Lacrimosa di BaschVR (/viewuser.php?uid=38414)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Opporsi al destino ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Intermezzo narrativo ***
Capitolo 1 *** Opporsi al destino ***
Salve
a tutti! Prima di cominciare a tediarvi con la narrazione, occorre
attuare
qualche piccola precisazione. Questa è una Alternative
Universe, e quindi, non si colloca in nessun modo
nell’universo narrativo
di Final Fantasy VII. Quindi non è mai successo nulla di
quello che ci racconta
la trama del videogame. Tuttavia i luoghi ed alcuni personaggi sono
stati presi
dal videogame originali. Questi elementi non sono di mia invenzione e
quindi
(logicamente) appartengono ai rispettivi proprietari, che, come tali,
ne
detengono tutti i diritti. Inoltre non sono utilizzati a fini di lucro.
Occorre
anche precisare che la narrazione è alterata: più
che altro la storia si sviluppa
in quest’ordine: dapprima nel presente,
poi
continua con un lunghissimo flashback, e
poi, ancora una volta, ritorna al presente. Per semplificare la
comprensione, metterò delle date che aiuteranno a capire il
tempo in cui si
svolge la storia.
Forse
questo capitolo, il prologo, vi lascerà lievemente
spiazzati, ma non vi
preoccupate, col flashback successivo si spiegherà tutto
(forse XD)!
Bene,
direi di cominciare, vi auguro buona lettura!
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Lacrimosa
“Lacrimosa
dies illa,
qua resurget ex favilla
judicandus homo reus
[…]”
Messa
da Requiem, Lacrimosa – Wolfgang Amadeus Mozart
Prologo:
Opporsi al destino
24
Novembre 2009, 15:45
Quel
giorno la nebbia dominava tutto. Dominava il cielo, la terra, ogni cosa
era
soggetta al suo volere. Sembrava far da scudo alle vicende terrene, e
il suo
manto avvolgeva le vie quasi deserte, le strade, i viali, le case, le
anime
della poca gente che stava in strada. Un cane, disorientato dalla
scarsa visibilità,
barcollava incerto per i luridi vicoli di Midgar; si faceva strada tra
l’immondizia, rabbrividendo per il freddo innaturale di
quella strana giornata,
scostando con la zampa una lattina usata, guardando il cielo plumbeo,
così
diverso da quello azzurro che fino a ieri regnava tra le candide nuvole
bianche, simili ad un gregge che pascolava nel cielo.
E
mentre il cane guardava con nostalgia al passato, c’era chi
invece addirittura
lo rimpiangeva. Si sa, il presente non è sempre benaccetto.
A volte, si farebbe
di tutto per tornare indietro, rivivere ciò che è
passato, cercare di dare una
spiegazione a ciò che avverrà. Era semplice
capire quanto potesse essere strano
vivere in tal modo. La difficoltà era trovare la forza di
andare avanti. Era a
questo che pensava l’uomo che camminava lentamente per una
via secondaria della
città, avvolto in un cappotto pesante per sferzare il freddo
di quella
giornata. Gli occhi azzurri erano stanchi, l’espressione
preoccupata. Il suo
nome era Cloud Strife.
Cloud
non aveva mai avuto ché di lamentarsi. Una famiglia ricca,
una moglie
amorevole, un figlio fantastico, un buon lavoro. Una vita che molti
avrebbero
considerato perfetta. E all’apparenza, lo era. Ma spesso, per
capire davvero la
gente, bisogna guardare sotto la superficie. Allora sì che
tutti avrebbero
notato la verità. Cloud lo sapeva benissimo. Per scalare il
successo aveva
dovuto scavare nella gente, riuscire a capire tutte le motivazioni
intrinseche
dei loro gesti, cercare di aiutarle ed infine lasciarle andare da sole.
Era
la sua capacità di comprendere a fondo le persone, che lo
aveva portato fino a
quel punto, nel bene e nel male. I suoi piedi urtarono qualche
ciottolo. Mise
le mani in tasca, e si maledì per non aver portato i guanti
con lui. Non poteva
perdere tempo per tornare a casa, ci sarebbe voluto troppo tempo per
far
ripartire la Lamborghini, date le condizioni in cui era ridotta. Ed era
sicuro
che lei lo stesse seguendo, la
sentiva. Sentiva i suoi passi, nella realtà, o forse
soltanto nella sua mente,
la sentiva vicino a sé, la sentiva pronta a vendicarsi per
il torto subito.
Sicuramente aveva seguito la pista lasciata dalla sua macchina
distrutta. E,
una volta giunta in quella zona della città, probabilmente
era stato facile
intuire dove sarebbe andato. E sicuramente l’aveva seguito.
Ma dopotutto non
gli importava. Forse era arrivato il momento della vera azione, il
momento che
sapeva sarebbe arrivato. Forse.
Oltrepassò
una strada secondaria a passo svelto, mentre le prime gocce di pioggia
gli
bagnavano il viso. Si maledì nuovamente per non essere stato
previdente
riguardo all’eventualità che potesse piovere, e a
denti stretti, seguitò nella
sua improbabile passeggiata. Mentre il vento si alzava e la pioggia
batteva sul
suo viso, Cloud pensò che mai era caduto così in
basso, e che probabilmente non
lo sarebbe stato ancora per molto, se tutto andava come prevedeva. Nel
bene o
più probabilmente nel male, tutto sarebbe presto finito.
Si
stava scavando la fossa con le sue stesse mani? Stava percorrendo la
strada
verso il patibolo? Forse, probabile, sicuramente era così.
Lo sentiva, così
come sentiva il vento che soffiava sul suo viso, la pioggia che batteva
sui
capelli oramai bagnati fino alla radice, come il silenzio innaturale di
quelle
strade. Strinse l’impermeabile, poi alzò la testa
ed osservò le guglie gotiche
della cattedrale che si ergeva di fronte a lui. In quel momento, un
lampo
squarciò il cielo, illuminando l’elaborata
facciata della chiesa che aveva di
fronte, che si stagliava su, in alto, fino a toccare il cielo. Era una
cattedrale grandissima, ma quel giorno deserta. Dopotutto, anche il
più strenuo
dei fedeli avrebbe avuto difficoltà a lasciare la propria
casa con quel tempo,
naturale che la chiesa fosse vuota.
Ma
il grande portone in quercia era aperto, come sempre, e Cloud, senza
più
nessuna titubanza, entrò.
La
prima cosa che lo colpì fu la luce soffusa che proveniva
dalle finestre, di
solito sempre così luminose e piene di vita grazie alla luce
proveniente da
fuori. Poi vide qualche candela accesa nel banco delle offerte dei
fedeli, che
stranamente emanava più bagliore del solito, forse per
l’assenza della grande
luce che di solito caratterizzava la grande sala. Infine,
provò un brivido di
solitudine nel vedere le navate vuote, senza nessuno che le riscaldasse
con le
proprie preghiere.
Mosse
un passo in avanti, poi un altro, e un altro ancora, nella lenta
camminata che
portava verso l’altare, attraversando in silenzio la navata.
Ogni passo era un
rimbombo che scuoteva la chiesa, come se l’ambiente
circostante fosse soggetto
ad un terremoto. Da una cappella laterale, l’occhiata
penetrante di qualche
santo lo attraversava, con un sorriso austero e compiaciuto sul viso.
Scuotendo
la testa, si fece avanti, fino a raggiungere il buio
dell’altare. Un lampo
illuminò per un attimo la chiesa, poi
l’oscurità torno a regnare sovrana. Cloud
si mosse verso una porta ai lati dell’altare e
provò ad aprirla, ma con
irritazione vide che era chiusa.
“Padre
McRonis!” chiamò l’uomo. La sua voce
rimbombò per la chiesa, senza ricevere
nessuna risposta.
“Padre
McRonis, mi sente?” ripeté Cloud, alzando il tono
della voce. Ancora una volta
nessuno gli rispose, ma proprio quando pensava che ormai non ci fosse
nessuno,
ecco dei passi frettolosi che provenivano da una delle porte laterali.
“Chi
è?” chiese una voce maschile, sospettosa,
aldilà della porta in legno.
“Sono
Cloud Strife” rispose l’uomo. “Potrei
parlarle? Ne avrei bisogno”
Una
chiave consunta e arrugginita girò nella toppa, e la porta
si aprì, rivelando
la figura rassicurante di un uomo di chiesa, cinquantenne, chiamato
Padre Davis
McRonis. Il Reverendo McRonis era sempre stato un devoto servitore di
Dio. I
più anziani fedeli della comunità lo ricordavano
ancora da ragazzo, quando si
occupava delle attività giovanili della chiesa. Ricordavano
la sua sicurezza,
il suo coraggio, la sua voglia di aiutare il prossimo. E queste erano
le
qualità che trovavano anche nel McRonis del presente,
divenuto un punto di
riferimento per tutti coloro che cercavano aiuto.
“Dottor
Strife” esclamò il reverendo, felicemente sorpreso
“Sapevo che sarebbe venuto
presto, ma non mi aspettavo di vederla in una simile giornata. Prego,
entri” e
gli fece cenno di seguirlo
oltre la porta che aveva appena aperto. Richiudendo la porta alle sue
spalle,
Cloud pensò che non aveva ancora molto tempo, se le sue
supposizioni erano
esatte. Seguì il reverendo per uno stretto e angusto
corridoio, fino ad
un accogliente stanza dominata dalla
penombra, ma illuminata fiocamente da un caminetto acceso.
“Si
sieda pure” disse Padre McRonis. Cloud, un po’
teso, si accomodò su una delle
due poltrone illuminate dal camino, e si lasciò riscaldare
dal tepore delle
fiamme. “Come sta sua moglie?”
“Oh,
Cissnei sta bene” rispose Cloud assente.
“Bene,
le dica che la saluto” proferì il reverendo,
sorridente.
“Senz’altro”
si susseguirono alcuni secondi di silenzio. “Immagino che
sappia perché sono
venuto” disse poi, fissando il fuoco ardere scoppiettando nel
camino.
“Beh,
credo di si” rispose l’altro, in tono greve
“Sa, a dire la verità mi ha stupito
non vederla al funerale dell’altro ieri. Credevo che lei e il
signor Fair foste
amici”
Alla
menzione del cognome dell’amico, Cloud si sentì,
se possibile, ancor più
depresso di prima. Gli era dispiaciuto moltissimo non essere presente
al
funerale di Zack, ma non poteva presentarsi, non dopo tutto quello che
era
successo con lei. Ma non doveva
dire
la verità a nessuno. Non poteva rischiare che quella storia
venisse a galla.
Anche per il bene dell’ormai defunto Zack.
Decise
quindi di mentire. “Si, mi dispiace molto, ma purtroppo ero
impegnato in un
viaggio d’affari” disse quindi.
“Sua
moglie e suo figlio, invece, sono venuti” rispose il
reverendo.
“Si,
me l’hanno detto” assentì Cloud.
Ancora
qualche minuto di silenzio. Poi Cloud si fece coraggio e chiese una
cosa che
gli stava parecchio a cuore.
“E
la signora Fair? Come stava?”
McRonis
sospirò. “Non ha mosso ciglio durante la
cerimonia. Beh, d’altronde era chiaro
che provava moltissimo dolore. E come darle torto?”
“Già”
sussurrò Cloud in risposta, assorto nei suoi pensieri.
Appena si riprese,
decise di andare al sodo, chiedendo ciò per cui era venuto.
“Reverendo,
Zack Fair è stato sepolto nel cimitero privato dietro la
chiesa?”
“Certamente”
rispose McRonis “come tutti i membri illustri della nostra
comunità. Un giorno
questo onore spetterà anche a lei. Ovviamente spero il
più tardi possibile”
Cloud
sorrise amaramente, decidendo di non infierire su
quell’ultima affermazione
decisamente priva di tatto. “Vorrei poter entrare nel
cimitero privato. Vorrei
far visita alla tomba del mio amico”
Il
Reverendo aprì un cassetto e vi frugò
all’interno, poi gli porse una chiave.
“Immaginavo che volesse andare a trovarlo, così mi
sono premurato di farle una
copia”
“Beh,
grazie” rispose Cloud prendendo la chiave in mano, fredda al
tatto.
“Vuole
scusarmi, devo prepararmi per la funzione serale” disse dopo
un po’ il
Reverendo “Anche se con questo tempo, non credo che verranno
in molti”
“Allora
la lascio” rispose Cloud, alzandosi.
“Mi
ha fatto molto piacere la sua visita” rispose McRonis
“venga a trovarmi presto”
“Lo
farò” disse Cloud, pensando che probabilmente
stava mentendo. Ma non dipendeva
da lui. Ancora una volta, come sempre, si era fatto trascinare dagli
eventi,
così diversi da lui eppure così simili ai suoi
pensieri. Quella giornata di
pioggia, che gli era parsa tanto inospitale, adesso gli appariva
come…
liberatoria. Dopotutto, cos’è la pioggia, se non
acqua? Ogni temporale porta
con sé la speranza di un sole splendente, e per un attimo,
mentre si dirigeva
verso il cimitero, verso il suo insicuro
“patibolo”, si dimenticò del passato,
dell’incidente con la Lamborghini, della famiglia che lo
aspettava a casa, di
Cissnei, di suo figlio, e persino di lei, pur sapendo che ben presto
l’avrebbe
rivista per l’atto finale della sua storia.
Mentre
la pioggia lasciava il passo ad una sempre più fitta nebbia,
lei camminava per le strade bagnate
del
centro, verso quella chiesa che era stata meta di Cloud Strife parecchi
minuti
prima. I suoi occhi verdi si mossero con circospezione per
l’area circostante,
cercando un qualunque segnale di anomalie. La sua mano, nella tasca
dell’elegante soprabito nero che indossava, si chiudeva sul
calcio di una
pistola appartenuta al marito, morto qualche giorno prima. Non
conosceva
neppure il modello dell’arma, eppure era sicura di saperla
usare. Dopotutto, è
difficile premere un grilletto? No, ci voleva solo un po’ di
sangue freddo.
Beh, di coraggio lei ne aveva da vendere.
Diamine,
com’era potuta arrivare a tanto? Si sentiva in qualche modo
irriconoscibile. Un
brivido la attraversò, e si strinse ancora di più
al suo cappotto scuro. Lo
stesso che aveva utilizzato il giorno del funerale. Scuotendo la testa,
si
disse di non pensare al passato, e, con rinnovato vigore, si diresse
verso la
cattedrale che già riusciva ad intravedere attraverso
spiragli vuoti tra i
grattacieli del centro di Midgar.
Camminò
ancora per qualche minuto, poi si fermò, lasciandosi andare
per un attimo su
una gelida panchina. Il freddo metallo la tenne con i piedi per terra,
impedendole di speculare su quegli ultimi terribili giorni. Al
contrario, il
suo sguardo si fermò su una bambina sorridente, di poco
più di sette anni, dai
capelli castani e con indosso un candido vestitino azzurro leggero, non
di
certo adatto ad una giornata così piovosa. La bambina
giocava con due pupazzi
di pezza, vecchi di almeno vent’anni. Uno di questi era
posato a terra, con una
grossa croce piantata sul petto, nel punto in cui, se fosse stato
umano, si
sarebbe trovato il cuore. L’altro pupazzo aveva dei capelli
giallo paglia e
veniva sballontonato di qua e di là dalle mani della
bambina, che lo teneva
stretto come se non lo volesse far scappare. E quell’insolito
quadretto, così
strano, così… singolare, la attirava. Quasi senza
rendersene conto, si ritrovò
nuovamente in piedi, lasciò andare la pistola dentro la
tasca del soprabito e
si avvicinò, un po’ di soppiatto e un
po’ incuriosita, alla bambina. Una parte
di lei voleva non essere notata dalla bambina, e continuare ad
osservare il suo
gioco infantile per capirne la logica. Ma un'altra parte invece voleva
essere
notata, voleva avere una spiegazione, voleva capire il
perché di quel magnetismo
verso quel piccolo esserino che si muoveva goffamente
e che, con distratta eleganza, piantava
sempre più in basso la croce sul petto del pupazzo, che,
inerme, assecondava il
suo volere.
Fu
così che la curiosità vinse, e che, con un
sorriso tirato sul volto, si
avvicinò fino a carezzare la testa della piccola con la
propria affusolata
mano. Quella non si scompose, continuò a giocare
distrattamente con i pupazzi,
senza degnarla di uno sguardo.
“Ciao”
si decise a parlare la donna, con un tono di voce amichevole.
“La
mamma mi ha detto di non parlare con gli estranei” rispose la
bambina, senza
distogliere lo sguardo dalla bambola con i capelli di paglia.
“Oh,
capisco. Lo diceva sempre anche mia madre. Lo fa perché ti
vuole bene” rispose
lei, con un sorriso sul volto.
“Io
invece non capisco, che barba!” continuò la
bambina “Io voglio conoscere tante
persone nuove!”
“Beh,
facciamo amicizia!” propose l’altra, abbassandosi
sulle ginocchia per stare al
suo livello.
“Ok!”
rispose la bambina, sorridente. Alzò lo sguardo e due
bellissimi occhi verdi
irradiarono il volto della donna, simili a due soli in quella grigia
giornata.
“Mi chiamo Aerith, piacere”
L’altra
fece fatica a nascondere la sua sorpresa. Il sorriso di circostanza che
aveva
adottato sparì, sostituito da un espressione di
costernamento e di confusione.
“Beh, questo è buffo!” rispose fredda.
“Cosa
è buffo?” disse l’ingenua bambina, senza
capire ciò che la bella signora stesse
dicendo.
“Io
mi chiamo come te” rispose accarezzandole i capelli castani.
Passò
qualche attimo in cui le due stettero in silenzio. La bambina, dal
canto suo,
ignorava completamente quello che l’altra le diceva, e
rispondeva solo
direttamente, senza aggiungere nulla di superfluo che potesse lasciare
intuire
qualcosa al riguardo della sua vita.
“Va
bene, Aerith” disse la
donna,
mettendo enfasi sul nome “A cosa stai giocando?”
“Sto
inventando una storia in cui ci sono due personaggi” disse,
indicando i due
pupazzi che adesso giacevano entrambi a terra.
“Davvero?”
disse l’Aerith adulta, scostando una ciocca di capelli dal
suo viso “Ti
andrebbe di raccontarla?”
“Veramente
non è un granché” rispose la bambina
“Però se proprio vuoi ti posso fare un
riassunto”
“Mi
piacerebbe sentirla”
“Va
bene” rispose la bambina guardandola “Questo
pupazzo si chiama Cloud” e indicò
la bambola con la testa di paglia “e l’altro
è… beh, per la verità non ha un
nome. Però se proprio vuoi saperlo posso deciderlo adesso!
Direi che mi
piacerebbe il nome… Zack!”
Adesso
la donna non parlava più. Nella sua testa si ripeteva che
non poteva essere
solo una coincidenza, era troppo strano. Quella bambina si chiamava
come lei,
aveva il suo aspetto, e le sue bambole? Avevano lo stesso nome
di… no, non
poteva essere SOLO una coincidenza! C’era qualcosa sotto, e a
questo punto,
doveva scoprire cosa.
“Cloud
e… Zack?”
“Si!
E poi ci sono io che gioco con loro!” riprese la piccola,
saltellando “Però
Zack è morto qualche giorno fa”
“Davvero?”
Chiese Aerith, cercando di mantenere un tono stabile, mentre nel suo
petto il
cuore martellava forte.
“Si…
l’ho ucciso io” disse
la bambina, con
un sorriso mite sulle labbra, come se le stesse raccontando dei suoi
ottimi
voti a scuola. E le sembrò che la piccola provasse una sorta
di gioia perversa,
vedendola così sconvolta, come se fosse a conoscenza di cose
a lei ignote.
“L’hai…
ucciso tu?” sussurrò con appena un filo di voce
tremante, mentre nei suoi pensieri
si ricollegavano argomenti del tutto rimossi, con una logica
altalenante che le
pareva comunque senza senso. CHI era quella bambina?
“Beh,
si, adesso è morto. Avresti dovuto vedermi al funerale! Non
ero per niente
triste, e poi…”
“Basta
così!” esclamò Aerith, in tono serio
“Non so cosa tu stia dicendo, ma non sei
stata tu ad uccidere Zack!”. Non
sono
stata io!
La
bambina posò anche l’altro pupazzo sul
marciapiede, il bambolotto biondo chiamato
Cloud. Poi sospirò, dicendo “Invece sono stata io,
e tu, più di chiunque altro,
dovresti saperlo. E dovresti sapere che la stessa cosa
accadrà tra poco anche a
Cloud”
Mentre
la donna, istintivamente, toccava la pistola che adesso era abbandonata
nella
tasca del soprabito, pensò che la bambina aveva ragione, su
quel punto. E odiò
se stessa, odiò tutto quello che vivere nel suo stato poteva
significare, ed
odiò anche quello che forse aveva fatto e quello che stava
per fare. Si
inginocchiò accanto alla bambina, che sentiva vicina, parte
di lei, specchio
della sua anima. “Posso cambiare qualcosa?”
La
piccola fece segno di no con la testa. “Sai anche tu che era
impossibile
evitare questi avvenimenti. Bella o brutta, ognuno deve seguire la
propria
strada, e vedere dove conduce, fino alla fine” E qui la
bambina le si avvicinò,
e le cinse le gambe con le braccia, come una sorta di abbraccio. Aerith
rabbrividì al tocco di quelle mani piccole e fredde,
però non la respinse, la
lasciò immergersi in quell’abbraccio
così sentito e profondo, ma al tempo
stesso compassionevole.
“Sei
chi io penso che tu sia?” chiese poi l’adulta.
“Non
si era capito?” chiese la ragazzina, staccandosi da lei e
raccogliendo le sue
bambole da terra. Poi le si avvicinò nuovamente, ed
indicò la tasca destra del
suo cappotto, dove l’arma riposava placidamente, in attesa di
essere usata. “Fa
quello che devi fare” disse “ma non credere che sia
la cosa giusta, spero che
tu lo sappia”
Aerith
non sorrise. Al contrario, si incupì e chiuse gli occhi, non
riuscendo nemmeno
a trovare la forza di piangere. Ma quando li riaprì, nessuna
ragazzina le stava
davanti, nessuna sé stessa, nessun pupazzo. Solo la
malinconica solitudine di
una brutta giornata, ed una strada da imboccare. Mentre riprendeva a
camminare,
pensò che dopotutto, forse c’era un motivo se si
era arrivati a tanto. Ma anche
se poteva sembrare strano, lei non lo vedeva proprio.
Il
cimitero privato della Cattedrale di Midgar non era molto noto. Anzi,
si poteva
affermare con tutta tranquillità
che gli
unici che erano al corrente della sua esistenza erano i parenti di
coloro che
vi erano seppelliti, e che a loro volta sarebbero stati seppelliti
accanto ai
propri cari. Era come la chiusura di un cerchio, e così
tutto ritornava alla
situazione di equilibrio iniziale.
Cloud
Strife non si stupì di trovarlo vuoto. Dopotutto, chi era il
folle che in una
giornata come quella andava a far visita ad un morto? Beh, follie a
parte, in
un modo o nell’altro, lui era lì. Davanti a quella
lapide grigia rivestita in
marmo, poco decorata ma al tempo stesso regale. Le lettere che
svettavano sulla
sua superficie erano dorate e splendenti, testimoniando che la tomba
era un
recente acquisto del Cimitero. D’altronde, quanti giorni
erano passati dal
funerale? Due, forse tre?
Per
un attimo guardò il nome dell’amico, Zack Fair,
pensando che sicuramente il
fatto di avere una tomba come dimora per
l’eternità lo avrebbe fatto ridere.
Lui che diceva di voler morire ustionato a Costa del Sol! Era di certo
uno
strano modo di andarsene, ma nessuno glielo aveva mai fatto notare.
D’altronde,
Zack era fatto così, ed il suo modo di fare, il suo ridere
delle battute a
volte senza senso, il suo trovare qualcosa di buono in qualunque cosa,
era
gradito a tutti. Beh, se non altro avrebbe almeno accettato
l’originalità del
caso. Vivere in una tomba per un morto non avrebbe dovuto essere un
problema,
ma Cloud era sicuro che l’amico non si trovasse bene in un
luogo così angusto.
Magari una cripta sarebbe stata più adeguata. Beh, era stata
una decisione di
Aerith. E dopotutto, non era sicuro che Aerith volesse davvero il bene
per
Zack. Specie negli ultimi tempi: era stato attuato ciò che
era necessario,
questo era l’importante.
L’uomo
poi ripensò alla sua morte: una vera e propria pugnalata
alle spalle, da parte
del meno sospettabile. Cloud stesso stentava a credere che fosse
davvero
successo, cinque giorni prima: eppure il fato aveva deciso
così, anche se i
motivi del gesto gli apparivano oltremodo senza senso.
Poi
nella sua mente sovvenne l’immagine di Aerith. Era da quel giorno che non la vedeva, dal giorno
della morte di Zack,
quando era scappato dall’edificio dove si trovavano, con il
suo sguardo sulle
spalle. Cloud era però convinto che entro poco
l’avrebbe rivista, ed infatti
non si sbagliava. In quel preciso istante sentì la canna di
una pistola posarsi
contro la sua schiena, e seppe che lei era arrivata.
Aerith
Gainsborough.
“Salve,
Aerith” disse Cloud, senza scomporsi più di tanto
al sentore della pistola alle
sue spalle. Anche se non l’aveva ancora vista
poiché sita alle sue spalle,
Cloud era sicuro che fosse lei. Chi altri poteva aver accesso al
cimitero
privato, soprattutto in una così nebbiosa giornata? Nessuno,
a parte Aerith. Ed
infatti, ecco la sua voce, ora insicura ora più ferma,
sussurrare: “Ciao,
Cloud”.
Una
goccia di pioggia bagnò il viso del biondo, mentre il cielo
annunciava un nuovo
temporale. In effetti la nebbia s’era fatta più
rada, e nel cielo splendeva il
bagliore plumbeo che annuncia un imminente tempesta.
“Lascia
che io ti spieghi” disse Cloud, mentre un lampo squarciava il
cielo.
“Cosa
vorresti spiegarmi? Io so tutto, e so anche che non dovevi
farlo” rispose la
ragazza, mentre la mano che teneva la pistola cominciava a tremare.
“Non
c’è alcun bisogno di arrivare a questo
punto!” esclamò Cloud, cercando di
mantenere il sangue freddo e arrovellandosi per trovare una via
d’uscita
apparentemente inesistente a quel problema.
Aerith
abbassò lo sguardo. “Io non la penso
così” disse poi, con la testa china.
“Non
vuoi sapere come è esattamente andato tutto?!”
esclamò Cloud.
La
donna tentennò, mentre la pistola tremava ancor di
più nella sua mano. “Cosa
dovrei sapere?”
“Posa
la pistola e ti dirò la verità”
continuò Cloud.
“E
se fosse un bluff?” continuò Aerith, con una nota
tremolante nella voce.
“Fidati
di me, Aerith. Non farei mai nulla che potesse farti del
male” continuò.
La
donna non si mosse per qualche minuto, continuando a pensare. Poi
rinforzò la
presa sul calcio dell’arma, e parlò:
“Dì prima quello che sai”
“No.
Posa l’arma!” sibilò Cloud.
“Sarebbe
un cliché se ti dicessi che non sei in condizione di poter
trattare?” domando
Aerith con una velata ironicità, mentre il tremore della sua
mano si
stabilizzava verso una più sicura convinzione di poter fare
qualcosa di cui non
si era mai considerata capace.
“Il
prezzo sarebbe la verità” continuò
Cloud, anch’egli più tranquillo. Nonostante
il destino l’avesse guidato fin lì, forse
c’era ancora una possibilità “Hai mai
sentito parlare della ShinRa Electronic Power Company?”
Sapeva di aver colto
l’interesse della donna dietro di lui. Sentì di
nuovo l’insicurezza che
pervadeva la sua mente, ed il nuovo tremolio della mano della donna.
“Io…
cosa ne sai tu della ShinRa?” chiese Aerith, sconvolta.
“Probabilmente
so le stesse cose che conosci anche tu. Però devi dirmi con
sincerità: dove hai
sentito il nome della corporazione?”
“Circa
due settimane fa, ho… ho visto un documento
sulla sua scrivania, nel suo studio… ma non
pensavo fosse qualcosa di
importante, non l’ho nemmeno letto! Però Zack da
quel momento si è comportato
in modo strano…”
“Si,
immagino cosa vuoi dire” continuò Cloud
“Aerith, ascoltami bene, adesso. Ho dei
sospetti fondati sulla ShinRa, ma non ho molte prove che possano
convalidare le
mie teorie. E’ proprio per questo che per adesso non posso
rivelarti tutto.
Però i file che potrebbe avere Zack nel studio…
devo dargli un’occhiata, ti
prego. Sono questioni molto importanti per il destino di
Midgar!”
Passò
qualche minuto, in cui la donna continuava ad arrovellarsi sulle nuove
rivelazioni di Cloud. Poi disse, a bassa voce, abbassando la canna
della
pistola “Ti credo”.
Cloud
sospirò, mentre si voltava a guardare la donna che fino ad
adesso era stata
alle sue spalle. E la trovò radiosa, bellissima come sempre,
anche nel suo
dolore. Gli stessi occhi verdi che l’avevano guardato la
prima volta un paio di
mesi prima, attraverso i quali riusciva a vedere la sua anima. E vide
che forse
il destino aveva sbagliato, e se ne compiacque.
“Meglio
andare” sussurrò Cloud “Dobbiamo andare
a casa tua, nello studio di Zack. Non
hai ancora toccato nulla, vero?”
Aerith
fece segno di no con la testa “Non sono neanche entrata nello
studio, a dir la
verità”.
“Bene”
continuò Cloud “Se le mie teorie sono esatte,
potrò avere dei documenti che testimonino
le mie teorie. Adesso andiamo!”
Aerith
adesso era un po’ inquieta. Forse voleva dire qualcosa? Ma
sembrava non ne
trovasse il coraggio, pensava Cloud.
“Aerith,
cosa c’è?”
“Cloud…”
disse la ragazza, triste. “Tu non verrai con me.”
Un
attimo dopo, la donna gli puntò nuovamente contro la
pistola, e mentre sentiva
uno sparo riecheggiare per il deserto cimitero privato di Midgar,
capì che il
destino non era stato creato per essere messo in discussione.
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Voilà!
Eccomi con una nuova fan fiction che avevo in mente da Ottobre (e che
finalmente ha visto la luce!). Dunque, devo dire che per creare la
trama di
questa fan fiction ho passato notte insonni, ed adesso, spero che sia
appena
decente! So che dal prologo molte cose non sono sembrate chiare, ma
tranquilli:
presto verrà spiegato tutto!
Devo
dire che è strano cimentarsi con l’Alternative
Universe: è il mio primo
tentativo in questo nuovo campo, spero di non aver combinato un
disastro!
Vi
dico anche che non credo che il secondo capitolo verrà tanto
presto: chissà,
potrebbero volerci due settimane, così come due mesi! Ma
cercherò comunque di
fare il prima possibile, impegni personali permettendo >.>
Che
altro dire, spero che questo “prologo” vi sia
piaciuto (personalmente vi dico
che è stato difficile da scrivere ed emotivamente stancante
XD), e se si,
sperate che il prossimo capitolo arrivi presto!
Ciao
a tutti!
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
Da
questo capitolo in poi, dopo una breve introduzione, sarà
presente il flashback di cui vi
parlavo nelle
note del prologo, e che ripercorrerà tutta la storia fino a
riallacciarsi agli
eventi del capitolo scorso.
Vi
auguro una buona lettura^^
Capitolo
1
24
Novembre 2009, 17:23
Aerith
Gainsborough non si era mai considerata come
“psicopatica” o in qualche modo,
anormale. E nemmeno le persone che vivevano accanto a lei avrebbero mai
dubitato della sua normalità, e questo lo sapeva.
Aerith
Gainsborough lo pensava, e nello stesso istante il corpo di Cloud
Strife toccava
terra, scivolando tra le spire tenebrose della morte. E nel frattempo
tenne lo
sguardo alto e fiero, mentre sentiva il peso della vita svanire dal
corpo di
Cloud.
Si
guardò poi intorno, forse spaventata, ma vide che il colpo
secco che era
scaturito dall’arma non aveva destato nessun ignoto
ascoltatore, e se ne
compiacque. Dopotutto, chi è che in quell’orribile
giornata di pioggia avrebbe
notato una cosa del genere? La risposta affiorò nella sua
mente in maniera
naturale. Nessuno.
Non
si voltò indietro, mentre si muoveva a passo svelto per le
lapidi di marmo che
picchiettavano al tocco della pioggia. Mentre le sue mani aprivano la
porta che
dava sul corridoio posteriore della cattedrale, per un attimo si
ritrovò
spaesata, ma poi proseguì per il cammino che prima aveva
percorso in senso
contrario, felicitandosi per l’assenza del Reverendo McRonis,
dato che non
aveva voglia di vedere nessuno. Fu una liberazione quando la luce
plumbea di
quell’odiata giornata le irradiò di nuovo il
volto, uscendo dalla chiesa.
Non
sapeva quanto tempo sarebbe passato prima che avessero trovato il corpo
esanime
del Dottor Strife, o prima che la polizia riuscisse ad intuire le sue
implicazioni nell’avvenimento. Probabilmente solo poche ore,
visto che sarebbe
in breve diventata l’indiziata numero uno. E poi sarebbe
dovuta fuggire.
Ma
comunque, la cosa non le importava. Ormai aveva deciso che era disposta
a
scoprire cosa la ShinRa stesse tramando, e come Zack ne fosse
coinvolto.
Comunque sarebbe andata a finire.
Per
prima cosa, decise di fare un salto a casa sua, per un ultima volta,
alla
ricerca dei documenti che forse avrebbero potuto spiegare qualcosa in
più
riguardo a quella storia, che si stava facendo sempre più
complessa e ostica,
ogni minuto che passava.
27
Settembre 2009, 6:00
Forse
stava sognando, forse era sveglio. Tutto ciò che Cloud
Strife in quel momento
sapeva era che il suono della sveglia lo stava disturbando parecchio.
Non aveva
voglia di alzarsi, non per cominciare nuovamente una giornata che
probabilmente
si sarebbe rivelata poco fruttuosa e assolutamente frustrante.
Allungò una mano
verso la sveglia e la colpì, cercando di far cessare quel
rumore infernale, ma
tutto era inutile, e fu costretto ad aprire gli occhi e ad essere
perfettamente
conscio di essere sveglio.
“Già
ora di alzarsi” sospirò poi, trattenendo a stento
uno sbadiglio.
“A quanto pare
si” rispose una voce femminile
alle sue spalle.
Cloud si voltò e
vide Cissnei, in piedi, già
sveglia, che riordinava la camera. “E tu quando ti sei
svegliata?” chiese.
“Beh…
non è che avessi parecchio sonno, a dir la
verità… Resti qui a fare colazione o
la prendi nello studio?” chiese la donna, mentre rifaceva il
letto. Cloud la
guardò e si perse nei suoi meravigliosi capelli rossi, e nel
suo sguardo dolce
ma profondo al tempo stesso. Poi si riscosse, mentre nella sua mente
rimbombava
la domanda che gli era appena stata posta.
“Non
ho tempo di restare qui, mi dispiace. Prendo qualcosa fuori casa, prima
di
andare a lavoro” rispose poi, prendendo camicia, giacca e
cravatta da un
cassetto e chiudendosi in bagno per cambiarsi.
“Bah,
io continuo ad essere dell’opinione che dovresti passare
almeno un po’ di tempo
con tuo figlio!” esclamò Cissnei, perplessa.
“Sai
che oggi non ne ho
proprio il tempo!”
rispose lui dalla porta.
“Ma
non ci sei mai! Adesso che gli dirò quando mi
chiederà dov’è suo padre?”
“Potrai
raccontargli che sono in missione segreta per salvare il mondo, oppure
che sono
stato preso in ostaggio dalla mafia giapponese”
scherzò Cloud “Così ti
toglieresti un grave impiccio ed io potrei ricominciare una vita a
Costa del
Sol” continuò.
“Oppure
potrei ucciderti e metterti dentro un urna sul camino, così
ti avremmo sempre
in casa” continuò Cissnei sorridendo.
“Ok,
questo disegno non mi piace molto” rispose Cloud un
po’ spaventato “però ti
prometto che stasera parlerò io con Artie, tranquilla. Nel
frattempo puoi
riempirgli la testa di maldicenze sul mio lavoro”
“Caspita,
quanta fiducia” mormorò la rossa con un sussurro
appena udibile.
Cloud
uscì dal bagno già pronto per uscire, mentre si
annodava la cravatta. Cissnei
gli gettò uno sguardo prima di incamminarsi verso la cucina
e cominciare a
preparare la colazione in vista dell’imminente risveglio del
figlio.
Il
biondo invece si fermò un momento a pensare. Beh, certamente
aveva un po’
deluso Cissnei. Magari lei si aspettava qualcosa in più, ma
non poteva
chiedergli di mollare tutto per un motivo si solitudine. Non adesso.
Quando fu
pronto, le augurò una buona giornata, uscì di
casa e, attraversando il
vialetto, si diresse verso la sua auto.
Per
un momento, appena si fu seduto, restò in silenzio, immerso
nei suoi pensieri.
Poi partì, ed un’altra giornata ebbe inizio.
Quando
Zack Fair, nello stesso istante, accese il motore della sua auto, non
poteva
sapere che entro all’incirca due mesi avrebbe trovato la
morte. Non sapeva
nemmeno che il Dottor Strife e sua moglie Aerith sarebbero stati due
dei diretti
responsabili della sua dipartita, e non immaginava neppure che presto
sarebbe
stata innescata la molla che avrebbe portato ad eventi molto
più grandi di ciò
che poteva immaginare.
Egli
sapeva solo quello che gli era dato sapere. E tra le cose che gli erano
date
sapere, molte erano “poco nobili”.
Eppure
Zack Fair, per ogni gesto che compiva, pensava di essere nel giusto. Il
concetto di bene e male è spesso relativo, e non
è possibile distinguere i due
concetti neutralmente. Quindi, quella mattina, gli sembrò
naturale comporre un
numero di cellulare che chiamava spesso in quel periodo, ed attendere
con ansia
che qualcuno rispondesse.
“Pronto,
qui Tifa Lockheart” rispose una voce femminile.
“Era
ora” esclamò Zack, inviperito “Sai da
quanto tempo sto cercando di chiamarti?”
“Mi
spiace, ma ho avuto diversi contrattempi. Si stanno scoprendo parecchie
faccende irrisolte della ShinRa, e purtroppo devo
occuparmene” si giustificò
quella.
“Beh,
tutto deve essere pronto entro qualche mese. Se siamo fortunati, entro
poche
settimane potremo dare il via al Progetto”.
“Tutto
dipende dai progressi di Hojo sullo studio al tempio degli
Antichi” rispose
Tifa “E
poi dipende da te. Hai già
recuperato le informazioni nascoste dai Krauger?”
“Non
ancora” rispose tetro, mentre armeggiava con lo
scompartimento dell’auto alla
ricerca di alcuni documenti. “Non posso intrufolarmi in una
villa del genere
senza destare sospetti. Per la prossima settimana la Signora Krauger ha
organizzato una festa, e sia il mio che il tuo nome risultano tra gli
invitati”.
“Si, ne avevo
sentito parlare. Certo, magari
in quelle condizioni sarà più facile cercare i
documenti, con la villa così
affollata” rispose la donna via cellulare.
“Sarò
lì tra poco. Sto per partire da casa”
continuò Zack.
“D’accordo”
rispose Tifa “A tra poco” aggiunse chiudendo la
conversazione. Zack, dopo
qualche secondo di smarrimento, si decise a partire da casa. Si mosse
con
disinvoltura attraverso il vialetto di casa, poi si ritrovò
in strada, con gli
occhi rivolti all’asfalto e la testa immersa in mille
pensieri diversi.
Vide
il sole sorgere, forse in ritardo, come lui; vide la città
svegliarsi, Midgar
all’alba che si preparava per un altro giorno, che
l’avrebbe vista partecipe
dei cambiamenti che avvenivano nella città. Da qualche parte
in quella
gigantesca metropoli, qualcuno stava nascendo, qualcun altro stava
dicendo
addio alla propria vita; ed il ciclo infinito di morte e rinascita
sarebbe
continuato, e Midgar, la città Eterna, in qualche modo ne
era partecipe.
Forniva la spinta capace di creare tutto questo.
Ed
i pensieri di Zack
Fair si fondevano
nell’intricata nube che pareva avvolgere una città
come quella. I suoi erano pensieri
eterni eppur in qualche modo effimeri. Pensieri antichi, che esistevano
sin
dagli albori del mondo.
Si
fermò ad un incrocio, e mentre aspettava che il verde gli
desse il via libera,
un Gargoyle di pietra nera lo squadrò da un edificio
imponente, posto sul
ciglio sinistro della strada. Zack non lo guardò
direttamente, ma sentiva il
suo sguardo inquisitore addosso. E gli procurava disagio.
Pertanto,
fu davvero un sollievo per lui quando il verde del semaforo
scattò e lui si
sottrasse allo sguardo lungimirante del Gargoyle, che rimase immobile,
appollaiato nella grande costruzione, pronto a raggelare qualcun altro
con il
suo sguardo.
Il
viaggio di Zack durò ancora per qualche minuto. Quando
infine, nel parcheggio, spense
la macchina, era tentato di telefonare alla moglie Aerith. Si sentiva
solo,
aveva bisogno di parlare con qualcuno che non gli ricordasse in che
faccende
era stato coinvolto. Compose il numero, ma il telefono
squillò a vuoto per
parecchi secondi, ed alla fine nessuno rispose. Rassegnato,
sbadigliò un’ultima
volta, prima di aprire la portiera della macchina e rivolgere lo
sguardo verso
il grigio edificio che avrebbe accompagnato, ancora una volta, la sua
giornata
di lavoro.
Quella
mattina, quando Arthur C. Strife si era svegliato, cercava di tenere in
mente
il sogno che aveva fatto durante la notte. Ricordava ombre che si
muovevano,
fuochi perpetui,valli profonde e foreste rigogliose. Poi, quando lo
sentì scivolare
dalla sua memoria, cercò di concentrarsi su qualcosa di
importante che avrebbe
dovuto ricordare. Ma visto che nulla gli subentrava in mente, decise
che forse
non era qualcosa di rilevante e se ne dimenticò del tutto.
Per
Artie sarebbe stato strano vedere come quel giorno la vita gli si
sarebbe messa
contro. Avrebbe trovato difficoltà nel risolvere i problemi
di geometria,
sarebbe stato preso in giro da qualche bulletto di quinta elementare,
avrebbe
trascorso gran parte della ricreazione da solo, lontano dai suoi amici.
Ma non
era ancora tempo di saperlo, e quindi, come sempre, si era alzato da
letto, un
po’ con malavoglia, un po’ con
curiosità.
Artie
credeva che avere sette anni fosse qualcosa di brutto. Era piccolo per
la sua
età, magro, con i capelli spettinati biondi che aveva
ereditato dal padre. Non
era molto espansivo e aveva pochi amici, che non sapeva nemmeno
mantenere tali
a lungo. Suo padre a volte gli diceva che si rivedeva in lui, ma Artie
non ci
credeva proprio. Si sentiva parecchio diverso da suo padre, anche se
non sapeva
in cosa.
Per
tutto il viaggio verso la scuola, con sua madre, fu silenzioso; Ma
Cissnei, che
lo accompagnava, non se ne preoccupò, poiché non
era la prima volta che Artie
preferiva stare in silenzio. Osservava il paesaggio scorrere dal
finestrino,
con gli occhi chiari che si perdevano nel grigio panorama di una
tiepida
mattina di Settembre.
Poi,
quando l’auto stridette fermandosi davanti alla scuola,
sbuffò e prese in mano
lo zaino, aprì la portiera, non rispose
all’augurio di passare una buona
giornata della madre e si lanciò verso gli alti cancelli
dell’Accademia in cui
studiava.
Camminò
per un po’ fuori, nel cortile, all’ombra dei
bastioni merlati dell’edificio
principale della scuola, lontano dagli sguardi dei compagni di classe.
Poi
entrò dall’entrata principale, seguì
uno dei vari corridoi senza una meta
precisa ed attese che la campana suonasse, meditando sul sogno che
aveva fatto.
Infine,
quando la campana trillò, si diresse in classe, a testa
china e senza nemmeno
rispondere al saluto dei compagni. Si sedette con lo sguardo vuoto e
non parlò
fino a tre ore più tardi, quando un ragazzino, durante la
ricreazione, gli
chiese se volesse giocare a Chocobo Matto con lui.
“No”
rispose lui in tono severo, non avendo nemmeno la minima idea di che
gioco
fosse Chocobo Matto.
“Ma
è divertente!” affermò il bambino in un
tono supplicatorio, cercando di tirarlo
per la maglietta verso un gruppetto riunito sotto il sole, qualche
metro più in
là.
“Ho
detto no” sibilò lui, in tono così
velenoso da spaventare l’altro, che se la
diede a gambe, decidendo che avere un giocatore in meno non era
necessariamente
un problema.
Artie,
dal canto suo, non aveva alcuna intenzione di giocare ad una
stupidaggine
inventata dai suoi stupidi compagni di scuola. Ed era inutile qualunque
cosa
sua madre gli dicesse – sul fatto che quella scuola era
prestigiosa e che
sarebbe dovuto essere felice di poter frequentare un posto del genere
-, a lui
quell’istituto non piaceva. Sbuffò sonoramente e
si sedette sui vasti prati che
circondavano l’Accademia, ed allungò le gambe
facendo lo sgambetto ad un paio
di bambini dell’asilo che passavano di lì, che si
allontanarono singhiozzanti
alla ricerca di un entità superiore che potesse punire un
tale crimine.
Artie
istintivamente rise, un po’ stupito da se stesso, un
po’ divertito da come si
sarebbe sentita la mamma se l’avesse trovato a fare sgambetti
ai bambini di
cinque anni. Poi una mano si posò sulla sua spalla.
Quando
alzò lo sguardo vide che qualcuno lo stava guardando. Una
bambina, dai vividi
occhi verdi e dai capelli dorati, più o meno della sua
età, che gli sorrideva
dolcemente.
“Ciao!”
disse lei.
“Ciao”
rispose Artie, un po’ imbarazzato.
“Ieri
non ti sei più fatto vedere” sussurrò
la bambina, sedendoglisi accanto.
“Scusa,
mi dispiace” disse Artie, arrossito.
“Non
preoccuparti” rispose la bambina guardandolo con i grandi
occhi curiosi e
sorridendogli amabilmente.
“Davvero,
mi dispiace tantissimo, Eliza”
“Fa
niente” rispose quella, mettendosi ad osservare il cielo.
“Guarda che azzurro
che c’è oggi” disse, indicando la vasta
distesa che si estendeva sopra le loro
teste fino all’orizzonte.
“V-vero”
assentì Artie, non sapendo precisamente come rispondere alla
precedente
affermazione della bambina.
Eliza
notò la sua insicurezza “Non ti piace il
cielo?“domandò.
“No,
non è questo” rispose lui, non sapendo
perfettamente spiegare ciò che stava
provando.
“Beh,
a me piace tantissimo. Specie quando è così blu
da sembrare il mare di Costa
del Sol!” continuò la bambina, sorridendo.
“Beh, questo
è davvero importante” biascicò
Artie, non sapendo cos’altro dire.
Eliza
sorrise e lo guardò, un po’ confusa dalle sue
parole, ed Artie divenne rosso
dalla vergogna. Si chiese perché quando stesse con la
bambina tutto fosse così
difficile e non seppe più cosa dire. Allo stesso tempo,
però, una parte di lui
voleva parlare, altrimenti Eliza se ne sarebbe andata, in cerca di
migliori
attrattive. La guardò, mentre lei osservava una farfalla che
volava lì vicino e
si posava su un delicato fiore.
“Oggi
puoi uscire a giocare?” chiese poi Artie, cercando di deviare
l’argomento su
qualcosa che non richiedesse lunghi e noiosi silenzi.
“Boh,
non lo so. Credo di si” rispose Eliza, senza nemmeno
ascoltarlo sul serio,
ancora ammaliata dall’insetto colorato. In effetti era una
gran bella farfalla.
Molto grossa, con le ali variopinte che creavano un grandissimo mosaico
di
colori, e che volteggiava aggraziata per l’area antistante
loro, come lusingata
dalle attenzioni della bambina. I grandi occhi di Artie si socchiusero
in un
lampo di gelosia, e, con una veloce mossa, prese un sasso e lo
lanciò contro
l’insetto, che scappò via contrariato dal modo in
cui era appena stata trattata.
Un attimo dopo Eliza lo guardò storto.
“Ma
perché lo hai fatto?” domandò irata.
Poi si alzò, gli rivolse un occhiataccia e
si allontanò, camminando lentamente e con un atteggiamento
fiero, non
voltandosi mai a guardarlo. Artie guardò la sua figura
confondersi nella folla
del giardino, finché non la perse di vista, poi decise di
non rincorrerla. Al contrario,
si concentrò sulla bellezza effimera di quel fiore che era
riuscito ad attirare
la farfalla grazie ai suoi petali sgargianti e luminosi. Lo colse, lo
stracciò,
lo lanciò a terra. Adesso la bellezza del fiore era svanita,
e colse un’ironia
fuori dal comune nella sorte della pianta, retrocessa da calamita di
farfalle a
insulsa erbaccia, che sarebbe successivamente stata tolta dai custodi
della
scuola.
Per
tutta la restante mattinata a scuola fu distratto, ed i suoi occhi
vagarono per
le grigie strade che vedeva dalla finestra, incontrando qualche
passante
distratto e illuminandosi di temporanea curiosità, che
veniva comunque presto
sostituita da una meno piacevole monotonia.
Quando
infine la campanella suonò, a grandi passi si diresse verso
i cancelli
dell’accademia, aspettando sua madre e sbuffando sonoramente.
In
lontananza vide Eliza che si allontanava dietro sua madre, la
salutò con la
mano ma lei non rispose, distogliendo con orgoglio lo sguardo.
Probabilmente
era ancora arrabbiata con lui per il modo in cui aveva trattato la
farfalla che
tanto le piaceva poco prima. Beh, non importava, qualunque cosa avesse
contro
di lui le sarebbe passata presto. Probabilmente quello stesso
pomeriggio
avrebbero giocato insieme, come se non fosse accaduto nulla.
Ma
si sbagliava. Eliza non si fece vedere subito dopo pranzo, non lo
cercò dopo
aver finito i compiti, nemmeno all’ora della merenda. Ormai
Artie cominciava a
dubitare del fatto che sarebbe venuta, e più ci pensava,
più credeva di dover
fare qualcosa per impedire di perdere quell’amicizia che
dopotutto un po’ gli
importava.
Fu
così che alle sei del pomeriggio, sotto la luce vermiglia di
un sole morente,
si decise ad uscire di casa. L’aria era già
più fredda rispetto a quella del pomeriggio,
e ad Artie venne istintivo rabbrividire. Poi si disse che non faceva
poi così
freddo, e si mise a correre per l’area antistante casa sua
verso il marciapiede
del vialetto, da cui si affacciavano numerose ville simili a quella
nella quale
anche lui abitava.
Camminò
verso destra, contro la luce del sole, e per un attimo
guardò la sua ombra
venir proiettata lontano da lui, alle sue spalle. Poi diresse lo
sguardo di
fronte a sé e aumentò la velocità del
passo.
Durante
quel breve viaggio la sua mente vagò attraverso vari
pensieri. Si ricordò
troppo tardi di non aver avvertito sua madre che stava uscendo, e si
ripromise
di stare fuori per poco, per non farla preoccupare. Pensò
anche a quali parole
era meglio usare per scusarsi con Eliza, che, a quanto pare, era
davvero
offesa. E poi la sua mente fu invasa da moltissimi altri pensieri,
pensieri
leggeri simili a veli di seta che scivolavano nella sua mente,
intangibili. Non
riusciva ad afferrarli, eppure li sentiva e li percepiva in
sé.
Si
fermò davanti ai cancelli di Villa Krauger, e
sbirciò all’interno, nella
speranza di vederla correre per il prato che circondava la casa.
Ma
Eliza non c’era, lo percepì subito
nell’aria, ancora prima di guardare con
attenzione per il vasto giardino della tenuta. Probabilmente era dentro
casa, a
giocare per conto proprio, forse – e questo lo fece sentire
un po’ in colpa –
ancora arrabbiata con lui. Stette ancora un po’ davanti al
cancello, nella vana
speranza che si facesse viva, ma quando realizzò che non
sarebbe venuta, l’aria
della giornata si fece più fredda ed il sole si
smorzò.
“Probabilmente
è ora di tornare a casa” si disse pensoso. Mentre
il tramonto segnava la fine
di una strana giornata, Artie si disse che avrebbe fatto meglio a
scusarsi
l’indomani, e che probabilmente tutto sarebbe andato per il
meglio. O almeno,
così sperava.
Quando,
al tramonto, Scarlet Krauger aveva acceso le luci in giardino, aveva
subito
notato il figlio degli Strife che guardava distrattamente il cancello,
immerso
in chissà quali pensieri. Dopo qualche minuto passato ad
osservarlo, aveva
avvertito la figlia Eliza della presenza dell’amico, ma lei
si era dimostrata
poco interessata,
mostrando in verità una
sorta di noncuranza nei suoi confronti.
“Chissà
cos’è successo tra quei due”,
si era chiesta tra sé e sé per
un attimo. Ma poi, lentamente, il pensiero era scivolato nei
più oscuri meandri
della memoria, sostituito da altri di maggiore importanza. Scarlet,
dopotutto,
aveva altro a cui pensare.
Camminò
per il corridoio del piano superiore, attraversando la penombra che
invadeva lentamente
l’area e la sua anima. Entrò nella camera da
letto, ed osservò il pallido
raggio di sole che attraversava la stanza svanire lentamente nella
sera. Dopo
ciò si pose vicino alla finestra e guardò
nuovamente al di fuori della sua
casa, facendo errare il suo sguardo sul viale senza in
realtà prestarvi
attenzione.
In
quei giorni, Scarlet era molto pensierosa. Chiunque la conoscesse,
avrebbe
potuto dire che, in verità, Scarlet era sempre stata un
po’ con la testa fra le
nuvole: continuamente distratta, mentre la sua testa si lasciava andare
a mille
ragionamenti di ogni sorta. Eppure, in quei giorni, si sentiva in
qualche modo
ancor più assente. E l’aveva notato sua figlia
Eliza, che però non si era per
niente intromessa; l’avevano notato i suoi dipendenti, che
però non osavano
dirle qualcosa che avrebbe potuto compromettere la loro posizione di
lavoro.
Dopotutto, Scarlet non era nota per la sua eccessiva bontà.
Adesso,
anche l’ultimo raggio di sole era sparito oltre le romite
colline che
circondavano Midgar, lasciando il posto alla sconfinata notte che
invase sempre
più la stanza. Ancora alla finestra, ripensò a
tutto quello per cui stava
lavorando. Sapeva ciò che la ShinRa stava facendo con il
progetto denominato “Ambrosia”,
ed era decisa a cercare di saperne di più. Non aveva
scoperto ancora molto,
nonostante avesse una spia all’interno della
società. O almeno, non aveva
scoperto ancora nulla di materialmente interessante. Solo
un’informazione, fino
a quel momento le era stata utile: il recupero di alcuni file
riguardanti un
tempio, su un’isola a sud del continente di Midgar.
Soprannominato come “Il tempio
degli Antichi”. Cosa
c’entrasse con la ShinRa e con il progetto da lei creato, non
lo sapeva, ma era
decisa a scoprirlo con la festa che aveva organizzato per la settimana
successiva. Ed anche se ancora non lo sapeva, entro una settimana
avrebbe
ricevuto parecchie informazioni interessanti, che purtroppo non avrebbe
nemmeno
avuto il tempo di sfruttare a dovere.
Eccomi
qui, ad aggiornare dopo ben tre mesi di assenza! Innanzitutto mi scuso
tantissimo per il ritardo, ma a causa di impegni, scuola, compiti ed
anche di
un po’ di pigrizia (soprattutto per quella!) il tempo
è volato, quindi ritenevi
fortunati di aver avuto la possibilità di leggere questo
capitolo in tre mesi
circa... sarebbe potuto passare persino un anno!
Passiamo
adesso al capitolo: sinceramente non mi convince un granché,
a dire la verità
lo trovo piuttosto stupido e privo di avvenimenti, ma lascio ai posteri
l’ardua
sentenza! Ho sempre più la paura che questo stile non mi sia
per niente adatto,
e che quindi la fan fiction possa venire orribile e priva di senso,
cosa a dir
la verità parecchio probabile. A tale scopo, vi consiglio di
rileggere un paio
di volte il capitolo, poiché, se interpretato bene,
può svelare parecchi
avvenimenti futuri nella fan fiction.
Ed
ecco che viene il momento di rispondere alle recensioni per il primo
capitolo
della storia:
Bankotsu:
Ciao
e Grazie tantissime per i complimenti! Lo so che la storia inizialmente
è un
po’… scioccante, ma questo capitolo rientra
più nei canoni tradizionali
(infatti è per questo che non mi piace)! Beh, aspetto con
ansia di sapere che
cosa ne pensi di questo capitolo, e spero di non averti deluso, dato
che lo
aspetti da tanto tempo!
Valeriana:
Come
vedi, anche se Zack è morto, tramite la narrazione-flashback
potremo scoprire
il perché sia morto, in quali circostanze, e cosa nascondono
di preciso Cloud
ed Aerith! E poi, davvero la bambina ti ha ricordato la povera Samara?
Caspita,
letta dall’esterno la scena deve risultare parecchio
inquietante O_O Grazie
inoltre per aver messo la storia nei preferiti!
Roy4ever:
Ciao
e ancora scusa per aver mancato
all’aggiornamento della raccolta (mi sento davvero in colpa
T_T)! In quanto
alla morte di Cloud e Zack, grazie al flashback è come se
fossero presenti
nella fan fic, quindi non preoccuparti per la loro morte! Il motivo per
cui non
parlo quasi mai di Tifa è perché la odio (xD), ma
come vedi le ho trovato una
piccola particina u.u In quanto alla bambina-Aerith, ho semplicemente
pensato
all’incarnazione del subconscio di Aerith, quindi la mia
mente, per quanto
malata, non ha mica avuto un gran ruolo nella realizzazione! (ma
comunque
qualche tiro me l’ero fatto lo stesso, ma non dirlo a nessuno
xD)
Ikumi91:
Grazie
per i complimenti,
vedo che adori Cloud e Aerith *-* bene, questa è
senz’altro una cosa positiva!
E ti dirò di più: Zack non è mica
l’unico agnello sacrificale nella storia! xD
Se continuerai a seguire, a tempo debito saprai tutto!
Ancora
una volta mi scuso per il ritardo e
per gli eventuali errori presenti nella fic… Spero di poter
aggiornare in tempi
decisamente più brevi rispetto a quelli che ho impiegato
questa volta!
Dopo
un ulteriore grazie a coloro che hanno
inserito la storia tra i preferiti (Shiva Fuyu e Valeriana),
vi lascio, alla prossima!
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 ***
Capitolo
2
4
Ottobre 2009, 3:45 a.m.
Vento.
Nella tiepida notte d’ottobre, il vento si era spinto fino
alla grande città di
Midgar. Aveva portato con sé promesse, speranze e sogni
infranti per ognuno
degli abitanti della grande metropoli.
Aveva
causato un cambiamento.
Dopotutto,
il vento per alcuni è il simbolo di ciò che vola
via, perduto per sempre; per
altri invece è un amico da salutare con gioia, o da
accogliere come un vecchio
compagno. Egli porta sempre qualcosa, con la sua brezza: spesso
impercettibile,
ma presente.
Scarlet
Krauger però non pensava alla leggera brezza che le
accarezzava il viso; non si
curava delle parole che quest’ultima le sussurrava, con
avvertimento; né era
incline a rilassare la mente per lasciar defluire tutte le idee che la
affollavano. Ma se solo si fosse fermata un attimo, e avesse alzato gli
occhi,
verso la notte, alle stelle non visibili per la luce emanata da Midgar,
lasciando entrare dentro di sé quel vento che aveva deciso
di passare per la
città, forse avrebbe colto una sottile e alquanto
carezzevole voce che le
sussurrava della sua imminente morte. Quante cose potrebbero essere
diverse se
gli uomini guardassero oltre l’apparenza delle cose! Ma
purtroppo ciò non
accade, e Scarlet, come tutti, era cieca al proprio imminente e tragico
destino.
Lì
in piedi, nel giardino della sua tenuta, la mente di Scarlet vagava per
i
preparativi imminenti del suo piano. Tutto era stato preparato alla
perfezione,
nulla era stato affidato al caso. Lei ed i suoi complici avevano
previsto ogni
evenienza, ogni particolare. La festa che aveva organizzato per la sera
seguente era un sotterfugio davvero geniale: oltre ai consuetudinari
invitati,
si era permessa di invitare alcuni tra i più importanti
esponenti della
Multinazionale più famosa della città, la ShinRa.
Non c’era nulla che avrebbe
potuto spingere quegli stolti ad accettare il suo invito, se non la
sete di
informazioni. Delle informazioni che lei possedeva, e che loro
disperatamente
cercavano. Ed era stato questo che li aveva convinti a dare
l’adesione per la
festa, e a confermare la loro presenza.
Ma
la stupidità dell’uomo è abissale.
Davvero pensavano che avrebbe esposto in
modo così palese ciò che cercavano? Illusi. Anche
lei aveva i suoi informatori.
E ai suoi informatori nulla avrebbe fatto più piacere che
vedersi davanti una
ShinRa libera da quegli stupidi, impegnati a raccogliere informazioni
durante
la festa alla sua villa. A quel punto, nulla sarebbe andato storto, e
lei
avrebbe avuto tutte le informazioni necessarie per le sue ricerche.
Sorrise
soddisfatta tra sé e sé, mentre le poche stelle
che rischiaravano la volta
celeste la osservavano. Poi un trillo fastidioso la destò,
prese il cellulare
in mano ed accettò la chiamata.
“Salve,
Tifa” disse, senza togliersi dal volto quel sorriso
compiaciuto “Ti sembra
l’ora di telefonare? Sarei anche potuta essere a
letto!”
“Lavoro
per te da tre anni, sarò a conoscenza del tuo orario
biologico” rispose Tifa
via cellulare.
“Arguta
risposta, signorina” rispose Scarlet. Adorava il modo di fare
della ragazza con
cui stava parlando, la riteneva una delle sue più fidate
spie, oltre che una
fedele amica. “Suppongo che, data la chiamata, tu abbia
qualche novità in
particolare da narrarmi”.
“In
verità no” rispose la ragazza “Chiamavo
principalmente per accertarmi che il
piano per domani fosse rimasto invariato. Dopotutto, hai detto tu che
tutto
doveva essere perfettamente studiato”.
“Tranquilla,
tutto è rimasto invariato. Tu hai dato
l’indisponibilità per poter venire alla
serata che ho organizzato, nonostante il mio invito. Dopotutto, sarebbe
parso
sospetto non invitare te. Così invece potrai muoverti
indisturbata tra le
informazioni segrete della ShinRa, mentre tutti sono qui a cercare
informazioni
inutilmente…” dichiarò Scarlet, con
voce ferma.
“Fai
attenzione a Zack Fair” la ammonì Tifa
“E’ convinto di colpire durante la
festa. Ovviamente io lo sto spronando a compiere il suo lavoro... se
riesci a
coglierlo sul fatto potremmo anche toglierlo definitivamente dalla
scena, per
domani notte!”
“Me
ne occuperò io” sorrise Scarlet, mentre lasciava
correre i propri pensieri sul
prato che circondava la sua magione. Si, gli uomini a volte erano
ciechi, era a
questo che pensava. Dopotutto, la stessa Scarlet lo avrebbe scoperto a
proprie
spese entro poche ore.
La
mattina seguente tutto era, come sempre, normale. Cloud Strife e Zack
Fair
erano al lavoro, mentre Cissnei ed Aerith, invece, erano nelle
rispettive case
o a sbrigare commissioni per la famiglia; e mentre Arthur Strife ed
Eliza
Krauger erano a scuola, Scarlet era ad ultimare gli ultimi preparativi
per
l’imminente serata.
Solo
una donna era seduta, la testa poggiata tra le braccia, su una
scrivania, con
la mente rivolta a multiformi pensieri. I suoi lunghi capelli neri
ricadevano
oltre le spalle, vicino al viso. Lo sguardo era rivolto al panorama
della
finestra, senza in realtà vederlo sul serio.
Era
usanza di Tifa Lockheart concentrarsi adeguatamente in quel modo, prima
di
un’ostica missione come quella che avrebbe svolto la sera.
Per questo, ogni
volta, lasciava scorrere i propri pensieri, ripetendo dentro di
sé le fasi
fondamentali del piano.
Tuttavia
quella volta era diverso. Lo sentiva. Nell’aria si avvertiva
qualcosa. Forse...
un cambiamento. Rabbrividì,
sperando
di sbagliare, e cercò di rimanere ottimista. Dopotutto,
Scarlet aveva messo
parecchio impegno nella realizzazione del piano. Ogni aspetto era stato
curato
alla perfezione, ogni eventualità era stata adeguatamente
discussa a fondo.
Tifa disponeva delle mappe dell’edificio, delle eventuali
uscite d’emergenza,
dei condotti di aerazione e dei principali luoghi in cui potevano
essere celate
le informazioni più importanti, in modo tale da essere
pronta per la sua “gita”.
Eppure
non era propriamente convinta. Ma l’uomo ha forse il dono di
prevedere le sciagure?
La risposta era più difficile di quanto potesse essere ad un
primo impatto, se
adeguatamente ragionata e discussa. Per distogliere la mente da quei
pensieri,
decise di passeggiare un po’ per le gotiche strade di Midgar.
Prese il
soprabito e, con sguardo chino, attraversò tutto
l’edificio per poi ritrovarsi
a varcare le grandi arcate che fungevano da uscita. Per strada non
incontrò
molta gente. In effetti, era tutto fin troppo tranquillo. Un venticello
leggero, probabilmente giunto nella notte, portava con sé le
foglie autunnali
staccatesi dagli alberi. I suoi passi producevano un leggero tonfo,
quasi
impercettibile.
Inspirò
l’aria fresca di quella mattinata, si lasciò
accarezzare dall’affusolato tocco
del vento, e provò l’impulso di stringersi ancor
di più nel suo soprabito.
Perché quel gelo in un tiepido giorno d’Ottobre?
Non lo sapeva, ma sentì che in
qualche modo ne era responsabile quella brezza leggera che aveva
raggiunto la
città. Quella stessa brezza che – anche se non
poteva saperlo – aveva portato
le stesse sensazioni, un paio di ore prima, a Scarlet.
Aveva
causato un cambiamento.
Qualcosa
sarebbe accaduto, bisognava solo attendere.
Infine,
così come il sole era sorto la mattina, arrivò il
momento in cui il cielo si
tinse di fuoco, e in cui le ombre degli alti edifici di Midgar si
proiettarono
per le strade, e le prime stelle si resero visibili preannunciando
l’ormai
prossima notte. Scarlet era già andata ad accogliere i primi
ospiti, e tra
sorrisi accennati, saluti calorosi e frivole chiacchiere, aveva
cominciato a
sentire dentro di sé una sempre più crescente
ansia. Ogni tanto guardava
l’orologio che portava al polso, come in trance: ed i suoi
pensieri andavano al
piano che quella sera sarebbe stato messo in atto. Poi volgeva lo
sguardo ai
megalitici ingressi della sala, alla ricerca del momento in cui il
gruppo di
impiegati ShinRa avrebbe fatto il suo debutto. Ancora una volta
guardò l’ora.
Le sette e ventuno. Sarebbero arrivati presto.
“Mia
cara Scarlet!” esclamò una voce femminile alle sue
spalle. Istintivamente
sobbalzò, riportata bruscamente a terra dai suoi pensieri.
Voltandosi vide una
delle donne che più odiava al mondo, che in quel momento le
stava davanti e le
sorrideva affabilmente.
“Elena!
Come stai?” domandò Scarlet, dipingendosi sul viso
un sorriso zelante. Elena
Green. Una grande stronza, a suo parere. Elena era la figlia di uno dei
magnati
della finanza più famosi del quartiere. Come tale, aveva
sviluppato
l’arroganza, la testardaggine e il totale disinteresse che si
addicevano ad una
persona del suo rango. Non c’era niente che quella ragazza
non avesse avuto, e
Scarlet la disprezzava proprio per questo. Mai una volta aveva pensato
a quanto
invece fossero simili.
“Oh,
molto bene!” rispose la ragazza con un sorriso frizzante
più simile ad un
ghigno. “Sai, sono davvero colpita, hai talento per
organizzare le serate, hai
uno stile a dir poco meraviglioso!” esclamò poi.
“Beh,
grazie” rispose lei svogliata, continuando a guardare
l’orologio. Le sette e
ventitré. Ed ancora nessun dipendente della ShinRa si
vedeva. Chiuse gli occhi
per un momento, sospirando. Elena continuava a blaterare
ininterrottamente, ed
ogni sua parola era una martellata per il suo mal di testa. Con una
scusa si
liberò della sua nefasta presenza e si aggirò per
un po’ tra gli invitati.
Ognuno si complimentava con lei, le diceva quando stupende fossero le
decorazioni. Le donne le chiedevano chi fosse stato il mago che le
aveva
acconciato i capelli, gli uomini le facevano complimenti che
rasentavano il
ridicolo. Dal canto suo, tutti quegli ospiti si erano meritati la sua
sana
antipatia, stressata com’era da altri pensieri.
Ma
finalmente, dopo altri sette minuti di agitazione, le grandi arcate
dell’ingresso vennero occupate da un discreto numero di
persone, che Scarlet
riconobbe subito. Sollevata, si affrettò a telefonare a
Tifa, che, ricevuto
l’apposito segnale, si preparò per
l’irruzione all’interno del palazzo della
ShinRa.
“Salve,
Signora Krauger” disse una voce maschile. Alzando lo sguardo
si ritrovò davanti
Zack Fair, accompagnato da una donna sulla trentina con capelli castani
e due
splendidi occhi verdi.
“Salve,
Zack! La prego, mi chiami Scarlet, dopotutto sono parecchi anni che ci
conosciamo” rispose la bionda, incrociando il suo sguardo.
Nelle ultime ore, da
quando aveva saputo da Tifa che sarebbe stato lui
l’incaricato per raccogliere
informazioni sui suoi progetti, non aveva desiderato altro che poterlo
guardare
negli occhi. Voleva leggere il suo sguardo, voleva osservare trionfante
la
menzogna attraverso i suoi occhi, la stessa menzogna che
l’avrebbe tradito e
che l’avrebbe resa trionfante. Voleva sfogliare la sua anima,
ed era sicura che
un colpo d’occhio sarebbe bastato a vedere
l’insicurezza, la titubanza, la
paura di quello che stava per fare negli occhi dell’uomo.
Per
questo si stupì quando invece vide solamente due profondi
occhi blu che la
guardavano. Anche se poteva sembrare strano, Scarlet era assolutamente
convinta
che sarebbe riuscita a capire le intenzioni di Fair solamente
guardandolo. Ma
adesso una delle sue certezze si era frantumata. Il mal di testa si
fece più
forte, e le sembrò quasi di percepire le idi di una tragedia
imminente.
“D’accordo...
Scarlet” rispose Zack, non accorgendosi minimamente del
conflitto interno della
donna. “Posso avere l’onore di presentarle mia
moglie Aerith?”
“Davvero
piacere!” rispose la donna dai capelli castani, stringendole
la mano.
Dal
canto suo, Scarlet era davvero troppo stranita per rispondere, e
biascicò un
piacere, mentre cercava di riprendersi. Ma come poteva aver sbagliato?
D’un
tratto, il piano di mandare Tifa all’interno della ShinRa le
sembrò una gigantesca
trappola mortale. Se aveva fallito le previsioni su Zack,
perché non avrebbe
dovuto fallire anche sui piani d’intrusione alla ShinRa?
“Si,
il piacere è mio” rispose, cercando di
riprendersi. Si scostò una ciocca di
capelli dorati dal viso e la fermò dietro
l’orecchio, maledicendo chiunque le
avesse acconciato i capelli quel pomeriggio “Zack, mi fa
davvero piacere che
abbia accettato il mio invito. Desidero davvero che le
ostilità dovute al
lavoro tra noi cessino” aggiunse, cercando di riacquistare un
tono sicuro.
“Beh,
certo. Non si può rovinare un amicizia solo per una disputa
d’ufficio” assentì
Zack, mentre Aerith sospirava.
“Prevedo
un’interessantissima discussione sul lavoro!”
esclamò sorridendo “Mi spiace, ma
poiché non intendo parteciparvi sarà meglio che
mi dilegui alla ricerca di
qualcun altro con cui conversare” continuò poi,
scherzando.
“Si,
vada, credo che la annoieremmo inutilmente” annuì
Scarlet con un sorriso
comprensivo.
“Spero
che non si offenda per il mio mancato interesse!” disse
Aerith.
La
bionda sorrise. “Ma no, si figuri”.
“Bene!
A dopo” disse Aerith al marito, prendendo uno dei cocktail
poggiati su un
tavolo ed allontanandosi verso l’altro capo della sala.
“Che
simpatica” sussurrò Scarlet, quando se ne fu
andata.
“Vero?”
domandò Zack sorridendo “E’ quello che
credo anche io. E’ grande!”
Scarlet
non rispose, pensando a restare calma. Tutto stava andando bene, non
c’era
alcun bisogno di agitarsi. Almeno, fu così finché
Zack non divenne d’un tratto
serio.
“Sono
convinto che noi due dovremmo fare un’amabile chiacchierata,
Scarlet”.
Cloud
Strife spense il motore della sua auto nel vialetto che portava alla
casa di
Scarlet e si concesse il lusso di sospirare, un momento, cercando di
riprendersi da una giornata terribile. Accanto a lui, Cissnei si
sistemò
nervosamente i lunghi capelli rossi.
“Allora,
andiamo?” chiese poi al marito.
“Ehm…
direi di si” rispose Cloud, aprendo la portiera e scendendo
dall’auto, seguito
da sua moglie.
“Secondo
te Scarlet ci impedirà di entrare per il ritardo?”
chiese nervosa Cissnei.
“Conoscendola,
credo di si” rispose Cloud guardandosi in giro, mentre
avanzavano verso la sala
d’ingresso.
“Oppure
libererà i cani da guardia per darci la caccia e offrire un
gradevole
spettacolo agli ospiti!”
“Si,
questo è ancora più probabile!” rispose
Cloud ammiccando.
“Ah,
spero si limiti solamente a lanciarci una delle sue occhiate glaciali
che mi
fanno sempre rabbrividire” disse Cissnei.
Insieme
varcarono le alte arcate d’ingresso della casa, e subito si
confusero tra la
folla che parlava animatamente.
“Secondo
te ci ha visti? Potremo far finta di essere sempre stati qui”
sentenziò la
donna mentre guardava a destra e sinistra.
“Stai
parlando di Scarlet, come vorresti ingannarla?” rispose Cloud.
“In
effetti quella ha la vista di un’aquila! Separiamoci,
così sarà più difficile venire
colti in flagrante!” suggerì Cissnei sparendo in
un lampo tra la folla.
Cloud
sospirò mentre guardava la donna allontanarsi. Forse stava
solo scherzando, ma
riusciva ad intuire una leggera preoccupazione nel tono di voce di
Cissnei.
D’altronde, era ben noto che Scarlet terrorizzasse tutti con
i suoi metodi alquanto
arroganti. Si guardò intorno, cercando di individuarla: non
era, come sempre,
al centro della sala, a sgridare timidi addetti al catering o a
conversare
animatamente con gli invitati. Strano.
Poi
la individuò in un angolo, mentre parlava animatamente con
Zack Fair, lo
sguardo serio, quasi preoccupato. In alcuni momenti sembrava
addirittura che un
lampo di paura balenasse nei suoi occhi chiari. Zack le parlava serio,
ed ogni
parola sembrava tagliente come la lama di un rasoio.
Si
disse che non erano affari suoi, e che le faccende privati degli altri
non
dovevano minimamente interessargli. Fece per voltarsi, ma non aveva
nemmeno
mosso un passo che una voce dietro di lui parlò.
“Conosce
quei due?”
Cloud
si riscosse dai propri pensieri e si voltò. Davanti a lui
c’era una donna dai
lunghi capelli castani e dai vividi occhi verdi, che lo guardava con
un’espressione di divertimento dipinta sul volto, che faceva
cenno con la testa
a Zack e Scarlet.
“Si!
L’uomo, Zack, è un mio amico, mentre la donna
è l’organizzatrice della festa,
Scarlet” rispose poi. “E lei, li
conosce?” chiese subito dopo.
La
donna si avvicinò, porgendogli un bicchiere di Champagne.
“In un certo senso…”
fece una pausa, poi riprese “Sono la moglie di
Zack” disse “e lei deve essere
il Dottor Strife”.
“Oh,
si, davvero piacere” rispose lui, stringendole la mano.
“Suo marito mi ha
parlato tanto di lei, signora...?”
“Gainsborough”
rispose lei, ricambiando la stretta di mano dell’uomo
“Aerith Gainsborough”.
“Posso
chiamarla Aerith?” chiese Cloud sorridendo.
“Si,
certo… Cloud”.
Aerith
rispose al sorriso, guardandolo negli occhi, e Cloud si
sentì terribilmente in
imbarazzo. Istintivamente guardò ancora verso Zack e
Scarlet, e vide
l’espressione di Scarlet sempre più preoccupata.
Non seppe il perché, ma
l’espressione che lesse nel volto della donna bionda in
qualche modo accrebbe
la sua sicurezza. Sorrise di una nuova energia, e si rivolse alla donna
che le
stava davanti, con entusiasmo.
“Zack
mi ha parlato davvero tanto di lei” disse, mentre camminava
lentamente con la
donna a fianco,
attraversando la sala
“Ci tenevo davvero tanto a conoscerla, non sa quante volte mi
ha ripetuto che
la considera straordinaria”.
“Ti
prego, diamoci del tu” rispose Aerith seguendo i suoi passi
“Dopotutto, tu e
Zack siete grandi amici”.
“D’accordo!
Beh, in effetti lo conosco dai tempi delle superiori, eravamo in classe
insieme”
rispose Cloud “Lei… cioè,
tu… non hai frequentato qui?”
Aerith
sorrise mestamente “No, io vengo da molto lontano…
dal continente a nord, per
dirla tutta. Sono venuta a Midgar solo da qualche anno!”
“Ho
visitato l’Icicle Area molte volte, devo dire che
è un posto davvero
incantevole. I ghiacci sanno sempre emozionarmi” rispose
Cloud sognante.
“Già...
secondo me Midgar è fin troppo soleggiata! A dire la
verità, non vedo l’ora che
arrivino i mesi invernali e la pioggia! Però devo ammettere
che qui la notte,
in questo periodo, è molto bella” rispose Aerith,
guardando attraverso le alte
finestre la nera notte.
“Beh,
allora andiamo fuori... la serata è magnifica”
propose Cloud. Insieme
attraversarono l’ingresso della sala e si diressero sotto i
raggi di una
pallida luna argentea. Delle lievi folate di vento stuzzicavano i loro
volti.
Era lo stesso vento che la notte prima aveva dato da riflettere a
Scarlet
Krauger e il medesimo che aveva accompagnato Tifa Lockheart nel corso
della
giornata. La luce della luna illuminava i loro volti, calda e serena.
“Oggi
si sta benissimo qui fuori!” esclamò estasiata
Aerith. “Io amo il cielo, è
così… infinito. Mi piace il blu eterno della
notte, mi dà... serenità. Dove
vivevo prima ogni notte avevo delle bellissime aurore boreali... ma non
potevo
mai vederle. Non potevo vedere nemmeno il cielo stellato, nemmeno lo
splendore
della luna. La notte faceva troppo freddo per stare all’aria
aperta, e le
tormente di neve impedivano la visibilità anche
dall’interno della casa. Per
questo amo il cielo di Midgar. E’ così…
libero…” disse, guardando sognante la
volta celeste.
“Purtroppo
questo cielo non è dei migliori” rispose Cloud
“La luce proveniente da Midgar
impedisce di vedere appieno lo splendore della volta celeste.
E’ lo svantaggio
di vivere in una grande città. Nei villaggi come Nibelheim,
invece, le stelle
sono bellissime, è uno spettacolo magnifico”.
“Ci
sei stato?” chiese Aerith guardandolo divertita.
“Solo
una volta, quando avevo 15 anni, in vacanza” rispose Cloud,
assorto. “Un posto
un po’ sperduto, ma indimenticabile... all’epoca
non avevano ancora costruito
il reattore Mako, e quindi era una località un po’
fuori mano, tuttavia era un
posto davvero splendido. Ma la cosa che non scorderò mai
più è il cielo. Aveva
un qualcosa di magico, che non riesco a percepire qui a
Midgar” continuò.
“Sembra
un bel luogo” rispose Aerith sognante, cercando di
immaginarsi ciò che quell’uomo
le poneva davanti con il suo racconto.
“Beh,
potremo parlarne con Zack e fare una vacanza tutti insieme. Io, te,
Zack e mia
moglie” propose Cloud.
“Sarebbe
bello” assentì Aerith “Mi piace molto
viaggiare, anche se non ne ho quasi mai
la possibilità. Il lavoro di Zack ci tiene sempre inchiodati
a Midgar”
“Se
sarà possibile, organizzerò questo viaggio
volentieri” disse Cloud.
Per
qualche secondo vi fu il silenzio tra i due, interrotto soltanto dal
lieve
brusio della sala da cui provenivano le voci degli invitati.
“Grazie”
sussurrò poi Aerith.
Cloud
si voltò a fissarla, e la vide tutta d’un tratto
seria. “E di cosa?” chiese,
incuriosito.
“Beh…
è il mio primo party, e non sapevo come comportarmi, di cosa
parlare, cosa fare…
poi ho visto che guardavi Zack, e ho pensato che lo conoscessi. Ed
infatti era
così! Adesso mi sento molto più a mio
agio… e per questo ti dico grazie”.
“Beh,
niente di ché… è stato quasi
naturale” rispose Cloud, trovandosi tutto d’un
tratto in imbarazzo. Un altro silenzio scese tra loro. Poi Aerith
parlò.
“Restiamo
un altro po’ qui… non me la sento di tornare
là dentro”
“D’accordo”
rispose Cloud, sorridendo e pensando a quanto strana fosse quella
situazione.
Tifa
Lockheart si era appostata alle 20:56 all’angolo della strada
che conduceva al
mastodontico edificio ShinRa, attendendo il via libera per entrare
nell’edificio.
L’occasione adatta si era presentata circa 20 minuti dopo,
quando, senza che
nessuno la vedesse, era sgattaiolata all’interno
dell’edificio da una porta
secondaria.
Per
sua fortuna, non aveva incontrato quasi nessuno, eccetto qualche
guardia pigra
che non si era nemmeno scomodata nel chiederle cosa ci facesse
lì. Meglio così.
In tal modo, era riuscita ad arrivare ai piani alti e poi si era
infilata in un
condotto di aerazione, ed adesso si muoveva avanti e indietro
all’interno di
quegli stretti cunicoli, cercando una via d’uscita che la
portasse in un luogo
che potesse nascondere informazioni utili a Scarlet. Stava per prendere
un
passaggio
alla sua destra, quando sentì una voce parlare a qualcun
altro.
“Che
noia! Ma riesci a credere che non ci sia quasi nessuno e che noi
dobbiamo stare
qui ad annoiarci?”
Sembrava
la voce di una guardia. Lentamente, si avvicinò ad
un’apertura nel cunicolo ed
osservò due fanti, imbronciati.
“Beh,
tutti i pezzi grossi sono alla festa della Signora Krauger a cercare di
ottenere informazioni, è ovvio che qui non accada
niente” rispose
uno dei due.
“Si,
dicono solo di cercare informazioni, ma pare che il piano comprendesse
qualcosa
in più di un semplice infiltramento”
“Che
cosa? Dici sul serio?”
“Davvero!
Sembra sia un modo per... togliere di mezzo la concorrenza, non so se
mi
intendo!” rispose la guardia ammiccando.
A
Tifa si spalancarono gli occhi della sorpresa. Era la verità?
“Sul,
serio, ci sarà da ridere quando Zack Fair
riuscirà a sbarazzarsi di Scarlet,
questa sera! Lei non sospetta nulla, è caduta nella trappola
della ShinRa!”
“Ma
come hai fatto a saperlo?” chiese l’altro, stupito
dalla rivelazione.
“Ho
sentito il Presidente e Fair parlarne. A quanto pare, solo loro ne sono
a
conoscenza!”
Tifa,
in un lampo, comprese tutto. Capì il perché il
Presidente avesse acconsentito a
mandare gli impiegati ShinRa alla festa e soprattutto
concepì appieno il
compito di Zack Fair. Quella sera non era venuto alla festa in veste di
spia.
Era
venuto in veste di assassino.
Senza
preoccuparsi di fare rumore o altro, cominciò a muoversi
velocemente per
cercare un’uscita. Prese il cellulare e compose il numero di
Scarlet, in fretta,
cercando di avvertirla.
Il
cellulare era spento o non raggiungibile. Imprecò
sonoramente, uscì dal
condotto di aerazione e si diresse come una furia verso
l’atrio della ShinRa.
Et
voilà, ho finito anche questo capitolo, che mi ricorda
tantissimo il romanzo “La
Signora Dalloway” di Virginia Wolf!
Mi rendo conto che si
interrompe sul più
bello, ma purtroppo il capitolo stava diventando decisamente troppo
lungo e
quindi ho preferito dividerlo in due parti diverse. Spero che la storia
sia
piuttosto comprensibile, e che io non abbia fatto errori di ortografia!
In tal
caso mi scuso in anticipo! ^^
Povera
Scarlet, riuscirà a salvarsi? Tifa riuscirà ad
arrivare in tempo? Boh, non
posso ancora rispondere!
L’unica
cosa a cui posso rispondere adesso sono le bellissime recensioni allo
scorso
capitolo:
Bankotsu:
Grazie,
grazie, grazie per i bellissimi commenti! Si, lo scorso capitolo in
effetti
serviva proprio a rendere più chiari i legami tra i vari
personaggi, mentre in
questo qui comincia la storia vera e propria! Spero ti piaccia lo stile
che ho
adottato! E comunque, stavolta hai dovuto attendere solo un mese...
chissà,
forse per il prossimo capitolo attenderai anche meno (Speriamo ^^)!
PS:
Complimentissimi per Loneliness, davvero stupenda!
Lirith:
caspita
che faccia sconvolta! Sono contento di averti lasciato senza parole xDD
in
quanto alla bambina psicopatica, è stata una trovata un
po’… folle, lo ammetto,
che però ha avuto molti consensi! Grazie per i complimenti e
spero che questo
capitolo ti piaccia e che continuerai a seguire la storia ^^
PS:
Ti colgo l’occasione per ribadire quanto mi piaccia la tua
fan fiction!! E’
bellissima!!!
Ringrazio
inoltre Bankotsu e Lirith
per aver messo la storia tra i
preferiti e Lirith per aver messo
la
storia tra quelle seguite, ed anche tutti i lettori!
Spero
di metterci meno per pubblicare il prossimo capitolo! Ciao a tutti e a
prestissimo!
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
Capitolo
3
4
Ottobre 2009, 11:31 PM
Scarlet
Krauger scosse la testa, mentre si allontanava da Zack Fair.
“E’
inutile... sai già quanto me cosa succederà
adesso!” esclamò l’uomo, da dietro
le sue spalle.
La
donna abbassò la testa, sconvolta. Lacrime solcarono il suo
pallido viso. Si
affrettò ad asciugarle, austera, e mosse un altro passo,
faticando. Davanti a
lei tutto appariva sfocato e confuso; superò un cameriere
che la guardò con
curiosità ed un misto di timore ed odio, si
aggrappò ad una colonna della
grande sala, e guardò l’alto soffitto sopra di
lei.
Tutto
le appariva così… strano. Si concentrò
sulla sala, cercando di mantenere vivo
nella sua mente tutto ciò che le sfuggiva da sotto gli
occhi. Cercava di
fermare il flusso entropico che le allagava la mente, ,ma tutto le
sfuggiva
davanti e scorreva in un oceano di oblio che non ammetteva repliche, e
si sentì
già mancare, lì, in mezzo alla sala.
Si
dette coraggio e riaprì gli occhi, anche se non ricordava di
averli mai chiusi.
Adesso riusciva a vedere quello che le accadeva davanti.
Riuscì a vedere, fuori
dalla sala, Cloud Strife e la moglie di Zack Fair che chiacchieravano
tranquilli al chiaro di luna, mentre un leggero vento li solleticava;
riuscì a
vedere Elena Green che aveva appena agguantato un ragazzo e che lo
trascinava
verso un angolo buio della sala; riuscì a vedere tutto
ciò che un attimo prima
le era sembrato di perdere.
Ma
le faceva male la testa...
Doveva
andarsene da quella sala, non poteva più restare
lì, con tutto quel frastuono,con
tutte quelle luci, con lui che la
squadrava... non gli avrebbe dato la soddisfazione di vederla soffrire
in quel
modo. Camminò ancora, un po’ incerta, poggiando
una mano alla parete; costeggiò
la sala, urtando di tanto in tanto qualche soprammobile e mandandolo in
frantumi.
Si
fermò ancora un momento per cercare di snebbiarsi le idee, e
per capire cosa
stesse facendo. Respirò profondamente, chiudendo gli occhi,
ma poi li riaprì di
scatto e vide ancora lui, Zack, che la guardava, con un sorriso
soddisfatto
dipinto sul volto. E lei non voleva dargli la soddisfazione di vederla
così,
non nel pietoso stato in cui ormai si trovava.
Cercò
di ricomporsi, passandosi una mano per i capelli, ma ormai era inutile
negare
l’evidenza. Era evidente che aveva perso, era stata sconfitta
da colui che
aveva creduto di poter aggirare con facilità…
Mentre
si teneva la testa tra le mani, chiuse ancora una volta le palpebre, e,
come in
una dimensione onirica irreale, rivide tutta la scena davanti agli
occhi.
Rivide
quella conversazione che l’aveva segnata, e che di certo
aveva decretato il suo
destino. Era incredibile sapere come un suo errore, un suo solo stupido
errore
era bastato a rovinare tutto quello per cui aveva lavorato in una vita.
Bah…
Quanto era stata stupida. Quella scena l’avrebbe perseguitata
in eterno. Era la
punizione inflittale dal cielo per la sua superbia.
E
nessuno le avrebbe mai detto che non se la meritava.
***Flashback***
Aerith
se ne era appena andata, e loro
due erano rimasti soli.
“Che
simpatica” aveva detto Scarlet,
non appena la ragazza se n’era andata via.
“Vero?”
aveva risposto Zack,
sorridendo “E’ quello che credo anche io.
E’ grande!”
Poi
era calato un silenzio
imbarazzante tra loro due, ma che comunque, dopo un po’, era
stato interrotto
dalle dure parole dell’uomo.
“Sono convinto che
noi due dovremmo fare
un’amabile chiacchierata, Scarlet” aveva detto,
porgendole un cocktail che lei
aveva accettato senza indugi.
Scarlet
aveva alzato gli occhi, ed
aveva visto che il sorriso sereno sul viso di Zack era sparito,
sostituito da un
ghigno di soddisfazione che non gli aveva mai visto prima sul volto.
“Sai,
ho atteso questo momento da
tanto tempo. Oserei dire anche da troppo!” aveva detto
l’uomo, guardandola
intensamente. Lei aveva sorseggiato il suo drink, non sapendo dove Zack
volesse
arrivare con le sue parole.
Finché
lui aveva parlato ancora.
“Sapevo
già del tuo piano” aveva
continuato lui, guardandola con un sorriso intriso di superbia ed
osservando il
puro terrore che le stava, lentamente, invadendo gli occhi chiari.
“Sapevo che non
avresti mai organizzato un Party del genere senza un motivo vero e
proprio. O
almeno, senza una motivazione che potesse essere utile ai tuoi scopi. E
così mi
sono… preparato”.
“Timeo
Danaos et dona ferentes*” [Spiegazione
dell’espressione a fine capitolo]
aveva
sussurrato Scarlet, cominciando a comprendere ciò che
l’uomo le stava dicendo.
Zack
aveva sorriso. “Esattamente.
Credevi che avremmo abboccato ad una trappola così poco
congegnata, in balia
del nemico che avevamo cacciato dalla nostra società? Mi
stupisco di te. Non
eri così stupida quando lavoravi per noi. O forse si, ed
è per questo che ti
abbiamo allontanata”.
“Io…”
“Non
parlare, ti prego” l’aveva
interrotta Zack “Sei patetica. Hai creato una fitta trama di
burattini che era
in realtà controllata da noi senza accorgerti di nulla. Non
ti sei accorta
nemmeno del gesto che ha decretato la tua fine, in questo
istante!”
“Che
intendi dire?”
“Pensa
un momento, e lo scoprirai”.
Scarlet
si era costretta a chiudere
gli occhi e a riflettere sulle parole dell’uomo.
Entropia,
gelida entropia nella sua
testa… non era riuscita a concentrarsi, ogni volta che aveva
cercato di isolare
la mente per pensare indisturbata, l’eco del brusio della
gente le era giunto
in testa, invadendo
i suoi pensieri distruggendoli
istantaneamente. Era un dolore terribile.
Poi
le si era accesa una scintilla,
all’improvviso.
Aveva
rivisto la scena di poco prima,
quando aveva salutato Zack. E stavolta era riuscita a notare la polvere
che si
intravedeva nel fondo del bicchiere che l’uomo le aveva
porto, e aveva rivisto
il sorriso soddisfatto con cui lui l’aveva accolta, e subito
aveva capito il
piano diabolico di Zack Fair, il piano che l’aveva messa nel
sacco.
“Tu!”
aveva esclamato, con tutto il
fiato che aveva in gola e con tutto l’odio che aveva in
corpo.
“E’
inutile agitarsi in questo modo”
aveva sussurrato Zack, divertito “Accelererai soltanto il
processo di
avvelenamento. Ma comunque, entro un paio di minuti sarai morta, e la
ShinRa
avrà vinto”.
“No!”
aveva esclamato. “Stai
mentendo!”. Non aveva voluto crederci. Non aveva potuto
crederci! Tutto ciò che
aveva fatto, tutto ciò che per cui era valsa la
vita… era tutto finito? No… non
poteva…
“Ma
se ti sei accorta anche tu del mio
gesto!” aveva esclamato Zack. “Ammettilo, hai
perso!”
“No…”
aveva sussurrato. Si era
voltata, aveva scosso la testa e si era allontanata.
“E’
inutile... sai già quanto me cosa
succederà adesso!” aveva esclamato
l’uomo alle sue spalle. Ma lei non si era
fermata.
***Fine
Flashback***
Cercò
di schiarirsi le idee, ma nella sua testa risuonava continuamente
l’eco delle
parole che poco prima l’avevano distrutta; e mentre cercava
di pensare, sentiva
che lentamente le forze la stavano abbandonando. Ma perché
vedeva tutto così
annebbiato? Non riusciva a cogliere con lucidità le cose!
Ancora
una volta si guardò intorno, ma nessuno sembrava notare il
suo malore. Tutti
erano troppo impegnati nelle proprie faccende, chi nello scambiare
contatti di
lavoro, chi nello stringere nuove amicizie, chi assorto nei propri
pensieri ed
estraniato dal mondo. Solo lei, in quella grandissima sala, era
impegnata a far
tutto e niente contemporaneamente. A lottare e a lasciarsi andare. A
vivere e a
morire.
Possibile
che non ci fosse una cura? No, il veleno agiva troppo in fretta. Aveva
già sintomi
troppo gravi per potersi salvare in qualche modo. Ma allora, che fare?
Se solo
fosse riuscita a pensare un momento in tranquillità...
I
documenti! Sicuramente erano uno dei motivi che avevano spinto Zack a
compiere
il suo inaccettabile misfatto! Erano ben nascosti, ma chi poteva
garantirle che
non potessero tranquillamente essere scoperti dopo la sua morte?
Doveva
distruggerli, e subito. Solo così avrebbe potuto vincere,
almeno in parte.
Stava
già lasciare quella nefasta sala, quando una voce
risuonò per quest’ultima, una
voce forte, sicura, soddisfatta.
Una
voce che aveva imparato ad odiare.
“Permettetemi
di dire un paio di parole, vi prego!” disse Zack Fair,
cogliendo l’attenzione della
sala. Tutti gli invitati si voltarono verso di lui, curiosi di sentire
cosa
avesse da dire. Scarlet incontrò lo sguardo
dell’uomo, che le rivolse un cenno
divertito con la testa, godendo della sua disperazione.
“Credo
di parlare a nome di tutti quando faccio i complimenti alla Signora
Krauger per
questa magnifica serata” continuò Zack
“Tutto è stato organizzato
magnificamente, con il gusto e l’eleganza che la
contraddistingue da sempre.
Davvero i miei complimenti, Scarlet”.
Partì
un applauso solitario, da qualche parte nella sala.
Quel
suono sordo le faceva male alla testa. Ogni volta che le mani
battevano, una
spaventosa fitta le attraversava il cervello. Sentiva la morsa della
Morte più
vicina, adesso.
Un
altro paio di mani si unì all’applauso, e un
altro, e un altro ancora.
Zack
Fair sapeva cosa stava provando, e godeva di ogni fitta che le
attraversava il
cervello, di ogni secondo che l’avvicinava di più
alla morte. Attuava un muto
ma violento terrorismo psicologico che era alimentato da quel suo
piccolo ed
insignificante discorso, dettato da una motivazione visibile solo
nell’ombra.
L’aveva
sempre detto anche lei, la psicologia era la peggiore tra le armi.
E
mentre l’applauso si esauriva e Zack continuava il suo
discorso in onore a
Scarlet, lei cominciò a non distinguere più le
voci della gente accanto a lei,
e sentì che la sua ora stava per giungere. Niente
più tempo per nascondere i
documenti, niente più tempo per salutare ciò che
di più aveva amato nella sua
vita.
Non
c’era nemmeno il tempo per vedere per l’ultima
volta sua figlia Eliza. Che
razza di madre era stata? Sempre troppo occupata, senza avere mai un
momento
libero da dedicarle. In effetti, non aveva tempo da dedicarle nemmeno
adesso,
era troppo impegnata a morire! Ogni attimo che passava era un passo
verso la
morte, e probabilmente non sarebbe riuscita nemmeno a svegliarla in
tempo prima
che la vita l’abbandonasse.
Era
arrivata l’ora di abbandonare la scena.
Stanca,
poggiò una mano contro l’alta parete della sala.
Il suo respiro era affannoso,
non riusciva più a formulare un pensiero concreto, tutto le sfuggiva davanti,
troppo lontano per
essere raggiunto.
Poi
una consapevolezza la attraversò: non era ancora troppo
tardi per la vendetta.
Le sue mani si chiusero su un oggetto che aveva nascosto nella borsa
che
portava con lei. Un oggetto lucido, freddo al tatto, che si era
riproposta di
non utilizzare almeno per quella sera. Questo prima di conoscere il
tremendo
colpo inflittagli da Zack Fair.
“…
Ed è per questo motivo” continuò
quest’ultimo “che voglio brindare a questa
grandissima donna, capace di mandare da sola avanti un grande impero
finanziario e, soprattutto, di riuscire, ancora una volta, a stupirci
con le
sue idee e le sue iniziative, dopo tanti anni. A Scarlet
Krauger!”
E
mentre tutti brindavano alla sua salute, Scarlet decise che quello era
il
momento giusto per attuare una volta per tutte il suo piano. Mise allo
scoperto
la pistola che fino a quel momento aveva tenuto ben nascosta e prese la
mira.
Non
vedeva bene, e le girava la testa… ma doveva farlo.
E
fu in quel momento, mentre le ultime forze la abbandonavano, che
Scarlet
premette per la prima volta il grilletto, e poi ancora, e ancora, e
ancora una
volta.
Il
primo colpo mancò di qualche metro Zack, colpendo il muro
alle sue spalle; il
secondo si infranse contro la finestra che dava sul giardino della
tenuta,
mandando in frantumi le alte vetrate della sala; il terzo
finì in mezzo alla
folla, scuotendola come la tempesta agita il mare.
Il
quarto fu il colpo maggiormente calibrato. Ci fu un momento in cui
tutti si
chiesero se Scarlet avrebbe avuto il coraggio di sparare ancora: il
tempo
pareva essere rallentato, la folla si era fermata ad occhi sbarrati,
per
osservare il folle gesto della donna, Zack Fair aveva urlato:
“No!” e l’aveva
guardata con un espressione di puro terrore dipinta sul volto.
Scarlet
sorrise. Poi sparò e, un attimo dopo, si accasciò
a terra, tra le oscure spire
della morte, ma non prima di aver visto Zack accasciarsi a terra,
colpito dal
suo proiettile.
“Ci
rivedremo all’inferno, Zack…”
Qualche
secondo prima, Cloud Strife ed Aerith Gainsborough stavano animatamente
conversando, cullati dalla leggera brezza che offriva quella notte. La
luna
rischiarava i loro volti e la facciata principale della tenuta. Dalla
sala
della festa proveniva un lieve brusio.
Cloud
Strife soffermò ancora una volta i suoi occhi sul viso della
donna che aveva
davanti a sé. Era… strano. Con lei era semplice
parlare, ascoltare, persino
stare in silenzio, come in quel momento. Era speciale. Ora capiva
ciò che Zack
gli aveva sempre detto a suo proposito.
Non
sapeva nemmeno cosa pensare, aveva come la mente ferma, in attesa di un
ordine
che non sarebbe arrivato molto presto.
Poi
lo sentì. Un suono secco, un rombo cupo che squarciava la
tranquillità di
quella calma serata. Qualche urla dall’interno della sala.
Poi un altro colpo,
che stavolta infranse una delle alte finestre.
“A
terra!” esclamò Cloud, trascinando Aerith con lui.
Il proiettile passò sopra le
loro teste, e si perse nel prato verde antistante la Magione.
“Ma
che sta succedendo?” domandò lei, mentre un altro
colpo esplodeva all’interno
della sala, seminando il panico. Molti degli invitati si riversarono
fuori,
fuggendo e urlando frasi incomprensibili.
“Non
lo so, non riesco a capire!” rispose l’uomo, mentre
cercava di intravedere
qualcosa di ciò che stava succedendo nella sala.
Trepidanti,
attesero che un altro colpo fendesse l’aria. E quello venne,
dopo qualche
secondo, come se fosse stato maggiormente studiato rispetto ai
precedenti. E
stavolta, furono sicuri che qualcuno fosse stat colpito. Lo sentivano.
“E’…
è finita?” chiese Aerith dopo qualche secondo,
sporgendo un po’ la testa verso
l’alto.
“Aspetta!”
le rispose Cloud “restiamo un momento qui”.
Stettero
vicini, senza guardarsi negli occhi, con le orecchie tese alla ricerca
di un
minimo rumore che lasciasse presagire una nuova sparatoria. Ma quando
fu chiaro
che più nulla sarebbe accaduto, lasciarono il loro
nascondiglio per correre all’interno
della sala. Gli invitati erano fuggiti dalla sala, che era rimasta
deserta.
Molti tavoli ai margini della stanza erano stati capovolti,
probabilmente
durante la fuga degli invitati.
“Non
vedo niente di strano…” sussurrò Aerith
all’orecchio di Cloud.
“Neanche
io, ma facciamo attenzione” le disse l’uomo
tenendola dietro di sé.
C’era
qualcosa che non andava, se lo sentiva. L’ambiente traspirava
di una calma
gelida, frammentaria e stridente. Sembrava che il silenzio fosse stato
creato
da una dilaniante disperazione, la stessa disperazione che aveva spinto
qualcuno tra gli invitati a sparare quattro colpi di un’arma
da fuoco nel bel
mezzo della festa.
“Non
ti sembra come… innaturale? Questo silenzio,
intendo” chiese Aerith, cercando
di mantenere il tono della voce ferma.
“Non
mi pare” sussurrò Cloud, rispondendole senza
neanche sentirla. Era molto
preoccupato per Cissnei e per Zack. Dove erano finiti? Sperò
che fossero
fuggiti insieme agli altri.
“Dove
sono…?” chiese ad un tratto Aerith, guardandosi
intorno.
“Zack
e Cissnei?” rispose Cloud “Me lo stavo chiedendo
anch’io. Spero che stiano
bene, e che siano usciti via”.
“Non
dovremmo andare anche noi?” domandò Aerith
incerta, non riuscendo a nascondere
il timore dai suoi occhi cerulei.
“Tu
va’ pure, in effetti è troppo pericoloso per
te” rispose Cloud “io voglio
scoprire qualcosa, prima che arrivi la polizia!”
“Io
non me ne vado!” esclamò Aerith in tono cocciuto,
alzando la voce.
“va
bene allora” sussurrò Cloud, per farla stare in
silenzio. Sperò che nessuno li
avesse sentiti. Colui che aveva sparato poteva essere ancora
lì, ad ascoltarli,
ma non disse niente per non spaventare ulteriormente Aerith.
Continuarono
ad avanzare lentamente, con il rumore dei loro passi che attraversava
le loro menti.
Avanzarono fino a metà sala, con gli occhi che andavano da
una direzione
all’altra, cercando di intravedere tutti i luoghi che
sarebbero potuti fungere
da nascondiglio in caso di un attacco. Poi Aerith, parlò, e
stavolta non cercò
nemmeno di mascherare il proprio terrore.
“C-cos’è
quello?” chiese, con un tono disgustato che tradiva la sua
paura. Cloud si
voltò ad osservarla e notò che puntava il dito
contro una sagoma a pochi metri
da loro, distesa in modo innaturale sul pavimento.
Fuori
un lampo illuminò il cielo, seguito da un forte scroscio di
pioggia quasi
improvvisa. Un temporale stava abbattendo la sua furia contro Midgar.
Forse,
era stata la brezza che tanto li aveva accompagnati in quei giorni a
portarlo
da loro, lì, in quell’istante.
Gocce
di pioggia bagnarono i vetri della sala, colando lenti verso il basso.
Altri
lampi illuminarono il cielo, squarciandolo.
Nella
penombra della sala, non riuscivano a vedere con esattezza la sagoma
che stava
loro davanti.
“Credi
che possa essere una vittima della sparatoria?” chiese Aerith.
“Probabile”
rispose Cloud avvicinandosi. “Sembra una donna”.
Adesso
era a pochi centimetri dal corpo. Con lentezza, mosse una mano verso
quest’ultimo, ma non ci fu bisogno di toccarlo. Un violento
lampo illuminò la
scena: adesso sembrava che dalle finestre colasse sangue,
anziché normale
acqua, talmente era macabra la scena.
“E’
Scarlet!” esclamò Cloud, dimenticatosi ormai di
mantenere basso il tono della
voce.
“Che
cosa?” esclamò Aerith, eppure non
c’erano dubbi: anche lei aveva riconosciuto
la fiera figura della donna, i suoi capelli dorati ed i suoi occhi, di
solito
così azzurri ma adesso vuoti ed inespressivi.
Cloud
le tastò il polso. Nessun battito. Ancora non convinto, mise
due dita sulla
giugulare, alla ricerca della benché minima traccia di vita
nel suo corpo. Poi
si convinse che non c’era più nulla da fare.
“E’
morta” sussurrò.
“Che
cosa?! Non è possibile!”
Cloud
non le rispose. Aveva notato qualcosa di molto importante stretto tra
le mani
della donna esanime. “Guarda lì, è
probabile che quella sia l’arma dalla quale
sono esplosi i colpi!”
“Dici
che si è trattato di suicidio?” chiese Aerith,
continuando a guardare il corpo.
“Non
vedo sangue… deve aver sparato contro qualcuno. Ricordi per
caso se l’hai vista
discutere con un invitato, oggi?” chiese Cloud, cercando di
ricostruire come
fosse andata la vicenda. C’era qualcosa che non
quadrava… com’era morta? E
soprattutto, perché aveva deciso di compiere quel folle
gesto ai danni di
qualche malcapitato? Non riusciva a spiegarselo.
Scarlet
era una strana donna, questo lo sapeva. Ambiziosa, severa, piena di
fascino e
capace di incantare tutti con le sue parole; molti le erano nemici. Era
stato
uno di questi nemici il responsabile della sua morte? E lei gli aveva
sparato
contro prima di
morire? Sembrava una
storia troppo strana per risultare reale.
“Beh,
da quel che ne so Scarlet non era propriamente amichevole con
tutti…” disse
Aerith, pensando “Poi oggi non l’ho proprio vista
litigare con nessuno, da quel
che so ha parlato solo con…” si fermò
di colpo “con Zack”.
“Che
cosa?” domandò Cloud, sconvolto. Scarlet aveva
parlato con Zack…
Zack
Fair, eminente membro della ShinRa, aveva discusso con lei riguardo
qualcosa.
Qualcosa che doveva averla sconvolta, a quanto pare.
“Dobbiamo
trovare Zack, subito. Dobbiamo assicurarci che stia bene!”
disse Cloud.
Accanto
a lui, Aerith assentì e cominciò la ricerca.
Tifa
Lockheart corse a perdifiato per i vasti prati antistanti alla tenuta
di
Scarlet. Era entrata dal cancello posteriore, di soppiatto, ed adesso
correva a
perdifiato verso la sala dove si teneva il party, per cercare di
avvertire
Scarlet del pericolo che stava per correre. Tuttavia, per quanto stesse
correndo veloce, sapeva già che non sarebbe servito a nulla,
e che tutto era
già perduto.
Aveva
visto le volanti della polizia al cancello principale della tenuta, da
cui
scendevano alcuni poliziotti preoccupati; aveva visto la gente che si
riversava
fuori dalla villa, spaventata da ciò che stava accadendo
all’interno di essa; e
subito aveva capito che non c’era più nulla da
fare, purtroppo.
Ma
aveva continuato a correre, aveva continuato la sua folle e inutile
corsa verso
la verità. Dio solo sapeva quanto in quel momento stava
odiando Zack Fair; non
le aveva detto nulla sulle sue reali intenzioni, le aveva fatto credere
di
essere solo alla ricerca di informazioni! Ma in quel
momento… se l’avesse avuto
davanti, avrebbe anche potuto ucciderlo.
La
pioggia fendeva il suo volto, i lampi illuminavano la sua via, il vento
la
spingeva verso il suo obiettivo.
Quando
arrivò alla tenuta, si nascose vicino ad una della alte
vetrate e guardò la
scena.
Aerith
Gainsborough, la moglie di Zack, ed il suo amico Cloud Strife, che
conosceva di
vista, stavano cercando qualcosa. Entrambi erano parecchio scossi,
scuri in
volto, immersi in una disperata ricerca.
Li
osservò per un po’, cercando di carpire una
qualunque informazione dai loro
gesti, qualunque cosa che la potesse aiutare a capire che fine avesse
fatto
Scarlet. Loro sapevano cos’era successo?
Se
restava così nascosta non l’avrebbe mai scoperto.
Ma
mentre valutava l’idea di mostrarsi, un urlo di dolore la
distolse dai suoi
pensieri.
Aerith
Gainsborough era scoppiata in lacrime. Nel lato all’estremo
ovest della sala,
lei e Cloud Strife erano accanto al corpo di Zack Fair, steso in una
pozza di
sangue scarlatto.
Tifa
osservò per bene la scena. Non sapeva dire se Fair fosse
morto o meno, ma al
momento ciò non gli interessava. L’importante
è che stesse pagando per ciò che
aveva fatto a Scarlet. Si meritava tutti i mali del mondo, per il
diabolico
piano che aveva architettato.
Represse
una lacrima, fuoriuscita al pensiero della dipartita
dell’amica, e si concentrò
sulle parole che una volta le aveva pronunciato Scarlet sui loro piani
futuri.
Anche
se il suo capo era morto, infatti, Tifa non aveva ancora terminato la
sua
missione. Sapeva di dover fermare in ogni modo possibile gli
esperimenti della
ShinRa, ed aveva intenzione di trovare nuovi validi alleati che
sostenessero la
sua causa.
*la
frase “Timeo Danaos et dona ferentes” significa
“Temo i Greci (Danai) anche
quando portano doni”, ed è una citazione del
2° libro dell’Eneide. Insegna a
non fidarsi dei nemici nemmeno quando essi mostrano buone intenzioni!
Et
voilà, ecco qui un altro capitolo, il continuo del
precedente! A mio parere
questo capitolo non è un granché, ma lascio
comunque il giudizio a voi! Povera
Scarlet, a quanto pare dovremo dirle addio per sempre da questo fan
fic,
purtroppo! E in quanto a Zack, invece? Sopravviverà? Per
capirlo vi invito a
rileggere il prologo, dove ci sono molti indizi sui futuri capitoli!
Chissà che
non riusciate a capire qualcosa di importante nell’economia
della trama… XD
Veniamo
adesso al ringraziamento per coloro che hanno recensito:
Bankotsu:
Ma
grazie davvero per tutti i complimenti! In effetti è vero,
lo scorso capitolo
era abbastanza carino, invece questo non mi convince per
niente… tu ne hai
avuto già un assaggio, quindi mi raccomando dimmi cosa ne
pensi!
Lirith:
Beh,
Zack non ha ucciso Scarlet con una pistola nei pantaloni, mi dispiace,
però ha
dimostrato ugualmente una gran dose di cattiveria! Secondo te muore
adesso?
Boh, comunque grazie ancora per i complimenti anche a te e spero che
questo
capitolo ti sia piaciuto!
Ringrazio
inoltre anche i lettori e spero che anche a loro il capitolo piaccia! ^^
PS: Non so quando
aggiornerò perché al momento
sto preparando una fan fiction per un contest… spero di fare
presto! ^^
Ciaooo!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Intermezzo narrativo ***
Questo
capitolo è una sorta di parentesi rispetto alla trama
principale del flashback.
Si ritorna alle vicende successive al prologo! Spero possiate capire
qualcosa
di nuovo (anche se penso sia difficile, in mezzo a tutto il caos che
troverete
nelle prossime righe)!
Intermezzo
narrativo
24
Novembre 2009, 17:27
“Perché
sei
ancora qui?”
“Io
sono sempre
qui… sei tu che non mi vedi!”
“Sei
così
piccola…”
“Lo
eri anche
tu, proprio come me!”
“Io
non sono una
bambina… non più…”
“Il
tempo passa,
è vero!”
“Sì…
Ma cosa fai
qui? Fa freddo!”
“E’
Natale?”
“Manca
ancora un
mese per Natale, mi dispiace”
“Dove
vivo io è
sempre Natale!”
“Che
cos’è il
Natale per te?”
“La
neve, che
domande!”
“…”
“Cosa
c’è?”
“Nulla,
io…”
“Perché
hai ucciso
quel signore?”
“C-che
cosa?”
“Quello
lì in
mezzo alle tombe! Ti faceva i dispetti?”
“Io…”
“Lo
conoscevamo,
vero?”
“Sì…
molto bene…”
“E
Zack che
c’entra?”
“Niente…”
“Sai
che è
proprio uno stupido? Mi ruba le merendine!”
“Zack?”
“Sì,
e poi mi
dice le bugie. Sempre!”
“Anche
a me.”
“Gli
sbruffoni
non cambiano mai!”
“Se
lo
meritava?”
“Perché
non me
lo dici tu?”
“Io…
credo… Devo
andare a casa… in fretta!”
“Puoi
giurarci
che McRonis fa la spia, sei nei guai!”
Voci
risuonavano nella sua testa. La nebbia davanti a sé celava i
lineamenti di una fragile figura che non esisteva, modellata dal suo
senso di
colpa, quasi evanescente e che con ogni probabilità in quel
momento non era lì.
Aveva
smesso di piovere qualche minuto prima. Il vento gridava, era la
voce dei suoi sentimenti che si faceva strada nell’etere. Si
strinse nel
cappotto nero con forza, marciando verso il suo obiettivo.
Le
sue mani erano sporche di sangue. Riusciva quasi a sentirne
l’odore.
Chiuse gli occhi, quasi a sperare che gli ultimi giorni della sua vita
venissero cancellati solo con quel gesto. Non era certa di sentirsi
bene. E due
omicidi nell’arco di una settimana non le avevano giovato per
niente, ne era
certa. E le sue mani, le sue luride e sporche mani! Erano
lì, impresse nelle
sue pupille, e non se ne sarebbero andate, non l’avrebbero
lasciata in pace,
riposare, prendere fiato dopo un’orrenda giornata come
quella. No, sarebbero
rimaste, a giudicarla, ed anche il suo cappotto irrimediabilmente
screziato di
rosso, anche lui l’avrebbe silenziosamente accusata, e
avrebbe fatto in modo
che arrivassero a lei!
Sapeva
di non aver prestato attenzione a parecchi particolari. Sapeva
che sarebbe stata l’indiziata numero uno, adesso che Cloud e
Tifa erano morti.
Sapeva anche che la sua partenza sarebbe sembrata strana, e che avrebbe
decretato la sua colpevolezza in maniera schiacciante. In
verità, nel momento
in cui la Polizia si sarebbe occupata del nuovo sviluppo del caso,
sarebbero
uscite due teorie parecchio differenti tra loro: la prima, quella
esatta,
l’avrebbe incolpata come carnefice della scia
d’omicidi che perpetuava ormai
dagli inizi di Novembre; la fuga sospetta, la sparizione improvvisa
della
pistola del marito, il proiettile all’interno del cadavere di
Cloud... tutto
avrebbe portato verso una sola persona: lei, Aerith Gainsborough. Al
contrario,
l’altra teoria l’avrebbe vista come
l’ultima vittima di un non identificato
killer; d’altronde, anche il corpo di Tifa Lockheart non era
mai stato
ritrovato. Avrebbero potuto pensare che anche a lei fosse toccato lo
stesso
destino; e in questo caso, sarebbe stato un ottimo vantaggio, le
avrebbe
permesso di allontanarsi e di riflettere con calma, analizzando i
documenti di
Zack sulla ShinRa Electronic Power Company.
Si
tolse il cappotto, nonostante il freddo di quella giornata priva di
sole. Non poteva rischiare che qualcuno la vedesse coperta di sangue da
capo a
piedi. Lo arrotolò e se lo mise sottobraccio, maledicendosi
per non aver
portato uno specchietto in borsa per controllare se anche il viso fosse
macchiato.
All’angolo
della strada comparve una figura, avvolta dalla nebbia;
sembrava essere un ragazzino non molto alto, ma invece, quando si fu
avvicinato, notò che era un vecchio, che sembrava quasi
muoversi a tentoni tra
la fitta nebbia, incapace di vedere a un palmo dal proprio naso. Quando
la vide
per la sua strada sembrò quasi trasalire, come se non
l’avesse notata se non
all’ultimo istante; le lanciò
un’occhiata inquisitoria, di quelle che gli
anziani scoccano con disapprovazione a chiunque non abbia ancora
raggiunto la
loro veneranda età, e proseguì per la sua strada,
ignorandola e dimenticandosi di
lei.
Sospirò,
continuando la sua avanzata, lasciando che la mente elaborasse
piani che si rivelavano continuamente pieni di falle. Stranamente, la
consapevolezza di pochi minuti prima dell’aver spezzato una
vita era sparita
lasciando posto al vuoto totale. Non sentiva nulla. Camminava quasi per
attrito, la mente altrove, lo sguardo vacuo, lasciandosi scivolare il
senso di
colpa addosso come se ne fosse impermeabile. Sentiva freddo, si strinse
in quei
vestiti troppo leggeri per una giornata così fredda e tenne
con mano ferma il
cappotto sottobraccio.
Svoltò
un incrocio, camminando a fianco degli edifici gotici della
città. Adesso si sentiva oppressa, quasi schiacciata dal
peso opprimente della
scia di sangue sulle sue mani, e le sembrò impossibile che
appena pochi secondi
fosse stata tranquilla, insensibile a ciò che aveva fatto.
Si vedeva riflessa
negli occhi di coloro che incrociava per strada, riusciva a vedere la
sua
espressione sconvolta e le sue occhiaie profonde, testimoni delle sue
numerose
notti insonni passate alla finestra, verso quel cielo che tante volte
aveva
immaginato da bambina, quando ancora viveva nella Icicle Area. Ed ogni
volto
che vedeva, per un folle attimo, era quello di Tifa, o quello di Cloud,
che la
guardavano severi, l’espressione carica di determinazione e
risentimento nei
suoi confronti. E li guardava con le lacrime agli occhi, pronta ad
invocare
perdono - o forse sperando di essere perdonata spontaneamente
– finché non
notava che i loro volti non erano i loro volti, e
che loro non erano loro.
Sentiva di stare impazzendo.
“Avranno
già
scoperto il corpo?”
“Ti
prego, stai
zitta!”
“Va
bene, volevo
solo…”
“Lasciami
in pace!” urlò Aerith, voltandosi e afferrando
l’aria dietro
di sé. La bambina era sparita, con lo stesso silenzio con
cui la neve si adagiava
sulle colline in Inverno, e si ritrovò a stringere il gelo
tra le sue mani
macchiate di rosso. Eppure era lì, era sempre stata
lì…
“Signora
Gainsborough?”
La
donna si voltò, lentamente, verso la voce che
l’aveva interpellata. Strinse
gli occhi, scorgendo un uomo dai capelli neri dall’altra
parte della strada,
avvolto in una giacca nera. Era così familiare…
“Zack”
la sua voce era così flebile che per un momento le parve di
non
aver proferito parola.
No,
non era lui. I lineamenti dell’uomo che si avvicinava erano
più
marcati, ed una smorfia seria e a tratti inquietante gli attraversava
il volto.
La osservava, con i suoi occhi inquisitori, come se le leggesse in viso
quello
che aveva fatto. Sì, lui sapeva! Doveva andarsene, prima che
la raggiungesse,
cominciare a correre, scappare, subito...
Ma
non si mosse. Lo riconobbe, abbinò un nome al suo volto, e
rimase
paralizzata dal terrore. I suoi occhi scattarono automaticamente verso
le mani
che, ne era certa, sarebbero state la sua rovina. Si ripeté
di stare calma, ma
era impossibile, ed era sicura che ormai tutto sarebbe finito
lì…
“Buonasera”
la salutò l’uomo, la mano protesa.
“Salve,
Detective Valentine” rispose Aerith, con voce ferma.
Sì, poteva
farcela. Doveva solamente mantenere la calma...
“La
prego, mi chiami Vincent” fu la risposta dell’uomo,
cercando di
stringerle la mano.
Aerith,
con le braccia strette al petto, non si mosse, terrorizzata
all’idea di essere scoperta. L’uomo ritrasse la
mano, senza minimamente
scomporsi. “Non ho ancora avuto l’occasione di
poterle esprimere le mie
condoglianze. Zack Fair era un cittadino per bene, stimato
da…”
“Non
era lei che voleva accusarlo a tutti costi dell’omicidio di
Scarlet Krauger?” lo interruppe Scarlet, accigliata.
“Sì,
ma…”
“E
non era lei che ha continuato a tormentarlo con la storia della
festa, anche quando fu catturato il vero responsabile?”
continuò lei,
imperterrita.
“Non
potevamo essere sicuri che lui non fosse implicat…”
“Risponda
con un sì o con un no, Vincent”
L’uomo
abbassò lo sguardo, mentre fremeva di rabbia.
“Sì, ero io, ma…”
Un
sorriso sardonico attraverso il volto della donna. “Suppongo
che
adesso sia soddisfatto, non è così?”
Vincent
Valentine sospirò, prima di rispondere. “Che lei
ci creda o no,
non provo nessuna gioia perversa all’idea che Zack Fair sia
morto!”
“Beh,
senz’altro ciò dovrebbe renderlo automaticamente
innocente! Non
potrebbe essere stato vittima dello stesso assassino di Scarlet
Krauger?”
domandò Aerith. Si disse che stava andando tutto bene, e che
la parte della
vedova affranta le calzava a pennello. Quell’idiota di
Valentine stava
abboccando come un pesce, e probabilmente quando avrebbe cominciato a
sospettare di lei sarebbe stato ormai troppo tardi.
“Ne
dubito” rispose lui, prontamente, come se si fosse aspettato
quella
domanda. “Il modus operandi è troppo differente.
La fine di Scarlet era stata
ben studiata in ogni suo aspetto, e l’assassino aveva usato
il veleno per non
sporcarsi le mani. Il signor Fair e la signorina Lockheart invece...
beh, come
già sa, è una morte del tutto differente.
Addirittura, non siamo nemmeno
riusciti a trovare il cadavere di Lockheart…”
“Non
potrebbe solamente aver cambiato metodo?”
“Solo
se si fosse improvvisamente instupidito. No, sono quasi certo che
siano due persone differenti” concluse Vincent, non lasciando
trapelare
emozioni né dallo sguardo né dalla
tonalità piatta della voce. Aerith si chiese
per quale motivo le stesse dicendo così tanto.
“E
in quanto al movente?” chiese, fingendosi interessata.
“Neanche i
moventi potrebbero in qualche modo essere collegati?”
“Ottima
domanda” affermò l’uomo, in tono
professionale. “Siamo sicuri
che la ShinRa Electronic Power Company sia la causa scatenante di
questa serie
di omicidi. Tuttavia, non abbiamo molte informazioni al suo riguardo,
nessuno
sembra saperne nulla… “ fece una pausa di alcuni
secondi, osservando un punto
fisso nella nebbia di fronte a sé. “Suppongo anche
lei sappia quanto gli altri”
commentò, aspettandosi già una risposta che non
tardò ad arrivare.
“Infatti,
non so nulla di questa… ShinRa…”
rispose Aerith, fredda.
“Non
ne dubitavo” affermò l’altro,
lanciandole un’occhiata fiduciosa. Per
un attimo fu il silenzio. “Mi dispiace davvero per suo
marito, mi creda”.
“Lo
so…” si ritrovò a rispondere, con un
sorriso forzato sul volto e
con la fretta di voler chiudere quella pericolosa conversazione.
“Mi dispiace
di averla aggredita in questo modo, Vincent, è solo
che…”
“Non
si preoccupi, davvero!” la interruppe l’uomo,
risoluto. “La
capisco. Le giuro che farò il possibile per trovare
l’assassino del signor
Fair. Chiunque sia stato, non vedrà ancora a lungo la luce
del sole.”
“Grazie”
sussurrò Aerith, con un senso di colpa crescente persino nei
confronti di quell’uomo. Non ci sarebbe stato alcun bisogno
di fare numerose
ricerche per trovare l’assassino, lo sapeva, ma sorrise di
gratitudine
all’uomo, ingannatrice, lieta di non aver fatto trapelare
nulla durante l’arco
della conversazione.
“Spero
di rivederla presto. Stia bene!” sussurrò
l’uomo, ed Aerith
seppe di potersi allontanare, e che l’incontro era finito.
Stava per sospirare
di sollievo, cominciando a muoversi verso casa, quando
calpestò accidentalmente
uno dei lembi del cappotto, che le scivolò dalle mani.
Nel
breve secondo che il cappotto impiegò prima di toccare il
suolo
umido di Midgar, Aerith Gainsborough pensò che era la fine.
Vincent Valentine
si chinò per raccoglierlo, e, quando lo prese in mano, si
fermò un momento,
osservandolo con attenzione. La donna chiuse gli occhi, cercando di
elaborare
un qualunque piano per svicolare da quella situazione, ma si accorse di
essere con
le spalle al muro…
“Bel
cappotto!”
Aerith,
aprì gli occhi, incredula. Incrociò lo sguardo
serio del
detective che le stava davanti, e poi tese una mano verso il soprabito
che le
stava porgendo.
“Gr-grazie”
sussurrò, con lo stesso sorriso di gratitudine di poco
prima, voltandosi. Sospirò di sollievo, sotto la pioggia
leggera che da qualche
minuto sfiorava Midgar, quasi evanescente al contatto con
l’asfalto. Certo, il
detective, alla notizia della morte di Cloud Strife, non avrebbe
impiegato
molto tempo a ricordare di averla incontrata in quella strada, e di
conseguenza
ad incriminarla, ma quello era un problema secondario. Ci avrebbe
pensato in
seguito, aveva ancora un paio di ore per poter elaborare una
strategia...
“C’è
del rosso nella pozzanghera…”
La
frase parve amplificata dal silenzio della quieta strada. Aerith si
sentì gelare.
“C-come?”
biascicò, voltandosi nuovamente verso l’agente,
che era chino
sul punto dove qualche secondo prima era scivolato il cappotto.
Vincent
Valentine non le rispose, toccando con la punta delle dita la
pozzanghera porpora. “Sembrerebbe…”
“No!”
“…sangue”
finì l’agente, osservandola meravigliato.
Aerith
sentì qualcosa scattare dentro di lei. Doveva fuggire, e
alla svelta,
seminare le sue tracce. Ma quell’uomo l’aveva
scoperta, non poteva
semplicemente scappare! Non sarebbe potuta tornare a casa, non avrebbe
potuto
recuperare i documenti di Zack, tutto sarebbe andato perduto. No, non
poteva
finire così…
Ancora
una volta, si sentì addosso lo sguardo dell’uomo.
Voleva
muoversi, ma era in trappola, senza possibilità alcuna di
potersi difendere. Le
gambe non rispondevano alla sua richiesta di voler fuggire, il terrore
l’aveva
paralizzata. Le sue mani si strinsero al soprabito, nervosamente, quasi
a voler
cercare una scappatoia tra le pieghe macchiate di sangue.
E
la trovarono.
La
soluzione del problema si era presentata quasi spontaneamente.
Non
aveva altra scelta. Non poteva permettere che qualcosa la
intralciasse quando si era spinta così avanti nella ricerca
della verità. Non
ora che aveva la chiave per risolvere tutta la storia.
Sospirò
stancamente, mentre pensava che la scia di sangue che negli
ultimi tempi aveva avvolto Midgar non si sarebbe ancora fermata.
Ancora
una volta, per causa sua.
24
Novembre 2009, 18:49
Si
trascinò stancamente fuori dal capanno degli attrezzi della
sua
casa, con un espressione risoluta in volto. Non era stato difficile
trovare i guanti
da giardinaggio di Zack. Con quelli, non avrebbe lasciato nessuna
traccia. Non
poteva rischiare di lavarsi le mani grondanti di sangue nel lavabo che
sarebbe
stato successivamente analizzato dalla scientifica, sarebbe stato
troppo
rischioso.
Il
buio aveva ormai avvolto Midgar, e la notte senza stelle era giunta.
Le nuvole, illuminate dai lampioni, apparivano cupe preannunciatrici di
sventure. Si disse ancora una volta che sarebbe andato tutto bene, e
che stava
facendo solo il necessario, quello che chiunque, nella sua stessa
situazione,
avrebbe fatto. Ma la verità non era questa.
Quello
che chiunque avrebbe fatto, in quella situazione, sarebbe stato
non uccidere Cloud Strife con un colpo di pistola in un freddo
cimitero, né
sparare a Vincent Valentine nell’oscurità di un
vicolo dove lui aveva cercato
di fermarla dopo un lungo inseguimento.
Quello
che chiunque avrebbe fatto, lo sapeva, era tutto il contrario.
Dannazione,
era diventata matta?! Da quando l’omicidio era diventato il
modo più semplice per liberarsi dei suoi problemi?
Com’era
potuto accadere?
Come
aveva potuto lasciare che accadesse?
Ancora
una volta, si lasciò andare ad un sospiro che si
condensò in
vapore prima di perdersi nella fredda aria ormai invernale della Midgar
notturna. Si fece forza e, lentamente ma con decisione, fece scivolare
la
chiave all’interno della serratura, aprendo la porta e
richiudendosi la porta
alle spalle. Si mosse a tentoni nell’oscurità
crescente della casa, alla
ricerca dell’armadio per le emergenze. Controllò
ancora una volta che i guanti
coprissero interamente le mani e che il sangue sul suo soprabito fosse
ormai
secco, poi aprì l’armadietto e prese una delle
torce elettriche poste su un
ripiano in basso. Ne prese una e la accese, chiudendo l’anta
senza fare rumore.
Oltrepassò
l’atrio ed entrò in salotto. Lunghe ombre si
proiettarono
sulla parete quando illuminò la stanza con la torcia. Tutto
tranquillo. Mosse
qualche passo, verso la camera nella quale solamente in rare occasioni
si era
avventurata ad entrare. La porta era aperta, così come
l’aveva lasciata il
detective Valentine, quando aveva cercato prove
sull’implicazione della ShinRa
nell’omicidio di Zack Fair. Titubante, entrò.
La
prima cosa che notò fu il disordine. Valentine non si era
nemmeno
preso la briga di riordinare, dopo aver setacciato la camera in cerca
di
indizi. Si avvicinò alla scrivania, piena di moduli e
documenti di poca
importanza. Sperò che quell’idiota non avesse
preso nulla di interessante, e di
trovare ancora ciò che cercava.
Controllò
nei cassetti e nella libreria alle pareti, con attenzione,
mentre i minuti volavano via uno dopo l’altro.
Non
trovò nulla. D’altronde Zack non era stupido, e
sapeva che, se gli
fosse successo qualcosa, i documenti non sarebbero dovuti essere alla
portata
di tutti. Erano lì, davanti ai suoi occhi, ne era sicura,
eppure non riusciva a
vederli. E il tempo passava. E qualcuno forse aveva già
scoperto il cadavere di
Cloud nell’oscurità del cimitero attorniato dai
salici, o si era imbattuto nel
corpo senza vita di Vincent Valentine…
No,
non poteva restare ancora per molto in quella casa che di lì
e a
poco sarebbe stata messa a soqquadro dalla polizia e dalla Crescent:
doveva
trovare quei documenti, e in fretta…
D’un
tratto, un’idea quasi banale le sfiorò la mente.
La allontanò,
cercando di rimuovere tutti i pensieri che potessero disturbare la sua
ricerca;
eppure più tempo passava, più la teoria che stava
elaborando trovava maggiori
consensi tra le mille informazioni che le ronzavano in testa; e quando
alzò lo
sguardo dopo aver ricontrollato i documenti per la terza volta, si
costrinse a
prenderla in considerazione.
Chiuse
i cassetti della scrivania che aveva aperto e uscì dallo
studio,
gettandogli un’occhiata distratta per controllare che fosse
ancora in ordine.
Attraversò il salotto illuminato dai raggi della luna ormai
alta in cielo. Si
fermò davanti al sottoscala di legno e aprì il
pannello che conduceva al
seminterrato. In verità, erano anni che non lo utilizzavano,
se non come
ripostiglio, eppure aveva visto Zack entrare molte volte lì
dentro, negli
ultimi mesi.
La
scala di legno scricchiolò sotto il suo peso. Si tenne alla
balaustra, stando attenta a non scivolare, e tenne indirizzata la
torcia verso
la stanza. Nient’altro che un ammasso di scatoloni posti uno
sopra l’altro,
come l’ultima volta in cui vi era stata.
All’apparenza, sembrava tutto come
sempre. Si fece largo tra due file di scatoli che formavano un
corridoio in mezzo
al caos. Scavalcò uno scatolone urtandolo leggermente con
una gamba, poi
riprese il sentiero che si interruppe bruscamente in uno degli angoli
della
casa.
Si
chinò e aprì lo scatolone all’angolo:
non ricordava di averlo messo
lì. Era pieno di vecchie cianfrusaglie, eppure qualcosa
attirò la sua attenzione.
Frugò ancora un po’, in fondo, fino a trovare una
cartella colma di documenti
cartacei. Trepidante, voltò la prima pagina.
ShinRa
Electronic Power Company.
Sorrise
tra sé. Li aveva. Probabilmente Zack li aveva messi
provvisoriamente
lì, in attesa di trovare un nascondiglio più
sicuro del suo ufficio, ma non
aveva avuto il tempo. Si alzò e scavalcò ancora
una volta gli scatoloni, verso
l’uscita. Una volta tornata al pian terreno, gettò
una rapida occhiata all’orologio
sulla parete.
Presto
le sarebbero stati addosso. Doveva trovare un modo per guadagnare
tempo, e alla svelta. Ma come avrebbe fatto?
La
risposta venne presto alla sua vista, ed ancora una volta seppe che
era l’idea vincente. La Crescent, almeno inizialmente,
sarebbe stata ingannata.
Dopotutto, avrebbe potuto collegare ciò che avrebbe visto
tra quelle quattro
mura con il caso Lockheart. Anzi, sarebbe stata la cosa più
logica da pensare.
Oltretutto, avrebbe lasciato delle tracce che rendessero le sue azioni
imputabili all’assassino di Cloud e del detective Valentine.
Si
concentrò attentamente, mentre muoveva dei passi verso la
cucina.
Aprì un cassetto da cui prese un affilato coltello. Chiuse
gli occhi,
respirando determinazione.
Avrebbe
fatto quel che sarebbe stato necessario, ancora una volta.
Argh,
non aggiorno da almeno tre mesi! Non uccidetemi, vi prego, sono
stato moooolto impegnato e oltretutto ho anche un’altra long
fiction all’attivo
xD
Bene,
so che siete confusi e che non abbiate idea di cosa stia
succedendo, ma praticamente in questo capitolo è celata
mezza storia, e, se
letto attentamente, potete capire molto sul flashback che
riprenderà dal
prossimo capitolo in poi! In particolare, ho svelato il destino di
numerosi
personaggi, ed anche qualcosa in più sul ruolo di Aerith
nella vicenda.
Non
sono molto soddisfatto da come ho scritto questo capitolo…
probabilmente è il più brutto finora, ma in
questo periodo non riesco a fare di
meglio, mi dispiace…
Suppongo
che abbiate capito chi siano Vincent Valentine e
la Crescent
xD Beh, se non l’avete ancora fatto, sappiate che
entrambi i personaggi
verranno approfonditi dal prossimo capitolo in poi... spero di non
metterci un’eternità
(anche se in realtà è molto probabile!)
Veniamo
ai ringraziamenti per le recensioni:
Bankotsu:
Grazie
tante per i complimenti, spero tu non venga deluso da questo
capitolo! E’ vero, lo scorso capitolo è
concentrato su come l’idea del bene e
del male possa variare da personaggio in personaggio (ma del resto,
tutta la
storia è concentrata su questo particolare aspetto). La
scena, pur essendo
molto Cloud/Aerith, credo sia in qualche modo fuorviante xD
però non dico
altro, mantengo il mistero attorno alla fic xD E in quanto alla scena
dal punto
di vista di Tifa, capirai presto il perché io
l’abbia inserita... Rinnovo le
speranze che anche questo capitolo ti sia piaciuto e che, in qualche
modo, ti
abbia fornito la risposta per qualcosa ma moltiplicato le domande per
altri aspetti
xD Alla prossima!
Lirith:
Ma
come si possono scrivere tali cattiverie su Scarlet? E’
così tanto
una brava persona T___T! Comunque, per sapere se Zack muore davvero
adesso o
no, ti consiglio di controllare la data del prologo (o di questo
intermezzo
narrativo) e confrontarla con quella degli altri capitoli
già pubblicati! Ma
povera Tifa, è solamente arrabbiata con Zack per aver
sterminato la sua
migliore amica, che c’è di male? xD E poi su
questo punto puoi stare tranquilla,
a quanto pare Tifa ha già avuto quello che si spettava!
Alla
prossima!
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