sì, il mio senno di poi » rispose Chris, apparentemente calmo. « Se fossi in colui che dovrà visionare quel filmato mi verrebbe già la nausea ».
La ragazza non resse. Abbandonò le riprese e guardò il giovane con espressione arcigna.
« Il tuo senno di poi te lo puoi mettere dove preferisci! » tempestò, fuori di sé.
Chris sussultò.
« Nessuno ti ha mai insegnato a non essere volgare? » la riprese, imperturbabile.
« E a te non ha mai detto nessuno che sei odiosamente perfettino, calmo, flemmatico e insolente? ».
« Fa parte del mio modo di essere » dichiarò, pacato. « Ma non del tuo, quindi non mi arrabbierò per quello che mi hai appena detto ».
« Ma che novità » borbottò Maiti, scocciata.
Un rumore assordante provenne dalla parte opposta del campo e la fece sobbalzare. Si voltò a guardare il tabellone, che segnava la vittoria della squadra della scuola; i giocatori in campo non correvano più e si stavano dirigendo verso i bordi.
« Che cos’è successo? » domandò, con il cuore in gola.
« La partita è finita ».
« Ma hanno giocato solo il primo tempo! ».
« Non ti sei accorta che sta per piovere? ».
« Cosa mi importa della pioggia! » squittì, spegnendo la telecamera. « Ho rovinato il video! Non ho filmato la fine! ».
« Avrai un’altra occasione » la incoraggiò. « La prima volta è disastrosa per tutti ». Si alzò dalla panca e le tese una mano. « Non presentarsi è da maleducati: io sono Chris ».
« Dai? Non l’avevo capito » ribatté secca Maiti, stringendo la palma dell’altro di malavoglia. « Io sono Maiti ».
« Ora so a chi devo chiedere un caffè, Matt ».
« Maiti » lo corresse burberamente. « M- e - t - t - i ».
« Ehy, Maiti! ». Qualcuno la chiamò.
Bairre Allen.
Questa volta non provò noia al pensiero. Lo stesso brivido che l’aveva percorsa pochi minuti prima tornò, solo che questa volta fu più intenso. Si voltò verso di lui.
Ma che cavolo mi è preso?
« Bairre. Ehy, che cos’è successo prima con Daigh? ».
« Oh, niente ». Si strinse nelle spalle. « Maiti, voglio spiegarti il malinteso di giovedì, nello spogliatoio ».
« Quale malinteso? ».
O Bairre aveva esaurito tutte le idee per mettersi a parlare con lei, o lei aveva totalmente rimosso cosa era successo nello spogliatoio il giorno in cui era andata a parlare con il signor O’Bowen.
« In realtà mi chiedevo se ti va di parlarne più tardi, facendo due passi ».
Bairre la prese in contropiede. Non le stava chiedendo di uscire, ma il senso era quello. Se avesse accettato lui avrebbe preso false speranze; ma se avesse rifiutato sarebbe sembrata scortese.
« Ti offro da bere » propose il ragazzo. « O una cioccolata calda ».
« In realtà dovrei andare subito a casa » rifiutò Maiti. « Devo passare a prendere mio fratello a scuola e mia madre si arrabbierebbe molto se non lo facessi neanche stavolta. Però se ti va mi puoi accompagnare fino alla scuola di mio fratello. Non è molto distante e se ci sbrighiamo non prendiamo l’acqua ».
« Affare fatto. Ci vediamo fra venti minuti davanti all’ingresso, okay? ».
E le sorrise, allontanandosi.
Maiti lanciò un’occhiata a Daigh Morgan, chiedendosi che cosa avrebbe pensato se avesse visto lei e Bairre avviarsi assieme. E nel frattempo aveva appena accettato di stare in sua compagnia.


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Ho una scusa questa volta T_T : ho a malapena il tempo per respirare, lo giuro; devo dare lezioni di inglese tre volte alla settimana a due persone diverse, ho lezioni di piano ogni lunedì e di conseguenza devo studiare quando ho tempo. Mi fermo a dormire da una mia amica ogni volta che le do lezioni d'inglese (ormai sono di casa XD). Quindi sono giustificata Y_Y . Come dice saggiamanete Gaia: l'importante è aggiornare. XD
Passiamo ai fatti: come vedete ho cambiato la grandezza del carattere. Il Times New Roman 14 mi aveva stufata >_>
Dunque, quando il numero dei seguiti inizia a superare le soglia dei sei faccio una gran confusione, quindi spero che mi capiate se cito dei doppi o se non cito qualcuno. In sostanza: alice_95, Elienne, Lunitari e miki rossi, un inchino a voi *_* e (ormai sto diventando monotona) uno sprone a rendermi partecipe della vostra opinione *occhioni dolci*
A parte, invito tutti quanti a farmi notare ogni volta che pensate ci sia un errore, un'incongruenza o una pecca ^^ mi fanno sempre piacere.

DarkViolet92: temo che questa volta il tuo finalmente sia ancora più finalmente xD e mi scuso umilmente T_T . Sempre grazie mille per i complimenti!
CuddleAddict: XD capita di sbagliare, dopo tutta la giornata che hai avuto! Mi fa molto piacere che ti piaccia la mia storia e no, non sei strana nell'adorare Chris. Certamente non la pensano allo stesso modo i personaggi, soprattutto se ci devono convivere xD, ma che importa, sono solo personaggi, no?

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Capitolo 9
*** Chiacchierate ***


9. CHIACCHIERATE

I venti minuti in cui Maiti aspettò Bairre non furono trascorsi in solitudine. La prima persona che incontrò sulla sua strada fu Daigh Morgan, che la raggiunse non appena l’altro ragazzo se ne fu andato.
Il cuore fece una capriola nel vederlo arrivare.
« Ciao Daigh » balbettò, arrossendo come suo solito.
Il giovane sorrise nel vederla così timida. Non gli era mai capitato di conoscere adolescenti così esitanti e la cosa lo intrigava sempre di più. Sentiva il bisogno di provare ogni volta un’esperienza diversa e Maiti era quella giusta.
La ragazza interpretò quel sorriso come una beffa. Pensò che il suo modo di essere fosse divertente per gli altri e si sentì a disagio.
Cerca di essere più sicura di te, si disse.
« Ottima performance quella di prima » affermò, strizzando l’occhio.
Questa volta fu Daigh Morgan a diventare paonazzo.
« Oh, sì » disse, imbarazzato. « Ho preso male le misure. Cercavo di atterrare un avversario che stava placcando Bairre, ma ho buttato a terra Bairre stesso ».
« Non che me ne intenda molto di sport » commentò Maiti, « ma credevo che bloccare un avversario che non ha in mano la palla fosse fallo ».
« Infatti ». Era sempre più disagio, ma riusciva a cavarsela ugualmente. « Avevo previsto che il tizio avrebbe ottenuto la palla; evidentemente mi sbagliavo ».
Maiti sorrise. Non riusciva ancora a credere che Daigh Morgan fosse interessato a lei. Doveva riuscire rendersi bene conto della cosa.
« Allora, prima ho visto che parlavi con Bairre. Ha sondato il terreno, eh? Inizia già ad essere fastidioso come la fame? ».
La ragazza rimase stupita di quella frase. Pensava che Daigh e Bairre fossero migliori amici; lo scrutò attentamente, cercando di capire se c’erano dei problemi tra di loro, ma non captò nessun segnale dall’allarme.
« Fastidioso? » ripeté allora, curiosa.
Daigh rise, posandole una mano sulla spalla. Maiti per un momento rimase senza fiato. Daigh Morgan ha passato una mano sulla spalla a me!
« Bairre piace alle ragazze solo perché è un bel fusto; ci escono per essere popolari, ma a nessuna piace veramente ».
« La trovo una cosa assurda! » ribatté lei, contrariata. « Come puoi uscire con un ragazzo solo per popolarità? ».
« Presto lo capirai ».
Le assestò un buffetto affettuoso e si allontanò. Maiti restò a fissarlo incantata. Sembrava che il suo sogno si stesse per avverare.
Purtroppo quel momento di gioia non durò molto: da lontano vide avvicinarsi Sèanait, furiosa. Valutò l’opzione di darsela a gambe prima che fosse troppo tardi, ma ormai l’altra l’aveva notata. Deglutì e aspettò che l’ora dell’apocalisse arrivasse.
« Oh, Sèanait » proruppe, cercando di alleviare la cosa. « Sì, lo so, ti devo ancora portare il video, ma… ».
« Io e te dobbiamo parlare » la interruppe seccamente la compagna.
« Ah, si tratta della riunione che ho saltato? Sai, il signor O’Bowen… »
« Lo so » troncò bruscamente Sèanait. « Si tratta di Daigh ».
Maiti trangugiò e cercò una scusa plausibile da propinare alla ragazza. Non che si aspettasse che l’avrebbe bevuta.
« Ascolta, non è come puoi pensare. C’è una spiegazione per tutto ».
« Non mi interessa niente delle tue stupide spiegazioni o dei cinque ragazzi con cui sei uscita mercoledì. Perché so tutto. So che Daigh ti ha invitata ad unirti a loro e che tu gli sbavi dietro ».
« Cosa… come fai a saperlo? ».
« Uilliam McWilson ha fatto la spia ».
Lo sapevo, pensò Maiti, amareggiata.
« Non sono io » affermò risoluta, vedendo che la situazione stava degenerando. « Intendo dire l’altra ragazza a cui Daigh sta dietro. Non sono io ».
« Lo so ».
« No, tu non hai capito, io… lo sai? ».
Maiti era stupita. Pensava che Sèanait fosse furibonda per averli visti assieme. Ma se non era così, allora perché l’aveva cercata?
« Io e Daigh ci siamo lasciati questo pomeriggio all’uscita da scuola » dichiarò.
Maiti non sapeva cosa dire. Era più che altro sorpresa.
« Mi dispiace » accennò, insicura. Poi ci ripensò e si corresse: « No, non è vero, non mi dispiace ».
« Non avevo dubbi » commentò la compagna, alzando gli occhi al cielo.
« Dovrei forse mentire? ».
« Non sono venuta qui a cercare la tua compassione » sbottò Sèanait. « Solo la tua collaborazione ».
Maiti scoppiò a ridere, sarcastica.
« Mi stai chiedendo la Luna! » esclamò con ironia.
« Non se ascolterai quello che ho da dire » spiegò l’altra.
« Sentiamo ».
« Personalmente non ce la facevo più a stare assieme a Daigh. Era diventato insopportabile. Non che mi sia mai piaciuto, intendiamoci ».
Maiti roteò gli occhi, beffarda.
« Non fraintendermi! » sbottò Sèanait. « Non ho detto che mi sia mai interessato; semplicemente non avevo alcuna intenzione di avere una storia seria con lui ».
« Ma nemmeno sopportavi l’idea che potesse preferirne un’altra a te » concluse la ragazza, pungente.
« Proprio così ».
« Senti, si può sapere perché vuoi il mio aiuto, se non ci siamo mai sopportate? ».
« Perché so che a te piace Daigh e che detesti Abigail più di me ».
Maiti aprì bocca per ribattere, ma si bloccò, interdetta. Sèanait aveva forse detto Abigail?
Guardò la compagna con sguardo indagatore. Era chiaro che non stesse mentendo, o non sarebbe andata da lei a riferire menzogne che poi avrebbe potuto smascherare. Cercò di trovare qualcosa di sensato da dire, ma non riuscì a sopportare l’idea di Abigail e Daigh Morgan. Era ripugnante solo il pensiero.
Lanciò un’occhiata nella direzione in cui era sparito il ragazzo e vide arrivare Bairre, fortunatamente. Prese la scusa per salutarla e non rimanere così in imbarazzo davanti a lei.
« Ora devo andare » disse. « Perché non ne riparliamo in un momento più opportuno? ».
« Sappi che comunque non mi sfuggirai » l’avvisò la compagna. « Ti assillerò finché non cederai, anche se so che in fin dei conti lo farai ». Si voltò e si allontanò, chiudendo la sua comparsa con un: « Ciao Bairre ».


Bairre e Maiti presero avvio lungo la via principale di Wexford, lei irrigidita per via della notizia appena avuta, lui leggermente imbarazzato, anche se stava iniziando ad aprirsi.
« Quindi come è andata a finire la partita? » domandò Maiti per rompere il ghiaccio.
« Uno schifo » rispose Bairre, irritato. « Potevamo essere in vantaggio di altri sette punti e invece Daigh mi ha impedito la meta. Per coronare il tutto è stato annullato il secondo tempo ».
« Andrà meglio la prossima partita » lo incoraggiò la ragazza, sorridendogli.
Anche lui abbozzò un sorriso, fissandola intensamente con i suoi occhi color nocciola.
A Maiti tornarono in mente le parole di Daigh: ci escono per essere popolari, ma a nessuna piace veramente. Trovava disgustosa l’idea di usare una persona. Oltretutto non riusciva a credere che Bairre fosse fastidioso come la fame; era un ragazzo dolcissimo.
« Che cosa mi volevi dire? » domandò, curiosa.
L’aria diventò più fredda, sferzando il volto dei passanti. Il vento aumentò, segno che il temporale incombeva.
« Sembra che questa volta sia in agguato una tempesta » affermò Bairre, che compì il consueto gesto di stringersi nel cappotto. Poi tornò a fissare Maiti con il suo sguardo profondo. « Quel giorno nello spogliatoio » disse, « Daigh ti raccontò che fui io ad informarlo sui tuoi impegni di oggi pomeriggio ».
« Non è stato così? » domandò stupita la ragazza, aumentando il passo per evitare il diluvio.
« Sì, certo. È stato così, perché Daigh ha chiesto a me di informarmi ».
Maiti si fermò di scatto. Non credeva alle sue orecchie: Daigh aveva davvero fatto una cosa del genere?
« È la verità? » chiese, delusa.
« Sì, Maiti » rispose Bairre. « Non te lo sto dicendo perché ti voglio mettere contro di lui; ma mi dava fastidio che tu pensassi che io andavo in giro a reperire informazioni su di te ».
Maiti sorrise e riprese a camminare.
« Non pensavo così » lo tranquillizzò. « In ogni caso almeno tu avresti avuto il coraggio di informarti di persona ».
Sospirò, triste. Perché Daigh aveva fatto una cosa del genere? Che motivo c’era di farlo? Ripensò al discorso fatto con Brecc, che le diceva che Daigh era il donnaiolo di turno. Si rifiutò di credere che anche lei fosse l’ennesima conquista.
« Siamo arrivati » annunciò, una volta di fronte alla scuola di suo fratello. « Mi auguro che tu abbia un ombrello a portata di mano » aggiunse poi, osservando il cielo.
« Non ti preoccupare. Tornerò di fretta a scuola, mia madre mi aspetta lì. Tu che farai? ».
« Credo che prenderò il pullman, forse Tòmas si abituerà a tornare a casa da solo ».
Bairre le sorrise, poi iniziò ad allontanarsi.
« Grazie per la chiacchierata » le disse. « Ci vediamo domani a scuola ».
Maiti lo salutò con la mano, poi ripescò suo fratello dalla fiumana di ragazzini che stavano uscendo dal cancello della scuola. E nonostante cercasse di concentrarsi sul video che veramente quel giorno avrebbe dovuto montare per Sèanait, non riuscì a distogliere la mente da quegli occhi color nocciola.

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Questo è l'ultimo capitolo che vedrete postato fino al 6 settembre, poiché partirò per il mare tra tre giorni. Ovviamente non riuscirò a postare entro il 23, quindi sospenderò ufficialmente la storia finché non sarò tornata.
DarkViolet92:
XD allora mi capisci. Uno scrittore deve avere i suoi tempi, in fondo. O no?
Giulia: questo non è il solito ringraziamento da scrittore a lettore. No, questo è un ringraziamento da amica ad amica. Perché so che tu ci sei stata e so che ci sarai. Ti ringrazio per infondermi tanto coraggio, è importantissimo per me sapere che ci sia qualcuno che considera così tanto il modo in cui scrivo. Quindi grazie a te e a tutte quelle che mi sono state vicine durante quel periodo nero. E per tranquillizzarti, no, non abbandonerò la scrittura, non lo potrei fare. E' la mia vita ^^ (Kinderbuena89)

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Capitolo 10
*** Collaborazione ***


10. COLLABORAZIONE

A rapporto, Wexford: il cielo è limpido e sereno, dopo una settimana di apocalisse, ma mancano cinque giorni al Wexford Festival Opera e la contea è in subbuglio.
Pare che al primo posto della lista ci sia Sèanait, che non ha ancora ricevuto notizie sul video da presentare, e non deve esserne molto contenta.
Subito dopo viene Maiti, che - dopo l’‘allegra’ passeggiata con Bairre - ha camminato sotto l’acqua fino a casa, beccandosi una brutta influenza. Ora è terrorizzata di non guarire in tempo.
E poi, ovviamente, c’è l’intera famiglia Braight: Benjamin dovrà presentare il suo ultimo film e non sa cosa dire, mentre Abigail ancora non ha trovato che trucchi abbinare al vestito e Chris dovrà farsi schermo con le piante contro la mandria di quattordicenni imbufalite che cercheranno di strappargli un bacio sulla guancia.
Ma c’è chi, al di là del festival, sta già pianificando schemi malefici per spodestare qualcuno dal trono... È meglio darsela a gambe finché si può, Abigail: Sèanait non perdona.

« Domani tornerai a scuola » decretò la madre di Maiti, severa, guardando la figlia distesa sul divano mentre riagganciava la cornetta, dopo essere stata per ore al telefono con Mairtin.
« Non ti preoccupare, mamma » la rassicurò la ragazza, stiracchiandosi. « Dopo aver passato cinque giorni con nausea e voltastomaco, tornare a scuola non è che un piacere ».
« Bene » disse la donna, sedendosi sulla poltrona. « Perché dovrai andare a prendere Tòmas ».
« Cosa? ». Maiti scattò a sedere, contrariata. « Ma sono stata malata per cinque giorni! » esclamò, seccata. « Non potete mandarmi fuori al freddo e al gelo, quando sia te che papà avete la macchina! ».
« Hai appena detto di essere perfettamente guarita. Non contraddirti ».
« Ma… ».
« Niente storie ».
Maiti si alzò rabbiosa dal divano e corse in camera sua, sbattendo la porta con altrettanta rabbia. Come faceva sempre quando era nervosa, andò a sedersi alla scrivania e accese il computer. Non era davvero arrabbiata con sua madre perché quasi tutti i pomeriggi doveva andare a prendere suo fratello a scuola; la verità era che la punizione dei genitori non le era andata affatto giù. Ad ogni modo, era stata comunque fortunata di avere potuto filmare la partita (anche se la cosa non era andata benissimo), ma detestava lo stesso essere comandata.
Bruciante di rabbia, prese a picchiettare i polpastrelli sulla tastiera, infischiandosene del campanello, che suonò qualche minuto dopo. Non si sforzò nemmeno di mettere la testa fuori dalla camera per vedere se l’interessata era lei.
Se sono Cristin o Moira sanno dove trovarmi, pensò.
Ascoltò distrattamente sua madre salutare il nuovo arrivato in maniera formale, per poi sentirla dire « è in camera sua », e quindi strillare il suo nome, intimandole di scendere.
« Mandamelo su » gridò lei, di tutta risposta.
Sentì qualcuno salire le scale e poi la porta si aprì, mostrando figura alta e snella di Sèanait, decisamente stizzita. Quando la vide comparire dalla soglia, Maiti balzò in piedi, scrutandola con più stupore che altro.
« Vedo che stai meglio » ringhiò Sèanait, entrando nella stanza e chiudendosi la porta alle spalle.
« Chi ti ha detto dove abito? » fu la prima cosa che a Maiti venne in mente di dire.
« Brecc ».
Maiti rise sarcasticamente, risedendosi poi sulla sedia.
« Brecc è diviso a metà tra due fazioni nemiche » commentò, acida.
« Non dire sciocchezze » ribatté la compagna, incrociando le braccia. « Semplicemente, è amico del mio ex fidanzato e sta assieme ad una tua amica ».
« E siccome io e te non siamo amiche, questo significa che…»
« Fa niente! » la interruppe bruscamente Sèanait. « Io sono qui per altri motivi ».
« Immagino. In che modo hai deciso di rovinarmi l’esistenza, questa volta? »
« Sai che giorno è oggi? »
« Giovedì dieci ottobre. Non mi risulta nessun compleanno o ricorrenza ».
« Smettila di fare la finta tonta! » gracchiò Sèanait, sull’orlo di una crisi isterica. « È da una settimana che sto aspettando il tuo stramaledetto video e mancano cinque stramaledettissimi giorni al Wexford Festival Opera! »
« Calmati! » disse Maiti, ora in piedi. « Stai tranquilla, è pronto ».
« Te lo auguro ».
La ragazza cercò un dischetto tra vari CD e cassette: alla fine ne passò uno a Sèanait, che lo afferrò fulminea, quasi avesse il timore che l’altra ritraesse la mano.
« Ora sono più tranquilla » affermò.
« Quindi te ne puoi andare ».
« No ».
Sèanait fissò la ragazza con un ghigno che all’altra non piacque.
« Non ancora » la informò. « Prima » e si sedette comodamente sul letto, « ti devo portare un messaggio da parte di Abigail ».
Maiti drizzò le orecchie.
« Sa anche che esisto? » domandò, sprezzante. « Che cosa vuole sapere? ».
« Dove abiti ».
« Cosa? ». Per poco non fece un salto di venti centimetri dal pavimento. « E tu non glielo hai detto, spero ».
« Non ancora. Ma è insistente: vuole sapere dei vostri fumetti ».
« Nostri? » rincarò Maiti, fuori di sé. « Quei fumetti sono miei e di Pòl. Lei non c’entra niente, e se ha voglia di colorare qualcosa, allora vada... aspetta, perché mi stai dicendo tutto questo? ».
Sèanait si alzò dal letto, sorridente. Un sorriso complice, il suo.
« Forse non sono l’unica che vuole che Abigail cada » disse.
« Ancora con questa storia? » sbottò Maiti, risedendosi sulla sedia e voltando lo sguardo da tutt’altra parte.
« Te l’ho detto che ti assillerò finché morte non sopraggiunga ».
« Il tuo è un supplicarmi in modo alternativo » constatò seccamente la ragazza, osservandola accigliata.
« Chiamalo come vuoi » dichiarò Sèanait. « Fatto sta che entrambe non sopportiamo Abigail, chi per un motivo chi per l’altro, e possiamo riuscire nel nostro intento solo aiutandoci a vicenda ».
« Collaborando » sottolineò Maiti, secca. « Collaborare non significa aiutarsi a vicenda ».
« Collaborando, allora. Quindi è un sì? ».
« Non ancora. Ad un favore si ricambia con un favore ».
Sèanait alzò gli occhi al soffitto, beffarda.
« Che cosa ti serve? » chiese, acida.
« Tu vuoi che io ti aiuti a ‘rovinare’ Abigail. È una cosa impegnativa… »
« Taglia corto ».
« Uscirai con Mairtin ».
La ragazza strabuzzò gli occhi.
« Devo uscire con Mairtin? » ripeté, incredula.
« Cioè, non è che devi proprio uscirci, però almeno frequentalo. Fai finta che esista quando ti saluta; sorridi quando parli con lui; accetta se ti chiede di andare a fare un giro. Dagli una possibilità, insomma ».
« Potrei anche farlo » rispose Sèanait, sbuffando. « Non è noioso come la morte, in fondo ».
« Bene! » esclamò Maiti, alzandosi nuovamente dalla sedia. « E se non sbaglio vuoi anche che Daigh e Abigail si mollino, non è così? ».
« Quanti altri favori vuoi da me? » domandò, irritata.
« Spezzale tutte le matite colorate » sibilò a denti stretti.
La ragazza alzò gli occhi al cielo, mezza divertita.
« Maiti, sai bene che per i fumetti te la devi vedere con il professore; io non ti posso aiutare ».
« Anche io potrei non riuscire ad aiutarti ».
Sèanait rise. Si avvicinò alla porta, infilandosi gli occhiali da sole (di cui Maiti non capiva l’utilità, visto il tempo) e ribatté, con fare distratto:
« Mi limiterò a rubarle il temperino ».

Benjamin uscì dall’hotel con sollievo. Suo figlio era in giro con sua sorella, quindi non avrebbe avuto la possibilità di rimproverarlo per le sue “assenze ingiustificate”. Ormai Chris era una causa persa; non che vi fossero mai state possibilità di vincere contro di lui, essendo stato cresciuto da Sharon…
L’uomo abbassò la testa, abbattuto: Sharon era un altro muro di cemento contro cui aveva dovuto scontrarsi. Era forte e decisa proprio come il ragazzo, ma la decisione che aveva preso era stata più drastica; aveva sofferto quando sua moglie l’aveva lasciato, e ora temeva di perdere anche suo figlio allo stesso modo. Del resto, anche la donna aveva acconsentito a mandare il ragazzo in Irlanda, “al freddo e al gelo”. Ma Chris se l’era presa solo con lui.
Sbuffando, salì sulla limousine che lo stava aspettando fuori dal palazzo. Quel giorno avrebbe rivisto per la seconda volta Andrea Cremi, il produttore cinematografico con cui, involontariamente, aveva fatto una pessima figura.
Durante tutto il viaggio, pensò a cosa avrebbe potuto dire per scusarsi, ma magari lei se ne era già dimenticata, oppure avrebbe fatto finta di niente. Insomma, le possibilità erano tante.
Quando arrivò a destinazione, Jack Parker lo stava già aspettando: era di fronte al solito edificio alto di cui avevano affittato un intero piano, mentre una folata di vento freddo gli fece svolazzare i capelli e lui li risistemò con un secco gesto. Benjamin notò che quel giorno il collega era piuttosto nervoso.
I suoi sospetti furono confermati quando giunse di fronte a lui e lo salutò.
« Dove ti eri cacciato? » sbottò Parker, senza ricambiare il saluto, voltandosi poi immediatamente per condurre l’amico all’interno della struttura, verso l’ascensore.
Benjamin diede uno sguardo all’orologio d’oro da polso, timoroso di essere in ritardo, e notò che in realtà era in anticipo di qualche minuto.
« È tutto a posto, Jack? » domandò, ed il primo pensiero che gli passò per la testa fu che l’amico fosse stato licenziato. Ma era assurdo, perché non sarebbe stato lì ad aspettarlo, se le cose stavano davvero così.
Parker pigiò il pulsante dell’ascensore, impaziente.
« Oggi non è un bel giorno per incontrare la Cremi. È nera ».
« Che ci vuoi fare » commentò Benjamin, stringendosi nelle spalle e seguendo l’altro nell’ascensore. Altre persone salirono con loro, ma Parker non parve farci caso, agitato com’era. « Gli italiani sono tutti permalosi ».
Il collega gli lanciò uno sguardo sferzante, che gli fece intuire di dover evitare commenti di quel tipo.
« È inglese » specificò. « Di origini italiane. Dopo la pessima trovata sulla segretaria, spero ti risparmierai battutine sarcastiche su solo Dio sa cosa ».
« Non che mi sia piaciuto fare una brutta figura davanti a chi mi procura il lavoro » ribatté secco Benjamin. « Ora mi vuoi dire che cosa diamine è accaduto? ».
« John Crowford ha letteralmente stracciato il copione che la Cremi aveva presentato. Sai che cosa significa questo? ».
« Che va riscritto per interno? » azzardò il regista.
« Magari fosse solo questo il problema! » replicò il collega, visibilmente teso.
Il campanellino dell’ascensore indicò che erano giunti a destinazione. Parker uscì a falcate lunghe e pesanti e Benjamin faticò a stargli dietro. « Parker ha abortito il programma! ».
Benjamin aveva già proteso il braccio verso la porta il cui cartellino indicava il nome della produttrice cinematografica, quando il collega gli diede la notizia. Il pugno si bloccò a mezz’aria, pronto a picchiettare sul legno duro; rimase in quella posizione per un paio di secondi, poi si riscosse, come attraversato da una scarica elettrica.
« Stai dicendo sul serio? » domandò, interdetto.
« Sì ».
« Crowford ha annullato il programma? ».
« Completamente ».
« Ma non lo può fare! ».
« Ahimè, può ».
Leggermente sconcertato, il regista allungò nuovamente la mano e bussò alla porta. Giunse la voce secca e irascibile di una donna, che con ogni probabilità non era la segretaria.
« Avanti ».
Benjamin si fece coraggio e premette con forza sulla maniglia, spingendo la porta e aprendola: Andrea Cremi era seduta alla sua scrivania con le mani tra i capelli.
Parker tentò di riportare al situazione alla normalità, schiarendosi la gola e annunciando poi, con un tono che sarebbe dovuto risultare caldo e sicuro:
« Allora, Crem… ehm, Andrea. Suvvia, non mi guardi in quel modo. Dobbiamo iniziare a chiamarci per nome, no? Solo così riusciremo a collaborare su questo nuovo progett- ».
« Parker sta tentando di dire » lo interruppe bruscamente Benjamin, « che dobbiamo metterci a lavorare di grossa lena. Dobbiamo visionare il nuovo progetto, riscrivere il copione, assumere tanti attori… ».
Parker abbassò la testa, pronto ad assistere alla scenata che la Cremi aveva già fatto dieci minuti prima, quando era stata avvisata del cambiamento. Ma, con suo sommo stupore, quella si alzò e si limitò ad annuire, seria in volto.
« Non ci sarà bisogno di fare tutto questo, Braight » disse, indicando con la testa la seconda porta. « Mi segua ».
I due uomini entrarono nel suo studio, così perfetto e ordinato da fare sicuramente concorrenza alla camera di Chris. La donna estrasse poi dei fogli accuratamente sistemati all’interno di una cartelletta rossa e li mostrò ai colleghi.
« Crowford mi ha già informata sul nuovo programma, e come potete vedere, ha in mente un film-reality ».
Benjamin rifletté per un minuto; non aveva mai realizzato film di quel genere prima, e sicuramente sarebbe stata un’impresa. Un ragazzo di fronte alle telecamere o sapeva fare il suo lavoro, e quindi si trattava di recitare, o era una schiappa.
« Vuole che realizziamo una specie di Laguna Beach? ».
« Esattamente ». La Cremi si sedette sulla sedia e incrociò le braccia, osservando i due uomini lanciarsi sguardi dubbiosi. « Equivale a dire, prendere ragazzi normali che sanno fingere davanti alle telecamere, dirgli che parte devono interpretare e poi lasciare che improvvisino ».
« Ma non ha senso » obiettò Parker. « Allora non è più un “reality” ».
« Ma non è quello che gli altri devono sapere. E poi ai ragazzi piacciono queste cose, farà sicuramente successo. Il che significa una marea di soldi ».
Intenzionata a non aggiungere altro, li congedò con un gesto. Ma entrambi gli uomini sapevano che non era affatto contenta di quel che la attendeva.



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Eccomi di nuovo qui con un nuovo capitolo! Dunque, è bene specificare che la prima parte (quella di Maiti e Sèanait) l'ho scritta mentre ero sul carro attrezzi che trasportava la mia macchina in un'officina, poiché si era fermata in autostrada -.- .
Ringrazio Anle per il suo preziosissimo aiuto, poi Idgie Joad per avere inserito la storia tra le seguite ^^ . Come al solito, invito tutti coloro che leggono a lasciarmi un commento.
DarkViolet92: grazie ^^

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