Alan Preston e Mr Todey
Signore e signori, bentornati.
Signore e signori, penso di avere ancora un debito
con voi: una cosa da mostrarvi; molte, credo.
In
effetti come potreste indovinare che la luce sugli occhi di Julie Arlowe
attraverso gli occhiali, li faceva sembrare di miele, se non ve lo dicessi io?
In effetti a nessuno di voi avrebbe ragione di importare una cosa simile. C’è
altro che dovreste vedere e io ho promesso di raccontarvi, giusto?
*
“Julie
Arlowe”
Ve l’avevo detto
che avrebbe impiegato una settimana prima di baciarmi? Sì? Be’ io no.
Ero
inginocchiato sul sedile del pullman, su quello dietro c’era la ragazza che mi
aveva appena detto un “sì” insicuro, con quella tensione delle labbra che le
faceva affondare l’angolino della bocca nella guancia.
“Sì
Alan, mi metto con te”.
Le
presi il viso, lo tirai su, costringendola ad alzarsi e la baciai, non ricordo
un altro bacio prima, né delle labbra più bagnate e morbide che si chiudevano
quasi arricciandosi, come la bocca di Marilyn Monroe che si increspava di rosso
e si chiudeva in un bacio. Un bacio. Mai più così bagnato e soffice e avrei
potuto contare le pieghe delle labbra. Una a una.
*
Da
allora erano passati anni, ora non ricordavo baci, ero in auto col freddo sotto
il maglione grigio, stavo cercando di raggiungere il carcere di Baltimora in
Maryland. Sappiate che so perfettamente che nel 1991 i Sonata Arctica non
cantavano la canzone chiamata “Juliette”, ma che voi vogliate crederci o no, io
stavo ascoltando quella canzone, in auto.
Ladies and gentlemen,
Welcome to my life again
Walk with me, every curve, every bend
This promenade that seems to come to an end
Strada,
strada, strada, dovevo aver saltato un paio di cartelli con le indicazioni e
adesso giravo come un idiota.
La
prima volta che avevo baciato Julie sul pullman ricordo che un coglione dietro
si era messo ad applaudire e fischiare finché la sua amica non l’aveva colpito
in testa con la cartellina.
Ci
risi su e il respiro si trasformò in vapore, il motore della macchina
singhiozzò per un attimo. L’abitacolo era gelido, mai ricordato un inverno così
freddo, giuro.
Signore
e signori, ci credereste che davvero il freddo era insopportabile? E che da
quel momento accettai perfettamente l’idea di ricordare la maggior parte di
quello che era successo a me e Julie per i due anni in cui eravamo stati
insieme? Sarebbe sorprendente, perché non ci credo molto nemmeno io, signori
miei, in effetti i ricordi, devo ammettere, stanno diventando quasi dei
fantasmi.
Riuscii
a vedere il cartello delle indicazioni, erano le sei e mezzo di mattina.
Non
sarebbe un momento perfetto per far parlare i miei ricordi fantasma?
*
Quarto
mese, credo, con le date sono sempre stato un disastro. A quel tempo le ragazze
dicevano a Julie che io volevo solamente scoparla, e in realtà non facevo che
chiederglielo. Sesso, sesso, sesso. Nelle mie fantasie succedeva in qualsiasi
posizione, luogo e in quel periodo scoprii di essere un amante del burlesque . Il problema era che Julie,
dal canto, suo non ci pensava nemmeno ad accontentarmi, e nessuno, signori
miei, assolutamente nessuno era capace di ammontare motivazioni sconnesse e
plausibili come Julie Arlowe, e spero che nessuno di voi voglia contraddirmi al
riguardo.
Sapeva
parlare, dicendo un sacco di cose belle, senza che quelle avessero un filo
logico, ma tutto ciò che aveva a che fare con lei aveva ben poco senso, spero
che l’abbiate capito; una volta eravamo nel garage dei suoi, erano riusciti a
metterci il bagno, la stavo baciando lì dentro.
“Piangi”
le avevo detto, fermandomi.
“Lo
so che vorresti piangere”.
Semplicemente
mi sembrava da lei che avesse bisogno di piangere chissà per quale motivo
idiota, e lei lo fece, scoppiò a piangere. Forse lo fece solo perché le
sembrava una cosa interessante, io dal canto mio sentii una specie di gioia
vendicativa. Tu non scopi? E ora piangi, non mi importa se lo fai perché sei
stupida o perché tendi a drammatizzare.
Amavo
davvero Julie, anche se potreste pensare il contrario.
*
Qualche
anno prima di quel mio viaggio verso un carcere e un uomo chiamato Carl Fish,
avevo visto in tv una strana pubblicità, tanto per cominciare c’era una sagoma
senza viso in una stanza.
“C’è
un uomo che non deve pagare per avere una casa” diceva la voce.
“Non
deve comprare un letto, né da mangiare” continuava.
“Ma
quest’uomo non è felice, perché è un carcerato”.
Mi
venne da ridere: l’omino stilizzato non aveva un’espressione feroce o triste,
non aveva una faccia. Era un omino che non era un criminale, aveva solo il
ruolo di un carcerato. Lo stesso succedeva a me: non provavo nulla, non avevo
uno scopo, mentre viaggiavo, ero solo l’omino che viaggiava, non la persona che
cercava.
Avevo
raggiunto Baltimora, e al carcere mi avevano risposto che Fish era stato
rilasciato quasi subito in mancanza di prove.
“E
dove lo trovo?” avevo chiesto alla guardia.
“Signore”
mi rispose lui, accompagnandomi fuori.
“Dovrebbe
chiedere a Mr Tovey, signore”.
“Mr
Tovey?” chiesi. Mi sembrò che mi prendesse in giro, quel tizio grasso e scuro
di carnagione.
“Sì,
sì, ragazzo, Mr Tovey, è un inglese completamente…” e posò l’indice sulla
tempia.
“Sì,
completamente fuori, ragazzo, mi capisci? Stavo dicendo che è un inglese, a
pochi passi da qui, sta sempre davanti alla farmacia e si crede un venditore di
tipi sperimentali di dentifricio, pensa un po’” eravamo fuori, lui sghignazzò a
un collega dietro di lui, si accese una sigaretta.
“Insomma,
insomma, lui vede tutti quelli che escono, che vengono fuori dalla prigione,
lui li vede tutti e accidenti se se ne ricorda bene!”
“Capisco,
dovrei chiedere a un pazzo dove se n’è andato Carl Fish” borbottai.
“Ragazzo,
ragazzo, ringraziami e fa’ come ho detto, va bene? Vedrai che ho ragione, e ora
su, fuori dai piedi” aveva detto bonariamente.
Alla
fine avevo fatto come aveva detto lui e davanti a una farmacia, c’era un tipo
vecchio con i capelli un po’ lunghi un cappellino verde col pon pon blu e
un’infinità di rughe, come centinaia di tagli.
“Signore?”osai.
“Oh!”
esclamò lui.
“Oh!
Oh!” riprese aprendo gli occhi un po’ a mandorla fino a circondare
completamente di bianco l’iride.
“Signore,
ragazzo caro” disse pestando con dolcezza il
piccolo tappeto sotto i piedi.
“Ragazzo
caro, dimmi, te li lavi i denti?”.
“Le
compro un dentifricio, signore, se mi dirà se ha visto una persona” dissi,
cercando con nella tasca le banconote appallottolate, senza estrarle.
“Davvero
signore? Ma che lavoro farei se non le parlassi dei miei prodotti? Eh? Ha mai
pensato, ragazzo mio, a un dentifricio al cioccolato? Un dentifricio dolcissimo
che si scioglie in bocca e ti lava i denti” il vecchio socchiuse gli occhi e
sorrise beato.
“No”
dissi seccato.
“Oh,
dovresti, ragazzo, l’igiene orale è importante” fece lui severo.
“Certo”
borbottai a disagio, molti passanti si giravano a guardarmi.
Il
vecchio mi ricordava il mio vecchio,
non che c’assomigliasse, ma avevo sempre problemi con la gente che mi
rimproverava.
“Chi
cerchi allora. Ragazzo?”.
“Si
chiama Carl Fish, dicono che sia uscito di prigione cinque giorni fa”.
“Oh!”
esclamò lui.
“Ah,
quello non mi ha comprato proprio niente” rise lui.
“Però
si è seduto qui e cercava di vendere con me i dentifrici, ha guadagnato più di
me” aggiunse, rattristando l’espressione.
“Diceva
che gli servivano i soldi per tornare da suo padre. Lo saprai dove abita il
padre, ragazzo. Lui diceva che al telegiornale l’avevano detto a tutti. A
tutti, dove viveva suo padre: è stato in carcere anche lui” poi rise un po’.
“Ti
do un dentifricio alla crema” disse con l’espressione mortificata. Si chinò e
sfilò un filo dal suo tappetino, un filo bianco e me lo porse.
“Le
darò sei dollari signore” dissi, in imbarazzo.
“No,
ragazzo, va’ via, non vedi? Devo vendere. Devo vendere le mie invenzioni” disse
tutto triste.
*
La
fine della mia relazione con Julie, due anni dopo il bacio sul pullman,
avevamo
litigato e la colpa era mia. Perché era una ragazza assurda,
perché forse non mi bastava e desideravo che smettesse di
trattarmi da amico. Le avevo detto che la lasciavo e non aveva battuto
ciglio.
“L’hai
detto tu” disse.
“L’hai
scelto tu” ripeté.
“E
tu non ti aspettavi altro” sorrisi io. Pioveva, una goccia era scivolata dentro
il giubbotto, aveva bagnato la pelliccia marrone all’interno e ora prudeva,
pensate che ci stessi a badare, in quel momento?
Mi
girai, non ripresi neanche l’ombrello che avevo lasciato nel suo garage.
Una delle mie più grandi delusioni: una donna che dopo aver preso tutto da te, non fa nulla per tenerti accanto.
“Alan,
perdonami” mi gridò dietro.
Perdonarla?
“Cazzo,
Julie” esclamai, girandomi.
“Perdonarti?
Ti sembro un prete, Julie?”
*
Ebbene
vi ho presentato Mr Todey, il matto dei dentifrici, senza dirvi nulla della
prigione, del secondino e tantomeno della farmacia dietro il pazzo. Non ve l’ho
detto signori, però vi ho raccontato di me e Julie Arlowe, volete sapere cosa
ho da dirvi su Carl Fish?
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Rispondo
ai commenti :)
Reus: Ecco la signorina a cui ho dedicato la storia! XD la mia Julie? Che fai sfotti :-)? Sono felice che tu abbia recensito
e letto, un bacio.
Darseey:
sono sinceramente felice di ritrovarti in questa nuova piccola impresa
narrativa, ne verranno altre col tempo, lo prometto, scuola permettendo, ecco.
Comunque mi fa un gran piacere che tu abbia gradito. Per quanto riguarda la
mail… purtroppo non mi è arrivato nulla, sospetto che tu sia quel misterioso
contatto che ho di recente su msn, ma non fidandomi di quest’idea, a mio
rischio posto qui il mio indirizzo msn col pericolo di eventuali
denunce-minacce-stupri di chiunque legga XD luther_abel@live.it,
puoi aggiungermi come contatto o mandarmi semplicemente mail. Come preferisci,
e ancora grazie :)
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