LION ASH
La
battaglia di Hogsmeade era terminata con la vittoria dell’Ordine della Fenice.
Gli Auror
feriti furono medicati o inviati a San Mungo, mentre gli ex-allievi e i membri
dell’Ordine della Fenice avevano riportato le ferite minori ed erano rientrati
in poche ore alle proprie case.
Bill e
Charlie Weasley erano tornati alla Tana con i genitori, dopo essersi accertati
che Ron fosse medicato e dopo che la madre gli aveva raccomandato, con il suo
solito smisurato amore materno, di stare attento e di prendere tutte le
medicine prescritte.
Ron aveva sospirato e chiuso gli occhi per la noia più
volte.
Purtroppo
la signora Wealsey aveva trovato una valida alleata in Hermione, pronta a
controllare ogni giorno che cambiasse medicazione e usasse i medicinali. Ron si
era sentito bombardato su due fronti.
Aveva
guardato i fratelli con lo sguardo da pulcino bagnato per cercare un sostegno,
ma entrambi avevano alzato le mani in segno di resa. L’età e l’esperienza non
erano sufficienti a rendere un figlio pronto a contrastare mamma Weasley.
Solo il
padre riuscì, quasi sottovoce, a convincerla che era necessario partire per
rassicurare gli altri tre figli.
Tutta
l’attenzione si spostò per fortuna su Ginny.
Il giorno
tutto era tornato apparentemente alla normalità. Silente aveva fatto un lungo
discorso agli studenti la sera stessa della battaglia di Hogsamede,
sottolineando il ruolo dell’Ordine e degli ex-allievi, annunciando azioni
disciplinari verso gli allievi che avevano trasgredito al divieto di recarsi
nel paese durante lo scontro.
Nel mondo
della magia era presente un generale senso di paura per il futuro.
L’aria
era pervasa dal timore di nuovi attacchi, dall’incertezza di quali potevano
essere i possibili bersagli e dall’incertezza del ruolo dei Dissennatori che
non si erano alleati apparentemente con nessuna delle due parti rendendo
pericolosa anche la prigione di Azkaban e coloro che ne erano all’interno.
Gli
studenti ancora si chiedevano dove fosse Hagrid e la scelta dei giganti non era
ancora nota a nessuno.
La stampa
ufficiale si era immediatamente schierata con Silente e in protezione di Harry.
Persino
Rita Skeeter, due giorni dopo, visto come era girato il vento, aveva dato alla
stampa degli articoli che sottolineavano il suo ruolo di “bravo-ragazzo-pronto-al-sacrificio-per-noi”
creando una schiera di sostenitori che inviavano lettere ogni giorno, mettendo
in imbarazzo Harry al momento della consegna della posta da parte dei Gufi.
Edwige aveva tentato più volte di lanciare le lettere direttamente sulla testa
del suo padrone, data la loro quantità e il loro peso.
Rita
Skeeter aveva richiesto una intervista ad Harry attraverso Silente già il
giorno dopo la battaglia di Hogsmeade. Il Preside aspettava la giusta occasione
per sapere la risposta di Harry in proposito.
Nessun
membro dell’Ordine si era più fatto vedere e sembrava che fossero tutti
impegnati a fare il punto della situazione da qualche parte fuori Hogwarts.
Tranne Tonks che ancora stava superando le conseguenze dell’attacco.
Harry li
immaginava tutti seduti attorno al tavolo, nella cucina di Grimmauld Place,
nella casa di Sirius, impegnati a elaborare strategie di attacco.
Avrebbe
dato qualunque cosa pur di essere presente.
La casa
di Sirius era in usufrutto all’Ordine fino al termine del settimo anno di
Harry, secondo quanto gli aveva spiegato e fatto leggere il Preside. Dopo
sarebbe diventata sua e avrebbe deciso cosa farne.
Per ora
rimaneva a disposizione dell’Ordine della Fenice, con il controllo di Lupin.
Nessuno
si spiegava la fuga precipitosa di Voldemort, né la paura che avevano visto nel
suo sguardo.
Quell’uomo
dalla chioma leonina era ancora un mistero per Harry.
Dopo il
rientro da Hogsmeade, pochi giorni prima, lo aveva visto parlare a lungo con
Silente in diverse occasioni.
Si
aggirava con Silente lungo i corridoi, parlando sottovoce.
Lo aveva
visto chiacchierare e ridere con la professoressa McGrannit, come fossero
vecchi amici ritrovati.
Dalle
mezze frasi di Tonks aveva capito che partecipava agli incontri dell’Ordine.
Ma non
era mai stato ufficialmente presentato agli studenti e il nome era ancora un
mistero.
Lo strano
mago era presente anche quando tutto l’E.S. era stato convocato nello studio di
Silente per essere punito per l’evidente mancata osservanza delle regole.
Si teneva
dietro le quinte, seduto in una sedia dietro tutti i professori in silenzio,
attento, serio. Aveva la stessa aurea di inflessibilità e autorevolezza paterna
di Silente.
Erano
presenti tutti i componenti dell’Esercito di Silente, ma i sei che avevano
attivamente partecipato allo scontro erano in prima linea, davanti a tutti.
Di fronte
a loro, oltre al Preside, c’erano i quattro capi delle Case.
L’espressione
era di notevole freddezza.
Harry era
abituato e aspettava con ansia il rimprovero e la punizione, ma senza particolare
agitazione. Tutto come il solito.
Ron aveva
quasi la stessa esperienza e desiderava solo evitare un punizione con Piton.
Preferibilmente in compagnia di Harry, ma questa non sarebbe stata un
punizione.
Neville,
Susan, Terry, Anthony e Dean erano preoccupati. Non sapevano cosa aspettarsi e
per tutti si trattava della prima convocazione ufficiale dal Preside.
Ginny era
fiera di quello che aveva fatto, sapeva che la punizione ci sarebbe stata e le
piaceva la sensazione di essere un po’ più simile ai gemelli. Cercava di
dimenticare che si trattava dell’anno dei G.U.F.O., ma questo non aveva inciso
sui risultati di Harry, di Ron, di Hermione e Neville l’anno precedente.
Luna si
guardava intorno incuriosita. Era una stanza notevole quella del Preside, molto
interessante.
Hermione
era fuori di sé dalla preoccupazione. Una punizione. A lei. La sua carriera,
qualunque fosse stata, ne avrebbe risentito? Beh, di una sciocchezza da
sedicenne forse no. Ma essere punita era… una rottura!
Tutti gli
altri aspettavano di sentire semplicemente un rimprovero.
Il
Preside iniziò con tono sommesso:
“Sapete
tutti di aver agito contro la precisa decisione dei vostri insegnanti. Era
stato chiaramente spiegato ai vostri rappresentanti, esatto signor Potter,
signor Weasley, signorina Granger e signorina Bones?”
Tutte e
quattro le teste annuirono.
“Quindi
avete agito con chiaro intento di disobbedienza. Ora, il risultato è stato
decisamente interessante, in quanto avete attratto Voldemort esattamente dove
tutti lo volevamo, avete combattuto con forza e coraggio tutti quanti, avete
dimostrato lealtà di gruppo, cooperazione, organizzazione e senso di
appartenenza. Tutti aspetti molto positivi e chiaro segnale di maturità.”
La
maggior parte del gruppo non sapeva se tirare un sospiro di sollievo o
aspettare un rimprovero ancora peggiore.
Le
espressioni serie degli altri insegnanti non lasciavano presagire nulla di
buono. Solo Silente sembrava davvero lieto di quello che aveva detto.
“Avete
comunque contravvenuto a numerose regole che non intendo elencarvi. La
punizione che abbiamo deciso è condivisa da tutti gli insegnanti e dai
responsabili delle vostre Case. I vostri genitori saranno informati di quanto
accaduto e non interferirò con le punizioni che vorranno darvi.”
Ron e
Neville sentirono i brividi freddi lungo la schiena. La signora Weasley aveva
anni di esercizio alle spalle nell’elaborare punizioni e rimproveri per i
propri figli.
Ginny
sapeva che avrebbe ricevuto un trattamento diverso dal fratello, meno…
esplosivo sperava.
Neville
non sapeva a quale aspetto avrebbe dato più peso la nonna: alle regole che non
aveva seguito o al fatto che fosse stato così coraggioso da entrare in
battaglia. Di certo l’occasione di sgridarlo non le sarebbe sfuggita.
Silente
proseguì:
“La
decisione comune è stata di togliere quindici punti a tutti coloro che hanno
contribuito a questo progetto, direttamente o indirettamente.
Quando
farete il calcolo vedrete che lo svantaggio rispetto alla Casa dei Serpeverde è
significativo per tutte le altre tre.
Questo
spero sarà sufficiente a farvi desistere da ulteriori comportamenti che possano
recare danno a voi e alle vostre Case.
Il
prossimo passo, se lo renderete necessario, inciderà sull’attività scolastica.
Molti di voi sono o sono stati prefetti delle rispettive case. Dovreste
ricordare che è vostro compito mantenere le regole e non cercare di aggirarle.
Credo che
questo sia sufficiente per la maggior parte di voi. Come vedete abbiamo scelto
di non toccare il quidditch, le uscite a Hogsamede o gli incontri dell’E.S .
Non fateci cambiare idea. Abbiamo anche compreso in modo chiaro la richiesta di
essere parte attiva di questo scontro. Ne terremo conto. Quando l’Ordine avrà
definito un piano d’azione vi saranno comunicati quelli che potranno essere i
vostri compiti di sostegno all’attività. Un ruolo attivo sarà accordato solo ad
alcuni di voi e solo se lo accetterete.”
Adesso
dovrei parlare con il signor Potter e la signorina Weasley. Gli altri possono
tornare alle loro attività.”
Uscirono
tutti in silenzio, a testa bassa, alcuni facendo calcoli di quanti punti aveva
perso la propria casa. Ritornarono nelle Sale Comuni, tutti informati della
prossima riunione che si sarebbe tenuta dopo pochi giorni per decidere cosa
fare per il futuro.
Nell’ufficio
del Preside rimasero solo Harry e Ginny.
“Signorina
Weasley. Vorremmo che lei ci riferisse il più possibile con esattezza quanto le
ha detto Voldemort quando ha parlato del diario e di quanto accaduto quattro
anni fa.”
Ginny
cercò di ricordare il più possibile quali fossero state le parole dell’Oscuro
Signore, ma le tornavano alla mente con maggiore chiarezza la paura e quello
sguardo di sangue puntato su di lei. Non aveva parlato a nessuno di un incubo
di due sere prima che l’aveva lasciata tremante, seduta sul letto, nel
tentativo di allontanare dalla mente quell’immagine di morte.
“Non
ricordo esattamente tutto, Preside. Mi ha detto che era stato piacevole
conoscermi, se era cambiato qualcosa da allora e che avevo perso l’occasione di
diventare importante. Poi voleva solo uccidere anche me con Harry.”
Il tono
della voce, chiaro e sicuro, non lasciava trasparire la preoccupazione che in
realtà Ginny stava provando. Perché quelle parole erano importanti?
Non
voleva passare di nuovo attraverso il dolore e la solitudine del suo primo
anno. Era sola e sconfitta in quei mesi, senza l’appoggio di nessuno con il
quale confidarsi, incapace di comprendere cosa le stava accadendo.
Era
appena arrivata in posto nuovo, non aveva amici, solo un sogno di piccola
adolescente nei confronti dell’amico del fratello, sogno che si era infranto
davanti all’enorme errore che aveva fatto attirando proprio contro di lui l’ira
e la paura della scuola.
Ci erano
voluti due anni per superare il senso di colpa e di inettitudine che l’avevano
attanagliata.
Aveva
accettato solo l’aiuto paziente, silenzioso e affettuoso dei suoi genitori in
quel periodo, i quali erano riusciti a farle ritornare il sorriso e la
sicurezza in se stessa.
Sapeva di
essere maturata molto, ma non intendeva ripetere l’esperienza. Quegli occhi di
ghiaccio rosso che avevano accompagnato i suoi sogni di qualche giorno prima
erano già abbastanza dolorosi.
“Sono
passati quattro anni dal suo incontro con Tom Riddle, signorina Weasley. Credo
che sia stato difficile superare quell’esperienza, ma adesso l’immagine che ho
di lei, anche per quello che mi raccontano i suoi insegnanti e anche i suoi
genitori che vedo sempre molto volentieri, sono di una giovane donna che
esprime tutta la sua forza, determinazione e coraggio. Non sarebbe così facile
ora per Voldemort avvicinarsi a lei, anche attraverso il meschino sotterfugio
di un suo servitore. Credo però che quel coraggio che lei ha mostrato nel
parlargli rappresenti, per Lui, una sfida troppo allettante per potervi
rinunciare. Ha fallito una volta e potrebbe voler tentare nuovamente per
dimostrare la sua abilità. Per questo motivo crediamo sia importante darle
delle armi per difendersi.
Parteciperà
insieme al signor Potter alle lezioni di Occlumanzia con il Professor Piton.”
Ginny
rimase ferma, seria. Spostò solo leggermente lo sguardo dal Preside a Piton per
pochi secondi.
“Va
bene.” Si limitò a rispondere. Sentiva troppa confusione dentro di sé. Anche
l’aiuto del Professor Piton era importante in quel momento per eliminare quello
sguardo e quella voce, anche se provenivano dalla sua mente e non da quella di
Voldemort.
Ginny non
notò lo sguardo affettuoso di Silente, della professoressa McGrannit, della
professoressa Sprite, del professor Vitius.
E non
vide il lampo di dolcezza che attraversò lo sguardo del professor Piton, verso
una ragazzina coraggiosa della quale sarebbe stato orgoglioso di essere il
padre.
“Infine
signor Potter.” Il tono di Silente divenne più paterno, se possibile.
“Siamo
tutti consapevoli Harry che in questo momento porti il peso maggiore.
Per
questo motivo dovrai però seguire Occlumanzia senza perdere alcuna lezione e
dovrai fare delle lezioni supplementari con il professor Ash, Lion Ash.”
Silente
indicò l’uomo con gli occhiali seduto in silenzio dietro a tutti. Egli chinò il
capo in segno di saluto verso i ragazzi, con un lieve sorriso.
“Le
lezioni ti serviranno a conoscere e utilizzare meglio la magia. Il tempo che
sarà necessario dedicarvi non dovrà minimamente influire sul tuo rendimento
scolastico o sulle altre attività. Siamo tutti pronti ad aiutarti Harry, ma
devi riuscire a conoscere la tua impulsività e il tuo desiderio di farcela da
solo. Per far emergere il meglio di te devi imparare a riconoscere e a evitare
il peggio di te.”
Harry
capiva il senso dell’ultima frase di Silente, ma la voglia di fare, di esserci
era una spinta talmente forte che aveva difficoltà a trattenerla e
controllarla.
Non si
era trovato lui in quella situazione e in quel ruolo. Era stata una scelta di
Voldemort. Ma adesso che era stato designato a combattere non intendeva
dimostrarsi vigliacco o incapace.
Uscendo
dalla stanza, preso dai suoi pensieri, non rivolse alcun sguardo verso Ginny,
fino a quando arrivati in prossimità dei tavoli dove tutti si erano radunati
per la cena, lei stessa non gli rivolse la parola.
“Quando
hai la prossima lezione con Piton?”
Harry
rispose automaticamente:
“Domani
prima di cena. Un’ora circa.”
Entrarono
in silenzio, perdendosi nella normale confusione della serata.
Arrivati
al tavolo dei Griffondoro Harry prese posto di fianco ad Hermione e di fronte a
Ron, mentre Ginny si sedeva di fianco al fratello. Tutti quelli che erano a
portata di voce, rimasero in attesa di notizie.
Guardandosi
attorno Harry vide le espressioni interrogative degli amici.
“Devo
seguire delle lezioni supplementari con l’amico di Silente. Si chiama Lion Ash.
Hanno a che fare con l’uso della magia da quello che ho capito. E devo
continuare a vedere Piton, E devo smetterla di mettermi nei guai.”
Il tono
rifletteva l’umore cupo. Tutti si girarono poi verso Ginny con la stessa muta
richiesta.
Hermione
chiese:
“A te
cosa ha detto?”
“Devo
fare lezione con Piton anch’io a quanto pare.”
“Perché”
chiese il fratello.
“Perché
Voldemort mi ha visto con Harry credo. E perché mi ha parlato.”
“C’entra
con il dia…” Ron si ritrovò sullo stinco lo stampo di una scarpa di Hermione e
il suo sguardo di fuoco che lo inceneriva sul posto.
Si rese
conto all’improvviso che non era mai stato reso noto il ruolo di Ginny nello
scontro della Camera dei Segreti, se non a pochissime persone al di fuori della
famiglia. Guardò la sorella chiedendole scusa con gli occhi e lei accennò un
sorriso.
Harry si
rese conto in quel momento che Ginny non aveva detto una parola da quando
Silente le aveva parlato in ufficio.
Se fosse
accaduto sue anni prima lo avrebbe trovato normale, ma adesso no. Ginny non
stava mai in silenzio, non accettava mai nessuna imposizione senza discuterla.
Perché aveva accettato di lavorare con Piton?
Quando
Voldemort le aveva parlato ad Hogsmeade aveva risposto senza incertezze, senza
abbassare lo sguardo. Ora, mentre la guardava, sembrava solo stanca a triste.
Cercò il
suo sguardo, ma era rivolto verso il piatto. Lo alzò per parlare con Hermione,
davanti a lei, di lezioni e compiti.
Harry
voleva una risposta.
Cercò di
parlarle più tardi, ma Ginny si mise a studiare lontano da tutti, in Sala
Comune. Apparentemente non c’era nulla di strano, era il suo quinto anno, aveva
gli esami e doveva studiare molto. Rimanere concentrata era quello che ci si
aspettava da lei.
Harry
però aveva ancora la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava. Si chiese
se doveva parlarne con Hermione o con Ron. Forse con Hermione, era più attenta
allo stato d’animo degli altri di quanto non fosse Ron, anche se era la
sorella. E Hermione avrebbe saputo trovare le parole giuste.
Forse
però stava esagerando. Ginny poteva essere solo stanca e preoccupata per la
situazione in generale.
Decise di
aspettare e vedere cosa succedeva. Non si trovava molto a suo agio con
l’immagine di Ginny in difficoltà che aveva bisogno di aiuto.
Era
strano dato che anni prima le aveva salvato la vita, ma allora era solo la
sorellina di Ron e lui aveva aiutato l’amico prima di aiutare quella piccola
ragazzina.
Negli
ultimi due anni era diventato amico di una ragazza sicura di sé, indipendente:
lei aveva aiutato lui l’anno scorso.
Come si
faceva ad offrire aiuto ad una ragazza, ad una amica, senza far credere a lei e
a tutti di provare qualcosa d’altro nei suoi confronti?
E perché
pensava una cosa così stupida? Erano amici, le voleva bene quasi come ad
Hermione in fondo.
Harry
sentiva che si stava addentrando in un terreno pericoloso e si concentrò
nuovamente sui compiti. Molto più rilassante.
I
pensieri di Ron erano altrettanto confusi. Aveva notato il silenzio della
sorella, ma lo attribuiva alla punizione con Piton. Nessuno avrebbe accolto con
piacere un impegno di quel tipo.
Hermione
inoltre aveva preso alla lettera la promessa fatta alla signora Weasley e
pretendeva di accompagnarlo alle medicazioni ogni giorno per controllare che
non le saltasse.
Quella
sera erano andati da Madama Chips dopo la riunione con Silente.
Per ora
Ron sentiva la necessità di essere regolare: la schiena bruciava parecchio in
alcuni momenti, soprattutto quando si muoveva di scatto o si chinava. La
prossima settimana sarebbero ripresi gli allenamenti e non voleva doversi
fermare.
Ne aveva
discusso con Madama Chips.
Lei
riteneva che non ci fossero particolari problemi, ma la schiena gli avrebbe
fatto male ed era necessario mettere più unguento sulle ferite, anche dopo gli
allenamenti. Ron sapeva che Harry non avrebbe avuto difficoltà ad aiutarlo, ma
Hermione aveva acceso la conversazione intromettendosi senza che fosse
richiesto.
“Dovresti
aspettare un po’ Ron e lasciare che la schiena guarisca di più prima di
sforzarsi.”
“Ma ho
appena avuto l’ok di Madam Chips. Che problema c’è?”
Ron era
seduto su un letto in infermeria, dietro un paravento a petto nudo, mentre
Madama Chips passava l’unguento sulla schiena dove erano ben visibili i segni
rossi delle ferite e i segni violacei e neri dei lividi lasciati dai massi che
lo avevano investito. Le mani dell’infermiera non erano certo dolci e gentili.
Stendevano l’unguento con rapidità e senza chiedergli dove facesse più o meno
male. Ron ogni tanto stringeva gli occhi per il dolore, senza farsi sfuggire un
gemito. Le mani si limitavano ad artigliare i bordi del letto.
Hermione
era dall’altra parte del paravento.
Tutti e
due sentivano che la mancanza di un maglione addosso a Ron richiedeva la presenza
di quel paravento, anche se entrambi desideravano, senza dirlo neppure a se
stessi, che non ci fosse e che non ci fosse neppure Madama Chips.
Solo
questo pensiero era sufficiente a Ron per rendergli difficile lo studio mentre
era in Sala Comune, poche ore dopo.
Hermione
aveva continuato.
“Non vedo
perché devi insistere per allenarti anche quando non sei pronto a farlo. Ti
farà male, dormirai male, giocherai male per il dolore accumulato.”
“Grazie
per la fiducia. E’ proprio piacevole contare sugli amici.” Rispose sarcastico
Ron. Si stava arrabbiando. Pensava che fosse così fragile?
“So che
giochi bene Ron, ma sto dicendo che se ti curassi fino in fondo potresti
giocare al massimo, senza rischiare.”
“Hermione,
da quando te ne intendi di tattiche di gioco? Almeno in questo potresti
lasciarmi l’idea che ne so più di te? Oppure intendi farne una materia di
studio?”
Accidenti
a lei. Stava guardando il paravento davanti a lui, con lo sguardo teso e
arrabbiato, sapendo che lei era dall’altra parte e aveva lo stesso sguardo di
disappunto e di ostinazione.
Invece
Hermione era preoccupata più che arrabbiata. Non si fidava di Ron e di Harry
per quanto riguarda la medicazione. Avrebbe scommesso qualunque cosa che si
sarebbero dimenticati, presi dalla partita e dalla fame. Voleva che Ron stesse
attento a sé, che si curasse, non che rischiasse di farsi ancora più male
durante un allenamento, ma era ostinato quando si parlava di quidditch!
Ron si
infilò maglietta e maglione in silenzio e uscì dal paravento pronto a dare
battaglia.
Si trovò
di fronte una Hermione seria e preoccupata, ma non arrabbiata.
“Beh,
cosa c’è?” le chiese brusco “Hai esaurito le raccomandazioni?”
“Sei
stupido, Ron, proprio stupido!”
Hermione
gli girò le spalle e si incamminò spedita verso la cena, senza più rivolgergli
la parola.
Hermione
era davvero preoccupata, per tutto.
Per
Harry, per il pericolo costante che lo circondava.
Per Ron
che avrebbe fato qualsiasi cosa con Harry, anche farsi ammazzare.
Per
Ginny, perché sapeva che c’era qualcosa che non andava, lo si vedeva dallo
sguardo, dalla sua tristezza, ma non voleva parlarne.
E per se
stessa, per tutti i suoi amici, per la sua famiglia che non sapeva nulla di
Voldemort, ma rischiava quanto gli altri londinesi.
Aveva
paura dei suoi sentimenti per Ron che diventavano sempre meno confusi, ma
sempre più pericolosi.
Era
preoccupata per l’affetto che la legava ad Harry, per l’amicizia che sentiva
verso di lui: non voleva perderlo, non lo avrebbe sopportato.
Concentrarsi
sui compiti ultimamente era una sensazione piacevole perché allontanava tutti
questi pensieri.
Se solo
Ron avesse collaborato in minima parte per diminuire le sue paure invece che
aumentarle. Non gli interessava neppure la sua salute, ma solo il quidditch.
Anche se
si trovavano vicini a studiare, quella sera, i loro pensieri erano lontani gli
uni dagli altri, oppure erano legati in modo tale da essere ingarbugliati e non
comprensibili.
Ginny era
molto stanca. Studiare Storia della Magia non aiutava a stare svegli, ma voleva
rinviare il più a lungo possibile in momento di andare a letto per non
rischiare di ritrovarsi il volto di Voldemort davanti al proprio, che ripeteva
la sua minaccia di morte.
Si
ritrovò così a notte inoltrata da sola in Sala Comune. Tutti erano saliti nelle
loro stanze.
Si fece
prendere dalla stanchezza e dalla tensione e si appisolò su una delle poltrone,
rannicchiata su se stessa, abbracciando un libro.
Harry
sentiva la voce di Voldemort avvicinarsi. Era perso in un luogo buio, senza
pareti, senza porte, galleggiando nel nulla. Aveva paura.
Sentiva
forte il richiamo a rispondere, a parlare, come se volessero costringerlo a
dire qualcosa. Si svegliò seduto sul letto, sudato.
Ron era
seduto vicino a lui e lo stava guardando. Dagli altri letti, a parte Neville,
tutti lo stavano osservando.
“Hai
gridato Harry. Cosa è successo?”
“Un
sogno. E’ passato. Tutto ok.”
“Che tipo
di sogno?” chiese l’amico cercando di capire cosa poteva essere successo.
“Era
tutto confuso, senza riferimenti. Sembrava che si aspettasse che parlassi.”
Harry non
sentiva più la necessità di spiegare a Ron si chi stava parlando e Ron non
aveva dubbi di chi fosse il protagonista degli incubi dell’amico. Avevano
parlato sottovoce, mentre gli altri riprendevano a dormire.
“Vado in
Sala Comune, non ho sonno adesso.”
“Vuoi
compagnia?”
Ron era
sveglio e lo aveva chiesto senza sbadigliare. Forse una partita a scacchi non
avrebbe fatto male a nessuno dei due.
Quando
arrivarono nel Salone, Dobby stava sistemando il camino. Era vestito come al
solito, con calzini spaiati e un vecchio straccio verde come vestito.
Sorrise
ad entrambi e entrambi erano felici di vederlo.
“Harry,
signore. Dobby è contento di vedere che sta bene. Anche il suo amico sta bene.”
“Buonasera
Dobby. Scusa se ti disturbiamo durante il lavoro, ma volevamo fare una partita
a scacchi.”
“Lei non
disturba, signore. Dobby può lavorare anche se loro giocano.”
Harry e
Ron si misero sul divano con la scacchiera al centro.
“Signore…”
“Dimmi
Dobby?”
“Perché
la piccola signora rossa dorme lì?”
Dobby
indicò Ginny, profondamente addormentata.
Né Harry,
né Ron l’avevano vista. Pensavano di essere soli.
Si
guardarono, ma entrambi pensarono che doveva essersi addormentata studiando.
Ron la
guardò sorridendo.
“Lasciamola
dormire. Non credo che le piacerebbe essere svegliata.”
Cominciarono
la partita, mentre Dobby finiva di spolverare il camino.
Il primo
a sentire i lamenti di Ginny fu Ron. Nel pieno di una mossa di scacchi si girò
a guardare la sorella. Si stava muovendo nella poltrona e sembrava stesse
piangendo sottovoce.
Rimase a
osservarla, poi guardò Harry, timoroso.
“Faceva
lo stesso dopo l’incontro con Riddle… ha avuto incubi per parecchi giorni.”
Si alzò e
andò verso la sorella. Si inginocchio di fianco a lei e cominciò a chiamarla
dolcemente.
Lei
sembrava non sentirlo e continuava in quel pianto sommesso senza lacrime.
Harry si
avvicinò alla poltrona. Stava male per lei. Forse perché ci era appena passato
anche lui sentiva il bisogno di fare qualcosa per l’amica, ma non sapeva cosa.
Negli incubi sei costretto a fare tutto da solo, non c’è nessuno con te.
Ron le
accarezzò un braccio, ma Ginny non si svegliava. Prese il libro, guardò di cosa
si trattava e lo buttò a terra. Se si fosse trattato di un diario lo avrebbe
gettato nel camino!
“E’ come
cercare di svegliare te, Harry.” gli disse preoccupato.
Cominciò
a scuotere la spalla della sorella con maggiore decisione e a chiamarla a voce
alta.
Ginny
improvvisamente aprì gli occhi. Era terrorizzata. Si guardò attorno, ma non
capiva dove si trovava. Sentiva la voce di Ron, ma non lo vedeva.
Poi
riuscì a mettere a fuoco il volto del fratello e gli gettò le braccia al collo,
stringendosi a lui.
Ginny
sentiva il cuore batterle in gola, aveva i muscoli tesi e irrigiditi, sentiva
freddo e desiderava solo avere vicino qualcuno che le dicesse che quello che
aveva visto non era vero, che era un sogno.
Ron, in
ginocchio davanti a lei, la abbracciò, la cullò dolcemente, chiamandola per
nome, rassicurandola. Le accarezzava la schiena lentamente.
Harry non
aveva mai visto l’amico così affettuoso e dolce con qualcuno, neppure con la
sorella. Era struggente vederli insieme.
Rimasero
così per alcuni minuti. Harry cominciava a sentirsi di troppo, quando Ginny si
mise seduta e chiese a Ron.
“Come mai
siete scesi?”
“Harry ha
avuto un incubo e stavano giocando a…”
Ron si
fermò perché la sorella si era rivolta a Harry e con gli occhi sbarrati aveva
esclamato:
“Anche tu
lo hai sognato?”
Harry la
guardò, con gli occhi socchiusi, meravigliato.
“Se
intendi Voldemort, sì. Lo hai sognato anche tu?”
“Sono
rimasta qui vero?” Ginny guardava entrambi preoccupata. Aveva lo sguardo
angosciato.
“Ginny,
non ti sei mossa. Stai tranquilla piccola.” Ron le aveva parlato sottovoce,
toccandole un braccio.
“Non sono
andata in giro? No, davvero?”
“No,
Ginny, no. Siamo qui da un bel pezzo e c’era anche Dobby fino a poco fa. Sei
rimasta sempre qui.”
Ginny lo
abbracciò di slancio.
“Non
voglio farlo di nuovo, non voglio.”
Ron la
abbracciò stretta cercando Harry con lo sguardo preoccupato.
Harry si
inginocchio di fianco all’amico. Ginny sembrava tornata la ragazzina di quattro
anni prima, tremante e insicura.
Doveva
essere costante la paura di ricadere nelle grinfie di Riddle, nonostante il
tempo fosse passato e il ricordo ormai lontano. Aver visto in faccia nuovamente
il suo incubo doveva aver risvegliato l’angoscia di tanti anni fa.
“Ginny
non ti sei mossa di qui. Non hai fatto nulla. Domani ne parliamo con Silente se
vuoi. Lui mi ha aiutato molto durante i miei incubi.”
Ginny
alzò lo sguardo verso di loro. Aveva gli occhi lucidi, ma non piangeva. Con
voce molto più sicura disse:
“No,
abbiamo già l’incontro con Piton, ne parlerò con lui e poi deciderò.”
Harry e Ron si guardarono sorpresi. Aspettare l’opinione di Piton non sembrava
a loro una grande idea. Avrebbe solo sbraitato qualcosa sull’importanza di
essere fermi e sicuri di sé, sulla forza dell’Oscuro Signore senza dare
soluzioni a nessuno. Ma Ginny sembrava tranquilla così. Aveva gentilmente
allontanato Ron, sorridendogli lievemente per rassicurarlo e stava cercando il
libro che stava studiando prima di dormire.
“Cosa hai
sognato Ginny?” chiese Ron.
“Non lo
so esattamente. Mi ricordo il buio e quegli occhi rossi. Mi sembrava di essere
di fronte a lui di nuovo.”
Non c’era
bisogno di specificare di chi si trattasse.
“Beh, è
stata una brutta esperienza Ginny, parlarci insieme di nuovo. E’ ovvio che ti
rimangano degli incubi!”
Per Ron
era tutto molto chiaro e lineare!
Ginny
avrebbe voluto essere sicura come lui, ma Ron non poteva capire quanto ti
entrasse dentro Voldemort. C’erano stati dei momenti, durante questi anni, nei
quali si chiedeva se la rabbia che sentiva verso gli amici o i fratelli o i
genitori, anche per piccoli sciocchi litigi, era uno strascico
dell’aggressività alla quale l’aveva portata quell’essere malvagio o era solo
una parte di lei che esisteva perché era naturale sentire emozioni e sentimenti
positivi e negativi nella propria vita.
Si era
chiesta se la cattiveria che lei aveva messo in atto verso Colin o Hermione o
Miss Purr potesse esserle rimasta dentro e se potesse venire fuori
all’improvviso, di nuovo senza controllo, senza una sua precisa volontà.
Non si
sentiva simile a Harry in questo.
Harry
aveva sempre combattuto contro Voldemort, non aveva mai fatto nulla contro i
suoi amici, neppure costretto da altri. Anche quando era stato attirato al
Ministero della Magia, l’anno prima, aveva cercato di avvisare Piton, aveva
combattuto contro i Mangiamorte, aveva sfidato Voldemort.
Lei aveva
nascosto tutto, aveva solo cercato di allontanare da sé quel diario, ma in
realtà non aveva fatto nulla per battersi, mai.
Si
sentiva così incapace mentre ripensava a tutto questo, così sciocca.
Almeno
gli incontri con Piton l’avrebbero aiutata a costruirsi una difesa, anche se
ormai per Voldemort era solo una ragazzina che aveva perso l’occasione per
diventare una persona importante.
In
silenzio Ginny tornò al proprio dormitorio, facendo un cenno di saluto ai
ragazzi. Ron ed Harry si dedicarono a terminare la partita.
Il giorno
dopo, a colazione, si diffuse la voce che dalla capanna di Hagrid qualcuno
aveva visto spuntare il fumo del camino.
Harry
desiderava solo poterlo rivedere. Si accordò con Ron e con Hermione per fare un
giro veloce da lui prima dell’incontro con Piton.