Poison Evie

di kannuki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Danger! ***
Capitolo 2: *** Avvoltoio! ***
Capitolo 3: *** Simpatico come la SARS! ***
Capitolo 4: *** Toh... ***
Capitolo 5: *** Coma pruritico e trapasso all'aldilà ***
Capitolo 6: *** Tipo il Guttalax, ma più estremo ***
Capitolo 7: *** L'orgoglio dei manicomi! ***



Capitolo 1
*** Danger! ***


Eva è dolce, carina e gentile d’animo: una pazza scatenata che fa tremare gli amici con le sue continue trovate semi suicide

“Non mi chiamano Poison Evie per niente!” esclamò la ragazza sollevando con un sorriso la sua magica ampollina con dentro un concentrato tossico capace di stendere una mandria di bufali impazziti.

“Elleboro nero, vegetale comune. Tempo di conservazione, un mese. Se ingerito provoca pazzia per 5-20 giorni con delirio, manie di persecuzione, cambiamenti d’umore e confusione mentale.

 

“Te lo stai inventando”

La bella ragazza con la lunga treccia nera che dondolava sulla schiena, si appoggiò al bancone di lavoro e  squadrò la sua collega con un sorriso fra l’ironico e il divertito.

Eva la guardò con una luce interna di derisione che balenava dagli occhi scuri e perennemente in movimento, indice di un temperamento frenetico e caciarone, e scoppiò a ridere mostrando le fossette che Martina trovava semplicemente deliziose su di lei. Le davano un’aria simpatica e amichevole, come tutto il resto della sua persona.

Infatti! Quello l’ho usato ieri sera per stendere il Drago di Fiamme a D&D” spiegò posando la provetta con la soluzione azotata che stava preparando.

 

“Diosanto, hai 26 anni e giochi ancora a quella roba?!”

Eva annuì con aria decisa e ridacchiò un’altra volta “sono la più giovane chimica del laboratorio, posso fare tutto quello che voglio e ricorda…ho in mano le vostre vite!” sghignazzò alzando le braccia a mo di Dracula e mostrando i canini che tutto erano eccetto che lunghi e fece una smorfia strappando un nuovo sorriso all’amica.

Martina la guardò scuotendo la testa per la sua stupidità innata che non sarebbe guarita neanche fra cento anni e si raddrizzò, toccandosi la schiena sopra il camice bianco, immacolato e stirato rispetto a quello dell’amica che aveva bisogno al più presto di una sterilizzata e di uno smacchiatore.

 

E c’è di peggio! Stasera Joan, Steffy e Paulina vengono da me per una bella partitona a Risiko!” affermò aprendo un nuovo pacco sterile di guanti monouso taglia 7. Aspirò l’aria fra i denti producendo un sibilo che Martina conosceva molto bene: fomentazione personale in vista!

 

“Conquistare il mondo! Ah!! Il mio gioco preferito!” esclamò la ragazza alzando il pugno sinistro dopo aver fatto schioccare il guanto di lattice attorno al polso non troppo sottile.

 

“Fomentata e pazza! Che ti hanno dato da piccola per ridurti così?” le domandò sorridendo e guardandola trafficare fra becchi bunsen e spettrofotometri di massa.

 

Lei alzò le spalle, riempì le cuvette di quarzo che erano costate una fortuna al laboratorio e le inserì nell’apparecchio tarandolo prima con ilbianco’

 

Martina la osservava con i capelli ritti sulla nuca perché quello che stava conducendo era un’analisi piuttosto importante. Eva trattava quella soluzione con la stessa cautela che avrebbe dimostrato nel pulire la cuccia del cane, se ne avesse avuto uno, prendeva appunti su pezzetti di carta che sarebbero andati persi e si muoveva come un bisonte fra i banconi da lavoro che dovevano essere lasciati liberi e puliti…soprattutto sterilizzati!

Almeno evitava di fumare e di mangiare la dentro! Sospirò la ragazza evitando anche di respirare mentre lei gettava il contenuto residuo nei rifiuti chimici appositi, i grossi ROT gialli sistemati sotto il bancone.

Eva annotò i dati che lo spettrofotometro dardeggiava su un post-it che avrebbe fatto impazzire chiunque poiché era pieno di numeri e simboli che la donna non riusciva a riconoscere come linguaggio umano. Era una sua scrittura segreta? Come avrebbe fatto Eva a riconoscerli?

Con discrezione e senza farsi vedere, annotò i dati dello spettrofotometro a sua volta e nascose il foglio compilato dietro la schiena.

Precauzione inutile perché uno dei vantaggi di Eva era una memoria eccezionale: aveva una mente prodigiosa perchè a suo avviso ‘non si era mai dovuta riempire delle scemenze che ti propinano  i maschi fin da piccola.’

 

Eva ha un drammaticissimo rapporto con la razza maschile: il suo non è semplice odio, ma disprezzo profondo e viscerale. Siano essi cani, gatti o canarini, se sono maschi Eva non li considera neanche di striscio.

Martina ricorda con un certo divertimento il giorno in cui ha riportato il criceto al negozio di animali perché ha scoperto che era un ‘lui’!

Non sia mai! Aveva pensato l’amica trattenendo le risa all’espressione allibita del negoziante che guardava la ragazza come se fosse appena scappata da un manicomio criminale.

 

Si conoscevano fin dai tempi della facoltà di Chimica e avevano subito legato.

Non l’aveva mai vista fidanzata e non si era mai interessata ad un loro compagno di corso, neppure a quel tipo belloccio che girava con i jeans di due taglie più grandi e che mostrava i boxer al mondo intero….e quello si che era qualcosa che valeva la pena di guardare alle 9 del mattino!

Martina aveva pensato al classico trauma da relazione naufragata nei peggiori dei modi possibili, che fosse di gusti difficili, che le piacessero gli uomini più anziani di lei…ed era arrivata addirittura a pensare che fosse lesbica!

 

Tante supposizioni per una realtà semplice e concreta: ad Eva non interessavano i ragazzi.

 

Li considera tuttora frivoli e boriosi, pieni di niente e vuoti dentro come palloncini ad aria compressa.

Si reputa più intelligente di loro - e di molte altre persone (appunto personale di Martina che si guardava bene dall’affermarlo in sua presenza) -  e li aveva sempre smontati con due paroline, dolci e velenose al tempo stesso, e metaforici colpi bassi ai reni che partivano delicatamente e arrivavano con la potenza di un martello pneumatico sul povero tapino derelitto che aveva azzardato un’opinione contraria o non richiesta.

Uscire con lei era una vera e propria tragedia; di rimorchiare non se ne parlava - Eva li faceva scappare tutti a gambe levate - ma la ragazza le voleva bene e sopportava le sue digressioni sulla natura maschile con una serenità zen che faceva invidia al Dalai Lama, affinata da anni di paziente sopportazione.

Martina aveva imparato la pazienza frequentando Eva e la ragazza a sua volta aveva imparato a cucirsi la bocca e a non opprimerla con le sue continue affermazioni sulGirl Power’ da proporre al Governo come unica soluzione alla ‘supremazia dello sporco maschio sciovinista!’

 

Eva Dent è una ragazza tranquilla e dolcissima, brava nel suo lavoro, appassionata di piante velenose (da qui Poison Evie, appioppatole da Paulina dopo la visione dell’ultimo Batman) che veste come Shakira e si getta nelle imprese più rischiose a capofitto perché ‘si vive una volta sola’ .

 

Basta solo non mettersi sulla sua strada. Se il Fato vuole che tu sia nato uomo, passa rasente i muri, non farti notare e prega di non farla arrabbiare.

 

In questo preciso momento, qualcuno molto grosso, molto nervoso e molto arrabbiato sta per schiantarsi nella sua vita e calpestarle con forza i piedini (non proprio di fata perché porta il 40).

 

Julian MacHorney - niente scherzi sul cognome, per carità - si è appena alzato di cattivissimo umore. La fidanzata l’hai lasciato dopo tre anni di convivenza portandosi dietro anche i tappenware della bottiglia ma lasciandogli le bollette da pagare, simpaticamente rimembrato con un post - it sul frigo che l’uomo ha accartocciato e gettato con rabbia nel secchio della spazzatura, stracolmo dei resti del solitario take away cinese della sera prima, è stato trasferito in un nuovo laboratorio - un chilometro più lontano da casa - sconvolgendo i suoi normali e monotoni ritmi che a Suzanne hanno sempre dato i nervi e non riesce a trovare la macchietta del caffè perché la mattina era sempre Suzie a farlo e a metterglielo in mano già zuccherato come piaceva a lui.

 

Forse se qualche mattina si fosse alzato per primo e l’avesse accolta con un bel sorriso invece del solito malumore, forse sarebbe ancora lì con lui…e magari riuscirei a bermi un caffè decente e ad essere a quel maledettissimo laboratorio per un orario cristiano! Pensa innervosito sbatacchiando più volte gli sportelli del cucinotto.

Casa sua e non sa neanche dove sta la macchinetta del caffè!!

Calma, respira…

”Dove cazzo è quella maledetta macchinetta?!” urla al nulla tanto per sfogarsi un po’.

 

Inspira, espira, bravo…calma…ti fai la doccia, ti vesti ed te ne vai al bar. Ti prendi un bel caffè, una brioche con la crema come piace a te – sti cavoli della linea – e dopo il mondo ti sembrerà vivibile e quasi piacevole .

 

Ripensa più volte quella frase, autoconvincendosi di farcela ad arrivare in orario e a non dare in escandescenze con i nuovi sottoposti e si dirige verso il bagno pregustando una doccia  rilassante e corroborante. Con calma avrebbe ripensato al colloquio con Suzie e avrebbe cercato di convincerla a tornare con lui.

 

30 minuti dopo…

 

Julian esce di casa sbattendo la porta e dimenticando le chiavi dentro. Lo scaldabagno ha deciso di rompersi e una stringa delle scarpe si è rotta, costringendolo a cambiarsi interamente – perché non puoi mettere scarpe marroni sotto un completo di quel colore! - la macchina è senza benzina perché l’aveva prestata a Suzie che gli aveva promesso di fargli il pieno e il suo bar preferito è chiuso per un lutto improvviso. Nel frattempo ha lasciato la macchina in divieto di sosta e gli hanno fatto la multa e quando arriva  al laboratorio, il posto riservato ai dirigenti è occupato da uno scassone colorato che gli fa venire un ittero istantaneo.

 

“La faccia rimuovere!” ordina al custode di mezza età che lo guarda senza capire chi cavolo sia l’alto papavero che è arrivato a rompere le scatole quella mattina in cui tutto sembrava mettersi per il verso giusto: la bellissima Ellen, una vedova cinquantenne con la risata pronta e il gran cuore che frequenta la sua stessa balera, gli ha dato un appuntamento per la sera stessa, schermendosi come una ragazzina e facendolo sentire 20 anni più giovane.

È arrivato a lavoro fischiettando e stirando la camicia pulita nella divisa, gustando la bellezza della vita…e ora arriva quel rompiscatole con l’aria da padrone del mondo a guastargli la giornata!

Chiama i carro attrezzi con uno sbuffo. Quella ragazza tanto carina che parcheggia lì da un anno non sarà contenta quando uscirà dal lavoro!

 

Julian entra come una fiera affamata e infuriata nel Colosseo, nell’attesa di sbranare i poveri cristiani che gli getteranno nella fossa, si muove a stento fra i corridoi sconosciuti e non ha la più pallida idea su chi si debba rivolgere e dove cavolo sia il suo stramaledettissimo ufficio!!

 

Calma e sangue freddo: Mick sa che dovevo arrivare questa mattina. Basta trovare la segretaria  o quello che è. Sperando che la cretina in questione non si stia facendo le unghie! Ringhia fra i denti avvicinandosi ad una donna che lo sta guardando da un po’ di tempo mentre era fermo nel corridoio.

Mick Johnson,” ordina restando a guardarla innervosito.

La donna sbatte le ciglia placidamente e prende il telefono con una calma irritante “chi devo annunciare?”

Mi sta prendendo per il culo? Pensa sentendo una cadenza ironica sulla parola ‘annunciare’

“Julian MacHorney, il nuovo Responsabile di laboratorio...e non ci faccia battute sopra!” sibila vedendo un angolo della bocca della donna piegarsi all’insù.

 

Quando si allontanò, Samantha, la segretaria, si alzò con un sorriso che le arrivava alle orecchie e una gran voglia di spettegolare. Si diresse velocemente alla macchinetta del caffè contornata dalle altre dipendenti e le guardò una per una. “E’ arrivato il nuovo capo” sogghignò con le mani sui fianchi corpulenti da matrona romana. “Un arrapato che ci darà un sacco di fastidi!”

 

 

Dove corri con quella provetta? Eva!”

“Tranquilla, non mi cadono mai!” le urlò la ragazza scivolando fra i colleghi con la provetta ben chiusa in mano e i risultati nell’altra. Il lungo foglio stampato strusciava sul pavimento e le finiva quasi sotto i piedi rischiando di farla cadere.

Quel risultato erano eccezionali, doveva assolutamente comunicarlo al caporeparto e prendersi il merito della scoperta!

 

Julian uscì dall’ufficio di Johnson, il Direttore del Dipartimento, un po’ meno nervoso di prima e si concesse anche un vago sorriso che rischiarò l’ombra scura e perenne sul suo volto. 

“Piuttosto, ti volevo parlare di una ragazza che lavora qui..” Cominciò l’uomo camminando con le mani dietro la schiena e un’espressione preoccupata.

“Da grane?” Lo interrogò con un lampo negli occhi.

“No, no…è la nostra migliore lavoratrice, ma ha un problema un po’…come dire…” il vecchio lo guardò alzando un sopracciglio “è brava e ne farà di strada ma non andarle mai ad alitare sul collo.  Letteralmente”

Julian si fermò alla fine del corridoio, subito prima dell’immissione nella sala principale dalla quale stava sopraggiungendo una fomentatissima Eva col suo tabulato svolazzante.

“Con me non si batte la fiacca!” esclamò girandosi svoltando l’angolo e venendo investito in pieno da un turbine biondo che strillò spaventata e gli franò addosso pesantemente.

L’urto fu tale che Julian perse l’equilibrio e finì a terra portandosi appresso la malcapitata Eva che stringeva la provetta con forza.

“Ahio ahio ahio…oddio che male!!” piagnucolò scrollando il polso sinistro con al quale aveva ammortizzato lievemente l’urto. “Ma state attenti a dove andate! Ho del materiale radioattivo in mano!” urlò mezza frignante per il dolore al ginocchio che aveva battuto pesantemente.

 

“Ecco…lei è la ragazza che ti dicevo”

 

Eva sentì la voce del vecchio Johnson, uno dei pochi uomini che riusciva a sopportare perché era abbastanza vecchio da essere suo nonno e aveva un bel sorriso paterno che la rincuorava quando era nervosa e lo fissò con un broncio da bimba che si è appena scorticata il ginocchio cadendo dalla bicicletta.

Poi spostò lo sguardo sulla cosa morbida e a tratti dura sulla quale era sdraiata sentendo tutti i pori della pelle che si restringevano immediatamente e il cervello che suonava l’allarme atomico: Uomo! Portatore di cromosoma Y:  Pericolo! Pericolo!

Inghiottì e fissò il tipo visibilmente arrabbiato che sembrava sul punto di divorarla e strinse gli occhi con aria pericolosa.

“Eva. Ti presento il nuovo responsabile, nonché capo in direttissima Julian MacHorney” ridacchiò il vecchio aspettando la reazione di uno dei due.

 

La ragazza lo guardò trattenendo il fiato e tappandosi metaforicamente il naso a quell’odore di...maschio! Pensò disgustata. Si spostò appena cercando di non toccarlo.

Julian la fissò, scrutando quello che teneva in mano e alzando un dito verso la provetta “contro tutte le norme di sicurezza! Quello è radioattivo?” domandò alla ragazza che era sempre più nervosa “no, non è radioattivo” sibilò arretrando di un altro millimetro.

“Eva, eh? E di cognome la bella Eva come fa?!” sibilò con un sorriso maligno e sempre più cattivo.

Dent” rispose con un tremolio al sopracciglio.

 

Julian sorrise sempre più incattivito“bene, signorina Dent: sei licenziata!”

 

 

 

*°*°*°*°

L’antro del piccolo chimico: Ciao a tutti! La mia mente malata ha partorito una storiella ancora più tossica (battutona!) delle altre. Non vi aspettate morti ammazzati o sparatorie, niente di tutto questo. E’ una semplice fict (corta) per ridere e far sorridere.

Poiché ho passato un mese della mia vita rinchiusa in un laboratorio da mane a sera, qualcosina l’ho imparata e vi fornirò tutti i dettagli tecnici a piè pagina (ma certe cose me le invento, vi avviso prima) per non farvi perdere e non scoraggiarvi nella lettura.

Ciao!

 

Nota a margine:horney’ in slang significa ‘arrapato’ (o almeno è quello che mi da Babylon)

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Avvoltoio! ***


Al mondo non esistono cose come amore, passione, attrazione, ecc. Essi sono processi mentali che si sviluppano all’interno del cervello e possono essere richiamati e diretti a proprio piacimento.’

 

Se tutto ciò è vero, Julian sta sperimentando cosa vuol dire il completo controllo mentale sui propri desideri.

Stronzate, pensa automaticamente pentendosi di quella battuta stupida rivolta alla Venere bionda semisdraiata su di lui che lo fissa sbalordita. 

L’uomo la osserva trasognato, chiedendosi da quale favola - o da quale sogno - è uscita quella meraviglia della natura. La rabbia che l’ha tirato giù dal letto, diminuisce ad ogni istante, ma più la guarda, più s’innervosisce: una sorta d’urgenza gli fa muovere gli occhi su e giù il suo viso per carpire ogni più piccolo particolare e per imprimersela bene nella mente.

 

Perso nella contemplazione, divenne particolarmente indulgente verso quella ragazza che l’aveva ‘steso’ violentemente e in tutti i sensi.

“Ti sei fatta male?” le chiese abbassando istintivamente la voce e sorridendole premuroso.

 

Eva spalancò la bocca e non emise alcun suono per qualche secondo. Poi la richiuse e fissò il suo nuovo capo che la scrutava con un’aria strana, studiandolo a sua volta. Appena passabile, troppo leccato per i miei gusti e troppo serio. Forse con una paralisi diffusa acquisterebbe fascino.  

“Come sarebbe a dire che solo licenziata, razza di arrapato senza equilibrio?!” sbottò senza muoversi di un centimetro dalla sua posizione che le stava facendo venire la psoriasi da contatto.

 

Julian avvampò di stupore e si riprese all’istante. Si spostò così rapidamente che la fece crollare a terra mentre il vecchio Johnson sospirava scuotendo leggermente la testa,

“Non scherzare mai sul mio cognome!” ruggì abbassandosi su di lei per metterla in difficoltà.

La ragazza si rimise in piedi e lo fissò con le mani sui fianchi. Julian la guardò stupendosi del fatto che non fosse ‘tascabile’ come aveva immaginato. È più alta di Suzie, decretò all’istante, interrogandosi sul perchè avesse messo in relazione le due ragazze.

Eva si allontanò di un passo suo malgrado, cominciando a grattarsi le braccia attraverso il camice “Non puoi licenziarmi tu e non per una semplice caduta! Ti faccio fare il culo dai sindacati!” esplose dimentica delle buone maniere e continuando a grattarsi sempre più agitata. Come mai aveva una reazione così violenta?

Ficcò la provetta nella tasca esterna del camice e si tirò su una manica…no, non aveva niente, neanche una bolla. Strano. Eppure sentiva del solletico insopportabile!

 

Johnson la guardò un po’ preoccupato “ma stai bene Eva?”

“No..” Sussurrò muovendo le spalle infastidita “reazione allergica, più forte del solito” borbottò raccogliendo i tabulati e facendo una smorfia per il ginocchio che le faceva male.

“Reazione allergica?”

La domanda stupita di Julian la mise sulla difensiva “si, allergia agli stronzi!” sibilò facendo affacciare un bel po’ di colleghi dalle stanze.

“Piano con le parole, sono sempre il tuo capo!” la rimproverò vedendola sempre più in crisi. “Soffri di allergia davvero? Forse è qualche tessuto che ho indosso..” Mormorò guardandosi la giacca che non indossava mai “o forse qualche prodotto che hanno usato nella lavanderia..” Borbottò fra se e se mentre la ragazza si allontanava un altro pò.

“No, sei tu” commentò in crisi acuta “stammi lontano, per favore” 

“Io?” domandò senza capire. Si voltò verso il vecchio che con la sua solita aria tranquilla, si mosse verso la ragazza che continuava grattarsi con le lacrime agli occhi “Eva torna al tuo lavoro, non è vero che sei stata licenziata” le disse dolcemente evitando di toccarla.

“Lo so da sola” rispose brusca. Piegò i tabulati in modo da non inciamparci più e gettò un’altra umida occhiataccia al nuovo responsabile che non ci stava capendo un’acca ma che risentiva un verme per averla fatta stare male.

 

Il vecchio lo condusse in silenzio verso l’ufficio e chiuse la porta con discrezione facendogli cenno di sedersi.

L’uomo lo guardò perplesso: c’era qualcosa che bolliva in pentola e lui voleva esserne al più presto informato. Voleva sapere tutto di quella Venere bionda che gli aveva urlato contro col suo nasino all’insù da impunita. Quindi si concentrò sul direttore e aspettò che gli rivelasse il misterioso segreto di quella ragazza.

“Eva ha un’allergia psicosomatica agli uomini” cominciò osservando la sua faccia. “Con alcuni di più e con altri di meno.”

Julian restò a guardarlo senza emettere una sola vocale “Non abbiamo mai capito come funziona ma certi...le danno l’orticaria” ridacchiò appena un po’ “e tu gliene dai parecchia!”

“Non ci posso credere…non è vero! Non mi è mai capitato di sentire una cosa del genere!” esclamò allibito. Un lieve risolino interno salì fino alle labbra e cominciò a sghignazzare senza ritegno e senza neanche provare a fermarsi. 

 

Il vecchio lo lasciò sfogare, scrutandolo senza alcun divertimento “è una cosa seria, invece! È un’ottima scienziata ma l’ho dovuta isolare dagli altri perché ogni tanto le prendeva un attacco di orticaria…certe volte si sentiva quasi male, povera creatura!”

 

Julian smorzò il sorriso tornando serio. Appoggiò gomiti sulla sedia e si protese verso di lui “e dove lavora?!”

“Nel laboratorio più isolato di tutti ed è a contatto solo col personale femminile.

 

Restò a guardarlo come se non ci credesse - ed, in effetti, era assurdo - e non disse una parola per almeno mezzo minuto. “Ho capito” mormorò sentendosi un po’ idiota a ridere di una cosa così seria. E ora?

Come faceva a vivere in quel modo? Anche il fare la spesa le provocava di sicuro qualche problema! E per uscire? Le amicizie? Possibile che fossero tutte donne? E il ragazzo? Come facevano a…

 

“Ah, inoltre ha un disprezzo patologico per gli uomini. Capisci da te che le due cose sono collegate”

 

Ecco, quello non lo metteva minimamente in dubbio! Tolto il problema del fidanzato.

 

Julian lo guardò ancora una volta sbigottito e non trovò le parole: era troppo assurdo! Una cosa era la sua misoginia finta o vera a seconda delle giornate e una cosa…quella aveva avuto una reazione allergica solo a parlarci, figurati se l’avesse toccata anche per sbaglio! Ma che fregatura! Si ritrovò a pensare un po’ immusonito.

 

“Non ti chiedo un trattamento di favore perché se Eva lo sapesse darebbe in escandescenza, ma almeno evita di apparirle all’improvviso nel laboratorio e di starle col fiato sul collo…in tutti i sensi!”

Julian annuì e restò in silenzio. Come responsabile e ricercatore, a lui toccavano tutte le grane: sorvegliare gli operatori, badare che le strutture fossero a norma di legge, vigilare sulla sicurezza personale di ognuno di loro. Come avrebbe fatto con quella ragazza? Metti caso ci fosse stato un incidente…

 

“E’ brava e capace, ha una memoria prodigiosa e un’ottima manualità. Farà carriera!”

 

L’uomo non si mosse e non parlò. Era distrutto dalla scoperta! Con tutte le racchie che ci sono al mondo proprio a quella meraviglia doveva capitare una disgrazia del genere? E lui come avrebbe fatto… non l’avrebbe neanche potuta invitare a prendersi un caffè insieme!

Si appoggiò ad un bracciolo pensieroso. Stava già pensando ad un’altra quando appena tre sere prima Suzie l’aveva lasciato? Beh, perché no? Forse aveva ragione lei quando diceva che fra loro non c’era più amore.

 

“Mi raccomando: evita di riderle in faccia alla presentazione” gli disse in fretta chiudendo i lembi e allacciando i bottoni bianchi del proprio camice.

 

***

 

“E’ quello la! Per poco non sono dovuta correre all’ospedale!” sbraitò la ragazza indicando l’uomo serio e compunto che veniva presentato dal direttore Johnson ai suoi colleghi.

Eva mise il broncio stringendosi alla parete più lontana della stanza accerchiata da un gruppetto di colleghe, a mo di scudo protettivo.

Martina lo scrutò da capo a piedi e fece una smorfia “belloccio...ha un po’ troppo naso per i miei gusti ma nel complesso qualcosa di carino ce l’ha” decretò spiccia e per nulla interessata “è solo un altro rompipalle di passaggio che si prenderà un sacco di grane al posto nostro”

 

Eva lo fissava arrabbiata perché una reazione allergica in quel modo non l’aveva mai avuta.

Da piccola aveva cominciato a manifestarsi mentre giocava con gli altri ragazzini del cortile della scuola ma lo sfacelo vero e proprio era esploso durante la pubertà, quando a 16 anni Mattias l’aveva lasciata senza pietà a ravanare nel deserto dei Tartari della disperazione e lei si era ritrovata coperta di bolle dalla sera alla mattina senza una spiegazione.

Controlli, esami...nulla. Come sentiva qualcosa che odorava vagamente di maschio, il cervello cortocircuitava e il suo corpo impazziva!

Aveva dovuto dire addio anche al suo adorato cricetino, quando aveva scoperto che era un maschietto! Pensò imbronciata e con le lacrime agli occhi per il dispiacere di aver perso la bestiola. 

 

“Non è giusto” mormorò a bassa voce facendo voltare Martina verso di lei “cosa?”

“Niente” borbottò per nulla interessata alla presentazione di quell’essere che la stava fissando proprio in quel momento… con quella faccia da avvoltoio!

Senza riuscire a trattenersi, gli fece una linguaccia da vera donna matura e tornò ad appoggiarsi al muro con le braccia incrociate sul seno. 

Non poteva sbattere contro quel bel tipetto del bar che le portava la colazione la mattina?! Con quello la crisi allergica non mi sarebbe di certo venuta! Pensò sghignazzando e non rendendosi conto di sorridere apertamente.

“La cosa la fa sorridere, signorina Dent?”

Eva sussultò sentendosi interpellata e si drizzò immediatamente. ‘L’arrapato’ la fissava poco distante da lei con una faccia scura e impenetrabile “la diverte sapere che dobbiamo effettuare tagli al laboratorio e che non potremmo più permetterci spese folli? Quelle cuvette di quarzo che ha usato nel suo esperimento stamattina, costano parecchie centinaia di euro, lo sa?” la incalzò ammutolendola.

Perché se la prendeva con lei?!

“Useremo quelle di vetro o di plastica” ribadì allontanandosi di poco “mi stia lontano, mi fa venire l’orticaria!” sibilò a bassa voce per non farsi udire dagli altri.

 

MacHorney aveva usato quella scusa per studiarla da vicino: era parecchio carina con quei capelli biondi mesciati e gli occhi scuri…e aveva un bel nasino all’insù alla ‘scansatevi tutti che passo io’! Pensò ritraendosi di qualche centimetro.

Eva lo scrutava sulla difensiva: non era carino, era stronzo punto e basta!

 

“Julian per favore….”

La voce esausta del vecchio Johnson li distrasse entrambi. Eva restò a fissarlo incattivita e sulla difensiva e lui la scrutò da capo a piedi osservandola mentre cominciava a grattarsi “ti tengo d’occhio” sibilò guardandola. Poi di punto in bianco le fece l’occhiolino e un sorriso gli incurvò un angolo della bocca; voltò su se stesso e ricominciò a pontificare sulla necessità di risparmio.

 

Eva era rimasta stupita da un tale gesto e aveva smesso di grattarsi. Quello era una minaccia vagante! Avrebbe dovuto tapparsi in laboratorio e non farlo mai entrare, sarebbe bastato un vago residuo del suo odore a farla grattare per mesi e mesi!!

 

***

 

Suzie, lasciami parlare..

“Che altro devi inventarti per convincermi a tornare con te?”

 

Julian si grattò istericamente la nuca, in preda ad un attacco di bile: stava facendo la figura dell’idiota, cosa che non accettava minimamente. Appoggiò la schiena al divano e sbuffò dentro di se “non puoi lasciarmi dopo tre anni solo per il mio malumore mattiniero!” esclamò cercando di farla ragionare.

 

La donna raddrizzò la schiena sorridendo ironica “solo quello mattiniero? E tutto il resto? Jule, fattelo dire: sei insopportabile e nessuna donna vorrà mai avere a che fare con te, se non cambi questo tuo modo di fare” lo criticò aspramente osservando la sua espressione nervosa che non cambiava.

“Una volta ti andava bene il mio modo di fare” sibilò guardando risolutamente davanti a se.

La donna annuì “certo. Quando ero stupida e innamorata di te”

 

A quella frase Julian smise di respirare. Finalmente l’aveva detto “non potevi dirmelo chiaramente ed evitare questo patetico teatrino?”

Suzanne lo fissò senza riuscire a credere che non se ne fosse mai accorto “Jule, te l’ho fatto capire in tutti modi. Ma il tuo lavoro è sempre stato più importante di me.

“Non è vero!”

“Non voglio più discuterne con te” esclmaò la donna alzandosi in fretta “pensaci Jule. Non c’è più amore fra di noi…e sto cominciando a dubitare che ce ne sia mai stato” affermò a voce più bassa facendolo voltare dalla sua parte.

L’uomo la fissò negli occhi per qualche istante e dovette convenire con lei che era proprio finita.

Annuì alzandosi e accompagnandola alla porta “mi dispiace” borbottò con voce cupa ed evitando di guardarla.

Lei alzò le spalle e sorrise “con la prossima poverina che capiterà nelle tue grinfie, cerca di essere un pelino più umano e vagamente sensibile alle sue richieste” ridacchiò vedendolo incupirsi.

È solo orgoglio ferito il suo, pensò immediatamente stranita e seccata.

 

“Suzanne...prima di andartene..

 

La voce desolata di Julian le fece alzare gli occhi dalla borsetta in cui stava cercando le chiavi della macchina. Si era finalmente deciso a chiederle scusa e ad ammettere le sue colpe?

Con quella speranza nel cuore, restò immobile con un sorriso sulle labbra

 

“Mi sapresti dire dove diavolo è finita la macchinetta del caffè?!” le domandò con un tono di sincera curiosità nella voce.

 

Suzanne inspirò più volte per non mandarlo a quel paese e strinse le labbra, agguantando la maniglia della porta e chiudendosela davanti. Scese le scale interne dell’appartamento lanciandogli accidenti su accidenti per la sua freddezza mentre Julian fissava la porta chiusa con una certa perplessità…questo voleva dire che doveva cercarsela da solo?! 

 

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Capitolo 3
*** Simpatico come la SARS! ***


“Che sta facendo quell’avvoltoio

Julian continuava a grattarsi la nuca mentre spulciava il protocollo di lavoro che gli avevano fornito la mattina stessa. Ma perché devo prendermi sempre io ste rogne? Pensò prendendola con il responsabile tecnico che aveva dato forfait quando c’era la controllare la messa a punto degli impianti.

Lui era un ricercatore, non aveva tempo di star a guardare se le cappe funzionassero o meno! Finchè facevano WOOM andava tutto bene!

 

Chinò la testa con un mugolio. Non era riuscito a prendersi il suo benedetto caffè neanche quella mattina e il malumore lo divorava. Aveva ragione Suzanne: se c’era stato qualcosa fra loro, era finito molto tempo prima. Stavano insieme per comodità, due tasche erano meglio di una per pagare le bollette e non era male tornare a casa da qualcuno che ti accoglieva con un sorriso rassicurante.

CioèSuzie faceva così, lui si limitava a darle il benvenuto con un mugolio che di umano aveva ben poco. 

Una volta non era così bestia, ma proprio non aveva tempo per farsi uscire un sorriso come voleva lei, figurarsi andare in vacanza o fare un weekend romantico! S’incupì ancora di più e sbuffò stressato.

Se non si fosse dato una calmata, avrebbe divorato un’altra volta la segretaria di Mick. Già immaginava quella befana che sparlava alle sue spalle, scherzando ferocemente sul suo cognome.

Una luce d’insoddisfazione si accese negli occhi scuri e pericolosamente accigliati.  

Una volta era l’anima della festa, sempre allegro e pronto allo scherzo...poi ‘cresci e prenditi le tue responsabilità’! Pensò scocciato gettando da una parte i protocolli. Un lavoro che non ti dava niente, Suzie che lo mollava, controllare tutti i laboratori …e Afrodite scesa sulla Terra che si faceva venire la pelle a chiazze quando lo vedeva!

Andiamo proprio bene, pensò cercando di appoggiarsi allo schienale e ricordandosi di essersi arrampicato su uno sgabello. Recuperò l’equilibrio e sbattè un piede a terra. Andiamo a mazzolare i sottoposti e a farci odiare anche qui.

 

***

 

Che sta facendo quell’avvoltoio?”

“Per adesso è chino su dei protocolli di lavoro”

 

Martina si spostò all’indietro per non farsi vedere e fissò Eva che cominciava a grattarsi. “Sei patologica, lo sai? Dovremmo studiare te invece degli anticorpi”

“Ridi, ridi” sussurrò la ragazza allontanandosi in tutta fretta “solo a vederlo da lontano, comincio a grattarmi come una pazza! Non voglio neanche pensare a quando dovrò mostrargli i miei risultati. Come farò a spiegargli lo svolgimento del lavoro a tre metri di distanza?” Borbottò rinchiudendosi nel suo antro.

E quel bastardo ieri mi ha fatto rimozionare la macchina! Con tutto lo spazio che c’era, proprio con la mia doveva prendersela?!”esclamò esterrefatta all’amica.

“Forse perchè parcheggi nel posto dei dirigenti” le disse divertita.

“A quello serve una piazza d’armi per parcheggiare! La prossima volta gliela faccio appendere al muro come si fa con le biciclette!” ribattè senza ascoltarla.

 

Sbadigliò tirandosi indietro i capelli e allungandosi sulle punte dei piedi mentre Martina la osservava sorridendo “hai fatto nottata a Risiko”

Lei annuì con un sorriso di soddisfazione “si! E ho vinto!” esclamò mostrandogli il segno della vittoria.

E quando mai non vinci tu?” le domandò trafficando fra i becker e i porta provette. “Ti hanno già dato il tuo nuovo incarico?”

Eva scosse la testa e aprì l’armadietto in cui era rinchiusa la vetreria fragile “no…non mi toccherà  mica andare da quell’essere? Oddio! Guarda, mi sta già uscendo una nuova bolla!” singhiozzò mostrando la mano su cui compariva una macchiolina rossa appena percettibile, probabilmente una puntura di zanzara.

L’amica fece un ghigno di derisione “secondo me, esageri e aggravi il problema da sola. Ti ha minacciato di licenziamento perché era incavolato. La sai benissimo che non ne ha il potere!” esclamò stanca della sua finta patologia.

Ma può mettermi note di demerito e screditarmi agli occhi del Direttore!”esplose arrabbiata perché nessuno, a suo avviso, la capiva.

 

Certo, che ne sapevano loro di cosa volesse dire stare continuamente attenta a non farsi neanche sfiorare da un essere maschile che sia stato animale o vegetale? Finora ci avevano creduto alla balla del suo odio per gli uomini, aveva recitato bene la parte. Per quanto tempo ancora sarebbe riuscita ad andare avanti in quel modo?

È vero che li considera tutti, chi più chi meno, una mandria d’ignoranti gnu arrapati…però quel ragazzo del bar è proprio carino e mi piacerebbe conoscerlo meglio!

Ignorò quel pensiero mesto, sbattè un paio d’armadietti infastidita e continuò a rovistare negli sportelli del bancone pur di fare qualcosa.

Ho capito, stamattina ti girano. Me ne vado” annunciò con aria comica, conoscendo i suoi malumori che esplodevano improvvisi e passavano immediatamente.

Eva non la filò e restò con lo sguardo perso nel vuoto, seduta sullo sgabello, infilando le mani sotto i capelli, attorno al collo e inspirò più volte sentendosi terribilmente triste.

 

Era brutto stare perennemente da soli la dentro ed era brutto dover sempre isolarsi dagli altri a causa della sua malattia.

Psicosomatica un cavolo, pensò giocherellando con un pennarello da acetato. Scribacchiò un foglio osservando il grosso tratto nero che lasciava sulla carta e sospirò un’altra volta, le sopracciglia scure strette e un magone tremendo dentro.

Sobbalzò quando sentì un bussare deciso alla porta e tutti i pori si strinsero immediatamente.

L’allarme suonava impazzito nella testa e avanzò come un condannato al patibolo verso la porta.

 

Aprì e si spostò di un passo. Quell’avvoltoio era arrivato anche da lei! “Quale tremenda disgrazia la porta nella parte più buia ed oscura dell’edificio?” gli domandò ironicamente cominciando a grattarsi.

Julian la fissò da capo a piedi e prese mentalmente appunti “quel camice va chiuso, quei capelli legati e la sua bocca sigillata” ordinò lasciandola di sasso. “Questa porta deve rimanere aperta e quella finestra chiusa” continuò appuntando note di demerito una dopo l’altra “l’aerazione è insufficiente, non può lavorare in questo modo” esordì piazzandosi all’interno della stanza e cominciando a controllare ogni cosa mentre in silenzio e particolarmente discosta da lui, Eva lo osservava spadroneggiare nella sua tana personale. Picchiettò il piede seccata e lo guardò curiosare ovunque con stizza crescente. Se mi tocca i vetrini nuovi, lo uccido con quelli!

 

La cappa a flusso laminare era aperta perché aveva dimenticato di chiuderla la sera prima, troppo stanca e sconvolta dalla reazione che aveva avuto… e ovviamente fu la prima cosa che quell’aguzzino notò!

“La stava usando?” le domandò ironicamente poiché era spenta e non c’era nulla al suo interno.

“Secondo lei la stavo usando? E’ sveglio come una faina incinta!” ridacchiò vedendolo sorridere nello stesso modo con cui le aveva detto che era stata licenziata.

Con un gesto veloce la accese e un rumore basso e sibilante si propagò nel silenzio. Accese anche la lampada UV per sterilizzare il piano di lavoro e la guardò nuovamente. “Simpatica come un gatto nero attaccato alle palle” commentò molto poco signorilmente studiandola da capo a piedi.

 

Eva ebbe un altro attacco di orticaria “la SARS è meno fastidiosa di lei!”

 

“C’è qualcosa che mi urla nella testa di ficcarla al più presto nel forno della saletta al piano superiore…sa, quello grande e grosso...come la strega di Hansel e Gretel” le disse si rimando rinunciando a circuirla come al suo solito. Tanto era inavvicinabile! Puta caso avesse risposto ai suoi messaggi subliminali e non, non avrebbe potuto sfiorarla neanche con un dito! A questo punto valeva la pena di prenderla un po’ in giro.

 

La ragazza ridacchiò, lanciatissima “ecco un altro produttore sano di battute imbecilli! Ne ha ancora per molto o posso tornare a trafficare con i miei veleni?” gli domandò continuando a grattarsi e divertendosela un mondo ad infierire contro quel tipo che le era stato antipatico fin dalla prima occhiata.

“Il fatto che lavori qua dentro da sola, non è motivo sufficiente per fare come ti pare!” decretò restando discosto da lei “le norme di sicurezza non sai neanche cosa siano e quel camice è indecente: ti suggerisco vivamente di trovarne uno all’altezza di questo nome” borbottò ancora più di cattivo umore di prima.

“Mi dia del lei” sibilò stupita da tutta quella confidenza. “E questo camice lo porto da quando ero una matricola all’università, non si tocca! Ogni singola macchia è stata sudata e calcolata al millimetro!”

 

Julian era arrivato la dentro con l’idea di impicciarsi del suo lavoro e per conoscerla un pò, ma non aveva trovato nulla d’interessante, a parte un gran disordine e quella ragazza che si stava agitando sempre di più. Eva aggrottò la fronte visibilmente scocciata e stufa di grattarsi. “Si tolga quell’espressione da tubero dalla faccia. Mai visto una donna in preda ad un attacco isterico di prutite acuta?”

Lui fece qualche passo indietro e si appoggiò al muro “è così grave?” domandò sinceramente interessato.

Eva annuì in silenzio e si allontanò ancora di più “rida e dovranno riverniciare i muri: il sangue è difficile da togliere!” sibilò vedendolo sul punto di ridere.

Lui alzò una mano scusandosi silenziosamente, sorridendo dentro di se alla battuta: aveva una lingua lunga formidabile! Quella gli avrebbe dato filo da torcere anche da addormentata. La sentì mugolare qualcosa a bassa voce e attizzò le orecchie incuriosito.

“No, non sarebbe così grave”

“Sta dicendo che è colpa mia?” le domandò vagamente risentito.

La ragazza lo fissò inclinando appena la testa “è finita l’ispezione? L’ora d’aria è scaduta da un mezzo, mein Fuhrer” sibilò a denti stretti senza nessuna voglia di rispondere.

Julian la guardò fisso per qualche istante con immagini di morti raccapriccianti che gli balenavano dietro gli occhi.

“No, non è finita” rispose allungandole i fogli che aveva in mano. “Il suo nuovo incarico. Poiché è una procedura particolarmente lunga e complicata, ho scelto lei perché dicono che sia particolarmente dotata…a farsi i capelli certamente, avrebbe un futuro da sciampista” affermò con una nota di derisione nella voce che le fece rizzare la folta chioma dalla rabbia “temo dovrà sopportare la mia affascinante presenza.

 

Un nodo scorsoio particolarmente affilato si strinse attorno al collo della ragazza che impallidì. “Cos’è uno scherzo? Temo sia impossibile” affermò cominciando già a grattarsi “come vede mi è impossibile tollerare la sua sgradevole e sottolineosgradevole’, presenza anche a cinque metri di distanza!”

 

“Si prenda un antistaminico!” ridacchiò uscendo dalla stanza con un sorrisetto maligno che sparì subito sentendosi apostrofare da uno ‘stronzo’ sibilato a voce abbastanza alta perché lo sentisse solo lui. Fattucchiera linguacciuta e impertinente!

 

 

*°*°*°**°*°*°*

L’antro del piccolo chimico: spiegazioni…e poi capirete perché gli scienziati so tutti strani!

 

 

Il Direttore del Dipartimento (Mick Johnson): è il capoccia che tutela e gestisce il laboratorio.

Julian è il Responsabile (può essere sia un ricercatore o far parte del personale tecnico o amministrativo) che coordina e sovrintende i danni e i rischi alla salute; si coordina direttamente col Direttore ed è tenuto a formare ed informare gli operatori( Eva, Martina e tutti gli altri) sulle corrette procedure da adottare e li sorveglia (lo scassapalle di turno che si prende tutte le grane = definizione perfetta!)

Eva, come operatrice è obbligata a tenere un certo contegno nel laboratorio, nei riguardi dei colleghi e delle strutture ( i banconi, la vetreria e tutto il resto). Deve avvertire il Responsabile degli eventuali mal funzionamenti e limitare i danni nelle proprie possibilità.

 

Il fatto che sia indisordine’, che lasci cappe scoperte, è motivo di sano cazziatone (eh..non vi fate un’idea di ciò che capita nei lab)

I locali devono essere aerati e la temperatura mantenuta costante fra i 17 e i 24 gradi a seconda della stagione.

Non devi mangiare o fumare nel lab per non contaminare l’ambiente (in teoria e in pratica i camici dovrebbero essere lasciati dentro il lab…la gente fa parecchio come gli pare e poi ci si stupisce se parte una contaminazione da Sars nel mondo!)

 

Strumenti di lavoro:

 

Lo spettrofotometro è una macchina fichissima (perennemente scassata, qui da me) che analizza lo spettro della luce, utile per testare lo spettro d’assorbimento di un campione in esame (in biologia le cellule assumono varie lunghezze d’onda). Ha un display rosso che da immediatamente il risultato (comodissimo. Prendi carta e penna e scrivi!).

Le cuvette sono dei parallelepipedi di 1*1 centimetro in cui si pone la sostanza in esame. Sono di vetro, plastica e quarzo e non vi fate un’idea di quanto costino queste ultime!! Fino a mille euro! 

Se te se ne rompe una, accendi un mutuo che fai prima.

Il’ bianco’ è una sostanza che contiene tutti i colori e serve a tarare la macchina e ad azzerarla dalla precedente misurazione.

I protocolli di lavoro sono i fogli che mandano le ditte che riforniscono i dipartimenti di materiali (organici, non gli strumenti) e contengono sopra tutte le istruzioni, la descrizione della sostanza in esame, come comportarsi in caso di inquinamento, di ingestione, inalazione etc.

I ROT sono dei bidoni rivestiti di plastica gialla speciale in cui vanno gettate le sostante fortemente inquinanti, vetrini usati, provette, pipette (delle lunghe cannucce sottili di plastica o vetro), i guanti usati etc… ogni tot di tempo arrivano gli addetti allo smaltimenti dei tessuti tossici e se li portano via (chissà dove li buttano)

Sta roba inquinante non va gettata nel lavandino! Regola d’oro e prima cosa che impari (a parte quella di metterti i guanti)

I bunsen sono delle fiamme ossidriche da tavolo 8fantastiche, fanno sta fiammona di 20 cm a dir poco) che mantengono l’ambiente sterile nell’immediata prossimità…l’unico problema è che devi stare attento a non bruciartici i capelli (succede, succede) o a squagliarci la roba che hai in mano.

La cappa a flusso laminare, è un’invenzione fichissima per il ricircolo dell’aria e l’aspirazione dei fumi ‘velenosi’ delle sostanze. Ha una lampada UV incorporata che è un potente germicida che sterilizza il piano di lavoro (se ci metti le mani sotto, ti ustioni)

Va sempre chiusa per evitare contaminazioni (cosa che Eva non ha fatto, da batterle le dita con la riga, come si faceva alle medie) e fa un rumoraccio infernale. È diversa dalla cappa chimica che aspira l’aria verso l’alto e basta ( ha anche i filtri che vanno cambiati spesso)

 

Ora, questo Dipartimento in cui lavorano i nostri eroi è grande e ricco: ha molte sale e frigoriferi come se piovessero. Nella realtà della vita (triste realtà)…averceli!!!

 

Che altro? Ah, Il ricercatore si sceglie chi gli pare per portare avanti gli esperimenti, ma in teoria prende il più bravo (e quello che lecca meglio).

 

La storia delle cappe che ‘se fanno WOOM va tutto bene’, non me la sono inventata! Testuali parole di quel gran fico di ricercatore del terzo piano trapiantato dalla lontana Islanda….bellissimo! Un dio Thor in carne ed ossa!

 

Ultima cosa: per arrivare al grado di ricercatore ci vuole bravura e impegno e in genere (se ti dice bene, sei intelligente, il prof ti prende a ben volere oppure papà ha i soldi per farti fare carriera , l’ho sottolineato abbastanza?) prima dei 35-40 anni (da noi in Italia) non ci riesci ad importi ‘sul mercato’..quindi mettetegli l’età che volete a Julian, io sta responsabilità non me la prendo che quello è nervoso, la donna l’ha lasciato, deve pagare le bollette ed Eva gli farà vedere i sorci verdi!

Ciaooo

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Capitolo 4
*** Toh... ***


Eva era distrutta dalla novità

Eva era distrutta dalla novità! Quasi non mangiava più e la mattina si alzava con una faccia da mortorio che faceva preoccupare la madre.

“Beh? Sempre quella faccia da funerale! Ma che hai?” le domandò vedendola arrancare verso la cucina a gas con un cipiglio funesto e i capelli sconvolti.

Mrghh…” mugolò con gli occhi stretti in una fessura, il pantalone del pigiama calato su un fianco e il top da raddrizzare.

“Non ci voglio andare a lavoro”piagnucolò depressa, crollando sulla sedia high tech della cucina e appoggiando le braccia sul tavolo e il viso su di esse.

La donna la guardò stupita: e da quando in qua faceva i capricci se quel laboratorio era tutta la sua vita? “Martina ti ha fatto i dispetti?” la prese in giro mettendole davanti i biscotti che la ragazza guardò appena “merendina” biascicò alla madre che sorrise divertita e prese il pacchetto dalla credenza.

Eva resuscitò di poco mentre masticava svogliatamente il suo Flauto al latte “quello mi odia…” singhiozzò depressa.

La madre si sedette al tavolo spostando la gran massa di capelli biondi che le ricoprivano metà lato della faccia “chi è ‘quello’?”

“Il nuovo responsabile” borbottò bevendo un goccio di caffè “ha minacciato di licenziarmi, mi ha fatto rimozionare la macchina e mi ha cazziato, l’altro giorno”

“Ha fatto bene!”esclamò la donna facendola girare con i lacrimoni agli occhi. “Perché?!” domandò con la voce gonfia d’incredulità.

Perché sei distratta e avrai sicuramente fatto qualcosa di molto pericoloso!” l’apostrofò la madre sorridendo internamente.

Eva la guardò con un cipiglio da impunita e scosse i capelli, sua gloria e vanto che teneva con tanta cura “mi fa venire le bolle, per poco non sono dovuta andare all’ospedale!” esclamò come se ciò bastasse a farlo disprezzare.

 

“Sempre a chiacchierare…”

Eva si voltò appena all’ingresso del fratello e gli fece uno sberleffo che voleva essere un saluto.

Ma perché non te li leghi quei capelli? Se ne trovo uno nel caffè…” la minacciò stanchissimo per la serata passata con gli amici a gozzovigliare.

“Rosichi perché tu li stai perdendo” gli rispose con aria di superiorità accarezzandoli.

“Ma perché non ve ne andate a chiacchierare da un’altra parte, voi due?” sbottò il ragazzo fissandole a turno “la mia camera è attaccata alla cucina e vi sento sempre ciarlare come oche” sibilò di cattivissimo umore.

La madre alzò gli occhi al cielo “tua sorella ha un problema serio a lavoro!”

Il ragazzo la soppesò con lo sguardo e le fece una smorfia “ho sentito, come facevo a non sentirvi?!” domandò mentre Eva sbuffava avvelenata “quanto rompi, Lance!!”

Il fratello le diede uno scappellotto sulla testa e si rimediò un grugnito “ti fa venire le bolle, eh?”

“Da morire!” esclamò cercando comprensione almeno in lui, uno dei pochi maschietti a cui riusciva a stare vicino senza sentirsi male.

 

“Quindi ti piace.. meno male, va. Volesse il cielo che ti ci fidanzi! Almeno ce la togliamo di torno, sta scocciatrice chiacchierona” commentò il ragazzo di tre anni più grande di lei con un’aria pacifica che fece sorridere la madre.

“No, non mi piace!” urlò facendolo strozzare “è antipatico e orrendo e mi fa venire l’orticaria! Un giorno di questi mi ricovereranno all’ospedale; quel bastardo mi ha cooptato a forza in un esperimento! Come faccio a stargli vicino, me lo spieghi tu?! Cretino!” urla a pieni polmoni svegliando anche il padre che arriva ondeggiante in cucina. Eva lo sorpassa in tutta fretta, con le lacrime agli occhi per le ingiustizie della vita e si dirige nel bagno sbattendo la porta con forza.

 

Lance si appoggia allo schienale della sedia con aria pacata e fa un sorrise ebete al padre che lo guarda con aria riprovevole. 

“La devi sempre prendere in giro” la rimprovera la madre arrabbiata e impensierita.

Il ragazzo alza le spalle per nulla intenzionato a tornare sui propri passi “tua figlia ha bisogno di uno psicologo: il suo è solo terrore da relazione naufragata. Facci caso, quando le piace qualcuno si sente male. Ti ricordi Phil? Phil le piaceva e non riusciva a stargli vicino. Il panettiere giù all’angolo? Bolle su bolle ogni volta che andava a fare la spesa. È bastato che quello se ne andasse e le è passata anche l’orticaria”  affermò sereno “quando a Eva piace qualcuno, il suo corpo innesca un meccanismo di reazione autoprotettivo che la porta ad isolarsi dalla fonte d’attrazione. Quel coglione di Mattias! Quanto mi piacerebbe averlo fra le mani e strozzarlo. Borbottò a bassa voce stando ben attento a non farsi sentire dalla sorella.

“Meno male che farti studiare è servito a qualcosa, razza di psicologo della mutua!” borbottò sottovoce il padre.

Lance sorvolò sulla battuta e continuò a bere il suo caffè tranquillamente “Sono il novello Jung

 

***

 

“Ti rendi conto di quello che mi ha osato dire quel cretino?”

Rinchiusa nel suo antro della strega, Eva cerca un minimo di comprensione nell’amica che non la sta minimamente ascoltando “ha detto che mi piace! Come no?! Appena lo vedo mi parte il plafond!” Urlò a bassa voce, tremendamente offesa. “Ma mi ascolti?”

“No” le rispose sinceramente cercando il bottone che aveva perso. Gettò uno sguardo distratto all’amica e si rese conto che il suo camice era così lindo da farle male agli occhi “Uau. L’hai lavato” 

Lei assentì sbuffando. Da quando era arrivato quel tipo, era diventata una musona lamentosa!

Sedette sullo sgabello cercando di riprendersi e inspirò una sola volta “non ce la posso fare a stargli vicino” confessò con voce poco serena.

Martina la guardò strisciandole una mano sul braccio a mo di incoraggiamento.”Fa uno sforzo e immagina che sia una donna” 

“Non dovrebbe parlare” le rispose rassegnata.

“Beh, da quanto ho capito è la persona più silenziosa che sia mai entrata qua dentro. Nel suo laboratorio non si sente volare una mosca”

Eva alzò le spalle velocemente “per forza, si tiene il fiato per sbraitare contro di noi”

 

***

 

Cannon ritiene che le malattie psicosomatiche siano dovute allo stress, ossia a risposte emozionali troppo intense o troppo a lungo mantenute che mettono in moto risposte fisiologiche o psicologiche il cui scopo è quello di attenuare lo stress. Il comportamento messo in atto può essere di "attacco" o di "fuga" secondo Cannon, o di "adattamento" secondo Selye. Quando gli sforzi del soggetto falliscono perché lo stress supera la capacità di risposta, allora si è esposti ad una vulnerabilità nei confronti della malattia dovuta ad un abbassamento delle difese dell'organismo

 

Julian alzò le sopracciglia velocemente, ipnotizzato dalle parole che ballavano sullo schermo.

 

Nemiah, al contrario, partendo dalla constatazione che il paziente psicosomatico presenta un'incapacità di descrivere con precisione i propri sintomi, un'incapacità ad individuare sensazioni affettive e distinguerle tra loro, un'inadeguatezza tra esplosioni emozionali e corrispettivi stati affettivi interni, rigidità, distacco e disarticolazione nella postura e nelle mimica, ha ipotizzato che a causa di fattori genetici o di difetti dello sviluppo esisterebbe una carenza di connessioni neuronali tra le aree del sistema limbico, deputate alla rielaborazione delle pulsioni e degli affetti, e le aree corticali, sede delle rappresentazioni consce, dei sentimenti e delle fantasie. Ne consegue che le stimolazioni delle pulsioni non vengono elaborate a livello corticale, ma deviate sull'ipotalamo che genera stimolazioni troppo intense e prolungate a carico del sistema vegetativo.

 

Si grattò la nuca, appoggiando il mento sull’altra mano e fece scorrere il mouse alla ricerca di qualcosa di più concreto.

 

La malattia si manifesta a livello organico come sintomo e a livello psicologico come disagio. Nel prurito psicogeno la persona si gratta in continuazione, senza causa precisa. Sono presenti tratti di personalità rigidi con  notevole senso di pulizia e dell’ordine.

 

Non è il suo caso...A-ah! Eccolo qua! Pensò avvicinando di più la sedia al computer e aprendo la finestra a tutto schermo

 

‘tali sintomi hanno una durata di tempo limitato, cessano con il cessare dell'elemento scatenante  non presuppongono una lesione d'organo. Al contrario, sono considerate vere e proprie malattie psicosomatiche quelle alle quali classicamente si riconosce una genesi psicologica (o quantomeno in buona parte) ed in cui si viene a realizzare un vero e proprio stato di malattia d'organo con segni indiscutibili di lesione.

 

Julian restò un po’ soprappensiero: a parte cominciare a grattarsi, quella ragazza non aveva mostrato eritemi o altro. Ma si poteva sempre fare una prova! Pensò alzandosi in fretta e dirigendosi verso il laboratorio in cui la ragazza si stava occupando della preparazione dei terreni e delle soluzioni fisiologiche indispensabile per l’inizio del loro esperimento.

 

Eva non lo sentì arrivare a causa delle cuffie che teneva sulla testa e che la isolavano dai rumori esterni. Un’altra cosa che sarebbe stata quanto meno sconsigliabile, in quel posto.

Julian entrò, la osservò per un attimo e aggirò il bancone senza farsi vedere: ancora non l’aveva fiutato.

Il raggio d’azione del suo dopobarba era piuttosto limitato, regalo di Suzie che portava solo perchè era troppo pigro per andarselo a comprare un altro, ma fu lo stesso avvertito da  Eva che si bloccò e alzò gli occhi dalle provette dopo averle posate con mani tremanti.

“Non le ho chiesto di non entrare mai qua dentro?” esplose paralizzata dal prurito che sentiva spandersi in tutto al corpo.

Quando si girò trovo il suo capo che la fissava con occhio critico “bolle non ne vedo.” Commentò scostandole i capelli dal collo e raggelandola. “Vieni con me” le ordinò prendendola per il polso.

 

Eva restò paralizzata per qualche secondo e poi urlò “ma come si permette?!” urlò cercando di divincolarsi e sentendosi sempre più male. “Mi lasci! La denuncio ai sindacati per maltrattamenti!” urlò mentre la trascinava nel proprio laboratorio.

Adesso svengo! Oppure vomito! Pensava sempre più agitata.

Julian le lanciò un’occhiata e alzò le spalle “continuo a non vedere bolle o dermatiti. Non hai niente!” la sgridò arrivando di fronte al computer “vediamo: respiro accelerato?

Cosa?!” domandò senza capire che diavolo volesse quello da lei,

“Tu rispondi!”

“Si” ansimò “che non si sente?” sbraitò cercando di farsi lasciare. “Sto per sentirmi male!”

“Tremori?

“Si!”

“Tensione muscolare? Alla nuca?” continuò imperterrito facendola sedere davanti a se e bloccandole ogni via di fuga.

“Certo! Non lo vedi che sono tesa?!” urlò nuovamente ma con minor forza.  

 

Julian si drizzò soddisfatto e la guardò: era rossa e visibilmente scossa, tremava da capo a piedi ma non si grattava più. “Non hai un cavolo!” ridacchiò sollevato puntandole un dito sulla fronte e spingendola indietro.

Eva restò per un attimo ferma e poi si afflosciò sulla sedia come una bambolina a cui hanno tagliato i fili.

“Beh?!” esclamò dandole una scossetta leggera. Toh, è svenuta!

 

 

 

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Capitolo 5
*** Coma pruritico e trapasso all'aldilà ***


“Ma sei pazzo

Ma sei pazzo? Lo sai che ha l’allergia agli uomini”

Ma quale allergia! E poi conducevo un esperimento e avevo bisogno di prove concrete e in loco”

 

Julian alzò le spalle noncurante, mentre Martina sventolava la povera Eva e cercava di farla rinvenire. Johnson era il ritratto della furia divina “esperimenti su di lei? Ma cosa ti sei messo in testa?!”

Stronzo, pensò la ragazza lanciandogli un’occhiataccia e tornando ad occuparsi della sua amica che non si decideva a riprendersi “non sarebbe meglio portarla all’ospedale?” domandò in tono preoccupato al direttore che continuava ad urlare contro MacHorney che si tappava metaforicamente le orecchie e sorrideva come un matto.

 “Quante storie che fate! Non ha niente. L’ho toccata e non ha avuto nessuna reazione allergica. È un fatto mentale.” Riprese sbuffando divertito e scostando la ragazza dal corpo esanime della povera Eva che stava per avere un brusco risveglio.

Prese la mira e con uno schiaffetto ben calibrato, la fece tornare in se all’improvviso. Scattò in piedi come una molla, urtò contro Julian e finì nuovamente a sedere “quand’è che la finirai con queste storie finte e sconclusionate? Cos'è, mancanza di attenzione?” le domandò con un sorrisetto sulle labbra che la fece quasi urlare. Eva avrebbe urlato volentieri se quel terribile odore di… maschio! Urgh! non l'avesse resa incapace di esprimersi correttamente.

Biascicò qualche parola e cercò nuovamente di scappare “non posso stare qui… non sto bene” mormorò alla sua amica che era china su di lei e le accarezzava i capelli per farla calmare.

“Bella trovata! Adesso è peggio di prima!” Esclamò Martina al suo annoiatissimo capo. 

 

“Come mai non si gratta, allora?“ le domandò con un sorrisetto divertito.

 

Perché sto troppo male per farlo, deficiente” biascicò la ragazza con voce debole e la testa che le scoppiava. Cercò di alzarsi in piedi ma ricadde subito a sedere. Tachicardia, sudore, pulsioni accelerate, pensò tastandosi il polso e sventolandosi con il foglietto di carta da aveva preso dalle mani dell’amica.

Ce l’hai fatta a darmi del tu” mormorò abbassandosi su di lei e sventolandola a sua volta “se magari ci togliessi le parolacce in mezzo, sarebbe ancora meglio” affermò facendole alzare gli occhi bruscamente.

 

Julian si guardò attorno e vide che erano - decisamente - in troppi in quel laboratorio “giuro che rimedierò ai miei errori e le chiederò scusa da bravo ragazzo! Adesso lasciatemi solo con lei! Grazieee!” cantilenò come uno sciocco spingendoli fuori.

 

Le sorrise simpaticamente ed Eva sentì la centralina elettrica del cervello che cortocircuitava.

Restò immobile evitando anche di respirare e torse il collo all’indietro “Sta attento, avvoltoio! Sono un’esperta nel preparare veleni! Se un giorno ritroveranno il tuo cadavere con la bava alla bocca, sapranno subito a chi dare la colpa!”

“Mi stai minacciando?” le domandò trattenendo le risate.

 

Eva lo fissò negli occhi, sempre più avvelenata e dimentica del prurito che aumentava ad ogni istante “è guerra! Non te l’ho ancora fatta pagare per avermi rimozionato la macchina!”

“Ah, era tuo quello scassone colorato?”

Scassone?!”

Lo squadrò con sdegno ed ebbe tanto l’impressione che la stesse prendendo sì in giro, ma non con cattiveria. Bensì con una sorta di affettuosa scherzosità… che la faceva grattare ancora di più! “Bene!” dichiarò alzandosi e spingendosi verso di lui che dapprima restò stupito e poi sorrise quasi…contento? È contento del fatto che sto per avvelenarlo? Si domandò senza capire che gli frullasse in testa. Scosse un attimo i capelli, inondandolo di profumo e arricciò il naso soprappensiero. Strano tipo!

“Sei avvisato: occhio a quello che metterai in bocca o a quello che annuserai! Non saprai mai dove e quando io colpirò!” sibilò alzando un dito e ringhiando quasi.

 

Julian la guardò sempre sorridendo e alzò le sopracciglia velocemente “mhhh….sembri quasi pericolosa!” scherzò rimediandosi un’occhiataccia “te l’ha mai detto nessuno che sei bellissima quando sei arrabbiata?”

Eva restò a bocca aperta “cosa?!”

“Mi correggo: sei bellissima sempre ma quando ti arrabbi mi fai venire voglia…” tacque cercando il termine giusto e quando si accorse che era rimasta impalata e con il dito alzato vi diede un morsetto veloce sopra spostandolo da un lato. “Ecco, più o meno così.” 

 

La ragazza lo guardava stentando a mettere due parole una dietro l’altra perché era troppo stupita e incredula delle libertà che si stava prendendo quel tipo.

Ma restò ancora più sconcertata quando si avvicinò con un sorriso simpatico e le sussurrò all’orecchio “e non solo lì, ovviamente”

Eva avvampò e aprì la bocca per articolare qualche vocale e consonante insieme, in quella che comunemente veniva definita ‘parola offensiva’e lui ne approfittò per baciarla.

 

I muscoli del braccio non la sostennero più e lasciò ricadere la mano col dito contratto. Continuò a non crederci mentre la baciava teneramente: era congelata e troppo meravigliata per accorgersi che non aveva neanche un po’ del solito prurito. 

Julian la lasciò andare dopo qualche lunghissimo secondo e le accarezzò lentamente una guancia fredda. “Non è che mi svieni di nuovo, no?” le domandò con tono dolce e morbido.

 

La ragazza scosse la testa una sola volta, un gesto lento e scattoso “mi hai…”

“Baciato? Si, e quando mi ricapitava” affermò con la solita faccia di bronzo vedendola incupirsi e tremare di rabbia.

..dopo dieci anni…il primo che mi bacia…è un avvoltoio come te!!!” esplose d’un tratto con le lacrime agli occhi  “te la faccio pagare, MacHorney! Hai firmato la tua condanna a morte!” urlò aprendo la porta e uscendo dalla stanza come una furia mitologica.

 

Quanto se la prende, pensò per un attimo guardandola allontanarsi. Sorrise come uno scemo enormemente soddisfatto di essere riuscito ad assaggiare quelle labbra divine e proibite all’universo maschile e solo dopo molto tempo ripensò alle sue parole…dieci anni?!

 

***

 

Eva tremava d’indignazione e  sembrava un cane idrofobo; sorpassò le colleghe che la guardarono esterrefatte, sbattè un paio di volte la porta del proprio laboratorio, tanto per fare baccano, e crollò sullo sgabello, dando un calcio al bancone che fece un rumore sordo e risuonò nella stanza vuota.

Lo avveleno! Con qualsiasi cosa  mi venga a tiro, anche con le caramelle del distributore!! Pensava continuando a tormentarsi i capelli che aveva sciolto e infilandoci le mani dentro. Lo frantumo tutto, quel porco arrapato! Come si è permesso…

Eva restò a fissare il lavandino con il bidoncino bianco semi trasparente di acqua sterilizzata sopra. Quel coso l’aveva baciata…e lei non era neanche svenuta o collassata o trapassata nell’aldilà!

 

Si guardò il braccio con la fronte contratta e le ciglia inumidite...non aveva niente. Sbottonò la camicetta e osservò le spalle e il decolleté...nulla. Neanche la più piccola reazione. Che stesse guarendo? Si domandò con la speranza nel cuore di condurre una vita normale, sebbene sapesse benissimo dentro di se che la colpa era soltanto sua.

Appoggiò i gomiti sul bancone e tornò a ficcare le mani nei capelli, ripensando alla faccenda…l’avrebbe avvelenato, quello si… prese il labbro inferiore fra i denti e sentì un piccolo brivido di piacere che scendeva ovunque nel suo corpo…arrossì e cercò di non pensarci, ma la mente umana, si sa, fa brutti scherzi e quando t’imponi di non pensare ad una cosa, eccola che torna e ritorna e ti obbliga a pensarci, come la lingua che, implacabile, batte sempre sul dente cariato.

Dopo dieci anni, qualcuno l’aveva baciata. Non importa che fosse stato quell’avvoltoio a farlo: qualcuno l’aveva baciata e lei non era entrata in ‘coma pruritico.’

 

Si rilassò per qualche breve secondo e sospirò a fondo, stringendo la radice dei capelli fra le dita. Se fosse stata un po’ più presente a se stessa, forse sarebbe riuscita a cogliere qualche altro piccolo particolare di quel bacio.

Qualcosa da ricordare e immaginare in solitudine.

Qualcosa a cui aggrapparsi quando avesse avuto bisogno di un conforto maggiore di quello che le davano i genitori o le amiche.

Dopo Mattias non aveva più baciato nessuno, le era stato fisicamente impossibile avvicinarsi ad un ragazzo, anche se per molto tempo non ne aveva avuto la benché minima intenzione, a causa del dolore che le aveva procurato quel disgraziato fedifrago traditore e dispensatore di belle parole!

 

Ma il tempo passa, passa veloce o lento, secondo il nostro stato d’animo. Passa e porta via i ricordi. Aveva portato via il ricordo di Mattias e le aveva lasciato dentro un gran vuoto. Dieci anni senza contatto fisico o intimo possono anche mandarti al manicomio, pensò alzando le sopracciglia. Lei aveva bisogno di ‘sentire’ qualcuno, di toccarlo e farsi toccare a sua volta.

Sto diventando una mezza arrapata come quel tipo! Pensò facendo una smorfia diretta a se stessa.

 

Eva sapeva dentro di se che non ci sarebbe più stato un tale contatto intimo fra lei e ‘quella persona’...o qualunque altra persona. 

 

Come si sbagliava….

  

 

 

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Capitolo 6
*** Tipo il Guttalax, ma più estremo ***


“eva

Cosa stai preparando?”

“Veleno per stecchire l’avvoltoio!” dichiarò con voce cattiva, tappando la provetta e agitandone il contenuto. “Stavolta ha superato se stesso”

 

Continuò ad agitarla con fervore, fermandosi di tanto in tanto, soprappensiero e distratta.

Che cosa ha fatto? Ti ha criticato il lavoro?” le domandò l’amica con un sorriso divertito. Eva non risposte ma arrossì come se fosse stata colta in fallo, rifiutandosi di raccontare l’accaduto all’amica. “Tieni, ficcaglielo nel caffè la prossima volta che si avvicina alla macchinetta. Esclamò mettendole in mano la boccettina chiusa, da vera strega.

E perché devo farlo io?” domandò la ragazza semiseria.

Perché da me se lo aspetta e da te no” rispose evitando anche di guardarla.

Martina fissò il liquido trasparente e lo indicò “ma è letale?”

“No, ma ti manda al bagno…tipo Guttalax con effetto raddoppiato” le spiegò continuando a tenere gli occhi bassi e la voce in tono funereo.

“Forte, non vorrei mai averti come nemica”ridacchiò dandole un colpetto, mentre Eva sacrificava la sua pausa pranzo per creare droghe allucinogene da sperimentare sull’avvoltoio.

 

“Ehi fattucchiera! Raccogli le piastre dal forno e portale nel mio laboratorio che le dobbiamo seminare ”

 

La voce di Julian che proveniva dal corridoio e si allontanava sempre di più, con un bizzarro effetto di dissolvenza, la immobilizzò al suo posto e istintivamente Martina nascose la boccetta in tasca.

Eva sopirò un bel po’ di volte, aggrappandosi al bordo del bancone e chiuse gli occhi “diosanto, dammi la pazienza di sopportarlo!” esclamò ad alta voce dirigendosi verso il forno in cui cuocevano i terreni di cultura.

Ma non può farselo da solo quel lavoro? Saranno 4 piastre!”esclamò l’amica mentre Eva sistemava un carrello e apriva per bene l’anta metallica. “Le vedi?””

Martina ammirò la quantità spropositata di piastre e annuì “tutte da seminare…tutte! Pontifica sulla necessità di risparmiare e poi fa due linee di controllo. Non una, due. Mi costringe a passare tutto il tempo con lui, in questo modo” borbottò a bassa voce scaricandole dal fornetto.

Ma non puoi farlo da sola?”

No vuole tenere d’occhio, non si fida..” Sussurrò a bassa voce con aria depressa. Le indicò la tasca in cui aveva riposto la bocchetta e sorrise “con quello starà lontano due giorni minimo da qui”

La ragazza annuì e le diede un buffetto amichevole “te lo tolgo io dai piedi!”  

 

Eva arrivò cl suo carrello e un’espressione funerea che Julian adocchiò e non commentò… per il bacio o per altro? Si domandò tirando fuori la vetreria necessaria e le spatoline di vetro sterilizzate.

Le soluzioni?

E le soluzioni dove sono?” borbottò ad alta voce grattandosi la nuca.

Nel frigorifero del laboratorio 3. Non c’era posto qui e le ho dovute sistemare…” Eva lo vide sbiancare e alzò un sopracciglio “non c’era posto” ripetè con più decisione “il mio è rotto, il tecnico non si è fatto vivo”

“Nel laboratorio 3 stanno trattando una cultura virale!” la aggredì “l’hai etichettate, almeno?”

“L’aveva fatto lei” subirò ricordando benissimo le striscioline vergate in blu.

Julian si diede una manata in testa “hai messo quelle in frigo?! Quelle non c’entravano assolutamente nulla!”

Cosa?”domandò confusa.

“No! I matracci da etichettare erano..” Julian restò a guardarla fisso e poi guardò il lavandino “l’hai gettate nel lavandino?”

“Quelle senza etichetta si” affermò sudando freddo “non mi dica che le dobbiamo rifare da capo!”urlò quasi sconvolta dal lavoro che si preparava all’orizzonte.

 

“Avvelenamento del suolo, pesci con tre occhi e topi con sei zampe…vedo un futuro pessimo, pessimo!” sibilò strusciandosi una mano in faccia. “Porca vacca! Tutto quel lavoro, odio fare i conti!” sbuffò facendola sorridere internamente perché anche lei era dell’avviso che la parte più noiosa del lavoro era proprio quella dei calcoli.

Ad un tratto lo vide saltare come se fosse stato morso da una tarantola “cazzo cazzo!”sbottò uscendo di corsa.

Con la terribile previsione di un disastro, Eva gli corse di dietro.

Scese le scale rischiando di rompersi la testa, inciampò nell’ultimo gradino e si arrestò violentemente addosso a Julian, investendolo e sbilanciandolo. Si aggrappò alla sua schiena sentendolo esclamare qualcosa di molto poco signorile mentre si raddrizzava e la guardava imbestialito.  

I loro colleghi li fissavano interrogativi. “Avete usato quei matracci da mezzo litro?” domandò con voce tremula.

Uno di loro si tolse gli occhiali dal microscopio e annuì.

Eva lo sentì mugolare e gettare indietro la testa. “Dovete buttare via tutto..” Sussurrò a mezza bocca vedendoli schizzare tutti verso di lei ”c’era roba nostra la dentro. Sussurrò a mo di scusa cercando di non far caso a Julian che si passava le mani in faccia più volte in preda alla rabbia.

 

Nel laboratorio era calato il silenzio e anche la radiolina che i due gemelli tenevano sempre accesa venne spenta bruscamente.

“C’è stato uno sbaglio…” sussurrò la ragazza sentendosi sotto lo sguardo accusatori di tutti gli uomini della stanza. “Colpa mia…”

Poi si ricordò che la colpa non era sua proprio per niente ed lo indicò “Non è vero, ha dimenticato di etichettare lui, prendetevela con il Responsabile per la sua incompetenza!”

“Eva…fa silenzio e vattene!”ruggì il gemello più anziano con aria feroce fulminando allo stesso tempo anche Julian, ritratto dell’autopunizione.

Eva si sentì trascinare per il camice e abbozzò un sorrisetto di scuse “ho scoperto a che serve la cinta” sibilò l’uomo trascinandola via prima di venir linciati “ti rendi conto di che figuraccia abbiamo fatto?!” urlò a bassa voce rinchiudendosi nel laboratorio “ti rendi conto che il Responsabile e la ‘migliore scienziata’ del dipartimento sono da licenziamento istantaneo?!

“Non prendertela con me, sei tu che hai sbagliato!” esplose dandogli nuovamente del tu e facendo un passo indietro...però non le prudeva niente, anche se le stava praticamente urlando in faccia.

 

Julian inspirò più volte cercando di calmarsi “ok..da capo. Piastre in frigo, quel frigo, fogli e penna. Calcoli, soluzioni e semina…e speriamo di non farci notte!” esclamò sentendo bussare alla porta. Aprì con una faccia che spaventò Martina “vi vanno due caffè?” domandò la ragazza con un sorriso tirato.

Eva fu lesta a farle cenno di andarsene “si, dai qua” borbottò ingoiandoli tutti e due uno dopo l’altro.

Eva lo guardò a bocca aperta e la ragazza idem.

“Via, dobbiamo lavorare. Non entrate qua dentro per le prossime tre ore e per l’amor di Dio, non fatemi incazzare ulteriormente!”sibilò sbattendo la porta in faccia alla ragazza che storse la bocca: lei aveva messo ilveleno’ in tutte e due per non sbagliarsi e perché sapeva che a quell’ora Eva non lo prendeva…starà male per 4 giorni! Pensò inclinando leggermente la testa da una parte e sfacendo una smorfietta.

 

Due ore dopo Julian si sentiva uno straccio e lo stomaco stava dando segnali preoccupanti. Il cinese della sera prima? Si domandò un po’ a disagio. Lanciò uno sguardo a Eva dall’altra parte del bancone e notò che lo stava guardando in un modo un po’ strano. Non ho tempo per le sue paturnie da damigella con l’onore offeso, pensò sedendosi e sentendosi sempre più male. La mano traballò e fu costretto a posare il becker prima di farlo cadere.

Si sedette sbuffando e sfilandosi i guanti per toccarsi gli occhi ..ci vedeva male…

“Non stai bene?” gli domandò bassa voce e in colpa per averlo avvelenato.

“No.” Borbottò sentendo una gran sete. “Esco un attimo, vuoi qualcosa?” le domandò aggrottando la fronte con l’intero apparato digerente in subbuglio.

“No..grazie” sussurrò seguendolo con lo sguardo. Ci mancava anche quello! Se si sentiva male sarebbe stata costretta a fare tutto il lavoraccio da sola!  

 

Psss! Allora? Sta male?”

Eva notò la testa di Martina che faceva capolino dalla porta e le si avvicinò “sta malissimo! Ma gliel’hai dato tutto?” le domandò un po’ preoccupata

La ragazza annuì “si, l’avevo messo un tutti e due i caffè per non sbagliarmi, ricordavo che tu a quell’ora non lo prendi..”

“Tutto? Porca miseria.” esclamò strusciandosi una mano fra i capelli “è successo un macello e se si sente male mi toccherà rifare tutto da sola..”

Col laboratorio 3? Ecco perché sono tutti arrabbiatissimi!” esclamò cercando di non farsi sentire “Dove è andato?”

“Al bagno penso..quella roba è micidiale!”sussurrò preoccupata.

“Beh? cos’è quella faccia? Non sei contenta?” la interrogò la ragazza con aria stupita

Eva si riprese tutto insieme “certo. Certo che si…ora vattene, devo fare un sacco di cose..mi sa che stanotte la chiudo io, la bottega” sbuffò depressa.

Quando il povero Responsabile tornò, aveva la faccia distrutta e una boccetta d’acqua in mano “non mangiare mai da Cio lin..” L’avvertì attribuendo il suo malessere da attribuirsi al cinese “gli dovrei mandare l’istituto di igiene” lo sentì borbottare mentre riprendeva il lavoro con molta difficoltà.

 

Eva non aprì bocca e lo osservò di sottecchi ..non era per niente brutto..anzi era piuttosto attraente…un po’ grezzo, ma aveva uno sguardo che faceva da solo metà fascino di quell’uomo. L’occhio le cadde sulle labbra serrate mentre osservava gli appunti e sentì di nuovo quel brivido lungo la schiena.

“Mi dispiace di averti dato la colpa.” Le disse all’improvviso facendole cadere tutto il rotolo di carta gigante. “E’ colpa mia, non ho tolto le etichette precedenti e ho dimenticato di avvisarti.

Eva lo fissò di traverso mentre rimetteva tutto a posto “non importa” borbottò sentendosi in colpa per averlo avvelenato.

Sei troppo bella, mi sono distratto”ridacchiò sentendosi sempre più male.

 

“Scusa!” sbottò d’un tratto facendogli alzare gli occhi.

Eva lo fissò continuando a tormentare un foglio di carta appallottolato “in quel caffè c’era..ti ho mezzo avvelenato per vendetta” sussurrò vedendolo sbiancare per la seconda volta.

Cosa? Che c’era la dentro?!” ansimò sentendosi di colpo malissimo.

“Una specie di Guttalax..però più forte…scusa” mormoro arretrando verso la finestra. “Starai male per qualche giorno…non è letale, solo un po’…fastidioso” gli spiegò vedendolo mortalmente pallido.

“Ma io ti ammazzo!”urlò muovendosi impacciato verso  di lei “lo sai che vuol dire? Lavoro in arretrato e ..mi hai avvelenato davvero!” esclamò senza crederci “e perché poi?!”  

“Andiamo in ospedale” borbottò cercando di sorpassarlo “ormai vomitare non serve più a niente, una lavanda gastrica in teoria ..

“Lavanda gastrica?! Ma io ti faccio mangiare quelle piastre una per una” urlò sempre più bianco.

 

“Julian non stai bene, non ti agitare e non mi collassare qui” gli ordinò con voce tremante “scusami, mi farò perdonare ma..

“E’ per colpa di quello stupido bacio, vero?!” la interrogò sudando abbondantemente. 

Eva cercò in tutti i modi di aggirarlo e di farlo calmare. Gli appoggiò una mano sul cuore e sentì che batteva un po’ troppo forte “stai calmo o ti verrà un infarto!” gli gridò contro agitata.

“Scusa se mi sono permesso di baciarti, ma è stato più forte di me, mi hai...

Julian ammutolì portandosi una mano al torace “non mi sento per niente bene” sussurrò appoggiandosi a  lei “Eva...te la faccio pagare...però prima portami in ospedale…”

 

***

 

Eva andava su e giù per il corridoio del pronto soccorso dopo aver fatto una lunga chiacchierata col medico e avergli spiegato la natura del veleno che aveva assunto ‘accidentalmente’.

Ora aveva seriamente paura che stesse male e che la volesse denunciare per tentato omicidio. Era talmente incazzato con lei che non si sarebbe stupita che la denuncia nei suoi confronti fosse partita mentre lo soccorrevano.

“C’è una certa signorina Dent?” domandò un infermiere vedendola girarsi come un fulmine. “Si, io!”esclamò correndo verso di lui “perfetto. A lei non la vuole vedere!” le disse facendola restare male.

“Chiede di un tale..” L’infermiere guardò il foglio “..Johnson

Il vecchio si alzò, battendole una mano sulla spalla “su. Lo rabbonisco io”

Eva annuì e franò depressa sulle minuscole poltroncine sgangherate del pronto soccorso mettendo il broncio e sentendosi tremendamente in colpa.

Era nel reparto maschile dell’ospedale e lei non aveva neanche un po’ di prurito! Quel pensiero incoraggiante la fece sorridere apertamente fin quando si trovò di fronte una donna bionda dall’aria esaurita “sei tu l’avvelenatrice?”

Eva annuì porgendole i polsi “mi deve arrestare? E’ un avvocato e vuole mandarmi in rovina?” domandò con la voce fioca facendola sorridere.

“No, no..”ridacchiò Suzanne sedendosi e presentandosi come ‘ex, molto ex, che più ex non si può, costretta a fargli visita e a sentilo piagnucolare per una buona mezz’ora’

Eva la scrutò da capo a piedi dicendosi che era una gran bella ragazza, “l’hai lasciato tu vero?”

Lei annuì e guardò la porta “e tu hai fatto una cosa che avrei voluto fare io tante volte: avvelenarlo, quel rompipalle!”

Eva ridacchiò e Suzie le strizzò l‘occhio e fra le due ristabilì subito un rapporto di complicità anti- Julian! 

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Capitolo 7
*** L'orgoglio dei manicomi! ***


Eva sgattaiolò nella stanza di Julian in silenzio, cercando di non fare il minimo rumore

Eva sgattaiolò nella stanza di Julian in silenzio, cercando di non fare il minimo rumore. Lei voleva vedere come stava e non si accontentava delle rassicurazioni di Johnson e Suzie. L’uomo divideva la stanza con altre tre persone che la guardarono palesemente perplessi. Lei fece cenno di stare in silenzio e si chinò sul letto dove la sua ‘cavia’ da esperimenti dormiva con l’espressione contratta. Si sentì una schifezza per il brutto scherzo che gli aveva tirato e sbuffò intristita. “Scusa..”sussurrò a bassa voce allungando una mano per toccarlo e ritirandola. Non si rendeva conto che non aveva neanche una puntina di prurito. Era troppo preoccupata!

Si sedette sulla prima sedia che gli venne a tiro e restò un po’ li, sbuffando silenziosamente e tormentandosi i capelli che avevano bisogno di una lavata. Si alzò solo quando l’infermiere annunciò che l’orario di visita era finito e lo guardò con una serie di smorfie che le deformarono il volto.

Gli sfiorò appena il braccio, scusandosi un’altra volta dentro di se e uscendo con un magone che le annodava la gola.

 

Julian si svegliò solo il giorno dopo, l’aria di chi è passato sotto un camion da ubriaco e la stessa verve dei suoi adorati batteri statici. Si passò una mano in faccia sentendo la barba che lo infastidiva e mettendoci un po’ a ricordarsi che non era a casa sua e che si trovava in ospedale. Aveva lo stomaco in subbuglio, la gola dolorante e se non si fosse recato al bagno al più presto, gli avrebbero dovuto mettere anche un pannolino!

Te la faccio pagare, sibilò dentro di se col suo malumore cronico mattiniero che non cambiò di una virgola per tutto il giorno.

 

Per rimediare al disastro, Eva lavorò come un mulo per tutto il giorno, saltando le pause e rischiando di fare un altro piccolo macello. Aveva la testa da tutt’altra parte, precisamente al letto 23 della corsia F e non vedeva l’ora di andarsene. Chiuse il proprio laboratorio alla svelta e si diresse all’ospedale dove fu accolta da un immusonito Julian che la guardò di traverso e continuò la leggersi il giornale come se nulla fosse. “Va via, fattucchiera!” sbraitò a mezza bocca quando la vide avvicinarsi al letto.

“Mi dispiace”

Julian abbassò il giornale e le lanciò un’occhiataccia cogliendo immediatamente ogni più piccola differenza. Aveva i capelli puliti e quella camicetta che le stava da dio.

“Ti dispiacerà parecchio!” esplose vedendola allontanarsi di un centimetro “ti rendi conto che per poco non m ammazzavi con quella roba?” urlò con la voce rauca facendo girare la gente verso di loro. Eva gli gettò un’occhiata contrita e annuì “io non volevo..

Di nuovo la interruppe e l’aggredì per altri 5 minuti buoni finchè la gola che gli faceva male non lo costrinse a tacere.

Eva aveva le lacrime agli occhi e contraeva le labbra per non mettersi a piangere. 

“Ti ha detto bene che non ho sporto denuncia” riprese dopo un po’, più calmo.

La ragazza lo guardò con una smorfia e arricciò il naso, tirandogli una schicchera sulla tempia “la finisci di aggredirmi?! Quante volte dovrò chiederti scusa?”

“Non te ne fai un’idea!” esclamò spostandosi “e smettila.

“No, non la smetto!”esplose dandogliene un’altra “non mi devi urlare contro, cretino”

“Avvelenatrice!”ribatté fermandole il polso e vedendo la sua espressione che cambiava.

Se devi farti venire un attacco d’orticaria, sei nel posto giusto!” esclamò tirandola contro di se. “Eccola la tremenda punizione: ti farò grattare a morte!” ridacchiò abbracciandola marciandosi ampiamente sopra!

Eva restò paralizzata sentendosi abbracciare in quel modo e temette di venir sopraffatta da un’ondata di dermatite incontrollata. Cominciò a tremare, facendogli allentare la presa “ohi, stai bene?” le domandò preoccupato guardando qualsiasi punto scoperto della pelle.

 

“Si...più o meno” sussurrò aggrappandosi alle sue spalle e cercando di imprimersi in mente e nel corpo quella sensazione che non aveva mai provato...o se l’aveva provata non la ricordava assolutamente. 

“Ti lascio andare se…”

“No” gridò quasi smorzando subito il tono concitato “non c’è bisogno, sto bene..

Julian si perse in quella morbidezza e la strinse con aria soddisfatta. Adesso si che si sentiva bene anche lui!

“Mi piaci…” la sentì mormorare con un filo di voce, la bocca affondata fra la pelle e la maglietta.

 

La presa si allentò piano piano e Julian la scostò da se sbattendo più volte gli occhi. “Davvero?” domandò accarezzandola e osservando come diventava rossa un po’ alla volta. Eva si morse il labbro e annuì “si..” Sussurrò guardandolo e notando un’espressione meravigliata e perplessa che le diede una brutta sensazione. Aveva sbagliato, non glielo doveva dire? 

“Lo sapevo io…” sussurrò mentre Julian continuava a guardarla chiedendosi se la lavanda gastrica con gli avesse occluso i timpani.

“Non dovevo dirtelo”

“Eh?” domandò scendendo nuovamente sulla terra dall’olimpo della dea Eva.

La donna si allontanò in fretta, saltando via dal letto e dalle sue braccia “Fa finta di niente…per favore” mormorò imbarazzata prima di scostare la sedia e andarsene in fretta per la vergogna.

Julian restò a guardare la porta dalla quale era appena uscita impalato come un carciofo al mercato, cercando di mettere le cose a posto una dopo l’altra.

“Ragazzo..”

L’uomo si girò verso un vecchietto che era stato tutto il tempo ad osservare la scena in silenzio “Corrile dietro”

Julian lo guardò e annuì, poi il suo cervello elaborò la frase e schizzò in piedi, afferrando al volo il vestiti.

 

Eva camminava a viso basso e in fretta verso l’ascensore. Aveva fatto una figura…oddio, con che faccia si sarebbe ripresentata a lavoro? Si doveva far trasferire, o peggio licenziarsi!

Restò a tormentarsi un braccio con le unghie e la mente con la propria stupidaggine mentre attendeva l’ascensore. Ripensò al breve e intenso abbraccio e sorrise come una stupida.

 

“Eva!”

 

Si girò verso Julian che sopraggiungeva di corsa, scivolando fra le poche persone che affollavano il corridoio ed entrò svelta nell’ascensore, cercando di chiudergli le porte in faccia e rimanendo fregata. Le ante si serrarono dietro di lui ed Eva lo guardò arrabbiata.

Che vuoi? Non sei malato? Hai fatto un sacco di storie e guarda come se pimpante!” esclamò appoggiandosi sul fondo, con le braccia conserte e tremendamente a disagio.

L’uomo si avvicinò fino a toccarla “perché sei scappata, non mi hai fatto neanche finire di parlare…anzi non mi hai fatto neanche aprire bocca” mormorò con un sorriso dolce sulle labbra e torcendo il collo per guardarla.

Eva lo fissò per un breve momento e sorrise dandogli una spinta.

Lui gliela ridiede e la spostò di qualche centimetro.

“Smettila, stupido” ridacchiò cercando di evitarlo e raddrizzandosi sulle gambe.

Julian la abbracciò mugolando di finto dolore. “Noiosa fattucchiera..” Sussurrò vedendo un sorriso birichino che le montava sulle labbra.

“Ho fatto una figuraccia”

Na…” affermò con voce divertita, infilandole le mani nei capelli e arrotolandoli fra le dita “mi piaci anche tu, cosa credi” mormorò sentendola rilassarsi addosso a lui.

“Si?”

“E già!.

“Vorrei ben vedere” esclamò sprofondandogli addosso, in un paradiso che non aveva mai visitato.

“Sentila lei!” la prese in giro mentre le porte si aprivano e la gente defluiva nell’ascensore e lanciava occhiate divertite alla giovane coppia.

“Adesso torni su con me, mi faccio dimettere e ce ne andiamo a…” Julian si interruppe sentendo un brusco scossone alla cabina dell’ascensore.

Le luci ondeggiarono e si spensero per qualche attimo.

Subito entrarono in  funzioni le luc idi emergenza e un lento brontolio provenne dalla gola di Eva.

“Spero che in questo ospedale siano celeri, perché non mi piace stare rinchiusa negli sgabuzzini di metallo che si tengono su con i fili” affermò incrociando le braccia e sentendo una tremenda ansia.

Julian non disse niente e si appoggiò come lei alla cabina. “Pensa se adesso si rompe il cavo e ci sfracelliamo al suolo”

“Julian!!!”

E scherzavo!” ridacchiò osservando le deboli lucine che li avvolgevano.

 

Eva scivolò a terra con uno sbuffo “ci mancava anche questo…” lo guardò mentre si accomodava accanto a lei e scuoteva la testa. “Ti dirò, non mi dispiace più di tanto” 

Si volse a guardarla e lei fece lo stesso. Le prese la mano baciandola più di una volta e osservandola negli occhi  in silenzio.

“Posso approfittare di te mentre ci tirano fuori di qui?” domandò con un sorriso scanzonato e avvicinandosi di un altro centimetro.

“Non strisciarmi accanto come un verme, orgoglio dei manicomi!” ridacchiò imbarazzata restando dov’era “Non dobbiamo mantenere la specie per un semplice guasto all’ascensore.

“Come no?” esclamò fintamente sconvolto

“No!” affermò dandogli una schicchera sul naso “avvoltoio!”

“Fattucchiera” replicò girandole un braccio dietro le spalle “dammi un bacio o non premo il bottone dell’allarme”

Eva sgranò gli occhi e ringhiò “ancora non l’hai premuto?!”

Lui sollevò le spalle e si avvicinò nuovamente.

“Ti do una testata se non premi quel bottone”

“Dammi un bacio e dopo ti accontento” le promise con tono basso e invitante.“Mi piaci Eva, tantissimo” sussurrò accarezzandole il collo con il respiro.

Anche tu” la sentì miagolare addossandosi contro di lui. Con un gesto lento la voltò completamente verso di se, sentendo la bocca secca di fronte a quella visione, divorandola alla sola vista del modo in cui chiudeva gli occhi mentre la accarezzava: era goduria pura e semplice quella che le si leggeva sul viso.

 

Un suono melodico e ritmico li distrasse mentre stavano per baciarsi. Eva mugolò e afferrò il cellulare rispondendo con unsi’ dolce che fece seriamente stranire Martina. Non era da lei!

“Ehi…Eva Dove sei, ti ho chiamata a casa…”

“Sono rinchiusa in un ascensore” spiegò con un sorriso ebete mentre Julian la baciava sul viso.

Cosa?! Ma stai bene, sei sola?”

“No…c’è Julian con me” spiegò passando il telefono dall’altra parte e inclinando la testa per farsi baciare meglio. “Mi sono innamorata” le spiegò con un rossore diffuso un po’ ovunque “non ho più l’allergia agli uomini e mi sono innamorata …”

Sorrise un’altra volta come una scema al suo compagno mentre l’amica fissava il nulla stupita “e chi è?”

“L’avvoltoio” sussurrò come se si trattasse di una parola dolcissima.

Cosa?!” esplose facendole staccare l’orecchio dal cellulare, tanto che sentì anche lui il suo tono concitato. “Quell’avvoltoio? MacHorney?”

Lei annuì e gli sfiorò le labbra come se si trattasse di nettare degli dei.

“Oh santo iddio…” sussurrò Martina mettendosi a sedere “e da quanto va avanti  sta cosa?”

“Da adesso” sussurrò un’altra volta lanciandogli un’occhiata veloce. Julian le tolse il telefono garbatamente e si schiarì la voce. “Ciao amica di Eva. Ti dispiace richiamarla più tardi? Stavo convincendola a procreare con me, nel frattempo che ci tirano fuori da questa scatola di tonno”

“Ok…” borbottò la ragazza “divertitevi”

 

E come no? Pensò attaccando e posando il telefono a terra “eravamo al punto in cui io ti baciavo”

Le disse avvicinandosi con un sorriso stupido anche lui.

“Gusto…”

 

Stava quasi per baciarla quando Eva lo bloccò innervosita.

Che c’è?” le domandò un po’ preoccupato.

La ragazza cominciò a grattarsi e lo guardò con il viso triste “mi sa tanto che mi sta tornando l’allergia!”

 

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