~ Fear

di VaLeRiNa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Don’t cry ***
Capitolo 2: *** Start again ***
Capitolo 3: *** Wrong ***
Capitolo 4: *** Lost ***
Capitolo 5: *** the End? ***



Capitolo 1
*** Don’t cry ***



La luce del sole che tramontava all’orizzonte brillava sull’acqua del canale. Quante volte eravamo rimasti seduti a guardare questo spettacolo naturale?
Quante volte il mio cuore aveva sobbalzato alle sue parole? Le uniche, che riuscivano ad abbattere il muro che avevo innalzato intorno a me fino a penetrare nell’anima.
Tanti, troppi ricordi legati a questo posto…
Appoggiai la mano sul prato. Questa volta non incontrò la sua, quello spazio vuoto accanto a me era come quello che ora invadeva il mio cuore.
Mi mancava da morire il suono della sua voce… quella che mi sussurrava nell’orecchio che andava tutto bene, quella che canticchiava in continuazione in ogni momento, la stessa che mi aveva incantata fin dal primo istante.
Presi l’I-pod e lasciai che quella stessa voce mi entrasse di nuovo in testa
Non mi bastava più...quando si permette a qualcuno di diventarti indispensabile, il vuoto che lascia la sua assenza può essere riempito soltanto dalla stessa persona. Per me, non solo la sua voce, anche la sua presenza era divenuta essenziale
“Maledizione” picchiai i pugni a terra e lasciai che le lacrime scorressero senza vergogna.
Mi aveva detto tante volte di non piangere, di sorridere sempre perché i sorrisi donano forza. Il problema era che ciò che mi rendeva forte era il suo sorriso, lasciava che dal mio volto scomparisse ogni taccia di tristezza perfino nei momenti peggiori.

Mi manchi.

Guardai gli ultimi raggi scomparire dietro ai palazzi sfuocati dalle lacrime.
Avrei dovuto prenderne coscienza fin dall’inizio: non sarebbe tornato.
Era questo che significavano le sue parole.


“Dobbiamo trovare le nostre strade” disse Satoshi
“Non capisco…”
“Non voglio diventare un ostacolo per te, o tu per me”
La ragazza indietreggiò scuotendo il capo, ma lui non la stava guardando, aveva lo sguardo fisso a terra.
“Sono consapevole di essere un egoista. Non voglio ferirti, per questo credo sia meglio così…”
“Credi che così non mi stai ferendo?”
Alzò il capo e fissò i suoi occhi in quelli di lei. Non lo aveva mai visto piangere, non mostrava mai le sue lacrime, ma in quel momento aveva il viso rigato da umide gocce d’acqua salata.
“Sai, io credo…che tu abbia soltanto paura di fidarti di me…” mormorò la ragazza.
Non ebbe risposta.
Si voltò e uscì chiudendosi la porta alle spalle. Scivolò a terra abbandonandosi al dolore, senza trattenere neanche i singhiozzi.


Rimasi lì finché le ultime luci non lasciarono posto alle ombre.
Mi alzai e mi diressi verso casa.
Camminavo con calma, lasciando che la fitta al cuore si facesse più lieve. Le luci lungo la via si erano accese, tutte tranne quella di fronte a casa mia, che come al solito lampeggiava.
Decisi di controllare la posta, anche se ormai non speravo più in qualcosa, era diventata soltanto un’abitudine. Solo varie riviste e foglietti pubblicitari, come sempre...
Buttai tutto nel cestino, ma prima che potessi girarmi una lettera catturò la mia attenzione. Come avevo potuto non notarla?
La sfilai dalle cartacce col cuore che batteva a mille.
Non era segnato né il mio indirizzo né il mittente.
Sul retro della busta vi era scritto

Owari wa chikai keredo daijyoubu ai seteru kimi wo

Mi voltai e lo cercai disperatamente, ma la strada era deserta.
Cercai di aprire la busta nonostante il tremolio delle mani non accennasse a diminuire, c’era un foglietto in cartoncino rigido: un biglietto per un concerto. Il loro concerto.

Perché? Perché mi fai questo?


Lasciai cadere la busta a terra dalla quale scivolò fuori un altro foglio, lo raccolsi e lessi quelle poche righe che aveva scritto.

Mi sono reso conto che avevi ragione. Non ho scelto la via migliore, soltanto quella più semplice.
Voglio ricominciare come quel giorno in cui ti conobbi…
Perdonami.

 Satoshi.

Non avrei mai voluto ripetere tutto quello avevo passato in quel mese, e nonostante fino a quel momento mi fossi ripromessa di non tornare indietro, quelle poche parole avevano distrutto tutti i miei propositi.
Ferire, essere feriti. Spesso decidiamo di agire in modo che questo non accada, e ciò molte volte provoca il doppio della sofferenza. Possiamo illuderci che sia la via migliore, che questo dolore non sia nulla in confronto a quello che potremmo provare, ma in fondo sappiamo che non è così.
E’ meglio soffrire maggiormente per un dato periodo per poi essere pienamente felici, o arrendersi e abituarsi pian piano al dolore rimanendo in quello stato di falso benessere?
In fondo abbiamo tutti paura di soffrire, pensiamo di non essere abbastanza forti da affrontare ciò che non conosciamo: il futuro.
Sapevo ciò che volevo in quel momento. Rimisi i due fogli nella busta ed entrai in casa.

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Capitolo 2
*** Start again ***


“Allora?” disse ShuU appena mi vide varcare la soglia dell’appartamento.
Sorrisi.
“AH! Te l’avevo detto!” esclamò Nii, comparso all’improvviso dalla cucina con alcune lattine di birra in mano “Festeggiamo!” urlò, lanciandone una a Ryo che era seduto sul divano a giocare alla Play.
“Beh…non so se è andata, ha portato tutto in casa…non so” mormorai abbassando lo sguardo.
Mi ero reso conto tardi del terribile errore che avevo fatto. Ero stato preso dal panico, ancora una volta mi ero lasciato spaventare, e avevo allontanato una delle persone più importanti per me. Perché era una fiducia che andava oltre ogni limite, temevo inoltre che questo legame avrebbe potuto compromettere il mio sogno. Di tutto ciò avevo paura.

“Aspetta fammi capire, non le hai parlato?” chiese ShuU sbalordito.
“no, le ho lasciato un biglietto!”
“la tua stupidità non ha limiti” disse Ryo.
“oh sentite! Non ce l’ho fatta!” sbottai
“senza speranze!” disse Nii sospirando.
“già, decisamente!” disse ShuU prendendo una lattina dalle mani di Nii e andando a sedersi di fianco a Ryo.
“Datemene una e non rompete!” dissi indicando la birra.
Silenzio.
Si erano voltati tutti e tre, e mi stavano guardando con gli occhi sbarrati.
“Ecco così imparate, vi ho zittiti!”
“…”
“Non credo ci sia bisogno di ripetermi” disse Ryo scuotendo la testa e voltandosi, nuovamente, verso lo schermo.

Tre ragazzi come tanti. Tre ragazzi senza i quali, non so dove sarei ora.
Li avevo conosciuti pian piano, eravamo diventati non solo membri di una band, ma anche amici. Oltre a loro, le amicizie che avevo si contavano sul palmo di una mano.
Spesso in loro compagnia, mi ritrovavo a ridere in momenti nei quali avrei pianto: sapevano quando c’era qualcosa che non andava, e senza chiedere nulla mi sostenevano se serviva, o mi distraevano dalle mie preoccupazioni se eccessive.
Credevo che oltre alla musica e alla band, non mi sarebbe servito nient’altro. Mi sbagliavo.
Nei momenti in cui rimanevo solo a riflettere, spesso pensavo a quel qualcosa che mi mancava: un sentimento che mi riempisse e scaldasse il cuore, da dedicare ad una sola ed unica persona.
Ma era qualcosa che avevo sempre temuto, forse troppo coinvolgente. Più di una volta avevo preferito amori brevi e poco impegnativi, quelli che quando persi non lasciano ferite insanabili.
Pensavo che fosse la via migliore…questo prima di conoscere lei.

“Satoshi, dove pensi di andare?” disse ShuU che mi stava osservando da un po’.
“ehm…a schiacciare un pisolino?”
“E dimmi dove vorresti schiacciare questo cosiddetto ‘pisolino’?”
“In quella stanza là” risposi indicando la sua camera e mostrando un sorriso innocente.
“E magari chiedere il permesso al padrone di casa?” disse ShuU incrociando le braccia.
“Beh, non mi pare che in questo momento tu abbia la piena padronanza di casa tua!” dissi indicando Nii e Ryo.
Avevano rovesciato la birra a terra, e ora erano alle prese col televisore. Più che altro era Nii che lo stava prendendo a pugni, convintissimo che fosse causa sua se aveva perso.
“CHE DIAMINE STATE FACENDO?” ShuU aveva reagito alla mia affermazione, e stava riaffermando il suo dominio in quel piccolo appartamento.
“Nii è una schiappa a questo gioco, e non lo ammette!” disse Ryo ridendo, divertito dall’accanimento che aveva assunto Nii contro il televisore.
“ehi schiappa a chi? Moscerino abbassa la cresta!  Ammetti che quest’attrezzo ha fatto le bizze quando toccava a me!”
Lasciai Ryo e Nii in balìa di ShuU che aveva iniziato a scollegare i cavi della Play. Chiusi la porta della camera e mi lasciai cadere sul letto. Guardai l’orologio, era la una e venti.
Oggi iniziava il tour.

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Capitolo 3
*** Wrong ***


Furono le prime luci dell’alba a svegliarmi. La luce filtrava dalle tende e mi scaldava il viso.
Mi preparai, presi la busta sul tavolo e uscii.
Il paesaggio era tinto dai miti colori del sole mattutino. Camminavo lungo il marciapiede, ad ogni secondo il mio passo era più svelto.
Tutto esattamente come quel giorno.
Era come se avessi preso un orologio e l’avessi mandato indietro nel tempo, per correggere gli errori commessi. E’ una cosa che avevo spesso desiderato fare, ma ora mi accorgo di quanto fosse sbagliato: se decidiamo di cambiare il nostro passato, cancellando i nostri sbagli, come possiamo pretendere di imparare dai nostri errori?
Percorsi le stesse strade, mentre il battito del mio cuore accelerava.
Mi abbandonai ai ricordi di quel giorno, quello in cui c’incontrammo.

“Signorina questo biglietto non va bene”
Il cuore della ragazza sembrò perdere un colpo “cosa? Non è possibile”
“è come le dico, non è valido. Dove lo ha preso?”
“io…l’ho ordinato su internet”
“mi spiace signorina, ma con questo non posso farla entrare”
La ragazza indietreggiò, “NO!” spinse via un uomo di fianco a lei e iniziò a correre.
“SIGNORINA! DOVE PENSA D’ANDARE?” urlò l’uomo della security mente guardava la ragazza scomparire dietro l’angolo del palazzo.
Correva a perdifiato. Arrivata fino a quel punto, non avrebbe permesso che uno stupido biglietto le impedisse di realizzare un sogno.
Vide una porta aperta, vi si lanciò dentro voltandosi un’ultima volta a controllare se era inseguita, ma così facendo, non si accorse del ragazzo che si trovava vicino all’ingresso.


Persa in quei ricordi, in quel volto che avevo visto così vicino per la prima volta, non mi accorsi dei due fanali che si avvicinavano a gran velocità verso di me. Quella luce accecante puntata negli occhi m’immobilizzò.

“EHI ATTENTA!” gridò il giovane.


Ma ormai era tardi. Lo scontro fu inevitabile.





“eri un po’ distratta eh?” disse il ragazzo ridendo.





Il suono prolungato di un clacson.

Le urla di qualcuno.






Tutto diventava sempre più lontano.





Il ragazzo si alzò e le porse la mano “Forza, ti aiuto a tirarti su!”

Ma le mie gambe non si mossero.

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Capitolo 4
*** Lost ***


Partirono le prime note dell’intro, ancora poco e saremmo entrati. Il mio cuore era impazzito, l’adrenalina era alle stelle, e oggi avevo un motivo in più per essere agitato.
Nii entrò per primo seguito da Ryo.
“Forza!” disse ShuU. Mi aveva appoggiato la mano sulla spalla “sono sicuro che è venuta”
Mi voltai verso Yano, poco prima gli avevo chiesto di controllare se fosse entrata, ma lui evitò il mio sguardo.

Maledizione.

Avanzai verso il centro del palco, mentre le urla si facevano più forti.
Prima di iniziare, cercai disperatamente il suo sguardo. Ne vidi molti intensi, altri colmi di lacrime, alcuni pieni di gioia…ma del suo non c’era traccia…
Lasciai che le mie parole, le nostre note, mi trasportassero. Tentavo in tutti i modi di rimanere concentrato su quel maledetto live, ero lì per quelle migliaia di fan che ora cantavano con me, ma la fitta al cuore si faceva sempre più intensa mozzandomi il fiato.
Molte frasi non riuscii neanche a pronunciarle, fu un vero disastro.
Mancava l’ultima canzone.
Non fui capace di continuare.
“Scusatemi…oggi sono stato penoso. Voi come sempre unici… l’unica cosa che oggi è fuori posto sono io. Vi chiedo perdono, ma ora…non ci riesco…” lasciai cadere il microfono a terra, il tonfo risuonò per tutta la sala ammutolita.
“Scusatemi” mormorai con lo sguardo fisso a terra, poi corsi fuori.
Vidi ShuU avanzare verso il mio microfono e iniziare a parlare.
Fuori il caos, che invadeva quella la sala e il mio animo, sembrava non esistere. Fissai l’immobile cielo nero che avvolgeva la città.
Perché non era venuta? Poco prima di salire su quel palco ci avevo creduto, avevo davvero sperato di poter ricominciare, avrei guarito quelle ferite che mai avevano smesso di sanguinare, avrei rimediato ai miei errori. Probabilmente non si può tornare indietro in alcuni casi.
Ci sono ferite che non guariscono, per le quali non esiste il perdono.
Camminai a lungo quella sera, era l’unica cosa che riuscivo a fare in quel momento: percorrere strade sconosciute, senza una meta, con la mente distaccata da tutto e il cuore in frantumi.

Non so bene perché, ma nonostante tutti i suoni in quel momento mi paressero lontani, quelle due signore che spettegolavano su un incidente avvenuto quella mattina catturarono la mia attenzione.
“…è volata in aria dopo che la macchina l’ha colpita, e poi tutto quel sangue! È stata una scena terribile”
“mamma mia…”
“Sai, sembra che fosse diretta ad un concerto”
“Davvero?”
“Certo. Una ragazza, che ha trovato il biglietto a terra dopo che l’ambulanza ha portato via la giovane, ha detto «lei non se ne fa più nulla» e se n’è andata. Penso l’abbia usato e…”
Le interruppi senza rendermene conto: “Signora, sa per caso come si chiamava la ragazza?”
“chi? Quella che se n’è andata con il biglietto?”
“no, la ragazza che è stata investita”
La signora scosse la testa “mi spiace, però se le interessa l'ambulanza era diretta verso l'ospedale infodno alla via”
“quindi era ancora viva?”
“questo non so dirtelo...”
“ah…la ringrazio” salutai con un cenno le due signore e continuai per quella strada.
Magari era proprio lei quella ragazza.
Scossi la testa per cacciare quel pensiero.
Illuso.
Stavo solo cercando scusanti, vie di fuga.

Nonostante tentassi di non dare retta a quei pensieri, dopo qualche minuto mi ritrovai di fronte all’ospedale, a fissarne l’entrata.

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Capitolo 5
*** the End? ***


Bianco. E’ tutto bianco.
L’ultima cosa che ricordo è la sua voce e quei fanali puntati negli occhi.
Sono morta?
Se è così, quello che si dice...sono tutte palle. Non ho visto la vita passarmi davanti in pochi secondi. Beh però la luce si, quella in un certo senso l’ ho vista.
Cammino.
Per dove? Non lo so, ma stare ferma a fissare il nulla m’innervosisce.
Sono passati minuti, ore, mesi, anni…il tempo qui non esiste, so solo che all’improvviso una fitta alla testa mi fa cedere le gambe.
Cado a terra.
Sdraiata in mezzo ad uno spazio di bianco infinito, una lacrima silenziosa, riga il mio viso.
Ho fallito.
Ho perso la persona più importante del mondo. Probabilmente ora starà tentando di dimenticarmi. Non sono arrivata a quel concerto, lui non sa dove mi trovo, ed effettivamente non lo so bene neanche io…
Possibile che dopo la morte non ci sia qualcosa? Ho vissuto la mia vita per finire nel nulla?
Sospiro e chiudo gli occhi. Voglio ri-morire, se devo essere cosciente in questo luogo, voglio scomparire ed entrare a far parte del nulla.
Sento il battito del mio cuore rallentare, o forse non è quello ma solo dei colpi che risuonano in lontananza.
Riapro gli occhi. C’è un filo nero: il cavo delle mie cuffie.
Le indosso ma non vi è alcun suono.
Tiro il filo ma incontro una resistenza.

Deve essere bloccato.
Bloccato nel nulla?. Sorrido ironicamente.

Decido di percorrere la strada tracciata da quel cavo. Con le cuffie ancora indosso riprendo a camminare, e il tempo riprende a trascorrere in modo indefinito.
Quando inizio a sentire qualcosa provenire dalle cuffie, sembra essere passata un’intera vita, mi sembra di aver camminato per anni...eppure non sono stanca. E’ come se non avessi mai iniziato a camminare.

Kowarete iku sekai.

E’ questa la canzone che ora risuona nella mia mente.
Guardo verso quello che potrei definire orizzonte. C’è qualcuno alla fine del filo.
Accelero il passo e pian piano quella figura si fa sempre più nitida. Le mie cuffie sono collegate al microfono che è nelle sue mani. Sta cantando, lo vedo pronunciare quelle ultime parole:

Owari wa chikai keredo daijyoubu ai seteru kimi wo
(La fine è vicina, ma non preoccuparti, posso amarti)

Allungo la mano verso di lui: "Satoshi"
Lui alza lo sguardo e mi sorride.


“Satoshi…” sussurrai.
“Sono qui” rispose, poi appoggiò la sua guancia umida alla mia mano che stringeva fra le sue “…sono qui” ripeté più piano.

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