Lacrimosa

di BaschVR
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Opporsi al destino ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Intermezzo narrativo ***



Capitolo 1
*** Opporsi al destino ***


Salve a tutti! Prima di cominciare a tediarvi con la narrazione, occorre attuare qualche piccola precisazione. Questa è una Alternative Universe, e quindi, non si colloca in nessun modo nell’universo narrativo di Final Fantasy VII. Quindi non è mai successo nulla di quello che ci racconta la trama del videogame. Tuttavia i luoghi ed alcuni personaggi sono stati presi dal videogame originali. Questi elementi non sono di mia invenzione e quindi (logicamente) appartengono ai rispettivi proprietari, che, come tali, ne detengono tutti i diritti. Inoltre non sono utilizzati a fini di lucro.

Occorre anche precisare che la narrazione è alterata: più che altro la storia si sviluppa in quest’ordine: dapprima nel presente, poi continua con un lunghissimo flashback, e poi, ancora una volta, ritorna al  presente. Per semplificare la comprensione, metterò delle date che aiuteranno a capire il tempo in cui si svolge la storia.

Forse questo capitolo, il prologo, vi lascerà lievemente spiazzati, ma non vi preoccupate, col flashback successivo si spiegherà tutto (forse XD)!

Bene, direi di cominciare, vi auguro buona lettura!

 

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Lacrimosa

 

“Lacrimosa dies illa,
qua resurget ex favilla
judicandus homo reus […]”

Messa da Requiem, Lacrimosa – Wolfgang Amadeus Mozart

 

Prologo: Opporsi al destino

24 Novembre 2009, 15:45  

Quel giorno la nebbia dominava tutto. Dominava il cielo, la terra, ogni cosa era soggetta al suo volere. Sembrava far da scudo alle vicende terrene, e il suo manto avvolgeva le vie quasi deserte, le strade, i viali, le case, le anime della poca gente che stava in strada. Un cane, disorientato dalla scarsa visibilità, barcollava incerto per i luridi vicoli di Midgar; si faceva strada tra l’immondizia, rabbrividendo per il freddo innaturale di quella strana giornata, scostando con la zampa una lattina usata, guardando il cielo plumbeo, così diverso da quello azzurro che fino a ieri regnava tra le candide nuvole bianche, simili ad un gregge che pascolava nel cielo.

E mentre il cane guardava con nostalgia al passato, c’era chi invece addirittura lo rimpiangeva. Si sa, il presente non è sempre benaccetto. A volte, si farebbe di tutto per tornare indietro, rivivere ciò che è passato, cercare di dare una spiegazione a ciò che avverrà. Era semplice capire quanto potesse essere strano vivere in tal modo. La difficoltà era trovare la forza di andare avanti. Era a questo che pensava l’uomo che camminava lentamente per una via secondaria della città, avvolto in un cappotto pesante per sferzare il freddo di quella giornata. Gli occhi azzurri erano stanchi, l’espressione preoccupata. Il suo nome era Cloud Strife.

Cloud non aveva mai avuto ché di lamentarsi. Una famiglia ricca, una moglie amorevole, un figlio fantastico, un buon lavoro. Una vita che molti avrebbero considerato perfetta. E all’apparenza, lo era. Ma spesso, per capire davvero la gente, bisogna guardare sotto la superficie. Allora sì che tutti avrebbero notato la verità. Cloud lo sapeva benissimo. Per scalare il successo aveva dovuto scavare nella gente, riuscire a capire tutte le motivazioni intrinseche dei loro gesti, cercare di aiutarle ed infine lasciarle andare da sole.

Era la sua capacità di comprendere a fondo le persone, che lo aveva portato fino a quel punto, nel bene e nel male. I suoi piedi urtarono qualche ciottolo. Mise le mani in tasca, e si maledì per non aver portato i guanti con lui. Non poteva perdere tempo per tornare a casa, ci sarebbe voluto troppo tempo per far ripartire la Lamborghini, date le condizioni in cui era ridotta. Ed era sicuro che lei lo stesse seguendo, la sentiva. Sentiva i suoi passi, nella realtà, o forse soltanto nella sua mente, la sentiva vicino a sé, la sentiva pronta a vendicarsi per il torto subito. Sicuramente aveva seguito la pista lasciata dalla sua macchina distrutta. E, una volta giunta in quella zona della città, probabilmente era stato facile intuire dove sarebbe andato. E sicuramente l’aveva seguito. Ma dopotutto non gli importava. Forse era arrivato il momento della vera azione, il momento che sapeva sarebbe arrivato. Forse.

Oltrepassò una strada secondaria a passo svelto, mentre le prime gocce di pioggia gli bagnavano il viso. Si maledì nuovamente per non essere stato previdente riguardo all’eventualità che potesse piovere, e a denti stretti, seguitò nella sua improbabile passeggiata. Mentre il vento si alzava e la pioggia batteva sul suo viso, Cloud pensò che mai era caduto così in basso, e che probabilmente non lo sarebbe stato ancora per molto, se tutto andava come prevedeva. Nel bene o più probabilmente nel male, tutto sarebbe presto finito.

Si stava scavando la fossa con le sue stesse mani? Stava percorrendo la strada verso il patibolo? Forse, probabile, sicuramente era così. Lo sentiva, così come sentiva il vento che soffiava sul suo viso, la pioggia che batteva sui capelli oramai bagnati fino alla radice, come il silenzio innaturale di quelle strade. Strinse l’impermeabile, poi alzò la testa ed osservò le guglie gotiche della cattedrale che si ergeva di fronte a lui. In quel momento, un lampo squarciò il cielo, illuminando l’elaborata facciata della chiesa che aveva di fronte, che si stagliava su, in alto, fino a toccare il cielo. Era una cattedrale grandissima, ma quel giorno deserta. Dopotutto, anche il più strenuo dei fedeli avrebbe avuto difficoltà a lasciare la propria casa con quel tempo, naturale che la chiesa fosse vuota.

Ma il grande portone in quercia era aperto, come sempre, e Cloud, senza più nessuna titubanza, entrò.

La prima cosa che lo colpì fu la luce soffusa che proveniva dalle finestre, di solito sempre così luminose e piene di vita grazie alla luce proveniente da fuori. Poi vide qualche candela accesa nel banco delle offerte dei fedeli, che stranamente emanava più bagliore del solito, forse per l’assenza della grande luce che di solito caratterizzava la grande sala. Infine, provò un brivido di solitudine nel vedere le navate vuote, senza nessuno che le riscaldasse con le proprie preghiere.

Mosse un passo in avanti, poi un altro, e un altro ancora, nella lenta camminata che portava verso l’altare, attraversando in silenzio la navata. Ogni passo era un rimbombo che scuoteva la chiesa, come se l’ambiente circostante fosse soggetto ad un terremoto. Da una cappella laterale, l’occhiata penetrante di qualche santo lo attraversava, con un sorriso austero e compiaciuto sul viso. Scuotendo la testa, si fece avanti, fino a raggiungere il buio dell’altare. Un lampo illuminò per un attimo la chiesa, poi l’oscurità torno a regnare sovrana. Cloud si mosse verso una porta ai lati dell’altare e provò ad aprirla, ma con irritazione vide che era chiusa.

“Padre McRonis!” chiamò l’uomo. La sua voce rimbombò per la chiesa, senza ricevere nessuna risposta.

“Padre McRonis, mi sente?” ripeté Cloud, alzando il tono della voce. Ancora una volta nessuno gli rispose, ma proprio quando pensava che ormai non ci fosse nessuno, ecco dei passi frettolosi che provenivano da una delle porte laterali.

“Chi è?” chiese una voce maschile, sospettosa, aldilà della porta in legno.

“Sono Cloud Strife” rispose l’uomo. “Potrei parlarle? Ne avrei bisogno”

Una chiave consunta e arrugginita girò nella toppa, e la porta si aprì, rivelando la figura rassicurante di un uomo di chiesa, cinquantenne, chiamato Padre Davis McRonis. Il Reverendo McRonis era sempre stato un devoto servitore di Dio. I più anziani fedeli della comunità lo ricordavano ancora da ragazzo, quando si occupava delle attività giovanili della chiesa. Ricordavano la sua sicurezza, il suo coraggio, la sua voglia di aiutare il prossimo. E queste erano le qualità che trovavano anche nel McRonis del presente, divenuto un punto di riferimento per tutti coloro che cercavano aiuto.

“Dottor Strife” esclamò il reverendo, felicemente sorpreso “Sapevo che sarebbe venuto presto, ma non mi aspettavo di vederla in una simile giornata. Prego, entri”  e gli fece cenno di seguirlo oltre la porta che aveva appena aperto. Richiudendo la porta alle sue spalle, Cloud pensò che non aveva ancora molto tempo, se le sue supposizioni erano esatte. Seguì il reverendo per uno stretto e angusto corridoio,  fino ad un accogliente stanza dominata dalla penombra, ma illuminata fiocamente da un caminetto acceso.

“Si sieda pure” disse Padre McRonis. Cloud, un po’ teso, si accomodò su una delle due poltrone illuminate dal camino, e si lasciò riscaldare dal tepore delle fiamme. “Come sta sua moglie?”

“Oh, Cissnei sta bene” rispose Cloud assente.

“Bene, le dica che la saluto” proferì il reverendo, sorridente.

“Senz’altro” si susseguirono alcuni secondi di silenzio. “Immagino che sappia perché sono venuto” disse poi, fissando il fuoco ardere scoppiettando nel camino.

“Beh, credo di si” rispose l’altro, in tono greve “Sa, a dire la verità mi ha stupito non vederla al funerale dell’altro ieri. Credevo che lei e il signor Fair foste amici”

Alla menzione del cognome dell’amico, Cloud si sentì, se possibile, ancor più depresso di prima. Gli era dispiaciuto moltissimo non essere presente al funerale di Zack, ma non poteva presentarsi, non dopo tutto quello che era successo con lei. Ma non doveva dire la verità a nessuno. Non poteva rischiare che quella storia venisse a galla. Anche per il bene dell’ormai defunto Zack.

Decise quindi di mentire. “Si, mi dispiace molto, ma purtroppo ero impegnato in un viaggio d’affari” disse quindi.

“Sua moglie e suo figlio, invece, sono venuti” rispose il reverendo.

“Si, me l’hanno detto” assentì Cloud.

Ancora qualche minuto di silenzio. Poi Cloud si fece coraggio e chiese una cosa che gli stava parecchio a cuore.

“E la signora Fair? Come stava?”

McRonis sospirò. “Non ha mosso ciglio durante la cerimonia. Beh, d’altronde era chiaro che provava moltissimo dolore. E come darle torto?”

“Già” sussurrò Cloud in risposta, assorto nei suoi pensieri. Appena si riprese, decise di andare al sodo, chiedendo ciò per cui era venuto.

“Reverendo, Zack Fair è stato sepolto nel cimitero privato dietro la chiesa?”

“Certamente” rispose McRonis “come tutti i membri illustri della nostra comunità. Un giorno questo onore spetterà anche a lei. Ovviamente spero il più tardi possibile”

Cloud sorrise amaramente, decidendo di non infierire su quell’ultima affermazione decisamente priva di tatto. “Vorrei poter entrare nel cimitero privato. Vorrei far visita alla tomba del mio amico”

Il Reverendo aprì un cassetto e vi frugò all’interno, poi gli porse una chiave. “Immaginavo che volesse andare a trovarlo, così mi sono premurato di farle una copia”

“Beh, grazie” rispose Cloud prendendo la chiave in mano, fredda al tatto.

“Vuole scusarmi, devo prepararmi per la funzione serale” disse dopo un po’ il Reverendo “Anche se con questo tempo, non credo che verranno in molti”

“Allora la lascio” rispose Cloud, alzandosi.

“Mi ha fatto molto piacere la sua visita” rispose McRonis “venga a trovarmi presto”

“Lo farò” disse Cloud, pensando che probabilmente stava mentendo. Ma non dipendeva da lui. Ancora una volta, come sempre, si era fatto trascinare dagli eventi, così diversi da lui eppure così simili ai suoi pensieri. Quella giornata di pioggia, che gli era parsa tanto inospitale, adesso gli appariva come… liberatoria. Dopotutto, cos’è la pioggia, se non acqua? Ogni temporale porta con sé la speranza di un sole splendente, e per un attimo, mentre si dirigeva verso il cimitero, verso il suo insicuro “patibolo”, si dimenticò del passato, dell’incidente con la Lamborghini, della famiglia che lo aspettava a casa, di Cissnei, di suo figlio, e persino di lei, pur sapendo che ben presto l’avrebbe rivista per l’atto finale della sua storia.

 

 

 

 

Mentre la pioggia lasciava il passo ad una sempre più fitta nebbia, lei camminava per le strade bagnate del centro, verso quella chiesa che era stata meta di Cloud Strife parecchi minuti prima. I suoi occhi verdi si mossero con circospezione per l’area circostante, cercando un qualunque segnale di anomalie. La sua mano, nella tasca dell’elegante soprabito nero che indossava, si chiudeva sul calcio di una pistola appartenuta al marito, morto qualche giorno prima. Non conosceva neppure il modello dell’arma, eppure era sicura di saperla usare. Dopotutto, è difficile premere un grilletto? No, ci voleva solo un po’ di sangue freddo. Beh, di coraggio lei ne aveva da vendere.

Diamine, com’era potuta arrivare a tanto? Si sentiva in qualche modo irriconoscibile. Un brivido la attraversò, e si strinse ancora di più al suo cappotto scuro. Lo stesso che aveva utilizzato il giorno del funerale. Scuotendo la testa, si disse di non pensare al passato, e, con rinnovato vigore, si diresse verso la cattedrale che già riusciva ad intravedere attraverso spiragli vuoti tra i grattacieli del centro di Midgar.

Camminò ancora per qualche minuto, poi si fermò, lasciandosi andare per un attimo su una gelida panchina. Il freddo metallo la tenne con i piedi per terra, impedendole di speculare su quegli ultimi terribili giorni. Al contrario, il suo sguardo si fermò su una bambina sorridente, di poco più di sette anni, dai capelli castani e con indosso un candido vestitino azzurro leggero, non di certo adatto ad una giornata così piovosa. La bambina giocava con due pupazzi di pezza, vecchi di almeno vent’anni. Uno di questi era posato a terra, con una grossa croce piantata sul petto, nel punto in cui, se fosse stato umano, si sarebbe trovato il cuore. L’altro pupazzo aveva dei capelli giallo paglia e veniva sballontonato di qua e di là dalle mani della bambina, che lo teneva stretto come se non lo volesse far scappare. E quell’insolito quadretto, così strano, così… singolare, la attirava. Quasi senza rendersene conto, si ritrovò nuovamente in piedi, lasciò andare la pistola dentro la tasca del soprabito e si avvicinò, un po’ di soppiatto e un po’ incuriosita, alla bambina. Una parte di lei voleva non essere notata dalla bambina, e continuare ad osservare il suo gioco infantile per capirne la logica. Ma un'altra parte invece voleva essere notata, voleva avere una spiegazione, voleva capire il perché di quel magnetismo verso quel piccolo esserino che si muoveva goffamente  e che, con distratta eleganza, piantava sempre più in basso la croce sul petto del pupazzo, che, inerme, assecondava il suo volere.

Fu così che la curiosità vinse, e che, con un sorriso tirato sul volto, si avvicinò fino a carezzare la testa della piccola con la propria affusolata mano. Quella non si scompose, continuò a giocare distrattamente con i pupazzi, senza degnarla di uno sguardo.

“Ciao” si decise a parlare la donna, con un tono di voce amichevole.

“La mamma mi ha detto di non parlare con gli estranei” rispose la bambina, senza distogliere lo sguardo dalla bambola con i capelli di paglia.

“Oh, capisco. Lo diceva sempre anche mia madre. Lo fa perché ti vuole bene” rispose lei, con un sorriso sul volto.

“Io invece non capisco, che barba!” continuò la bambina “Io voglio conoscere tante persone nuove!”

“Beh, facciamo amicizia!” propose l’altra, abbassandosi sulle ginocchia per stare al suo livello.

“Ok!” rispose la bambina, sorridente. Alzò lo sguardo e due bellissimi occhi verdi irradiarono il volto della donna, simili a due soli in quella grigia giornata. “Mi chiamo Aerith, piacere”

L’altra fece fatica a nascondere la sua sorpresa. Il sorriso di circostanza che aveva adottato sparì, sostituito da un espressione di costernamento e di confusione. “Beh, questo è buffo!” rispose fredda.

“Cosa è buffo?” disse l’ingenua bambina, senza capire ciò che la bella signora stesse dicendo.

“Io mi chiamo come te” rispose accarezzandole i capelli castani.

Passò qualche attimo in cui le due stettero in silenzio. La bambina, dal canto suo, ignorava completamente quello che l’altra le diceva, e rispondeva solo direttamente, senza aggiungere nulla di superfluo che potesse lasciare intuire qualcosa al riguardo della sua vita.

“Va bene, Aerith” disse la donna, mettendo enfasi sul nome “A cosa stai giocando?”

“Sto inventando una storia in cui ci sono due personaggi” disse, indicando i due pupazzi che adesso giacevano entrambi a terra.

“Davvero?” disse l’Aerith adulta, scostando una ciocca di capelli dal suo viso “Ti andrebbe di raccontarla?”

“Veramente non è un granché” rispose la bambina “Però se proprio vuoi ti posso fare un riassunto”

“Mi piacerebbe sentirla”

“Va bene” rispose la bambina guardandola “Questo pupazzo si chiama Cloud” e indicò la bambola con la testa di paglia “e l’altro è… beh, per la verità non ha un nome. Però se proprio vuoi saperlo posso deciderlo adesso! Direi che mi piacerebbe il nome… Zack!”

Adesso la donna non parlava più. Nella sua testa si ripeteva che non poteva essere solo una coincidenza, era troppo strano. Quella bambina si chiamava come lei, aveva il suo aspetto, e le sue bambole? Avevano lo stesso nome di… no, non poteva essere SOLO una coincidenza! C’era qualcosa sotto, e a questo punto, doveva scoprire cosa.

“Cloud e… Zack?”

“Si! E poi ci sono io che gioco con loro!” riprese la piccola, saltellando “Però Zack è morto qualche giorno fa”

“Davvero?” Chiese Aerith, cercando di mantenere un tono stabile, mentre nel suo petto il cuore martellava forte.

“Si… l’ho ucciso io” disse la bambina, con un sorriso mite sulle labbra, come se le stesse raccontando dei suoi ottimi voti a scuola. E le sembrò che la piccola provasse una sorta di gioia perversa, vedendola così sconvolta, come se fosse a conoscenza di cose a lei ignote.

“L’hai… ucciso tu?” sussurrò con appena un filo di voce tremante, mentre nei suoi pensieri si ricollegavano argomenti del tutto rimossi, con una logica altalenante che le pareva comunque senza senso. CHI era quella bambina?

“Beh, si, adesso è morto. Avresti dovuto vedermi al funerale! Non ero per niente triste, e poi…”

“Basta così!” esclamò Aerith, in tono serio “Non so cosa tu stia dicendo, ma non sei stata tu ad uccidere Zack!”. Non sono stata io!

La bambina posò anche l’altro pupazzo sul marciapiede, il bambolotto biondo chiamato Cloud. Poi sospirò, dicendo “Invece sono stata io, e tu, più di chiunque altro, dovresti saperlo. E dovresti sapere che la stessa cosa accadrà tra poco anche a Cloud”

Mentre la donna, istintivamente, toccava la pistola che adesso era abbandonata nella tasca del soprabito, pensò che la bambina aveva ragione, su quel punto. E odiò se stessa, odiò tutto quello che vivere nel suo stato poteva significare, ed odiò anche quello che forse aveva fatto e quello che stava per fare. Si inginocchiò accanto alla bambina, che sentiva vicina, parte di lei, specchio della sua anima. “Posso cambiare qualcosa?”

La piccola fece segno di no con la testa. “Sai anche tu che era impossibile evitare questi avvenimenti. Bella o brutta, ognuno deve seguire la propria strada, e vedere dove conduce, fino alla fine” E qui la bambina le si avvicinò, e le cinse le gambe con le braccia, come una sorta di abbraccio. Aerith rabbrividì al tocco di quelle mani piccole e fredde, però non la respinse, la lasciò immergersi in quell’abbraccio così sentito e profondo, ma al tempo stesso compassionevole.

“Sei chi io penso che tu sia?” chiese poi l’adulta.

“Non si era capito?” chiese la ragazzina, staccandosi da lei e raccogliendo le sue bambole da terra. Poi le si avvicinò nuovamente, ed indicò la tasca destra del suo cappotto, dove l’arma riposava placidamente, in attesa di essere usata. “Fa quello che devi fare” disse “ma non credere che sia la cosa giusta, spero che tu lo sappia”

Aerith non sorrise. Al contrario, si incupì e chiuse gli occhi, non riuscendo nemmeno a trovare la forza di piangere. Ma quando li riaprì, nessuna ragazzina le stava davanti, nessuna sé stessa, nessun pupazzo. Solo la malinconica solitudine di una brutta giornata, ed una strada da imboccare. Mentre riprendeva a camminare, pensò che dopotutto, forse c’era un motivo se si era arrivati a tanto. Ma anche se poteva sembrare strano, lei non lo vedeva proprio.

 

 

 

 

Il cimitero privato della Cattedrale di Midgar non era molto noto. Anzi, si poteva affermare con tutta tranquillità  che gli unici che erano al corrente della sua esistenza erano i parenti di coloro che vi erano seppelliti, e che a loro volta sarebbero stati seppelliti accanto ai propri cari. Era come la chiusura di un cerchio, e così tutto ritornava alla situazione di equilibrio iniziale.

Cloud Strife non si stupì di trovarlo vuoto. Dopotutto, chi era il folle che in una giornata come quella andava a far visita ad un morto? Beh, follie a parte, in un modo o nell’altro, lui era lì. Davanti a quella lapide grigia rivestita in marmo, poco decorata ma al tempo stesso regale. Le lettere che svettavano sulla sua superficie erano dorate e splendenti, testimoniando che la tomba era un recente acquisto del Cimitero. D’altronde, quanti giorni erano passati dal funerale? Due, forse tre?

Per un attimo guardò il nome dell’amico, Zack Fair, pensando che sicuramente il fatto di avere una tomba come dimora per l’eternità lo avrebbe fatto ridere. Lui che diceva di voler morire ustionato a Costa del Sol! Era di certo uno strano modo di andarsene, ma nessuno glielo aveva mai fatto notare. D’altronde, Zack era fatto così, ed il suo modo di fare, il suo ridere delle battute a volte senza senso, il suo trovare qualcosa di buono in qualunque cosa, era gradito a tutti. Beh, se non altro avrebbe almeno accettato l’originalità del caso. Vivere in una tomba per un morto non avrebbe dovuto essere un problema, ma Cloud era sicuro che l’amico non si trovasse bene in un luogo così angusto. Magari una cripta sarebbe stata più adeguata. Beh, era stata una decisione di Aerith. E dopotutto, non era sicuro che Aerith volesse davvero il bene per Zack. Specie negli ultimi tempi: era stato attuato ciò che era necessario, questo era l’importante.

L’uomo poi ripensò alla sua morte: una vera e propria pugnalata alle spalle, da parte del meno sospettabile. Cloud stesso stentava a credere che fosse davvero successo, cinque giorni prima: eppure il fato aveva deciso così, anche se i motivi del gesto gli apparivano oltremodo senza senso.

Poi nella sua mente sovvenne l’immagine di Aerith. Era da quel giorno che non la vedeva, dal giorno della morte di Zack, quando era scappato dall’edificio dove si trovavano, con il suo sguardo sulle spalle. Cloud era però convinto che entro poco l’avrebbe rivista, ed infatti non si sbagliava. In quel preciso istante sentì la canna di una pistola posarsi contro la sua schiena, e seppe che lei era arrivata.

Aerith Gainsborough.

“Salve, Aerith” disse Cloud, senza scomporsi più di tanto al sentore della pistola alle sue spalle. Anche se non l’aveva ancora vista poiché sita alle sue spalle, Cloud era sicuro che fosse lei. Chi altri poteva aver accesso al cimitero privato, soprattutto in una così nebbiosa giornata? Nessuno, a parte Aerith. Ed infatti, ecco la sua voce, ora insicura ora più ferma, sussurrare: “Ciao, Cloud”.

Una goccia di pioggia bagnò il viso del biondo, mentre il cielo annunciava un nuovo temporale. In effetti la nebbia s’era fatta più rada, e nel cielo splendeva il bagliore plumbeo che annuncia un imminente tempesta.

“Lascia che io ti spieghi” disse Cloud, mentre un lampo squarciava il cielo.

“Cosa vorresti spiegarmi? Io so tutto, e so anche che non dovevi farlo” rispose la ragazza, mentre la mano che teneva la pistola cominciava a tremare.

“Non c’è alcun bisogno di arrivare a questo punto!” esclamò Cloud, cercando di mantenere il sangue freddo e arrovellandosi per trovare una via d’uscita apparentemente inesistente a quel problema.

Aerith abbassò lo sguardo. “Io non la penso così” disse poi, con la testa china.

“Non vuoi sapere come è esattamente andato tutto?!” esclamò Cloud.

La donna tentennò, mentre la pistola tremava ancor di più nella sua mano. “Cosa dovrei sapere?”

“Posa la pistola e ti dirò la verità” continuò Cloud.

“E se fosse un bluff?” continuò Aerith, con una nota tremolante nella voce.

“Fidati di me, Aerith. Non farei mai nulla che potesse farti del male” continuò.

La donna non si mosse per qualche minuto, continuando a pensare. Poi rinforzò la presa sul calcio dell’arma, e parlò: “Dì prima quello che sai”

“No. Posa l’arma!” sibilò Cloud.

“Sarebbe un cliché se ti dicessi che non sei in condizione di poter trattare?” domando Aerith con una velata ironicità, mentre il tremore della sua mano si stabilizzava verso una più sicura convinzione di poter fare qualcosa di cui non si era mai considerata capace.

“Il prezzo sarebbe la verità” continuò Cloud, anch’egli più tranquillo. Nonostante il destino l’avesse guidato fin lì, forse c’era ancora una possibilità “Hai mai sentito parlare della ShinRa Electronic Power Company?” Sapeva di aver colto l’interesse della donna dietro di lui. Sentì di nuovo l’insicurezza che pervadeva la sua mente, ed il nuovo tremolio della mano della donna.

“Io… cosa ne sai tu della ShinRa?” chiese Aerith, sconvolta.

“Probabilmente so le stesse cose che conosci anche tu. Però devi dirmi con sincerità: dove hai sentito il nome della corporazione?”

“Circa due settimane fa, ho… ho visto un documento  sulla sua scrivania, nel suo studio… ma non pensavo fosse qualcosa di importante, non l’ho nemmeno letto! Però Zack da quel momento si è comportato in modo strano…”

“Si, immagino cosa vuoi dire” continuò Cloud “Aerith, ascoltami bene, adesso. Ho dei sospetti fondati sulla ShinRa, ma non ho molte prove che possano convalidare le mie teorie. E’ proprio per questo che per adesso non posso rivelarti tutto. Però i file che potrebbe avere Zack nel studio… devo dargli un’occhiata, ti prego. Sono questioni molto importanti per il destino di Midgar!”

Passò qualche minuto, in cui la donna continuava ad arrovellarsi sulle nuove rivelazioni di Cloud. Poi disse, a bassa voce, abbassando la canna della pistola “Ti credo”.

Cloud sospirò, mentre si voltava a guardare la donna che fino ad adesso era stata alle sue spalle. E la trovò radiosa, bellissima come sempre, anche nel suo dolore. Gli stessi occhi verdi che l’avevano guardato la prima volta un paio di mesi prima, attraverso i quali riusciva a vedere la sua anima. E vide che forse il destino aveva sbagliato, e se ne compiacque.

“Meglio andare” sussurrò Cloud “Dobbiamo andare a casa tua, nello studio di Zack. Non hai ancora toccato nulla, vero?”

Aerith fece segno di no con la testa “Non sono neanche entrata nello studio, a dir la verità”.

“Bene” continuò Cloud “Se le mie teorie sono esatte, potrò avere dei documenti che testimonino le mie teorie. Adesso andiamo!”

Aerith adesso era un po’ inquieta. Forse voleva dire qualcosa? Ma sembrava non ne trovasse il coraggio, pensava Cloud.

“Aerith, cosa c’è?”

“Cloud…” disse la ragazza, triste. “Tu non verrai con me.”

Un attimo dopo, la donna gli puntò nuovamente contro la pistola, e mentre sentiva uno sparo riecheggiare per il deserto cimitero privato di Midgar, capì che il destino non era stato creato per essere messo in discussione.

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Voilà! Eccomi con una nuova fan fiction che avevo in mente da Ottobre (e che finalmente ha visto la luce!). Dunque, devo dire che per creare la trama di questa fan fiction ho passato notte insonni, ed adesso, spero che sia appena decente! So che dal prologo molte cose non sono sembrate chiare, ma tranquilli: presto verrà spiegato tutto!

Devo dire che è strano cimentarsi con l’Alternative Universe: è il mio primo tentativo in questo nuovo campo, spero di non aver combinato un disastro!

Vi dico anche che non credo che il secondo capitolo verrà tanto presto: chissà, potrebbero volerci due settimane, così come due mesi! Ma cercherò comunque di fare il prima possibile, impegni personali permettendo >.>

Che altro dire, spero che questo “prologo” vi sia piaciuto (personalmente vi dico che è stato difficile da scrivere ed emotivamente stancante XD), e se si, sperate che il prossimo capitolo arrivi presto!

Ciao a tutti!

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Da questo capitolo in poi, dopo una breve introduzione, sarà presente il flashback di cui vi parlavo nelle note del prologo, e che ripercorrerà tutta la storia fino a riallacciarsi agli eventi del capitolo scorso.

Vi auguro una buona lettura^^

 

 

 

Capitolo 1

 

24 Novembre 2009, 17:23

Aerith Gainsborough non si era mai considerata come “psicopatica” o in qualche modo, anormale. E nemmeno le persone che vivevano accanto a lei avrebbero mai dubitato della sua normalità, e questo lo sapeva.

Aerith Gainsborough lo pensava, e nello stesso istante il corpo di Cloud Strife toccava terra, scivolando tra le spire tenebrose della morte. E nel frattempo tenne lo sguardo alto e fiero, mentre sentiva il peso della vita svanire dal corpo di Cloud.

Si guardò poi intorno, forse spaventata, ma vide che il colpo secco che era scaturito dall’arma non aveva destato nessun ignoto ascoltatore, e se ne compiacque. Dopotutto, chi è che in quell’orribile giornata di pioggia avrebbe notato una cosa del genere? La risposta affiorò nella sua mente in maniera naturale. Nessuno.

Non si voltò indietro, mentre si muoveva a passo svelto per le lapidi di marmo che picchiettavano al tocco della pioggia. Mentre le sue mani aprivano la porta che dava sul corridoio posteriore della cattedrale, per un attimo si ritrovò spaesata, ma poi proseguì per il cammino che prima aveva percorso in senso contrario, felicitandosi per l’assenza del Reverendo McRonis, dato che non aveva voglia di vedere nessuno. Fu una liberazione quando la luce plumbea di quell’odiata giornata le irradiò di nuovo il volto, uscendo dalla chiesa.

Non sapeva quanto tempo sarebbe passato prima che avessero trovato il corpo esanime del Dottor Strife, o prima che la polizia riuscisse ad intuire le sue implicazioni nell’avvenimento. Probabilmente solo poche ore, visto che sarebbe in breve diventata l’indiziata numero uno. E poi sarebbe dovuta fuggire.

Ma comunque, la cosa non le importava. Ormai aveva deciso che era disposta a scoprire cosa la ShinRa stesse tramando, e come Zack ne fosse coinvolto. Comunque sarebbe andata a finire.

Per prima cosa, decise di fare un salto a casa sua, per un ultima volta, alla ricerca dei documenti che forse avrebbero potuto spiegare qualcosa in più riguardo a quella storia, che si stava facendo sempre più complessa e ostica, ogni minuto che passava.

 

 

 

 

 

27 Settembre 2009,  6:00

Forse stava sognando, forse era sveglio. Tutto ciò che Cloud Strife in quel momento sapeva era che il suono della sveglia lo stava disturbando parecchio. Non aveva voglia di alzarsi, non per cominciare nuovamente una giornata che probabilmente si sarebbe rivelata poco fruttuosa e assolutamente frustrante. Allungò una mano verso la sveglia e la colpì, cercando di far cessare quel rumore infernale, ma tutto era inutile, e fu costretto ad aprire gli occhi e ad essere perfettamente conscio di essere sveglio.

“Già ora di alzarsi” sospirò poi, trattenendo a stento uno sbadiglio.

 “A quanto pare si” rispose una voce femminile alle sue spalle.

 Cloud si voltò e vide Cissnei, in piedi, già sveglia, che riordinava la camera. “E tu quando ti sei svegliata?” chiese.

“Beh… non è che avessi parecchio sonno, a dir la verità… Resti qui a fare colazione o la prendi nello studio?” chiese la donna, mentre rifaceva il letto. Cloud la guardò e si perse nei suoi meravigliosi capelli rossi, e nel suo sguardo dolce ma profondo al tempo stesso. Poi si riscosse, mentre nella sua mente rimbombava la domanda che gli era appena stata posta.

“Non ho tempo di restare qui, mi dispiace. Prendo qualcosa fuori casa, prima di andare a lavoro” rispose poi, prendendo camicia, giacca e cravatta da un cassetto e chiudendosi in bagno per cambiarsi.

“Bah, io continuo ad essere dell’opinione che dovresti passare almeno un po’ di tempo con tuo figlio!” esclamò Cissnei, perplessa.

“Sai che oggi non  ne ho proprio il tempo!” rispose lui dalla porta.

“Ma non ci sei mai! Adesso che gli dirò quando mi chiederà dov’è suo padre?”

“Potrai raccontargli che sono in missione segreta per salvare il mondo, oppure che sono stato preso in ostaggio dalla mafia giapponese” scherzò Cloud “Così ti toglieresti un grave impiccio ed io potrei ricominciare una vita a Costa del Sol” continuò.

“Oppure potrei ucciderti e metterti dentro un urna sul camino, così ti avremmo sempre in casa” continuò Cissnei sorridendo.

“Ok, questo disegno non mi piace molto” rispose Cloud un po’ spaventato “però ti prometto che stasera parlerò io con Artie, tranquilla. Nel frattempo puoi riempirgli la testa di maldicenze sul mio lavoro”

“Caspita, quanta fiducia” mormorò la rossa con un sussurro appena udibile.

Cloud uscì dal bagno già pronto per uscire, mentre si annodava la cravatta. Cissnei gli gettò uno sguardo prima di incamminarsi verso la cucina e cominciare a preparare la colazione in vista dell’imminente risveglio del figlio.

Il biondo invece si fermò un momento a pensare. Beh, certamente aveva un po’ deluso Cissnei. Magari lei si aspettava qualcosa in più, ma non poteva chiedergli di mollare tutto per un motivo si solitudine. Non adesso. Quando fu pronto, le augurò una buona giornata, uscì di casa e, attraversando il vialetto, si diresse verso la sua auto.

Per un momento, appena si fu seduto, restò in silenzio, immerso nei suoi pensieri. Poi partì, ed un’altra giornata ebbe inizio.

 

 

 

 

Quando Zack Fair, nello stesso istante, accese il motore della sua auto, non poteva sapere che entro all’incirca due mesi avrebbe trovato la morte. Non sapeva nemmeno che il Dottor Strife e sua moglie Aerith sarebbero stati due dei diretti responsabili della sua dipartita, e non immaginava neppure che presto sarebbe stata innescata la molla che avrebbe portato ad eventi molto più grandi di ciò che poteva immaginare.

Egli sapeva solo quello che gli era dato sapere. E tra le cose che gli erano date sapere, molte erano “poco nobili”.

Eppure Zack Fair, per ogni gesto che compiva, pensava di essere nel giusto. Il concetto di bene e male è spesso relativo, e non è possibile distinguere i due concetti neutralmente. Quindi, quella mattina, gli sembrò naturale comporre un numero di cellulare che chiamava spesso in quel periodo, ed attendere con ansia che qualcuno rispondesse.

“Pronto, qui Tifa Lockheart” rispose una voce femminile.

“Era ora” esclamò Zack, inviperito “Sai da quanto tempo sto cercando di chiamarti?”

“Mi spiace, ma ho avuto diversi contrattempi. Si stanno scoprendo parecchie faccende irrisolte della ShinRa, e purtroppo devo occuparmene” si giustificò quella.

“Beh, tutto deve essere pronto entro qualche mese. Se siamo fortunati, entro poche settimane potremo dare il via al Progetto”.

“Tutto dipende dai progressi di Hojo sullo studio al tempio degli Antichi” rispose Tifa  “E poi dipende da te. Hai già recuperato le informazioni nascoste dai Krauger?”

“Non ancora” rispose tetro, mentre armeggiava con lo scompartimento dell’auto alla ricerca di alcuni documenti. “Non posso intrufolarmi in una villa del genere senza destare sospetti. Per la prossima settimana la Signora Krauger ha organizzato una festa, e sia il mio che il tuo nome risultano tra gli invitati”.

 “Si, ne avevo sentito parlare. Certo, magari in quelle condizioni sarà più facile cercare i documenti, con la villa così affollata” rispose la donna via cellulare.

“Sarò lì tra poco. Sto per partire da casa” continuò Zack.

“D’accordo” rispose Tifa “A tra poco” aggiunse chiudendo la conversazione. Zack, dopo qualche secondo di smarrimento, si decise a partire da casa. Si mosse con disinvoltura attraverso il vialetto di casa, poi si ritrovò in strada, con gli occhi rivolti all’asfalto e la testa immersa in mille pensieri diversi.

Vide il sole sorgere, forse in ritardo, come lui; vide la città svegliarsi, Midgar all’alba che si preparava per un altro giorno, che l’avrebbe vista partecipe dei cambiamenti che avvenivano nella città. Da qualche parte in quella gigantesca metropoli, qualcuno stava nascendo, qualcun altro stava dicendo addio alla propria vita; ed il ciclo infinito di morte e rinascita sarebbe continuato, e Midgar, la città Eterna, in qualche modo ne era partecipe. Forniva la spinta capace di creare tutto questo.

Ed  i pensieri di Zack Fair si fondevano nell’intricata nube che pareva avvolgere una città come quella. I suoi erano pensieri eterni eppur in qualche modo effimeri. Pensieri antichi, che esistevano sin dagli albori del mondo.

Si fermò ad un incrocio, e mentre aspettava che il verde gli desse il via libera, un Gargoyle di pietra nera lo squadrò da un edificio imponente, posto sul ciglio sinistro della strada. Zack non lo guardò direttamente, ma sentiva il suo sguardo inquisitore addosso. E gli procurava disagio.

Pertanto, fu davvero un sollievo per lui quando il verde del semaforo scattò e lui si sottrasse allo sguardo lungimirante del Gargoyle, che rimase immobile, appollaiato nella grande costruzione, pronto a raggelare qualcun altro con il suo sguardo.

Il viaggio di Zack durò ancora per qualche minuto. Quando infine, nel parcheggio, spense la macchina, era tentato di telefonare alla moglie Aerith. Si sentiva solo, aveva bisogno di parlare con qualcuno che non gli ricordasse in che faccende era stato coinvolto. Compose il numero, ma il telefono squillò a vuoto per parecchi secondi, ed alla fine nessuno rispose. Rassegnato, sbadigliò un’ultima volta, prima di aprire la portiera della macchina e rivolgere lo sguardo verso il grigio edificio che avrebbe accompagnato, ancora una volta, la sua giornata di lavoro.

 

 

 

 

 

Quella mattina, quando Arthur C. Strife si era svegliato, cercava di tenere in mente il sogno che aveva fatto durante la notte. Ricordava ombre che si muovevano, fuochi perpetui,valli profonde e foreste rigogliose. Poi, quando lo sentì scivolare dalla sua memoria, cercò di concentrarsi su qualcosa di importante che avrebbe dovuto ricordare. Ma visto che nulla gli subentrava in mente, decise che forse non era qualcosa di rilevante e se ne dimenticò del tutto.

Per Artie sarebbe stato strano vedere come quel giorno la vita gli si sarebbe messa contro. Avrebbe trovato difficoltà nel risolvere i problemi di geometria, sarebbe stato preso in giro da qualche bulletto di quinta elementare, avrebbe trascorso gran parte della ricreazione da solo, lontano dai suoi amici. Ma non era ancora tempo di saperlo, e quindi, come sempre, si era alzato da letto, un po’ con malavoglia, un po’ con curiosità.

Artie credeva che avere sette anni fosse qualcosa di brutto. Era piccolo per la sua età, magro, con i capelli spettinati biondi che aveva ereditato dal padre. Non era molto espansivo e aveva pochi amici, che non sapeva nemmeno mantenere tali a lungo. Suo padre a volte gli diceva che si rivedeva in lui, ma Artie non ci credeva proprio. Si sentiva parecchio diverso da suo padre, anche se non sapeva in cosa.

Per tutto il viaggio verso la scuola, con sua madre, fu silenzioso; Ma Cissnei, che lo accompagnava, non se ne preoccupò, poiché non era la prima volta che Artie preferiva stare in silenzio. Osservava il paesaggio scorrere dal finestrino, con gli occhi chiari che si perdevano nel grigio panorama di una tiepida mattina di Settembre.

Poi, quando l’auto stridette fermandosi davanti alla scuola, sbuffò e prese in mano lo zaino, aprì la portiera, non rispose all’augurio di passare una buona giornata della madre e si lanciò verso gli alti cancelli dell’Accademia in cui studiava.

Camminò per un po’ fuori, nel cortile, all’ombra dei bastioni merlati dell’edificio principale della scuola, lontano dagli sguardi dei compagni di classe. Poi entrò dall’entrata principale, seguì uno dei vari corridoi senza una meta precisa ed attese che la campana suonasse, meditando sul sogno che aveva fatto.

Infine, quando la campana trillò, si diresse in classe, a testa china e senza nemmeno rispondere al saluto dei compagni. Si sedette con lo sguardo vuoto e non parlò fino a tre ore più tardi, quando un ragazzino, durante la ricreazione, gli chiese se volesse giocare a Chocobo Matto con lui.

“No” rispose lui in tono severo, non avendo nemmeno la minima idea di che gioco fosse Chocobo Matto.

“Ma è divertente!” affermò il bambino in un tono supplicatorio, cercando di tirarlo per la maglietta verso un gruppetto riunito sotto il sole, qualche metro più in là.

“Ho detto no” sibilò lui, in tono così velenoso da spaventare l’altro, che se la diede a gambe, decidendo che avere un giocatore in meno non era necessariamente un problema.

Artie, dal canto suo, non aveva alcuna intenzione di giocare ad una stupidaggine inventata dai suoi stupidi compagni di scuola. Ed era inutile qualunque cosa sua madre gli dicesse – sul fatto che quella scuola era prestigiosa e che sarebbe dovuto essere felice di poter frequentare un posto del genere -, a lui quell’istituto non piaceva. Sbuffò sonoramente e si sedette sui vasti prati che circondavano l’Accademia, ed allungò le gambe facendo lo sgambetto ad un paio di bambini dell’asilo che passavano di lì, che si allontanarono singhiozzanti alla ricerca di un entità superiore che potesse punire un tale crimine.

Artie istintivamente rise, un po’ stupito da se stesso, un po’ divertito da come si sarebbe sentita la mamma se l’avesse trovato a fare sgambetti ai bambini di cinque anni. Poi una mano si posò sulla sua spalla.

Quando alzò lo sguardo vide che qualcuno lo stava guardando. Una bambina, dai vividi occhi verdi e dai capelli dorati, più o meno della sua età, che gli sorrideva dolcemente.

“Ciao!” disse lei.

“Ciao” rispose Artie, un po’ imbarazzato.

“Ieri non ti sei più fatto vedere” sussurrò la bambina, sedendoglisi accanto.

“Scusa, mi dispiace” disse Artie, arrossito.

“Non preoccuparti” rispose la bambina guardandolo con i grandi occhi curiosi e sorridendogli amabilmente.

“Davvero, mi dispiace tantissimo, Eliza”

“Fa niente” rispose quella, mettendosi ad osservare il cielo. “Guarda che azzurro che c’è oggi” disse, indicando la vasta distesa che si estendeva sopra le loro teste fino all’orizzonte.

“V-vero” assentì Artie, non sapendo precisamente come rispondere alla precedente affermazione della bambina.

Eliza notò la sua insicurezza “Non ti piace il cielo?“domandò.

“No, non è questo” rispose lui, non sapendo perfettamente spiegare ciò che stava provando.

“Beh, a me piace tantissimo. Specie quando è così blu da sembrare il mare di Costa del Sol!” continuò la bambina, sorridendo.

 “Beh, questo è davvero importante” biascicò Artie, non sapendo cos’altro dire.

Eliza sorrise e lo guardò, un po’ confusa dalle sue parole, ed Artie divenne rosso dalla vergogna. Si chiese perché quando stesse con la bambina tutto fosse così difficile e non seppe più cosa dire. Allo stesso tempo, però, una parte di lui voleva parlare, altrimenti Eliza se ne sarebbe andata, in cerca di migliori attrattive. La guardò, mentre lei osservava una farfalla che volava lì vicino e si posava su un delicato fiore.

“Oggi puoi uscire a giocare?” chiese poi Artie, cercando di deviare l’argomento su qualcosa che non richiedesse lunghi e noiosi silenzi.

“Boh, non lo so. Credo di si” rispose Eliza, senza nemmeno ascoltarlo sul serio, ancora ammaliata dall’insetto colorato. In effetti era una gran bella farfalla. Molto grossa, con le ali variopinte che creavano un grandissimo mosaico di colori, e che volteggiava aggraziata per l’area antistante loro, come lusingata dalle attenzioni della bambina. I grandi occhi di Artie si socchiusero in un lampo di gelosia, e, con una veloce mossa, prese un sasso e lo lanciò contro l’insetto, che scappò via contrariato dal modo in cui era appena stata trattata. Un attimo dopo Eliza lo guardò storto.

“Ma perché lo hai fatto?” domandò irata. Poi si alzò, gli rivolse un occhiataccia e si allontanò, camminando lentamente e con un atteggiamento fiero, non voltandosi mai a guardarlo. Artie guardò la sua figura confondersi nella folla del giardino, finché non la perse di vista, poi decise di non rincorrerla. Al contrario, si concentrò sulla bellezza effimera di quel fiore che era riuscito ad attirare la farfalla grazie ai suoi petali sgargianti e luminosi. Lo colse, lo stracciò, lo lanciò a terra. Adesso la bellezza del fiore era svanita, e colse un’ironia fuori dal comune nella sorte della pianta, retrocessa da calamita di farfalle a insulsa erbaccia, che sarebbe successivamente stata tolta dai custodi della scuola.

Per tutta la restante mattinata a scuola fu distratto, ed i suoi occhi vagarono per le grigie strade che vedeva dalla finestra, incontrando qualche passante distratto e illuminandosi di temporanea curiosità, che veniva comunque presto sostituita da una meno piacevole monotonia.

Quando infine la campanella suonò, a grandi passi si diresse verso i cancelli dell’accademia, aspettando sua madre e sbuffando sonoramente.

In lontananza vide Eliza che si allontanava dietro sua madre, la salutò con la mano ma lei non rispose, distogliendo con orgoglio lo sguardo. Probabilmente era ancora arrabbiata con lui per il modo in cui aveva trattato la farfalla che tanto le piaceva poco prima. Beh, non importava, qualunque cosa avesse contro di lui le sarebbe passata presto. Probabilmente quello stesso pomeriggio avrebbero giocato insieme, come se non fosse accaduto nulla.

Ma si sbagliava. Eliza non si fece vedere subito dopo pranzo, non lo cercò dopo aver finito i compiti, nemmeno all’ora della merenda. Ormai Artie cominciava a dubitare del fatto che sarebbe venuta, e più ci pensava, più credeva di dover fare qualcosa per impedire di perdere quell’amicizia che dopotutto un po’ gli importava.

Fu così che alle sei del pomeriggio, sotto la luce vermiglia di un sole morente, si decise ad uscire di casa. L’aria era già più fredda rispetto a quella del pomeriggio, e ad Artie venne istintivo rabbrividire. Poi si disse che non faceva poi così freddo, e si mise a correre per l’area antistante casa sua verso il marciapiede del vialetto, da cui si affacciavano numerose ville simili a quella nella quale anche lui abitava.

Camminò verso destra, contro la luce del sole, e per un attimo guardò la sua ombra venir proiettata lontano da lui, alle sue spalle. Poi diresse lo sguardo di fronte a sé e aumentò la velocità del passo.

Durante quel breve viaggio la sua mente vagò attraverso vari pensieri. Si ricordò troppo tardi di non aver avvertito sua madre che stava uscendo, e si ripromise di stare fuori per poco, per non farla preoccupare. Pensò anche a quali parole era meglio usare per scusarsi con Eliza, che, a quanto pare, era davvero offesa. E poi la sua mente fu invasa da moltissimi altri pensieri, pensieri leggeri simili a veli di seta che scivolavano nella sua mente, intangibili. Non riusciva ad afferrarli, eppure li sentiva e li percepiva in sé.

Si fermò davanti ai cancelli di Villa Krauger, e sbirciò all’interno, nella speranza di vederla correre per il prato che circondava la casa.

Ma Eliza non c’era, lo percepì subito nell’aria, ancora prima di guardare con attenzione per il vasto giardino della tenuta. Probabilmente era dentro casa, a giocare per conto proprio, forse – e questo lo fece sentire un po’ in colpa – ancora arrabbiata con lui. Stette ancora un po’ davanti al cancello, nella vana speranza che si facesse viva, ma quando realizzò che non sarebbe venuta, l’aria della giornata si fece più fredda ed il sole si smorzò.

“Probabilmente è ora di tornare a casa” si disse pensoso. Mentre il tramonto segnava la fine di una strana giornata, Artie si disse che avrebbe fatto meglio a scusarsi l’indomani, e che probabilmente tutto sarebbe andato per il meglio. O almeno, così sperava.

 

 

 

 

 

Quando, al tramonto, Scarlet Krauger aveva acceso le luci in giardino, aveva subito notato il figlio degli Strife che guardava distrattamente il cancello, immerso in chissà quali pensieri. Dopo qualche minuto passato ad osservarlo, aveva avvertito la figlia Eliza della presenza dell’amico, ma lei si era dimostrata poco interessata, mostrando in verità una sorta di noncuranza nei suoi confronti. “Chissà cos’è successo tra quei due”, si era chiesta tra sé e sé per un attimo. Ma poi, lentamente, il pensiero era scivolato nei più oscuri meandri della memoria, sostituito da altri di maggiore importanza. Scarlet, dopotutto, aveva altro a cui pensare.

Camminò per il corridoio del piano superiore, attraversando la penombra che invadeva lentamente l’area e la sua anima. Entrò nella camera da letto, ed osservò il pallido raggio di sole che attraversava la stanza svanire lentamente nella sera. Dopo ciò si pose vicino alla finestra e guardò nuovamente al di fuori della sua casa, facendo errare il suo sguardo sul viale senza in realtà prestarvi attenzione.

In quei giorni, Scarlet era molto pensierosa. Chiunque la conoscesse, avrebbe potuto dire che, in verità, Scarlet era sempre stata un po’ con la testa fra le nuvole: continuamente distratta, mentre la sua testa si lasciava andare a mille ragionamenti di ogni sorta. Eppure, in quei giorni, si sentiva in qualche modo ancor più assente. E l’aveva notato sua figlia Eliza, che però non si era per niente intromessa; l’avevano notato i suoi dipendenti, che però non osavano dirle qualcosa che avrebbe potuto compromettere la loro posizione di lavoro. Dopotutto, Scarlet non era nota per la sua eccessiva bontà.

Adesso, anche l’ultimo raggio di sole era sparito oltre le romite colline che circondavano Midgar, lasciando il posto alla sconfinata notte che invase sempre più la stanza. Ancora alla finestra, ripensò a tutto quello per cui stava lavorando. Sapeva ciò che la ShinRa stava facendo con il progetto denominato “Ambrosia”, ed era decisa a cercare di saperne di più. Non aveva scoperto ancora molto, nonostante avesse una spia all’interno della società. O almeno, non aveva scoperto ancora nulla di materialmente interessante. Solo un’informazione, fino a quel momento le era stata utile: il recupero di alcuni file riguardanti un tempio, su un’isola a sud del continente di Midgar. Soprannominato come “Il tempio degli Antichi”. Cosa c’entrasse con la ShinRa e con il progetto da lei creato, non lo sapeva, ma era decisa a scoprirlo con la festa che aveva organizzato per la settimana successiva. Ed anche se ancora non lo sapeva, entro una settimana avrebbe ricevuto parecchie informazioni interessanti, che purtroppo non avrebbe nemmeno avuto il tempo di sfruttare a dovere.

 

 

 

Eccomi qui, ad aggiornare dopo ben tre mesi di assenza! Innanzitutto mi scuso tantissimo per il ritardo, ma a causa di impegni, scuola, compiti ed anche di un po’ di pigrizia (soprattutto per quella!) il tempo è volato, quindi ritenevi fortunati di aver avuto la possibilità di leggere questo capitolo in tre mesi circa... sarebbe potuto passare persino un anno!

Passiamo adesso al capitolo: sinceramente non mi convince un granché, a dire la verità lo trovo piuttosto stupido e privo di avvenimenti, ma lascio ai posteri l’ardua sentenza! Ho sempre più la paura che questo stile non mi sia per niente adatto, e che quindi la fan fiction possa venire orribile e priva di senso, cosa a dir la verità parecchio probabile. A tale scopo, vi consiglio di rileggere un paio di volte il capitolo, poiché, se interpretato bene, può svelare parecchi avvenimenti futuri nella fan fiction.

Ed ecco che viene il momento di rispondere alle recensioni per il primo capitolo della storia:

 

Bankotsu: Ciao e Grazie tantissime per i complimenti! Lo so che la storia inizialmente è un po’… scioccante, ma questo capitolo rientra più nei canoni tradizionali (infatti è per questo che non mi piace)! Beh, aspetto con ansia di sapere che cosa ne pensi di questo capitolo, e spero di non averti deluso, dato che lo aspetti da tanto tempo!

 

Valeriana: Come vedi, anche se Zack è morto, tramite la narrazione-flashback potremo scoprire il perché sia morto, in quali circostanze, e cosa nascondono di preciso Cloud ed Aerith! E poi, davvero la bambina ti ha ricordato la povera Samara? Caspita, letta dall’esterno la scena deve risultare parecchio inquietante O_O Grazie inoltre per aver messo la storia nei preferiti!

 

Roy4ever: Ciao e ancora scusa per aver mancato all’aggiornamento della raccolta (mi sento davvero in colpa T_T)! In quanto alla morte di Cloud e Zack, grazie al flashback è come se fossero presenti nella fan fic, quindi non preoccuparti per la loro morte! Il motivo per cui non parlo quasi mai di Tifa è perché la odio (xD), ma come vedi le ho trovato una piccola particina u.u In quanto alla bambina-Aerith, ho semplicemente pensato all’incarnazione del subconscio di Aerith, quindi la mia mente, per quanto malata, non ha mica avuto un gran ruolo nella realizzazione! (ma comunque qualche tiro me l’ero fatto lo stesso, ma non dirlo a nessuno xD)

 

Ikumi91: Grazie per i complimenti, vedo che adori Cloud e Aerith *-* bene, questa è senz’altro una cosa positiva! E ti dirò di più: Zack non è mica l’unico agnello sacrificale nella storia! xD Se continuerai a seguire, a tempo debito saprai tutto!

 

Ancora una volta mi scuso per il ritardo e per gli eventuali errori presenti nella fic… Spero di poter aggiornare in tempi decisamente più brevi rispetto a quelli che ho impiegato questa volta!

 

Dopo un ulteriore grazie a coloro che hanno inserito la storia tra i preferiti (Shiva Fuyu e Valeriana), vi lascio, alla prossima!

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

 

4 Ottobre 2009, 3:45 a.m.

 

Vento. Nella tiepida notte d’ottobre, il vento si era spinto fino alla grande città di Midgar. Aveva portato con sé promesse, speranze e sogni infranti per ognuno degli abitanti della grande metropoli.

Aveva causato un cambiamento.

Dopotutto, il vento per alcuni è il simbolo di ciò che vola via, perduto per sempre; per altri invece è un amico da salutare con gioia, o da accogliere come un vecchio compagno. Egli porta sempre qualcosa, con la sua brezza: spesso impercettibile, ma presente.

Scarlet Krauger però non pensava alla leggera brezza che le accarezzava il viso; non si curava delle parole che quest’ultima le sussurrava, con avvertimento; né era incline a rilassare la mente per lasciar defluire tutte le idee che la affollavano. Ma se solo si fosse fermata un attimo, e avesse alzato gli occhi, verso la notte, alle stelle non visibili per la luce emanata da Midgar, lasciando entrare dentro di sé quel vento che aveva deciso di passare per la città, forse avrebbe colto una sottile e alquanto carezzevole voce che le sussurrava della sua imminente morte. Quante cose potrebbero essere diverse se gli uomini guardassero oltre l’apparenza delle cose! Ma purtroppo ciò non accade, e Scarlet, come tutti, era cieca al proprio imminente e tragico destino.

Lì in piedi, nel giardino della sua tenuta, la mente di Scarlet vagava per i preparativi imminenti del suo piano. Tutto era stato preparato alla perfezione, nulla era stato affidato al caso. Lei ed i suoi complici avevano previsto ogni evenienza, ogni particolare. La festa che aveva organizzato per la sera seguente era un sotterfugio davvero geniale: oltre ai consuetudinari invitati, si era permessa di invitare alcuni tra i più importanti esponenti della Multinazionale più famosa della città, la ShinRa. Non c’era nulla che avrebbe potuto spingere quegli stolti ad accettare il suo invito, se non la sete di informazioni. Delle informazioni che lei possedeva, e che loro disperatamente cercavano. Ed era stato questo che li aveva convinti a dare l’adesione per la festa, e a confermare la loro presenza.

Ma la stupidità dell’uomo è abissale. Davvero pensavano che avrebbe esposto in modo così palese ciò che cercavano? Illusi. Anche lei aveva i suoi informatori. E ai suoi informatori nulla avrebbe fatto più piacere che vedersi davanti una ShinRa libera da quegli stupidi, impegnati a raccogliere informazioni durante la festa alla sua villa. A quel punto, nulla sarebbe andato storto, e lei avrebbe avuto tutte le informazioni necessarie per le sue ricerche.

Sorrise soddisfatta tra sé e sé, mentre le poche stelle che rischiaravano la volta celeste la osservavano. Poi un trillo fastidioso la destò, prese il cellulare in mano ed accettò la chiamata.

“Salve, Tifa” disse, senza togliersi dal volto quel sorriso compiaciuto “Ti sembra l’ora di telefonare? Sarei anche potuta essere a letto!”

“Lavoro per te da tre anni, sarò a conoscenza del tuo orario biologico” rispose Tifa via cellulare.

“Arguta risposta, signorina” rispose Scarlet. Adorava il modo di fare della ragazza con cui stava parlando, la riteneva una delle sue più fidate spie, oltre che una fedele amica. “Suppongo che, data la chiamata, tu abbia qualche novità in particolare da narrarmi”.

“In verità no” rispose la ragazza “Chiamavo principalmente per accertarmi che il piano per domani fosse rimasto invariato. Dopotutto, hai detto tu che tutto doveva essere perfettamente studiato”.

“Tranquilla, tutto è rimasto invariato. Tu hai dato l’indisponibilità per poter venire alla serata che ho organizzato, nonostante il mio invito. Dopotutto, sarebbe parso sospetto non invitare te. Così invece potrai muoverti indisturbata tra le informazioni segrete della ShinRa, mentre tutti sono qui a cercare informazioni inutilmente…” dichiarò Scarlet, con voce ferma.

“Fai attenzione a Zack Fair” la ammonì Tifa “E’ convinto di colpire durante la festa. Ovviamente io lo sto spronando a compiere il suo lavoro... se riesci a coglierlo sul fatto potremmo anche toglierlo definitivamente dalla scena, per domani notte!”

“Me ne occuperò io” sorrise Scarlet, mentre lasciava correre i propri pensieri sul prato che circondava la sua magione. Si, gli uomini a volte erano ciechi, era a questo che pensava. Dopotutto, la stessa Scarlet lo avrebbe scoperto a proprie spese entro poche ore.

 

 

 

 

La mattina seguente tutto era, come sempre, normale. Cloud Strife e Zack Fair erano al lavoro, mentre Cissnei ed Aerith, invece, erano nelle rispettive case o a sbrigare commissioni per la famiglia; e mentre Arthur Strife ed Eliza Krauger erano a scuola, Scarlet era ad ultimare gli ultimi preparativi per l’imminente serata.

Solo una donna era seduta, la testa poggiata tra le braccia, su una scrivania, con la mente rivolta a multiformi pensieri. I suoi lunghi capelli neri ricadevano oltre le spalle, vicino al viso. Lo sguardo era rivolto al panorama della finestra, senza in realtà vederlo sul serio.

Era usanza di Tifa Lockheart concentrarsi adeguatamente in quel modo, prima di un’ostica missione come quella che avrebbe svolto la sera. Per questo, ogni volta, lasciava scorrere i propri pensieri, ripetendo dentro di sé le fasi fondamentali del piano.

Tuttavia quella volta era diverso. Lo sentiva. Nell’aria si avvertiva qualcosa. Forse... un cambiamento. Rabbrividì, sperando di sbagliare, e cercò di rimanere ottimista. Dopotutto, Scarlet aveva messo parecchio impegno nella realizzazione del piano. Ogni aspetto era stato curato alla perfezione, ogni eventualità era stata adeguatamente discussa a fondo. Tifa disponeva delle mappe dell’edificio, delle eventuali uscite d’emergenza, dei condotti di aerazione e dei principali luoghi in cui potevano essere celate le informazioni più importanti, in modo tale da essere pronta per la sua “gita”.

Eppure non era propriamente convinta. Ma l’uomo ha forse il dono di prevedere le sciagure? La risposta era più difficile di quanto potesse essere ad un primo impatto, se adeguatamente ragionata e discussa. Per distogliere la mente da quei pensieri, decise di passeggiare un po’ per le gotiche strade di Midgar. Prese il soprabito e, con sguardo chino, attraversò tutto l’edificio per poi ritrovarsi a varcare le grandi arcate che fungevano da uscita. Per strada non incontrò molta gente. In effetti, era tutto fin troppo tranquillo. Un venticello leggero, probabilmente giunto nella notte, portava con sé le foglie autunnali staccatesi dagli alberi. I suoi passi producevano un leggero tonfo, quasi impercettibile.

Inspirò l’aria fresca di quella mattinata, si lasciò accarezzare dall’affusolato tocco del vento, e provò l’impulso di stringersi ancor di più nel suo soprabito. Perché quel gelo in un tiepido giorno d’Ottobre? Non lo sapeva, ma sentì che in qualche modo ne era responsabile quella brezza leggera che aveva raggiunto la città. Quella stessa brezza che – anche se non poteva saperlo – aveva portato le stesse sensazioni, un paio di ore prima, a Scarlet.

Aveva causato un cambiamento.

Qualcosa sarebbe accaduto, bisognava solo attendere.

 

 

 

 

 

Infine, così come il sole era sorto la mattina, arrivò il momento in cui il cielo si tinse di fuoco, e in cui le ombre degli alti edifici di Midgar si proiettarono per le strade, e le prime stelle si resero visibili preannunciando l’ormai prossima notte. Scarlet era già andata ad accogliere i primi ospiti, e tra sorrisi accennati, saluti calorosi e frivole chiacchiere, aveva cominciato a sentire dentro di sé una sempre più crescente ansia. Ogni tanto guardava l’orologio che portava al polso, come in trance: ed i suoi pensieri andavano al piano che quella sera sarebbe stato messo in atto. Poi volgeva lo sguardo ai megalitici ingressi della sala, alla ricerca del momento in cui il gruppo di impiegati ShinRa avrebbe fatto il suo debutto. Ancora una volta guardò l’ora. Le sette e ventuno. Sarebbero arrivati presto.

“Mia cara Scarlet!” esclamò una voce femminile alle sue spalle. Istintivamente sobbalzò, riportata bruscamente a terra dai suoi pensieri. Voltandosi vide una delle donne che più odiava al mondo, che in quel momento le stava davanti e le sorrideva affabilmente.

“Elena! Come stai?” domandò Scarlet, dipingendosi sul viso un sorriso zelante. Elena Green. Una grande stronza, a suo parere. Elena era la figlia di uno dei magnati della finanza più famosi del quartiere. Come tale, aveva sviluppato l’arroganza, la testardaggine e il totale disinteresse che si addicevano ad una persona del suo rango. Non c’era niente che quella ragazza non avesse avuto, e Scarlet la disprezzava proprio per questo. Mai una volta aveva pensato a quanto invece fossero simili.

“Oh, molto bene!” rispose la ragazza con un sorriso frizzante più simile ad un ghigno. “Sai, sono davvero colpita, hai talento per organizzare le serate, hai uno stile a dir poco meraviglioso!” esclamò poi.

“Beh, grazie” rispose lei svogliata, continuando a guardare l’orologio. Le sette e ventitré. Ed ancora nessun dipendente della ShinRa si vedeva. Chiuse gli occhi per un momento, sospirando. Elena continuava a blaterare ininterrottamente, ed ogni sua parola era una martellata per il suo mal di testa. Con una scusa si liberò della sua nefasta presenza e si aggirò per un po’ tra gli invitati. Ognuno si complimentava con lei, le diceva quando stupende fossero le decorazioni. Le donne le chiedevano chi fosse stato il mago che le aveva acconciato i capelli, gli uomini le facevano complimenti che rasentavano il ridicolo. Dal canto suo, tutti quegli ospiti si erano meritati la sua sana antipatia, stressata com’era da altri pensieri.

Ma finalmente, dopo altri sette minuti di agitazione, le grandi arcate dell’ingresso vennero occupate da un discreto numero di persone, che Scarlet riconobbe subito. Sollevata, si affrettò a telefonare a Tifa, che, ricevuto l’apposito segnale, si preparò per l’irruzione all’interno del palazzo della ShinRa.

“Salve, Signora Krauger” disse una voce maschile. Alzando lo sguardo si ritrovò davanti Zack Fair, accompagnato da una donna sulla trentina con capelli castani e due splendidi occhi verdi.

“Salve, Zack! La prego, mi chiami Scarlet, dopotutto sono parecchi anni che ci conosciamo” rispose la bionda, incrociando il suo sguardo. Nelle ultime ore, da quando aveva saputo da Tifa che sarebbe stato lui l’incaricato per raccogliere informazioni sui suoi progetti, non aveva desiderato altro che poterlo guardare negli occhi. Voleva leggere il suo sguardo, voleva osservare trionfante la menzogna attraverso i suoi occhi, la stessa menzogna che l’avrebbe tradito e che l’avrebbe resa trionfante. Voleva sfogliare la sua anima, ed era sicura che un colpo d’occhio sarebbe bastato a vedere l’insicurezza, la titubanza, la paura di quello che stava per fare negli occhi dell’uomo.

Per questo si stupì quando invece vide solamente due profondi occhi blu che la guardavano. Anche se poteva sembrare strano, Scarlet era assolutamente convinta che sarebbe riuscita a capire le intenzioni di Fair solamente guardandolo. Ma adesso una delle sue certezze si era frantumata. Il mal di testa si fece più forte, e le sembrò quasi di percepire le idi di una tragedia imminente.

“D’accordo... Scarlet” rispose Zack, non accorgendosi minimamente del conflitto interno della donna. “Posso avere l’onore di presentarle mia moglie Aerith?”

“Davvero piacere!” rispose la donna dai capelli castani, stringendole la mano.

Dal canto suo, Scarlet era davvero troppo stranita per rispondere, e biascicò un piacere, mentre cercava di riprendersi. Ma come poteva aver sbagliato? D’un tratto, il piano di mandare Tifa all’interno della ShinRa le sembrò una gigantesca trappola mortale. Se aveva fallito le previsioni su Zack, perché non avrebbe dovuto fallire anche sui piani d’intrusione alla ShinRa?

“Si, il piacere è mio” rispose, cercando di riprendersi. Si scostò una ciocca di capelli dorati dal viso e la fermò dietro l’orecchio, maledicendo chiunque le avesse acconciato i capelli quel pomeriggio “Zack, mi fa davvero piacere che abbia accettato il mio invito. Desidero davvero che le ostilità dovute al lavoro tra noi cessino” aggiunse, cercando di riacquistare un tono sicuro.

“Beh, certo. Non si può rovinare un amicizia solo per una disputa d’ufficio” assentì Zack, mentre Aerith sospirava.

“Prevedo un’interessantissima discussione sul lavoro!” esclamò sorridendo “Mi spiace, ma poiché non intendo parteciparvi sarà meglio che mi dilegui alla ricerca di qualcun altro con cui conversare” continuò poi, scherzando.

“Si, vada, credo che la annoieremmo inutilmente” annuì Scarlet con un sorriso comprensivo.

“Spero che non si offenda per il mio mancato interesse!” disse Aerith.

La bionda sorrise. “Ma no, si figuri”.

“Bene! A dopo” disse Aerith al marito, prendendo uno dei cocktail poggiati su un tavolo ed allontanandosi verso l’altro capo della sala.

“Che simpatica” sussurrò Scarlet, quando se ne fu andata.

“Vero?” domandò Zack sorridendo “E’ quello che credo anche io. E’ grande!”

Scarlet non rispose, pensando a restare calma. Tutto stava andando bene, non c’era alcun bisogno di agitarsi. Almeno, fu così finché Zack non divenne d’un tratto serio.

“Sono convinto che noi due dovremmo fare un’amabile chiacchierata, Scarlet”.

 

 

 

 

 

Cloud Strife spense il motore della sua auto nel vialetto che portava alla casa di Scarlet e si concesse il lusso di sospirare, un momento, cercando di riprendersi da una giornata terribile. Accanto a lui, Cissnei si sistemò nervosamente i lunghi capelli rossi.

“Allora, andiamo?” chiese poi al marito.

“Ehm… direi di si” rispose Cloud, aprendo la portiera e scendendo dall’auto, seguito da sua moglie.

“Secondo te Scarlet ci impedirà di entrare per il ritardo?” chiese nervosa Cissnei.

“Conoscendola, credo di si” rispose Cloud guardandosi in giro, mentre avanzavano verso la sala d’ingresso.

“Oppure libererà i cani da guardia per darci la caccia e offrire un gradevole spettacolo agli ospiti!”

“Si, questo è ancora più probabile!” rispose Cloud ammiccando.

“Ah, spero si limiti solamente a lanciarci una delle sue occhiate glaciali che mi fanno sempre rabbrividire” disse Cissnei.

Insieme varcarono le alte arcate d’ingresso della casa, e subito si confusero tra la folla che parlava animatamente.

“Secondo te ci ha visti? Potremo far finta di essere sempre stati qui” sentenziò la donna mentre guardava a destra e sinistra.

“Stai parlando di Scarlet, come vorresti ingannarla?” rispose Cloud.

“In effetti quella ha la vista di un’aquila! Separiamoci, così sarà più difficile venire colti in flagrante!” suggerì Cissnei sparendo in un lampo tra la folla.

Cloud sospirò mentre guardava la donna allontanarsi. Forse stava solo scherzando, ma riusciva ad intuire una leggera preoccupazione nel tono di voce di Cissnei. D’altronde, era ben noto che Scarlet terrorizzasse tutti con i suoi metodi alquanto arroganti. Si guardò intorno, cercando di individuarla: non era, come sempre, al centro della sala, a sgridare timidi addetti al catering o a conversare animatamente con gli invitati. Strano.

Poi la individuò in un angolo, mentre parlava animatamente con Zack Fair, lo sguardo serio, quasi preoccupato. In alcuni momenti sembrava addirittura che un lampo di paura balenasse nei suoi occhi chiari. Zack le parlava serio, ed ogni parola sembrava tagliente come la lama di un rasoio.

Si disse che non erano affari suoi, e che le faccende privati degli altri non dovevano minimamente interessargli. Fece per voltarsi, ma non aveva nemmeno mosso un passo che una voce dietro di lui parlò.

“Conosce quei due?”

Cloud si riscosse dai propri pensieri e si voltò. Davanti a lui c’era una donna dai lunghi capelli castani e dai vividi occhi verdi, che lo guardava con un’espressione di divertimento dipinta sul volto, che faceva cenno con la testa a Zack e Scarlet.

“Si! L’uomo, Zack, è un mio amico, mentre la donna è l’organizzatrice della festa, Scarlet” rispose poi. “E lei, li conosce?” chiese subito dopo.

La donna si avvicinò, porgendogli un bicchiere di Champagne. “In un certo senso…” fece una pausa, poi riprese “Sono la moglie di Zack” disse “e lei deve essere il Dottor Strife”.

“Oh, si, davvero piacere” rispose lui, stringendole la mano. “Suo marito mi ha parlato tanto di lei, signora...?”

“Gainsborough” rispose lei, ricambiando la stretta di mano dell’uomo “Aerith Gainsborough”.

“Posso chiamarla Aerith?” chiese Cloud sorridendo.

“Si, certo… Cloud”.

Aerith rispose al sorriso, guardandolo negli occhi, e Cloud si sentì terribilmente in imbarazzo. Istintivamente guardò ancora verso Zack e Scarlet, e vide l’espressione di Scarlet sempre più preoccupata. Non seppe il perché, ma l’espressione che lesse nel volto della donna bionda in qualche modo accrebbe la sua sicurezza. Sorrise di una nuova energia, e si rivolse alla donna che le stava davanti, con entusiasmo.

“Zack mi ha parlato davvero tanto di lei” disse, mentre camminava lentamente con la donna  a fianco, attraversando la sala “Ci tenevo davvero tanto a conoscerla, non sa quante volte mi ha ripetuto che la considera straordinaria”.

“Ti prego, diamoci del tu” rispose Aerith seguendo i suoi passi “Dopotutto, tu e Zack siete grandi amici”.

“D’accordo! Beh, in effetti lo conosco dai tempi delle superiori, eravamo in classe insieme” rispose Cloud “Lei… cioè, tu… non hai frequentato qui?”

Aerith sorrise mestamente “No, io vengo da molto lontano… dal continente a nord, per dirla tutta. Sono venuta a Midgar solo da qualche anno!”

“Ho visitato l’Icicle Area molte volte, devo dire che è un posto davvero incantevole. I ghiacci sanno sempre emozionarmi” rispose Cloud sognante.

“Già... secondo me Midgar è fin troppo soleggiata! A dire la verità, non vedo l’ora che arrivino i mesi invernali e la pioggia! Però devo ammettere che qui la notte, in questo periodo, è molto bella” rispose Aerith, guardando attraverso le alte finestre la nera notte.

“Beh, allora andiamo fuori... la serata è magnifica” propose Cloud. Insieme attraversarono l’ingresso della sala e si diressero sotto i raggi di una pallida luna argentea. Delle lievi folate di vento stuzzicavano i loro volti. Era lo stesso vento che la notte prima aveva dato da riflettere a Scarlet Krauger e il medesimo che aveva accompagnato Tifa Lockheart nel corso della giornata. La luce della luna illuminava i loro volti, calda e serena.

“Oggi si sta benissimo qui fuori!” esclamò estasiata Aerith. “Io amo il cielo, è così… infinito. Mi piace il blu eterno della notte, mi dà... serenità. Dove vivevo prima ogni notte avevo delle bellissime aurore boreali... ma non potevo mai vederle. Non potevo vedere nemmeno il cielo stellato, nemmeno lo splendore della luna. La notte faceva troppo freddo per stare all’aria aperta, e le tormente di neve impedivano la visibilità anche dall’interno della casa. Per questo amo il cielo di Midgar. E’ così… libero…” disse, guardando sognante la volta celeste.

“Purtroppo questo cielo non è dei migliori” rispose Cloud “La luce proveniente da Midgar impedisce di vedere appieno lo splendore della volta celeste. E’ lo svantaggio di vivere in una grande città. Nei villaggi come Nibelheim, invece, le stelle sono bellissime, è uno spettacolo magnifico”.

“Ci sei stato?” chiese Aerith guardandolo divertita.

“Solo una volta, quando avevo 15 anni, in vacanza” rispose Cloud, assorto. “Un posto un po’ sperduto, ma indimenticabile... all’epoca non avevano ancora costruito il reattore Mako, e quindi era una località un po’ fuori mano, tuttavia era un posto davvero splendido. Ma la cosa che non scorderò mai più è il cielo. Aveva un qualcosa di magico, che non riesco a percepire qui a Midgar” continuò.

“Sembra un bel luogo” rispose Aerith sognante, cercando di immaginarsi ciò che quell’uomo le poneva davanti con il suo racconto.

“Beh, potremo parlarne con Zack e fare una vacanza tutti insieme. Io, te, Zack e mia moglie” propose Cloud.

“Sarebbe bello” assentì Aerith “Mi piace molto viaggiare, anche se non ne ho quasi mai la possibilità. Il lavoro di Zack ci tiene sempre inchiodati a Midgar”

“Se sarà possibile, organizzerò questo viaggio volentieri” disse Cloud.

Per qualche secondo vi fu il silenzio tra i due, interrotto soltanto dal lieve brusio della sala da cui provenivano le voci degli invitati.

“Grazie” sussurrò poi Aerith.

Cloud si voltò a fissarla, e la vide tutta d’un tratto seria. “E di cosa?” chiese, incuriosito.

“Beh… è il mio primo party, e non sapevo come comportarmi, di cosa parlare, cosa fare… poi ho visto che guardavi Zack, e ho pensato che lo conoscessi. Ed infatti era così! Adesso mi sento molto più a mio agio… e per questo ti dico grazie”.

“Beh, niente di ché… è stato quasi naturale” rispose Cloud, trovandosi tutto d’un tratto in imbarazzo. Un altro silenzio scese tra loro. Poi Aerith parlò.

“Restiamo un altro po’ qui… non me la sento di tornare là dentro”

“D’accordo” rispose Cloud, sorridendo e pensando a quanto strana fosse quella situazione.

 

 

 

 

Tifa Lockheart si era appostata alle 20:56 all’angolo della strada che conduceva al mastodontico edificio ShinRa, attendendo il via libera per entrare nell’edificio. L’occasione adatta si era presentata circa 20 minuti dopo, quando, senza che nessuno la vedesse, era sgattaiolata all’interno dell’edificio da una porta secondaria.

Per sua fortuna, non aveva incontrato quasi nessuno, eccetto qualche guardia pigra che non si era nemmeno scomodata nel chiederle cosa ci facesse lì. Meglio così. In tal modo, era riuscita ad arrivare ai piani alti e poi si era infilata in un condotto di aerazione, ed adesso si muoveva avanti e indietro all’interno di quegli stretti cunicoli, cercando una via d’uscita che la portasse in un luogo che potesse nascondere informazioni utili a Scarlet. Stava per prendere un

passaggio alla sua destra, quando sentì una voce parlare a qualcun altro.

“Che noia! Ma riesci a credere che non ci sia quasi nessuno e che noi dobbiamo stare qui ad annoiarci?”

Sembrava la voce di una guardia. Lentamente, si avvicinò ad un’apertura nel cunicolo ed osservò due fanti, imbronciati.

“Beh, tutti i pezzi grossi sono alla festa della Signora Krauger a cercare di ottenere informazioni, è ovvio che qui non accada niente”  rispose uno dei due.

“Si, dicono solo di cercare informazioni, ma pare che il piano comprendesse qualcosa in più di un semplice infiltramento”

“Che cosa? Dici sul serio?”

“Davvero! Sembra sia un modo per... togliere di mezzo la concorrenza, non so se mi intendo!” rispose la guardia ammiccando.

A Tifa si spalancarono gli occhi della sorpresa. Era la verità?

“Sul, serio, ci sarà da ridere quando Zack Fair riuscirà a sbarazzarsi di Scarlet, questa sera! Lei non sospetta nulla, è caduta nella trappola della ShinRa!”

“Ma come hai fatto a saperlo?” chiese l’altro, stupito dalla rivelazione.

“Ho sentito il Presidente e Fair parlarne. A quanto pare, solo loro ne sono a conoscenza!”

Tifa, in un lampo, comprese tutto. Capì il perché il Presidente avesse acconsentito a mandare gli impiegati ShinRa alla festa e soprattutto concepì appieno il compito di Zack Fair. Quella sera non era venuto alla festa in veste di spia.

Era venuto in veste di assassino.

Senza preoccuparsi di fare rumore o altro, cominciò a muoversi velocemente per cercare un’uscita. Prese il cellulare e compose il numero di Scarlet, in fretta, cercando di avvertirla.

Il cellulare era spento o non raggiungibile. Imprecò sonoramente, uscì dal condotto di aerazione e si diresse come una furia verso l’atrio della ShinRa.

 

 

 

 

 

Et voilà, ho finito anche questo capitolo, che mi ricorda tantissimo il romanzo “La Signora Dalloway” di Virginia Wolf!

 Mi rendo conto che si interrompe sul più bello, ma purtroppo il capitolo stava diventando decisamente troppo lungo e quindi ho preferito dividerlo in due parti diverse. Spero che la storia sia piuttosto comprensibile, e che io non abbia fatto errori di ortografia! In tal caso mi scuso in anticipo! ^^

Povera Scarlet, riuscirà a salvarsi? Tifa riuscirà ad arrivare in tempo? Boh, non posso ancora rispondere!

L’unica cosa a cui posso rispondere adesso sono le bellissime recensioni allo scorso capitolo:

 

Bankotsu: Grazie, grazie, grazie per i bellissimi commenti! Si, lo scorso capitolo in effetti serviva proprio a rendere più chiari i legami tra i vari personaggi, mentre in questo qui comincia la storia vera e propria! Spero ti piaccia lo stile che ho adottato! E comunque, stavolta hai dovuto attendere solo un mese... chissà, forse per il prossimo capitolo attenderai anche meno (Speriamo ^^)!

PS: Complimentissimi per Loneliness, davvero stupenda!

 

Lirith: caspita che faccia sconvolta! Sono contento di averti lasciato senza parole xDD in quanto alla bambina psicopatica, è stata una trovata un po’… folle, lo ammetto, che però ha avuto molti consensi! Grazie per i complimenti e spero che questo capitolo ti piaccia e che continuerai a seguire la storia ^^

PS: Ti colgo l’occasione per ribadire quanto mi piaccia la tua fan fiction!! E’ bellissima!!!

 

Ringrazio inoltre Bankotsu e Lirith per aver messo la storia tra i preferiti e Lirith per aver messo la storia tra quelle seguite, ed anche tutti i lettori!

Spero di metterci meno per pubblicare il prossimo capitolo! Ciao a tutti e a prestissimo!

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

 

4 Ottobre 2009, 11:31 PM

 

Scarlet Krauger scosse la testa, mentre si allontanava da Zack Fair.

“E’ inutile... sai già quanto me cosa succederà adesso!” esclamò l’uomo, da dietro le sue spalle.

La donna abbassò la testa, sconvolta. Lacrime solcarono il suo pallido viso. Si affrettò ad asciugarle, austera, e mosse un altro passo, faticando. Davanti a lei tutto appariva sfocato e confuso; superò un cameriere che la guardò con curiosità ed un misto di timore ed odio, si aggrappò ad una colonna della grande sala, e guardò l’alto soffitto sopra di lei.

Tutto le appariva così… strano. Si concentrò sulla sala, cercando di mantenere vivo nella sua mente tutto ciò che le sfuggiva da sotto gli occhi. Cercava di fermare il flusso entropico che le allagava la mente, ,ma tutto le sfuggiva davanti e scorreva in un oceano di oblio che non ammetteva repliche, e si sentì già mancare, lì, in mezzo alla sala.

Si dette coraggio e riaprì gli occhi, anche se non ricordava di averli mai chiusi. Adesso riusciva a vedere quello che le accadeva davanti. Riuscì a vedere, fuori dalla sala, Cloud Strife e la moglie di Zack Fair che chiacchieravano tranquilli al chiaro di luna, mentre un leggero vento li solleticava; riuscì a vedere Elena Green che aveva appena agguantato un ragazzo e che lo trascinava verso un angolo buio della sala; riuscì a vedere tutto ciò che un attimo prima le era sembrato di perdere.

Ma le faceva male la testa...

Doveva andarsene da quella sala, non poteva più restare lì, con tutto quel frastuono,con tutte quelle luci, con lui che la squadrava... non gli avrebbe dato la soddisfazione di vederla soffrire in quel modo. Camminò ancora, un po’ incerta, poggiando una mano alla parete; costeggiò la sala, urtando di tanto in tanto qualche soprammobile e mandandolo in frantumi.

Si fermò ancora un momento per cercare di snebbiarsi le idee, e per capire cosa stesse facendo. Respirò profondamente, chiudendo gli occhi, ma poi li riaprì di scatto e vide ancora lui, Zack, che la guardava, con un sorriso soddisfatto dipinto sul volto. E lei non voleva dargli la soddisfazione di vederla così, non nel pietoso stato in cui ormai si trovava.

Cercò di ricomporsi, passandosi una mano per i capelli, ma ormai era inutile negare l’evidenza. Era evidente che aveva perso, era stata sconfitta da colui che aveva creduto di poter aggirare con facilità…

Mentre si teneva la testa tra le mani, chiuse ancora una volta le palpebre, e, come in una dimensione onirica irreale, rivide tutta la scena davanti agli occhi.

Rivide quella conversazione che l’aveva segnata, e che di certo aveva decretato il suo destino. Era incredibile sapere come un suo errore, un suo solo stupido errore era bastato a rovinare tutto quello per cui aveva lavorato in una vita.

Bah… Quanto era stata stupida. Quella scena l’avrebbe perseguitata in eterno. Era la punizione inflittale dal cielo per la sua superbia.

E nessuno le avrebbe mai detto che non se la meritava.

 

***Flashback***

 

Aerith se ne era appena andata, e loro due erano rimasti soli.

“Che simpatica” aveva detto Scarlet, non appena la ragazza se n’era andata via.

“Vero?” aveva risposto Zack, sorridendo “E’ quello che credo anche io. E’ grande!”

Poi era calato un silenzio imbarazzante tra loro due, ma che comunque, dopo un po’, era stato interrotto dalle dure parole dell’uomo.

 “Sono convinto che noi due dovremmo fare un’amabile chiacchierata, Scarlet” aveva detto, porgendole un cocktail che lei aveva accettato senza indugi.

Scarlet aveva alzato gli occhi, ed aveva visto che il sorriso sereno sul viso di Zack era sparito, sostituito da un ghigno di soddisfazione che non gli aveva mai visto prima sul volto.

“Sai, ho atteso questo momento da tanto tempo. Oserei dire anche da troppo!” aveva detto l’uomo, guardandola intensamente. Lei aveva sorseggiato il suo drink, non sapendo dove Zack volesse arrivare con le sue parole.

Finché lui aveva parlato ancora.

“Sapevo già del tuo piano” aveva continuato lui, guardandola con un sorriso intriso di superbia ed osservando il puro terrore che le stava, lentamente, invadendo gli occhi chiari. “Sapevo che non avresti mai organizzato un Party del genere senza un motivo vero e proprio. O almeno, senza una motivazione che potesse essere utile ai tuoi scopi. E così mi sono… preparato”.

“Timeo Danaos et dona ferentes*” [Spiegazione dell’espressione a fine capitolo] aveva sussurrato Scarlet, cominciando a comprendere ciò che l’uomo le stava dicendo.

Zack aveva sorriso. “Esattamente. Credevi che avremmo abboccato ad una trappola così poco congegnata, in balia del nemico che avevamo cacciato dalla nostra società? Mi stupisco di te. Non eri così stupida quando lavoravi per noi. O forse si, ed è per questo che ti abbiamo allontanata”.

“Io…”

“Non parlare, ti prego” l’aveva interrotta Zack “Sei patetica. Hai creato una fitta trama di burattini che era in realtà controllata da noi senza accorgerti di nulla. Non ti sei accorta nemmeno del gesto che ha decretato la tua fine, in questo istante!”

“Che intendi dire?”

“Pensa un momento, e lo scoprirai”.

Scarlet si era costretta a chiudere gli occhi e a riflettere sulle parole dell’uomo.

Entropia, gelida entropia nella sua testa… non era riuscita a concentrarsi, ogni volta che aveva cercato di isolare la mente per pensare indisturbata, l’eco del brusio della gente le era giunto in testa,  invadendo i suoi pensieri distruggendoli istantaneamente. Era un dolore terribile.

Poi le si era accesa una scintilla, all’improvviso.

Aveva rivisto la scena di poco prima, quando aveva salutato Zack. E stavolta era riuscita a notare la polvere che si intravedeva nel fondo del bicchiere che l’uomo le aveva porto, e aveva rivisto il sorriso soddisfatto con cui lui l’aveva accolta, e subito aveva capito il piano diabolico di Zack Fair, il piano che l’aveva messa nel sacco.

“Tu!” aveva esclamato, con tutto il fiato che aveva in gola e con tutto l’odio che aveva in corpo.

“E’ inutile agitarsi in questo modo” aveva sussurrato Zack, divertito “Accelererai soltanto il processo di avvelenamento. Ma comunque, entro un paio di minuti sarai morta, e la ShinRa avrà vinto”.

“No!” aveva esclamato. “Stai mentendo!”. Non aveva voluto crederci. Non aveva potuto crederci! Tutto ciò che aveva fatto, tutto ciò che per cui era valsa la vita… era tutto finito? No… non poteva…

“Ma se ti sei accorta anche tu del mio gesto!” aveva esclamato Zack. “Ammettilo, hai perso!”

“No…” aveva sussurrato. Si era voltata, aveva scosso la testa e si era allontanata.

“E’ inutile... sai già quanto me cosa succederà adesso!” aveva esclamato l’uomo alle sue spalle. Ma lei non si era fermata.

 

***Fine Flashback***

 

Cercò di schiarirsi le idee, ma nella sua testa risuonava continuamente l’eco delle parole che poco prima l’avevano distrutta; e mentre cercava di pensare, sentiva che lentamente le forze la stavano abbandonando. Ma perché vedeva tutto così annebbiato? Non riusciva a cogliere con lucidità le cose!

Ancora una volta si guardò intorno, ma nessuno sembrava notare il suo malore. Tutti erano troppo impegnati nelle proprie faccende, chi nello scambiare contatti di lavoro, chi nello stringere nuove amicizie, chi assorto nei propri pensieri ed estraniato dal mondo. Solo lei, in quella grandissima sala, era impegnata a far tutto e niente contemporaneamente. A lottare e a lasciarsi andare. A vivere e a morire.

Possibile che non ci fosse una cura? No, il veleno agiva troppo in fretta. Aveva già sintomi troppo gravi per potersi salvare in qualche modo. Ma allora, che fare? Se solo fosse riuscita a pensare un momento in tranquillità...

I documenti! Sicuramente erano uno dei motivi che avevano spinto Zack a compiere il suo inaccettabile misfatto! Erano ben nascosti, ma chi poteva garantirle che non potessero tranquillamente essere scoperti dopo la sua morte?

Doveva distruggerli, e subito. Solo così avrebbe potuto vincere, almeno in parte.

Stava già lasciare quella nefasta sala, quando una voce risuonò per quest’ultima, una voce forte, sicura, soddisfatta.

Una voce che aveva imparato ad odiare.

“Permettetemi di dire un paio di parole, vi prego!” disse Zack Fair, cogliendo l’attenzione della sala. Tutti gli invitati si voltarono verso di lui, curiosi di sentire cosa avesse da dire. Scarlet incontrò lo sguardo dell’uomo, che le rivolse un cenno divertito con la testa, godendo della sua disperazione.

“Credo di parlare a nome di tutti quando faccio i complimenti alla Signora Krauger per questa magnifica serata” continuò Zack “Tutto è stato organizzato magnificamente, con il gusto e l’eleganza che la contraddistingue da sempre. Davvero i miei complimenti, Scarlet”.

Partì un applauso solitario, da qualche parte nella sala.

Quel suono sordo le faceva male alla testa. Ogni volta che le mani battevano, una spaventosa fitta le attraversava il cervello. Sentiva la morsa della Morte più vicina, adesso.

Un altro paio di mani si unì all’applauso, e un altro, e un altro ancora.

Zack Fair sapeva cosa stava provando, e godeva di ogni fitta che le attraversava il cervello, di ogni secondo che l’avvicinava di più alla morte. Attuava un muto ma violento terrorismo psicologico che era alimentato da quel suo piccolo ed insignificante discorso, dettato da una motivazione visibile solo nell’ombra.

L’aveva sempre detto anche lei, la psicologia era la peggiore tra le armi.

E mentre l’applauso si esauriva e Zack continuava il suo discorso in onore a Scarlet, lei cominciò a non distinguere più le voci della gente accanto a lei, e sentì che la sua ora stava per giungere. Niente più tempo per nascondere i documenti, niente più tempo per salutare ciò che di più aveva amato nella sua vita.

Non c’era nemmeno il tempo per vedere per l’ultima volta sua figlia Eliza. Che razza di madre era stata? Sempre troppo occupata, senza avere mai un momento libero da dedicarle. In effetti, non aveva tempo da dedicarle nemmeno adesso, era troppo impegnata a morire! Ogni attimo che passava era un passo verso la morte, e probabilmente non sarebbe riuscita nemmeno a svegliarla in tempo prima che la vita l’abbandonasse.

Era arrivata l’ora di abbandonare la scena.

Stanca, poggiò una mano contro l’alta parete della sala. Il suo respiro era affannoso, non riusciva più a formulare un pensiero concreto,  tutto le sfuggiva davanti, troppo lontano per essere raggiunto.

Poi una consapevolezza la attraversò: non era ancora troppo tardi per la vendetta. Le sue mani si chiusero su un oggetto che aveva nascosto nella borsa che portava con lei. Un oggetto lucido, freddo al tatto, che si era riproposta di non utilizzare almeno per quella sera. Questo prima di conoscere il tremendo colpo inflittagli da Zack Fair.

“… Ed è per questo motivo” continuò quest’ultimo “che voglio brindare a questa grandissima donna, capace di mandare da sola avanti un grande impero finanziario e, soprattutto, di riuscire, ancora una volta, a stupirci con le sue idee e le sue iniziative, dopo tanti anni. A Scarlet Krauger!”

E mentre tutti brindavano alla sua salute, Scarlet decise che quello era il momento giusto per attuare una volta per tutte il suo piano. Mise allo scoperto la pistola che fino a quel momento aveva tenuto ben nascosta e prese la mira.

Non vedeva bene, e le girava la testa… ma doveva farlo.

E fu in quel momento, mentre le ultime forze la abbandonavano, che Scarlet premette per la prima volta il grilletto, e poi ancora, e ancora, e ancora una volta.

Il primo colpo mancò di qualche metro Zack, colpendo il muro alle sue spalle; il secondo si infranse contro la finestra che dava sul giardino della tenuta, mandando in frantumi le alte vetrate della sala; il terzo finì in mezzo alla folla, scuotendola come la tempesta agita il mare.

Il quarto fu il colpo maggiormente calibrato. Ci fu un momento in cui tutti si chiesero se Scarlet avrebbe avuto il coraggio di sparare ancora: il tempo pareva essere rallentato, la folla si era fermata ad occhi sbarrati, per osservare il folle gesto della donna, Zack Fair aveva urlato: “No!” e l’aveva guardata con un espressione di puro terrore dipinta sul volto.

Scarlet sorrise. Poi sparò e, un attimo dopo, si accasciò a terra, tra le oscure spire della morte, ma non prima di aver visto Zack accasciarsi a terra, colpito dal suo proiettile.

“Ci rivedremo all’inferno, Zack…”

 

 

 

 

 

Qualche secondo prima, Cloud Strife ed Aerith Gainsborough stavano animatamente conversando, cullati dalla leggera brezza che offriva quella notte. La luna rischiarava i loro volti e la facciata principale della tenuta. Dalla sala della festa proveniva un lieve brusio.

Cloud Strife soffermò ancora una volta i suoi occhi sul viso della donna che aveva davanti a sé. Era… strano. Con lei era semplice parlare, ascoltare, persino stare in silenzio, come in quel momento. Era speciale. Ora capiva ciò che Zack gli aveva sempre detto a suo proposito.

Non sapeva nemmeno cosa pensare, aveva come la mente ferma, in attesa di un ordine che non sarebbe arrivato molto presto.

Poi lo sentì. Un suono secco, un rombo cupo che squarciava la tranquillità di quella calma serata. Qualche urla dall’interno della sala. Poi un altro colpo, che stavolta infranse una delle alte finestre.

“A terra!” esclamò Cloud, trascinando Aerith con lui. Il proiettile passò sopra le loro teste, e si perse nel prato verde antistante la Magione.

“Ma che sta succedendo?” domandò lei, mentre un altro colpo esplodeva all’interno della sala, seminando il panico. Molti degli invitati si riversarono fuori, fuggendo e urlando frasi incomprensibili.

“Non lo so, non riesco a capire!” rispose l’uomo, mentre cercava di intravedere qualcosa di ciò che stava succedendo nella sala.

Trepidanti, attesero che un altro colpo fendesse l’aria. E quello venne, dopo qualche secondo, come se fosse stato maggiormente studiato rispetto ai precedenti. E stavolta, furono sicuri che qualcuno fosse stat colpito. Lo sentivano.

“E’… è finita?” chiese Aerith dopo qualche secondo, sporgendo un po’ la testa verso l’alto.

“Aspetta!” le rispose Cloud “restiamo un momento qui”.

Stettero vicini, senza guardarsi negli occhi, con le orecchie tese alla ricerca di un minimo rumore che lasciasse presagire una nuova sparatoria. Ma quando fu chiaro che più nulla sarebbe accaduto, lasciarono il loro nascondiglio per correre all’interno della sala. Gli invitati erano fuggiti dalla sala, che era rimasta deserta. Molti tavoli ai margini della stanza erano stati capovolti, probabilmente durante la fuga degli invitati.

“Non vedo niente di strano…” sussurrò Aerith all’orecchio di Cloud.

“Neanche io, ma facciamo attenzione” le disse l’uomo tenendola dietro di sé.

C’era qualcosa che non andava, se lo sentiva. L’ambiente traspirava di una calma gelida, frammentaria e stridente. Sembrava che il silenzio fosse stato creato da una dilaniante disperazione, la stessa disperazione che aveva spinto qualcuno tra gli invitati a sparare quattro colpi di un’arma da fuoco nel bel mezzo della festa.

“Non ti sembra come… innaturale? Questo silenzio, intendo” chiese Aerith, cercando di mantenere il tono della voce ferma.

“Non mi pare” sussurrò Cloud, rispondendole senza neanche sentirla. Era molto preoccupato per Cissnei e per Zack. Dove erano finiti? Sperò che fossero fuggiti insieme agli altri.

“Dove sono…?” chiese ad un tratto Aerith, guardandosi intorno.

“Zack e Cissnei?” rispose Cloud “Me lo stavo chiedendo anch’io. Spero che stiano bene, e che siano usciti via”.

“Non dovremmo andare anche noi?” domandò Aerith incerta, non riuscendo a nascondere il timore dai suoi occhi cerulei.

“Tu va’ pure, in effetti è troppo pericoloso per te” rispose Cloud “io voglio scoprire qualcosa, prima che arrivi la polizia!”

“Io non me ne vado!” esclamò Aerith in tono cocciuto, alzando la voce.

“va bene allora” sussurrò Cloud, per farla stare in silenzio. Sperò che nessuno li avesse sentiti. Colui che aveva sparato poteva essere ancora lì, ad ascoltarli, ma non disse niente per non spaventare ulteriormente Aerith.

Continuarono ad avanzare lentamente, con il rumore dei loro passi che attraversava le loro menti. Avanzarono fino a metà sala, con gli occhi che andavano da una direzione all’altra, cercando di intravedere tutti i luoghi che sarebbero potuti fungere da nascondiglio in caso di un attacco. Poi Aerith, parlò, e stavolta non cercò nemmeno di mascherare il proprio terrore.

“C-cos’è quello?” chiese, con un tono disgustato che tradiva la sua paura. Cloud si voltò ad osservarla e notò che puntava il dito contro una sagoma a pochi metri da loro, distesa in modo innaturale sul pavimento.

Fuori un lampo illuminò il cielo, seguito da un forte scroscio di pioggia quasi improvvisa. Un temporale stava abbattendo la sua furia contro Midgar. Forse, era stata la brezza che tanto li aveva accompagnati in quei giorni a portarlo da loro, lì, in quell’istante.

Gocce di pioggia bagnarono i vetri della sala, colando lenti verso il basso. Altri lampi illuminarono il cielo, squarciandolo.

Nella penombra della sala, non riuscivano a vedere con esattezza la sagoma che stava loro davanti.

“Credi che possa essere una vittima della sparatoria?” chiese Aerith.

“Probabile” rispose Cloud avvicinandosi. “Sembra una donna”.

Adesso era a pochi centimetri dal corpo. Con lentezza, mosse una mano verso quest’ultimo, ma non ci fu bisogno di toccarlo. Un violento lampo illuminò la scena: adesso sembrava che dalle finestre colasse sangue, anziché normale acqua, talmente era macabra la scena.

“E’ Scarlet!” esclamò Cloud, dimenticatosi ormai di mantenere basso il tono della voce.

“Che cosa?” esclamò Aerith, eppure non c’erano dubbi: anche lei aveva riconosciuto la fiera figura della donna, i suoi capelli dorati ed i suoi occhi, di solito così azzurri ma adesso vuoti ed inespressivi.

Cloud le tastò il polso. Nessun battito. Ancora non convinto, mise due dita sulla giugulare, alla ricerca della benché minima traccia di vita nel suo corpo. Poi si convinse che non c’era più nulla da fare.

“E’ morta” sussurrò.

“Che cosa?! Non è possibile!”

Cloud non le rispose. Aveva notato qualcosa di molto importante stretto tra le mani della donna esanime. “Guarda lì, è probabile che quella sia l’arma dalla quale sono esplosi i colpi!”

“Dici che si è trattato di suicidio?” chiese Aerith, continuando a guardare il corpo.

“Non vedo sangue… deve aver sparato contro qualcuno. Ricordi per caso se l’hai vista discutere con un invitato, oggi?” chiese Cloud, cercando di ricostruire come fosse andata la vicenda. C’era qualcosa che non quadrava… com’era morta? E soprattutto, perché aveva deciso di compiere quel folle gesto ai danni di qualche malcapitato? Non riusciva a spiegarselo.

Scarlet era una strana donna, questo lo sapeva. Ambiziosa, severa, piena di fascino e capace di incantare tutti con le sue parole; molti le erano nemici. Era stato uno di questi nemici il responsabile della sua morte? E lei gli aveva sparato contro  prima di morire? Sembrava una storia troppo strana per risultare reale.

“Beh, da quel che ne so Scarlet non era propriamente amichevole con tutti…” disse Aerith, pensando “Poi oggi non l’ho proprio vista litigare con nessuno, da quel che so ha parlato solo con…” si fermò di colpo “con Zack”.

“Che cosa?” domandò Cloud, sconvolto. Scarlet aveva parlato con Zack…

Zack Fair, eminente membro della ShinRa, aveva discusso con lei riguardo qualcosa. Qualcosa che doveva averla sconvolta, a quanto pare. 

“Dobbiamo trovare Zack, subito. Dobbiamo assicurarci che stia bene!” disse Cloud.

Accanto a lui, Aerith assentì e cominciò la ricerca.

 

 

 

 

Tifa Lockheart corse a perdifiato per i vasti prati antistanti alla tenuta di Scarlet. Era entrata dal cancello posteriore, di soppiatto, ed adesso correva a perdifiato verso la sala dove si teneva il party, per cercare di avvertire Scarlet del pericolo che stava per correre. Tuttavia, per quanto stesse correndo veloce, sapeva già che non sarebbe servito a nulla, e che tutto era già perduto.

Aveva visto le volanti della polizia al cancello principale della tenuta, da cui scendevano alcuni poliziotti preoccupati; aveva visto la gente che si riversava fuori dalla villa, spaventata da ciò che stava accadendo all’interno di essa; e subito aveva capito che non c’era più nulla da fare, purtroppo.

Ma aveva continuato a correre, aveva continuato la sua folle e inutile corsa verso la verità. Dio solo sapeva quanto in quel momento stava odiando Zack Fair; non le aveva detto nulla sulle sue reali intenzioni, le aveva fatto credere di essere solo alla ricerca di informazioni! Ma in quel momento… se l’avesse avuto davanti, avrebbe anche potuto ucciderlo.

La pioggia fendeva il suo volto, i lampi illuminavano la sua via, il vento la spingeva verso il suo obiettivo.

Quando arrivò alla tenuta, si nascose vicino ad una della alte vetrate e guardò la scena.

Aerith Gainsborough, la moglie di Zack, ed il suo amico Cloud Strife, che conosceva di vista, stavano cercando qualcosa. Entrambi erano parecchio scossi, scuri in volto, immersi in una disperata ricerca.

Li osservò per un po’, cercando di carpire una qualunque informazione dai loro gesti, qualunque cosa che la potesse aiutare a capire che fine avesse fatto Scarlet. Loro sapevano cos’era successo?

Se restava così nascosta non l’avrebbe mai scoperto.

Ma mentre valutava l’idea di mostrarsi, un urlo di dolore la distolse dai suoi pensieri.

Aerith Gainsborough era scoppiata in lacrime. Nel lato all’estremo ovest della sala, lei e Cloud Strife erano accanto al corpo di Zack Fair, steso in una pozza di sangue scarlatto.

Tifa osservò per bene la scena. Non sapeva dire se Fair fosse morto o meno, ma al momento ciò non gli interessava. L’importante è che stesse pagando per ciò che aveva fatto a Scarlet. Si meritava tutti i mali del mondo, per il diabolico piano che aveva architettato.

Represse una lacrima, fuoriuscita al pensiero della dipartita dell’amica, e si concentrò sulle parole che una volta le aveva pronunciato Scarlet sui loro piani futuri.

Anche se il suo capo era morto, infatti, Tifa non aveva ancora terminato la sua missione. Sapeva di dover fermare in ogni modo possibile gli esperimenti della ShinRa, ed aveva intenzione di trovare nuovi validi alleati che sostenessero la sua causa.

 

 

 

 

 

 

 

 

*la frase “Timeo Danaos et dona ferentes” significa “Temo i Greci (Danai) anche quando portano doni”, ed è una citazione del 2° libro dell’Eneide. Insegna a non fidarsi dei nemici nemmeno quando essi mostrano buone intenzioni!

 

 

 

Et voilà, ecco qui un altro capitolo, il continuo del precedente! A mio parere questo capitolo non è un granché, ma lascio comunque il giudizio a voi! Povera Scarlet, a quanto pare dovremo dirle addio per sempre da questo fan fic, purtroppo! E in quanto a Zack, invece? Sopravviverà? Per capirlo vi invito a rileggere il prologo, dove ci sono molti indizi sui futuri capitoli! Chissà che non riusciate a capire qualcosa di importante nell’economia della trama… XD

Veniamo adesso al ringraziamento per coloro che hanno recensito:

 

Bankotsu: Ma grazie davvero per tutti i complimenti! In effetti è vero, lo scorso capitolo era abbastanza carino, invece questo non mi convince per niente… tu ne hai avuto già un assaggio, quindi mi raccomando dimmi cosa ne pensi!

 

Lirith: Beh, Zack non ha ucciso Scarlet con una pistola nei pantaloni, mi dispiace, però ha dimostrato ugualmente una gran dose di cattiveria! Secondo te muore adesso? Boh, comunque grazie ancora per i complimenti anche a te e spero che questo capitolo ti sia piaciuto!

 

Ringrazio inoltre anche i lettori e spero che anche a loro il capitolo piaccia! ^^

 PS: Non so quando aggiornerò perché al momento sto preparando una fan fiction per un contest… spero di fare presto! ^^

Ciaooo!

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Capitolo 5
*** Intermezzo narrativo ***


Questo capitolo è una sorta di parentesi rispetto alla trama principale del flashback. Si ritorna alle vicende successive al prologo! Spero possiate capire qualcosa di nuovo (anche se penso sia difficile, in mezzo a tutto il caos che troverete nelle prossime righe)!

 

Intermezzo narrativo

 

24 Novembre 2009, 17:27

 

“Perché sei ancora qui?”

“Io sono sempre qui… sei tu che non mi vedi!”

“Sei così piccola…”

“Lo eri anche tu, proprio come me!”

“Io non sono una bambina… non più…”

“Il tempo passa, è vero!”

“Sì… Ma cosa fai qui? Fa freddo!”

“E’ Natale?”

“Manca ancora un mese per Natale, mi dispiace”

“Dove vivo io è sempre Natale!”

“Che cos’è il Natale per te?”

“La neve, che domande!”

“…”

“Cosa c’è?”

“Nulla, io…”

“Perché hai ucciso quel signore?”

“C-che cosa?”

“Quello lì in mezzo alle tombe! Ti faceva i dispetti?”

“Io…”

“Lo conoscevamo, vero?”

“Sì… molto bene…”

“E Zack che c’entra?”

“Niente…”

“Sai che è proprio uno stupido? Mi ruba le merendine!”

“Zack?”

“Sì, e poi mi dice le bugie. Sempre!”

“Anche a me.”

“Gli sbruffoni non cambiano mai!”

“Se lo meritava?”

“Perché non me lo dici tu?”

“Io… credo… Devo andare a casa… in fretta!”

“Puoi giurarci che McRonis fa la spia, sei nei guai!”

Voci risuonavano nella sua testa. La nebbia davanti a sé celava i lineamenti di una fragile figura che non esisteva, modellata dal suo senso di colpa, quasi evanescente e che con ogni probabilità in quel momento non era lì.

Aveva smesso di piovere qualche minuto prima. Il vento gridava, era la voce dei suoi sentimenti che si faceva strada nell’etere. Si strinse nel cappotto nero con forza, marciando verso il suo obiettivo.

Le sue mani erano sporche di sangue. Riusciva quasi a sentirne l’odore. Chiuse gli occhi, quasi a sperare che gli ultimi giorni della sua vita venissero cancellati solo con quel gesto. Non era certa di sentirsi bene. E due omicidi nell’arco di una settimana non le avevano giovato per niente, ne era certa. E le sue mani, le sue luride e sporche mani! Erano lì, impresse nelle sue pupille, e non se ne sarebbero andate, non l’avrebbero lasciata in pace, riposare, prendere fiato dopo un’orrenda giornata come quella. No, sarebbero rimaste, a giudicarla, ed anche il suo cappotto irrimediabilmente screziato di rosso, anche lui l’avrebbe silenziosamente accusata, e avrebbe fatto in modo che arrivassero a lei!

Sapeva di non aver prestato attenzione a parecchi particolari. Sapeva che sarebbe stata l’indiziata numero uno, adesso che Cloud e Tifa erano morti. Sapeva anche che la sua partenza sarebbe sembrata strana, e che avrebbe decretato la sua colpevolezza in maniera schiacciante. In verità, nel momento in cui la Polizia si sarebbe occupata del nuovo sviluppo del caso, sarebbero uscite due teorie parecchio differenti tra loro: la prima, quella esatta, l’avrebbe incolpata come carnefice della scia d’omicidi che perpetuava ormai dagli inizi di Novembre; la fuga sospetta, la sparizione improvvisa della pistola del marito, il proiettile all’interno del cadavere di Cloud... tutto avrebbe portato verso una sola persona: lei, Aerith Gainsborough. Al contrario, l’altra teoria l’avrebbe vista come l’ultima vittima di un non identificato killer; d’altronde, anche il corpo di Tifa Lockheart non era mai stato ritrovato. Avrebbero potuto pensare che anche a lei fosse toccato lo stesso destino; e in questo caso, sarebbe stato un ottimo vantaggio, le avrebbe permesso di allontanarsi e di riflettere con calma, analizzando i documenti di Zack sulla ShinRa Electronic Power Company.

Si tolse il cappotto, nonostante il freddo di quella giornata priva di sole. Non poteva rischiare che qualcuno la vedesse coperta di sangue da capo a piedi. Lo arrotolò e se lo mise sottobraccio, maledicendosi per non aver portato uno specchietto in borsa per controllare se anche il viso fosse macchiato.

All’angolo della strada comparve una figura, avvolta dalla nebbia; sembrava essere un ragazzino non molto alto, ma invece, quando si fu avvicinato, notò che era un vecchio, che sembrava quasi muoversi a tentoni tra la fitta nebbia, incapace di vedere a un palmo dal proprio naso. Quando la vide per la sua strada sembrò quasi trasalire, come se non l’avesse notata se non all’ultimo istante; le lanciò un’occhiata inquisitoria, di quelle che gli anziani scoccano con disapprovazione a chiunque non abbia ancora raggiunto la loro veneranda età, e proseguì per la sua strada, ignorandola e dimenticandosi di lei.

Sospirò, continuando la sua avanzata, lasciando che la mente elaborasse piani che si rivelavano continuamente pieni di falle. Stranamente, la consapevolezza di pochi minuti prima dell’aver spezzato una vita era sparita lasciando posto al vuoto totale. Non sentiva nulla. Camminava quasi per attrito, la mente altrove, lo sguardo vacuo, lasciandosi scivolare il senso di colpa addosso come se ne fosse impermeabile. Sentiva freddo, si strinse in quei vestiti troppo leggeri per una giornata così fredda e tenne con mano ferma il cappotto sottobraccio.

Svoltò un incrocio, camminando a fianco degli edifici gotici della città. Adesso si sentiva oppressa, quasi schiacciata dal peso opprimente della scia di sangue sulle sue mani, e le sembrò impossibile che appena pochi secondi fosse stata tranquilla, insensibile a ciò che aveva fatto. Si vedeva riflessa negli occhi di coloro che incrociava per strada, riusciva a vedere la sua espressione sconvolta e le sue occhiaie profonde, testimoni delle sue numerose notti insonni passate alla finestra, verso quel cielo che tante volte aveva immaginato da bambina, quando ancora viveva nella Icicle Area. Ed ogni volto che vedeva, per un folle attimo, era quello di Tifa, o quello di Cloud, che la guardavano severi, l’espressione carica di determinazione e risentimento nei suoi confronti. E li guardava con le lacrime agli occhi, pronta ad invocare perdono - o forse sperando di essere perdonata spontaneamente – finché non notava che i loro volti non erano i loro volti, e che loro non erano loro. Sentiva di stare impazzendo.

“Avranno già scoperto il corpo?”

“Ti prego, stai zitta!”

“Va bene, volevo solo…”

“Lasciami in pace!” urlò Aerith, voltandosi e afferrando l’aria dietro di sé. La bambina era sparita, con lo stesso silenzio con cui la neve si adagiava sulle colline in Inverno, e si ritrovò a stringere il gelo tra le sue mani macchiate di rosso. Eppure era lì, era sempre stata lì…

“Signora Gainsborough?”

La donna si voltò, lentamente, verso la voce che l’aveva interpellata. Strinse gli occhi, scorgendo un uomo dai capelli neri dall’altra parte della strada, avvolto in una giacca nera. Era così familiare…

“Zack” la sua voce era così flebile che per un momento le parve di non aver proferito parola.

No, non era lui. I lineamenti dell’uomo che si avvicinava erano più marcati, ed una smorfia seria e a tratti inquietante gli attraversava il volto. La osservava, con i suoi occhi inquisitori, come se le leggesse in viso quello che aveva fatto. Sì, lui sapeva! Doveva andarsene, prima che la raggiungesse, cominciare a correre, scappare, subito...

Ma non si mosse. Lo riconobbe, abbinò un nome al suo volto, e rimase paralizzata dal terrore. I suoi occhi scattarono automaticamente verso le mani che, ne era certa, sarebbero state la sua rovina. Si ripeté di stare calma, ma era impossibile, ed era sicura che ormai tutto sarebbe finito lì…

“Buonasera” la salutò l’uomo, la mano protesa.

“Salve, Detective Valentine” rispose Aerith, con voce ferma. Sì, poteva farcela. Doveva solamente mantenere la calma...

“La prego, mi chiami Vincent” fu la risposta dell’uomo, cercando di stringerle la mano.

Aerith, con le braccia strette al petto, non si mosse, terrorizzata all’idea di essere scoperta. L’uomo ritrasse la mano, senza minimamente scomporsi. “Non ho ancora avuto l’occasione di poterle esprimere le mie condoglianze. Zack Fair era un cittadino per bene, stimato da…”

“Non era lei che voleva accusarlo a tutti costi dell’omicidio di Scarlet Krauger?” lo interruppe Scarlet, accigliata.

“Sì, ma…”

“E non era lei che ha continuato a tormentarlo con la storia della festa, anche quando fu catturato il vero responsabile?” continuò lei, imperterrita.

“Non potevamo essere sicuri che lui non fosse implicat…”

“Risponda con un sì o con un no, Vincent

L’uomo abbassò lo sguardo, mentre fremeva di rabbia. “Sì, ero io, ma…”

Un sorriso sardonico attraverso il volto della donna. “Suppongo che adesso sia soddisfatto, non è così?”

Vincent Valentine sospirò, prima di rispondere. “Che lei ci creda o no, non provo nessuna gioia perversa all’idea che Zack Fair sia morto!”

“Beh, senz’altro ciò dovrebbe renderlo automaticamente innocente! Non potrebbe essere stato vittima dello stesso assassino di Scarlet Krauger?” domandò Aerith. Si disse che stava andando tutto bene, e che la parte della vedova affranta le calzava a pennello. Quell’idiota di Valentine stava abboccando come un pesce, e probabilmente quando avrebbe cominciato a sospettare di lei sarebbe stato ormai troppo tardi.

“Ne dubito” rispose lui, prontamente, come se si fosse aspettato quella domanda. “Il modus operandi è troppo differente. La fine di Scarlet era stata ben studiata in ogni suo aspetto, e l’assassino aveva usato il veleno per non sporcarsi le mani. Il signor Fair e la signorina Lockheart invece... beh, come già sa, è una morte del tutto differente. Addirittura, non siamo nemmeno riusciti a trovare il cadavere di Lockheart…”

“Non potrebbe solamente aver cambiato metodo?”

“Solo se si fosse improvvisamente instupidito. No, sono quasi certo che siano due persone differenti” concluse Vincent, non lasciando trapelare emozioni né dallo sguardo né dalla tonalità piatta della voce. Aerith si chiese per quale motivo le stesse dicendo così tanto.

“E in quanto al movente?” chiese, fingendosi interessata. “Neanche i moventi potrebbero in qualche modo essere collegati?”

“Ottima domanda” affermò l’uomo, in tono professionale. “Siamo sicuri che la ShinRa Electronic Power Company sia la causa scatenante di questa serie di omicidi. Tuttavia, non abbiamo molte informazioni al suo riguardo, nessuno sembra saperne nulla… “ fece una pausa di alcuni secondi, osservando un punto fisso nella nebbia di fronte a sé. “Suppongo anche lei sappia quanto gli altri” commentò, aspettandosi già una risposta che non tardò ad arrivare.

“Infatti, non so nulla di questa… ShinRa…” rispose Aerith, fredda.

“Non ne dubitavo” affermò l’altro, lanciandole un’occhiata fiduciosa. Per un attimo fu il silenzio. “Mi dispiace davvero per suo marito, mi creda”.

“Lo so…” si ritrovò a rispondere, con un sorriso forzato sul volto e con la fretta di voler chiudere quella pericolosa conversazione. “Mi dispiace di averla aggredita in questo modo, Vincent, è solo che…”

“Non si preoccupi, davvero!” la interruppe l’uomo, risoluto. “La capisco. Le giuro che farò il possibile per trovare l’assassino del signor Fair. Chiunque sia stato, non vedrà ancora a lungo la luce del sole.”

“Grazie” sussurrò Aerith, con un senso di colpa crescente persino nei confronti di quell’uomo. Non ci sarebbe stato alcun bisogno di fare numerose ricerche per trovare l’assassino, lo sapeva, ma sorrise di gratitudine all’uomo, ingannatrice, lieta di non aver fatto trapelare nulla durante l’arco della conversazione.

“Spero di rivederla presto. Stia bene!” sussurrò l’uomo, ed Aerith seppe di potersi allontanare, e che l’incontro era finito. Stava per sospirare di sollievo, cominciando a muoversi verso casa, quando calpestò accidentalmente uno dei lembi del cappotto, che le scivolò dalle mani.

Nel breve secondo che il cappotto impiegò prima di toccare il suolo umido di Midgar, Aerith Gainsborough pensò che era la fine. Vincent Valentine si chinò per raccoglierlo, e, quando lo prese in mano, si fermò un momento, osservandolo con attenzione. La donna chiuse gli occhi, cercando di elaborare un qualunque piano per svicolare da quella situazione, ma si accorse di essere con le spalle al muro…

“Bel cappotto!”

Aerith, aprì gli occhi, incredula. Incrociò lo sguardo serio del detective che le stava davanti, e poi tese una mano verso il soprabito che le stava porgendo.

“Gr-grazie” sussurrò, con lo stesso sorriso di gratitudine di poco prima, voltandosi. Sospirò di sollievo, sotto la pioggia leggera che da qualche minuto sfiorava Midgar, quasi evanescente al contatto con l’asfalto. Certo, il detective, alla notizia della morte di Cloud Strife, non avrebbe impiegato molto tempo a ricordare di averla incontrata in quella strada, e di conseguenza ad incriminarla, ma quello era un problema secondario. Ci avrebbe pensato in seguito, aveva ancora un paio di ore per poter elaborare una strategia...

“C’è del rosso nella pozzanghera…”

La frase parve amplificata dal silenzio della quieta strada. Aerith si sentì gelare.

“C-come?” biascicò, voltandosi nuovamente verso l’agente, che era chino sul punto dove qualche secondo prima era scivolato il cappotto.

Vincent Valentine non le rispose, toccando con la punta delle dita la pozzanghera porpora. “Sembrerebbe…”

“No!”

“…sangue” finì l’agente, osservandola meravigliato.

Aerith sentì qualcosa scattare dentro di lei. Doveva fuggire, e alla svelta, seminare le sue tracce. Ma quell’uomo l’aveva scoperta, non poteva semplicemente scappare! Non sarebbe potuta tornare a casa, non avrebbe potuto recuperare i documenti di Zack, tutto sarebbe andato perduto. No, non poteva finire così…

Ancora una volta, si sentì addosso lo sguardo dell’uomo. Voleva muoversi, ma era in trappola, senza possibilità alcuna di potersi difendere. Le gambe non rispondevano alla sua richiesta di voler fuggire, il terrore l’aveva paralizzata. Le sue mani si strinsero al soprabito, nervosamente, quasi a voler cercare una scappatoia tra le pieghe macchiate di sangue.

E la trovarono.

La soluzione del problema si era presentata quasi spontaneamente.

Non aveva altra scelta. Non poteva permettere che qualcosa la intralciasse quando si era spinta così avanti nella ricerca della verità. Non ora che aveva la chiave per risolvere tutta la storia.

Sospirò stancamente, mentre pensava che la scia di sangue che negli ultimi tempi aveva avvolto Midgar non si sarebbe ancora fermata.

Ancora una volta, per causa sua.

 

 

24 Novembre 2009, 18:49

Si trascinò stancamente fuori dal capanno degli attrezzi della sua casa, con un espressione risoluta in volto. Non era stato difficile trovare i guanti da giardinaggio di Zack. Con quelli, non avrebbe lasciato nessuna traccia. Non poteva rischiare di lavarsi le mani grondanti di sangue nel lavabo che sarebbe stato successivamente analizzato dalla scientifica, sarebbe stato troppo rischioso.

Il buio aveva ormai avvolto Midgar, e la notte senza stelle era giunta. Le nuvole, illuminate dai lampioni, apparivano cupe preannunciatrici di sventure. Si disse ancora una volta che sarebbe andato tutto bene, e che stava facendo solo il necessario, quello che chiunque, nella sua stessa situazione, avrebbe fatto. Ma la verità non era questa.

Quello che chiunque avrebbe fatto, in quella situazione, sarebbe stato non uccidere Cloud Strife con un colpo di pistola in un freddo cimitero, né sparare a Vincent Valentine nell’oscurità di un vicolo dove lui aveva cercato di fermarla dopo un lungo inseguimento.

Quello che chiunque avrebbe fatto, lo sapeva, era tutto il contrario.

Dannazione, era diventata matta?! Da quando l’omicidio era diventato il modo più semplice per liberarsi dei suoi problemi?

Com’era potuto accadere?

Come aveva potuto lasciare che accadesse?

Ancora una volta, si lasciò andare ad un sospiro che si condensò in vapore prima di perdersi nella fredda aria ormai invernale della Midgar notturna. Si fece forza e, lentamente ma con decisione, fece scivolare la chiave all’interno della serratura, aprendo la porta e richiudendosi la porta alle spalle. Si mosse a tentoni nell’oscurità crescente della casa, alla ricerca dell’armadio per le emergenze. Controllò ancora una volta che i guanti coprissero interamente le mani e che il sangue sul suo soprabito fosse ormai secco, poi aprì l’armadietto e prese una delle torce elettriche poste su un ripiano in basso. Ne prese una e la accese, chiudendo l’anta senza fare rumore.

Oltrepassò l’atrio ed entrò in salotto. Lunghe ombre si proiettarono sulla parete quando illuminò la stanza con la torcia. Tutto tranquillo. Mosse qualche passo, verso la camera nella quale solamente in rare occasioni si era avventurata ad entrare. La porta era aperta, così come l’aveva lasciata il detective Valentine, quando aveva cercato prove sull’implicazione della ShinRa nell’omicidio di Zack Fair. Titubante, entrò.

La prima cosa che notò fu il disordine. Valentine non si era nemmeno preso la briga di riordinare, dopo aver setacciato la camera in cerca di indizi. Si avvicinò alla scrivania, piena di moduli e documenti di poca importanza. Sperò che quell’idiota non avesse preso nulla di interessante, e di trovare ancora ciò che cercava.

Controllò nei cassetti e nella libreria alle pareti, con attenzione, mentre i minuti volavano via uno dopo l’altro.

Non trovò nulla. D’altronde Zack non era stupido, e sapeva che, se gli fosse successo qualcosa, i documenti non sarebbero dovuti essere alla portata di tutti. Erano lì, davanti ai suoi occhi, ne era sicura, eppure non riusciva a vederli. E il tempo passava. E qualcuno forse aveva già scoperto il cadavere di Cloud nell’oscurità del cimitero attorniato dai salici, o si era imbattuto nel corpo senza vita di Vincent Valentine…

No, non poteva restare ancora per molto in quella casa che di lì e a poco sarebbe stata messa a soqquadro dalla polizia e dalla Crescent: doveva trovare quei documenti, e in fretta…

D’un tratto, un’idea quasi banale le sfiorò la mente. La allontanò, cercando di rimuovere tutti i pensieri che potessero disturbare la sua ricerca; eppure più tempo passava, più la teoria che stava elaborando trovava maggiori consensi tra le mille informazioni che le ronzavano in testa; e quando alzò lo sguardo dopo aver ricontrollato i documenti per la terza volta, si costrinse a prenderla in considerazione.

Chiuse i cassetti della scrivania che aveva aperto e uscì dallo studio, gettandogli un’occhiata distratta per controllare che fosse ancora in ordine. Attraversò il salotto illuminato dai raggi della luna ormai alta in cielo. Si fermò davanti al sottoscala di legno e aprì il pannello che conduceva al seminterrato. In verità, erano anni che non lo utilizzavano, se non come ripostiglio, eppure aveva visto Zack entrare molte volte lì dentro, negli ultimi mesi.

La scala di legno scricchiolò sotto il suo peso. Si tenne alla balaustra, stando attenta a non scivolare, e tenne indirizzata la torcia verso la stanza. Nient’altro che un ammasso di scatoloni posti uno sopra l’altro, come l’ultima volta in cui vi era stata. All’apparenza, sembrava tutto come sempre. Si fece largo tra due file di scatoli che formavano un corridoio in mezzo al caos. Scavalcò uno scatolone urtandolo leggermente con una gamba, poi riprese il sentiero che si interruppe bruscamente in uno degli angoli della casa.

Si chinò e aprì lo scatolone all’angolo: non ricordava di averlo messo lì. Era pieno di vecchie cianfrusaglie, eppure qualcosa attirò la sua attenzione. Frugò ancora un po’, in fondo, fino a trovare una cartella colma di documenti cartacei. Trepidante, voltò la prima pagina.

ShinRa Electronic Power Company.

Sorrise tra sé. Li aveva. Probabilmente Zack li aveva messi provvisoriamente lì, in attesa di trovare un nascondiglio più sicuro del suo ufficio, ma non aveva avuto il tempo. Si alzò e scavalcò ancora una volta gli scatoloni, verso l’uscita. Una volta tornata al pian terreno, gettò una rapida occhiata all’orologio sulla parete.

Presto le sarebbero stati addosso. Doveva trovare un modo per guadagnare tempo, e alla svelta. Ma come avrebbe fatto?

La risposta venne presto alla sua vista, ed ancora una volta seppe che era l’idea vincente. La Crescent, almeno inizialmente, sarebbe stata ingannata. Dopotutto, avrebbe potuto collegare ciò che avrebbe visto tra quelle quattro mura con il caso Lockheart. Anzi, sarebbe stata la cosa più logica da pensare. Oltretutto, avrebbe lasciato delle tracce che rendessero le sue azioni imputabili all’assassino di Cloud e del detective Valentine.

Si concentrò attentamente, mentre muoveva dei passi verso la cucina. Aprì un cassetto da cui prese un affilato coltello. Chiuse gli occhi, respirando determinazione.

Avrebbe fatto quel che sarebbe stato necessario, ancora una volta.

 

Argh, non aggiorno da almeno tre mesi! Non uccidetemi, vi prego, sono stato moooolto impegnato e oltretutto ho anche un’altra long fiction all’attivo xD

Bene, so che siete confusi e che non abbiate idea di cosa stia succedendo, ma praticamente in questo capitolo è celata mezza storia, e, se letto attentamente, potete capire molto sul flashback che riprenderà dal prossimo capitolo in poi! In particolare, ho svelato il destino di numerosi personaggi, ed anche qualcosa in più sul ruolo di Aerith nella vicenda.

Non sono molto soddisfatto da come ho scritto questo capitolo… probabilmente è il più brutto finora, ma in questo periodo non riesco a fare di meglio, mi dispiace…

Suppongo che abbiate capito chi siano Vincent Valentine e la Crescent xD Beh, se non l’avete ancora fatto, sappiate che entrambi i personaggi verranno approfonditi dal prossimo capitolo in poi... spero di non metterci un’eternità (anche se in realtà è molto probabile!)

Veniamo ai ringraziamenti per le recensioni:

Bankotsu: Grazie tante per i complimenti, spero tu non venga deluso da questo capitolo! E’ vero, lo scorso capitolo è concentrato su come l’idea del bene e del male possa variare da personaggio in personaggio (ma del resto, tutta la storia è concentrata su questo particolare aspetto). La scena, pur essendo molto Cloud/Aerith, credo sia in qualche modo fuorviante xD però non dico altro, mantengo il mistero attorno alla fic xD E in quanto alla scena dal punto di vista di Tifa, capirai presto il perché io l’abbia inserita... Rinnovo le speranze che anche questo capitolo ti sia piaciuto e che, in qualche modo, ti abbia fornito la risposta per qualcosa ma moltiplicato le domande per altri aspetti xD Alla prossima!

Lirith: Ma come si possono scrivere tali cattiverie su Scarlet? E’ così tanto una brava persona T___T! Comunque, per sapere se Zack muore davvero adesso o no, ti consiglio di controllare la data del prologo (o di questo intermezzo narrativo) e confrontarla con quella degli altri capitoli già pubblicati! Ma povera Tifa, è solamente arrabbiata con Zack per aver sterminato la sua migliore amica, che c’è di male? xD E poi su questo punto puoi stare tranquilla, a quanto pare Tifa ha già avuto quello che si spettava!

Alla prossima!

 

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