A real wizard

di tonksnape
(/viewuser.php?uid=2765)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lion Ash ***
Capitolo 2: *** Ginny e Piton, Harry e Ash ***
Capitolo 3: *** Incontri e scontri ***
Capitolo 4: *** Natale ***
Capitolo 5: *** La rabbia e l'amore ***



Capitolo 1
*** Lion Ash ***


LION ASH

La battaglia di Hogsmeade era terminata con la vittoria dell’Ordine della Fenice.

Gli Auror feriti furono medicati o inviati a San Mungo, mentre gli ex-allievi e i membri dell’Ordine della Fenice avevano riportato le ferite minori ed erano rientrati in poche ore alle proprie case.

Bill e Charlie Weasley erano tornati alla Tana con i genitori, dopo essersi accertati che Ron fosse medicato e dopo che la madre gli aveva raccomandato, con il suo solito smisurato amore materno, di stare attento e di prendere tutte le medicine prescritte.

Ron aveva sospirato e chiuso gli occhi per la noia più volte.

Purtroppo la signora Wealsey aveva trovato una valida alleata in Hermione, pronta a controllare ogni giorno che cambiasse medicazione e usasse i medicinali. Ron si era sentito bombardato su due fronti.

Aveva guardato i fratelli con lo sguardo da pulcino bagnato per cercare un sostegno, ma entrambi avevano alzato le mani in segno di resa. L’età e l’esperienza non erano sufficienti a rendere un figlio pronto a contrastare mamma Weasley.

Solo il padre riuscì, quasi sottovoce, a convincerla che era necessario partire per rassicurare gli altri tre figli.

Tutta l’attenzione si spostò per fortuna su Ginny.

 

Il giorno tutto era tornato apparentemente alla normalità. Silente aveva fatto un lungo discorso agli studenti la sera stessa della battaglia di Hogsamede, sottolineando il ruolo dell’Ordine e degli ex-allievi, annunciando azioni disciplinari verso gli allievi che avevano trasgredito al divieto di recarsi nel paese durante lo scontro.

 

Nel mondo della magia era presente un generale senso di paura per il futuro.

L’aria era pervasa dal timore di nuovi attacchi, dall’incertezza di quali potevano essere i possibili bersagli e dall’incertezza del ruolo dei Dissennatori che non si erano alleati apparentemente con nessuna delle due parti rendendo pericolosa anche la prigione di Azkaban e coloro che ne erano all’interno.

Gli studenti ancora si chiedevano dove fosse Hagrid e la scelta dei giganti non era ancora nota a nessuno.

La stampa ufficiale si era immediatamente schierata con Silente e in protezione di Harry.

Persino Rita Skeeter, due giorni dopo, visto come era girato il vento, aveva dato alla stampa degli articoli che sottolineavano il suo ruolo di “bravo-ragazzo-pronto-al-sacrificio-per-noi” creando una schiera di sostenitori che inviavano lettere ogni giorno, mettendo in imbarazzo Harry al momento della consegna della posta da parte dei Gufi. Edwige aveva tentato più volte di lanciare le lettere direttamente sulla testa del suo padrone, data la loro quantità e il loro peso.

Rita Skeeter aveva richiesto una intervista ad Harry attraverso Silente già il giorno dopo la battaglia di Hogsmeade. Il Preside aspettava la giusta occasione per sapere la risposta di Harry in proposito.

Nessun membro dell’Ordine si era più fatto vedere e sembrava che fossero tutti impegnati a fare il punto della situazione da qualche parte fuori Hogwarts. Tranne Tonks che ancora stava superando le conseguenze dell’attacco.

Harry li immaginava tutti seduti attorno al tavolo, nella cucina di Grimmauld Place, nella casa di Sirius, impegnati a elaborare strategie di attacco.

Avrebbe dato qualunque cosa pur di essere presente.

La casa di Sirius era in usufrutto all’Ordine fino al termine del settimo anno di Harry, secondo quanto gli aveva spiegato e fatto leggere il Preside. Dopo sarebbe diventata sua e avrebbe deciso cosa farne.

Per ora rimaneva a disposizione dell’Ordine della Fenice, con il controllo di Lupin.

Nessuno si spiegava la fuga precipitosa di Voldemort, né la paura che avevano visto nel suo sguardo.

 

Quell’uomo dalla chioma leonina era ancora un mistero per Harry.

Dopo il rientro da Hogsmeade, pochi giorni prima, lo aveva visto parlare a lungo con Silente in diverse occasioni.

Si aggirava con Silente lungo i corridoi, parlando sottovoce.

Lo aveva visto chiacchierare e ridere con la professoressa McGrannit, come fossero vecchi amici ritrovati.

Dalle mezze frasi di Tonks aveva capito che partecipava agli incontri dell’Ordine.

Ma non era mai stato ufficialmente presentato agli studenti e il nome era ancora un mistero.

 

Lo strano mago era presente anche quando tutto l’E.S. era stato convocato nello studio di Silente per essere punito per l’evidente mancata osservanza delle regole.

Si teneva dietro le quinte, seduto in una sedia dietro tutti i professori in silenzio, attento, serio. Aveva la stessa aurea di inflessibilità e autorevolezza paterna di Silente.

Erano presenti tutti i componenti dell’Esercito di Silente, ma i sei che avevano attivamente partecipato allo scontro erano in prima linea, davanti a tutti.

Di fronte a loro, oltre al Preside, c’erano i quattro capi delle Case.

L’espressione era di notevole freddezza.

Harry era abituato e aspettava con ansia il rimprovero e la punizione, ma senza particolare agitazione. Tutto come il solito.

Ron aveva quasi la stessa esperienza e desiderava solo evitare un punizione con Piton. Preferibilmente in compagnia di Harry, ma questa non sarebbe stata un punizione.

Neville, Susan, Terry, Anthony e Dean erano preoccupati. Non sapevano cosa aspettarsi e per tutti si trattava della prima convocazione ufficiale dal Preside.

Ginny era fiera di quello che aveva fatto, sapeva che la punizione ci sarebbe stata e le piaceva la sensazione di essere un po’ più simile ai gemelli. Cercava di dimenticare che si trattava dell’anno dei G.U.F.O., ma questo non aveva inciso sui risultati di Harry, di Ron, di Hermione e Neville l’anno precedente.

Luna si guardava intorno incuriosita. Era una stanza notevole quella del Preside, molto interessante.

Hermione era fuori di sé dalla preoccupazione. Una punizione. A lei. La sua carriera, qualunque fosse stata, ne avrebbe risentito? Beh, di una sciocchezza da sedicenne forse no. Ma essere punita era… una rottura!

Tutti gli altri aspettavano di sentire semplicemente un rimprovero.

Il Preside iniziò con tono sommesso:

“Sapete tutti di aver agito contro la precisa decisione dei vostri insegnanti. Era stato chiaramente spiegato ai vostri rappresentanti, esatto signor Potter, signor Weasley, signorina Granger e signorina Bones?”

Tutte e quattro le teste annuirono.

“Quindi avete agito con chiaro intento di disobbedienza. Ora, il risultato è stato decisamente interessante, in quanto avete attratto Voldemort esattamente dove tutti lo volevamo, avete combattuto con forza e coraggio tutti quanti, avete dimostrato lealtà di gruppo, cooperazione, organizzazione e senso di appartenenza. Tutti aspetti molto positivi e chiaro segnale di maturità.”

La maggior parte del gruppo non sapeva se tirare un sospiro di sollievo o aspettare un rimprovero ancora peggiore.

Le espressioni serie degli altri insegnanti non lasciavano presagire nulla di buono. Solo Silente sembrava davvero lieto di quello che aveva detto.

“Avete comunque contravvenuto a numerose regole che non intendo elencarvi. La punizione che abbiamo deciso è condivisa da tutti gli insegnanti e dai responsabili delle vostre Case. I vostri genitori saranno informati di quanto accaduto e non interferirò con le punizioni che vorranno darvi.”

Ron e Neville sentirono i brividi freddi lungo la schiena. La signora Weasley aveva anni di esercizio alle spalle nell’elaborare punizioni e rimproveri per i propri figli.

Ginny sapeva che avrebbe ricevuto un trattamento diverso dal fratello, meno… esplosivo sperava.

Neville non sapeva a quale aspetto avrebbe dato più peso la nonna: alle regole che non aveva seguito o al fatto che fosse stato così coraggioso da entrare in battaglia. Di certo l’occasione di sgridarlo non le sarebbe sfuggita.

Silente proseguì:

“La decisione comune è stata di togliere quindici punti a tutti coloro che hanno contribuito a questo progetto, direttamente o indirettamente.

Quando farete il calcolo vedrete che lo svantaggio rispetto alla Casa dei Serpeverde è significativo per tutte le altre tre.

Questo spero sarà sufficiente a farvi desistere da ulteriori comportamenti che possano recare danno a voi e alle vostre Case.

Il prossimo passo, se lo renderete necessario, inciderà sull’attività scolastica. Molti di voi sono o sono stati prefetti delle rispettive case. Dovreste ricordare che è vostro compito mantenere le regole e non cercare di aggirarle.

Credo che questo sia sufficiente per la maggior parte di voi. Come vedete abbiamo scelto di non toccare il quidditch, le uscite a Hogsamede o gli incontri dell’E.S . Non fateci cambiare idea. Abbiamo anche compreso in modo chiaro la richiesta di essere parte attiva di questo scontro. Ne terremo conto. Quando l’Ordine avrà definito un piano d’azione vi saranno comunicati quelli che potranno essere i vostri compiti di sostegno all’attività. Un ruolo attivo sarà accordato solo ad alcuni di voi e solo se lo accetterete.”

Adesso dovrei parlare con il signor Potter e la signorina Weasley. Gli altri possono tornare alle loro attività.”

Uscirono tutti in silenzio, a testa bassa, alcuni facendo calcoli di quanti punti aveva perso la propria casa. Ritornarono nelle Sale Comuni, tutti informati della prossima riunione che si sarebbe tenuta dopo pochi giorni per decidere cosa fare per il futuro.

 

Nell’ufficio del Preside rimasero solo Harry e Ginny.

“Signorina Weasley. Vorremmo che lei ci riferisse il più possibile con esattezza quanto le ha detto Voldemort quando ha parlato del diario e di quanto accaduto quattro anni fa.”

Ginny cercò di ricordare il più possibile quali fossero state le parole dell’Oscuro Signore, ma le tornavano alla mente con maggiore chiarezza la paura e quello sguardo di sangue puntato su di lei. Non aveva parlato a nessuno di un incubo di due sere prima che l’aveva lasciata tremante, seduta sul letto, nel tentativo di allontanare dalla mente quell’immagine di morte.

“Non ricordo esattamente tutto, Preside. Mi ha detto che era stato piacevole conoscermi, se era cambiato qualcosa da allora e che avevo perso l’occasione di diventare importante. Poi voleva solo uccidere anche me con Harry.”

Il tono della voce, chiaro e sicuro, non lasciava trasparire la preoccupazione che in realtà Ginny stava provando. Perché quelle parole erano importanti?

 

Non voleva passare di nuovo attraverso il dolore e la solitudine del suo primo anno. Era sola e sconfitta in quei mesi, senza l’appoggio di nessuno con il quale confidarsi, incapace di comprendere cosa le stava accadendo.

Era appena arrivata in posto nuovo, non aveva amici, solo un sogno di piccola adolescente nei confronti dell’amico del fratello, sogno che si era infranto davanti all’enorme errore che aveva fatto attirando proprio contro di lui l’ira e la paura della scuola.

Ci erano voluti due anni per superare il senso di colpa e di inettitudine che l’avevano attanagliata.

Aveva accettato solo l’aiuto paziente, silenzioso e affettuoso dei suoi genitori in quel periodo, i quali erano riusciti a farle ritornare il sorriso e la sicurezza in se stessa.

Sapeva di essere maturata molto, ma non intendeva ripetere l’esperienza. Quegli occhi di ghiaccio rosso che avevano accompagnato i suoi sogni di qualche giorno prima erano già abbastanza dolorosi.

“Sono passati quattro anni dal suo incontro con Tom Riddle, signorina Weasley. Credo che sia stato difficile superare quell’esperienza, ma adesso l’immagine che ho di lei, anche per quello che mi raccontano i suoi insegnanti e anche i suoi genitori che vedo sempre molto volentieri, sono di una giovane donna che esprime tutta la sua forza, determinazione e coraggio. Non sarebbe così facile ora per Voldemort avvicinarsi a lei, anche attraverso il meschino sotterfugio di un suo servitore. Credo però che quel coraggio che lei ha mostrato nel parlargli rappresenti, per Lui, una sfida troppo allettante per potervi rinunciare. Ha fallito una volta e potrebbe voler tentare nuovamente per dimostrare la sua abilità. Per questo motivo crediamo sia importante darle delle armi per difendersi.

Parteciperà insieme al signor Potter alle lezioni di Occlumanzia con il Professor Piton.”

Ginny rimase ferma, seria. Spostò solo leggermente lo sguardo dal Preside a Piton per pochi secondi.

“Va bene.” Si limitò a rispondere. Sentiva troppa confusione dentro di sé. Anche l’aiuto del Professor Piton era importante in quel momento per eliminare quello sguardo e quella voce, anche se provenivano dalla sua mente e non da quella di Voldemort.

Ginny non notò lo sguardo affettuoso di Silente, della professoressa McGrannit, della professoressa Sprite, del professor Vitius.

E non vide il lampo di dolcezza che attraversò lo sguardo del professor Piton, verso una ragazzina coraggiosa della quale sarebbe stato orgoglioso di essere il padre.

 

“Infine signor Potter.” Il tono di Silente divenne più paterno, se possibile.

“Siamo tutti consapevoli Harry che in questo momento porti il peso maggiore.

Per questo motivo dovrai però seguire Occlumanzia senza perdere alcuna lezione e dovrai fare delle lezioni supplementari con il professor Ash, Lion Ash.”

Silente indicò l’uomo con gli occhiali seduto in silenzio dietro a tutti. Egli chinò il capo in segno di saluto verso i ragazzi, con un lieve sorriso.

“Le lezioni ti serviranno a conoscere e utilizzare meglio la magia. Il tempo che sarà necessario dedicarvi non dovrà minimamente influire sul tuo rendimento scolastico o sulle altre attività. Siamo tutti pronti ad aiutarti Harry, ma devi riuscire a conoscere la tua impulsività e il tuo desiderio di farcela da solo. Per far emergere il meglio di te devi imparare a riconoscere e a evitare il peggio di te.”

 

Harry capiva il senso dell’ultima frase di Silente, ma la voglia di fare, di esserci era una spinta talmente forte che aveva difficoltà a trattenerla e controllarla.

Non si era trovato lui in quella situazione e in quel ruolo. Era stata una scelta di Voldemort. Ma adesso che era stato designato a combattere non intendeva dimostrarsi vigliacco o incapace.

Uscendo dalla stanza, preso dai suoi pensieri, non rivolse alcun sguardo verso Ginny, fino a quando arrivati in prossimità dei tavoli dove tutti si erano radunati per la cena, lei stessa non gli rivolse la parola.

“Quando hai la prossima lezione con Piton?”

Harry rispose automaticamente:

“Domani prima di cena. Un’ora circa.”

Entrarono in silenzio, perdendosi nella normale confusione della serata.

 

Arrivati al tavolo dei Griffondoro Harry prese posto di fianco ad Hermione e di fronte a Ron, mentre Ginny si sedeva di fianco al fratello. Tutti quelli che erano a portata di voce, rimasero in attesa di notizie.

Guardandosi attorno Harry vide le espressioni interrogative degli amici.

“Devo seguire delle lezioni supplementari con l’amico di Silente. Si chiama Lion Ash. Hanno a che fare con l’uso della magia da quello che ho capito. E devo continuare a vedere Piton, E devo smetterla di mettermi nei guai.”

Il tono rifletteva l’umore cupo. Tutti si girarono poi verso Ginny con la stessa muta richiesta.

Hermione chiese:

“A te cosa ha detto?”

“Devo fare lezione con Piton anch’io a quanto pare.”

“Perché” chiese il fratello.

“Perché Voldemort mi ha visto con Harry credo. E perché mi ha parlato.”

“C’entra con il dia…” Ron si ritrovò sullo stinco lo stampo di una scarpa di Hermione e il suo sguardo di fuoco che lo inceneriva sul posto.

Si rese conto all’improvviso che non era mai stato reso noto il ruolo di Ginny nello scontro della Camera dei Segreti, se non a pochissime persone al di fuori della famiglia. Guardò la sorella chiedendole scusa con gli occhi e lei accennò un sorriso.

Harry si rese conto in quel momento che Ginny non aveva detto una parola da quando Silente le aveva parlato in ufficio.

Se fosse accaduto sue anni prima lo avrebbe trovato normale, ma adesso no. Ginny non stava mai in silenzio, non accettava mai nessuna imposizione senza discuterla. Perché aveva accettato di lavorare con Piton?

Quando Voldemort le aveva parlato ad Hogsmeade aveva risposto senza incertezze, senza abbassare lo sguardo. Ora, mentre la guardava, sembrava solo stanca a triste.

Cercò il suo sguardo, ma era rivolto verso il piatto. Lo alzò per parlare con Hermione, davanti a lei, di lezioni e compiti.

Harry voleva una risposta.

 

Cercò di parlarle più tardi, ma Ginny si mise a studiare lontano da tutti, in Sala Comune. Apparentemente non c’era nulla di strano, era il suo quinto anno, aveva gli esami e doveva studiare molto. Rimanere concentrata era quello che ci si aspettava da lei.

Harry però aveva ancora la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava. Si chiese se doveva parlarne con Hermione o con Ron. Forse con Hermione, era più attenta allo stato d’animo degli altri di quanto non fosse Ron, anche se era la sorella. E Hermione avrebbe saputo trovare le parole giuste.

Forse però stava esagerando. Ginny poteva essere solo stanca e preoccupata per la situazione in generale.

Decise di aspettare e vedere cosa succedeva. Non si trovava molto a suo agio con l’immagine di Ginny in difficoltà che aveva bisogno di aiuto.

Era strano dato che anni prima le aveva salvato la vita, ma allora era solo la sorellina di Ron e lui aveva aiutato l’amico prima di aiutare quella piccola ragazzina.

Negli ultimi due anni era diventato amico di una ragazza sicura di sé, indipendente: lei aveva aiutato lui l’anno scorso.

Come si faceva ad offrire aiuto ad una ragazza, ad una amica, senza far credere a lei e a tutti di provare qualcosa d’altro nei suoi confronti?

E perché pensava una cosa così stupida? Erano amici, le voleva bene quasi come ad Hermione in fondo.

Harry sentiva che si stava addentrando in un terreno pericoloso e si concentrò nuovamente sui compiti. Molto più rilassante.

 

I pensieri di Ron erano altrettanto confusi. Aveva notato il silenzio della sorella, ma lo attribuiva alla punizione con Piton. Nessuno avrebbe accolto con piacere un impegno di quel tipo.

Hermione inoltre aveva preso alla lettera la promessa fatta alla signora Weasley e pretendeva di accompagnarlo alle medicazioni ogni giorno per controllare che non le saltasse.

Quella sera erano andati da Madama Chips dopo la riunione con Silente.

Per ora Ron sentiva la necessità di essere regolare: la schiena bruciava parecchio in alcuni momenti, soprattutto quando si muoveva di scatto o si chinava. La prossima settimana sarebbero ripresi gli allenamenti e non voleva doversi fermare.

Ne aveva discusso con Madama Chips.

Lei riteneva che non ci fossero particolari problemi, ma la schiena gli avrebbe fatto male ed era necessario mettere più unguento sulle ferite, anche dopo gli allenamenti. Ron sapeva che Harry non avrebbe avuto difficoltà ad aiutarlo, ma Hermione aveva acceso la conversazione intromettendosi senza che fosse richiesto.

“Dovresti aspettare un po’ Ron e lasciare che la schiena guarisca di più prima di sforzarsi.”

“Ma ho appena avuto l’ok di Madam Chips. Che problema c’è?”

Ron era seduto su un letto in infermeria, dietro un paravento a petto nudo, mentre Madama Chips passava l’unguento sulla schiena dove erano ben visibili i segni rossi delle ferite e i segni violacei e neri dei lividi lasciati dai massi che lo avevano investito. Le mani dell’infermiera non erano certo dolci e gentili. Stendevano l’unguento con rapidità e senza chiedergli dove facesse più o meno male. Ron ogni tanto stringeva gli occhi per il dolore, senza farsi sfuggire un gemito. Le mani si limitavano ad artigliare i bordi del letto.

Hermione era dall’altra parte del paravento.

Tutti e due sentivano che la mancanza di un maglione addosso a Ron richiedeva la presenza di quel paravento, anche se entrambi desideravano, senza dirlo neppure a se stessi, che non ci fosse e che non ci fosse neppure Madama Chips.

Solo questo pensiero era sufficiente a Ron per rendergli difficile lo studio mentre era in Sala Comune, poche ore dopo.

Hermione aveva continuato.

“Non vedo perché devi insistere per allenarti anche quando non sei pronto a farlo. Ti farà male, dormirai male, giocherai male per il dolore accumulato.”

“Grazie per la fiducia. E’ proprio piacevole contare sugli amici.” Rispose sarcastico Ron. Si stava arrabbiando. Pensava che fosse così fragile?

“So che giochi bene Ron, ma sto dicendo che se ti curassi fino in fondo potresti giocare al massimo, senza rischiare.”

“Hermione, da quando te ne intendi di tattiche di gioco? Almeno in questo potresti lasciarmi l’idea che ne so più di te? Oppure intendi farne una materia di studio?”

Accidenti a lei. Stava guardando il paravento davanti a lui, con lo sguardo teso e arrabbiato, sapendo che lei era dall’altra parte e aveva lo stesso sguardo di disappunto e di ostinazione.

Invece Hermione era preoccupata più che arrabbiata. Non si fidava di Ron e di Harry per quanto riguarda la medicazione. Avrebbe scommesso qualunque cosa che si sarebbero dimenticati, presi dalla partita e dalla fame. Voleva che Ron stesse attento a sé, che si curasse, non che rischiasse di farsi ancora più male durante un allenamento, ma era ostinato quando si parlava di quidditch!

Ron si infilò maglietta e maglione in silenzio e uscì dal paravento pronto a dare battaglia.

Si trovò di fronte una Hermione seria e preoccupata, ma non arrabbiata.

“Beh, cosa c’è?” le chiese brusco “Hai esaurito le raccomandazioni?”

“Sei stupido, Ron, proprio stupido!”

Hermione gli girò le spalle e si incamminò spedita verso la cena, senza più rivolgergli la parola.

 

Hermione era davvero preoccupata, per tutto.

Per Harry, per il pericolo costante che lo circondava.

Per Ron che avrebbe fato qualsiasi cosa con Harry, anche farsi ammazzare.

Per Ginny, perché sapeva che c’era qualcosa che non andava, lo si vedeva dallo sguardo, dalla sua tristezza, ma non voleva parlarne.

E per se stessa, per tutti i suoi amici, per la sua famiglia che non sapeva nulla di Voldemort, ma rischiava quanto gli altri londinesi.

Aveva paura dei suoi sentimenti per Ron che diventavano sempre meno confusi, ma sempre più pericolosi.

Era preoccupata per l’affetto che la legava ad Harry, per l’amicizia che sentiva verso di lui: non voleva perderlo, non lo avrebbe sopportato.

Concentrarsi sui compiti ultimamente era una sensazione piacevole perché allontanava tutti questi pensieri.

Se solo Ron avesse collaborato in minima parte per diminuire le sue paure invece che aumentarle. Non gli interessava neppure la sua salute, ma solo il quidditch.

 

Anche se si trovavano vicini a studiare, quella sera, i loro pensieri erano lontani gli uni dagli altri, oppure erano legati in modo tale da essere ingarbugliati e non comprensibili.

 

Ginny era molto stanca. Studiare Storia della Magia non aiutava a stare svegli, ma voleva rinviare il più a lungo possibile in momento di andare a letto per non rischiare di ritrovarsi il volto di Voldemort davanti al proprio, che ripeteva la sua minaccia di morte.

Si ritrovò così a notte inoltrata da sola in Sala Comune. Tutti erano saliti nelle loro stanze.

Si fece prendere dalla stanchezza e dalla tensione e si appisolò su una delle poltrone, rannicchiata su se stessa, abbracciando un libro.

 

Harry sentiva la voce di Voldemort avvicinarsi. Era perso in un luogo buio, senza pareti, senza porte, galleggiando nel nulla. Aveva paura.

Sentiva forte il richiamo a rispondere, a parlare, come se volessero costringerlo a dire qualcosa. Si svegliò seduto sul letto, sudato.

Ron era seduto vicino a lui e lo stava guardando. Dagli altri letti, a parte Neville, tutti lo stavano osservando.

“Hai gridato Harry. Cosa è successo?”

“Un sogno. E’ passato. Tutto ok.”

“Che tipo di sogno?” chiese l’amico cercando di capire cosa poteva essere successo.

“Era tutto confuso, senza riferimenti. Sembrava che si aspettasse che parlassi.”

Harry non sentiva più la necessità di spiegare a Ron si chi stava parlando e Ron non aveva dubbi di chi fosse il protagonista degli incubi dell’amico. Avevano parlato sottovoce, mentre gli altri riprendevano a dormire.

“Vado in Sala Comune, non ho sonno adesso.”

“Vuoi compagnia?”

Ron era sveglio e lo aveva chiesto senza sbadigliare. Forse una partita a scacchi non avrebbe fatto male a nessuno dei due.

 

Quando arrivarono nel Salone, Dobby stava sistemando il camino. Era vestito come al solito, con calzini spaiati e un vecchio straccio verde come vestito.

Sorrise ad entrambi e entrambi erano felici di vederlo.

“Harry, signore. Dobby è contento di vedere che sta bene. Anche il suo amico sta bene.”

“Buonasera Dobby. Scusa se ti disturbiamo durante il lavoro, ma volevamo fare una partita a scacchi.”

“Lei non disturba, signore. Dobby può lavorare anche se loro giocano.”

Harry e Ron si misero sul divano con la scacchiera al centro.

“Signore…”

“Dimmi Dobby?”

“Perché la piccola signora rossa dorme lì?”

Dobby indicò Ginny, profondamente addormentata.

Né Harry, né Ron l’avevano vista. Pensavano di essere soli.

Si guardarono, ma entrambi pensarono che doveva essersi addormentata studiando.

Ron la guardò sorridendo.

“Lasciamola dormire. Non credo che le piacerebbe essere svegliata.”

Cominciarono la partita, mentre Dobby finiva di spolverare il camino.

 

Il primo a sentire i lamenti di Ginny fu Ron. Nel pieno di una mossa di scacchi si girò a guardare la sorella. Si stava muovendo nella poltrona e sembrava stesse piangendo sottovoce.

Rimase a osservarla, poi guardò Harry, timoroso.

“Faceva lo stesso dopo l’incontro con Riddle… ha avuto incubi per parecchi giorni.”

Si alzò e andò verso la sorella. Si inginocchio di fianco a lei e cominciò a chiamarla dolcemente.

Lei sembrava non sentirlo e continuava in quel pianto sommesso senza lacrime.

Harry si avvicinò alla poltrona. Stava male per lei. Forse perché ci era appena passato anche lui sentiva il bisogno di fare qualcosa per l’amica, ma non sapeva cosa. Negli incubi sei costretto a fare tutto da solo, non c’è nessuno con te.

Ron le accarezzò un braccio, ma Ginny non si svegliava. Prese il libro, guardò di cosa si trattava e lo buttò a terra. Se si fosse trattato di un diario lo avrebbe gettato nel camino!

“E’ come cercare di svegliare te, Harry.” gli disse preoccupato.

Cominciò a scuotere la spalla della sorella con maggiore decisione e a chiamarla a voce alta.

Ginny improvvisamente aprì gli occhi. Era terrorizzata. Si guardò attorno, ma non capiva dove si trovava. Sentiva la voce di Ron, ma non lo vedeva.

Poi riuscì a mettere a fuoco il volto del fratello e gli gettò le braccia al collo, stringendosi a lui.

Ginny sentiva il cuore batterle in gola, aveva i muscoli tesi e irrigiditi, sentiva freddo e desiderava solo avere vicino qualcuno che le dicesse che quello che aveva visto non era vero, che era un sogno.

Ron, in ginocchio davanti a lei, la abbracciò, la cullò dolcemente, chiamandola per nome, rassicurandola. Le accarezzava la schiena lentamente.

Harry non aveva mai visto l’amico così affettuoso e dolce con qualcuno, neppure con la sorella. Era struggente vederli insieme.

Rimasero così per alcuni minuti. Harry cominciava a sentirsi di troppo, quando Ginny si mise seduta e chiese a Ron.

“Come mai siete scesi?”

“Harry ha avuto un incubo e stavano giocando a…”

Ron si fermò perché la sorella si era rivolta a Harry e con gli occhi sbarrati aveva esclamato:

“Anche tu lo hai sognato?”

Harry la guardò, con gli occhi socchiusi, meravigliato.

“Se intendi Voldemort, sì. Lo hai sognato anche tu?”

“Sono rimasta qui vero?” Ginny guardava entrambi preoccupata. Aveva lo sguardo angosciato.

“Ginny, non ti sei mossa. Stai tranquilla piccola.” Ron le aveva parlato sottovoce, toccandole un braccio.

“Non sono andata in giro? No, davvero?”

“No, Ginny, no. Siamo qui da un bel pezzo e c’era anche Dobby fino a poco fa. Sei rimasta sempre qui.”

Ginny lo abbracciò di slancio.

“Non voglio farlo di nuovo, non voglio.”

Ron la abbracciò stretta cercando Harry con lo sguardo preoccupato.

Harry si inginocchio di fianco all’amico. Ginny sembrava tornata la ragazzina di quattro anni prima, tremante e insicura.

Doveva essere costante la paura di ricadere nelle grinfie di Riddle, nonostante il tempo fosse passato e il ricordo ormai lontano. Aver visto in faccia nuovamente il suo incubo doveva aver risvegliato l’angoscia di tanti anni fa.

“Ginny non ti sei mossa di qui. Non hai fatto nulla. Domani ne parliamo con Silente se vuoi. Lui mi ha aiutato molto durante i miei incubi.”

Ginny alzò lo sguardo verso di loro. Aveva gli occhi lucidi, ma non piangeva. Con voce molto più sicura disse:

“No, abbiamo già l’incontro con Piton, ne parlerò con lui e poi deciderò.”
Harry e Ron si guardarono sorpresi. Aspettare l’opinione di Piton non sembrava a loro una grande idea. Avrebbe solo sbraitato qualcosa sull’importanza di essere fermi e sicuri di sé, sulla forza dell’Oscuro Signore senza dare soluzioni a nessuno. Ma Ginny sembrava tranquilla così. Aveva gentilmente allontanato Ron, sorridendogli lievemente per rassicurarlo e stava cercando il libro che stava studiando prima di dormire.

“Cosa hai sognato Ginny?” chiese Ron.

“Non lo so esattamente. Mi ricordo il buio e quegli occhi rossi. Mi sembrava di essere di fronte a lui di nuovo.”

Non c’era bisogno di specificare di chi si trattasse.

“Beh, è stata una brutta esperienza Ginny, parlarci insieme di nuovo. E’ ovvio che ti rimangano degli incubi!”

Per Ron era tutto molto chiaro e lineare!

Ginny avrebbe voluto essere sicura come lui, ma Ron non poteva capire quanto ti entrasse dentro Voldemort. C’erano stati dei momenti, durante questi anni, nei quali si chiedeva se la rabbia che sentiva verso gli amici o i fratelli o i genitori, anche per piccoli sciocchi litigi, era uno strascico dell’aggressività alla quale l’aveva portata quell’essere malvagio o era solo una parte di lei che esisteva perché era naturale sentire emozioni e sentimenti positivi e negativi nella propria vita.

Si era chiesta se la cattiveria che lei aveva messo in atto verso Colin o Hermione o Miss Purr potesse esserle rimasta dentro e se potesse venire fuori all’improvviso, di nuovo senza controllo, senza una sua precisa volontà.

Non si sentiva simile a Harry in questo.

Harry aveva sempre combattuto contro Voldemort, non aveva mai fatto nulla contro i suoi amici, neppure costretto da altri. Anche quando era stato attirato al Ministero della Magia, l’anno prima, aveva cercato di avvisare Piton, aveva combattuto contro i Mangiamorte, aveva sfidato Voldemort.

Lei aveva nascosto tutto, aveva solo cercato di allontanare da sé quel diario, ma in realtà non aveva fatto nulla per battersi, mai.

Si sentiva così incapace mentre ripensava a tutto questo, così sciocca.

Almeno gli incontri con Piton l’avrebbero aiutata a costruirsi una difesa, anche se ormai per Voldemort era solo una ragazzina che aveva perso l’occasione per diventare una persona importante.

 

In silenzio Ginny tornò al proprio dormitorio, facendo un cenno di saluto ai ragazzi. Ron ed Harry si dedicarono a terminare la partita.

 

Il giorno dopo, a colazione, si diffuse la voce che dalla capanna di Hagrid qualcuno aveva visto spuntare il fumo del camino.

Harry desiderava solo poterlo rivedere. Si accordò con Ron e con Hermione per fare un giro veloce da lui prima dell’incontro con Piton.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Ginny e Piton, Harry e Ash ***


-->

 

GINNY E PITON, HARRY E ASH

Finite le lezioni si ritrovarono alla porta d’ingresso, ben chiusi nei loro mantelli, pronti ad affrontare la neve che stava cadendo da qualche ora.

Velocemente arrivarono al capanno di Hagrid dal quale effettivamente stava uscendo del fumo.

Harry bussò con irruenza.

La porta di aprì leggermente e si ritrovarono davanti la faccia sospettosa di Hagrid, il quale quando si rese conto di chi si trattava esplose in un sorriso enorme.

Non si vedevano da mesi.

Li abbracciò e li stritolò a lungo, uno, due o tutti e tre insieme.

Poi si misero seduti attorno al tavolo sgangherato al centro della stanza, con tre tazze fumanti di the, mentre Hagrid sistemava i suoi bagagli.

Sistemare voleva dire che estraeva da una sacca enorme e molto usata una serie di vestiti, più o meno sporchi, li guardava e li buttava in un cesto altrettanto enorme.

“Cosa ne devi fare?” chiese Hermione indicando con la testa il cesto.

“Devo lavare. E’ un bel po’ di tempo che non gli do una lavatina come si deve.”

“Dove sei stato?” chiese incalzante Ron.

“In missione per Silente, lo sapete. E come facevate a sapere che ero tornato?”

“Dal fumo del camino. Lo hanno visto tutti oggi.” Ron gli sorrise

Hagrid guardò il camino e poi rivolse lo sguardo verso l’alto, quasi meravigliato che potesse essere visibile il fumo dall’esterno.

“Quale missione Hagrid?”

“Una meno rischiosa dell’ultima vostra, ho saputo. Cosa pensavate di fare? Siete in grande Rita Skeeterrdo sui Serpeverde ora!” Hagrid guardava Harry con uno sguardo, nel suo intento, serio e di rimprovero.

Harry era così contento di vederlo che avrebbe accettato anche una punizione da lui per quello che aveva fatto.

“Chi si è occupato di Grawp? Eh?”

Hagrid spalancò le enormi braccia verso di loro con fare sconsolato.

“Oggi lo ho trovato molto deperito poverino!”

I tre amici si guardarono meravigliati. Avevano continuato con regolarità a portare da mangiare a Grawp e a tentare di insegnargli a parlare e a loro non sembrava così deperito. Silente sapeva benissimo che si trovava e aveva provveduto a tutto quello che era necessario per fargli passare al meglio quel periodo lontano da Hagrid, compresa una capanna simile a quella dove si trovavano adesso, ancora più rovinata e disordinata dopo il passaggio del gigante.

Ron si ricordava ancora quanto aveva riso, fino alle lacrime, vedendo “Hermy” impegnata ad insegnare inglese a quel gigante, mentre lui cercava di pronunciare quelle strane parole osservando con la testa inclinata il movimento delle labbra della ragazza, affascinato più dagli animali che si muovevano intorno a lui che dal tentativo di Hermione di mantenere il patto con Hagrid. Sentire quel gigante pronunciare con voce cupa e stentatamente il nome dell’amica lo aveva divertito per parecchi giorni.

Ancora adesso, quando voleva farla arrabbiare, le si avvicinava di soppiatto e pronunciava sottovoce, con la stessa intonazione il suo nome: “Hermy”. Lei scattava immediatamente urlandogli che era un stupido bambinone poco cresciuto e gli toglieva l’aiuto nei compiti per parecchie ore.

Harry aveva partecipato per amicizia verso Hagrid, ma trovava quell’impegno decisamente inutile per tutti. Non si poteva fare nulla con quel gigante se non accudirlo.

A loro sembrava stesse al meglio possibile in quel momento.

“Hagrid…” disse Hermione “abbiamo fatto quello che hai chiesto. Mi pare che adesso parli anche meglio. Sai sono riuscita a fargli dire correttamente il tuo nome e anche quello di Silente.” Hermione gli stava sorridendo sperando che Hagrid riconoscesse l’enorme lavoro che lei aveva fatto solo per arrivare a questo piccolo risultato.

“Hai ragione sai.” le sorrise lui. “Mi ha chiamato per nome subito, appena arrivato, mi ha riconosciuto. Sei stata brava. Hermione!”

Lei si sentì fiera di se stessa.

“Dove sei stato, Hagrid?” Harry gli rifece la stessa domanda di Ron ed era importante per lui avere una risposta. Il mondo esterno adesso era chiaramente schierato con Silente, ma in realtà nessuno sapeva quali fossero le idee di alcuni popoli come quello dei giganti, che potevano rappresentare una forza notevole in caso di battaglia. I rapporti con gli uomini erano da sempre difficili. Era necessario un mediatore che aiutasse il dialogo tra loro e Silente e li portasse a sostenere l’Ordine.

Harry sapeva di non avere una chiara percezione di quello che stava avvenendo fuori da Hogwarts, delle trame che i maghi stavano tessendo sopra la sua testa, delle alleanze che si stavano stringendo, delle intrusioni che la politica aveva nelle decisioni.

Era preso da un vortice enorme e lui si sentiva al centro, quasi cieco.

Qualsiasi informazione serviva a chiarirgli un po’ le idee.

Ma Hagrid era fedele a Silente e al suo mandato.

“Ero in missione per conto di Silente, non posso dirti altro, Harry. Lo sai.” Hagrid sembrava quasi scusarsi.

Ron qualcosa aveva imparato negli anni e fece la domanda giusta al momento giusto.

“Come stava Madama Maxime? E gli altri giganti? Doveva essere molto che non li vedevi. E’ stato piacevole?”

Hagrid lo guardò sorridendo.

“Molto, Ron, molto. Lei è stata buonissima con me, anzi dolcissima e anche se sono stati molto diffidenti e scontrosi, almeno adesso hanno accettato di vedere Silente. Sarà un viaggio lungo per lui, ma…  oh, oh… questo non dovevo dirlo. Avanti, bevete il the adesso, non posso dirvi altro.”

Hagrid riprese a svuotare la sacca mentre Ron faceva l’occhiolino ad Harry e ad Hermione che ricambiarono.

 

La sera, dopo quel piacevole pomeriggio, Harry si ritrovò davanti all’ufficio di Piton per le lezioni di Occlumanzia, insieme a Ginny.

Harry si sentiva demoralizzato ancora prima di cominciare. L’ultima volta che aveva tentato di contrastare Voldemort alla presenza di Piton aveva ottenuto un buon risultato, ma ancora non aveva chiaro come era arrivato ad ottenerlo. E comunque Piton non gli piaceva, anche se aveva ben chiaro che l’odio verso suo padre e verso Sirius non era poi immotivato.

Ginny aspettava di poter parlare con Piton dei suoi incubi.

Bussò lei alla porta. Rimasero sorpresi quando aprì Tonks, con una massa di capelli arancioni e un gran sorriso di benvenuto.

“Ciao ragazzi. Io stavo andando, so che avete lezione con Sev… il professor Piton.” Si girò verso la stanza e anche se non potevano vedere entrambi capirono che stava salutando il professore con una certa… intimità.

Rivolse loro un altro sorriso e uscì dicendo a tutti un generico:

“A dopo.”

Harry e Ginny entrarono.

“Ben arrivati.” Il volto del professore era sempre cupo e serio, in tono con il nero dei vestiti. Era al centro della stanza, in piedi. Appariva forse, ma forse, un po’ più rilassato.

Fece cenno ad entrambi di entrare e di sedere davanti alla scrivania.

“Per iniziare, signor Potter, potrebbe illustrare lei alla sua compagna, quale è lo scopo di queste lezioni.”

Harry raccolse tutte le informazioni che ricordava e cercò di dargli un senso.

Almeno per Ginny era importante che fosse tutto chiaro.

“Vol…. Tu-Sai-Chi riesce a capire le emozioni degli altri, a leggerle, come se leggesse nel pensiero.”

Ginny lo guardò incuriosita. Non capiva cosa significasse “leggere nel pensiero”.

“Potter, si ricordi che è un mago, non un babbano.” Dall’espressione sembrava che Piton stesse ridendo di lui.

“Beh, riesce a capire i sentimenti delle persone soprattutto quando abbiamo meno difese, come durante il sonno. E’ come se potesse vedere quello che proviamo, che pensiamo, i nostri ricordi e lo può usare per colpirci dove sa che farà più male.”

“Già meglio, Potter. Come ci si difende?”

“Allontanando da sé il più possibile le proprie emozioni, escludendole dal pensiero perché non vengano afferrate da lui. E tentando di disarmarlo o di bloccarlo con un altro incantesimo.”

“Beh, almeno qualcosa ha capito del lavoro dell’anno scorso, direi. Dopo l’ultimo di qualche settimana fa, ci sono stati altri episodi?”

“Solo un incubo, ieri notte.” Harry soffriva a dover condividere con quell’uomo  i propri ricordi.

“Cosa accadeva?”

“Non riuscivo a sentirlo, ma sembrava che volesse farmi parlare.”

“OK. Ci lavoreremo. E lei signorina Weasley, ci sono incubi anche per lei?”

Ginny spalancò gli occhi sorpresa. Come poteva saperlo?

“Nessuno può fare esperienza di un legame con l’Oscuro Signore pensando di eliminarlo del tutto. Lo ha conosciuto e gli ha consegnato parte delle sue emozioni, anche se involontariamente. Egli potrà farsi scudo di questi sentimenti per carpirla nuovamente. Non voglio conoscere i dettagli di ciò che ha confidato nel diario, ma desidero solo sapere se quelle emozioni possono essere ancora presenti in lei e nelle sue relazioni con altre persone.”

Ginny si sentì molto incerta nel rispondere. Nessuno conosceva il contenuto del diario che presentava ancora solo pagine bianche. Sapeva che si trovava al sicuro nello studio di Silente e che nessuno poteva risalire a quello che aveva scritto. Silente glielo aveva assicurato.

Rimase a riflettere, in silenzio e Piton attese senza pungolarla.

Harry era sorpreso dalla quasi gentilezza che dimostrava nei confronti di Ginny. In effetti non aveva mai sentito la ragazza lamentarsi degli atteggiamenti di Piton nei suoi confronti e non sapeva esattamente quali fossero i suoi voti in Pozioni. Questo era ancora un lato sconosciuto di Ginny.

“Ci sono alcuni sentimenti che sono rimasti gli stessi, altri sono cambiati, sono più forti o meno significativi, ma credo ci siano ancora tutti.”

“Potrebbe usarli contro di lei, se la ritenesse una avversaria pericolosa. E lo ha sognato recentemente?”

“L’ho sognato due volte dalla battaglia, professore. Solo il volto che mi parla, in particolare gli occhi.” rimase in silenzio per alcuni secondi. Piton non disse nulla, ma rimase in attesa.

“Non è come anni fa, so che è un sogno, ma ho paura che possa riprovarci. Se gli è andata bene una volta, significa che sono fragile e … raggiungibile in un certo senso. Come se avesse provato la mia resistenza e avesse scoperto che può creare un… tunnel che mi attraversa, … che può portarmi dove vuole lui.”

Harry la fissò pensieroso: non aveva mai sentito Ginny parlare così a lungo e con una tale lucidità di se stessa. Lui non sarebbe riuscito a descrivere così bene le sue sensazioni. Ma le ragazze erano tutte così? Doveva parlarne con Ron e … forse anche con Hermione.

Secondo lui Voldemort ora non aveva alcun motivo di servirsi di Ginny, aveva riguadagnato una parvenza di corpo, aveva riguadagnato la fedeltà dei suoi Mangiamorte, un ragazzina di Hogwards era inutile. Però poteva comprendere le paure di Ginny di essere guidata da qualcuno che non fosse lei stessa. Quando pensava di essere posseduto da Voldemort aveva provato una tale angoscia. Per Ginny doveva trattarsi di qualcosa di simile.

Piton fece un gesto assurdo per lui. Accennò un sorriso verso Ginny e le appoggiò una mano sulla spalla.

“Credo signorina Weasley che non dovrebbe dimenticare che il tempo ha cambiato lei, ha cambiato l’Oscuro Signore e ha cambiato l’intera situazione.

Adesso una domanda più difficile. Per poter impostare il lavoro devo sapere se ci sono sentimenti o emozioni che vi legano.”

I due si guardarono. Erano meravigliati dalla domanda e non sapevano come rispondere.

In effetti Harry non avrebbe saputo dare un nome esatto ai suoi sentimenti per la sorella di Ron. Era stata a lungo solo un elemento dello sfondo della sua vita, niente da spartire con la forte amicizia che lo legava ad Hermione per esempio, ma adesso era diventata… qualcuno alla pari, non una amica con cui confidarsi, ma certamente una persona importante. Era… era difficile da definire!

Per Ginny i suoi sentimenti per Harry erano sempre stati chiari, anche mentre si modificavano nel tempo passando dall’innamoramento incondizionato, alla vergogna per quello che aveva fatto, alla tristezza di trovarsi ignorata come persona, alla costruzione di una nuova amicizia dove sentimenti più profondi, che pure c’erano, venivano volutamente messi da parte. Harry non era più l’eroe perfetto, ma era diventato un ragazzo poco più grande di lei, un bel ragazzo, che commetteva parecchi sbagli, che aveva un carattere a volte difficile, che non capiva un accidenti del sesso femminile. Era molto più simile al fratello ora (Hermione avrebbe detto che l’imbecillità di Ron verso il sesso femminile non poteva essere raggiunta da nessuno e in effetti…), anche se i suoi sentimenti verso di lui ogni tanto avevano poco del fraterno.

“Siamo amici.” Disse Harry. “E’ anche la sorella del mio migliore amico.”

“Gli devo la vita.” Aggiunse Ginny con una semplicità che fece venire i brividi a Harry.

“Nessun legame… più forte?” sottolineò Piton.

Negarono entrambi con il capo.

“Non che la vostra vita sentimentale mi sia di interesse, ma devo comunque insegnarvi anche ad agire insieme e più i sentimenti che vi legano sono forti più diventa importante che sappiate eliminarli dalla vostra mente entrambi. Chiariti questi aspetti cominciamo la lezione. Prima lei signor Potter, dato che sa già come fare. Signorina Weasly, lei osservi e utilizzi solo quanto di positivo Potter ci farà vedere.”

Piton tolse i propri ricordi e li mise nel Pensatoio, seguito dallo sguardo curioso di Ginny che non conosceva lo scopo di quella danza d’argento che entrava nel bacile.

Harry si irrigidì nell’attesa dell’attacco, cercando nello stesso momento di escludere i ricordi dalla mente.

“Legilimens” pronunciò Piton puntando la bacchetta verso Harry.

Ginny vide l’amico tendersi nello sforzo di bloccare qualcosa alzando la bacchetta, ma senza pronunciare alcuna parola. Sembrava pietrificato.

Poi urlò: “No!” e dalla sua bacchetta uscì un lampo che mandò Piton a sbattere contro la scrivania.

Si alzò velocemente e guardò Harry con gli occhi socchiusi.

“Ci siamo Potter, ci siamo. Ho visto molto poco, ora.”

Guardò Ginny e le fece cenno di andare al posto di Harry.

“Cerchi di concentrarsi, signorina Weasley e si ricordi che potrò vedere solo quello che lei mi farà vedere.”

“Legilimens”

Ginny si sentì invadere e riemersero ricordi che non sapeva di avere. Ron che giocava con lei, gli scherzi di Fred e George con i suoi giochi, il primo volo sulla scopa con il padre, la tristezza del suo primo anno ad Hogwarts, il primo bacio con Dean, la Camera dei Segreti, la faccia di Tom Ridde.

Si ritrovò a terra, piangente con Harry a fianco che urlava contro Piton.

“La lasci stare, la smetta. Ma non vede cosa le sta facendo!?!?!”

Harry aveva in mano la bacchetta puntata contro Piton.

Piton la osservava in silenzio. Parlò quasi sottovoce, come se Harry non fosse presente:

“Non ha opposto nessuna resistenza signorina Weasley, Deve tentare di fermarmi.”

Ginny, consapevole delle lacrime, si sentiva scossa e impaurita.

Si alzò da terra, mentre Harry sempre al suo fianco la scrutava, preoccupato.

“Riproviamo, Ginny.”

“NO!” urlò Harry nuovamente, girandosi verso di lui con il volto teso dalla rabbia “Non ce la fa più. La lasci stare.”

Forse avrebbe chiesto di aspettare un po’ prima di ritentare se Harry non avesse detto che non era in grado di proseguire. Era sul punto di dirlo, di chiedere tempo e pazienza al professore. Ma ora, no. Non quando qualcun altro aveva fatto la richiesta a nome suo senza interpellarla.

“Va bene.” Rispose con la voce tremante.

“Ginny…” Harry era sorpreso.

“Tu hai fatto un solo tentativo la prima volta?” gli chiese.

“No.” Fu costretto ad ammettere.

“Allora posso farlo. Solo… stai qui.” Era sia una reale richiesta di aiuto, sia un modo per non farlo sentire inutile.

Con Piton riprovò altre due volte, come Harry, dimostrando, nell’ultima di cominciare a comprendere la strategia, perché Piton le disse di aver percepito la sua iniziale resistenza all’intrusione.

Alla fine dell’ora erano esausti entrambi.

“Bene. Ci rivediamo qui tra una settimana.”

Piton li guardò uscire, pensieroso.

C’erano due cose che lo lasciavano perplesso.

Il fatto che avessero detto di non provare forti sentimenti l’uno verso l’altra, quando poi il piccolo Potter l’aveva difesa con rabbia e determinazione.

E poi entrambi avevano chiaro lo stesso ricordo dell’Oscuro Signore, durante l’ultima battaglia che diceva loro che sarebbero morti, mentre si stringevano le mani. E il ricordo più forte sembrava questo per entrambi, ma non ne erano consapevoli.

Quello che lo preoccupava di più è che aveva percepito la stessa identica immagine e lo stesso identico sogno in entrambi: l’Oscuro Signore che tentava di farli parlare. Ma solo Harry riusciva a descriverlo, mentre per Ginny era prevalente il ricordo della battaglia.

Doveva parlarne con Silente.

 

Il giorno successivo per Harry fu pesantissimo. Oltre alle lezioni della giornata lo aspettava un incontro con Ash e poi allenamento di quidditch.

Era stanco ancora prima di scendere dal letto.

L’unico vantaggio era il programma delle lezioni che includeva Storia della Magia (dormire), Cura delle Creature Magiche (divertente), Difesa contro le Arti Oscure (utile) e Trasfigurazione (interessante). Nessun compito da fare o da consegnare.

In effetti la giornata trascorreva molto tranquilla.

L’unico pensiero fisso di Harry, in quella giornata, erano le ragazze.

Guardandosi attorno si era accorto che cominciava a preoccuparlo la maturità che vedeva in Hermione, Ginny, Susan o anche Luna a modo suo.

Era molto più tranquillo avere a che fare con persone come Lavanda o Padma: ridevano e chiacchieravano di sciocchezze.

Parlare con le altre invece richiedeva una buona dose di attenzione per non dire la cosa sbagliata al momento sbagliato e sentirsi un incapace.

Anche con Cho in effetti era stato più facile: al massimo piangeva, ma non era necessario impegnarsi molto.

Se fosse stato sufficiente dire qualche stupidaggine sul quidditch e ascoltare le loro scemenze poteva ancora farcela, ma se doveva fare lui la prima mossa era nei guai. E poi con chi? La scelta era un po’ imbarazzante.

Se avesse dovuto passare un pomeriggio con Hermione o Ginny o Luna, in modo romantico… cosa avrebbe fatto?

Doveva sentire Ron. Non che avesse più esperienza di lui, ma ultimamente era molto ricercato dalle ragazze dopo il successo come portiere e sembrava trovarsi a suo agio nel ruolo.

E del resto chi altro c’era? Chiedere a Dean come aveva fatto con Ginny? Sarebbero subito iniziati i bisbigli sul fatto che Potter voleva agganciare la piccola Weasley!

Dopo il pranzo cercò Ron e riuscì a distoglierlo dalla folla di ragazzine ridacchianti che elogiavano le sue partite e i suoi allenamenti.

Ultimamente l’amico sembrava anche usare molto meno quei maglioni larghi e sformati degli anni scorsi e sceglieva i maglioni più piccoli usati dai fratelli, quelli che aderivano di più al corpo. C’erano parecchie ragazze che, per l’altezza, potevano guardargli bene il torace.

Ad Harry venne da ridere. L’idea di Ron che chiedeva ad una ragazza di uscire o che faceva il romantico sembrava una barzelletta.

Andarono insieme verso la Biblioteca e trovarono un piccolo tavolo per loro due. Sistemarono una parete di libri e pergamene sufficienti a dimostrare che stavano studiando e poi Harry decise di agire.

“Come va con le ragazze? Mi sembra che tu sia circondato!”

“Hai visto?” Ron era euforico. Sorrideva e gli brillavano gli occhi. “Cioè, non so come ho fatto, davvero. Penso sia il quiddtch, come per te.”

“Io non ho quella scia di femmine intorno!” Harry non sapeva se sentirsi fortunato o geloso.

“Beh, veramente…” Ron lo guardò sorpreso “molte mi parlano anche di te.”

“Davvero?” Per Harry si apriva un universo nuovo.

“Certo. Ma tu non ne approfitti mai! È bello sai essere al centro dell’attenzione. Mi sembra di essere K…” Ron si fermò incerto, arrossendo.

“Krum?” suggerì Harry sottovoce.

“Sì, lui.” Ron sembrava dispiaciuto di doverlo ammettere.

Non era chiaro a nessuno dei due quali fossero i rapporti di Hermione con Viktor, sapevano solo che c’erano ancora lettere che partivano e che arrivavano. Per Harry non era importante, mentre Ron si mostrava ancora infastidito e scontroso quando osservava quel movimento di gufi.

“Perché non glielo dici?” Ad Harry la domanda uscì involontariamente e se ne pentì. Era talmente preso dai suoi pensieri che non fece attenzione a quello che stava dicendo.

“Cosa? A chi?” Ron si era irrigidito immediatamente.

“Lo sai Ron.” Adesso Harry era spazientito. Era chiaro a tutti cosa provasse Ron. Forse lui aveva bisogno di guardarsi allo specchio per vedersi!

“Cosa so? Io non so nulla!”

“Questo è vero. Sono due anni che ti perdi dietro a lei senza sapere cosa fare!”

Scese il silenzio. Harry non aveva voglia di affrontare la cosa e Ron sentiva il cuore saltare nel petto.

“Senti, non volevo parlare di te, ma di me. Cosa dovrei fare per uscire con una ragazza?” Non era esattamente questo quello che voleva sapere, ma non voleva parlare dei suoi due migliori amici e dei loro sentimenti in quel momento.

“Provaci.” Rispose Ron immediatamente, sorridendo, contento anche lui di cambiare argomento.

“Grazie tante, non ci avevo pensato! Mi servivi tu per capirlo!”

“E allora perché me lo hai chiesto?”

Sempre peggio. Entrambi non capivano di cosa stavano parlando.

“Senti Ron” disse Harry sospirando “non è questo il problema. Cosa faresti tu per invitare fuori una ragazza? Cioè quello forse ancora è possibile farlo, ma dopo cosa ci fai?”

Si guardarono preoccupati. Non ne avevano idea. L’unica lezione chiara di come comportarsi Harry l’aveva avuta da Hermione l’anno precedente per Cho. E era andata come era andata. Cosa accidenti poteva fare? A parte che non sapeva chi invitare!

“Tu cosa faresti?” Guardò Ron.

“La inviterei fuori ad Hogsmeade, credo. Per Natale. Le farei un regalo. Di solito i miei fratelli fanno questo.”

“Sì, ma cosa le dici? Di cosa parli?” Harry si stava quasi divertendo nel mettere in difficoltà Ron con i suoi problemi.

“Non lo so. Di quidditch?”

“Con Ginny, forse, visto che gioca. Ma lo faresti con Hermione?” Ron arrossì dai capelli al collo.

“O con Luna, O Susan? Cioè, dipende da chi ti piace. Con alcune sembra facile, ridono per niente! Potresti anche non parlare perché lo fanno loro per tutti e due. Ma con le altre? Ti immagini una conversazione romantica con Hermione? O con Luna?”

Harry si era lanciato e non si accorgeva della difficoltà di Ron che ogni volta che sentiva il nome “Hermione” saltava un battito del cuore.

“Ciao.” La voce di Hermione li fece sussultare.

La guardarono con gli occhi spalancati, Ron terrorizzato all’idea che potesse aver sentito qualcosa, Harry infastidito dall’intrusione.

Si mise seduta vicino a loro mettendo a terra i libri. Si trovava a capotavola tra i due.

Li guardò con uno sguardo interrogativo: le sopracciglia sollevate, un mezzo sorriso.

“Stavamo parlando di ragazze.” Il tono di Ron era quasi aggressivo.

“Oh.” Hermione rimase interdetta. Anche il suo cuore tendeva a saltare dei battiti in quella situazione con loro due. “Volete aiuto?”

Harry pensò che poteva essere di enorme aiuto.

“Se dovessi uscire con te, cioè… non che voglia… no… potrei anche… ma sarebbe come uscire con Ginny… per Ron intendo… cosa si dice quando…” Certo che se era così difficile con una amica!!

Harry non sapeva più come uscirne e la guardò sconsolato.

Hermione sorrise divertita. Le piaceva fare l’esperta anche fuori dalle lezioni.

“Ho capito. Vuoi sapere di cosa parlare?”

Harry annuì.

“Di cose normali, di scuola, dei professori, di musica, di libri, anche di quidditch. Certo con Cho o Ginny che giocano forse è più facile, ma tutte guardiamo le partite.”

“Anche i giocatori!” Ron si era rabbuiato pensando a Krum, Hermione arrossì pensando a Ron. Ma evitarono di dirselo, così Ron immaginò che fosse arrossita per il bulgaro e diventò ancora più cupo.

“Beh, anche i giocatori. Anche noi guardiamo i ragazzi e sparliamo di loro. Con quattro case che giocano, ce ne sono di argomenti.” Il tono della ragazza era un po’ sostenuto.

“Ah, vi limitate alle squadre di Hogwarts?” Il tono di Ron era sarcastico.

“E di chi dovremmo parlare?” Hermione era sorpresa, poi realizzò il significato della frase.

Sbottò infastidita: “Ron! Non passo il mio tempo pensando a Viktor e se trovassi qualcuno che mi invita ad Hogsamede, forse ci penserei ancora meno.”

 “Bene. Potresti venirci con me!”

Entramb avevano parlato aggressivamente senza riflettere, solo per contrastarsi a vicenda e poter avere l’ultima parola. Il fatto che Hermione avesse nominato Krum e che Ron lo avesse inserito nel dialogo aveva fatto scattare entrambi.

Si guardarono negli occhi.

“OK.” disse Hermione intimidita e temeraria allo stesso tempo “Quando?”

Ron realizzò quello che aveva fatto e guardò Harry sconvolto.

Harry cercò di dirgli, senza parlare, che se si tirava indietro adesso che lei aveva fatto la prima mossa, lo avrebbe preso a calci per le prossime settimane facendosi aiutare da tutti gli altri compagni di camera e forse Ron lo comprese, ma per evitare ulteriori danni Harry, ancora una volta, prese l’iniziativa.

“Il prossimo fine settimana. Stavamo parlando di questo: come invitare le ragazze ad uscire con noi. Ron pensava a te e io… ” Non sapeva davvero chi invitare a questo punto.

Ron e Hermione lo guardarono.

“Beh, non so… ci devo pensare ancora.” Disse Harry abbassando lo sguardo.

Evitando accuratamente di guardarsi negli occhi ognuno prese i propri libri e affrontò i compiti.

 

Dopo più di un’ora Harry si preparò all’incontro con Ash, lasciando Ron e Hermione alle prese con lo studio di Trasfigurazione, terreno neutro per entrambi. Potevano litigare e aiutarsi senza pericolosi coinvolgimenti.

Harry cominciò a dirigersi verso lo studio di Silente, ma si rese conto che in realtà non sapeva dove andare.

Si fermò in mezzo al corridoio dove fu raggiunto da Tonks, ancora dolorante che stava riprendendo le sue normali mansioni nella scuola, che gli sorrise e gli mise una mano sulla spalla.

“Ciao. Sono venuta a cercarti per portarti dal Professor Ash.”

Chiacchierando delle lezioni e di quidditch arrivarono nei sotterranei, nuovamente nello studio di Piton. Anche solo quella breve passeggiata con Tonks era stata sufficiente per rasserenare Harry. Quella ragazza era decisamente solare. Perché passasse così tanto tempo con Piton era davvero un mistero.

Lo fece entrare nello studio del Professore di Pozioni dove si trovava solo Ash, seduto sulla poltrona dietro la scrivania, leggendo un libro.

Quando lo sentì arrivare alzò lo sguardo e gli sorrise. Aveva la stessa identica espressione paterna e scherzosa di Silente.

Non gli assomigliava fisicamente. Era meno alto, più robusto. Aveva una massa di capelli rossastri, ma già striati di bianco, che sembravano una criniera.

Gli occhiali rendevano gli occhi più piccoli, come se lo sguardo scrutasse dentro le persone, oltre che guardarle.

Vestiva una strana tunica tra l’azzurro e il grigio, ampia. Sembrava tagliata malamente o forse indossata un po’ a caso. Non aveva però l’aria trasandata o disordinata. Sembrava solo un po’ stropicciato o poco attento all’esteriorità.

Fece cenno a Harry di avvicinarsi a lui e salutò Tonks facendole l’occhiolino.

“Ciao Harry.” Lo salutò Tonks “Ti lascio con uno dei miei migliori insegnanti.”

E così quell’uomo addestrava gli Auror!

“Lei insegna agli Auror?” chiese Harry immediatamente.

“Sì. E’ la mia principale attività.” La voce era leggera, bassa, molto chiara.

“Cosa esattamente?”

“Mi curo delle loro capacità di fare incantesimi, magie e difendersi da essi. Da quello che mi ha detto Minerva, avrò il piacere di insegnare anche a te, tra qualche anno.”

Harry era al settimo cielo. Qualcuno aveva preso sul serio il suo desiderio di diventare un Auror, tanto da parlarne ai diretti interessati!

Un sorriso gli si allargò sul volto.

 

E il sorriso, anche se nascosto dall’impegno che la lezione richiedeva, gli rimase per tutto il tempo.

In realtà non fecero altro che ripassare alcuni degli incantesimi e delle magie più semplici, alcune di quelle imparate il primo anno o addirittura copiando dagli altri. Il professor Ash gliele faceva semplicemente elencare e provare ripetutamente fino a renderle perfette e poi gli mostrava e gli faceva provare a renderle più decise e intense lavorando sulla concentrazione e sulla precisione.

Con Ash provarono ogni minimo movimento della bacchetta, ogni passaggio, ogni inclinazione del polso e del braccio, il tono della voce.

Il professore gli fece vedere le differenze nel creare una luce con il Lumos variando il movimento della mano e il tono della voce, da una piccola luminescenza che sembrava una lucciola, ad un chiarore quasi solare.

Harry era affascinato. Gli stava mostrando un mondo di opportunità infinito.

Il corpo diventava uno strumento da accordare, come nel quidditch.

Ad ogni movimento seguiva una azione e un effetto ben preciso.

Era molto difficile controllarsi, concentrarsi, dimenticare la frustrazione o la rabbia, accettare l’errore o l’incapacità di fare un movimento, ma Ash lo seguiva passo passo, indicando quello che doveva fare e mostrandogli gli errori, lasciandoglieli fare per potersi correggere.

Per la prima volta era autorizzato a sbagliare e a farlo anche più volte, analizzato e controllato, fino ad ottenere quello che gli era richiesto.

Tutti questi passaggi li fece solo per due o tre degli incantesimi più semplici, ma si sentiva potente, sicuro.

Quando il Professore decretò la fine del tempo a loro disposizione Harry ne rimase deluso. Gli sembrava di essere appena entrato.

“Ok, giovane Potter. Credo che abbiamo finito per oggi. Come ti senti?”

“Benissimo! Mi è piaciuto molto. Grazie.”

Ash gli indicò una sedia e poi si sedette di fronte a lui. Lo guardò a lungo negli occhi.

“Credo tu abbia capito Harry che sto lavorando con te come lavorerei con un Auror, forse anche di più. Rispondi molto velocemente agli insegnamenti. Questo ti rende diverso dai tuoi compagni, ma non deve mai diventare motivo di vanto. Se ti chiedono cosa facciamo rispondi pure che stai ripassando con me tutti gli incantesimi che conosci. Questo non vale per i tuoi migliori amici.” Gli sorrise.

“Con Albus abbiamo condiviso molte scelte, anche questa di renderti più potente dei tuoi compagni, ma è una grande responsabilità, enorme. Sappiamo che Voldemort ha riconosciuto in te il suo diretto avversario e la sua nemesi. Questo ti chiede di essere pronto a batterti. Ma non si scende in battaglia se non si hanno le armi adatte a farlo. E questo ancora non lo hai accettato.”

Harry cominciava a irritarsi. Erano i soliti discorsi sulla prudenza questi.

“Immagino che molti ti abbiano parlato di prudenza e attenzione, Harry e che tu non li voglia più sentire. Ma devono essere alla base della tua forza. Voldemort non è arrivato dove si trova facendo improvvisazioni e Silente non agisce senza avere pensato a lungo cosa fare e quali conseguenze ci saranno.

Questo lo devi imparare. Hai visto cosa si può fare con il controllo, con l’esercizio e con l’attesa. Non tutto si affronta direttamene, con uno scontro aperto. Ci possono essere altre strade fatte di collaborazione, di ascolto e di coinvolgimento di altre persone quando riconosci che ne sanno più di te. Pensaci fino al nostro prossimo incontro. Ricordati che se proverai a rifare quello che abbiamo provato potresti non riuscirci. Hai bisogno di esercizio, molto e lo faremo insieme.”

Gli sorrise e gli fece cenno di uscire.

Harry era incerto. Effettivamente con il controllo aveva ottenuto molto, ma doversi mettere tranquillo ad aspettare o a pensare non era per lui.

 

Arrivato in Sala Comune per la cena si trovò immerso in una lunga conversazione sui compiti di Pozioni e sugli schemi di gioco per il prossimo allenamento serale. Si dimenticò velocemente di quello che lo preoccupava e nessuno gli chiese nulla dell’incontro.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Incontri e scontri ***


INCONTRI E SCONTRI

Il fine settimana era prevista una uscita ad Hogsmeade per tutte le case. Non c’erano segnali di rischio di ulteriori attacchi. L’Ordine della Fenice aveva indetto un incontro solo per questo cercando di valutare tutte le possibilità, ma non erano emersi elementi che facessero pensare ad un’altra battaglia.

I mangiamorte sembravano scomparsi: non c’erano segnalazioni, né avvistamenti. Harry non aveva avuto altri incubi. Solo Ginny continuava a sognare di notte, ogni tanto, il volto di Voldemort, ma era sempre la stessa immagine di Hogsmeade e anche lei aveva imparato a riprendere il controllo dei propri pensieri quando si risvegliava, tesa e in allarme, dall’incubo.

L’attività della scuola procedeva con lentezza, sempre uguale.

Gli studenti avevano concentrato nuovamente tutta la loro attenzione sulle lezioni e sui compiti.

Le riunioni dell’E.S. avevano ripreso la loro funzione originaria.

Si riunivano per insegnare e imparare con sempre maggiore sicurezza gli incantesimi, per provare a battersi tra pari, per osservare quello che facevano gli altri.

Harry non aveva accennato a quanto stava facendo con Ash, se non con Hermione e Ron, dicendo loro anche quanto fosse importante non diffondere la notizia.

I ragazzi avevano accettato la richiesta e nessuno aveva fatto loro domande.

Ginny e Luna erano estremamente impegnate per lo studio. Partecipavano a tutte le riunioni e, per Ginny, agli allenamenti, ma erano spesso immerse nei libri o in biblioteca.

Ron non aveva ancora capito con chi Harry intendesse partecipare all’uscita di Hogsmeade.

Da un lato desiderava che Harry non trovasse nessuna ragazza per avere la scusa di non lasciare solo l’amico e quindi di non dover rimanere solo con Hermione. D’altro lato desiderava talmente poter stare con lei che anche il suo miglior amico rappresentava un ostacolo.

Non sapeva cosa fare in realtà, non sapeva a chi chiedere informazioni. Aveva osservato e ascoltato i fratelli alle prese con le rispettive fidanzate o amiche, ma sapeva che non sarebbe mai riuscito ad essere così disinvolto, in particolare con Hermione. Ma come era possibile che Charlie o Bill non avessero mai sofferto di timidezza o di imbranataggine cronica?!

Aveva osato affrontare l’argomento con Harry solo una sera, dopo un allentamento di quidditch quando erano rimasti solo loro negli spogliatoi.

Harry era alle prese con i capelli e cercava di dare loro un certo disordinato ordine, mentre Ron, perso nei suoi pensieri aveva indossato i pantaloni e teneva in mano la maglietta con la quale giocherellava senza indossarla. Era seduto a capo chino su una panca, mentre Harry, seduto di fronte a lui si passava le mani nei capelli sospirando.

“Chi porterai ad Hogsmeade, Harry?”

Harry si bloccò e alzò lo sguardo.

“Non lo so. Non ci stavo pensando davvero di invitare una ragazza.”

“E tutti i discorsi che stavi facendo?”

“Erano solo domande, Ron. Palando con Ginny, con Luna e Susan mi sono reso conto che non saprei cosa dire o cosa fare se uscissi con una come loro. Ogni volta che parli sembra che abbiano il cervello metri e metri davanti al tuo! Con Ginny è una penitenza ogni volta. Persino da Piton sembra capisca più di me!”

Ron sospirò sonoramente. Cosa aveva fatto?

“Come farò con Hermione, Harry? Dove la porto? Di cosa parlo?”

“Beh, ma tu sei abituato a stare con lei. Lo fai ogni giorno.” Sapeva che stava dicendo una bugia: era molto diverso vedersi a scuola e passare del tempo volutamente insieme.

“Sei sempre con noi, ci sono i compiti. E poi non voglio litigare!”

Si mise le mani sulla faccia.

“Cosa ho fatto?”

La porta si spalancò di colpo.

“Harry!” Ginny esplose dentro la stanza con lo sguardo arrabbiato. Non guardò minimamente il fratello e si mise dritta davanti al capitano della squadra.

Hermione dietro di lei osservò la stanza che non aveva mai visto e fu attratta da Ron, a petto nudo, che guardava le spalle della sorella sorpreso. Quando lui la vide velocemente indossò la maglietta, arrossendo. Hermione distolse lo sguardo, deglutendo.

Harry spalancò gli occhi di fronte allo sguardo irato dell’amica.

“Cosa c’è?”

“Cosa c’è? COSA C’È? Questo c’è!!”

Ginny gli lanciò un copia della Gazzetta, con la data del giorno successivo, dove in prima pagina, di fianco ad un enorme titolo che ricordava il rischio di Voldemort, c’era un trafiletto piccolo piccolo, firmato da Rita Skeeter e intitolato: “Harry, la morte e l’amore”.

Harry cominciò a leggere già irritato dal titolo.

Dopo il primo paragrafo cominciò a capire che l’articolo parlava delle sue presunte fidanzate nominando oltre a Susan “dolce nipotina del nostro amato Ministro della Magia”, con la quale sembrava che avesse concluso una breve storia, la “piccola Ginevra Weasley, sua ultima conquista, ultimogenita di una nota famiglia da sempre fedele al Ministero della Magia, prolifica donatrice di uomini d’onore e di gloria.”

L’articolo descriveva Ginny come una ragazzina dolce e remissiva (e già questo era sufficiente a capire che Rita non l’aveva mai vista) che era caduta ai piedi di Harry dedicando a lui la propria esistenza, vivendo fianco a fianco nella stessa Casa di Hogwarts e nella squadra di quidditch. Sembravano la coppia perfetta: lui uomo votato al sacrificio per l’umanità e lei timida ragazza pronta a lasciarlo morire per la gloria.

“Non ne so nulla, Ginny, Non penserai che abbia detto queste scemenze di te?” Harry era arrabbiato per l’articolo e preoccupato per la reazione di Ginny.

“Lo so che non le hai dette, altrimenti sarei qui pronta a portarti a San Mungo con Allock!” Ginny aveva abbassato leggermente il tono della voce, ma si era posizionata davanti a Harry con le mani sui fianchi, pronta a dare battaglia.

“Tu” gli disse puntando un dito contro di lui, anzi spingendolo contro il suo sterno “tu avresti dovuto rilasciare una intervista a Rita Skeeter già da qualche giorno. Lo hai fatto?”

Harry si ricordò della richiesta che aveva ricevuto da Silente e alla quale non aveva mai risposto. Non desiderava rivedere Rita Skeeter in nessuna delle sue forme di Animagus non autorizzato!

Ma a quanto pare l’aveva sottovalutata.

“No” ammise sottovoce. “Speravo che nessuno mi ricordasse di doverci parlare.”

“Beh, ragazzo-che-salverà-l’umanità, a quanto pare lei se ne è ricordata. E a mie spese!”

Hermione e Ron stavano guardando i due senza dire parola. Ginny era una furia.

“Mi dispiace Ginny. Non credevo che reagisse così. Penserò a come risolvere la cosa. Io…”

“Ancora, Harry, lo fai ancora. Accidenti a te, io non voglio che tu mi risolva i problemi, voglio che tu non me li crei pensando solo a te stesso! Mi hai salvato la vita una volta, è sufficiente a farmi sentire in debito per sempre. Adesso vorrei solo che pensassi anche agli altri, quando decidi qualcosa e non mi facessi sentire sempre come mi descrive questa qui!”

Ginny si bloccò, rendendosi conto di aver appena sfogato tutta la sua rabbia contro la persona sbagliata e di aver detto ad Harry parte di quello che non voleva dirgli.

Gli occhi le si riempirono di lacrime per la frustrazione e uscì di corsa dalla stanza.

Harry guardava a terra, con lo sguardo tetro. Come poteva essere colpa sua se quella specie di serpente velenoso era bugiarda?!

“Harry.”

La voce di Hermione gli fece alzare la testa.

“Dovresti chiederle scusa.”

“Io? Non ho fatto nulla, io! È quella maledetta giornalista che dovrebbe chiederle scusa!”

“Harry, hai sentito cosa ti ha detto?” Hermione stava parlando con un tono molto materno.

Lui la guardò sorpreso: “Ha detto che è colpa mia.”

“Harry, è arrabbiata con Rita, non con te. Si sente presa in giro di fronte a tutti. Tu puoi capirla, ci sei passato due anni fa. Solo che Rita non c’è qui e devi ammettere che un po’ di responsabilità è anche tua se non hai rilasciato interviste. E poi ti ha detto che…”

“… che ho agito pensando a me stesso e non agli altri. E… ha detto che si sente davvero così pronta al sacrificio per me?”

Harry aveva terminato il ragionamento di Hermione, ma l’ultima frase era davvero incomprensibile.

“Tu lo stavi facendo per lei nella Camera. Non ti sentiresti un po’ in debito anche tu al suo posto? E poi lo abbiamo fatto tutti e tre a Hogsmeade poche settimane fa.” Ron lo guardava dalla panca, con le braccia appoggiate sulle ginocchia. “È mia sorella Harry e se non vai tu a consolarla devo andarci io. E penso che il casino lo hai creato tu.”

Harry si mise le mani davanti al volto.

“Lo vedi Ron, capisci? Non riuscirò mai a far andare il mio cervello alla loro stessa velocità. Ho persino bisogno del traduttore…  E dovrò parlare a Susan!”

Mentre parlava di alzò dalla panca dove si era seduto a leggere l’articolo, afferrò il mantello e corse fuori dalla stanza alla ricerca di Ginny.

“Chiedi a Ginny di farlo con te!” gli gridò Hermione.

 

“Cosa voleva dire Harry a proposito dei cervelli che corrono veloci?” Hermione di decise a guardare nuovamente verso Ron che si stava infilando il maglione.

“Stavamo parlando del fatto” disse Ron mentre la testa spuntava dal collo del maglione “che il cervello di voi ragazze, di alcune almeno, va troppo veloce e noi non riusciamo a seguirlo. Siete complicate.”

Hermione gli sorrise divertita.

“Così siete delle piccole meduse prive di ragionamento?”

“Hei, non ho detto questo. Ho detto solo che siete… difficili.”

“Anche io?”

“Si, anche tu. Ma almeno ci aiuti a capire le altre.”

Hermione rimase in silenzio aspettando che Ron mettesse in ordine e indossasse il mantello per rientrare a scuola.

“È difficile stare con me, Ron?”

Ron si fermò davanti a lei. Questo era l’esempio di quello che diceva Harry. Cosa poteva rispondere senza farla arrabbiare?

“Non sono quello più giusto per rispondere. Litighiamo sempre.”

“Oh.” La risposta di Hermione era un sospiro.

Quando furono alla porta arrivò la domanda che più temeva.

“Perché mi hai invitato ad Hogsmeade allora?”

All’improvviso decise che era inutile cercare di starci alla pari. O andava bene così oppure anche.

“Perché lo è un po’ di tempo che volevo farlo.”

Aveva parlato guardando il corridoio. Quando il silenzio diventò un po’ troppo lungo si decise a girarsi a guardarla.

Stava sorridendo.

Poi se la ritrovò addosso, mentre lo abbracciava, le braccia attorno al suo collo.

Lui appoggiò le mani leggere, leggere sulle sue spalle.

Mentre sentiva il profumo che le aveva regalato l’anno precedente salire verso di lui, Hermione si staccò, sorridendo e gli prese la mano.

“Dovrai dirmi da quanto tempo. Ma adesso andiamo a cena così mi racconti dell’allenamento.”

Finalmente un argomento tranquillo e calmo per parlare!

 

Harry aggiunse Ginny mentre attraversava il campo di quidditch, senza più correre.

La chiamò, ma lei non si fermava. Allora le mise una mano sulla spalla e le disse: “Ginny, aspetta. Non andartene arrabbiata.”

Ginny si fermò con la testa che guardava il campo.

“Ginny… è vero non l’ho cercata, ma non avevo voglia di ritrovarmi sommerso come due anni fa. Mi dispiace che ti abbia coinvolto.”

 “Mi dispiace, Harry. Non volevo aggredirti, ma non me lo aspettavo. Immagini le battute dei Serpeverde domani? Non le voglio sentire, non ancora. E poi i miei fratelli… Fred e George non faranno altro per settimane. Come spiego a Charlie o Bill che sono bugie? Sono stanca di essere solo la sorella di qualcuno o la ragazza innamorata di qualcuno. Non voglio che Dean pensi che l’ho lasciato per te, perché non è vero. È stato bello stare con lui, non cercavo qualcosa di diverso. Sono stanca, stanca, stanca!”

Si girò a guardarlo, ma non stava più piangendo. Era esausta.

Allora Harry immaginò quale poteva essere il motivo della sfuriata. O almeno quello che secondo lui era il motivo e che poteva evitargli di sentirsi troppo in colpa.

“È duro quest’anno vero?” sorrise Harry.

“Sì” sorrise tristemente Ginny. “Non lo credevo così.”

“Devo parlare con Susan. Mi daresti una mano?”

Ginny annuì. Andarono insieme verso la Sala Comune dei Tassorosso. Ginny chiamò Susan in corridoio e insieme ad Harry le fece vedere la copia della Gazzetta.

Il ragazzo era pronto a chiederle scusa, ma Susan indirizzò tutta la sua rabbia a Rita Skeeter e decise di scrivere immediatamente a casa e alla zia al Ministero per spiegare loro quello che era successo realmente.

Harry aveva deciso di chiedere di fare l’intervista, ma Ginny gli fece osservare che era più sicuro lasciare al Preside la decisione di cosa fare con quella donna.

Ad Harry tornarono in mente le raccomandazioni di Ash sull’aspettare e lasciare spazio a persone che sapevano meglio di lui cosa fare.

Disse a Ginny di andare a riposare, era stata una giornata lunga per lei. Lui avrebbe parlato con il Preside.

 

Arrivato davanti alla scalinata Harry non sapeva quale parola d’ordine usare. Dal corridoio vide arrivare Piton, nero e silenzioso. Era di ricognizione dato che osservava tutto con aria molto autoritaria.

“Potter. Siamo un po’ lontani dalla tua casa. Cosa fai qui?”

“Devo parlare con il Preside, professore.”

“Per quale motivo?”

Harry non voleva coinvolgere proprio lui nei suoi problemi. Ma aveva bisogno di vedere Silente e Piton era l’unica chiave disponibile per aprire quella porta.

“Luna Lovegood ha ricevuto questa dal padre. È l’edizione di domani. C’è un articolo stupido su di me, Ginny Weasley e Susan Bones. Volevo chiedere al Preside cosa è meglio fare.”

Consegnò il giornale a Piton che lo lesse velocemente.

“Mi pareva di aver capito che non c’erano legami particolari tra voi due.” Guardò Harry con aria di scherno.

“Infatti. Sono stupidaggini. Ma Rita Skeeter aveva chiesto un’intervista con me e io non ho ancora risposto. Credo sia questo il motivo di questa invenzione. Vorrei parlarne con il Preside.” Harry stava fremendo per l’irritazione.

Piton pronunciò sottovoce la parola d’ordine senza farsi sentire e salirono allo studio di Silente.

Piton bussò e entrò. Silente e Ash erano seduti alla scrivania, uno di fronte all’altro con due tazze di the davanti a loro.

“Potter desidera parlarle, Preside.” Piton si fece da parte e consegnò a Harry il giornale.

“Luna ha dato questo a Ginny, Preside. L’ha avuto da sua padre. C’è un articolo poco piacevole che coinvolge me e altre due studentesse, come due anni fa.” Lo consegnò al Preside che lo lesse in silenzio e lo passò ad Ash.

Ash sorrise divertito, dopo la lettura.

“Rita è sempre impossibile. Quanto c’è di vero, Harry?”

“Nulla.”

“Vorrei vedere la reazione di Amelia domani al Ministero. Saranno fuoco e fiamme.” Ash riconsegnò il giornale a Harry chiedendogli: “Come mai sei qui, Harry?”

“Lei mi ha detto di non agire avventatamente e di cercare aiuto da chi ne sa più di me. Io sarei andato da Rita Skeeter dicendole le avrei mai concesso nessuna intervista dopo questo per smentire tutto, ma non credo che funzionerebbe. Non so come fare, in realtà. Non riguarda solo me.”

Silente gli sorrise, scrutandolo negli occhi.

“Hai fatto bene, Harry. Parlerò con Amelia Bones domani e convocherò Rita Skeeter qui da me. L’intervista la farai alla mia presenza. Vai nella tua casa, ora. Ti accompagnerà il professor Piton.”

Mentre stavano uscendo, Ash si rivolse al professore dicendogli: “Devo rifarmi della sconfitta a scacchi, Severus. Non dimenticare di invitarmi nuovamente da te. Ci sono molte cose che ancora non so.”

Piton fece un leggero cenno di assenso, un sorriso e uscì con Potter.

Arrivati davanti alla Signora Grassa prima di attraversare il ritratto, Harry non riuscì a trattenersi:

“Buona notte, professore. Anche a Tonks” E senza guardarlo entrò.

Piton rimase fermo sulla soglia, irrigidito. Ma sapere che Ninfadora lo stava realmente aspettando, probabilmente leggendo qualche rivista babbana in quella poltrona coloratissima che aveva nella camera, gli fece dimenticare l’impertinenza di quel ragazzino.

 

Era arrivato finalmente il fine settimana di tutte le case ad Hogsmaede.

Il Preside e i professori avevano deciso di concedere un’uscita prima di Natale, anche se non prevista, visto che solo i Serpeverde avevano potuto partecipare a quella precedente.

Anche se non c’erano segnali di allarme L’Ordine della Fenice e parte degli ex-allievi che avevano partecipato allo scontro erano presenti anche in quella giornata, come sentinelle e guardie del corpo.

Harry era stato avvisato che sarebbe stato guardato a vista per tutto il pomeriggio e gli era stato chiesto di non avventurarsi fuori dal paese. Lupin era rientrato proprio per essergli vicino.

Anche per questo aveva deciso di non invitare nessuna ragazza. Si sarebbe rifatto più in là.

Le reazioni all’articolo della Skeeter erano state minime. L’intervento del Ministro della Magia aveva convinto la Gazzetta del Profeta ad una secca smentita il giorno successivo.

Il Cavillo, su indicazione di Luna, aveva presentato un articolo in cui si sottolineavano tutti i clamorosi errori fatti nel passato dalla giornalista.

Da casa Weasley non erano arrivate lettere particolari né per Ginny né per Harry.

Ron, a sua insaputa, aveva scritto ai gemelli chiedendo loro di limitarsi nelle battute e i suoi consigli erano stati ascoltati. Dal negozio erano arrivati solo due anelli per i fidanzatini fatti di miele che però rimanevano attaccati alla lingua se qualcuno li assaggiava. Potevano essere staccati solo da un’altra lingua…

Silente aveva preso accordi per un articolo natalizio in esclusiva da farsi nel suo studio, alla sua presenza. La richiesta di potersi aggirare liberamente nella scuola non era stata accolta.

 

Nella stanza maschile dei Griffondoro del sesto anno c’era un gran movimento.

Neville aveva invitato una ragazzina del quarto anno di Tassorosso, timida e silenziosa, con lunghi capelli biondi.

Seamus aveva descritto a tutti quanto fosse carina, mettendo Neville in imbarazzo. Ma si vedeva quanto fosse orgoglioso di sé.

Dean sarebbe uscito con una delle sorelle Patil, ma sembrava fosse una manovra per attirare l’attenzione di un’altra Corvonero del settimo anno.

Harry e Seamus uscivano in gruppo con Anthony, Susan, Ginny e Ernie. Terry usciva con Luna.

Ma l’attenzione di tutti era su Ron che cercava di apparire il più tranquillo possibile. Erano stati trovati indizi di schiuma da barba, di dopobarba, di almeno tre camicie indossate per prova, ma poi buttate sul letto. Seamus tentava delle battute e Dean lo punzecchiava sull’abbigliamento. Ron sentiva gli occhi di tutti addosso.

Alla fine lui e Dean, chiaramente più eleganti degli altri, anche se con jeans e maglione, si unirono al gruppo per uscire.

In Sala Comune arrivarono le ragazze, compresa Hermione. I cappotti e i mantelli non permettevano di vedere tutti i preparativi che avevano fatto le ragazze, la lunghezza delle gonne, controllata al millimetro, la scelta di maglioni e colori.

Lei e Ron si guardarono. Avevano deciso che sarebbero usciti con il gruppo all’inizio. Si misero nel mucchio, chiacchierando un po’ con tutti.

 

Ad Hogsmaede c’era neve alta e un colorato clima natalizio. Le decorazioni abbondavano ovunque, di carta, di plastica, di zucchero o luminose.

C’erano rami di vischio appesi in diversi punti. Harry evitò accuratamente di sfiorarne qualcuno, cercando di non ricordare l’anno precedente e non farsi prendere dalla tristezza.

Ron ed Hermione sembravano avere un radar anti-vischio. Quando arrivavano in prossimità di un angolo o di una tettoia o di un albero al quale era appeso un ramo di vischio erano distanti tra loro.

Nessun tentativo di imboscata creato dagli altri sembrava avere successo.

Anzi uno dei tentativi aveva costretto Ernie e Ron ad un bacio, orripilato, sulla guancia.

Dopo una visita prolungata tra i dolciumi, la cartoleria e i giochi arrivarono a sedersi da Madama Rosmerta con una bottiglia di Burrobirra a testa.

Erano tutti euforici per il Natale, per l’avvicinarsi delle vacanze. Anche i ragazzi del quinto anno sembravano aver dimenticato gli esami.

Si erano dedicati agli acquisti dei regali e avevano un discreto numero di pacchetti per ciascuno. Madama Rosmerta acconsentì a tenerli in custodia fino al momento del rientro ad Hogwarts.

Seduti intorno al tavolo, tutti chiacchieravano con tutti.

Harry si sentiva a suo agio anche a parlare con Ginny o Susan se c’erano attorno tutti gli altri. Poteva osservare le manovre di Dean e di Neville con le loro ragazze. Neville in realtà non se la cavava niente male. Rideva e parlava molto insieme alla sua ragazza.

Luna e Terry addirittura erano mano nella mano.

Ron e Hermione sedevano vicini, ma questo accadeva quasi ogni giorno a lezione, o a pranzo o mentre studiavano. E parlavano talmente poco tra loro che non c’era neppure occasione di litigare.

Solo quando uscirono dal pub, diretti verso la campagna attorno al paese, Ron si decise a mettere in pratica i suggerimenti arrivati via gufo da Charlie e Bill. Sfiorò il braccio di Hermione e le chiese sottovoce:

“Andiamo verso la Stamberga? Facciamo due passi.”

Hermione, presa di sorpresa, annuì.

Riuscire a fare quella domanda a Hermione aveva creato a Ron una tale ansia e preoccupazione che non disse altro per parecchi minuti.

Harry e il resto del gruppo rimase in paese secondo le indicazioni ricevute dal Preside.

 

Ron camminava a fianco dell’amica chiedendosi cosa dire o cosa fare.

Durante quei giorni di attesa aveva immaginato a varie situazioni, fermandosi molto prima di arrivare ad un qualsiasi contatto fisico prolungato. Anche prenderla per mano gli sembrava impossibile. Ma non aveva nessuna idea al momento.

Hermione era contenta che le avesse chiesto di stare da soli. La Stamberga non era una meta molto romantica, ma da Ron non poteva aspettarsi molto di più. Provò ad iniziare una conversazione.

“Mi sembra che Ginny sia un po’ più tranquilla ora.”

Ron rispose un po’ in ritardo, come fosse con il pensiero da un’altra parte.

“Sì. Studia molto però.”

“Beh, anche noi l’anno scorso.”

I ricordi dell’anno precedente li impegnarono per un po’ in una normale conversazione sulla scuola. Arrivarono ad un piccolo laghetto abbandonato e ghiacciato in mezzo ad un prato. Non c’era nulla intorno, solo qualche sparuto albero spoglio.

“Sai pattinare?” chiese Ron.

“Un po’. Non mi sento molto sicura.”

“Vuoi provare?”. Le sorrise. Qualcosa in cui poteva essere lui ad insegnare a lei. E poi aveva bisogno di muoversi.

“Ma è abbastanza ghiacciato?”

“Possiamo solidificarlo un po’ di più se serve. Dai, prova.”

Ron si avvicinò al bordo e fece apparire delle lamine alle proprie scarpe, entrando nello specchio ghiacciato.

Hermione si avvicinò e lo osservò muoversi agilmente sul ghiaccio. Arrivò vicino a lei con una frenata secca.

“Ok, ci provo, ma stammi vicino.”

Ron fece apparire le stesse lamine anche a lei e le tese la mano.

Hermione la afferrò con forza e appoggiò i piedi sul lago.

Ron si mise di fianco a lei  tenendole la mano.

Lentamente percorsero tutto il bordo. Ron le dava indicazioni di come muoversi e come tenere l’equilibrio.

In realtà non pattinava male, era solo incerta. Mancava molto di esercizio, ma in poco tempo si muovevano indipendentemente l’uno dall’altra. Hermione sorrideva felice. Stava sempre molto attenta che l’amico non si allontanasse troppo in caso di necessità.

Non immaginava di poter stare con Ron, da sola, così tranquillamente.

I pensieri di Ron erano più o meno gli stessi: si sentiva a suo agio, si stava divertendo ed era insieme alla ragazza più… più.

Continuarono a pattinare spensierati. Ron le insegnò a muoversi più velocemente, a frenare e accelerare, a girarsi di schiena. In molti momenti erano vicini e si tenevano per mano o si sfioravano senza imbarazzo, presi dal gioco. Entrambi tolsero il mantello per il troppo caldo. E entrambi finirono a terra più di una volta. Hermione accusò Ron di volerlo fare apposta per non far sentire lei troppo imbranata. Si preoccupò quando andò a sbattere con la schiena, sentendo tanto dolore da rimanere fermo, disteso a respirare, in attesa che le fitte diminuissero.

Provarono anche una figura insieme, tenendosi per mano, ma con scarsi risultati. Ridevano troppo per poter fare attenzione ai movimenti.

Quando sentirono le campane battere le ore capirono che era il momento di rientrare.

Ron fece sparire i pattini, infilarono i mantelli e ripresero la via del paese.

Erano entrambi accaldati, ma il vento della sera cominciava a soffiare freddo. Hermione si avvicinò a Ron e gli mise la mano sotto il braccio, per scaldarsi un po’. Ron, senza riflettere, le mise invece il braccio intorno alle spalle.

“Freddo adesso, vero?”

Solo a quel punto realizzarono entrambi quanto erano stati vicini durante quel breve spazio di tempo. Quanto si erano toccati senza imbarazzo. E senza pensare ad altro che al proprio divertimento.

Ron fece per allontanarsi, ma rimase con il braccio vicino alle sue spalle, incerto su quale fosse la mossa migliore.

“Scusami. Io… posso? Cioè… ” Nella penombra sperava che il rossore non si vedesse troppo.

“Si. Mi riscalda.” Hermione gli si accostò di più.

Proseguirono abbracciati in silenzio. Ron sentiva il braccio di lei, dolce, sulla schiena ed Hermione il calore del corpo di Ron e del suo braccio sulle spalle. Ron provò ad accennare ad una conversazione sul pattinare. L’imbarazzo iniziale era un po’ sparito.

Quando furono nelle vicinanze delle case, Ron le chiese:

“Cosa facciamo?”

“Andiamo dagli altri, no?” Hermione lo guardò.

“Certo.” Disse velocemente. Era felicissimo di come era andato il pomeriggio e non voleva rischiare di rovinarlo. “Intendevo dire che entriamo in paese e quindi… sai… così… le occhiate degli altri.” Aveva una espressione tra il preoccupato, l’orgoglioso e l’infastidito.

“Oh, non ci avevo pensato.” Hermione si fermò.

Erano sotto la tettoia della prima casa. Si misero uno di fronte all’altra.

Vicino a loro passò Lupin con Emmeline Vance, che perlustravano la zona.

Lupin li salutò con piacere e disse:

“Ehi, ragazzi, occhio sopra la testa.”

Mentre alzavano lo sguardo fece apparire un ramo di vischio.

Ron guardò in alto maledicendo e ringraziando il professore.

Hermione abbassò velocemente lo sguardo.

Ron trattenne il respiro e lo lasciò uscire lentamente.

Non poteva farsi sfuggire l’occasione adesso che non c’era nessuno.

Si chinò verso il volto della ragazza, a scatti e lentamente, mentre Hermione lo osservava cercando di non guardarlo. Le diede un leggero bacio sulla guancia come lei aveva fatto prima delle partite di quidditch.

Solo allora si ritrovarono a guardarsi, entrambi intimiditi.

Hermione gli buttò le braccia al collo stringendosi a lui. Ron ricambiò l’abbraccio istintivamente e appoggiò la guancia sui suoi capelli.

Nessuno dei due voleva staccarsi. Era troppo piacevole starsene così vicini e fuori dal mondo.

Ron voleva di più. Adesso che si erano lasciati andare doveva provarci. Non poteva essere così stupido da lasciarla andare!

Si scostò da lei e appoggiò leggero e incerto le labbra su quelle di Hermione.

Hermione accentuò il contatto.

Non sapevano cosa altro fare, ma quello era meraviglioso.

 

Delle voci di ragazzi arrivarono alle loro orecchie, spingendoli a dividersi.

Ron allungò le mani e Hemione gliele strinse.

Non sapeva cosa dirle. Non sapeva come spiegarle quello che stava provando. Tentò di non lasciarsi sfuggire quel momento:

“Io… mi piacerebbe… tu mi piaci… non sei solo un’amica…”

Non era esattamente una dichiarazione, ma per Ron era sufficiente.

“Anche tu mi piaci.” Sussurrò Hermione cercando il suo sguardo.

Accennando ad un sorriso entrarono nella via principale mano nella mano.

 

Vedendoli arrivare Seamus diede una gomitata sul fianco ad Harry. Ginny, impegnata in una fitta conversazione con Susan, sentì Harry esclamare:

“Era ora!”

Si girò verso il fratello e l’amica. Fece un gran sorriso e mimò un applauso.

Hermione, incerta, accennò a voler lasciare la mano di Ron, ma lui gliela strinse con possesso.

“Mi pare che sia stata una bella passeggiata.” Disse Susan.

“Molto produttiva.” Aggiunse Ernie.

Ron arrossì e lo guardò torvo.

“Oh!” sentirono dire a Luna che stava arrivando con Terry “Raccontate, raccontate!”

Rientrarono ad Hogwarts cercando di ottenere qualche informazione in più, ma Ron e Hermione sentivano di non voler condividere quello che era successo con nessuno, per ora.

Solo Harry, quando tutti ormai dormivano, si fece raccontare tutto da Ron, i dubbi che aveva avuto, la sensazione di serenità e di felicità che aveva provato in quel pomeriggio.

Harry sentì un po’ di invidia per l’amico.

 

Qualche giorno dopo Harry arrivò, accompagnato da Tonks, all’ufficio di Silente per l’intervista con Rita Skeeter.

Nella stanza c’erano solo loro. Non era stato ammesso neppure il fotografo.

Rita tentò di scusarsi, a suo modo, per l’articolo pubblicato.

Harry la sentiva ancora falsa e viscida. Non era a suo agio.

Si sedettero uno di fronte all’altra, Tonks alle spalle di Harry e Silente alle spalle di Rita.

“Allora, mio caro ragazzo. Come stai in questo momento?”

“Abbastanza bene.”

“Come va la scuola, gli amici, lo studio?”

“Abbastanza bene, direi. Mi piace stare qui.”

“Mio caro Harry, cerca di essere più aperto, esprimi pure i tuoi sentimenti…”

“Ho detto quello che penso.” Harry non aveva realmente nulla da condividere con quella donna.

“E come sta il tuo cuore?”

Harry la guardò accigliato.

“Cosa intende, scusi?”

“Dopo la triste storia con la giovane fidanzata del campione di Hogwarts, possiamo dire che il tuo cuore è nuovamente impegnato?”

“No.” La risposta fu secca.

“Un giovane ragazzo bello come te, capitano di quidditch, eroe della scuola, sarà l’idolo di molte ragazze, qui dentro.”

“Non so, non me ne sono accorto. Non ho nessuna fidanzata.”

“Lo studio ti impegna molto, allora. Soprattutto le lezioni aggiuntive che devi sostenere, più impegnative di quelle dei tuoi compagni…”

Harry guardò verso Silente. Era stato chiesto a lui di mantenere il segreto sulle lezioni con Ash; come mai quella donna lo sapeva?

Silente disse, lentamente: “Il signor Potter è molto impegnato con le lezioni del normale corso di studi e con gli allenamenti di quidditch, per potersi dedicare ad incontri o a lezioni diverse da quelle proposte dalla scuola.”

Era riuscito a dire la verità senza dire nulla! Harry era sorpreso dalla capacità del preside di raccontare esattamente quello che stava accadendo senza in realtà spiegare nulla a quella giornalista. Avrebbe voluto saperlo fare anche lui.

Rita sbuffò leggermente. Sembrava un grillo imprigionato. Ad Harry sfuggi un sorriso per il paragone.

“Che meraviglioso sorriso, mio caro Harry. Meriterebbe di essere immortalato per dare coraggio e speranza ai nostri lettori. Ma, dimmi, la cicatrice ti fa ancora male?”

“No, per nulla.”

“Ma la battaglia di Hogsmeade è stata resa possibile dalla tua capacità di prevenire le azioni di Tu-Sai-Chi.”

“No. E’ stato grazie all’Ordine della Fenice se tutto è finito per il meglio. E dei prof…” Harry si zittì sentendo la mano di Tonks artigliarli la spalla.

Non aveva intenzione di dire il nome di Piton!

“Dei professori, mio caro?” sorrise sorniona la giornalista.

“Certo. Ci hanno protetto.”

Beh, come giustificazione gli pareva adeguata.

L’intervista proseguì laconica come era iniziata, con Harry intenzionato ad offrire meno informazioni possibili a quella donna.

Gli domandò degli amici, delle materie, dei suoi genitori. Si informò del suo ruolo a quidditch, dei suoi progetti per il futuro (Harry evitò accuratamente di menzionare gli Auror).

Nonostante la scarsissima collaborazione del Ragazzo Sopravvissuto il giorno di Natale uscì un articolo in prima pagina, senza particolari scoop, dal titolo “La solitudine di un eroe.”

Per Harry almeno quello era esatto.

Ringrazio tutti coloro che hanno inviato i commenti. Li rileggo spesso ed è piacevole sapere che ci siete (Blacky, daffydebby, anonima, Cl4rien). DA questo capitolo sarò più veloce a postare e purtroppo anche a concludere, ma a breve avremo davvero il sesto libro da divorare. Ciao.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Natale ***


NATALE

La mattina di Natale Harry, Hermione, i fratelli Weasley e pochi altri erano ancora ad Hogwarts. Nella serata erano attesi i signori Weasley con i gemelli. Hermione aveva chiesto e ottenuto dai genitori di poter rimanere per stare insieme a Ron.

Dalla recente uscita non c’erano stati altri baci o abbracci, ma Ron aveva cominciato a portarle i libri quando vedeva che la borsa era particolarmente pesante e lei accettava con piacere questa piccola attenzione. Le poche volte in cui avevano cominciato a litigare si erano fermati immediatamente.

Quella mattina l’arrivo di una lettera di Viktor con gli auguri di Natale per Hermione aveva fatto rabbuiare Ron che aveva tentato di sbirciare il contenuto. Si era però limitato ad un commento sul fatto che non sembrava riscuotere un gran successo come giocatore quell’anno.

Hermione aveva letto e scritto la sua risposta. Si era rivolta verso Ron e guardandolo aveva detto:

“Io vado a spedire la risposta in Guferia.”

Ron l’aveva guardata ancora arrabbiato fino a quando Hermione con un cenno della testa e una espressione esasperata, gli disse di seguirla.

Ron si alzò con un scatto degno del suo ruolo di portiere e la seguì quasi sorridendo, leggermente istupidito dalla novità.

In Guferia, spedito il foglio, rimasero insieme per un po’ ritrovando quel silenzio e quella quiete che avevano vissuto a Hogsmeade.

Si erano messi di fronte alla finestra ad ammirare il panorama. Hermione sentiva nuovamente il contatto con il corpo di Ron che si appoggiava alla sua schiena dandole una sensazione di protezione. Ron la stringeva a sé, con la testa appoggiata alla sua.

Sentendosi sicuro di sé e delle sue emozioni e sentendo Hermione così rilassata contro di lui, Ron la fece girare verso di sé e la baciò nuovamente, con maggiore sicurezza, abbracciandola. Hermione rispose con altrettanto slancio.

E poi lei lo rese euforico chiedendogli se nella prossima lettera a Viktor poteva raccontargli di loro due.

“Certo, sei la mia ragazza…”

“Non me lo hai chiesto.” In realtà il tono di voce sostenuto non rifletteva la quantità di capriole che il cuore di Hermione stava facendo in quel momento. Era la sua ragazza…

“Era necessario?” Ron era decisamente meravigliato.

“Ron, mi baci, ci abbracciamo, continuiamo a vederci, a parlarci e mi baci di nuovo solo ora! Non lo so se pensi a me come la tua ragazza!”

Hermione si era fermata con le braccia incrociate e lo guardava con aria di sfida.

“Oh…” disse Ron guardandola. “Vorresti…” Tossì e parlò con un tono più dolce. “Vorresti essere la mia ragazza?”

Hermione si aprì ad un sorriso di gioia.

 

Ginny era talmente stanca per lo studio che nel pomeriggio se ne andò a letto a riposare in attesa dei genitori.

Harry e Ron organizzarono una sfida a scacchi con più incontri, mentre Hermione leggeva seduta vicino a Ron con la testa appoggiata alla sua spalla.

Harry si rese conto che l’amico perdeva concentrazione ogni tanto. Si stava abituando a vederli vicini. Così vicini era la prima volta, ma non lo faceva sentire escluso come aveva temuto.

Dopo più di un’ora un grido di Ginny fece sobbalzare tutti e tre.

Ron corse verso la scala del dormitorio femminile, ma si arrestò ricordando la caduta dell’anno prima. Hermione lo superò e raggiunse Ginny in camera.

Era seduta sul letto, con il respiro affannato, gli occhi spalancati che guardavano il vuoto.

Hermione le si avvicinò chiamandola, ma non rispondeva. Si mise seduta sulla sponda del letto e le sfiorò le braccia. Ginny rimaneva immobile, senza guardarla.

Allora Hermione la abbracciò dolcemente fino a quando al sentì rilassarsi contro di lei.

“Hermione… un incubo… un incubo.”

Hermione le accarezzò la schiena.

“E’ passato, Ginny. E’ finito adesso. Vuoi scendere? Ci sono Ron e Harry giù.”

Ginny si staccò da lei, scese dal letto e si infilò una vestaglia.

Hermione scese dietro di lei fino alla Sala Comune. In fondo alle scale Ron e Harry guardavano verso di loro, preoccupati.

Ginny vedendo il fratello tentò di fare un sorriso, ma ne uscì una smorfia. Chinò il capo e andò a sedersi su una poltrona.

Ron e Harry chiesero, muti, ad Hermione cosa era successo e lei disse sottovoce:

“Incubo.”

Ron si mise di fronte alla sorella, accucciato davanti alla poltrona. Hermione si mise seduta su un bracciolo e Harry era dietro a Ron. Tutti guardavano la rossa Weasley, con lo sguardo rivolto a terra, le spalle curve.

Quando Ron le fece una leggera carezza sulla mano, si spezzò l’equilibrio e Ginny iniziò a piangere e poi a singhiozzare, scossa dal tremito. Hermione le mise un braccio sulle spalle e la strinse a sé. Ron le accarezzava le braccia, sussurrando il suo nome.

“Ginny, piccola, Ginny.” Ron le diede un bacio sulla guancia bagnata di lacrime. Ginny sollevò lo sguardo per accennare un sorriso tremante.

“Cosa è successo, Ginny?” le chiese sottovoce Hermione.

Ginny inspirò profondamente due o tre volte.

“E’ tornato. In sogno, è tornato. Mi ha riso in faccia, mi ha ferito con la mano, infilando qualcosa dentro la mia spalla. Sembrava una lama. Poi mi sono svegliata.”

Nessuno chiese di chi stesse parlando.

“Cerco Silente.” Harry uscì dalla stanza lasciando gli amici a tranquillizzarla.

Non era possibile che anche Ginny fosse così sensibile alla sua presenza. Era troppo per lei. E anche per lui. Non doveva toccarla. Non lei, non la sorella di Ron.

Si diresse verso l’ufficio della professoressa McGrannit e la trovò impegnata in una conversazione con Lion Ash sui metodi migliori che avevano usato da ragazzi per introdursi di nascosto in una stanza.

“Professoressa…”

Solo allora lo notarono. E notarono l’espressione preoccupata.

“Cosa accade Potter?”

“Ginny Weasley, professoressa. Era a riposare e ha avuto un incubo. Voldemort. Lo ha visto ferirla.”

Minerva McGrannit guardò Lion Ash. Si alzarono insieme, preoccupati.

“Io vado con Potter, Minerva. Cerca Albus e raggiungici.”

Ash diede una piccola spintarella ad Harry e si incamminò con lui verso la torre dei Girffondoro.

 

Arrivati alla Sala Comune trovarono la situazione quasi immutata.

Ron si era seduto di fianco alla sorella e la abbracciava. Hermione di fronte a lei le stava facendo bere dell’acqua.

Ash si avvicinò al gruppetto, con un accenno di sorriso.

“Il signor Potter mi ha detto che ha avuto un bruttissimo risveglio, signorina Weasley, molto difficile. Tra poco arriverà anche il Preside. Come si sente, ora?”

“Un po’ meglio. Respiro meglio. Ma ho paura.” Stava sussurrando.

“Non si può guardare Voldemort senza avere paura. Neppure in sogno. Ora si concentrati sulla respirazione con respiri lenti e costanti. Non appena arriverà Silente racconterai tutto a tutti e due.”

Il Preside arrivò dopo parecchi minuti. Ash aveva fatto sedere tutti sul divano, comodi e larghi. Ginny era ancora tra Ron e Hermione. Ash stava aiutando Ginny a respirare controllando la paura.

“Mi hanno riferito dell’incubo signorina Weasley.” Le prese una mano e la strinse, per darle coraggio.

Ginny cercò di sorridergli. Silente prese una sedia e si mise di fronte a lei.

 “Ce lo vuole raccontare?”

“Stavo sognando altro, non ricordo cosa, ci ho pensato, ma non ricordo.” Sembrava scusarsi per questo.

“Va bene, va bene così” la rassicurò Silente.

“Poi me lo sono visto davanti, vicinissimo, che mi chiedeva di lasciar andare Harry a battersi con lui. Come ad Hogsmeade, ma io ho cercato Harry e non lo vedevo. Poi ha allungato la mano verso la mia spalla e mi infilzato la spalla con qualcosa di affilato. Era arrabbiato con me.” Gli occhi le si erano riempiti nuovamente di lacrime.

“Ti sei spiegata bene, Ginny. Era simile agli incubi che hai già avuto?”

“No, negli altri si limitava a guardami in silenzio. Li ho raccontati al professor Piton , ma gli altri erano sempre uguali, era solo immobile davanti a me.”

“Il professor Piton è ad una meritatissima vacanza, ora.” Disse Ash. “A che punto sei con le sue lezioni?”

“Riesco a nascondere parte dei miei pensieri, ma non riesco a combatterlo. Sono la più debole vero?” Ginny guardò negli occhi sia Silente sia Ash.

Silente contraccambiò lo sguardo con severità.

“Cosa intende dire signorina Weasley?”

“Io ho meno capacità di Harry, sono meno brava. Se attacca me ha più possibilità di successo, anche se ottiene meno informazioni. Sono … più vulnerabile.”

“Definirti vulnerabile, Ginny, mi pare esagerato. Hai meno esperienza e forse meno capacità di Harry, ma non certo per tua negligenza. Harry ha catalizzato parte dei poteri di Voldemort e questo lo rende particolare e lo obbliga ad un compito difficile. Ma se avesse colpito te, non ti riterrei meno dotata.” Ash aveva parlato sottovoce, quasi arrabbiato dal tono rinunciatario della ragazza. “Sei stanca e hai paura, ma questo non ti rende meno capace.”

Ginny ascoltò in silenzio quello che sentiva come un rimprovero, ma sentì nascere dentro un po’ di orgoglio.

Silente aggiunse: “Continuerai gli incontri con Piton e li aumenterai se lui lo riterrà necessario, ma dalle osservazioni che mi ha fatto, ritiene che tu migliori notevolmente ad ogni lezione. Adesso dobbiamo capire perché Voldemort è così arrabbiato con te, e credo che sia dovuto anche alla resistenza che tu gli opponi, anche se non lo percepisci, e perché vuole Harry. Ma ci rifletteremo con l’Ordine. Se l’E.S trova qualche spiegazione fatecelo sapere. Se questi incubi dovessero essere troppo frequenti possiamo aiutarti con un medicinale. Informerò i tuoi genitori questa sera di quanto succede.”

Poco dopo il Preside e i professori lasciarono la stanza e Ginny rimase con gli altri.

Mentre riposava sul divano, distesa con la testa appoggiata ai cuscini e Hermione che leggeva a terra tenendole una mano, riuscì a riaddormentarsi per breve tempo, fino all’arrivo nella stanza, dei genitori e dei fratelli.

 

Harry si aspettava una signora Weasley preoccupata e triste come quando l’aveva vista piangere a casa del padrino. Si vedeva che aveva pianto ed era tesa, ma non disse nulla a Ginny, limitandosi ad abbracciarla stretta e cullarla. Il padre salutò Ron con una pacca sulla spalla e un gran sorriso, reciproco.

“Come sta?” gli chiese.

“Ora meglio. Ha dormito serena nell’ultima mezzora.”

“Mi sento tranquillo a sapere che è con te, Ron.” Il padre guardava Ron negli occhi con un tale orgoglio che Harry si sentì orgoglioso anche lui per l’amico.

Si avvicinò alla moglie e alla figlia e strinse entrambe a sé.

“Salve gente.” Fred e George stavano controllando la Sala Comune con occhi di falco.

“Oh, la nostra piccola sorellina, la piccola dolce Ginny.” Fred aveva imitato alla perfezione la voce e il tono di Rita Skeeter.

Questo fu sufficiente a far reagire Ginny che gli rispose:

“Cretino!” Si vedeva che stava trattenendo a stento un sorriso.

“La perla della famiglia, la migliore cacciatrice donna della famiglia. Dovete esserne orgogliosi” Aggiunse George con la voce di Madama Bumb.

La “dolce sorellina” gli lanciò un cuscino che lo centrò in pieno in faccia.

“Fred! George! Lasciate in pace vostra sorella! Ron, tesoro, tu come stai?”

“Bene, mamma, bene.”

“Lui si mamma. Sai Hogsmeade fa miracoli prima di Natale.” Sghignazzò Fred

“Dei veri miracoli, di vischio e ghiaccio.” George guardò Hermione sorridendo.

Harry, vedendo l’espressione arrabbiata di Ron e Hermione, cercò di evitare di ridere, ma incrociò lo sguardo di Ginny che era nelle sue stesse condizioni.

“Ma certo, caro!” La signora Weasley sembrava non aver sentito o ignorato i gemelli. “E tu Harry? E tu Hermione?”

“Bene signora Weasley, grazie.” Gli sorrise Harry che era sempre lieto di vederla.

“Anch’io signora, grazie.” Disse quasi contemporaneamente Hermione.

“Beh, ragazzi. Come è andata Hogsmeade? Abbiamo ricevuto lettere entusiaste dei nostri amici. Davvero Ron, non credevo fossi capace di tanto.”

George e Fred guardavano innocenti il fratello che stava praticamente fumando dalla rabbia e sembrava pronto ad attaccare.

“Nulla che vi riguardi!” sbottò alla fine. “E limitatevi a fare commenti a me, chiaro?”

I gemelli rimasero interdetti dal tono secco di Ron e dalla chiara presa di posizione in difesa di Hermione.

Lei lo guardava sorridendo fiera.

La signora Wealsey lanciò una occhiata al marito, che sembrava dirgli quanto gli fosse piaciuta la risposta del figlio minore.

Questo lasciò il tempo al padre di intervenire: “Credo che la vita sentimentale di Ron riguardi solo Ron. Come stanno le ferite, ragazzo?”

Il dialogo si spostò su argomenti molto meno coinvolgenti. I gemelli tentarono solo due volte di farsi raccontare da Ron come di bacia una ragazza. Quando tentarono di mimare tra di loro le spiegazioni del fratello i genitori erano già usciti così Harry e Ginny lasciarono libero sfogo alle risate trattenute fino a quel momento.

Hermione era furibonda, ma trovò scarsa collaborazione in Ron che non riusciva a trattenere del tutto serio.

Questo provocò la prima vera lite di coppia nel dormitorio maschile, poco dopo.

Hermione rinfacciava a Ron il fatto di averla difesa dai commenti dei gemelli per poi ridere di quegli stessi commenti, mentre Ron tentava di difendersi dicendo che aveva lasciato spazio ai gemelli di deriderlo e questo avevano fatto, senza coinvolgerla.

“Senza coinvolgermi?! E chi stavano imitando mentre mostravano come tu baci le ragazze? Una Vela? Fleur?”

“Nessuno, Hermione. Imitavano me, solo me. Non era importante chi stavo baciando!”

“Così puoi baciare chi ti pare per divertirli? E chi vorresti baciare oltre me?”

“Non ho detto questo, Hermione! Sto parlando di Fred e George non di me!”

“Io sto parlando di te. Chi altro hai baciato?”

Ron sentiva scoppiare la testa. Quanto aveva ragione Harry. Come si poteva parlare con qualcuno che mentre tu stai seguendo il filo di un ragionamento, senza avvisarti, prende un’altra strada e pretende che tu lo capisca?

Rimase in silenzio cercano un modo per spiegarsi senza cadere nella trappola dei ragionamenti di Hermione.

“Ho baciato solo te. Credo che fosse chiaro. Sono abituato ai gemelli, non mi danno fastidio. Voglio che non diano fastidio a te. Ma dato che mi piaci non possono parlare di me e di una ragazza senza coinvolgerti un po’. E’ il loro modo di dirmi che sono orgogliosi di me, di noi.” Aveva cercato di parlare lentamente, senza inciampare sulle parole, guardandola negli occhi, come faceva con Ginny per tranquillizzarla. Sembrava avere effetto. Hermione era in silenzio, con la fronte aggrottata, pensierosa, ma non arrabbiata.

“E’ così tra fratelli, vero? Cioè, è normale che facciano parte della tua vita, almeno un po’. Ma con Ginny tu non sei così invadente.”

E questa considerazione da dove usciva? Perché era arrivata a parlare dei fratelli? Stavano parlando di loro due!

Ron pensò un attimo a quello che aveva detto e diede la risposta più semplice e ovvia che gli venne in mente: “Io ho un modo di fare diverso dai gemelli.”

Hermione gli sorrise, soddisfatta dalla risposta. Per Ron fu come il gong finale e liberatorio di un incontro di pugilato.

Almeno poteva sperare in un bacio della buonanotte decente.

 

Severus Piton stava riordinando la propria stanza. Era appena rientrato da qualche giorno di vacanza passato con Tonks. Non ricordava di aver mai utilizzato il proprio tempo solo per stare insieme ad un’altra persona. Non si ricordava nulla dei paesaggi o dei monumenti o di qualsiasi altra cosa se non del volto di quella ragazza così simile ad un folletto. Non amava il sole e questo aveva limitato i loro spostamenti, ma sapevano come passare il tempo insieme e avevano scoperto anche nuove possibilità.

Era importante solo poter stare insieme. Sapevano entrambi che rischiavano la vita quasi ogni giorno con Voldemort in giro e questo rendeva il loro legame ancora più intenso.

Adesso erano rientrati per riprendere l’anno scolastico, lui alla cattedra di Pozioni e lei come Auror per sorvegliare dall’interno la scuola, con le mansioni di tuttofare.

Tonks era nella propria stanza impegnata a sistemare i bagagli, quando la professoressa McGrannit entrò nella stanza, dopo aver delicatamente bussato alla porta.

“Bentornata, Tonks! Come hai passato questi giorni, mia cara?”

Tonks le sorrise raggiante e la McGrannit rise divertita.

“Non hai bisogno di dirmelo. Lo vedo quanto sei felice. Sono contenta per entrambi. Il Preside vorrebbe parlare con Severus e con tutto l’Ordine della Fenice. Puoi venire con me?”

“Ci sono novità?” Il tono di Tonks si fece serio e preoccupato.

“Non ci sono problemi urgenti, ma dovremmo discuterne prima che lo diventino.” L’espressione della donna rimase dolce e tranquilla.

Insieme arrivarono alla stanza di Piton e la Mc Grannit bussò.

La porta si aprì e apparve Piton, sempre vestito di nero, leggermente meno pallido in volto. Vedendo la collega le accennò un saluto che divenne un sorriso quando si accorse di Tonks alle sue spalle.

“Severus! Non ti vedevo sorridere da tempo immemorabile. Ti fa molto bene essere innamorato, caro ragazzo!”

Piton riprese immediatamente l’espressione seria rivolgendo lo sguardo prima a terra e poi a Minerva, quasi intimidito dal fatto si essersi scoperto così ingenuamente solo vedendo il volto di Ninfadora,.

La McGrannit continuò sorridendo:

“Silente ha richiesto la presenza di tutti nel suo studio per aggiornaci di alcune novità. Puoi seguirmi subito?”

Piton annuì.

La McGrannit si incamminò aumentando leggermente l’andatura così da lasciare leggermente indietro gli altri due.

Piton e Tonks camminarono vicini, sfiorandosi. Ogni tanto le mani si toccavano.

 

Nello studio c’erano Remus Lupin, Emmaline Vance, Moody, Lion Ash, Kingsley Shaklebolt, Hestia Jones, Elphias Doge e altri membri dell’Ordine.

Dopo un veloce giro di saluti Silente prese la parola.

“Ho chiesto di potevi riunire per informarvi di alcuni episodi che coinvolgono Harry Potter e Ginevra Weasley. La notte di Natale Lion, Minerva ed io siamo stati chiamati nella Sala dei Griffondoro perché la signorina Weasley aveva avuto un incubo. Dopo lo scontro di Hogsmeade c’erano stati episodi simili, ricordava l’incontro con Lui e riviveva quei momenti. Avevamo deciso di farle fare, in via preventiva, alcuni incontri di Occlumanzia con Severus, in conseguenza a quanto le era successo anni fa e per timore che questo avesse stabilito un legame particolare tra lei e Tom Riddle. Speravamo in una azione inutile da parte nostra, ma devo dire che abbiamo avuto ragione di temere il peggio. Durante l’ultimo incubo ha percepito che Tu-Sai-Chi voleva sapere da lei dove fosse Harry Potter e arrabbiato per la sua resistenza le ha fatto provare il dolore di una ferita alla spalla.”

Piton chiuse gli occhi preoccupato mentre Tonks, con l’espressione arrabbiata, gli stringeva la mano. Lupin si lasciò sfuggire un sospiro di stizza.

Moody mormorò sottovoce:”Grave, grave… aggredisce i ragazzini…”

“Harry?” chiese Remus.

“Non ha riferito nulla. I suoi incubi sono diminuiti. Tu cosa ci dici Severus?”

“E’ sempre più forte. Sa resistermi e soprattutto contrastarmi. Non ho mai lavorato prendendolo alla sprovvista, ma credo che anche durante il sonno sia in realtà più vigile. La piccola Weasley è solo all’inizio e ha meno capacità, ma è caparbia, forte. Non si arrende facilmente. Credo che non sia neppure lei un bersaglio facile. Ma ha paura. Più di Potter. Quello che mi preoccupa inoltre è il fatto che Potter la difende e la protegge con molta rabbia. Lei riconosce con maggiore sicurezza i suoi sentimenti verso il ragazzo, lui non si accorge di quanto è legato a lei. Espone i suoi sentimenti senza capire quali sono. Lei li protegge meglio. Credo che questo sia un grosso pericolo. Se Tu-Sai-Chi attacca Ginny, Potter credo perda la testa. Non so con gli altri.”

“Beh, Potter è molto vicino a Ron Weasley, sono quasi fratelli. Stanno molto insieme e si raccontano quasi tutto l’un l’altro.” Aggiunse Remus. “Ron darebbe se stesso per Harry. Ora Ron è preso dalla relazione con Hermione Granger. Anche per lei Harry è come un fratello. Anzi non sapevo se c’era qualcosa in più tra loro. Credo che farebbero quello che dice loro Potter.”

“Ginny credo di no. Farebbe di testa sua.” Disse Tonks.

“Quindi se Lui cerca Harry attraverso Ginny ha più probabilità di avvicinarlo. Ginny infatti non ha la resistenza di Harry, anche se lo protegge bene. E se attacca Ginny allora fa arrabbiare Harry. Tu cosa ne pensi Lion?” Silente guardò l’amico, serio e preoccupato.

“Potter è una perla rara. E il mago migliore con il quale abbia mai avuto a che fare. Può usare la magia con una forza superiore a quella di tutti i presenti. La fa fluire dalle parole e dai gesti con estrema naturalezza e spontaneità. Sarebbe in grado di batterlo anche ora, se non fosse un normale adolescente con l’emotività di un normale adolescente. Ha una tale rabbia in corpo da spaccare veramente il mondo. E’ confuso, impaurito, si sente privilegiato e dannato alla stesso tempo. Ho cominciato a fargli provare alcuni incantesimi che gli Auror apprendono all’ultimo anno e li governa in una sola lezione. Conosce un numero sempre maggiore di incantesimi di attacco e di difesa. Ma poi se parliamo di ragazze o dei suoi genitori o della scuola, l’emozione diventa ingovernabile e fa errori stupidi. Ma non posso chiedergli di più. Sta davvero dando il massimo. Dobbiamo proteggerlo ancora. Deve maturare prima di poter avere speranze reali con Lui.”

Rimasero tutti in silenzio per parecchi minuti per cercare di capire cosa potevano fare o quali potessero essere le prossime mosse di Voldemort.

“Cosa potrebbe succedere se Harry comprende i suoi sentimenti per Ginny? Qualunque essi siano…” chiese la Vance.

“Appunto. Qualunque essi siano.” Affermò Tonks. “Non credo che siano facili da capire neppure per noi che non li proviamo. Hanno solo sedici anni, sono confusi per definizione a quell’età!”

“Il rischio maggiore è che Harry si senta in colpa o in dovere di proteggerla. E la allontani per evitare di legarla a lui.” Remus stava ragionando quasi sottovoce.

“Credo che si farà prendere solo dai suoi sentimenti per lei se riusciamo a dirgli che non tutta la sua vita è già decisa adesso, ma che può viverla pienamente.” Sussurrò Piton con un tono di speranza così forte che persino Silente ne rimase felicemente sorpreso.

“Ma anche la nostra adolescenza era così complicata?” chiese Ash sorpreso rivolto alla McGrannit.

Lei ridacchiò dicendogli:

“Eravamo più imbranati. Anche la generazione di Remus, credo.” Lo guardò sorridendo. Lui rise apertamente annuendo.

“Beh, Tonks è rimasta confusa anche ora…” sogghignò Kingsley.

Furono tutti presi da una ilarità generale.

 

Silente riprese il controllo di sé e della riunione dopo parecchi minuti.

“Credo sia necessario decidere come muoversi. Non possiamo intrometterci tra quei due ragazzi. Non dobbiamo. Ma è, direi, indispensabile, lasciare a Harry lo spazio per esercitare al meglio le sue capacità. La mia proposta è di non intromettersi nella vita di Harry se non per quanto riguarda la sua istruzione e il suo rapporto con Voldemort. Per il resto occhi aperti e orecchie attente, siamo tutti in guerra, anche gli allievi.”

“E l’E.S.?” chiese Kingsley.

“Dovremmo dare loro il messaggio di tenersi sempre in allenamento, vigili, scattanti. Questo serve a loro e alla salvezza di tutti.” Sussurrò, con tono fermo, Ash.

Silente annuì.

“Mi prendo io il compito di dirlo ad Harry.” Disse Remus.

“Fai in modo che ti senta anche una delle ragazze: Ginny o Hermione o Susan. Serve anche il loro parere.” Suggerì Tonks.

La riunione si sciolse in una miriade di chiacchiere molto più leggere.

 

Trascorsero molte settimane e mesi scanditi solo dalla quotidiana, lenta, serena vita scolastica, dove il problema più serio era come affrontare o evitare un compito. Tutti erano consapevoli dell’importanza di questa tranquillità per poter riprendere le forze. La quotidianità era il segnale migliore della mancanza di pericolo.

 

Ginny non aveva più sognato Voldemort con la forza del giorno di Natale. C’erano ancora incubi che apparivano e sparivano nella notte, ma sembravano quasi dei brutti sogni. Non capiva se era diventata più forte oppure se Voldemort non la tormentava più. Gli esami erano sempre più vicini e questo la costringeva a concentrarsi sui libri, sui compiti e sulle lezioni, lasciandole poco spazio per ragionare troppo su questo aspetto.

Le lezioni con Piton proseguivano costanti, anche per Harry.

Ginny lo sentiva ancora come molto protettivo nei suoi confronti, troppo coinvolto. Cominciava a farsi strada un dubbio: perché se era lei, forse, innamorata ancora di lui, era lui a preoccuparsi per lei? O forse erano solo delle sue strane idee e speranze. Mah…

 

Harry era rimasto sorpreso di quanto gli aveva detto Remus sull’importanza di continuare gli allenamenti e di tenersi vigili e pronti. Silente evitava sempre di parlare del loro gruppo, non esisteva un riconoscimento ufficiale. Solo adesso veniva offerto loro questa strana autorizzazione a diventare sempre più indipendenti. Harry si sentiva galvanizzato dalla richiesta.

E il resto del gruppo non fu da meno. La proposta venne riferita da Susan, cha l’aveva ascoltata con Harry, a tutti gli altri prima di un allenamento. Tutti avevano la sensazione che rappresentasse una forma di accettazione nei loro confronti da parte degli adulti.

Finalmente potevano fare qualcosa di diverso dai compiti scolastici che agli occhi dei professori era altrettanto importante (o quasi).

Tutti si impegnarono con maggiore vigore nelle lezioni, mettendoci più motivazione e raggiungendo sempre nuovi risultati.

Ognuno aveva il suo livello di preparazione ed era difficile che tutti riuscissero bene in tutto, ma di certo c’erano dei cambiamenti positivi.

Ron si rese conto durante quegli allenamenti (e condividendo l’idea con Terry, Neville e Dean glielo confermarono parlando delle loro ragazze) che combattere vicino ad Hermione poteva essere uno svantaggio a volte. Si concentrava su di lei prima che sul “nemico”, cercava di proteggerla e anticiparla nella difesa, rischiando molto per se stesso. Gli amici vivevano le stesse sensazioni e non erano piacevoli. Si sentivano più vulnerabili.

Harry sentendoli parlare pensò che forse non avere una ragazza non era male in quel periodo.

Si era reso conto, osservando Ron e Hermione che parlavano spesso di cosa avrebbero fatto domani o la prossima settimana, che lui non sapeva neppure se domani o la prossima settimana tutto sarebbe stato come ora, oppure se Voldemort sarebbe arrivato a metterlo di fronte al pericolo di morire.

Cosa poteva condividere con una ragazza? Poteva dirle che le piaceva, che desiderava baciarla e abbracciarla, ma che non poteva garantirle che domani lo avrebbe fatto di nuovo. Meraviglioso.

Questi pensieri arrivavano di sera, insieme alla nostalgia per Sirius. E Harry capiva che era anche il momento di sua maggiore debolezza nei confronti di Voldemort.

Solo il quidditch rappresentava una valvola di sfogo: organizzare la squadra, gli allenamenti, discuterne con Ron o con gli altri, dare ordini, arrabbiarsi, comandare gli piaceva. Lo metteva in pace con se stesso e con le sue paure.

Si rilassava parecchio quando poteva dare spazio alla rabbia e all’aggressività senza che qualcuno avesse da ridire.

 

Provò a parlarne con Ash durante una delle loro lezioni.

Ash ascoltò il suo racconto incerto e claudicante. Non lo interruppe in nessun momento, lasciando che trovasse le parole da solo.

Alla fine Harry si sentiva svuotato e non era sicuro di aver detto esattamente quello che voleva dire.

“Prendiamo un aspetto alla volta. Le ragazze.”

Harry fece un mezzo sorriso imbranato.

“Direi che è normale essere in difficoltà con loro. Lo sarai anche da adulto, quindi preparati. Sono sempre davanti a noi. E hanno un sentiero tutto loro nei ragionamenti.”

Si sorrisero a vicenda con fare complice.

“Il tuo futuro non è segnato, Harry, non sicuramente per quanto riguarda le ragazze. Siamo tutti qui per aiutarti, non per vedere come farai da solo. Hai sedici anni. Nessuno dei tuoi amici può sapere ora se passera tutta la vita con la stessa ragazza. Neppure tu.”

Questo fece sentire Harry un po’ più libero.

“Immagino che ci siano ragazze interessanti e complicate attorno a te…”

Harry annuì immediatamente.

“Ron si è preso la più complicata!” ridacchiò.

“E tu?”

“Non lo so. Li invidio ogni tanto. Sembra facile a vederli, ma poi Ron mi racconta spesso di quanto lo impegni stare con Hermione. Ma sono felici.”

Dopo una pausa di silenzio aggiunse:

“Anch’io sono felice per loro.”

“Ma non c’è proprio nessuna che ti interessa più delle altre?” Ash era serio.

Harry ci pensò sopra parecchio.

Susan era davvero carina, intrigante. Ma non dimostrava molto interesse nei suoi confronti. Aveva parlato insieme dopo qualche allenamento dell’E.S. ,ma senza grandi conseguenze. Anzi forse mentre parlava con lui guardava parecchio verso Michael a pensarci bene.

Luna era…Luna. Ma Terry era arrivato prima di lui. O forse lui non ci aveva davvero mai provato.

Le sorelle Patil erano eccitanti. Molto. Dal Ballo del Ceppo erano cambiate parecchio. Si davano da fare per attirare i ragazzi. Anche lui. Un po’ troppo.

Chi altro c’era?

Ah si, Ginny, la piccola Ginny. Piccola… Carina, anzi bella.

Non era la sorellina di Ron da un bel pezzo a pensarci bene. Da quando… almeno da quando aveva un ragazzo. Prima che lui avesse una ragazza.

E aveva baciato sicuramente più di lui. Imbarazzante.

Preferì non dire nulla a Ash. Si limitò a scuotere la testa.

“Sirius…” sussurrò Ash.

“Mi manca.” Disse immediatamente Harry. “Voglio che torni.”

“Non può tornare Harry.”

Sentì il gelo dentro le vene. Un ghiacciaio intero. Il freddo polare.

“Perché dite tutti così? Può tornare in molti modi…” stava alzando la voce.

“E poi cosa c’è dietro al Velo? Anche Luna ha sentito delle voci. Perché nessuno vuole spiegarmelo?”

“Perché non c’è nulla da spiegare, Harry. Quando una persona muore non può tornare indietro, neppure nel mondo dei maghi. Il significato del Velo lo imparerai, ma non ti ridarà Sirius. Devi accettare questo prima di cercare altro. So di essere troppo diretto a dirti queste cose, ma devi accettare la morte del tuo padrino Harry.”

Harry si era alzato di scatto mentre Ash parlava ed era andato verso una finestra dello studio del professore, rigido, con le braccia lungo i fianchi con il respiro corto.

“No. Non voglio.”

“Non posso obbligarti Harry. Ma dovresti far uscire un po’ della tristezza che senti. Non piangi mai?”

“No.”

“Dovresti.”

Rimasero in silenzio. Harry cercava di controllare la rabbia dentro di sé. Cercava di dimenticare i consigli di Ash. Voleva solo poter sperare di rivedere Sirius in qualche forma.

Il dialogo si spostò poi sulle lezioni di Piton e dell’E.S e sulle emozioni che Harry provava.

Harry non aveva incubi da molte settimane, ma Ash e Silente sapevano che quel turbinio che sentiva lo avrebbe reso più vulnerabile all’intrusione di Voldemort.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** La rabbia e l'amore ***


LA RABBIA E L’AMORE

 

La vita di Harry cominciò a cambiare qualche settimana dopo, durante una lezione di Piton.

Ginny stava migliorando a vista d’occhio e Harry partecipava alle lezioni più per vedere come Ginny se la passava, che non per allenarsi lui stesso.

Riteneva le lezioni di Ash molto più importanti e ormai gli incubi erano pochi e riusciva a dominare ricordi ed emozioni, secondo lui, in modo più che adeguato.

Ma si sentiva in colpa verso Ginny. Voldemort sembrava prendersela con lei adesso che non riusciva a colpire direttamente lui. Voleva potersi sentire utile dandole un appoggio morale con Piton. Non ne avevano mai parlato l’un l’altra, ma ad Harry sembrava una cosa gentile.

 

Ginny non sembrava condividere questa cortesia.

Quando Harry, per l’ennesima volta, aveva cercato di evitarle il peggio bloccando Piton mentre invadeva la sua mente, la ragazza non ci aveva più visto.

Piton lo aveva lasciato fare perché era curioso di vedere le conseguenze di questi comportamenti cosi… imbecilli?

Ginny guardò Harry con rabbia.

“Non ne posso più Harry! Non sono tua sorella! Non lo accetterei neppure da Bill tutto questo … farsi i fatti miei!”

“Cosa accidenti ho sbagliato questa volta?!”

Harry era arrabbiato con lei. Non le andava mai bene nulla. Voleva fare tutto da sola. E poi si arrabbiava se lui voleva fare altrettanto!

“Mi hai sempre detto di non voler fare tutto da solo e adesso ti lamenti se io dico lo stesso a te!?”

Ginny sbuffò.

“Non voglio fare tutto da sola! Voglio solo imparare a cavarmela senza l’aiuto di un fratello o di un amico o di qualcun altro. È un po’ diverso dal voler fare tutto da soli come te!”

La rabbia esplose all’improvviso.

“BASTA!” Harry prese a caso il primo oggetto che trovò nella traiettoria del braccio e scagliò un vaso di vetro a terra rompendolo in mille pezzi e spargendo semi di qualcosa nella stanza. Era furioso. Arrabbiato con lei, con Piton che li osservava dalla porta come fossero cavie da laboratorio e forse anche con se stesso. Non capiva cosa ci stava a fare in quella stanza: non gli serviva, si sentiva in colpa per una ragazzina rompiscatole, voleva proteggerla ma non capiva per che motivo. Era ancora tutto complicato! E tra pochi giorni sarebbe passato un anno da quando Sirius…

Fissò Ginny con gli occhi spalancati, mentre lei si spostava leggermente all’indietro.

Si diresse a grandi passi verso la porta, ma lei lo raggiunse di corsa e gli si mise di fronte a braccia conserte.

“Dimmi perché io devo piangere, chiedere aiuto, mentre tu puoi andartene così, lasciandomi con l’idea che sia colpa mia?”.

“È colpa tua, sciocca.” Le parole uscirono senza controllo.

Ginny rimase senza parole. Non le aveva mai parlato così. Sentì delle lacrime salirle agli occhi.

“Perché?” provò a chiedere.

“Lasciami uscire.” Harry le mise una mano sul braccio spingendola di lato, leggermente, ma con fermezza.

Lei si irrigidì ancora di più.

“No. Adesso mi dici cosa c’è.”

“Lasciami uscire, non voglio parlare con una ragazzina.”

Harry aveva tenuto la mano sul braccio di lei e la spinse con più forza.

Ginny perse leggermente l’equilibrio, senza cadere.

Harry ritrasse la mano di scatto, impaurito da quello che aveva fatto.

Ma lei aveva lasciato libero il passaggio verso la porta e ne approfittò uscendo velocemente dalla stanza di Piton, senza più guardarla negli occhi.

Piton le si avvicinò alle spalle posandole leggermente una mano vicino ad una scapola.

“Hai resistito bene, Weasley. Hai coraggio. Secondo te perché lo ha fatto?”

Ginny si girò a guardarlo con gli occhi lucidi.

 “Non lo so. Non era così questa mattina. Ma è sempre più nervoso. E se la prende con me, anche negli allenamenti.“

“Forse non sa neppure lui perché. Prova a chiederglielo tra un po’. Adesso puoi andare.”

Piton si girò verso il fondo della stanza e Ginny uscì con lo sguardo triste.

 

Raggiunse la Sala Comune certa che Harry era filato a letto pur di non vederla. Lei era attesa da un compito di Storia della Magia invece.

Trovò Ron e Hermione seduti sul divano, intenti a scrivere una lunga pergamena a testa.

Hermione la osservò entrare e le disse:

“Dev’essere stata una lezione pesante, perché Harry è sfrecciato in camera arrabbiato.”

Ginny sospirò. Non aveva motivo per tenere tutto per sé. E poi con lei era stato… cattivo.

“Era arrabbiato con me, non con Piton. Gli ho detto che non sopporto quando mi tratta da bambina piccola e lui si è arrabbiato. Ma si arrabbia per nulla in questo periodo.”

Si lasciò cadere su una poltrona della Sala, piegò le gambe vicino a sé e guardò sospirando il fratello e l’amica.

Ron rimase volutamente in silenzio. Non capiva perché la sorella dovesse lamentarsi se Harry la proteggeva. Ne avevano parlato a volte e erano d’accordo sul fatto che era ancora piccola, anche se molto brava. Nel quidditch poi superava molti altri giocatori e Harry pretendeva che desse sempre il massimo. Era un suo obiettivo renderla perfetta.

Hermione aveva discusso con Ron di tutto questo e pensava che Harry dovesse lasciare Ginny un po’ in pace.

Lei apprezzava i piccoli gesti di protezione di Ron, ma trovava insopportabile avere sempre il suo fiato sul collo per evitarle ogni minino rischio, in particolare durante gli allentamenti con l’E.S. Lei pure si era trattenuta durante il periodo delle medicazioni! Sapeva che anche per Ginny tutta questa attenzione era pesante da sopportare. E poi volere che fosse perfetta nel gioco era assurdo. Aveva progettato di parlarne con l’amico, ma non c’era stata occasione.

“Perché è così arrabbiato?”

“Non lo so. Ron?”

Ron rimase ancora in silenzio per un po’.

“Non lo so. Non mi ha detto nulla in particolare.”

Il discorso finì in quel modo. Ginny prese tutto il necessario per i compiti e si dedicò ad una qualche invasione di qualche popolo strano avvenuta in qualche secolo passato. Tediosissimo.

 

Dopo un’oretta era rimasta da sola nella Sala. Il giorno dopo non c’erano lezioni e tutti ne approfittavano per dormire un po’ di più, ma lei era impegnata in parecchie attività extra e doveva recuperare qualche ora anche il sabato.

Chiuse il libro sapendo che aveva completato solo due terzi del lavoro, ma l’attenzione se n’era andata tempo prima.

Sbadigliò sonoramente e raccolse tutte le sue cose nel borsone.

Mentre si avvicinava alla scala del dormitorio vide un’ombra scendere da quello maschile e incontrò lo sguardo stanco di Harry.

Lui si bloccò a guardarla. Aveva pensato di chiederle scusa, ma preso così alla sprovvista gli tornò in mente solo l’enorme errore che aveva fatto.

“Ciao.” Le disse velocemente.

“Ciao.” Rispose lei incerta se salire o parlargli.

Harry accennò a volerle toccare un braccio, ma rimase un gesto sospeso. Si sentiva un tale cretino adesso. Ginny abbassò gli occhi e lo oltrepassò. Preferiva il letto. Molto più accogliente. E salì verso il calore delle coperte.

Ma si sentì chiamare, sottovoce.

“Ginny… scusami.”

Si fermò senza voltarsi verso l’amico.

“Scusami. Per quello che ho detto e per quello che ho fatto. Fa male?”

“No.” Rispose ancora arrabbiata.

“Mi dispiace. Davvero.”

“Ok.” E salì le scale senza dire altro. Lasciandolo da solo.

 

Le cose non migliorarono in uno degli ultimi allenamenti di quidditch dell’anno scolastico, qualche giorno dopo. Gli esami erano vicini e Ginny era stanca emotivamente e fisicamente. Ormai aveva perso ogni speranza che Harry potesse considerarla qualcosa di diverso da una sorellina un po’ imbranata.

“Ginny, andiamo, guarda quella palla. Era proprio vicino a te. Non l’hai vista?”

Harry urlò verso Ginny e lei sentì di aver raggiunto il limite. Non le aveva mai parlato se non per sottolineare i suoi errori. Adesso ne aveva abbastanza. Di Harry, del quidditch, di un fratello che se ne stava fermo sulla sua scopa con lo sguardo da pesce lesso verso Hermione.

Ginny scese velocemente a bordo campo, prese la scopa e se ne andò con lunghe falcate nello spogliatoio.

Il resto della squadra guardò lei e Harry senza capire cosa stava accadendo.

Harry rimase interdetto.

Rimase sospeso in aria, fermo. Il suo orgoglio lo aveva portato poco lontano finora. La lite con Ron il quinto anno, la delusione di Silente per la battaglia di Hogsmeade. Aveva deciso di non parlare, di non spiegarsi, di non chiedere scusa e non aveva ottenuto nulla.

Allora sfrecciò verso terra deciso a fare qualcosa. Non sapeva cosa, ma non poteva lasciarle l’ultima parola.

Entrò sbattendo la porta nello spogliatoio femminile. Ginny ormai era in jeans e maglietta e si stava pettinando.

“Non puoi lasciare così la squadra. Sei parte di un gruppo!”

“E tu sei il capitano, dovresti essere imparziale, correggere e sostenere e invece mi massacri a parole. Posso stare senza quidditch, voi non potete stare senza me. E prova a giustificare la mia uscita dalla squadra dandomi la colpa e vedrai.”

Ginny era furibonda e aveva urlato ogni parola con tutta la forza possibile dopo un’ora di allentamento.

Harry rimase senza parole a fissarla.

“E piantala di guardarmi. Non fai altro. Preferirei vedere Malfoy al tuo posto. Lui mi disprezza per quello che sono, ma uno sguardo di apprezzamento al mio corpo ogni tanto gli scappa. Tu neppure quello. Solo la piccola, sciocca sorellina di Ron.” Aveva scimmiottato la sua voce nell’ultima frase. “Chi ha affrontato Voldemort con te, cretino?!”

Harry non sapeva come fermare quel torrente di rabbia. A lui non era mai uscito tutto quel rancore verso gli altri, nonostante tutto. Beh, a parte da Piton, ma molto meno!

“Io… non è vero che non ti apprezzo. Sei uno dei migliori in squadra lo sai.”

“Lo so? Chiederò conferma a Pix! Ti è mai sfuggito un commento del genere? Te ne ricordi?”

“Ma… sei l’unica ad aver giocato in due diversi ruoli e ad essere brava in entrambi. Lo sai. Lo sanno tutti. Neppure io so farlo.” Harry era sorpreso che non se ne fosse resa conto.

“Ma allora sei proprio… Certo che lo so! Vorrei sapere se lo sai anche tu.”

“Certo! Ginny, penso che tu sia perfetta in quel ruolo.”

“E allora perché non me lo dici? Mai un complimento, Harry. In tutti questi mesi. Anzi, no!  Sarebbe bastato anche meno. Per fortuna che adesso c’è il sole quando ci alleniamo, almeno lui è caloroso con me.”

Prese il maglioncino e se lo infilò con rabbia. Afferrò la borsa e uscì dallo spogliatoio.

Harry le afferrò un braccio per bloccarla.

“Mi dispiace, Ginny. Io… so che sei brava. Mi piace vederti giocare. Mi piace stare con te, davvero. E non sei solo la sorellina di Ron. Sei…” Harry prese un lungo respiro. “Sei… una ragazza intelligente. Lo so. Non so dirlo, ma lo so.”

Ginny era ferma, il capo chino. Forse c’era ancora speranza…

“Non credevo che fosse così importante dirtelo. Credevo si vedesse. Cioè… sei l’unica che voglio sempre perfetta in campo. E poi…”

Addio speranza. Accidenti a quel bamboccio così attraente!

“Ecco Harry. Non voglio essere perfetta. Non mi interessa una carriera nel quidditch. Mi piace giocare qui a scuola. Ma basta. Non voglio diventare perfetta per farti piacere. Preferirei essere am… beh… essere quella che sono e sapere che va bene così.”

Ginny si era allontanata da Harry. Lasciandolo sulla porta se ne andò di filato a letto per non pensare.

 

Quella notte Hermione si sentì scuotere nel sonno. Con fatica aprì gli occhi e guardò in alto. Una ragazzina con i capelli scuri, gli occhi gonfi di sonno la stava guardando e muoveva la bocca.

“Aspetta, aspetta. Non capisco. Cosa c’è?”

“Ginny. Si sta agitando nel sonno. Piange. Cerca di gridare. Ho pensato che tu sapevi cosa fare.”

Hermione allora riconobbe una compagna di stanza di Ginny e si alzò di scatto dal letto precipitandosi dall’amica.

 

La trovò come le avevano detto. Si dibatteva nel letto, lenzuola e coperte erano a terra, i pugni chiusi allontanavano qualcosa sopra di lei, la smorfia di dolore e paura del volto era così reale che Hermione rimase un attimo interdetta.

Poi le si avvicinò piano chiamandola per nome e cercando di portarla a sé con la voce.

“Ginny, Ginny sono Hermione. È un incubo Ginny, svegliati, ti prego. Dai Ginny. Combatti e svegliati. Non lasciarlo entrare in te. Dai.”

Molto lentamente Ginny smise di agitarsi. Hermione continuava a chiamarla mentre le compagne di stanza erano immobili attorno al letto. Quando Ginny aprì gli occhi tutte si mossero verso di lei. Le compagne di stanza erano state avvisate degli incubi e della necessità di chiamare Hermione, ma non si era mai reso necessario farlo. Gli altri incubi finivano velocemente, quasi non li sentivano.

Ginny si alzò di scatto dal letto:

“Harry. Harry. Hermione, Harry.”

Hermione le si mise di fianco, seduta e mettendole le mani sulle braccia chiese:

“Cosa gli è successo Ginny?” Si stava preoccupando parecchio.

Ginny solo allora di guardò veramente intorno e comprese che l’incubo era finito. Respirando velocemente, chiuse gli occhi e le disse.

“Harry era con me nell’incubo. Devi tirarlo fuori Hermione.”

L’amica si alzò e corse verso la scala e da lì verso il dormitorio maschile.

Ginny rimase a letto a riprendere fiato, calma e sicurezza, mentre le amiche le offrivano acqua e cioccolato. Appena si fosse retta in piedi avrebbe raggiunto Hermione.

 

Nel dormitorio maschile la situazione non era molto diversa. Hermione trovò Neville in cima alle scale diretto da Silente, Ron e Dean attorno ad Harry e Seamus in bagno a prendere acqua.

Harry era rigido nel letto, ogni tanto si lamentava o gridava. Sembrava quasi concentrato come quando, durante la lezione di Piton, aveva contrastato Voldemort.

Aveva degli scatti come Ginny, contro qualcosa sopra di lui.

Ron lo stava chiamando, quasi urlava il suo nome. Ma senza risultato.

Hermione lo raggiunse mettendogli una mano sulla spalla.

Ron si girò a guardarla, preoccupato.

“Ginny è appena uscita da un altro brutto incubo. Mi ha detto di venire da Harry e tirarlo fuori dall’incubo.”

“Ci sto provando da parecchio, ma non ci riesco. È in un altro mondo. Non vuole uscire.”

Dopo qualche minuto sentirono aprirsi la porta di nuovo e una Ginny con i capelli arruffati e una vecchia maglietta, enorme, di Charlie come pigiama corse nella stanza fino al letto di Harry.

Prese Harry per le spalle e lo scosse con violenza.

“Harry, basta, smettila. Sono fuori. È finito. Lascialo andare.” Parlava a voce normale, ma con evidente ansia.

Solo allora Harry aprì gli occhi di colpo. Si guardò attorno guardingo. Scese barcollando dal letto, incerto e scoordinato nei movimenti. Si avvicinò ad una delle finestre della camera, guardando all’esterno come volesse essere certo di dove si trovava.

“Harry…” La voce di Ginny arrivò lenta e sottile dietro di lui.

Si girò a guardarla, sorpreso.

“Eri lì. Anche tu. Ti ha attaccato.”

La porta di aprì ancora una volta lasciando entrare Silente, Piton e Ash.

Ma Harry e Ginny sembravano ignari di tutto. Gli adulti si fermarono sulla porta, in silenzio.

“Mi ha attaccato, ma voleva te. Mi ha detto di chiamarti. Mi dispiace Harry, io… non volevo. Non ti ho chiamato.” Ginny era preoccupata.

“No. Sapevo che eri lì. Lo sapevo. Lo sentivo. Sono venuto per… per non…” Per non perdere il cuore, pensò. Per la prima volta Harry capì, come un lampo, perché si era intromesso nel Legilimens di Voldemort, perché l’aveva protetta così da Piton. E sapeva che non lo avrebbe fatto per molti altri. E non per la sorella del suo migliore amico come durante il secondo anno, ma proprio per lei. Ma erano tutti lì, era qualcosa di troppo personale. Non adesso.

“Voleva me, Ginny. Ha usato te per far arrivare me.” Harry era sorpreso.

“Mi dispiace.”

“Ti dispiace? Io lo odio. Ti ha usato Ginny. Ha osato toccare te. Quel bastardo ha usato il Legilimens contro di te. Cosa vuole da noi?” Harry si era girato verso Silente.

“Vuole te, Harry.” Silente aveva parlato con il solito tono tranquillo. “Ma non ce l’ha fatta, ragazzi.” E allora sorrise evidentemente soddisfatto.

“Lo avete contrastato. Lo avete allontanato.” Ash era altrettanto sorridente.

“Pensate di avergli fatto percepire qualcosa?” chiese Piton sornione.

Harry e Ginny rimasero pensierosi.

“Non credo.” Iniziò Ginny. “Appena mi ha presa mi ha chiesto di Harry. Non gli interessavo io. L’unico mio pensiero è stato che era a letto e…”

“Ed è arrivato da me, mentre stavo dormendo. Anzi no… ho visto Voldemort e Ginny. Lui le stava tenendo una mano sulla gola e la faccia, come volesse alzarla da terra. Quando sono arrivato io l’ha lasciata cadere a terra.”

“Non mi ha toccato, solo guardato e minacciato.” Puntualizzo Ginny.

“Cosa avete fatto?” Chiese Ash

“Non potevo lasciarlo fare. Ho cominciato a contrastarlo. A usare l’Occlumanzia. E Ginny con me.” Harry si girò sorpreso dal ricordo verso l’amica.

“Sì, abbiamo agito insieme. Era sorpreso. Arrabbiato. Dopo. Ma io non riuscivo a reggere e mi sono svegliata. Credo.” Ginny era sorpresa anche lei dal ricordo.

“Non ci aspettava uniti.” Affermò con sicurezza Harry.

Silente e Ash si guardarono soddisfatti.

“Bene, ragazzi. Bene. Avete sfruttato al meglio le vostre capacità. Gli avete tolto un’altra possibilità di attaccarvi. Si aspettava uno solo ed eravate in due.” Ash spiegò così velocemente e semplicemente quello che era accaduto.

“Adesso dovrete lavorare su questo.” Aggiunse tranquillo Piton.

 

Piton durante le lezioni di Occlumanzia non diede ulteriori spiegazioni limitandosi a farli lavorare insieme e a intervenire uno in sostegno dell’altro. Harry si tolse solo la soddisfazione di far atterrare il professore sulla scrivania durante un suo tentativo di attacco a Ginny. E imparò a intromettersi solo quando sentiva Ginny davvero in difficoltà o vedeva un suo segnale di aiuto.

Dal mondo esterno arrivavano segnali che Voldemort era arrabbiato. Molti Mangiamorte erano in azione per tramare alleanze e seminare terrore tra coloro che non volevano ritornare sotto la protezione dell’Oscuro Signore. Harry e Ginny non avevano più avuto incubi. Sembrava che Voldemort non volesse più raggiungere Harry e questo avrebbe aumentato a dismisura la sua collera. Ma lasciava anche il tempo ad Harry di maturare e crescere come mago. La forza del legame tra Harry e Ginny, anche se appena accennato e neppure chiarito tra loro, era stata un’arma abbastanza forte da creare sorpresa e incertezza.

 

Harry aveva ben chiaro quello che aveva sentito e capito durante quella notte riguardo la sorella di Ron. Aveva capito che non gli interessava minimamente che fosse la sorella di Ron. Era Ginny. Sempre più Ginny. E la T-shirt di Charlie era stampata a fuoco nella memoria.

La sola a capire quello che era accaduto sembrava essere Hermione. Quando parlavano di ragazze lanciava delle frasi, dei commenti che Harry sapeva essere rivolti a lui e Ginny, anche se nessuno aveva mai pronunciato i loro nomi.

Gli ritornarono alla memoria frasi dette durante le lezioni, i compiti, colazione o pranzo o cena, quando erano soli o quando c’erano anche altri. Ron doveva saperne qualcosa perché non si meravigliava mai di queste uscite.

“Se un ragazzo ha paura di capire cosa prova per una ragazza finirà che lei si stancherà e se ne andrà. Con Ron a me mancava poco.”

“A volte è più facile arrabbiarsi che parlarsi, vero Ron?”

“Mi piace l’idea di farcela da sola quanto mi piace sapere che Ron non mi lascerebbe mai da sola.”

“Ci sono certe occhiate che girano tra ragazzi e ragazze in questo periodo.”

“C’è un Corvonero del sesto anno che guarda Ginny molto spesso ultimamente. Carino davvero.”

“Mi piacerebbe stare tutti insieme anche quest’estate per vedere cosa succede. E poi non riuscirei a stare troppo senza la persona che amo.”

Tutte le osservazioni erano simili. Casuali. Riferite a se stessa e Ron. Generiche. E Harry le sentiva del tutto personali.

Doveva fare qualcosa. Ma le premesse erano scarse.

Dopo la lite negli spogliatoi, l’incubo comune era stato come fare pace, anche se non era stato detto nulla di chiaro.

Ma l’atmosfera si era notevolmente rilassata. Ridevano di nuovo insieme. La aiutava nelle lezioni di Difesa dalle Arti Oscure. Discutevano di quidditch. Harry le aveva chiesto scusa nuovamente per il comportamento da Piton. Lo aveva attribuito alla sua paura di Voldemort. E Ginny aveva accettato.

 

E così arrivò il giorno del primo anniversario della morte di Sirius.

Nessuno ne parlò con Harry per tutto il giorno. L’argomento era stato bandito da ogni conversazione. A parte qualche tentativo di intromissione dei Serpeverde, bloccato con forza dal resto della scuola, nessuno fece riferimenti a niente.

 

Alla sera Harry voleva potersene stare solo a pensare. Sapeva che tutti lo stavano riempiendo di attenzioni e di impegni per non fargli pensare troppo a quella giornata, ma sentiva forte il desiderio di stare solo. Gli occhi quasi bruciavano di lacrime che non dovevano scendere.

Se ne uscì da solo verso la Stanza delle Necessità e entrò in una stanza buia e spoglia. Rimase fermo al centro. Poi diede un pugno molto forte allo schienale dell’unica poltrona. Il legno all’interno si spezzò, secco.

Sentì aprirsi la porta dietro di sé ed entrarono Ron, Hermione e Ginny.

“No, adesso no. Lasciatemi solo almeno qui.” Li fermò allungando davanti a sé un braccio con la mano tesa. Gli occhi accigliati. La bocca tesa.

“Harry, non è un momento in cui stare soli. Stai male, lo sappiamo. Lascia che ti dimostriamo che ti vogliamo bene.” Hermione aveva parlato con dolcezza e con un piccolo sorriso.

“No, no, no… fuori.” Ripetè Harry dando loro le spalle.

“Credo dovremmo rispettare la sua richiesta, ragazze.” Disse piano Ron. “Lasciamogli fare quello che desidera.”

Harry ringraziò mentalmente l’amico.

Ginny invece gli si avvicinò e lo chiamò.

Harry se la trovo a meno di un metro da lui, con il volto triste.

Le fu sufficiente allungare un braccio e sfiorargli una guancia per aprire la voragine.

Harry sentì subito le lacrime scendere senza controllo. Non riusciva a trattenerle. Non sapeva neppure come potessero essere così tante dentro di lui.

Quando Ginny se ne accorse gli si avvicinò e lo abbracciò stretto. Harry rimase fermo con le braccia lungo i fianchi.

Hermione guardò Ron con gli occhi bagnati di lacrime. Ron allungò una mano e lei gli fece cenno di uscire. Fece cenno a Ginny che sarebbero ritornati.

“Perché?” chiese Ron.

“Perché è il momento di Ginny questo. Se ci fossi tu al posto di Harry vorrei esserci io con te.”

Ron le mise un braccio sulle spalle e andarono verso le scale.

 

Ginny lo strinse a sé come faceva sua madre con lei. Per poterlo consolare e non farlo sentire solo.

Harry si lasciò andare contro di lei, si abbandonò contro di lei, trascinandola a terra mentre singhiozzava contro la sua spalla.

“Perché, perché io… Sirius era l’unica famiglia che avevo… Sirius… Perché Ginny, perché… voglio che torni, lo voglio qui…” Urlava alcune frasi con rabbia e tristezza, altre le sussurrava in modo appena udibile.

Ginny sentiva la sua stessa oppressione in quel momento.

Continuò ad abbracciarlo e cullarlo. Non aveva risposte. Non sapeva cosa dire. Era tutto più grande di lei.

Harry le accarezzò una guancia con la punta delle dita e la strinse a sé con forza, piangendole sulla spalla, senza controllo.

“Cosa ti ho fatto… Ginny… cosa ti ho fatto…”

“Non piangere per me, Harry. Non farlo. Piangi per te adesso, solo per te.”

 

Ginny ricambiò l’abbraccio. Sentiva di non poter fare altro se non lasciarlo piangere e Harry pianse a lungo, a volte scosso dai singhiozzi.

Rimasero seduti a terra abbracciati per lunghissimi minuti.

 

Harry si sentiva vuoto. Libero. Si vergognava un po’ della scena, ma per fortuna c’erano solo Ron e Hermione a vederlo crollare così. Anche quando finirono le lacrime rimase con la guancia appoggiata alla spalla di Ginny. Era rassicurante. Si sentiva protetto.

“Grazie.” Le sussurrò tra i capelli. Profumavano di lavanda.

“Prego.” Bisbigliò lei all’orecchio.

Lentamente alzò la testa guardandola di sfuggita, intimidito.

Ginny gli sorrise apertamente.

“Va meglio?”

“Molto.” Si staccò da lei rimanendo seduto al suo fianco.

“Ho imparato a piangere parecchio, sai. La mamma ha passato ore con me a consolarmi. Stavo sempre meglio dopo. Non capisco come uno possa farne a meno.” Ginny era rassicurante.

 

Si dedicarono per un po’ agli scacchi, seduti per terra, quasi in silenzio.

Harry ne approfittò per osservarla, alla luce delle candele, chiedendosi come mai era stato così stupido in tutti quei mesi. Chiedendosi perché non aveva almeno provato a dirle quanto gli piaceva stare con lei, guardarla, ascoltarla, anche litigarci.

Era bella. Era attraente. Rompeva parecchio in alcune occasioni ed era cocciuta. Ma quel sorriso… e tutto il resto… persino il cervello era bello!

Ginny, fatta la sua mossa alzò lo sguardo sorpresa dal silenzio e dalla serietà della sua espressione.

“Cosa c’è?”

“Mi sono innamorato” disse senza controllo Harry.

“Oh…” Non si aspettava una frase del genere. Non in quella situazione. “Di chi?” Era importante conoscere il nemico, si disse Ginny.

“Fammi le domande giuste a troverai la risposta giusta.” Harry si mise seduto di fronte a lei. Non lo aveva pensato, ma gli era arrivata alla mente di colpo l’idea di poterglielo dire… un po’ alla volta.

Ginny si era pietrificata sul posto.

“Non ho voglia di giocare Harry, non stasera.” Gli rispose brusca.

Harry restò in silenzio. Non sapeva come proseguire.

Ma per Ginny era troppo starsene zitta in attesa di farsi calpestare i sentimenti da qualcun altro con una stupida osservazione: se Harry cominciava ad uscire con una ragazza ne avrebbero parlato tutti. Meglio prepararsi a recitare la parte dell’amica contenta e informata.

“Come si chiama?” Gli chiese.

“Eh dai! Così non vale. Solo domande generiche.”

“Età?” sbuffò la rossa.

”Più o meno la mia.”

“Harry, tutti qui hanno più o meno la tua età. Così posso solo eliminare la McGrannit o la Cooman!”

Harry ridacchiò: “Più o meno la mia età. Letteralmente.”

“Ok.” Sbuffò. “Casa?”

“Escludi i Serpeverde.”

“Sempre meglio. Come cercare un elfo in un castello. Colore dei capelli?”

“Particolare.”

“Cosa significa?”

“Non comune, insolito.”

“Beh… Hanna si è tinta i capelli blu elettrico qualche mese fa…”

“Completamente fuori strada. Un altro tentativo.”

“La vedi spesso?”

“Anche troppo spesso. A volte.”

“Seguite le lezioni insieme?”

“No. Non tutte.” Harry sperò che non chiedesse subito quali perché lo avrebbe scoperto e si stava divertendo.

“Allora partecipa all’E.S.?”

“Sì.”

“Allora… Hermione e Luna sono impegnate, le sorelle Patil non hanno i capelli di un colore insolito. Neppure Susan e poi non ha lezione con te. Cho immagino di no… non c’e nessun altro, Harry!” Ginny aveva contato le ragazze sulle dita della mano mentre le nominava, sempre più preoccupata di trovare il nome giusto.

“Scarsa memoria Weasley.”

“Davvero… chi altro c’è? Lavanda!” Il tono era molto sorpreso.

“No.” Harry chinò la testa di lato e rimase a guardarla.

“Harry, non vale. Nessun’altra ha i capelli di un colore insolito, partecipa all’E.S., è a lezione con te, ha un anno più o meno di te. Potrebbe forse starci Cho… è lei?!” Il cuore aveva smesso di battere. Davvero.

“No, Ginny. Assolutamente. Dai, chi sono le ragazze nell’E.S.?”

“Le ho nominate tutte! Oppure ti piace qualcuna che è già impegnata?”

“Manca solo la ragazza che mi piace.” Harry le sorrise apertamente. Sembrava impossibile che Ginny non riuscisse a trovare la soluzione.

Lei rimase in silenzio a ripensare a tutte le compagne dell’E.S, ma le aveva nominate tutte.

“Ok, un’altra domanda.” La incoraggiò Harry.

“Boh… non so.” Silenzio. “Gioca a quidditch?” lo chiese con una smorfia.

“Si.”

“In che squadra?”

“Griffondoro.” Il sorriso era ancora lì.

Ginny lo guardò come se avesse detto una cosa strana, poi lentamente spalancò gli occhi e aprì la bocca sorpresa.

“Ha i capelli rossi, un anno meno di me, andiamo insieme a lezione da Piton, partecipa all’E.S. e a quidditch, almeno credo lo faccia ancora. Dimmi un nome.” Harry aspettò una risposta.

“Ginny…” sussurrò.

“La mia piccola Weasley. Sorellina di Ron. La mia ragazzina rompiscatole.”

“Ne sei sicuro?” Ginny sembrava quasi spaventata.

“Sì.” Harry rise divertito dalla domanda. “Sorpreso come te. Abbracciandoti mi sono detto che non potevo aspettare ancora. Che era quello che volevo fare. Ma da tanto tempo.” Adesso stava arrossendo.

“Non prendermi in giro, Harry. Non ce la farei.” Ginny si era alzata in piedi e lo guardava dall’alto in basso.

“Prenderti in giro? Ti ho detto che mi piaci, Ginny. Solo che ci ho messo parecchio a capirlo e a decidermi a dirtelo. Non ti prenderei in giro su cose serie come queste.” Le si era alzato e le aveva messo le mani sulle spalle.

Ginny lo abbracciò all’improvviso con forza, stritolandogli le costole fino a fargli male. Harry fu costretto ad allontanarla un po’ ridendo e guardandola sbalordito.

Ginny teneva lo sguardo basso. Harry le mise una mano sotto il mento e le guardò il volto dove stavano scendendo dei grossi lacrimoni.

“Ehi… come mai?”

“Non ci speravo più, dopo tutti questi mesi.”

Harry rimase senza parole, un po’ triste per non essersi accorto prima dei suoi sentimenti per lei e orgoglioso per essere stato al centro dei suoi pensieri per così tanto tempo. Aveva colpito il cuore giusto.

“Posso baciarti anche se piangi?” Chiese timidamente. C’era qualcosa che non andava se tutte le ragazze che baciava piangevano!

Ginny si asciugò le lacrime dicendo:

“Non voglio avere un ricordo del primo bacio con le lacrime agli occhi.”

Ah, allora non era a causa sua. C’erano modi diversi di affrontare la cosa.

“Ginny… ne sai più di me in queste cose, credo.” Harry si sentiva un perfetto imbranato adesso. Che figura avrebbe fatto? Non sapeva quasi baciare.

“Allora impegnati a recuperare il tempo perduto.” Rispose timida lei.

Harry era ancora incerto. Avvicinò le labbra a quelle di Ginny e … decise che era piacevole imparare cose nuove con lei.

 

Ron e Hermione aspettavano da più di un’ora in Sala Comune. Erano preoccupati, ma speravano che la conclusione fosse quella migliore possibile.

Erano abbracciati su una poltrona in silenzio. Ron le accarezzava i capelli. Ogni tanto si cercavano per un bacio più o meno lungo.

Alla fine Ron decise che era il momento di andare a vedere come stavano le cose. Si alzò di scatto e a lunghi passi uscì dalla Sala.

Arrivati davanti alla porta la cercarono e gentilmente bussarono.

Nessuna risposta e nessun rumore.

Hermione aprì la porta e entrò seguita da Ron.

Harry e Ginny si stavano baciando e abbracciando, in piedi al centro della stanza.

Ron si schiarì la voce con forza, prima che Hermione potesse fermarlo.

Immediatamente i due si staccarono, guardandoli.

“Data prevista del matrimonio?” chiese il rosso seriamente.

Hermione alzò gli occhi al cielo. Doveva imparare a baciarlo per farlo stare zitto.

 

Il ritorno a casa fu come al solito lungo e un po’ triste per la prospettiva del distacco. Breve, per fortuna, in quanto i signori Weasley, senza che nessuno fornisse loro informazioni dirette sulla situazione, aveva già invitato Hermione e Harry alla Tana dopo sole tre settimane.

Passarono il tempo a giocare e parlare. Ogni tanto, quando l’altra coppia, casualmente, non guardava, c’erano anche dei baci. Harry si sentiva un po’ sotto il controllo di Ron che si divertiva a lasciarglielo credere.

Draco tentò di litigare con Harry, ma Harry era molto più interessato a capire quali occhiate lanciava alla sua ragazza per controbattere ai soliti noiosi insulti sulla sua famiglia.

Alla stazione si ritrovarono di fronte alle tre famiglie per i saluti.

Un po’ imbarazzati per la situazione Ron e Harry non sapevano fino a dove potevano spingersi prima di lasciar andare le ragazze.

Hermione si avvicinò a Ron buttandogli le braccia al collo e avvicinandosi al suo volto per essere baciata.

Ginny prese le mani di Harry e le strinse guardandolo in attesa finché lui si decise a baciarla.

Lo zio Dursely li guardò orripilato. I signori Granger attesero, un po’ imbarazzati dalla novità, scambiandosi occhiate e sorrisi con i signori Weasley.

I quattro amici si sorrisero ancora salutandosi. Li aspettava un’estate insieme. E un altro anno ad Hogwarts insieme. Sempre che la rabbia di Vodemort non esplodesse prima.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=41696