Finding my own way di jomarch (/viewuser.php?uid=40142)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chiacchiere di compleanno ***
Capitolo 2: *** Sentirsi inutili ***
Capitolo 3: *** Impressioni ***
Capitolo 4: *** Professione zio ***
Capitolo 5: *** Sensazioni ***
Capitolo 6: *** Invito alla tana ***
Capitolo 7: *** In bilico ***
Capitolo 8: *** L'annuncio ***
Capitolo 9: *** Quando tutto cambia ***
Capitolo 10: *** Casa ***
Capitolo 11: *** E va bene così ***
Capitolo 12: *** Castelli di Fantasia ***
Capitolo 13: *** Io e Te ***
Capitolo 14: *** Conseguenze ***
Capitolo 15: *** Alla ricerca di un rifugio dai propri pensieri ***
Capitolo 16: *** Toccare il fondo ***
Capitolo 17: *** Un piccolo passo in avanti ***
Capitolo 18: *** Let me go Home ***
Capitolo 19: *** Perchè sei solo tu la cosa che per me è importante ***
Capitolo 20: *** Voglio spaccarmi in mille pezzi, se questo significa vivere ***
Capitolo 21: *** Niente Di Semplice ***
Capitolo 22: *** Bianco, nero, grigio ***
Capitolo 23: *** Di Riflesso ***
Capitolo 1 *** Chiacchiere di compleanno ***
Chiacchiere
di Compleanno
Aprile
2003, Contea di York
La
frizzante aria di metà aprile stava iniziando a divenire
ancora più fredda e il Sole stava già cominciando a
calare, colorando le nubi di sprazzi rossastri.
Nell'
improvvisato campo da calcio di un dimenticato paesino sperduto nella
Brughiera, sei ragazzi stavano giocando, completamente immersi in
quella che doveva essere una delle ultime azioni della partita.
Troppo
presi dalla foga del gioco, non si accorsero dell'arrivo di una
ragazza dalla carnagione lattiginosa e dai lunghi capelli rossi.
Elisabeth, avendo cura di appiattirsi per bene il lungo ed ampio
abito primaverile, si sedette all' ombra di un albero aprendo il suo
libro e lanciando fugaci occhiate verso il campo da gioco: Daniel
doveva darsi una mossa se non voleva che facessero tardi al
compleanno di Ted.
Sua
madre l'aveva mandata a chiamarlo e lei non se l'era sentita di
rifiutare, anche se ne avrebbe fatto volentieri a meno.
Non
le piacevano i ragazzi Babbani con cui Dan era solito giocare a
calcio durante le vacanze: la mettevano in soggezione e sembrava che
fossero sempre sul punto di giudicarla.
Non
avevano mai espresso opinioni su di lei in presenza di Daniel, non li
avrebbe di certo perdonati e, se necessario, sarebbe sicuramente
ricorso alle mani.
Ciò
nonostante, Beth, capiva benissimo quello che pensavano di lei solo
guardandoli in faccia ed intercettando gli sguardi d'intesa che si
lanciavano: la ritenevano inadatta anche solo a camminare al fianco
di Dan.
La
cosa non la turbava più di tanto. La infastidiva, certamente,
ma ci era abituata. Del resto, anche a d Hogwarts, tutti si
chiedevano per quale motivo il divino e popolare Daniel Black,
Capitano della squadra di Quiddich di Grifondoro e oggetto delle
attenzioni di diverse ragazze, avesse per amica la schiva, timida,
taciturna ed insignificante Elisabeth Potter.
In
quel momento Beth maledisse la sua timidezza e la inadeguatezza: se
solo avesse avuto il carattere spigliato di Anne non si sarebbe fatta
molti problemi a correre lì in mezzo per trascinare via Dan.
“Maledizione,
Dan! Non è possibile! E' il terzo oggi!” gridò un
ragazzo, dal fondo del campo, sostando in piedi dietro una rete ed
agitando le braccia.
Da
quel poco che Beth aveva capito del calcio, grazie alle confuse
spiegazioni di Dan, quello doveva essere il portiere e, a quanto
pareva, il suo amico aveva appena segnato.
“Che
ci vuoi fare, Simon, la classe non è acqua!” rise Dan,
tirandogli una pacca sulla spalla.
“Direi
che per colpa tua abbiamo perso ancora!- esclamò un altro- Sei
proprio sicuro di non far parte della squadra di calcio della tua
scuola?”
“Sicurissimo,
Tim! L'ho già detto, la classe non è acqua. E poi, è
questione di punti di vista: io direi che, per colpa mia, noi
abbiamo vinto ancora!” lo prese in giro Dan, unendosi ai
festeggiamenti dei suoi due compagni di squadra.
“Comunque-
chiese dopo un po'- dov'è l'acqua? Credo che potrei morire
disidratato...”
“Lì
in fondo.” il ragazzo gli indicò un cespuglio proprio
vicino all' albero sotto al quale sedeva Beth, che, immersa nei suoi
pensieri non fece caso all'arrivo di Dan.
“Beth!”la
salutò con entusiasmo il ragazzo, staccandosi dalle labbra la
borraccia e correndole incontro.
“Daniel!”
Beth si alzò in piedi e richiuse il libro prima di
raggiungerlo per abbracciarlo, come era solita fare a mo' di saluto.
Il
ragazzo ricambiò la stretta, infischiandosene delle facce di
compatimento che gli rivolgevano i compagni.
“Allora?
Che cosa ti porta lontano dal tuo amato porticato di Orchard House?”
domandò scanzonato, asciugandosi con un braccio la fronte
madida di sudore.
“Mi
hanno mandato a chiamarti. E' il compleanno di Ted oggi, ricordi?
Siamo già in un tremendo ritardo...” gli rispose con un
sorriso che avrebbe dovuto essere di rimprovero ma che, in realtà,
comunicava tutt'altro.
“Credevi
che me ne fossi dimenticato? Era tutto calcolato alla perfezione!”
esclamò lui, con il suo tono da attore consumato.
“Andiamo
adesso, per favore, Dan. E' tardi e non mi piacciono i tuoi amici.”
lo pregò Beth, trascinandolo via per un braccio.
Dan
fece un rapido cenno agli altri e la seguì.
Attraversarono
in silenzio il villaggio, prima di sbucare sul sentiero sterrato che
li avrebbe condotti ad Orchard House.
Beth
faticava a tenere il passo di Dan che, aiutato dalle gambe lunghe,
camminava spedito.
Dan
si fermò per aspettarla, guardandola arrivare per
trotterellargli al fianco.
“E
comunque quelli non sono miei amici.” le disse, dopo un po',
rompendo il silenzio.
“Ne sono
felice. E non per quello che possono pensare di me... Non mi
piacciono, ecco tutto.”
“Lo
sai benissimo chi sono i miei amici, Beth. Smettila di preoccuparti
per me, ok? So badare benissimo a me stesso!”
“Non
ne sono poi così sicura, sai, Dan?”
“Allora
facciamo così, tu resta sempre nei paraggi a monitorarmi.
Così... giusto per essere sicura che non prenda brutte strade,
ok?” le propose Dan, fissandola con i suoi vivaci occhi scuri,
pronti sempre ad organizzare qualche guaio.
“Ok.”
annuì Beth, tornando a camminare al suo fianco, in quel posto
che più la faceva sentire compresa ed accettata, scacciando
dalla testa i pensieri che la volevano lontana da Dan in seguito al
suo diploma.
Chiacchierando
ancora raggiunsero Orchard House, in cui fervevano i preparativi per
il quinto compleanno del piccolo Teddy. Il minuscolo cottage di Remus
e Tonks non era sufficientemente grande per accogliere comodamente
tutto il parentado che sarebbe corso a festeggiare Ted e così,
Hellen, grazie alle sue enormi doti di organizzatrice, non aveva
esitato ad offrire casa sua, ovviamente dopo aver minacciato di
togliere il Quiddich a suo marito e a James, nel caso in cui si
fossero rifiutati di dare una mano.
“Cerca
di lavarti in fretta, Dan! E' tutto il pomeriggio che apro e chiudo
tavoli e gazebo! Lavati e collabora!” esordì Sirius,
maledendo un perno in cui si era appena chiuso l'indice.
“Un
motivo in più per aver passato il pomeriggio a giocare a
calcio!” gli rispose, ridendo, suo figlio.
“Datti
una mossa, tua madre non sarà per nulla felice di vederti
conciato così.” gli consigliò Sirius, invitandolo
ad entrare in casa e a cambiarsi nel più breve tempo
possibile.
“E'
così grave la situazione, papà?” chiese Beth,
avvicinandosi a James che stava facendo levitare un tavolo poco più
lontano da dove era stato fino a quel momento.
“Peggio!
Hellen ci ha fatto montare e smontare tutto almeno una decina di
volte!”le rispose.
“Devi
sapere Beth, che la mia cara e dolce mogliettina prima ci fa
preparare tutto e poi, dopo aver deciso che quella disposizione non
le piace più, ci fa spostare il risultato del lavoro di ore!”
le spiegò Sirius, facendo aprire le sedie attorno al tavolo
spostato da James.
“Vi
devo dare una mano, papà?”
“Tranquilla,
ci pensiamo noi. Tra poco dovrebbe arrivare anche tuo fratello... Va'
in casa ad aiutare la mamma.”
“Sicuro?”
“Sì,
Beth. Credo che sarai più utile nell'aiutare a ricoprire la
torta di glassa, che non qui.” le sorrise James.
Beth
fece
appena in tempo ad aprire la porta che fu immediatamente investita da
Hellen che stava trasportando fuori un' enorme ciotola colma di
punch.
“Oh,
scusa cara... E' che siamo in ritardo! Grazie per aver chiamato
Dan... ora è di sopra, si sta cambiando e mi auguro per lui
che faccia in fretta: c'è ancora così tanto da fare!
Fuori i tavoli sono a posto? Devo assolutamente posare questo!”
le disse la donna, cercando di reggere il recipiente e ,
contemporaneamente, di togliersi dagli occhi una ciocca di capelli.
“Se
vuoi lo tengo io...” si propose, gentilmente Beth.
“Lascia
stare, Elisabeth! Prova a passare in cucina da tua madre, altrimenti,
sali e bussa alla porta di Dan intimandogli di scendere. Ora vado che
qui mi cade tutto! Spero che Sirius abbia finito di far ballare le
gambe del tavolo...” Hellen, veloce come era arrivata, sparì,
lasciando sola Beth che, con una scrollata di spalle, si diresse
verso la cucina.
Lily
era china su un enorme pandispagna rettangolare e, con una tasca
triangolare in mano, stava cercando di posizionare la glassa alla
perfezione: nonostante fosse una strega aveva sempre amato cucinare
alla maniera Babbana, così come sua madre le aveva insegnato.
“Mamma,
serve aiuto?”
“Ho
quasi finito, Beth, siediti qui e fammi compagnia.”le disse
Lily, invitandola su uno degli alti sgabelli di paglia della cucina.
Beth
si sedette e prese, assorta, a fissare un punto qualsiasi oltre la
finestra.
“Tutto
bene?”le chiese sua madre, intuendo che c'era qualcosa che non
andava.
“Sì,
tutto bene, mamma.” rispose Beth, riscossasi da quel sogno ad
occhi aperti.
“La
partita come è andata? Dan ha vinto?” si informò
Lily.
“Sì,
credo che abbia segnato tre volte. Da quanto ho capito è
piuttosto bravo... come in tutto quello che fa, del resto.”
“Anche
tu sei brava in tutto quello che fai, tesoro.” Lily aveva
lasciato perdere la glassa e si era avvicinata a sua figlia.
“Ma
non sono Dan.”
“Io
oserei dire che questo è una vera e propria fortuna! Solo
perchè tu non senti il bisogno di comunicare al mondo tutto
quello che riesci a completare perfettamente, non vuol dire che vali
di meno, ti pare?”
“Dici?”
“Sì,
dico.”
“Anche
Dan me lo dice sempre...” confessò Beth
“E
allora credici!” la incoraggiò Lily.
“Che
cosa dovrebbe credere, zia? Forse che io sono il miglior giocatore di
calcio e di Quiddich mai esistito?” Dan era comparso
all'improvviso, di soppiatto, con i capelli ancora bagnati che gli
ricadevano sul viso.
“Certo
Dan, come no! Per favore, illumina anche me! Rendimi partecipe di
tutta la tua perfezione!”esclamò Beth, scendendo dallo
sgabello per correre incontro a Dan.
“Su,
siccome sono magnanimo ho deciso che potrò trasmettere anche
a te parte della mia innata perfezione!”
“Quanto
sei megalomane, Daniel! Un po' di modestia ogni tanto non ti farebbe
male!” lo rimbrottò Beth, scherzosamente, con quel suo
fare da maestrina.
“Ci
sei già tu a ricordarmi che non sono onnipotente. Non serve
che ci pensi io, ti pare?”le rispose, sornione, Dan, afferrando
una tartina.
Lily
aveva osservato in silenzio tutta la scena: non poteva fare a meno di
sorridere.
Aveva
notato il cambiamento di espressione di Elisabeth non appena era
arrivato Dan e il suo istinto materno le faceva intuire che, presto o
tardi, sarebbe intervenuto qualcosa a mutare il loro rapporto,
provocando insicurezze, allontanamenti e un po' di sofferenza per
entrambi. Si augurava solo che l'affetto che li univa fosse in grado
di superare tutto.
Era
da diverso tempo che aveva notato qualcosa di nuovo nel loro
rapporto, qualcosa di celato e nascosto, qualcosa di cui
probabilmente non conoscevano nemmeno loro l'esistenza. In ogni caso,
Lily, sapeva per esperienza che non bisogna sforzare i figli a
parlare: l'avrebbero fatto da soli, nel momento in cui lo ritenevano
opportuno.
“Lily
a che punto sei con la torta? Harry ha appena mandato un Patronus:
sarà qui tra poco, giusto il tempo di passare da Ginny. Credo
che Remus e Tonks arriveranno con un po' di ritardo... Daniel! Giù
le mani dalle tartine!”gridò Hellen, notando
immediatamente che suo figlio si era avventato sul vassoio.
Daniel
era cresciuto in altezza, ma quella era un'abitudine che non avrebbe
mai perso.
“Sono
buone, mamma. Le hai fatte tu?” domandò lui, a bocca
piena, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
“Sì,
le ho fatte io! E ora per piacere, vatti a cambiare!”
“Perchè?”chiese
il ragazzo, addentando, famelico, l'ennesima tartina.
“Santa
Morgana, Daniel! Quando ti deciderai a portare magliette della tua
taglia? Quando il cavallo dei tuoi jeans avrà raggiunto il suo
giusto posto? Hai diciotto anni, ormai!” Hellen, con fare
isterico, indicava l'abbigliamento del figlio,vestito nel miglior
stile da skater Babbano.
“Mamma,
tutti si vestono così! Quante volte te lo devo dire!”
protestò Dan, mentre sia Lily che Beth cercavano di trattenere
le risate.
“Tutti
chi? I Babbani? Non mai visto altri ragazzi vestiti come te!”
disse lei, riferendosi a quando aspettava il figlio sul binario 9 e
34 ed ignorando invece il look di buona parte della popolazione
maschile di Hogwarts.
“Lucas
si veste come me!”
“Bè,
questa sì che è una notizia! Se Lucas si veste così,
imitalo! Mi sembrava strano che non aveste i neuroni in comune!
Anziché prendere esempio da lui, vestiti come Thomas!”
“Mamma....
Thomas è... Thomas! Ha un modo tutto suo di vestire! D'estate
camicia alternata a polo e d'inverno maglione con sotto la camicia...
sai che noia! E comunque anch'io mi metto le camicie, ogni tanto...”
“Meglio
che lascio stare sennò mi viene l'esaurimento!”fu
l'esasperata esclamazione in cui proruppe Hellen, agitando la mano in
aria.
“Certo
che sei strana forte, mamma...” commentò Dan, ignorando
i cenni di Beth, che lo stava pregando di non cacciarsi in ulteriori
guai.
“E
per quale motivo, sentiamo...”disse Hellen, stancamente
“Bè...
insomma- cominciò il ragazzo, sempre a bocca piena-
normalmente i genitori si lamentano per la lunghezza dei capelli dei
figli maschi...tu non hai mai proferito parola, su questo. Per questo
motivo dico che sei strana: continui a dire che mi vesto come uno che
è appena scappato di casa e non critichi mai i miei capelli.
Anzi, fin da bambino io ho sempre portato i capelli un po'
lunghi...”spiegò Daniel, aggiustandosi, orgoglioso, il
ciuffo nero che gli ricadeva sugli occhi.
Lily,
conoscendo la risposta che l'amica avrebbe dato, si nascose dietro ad
una grande scodella di macedonia.
“I
capelli lunghi addolciscono gli spigolosi lineamenti di voi Black...”
provò a dire, imbarazzata, sua madre.
“Adesso
si dice così? Ero convinto che tutto questo avesse a che fare
col giovane Sirius Black, evidentemente mi sbagliavo...”Dan,
malizioso, strizzò l'occhio a sua madre, prima di
volatilizzarsi fuori dalla cucina.
Elisabeth
lo seguì immediatamente, unendosi alle sue risate, che stavano
riempendo il salotto.
“Che
avete da ridere, voi due? Non venite neanche più a
salutarmi?”Harry si era appena Materializzato ad Orchard House,
accompagnato da Ginny che reggeva un grosso pacchetto rettangolare.
“Harry!”
urlò Beth, correndogli incontro.
Contando
che lei e Dan erano a casa per le vacanze di Pasqua, non era molto
tempo che non si vedevano, però, dal momento che Harry ormai
non viveva più a casa ed era spesso impegnato col lavoro, per
Beth ogni momento che poteva trascorrere in compagnia di suo
fratello era uno stupendo dono.
“Sorella,
eccomi qui in tutto il mio splendore!” Harry ricambiò il
saluto, calorosamente.
“Allora
avete preso tutto? Non ti sarai dimenticato a casa qualcosa, vero,
Harry?” domandò subito Dan, alludendo al regalo per Ted,
che loro quattro avevano fatto insieme e che Harry si era offerto di
tenere nascosto nell'appartamento che divideva con Ron a Londra.
“Ho
controllato io che avesse preso tutto. Di me ti puoi fidare.”gli
sorrise Ginny.
“Harry!
Eccoti finalmente! Avresti potuto arrivare prima, anziché
lasciare a noi tutto il lavoro sporco!” lo accolse Sirius,
rientrando in casa.
“Zitto,
Sirius! Mio figlio è un uomo in carriera, ormai! E, se anche
non lo fosse, non posso biasimarlo per essersi inventato una scusa
qualsiasi per saltare i preparativi!” intervenne James,
prendendo le difese del suo primogenito.
“Sirius,
James,... -iniziò Hellen, scuotendo la testa- Harry, da
questo punto di vista, non vi somiglia affatto! Non sarebbe mai
arrivato a pensare una cosa del genere, fortunatamente!”nel
dirlo, la donna, non solo fece in tempo a scoccare un' occhiata
obliqua al marito e a James, rei, a suo dire, di lamentarsi troppo,
ma riuscì anche a liberare Ginny dal peso del pacco per
nasconderlo insieme a tutti gli altri regali per Ted.
“Come
va, Harry? Hai una faccia stanca...”disse Lily, carezzandogli
la guancia, gesto che provocò la leggera stizza di Harry, che
ormai si riteneva troppo grande per quelle premure materne.
“Va
tutto bene, mamma, davvero.” rispose lui, alla perforante
occhiata indagatrice.
“Come
è andata quell' ispezione al San Mungo?” domandò
James, curioso.
“Alla
fine quelle segnalazioni sulla presunta importazione di medicinali
contraffatti si sono rivelate false, per il resto, lavoro di
routine...” rispose Harry, pensando a Ron che, in quel momento,
si trovava chiuso nel loro buio ufficio a compilare il rapporto.
Brutta cosa essere gli ultimi arrivati al Dipartimento Auror, non
solo ti venivano rifilati gli incarichi più inutili, ma eri
costretto a stare in servizio anche al sabato pomeriggio.
Quel
giorno Ron si era offerto di terminare da solo il rapporto in modo
che Harry potesse partecipare alla festa di compleanno di Ted.
Mentre
erano ancora tutti intenti nel raccontarsi le ultime novità,
si sentì sbattere la porta di ingresso e, un piccolo uragano
di cinque anni, urlò per testimoniare la sua presenza.
“Ciao
a tutti!” Teddy, come lo chiamavano tutti, correndo si avvicinò
al resto della sua famiglia urtando e travolgendo tutto quello che
gli capitava intorno.
“Buon
compleanno, Teddy!” gli augurarono tutti, mentre il bimbo
passava dagli abbracci di Lily ai baci di Hellen, dal sorriso di Beth
ai pizzicotti di Ginny.
Dietro
di lui, con passo strascicato e volto stanco, c'erano i suoi genitori
e i suoi nonni, reduci da una giornata allo zoo.
“Buon
pomeriggio, Moony! Come è andata la giornata?” lo salutò
Sirius
“Devo
proprio parlarne? A volte ho la sensazione che quel piccolo
indemoniato non sia mio figlio...” rispose, accasciandosi sulla
poltrona.
“Suvvia,
Remus, cosa è successo di così eclatante? Cosa vuoi che
siano tre ore passate al delfinario e due nel rettilario, unite a
piacevoli intermezzi con rinoceronti, leoni, giraffe e simpatici orsi
bruni?”infierì James.
“Zitti,
tutti e due! E' già abbastanza tragico così!”
rispose, malamente, Remus
“Papà!
Papà! Papà! Vieni? Vieni? Zia Hellen ha detto che
adesso devo spegnere le candeline!” urlò Ted, così
forte da farsi sentire perfino dalla cucina.
“Arrivo,
Ted!” gridò in riposta suo padre, facendo per alzarsi.
“Remus,
scusa se ci intromettiamo nuovamente, ma non eri tu, anni fa, a
sostenere che fossimo noi due a lamentarci troppo per un innocuo
pomeriggio trascorso allo zoo con i nostri adorabili, tranquilli e
dolcissimi pargoli?” proseguì James, con Sirius, che, al
suo fianco, annuiva convinto.
“Vi
ho detto di tacere! E ora, se non vi dispiace, il mio unico erede sta
per spegnere le candeline, quindi, basta cincischiare e muoversi!
Muoversi, capito?”Remus, ritornato improvvisamente pimpante,
prese a spintonare i suoi amici verso il giardino, ignorando le loro
protesta.
Una
volta fuori, i tre poterono assistere ad una scenetta davvero
divertente, che fece scordare a Remus tutte le sue lamentele sul
pomeriggio.
Infatti,
mentre Tonks, con Andromeda, Lily, Hellen e Ted Tonks portava fuori i
regali ed in tavola il rinfresco, Teddy, comodamente seduto sulle
ginocchia di Harry, intratteneva i ragazzi col racconto del suo
pomeriggio.
“E
poi c'era un coccodrillo grosso così!” il bimbo mimò
la grandezza dell'animale sbracciandosi più che poteva con le
sue braccine corte.
“Era
davvero molto grande, Ted!” gli confermò Beth, seduta,
con Dan, sul prato ed osservando dal basso il bambino.
“Oh
sì! Era grandissisimissimo! E poi ha spalancato la bocca e ha
fatto vedere i suoi denti!” proseguì, eccitato.
“
E tu non avevi
paura, Teddy?” gli domandò Ginny, seduta a fianco ad
Harry.
“Il
mio Ted non ha paura di niente, non è vero, ometto?”
fece Harry, scompigliandogli i capelli, diventati blu elettrico per
l'emozione.
“Sì,
proprio come te! Io non ho paura di niente!” annuì,
convinto, il bambino, che in Harry aveva il suo eroe personale.
“Dan
mi insegni? Mi insegni? Mi insegni?” Teddy, balzando giù
dalle ginocchia di Harry capitombolò addosso a Daniel che
stava fischiando con un ciuffo d'erba.
“Va
bene, mostro, va bene. Ti insegno! Vieni qui e siediti di fianco a
me.” gli spiegò, dolcemente.
“Harry!
Vieni anche tu!” in men che non si dica, quel vulcano di Ted,
trascinò sull'erba anche il suo padrino, che, continuando a
sistemarsi gli occhiali sul naso, attendeva istruzioni da Dan per
imparare a fare una cosa che già sapeva.
“Allora,
prendi l'erba e tienila così, tra l'indice e il medio e
avvicinala alla bocca... Come me, fai piano, però, sennò
finisce che si rompe.” gli disse Dan, che con Ted mostrava l'
infinita pazienza che non sapeva di avere.
“Così?”
“Più
piano, non tirare.” aggiunse Harry
“Va
bene, ora?”
“Sì,
adesso soffiaci dentro, sempre molto piano.” continuò
Dan
Ted
soffiò, ma non successe nulla, salvo lo spezzarsi del filo
d'erba.
“Oh
no! Si è rotto!” piagnucolò il bimbo, deluso.
“Prova
ancora.” gli disse Ginny, porgendogli un altro filo d'erba.
Ted
guardò prima Harry e poi Dan, cercando conferme nei loro visi.
“Dai,
riprova!” lo incoraggiò Harry
“Così,
guarda bene. Lo tieni e poi soffi.” gli mostrò, un'altra
volta Dan
Ted
fallì nuovamente e due grossi goccioloni ormai lambivano le
sue guance.
“Vieni
qui, piccolo. Non è successo niente. Imparerai” Beth lo
prese per mano e lo fece accoccolare addosso a lei.
“E
se non imparerò mai?”
“Imparerai,
vedrai.- Beth gli accarezzò dolcemente la testa e poi gli
asciugò le guance- Dopo chiedi a Dan di riprovare, ok? Adesso
però, non sei curioso di scartare i regali?” propose,
nella speranza di distrarlo.
Teddy
sembrò pensarci un attimo e poi, come ricordando il motivo
principale per cui si trovava lì, saltò in piedi.
“Un
po' sì, per la verità.” confessò
“Allora
andiamo! Non vedi che la tua mamma ti sta già chiamando?”
disse Ginny, indicando Tonks che, si stava sbracciando.
Ted
non se lo fece ripetere due volte e, accantonata la delusione, si
mise a correre finendo in braccio a sua madre.
“Sai
che stai iniziando a pesare, terremoto?” fece Tonks,
accarezzando i suoi capelli blu e stringendo a sé il figlio.
“Allora,
Teddy, sei pronto?” gli chiese suo nonno, spostandosi per far
passare Lily che reggeva la grossa torta.
“Devo
spegnere tutte quelle candeline?” domandò, il bimbo, a
bocca aperta, meravigliato.
“Conta
un po' quante sono, Ted.” gli suggerì suo padre
Ted
le indicò una ad una.
“Uno...
due... tre... quattro... cinque! Come i miei anni!” gioì
felice, battendo le mani.
“Bravo
Ted! Ed ora spegnile!”
Inspirò
profondamente, come per immagazzinare tutta l'aria possibile nei
polmoni, e poi soffiò, mentre tutti applaudivano e gli
facevano gli auguri.
D'un
tratto Teddy, fattosi improvvisamente serio, si avvicinò a
Remus, gli tirò una manica della camicia per farlo abbassare e
gli disse:
“Hai
visto, papà? Ho insperato tutta l'aria nei plomoni e poi ho
soffiato.” spiegò, orgoglioso, per dimostrare che aveva
capito tutto della mini-lezione di anatomia che suo padre gli aveva
tenuto allo zoo, mentre parlavano degli animali.
“Si
dice inspirare e polmoni, Ted- gli spiegò, dolcemente suo
padre, fissandolo negli occhi, uguali ai suoi-Comunque, sono felice
che ti sia ricordato! Bravo!”
“Io
ti ascolto sempre, quando mi insegni qualcosa, papà. E da
grande voglio essere come te!” proclamò, impettito, il
bimbo.
Remus
gli sorrise, meravigliato, affettuoso,malinconico e fiero, prima di
indirizzarlo verso l'ampia pila di pacchi.
“Allora,
Ted, quale vuoi aprire, per primo?” chiese Tonks
“Quello!”
Ted indicò un pacco rettangolare.
“E'
quello dei nonni, tesoro.” gli disse sua madre, porgendoglielo.
Ted,
prese il pacco e poi, fece una cosa che fece ricordare a tutti Remus:
non strappò subito la carta, ma, prima, si diresse verso i
nonni, dando un bacio ad Andromeda ed arrampicandosi sulla pancia del
nonno per baciare anche lui.
“Su,
ora va' a vedere se ti piace.” gli consigliò suo nonno,
spingendolo via.
Teddy
scese dalle sue ginocchia e si catapultò da sua madre, che
reggeva la grossa scatola.
Gliela
prese dalle mani e, strappando con foga l'incarto giallo e verde, si
fermò, incantato, per qualche istante e a contemplare il suo
nuovo gioco.
“Oh!
Ma è bellissimo! Grazie!” riuscì a dire, infine.
Al
che, il bambino, fece tutto il giro del tavolo fino ad arrivare da
Harry, al quale diede la scatola.
“Harry,
poi ci giochiamo?” chiese, subito dopo, con un espressione
supplichevole.
“Va
bene, va bene. Poi ci giochiamo.-gli confermò il suo padrino-
Ora torna dalla mamma: hai ancora tanti pacchi da scartare!”
“Ehi
Ted! Non ci hai ancora detto cosa ti hanno regalato i nonni!”
esclamò Dan, chiedendosi, per quale motivo, Ted non fosse
corso da lui ma fosse andato da Harry.
Dan,
infatti, orgoglioso, si fregiava del titolo di compagno di giochi
preferito da Teddy.
Era
con lui che il bambino si rotolava nell'erba, era con lui che faceva
la lotta con i cuscini, era a lui che metteva sottosopra le corde
della chitarra, era lui che doveva sorbirsi degli interminabili
pomeriggi passati a giocare con trenini, soldatini incantati e cose
del genere.
Harry,
invece, per Teddy era una specie di Babbo Natale: quando c'era
sembrava che nient'altro fosse importante, per il bambino. Harry era
quello che organizzava gite divertenti, che lo portava in posti
entusiasmanti, facendogli fare cose che, a casa, erano proibite.
Harry
era quello a cui Ted si rivolgeva, in cerca di protezione e
comprensione, quando i suoi genitori lo sgridavano. Ted si fidava
ciecamente di lui e, nella sua testolina, era fermamente convinto non
solo che il padrino avesse sempre ragione ma anche che, se lo
rimproverava, aveva i suoi buoni motivi: aveva senz'altro fatto
qualcosa di terribile, altrimenti Harry non gli avrebbe mai detto
niente.
Insomma,
nell'ottica di Teddy, Harry e Ginny rappresentavano due sostituti di
mamma e papà, invece, Daniel ed Elisabeth erano due fratelli
maggiori con cui giocare e da cui esigere una doppia dose di coccole,
se qualcosa non andava: nessuno, infatti, ad eccezione della sua
mamma, era bravo come Beth nel far sparire le lacrime.
“Oh.
E' vero. Sono costruzioni magiche.” spiegò Ted
“Ah,
ok. Allora giocaci pure con Harry. Io non voglio saperne
nulla.”rispose Dan, alzando le braccia, mentre tutti gli altri
ridevano.
“Perchè,
dice così, zio?” domandò il bimbo, senza capire:
era la prima volta che Dan si rifiutava di giocare con lui.
Sirius
lo prese in braccio e gli disse:
“Perchè
Dan, quando aveva la tua età, più o meno, possedeva
anche lui delle costruzioni come quelle, solo che non ci sapeva
giocare....” iniziò Sirius.
“Non
è vero! Erano loro che non facevano quello che dicevo io!”lo
interruppe suo figlio
“Daniel,
sono costruzioni magiche: fanno quello che dici tu. Rispondono ai
tuoi ordini e si impilano per formare quello che tu chiedi. Sono un
po' come gli Scacchi, Ted, devi dire chiaramente quello che vuoi,
altrimenti i pezzi si arrabbiano e ti cadono in testa.”
continuò Sirius
“E
fanno male, lo so per esperienza.” confermò Dan,
grattandosi la testa, come memore di un antico bernoccolo.
“E
poi cosa facevi, Dan?”chiese, ancora, Ted.
“Allora,
prima di tutto, Dan, correva dal tuo papà.- rispose Sirius, al
posto del figlio che, avrebbe fatto di tutto per alterare la verità
e che ora se ne stava imbronciato, cercando di intervenire e spiegare
la sua versione dei fatti-Devi sapere, Ted, che il tuo papà è
stato per anni lo spacciatore ufficiale di cioccolata, a casa nostra
e a casa dello zio James. Quindi, Dan, correva da lui per essere
consolato e poi, il tuo papà, che è dotato di una
pazienza infinita, che né io né lo zio James e neanche
la zia Hellen abbiamo, forse solo zia Lily si avvicina- ammise,
lealmente, Sirius- cercava di insegnargli, anche se dubito che ce
l'abbia mai fatta...”
“Non
è vero! Qualcosa ho imparato! Vero, zio?” si difese Dan
“Sì,
Dan. Sei migliorato, dopo anni sei migliorato. Anche se Beth ti
batteva, peccato che lei fosse poco interessata alle
costruzioni.”ammise Remus
“E
ci mancherebbe altro!- intervenne James-La mia bambina è in
grado di fare qualunque cosa!”
Beth
e Lily si guardarono scuotendo la testa e sorridendo: le manie di
protagonismo di James, non se ne sarebbero mai andate.
“Oh.
Ora ho capito. Bè, ci giocherò con Harry.”
concluse, tranquillo, Ted.
“Avanti,
Ted. Ci sono ancora tanti regali da scartare!”lo esortò
Tonks
“Oh!
E' vero! Arrivo mamma!”
“Questo
è da parte nostra, Teddy: mia, di zio James, di zio Sirius e
di zia Hellen.” gli disse Lily
“Ma
io non vedo niente!” esclamò, meravigliato, il bambino,
guardandosi, intorno.
“Segui
lo zio!”gli suggerì Lily, indicandogli James.
“Vieni
Teddy!”
Ted
seguì James fino alla rimessa, tempestandolo di domande a cui
non ricevette risposta, se non dei “sì” o dei
“no”.
“Allora,
sei pronto? E' un regalo speciale specialissimo! E' qualcosa, o
meglio qualcuno, che ti accompagnerà per tanti anni.”disse
James, solennemente, mentre erano ancora fermi davanti alla porta.
“Cos'è?
Me lo dici, zio? Se è qualcuno, chi è?”
“Eh
eh! Aspetta qualche secondo! Ora girati e chiudi gli occhi.”continuò
James, con fare misterioso.
Il
bambino fece quello che gli era stato ordinato: non solo si fidava
ciecamente dello zio, ma, lui era la persona più divertente
che Teddy conoscesse e sapeva sempre organizzare cose fantastiche e
giochi divertentissimi.
Se
c'era di mezzo anche lo zio Sirius, poi, Ted era sicuro che il regalo
che lo aspettava fosse quanto di più meraviglioso potesse
esistere.
Insomma,
Ted non conosceva altri zii, ma era certo che James e Sirius fossero
tutto quello che si intende con la parola zio, se non meglio.
James
aprì piano la porta e, quel qualcuno a cui si riferiva qualche
istante prima, abbaiando, corse felice verso Ted.
Un
piccolo cucciolo di Setter Irlandese travolse Teddy che, quasi,
cadde.
Il
bambino si voltò, con la bocca spalancata per l'emozione.
“E'
questo il regalo, zio?”
“Certo,
Teddy! Cosa credevi che fosse, altrimenti?”
“Oh!
E' bellissimo! Grazie zio!” esclamò, felice,
accarezzando il cucciolo, che gli scodinzolava attorno.
“Cosa
ne dici di farlo vedere anche alla mamma e al papà?”
propose James, dopo qualche minuto, cercando di convincere Ted a
staccarsi dal cane.
“Oh
sì! E poi devo anche ringraziare lo zio e le zie!- rispose,
Ted, come ritornato improvvisamente alla realtà- Lo porto in
braccio io!”
Così,
con Ted al suo fianco che reggeva il cane, James ritornò dal
resto della famiglia che attendeva di vedere la reazione di Ted alla
vista di quel particolare regalo.
“Mamma!
Mamma guarda!”
“Ma
che bello Teddy! Hai ringraziato tutti? Hai già deciso come
chiamarlo?” fece Tonks, accarezzando il cucciolo.
“Uhm..no”Ted
scosse la testa. Non gli era ancora venuto in mente un nome.
“E'
una cosa importante un nome. Pensaci bene.” gli spiegò
suo padre, sopraggiunto in quel momento.
Teddy
si fece pensieroso per qualche istante.
Doveva
trovare un nome. E non qualcosa di banale, qualcosa che avrebbe fatto
capire a tutti che si trattava del suo cane.
Hellen
zittì Dan che stava per avere una delle sue uscite.
“Uhm...
ci sono!” esclamò, infine.
“Allora,
dicci tutto.” lo esortò Tonks
“Lo
chiamerò Pollux! Così saremo come i due gemelli di cui
mi ha raccontato la storia papà!”
“E
sia!”
“Adesso,
Ted, prima di aprire il regalo di Harry, Ginny, Dan e Beth, apri il
nostro. Il loro è troppo speciale, per essere aperto subito.”
Remus indicò al figlio una larga scatola rettangolare, addosso
alla quale, Ted si fiondò.
“Ooooh!”
sospirò, dopo aver stracciato la carta.
“Papà!
Così mi spieghi come funziona!”
“Sì!
E potrai fargli tutte le domande che vuoi, tesoro!”disse Tonks,
abbracciandolo.
“Aspetta
ad aprire la scatola, Ted. Facciamolo a casa, qui rischi di perdere
tutti i pezzi del treno sull'erba.” disse Remus, raccogliendo
quello che lui aveva già sparso ovunque.
“Dici?”
“Dico.”
“Certo
che i regali del tuo papà sono sempre educativi, eh Ted?”
fece Sirius, dopo un po'.
“Così
mi può spiegare come funziona il treno a vapore.”
proclamò il bimbo, serio ed impettito.
“Sai
già che cos'è un treno a vapore?” domandò,
stupito, Dan.
“Non
sono tutti come te, Dan...” gli rimbeccò Beth,
meritandosi un pizzicotto.
Alla
fine, Tonks aveva convinto suo figlio a ritirare nella scatola il
trenino con tutti i suoi pezzi per montarlo a casa e Remus già
si pregustava i pomeriggi passati a spiegare il funzionamento di
turbine e macchine a vapore.
“Sei
sempre il solito, Remus.” gli sussurrò Lily, in un
orecchio.
“Ai
giochi divertenti ci pensano già tuo marito e Sirius, Lily. Io
curo la parte educativa, così come ho già fatto con
Harry, Dan e Beth.” rise Remus, in risposta.
“I
risultati sono stati ottimi, direi. Siete una squadra perfetta.”
gli confermò Lily, prima di alzarsi per tagliare un'altra
fetta di torta per James.
“E
adesso, è il momento del regalo più atteso. Dan, prego,
entra!” esclamò Harry
“Pesa!
Venite qui a darmi una mano! Anziché parlare, aiutami, Harry”
si lamentò lui, facendo ridere tutti ed intervenire
prontamente Ginny e Beth che presero la seconda parte del regalo.
“Oh!
E' tutto per me?” domandò Teddy.
“E'
il tuo compleanno, tesoro! Certo che è per te!” gli
rispose sua nonna.
“Allora,
è da parte mia, di Ginny, di Dan e di Beth, però, la
prossima volta che vedi Ron non dimenticare di ringraziarlo perchè
ha collaborato anche lui alla scelta. Va bene?” precisò
Harry.
“Sì.
Ringrazierò Ron. Ora posso aprirlo?” chiese Ted, che
aveva una vaga idea di che cosa potesse essere.
“Allora,
io direi di iniziare dalla prima parte.”disse Ginny,
porgendogli un tubo di cartone.
Ted
lo aprì. Conteneva un grosso poster delle Hoyhead Arpies, la
squadra di Quiddich in cui Ginny aveva iniziato a giocare qualche
anno prima, e tutte le giocatrici gli sorridevano.
“Se
lo giri ci sono tutti loro auguri.” gli suggerì Ginny,
strizzando un occhio.
Sul
retro, infatti, ciascuna delle giocatrici aveva aggiunto la sua frase
d'auguri, proprio vicino all'autografo.
Ted
non riusciva a crederci. Era così sorpreso che l'unica cosa
che riuscì a fare fu quella di sussurrare un flebile “grazie”,
anche se in realtà avrebbe voluto correre ad abbracciare
Ginny.
“E
non è finita qui! Avanti Ted. Ora apri questo.” Dan lo
guidò verso un pacco quadrato, che sembrava muoversi, facendo
sì che il ragazzo per poco non cadesse nel tentativo di
tenerlo fermo.
“Dan,
ma perchè non sta fermo?”
“Eh...
spetta a te scoprirlo, no?”
Gli
adulti osservavano con curiosità la scena, era come se
ciascuno dei ragazzi avesse contribuito a modo suo, al regalo di Ted,
scegliendo la parte che gli si confaceva di più.
Incuriosito
ed intimidito, Teddy scartò il pacco.
“Uao!
Grazie Dan!” gridò, gettandogli le braccia al collo.
Un
set di palle da Quiddich faceva bella mostra di sé ai piedi
del bambino e i bolidi si agitavano continuamente, pregando di
uscire.
“Però
manca ancora una cosa! Senza la mazza controllare i bolidi è
impossibile!” proseguì Dan, porgendogli una mazza.
“Oh!
Così faccio come te!”
“Sì,
anche se forse ti manca ancora qualcosa, non credi?” Beth lo
invitò ad avvicinarsi, tenendo in mano un'altra scatola.
Le
sorprese non erano finite.
Sempre
più eccitato Ted scartò: aveva appena guadagnato una
divisa, delle cavigliere, dei polsini, delle ginocchiere e delle
scarpe da Quiddich.
“Insomma,
c'è tutto per giocare... o quasi. Io credo che manchi la cosa
più importante, non credi?” aggiunse Harry, ai cui piedi
giaceva un lungo pacco rettangolare.
“Oh...
grazie Harry! Sono sicuro che sarà fantastico!” esclamò
Ted, che già aveva capito cosa si nascondeva.
Strappò
con foga, la carta gettandola dietro di sé.
Aprì
la scatola, senza far caso alla scritta, che gli indicava che quella
era una delle nuove Nimbus Turbo Deluxe per bambini. L'aveva già
riconosciuta dal colore della scatola.
Prese
in mano il manico di scopa, osservandolo in religioso silenzio prima
di alzare la testa verso Harry e di dire:
“Andiamo
a fare un giro? Dai! Dai!Dai!”
Ted
fu facilmente accontentato perchè nel giro di dieci minuti
aveva già trascinato Harry e Ginny sulla collina dietro casa,
ignorando le raccomandazioni dei grandi che ricordavano in
continuazione che si sarebbe fatto buio molto presto.
“Bè,
allora io vado.” disse Dan, posando sul tavolo il piatto con la
quinta fetta di torta.
“Dove
vai?” chiese Hellen, che non sapeva nulla dei programmi del
figlio per la serata.
“Fuori.”
rispose Dan vago
“Con
chi?” proseguì sua madre, indispettita.
“Secondo
te? Con la solita gente!” sbruffò Dan
“Quando
torni?”
“Non
lo so.” rispose, sempre più scocciato.
Beth
sospirò: Dan non aveva ancora imparato la tattica Potter,
messa a punto da suo fratello e che, con Lily e James funzionava
sempre alla perfezione, ovvero il” sorridi e di' di sì.”
Sua
madre gli lanciò uno sguardo contrariato, mentre James, Sirius
e Remus ridacchiavano.
“Ricordati
di prendere il casco!” gli urlò Sirius, vedendolo
dirigersi verso la rimessa in cui teneva la moto ricevuta in dono per
i suoi diciassette anni, come gli era stato promesso anni prima.
Hellen
rivolse un'occhiata arrabbiata anche al marito.
“Ehi!
Che c'entro io?” protestò Sirius.
“Se
nostro figlio è irresponsabile ed immaturo e rischia ogni
sera di schiantarsi con la moto è solo colpa tua!”
“Non
rischia di schiantarsi con la moto! E non è irresponsabile ed
immaturo o almeno, non sempre.”
“Lo
so bene! Per fortuna nei momenti più importanti e decisivi
tutto il buon senso ereditato da me compare!”
“Bè,
se sono così irresponsabile, perchè mi hai sposato?”
“Perchè
lo sei solo in superficie, sciocco! Solo vorrei che Dan, alle volte,
si mostrasse un po' meno scontroso... che parlasse un po' di più.”
“E'
l'età. Gli passerà e poi lo sai com'è fatto, non
parla mai di sé. Se Beth, che sa sempre tutto di lui, non è
preoccupata non dobbiamo esserlo neanche noi, ti pare, Hel?”
“Sì...forse,
hai ragione. Beth, va tutto bene?” chiese Hellen
“Sì,
va tutto bene. Non ti devi preoccupare. Credo sia andato da Lucas.
Appena qualcosa andrà storto ve lo farò sapere.”
rispose Beth che spesso si chiedeva perchè Dan fosse così
restio a parlare di sé: era estroverso, brillante, era il
punto di riferimento dei suoi amici eppure, se aveva un problema, non
ne parlava. Voleva affrontare tutto da solo.
Beth
immaginava si comportasse così perchè lui era quello
forte, quello che sosteneva sempre tutti. Riteneva di non avere il
diritto di arrogare sulle spalle degli altri un suo problema.
“Che
libro stai leggendo? Te l'ha dato Remus oggi?” chiese Lily alla
figlia, dopo qualche attimo di silenzio.
“Sì.
Remus ha appena rifornito la mia biblioteca- rispose sorridendo alla
volta di Remus. Il suo padrino era il consigliere di fiducia: le
portava sempre libri nuovi ed interessanti, prestandole i propri,
fitti di appunti e commenti alla lettura.- E' Cime Tempestose.
Secondo lui può piacermi.”
“Credo
che Remus ti conosca proprio bene! Te l'avrei consigliato anch'io!”
commentò sua madre.
“E
mi raccomando, Elisabeth. Prima di leggere Delitto e Castigo
assicurati di non avere troppi pensieri ed impegni: quando lo leggi
devi concentrarti per cogliere il messaggio di Dostoevskij.”
aggiunse Remus, che in Beth aveva trovato qualcuno a cui trasmettere
la sua passione.
Dopo
aver scambiato qualche altra parola, Beth rientrò in casa:
stava salendo un po' d'aria e lei aveva bisogno di concentrazione per
leggere.
“Sono
passati tanti anni eppure lei è sempre solitaria come al
solito...” disse Tonks, dopo un po'.
“Sì.
Dan avrebbe potuto portarla con sé. Dopotutto, i suoi amici
sono amici anche di Beth.” asserì Hellen, maledendo
mentalmente quello sbadato sconclusionato di suo figlio.
“Io
non credo che le avrebbe fatto piacere. Se è una serata tra
ragazzi non è quello il suo posto. Thomas e Lucas sono anche
amici suoi, però lei rispetta il legame che li unisce a Dan.
Sa che ci sono momenti in cui devono stare da soli, solo loro e li
rispetta.” spiegò Lily, stringendo la mano di James e
rivedendo se stessa in molti comportamenti della figlia.
“A
volte ho paura che si isoli troppo, che viva in un mondo tutto suo,
popolato dai personaggi dei suoi libri. Certo, è cambiata
rispetto a quando era bambina. Ora non ha più paura della
gente e si è finalmente fatta degli amici, però temo
che troppo spesso stia lontana da loro.”sospirò James,
che avrebbe tanto voluto poter correre in aiuto della sua bambina,
così come faceva quando lei era piccola.
Lily
sembrò cogliere i suoi pensieri, dal momento che gli sussurrò:
“Non
è di noi che ha bisogno in questo momento, James.”
“Dovete
solo darle il suo tempo, senza considerare che ci sono tratti del
carattere di ciascuno di noi che non si riescono mai a cambiare.”
disse Remus.
“L'importante
è che possa contare su amici sinceri, pronti a sostenerla
quando cadrà. Persone che siano in grado di comprendere i suoi
silenzi.” aggiunse Sirius
“Io
credo che li abbia. E, in ogni caso, Dan non la lascerà sola,
quindi, forse, dobbiamo smetterla di preoccuparci.” concluse
Hellen.
“Fossi
in voi, mi preoccuperei quasi più per Dan! Tre mesi e si
diploma ed ogni settimana se ne salta fuori con una nuova idea sul
suo futuro!” esclamò Tonks, che non si capacitava di
come una persona potesse essere così indecisa.
“Io
credo che lui sappia benissimo cosa vuole fare. Teme solo di venir
giudicato.” disse Hellen
“Sì,
lo credo anch'io. Deve cercare di farlo venir fuori, urlando che è
quello che lui vuole fare e che niente e nessuno glielo impedirà.
Per il momento lasciamogli finire la scuola, poi si vedrà.”
commentò Sirius.
“Purtroppo
non sono tutti come Harry che ha deciso il suo futuro a quindici
anni! A proposito, come se la cava al Dipartimento? Ogni volta che
racconta del lavoro è entusiasta.”
“Gli
piace. E' quello che voleva fare, solo, alle volte, si lamenta un po'
troppo.” spiegò James.
“Ci
credo che si lamenta! Voglio dire, solo perchè sei l'ultimo
arrivato ti fanno fare dei turni orribili e delle operazioni inutili:
vigilanza alle partite di Quiddich, interrogatori per ladruncoli di
quint'ordine, sistemazione di scartoffie. Il massimo della vita è
un'azione di supporto all' Ufficio per l'Uso Improprio dei Manufatti
Babbani! Ricordo quel periodo come un incubo!” fece Tonks,
facendo ridere tutti e cambiando colore di capelli tre volte.
“E
di certo non lo aiuta il fatto di avere per capo suo padre e il suo
padrino...” osservò sagacemente Remus, toccando un tasto
delicato.
James
e Sirius avevano accettato la proposta che Kingsley Shackbolt aveva
fatto loro cinque anni prima: sostenendo due esami che mancavano,
avevano preso il loro posto al Dipartimento Auror.
Lasciare
il Quiddich era stato meno difficile del previsto e, per due come
loro, tornare alle operazioni sul campo, era stato più che
entusiasmante.
Era
stato come tornare indietro nel tempo e prendere, finalmente, il
posto che gli spettava.
Kingsley
si era liberato del fastidioso Scrimgeour, nominando James Capo
Dipartimento e Sirius Vice.
“Che
vuoi dire, Remus?” chiese James, senza capire.
“Che
forse, alle volte, con lui siete troppo... come dire, delicati. Solo
perchè si tratta di Harry.” continuò Remus.
“E'
il mio figlioccio! Che dovrei fare? Mandarlo ad ammazzarsi?”
fece Sirius, irato.
Perchè
nessuno, a parte lui e James, sembrava capire?
“Remus
non intendeva questo, solo, alle volte, anch'io ho la sensazione che
Harry vorrebbe fare di più.” disse Lily, prendendo non
solo le difese di Remus ma anche quelle di suo figlio.
“Bè,
non è che compaiano Maghi Oscuri da combattere un giorno sì
ed uno no. Fortunatamente.” rispose James, scanzonato.
“Sono
però ormai due anni che lui e Ron si sono diplomati...Le volte
che li ho visti in azione mi sono piaciuti. Hanno talento, devono
solo farsi le ossa...” provò a dire Tonks
“Non
potete tenerli per sempre sotto la campana di vetro...”
aggiunse Hellen.
“Sentite,
ho giurato a me stesso, anni fa, che Harry non avrebbe mai passato la
giovinezza che ho passato io, col terrore di non sapere se tornerà
a casa, se rivedrà i suoi amici, se potrà ancora
abbracciare la donna che ama. Mio figlio non dovrà mai passare
attraverso tutto questo. Finchè il capo sono io, decido io.”
fu la perentoria conclusione di James, che rese chiara a tutti la
fine della discussione, anche perchè in lontananza si
riuscivano già a scorgere le sagome di Ted, Harry e Ginny che
planavano.
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Capitolo 2 *** Sentirsi inutili ***
Non
sarà un capitolo colmo di avvenimenti, il solo scopo è
quello di illustrare i rapporti tra i vari personaggi: curiosare
nelle loro vite aiuterà a farci capire come sono cresciuti
Dan, Beth, Anne, Lucas e Thomas e dare una sbirciata al Ministero ci
farà pensare che non sempre le cose vanno come vorremmo...
Sentirsi
inutili
HOGWARTS
“No
Anne, stasera non ci sono. Ho gli allenamenti di Quiddich.”
stava rispondendo Lucas in fretta, alla sua amica, mentre vagava con
gli occhi per la Sala Grande alla ricerca di Thomas, ottimo soggetto
da cui copiare i compiti di Trasfigurazione.
“Ancora?
Ma non ti sei già allenato ieri sera?” domandò
Anne, rovesciandosi il caffè sulla divisa, mentre, come
d'abitudine, Lucas sfoderava la bacchetta per ripulirgliela.
“Che
vuoi che ti dica? Dan è impazzito, questo mese! Il fatto che
si tratti dell'ultima partita gli sta dando alla testa... Lo sai
anche tu che non è mai stato un Capitano troppo ansioso...”
“Hagrid
ci resterà male! E' già la terza volta che ci invita
per il tè e tu non ci sei...” osservò la ragazza.
“Purtroppo
non ci posso fare niente! Salutalo da parte mia... Oh, ecco Thomas.
Ci vediamo più tardi a Trasfigurazione! Divertiti ad Antiche
Rune! E saluta Beth!” disse Lucas, alzandosi in piedi e
facendosi largo tra una folla di primini per raggiungere il tavolo di
Serpeverde.
“Devi
smetterla di copiare i compiti nelle ore buche, Lucas!” lo
rimproverò la ragazza, che accortasi di essere in un tremendo
ritardo, si ricoprì di un' infinita quantità di
briciole nel vano tentativo di fare colazione più in fretta.
Imprecando,
non fece a caso all'occhiolino che l'amico le stava rivolgendo e che,
ora, stava inginocchiato di fronte a Thomas implorandolo di passargli
i compiti.
Anne
si alzò dal tavolo, per raggiungere Beth e puntò un
occhio verso Lucas: la vista della scena ( che si ripeteva
quotidianamente ogni mattina) non potè non farla ridere e
così, decisamente di buon umore, si avviò verso
l'ingresso, luogo in cui, come tutti i giorni, aveva appuntamento con
Beth, la quale era sempre così mattiniera da riuscire a
passare in Biblioteca prima dell'inizio delle lezioni.
Con
il passare degli anni, i continui battibecchi tra lei e Lucas si
erano affievoliti, lasciando il posto ad una salda amicizia, fatta di
confidenze, debolezze sussurrate e malefatte condivise, dato che Anne
era tanto vivace quanto maldestra.
Lei
e Lucas davano l'impressione di essere sempre di buon umore ed erano
quelli che si occupavano di tirare su il morale del gruppo, quando
qualcosa non andava.
Intravide
Beth, che stava parlottando con Dan, dietro al quale, una crocchia di
ammiratrici, lanciava sguardi infuocati a Beth.
“Ti
devo aiutare a portare dei libri, Beth? Sei sempre così
carica...” stava dicendo lui, osservando la borsa stracolma e i
due volumi nelle mani dell'amica.
“Tranquillo.
Raggiungo l'aula di Antiche Rune senza troppi problemi...”gli
sorrise, portandosi dietro un orecchio una ciocca di capelli, cosa
che le fece perdere l'equilibrio e portò alla caduta dei
pesanti tomi che reggeva.
“Te
l'avevo detto che non ce l'avresti fatta! Dammi retta, ti accompagno
io!” insistette lui
“Ma
tu non hai mai lezione alla prima ora?” chiese Beth, con fare
indagatore, certa com'era del fatto che Dan non gliela stesse
contando giusta.
Lui
si grattò la nuca, si scostò un ciuffo nero (quello che
veniva sempre pregato di tagliare, dal momento che gli finiva sempre
sugli occhi), dopodichè passo una mano sul mento, dove c'era
un filo di barba accennata e poi rispose, col suo solito tono
scanzonato:
“Eh...
i privilegi del settimo anno!”
“Dan!”
“E
va bene! E va bene- si arrese, alzando le braccia - al martedì
inizio alla seconda ora, con Cura delle Creature Magiche, tra l'altro
oggi dovremmo anche andare nella Foresta, sempre che Hagrid abbia
convinto Silente, bè...non che la cosa sia una novità...”
“Avanti,
dimmi quello che mi devi dire! Confessa quello che hai da confessare
e poi lasciami andare che altrimenti finisce che arrivo in
ritardo...”
“Sono
in punizione!”
“Ancora?”
domandò, sbalordita, Beth
“Ma
questa volta non è colpa mia! Snape stava tormentando quella
ragazza di Tassorosso per un compito svolto in un modo che a lui non
piaceva, la stava mortificando, stava usando parole cattive e io non
ce l'ho fatta, a star zitto. Gli ho detto che non approvo il suo
metodo di insegnamento e che ci sono altri modi per dirle che poteva
fare meglio e...”
“E...
Avanti.”
“Gli
ho detto che è frustrato e che non deve prendersela con i
ragazzi se la sua vita è stata un fallimento.”
“Dimmi
che non l'hai fatto davvero!” sbottò Elisabeth
Il
silenzio di Dan fu preso come un assenso.
“Oh
Daniel! Tu hai tutte le ragioni, però non puoi sempre fare
l'avvocato delle cause perse! Non dovevi rivolgerti a lui a quel
modo! E' pur sempre un insegnante!” lo rimproverò Beth,
accigliata.
“E
cosa dovevo fare? Non ne potevo più di star zitto!”
“Dan,
a volte occorre abbassare la testa! Adesso te la farà pagare!”
“Bè,
tanto tra un mese o due sono fuori da questo posto!” rispose
lui, con aria di sfida.
“Questo
non ti autorizza a rispondergli così! Non gli hai detto una
bella cosa...” continuò Beth
“Ormai
l'ho fatto. Quindi risparmia la predica. Hai ragione, ma non ce la
facevo a trattenermi. E poi se lo merita...”
Beth
sbruffò: quando si sarebbe deciso a crescere? Aveva tante
buone qualità, doveva solo farle fruttare.
Per
certi versi era un ragazzo molto maturo, per la sua età, con
un alto senso della giustizia e di ciò che è bene e ciò
che è male, ma per altri, era rimasto lo stesso ragazzino
egocentrico e capriccioso.
Quando
si trovava in quei momenti, ad Elisabeth pareva di essere la sola ad
essere cresciuta e di trovarsi di fronte al Dan dodicenne.
“Senti,
adesso io devo andare. Ne parliamo a pranzo... Buona giornata,
Daniel.”
“Buona
giornata, Elisabeth” per salutarla, il ragazzo, le scoccò
un bacio sulla guancia.
Si
voltò, rivolse un cenno al gruppetto di ragazze lì
radunato e poi si diresse verso la Sala Grande per incontrare i suoi
amici.
“Bè,
che avete da guardare come delle Banshee?” chiese Anne, mentre
le ragazze fissavano Beth con un misto di rabbia e stupore: non solo
quell'insignificante ragazzina aveva l'onore di poter parlare con
Daniel Black, ma si permetteva anche di rimproverarlo! Come osava?
Quelle
rivolsero un'occhiata indispettita anche ad Anne, che le sentì
mormorare:
“Ci
mancava solo la guardia del corpo di Franchester, adesso!”
Anne
si girò e fece una linguaccia alle Fan, come le chiamava lei,
prima di attaccarsi al braccio di Beth.
Non
riusciva proprio a capire per quale motivo quelle arpie ce l'avessero
tanto con lei o con Beth: erano forse invidiose dell'amicizia con Dan
e Lucas? Se così era, perchè anziché limitarsi
ad ammirarli e spettegolare non si avvicinavano e provavano a
conoscerli?
Non
mordevano mica! Persino Lucas, una volta che si superava la sua
acidità, poteva risultare simpatico...
Le
due amiche si stavano avviando al secondo piano, per seguire la
lezione, quando un trafelato e scomposto Thomas fece la sua
apparizione sbucando dal buco dietro ad un quadro, capitombolando
addosso ad Anne, facendola finire per terra.
“Ah!
Tomas! Ma ti si è bevuto il cervello? Non provare mai più
a comparire così all'improvviso! Mi hai fatto prendere un
colpo!”strillò la ragazza, resa momentaneamente cieca
dalla massa di riccioli che le aveva ricoperto il volto.
“Scusate,
è che dovevo fuggire da Lucas il più in fretta
possibile...” si giustificò, raddrizzandosi e
lisciandosi la divisa.
“E
perchè dovevi fuggire da Lucas?”chiese Anne. Che si
fosse rifiutato di passargli i compiti ed ora Lucas lo stesse
rincorrendo per tutto il castello scagliandogli maledizioni?
“Gazza.
Era dietro di lui.”
“Oh.”annuirono
le due ragazze.
“Voleva
a tutti i costi che io mi mettessi ad appendere per tutta la scuola
le settecentotredici copie dell'integrazione al suo elenco di oggetti
proibiti. E tutto questo perchè sono un Prefetto! Per Merlino,
io sono un Prefetto della scuola, non lo sguattero di Gazza!”
spiegò Thomas, lucidandosi la spilla che aveva guadagnato
l'anno prima.
Thomas
era molto orgoglioso del suo distintivo, non solo segnalava a tutti
quanto lui (modestia a parte) fosse perfetto, ma, soprattutto, lo
faceva sentire accettato. Lui, Babbano di nascita, non solo era nella
Casa di Serpeverde, non solo era tra i migliori studenti di Hogwarts,
ma era anche diventato Prefetto.
Il
fatto poi che i suoi migliori amici fossero tutti Grifondoro, lo
rendeva orgoglioso: erano la testimonianza vivente che, in fondo, tra
una Casa e l'altra, non c'erano grosse differenze.
In
ciascuna convivevano ragazzi diversi per origine, abitudini,
aspirazioni, ma, come lui ripeteva spesso, tanto da farne il proprio
motto, ciascuno è chi sceglie di essere.
“Quanti
ne ha aggiunti, questa volta?” domandò Beth
“Diciassette.”
disse Thomas con voce funerea.
“E
dimmi un po', Thom.... Mastro Gazza sa che a far finire sulla lista
questi diciassette oggetti, provocandogli una serie infinita di notti
insonni, sei stato tu con quei decerebrati dei tuoi amici?”
ammiccò Anne, con tono noncurante.
“Non
tutti e diciassette. Solo dieci. Io con gli altri non c'entro.”
disse Thomas, offeso.
Beth
gli sorrise e lui parlò di nuovo.
“Io
l'avevo detto che non potevano mettersi a ricoprire tutte le porte di
Gelatina Millefoglie! Ma loro non mi hanno dato retta! Ho detto anche
che non potevano liquefare con il Simpatico Sprai Fretto il Folletto
tutti gli schedari di Gazza, ma loro, come al solito, non mi hanno
dato ascolto!”
“Andiamo
vah, siamo già in ritardo.” lo consolò Beth,
intuendo che, spesso, Thomas non sapeva, o meglio, non voleva,
abbandonare Dan e Lucas quando progettavano i loro scherzi.
LONDRA,
DIPARTIMENTO AUROR
Gli
uffici del Ministero destinati al Dipartimento Auror occupavano una
fitta rete di corridoi all'ultimo piano.
Gli
Auror più esperti potevano godere di uffici propri, oppure,
come nel caso di Tonks, dividerlo con qualcun altro.
Invece,
i più giovani dovevano accontentarsi di un'anonima scrivania
in mezzo ad altre dieci, in stanza cosi larghe e lunghe che avrebbero
potuto benissimo sembrare una delle camerate dell'Accademia.
Harry
e Ron, per voleri dipendenti dai piani alti, occupavano ancora due di
quelle scrivanie, arrabattandosi come potevano nello sconfiggere le
mosche e il caldo che popolavano quella enorme stanza.
“Come
va quel rapporto sui fondi di calderone falsi?” domandò
Ron all'amico, seduto nella scrivania di fronte a lui.
“L'ho
quasi finito, credo. Tra poco lo porterò a Brown che lo dovrà
controllare. Oggi hai qualcosa di entusiasmante da fare o mi terrai
compagnia mentre attendo che qualcuno mi porti altre scartoffie da
riordinare?” rispose Harry, sbruffando.
“No.
Oggi si esce! Non guardarmi così,tu hai già avuto la
possibilità di mostrare le tue competenze sul campo ieri!”
esclamò Ron, con uno sguardo a metà tra il risentito e
il divertito.
Fare
l'Auror, per lui come per Harry, non si stava rivelando interessante
ed avvincente come credevano.
Avevano
iniziato e finito l'Accademia carichi di sogni e di progetti: si
immaginavano alla guida di spedizioni pericolose, informati di
dettagli segreti ai più e, invece, dopo due anni erano ancora
ancorati ad una scrivania e, le rare volte che uscivano, erano
incaricati di compiti estremamente noiosi ed inutili.
Inizialmente
avevano sopportato la cosa speranzosi e certi che quello fosse il
normale trattamento che si riservava ai nuovi arrivati. Col passare
del tempo, però, sembrava che tutti riuscissero ad aver e un
avanzamento di posizione salvo lui ed Harry, persino Hermione,
sebbene lavorasse in un altro Dipartimento, quello per il Controllo e
la Regolamentazione delle Creature Magiche, era già stata
promossa.
Sapevano
perfettamente che questo dipendeva da James e Sirius, però,
l'uno perchè si andava contro il padre e non sapeva
esattamente come affrontarlo, e l'altro per quieto vivere non avevano
mai detto nulla.
Ron
aveva pensato diverse volte di mandare tutto all'aria e di andare a
lavorare temporaneamente coi suoi fratelli, ma, in seguito, un po'
per senso di colpa nei confronti dei suoi genitori che non gli
avevano mai fatto pesare l'onerosa retta dell'Accademia e un po' per
lealtà nei confronti di Harry, aveva deciso di restare.
Harry
era quello che appariva più scontento della situazione: si
sentiva responsabile anche per la sorte di Ron. Dopotutto, se suo
padre e Sirius trattavano a quel modo anche Ron, era solo perchè
era il suo migliore amico.
Harry
era frustrato: perchè non gli permettevano di seguirli sul
campo?
Lo
credevano un incapace? Pensavano forse che non fosse in grado di
cavarsela da solo e di mantenere il sangue freddo?
Perchè
si ostinavano a volerlo trattare come un bambino?
Aveva
ventitrè anni, quasi, ormai!
Loro,
quando erano molto più giovani di lui, non avevano forse
combattuto nell' Ordine della Fenice Voldemort e i suoi sostenitori?
E,
il tutto, senza essere Auror!
Se
almeno l'avessero ammesso, che lo facevano apposta, anziché
trincerarsi dietro a mille scuse, una meno credibile dell'altra.
Quando
avevano iniziato, Harry era eccitato all'idea di lavorare al fianco
di suo padre e di Sirius, ora invece, non voleva altro che
sbarazzarsi di loro ed avere per superiore qualcuno di sconosciuto,
qualcuno che lo mettesse alla prova.
Più
volte aveva pensato di mollare tutto, poi però, la tenacia che
lo contraddistingueva l'aveva spinto a continuare, per dimostrare
loro che avrebbe potuto farcela.
“Fantastico!
Così potrò passare un altro entusiasmante pomeriggio in
ufficio! Non aspettavo altro! Chissà cosa mi portano da
compilare oggi!” esclamò, ironico, Harry.
“Bè,
io direi che è già qualcosa se non ci fanno pulire
tutto il marciume di questo posto...” osservò Ron,
dondolandosi indietro con la sedia.
“Solo
perchè ci sono gli Elfi Domestici, che credi! Strano che mio
padre non abbia ancora detto al Ministro che non serve che puliscano
qui, dato che ci siamo già noi...” proseguì
Harry, lanciando via la piuma che gli era servita per completare il
rapporto.
“Se
proprio sei così ansioso vado a riferiglielo!” aggiunse
Ron, tenendosi per sé il seguito della frase, che suonava
simile a:
“Scommetto
che sarebbe felicissimo di sapere che non dobbiamo neanche più
uscire per fare il servizio di sicurezza alle partite di Quidditch o
per disinnescare il malocchio di qualche orologio ad una vecchietta
Babbana!”
Harry
non rispose e rilesse per la terza volta la pergamena che aveva in
mano: se almeno avesse trovato un errore avrebbe avuto qualcosa da
fare...
Ron
si alzò e prese a giocherellare con dei pezzi di carta,
tentando di fare canestro nel cestino, mentre, sopra alla sua testa,
diverse buste contenenti i messaggi che si scambiavano tra un ufficio
e l'altro, saettavano avanti e indietro, a destra e a sinistra.
Circa
mezz'ora dopo la testa di Sirius comparve dalla porta.
“Buon
giorno ragazzi!” li salutò allegro.
“'Giorno...”
fu il saluto distratto che gli rivolsero.
“Bè?
Che cosa sono quei musi lunghi? E' stata una mattinata impegnativa?”
chiese
Ron
balbettò qualcosa, mentre Harry rivolse un'occhiata eloquente
al suo padrino, che capì che era il caso di star zitto.
“Io
e James pensavamo di fare un salto da Remus, in libreria per pranzo.
Volete venire anche voi o riuscite a tollerare quello schifo che
chiamano mensa aziendale?” disse Sirius, cercando di riprendere
la conversazione.
“Oh
bè...- cominciò Ron- io dovrei già passare da
Remus, per prendere un libro che mi ha chiesto Hermione- Harry, a
questo punto, incenerì il suo migliore amico con lo sguardo.
Tutto quello che voleva era stare lontano da suo padre. Non ne poteva
più di sentirsi dire cosa doveva fare. Non era arrabbiato con
lui, anzi. Una parte di lui comprendeva e, fuori dall'ufficio, i loro
rapporti erano ottimi come al solito, semplicemente, almeno al
lavoro, voleva stagli lontano.-Ma credo comunque che potrò
andare più tardi, quando usciamo.” si affrettò ad
aggiungere Ron, dopo aver colto i segnali.
“Come
volete...”
“E
comunque, Sirius, Hermione ha detto che ci saremmo visti durante la
pausa. Ci conviene rimanere qui. Se non ci dovesse vedere
impazzirebbe.”
“Ehilà,
ragazzi! Allora vi unite a noi per pranzo?” era arrivato anche
James.
“Dobbiamo
vedere Hermione, papà.”
“Ah...
ok. Non c'è problema. Bè, allora noi andiamo. Ci
vediamo nel pomeriggio.” disse James, uscendo con Sirius.
“Portateci
di sopra i rapporti!” urlò Sirius, dal corridoio.
Harry
e Ron li maledissero mentalmente e poi si alzarono, per raggiungere
Hermione, che, se non era così oberata dal lavoro, decideva di
concedersi una pausa pranzando col suo ragazzo e col suo migliore
amico.
Le
cose tra Ron ed Hermione procedevano bene, o meglio, bene per quella
che può essere la quotidianità della loro coppia.
Tre
volte a settimana Ron affrontava delle crisi che rasentavano
l'autolesionismo, allenando la scarsa pazienza di Harry con infiniti
soliloqui sul perchè lui fosse un ottuso ritardato, inadatto a
stare con una creatura tanto intelligente e perfetta quanto Hermione
e su quanto fosse fortunato.
Altre
tre volte, invece, Ron tornava a casa sbraitando che non ne poteva
più, che quella era l'ultima volta che si sarebbe fatto
mettere i piedi in testa da Hermione perchè lei avrebbe dovuto
capire che non poteva permettersi di trattarlo come uno straccio dal
momento che, anche se suona strano dirlo, anche Ronald Bilius Weasley
aveva dei sentimenti.
Nei
primi tempi Harry provava a consigliare il suo migliore amico,
cercando di fargli capire dove sbagliava, ora, invece, si limitava ad
annuire, ascoltando distrattamente e sfogliando con attenzione le
pagine della Gazzetta del Quidditch.
Dal
canto suo Hermione, poco paziente di per sé, stava imparando a
tollerare la confusione, gli sbagli, i fraintendimenti e le paturnie
di Ron e correva da Ginny o da Harry solo quando il limite estremo di
sopportazione era stato raggiunto.
Quando
sua madre le faceva notare che lei e Ron erano abbastanza grandi per
poter pensare di costruire qualcosa, Hermione impallidiva (tremava al
solo pensiero del modo in cui avrebbe potuto essere ridotta una casa
in cui convivevano lei e Ron) e si limitava a rispondere che Ron
stava bene dov'era, nell' appartamento che condivideva con Harry
(luogo in cui lei preferiva non entrare, viste le condizioni in cui
versava), senza contare che, qualora Ron se ne fosse andato, Harry
sarebbe rimasto solo, considerando che Ginny era spesso via con le
trasferte delle Holyhead Arpies.
“Eccovi,
finalmente! Era già da un po' che vi aspettavo! Ho preso quel
tavolo là in fondo!” indicò Hermione, stretta
nella sua veste verde bottiglia da strega.
“Magari
ci hai già anche preso da mangiare, eh?” azzardò
Ron, meritandosi un' occhiataccia che sembrava dire” Non sono
mica la tua serva!”
Quando
anche Ron ed Herry si furono serviti ed ebbero preso posto, Hermione
ricominciò a parlare.
“Allora,
come è andata stamattina? Io sto lavorando ad un caso molto
complesso! Madama Fisher si fida di me e me l'ha affidato, anche se
sono tra i più giovani! In pratica devo assicurarmi che
nell'allevamento di Crup si rispettino tutti i parametri, perchè
un mago di Glouchester ha sporto denuncia contro il suo vicino. Ho
bisogno di consultare molti testi, credo che passerò da Remus,
prima di tornare a casa... voi nei vostri archivi non avete niente
che mi possa aiutare?”
“Ma
l'allevamento dei Crup non dovrebbe essere tenuto sotto controllo dal
Mnistero?” chiese Harry, mentre Ron osservava desolato la
brodaglia nel suo piatto che avrebbe dovuto somigliare a spezzatino.
“Infatti.
Ci chiediamo come abbiano potuto tenerlo nascosto per così
tanto tempo...” gli rispose Hermione, mescolando la sua
insalata.
“Io
invece mi chiedo come sia possibile che non hanno ancora licenziato
questi Elfi Domestici! Ogni giorno che passa questo cibo diventa
sempre più immangiabile!” esclamò Ron
“Ron!
Gli Elfi non sono costretti a cucinare per te! Se proprio ti fa così
schifo non mangiare! Considera anche che devono preparare per
centinaia di persone!”
“Anche
quelli di Hogwarts, se è per questo! Eppure ne erano capaci!
Questi qui sono incompetenti!” proseguì, infervorato,
Ron.
“Non
sei obbligato a mangiare qui! Potresti arrivare fino al Paiolo Magico
e prenderti qualcosa là...” rimbeccò Hermione.
“Fossi
matto! E investire metà del mio stipendio al Paiolo Magico
solo perchè questi qui non sono in grado di fare il loro
lavoro? Meno male che è gratis!”
“Abbassa
quella voce, Ron! Ci staranno ascoltando tutti! Pensa se quei poveri
Elfi hanno sentito qualcosa! Ci saranno rimasti malissimo!”
“Hermione,
è un dato di fatto! Questi non sanno cucinare!”
intervenne Harry, che non poteva non essere d'accordo con Ron.
Hermione
bofonchiò qualcosa e poi ritornò alla sua insalata,
senza smettere di lanciare sguardi infuocati all'indirizzo dei due
ragazzi.
Harry
riportò la conversazione su un terreno neutrale, le partite di
Quiddich di Ginny.
Harry
era veramente contento per lei: più volte gli aveva detto che
le sarebbe piaciuto sfondare nel Quiddich, anche se era incerta sull'
intraprendere quella carriera.
Ginny
era sempre stata una ragazza piuttosto sicura di sé: sapeva
quello che voleva, sempre, e si dava da fare per ottenerlo.
Era
solita dire di voler fare del Quidditch la sua professione, aveva già
deciso a sedici anni eppure, l'ipotesi che, quello che si sceglie non
sia la cosa migliore, aveva iniziato a tormentare anche lei, quando
si era trattato di decidere davvero.
Avrebbe
potuto non sfondare mai e l'idea di non ricambiare con soddisfazioni
i sacrifici che Arthur e Molly avevano fatto per poter mantenere
tutti i loro figli la preoccupava.
Harry
l'aveva convinta a fare qualche provino: se non fossero andati bene,
si sarebbe cercata un altro lavoro. Ginny aveva posto questa
condizione.
Riteneva
che, se non fosse stata idonea, avrebbe dovuto mettersi il cuore in
pace e trovare altro da fare nella vita.
Ciò
nonostante, superata qualche riluttanza iniziale, Ginny fece i
provini con le Vespe di Windbourne, con il Potree Pride e con le
Montrose Magpies. Nessuno di questi era andato a buon fine e Ginny
stava seriamente pensando di lasciar perdere. Aveva evitato di
proposito i Cannoni di Chudley, certa com'era che, grazie alle
conoscenze del signor Potter, in un modo o nell'altro, sarebbe stata
presa.
Il
suo vero obbiettivo, però, erano le Holyhead Arpies, l'unica
squadra esclusivamente femminile della Lega. Harry la trascinò
a forza e lei giocò come non aveva mai giocato. Mostrando,
nuovamente, la forte Cacciatrice che era stata nei Grifondoro.
Da
quando era entrata in squadra si vedevano raramente: spesso c'erano i
ritiri e nei fine settimana le partite, ciò nonostante, Harry
non mancava mai di seguirla allo stadio ed era comunque felice di
quel paio di giorni a settimana che, se tutto andava bene, riuscivano
a ritagliarsi.
Certo,
non poteva negare che talvolta voleva di più, però,
dopotutto, se erano riusciti a reggere durante i tre anni che lui
aveva trascorso all'Accademia, periodo in cui vedersi un paio di
volte al mese era fin troppo, sarebbero sopravvissuti anche a quello.
“Direi
che io ora devo andare. Non vorrei fare tardi, potrebbe sembrare che
non prenda sul serio il lavoro che mi è stato affidato.”
disse Hermione, alzandosi.
“Noi
non abbiamo problemi, vero Harry?”
“Già.”
sospirò.
Hermione
li osservò entrambi e poi, guardando Harry gli disse:
“Harry,
tu devi parlarne con tuo padre. Non puoi andare avanti così.
Ti stai rovinando l'anima e, presto, rovinerai anche il rapporto che
hai con lui.”
Harry
sapeva che Hermione aveva ragione, del resto, spesse volte, quando si
trattava di rapporti interpersonali lei aveva ragione, eppure non
voleva darle ascolto.
“Hermione,
non sono affari che ti riguardano.- rispose duro, pentendosi
immediatamente del tono usato-E, comunque, tra me e mio padre, salvo
qui al Ministero, va tutto bene. Ti ho già spiegato perchè
si comporta così e io non me la sento di andare lì e
prenderlo a male parole.”
“Harry,
sarà inevitabile, prima o poi. Ti conosco. Lo farai. E più
tardi lo fai, peggio sarà. Lo dici sempre, che tu e tuo padre
su queste cose, siete uguali. Finirete per scontrarvi. Parlaci ora.”
consigliò Hermione, prima di andarsene.
Un'ora
più tardi James, Sirius e Remus sedevano attorno al tavolo del
retrobottega della libreria che Remus aveva aperto a Diagon Alley.
Non
aveva voluto tornare ad Hogwarts ad insegnare: non voleva restare
lontano dalla sua famiglia per gran parte dell'anno.
Non
aveva nemmeno accettato la proposta di Kingsley di lavorare al
Ministero nel Dipartimento per il Controllo e la Regolamentazione
delle Creature Magiche: sosteneva che la vita da burocrate del
Ministero non facesse per lui, tuttavia, i suoi amici sospettavano
che, parte del suo rifiuto, derivasse dagli ancora pesanti pregiudizi
che la comunità magica nutriva nei suoi confronti.
Così,
Remus, aiutato anche da James e Sirius, era finalmente riuscito a
realizzare ciò che progettava da diversi anni: aprire una
libreria tutta sua.
I
tre si erano dati da fare e, aiutati anche da Harry e da Ron e i suoi
fratelli, avevano rimesso a nuovo un piccolo ed angusto locale
inutilizzato, situato in un vicolo laterale a Diagon Alley.
Inizialmente
il progetto di Remus era abbastanza modesto, ma, avendo per amici
James e Sirius, la sua piccola idea si trasformò rapidamente
in un piano dalle proporzioni inimmaginabili.
Era
una libreria molto particolare: non vendeva solo testi magici, ma
anche Babbani.
I
capolavori e i classici intramontabili della letteratura Babbana di
tutto il mondo trovavano spazio accanto a testi di magia antica,
moderna, saggi e racconti magici così realistici da far
entrare il lettore tra le loro pagine.
Il
“Regno di Remus”, come l'avevano affettuosamente
ribattezzato gli amici, contava migliaia di testi, stipati con cura
sulle decine di scaffali e il proprietario era sempre pronto a
consigliare il cliente, che, grazie al suo aiuto, riusciva sempre a
trovare ciò che più gli si addiceva.
In
famiglia, le persone più entusiaste della nuova attività
erano senza dubbio Lily e Beth che, con buona compagnia di Hermione,
passavano spesso a rifornirsi.
Dal
momento che Remus, James e Sirius lavoravano tutti e tre nella stessa
zona, capitava spesso che si ritrovassero per pranzo.
“Cioè...
io non capisco. Ogni volta che gli parliamo ha il muso e risponde
male...” stava dicendo Sirius, gesticolando animatamente verso
Remus, seduto di fronte a lui.
“Io
direi che Harry è arrabbiato con voi...”azzardò
Remus, senza preoccuparsi di cercare termini più appropriati:
con quei due bisognava arrivare direttamente al sodo.
“Ma
perchè?” chiese James, passandosi una mano trai i
capelli.
“Lo
sai benissimo il perchè, James. E sai anche come risolvere la
situazione.” gli rispose Remus.
Ringrazio
le sette persone che hanno inserito la storia tra i preferiti: spero
possa continuare a piacervi. Se potete, se vi va, fatemelo sapere con
una recensione.
Ringrazio
Cinderella87 e Padfoot_07 per aver recensito lo scorso
capitolo.
Cinderella87:Io
adoro Remus in versione Piero Angela e spero di poter dare altri
esempi di come questo illustre genitore educhi il suo pargolo...
Chissà, magari anche il piccolo Ted diverrà un
professore un poco saccente, anche se ho i miei dubbi. Quanto al
resto, avrai tempo di vedere come si evolveranno i caratteri di tutti
i personaggi.... e considerati fortunata, perchè sai quasi
tutto tramite spoiler!
Padfoot_07:Grazie
per l'entusiasmo che dimostri sempre, non può che farmi
piacere.
Ti
accorgerai presto che Dan, forse, pur essendo un Black, non è
immaturo come sembra. E' un ragazzo perennemente in crisi con se
stesso, per così dire. Quanto a James, bè... è
un padre e questo basta a spiegare tutto.
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Capitolo 3 *** Impressioni ***
Impressioni
HOGWARTS
Maggio
era arrivato da qualche settimana e l'aria tiepida che portava si
faceva sentire anche ad Hogwarts.
Le
giornate iniziavano piano piano ad allungarsi e la stanchezza per
l'anno scolastico iniziava a farsi sentire.
Tuttavia,
in quella seconda settimana di maggio, non erano le lamentele per i
troppi compiti ad occupare le conversazioni quotidiane degli
studenti, bensì l'imminente finale della Coppa di Quiddtch che
si sarebbe disputata tra Grifondoro e Serpeverde.
Per
tutta la settimana la tensione era stata palpabile e il passaggio dei
giocatori di entrambe le squadre veniva accolto o da grida di
tripudio e da cori festanti o, al contrario, da battute sarcastiche.
Dan
era molto nervoso da giorni e non faceva altro che pensare alla
partita.
Da
quando era stato nominato Capitano, non era mai stato particolarmente
ossessivo: non faceva parte del suo carattere stressare gli altri con
allenamenti supplementari o con innovative tecniche di gioco.
Preferiva assillare se stesso ed, eventualmente, darsi addosso se la
squadra perdeva o giocava male.
Dan
non riuscì mai a spiegarsi come potè sopravvivere alla
tensione che in quei giorni gli dilaniava l'anima.
Probabilmente,
se Lucas non fosse stato lì, sempre pronto a sdrammatizzare e
ad organizzare diversivi e se i suoi compagni di classe non
l'avessero aiutato con i compiti, Dan sarebbe impazzito.
Aveva
in testa un solo pensiero, la Coppa, e non riusciva a concentrarsi su
altro.
Non
voleva vincere solo perchè quello era il suo ultimo anno.
Voleva vincere per dimostrare a se stesso e agli altri che lui non
era solo il bel Battitore di Grifondoro, il ragazzo sempre pronto a
scherzare e ad eccellere in quello che faceva per doti naturali e
manie di protagonismo.
Voleva
dimostrare di essere in grado di guidare una squadra, di prendersi
delle responsabilità.
Voleva
far vedere a tutti che c'era un motivo per cui i suoi amici avevano
scelto lui, una ragione per cui era il punto di riferimento del
gruppo.
Voleva
dimostrare che Daniel Black sapeva prendere le cose sul serio. Non
vedeva altro modo del Quidditch di renderlo noto. Non si era accorto
che molti ad Hogwarts lo stimavano perchè era disponibile,
allegro, attento agli altri e sempre pronto a regalare un sorriso a
chi ne avesse bisogno.
L'anno
prima la Coppa era stata vinta da Serpeverde ed, essendo già
il Capitano di Grifondoro, non se l'era perdonata. Sentiva che era
colpa sua, se la squadra aveva perso.
I
commenti maligni di Robert Gooniver lo seguivano ovunque andasse e,
anche quando non c'era, a Dan pareva di sentire la sua voce roca
nelle orecchie.
Il
venerdì pomeriggio della settimana prima della partita,
uscendo dalla lezione di Trasfigurazione, la professoressa McGranitt
lo trattenne, costringendolo ad accantonare i suoi pensieri sul
Quidditch per qualche minuto.
“Black,
puoi fermarti un momento?” gli chiese.
Dan
si avvicinò alla cattedra facendo cenno a Mark ed Edward di
aspettarlo fuori.
“Ha
bisogno, professoressa?”
“Volevo
congratularmi con te per la prova di oggi. Era parecchio che non
vedevo un esercizio così ben riuscito.” gli disse,
sorridendo, pur nella solita compostezza.
“Grazie.”
“Sei
proprio sicuro di non essere interessato a quello stage presso la
Squadra Magica Speciale? Credo che avresti buone probabilità
di essere preso... il bando scade oggi.” continuò la
McGranitt.
Era
convinta che Daniel avesse talento, molto talento per quella branca
della magia.
Era
qualche mese che non faceva altro che ripetergli che avrebbe avuto un
futuro nel campo della Trasfigurazione e lavorare nella Squadra
Magica Speciale, che, fra gli altri suoi compiti, aveva anche quello
di sistemare persone Spaccate o trasfigurazioni mal riuscite, era
senza dubbio un buon inizio. Per questo motivo, quando erano arrivati
i bandi di diversi stage lei aveva immediatamente pensato a Dan.
“No,
professoressa.- disse Dan scuotendo la testa- Mi dispiace, ma non
credo che faccia per me, quel genere di lavoro. La ringrazio
comunque.”
“Sei
proprio sicuro?”
“Sì.
Davvero. Troverò qualcosa da fare, non si preoccupi... Grazie
per l'aiuto, comunque.”
La
professoressa sospirò, conscia però di non poter
decidere per il futuro del ragazzo.
Dan
si stava già allontanando, quando la donna lo richiamò
indietro.
“Black,
un 'ultima cosa. Fai allenare la tua squadra e cerca di vincerla,
quella partita. La Coppa deve essere nostra, quest'anno. Non voglio
risentire gli acidi commenti del professor Snape, come l'anno
scorso.”
“Stia
tranquilla, non li voglio sentire neanch'io!” rispose Dan,
ritornando dagli amici.
“Cosa
non vuoi sentire, Black?”
“Robert,
è un piacere vederti...” rispose, Dan, strafottente.
“Sai,
Black, mi è giunta voce che la tua Cacciatrice non sia molto
in forma... sei certo di riuscire a recuperarla?”
Dan
avrebbe volentieri preso pugni il ragazzo che gli stava di fronte.
Nessun incantesimo dava la stessa soddisfazione di un occhio nero.
Gli
si avvicinò e lo guardò negli occhi:
“Non
ho le prove, ma non ho dubbi sul fatto che l'incidente di Eloise non
sia stato casuale.” ringhiò
“Non
puoi provarlo, Black.” rispose freddamente Gooniver
“Non
posso, ma stai certo che domenica prossima non riderai così.”
disse Dan, voltandogli le spalle per allontanarsi, prima di perdere
il controllo.
“Vai
Black,vai. Corri dalla tua piccola ficcanaso dai capelli rossi.”
Dan
si girò di scatto ed afferrò la bacchetta.
“Non
metterla in mezzo. Prova a dire una sola parola su di lei e giuro che
farai una brutta fine.”
“Attento,
Black, attento. La tua bambolina non vorrebbe vederti affatturare uno
studente di un altra Casa. Non vorrai forse litigare con lei?
Sentirsi dire che sei un immaturo attaccabrighe non deve essere
piacevole...Ci si vede Black!” rise Robert Gooniver,
allontanandosi con un cenno della mano.
“Allora,
come è andata la giornata? La mia è stata stupenda!
Magari fosse sempre venerdì! Ora buca, Divinazione e Cura
delle Creature Magiche!” esclamò Lucas, che, grazie
all'abile e scaltra scelta di materie che aveva fatto al terzo anno,
poteva vantarsi di avere l'orario più leggero.
“Parla
per te! La traduzione di Antiche Rune era difficile! Non ho capito
niente di niente, accidenti!” si lamentò Anne.
“Te
l'avevo detto di mollare Antiche Rune, l'anno scorso! Ma tu non mi
dai mai retta!” le disse Lucas.
Dire
che Anne non fosse in grado di tradurre il Runico era un eufemismo.
Per quanta pena si desse nello studiare la grammatica, non c'era
verso che le uscisse una traduzione sensata.
Le
ripetizioni che avevano provato a darle Beth e Thomas non erano
servite a niente. Le prime perchè Anne, convinta di non essere
in grado, sosteneva che fosse inutile che l'amica perdesse il suo
tempo con un caso senza speranza, quale si considerava. Le seconde,
invece, si erano concluse con una furibonda Anne che non solo se la
prendeva con se stessa, ma anche con il suo insegnante, reo di
considerare ovvie troppe cose che per lei non lo erano.
Lucas
le aveva consigliato di lasciare Antiche Rune subito dopo i G.U.F.O
dell'anno prima in cui aveva racimolato una miracolosa A, lei però,
cocciuta, aveva scelto di proseguire.
“Ma
mi piace!”
“Ma
non sei capace!”
“Bè,
a me non è parsa così impossibile, quella
traduzione.... bastava ordinare i segni e tradurre parola per
parola...” si intromise Thomas.
“Ma
tu mangiare al tuo tavolo mai, eh? E comunque a me è uscita
una frase senza senso... Cioè, tutto era senza senso... Però,
tu dimmi, cosa vuol dire: Che cos'è l'uomo? Ovunque è
rincorso da un vaso... “
Lucas
scoppiò a ridere così forte da non riuscire a
trattenersi, Thomas, per educazione, tentò di contenersi, ma,
quando stava quasi per scoppiare, tanto era rosso, Beth, optò
per una pacca sulla spalla.
“Dai
Anne, magari non è andata così male... voglio dire,
quella volta in cui hai scritto della nave che veniva assalita da
un'orda di api assassine il professor Vector ti ha dato Scadente...”
provò a consolarla Beth: insomma, era pur sempre un
'insufficienza, ma non molto grave.
“No,
no! Fidatevi, questa volta è molto peggio!” confermò
Anne, accalorata.
Lucas,
riuscì a riprendere la parola tra le lacrime prodotte dalla
risata:
“Bè,
direi che peggio della volta in cui hai scritto che un morto si
scavava la fossa non può essere andata...”
Thomas
questa volta non ce la fece più ed esplose in una fragorosa
risata, unendosi a Lucas.
“Ah
ah ah! Molto divertente!”
“Su,
vedrai, la prossima volta andrà meglio.” disse Beth.
“Senza
offesa, Beth, ma è impossibile che vada meglio. E' il caso di
metterci una croce sopra: Anne non è portata per le Rune. Non
sarà mai capace di tradurre. Prima lo accettiamo tutti, meglio
è.” disse, lapidario, Thomas.
Era
rimasto un ragazzo taciturno, tuttavia, sapeva con poche parole
distruggere una persona.
“Grazie,
Thomas. Lo sapevo da sola. Non serviva che me lo dicessi tu.”
gli rispose, Anne, fredda, prima di alzarsi.
Lucas
guardò in tralice Thomas, così come fece anche Beth, e
poi si alzò per raggiungere Anne.
In
quei momenti, quello che ci voleva era il torace di Lucas da prendere
a pugni.
“Si
può sapere che ho detto?” domandò
“Thomas,
l'hai distrutta.” disse Beth
“E'
la verità.”
“C'è
modo e modo, di dirlo. Lo sai che, anche se non sembra, Anne ci resta
subito male. Va bene che sei una persona diretta, però, a
volte, questa tua mancanza di tatto fa soffrire la gente. Spesso ci
rispondi male o meglio, in modo troppo sarcastico. Noi ti conosciamo,
sappiamo che non lo fai per cattiveria, però, chi non ti
conosce, cosa potrebbe pensare?”
Finirono
di magiare in silenzio, e poi, prima di alzarsi per tornare nel suo
dormitorio, Thomas disse:
“Sai,
forse c'è davvero qualcosa di sbagliato, in me. Forse sono
proprio un Serpeverde.”
Beth
non seppe cosa rispondere e rimase lì, a fissare il suo piatto
vuoto.
“Ehi,
Beth, che cos'è quella faccia?” Dan era arrivato, in
ritardo a causa della punizione che continuava a dover scontare
nell'ufficio di Snape.
“Dove
sono tutti?” chiese, guardandosi attorno, senza vedere né
Anne, né Lucas né Thomas.
“Dan,
credo di aver fatto un gran casino...”iniziò Elisabeth.
Gli
raccontò tutta la storia, dall'inizio e nemmeno lui potè
esimersi dal ridere per le buffe traduzioni di Anne.
“Credo
che Thomas adesso mi odi. Io e le mie solite maniere da maestrina.
Devo imparare a stare zitta!”
“Non
ti odia, Thomas. Non è capace di odiare nessuno. Lo sai anche
tu che è buono come il pane...”
“Dan,..”
“Bè,
sì, ok.. forse adesso ci è rimasto un po' male, così
come ci sei rimasta tu, però, non credo che ti odi. Vedrai che
un paio di giorni e gli passa tutto.”provò a dire Dan
“Sì...
forse.. E' che ho paura di me stessa, in questi momenti. Mi sembra di
essere sempre pronta a giudicare tutto e tutti, di ritenere di essere
la migliore... Dopotutto, potevo dire a Thomas le stesse cose in un
altro modo, no?” si sfogò Beth
“Elisabeth...
tu... tu sei la persona più insicura e con meno autostima che
conosca. Perchè ti devi sentire in colpa anche quando hai
ragione? Non nego che talvolta, bè, si forse si può
dire spesso, ti comporti un po' da maestrina, però... ecco,
insomma,- Dan imbarazzato, prese a tormentarsi i capelli- di solito
hai sempre ragione tu.”
“Ma...
Insomma, chi sono io per essere sempre quella che sputa sentenze, che
dice che cosa è giusto e che cosa sbagliato? A volte ti
rimprovero per l'arroganza, ma io ne ho altrettanta.”
“Non
sei arrogante, Beth! Hai semplicemente più cervello di noi
quattro messi insieme!” esclamò Dan, che quella
discussione aveva colto sì di sorpresa ma non impreparato.
“Ma
con Thomas ho sbagliato!” strillò Beth, facendo sì
che i pochi studenti rimasti in Sala Grande si girassero.
“E
allora? Sei umana, per Merlino! E anche lui ha sbagliato con Anne! E'
sempre così lapidario, così schietto. Sarebbe capace di
uccidere, con le parole. E tu, se proprio vuoi la mia opinione, non
hai sbagliato!” proseguì Dan.
Beth
sbuffò e prese a singhiozzare.
Dan
detestava quelle situazioni: era convinto di non essere bravo, a
consolare le persone.
In
quel momento, l'unica cosa che avrebbe voluto fare e che, forse
avrebbe potuto confortarla, era stringerla forte, però si
trattenne.
Ormai
non avevano più tredici anni: qualsiasi gesto avrebbe potuto
essere equivocato.
Quindi
la prese per mano e si alzò.
“Vieni,
Elisabeth. Alzati.”
“Perchè?”
“Dobbiamo
fare una cosa.”
Dan
rispose allo sguardo interrogativo che gli fu lanciato da due occhi
arrossati.
“Un
giro. Stasera Hogwarts la vediamo dall'alto.” le sorrise,
malandrino, facendosi seguire senza esitazione.
In
un'aula inutilizzata poco lontano dalla Sala Grande si trovavano Anne
e Lucas.
Anne
si era sfogata, aveva urlato, aveva pianto e Lucas l'aveva ascoltata,
in silenzio.
Non
si potevano interrompere le sue invettive. Solitamente, iniziava
prendendosela col mondo e poi terminava elencando i suoi innumerevoli
difetti.
“Il
punto è che io sono stanca di sentirmi dire che non sono
capace! Che ho sempre la testa tra le nuvole, che non riesco ad
essere concentrata! Non ce l'ho con Thomas... Ha ragione, io con le
Rune non vado per niente d'accordo... E' l'insieme di cose! La gente
crede che sia strana perchè inciampo o mi faccio sempre del
male ad Erbologia con quelle stupide piante. Credono tutti che io sia
quella che è sempre di buon umore, che non può avere un
crollo... quella a cui puoi dire tutto, perchè tanto, se ne
frega delle critiche. Ma io non sono così, Lucas. Io non sono
così.”
Lucas
le si avvicinò e le mise le mani sulle spalle:
“Lo
so Anne, lo so. So che non sei sempre forte come appari e nessuno ti
chiede di esserlo. Nessuno pretende da te che tu sia
indistruttibile.”
“Lucas...
perchè dicono tutti che sono strana? Perchè appena si
avvicina qualcuno che non conosco, inizio a parlare e questo scappa?
Cosa faccio alla gente?”
“Anne,
tu vai bene così come sei.”
“A
chi vado bene? A chi? Litigo sempre con me stessa, dico sempre le
cose sbagliate al momento sbagliato...”
“A
me vai bene così!” urlò Lucas, sovrastando la
voce dell'amica.
“Ma...”
“A
me vai benissimo così. Mi piace vederti cadere, mi piace
vederti tagliare con le cesoie ad Erbologia, mi piace quando racconti
ad estranei aneddoti della tua vita che potremmo capire solo solo
noi, mi piace quando mi racconti delle tue traduzioni sbagliate e mi
piace quando rimescoli il mio calderone per far uscire qualcosa di
quanto meno decente.”
“Ma
tu sei tu, Lucas... è ovvio che io ti vada bene così.
E' che mi sento inadatta...”
“E
allora il fatto che io sia io, significa che non valgo niente? Sei la
mia migliore amica, Anne. Non ti cambierei per nulla al mondo.”
Anne
si appoggiò alla sua spalla, lui abbracciò stretto e le
accarezzò i capelli, incastrando le dita nei suoi riccioli.
“Lucas,
mi prometti una cosa?”gli sussurrò nell'orecchio.
“Quello
che vuoi.”
“Promettimi
che non te ne andrai, che ci sarai sempre.”
“Sarò
sempre qui per te. Sempre Anne, ricordatelo.”
Thomas,
seduto su una delle poltrone della Sala Comune di Serpeverde, tentava
inutilmente di concentrarsi su un libro.
La
sua mente, però, continuava ad essere fissa su quanto era
successo in Sala Grande.
Cosa
aveva detto? Sapeva che Anne stava passando un brutto periodo, una
delle sue periodiche fasi depressive, e l'aveva colpita.
In
che cosa era così diverso dalla tradizione che aleggiava sulla
Casa di Serpeverde?
Mai,
come in quel momento Thomas desiderò poter tornare indietro di
cinque anni e chiedere al Cappello Parlante di mandarlo a Grifondoro,
con Lucas.
Del
resto, gli era stato chiesto dove voleva andare e la sua risposta era
stata:
“Un
posto in cui io possa far valere le mie capacità, in cui possa
apprendere e capire cosa voglio fare .”
Aveva
anteposto l'ambizione personale all'amicizia.
Se
ne era reso conto quando il Cappello aveva strillato la sua
decisione:
“Serpeverde!”
ed
aveva incontrato gli occhi di Lucas. C'era delusione in quegli occhi
castani. Lucas era sicuro che sarebbe stato a Grifondoro, dove già
era stato suo padre, e gli pareva ovvio che anche il suo nuovo amico
l'avrebbe accompagnato in quell'avventura.
Ad
undici anni il mondo, per Lucas, e, se Thomas ci pensava non era
cambiato, sotto certi aspetti, aveva due colori: il bianco e il nero.
Lucas non aveva sfumature di grigio. O la si pensava come lui oppure
si era contro di lui.
L'amicizia
nata sul treno era proseguita: Thomas l'aveva deciso immediatamente
che quel ragazzino dispettoso e logorroico sarebbe stato il suo
migliore amico e non sarebbe stato l'essere in Case diverse, a
separarli.
Poi
era arrivata Beth e con lei Anne. Con Beth era stata amicizia fin
dal primo giorno, li accumunava l'amore per i libri e un certo senso
del dovere. Tra loro i silenzi erano sempre stati più
importanti di tante parole.
E
con Beth era arrivato Dan, un uragano di idee.
Non
ci era voluto molto perchè lui, Lucas e Dan si giurassero
amicizia eterna.
Era
un'amicizia che rasentava il cameratismo e lui era la mente razionale
del gruppo. Spesso gli dicevano che era fin troppo calcolatore e lui,
scherzando, rispondeva “Sono un Serpeverde, dopotutto!”
Quanti
piani, la sua mente raffinata, aveva impedito che venissero scoperti?
Quante
volte, con la sua carica di Prefetto li aveva coperti?
Ma,
ora, Thomas, si chiedeva anche quante volte li avesse feriti. Non era
mai stato un ragazzo loquace, sempre di poche parole. Il suo problema
era che quello che diceva risultava fin troppo mirato.
Doveva
imparare a controllarsi.
YORKSHIRE,
CASA LUPIN
“Ancora
non ci credo! Hai fatto progressi, Ninphy cara! E' già la
seconda volta che ceniamo a casa vostra, mangiando cose cucinate da
te che non sono bruciate, avvelenate, dure come mattoni o soggette a
probabili esplosioni!” esclamò Sirius, gustandosi il
budino al cioccolato e menta che sua cugina aveva appena messo in
tavola.
“Ah
ah ah! Sempre molto divertente, Sirius!” replicò la
signora Lupin che, grazie ai mille suggerimenti di suo marito, il
quale tra le sue innumerevoli capacità vantava anche quella di
essere un ottimo cuoco, era riuscita ad imbastire una cena niente
male per gli amici.
“Remus,
direi che hai vinto la scommessa! Eccoti i dieci galeoni che ti
avevo promesso! Avanti, Sirius, non fare il taccagno. Tira fuori i
soldi!” disse James, prendendo dalla tasca un sacchettino di
pelle e porgendolo a Remus, seduto di fronte a lui.
Il
ghigno soddisfatto sul volto di Remus scomparve non appena Hellen
iniziò a strillare:
“Ma
voi tre non siete normali! E poi mi stupisco di come cresce Dan! Con
gli esempi che si ritrova!”
Lily,
troppo impegnata a ridere, non disse nulla. Era al corrente della
scommessa tra James e Sirius ai danni di Remus. Non aveva osato
distogliere il marito da quel piccolo divertimento, che, nonostante
gli anni, continuava a concedersi. Senza contare che Lily era certa
del fatto che Remus, per accettare una scommessa del genere, doveva
essere ben sicuro di vincere e non poteva fare a meno di tifare per
lui.
I
due Malandrini avevano scommesso con Remus che non sarebbe riuscito
ad insegnare a Tonks a cucinare.
Ovviamente
avevano perso: il signor Remus Lupin riesce a fare tutto quello che
si mette in testa.
“Avanti
Sirius, su, coraggio. Non è difficile, devi solo tirare fuori
i galeoni dalla tua tasca. Dai, se vuoi ti aiuto io.” incalzò
il maligno Remus con un sorriso soddisfatto.
“Sirius,
muoviti. Dai, concludi questa immensa pagliacciata, ora che l'hai
iniziata. Dai a Remus questi maledetti galeoni e finiamola qui.”
disse, scocciata e seccata Hellen, che, in quanto a spirito sportivo,
ne possedeva tanto quanto Sirius, ovvero non ne aveva affatto.
Sirius,
incapace di accettare la sconfitta, ingollò il rospo e porse
il denaro all'amico, che, sempre più
appagato,
gli rivolse un sorrisetto sardonico.
James
si era accorto del comportamento strano di Tonks che, anziché
mettersi a sbraitare contro suo cugino o contro suo marito, aleggiava
per la stanza con un inquietante sorriso stampato in volto.
Il
fatto che fosse la medesima espressione che sfoderava Remus quando
era certo di avere in pugno la vittoria, convinto di aver colto quel
particolare che a tutti sfuggiva, faceva sì che James pensasse
che per il perfetto Remus Lupin, non tutto sarebbe andato per il
meglio.
“Bene!-
disse Dora, cogliendo Remus di spalle- Visto che tu te ne vai in giro
a fare scommesse su di me, direi che questi galeoni possono diventare
miei!”
Così
dicendo, la donna, si impossessò del denaro prima ancora che
Remus potesse aprir bocca.
“Ma,
tesoro...”
“Se
non mi sbaglio è grazie a me che hai vinto, no? Quindi mi
spettano, eccome se mi spettano! Se proprio ci tieni, la prossima
volta assicurati che i tuoi amici estinguano i loro debiti lontano da
me. Ricorda la legge insita nel matrimonio, Remus: ciò che è
mio, è mio. Ciò che è tuo, è mio.”
ghignò, soddisfatta, Tonks.
Siccome
in tutta quella baraonda e in mezzo a tutte quelle battute, nessuno
faceva caso a lui, il piccolo Ted ne approfittò per mangiare
quanto più budino poteva.
Anzi,
avrebbe potuto fare di meglio! Ne avrebbe dato anche a Pollux!
La
mamma non gli permetteva mai di dividere i suoi pasti con il suo
peloso amico, eppure Ted era certo che anche a lui piacesse il budino
al cioccolato.
Del
resto, a chi non piace il budino al cioccolato?
Nessuno
avrebbe potuto sospettare che la gran quantità di dolce
scomparsa fosse dovuta a lui, erano tutti troppo occupati a ridere
per un motivo che Ted non riusciva proprio ad afferrare.
Aveva
intuito che c'entrassero gli zii, però, nessuno si era sentito
in dovere di spiegargli la faccenda, pertanto Teddy era giunto alla
conclusione che non fosse una questione che valeva la pena di
approfondire.
Così,
prese dal suo piattino il cucchiaino e iniziò a spostare il
budino.
Zia
Lily sembrò essersi accorta di quello che stava facendo, ma,
se anche così fosse stato, non gli aveva detto niente, quindi
Teddy proseguì indisturbato.
Quando
il piattino fu sufficientemente pieno e gran parte del budino rimasto
fu finito nel suo stomaco ( un cucchiaino nel piatto ed uno in bocca
era stata la filosofia che l'aveva guidato in quella difficile
operazione), Teddy si alzò e, avendo cura di non inciampare e
di non rovesciare il budino, si diresse verso le scale, certo di
trovare Pollux accucciato sotto al tavolino del corridoio del piano
di sopra.
Remus
si alzò e prese a sparacchiare, agitando per aria la bacchetta
e facendo levitare i piatti direttamente nel lavello.
Proprio
in quel momento, si accorsero che, insieme a Ted era sparito anche il
budino.
“Ah
Remus, certo che tuo figlio ti somiglia proprio! Accidenti, è
riuscito a rubare tutto il budino senza che nessuno se ne
accorgesse!” esclamò Lily, ridendo.
“Che
ci volete fare, ha ereditato tutta la mia astuzia!” rispose
Remus
“Sempre
modesto, eh?”
“Io
vado a vedere dov'è... Sarà anche ora che vada a
dormire.” disse Tonks.
La
donna raggiunse il primo piano e trovò il figlio che,
perfettamente sveglio, stava facendo la lotta con il suo inseparabile
Pollux.
Tonks
sorrise dolcemente e poi posò gli occhi sul piattino
abbandonato sul pavimento e sugli angoli della bocca di Teddy,
completamente ricoperti di cioccolato.
“Ted!”
lo chiamò
“Sì
mamma?” rispose lui, immediatamente, alzandosi da terra e
raggiungendola.
“Non
è ora di andare a dormire?” chiese lei, accarezzandogli
i capelli blu e pulendogli la bocca con un tocco di bacchetta.
Teddy
parve pensarci un attimo e poi si ricordò immediatamente di
una cosa che doveva fare. Agitò la mano per aria e po disse:
“No.
Prima devo chiedere una cosa allo zio James.”
Così
dicendo, lasciando sua madre stupita in piedi in mezzo al corridoio,
Ted corse nella sua stanza e frugò nel cassetto del comodino
fino a trovare quello che cercava.
Soddisfatto,
prese la fotografia e precedette sua madre sulle scale.
Corse
giù e poi si fiondò da James, che era ancora seduto.
Si
arrampicò su di lui, che lo lasciò fare, abituato
com'era a vedersi bambini che si aggrappavano ai bottoni della sua
camicia.
“Allora,
Ted, cosa ti porta qui?” chiese, affabile.
“Ho
una cosa da chiederti, zio. Però non deve sentire nessuno.”
incominciò, solennemente Teddy.
“Bene,
allora dimmi tu dove dobbiamo andare.” rispose James.
Ted
scese dalla sua pancia e attese che lui si alzasse, prima di guidarlo
verso lo sgabuzzino, stando ben attento che nessuno li seguisse.
Si fermò di
fronte alla porta ed aspetto che James la aprisse: lui non ci
arrivava.
I
due entrarono e James fece luce con la bacchetta. Si sedettero sul
pavimento, uno di fronte all'altro.
“
Cosa c'era di così
urgente da dirmi?”
“Mi
sono già successe due cose strane, zio. Sei il primo a cui lo
dico e non le devi dire a nessuno. Chiaro?” disse Ted,
ricordando Remus in un modo così palese che James non potè
fare a meno di sorridere.
“Va
bene. Hai la mia parola di Malandrino.” rispose, convinto che
Ted volesse parlargli delle sue prime magie.
Ted
mostrò a James la fotografia.
“Perchè
mi ha portato la foto delle Holyhead Arpies che ti ha regalato
Ginny?” chiese James, senza capire.
“Allora,
l'altro giorno ero dalla nonna e mi ha portato al parco dove ho
incontrato altri bambini. Stavamo facendo un gioco con una palla che
sembrava una pluffa, solo che era tutta tonda e io ho detto ad un
bambino che aveva tirato bene come Ginny Weasley. Lui mi chiesto chi
era e allora io gli ho detto che era la Cacciatrice delle Holyhead
Arpies e loro mi hanno chiesto chi sono e io gliel'ho detto, però
loro hanno detto che non esistono e che non è possibile che io
conosca Ginny.”
Sul
volto di James comparve una strana espressione: si trattava senza
dubbio di bambini Babbani.
“Hanno
detto che ero bugiardo e così oggi pomeriggio gli ho portato
questa e loro si sono spaventati ed hanno detto che sono matto e che
le Holyhead Arpies non esistono. Non l'ho detto alla nonna perchè
lei non capiva... zio, mi dici che è successo? Perchè
non conoscevano le Arpies?” domandò Ted, più
interessato a quello che al fatto di essere stato definito matto.
“Ti
hanno fatto qualcosa quei bambini, Ted? Ti hanno picchiato o detto
cose brutte?” chiese immediatamente James, preoccupato.
“No,
no. Solo poi se ne sono andati via dicendo che le mamme li
chiamavano, ma io non le ho sentite. Magari ci vediamo domani.”
rispose innocentemente Ted.
James
sospirò. Non aveva il coraggio di dire a Ted che,
probabilmente, quei bambini non sarebbero tornati. Decise che avrebbe
risposto come poteva alla domanda sulle Holyhead Arpies e poi avrebbe
raccontato l'accaduto a Remus. Non poteva fare finta di niente.
“Allora,
Teddy, è probabile che quei bambini non fossero come noi. Quei
bambini non hanno poteri magici, sono Babbani. Ti hanno detto chi
sono i Babbani, Ted?”
Il
bambino annuì e James riprese.
“Bene.
Loro non conoscono il Quidditch, non sanno che cos'è e quindi
non conoscono Ginny. Hai capito? E' per questo che ti hanno detto
quelle cose. Se ti dovessero dire delle cose brutte, mi prometti che
lo dirai subito ai nonni o alla mamma e al papà?”
“Sì.”
“Bravo,
Ted. Ora torniamo di là?”
“Aspetta...
zio, ma quindi loro non sono come noi...”
James
parve pensarci un attimo, per trovare le parole giuste.
“Sì...
e no. Sono come noi, solo che non hanno la magia, per il resto sono
esattamente come noi.”
“Quindi
posso giocare ancora con loro?”
“Sì,
puoi giocare ancora con loro, Ted. Solo... evita di cambiare colore
di capelli. Potrebbero spaventarsi, e tu non vuoi che i tuoi amici si
spaventino, vero?”
Ted
scosse la testa e poi sorrise: aveva fatto bene a chiedere allo zio
James.
Lui
sapeva tutto sul Quidditch.
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Capitolo 4 *** Professione zio ***
Spero
che questo capitolo vi piaccia, non sono molto brava a scrivere di
Harry e Ginny e di Ron ed Hermione, pertanto non so se sono
credibili. Fatemelo sapere, mi raccomando!
IMPORTANTE!
HO TROVATO IL MODO DI INSERIRE LE FOTO DEI PERSONAGGI! IN FONDO AL
CAPITOLO TROVATE I LINK DI DEVIANTART! GUARADTELI!
Professione
zio
HOGWARTS
I
sabati sera ad Hogwarts trascorrevano come tutte le altre serate:
qualche chiacchiera in Sala Comune, qualche partita a Scacchi o
Gobbiglie, un giro nel parco, soprattutto ora che era maggio.
Insomma,
niente di terribilmente vivace teneva occupati i normali studenti.
Siccome però Daniel Black, Lucas Franchester e Thomas McNarrow
non erano normali studenti, li si poteva spesso e volentieri trovare
impegnati in qualche losca e pericolosa attività.
Questo
era il parere del custode, Mastro Gazza, che aveva fatto della
cattura di quei tre furfanti lo scopo della sua vita. Di diverso
parere erano gli amici del trio che qualificavano le loro attività
con il semplice aggettivo “ demenziale.”
Pertanto,
quando Elisabeth, Anne, Edward e Mark li videro scendere le scale
armati di bastoni per le scope ( a cui avevano accuratamente tolto la
spazzola), dI bottiglie di Burrobirra vuote e di palline Babbane che
avevano recuperato non si sa bene dove, non poterono fare altro che
fare finta di niente, sperando che, come sempre, le bugie fantasiose
di Thomas li salvassero dall'espulsione anche quella volta.
I
tre si erano diretti verso la Torre di Astronomia, stando attenti che
nessuno li seguisse e che né Gazza né quel suo
fastidioso gatto fossero nei paraggi.
Dan
e Lucas erano certi che quella trovata sarebbe servita per migliorare
l'umore di Thomas, piuttosto abbattuto per quanto era successo con
Anne tre giorni prima. Quando l'amico aveva raccontato loro del golf,
subito si erano immaginati a giocarci sulle torri del castello.
“Avanti,
muovetevi! Fate presto, i Caposcuola stanno pattugliando questo
corridoio.” disse Thomas, che si era studiato il percorso più
lungo e meno pericoloso per arrivare alla torre.
“Mica
è semplice fare presto! Noi reggiamo dei bastoni! Tu una
mappa!” esclamò Lucas
“Non
urlare o ci sentiranno!” lo ammonì.
Dopo
aver camminato per una serie infinita di corridoi, col sospetto che
li avesse costruiti lo stesso Thomas per allungare il tragitto, i tre
raggiunsero la torre di Astronomia.
“Bene!
E adesso al lavoro, uomini!” esordì Dan, iniziando a
porre su una bottiglia vuota la pallina da tennis che aveva in tasca.
Prese
dalle mani di Lucas il bastone e colpì la pallina, spedendola
sul prato.
“Non
male! Ora tira tu, Thomas! Poi Lucas e dopo confrontiamo le distanze
con un Incanto Lungoelargo e vediamo chi vince.”
Thomas
si avvicinò e prese la mira, muovendo il bastone con eleganza:
aveva già provato a giocare a golf, anche se usare un bastone
lo faceva sentire stupido.
“Wow!
Mi sa che ti ho battuto, Dan!”
“Prego
gente! Ora però tocca a me! Largo, largo!”
“Lucas,
attento con quel bastone! Per poco non ci tagliavi le costole!”
“Dettagli,
dettagli! Ora vedrete di cosa sono capace!”
Nulla
andò come previsto perchè, Lucas colpì sì
la pallina, però, anziché spedirla sull'erba, centrò
quello che sembrava proprio essere l'ufficio della McGranitt.
“Oh
Oh”
“E
adesso?”
“E
adesso corriamo, idioti!” urlò Thomas, fiondandosi giù
per le scale a rotta di collo, seguito dagli altri due.
Corsero
per diversi piani e, convinti di averla scampata, avevano iniziato ad
alzare la voce, ridendo della loro avventura.
“E'
stato stupendo! Dovremmo rifarlo!” rideva Daniel
“Potevo
evitare di studiarmi la strada, se sapevo che in giro non c'era
nessuno!”
“Sempre
il solito perfetto, eh, Thom?”
“
Certo che è
proprio sfiga! Con tutte le stanze l'ufficio della Minerva!”
“Ha
proprio ragione, signor Franchester!”
La
professoressa McGranitt era comparsa dietro di loro abbigliata nella
sua abituale vestaglia scozzese con i capelli raccolti in una
crocchia ancora più stretta del solito.
“Ehm...
Buonasera professoressa. Anche lei non riesce a dormire?” fece
Dan
“Sì,
ottima serata per una passeggiata notturna, vero?” rincarò
Lucas
“Nel
mio ufficio, immediatamente.”
La
seguirono senza fiatare, non perchè spaventati dalla minaccia
a cui li avrebbe sottoposti, semplicemente si stavano sforzando di
non ridere.
Thomas
stava pensando ad una storia abbastanza plausibile da inventare e,
quando gli parve di averla trovata, sul suo volto comparve l'ombra di
un sorriso.
“Allora,
mi spiegate cosa ci facevate sulla torre di Astronomia questa sera?”
“Oh,
ma noi non eravamo sulla torre di Astronomia.” disse Thomas
“Ah
no? E allora dove?”
“Bè,
ecco....noi eravamo in Biblioteca.”
“A
quest'ora, signor McNarrow?”
“Sì,
perchè Lucas aveva dimenticato un libro e allora siamo scesi a
prenderlo.”
“La
Biblioteca è al primo piano e qui siamo a quinto.”
Thomas
fece cenno agli altri due di farlo parlare.
“Sì,
è vero, però lasci che le spieghi: in pratica Lucas
aveva dimenticato questo libro e noi speravamo che l'avesse
dimenticato fuori in corridoio, solo che non c'era. Allora abbiamo
pensato: perchè non prenderlo con un incantesimo di Appello?
Solo che le nostre bacchette erano tutte nei dormitori e quindi
stavamo risalendo a prenderle.”
“Il
suo dormitorio è nei sotterranei, signor McNarrow. Comunque è
stata una storia molto interessante, peccato che non spieghi come mai
avete programmato una gita sulla torre di Astronomia e come mai ci
siano due palline nel parco ed una nel mio studio. Prego, portate
questo dal signor Gazza, domattina. Contiene le istruzioni per la
vostra punizione.”
Sventolando
un foglietto di pergamena li congedò, non senza un
avvertimento.
“Le
conviene consegnarlo quel foglio, signor Black o il suo bel visino
temo che ne uscirà deturpato. Pertanto, qualsiasi cosa stia
pensando di fare, non la faccia. Ed ora, buonanotte.”
“Come
faceva a sapere che pensavo di stracciarlo?” sussurrò
Dan, quando furono usciti.
“Sei
così prevedibile, Dan....” gli disse Thomas
“Davvero?”
“Sì.”
“Anzichè
discutere di questo, io mi chiedo: come è possibile che riesca
sempre a sapere dove siamo e cosa facciamo!” disse Lucas, così
forte da far svegliare gli abitanti dei ritratti.
S.
KATHERINE'S DOCKS, LONDRA. APPARTAMENTO DI HARRY E RON.
“'
Giorno” salutò Ron con uno sbadiglio entrando in
cucina.
Harry
si era svegliato da circa mezz'ora ed era intento a gustarsi la sua
colazione con un' enorme fetta di torta alla melassa che gli aveva
portato sua madre un paio di giorni prima.
“
Ben svegliato!”
“Harry,
mi spieghi come porco Bolide fai ad essere così allegro già
di prima mattina? A volte mi spaventi! Sembri Hermione!”
“Bè,
- iniziò Harry guardando l'orologio- non è che sia poi
così presto... sono le undici passate e io devo essere da Ted
tra meno di un'ora... e Ginny sarà qui a momenti. Sai che
detesta aspettare...”
detto
questo, Harry si alzò, puntò la bacchetta contro la
tazza e il piatto e li fece finire nel lavello, dove giacevano
abbandonati anche i piatti della sera prima.
Ron,
con sguardo assonnato, si trascinò stancamente sulla sedia
della cucina e, tra uno sbadiglio e l'altro, tagliò anche per
sé una grossa fetta di torta.
“Troppo
stanco per fare colazione non sei mai però, eh?” lo
prese in giro Harry
“Tu
non sai che giornata mi aspetta oggi! Tutta colpa di Hermione e di
Bill! Ah, Harry, passi dai tuoi oggi, per caso? Potresti dire a tua
madre se ci fa ancora la torta?”
“Sono
andato ieri a pranzo da loro, te l'ho detto! Oggi starò via
tutto il giorno, magari dopo che ho riportato a casa Ted faccio un
salto da loro... e comunque, scusa, ma non puoi chiederlo tu a mia
madre domani mattina al Ministero?”
“Ma
se lo chiedi tu fa tutto un altro effetto. Se lo faccio io sembra che
stia a scroccare cibo...” osservò Ron.
Harry
scosse la testa e puntando la bacchetta contro il lavello e alle sue
spalle piatti, bicchieri, posate, tazze e cucchiaini incominciarono a
sciacquarsi.
“Dovremmo
dire a Seamus che non è invitato qui per finire le nostre
scorte di Wisky Incendiario... Potrebbe portarsi il suo, se proprio
ci tiene...” constatò Ron che, alzandosi, inciampò
in una bottiglia di Odgen abbandonata sul pavimento dalla sera
precedente.
“Ehi,
Harry! Mi senti?” chiamò, senza ricevere risposta, dal
momento che l'amico si era volatilizzato.
Ron
imprecò e raccolse la bottiglia, sbattendo tutto quanto nel
lavandino, incurante del fatto che Harry aveva appena finito di
pulire tutto.
Mentre
Ron era completamente preso dalla ricerca di un incantesimo domestico
che gli permettesse di rassettare la cucina nel più breve
tempo possibile, un gufo picchiettò sul vetro.
“E
chi Merlino è stavolta!” esclamò, correndo ad
aprire la finestra e afferrando il gufo alla bell'e meglio.
“Ron,
tratta bene il gufo di mia sorella!” gracchiò Harry,
sopraggiunto in cucina.
Harry
slacciò la pergamena dalla zampa dell'animale e lo rispedì
ad Hogwarts avvisandolo che non doveva preoccuparsi per la risposta,
perchè sarebbe arrivata con Edvige.
“Che
ti scrive Beth?”
“Solite
cose... tensioni per il Quiddich, aneddoti, Dan in punizione con
Lucas e Thomas per un mese per aver giocato a golf, che credo sia uno
sport Babbano, da quanto dice qui... sai quello con mazze e
palline... Comunque hanno giocato a golf sulla torre di Astronomia.
Ah, sì,... poi c'è il delirante e confuso poscritto di
Dan...”
“E
le scuse di Thomas non sono state sufficienti, questa volta?”
“A
quanto pare non è riuscito ad inventare nulla di così
convincente per Gazza... Piuttosto, cos'è che devi fare
oggi?”chiese Harry, allacciandosi gli ultimi bottoni della
camicia.
“E'
una lunga storia...” sospirò Ron, accasciandosi.
“Muoviti
però che ho da fare. Ho già detto a tua sorella che
sono in ritardo, quindi non posso aspettare.”
“Allora...
ti ricordi che Fleur aveva insistito per portare Bill a quella mostra
di quadri...”
“Sì...”
annuì Harry
“Ecco,
hanno deciso di andarci questa domenica.”
“E
ti hanno sbolognato Victoire?”
“No!
Peggio! Io ho deciso di fare da baby- sitter a Victoire! Avevo anche
programmato tutto! Sai quanto mi piaccia stare con lei... non credevo
che fare lo zio fosse così divertente... Ad ogni modo, avevo
organizzato una giornata stupenda! Sapevo che tu e Ginny avreste
portato Ted a vedere i Cannoni di Chudley e allora mi sono detto: è
un po' che non vado allo stadio. Possiamo andarci insieme così
Victoire sta con Teddy e si diverte senz' altro di più...”
“Ma
è intervenuta Hermione, giusto?” lo interruppe Harry
“Come
fai a saperlo? Siamo così prevedibili? Comunque, secondo
Hermione non va bene portare una bambina così piccola allo
stadio. Potrebbe farsi male e imparare brutte abitudini...”
“Ma
noi abbiamo portato Teddy che aveva un anno! E mio padre mi ci
portava che avevo solo qualche mese...” disse Harry
“E'
quello che le ho detto anch'io. Solo che lei sostiene che per i
maschi sia diverso. Al che ha proposto un'attività ricreativa
sostitutiva...”
“Ovvero?”
fece Harry scettico, conscio di cosa potesse essere considerato
ricreativo da Hermione.
“Abbiamo
democraticamente deciso, cioè, Hermione l'ha proposto ed io ho
detto di sì, che il miglior modo per divertire Victoire per un
pomeriggio è uno di quei cinecosi Babbani.” proclamò
Ron, che, nonostante le rassicurazioni di Hermione, non aveva ancora
capito come potesse considerarsi divertente un pomeriggio passato di
fronte ad uno schermo.
“La
portate al cinema?” domandò Harry
“A
quanto pare... Ma... com'è questo cinema? Immagino che tu ci
sia già stato...” disse Ron
“Bè,
sono diversi anni che non ci vado, almeno una decina... Non è
male. Sei lì seduto, guardi un film, mangi...”
“I
film sono quelle immagini che parlano vero?”
“Sì,
Ron.” annuì Harry
“Ma
non è che Vic si spaventa? Non ha mai visto niente di
simile...” osservò Ron, preoccupato sia per la nipote ma
anche per sé.
“Bè,
la mia esperienza è limitata... ma non credo. Certo, dipende
da quello che la portate a vedere. Io per esempio la prima volta che
ci sono andato avevo due anni ed ero con mio padre e Sirius. Doveva
venire anche Remus, solo che aveva la febbre...”
“Sei
andato al cinema con tuo padre e Sirius? Da soli? Ma è come se
Victoire andasse solo con me!” esclamò Ron
“Infatti...
Ti lascio immaginare... non stavano zitti un momento e tutti li
insultavano, ci siamo persi per la sala, io piangevo, Sirius ha
rovesciato i pop- corn e mio padre insisteva nel dire che E.T. Era
troppo pericoloso per un bambino. In effetti quel mostro non è
che avesse una faccia rassicurante. C'era questo alieno che
incontrava i bambini... lo sai che i Babbani sono fissati con 'ste
cose.” raccontò Harry.
“E
secondo Hermione una cosa del genere potrebbe piacere a Victoire? La
mia bimba si spaventerà a morte!”esclamò Ron
“O
si spaventerà il suo coraggioso zio?” fece Ginny, appena
Materializzatasi, cogliendoli di sorpresa.
Harry
trattenne a stento un sorriso.
“Ah
ah ah. Molto divertente! Mi stavo solo preoccupando per Victoire ,
io!” disse Ron, paonazzo.
“Va
bene, va bene! Ti credo! Ora andiamo, Harry? Teddy starà
fremendo!”
Harry
e Ginny salutarono Ron, abbandonandolo alla sua giornata, e si
smaterializzarono dai Lupin.
Teddy
corse loro incontro, completamente bardato di arancione da capo a
piedi.
Come
tutti in famiglia anche lui era stato educato nella fede per i
Cannoni di Chudley che, sebbene non fossero più la forte
squadra di qualche anno prima, quando James e Sirius la allenavano,
come diceva Ron spesso, rappresentavano comunque un buon motivo per
vivere. Purtroppo o per fortuna, a seconda dei punti di vista, la
fede per una squadra di Quidditch non poteva essere messa in
discussione dai risultati, per quanto scadenti. Si era tifosi nella
buona e nella cattiva sorte, quindi, gli insuccessi della squadra, da
parte dei tifosi dei Cannoni di Chudley venivano commentati come “
incresciosi e sfortunati episodi.”. I più ottimisti
erano soliti dire:” l'anno prossimo andrà meglio.”
“Allora,
sei pronto?” chiese Harry
“E'
prontissimo! Siamo svegli dalle sei!” disse Tonks, impegnata
nel vano tentativo di tenere Teddy fermo per allacciargli la giacca.
“Ciao,
Remus- salutò Ginny-. Anche tu sveglio dall'alba?”
“Oh
sì... fortuna che mi è venuto in mente che la passione
del momento sono i dinosauri! Almeno siamo riusciti a far passare
qualche ora!” spiegò Remus, chinandosi per accarezzare
la testa del figlio a mo' di saluto.
“Lo
sapete che i dinosauri che volano si chiamano pteròdattili?”
domandò un eccitato Ted, che quel giorno sfoggiava una
capigliatura giallo limone.
“Pterotattìli,
Ted. L'accento è sulla “i”!” lo corresse
affettuosamente suo padre.
“Smettila
di fare il professore, Remus! E tu, Teddy, comportati bene oggi, mi
raccomando, altrimenti Harry e Ginny non ti portano più la
prossima volta.” disse Tonks, baciando il figlio.
“Va
bene mamma. Ora andiamo?” chiese speranzoso
“Sì.
Possiamo prendere la Metropolvere da qui, vero?”
“Sì,
Harry, certo. Ecco, tieni.” disse Tonks porgendogli una
scatoletta di terracotta.
“Dai
la mano a Ginny, Teddy. Non lasciarla per nessun motivo, intesi?”
si raccomandò Remus.
“Sì
papà. Non è la prima volta che prendo la Polvere
Volante.” rispose
Harry
afferrò una manciata di Polvere Volante e la gettò nel
camino, che immediatamente si riempì di fiamme verdi.
“Bosco
di Thorn! “ gridò Harry, prima di sparire in una
miriade di fiamme verdi.
Ginny
fece lo stesso con Ted e i tre si ritrovarono in una radura boscosa,
circondati da migliaia di altri maghi e streghe venuti per assistere
alla partita tra Cannoni di Chudley e Portree Pride.
Ted
si guardava attorno meravigliato: era già stato qualche volta
in uno stadio, ma era sempre una grandissima emozione. C'era gente
ovunque, alcuni vestiti da maghi, altri da Babbani, qualcuno era
abbigliato con i colori della sua squadra del cuore, tutti portavano
almeno una sciarpa o una coccorda che indicasse chi sostenevano.
Seguì
Harry, tenendo sempre Ginny per mano, che li condusse ad una
cancellata. Attesero il loro turno, attorniati da venditori ambulanti
di gadgets e dolciumi.
Ted
si fece compare un cappellino dei Cannoni di Chudley che cantava
l'inno della squadra e un sacchetto di Api Frizzole e Zuccotti di
Zucca, promettendo però di tenerli per dopo.
Avrebbe
potuto mangiare le sue caramelle solo dopo aver finito il suo
hot-dog.
Harry
mostrò i biglietti ad un mago alto ed allampanato che fece
loro segno di seguire le frecce per il settore cinque, fila F.
Prima
dell'inizio della partita, Ted si guardava attorno estasiato: adorava
l'atmosfera che si respirava allo stadio. Sentiva un fremito dentro,
quando nomi dei giocatori in campo venivano annunciati
dall'altoparlante e poi festeggiati con entusiasmo dalle grida dei
tifosi.
“Guarda
Ted! Guarda di là! Flinthook ha preso la pluffa!” gridò
Harry, mentre il giocatore volava sotto la curva per festeggiare.
“Ottimo!
Così la distanza si accorcia!Forse c'è ancora speranza
che i Cannoni vincano la partita. Speriamo, così i Potree
restano ben dietro di noi!” commentò Ginny, afferrando
Ted per un braccio, dal momento che si era sporto troppo.
“Ginny,
tieni la tua squadra fuori di qui! I Cannoni non devono vincere per
fare un favore alle Arpies!” rispose Harry.
“Guardate
di là! Là” balzò in piedi Teddy, prendendo
la mano di Harry ed indicandogli un punto in cui uno spruzzo dorato
era appena visibile.
“Avanti!
Avanti! Muovi quella scopa! Prendi questo Boccino, per una volta!”
si agitava Harry, seguito dal suo figlioccio che ne imitava i gesti,
le movenze e le parole.
Attorno
a loro tutti erano in piedi: un enorme massa arancione seguiva
l'azione, nella speranza che, per una volta, il Cercatore dei Cannoni
di Chudley fosse degno del suo posto.
Sugli
spalti si tratteneva il fiato. Avrebbe potuto prenderlo, se si fosse
sporto un po'...
“No!
No!No!” esclamarono tutti.
Sarah
Miller, Cercatrice del Portree Pride, era riuscita a strappare il
Boccino dalle mani di Stuart Foster.
L'arbitro
fischiò: la partita era finita e i Cannoni di Chudley avevano
perso un'altra volta.
Mesto
e silenzioso Ted si avviò verso l'uscita, stando ben vicino ad
Harry e Ginny.
Rifiutò
persino di salire sulle spalle di Harry cosa che, di solito, adorava
fare.
“Avanti
Teddy, non fare quella faccia. E' solo una partita di Quiddich!”
provò a dire Harry.
“Harry...
lo so. Però... io non vedo mai i Cannoni vincere!”
esclamò Ted, sedendosi su una panchina.
Harry
si accucciò vicino a lui cercando il modo di tirargli su il
morale.
“Bè...
magari vincono la prossima.”
“Dan
mi ha raccontato di quando siete andati a vedere la finale di
European League Cup. Dici che ne vedrò una anch'io?”
“Certo
Ted che ne vedrai una anche tu! Sii ottimista! Prima o poi anche i
Cannoni di Chudley vinceranno! E se anche non dovesse succedere,
bè... noi verremo lo stesso allo stadio! Ti ricordi cosa dice
sempre Ron?”
Ted
sembrò pensarci per un momento e poi alzò la testa.
“Sai,
credo proprio che tu abbia ragione. E' stato un caso, solo per via
del Boccino. Verremo ancora allo stadio, vero?”
“Tutte
le volte che vuoi.” gli confermò Harry.
Visibilmente
rilassato, Ted raggiunse Ginny, che era rimasta un po' indietro e
tutti e tre insieme presero a camminare per il bosco.
Teddy,
di tanto in tanto, faceva domande sulle piante. Erano curiosità
a cui né Harry né Ginny sapevano rispondere. L'unico in
grado di soddisfarle era Remus e le richieste di Ted erano le ovvie
conseguenze dell'educazione impartita da un tuttologo quale era era
suo padre.
Più
volte Teddy, distratto per natura, corse il rischio di inciampare,
intento com'era a guardarsi attorno. Sempre però fu salvato in
extremis da Ginny o Harry.
“Guardate
là! C'è uno scoiattolo!” indicò ad un
certo punto
“Sapete
cos'è uno scoiattolo, vero?” chiese, per sicurezza.
“L'abbiamo
visto Ted! Stai attento! Non corre...” Harry non aveva fatto in
tempo a finire di parlare che il bambino era già inciampato in
una radice.
“Teddy!”
gridarono.
Ginny
corse verso di lui e lo aiutò a rialzarsi.
“Non
mi sono fatto niente!” insisteva a dire.
“Tutto
bene, Harry. Si è solo sbucciato un ginocchio. Stai fermo un
momento, Ted, così ti medico.”
Ginny
fece sedere Ted su un sasso e gli fece distendere una gamba,
puntadole contro la bacchetta e mormorando la formula magica.
“Ecco
fatto. E' tutto a posto. Ora però stai più attento.”
disse, chinandosi per dare un bacio sia al ginocchio sbucciato sia
alla guancia di Ted.
“Grazie
Ginny. Sei bravissima!”
“E
tu sei stato coraggiosissimo! Non hai pianto!”
“Sposami...”
disse Harry, a mezza voce.
“Sono
un bimbo grande, vero, Harry?”
“Cos...
oh, si certo Ted. Sei un ometto, tu!” disse in fretta Harry,
prendendo il figlioccio sulle spalle.
Sperava
ardentemente che Ginny non avesse sentito. Prima di tutto non era
sicuro che fosse la cosa migliore da fare, sebbene ci stesse pensando
da un pezzo e poi si era sempre immaginato una proposta diversa.
Loro
due, da soli, vestiti bene, fiori, musica... insomma, la classica
proposta.
“Avanti
Ted, forse è meglio che ora torniamo a casa.” disse
Ginny.
Riportarono
Teddy dai suoi genitori e lui fece la cronaca dell'intera giornata,
pregando che Harry e Ginny restassero ancora.
“Non
possiamo, Teddy. Dobbiamo andare, ma tu prometto che ci vedremo
presto, ok?” disse Harry
“Va
bene. Basta che presto sia presto! Ginny, mi saluti Gwenog Jones?”
“Sarà
fatto, piccolo.” disse lei, scoccandogli un bacio.
“Grazie
di tutto, ragazzi.” li salutarono Remus e Tonks,
psicologicamente pronti per accogliere il loro terremoto nelle ore
successive,
Harry
e Ginny si Smaterializzarono poco lontano dalla Tana, in modo da fare
due passi.
“Allora
ci vediamo tra due settimane, Harry?” chiese lei
“Bè,
non è che abbiamo molte alternative, no?” disse lui,
alzando le spalle.
“Mi
dispiace che possiamo vederci sempre così poco! Tutto per
colpa del mio lavoro... A volte penso che sarebbe meglio se
lasciassi...”
“Non
dirlo neanche per scherzo, Ginny! Insomma, è quello che volevi
fare da sempre! Non devi rinunciarci a causa mia! Io avevo
l'Accademia prima...Non devi preoccuparti per me. Va bene così.
Se tu sei felice sono felice anch'io.”
“
Grazie, Harry.”
gli disse, abbracciandolo stretto.
“Harry...”
“Mh?”
“Posso
farti una domanda?”
“Me
ne hai già fatta una, quindi te ne concedo un'altra.”
“Prima
eri serio quando hai detto quella cosa?” sussurrò.
Harry
avvampò: aveva sentito. Aveva sentito e lui stava per fare la
figura dell'idiota.
“Ehm...
quale cosa?” provò.
“Quella
cosa. Lo sai anche tu a cosa mi riferisco.”
“Ehm...ok..
bè..- iniziò Harry, aggiustandosi gli occhiali e
scompigliandosi i capelli- bè... lo so che non è
proprio una proposta vecchio stile, di quelle serie... però...
ecco, a me piacerebbe, solo se tu vuoi, ovviamente.” si
affrettò ad aggiungere.
Più
volte avevano sfiorato l'argomento e Ginny sembrava lanciare
frecciatine apposta perchè lui glielo chiedesse, però
un conto è la teoria, il “Sarebbe bello se...” un
altro è la pratica, il farlo davvero.
“Se
mi va? Certo che mi va, Harry!” rise forte Ginny
“Quindi
è un sì?”chiese, nervoso, Harry.
“E'
un sì. Sì, è un sì!” affermò
Ginny, ancora stretta a lui.
LONDRA
“Avanti,
Ron! Non sarà niente di terribile! Non dare retta allo zio,
Vic. Ascolta me, ti divertirai. Vedi quanti bambini aspettano di
entrare?” Hermione indicò alla piccola Victoire, ben
stretta alla mano dello zio, la fila di bambini e bambine che, in
coda con i genitori, attendeva di fare i biglietti.
Victoire,
prese a giocare con una ciocca di capelli biondi e poi guardò
prima la gente in fila e poi Hermione: se nessuno a parte zio Ron
pareva terrorizzato, allora valeva la pena di fidarsi.
“Sei
sicura, Hermione, che questo film non le faccia paura?”
sussurrò Ron, all'orecchio della ragazza, cercando di non
farsi sentire dalla nipotina.
“Sì,
Ron, sì! E' la trentesima volta che me lo chiedi e ti ho detto
di sì! E non tirare in ballo Harry! Lui non è andato a
vedere Alla Ricerca di Nemo! Dimmi cosa c'è di pauroso in un
film su un pesce che cerca suo figlio!”
Ron,
contrariato, si zittì e prese a guardare in cagnesco tutti
coloro che parevano aver prestato troppa attenzione alla sua
discussione con Hermione.
Hermione
fece i biglietti ed i tre entrarono nel cinema. Victoire si accorse
subito che tutti i bambini entravano i sala reggendo degli enormi
contenitori di palline bianche.
“'Osa
sono Helmione?”
“Sono
pop-corn. Sono buoni, ne vuoi?” rispose Hermione, cercando
degli spiccioli per comprarli.
“No,
Vic, no. Ti ho portato un sacchetto di caramelle da Mielandia e la
nonna ci ha dato tre fette di torta, mangerai quella.” si
intromise Ron.
“Pecchè
sio? Helmione ha detto che sono bluoni.”
Hermione
scoccò a Ron un'occhiata omicida e condusse Victoire dal
venditore di pop-corn.
La
bambina fece il suo ingresso in sala trionfante, reggendo la sua
ciotola.
“Un'altra
parola, Ron e la paghi.” gli intimò Hermione, quando lui
era già sul procinto di lamentarsi per i posti.
Quando
le luci calarono, Ron disse a Victoire, seduta tra lui ed Hermione.
“Se
qualcosa non va me lo dici subito, ok? Torniamo a casa immediatamente
se questa cosa ti fa paura.”
“Prima
volta al cinema di sua figlia?” intervenne una signora a fianco
di Ron, che annuì lievemente, confuso.
“Non
si preoccupi! Io ci sono già passata tre volte e sono
sopravvissuta, così come i miei figli. Certo, può
essere strano, però si sopravvive.” proseguì la
donna.
“Si...
si sopravvive, dice?” chiese Ron, titubante.
“Certo!
Stia tranquillo!”
“Ma
è pe.. pericolo... ahi Hermione!”
“Come
scusi, non ho sentito bene...”
“Non
si preoccupi, Ron intendeva chiederle solo se ha per caso letto le
recensioni di questo film, vero Ron?”
Minacciato
dagli occhi di Hermione, Ron annuì.
“Sio,
sitto! Inisia!” Victoire aveva visto le prime immagini sullo
schermo ed aveva tirato la manica di Ron per farlo tacere.
Le
due ore successive trascorsero con Ron che ogni due minuti, ogni qual
volta un pesce arrivava ad occupare tutto lo schermo, copriva il
volto di Victoire, almeno fino a quando Hermione non gli immobilizzò
le mani, permettendo a se stessa e alla bambina di seguire il film e
a Ron di ricredersi su un diversivo Babbano.
“E'
stato bellissimo, sio Ron! Quando ci torniamo?” esordì
Victoire
“Ehm...
magari non tanto presto, che dici, cara? Forse una partita di
Quidditch può essere meglio la prossima volta, no?”propose
Ron.
“No.
No il Quidditch. Nemo è bello.”
Ron
fece una smorfia.
“Rassegnati,
Ron.” gli sussurrò Hermione, prima che si
Smaterializzassero da Bill e Fleur.
“Meno
male che almeno i pop-corn sono buoni.” concluse lui,
ficcandosi in bocca l'ultima manciata rimasta.
HOGWARTS
“E
mi raccomando, piccole sudicie canaglie! Lo voglio pulito entro
un'ora!” Lucas scimmiottò Gazza per l'ennesima volta,
gettando nel secchio la spugna di cui erano stati dotati per pulire
il lungo corridoio del quinto piano.
“Certo
che era completamente lurido! Io mi chiedo cosa faccia tutto il
giorno, se bisogna aspettare che siano gli studenti in punizione a
fare queste cose!” esclamò Dan
“Bè,
vediamo il lato positivo, abbiamo finito in fretta!” disse
Thomas, gettando il suo straccio nel secchio così
violentemente da bagnare Lucas.
“Ehi!
L'hai voluta!” gridò Lucas, tirando a sua volta la
spugna contro Thomas ma bagnando Dan, intervenuto sulla traiettoria.
“Ah!
Volete la guerra? E guerra sia!” rispose lui, tirando il
secchiello contro gli amici.
Mezz'ora
dopo i tre riemersero dalla battaglia fradici e grondanti.
“Questa
sì che è una punizione! Dovremmo farne di più
spesso così!” esclamò Dan
“Grazie
mille, Thomas, senza di te non avremmo nemmeno cominciato!”
approvò Lucas, dando una sonora pacca sulla spalla dell'amico.
“Sì,
sì. E' stato fantastico, ora però toglieresti la tua
indelicata mano dalla mia schiena, grazie!”
Raggiunsero
la torre di Grifondoro e Dan entrò per primo.
Beth
era china su una pergamena. La domenica sera era la giornata che
usava per scrivere lettere a casa e stava concludendo quella per i
suoi genitori.
Anne,
seduta sulla poltrona lì vicino stava giocando a Spara
Schiocco con Edward.
“Accidenti,
perdo sempre!” esclamò
“Solo
perchè non riesci a memorizzare le regole.” la corresse
il suo avversario, riprendendo il mazzo per mescolarlo.
“Ehilà!
Buonasera a tutti!” Dan era comparso dal buco del ritratto
fischiettando, provocando l'ilarità di tutti gli studenti
presenti in Sala Comune per via dei suoi abiti fradici.
Lungo
la strada tra l'ingresso e il tavolo di Beth sgocciolò
parecchia acqua.
“A
chi stai scrivendo, Beth?”
“Come
è andata la punizione? Perchè sei tutto bagnato?”
si chiesero contemporaneamente
“Prima
tu!” esclamarono all'unisono.
Un'occhiata
perforante di Beth fece capire a Dan di dover raccontare.
“Ci
ha fatto pulire tutto il corridoio del quinto piano, ha confiscato le
nostre bacchette e...”
“E
cosa, vai avanti!”
“E
abbiamo pensato di ravvivare la serata tirandoci secchiellate d'acqua
addosso! Thomas con la spugna ha una mira infallibile! E'
pericoloso!” raccontò Dan, ridendo ancora degli
incidenti.
“Ora
rispondi tu. Per caso hai qui la lettera per i miei?”
“Sì,
l'ho scritta prima, perchè?”
“Devo
informare mio padre che il suo piano infallibile non ha funzionato.
Giocare a golf è stato divertente, ma scontare la punizione
non lo è altrettanto.” spiegò il ragazzo,
afferrando una sedia ed aggiungendo un confuso poscritto sotto la
grafia minuta e precisa di Beth.
Dietro
a Dan era entrato anche Lucas, altrettanto bagnato.
“Anne!”
la chiamò.
“Lucas!
Come sei ridotto?”
“Poi
ti spiego. Ora vai da Thom. E' qui fuori che ti aspetta. Gli
parlerai, vero?”
Lei
annuì, inspirò e si diresse verso l'uscita. Dietro alla
Signora Grassa trovò Thomas, in piedi contro il muro per
aspettarla.
“Ciao..”
disse il ragazzo
“Ciao...”
Rimasero
lì in piedi senza parlarsi né guardarsi, trovando
terribilmente interessanti le punte delle loro scarpe.
Erano
tre giorni che non si parlavano.
“Lucas
mi ha detto che mi volevi vedere. Se mi devi dire qualcosa fallo,
altrimenti ci vediamo.” annunciò Anne, più
tagliente di quanto non volesse.
Non
era sua intenzione essere sgarbata, ma voleva mettere fine a quella
situazione nel più breve tempo possibile.
Thomas
non se lo fece ripetere due volte ed utilizzò la sua
schiettezza per un buon motivo.
“Mi
dispiace. Non dovevo parlarti così. Lo sapevo che ci saresti
rimasta male. So che sono parole a vuoto, non conta niente...però
sappi che mi dispiace davvero e io.. io...”
“Basta
così. Thomas. Basta così. E' tutto a posto.” lo
interruppe, prendendogli la mano, che stava pericolosamente
rischiando di conficcarsi nell'occhio del suo proprietario, se lei
non l'avesse fermato.
“Ok,
quindi io... io sono un'idiota e mi dispiace tanto. Ehi, ma sei
sicura che vada bene così?” chise stupito
“Sì.
Sai, sarei venuta io da te, ma mi conosci... il mio orgoglio me
l'avrebbe impedito. Quindi ti ringrazio per essere qui. Un favore,
promettimi che non ne parleremo più, ok? Abbiamo reagito male
tutti e due e adesso la cosa migliore è dimenticare tutto.”
propose Anne, infilandosi le dita nei riccioli.
“Come
vuoi.”
“Bene...
Allora, dimmi un po', perchè siete tutti e tre fradici?”
domandò, rendendosi contro solo in quel momento che anche
Thomas gocciolava acqua da ogni parte r recava in volto l'espressione
beota degli altri due.
“Eh...
lunga storia, ma se hai tempo te la racconto.”
Allora,
cosa ve ne pare di questo capitolo? Recensite! Fatemi sapere se vi
piace il modo che ha trovato Harry per la fatidica proposta.
Intanto
ringrazio le diciassette persone che mi hanno inserito
tra i preferiti e poi rispondo alle recensioni. Grazie
a tutti!
Cinderella87:per
capire cosa è accaduto in Grimmauld Place ci vorrà
ancora un po'... Sarà qualcosa di complicato. Anch'io ho
adorato l'ultima frase dello scorso capitolo: Ted non ha ben capito
cosa gli sia successo, per lui è tutto un discorso sul
Quiddich e chi meglio di James può porre fine ai suoi dubbi?
Padfoot_07:
Dan e Beth ti hanno ricordato Lily e James? Talvolta li ricordano
anche a me, forse perchè dato che non ho ancora scritto una
LilyJames inserisco involontariamente qualche tratto dei loro
caratteri in questi due personaggi di mia invenzione. Teddy ti piace
anche qui, affidato alle cure di Harry? Fammi sapere che ne pensi!
Thaleron:
grazie per la recensione! So che mi seguivi anche nell'altra storia,
spero ti possa piacere questa e che tu continui a recensire. Detto
questo, direi che credo che tu abbia indovinato le due coppie
principali, anche se ci vorrà molto tempo prima di arrivare al
lieto fine. No, non c'è nessuna storia prima de “La mia
famiglia e la Coppa Quattromalandrini.” E' nata così,
per caso e per gioco in una sera di febbraio, mentre ripensavo per
l'ennesima volta a come avrebbe potuto essere la vita di Harry se ci
fossero stati i suoi genitori. Siccome però nella mia testa
c'è una spiegazione agli avvenimenti di quel 31 ottobre è
mia intenzione raccontarveli, prima o poi, perchè mi sono resa
conto che è tutto piuttosto caotico. Chissà, magari
sarà una one-shots o forse una storia a capitoli che arriva
fino al primo anno di Harry o forse una LilyJames, dato che prima o
poi ne scriverò una. Scusa per questa sconclusionata risposta,
spero di non averti delusa.
Misfatta88:
grazie anche a te per la recensione. Spero che possa continuare a
piacerti la mia storia, con tutti i suoi personaggi, che ormai sento
un po' miei. Fammi sapere, mi raccomando!
Ultima
cosa! Qui potrete trovare i link con le foto dei personaggi! Fatemi
sapere se vi convincono!
Anne:
http://eridos89.deviantart.com/art/Finding-my-own-way-Anne-98184070
Lucas:http://eridos89.deviantart.com/art/Lucas-Finding-my-own-way-98184281
Dan:
http://eridos89.deviantart.com/art/Dan-Finding-my-own-way-98184388
Beth:http://eridos89.deviantart.com/art/Beth-finding-my-own-way-98184528
Thomas:
http://eridos89.deviantart.com/art/Thomas-Finding-my-own-way-98184790
James:http://eridos89.deviantart.com/art/James-Finding-my-own-way-98184929
Lily:http://eridos89.deviantart.com/art/Lily-Finding-my-own-way-98185042
Harry:http://eridos89.deviantart.com/art/Harry-98185116
Ron:http://eridos89.deviantart.com/art/Ron-Finding-my-own-way-98185203
Hermione:http://eridos89.deviantart.com/art/Hermione-Finding-my-own-way-98185280
Teddy:http://eridos89.deviantart.com/art/Teddy-finding-my-own-98185371
Remus:
http://eridos89.deviantart.com/art/Remus-Finding-my-own-way-98185607
Hellen:
http://eridos89.deviantart.com/art/Hellen-Finding-my-own-way-98185698
Mancano
ancora Sirius e Ginny: ho trovato le loro foto, solo che vorrei
essere sicura prima di mostrarvele. Per quanto riguarda Tonks,
invece, Natalia Tena mi convince parecchio, quindi ho ritenuto
superfluo farvi vedere una sua foto. Mi raccomando! Fatemi sapere
cosa ne pensate!
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Capitolo 5 *** Sensazioni ***
Sensazioni
HOGWARTS
La
finale di Quiddich era alle porte e la tensione era in continua
crescita.
Gli
studenti fremevano: vincere la Coppa di Quiddich era molto più
importante che vincere la Coppa delle Case.
Corvonero
e Tassorosso già sapevano per chi avrebbero tifato: la Coppa
non doveva essere vinta da Serpeverde per un altro anno. Daniel Black
avrebbe fatto meglio a far vincere la sua squadra, se ci teneva a
conservare la sua reputazione sino all' ultimo giorno del suo ultimo
anno di scuola.
La
professoressa McGranitt aveva chiuso entrambi gli occhi sull'ultima
bravata del suo Capitano e del suo Portiere. Assegnare loro
l'ennesima punizione (come se con loro servissero a qualcosa, si
ripeteva di continuo la donna) avrebbe sottratto tempo ai loro
allenamenti e solo Godric sapeva quanto la Vicepreside tenesse a
quella vittoria.
La
sera prima della partita Dan aveva indetto il suo ultimo allenamento.
Non aveva dato particolari consigli, anche perchè riteneva di
non esserne capace. Si era limitato a far giocare la squadra come
sapeva.
Mentre
tutti i suoi giocatori si stavano già cambiando, Dan era
rimasto sul campo per raccogliere le palle e ritirare i fischietti.
Vide
però che una ragazza era rimasta ancora sul campo.
“Eloise!”
chiamò, prima che la sua Cacciatrice entrasse negli
spogliatoi.
“Che
vuoi, Black?”
Black,
era un mese circa che lo chiamava così...
Dan
detestava essere chiamato per cognome. E lei lo sapeva. Lo sapeva
benissimo.
E
lui sapeva benissimo per quale motivo lo facesse.
“Volevo
solo dirti che sono contento che ti sia ripresa bene, dopo
quell'incidente...” le disse, avvicinandosi e abbozzando un
sorriso.
“Che
c'è ancora?”
“Io...
mi dispiace per come sono andate le cose tra noi.” confessò
Dan
“Bè,
dovevo riprendermi per forza. Altrimenti, chi avrebbe giocato al
posto mio?” replicò freddamente, prima di voltarsi.
“Eloise!”
“Risparmia
il fiato. Hai già parlato troppo.”
“Mi
dispiace davvero. Ma guardaci... non avrebbe potuto funzionare, tra
noi.”
La
ragazza si avvicinò. La lunga coda castana le si spostò
dalla spalla destra a quella sinistra.
“Non
poteva funzionare per te, Daniel. Per me poteva funzionare.”
“Come
fai a dirlo? Come fai a dire che per me non significavi nulla?
Eloise... non è vero. Tu per me eri importantissima.”
“Daniel,
ho solo visto quello che tu ti ostini a non vedere. Apri gli occhi e
sarai più felice. Dammi retta.” gli disse dolcemente,
scostandogli dagli occhi il solito ciuffo
Dan
socchiuse gli occhi, ripensando, in pochi secondi, a quel pomeriggio
di quasi un mese prima.
Stava
attraversando in fretta e furia il corso principale di Hogsmeade.
Era
in ritardo, un'altra volta.
Eloise
lo stava aspettando ai Tre Manici di Scopa da almeno un'ora, se i
suoi conti erano giusti.
Entrò
di corsa nel locale, senza notare i diversi cenni di saluto che gli
stavano rivolgendo i compagni.
Eoise
sedeva in un angolo con una rivista davanti. I capelli castani le
coprivano gli occhi, per cui non fece caso a Dan che, arrabattandosi
qua e là per la stanza chiedeva a tutti i tavoli se fosse
proprio necessaria quella sedia in più.
Dan
riuscì a recuperarne una e la portò di fronte alla
ragazza.
“Ciao.
Mi dispiace per il ritardo. Ma è successo un casino...”
“Ah
sì? E cos'è successo stavolta? In che guaio ti sei
cacciato con i tuoi amici, oggi?” urlò, furibonda.
“Non
è come pensi!” provò a giustificarsi il ragazzo.
“Ah
no? E allora come è andata? Sono stanca di sentire le tue
scuse, Dan! Sono stanca!” Eloise chiuse in fretta la rivista,
se la ficcò in borsa e fuggì, di corsa, fuori.
Dan,
incurante di tutte le facce rivolte verso di lui ( alcune perplesse,
alcune incuriosite, altre inviperite: perchè mai una ragazza
dovrebbe rifiutare Daniel Black?) la seguì.
“Eloise!
Aspettami!”
“Che
c'è Dan? Cosa non ti è chiaro di quello che ti ho
detto? Sono stanca, Dan! Stanca di tutto questo!”
“Lasciami
spiegare! C'era Beth che aveva bisogno di me!”
“Oh
certo! Se la tua migliore amica ha bisogno di te corri subito! Se io,
che, qualora non te ne ricordassi, sono la tua ragazza ho bisogno di
te, mi dici di aspettare! Daniel sono stufa marcia di tutto questo!”
“Non
parlare così di Beth! Era importante che io ci fossi
perchè...”
“Non
mi interessa!” lo bloccò
“Ma
lascia che ti spieghi!” protestò Dan, afferrandole il
polso, che lei immediatamente ritrasse.
“Sarà
stato senz'altro un nobile motivo, Dan. Come al solito.”
“Tu
non capisci!”
“Io
capisco invece, Dan. Capisco eccome! Non ce l'ho con Beth, non potrei
mai. Semplicemente mi sono accorta che troppo spesso anteponi lei a
tutto il resto, spesso, persino ai tuoi adorati amici.”
“E
ci mancherebbe! Quelle arpie e quegli idioti di Serpeverde a scuola
non le danno tregua!”
“Lo
so. Lo so benissimo. Ma mettiti nei miei panni, Dan. Ogni volta che
dobbiamo vederci succede qualcosa: o il Quiddicth o la scuola o i
tuoi amici o una punizione o qualcos'altro ancora. Non possiamo
andare avanti così.” disse lei, con tono fermo e deciso,
anche se a stento tratteneva le lacrime.
“Questo
cosa significa?” chiese Dan, senza riconoscere la propria voce,
che gli suonava come quella di un altro.
“Significa
che è meglio finirla qui.” concluse Eloise.
“Eloise...
io... vorrei che restassimo almeno amici.” sussurrò
piano Dan
“Non
ora Dan. Ora non posso. Non ci riesco.” rispose Eloise,
altrettanto piano.
Dan
non la guardò andarsene.
Raggiunse
la sua scopa e riprese a volare.
Probabilmente
vagò per i cieli di Hogwarts per delle ore, dal momento che
era già buio quando Elisabeth, preoccupata per non averlo
visto a cena si affrettò al campo di Quiddich.
Lo
vide volare, ma lui non pareva essersi accorto della sua presenza.
“Daniel!”
chiamò
Lui
per poco non sobbalzò. Si era abituato al silenzio.
“Beth
che ci fai qui?”
“Non
ti ho visto tornare al castello!” gridò in risposta.
Dan
le planò accanto.
“E
così ti sei preoccupata, giusto?” continuò lui
Elisabeth
gli sorrise.
“Lo
sai come sono fatta...”
“Ti
preoccupi troppo, Beth. Non è successo niente.”
“Sei
sicuro? La tua faccia non mi convince molto.”
“Se
anche ci fosse qualcosa che non va, bisogna che lo metta subito da
parte, no? C'è una partita tra due giorni.”
“Dan,
se posso fare qualcosa, dimmelo. Io ci sono, ok?” ci tenne a
sottolineare Beth.
“Effettivamente,
ci sarebbe una cosa che potresti fare, Beth.” rispose lui con
un gran sorriso
“E
cioè?”
“Accompagnarmi
a fare un giro nel parco”
Passeggiò
nel parco con Beth fino all'ora del coprifuoco.
L'eco
delle parole di Eloise, che tanto lo aveva tormentato in quella
solitaria ora sulla scopa, pareva ormai lontano.
Pensò
che forse, quello che era successo, non era poi così grave.
Era
una situazione risolvibile, senza considerare che, in fondo, che, del
fatto che lui ed Eloise non fossero destinati a stare insieme, se
n'era già accorto.
“Torniamo,
Dan?” fece Beth guardandolo tirare nel lago l'ennesimo sasso.
Era
sempre rimasta affascinata dall'ondeggiare dell'acqua ogni volta che
Dan vi faceva scivolare un sasso.
Da
piccola restava impalata per minuti interi ad osservarlo far fare
quel buffo movimento al sasso e lo pregava di continuare, se
smetteva.
“Va
bene, ma come si torna in casa alla sera?” chiese, imitando la
voce di sua madre.
Beth
stette al gioco, perchè rispose:
“Tenendosi
per mano e stando vicino ad un adulto.”
Era
stato il loro tormento per anni, quella frase, quando da bambini
pestavano i piedi ( o meglio, Dan pestava i piedi e Beth si limitava
a seguirlo) per rimanere fuori durante le sere d'estate.
“Bè,
l'adulto non ce l'abbiamo. Facciamo che è lì davanti
col Mantello di tuo padre...” disse Dan, afferrandole la mano.
Rientrarono
al castello e, nel salutare Beth in cima alle scale del dormitorio,
Dan pensò che, in fondo, lui aveva già tutto.
E
che quella serata l'aveva fatto stare bene come poche altre.
“
Ho solo visto
quello che tu ti ostini a non vedere. Apri gli occhi e sarai più
felice.”
Quella
frase di Eloise gli tornò in mente, in quel caso però
non lo tormentò.
Lo
portò soltanto a sorridere fra sé.
Elisabeth,
prima di addormentarsi si scoprì a toccarsi continuamente la
guancia, sul punto esatto in cui Dan aveva posato il bacio della
buonanotte e a fissarsi la mano.
Avevano
camminato mano nella mano come non facevano da anni e le loro mani
parevano intrecciarsi alla perfezione.
Come
se fossero state fatte apposta per stringersi una nell'altra.
Elisabeth
sorrise soffitto e non si addormentò, se non dopo diverse ore.
La
domenica Grifondoro vinse la partita contro Serpeverde, meritandosi
così la Coppa del Quidditch.
Lucas
salvò pluffe che parevano ormai perse, Dan fece il suo lavoro
di Battitore e il Cercatore afferrò il Boccino con un vero e
proprio miracolo.
La
squadra allenata da Daniel Black sarebbe entrata nella storia, come
già altre prima di lui e Dan non potè non essere fiero
di se stesso.
Ce
l'aveva fatta.
Si
era posto un obbiettivo e l'aveva raggiunto con fatica, sudore e
tanta soddisfazione.
Come
al solito alla Torre di Grifondoro fu organizzata una grande festa,
alla quale Dan e Lucas procurarono Fuochi d'Artificio, Stelle
Filanti, Burrobirre, persino qualche bottiglia di Wisky Incendiario,
parecchie quantità di cibo e le inevitabili Superpalle di
Gomma di Drooble, grazie alle quali l'intera Sala Comune fu presto
piena di palloni fluttuanti.
Dan
abbandonò a terra le coccarde e la bandiera in cui l'avevano
avvolto e raggiunse Lucas, che stava ancora parlando con quella
ragazza di Corvonero che, complice un'amica, si era infiltrata (come
Thomas, del resto) alla festa.
“Scusa,
posso rubartelo per un attimo?” chiese
“Se
proprio devi...”
“Arrivo
subito, Mary!” la rassicurò Lucas, senza sapere che non
sarebbe mai tornato da lei, per quella sera.
“Che
c'è Dan di così urgente? Non hai visto che ero in dolce
compagnia?”
“Sì,
l'ho notato.”
“E
allora perchè mi hai interrotto? Sembrava simpatica...”
Dan
gettò un occhio verso la ragazza che ora, senza troppi
problemi, pareva essere intrattenuta da un altro Grifondoro.
“Sarà...
è che mi è venuta un'idea per rendere memorabile questa
serata, solo che prima vorrei parlarne con te e con Thomas.”
spiegò Dan.
“Che
vuoi fare? Se si tratta di qualche scherzo a Gazza io ci sto... anche
se prima vorrei finire la mia conversazione con Mary...”ammiccò
Lucas
Dan
scosse la testa e poi disse
“Niente
scherzo a Gazza. Te l'ho detto. E' una cosa di cui dobbiamo parlare
anche con Thomas.”
Si
avvicinarono a Thomas, che stava parlando con la sorella più
piccola di Edward e lo presero da parte.
“Scusami
Emma, arrivo subito. Che succede ragazzi?”
“Chiedilo
a lui.”
“Dan?”
“Stavo
pensando che potremmo andare alla Stamberga, questa sera. Con anche
Anne e Beth.”
“Dici
davvero? Ma non è un posto nostro? E poi c'è la
festa...” disse Lucas
“Per
me non ci sono problemi.” si affrettò dire Thomas
“Era
solo un'idea, se a te non va, pazienza... Solo che mi sembrava bello
andarci tutti insieme, prima che io me ne vada da Hogwarts e stasera
mi sembra una bella occasione.” spiegò Dan
“Ok,
ok. Ho capito. Va bene, non ci sono problemi. Addio Mary...”
sospirò Lucas, spostandosi però già verso l'ala
della stanza in cui c'erano Anne e Beth.
“Donne!
Grande notizia!” annunciò
“E
sarebbe? Hai trovato qualcuno disposto a venderti un cervello?”
fece Anne, strappandogli la bottiglia di Burrobirra dalle mani e
portandosela alla bocca.
“Ah
ah ah. Molto divertente, Miss Acidità!” le rispose Lucas
“Thomas,
che succede? Che volete dirci?” domandò Beth
“E'
stata un'idea di Dan e francamente io non potrei essere più
d'accordo.”
“Dan?”
“Un
momento, Beth e lo saprai. Allora, avete finito voi due? Bene...
ecco, pensavamo di andare a fare un giro ad Hogsmeade. Passiamo dalla
Stamberga e poi potremmo sederci sull'erba a vedere le stelle...”
“Oh
ma è meraviglioso!” esclamò Anne abbracciando
Lucas e ringraziandolo.
Finalmente
poteva andare alla Stamberga!
Beth
guardò Dan con una faccia da:” Staremo infrangendo
migliaia di regole ma sono veramente felice e non me ne importa
niente.”
Il
sorriso radioso che Beth gli rivolse illuminò il volto di Dan,
che la prese per mano e si avviò verso il buco del ritratto,
seguito dagli amici.
Attraversarono
il parco del castello e arrivarono fino al Platano Picchiatore. Ne
bloccarono i rami ed imboccarono lo stretto tunnel che portava alla
Stamberga Strillante.
Sbucarono
nel vecchio salotto della Stamberga Strillante. Dan e Lucas fecero
strada al piano di sopra, salendo le scale per primi ed eliminando
eventuali ostacoli.
Beth
osservava rapita quelle stanze. Dunque era lì. Era lì
che suo padre si era trasformato in cervo le prime volte.
Era
lì che lui e Sirius avevano infranto un centinaio di regole
della scuola e qualche legge solo per stare accanto ad un amico.
Guardava
gli squarci nei mobili: erano i segni delle zaffate di un artiglio.
Dan
sembrò intercettare i suoi pensieri perchè le disse:
“Sì,
opera dello zio.”
Thomas
cercava di non impolverarsi i vestiti: detestava quel tunnel e
detestava ancora di più gli impolverati divani della
Stamberga, anche se doveva ammettere che, sedervisi sopra e stare
sveglio per gran parte della notte con gli amici a parlare del più
e del meno era quanto di più bello potesse esistere.
Certo,
un po' meno divertente era soccorrere Lucas o Dan in preda alla
sbornia, ma, tutto sommato, si diceva, faceva pur sempre parte del
gioco.
Anne
si guardava attorno meravigliata. Finalmente anche lei vedeva
l'interno della Stamberga!
Gliene
avevano parlato così tanto che non stava più nella
pelle al pensiero di poterci entrare!
Osservava
avidamente tutto quello che aveva attorno: la carta da parati
scrostata, i mobili logori e tarlati, talvolta completamente
distrutti, dal momento che recavano ancora i segni delle visite dei
Malandrini.
“Di
qui, Anne.” Lucas stava aprendo, con l'ausilio di calci e
pugni, la vecchia porta.
Anne
si avvicinò e vide che su di essa erano incisi dei nomi e due
date.
“15
Settembre 1976
Moony
Wormtail
Padfoot
Prongs”
e
poi sotto, più in basso.
“20
Ottobre 2001
Dan
Luke
Thom”
All'improvviso
capì.
Comprese
come mai, nonostante le sue rimostranze, non avevano mai voluto
portarla con sé durante quelle scorribande.
Quel
posto era loro e basta.
Sorrise
a Thomas, che aveva intercettato il punto in cui erano caduti i suoi
occhi e lui ricambiò, prima di sparire oltre la porta.
Anne
si affrettò a seguirlo fuori e poi, tenendosi stretta la
coperta sotto il braccio, incominciò a correre, superandoli.
“Avanti,
pelandroni!” gridò, arrivata in quel punto, in fondo al
prato, che aveva scelto.
Anne
stese la coperta e ci si sdraiò sopra.
“Le
stelle non spariscono, Anne.” le disse Lucas, prendendo posto
dietro di lei.
“Ehi!
Spostati, se no non ci stiamo!”
“Alzati,
Anne. Fai sedere me e tu poggia la testa qui.” le spiegò,
indicando le proprie ginocchia.
“Come
al solito vi siete accaparrati i posti migliori, voi due, eh?”
commentò Thomas, sedendosi nell'angolo libero che restava.
“Potevi
sbrigarti. Thom!” gli rispose Anne, con una linguaccia.
“Sempre
fine, Anne!” la prese in giro Thomas, procurandosi così
il segno dei denti di Anne sull'avambraccio.
Era
pericolosa, quando ci si metteva.
“Dammi
retta, se continui così ti prenderanno per allevare draghi.”
le annunciò Lucas con voce funerea.
“Guarda
che ce n'è anche per te!” controbattè lei.
“Vedo
che questi cinque nanosecondi che abbiamo impiegato io e Beth per
arrivare non hanno provocato novità degne di nota nel vostro
rapporto...” constatò Dan, accomodandosi sulla sua
coperta.
“Prendi
anche in giro? Io ci ho quasi rimesso un avambraccio!”
“Sempre
il solito melodrammatico, Thomas!” rispose Anne
“Basta!
Fate silenzio!- intervenne Beth-Le stelle si guardano in silenzio.”
“Concordo!”
la assecondò Dan, ponendo fine ad ogni battibecco del trio lì
di fianco.
Calò
il silenzio e ciascuno dei cinque osservò il cielo con occhio
diverso: chi si chiedeva come potesse essere tutto così
perfetto, chi desideroso che quella nottata non finisse mai, chi già
vagheggiava il futuro e chi si augurava che il domani offrisse ancora
tante occasioni del genere.
“Credete
che si possa essere più felici di così?” chiese
ad un tratto Lucas, rompendo il silenzio e fissando i suoi amici uno
ad uno.
Dan,
ancora ebbro di gioia per la spettacolare vittoria, steso accanto a
Beth, intenta ad indicargli le stelle più luminose, Anne, con
i suoi riccioli appoggiati alle sue ginocchia, che lo fissava coi
suoi grandi occhi azzurri e lo schivo Thomas, perso, come al solito,
in pensieri troppo adulti per un ragazzo di appena diciassette anni.
Dan
si voltò verso il suo migliore amico, rise, di quella risata
che Lucas lo sapeva, gli sarebbe mancata tremendamente l'anno
successivo, scosse la testa e poi disse:
“No,
io credo proprio di no.”
Thomas,
dal suo angolo, strappò un ciuffo d'erba e sorrise. No. Non si
poteva essere più felici di così.
Scusate
se non ho descritto la partita, ma mi pareva che stonasse, senza
contare che, insomma, le partite di Quidditch si somigliano più
o meno tutte, o no?
Ringrazio
chi ha letto e recensito, chi ha solo letto e chi ha inserito la
storia tra i preferiti.
So
che alcune foto non vi sono piaciute, però si tratta solo del
mio punto di vista. Potete figurarveli come volete.
Thaleron:
grazie per la recensione! Hai visto? Qualcosa si è sbloccato!
Continua a seguire!
Padfoot_07:
Eh, ogni tanto anche ad Harry e Ron tocca prendersi cura di nipoti e
cugini acquisiti. Ero tentata di dare a Ron anche Lucy Weasley, la
figlia di Percy, ma poi ho pensato che, per il povero Ron, una è
già sufficiente. Senza contare che Percy non lascerebbe mai
sua figlia ad uno come Ron, credo. Per le reazioni della famiglia,
aspetta il prossimo capitolo! Ti divertirai!
Cinderella87:
fossi in te mi preoccuperei di più per quello che potrebbero
combinare James e Sirius, che non di Lily. Lei è comprensiva
ed è normale ed equilibrata, cosa che non si può dire
di suo marito. Ogni tanto Ted spaventa anche me. E troppo adulto per
la sua età!
Dafne92:Ecco
qui un altro capitolo! E' stato di tuo gradimento? Fammi sapere!
Grazie per i complimenti e sappi che anch'io adoro Teddy, anche se
talvolta mi inquieta un po', quel bambino è troppo sveglio!
Princessarx:
per quanto riguarda le foto, come ho già detto, si tratta di
opinioni personali ed ognuno può immaginarseli come crede.
Quanto al resto, lieta che la proposta ti sia piaciuta, anche se per
vedere come reagirà la famiglia occorre aspettare il prossimo
capitolo.
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Capitolo 6 *** Invito alla tana ***
Invito
alla Tana
LONDRA,
MINISTERO DELLA MAGIA. DIPARTIMENTO AUROR
Durante
tutta la settimana successiva, Harry fu molto nervoso.
La
sua concentrazione sul lavoro risentiva parecchio del suo stato
d'animo, non che ci fosse bisogno di particolare attenzione per
svolgere i suoi quotidiani compiti, in verità.
Tuttavia,
chiunque aveva notato il sorriso beota che aveva stampato in volto e
l'aria distratta. Suo padre, sua madre, Sirius, Remus e Tonks
continuavano a tempestarlo di domande. Solo Hellen non chiedeva
nulla, ma semplicemente perchè, lavorando da un'altra parte,
non aveva avuto modo di incontrarlo.
Hermione
era invece stata stranamente silenziosa, anche se Harry aveva la
sensazione che gli lanciasse spesso occhiate compiaciute. Ron, pareva
non essersi accorto di niente e di questo Harry fu molto grato.
Lui
e Ginny non si erano più visti da quel giorno: lei era in
ritiro con la squadra e non c'era possibilità di parlare
ancora di quanto avevano deciso.
Harry
si augurava che lei avesse avuto il buon senso di non dire nulla a
casa: immaginava la reazione di tutta la famiglia Weasley e la cosa
non gli piaceva affatto. L'entusiasmo composto del signor Weasley, le
battute di Fred e George, le congratulazioni pompose di Percy e i
sinceri auguri di Bill e Charlie non erano nulla, se paragonati
all'entusiasmo che avrebbe manifestato Molly.
Già
Harry si immaginava sommerso di abbracci e di inviti a pranzi, cene,
riunioni di famiglia allargate (perchè sarebbero stati
senz'altro invitati anche i suoi genitori, Sirius ed Hellen, Remus e
Tonks e magari anche Andromeda e suo marito), che si sarebbero svolte
con una frequenza assai maggiore di quella a cui era abituato.
Bisognava
andarci con i piedi di piombo, nell'avvisare Molly. Harry sapeva che
la sua futura suocera sarebbe stata veramente molto, molto felice,
tuttavia era ben conscio dell' invadenza e delle mille ansie che
l'avrebbero animata nei mesi successivi.
Ricordava,
quasi con terrore, al pensiero che ora tutte quelle preoccupazioni
sarebbero state rivolte a lui, le continue domande che aveva posto,
appena l'estate prima, a Percy ed Audrey, nei mesi immediatamente
precedenti al matrimonio e le continue allusioni a George ed
Angelina, frecciatine che Molly non mancava mai di lanciare ogni qual
volta li vedesse, dal momento che ormai la piccola Roxanne aveva un
anno e i due non accennavano a voler “regolarizzare la loro
unione”, come rimproverava sempre Molly.
Nelle
sue orecchie ronzava quotidianamente la voce della signora Weasley
che diceva “E' tutto a posto, Harry caro? E la casa, l'avete
trovata? C'è una mia vecchia zia che potrebbe.... E gli abiti?
Tu e Ron siete già andati a vedere? E per il pranzo io pensavo
di preparare...”.
Il
fatto che non gli fosse stato recapitato nessun improvviso invito
alla Tana e che Ron non avesse ancora fatto accenni né avesse
tentato di soffocarlo nel sonno, faceva ben sperare: evidentemente
Ginny aveva avuto il tatto necessario a tacere.
Ron...
pensandoci, Harry vedeva in lui un altro insormontabile problema.
Come l'avrebbe presa?
Erano
ormai sei anni che lui e Ginny stavano insieme e, dopo un inizio
burrascoso, Ron pareva aver accettato la cosa. Del resto, non gli
aveva sempre detto “Meglio tu che qualcun altro”?
Sì,
Ron l'aveva sempre detto, però a quella situazione, come
avrebbe reagito? L'avrebbe fatto a pezzi? O avrebbe semplicemente
accettato la cosa di buon grado congratulandosi con lui?
Probabilmente
la sua reazione sarebbe stata una via di mezzo tra le due ipotesi che
la mente di Harry aveva elaborato.
Non
valeva la pena di disturbare Hermione per chiederle come avrebbe
reagito Ron: in fondo prima di tutto era il suo migliore amico e poi,
Hermione, in fatto di agitazione, avrebbe sicuramente fatto
concorrenza alla signora Weasley.
L'unica
consolazione pareva essere non solo il pensiero che presto Ginny
sarebbe diventata sua moglie, ma anche il fatto che, in tutta quella
baraonda, la sua famiglia avrebbe avuto una reazione decisamente
equilibrata. Almeno, questo era quello che Harry pensava, sperava e
si augurava.
Sua
madre non avrebbe certamente dato di matto. Sarebbe stata felice, ma
non avrebbe di certo improvvisato sceneggiate da tragedia greca. Se
tutto andava come Harry pensava, Lily non avrebbe nemmeno tentato di
intrufolarsi troppo nell' organizzazione.
La
reazione di James, invece, da una parte lo rassicurava e dall'altro
lo preoccupava terribilmente.
Senz'altro
suo padre si sarebbe dimostrato felice, avrebbe accolto la notizia
con gioia e poi gli avrebbe detto quanto era orgoglioso di lui. C'era
sempre un però... l'avrebbe detto a Sirius e insieme quei due
erano pericolosi, molto pericolosi.
Bastava
pensare quello che avevano organizzato per il matrimonio di Remus,
qualche anno prima...
Harry
era ancora immerso nei suoi pensieri quando Ron picchiettò
alla sua spalla.
“Harry,
Harry! Tutto bene? E' arrivato un gufo di Ginny per te. Evidentemente
ha provato a passare a casa e non ha trovato nessuno e quindi è
venuto qui...” disse Ron, porgendogli la pergamena che, essendo
ancora sigillata, fece tirare ad Harry un sospiro di sollievo.
“Grazie.”
rispose.
“Harry,
ma... va tutto bene? Hai una faccia!” disse Ron, ritornando
alla sua scrivania.
“Sì,
sì. Va tutto benissimo.” confermò Harry, con un
sorriso tirato, svolgendo la pergamena.
“Caro
Harry, come va?
Io
sto benissimo, anche se sono piuttosto stanca. Gli allenamenti sono
massacranti come al solito, ma dobbiamo impegnarci a fondo per
battere il Puddlemere United, sabato. Oliver Baston troverà
pane per i suoi denti! L'altra volta ha vinto lui, ma ora sono molto
più preparata e riuscirò senz'altro ad aggirare la sua
massiccia presenza tra gli anelli!
Piuttosto...
per quanto riguarda quella cosa... Non l'avrai mica detto a mio
fratello, vero? Vero? Vero? Lo sai anche tu che inizierebbe a dare di
matto... Non offrirgli ulteriori motivi per dimostrare quante uova di
vermicolo popolino il suo cervello, per favore.
Stavo
pensando che, visto che domenica sono a casa, potremmo organizzare
una bella riunione di famiglia per dirlo a tutti, non trovi? Prima lo
facciamo e meglio è. Mi spiace che non abbiamo ancora avuto
tempo sufficiente di parlarne bene fra noi, però conosci anche
tu la mia famiglia e io conosco tuo padre e Sirius. Prima lo sanno e
meglio è per tutti, ripeto. Avremo tempo in futuro di parlarne
bene, al massimo sabato vieni alla partita, così ci vediamo da
soli prima del fatidico pranzo.
Se
per te va bene, avviso la mamma che domenica avremo ospiti. Chi vuoi
invitare oltre ai tuoi genitori? Io pensavo che sicuramente
dovrebbero esserci Sirius ed Hellen e poi anche Remus e Tonks col
piccolo Teddy e anche Andromeda con Ted. Dopotutto sono loro la tua
famiglia, no? Fammi sapere al più presto così non colgo
mia madre troppo di sorpresa.
Ti
amo
Ginny.”
“Fantastico”-
pensò Harry-” Ginny si sta già trasformando in un
clone di sua madre.”
Harry
rimase a fissare il vuoto per qualche minuto: tutti i suoi propositi
di affrontare la situazione con calma erano bellamente andati a
bolidi, come si suol dire.
Quella
di Ginny non era una richiesta, era un ordine ed Harry sapeva per
esperienza che farla arrabbiare non era per nulla conveniente.
“Harry,
va tutto bene? Cosa ha scritto Ginny?” chiese Ron, a cui,
nonostante tutto, lo strano comportamento del suo amico non era
completamente sfuggito.
“Mi
sposo.” sussurrò Harry
“Che
cosa?” gridò Ron, così forte da far sobbalzare
sulla sedia gli impiegati delle altre scrivanie e rizzare le piume
dei gufi di passaggio.
“Mi
sposo.” sussurrò nuovamente Harry
“Tu
che cosa fai?” ripetè ancora
“Io
mi sposo. Mi sposo! Mi sposo!” esclamò Harry, alzandosi
e ridendo, scompostamente per la prima volta da giorni
Ron
rimase lì, in piedi, di fronte alla scrivania dell'amico con
un 'espressione indecifrabile.
“Mi
sposo, Ron. Mi sposo.”
“Ma
con mia sorella, vero?” chiese Ron, senza rendersene conto.
“E
con chi, sennò? Ci sposiamo, Ron, Abbiamo deciso di
sposarci...” si affrettò a dire Harry, tornando se
stesso ed abbandonando l'aria esaltata che l'aveva caratterizzato
negli ultimi due minuti
“Bene.
Bene.” disse Ron, stupendo non solo Harry, ma anche se stesso
per la facilità con cui quelle parole erano uscite dalla sua
bocca.
“Dici
davvero?” chiese Harry, strabuzzando leggermente gli occhi. Si
era immaginato da parte di Ron un'altra reazione.
“Bè,
amico, meglio tu che altri, no? E comunque, era anche ora che glielo
chiedessi. Ero stanco delle sue allusioni.- ammise Ron- Vieni qui.
Tra un po' pare quindi che saremo davvero fratelli.”
I
due ragazzi si abbracciarono: una stretta virile e salda. Un
abbraccio sincero.
Harry
era ancora incredulo: tutto si aspettava, fuorchè che dirlo a
Ron sarebbe stato così semplice. Eppure, quella era la
reazione che si augurava sinceramente che il suo migliore amico
avesse.
“Vuoi
essere il mio testimone?”
“E
me lo chiedi anche? Mi pareva ovvio!” esclamò Ron,
ridendo di gusto.
Le
cose erano molto più semplici di quanto si immaginasse e,
tutto sommato, vedere sua sorella, la sua Ginevra, sposata al suo
migliore amico non era difficile. Tutto stava andando come avrebbe
sempre dovuto andare.
“Harry!
Harry! Ron! Ginny mi ha appena scritto di domenica! Oh sono così
felice per voi!” Hermione irruppe nell'ufficio degli amici,
facendo sobbalzare nuovamente gli occupanti delle altre scrivanie.
“E
tu che ci fai qui?” le chiesero
“Mi
sono presa un momento libero, Ginny mi ha appena scritto del pranzo
di domenica. Naturalmente io sapevo già il motivo...”
spiegò
“Perchè
lei lo sapeva e io no? Perchè lei sa sempre tutto?”
chiese Ron, indignato.
Harry
alzò le spalle e mise le braccia in segno di resa.
“Io
non ho parlato.”
“Non
essere sciocco, Ron. Me l'ha detto Ginny, no? Oh Harry! Sono così
felice per voi!” esclamò Hermione, spodestando Ron e
stringendo Harry in un abbraccio stritolatore.
L'ufficio
di Sirius e James era all'ultimo piano del Dipartimento Auror.
James,
Capo Dipartimento, godeva di un'ampia stanza, resa luminosa da
parecchie finestre.
Avere
un ufficio tutto suo lo rilassava parecchio. Era certo che non
sarebbe riuscito a lavorare in mezzo alla confusione di altre persone
impegnate a risolvere casi differenti dal suo.
Se
proprio avesse avuto bisogno di scambiare quattro chiacchiere con
qualcuno, c'era Sirius nell'ufficio di fianco.
Passavano
insieme gran parte della giornata, tuttavia, quando si lavorava si
lavorava ed erano talmente scrupolosi da non avere necessità
di diversivi frequenti.
Alle
loro scrivanie giungevano i rapporti di ogni perquisizione, di ogni
caso e di ogni incarico che era stato affidato. Era compito loro
controllare che tutto fosse a posto e che le nuove indagini
trovassero presto qualcuno che si occupasse di loro.
Il
loro, però, non era solo un lavoro di organizzazione. Dovevano
occuparsi anche di cose che rimanevano segrete ai più. Gran
parte di quello a cui lavoravano lui e Sirius, insieme ad un altro
scarso gruppo di Auror, rimaneva nascosto a tutti e non usciva dalle
mura dei loro uffici.
Il
fatto che il Mondo Magico fosse in pace da diversi anni, non
significava che il Dipartimento Auror non avesse nulla da fare, anzi,
quella pace continuava ad essere mantenuta grazie al costante lavoro
di prevenzione. Tutto questo andava al di là delle presunte
segnalazioni di vecchie streghe che erano convinte che il loro vicino
di casa stesse diventando un pericoloso Mago Oscuro o che Voldemort
abitasse il loro giardino trasfigurato da cavalletta.
Fortunatamente,
come James e Sirius ben sapevano, Lord Voldemort non sarebbe mai
potuto tornare, tuttavia restavano in libertà alcuni
Mangiamorte, la cui colpevolezza non si era mai potuta dimostrare,
che attendevano solo un capo attorno a cui potersi riunire. Senza
contare le numerose volte che si erano trovati a dover sventare
attentati contro i Babbani, orditi da qualcuno che non erano ancora
ben riusciti ad identificare.
James
sbuffò. Era ora di pranzo ed aveva bisogno di sgranchirsi le
gambe. Prese i documenti che stava consultando e li ripose con cura
in un cassetto della sua scrivania di mogano, sulla quale, tuttavia,
rimaneva impilata una scandalosa quantità di carte, certo, non
era nulla se paragonata alla pila che sommergeva la scrivania di
Sirius, ma lui non faceva testo, dal momento che non si degnava mai
di riordinare.
Prima
di alzarsi gettò un'occhiata rapida alle cornici che ornavano
un angolo della scrivania: lui e Lily, i ragazzi e, infine, i
Malandrini. Distolse in fretta lo sguardo da quella foto.
Era
stata scattata all'inizio del settimo anno, quando ancora erano in
quattro.
Si
chiedeva spesso perchè fosse così dannatamente
affezionato a tutte le foto con i Malandrini. Nonostante tutto, non
riusciva a stracciare quelle foto e, quando si era ritrovato a dover
rendere personale quel severo ufficio, non aveva esitato a portare
con sé anche un ritratto di quelli che erano stati i
Malandrini: Moony, Padfoot, Prongs e anche Wormtail, perchè
loro lo consideravano tale.
“Prongs!”
chiamò Sirius, spalancando la porta e comparendo nell'ufficio
dell'amico.
James
alzò la testa e sorrise, ringraziando l'arrivo di Sirius, che
l'aveva distolto da pensieri malinconici.
“Avanti
Paddy, prego. Fai pure come se fossi a casa tua, non bussare, mi
raccomando.”
Sirius
ghignò perfidamente verso James e riprese la parola.
“Stavo
sentendo un certo languorino... - disse, massaggiandosi lo
stomaco-Che dici, andiamo a mangiare?”
“Sto
aspettando Lily, eravamo d'accordo che ci saremmo visti, per pranzo.”
“Ok,
bene... allora non voglio fare il terzo incomodo, scusa!”
“Macchè
terzo incomodo, Sirius. Non fare il bambino! Ci sarà anche
Tonks. Si è offerta di prendere cinese per tutti.”
spiegò James
“Oh!
Bene! Avevo proprio voglia di strafogarmi di porcherie! Hellen non me
lo permette mai! E' fissata col colesterolo... deformazione
professionale, credo.”
“Ehilà!
Buon giorno a tutti!” esclamò Tonks, arrivando
accompagnata da Lily.
“Sirius,
vieni. Accompagnami a prendere da mangiare e a smuovere il tuo amico
dai suoi libri.”
“Perchè,
Remus non pranza con noi?”
“Mangiare
cinese mi fa male al fegato, Dora, lo sai. L'abbiamo già preso
la settimana scorsa!” disse Tonks, imitando il suo scrupoloso
marito.
“Remus
è un malato immaginario, dammi retta!” rise James,
scuotendo la testa
“Io
l'ho sempre detto! Lui non è mai malato, si convince di
esserlo.” asserì Sirius, convinto.
“Bè,
allora andiamo, cugino, diamoci una mossa che ho fame. Vi fidate dei
miei gusti, vero?” Tonks afferrò Sirius per un braccio e
lo stava già trascinando fuori quando Lily li chiamò.
“Per
me spaghetti alla soia senza soia! Ricordati, Paddy! Non riso alla
cantonese senza farcitura cantonese o pane fritto al forno. Spaghetti
di soia senza salsa alla soia. Non è difficile. Hai capito?”
gridò James
“Accidenti,
James! Non sono mica un troll! Ho capito! Ho capito, per Merlino!”
rispose Sirius, che ancora si chiedeva per quale motivo James si
fosse legato così stretto al dito un piccolo incidente
avvenuto vent'anni prima.
“Aspettate!
Prima voglio leggervi una lettera che mi ha mandato Molly Weasley
questa mattina. Tu eri già uscito, James, per questo non lo
sai.” disse Lily, rispondendo alla muta domanda che le aveva
lanciato il marito.
Aprì
la pergamena e lesse:
“Cari
James e Lily,
Come
state?
Vi
scrivo perchè io ed Arthur saremmo lieti, come ci ha suggerito
Ginny, di avervi alla Tana per un pranzo tutti insieme questa
domenica. Naturalmente sarebbe ancora più bello se anche
Elisabeth e Daniel potessero essere presenti, ma mi rendo conto che è
impossibile che loro lascino la scuola per un motivo così
futile. Ci sarà anche mio figlio Charlie, per questo sarebbe
stupendo poter essere tutti insieme.
Scriverò
una lettera oggi stesso anche a Sirius ed Hellen, Remus e Ninfadora e
ad Andromeda e Ted. Sarà una bella occasione per stare tutti
insieme.
Fatemi
sapere al più presto se ci sono impedimenti.
Tanti
cari saluti,
Molly”
“Per
noi non ci sono problemi, io, Remus e Ted ci saremo senz' altro!
Credo che anche i miei genitori avranno piacere di venire.”
disse Tonks, sorridendo all'indirizzo di Lily.
“Io
ed Hellen idem... Però, per quale motivo ci convocano così
d'urgenza? Sembra qualcosa di molto importante, quasi un annuncio...
Jamie, che cosa potranno mai volerci dire?” chiese Sirius,
pensieroso.
“Bè,
di solito queste riunioni di famiglia si convocano soltanto per
annunciare matrimoni o gravidanze... Certo, l'aver chiamato anche
tutti voi è un po' strano, ma credo che derivi dal fatto che
ormai con Harry che gira per la Tana...”rispose James
“Sì,
hai ragione. Però io escluderei la gravidanza, Bill e Fleur
hanno già Victoire che è ancora molto piccola e George
ed Angelina con Roxanne non sono messi meglio... a meno che la cosa
non riguardi Percy ed Audrey...” riflettè Sirius
“Ma
tu ci vedi Percy padre? Sarebbe un vero pericolo!” esclamò
James
“Sì,
in effetti... a meno che...”
“A
meno che non vogliano annunciarci il matrimonio tra George ed
Angelina!”
“Lo
stavo dicendo io, James! Alla fine, Molly non vedeva l'ora di mettere
a tacere tutte le voci sulla loro “incresciosa relazione”,
no? Quindi ha convocato tutti per questo.” disse Sirius, con
James che annuiva convinto.
Lily
e Tonks, nel frattempo, si scambiarono qualche occhiata confusa. Tra
tutte le opzioni possibili, quella pareva la meno plausibile. Che
bisogno c'era di invitare i Potter, i Black, i Lupin ed i Tonks?
Tonks
sillabò a Lily un “Harry?” che lei ricambiò
con un cenno d'assenso.
“Ne
parliamo dopo, comunque, Dora, ok?” disse piano Lily.
“Bene,
ora che avete risolto brillantemente anche questo mistero, io direi
che è ora di procacciarci del cibo. Quindi, cugino, muoversi!
Ciao Lily, ciao James!”Tonks trascinò via Sirius,
lasciando soli James e Lily.
“E
così George ed Angelina si sposano! Che bello! Questa sì
che è una notizia!” disse James
“James...
James... James!” provò ad interromperlo Lily, senza
risultati.
“Certo,
a volte mi chiedo cosa aspetti Harry... oh, vedo che hai lì
un'altra lettera, è di Beth?” chiese James, togliendo
dalle mani di Lily l'altra pergamena.
Lily
avrebbe tanto voluto dirgli che si trovava fuori strada, ma non era
il caso di mettere nella testa del suo già di per sé
folle marito idee che non avevano una conferma concreta. Pensieri
che, dopo tutto, derivavano solo da sue supposizioni sullo strano
comportamento di Harry durante l'ultima settimana.
“Sì,
è di Beth. Vieni, leggiamola insieme. Ancora non l'ho aperta.”
DIAGON
ALLEY
Lily
uscì dal Ministero con un sorriso soddisfatto stampato in
viso. L' uscita di James non appena lo aveva avvisato che Molly
Weasley li aveva convocati tutti quanti alla Tana per la domenica
successiva, aveva rallegrato parecchio il suo umore.
Suo
marito, quando si fissava su qualcosa e non voleva vedere, era
decisamente cieco. Certo, il fatto di lavorare a stretto contatto con
Sirius non lo aiutava né accresceva il suo acume: insieme
erano peggio di una talpa, in fatto di intuito.
Saranno
anche stati due importanti ed ottimi Auror, ma, per quanto riguardava
le relazioni interpersonali, erano proprio negati. Lily non sapeva se
trovare consolante o meno il fatto che Harry, il suo Harry, suo
figlio, quello che, stando a quanto aveva intuito si stava per
sposare, avesse ereditato quell'aspetto del carattere paterno.
“Merlino!
Pensare che Molly ci abbia invitato per annunciarci che George ed
Angelina hanno deciso di sposarsi! Ma come ha fatto ha pensare una
cosa simile? Possibile che non si sia accorto che suo figlio ha
un'aria sognante da dieci giorni?” pensava, recandosi al luogo
in cui aveva appuntamento con Hellen che, ricevuto lo stesso invito
dei Potter, era giunta alla medesima conclusione di Lily.
“Eccoti
Lily!”la salutò l'amica.
“Ciao!
Scusa per il ritardo, ma mi sono fermata con Dora a commentare le
fantastiche supposizioni che albergano nei vuoti cervelli dei nostri
mariti.”
“Anche
James ti ha detto che è convinto che Molly ed Arthur ci
abbiano invitato perchè George ed Angelina hanno deciso di
sposarsi?” chiese Hellen, senza nemmeno sforzarsi di trattenere
le risate.
“E
come fai a saperlo?”
“Sirius
mi ha mandato una Gufomandata. Ma si può essere più
stupidi, dico io? Lo sapeva che la lettera di Molly sarebbe arrivata
anche a noi, questa sera, quando eravamo a casa e lui cosa fa? Molla
l'ufficio, anche se ha detto che l'ha fatto durante la pausa, e io ci
credo poco, considerando che la sua principale preoccupazione in
quell' ora è mangiare... Comunque se n'è andato in
posta e mi ha spedito una Gufomandata al S. Mungo, tra l'altro io ero
anche al Pronto Soccorso a tentare di far ingurgitare una pozione
Rimpolpasangue ad un contadino Babbano che aveva avuto la bella idea
di farsi attaccare da uno Knarl, d'accordo che lui non lo poteva
sapere, poverino. Comunque, immaginati la scena: io sto lavorando, un
Obliviatore del Ministero è lì che mi soffia sul collo,
tre infermieri sono sotto la mia responsabilità, questo
poveraccio urla disperato e un gufo bussa ininterrottamente alla
finestra, fino a quando non gli viene aperto. Io vedo che è
una Gufomandata e inizio a farmi prendere dal panico: potrebbe essere
successo qualcosa a Dan o a Sirius e che cosa ci trovo scritto?
“Hellen, Molly ed Arthur domenica ci hanno invitato a pranzo.
Non hanno detto perchè, ma io e James siamo certi che sia per
annunciarci il matrimonio tra George ed Angelina.” Non so come
ho fatto a trattenermi dallo spedirgli una maledizione, per posta...
Ma si può essere così imbecilli ? Stavo lavorando, per
Morgana! In quel momento, comunque, ero convinta che Sirius avesse
ragione, poi però ho sentito te ed ho capito che, come al
solito, le loro brillanti menti erano giunte alla conclusione
sbagliata.” raccontò Hellen, con un'espressione a metà
tra il divertito e lo sconcertato.
Era
del parere che, in un modo o nell'altro, l'incapacità di
Sirius di farsi i fatti propri lo portasse sempre e comunque a
giungere alla conclusione più sbagliata.
“Io
e Dora non riuscivamo proprio a dire che erano molto, molto lontani
dalla verità. Erano così convinti di quello che
dicevano che non avevamo il coraggio di smontare le loro
congetture.”spiegò Lily.
“Senza
contare che vedere le loro facce domenica sarà triplamente
bello! Piuttosto, Lily, io sono come te del parere che questa
riunione riguardi Harry e Ginny, però ecco, al posto tuo io ci
sarei rimasta molto male se Dan non mi avesse confidato nulla.
Venirlo a sapere così, per vie traverse... Mi sembrerebbe di
essere stata una cattiva madre. Insomma, se i miei consuoceri lo
sanno, perchè io no?” confessò Hellen
Lily
attese un momento prima di rispondere. Hellen aveva ragione: lì
per lì non si era fermata a pensare, a riflettere sul rapporto
tra lei ed Harry. Forse non erano riusciti a stargli sufficiente
vicino, se lui non aveva ritenuto necessario confidarsi con lei.
“Da
questo punto di vista, Harry non somiglia per niente a James. Lui
l'avrebbe detto a chiunque, avrebbe condiviso la sua gioia con tutti
quelli che incontrava. Harry no. Harry è riservato. La vede
come una cosa privata. Una cosa che riguarda solo lui e Ginny e poi,
successivamente amici e famiglia. Non ti nego che inizialmente,
questa mattina, appena ho ricevuto la lettera di Molly, ci sono
rimasta male. Poi però ho pensato che è una questione
di carattere: Ginny è molto più aperta e spontanea di
Harry e questo è un bene... in ogni caso, Ginny è
comunque una ragazza, ed esiste un altro tipo di complicità
con la madre, no?”
“Sì,
è vero, anche se sono certa che Dan sarebbe corso in casa e me
l'avrebbe detto immediatamente, a proposta conclusa. Forse, prima di
chiederlo, avrebbe confessato i suoi dubbi a suo padre, ma in seguito
posso dire tranquillamente che sarei stata la prima persona a
saperlo, seconda solo ai suoi amici. Comunque, come dici tu è
una questione di carattere, senza contare che Ginny è una
ragazza. Purtroppo non ho figlie e mi devo fidare della tua
esperienza.” asserì Hellen, mentre camminavano verso la
libreria di Remus, senza far caso alle vetrine.
“Tuttavia
è successa una cosa che mi fa pensare che in realtà
nemmeno Molly ed Arthur siano al corrente di quanto è
successo. Prima di tutto Molly dice che Ginny ha pensato di invitarci
e poi ho incontrato Arthur poco fa e lui mi ha detto che non ha idea
del motivo per cui Ginny ci vuole tutti alla Tana. Ha detto che ieri
sera è comparsa nel camino ed ha detto che lei ed Harry hanno
pensato di organizzare un pranzo di famiglia per questa domenica.
Senza dubbio anche loro sospettano che ci sia sotto qualcosa, ma non
sanno nulla.” raccontò Lily, mentre giravano in uno
stretto e buio vicolo laterale.
“Come
volevasi dimostrare, quindi, gli unici a trarre le conclusioni più
fantasiose sono, come al solito, Sirius e James. Eccoci, siamo
arrivate.” disse Hellen, indicando l'insegna della libreria.
Lily
tirò verso l'interno la pesante porta.
“Remus?
Ci sei? Siamo noi!” salutò
“Lily,
Hellen! Che bella sorpresa! Cosa vi porta qui?” rispose Remus,
riemergendo dal retro armato, ovviamente, di libro.
“Aria
di notizie!” esclamò Hellen, sventolando la lettera
“Dora
te ne ha parlato, vero?” chiese Lily
“Oh
sì, certo che me ne ha parlato. Mi ha raccontato anche cosa ne
pensano Sirius e James.” rise Remus, scuotendo la testa.
“E
tu ovviamente hai capito benissimo che non si tratta di quello che
pensano loro, giusto?” disse Liky, esaminando la copertina
consunta del libro che aveva sotto gli occhi.
“Oh,
quello è una delle prime edizioni della “Ballata del
Vecchio Marinaio”, Lily.... comunque sì, anche
utilizzando la più fervida fantasia non si potrebbe arrivare a
pensare una cosa simile. Harry come sta?” si informò
Remus
“Bene,
molto bene. Non ha detto una parola, ma gli si legge in faccia che è
sereno.” rispose Lily
“Piuttosto,
Remus, non è che tu hai intenzione di rivelare qualcosa ai
tuoi compari ricchi di intuito?” si assicurò Hellen, che
mai avrebbe voluto rovinarsi la spettacolo che la attendeva domenica.
“E
perdermi le loro facce quando lo sapranno? Fossi matto!”
esclamò Remus, con un ghigno malandrino che si allargava sul
viso.
NdA:
a partire da questo capitolo troverete numerosi stralci o strofe di
canzoni. Prenderò in prestito testi che mi piacciono
particolarmente per farli diventare creazioni composte da Dan.In
questo capitolo troverete “Forever Young” di Youth Group.
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Capitolo 7 *** In bilico ***
NdA: a partire da questo capitolo troverete numerosi stralci o strofe di canzoni. Prenderò in prestito testi che mi piacciono particolarmente per farli diventare creazioni composte da Dan.In questo capitolo troverete “Forever Young” di Youth Group.
In bilico
HOGWARTS
La fine di maggio stava giungendo velocemente assieme alle prime vere giornate di caldo.
Il sole e la mancanza di vento invitavano a pigri sonnecchiamenti o ad improvvisate partite di Quidditch, eppure gli studenti di Hogwarts erano costretti a sudare sui libri ancora per un altro mese, prima di potersi, finalmente, godere qualche mese di libertà.
Ad essere sull'orlo di una crisi nervosa non erano solamente gli studenti del settimo o del quinto anno, impegnati a prepararsi al meglio per i G.U.F.O. e per i M.A.G.O.
Tutti quanti, chi più chi meno, erano ansiosi per la fine dell'anno scolastico, persino i ragazzini del primo anno, i quali guardavano con terrore gli imminenti esami.
Tuttavia, se possibile, i più tesi ed euforici erano i ragazzi del sesto anno: sesto anno significava diciassette anni. Significava maggiore età. Significava poter usare liberamente la magia ( in molti pregustavano delle fantastiche vacanze all'insegna dell'incanto per la minima necessità), ma avere diciassette anni significava anche poter dare l'esame di Materializzazione.
Dare l'esame di Materializzazione significava indipendenza.
Il Ministero organizzava due sessioni: una estiva in giugno ed una invernale in dicembre, così da favorire tutti i ragazzi, anche coloro che, essendo nati alla fine dell'anno erano costretti a frequentare Hogwarts con compagni di qualche mese più piccoli.
Anne, Beth e Thomas avrebbero dovuto affrontare i loro esami quel mese e, appena potevano, scappavano da compiti e lezioni per chiudersi in qualche aula inutilizzata ed esercitarsi.
“Dai Anne, tocca a te! Pensa alle tre D! Destinazione, determinazione e decisione!” la spronò Thomas, appena atterrato sano e salvo sui cuscini posizionati in fondo all'aula.
“Ok. Ci sono, le tre D!” ripetè Anne che più degli altri due aveva faticato ad apprendere.
La verità era che lei si agitava immediatamente e questa sua ansia le impediva di avere la freddezza necessaria al successo.
Dopo parecchi fallimentari tentativi, che avevano provocato il suo allontanamento dalle lezioni tenute dal signor Jung, Anne stava faticosamente riprendendo l'allenamento.
Alle lezioni si agitava così tanto da non riuscire ad eseguire nemmeno l'esercizio più semplice. I suoi spaccamenti erano così frequenti che l'insegnante ironizzava spesso sulle sue capacità e questo l'aveva portata a mollare il corso in modo teatrale.
“Forza Anne! Hai fatto un sacco di progressi!”la esortò Beth, a cui l'amica aveva più volte confidato i timori che le sue stesse ansie ed agitazioni le incutevano.
Anne annuì
“Oh, tanto lo so che non ci riesco!” esclamò, prima ancora di tentare e scaraventando la bacchetta a terra.
“Basta! Ho chiuso! Io non lo voglio fare questo esame! Tanto non lo supero!”
“Ma ti sei iscritta, ormai! E ieri seri riuscita!” le disse Thomas
“Sì, Anne. Ieri ci sei riuscita e anche la settimana scorsa: hai fatto dei progressi enormi! Sono certa che ce la farai.” aggiunse Beth, sedendosi accanto all'amica, che si era accucciata in un angolo della stanza.
“Tanto non ci riesco! Quindi è inutile che tentate di insegnarmi! Ci sono persone portate e persone che non lo sono! Aveva ragione Jung mesi fa a dirmi di lasciar perdere! Non sprecate il vostro tempo con me, tanto non imparo!”
“Anne...”
“Andate via!”
“Anne...”
“Via! Voglio stare da sola!”
“Anne... prova ad ascoltarci un attimo...”
“No. Andate via.”
“Vado a cercare Lucas.” sussurrò Thomas, nell'orecchio di Beth, che annuì. Se c'era qualcuno che poteva essere in grado di calmarla quello poteva essere Lucas.
Quando Thomas lasciò l'aula, Beth provò a riprendere la parola, ma Anne la precedette.
“Perchè non te ne sei andata anche tu?”
“Anne... noi vogliamo aiutarti. Se stiamo qui ad esercitarci ogni giorno è perchè crediamo davvero che tu possa farcela, non trovi?”
“Beth... ma io non sono come te! Tu riesci sempre in ogni cosa che fai! Io no! Ci sono cose che non potrò mai fare e tra queste c'è la Materializzazione. Prima lo capite tutti, meglio è.”
“Non è vero che riesco in tutto quello che faccio, Anne. Tu sei allegra, solare, spigliata, risulti simpatica a tutti e sai barcamenarti in ogni situazione. Se non fai i compiti riesci sempre a convincere i professori che non l'hai fatto apposta, se qualcuno è giù di morale tu sai sempre come farlo ridere, riesci a tenere testa a Lucas...Io sono sempre zitta, ho paura della gente, faccio sempre la figura della scorbutica solo perchè non parlo con nessuno. E se non ci fossi stata tu, io sarei ancora la ragazzina impaurita che ero al primo anno, ti ricordi? Ti ricordi come ero? Ti ricordi che me ne stavo sempre da sola? Se non ci fossi stata tu adesso sarebbe la stessa cosa.” spiegò dolcemente Beth.
“Però ogni volta che vuoi fare una cosa ci riesci, Beth... io sono sempre un mezzo impiastro.” mugugnò Anne, con la bocca affondata tra le ginocchia.
“Non è vero! Sei determinata, Anne. Persegui sempre i tuoi obbiettivi. Sei solo troppo emotiva, tutto qui.”
“Vorrei essere come te...”
“Come me? Credi che sia bello e semplice tenersi sempre tutto dentro e non raccontare mai come si sta? Credi che sia fantastico non sapere mai come rispondere alla gente? No... non è per niente divertente essere me, soprattutto quando gli altri ti vedono quella a cui chiedere i compiti.” rispose, con un velo d'insofferenza Beth.
“Mi dispiace...” sussurrò Anne
“E per cosa?”
“Ti chiedo sempre le versioni di Antiche Rune.” bisbigliò Anne.
Beth rise, Anne alzò la testa e la guardò, prima di unirsi alla risata.
“Elisabeth.. grazie.”
“Sono qui apposta.” le rispose, contraccambiando l'abbraccio.
“Beth... ma dove è scomparso Thomas?”
“A cercare Lucas... eri talmente sconvolta che ci siamo preoccupati. Abbiamo pensato che Lucas fosse la persona migliore per tranquillizzarti.”
“Oh no!”
“Che c'è?”
“Lucas no. Non voglio che mi veda così. Penserà che sia la solita bambina capricciosa e viziata.”
“Ma...”
“Non fare domande, Beth. Non voglio che Lucas mi veda così e basta. Andiamo via. Per favore.”
Anne la guardò con fare supplicante e Beth non potè non acconsentire e così le due amiche si allontanarono da quell'ala del castello.
Era qualche tempo che si era accorta che Anne faceva di tutto per evitare di stare da sola con Lucas per lunghi periodi, quando in precedenza detestava che non ci fosse tempo a sufficienza per loro due.
Anne non aveva parlato a nessuno della situazione, ma Beth poteva essere abbastanza sicura che tutto fosse iniziato quel giorno in cui Mary Myers si era fatta pericolosamente vicina a Lucas.
Da allora Anne sembrava evitare Lucas, per poi illuminarsi non appena il ragazzo corresse da lei, ormai dimentica di tutto il resto.
Daniel camminava nel corridoio dietro alla Biblioteca con la chitarra in spalla e fischiettando il motivetto che aveva accompagnato le sue partite di Quidditch negli ultimi cinque anni.
Era un'azione che gli veniva ormai spontanea, un orribile, indecoroso e maleducato vizio, come lo definiva Thomas, quando era in preda alle sue crisi isteriche da “lasciatemi-in-pace-devo-studiare-se-osate-aprire-bocca-giuro-che-vi-affatturo”.
Eppure ormai faceva parte di lui.
Il nome di Daniel Black era da tutti associato a quella musichetta che veniva intonata a tutte le partite. Era il coro che aveva accolto l'insostituibile Battitore prima e il Capitano poi.
In quegli ultimi due anni, in particolare, era diventato Il Coro per eccellenza, quello che indicava Il Capitano.
Quello che seguiva il suo ingresso in campo, la sua richiesta di time-out, un suo intervento particolarmente riuscito.
E Dan si abituato a sentire gente che lo intonava, idolatrandolo quasi come una divinità. Perchè lui era Daniel Black, Il Capitano.
Inizialmente, quando era piccolo, la cosa lo eccitava tantissimo: aveva un suo coro personalizzato! Era stato creato appositamente per lui, anche se era tra i più giovani in squadra.
Crescendo, si era sentito un po' troppo sopravvalutato, in fondo, lui giocava a Quidditch solo perchè gli piaceva. Si divertiva. Aveva scoperto che tirare una mazza contro ad un bolide o suonare la chitarra lo portava a scaricare la tensione meglio che prendendo a pugni qualcuno.
Giocava perchè si divertiva, quando non si sarebbe più divertito, avrebbe smesso.
Così come era per Lucas.
Da quando però era stato nominato Capitano, aveva riconsiderato l'intera faccenda.
Era il Capitano, accidenti, se lo meritava un coro tutto per lui.
Inconsciamente aveva incominciato a far suo quel motivetto, canticchiandolo e fischiettandolo in continuazione: mentre camminava, mentre studiava, mentre si trovava in compagnia dei suoi amici...
Beth ed Anne ritenevano la sua fissazione a dir poco insopportabile.
Thomas, invece, roteava gli occhi ogni volta che sentiva quel suono uscire dalla sua bocca, ma, alla fine, non gli diceva niente, purchè andasse lontano da lui quando emetteva quegli stridii scomposti.
Lucas non osava aprir bocca, ma riteneva quell'abitudine costitutiva di Dan. Era il suo migliore amico ed era perfetto così. Di lui faceva parte anche quella sciocca abitudine, non ci vedeva niente di male.
Era una parte di Dan e a lui andava bene così.
Lucas non avrebbe cambiato una virgola del suo migliore amico.
Dan si guardò attorno, prima di entrare in Biblioteca: non sapeva nemmeno perchè ci stava andando.
Ovviamente non per studiare. Non si stava impegnando troppo, per i M.A.G.O. perchè era certo che, per quello che aveva intenzione di fare lui, ottimi voti non servivano.
Stava andando in Biblioteca solo per cercare qualcuno con cui parlare, dal momento che tutti i suoi amici erano occupati ed uno era scomparso. Lucas era sparito dalla circolazione all'ora di pranzo e Dan era alla ricerca di qualcuno, magari di Mary Myers, da cui l'amico non si separava da quella festa alla torre di Grifondoro, che sapesse dirgli dove era finito Lucas.
Spalancò il pesante portone e con un cenno di capo rapido salutò Madama Pince che lo squadrò: non era cosa frequente vedere Daniel Black in Biblioteca.
Dan la maledisse mentalmente: il fatto di andarci raramente non significava che la gente dovesse stupirsi ogni volta che ci entrava.
Notò che parecchie sue conoscenze erano intente a studiare: qualche ragazzo lo salutò, qualche ragazza si sbracciò con fare cinguettante, nella speranza che lui la notasse e le chiedesse di uscire.
Dan rivolse un sorriso a tutti, come era solito fare. Ecco la cosa che lo contraddiceva: il sorriso.
Non aveva ereditato l'espressione perennemente sofferente o sfrontata di Sirius. Dal padre aveva ereditato solo la distratta eleganza che contraddistingueva ogni Black.
Il suo sorriso, la capacità di portare allegria attorno a chiunque erano caratteristiche proprie della sua solare mamma, il cui sorriso aperto e sincero era la prima cosa che tutti notavano.
Intravide da lontano la persona che stava cercando: Mary Myers in compagnia della sue amica Diana Smith sedeva ad un tavolo.
Lucas non era con loro e Dan ringraziò che non l'avessero visto, così da non dover perdere tempo a parlare con loro.
In verità non è che Mary gli piacesse più di tanto. Era una ragazza simpatica, divertente. Ma era solo una ragazza, ecco.
Solo una ragazza. Non riusciva a trovare in lei nulla più di una bella ragazza, in ogni caso, se Lucas era felice, bè, lo era anche lui.
Pertanto abbandonò quel luogo in cui era sempre entrato più per chiacchierare che non per fare qualcosa di costruttivo e si diresse al piano della Stanza delle Necessità.
Era dal suo secondo anno, ovvero da quando aveva iniziato a suonare, che aveva fatto di quella sala il suo rifugio.
Non gli piaceva che gli altri, anche gli amici, lo sentissero suonare prima che una canzone fosse perfetta.
Era maniacale l'attenzione che Dan metteva nella musica. Ogni singola nota, ogni singolo accordo, ogni corda doveva essere pizzicata a dovere.
Una canzone non poteva ammettere errori.
Beth era solita dirgli che metteva più impegno nella musica che in qualsiasi altra cosa e che, se la stessa energia fosse stata impiegata anche nello studio o nel miglioramento di quei difetti che tanto Dan biasimava a se stesso, avrebbe potuto conquistare il mondo.
Lo diceva seriamente, Beth. Era sempre seria in qualsiasi cosa dicesse, lei.
Credeva davvero che lui potesse conquistare il mondo, fare qualsiasi cosa che avesse in mente.
Nutriva cieca fiducia nelle sue capacità, più che nelle proprie.
Quando facevano quei discorsi, Dan non poteva fare a meno di sorridere bonario e di spiegarle ogni volta la stessa cosa, a cui lei, ogni volta, rispondeva allo stesso modo.
Le diceva che, visto che non riusciva ad essere perfetto nelle azioni, nel carattere e in tutto quello che faceva, voleva che almeno fossero perfette le sue canzoni.
Quelle non dovevano avere errori.
E lei sorrideva, arricciava le labbra così da fargli ricordare zia Lily, aggrottava la fronte e ricominciava da capo la discussione, mettendosi a tacere non appena le mani di lui sfioravano le corde della chitarra.
Entrò nella Stanza delle Necessità e si accoccolò sul divano di velluto che la arredava. Incrociò le gambe e posizionò su di esse quella chitarra che suo padre gli aveva regalato cinque anni prima.
Provò mentalmente la melodia, afferrò un pezzo di carta e scrisse le note su uno storto pentagramma appena schizzato.
“Sì... forse.. così...”
“Let's dance.... no, così non va. Deve essere più soffuso...” raccolse la gomma da terra e cancellò quelle prime note, per riscriverne altre che parevano soddisfarlo di più.
Strimpellò senza cantare, senza unire alla musica le sue parole, ma lasciandosi trascinare dalla melodia, mentre nella sua mente comparivano tante immagini.
Immagini di momenti, di attimi, immagini belle e brutte, immagini che avrebbero potuto aiutarlo a completare la scrittura del testo.
Perchè Daniel Black era strano anche in quello, anche nel comporre: scriveva prima la musica e da essa gli venivano le parole per quelle due canzoni che aveva già scritto.
Per parecchi anni si era limitato a suonare testi di altri, ma da qualche mese aveva iniziato a scriverne di suoi.
Appoggiò la chitarra al suo fianco e da quello stesso quaderno su cui aveva tracciato le cinque scomposte righe del pentagramma, scrisse le prime parole di quelle che sentiva sarebbe stata “ La Canzone.”
I momenti di quella sera trascorsa tutti insieme a vedere le stelle non volevano andarsene: lui Beth.. Beth... Lucas e Thomas, più che amici fratelli... e la buffa Anne con le sue trovate...
“Let's dance in style let's dance for a while... Heaven can wait we're only watching skies....” le parole lo convinsero a tal punto da volerle provare con la musica.
“Sì, ci sono! Sta venendo!”
“Lets dance in style lets dance for a while... Heaven can wait we're only watching skies.... e poi.. poi... il futuro... il meglio... hoping for the best but expecting the worst.... Are you going to drop the bomb or not?”
Galvanizzato dal successo di quelle prime parole le riprovò all'infinito, aggiustando ogni volta quel qualcosa che stonava.
Poi ad un tratto si bloccò.
“Uff! Non ci sta niente... non va così...”
“Prova a cambiare la musica!” suggerì una voce, sbucata all'improvviso come il suo proprietario, un ragazzo alto e biondo.
“Luke! Dove ti eri cacciato? E' tutto il giorno che ti cerco!” Dan abbandonò la sua chitarra sul divano e corse dall'amico.
Lucas scoppiò a ridere:
“Da quando in qua sei così sentimentale, Black?” domandò, calcando la voce sulla parola sentimentale.
“Da quando mi sono perdutamente innamorato di te e tu mi trascuri per stare con quella Mary.” gli rispose Dan, a tono.
“Potevi dirmelo! Avremmo potuto coronare il nostro sogno d'amore molto prima!”esclamò Lucas
“E spezzare così i delicati cuori delle nostre ammiratrici?”
“Concordo! Il nostro amore deve essere nascosto e... non so più come andare avanti, Dan. Inoltre la distanza tra noi si sta facendo troppo limitata per i miei gusti...”
“Idem. Cosa ne dici di riprendere le nostre originali postazioni?” propose Dan, staccando la mano di Lucas dalla sua spalla.
“Penso che sia la cosa migliore che si uscita dal nostro neurone in comune negli ultimi minuti.” approvò Lucas, allontanando dal suo fianco la presa di Dan.
Si osservarono di sottecchi per qualche secondo, prima di scoppiare in una sonora risata.
“Quanto siamo stupidi!” esclamò Lucas, scuotendo la testa.
“L'hai detto con lo stesso pericoloso tono di Thomas, mi devo preoccupare? Comunque, dove ti eri cacciato?”
“Ero dalla Mc... la stavo implorando di non bocciarmi in Trasfigurazione. Se mi dovesse bocciare posso dire addio al campeggio.” spiegò Lucas.
“Ah... ma l'hai convinta, vero? Voglio dire, non possiamo partire senza di te! Accidenti, perchè non ti metti a studiare, una buona volta, anziché pensare solo ad aiutare Hagrid con quei suoi orribili amici?”
“Chi è che parla come Thomas, adesso? Se ben ricordo non è che tu ti stia dando troppo da fare coi M.A.G.O. E comunque la sua materia mi fa schifo... Cavolo, ma non può bocciarmi! Nelle prove pratiche ho la media della E, vado male solo in teoria... Voglio dire, facendo una media tra E e T, DEVE venire una A! Non può negarmela, ti pare? Invece sai che ha detto la megera? Che mi vuole far fare “un compito supplementare per valutare il recupero teorico di quelle che sono le tue ottime abilità pratiche, Franchester”. Raccontò, scimmiottando l'insegnante e stravaccandosi sul divano.
“Preparati allora, tra poco inizierà anche con te a dirti che stai sprecando il tuo futuro, che le tue capacità non possono essere buttate via così e robe del genere... ma a me di una carriera imbellettata al Ministero non me ne frega niente! Non voglio fare l'Auror! Non voglio lavorare in uno stupido ufficio con una scrivania impolverata!” si infervorò Dan, prendendo a pugni il bracciolo.
“Ehi, Dan, calmo! Che hai?” si preoccupò l'amico, visto il rapido cambiamento d'umore.
“Sono stufo marcio di sentirmi dire che cosa devo fare. Non voglio più domande sul mio futuro. Non lo so che cosa farò tra qualche mese. Mi arrangerò, ma di certo non vado a fare l'impiegato! Perchè nessuno se lo ficca in testa? Non me ne importa niente di quelle carriere!”
Lucas sospirò, non era bravo in quel genere di situazioni. Ci voleva Thomas. Non lui.
“Ok.. lo so. Lo so Dan. Lo so da prima che me lo dicessi. Lo so. E allora suona Dan... suona, se è questo che vuoi fare. Suona.”
“Fosse semplice...”
“Dov'è finito Il Capitano, Dan? Da quando ti scoraggi così?”
“La vita non è Hogwarts, Luke. Là fuori non sarò nessuno e, dannazione, io non voglio lasciare questo posto.”
“Sai cosa penso, Dan? Penso di voler far qualcosa di davvero costruttivo, nella mia vita. Altrimenti non ha senso viverla fino in fondo. Non ha senso diventare vecchi. Io voglio diventare qualcuno. Essere immortale nella fama, almeno. Altrimenti tanto vale...no?”
“Vorrei restare sempre qui. So che è sciocco ed infantile. Ma vorrei essere Daniel Black per tutta la vita. Io non lo so cosa voglio fare davvero, Lucas.”
“Tu vuoi suonare, Dan. Vuoi suonare. E' palese. Provaci almeno.”
“Ma a diciotto anni compiuti bisognerebbe sapere che non sempre si riesce, no?”
“Almeno provaci.” intervenne Thomas, sbucato da lì dietro.
“Thom, che ci fai qui? Hai sentito tutto?” si spaventò Dan
“Bè, origliare è il mio forte no? Comunque, esimi, volete sentire cosa ne penso?”
“Avanti, concedici la tua perla di saggezza su come affrontare il futuro.” disse, accondiscendente e perplesso Lucas.
“Dan, mi ascolti?”
“Avanti, parla. Tanto lo faresti comunque...”
“Secondo me sarà bello tra venti, trenta o chissà quanti anni ritrovarci... insieme e vedere che ne è stato. Vedere se siamo gli stessi oppure no.”
“Vedere se siamo dei falliti oppure no”
“Sì, ok, detto adesso suona alquanto poetica come cosa, però... però ammetti che niente sarà andato come desideravamo. Allora sarà uno schifo.” lo contraddisse Lucas.
“Magari saremo felici comunque... magari quello che sogniamo adesso tra qualche tempo parrà ridicolo e allora saremo soddisfatti di aver fatto altro.” ribadì Thomas
“Ma come fai ad essere sempre così ottimista, Thom? Perchè sembri essere immune da scoramento?” chiese Daniel
“Non sono immune da scoramento, è che, se voi siete pessimisti... tocca a me essere ottimista, ti pare?”
“Sai Thomas, a volte mi sembra proprio che tu sia la nostra balia...” osservò Lucas, accarezzando affettuosamente la testa di Thomas.
“Ecco, vedete... saranno questi i momenti che mi mancheranno terribilmente, tra qualche mese. Noi tre, solo noi tre, insieme qui a far niente. Mi mancheranno gli scherzi alla Mc e a Gazza, mi mancheranno il Quidditch e l'essere qualcuno. E mi mancherà sedermi di fronte al camino con Beth e sentirla ridere per quello che dico, sentirla rimproverarmi...Io credo di non essere pronto per lasciare Hogwarts, sinceramente.”ammise Dan, sincero con i suoi amici, esprimendo a voce alta per la prima volta quello che sentiva.
“Io credo che dipenda dal fatto che tu non hai ancora ben capito quello che vuoi fare, Dan. Sai quello che non vuoi fare. E questo è un inizio... O meglio, tu sai quello che vuoi fare. Ti manca il coraggio per farlo.”
“Però devi ammettere, Thomas, che è piuttosto frustrante aver passato sette anni qui essendo qualcuno e ritrovarsi ad essere un signor nessuno là fuori, no? Su questo sono d'accordo con Dan.”
“ Let us die young or let us live forever... We don't have the power but we never say never ...
Sitting in a sandpit, life is a short trip...The music's for the sad men ” canticchiò Dan, trasformando in parole i pensieri suoi e di Lucas .
“Mi piace!” esclamò Lucas, divertito.
“Ok, ok... bello, bellissimo e stupendo. Ma un po' di ottimismo, Dan! Avanti! Pensa che ci riuscirai, che troverai quello che vuoi fare davvero. O meglio, troverai il coraggio di ammettere a te stesso quello che vuoi, Dan. I più grandi musicisti e cantanti Babbani erano tutta gente fuori di testa e... bè, il fegato a te non manca, Dan!” lo spronò Thomas, che proprio non riusciva a spiegarsi questa totale mancanza di fiducia.
“Ma là fuori non sarò Daniel Black... sarò uno qualunque e la strada è lunga.”
“La strada è lunga, sì, ma non impossibile, Dan. Sai...credo che tra un anno affronterò anch'io la crisi da Non-Voglio-Lasciare-Hogwarts...”
“Però pensate che sarà bello, un giorno ricordarci di tutti questi momenti...Voglio dire... non ci ricorderemo di ogni singolo istante, ma faremo un collage di momenti... e tutto ci sembrerà bellissimo, perchè, anche se col senno di poi diremo “Che idioti che eravamo!”, sarà bello ricordarci di tutto... perchè saremo sempre noi. E anche se ci saranno stati momenti orribili, in cui volevamo mollare tutto, momenti in cui questa scuola ci sembrava una prigione... bè, non ce ne ricorderemo. Perchè è questo che fanno i ricordi: selezionano. E alla fine ci sarà solo nostalgica malinconia.” disse Thomas, con un tono ancora più adulto di quello che già solitamente aveva.
“Forse sì.. forse hai ragione.. però una cosa è certa: io voglio fare qualcosa di importante. E tu Dan... bè, la musica è fatta da uomini matti...”
“Can you imagine when this race is won... Turn our golden faces into the sun...
Praising our leaders we're getting in tune... The music's played by the mad men”
“E così questa è la trasposizione poetica delle mie perle di saggezza?”
“Sai, Thomas, spesso mi ricordi zio Remus...” sorrise Daniel
“ The music's played by the mad men, Dan. Ricordatelo.” aggiunse Lucas.
“Anne,..” la chiamò Lucas, qualche ora dopo mentre stava leggendo in Sala Comune.
“Che cosa c'è Lucas? Sappi che non intercederò per te con la McGranitt e non ti aiuterò coprire Hagrid che sta allevando qualche creatura illegale.”
Lucas rise e si abbassò sulle ginocchia così da raggiungere la stessa altezza della ragazza che stava accartocciata su se stessa sulla poltrona.
“Che c'è da ridere? Io fossi in te piangerei...”
“Volevo solo chiederti come stavi... Thomas mi ha detto che le esercitazioni non sono andate molto bene, oggi pomeriggio...”
“Infatti. Credo che non darò l'esame. Ma ora non ne voglio parlare.” rispose scorbutica, coprendosi la faccia con il libro.
“E invece ne parliamo. Perchè non vuoi fare l'esame? Sono sicuro che lo passeresti, devi solo cercare di mantenere i nervi saldi.”
“Ma siccome i miei nervi non rimangono mai saldi è il caso che ci rinunci. E se non l'avessi capito, non ho voglia di parlarne.”
“Ma...”
“Ti ho detto di no.” disse perentoria.
“Come vuoi. Che ne dici di una partita a scacchi?” propose il ragazzo, impegnandosi per tirarla su di morale.
“Non vedi Mary questa sera?” chiese Anne, accigliata, dal momento che era abituata a vedere quella sottospecie di bambola dai lunghi, lisci e setosi capelli neri sempre appiccicata al suo Lucas.
“Mi ha detto che ha una “serata tra amiche”, quindi, perchè non posso avere anch'io la mia serata? Dai, vieni.”
Anne si dimenticò di essere lievemente arrabbiata con Lucas per via della sua ultima relazione; si dimenticò il risentimento che provava, perchè bastava che lui le sorridesse e la facesse sentire importante, più importante di qualsiasi altra ragazza perchè era la sua migliore amica e tutto andava bene.
Persino la situazione dell' esame di Materializzazione non pareva più così tragica.
“Preparati a perdere, Franchester!” esclamò, precedendolo alla scacchiera ed accaparrandosi i pezzi bianchi.
Dall'altra parte della Sala Comune di Grifondoro, Elisabeth sedeva dietro ad un tavolino con la testa china su una pergamena.
“A chi stai scrivendo questa sera?” le domandò Dan, incuriosito: possibile che quella ragazza trovasse il tempo per fare i compiti, badare a tutti loro come una mamma e scrivere ad un componente diverso della famiglia ogni giorno?
“A Remus e Dora. Teddy mi ha mandato un disegno di Pollux e volevo ringraziarlo e fargli i complimenti. E ne approfitto anche per sapere come stanno Remus e Dora.”
“Fammi vedere il disegno di Teddy.”
“Ecco, tieni.” gli passò un foglio di pergamena rettangolare sul quale, in mezzo ad una striscia verde che delimitava il bordo inferiore stava una macchia circolare marroncina a cui erano state aggiunte due righe su quella che sembrava la testa.
“E questo sarebbe Pollux? Come hai fatto a capire che è lui? A me sembra un colossale sgorbio...”ammise il ragazzo, grattandosi la nuca.
“Oh, Daniel!- sospirò Beth- Come puoi non capire che è Pollux? Queste sono le orecchie, queste le zampe, gli occhi... il giardino della casa di Ted... guarda, ha disegnato anche il capanno per gli attrezzi!”
“A me sembravano tante macchie e basta...Beth, oggettivamente, devi ammettere che Teddy non è un mago del disegno.”
“Sì.. forse è vero, però... insomma, si capisce, no?”
Dan scosse la testa
“Più o meno...”insistette Beth
Dan scosse nuovamente la testa e Beth riafferrò la pergamena.
“Effettivamente.. devo darti ragione... però non gli può certo dire che è orribile, ti pare?”
“Povero Teddy... avrà preso da sua madre...”constatò Dan
“Già.. comunque, avevi bisogno di qualcosa?”
“No.. niente. Volevo solo parlare un po'... oppure... che ne dici di una passeggiata?” propose, speranzoso e con un sorriso malandrino.
“E' quasi l'ora del coprifuoco...” osservò Beth
“Come non detto... bè, allora, buonanotte, Elisabeth.” disse Dan, voltandosi.
“No! Dan aspetta...” Beth si era alzata in piedi, prima ancora di avere il tempo di capire perchè lo stesse facendo. Sentiva solo che fermarlo sarebbe stata la cosa giusta.
“Sì?”
“Io.. io vengo volentieri. Se a te va ancora...” ammise, rossa in viso, guardando il pavimento.
“Se mi va? Certo che mi va! Vieni, Beth, andiamo.”
Daniel la prese per mano, incurante degli occhi di tutti puntati su di loro ed Elisabeth ricambiò la stretta, senza far caso chi bisbigliava al suo indirizzo, orgogliosa del suo sangue malandrino e lieta di seguire il suo malandrino.
Ciao a tutti! So che vi aspettavate le reazioni della famiglia al grande annuncio, ma ho preferito inserire prima questa piccola parentesi su Hogwarts. Inserire entrambe le scene sarebbe stato discordante e così... comunque presto sarà online anche il tanto atteso capitolo sul pranzo alla Tana!
Abbiate fede!
Vi ringrazio per aver letto e ringrazio chi ha recensito:
PrincessMarauders: mi perdoni per non aver inserito il pranzo alla Tana? Volevo staccare un po'... comunque sarà pubblicato tra breve, spero! Anch'io mi sono divertita molto a scrivere di James e Sirius... sono fenomenali quei due assieme!
Padfoot_07 : eh.. come dice sempre Hermione a Ron, James e Sirius avranno le uova di vermicolo nel cervello... comunque scommetto che saranno orgogliosi di Harry! E Lily.. bè, Lily è una madre. E quindi sa.
Daphne 92 : abbi pazienza! Arriveranno le reazioni!
Finleyna 4 Ever : dici che ci sarà da ridere alla Tana? Io credo che inizialmente bisognerà raccoglierli col cucchiaino, i pezzi di quei due... abbi fede!
Thaleron : mi sa che ad essere fissate con Dan e Beth siamo in due... Comunque ci saranno le reazioni di Dan e Beth alla notizia nel prossimo capitolo...
cinderella87 : l'azione è pronta ad entrare, solo che prima ci saranno un altro paio di capitoli... perchè questo matrimonio “s'ha da fare”. Come reagirà Percy? Credo si offrirà come organizzatore... e Fred e George? Secondo me prenderanno in giro Ronnino Piccino...
Anche a me è piaciuta molto la reazione di Ron, è stata quella che credo avrebbe: è impacciato, geloso e pasticcione. Ma Harry è il suo migliore amico.
Bellis: eh sì, Lily è una madre e sa perchè va oltre. I due Malandrini credo che non se lo aspettino proprio... non so perchè, ma ho l'impressione che non si aspettassero un annuncio del genere da parte di Harry che, a ventitrè anni è ancora il loro “primogenito”....
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Capitolo 8 *** L'annuncio ***
L'annuncio
LA
TANA, Ottery St. Catchpole
Il gran giorno che aveva
suscitato espressioni curiose, attese spasmodiche e leggere
preoccupazioni in più famiglie era arrivato.
Quella domenica, sotto il
già caldo sole di fine maggio, i Weasley, i Potter, i Black, i
Lupin ed i Tonks si erano ritrovati tutti quanti alla Tana per uno di
quei lunghi, interminabili, chiassosi, confusionari pranzi di
famiglia.
Ovviamente era
impossibile stipare ventisei persone quali erano nella spaziosa ma
stretta sala da pranzo e quindi si era optato per una lunga tavolata
in giardino.
Le donne di famiglia si
affaccendavano per la cucina, aiutando Molly, padrona di casa, a
gestire pentole e paioli che avrebbero potuto nutrire un reggimento.
Fleur Delacour in
Weasley, la cui gravidanza si faceva ormai sempre più
evidente, era stata invitata dal suo ansioso e premuroso marito Bill
a sedersi e a non muovere un dito ma lei, cocciuta, proseguiva nel
rimescolamento della Bouillabaisse,
zuppa di pesce francese che aveva insistito per preparare, sebbene la
sua attuale condizione le impedisse di mangiarla.
Molly
controllava ansiosamente il roast-beef, chiedendo in continuazione a
tutti quanti se lo preferissero al sangue o ben cotto e sforzandosi
di trovare un modo per accontentare tutti i commensali.
Lily
cospargeva i dolci di zucchero a velo e disponeva su di essi le
eleganti decorazioni di presentazione a base di panna, cioccolato e
frutti intagliati artisticamente che tanto le piacevano.
Hellen
pelava e schiacciava le patate per preparare la pure che avrebbe
accompagnato il roast-beef e il tradizionale Yorkshire pudding,
continuando a sbirciare Andromeda per vedere a che punto fosse nella
preparazione di quest'ultimo.
Alicia
Spinnet, ormai storica fidanzata di Fred Weasley, con cui si
mormorava che fosse prossima al matrimonio, stava curando, aiutata da
Hermione, la disposizione di piatti, posate e bicchieri, scelti nel
miglior servizio della signora Weasley.
Tonks
chiedeva in continuazione se qualcuno avesse bisogno del suo aiuto,
ma, continuamente, le sue amiche le dicevano di non preoccuparsi e di
badare a Ted, lasciato solo con gli uomini insieme agli altri
bambini. A togliere d'impaccio le cuoche, che proprio non riuscivano
a trovare un modo gentile per dire a Dora che il suo aiuto non era
necessario, intervenne Audrey, moglie di Percy che, essendo incinta
di pochi mesi, non riusciva proprio a tollerare l'odore del cibo.
Dall'altra
parte della casa, Angelina allattava la piccola Roxanne e badava
anche alla nipotina Victoire, presa in ostaggio da Teddy che la stava
ammaliando con tutte le cose che gli aveva insegnato il suo papà
sugli animali.
In
teoria, Victoire e Teddy avrebbero dovuto essere sotto la
sorveglianza dei loro attenti padri e degli scrupolosi zii, i quali,
invece, spaparanzati sulle poltrone del soggiorno discutevano di
Quidditch e di lavoro.
In
quella confusione nessuno fece caso a Ginny ed Harry che, spariti
nella camera di lei, stavano discutendo degli ultimi accorgimenti.
I
due ragazzi sedevano sul letto di Ginevra, sul quale ancora
riposavano i vecchi animali di pezza della sua infanzia.
“Ti
ricordi, Gin? Questo te l'ho regalato io...” mormorò
Harry, porgendole un morbido ippopotamo.
“Certo
che me lo ricordo! Con la testa che ti ho fatto!”
“Non
sai quanta fatica per trovare un ippopotamo di peluches! Non sapevo
che fossero così rari..” rise il ragazzo.
“Harry...”
“Mmm?”
“Andrà
bene. Vedrai. Non sarò difficile. Una volta che l'avremo
detto, la cosa più complicata che ci possa succedere è
sopportare le ansie della famiglia per i prossimi mesi.”disse
Ginny emozionata sì, perchè quello era il giorno del
grande annuncio, ma non tesa.
Harry
era quello che voleva. Era il suo futuro.
Quel
matrimonio lo desideravano e non era un mistero per nessuno. Le
famiglie l'avrebbero presa bene, ne era certa. Eppure l'adrenalina
scorreva a fiotti nel suo sangue.
“Prima
finirà meglio sarà. Senza offesa, Ginny, ma preferirei
di gran lunga saltare tutti i preparativi. Detesto i convenevoli.
Credo che in questo si sia fatta sentire l'influenza di Sirius come
padrino...”
“Dobbiamo
solo resistere pochi mesi. E' strano quanto allergici siamo entrambi
a queste cose...” gli rispose, accarezzandogli la schiena.
“Si
vede che ci siamo trovati... Ginny... un'ultima volta. Sei sicura di
volerlo? So che è quello che voglio io. Ma non vorrei che la
mia follia di un momento ti condizioni...” disse Harry,
accarezzandole i capelli rossi.
“Per
l'ultima volta, Harry! Sì, ne sono sicura e lo voglio. Sei il
mio futuro. Lo so, lo sento. Sai, quando ero piccola desideravo tanto
conoscerti! Dopo la fine della guerra la tua famiglia è
diventata così famosa per quello che era successo e tu padre
giocava nei Cannoni di Chudley... insomma, hai capito, no? Ed ora sto
per diventare tua moglie. E questo perchè ho avuto la fortuna
di conoscerti. Di conoscere chi sei veramente: ho conosciuto Harry e
le sue spesso ridicole paranoie da mania di fare il supereoe...”
“Uff!
Mi prendi anche in giro?” sbuffò Harry
“No,
non ti prendo in giro! Anzi, ringrazio quella follia momentanea,
altrimenti ora non saremmo qui. Sei sempre così controllato
nelle tue emozioni! Rilassati! Adesso andiamo giù e di fronte
alla famiglia riunita diciamo tutto, ok?”
Harry
rise: Ginny era sempre così spontanea, così solare,
così vivace. L'opposto di lui, sempre estremamente
controllato, salvo quando era arrabbiato.
“Stavo
pensando che sarebbe carino se lo dicessimo insieme a Dan e Beth.”
aggiunse Ginny ed Harry apprezzò sinceramente la
preoccupazione che aveva per la reazione di sua sorella e di Daniel.
“Sì,
ci stavo pensando anch'io... se non ricordo male, la prossima
settimana dovrebbero avere un'uscita ad Hogsmeade, potremmo andarci
insieme. Non giochi, vero?”
“No.
Giochiamo sabato, se loro hanno l'uscita domenica non mancherò.
E, se fosse sabato, penso che troverei un modo per esserci comunque.
La famiglia è più importante.” affermò
convinta Ginny, con un tono che non ammetteva repliche, sebbene Harry
non intendesse arrivare al punto di farle saltare una partita.
“Come
preferisci. Piuttosto... dici riusciranno a non dirglielo loro? Sai,
ci tenevo ad essere io a dirle tutto. Non voglio che lo sappia da
altri, anche se sono i nostri genitori. Deve saperlo da noi. Deve
saperlo da me.” spiegò Harry.
Ginny
gli prese la mano e la strinse.
“Lo
so. Lo capisco. E sarà così. I tuoi genitori e sì,
Harry, anche Sirius- aggiunse in risposta al muto ed implicito
interrogativo- non diranno niente. Se si trattasse della mia, di
famiglia, potrei iniziare a nutrire qualche dubbio: Fred e George lo
farebbero solo per farmi un dispetto e mia madre se lo farebbe
scappare involontariamente, forse. O forse no. Forse per le cose
importanti sono più discreti di quanto non sembri. In ogni
caso, stai tranquillo. Glielo diremo noi.”
Harry
fu come rinfrancato da quelle parole e la abbracciò.
“Ti
amo, lo sai questo, vero?”
“Lo
so. Ti amo anch'io. Non dimenticartelo mai.”
“Credo
sia ora di scendere: sai che mia madre è precisa sugli orari
del pranzo. Sono le 12.30 in punto. Sarà ora.” disse
Ginny, qualche minuto dopo.
“Ok:
andiamo. Dopotutto sono un Auror, poco attivo ma pur sempre un Auror:
cosa vuoi che sia una enorme famiglia impicciona al confronto di
qualche pericoloso mago oscuro che, grazie a mio padre non affronterò
mai?” rise Harry, stringendola ed ignorando la sua espressione
esasperata.
Ginny
spalancò la porta e seguita da Harry scese, proprio mentre la
signora Weasley chiamava a rapporto tutti quanti.
“George!”
strillò Angelina, mentre Harry e Ginny scendevano le scale,
accodandosi a tutti gli altri che stavano prendendo posto lungo il
tavolo.
“Che
c'è?” rispose il diretto interessato.
“Cerca
di convincere tua nipote e Ted a lavarsi le mani, nel caso in cui te
ne fossi scordato ho in braccio Roxanne che, guarda caso, se non
sbaglio, è tua figlia...”
“Cosa...
ah, sì, le mani! Bambini! Avanti, in bagno!” George,
ormai immune da ogni rimprovero, condusse un educato e puntiglioso
Ted ed una vezzosa ed accondiscendente Victoire a lavarsi le mani.
“Perchè
con Dan non era così semplice?” mormorò Sirius,
prendendo posto tra i due amici nella parte sinistra del tavolo,
riservata agli uomini.
“Perchè
tu non sai educare tuo figlio, elementare Sirius.” gli rispose
il saccente Remus
“O
forse perchè Dan non aveva un grande esempio
davanti...”ammiccò James, sorridendo ai due ragazzi che
stavano prendendo posto.
Mentre
si sedevano, Hermione sussurrò un “In bocca al lupo”
e Ron tastò la spalla di Harry, gesti che non sfuggirono agli
occhi attenti di Lily ed Hellen, le quali sorrisero complici.
Molly
iniziò a servire portate su portate e i commensali non si
fecero certo pregare per distruggere in poco tempo tutto quello che
era stato preparato con ore ed ore di lavoro.
La
Buillabasse di Fleur riscosse un meritato successo, nonostante lei
non la potesse mangiare e suo marito fosse nauseato dall'odore del
pesce.
Il
roastbeef risultò per tutti cotto al punto giusto, la purè
era cremosa quanto bastava e il pudding ben croccante.
Tra
discorsi sul Quiddicth, sulle novità del momento e qualche
inevitabile accenno al lavoro, intervallato da Angelina che correva
da Roxanne addormentata sul divano, Victoire e Ted che di tanto in
tanto si alzavano solo per correre sulle ginocchia di un parente
diverso, si arrivò agli attesi
dolci,
specialità di Lily ma che parevano soprattutto i testimoni
dell'annuncio che tutti erano certi ci sarebbe stato.
“Avanti,
Harry! E' ora.” disse Ginny, fingendo di far cadere il
tovagliolo per poter parlare nell'orecchia di Harry.
Lui
annuì, teso.
“Mamma,
aspetta a portare la torta! Io ed Harry dobbiamo dirvi una cosa.”
urlò la ragazza, facendo sì che Harry non potesse più
tirarsi indietro.
A
quel punto l'attenzione di tutti fu su loro due e su Harry che si
alzò in piedi, imbarazzato ed alla ricerca delle parole.
Guardò
sua madre che seduta di fronte a lui gli rivolse un cenno di
incoraggiamento: allora, forse, avevano già capito tutti...
forse non sarebbe stato complicato.
“Quello
che vorremmo dire a tutti è che... che io e Ginevra- e qui
tutti notarono l'uso del nome per intero- abbiamo deciso di
sposarci.”
Harry
lo disse senza mezzi termini, senza strani giri di parole: concreto
come era, giunse subito al dunque.
Nessuno
dei due sapeva cosa aspettarsi esattamente: avrebbero dovuto iniziare
ad urlare tutti quanti o, invece, prima ci sarebbe stato un momento
di silenzio?
Oppure
non l'avrebbero presa bene come si aspettavano?
“Bè...
a questo punto ti aspetti anche le congratulazioni, Harry?”
esordì Fred, spalleggiato dal suo gemello che aggiunse:
“Era
anche ora! Sì, scusa Angelina... prima o poi toccherà
anche a noi...” si affrettò a dire, terrorizzato
dall'occhiata della compagna.
“Oh
Harry! Ginevra! Sono così felice!” gridò la
signora Weasley, che scoppiata ormai in un pianto commosso, corse ad
abbracciarli tutti e due.
“Ma
che bella notizia!”
“Congratulazioni!”
“Un
brindisi! Ci vuole un brindisi!” propose Charlie
Da
quel momento in poi fu un continuo di “Congratulazioni!”
e di “Complimenti!”
“E
così non è Percy ad avere un figlio... direi che questa
è già una conquista...” notò Sirius,
mentre si univa ai festeggiamenti degli altri.
“Dici
che l'umanità è salva ancora per un po'?” chiese
James
“Speriamo...”
si unì Remus
“Spiacente
di darvi una cattiva notizia, ma pare che, a parte noi, tutti
sapessero che Audrey aspetta un bambino.” li smontò
Hellen, lasciandoli lì come tre pesci lessi, mentre anche lei
correva dai due futuri sposi.
“Oh...
questo cambia tutto.” commentò Sirius
“Magari
c'è ancora speranza.” gli fece eco Remus
“Io
credo di no.- concluse perentorio James- ma... e dico ma, oggi mio
figlio ha detto che si sta per sposare, quindi credo che le sciagure
del mondo possono aspettare qualche giorno.”
Nel
frattempo, dall'altro capo della tavola, Harry e Ginny continuavano a
ricevere commosse congratulazioni, abbracci affettuosi e calde
strette di mano: probabilmente tutti se lo aspettavano e chiedevano
solo che quel giorno giungesse presto.
“Anch'io!
Anch'io!” chiedevano Ted e Victoire, vedendo che tutti
stringevano le mani di Harry e Ginny, guadagnandosi così
qualche coccola e qualche pasticcino in più.
“E'...
andata.” sussurrò Harry a Ron mentre Ginny veniva
sommersa di complimenti.
“E'
andata.- annuì Ron- Complimenti, amico, ero convinto che ti
saresti perso prima...”
“Vorrei
vedere te al mio posto!”rimbeccò il futuro sposo
“Bè,
infatti conto di procrastinarlo il più possibile...”ammise
Ron, rosso ed imbarazzato.
“Davvero?
Ma... insomma, perchè? A parte tutto andate bene insieme.
Avete imparato a convivere.”
“Oh
sì, Hermione è perfetta... ma io... io credo di non
essere ancora pronto per quel tipo di vita... penso che Hermione non
farebbe un grande affare, sinceramente...”
“Questo
lo dici tu...”
“Bè,
di certo non ora... magari tra un po'... magari vedendo voi due trovo
il coraggio anch'io. Ora acqua in bocca, Harry, che sta arrivando la
mia aspra metà....”
“Che
stavi bofonchiando, Ron?” chiese Hermione, sopraggiunta in
quell'istante, cogliendoli alle spalle.
“Che..
io? Niente!” si affrettò ad esclamare Ron
Lei
lo fulminò con lo sguardo, mentre Harry ridacchiava divertito:
riusciva ad immaginarli anche con vent'anni di più, perfetti
insieme ma perennemente in disaccordo.
“Oh
Harry, sarò ripetitiva, ma sono così felice per voi!”
esclamò Hermione, che davvero non sapeva come esprimere la sua
gioia.
“Tranquilla,
le congratulazioni bastano!” le sorrise Harry, che stava
setacciando la stanza con gli occhi, alla ricerca di Ginny, la quale
però continuava ad essere ostaggio delle donne della famiglia.
“E
adesso ci saranno un sacco di cose da organizzare! La cerimonia, i
vestiti, gli anelli, la casa... sarà fantastico!”
“Sarà
terribile vorrai dire...” la contraddisse Ron
“Come
sei patetico, Ron! Sono certa che Harry è ansioso di iniziare,
non è vero Harry?” chiese Hermione, dopo aver scoccato
un'altra occhiata severa in direzione di Ron.
“Ehm...
in verità no.” ammise Harry, chiedendosi per quale
strano motivo Hermione, la sua amica Hermione, colei che lo conosceva
da dodici anni, potesse essere indotta a pensare che lui ritenesse
anche solo vagamente eccitanti i preparativi per un matrimonio,
sebbene il matrimonio in questione fosse il suo.
“Te
l'avevo detto!” affermò Ron
Hermione
li osservò tutti e due e poi scosse la testa, andandosene
mormorando qualcosa che suonava simile a “uomini.”
“Ma
che abbiamo fatto, anzi, che cosa hai fatto?”
“Credo
che si aspettasse che fossi entusiasta di passare i miei prossimi
fine-settimana, dicasi miei unici giorni liberi, a provare vestiti,
scegliere bomboniere facendo una cernita tra oggetti assolutamente
identici tra loro e capire se le ortensie siano meglio dei gigli o
se, forse, il massimo non siano le camelie...” commentò
Harry
“Bah..
io certe cose non le capirò mai...vieni, raggiungiamo qualcuno
con cui sarà possibile instaurare un discorso sensato.”
propose Ron, trascinando l'amico verso il salotto dove si era
nuovamente radunata la parte maschile della famiglia.
Appena
i due giunsero in salotto, dove stipati tra il divano, le poltrone e
qualche sedia spostata dalle altre stanze, stavano il signor Weasley,
Ted Tonks, Bill, Percy, Charlie, Fred, George, James, Remus e Sirius
che, a gambe incrociate sul pavimento stava intrattenendo Ted e
Victoire i quali non era pienamente consapevoli della situazione ma
sentendo che tutti erano felici, di conseguenza, erano felici anche
loro.
“Congratulazioni!
Un applauso allo sposo!” propose Fred, alzatosi in piedi
contemporaneamente al suo gemello e proponendo il festeggiamento.
“Ehi! Cos'è
questo fracasso! Abbiamo detto un applauso!” esclamò
George, fingendosi indignato e bloccando il battimani.
“Un
applauso è uno solo. Così.”disse Fred, battendo
le mani per una sola volta.
“Appunto,
voi siete andati avanti per troppo tempo! Un applauso è uno
solo!” approvò il fratello.
“Fred,
George! Finitela una buona volta! Siete grandi!” li rimproverò
il signor Weasley
“Questi
due sono una causa persa, papà.” proclamò Percy,
scoccando bieche occhiate a Bill e Charlie che ridevano sguaiatamente
“
Sei sempre un mostro
di simpatia, Perce... lasciami dire un'ultima cosa...Ma... e qui va
detto, James, Sirius e Remus sono stati accorti! Abbiamo detto un
applauso e c'è n'è stato uno solo! Quindi complimenti!”
approvò Fred
“E'
un vecchio rituale malandrino!” esclamò James
“Credete
di averlo inventato voi?” chiese Sirius, sulla spalla del quale
Victoire si stava divertendo coi suoi capelli.
“Si
tratta di una semplice comprensione di un ordine, un applauso è
uno solo!” precisò Remus, salvando una scatola di
porcellana di Molly dalla maldestra furia di Ted, che la stava
scambiando per un'improvvisata macchinina.
“Bè,
ora se avete finito, dato che sono il padre della sposa...
complimenti Harry!” esclamò il signor Weasley, alzandosi
per stringergli la mano.
Immediatamente
tutti gli altri fratelli fecero lo stesso: dal pomposo Percy, ai
sinceri Bill e Charlie, per ultimi rimasero Remus, Sirius e James.
“Sei
grande, ormai. Noi ci illudevamo che non fosse ancora tempo, ma
ancora una volti ci hai stupiti tutti. Auguri Harry.” gli
sussurrò Remus, mentre Harry attendeva trepidante il giudizio
di suo padre e die suoi due mentori.
“Ehi,
Piccolo Prongie... doveva arrivare ben questo giorno! Sei tu in
ritardo o era tuo padre in anticipo?” gli disse Sirius,
strizzandogli l'occhio. Harry alzò lo sguardo al soffitto, ma
non commentò, permettendo al suo padrino di usare quel
ridicolo soprannome.
“Noi
siamo... fieri di te.” disse piano James, non vergognandosi di
abbracciare suo figlio, che ricambiò l'energica stretta.
“Ed
ora, dopo tutti questi convenevoli, che cosa ne dici di guidarmi
dalla tua dolce metà, nonché futura sposa, che guarda
caso sta parlando con la mia di dolce metà?” ammiccò
James, indicando Ginny e Lily che si stavano avvicinando.
“
Vieni Ginny, direi
che dovremmo fare due chiacchiere io e te, considerando che presto ti
toccherà avere in casa un Potter: siamo simpatici, divertenti,
ironici, estremamente utili e preziosi...”
“Ma
non so se fai un affare, Ginny. Fidati. Sono anche disordinati,
disorganizzati, smemorati...” elencò Lily, ridendo e
prendendo sottobraccio suo figlio così come James aveva fatto
con Ginny.
“Siamo
così contenti, Harry.”
“Ma
tu avevi capito, vero?” domandò incerto, osservando sua
madre annuire.
“Papà
no, ovviamente. Giusto?”
“Esatto.
Lui e Sirius erano convinti che l'annuncio riguardasse Percy ed
Audrey.” rispose Lily, sorridente
“Ma
come può esserli venuto in mente?” chiese retoricamente
Harry, battendosi una mano sulla fronte.
“Harry!
Harry!” chiamò Ted, correndo.
“Attenzione
che ti fai male!” lo ammonì Tonks, da dietro,
sfortunatamente troppo tardi.
“Non
mi sono fatto niente, zia Lily.” si affrettò a dire,
subito, vedendo che lei si era chinata per aiutarlo a rialzarsi.
“Che
c'è?” chiese Harry, abbassandosi all'altezza del
bambino.
“Mi
devi aiutare.” proclamò, serio.
“Avanti,
dimmi tutto.”
“Ho
detto a Vic che io so volare sulla scopa benissimissimo. Perchè
lei sa disegnare meglio e allora le ho detto che io so volare. E
adesso le dobbiamo farle vedere che è vero. Mi aiuterai? Mi
accompagni in alto in alto?”
“Vediamo
che si può fare, Teddy.”
“Lo
sapevo che mi avresti detto di sì!” esclamò il
bambino, felice, cambiando tre volte il colore dei capelli.
Lily
e James avevano fatto ritorno a Godric's Hollow.
La
villetta, seppure era rimasta vuota tutto il giorno, era sempre
accogliente come al solito e il calore famigliare traspariva da
quelle mura.
In
quell'abitazione si respirava aria di casa, aria di famiglia, odore
di biscotti appena sfornati e di erba portata in casa dopo una
partita di Quidditch priva di regole...
Quella
sera, quei profumi tanto famigliari, con i quali i Potter avevano
imparato a convivere e che, essendo ormai diventati grandi Harry ed
Elisabeth era come se più che presenti fisicamente lo fossero
come essenza nelle menti di James e Lily, parevano ancora più
lontani e dotati di una malinconica e nostalgica perfezione.
In
silenzio i due coniugi raggiunsero la camera da letto.
Istintivamente,
come faceva ogni sera, James sprofondò sonoramente sul letto,
mentre sua moglie, ormai incurante di tutto, appendeva nell'armadio
la giacca.
“Avanti,
James. Parla.” disse, dopo qualche attimo di silenzio.
“Non
so cosa dire...”
“Non
ci credo- rise Lily, salendo sul letto e mettendosi di fianco a lui-
James Potter non può essere senza parole!”
“E
invece sì! Capita, di non sapere cosa dire... ti pare?”
le rispose
“Lily...”riprese
dopo qualche attimo, mentre le accarezzava i capelli, il cui rosso
stava iniziando a sbiadire, seppure continuasse ad essere
sufficientemente intenso da non evidenziare quei pochi capelli
bianchi che le stavano venendo.
“Hmm?”
“Ti
capita mai di sentirti... come dire... realizzata?” chiese
James, tormentandosi gli occhiali, come era solito fare da ragazzo.
“Ogni
giorno. Sono soddisfatta della mia vita: non potrei chiedere di più.
Forse ho anche più di quanto sognassi o di quanto pensassi.
Soprattutto in giornate come quella di oggi: sapere che i miei figli
stanno bene, che sono sereni e che stanno a poco a poco trovando il
loro posto nel mondo è la cosa migliore che possa capitarmi. E
tu?”
“Sempre.-
sussurrò- Ho fatto della mia vita quello che ho voluto e ne ho
ricavato solo soddisfazioni. Ho sbagliato e mi sono corretto, ho
lottato e sono andato avanti per la mia strada...”
“Anche
quando ci dicevano che eravamo solo due poveri illusi idealisti.”
proseguì Lily, completando per lui la frase.
“Sì-
rise James- anche quando ci dicevano che eravamo due poveri illusi
idealisti.”
“Ma
abbiamo vinto noi, alla fine...” disse Lily
“Sì.
Abbiamo vinto noi e, per quanto, ad essere sincero l'annuncio di oggi
mi abbia un po' sconvolto, non posso che esserne felice. Harry si
sposa! Si sposa, Lily, ti rendi conto? E' passato davvero così
tanto tempo?”
“A
quanto pare è proprio così... anche se spesso mi
ritrovo ad immaginarvi ancora in giardino, mentre gli insegni a
volare con Beth che reclama attenzioni anche per lei!” commentò
Lily
“Ti
ricordi quella volta che per farmi uno scherzo Sirius aveva
rimpicciolito la mia scopa ed io l'avevo data ad Harry scambiandola
per la sua?” chiese James, con gli occhi che gli brillavano dal
divertimento ancora a distanza di anni.
“Come
dimenticarlo! Penso che l'immagine di mio figlio che ride divertito
mentre sfreccia a 200 kmh ad una quota non meglio precisata non mi
abbandonerà mai...” gli rispose la moglie
“Ma
poi l'ho recuperato...”
“E
ci mancherebbe altro! Non so che avrei fatto quella volta a Sirius,
accidenti!” esclamò Lily, che pareva non aver ancora
scordato la rabbia.
“Poverino,
dopo quella volta non abbiamo più voluto che si occupasse dei
bambini da solo senza Remus... Credo che ci sia rimasto male...Povero
incompreso Paddy...”
“Ti
ricordo che eri preoccupato anche tu, James...”
“E
vorrei vedere! Una volta sta per mandarmi Harry nell'iperuranio ed
un'altra mi tramuta la mia piccola principessa nella sorella dell'
Omino Pan di Zenzero per non aver controllato la temperatura del
forno!” concordò James
“Cos'è
che ha fatto Sirius con Beth?” si insospettì Lily,
rialzandosi sui gomiti, assumendo il cipiglio che era stato del
Prefetto e guardando torva suo marito.
“Niente,
non ha fatto niente!”
“James!”
“Sono
passati degli anni e va ancora tutto bene. Perchè
preoccuparsi?”
“Non
crescerete mai...” mormorò affranta
“Lo
so...”
“James-
aggiunse Lily dopo un po'- ma davvero non ti aspettavi niente?”
James
parve pensarci un attimo: si scompigliò i capelli neri ormai
leggermente brizzolati, si aggiustò gli occhiali e poi disse:
“Uhm...
diciamo un po' sì ed un po' no: non ho il sesto senso che hai
tu, lo sai, però sentivo che sarebbe stata questione di tempo,
anche se, inconsciamente, non credevo che potesse succedere così
presto, che poi, oggettivamente non è presto... però,
hai capito cosa intendo dire? Tu sai cogliere i segnali, io no.”
confessò.
“Credo
che sia normale... a parte Remus che è un 'eccezione,
generalmente voi uomini siete, come dire... lenti....”
“Grazie
Lily, sei sempre gentile...piuttosto, come la prenderanno Beth e
Dan?”
“Credo
bene... molto bene, solo ho paura che si sentano, in un certo senso,
defraudati. Voglio dire, saranno contenti, però... temo che
Beth soprattutto sentirà come se qualcuno le stia portando via
suo fratello. Sa che non è così, sa che Harry sarà
sempre lì per lei, che lo potrà cercare in qualunque
momento e lui ci sarà, pronto a consigliarla, coccolarla,
rimproverarla e proteggerla dal mondo... però vedrà la
presenza di Ginny in un'altra ottica, come se, da quel momento in poi
lei ed Harry avessero meno momenti per stare da soli. Con questo non
intendo dire che si opporrà, che “detesterà”
Ginny o cose simili ma che avrà paura che suo fratello si
allontani da lei per sempre.” spiegò Lily
“Quando
si diventa grandi cambia tutto... ma forse, nonostante questo, il
loro rapporto migliorerà.
Ora
che sono più grandi sono più complici, si vede
benissimo. Si tratterà solo di farle capire che Harry non se
ne va... si sposta solo, ma ci sarà. E poi Beth è
matura. Capirà.”
“Se
la caveranno. Sono grandi... e si vogliono bene.” concluse
Lily.
“Ne
sono certo. E poi... per il momento mi basta che il matrimonio di
Harry sia l'ultimo per qualche anno... già di questo sarei
soddisfatto: che a lei e Dan non saltino in mente strane idee...”
bofonchiò James.
“Lei
e Dan? Parli già al plurale o li vedi separatamente?”
rise sua moglie.
“Lo
sappiamo tutti che deve finire così....”commentò
James
“Speriamo
che finisca così...”asserì Lily
“Finirà
così. Non può essere altrimenti.”precisò
James
“Diamo
tempo al tempo, James. Sono ancora così giovani...”
“Concordo
sul fatto che siano ancora troppo giovani.”ammise James
“Che
padre geloso! Hanno diciassette anni, ormai! Dan diciotto per la
precisione...” constatò Lily
“Bè,
ricordati: meglio lui che un altro. O no?” proseguì
James, fisso sulla sua posizione.
“Sì,
James. Hai ragione.- lo assecondò-Meglio lui che un altro.
Vedrai, andrà tutto bene. Ci vorrà solo un po'...”
“Credo
che mi fiderò di te: di queste cose sei più esperta.”
“Per
Morgana! Il tuttologo James Potter riesce a pensare che anche qualcun
altro possa aver ragione! Sei sicuro di star bene?”
“Con
te sono sempre stato tollerante, se ben ricordi...”
“Direi
che devo anche ringraziarti, allora.” sussurrò Lily,
chinandosi per baciarlo.
“Ti
amo.” le disse James
“Ti
amo.” rispose Lily, mentre entrambi si auguravano che anche il
loro Harry potesse essere così fortunato.
Ecco!
Finito! Allora, cosa ve ne pare? Vi chiedo scusa per il ritardo, ma
l'università mi impegna davvero tanto.
Non
sono molto soddisfatta di come è venuto, ma ho cercato di
impegnarmi più che potevo e questo è il risultato.
Vi
ringrazio per avermi seguito!
In
particolare ringrazio:
Cinderella87:
Nei prossimi capitoli saprai come reagiranno al pensiero di una
carriera musicale per Dan... sempre che non lo abbiano già
intuito...
Padfoot07:
grazie, sono contenta che Dan, Beth e tutti gli altri ti piacciano
così tanto, presto saprai anche come reagiranno alla notizia.
PrincessMarauders:
grazie anche a te! Spero che ti sia piaciuto!
Thaleron:
sono convincenti qui? E' giusto quello che ho scritto? Grazie per i
complimenti!
Finleyna
4 Ever: vedrai che prima o poi si arriverà anche ad
una soluzione per Dan e Beth! Grazie per il sostegno! Fammi sapere
che cosa ne pensi!
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Capitolo 9 *** Quando tutto cambia ***
Quando
Tutto Cambia
LONDRA,
HYDE PARK
“Non
capisco per quale motivo non posso venire, Harry. Dopotutto, credo
sia una cosa che dobbiamo fare insieme, dato che si tratta del nostro
matrimonio.” disse, infastidita, Ginny, staccandosi
improvvisamente dall'abbraccio di Harry.
“Sì,
hai ragione, ma credo sia meglio lasciar fare a me e basta. Fidati,
amore. E' meglio così.” controbattè Harry,
cercando, invano, di far tornare la ragazza sull'erba accanto a lui.
Ginny
non aveva intenzione di ritornare seduta né di ascoltare una
sola parola di quello che Harry stava per dirle. Ne avevano discusso
fin troppo e lei aveva già deciso: il giorno dopo avrebbe
seguito Harry ad Hogsmeade e, insieme, avrebbero annunciato a Dan e
Beth il loro prossimo matrimonio.
Non
intendeva rimandare oltre: già avevano dovuto aspettare due
settimane, prima che ci fosse la consueta visita al villaggio per gli
studenti di Hogwarts, non le sembrava proprio il caso di
procrastinare o addirittura di mandare Harry da solo.
Quel
matrimonio era anche il suo. Era di entrambi ed era giusto che ci
fossero tutti e due, nel momento di dare l'annuncio.
“Ma,
Ginny, ascolta... Rischierebbero di prenderla male...Voglio dire, non
che tu non piaccia loro, però, ecco, li conosco. Sarebbe
meglio lasciar parlare solo me.” proseguiva Harry.
Ginevra
inspirò profondamente: doveva darsi una regolata. Non era il
caso di mettersi a fare sceneggiate in mezzo ad un parco.
Pertanto,
si risedette accanto ad Harry e, col tono più calmo che riuscì
a trovare, disse:
“Harry,
mi spieghi qual è il problema? Mi dici cosa non va, per
favore? Io da sola non lo capisco, davvero. Perchè non vuoi
che ci sia anch'io? Non credo proprio che Daniel tenterà di
schiantarmi, una volta saputo.”
“Non
credo che il problema sia Dan...”mugugnò Harry
Ginny
spalancò la bocca e sgranò gli occhi: Beth? Era forse
lei la causa di quella reazione da parte di Harry?
“E'..
Beth?' Ha qualcosa contro di me?”
“No,
no- si affrettò a precisare Harry, sospirando a sua volta,
alla ricerca di parole- Non ha niente contro di te. Un bel niente.”
“E
allora cosa c'è che non va? Perchè non posso venire?”
“E'
che..., per Godric, quanto è difficile!”
“Allora?”
“Mi
fa parlare senza interrompermi? Grazie.”
Ginny
annuì.
“E'
che temo che possa prenderla male. Ma non male nel senso di male
perchè ce l'ha con te o robe simili... male perchè teme
che possa cambiare qualcosa tra di noi. Tra me e lei, capisci? E io
non voglio questo. Essere vicino a lei è la mia preoccupazione
principale. Occuparmi di lei è in cima ai miei pensieri fin da
quando ero piccolo. Per questo credo che sarebbe meglio che glielo
dicessi io... a tutti e due. Anche se, certo, Dan non è un
problema. Può che essere che si alzi comunicandolo a tutti e
preghi madama Rosmerta di dire ai suoi clienti che Harry Potter offre
da bere a tutti per brindare al suo matrimonio... Ehi, Ginny, mi
ascolti?”
“Sì,
ti ascolto. Ti sto ascoltando, Harry. E ti voglio dire che è
ora di finirla. E' ora che tra tutti quanti la smettiate con questa
ossessione di proteggere Elisabeth. Sì, Harry, non guardarmi
così. E' un 'ossessione. La vostra è una vera e propria
ossessione: quella di Dan, quella di tuo padre e di Sirius, la tua,
Harry, soprattutto la tua. Volete proteggerla da ogni cosa, da
qualsiasi cosa che possa anche solo scuotere lievemente il suo
piccolo mondo.”
“E
che cosa dovrei fare? E' mia sorella! E' ovvio che desideri che lei
abbia solo il meglio!” gridò Harry, che proprio non
riusciva a comprendere come facesse Ginny a non capire la situazione.
“Sì,
Harry. E' ovvio e fino a qui non c'è niente di male. Ma dovete
lasciare che lei si scontri con la vita, che combatta, che si faccia
del male ed anche che soffra. Dovete lasciare che si renda pienamente
conto di quello che può e non può fare.” proseguì
Ginny.
“Non
mi sembra che i miei siano iperprotettivi nei suoi confronti...”
ringhiò Harry.
“Non
hai capito quello che intendo dire: no, certo che non sono
iperprotettivi... però, in questo caso, tu è come se
non la ritenessi grande a sufficienza per poter accettare ed
affrontare una situazione che cambia. E' come se tu la
sottovalutassi, Harry, non considerandola matura per accettare
l'inevitabile distacco.”
“Io
vorrei solo che capisse che, qualunque cosa accada, io ci sarò
sempre.”
“Lo
sa, Harry. Lo sa benissimo. Sa che potrà ricorrere a te in
ogni momento, ma cerca di capire, anch'io le voglio bene. Anch'io
spero che tutti i suoi sogni possano realizzarsi, e proprio per
questo, proprio perchè tengo a lei, credo che sia giusto che
glielo diciamo insieme. E' grande abbastanza: non serve che cerchi di
annacquare la pozione, è sufficientemente matura per capire. E
credimi, non sarà arrabbiata né con me né, tanto
meno con te. Davvero. Abbi fiducia.”
Harry
aveva voglia di troncare la discussione: non era pienamente convinto
di quanto Ginny gli aveva detto e restava del parere che i suoi
consigli pedagogici potesse continuare ad applicarli sulle sue
nipoti, lasciando fuori sua sorella.
Nessuno
conosceva Elisabeth bene quanto lui, forse fatta eccezione per Dan
(alle volte) e per sua madre. Sì, senza dubbio sua madre
poteva essere una buona concorrente.
Sapeva
anche però che Ginevra aveva ragione a voler essere presente
nel momento in cui l'avrebbero detto a Beth e Dan: era un suo
sacrosanto diritto. Per cui, cercando di vincere le sue molte
perplessità e sforzandosi di sorridere, Harry accettò.
Era
una posizione scomoda la sua: era come se gli fosse chiesto di
scegliere tra la sua futura famiglia e la sua famiglia d'origine.
Accettò,
però: era un diritto di Ginny e poi, forse, Beth non l'avrebbe
presa male. Avrebbe sempre potuto fornirle tutte le spiegazioni
necessarie in un secondo momento.
Sospirò
e pregò di aver fatto la scelta giusta.
“Bene
Ginny. Domani pomeriggio allora andremo insieme ai Tre Manici di
Scopa.”
HOGWARTS
Giugno
era arrivato e con lui anche le ultime settimane di scuola.
Ancora
quindici lunghi giorni e gli studenti potevano dire addio a libri,
piume, pergamene e calderoni per due interi mesi.
In
tutto il castello l'atmosfera di attesa per le prossime vacanze si
faceva sentire, ma tutti sapevano che mancavano ancora le ultime
prove di verifica.
Thomas
era più che certo di non riuscire, orrore e sconcerto, a
superare Erbologia con il massimo dei voti per il primo anno,
pertanto, pur di convincere la professoressa Sprite a non abbassare
la sua valutazione, ad ogni lezione si offriva volontario per
mostrare alla classe come eseguire le esercitazioni, rispondeva a
domande e cercava di mettersi in luce.
Il
tutto provocando gli acidi commenti di Anne, che detestava
cordialmente ogni qualsiasi forma di pedissequo assecondamento del
professore, i borbottii ironici di Lucas che proprio non capiva per
quale motivo uno dovesse intestardirsi su un voto, quando lui era più
che soddisfatto di una meritata sufficienza.
“Se
anche non precisavi che l'uso della radice di Borbocirro come
emolliente per le pustole da scottatura di drago fu scoperta da
William Glodfit II mentre cercava una cura per l'acne di sua cugina
credo che saremmo sopravvissuti lo stesso.” disse Lucas,
servendosi un'ampia porzione di pasticcio di carne all'ora di pranzo.
“Eh,
ma sai, io ho bisogno della E! Tu non sai quanto!” esclamò
Anne, facendo il verso a Thomas
“E
piantatela di prendermi in giro, per Salazar!” sbottò il
diretto interessato, facendo trillare il coltello sul piatto e
spaventando una ragazza del secondo anno seduta due posti di fronte.
“A
proposito di Salazar, si può sapere per quale assurdo motivo
non mangi mai al tuo tavolo, Thomas?” chiese Dan, ridendo,
comparso all'improvviso seguito da Mark ed Edward.
Thomas
fece spallucce, senza dar peso a quello che l'amico aveva detto, e
spostandosi invece per fargli posto.
“Allora,
di cosa stavate parlando?” fece ancora Dan, fissando con occhio
disgustato l'enorme quantità di cibo che troneggiava nel
piatto di Lucas e preferendo optare per una più sana costata.
“Stavo
solo cercando di spiegare a questi due cervelli di vermicolo-spiegò,
indicando Anne e Lucas, seduti alla sua sinistra- per quale motivo
sto cercando di alzare il mio voto in Erbologia: come vi ho già
ripetuto milioni di volte ho intenzione di diventare Guaritore ed è
importante che i miei voti in Pozioni ed Erbologia siano alti.”
“Fossero
solo quelle le materie per cui sei fissato! E di Antiche Rune,
Incantesimi, Aritmanzia, Trasfigurazione e Storia della Magia che mi
dici?” domandò, ironico, Lucas
“E
poi, Thomas, voglio dire, a chi interessa quale voto hai preso ad
Erbologia al sesto anno? Anche se vorrai fare il Guaritore non è
che te lo vietano perchè, per tutte le mantelle di Morgana,
avevi preso solo O anziché E in Erbologia al sesto anno!”
ribadì un infervorata Anne, come al solito in accordo con
Lucas, scuotendo ovunque i riccioli.
“Credo
di dover concordare con loro, amico, mi spiace, ma ti stai esaurendo
per questa storia del voto in Erbologia. Cerca di prendere le cose
con più filosofia.” disse Dan, sorridendo alla volta di
Thomas, che, alle volte, pareva proprio impossibile.
“Sarà,
ma mai dire mai. Per cui, se ho la possibilità di alzare il
mio voto, cerco di sfruttarla. Voi fate come vi pare.” rispose
Thomas, sbuffando.
“Beato
te che ti preoccupi così tanto del tuo futuro...”
commentò amaramente Dan.
“Ehi
Beth, come è andata oggi?”
Beth
era rimasta zitta, fino a quel momento. Non aveva voglia di prendere
parte ad una discussione che riteneva senza capo né coda: se
Thomas ci teneva ad alzare i suoi voti, che lo lasciassero fare!
Che
importava a loro, del resto? Era un problema loro se Thomas studiava
più del dovuto?
“Oh,
il solito Dan. Tu?” rispose, senza troppa convinzione.
“Idem.”
sorrise lui.
“Ah,
Dan, prima che mi dimentichi. Mi ha scritto Harry: mi ha chiesto se
domani ci vediamo ad Hogsmeade. Per te va bene, vero?”
Dan
ci pensò un po' su: avrebbe voluto andare da Zonko, ma poteva
sempre rifilare a Lucas la lista di cose da comprare.
“Uhm...
sì. Per me va benissimo. Luke, ci vai tu da Zonko domani?”
“Non
posso, devo uscire con Mary.” replicò Lucas, versandosi
un bicchiere di succo di zucca, cosa che gli impedì di
osservare lo sguardo sorpreso che comparve sul volto di Anne.
“Ma
Lucas! Mi avevi promesso che saremmo andati da Zonko! Dovevi aiutarmi
a scegliere il regalo per mio cugino! Lo sai che di quelle cose non
ci capisco niente!” gridò Anne
Lucas
sbarrò a sua volta gli occhi: se n'era dimenticato,
completamente.
“Mi
dispiace, Anne, ma non posso proprio. Fatti accompagnare da Thomas,
ok? Se vuoi ti do una lista di cose che gli potrebbero
piacere...”propose, cercando di recuperare terreno.
“Non
preoccuparti. Mi arrangerò da sola.” ribattè
freddamente Anne, senza più rivolgergli la parola per il resto
del pranzo.
Non
era arrabbiata. Non era irata. Non era furiosa.
Era
delusa.
Era
solo delusa da quello che considerava il suo più caro amico.
Era
come se la complicità che avevano sviluppato in quegli anni
fosse, di botto, scomparsa. Come se non fosse più in grado di
leggere ciò passava per la mente di Lucas solo fissandolo
negli occhi.
Era
riuscita a superare il suo esame di Materializzazione, così
come Beth e Thomas, ma, nonostante i suoi proclami, Lucas non era
corso a festeggiarla, così come aveva promesso.
Si
sentiva tradita e, cosa che le dava più fastidio in assoluto,
non aveva la più pallida idea di come sistemare le cose.
Senza
contare che, non appena Lucas mostrasse di ricordare la sua
esistenza, Anne accorreva, dimentica di ogni cosa, pronta a godersi
quei momenti spensierati, quasi non fosse accaduto nulla.
La
cosa peggiore era che, terminati quegli attimi, Anne stessa non si
riconosceva più: possibile che le bastasse così poco
per dimenticare tutta la sua disillusione?
“Allora
a dopo. Ci troviamo in Sala Comune, così scendiamo insieme per
cena?” propose Thomas, prima di salutare Dan e Beth, diretti
all'appuntamento con Harry.
“Sì,
direi che è la cosa migliore, altrimenti va a finire che non
ci troviamo più. Buona giornata, allora.” approvò
Dan.
“Sarà
una giornata ottima. Ne sono certa.” si sforzò di
sorridere Anne
“E
dai, non fare quella faccia! Su, andiamo: prometto che sopporterò
un pomeriggio da Stratchy&Sons,
così sfogherai la tua ossessiva mania compulsiva da shopping e
magari starai meglio.” disse Thomas, cercando di far spuntare
un sorriso sul volto di Anne.
“Dubito che basti
lo shopping.” ribattè lei, attorcigliandosi un ricciolo
sul dito.
Thomas sospirò,
diede un ultimo cenno a Dan e Beth e si avviò con Anne in
direzione opposta.
“Andiamo subito da
Zonko, ti va?” propose
“E' uguale.”
gli rispose Anne, atona.
“Anne, dai, su, non
puoi stare così. E' Lucas, lo sai che è inaffidabile.”
“Preferivo il Lucas
inaffidabile e basta al Lucas che tira pacchi a causa di Mary.”
replicò Anne, sempre più insofferente.
“Vedrai che è
solo un momento. Presto tornerà il solito Lucas impiccione,
confusionario e tremendamente logorroico. E poi, non è la
prima volta che ha una ragazza. Non hai mai reagito così. Mi
spieghi che cosa c'è sotto?” chiese Thomas, che era
sempre pronto a raccogliere le confidenze di tutti e a
tranquillizzarli, qualunque cosa avessero.
“Non c'è
proprio niente sotto, Thomas. Niente. Solo lei mi infastidisce, tutto
qui. Gli sta sempre appiccicata, sembra non potersi muovere senza
Lucas, lo trascina ovunque e lui fa cose che, fino a poco tempo fa
non avrebbe mai fatto. Non lo riconosco più, Thomas. E questo
mi spaventa, ad essere sincera.” confessò Anne, che era
davvero preoccupata.
“Lo so, Anne. Però,
cosa ci possiamo fare noi? Tu hai provato a parlargli?”
“No. Ho paura. E mi
vergogno. E tu?”
“Sì, io sì.
Ma lui ha la testa dura e dice che dovremmo smetterla di assillarlo
con inutili preoccupazioni. Dice che non c'è niente che non va
e che è il caso di finirla di vedere Inferii dove non ce ne
sono.” raccontò Thomas, a cui, come ad Anne non era
sfuggito il cambiamento.
“Quindi vedi? Non
possiamo farci niente. Proprio niente.” constatò,
sconfitta, Anne. Se nemmeno Thomas riusciva a fare qualcosa, allora,
non c'era davvero speranza.
“Thomas! Anne!
Eccovi!” Lucas comparve di fronte a loro, mano nella mano con
Mary, la quale non mancò di guardare schifata Anne,
squadrandola da testa a piedi.
Anne, a sua volta, le
rivolse un'occhiata malevola, fermandosi poi a riflettere su se
stessa: Mary era alta, aveva i capelli lunghi,neri, lucidi.
Era certa persino che
fossero profumati.
Lei invece era piccola,
fin troppo secca ma con un viso tondo che stonava completamente con
quella cascata di ricci biondi che si ritrovava. Inoltre, era
sicurissima che, se si fosse truccata come Mary, lei sarebbe sembrata
un clown.
Esattamente l'opposto di
Mary, che era, invece, bellissima.
“Dove state
andando? Anne, hai con te la lista di cose che potresti prendere a
tuo cugino? E anche quello che dobbiamo prendere per Dan?”
chiese, allegro ed affabile Lucas.
“Sì.
Ho tutto.” rispose Anne, desiderosa di interrompere la
conversazione.
“E
voi dove state andando di bello?” intervenne Thomas, per
cercare di ravvivare un'atmosfera più che tesa.
“A
bere qualcosa. Anzi, ora andiamo, ci vediamo dopo. Fai buoni
acquisti, Anne!” Lucas si congedò con un occhiolino.
“Non
è possibile! Guarda dove stanno andando, Thomas! Fai qualcosa,
fermalo, esorcizzalo, ti prego!” strillò Anne, così
forte che per poco non la sentirono.
“Oh
Merlino! Non ci credo! Si è completamente rimbambito! Stanno
andando da Madama Piediburro!”
“Hai
capito adesso come sto, Thomas? Lucas ha sempre preso in giro quel
posto ed ora ci sta andando. Non è più lui. Quella gli
ha fatto qualcosa, ne sono certa. Magari un filtro d'amore.”
“Anne...”
“Hmm?”
“E
se fosse solo innamorato?” suppose, speranzoso, Thomas.
“Lo
escludo. Quello non è Lucas.”
“Già-sospirò
Thomas- quello non è Lucas.”
“Adesso
basta. Thomas. Non ho intenzione di farmi rovinare la giornata.
Andiamo da Zonko.”
Anne,
decisa, prese per mano Thomas e lo trascinò sulla strada per
Zonko.
“Sono
contento di vedere Harry, è dal compleanno di Ted che non ci
vediamo...” commentò Dan, giocando col plettro della
chitarra che teneva in tasca.
“Sì,
è stata proprio una bella sorpresa!- fece eco Beth- Anche se
ancora un paio di settimane e tornerò a casa...”
“Parla
per te, ti ricordo che io devo stare qui ancora...” sospirò
Dan, insofferente.
“Oh,
avanti, è solo una settimana! Piuttosto, fossi in te mi
metterei a studiare...” replicò Beth, accennando una
sorta di rimprovero.
“C'è
ancora tempo, dai! E poi, vuoi mica che mi rovini l'ultimo fine
settimana ad Hogsmeade sprecando il mio tempo sui libri?”
domandò, ironico.
“Oh
Daniel! Sei...” iniziò Beth, dopo un profondo sospiro.
“Sì,
lo so, sono brillante, ho molte capacità che dovrei sfruttare
appieno, potrei fare qualunque cosa... dunque, cosa manca? Ah, già,
dovrei smetterla di perdere tempo e pensare al mio futuro.”
“Smettila
di prendermi in giro, accidenti! Lo dico per te, sai? Vorrei solo il
meglio, per te.” gli fece notare, seccata, Beth. La infastidiva
profondamente il fatto che lui si dimostrasse così
insofferente ad ogni discorso sul suo futuro, quasi che non avesse
obbiettivi.
“Lo
so, ma ti chiedo solo di fidarti di me, va bene?” le chiese
Dan, sempre col suo tono a metà tra il serio e il faceto che
non potè non irritarla maggiormente.
Beth
non gli rispose, ma gli indicò invece l'insegna dei Tre Manici
di Scopa, sotto la quale Harry e Ginny li stavano aspettando.
“Beth,
Dan! Ciao!” esclamò Ginny, salutandoli entrambi con un
largo sorriso.
“Ehilà!
Tutto bene?” ricambiò Dan
“Normale...
voi?”
“Si
sopravvive...”
“Harry,
come stai? Come stanno mamma e papà?”
“Bene,
Beth. Stiamo tutti bene, persino il forno, dopo che Ron ci ha fatto
esplodere una torta.” le rispose il fratello.
“Come
ha fatto a far esplodere una torta?” domandò,
pensierosa.
Harry
rise, prima di rispondere:
“Sinceramente,
preferisco non saperlo”
“Concordo.”
“Allora,
entriamo o preferite fare un passeggiata, visto che c'è bel
tempo?” propose Ginny
“No,
entriamo. Ho sete.”disse Dan, aprendo la porta e facendo strada
agli altri dietro di lui.
Il
pub era, come sempre, molto affollato: studenti di Hogwarts, maghi,
streghe e megere di passaggio e, ovviamente, i soliti clienti fissi
che non mancavano mai di passare da Rosmerta.
“Non
sarà facile trovare un tavolo...” disse Ginny,
esplorando con gli occhi la sala.
“Forse
là!- Harry ne indicò uno- Mancano le sedie, ma possiamo
sempre guardarci attorno e cercarne quattro inutilizzate dagli altri
tavoli.”
Passando
davanti al bancone, non riuscirono ad evitare di farsi vedere da
Madama Rosmerta, che incurante del boccale di Burrobirra che stava
riempiendo, gridò:
“Per
Morgana, Harry! Harry Potter! Oh, Ginny, ci sei anche tu!”
“Madama
Rosmerta, buongiorno!”
“Buon
Merlino, quanto tempo!” si sgolò, per sovrastare il
forte vociare.
“Suvvia,
non è passato poi molto tempo! Ci siamo fatti vedere in questi
anni, qualche volta, no?”
“Oh,
certo che sì, ma vedervi tutti è sempre così
bello! Avanti, che ci fate qui?” chiese Rosmerta, che, colta
dall ' entusiasmo per la visita inaspettata, aveva ormai dimenticato
di soddisfare le ordinazioni.
“Siamo
venuti a trovare Dan e Beth.” spiegò Harry
“Oh,
certo, certo. Cosa vi posso offrire? Visto che non vi vedo mai, è
il minimo che possa fare.
A
casa tutto bene?”
“Sì,
stanno tutti bene. Ti salutano, Rosmerta.”
“Ricambia,
Ginny.”
“Allora,
posso prendermi una Burrobirra, Rosmerta?”
“Dan,
benedetto ragazzo! Eccoti la Burrobirra, ma non ti sembra ora di
metterti un po' a studiare anziché essere sempre in giro a
perder tempo? Come tuo padre! Tieni, Elisabeth, ecco, questo è
per te. E mi raccomando non fartela bere da lui, eh?” si
raccomandò Rosmerta, passando due pinte colme.
“Grazie-
sorrise Beth- stia tranquilla, ho imparato a badare a me stessa.”
“Vedo
che hai da fare, Rosmerta, per cui ti lasciamo al tuo lavoro. Ci
vediamo dopo.” disse Harry.
“Avete
trovato un tavolo, ragazzi? Altrimenti vedo di far sloggiare
qualcuno...”
“Tranquilla,
è tutto a posto!”
“Ora
che ci penso, però, avrei potuto prendere dell' Idromele.”
considerò Dan, sistemandosi sulla sedia,
“Certo
che questo posto non cambia proprio mai...” disse Harry,
guardandosi attorno e perdendosi nei ricordi di Hogwarts.
“Allora,
che ci raccontate? Sei pronto per gli esami, Dan? Ah, Beth,
complimenti! Ho saputo che hai superato l'esame di Materializzazione.
Non avevo dubbi!”esclamò Ginny.
“Potremmo
evitare di parlare dei M.A.G.O.? Sapete, non ho intenzione di farmi
rovinare l'ultimo sabato ad Hogsmeade...”disse Dan, grattandosi
la nuca e mostrando un'espressione contrita al solo sentir nominare
la parola M.A.G.O.
“Sarà
divertentissimo vederti ritirare il diploma. E' una scena che non
voglio perdermi.- rise Harry- Teddy è così eccitato
all'idea di venire ad Hogwarts per la prima volta.”
“Come
sta Teddy? Ah, Harry ho qui un libro che mi aveva prestato zio Remus,
glielo ridai, per favore?” chiese Bath, tirando fuori il volume
dalla borsa e posandolo sul tavolo.
Il
pomeriggio passò, raccontandosi le ultime novità,
chiarendo dubbi e ridendo di qualche aneddoto, sino a quando Harry e
Ginny non si fissarono, capendo che era il momento giusto per il
fatidico annuncio.
“Daniel,
Elisabeth- cominciò Harry, fissandoli entrambi negli occhi ed
utilizzando il loro nome completo, cosa che non sfuggì e
lasciò presupporre l'arrivo di importanti novità- io e
Ginny vi abbiamo chiesto di venire oggi perchè...” qui
si interruppe, cercando gli occhi di Ginny.
A
Beth il contatto non sfuggì e il cuore prese a batterle
furiosamente.
“Abbiamo
deciso di sposarci.” terminò Harry d'un fiato.
Dan
sgranò gli occhi: se c'era una notizia che proprio non si
aspettava era quella.
Beth
spostò lo sguardo dal fratello a Ginny, sul viso della quale
comparve un sorriso commosso.
Non
sapeva esattamente come reagire, mentre la tachicardia aumentava.
Era
contenta: era veramente contenta, ma allora, perchè non
riusciva a dimostrarlo? Perchè si limitava a fissare Harry?
Harry
capì cosa stava passando per la testa di sua sorella e le
prese la mano, stringendola forte e sorridendole di quel sorriso
sicuro, tranquillo e confortante che tante volte l'aveva guidata.
Fu
Dan, con la sua esclamazione a salvare la situazione:
“A
questo punto dovrei dire “Congratulazioni!”, giusto?”
si alzò in piedi e tese mano ad Harry, che ricambiò la
stretta, prima di abbracciare Ginny.
Beth
si riscosse e si congratulò anche lei, scegliendo prima Ginny.
“Sono
davvero contenta, Ginny.” le disse, posandole un bacio sulla
guancia.
“Lo
so, piccola. Vuoi essere una delle damigelle?” le chiese Ginny,
raggiante di felicità.
Le
preoccupazioni sue e di Harry parevano inutili: tutto stava andando
per il meglio, nonostante Harry continuasse a fissare nervoso la
sorella.
“Mi
farebbe tanto piacere. Sono felice che tu me lo abbia chiesto.”
la ringraziò Beth.
“Harry,
e a te che cosa dovrei dire?” proseguì poi, spostandosi
tra le braccia del fratello.
“Non
mi devi dire niente, sorellotta, solo che sei contenta.” le
rispose
Beth
non disse nulla: si limitò a fissarlo e a stringerlo forte.
Dan,
che nel frattempo era scomparso, ricomparve seguito da Madama
Rosmerta, la quale portava con sé un vassoio con quattro
boccali pieni.
“Vista
la grande novità offro da bere io a tutti! E' un'ottima scusa
per gustare del buon idromele!” esclamò, prodigandosi in
continui sorrisi.
“Sono
emozionata per voi, ragazzi!” Rosmerta corse ad abbracciare i
futuri sposi, mormorando frasi senza un vero senso compiuto.
“Aspettate
che lo sappia Hagrid!” se ne uscì Dan, levando al cielo
il suo boccale e facendolo trillare contro quello degli altri.
“Glielo
diremo presto! Non può mancare!” gli confermò
Ginny.
“Avete
già idea di quando fissare la data?” domandò
Rosmerta, unitasi ai festeggiamenti.
“Verso
fine estate... in Agosto, dopo il mio compleanno, credo.” disse
Ginny.
Madama
Rosmerta riuscì a farsi dare qualche altra precisazione, prima
di lasciarli di nuovo soli.
“Credo
che sia ora di andare, non vorrete forse incorrere in una punizione
di Gazza? Non mi perdonerei mai l'aver provocato la prima punizione
di mia sorella...” disse Harry, controllando l'ora.
“Ne
sarebbe valsa la pena però, non credi?” gli sorrise
Beth, mentre attraversavano il locale per uscire.
Si
scambiarono gli ultimi saluti, le ultime raccomandazioni, prima di
darsi appuntamento con Beth di lì a due settimane e con Dan
alla consegna dei diplomi.
“Studia
Dan,-si raccomandò Harry- e cerca di capire cosa vuoi. I tuoi
genitori sono preoccupati. Lo sai.”
“Di'
loro che non devono preoccuparsi. Ho tutto sotto controllo.”
gli rispose, alzando gli occhi al cielo.
“Dan,
sono serio.” precisò Harry, con un'occhiata adulta alla
quale Dan desiderava disperatamente sottrarsi.
“A
presto, Beth. E cerca di divertirti, in queste ultime settimane. Non
studiare e basta.” consigliò alla sorella.
“Ci
proverò. Ma non credo di riuscirci.” confessò
Elisabeth.
“Tu
provaci lo stesso. Appena torni ce ne andiamo insieme a fare un giro
a Londra, ok?”
“Allora
ci vediamo. In bocca al lupo a tutti e due. E studia, Dan.” li
salutò Ginny.
“A
presto!”
Harry
e Ginny si Smaterializzarono, scomparendo alla loro vista.
“Avanti,
adesso andiamo: Harry aveva ragione. E' tardi.” disse Beth,
imboccando il sentiero che portava ad Hogwarts seguita da Dan.
“Mi
sono dimenticato di chiedere ad Harry se ha intenzione di farmi
conciare come un pinguino al suo matrimonio...” ricordò
Dan improvvisamente, pochi minuti dopo.
“Sai
com'è, Daniel, siamo ad un matrimonio. Ti dovrai per forza
vestire bene.” lo informò Beth.
“Bè,
non è detto... per esempio, io, se mai mi sposerò, dirò
a tutti di venire così come sono comodi. Non voglio mica
costringere nessuno a vestirsi in modo troppo elegante snaturando il
suo essere.” osservò lui.
“Snaturando
il suo essere? Daniel, ai matrimoni la gente si veste sempre bene,
Persino tu, quando si è sposato lo zio Remus eri elegante.”
“Solo
perchè mia madre mi aveva costretto. Ero troppo piccolo ed
ingenuo per oppormi. E poi dai, non ero elegante, sembravo un
pinguino. Non ho intenzione di conciarmi così un'altra volta.
Ad Harry andrà bene lo stesso.” asserì convinto
Dan.
“Questo
lo dici tu. Mio fratello è molto tradizionalista per certe
cose, nel caso in cui non lo sapessi.” lo contraddisse
Elisabeth, che stava parlando solo perchè si sentiva in
dovere di rispondergli.
In
quel momento il modo in cui avrebbero dovuto vestirsi non era la sua
preoccupazione principale e, ad essere sincera, di Dan e delle sue
egoistiche insofferenze le importava ancora meno.
A
Daniel non era sfuggito lo scarso interesse che Beth stava mostrando.
Non
sembrava, ma era un acuto osservatore di tutte le persone che lo
circondavano.
Si
fermò. Beth stava male. Non aveva preso affatto bene la
notizia.
“Dan,
ti muovi? Sta salendo aria. Voglio arrivare in fretta al castello.”
lo chiamò Beth, che aveva continuato a camminare, resasi conto
di non averlo più a fianco.
Senza
aprire bocca Dan le si avvicinò, le prese la mano e la
costrinse a voltarsi.
“Ehi,
Dan, che fai?” chiese Beth, stupita.
“Tu
non stai bene, vero?” la aggredì immediatamente, senza
giri di parole.
“Cosa
te lo fa pensare?- si scansò. Quella volta non aveva
intenzione di piangere. Era grande, ormai. Non doveva costringere
Daniel a consolarla.- Va tutto bene, davvero. Ho solo freddo.”
E
stava tremando davvero, Beth, ma non per il freddo.
“Beth,
non dirmi balle. Ti conosco da diciassette anni. Da sempre. So che
faccia hai quando stai male.” precisò Dan, serio e quasi
irato per la mezza bugia.
“Va
tutto bene, Dan.” insistette Elisabeth.
“No,
non va tutto bene. Dimmi cos'hai, ti prego. Magari posso aiutarti.”
la implorò.
Qualsiasi
cosa pur di farla stare bene.
“No,
Dan. Questa volta voglio farcela da sola... e poi, poi mi sento
stupida, tanto stupida a confessartelo. E' un'idiozia, questa.”
tentennò Elisabeth, che dentro di sé si vergognava
davvero per quello che provava.
“Se
ti fa star male non è un'idiozia.” puntualizzò
Dan, prendendole il viso tra le mani e fissandola negli occhi
castani. Gli occhi dello zio James, privi del suo abituale guizzo
ironico ma ancora più profondi sul sul viso chiaro di Beth.
Elisabeth
annuì lievemente.
“Sì
tratta di Harry?” sussurrò.
A
quel punto Elisabeth affondò la testa nella spalla di Dan e
pianse.
Pianse,
mentre lui le sussurrava parole di conforto accarezzandole la testa.
“Dan...
è una sciocchezza, davvero. Non posso stare così. Sono
sua sorella e dovrei essere felice. Dovrei essere al settimo cielo
per una notizia così... ma io mi sento vuota, invece. Sono
un'egoista. Un 'egoista!” strillò Elisabeth, prendendo a
pugni la malcapitata schiena di Dan, il quale, non fece una piega, ma
anzi, aumentò la stretta dell'abbraccio.
“Non
sei egoista, Beth.”
“Sì,
invece, guardami!- gridò, staccandosi ed alzando la testa- E
sai qual è la cosa ridicola? E' che io sono davvero felice per
Harry e Ginny. Sono contenta, ma non riesco a non pensare al dopo!”
Daniel
la riafferrò e cingendole i fianchi riprovò a parlare.
“Lo
so che sei felice, lo so. Non ho mai dubitato di questo. Ma ricordati
che non lo perderai. Non lo perderai, Beth. Abbiamo forse perso lo
zio Remus?”
Lei
scosse la testa.
“No,
ma sono cambiate tante cose. Però non lo abbiamo perso.”
“Le
cose cambiano sempre, col tempo. E' strano che sia io a doverti fare
un discorso di questo tipo...”
“Scusami,
Daniel, ti prego, non volevo, non dovevo...” cercò di
scusarsi Beth, asciugandosi le lacrime con la manica della maglietta.
“Lascia
stare, dovrei avere un fazzoletto, da qualche parte- disse Dan,
frugando nelle tasche- ehm, come non detto... Non lo trovo, però
sono certo che la mia felpa sia migliore, come fazzoletto. Vedi?”
e delicatamente passò la sua manica sul volto bagnato
dell'amica, che accennò un timido sorriso.
“Grazie.”
Dan
sorrise a sua volta.
“Quello
che intendo dire, Dan, è che la mia paura maggiore è
che cambi qualcosa tra noi, tra me ed Harry. E lo so che è
naturale, lo so che è inevitabile, così come era
inevitabile che prima o poi Harry e Ginny si sposassero. E io sono
davvero contenta per lo loro... però temo di non essere ancora
pronta per il distacco. Per te non è così, Dan?”
domandò ingenuamente Beth, che aveva sempre considerato se
stessa, Dan ed Harry come un tutt'uno, come tre fratelli.
Daniel
sorrise teneramente: per certi versi, Beth, era rimasta la stessa
bambina ingenua, così come lui era ancora il ragazzino
petulante ed egocentrico per altri.
“Elisabeth...
io... io non lo so cosa si prova ad avere un fratello o una sorella.
Tu ed Harry e i miei amici, forse soprattutto Lucas, siete quello che
più si avvicina ad un fratello ed una sorella, però non
lo siete davvero. Capisci cosa intendo? Io credo che quello che leghi
te ed Harry sia più forte, molto più forte e più
istintivo, quasi come un bisogno interno, quasi come se fosse,
scusami il paragone, qualcosa di ferino, tipo l'attaccamento di una
cagna ai suoi cuccioli. Mi segui?”
Attese
il cenno d'assenso e proseguì:
“Bene,
intendo dire che sicuramente quello che vi lega è fortissimo e
che io non posso provare una cosa simile per nessuno, quindi è
ovvio che la prenda diversamente e che non possa capire appieno come
stai. Sono certo di una cosa, però: non lo perderai. Non
perderai mai tuo fratello.
Perdonami
se te lo dico, ma non siete come mio padre e suo fratello o come tua
madre e sua sorella.
Voi
non vi perderete mai. Ti ricordi come stavi la prima volta che è
partito per Hogwarts?”
Elisabeth
sorrise debolmente: “ Piansi per una settimana.”
“E
hai perso Harry?”
“No.”
“Ecco...
e quando ha finito Hogwarts ed è andato all'Accademia, l'hai
perso?” proseguì Dan.
“No,
anzi, proprio perchè siamo cresciuti i nostri rapporti si sono
fatti ancora più stretti. Forse... forse gli sono più
legata adesso di quando ero bambina, ed è per questo che ho
tutta questa paura di perderlo.- confessò Beth, vergognandosi
di se stessa- Ma, Dan, ho diciassette anni. Certe cose dovrei
accettarle e basta.”
“Sai,
credo che certe cose non si accettino mai del tutto...”
“Ma
io devo accettare questa cosa. Devo, hai capito? E so che è
stupido tutto quello che sto facendo, Le mie reazioni sono sempre
terribilmente stupide.”
“Non
è vero, non sono terribilmente stupide. Sono solo stupide,
alle volte. Ma non sempre.”
“Daniel,
capisci cosa intendo?” chiese Beth, innervosita dal fatto che
Dan fingesse di non capire.
“Sì,
capisco, ma tu non spazientirti! Ti ricordi come ero geloso quando
nacque Teddy? Temevo di non poter più essere al centro
dell'attenzione dell'intera famiglia... Temevo che zio Remus e Tonks
non avessero più tempo per tutte quelle cose che facevamo
insieme.”
“E
invece sei ancora al centro dell'attenzione dell'intera famiglia.”
lo corresse Beth.
“Appunto.
Quindi, vedi, a volte tanti timori sono infondati e talvolta le cose
si sistemano da sé. Certo, con zio Remus non andiamo più
a pescare, però... credo che sia naturale, sarebbe andata così
anche senza Teddy. E poi, ti immagini la nostra vita senza Teddy? Io,
sinceramente, non ci riesco.”
spiegò
Daniel, parlando più di sensazioni personali che di altro.
“Nemmeno
io. E' come se Teddy fosse stata la naturale prosecuzione di come
dovevano andare le cose. E so benissimo che anche per questo
matrimonio è così. So che non devo fare tragedie, non
ha senso... però, non ne sono capace.”disse Beth, in
un'alzata di spalle finale.
“Non
lo perderai. Cambierà qualcosa, ma non lo perderai.”
ribadì Dan, con una sicurezza tale che Beth stentò a
credere che il ragazzo lì di fronte fosse proprio il suo
Daniel, il suo eterno amico d'infanzia.
“Spero
tanto che tu abbia ragione.”
“Io
ho ragione. Sono Daniel Black, io ho sempre ragione.” rise,
risollevato dal velo di tranquillità che si vedeva sugli occhi
di Beth.
Si
augurava davvero di essere riuscito a fare qualcosa per farla stare
almeno un po' meglio.
“Egocentrico
presuntuoso.”
“Maestrina
petulante.” rimbeccò lui
“Daniel...
grazie.” Il ringraziamento di Beth veniva dal cuore. Nessun
altro avrebbe potuto capirla bene quanto lui.
“Figurati.
Sono qui per questo.” si scansò Daniel. Sentiva di non
aver fatto niente di più di quello che era giusto.
“Nessuno
ti obbligava ad esserci.” precisò Beth.
“Bè,
allora diciamo che mi andava di esserci, no? Dai, ora andiamo al
castello. Tu avevi freddo ed io e Lucas abbiamo la tradizionale
“Regata del Lago Nero” da organizzare.”
“Siete
sempre i soliti...A quanti poveri ragazzini del primo anno farete
venire la bronchite, quest'anno?” chiese Beth, sapendo
benissimo che era inutile dissuaderli da quanto avevano intenzione di
fare, dal momento che era dal loro secondo anno che proseguivano
imperterriti nell'organizzazione.
Aveva
studiato il regolamento della scuola e da nessuna parte c'era scritto
che nuotare del Lago Nero era vietato. Avevano la legge dalla loro,
purtroppo.
“L'anno
scorso solo tre su sette si sono ammalati, non male. L'anno prima era
andata peggio, ricordi? La madre di quel Tim Stubbins aveva proposto
la mia espulsione al Consiglio Scolastico...E comunque, scusa, io e
Lucas ce la siamo presa l'influenza quando l'abbiamo attraversato
noi, il Lago. Perchè mai queste nuove generazioni dovrebbero
avere sconti? Ai vincitori, come il sottoscritto, spetta gloria
eterna!”
Scusatemi
per il ritardo, spero che questo capitolo possa compensare la lunga
assenza.
Inoltre
ho preparato un piccolo video con tutti i protagonisti di questa
storia: è una sorta di album fotografico dedicato all'infanzia
di Harry Dan, e Beth, anche se non mancheranno riferimenti all'ovvio
lieto fine. Ci saranno leggeri spoiler, quindi, ma niente che non
possiate aver già capito.
Se
vi interessa, il link è questo:
http://it.youtube.com/watch?v=NcgIexDWV7Y&feature=channel_page
Ancora
una volta vi ringrazio tutti quanti perchè continuate a
seguire la storia.
Un
ringraziamento speciale a Bellis , e, naturalmente, a
tutti coloro che hanno recensito:
PrincessMarauders:
grazie, qui hai visto che c'è una bella scena tra Dan e Beth?
Credo proprio che ci vorrà ancora un po' prima che capiscano
quello che provano, diciamo che ammetterlo non sarà molto
semplice.
Finleyna4Ever:
grazie anche a te, spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo!
Thaleron:
Scrivere di Teddy e Victoire è una cosa veramente tenera,
concordo! Per qualche capitolo saranno assenti, ma di certo scriverò
ancora su di loro. Ci sarà un capitolo dedicato interamente a
Teddy, tra un po'.
Cinderella87:
Anche a te dico che Teddy e Victoire torneranno più scatenati
che mai, dopotutto saranno gli ospiti d'eccezione di un matrimonio,
no? Tra l'altro sono proprio curiosa di sapere cosa combinerà
Ron, a quel matrimonio...
Padfoot_07:grazie
per la reazione entusiastica: ti dirò, ogni tanto mi capita di
mettermi a ridere da sola, pensando a Sirius in veste di genitore
maturo e responsabile...credo che la povera Hellen avesse due bambini
piccoli in casa, alle volte. Però, povero Sirius, tutti i suoi
sforzi vengono sempre paragonati alla perfezione di Lunastorta, è
ovvio che ne esca perdente, ti pare?
Quanto
a Beth, questo è il modo in cui può reagire. E' fatta
così, spero che ti paia reale.
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Capitolo 10 *** Casa ***
Casa
GODRIC'S
HOLLOW
Dopo
aver accompagnato Ginny a casa, Harry, ancora pensieroso per quanto
avevano detto a Dan e Beth, si diresse a casa dei suoi genitori per
la consueta cena domenicale.
Risalì
il viottolo sterrato che conduceva a casa ed aprì il
cancelletto infilando le dita oltre la sbarra.
Bussò
alla porta, sino a quando sua madre non gli venne ad aprire.
Lily
indossava già il grembiule, segno che i preparativi per la
cena fossero già avanzati.
“Harry,
entra! Come mai così presto?”
“Ero
già in giro...” rispose, entrando e scrutando il
salotto.
Suo
padre non era seduto al solito posto a leggere la Gazzetta del
Quiddtch, cosa molto strana, considerando che quello era un normale
fine -settimana di campionato.
“Papà
è andato allo stadio. Il signor King ha insistito così
tanto che lui e Sirius sono stati pressochè costretti. Non che
tuo padre ne abbia sofferto, sia chiaro...” osservò Lily
tornando in cucina col figlio al seguito.
Il
roastbeef era già nel forno, le patate si stavano pelando e
tutti gli ingredienti per la torta di melassa facevano bella mostra
di sé sul tavolo.
“Credevo
che arrivassi più, tardi per questo c'è ancora tutto in
giro...”
“Torta
alla melassa! Grazie mamma!” esclamò Harry, infilando un
dito nella melassa fresca.
“Quella
che avanza portala via, però. Lo sai che a papà non
piace molto e io non posso mangiarmela tutta da sola.” lo
avvertì Lily, incantando la terrina perchè le uova e lo
zucchero si mescolassero.
“Hai
risolto brillantemente il problema della colazione di domani mattina,
considerando che Ron ha dimenticato di comprare i biscotti...”
constatò Harry in un sorriso, tirando indietro una sedia ed
appoggiandosi sul tavolo per guardare la madre cucinare.
“E'
andato tutto bene con Beth?” domandò Lily, preoccupata,
mentre dietro di lei i cucchiai di legno miscelavano il composto.
“Lo
spero.” rispose Harry, dando l'impressione di non voler
proseguire il discorso.
“Harry...”
lo ammonì Lily
“Che
c'è?”
“Come
sta Beth?” chiese Lily nuovamente, apprensiva.
Harry
fece un profondo respiro, mentre la madre prendeva posto accanto a
lui, desiderosa di sentirsi dire che sua figlia stava bene,
“Spero
che stia bene, mamma. Non so... quando glielo abbiamo detto sembrava
averla presa bene. Però... era taciturna. Più taciturna
del solito. Avrei dovuto fare tutto da solo. Ginny avrebbe dovuto
ascoltarmi.” raccontò Harry.
“E'
venuta anche Ginny, quindi?”
“Sì.
Alla fine non me la sono sentita di impedirglielo. Era giusto che
venisse.” rispose Harry
“Hai
fatto bene.- approvò Lily- Era giusto che venisse anche lei.
Ascoltami Harry, se devo essere sincera non credo che Beth l'abbia
presa benissimo. Avrà paura di perderti e lo sai però...
però sono convinta che le farà bene affrontare quello
che per lei è effettivamente un problema. La aiuterà a
crescere.”
“Sì,
credo anch'io che la farà crescere... però, avrei
voluto esserci lì io a tenere sotto controllo la situazione.”
replicò perentorio Harry.
“Harry,
ci sono cose che ciascuno deve affrontare da solo, per poter
crescere.” gli spiegò Lily
“Lo
so, però...”
“Però
niente, Harry. Dovrà metabolizzare la cosa e poi si potrà
congratulare con te. Sono sicura anche che anche ora è
comunque contenta per voi. Adesso sta a te farle capire che non te ne
vai, che ti sposti solo.”
Lily
l'aveva tranquillizzato e, di colpo, la situazione parve meno grigia
di quanto non fosse prima.
“Dan
come sta? Si è messo a studiare qualcosa?” si informò
Lily, più che sicura che ad Ochard House il clima non fosse
dei migliori, vista tutta l'apprensione che Sirius ed Hellen avevano
in quei tempi.
“Secondo
te?”
“E'
troppo confuso. Spero tanto che ne esca. Ma forse, forse dovrebbe
cadere per poi rialzarsi... o no, Harry?” domandò, con
un'occhiata significativa rivolta al figlio.
“Già,
forse.” mugugnò in risposta Harry.
“Harry...
parlane con papà, ti prego. Non ne posso più di vedervi
così.”
“E
che dovrei dirgli, mamma? Bisognerebbe cambiargli la testa!”
inveì Harry
“Non
è che tu in quanto a cocciutaggine abbia qualcosa di cui
vantarti... avete la stessa testa, Harry.
Cerca
di capire, tuo padre sbaglia. Ma è solo preoccupato per te.”
“Bè,
di questa preoccupazione non so che farmene! Ho più di
vent'anni, dannazione! Alla mia età voi avevate fatto
esperienze ben peggiori e...” attaccò irato, come se non
ne potesse più di tenere tutto dentro, Harry.
“Appunto,
Harry. Proprio per questo è così refrattario nell'
affidarti compiti rischiosi. E sbaglia Harry, nessuno più di
me sa quanto questo lo faccia soffrire. Sa che non è giusto,
ma non può farne a meno perchè tu sei suo figlio. Devi
parlargli, Harry. Affrontalo. Non temere di deluderlo. Non sarà
così.”
“Ma...
è pur sempre il mio capo...” tentò di scansarsi
Harry, che per molti motivi non voleva affrontare quella
conversazione.
“E'
tuo padre, Harry. Non è il tuo capo. In questi casi si tratta
solo di tuo padre e ti prego, Harry, per quanto possa essere
frustrante per te starsene sempre con le mani in mano, ricordati che
per troppo amore si rischia di sbagliare. Parlagliene. Prova a
spiegargli che ti senti pronto per fare di più.” la voce
di Lily pareva cullarlo, quasi fosse ancora intenta a recitare le
dolci nenie che era solita contargli per farlo addormentare quando
era piccolo.
“E...
e se dovessi peggiorare le cose?” Harry palesò i suoi
dubbi ad alta voce: non voleva deludere James ma non voleva nemmeno
peggiorare la sua attuale situazione.
Si
sentiva pronto per per fare di più. Era giusto che facesse di
più. Se lo meritava.
E
allora... allora perchè non riusciva a decidersi ad affrontare
quella conversazione, che sapeva necessaria?
“Dov'è
finita l'irritazione di poco fa?”
“E'...
che... è complicato, mamma.” disse, infine.
“E'
complicato perchè voi volete che lo sia. Sei tu l'unico che
può cambiare la tua situazione. Pensaci.” lo esortò
Lily, passandogli la mano tra i capelli.
Harry
si alzò in piedi, sorrise alla madre e poi salì rapido
le scale.
Percorse
il corto corridoio su cui si affacciavano le quattro camere da letto:
quella degli ospiti, quella dei suoi genitori, quella di Beth e la
sua vecchia stanza.
Raggiunse
in fretta l'ultima porta del corridoio e, spalancatala, entrò
in quella stanza tanto famigliare.
Sebbene
non vi abitasse più da un paio d'anni, da quando aveva finito
l' Accademia, tutto era rimasto invariato: i libri sugli scaffali
erano al loro solito posto, così come le fotografie e i vecchi
poster.
Nessuno
aveva toccato niente.
Non
vi era un solo granello di polvere e il letto era fatto, come se
qualcuno dovesse dormirci quella stessa notte.
Harry
si guardò intorno, cercando di assorbire dagli oggetti di
quella stanza tutte quelle memorie di attimi che non ricordava più.
Si
rivide bambino, mentre faceva saltare per aria il castello appena
costruito con le costruzioni magiche o mentre faceva levitare per
aria i peluches o, ancora, mentre insisteva nel volare con la scopa
per casa.
Rivide
sua sorella che trotterellava alla sua scrivania, alla quale arrivava
appena, solo per guardarlo fare i compiti.
Era
come se tutte le risposte alle sue troppe domande fossero arrivate.
Harry
si inginocchiò sul legno del pavimento e aprì il
cassetto della scrivania: doveva esserci ancora qualche pergamena e,
magari, anche dell'inchiostro...
Ne
trovò una un po' sgualcita, accanto ad una boccetta di
inchiostro nero mezza vuota.
La
piuma era là dove l'aveva sempre lasciata.
Tirò
indietro la sedia e si sedette.
Si
passò una mano tra i capelli, si aggiustò gli occhiali
e inzuppò il pennino nell'inchiostro prima di vergare il
foglio.
“Harry!
E' pronto!” l'urlo di Lily lo riscosse: per quanto tempo era
rimasto lì sopra a scrivere?
Non
si era reso conto che il sole era già tramontato e nemmeno che
James era rientrato in casa.
Piegò
la pergamena senza nemmeno rileggerla e la infilò in una
tasca, dopodichè si alzò e lasciò la stanza.
Fu
una cena tranquilla, condita dalle chiacchiere di una famiglia che si
ritrova dopo qualche giorno.
Lily
servì il dolce e, al termine della cena, pregò James ed
Harry di allontanarsi dalla cucina, prima di creare ulteriore
confusione.
“Strano
non dover sparecchiare...Sarà che è domenica.”
rise James
“Già.”
rispose Harry.
I
due Potter sedettero entrambi sul divano.
“Papà...”
disse Harry all'improvviso, con voce agitata.
James
alzò rapido la testa
“Dimmi...”
“Io...
ecco... mi chiedevo se c'erano novità riguardo a
quell'inchiesta sui trafficanti di uova di drago ...” esordì
il ragazzo, imbarazzato.
“No,
Harry. Ancora no. Dovrei andarci di persona io tra un paio di
giorni.” sospirò James, desideroso di venire a capo di
quel mistero.
“E...
Sirius verrà con te?” Harry fece la domanda cercando di
utilizzare un tono neutro.
James
lo guardò in tralice: era strano osservare il proprio figlio
che cercava di raggirarti facendo uso degli stessi trucchi che
avresti usato anche tu da giovane.
James
capì dove Harry voleva arrivare e sapeva anche che quella era
la volta di risolvere una volta per tutte la strana freddezza che
aveva caratterizzato i loro rapporti lavorativi.
“Non
gliel'ho ancora detto. Prima vorrei avere io più informazioni
possibili. ”
“Già,
bè... immagino che andrete insieme.” osservò
Harry.
“Harry...
ti... ti piacerebbe venire con me?”chiese infine James
Harry
sgranò gli occhi, in un'espressione di pura meraviglia.
“Dici
sul serio, papà?”
“Sì.
Mi farebbe piacere che tu venissi. Dopotutto, è anche ora che
inizi a cimentarti con qualcosa di più complicato, no?”
gli sorrise il padre
“Sì.
E' ora e... e volevo dirti che sono pronto.” confermò
Harry, senza abbassare lo sguardo e fissando dritto negli occhi il
genitore.
“Lo
so che sei pronto. E so anche che ti è costato startene zitto
e al tuo posto in questi due anni.”
“All'Accademia
mi hanno insegnato ad eseguire ogni ordine del mio superiore...”
disse Harry, impassibile.
“Allora
quel posto non è cambiato,da quanto ci andavo io. Dimmi,
Harry, ti sembra forse una cosa sensata?”
“Sinceramente?-
Harry aggrottò la fronte, in attesa di vedere il padre
annuire- Sinceramente no, papà.
Se
gli ordini che mi giungono sono un'idiozia, se ci stanno mandando al
massacro per nulla, se non si tiene conto dei civili... credo che sia
più giusto rifiutarsi e pensare con la propria testa.”
James
sorrise orgoglioso al giovane che gli stava di fronte: era suo
figlio.
“Corretto.
In battaglia, in una vera battaglia, non combatti solo per te stesso,
ma anche per chi ti sta a fianco, per i tuoi compagni... ma se ti
viene chiesto di ritirarti abbandonando chi è ferito o
qualcuno che chiede aiuto, in quel caso non si deve obbedire.”
“Papà
io mi sento pronto per combattere. Io mi sento pronto per fare di
più. Sono stanco di essere inutile.” disse Harry,
deciso.
James
sospirò: sapeva che quel momento sarebbe arrivato.
Harry
era suo figlio, dopotutto. Sangue del suo sangue. Difetto dei suoi
difetti.
“Ti
chiedo scusa, Harry. Cercavo solo di proteggerti.”
“Ma
papà... ho ventitré anni! Tu alla mia età avevi
già avuto esperienze ben più pericolose! Quando avevi
la mia età io avevo già tre anni! Da cosa mi volevi
proteggere? I tempi sono cambiati! Non credi forse che io sia
all'altezza? E allora, perchè mi porti a con te?”
James
fermò l'invettiva: Harry aveva ragione però, come tutti
i giovani c'era ancora qualche passaggio che non riusciva ad
afferrare.
“No-
negò serio James, con un'espressione grave in viso- non perchè
io non creda che tu o Ron non siate all'altezza. Ho... per meglio
dire abbiamo grande fiducia in voi. Sappiamo che avete bisogno di
imparare e di affrontare cose più complicate... però
volevo e volevamo proteggervi.
E'
proprio per via di quello che abbiamo passato noi alla vostra età.
Harry, avevamo diciotto anni... diciotto anni appena e ci siamo
ritrovati a fare i conti con una guerra, con una realtà troppo
grande per noi, usciti da scuola carichi di sogni e speranze che
sapevamo già essere infranti prima ancora di provare.
Non
sono stati anni facili: eravamo solo dei ragazzi ed abbiamo visto di
tutto. Morti, terrore, disperazione...
Perdonami,
Harry, cercavo solo di proteggerti. Volevo che tu avessi solo il
meglio... e... ho sbagliato. Ho sbagliato perchè è
giusto che tu ti metta alla prova. E' giusto che tu affronti le
difficoltà di un mestiere che hai scelto. Ti chiedo scusa e,
per quel che vale, sappi, anzi sappiate tu e Ron che io e Sirius
saremmo onorati di avervi al nostro fianco.”
Harry
aveva ascoltato in silenzio: aveva già pronta la replica.
Dopotutto, quante volte aveva sentito quei discorsi?
Eppure
l'ascolto quella volta gli fece cogliere altre sfumature. Vide suo
padre combattuto. Perchè quello non era il suo capo. Era solo
suo padre che, ancora una volta, cercava di fargli avere il meglio.
“Papà...
io...” iniziò Harry
James
sollevò la mano e la scosse per aria per interromperlo.
“E'
colpa mia, Harry. E adesso basta, ok? Martedì verrai con me
,ok?”
HOGWARTS
Le
ultime due settimane di scuola erano passate e, sotto il torrido sole
di giugno, i bauli erano stati riempiti.
Beth
era stata promossa con ottimi voti e come lei Anne, eccezione fatta
per Antiche Rune, Thomas era riuscito ad ottenere la sua E in
Erbologia finendo di stressare amici, conoscenti e studenti di
passaggio con le sue ansie psicotiche.
Lucas
aveva superato gli esami di fine anno per il rotto della cuffia: i
voti alti in Cura delle Creature Magiche ed Erbologia compensavano a
stento la sfilza di Accettabile che contornava le sue prestazioni in
Trasfigurazione, Incantesimi e Pozioni. In Storia della Magia nessuno
era riuscito a convincerlo ad arrivare almeno ad una D.
Dan
e Thomas lo stavano osservando mentre infilava le sue cose a casaccio
nel baule, per nulla impensierito dai brutti voti.
A
lui andava bene così e non era minimamente interessato ai
risultati scolastici.
“Per
Merlino, Lucas- lo ammonì severamente Thomas- ti decidi a
piegarle almeno le magliette? Se infili tutto così non ti
starà mai dentro niente!”
“Tanto
appena arrivo a casa sbatto tutto a lavare...”si giustificò
il diretto interessato, mentre Dan prendeva posto sul letto per
godersi l'ennesimo battibecco.
“Sì,
ma, accidenti! Mi da sui nervi tutto questo disordine!”
proseguì Thomas, vagando nervoso per la stanza.
“Per
Godric, Thomas, fatti i Bolidi tuoi! Se il tuo baule è pronto
e perfetto da una settimana meglio per te!” sbottò
l'irascibile portiere di Grfondoro.
“Dai
retta a me. Metti giù tutto quello che hai in mano che se uso
la magia facciamo prima.” Thomas, affranto, tirò fuori
la bacchetta e la puntò contro l'ammasso sconclusionato che
ingombrava la stanza, occupando persino i letti dei compagni del
proprietario del baule.
“Bagaglius!”
esclamò Thomas ed subito ogni maglietta, calzino, maglione o
pantalone prese a piegarsi per aria finendo ordinatamente nel baule.
Dan
rise apertamente, sotto gli occhi di uno sconcertato Lucas.
“Ma
non ti era venuto in mente, Luke?”
“In
verità no. Sai com'è... io e gli incantesimi
domestici...”
“Ecco
fatto. Ora è tutto a posto e possiamo andare, prima di perdere
il treno.” Thomas, soddisfatto della sua opera stava già
incantando il suo baule e quello di Lucas per spostarli.
“Bè,
se perdeste il treno potreste rimare qui a farmi compagnia...”
borbottò Dan, non accennando a volersi alzare dal letto.
“Avanti,
Dan! Non farne una tragedia! Si tratta solo di una settimana!”
tentò di spronarlo Thomas
“Ma
non ho voglia di starmene qui da solo o di studiare o di...”
“Dan,
pensa a tutto quello che potremo fare insieme quest'estate!”
gli disse Lucas, porgendogli la mano per farlo rialzare.
Dan
sospirò.
L'ultima
cosa che voleva era vedere i suoi amici che se ne andavano e lui
costretto al castello in balia della sua confusa mente.
“Lucas
ha ragione! Dobbiamo organizzare il campeggio e la festa a casa tua e
un sacco di altre cose. Sono solo pochi giorni, Dan.”
intervenne Thomas.
“Sì,
si tratta solo di pochi giorni.” sbuffò Dan
Thomas
e Lucas si fermarono a guardare impotenti il loro amico, mai visto
tanto rinunciatario.
“Ok,
sentite... cosa ne dite di salutare Gazza per l'estate? Da qualche
parte c'è una scatola di fuochi d'artificio Filibuster ancora
nuova... volete mica che me la porti a casa?” Lucas si
inginocchiò ai piedi del suo baule, sconvolgendo l'ordine che
Thomas vi aveva dato.
“Oh
no! Avevo messo tutto in ordine!”
“E
non lamentarti come al solito, Thomas! Ci divertiremo!”
Dan
parve rigenerato dall'idea di Lucas, perchè si posizionò
al suo fianco con la tipica luce malandrina negli occhi, trovando
anche il tempo di tirare qualche scherzoso sberleffo a Thomas.
I
tre scesero rapidamente le scale ed uscirono dalla Torre di
Grifondoro, ritrovandosi in corridoio.
“Ok,
sentite...c'è poco tempo e l'idea che mi è venuta è
questa, anche se si accettano suggerimenti: dunque li piazziamo nello
sgabuzzino delle scope, legati esattamente sopra alla porta, in modo
tale che scoppino quando la si apre... E Thomas, tu vedrai di
allagare il corridoio, così che Gazza provi lo sfrenato
impulso di asciugarlo. Per farlo avrà naturalmente bisogno di
quello che c'è lì e... ops... Hogwarts avrà un
custode affumicato!” Lucas, in una finale alzata di spalle,
espose il piano agli amici.
“Dite
che un Aguamenti basta? O è troppo... in fondo ormai Gazza sta
diventando anziano... non vorrei che gli pesasse troppo pulire.”
Thomas espose le sue perplessità, facendo ridere gli altri
due.
“Oh
andiamo, Thomas! Tu hai collaborato ad accrescere la lista di oggetti
proibiti: hai poco da preoccuparti ora! E poi ho già in mente
qualcosa che possa rendere ancora migliore la nostra cartolina
d'addio. Non mi rovinare tutto il divertimento, ti prego!” Dan
rise e la sua allegria coinvolse anche gli altri allontanando i sensi
di colpa di Thomas.
In
fondo quella sarebbe stata l'ultima malandrinata che avrebbero
compiuto tutti e tre insieme.
I
corridoi erano deserti, dal momento che tutti stavano preparando i
bauli per tornare a casa quindi senza ulteriori incidenti di percorso
raggiunsero lo sgabuzzino in cui il vecchio custode ritirava i suoi
attrezzi da lavoro.
Thomas
fece da palo mentre Lucas posizionava i fuochi d'artificio e Dan
incantava le scope.
“Ci
siete? Sento dei passi!” bisbigliò Thomas
“Eccoci.
Abbiamo finito. Chiudi Dan!”
“Bene
bene... guardate un po' chi ho il piacere di incontrare.” il
beffardo tono di voce con cui Severus Snape era solito apostrofarli
non si fece attendere.
“Professore.”
lo salutò Thomas con un sorriso, pregando che Dan avesse
chiuso quella porta.
“McNarrow,
perdi ancora tempo con questi due qui? Black, Franchester che cosa
stavate facendo lì dietro?” il professore fece un passo
in avanti, mentre i due ragazzi facevano altrettanto.
“E'
forse vietato camminare per i corridoi, professore?” chiese
sardonico Lucas, mostrando la sua perfetta faccia da angelo.
“C'è
forse qualcosa che mi nascondete? Qualcosa che dovrei vedere?”
“No,
professore. E' tutto a posto.” ringhiò Dan, che non era
riuscito a soprassedere alle ultime incomprensioni avute col
professore.
“Ne
sono certo, Black.”
“Professore!
Professore! Li ha bloccati? Sono certo che stessero facendo qualcosa!
Finalmente li ho presi! Ah Daniel Black! Magari riuscirò a
cacciarti proprio prima che tu dia i M.A.G.O!” Gazza corse
affettato verso di loro, certo che quella fosse la giornata adatta
per far espellere coloro che, dai tempi dei gemelli Weasley gli
avevano creato più problemi.
“No,
purtroppo. Temo che l'espulsione di Black dovrà attendere.
Franchester, stai attento. Hai ancora un anno qui. E ora forza,
muoversi,. Voi due dovete preparare le valigie e credo che Black
dovrebbe decidersi ad aprire un libro.”
Snape
si allontanò gettando un'ultima occhiata sprezzante a Lucas e
Daniel e lasciando Gazza a lamentarsi.
Dan
borbottò qualcosa a mezza voce e Lucas non trattenne gli
improperi mentre, girato l'angolo, Thomas faceva comparire una grossa
pozza d'acqua.
“Dan,
ma cosa hai fatto alle scope?” domandò Thomas mentre
tornavano alla Sala Comune di Grifondoro per recuperare i bauli,
anche quello di Thomas che aveva trasferito dal suo dormitorio.
“Eh...
sapessi..”
“Scommetto
che qualsiasi cosa sarà stata un'idea geniale.. o no,
Dan?”fece Lucas, che più degli altri sentiva già
la mancanza di quei momenti.
“Diciamo
che Gazza avrà da correre...” spiegò vago, Dan
“Non
mi dire che hai incantato le scope perchè lo rincorrano?”
chiese meravigliato Thomas, riprendendo immediatamente la parola,
dopo aver incrociato gli occhi di Dan.
“Ma
è... ma è...”
“E'
geniale, Dan!” esclamò Lucas, sinceramente colpito
“Lo
so!- sorrise Dan- Mi dispiace solo che forse voi non potrete godervi
lo spettacolo.”
“Fai
una foto, ti prego! Pedinalo e fai una foto! Ti lascio la macchina
fotografica di Thomas! Ma fai una foto!”
“Concordo!
Devi assolutamente fare una foto! Te la lascio quanto vuoi, ma fai
quella foto!” approvò un ridente Thomas, del tutto
dimentico dei sensi di colpa.
“Cercherò
di fare il possibile... Ora attendiamo che scendano le ragazze, così
vi accompagno alla stazione di Hogsmeade.” rispose Dan
“Beth,
ci sei? Dobbiamo andare! E' già tardissimo!” Anne,
accalorata, gironzolava per la stanza come un'anima in pena sicura di
aver dimenticato qualcosa.
Era
un bel guaio dover recuperare le proprie cose, quando si è
disordinatissimi.
“Sì,
arrivo. Inizia a scendere.” le disse Beth
“Dici
che ci sarà Mary con gli altri? Se c'è lei io vado alla
stazione da sola. Non ho intenzione di condividere nemmeno mezzo
metro quadro con lei.”
“Non
so... magari si trovano sul treno.” provò a dire Beth
che di questioni sentimentali non capiva nulla.
Dan
diceva sempre che era fin troppo ingenua.
“Sì,
speriamo... altrimenti non saluto nemmeno Dan e Thomas. Allora ci
sei?” chiese ancora, sempre più agitata.
“Ti
ho detto di iniziare a scendere. Arrivo subito.” ripetè
Beth, fissando la pergamena ripiegata in mano.
“Ok.
Come vuoi. Ma fai in fretta!” Anne sparì dietro la
porta, portandosi via tutta la confusione che sembrava permeare le
stanze in sua presenza.
Beth,
finalmente sola, dischiuse la pergamena.
Quante
volte aveva letto quella lettera, da quando, tre giorni prima, le era
stata recapitata?
Non
riusciva a tenerne il conto, però, ogni volta che la leggeva
era come se fosse la prima, tante erano le emozioni che le
scaturivano.
Posò
gli occhi sull'intestazione e lesse.
“ Beth,
già
mi immagino la faccia che avrai quando leggerai questa mia lettera.
Io, che sono sempre stato così refrattario a parlare di
sentimenti, al contrario di te, sorellotta, sono qui a scriverti.
Buffo,
di solito sei sempre stata tu a farmi trovare qualche lungo
biglietto, che somigliava di più ad una lettera mascherata, in
occasione del mio compleanno o di Natale.
Eppure,
adesso è il momento che io contraccambi.
Non
so come hai veramente reagito alla notizia del matrimonio mio e di
Ginny: non me l'hai detto, non ti sei confidata e, se anche avessi
voluto chiedermi qualcosa, io non ero lì a rispondere alle tue
domande.
Se
ti conosco almeno un po' (come io mi auguro) posso almeno sospettare
che ci hai rimuginato sopra parecchio e che il pensiero di quel che
sarà non ti fatto dormire per qualche notte.
Non
ha senso dirti di non preoccuparti del futuro: oltre al fatto che
suonerebbe terribilmente ipocrita, credo che sia impossibile.
Quello
che mi sento di diti è che non mi perderai.
Non
me ne vado, mi sposto solo.
Io
e te saremo sempre noi, come è sempre stato.
Potrai
piombare a casa mia a qualsiasi ora del giorno e della notte, non ti
manderò via, così come da piccola ti intrufolavi nel
mio letto dopo un brutto sogno.
E
degli altri e di quello che potrebbero pensare non deve importarti
niente. Che si arrangino, gli altri. Tu sei mia sorella.
Io
e te saremo sempre noi. E io per te ci sarò sempre.
Così
come è sempre stato: noi.
Harry
ed Elisabeth.
Ok?
A
presto, sorellotta.
Ci
vediamo a casa.
Harry”
Fece
in tempo a leggerla due volte, prima di decidersi a scendere.
Le
guance si erano arrossate e tante lacrime commosse avevano bagnato i
capelli e le guance.
Ma
non le importava. Casa non le era mai sembrata tanto vicina e tanto
lontana allo stesso tempo.
Voleva
disperatamente tornare a casa ed incontrare ancora gli occhi
protettivi di Harry.
Suo
fratello. E quello non sarebbe mai cambiato.
“Ciao
Anne! Mi raccomando, non farti mettere i piedi in testa!”
scherzò Dan.
“Stai
tranquillo, mi so difendere! In bocca al lupo per i M.A.G.O!”
replicò, attiva come al solito.
“Allora
ci vediamo tra dieci giorni. In bocca al lupo, Dan. E...fai quello
che ti senti, ok?” si raccomandò Thomas
“Ci
proverò.... Grazie Thomas.” disse Dan in un sorriso
“Dan!
Fatti salutare!- chiamò Lucas- Ehi.. so che è
sentimentale e tutto... ma mi mancherai.”
“Anche
tu, Luke. Avrei tanto voluto che ci fossi anche tu, sai?”
“L'avrei
voluto anch'io... Ah, se non fossi nato a novembre, adesso saremmo
qui insieme! Ci sarò Dan, ci sarò quando ti
consegneranno il diploma.”
“Grazie,
Lucas... Ah, prova a parlare con Anne. Non buttate tutto via così.”
gli consigliò in ultimo Dan.
“Dan!”
“Beth!
Non mi hai ancora salutato abbastanza?” era tutta la mattina
che Beth gli ronzava attorno, come per assaporare la sua presenza.
“Bè,
volevo augurarti buona fortuna...” si scansò lei,
intimidita.
“Me
l'hai già detto dieci volte solo oggi. E quindici mi hai
raccomandato di studiare.”
“Se
vuoi allora sto zitta.”
“No,
parla.” rise
“Ok...
allora... allora ciao. E mi mancherai tanto in questi dieci giorni.”
Beth gli gettò le braccia al collo e lui ricambiò la
stretta.
“Sono
stupida, lo so. Si tratta solo di pochi giorni. Ma sai come sono...
mi faccio problemi per tutto...” si giustificò, quasi
più rossa dei suoi capelli.
“Lo
so- Dan le sorrise di quel suo abituale sorriso caldo e confortante-
so che sei la persona più complessata che esista.”
“Scusa.”
“Di
cosa?”
“Di
questo.”
“Non
importa. Adesso credo che sia ora di andare, altrimenti perderai il
treno.”
“Sì...
ah, Dan... per favore, cerca di fare bene gli esami. I tuoi ci
tengono così tanto.” si raccomandò Beth.
“Ci
proverò. Tu promettimi di fare la brava, di non avere crisi di
panico e di parlare con Harry. Lo farai?” sussurrò Dan,
senza accennare a lasciare l'abbraccio.
“Ci
proverò.”
“Bene.
Allora vai.”
Dan
abbassò la testa e posò un lieve bacio sulla fronte di
Beth, sorridendo delle sue guance imporporate.
Beth
lo lasciò andare e lo salutò con un ultimo sorriso,
mentre lui li guardava tutti salire sull' Espresso.
Quando
il treno fu troppo lontano per potersi sbracciare in cenni di saluto,
Dan ritornò al castello e scoppiò in una sonora e
grassa risata quando scorse Gazza, rincorso dalle sue amate scope
lungo il corridoio del quinto piano.
Tornò
nella sua stanza e si chiuse dentro: era il caso che si decidesse
davvero a studiare, come i libri appoggiati disordinatamente sul suo
letto gli ricordavano.
Ne
prese uno a caso, iniziando a leggere degli incantesimi non verbali
senza troppa convinzione.
Dopo
appena qualche minuto gettò il libro a terra e il suoi occhi
turbinarono subito verso la sua chitarra, appoggiata al cavalletto.
Fu
un attimo afferrarla ed essere parte di un altro mondo, mentre le
dita scorrevano rapide e a proprio agio sulle corde.
Le
gambe penzolavano dal letto, gli occhi erano chiusi e la chitarra era
in grembo.
Perchè
in quei momenti sembrava tutto più facile?
I
suoi genitori gli avevano più volte detto di ascoltare davvero
i desideri del suo cuore, perchè dicevano senza dubbio la cosa
corretta.
E
allora, allora perchè quella voce pareva così
sbagliata?
Daniel
sbruffò, sentendosi fragile come non mai, ed iniziò a
cantare.
I'm
just finding my own way In my own sweet time If i'm making a
mistake At least it's mine If I travel down a different road To
the one that you would take I'm just finding my own way
HOGWARTS'
EXPRESS
“Stiamo
arrivando. Comincio ad intravedere i primi palazzi.” Thomas,
sbirciando fuori dal finestrino, avvisò le due amiche del
prossimo arrivo.
“Allora
sloggia, Thomas, Così ci cambiamo.” gli consigliò
Anne, ancora piuttosto nervosa.
“Calma,
calma. Me ne vado! Ci si vede più tardi, allora!” Thomas
recuperò i suoi la sua maglietta e i suoi jeans e se ne andò
dallo scompartimento, evitando di precisare che aveva intenzione di
cambiarsi là dove aveva lasciato Lucas qualche ora prima,
speranzoso che anche lui si fosse reso conto dell'ora ed avesse
avvertito Mary.
Trovando
la porta chiusa, Thomas pensò che fosse il caso di bussare.
“Ehm...
Lucas... posso entrare?”
“Sì,
vieni.” gli borbottò in risposta.
Thomas
spalancò la porta scorrevole, meravigliandosi per la scena che
gli si parava davanti.
Lucas
era solo e fissava un imprecisato punto avanti a sé con aria
malinconica.
Thomas
gli si sedette di fronte e lui trascinò le gambe giù
dal sedile.
“Ero
venuto a dirti di cambiarti, ma a quanto pare hai già
provveduto...” disse Thomas, abbozzando un sorriso che Lucas
ricambiò, seppur tirato.
Indossava
una maglietta piuttosto larga e sbrindellata, segno di vita vissuta,
ed un paio di logori jeans chiari.
“Lucas...
va tutto bene? Come mai sei qui da solo? C'è qualcosa che non
va con Mary?”
“Con
Mary? No, con lei va tutto bene. E' solo andata a salutare le sue
amiche.” gli rispose, stranamente laconico e non abbandonando
la posa stravaccata.
“Lucas,
cos'hai?”
“Stavo
pensando, Thomas. Ti capita mai?” confessò,
risollevandosi e portando i gomiti sulle ginocchia.
“E?”
lo incentivò l'amico.
“E
sono giunto alla conclusione che noi tre non saremo più noi
tre. Dan è là da solo e solo Godric sa quanto mi
mancherà il prossimo anno.” sbottò
“Mancherà
anche a me. E noi mancheremo a lui. Sapevamo che sarebbe successo,
Lucas.” replicò la voce pacata e tranquilla di Thomas.
“Sì,
ma un conto è dire: “ Quando noi faremo l'ultimo anno tu
non ci sarai”, un conto è viverlo. Non credi? Come fai a
prendere tutto così, Thomas?”
“Se
mi arrabbiassi col mondo come fai tu cambierebbe qualcosa? Ovviamente
no. E non aiuterebbe Dan a stare meglio. Ricorda che non è
difficile solo per noi. Luke.” osservò Thomas, tentando
di far ragionare la testa calda che gli sedeva di fronte.
“Thomas,
che succederebbe se l'anno prossimo non tornassi a scuola?”
buttò lì Lucas.
Era
da un po' che ci pensava, in effetti.
“Ma
sei impazzito? Che hai in quella testa? Davvero solo uova di
Vermicolo come dice Anne?” gridò Thomas.
“E
non urlare, porco Bolide! E non parlare di Anne che non ne ho voglia.
Era solo un'idea... buttata lì. Del resto, è risaputo
che a scuola non sia un genio. Cosa cambierebbe se saltassi l'ultimo
anno?”
Thomas
sospirò. Era una vera e propria fortuna che lì non ci
fosse Anne: non ci avrebbe messo molto a ribaltare completamente
Lucas, dopo un'affermazione simile.
“Ascoltami
bene: primo è fondamentale per il tuo futuro che tu torni a
scuola. Qualunque cosa tu scelga di fare è fondamentale che ti
sia diplomato. E secondo...”
“Anche
per allevare Draghi o Ippogrifi o curare Unicorni feriti?”
Cura
delle Creature Magiche era l'unica materia in cui riuscisse con
successo perchè gli interessava.
A
Lucas le capacità non mancavano, semplicemente non aveva
voglia di impegnarsi in cose per cui riteneva di non essere portato.
“Sì,
Lucas. Anche per quello.”
“Ok.”
“Bene”
“Ah...Thomas,
qual era il secondo punto?”
“Non
sopporterei Hogwarts se te ne andassi anche tu.” ammise Thomas,
rosso fin sopra alla radice dei capelli.
Lucas
alzò gli occhi al cielo ma evitò di far battute.
“Thomas,
non ci perderemo. L'ho promesso a Dan, a te e a me stesso. Non ci
perderemo,” proclamò Lucas, serio come mai Thomas
l'aveva visto.
Rimasero
in silenzio a fissarsi per ancora qualche istante, sentendo entrambi
che in quello scompartimento la mancanza dello spirito energico e
positivo di Daniel era insopportabile.
“Stiamo
per arrivare.” constatò, piatto, Lucas
“Sì.”
annuì Thomas
“Vado
a cercare Mary.” annunciò Lucas.
“Io
torno da Beth ed Anne.” Thomas si alzò in piedi e si
diresse verso la porta.
Prima
di aprirla si voltò.
“Parla
con Anne, Lucas.”
Elisabeth,
Anne e Thomas scesero dal treno coi loro bauli che fluttuavano a poca
distanza dai legittimi proprietari.
“Chissà
dove saranno i miei genitori: sbadata come sono posso anche passarci
davanti e non vederli...” osservò Anne, guardandosi
attorno.
“Io
mi auguro solo che i miei dopo sei anni abbiano capito come si entra:
sono stufo marcio di farmi prendere per imbecille dai Babbani mentre
con un baule e un gufo cerco di chiamare mio padre sul cellulare con
un telefono a gettoni.” sbuffò un contrariato Thomas,
aguzzando la vista.
“Che
cos'è un cellulare?” chiese Anne, solitamente non
interessata alla vita Babbana ma impossibilitata a comprendere il
discorso dell'amico a causa di quell'insolita parola.
“Un
telefono portatile.” replicò meccanicamente l'amico
“Come
fanno a portarsi dietro un telefono? Sono grandi!” esclamò
sbigottita
“Ma
non è un telefono come quello che hai in mente tu. E'
diverso... è... una specie di cornetta...fatta...”
“Anne!
Anne!” sentirono Lucas chiamarla a gran voce.
“Lucas!”
Il
ragazzo arrivò col fiatone.
“Thomas,
Beth... Anne... posso... posso parlarti un attimo?”
“Certo!”
annuì, entusiasta che si fosse ricordato di lei.
Si
allontanarono da Beth e Thomas, cercando un luogo appartato, per
quanto potesse concedere la confusione del binario 9 34.
“Mi
dispiace che in questi mesi ci siamo un persi, sai?” ammise
Lucas, grattandosi la testa.
“Sapessi
a me...” rispose Anne, mordendosi le labbra.
“Ok...
ascolta... quello che voglio dirti è che Mary o non Mary tu
rimarrai sempre la mia migliore amica, va bene? E' importante che tu
lo sappia.”
“Dici
davvero? Pensi davvero che io e te possiamo essere amici per sempre?
E' terribile stare senza di te, Lucas. Sei... sei il mio migliore
amico. Io non riesco a pensare di stare senza di te.” confessò
incerta Anne, mostrando tutta la sua fragilità.
“Vieni
qui.- Lucas la abbracciò e le sussurrò- Io e te saremo
amici per sempre. Questo è poco ma sicuro.”
“Sì.
Sempre amici. Ora... ora credo di dover andare... e forse, forse
vorrai salutare Mary.” balbettò Anne, che si staccò,
imbarazzata.
“Sì.
Allora... allora ci sentiamo e poi ci vediamo. Scrivimi, Anne.”
si raccomandò Lucas.
“Scrivimi
anche tu.” disse Anne, le cui parole sembravano però una
supplica.
“Certo!-
confermò Lucas sorridente- Allora ci sentiamo! Buona Giornata,
Anne.”
“Anche
a te, Lucas.” sussurrò la ragazza a se stessa, in quanto
Lucas si era già confuso con la folla accalcata.
Beth
e Thomas, rimasti soli, si scambiarono gli ultimi saluti e la
promessa di scriversi e vedersi. In ogni caso, sarebbero stati tutti
e quattro presenti, dieci giorni dopo, alla consegna del diploma di
Dan.
Elisabeth
si diresse da sola verso il solito angolo, presso il quale la
famiglia era abituata ad aspettarla.
Non
trovò però il sorriso di sua madre, ma scorse suo
padre, in piedi accanto a Sirius e Remus.
Harry
era di fianco a loro, somigliante al giovane papà dei suoi
ricordi di bambina.
Su
tutti e quattro i visi spiccavano sorrisi carichi di affetto e,
mentre si dirigeva verso di loro a Beth parve davvero di essere
tornata la bambina che, euforica, correva tra le braccia del papà
per un pomeriggio di giochi.
Dopo
questo aggiornamento più rapido del previsto mi duole dirvi
che non ho idea di quando ci sarà il prossimo capitolo: devo
studiare e c'è anche Pieces of Us che attende...
Detto
questo vi ringrazio ancora per il sostegno. Ringrazio chi di voi ha
letto Christmas' Eve, 1990 e ringrazio Bellis, Thaleron e
PrincessMarauders per aver anche recensito.
Non
sapete che piacere sapere che, anche se si tratta di un
insignificante Missing Moment è stato gradito ed apprezzato.
Ringrazio
chi ha inserito la storia tra i preferiti e chi ha recensito:
Padfoot_07:
Sono contenta che tu sia riuscita a capire perfettamente tutto quello
che c'è dietro ai comportamenti di Dan e Beth. Beth ha proprio
quella paura, per quanto infantile possa essere, ma è più
che comprensibile... e Dan... Dan è proprio quello che tu hai
descritto: introverso, confusionario, ma sempre pronto a tendere la
mano per aiutare chi gli sta vicino.
Thaleron:
hai proprio ragione: credo che un po' tutti ci siamo innamorati di
Dan e Beth. E' così bello sapere che vi siete affezionati
quanto me a questi due nuovi personaggi. Che ne dici di questo
capitolo? Anzi, che ne dite tu e tua sorella?
PrincessMarauders:
il video piace tantissimo anche a me, sai? E' proprio un album di
fotografie. Per il matrimonio ci vorrà ancora qualche
capitolo: ora c'è la questione Daniel Black da sistemare...
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Capitolo 11 *** E va bene così ***
E
va bene così
Era tardo pomeriggio ed il tramonto si
faceva sempre più prossimo.
La piccola squadra di Auror che James
Potter aveva condotto nella perquisizione del magazzino abbandonato
alla periferia della città in cui sospettavano avessero luogo
loschi traffici, stava uscendo dall' ingresso sul retro.
C'erano gli esperti Colin Walters e
William Daily, la giovane Kate McVaughan e, come promesso, Harry.
“Bene, direi che qui abbiamo
finito.” James Potter radunò gli Auror e li congedò
con le ultime istruzioni.
“Colin e William, voglio che
torniate in ufficio a catalogare le prove.”
“Sì, signore.”
risposero i due, Smaterializzandosi.
“Kate, tu fai sviluppare i
negativi delle fotografie.” ordinò alla ragazza che era
rimasta, la quale reggeva al collo una macchina fotografica.
“Saranno sulla sua scrivania
domani mattina, signore!” rispose con entusiasmo.
“Ci conto, Kate!”
“Fa bene a fidarsi di me!”
gridò, prima di Smaterializzarsi.
“E io che devo fare, papà?”
domandò Harry che era rimasto nella sua posizione.
“Tu... tu tornerai qui domani con
Ron- gli rispose il padre- voglio che stiate appostiate qui e
controlliate i movimenti nella zona. Se necessario, dividetevi, fate
un giro nel quartiere, parlate con qualcuno che possa darvi qualche
indizio. Si apprende molto, parlando con la gente della zona.”
“Saremo qui presto: Ron non sarà
felice di alzarsi all'alba, ma per una volta lo può fare!”
rise Harry, ancora eccitato per la giornata.
“Bè, se è un
problema mando qualcun altro...” azzardò James, con un
sorriso sghembo.
“Scherzi? Guarda che ce lo siamo
sudati, questo posto, papà!” ribattè Harry
“Eh... voi giovani d'oggi non
siete più abituati alla gavetta...”sospirò James
“E voi vecchi allora non vi
rendete conto di quando è ora di cedere il posto.”
replicò sornione, Harry.
James alzò gli occhi al cielo:
brutta cosa impartire al proprio figlio un'educazione Malandrina, si
correva troppo spesso il rischio di essere messi a tacere.
“Che c'è? Sono forse
riuscito a far star zitto James- Il Magnifico- Potter?”
ridacchiò Harry
“Sono pur sempre il tuo capo,
ricordatelo! Devi mostrare rispetto ai tuoi superiori!” lo
ammonì scherzosamente James
“Io direi che in questo momento
sei solo mio padre!” esclamò Harry
James roteò gli occhi.
“Accidenti a Sirius, Remus e alla
loro influenza!”
“Rassegnati, papà: avete
creato dei mostri! Io ti sto lasciando senza parole piuttosto spesso,
ultimamente, Teddy è sulla buona strada e Dan... bè,
Dan è Dan!”
“Comincio a credere che tu abbia
ragione.” fu il solenne commento di James, che li fece
scoppiare entrambi in una sonora risata.
Era
bello tornare a scherzare sereni, dopo quei mesi di tensione.
“Adesso
credo proprio che dovrò andare, però. Ho la sensazione
che Beth si sia già Materializzata nel mio salotto...”
“Cosa
cucinerete a tua sorella questa sera?” chiese James.
Beth
si sarebbe fermata da Harry per un paio di giorni e, conoscendo la
sua puntualità, a quell'ora, molto probabilmente, stava già
vagando per l'appartamento chiedendosi perchè mai suo fratello
non fosse ancora rientrato.
“Carne?-azzardò
Harry-No, comunque, se non hanno litigato nel pomeriggio, questa sera
dovrebbe esserci Hermione. Quando viene da noi insiste sempre per
cucinare. Credo che non si fidi della nostra cucina...”
“Ginny
è in ritiro?”
“Sì,
torna lunedì prossimo. Le dispiace di non poter venire alla
consegna del diploma di Dan.” spiegò Harry.
“Sono
certo che capirà. E dimmi, come procedono i preparativi del
matrimonio? Poi siete andati a sentire per quella chiesa di Ottery
St. Catchpole?” chiese James, rimasto all'appuntamento col
prelato della settimana prima.
“Oh
sì, non te l'avevo detto? Ma non ci convince molto...
pensavamo quasi di farlo celebrare alla Tana, così con tutti i
Weasley che ci sono, potremo stare più comodi.”
“Sì,
direi che è meglio. Sono sicuro che Sirius avrebbe offerto
Orchard House, ma è più giusto che si svolga alla
Tana.” asserì James
“E'
quello che ho pensato anch'io... poi martedì dovremmo andare a
vedere l'ennesima casa. Spero che Ginny ne trovi finalmente una che
le va bene! A questo punto per me una vale l'altra!” esclamò
Harry, memore delle infinite esperienze con agenti immobiliari sempre
più sconcertati di fronte alle aspettative della futura
signora Potter.
“Dovete
darvi una mossa, non manca molto.” constatò James.
“Già.
Martedì abbiamo in programma tre appuntamenti, spero che una
sia quella giusta. E' che quelle che abbiamo visto sino ad ora era
tutte più o meno uguali, senza tratti distintivi. Ginny dice
che nessuna sapeva di “casa” così come sanno di
casa la Tana o casa nostra a Godric's Hollow. Stiamo cercando
qualcosa di simile.” raccontò Harry, imbarazzato.
Era
piuttosto strano fare quei discorsi col proprio padre.
“La
troverete, vedrai.- lo incoraggiò- E' sempre difficile
trovare quella casa che diventerà “Casa” in tutti
i sensi.”
“In
fondo, manca ancora più di un mese e mezzo. Ce n'è di
tempo...”ironizzò Harry
“Appunto.
Sai quante ancora ne potrete vedere! Considerando che almeno un paio
al giorno si visitano, direi che siamo attorno alle novanta....
Cambiando discorso, hai già parlato con Beth?”
“Lo
farò questa sera.”
James
sorrise e gli posò una mano sulla spalla.
“Bene,
Harry e non aver paura. E' tua sorella. Capirà. E ricorda, noi
siamo fieri di te, di voi.” gli disse James, pronunciando
quelle parole in modo chiaro, perchè non se ne perdesse una.
“Grazie,
papà.”
“Adesso
vai, non farla aspettare. Ci vediamo domani pomeriggio.” James
lo salutò e lo guardò Smaterializzarsi a casa.
Sorrise.
Suo
figlio era un uomo ormai.
Harry
si Smaterializzò e riapparve nel salotto del suo appartamento
in zona Docklands.
Tutte
le luci erano accese ed ogni porta era spalancata. Sorrise. Beth
detestava stare al buio.
“Ci
saranno mica i ladri?” gridò, cogliendo di soppiatto la
sorella che sostava di fronte ad una finestra, con gli occhi rivolti
al fiume.
“Harry!
Sei tornato!” Beth gli saltò al collo
“Come
va, sorella? Sei qui da tanto?”
“Dieci
minuti.” rispose
“E
hai guardato fuori per dieci minuti?”
“E'
bello il Tamigi di sera. E' tutto illuminato. Non sembra neanche di
stare a Londra.” spiegò
“E
dove ti sembra di essere?” le chiese Harry, posizionandosi di
fianco a lei e ammirando i battelli sul fiume e la folla di persone
che occupava i marciapiedi, mentre il sole tramontava e le luminarie
si accendevano.
“A
Venezia.”confessò Beth
“Venezia?-rise
Harry- Come fa a venirti in mente Venezia?”
“Non
ci sono mai stata... ma me lo immagino un po' così il tramonto
sul Canal Grande. Lo so che è stupido, voglio dire... Venezia
è antica, è preziosa... qui è tutto nuovo, però
ha qualcosa che me lo ricorda. Ti farà ridere, lo so.”Beth
scosse la testa, rassegnata.
Harry
alzò gli occhi al cielo, divertito.
“Sono
sempre buffa...” constatò Beth, prima di tornare ad
osservare il Tamigi.
“Beth
c'è.. c'è una cosa che dovrei dirti.” balbettò
Harry
“Avanti,
parla.”
“Abbiamo
deciso la data del matrimonio.”
“Oh.”
disse soltanto Beth
“Il
venti agosto.” Harry pronunciò quelle parole con una
calma che non gli apparteneva.
“Così
presto?” Le parole le uscirono senza che potesse controllarle e
Beth, mortificata, si affrettò a correggersi.
“No,
scusami, Harry... non è in senso negativo...Non volevo.”
tartagliò, tormentandosi le mani e fissando il pavimento.
Il
fratello le circondò le spalle con un abbraccio.
“Va
tutto bene, tutto bene, Elisabeth, ok? Va tutto bene.”
pronunciò quelle parole come se fossero una litania dolce e
confortante.
“E'
che mi dispiace, Harry, mi dispiace. Dovrei dimostrarti quanto sia
felice e, invece, ogni volta che ti vedo sembra sempre il contrario.
Mi dispiace davvero Harry. Sono... sono sbagliata. Io sono contenta,
davvero. E non sai che piacere è stato ricevere la tua
lettera! Vorrei davvero dimostrarti che sono felice!” mormorò
Elisabeth, cercando gli occhi del fratello.
“Lo
so che sei contenta. Lo so. E mi basta questo. Per il resto, ficcati
in quella zucca che non me ne vado da nessuna parte. Io sono sempre
io e tu sei sempre tu. Noi saremo sempre noi. Ok? E potrai trovarmi
ogni volta che mi hai bisogno.” Harry le picchiettò
affettuosamente la testa e Beth non potè fare a meno di
ridere.
“Fidati
di me, Harry. Accetterò questa situazione, lo farò. E
sarà meraviglioso essere tutti quanti una famiglia. E tu ci
sarai.” affermò coraggiosamente Beth, sentendosi un po'
sciocca.
Tanti
problemi, tante preoccupazioni per tutti solo perchè lei non
riusciva ad accettare pienamente che il “suo fratellone”
non sarebbe più stato solo suo.
Si
sentiva piuttosto infantile, in verità. Sapeva che in famiglia
erano tutti preoccupati per lei: sua madre, suo padre, Dan, Hellen,
Sirius, Remus, Tonks... Harry. Soprattutto Harry che avrebbe dovuto
starsene sereno e senza preoccupazioni, in un momento simile e,
invece, a causa sua ne aveva fin troppe.
Ma
se lui ci sarebbe sempre stato, si diceva Beth, lei non aveva motivi
di preoccuparsi.
Bisognava
solo accettare la cosa. Si poteva fare.
“Io
ci sarò.- le sussurrò Harry, prima di rompere
l'atmosfera.- E se Dan ti fa arrabbiare... c'è sempre il mio
divano.” scherzò, indicando il divano blu posizionato
sotto la finestra.
Beth
ringraziò per la battuta, che li aveva tolti entrambi da una
situazione un po' complessa e rise.
“Solo
se mi darai un cuscino degno di quel nome, anziché quel misero
quadrettino duro! Le lenzuola ormai le ho ottenute, manca solo il
cuscino.”
“Ah,
sei l'unica persona che si è lamentata di quel divano!”
ironizzò il fratello.
“E'
che tu me l'avevi spacciato per divano letto, mentre invece, questo,
è un divano e basta!” protestò Beth, memore della
prima sera che aveva trascorso a casa del fratello.
Si
aspettava un divano letto, uno di quelli che si aprono e da cui esce
la rete col materasso e si era invece ritrovata con un divano e
basta.
Senza
contare che Harry le aveva mollato in mano due coperte di lana
gracchiandole “Buonanotte, Beth.”
“Sento
qualcuno che si lamentava del mio comodissimo divano...” una
voce si levò dall'ingresso.
“Siete
solo voi che lo trovate ottimo per dormire, Ron!” rimbeccò
una decisa voce femminile.
“Ron,
Hermione!”
“Ciao
a tutti!” salutò Ron, sorridente
“Ehi,
come va? Beth, quanto tempo! Come stai?” Hermione corse ad
abbracciarla, calorosa come sempre.
“Ron,
ho grandi novità. Domani io e te siamo in missione!.”
disse Harry
“In
missione? E per far che cosa?” domandò, curioso e
perplesso.
“Vieni
di là che te lo spiego.” Harry trascinò l'amico
nella stanza di fianco, lasciando sole Beth ed Hermione.
“Vieni
Beth, cerchiamo di imbastire qualcosa per cena. Non mi fido molto di
Ron e di tuo fratello...”
“Fino
ad ora, le volte che sono venuta qui, sono sopravvissuta...”
osservò Beth, aprendo la credenza.
“Sarà,
ma io mi fido molto più di me stessa.” le sorrise
Hermione
“Oh,
questo anch'io! Avresti dovuto vedere come trattavano quel povero
impasto per la torta di mele l'ultima volta che sono venuta!”rise
Beth, scuotendo la testa, mentre Hermione di fianco a lei iniziava a
sbattere le uova.
HOGWARTS
Gli
scritti dei M.A.G.O. erano andati e venuti, così come i loro
risultati.
Quelli
di Dan non erano andati bene e ne era consapevole.
Non
aveva studiato; non si era minimamente preparato, sempre che per
preparazione non si intenda lo sfogliare i libri e gli appunti come
in cerca di ispirazione, prima di correre a suonare la chitarra.
Aveva
consegnato in bianco il compito di Storia della Magia, Pozioni
presentava tre domande non risposte, Trasfigurazione ed Incantesimi
avevano diversi buchi, così come Erbologia, Babbanologia e
Cura delle Creature Magiche. Paradossalmente quello andato meglio era
stato Difesa Contro le Arti Oscure, corretto da quell'insegnante che
tutto avrebbe voluto tranne che dargli un voto alto, che, ovviamente,
non c'era stato.
Il
giorno in cui erano stati esposti i risultati, assieme al calendario
degli orali, Dan non era euforico ed eccitato come i suoi compagni.
Non era corso a vedere i quadri, non aveva discusso delle valutazioni
e delle domande.
Non
gliene importava niente, in verità.
Non
gli interessavano i M.A.G.O. ed era ancora meno ben disposto nei
confronti di quell'eccitazione generale che serpeggiava per i
corridoi della scuola.
Era
andato a controllare i suoi punteggi solo perchè l'avevano
trascinato i compagni; fosse dipeso da lui, sarebbe passato solo nel
momento in cui si trovava già su quella strada.
Aveva
scoperto che sarebbe stato interrogato il secondo giorno e questo, se
da una parte lo terrorizzava perchè era circa un mese che non
apriva un libro sul serio, dall'altra era la miglior notizia che gli
potessero dare.
L'avrebbe
finita in fretta, con quella enorme scocciatura.
Daniel sedeva teso
ed impettito di fronte alla Commissione.
Fino a quel momento
non era andata molto bene. Ai bassi risultati degli scritti si
aggiungeva un colloquio orale non certamente esemplare.
Non era mai stato
uno studente modello, quello era palese. Era sempre stato piuttosto
confusionario, spesso disattento alle lezioni, dal rendimento
altalenante ma tutti quanti avevano sempre pensato che fosse un
ragazzo brillante, pieno di capacità in attesa di essere
sfruttate.
I suoi voti
l'avevano dimostrato: votazioni parecchio alte in quelle materie per
cui era portato o a cui era interessato accanto a sufficienze
stiracchiate là dove studiava solo per superare gli esami di
fine anno.
Gli insegnanti si
aspettavano molto da lui certi che, con le sue capacità,
potesse davvero arrivare lontano. Alcuni, come la professoressa
McGranitt e il professor Vitious lo vedevano già membro della
Squadra Magica Speciale, altri come la Burbage di Babbanologia lo
vedevano molto bene inserito in un contesto in cui si prevede la
collaborazione tra Maghi e Babbani, Hagrid o la Sprite se lo
figuravano senza problemi in mezzo alla natura o, perchè no,
la visione di un Daniel Black giocatore di Quidditch non scontentava
nessuno.
Persino Snape e
Lumacorno, che mai erano stati tra gli estimatori di Daniel Black,
avevano la certezza che quel ragazzo avesse le capacità per
arrivare ovunque volesse.
Era pertanto ovvio
che la delusione di fronte alle sue risposte albergasse sui visi
degli insegnanti che proprio non sapevano dove andare a parare per
alzargli un po' quei miseri voti che sarebbero stati costretti a
dargli.
Non capivano cosa
gli fosse preso: nell'ultimo periodo era sempre malinconico,
solitario e di cattivo umore e tutto questo collimava col ragazzo
seduto di fronte a loro.
Lo sguardo spento e
l'espressione rassegnata erano quelle di chi appariva del tutto privo
di aspirazioni.
Era come se lui
fosse lì solo perchè doveva esserci. Come se non gli
importasse nulla di tutto il resto.
“Signor
Black- esordì la McGranitt, provata come i colleghi
dall'ultima imbarazzante scena di mutismo di fronte ad una banale
domanda teorica sugli Incantesimi Non Verbali-un'ultima domanda...”
“Dica.”
“Che cosa...
che cosa vorresti fare, Daniel, dopo il diploma?”
Se avesse dato una
qualche risposta convincente allora, forse, avrebbero potuto chiudere
un occhio sugli ultimi mesi e sugli esami, valutando il suo intero
percorso. Pochi mesi non avrebbero dovuto pregiudicare la sua
carriere futura.
Di fronte a quella
domanda Dan si riscosse leggermente, anche se un guizzo di panico gli
illuminava gli occhi.
“Vorrei...
vorrei” balbettò
“Avanti, Dan,
che cosa vorresti fare?” domandò Hagrid, sporgendosi e
cercando di invitare il ragazzo a parlare.
“Ci sono un
po' di cose che mi piacerebbe fare, ma niente di preciso...Non ho
ancora deciso del tutto...” Dan sembrava annaspare. Si sarebbe
aspettato qualsiasi domanda, ma non quella.
“E quali sono
queste cose, Black?” chiese Snape, intervenendo con la speranza
che quello sconclusionato perdigiorno, di fronte a quella voce che
tanto detestava, tirasse fuori la sua abbondante dose di
sfacciataggine.
Dan scrutò i
visi di fronte a lui: che cosa poteva dire?
Non c'erano cose
che desiderava fare, a parte suonare e qualcosa gli diceva che quella
non sarebbe stata la risposta che volevano sentirsi dare.
Doveva inventarsi
qualcosa e in fretta anche.
A quel punto provò
la carta dello stupore. C'era una cosa che, sicuramente, avrebbe
fatto effetto.
Faceva effetto ogni
volta che qualcuno osava dirlo. Era l'ideale per cavarsi da un
impiccio come quello.
Avrebbe risollevato
i voti dei suoi M.A.G.O., ormai definiti in una sfilza di
Accettabile. Sarebbero diventati una fila di Oltre Ogni Previsione e
di Eccezionale: del resto, lo sapevano tutti che per quel lavoro
prendevano solo i migliori.
In quell'ora si era
sentito mancare il terreno sotto i piedi. Si era reso veramente conto
di star buttando via tutto. Stava deludendo troppe persone e,
all'improvviso, era arrivata la soluzione.
Avrebbe sistemato
tutto.
“Bè-
cominciò, scompigliandosi i capelli- se non riesco nella prima
opzione, tenterò col Quiddicth, comunque, vorrei diventare un
Indicibile.”
Come previsto la
pronuncia di quella parola aveva lasciato tutti senza fiato.
Indicibile
all'Ufficio Misteri: una professione difficile, una carriera non
semplice.
Il primo a parlare
fu Hagrid che, sporgendosi da dietro il tavolo, per poco non
distruggeva tutto.
“Indicibile,
eh Dan! Per Merlino, questa sì che è una notizia!
Chissà la mamma e il papà, come sono orgogliosi!”
L'espressione che
gli rivolse in quel momento la McGranitt sembrava decisamente più
dolce:
“Indicibile,
signor Black? Non sarà semplice, però credo che lei
potrebbe farcela... certo, i suoi esami non sono andati benissimo...”
“Mi
dispiace... è che è stato un periodo un po' così.
Capirei se non mi deste i voti che servirebbero.” azzardò
Dan, utilizzando la sua ampia dose di faccia tosta.
“Di' pure che
non sono nemmeno lontanamente sufficienti, i tuoi esami, Black.”
grugnì Snape.
“Suvvia,
Severus, sono certo che qualcosa si può ancora fare. Non è
vero?” il professor Vitious si rivolse ai colleghi, in cerca di
approvazione e si compiacque nel vedere cenni d'assenso provenienti
da tutti quanti.
“Bene, signor
Black. Il colloquio è finito. Discuteremo la situazione.”
la McGranitt lo invitò ad uscire e Dan non se lo fece ripetere
due volte.
Salutò tutti
con un educato sorriso ed una stretta di mano e spalancò la
porta.
Avrebbe potuto
starsene in pace.
Sarebbe tornato in
camera sua, avrebbe sbarrato la porta (tanto i suoi compagni
sarebbero stati impegnati in un furioso ripasso in Biblioteca oppure
si sarebbero goduti la giornata di sole nel parco, se erano già
stati interrogati) e si sarebbe seduto sul letto con la sua chitarra.
Magari avrebbe
anche potuto scrivere a Lucas e Thomas per sapere come andavano i
preparativi della festa che stavano organizzando ad Orchard House.
Decisamente più
rilassato per la piega che aveva preso la giornata dopo quel suo
ultimo colpo di genio, si ritrovò in corridoio.
“Dan! Come è
andata?” Eloise, la sua ex-ragazza, sedeva su una panca con in
mano il libro di Storia della Magia.
Dan aveva
completamente dimenticato che anche lei sarebbe stata interrogata
quel giorno: dopotutto di cognome faceva Boosworth, era altamente
probabile che fossero uno dopo l'altro.
“Oh, Eloise!
Diciamo che è... andata.”
“Sono sicura
che è andata benissimo, Dan. Non sto nemmeno a chiederti che
domande ti hanno fatto perchè tanto non te le ricorderesti...”
sorrise.
“Già...
io sono sempre io!” esclamò Dan
“Accidenti,
tra poco tocca a me! Sarà un disastro! Quanto ci mettono a
decidere la tua sorte! Che si muovano, altrimenti collasso qui!”
esclamò, saltellando.
“Tranquilla...
non è niente di trascendentale!”
“Sarà...
comunque mi ha fatto piacere vederti, Dan. Era da tanto che non ci
fermavamo un po' a parlare.” confessò Eloise, mettendo
da parte gli esami.
“Se escludi
le lezioni e gli allenamenti di Quidditch, direi che è da quel
pomeriggio al campo...”confermò Dan
“Sì.
Da quel pomeriggio... come stai, Dan, va un po' meglio? Ti sei
accorto che avevi già tutto quello che ti mancava?”chiese,
sperando di non toccare tasti troppo dolenti.
“Forse sì...
o forse no. E tu, Eloise, che farai dopo?” le rispose Dan,
cercando di eludere la domanda.
“Sei sempre
criptico, Daniel.- Eloise si era avvicinata-Ti prego di non fare
sciocchezze e di aprire gli occhi.”
“E' più
complicato del previsto. Ci sono troppe cose a rischio e non posso
mettere tutto in gioco per... per il nulla. Potrebbe finire male e,
in quel caso, rovinerei troppe persone.”
Erano complicate le
due cose che Dan più desiderava.
“Sta solo
aspettando te.” ripetè Eloise
“Si merita di
meglio. Ed è complicato.”replicò Dan.
Era troppo
complicato. Tutto era complicato. La musica e, naturalmente, Beth.
Quando di mezzo
c'era Eloise, era molto più semplice dirlo ad alta voce.
Ammetterlo a se
stessi. Era forse la prima volta che lo ammetteva.
“E'
complicato perchè lo rendi complicato tu, Dan.”
“Uff... non
farmi prediche, per favore, 'Lise. Dimmi di te, che farai?” Dan
sviò il discorso.
“Partirò
per la Francia.”
Dan sgranò
gli occhi: che ci andava a fare Eloise in Francia?
“La Francia?
E'... lontana, la Francia...”
“C'è
un'ottima Scuola per Pozionisti a Nimes. Ho fatto domanda e mi hanno
preso. Ho le idee chiare, al contrario di te.” spiegò
Dan si grattò
la testa.
“Tutti hanno
le idee più chiare di me. Non è difficile.-
ammise-Ma... se vai in Francia non ci vedremo più...”
“A quanto
pare, ma forse è meglio così, Dan, non trovi?” le
costava dire quelle parole, però, forse, non vederlo più
avrebbe fatto bene.
“Mi dispiace
così tanto, Eloise. Davvero. Non so come scusarmi. Mi sono
comportato male con te...”
“Passerà.
Passa tutto. E' sempre così.” distese le labbra in un
sorriso amaro.
“Sì.
Passa sempre tutto. Passerà anche a me.” sussurrò
Dan.
“Signorina
Boosworth, tocca a lei.” la professoressa Sprite era sbucata
fuori dall'aula per invitare Eloise ad entrare.
“Allora vado.
Buona fortuna, Dan. Spero che si realizzi tutto quello che desideri.”
posò un lieve bacio sulla guancia ruvida di Dan, che rimase lì
impalato a guardarla andarsene.
“Anche a te.”
disse in un soffio.
Eloise era una
ragazza splendida e non meritava di aver avuto a che fare con uno
come lui.
Anche lei meritava
di meglio.
Fortunatamente per
lei, aveva trovato la sua strada, lontano da lui.
E anche a lui
sarebbe passata.
Doveva passare. In
ogni modo.
Ma mai come in quei
dieci giorni il castello gli era sembrato così vuoto. Non
mancavano solo i suoi amici. Mancava lei.
Se qualcuno gli
avesse chiesto quando si era reso conto di essere innamorato, avrebbe
senza dubbio risposto durante i M.A.G.O., quando, per la prima volta,
le era stato lontano per dieci giorni.
Ma sarebbe passata.
Doveva passare.
Attraversò
il castello e rientrò nella Sala Comune, evitò le
richieste dei compagni, che stentavano a riconoscere in quel ragazzo
burbero e solitario Daniel Black, l'anima di ogni festa, il Capitano
di Grifondoro, la mente di mille trovate.
Salì in
camera e si buttò sul letto, rialzandosi dopo essersi
ricordato di dover scrivere a casa.
Cercò un
pergamena in un cassetto e, a gambe incrociate, iniziò a
scrivere.
“Cari
mamma e papà,
ho appena finito
l'orale che è andato...”
Com'era andato? Uno
schifo. Ecco come era andato.
Si era risollevato
solo grazie ad una bugia.
Sbruffò.
Forse non era stata una grande idea, ma, a quel punto, conveniva
andare avanti e portarla sino in fondo.
“E' andato
tutto bene. Ho risposto alle domande e credo di aver fatto una bella
figura.
Non vedo l'ora di tornare a casa.
Aspetto domenica con ansia: l'idea che manchino ancora quattro giorni
mi demoralizza un po', in ogni caso, ancora poco ed è tutto
finito.
A proposito, vi ricordo che la festa
sarà lunedì sera. Avete trovato dove andare?
Zio James e zia Lily vi ospitano per
la notte? O preferite zio Remus e Tonks?
Sicuri che un viaggetto romantico
non sia la soluzione migliore? L'Inghilterra è sempre così
grigia... mamma, avevi detto che ti sarebbe piaciuto tornare a
Parigi... potreste partire che so... lunedì e tornare...
venerdì?
Lucas e Thomas potrebbero dormire da
noi, così non sto da solo e siete tranquilli e, per ogni
evenienza, zio James, zia Lily, zio Remus e Tonks ci sono. Vi va come
idea?
Aspetto vostre notizie presto.
A domenica.
Dan”
La ripiegò
e, di cattivo umore, si diresse in guferia a prendere Ferdinand, il
suo allocco bruno.
Ripensandoci, non
si sentiva più sollevato come quando era uscito dall'esame.
Aveva mentito.
Stava deludendo
tutti.
Chiedo
ufficialmente scusa per l'increscioso ritardo. Spero di poter essere
più costante, ma purtroppo non posso dare certezze.
Ancora
una volta vi ringrazio tutti quanti e poi rispondo alle recensioni.
PrincessMarauders:grazie
a tutte e tre! Diciamo che il triangolo Anne-Lucas-Mary occuperà
parecchio tempo e parecchio spazio. Non saranno momenti splendidi per
la povera Anne (sebbene il suo senso dell'umorismo la aiuterà)
e nemmeno per i poveri Thomas e Beth che li dovranno sopportare tutti
e due. Come vedi la questione Daniel Black è ancora molto
aperta... e lo resterà sino a quando Dan non recupererà
il pezzo di sé che ha perso.
Cinderella87:
dicevi che Dan avrebbe passato gli esami con ottimi voti, eh? Bè,
in un certo senso è così, peccato che non sia tutto
merito suo... Anne-Mary-Lucas è una storiella alquanto
graziosa e non proprio simpatica che occuperà ancora parecchio
spazio, con gran dispiacere del povero Thomas, costretto a far da
baby-sitter a tutti quanti.
Povero
Ron, un po' di fiducia se la merita, no?
Thaleron:
come puoi notare lo stare da solo a Dan non fa per niente bene...
la situazione coppie è ben lontana dal risolversi, troppe cose
devono ancora accadere! Grazie a te e a tua sorella!
|
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Capitolo 12 *** Castelli di Fantasia ***
Castelli
di Fantasia
La
settimana era trascorsa in fretta tra improvvisate partite di
Quidditch, ultime passeggiate nel parco e feste d'addio.
I
ragazzi del settimo anno avevano riempito i loro bauli per l'ultima
volta e quella domenica si apprestavano a varcare la soglia della
Sala Grande abbigliati della loro toga nera per l'ultima volta.
Marciavano
ordinati, sotto al vessillo della loro Casa e persino il volto di
Daniel Black trasudava agitazione.
Camminando,
Dan, incontrò gli sguardi della sua famiglia. Erano venuti
tutti; tutti quanti erano lì per lui: i suoi genitori, James e
Lily con Harry e Beth, Remus e Tonks, la quale teneva fermo un
esagitato Ted, Lucas, Anne e Thomas.
Si
meritava davvero tutte quelle attenzioni?
Mai
e poi mai avrebbe creduto di essere emozionato, quando sarebbe
toccato a lui vivere quella solenne cerimonia che si ripeteva
identica a se stessa dai tempi dei fondatori.
Stava
percorrendo lo stesso corridoio che i suoi genitori avevano percorso
prima di lui, ritirando la pergamena nel medesimo modo in cui
l'avevano ritirata i suoi nonni e i nonni dei suoi nonni prima di
loro.
Era,
insomma, impegnato, in quella che fino al giorno prima definiva,
senza troppe esitazioni, un'emerita baggianata.
La
peggior baggianata a cui sarebbe stato costretto a partecipare in
tutta la vita, per la precisione.
Se
gli esami erano una colossale scocciatura, la consegna dei diplomi
era solo una grande perdita di tempo, a cui tutti quanti erano
costretti a presenziare abbigliati nel miglior modo possibile.
Eppure,
quella mattina, quando aveva indossato la sua toga, quando si era
allacciato il cravattino, quando aveva incontrato i suoi compagni e
quando tutti insieme erano scesi in Sala Grande qualcosa nello
stomaco di Daniel Black si era mosso.
Sentiva
una strana eccitazione percorrerlo lungo tutto il corpo che gli
rendeva impossibile stare fermo.
“Dan,
smettila di far ballare quella gamba: mi da' sui nervi!” lo
rimproverò Julia Stanfield, una sua compagna con la quale
aveva condiviso sette anni di odio cordiale e manifesto.
Sbuffò.
Come
potevano essere tutti così tranquilli? Come potevano essere
tutti così ansiosi di fare buona impressione mentre si
alzavano a ritirare quella malefica pergamena? Era solo perchè
se la erano sudata ed era costate ore di impegnativo studio?
Sbuffò
di nuovo, ricevendo la gomitata del vicino.
Silente
si apprestava a parlare e, quando il Preside parlava, era d'obbligo
il silenzio.
A
Dan venne voglia di urlare, altro che silenzio.
Gli
veniva voglia di urlare che erano tutti una massa di idioti e che non
avevano idea di quello che stavano abbandonando.
“Benvenuti
e bentornati a tutti quanti voi.” esordì Silente, con
quel suo solito tono conciliante e con quella sua solita espressione
serena, atteggiamenti che, a Dan, diedero terribilmente sui nervi,
quella volta.
Stava
per fare il suo solito discorso: lo stesso identico discorso che,
parola più, parola meno, si trascinava identico nei secoli.
Non
era difficile prevedere quali sarebbero state le sue parole, quali i
suoi scontati buoni consigli sul futuro che mai erano parsi così
insopportabili a Daniel, diminuendo la sua pazienza e accrescendogli
la voglia di urlare.
“Siamo
qui, un'altra volta- proseguì solenne- per consegnare il
meritato diploma a questi giovani che mi stanno innanzi. Come al
solito in queste occasioni sono chiamato a pronunciare un discorso
che, ahimè, suona sempre retorico e già visto. Mi scuso
pertanto con chi di voi sentirà per l'ennesima volta queste
parole, però, se può servire a mia difesa, ricordate
che ormai sono vecchio e, come tale, trovo che faccia purtroppo parte
di questa fase della vita dispensare consigli, sebbene sappia già
in partenza che non riceveranno una buona accoglienza.”
Il
sorriso di Silente si soffermò su alcuni visi a lui noti,
soffermandosi anche su quello di Daniel che, per tutta risposta, alzò
gli occhi al cielo, cosa che divertì immensamente il Preside.
“Ad
ogni modo, non posso esimermi dal darveli: credo che si tratti di una
sorta di deformazione professionale o, forse, dal fatto che
invecchiando sto diventando davvero un vecchio rimbambito, come amate
definirmi voi, e non a torto oserei dire, nelle vostre conversazioni
private.
Comunque
mi consideriate, mi preme ricordarvi una cosa: la giornata di oggi
non è una fine, ragazzi miei, ma è solo l'inizio.
Certo,
fate bene ad essere felici e soddisfatti di aver terminato gli studi,
ansiosi come siete di proseguire per la vostra strada, ma sappiate
che è proprio da oggi che comincia un nuovo e più
impegnativo viaggio. Le battaglie che affronterete d'ora in avanti
saranno ben più impegnative di uno degli assurdi temi del
professor Snape, non me ne volere Severus.” aggiunse, di fronte
al sorriso tirato che comparve sul volto del professore.
Dan
sbuffò nuovamente: finalmente qualcuno si ricordava di dire
che finire Hogwarts non significava solo libertà, dato che
pareva che i suoi compagni non avessero ancora recepito il messaggio.
“Tuttavia-
precisò Silente richiamando al silenzio il brusio di
sottofondo- lasciare Hogwarts, diplomarsi e cercare di capire chi si
è e chi si vorrebbe essere, non è la tragedia che
sembra che vi abbia profetizzato. Anzi, è qualcosa che
potremmo semplicemente chiamare vita. State per iniziare a vivere
davvero. So che per qualcuno di voi abbandonare Hogwarts è
doloroso , ma ricordatevi che è normale sentirsi confusi a
diciotto anni. Se guardate attentamente dentro voi, scoprirete che
sì, l'idea di non poter più vedere le labbra della
professoressa McGranitt assottigliarsi mentre, carica di disappunto,
pronuncia il vostro nome con l'intenzione di assegnarvi una punizione
che ricorderete per il resto dei vostri giorni vi atterrisce, ma che,
allo stesso tempo, i confini di Hogwarts stanno diventando troppo
stretti e che voi volete sperimentare altro.
Pensateci,
guardate dentro voi stessi e vi accorgerete che ho ragione.” il
Preside sorrise e Dan, innervosito, si sentì chiamato in
causa.
Possibile
che Silente sapesse sempre tutto, che non gli sfuggisse mai niente?
“Quindi,
in conclusione, per fare un riassunto di tutto quanto, quello che
vorrei dirvi oggi è di ricordarvi di vivere. Credo di aver
anche parlato più del previsto, quindi, ora, lascerei la
parola alla professoressa McGranitt, che vi chiamerà in ordine
alfabetico per consegnarvi il diploma.”
Silente
si sedette e, chiamati dalla Vicepreside, gli studenti iniziarono ad
alzarsi per ricevere la tanto sudata pergamena tra gli applausi.
Dan
non aveva molto da attendere, essendo tra i primi dell'elenco.
“ Daniel
Black!” chiamò la McGranitt
Dan
si alzò. Stava per ritirare quel foglio che avrebbe messo fine
a troppe belle cose.
Contrariamente
alle sue previsioni, quel groppone allo stomaco si strinse ancora di
più mentre camminava per raggiungere gli insegnanti.
Stava
finendo tutto, tutto quanto; e allo stesso tempo stava per iniziare
qualcosa di nuovo.
Salì
i tre scalini in un balzo e ritirò in un attimo la pergamena
che la professoressa gli porse, senza far caso allo sguardo commosso
che la donna nascondeva dietro alle spesse lenti degli occhiali.
Daniel
Black, quel terremoto che le aveva reso gli ultimi sette anni un
inferno, si stava diplomando.
Dan
sorrise: gli sarebbe mancata terribilmente la Mc con le sue sfuriate.
Passò
davanti a Silente, porgendogli la mano ed incontrando quei vivaci
occhi azzurri che non mancavano mai di metterlo a disagio.
“In
bocca al lupo Daniel Black.- sussurrò il Preside- Ho la
sensazione che sentiremo parlare molto di te.”
Dan
si limitò a sorridere, imbarazzato: era sempre stato troppo
strano essere al cospetto di Silente da studente, quando quello era
lo stesso vecchietto arzillo a cui, da bambino, tirava forte la
barba.
Si
voltò e prima di scendere fece in tempo a vedere la sua
famiglia e i suoi amici battere forte le mani. Ancora pochi minuti e
avrebbe dovuto affrontarli tutti quanti.
Non
era sicuro di essere preparato per quel momento.
Tornò
al suo posto e vide i suoi compagni alzarsi e compiere i medesimi
gesti compiuti da lui qualche mese prima.
“Ehi,
Dan, che stai facendo? Non apri per vedere i voti?” gli chiese
Mark Moran, seduto, ovviamente, di fianco a lui.
“Tanto
so che mi avranno dato tutte E.” replicò con un ghigno.
Mark non era mai stato troppo sveglio: un gran bravo ragazzo, ma non
proprio colmo di acume.
Thomas,
al suo posto, avrebbe senz'altro capito che era troppo disilluso per
voler controllare i voti.
La
cerimonia terminò quando anche Conrad Zagers di Corvonero
ritirò il suo diploma.
Dan
dispensò saluti a tutti i compagni, prima di dirigersi verso
l'inevitabile incontro con i suoi genitori.
“Daniel!
Siamo qui!” strillò sua madre, con il suo solito tono a
dieci decibel oltre la soglia del consentito.
Come
se non la si potesse vedere, pensò Dan.
Non
era difficile da notare, Hellen.
“Oh
Dan! Allora, come ti senti?” lo abbracciò forte, Hellen,
continuando a sorridere orgogliosa.
“Ehi,
Dan! Ce l'hai fatta!”lo festeggiò Sirius, anch'egli
elegante per l'occasione. Dopotutto, non capitava tutti i giorni che
il proprio figlio si diplomasse.
“A
quanto pare...” ammiccò il diretto interessato, cercando
di scansarsi.
Vide
che i suoi amici se ne stavano tutti in disparte: perchè Lucas
non arriva a a salvarlo dall'impaccio? Thomas avrebbe dovuto capire
che non era in vena di colloqui famigliari.
“Allora,
ci fai vedere i tuoi voti o te li tieni tutti per te?” chiese
Hellen, cercando di afferrare la pergamena che Dan teneva stretta in
mano.
“Come
vuoi, mamma.” rispose, senza troppo entusiasmo e fuggendo da
James, lasciando i suoi genitori da soli a commentare i suoi voti.
“Santo
Boccino Dan, ancora mi ricordo quando io e tuo padre scommettevamo
sulla tua espulsione! Complimenti, Paddy Junior!” rise James
stringendo la mano al suo figlioccio che scoppiò a ridere
assieme a lui.
“Non
dargli retta, Dan. Abbiamo sempre creduto in te.” Lily zittì
il marito e stritolò Dan in un abbraccio.
Era
sempre stata così, zia Lily. Ed era così semplice
essere se stessi in compagnia sua e di James.
“Grazie
zia. Sapevo che mi hai sempre difeso!” rispose Dan, baciandola.
“Daniel!
Daniel! Vieni qui! C'è Ted che vuole darti una cosa!”
Tonks arrivò con il piccolo Ted che teneva in mano un disegno.
Dan
si abbassò fino all'altezza di Ted.
“Ecco,
tieni Dan. Spero che ti piace. Mi ha aiutato Vic, io non le so
disegnare le chitlare.” proruppe, pensieroso il bimbo, che quel
giorno sfoggiava la sua consueta chioma azzurra.
“Si
dice chitarre, ma sono certo che sarà bellissimo lo stesso.
Grazie Teddy!” Dan scompigliò i capelli di Ted che
attendeva impaziente il giudizio.
Dan
prese il foglio: una sagoma coi capelli neri, che doveva essere
probabilmente lui stesso, campeggiava al centro con in mano una
chitarra, contributo della piccola Victoire.
In
alto a destra, con una grafia imprecisa e contorta, c'era scritto:
“A
Dan da Teddy. Auguri.”
“Ehi,
ma sai già scrivere? Io alla tua età non ero capace,
sai?”
“Per
forza, quando tentavo di insegnarti arrivavano sempre tuo padre e
James in tenuta da Quidditch!” esclamò Remus, cogliendo
di sorpresa il ragazzo.
“Zio
Remus!” lo salutò, sorpreso, Dan.
“Dan,
complimenti! Ho appeno visto i tuoi voti!” Remus posò
una mano sulla spalla di Dan con espressione orgogliosa.
Dan
si limitò ad un sorriso di circostanza, non sapendo bene cosa
dire. Da quanto aveva detto Remus, pareva che i suoi voti fossero
abbastanza alti...
“Dan!”
gridò Beth, correndogli incontro.
“Ho
appena visto i tuoi voti con tua madre, sei stato bravissimo! Lo
sapevo, lo sapevo, lo sapevo!”
Elisabeth
era la rappresentazione della felicità, in quel momento.
“Dan,
accidenti, se per farti prendere dei voti decenti era sufficiente
starti addosso, ci avremmo pensato prima!” esclamò
Harry, complimentandosi.
“Harry
a ragione! Per tutti i bolidi, Dan, tutti Eccezionale ed Oltre Ogni
Previsione! Persino un M.A.G.O. in Storia della Magia!” Sirius
continuava a sorridere, incredulo.
“Perchè,
avevi forse dubbi, Sirius? Hai visto, Dan? Hai visto cosa puoi fare
quando ti impegni?” Hellen era radiosa e continuava a carezzare
la guancia affilata del suo ragazzo.
“Oh
mamma, non iniziare con tutte queste moine!” Dan si scansò,
sempre più a disagio.
Tutti
lo credevano un genio.
“E
va bene, e va bene! Sei grande ora, lo so, lo so! E scusami se voglio
complimentarmi con te!” gli rispose Hellen, non riuscendo a
smettere di sorridere.
“Avremo
tutto il tempo di festeggiarti a casa, Dan.- intervenne Sirius,
circondando le spalle della moglie-Ora va' pure dai tuoi amici.”
Thomas,
Lucas ed Anne, che fino a quel momento erano rimasti defilati,
presero a farsi avanti, salutando prima i Black, i Potter e i Lupin.
“Ehi,
Dan! Così non va! Stai diventando uno schifoso sotutto!”
fu il saluto di Lucas
“Oh!
E sta zitto, Luke!” Dan gli tirò un amichevole pacca
sulla schiena.
“Devo
ufficialmente dire che mi hai stupito, Dan.” commentò
Thomas.
“Già:-
aggiunse Anne, che quel giorno sfoggiava uno strano vestito color
prugna, per il quale Lucas non aveva smesso un momento di prenderla
in giro- sei stato bravissimo! Mi dispiace di non aver assistito al
tuo orale, sai? Volevo vedere a che livello di arrampicamento sugli
specchi saresti arrivato...”
Dan
sorrise leggermente: Anne non stava sbagliando, sugli specchi ci si
era arrampicato davvero, peccato che non con l'esito e con
l'intenzione che supponeva lei.
“Eh...
lo so... In fondo, l'ho sempre detto che un giorno vi stupirò
tutti!” commentò Dan
“Noi
abbiamo sempre creduto in te, Dan.” preciso Beth, in piedi
accanto a lui.
“Ehi,
baldi giovani!” Sirius si avvicinò rapito al gruppo,
seguito da sua moglie.
“Che
c'è, pa': è già ora di andare?” chiese Dan
“No,
figurati, è che volevamo dirvi qualcosa a proposito della
festa.”rispose Hellen.
“Le
prometto che baderò io che non si facciano male e che non
distruggano la casa, signora Black!” giurò Lucas, col
tono più serio che riuscì a simulare.
“Oh-
rise Hellen- non ho dubbi, Lucas, non ho dubbi! Anche se mi fido
molto di più di Thomas e delle ragazze, senza offesa, eh.”
“Nessun
problema, signora, è un piacere ed un onore essere utile.”
Lucas scimmiottò una voce adulante, facendo ridere tutti
quanti.
“Lascia
in pace mia madre, Luke. Ti ricordo che è impegnata!”
Dan tirò una gomitata nelle costole del suo migliore amico,
permettendo così ai genitori di dare le ultime
raccomandazioni.
“Oh,
Thomas, Lucas- disse infine Hellen, apprensiva- mi sembra ovvio che
voi due possiate fermarvi ad Orchard House fino a venerdì,
così da non lasciare Dan da solo. Per ogni necessità ci
sono Lily e James.”
“Grazie
mille, signora, sicura che non sia un problema?” chiese Thomas,
sempre molto educato.
“Sì
che sarebbe un problema.-replicò Sirius, scherzando- però
tra l'immagine di Dan in coma etilico senza nessuno che lo soccorra e
quella di Orchard House che salta in aria ma con Dan sano e salvo
preferiamo nettamente la seconda. Certo, non si può dire che
sia uno scambio equo.”
“Non
hai considerato l'ipotesi che potremmo essere tutti e tre in coma
etilico?” ammiccò Dan
“Dubito:
c'è qualcuno che non ve lo impedirebbe.” disse Hellen,
indicando Beth ed Anne.
“Ed
ora avanti, andate a farvi un giro! Sono le tue ultime ore ad
Hogwarts, Dan, goditele.” suggerì Sirius, spintonandolo
via.
“Già,
sono le ultime ore.” sospirò Dan.
“Sarai
senz'altro orgoglioso di Dan, eh Sirius? Ci ha detto che vuole
diventare Indicibile!Te pensa, Indicibile! Mi sembra ieri che lo
andavo a cercare nella Foresta!” gracchiò forte Hagrid,
arrivato in quel momento.
Sirius
ed Hellen lo guardarono attoniti: Dan, il loro Dan Indicibile?
“Hagrid...
sei... sei sicuro di aver capito bene? Che noi sappiamo, Dan non ha
mai manifestato il desiderio di diventare Indicibile.” disse
Hellen
“Oh
certo, certo! Ce l'ha detto all'orale! Eccolo. E' là con
James, chiediamoglielo!”
“Hagrid,
sarebbe bello se fosse vero, però insomma, mio figlio è
quello che organizzava delle regate illegali, è sempre lui...
Non credo che voglia diventare Indicibile, certo sarebbe molto bello,
però mi suona strano.”
“Oh
Sirius, te lo assicuro! Anche io sono rimasto stupito. Dan! Dan!
Vieni qui!”
Dan
lasciò gli amici, chiedendosi cosa mai Hagrid poteva volere.
“Hagrid,
sono qui, a dieci passi da te! Non c'è bisogno di urlare!”
“Ecco,
ora che sei qua, dicci ai tuoi genitori che vuoi diventare
Indicibile! Non lo sapevano mica! Cos'è, avevi forse paura di
dirglielo?”
Dan
sbiancò: tutto si aspettava meno che quello. Era convinto che
la farsa sarebbe iniziata e finita con gli esami, mai avrebbe pensato
di dover dire ai suoi genitori di voler fare l'Indicibile.
“Eh...
bè, era solo un'idea, non è che ho proprio deciso...”
balbettò.
“Ma
ti piacerebbe?” chiese immediatamente Sirius, con uno strana
brillio negli occhi.
“Bè...
sì. Diciamo di sì.” Azzardò Dan: con
Hagrid lì davanti era costretto a dirlo.
“Ve
l'avevo detto!” sorrise Hagrid, tra le lacrime di commozione.
“Devo
quindi dedurre che il mio scapestrato figlio ha messo la testa a
posto?” domandò Hellen, raggiante.
Dan
si grattò la testa, in preda al panico.
“Domani
parlerò con David Stephenson e gli chiederò quando
saranno i primi colloqui per il corso.” disse Sirius.
“Che
dire, grazie papà...” balbettò.
“Dan,
c'è qualcosa che non va?” chiese immediatamente Hellen,
con tono nettamente più dolce.
Dan
abbassò gli occhi: sua madre era sempre stata una buona
osservatrice; avrebbe scoperto in fretta che c'era qualcosa che non
andava e lui non era ancora pronto.
Doveva
assolutamente organizzare qualcosa che gli permettesse di gestire la
situazione.
Alzò
la testa a provò a simulare un'espressione allegra.
“No,
mamma, va tutto bene... stavo pensando. Piuttosto, posso tornare
dagli altri?”
“Sì,
certo vai, Dan. Ti veniamo a chiamare noi quando è ora di
andare.”
Nel
frattempo anche Hagrid si era allontanato, cercando altre conoscenze
da salutare.
“Sirius,
credo che ci sia qualcosa che non va.”
“Sciocchezze,
Hel, Dan è solo stranito dall'idea di lasciare Hogwarts per
sempre.”
“Sarà.”
annuì la moglie, ancora perplessa.
“Vieni,
andiamo dagli altri: James e Remus sono alle prese con la cara
Minnie. Non mi posso certo perdere una conversazione con lei.”
Sirius
la trascinò via ed Hellen tentò di convincersi che lui
aveva ragione, che non c'era niente di cui preoccuparsi e che Dan era
solo agitato per le emozioni della giornata.
Daniel
raggiunse i suoi amici, che lo stavano aspettando per un giro del
parco.
“Ma
che due Bolidi, Lucas! Perchè hai invitato anche quell'idiota
di Matthew Bell? Non lo sopporto, lo detesto nel profondo e non ho
intenzione di condividere il mio spazio vitale con lui!”
Anne
si stava lamentando da cinque minuti abbondanti degli invitati alla
festa che Dan e Lucas avevano organizzato.
Aveva
preteso di sapere in anteprima i nomi dei partecipanti (“Perchè,
in fondo, è anche grazie a me che la casa sarà
presentabile alla mamma di Dan dopo la festa. E comunque io faccio
parte del backstage.”) ed era intenta nell'esporre il suo
disappunto per ogni nome che non combaciasse con le sue simpatie.
Il
fatto che si fosse rassegnata alla presenza di Mary Myers non faceva
sì che dovesse esserlo anche nei confronti di altri.
“Ma
se è un anno che non lo vedi! Che ti costa reggerlo per una
serata? E poi scusa, che festa sarebbe senza Matthew Bell?”
rispose Lucas, la cui scarsa pazienza stava già terminando da
un pezzo.
“Bè,
preferivo continuare a non vederlo!” replicò Anne,
imbronciata.
“Anne,
scusa se mi metto in mezzo- intervenne, cauto, Thomas, nella speranza
di evitare l'ennesima discussione- ma, in fondo, si tratta di poche
ore e poi la casa è grande, non sei costretta a parlarci...”
“Se
prova a rivolgermi la parola giuro che lo affatturo!” ringhiò
Anne
“Anne...”
provò Beth, la quale, poco interessata alla festa ed ai suoi
invitati, aveva garantito la sua presenza solo per via degli amici.
“Beth,
lo sai che non lo reggo!” esclamò Anne, meravigliata che
anche Beth volesse provare a farla convivere con Bell.
“Anne,
ti conviene iniziare col miele a colazione: se non ti addolcisci un
po' non troverai mai un ragazzo!” sentenziò Lucas.
“Ah
ah ah, molto, molto divertente, Franchester. E comunque, chi ti dice
che io voglia un ragazzo?” rimbeccò, decisa.
Lucas
sapeva perfettamente che certi argomenti non andavano toccati.
Thomas
alzò gli occhi al cielo, Beth si augurò che non
riprendessero a discutere e Dan scoppiò a ridere forte.
Lucas,
invece, approfittando dello sbigottimento suscitato dalla risata di
Dan, circondò le spalle di Anne, infilò la testa in
quella caterva di ricci troppo folti e le sussurrò
all'orecchio:
“Sei
terribilmente permalosa, sei acida e bisbetica ma, in fondo, molto in
fondo, ti voglio bene, lo sai, sì?”
“E
tu sei noioso, snervante e sembra che ti diverta a farmi arrabbiare,
ma comunque vai bene così.” gli sorrise Anne.
“E
comunque io Matthew Bell l'ho invitato, ormai. Anzi, mi ha detto che
non vede l'ora di rivederti: è curioso di sapere se sei ancora
così scontrosa.” ridacchiò, malizioso.
“Di'
al tuo amico Matthew che è ora che impari a farsi i Bolidi
suoi, allora.” disse, acida Anne.
“Riferirò
il messaggio.” promise Lucas, divertito.
“Ti
odio Lucas.”sentenziò
“Io
no.” le rispose, con un ghigno.
Si
diressero nel parco e si sedettero in riva al Lago, persi in
conversazioni sul tutto e sul niente.
Anne
seduta di fianco a Lucas, che le tirava i capelli, Thomas a far da
pacere, Dan e Beth uno accanto all'altra.
Elisabeth
continuava a guardarlo di sottecchi, per poi distogliere lo sguardo
quando lui se ne accorgeva.
Era
stranamente taciturno; aveva un' espressione pensierosa e non aveva
ancora parlato dei suoi programmi per l'estate.
Anzi,
le parole che le aveva rivolto erano state tutte quante incentrate su
di lei. Voleva sincerarsi che stesse bene, che avesse sistemato le
cose con Harry.
Beth
non sapeva proprio che cosa pensare. Poteva supporre che anche Thomas
si fosse accorto di qualcosa, dato che anche i suoi occhi cercavano
il volto di Dan, di tanto in tanto.
“Oh
accidenti! E' tardissimo! Devo andare! Dovevo già essere da
mia zia a quest'ora!” strillò Anne, scrollandosi l'erba
di dosso e tentando di darsi una sistemata ai riccioli.
“Sempre
puntuale, eh?” ridacchiò Thomas.
“Allora
te ne vai, Anne?” chiese Dan
“Sì,
sono già in ritardo. Comunque ci vediamo martedì sera,
no?”
“Ovvio!
Ti aspetto alle... diciamo... cinque?”
“Sicuri
di riuscire a sopravvivere senza di me fino alle cinque?” rise,
guardando Lucas, che aveva in programma di trasferirsi ad Orchard
House non appena i Black avessero varcato la soglia di casa.
“Stiamo
benissimo, senza di te!” esclamò Lucas.
“Tranquilla,
io sono ad Orchard House dall'ora di pranzo.” intervenne Beth
“Ok,
allora Thomas passi da me verso le cinque così andiamo
insieme?”domandò, dal momento che abitavano abbastanza
vicini.
O
meglio, non è che fossero proprio vicini, ma, dal momento che
nell'ottica di Anne lo erano, Thomas era sempre costretto a passare
da lei ogni qual volta uscissero tutti insieme.
“Come
al solito. Per caso il tuo numeroso parentame ha intenzione di
trasferirsi da te? Sai, così mi preparo i cartelli con le
risposte alle domande. ” Thomas si riferiva ai tanti zii e
cugini di Anne i quali parevano non avere una casa loro, dato che
ogni volta che capitava in casa Norris ne compariva uno diverso.
Anne
ci pensò un po' su: “No, credo di no: la zio Dafni è
stato da noi ieri con la zia Cloe, mio cugino Tristano con sua moglie
è venuto in settimana, oggi devo andare da zia Penelope...”
“La
migliore resta sempre zia Amalia, l'hai conosciuta Thomas?”
sussurrò Lucas all'orecchio dell'amico, che, immediatamente,
scoppiò a ridere.
Tutti
quanti avevano avuto delle esperienze alquanto esilaranti e surreali,
in compagnia dei parenti di Anne.
“Uff,
quanto siete noiosi! Non è mica colpa mia se ogni giorno c'è
qualcuno!”sbruffò, facendoli scoppiare tutti a ridere.
“Comunque
adesso devo andare davvero. Beth, mi accompagni ad Hogsmeade?”
Elisabeth
controllò l'ora: non era più prestissimo, però
per andare e tornare da Hogsmeade non ci avrebbe messo molto; aveva
voglia di scambiare qualche parola con Anne in privato e, comunque, i
suoi genitori non l'avrebbero certo abbandonata lì e poi c'era
Dan che avrebbe potuto avvertirli.
“Sì,
certo. Andiamo.” rispose, avviandosi con Anne verso i cancelli.
“Sono
contenta.” disse Anne all'improvviso.
“Sì-
proseguì, in risposta al muto interrogativo lanciatole
dall'amica- Oggi è stata una bella giornata. Siamo stati tutti
insieme e mi sono divertita. Credo che anche martedì sera sarà
bello.”
“Vi
siete sentiti tu e Lucas in questi giorni?” chiese Beth
“No,
cioè sì... Cioè, gli ho scritto una lettera io e
poi lui mi ha risposto. Oggi siamo stati bene. Stiamo sempre bene
quando non c'è Mary.” precisò, arricciando le
labbra.
“Lo
sai vero che non gli puoi chiedere di scegliere tra te e lei, vero?
Voglio dire, tu sei un'amica, lei è la sua ragazza.”
“Lo
so Beth, lo so. E questo, ad essere sincera non mi piace. Intendo
dire, stia con chi gli pare, ma non cambi a seconda di chi ha
davanti.”
“Oh
Anne, mi dispiace vederti così!” esclamò con
trasporto Beth, che riusciva facilmente ad immaginare come si
potesse sentire l'amica.
Anne
agitò la mano per aria e sorrise.
“Devi
smetterla di preoccuparti, Beth. Dico davvero: vedi, io mi lamento
tanto, faccio commenti però ecco, alla fine, in questi giorni
ho capito una cosa. Tengo troppo a Lucas e lui mi conosce meglio di
me stessa, credo. Ci tengo troppo e non voglio perderlo e, se l'unica
cosa che posso fare per averlo vicino è questa, allora...
allora farò così.” disse, seppur con un tono un
po' amaro, che Beth colse.
“Ma
così...” iniziò Beth
“Così
niente, Beth- la interruppe- So che non è un atteggiamento
molto costruttivo, però è quello che mi sento di fare
ora. Magari ci sbatterò la testa o magari no. Magari Lucas la
pianterà tra poco come ha già fatto con altre. Magari,
invece, ci toccherà sopportarcela ancora per anni. Comunque,
se questo è l'unico modo per avere vicino Lucas, cerco di
farmelo andare bene. Anche se so che il mio Lucas, quello di prima,
quello che mi tirava addosso gli scacchi e che mi faceva buttare
fuori nell'ora di Trasfigurazione non c'è più.
Ovviamente ciò non significa che io la smetterò di
farvi notare quanto Mary Myers sia odiosa.” concluse.
“E
se ti fai male?” chiese, involontariamente Beth.
Anne
esitò un attimo a rispondere: aveva considerato anche
quell'ipotesi e poteva immaginare che, in quel caso, rialzarsi non
sarebbe stato semplice.
“Speriamo
di no.”
“Oh
Anne, mi dispiace così tanto!”
“Ehi,
Beth, non è colpa tua! Devi smetterla di farti sempre carico
dei problemi di tutti: siamo grandi abbastanza per cavarcela da sola.
Inizia a pensare un po' di più a te stessa.” le
consigliò Anne.
“Ma
io penso a me stessa.” disse Beth, facendosi fissare con
disappunto.
“Bè...
abbastanza. E' solo che sino a quando vedo te che stai così
male, Dan che non si capisce bene che cosa voglia fare...”
iniziò Beth gesticolando.
“Dan
se la caverà. E' solo... confuso. Anch'io me la caverò.
Tu cerca di pensare un po' di più a te, ok?”
“Ci
proverò.”
“Adesso
devo andare davvero. Grazie per avermi accompagnata. A domani.”
Beth
la vide Smaterializzarsi e si incamminò per far ritorno al
castello.
Forse
Anne aveva ragione a dire che avrebbe dovuto pensare un po' di più
a se stessa.
Anche
Thomas non faceva che ripeterglielo.
Però
c'era Dan.
Dan,
sul cui volto era comparsa un ombra, sin da quando aveva cercato i
suoi occhi quella mattina.
Era
difficile pensare a se stessi, quando erano anni che era abituata a
farlo per due.
Dan
vide che Anne e Beth erano ormai lontane: le loro sagome erano
piccole e si vedevano le gonne dei loro vestiti estivi ondeggiare per
il vento leggero.
Si
voltò verso i suoi amici, l'uno, Thomas, ancora steso
sull'erba e l'altro intento a tirare sassi nel Lago Nero.
Che
giornata.
Che
giornata orribile e surreale era stata quella.
Eccitazione
mista a paura, felicità mista a vergogna.
Daniel
non vedeva l'ora di essere a casa, di chiudersi in camera, di
buttarsi sul letto e di non dover pensare più a niente.
Come
se fosse semplice, non pensare più a niente. Si era cacciato
in un bel guaio.
Gli
avevano regalato i M.A.G.O. grazie ad una bugia che si era inventato
di sana pianta.
Quello
si poteva considerare un bene.
Peccato
che non avesse tenuto conto del fatto che i suoi genitori potessero
essere messi al corrente di quello che aveva inventato.
Erano
così fieri! Così orgogliosi di lui! I bei voti, il
fatto che volesse diventare Indicibile...
Sbruffò.
Thomas
si voltò, riscuotendosi dai suoi pensieri.
“Dan,
va tutto bene? E' tutto il giorno che ti vedo assente.”
Perfetto,
come al solito Thomas riusciva a disarcionarlo dalla scopa con
un'occhiata.
Thomas
gli fece cenno di sedersi e Dan desiderò di fuggire il più
lontano possibile.
E
pensare che fino a qualche ora prima avrebbe desiderato solo avere di
fianco a sé gli occhi saggi e consolanti di Thomas.
“Sì-
tentò, sedendosi- è tutto ok. Gran giornata, quella di
oggi.”
Thomas
avvicinò la faccia e lo squadrò.
“Dan...”
“Sì?”
“Non
dirmi balle.”
“Non
è una balla!” mentì
“Dan...”proseguì
Thomas.
“Thom,
non rompere! Davvero, non è successo niente! Niente, davvero!”
insistette, con tono rabbioso.
Stettero
per qualche minuto a fissarsi torvi, fino a quando Thomas non riprese
la parola.
“Ok,
non è successo niente. Come vuoi. Però, sappi che
quando ti andrà di dirmelo io sono qui. Va bene?”
Dan
sorrise, uno dei primi sorrisi della giornata. Posò una mano
sulla spalla di Thomas e gli sussurrò.
“Grazie.
Quando sarà il momento te lo dirò.”
“Nessun
problema.”
“Ehi,
mi è venuta una splendida idea!” gracchiò Lucas,
facendo ritorno dagli amici.
“Sentiamo.”
disse Thomas, alzando gli occhi al cielo, in attesa dell'ennesima
trovata demenziale.
“Avanti,
Lucas, illuminaci.” la voce di Elisabeth comparve
all'improvviso.
“Ehi,
sei già qui?” fu il saluto che le rivolse Daniel,
facendolo posto accanto a sé.
“Me
ne devo forse andare?” scherzò lei.
Lucas
scosse la testa, divertito:
“Un
quarto d'ora da sola con Anne e e torni acida quanto lei. Così
non va Beth! Non va per niente!”
“Dan,
Beth!” chiamò Hellen
“Che
c'è mamma?”
“Appena
Hagrid riesce a riprendersi dalla notizia del matrimonio di Harry
andiamo, ok?” li avvertì
“Agli
ordini.” rispose Dan.
Hellen
sorrise.
“Un'altra
cosa, Dan: Smaterializzati direttamente a casa di Beth. Ceniamo lì,
stasera. Io passerò da casa a prendere un dolce. Va bene,
Dan?”
“Agli
ordini.” ribadì, beccandosi una gomitata da Beth.
“Bè,
allora direi che io e te è meglio se leviamo le tende, ok
Luke?” propose Thomas.
“Sono
assolutamente d'accordo! Devo essere da Mary per cena!” esclamò
Lucas, alzandosi in piedi.
“Bene,
Elisabeth, i miei ossequi! E fai la brava questa sera con Dan! Con
te, amico, ci si vede molto presto! A che ora posso capitombolare nel
tuo salotto?”
“Quando
ti pare, ma aspetta almeno che i miei vadano via, soprattutto per
portare qualcuno dei tuoi aggeggi.” rise Dan, in risposta.
“Dan,
io mi sa che arriverò con scorte sovrumane di cibo: mia madre
è convinta che non potremo sopravvivere tre giorni da soli.”
commentò Thomas.
“Vorrà
dire che ci impegneremo per finirlo.”
“Bene,
allora ciao a tutti e a martedì!”
“A
martedì!”
Dan
e Beth tornarono dalle loro famiglie, facendo in tempo a godersi la
scena di un Hagrid che non tentava nemmeno di trattenere le lacrime
di commozione alla notizia che Harry gli aveva dato.
“E'
proprio una gran bella cosa, Harry! Bella davvero!” strillò
“Su
Hagrid, proprio perchè è una bella cosa non devi
piangere così, ti pare?” provò a dire Harry.
“Certo
che dovete essere proprio tanto felici, eh Lily?”
Dan
e Beth erano a qualche metro dal gruppo e lei controllava
continuamente che nessuno stesse facendo caso a loro. Si voltava di
continuo verso i genitori, verso suo fratello, verso Sirius o verso
Tonks per assicurarsi che nessuno la vedesse.
Non
sapeva esattamente per quale motivo, ma non voleva essere vista
mentre parlava con Dan.
“Dan,
posso parlarti?” chiese in un sussurro.
Dan
abbassò la testa ed annuì, senza capire il motivo di
tanta prudenza.
“Vieni.”
Beth lo prese per mano e lo trascinò poco più lontano.
Il
parco di Hogwarts si stava svuotando, stavano tornando tutti a casa.
Beth lo condusse sotto al faggio.
“Perchè
mi hai portato qui? Che c'è, Beth?”
“Dan
è tutto il giorno che sei strano. Va tutto bene?”
chiese, Beth, col cuore che le batteva forte.
Quello
che aveva visto in quelle ore non era Dan. Non era il suo Dan.
Qualsiasi
battuta, qualsiasi risata, qualsiasi parola era forzata.
Dan
abbassò ancora la testa, fissando l'erba: se l'avesse guardata
negli occhi non ce l'avrebbe fatta a mentirle.
Schifo,
ecco quello che si faceva.
“Sì,
va tutto bene. Perchè?”
“Mi
sembri strano.”
“No,
tranquilla, Beth, va tutto bene. Davvero.” rispose, nuovamente.
“Sicuro?
Ma se ci fosse qualcosa che non va me lo diresti, vero?”lo
incalzò, agitata.
Dan
sollevò la testa e simulò il suo miglior sorriso.
Mai
avrebbe voluto mentirle, ma era costretto. Non poteva deluderla.
“Certo:
se ci fosse qualcosa che non va te lo direi.”
Ecco
qui, spero che sia stato di vostro gradimento: le cose si
complicheranno sempre di più per Dan, sappiatelo.
Prima
di rispondere alle vostre recensioni, sento di dovervi ringraziare
tutti per la pazienza e per il sostegno, soprattutto dopo la nota che
vi ho lasciato. Grazie soprattutto a PrincessMarauders, Bellis
e Padfoot_07 che mi hanno lasciato anche un piccolo
commento.
Grazie,
grazie e ancora grazie: è molto importante per me.
Grazie
anche ai tanti lettori silenziosi e a chi ha inserito la storia tra i
preferiti.
Come
al solito non so quando aggiornerò di nuovo, non mi azzardo
nei pronostici, quindi, grazie per la pazienza.
Thaleron:
ciao a tutte e due! i problemi di Dan non si possono risolvere in
fretta, sono troppo grandi da risolvere in poco tempo e, come ho già
detto, Dan deve recuperare quella parte di sé che ha perso.
Solo
allora potrà anche correre da Beth perchè, ora come
ora, non si sente nemmeno alla sua altezza.
Padfoot_07:
vedi, Dan è in quella fase in cui non si sa nemmeno di
preciso chi si è. Abbandonare Hogwarts per lui è una
tragedia perchè lì lui era qualcuno. Era Daniel Black e
sapeva interpretare bene il personaggio, ma fuori non è
nessuno e, fino a quando non troverà il coraggio di essere se
stesso, troppe cose non andranno a posto...
Cinderella87:
bè, insomma, Dan è un Black, ha la faccia tosta nel
DNA! E nemmeno sua madre è proprio un modello di calma e
sangue freddo, quindi... Peccato che la sua bugia gli costerà
parecchi guai.
Alexya379:
ciao, sono contenta di avere una nuova commentatrice! Sono molto
felice di sapere che la storia ti piace! Anche a te dico che ci vuole
ancora un bel po' tempo, vuoi perchè devono succedere molte
cose, vuoi perchè io sono lenta nell'aggiornare....;)
PrincessMarauders:
prima di tutto, ciao a tutte e tre! Poi, Dominic (giusto?) sappi che
anche nella mia classifica personale Dan è al secondo posto!
Al primo c'è James e da lì non lo schioda nessuno, al
secondo un bel ex aequo tra Dan e Remus ( ebbene sì, trovo
messer Moony con le sue crisi iseteriche terribilmente adorabile)....
comunque... sei così sicura che sarà Hellen a dare di
matto? No, io non credo proprio: Hellen è una madre. Hellen sa
e percepisce anche là dove i padri, nella loro ottusità
affettiva, non riescono ad arrivare.
Certo,
questo non vuol dire che Sirius la prenderà male, ma
diversamente...
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Capitolo 13 *** Io e Te ***
Io
e te
LONDRA,
Diagon Alley
Ginny
stava aspettando Harry davanti all'insegna del Paiolo Magico da una
mezz'ora abbondante.
Se
non si fosse sbrigato ad arrivare, dubitava persino che sarebbero
riusciti a vedersi, dal momento che, per le tre di quel pomeriggio
lei aveva un appuntamento che non poteva rimandare ed Harry, dal
canto suo, avrebbe dovuto fare in modo di farsi dare il pomeriggio
libero, in ufficio.
Dopotutto,
erano andati avanti per anni senza lui e suo fratello Ron, se anche
Harry si fosse assentato per qualche ora, dubitava che il
Dipartimento Auror sarebbe crollato.
Controllò
l'ora per l'ennesima volta e, quando alzò la testa, vide Harry
correre verso di lei.
“Scusa
Ginny, scusami, davvero, ma avevano bisogno di me. Ho implorato
Sirius di lasciarmi andare ma non ha voluto sentir ragioni.” si
scusò, tra un respiro e l'altro.
“C'è
sempre qualcosa che ti trattiene in ufficio, lo sappiamo entrambi.”
“Ginny,
ti prego...”
“Comunque,
non ho intenzione di litigare, oggi. Credo proprio di aver trovato la
casa che fa per noi, signor Potter!” esclamò con un
sorriso radioso.
“Hai
ripensato a quel cottage in Scozia che abbiamo visto ieri ed hai
annullato gli appuntamenti di oggi pomeriggio?” fece Harry,
speranzoso. Certo, sapeva bene quanto fosse importante scegliere una
casa, una che fosse davvero Casa, quella in cui avrebbero visto i
loro figli crescere, quelli in cui avrebbero invitato, orgogliosi
amici e parenti, tuttavia era abbastanza stufo di girare il Paese da
cima a fondo alla ricerca della Casa perfetta.
“Ma
che dici? Ti pare che andiamo a vivere in mezzo al nulla nella
campagna attorno alle Highlands?”rise Ginny
“Comunque,
su una cosa hai ragione: ho annullato tutti gli appuntamenti del
pomeriggio!”
“E?”
chiese Harry
“E
adesso te lo dirò. Ora entriamo, davanti al nostro pranzo ti
spiegherò tutto.”
Harry
la seguì dentro al locale, domandandosi cosa mai avesse in
mente.
Tom,
il vecchio proprietario del Paiolo Magico, li fece accomodare e prese
le ordinazioni.
Non
appena Tom si fu allontanato, Harry ritornò alla carica:
“Allora,
cos'è che volevi dirmi?”
“Ti
ricordi che settimana scorsa sono venuta a Londra con Luna?”
“Sì,
ma questo cosa c'entra?”
“C'entra
eccome! Siamo andate al mercatino di Portobello e...” iniziò
Ginny
“E...
avanti, dimmi.” la incoraggiò Harry, che stava iniziando
a farsi un'idea di quanto sarebbe accaduto.
“E
credo di aver trovato la casa che fa per noi. Ho visto il cartello
“In vendita” su una casa azzurra. Hai presente che le
case di quella strada sono tutte delle villette colorate, con un
piccolo giardino sul retro... si affacciano sulla strada... le hai
presente, no?”
“Sì...
però, ecco, Ginny... è in una zona Babbana.”
commentò scettico, Harry, spostando le braccia per far posare
il suo stufato dal cameriere.
“Andiamo
almeno a vederla, ti prego! Mi era piaciuta sin da quando l'ho vista,
però ho cercato di non pensarci per tutta la settimana... ma
lei mi tornava sempre in mente. Così, questa mattina, sono
tornata a vederla e mi sono convinta che sia la casa che fa per noi.
Allora mi sono recata all'agenzia immobiliare, c'era un signore molto
gentile, che non ha fatto caso alle mie incomprensioni su quelle
questioni Babbane e che mi ha detto che oggi pomeriggio possiamo
andare a vederla. Non sei arrabbiato, vero, anche se ho cancellato
tutti gli altri appuntamenti?” raccontò Ginny.
“No,-
rispose Harry, sempre più perplesso- però.. ecco, tutte
le altre case che abbiamo visto erano in posti tutto sommato isolati
o, comunque, con un basso rischio di essere visti dai Babbani e,
alcune, avevano già tutti gli incantesimi Anti-Babbani. Quello
che mi lascia un po' così è il fatto che è in un
quartiere Babbano, molto frequentato e che dovremo trattare con
un'agenzia immobiliare Babbana, quindi ci saranno problemi alla
Gringott e via dicendo...”
Ginny
lo guardò, contrariata. Se solo la avesse vista, avrebbe
concordato con lei! Quella era la casa che cercavano.
Luminosa,
non troppo grande né troppo piccola, in una zona centrale...
già da fuori sapeva di casa!
“Andiamo
almeno a vederla, poi decidiamo. Si possono anche installare tutti i
vari incantesimi. Chiamiamo la Squadra Magica Speciale e facciamo
insonorizzare le pareti. Sirius mi aveva detto una volta che la casa
dei suoi genitori, pur essendo in centro a Londra, era invisibile ai
Babbani. Potremmo fare lo stesso anche noi.” propose Ginny
“E
va bene, va bene. Andiamo a vederla e decidiamo. Tutto il resto sono
cose che si possono sistemare.”cedette Harry
“Grazie
Harry! Vedrai, non te ne pentirai.”
“A
che ora dobbiamo vederci con questo tizio?”
“Tra
mezz'ora. Ma abbiamo ancora tempo. Dopotutto, Smaterializzazione che
cosa l'hanno inventata a fare?”
Finirono
in fretta il loro pranzo, pagarono e si Smaterializzarono in
Portobello Road, esattamente di fronte alla villetta azzurra.
“Allora,
non è magnifica?” Ginny lo fissò con un sorriso
magnifico, aspettandosi che Harry concordasse.
“E'...
sì.. è bella.” fu il commento di Harry, che non
si era mai immaginato di andare ad abitare in una zona simile.
La
via era sgombra da traffico e confusione e una lunga serie di casette
colorate tutte uguali si affacciavano sulla strada, percorsa giusto
da qualche pedone che si stava dirigendo verso le botteghe di
Portobello. In fondo, non c'era confusione. Forse avrebbero dovuto
tollerarla solo nei giorni di mercato.
“Solo
questo?” chiese Ginny, contrariata.
“E'
bella, Ginny, davvero. Mi piace. Non me la aspettavo così.
Davvero.”
Ginny
gli lanciò un'altra occhiata non particolarmente convinta,
quando vide avvicinarsi Ian Jerkins, l'agente immobiliare. Era un
uomo sulla quarantina, non troppo alto ma con un' espressione gentile
sul viso.
“Signorina
Weasley, è già arrivata! Mi scusi per il ritardo!”
gridò, affannandosi a raggiungerli.
“Non
si preoccupi, siamo venuti un po' prima giusto per far vedere la casa
ad Harry.” gli sorrise
“Piacere,
Harry Potter.” lo salutò Harry, porgendogli la mano.
“Ian
Jerkins, il piacere è mio. Entriamo?”
Jerkins
infilò le chiavi nella toppa ed entrò, seguito da Harry
e Ginny.
Mostrò
il piano terra, che constava di una cucina, dalla cui porta sul retro
si raggiungeva il piccolo giardino, un soggiorno e un piccolo studio.
Al
piano di sopra c'erano tre camere da letto non esageratamente grandi.
Mentre Jerkins spiegava ad Harry tutti i ritocchi che sarebbe stato
necessario fare, Ginny si guardava attorno, estasiata.
Quella
casa, anche all'interno, era quello che lei si aspettava. Spaziosa,
ma non esageratamente grande, accogliente ed adatta per ospitare una
famiglia che stava andando a costituirsi.
Harry
ascoltava Jerkins ma non poteva fare a meno di fissare la sua futura
sposa, che si muoveva per quelle stanze come se già le
appartenessero. Non gli fu difficile immaginarsela in cucina a
preparare una torna per due o tre bambini dai capelli neri e rossi
che ruzzolavano giù per le scale, spintonandosi, mentre lui,
dal suo studio, richiamava un po' di silenzio per lavorare in pace.
“La
prendiamo!” esclamò ad un tratto, interrompendo quello
che Jerkins stava dicendo a proposito del sistema d'allarme.
“Che
cosa?” domandò stupito, l'agente immobiliare.
Aveva
già capito che quei due erano un po' strani, dal momento che
lui non prestava alcun interesse mentre si parlava di prese
elettriche, sistemi d'antifurto e possibilità di installare la
tv via cavo e che lei, invece, non aveva chiesto nulla per gli
elettrodomestici della cucina, però, insomma, si aspettava che
almeno lo ascoltassero.
“La
prendiamo.-ripetè Harry- Ci dica cosa dobbiamo fare per l'atto
di vendita, che credenziali presentare, cose così, insomma.”
Ginny
si era voltata verso di lui, gioiosa. Sapeva fin da quando l'aveva
vista che quella era la casa per loro.
Lasciò
Harry a discutere con Jerkins delle ultime cose, mentre lei vagava
ancora per quella che sarebbe diventata molto presto casa sua.
Salutarono
Jerkins, dandosi appuntamento nei giorni seguenti per presentare i
documenti necessari.
“Sapevo
che era la casa per noi!” esclamò Ginny
“Devo
ammettere che avevi ragione. Su tutto. E' perfetta: spaziosa,
famigliare... calda. E per tutto il resto una soluzione si trova.”
approvò Harry.
“Ti
amo, lo sai, sì?”
ORCHARD
HOUSE
L'ingresso
della villa era colmo di bauli e valigie: come aveva ricordato Sirius
a suo figlio, Hellen quando si muoveva portava con sé l'intero
guardaroba non solo suo, ma anche dei suoi compagni di viaggio. Sia
che si trattasse di star via tre giorni o tre mesi.
“Allora
siete pronti per partire?” chiese Dan, ancora in pigiama alle
undici del mattino, scavalcando un paio di massicci bauli.
“Dan,
per favore, vai a lavarti! I tuoi amici potrebbero arrivare da un
momento all'altro!”lo rimbrottò Hellen, comparendo dalla
cucina con due borse da viaggio in mano.
“Al
massimo arriva Beth per pranzo! Gli altri arrivano dopo.” fu
l'esauriente spiegazione che fornì Dan, osservando la madre
tentare di inserire le due nuove borse in un baule.
“Ecco
appunto, visto che fra poco arriva Beth non farti trovare così!”
insistette Hellen, rimpicciolendo ulteriormente le due trousse per
guadagnare spazio.
“Tesoro-
intervenne Sirius, arrivato dalle scale con un altro borsone- credo
che tu abbia già rimpicciolito tutto ciò che può
esserlo. Non entra più niente. Penso che dovresti lasciare a
casa qualcosa.”
“Sciocchezze.
Ci starà tutto. E Dan, per favore, vatti a cambiare! E'
maleducato ricevere ospiti così!” esclamò Hellen,
ignorando il suggerimento di Sirius.
“Mamma,
Beth mi vede in mutande da quando abbiamo tre anni!” sbruffò
Dan
“E
io gradirei che non proseguisse, Daniel Black.” commentò
lapidaria Hellen, strizzando l'occhio in direzione del marito,
incredulo di fronte a cotanta abilità nell'incastrare
perfettamente il contenuto di un baule.
“Sirius,
anche tu, digli qualcosa!” si lamentò, nuovamente.
“Vatti
a vestire, Dan, così tua madre è contenta, ce ne
andiamo e tu sei felice.” disse semplicemente Sirius.
“Sirius!”
Dan
alzò le braccia, in segno di resa e salì le scale senza
ulteriori proteste.
Ritornato,
qualche minuto dopo, trovò l'ingresso sgombro. Evidentemente
avevano già mandato via Metropolvere i bagagli all'albergo.
“Bene,
così mi piaci.” commentò, soddisfatta, Hellen,
vedendo scendere suo figlio vestito.
Dan
alzò gli occhi al cielo, ridacchiando con suo padre.
“Direi
che ora possiamo andare, non è vero Hel?” chiese Sirius.
“Sì,
ora andiamo così tuo figlio può iniziare la sua
settimana di bagordi.” annuì la moglie, controllando
l'ora.
“Mamma!”
protestò Dan.
“Bè,
non dire che non aspetti la nostra partenza per poter vivere la tua
settimana di esagerazioni, Dan!” gli fece notare Sirius, con la
sua risata canina.
“Dan,
adesso seriamente, la casa la sai gestire. Se hai bisogno manda un
Patronus e, per qualsiasi necessità, ci sono Lily e James,
ok?”
“Sì,
mamma. Fidati.”
“Mi
fido, Dan, mi fido. Altrimenti non ti lasceremmo a casa da solo.
Divertiti e fa' attenzione.” si raccomandò, infine,
Hellen, scioccandogli un bacio sulla guancia, tenerezza, alla quale,
Dan si oppose prontamente.
“Dan,
ti avverto: non fare sciocchezze. Non voglio sorprese al mio ritorno,
intesi? Le regole che ti diamo sono poche e gradirei che fossero
rispettate.” si raccomandò Sirius, serio.
“Sì,
papà. Lo so, lo so.” rispose Dan, seccato. Si era
sentito fare quel discorso troppe volte.
“Dan...-
sorrise lievemente Sirius, rivedendo se stesso in cotanta
insofferenza- davvero. Non fare idiozie e se qualcuno dovesse star
male per qualcosa che avete bevuto o fumato o non so perchè,
chiama subito James. Ok?”
Dan
annuì.
“Bene
ed ora divertiti. Ti farà bene startene da solo con i tuoi
amici. E' incredibile ed inenarrabile il livello di demenza che si
può raggiungere quando si è tra ragazzi soli...”
“E
meno male che dovresti darmi buoni esempi, eh papà! Ne avresti
di storielle surreali da raccontarmi sulla tua gioventù!”
ridacchiò Dan
“Divertiti,
Dan e niente sciocchezze! Ah, se hai tempo vai ad iscriverti ai
colloqui per gli Indicibili al Ministero, credo che un paio d'ore in
queste folli giornate tu le possa trovare, non credi?”
“Sì,
papà.” rispose, mesto, Dan.
Sirius
scambiò il tono privo di entusiasmo per la voglia di essere
finalmente lasciato in pace, quindi, dopo gli ultimi saluti, lui ed
Hellen sparirono tra le fiamme verdi del camino. Destinazione,
Parigi.
Poco
dopo, Beth bussò alla porta, accompagnata da suo padre che
portava con sé tutto ciò che Lily gli aveva mandato per
sopravvivere in quella settimana.
James
li lasciò soli in fretta, riempendoli di divertenti e
maliziose raccomandazioni e implorando di essere chiamato non appena
qualcosa non fosse andato come previsto.
Dopo
pranzo comparve Lucas, con armi e bagagli.
“Dan,
buongiorno! Beth, ti trovo in splendida forma! Comunque, amici, sono
qui per mostrarvi i compagni della nostra serata!”
Dan,
che si era messo comodo per assistere allo spettacolo, già
rideva e Beth si stava chiedendo cosa mai avesse organizzato quella
testa matta di Lucas.
“Allora...
per prima cosa, ecco qui!” tirò fuori dalla tasca un
piccolo biliardino, che, con un colpo di bacchetta, fece
immediatamente tornare delle sue dimensioni naturali, occupando così
l'intera cucina.
“Idiota!-
lo apostrofò Dan- Cosa lo metti qui a fare!”
“Aspetta,
poi lo togliamo, volevo solo fartelo vedere!”
“Dove
l'hai preso, Lucas?” chiese Beth
“Da
mio cugino, ce l'aveva in garage, non lo usava più e... è
diventato mio.” rispose, semplicemente.
“Geniale...”
commentò Dan.
“Aspetta
a ringraziarmi: devi ancora vedere la parte migliore.” con la
bacchetta colpì un piccolo disco che aveva tolto da una borsa.
“Tadan!
Allora, non è meravigliosa?” domandò, ridente,
non appena Dan la riconobbe, quando fu tornata alle sue dimensioni.
“Santo
Boccino, Lucas! L'ho cercata per mesi! Mesi, ti rendi conto? Dove
l'hai trovata? Sarà meraviglioso far ubriacare un po' di gente
con questa roba!” esclamò immediatamente Dan, prendendo
delicatamente in mano la roulette, nella quale erano incastrati i
bicchierini da riempire e far bere ai partecipanti durante ogni giro.
“Ho
i miei trusci, amico. Beth, questa sera nemmeno tu sei esonerata! Una
manches almeno!”
“Oh
no- rise Beth, divertita- non mi farete giocare con quella roba. No,
davvero, non ne sarei capace... e poi... poi finisce che starei
male.”
“Una
manches, Beth, almeno una! E' una sorta di rituale!” insistette
Dan.
“Vediamo
più tardi.” si scansò lei.
“Dicono
tutti così, vedrai: giocherai! Già so che Anne
impazzirà per questa roba! Sono due giorni che penso a cose
stupide da farle fare quando sarà ubriaca... Dici che potrei
farle fare le scale a gattoni o è troppo banale?” fece
Lucas, ridente.
“Fossi
in te, mi preoccuperei di cosa potrebbe organizzare lei ai tuoi
danni.” gli consigliò Beth.
Lucas
scosse la testa, deciso.
“No,
Anne ringhia ma non morde! E' fondamentalmente troppo ingenua per
pensare a qualcosa di malefico.”
“Sarà...
comunque, Luke, che cosa ne dici di andare a spostare un po' di
mobili? Beth, tu stai qui in cucina?” propose Dan.
“Sì,
voi andate pure. Ho delle cose ancora da fare qui, se vi ho bisogno
vi chiamo, ok?”
Qualche
ora più tardi arrivarono anche Thomas ed Anne, entrambi
carichi di borse, come se la loro permanenza ad Orcherd House durasse
dei mesi, anziché, rispettivamente tre giorni ed una notte.
Thomas
aiutò gli amici nella trasformazione del salotto nel luogo
adatto ad una festa ed Anne seguì Beth in cucina.
“Beth,
potresti andare a chiamare uno dei ragazzi? Non arrivo fino a quel
pensile lassù. Chissà perchè la mamma di Dan ha
messo il mattarello così in alto...”
“Hellen
adora cucinare... solo che è abbastanza maldestra, quindi fa
tutto con la magia. Limitandosi a supervisionare. A lei non importa
che gli strumenti siano raggiungibili.” le spiegò Beth.
“Bè,
ma dato che io sono ancora minorenne e non lo posso fare ed ho
bisogno di quel mattarello, gradirei che qualcuno me lo prendesse.”
osservò Anne, completamente ricoperta di farina.
Beth
uscì dalla cucina.
Stava
per mettere piede in salotto, quando sentì la voce di Dan,
mesta.
“Ragazzi...
ho fatto una boiata.” constatò Dan.
Erano
tre giorni che sentiva il bisogno di dirlo a qualcuno. Non ce la
faceva più a tenerselo dentro.
Doveva
parlare con qualcuno. Assolutamente.
Ci
aveva riflettuto bene, sapeva quello cui andava incontro, parlando,
ma doveva farlo. Non riusciva a tenerselo dentro.
Lucas
e Thomas erano i suoi migliori amici. Avrebbero capito.
Dovevano
capire.
Thomas
agitò per aria la bacchetta, fermando i mobili che stava
spostando.
Lucas
alzò appena la testa dagli amplificatori che stava montando,
afferrò la lattina di birra che aveva poggiato al suo fianco e
disse:
“Bè,
bevici su, amico.”
“Non
hai capito, Lucas, ho fatto una boiata di quelle serie. Un'emerita
boiata.” ripetè Dan
“Ah.
Ok, questo cambia tutto. Avanti, racconta. Sono qui per risolvere
ogni tuo problema. Eddai, Thomas! Ridiamoci su!- esclamò,
riferito all'occhiata omicida che Thomas gli aveva lanciato- Che sarà
mai successo?”
“Se
tacessi, magari lasceresti parlare Dan.” precisò,
piccato, Thomas.
“No,
bè... alla fine non è una cosa che vi riguarda.
Sistemerò tutto, in un modo o nell'altro.” disse Dan,
sedendosi sul divano e tormentandosi i capelli.
“No,
Dan, no. Qualunque cosa sia successa, la affronteremo insieme, ok?”
insistette Lucas, serio.
Dan
appariva realmente turbato e non era il caso di scherzare.
“Se
non vuoi dircelo, sei libero di farlo, Dan. Però, una
soluzione si trova sempre. Soprattutto se ci proviamo insieme.”
suggerì Thomas, sedendosi alla sinistra di Dan.
Daniel
li guardò entrambi, ringraziandoli col solo sguardo.
Lucas,
la sua spalla in ogni circostanza, quello che sostituiva un“Non
farlo. Finirà male.” con un “Fallo, se ne sei
convinto. Se ti spacchi in mille pezzi, riaggiusteremo i cocci
insieme.”
Thomas,
la silenziosa presenza che non si allontanava mai. A volte troppo
diretto, così schietto da far persino male, ma, in fondo,
qualcuno che ti rimette con i piedi per terra serve sempre.
“Ho
fatto un casino... sono un idiota. I miei mi uccideranno appena lo
sapranno.”
Nessuno
dei due parlò. Thomas preferiva aspettare che fosse Dan stesso
a confessare e Lucas si morse la lingua, pur di non intervenire.
Dan
si alzò in piedi, percorse a grandi falcate il salone, sino ad
arrivare di fronte ad una delle finestre. Si voltò, di colpo.
Doveva
parlare, sarebbe impazzito, altrimenti.
“Mi
sono inventato tutto. Io non voglio diventare Indicibile. Non mi è
neanche mai passato per la testa.”
Lucas
fece per intervenire, ma Thomas lo zittì in tempo.
“Voglio
dire, mi ci vedete Indicibile? Andiamo... io non sono fatto per quel
genere di lavoro. Non sono fatto per il lavoro in generale, ma ancora
meno per una cosa così. L'ho detto solo per passare gli esami.
Se non avessi mentito, probabilmente l'anno prossimo sarei ad
Hogwarts con voi.” rise amaramente.
“Cioè,
fammi capire bene...- cominciò Lucas, gesticolando per
riorganizzare le idee- tu hai detto hai prof che volevi fare
l'Indicibile per passare gli esami?”
Dan
annuì e, a quel punto, Lucas esplose:
“Ma
sei un imbecille!”
“Che
cosa avrei dovuto fare, Luke? Non avevo aperto libro, non avevo
studiato, gli scritti li ho consegnati in bianco e all'orale ho fatto
scena muta... mi avrebbero bocciato, se non avessi detto una cosa del
genere! Mica mi diverto sai, ora che tutti credono che io voglia
diventare un Indicibile! Non avrei mai immaginato che Hagrid avesse
la geniale idea di dirlo ai miei!” si giustificò Dan,
come per dire che, in fondo, mentire per farsi alzare i voti fosse
una cosa più che comprensibile.
“Non
ho parole, Dan. Sei un idiota. Sei sempre stato bravo a scuola,
avresti potuto fare il minimo indispensabile, accidenti! Non sei mai
stato una capra come me! I prof ti adoravano, bastava che almeno li
sfogliassi, quegli stramaledetti libri!” Lucas non potè
fare a meno di esprimere la sua disapprovazione.
Dan
stava andando completamente fuori di senno. Non lo avrebbe mai
creduto capace di una cosa simile. Quello era molto di più che
rischiare l'espulsione una settimana sì e l'altra pure per uno
stupido scherzo finito male.
D'accordo,
che negli ultimi tempi fosse un po' strano, che se ne stesse sempre
per gli affari suoi, che fosse intrattabile, se n'erano accorti
tutti, ma mai Lucas avrebbe creduto che potesse inventarsi una
menzogna simile.
Era
lui quello che solitamente faceva delle boiate incomprensibili, non
Dan.
“Lo
so da solo, grazie dell'aiuto, Lucas. Ed evita di urlare, per favore.
Di là ci sono Anne e Beth e non vorrei che sentissero.”
“Ti
rendi conto di aver commesso l'idiozia più grossa della tua
vita, almeno?” intervenne Thomas, pacato, per sedare gli animi.
Già
Dan si era ficcato in guai enormi: ci mancava solo che lui e Lucas
litigassero o, peggio, che litigassero tutti e tre.
“Più
o meno... alla fine era un'idiozia a fin di bene, no?” buttò
lì Dan, risedendosi.
Sia
Lucas che Thomas lo guardarono in tralice e fu Thomas a riprendere la
parola.
“Il
fatto che tu l'abbia più o meno ammesso è già un
punto da cui partire. Adesso cerchiamo di sistemare la situazione.
Devi dirlo immediatamente ai tuoi genitori, Dan.”
“Adesso
come adesso è un po' impossibile, dato che sono a Parigi.”
scherzò Dan, senza far ridere nessuno.
“Siamo
qui per aiutarti, Dan, quindi gradirei che almeno fingessi di
ascoltarci, grazie.” lo zittì Thomas, prima di
riprendere.
“Devi
dirlo ai tuoi appena tornano. Devi farlo, Dan. Ti ascolteranno e
capiranno.”
“Non
ci penso nemmeno!- esclamò Dan- Non posso dirglielo. Non
posso. Tu non li conosci. Non posso confessare una cosa simile!”
“Dan,
devi dirglielo, maledizione! Non ti uccideranno! Se non glielo dici
ora non farai che peggiorare le cose! Non puoi continuare a mentire,
non ti porterà da nessuna parte.”
“Tu
non li conosci, Thomas. Non li conosci. Non sarebbero loro ad
uccidere me, sarei io ad uccidere loro. Li deluderei troppo.
Praticamente- concluse alzando le braccia- quello che ho fatto va
contro tutto quello che hanno cercato di insegnarmi in diciotto anni.
Li distruggerei. Non posso dirglielo.”
Thomas
sbruffò, era davvero testardo e, come se non bastasse, Lucas,
dopo lo scoppio di rabbia iniziale, sembrava piombato in un sonno
improvviso, dato che non aveva più aperto bocca.
“ Tu
hai già tradito quello che hanno tentato di insegnarti.”
precisò
“E
allora che cosa vorresti fare, Dan? Che cosa? Intraprendere la
carriera di Indicibile?”
“No,
non voglio fare l'Indicibile. Però dovrei avere un piano B,
un'idea su cosa fare altrimenti e non ce l'ho.”
“Tu
sai che cosa vuoi fare e prima lo ammetti a te stesso prima sarà
meglio per tutti, ma non è il momento di discutere di questo.
Il punto è che loro hanno il diritto di sapere, Dan! E' una
cosa troppo importante. Confesserai tutto e spiegherai che l'hai
fatto perchè temevi di deluderli. Capiranno, sono i tuoi
genitori e bè... stando a quello che mi hai raccontato anche
tuo padre era una testa calda, da ragazzo.” proseguì
Thomas, speranzoso di farlo ragionare.
“Sì,
ma lui mette la sincerità sopra ogni cosa. E io non sarei
stato corretto con loro. Se la legherebbero al dito e non me lo
perdonerebbero mai.”
“Daniel,
maledizione, la vuoi capire che non c'è altra soluzione? Dammi
retta, per una volta nella vita! Una sola!” si infuriò
Thomas
“E
invece c'è un'altra soluzione.”intervenne Lucas, di
punto in bianco.
Dan
si voltò carico di aspettative verso l'amico e Thomas,
sbruffando, commentò:
“Sentiamo
l'altra boiata.”
“Ascoltate...
il padre di Dan ci tiene che lui faccia questi colloqui per
l'addestramento, no? Ecco basta che lui vada e faccia in modo di non
farsi prendere o che non ci vada affatto, ovviamente dicendo ai suoi
che ci è andato. Alla fine, a casa saranno contenti che lui ci
abbia almeno provato, Dan non confessa niente e può tornare
alla ricerca del Nirvana in attesa di capire cosa fare della sua
vita. E' perfetto, no?”
“No,
che non lo è, Lucas! E' un'emerita scemenza, ecco che cos'è!
Sarebbe peggio!” proruppe Thomas, senza riuscire a
controllarsi.
“No,
Thomas. E' perfetto. Dico che vado allo colloquio e in realtà
non vado, altrimenti ci sarebbe sempre il rischio che mi prendano, i
miei sono felici che ci abbia almeno provato... sistema tutto. E' una
grande idea, Lucas!” esclamò Dan, battendo una mano
sulla schiena del suo amico.
“Ragazzi,
non capite che ci sono una serie di variabili non controllabili in
questo piano? Tuo padre potrebbe decidere di accompagnarti o venire a
sapere che non ci sei andato o un miliardo di altre cose. Non si può
fare. Dammi retta, Dan, confessa ora, prima che sia troppo tardi.”
andò avanti Thomas, fiutando il pericolo e sapendo che,
sensibile com'era, per Dan sarebbe stato ancora peggio riprendersi,
qualora il piano di Lucas non fosse andato come avevano previsto.
“No,
Thomas, no. Non posso dirglielo. Darei loro un dispiacere troppo
grande. Farò così.” Dan scosse la testa, deciso.
“Ma
non ti accorgi che il dispiacere che gli dai in questo modo è
doppio?” gli chiese Thomas, ormai fuori di sé.
“Senti,
Thomas, ormai ho deciso. Sei con me?”
Dan
lo pose di fronte ad un ultimatum.
“Sì.
Sono con te.- disse infine- Sono con te.”
Non
poteva fare altrimenti. Glielo aveva detto, ci aveva provato, ma
Daniel voleva sempre fare di testa sua e lui non glielo poteva
impedire. Poteva solo promettergli di non tradirlo e di essere
presente quando le cose non fossero andate come sperava.
“Non
lo direte a Beth, vero?” chiese, in ultimo, Dan, rivolgendosi
in particolare a Thomas.
“No,
tranquillo.” rispose, immediatamente Lucas
“No,
non le dirò niente. Devi essere tu a trovare il coraggio di
dirglielo.” disse Thomas, con un'occhiata significativa, prima
di lasciarli lì, per uscire in giardino.
Elisabeth,
ancora appiattita contro la parete, sentiva le gambe cedere e, di
contro, il cuore battere all'impazzata, mentre un grosso nodo le
avvolgeva lo stomaco.
“Non
può essere. Dan non può averlo fatto.” sussurrò
a se stessa, incredula.
“Beth!”
chiamò Anne, arrivando di corsa.
“Oh,
sì... scusa, Anne. Vado di sopra, prendo la bacchetta e te lo
prendo io, ok?” propose, sforzandosi in un sorriso.
“Sì...
ok. Beth, va tutto bene?” chiese Anne, sorpresa.
“Sì,
va tutto bene. Vado e torno.” rispose, fingendosi allegra.
Tutti
gli invitati erano arrivati e la porta d'ingresso continuava ad
aprirsi e chiudersi, tanti erano i gruppetti che si erano rapidamente
formati e che si alternavano tra l'interno e l'esterno.
Anne
aveva già discusso tre volte con Matthew Bell, il quale non
aveva mancato di ricordarle che era troppo acida e che doveva
mettersi in testa che Lucas non l'avrebbe mai voluta.
Lei
aveva replicato, tagliente come sempre, ma c'era rimasta parecchio
male, in fondo.
Se
ne stava seduta in un angolo con Thomas, costretto al suo fianco e
sottratto ad un gruppetto che reclamava la sua presenza.
Beth
era lì vicino a lei e, come al solito, non si divertiva. Non
le erano mai piaciute molto, le feste, troppa confusione, troppo
rumore e lei non era tipo da festa, soprattutto perchè non
riusciva mai a trovare la cosa giusta da dire a persone che non
conosceva.
Si
limitava quindi a starsene tra sé, osservando gli altri
divertirsi, sino a quando non arrivava Dan a portarla via.
Dan
quella sera, però, non pareva intenzionato a venire da lei,
anzi, come un ottimo padrone di casa saltellava da un gruppo
all'altro, servendo da bere e riempendo di complimenti le ragazze,
scherzando coi ragazzi e partecipando ai giochi più svariati.
Una
penitenza alla roulette di Lucas l'aveva costretto a mettersi a
danzare come un ballerino di danza classica e a fare incetta di
vodka e Wisky Incendiario mescolati a succhi di frutta, a mo' di
“beverone”, come l'avevano soprannominato.
Era
completamente spensierato e a Beth, proprio, non andava giù.
“Ma
guardala! Sembra Mortisia Adams!” esclamò Anne, ad un
tratto, indicando Mary Myers appesa al collo di Lucas. Con la
carnagione pallida, il vestito nero senza spalline ed i capelli
lunghi, lucidi e neri, sembrava proprio Mortisia Adams.
“Mortisia
chi?” domandò Beth
“Mortisia
Adams! E' il personaggio di un film Babbano.” rispose Anne
“E
come fai a saperlo?”
“Me
l'ha detto Thomas.”
“Ah.
Bè, ragazzi... io vado un attimo fuori.” disse Beth
“Tutto
ok, Beth?” si informò Thomas
“Sì,
sì. Va tutto bene. Torno subito.”
“Vuoi
che venga con te?” le propose il ragazzo.
“No,
no. State qui. Torno subito. Davvero.” insistette Beth
alzandosi.
“E'
tutto il pomeriggio che è strana. Chissà che ha...”
osservò, perplesso, Thomas.
“Magari
è solo un po' stanca... e poi, sai che a lei non piacciono le
feste.” Anne liquidò in fretta la questione. Voleva
portare la conversazione sul piano che interessava a lei.
“Quasi
quasi vado da lei.” pensò Thomas, facendo per alzarsi.
Anne lo trattenne per la camicia.
“Non
se ne parla! Tu stai qui! Dobbiamo fare una cosa. E poi tra poco
andrà da lei Dan, è meglio che lasci fare a lui.”
“Che
cosa dobbiamo fare?” chiese, sconsolato, Thomas.
“Pensare
a cento modi per fare fuori Lucas Franchester e Mary Myers. Ovvio,
Thomas.” rispose Anne, con un ghigno sadico stampato in fronte.
Il
ragazzo si risedette e sbuffò: sarebbe stata una lunga serata,
anche se in compagnia di Anne non ci si annoiava mai.
“E
adesso dove te ne vai?” sbraitò Thomas, vedendola
scomparire in un baleno.
“C'è
una tizia che segue Aritmanzia con me che mi deve ancora dare il mio
quaderno! Glielo avevo prestato un mese fa. Torno in un attimo. Tu
stai lì, pensa a come farli fuori in modo lento e doloroso.
Non muoverti, che Beth potrebbe tornare!” gli gridò
dietro.
“Fantastico.”
mormorò Thomas, sbuffando, abbandonato a gambe incrociate sul
divano.
Dan
attraversava il salone con una lattina in mano, rapido.
Voleva
controllare che andasse tutto bene, a Beth non piacevano le feste ed
avevano stretto un tacito accordo per cui lui, dopo un po', avrebbe
ritagliato qualche momento per portarla lontano dalla confusione.
“Ehi
Anne, hai visto Beth? Non la trovo.” chiese Dan, vedendo
l'amica parlare con una ragazza di Tassorosso del loro anno senza che
Beth fosse nei paraggi.
“Credevo
fosse con Thomas. L'avevo lasciata con lui. Non sono insieme?”
gli rispose
“No,
Thomas è di là. Bè, grazie lo stesso. Sarà
qui attorno.”
Fece
il giro del piano terra, senza trovarla. D'un tratto alzò la
testa e vide una figurina dai capelli rossi seduta su un gradino
oltre il primo pianerottolo dello scalone che attraversava l'intero
salone.
Senza
esitazione salì le scale.
“Ehi,
Beth, va tutto bene? Perchè te ne stai seduta qui tutta sola?
E' una festa! Bisogna divertirsi!” strillò Dan,
inginocchiato di fronte a Beth, cercando di sovrastare il frastuono
della musica.
“Sì,
va tutto bene. Solo non ho voglia di venire di là. C'è
troppo casino.” gli rispose, alzando la testa e fissando il
cielo.
“Eddai!
Ci stiamo divertendo! Lucas ha imparato a fare il barman e i suoi
cocktail nel giro di queste due ore sono nettamente migliorati!”
“Ti
ho detto che non ne ho voglia. Tu vai pure a divertirti, ad
ubriacarti o a fare non so cosa.”ribadì, nuovamente
Elisabeth.
“Ma
che cos'hai oggi, Beth? E' tutto il giorno che sei strana!”
esclamò Dan.
“Che
cos'hai tu, Dan. Non che cosa ho io. Perchè non me l'hai
detto?” riuscì a dirgli, tra un singhiozzo e l'altro.
“Detto
cosa?” chiese Dan, sorseggiando la birra dalla lattina.
“Detto
cosa? Come detto cosa? Dei M.A.G.O, Dan! I M.A.G.O. e quell'assurda
bugia che hai detto ai tuoi! Diventare Indicibile! E io che ci ho
anche creduto, per Merlino! Ci ho anche creduto! Pensavo che ti fossi
finalmente dato degli obbiettivi, che avessi finalmente deciso di
combinare qualcosa! Io ero orgogliosa di te! Io mi fidavo di
te!”gridò Beth.
“Quindi
lo sai.” disse, semplicemente Dan, con amarezza.
“Sì,
ti ho sentito oggi mentre ne parlavi con Lucas e Thomas. Perchè
l'hai fatto, Dan? Perchè non me l'hai detto? Perchè ti
sei inventato tutto?”
“Io...
non volevo che lo sapessi così.” mormorò Daniel
“E
come dovevo saperlo? Quando pensavi di dirmelo? Ammesso che volessi
farlo.” osservò Beth, delusa.
“Senti,
non è come credi. Mi dispiace: ho fatto una boiata, lo so. Ma
sistemerò tutto. Davvero. Adesso, per favore torniamo di là.
Chissà cosa potrebbero pensare, se non ci vedono.”
riuscì a dire Dan, tra un sospiro e l'altro.
“Perchè
la prendi così? Ma non ti vergogni neanche un po', Dan? Non ti
vergogni neanche un po'? Sembra che questa festa sia la tua unica
ragione di vita!” lo aggredì, Beth
“Ormai
l'ho fatto!- le gridò in risposta, spalancando le braccia-L'ho
fatto e non ci posso fare niente. Troverò una soluzione, te lo
prometto, ma... bè, adesso non posso farci proprio nulla.
Quindi, tanto vale che mi diverta per stasera. Non credi?”
“Il
punto è che da come ti comporti mi sembra proprio che non te
ne importi nulla! Che fine hai fatto, Dan? Dove sei? Come è
possibile che tu sia così privo di obbiettivi?”
“Senti,
Beth, non siamo tutti come te. Io... io non lo so davvero cosa voglio
fare!- esclamò, in una risata amara- Non lo so e scusami se è
così! Ma non ci posso fare niente! Io non sono come te,
mettitelo in testa! Io non so di voler fare la giornalista dall'età
di dieci anni! Io sono io. Sono io, con la mia confusione ed i miei
sbagli e se non ti vado bene, non posso farci proprio niente!”
“Questo
non c'entra niente, Daniel. Non c'entra assolutamente nulla! Sono
arrabbiata perchè mi hai mentito. Hai mentito a me e ai tuoi
genitori. Hai mentito a tutti e sembra che non te ne importi niente.
Sembra che l'unica cosa importante sia questa festa!” gridò
Beth
“Sappi
che se l'ho fatto era solo per voi! Per non deludere nessuno!”
rispose Dan
“E'
troppo tardi. L'hai già fatto.” sentenziò Beth,
voltandogli le spalle.
“E
dove te ne vai ora?” le gridò dietro Dan,
raggiungendola in un balzo.
“Me
ne torno a casa.”
“Ma
non puoi farlo!” esclamò Dan, stringendole forte il
polso.”
“Questo
lo dici tu. E adesso lasciami, per favore. Mi stai facendo male.”
“Elisabeth...”
“Stai
tranquillo, non lo dirò a nessuno. Continua pure a mentire.
Non sarò certo io a fermarti.” gli sussurrò tra
le lacrime.
Dan
la guardò, sconcertato, senza quasi accorgersi della presenza
degli amici, giunti dopo aver sentito gli urli.
“Beth...
sistemerò tutto. Te lo prometto. Solo, fammi fare a modo mio.”
provò Dan, un' ultima volta.
“Ti
ho già detto che non sarò io ad impedirti di agire come
ti pare. E adesso, per favore, fammi andare via. Per favore, Dan,
fammi tornare a casa.”
Dan
lasciò immediatamente la presa, colpito da quegli occhi
imploranti.
Lasciò
andare la mano di Beth piano, come per poter accarezzare una alla
volta le sue dite.
La
guardò correre da Anne, che le circondò le spalle con
un braccio, lanciando un'occhiata sprezzante verso di lui.
Accanto
a lui si erano posizionati Thomas, alla sua sinistra e Lucas, alla
sua destra.
Si
voltò verso entrambi, sospirò e disse:
“Bene,
torniamo di là. Non vorrei che gli altri si accorgessero di
queste sceneggiate.”
“Ma
Dan forse dovresti provare a parlare ancora.” gli suggerì
Thomas, il quale aveva sospettato sin dall'inizio che finisse male.
“No.-
disse Dan, perentorio.- Ha capito quello che ha voluto capire. Non
posso spiegare nulla a chi non vuol sentire.”
“Dan...”
“Ti
ho detto di no, Thomas. E adesso andiamo.”
Thomas
scosse la testa, contrariato e non li seguì, preferendo
correre da Anne e Beth.
Lucas,
invece, non si trovava esattamente d'accordo con quello che aveva
fatto Dan.
Nella
sua ottica, Dan e Beth potevano battibeccare, non litigare
seriamente. Tuttavia nonostante volesse mettere il suo migliore amico
con le spalle al muro ed ordinargli di andare immediatamente da Beth,
non fece nulla.
“Dan,
forse, Thomas ha ragione...” riuscì a dire, infine.
“Non
ho voglia di parlarle adesso, Lucas, davvero. Per favore.”
“Come
vuoi. Ma prima o poi lo dovrai fare. Non la potrai evitare in
eterno.” gli fece notare.
“Per
stasera sì, però.”
“Dan...”
“Lucas,
dannazione, non ti ci mettere anche tu!” gli urlò
contro.
“Senti,
ti lascio in pace, però promettimi che domani andrai da lei.”
“Luke,
visto come tratti Anne sei l'ultimo che può venire a darmi
consigli. Quindi, io non dico a te che cosa fare e tu, per favore,
evita di dirlo a me.” precisò Daniel.
“D'accordo,
peccato che ora che Beth lo sa non potrai più fare come
avevamo pensato. Non potrai fingere di andare al colloquio e dire ai
tuoi che non ti hanno preso. Non puoi aveva ragione Thomas.”
andò avanti Lucas, facendo appello a quel barlume di senno
che, si diceva, ogni tanto veniva ospitato anche da lui.
“Lucas,
non ho intenzione di dire niente a nessuno. Si farà come ho
deciso. Sei con me?” gli chiese Dan.
Lucas
aveva un istante per rispondere e, nonostante tutto, non aveva
dubbi: gli aveva fatto presente che stava sbagliando, ma Dan avrebbe
agito comunque con la sua testa ed aveva già deciso. Non gli
restava altro da fare che sostenere quella decisione e aiutare Dan a
rimettere insieme tutti i pezzi in cui si sarebbe rotto.
“Sì.
Sono con te.” disse infine, aggiungendo, mentalmente, anche:
“Sono
con te. Fino alla fine. Se ti fai male, sarò lì a
ritirarti in piedi, stupido idiota cocciuto che non sei altro.”
“Mi
dispiace Beth.” le disse Anne.
“Tu
non c'entri nulla.”
“Vedrai,
si sistemerà tutto. Se solo Lucas e Thomas ce l'avessero
detto...”
“No,
hanno fatto bene. Hanno solo mantenuto la promessa di non farne
parola con nessuno.” la interruppe Beth.
“Vuoi
che andiamo un po' di sopra così ti sciacqui la faccia?”
le propose Anne
“No,
tranquilla. Vado a casa.”
“Sicura?”
“Sì,
voglio andare a casa.” ribadì Beth
“Come
vuoi. Scrivimi domani, ok?” si raccomandò Anne.
Beth
annuì e tirò fuori la bacchetta.
Desiderava
avere accanto suo fratello. Per un attimo pensò di andare da
lui: dopotutto, le aveva detto di correre a casa sua in qualunque
momento. Però, Beth sapeva che, se fosse andata da Harry,
difficilmente sarebbe riuscita ad evitare di raccontare cosa era
successo.
Non
voleva che qualcuno venisse a conoscenza della loro discussione e,
soprattutto, non voleva essere lei a rivelare che Dan si era
inventato tutto.
Doveva
essere lui a confessare all'intera famiglia che aveva mentito per
ottenere dei buoni voti agli esami.
E
poi... poi gli aveva promesso che non avrebbe detto niente.
Se,
invece, fosse tornata a casa avrebbe trovato sua madre e suo padre, i
quali avrebbero aspettato che si sentisse pronta a parlare.
Scelse
di tornare a casa e, mentre si stava Smaterializzando vide arrivare
Thomas e fece in tempo a leggergli il labiale.
“Mi
dispiace.”
Tra
le lacrime, gli sorrise: non era colpa sua. Si era solo comportato da
amico.
Elisabeth
si Smaterializzò direttamente nell' ingresso, senza passare
dal vialetto, come faceva di solito.
In
salotto le luci erano ancora accese, segno che i suoi genitori erano
ancora svegli.
James
comparve subito sullo stipite.
“Beth,
che cosa ci fai qui?”
“Elisabeth?”
chiese Lily, alzandosi dal divano e raggiungendo il marito.
“Ciao.”
sussurrò Beth, che tanto avrebbe voluto essere abbracciata e
rassicurata come quando era bambina ed aveva la certezza che davvero
le cose si sarebbero sistemate, se lo dicevano mamma e papà.
“Tutto
bene? Come mai sei tornata a casa?” chiese Lily avvicinandosi
“Qualcuno
sta male? Dobbiamo andare a casa di Dan?” domandò James,
figurandosi già la casa distrutta e una ventina di adolescenti
ubriachi.
“No,
no. Stanno tutti benissimo. Sono tornata perchè non mi sentivo
tanto bene.” mentì Beth.
“Vuoi
che ti prepari qualcosa? Una camomilla?” propose Lily, intuendo
che sua figlia desiderasse solo dormire.
“No,
mamma, tranquilla, vado a letto. Buonanotte.” disse in fretta,
salendo già i primi gradini.
“Elisabeth!”
chiamò James, facendola voltare.
“Sì,
papà?”
James
incrociò gli occhi di Lily, che gli intimarono di lasciarla
andare.
“Buonanotte.”
“Buonanotte
anche a voi, a domani.” sussurrò, in risposta.
“Lily,
che è successo?” chiese James alla moglie, qualche
minuto dopo.
“Non
lo so, so solo che è il caso di lasciarla da sola. Non serve
costringerla a parlare se non ne ha voglia.” gli rispose,
cauta.
“Qualcosa
mi dice che c'è di mezzo Dan.” aggiunse James, un po'
stizzito all'idea che avessero potuto litigare e chiedendosi cosa mai
avesse fatto Dan per ridurre in quello stato di totale apatia sua
figlia e pensando che, se Daniel avesse fatto qualcosa alla sua
Elisabeth, essere arrabbiati con il suo figlioccio fosse cosa buona,
giusta e doverosa.
“Lo
credo anch'io. Però, James, ci conviene aspettare che sia lei
a dirci qualcosa.” gli suggerì Lily, invitandolo a non
fare sciocchezze il giorno dopo, come, ad esempio, correre da Dan per
chiedergli cosa era successo.
Elisabeth
non aveva dormito affatto, quella notte. Si era girata e rigirata nel
letto, con la testa piena di troppi pensieri. Daniel, lei e Daniel, i
loro amici, la famiglia, Daniel ancora, lei stessa...
Aveva
preso sonno solo nelle prime ore del mattino, nonostante ormai non ci
sperasse più.
Quando
sentì delle voci dal pian terreno ed aprì gli occhi,
vide che diversi raggi di sole stavano filtrando attraverso la
finestra.
Doveva
essere già tardi.
Controllò
l'ora, erano le undici passate.
Fece
un respiro profondo, desiderando rintanarsi per molto tempo ancora
nel nulla del sonno, conscia però di doversi alzare.
Senza
nemmeno aprire le finestre ed ancora in pigiama, aprì la porta
della sua stanza.
“Ben
svegliata, principessa!” le sorrise suo padre, che la stava
aspettando in fondo alle scale.
“Buongiorno,
dormigliona! E' quasi ora di pranzo!” l'avvertì sua
madre, squadrandola, certa com'era che ci fosse qualcosa che non
andava, mentre entrava in cucina
“Ehilà
sorella!” esclamò Harry, alzando gli occhi dal giornale.
“Buongiorno
Elisabeth!”
“Harry,
Ginny che ci fate qui?” chiese, Beth, sorpresa.
“Abbiamo
una novità e l'intera famiglia deve saperlo!”spiegò
Harry
“Tra
poco arriveranno anche i miei.” aggiunse Ginny.
“Mi
ero dimenticata che oggi sareste venuti a pranzo. Se lo sapevo
evitavo di scendere così.” si scusò Beth,
imbarazzata, versandosi il caffè.
“Ma
tu non dovevi dormire da Dan, stanotte?” chiese Harry, che non
era stato messo al corrente del tempestivo arrivo di Beth a casa nel
cuore della notte.
Beth
lo fissò con occhi persi.
“Ho
scelto di tornare a casa.” spiegò, senza aggiungere
altro.
“Ah,
ok... vai da lui per sistemare, nel pomeriggio?” proseguì
Harry, che non vide le occhiate che lanciavano i genitori.
“No.
Ci sono già là gli altri.”
“Beth...
non avrete mica litigato?”
“No,
va tutto a meraviglia.” rispose, affondando la faccia nella
tazza.
Direi
che da questo capitolo inizia ufficialmente il “Romanzo di
Formazione” di Dan, passatemi il termine, anche se fa molto
Manzoni...
Spero
che vi sia piaciuto e spero che anche la scelta della futura dimora
di Harry e Ginny vi convinca. Se avete tempo, date un'occhiata qui:
http://www.mferri.com/wp-content/uploads/2008/07/london-orwell.jpg
potrete
vedere “concretamente” quale delle tante case di
Portobello Road ho scelto per loro, scoprendo, fra l'altro, che
sarebbe la casa di George Orwell (lo scrittore di 1984, tanto per
capirsi.)
E'
quella azzurro pastello, in mezzo.
Come
al solito, grazie a tutti e alla prossima.
Padfoot_07:
Grazie per i complimenti! A volte mi sorprendo anch'io di come siano
complicate le vite di questi ragazzi, sai? Ma del resto, da Dan
Black, cosa ti puoi aspettare? Hai visto, no? Ora, a voler fare di
testa sua, ha solo peggiorato le cose...
Sirius
non si è accorto di niente perchè era troppo
concentrato a figurarsi suo figlio che passeggia per l'Ufficio
Misteri... e poi, si sa, i papà sono sempre un po' più
lenti. Vedrai che presto, però anche lui farà la sua
parte.
PrincessMarauders:
grazie a tutte e tre! Dici bene a scrivere che, quando sapranno che
Dan desidera fare il musicista lo incoraggeranno, il problema sarò
proprio arrivare a quel momento!
Dan
farà parecchia fatica a confessarlo e, questa volta, non ci
sarà Beth al suo fianco!
Piaciuta
la parte ricavata apposta per Lucas?
Alohomora:Dan
sa che ha una famiglia meravigliosa e degli amici a cui appoggiarsi,
il suo problema è il voler fare sempre di testa propria. Non
vuole deludere nessuno, non vuole chiedere aiuto e il risultato è
che si caccia in pasticci peggiori... non saranno momenti semplici,
ma ne verrà fuori.
Thaleron:
la faccenda non si risolverà per niente in fretta, ma Dan
crescerà grazie a tutto questo e gli farà bene, in
fondo.
Per
quanto riguarda Anne e Lucas... eh, avranno ancora di che discutere,
anche perchè Lucas a lasciare Mary non ci pensa proprio.
Alexya379:
Sirius ed Hellen aiuteranno Dan come solo due genitori sanno fare,
anche se le tempeste si abbatteranno su casa Black, visti i molti
litigi... La famiglia di Anne è nata così, per caso,
spero di potervi raccontare qualcos'altro su di loro, anche se non ne
sono certa. Grazie anche a te!
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Capitolo 14 *** Conseguenze ***
Conseguenze
Dan
se ne stava comodamente stravaccato sul letto con la chitarra in
grembo: gli era venuta in mente una nuova canzone e stava cercando
delle parole da abbinare a quel motivetto che gli ronzava
continuamente in testa.
Era
stata una vera e propria tortura il non poterla mettere
immediatamente per iscritto come faceva di solito. Quella giornata a
Diagon Alley l'aveva distrutto, mentalmente.
Aveva
voluto andarci da solo, nonostante Lucas gli avesse più volte
proposto di accompagnarlo.
Voleva
andarci da solo. Non aveva senso costringere Lucas a bighellonare con
lui per delle ore a Diagon Alley, come se stesse attendendo chissà
cosa, come se avesse avuto qualche motivo per andare a Diagon Alley.
Ancora
qualche giorno e tutto sarebbe finito: avrebbe detto ai suoi genitori
che non l'avevano preso.
Nessuno
gliene avrebbe fatta una colpa: né sua madre, né suo
padre, nemmeno James o Lily o Harry o Remus, nemmeno Tonks.
Beth
avrebbe capito che non aveva nulla di cui preoccuparsi e che, alla
fine, Dan aveva fatto bene a fare di testa sua. Sì, ancora
qualche giorno e avrebbero ripreso a parlarsi, ne era certo.
Si
sarebbe presentato a Godric's Hollow per pranzo e, complice l'intera
famiglia Potter, tra lui e Beth si sarebbe sistemato tutto.
Non
esisteva proprio che lei fosse arrabbiata con lui: prima di tutto
perchè avrebbe dovuto comprendere le ragioni che l'avevano
spinto a comportarsi in quel modo e poi... poi aveva un sacco di cose
da dirle, ancora.
“Dan!
Scendi a darmi una mano con la cena! Tuo padre ha appena mandato un
Patronus, sta per tornare!”
La
voce di sua madre arrivò a distoglierlo dai suoi pensieri: da
quando erano tornati dalla Francia i suoi genitori erano molto più
rilassati, persino nei suoi confronti. Che avessero acquistato
fiducia in lui, dal momento che Orchard House aveva retto
magnificamente l'orda di diciottenni indemoniati?
“Arrivo,
un attimo!” gridò a sua volta, riuscendo a farsi sentire
in cucina, al piano di sotto.
Era
evidente che avesse ereditato la corde vocali di Hellen. Era una
fortuna che, invece, cantando la sua voce divenisse pastosa come
quella di Sirius.
“Ti
avviso, il mio attimo dura pochi secondi, non mezz'ora!”
Sbruffò
ed abbandonò la chitarra sul letto.
“Arrivo!
Arrivo!” rispose, facendo sbattere la porta dietro di sé.
Scese
in cucina e, un'eloquente occhiata di Hellen gli fece capire che era
il caso che apparecchiasse.
Nonostante
fosse maggiorenne da un anno, aprì il cassetto delle tovaglie
prendendone una pulita da distendere sul tavolo.
Gli
era passata in fretta la voglia di usare la magia qualunque cosa
facesse. Aveva avuto ragione Remus, a dirgli che, per tante cose, è
quasi più semplice e veloce fare da sé, piuttosto che
agitare una bacchetta.
Sentirono
sbattere la porta d'ingresso.
“Sirius,
accidenti, non ti ci mettere anche tu! C'è già Dan che
non ha ancora capito la differenza tra chiudere una porta e
sbatterla!” esclamò, Hellen, esasperata, andando
incontro al marito.
“Va
tutto bene? Cos'è quella faccia?” chiese Hellen, notando
immediatamente l'espressione cupa di Sirius.
“No.
Non va per niente bene. Dov'è Dan?” replicò
Sirius, senza fornire ulteriori spiegazioni.
“E'
in cucina, sta apparecchiando. Ma cosa è successo, Sirius?”
domandò, allarmata.
“Credo
che Dan ci debba parecchie spiegazioni.” disse Sirius,
avviandosi verso la cucina con la moglie che continuava a non capire
al suo seguito.
“Ehi
papà! Sei già a casa! Bè, meglio, così
mangiamo prima e poi vado da Lucas.” salutò Dan, posando
l'ultimo piatto.
“Credo
che stasera tu non andrai da Lucas, Dan. Siediti, per favore.”
proseguì Sirius.
Dan
incrociò gli occhi del padre e capì che lui sapeva.
Era
al corrente di tutto.
Abbassò
la testa. Non riusciva a proseguire il contatto, non riusciva a
reggere la delusione e il rammarico negli occhi del padre.
In
silenzio, si sedette.
Hellen
li guardò, agitata. Non riusciva a capire cosa fosse successo.
Cosa poteva aver mai combinato Dan? Dopo il grave incidente in moto
dell'anno prima non aveva più combinato niente . Nonostante le
incertezze e i dubbi degli ultimi mesi, sembrava aver messo la testa
a posto, come confermavano i suoi M.A.G.O. e l'intenzione di
diventare Indicibile
“Che
cosa è successo?” chiese, per l'ennesima volta,
scostando la sedia dal tavolo e prendendo posto, incurante e
dimentica della carne nel forno.
“E'
successo che Daniel ha qualcosa da raccontarci. Non è vero?”
fece Sirius, rabbioso. Mai avrebbe creduto di essere così
deluso da Dan. Avevano cercato di insegnagli ad essere sincero,
tenace, sicuro delle sue convinzioni e disposto a portarle avanti,
qualsiasi conseguenza esse portassero.
Dan
era riuscito a scardinare e ad ignorare tutto quello che avevano
tentato di trasmettergli.
Era
sempre stato una testa calda, uno che voleva avere ragione, ad ogni
costo, uno che negava, anche di fronte all'evidenza. Era sempre stato
impulsivo, testardo.
Era
sempre stato introverso sino all'eccesso, ma perchè, perchè
per una volta, una sola, non era riuscito a parlarne?
“Mi
stai chiedendo di pentirmi di quello che ho fatto? Se è così
non lo farò. L'ho fatto per voi. Mi dispiace che sia andata a
finire male, non doveva finire così. Sappiate però che
l'ho fatto per voi.”
disse
Dan, irritato, giocando col tappo della bottiglia.
Hellen
posò gli occhi sul figlio: se stava seduto scomposto, con le
gambe distese in avanti, la sedia in obliquo e la schiena storta.
Aveva un orribile sguardo strafottente che rivolgeva ad entrambi i
genitori.
Sirius
era molto arrabbiato, era deluso. Si vedeva, ma per quale motivo
nessuno si azzardava a spiegarle cosa fosse successo?
Allungò
la mano, a cercare quella del figlio. La prese nella sua e gli cercò
gli occhi.
“Dan,
mi spieghi cosa è successo? Prometto che non ti giudicherò.
Dimmi solo cosa hai fatto. Sono certa che si sistemerà tutto.”
Dan
alzò gli occhi per una frazione di secondo: giusto il tempo di
incontrare quelli chiari di sua madre e, ancora una volta, dovette
abbassare la testa.
Sostenere
lo sguardo di sua madre era ancora più difficile che
affrontare quello di suo padre: in tutti quegli anni di grane ai suoi
genitori ne aveva date parecchie e, quando le cose si mettevano male,
quando non si trattava di semplici ragazzate, quando suo padre si
arrabbiava sul serio, era sempre stata sua madre a far da mediatore,
a cercare di sistemare le cose, a parlare con ciascuno dei “suoi
due uomini testoni” perchè provassero a ricostruire
quello che l'esuberanza di un ragazzo e le urla di un padre
sembravano aver distrutto.
Era
buffo, se ci pensava, che proprio colei che si mostrava così
insofferente a certi suoi atteggiamenti, colei che sarebbe stata in
grado di rimproverarlo anche se decideva di aprire una finestra che a
parer suo doveva rimanere chiusa, fosse proprio quella che riuscisse
sempre a schierarsi in sua difesa.
“Non
se questa volta si sistemerà tutto così facilmente,
Hellen.” grugnì Sirius, dall'altro capo del tavolo.
“Lascia
che ci giunga da sola a questa conclusione, Sirius.- gli rispose,
senza giri di parole- E adesso, per favore, Daniel, spiegami quello
che è successo.”
“Potresti
fartelo spiegare da papà, visto che ha già emesso la
sua sentenza.” rise amaramente Dan.
Sirius
lo guardò, truce.
“Abbi
almeno il coraggio di assumerti le tue responsabilità, Daniel,
visto che dichiari di non essere pentito.”
“Ti
diverte così tanto? Avanti, dillo che ti vergogni di me!”
lo provocò Dan, irriverente.
“Sì,
mi vergogno di te. Mi vergogno perchè mi hai deluso. Mi
vergogno, perchè credevo di essere riuscito ad insegnarti
qualcosa. Mi vergogno perchè pensavo che avessi qualcosa in
quella testa e, invece, mi sono accorto che sei solo un ragazzino
viziato, abituato ad essere sempre scusato per qualsiasi cosa, sempre
abituato a fare quello che gli pare e piace, senza pensare alle
conseguenze perchè, tanto, c'è sempre qualcuno che
sistema le cose al posto tuo, non è vero Dan? Perchè,
tanto, se anche l'anno scorso fossi riuscito ad ammazzare Lucas con
quella moto, ci sarei stato io a sistemare tutto, vero? Perchè,
tanto c'ero io ad arrivare dall'altra parte del Paese nel cuore della
notte per venire a recuperare te e quegli squinternati dei tuoi amici
che eravate troppo ubriachi per tornare a casa e troppo gonfi di
lividi per agitare una bacchetta dopo una rissa, giusto? Perchè
tanto c'era James o c'era Remus pronto ad accoglierti in casa sua, in
attesa che io sbollissi la rabbia, giusto Dan?” urlò
Sirius, senza riuscire a trattenere l'irritazione.
Dan
scattò in piedi e gridò, più forte del padre:
“Non
mettere in mezzo quell'incidente! Non ci provare! Lo sai benissimo
che cosa ho passato! Lo sai con che rimorsi ho convissuto! Lo sai
anche tu come stavo! Se Lucas fosse morto... lo sai come stavo! Eri
lì, eri lì con me! Come puoi non capire, papà!
Come puoi non capire che l'ho fatto per voi! Per dimostrarvi che ero
anch'io in grado di fare qualcosa!”
“E
mi dimostri che sei in grado di fare qualcosa mentendomi? Dicendo che
vorresti fare l'Indicibile per stupirmi e poi non presentandoti
nemmeno al colloquio? Bel modo di meritare rispetto, Dan.
Complimenti, davvero! Ho cercato di darti poche regole, in questi
anni, convinto che non ne servissero troppe se mio figlio fosse stato
onesto, giusto e pronto ad assumersi le sue responsabilità.
Evidentemente ho sbagliato, perchè non ti meriti affatto la
fiducia che ti ho concesso.” constatò Sirius,
amareggiato.
“Sirius,
basta urlare! E tu, Dan, calmati, per favore!- intervenne Hellen,
decisa- Sono certa che si sistemerà tutto: non è
successo niente. Non è una tragedia se Dan non vuole fare
l'Indicibile.” disse, rivolta al marito.
“Non
è questione di Indicibile o di Auror o di non so che altro. E'
una questione di fiducia, Hellen. Una questione di fiducia.”
ribadì Sirius.
“Piuttosto-
riprese la moglie, come se non avesse sentito- vorrei capire per
quale motivo ci hai mentito, Daniel. Ti abbiamo forse fatto qualche
pressione?”
“Se
mi avete fatto pressioni? Se mi avete fatto pressioni?- chiese
retoricamente Dan- Certo che me ne avete fatte! Tutti i genitori ne
fanno, seppur inconsapevolmente! E' che io vorrei fare davvero
qualcosa per voi! Vorrei dimostrarvi che me la so cavare da solo, che
so cosa voglio, che riesco anch'io a combinare qualcosa di buono!”
“Daniel...-iniziò
Hellen- tu sei un ragazzo pieno di qualità. Ci hai sempre reso
fieri di te. Scusami se non te l'ho mai dimostrato sino in fondo, ma
io sono orgogliosa di te. Lo sono sempre stata, persino ogni volta
che ricevevo una lettera della McGranitt.” sorrise in direzione
del ragazzo seduto alla sua sinistra.
Sirius
non parlava: non aveva più parole. Non sapeva più che
dire.
“Non
credo che sarai così orgogliosa di me, se ti dicessi che mi
sono inventato questa storia dell'Indicibile durante i M.A.G.O., solo
per evitare di passare un altro anno ad Hogwarts in allegria...”
osservò Dan, disilluso.
“Tu
hai fatto cosa?” chiese a bruciapelo Hellen.
“Che
cosa?” gridò Sirius
“Ho
inventato tutto: mi sono inventato questa storia dell' Indicibile per
superare gli esami. Mi avrebbero bocciato, altrimenti. Non sapevo che
Hagrid avrebbe avuto l'idea geniale di venire a dirvelo, non
immaginavo che ci fossero tutte queste conseguenze, va bene? Non
volevo. E'... successo e basta.” spiegò Dan, cercando di
non urlare. Già stavano urlando i suoi genitori, non voleva
mettercisi anche lui.
“Non
è successo e basta, Daniel, è successo perchè tu
hai lasciato che succedesse. Niente accade da solo.” precisò
Hellen, dura, e, per la prima volta in quella sera, con un tremito di
delusione nella voce.
“ Lo
vedi qual è il tuo problema? Che non pensi alle conseguenze!
Che fai le cose così, tanto per fare!” esclamò
Sirius
“Non
faccio le cose così tanto per fare, papà! Nel caso non
l'avessi capito, nel caso non l'aveste capito, ho mentito per poter
portare a casa dei voti decenti per voi! L'ho fatto per voi,
maledizione! Non me ne importava nulla della scuola, ma sapevo che
importava a voi! Ho mentito che perchè ero convinto che fosse
la soluzione migliore per non deludervi! Avrebbe dovuto restare un
segreto, questa storia dell'Indicibile, non immaginavo che Hagrid ve
lo dicesse!” sbottò Dan, gridando anche lui, questa
volta.
Sirius
fece per intervenire, ma Hellen lo batté sul tempo, riuscendo
anche, nel frattempo, a togliere la carne dal forno.
“Daniel,
non ti è passato per la testa nemmeno per un istante che sei
nostro figlio e che, voti eccellenti o meno, lo saresti sempre stato?
C'era bisogno di tutte queste bugie? C'era bisogno di tutti questi
sotterfugi?” chiese, riportando la voce ad un tono più
basso e più materno.
“Se
non mi aveste fatto tutte queste pressioni forse le cose sarebbero
andate diversamente! Se non mi aveste sempre fatto sentire inferiore
perchè non ero motivato come Harry o diligente come Beth non
sarebbe successo niente!” strillò Dan, fuori di sé
dalla rabbia: perchè non capivano? Perchè non si
rendevano conto che era colpa loro? Perchè non riuscivano a
comprendere di aver riposto troppe aspettative in lui, che era solo
un ragazzo di diciotto anni, che si sentiva capace solo di suonare la
chitarra?
“Cresci,
Dan, cresci, dannazione! Non ci sei solo tu a questo mondo! La vita
non è Hogwarts, la vita non è semplice, la vita prevede
una continua lotta con te stesso, ogni giorno! Non si può
sempre pensare di andare avanti con bugie scorciatoie, Daniel. Non si
può ed è ora che tu lo capisca!”
“Crescere?
Non fate che ripetermelo, da anni, e se avete ottenuto l'effetto
opposto forse è il caso che vi facciate qualche domanda!”
disse Dan, amaramente, allontanandosi dalla stanza.
“Dove
stai andando? Torna qui!” lo apostrofò Sirius
“Non
ha senso continuare a discutere perchè come al solito non
capite mai niente!”
“Spiegacelo,
allora, Daniel, ma non andartene via così! Io non ho mai
preteso che tu fossi come Harry o Beth.” propose Hellen,
parlando più a se stessa che non al ragazzo che era ormai
scomparso dalla sua vista.
Dan
salì le scale di corsa, percorse il lungo e buio corridoio del
primo piano ed entrò in camera sua.
Aprì
l'armadio e prese il vecchio zaino di tela che usava per i campeggi.
Lo riempì con un assemblaggio casuale di pantaloni, magliette,
felpe.
Aprì
il cassetto del comò in cui i suoi spartiti stavano chiusi, al
sicuro da occhi e mani indiscrete ed afferrò la chitarra: se
doveva andarsene era il caso che sapessero che non avrebbe lasciato
loro in custodia i suoi averi più preziosi.
Attraversò
la stanza buia a grandi falcate, spalancò la porta e la sentì
sbattere dietro di sé.
Uscì,
senza gettare nemmeno un'occhiata alle fotografie sul comodino. Senza
voler ritornare con la memoria a quei giorni lontani e felici in cui
giocare a Quidditch, scherzare con gli amici e divertirsi con le
ragazze lo faceva sentire bene.
Tornò
al piano di sotto saltando i gradini e nell'attraversare l'ingresso
si limitò a fissare per un istante infinito sua madre che lo
osservava dallo stipite della porta della cucina.
Quando
Sirius sentì la porta di casa chiudersi dietro alle spalle del
figlio seppe che Dan non sarebbe tornato a casa quella sera.
Era
una sera d'estate come tante: una di quelle in cui l'aria non vuole
farsi sentire, lasciando al suo posto l'afa torrida ed incolore.
La
motocicletta sfrecciava sull'asfalto, schivando un'auto via l'altra e
lasciando, incurante, che gli automobilisti lanciassero improperi
contro al suo centauro.
Daniel
maneggiava con abilità il manubrio e l'esperienza accumulata
gli consentiva di lasciare che le mani guidassero da sole, liberando
la mente dalla preoccupazione della strada e concedendole di
imbattersi in altri pensieri.
Aveva
diciotto anni. Fino all'anno prima si sarebbe considerato adulto: del
resto, non era sempre stato lui quello che diceva che, una volta
finita Hogwarts, avrebbe levato le tende e sarebbe andato a vivere da
solo?
In
quel momento diciotto anni gli sembravano così pochi... forse
aveva ragione suo padre a dirgli che non era in grado di cavarsela da
solo, di assumersi le sue responsabilità.
No,
lui era capace di badare a se stesso. Ne era più che capace e
l'avrebbe dimostrato a tutti.
Non
era colpa sua, se se n'era andato: l'avevano spinto loro a fuggire.
Loro con le assurde aspettative che riponevano in lui.
Possibile
che non si fossero resi conto di quanto fosse complicato per lui?
Possibile che non si fossero resi conto di quanto fosse difficile
crescere all'ombra di un uomo come suo padre, popolare, famoso, eroe
di guerra? Possibile che sua madre non fosse riuscita a vedere al di
là dei suoi ordinari momenti di follia?
Possibile
che nessuno, nessuno gli avesse mai detto : “ Bravo Dan, mi
piace quella canzone! Dovresti provare con la musica, se è
quello che desideri!”
"Ed
ora, avanti, campione, suonami qualcosa."
"Sù,
una canzone che ti va di suonare, una qualsiasi."
Papà...
“Daniel,
sempre con quella chitarra in mano! Ha fatto miracoli su di te, in
questi anni! E pensare che da bambino detestavi cantare!”
“Some
are like water, some are like the heat Some are a melody and some
are...
The beat, Daniel.
L'irruenza dell'acqua, il calore del fuoco, la dolcezza della melodia
e il ritmo che segue lo scrosciare dell'acqua, il crepitare del fuoco
e che sostiene la melodia.”
Mamma...
La
motocicletta curvò a destra, trascinata dalla forza
dell'abitudine e si fermò nell'angolo destro della villetta.
Cawood,
come suggeriva il nome, era un borgo di poche anime.
Niente
di meglio per una famiglia di maghi in incognito.
“Basta
pensarci.”
Dan
scese dalla moto e si tolse il casco, abbandonandolo sulla sella.
Si
mise lo zaino in spalla e risalì la strada fin verso la porta.
Bussò.
“Vado
io! Sarà Dan, mamma!” esclamò una voce giovane.
La
voce di Lucas, l'avrebbe riconosciuta tra mille.
“Eccoti
finalmente! Ti aspettavo come minimo un'ora fa!” Lucas lo
accolse in casa, accorgendosi solo in un secondo tempo dello zaino
che Dan portava in spalla.
“Mamma!-
urlò di nuovo, alla strega comparsa a pochi metri da lui- Dan
si ferma qua a dormire. E' un problema?”
“Se
disturbo, signora, lasci perdere.” aggiunse Dan, educato.
“Sciocchezze!
Lucas è stato da te per un po'. E' giusto ricambiare. Preparo
la camera degli ospiti.” gli sorrise, incoraggiante, sparendo
via in un battibaleno.
“Vieni
su.- gli disse Lucas, facendogli strada per le scale- Così mi
racconti.”
“Lucas,
grazie.” sussurrò Dan.
“Figurati.
Sono qui per questo.” gli rispose, già nascosto dalle
pieghe della scala a chiocciola.
L'aveva
promesso: quando il mondo gli sarebbe crollato addosso, lui sarebbe
stato lì e l'avrebbe aiutato a ricostruirlo.
Nonostante
fosse stato quello stesso idiota cocciuto a distruggerlo.
Il
soggiorno di Orchard House era completamente al buio, se non fosse
stato per la tenue luce che emanava il lume ad olio. Una sagoma stava
ritta in piedi di fronte al vetro della grande finestra che dava sul
giardino.
Hellen
Black fissava il prato oltre al vetro con le braccia incrociate sotto
al petto.
“Hellen.”
bisbigliò la voce di suo marito, alzatosi dal letto per
riportarla da lui.
“Cosa
fai?” chiese avvicinandosi in silenzio, con i piedi nudi a
contatto col parquet.
“Aspetto
che torni.” gli rispose, atona, senza distogliere lo sguardo
dal prato.
Sirius
si avvicinò ancora e posò una mano sulla spalla ossuta
della moglie, scostandole dolcemente i capelli biondi.
“Non
tornerà. Non stanotte, almeno.”le sussurrò.
Dan
non sarebbe tornato. Non quella notte e, lui lo sapeva, non per
qualche tempo.
Una
parte di lui gli diceva che gli avrebbe fatto bene, che non doveva
preoccuparsi, perchè suo figlio sarebbe tornato più
forte di prima.
Un'altra,
però, gli suggeriva, maligna, che, in fondo, lui di progressi
da quell'estate del 1975 quando aveva sentito chiudersi per sempre la
porta di Grimmauld Place dietro di lui, non ne aveva fatti. Non era
stato in grado di impedire a suo figlio di andarsene. Non era stato
in grado di aiutare Daniel a capire cosa volesse da se stesso.
“Se
dovesse tornare io voglio essere qui.” disse Hellen, affondando
completamente il viso nel torace di Sirius, capace soltanto di
accarezzarle i capelli.
Eccomi
qui, con il solito ritardo (dovuto ai motivi più disparati).
Spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento. Non compare
nessun altro personaggio al di fuori di Dan e della sua famiglia
perchè questo momento doveva essere dedicato a loro e basta.
Vi
ringrazio tutti quanti: siete tantissimi e non posso che essere
felice del successo.
Voglio
precisare meglio alcune questioni che ho notato nelle recensioni:
facciamo un'unica risposta, ok?
Per
quanto riguarda Lucas, va detto che Lucas è quell'amico che ti
dice che sei un idiota, che stai sbagliando, che non hai capito
niente, che sa che ti spaccherai la testa, ma che è lì,
nonostante tutto perchè sa di non poterci fare niente. Perchè
tanto, i consigli non li segui, ma vuoi fare di testa tua.
Ti
romperai in tanti pezzi, ma lui sarà lì, consapevole di
quale deve essere il suo posto.
Avete
ragione a dire che Dan se le cerca. Ma non è mai semplice per
nessuno avere diciotto anni.
Spero
di aver esaurito una parte delle vostre curiosità sul
comportamento Dan in questo capitolo e spero che lo riusciate ad
amare visceralmente come lo amo io proprio per tutti questi suoi
casini e difetti e sbagli e scivoloni....
Le
novità sul fronte Dan Beth ci saranno tra un bel po':
entrambi devono riordinare le idee.
Entrambi
(Beth soprattutto) devono rendersi conto di non dover vivere in
funzione dell'altro, ma, in primis, per se stessi. Beth dovrà
recuperare tutte quelle cose che ha accantonato: solo così
potrà essere felice con Dan.
La
loro sarà una storia lunga, così come sarà lunga
la storia di Anne e di Lucas, la storia di un'amicizia che profuma
d'amore, anche se nessuno dei due l'ha ancora capito. Anche se, per
il momento, Lucas è più attratto dai capelli vaporosi
di Mary che dalla creatività di Anne, la sorella che gli
manca.
Spero
che avrete la pazienza di seguirmi sino in fondo: non ho idea di
quando riuscirò a finire di raccontarvi questa storia.
Grazie
ancora, Alohomora, Thaleron, Princess Marauders, Padfoot_07,
Alexya379, Leila, Emanuela e sorella di Thaleron, di cui,
purtroppo, non so il nome.
Grazie
anche a Bellis, che ha seguito la discussione di casa Black
in tempo reale.
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Capitolo 15 *** Alla ricerca di un rifugio dai propri pensieri ***
Alla
ricerca di un rifugio dai propri pensieri
GODRIC' S HOLLOW
Erano passati due giorni dalla fuga di
Dan.
L'ansia cresceva di minuto in minuto,
dal momento che nessuno sapeva dove fosse: Sirius, James e Remus
avevano ipotizzato che si trovasse da Lucas, ma nessuno poteva averne
la certezza.
Nessuno poteva sapere cosa gli passasse
per la testa.
Harry e Ron avevano fatto in modo che
ci fosse sempre qualcuno a casa loro, qualcuno che potesse accogliere
Dan, qualora decidesse di presentarsi alla sua porta.
Lily faceva continuamente spola tra
casa sua e Orchard House e James nelle ultime quarantotto ore ne
aveva trascorse almeno trenta in ufficio: aveva insistito perchè
Sirius rimanesse a casa.
Elisabeth non aveva parlato con nessuno
dell'ultima discussione che aveva avuto con Daniel, la settimana
prima.
Tuttavia, appena aveva saputo che
Daniel era scappato, non aveva potuto fare a meno di pensare che, in
fondo, fosse anche colpa sua.
“Mamma,
ho paura che sia anche colpa mia.” mormorò Beth,
avanzando, piano dall'ingresso e raggiungendo i genitori in cucina.
James
alzò la testa, di scatto e Lily invitò la figlia a
sedersi accanto a lei.
“Sai
qualcosa, Beth?” chiese James.
“No,
no. Non so niente. So solo che, quando Dan mi ha raccontato quello
che aveva fatto abbiamo litigato. Forse non avrei dovuto aggredirlo
così, anche se se l'è cercata.” confessò
Beth.
Lily
la invitò a proseguire e James fissò gli occhi sulla
figlia.
“Abbiamo
litigato: non ero d'accordo con quello che aveva fatto e che aveva
intenzione di fare. Non avrei mai pensato che arrivasse a scappare
via. Mai. Sembrava così sicuro di sé e di quello che
aveva deciso. Aveva discusso persino con Thomas e Lucas, che non lo
appoggiavano. Soprattutto Thomas. Poi non l'ho più visto...
forse, se non l'avessi giudicato, se non mi fossi arrabbiata, magari
avrei potuto aiutarlo.” proseguì Beth, accorata.
“Beth,
non è colpa tua. Sai benissimo che Dan sarebbe fuggito
comunque.” la contraddisse Lily.
“Ma
magari oggi sarebbe qui...” ipotizzò Beth.
“No,
non sarebbe qui. Sarebbe esattamente nel posto in cui è ora.”
la smentì James, che, come Sirius, era del parere che Dan
avesse bisogno di schiarirsi le idee da solo, per un po'.
Certo,
questo non implicava lo sparire senza far avere sue notizie.
Elisabeth
si alzò, consapevole di non avere altro da dire e ritornò
in camera sua, sentendosi gli occhi dei genitori addosso.
Si
sedette sul letto e, fissando il muro, tornò ai propri
pensieri: aveva ragione lei. Dan aveva sbagliato, si era comportato
male, l'aveva delusa. Ma, forse, se non avessero litigato, lui si
sarebbe confidato con lei, le avrebbe rivelato cosa lo preoccupava.
Avrebbero
trovato una soluzione, insieme, come avevano sempre fatto.
Ma
quanto tempo era che non trovavano una soluzione insieme?
Quanto
tempo era che avevano superato la fase di semplice amicizia, di
complicità infantile, per diventare l'uno il sostegno
dell'altro?
Stava
davvero cambiando tutto?
“Dan...
torna a casa...” sussurrò a se stessa, fissando
insistentemente la fotografia animata di due bambini che non potevano
avere più di sette anni.
Si
abbracciavano e salutavano felici l'obbiettivo: sembravano così
lontani quei giorni, quando era tutto molto più semplice.
CAWOOD,
CASA FRANCHESTER
“Daniél,
ti fermi da noi anche questa sera?” chiese la signora
Franchester, passando in cucina ed osservando i due ragazzi fare
colazione.
Lucas
con una tazza di cereali più grossa di lui e Dan con qualche
toast cosparso di marmellata di more.
“Oh,
maman, c' est Dàniel non Danièl!” sbottò
Lucas, inghiottendo una cucchiaiata di cereali.
Cécile
Franchester, nonostante fossero ormai quasi trent'anni che viveva in
Gran Bretagna, di tanto in tanto mostrava ancora qualche difficoltà
con la lingua.
“Excuse
moi, Danièl! Non ho ancora ben imparato la pronuncia di tutti
i nomi.” sorrise la strega.
“Non
si preoccupi. Non è certo un problema. E comunque, parla bene
l'inglese!” disse Daniel, che, in fondo, trovava divertente la
storpiatura del nome.
“Non
hai imparato ancora bene la pronuncia di tutti i nomi? Ma se sono
quasi diciotto anni che ti ostini a chiamarmi Lucàs!”
esclamò Lucas, beccandosi uno scappellotto sulla testa.
“E'
diverso, Lucàs! Per te e tuo fratello scegliemmo due nomi che
fossero uguali en anglais et en francais!” esclamò la
strega, che, Dan notò per la prima volta, scuoteva la testa
esprimendo dissenso esattamente come faceva Lucas.
“Quel
dommage! En anglaise sont Lùcas et Bènjamin! En
francais sont Lucàs et Benjamìn!” esclamò
Lucas, il quale non mancava mai di sottolineare come il suo nome
fosse Lùcas. Del resto, aveva sempre vissuto in Gran Bretagna,
in Francia ci era stato solo per far visita a dei parenti, cosa aveva
da spartire con quell'assurda lingua?
Lui
si sentiva Inglese fino al midollo.
“Oh
Lucàs, hai proprio la testa dura! Tuo fratello non ha mai
fatto tutte queste storie!” rise la signora Franchester.
“Benjamin
è... amorfo quando si tratta di queste cose,ce n'est pas? Io
sono Inglese! ” precisò Lucas, sempre più
contrariato.
“Se
sei così inglese, smettila di parlare francese, non trovi?”
lo zittì Dan, ridendo.
“Ben
detto, Dàniel! Almeno qualcuno che lo riesce a far star zitto,
una buona volta!- sorrise la signora Franchester- Allora fatemi
sapere se ti fermi anche questa notte! Io vado a Diagon Alley,
intanto!” li avvertì, allontanandosi.
“Complimenti
per la pronuncia, madame!” le gridò dietro Daniel.
“Merci
Danièl!”
“Idiota!”
lo prese in giro Lucas.
“Mai
quanto te, Lucàs!” sghignazzò Daniel.
“Chiamami
in quel modo ridicolo ancora una volta e giuro che ti ammazzo!”
si offese Lucas.
“Come
vuoi, Lucàs!” ghignò Dan
Lucas
sbruffò ed affondò la testa nella tazza: presi insieme
sua madre e Dan erano peggio del vaiolo di drago.
Qualche
ora più tardi Lucas e Dan si erano rinchiusi nella stanza di
Lucas. Era un ambiente davvero suggestivo, dato che si trattava di
una mansarda, ma faceva davvero caldo.
Dan
era accovacciato sul pavimento con la chitarra in grembo e Lucas
stava alla scrivania a controllare uno per uno i suoi libri di
scuola, confrontandoli con la lista che era appena arrivata.
“No,
accidenti, io quindici falci per Trasfigurazione Avanzata volume III
non le spendo! Men che meno ne butto via otto in “Utile
dispensa per Pozionisti Imbranati”!”
“Ti
do i miei libri: tanto sono sempre quelli. Comunque la dispensa è
una roba utile: ero anch'io scettico, ma contiene tutti i riassunti
degli intrugli più difficili che abbiamo studiato.”
commentò Dan, stupito dal fatto che Lucas fosse così
interessato ai libri. Di solito, prima del venticinque agosto non se
ne preoccupava, con la conseguenza di dover correre a Diagon Alley ad
implorare il gestore del Ghirigoro di prenotargli i libri e
spedirglieli direttamente a scuola.
In
realtà Lucas cercava di tenersi occupato: erano due giorni
ormai che Dan stava da lui.
Dopo
lo sfogo iniziale in cui Dan gli aveva raccontato del violento
litigio con i suoi genitori, non avevano più toccato
l'argomento.
Lucas
non sapeva da che parte iniziare per ritornarci sopra ed era ben
consapevole del fatto che non si poteva forzare nessuno a parlare.
Checchè
ne dicesse, Dan stava male. Si vedeva che soffriva, che si sentiva
perso e spaesato. Per chi lo conosceva bene come lui, non era
difficile leggergli il vuoto negli occhi, se n'era accorto sin da
quando aveva spalancato la porta e si era trovato davanti l'amico.
In
più, Lucas era cosciente di non essere la persona adatta a
dare buoni consigli, l'unica cosa che sapeva fare era esserci.
Esserci e basta. L'aveva promesso, lui ci sarebbe stato.
Come
se non bastasse Thomas aveva avuto l'idea geniale di andare a trovare
la nonna a Belfast.
Gli
aveva spedito un gufo, al quale, ovviamente, Thomas non aveva
risposto: non era difficile da immaginare il motivo. Sicuramente
un'anziana signora Babbana non era abituata a vedere gufi
spennacchiati beccare i vetri per consegnare la posta a suo nipote.
“Luke,
hanno suonato.” lo avvertì Dan, dato che sembrava non
aver sentito.
Lucas
si alzò e scese velocemente le scale, precipitandosi al piano
di sotto.
Che
Thomas avesse deciso di rendersi utile anziché starsene in
Irlanda a pascolare le capre?
“Porco
Bolide, Thomas! Per fortuna che sei arrivato!” esclamò,
abbracciando quasi l'amico.
“Sì,
sì sono contento anch'io di essere qui. Sono appena tornato ed
ho inventato una scusa assurda per mollare i miei a casa a disfare i
bagagli da soli. Lui dov'è?”
“Di
sopra.”
“Come
sta?” mormorò, piano, Thomas. Era chiaro che nessuno dei
due volesse farsi sentire.
“E'
a terra. Hai presente come stava quando l'anno scorso abbiamo perso
la Coppa del Quidditch?”
Thomas
aggrottò le sopracciglia: per quale dannatissimo motivo Lucas
doveva mettersi a fare paragoni idioti anche quando si trattava di
cose serie?
“Sì.”
disse, aspettandosi la frase successiva.
“Ecco,
peggio!” esclamò, sconsolato, Lucas,
“Non
so perchè ma non avevo dubbi.- commentò Thomas,
sardonico- Ora andiamo sopra.”
Salirono
in camera di Lucas e trovarono ad aspettarli.
“Thomas!”
esclamò Dan, felice di vederlo.
Non
era così stupido da non immaginare il motivo per cui Thomas si
fosse precipitato lì.
Sapeva
che sarebbe venuto e sapeva che, a differenza di Lucas, l'avrebbe
costretto ad affrontare l'argomento, senza giri di parole.
Thomas
si sedette sul letto, fissò Dan e gli disse, diretto:
“Ok,
ora cerchiamo di farti fare pace col tuo cervello.”
Dan
era pronto alla discussione che ne sarebbe seguita. Non aveva paura
di parlare.
“Non
sono io a dover far pace col mio cervello.”
“Ne
sei così sicuro?” gli domandò Thomas.
“Sì.”
rispose Dan, perentorio.
“Non
sto a dirti che te l'avevo detto, però, maledizione, Dan, ti
rendi conto di aver fatto una boiata?” proseguì Thomas
“Sì,
me ne rendo conto da solo, Thomas, non ho bisogno del tuo aiuto. Ma
non me la sento ancora di tornare a casa. Non ci riesco, va bene? So
che è sbagliato, ma non riesco a tornare a casa.”
raccontò Dan.
“Puoi
fermarti qui quanto vuoi, lo sai.” aggiunse Lucas
“Lo
so. Ma non posso farlo. Andrò a stare per un po' da Remus. Gli
ho scritto questa mattina. Non posso metterti in mezzo, Lucas. Non è
giusto.” confessò Dan.
Non
era giusto: Lucas non c'entrava niente. Non doveva invischiarsi in
una situazione spiacevole quanto quella.
E
Remus, allora? Remus c'entrava qualcosa, si chiese.
Forse
più di Lucas.
“E
fuggendo credi di risolvere qualcosa, Dan? Non potresti provare a
parlare di nuovo con i tuoi genitori? Saranno preoccupati: non hanno
tue notizie da due giorni.” intervenne perplesso, Thomas.
“Non
mi va di parlare con loro, Thomas. Non adesso. Adesso devo capire
cosa fare di me e della mia vita e lo voglio capire da solo. Se
andassi da loro, se tornassi a casa ci sarebbero altre discussioni,
altre urla. Ci sarebbero altre sentenze da parte di mio padre ed
altre lacrime da parte di mia madre. Non posso tornare a casa adesso.
Devo decidere da solo. Devo cavarmela da solo.”spiegò
Dan, con una serietà tale per cui i suoi amici non poterono
fare a meno di pensare che non l'avevano mai visto tanto adulto
quanto in quel momento.
Non
era una sicurezza spavalda, ma una sicurezza matura.
“Sei
sicuro che stare da Remus non peggiori le cose? Voglio dire, come
credi che staranno i tuoi sapendo che non sei tornato a casa ma che
hai “preferito”, se così si può dire,
qualcuno che non sono loro?” chiese Lucas, particolarmente
sensibile all'argomento.
Da
quando, alcuni anni prima, suo padre se n'era andato, lui, sua madre
e suo fratello avevano provato a ricostruire la famiglia.
Lucas
aveva fatto dello stare accanto a sua madre una sorta di missione: le
era molto legato e sentiva che, se era giusto che suo fratello si
fosse costruito la sua vita con sua moglie, il suo posto, per il
momento, era e doveva essere Cawood, con sua madre
“Ho
pensato anche a questo, Lucas. E credimi, quello che sento non è
piacevole. Ma non so proprio che cosa dovrei fare. Non posso mettere
in mezzo voi due. Non sarebbe giusto. Sì, Thomas, lo so che
potrei stare anche da te, ma non è giusto. Da zio James non
posso andare: c'è Beth. Posso stare solo da zio Remus. E'
l'unica soluzione, anche se sono consapevole del fatto che
dimostrerò, un'altra volta a mio padre di non essere in grado
di assumermi le mie responsabilità, dato che fuggo da Remus
un'altra volta.”
Thomas
e Lucas si guardarono di sottecchi: Dan era sicuro e deciso e
sapevano bene che non si poteva fargli cambiare idea.
Avrebbero
voluto aiutarlo di più, ma, forse, Dan doveva davvero
cavarsela da solo.
Daniel
rivolse loro un sorrisetto tirato e poi prese a raccogliere le sue
cose per infilarle nello zaino.
In
silenzio gli amici lo aiutarono.
Non
ci volle molto a radunare tutto e ben presto tutti e tre scesero al
piano di sotto.
Prima
di aprire la porta Dan tirò fuori dalla tasca dei jeans un
biglietto:
“Dallo
a tua madre, Lucas, e ringraziala per l'ospitalità di questi
giorni.”
Lucas
annuì, in silenzio e, assieme a Thomas, lo accompagnò
alla moto.
“Abbi
cura di te.” gli disse Thomas, mentre già Dan si
allacciava il casco.
“Per
qualsiasi cosa noi ci siamo, ok?” aggiunse Lucas.
“Lo
so. E non potrò mai ringraziarvi abbastanza. Comunque, potrete
venire da Remus: non vi caccia via di sicuro! Anche Teddy sarà
contento di vedervi.”
Dan
saltò sulla moto e la videro alzarsi in volo, sino a diventare
un puntino sperduto nel cielo terso.
La
Cornovaglia era piuttosto lontana e ci volle qualche ora di volo per
arrivare sino a lì, dallo Yorkshire.
Durante
il suo viaggio Dan vide il tempo cambiare più volte e passare
dal sole alle nuvole ed atterrando sotto una pioggia torrenziale.
Il
cottage dei Lupin sorgeva in una zona abbastanza isolata: l'avevano
scelto apposta per non avere attorno vicini curiosi che facessero
strane domande sul colore dei capelli di Teddy o sulle misteriosi
sparizioni di Remus.
Dan
parcheggiò la motocicletta nella rimessa e si avvicinò
alla casa: era minuscola fuori e lo era altrettanto anche dentro.
Bussò
alla porta laccata di verde.
“Vado
io! Vado io! Voglio aperire io!” si sentì strillare
Teddy.
“Dan!
Che bello sei arrivato!” il bimbo gli corse incontro e Dan lo
prese immediatamente in braccio.
“Entra,
Dan, non stare lì fuori a bagnarti- gli sorrise Remus,
paterno- Ti stavamo aspettando.”
Alle
sue spalle, Tonks chiuse la porta.
ORCHARD
HOUSE
Nella
grande casa regnava il silenzio.
Hellen,
quando non andava in pellegrinaggio nella stanza di Dan, continuava
ad alzarsi dal divano per controllare ogni finestra: avrebbe potuto
arrivare un gufo da un momento all'altro.
Sirius
cercava di leggere il giornale, ma la sua testa era da tutt'altra
parte.
Se
solo avesse potuto andare al lavoro, forse, si sarebbe distratto...
ma non poteva lasciare Hellen da sola.
Dan
avrebbe potuto farsi vivo in qualsiasi momento e nessuno più
di lui riusciva a capire come si sentisse.
Combatteva
con il desiderio di andarlo a cercare, tanto lo sapeva che stava da
Lucas, e di riportarlo a casa con la forza e quello di lasciarlo da
solo, nella speranza che imparasse qualcosa.
Se
lo fosse andato a cercare Dan non avrebbe imparato niente, anzi. Se
non fosse andato, però, non si comportava come suo padre? Non
stava forse dicendo a suo figlio che non gliene importava niente e
che, da quel momento, doveva arrangiarsi?
“Dan,
maledizione, perchè sei così simile a me? Perchè
sei impulsivo, testardo e orgoglioso quanto me? Speravo potessi
somigliare di più a tua madre, lei non avrebbe mai questi
nostri scatti d'ira e d'orgoglio...” si ritrovò a
pensare.
“Sirius!-
lo chiamò Hellen- Un gufo!”
Aprì
immediatamente la finestra del salotto, facendo entrare l'allocco.
“E'
il gufo di Remus!”disse Sirius, alzandosi dalla poltrona e
correndo da lei.
Hellen
srotolò la pergamena e insieme lessero:
“Dan
è appena arrivato a casa mia.
Sta
bene, anche se gli leggo tanta confusione negli occhi.
Non
preoccupatevi, potrà stare qui sino a quando non se la sentirà
di tornare a casa.
Vi
farò avere sue notizie molto presto e proverò a
parlargli.
Remus”
“Dobbiamo
andare da lui, Sirius, immediatamente!” esclamò Hellen,
con tono isterico e più che mai intenzionata a riportare a
casa suo figlio per quella notte.
“No.”
rispose duro, Sirius.
“Come
no? Sirius è da Remus! E' là, dobbiamo parlargli, fagli
sapere che non siamo arrabbiati con lui, riportarlo a casa! Non
lascio solo mio figlio per un'altra notte!”gridò,
furibonda.
Daniel,
il suo Daniel, doveva tornare a casa, doveva sapere che i suoi
genitori ci sarebbero sempre stati per lui, che l'avrebbero perdonato
e che l'avrebbero aiutato.
“Hellen,
ma non capisci che non ci vuole vedere? Non capisci che non ha
bisogno di noi in questo momento?” ribattè Sirius, irato
quanto lei.
“No,
non lo capisco! Capisco solo che sei tu a non voler vedere lui, preso
come sei dai tuoi discorsi su lealtà e fiducia e non so che
cos'altro. Bè, sai una cosa, a me non me ne frega niente!
Niente, hai capito? So solo che Daniel è mio figlio ed ha
bisogno di me!” strillò, sull'orlo delle lacrime.
“E'
anche mio figlio! E lo vorrei aiutare ma non adesso il momento!
Adesso è tempo che, per una volta nella sua vita impari a
cavarsela da solo!” le gridò Sirius in risposta.
Hellen
respirò e prese fiato, ricominciando con un tono più
dolce.
“E
noi dobbiamo aiutarlo ad imparare a cavarsela da solo, Sirius,
dobbiamo essere presenti perchè lui impari a farcela da solo.
E' questo che dobbiamo fare, capisci?- si interruppe un attimo,
giusto il tempo di cercare gli occhi di suo marito- Ha solo diciotto
anni, Sirius. Solo diciotto anni. Ti ricordi com'eri tu allora?
Stessa testa, stessa cocciutaggine, stessa voglia di sfidare il
mondo. E nessuno più me sa quanto desiderassi avere qualcuno
che ti aiutasse a capire come si fa a vivere.”
“Hellen,
io ho cercato di fare il possibile per lui. Ho cercato di essere il
miglior padre possibile e, invece... cosa abbiamo ottenuto? Credimi,
non è di noi che ha bisogno questa sera.”
Hellen
aveva ragione: Sirius ricordava perfettamente cosa si provasse ad
avere diciotto anni e sapeva quanto desiderava avere qualcuno che gli
spiegasse come si vive; purtroppo, però, aveva imparato che è
la vita la miglior maestra e nessuno meglio di lei riesce ad
insegnarti.
Daniel
doveva fare da solo il primo passo, soltanto in seguito avrebbero
potuto intervenire loro.
Hellen
lo guardò e scosse la testa, lasciando, delusa, la stanza.
Accidenti,
che aggiornamento rapido! Non credevo proprio di fare così in
fretta, ma l'altro capitolo ci ha lasciati tutti così pieni di
domande che non ho potuto fare altrimenti!
Come
vedete il comportamento di Dan ha spiazzato un po' tutti.... al
prossimo capitolo per sapere se Remus riuscirà a penetrare in
quella testa confusa!
Sirius
ed Hellen esprimo due posizioni diverse ed io credo che abbiano
ragione entrambi...
Spero
che vi sia piaciuto anche l'excursusus sulla famiglia di Lucas: ah,
premetto di non conoscere il francese, quindi tutto quello che ho
scritto può essere sbagliato. Se ci sono errori me lo dite
così correggo?
Grazie
a tutti quanti!
Alohomora:
hai ragione a dire che Sirius e Dan sono due Black fatti e finiti, è
per questo che c'è ancora troppa amarezza da entrambe la
parti, anche se Sirius non può fare a meno di essere
preoccupato per il suo ragazzo...
Alexya379:
Sirius forse lo capisce sin troppo... la paura di deludere le
aspettative dei suoi genitori l'ha avuta anche lui, come spiegherà
a Dan tra qualche capitolo. Non temere, sistemeranno tutto, è
solo che non si può pretendere che ci riescano subito, no?
PrincessMarauders:
Hellen è alquanto distrutta, come vedi: ma quale madre non lo
sarebbe? (ok, forse Walburga fa eccezione...) e Sirius è
ancora un po' arrabbiato... ma Dan riuscirà ad uscirne.
E'
di Daniel Black che stiamo parlando, dopotutto, no?
Thaleron:
purtroppo Thomas e Lucas non possono fare più di tanto: Dan è
testardo e vuole sistemarsi da solo i casini in cui si caccia... però
ci sono e questo è l'importante.
HelenaDB:
sono felice che la storia ti piaccia a tal punto da averla letta
tutta d'un fiato! Grazie per i complimenti: mi sto impegnando molto
per rendere il tutto il più credibile possibile.
Sono
felice anche che tu ti stia affezionando anche a questi personaggi
nuovi: finalmente una fans di Thomas, era ora!
Tu
dici che non riesci a spiegarti come possa essere così fragile
Beth, dato l'ambiente in cui è cresciuta: io ti dico che è
proprio per via dell'ambiente in cui è cresciuta che è
così.
Se
hai notato James, Harry, Sirius e Dan paiono intenzionati a
proteggerla da qualunque cosa.
Con
Lily ha un rapporto tutto speciale perchè si sa, sono madre e
figlia, per James ed Harry è una sorta di tesoro (fratelli
maggiori e padri protettivi sono una brutta accoppiata), per Sirius
ed Hellen è la figlia che non hanno avuto, poi c'è
Dan....
Io
credo che sia proprio per l'ambiente che lei è così:
certo, un po' è il carattere , ma un po' è l'insieme.
Spero di rendertela più simpatica in futuro, quando anche lei
si riprenderà la sua vita.
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Capitolo 16 *** Toccare il fondo ***
Toccare
il fondo
Hellen
non aveva ascoltato suo marito e, come sempre, aveva fatto di testa
sua.
Il
mattino dopo, ignorando completamente Sirius chiuso nel suo studio a
rimuginare su chissà che, si Smaterializzò a casa
Lupin.
Prima
di decidersi a bussare attese qualche minuto, mentre le tornavano in
mente le parole di Sirius:
se
davvero Dan non avesse voluto vederla? Se l'avesse mandata via?
No,
impossibile era sua madre. Lei conosceva Dan, sapeva cosa era meglio
per lui. Lo sapeva e basta.
“Entra,
Hellen.” le disse Tonks, spalancando la porta per far entrare
l'amica.
“Zia
Lel!” Teddy le corse incontro, nella speranza che ci fosse
qualche sorpresa per lui.
Non
aveva capito esattamente per quale motivo Dan, il suo amato compagno
di giochi, si fosse trasferito a casa sua, però ne era
contento: in poche ore avevano giocato a Quidditch e Ted era
orgoglioso di aver segnato per ben tre volte contro Dan, avevano
riempito la sua stanza di tante bolle colorate create con SuperGomma
di Drooble, avevano allungato le loro lingue di qualche metro con una
delle nuove Merendine Marinare dei Tiri Vispi Weasley, un nuovo
prototipo regalato da Fred e George proprio a Teddy perchè lo
collaudasse.
Insomma,
per quanto riguardava Ted, la permanenza di Daniel a casa sua avrebbe
potuto proseguire ancora per molto tempo.
Il
fatto che fosse arrivata sua madre e che le facce dei suoi genitori
fossero un po' scure, l'aveva leggermente impensierito: temeva che
volessero portargli via Dan, ma perchè se era appena arrivato?
Teddy,
nella sua breve ma intensa esistenza, ricordava che Dan si era
fermato da loro molto più a lungo di una notte, quindi, non
vedeva proprio il motivo per cui zia Hellen e zio Sirius dovessero
riportarlo a casa.
“Ehi,
Ted, come stai? Mi spiace, ma oggi non c'è niente per te.”
gli sorrise Hellen, abbassandosi sulle ginocchia per poter parlare
meglio con Ted.
“Fa
niente, zia. Io e Dan abbiamo giocato tantissimissimo! E domani- Ted
abbassò la voce e appoggiò la bocca contro l'orecchio
di Hellen: Dan gli aveva detto che era meglio non farlo sapere a
mamma e papà. Ma zia Lel non era mamma e non era papà.
Quindi glielo poteva dire. E poi zia Lel, come zio James, sapeva
mantenere i segreti.- Dan ha promesso che mi porta a fare un giro
lunghissimissimo sulla sua moto. Però non lo dire a mamma e
papà, eh!” confessò, orgoglioso, il bambino,
cambiando tre volte il colore dei capelli per l'emozione e facendo
diventare il suo abituale turchese un verde brillante e poi un rosso
fuoco.
“Non
dirò niente, promesso.” garantì Hellen, sperando,
tuttavia, in cuor suoi, che Dan il giorno dopo fosse a casa.
“Perchè
non vai di sopra un attimo, Teddy? Potresti iniziare ad avvisare Dan
che c'è qui la sua mamma.” propose Tonks.
Ted
ubbidì e corse su per le scale rischiando la pelle almeno
cinque o sei volte.
“Come
sta?” chiese Hellen.
Tonks
esitò un attimo prima di rispondere. Hellen era sempre stata
una donna allegra, solare, un po' sbadata, ma perennemente col
sorriso. Invece, quella mattina, il volto dell'amica appariva
sbattuto, sciatto e solcato da profonde occhiaie.
“Si
riprenderà. Ieri sera ha parlato a lungo con Remus, forse,
Remus riesce là dove noi falliamo, lo sai come è fatto.
Sai che sarebbe in grado di farti confessare il tuo peggior segreto.-
sorrise amaramente- Ascoltami Hellen, solo una cosa: non do ragione a
Dan, ha sbagliato, ha decisamente sbagliato. Però mi ricordo
cosa vuole dire avere la sua età e sentirsi intrappolati,
quando si anela la libertà. Cerchiamo solo di fargli imboccare
la sua strada e il resto verrà da sé. Non facciamolo
rinchiudere in se stesso a causa dei nostri rimproveri.”
“Non
è me che devi dirlo, Dora- commentò Hellen- ma a suo
padre. Quando Dan era a casa non ha fatto altro che urlargli contro,
provocando Dan a rispondere. E adesso, adesso crede che sia
necessario solo lasciarlo in pace perchè prima o poi ne
uscirà.”Hellen scosse la testa, frettolosa e colma di
disappunto.
Tonks
non rispose: suo cugino non aveva tutti i torti, certo, però
non poteva nemmeno pretendere che Dan ne uscisse da solo. Aveva
diciotto anni, solo diciotto anni e necessitava di qualcuno che lo
tirasse fuori.
“Vieni,
è di sopra.”
Tonks
guidò Hellen nella stanza degli ospiti dove avevano sistemato
Dan.
Tonks
bussò e si sentì gridare dall'altra parte.
“E'
aperto!”
Entrarono
e Tonks, recuperato in fretta Teddy che si stava rotolando sul letto
con Dan, lasciò soli madre e figlio.
Hellen
sostava sulla soglia, indecisa sul da farsi, cercando di incontrare
gli occhi sofferenti di suoi figlio, seduto sul letto, con la sua
inseparabile chitarra a pochi metri da lui, unico oggetto posato con
attenzione contro al muro e non accatastato a caso o gettato sul
pavimento come il resto dei pochi averi che Dan aveva portato con sé.
Dan
distolse in fretta lo sguardo: non sopportava il contatto con le
iridi chiare, sincere ed indagatrici.
“Daniel...”
sussurrò appena Hellen, facendosi leggermente più
vicina.
“Va'
via.” ringhiò Dan, abbassando la testa e fissando il
quadrato di copriletto che risultava visibile dalle sue gambe
incrociate.
“Dan...”
riprovò sua madre, avvicinandosi sempre di più.
“Mamma,
ti prego! Vai via!” Dan alzò la testa, lasciandosi
finalmente guardare.
Hellen
incontrò finalmente gli occhi scuri di Dan. Erano sofferenti,
sconvolti, impauriti, come quelli di un bambino dopo un brutto sogno.
“Daniel,
non siamo arrabbiati con te, torna a casa. Ti prego.”
“Mamma,
non voglio... non devo, non ora! Lasciatemi in pace, datemi tempo!”
gridò Dan, alzandosi dal letto.
“Sì,
Dan, avrai tutto il tempo, ma ora torna a casa! Sono... siamo
preoccupati per te!” si affrettò a dire Hellen.
“Vai
via, ti prego. Va' via.” ripetè, Dan, rabbioso.
“Dan...”
“Vai
via, ti ho chiesto! Non voglio parlare con te. Non adesso. Va' via!”
urlò, di nuovo.
Hellen
gettò un ultimo sguardo sul figlio, voltandosi in fretta e
lasciando richiudere la porta alle sue spalle.
ORCHARD
HOUSE
Sirius
vagava nervoso per casa, incapace di stare fermo. Proseguiva quella
strana passeggiata da tutta la mattina, nella speranza, forse, che il
passaggio da una stanza all'altra, da un piano all'altro potesse
impedirgli di pensare.
Daniel
era scappato, così come aveva fatto lui, più di
vent'anni prima.
Certo,
forse le motivazioni erano diverse. Tanto per cominciare, Sirius era
ben lieto di non considerarsi pari a suo padre, però, di
fondo, se lui se n'era andato, se era scappato a casa di James era
perchè era sicuro di poter trovare lì il calore e
l'approvazione di cui aveva bisogno.
Cose
che a casa sua mancavano, che per lui avevano smesso di esserci a
partire dal suo primo giorno ad Hogwarts.
Sino
ad allora Sirius si era sempre considerato un buon padre, magari sui
generis, magari a volte un po' sopra le righe, ma, comunque, un buon
padre. Aveva cercato di essere presente ma non invadente, di essere
un sostegno, ma di non decidere al posto di Daniel, lasciandolo
libero di fare le sue esperienze.
Aveva
imposto poche ma semplici regole: più che sufficienti a
crescere uno spirito ribelle e poco incline alle imposizioni.
Eppure
non era bastato. Non era stato sufficiente a tenerlo a casa, non era
stato sufficiente a fargli capire quanto fosse importante.
Ma
allora aveva forse ragione Hellen, a volerlo riportare a casa ad ogni
costo?
No.
Sirius
ne era sempre più convinto: prima di riportarlo a casa c'era
ancora un piccolo passo che Dan doveva fare da solo.
C'era
qualcosa che doveva raggiungere da solo, qualcosa che l'avrebbe fatto
rialzare da solo.
L'ospitalità
di Remus gli avrebbe fatto bene, ma non perchè Remus fosse
speciale, semplicemente perchè l'avrebbe lasciato in pace.
L'avrebbe
lasciato riflettere senza mettergli pressioni.
James
gli aveva detto senza troppe storie di considerarlo un pazzo.
Avevano
anche quasi litigato.
Ma
James non capiva, James non poteva capire.
Certo,
se Harry avesse fatto una cosa simile o se anche ci avesse anche solo
pensato, James ci avrebbe messo pochissimo a partire alla sua
ricerca. Se lo sarebbe riportato a casa e si sarebbe tenuto i
malumori.
Ma
non era di Harry che si stava parlando e non era nemmeno di James.
Era
di Daniel.
E
Daniel ce l'avrebbe fatta da solo perchè il primo passo,
quello necessario, quello decisivo, avrebbe dovuto farlo lui. Lui e
basta.
Soltanto
in seguito avrebbero potuto intervenire lui ed Hellen,
riaccogliendolo in casa, facendogli capire che, qualunque scelta
avesse fatto, sarebbe stata quella giusta.
Appallottolò
una pergamena che aveva avuto la malaugurata sorte di finirgli
sottomano e sentì dei passi nell'ingresso.
“Hellen?”
chiamò, cauto, alzandosi dalla poltrona ed uscendo dallo
studio.
Che
fosse tornata? Che con lei ci fosse anche... Dan?
Per
un istante Sirius desiderò, sperò con tutte le sue
forze che la vista lo stesse ingannando.
Che
seduta sui gradini delle scale non ci fosse solo Hellen, ma che
accanto a lei sostasse un ragazzo alto, che scuoteva impenitente la
zazzera nera, ridendo di gusto per il nuovo rimprovero che aveva
subito.
Invece,
con il volto affondato nelle ginocchia, c'era solo Hellen. C'erano
solo i suoi capelli biondi a coprirle il viso, che di certo non stava
trattenendo una smorfia irritata per l'irriverente commento di suo
figlio.
Sirius
si fece più vicino, senza fare eccessivo rumore e si sedette
vicino alla moglie.
Le
mise un braccio attorno alle spalle, mentre lei, si aggrappava forte
al suo petto, bagnandogli la camicia di lacrime.
“Ha
detto che non mi vuole vedere, Sirius. Ha detto che non ci vuole
vedere. Ha detto che non vuole parlare con noi. Che non ha bisogno di
noi.” singhiozzò.
Sirius
continuava ad accarezzarle la testa, una passata dopo l'altra, un
gesto meccanico e ritmato.
“Era
sconvolto, Sirius. Ma non mi vuole vedere, non mi vuole parlare. Che
madre sono, Sirius? Che madre sono se mio figlio mi allontana così?
Sono una pessima madre!”
“No,
Hellen, non sei una pessima madre!” tentò di consolarla.
“Sirius,
se non lo fossi, se fossi un'ottima madre, se sapessi gestire mio
figlio, se lo conoscessi, Dan non sarebbe scappato. Non se ne sarebbe
andato! Non mi avrebbe sbattuto la porta in faccia!” replicò
lei, urlandogli in faccia, con le gote bagnate.
“E
se io non mi fossi arrabbiato, Dan sarebbe ancora qui.”
commentò Sirius.
Hellen
lo guardò, sgranando gli occhi.
“Hellen,
ascolta, Dan, prima o poi, sarebbe scappato comunque! Credo che
avesse già dentro di sé qualcosa da sistemare, qualcosa
da sistemare con se stesso, prima che con noi. La sceneggiata della
settimana scorsa è stata solo la goccia che ha fatto
traboccare il vaso. Mi segui? Dan aveva già in testa qualcosa
di simile, senza forse rendersene conto.”
“Ma
se io fossi stata una buona madre, allora non se ne sarebbe andato!
Se io l'avessi aiutato prima, lui non avrebbe sentito il bisogno di
fuggire!” proseguì Hellen, sempre più sconvolta.
“Ascoltami
bene: tu sei la miglior madre che conosca, Hellen, tu sei un'ottima
madre. Sei allegra, sai essere severa quando io mi metterei a
ridergli in faccia anche se sarebbe sbagliato, sai come prenderlo,
sai misurare dolcezza e severità. Quando io mi inalbero,
quando lui inizia a gridare, tu ti metti in mezzo e ci fai ragionare.
Prima che se ne andasse l'hai difeso. E Dan lo sa. Dan se ne ricorda.
Dan sa quanto tu gli voglia bene, mi hai capito? Lo sa e basta. E se
ti ha mandato via è perchè ha solo paura di deluderti.”
Sirius
parlava senza sapere esattamente dove trovasse le parole. Era come se
si fosse reso conto in quell'istante di avere ragione.
Dan
stava bene, ne era sicuro ormai.
Dan
stava bene e ne stava uscendo.
Lo
sapeva.
Mancava
poco.
“Sirius,
io non lo so se Dan sa quanto teniamo a lui. Io non so più che
cosa devo fare. Non voglio lasciarlo lì da solo. Tornerò
ogni giorno se è necessario.”disse convinta Hellen
Sirius
scosse la testa.
“No,
devi lasciarlo da solo. Quando sarà il momento, potremo
intervenire. Dammi retta. Dan starà bene e sa quanto teniamo a
lui. Lascia che ne esca da solo.” ribadì Sirius.
Fu
il turno di Hellen scuotere la testa: dentro di lei sapeva che suo
marito aveva ragione, ma non riusciva a capire come potesse prendere
la cosa con così tanta tranquillità.
Non
riusciva a capacitarsi di come Sirius riuscisse a stare lontano da
Daniel.
Immaginava
che fosse straziante anche per lui quella separazione, ma se così
era, perchè solo così avrebbe reagito il Sirius che lei
conosceva, come poteva dirle di stare tranquilla? Come poteva essere
così sicuro che Dan si sarebbe rialzato?
Avrebbe
voluto chiedergli di prometterle che sarebbe andato da Dan, che
avrebbe provato lui a portarlo a casa, ma sapeva che sarebbe stato
inutile.
Scosse
di nuovo la testa e poi si rialzò, salendo lentamente le
scale.
GODRIC'S
HOLLOW
Lily
e James ci avevano pensato a lungo.
Avevano
discusso a lungo se fosse opportuno o meno andare da Daniel e, alla
fine, la conclusione a cui erano giunti poteva essere una sola.
Andare
da Dan per fargli capire, se non altro, che loro c'erano e che, per
qualunque necessità, avrebbe potuto appoggiarsi a loro.
“Ci
sei James, possiamo andare?” domandò Lily.
James
era ancora seduto sul divano, alzò appena la testa, prima di
sospirare.
“Non
so, Lily, io... io credo ancora che dovremmo portarci Sirius.”
disse infine, senza troppa fatica.
La
moglie posò la borsa ed andò a sedersi al suo fianco.
Gli
prese le mani tra le sue, le strinse forte e gli disse:
“Purtroppo
non possiamo intrometterci, James.”
“Lo
so, lo so benissimo. Però non riesco a capire come possa
Sirius essere così sicuro che gli faccia bene, che Dan tornerà
più forte di prima. Ho sempre sostenuto anch'io che i nostri
figli dovrebbero imparare a cavarsela un po' di più da soli,
ma non li abbandonerei mai. Fossi in lui sarei andato a prendermelo e
me lo sarei chiuso in casa, a costo di ascoltare strilli e grida per
i prossimi dieci anni.” ribadì James, esternando
nuovamente il pensiero che l'aveva fatto discutere con Sirius.
“Non
so cosa porti Sirius ad agire così. Non sono d'accordo e lo
sai. Però penso che dovremmo rispettare la sua scelta, James.
E' pur sempre di suo figlio che stiamo parlando.” commentò
Lily, che davvero non aveva più parole. Ne avevano parlato fin
troppo.
James
la guardò negli occhi e si alzò in piedi.
“Andiamo:
se Sirius ha intenzione di marcire nella collera mista a senso di
colpa senza fare niente, ci andremo noi da suo figlio.”
Si
Smateriallizzarono a casa di Remus e Tonks. Dopo una breve
chiacchierata con loro, salirono in camera di Dan.
Lily
bussò e, non sentendo risposta, James aprì la porta.
Trovarono
Daniel accovacciato sul letto, con la chitarra a fargli compagnia.
Smise
di suonare immediatamente e Lily e James ebbero il tatto necessario
di restare in piedi sulla soglia.
“Zia,
zio... venite.” disse Dan, alzandosi.
“Cosa
stavi suonando?” domandò Lily.
Dan
sapeva che stavano solo cercando di fare conversazione e non era
nemmeno così stupido da non sapere per quale motivo fossero
lì, tuttavia, qualcosa nello sguardo di Lily e James gli
suggerì che erano davvero interessati.
“Oh...-
iniziò, passandosi una mano tra i capelli- è una
canzone che ho iniziato a scrivere da un po', ma non so ancora come
finirla.”
Riuscirono
a parlare per un po', toccando diversi argomenti, sino a quando James
non si decise ad arrivare dove si era proposto.
“Che
intendi fare ora Dan?” chiese senza troppi giri di parole.
Daniel
sapeva che avrebbe dovuto rispondere, sapeva che non poteva evitarlo.
Sapeva
di dovere delle risposte a zio James, a zia Lily che lo guardava
materna ed apprensiva, a zio Remus e a Tonks che lo stavano
ospitando.
Ne
doveva anche ai suoi genitori, ma non era quello il momento di
parlarne.
Rispose
quello che aveva risposto a Remus.
“Sinceramente?
Non lo so. Non lo so, non ne ho idea, zio.”
“Ma
ci sarà pur qualcosa che ti interessa, no? Qualcosa che
vorresti fare.” lo incalzò Lily.
Dan
si girò verso la finestra e per rispondere fissò il
cielo.
“In
realtà sì... ma non lo so. Non ne sono sicuro. Non so
se mi porterà da qualche parte.”
“Se
cominciassi col provare?” ribadì Lily.
“No,
non è questo il momento.- Dan si riportò sul letto e
sbruffò- E'... complicato, troppo.”
“I
tuoi genitori sono preoccupati per te.” gli fece notare James.
“Lo
so e mi dispiace di aver mandato via la mamma... ma non me la sento
di parlarle. Non ora. Li ho delusi e adesso devo riconquistarmi la
loro fiducia. E lo devo fare da solo.” pronunciò le
ultime parole con una sorta di impeto orgoglioso che portò
James a sorridere.
“Sai,
quando eri piccolo, dopo aver combinato qualche danno, correvi da
noi.” gli ricordò.
Anche
Dan sorrise.
“Me
lo ricordo. Stare da voi era più semplice.” confessò,
con le guance appena un po' arrossate.
“E
non è ora di fare un piccolo passo in avanti?” ammiccò
James, incominciando ad alzarsi.
Dan
improvvisò un sorriso contrito e si fece abbracciare da Lily.
“Cerca
di uscirne Dan, ok?” gli sussurrò nell'orecchio.
Dan
annuì e prima di lasciarla andare ebbe una piccola richiesta
da porle.
“Chiedi
scusa alla mamma. Dille.. dille che quando sarà ora tornerò
io.”
Passò
poi da James.
“Di'
a papà che lo ringrazio per avermi lasciato in pace, ok?”
LONDRA,
ST. JAMES' PARK
Thomas
ed Elisabeth camminavano per il sentiero di acciottolato del parco,
costeggiando il laghetto ed ignorando i passanti che si muovevano in
direzione opposta.
Era
stata un'idea di Thomas, quella di portarla fuori. Beth aveva bisogno
di parlare. E di parlare con qualcuno che non fosse Anne che, per
quanto buona e d'aiuto potesse essere, aveva la sua visione delle
cose che, di certo, non sarebbe andata a favore di Dan. Nemmeno un
po'. Inoltre, i continui battibecchi tra lei e Lucas non aiutavano di
certo.
Senza
contare che Thomas aveva potuto fregiarsi per anni del titolo di
confidente di Beth e non intendeva rinunciarci proprio in quel
momento. Erano sempre andati d'accordo, loro due: forse con gli anni
si erano lievemente allontanati, ma era normale.
Non
erano più bambini e, come lui in certi momenti sentiva che
nessuno se non un ragazzo (e quindi qualcuno con un modo di ragionare
simile al suo) potesse capirlo, Thomas era più che sicuro che
ci fossero momenti in cui l'unica che potesse capire Beth era proprio
Anne.
Sicuramente
Beth era rimasta fin troppo colpita da quanto era successo.
“Quindi,
sei sicuro che stia bene, non è vero Thomas?” chiese,
nuovamente, Beth attorcigliandosi una ciocca di capelli rossi
sull'indice.
Thomas
non si infastidì della domanda: nonostante gli fosse stata
rivolta più e più volte e in vari modi.
“Sì,
Beth. Sta bene. Davvero, fidati.” rispose.
“I
miei genitori oggi pomeriggio sarebbero andati da lui. Io non me la
sono sentita, Thomas. Non credo che vorrebbe vedermi. Non credo
nemmeno di essere pronta io a vedere lui.” confessò
Beth, fissando le anatre tuffarsi nelle acque del laghetto.
“Quando
sarà il momento giusto, lo saprete voi. Tornerà tutto
come prima Beth, vedrai.” la rassicurò con un sorriso.
“Pensi
davvero che tornerà tutto come prima, Thomas?” chiese
Beth, scettica, spostando un po' di terra con il piede.
Thomas
si voltò verso l'amica, abbassando la testa. Era più
alto di lei di una quindicina di centimetri buoni e, sfortunatamente
per lui che si sentiva già troppo alto così, ogni anno
guadagnava un paio di centimetri.
“Credo
di no, Elisabeth. Niente può tornare com'era. Si può
solo andare avanti.” constatò, in un soffio.
“Ma
non è detto che sia un male.” aggiunse poi, in fretta.
“Già.”concordò
Beth, mesta e pensierosa.
“Ehi,
non fare quella faccia. Su col morale, Beth. Ci sono ancora un sacco
di cose che possiamo fare. E non è detto che siano negative...
è...semplicemente vita, non credi?” provò a dire
Thomas, sorridendo.
Ne
era convinto. Il cambiamento faceva parte della vita. Ma non era
sempre negativo.
Per
quanto lo riguardava, lui era un esperto di cambiamenti: nato Babbano
che si scopre mago, nato Babbano che finisce a Serpeverde. Nato
Babbano orgoglioso di essere un mago. Nato Babbano con degli amici
Purosangue, per quel che valeva.
Nato
Babbano che cambiava le regole del gioco.
Nato
Babbano che aveva trovato il suo posto.
“Forse...
anche se a volte vorrei tanto che tutto restasse com'è. Noi,
la scuola... ho un po' paura del futuro, del cambiamento in
generale.” commentò Beth.
“Io
non ho paura di andare avanti. Sarebbe sciocco averne troppa, certo,
nella vita a volte occorre cautela, ma non devi frenarti per paura.
Perderesti un sacco di cose.” le fece notare Thomas, ottimista
per natura.
La
vita l'aveva reso così, le sue esperienze e l'ingresso nel
Mondo Magico gli avevano permesso di guardare al domani con tanto
ottimismo.
“Forse...
anche se credo che la paura mi freni da sempre. Almeno, da quando ho
memoria di aver compreso quanto sono importanti le persone attorno a
me.” rispose Beth.
Non
è che avesse proprio paura del futuro, semplicemente era
consapevole che, bene o male, in quel preciso momento della sua vita,
almeno prima che Dan scappasse, tutto stava funzionando, tutto andava
tutto sommato bene. Del futuro non aveva alcuna certezza e la
spaventava l'idea che quelli che considerava i suoi punti di
riferimento avrebbero potuto non esserci o essere infelici.
“Le
persone importanti restano, Beth. Restano sempre.” osservò
semplicemente Thomas.
“Potrebbe
non essere così, Thomas. Potrebbe essere che succeda qualcosa
oppure...” ribadì Beth
“Oppure
che quelli che consideravi importanti non lo siano poi così
tanto visto che non ci sono più?” terminò l'amico
per lei.
“Esatto.”
“E'
la vita.” spiegò Thomas alzando le spalle.
“Come
sei cinico. A volte batti anche mio fratello, senza nemmeno troppo
impegno.” commentò Beth, contrariata.
“Non
sono cinico, ma realista. E' diverso.” precisò Thomas,
ficcandosi le mani in tasca e guardando l'orizzonte.
Stettero
in silenzio per qualche minuto, poi fu Elisabeth a riprendere il
discorso.
“Ti
capita mai di pensare a come sarebbe il futuro? A come e dove saremo
fra dieci anni, per esempio? Vorresti già saperlo adesso?”
Thomas
scosse la testa, con uno strano ghigno sulle labbra. Un ghigno che
Beth aveva visto molto spesso su Dan o Lucas.
“No,
perderei il gusto della sorpresa. E' una sfida, la vita, no? E tu?”
“Io?-
Beth rise- Oh no. No, decisamente no. Adesso stanno tutti bene, più
o meno. Non so cosa ci aspetta un domani. Non vorrei vedere
sofferenze o frustrazioni o attimi di buio.” disse, scuotendo
decisa la testa.
“Punti
di vista. In ogni caso, siamo giunti entrambi alla stessa
conclusione.
Tu
ne quaesieris (scire nefas) quem mihi, quem tibi finem di
dederint, Leuconoe, nec Babylonios temptaris numeros. Ut
melius quicquid erit pati! Seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter
ultimam, quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare Tyrrhenum,
sapias, vina liques et spatio brevi spem longam reseces. Dum
loquimur, fugerit invida aetas: carpe diem, quam minimum
credula postero.” *
“Orazio.”
fece Beth
“Per
chi mi prendi?- rise Thomas-Sono una persona colta, io!”
Anche
Elisabeth scoppiò a ridere.
“Thomas,
grazie. Grazie davvero. E' stato... bello parlare con te, oggi.”
“Anche
per me è stato bello. Dovremmo tornare a farlo più
spesso, Beth.” concordò Thomas.
“Una
volta lo facevamo sempre.” osservò amaramente Elisabeth.
“Possiamo
sempre tornare a farlo. Le persone importanti non se ne vanno.”
ribadì Thomas
“Ti
impegni a dirmi che lo rifaremo?” domandò Beth,
malinconica.
“Giuro
solennemente che lo rifaremo.” si impegnò Thomas, con
una mano sul cuore ed una alzata.
“Dan
starà bene. Vedrai. Dobbiamo solo dargli tempo.” ribadì
Thomas, nuovamente.
Beth
annuì.
“Adesso
devo andare, Thomas. C'è... una cosa che devo fare, prima che
mi venga meno il coraggio.”
“Riguarda
Dan?” chiese, sagacemente Thomas.
Elisabeth
sorrise.
“Allora
vai.” le consigliò Thomas.
Beth
lo abbracciò forte e poi si incamminò per cercare un
angolo appartato per Smaterializzarsi.
Thomas
la osservò andarsene e, malinconicamente, pensò che, in
fondo, per quei due il futuro era già stato scritto.
GODRIC'S
HOLLOW
“Dan,
so
che forse l'ultima cosa che vorresti ricevere è una mia
lettera o qualcosa che abbia a che fare con me.
So
anche che, ostinato come sei, sei più che convinto di avere la
ragione dalla tua, così come io resto ferma sulle mie
posizioni.
Ti
scrivo però perchè sono abbastanza vigliacca e non ho
il coraggio di venire lì e di vederti straziato. Non ho il
coraggio di leggere il vuoto nei tuoi occhi.
Ma,
soprattutto, quello che temo di più è l'essere
rifiutata. Non voglio venire lì e cercare di parlare con te,
che magari non vuoi nemmeno starmi a sentire. Non ce la farei.
Ti
scrivo per dirti che aspetterò che sia il momento giusto,
aspetterò che tu sia pronto per parlare con me, dato che sono
consapevole che ora come ora non lo sei. Forse non lo sono neanch'io.
Ti
scrivo per dirti che io ci sono, sono lì con te e spero che tu
riesca a capire cosa vuoi fare e non per via dei tuoi genitori, delle
mie fisse di precisione ed ordine o per qualche altro motivo.
Vorrei
che tu capissi cosa vuoi fare per te stesso, perchè tu ti
possa svegliare al mattino contento di iniziare una nuova giornata
perchè ce l'hai fatta. Perchè, Morgana, stai facendo
esattamente quello che tu vuoi fare, quello per cui ti sei
impegnato, hai sudato ed hai lottato.
Sono
fantasie, probabilmente, dato che nemmeno io so esattamente cosa fare
della mia vita.
Spero
però che tu riesca a trovare un motivo per andare avanti, per
ricominciare, per tornare ad essere il Dan che conosco e a cui voglio
bene.
Lo
devi fare per te stesso.
Trova
il coraggio di inseguire i tuoi sogni, Dan.
A
quando vorrai tu che sia
Beth”
Beth
posò la piuma e richiuse la lettera attaccandola alla zampa di
Gustav, il gufo di famiglia, senza nemmeno rileggerla.
Non
ce l'avrebbe fatta, a rileggerla. Avrebbe trovato troppe cose che non
andavano, l'avrebbe cambiata, sebbene dentro di sé sentisse
che era esattamente come doveva essere.
Spalancò
la finestra e lasciò che Gustav volasse via.
Daniel
stava dormicchiando sul letto, prima di cena.
Tonks
aveva deciso di voler mangiare indiano e così aveva costretto
un recalcitrante Remus ad andare ad ordinare del cibo Take-Away.
Di
malavoglia, Remus era andato, portandosi dietro Teddy (sottraendolo
così alle attenzioni della sua ruvida balia e lasciandole un
po' di pace) e borbottando lamenti contro qualsiasi tipo di cucina
estera.
Sentì
picchiettare alla finestra e, aprendo appena gli occhi, vide l'ombra
di un gufo che premeva per entrare.
Si
rizzò in piedi, avvicinandosi alla finestra. Constatato che
non si trattava del gufo dei suoi genitori, slegò la
lettera,cacciando immediatamente l'animale perchè, in ogni
caso, non aveva nulla da offrirgli.
Dispiegò
la pergamena e nel vedere la minuta e precisa grafia di Beth, sentì
uno strano, piacevole e famigliare calore invadergli le membra.
Qui
c'è la traduzione dell'intero carme di Orazio:
*Tu
non cercare, non è dato saperlo, quale a me, quale a te
termine
ultimo gli dei abbiano dato, Leucono, e non tentare i calcoli
babilonesi.
Quant’è
meglio sopportare tutto ciò che accadrà, quale che esso
sia!
Sia
che Giove abbia assegnato molti inverni, sia che (abbia assegnato)
come ultimo (inverno) questo che ora fiacca contro le opposte
scogliere il mar Tirreno:
sii
saggia, filtra i vini e, poiché il Tempo è breve,
riduci la luna speranza.
Mentre
parliamo, il Tempo invidioso sarà già fuggito: cogli
l’attimo il meno possibile fiduciosa nel domani.
Scusatemi
per i tempi, scusatemi per il capitolo che non è certo il
massimo. L'unica parte che si salva è il dialogo tra Thomas e
Beth...
Ringrazio
come al solito tutti voi e in particolare le 43 persone che hanno
inserito la storia tra i preferiti e chi ha recensito:
Alohomora:
come vedi tutta la famiglia si è immediatamente mobilitata.
Peccato che Dan sia cocciuto sino allo sfinimento.
PrincessMarauders:
Dan ne uscirà, solo che sarà ovviamente una cosa lunga,
anche perchè, non si è ficcato in una situazione
semplice. Ho riso come una matta mentre scrivevo della amabile
conversazione tra Lucàs e sua madre!
Thaleron:
io credo che Sirius più che altro si stia chiedendo se è
un bravo padre oppure no: Dan è scappato così come
aveva fatto lui. E l'aveva fatto perchè non si sentiva amato,
compreso, accettato. Si chiede quindi se anche per Dan sia lo stesso
e non può non sentirsi in parte responsabile.
Alexya379:
guarda, per il francese ho messo insieme quelle quattro parole che
conosco ed usato il vocabolario, perchè davvero non l'ho mai
studiato!
Io
sono dalla parte di Hellen, come tutte le persone di buon senso, ma
si sa, in casa Black l'unica fornita di buon senso pare proprio lei,
ovvero l'unica che non è Black di nascita!
Padfoot_07:
ribadisco: Hellen Black diverrà ben presto il mio idolo. E'
troppo umana in tutto quello che fa e presto ve ne renderete tutti
conto! Sirius, come ho già detto, è semplicemente
Sirius, ancora prigioniero dei suoi ricordi e non può non
pensare che, se Dan è scappato non sia anche colpa sua.
Tuttavia,
siccome è di Sirius che stiamo parlando, sappiamo anche che
lui ha questa visione della vita: non c'è miglior maestra
dell'esperienza ed una cosa l'ha capita: Dan deve imparare a
cavarsela da solo.
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Capitolo 17 *** Un piccolo passo in avanti ***
Un
piccolo passo in avanti
LONDRA,
S. KATHERINE'S DOCKS, CASA DI HARRY E RON
Harry
rientrò a casa stanco, quella sera. Suo padre aveva avuto la
geniale idea di spedire lui e Ron nelle Highlands per degli
appostamenti ed era in piedi dalle cinque di quella mattina.
Non
invidiava affatto Ron che sarebbe stato costretto a presenziare ad
una cena organizzata dagli zii di Hermione per il compleanno della
loro figlia.
Poco
ci sarebbe mancato che si addormentasse a tavola tra una porzione di
arrosto ed una interessantissima chiacchierata sull'efficienza delle
ferrovie nazionali.
Ad
ogni modo, se aveva chiesto a Ginny di aspettarlo a casa, non era per
ridere delle sventure del suo migliore amico, nonché quasi-
cognato.
C'era
una cosa importante che dovevano discutere.
Ci
aveva pensato anche lui, più e più volte, sin da quando
aveva saputo che Dan era scappato di casa ma, una cosa è
pensarlo, un'altra è farlo sul serio.
I
preparativi erano ormai agli sgoccioli: dopotutto mancavano appena
venti giorni. La loro nuova casa era stata sistemata come doveva, i
mobili erano stati acquistati, gli ospiti avevano confermato la loro
presenza, i vestiti attendevano solo di essere ritirati... Insomma,
era tutto pronto, sebbene il clima non fosse quello adatto per un
matrimonio.
Harry
ci aveva pensato. Aveva pensato di sospendere tutto, sino a quando la
situazione non si fosse quantomeno normalizzata, ma... Ginny come
l'avrebbe presa?
Si
era sentito vigliacco, in verità. Non riusciva a trovare il
coraggio di affrontare Ginny e di dirle che no, non si sarebbero
sposati. Non ancora, almeno. Non era il momento adatto.
Le
parole di suo padre quel pomeriggio glielo avevano confermato: non
potevano organizzare un matrimonio, non potevano costringere Daniel a
presenziare, a vedere i suoi genitori che avrebbe, fatalmente,
incontrato.
Sarebbe
stata una sofferenza per tutti, per Dan in primis.
“Buonasera,
amore.” salutò, comparendo nell'ingresso.
“Sei
già a casa? Ti aspettavo più tardi.” ricambiò
Ginny, alzandosi dal divano per andare ad abbracciarlo.
“Come
è andata?” chiese, subito dopo, mentre lui si stava
togliendo la maglietta fradicia e sporca.
“Faceva
un freddo bestiale. Non è possibile che la temperatura in
Scozia si aggiri attorno ai quindici gradi anche a luglio!”
“Credo
che mio fratello si sia lamentato per gran parte della giornata o
sbaglio?” ridacchiò Ginny.
“Solo
un po', alla terza volta Sirius l'ha minacciato di gettarlo in pasto
al mostro di Lockness.”rispose Harry, tornato dalla sua stanza
con dei vestiti puliti.
“E'
tornato al lavoro, quindi.” commentò Ginny, abbandonando
il tono scherzoso di poco prima.
Harry
annuì, grave.
“Ginny,
ascolta, c'è una cosa che ti dovrei dire...una cosa di cui
dovremmo parlare...” disse, subito dopo.
“Riguarda
Dan?”
Harry
inspirò: bisognava essere chiari e dire tutto senza
tergiversare. Ginny avrebbe dovuto capire, stava per diventare sua
moglie. Avrebbe dovuto capire che Dan faceva parte della sua
famiglia.
“Non
ti nascondo che sono preoccupato, che non so quando si sistemeranno
le cose. Dan rifiuta di parlare con i suoi genitori, rifiuta l'aiuto
e io non lo so se sposarci adesso è la cosa migliore.”
L'aveva
detto. Forse Ginny si sarebbe arrabbiata ma Harry si accorse che, in
fondo, bnon gli importava, era pronto a discutere.
“Credo
che dovremmo rimandare il matrimonio.” disse Ginny, senza
troppi giri di parole, mentre Harry stava ancora ponderando se
sedersi o meno di fronte alla sua fidanzata.
“Che
cosa?” chiese, strabuzzando gli occhi. Si era aspettato tutto,
meno che quello.
“Hai
capito bene, Harry. Non mi voglio sposare in un clima di imbarazzo
generale o di sofferenza. Voglio che il mio matrimonio sia un giorno
di festa, un giorno in cui la gente possa stare bene, un giorno che
potrò ricordare per sempre. Non voglio che Dan si senta in
imbarazzo, non voglio che Sirius ed Hellen siedano a due metri di
distanza da lui senza potergli parlare. Non voglio e basta. Ci
sposeremo quando questa brutta storia sarà finita. Si tratti
di un mese o di cinque.”spiegò Ginny ed Harry si diede
mentalmente dello sciocco, per aver dubitato di lei.
Era
Ginevra, accidenti. Ginevra Weasley, presto Potter.
Sarebbe
diventata sua moglie, non c'era da stupirsi che accettasse tutto di
lui, che fosse disposta a condividere ogni momento, bello o brutto
che fosse, con lui.
“Grazie.”
disse solamente.
“E'
l'unica cosa che posso fare e sono ben felice di farla.” gli
rispose Ginny.
“Ehi.”
Harry entrò, piano.
“Ehi.”
gli rispose Dan, a voce bassa.
“Posso
entrare o mi mandi via?” si informò cauto, Harry.
“Vieni
pure.” rispose Dan, con scarso entusiasmo.
Harry
entrò e lo vide immerso nel nulla. Vide Daniel, quello che da
bambino non stava mai fermo, quello che gli aveva fatto i dispetti
per anni, quello che ad Hogwarts era considerato una sorta di
divinità, immerso nel nulla.
Il
ragazzo che aveva davanti non era interessato a niente. C'era la
chitarra appoggiata al cavalletto, certo, c'erano pezzetti di carta
con frasi scribacchiate, certo, però, per il resto, niente in
quello che vide gli fece ricordare che si trattava pur sempre di Dan.
“Non
è facile per nessuno avere diciotto anni.” disse Harry,
guardandolo fisso in faccia.
Dan
abbassò gli occhi, poi rialzò il viso e rispose, con
sguardo carico di sfida.
“Per
te lo è stato.”
Harry
sospirò, aveva già una mezza idea della piega che
avrebbe preso quella che non sarebbe stata una pacifica conversazione
tra quasi-fratelli.
“Tu
credi?” lo incalzò Harry, sfidandolo.
“Sì,
tu sapevi esattamente cosa avresti fatto. Tu sapevi che saresti
andato a fare l'Auror, che saresti entrato in Accademia, che saresti
stato l'orgoglio della famiglia. E così è stato, non
negarlo, perchè lo sappiamo tutti.” gli ringhiò
contro Dan.
“No,
Dan, ti sbagli! Non è semplice per nessuno, avere diciotto
anni. Non è semplice per nessuno capire cosa fare della
propria vita, una volta finita Hogwarts, quindi, per favore, evita di
fare scenate isteriche con me perchè non attaccano.” gli
rispose Harry, duro e severo come raramente Dan l'aveva sentito.
Daniel
si rizzò in piedi, fronteggiando Harry.
“Scenate
isteriche? Scenate isteriche le chiami?-rise amaramente- Ti pare
forse che io mi stia divertendo?”
“Sì-
gridò Harry, sovrastando la voce di Dan- sì, mi sembra
che tu ci stia marciando sopra! Dannazione, Dan, te ne stai qui,
chiuso in casa tutto il giorno, anziché pensare a rimetterti
in piedi e a sistemare i casini che hai combinato! Te ne stai qui ad
aspettare di essere compatito! Datti una mossa, Dan, la vita non è
Hogwarts! Là fuori non sei nessuno! Là fuori non esiste
nessun Daniel Black Capitano di Grifondoro. Là fuori- proseguì
Harry, continuando ad indicare un immaginario punto fuori dalla
finestra- esiste solo un Daniel Black che si rimbocca le maniche e
che si da da fare per combinare qualcosa perchè è vero,
non sempre nella vita le cose vanno come si vuole, ma almeno ci si
prova, a farle andare!”
“E
che cosa dovrei fare Harry? Che cosa dovrei fare? Ho deluso i miei
genitori, non ho la più pallida idea di cosa fare nella vita
perchè, ammettiamolo, suonare non è una professione .
Tu non hai la più pallida idea di che cosa mi passi per la
testa, di come stia. Non lo sai, non lo puoi sapere, Harry.”
urlò Dan.
“No,
non lo so. Però so che un tempo Daniel Black si sarebbe
rimboccato le maniche e sarebbe andato avanti, cocciuto ed orgoglioso
come era, per la sua strada. Avrebbe picchiato la testa e si sarebbe
rialzato. Non sarebbe stato qui a guardare il soffitto, in attesa che
l'aiuto gli piombasse giù dal cielo. Perchè, nel caso
non lo sapessi, l'aiuto non ti piomba giù dal cielo. Sei tu
che devi aiutare te stesso.” controbattè Harry, nervoso.
“Non
ti viene in mente che forse quel Daniel Black non esiste più?
La vita non è Hogwarts, Harry, lo so benissimo!” ribadì
Dan, desideroso di essere capito.
“E
allora se lo sai, datti da fare, Dan. Trovati qualcosa da fare, ma
non stare qui sdraiato sul letto in catalessi tutto il giorno.”
disse Harry, ammorbidendo il tono.
“Che
cosa dovrei fare, Harry? Cosa?”
“Vuoi
suonare? Suona, continua a suonare, coltiva questa tua passione: vai
a studiare al Conservatorio di Musicomagia, ma fai qualcosa,
maledizione! Fai qualcosa!” propose Harry, esasperato.
“Non
voglio andare avanti a studiare.” proclamò Dan, che non
aveva la più pallida intenzione di tornare a scuola, seppure
si trattasse di una scuola di musica.
“E
allora che vuoi fare?”
“Non
lo so! E' così difficile da capire?”
“Sì,
lo è Dan, perchè ti stai buttando via, tutto qui. E so
che i tuoi genitori stanno soffrendo.” riprese Harry,
dolcemente.
“Ho
mandato via la mamma, la settimana scorsa.” confessò
Dan.
“Lo
so.”
“Mi
dispiace.” disse, in un soffio.
“So
anche questo e credo che lo sappia anche tua madre. Ti daranno tutto
il tempo di cui hai bisogno Dan, ma ti prego, cerca di non buttarti
via così, ok?”
Dan
annuì ed Harry rimase a fissarlo in silenzio per qualche
istante, dopodichè, fece per aprire la porta.
“Harry-
lo fermò Dan- aspetta.”
Harry
si fermò sull'uscio.
“Tra
un po' ti sposi...”
Harry
agitò una mano per aria.
“Abbiamo
deciso di rimandare.” gli disse.
“E'
colpa mia. Mi dispiace. Ho rovinato tutto.” ammise Dan,
sentendosi, per la prima volta, davvero in colpa.
“Lascia
stare. E' giusto così. A presto Dan.” Harry scosse la
testa e lo lasciò solo.
Dan
si ributtò sul letto.
Parlare
con Harry l'aveva confuso.
Sapeva
che aveva ragione, che doveva darsi una mossa ed in fretta, anche.
Era conscio del fatto di dover ricominciare, da qualche parte. Ma da
dove?
In
più c'era anche la questione del matrimonio: Harry e Ginny
avevano rimandato tutto per colpa sua. Era lui la causa.
Doveva
darsi una mossa; ed in fretta, anche.
La
mattina dopo, Dan si svegliò tardi, o meglio, fu svegliato.
Teddy
la sera precedente non voleva saperne di andare a dormire ed aveva
trasmesso la sua insonnia anche a lui che, per combatterla, si era
rivolto alla chitarra fino alle quattro del mattino.
“Avanti,
Dan! Svegliati!” una voce lontana, quella che sembrava di
Thomas.
“Ok,
mi sono scocciato di stare qui a chiamarlo come un idiota!
Aguamenti!” l'acqua zampillò fuori dalla bacchetta di
Lucas e finì sulla testa di Dan.
“Ma
che cosa? Voi due avete dei problemi, razza di imbecilli!”
furono le prime parole che Daniel pronunciò.
“Ehi,
calma, bello addormentato! Non ti arrabbiare, avanti, abbiamo in
programma una magnifica giornata per te!” esclamò Lucas,
offeso e sulla difensiva.
“La
mia giornata di oggi avrebbe previsto il riposo ancora per qualche
ora.” biascicò Dan, con la voce impastata
stropicciandosi gli occhi.
“Non
se ne parla, pelandrone! Uscire un po' ti farà bene. Ti
prometto della birra.” avanzò, diplomatico, Thomas.
“Non
puoi rinunciare ad una meravigliosa birra fresca al punto giusto.
Avanti, Dan, alzati! Sarebbe un enorme torto nei confronti del Dio
Alcol, se rifiutassi!” proclamò Lucas.
“No,
sentite- incominciò Dan, mettendosi seduto- non ho voglia di
uscire, davvero.”
“Quanto
tempo è che non metti piede fuori da qui?” chiese Thomas
“Più
di una settimana, ma non importa.” ammise Dan
“Mi
sembra francamente troppo.” osservò Thomas.
“Anche
a me, quindi, amico, in piedi! Vestiti, lavati, cambiati che se vuoi
liberarti di noi l'unica possibilità che hai è stare
con noi tutto il giorno.” intervenne Lucas, lanciandogli la
maglietta che aveva trovato su una sedia.
“No,
sentite. Ora basta con questa messa in scena.- disse Dan, seccato-
Piantatela. Non ho voglia di uscire. Vi ringrazio per essere venuti,
però non mi va di uscire, chiaro? Quindi smettetela di fare i
deficienti, grazie.”
Thomas
si fissò le scarpe, ma Lucas gli tirò addosso la
maglietta.
“Dan,
arrangiati, porco Bolide! Mi hai rotto! Arrangiati, accidenti! Nel
caso non te ne rendessi conto stiamo cercando di aiutarti, ma se vuoi
fare da solo fai pure, basta che non vieni da me un'altra volta a
lamentarti. Fa' come ti pare, Dan, ma di certo standotene chiuso qui
non combinerai nulla.” Lucas se ne andò, sbattendo la
porta.
Lui
ce la stava mettendo tutta, per aiutarlo, ma Dan non voleva
collaborare, non voleva mettersi seriamente a pensare, preferendo
autocommiserarsi.
Lucas
era stanco, stanco di parlare con un muro. Erano amici, sì,
però questo non implicava che Dan potesse permettersi di
trattarlo come uno zerbino.
Thomas
guardò Dan, rimasto interdetto di fronte alla sfuriata e
aggiunse.
“Ha
ragione. Se vuoi uscirne, devi darti una mossa. Stare qui non ti
servirà a niente.” detto questo, anche Thomas se ne
andò, lasciando Dan solo.
Daniel
sbruffò: in due giorni Harry e i suoi migliori amici gli
avevano detto la stessa cosa.
Darsi
un mossa, uscire. Avevano ragione.
Passò
una giornata.
Remus
e Tonks notarono che Dan si faceva sempre più insofferente.
Aveva bisogno di uscire, di stare con i suoi amici, ma nessuno dei
due osava consigliargli qualcosa.
In
quel momento Dan sedeva sul divano con la Gazzetta del profeta in
grembo.
“Credo
che uscirò.” disse, tutto d'un tratto.
Passò
da Lucas e poi da Thomas. Nessuno dei due fece accenni al giorno
prima e Danile gliene fu grato.
Andarono
a Londra, al mercato di Camden Town, mescolandosi con strambi ragazzi
Babbani dalle creste multicolori e dagli anfibi con la punta di
metallo.
Incontrarono
tatuatori dalla dubbia capacità e venditori truffaldini.
Dan
e Thomas fecero incetta di vinili d'annata e Lucas si comprò
una maglietta dei Nirvana solo perchè faceva scena, con quel
neonato che nuotava nell'acqua, senza badare a nessuna delle
spiegazioni che Dan gli stava dando sulla vita e sull'opera di Kurt
Cobain.
Quando
si stancarono di girare per bancarelle, Thomas propose di fare tappa
in centro, per una birra, come richiesero Lucas e Dan, i quali si
rifiutarono di rimettere piede in metropolitana, una volta gli era
bastata e Thomas concordò con loro, sui vantaggi della
Materializzazione.
Si
Materializzarono a Covent Garden, in pieno centro, dietro a Leicester
Square.
“Cosa
ne dite di andare lì?” Lucas indicò il primo pub
che vide.
“Capisco
che tu sia in astinenza, Luke, ma cosa ne dici se facciamo prima un
giro? Così, tanto per guardarci attorno.” propose Dan,
assaporandosi la sua nuova libertà.
Thomas
era indubbiamente d'accordo e Lucas non ebbe il coraggio di
contraddirlo: era già tanto che avessero trascinato Dan fuori
di casa, ci mancava solo che litigassero.
Pertanto,
sopportò stoicamente la sete.
Camminarono,
osservando la piazza, i negozi, il mercato, i giocolieri per strada
sino a quando non arrivarono all'ora di cena e, da parte di Lucas, si
poteva dire di aver sopportato fin troppo.
“Entriamo
qui, ci sono stato una volta coi miei. Si mangia bene.” propose
Thomas, spingendo la porta del Cock's neck pub.
Il
locale era quasi pieno, ma la maggior parte degli avventori era lì
solo per consumare da bere, pertanto fu loro assegnato un tavolo.
“Vado
io a prendere da bere.” si offrì Dan, alzandosi per
andare al bancone a ritirare tre pinte.
Si
appoggiò al bancone di legno scuro, attendendo il suo turno:
davanti a lui c'erano tre uomini, probabilmente appena usciti
dall'ufficio, che attendevano la loro birra ed un paio di turisti
tedeschi che controllavano sul dizionario le parole giuste per
l'ordinazione.
Proprio
sopra la testa della barista, una ragazza di vent'anni circa che si
affannava avanti e indietro, c'era un cartello: “Cercasi
barista”, recitava.
Dan
attese il suo turno, ritirò le birre e tornò al tavolo
con quel messaggio che non voleva andarsene dalla sua testa.
DIAGON
ALLEY
Anne,
avvolta in una bizzarra veste da strega lilla e viola, stava uscendo
dal Ghirigoro carica di libri, seguita da Lucas, che, a mani libere,
ridacchiava divertito.
“Accidenti
se pesano! Lucas, prendi una borsa, almeno, visto che tu hai deciso
che è ancora presto per comprare i libri!” si lamentò
Anne, indignata.
“Fermati
un secondo,stordita. Sei una strega!” detto questo, Lucas, tirò
fuori la bacchetta da jeans e, con un semplice incantesimo, rese
leggerissime le borse.
“Ah
già, me l'ero scordata!” ridacchiò Anne
Lucas
sospirò, roteando gli occhi.
“Tu
ti sei dimenticata di andare a ritirare il cervello, altrochè!”
esclamò
Anne
si voltò verso di lui, improvvisò una smorfia e
rispose:
“Oh,
e io che pensavo di aver sbagliato fila, mentre li distribuivano!”
“Certo
che te le cerchi proprio tu, eh! Dai, muoviti che ho voglia di un
gelato.” Lucas scosse la testa e, afferratole un gomito, la
trascinò da Florian Fortebraccio.
I
tavolini erano quasi tutti pieni e davanti al banchetto dei gelati
c'era una gran fila, nonostante tutto, Lucas ed Anne riuscirono a
recuperare due sedie e a piazzarle di fronte ad un tavolino rimasto
vuoto.
“Uffa...
mi spiace dover mettere per terra i libri nuovi. E' ancora presto per
rovinarli.” commentò Anne, fissando le copertine che
spuntavano dalle borse di spessa juta del Ghirigoro.
Lucas
la guardò contrariato, alzando appena gli occhi dal suo menù.
“Primo,
ringrazia che ci siamo seduti, secondo i tuoi libri alla fine
dell'anno sono conciati in un modo indescrivibile, quindi se anche
cominci prima non puoi peggiorare la situazione e terzo non
azzardarti a tirarli fuori e ad elencarmi tutto quello che studieremo
il prossimo anno, chiaro?”
“Come
sei scorbutico! E comunque non è colpa mia se i libri che
tocco si rovinano! Meglio rovinati, che è sinonimo di usati,
se non lo sapessi, che immacolati come tuoi, ovvero mai stati aperti!
Dovresti darti una mossa e andare ad ordinarli anche tu, anziché
startene lì a scegliere che gelato mangiare, Lucas!”
gesticolò Anne, da sempre preoccupata per il futuro scolastico
di Lucas.
Si
era già immaginata le diverse lezioni di recupero che avrebbe
dovuto fargli per evitare che venisse bocciato ai MAGO.
Lucas
rise.
“C'è
tempo, c'è tempo per i libri, Anne. Fidati. Me la cavo anche
da solo.”
“Mi
prometti che quest'anno ti impegnerai un po' di più a scuola?
Mi spiace vederti prendere sempre brutti voti e punizioni.”rimbeccò
Anne, tornando seria.
Lucas
mutò espressione e si intenerì nel constatare,
nuovamente, quanto Anne si preoccupasse per lui.
“Me
la caverò come ho sempre fatto, Anne.”
“E'
che io so che tu hai grande talento, grandi potenzialità ed è
un peccato vedere che ti butti via. Dovresti studiare anche quello
che non ti piace e non solo Cura delle Creature Magiche ed Erbologia
perchè ti interessano. Dico solo questo.” spiegò
Anne
“Non
sono talentuoso come credi tu. E poi, penso che non riuscirei a
concentrarmi se una cosa non mi interessa. Hai presente con la Mc,
no? Riesco nella parte pratica, ma in teoria sono una frana. Credo di
avere parecchi problemi a mantenere la concentrazione, quando sto sui
libri.” raccontò Lucas, desideroso di cambiare discorso.
Anne
fece per replicare che non sempre si possono fare le cose che
piacciono e che era un peccato buttarsi via così e che lei
l'avrebbe aiutato, ma l'arrivo della cameriera la fece desistere.
“Allora,
cosa vi porto, ragazzi?” chiese quella.
“Per
me un frappè all'Ape Frizzola e Piperilla Nera.” rispose
Lucas
“E
per te?” domandò la cameriera, guardano Anne.
“Una
Coppa Millefrutti alla Mollelingua senza panna montata.” indicò
Anne.
Lucas
scoppiò a ridere, mentre la cameriera andava via.
“Mi
dimentico sempre che non ti piace la panna montata. Potevi prenderla,
così la mangiavo io.”
“Sì,
così nel tuo stomaco ci finiva anche il mio gelato.” gli
rispose Anne.
Risero
insieme, liberi da costrizioni e persi in altri ricordi di altri
pomeriggi passati insieme.
“Sai-
iniziò Anne, quando ormai le loro ordinazioni erano state
servite- l'anno prossimo mi piacerebbe fare domanda per entrare
all'Accademia Magica di Arti Drammatiche. E' un vero peccato che ad
Hogwarts non ci sia un laboratorio di teatro.”
“Per
forza, da quanto la messa in scena de “La Fonte della Buona
Sorte” ha quasi distrutto la scuola, nessuno vuole un club del
teatro! Comunque... ti ci vedo, Anne. Dico sul serio. Sono contento
che tu ci abbia pensato.” si congratulò Lucas, sorpreso
e piacevolmente meravigliato.
Anne
attrice. Sì, sarebbe stata la carriera adatta per lei.
“Bè,
non è detto che mi prendano. Hanno così tante richieste
ed io non ho mai studiato teatro.”
“Spero
per te che reciti meglio di quanto tu non racconti bugie! Lo sai che
sei impedita e che si capisce subito che stai mentendo, vero?”
le chiese, scherzando, Lucas.
“E'
vero anche questo... però credo che la recitazione sia tutta
un'altra cosa, o no?” fece Anne, conscia della sua incapacità.
“Forse...
in ogni caso, al provino ti voglio accompagnare, ok?” proseguì
Lucas.
“Davvero?
Sarebbe bello, se venissi.”gli sorrise Anne
“Così
se non ti prendono ti offro la mia spalla. Tanto ormai è
abituata.- sorrise- E se ti prendono, invece, ti porto a festeggiare,
ok?”
Anne
gli prese la mano.
“Grazie.”
gli disse semplicemente.
Lucas
alzò le spalle.
“Dovere.
Saremo amici per sempre, io e te.”
Parlarono
del futuro per qualche altro minuto ed Anne tentò di farsi
dire cosa avesse intenzione di fare lui, dopo il diploma, ma senza
risultato.
Lucas
era molto geloso dei suoi segreti, più di lei, forse e,
sebbene Anne sapesse che c'era qualcosa che le stava nascondendo,
evitò di insistere più di tanto.
“Pensi
che Dan si riprenderà?” chiese ad un tratto Anne.
“Si
riprenderà di certo, Anne. Ieri l'ho visto bene. Siamo andati
a Covent Garden.” le rispose Lucas, sicuro.
“Dici
che ha deciso cosa fare?”
“Credo
che faccia fatica ad ammettere di voler fare il musicista e non posso
nemmeno dargli torto, voglio dire, quante probabilità ha di
sfondare? Cioè, a prescindere da questo, insomma, magari è
anche bravissimo, e lo è in effetti, ma deve trovare qualcosa
da fare nel frattempo, capisci cosa intendo? In ogni caso, sono
sicuro che sia sulla buona strada. Solo non dobbiamo mettergli
pressioni. L'altro giorno abbiamo litigato. Gli ho detto che non ne
potevo più di vederlo così, perchè non avrebbe
risolto nulla. Pare essersi un po' ripreso, in ogni modo.”precisò
Lucas, ancora coinvolto nelle tribolazioni di Dan.
“Beth
l'ha presa piuttosto male. E' convinta che avrebbe potuto fare di più
per lui, forse avrebbe potuto fermarlo, farlo parlare con i suoi.”
spiegò Anne.
“Beth
non avrebbe potuto fare niente, come non avrei potuto fare niente io.
E' andata così. A volte le cose succedono e basta. Senza un
motivo.” la contraddisse Lucas.
Anne
annuì: non poteva non essere in pensiero per Daniel. Certo,
sul momento l'avrebbe volentieri preso a sberle, per come aveva fatto
stare Beth, però, alla lunga, quando le acque si erano un po'
calmate, quando aveva saputo da Lucas che Dan si era trasferito da
lui, quando aveva visto Lucas così preoccupato, quando aveva
iniziato a pensare seriamente a tutto quello che potesse passare per
la testa di Dan, a quanto anche lui stesse soffrendo, Anne non aveva
potuto fare a meno di sentirsi impaziente di fare qualcosa.
Sarebbe
andata volentieri a trovarlo, se non le fosse parso inopportuno, dal
momento che persino Thomas e Lucas l'avevano visto poco. Beth, poi,
non l'aveva nemmeno incontrato.
Lei
e Dan non erano proprio amici, di quelli che passano ogni momento
insieme, che si confidano, però Anne aveva la sensazione che,
in fondo, solamente osservandosi, entrambi avevano capito parecchie
cose uno dell'altra. Diverse volte, sin da quando erano più
piccoli, tutte le volte che lei e Lucas discutevano, Daniel era stato
quello che cercava di rimettere a posto le cose.
Thomas
era quello che si sorbiva i periodici lamenti di entrambi, ma Dan era
quello che si metteva d'impegno per farli riappacificare.
Tante
volte, durante quell'anno, l'aveva presa da parte e le aveva detto di
non preoccuparsi per Lucas, ci avrebbe pensato lui a ricordargli
quanto fosse idiota.
Era
fortunato Lucas ad avere un amico come lui.
“E'
fortunato ad avere un amico come te.” disse Anne, guardando
Lucas negli occhi.
Erano
fortunati entrambi, ad aversi. L'uno, capace di aiutarti a stare
meglio in qualsiasi circostanza, l'altro, leale fino al midollo.
Diversi,
ma forse molto simili.
Lucas
arrossì, allergico ai complimenti come era, scosse la testa e
scoppiò a ridere.
“Dai,
vieni, andiamo a casa, che è tardi.”
Si
alzarono e percorsero l'affollata Diagon Alley in senso contrario e
senza parlare.
Non
ne avevano bisogno, si stavano già dicendo tutto così.
“Ci
vediamo, Anne.” Lucas si chinò per darle un bacio sulla
guancia e poi, si voltò.
“Lucas!”
strillò Anne
Lucas
si fermò e si girò indietro verso di lei.
“A
presto!” urlò Anne.
Lucas
le fece un cenno e si Smaterializzò, scomparendo alla vista di
Anne.
Anne
rimase ferma per qualche minuto, a pensare.
Erano
stati bene, quel pomeriggio. Stavano sempre bene insieme.
Era
stata come stava ogni volta che passava del tempo con Lucas: si
sentiva leggera, priva di pensieri, libera di essere se stessa, con
le sue mattane, la sua distrazione, le sue trovate sciocche, di cui
Lucas non rideva mai ma che, anzi, aiutava a mettere in pratica.
Si
chiese se anche Lucas fosse stato bene come era stata lei.
Immaginava
che sarebbe corso da Mary, non appena l'avesse lasciata.
Probabilmente era così. Era naturale che fosse così.
Non
parlavano mai di Mary: facevano finta che non esistesse, che non ci
fosse nessuna Mary.
Lucas
non provava più a spiegarle che, nonostante le apparenze, Mary
Myers era una brava ragazza, simpatica, divertente e che lui le era
sinceramente affezionato.
Anne
non ci pensava, fingeva di non sapere. Eppure, anche quel giorno,
arrivò a chiedersi che cosa ci trovasse in lei. Che cosa aveva
di così meraviglioso Mary Myers? Era forse più
divertente di lei?
Probabilmente
no, pensò, con una punta di supponenza, era semplicemente più
donna di lei. Riusciva ad avere qualcosa che a lei mancava, perchè
Anne non era capace di non saltellare in giro, di non ridere
sguaiatamente, di non rovesciarsi caffè e gelati addosso.
Erano
dati di fatto, non poteva farci niente. Poteva solo sperare che non
le portasse via il suo migliore amico.
CORNOVAGLIA,
CASA LUPIN
“Esco!”
gridò Dan, fin dal pianerottolo, presentandosi in salotto già
vestito sebbene fosse mattino presto.
“Dove
vai, Dan?” domandò Teddy, sopraggiunto dalla cucina con
un toast in mano e i bordi della bocca ricoperti di marmellata.
“Ted,
vieni qui!” ordinò Remus, seguendo il figlio, intento a
seminare briciole e marmellata per la stanza.
“Vado
a fare una cosa, Teddy. Ma poi torno subito.” spiegò
Dan, abbassandosi, come ogni volta, all'altezza di Ted.
“Ah.
Ok.” rispose Teddy, che, appagato dalla risposta, poteva
tranquillamente tornare alla sua colazione, arrampicandosi sullo
sgabello della cucina.
Lo
sguardo di Remus indugiò a lungo su Dan, alla fine, annuì.
“Vai
pure. Ci vediamo dopo.” disse Remus.
Dan
gli fece un cenno e Remus vide il ragazzo sparire davanti ai suoi
occhi. Aveva la sensazione che al suo ritorno non avrebbe trovato il
medesimo ragazzo.
Daniel
si Smaterializzò in una stretta stradina proprio dietro Covent
Garden, a Londra.
Dei
due o tre passanti che stavano percorrendo la via, nessuno fece caso
a lui e Dan potè incamminarsi verso la piazza centrale.
Superò
la stazione della metropolitana, ringraziando caldamente una qualche
entità superiore che l'aveva dotato di poteri magici: Thomas
li aveva portati in metropolitana, una volta, e Daniel era convinto
che non potesse esserci nulla di più terribilmente spossante,
nauseabondo e ripugnante.
Centinaia
di persone che si accalcavano una sull'altra pur di salire sul
medesimo vagone, uomini d'affari e mamme in carriera che correvano da
un treno all'altro, pur di arrivare al lavoro in tempo, pur di
accompagnare i figli a scuola in orario.
No,
decisamente non faceva per lui.
Camminò,
senza far caso al grosso e bizzarro mercato coperto per cui Covent
Garden era famosa e passò anche oltre la Royal Opera House,
impaziente com'era di ritrovare il pub in cui lui, Thomas e Lucas si
erano fermati tre giorni prima.
L'insegna
di legno del Cock's neck pub svettava sull'angolo e Dan,
riconosciutola, si diresse verso l'ingresso.
La
porta di legno, laccata in rosso e nero, era ancora chiusa. Dan si
diede mentalmente dell'imbecille, era ovvio che un pub fosse chiuso,
alle nove e mezza del mattino.
All'interno
si scorgevano però delle luci, segno che, qualcuno,
all'interno del locale c'era.
Dan
cercò di farsi vedere ma nessuno gli diede retta e così,
costeggiò l'isolato, cercando l'ingresso secondario, quello
che passava dal cortile del palazzo.
Entrò
cauto, sperando di non ficcarsi nei guai ancora prima di iniziare.
Vide
che in mezzo al cortile sostava un furgoncino, carico di barili di
birra. Dietro di esso un ragazzo di poco più di vent'anni
stava caricando le latte su un carrello, per portarle all'interno del
locale.
“Serve
una mano?” chiese Dan, cauto.
“Come?”
il ragazzo si voltò, lasciando cadere il barile.
“Ti
ho chiesto se ti serve una mano con quelli.” ripetè Dan.
“Ah...
bè, in teoria no, dato che lo faccio tutti i giorni, in
pratica sì, mi faresti un gran favore. E' una enorme rottura.”
rise quello, rimboccandosi le maniche della camicia sino agli
avambracci.
“Piacere,
sono Nihar.” si presentò, tendendo la mano. Come
suggerivano il nome e i tratti somatici, era di origine indiana.
“Daniel,
ma di solito mi chiamano tutti Dan.”
“Bene,
Dan, mentre trasportiamo questi amorevoli barili che andranno a
riempire gli stomaci vuoti di un gran numero di tifosi del Chelsea
che decideranno di seguire qui la partita, mi dici che cosa ci fai da
queste parti a quest'ora del mattino?” chiese, mentre entrambi
si chinavano per afferrare il barile e posarlo sul carrello.
“Cerco
lavoro. Sono venuto qualche giorno fa con un mio amico e ho visto che
cercano un barista.” spiegò Dan.
“Oh...
sì, è vero. L'ultimo è fuggito per aprirsi un
pub tutto suo ad Arsenal. Bè, spero che ti prendano, amico.
Essere qui solo in tre è tremendo.” raccontò
Nihar, costretto a fare gli straordinaria assieme alla sua collega da
quando il vecchio barista se n'era andato.
“Nihar!
Si può sapere quanto ci metti con quella birra? Hai anche
iniziato a parlare da solo?”
Un
uomo alto e robusto, brizzolato e sulla cinquantina comparve in
cortile.
“Oh,
signor Tibbur, la informo che abbiamo appena trovato il nostro nuovo
spillatore!”esclamò Nihar.
Dan
fece un piccolo passo in avanti e salutò con un cenno di capo.
“Saresti
tu, ragazzo?” Tibbur si fece più avanti e prese a
squadrare Dan da capo a piedi. Sembrava nettamente più giovane
di tutti i camerieri che aveva assunto fino a quel momento.
“Sì,
signore. Sono Daniel Black.” si presentò educatamente
Dan, porgendogli la mano.
L'uomo
la strinse e assottigliò gli occhi.
“Vedo
che ascolti anche tu quell'orribile musica assordante...”
disse, posando gli occhi sulla maglietta dei Nofx indossata da Dan.
Daniel
si passò, imbarazzato una mano tra i capelli, ed emise una
smorfia.
“Mi
piace.” disse soltanto.
Nihar,
nel frattempo, si era fatto rispettosamente da parte, lasciando che
il suo capo continuasse quello che aveva tutta l'aria di un colloquio
di lavoro. Alzò gli occhi al cielo, sapendo che a Dan
sarebbero toccate le stesse frasi che si era sorbito lui un paio
d'anni prima.
“Sì,
sì... dite tutti così, oggi come oggi. Ma nessuno di
voi conosce la musica, quella vera... quella che si suona anche.”
“Sta
parlando forse dei Pink Floyd, signore?” azzardò Dan,
sperando di aver azzeccato il periodo giovanile di Tibbur.
“Hai
fegato, ragazzo. Comunque sì, mi riferivo anche ai Pink
Floyd.” rispose Tibbur, piacevolmente sorpreso.
“Bè,
in verità piacciono anche a me. Trovo che suonare “I
wish you were here” alla chitarra sia una delle cose più
belle che possano capitarti...” rispose prontamente Dan,
sentendo che qualcosa stava iniziando a girare.
“Suoni?”
“Sì,
signore. Chitarra classica ed elettrica. Mia madre ha tentato di
insegnarmi il pianoforte, ma senza risultati.” raccontò
Dan.
“Bene.
E... a parte suonare cosa fai? Quanti anni hai?” si informò
Tibbur.
“Diciotto
compiuti a marzo.”
“Vai
all'università? Vieni dall'altra parte della Gran Bretagna e
hai bisogno di un lavoro per mantenerti agli studi?” visto che
si ritrovava di fronte ad uno sbarbatello presumibilmente appena
diplomato, Tibbur voleva accertarsi, almeno, che quel ragazzo avesse
un qualche scopo nella vita.
“In
verità no. Mi sono diplomato quest'anno, ma studiare non fa
per me. Sto cercando lavoro, signore.” rispose Dan, garbato.
“Qui
si lavora duro, ragazzo. Hai esperienze?”
“No,
sarebbe la prima volta.” ammise Dan, leggermente deluso. Si
aspettava una domanda del genere ed era consapevole che, raramente,
venivano assunti ragazzi senza titoli come lui.
“Se
stai qua, c'è da lavorare. Ma la paga è onesta.”
“La
fatica non mi spaventa.” proclamò coraggiosamente
Daniel.
Tibbur
increspò le labbra in un sorriso soddisfatto.
“Bene,
Daniel, ti aspetto alle cinque di oggi pomeriggio. Per vedere il
Chealsea inizieranno ad arrivare presto. Mi auguro per te che tu non
sia un maledetto blues.”ammiccò Tibbur.
Ci
mancava solo che fosse un tifoso del Chealsea, quel ragazzino, dopo
la sconfitta subita dal suo Liverpool.
“Oh,
no signore, no.” si affrettò a rispondere Dan, sicuro di
non essere un blues, qualsiasi cosa fossero.
“Buon
per te, Daniel Black. Ti voglio qui alle cinque, chiaro?”
“Chiarissimo,
signore. Sarò puntuale.”annuì Dan, conscio di
quello che stava promettendo.
Tibbur
grugnì qualcos'altro, poi fece segno a Nihar di darsi una
mossa e rientrò nel locale.
Dan
scambiò due parole col suo nuovo collega e poi, sollevato si
Smaterializzò a Diagon Alley. Voleva parlare con Remus e
dirgli che aveva trovato un lavoro.
Diagon
Alley era parecchio affollata, pur essendo luglio.
Diverse
famiglie stavano già compiendo gli acquisti per Hogwarts e Dan
individuò anche qualche sua conoscenza che evitò
appositamente. Non aveva voglia di sentirsi chiedere che cosa aveva
deciso di fare perchè, in verità, non lo sapeva nemmeno
lui.
Si
infilò in fretta nella strada della libreria di Remus e ne
spalancò la pesante porta di vetro.
Al
suo ingresso il campanello trillò e Remus emerse dal retro.
“Dan!
Che ci fai qui?” domandò, sorpreso.
In
quasi cinque anni Dan era entrato in libreria appena tre volte.
“Devo
dirti una cosa, zio. Posso?”
“Sì,
sì. certo che sì. Siediti.” Remus gli indicò
una sedia.
“No,
zio. Non ne ho bisogno. E' bello qui.” disse Dan, guardandosi
attorno.
“Avanti,
dimmi quel che mi devi dire e non tergiversare.” lo invitò
Remus, deciso.
Daniel
gli stava ricordando terribilmente Sirius da ragazzo, che faceva una
fatica immane per confessare quel che aveva combinato.
“Ho
trovato un lavoro, zio. In un pub Babbano, a Covent Garden. Inizio
stasera.” confessò, tutto d'un fiato.
Remus
sospirò. Era certo di aver percepito un cambiamento positivo,
negli ultimi giorni, soprattutto dopo la visita di Harry. Cosa i due
si fossero detti, Remus non voleva saperlo ma sentiva che non era un
caso se,il giorno successivo Dan avesse finalmente messo piede fuori
di casa con Thomas e Lucas e se avesse cercato lavoro.
“Sono
contento. Credi che sia un lavoro che ti possa piacere?”
“Bè,
non è esattamente quello che credevo che avrei fatto, però
per il momento va bene così.” gli costava ammetterlo,
ma, nonostante l'esito del colloquio fosse stato positivo, nonostante
avesse compiuto un passo in avanti, servire birra e preparare panini
non era il futuro che aveva sognato.
“Io
credo che dovresti comunque essere orgoglioso di te stesso, Dan. Hai
iniziato ad uscire dal guscio che ti eri creato, non trovi? Il resto
verrò da sé.” lo incoraggiò Remus.
“Forse...Ho
ancora un favore da chiederti, zio.” aggiunse Dan.
Remus
gli fece cenno di parlare.
“Posso
stare da te ancora per un po'? Il tempo che metto da parte qualcosa
con cui potrei pagarmi l'affitto di una stanza.” spiegò
Dan, lievemente imbarazzato.
“Certo,
puoi stare da me quanto vuoi, lo sai.” rispose Remus, percorso
tuttavia da un brivido d'orgoglio perchè Daniel stava
finalmente reagendo.
“Grazie
zio. Stai facendo tanto per me.” a Dan costò fatica
pronunciare quelle parole, ma sentiva di doverlo fare. Era anche
merito di Remus, che l'aveva accolto senza fare domande e pretendere
risposte, che stava piano piano rimettendo insieme i pezzi.
“Faccio
solo quello che è giusto.” gli sorrise Remus.
Eccomi
qui, che dire, capitolo denso e molto lungo!
Anche
se non lo saprà mai, ringrazio con tutto il cuore il mio
compagno di banco del liceo, che mi ha insegnato chi sono i Nofx e
tutta la musica che desidero sia quella abitualmente ascoltata da
Dan.
Alohomora:
io credo che Sirius sia fermamente convinto di essere dalla parte
giusta. E nel suo caso non è nemmeno questione d'orgoglio,
come lo è per Dan, semplicemente ha capito che Dan vuole fare
da solo e gli accorda il permesso, sapendo che gli farà bene.
Non sto dicendo di essere d'accordo con lui, io avrei reagito con
Hellen o come Lily e James, però, mettendomi dal suo punto di
vista, non posso dargli torto. A presto.
Alexya379:
Hellen è una madre e come tale si aggrappa a suo figlio con le
unghie e coi denti, non lo vuole lasciar andare via, non vuole che si
faccia del male. Tuttavia, non può fare a meno di sentirsi
colpevole, si chiede dove ha sbagliato, è ovvio ed è
normale. Quando Dan tornerà a casa, però, lei sarà
la prima a spingerlo ad inseguire i suoi sogni. A presto.
Quanto
a Thomas, è un personaggio che nei prossimi capitoli si
delineerà sempre meglio, è simile a Remus, ma per certi
aspetti, io lo vedo un po' diverso da lui. Non so spiegarti
esattamente perchè, spero di sapertelo raccontare. A presto.
DevilJina:
benvenuta! La tua recensione mi ha fatto tanto, tanto piacere, sai?
Io credo che Thomas e Beth, essendo entrambi abbastanza taciturni, si
sappiano comprendere al volo: a volte il silenzio vale di più,
così come la presenza e, forse, in un momento simile era più
importante per Beth la silenziosa presenza di Thomas, piuttosto che
l'irrequietezza di Anne.
Sirius
ha perfettamente ragione nel pretendere che il primo passo lo faccia
Dan, tuttavia, non può pretendere che sua moglie si rassegni
così. Le madri sono diverse, sono molto più tenaci,
alle volte. Eppure, alla fine, se Dan capirà, sarà
merito di entrambi, io credo. Di chi l'ha cercato e di chi gli ha
dato tempo, di chi l'ha spronato e di chi l'ha consigliato. A presto.
PrincessMarauders:
purtroppo nel caso di Dan non si poteva risolvere tutto in un paio di
giorni, c'era ben altro sotto, oltre alle bugie. C'era il bisogno di
capire cosa fare e come andare avanti, la messa in discussione di
troppe cose da parte di tutti e tre. Ma a Dan la lontananza farà
bene. A presto.
HelenaDB:Hellen
vuole solo fargli capire che lei c'è, che è lì e
che, sbaglio o meno, per lei suo figlio resterà sempre la cosa
più importante. Forse è assillante, ma, di fatto, l'ha
cercato una sola volta. E' solo preoccupata, preoccupata per quel
figlio che sa essere tanto sensibile e che vede sbandato, perso. E'
preoccupata al pensiero di non riuscire più a comprenderlo.
Forse
sbaglia, ma per troppo amore spesso so rischia di sbagliare,
soprattutto nel fare i genitori.
Sirius
ha dalla sua parte un temperamento più simile a quello di suo
figlio, ecco perchè lo comprende meglio, anche se, anche lui,
non può fare a meno di porsi delle domande. A presto.
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Capitolo 18 *** Let me go Home ***
Let
me go Home
Ian
Tibbur si era sempre considerato una persona tollerante, anzi, un
tollerante organizzato che non si fa mettere i piedi in testa da
nessuno. In fondo, per gestire un pub, bisogna prima di tutto saper
gestire i clienti, saperli controllare ed eventualmente sbattere
fuori, qualora avessero alzato troppo il gomito e costituissero un
pericolo per gli altri avventori e grane di enormi proporzioni per
lui.
Per
questo motivo si era deciso a raggiungere l'uomo che stava seduto
allo stesso tavolo da ore.
Era
da solo, così come era arrivato. Doveva avere all'incirca
quarant'anni, capelli neri un po' lunghi ed occhi scuri occupavano un
viso lievemente squadrato che, sin dal suo ingresso, era rivolto
verso il bancone.
“Tutto
bene?” domandò, ruvido, Tibbur.
“Benissimo.”
rispose lo strano avventore.
Tibbur
si accomodò sulla sedia di fronte a lui.
“Che
cosa sta facendo qui da questa mattina e perchè continua a
guardare verso i miei baristi?” aggiunse in fretta.
“Guardavo.”
asserì, ironico, l'uomo, sorseggiando della birra dal suo
boccale.
Tibbur
fece per replicare, ma il cliente lo precedette.
“Mi
scusi, stavo solo guardano come se la cavava mio figlio al
lavoro.”spiegò l'uomo, indicando il ragazzo che si
affannava dietro il bancone.
“Daniel
Black?” Tibbur strabuzzò gli occhi.
Sirius
annuì, sorridendo.
Osservandolo
meglio, Tibbur poteva notare delle indubbie somiglianze, fra i due:
il colore dei capelli, per prima cosa, la conformazione fisica,
sebbene Dan fosse lievemente più alto, il modo di guardare le
persone mentre si parlava.
“Vorrei
solo che sapesse che sono fiero di lui.” disse Sirius,
continuando a fissare Dan, con sguardo orgoglioso.
Tibbur
non seppe cosa rispondere: prima di tutto non era abituato ad avere a
che fare con i genitori dei suoi dipendenti, in secondo luogo, lui,
di figli, bambini o adolescenti che fossero, non ne sapeva nulla,
avendo giusto due nipoti che vedeva tre volte all'anno circa.
Tuttavia, qualcosa nello sguardo di Black lo portò a pensare
che, in fondo, quell'uomo avesse qualcosa che a lui sarebbe sempre
mancato.
“Vuole
che glielo vada a chiamare?”
“No,
aspetterò qui che finisca il suo turno, se non è un
problema. Grazie, comunque.” rispose Sirius.
“E'
un bravo ragazzo. Lavora sodo e impara in fretta.” aggiunse
Tibbur, prima di accomiatarsi.
Sirius
attese che Dan smontasse e, quando lo vide uscire dalla porta sul
retro, abbandonò rapido il suo tavolo.
Daniel
si sarebbe Smaterializzato, ovviamente, ma prima avrebbe dovuto
trovare un posto adatto per farlo. Sirius lo poteva ancora
raggiungere.
Dal
cortile sul retro del palazzo si apriva uno stretto vicolo cieco, che
aveva per ospiti solo alcuni bidoni della spazzatura, Dan si stava
avviando dietro ad uno di essi per tornare a casa.
Sirius
lo vide procedere con la sua camminata strascicata, quasi che dovesse
trascinare i piedi, uno dopo l'altro, con la conseguente levigatura
della suola delle scarpe sul tallone, cosa che faceva impazzire
Hellen.
Indossava
un paio di larghi pantaloni corti ed una maglietta dei Ramones nera.
Sirius
sorrise, pensando che, almeno in fatto di gusti musicali, il ragazzo
che aveva di fronte era ancora suo figlio.
“Dan!”
gridò Sirius
Daniel
lì per lì non si voltò.
L'avrebbe
riconosciuta ovunque, quella voce.
Non
era ora, non era ancora il momento giusto.
Non
si sentiva pronto.
“Dan.”
chiamò Sirius, facendosi sempre più vicino.
A
quel punto Dan capì che non poteva fuggire via come un
codardo, sottraendosi alla discussione.
L'avrebbe
affrontata. Avrebbe spiegato a suo padre cosa stava facendo e perchè
lo stava facendo.
Gli
avrebbe spiegato che fare il barista gli stava dando comunque delle
soddisfazioni e che, anche se lui non fosse stato d'accordo, sarebbe
andato avanti per la sua strada perchè, per una volta, per la
prima volta, si sentiva fiero di se stesso.
Lavorare
in un pub non era quello che sognava. Non lo sarebbe mai stato. Ma
per il momento andava bene. Per il momento era soddisfatto si sé.
Si
sentiva orgoglioso di quei soldi che si guadagnava lavorando. Si
sentiva orgoglioso di averlo fatto da solo.
E
se suo padre, sua madre o chi per essi non avessero capito, bè,
lui non ci poteva fare proprio niente. Poteva solo obbiettare che ci
stava provando, ad uscirne, a guadagnare di nuovo quella fiducia che
aveva tradito.
Alzò
la testa e fronteggiò il genitore che veniva in senso
contrario.
Non
si sarebbe mostrato impaurito.
“Papà.”
rispose.
Sirius
gli cercò gli occhi ed in essi, in quegli occhi come i suoi,
in grado tuttavia di esternare tutte quelle emozioni che Sirius, sin
da bambino, aveva imparato a custodire gelosamente dentro di sé,
al contrario di Daniel, pronto a condividerle col mondo, lesse,
finalmente, determinazione.
Sorrise,
inorgoglito.
“Ti
va se andiamo a farci un giro? Qua attorno, dove vuoi.”
propose.
Dan
annuì e presero a camminare, silenziosi.
Percorsero
tutta l'affollata strada che collegava Covent Garden a Piccadilly
Circus: non era semplice trovare un posto silenzioso in cui parlare,
indisturbati.
Pertanto
Sirius, condusse il figlio verso Hyde Park: forse un parco
nell'assolato agosto non era il massimo, ma, se non altro, avrebbero
potuto affrontare quella spinosa conversazione.
“Perchè
te ne sei andato, Dan?”
“Perchè?
Secondo te per quale motivo me ne sono andato?” Dan si
innervosì subito.
Sirius
con gli anni aveva imparato a tenere parzialmente a bada i nervi e
sorrise, con un misto di affetto e nostalgia, del temperamento di suo
figlio.
“Ok,
io mi sono inalberato, sei convinto di averci deluso e tutto quanto,
ma interrogati su una cosa, Dan. Qual è il vero motivo che ti
ha spinto ad andartene? E' solo l'averci mentito?” incalzò
Sirius, sedendosi all'ombra di un albero.
“Ovviamente
me ne sono andato per voi! Voglio dire, con tutto il casino che ho
fatto, la scuola, la storia dell' Indicibile, ho fatto tutto per voi!
Perchè foste, per una volta, fieri di me. Per non deludere le
vostre aspettative!” spiegò Dan, iniziando a gesticolare
furiosamente.
“Dan,
pensi davvero che ce ne importi qualcosa, se diventi Indicibile o
meno? Pensi che il mio scopo nella vita sia quello di vederti a capo
di un ufficio del Ministero?”lo interrogò Sirius.
“Non
puoi dire che non saresti contento, se così fosse.” lo
provocò Dan, giocando con dei fili d'erba che aveva strappato.
“Sei
un padre e tutti i padri aspirano al successo dei propri figli.”
aggiunse immediatamente, rabbioso.
“Vero.-
concordò Sirius.- Ma un padre vuole che suo figlio abbia
successo nel campo a lui più congeniale. Vuole che sviluppi a
fondo tutte le sue doti, che eccella in quello che vuole. Che segua i
suoi desideri, che trovi la sua strada. Questo è quello che un
padre vuole. Questo è quello che vogliamo io e tua
madre.”concluse Sirius, mantenendo sempre basso il tono della
voce, memore di tutte le volte che le loro discussioni li avevano
portati a gridarsi contro un “Evita di urlare, per favore.”
“Ciò
non toglie che io vi abbia deluso. Io non ho progetti. Io non so cosa
fare. Io non sono il figlio che si vorrebbe.” disse Dan,
abbassando la voce sull'ultimo punto.
“Dan,
ascoltami, tu ci hai deluso, sì, è vero, ma non perchè
non hai idea di cosa fare della tua vita. Ci hai deluso perchè
hai mentito. Ci hai deluso perchè hai ignorato tutto quello
che abbiamo cercato di insegnarti. Mi hai deluso perchè non ti
sei seduto ed hai detto: “Papà, sono un idiota, non ho
studiato per gli esami.” Io avrei preteso questo da te. Da mio
figlio. Non l'hai fatto. Ed è questo che mi ha deluso. Non
tutto il resto.” spiegò Sirius, sperando di riuscire a
toccare i tasti giusti per calmare l'animo inquieto di Dan.
“ E
non l'ho fatto. Sono un idiota, lo so. Ho fatto una boiata. Me ne
sono andato perchè non mi sentivo all'altezza, perchè
volevo dimostrarvi che anch'io sarei riuscito a cavarmela da solo. Me
ne sono andato per farvi capire che ce l'avrei fatta anch'io, a
costruire qualcosa, che non è solo una prerogativa di altri.
Voglio cavarmela da solo, papà. Voglio capire da solo cosa
fare, voglio uscirne da solo. Voglio farvi vedere che anch'io sono
capace di badare a me stesso.” Dan si fermò un momento.
“Daniel,
non vogliamo che tu ti assuma responsabilità che non ti
competono. Noi siamo fieri di te, a prescindere da tutto. Non
vogliamo interferire con le tue scelte, vogliamo solo poterti
aiutare, quando necessario.”
“Ma
papà, io non sono come Harry che sa dall'età di otto
anni che sa da sempre di voler fare l'Auror. Io non sono diligente
come Beth, non ho mai avuto i suoi risultati a scuola. Tu, la mamma,
gli zii... alla mia età sapevate perfettamente cosa fare.
Avevate deciso. Eravate sicuri di voi. Avevate uno scopo.”
disse Dan, a fatica, confessando il timore di non essere all'altezza
delle aspettative.
Sirius
scosse la testa, come se sembrasse scocciato. Possibile che Daniel
non capisse? Possibile che fosse così cieco di fronte alla
realtà?
“Non
ce ne importa niente Dan. Non mi interessa se tu a diciotto anni non
sai ancora cosa vuoi fare. Lo troverai, lo capirai. Alla tue età
ho dovuto decidere in fretta cosa fare, da che parte stare. E non
voglio, non voglio che anche tu sia ricoperto delle responsabilità
che avevo io a diciotto anni.
Siamo
dovuti diventare adulti troppo in fretta, coinvolti come eravamo in
qualcosa di più grande di noi. E io desidero solo che tu possa
goderti la tua gioventù sino in fondo.”
“Questa
volta voglio cavarmela da solo.” giurò Dan.
Sirius
gli sorrise, inclinando la testa verso il figlio.
“Ci
riuscirai. Riesci sempre in tutto quello che fai, se ti ci metti
d'impegno.”
Daniel
sorrise, imbarazzato.
“Come
va con la musica? Hai scritto qualcosa di nuovo?” domandò
Sirius, con noncuranza studiata.
“Ho
finito qualcosa di vecchio.” rispose Dan, grattandosi la nuca.
“Oh.
Ok. Anche se a volte ti sembra sbagliata, un'intuizione si rivela in
giusta, alla fine, non trovi? Basta crederci.”
Dan
abbassò la testa, cogliendo l'allusione. Lo sapevano tutti che
aspirava a fare il musicista, forse era davvero solo lui a non
volerlo ammettere a se stesso.
Ma
la musica andava accantonata, almeno per il momento. Prima... prima
c'erano cose che voleva sistemare con se stesso.
“Andiamo
a casa?” propose Sirius, fissando di sottecchi il rossore sulle
guance del figlio, mentre si alzava in piedi.
“Andiamo
a casa.” rispose Dan.
ORCHARD
HOUSE
Sirius
era uscito di casa in gran fretta quella mattina ed Hellen
ringraziava di essere dovuta stare al San Mungo per circa otto ore:
non avrebbe resistito l'intera giornata a casa da sola.
Immaginava
dove fosse andato Sirius, ma non riusciva a dirlo ad alta voce, colma
di paura che l'illusione svanisse e che suo marito non stesse facendo
quello che lei gli raccomandava da un mese.
Quando
era rientrata ad Orchard House e l'aveva trovata di nuovo vuota, per
poco non era ripiombata nello sconforto.
Da
un mese a quella parte, sentiva di aver perso la sua ragione di vita.
Da
quando Daniel se n'era andato via, nulla aveva senso ed Hellen si
trascinava stancamente da una giornata all'altra, sorretta solo dalla
certezza, quella che albergava nel suo cuore di madre, che Daniel
sarebbe tornato a casa.
Sebbene
il rapporto con Sirius fosse un po' più teso a causa di quanto
era accaduto, si erano entrambi resi conto che, se volevano superare
quel momento, avrebbero dovuto farlo insieme.
Quindi,
nonostante il comportamento di Sirius non riuscisse proprio a
comprenderlo, Hellen cercava di rispettare la scelta di suo marito,
aggrappandosi a lui.
Le
notizie che ricevevano da Remus e Dora periodicamente li facevano
stare senza dubbio più tranquilli, ma non si poteva dire che
fossero lieti di non avere contatti con il loro unico ed adorato
figlio.
Adorato,
pensava Hellen, forse sin trovo vezzeggiato.
Le
costava ammetterlo, ma tutto quello di cui suo figlio aveva bisogno
era imparare a cavarsela da solo, pur con la certezza che, qualunque
cosa avesse bisogno, i suoi genitori ci sarebbero stati.
Remus
aveva scritto un paio di giorni prima, scusandosi per averglielo
tenuto nascosto e rivelando che Dan aveva trovato lavoro in un pub e
Sirius, dopo una giornata di inquiete riflessioni di fronte alla
pergamena, quella mattina era uscito.
Non
se lo si erano detti, ma era implicito lo scopo della sua uscita:
riportarlo a casa.
Hellen
era rientrata dall' ospedale e si era messa ai fornelli di buona
lena, cucinando tutto quello che Daniel gradiva maggiormente.
La
cucina era un disastro ed Hellen stessa era sporca e spossata, ma non
le importava: contava solo che le patate fossero al sicuro nel loro
cartoccio con bacon e formaggio sulla stufa, che la Pie al manzo
fosse ben calda e che la cheesecake al cioccolato fosse al fresco.
Apparecchiare
finalmente per tre le dava una strana sensazione, quasi un nodo allo
stomaco. Tuttavia, il pensiero che dalla porta avrebbe potuto entrare
solo Sirius continuava ad insinuarsi nella sua testa.
Se
fosse tornato solo Sirius... no, non ci voleva pensare. Dan doveva
tornare a casa. A tutti i costi.
Piegò
l'ultimo tovagliolo e si allontanò per ammirare la sua opera.
Perfetto.
Passò
per caso davanti ad uno specchio e, osservandosi, vide che il suo
volto non era roseo e sereno come un tempo: Dan non doveva vederla
così.
Passò
dal bagno e tentò di sistemarsi, in qualche modo,
sciacquandosi la faccia e raccogliendosi i capelli biondi in una
morbida crocchia.
Sentì
l'inequivocabile scrocchio della Materializzazione sulla veranda
fuori dalla porta d'ingresso e si precipitò dietro la porta.
Sirius
la spalancò, lasciando che fosse Daniel ad entrare per primo.
Hellen
non riuscì a trattenersi e gli corse incontro, stringendolo
forte.
“Mi
dispiace, mamma.” mormorò Dan, lasciandosi toccare e
guardare come se mai l'avesse fatto.
Sua
madre sorrideva e piangeva allo stesso tempo, mentre gli accarezzava
il viso, facendo scorrere, affannata, le mani sulle guance irruvidite
dalla prima barba, sulla fronte spaziosa e sulla zazzera nera ed
ordinata di Daniel.
“Non
importa, Daniel, non importa. Sei a casa, adesso.” sussurrò
Hellen, senza smettere di toccarlo, come se avesse atteso quel
momento per tutta la vita.
Daniel,
dal canto suo, benchè fosse ormai da parecchi anni restio a
coccole e dolci soprannomi, si beava di quel contatto con la madre.
Era a casa, finalmente.
C'erano
ancora parecchie cose da sistemare, soprattutto riguardo a se stesso
e con se stesso, ma, se non altro, era a casa.
“Non
dovevo mandarti via. Cercavi solo di aiutarmi.” le disse,
mentre lei lo stringeva ancora.
“Non
pensarci più, Daniel. Ora è tutto a posto.” gli
sorrise Hellen, materna, di quel sorriso che ancora sconvolgeva
Sirius, tanto era in grado di illuminarti la giornata.
Sirius
non poteva non essere felice, sapendo che quello stesso sorriso
l'aveva ereditato Daniel.
Ostinato,
cocciuto, introverso sino all'inverosimile, molto simile a lui, senza
dubbio, ma dotato di quella sensibilità, di quella capacità
di sorridere che lui non avrebbe forse mai posseduto, ma che ad
Hellen non era mai mancata.
Osservò
le due persone più importanti della sua vita, sua moglie e suo
figlio, sedersi, commossi, sui gradini delle scale, del tutto
dimentichi della cena servita in tavola e preferì lasciarli
soli.
Si
spostò nel suo studio, attraversando il piccolo corridoio che
separava la zona diurna della casa dalle stanze più intime.
Quello
che ora Sirius definiva il suo studio era, in realtà, quello
che era stato lo studio di suo zio Alpahrd, tanti anni prima.
Da
quando si erano trasferiti ad Orchard House, Sirius aveva sempre
lasciato ad Hellen la gestione della casa, la scelta del mobilio,
solo su una cosa si era rivelato parecchio intransigente: lo studio
di zio Alphard doveva rimanere com'era.
Hellen
era stata d'accordo, se Sirius voleva fare di quella stanza il suo
rifugio, era giusto che lei non vi mettesse becco.
Così
ogni cosa era stata lasciata al suo posto: i libri, vecchi ed
ingialliti, erano riposti ordinatamente sugli scaffali che
ricoprivano due intere pareti.
Due
bei quadri sopra al camino, usato lì ancora per riscaldare
l'ambiente e mai collegato con la Metropolvere.
L'imponente
divano, le due poltroncine in stile impero poggiavano ancora sul
ricco tappeto persiano con i ricami rossastri.
La
solida scrivania era ancora quella in mogano e chi sedeva allo
scrittoio godeva ancora della luce di vecchie lampade ad olio.
Sirius
prese posto dietro alla scrivania e si sedette comodo sulla
poltroncina in pelle.
Aprì
un cassetto, l'ultimo sulla sinistra e scartabellò fra i vari
fogli sino a trovare una vecchia foto in bianco e nero.
La
portò alla luce e si ritrovò a fissarla, malinconico.
Era
una fotografia del 1975, scattata il giorno del matrimonio tra sua
cugina Narcissa e Lucius Malfoy.
Ritraeva
lui e Regulus insieme ai loro genitori: il fotografo della cerimonia
aveva insistito perchè ogni famiglia di invitati ne avesse
una.
Sua
madre era seduta su una piccola sedia di legno con il cuscino e lo
schienale rivestiti di velluto.
Le
mani tenute delicatamente intrecciate sul grembo, i capelli tirati
indietro e un'espressione di fiera eleganza sul volto. Aveva
cinquant'anni, ma era una bella donna, Walburga Black.
Alla
sua destra stava ritto in piedi Regulus, con l'orgoglio negli occhi.
Alla
sua sinistra Sirius fissava l'obbiettivo, malcelando insofferenza.
Alle
spalle di Walburga, Orion Black alto, elegante e slanciato guardava
verso l'obbiettivo con un'espressione molto simile a quella di
Sirius.
Era
una foto magica, avrebbe dovuto essere animata, ma i suoi personaggi
erano immobili.
Era
una delle poche foto di famiglia che Sirius possedesse e ancora si
chiedeva per quale motivo, pur nella fretta che aveva contraddistinto
la sua fuga da casa appena qualche mese dopo lo scatto di quella
fotografia, l'avesse afferrata e portata con sé.
Lui,
che quasi scoppiava a ridere in faccia al fotografo che insisteva per
scattarla: come se fossero una famiglia, avrebbe voluto dirgli.
Distolse
lo sguardo da quella vecchia immagine e prese a guardare la
fotografia che stava sulla sua scrivania, incastonata in una cornice
d'argento.
La
prese in mano e fissò le figure ridenti: l'aveva scattata Lily
il giorno del diciassettesimo compleanno di Daniel, età
importante, per un mago.
Daniel
stava al centro, circondato dalle braccia sue e di Hellen.
Indossava
una maglietta gialla, che faceva letteralmente a pugni con la sua
zazzera nera: il sorriso inclinato era rivolto di tanto in tanto al
padre, alla sua sinistra o alla madre, alla sua destra.
Hellen
rideva, gaia ed orgogliosa, alternando la risata al severo cipiglio
rivolto ai suoi due uomini, entrambi alla sinistra.
Sirius,
dal canto suo, alzava gli occhi al cielo e scambiava sguardi complici
con Daniel.
Sirius
spostò lo sguardo dall'una all'altra fotografia, più
volte.
Poi,
si soffermò su quella che lo ritraeva con Hellen e con Daniel.
“Mamma,
papà, questo è quello che ho costruito.” disse,
rivolto ad un immaginario interlocutore, non più fisicamente
presente da molti anni, ma che pure continuava ad esserci nei
ricordi.
Scusatemi
il ritardo, ma è stato un periodo abbastanza affannato!
Vi
ringrazio tutti quanti, e ringrazio in particolare Alohomora,
PrincessMarauders, Deviljina e Alexya379 che hanno
recensito lo scorso capitolo: qui potete iniziare a trovare risposta
a qualcuno dei vostri interrogativi.
A
presto, spero.
|
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Capitolo 19 *** Perchè sei solo tu la cosa che per me è importante ***
Perchè
sei solo tu la cosa che per me è importante
Da quando Dan era tornato
a casa, i preparativi per il matrimonio di Harry e Ginny erano
ricominciati a ritmi serratissimi. La metà di agosto era già
passata e volevano concludere tutto entro il primo settembre, quando
Beth sarebbe tornata ad Hogwarts.
Così erano
ricominciate le affannate prove dal sarto, le corse in pasticceria, i
conti per il pranzo e, finalmente il gran giorno era arrivato.
Nel giardino della Tana
tutto era pronto. I tavoli erano stati preparati in un angolo e al
centro era stato montato un gazebo circondato da fiori dove si
sarebbe svolta la cerimonia.
Da esso si dipartiva una
passerella di legno e ai suoi lati erano state messe le sedie per gli
ospiti.
Mancava poco, ormai.
Harry girava nervoso per
il prato della Tana: gli era stato proibito di entrare in casa, dal
momento che avrebbe potuto incrociare la sposa , violando così
la tradizione.
La signora Weasley
l'aveva chiuso fuori di casa, sbattendogli letteralmente la porta in
faccia, mentre Hermione e Luna gli ricordavano, urlando dalla
finestra del primo piano, per quale motivo non potesse entrare.
Harry desiderava trovare
qualcosa da fare: qualsiasi cosa sarebbe andata bene, persino
sistemare le sedie o legare, a mano e senza magia, i piccoli mazzi di
fiori al pergolato, peccato che sua madre, Hellen e le sue future
cognate non fossero dell'idea, ma, anzi, si affannassero avanti e
indietro, dentro e fuori alla ricerca di insignificanti dettagli da
migliorare.
Ron non gli era di alcun
aiuto, così come i suoi fratelli, i quali, assieme al signor
Weasley partecipavano di tanto in tanto alla vestizione della sposa,
prima di tornare a fare ciò che gli era stato ordinato dalle
donne di famiglia, come, ad esempio, occuparsi del vino o dei tavoli.
Come se non bastasse,
Harry era appena riuscito a fuggire da una imbarazzante conversazione
con zia Muriel, che l'aveva braccato non appena aveva messo piede
alla Tana, con la scusa di “ essere arrivata presto per
aiutare”. Ron sosteneva che fosse arrivata presto solo per
potersi impicciare meglio e criticare di più e, sebbene
inizialmente Harry avesse difeso le posizioni della vecchia signora,
dopo essere stato costretto ad avere un dialogo con lei per un quarto
d'ora, era stato costretto ad ammettere che il suo testimone aveva
perfettamente ragione.
Quando finalmente zia
Muriel aveva pensato che fosse ora di andare a tormentare qualcun
altro, per esempio il povero Fred, beccato in castagna senza nulla da
fare ed accompagnato da Alicia Spinnet, Harry potè tirare un
sospiro di sollievo, sedendosi.
“Ehi, Harry!
Allora, come è andata la nottata? Vedo che Ron è
riuscito perfettamente nel suo compito di portarti all'altare in
tempo!” esordì Sirius, salutando il suo figlioccio con
una pacca sulla spalla.
“Se ci sei riuscito
tu con mio padre, Sirius, credo che Ron potesse farcela senza
problemi!” gli sorrise il ragazzo.
Sirius si esibì in
una smorfia e poi riprese.
“Allora, com'è?
Emozionato? Teso? Hai voglia di scappare?” chiese Sirius,
levandosi la giacca, accaldato.
Lo sposo aveva scelto il
tight e, come voleva la tradizione, questo imponeva che tutti i
parenti maschi degli sposi ne indossassero uno.
“E'... strano. Sai,
ci pensi, ci ripensi, te lo immagini, è tutto pronto, ma non
sai quello a cui vai incontro.” rispose Harry.
Sirius annuì. Lo
sapeva bene, quello che si provava: iniziare una vita a due nella
pratica oltre che nella teoria era piuttosto complicato. Già
lo era dover iniziare a pensare “noi” anziché
“io”, figurarsi riuscire ad immaginare tutto quello che
comprendeva l'essere sposati.
“Vero. Non lo puoi
sapere sino a quando non ci sei dentro e, fidati Harry, un sacco di
volte vorrai scappare e ti chiederai perchè l'hai fatto. Poi,
però, ci penserai bene, ripercorrerai i tuoi ricordi e capirai
che è stata la miglior decisione che hai preso in tutta la tua
vita. So che può sembrarti retorico, ma è così
davvero.” raccontò Sirius.
“Tu hai mai pensato
di aver sbagliato?”
“Certo che ci ho
pensato, Harry! Se pensi che poi la nostra è stata una
decisione così affrettata, dovuta all'imminente arrivo di quel
mostro di mio figlio, certo che ci ho pensato. Non mi sentivo pronto,
avevo ventiquattro anni e volevo vedere il mondo, avevo la carriera
di Battitore nel pieno... non l'ho mai detto a tuo padre, ma lo
confesso a te ora: ero sul punto di andare a giocare all'estero. Gli
Heidelberg
Harriers mi avevano fatto una bella offerta, la stavo prendendo in
considerazione. Volevo andarmene, volevo provare qualcosa di nuovo.
Ero giovane, era normale.”
“Ed
Hellen?” domandò Harry. Non si era perso una parola ed
era rimasto sinceramente stupito dal fatto che il nome di Hellen non
fosse stato ancora fatto.
“A
quei tempi la nostra storia non era delle più rosee, voglio
dire, burrascosa come ora, ma l'amavo, forse meno di quanto non la
ami ora, ma ne ero innamorato. Non avevamo mai pensato al matrimonio.
Eravamo entrambi d'accordo sul fatto di voler fare prima qualcosa per
noi stessi, in modo da non avere rimpianti. Hellen era d'accordo con
me: avrei dovuto andare a giocare in Germania, se era una cosa a cui
tenevo. Ci saremmo aspettati a vicenda o forse no, chi lo sa.”
“Ma
alla fine non andasti in Germania.” intervenne Harry.
“No.
Non ci andai. E non c'è di mezzo nessuno stucchevole motivo
poetico quale la vista tua e di tuo padre che giocate in giardino,
no. E' molto più semplice la cosa: Hellen rimase incinta e le
chiesi di sposarmi.- rise, Sirius, ricordando quei momenti.- Agì
d'istinto e d'impulso. Le chiesi di sposarmi perchè sentivo
che tutto quello che volevo era lei. Lei e nostro figlio. Non sapevo
quello a cui stavo andando incontro. Non avevo idea di tutto quello
che comportava, di quello che sarebbe successo, degli infiniti
grattacapi che mi sarei tirato in casa. Le chiesi di sposarmi perchè
la amavo. Amavo lei e Daniel, anche se ancora non sapevo come sarebbe
stato. Sapevo solo che dentro di lei c'era mio figlio e tanto mi
bastava. In ogni caso, sentimentalismi a parte, feci quello che era
giusto. Quello che ci si aspettava da me. Quello che dovevo fare.”
Harry
annuì, colpito.
“Hai
rimpianti?”si inserì Harry a bruciapelo.
Sirius
ci mise un attimo a rispondere.
“No.
Non saprò mai come sarebbe andata se mi fossi trasferito in
Germania. Non so se i miei amici mi avrebbero “perdonato il
tradimento” o meno. Ad ogni modo, ho fatto quello che allora mi
pareva giusto fare e, con il senno di poi, non cambierei nulla.”
concluse sicuro, Sirius.
“Perchè
lo racconti proprio a me e proprio oggi?” chiese, inorgoglito
dalla rivelazione che il suo padrino stava facendo a lui solo. Suo
padre, amico da una vita, non ne sapeva niente.
“Ho
pensato che potesse esserti utile saperlo. Perchè, forse, le
decisioni migliori sono quelle che prendi senza sapere bene perchè.
Qualunque decisione tu prenda, devi convincerti che è quella
giusta per te in quel momento. In futuro si vedrà, ricorda
solo di tornare con la mente ai giorni in cui hai scelto. E poi...
poi si vedrà. Non sarà semplice, Harry, te lo dico sin
da ora. Credo che te l'abbia già ribadito mille volte tuo
padre e credo che te ne sia reso conto da solo. Ma ripensa al motivo
per cui hai scelto Ginevra e tutto verrà da sé. E' solo
vita.” concluse Sirius, sorriso sghembo e un'alzata di spalle.
Harry
fece per rispondere, ma Sirius glielo impedì.
“E
ora andiamo, piccolo Prongie, se sono venuto a cercarti c'è un
motivo! I Malandrini hanno una sorpresa per te!” esclamò
Sirius, tirando Harry per la camicia.
Harry
alzò gli occhi al cielo, ridendo.
“Mi
devo preoccupare?”
Sirius
gli strizzò l'occhio.
“Ma
scherzi? Siamo i Malandrini!”
Harry
scosse la testa, divertito e seguì Sirius nella vecchia
rimessa dei Weasley, dove sostava ancora la vecchia Ford Anglia del
signor Weasley che, grazie alle sue conoscenze nel Ministero, era
riuscito a non farsi confiscare.
Suo
padre lo aspettava seduto a gambe a penzoloni sul cofano: a
differenza sua, che ancora non si era cambiato, James, così
come Sirius e Remus, il quale aspettava in piedi appoggiato alla
parete, indossava già il tight. Ad Harry fece una strana
sensazione vedere suo padre già vestito: gli sembrava di
vedere se stesso con vent'anni di più. Era abituato alla
somiglianza tra loro, ormai non ci faceva più caso, ma vedere
suo padre con il tight il giorno del suo matrimonio era strano.
Era
come se lo mettesse nella condizione di confrontare il se stesso di
oggi con quello che sarebbe diventato. Era come se in lui vedesse una
sorta di sua proiezione vent'anni dopo, con un matrimonio, dei figli,
una carriera e tutto quanto. Era strano ed inquietante. Probabilmente
era quel senso di ignoto di cui Sirius gli aveva parlato.
“Bene,
che sono venuto a fare?” chiese Harry, per rompere il silenzio.
James
scoppiò ridere.
“Ti
stai per sposare. E noi abbiamo pensato di farti un regalo.”
spiegò.
“E'
un regalo importante.” aggiunse Sirius.
“Un
onore, direi che è spettato a poche ed elette anime.”
proseguì Remus, solenne.
James
riprese la parola, mentre suo figlio li fissava, allucinato.
“Harry,
ti stai per sposare e noi abbiamo deciso di fare un'eccezione,
disobbedendo ad uno dei punti dello Statuto del Malandrino.”
“Abbiamo
deciso di nominarti Malandrino Onorario.” spiegò Sirius,
un po' scocciato dal fatto che Harry avesse cominciato a ridere.
Aveva
sempre sentito parlare dello Statuto del Malandrino, ma non riusciva
a credere che quei tre, a quarant'anni passati, riuscissero ancora a
giudicarlo una sorta di costituzione.
“Quindi-
proseguì Remus, intimandogli di smetterla di prenderli per
matti col solo sguardo- siamo lieti di renderti partecipe del Rituale
del Segreto Inconfessabile.”
Harry scoppiò a
ridere, senza nemmeno provare a trattenersi.
“Il rituale del
cosa?” riuscì a chiedere, infine.
James lo guardò
accigliato.
“Come sarebbe a
dire il rituale del cosa? Il Rituale del Segreto Inconfessabile,
Harry!” esclamò, meravigliato che suo figlio non solo
non provasse un minimo di attrattiva, ma anzi, lo fissasse come se lo
stesse prendendo in giro.
“E' un rituale
Malandrino.- si affrettò a spiegare- Il giorno del matrimonio
lo sposo ha il dovere di raccontare un suo segreto inconfessabile,
mai rivelato ad alcuno prima d'ora.”
“E quindi?”Harry
li guardò scettico.
“E quindi ora tocca
a te raccontarci qualcosa.”illustrò Remus, scandendo
bene ogni parola.
“Per esempio nel
caso del qui presente Messer Moony, cinque anni or sono venimmo a
sapere che a scuola mi rubava le ragazze.” raccontò
Sirius, guardando Remus in cagnesco.
“Oh e smettila,
Padfoot! Sono passati quasi trent'anni! Quanto sei noioso!” si
lagnò Remus.
“Allora, hai capito
Harry? Su, avanti, racconta!”lo incoraggiò James.
“Quindi io dovrei
rivelarvi qualcosa che non ho mai rivelato a nessuno?” chiese
Harry.
James, Sirius e Remus
annuirono.
“Qualcosa di
possibilmente vergognoso?”
“Esatto.”
asserirono.
“Qualcosa che
contenga particolari scabrosi?”
“Possibilmente.”
precisarono.
“Ma non ci penso
nemmeno! Ci si vede!” Harry agitò per aria una mano e si
voltò.
Remus, James e Sirius
erano rimasti impalati, con una strana espressione in viso.
“Harry mi stai
dicendo che non hai particolari scabrosi da raccontarci?” James
lo bloccò per un braccio.
“Certo che ce li
ho. Semplicemente non sono così stupido da raccontarli a voi.”
ammise, con sincerità, Harry.
James lo fissava, come se
non avesse ben afferrato.
“Bè, grazie
di tutto, signori, ma è tempo che mi congedi. Dovrei andare a
vestirmi.” Harry li salutò con un sorriso ed uscì
sul prato.
“Questo è
dannatamente figlio tuo, Prongs!” Sirius scosse la testa.
James annuì senza
parlare.
“Dovresti esserne
contento, Prongs.” intervenne Remus.
“Già. Ha
imparato dal migliore.- convenne James, riscossosi.- ancora però
non mi spiego come sia possibile che i Malandrini si facciano gabbare
da un ragazzino.”
“Già. E'
contro ogni logica.”sospirò Sirius.
“E' il caso di
rassegnarci: stiamo invecchiando. Andiamo, ragazzi. Questo benedetto
matrimonio s'ha da fare.” Remus scosse la testa e trascinò
gli amici fuori.
“E devo ricordare a
mio figlio che non deve inciampare, cambiare il colore dei capelli,
provare a strozzarsi con la cravatta o tentare di giocare col
cilindro.”aggiunse subito dopo.
“Passano gli anni e
una cosa non cambia, Moony.” sospirò, fingendosi deluso,
Sirius.
“Cioè?”
domandò scettico Remus.
“Continui ad essere
nevrotico con tendenze allo psicotismo.” rise James.
“Sei bellissima,
Ginny. Dico davvero.” Hermione fissava l'amica, commossa.
Aveva legato i capelli in
un alto chignon, così da far vedere gli orecchini di perla, il
vestito, color avorio, la fasciava sino alla vita, per poi aprirsi in
una ampia e morbida campana.
La scollatura era
illuminata da una catenina in oro bianco alla quale era appeso un
piccolo ciondolo di turchese.
“E' tutto grazie
alla tua collana, Hermione. Così risparmiamo sul blu e sul
prestato: tutto in una cosa sola!” rise Ginny.
“Non dire
sciocchezze! Sei bellissima, dico sul serio.” ribattè
Hermione.
“Guardati, Ginny.”
Luna si spostò dallo specchio e la invitò a guardarsi.
Ginny, facendo attenzione
a non cadere, camminò fino allo specchio.
La sua stanza era un
disastro: borse, cappelli, vestiti, scarpe, trucchi e gioielli erano
stati abbandonati un po' ovunque e non inciampare era complicato.
“Sono davvero io?”
riuscì a dire Ginny, commossa.
“Direi proprio di
sì!” esclamò Hermione.
“E' tutto grazie
alla tradizione che hai rispettato!” fu il parere di Luna,
mentre le sistemava la gonna.
Inizialmente Ginny aveva
detto che non sarebbe stato un problema, se anche non avesse avuto
tutto ciò che la tradizione le imponeva, ma Luna si era
imposta ed aveva racimolato qualcosa di vecchio, qualcosa di
regalato, qualcosa di blu e qualcosa di prestato. Nuovo era il
vestito.
Hermione aveva prestato a
Ginny la sua collana col turchese: prestato e blu erano a posto.
Lei aveva aiutato Ginny a
trovare qualcosa che le avessero regalato o qualcosa che avesse da
parecchio tempo e a cui era affezionata: alla fine, la signora
Weasley, aveva involontariamente ricordato alla figlia gli orecchini
di perla che le avevano regalato per i suoi diciassette anni.
“Permesso? Posso
entrare?” Angelina aveva fatto capolino, seguita da Fleur, Bill
e Charlie.
“Wow, Ginny sei...
sei bellissima!” esclamò Charlie.
“Charlie! Sei già
qui! Pensavo arrivassi più tardi!”Ginny gli si era
buttata al collo, facendosi stringere forte.
“Ehi, attenta, che
ti rovini il vestito!” le disse Bill, ridendo.
Piano piano arrivarono
anche Fred, George, Percy e Ron. Senza dirsi niente, ma capendosi
solo con lo sguardo, Fleur, Angelina, Luna ed Hermione lasciarono
sola Ginny coi suoi fratelli.
Tutti quanti avevano una
parola per la loro sorellina che si era fatta donna e stava andando a
sposarsi.
Sembrava ancora così
vicino il tempo in cui si rincorrevano per casa! Ginny era stata
costretta ad adeguarsi ad una vita a ritmi maschili, per evitare di
essere ignorata da sei fratelli e non era mai stata una bambina
particolarmente capricciosa o introversa o raffinata. Si era
sbucciata le ginocchia con Ron, aveva seguito Fred e George sugli
alberi, si era fatta portare sulla scopa da Charlie, aveva imparato a
leggere dai libri di Percy, era stata iniziata al rock dai dischi di
Bill.
Era stato tutto semplice
e naturale, sino a quando non era sopraggiunta l'adolescenza, a
rendere manifesto a tutti che lei era una ragazza e che, volenti o
nolenti, il tempo per i giochi con i fratelli stava finendo.
Tutti e sei la
osservavano, non increduli, semplicemente orgogliosi. Era come se
piano piano tutti i tasselli andassero a posto.
“Quindi, andiamo?”
propose Bill.
Ginny annuì,
distratta, fissando i fratelli uno ad uno.
“Ginny, tutto ok?”
si informò, lievemente preoccupato dal comportamento della
sorella, George.
“Va tutto a
meraviglia. Vi stavo solo guardando.” sorrise Ginny, radiosa.
“Capisco che siamo
belli, Ginny, ma forse non è il caso che fissi morbosamente i
tuoi fratelli il giorno delle tue nozze.” le fece notare Fred,
divertito.
“Sciocco!- Ginny
gli tirò una leggera sberla- stavo solo guardando i miei
fratelli!”
“Ginny, sei sicura?
Se non lo sei possiamo ancora annullare tutto, lo sai, vero?”
intervenne Percy.
“Ma dai, Perce! Non
fare il guastafeste! Ginny si vuole sposare, solo che questo è
un momento un po' così... delicato.” Charlie scosse la
testa, non credendo possibile che suo fratello potesse arrivare a
tanto.
“Sei sempre il
solito, Perce!” rise Ginny.
“Andiamo? Sento
mamma brontolare dal piano di sotto.” Ron parlò per la
prima volta e, ad un cenno di Ginny, Fred aprì la porta,
uscendo per primo.
Ginevra e Ron rimasero
per ultimi.
“Avrei voluto che
mi accompagnassi tu all'altare, sai Ron?” gli sussurrò
piano, nell'orecchio.
Ron avvampò.
“Lo sai che non si
può. Ma grazie.” le rispose, lusingato.
“ Lo so. So anche
che papà ci sarebbe rimasto troppo male. Solo, ci tenevo a
dirtelo.” ripetè Ginny.
Ron le sorrise, grato e
fiero.
“Andiamo,
sorellina. E' ora. Ti accompagno per le scale e ti scorterò
fino a papà.” Ron le offrì il braccio e Ginny vi
si attaccò, scendendo le scale appoggiata a lui.
“Ti voglio bene,
Ron. E scusami se a volte mi sono comportata da isterica sorella
minore.”
Ron alzò le
spalle.
“Fa parte del
ruolo. Io dovevo essere il fratello maggiore geloso e rompiscatole
per contratto.” ammiccò, ridendo, Ron.
Scesero l'ultimo gradino,
ritrovandosi in cucina assieme al resto della famiglia.
“Vai, testimone,
che il tuo migliore amico ti sta aspettando!” gli consigliò
Ginny, vedendolo sparire oltre la porta.
Harry guardava verso
l'altare. Il celebrante era già pronto e, di fronte a lui, gli
invitati avevano già preso posto. Lui e Ginny non avevano
voluto troppe persone, ciò nonostante, il Clan Weasley
raggiungeva rapidamente la cinquantina, quindi, selezionare il resto
degli invitati era servito a poco o a niente.
Le compagne di squadra di
Ginny, la sua allenatrice, Gwenog Jones, un paio di colleghi di
Harry, Lee Jordan, Oliver e Katie Baston, sposatisi un paio d'anni
prima, accompagnati dal piccolo Alexander, Seamus Finnigan, Dean
Thomas, ormai fidanzato ufficiale di Luna, Neville con Hanna Abbot.
Hagrid.
Suo padre occupava la
prima fila, accanto a lui si sarebbe seduta sua madre dopo averlo
accompagnato all'altare.
Dietro di lui stavano
Sirius, Hellen, Dan, Remus, Tonks e Teddy, accanto ai signori Tonks.
Dall'altra parte, a
destra stavano i Weasley.
La signora Weasley era
già in lacrime.
Ron raggiunse Harry, di
corsa.
“Ci siamo. Possiamo
incominciare.”
Harry annuì.
“Gli anelli, li
hai?” si informò Harry, con l'agitazione che saliva.
“Fidati.”
rispose Ron, con un sorriso sghembo.
Harry alzò le
braccia.
“Ok, mi fido. Mi
fido. Grazie, Ron.”
“Figurati. Vedrai,
andrà bene.” si schernì Ron, imbarazzato, dando
ad Harry una pacca sulla spalla.
“Lo spero.”
sospirò Harry
Ron sorrise e si congedò
di corsa.
“Vado. Abbi cura di
lei.”
Harry annuì,
guardando Ron correre verso l'altare.
All'ingresso del
testimone, il chiacchiericcio che animava gli invitati si spense.
Ron fece un gesto al
celebrante, per fargli capire che tutto era pronto e che gli sposi
stavano per arrivare.
Harry, intanto, attendeva
con sua madre, sopraggiunta non appena era andato via Ron.
“Emozionato?”
gli sussurrò Lily.
“Un po'.”
confessò Harry.
“Il tempo volerà.
A cerimonia conclusa, ti chiederai come sia possibile che sia già
finito tutto.” proseguì sua madre, aggiustandosi la
stola azzurra.
“Dici?”
“Garantisco. Questi
momenti passano sempre troppo in fretta.” gli raccontò
Lily.
“Lo spero. Mi
angoscia tutta questa gente che guarda me. Sempre che siano
interessati a me e non a Ginny. Credo che sia più probabile la
seconda opzione, in realtà.” Harry tentò di
sdrammatizzare la tensione.
“Lo credo anch'io.-
convenne Lily- Su, tira fuori tutta la faccia tosta dei Potter!”
“Mamma...”
iniziò Harry con un filo di voce.
“Andrà tutto
bene, Harry. Questo è solo l'inizio.” gli assicurò
Lily, decisamente meno tesa di lui.
Harry annuì e
ripetè quelle parole nella mente, quando, un gesto di Ron, gli
fece capire che era ora di andare.
Lily lo prese
sottobraccio ed iniziarono a camminare, diretti all'altare, sotto gli
occhi di tutti gli invitati.
Si fermarono poco avanti
a Ron, che aspettava, nervoso. Si era controllato le tasche almeno
una decina di volte, per assicurarsi di non aver perso gli anelli,
prima di ricordarsi che li aveva consegnati a Remus circa dieci
minuti prima: Teddy era il paggetto e sarebbe spettato a lui portarli
all'altare.
Lily baciò Harry
su una guancia e poi si posizionò, commossa, accanto a suo
marito. James le passò un braccio attorno alle spalle ed
entrambi presero a fissare Harry carichi di orgoglio.
Tutto stava prendendo la
giusta direzione e quello era solo il completamento di qualcosa che
lei e James avevano iniziato insieme tanti anni prima.
Lily strinse forte la
mano di suo marito e James le posò un bacio tra i capelli.
Lily, Harry, Beth: loro,
la cosa più importante.
Harry teneva gli occhi
fissi sulla passerella di legno che era stata montata, in attesa di
Ginny. Tra gli invitati, di tanto in tanto, qualcuno si voltava per
controllare l'arrivo della sposa.
Tra di essi, la piccola
Victoire, stretta tra suo padre e sua madre, si sporgeva il più
possibile per vedere “Il bel vetito di 'ietta Ginny”.
“Maman, 'ietta
Ginny sta 'rivando!” gridò. Fleur, le intimò di
fare silenzio, ma ormai tutti avevano sentito e Fred e George erano
già intenti a ridere.
Tutti quanti voltarono la
testa, mentre Teddy, con passo incerto, a testa alta, camminava con
le fedi appuntate su un cuscinetto di velluto.
Nonostante le mille
raccomandazioni di sua madre, era così agitato da non riuscire
a controllare i suoi poteri, quindi i suoi capelli continuavano a
cambiare tonalità, passando dal biondo miele, al verde, al
rosso, all'azzurro e al viola.
“Oh, per Morgana,
glielo avevo detto di stare attento!” sussurrò
Ninfadora, nell'orecchio di Remus.
“A questo punto
prega solo che non inciampi!”rispose, irritato, Remus. Aveva
passato l'ultima settimana a ripetere a Teddy in tutte le salse ciò
che non avrebbe mai dovuto fare.
E cambiare il colore dei
capelli rientrava in quella lista di cose.
“Su, Remus, non
prenderla così. Vedrai che non cadrà!” esclamò
lei, risentita e fiduciosa nelle capacità di suo figlio.
“Troppo tardi.”
Remus indicò Teddy, carponi per terra, che cercava in fretta e
furia di recuperare il cuscino e che, per nulla impressionato dalla
cosa, ricominciava la sua marcia verso l'altare, ansioso di
consegnare a qualcuno quegli anelli.
Prima ancora che salisse
i tre gradini, Charlie, scelto dalla sorella come suo testimone, si
affrettò ad andargli incontro, togliendogli il cuscino dalle
mani.
“Voglio
sotterrarmi.” sillabò Ninfadora, lugubre.
“Siamo in
due.”concordò Remus ed entrambi pensarono che, da quel
momento in avanti, sarebbero stati etichettati dall'intera famiglia
Weasley come i peggiori genitori della storia.
Teddy era seguito da
Luna, Hermione e Elisabeth, damigelle vestite di seta color crema.
Dietro di loro veniva
Ginevra, raggiante al braccio si suo padre e bellissima nel suo abito
bianco.
Le mani, che tenevano il
bouquet di rose bianche, tremavano furiosamente, ma Ginny non si
lasciò sopraffare dall'emozione e, dignitosa, percorse
l'intera passerella.
Mentre camminava verso
l'altare dietro ad Hermione e vedeva suo fratello aspettare Ginny,
Elisabeth non potè non pensare a come sarebbe stato il giorno
del suo matrimonio.
Arrossì, mentre
nella sua mente si facevano già largo le immagini: Anne a
farle da damigella, Thomas come suo testimone, suo padre che
l'accompagnava all'altare, salutandola con un bacio prima di
consegnarla allo sposo che in quel sogno era Daniel, accompagnato da
Lucas.
Imbarazzata da quei
pensieri, tentò di riscuotersi immediatamente, cercando di
smetterla di pensare a Daniel che la aspettava all'altare.
Si trattava solo di
sciocche fantasie, si ripeteva, dettate solo dal fatto che, in fondo,
non era mai stata innamorata di nessuno e, quindi, era ovvio che
pensasse a Daniel in quel modo.
Ma non c'era alcuna
ragione per la quale dovesse avere quei pensieri, per la quale
dovesse pensare a Daniel in quel modo, soprattutto.
Seguì Hermione e
Luna, che si posizionarono in fila a fianco a Charlie ed osservò,
con un pizzico di nostalgia ed un po' di invidia lo sguardo che suo
fratello stava riservando a Ginevra, mentre lei, composta, lo
raggiungeva.
Fierezza, stupore, gioia,
amore. Uno sguardo che sembrava dirle che solo lei era importante,
che lei era la cosa più importante della sua vita.
Da quando si era
svegliata, Beth provava una strana sensazione, qualcosa che non
riusciva ad etichettare come positivo e nemmeno come negativo.
Quella giornata segnava
una fine, ma anche un inizio. Sperò sinceramente che l'inizio
non le avrebbe fatto rimpiangere la fine.
“Coraggio, Beth!
Non prenderla così, sembra quasi che sia innamorata di tuo
fratello!”le aveva detto
Anne e, in fondo, da quelle che erano le sue reazioni, non poteva
darle tutti i torti.
Era
un attaccamento viscerale ad Harry, il suo, e non avrebbe mai
sopportato di perderlo. Tuttavia, forse, era tutto dettato ed
ingigantito dal fatto che le sembrava che tutti stessero per spiccare
il volo, che tutti avessero deciso cosa fare, dove andare, chi
essere, tranne lei.
Come
se tutti stessero andando via, crescendo, tranne lei, ferma immobile
nella sua condizione.
Dan
con la sua musica, Lucas, che già si stava informando per
lavorare in una riserva di animali magici in Baviera dopo il diploma,
Anne che voleva girare il mondo, Thomas deciso più che mai a
diventare un guaritore, suo fratello che si sposava... Tutti in
movimento, lei, immobile, come se dovesse contemplare qualcosa di
inesistente.
Ascoltò
con attenzione le parole della cerimonia, intenzionata a non perdersi
niente, a stamparsi nella mente ogni singolo istante di quella
giornata così importante.
Daniel era seduto di
fianco a suo padre, impettito, ma con gli occhi lucidi, a differenza
di sua madre che stava dando libero sfogo alla sua commozione. Scosse
la testa, divertito e poi prese ad osservarsi il panciotto sopra alla
camicia.
Si sentiva estremamente
ridicolo, con quel tight, indossato a causa di una stupida
tradizione.
Non gli stava male, solo
era ingombrante: la camicia, il panciotto, la cravatta, la giacca
lunga, il cilindro. Fortunatamente era estate ed era riuscito a
scampare ai guanti di pelle.
A differenza sua, Teddy,
ancora troppo piccolo per rendersene conto, non aveva protestato
quando gli era stato mostrato il vestito, ma anzi, lo indossava
orgoglioso di se stesso.
Nonostante il caldo, sua
madre era stata categorica: avrebbe dovuto tenere la giacca almeno
fino alla fine della cerimonia, poi avrebbe anche potuto togliersela.
Peccato che facesse caldo. Tremendamente caldo.
E quella giornata gli
sembrava tremendamente strana.
Elisabeth era vestita di
bianco panna, Ginny l'aveva voluta così. Indossava un vestito
a maniche corte in stile impero.
Vedendola lì, in
piedi alla sinistra di Ginny, Daniel, dal suo posto, non riusciva ad
ascoltare nessuna delle parole del celebrante. Riusciva solo a
pensare che Elisabeth fosse bella.
Bella. Semplicemente
bella: non bellissima, non gli era mai piaciuto, quell'aggettivo: lo
trovava quasi volgare, ad essere sincero.
Elisabeth quel giorno era
bella perchè era lei stessa: un vestito bianco, i capelli
rossi lasciati sciolti sulla schiena, un filo di trucco e il suo
sorriso timido e spontaneo.
Bella e basta. Daniel si
chiese se lei lo sapesse di essere così bella.
La fine della cerimonia
arrivò in fretta, proprio come Lily aveva assicurato ad Harry.
Senza quasi rendersene conto, stava per essere formulata la formula
di rito.
“Io, Harry, prendo
te, Ginevra, come mia legittima sposa. Prometto solennemente, davanti
a Dio e a questi testimoni, di esserti fedele sempre, nella gioia e
nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarti ed onorarti
tutti i giorni della mia vita” non gli tremò la voce
mentre infilava l'anello all'anulare destro di Ginny, senza smettere
di guardarla negli occhi. Non ebbe incertezze perchè gli
sembrava solo naturale: Ginevra era la cosa più importante
della sua vita. Contava solo lei, per questo, mentre prometteva non
aveva paura. Sirius aveva ragione: se pensava al suo futuro, vedeva
solo Ginny.
“Io, Ginevra,
prendo te, Harry, come mio legittimo sposo. Prometto solennemente,
davanti a Dio e a questi testimoni, di esserti fedele sempre, nella
gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarti ed
onorarti tutti i giorni della mia vita” la voce era bassa e
tremante, ma non perchè avesse paura. Le sembrava solo troppo
bello per essere vero. Nel suo futuro c'era Harry, solo Harry e tanto
le bastava. Ginny non era mai stata così sicura di qualcosa in
vita sua.
Furono proclamati marito
e moglie fra gli sguardi commossi di Charlie e Ron, che vedevano la
loro sorellina diventata grande.
Da quel momento in poi,
ci fu una sorta di oblio, tanto furono persi in mezzo a riso e
abbracci e baci e congratulazioni.
Harry confuse i parenti
di Ginny, tanto erano numerosi e si perse in un mare di teste rosse.
Ginny, invece, ricevette
almeno tre volte l'abbraccio di Hellen, emozionata come se a sposarsi
fosse stato suo figlio e non il figlioccio di suo marito.
“Sirius, puoi anche
lasciarti andare alle lacrime. Lo sanno tutti che stai faticando a
contenerti.” sussurrò nell'orecchio del marito.
“Ma che lacrime, è
solo allergia!” esclamò Sirius, passandosi una mano
sugli occhi.
“Raccontala a
qualcun altro, Padfoot! Noi ti conosciamo!” lo prese in giro
James, venuto per stringere la mano a suo figlio e dare un'ulteriore
prova di accoglienza di Ginny nella sua famiglia.
“Saremo due suoceri
fantastici, hai la nostra parola!” giurò, abbracciato a
Lily.
Ginny scoppiò a
ridere, ma venne interrotta da sua madre che stava giusto raccontando
ad Harry qualcosa su alcuni parenti Weasley, quando si era accorta
che non era ancora stata lanciato il bouquet.
“Ginevra!- strillò-
Il bouquet! Avanti, che cosa aspetti a gettarlo?”
“Per Morgana, me
n'ero dimenticata! Prego, avanti tutte le giovani in età da
marito!” Ginny chiamò a raccolta le amiche e le cugine,
ma sapeva già dove puntare.
Il bouquet doveva
arrivare ad Hermione: bisognava pur fare un segno a suo fratello
altrimenti, conoscendolo, Ron sarebbe riuscito ad affogare nella sua
imbranataggine in eterno.
Hermione era tra Luna e
Beth e, anche se sospettava qualcosa, cercava di non darlo a vedere.
Ginny gettò il
bouquet, facendo gli auguri alla fortunata tra gli sguardi attenti
degli invitati.
Come previsto, ad
afferrarlo fu proprio Hermione che, incrociati gli occhi di Ron,
arrossì ed abbassò la testa, così come fece
anche lui, troppo imbarazzato per dire qualcosa di sensato.
Fred, George, Bill e
Charlie cominciarono a ridere sguaiatamente, ma la signora Weasley,
che non aveva perso la sua autorità nemmeno in un momento
simile, li zittì con un'occhiataccia.
C'erano già stati
troppi matrimoni tutti insieme: erano almeno sei anni che ne
celebravano uno all'anno, più o meno e, più che per
Ron, lei era preoccupata per Charlie che, alla veneranda età
di trentadue anni non sembrava deciso a mettere la testa a posto.
“Credo che sia un
messaggio subliminale indirizzato a te, sai? Penso ti stiano dicendo
che dovresti sposarla.” osservò Dan, rivolto a Ron.
“Stai zitto, Dan!
Ti ricordo che hai solo diciotto anni e che sei ancora troppo piccolo
per certe cose!” bofonchiò Ron, indispettito.
“Avrò solo
diciotto anni, ma certe cose le capisco, sai? Stanno tutti aspettando
te: uomo avvisato...” replicò, irriverente, Dan.
Harry, solidale, diede
una pacca sulla spalla del suo testimone, che però non gradì
la cosa.
“Non ti ci mettere
anche tu Harry!”
“Dunque... sappiate
che se sto tenendo questo sciocco discorso è solo perchè
ci sono costretto da una tradizione. La stessa che mi ha fatto
vestire con questo tight: un matrimonio prevede il discorso del
testimone dello sposo. Dovrei raccontarvi un po' di loro, se ho ben
capito. Hermione, la damigella, la conoscete tutti, vero?” Ron
indicò la ragazza che salutò i presenti con un timido
cenno, sperando che non stesse per dire quello che lei aveva la
sensazione che stesse per dire.
“Dicevo, Hermione
in questi giorni mi ha dato qualche consiglio.” proseguì
Ron
“Puoi anche dire
che te l'ha scritto lei!” gridò Fred, interrompendolo, e
suscitando l'ilarità dei presenti e meritandosi una gomitata
da Alicia.
Hermione fulminò
il quasi-cognato con lo sguardo: prima di tutto lei non aveva proprio
scritto il discorso e, in secondo luogo, Ron era già
sufficientemente teso di suo. Non era il caso che qualche sciocco
fratello si mettesse a ledere la sua già scarsa sicurezza nei
discorsi pubblici.
Lei si era dovuta sorbire
i pesanti lamenti di Ron che aveva paura di essere inadeguato in un
ruolo così importante e, anche se in quei momenti avrebbe
tanto desiderato che la smettesse di preoccuparsi, aveva un 'enorme
fiducia in lui e non voleva che qualcuno rovinasse il momento di
gloria di Ron.
“Grazie
dell'intervento, Fred. Davvero. Stavo dicendo che Hermione mi ha dato
qualche suggerimento, ma credo di essermeli dimenticati tutti,
quindi, vi tocca godervi l'improvvisazione.
Premesso che detesto
parlare in pubblico, vorrei solo dirvi che conobbi Harry per caso il
primo Settembre del Novantuno, il nostro primo giorno di scuola ad
Hogwarts. Insieme abbiamo fatto di tutto, è semplicemente il
mio migliore amico. Anche se, ad onor del vero, credo di dovervi dire
che Harry sa essere estremamente noioso, quando ci si mette. Ha
un'enorme faccia tosta, è impulsivo ed anche un po'
permaloso... oh e pretende anche di avere sempre ragione. Quando è
nel torto, poi, pur di non ammetterlo, diventa un campione di
arrampicamento sugli specchi.”
Risate, mentre Harry
tentava di seppellirsi e tutti i presenti ammiccavano nei loro
confronti.
“Questo discorso mi
ricorda il tuo, Sirius. Non è che hai dato qualche
suggerimento?” sibilò James, nell'orecchio di Sirius,
che applaudiva, entusiasta.
“Chi? Io?”-
Sirius sgranò gli occhi- “No, James, credo che sia tutta
farina del sacco di Ron! Merlino, si vede proprio che anche lui si è
accorto che voi Potter siete ossessionati dalle manie di grandezza!”
“Giusto per farvi
un esempio, una volta, al sesto anno, perse il suo libro di Pozioni,
o meglio, non comprò mai il suo libro di Pozioni. Credo che
smise di averlo a partire dal sesto anno... Comunque, per una lezione
prese il mio e, dopo aver fatto esplodere il suo calderone, preciso
che sia io che lui siamo stati sempre negati per la miscelazione di
intrugli, il professor Piton, noto ai più come presidente
ufficiale del club anti- Potter, gli chiese il libro, per controllare
che avesse scritto correttamente le procedure.
Ora, a causa di una piuma
mal funzionante inventata dai miei fratelli, il nome sulla prima
pagina del libro non suonava Ronald Weasley, ma Roonil Weezil e, a
domanda di Piton sul motivo per cui figurasse tal nome sul libro di
Potter, Harry rispose: “I miei amici mi chiamano così.”
Inutile dire che Piton non ci credette e che Harry passò la
settimana seguente a lucidare trofei.”
Altre risate, mentre il
colorito di Harry si stava facendo sempre più vicino al rosso
Weasley.
Ron non era pagato per
ridicolizzarlo.
“Bene, detto ciò,
direi che devo spiegarvi che inizialmente non fui proprio contento
dell'unione tra il mio migliore amico e mia sorella, che vedevo
ancora come una bambina: sapete, la classica gelosia del fratello
maggiore. Comunque, poi, mi sono rassegnato, meglio lui che un altro,
vi pare?
Harry è il mio
migliore amico e so che la mia sorellina non avrebbe potuto finire in
mano migliori e tanto mi basta. Non sto a dirvi quanto entrambi siano
meravigliosi, lo saprete già. E nel caso in cui non lo
sappiate, iniziereste a pensare che sia inutile retorica. Quindi, ad
Harry e Ginny, perchè questo giorno possa essere l'inizio di
qualcosa di meraviglioso!” Ron, emozionato, e probabilmente un
po' alticcio, senza sapere esattamente da dove era riuscito a tirare
fuori quelle parole, levò in alto il calice per il brindisi.
Harry si alzò in
piedi e fece cozzare il suo bicchiere con quello del testimone.
“Grazie per il
discorso, amico. Imbarazzante, ma ci stava.”
“Dovere. Non puoi
mica sempre pretendere di essere l'eroe senza macchia e senza paura
no?”
Più tardi, dopo il
taglio della torta e le foto di rito, era venuto il momento delle
danze. Molly ed Arthur avevano fatto montare una piccola pista
circolare in legno e tutti gli invitati si erano assiepati per vedere
gli sposi aprire le danze.
Harry non si sentiva per
niente sicuro di sé, anzi, se non fosse stato costretto,
avrebbe volentieri evitato, purtroppo per lui però era un
obbligo a cui non era lecito sottrarsi quindi, armandosi di coraggio,
prese Ginny sotto braccio e si avviò al centro della pista.
Ginevra, al contrario,
trovava l'intero spettacolo estremamente entusiasmante: in sei anni
era riuscita a far ballare Harry si è no tre o quattro volte
ed osservare le sue smorfie contrite ed esasperate la divertiva un
mondo.
“Su, non fare
quella faccia. Non stai mica andando al patibolo!” gli disse
all'orecchio.
“Più o meno.
Il lato positivo della cosa è che la mia dignità è
già stata completamente distrutta dal discorso di tuo
fratello.” le rispose, funereo, mentre lei faceva cenno alla
piccola orchestra del Conservatorio di Musicomagia con cui erano
riusciti ad entrare in contatto grazie a Lee Jordan.
“Vedi? Della
giornata di oggi ricorderanno tutti il discorso di Ron e non te che
balli! Su, incominciamo signor Potter!”rise Ginny.
“Ho la sensazione
che la nostra vita a due sarà impegnativa, signora Potter!
Dopo sole quattro ore mi comandi già a bacchetta!”esclamò
Harry
“Non mi sembra che
ti stia dispiacendo o sbaglio?” ammiccò Ginevra.
Intanto, il resto degli
invitati prima di cominciare a ballare aspettava che il testimone
dello sposo e la damigella della sposa seguissero la nuova coppia.
Ron, per nulla intimidito
nonostante le palesi prese in giro dei suoi amici e dei suoi
fratelli, si fece largo verso Hermione, che stava solo aspettando
lui.
“Sei venuto.”
osservò
“Dovere. Sono
costretto, direi. Andiamo, che non sopporto più gli occhi
della gente addosso?” Ron porse la mano ad Hermione che la
afferrò.
Salirono sulla pista e,
dopo un attimo di assestamento, riuscirono a mettersi al passo.
“Fred e George
hanno convinto tutti i nostri cugini a scommettere che non sarei mai
riuscito a chiederti di ballare, sai?” Ron scosse la testa.
“Tua zia Muriel mi
ha già chiesto tre volte quando abbiamo intenzione di
sposarci.” disse Hermione.
“Scusa, non volevo.
Non dovevo dirtelo.”si affrettò ad aggiungere
immediatamente.
L'aveva detto così
per parlare, per collegarsi a quanto aveva appena raccontato Ron. Non
voleva schernirlo o farlo sentire in colpa. Non avevano ancora mai
parlato di matrimonio, loro.
Non avevano fretta. Era
già più che sufficiente che avessero raggiunto il loro
equilibrio insieme.
Ron sorrise e gli si
illuminò il volto. Hermione pensò che fosse davvero
bello, quando rideva. Gli si illuminavano gli occhi.
“No, no, tranquilla
va tutto bene.”
“Sicuro?”
richiese Hermione, titubante.
“Sì,
davvero. Non guardarmi così!”esclamò Ron.
“Allora ok.”
“Hermione, senti,
c'è una cosa che dovrei dirti.” incominciò piano,
Ron, aspettando che lei gli facesse segno di continuare.
“Harry andrà
via e a casa nostra ci sarebbe posto per un'altra persona... insomma,
io sono un danno con i lavori domestici. Pensava a tutto lui... e io,
io da solo potrei uccidermi con l'incantesimo sbagliato, ti pare?”
parlava a scatti ed Hermione non poteva che ridere.
“Ron...”
provò ad interromperlo.
“Zitta! Fammi
finire!”-Ron la bloccò- “Dicevo, visto che il
posto c'è... ecco, a me farebbe piacere se venissi a vivere
con me, se ti va ovviamente.” precisò, emozionato.
“Venire a vivere
con te?” il viso di Hermione era l'apoteosi della sorpresa.
“Non è che
sei costretta, ecco... era solo un'idea. Se non vuoi pazienza.”
si affrettò a dire Ron.
“Ma certo che mi
va! Oh Ron, è meraviglioso che tu me lo chieda!”
Hermione gli saltò al collo, dimentica della danza e dei ritmi
del ballo.
Ron le scostò la
frangetta castana dagli occhi e le sorrise. Aveva fatto miracoli con
i suoi capelli, quel giorno.
Non perse tempo a
chiedersi quale incantesimo o quale pozione avesse usato per
trasformare in boccoli i ricci crespi che la contraddistinguevano di
solito e che, checchè ne dicesse lei, sempre pronta a
lamentarsi dei nodi che spuntavano come funghi nei suoi capelli
crespi, Ron adorava così come erano.
La baciò soltanto,
suggellando con quel bacio un nuovo inizio.
“Non importa quanto
mi farai dannare o sarai disordinato, Ron. Conti solo tu. Sei solo tu
la cosa che per me è importante.” gli disse piano,
Hermione, quando le labbra si staccarono, con le mani affondate nella
testa di Ron.
“Lo stesso vale per
me. Ci ammazzeremo, a furia di litigare, lo so già. Ma non
importa. Voglio te e sei solo tu la cosa che per me è
importante.” disse Ron, senza far caso agli occhi di tutti
puntati su di loro, senza guardare nessuno, senza essere imbarazzato.
Non provò nulla,
se non gioia allo stato puro, senza nemmeno accorgersi di sua madre
che gli volteggiava accanto accompagnata da James Potter o di suo
padre che conduceva Lily Potter per la pista.
Hellen era rimasta seduta
al tavolo da sola. Reggeva tra le mani il tovagliolo e l'avrebbe
volentieri fatto a pezzi.
“Che succede?”
Sirius le si era seduto a fianco. Aveva appena scambiato due
chiacchiere con i gemelli Weasley. Quei due ragazzi gli piacevano
proprio. Poi era stato avvicinato da Oliver Baston e sua moglie
Katie, entrambi giocatori di Quidditch.
“Muriel Weasley.”
grugnì Hellen.
Sirius stava bevendo e
per poco, il contenuto del bicchiere non finì sulla cravatta.
“Che vuole la
megera?” chiese Sirius, prendendo la sedia di fianco alla sua.
“A quanto pare le
notizie su Daniel sono giunte fino a casa sua. Non so come sia
possibile e non lo voglio sapere. Per una volta che Molly Weasley si
fa gli affari suoi e che, anzi, si è prodigata moltissimo per
sapere come stavamo, ci si deve mettere lei!”
“Ehi, calma.-
Sirius le accarezzò il braccio.- Calma, d'accordo? Dimmi
quello che ha avuto da ridire.”
“Ovviamente il modo
in cui l'abbiamo educato non è corretto, per cui se lui è
uno scriteriato egocentrico e vanesio che scappa di casa è
solo colpa nostra, anche se capita anche nelle migliori famiglie una
mela marcia. Ha compassione di noi e capisce quanto possiamo
soffrire, dal momento che lei, donna di mondo, sa che Dan non
combinerà mai niente nella vita. Ma come si permette? Per
Godric, solo Merlino sa quanto abbiamo patito!” raccontò
Hellen, furibonda.
“Spero che tu le
abbia risposto a tono, almeno.” ringhiò Sirius, nervoso.
Come si permetteva di infangare la sua famiglia? Di contestare
l'educazione che avevano impartito a Dan?
“Le ho detto che
non è il caso che si preoccupi tanto. Daniel è figlio
nostro e siamo perfettamente in grado di educarlo e, comunque, noi
siamo fieri di lui. Avresti dovuto vedere la sua faccia! Non ha avuto
il coraggio di ribattere, anzi, si è alzata certa di aver
sentito sua nipote chiamarla!” rispose Hellen.
Sirius scoppiò a
ridere.
“Brava Hellen! Così
ti voglio!” esclamò
“Sono tua moglie,
per chi mi prendi?” lo provocò Hellen, sistemandogli il
nodo della cravatta.
“Touchè! Che
dici, andiamo a ballare, signora Black?” propose Sirius, già
in piedi.
Hellen strinse la mano
che lui gli porgeva.
“Ovviamente, signor
Black!”
Si avviarono per mano
alla pista da ballo, pensando a Daniel, la cosa più importante
che avessero e che nessuno poteva permettersi di attaccare.
Daniel era stato ostaggio
di Teddy e Victoire che, bisognosi di attenzioni, l'avevano eletto a
loro idolo per la giornata, lasciando un po' di tregua ai loro
genitori. Bill e Fleur stavano ballando mentre Remus e Dora, dopo
aver parlato con zia Lily e zio James stavano facendo una passeggiata
per il prato.
Fortunatamente, dopo una
tripla dose di qualsiasi gioco Dan conoscesse, i bambini avevano
pensato che sarebbe stato carino andare a disturbare zio Charlie,
liberando Dan della loro presenza.
Era tutto il giorno che
Daniel cercava un motivo qualsiasi per parlare con Elisabeth. Era a
casa da appena dieci giorni e non aveva avuto modo di vederla. Forse
non aveva nemmeno voglia di farlo.
Forse, se non ci fosse
stato quel matrimonio non l'avrebbe ancora vista.
La cercava per chiederle
di ballare, magari avrebbero sciolto un po' di tensione, in quel
modo.
La trovò
sull'altalena dei Wealsey, da sola.
“Ehi.” disse
Dan, a bassa voce, sedendosi alla destra di Beth, appollaiata sulla
vecchia altalena che i fratelli Weasley usavano da bambini.
“Ehi.” gli
sorrise Beth.
“Non vieni a
ballare? Stanno ballando tutti.” osservò Daniel,
cercando un approccio per una conversazione.
“”Non mi va.
Non ne ho voglia.” rispose Beth, usando i piedi per ammucchiare
terra.
“Sei pensierosa
oggi.” osservò lui, dopo un po'.
“Forse.”
ammise Beth, alzando le spalle e lasciando poi l'altalena.
“Ma che diavolo ti
è venuto in mente, si può sapere? Perchè sei
scappato via?” lo aggredì Beth, alterata.
“Ero spaventato.
Non sapevo cosa fare.” si giustificò Daniel. Era vero:
aveva paura, non sapeva che fare, si sentiva intrappolato ed aveva
bisogno di pensare. Beth avrebbe dovuto capirlo, nonostante non si
fossero lasciati nel migliore dei modi, quella sera alla festa.
“Anche i tuoi
genitori erano spaventati! La tua famiglia era spaventata! Io ero
spaventata! Te ne sei andato senza dire niente! Sei scomparso! Daniel
mi sei mancato. Mi sei mancato terribilmente. Mi sei mancato
tremendamente.” confessò, con voce rotta, posizionandosi
davanti a lui, con i pugni stretti lungo i fianchi Elisabeth.
Daniel si alzò.
Non sapeva cosa fare, cosa dire. Si sentiva uno stupido.
Provò ad
accarezzarle una guancia, ed Elisabeth gli si fiondò tra le
braccia, singhiozzando.
“Io ero preoccupata
per te, sciocco che non sei altro! Ero preoccupata! Sei sparito per
più di un mese e se non ci fosse stato questo matrimonio
chissà quando ti avrei rivisto, Daniel!”
Daniel la strinse forte,
più forte che potè, quasi che volesse proteggerla da un
nemico immaginario.
“Lo so, lo so.- le
disse, accarezzandole i capelli- Lo so, Elisabeth, sono un idiota. Ho
sbagliato, mi sono comportato da ragazzino viziato. E' che è
complicato, Beth. E' complicato e io non ero pronto.”
“Per te è
tutto complicato. Da quando avevi tre anni, riesci a complicare
qualsiasi cosa.” brontolò Beth, aggrappandosi al
panciotto del tight.
Dan sorrise lievemente.
“Io sono complicato
Beth. Ma questa volta ho voluto provare a cavarmela da solo. Ho
promesso ai miei genitori che ne sarei uscito da solo, che ce l'avrei
fatta, che avrei combinato qualcosa di buono. Da solo.”
“Oh, Daniel tu sei
pieno di così tanto talento, di così tanta volontà.
Arriverai ovunque vorrai.” gli sussurrò Beth,
sciogliendo l'abbraccio e prendendogli la mano.
“Non ne sono così
sicuro.” ammise Dan.
“Io ho fiducia in
te. So che puoi farcela.”
“Sei l'unica.”
“Non dire
sciocchezze!- esclamò Elisabeth- Quando fai così
diventi davvero indisponente, sai? Sembra che tu lo faccia apposta
per sentirti dire il contrario! Anne, Thomas, Lucas credono in te.
Harry, i miei genitori credono in te. Tuo padre e tua madre, per
Godric, Daniel,... loro, loro stravedono per te! Io ho fiducia in te!
“
“Lo so, lo so. E'
che io non vorrei deludere nessuno. Sai, Beth- Daniel increspò
le labbra.- a volte ho la sensazione di essere un immane fallimento.”
Beth incrociò i
suoi occhi, comprensiva.
“Tutti abbiamo
paura di essere un colossale fallimento per i nostri genitori. Tutti
abbiamo paura di non farcela o di non riuscire a renderli fieri di
noi. Ti confesso una cosa: quando ero al primo anno mi sentivo
intimidita: Harry era il Capitano della squadra di Quidditch, tu eri
un tale disastro che era impossibile non accorgersi di te e io, io
ero solo la piccola Beth, la timida, coccolata e vezzeggiata Beth.
Mio padre e mia madre mi dissero che sarebbero stati fieri di me
comunque, a prescindere dalla nomina a Prefetto, dai miei risultati a
scuola o da qualsiasi altra cosa. Era sufficiente che facessi il mio
dovere e che cercassi di comportarmi così come mi avevano
insegnato. E' così anche per te, Daniel, i tuoi genitori, i
tuoi amici saranno sempre fieri di te, qualsiasi decisione tu
intraprenda. E' normale avere paura di deluderli, tutti hanno paura.
Ma ecco, ... io credo che qualsiasi errore possiamo commettere, loro
saranno lì.”
“Lo so, Elisabeth,
è che io vorrei poter fare di tutto perchè siano a
ragione orgogliosi di me, capisci? Perchè siano orgogliosi
loro e perchè lo sia io. Perchè io non abbia niente da
recriminarmi, perchè io mi senta realizzato, perchè io
senta di avercela fatta da solo. Capisci? Voglio fare questa cosa da
solo. Per loro, per voi, ma soprattutto per me.” Daniel parlò
con una maturità, con una risolutezza, con una decisione negli
occhi che raramente Beth gli aveva visto.
Forse era il modo in cui
era vestito, forse erano i paroloni che aveva usato, forse era il suo
tono, ma Elisabeth lo vide, per la prima volta, come un giovane uomo.
Quello che aveva davanti
non era più il suo Dan. Era un giovane uomo che si stava
affacciando alla vita. Il cuore sembrava che le stesse scoppiando,
tanto si agitava per l'emozione. Era così fiera di lui! Lei,
che al suo cospetto si sentiva ancora una ragazzina.
“Mi dispiace di non
esserci stato, in questo mese. Magari avresti avuto bisogno di me,
col matrimonio e tutto il resto. Immagino che a casa tua ci fosse
abbastanza trambusto.” si passò una mano fra i capelli,
imbarazzato.
“Thomas è
stato al mio fianco ogni giorno. Pensa che è stato lui il
primo che mi ha visto con questo vestito addosso.”gli sorrise
Beth, la mano intrecciata in quella di Daniel.
Qualcosa si mosse nello
stomaco da Dan. Qualcosa che gli faceva presente che avrebbe dovuto
esserci lui, al posto di Thomas.
Accarezzò il velo
di tulle che copriva la seta.
“E bravo Thomas! Ti
ha almeno detto che stai bene?” scherzò.
Elisabeth rise ed annuì.
“Mi dispiace così
tanto, per tutto.” si scusò Daniel.
“Lascia stare.
Anch'io avrei potuto comportarmi diversamente. Avrei potuto venire a
cercarti, starti vicino e non solo scriverti una lettera.” lo
contraddisse Beth.
“Ma...”
intervenne Dan.
“Zitto, niente ma!
Ho anch'io le mie colpe. Cinquanta e cinquanta. Come quando eravamo
bambini.” Elisabeth lo zittì così in fretta che
Daniel si mise a ridere.
Scoppiò a ridere
anche lei e risero, per qualche attimo, senza sapere perchè.
Entrambe le mani unite,
come se non potessero fare a meno di quel contatto.
Daniel ne lasciò
andare una, le accarezzò nuovamente la guancia paffuta, ancora
leggermente infantile.
Com'era bella, la sua
Beth!
Abbassò la testa,
il battito accelerato.
Elisabeth stretta a lui,
come ipnotizzata, da una parte, voleva fuggire, dall'altra.
Le labbra di Daniel si
appoggiarono sulle sue e prese a baciarla. Incontro perfetto, come se
non avessero aspettato altro da tutta la vita.
Elisabeth ricambiò,
incerta, senza sapere se stesse facendo bene o male.
Il suo primo bacio.
Sapeva solo che non
voleva che smettesse. Voleva che Daniel la tenesse lì, stretta
tra le sue braccia per sempre.
Una parte di lei, una
parte del suo cervello, rimasta ancora in funzione, ancora razionale,
le suggerì che del resto, l'aveva sempre saputo che il primo
bacio l'avrebbe dato a Dan.
Anche per Daniel fu come
dare ancora una volta il suo primo bacio. Era tutto così
nuovo, con Elisabeth. Si muoveva insicuro, temendo di fare qualcosa
di sbagliato, qualcosa di non gradito. Aveva in mano la cosa più
importante della sua vita. Non poteva farle del male. Non poteva fare
qualcosa che la infastidiva, qualcosa che lei non voleva.
“Perchè sei
solo tu la cosa che per me è importante.” sussurrò,
nella foga tra un bacio e l'altro.
Elisabeth si allontanò,
meravigliata.
“Cosa?”
domandò, allargando i suoi grandi occhi nocciola.
“Sei solo tu la
cosa che per me è importante, Elisabeth. Solo tu. Conti solo
tu. E io sono un idiota.” ripetè Dan, allontanandosi.
Beth fece altrettanto e ripropose la domanda.
“Beth io sono un
casino. La mia testa è un casino. La mia vita è un
casino. Lo è sempre stata. Ma oggi lo è di più.
E io non posso trascinartici dentro. Non posso e non voglio.”
Elisabeth si allontanò,
piano, lasciando andare la mano di Dan, ancora intrecciata nella sua.
“E quindi?”
non capiva, non aveva capito. Sentiva solo tutto rompersi, cadere a
pezzi.
“E quindi non posso
lasciare che tu stia con me, capisci? Ci sono cose che io devo fare
da solo. Le devo sistemare da solo, Beth. Non posso trascinarti in
questo immenso casino. Non sarebbe giusto.” le spiegò
Daniel, calmo.
“E se io volessi,
farmi trascinare in questo casino?” ribattè Beth,
braccia incrociate sotto al seno.
Un piccolo sorriso
increspo l'angolo sinistro della bocca di Daniel.
“Non voglio Beth.
Capisci? Non voglio. Ci sono delle cose che devo fare da solo. Devo
rimettermi a posto la vita da solo.”
“Potrei aiutarti.”
ribadì ostinata.
“No. Non puoi e non
devi farlo. Non è giusto. Io devo sistemare prima tutto questo
e sono certo che anche tu hai delle cose da sistemare. Anche tu
meriti di concentrarti su qualcosa di tuo e basta.” disse,
deciso, senza ammettere repliche.
“Quindi te ne vai
di nuovo?” chiese Beth, gli occhi che le si riempirono di
lacrime, il cuore che le si spezzava. Perderlo, di nuovo.
“Non ti chiedo di
aspettarmi. Lo farai se lo vorrai. Ma sarò qui, per te, ogni
volta che mi cercherai, come ho fatto in tutti questi anni. Non posso
darti di più, Elisabeth.”
Lacrime. Lacrime salate
sulle guance. Elisabeth se le strofinò via, con gli
avambracci.
“Vieni qui, non
piangere, Beth.” Dan la prese per il polso, cercando di
avvicinarla a sé.
“Lasciami.”
ringhiò lei, tra le lacrime.
“Vieni qui, vieni
qui ed ascoltami, maledizione!” Dan fece forza e la strinse
forte, lasciandola piangere.
“Sei solo tu la
cosa che per me è importante, Elisabeth. Solo tu. Conti solo
tu per me. Lo sto facendo per te, per noi.”
“Se pensassi a me
non te ne andresti. Ti ho aspettato da sempre, Daniel! Probabilmente
da quando ancora non me rendevo conto, ero già lì, ad
aspettarti.”
“Elisabeth,
ascoltami, ti prego!” le prese il volto bagnato tra le mani.
“Sei solo tu la
cosa che per me è importante. Solo tu.”
Un bacio sulla fronte. Un
bacio sulle labbra. Un bacio bagnato.
Un bacio d'addio.
Un bacio d'arrivederci.
Capitolo
pieno di cose, direi... non odiatemi per quanto accade alla fine, fa
tutto parte di un “romanzo di formazione”; ricordatevi
questi pensieri di Beth: “le sembrava che tutti stessero per
spiccare il volo, che tutti avessero deciso cosa fare, dove andare,
chi essere, tranne lei.
Come
se tutti stessero andando via, crescendo, tranne lei, ferma immobile
nella sua condizione.”vi
saranno utili per capire.
Potete
notare che sono tornata! Spero di poter postare in fretta anche il
prossimo capitolo, esami permettendo...
Vi
ringrazio tutti quanti, perchè, nonostante i miei lenti
aggiornamenti, mi seguite sempre.
Ringrazio
in particolare Alohomora, DevilJina, Alexya379, Padfoot_07, Rosalie
Hale e Bella Swan per aver recensito.
Alohomora:
credo che Sirius non possa fare a meno di confrontare i suoi genitori
e la sua famiglia, quello che ha costruito, quello che sta facendo,
quello a cui ha dedicato gran parte della sua vita. Proprio perchè
rivede la sua irruenza in Dan, cerca di essere tutto quello che lui
avrebbe voluto da un padre e l'idea della foto mi sembrava carina per
esprimere tutto questo.
Alexya379:
l'avevo detto che Sirius sarebbe andato a riprendersi suo figlio,
però solo quando avesse sentito che Dan era pronto per tornare
a casa. Sirius cerca di fare di tutto per essere un buon padre, per
essere il padre che lui non ha avuto. Spero ti sia piaciuto anche
questo capitolo.
DevilJina:
esatto, Sirius aspettava perchè voleva che il primo passo lo
facesse Daniel, solo così sarebbe cresciuto. Quanto alle altre
due questioni... una è esplosa, ma come andranno le cose tra i
due dopo questo “episodio”? Dan è stato
categorico, direi, sebbene non poi così sicuro... E Beth?
Padfoot_07:
come al solito mi lusinghi troppo, Siria, sai?Dan e Sirius parlano da
“uomo a uomo”, ma per Hellen, Daniel, per quanto la barba
cresca e l'altezza aumenti, resterà sempre il suo scapestrato
bambino e, anche se a volte non si vede, Dan stravede per la sua
allegra mamma.
Spero
che anche questo capitolo ti possa aiutare a preparare meglio la
maturità (ha superato gli esami Dan, vuoi non farcela tu?).
Rosalie
Hale e Bella Swan: benvenute! Eh sì, era necessario
che si parlassero, padre e figlio, inevitabile, direi. Così
come è inevitabile che Sirius provi ad essere per Dan tutto
quello che suo padre non è stato per lui. A presto!
PrincessMarauders:
visto che aggiornamento rapido?scherzi a parte, grazie di tutto!
Immaginavo che lo scorso capitolo ti sarebbe piaciuto, completamente
dedicato a Daniel e alla sua famiglia. A presto!
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Capitolo 20 *** Voglio spaccarmi in mille pezzi, se questo significa vivere ***
Voglio
spaccarmi in mille pezzi, se questo significa vivere
GODRIC'S
HOLLOW
I
primi quattro giorni erano passati quasi senza che Beth se ne
accorgesse. Usciva dalla sua stanza il meno possibile, parlava poco,
scendeva solo per i pasti, cercava di riguardare compiti che già
aveva svolto, prima di ributtarsi sul letto.
Schivava
le domande pressanti dei suoi genitori, rabbuiandosi nuovamente dopo
un sorriso appena accennato.
Poi,
inaspettatamente, la quinta notte era riuscita a dormire, senza
essere preda di pensieri angosciosi che la tenevano sveglia.
Al
mattino si era svegliata con la casa già vuota, entrambi i suoi
genitori erano fuori, e, dopo aver fatto colazione, le era presa una
gran voglia di pulizia.
Con
ancora indosso la camicia da notte ed i capelli legati in una coda
improvvisata, salì in camera e si mise alla scrivania, appoggiandosi
appena alla sedia di legno.
Aprì
il quarto cassetto sulla destra ed iniziò a scartabellare la pila di
fogli scritti: riusciva a cogliere solo qualcuna delle parole scritte
su pergamene ingiallite dal tempo.
D'un
tratto, scesa dalla sedia e messasi in ginocchio davanti al cassetto,
Elisabeth lo tirò via, fuori dalle guide di legno. Lo ribaltò,
lasciando che i fogli si mescolassero sul pavimento.
Prese
a frugare tra essi, come se fosse alla ricerca di qualcosa, anche se
in realtà non stava cercando niente.
Erano
i manoscritti dei racconti che si divertiva a scrivere da bambina,
storielle senza senso, con protagonisti magici e Babbani, con elfi
che prendevano il tè con vecchie signore inglesi e con autisti della
metropolitana di Londra che prendevano una Burrobirra da Madama
Rosmerta prima di andare a salvare una principessa in pericolo sulla
Torre di Astronomia di Hogwarts. Passava i suoi pomeriggi a
scriverle, poi, alla sera, quando entrambi i suoi genitori erano a
casa, dilettava tutta la famiglia con una lettura appassionata dei
suoi ultimi scritti.
Ne
prese in mano uno, mentre un sorrisetto malinconico faceva capolino
sul viso.
“La
strega Calpurnia e il calderone brontolone” recitava il titolo,
vergato con una scrittura infantile.
Prese
a sfogliarlo, se la ricordava, quella storia, era una sorta di
versione bambinesca de “Il mago e il pentolone salterino” di Beda
il Bardo. Doveva avere otto anni circa, quando la scrisse.
C'erano
un sacco di errori e la storia era davvero semplice, ma allora le era
sembrata perfetta.
Suo
padre e suo fratello avevano riso come matti, mentre la leggeva,
ancora balbettando un pochino. Sua madre, invece, l'aveva presa sulle
ginocchia e si era offerta di aiutarla a correggere qualche errore
nella sintassi, ma lei, orgogliosa, aveva risposto che andava bene
così, pur tornando poi indietro e cambiando idea.
Beth
sorrise, scorrendo quelle righe ingenue. Poi, gli occhi passarono ad
altri fogli. Questa volta la pergamena era più grande e più spessa.
Era
“La Gazzetta del Malandrino”, un giornalino che avevano fondato
lei e Dan prima che lui partisse per Hogwarts. Era durata circa due
anni, tra il 1994 e 1997; Dan inizialmente non era stato molto
entusiasta dell'idea, ma era accondisceso alle pressioni di Beth e
così era diventato l'Inviato Speciale della Gazzetta.
Raccontavano
quello che succedeva in famiglia, quello che succedeva in Gran
Bretagna riportando le notizie più curiose che dava il Profeta, come
quelle di vecchie megere azzannate dalle proprie teiere o di Dedalus
Lux che si ostinava a compiere magie alla presenza dei Babbani.
Includevano anche qualche foto ritagliata dal Cavillo, dal
Settimanale delle Streghe, dalla Gazzetta del Quidditch.
Lei
era il Direttore ed ogni settimana aveva il compito di scrivere un
editoriale col punto della situazione: in ogni prima pagina
campeggiava il suo punto di vista. Ogni settimana si arrabbiava con
Dan, che non spediva mai i suoi articoli in tempo e finiva per
inventarsi le cose meno plausibili.
Tutti
i mercoledì poi, le famiglie erano riunite e lei distribuiva a tutti
una copia del giornale, moltiplicato con la magia di qualcuno dei
loro genitori.
Nel
numero che aveva in mano, faceva bella mostra di sé il titolo a
caratteri mobili:
“INVASIONE
DI ANFIBI ALLA SCUOLA DI MAGIA E STREGONERIA DI HOGWARTS, dal nostro
inviato speciale Daniel Orion Black”
Durante
il primo anno di scuola d Dan, i suoi articoli erano il resoconto
delle sue avventure scolastiche, delle punizioni, delle caricature
dei professori.
Era
la Gazzetta del 15 maggio del 1997 poi, d'un tratto, verso luglio
avevano smesso di scrivere. Senza un motivo, senza un perchè. Non
'era nessun numero targato Agosto 1997. Forse era solo che Hogwarts
si avvicinava anche per lei.
Dietro
quei fogli Elisabeth scorse la sua ultima storia: “Come un
castello”. L'aveva scritta a quattordici anni poi basta, il nulla,
il buio.
“Perchè
ti sei fermata, Elisabeth?” chiese a se stessa, frugando tra un
foglio l'altro.
“Perchè
ti sei fermata? Perchè? Volevi fare tante cose! Volevi diventare
giornalista, scrittrice! Perchè hai smesso?” ripeteva in
continuazione, con il tono che si faceva alto, isterico, nervoso e
con le lacrime che iniziavano a scorrere, rapide.
“Perchè
diamine ho smesso? Perchè? Perchè non mi sono mai più preoccupata
di me stessa e basta?” gridò, alzandosi in piedi per tirare fuori
da un altro cassetto gli album di fotografie.
Colta
da qualche strano istinto, tirò fuori ogni fotografia, buttandola
sul pavimento, assieme ai fogli dei suoi racconti.
Dan,
lei Dan, ancora Dan, Lucas, Thomas e Dan, Anne e lei, Anne e Lucas,
Anne insieme agli altri.
Poche
foto ritraevano lei, che preferiva sempre scansarsi, quasi avesse
paura di comparire in qualche immagine.
“Dove
sto andando? Dove sto andando?” singhiozzò
“Dove
stai andando Beth, se ti stai così perdendo per strada?”
Si
sedette a gambe incrociate in mezzo alla stanza, singhiozzando.
“Devo
riprendere in mano la mia vita. Devo imparare a camminare da sola.
Devo vivere per me. Devo realizzare me stessa. Devo smetterla di far
ruotare la mia vita attorno a Daniel.”
Tutti
stavano prendendo la propria strada, suo fratello e i suoi amici, che
affrontavano quell'ultimo anno di scuola con le idee già chiare per
il futuro. Daniel era ormai preso dalle sue cose, dalla sua vita da
rimettere insieme, dalla sua musica e dai suoi sogni da inseguire
che, piano piano, con costanza e determinazione, avrebbe raggiunto.
Lei
no. Doveva assolutamente riprendere in mano la sua vita. Sistemare le
sue cose, riorganizzarsi.
Vivere
indipendentemente da Daniel perchè, se c'era una cosa che andava
ammessa riguardo ai suoi ultimi anni, era che li aveva passati ad
essere l'ombra di Daniel, sempre pronta a consigliarlo, ad
ascoltarlo, a guidarlo, a seguirlo. Ma Elisabeth, che fine aveva
fatto?
Forse,
i continui incitamenti da parte dei suoi genitori a riprendere in
mano le sue storie, a cercare di vedere di più Anne erano dovuti
proprio a quello, avevano visto là dove lei si ostinava a tappare
gli occhi.
Quell'estate
Daniel le era mancato. Le era mancato tantissimo, ma lei doveva
vivere indipendentemente da lui. Indipendentemente da lui e da tutto
quello che lo riguardava.
Di
tutto quello che Dan le aveva detto, una cosa spiccava sulle altre:
“Io
devo sistemare prima tutto questo e sono certo che anche tu hai delle
cose da sistemare. Anche tu meriti di concentrarti su qualcosa di tuo
e basta.”
Anche
lei meritava di concentrarsi su se stessa, sulle sue cose. Stare
senza Daniel faceva male, faceva troppo male. Faceva ancora più
male, da quando era riuscita a fargli capire quanto lui fosse
importante per lei, quanto contasse averlo vicino, quanto fosse bello
perdersi in un suo abbraccio.
Faceva
male perderlo quando aveva appena scoperto quanto fosse dolce la
vita, se vissuta insieme a lui.
Ma
lei doveva partire da se stessa. Doveva ricominciare da lei. Senza
nessun Daniel, che arrivasse a sconvolgerle ogni piano.
“Io
devo ripartire da me. Devo ripartire da me. Non so come si fa, ma lo
imparerò, lo imparerò, lo imparerò.” sussurrò, piangendo
ancora.
Era
ancora lì, a sfogliare i suoi vecchi appunti, quando Lily aprì
piano la porta.
Era
tornata a casa da poco e non aveva ancora visto Beth in giro per
casa, preoccupata, era andata al piano di sopra. La porta era solo
accostata ed era riuscita a scorgere il disordine sul pavimento e sua
figlia accucciata in mezzo a vecchie pergamene e fotografie.
L'aveva
sentita singhiozzare e piano, era entrata. Si era abbassata, cercando
il viso di Beth.
“Che
cosa è successo, Beth?” sussurrò dolcemente, col tono che solo
una madre sa usare.
Non
chiese se aveva pianto o il perchè di quanto era sul pavimento.
“Devo
rimettere ordine, mamma.” disse Beth, sorridendo tra le lacrime.
“Vuoi
che ti aiuti, Elisabeth?” domandò piano, tenendole le spalle.
“Per
adesso, sì mamma. Grazie.” rispose Beth, piano.
Insieme
incominciarono a raccogliere i numeri della Gazzetta del Malandrino,
i racconti di Beth, le fotografie. Lily, ogni tanto, aggiungeva
qualche aneddoto collegato a quanto trovavano, ricordi che Beth non
sapeva di avere.
Un
paio di giorni dopo, Thomas capitò in casa Potter dopo aver trovato
in camera sua una copia di Delitto e Castigo che Beth gli aveva
prestato qualche mese prima e che lui non era mai riuscito a finire.
Ci aveva provato, l'aveva iniziato da capo tre volte ma proprio,
oltre pagina ottantacinque non riusciva ad andare. Non faceva per
lui. Considerando che quello era il suo secondo incontro con gli
scrittori russi, prima di Dostoevskij aveva trascorso dello
spiacevole tempo in compagnia di Tolstoj, Thomas era giunto alla
conclusione che lui e gli scrittori russi non potevano stringere
alcun rapporto, nemmeno un cordiale e reciproco rispetto, dato che
aveva in entrambi i casi Fedor e Lev, come li chiamava
simpaticamente, erano stati mandati all'inferno parecchie volte.
Summit
con gli orientali di Russia a parte, quell'estate Thomas si era
dilettato con la fantascienza di Asimov e con un'ottima strega,
autrice de “Il Ricordo”. L'essere cresciuto in una famiglia priva
di poteri magici e l'essere al contempo un mago, faceva sì che la
cultura di Thomas spaziasse su due mondi, cosa di cui era molto
orgoglioso.
L'anno
prima, durante le vacanze di Natale, sua madre, insegnante di
letteratura inglese in una scuola superiore, era tornata a casa con
alcune relazioni sulle opere di Shakespeare da correggere e così,
lui, per curiosità, aveva letto “Sogno di una notte di
mezz'estate” e il “Macbeth”, rintracciandovi qualche rimando al
Mondo Magico. Parlando con sua madre, poi, aveva scoperto che almeno
sino al razionalismo del Settecento, in parecchie opere letterarie
erano presenti elementi chiaramente magici, poi spariti con l'avvento
della ragione illuminista.
Thomas
aveva quindi iniziato a pensare che, forse, per i Babbani di quei
tempi, la magia non era cosa così oscura o nascosta o che, forse,
tra questi scrittori si nascondesse anche un qualche mago.
Giunto
a quelle conclusioni, una delle cose che gli sarebbe piaciuta
moltissimo fare, era cercare i rimandi magici nei testi Babbani,
compito arduo e lungo, non ancora iniziato per mancanza di tempo.
Ovviamente
dalle sue indagini erano esclusi i russi.
Si
Smaterializzò nel vialetto che portava a Casa Potter e, dopo aver
bussato, fu accolto da Lily Potter che lo mandò di sopra, da Beth.
Elisabeth
lo accolse con un sorriso stentato.
“Che
ci fai qui, Thom?” chiese
“Sono
venuto a riportarti Delitto e Castigo. Era nelle mie mani da maggio,
almeno.” rispose, posandolo sulla scrivania.
“Oh,
ok. Ti è piaciuto?” Beth si sedette sul letto, raccogliendo le
gambe e Thomas si accucciò per terra, di fronte a lei.
“In
verità, non l'ho finito. Io e Fedor proprio non andiamo d'accordo!
L'ho trovato pesante.” confessò, per nulla imbarazzato.
Beth
lo squadrò, contrariata.
“Come
può non piacerti? Il dramma di Raskol'nikov
, seppur trasfigurato ed adatto alla vita di tutti i giorni, è il
dramma che viviamo tutti noi! La colpa e l'espiazione, viviamo tutti
queste tremende sensazioni, Thomas!” esclamò Beth, infervorata e
meravigliata.
“Non
sto a entrare nel merito di queste discussioni filosofiche, dico solo
che non fa per me, ecco. Non l'ho finito, è vero, so come va a
finire ma non l'ho letto. Ciò nonostante, ti posso dire che l'ho
trovato pesante, ripetitivo, esasperato, inconcludente. Un
personaggio come Raskol'nikov
non
mi dice niente, mi sembra solo un gran codardo!” spiegò Thomas
“Secondo
me sbagli: lui sbaglia e soffre e perde tutto e si lascia andare e
paga la sua pena, ma poi si ha l'espiazione, si ha il
ricongiungimento con l'amata, la seconda possibilità. E' il dramma
della vita.” lo contraddisse Beth
“Io
credo che se la porterà sempre con sé, la colpa di quello che ha
commesso. Non può ricominciare a vivere e basta.” Thomas scosse la
testa.
“Se
tu l'avessi letto, potresti sapere che la sua espiazione non è cosa
semplice.” puntualizzò Beth.
“Se
mi fosse interessato, sarei andato avanti. E' che gli scrittori russi
non riesco a capirli, non fanno per me. Punto. La mia cultura
personale avrà una voragine immensa che non colmerò mai, ma
pazienza. Se leggo è anche per diletto, non solo per sfoggiare al
mondo la mia cultura, ti pare? Quindi non voglio focalizzarmi sui
classici per poter dire al mondo che li ho letti ed apprezzati,
voglio leggere quello che mi va, quando mi va e perchè mi va. Si
tratti di Oscar Wilde, Agatha Cristhie o Ken Follett o lo scrittore
magico di turno. Leggo perchè mi piace, non perchè devo.” si
sfogò Thomas, con voce decisa, gesticolando.
Beth
lo fissò con disappunto: per lei c'erano dei libri che andavano
letti e basta, perchè erano un patrimonio culturale, perchè
andavano conosciuti. Doveva anche ammettere, però, che il
ragionamento di Thomas non faceva una grinza. Al contrario suo, lei
era molto più legata ad assurdi schemi mentali.
“Senti,
non mi va che ci mettiamo a litigare per dei libri, adesso. Quindi,
chiudiamola qui, ok, Thomas?”
“Ehi,
guarda che non volevo mica farti arrabbiare, lo sai, vero? E' mi
faccio sempre prendere dalle discussioni. Devo imparare a stare
zitto.” sospirò.
Beth
gli tirò in testa un cuscino.
“Ma
no, non smettere di parlare! Mi mancavano le tue teorie sul mondo,
Thomas! A volte, a volte vorrei essere come te.” disse Beth, in
un'amara alzata di spalle, abbassando subito gli occhi, perchè
Thomas non facesse inferenze a partire dalla sua espressione.
Thomas
la guardò e decise di alzarsi, per sedersi sul letto con lei.
“Che
è successo, Elisabeth?” domandò.
“Niente.”
mugugnò lei.
“Che
è successo, Elisabeth?” chiese di nuovo, imperterrito.
“Niente.”
rispose ancora, Beth.
Non
le andava di parlare, di farsi dare della sciocca, di sentirsi dare
consigli su Dan, di sentirlo criticare Dan. Non le andava di far
pesare su Thomas il suo malumore. Non le andava e basta.
“Una
volta mi avresti detto cosa avevi.” osservò Thomas.
“Una
volta era una volta.” mormorò Beth.
Thomas
si girò verso di lei, che continuava a fissare, assente, la parete.
“Come
vuoi. Parli se vuoi parlare. Allora, io penso che andrò a casa.”
disse Thomas.
Beth
gli afferrò l'orlo della maglietta, bloccandolo.
“Thomas,
io non so se ce la posso fare da sola. Non lo so. Non ci ho mai
provato.” Beth iniziò a piangere.
Thomas
non sapeva bene cosa fare, riuscì ad accarezzarle dolcemente le
guance, facendola poi aggrappare al suo petto.
Beth
gli raccontò tutto, gli raccontò di Daniel, dei suoi propositi,
delle sue paure.
“Non
essere arrabbiato con Daniel, ti prego. E' pur sempre il tuo migliore
amico.” gli sussurrò.
“Non
sono arrabbiato con lui, Beth.” mentì Thomas. Con tutte le cose
che Dan poteva fare, aveva senza dubbio fatto la più sbagliata. Lo
sapevano tutti che prima o poi doveva accadere, ma non poteva prima
gettare il sasso e poi ritrarre la mano. Doveva portare avanti la sua
scelta, sino alla fine. Se trovava il coraggio di confessare che
l'amava, doveva poi accettare che lei prendesse il suo legittimo
posto nella sua vita, non mandarla via, accampando come scusa il
casino che aveva in testa, che già aveva prima.
Non
era arrabbiato con Dan, era arrabbiato con la sua impulsività.
Conoscendolo, Daniel, era già più che tormentato dal senso di
colpa.
“Thomas,
io devo imparare a mettere me al primo posto. A riprendere in mano la
mia vita. Ma ho paura di non farcela, ho paura di non essere capace.
Ed ho paura che Dan non torni mai più. Ora come ora, ha fatto la sua
scelta ed io intendo rispettarla, ma ho paura che, nemmeno quando
avrà sistemato la sua vita, tornerà. Mi ha sempre considerato come
troppo fragile, troppo debole, da proteggere. Ma io voglio spaccarmi
in mille pezzi, se questo significa vivere. E' stupido, ma in questi
giorni, da quando ho capito cosa voglio fare, da quando mi sto
rimettendo in piedi, mi sono sentita viva. Viva dopo tanto tempo.
Viva, perchè mi sono spaccata, viva perchè sono crollata, viva
perchè mi sono rialzata. Ho solo paura di tornare a dimenticarmi
come si fa. E ho paura che, se Daniel non dovesse mai tornare,
nemmeno le mie ambizioni potranno mai farmi sentire viva. Ed è
sciocco, perchè ho diciassette anni, una vita davanti e mai, mai
avrei pensato che avrei potuto ridurmi così.” si sfogò Beth,
alternando amarezza e voglia di fare.
“Ti
aiuterò io a non dimenticarti come si fa. Beth. Ti ricorderò ogni
giorno, se è necessario, che Elisabeth Potter viene prima di
qualsiasi altra cosa al mondo. Ti ricorderò ogni giorno che in
futuro sarai una giornalista, un'ottima giornalista e racconterai il
mondo, filtrato con i tuoi occhi. E poi, poi metterai tutto per
iscritto e scriverai una storia tua, una che di più belle non ce ne
sono mai state.- iniziò con foga, Thomas- E Daniel, Daniel si
rimetterà insieme la vita e tornerà: non scordare che cosa ti ha
detto. Non dimenticartelo, chiaro?”
“Ti
voglio bene, Thomas. Scusami se non te l'ho mai detto.” sorrise
Beth, levando la testa dalla spalla di Thomas, che, per tutta
risposta, le posò un bacio fra i capelli.
HOGSMEADE
James
si Smaterializzò di fronte ai Tre Manici di Scopa, cercando con gli
occhi i suoi amici.
Un
paio di avventori stavano entrando nel locale ma di Sirius e Remus
non c'era traccia.
Mentre
già stava borbottando qualche insulto diretto loro, un sonoro crack
lo fece voltare alla sua sinistra.
“Ciao
James, scusa il ritardo ma Hellen è tornata tardi.”si scusò
Sirius, infilandosi la bacchetta nel mantello.
“Figurati,
sono appena arrivato. Remus?” chiese James
“Dora
è di guardia e Teddy è a casa con la febbre alta, non gli va di
portarlo da Andromeda quindi non viene.”spiegò Sirius.
“Bene,
siamo rimasti in due. Entriamo?” propose James, scuro in volto.
Sirius
annuì e spalancò la porta.
Salutarono
brevemente Madama Rosmerta, indaffarata al bancone ed occuparono un
tavolo.
“Vado
a prendere da bere. Cosa vuoi?” si offrì James, senza nemmeno
sedersi.
“Un
idromele. Stiamo leggeri stasera, va'.” ghignò Sirius,
stravaccandosi sul sedile di pelle.
Quella
giornata l'aveva distrutto. Era giunto alla conclusione di aver
camminato per ogni angolo del Galles in un pomeriggio: erano sulle
tracce di un gruppo di contrabbandieri e lui si era offerto di
seguire personalmente il caso con una squadra.
James
gli fece un cenno e sparì, ritornando poco dopo con due pinte di
idromele.
“Avanti,
James, cosa è accaduto quest'oggi in ufficio di così importante?”
lo interrogò Sirius.
“Ce
la siamo cavata benissimo anche senza di te, tranquillo, randagio
pulcioso! Comunque, dagli uffici del Wizengamot mi hanno portato
qualche plico su alcune stragi di guerra da controllare. Per ora non
ho trovato niente di anomalo, Non so perchè me li abbiano
consegnati.” James alzò le spalle e bevve.
“Stragi
di guerra? E come mai? Cosa c'è di ancora ignoto, a distanza di più
di vent'anni?” Sirius strizzò gli occhi, attento.
“Credo,
se ho interpretato bene i segni, che siano giunte nuove prove per
quello che accadde a Quethiock nell'80. Ti ricordi?” chiese James,
parlando a voce molto bassa per evitare di farsi sentire.
Sirius
annuì, grave. Se lo ricordava. Se lo ricordava perfettamente, Un
intero villaggio bruciato con Ardemonio. Nessun sopravvissuto e il
Marchio Nero che torreggiava in mezzo alla piazza del paese.
Quando
l'Ordine era arrivato non c'era stato più niente che potessero fare,
se non cercare di costringere l'Ardemonio ad esaurirsi lì, senza
espandersi.
“James,
tu non hai idea di cosa ci fosse quella notte. Era l'inferno.”
sussurrò grave, Sirius.
James
e Lily si erano già nascosti per proteggere Harry, ma Sirius aveva
ancora chiaro in mente l'orrore di quelle fiamme, le grida delle
persone imprigionate nelle case, senza poter uscire, il senso di
impotenza che avevano lui e gli altri di fronte a tanto orrore.
“Immagino-
annuì James- Pare sia saltato fuori qualcosa di nuovo, ma ancora non
posso dire niente. Sono arrivato a spulciare gli archivi del '79:
potrebbero dirmi esattamente su cosa vogliono che punti l'attenzione,
anziché darmi tutto questo lavoro in più da fare. Sembra che,
controllando i Mangiamorte più attivi si possa arrivare ad una
soluzione, non credo. Credo che basterebbe concentrarsi su Quethiock,
ma sono ordini dall' alto. Non si discute.” spiegò James, alzando
le spalle.
“Domani
vedremo. Oggi è stato allucinante, per me. Credo di non aver mai
guidato gente tanto inesperta! Godric, ci vorrebbe ancor il vecchio
Malocchio! Queste nuove generazioni!” esclamò Sirius, scuotendo la
testa.
Presero
a parlare d'altro, Sirius chiese se avevano notizie di Harry, in
viaggio di nozze in Grecia.
“Piuttosto,
come sta Dan?” chiese James, ad un tratto.
“E'
malmostoso in questi giorni. Mi sembra un ippogrifo in gabbia. Credo
che gli farebbe bene cambiare aria per un po'. Hellen vorrebbe che si
iscrivesse al Conservatorio, ma lui non pare intenzionato. Che
dobbiamo fare? Non lo si può mica obbligare. E' solo che, Merlino,
James, lo so che è folle, ma non voglio che passi la sua intera vita
a servire birre. Si merita di più.”sospirò Sirius, al quale Dan,
nonostante tutto, non aveva smesso di dare grattacapi.
“Credo
che frequentare il Conservatorio gli potrebbe essere utile:
studierebbe musica e potrebbe seriamente pensare ad un futuro in quel
campo. Del resto però, è cocciuto quanto te. Si è messo in testa
di voler fare da solo e andrà avanti da solo.”
“E
picchierà anche delle grosse testate, James. Me lo sento. E' che ha
talento, ha davvero tanto talento. Scrive testi bellissimi, per aver
solo diciotto anni. Credo che sia il caso di lasciargli ancora un po'
di tempo, anche se ho la cupa sensazione che, di questo passo, se non
sceglie di impegnarsi seriamente in qualcosa, non otterrà nulla.”
proseguì amaro, Sirius.
“Vedi
il lato positivo: è tornato a casa e sta provando a rialzarsi.”
gli fece notare James.
“Sì,
almeno quello. Per Godric, James, ero anch'io così confuso a
diciotto anni?” chiese retoricamente Sirius.
“Credo
di no. Non ci era concesso essere confusi.”disse James.
“Anche
Beth in questi giorni è piuttosto giù. Credo che abbia pianto
parecchie volte. Sono a casa poco, ma l'ho vista passare da momenti
di totale apatia ad una reazione spropositata: ha aperto i cassetti
della sua scrivania ed ha gettato tutto il loro contenuto sul
pavimento. Fogli ovunque, fotografie, oggetti vari dappertutto.
Sono... spiazzato. Ecco, non so cosa fare. Lily cerca di tenerla
occupata in casa e di cogliere qualcosa da qualche mezza parola che
dice. L'altro giorno Thomas è stato da noi tutto il giorno e, dai
loro discorsi, ho colto il nome “Dan.” Non è che tuo figlio ne
sa qualcosa, vero?” domandò James inclinando pericolosamente le
sopracciglia.
Sirius
scoppiò a ridere.
“Adesso
ho capito perchè è tutta la settimana che sei scontroso! Ascolta
James, come puoi facilmente intuire, non è che mio figlio sia
proprio la classica persona che racconta tutto quello che gli
succede. E' più strano del solito, in questi giorni, ma non so se
dipenda da Beth o da cos'altro.”
“Se
sono strani in due, significa che le cose saranno collegate, no?
Spero per il mio figlioccio che non sia lui la causa delle lacrime di
Elisabeth.”grugnì James terminando il suo idromele in un sorso.
“Può
anche essere ma, Merlino, siamo i loro genitori. Non credi che
dovremmo essere superiori a queste cose? Voglio dire, se hanno delle
beghe, che se le risolvano fra loro. Non trovi?” lo interrogò
Sirius, guardandolo allibito.
“Lo
so, lo so. Anche Lily la pensa così, però vedi, questo non sapere
ci uccide. Non sappiamo perchè sta così, cosa le è successo, se
hanno litigato, se non hanno litigato, se c'è qualcosa di più.
Sembrava più serena da quando Dan era tornato a casa e poi, di
colpo, sta così. Quando Lily l'ha sentita ribaltare tutti i cassetti
con rabbia, si è spaventata, è corsa di sopra e Beth, in preda ad
una crisi isterica da pianto mista a rabbia, le ha detto che stava
mettendo ordine.” raccontò James
Sirius
aveva una gran voglia di urlargli un gran” Benvenuto nel Club!”,
considerando che ad Orchard House quelle scenate erano all'ordine del
giorno, da quando quel mostro chiamato adolescenza accompagnato da
ormoni impazziti si era impossessato di Daniel.
Tuttavia
quelle non erano senz'altro le parole che James voleva sentirsi dire,
senza contare che l'equilibrata Elisabeth non era tipo da reazioni
simili.
“E'
davvero tanto giù?”
James
annuì.
“Credo
che mai come questa volta tornare ad Hogwarts le possa fare bene.”
spiegò.
“Potrei
provare ad estorcere qualcosa a Dan, ma vedi, io resto convinto che
noi non dobbiamo entrarci. Sono affari loro e basta. Siamo i loro
genitori e non dobbiamo porci al livello dei loro diverbi.”disse
Sirius.
“Hai
ragione, ma sai che io e Lily siamo i genitori apprensivi per
eccellenza! E' solo che vorrei poter fare qualcosa di concreto e lo
so che non si può. E' frustrante, questo.”confessò James
picchiando i pugni sul tavolo.
“A
chi lo dici! Devo forse ricordarti quello da cui sono appena uscito?
James, andrà tutto bene. Falle capire che ci sei basta. Per il
resto, lo sai anche tu: quando vogliono parlare parlano, quando
vogliono tacere tacciono.”disse Sirius, finendo l'idromele.
“E
per quanto sia frustrante è vero. Grazie, Sirius. Per ora mi
accontenterei che passasse bene l'ultimo giorno di vacanza.” asserì
James, in un mezzo sorriso.
“Se
vuoi, potresti dirle di venire a pranzo da noi, domani. Daniel non
c'è, tranquillo e sono certo che Hellen non vede l'ora di riempirle
il piatto.” propose Sirius.
“Glielo
dirò e ti farà sapere, sempre che Lily accetti di separarsi da lei
per qualche ora il trentuno di agosto. Adesso direi che è ora di
andare, ho detto a Lily che sarei tornato presto.” James si alzò e
Sirius lo seguì fuori.
“Allora,
ci vediamo domani.” fece James, a mo' di saluto.
“Jam,
si risolverà tutto. Vedrai. E poi, grazie per esserti preso cura di
mio figlio quando io ero troppo ottuso per farlo: in quel momento
Daniel aveva bisogno di qualcuno che sapesse essere padre nel modo in
cui lo sai essere tu.” Sirius lo incoraggiò con una pacca sulla
spalla, James si schernì.
“Dovere.
L'avresti fatto anche tu al mio posto. Sappi che adoro tuo figlio,
sebbene in certi momenti, come ad esempio adesso, avrei voglia di
sbattergli continuamente la testa contro il muro.” scherzò James,
che ancora faceva fatica ad accettare i complimenti.
Sirius
sorrise e si Smaterializzò, lasciando che James lo seguisse subito
dopo.
GODRIC'S
HOLLOW
James
si Smaterializzò direttamente in casa e Lily, sentendolo arrivare
gli corse incontro.
“Vi
siete divertiti?” chiese posando le labbra su quelle del marito.
James
ricambiò il bacio e poi rispose.
“Abbiamo
chiacchierato. Remus non c'era perchè Teddy è a casa con la
febbre.” spiegò, levandosi il mantello e poi avviandosi per le
scale con Lily.
“Capito.
Speriamo non sia niente di grave.” disse Lily.
“Sarà
solo febbre, stai tranquilla. Ho cercato di sapere qualcosa da
Sirius, ma non ha voluto dirmi niente.” raccontò.
“Lo
immaginavo. Non possiamo fare molto, James.”
“Come
sta?” chiese piano, alla moglie, mentre passavano davanti alla
stanza di Beth.
“Si
è addormentata. Le ho preparato una tisana. Dopo che sei uscito
siamo state un po' insieme, abbiamo riordinato dei vecchi album di
fotografie. Non era molto entusiasta del mio passatempo per la
serata, ma mi ha aiutato.” lo informò Lily, sedendosi sul letto.
“Credo
che nessuno a parte te sarebbe entusiasta di un simile passatempo,
tesoro mio! Ad ogni modo, ti ha detto qualcosa?” James lanciò le
scarpe nell'angolo, posizionandosi accanto alla moglie.
“No,
niente che non potessimo intuire. Ho la sensazione che persino Thomas
abbia insistito parecchio per farselo dire. Comunque, dobbiamo
ammettere che da quando ha ribaltato i cassetti sta meglio.”precisò
Lily.
“Forse
è una sorta di modo per ricominciare da capo, per fare
pulizia.”suggerì James.
“Ebbi
anch'io un momento simile, a suo tempo, dopo che Severus... bè, lo
sai. Tu c'eri.- tagliò corto Lily, mentre l'abbraccio di James la
stringeva- Credo che, nonostante tutto, buttare via quello che non le
serviva più sia un modo per capire dove vuole andare.”
“E'
vero.-concordò James- Svuotare i cassetti è un modo per
ricominciare. Speriamo che le sia utile essere ad Hogwarts.”
“Mi
spaventa un po' mandarla lontano dopo quello che è successo
quest'estate. Ho paura per la sua stabilità emotiva, sebbene, da
madre, dovrei essere del parere che cambiare aria e riprendere la
quotidianità le possa fare solo bene.”osservò Lily, giocando con
i capelli.
“Pensi
a quello che hai passato tu al nostro sesto anno, Lily. E' normale
che tu abbia paura, ma cosa possiamo farci? Aprire la testa di Daniel
per controllare che ci sia dentro qualcosa? Vorrei, ma temo che
Sirius ed Hellen non siano del nostro stesso parere.” rispose
James, facendola sorridere.
“Sciocco!
Voglio bene a Dan e so che, se c'è di mezzo lui, non sarà messo
molto meglio di Beth. Devo solo convincermi che stare lontana da
casa, tornare alla sua vita, le faccia bene. Devo solo convincermi
che ormai è grande e che il tempo in cui risolvevo ogni suo problema
con un bacio da mamma è finito da un pezzo. Andrà tutto bene,
James, lasciamo che le cose seguano il loro corso naturale.
Dopotutto, per quanto ci sforziamo di tenerla lontana, la sofferenza
fa parte della vita. E, nonostante tutto, ogni esperienza è
formativa.” replicò Lily.
“Vorrà
dire che ci consoleremo facendo i genitori asfissianti che spediscono
una lettera al giorno e che capitano casualmente ad Hogsmeade durante
i fine settimana di visita.” rise James, buttandosi sul materasso.
ORCHARD
HOUSE
Era
la domenica pomeriggio prima della partenza per Hogwarts e Lucas,
Thomas e Dan si stavano godendo l' ultimo pomeriggio di vacanza ad
Orchard House.
Dan
dormicchiava al sole rispondendo alle insinuazioni che Lucas, armato
di Gazzetta del Quidditch in una mano e di un sacchetto di patatine
nell'altra, faceva sui Cannoni di Chudley.
Thomas,
invece, controllava scrupolosamente le votazioni che i giornalisti
avevano dato ai suoi giocatori del FantaQuidditch per assicurarsi di
essere ancora in testa al campionato.
Thomas,
Dan e Lucas da alcuni anni a quella parte giocavano al
FantaQuiddicth, un gioco virtuale e promosso dalla Gazzetta del
Quidditch che prevedeva la costruzione di una squadra immaginaria
composta dai giocatori della Prima Lega secondo i voleri del
partecipante. Ogni settimana le varie squadre si sfidavano e i
risultati delle partite erano date dalla media dei voti che i
giornalisti assegnavano a ciascun giocatore nelle competizioni vere.
Daniel
era l'orgoglioso capo dei Goblin della Terra di Mezzo, Lucas portava
avanti senza troppo successo i Doxy della Caledonia (composti in
larga parte da giocatori del Caerphilly
Catapults, sua squadra del cuore ultimamente non molto ben messa.
Lucas li teneva con sé per affetto, più che altro, pur essendo
consapevole che le ultime campagne acquisti della sua società erano
al limite del ridicolo), Thomas guidava i Sassoni Normanni con un
cinismo estremamente vincente, dato che si posizionava sempre in
testa alla classifica.
“Che
poi, voglio dire, è un azzardo da parte dei Cannoni! Non è un
grande affare comprare quel brocco di Fernock. Cioè, a me fanno un
favore, però, accidenti, è un Cacciatore troppo lento! Non è in
grado di smarcarsi e saltare l'uomo!” esclamò Lucas, pescando una
manciata di patatine dal sacchetto.
“E
allora perchè sono tre anni che lo tieni nei Doxy e ti rifiuti di
venderlo ai quei poveracci che te lo chiedono?” fece Dan.
“Che
centra? E' una questione d'affetto! E' cresciuto nelle giovanili dei
Catapults, è ovvio che sia il mio idolo!”ribattè Lucas.
“Vorrei
farti notare- intervenne Thomas, mentre nell'aria comparivano i
numeri tracciati dalla sua bacchetta per fare i conti- che
normalmente i bambini hanno i propri idoli in giocatori vincenti:
Gwenog Jones ti dice niente? E Ludo Bagman? Un idiota integrale ok,
ma sapeva dove mandare i Bolidi.”
“Credo
che un tifoso dei Caerhilly Catapults sia semplicemente troppo
abituato alla sconfitta, per rendersene conto.” osservò Dan,
stappando la sua Burrobirra.
“Ma
non devi andare a lavorare, tu? E tu, non dovresti forse preparare il
tuo baule per domani?” si irritò Lucas, costretto a subirsi le
prese in giro degli amici da almeno un paio d'ore.
Thomas
era normale che fosse acido. Era sempre acido. Probabilmente aveva
ingoiato un po' troppo succo di limone da bambino, ma Dan, per
Merlino, era sempre più strano da qualche giorno a quella parte.
O
non parlava o, se parlava, sembrava che stesse per rigurgitare la sua
frustrazione sul prossimo che, guarda caso, era sempre lui.
“Oggi
sono libero. Lavoro stasera.” rispose Dan
“Il
mio baule è pronto da ieri mattina. Devo solo ritirare le pergamene
con i compiti.” rispose Thomas
“Io
devo ancora iniziare... Ah, Dan, non è che mi presteresti i tuoi
libri dell'anno scorso? Ne ho presi solo un paio...” Lucas aveva
perseguito la sua intenzione di non spendere soldi per cose che non
gli interessavano; con buona pace di sua madre che era più che
convinta che lui i libri li avesse tutti.
“Fa'
pure. Entra in casa e chiedi a mia madre dove li ha messi. Penso
siano in solaio.” spiegò Dan; che se li prendesse pure tutti, quei
libri.
“Luke,
guarda che loro avevano dei testi diversi di Incantesimi! E Dan non
seguiva Divinazione come te!” intervenne Thomas, soddisfatto di sé
e della sua posizione in classifica che, così come riportava la
Gazzetta, era ancora alta.
Avevano
fatto bene i conti, i giornalisti.
Lucas
alzò le spalle.
“Ah...
vah bè, gli incantesimi tanto sono sempre quelli; per Divinazione lo
prenderò in Biblioteca. Stavo quasi pensando di portare alla Cooman
tutti i fondi dei tè che ho bevuto questa settimana e vedere cosa mi
dice... potrei anche inventarmi qualche sciagura componendoli ad
arte.” raccontò Lucas.
“Non
mi dire che hai conservato i fondi del tè di una settimana, per
favore. E nemmeno che hai intenzione di portarli domani a scuola.”
lo implorò Thomas.
“Ok,
se vuoi non te lo dico.” Lucas alzò le spalle e fece cenno a Dan
di accompagnarlo in casa a prendere i libri.
Dan
si alzò e seguì l'amico verso casa.
Lucas
approfittò del tragitto attraverso l'immenso parco di Orchard House
per parlare con Dan. Era più strano del solito, quella settimana.
“Dan
è tutto ok, vero?”
Dan
intuì che Lucas avesse notato il suo nervosismo, ma si trincerò
dietro al silenzio. Non aveva voglia di parlare.
“Sì,
perchè?”
“Bho,
non so... Ti vedo strano.”
“Forse
è che state partendo tutti quanti e per la prima volta io resto a
casa.” disse.
“Già,
forse.” rispose Lucas, senza crederci troppo.
“Ma
se ci fosse qualcosa che non va me lo diresti, vero? Voglio dire, lo
so che è sentimentale e tutto quanto e so anche che te l'ho detto
talmente spesso che quest'estate la mia dignità è finita a Bolidi,
però... insomma, ti ho accolto in casa mia mica per niente. Se hai
voglia di parlare ci sono. I miei consigli non sono proprio sensati,
ma almeno ti ascolto.” puntualizzò Lucas, arrossendo dalla
vergogna.
Daniel
annuì.
“Lo
so. E' che sai che non parlo facilmente.”
“Bè,
dovresti provare. Fa bene.” disse Lucas, spingendo la porta di
ingresso.
Chiesero
ad Hellen dove fossero i vecchi libri di Dan. Lei li spedì in
soffitta tra la polvere e poi mandò i libri a casa di Lucas tramite
Metropolvere.
Nel
frattempo Thomas li aveva raggiunti in casa, per i saluti.
“Allora...
ci sentiamo, Dan. Magari riusciamo ad organizzare qualche sera ad
Hogsmeade, se Beth ci lascia la Mappa.” da quando Dan aveva finito
la scuola, la Mappa del Malandrino era tornata in casa Potter e James
l'avrebbe senza dubbio lasciata a Beth, la quale l'avrebbe
immediatamente trasferita nelle mani di Lucas e Thomas.
“Thom,
così non va! Non puoi infrangere tutte queste regole! Ci sono i
M.A.G.O.!” Lucas imitò il tono della McGranitt nel dire la parola
M.A.G.O., che lei scandiva sillaba per sillaba.
“Oh
e finiscila! Non possiamo mica restare separati fino a Natale, hai
idea di quanto manchi?” Thomas scosse la testa.
“Ok,
per me si può fare, lavoro permettendo. Altrimenti si può fare in
qualche fine-settimana di Hogsmeade. Fatemi sapere quando li avete.”
propose Dan.
“Ok.
Allora noi adesso andiamo. O meglio, io vado, la cara Cecile non mi
ha ancora spedito una Strillettera per miracolo. Forse perchè non è
ancora entrata in camera mia e le ho detto che è tutto pronto.
Quindi, Dan tante belle cose, il mio affetto e tutto quanto, ok?”
fece Lucas
“Anche
a te.” ricambiò Dan.
“Ci
vediamo domani al binario, Dan?” chiese Thomas, mentre Lucas
spariva in un sonoro crack.
“No,
domani no. Non vengo.” disse Dan
“Oh,
pensavo venissi a salutare” osservò Thomas, fingendosi
meravigliato. Immaginava che non volesse venire. Tutto stava
nell'aiutarlo a confessarsi.
“No,
no. Non posso.” Dan parlò troppo in fretta, desiderando chiudere
la discussione, senza tenere conto dell'innata capacità di Thomas
nel fare sempre le domande giuste.
“C'entra
Beth?Va tutto bene?Pensavo che al matrimonio di Harry aveste
sistemato...” si informò Thomas, innocentemente.
“Sì.
Tutto bene.” disse Dan con una faccia che non convinse nessuno.
Thomas
lo squadrò per un istante, giusto il tempo necessario a capire che
Dan gli stava mentendo.
Non
era mai stato bravissimo a raccontare bugie: arrossiva, borbottava e
abbassava gli occhi.
Era
in grado di inventare le menzogne migliori, ma non sapeva proprio
raccontarle.
Thomas
finse di crederci e salutò Dan con una pacca sulla spalla e, per la
prima volta, pensò che non era per niente entusiasta al pensiero di
ritornare ad Hogwarts.
Quell'anno
sarebbe stato diverso. Non ci sarebbe più stato Dan, sarebbe stato
il loro ultimo anno e sentiva che anche i rapporti tra loro stavano
cambiando, che tutto stava prendendo una via più adulta.
Non
riusciva ad avere l'euforia di Lucas, che già pensava all'ultimo
anno come al migliore, come quello da ricordare sempre e comunque,
perchè si sarebbero diplomati, perchè a luglio la Sala Grande
sarebbe stata addobbata con stendardi che dicevano:
“Congratulazioni,
Classe del 2004”.
Fino
a qualche giorno prima, un piacevole nodo allo stomaco lo avvolgeva,
quando ci pensava. Ora, invece, vedendo Dan restare a casa, sentire
che qualcosa stava cambiando, gli fece venir voglia di fermare il
tempo.
Buffo,
per lui che aveva sempre creduto nelle infinite possibilità del
futuro.
La
verità era che per lui Hogwarts era tutto: rappresentava la sua
concreta appartenenza al Mondo Magico.
Si
era sentito immediatamente a casa, quando aveva varcato i suoi
cancelli e non solo per via dell'accoglienza calorosa o per via di
Lucas che gli aveva spiaccicato una Cioccorana addosso dopo pochi
minuti che si conoscevano. Si era sentito a casa perchè quello era
il mondo a cui sentiva di appartenere da sempre.
Era
stato un bambino silenzioso ed isolato, restio a fare amicizia con
chi lo riteneva strano.
A
scuola, agli allenamenti di basket a cui suo padre l'aveva spinto ad
iscriversi, convinto che cambiare ambiente gli avrebbe permesso di
farsi degli amici, tutti lo prendevano in giro. Sentivano che c'era
qualcosa di sinistro, in Thomas McNarrow e, a ben vedere, lui non
faceva molto per guadagnarsi la loro amicizia.
Attorno
ai nove anni aveva imparato a controllare gli strani fenomeni che di
tanto in tanto gli accadevano, essendo ben cosciente che non era solo
un caso se si rompevano bicchieri o se qualcuno inciampava quando lui
era arrabbiato. Andava orgoglioso di quelle sue capacità, di quel
suo “sesto senso” e gli piaceva immaginare che ci fosse un mondo
adatto a lui, popolato da gente capace come lui.
Quando
gli era arrivata la lettera per Hogwarts tramite la Professoressa
McGranitt che si era presentata a casa sua, Thomas era stato tuttavia
restio a crederci. Era troppo strano. Un conto era sognare di quel
mondo nei suoi libri, un altro era arrivare alla convinzione che
esistesse davvero.
Ma
lui era un mago, quella era la conferma che aspettava: a dispetto di
quanti lo canzonavano.
Dal
canto loro, i signori McNarrow, superata l'incredulità iniziale,
avevano riposto in quella scuola di Magia tutte le loro speranze per
il futuro di Thomas: si auguravano che vivere e studiare assieme a
ragazzi dotati come lui lo aiutasse ad aprirsi, a farsi degli amici
in carne ed ossa, abbandonando così i personaggi dei suoi libri,
amici che lo aiutassero a vivere con i piedi per terra.
La
loro preoccupazione era alta, ma la ricezione delle prime lettere
aveva iniziato a dissipare le preoccupazioni: Thomas raccontava di
aver conosciuto dei ragazzi, di trovarsi bene, di aver stretto
amicizia con una certa Beth.
Per
Ian McNarrow, accompagnare suo figlio, Daniel, Lucas e Beth a vedere
una partita dell'Arsenal durante le vacanze di Natale del 1997 era
stato l'avvenimento atteso da una vita: testimoniava che suo figlio
era sereno, che stava bene.
Ed
ora, in quel 31 Agosto 2003, Thomas si ritrovò preda di un
'inquietudine che non lo assaliva dal 31 Agosto di sei anni prima.
Stava
finendo tutto.
Cercò
di scacciare quei pensieri, mentre rimetteva in ordine i quaderni di
scuola, accatastandoli per materia e rimpicciolendoli per farli
entrare nel baule.
“Non
essere sciocco, Thomas. Ha inizio un altro hanno. Stai per capire
cosa fare della tua vita. Sei Caposcuola. Tutto andrà bene. Siamo
noi, siamo sempre noi e stiamo crescendo. E' ovvio che le cose si
complichino.” ripetè a sé stesso, mentre dalle pagine degli
appunti di Trasfigurazione usciva un biglietto scritto da Anne e
Lucas.
Nel
frattempo sua madre Diana entrò per lasciargli le divise stirate sul
letto.
“Ti
conviene lasciarne una sopra, Thomas, così domani farai più in
fretta a cambiarti.” gli suggerì.
Thomas
annuì, distratto, mentre fissava per l'ennesima volta la spilla da
Caposcuola. Lo stemma di Hogwarts, sul quale spiccava una grande H*
dorata.
“Caposcuola...-
sussurrò sua madre- Chi l'avrebbe mai detto? Siamo così fieri di
te, Thomas.”
Thomas
si voltò, intimidito.
“Non
è detto che sia in grado di svolgere questo compito, mamma.”
“Non
dire sciocchezze! Sei già stato Prefetto, te la caverai benissimo!”
lo incoraggiò, accucciandosi di fianco a lui.
“Ma
qui è diverso, mamma! Essere Caposcuola significa coordinare il
lavoro dei Prefetti: preparare i loro turni, assicurarsi che non ci
siano problemi con gli studenti, fare da mediatori con i professori,
organizzare i banchetti di Halloween, di fine anno e persino quelli
di Natale e Pasqua, anche se a scuola restano in dieci. Poi bisogna
proporre un calendario per le visite ad Hogsmeade... un lavoro
infinito e, se la squadra non funziona, se i Prefetti sono dei
quindicenni esaltati ed incompetenti che pensano solo a togliere
punti ma che non hanno voglia di sbattersi, bè... chi paga poi sono
io!” esclamò, infine, concitato.
Diana
sorrise.
“Oh,
Thomas, vedrai che andrà tutto bene! Non sei inesperto! Sai chi sarà
l'altro Caposcuola?”
“No,
Beth ed Anne non sono. Altre persone non le ho sentite... di sicuro,
dato che già io sono di Serpeverde, la Caposcuola sarà di un'altra
Casa. Di solito è così.” spiegò Thomas.
Sua
madre annuì e gli posò una mano sulla spalla.
“Andrà
bene, Thomas. Sei un ragazzo responsabile, sai il fatto tuo. Sei
capace, Convincitene.” gli disse, senza riuscire a mettere mai da
parte la preoccupazione per quel figlio che sembrava sempre troppo
adulto per i suoi diciassette anni.
Thomas
rimase zitto per qualche minuto.
“Mamma...-riprese
poi- non sei in pensiero per quello che potrebbe succedere tra un
anno?” chiese, consapevole che, la fine della scuola, avrebbe
segnato un netto confine tra quello che era stato prima e quello che
sarebbe stato poi. In particolar modo per i suoi genitori che, a quel
punto, non avrebbero più davvero potuto aiutarlo.
“No.-
rispose Diana, mentendo parzialmente- Studierai Medimagia e
diventerai un ottimo Guaritore, Thomas. E' il tuo destino. Corrigli
incontro senza timori.” Diana simulò un sorriso, sebbene l'idea
che Thomas finisse la scuola e volasse lontano la inquietasse. Si
diceva che, se fosse andato al college come un qualsiasi ragazzo
della sua età senza il dono della Magia, sarebbe stato lo stesso,
ma dentro di lei sapeva che non era così. Thomas avrebbe continuato
a studiare, quello sì, ma sarebbe entrato sempre di più il quel
mondo a cui loro non avevano accesso e il suo timore più grande era
quello di non essere in grado di aiutarlo qualora avesse bisogno.
“Per
adesso limitiamoci a prendere i M. A. G. O..” sospirò Thomas
“Esatto:
per adesso pensa a studiare, poi si vedrà. Non sei sempre tu quello
carico di fiducia nel futuro?”
“Anche
questo è vero. E' solo che ogni tanto mi prendono i momenti di
sconforto.” precisò Thomas.
“Dai,
ora finisci di ritirare i libri perchè la cena è quasi pronta.”
sua madre si congedò con una pacca sulla spalla, lasciandolo in
balia dei suoi pensieri.
ORCHARD
HOUSE
Take
the time to make some sense Of what you want to say And cast
your words away upon the waves Sail them home with acquiesce On
a ship of hope today And as they land upon the shore Tell
them not to fear no more Say it loud and sing it proud Today...
And then dance if you want to dance Please brother take a
chance You know they're gonna go Which way they wanna go All
we know is that we don't know -- How it's gonna be Please
brother let it be Life on the other hand won't let us understand
We're all part of the masterplan
“Pendi
tempo per dare senso a quello che stai facendo, Daniel.” sbuffò
Dan, rivolto a se stesso, strimpellando la sua nuova canzone. L'aveva
scritta la notte del matrimonio di Harry. Una volta rientrato a casa,
aveva sentito la impellente necessità di scriverla. Era stato
sveglio tutta la notte, per terminarla. Ci aveva riversato tutta la
sua confusione e tutte le sue speranze per il futuro.
Quelle
di diventare un musicista, di fare, un giorno, un disco tutto suo, di
tornare da Beth e di gridare a lei e tutto il mondo che l'amava e
che, qualsiasi cosa fosse venuta, l'avrebbero affrontata insieme,
perchè, pur rendendosi conto di essere ridicolo a dire una cosa del
genere a diciotto anni, Dan sentiva che non avrebbe mai potuto amare
nessuno così come amava Beth. Era qualcosa che gli veniva da dentro,
che gli smuoveva le viscere.
Guardò
la sveglia sul comò, la stessa sveglia che aveva da almeno dieci
anni, era la stessa sveglia con i pesci che aveva voluto da bambino.
Era
ora di andare al lavoro. Di malavoglia appoggiò la chitarra al suo
cavalletto.
Si
trovava bene al locale, i colleghi erano simpatici, con Nihar aveva
stretto un bel rapporto e persino il signor Tibbur, una volta
conosciuto, era meno peggio del previsto. Il problema era che si
sentiva un uccello in gabbia. Vivere a casa con i suoi stava
iniziando a pesargli, voleva l'indipendenza, ma non se la sentiva di
andarsene di nuovo, non dopo che era scappato. Gli mancava la musica,
non voleva passare la sua intera vita a fare il cameriere.
Si
sentiva in trappola: forse, avrebbe dovuto ascoltare sua madre che
gli proponeva di iscriversi al Conservatorio, magari ne avrebbe
cavato qualcosa di buono.
Ci
avrebbe pensato domani, si disse, alzandosi dal letto.
Fece
per uscire dalla stanza, ma poi tornò indietro: posò gli occhi
scuri su una fotografia incorniciata che teneva sul comò: lui e Beth
alla festa dei diciassette anni di lei. Sembravano felici.
Fissò
il se stesso della foto con malinconia e distolse in fretta lo
sguardo.
Abbassò
la cornice. Non voleva vedere quella fotografia.
Tornò
alla porta, la aprì e la sentì chiudersi dietro di sé, mentre già
scendeva in fretta le scale.
*H
sta per Headboy, termine inglese usato per “Caposcuola”
Buonasera
a tutti quanti, so che avevo promesso di aggiornare prima, ma gli
esami non lasciano mai tregua. Settimana prossima ho l'ultimo, poi,
potrò tornare a scrivere senza tregua!
A
proposito, avrei bisogno di un vostro parere: preferite che continui
ad aggiornare sino ad Agosto per poi riprendere a Settembre o, al
contrario, che prosegua anche per tutto Agosto?
Detto
questo, vi lascio, sperando che il capitolo vi sia piaciuto.
Ps:
la canzone di Dan è “The Masterplan”, degli Oasis, vi consiglio
di sentirla, se non la conoscete.
Alohomora:
dunque, cerco di rispondere esaustivamente a tutto, sperando di
riuscirci! Io ci sto provando a descrivere Sirius in veste di padre e
padrino, non so se ci sto riuscendo ma questo è quello che sta
venendo fuori. Come ammette lui in questo capitolo, il suo essere
padre è un essere padre diverso da quello di James. Sirius con Dan,
così come con Harry, cerca sempre di parlare da uomo a uomo:
infatti, se ci fai caso, parlando con Harry Sirius non usa
espressioni entusiastiche o cariche di sentimento, ma è realista. Sa
che tutto può andare bene, così come può andare male e gli
consiglia di non pentirsi mai di aver sposato Ginny perchè, quando
lo ha fatto era felice e deciso.
Su
Dan e Beth, vedremo cosa succederà, nel frattempo entrambi stanno
vivendo il loro calvario personale, forse quello di Beth ha preso
pieghe che non immaginavate, ma per pienamente nel personaggio.
E
su Ginny, ci tenevo a regalarle quel momento con i soli suoi
fratelli, soprattutto ci tenevo a farle dire a Ron che avrebbe voluto
che ad accompagnarla all'altare fosse lui.
DevilJina:
davvero il matrimonio è stato bello? Ho sempre degli enormi problemi
a descrivere scene come quelle, per questo ho cercato di focalizzarmi
di più sui personaggi. Oh, ho adorato anch'io Ron ed Harry,
personalmente! Credo che Harry, crescendo in ambiente Malandrino,
abbia imparato i trucchi del mestiere. Dan io credo che sia
fondamentalmente altruista, impulsivo, ma altruista. Ha sbagliato a
fare quello che ha fatto, ma ha ragione a dire che, ora come ora, lui
e Beth non hanno futuro. Adesso devono solo uscirne, tutti e due.
Forse, a questo punto, è Beth quella più sulla buona strada.
Padfoot_07:
come è andato l'esame? Fatto l'orale? Comunque, spero che tu abbia
“perdonato” Dan per quello che ha fatto, in fondo, l'ha fatto in
buona fede.
Rosalie
Hale e Bella Swan: e tu? La maturità? E'stata così tremenda? Io
personalmente mi sono divertita un mondo, l'anno scorso! Non temere,
torneremo su Harry e Ginny ed anche su Ron ed Hermione, per il
momento, eccoci con Dan e Beth, che stanno faticosamente rimettendo
insieme i pezzi.
PrincessMarauders:
sì, Dan sarebbe stato da prendere a schiaffi, avrebbe potuto
trattenersi, però... erano lì e lui non riusciva, dopo tutti quei
mesi, a non dirle quanto lei fosse importante. Ha sbagliato, ma
grazie a questo forse possono ricominciare tutti e due, in
particolare Beth che ne ha proprio bisogno.
Io
credo che Harry abbia i suoi begli scheletri nell'armadio,
semplicemente è sufficientemente furbo da non rivelarli!
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Capitolo 21 *** Niente Di Semplice ***
Niente
di semplice
ORCHARD
HOUSE
Hellen
aveva appena finito di rassettare la cucina dopo il pranzo, consumato
solamente da lei e Daniel che, come ogni martedì, iniziava a
lavorare alle sei del pomeriggio. Aveva fatto il turno di notte al
San Mungo, la sera prima, quindi per quella giornata era a casa.
Sirius era al Ministero come sempre e, con Dan in camera solo,
attraverso l'enorme casa si stagliava una tiepida calma settembrina.
Durante
il pranzo né lei né suo figlio erano stati
particolarmente loquaci; lei aveva dalla sua le poche ore di sonno e
Dan il profondo nervosismo che lo caratterizzava da una settimana, da
quando i suoi amici erano partiti per Hogwarts. Il suo istinto
materno le suggeriva che qualcosa del suo pessimo umore derivasse
anche dai rapporti con Elisabeth, considerano che, da dopo il
matrimonio, non si erano più visti e che Dan non aveva neanche
voluto leggere la lettera che Elisabeth aveva spedito a lei e Sirius
un paio di giorni prima.
Sorrise
malinconica, pensando a quella lettera. Per loro Beth era rimasta la
stessa bimba che portavano in vacanza quando era piccola. In camera
da letto lei e Sirius conservavano una fotografia scattata circa otto
anni prima, quando avevano portato i bambini alle Scogliere di Dover
a fare il bagno.
Molte
persone si erano fermate a chiedere come potesse Beth avere i capelli
così rossi, dal momento che nessuno di loro tre aveva quel
particolare colore di capelli. Lily e James erano arrivati con Harry
un paio di giorni dopo e, a quel punto, tutto era stato
immediatamente più chiaro.
Tempi
lontani, quelli. Ormai i loro problemi di genitori erano di ben
diversa natura ed Hellen tentava di essere il più discreta
possibile.
Ad
angustiarla, però, in quei giorni più dei problemi di
natura relazionale che Dan poteva avere con i suoi amici o con Beth,
problemi che, a parere suo, Daniel era capacissimo di risolversi da
solo, considerando che l'aiuto dei genitori è in quei momenti
quello meno necessario e ben accetto, erano in maggior parte le
ansie legate alla futura professione di Dan.
Era
contenta che fosse tornato a casa, era contenta che avesse il
pensiero del suo lavoro ad occupargli le giornate, ma non poteva fare
a meno di pensare che fosse in qualche modo sprecato.
Anche
se Sirus non ne parlava mai, lei sapeva che la pensava allo stesso
modo. Avrebbero accettato qualunque cosa da Daniel, purchè lui
fosse felice, ma Dan non lo era.
La
mattina precedente, uscendo in paese per fare un po' di spese, Hellen
aveva incontrato Mrs. Harding, una signora Babbana come quasi tutto
il resto degli abitanti di Morton - on - Swale, fatta eccezione per i
McLaggen e i Cavanough, i quali secondo Hellen sfornavano figli come
conigli, dato che ne avevano sei di età compresa tra i due e i
dieci anni.
La
signora Harding si era interessata a Daniel ed Hellen aveva fatto
altrettanto, ricambiando chiedendo notizie di sua figlia Sophie, che,
se non ricordava male, doveva avere un paio d'anni più di
Daniel e che, a quanto aveva appresto, studiava Biotecnologie Mediche
a Londra, qualunque cosa esse fossero.
Ad
ogni modo, parlando del più e del meno, era venuta fuori una
proposta che Hellen riteneva particolarmente interessante per Dan.
Non
aveva avuto il coraggio di parlarne a tavola, ma ripensandoci, era
giunta alla conclusione di non poter far finta di niente, quindi, a
cucina pulita, si diresse in camera del figlio.
La
porta era aperta, quindi prima sbirciò.
“Ti
disturbo, Dan?” chiese, cortese.
Daniel
stava leggendo sul letto, posò il libro ed alzò la
testa.
“Che
c'è? Devo andare alle cinque oggi, te l'ho detto.”
“Sì,
mi ricordavo. Solo volevo proporti una cosa, se ti va.” disse
Hellen, entrando e mettendosi in piedi davanti a lui.
“E'
per il Conservatorio, mamma? Non lo so... non sono convinto.”soffiò
Dan, distratto. Non voleva pressioni. C'era tempo, si diceva, sebbene
vedesse i giorni scivolargli lontano uno dopo l'altro.
Il
tempo scorreva, implacabile e lui restava fermo.
“No.
Non è per il conservatorio, Daniel.” Hellen scosse la
testa. Ne avevano già parlato e discusso ampiamente. Non era
il caso di farlo di nuovo.
“Mi
vuoi ascoltare, almeno, o credi che rivolgere la tua insoddisfazione
verso di me possa portarti lontano?” chiese, sagace.
“Non
sono arrabbiato con te, mamma. Lo sono col mondo.” precisò
Dan, voltando di scatto la testa.
“Allora
scusami, se faccio parte del mondo.” Dan la guardò male,
inclinando il viso.
“Cosa
volevi dirmi?” chiese, sforzandosi di essere gentile.
Non
aveva voglia di irritarla, più che altro perchè non
aveva voglia di discutere. La tensione era estremamente papabile, in
casa Black, quando si litigava. Nessuno dei tre parlava e, la minima
affermazione, era sempre in grado di far scattare un ennesimo
putiferio. Sua madre era particolarmente brava in quello, fra
l'altro. Lui e suo padre, se arrabbiati, era più per il vivi e
lascia vivere, invece, mentre Hellen sembrava fare di tutto per
riaffrontare nuovamente il punto della discussione.
“Ieri
ho incontrato la madre di Sophie Harding, te la ricordi?”
Dan
fece un cenno con la testa.
“Ti
ricordi anche di suo fratello? Ha all'incirca dodici anni, si chiama
Jacob e vorrebbe imparare a suonare la chitarra. Sua madre si
ricordava di averti visto in giro con la chitarra e mi ha lasciato
intendere che non le dispiacerebbe se tu dessi lezioni a suo figlio.”
concluse Hellen, con un sorriso mefistofelico a ornarle le labbra
carnose.
Dan
per poco non scoppiò a ridere.
“Che
cosa? Io insegnare a suonare ad un ragazzino?”
“Era
solo una proposta. Non sei obbligato.-precisò sua madre-
Comunque, qui c'è il loro indirizzo, se cambiassi idea.”
Hellen abbandonò un foglietto di carta sul comodino, lasciando
Dan a pensare.
Insegnare
a suonare la chitarra ad un ragazzino Babbano. Niente di più
ridicolo.
Non
aveva pazienza, lui. Avrebbe iniziato a torturarlo a furia di Fatture
Gambemolli, se dopo aver provato lo stesso accordo per cinque volte
non gli fosse venuto.
“Dan,
per Merlino e Morgana, smettila di rompermi i timpani!” la
voce di Harry lo raggiunse come un 'eco lontano.
“Per
le mutande di Merlino, Dan, o impari a suonare quel coso o,
altrimenti, giuro che te lo appendo sul Platano Picchiatore!”
riusciva ancora a vederla, la
faccia di Ron, ogni volta sul punto di scoppiare.
Non
era molto bravo, all'inizio, anzi, non lo era per niente. Scorreva le
corde a caso, nel vero senso della parola.
Fissò
la sua chitarra, molto simile a quelle elettriche di manifattura
Babbana, ben riposta nel suo cavalletto. Prima di arrivare a lei era
passato dalla classica che soggiornava impolverata sul suo armadio.
Era
parecchio che non la suonava, a pensarci bene,
Insegnare,
lui, non era capace.
Decisamente.
Prese
in mano il foglio che gli aveva lasciato sua madre con l'indirizzo e
se lo rigirò tra le mani per un po', prima di ficcarselo in
tasca.
HOGWARTS
“Per
oggi abbiamo finito, vi raccomando solo di leggere con attenzione i
primi due capitoli per giovedì.” concluse la
professoressa McGranitt, mettendo mano ai rotoli di pergamena
contenenti i compiti che erano stati accatastati disordinatamente
sulla scrivania.
La
classe, composta dagli studenti di Serpeverde e Corvonero che avevano
scelto di proseguire Trasfigurazione dopo i G.U.F.O., iniziava rapida
a ritirare le proprie cose e Thomas stava intrattenendo una piacevole
conversazione con Larissa Treepwood, la sua collega Caposcuola di
Corvonero.
Pur
essendo allo stesso anno, non avevano mai avuto occasione di parlare
più tanto: poche erano le lezioni che seguivano insieme e,
soprattutto, nessuna che avesse una qualche finalità pratica,
come ad esempio Pozioni o Erbologia o Divinazione, materie che, per
la loro stessa costituzione prevedevano la possibilità di
socializzazione tra gli studenti.
Se
non ricordava male, Thomas era abbastanza sicuro di aver seguito
Erbologia con i Corvonero al secondo anno e Cura delle Creature
Magiche al quarto, ma Larissa aveva preferito non occuparsi di
animali.
“McNarrow,
Treepwood potreste venire qui un momento?” la McGranitt li
chiamò, guardandoli appena da dietro le sottili lenti dei suoi
occhiali.
Thomas,
nel tragitto che separava i loro banchi dalla cattedra, arrivò
a pensare che non aveva nemmeno controllato se loro due fossero
ancora in aula o meno, lo sapeva e basta.
“Avete
preparato un possibile calendario con le visite ad Hogsmeade?”
domandò, senza smettere di riordinare i suoi appunti.
“Sì,
ce l'ho nella borsa. Lo vuole vedere?” rispose Larissa,
preparandosi già per tirarlo fuori.
“Non
è necessario, Treepwood. Ne discuteremo alla prossima riunione
con il resto del corpo docente. Ve l'ho chiesto solo perchè
giovedì sera non vi facciate trovare impreparati.”
“E'
tutto a posto, professoressa. Pensavamo di proporre la prima uscita
per il prossimo fine settimana, prima che faccia troppo freddo da non
poter più evitare di chiudersi ai Tre Manici di Scopa.”
precisò Thomas, desideroso di dire la sua.
“Non
sono interessata ai vostri programmi, McNarrow. Mi premeva di più
sapere che avete qualcosa da presentare in Consiglio.” rivolse
a Thomas un'occhiata di sufficienza e lui, immediatamente, in un
gesto incontrollato, alzò gli occhi al cielo.
La
McGranitt li degnò di un'ultima raccomandazione e poi li
lasciò andare.
Larissa
raggiunse le sue amiche sulla torre di Corvonero, mentre Thomas si
trascinava stancamente verso la Biblioteca, dove Beth ed Anne lo
aspettavano per i compiti di Antiche Rune.
Non
fosse stato per loro, si sarebbe volentieri chiuso nella sua stanza
sino all'indomani.
Detestava
quella spilla di Caposcuola: in poco più di una settimana gli
aveva procurato più danni che altro.
Un
paio di ragazzi del quinto anno avevano avuto la bella idea di
ingaggiare un pericoloso duello sull'Espresso nel corso del viaggio
di andata e lui e Larissa erano stati ritenuti responsabili della
mancata sorveglianza.
Appena
un paio di giorni prima aveva scoperto che i Prefetti di Serpeverde
anziché pattugliare i corridoi passeggiavano per la scuola
allegramente organizzando tornei notturni di carte e che un Prefetto
di Tassorosso si rifiutava di avere dei turni con uno di Grifondoro
perchè erano stati fidanzati e si erano malamente lasciati.
Oltre a dover risolvere questo marasma, per il quale aveva fatto
appello a tutta la sua capacità diplomatica, sebbene avesse la
enorme tentazione di sbatterli al muro e di coprirli di insulti, si
erano dovuti inventare le date per le visite ad Hogsmeade, da
incastrare con il calendario per il Campionato di Quidditch che
Madama Bum aveva loro consegnato.
Ringraziando
Merlino, la prima, infernale, settimana era finita da un giorno e
Thomas si augurava caldamente che i restanti mesi non si rivelassero
uguali. Dubitava di avere nervi saldi a sufficienza per sopportare
tutto quanto. In più, come se non bastasse, aveva la
sensazione che la McGranitt non fosse completamente d'accordo con la
sua nomina a Caposcuola.
“Come
è andata la giornata, Thom?” trillò Anne,
accogliendolo in corridoio.
“Un
incubo.” sillabò semplicemente.
“Ti
capisco.-annuì l'amica.- La dura realtà è sempre
un incubo.”
“Entriamo?”
propose Beth, rimasta in silenzio.
“Dobbiamo
proprio? Avrei solo voglia di uscire, in questo momento.”
spiegò Thomas. Se Lucas non avesse avuto gli allenamenti di
Quidditch, l'avrebbe di certo trascinato ad Hogsmeade usando il
vecchio tunnel della Strega Orba e, per inciso, in quel momento
l'idea non gli spiaceva affatto.
“Dai,
non è lunga la versione. Poco più di un'ora e dovremmo
finirla.”lo incoraggiò Beth, entrando per prima in
Biblioteca.
Lucas
stava planando dalla sua scopa dopo essersi completamente ricoperto
di fango per parare una pluffa.
“Basta
così, possiamo andare!” esclamò Bessie Brooke, il
Capitano.
Lucas
gettò a terra la sua scopa e corse rabbioso verso il Capitano.
“Ma
come sarebbe a dire “Possiamo andare”? Ci siamo allenati
per un'ora. Una sola. Abbiamo una squadra nuova per la metà,
salvo me, te, Andrew e William! Abbiamo due battitori che devono
imparare a conoscersi, un attacco da formare, non puoi fermare tutto!
Servono ore ed ore di allenamento per costruire una squadra, Bessie,
e la prima partita è tra tre settimane!” Lucas la
investì di parole mentre, alle sue spalle Andrew Steeval e
William Carpenter lo supportavano con gesti d'assenso. Andrew
Steeval, un corpulento ragazzo del sesto anno, era stato il compagno
di Dan come Battitore e William Carpenter, che aveva la stessa età
di Lucas, era il regista di un attacco che, fino all'anno prima,
aveva in Eloise Boosworth la sua punta di diamante.
Con
sua grande sorpresa e sommo dispiacere, Lucas, non era stato nominato
Capitano. Era praticamente certo che, dopo essere stata per tre anni
al braccio di Dan, la fascia sarebbe passata a lui, ma così
non era stato ed aveva dovuto lottare anche per mantenere il suo
posto di portiere che Bessie Brooke, il nuovo Capitano, nonché
Cercatrice dal suo terzo anno, stava quasi per affidare a David
Donovan.
Bessie
alzò gli occhi al cielo. Non aveva mai sopportato Lucas
Franchester sin dal loro primo anno: il dover condividere con lui
oltre che le lezioni anche gli allenamenti di Quidditch la
imbestialiva ed aveva fatto di tutto per evitare di ritrovarsi un
piantagrane in squadra, senonché l'evidente superiorità
di Lucas come portiere l'avevano obbligata a mantenerlo in squadra.
“Sta
arrivando un temporale, Lucas, nel caso non te ne sia accorto. Un
grosso temporale e non ci tengo ad avere la squadra decimata per
un'influenza dopo una settimana di scuola.” gli rispose,
richiudendo le pluffe in un baule.
“Peccato
che si giochi anche sotto la pioggia, Bessie. Il Quidditch non si
ferma mai! Dobbiamo temprarci!” insistette Lucas.
“Temprati
da solo, Franchester! Non ho intenzione di perdere la squadra così.”
ribattè, secca.
“Se
preferisci perdere la Coppa, fa' pure!” la maledì Lucas.
“Se
perdo la squadra la Coppa sarà il mio ultimo problema.”
gli fece notare, astiosa.
Lucas
Franchester doveva smetterla di darsi quelle arie da uomo vissuto.
Comandava lei, ora.
“Ah
va' al Diavolo, Brooke! Ricordati che con Dan non c'era temporale che
ci fermasse!” imprecò Lucas, piantandola in mezzo al
campo.
“Black
non è più a scuola. Quando c'era lui, obbedivamo a lui.
Ora ci sono io e quindi smettila di crederti chissà chi,
Franchester. Con me non funziona.” replicò, dura,
facendogli capire che per lei la discussione poteva considerarsi
chiusa.
Il
resto della squadra volgeva gli occhi da Lucas a Bessie, senza avere
il coraggio di proferire parola. Stavano nuovamente litigando, per la
terza volta nel giro di appena dieci giorni.
“Io
resto, ragazzi. Se avete voglia di allenarvi, fate come me. Tanto il
Cercatore è inutile ai fini di un allenamento.” precisò,
rimettendosi in sella alla scopa e piazzandosi saldo tra i pali,
incurante del forte vento che soffiava.
Steeval
e Carpenter si lanciarono un'occhiata significativa, prima di
riprendere in mano le loro scope ed alzarsi a centro campo, l'uno con
la mazza in mano e l'altro reggendo saldamente la pluffa.
Emily
Abbott aveva solo tredici anni e tutto si aspettava fuorchè
essere scelta per ricoprire il ruolo che era stato della Boosworth
come centrale d'attacco. Aveva partecipato ai provini per scherzo,
convinta dalle sue amiche, ed era stata scelta. Non conosceva di
persona né Lucas Franchester né Andrew Steeval e
nemmeno William Carpenter, se non di fama. Era ancora piccola, lei, e
difficilmente quelli più grandi si interessavano a loro,
tuttavia, sin dalle selezioni per i nuovi Cacciatori e per il nuovo
Battitore, quei tre le erano parsi molto più concreti di
Bessie Brooke che, forse per inesperienza od emozione, sembrava molto
più agitata.
Emily
si voltò verso il Capitano e poi guardò Lucas
scambiarsi la pluffa con William, decise di prendere in mano la sua
scopa e di ricominciare ad allenarsi.
Lucas
aveva ragione: una partita di Quidditch non si fermava per un
temporale.
Si
affiancò a William che le sorrise, ironico, e poi lanciò
la pluffa.
Dal
campo, Bessie Brooke, ringhiò contro di loro che, se si
fossero ammalati, avrebbero potuto dire addio alla squadra.
Si
allontanò dal campo, maledicendo Lucas Franchester, scortata a
destra e a sinistra dal Battitore e dalla Cacciatrice.
Lucas
portò avanti l'allenamento per un'altra ora abbondante: il
temporale era scoppiato e fulmini e tuoni imperversavano. Loro
quattro grondavano acqua e sudore e, nel suo caso, anche fango,
considerando che si era tuffato più volte per recuperare
pluffe perdute.
Avevano
lavorato bene anche solo in quattro ed Emily, nonostante fosse la più
piccola, era bravina ed aveva ottime possibilità di migliorare
ancora.
Decisero
di smettere quando la visibilità stava diventando scarsa e le
imprecazioni davvero troppo volgari.
“Non
è sempre così.” sussurrò Andrew ad Emily,
quando Lucas si era messo ad urlare pesantemente contro a William.
“Me
ne sto accorgendo.” gli sorrise Emily, vedendoli tornare a
scherzare non appena rientrati negli spogliatoi.
“Com'era
con Daniel Black?” riuscì a chiedere Emily, prima che
Andrew andasse a lavarsi.
“Com'era
con Dan?” Andrew scoppiò a ridere, cercando
l'asciugamano pulito nel borsone.
“Oh
ti avrebbe fatto allenare con qualsiasi tempo e per delle ore
infinite. Ma ti saresti divertita un mondo. Dan è... è
la persona più divertente che conosca! Lui e Lucas insieme
riuscivano a farti allenare per tre ore di fila, ma non le sentivi,
tanto ti divertivi.” raccontò, ricordando episodi
avvenuti solo pochi mesi prima.
“Magari
anche Bessie non è male, solo, deve prendere la mano.”
provò a dire Emily.
“Sì,
forse. Ma preferivo che fosse Lucas, il Capitano. Non lo ammetterà
mai, ma Dan gli manca. E' il suo migliore amico, sai.” spiegò
da ultimo, preparandosi per la doccia.
Lucas
stava uscendo in accappatoio assieme a William, ed Emily, arrossendo
furiosamente, si lanciò in mille scuse, prima di espatriare
nello spogliatoio femminile.
“Ma
che le è preso?” si chiese Lucas, vestendosi.
“Secondo
te?” ammiccò William.
“Ah
già.” annuì Lucas. Giocare a Quidditch gli faceva
dimenticare le differenze tra maschi e femmine, il fatto che fossero
tutti nella stessa squadra li metteva, nella sua testa, sullo stesso
piano.
In
particolare si era anche dimenticato che Emily aveva solo tredici
anni e lui quasi cinque di più.
“ Bè,
gente, io inizio ad andare, la mia donna mi attende!”esclamò,
lasciando che gli altri si guardassero perplessi, chiedendosi quale
delle sue donne lo attendesse.
Lucas
rientrò al castello riparandosi con un incantesimo dalla
pioggia. Mary avrebbe dovuto aspettarlo allo stadio ma, dato il
tempo, era probabile che non fosse venuta. Si sarebbero visti a cena,
pensò, decidendo in quel momento che quello di cui aveva
bisogno era una bella chiacchierata con Minerva McGranitt.
Salì
di corsa le scale che conducevano al suo studio e bussò
educatamente per mezzo del battacchio di ferro battuto sinchè
non sentì la professoressa invitarlo ad entrare.
Lucas
mise piede nell'ufficio guardandosi attentamente attorno. Quel posto
gli era famigliare, considerando il numero di ora che ci aveva
passato in punizione con Dan.
La
McGranitt sedeva alla scrivania, probabilmente stava correggendo dei
compiti.
“C'è
qualcosa che non va, signor Franchester? Che io ricordi non ti ho
messo in punizione.” esordì la professoressa,
invitandolo a sedersi su una delle due poltroncine di fronte alla sua
scrivania.
“Oh,
no. Non è per quello. Ecco... volevo... volevo parlarle del
Quidditch.” esordì Lucas, sedendosi incerto.
La
McGranitt aguzzò lo sguardo, facendogli cenno di continuare.
“Ecco...
ci sono state delle tensioni in squadra agli allenamenti. Tensioni
piuttosto violente, a dire il vero.. e sinceramente non credo che
Bessie Brooke sia la persona migliore per guidare la squadra.”
spiegò, cercando di non usare un tono troppo aggressivo.
“Mi
stai forse dicendo che saresti un Capitano migliore della signorina
Brooke, Franchester?” lo interrogò, perspicace la
McGranitt.
“Se
è questo che mi sta chiedendo, la risposta è sì.
Credo di essere capace, professoressa. Credo di potercela fare. So
gestire la squadra, conosco le tattiche di gioco. Credo di poterlo
fare meglio di lei.” annuì Lucas.
La
McGranitt lo guardò, pensierosa, per un attimo.
“Le
nomine sono già state assegnate, signor Franchester e, se ho
scelto la signorina Brooke, ho le mie buone ragioni. Ti consiglio di
imparare a conoscerla e di collaborare con la squadra, anziché
muovere una fronda.” disse la professoressa, fissandolo con
un'occhiata eloquente.
“Ma
potrei farlo meglio! Davvero, mi metta alla prova.” scattò
Lucas.
Lo
sapeva fare meglio senza dubbi. Quella fascia era sua. Lo era. Lo
doveva essere. C'era il suo nome scritto sopra. E anche quello di
Dan, a pensarci bene. L'avevano costruita insieme, quella squadra.
“Lei
vuole vincere la Coppa quanto noi! Di questo passo è già
tanto se arriviamo ultimi!” esclamò, a sostegno della
sua tesi.
“Basta
così, Franchester!- si irritò la McGranitt- E' stato
deciso il Capitano. E' il caso che ti adegui a questa scelta e che
impari a fare la tua parte dalla retrovia. Adesso basta, Franchester.
Non voglio sentire una sola parola in più.” lo invitò
ad uscire e Luca lasciò sbattere la porta dietro di sé,
correndo lontano da lì il più velocemente possibile per
evitare l'ennesima punizione.
“Tutto
ok?” gli chiese Mary, uscendo dalla torre di Corvonero, a lui
che la aspettava fuori dalla statua di Cosetta.
“E'
un schifo. Un emerito schifo.” sbruffò lui.
Lei
gli accarezzò i capelli.
“Andiamo
a cena, vedrai che passa tutto.” Lucas la prese per mano e
insieme andarono in Sala Grande.
Lucas
rientrò in Sala Comune circa un' ora dopo e trovò Anne
ad aspettarlo accoccolata sulla sua solita poltrona.
Si
acciambellò ai suoi piedi.
“E'
uno schifo Anne. E' tutto uno schifo.” sbruffò.
Anne
chiuse il suo libro ed evitò di fargli notare come, durante la
cena, tutto sembrasse meno che la sua vita facesse schifo.
“Che
cosa è successo?” chiese, comprensiva.
Lo
ascoltò lamentarsi di Bessie Brooke e della McGranitt per un
quarto d'ora abbondante.
“Hai
ragione, Lucas. Hai ragione. Bessie Brooke è davvero odiosa.
Lo è da sei anni e immagino che doverla vedere anche al campo
di Quidditch sia tremendo... però, ragiona: ora come ora cosa
puoi fare?”
“Convincere
la Mc a cambiare il Capitano?” propose Lucas.
Anne
alzò gli occhi al cielo e sospirò.
“Sarebbe
bello, se solo potessi. Ascoltami bene, Lucas: tu te la meriti quella
fascia. E' tua. Doveva essere tua. C'è scritto il tuo nome
sopra! Non so perchè non ti hanno scelto, non ha senso! Hai
dedicato gli ultimi cinque anni alla squadra, l'anno scorso hai
assistito Dan... sai come funzionano le cose. Doveva essere tua, per
Morgana! Però... però così non è stato ed
è il caso che tu te ne faccia una ragione, capisci? Voglio
dire, posto che la Mc non cambia idea, non credi che dovresti
lavorare per la squadra e non contro la squadra? Prima William mi ha
detto che avete proseguito l'allenamento in quattro. Non è
stato giusto. Ci si allena in sette.” Anne espose il suo punto
di vista, sapendo che Lucas si sarebbe arrabbiato.
“Sì
ma con Bessie non combineremo niente! Anne, Santo Godric, dovresti
capire! Sai cosa significava per me il Quidditch! Significava dirmi
che non sono solo un'idiota! E così, passo anche dalla parte
del torto!” protestò Lucas, levandosi dalla spalla la
mano che Anne ci aveva posato.
“Diamine,
Lucas, lo so, lo so quello che significava, però che cosa ci
puoi realmente fare ora? Niente, niente di niente se non accettare la
situazione e lavorare di conseguenza. Non serve a nulla che tu remi
contro a Bessie, per quanto odiosa sia. Cerca piuttosto di
collaborarci, se volete vincere quella Coppa!” gli consigliò
Anne.
“La
fai facile tu, che se ti trovassi a lavorare con Bessie poco ci
metteresti a fare di tutto per metterle i bastoni tra le ruote!”
brontolò Lucas.
“E
allora tu non comportarti come me! Dannazione, non ti ho detto cosa
farei io! Non devi fare quello che farei io. Devi solo scegliere il
male minore, ovvero collaborare con Bessie per vincere il
Campionato.” puntualizzò seccata Anne, ben sapendo che
Lucas avrebbe comunque fatto di testa sua.
“Senti,
vado a farmi un giro che qui finisce male.” bofonchiò
Lucas, alzandosi ed uscendo dal buco del ritratto.
“Sì,
va' a farti un giro che è meglio.” borbottò Anne,
al suo indirizzo, alzandosi per tornarsene in dormitorio.
Lucas
Franchester era un idiota dalle colossali proporzioni.
Salì
le scale che portavano al suo dormitorio ricoprendolo di commenti
poco carini e, una volta nella stanzaa trovò Beth china sul
letto a scrivere.
“Come
va?” Anne si avvicinò, piano, sedendosi accanto
all'amica. Beth aveva già il pigiama e si era già
completamente preparata per la notte.
Anne
provò a sbirciare qualcuna delle parole scritte sulla
pergamena, ma Beth la precedette.
“Gli
ho scritto.” sillabò Beth, chiudendo di scatto la
pergamena e coprendola con il bordo del copriletto rosso scuro.
“C'erano
delle cose che dovevo dirgli. Capisci?” aggiunse, come se
dovesse spiegarsi.
Non
riusciva a guardare in faccia Anne, mentre parlava. Quasi si
vergognava di doverlo dire ad alta voce.
Anne
annuì.
Beth
le aveva raccontato quello che era successo il primo giorno di
scuola.
Sul
momento Anne provò parecchia avversione per Beth, per quello
che le aveva detto, per l'aver preferito Thomas a lei. Si era offesa
parecchio. Lei cercava di rendere Elisabeth partecipe di tutto quanto
riguardava la sua vita. Era la sua migliore amica, non un'estranea.
Trascorreva con lei ogni momento, ogni giornata. Non era giusto che
lei la escludesse così.
Poi
ci aveva ripensato. Aveva ripensato all'espressione di Beth mentre
parlava, alle smorfie di Thomas, al fatto che lui non avesse scelto
di farselo raccontare, ma si fosse semplicemente trovato in mezzo
alla situazione. Forse, a ben vedere, lui sì che avrebbe
voluto restarne fuori, considerando che la sua posizione era alquanto
complicata, essendo amico sia di Beth che di Dan.
L'aveva
guardata e le aveva chiesto scusa, per aver pensato male di lei.
L'aveva
abbracciata forte e le aveva assicurato tutto il sostegno possibile.
“Devi
fare quello che ti senti, Beth.”
Non
voleva dirle cosa avrebbe fatto lei al suo posto, anche perchè
la sua reazione sarebbe stata cercare di cancellare Dan o chi per lui
dalla sua vita. Provare a vivere come se non fosse mai esistito.
Si
trattava di Beth, non di lei ed era libera di fare come riteneva
giusto.
“Mi
manca, Anne. Mi sento vuota, senza di lui. Ma devo imparare a
cavarmela da sola. E' giusto così.” sussurrò
Beth.
Anne
le posò una mano sulla spalla.
“Tu
sei forte, Elisabeth Potter. Più forte di quanto tu non creda
e non c'è nessuno che possa farti dimenticare chi sei. Mi hai
capita bene?” le disse Anne.
Beth
annuì, malinconica.
Ci
stava provando davvero a cavarsela da sola: in alcuni momenti
sembrava che tutto andasse per il meglio ma, quando la sera calava, i
pensieri si affastellavano, senza concedere tregua.
“Come
sta Lucas?” chiese, esibendo un sorriso poco convincente, così
da cambiare argomento.
“E'
un idiota.” rispose Anne e le due amiche, insieme, scoppiarono
a ridere.
ORCHARD
HOUSE
Era
tornato a casa alle tre passate, la sera prima. Il locale aveva
chiuso alle undici come solito, avevano riordinato e poi Tibbur li
aveva lasciati andare a via.
Nihar
aveva insistito che lui e Alice, l'altra barista, si fermassero a
fare un giro e così avevano bighellonato per le strade deserte
di Londra sino a notte inoltrata.
Più
conosceva Nihar più aveva la sensazione che lui sapesse
qualcosa del suo segreto. Aveva come il presentimento che Nihar
avesse intuito qualcosa sulla sua natura di mago. In ogni caso, non
voleva preoccuparsene: Nihar non aveva mai fatto alcuna allusione,
quindi era il caso di non creare problemi inesistenti.
S
stava stancamente versando il caffè nella tazza, sebbene fosse
quasi mezzogiorno.
Aveva
un viscerale bisogno di caffè, non credeva che sarebbe
riuscito a sopravvivere ancora a lungo, se non ne avesse bevuto una
tazza.
Ringraziò
di essere a casa da solo, non avrebbe sopportato i commenti dei suoi
genitori sul suo stato di quella mattina. Scorse sul tavolo il
biglietto lasciatogli da sua madre, che lo avvisava del pranzo da
scaldare e gli augurava buona giornata.
Accanto
a quel biglietto era appoggiata la posta del mattino, il Profeta, un
paio di lettere indirizzate a suo padre e una per lui.
Riconosceva
quella grafia: era di Beth. Sospirò, lanciando imprecazioni
nella mente.
Che
cosa doveva fare? Aveva sbagliato, d'accordo ma aveva preso una
decisione. Le aveva detto cosa aveva intenzione di fare. Non
pretendeva che lei lo aspettasse in eterno, ma quello non era il
momento giusto. Aveva troppe cose per la testa, era privo di
sicurezze...
Se
lei si fosse presentata a casa sua, non era sicuro di quella che
poteva essere la sua reazione. Forse , se l'avesse vista, si sarebbe
dimenticato immediatamente di tutti i suoi propositi, l'avrebbe
stretta forte e avrebbe promesso di fare il possibile per renderla
felice.
Questo
prima di rendersi conto di aver fatto l'ennesima sciocchezza.
Quello
era fondamentalmente il motivo per cui cercava di tenerla lontana.
Guardò
la lettera, incerto se aprirla o meno. Poi la curiosità vinse
e sfilò la pergamena dalla sua busta.
“Dan,
ho
ripensato a quello che mi hai detto. Hai ragione: c'è qualcosa
che devo fare da sola, prima di tutto. Qualcosa che devo fare per me
e per me sola.
Ti
scrivo per dirti questo e per farti sapere quanto sento di aver
bisogno di te, sebbene sappia che non sia giusto, che non sia ora il
momento giusto.
Mi
hai detto che avrei potuto continuare a cercarti, a chiederti
consiglio; mi avevi detto che avrei potuto ricorrere a te per ogni
necessità: è bello sapere di poter contare su di te,
nonostante tutto.
Tuttavia,
io sento che per il momento è il caso di separarci. Siamo
stati da che ho memoria l'uno l'ombra dell'altra e questo non ci fa
bene. Non fa bene a te, non fa bene a me. Non fa bene soprattutto a
me.
E'
necessario che io impari a fare senza di te. Per questo, sebbene io
ti voglia accanto a me, sebbene io desideri parlarti e vederti ridere
e consigliarti e sentirmi dire da te che tutto andrà bene, ho
deciso che è meglio se per un po' proviamo a non sentirci. Non
fraintendere, Daniel, ti prego. Non pensare che sia arrabbiata con te
o che non mi importi nulla di te. Semplicemente mi sembra che sia
meglio così. Sono certa che capirai, Dan, l'avevi capito prima
di me.
Ti
auguro ogni bene, Daniel, te lo meriti. Vai avanti per la tua strada,
segui la tua musica e rendimi orgogliosa di te.
Beth”
Una
lieve ombra di sorriso gli comparve sulle labbra, insieme ad un
insolito nodo allo stomaco: doveva essere felice oppure no?
Elisabeth
aveva capito o almeno così sembrava, ma gli stava chiedendo di
lasciarla in pace, detto in parole povere. E lui era pronto per
lasciarla andare, per lasciare che si arrangiasse da sola, per
lasciarle vivere una vita indipendentemente da lui? Non era del tutto
sicuro della risposta, considerando che tutto si aspettava fuorchè
una lettera del genere.
Si
sentiva sollevato, da un lato, dall'altro, invece, gli sembrava
strano.
Non
doveva essere stato facile per Beth scrivergli quelle parole, il suo
dolore traspariva tra le righe, eppure l'aveva fatto. Questo era
quello che lei voleva, dargli tempo e prendersi tempo. Non sapeva se
era giusto o sbagliato, ma quello era ciò che avevano deciso
insieme, in un certo senso.
Daniel
sapeva che, nel momento in cui la su vita avesse preso una piega
normale, la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata tornare da
Beth, ma lei l'avrebbe accolto o gli avrebbe urlato contro perchè
l'aveva lasciata sola o peggio ancora gli avrebbe detto che ormai
aveva imparato a vivere senza di lui?
In
quel momento non aveva risposta, non poteva averne. Poteva solo
rispettare la sua decisione.
Appoggiò
la tazza sul tavolo e salì in camera sua. Il biglietto che gli
aveva lasciato sua madre era appoggiato al comodino.
Daniel
lo prese e lesse di nuovo l'indirizzo, dopodichè salì
sulla sedia della scrivania per arrivare alla chitarra appoggiata
sull'armadio.
Buonasera
a tutti quanti, vi ringrazio per aver letto e per avermi seguito
anche in questa torrida estate. Colgo l'occasione per informarvi che
il prossimo aggiornamento dovrebbe essere attorno al 20
Agosto . Vi saluto tutti quanti e vi auguro buone vacanze.
Arrivederci a fine mese!
Alohomora:
come ti ho già detto Thomas si sta prendendo il suo spazio
meritatissimo e, in questo capitolo, lo vediamo alle prese con la sua
non semplice vita da Caposcuola.
Lucas,
come al solito, è capacissimo di complicarsi la vita da solo e
di complicarla agli altri (Anne) e Dan e Beth annegano nel loro
marasma di pensieri.
Quella
del FantaQuidditch non è una gran trovata, in realtà:
mai sentito parlare del Fantacalcio? Parecchi ragazzi che conosco ci
giocano, quindi ho pensato di inserirlo trasfigurato nel mondo
magico!
PrincessMarauders:
si tratta solo di crescere che, come sai, non è per niente
semplice: quante volte ti sei sentita così confusa o così
felice o così insicura come quando avevi 17 anni? Credo poche
volte e anche loro stanno provando che diventare grandi non è
mai semplice e che i rapporti tra le persone sono quanto di più
complesso esista. James è un padre che vuole solo il meglio,
ma sa benissimo che certe cose i figli devono risolversele da soli,
sebbene qualche capatina “casuale” ad Hogsmeade non sia
poi da escludere. A presto!
Devijina:
oh sì ce lo vedo anch'io James con Lily al suo fianco che
compare lì con la sua faccia più innocente! E' solo
preoccupato... e un po' assillante. Thomas si sta prendendo i suoi
spazi, più che meritati, oserei dire. Il fatto è che
lui, pregio o difetto che sia, è tremendamente ambizioso:
vista la sua origine lui vuole eccellere negli studi e questo lo
porta a non riuscire sempre a relazionarsi nel modo corretto con gli
altri, sebbene sia un amico di quelli più unici che rari!
Padfoot_07:
addirittura due recensioni! Prima di tutto: come è andata la
maturità? Poi.. voi dite che questa storia è reale,
sentita... ecco, io spero che sia così. Spero di riuscire
davvero a comunicarvi qualcosa, a farvi sentire vicini questi
personaggi che vivono un'adolescenza complicata tanto quanto è
stata la nostra, perchè quegli anni sono davvero estremi sotto
molti punti di vista. Ciascuno di loro affronta la vita a modo suo,
scoprendo che forse è più dura di quanto si pensi, che
i rapporti sono più complicati, che gli amici non possono
risolverti i problemi ma che devi essere tu a farlo.
E
i genitori devono per forza stare a guardare perchè, come dice
saggiamente Sirius, possiamo solo guidarli, ma non possiamo farci
carico dei loro problemi.
Rosalie
Hale e Bella Swan: anche a te... come è andata la
maturità? A volte temo che le reazioni di Beth siano le più
esagerate, ma se ci pensi, visto il contesto iperprotettivo in cui è
cresciuta, sono più che normali. Sono felice che tu la senta
vicina, significa che sono riuscita a darvi qualcosa.
Ginny_:
benvenuta! Sono contenta che la storia ti piaccia: per far riuscire
al meglio Finding My Own Way mi sto impegnando tanto, sebbene gli
aggiornamenti non siano molto costanti.
Ancora
più lieta mi rende il fatto che ti sia affezionata a Thomas,
Anne, Lucas, Daniel ed Elisabeth ed alla loro complicata vita. A
presto!
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Capitolo 22 *** Bianco, nero, grigio ***
Bianco,
nero, grigio
MORTON-ON-SWALE,
Contea di York
Daniel
fischiettava, mentre camminava lungo il sentiero sterrato che
collegava casa sua con il centro del paese.
La
chitarra che aveva in spalla, ben riposta nella sua custodia, non gli
dava per niente fastidio, sebbene mille interrogativi popolassero i
suoi già di per sé confusi pensieri.
Si
stava domandando per quale folle motivo avesse acconsentito ad
insegnare a quel ragazzino a suonare la chitarra. Cosa diavolo gli
era saltato in mente quella mattina? Perchè si era alzato con la
sensazione che fosse la cosa migliore che potesse fare?
Ringraziando
Godric, nessuno dei suoi genitori era in casa, quando aveva deciso di
uscire con la chitarra in spalla. Anzi, fortunatamente non sapevano
nemmeno che fosse uscito.
Già
immaginava la faccia di suo padre: l'avrebbe preso in giro sino al
giorno della sua dipartita, poco ma sicuro, e sua madre l'avrebbe
guardato con quel suo sorrisetto compiaciuto, che faceva, al
confronto, faceva impallidire il saccente “Te-l'avevo-detto” di
zio Remus.
Fortunatamente,
casa Harding non era poi così lontana da Orchard House o le
probabilità che Dan si decidesse a suonare quel campanello sarebbero
diminuite drasticamente.
Gli
Harding abitavano in una villetta poco fuori dal paese. Niente di
troppo appariscente, anzi, era una normale casa Babbana con un
piccolo giardinetto, un tavolo per mangiare fuori e due piani.
Il
giardino era recintato con una bassa staccionata bianca, simile a
quella che Lily e James avevano a Godric's Hollow. Dan si era sempre
chiesto l'utilità di cancelli simili: potevano essere
tranquillamente scavalcati, quindi la loro unica funzione era
decorativa, a suo parere.
Dai
Potter era solito scavalcarlo, prima di essere accolto da zia Lily
con un sorriso esasperato che sembrava sempre dirgli:” Non
cambierai mai, eh Dan?”
Ma,
non essendo famigliare agli Harding, Daniel preferì suonare la
orribile campana in ferro battuto che stava appesa al portoncino.
Si
sentì un idiota, nel farlo e fu abbastanza sollevato nel vedere la
porta di ingresso aprirsi e lasciare uscire una donna che,
all'apparenza, doveva essere poco più vecchia di sua madre.
“Sì?”
chiese Mrs Harding, fissandolo curiosa.
“Salve,
sono Daniel Black. Mia madre mi detto che vi siete incontrate l'altro
giorno in paese....”iniziò Dan, provando un po' vergogna per il
modo in cui lei guardava i suoi jeans logori.
“Oh,
Daniel! Ma certo, vieni, entra. Non credevo che tua madre te lo
dicesse davvero.”
Lo
invitò ad entrare in casa, senza però fare ancora accenni al
figlio.
“Jacob
è in camera sua, in questo momento. Sta facendo i compiti, è appena
tornato da scuola, sai, finiscono alle quattro. Comunque credo che tu
possa salire da lui. Voglio dire, sempre se ti va.”
spiegò,
gentilmente.
“Sarò
sincero: sarebbe la prima volta che provo ad insegnare qualcosa a
qualcuno. Non so se sono la persona adatta, signora.”Dan mise la
mani avanti, accettando il bicchiere di tè freddo che gli era stato
offerto.
“Vedremo
come andrà, Daniel. Ho chiesto di te perchè ricordavo dai racconti
di Sophie che fossi bravo a suonare. Studi musica?” chiese.
Daniel
pensò si riferisse a quando, durante l'estate, Dan si trovava con i
ragazzi del paese e, di tanto in tanto portasse anche la chitarra.
Chissà come faceva Sophie a ricordarsene, erano almeno due anni che
non la vedeva più.
“Oh,
no no. Non ho mai studiato musica, ho imparato da solo. Cioè, un po'
mi ha insegnato mio padre, ma il grosso l'ho fatto da solo.”
rispose, sperando di non fare danni con la sua sincerità.
Mrs
Harding sembrò esprimersi in una smorfia, ma decise di passare
oltre.
“Sì,
è vero. Tua madre mi ha detto che lavori.- annuì distratta- Bene,
Daniel, cosa ne dici di provare? Jacob è di sopra. Vuoi che ti
accompagni?”
Daniel
scosse la testa.
“No,
no, faccio da solo.”
“Come
vuoi. E' la porta sulla sinistra.”
Voleva
farsi un'idea di Jacob senza che gli fosse presentato da qualcun
altro, pertanto, salì le scale seguito dall'occhio vigile di Mrs
Harding e bussò alla porta che gli era stata indicata.
“Avanti.”
disse una voce giovane e non troppo entusiasta dall'altro capo della
porta.
Dan
aprì piano, incerto sul da farsi. La scena che gli si presentò agli
occhi era quanto di più lontano immaginasse.
La
stanza quadrata era illuminata soltanto dalla poca luce che filtrava
da una finestra, la cui persiana era mezza chiusa.
Un
ragazzino stava chino alla scrivania, con una penna in mano, un
foglio davanti e un paio di grossi libri aperti. Quello che Dan
suppose essere un computer o qualcosa del genere era acceso.
Jacob
guardò interrogativamente verso Dan che, imbarazzato, si mise una
mano nei capelli.
“Ciao,
io sono Dan. Mi avevano detto che volevi imparare a suonare la
chitarra. Sarei qui per insegnarti, in teoria...” borbottò,
chiedendosi per quale strano motivo quelle situazioni dovessero tutte
capitare a lui.
Jacob
lo guardò ed annuì.
“Davvero?
Sarebbe bello se tu mi insegnassi. Quando vuoi cominciare?”
“Uhm...
subito?” propose Dan, scettico.
“Dammi
dieci minuti che finisco qui.” rispose Jacob, mettendosi a scrivere
con tutta fretta.
Dan
appoggiò la chitarra e si fece più vicino alla scrivania.
“Che
stai facendo?”chiese.
“Una
ricerca di Scienze. I Vulcani.” spiegò pazientemente Jacob.
“Oh.
Sembra interessante.” commentò Dan, senza però pensarlo
realmente.
“In
realtà no. Però è da fare. Studiavi anche tu Scienze a scuola?”
chiese Jacob senza smettere di scrivere.
“No.
Non ho mai studiato scienze. Sono piuttosto ignorante per quanto
riguarda queste cose.” confessò Dan. Quel ragazzino lo inibiva
terribilmente.
“Io
mi sono un po' pentito di averla scelta, in realtà. Non mi piace
molto. Però forse ci sono cose che uno dovrebbe sapere e basta. Non
credi?”
Dan
annuì e lasciò che Jacob finisse la sua ricerca senza più
disturbarlo.
Lui
a dodici anni non avrebbe mai fatto una ricerca che non gli
interessava dicendo: “Non mi piace ma è da fare.” Si sarebbe
lamentato all'infinito dell'entità del lavoro, riducendosi
all'ultimo per la consegna.
Sorrise
tra sé, ripensando alla mattana della sua adolescenza che, a sentire
chi lo conosceva, non era ancora finita.
Jacob
lavorava diligentemente e, nei dieci minuti promessi, terminando il
suo compito con un'ultima occhiata scettica.
Dan,
seduto sul letto, lo osservava curiosamente: sembrava estremamente
meticoloso e, per un istante, gli ricordò i racconti che suo padre
faceva sempre di Remus negli anni della scuola.
“A
posto?” chiese
“A
posto.” -annuì Jacob- “Anche se non ne sono molto convinto.”
aggiunse.
“Sono
certo che sia un ottimo lavoro, sai? Ora ti va di iniziare a capire
un po' dove mettere le mani su questa?” Dan gli mostrò la chitarra
e Jacob, lasciando la ricerca sul tavolo, si sedette compostamente
sul letto di fianco a Dan.
Jacob
lo fissava senza aprire bocca, pronto ad apprendere qualsiasi cosa
uscisse dalle labbra di Dan.
Dan
lo guardava a sua volta, senza sapere bene da che parte cominciare.
“Ok,
ascolta- iniziò- io non ho mai studiato musica, so a malapena
leggere le note su un pentagramma e non so solfeggiare, quindi
scordati immediatamente una qualsiasi lezione teorica, chiaro? Io ti
insegno a suonare come ho imparato io, ma scordati che ti insegni
qualcosa che ha a che fare con la tecnica, ok?”
“Tu
come hai imparato?” gli chiese Jacob, senza staccargli gli occhi di
dosso.
“Da
solo. Mettendomi a suonare a caso e osservando quel che veniva fuori
dopo aver letto delle spiegazioni in qualche libro.” spiegò Dan.
Jacob
lo guardò con pura ammirazione e Dan, come al solito di fronte a
complimenti sinceri, cercò di nascondere il rossore che gli
imporporava il viso abbassando la testa.
“Perchè
vorresti imparare a suonare, Jacob?” domandò Dan, per sviare
l'attenzione da sé.
Jacob
alzò le spalle.
“Non
so... credo... credo che mi farebbe bene avere un qualche interesse
in più. Tu perchè hai iniziato?”
Dan
avrebbe preferito non parlarne, ma qualcosa gli suggeriva che a Jacob
serviva saperlo.
“ Avevo...
avevo dei problemi a casa, in quell'anno e così ho deciso di
mettermi a suonare. Per non pensare, suppongo.” gli raccontò Dan.
Non gli piaceva rivivere quei mesi, per niente. Erano stati orribili
e lui aveva avuto paura come non mai, ma erano parte di lui e, forse,
quello che era, era dovuto anche a quei terribili mesi.
“Cominciamo?”
domandò Jacob, intuendo che era arrivato il momento.
Dan
si soffermò sul viso di quel ragazzino che proprio non riusciva ad
inquadrare ed annuì.
“Allora,
tanto per cominciare, all'inizio usa il plettro. Poi, potrai
scegliere se farne a meno o no, ma per il momento usalo.”- disse
Dan, ficcandogli in mano il piccolo triangolino di plastica-
“Secondo, sappi che ti farai piuttosto schifo, all'inizio, e che
vorrai mollare parecchie volte e ti chiederai cosa ti è saltato in
mente. Bene, questo è quanto. Allora si comincia sul serio.
Ricordati che dovrai esercitarti parecchio anche da solo, altrimenti
non imparerai. Ti mostro i primi accordi.”
Trascorsero
le successive due ore a provare e Dan vide dei microscopici progressi
tra il primo e l'ultimo tentativo di Jacob, tuttavia, cercò di
moderare l'entusiasmo.
Quando
si salutarono Daniel, era abbastanza perplesso riguardo l'esito del
pomeriggio.
C'era
qualcosa che gli sfuggiva, in Jacob. Qualcosa che non aveva notato ma
che gli avrebbe permesso di comprendere quel ragazzino. Forse era
tutto dovuto al fatto che si immaginava un piccolo sé in miniatura:
un logorroico, noioso, esagerato, ribelle ragazzino di dodici anni,
tale e quale era stato lui.
Forse
era questo che lo spiazzava, la sensazione di non avere le chiavi per
comprendere Jacob Harding.
HOGWARTS
Le
ore di Erbologia erano sempre state una tortura per Beth. Riteneva
che Erbologia fosse la materia più noiosa che esistesse e, come se
non bastasse, le risultava sempre piuttosto difficoltoso prendere
parte alle lezioni pratiche. Nonostante gli spessi guanti protettivi
che la professoressa Sprite dava loro, le sue mani si ricoprivano
comunque di graffi.
Ancora
si chiedeva perchè al quinto anno avesse scelto di proseguire. O
meglio, ancora si chiedeva perchè al quinto anno anziché dare retta
ai sensati consigli di sua madre o alle testimonianze di Hellen, che
per poco non perdeva un dito durante un trapianto di Mandragola,
aveva seguito quello che quegli squinternati di suo padre, Sirius e
Remus definivano il più utile consiglio alla vita. Ovvero, cercare
di seguire più lezioni possibili insieme agli amici.
Così,
Beth, quando assieme all'esito dei G.U.F.O. Aveva ricevuto il modulo
per segnalare quali corsi avrebbe voluto seguire, aveva barrato senza
remore la casella di Erbologia.
L'unico
risultato, per il momento, era stato l'aumento esponenziale delle
cicatrici sulle sue mani.
“Maledizione!”
imprecò, quando oltre al fiore di Artemisia stava per potare anche
il suo dito.
“Serve
aiuto?” le sorrise Lucas, che aveva imparato che, per la salvezza
dell'intera classe, oltrechè per l'incolumità di Beth, era il caso
di stare nei paraggi quando l'amica aveva in mano delle cesoie.
“Grazie.”gli
sorrise, vedendolo prendere il ramo e deturparlo del suo fiore.
Avevano coltivato l'Artemisia durante le lezioni di Erbologia e lo
scopo era poi utilizzarla per preparare il Distillato della Morte
Vivente a Pozioni.
“Figurati.”
le rispose Lucas, tornando ad attaccare i suoi rami.
“Ancora
mi chiedo come fai. Io odio questa roba, tu invece, sembri esserci
nato, Luke.” sospirò Beth, mettendo le foglie pulite nel cestino
alla sua sinistra.
“Ciascuno
di noi è nato per qualcosa, Beth. Ricordatelo. Dai, lascia giù
quelle cesoie che faccio io. Ti passo i rami potati dai fiori, tu
togli le foglie e mettile lì dentro. Facciamo di sicuro prima e tu
eviti di romperti qualcosa.” le disse Lucas.
“Grazie.
Forse se avessimo avuto l'Asfodelo sarebbe andata meglio.” Beth
guardò all'altro capo dell'aula dove Thomas e Anne, assieme
all'altra metà della classe, lavoravano con i rametti di Asfodelo.
“Avresti
rischiato di tagliarti un dito comunque, Beth.” osservò acutamente
Lucas.
“Forse.
Fortuna che questo è l'ultimo anno che ho a che fare con questo
pubblico pericolo. Dovrebbero bandire da Hogwarts una materia così
pericolosa!”esclamò Beth, ridendo.
“Sì,
concordo. Bandire Erbologia e mantenere Difesa. Questo renderebbe la
scuola meno pericolosa!” rise Lucas.
“Bè,
per me di certo!- ribadì Beth- Come va il Quidditch? Siete pronti
per la partita?”
Lucas
rispose solo dopo un po'. Per quanto lo riguardava andava sempre
peggio. La Tirannia di B.B., come l'aveva soprannominata insieme ai
ragazzi, proseguiva senza dare tregua.
“Come
vuoi che vada? B.B. Capisce di Quidditch quanto la mia civetta!”
ringhiò.
Beth
lo guardò di sottecchi, si aspettava una risposta simile.
Non
voleva entrare nel merito della discussione. Bessie Brooke non era
certo un mostro di simpatia e sin lì Lucas aveva tutte le ragioni,
poteva avere ragione anche a sostenere che la fascia di Capitano
avrebbe dovuto essere sua, ma una vita passata a casa Potter, tra suo
padre e suo fratello, le aveva insegnato qualcosa di Quidditch. E
Bessie Brooke era un'ottima Cacciatrice.
“Ascolta,
Lucas, lo so che ti meritavi quella fascia. Dovevi essere tu il
Capitano, ma prova, sforzati di andarci d'accordo. Altrimenti
rovinerai la squadra.”
Lucas
la guardò teneramente: Beth era sempre la bambina ingenua che lui
aveva conosciuto ad undici anni. Proprio per questo motivo non
riusciva a capire come Daniel riuscisse a far entrare il casino che
tormentava la sua vita anche in quella di colei che, per lui, restava
sempre la piccola Beth.
Se
l'amava come diceva, non doveva averne paura.
Bianco
o nero. Così era la vita per Lucas.
“Vorrei
poterlo fare, Beth. Davvero, vorrei essere più simile a voi, ma io
sono così. Non ci riesco, a stare zitto.” pensò Lucas,
rispondendole con un semplice sorriso.
La
Stanza delle Necessità non era mai stata il suo posto preferito, la
riteneva sin troppo confusionaria, soprattutto quando ci entravano in
quattro con quattro idee diverse di quello che dovrebbe esserci
dentro.
Quella
sera coesistevano la scrivania di Beth, la poltrona gonfiabile rosa
shocking di Anne assieme al suo juke-box, il mini- campo da Quidditch
che Lucas voleva per provare qualche schema, il divano su cui Thomas
cercava un meritato riposo dopo una notte in bianco.
Il
tutto era intervallato da pareti colorate, poster, libri che
comparivano e scomparivano, pluffe che si scontravano con i muri,
imprecazioni e caos. La Stanza delle Necessità, per quanto la
riguardava, non conosceva il significato di Cosmos.
Elisabeth,
sbuffando, posò la piuma.
“Non
è serata per scrivere?” si informò Thomas.
“Non
è serata per fare niente, questa.” osservò mestamente lei. Stava
riprovando a scrivere ma sembrava che l'euforia e le idee fantasiose
che la accompagnavano da bambina fossero di colpo scomparse.
“Magari
è solo la giornata di oggi, Beth. Forse serve solo esercizio. O
forse, non puoi scrivere a comando. Devi scrivere quando senti di
avere qualcosa da raccontare.” le suggerì Thomas, alzandosi dal
suo prezioso e comodo divano per sedersi penzoloni sulla scrivania.
“Sai,
Thomas, quando ero piccola ero convinta che la prima regola dello
scrittore fosse scrivere di ciò che non si conosce. Quindi, via con
gli intrighi, i mondi fatati, i pirati, tragiche storie d'amore,
gnomi furbacchioni... Ora credo che la prima regola per scrivere bene
sia scrivere di cose che si conoscono.” osservò Beth, giocando col
polsino del maglione. Si divertiva sempre a bucarli, con buona pace
di sua madre che si ritrovava sempre buchi da rattoppare.
“Secondo
il mio modesto parere, credo tu abbia ragione. Se vuoi rendere vivi i
tuoi personaggi, devi per forza parlare di cose che conosci.” disse
Thomas.
“Sì,
ma io di cosa posso parlare? Non è che abbia fatto molte
esperienze.” notò Beth.
“Non
devi per forza scrivere di esploratori o di guerre. Non hai fatto
grandi esperienze, è vero, però osservi sempre tutto quello che ci
succede. Guardali- indicò Anne e Lucas che si stavano facendo il
solletico- non sono forse ottimo materiale, momenti come questi? E'
di quello che conosci, che devi scrivere.”
A
Beth scappò un sorriso, vedendoli discutere come sempre, colmi di
affetto l'uno per altra.
Guardò
Thomas, che recava in viso la sua stessa espressione, e pensò che,
forse, il suo amico poteva avere ragione. Scrivere di quello che
sapeva poteva essere davvero la soluzione per uscire da tutto.
Thomas
rise del sorriso di Beth e, osservando ancora una volta l'angolo in
cui Anne e Lucas si davano battaglia, pensò, con enorme
soddisfazione, che certe cose non sarebbero mai potute cambiare.
“Ahi!Ahi!
Ahi! Basta, davvero! Luke, basta! Basta, ti prego! Mi stai
soffocando! Pesi tre volte me! Levati!” strillava Anne, mentre
Lucas proseguiva nel solletico.
Lucas,
la guardò, inclinando il volto e scoppiando a ridere. Le porse la
mano e la vide rialzarsi, agguerrita.
“Ehi,
ehi! Calma, iena. Dobbiamo andare, adesso. Thom, è ora.”
Thomas
annuì e Beth gli passò il Mantello dell' Invisibilità e la Mappa
del Malandrino.
“Sicura
di non voler venire?”
Beth
annuì, ringraziando Thomas dell'offerta. Non poteva vedere Dan, era
troppo presto.
Lucas
le fece un cenno ed Anne si sedette vicino a lei, armata di
“Settimanale delle Streghe.”
“Da
quando leggi questa roba?” chiese Beth, sbirciando la copertina.
“Da
quando voglio farmi quattro risate.” Anne alzò le spalle e aprì
la rivista.
HOGSMEADE,
I TRE MANICI DI SCOPA
Quando
Lucas e Thomas arrivarono ai Tre Manici di Scopa, la moto di Dan era
già parcheggiata sul retro del locale e, entrando, lo trovarono a
scambiare due chiacchiere con Madama Rosmerta, la quale non mancava
mai di riempirlo di domande sulla sua intera famiglia.
Daniel
fu graziato dall'arrivo dei suoi amici e, afferrate tre Burrobirre,
si lanciarono immediatamente ad un tavolo.
“Come
va?” chiese Dan, esibendosi in un sorriso carico di schiuma bianca.
Thomas
e Lucas gli raccontarono un po' della vita ad Hogwarts, di quello che
succedeva e non succedeva, delle differenze, dei professori.
Dan
ascoltava, annuiva, esprimeva il suo parere ma sentiva quei racconti
scivolargli via.
Quelle
vicende scolastiche non lo riguardavano più. Le trovava quasi
insignificanti, a pensarci bene. Si chiedeva perchè avesse passato
anni a rodersi il fegato per cose simili e concluse che, in fondo,
c'è un tempo per tutte le cose e, il suo di tempo, era finito.
“Che,
poi, dico io, Bessie Brooke è quanto di peggio potesse capitare!
Capisce di Quidditch quanto la sua Puffola Pigmea!” si stava
lagnando ancora Lucas.
Thomas
sbruffava, tra un sorso e l'altro e Dan, annuiva, anche se si vedeva
chiaramente che stava pensando ad altro.
“Luke,
premesso che hai tutte le ragioni di questo mondo, non ti rendi conto
di combattere contro i mulini a vento?” osservò Thomas, per
l'ennesima volta.
“Sto
pensando al bene di Grifondoro.” obbiettò Lucas.
“Luke,
non fare casini. Quello che ti stiamo dicendo è di fare boiate di
cui ti potresti pentire. Quest'anno ci sono gli osservatori, lo sai.”
spiegò Dan, parlando in un modo un po' più comprensibile per Lucas.
Dopo
anni e anni a protestare al Dipartimento per i Giochi e gli Sport
Magici, la professoressa McGranitt aveva ottenuto la presenza degli
osservatori di squadre di Quidditch della Prima Lega alle partite tra
i Dormitori di Hogwarts, offrendo così la possibilità ai ragazzi
dell'ultimo anno di essere notati.
Daniel
sapeva che Lucas era un ottimo portiere e che, magari, avrebbe potuto
intraprendere quella strada, se, come faceva notare Thomas, avesse
messo da parte la sua passione da zappaterra.
Per
il momento, sembrava più interessato agli animali della Foresta
Proibita e alle piante delle serre che non ad una pluffa.
“Non
me ne importa niente degli osservatori, voglio solo essere lasciato
in pace, giocare a Quidditch e possibilmente vincere.” precisò
Thomas.
“Se
vai avanti così non otterrai nessuna delle tre cose, Luke. Impara a
far prevalere la ragion di stato.” gli suggerì nuovamente Thomas.
“Lo
so di non essere un grande esempio, Lucas, ma non fare idiozie, tutto
qui.” concluse Dan, alzando le spalle.
Lucas
roteò gli occhi, pensando che Dan fosse proprio l'ultima persona da
cui ricevere paternali.
“Comunque
ho delle novità!” esordì Dan
“Al
mio paese c'è un ragazzino che voleva imparare a suonare la chitarra
e... bè, sto provando ad insegnarglielo.” confessò imbarazzato.
“E
com'è?” si informò Thomas, che tra i tre, sentiva di essere
quello con meno problemi.
“E'...
è bho. Vedete, sino ad ora ci sono andato solo due volte, ma è
strano, nel senso... ho come l'impressione che Jacob mi consideri una
sorta di modello. Ed è strano, perchè... io non sono mai stato il
modello di nessuno.”
“Sicuro?”
ammiccò Lucas, sinceramente felice che le cose per Dan stessero
iniziando a girare. Se lo meritava, dopo quello che aveva passato
quell'estate.
“Non
so... è una sensazione piacevole. E' come se sentissi di avere uno
scopo... e...- Dan esitò un attimo- ed è bello.” concluse.
Esitò
perchè stava per dire un' altra cosa, ma si fermò.
Non
era ancora pronto per dirlo, per ammetterlo, per confessare una sorta
di mezza – vittoria, mezza-sconfitta. Prima voleva essere sicuro di
averlo fatto.
“Sembra
che siamo un insieme di gente soddisfatta.” commentò Lucas, mentre
Thomas sorrideva comprensivo.
Trascorsero
l'ora seguente a parlare di tutte le cose che dovevano fare, a
ricordare malefatte e imprevisti passati, a programmarne di futuri.
Si
lasciarono con la sensazione che niente stava cambiando.
Lucas
osservò Dan mettersi il casco, una volta usciti e, istintivamente,
lasciò per un attimo Thomas .
“Dan!”
chiamò.
Dan
alzò la testa e lo fissò, curioso.
“Lei
sta bene.” disse semplicemente Lucas, indicandogli Thomas con la
testa.
Dan
annuì e sorrise.
Lo
immaginava. Era in buone mani. Mani forse migliori delle sue, pensò
con amarezza.
MINISTERO
DELLA MAGIA, DIPARTIMENTO AUROR
I
primi giorni dal suo rientro dalla Grecia, Harry Potter, dopo essere
stato accolto con mille festeggiamenti dai colleghi, si era ritrovato
a pensare che la fresca aria mediterranea gli aveva fatto dimenticare
quanto potesse essere stressante lavorare al Dipartimento Auror.
Dopo
due settimane, però, era arrivato a pensare che il suo viaggio di
nozze non aveva nulla a che fare con i ritmi del Dipartimento. Prima
che partisse, infatti, era ancora concesso avere tempo per respirare.
Gran
parte degli Auror più esperti erano passati a diretto rapporto di
suo padre e Sirius, quasi che avessero creato una squadra speciale e
loro più giovani erano costretti ad un lavoro a ritmi serrati.
Lui
e Ron, sotto la sorveglianza del Caporale Giggs, stavano seguendo
alcuni casi di omicidio piuttosto simili uno all'altro e che, si
sospettava quindi essere opera della stessa persona.
Quel
giorno la loro pista li aveva portati a Belfast ed Harry, dopo dodici
ore in giro, aveva tutto meno che voglia di scrivere un rapporto.
Ma
Ron aveva stilato quello della volta prima, quindi ora toccava a lui.
Sbuffando
si appoggiò alla scrivania, mentre il consueto via vai di gente e
porte sbattute accompagnava le porte degli uffici di James e di
Sirius.
“Dannazione,
Black quando lo cerchi non c'è mai!” si stava lamentando il
burbero Hook, soprannome di Robert Willport, un ispido Auror Scozzese
che, a quanto Harry sapeva, aveva sempre mal digerito le fulminee
promozioni di suo padre e di Sirius.
“E'
in giro, Hook. L'ho mandato io con una squadra. Se hai problemi con
Black, vieni da me.”aveva replicato secco suo padre, sbattendogli
la porta in faccia ed invitandolo ad andarsene.
Incuriosito,
Harry, decise che era ora di saperne di più.
Da
quando era tornato non aveva visto altro che suo padre e Sirius
sommersi di lavoro, chiusi per ore ed ore nel loro ufficio, uscivano
raramente e, quando ritornavano al Dipartimento, le loro facce si
facevano sempre più scure.
Un
paio di volte era comparso Kingsley Shackebolt e altrettante era
venuta Madama Bones con alcuni eminenti membri del Ministero.
Suo
padre sembrava non dormire decentemente da settimane e la dipendenza
di Sirius dalla caffeina era aumentata.
Sospirò.
Detestava essere l'ultimo a sapere le cose, quello per principio.
Detestava ancora di più, però, essere tenuto all'oscuro di qualcosa
che sembrava riguardare l'intera famiglia. Aveva ventitré anni,
ormai. Era un suo legittimo diritto sapere.
Si
alzò e bussò alla porta dell'ufficio di suo padre.
La
targhetta “James C. Potter, Capo Dipartimento” gli faceva sempre
venire da ridere; crescere con un padre giocatore di Quidditch e
ritrovarselo Capo Dipartimento Auror aveva un che di sinistramente
divertente. Senza contare che, nel Mondo Magico, molta gente era
ancora perplessa dalla nomina.
James
Potter era ricordato come uno strenuo e coraggioso combattente
durante la Guerra e al termine di essa gli era stata presentata una
carriera al Ministero, che avrebbe potuto essere brillante, ma lui
aveva rifiutato, ributtandosi nel Quidditch, accantonato durante
quegli anni.
Poi,
all'improvviso, aveva abbandonato il Quidditch, diventato un Auror e
nominato Capo Dipartimento al pensionamento di Rufus Scrimgeour.
“Avanti!”
esclamò James, nascondendo immediatamente le carte che aveva davanti
alla vista del figlio.
“Tutto
bene a Belfast, Harry?” chiese, indicandogli la poltrona di fronte
alla scrivania.
“Sì,
sì. Tutto a posto. Abbiamo degli indizi sul nascondiglio. Dovremmo
prenderlo. Devo scrivere una relazione, ma penso che lo farò prima
di andare a letto. Non credi che sia ora di andare a casa, papà?”
Harry gli indicò l'orologio, che segnava le otto passate.
James
annuì.
“Sì,
direi di sì. Ma vedi, ho ancora delle cose da sbrigare. Se tu vuoi
andare, vai. Non far aspettare oltre Ginny.” gli consigliò James,
stropicciandosi la faccia.
Lily
dopo vent'anni era abituata ai suoi mostruosi ritardi, ma Ginny,
forse, poteva essere ancora in tempo per salvarsi.
Harry
non si mosse.
“Papà,
che sta succedendo?” chiese, fissando negli occhi il padre, seduto
all'altro capo della scrivania.
Appariva
stanco come raramente l'aveva visto, sembrava quasi invecchiato in
poche settimane.
“In
teoria non dovrei dirtelo, lo sai questo?” lo apostrofò James,
soffermando gli occhi su quel viso simile al suo. Non fosse stato per
quella piccola gobba sul naso e per il colore degli occhi, James
avrebbe potuto dire di avere davanti se stesso con vent'anni di meno
e, in quei tempi, il fantasma di quello che era stato continuava a
tormentarlo.
“Ma
tu me lo dirai, vero? E' un mio diritto, sapere. Lavoro qui. Ma
soprattutto sono tuo figlio e merito di sapere cosa sta
succedendo.”disse Harry, calcando la voce, come a sottolineare che,
proprio perchè era suo figlio, aveva diritto di conoscere la ragione
che portava suo padre a lavorare più del dovuto e ad essere così
preoccupato.
James
annuì, grave.
“Non
dovresti avere accesso a queste informazioni perchè non rientri
nella squadra a cui è stato assegnato questo caso. - James bloccò
con una mano le proteste con cui Harry lo stava già investendo- Non
rientri nella squadra per mia scelta, è vero, ma perchè è il caso
che tu ti ricordi sempre che l'avere tuo padre a capo del
Dipartimento non fa di te un privilegiato. Esiste un cursus honorum,
qua dentro. Almeno, esiste per quanto mi riguarda. Hai la tua gavetta
da fare, le tue capacità da dimostrare e non solo a me, ma a tutti.
Tutti devono imparare a conoscerti, vedere la tua autorità come una
autorità indiscussa. E' così che si va avanti, è così che si
assumono incarichi di responsabilità. Sapevi sin dall'inizio che non
ti avrei concesso favori, vero?”
Harry
annuì, senza ancora capire dove suo padre volesse andare a parare.
Si era lamentato più volte per i compiti che gli erano stati
assegnati. Sapeva di dover fare gavetta, era giusto così, ma aveva
l'impressione che lo tenessero sotto una campana di vetro.
Da
quando era riuscito ad affrontare la situazione con James, l'entità
dei suoi incarichi era cresciuta e gli sembrava di aver raggiunto,
finalmente, la considerazione che meritava. Infatti, per quanto
riguardava il presente, le uniche sue motivazioni erano quelle di un
figlio a cui viene nascosto qualcosa di troppo importante.
“Lo
so. Se sono qui è perchè, come figlio, voglio sapere cosa sta
succedendo. Credo che mi sia dovuto.” precisò Harry.
James
sorrise.
“Infatti.
Ti è dovuto. Avremmo dovuto parlartene prima, Harry, hai ragione.
Che Sirius con Dan faccia quello che crede, ma io e la mamma avremmo
dovuto parlartene prima. Dovremmo dirlo anche a tua sorella, in
effetti.- James sospirò e riprese a parlare.- Nel Dicembre dell' 80
i Mangiamorte hanno incendiato il villaggio di Quethiock con
l'Ardemonio. Nessun sopravvissuto.”
“Tu
c'eri?” sussurrò Harry, inorridendo al pensiero di case e persone
bruciate da quel fuoco inestinguibile.
James
scosse la testa.
“No,
Harry. Né io né la mamma andammo a Quethiock. Ci stavamo già
nascondendo.”
Harry
annuì. Sapeva dai racconti dei suoi genitori quello che avevano
rischiato per proteggerlo.
“E
cosa c'entra Quethiock col presente?”
“Non
furono mai trovati i responsabili e, ora grazie a nuovi elementi,
abbiamo dei nomi. I fratelli Lestrange, Rosier, che è morto poco
dopo, e Peter Minus.” concluse James, pronunciando quel nome tutto
d'un fiato. Prima lo diceva, meglio era.
Restarono
in silenzio, guardandosi l'un l'altro. James attendeva la reazione di
Harry, Harry voleva che suo padre accrescesse le spiegazioni.
“Peter
Minus?- sillabò- Quel Peter Minus?”
“Quanti
altri Peter Minus credi che io conosca, Harry?” lo interrogò
beffardo James.
“E?”
lo incalzò il figlio, senza far caso alla provocazione.
“E
niente. Pare che ci sia coinvolto. Ci sarà un processo, sarà
dimostrata la sua colpevolezza e il Bacio del Dissennatore sarà la
pena.”concluse James, giocando con gli occhiali.
“Gli
sta bene.” sentenziò Harry, duro. James lo ammonì con un'occhiata
severa.
“Papà,
ha cercato di ucciderci! Ha cercato di uccidervi! Vi fidavate
di lui, e vi ha venduto a Voldemort! Azkaban non è abbastanza per
gente del genere!” esclamò Harry, con un disprezzo che raramente
gli si era sentito nella voce.
“Il
Bacio di un Dissennatore è peggio della morte, Harry.” gli ricordò
James.
“Se
lo merita.” osservò Harry, ancora pieno di rabbia, senza riuscire
a capire come suo padre potesse essere così calmo o meglio, era come
se fosse in pena per le sorti di quell'uomo che senza remore aveva
venduto lui e la sua famiglia a Voldemort.
“Se
lo merita? Nessuno merita una sorte del genere, Harry. Nemmeno il tuo
peggior nemico. E, mi spiace dirlo, ma Peter Minus era mio amico. Non
lo perdono per quello che ha fatto, ma privarlo della sua anima non
mi sembra la soluzione. Le cose non sono mai bianche o nere, ragazzo
mio, spesso sono grigie.” osservò James, con una lucidità che
spiazzò suo figlio.
Buonasera
a tutti, sono in ritardo come al solito. Chiedo scusa.
Questa
rivelazione finale è stata inserita perchè... perchè vorrei un
confronto tra i Malandrini. Tra i Quattro Malandrini, perchè quattro
erano.
Spero
vorrete seguirmi in questo tortuoso percorso.
Ringrazio:
Bellis, Alohomora, Princess Marauders, Padfoot_07, Lulu Cullen,
Devijina, ginny_
e
Potter92 per le recensioni. Vi risponderò presto via e-mail, se
per voi non è un problema.
A
presto.
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Capitolo 23 *** Di Riflesso ***
Di
riflesso
LONDRA,
DIPARTIMENTO AUROR
“Signore,
desiderano vederla.” Ron Weasley si rivolse educatamente al suo
superiore senza mostrare la confidenza che dodici anni di
frequentazione avevano creato.
James
alzò appena gli occhi dal fascicolo, domandando chi fosse a chiedere
di lui.
“Claire
Minus.” riuscì a dire Ron a voce così bassa da essere quasi
inudibile. Sapeva cosa quel cognome significasse per la famiglia di
Harry.
L'espressione
di James cambiò immediatamente, divenendo scura.
“Vai
a chiamare Sirius, dovunque lui sia deve essere qui ora. ” ordinò
James, sbattendo le carte sulla scrivania di mogano.
Ron
scattò immediatamente.
“Ron-
aggiunse James, con un tono decisamente più amichevole e un mezzo
sorriso- falla entrare.”
Si
mise le mani dietro la schiena ed inspirò, passeggiando per la
stanza.
Perchè
mai la madre di Peter era venuta a far visita a lui? Voleva forse
implorare che lui usasse tutta la autorità della sua posizione per
evitare al figlio il Bacio del Dissennatore?
Se
anche avesse potuto evitarlo, l'avrebbe fatto? Sì, quello l'avrebbe
fatto.
Ma
poteva davvero fare qualcosa lui o spettava tutto al Wizengamot?
Mentre
pensava, vide Claire Minus entrare a piccoli passi nel suo studio.
Ricordava
una donnetta rubiconda, con i capelli biondo miele e un sorriso
disponibile. Gli si presentava davanti una signora di circa
settant'anni, smagrita, pallida e rugosa. Stanca, in una sola parola.
Per
un momento soltanto pensò che si trovava davanti alla madre di colui
che aveva scelto deliberatamente di ucciderlo. Per un altro istante
pensò che fosse solo una donna di settant'anni.
Guardandola
negli occhi ed indicandole la poltroncina però, pensò solo che
fosse colei che più di tutti aveva sofferto.
“Grazie
per avermi ricevuto, James.” gli disse, accennando un mezzo
sorriso.
James
annuì e le chiese se gradisse una tazza di tè, lei rifiutò.
James,
a mani in tasca, perlustrava l'intera stanza percorrendola
interamente.
“Stai
aspettando forse Sirius, James?” chiese acutamente la signora
Minus. Se li ricordava, James e Sirius. Uniti, più che uniti.
“Non
volevo imbarazzarla.” si scusò James, sedendosi di fronte a lei.
“Ne
sono sicura. E capisco se vuoi aspettare Sirius. So benissimo cosa la
mia visita possa smuovere in te.”asserì, senza far caso alle scuse
borbottate di James.
Claire
Minus volle aspettare che Sirius Black facesse il suo roboante
ingresso nell'ufficio di James Potter prima di spiegare che cosa la
portasse lì.
Attese
che Sirius smettesse di ringhiare e prendesse silenziosamente posto
alla sua sinistra.
“Prego,
signora Minus.” James la invitò a parlare.
Claire
Minus raccontò di come le fosse stato comunicato che il Wizengamot
intendeva processare suo figlio per la strage di Quethiock sulla base
di nuove prove emerse.
Sirius
faticò a tacere e rimase zitto solo in seguito alla brutale occhiata
che gli rivolse James: terrorizzare ed insultare la madre di Peter
non avrebbe portato a nulla.
“Lo
sappiamo, signora, queste prove sono giunte anche in ufficio. Ho
controllato personalmente i registri.” disse James.
“E
lo credete colpevole? Ho parlato con lui e mi assicura di non avere
niente a che fare con Quethiock...” stava dicendo la donna, senza
farsi intimorire dagli sguardi pressanti dei due uomini a cui suo
figlio aveva rovinato la vita.
Claire
Minus non giustificava suo figlio Peter per quello che aveva scelto
di fare. A prescindere dalla sua decisione di farsi Mangiamorte, lui
aveva tradito a sangue freddo i suoi amici, condannandoli a morte.
No,
Claire Minus non poteva comprenderlo. Poteva soltanto, a distanza di
anni, cercare di stargli vicino, nonostante tutto e garantirgli
giustizia.
“Suo
figlio era un Mangiamorte, signora. Mi spiace ricordarglielo e anche
quasi ammazzato Lily e James...” grugnì Sirius.
“Sirius,
per favore. Falla parlare, almeno.” lo zittì James.
“No,
James. Sirius ha ragione. Mio figlio vi ha consegnati a
Voi-Sapete-Chi. A sangue freddo. Sarà anche stato terrorizzato, avrà
anche avuto paura e per questo ha scelto di unirsi a loro, ma quando
gli è stato proposto di essere il vostro Custode Segreto ha
accettato. Più che consapevole di quello che stava per fare, io
credo. Non lo si può giustificare più tanto e non è mia intenzione
farlo. Chiedo solo che sia fatta giustizia anche in questo caso:
Peter dice di non essere coinvolto. E io gli credo. Ho scelto di
farlo. Non gli ho parlato per anni, è stato difficile per me
iniziare ad andarlo a trovare ad Azkaban... questa volta ho scelto di
credergli. Ho visto la disperazione nei suoi occhi al solo sentire
parlare del Bacio. E' il mio unico figlio, non so se perderlo mi
aiuterebbe a farmi una ragione di tutto quello che è successo.”
fece una pausa. James pensò a quello a cui pensava spesso negli
ultimi giorni.
L'idea
di un uomo, di un essere umano, di una persona che era stata sua
amica privata della sua anima.
Sirius
invece, riflettè sul fatto che quel vigliacco di Peter, con o
senz'anima, avrebbe passato il resto della sua misera vita a chiedere
pietà, senza farsi carico delle sue responsabilità.
“Vorrei-
riprese- Vorrei che voi indagaste e cercaste prove a sostegno della
sua innocenza. So che vi chiedo una cosa molto impegnativa,
soprattutto per via di quello che è successo e capirò se rifiutate.
Ma vi prego, fatelo in nome della Giustizia. E' l'unica cosa a cui
posso appellarmi.”concluse, guardando negli occhi sia James che
Sirius.
Nessuno
parlò.
Sirius
si alzò per primo.
Quella
donna, nonostante tutto, amava ancora suo figlio. Era naturale che
fosse così, disse.
“Le
faremo sapere.” promise James indicandole la porta.
“Non
posso promettere nulla.” precisò.
“Lo
so- annuì Claire Minus- E sono anche consapevole di quello che vi ho
chiesto.” disse, accompagnando la porta.
James
si buttò sulla poltrona e Sirius lo guardò, da in piedi.
“Che
pensi di fare, James?”
“Non
ne ho idea.” rispose, stanco.
MORTON-ON-SWALE
Daniel
osservava le espressioni corrucciate di Jacob, mentre le sue dita si
infilavano tra le pieghe delle corde della chitarra. Le falangi
chiare e sottili di Jacob non presentavano nessuno dei tanti calli
che Dan aveva pronosticato e sperimentato sulla propria pelle.
Il
suono emesso dallo strumento era stentato, a singhiozzi e singulti.
Era chiaro che Jacob non si fosse esercitato.
Dan
non disse niente e lasciò che terminasse l'esercizio che gli aveva
affidato.
“Ok-
disse, quando Jacob posò la chitarra e si voltò a guardarlo in
attesa del giudizio- direi che per oggi può bastare.” sospirò.
Avrebbe voluto insultare quel ragazzino che sembrava solo fargli
perdere tempo, considerando che non si esercitava. Stava per farlo,
quando incontrò gli occhi speranzosi di Jacob e, allora, si chinò
per terra e tirò via dalla custodia della sua chitarra dei fogli
scritti a metà o impiastricciati d'inchiostro infilandoseli in una
tasca dello zaino.
“Direi
che ora vado.” aggiunse.
“La
chitarra.” gli ricordò Jacob, alzandosi dal letto.
“Tienila
tu.” si sforzò di sorridere Dan. “Ho visto che non ti sei
esercitato, forse non hai nemmeno una chitarra. Tienila tu. Io ora ho
l'elettrica.”
Jacob
si vergognò moltissimo. Non aveva provveduto all'acquisto di una
chitarra perchè suo padre sosteneva che fosse il caso di aspettare
ancora qualche tempo, per testare il reale interesse che lui aveva
per lo strumento. Razionalmente il ragionamento non faceva una grinza
e Jacob si era trovato a dare ragione al genitore, ora che si trovava
davanti a Dan, però, non poteva non vergognarsi e criticare la sua
scelta.
“Perchè
lo fai?” balbettò Jacob, mostrando enorme sorpresa nei suoi
occhioni azzurri.
Dan
alzò le spalle.
“Perchè
mi va, suppongo.” Jacob era l'opposto di lui, in tutto e per tutto.
Era tanto metodico quanto lui era confusionario, ma c'era qualcosa
che gli suggeriva che aiutare quel ragazzino avrebbe aiutato anche
lui.
“Grazie.”
“Figurati.”
Dan fece per ruotare la maniglia della porta.
“Dan...
erano canzoni tue quei fogli che ti sei portato via?” chiese Jacob
senza un filo di indecisione o di titubanza.
“Sì.
Lo erano.” confermò Dan, senza voltarsi.
“Le
hai fatte sentire a qualcuno?” chiese ancora Jacob
“No.
In realtà no.” confessò Dan, chiedendosi perchè aveva scelto di
rispondere alle domande di un completo estraneo.
“Perchè?
Intendo dire, dovresti farlo.” suggerì Jacob.
“Non
credo di essere abbastanza bravo. E comunque, sono solo le
sciocchezze di un adolescente arrabbiato, come direbbe mia nonna se
fosse viva.” Dan la buttò sul ridere e si scompigliò i capelli.
“Credo
che tu non sia più un adolescente e non credo nemmeno che tu sia
arrabbiato, Dan. O almeno, non puoi ricevere conferme se non le fai
sentire a qualcuno che non sia tu. Magari ti diranno che sei solo un
quasi ventenne deluso.” osservò Jacob innocentemente, spiazzando
del tutto Dan che si ritrovò a guardarlo allibito.
“O
magari che sono solo un illuso e che devo crescere.” Dan scosse la
testa ed affondò un piede nella moquette del corridoio.
“Non
credo.” concluse Jacob, chiudendogli la porta in faccia con un
enorme sorriso.
PORTOBELLO
ROAD, NOTTING HILL, LONDRA
Harry
si Smaterializzò in un vicolo cieco e stretto che separava casa sua
da Portobello Road.
Gli
piaceva abitare da quelle parti. Erano a Londra, la capitale piena di
opportunità e di tutti i servizi possibili ed immaginabili, ma
abitavano in una zona tranquilla, fatta di casette tutte uguali, dai
portoni colorati che davano all'intera via, sulla quale si
affacciavano strane botteghe come quell' Alice presente su ogni guida
turistica esistente, un 'aria completamente paesana.
Non
c'era mai troppa confusione o troppo traffico, salvo nel giorno del
famoso mercato di Portobello Road, che i londinesi ormai conoscevano
a memoria e che i turisti prendevano d'assalto.
Lui
e Ginny non avevano voluto rendere la casa invisibile ai Babbani, no,
l'avevano voluta lì, bella, confortevole e visibile, in quel suo
azzurro pastello che così ben si armonizzava con il violetto e il
senape delle due villette che la circondavano. La Squadra Magica
Speciale aveva solo dovuto occuparsi di insonorizzare le pareti e di
rendere il più possibile casuali e invisibili gli strani fenomeni
che, per forza di cosa, si verificavano in una casa abitata da maghi.
Lancelot
Boyle, che guidava il reparto della Squadra Magica Speciale venuta ad
occuparsi dei lavori, aveva avuto i suoi diverbi con Harry proprio a
proposito del fatto che i neo-coniugi Potter non volevano nascondere
la casa. Dopo infinite discussioni aveva concluso dicendo che,
qualora ci fossero stati problemi con i Babbani, qualora avessero
violato lo Statuto di Segretezza, lui non voleva saperne più niente.
Harry
infilò la chiave nella toppa e salutò con un sorriso Bob Cleever,
il suo vicino di casa, appena trasferitosi a Londra dalle Midlands
per amore e carriera.
“Ginny,
sono a casa!” urlò appendendo il mantello all'attaccapanni con un
lancio degno del miglior Cacciatore.
Era
solo ottobre, ma tirava già aria e, come al solito, pioveva. Certo,
non era niente che un inglese mezzo scozzese come lui, temprato al
clima britannico non fosse in grado di sopportare con un leggero
mantello sopra alla camicia di cotone.
“Arrivo
Harry!” urlò Ginny. Dalla cucina provenivano già gli odori della
cena di quella sera, ma le parole di Ginny arrivavano dal piano di
sopra.
Non
si stava allenando in quei giorni, si sentiva poco bene e quindi
aveva rinunciato al ritiro con la squadra.
Di
fatto le cose non andavano diversamente da come andavano prima che si
sposassero, semplicemente Harry aveva pensato (ora si rendeva conto
che era impossibile oltre che sciocco aver pensato una cosa simile)
che sposandosi avrebbero cambiato le loro abitudini, vedendosi,
magari, di più.
Ma
era impossibile che ciò accadesse se entrambi passavano gran parte
della giornata fuori casa e, nel caso di Ginny, stando via anche per
tre giorni.
Non
ne avevano mai parlato direttamente, in realtà, anche se era un
disagio che era senza dubbio presente da entrambe le parti. Ginny non
pareva intenzionata a rinunciare alla carriera che si era
faticosamente guadagnata ed Harry non le chiedeva di farlo. Perchè
poi? Se non avesse giocato, cosa avrebbe fatto Ginny? La casalinga
disperata? No, non faceva decisamente per lei stare a casa a pulire e
cucinare tutto il giorno.
Sarebbe
impazzita. Chiunque sarebbe impazzito. Ne avrebbe risentito anche il
loro rapporto, se lei avesse rinunciato a tutto per stare a casa.
Comunque,
e di quello ne avevano parlato un sacco di volte, la carriera dello
sportivo era breve, brevissima. Ginny aveva ventidue anni, poteva
giocare ad alti livelli per, al massimo, un'altra decina d'anni,
dopodichè sarebbe stata messa da parte dalla sua stessa squadra, se
non avesse scelto lei stessa di reinventarsi una professione, pur
all'interno del mondo del Quidditch.
Aveva
senso, quindi, che lei rinunciasse a giocare a Quidditch per poter
passare più tempo a casa?
No,
non aveva alcun senso. Si amavano e, nonostante le difficoltà, una
soluzione l'avevano trovata.
Erano
ancora così giovani! E avevano ancora così tanto tempo davanti, non
aveva alcun senso affrettare le cose.
Harry
si buttò sul divano, meditabondo.
Quello
che era successo in ufficio, l'arrivo della madre di Minus, le
espressioni scure sui volti di suo padre e di Sirius... era strano
che il passato, quel passato, tornasse ad avvolgerli ancora vent'anni
dopo.
Era
strano che tutto continuasse a portare là, dove tutto era cambiato.
Non
erano affari suoi, non doveva entrarcene. Sirius era stato chiaro e
suo padre altrettanto.
Era
una questione che doveva toccare lui, Beth e Dan solo di riflesso.
Non dovevano avere nulla da temere e nulla di cui preoccuparsi. Non
spettava a loro indagare sul passato, non spettava a loro cercare di
risolverlo, non spettava a loro vivere in quel passato.
Harry
aveva ribadito che, qualsiasi cosa avesse potuto fare l'avrebbe
fatta. Aveva forse più diritto lui ad indagare sui quei fatti che
non un qualsiasi altro Auror del Dipartimento. Suo padre l'aveva
ringraziato e gli aveva detto che gli avrebbe fatto sapere, era suo
diritto sapere, ma che, per il momento, se ne sarebbero occupati lui
e Sirius.
Non
sapeva quale decisione avesse preso suo padre, non sapeva cosa
sarebbe successo, cosa avrebbero scoperto... semplicemente, Harry,
era arrivato ad una conclusione amara.
“Ehi,
buonasera! Tutto bene?” Ginny era scesa dalle scale, voleva subito
parlare con Harry di una cosa importantissima. Una cosa che l'aveva
portata a sperimentare tutte le emozioni possibili in un pomeriggio,
passando dall'euforia alla disperazione.
Poi
però aveva visto l'espressione assente di Harry e si era
insospettita, decidendo di rimandare qualsiasi sua notizia.
“E'
stata una giornata strana, in ufficio.” rispose.
“Vuoi
parlarne?” gli chiese, sedendosi al suo fianco su quell'enorme di
divano che Fred e George avevano insisto per regalare agli sposini.
Harry
annuì. Non poteva tenerle nascosto nulla, non per sempre, almeno.
Erano una famiglia.
Così
raccontò. Raccontò tutto dal principio. Raccontò della guerra,
raccontò di come fossero emerse nuove prove sulla strage di
Quethiock, raccontò di come Minus apparisse coinvolto e di come sua
madre sostenesse la sua innocenza, chiedendo a James e Sirius di
indagare, di provarla.
“E'
strano, Ginny. Sono anch'io impantanato nel passato, tanto quanto lo
sono loro, eppure è un passato che non mi appartiene, che non sento
mio, che non può essere mio. Eppure sono lì, bloccato a quel 31
Ottobre 1981 così come lo sono loro. Quel che è peggio, è che ho
realizzato di essere sempre stato bloccato a quel 31 Ottobre. Per
tutti questi anni la mia famiglia, la famiglia di Sirius, Remus...
tutti quanti siamo rimasti ancora lì, ancora a quel 31 Ottobre. Ho
la sensazione che, se non si va a fondo di questa vicenda, resteremo
lì per sempre. Ma come dare torto a mio padre e a Sirius se vogliono
semplicemente dimenticare, lasciarlo lì a marcire? Ci ha venduti a
Voldemort. Ha venduto il suo migliore amico e la sua famiglia a
Voldemort, a sangue freddo!” esclamò Harry
“Harry...”
provò ad intervenire Ginny.
“No,
aspetta, lasciami finire... quel che vorrei dire è che il punto
della questione è che questa storia mi riguarda e non mi riguarda,
capisci? E' un passato più loro che mio. E io non so che posizione
prendere o cosa fare. Voglio uscirne, voglio uscire da questi
ricordi che non sono miei, ma che allo stesso tempo lo sono.”
terminò Harry in un sospiro, con una mano a giocare con gli
occhiali.
“Harry...
io, per quel che può valere, credo che sia ovvia la tua confusione.
Questa storia riguarda il passato della tua famiglia, il tuo passato,
ma soprattutto riguarda l'amicizia tra i tuoi genitori, tra Sirius,
Remus e Peter Minus. Riguarda te, ma solo di riflesso. E non devi
sentirti egoista perchè non ti senti coinvolto fino in fondo. Credo
che sia giusto così, in un certo senso. Vedi, la guerra è finita da
così tanto ormai che, sebbene più o meno tutti quanti abbiano perso
qualcuno, se non lo si è conosciuto lo si pensa in modo distaccato.
Io perso i miei zii, i fratelli di mia madre, Gideon e Fabian, lo
sai... e vedi, mia madre soffre ancora, soffre tantissimo ancora
adesso ed è giusto che sia così, in un certo senso, però io non li
ho mai conosciuti. Ne ho solo sentito parlare dai racconti dei miei
genitori o da Charlie e Bill, che li hanno conosciuti abbastanza per
potersene ricordare. Percy era troppo piccolo e io, Fred, George e
Ron siamo nati dopo.
Per
anni mi sono sentita in un certo senso in colpa per non averli
conosciuti o per non avere loro ricordi o, soprattutto, per non
soffrire come vedevo soffrire mia madre. Poi ho parlato con Charlie
che mi ha detto che non devo farmene una colpa, non è colpa mia. Non
devo vivere nel passato, in un passato che è sì mio, ma che non mi
riguarda fino in fondo. Non li devo dimenticare, ma non devo nemmeno
farmi condizionare la vita da questo presunto dolore mai provato.
Capisci che intendo dire? E' giusto che tu abbia in memoria la storia
dei tuoi genitori, ma quella notte del 31 Ottobre riguarda sì te, la
tua famiglia e la Profezia che era stata fatta, ma questo è passato.
E' passato, capisci Harry? E' passato e questo sì è un passato che
ti riguarda. Ti riguarda il fatto che i tuoi genitori, che Sirius e
Remus avessero come unico scopo quello di proteggere te. Quello che è
successo con Peter Minus riguarda anche te, ma riguarda soprattutto
loro. E non devi sentirti in colpa perchè non partecipi
completamente a questo loro momento di smarrimento. Capisci cosa
intendo dire?” Ginny aveva parlato per un paio di minuti abbondanti
e Harry aveva notato che spesso il suo sguardo presente si faceva
assente.
“Credo
che tu abbia ragione. Non fa una grinza quello che dici. E in effetti
è così che mi sento. Spero di riuscire a recuperare un equilibrio e
a rispettare qualsiasi decisione mio padre scelga di prendere.”
disse Harry, chiedendosi, ancora una volta, dove avrebbe portato
James e Sirius quella brutta storia.
“Nessuno
ti chiede di accettare tutto e subito. Ci si arriva col tempo.”
osservò Ginny, in un sorriso comprensivo.
“Grazie.”
“Sono
tua moglie e sono qui per questo.” rispose, prendendogli le mani.
Harry
la strinse e le posò un bacio tra i capelli rossi.
“C'è
una cosa che vorrei dirti, Harry James Potter.” annunciò Ginny
dopo un po'. Fremeva al pensiero di dirglielo.
Harry
la guardò, aggrottando le sopracciglia.
“Sono
incinta.” confessò Ginny, senza mezzi giri di parole. Ma con un
sorriso che andava da una guancia all'altra.
Aveva
sempre pensato che Harry sarebbe stato il primo a saperlo. Si era
sempre immaginata così la scena e, invece, come spesso capita nella
vita. Era andata diversamente.
Luna
si era presentata a casa sua nel pomeriggio e Ginny, che stava
sperimentando emozioni troppo diverse per non essere comunicate,
dovette dirglielo.
Era
contenta che a saperlo fosse stata Luna, in verità. Lei non aveva
fatto commenti, non si era lasciata prendere dall'ansia. L'aveva solo
abbracciata e aveva sorriso.
Hermione,
al posto suo, avrebbe iniziato a fare programmi, a cercare
informazioni nei suoi libri, a cercare di controllare la situazione e
Ginny era contenta che a saperlo per prima fosse Luna, lei che non
aveva detto niente, ma aveva dato una splendida dimostrazione
d'amicizia.
Harry
non disse niente.
“Sono
incinta Harry, hai capito?” ripetè Ginny, venendo presa dallo
sconforto. Non avevano mai parlato di bambini. Erano così giovani!
“E'
la notizia migliore che potessi darmi.” sussurrò appena Harry,
guardandola estasiato.
“Cambieranno
tante cose d'ora in avanti.” osservò Ginny.
“Le
affronteremo come abbiamo sempre fatto.” disse sicuro Harry.
“E'
così che si fa dopotutto, no? Passato, presente e futuro.” disse
Ginny, accarezzandosi la pancia ancora piatta.
Harry
posò la destra su quella della moglie e sorrise.
Passato.
Il 31 Ottobre era passato. Presente, lui e Ginny. Futuro, quel
bambino che doveva ancora nascere.
Perchè
in fondo, andava bene così.
GODRIC'S
HOLLOW
Lily
si svegliò di colpo dopo un sogno piuttosto strano ed agitato. Aprì
di scatto gli occhi e toccò le lenzuola, il cuscino, il materasso,
come per assicurarsi di essere a casa, nel suo letto.
Si
passò una mano tra i capelli, come a volersi scrollare via di dosso
quella sensazione orribile, e si ributtò sul cuscino, accorgendosi,
mentre si accovacciava verso destra, di non avere il corpo di James
al suo fianco.
“James?”
mugugnò al nulla, tastando il materasso vuoto. Controllò l'ora
sulla sua sveglia: le 02.45.
Riguardò
ancora una volta il materasso vuoto del letto disfatto. James si era
alzato.
Scalza
uscì dal letto e scese le scale, sbirciando dallo stipite del
salotto il marito che teneva lo sguardo fisso sulla parete di fronte.
“Che
cosa c'è, James?” gli chiese a bassa voce. Lui alzò appena la
testa, apparendole insicuro come noi mai.
Lily
prese cautamente posto al suo fianco, intrecciando le sue mani in
quelle del marito.
“Io
ti appoggio, James. Devi andare fino in fondo. Non importa quello che
scoprirai.”
James
annuì.
“Lo
so. E' che una parte di me non sopporta tutto questo, Lily. Non
sopporto di dover scagionare una persona che ha cercato di uccidere
me e la mia famiglia. Credo, credo francamente che sia troppo.”
soffiò James, allibito.
“E
se non lo facessi? Se scegliessi di lasciare tutto com'è e
condannare a morte un innocente?” incalzò Lily.
“Peter
Minus non è innocente.” osservò James.
“Lo
so. Non lo è. Ma in questo caso potrebbe esserlo. Nessuno ti critica
per quello che pensi, James. E' normale. Ci ha consegnato a Voldemort
a sangue freddo! Ci fidavamo di lui! Ma... pensa a quello che hai
costruito in questi anni, alla nostra famiglia, ai nostri figli... il
loro padre deve essere corretto.” Lily cercava di farlo riflettere,
di esporle il suo punto di vista, ben consapevole che solo James
potesse scegliere.
“Ho
avuto paura, Lily. Ho avuto paura, paura di perdervi paura di non
essere in grado di proteggervi ... Mi fidavo di lui. Non so se ci
riuscirò. Ho rischiato troppo.” sussurrò James, prendendosi la
testa tra le mani.
Lily,
vedendolo rannicchiarsi a quel modo, rivisse le notti di vent'anni
prima quando, svegliandosi di colpo senza avere James al suo fianco,
lo trovava solo e disperato sul pianerottolo o sul divano.
Stava
lì, a guardarlo, senza avere il coraggio di fare alcunchè, senza
abbracciarlo, senza dirgli che sarebbe andato tutto bene, che ne
sarebbero usciti. No, Lily ritornava in camera e piangeva,
silenziosamente, sino a quando James non tornava al suo posto.
Adesso,
però, non era più spaventata. Con gentilezza, scostò le mani di
James dal suo viso, liberandoglielo.
“James,
lo so. Lo so che hai avuto paura. Lo so che spesso venivi qui la
notte per startene da solo, per gettare quella maschera di sicurezza
che indossavi per proteggere me. Lo so. Scegli tu. Devi scegliere tu
cosa fare, io ti sosterrò in ogni caso perchè so che prenderai la
decisione giusta.
Sei
troppo Giusto ed Onesto per poter scegliere qualsiasi altra strada.
Non chiedermi come lo so, lo so e basta.” la voce le tremava, ma
era le sue intenzioni erano decise come non mai.
Sapeva,
sapeva che James avrebbe preso la decisione migliore.
Sapeva,
sentiva sin da quando il marito ne aveva parlato che, nonostante
tutti i suoi tentennamenti, dentro di sé, James aveva già deciso.
Sapeva che sarebbe andato fino in fondo.
James
alzò la testa e confuse il suo sguardo in quello smeraldino della
moglie con un certezza: Lily aveva sempre saputo.
Scusatemi
per il ritardo più abnorme del solito, ma è stato davvero un mese
impegnativo.
Forse
questo capitolo vi appare confusionario, ma del resto, capitano
sempre tante cose diverse tutte insieme nella vita, non credete?
Spero
di risentirvi presto.
Alohomora:
come sai ognuno dei nuovi personaggi che ho creato sta prendendo la
sua strada e il suo spazio ed a volte fermarli è davvero difficile!
Bisognerebbe scrivere pagine e pagine su di loro!
Su
James... come vedi qui è un uomo tormentato, ma mi piace pensare che
lui e Lily non abbiano mai voluto crescere i loro figli in un clima
d'odio o intolleranza. Mi piace pensare che, nonostante quello che è
successo, abbiano spronato i figli a cercare sempre il bene nelle
persone.
Padfoot_07:
sì, James vorrebbe la Gisutizia sopra ogni cosa, anche se spesso, è
difficile far combaciare i nostri personali sentimenti con la
Giustizia. Come vedi, sono successe tante cose, in questo capitolo!
Deviljina:
il muro delle incertezze di Dan sta crollando perchè avere a che
fare con Jacob lo mette con le spalle al muro. Jacob è diverso da
lui. E' molto più maturo di quanto non fosse lui a dodici anni e, in
un certo senso, tutto questo lo imbarazza. E' come se si sentisse in
dovere di giustificarsi davanti a Jacob, capisci? Che sia quello che
gli ci vuole per capire da che parte vuole andare? Forse...
ginny_:
ho scelto di inserire Minus perchè credo che serva un “chiarimento”
tra lui e i suoi vecchi amici. Chiariranno ben poco, forse, ma in
questa situazione Sirius, James e Remus sono costretti a a fare i
conti col passato e, forse, a metterci per sempre una pietra sopra.
Potter92:
tra Dan e Beth le cose si risolveranno tra un bel po'! Sia in quanto
a capitoli, sia in quanto a tempi di stesura, che sono lunghissimi
per me. Continua a seguire!
PrincessMarauders:
Mary e Lucas scommetto che ci tedieranno ancora un po'. Io credo che
Lucas le sia fondamentalmente affezionato anche se, diciamocelo, un
po' gli fa comodo averla. Mary... non so se è realmente affezionata
a Lucas o a quello che lui rappresenta, forse solo a quello che lui
rappresenta. Per Dan e Beth ci vorrà ancora parecchio, entrambi
hanno cose da sistemare!
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