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Aveva fianchi rotondi e capelli corvini, occhi di malia e corpo felino
Fianchi rotondi
Prologo
Aveva fianchi rotondi e capelli corvini, occhi di malia e corpo felino.
Gli fece un cenno con la mano e si avvicinò; sinuoso e sensuale si
adagiò su di lui e cominciò la sua danza lenta ed estenuante, gli
posò le mani leggere sul petto, lo guardava dritto negli occhi e godeva
nel vederlo godere, i movimenti dei loro bacini erano
splendidamente coordinati.
Alessandro scorreva le mani su tutto il suo
corpo e quando lo afferrò per i fianchi sollevando il bacino un poco più
forte, Bagoas inarcò la schiena gettando i capelli all’indietro in
un timido ma sonoro gemito di godimento.
- Non sopporto di essere trattato così. Essere re non ti
autorizza a calpestare i sentimenti altrui.– parlava con voce perentoria di
chi non ammetteva repliche – Puttane, eunuchi. Te li fai tutti. E ad Efestione non ci pensi? Vi ho visti ieri notte, tu e
Bagoas. Ero nascosto nella tua stanza deciso ad
accoglierti, ma tu, preso com’eri dai fianchi di quell’eunuco,
non ti sei accorto di me. E io piangevo in silenzio quando sentivo i tuoi
gemiti che si perdevano fra i suoi capelli. Vi siete addormentati spossati su
quel letto intriso di sesso accarezzandovi e scambiandovi parole dolci e non ho
sentito nemmeno una nota di rimorso nella tua voce. Vergognati, Alessandro.
- Perché mi
parli così? Sei il mio compagno da sempre, sai bene che quello che
riservo a te non è per nessun altro, e non ti hanno mai dato fastidio le
mie relazioni parallele, come a me non hanno mai dato fastidio le tue.
C’è dell’altro, Efestione?
Il soldato ammutolì. Si sentiva messo
al muro dallo sguardo interrogatorio del suo amante. E’ proprio vero che
agli occhi di un innamorato non sfugge nulla. E
adesso? Non avrebbe mai potuto immaginare che… no…
- Ti amo, Alessandro. Perché
non vuoi capirlo? – ma come poteva essere
così falso e ipocrita? Sentiva l’anima stretta da
un’invincibile morsa nera. – Non sopporto di pensare che un altro
possa godere del tuo corpo.
Gli occhi di Alessandro
si fecero scuri – C’è qualcosa che non va… lo sento.
Le tue parole non vibrano.
- Ti amo ma non posso
continuare così – riprese con forza rinnovata – Sei
diventato come uno di questi barbari, schiacciato dalla tua condizione,
corrotto dalla lussuria… tutti ti criticano.
Le labbra di Alessandro
si serrarono – Non m’importa! – sbatté un pugno contro
il muro – E non ti è mai importato! Hai sempre compreso e
appoggiato le mie scelte. Cosa sta succedendo,
Efestione? Stai facendo di tutto per litigare.
Sentì una lama trafiggergli in cuore.
Alessandro era intelligente, sapeva leggere tra le
righe. E lui si sentiva sempre più vigliacco e
meschino.
Alessandro gli si avvicinò e prese il
suo volto tra le mani. Efestione si meravigliò ad accorgersi che il suo tocco un tempo tanto bramato gli provocava un acuto fastidio.
Non ebbe neanche il coraggio di sostenere il suo sguardo.
- Cosa sta
succedendo, Phai? Dimmelo. Perché rifiuti i
miei occhi?
Phai. Quella parola che un
tempo lo faceva impazzire ora lo faceva sentire
stretto, troppo stretto. Si staccò lentamente dalla presa del suo amato.
- Scusami, Alessandro. Ma
devo riflettere. Lasciami solo, ora.
Alessandro lo seguì con lo sguardo mentre si allontanava dalla sua stanza, immobile,
interdetto, confuso, e profondamente addolorato.
La porta si chiuse.
Si accasciò sul letto indeciso se
rincorrerlo o meno, ma non ebbe il tempo di scegliere
che la porta venne scossa da tre tocchi leggeri, troppo leggeri per lasciargli
credere almeno per un secondo che il suo amante fosse tornato indietro.
Uno come lui non era degno di stare al fianco di un re come Alessandro.
Un pusillanime come lui, no, non sarebbe stato
degno. Non si era mostrato capace di rivelare al suo re la verità, tutta
la verità. L’audacia del grande soldato si infrangeva sullo scoglio del semplice
essere umano.
Aveva paura di ferire Alessandro?
Forse. Di cos’altro avrebbe dovuto avere
paura?
“Al diavolo tu e al diavolo
Bagoas, al diavolo tu e tutte le tue concubine! Per me puoi fare quello che
vuoi, Alessandro. Mi hai veramente stancato. Ringrazio gli dei per avermi
permesso di non amarti più!”
Librò le braccia nell’aria e si
sentì veramente libero e più leggero, l’amore ardente e
doloroso per il suo re non gli avrebbe mai più incendiato il cuore, la
gelosia non gli avrebbe mai più tormentato le membra, non avrebbe mai
più passato notti insonni a pensare a chi scaldava il letto di Alessandro, ora no, ora era tutto finito, finito.
Bagoas era entrato silenziosamente, portando
semplicemente del vino annacquato, pane fresco e miele su un vassoio
d’argento cesellato. Alessandro lo scorse con la coda dell’occhio
ma non lo guardò direttamente, troppo assorto dai suoi cupi pensieri; si
limitò a fargli cenno di appoggiare il vassoio sullo sgabello accanto al
letto.
Bagoas, intimorito da quel silenzio, si
schiarì la gola: - Mi sono permesso di portarti qualcosa da mangiare
perché da qualche tempo ti vedo un po’ giù di morale.
“Chissà dove sarà il mio
Efestione, adesso…”
Bagoas osservò lo sguardo perso del suo
re e immaginò a cosa pensasse: - Ho visto
uscire Efestione, poco fa… è successo qualcosa, se posso, mio
signore?
Al suono del suo nome Alessandro sussultò e guardò il persiano
negli occhi. Bagoas abbassò lo sguardo, intimidito, pensando di aver
chiesto troppo. Ma ormai erano entrati in confidenza e non era la prima volta
che l’eunuco si permetteva di porre domande tanto
personali.
- Uh… no… niente di
particolare…
Bagoas si avvicinò al re con la sua
andatura ancheggiante e si sedette accanto a lui, gli rivolse uno sguardo
complice e gli poggiò una mano al petto facendolo distendere adagio sul
letto. Lo sistemò con la testa sul cuscino e scomparve per un attimo
dietro una tenda, da dove Alessandro lo sentì armeggiare con alcune
boccette. Tornò poco dopo con una fiaschetta tondeggiante in mano e un
sorriso sereno dipinto sul bel viso dagli occhi a mandorla. Si posò
leggero sul letto a cavalcioni su Alessandro e lo
spogliò dei pochi abiti che vestiva. Aprì la boccetta e il re
chiuse gli occhi, inebriandosi del profumo intensamente aromatizzato che in un
attimo aveva avvolto l’intera stanza, e sorrise quando sentì le mani
di Bagoas scivolare sui contorni del suo corpo in un sapiente massaggio. Bagoas
sapeva come far sciogliere le membra del suo amato sovrano.
- Mio signore… tu lo ami?
Il sorriso di Alessandro
si spense in un attimo. Bagoas se ne accorse e si
morse il labbro inferiore.
- Ahimé sì, Bagoas. Ne sono
perdutamente innamorato.
Bagoas sentì il cuore appassire
all’istante.
- E lui ricambia il
tuo amore?
Alessandro sospirò: - Sì, lo
ricambia, ma ultimamente non lo sento più vicino a me, Bagoas.
- Avete parlato?
- Sì. Ma mi ha
detto semplicemente che ha bisogno di riflettere.
Bagoas aprì la bocca come se volesse
dire qualcosa ma si trattenne. Alessandro aveva ancora
gli occhi chiusi e si gustava le mani oliate di Bagoas che massaggiavano il suo
inguine ma sussurrò: - Vuoi dirmi qualcosa,
Bagoas?
Il servo arrossì. Al suo re non
sfuggiva mai niente.
- Beh, niente di particolare, mio signore. Io
sono un servo e conosco tutti in questo palazzo. - Parlava
piano, le parole erano scandite, trascinate, sommesse, intrise di
quell’accento così morbido e particolare, capace di far
risvegliare i sensi. - Alle mie orecchie giungono voci e pettegolezzi da ogni
parte, ma non sempre sono convinto che sia un bene riferirli.
- Sono il tuo re, Bagoas.
- Non vorrei turbarti ulteriormente, ma se
è quello che desideri parlerò.
- Dalle tue parole mi sembra di capire che non
riservi niente di piacevole. Ma ormai sono avvezzo ai dispiaceri e quindi ti invito a parlare.
- Ho sentito voci di corridoio affermare che
il tuo Efestione – e fece uscire queste ultime
due parole tra i denti stretti – si vedrebbe con un’ancella
arrivata due anni fa in questo palazzo, discendente di un’antica famiglia
nobile ormai decaduta. Però, sire, non saprei
come soppesare queste parole. Io sono un servo, e non mi sono permesso di fare
domande né di seguire il tuo Efestione.
- Non ci sarebbe niente di male in questo,
Bagoas. Non è la prima volta che Efestione si vedrebbe con
un’ancella, o degli eunuchi… quello che mi preoccupa è che
sembra non senta più il bisogno di stare con
me. Come se il suo amore andasse affievolendosi. Se
non si è già affievolito del tutto…! Questo pensiero mi
tormenta e non mi fa dormire la notte, Bagoas. E’ da qualche giorno che
il mio Efestione non viene più a visitare la mia camera. Quel che
è peggio, è che sembra mi nasconda
qualcosa. Oggi, mentre parlavamo, si sforzava di apparire geloso e innamorato,
ma io, che lo conosco da una vita, ho capito che non
è così. Sembra quasi che non abbia il coraggio di…
rivelarmi qualcosa. E questo mi fa stare male, tra di
noi non ci sono mai stati segreti. Se continua a
nascondermi qualcosa, significa che si tratta di una cosa grave, che potrebbe
ferirmi molto. Ho paura che sia innamoratodi
un’altra persona, Bagoas.
Bagoas sospirò: - Mio signore, ho
sentito dire che lui vedrebbe quest’ancella con
assidua frequenza. Sarebbe per l’appunto poco più che una
settimana che si conoscono, ma si dice siano molto
affiatati. Lei lo aspetterebbe tutte le notti in camera e si dice
che spesso si intrattengano persino in lunghe conversazioni.
- Com’è che non ho mai notato
questa donna accanto a lui?
- Beh, sire, sei sempre impegnato con i tuoi
affari in questo periodo. E, a parte questo, si dice
siano molto discreti in pubblico. Anzi, praticamente
si comporterebbero come sconosciuti. Ma i servi, qui,
sono dei grandi pettegoli, mio signore, e quando sospettano di qualcosa non si
fanno troppi scrupoli ad andare fino in fondo per confermare i loro dubbi. Il
fatto che il tuo Efestione abbia dei servi aiuta le voci abbastanza certe a diffondersi
abbastanza velocemente.
- Oh, Bagoas, se scoprissi che Efestione non
ha il coraggio di dirmi che ama questa serva e che non
ama più il suo re, ci rimarrei malissimo e non riuscirei più a
guardarlo in faccia. L’umore tra l’esercito sarebbe compromesso.
Forse, lo spedirei diretto in Macedonia.
Bagoas sussultò e fece cenno al suo re
di girarsi. Alessandro si mise a pancia in giù e il ragazzo persiano
continuò il suo massaggio rilassante.
- Bagoas… sai dirmi qualcosa di
quest’ancella misteriosa?
- Certo, mio signore. Si chiama Narda, la sua
stirpe risale alle famiglie nobili vissute ai tempi dei primi Achemenidi, è alta, molto bella, ha i capelli lunghi fino alle
ginocchia e un portamento fiero.
- Dei… dev’essere davvero speciale
per aver distolto gli occhi di Efestione dai miei.
Aveva gustato l’aria di Babilonia fino a che il sole non fosse completamente tramontato e ora si avviava a passo
spedito nella sua stanza, dove lo aspettava Narda, la bella ancella dai lunghi
capelli neri, profumata di sandalo e patchouli.
Aveva congedato Bagoas da poco tempo, dopo essersi pienamente convinto
di voler sapere tutta la verità, e aveva deciso di appostarsi nelle
vicinanze della stanza di Efestione per affrontare
quello che il suo ex amante – quanto gli doleva pensarla così
– tentava malamente di tenergli nascosto.
La sua mano trepidava già di desiderio quando
si appoggiò alla maniglia della porta per premerla ed entrare nella sua
stanza. Come prevedeva, Narda aveva ornato la stanza con candele che profondevano
un calore soffuso ed avvolgente, bruciavano d’incenso e si andavano a
confondere con il profumo della sua pelle ambrata e levigata.
Gli venne un tuffo al cuore quando la vide,
seppur da lontano: era bellissima. Se l’avesse
provocato, non avrebbe rifiutato di giacere con lei. Ma
lei provocava Efestione, il suo amore di sempre, era una ladra, una sporca
ladra, un’ancella non avrebbe mai potuto rubare il posto di un re nel
cuore di un uomo. Eppure lei aveva osato tanto.
Chiuse la porta dietro di sé e si
adagiò sul letto nell’inquieta attesa di sentire la sua voce calda
e le dita affusolate sulla sua pelle. Lei non lo fece spasimare a lungo, gli
strinse dolcemente i fianchi tra le cosce e schiuse le labbra per posarle sulle
sue.
- Allora… - cominciò con quella
voce sonora ed accentata – il re… è a conoscenza della
nostra relazione?
Efestione chiuse gli occhi e si
abbandonò alla lingua di lei sulla sua gola.
– Non ho ancora trovato bene le parole e la situazione adatte…
Omise spudoratamente il suo vile piano di volersi far odiare dal suo re
perché non aveva il coraggio di dirgli addio per sempre, almeno
figurativamente, visto che fisicamente sarebbe rimasto al suo fianco come
fedele soldato per tutta la vita.
Sentiva gli occhi neri e penetranti della sua
coscienza guardarlo di sbieco, e gli bastavano quelli, non voleva sentirsi
addosso anche quelli di Narda.
La bella persiana si staccò da lui e lo
guardò negli occhi intensamente: - Ma tu mi ami?
Efestione ricambiò il suo sguardo: -
Certo che ti amo, Narda. Il desiderio per te ha occultato completamente quello
per il mio re. Mai nessuna donna aveva mai preso così
tanto il mio cuore e la mia carne.
Mise una mano sulla maniglia e, dopo aver udito quelle lancinanti
parole, decise di non voler più aspettare. Piombò nella stanza e
vide quello che si aspettava ma che mai avrebbe voluto confermare.
Si alzò di scatto, Narda sopra di lui andò a finire ai
piedi del letto tra quei tre, quattro, forse cinque cuscini di seta che aveva
sistemato poco prima. Non guardò nemmeno negli occhi il suo re, si
alzò immediatamente, coprendosi con le mani come meglio poteva, si inchinò frettolosamente e uscì di corsa
nuda com’era.
Spalancò gli occhi. Le manacce di quella strega stavano toccando
il suo uomo. E
lui non era sembrato tanto convinto di volerle respingere.
-
Credo sia giunto il momento di dirmelo, soldato.
Questa mi sembra la situazione adatta.
Efestione rimase senza parole. –
Alessandro… io…
- Non hai niente da dirmi? Da dietro la porta
mi era sembrato di capire che volevi parlarmi di una cosa importante…
- Vedi… aspettavo
solo di…
- Mi hai preso in
giro… mi hai preso in giro… - Alessandro scuoteva la testa e
i suoi capelli d’oro annebbiavano il suo bel viso afflitto.
Efestione si sentì tremendamente in
colpa davanti al suono struggente e cantilenante della voce del suo re,
Alessandro, che aveva tanto amato e tante volte posseduto sul suo letto. Quella
voce incrinata nascondeva una gran voglia di piangere, ma sapeva benissimo che
non sarebbe crollato lì, in quel momento, le avrebbe
ingoiate tutte, quelle lacrime, non si sarebbe umiliato davanti a quel
vile soldato. Alessandro sì che aveva animo.
Eppure si ritrovò a pensare
immediatamente a quando le sue lacrime ardenti
cadevano sulle sue braccia, quando lo consolava, quando lo amava, quando quegli
occhi gli riempivano anima e cuore, quando i suoi capelli morbidi gli
risvegliavano la carne sopita, quando quelle mani nervose gli toccavano il
petto, quando la lingua umida gli rizzava i capezzoli. Ora, quei pensieri non
facevano più alcun effetto.
Alessandro l’aveva seguito. Aveva capito
tutto, sin dall’inizio. Come aveva potuto pensare lui, vile e vigliacco
soldato, di poter ingannare un uomo tanto sensibile e intelligente?
- No, Alessandro. Non avrei mai potuto. Ma non avrei potuto neanche sputarti in faccia la
verità. Avevo bisogno di tempo… per riflettere.
- Tra le braccia di quella serva. – concluse Alessandro senza battere ciglio.
- Alessandro…
- Non me l’avresti mai detto… non ne avresti avuto il coraggio, vero? Volevi forse che fossi
io a dirti addio? Non trovavi le parole per dirmelo? Vigliacco! Per quanto
tempo avresti finto di essere geloso di me fino a
farti odiare? E avresti gioito quando ti avrei detto
addio? Ma ahimé non ci sarei mai riuscito,
Efestione, perché come quella strega ti ha ammaliato, tu hai ammaliato
me e non avrei mai potuto dirti addio, tuo malgrado.
- Alessandro…
- Non hai scusanti! E non vorrei bruciare
ancora per te, né di passione né d’ira né di
gelosia, ma purtroppo non sono un dio come tutti mi lasciano credere, e anche
se lo fossi non riuscirei a scampare ai voleri di Eros,
a cui sono soggetti anche gli dei dell’Olimpo.
Efestione sospirò e si sentì
incredibilmente attratto dal pavimento, tanto che non riusciva a staccargli gli
occhi di dosso.
- Non hai nemmeno il coraggio di guardarmi! Ma fai bene, sai? Fai solo bene! Non voglio che la mia
immagine sia infangata dal tuo sguardo meschino! Meschino!
Efestione si sentì ardere di vergogna. Una vergogna infinita che non aveva mai provato. Lui, il grande soldato che non si sarebbe ritirato di fronte a
nessuna difficoltà, che non avrebbe abbassato lo sguardo davanti a
nessun nemico, aveva abbassato lo sguardo di fronte ad Alessandro, il suo amico
d’infanzia.
- Quindi –
riprese Alessandro – Non mi ami più?
Efestione sentì il cuore pesante come
un macigno. – No.
- Bene. – Si voltò e uscì
dalla stanza, senza nemmeno sbattere la porta. Appena
fuori, si abbandonò contro un muro e si sforzò di pensare, ma la
sua mente non riusciva a trovare argomenti su cui formulare pensieri.
Efestione, il suo Efestione, non l’amava più. A questo terribile
quanto reale pensiero, corse nella sua stanza e si gettò sul letto in
preda ad un profondo sconforto. Alzò per un attimo la testa e si vide
solo nella grande stanza, solo come mai aveva sentito di essere,
e si sentì vulnerabile, si sentì come quand’era sul trono.
Solo. Solo in mezzo a traditori e vigliacchi. Solo.
Osservò lo sgabello al suo fianco e
vide il vassoio che gli aveva portato Bagoas.
Trangugiò in fretta e furia come se in
quel cibo si affogassero i suoi dispiaceri e per annegarli bevve tutta
l’anfora di vino.
Si adagiò sul letto con il viso tra le
mani e si sfogò in un pianto silenzioso e doloroso, uno di quei pianti
che spremono il cuore fino all’ultima lacrima, e si maledisse nel pensare
che tutte quelle lacrime si sprecavano cadendo sull’immagine del viso di Efestione.
Quel pianto convulso non aveva certo giovato
alla sua digestione e poco dopo venne scosso da un
tremendo mal di testa e corse in bagno a vomitare anima e corpo. Il tutto, per
Efestione.
L’aveva sentito singhiozzare violentemente.
Doveva amarlo davvero tanto,
quell’Efestione.
Ma, in fondo, anche lui
aveva agito per amore. Un amore profondo, doloroso, invincibile. Sentiva che
non si sarebbe mai perdonato quello che aveva fatto, e tentava di giustificarlo
a sé stesso pensando che l’aveva fatto
per amore. Amore. Mai aveva provato un sentimento tale per una persona. Un
sentimento tanto ardente, intenso, che bruciava fuori dai
suoi occhi quando lo vedeva. Pensava che forse, anzi sicuramente, Alessandro provava lo stesso per Efestione.
E ora stava così
male. Per colpa sua.
Ma in fondo, sorrise
nel pensare che ora il re sarebbe stato suo. Solo suo. Se non
l’avesse fatto, non avrebbe mai preso il posto
di quel soldato nel cuore del bel sovrano.
L’unica nota positiva
in quel putiferio di umiliazione era che non erano state presenti le orecchie
di Narda.
Quella donna così intelligente e sprecata
nella sua condizione di serva non avrebbe accettato di rimanere al suo fianco
dopo che avesse udito la discussione tra lui e il re.
Ma chi avrebbe avuto
pietà di lui, se nemmeno la sua coscienza si abbassava a guardarlo con
compassione? E cos’era quella strana sensazione di stordimento che
pervadeva le sue vene da quando aveva visto i fianchi
rotondi di quella bella persiana, strega e fata insieme?
Quale sguardo da quel momento in avanti gli avrebbe riservato il re qualora si fosse
presentato al suo cospetto? Quale appellativo? Soldato, come l’aveva chiamato poco prima, o semplicemente Efestione?
E gli altri compagni del re come avrebbero
interpretato la cosa? Avrebbero fatto domande? Avrebbero saputo della sua
viltà? Non poteva perdere la faccia davanti ai suoi amici di sempre.
Ma per quello no, non
c’era alcun pericolo. Alessandro non avrebbe parlato, se lo conosceva bene. Alessandro non si abbassava a tali forme di
sottile vendetta morale.
D’altronde, aveva ragione lui.
Come avrebbe potuto vomitare
la verità in faccia al suo amante di sempre in un quarto di secondo come
il re si aspettava? Era una cosa delicata, quella. E
altrettanto inevitabile.
Perché quando quel demone di Eros scaglia le sue frecce, non c’è vittima
che possa sottrarsi alla sua volontà.
- Non voglio vedere nessuno.
Ci fu un attimo di silenzio dietro la porta.
– Mio signore…
Aveva bussato con incertezza, sapeva che il re
non aveva alcun interesse a farsi vedere con gli occhi rossi e gonfi di pianto,
da un servo, per giunta.
- Ah, sei tu, Bagoas. – si passò
velocemente le mani agli occhi per asciugarli delle ultime lacrime e gli disse
di entrare.
Il servo persiano entrò col suo passo
impalpabile e serpentino e non guardò negli occhi il re finché
Alessandro non glielo permise.
- Sai cos’è successo,
Bagoas?
Bagoas sentì il cuore spiegare le ali e
gli occhi illuminarsi. Era la prima volta che il suo re si confidava con lui di
sua iniziativa su cose tanto personali. Dell’amore nei confronti di Efestione, poi, non avevano quasi mai parlato. Era un
mondo a parte, pensava Bagoas, un mondo del quale lui
purtroppo non avrebbe mai potuto fare parte. Cercando di nascondere la sua
eccitazione, si sedette accanto ad Alessandro e con voce
più argentina del solito chiese: - No, signore. Cosa?
Alessandro sospirò e fissò la
sua immagine nel grande specchio di fronte a lui. Poi, con voce atona, come se
ancora non fosse in grado di rendersene conto, sputò: - Efestione non mi
ama più.
Bagoas rimase veramente senza parole. Quelle parole scandite e pronunciate in maniera quasi metallica
piombarono su di lui come cinque macigni. Sapeva perfettamente che
Efestione non l’amava più, lo sapeva da più tempo di lui,
eppure non aveva preparato risposte a simili confidenze. Sentiva che ogni
considerazione sarebbe stata superflua e avrebbe contribuito solo ad
appesantire ulteriormente l’umore del suo re. Da bravo servo e amante,
l’unica cosa che si sentì di fare fu distendere il suo re e coricarglisi accanto, massaggiandolo con le sue mani calde
e sottili, col suo tocco ardente e passionale, come se
volesse trasmettergli un po’ del calore e dell’amore che
incendiavano il suo cuore, e di cui adesso il re era completamente privato.
Alessandro si voltò, e l’azzurro cangiante
dei suoi occhi si perse nelle tenebre di quelli di Bagoas, e si accorse che non
gli erano mai sembrati tanto grandi e penetranti, parevano quasi di fumo tanto erano mobili.
Sentiva che in quell’esatto momento quel
fumo avrebbe potuto fuoriuscire dai suoi occhi e
avvolgere il suo corpo, stregarlo e fare di lui qualsiasi cosa avesse voluto.
Ne ebbe paura.
Chiuse gli occhi.
- Le tue mani, Bagoas…
Bagoas sorrise.
- Queste mani divine… - socchiuse la
bocca e respirò profondamente – Chissà di quale strega sono
doni.
Bagoas sentì la sua testa girare in un
vortice di inquietudine.
Al suo re non sfuggiva mai niente.
- E’ andato via?
Narda era avvolta da un abito in lino che
nulla aveva a che fare con la sua condizione di serva, quando entrò
silenziosamente nella stanza di Efestione.
- Sì, è andato via.
Abbassò lo sguardo, incerta sul da
farsi: - Mi dispiace. Ma almeno gliel’hai detto?
Una pugnalata al cuore. – Sì,
gliel’ho detto.
- E come l’ha
presa?
- Come vuoi che l’abbia presa…
- Alessandro è un uomo di grande animo.
– gli si sedette accanto e passò una mano tra i suoi corti ricci
castani – Non mi sorprende che tu l’abbia amato
per tutto questo tempo, sai?
-
E’ stato un amore doloroso.
- Perché ne
parli così?
- Perché
è la verità. Amare un uomo come Alessandro non
è affatto semplice. – la guardò dritta negli occhi e
non scorse neanche un po’ di quella devozione assoluta che era solito notare negli occhi delle donne innamorate –
Amare Alessandro significa comprenderlo completamente. E
non è semplice. Non è semplice capirlo. Non è semplice
stargli sempre al fianco. – e si fermò
per un istante - Non è semplice sopportare le sue relazioni parallele.
Non è semplice amarlo senza dormire sonni agitati.
- Ti senti sollevato, quindi?
- In un certo senso, sì.
- Pensi che il tuo amore per me potrebbe
essere altrettanto doloroso?
- No, se tu non lo vorrai.
- E il mio per te?
Efestione sospirò. – Sono un
soldato.
- Queste parole dicono tutto. – disse
con un pizzico d’ironia.
- Amare un soldato è difficile.
Significa comprenderlo completamente.
- Amare è difficile. Significa
comprendere completamente. Non mi amerai mai finché non avrai compreso,
Efestione.
- Compreso cosa?
Narda si alzò e si spogliò di
fronte a lui. Efestione sorrise: - Questo?
- Quando Eros scocca
la sua freccia, nessuna vittima può sottrarsi. – lo guardò
intensamente
- E’ vero.
- Ma purtroppo spesso l’amore costa
dolore e spasimi che per valide ragioni devono essere
soffocati. – si adagiò sul letto accanto a lui in
attesa di una risposta.
- E’ vero.
- Perché Eros
è un demone, e come ogni demone non si occupa totalmente degli affari
degli uomini.
Quella donna sapeva dannatamente troppo per
essere una semplice ancella.
- E’ vero.
- E le sue frecce
sono distribuite alla rinfusa, non si curano delle leggi divine. –
cominciò a baciargli il collo e le orecchie.
- E’ vero.
- E allora può
capitare che più di una persona s’innamori di un solo individuo.
– la sua bocca scese a tormentargli il petto e i capezzoli.
- E’… vero.
- Ma nel cuore di una
persona, per quanto ci si possa ridicolmente sforzare, c’è posto
per un solo amore. – la sua lingua era calda e infuocata come il tono
della sua voce.
- E’ vero.
- Certe persone non si fanno scrupoli ad
accaparrarsi l’amore della persona che a loro volta amano
tanto intensamente. E magari il cuore di quella
persona è occupato dall’amore per un’altra persona ancora.
– si staccò dal suo petto per guardarlo negli occhi –
Compreso?
Efestione era affascinato dalle parole di
quella donna misteriosa e sensuale, ma non si sforzò troppo di capirne
il significato.
Quella sensazione di stordimento che aveva
provato la prima volta che l’aveva vista ora si era
acuita più che mai.
Decise di non pensare troppo, le
abbassò la testa sul suo ventre e si gustò il tepore dei suoi
capelli sparsi per tutto il suo torace.
- Mio signore…
- Dimmi.
Trasse un lungo
respiro – Devo… devo dirti una cosa…
- Sì.
Si strinse al suo ampio petto, non aveva mai
osato tanto, eppure quando erano così vicini avvertiva una speciale
empatia, qualcosa di simile ad una scintilla che però
non riusciva a diventare fuoco.
- Non dovrei dirtelo, perché non sono
altro che un servo. – ora sì, poteva dirglielo. – Ma non mi
era mai successo… con te posso parlare, mio signore… ti sento
così vicino a me.
Alessandro sorrise, ma Bagoas, che aveva gli
occhi serrati dall’emozione, non se ne accorse.
Proseguì:
- Io… ti ascolto sempre, mio signore. E
quello che dici mi affascina sempre così tanto.
Nessuno mi aveva mai parlato di sé come fai tu. Un re, per giunta…
i re non parlano mai con i servi. Sono sempre stato
trattato con rispetto e benevolenza ma non sono mai servito ad altro che…
- Sentì una mano possente e delicata che si aggrovigliava tra i suoi
lunghi e setosi capelli corvini. Spalancò gli occhi. – Mio
signore… da quando i soldati di Dario mi hanno rapito, io sono sempre
vissuto qui, in questo palazzo, e non ne sono mai uscito. Quando
tu mi parli della tua Macedonia… delle montagne della lontana
Illiria… delle tue battaglie, dei tuoi soldati… mi sembra tutto
così fiabesco. Mi incanti. Con Re Dario non
accadeva mai. Lui non mi parlava mai dei suoi piani, dei luoghi che aveva
visto, delle esperienze che aveva vissuto. Preferiva parlarne
con persone, diceva, più competenti.
Ma io non me la prendevo, mio signore. Dario era un
semplice re. Ma tu, signore… non avrei mai pensato
che… - un altro lungo, faticoso sospiro – Io credo che… io ti
cerco, mio signore. Ti cerco in continuazione. Credo… credo di essermi innamorato
di te, signore… ecco… ecco l’ho detto, adesso mi
disprezzerai, ti sdegnerai, rifiuterai l’amore di uno schiavo. Ma vorrei
ricordarti, signore, che prima di essere uno schiavo, io sono una persona, e
sono sconvolto da questo sentimento che mi invade il
cuore, fino a farmelo scoppiare, signore, quando sento la tua voce, quando
incontro l’immensità dei tuoi occhi, io… ho osato troppo,
vero?
Gli venne un tuffo al cuore
quando sentì la sua mano sfiorargli il mento e sollevargli
dolcemente il capo fino a fargli incrociare i suoi occhi grandi, chiari e
scuri; e lo vide sorridere. Immediatamente abbassò lo sguardo, come
abbagliato da quei lineamenti meravigliosi.
- Guardami, Bagoas…
Obbedì. Alessandro passò
delicatamente una mano sulla sua guancia d’ambra.
- Sei così dolce, Bagoas… -
sospirò – Come si fa a non amarti? – e
lo strinse a sé sul suo petto, Bagoassi perse in mezzo a quel calore così umano, così vicino a
lui, e si ritrovò ad ascoltare il battito regolare e cadenzato del suo
cuore.
Impazziva in quei momenti. Sempre, dopo che
avevano fatto sesso, si addormentava tra le sue braccia, sul suo
petto, e si sentiva invincibile. Nessuno mai l’aveva tenuto stretto
così. Quando c’era Dario, solitamente, dopo che l’aveva
usato lo lasciava dormire accanto a lui ma non si
abbassava a toccare quel servo, oppure, quando era di pessimo umore,
addirittura lo cacciava dalla stanza. Ma Bagoasera abituato, e pensava che lo scopo
della sua vita sarebbe stato quello di dare infinito piacere ad ogni re che
l’avesse desiderato, e non avere nulla in cambio. Per questa ragione gli
sembrava così irreale quell’atmosfera, così incantata che
non si azzardava a respirare un poco più forte per non romperla. Con
Alessandro sentiva di avere un’identità, e di non essere un
semplice eunuco adibito al piacere.
La brezza estiva che penetrava nella stanza ondeggiando le tende di velo
azzurrino e gli accarezzava la pelle bruna non era
capace di regalargli gli stessi brividi del tocco della mano di Alessandro che
scorreva lenta e inesorabile sulla sua schiena.
Aristandro si faceva lentamente spazio tra arazzi e decorazioni nella
sala dei banchetti, avvolto dal suo mantello bianco ricamato in oro,e si
stupì dell’efficienza dei servi di quel palazzo.
Dopo quel pantagruelico banchetto di alcuni giorni fa, a cui aveva preso parte lui stesso
sebben di controvoglia, sembrava che la grande sala fosse da ricostruire
completamente, bruciata dalla passione di quei giovani soldati ebbri di alcool
ed eccitazione. E invece, ora splendeva di pulito.
Si fermò ad osservare le colonne lisce
e marmoree che circondavano l’enorme vano circolare
e appoggiò una mano ad una di esse. Era tremendamente fredda nella sua
perfezione artistica.
Attraversò tutto il salone e si
fermò nella cucina, una stanza attigua. Si ergeva una mobilia di gran
pregio in cui riposavano, tra un banchetto e l’altro, coppe, anfore,
piatti e vassoi, ornati dai migliori cesellatori e decoratori di ceramica di ogni parte del mondo.
Venne irresistibilmente
attratto da una coppa in bronzo, una di quelle in cui aveva bevuto anche lui. La
prese e la osservò attentamente, dopodichè la
accostò al naso.
Non ricordava che il vino che era stato
servito avesse un retrogusto così aromatizzato.
Camminavano fianco a fianco sul ballatoio che
si affacciava dalla stanza da letto del re e comunicava con le altre stanze dei
suoi appartamenti, come un tempo facevano Alessandro ed Efestione.
Venne scosso da un brivido
a pensare che ora erano Alessandro e Bagoas.
Quello che aveva da tempo agognato
si stava realizzando davanti ai suoi occhi, l’intimità tra lui e
Alessandro in quei giorni andava sempre più consolidandosi e la giusta
distanza tra un servo e il suo sovrano sempre più assottigliandosi; i
loro incontri divenivano sempre più dialogici e intensi e Bagoas si
chiedeva se e quando mai il re gli avrebbe permesso di chiamarlo Alessandro.
Aveva esitato a dichiarargli apertamente il
suo amore ma ora si rendeva conto che non avrebbe
potuto prendere decisione più sensata.
Tutte le sere, come quella sera, si gustavano
il tramonto dal ballatoio e il biondo dorato dei capelli di Alessandro
si confondeva col nero intenso dei capelli di Bagoas in una soave danza
suggerita dalla brezza vespertina.
Bagoas rimaneva totalmente incantato
quando Alessandro gli raccontava i suoi desideri di conquista e quando,
prima di coricarsi, gli narrava gli episodi dell’Iliade. In
quell’eroe coraggioso e indomito di nome Achille vedeva raffigurato il
giovane e bellissimo re che gli dei avevano voluto posasse il proprio sguardo
sul suo, quel pomeriggio d’estate quando era
giunto a Babilonia e gli era sembrato così strano, imberbe, chiaro di
carnagione e dannatamente attraente.
Dormivano uno accanto all’altro e si
cullavano dei loro respiri, si ubriacavano dei loro
profumi, entravano uno nei sogni dell’altro, si stringevano e si
accarezzavano, si svegliavano abbracciati, si salutavano con un bacio, e
facevano il bagno insieme.
Ma lo sguardo del suo re era sempre e
perennemente velato di malinconia, e tutti i suoi sforzi non bastavano per
penetrare in quell’animo tortuoso e inquieto, per comprendere dove
realmente i suoi pensieri andassero quando gli
accarezzava la pelle bruna, quando attorcigliava un dito tra i suoi capelli e
sorrideva; o forse aveva compreso, e ahilui non
voleva ammetterlo.
Lo amava ancora. Amava ancora quel maledetto
Efestione.
Ecco, l’aveva ammesso. E ora? Cosa sarebbe cambiato?
Nulla, lo sapeva già da tempo.
La vera domanda era cosa fosse
cambiato da quando aveva cercato di interpretare a suo modo la dogmatica
verità di Eros.
- A cosa pensi, Bagoas?
Quella voce calda e sensuale lo riportò
alla realtà con un violento sussulto. Alessandro aveva reclinato
leggermente la testa e lo guardava negli occhi. Bagoas temette per un momento
che potesse leggere nei suoi sporchi pensieri.
- Pensavo alla bellezza suggestiva
di questo tramonto, sire.
Alessandro annuì. - Siamo fortunati noi
uomini che abbiamo il privilegio di godere e comprendere fino in fondo, o
almeno così crediamo, le meraviglie che Dio ha creato. E magari fornirne una nostra interpretazione attraverso
l’arte. L’arte, Bagoas, è l’unico mezzo a disposizione
che l’uomo ha per mostrare le emozioni profonde che agitano il suo animo,
l’unica sua componente immortale. L’arte
è il solo modo che l’uomo ha a disposizione per lasciare un segno
della sua esistenza. Guardati attorno. Non è meraviglioso questo
palazzo?
- Certo, sire.
- E’ molto antico, vero?
- Certo, sire.
- Gli uomini che l’hanno costruito sono
morti, ma la loro potenza vitale è espressa ancora vivida tra queste
mura. Ti è mai capitato di osservare un dipinto e restare talmente
impressionato da forme e colori d’avere la sensazione che il soggetto sfondasse la fredda tela per assumere la terza dimensione?
- Sì, sire.
- Quello è il soffio vitale
dell’artista che l’ha prodotto, nato dal cuore, scorso furentemente
tra le vene e andatosi a imprimere nella tela. Non
è meraviglioso?
- Anche le vostre
conquiste, sire, possono essere considerate arte?
- Certo, Bagoas. L’arte militare. L’arte dei grandi comandanti e dei grandi re che hanno saputo
creare popoli civilizzati partendo da nomadi sopravvivenze rurali. E nel ricordo dei posteri ruggirà per sempre la voce
dei grandi uomini del passato. – appoggiò le mani al parapetto,
diresse gli occhi all’orizzonte e gonfiò il petto in un profondo
respiro.
Bagoas era stordito dalla potenza di quella
voce, dalla profonda verità di quelle parole, dall’orgoglioso cipiglio
del suo sguardo, e per un attimo ebbe l’impressione che il tempo accanto
a lui si fosse fermato.
- Mio signore…
- Dimmi, Bagoas.
-
Di quale Dio stavi parlando, prima?
Alessandro sorrise: - Di quello che governa
tutte le leggi del mondo, del Creatore; del tuo AhuraMazda; dei miei Zeus, Poseidon e Ade; dei Giove,
Nettuno e Plutone dei Romani; dell’AmonRa degli Egiziani; di quel
Dio in cui tutti abbiamo bisogno di credere per dare un senso alla vita e di
cui nessuno conosce il volto, ma a cui tutti, in tutti i tempi che sono stati e
che verranno, cercano di arrivare attraverso la Religione.
Bagoas tentennò per un secondo, poi si
decise a chiedere: - E credi che si possano sfidare, queste leggi divine? Credi
che si possa sfidare la volontà del Dio?
Alessandro non trascurò un certo moto
di paura nel timbro della sua voce. – Non credo, Bagoas. Le conseguenze
potrebbero essere terribili.
Bagoas deglutì. Rivolse lo sguardo
davanti a sé e sussurrò, quasi per chiedere a sé
stesso: - Si potrebbe sfidare la volontà di Eros?
Alessandro sospirò dolorosamente: -
Quella è la volontà più ineluttabile e a volte la
più ardua da accettare, Bagoas. Una forza in grado di stravolgere la
vita di un uomo. Una forza indipendente da ogni altra. Nessun uomo mai è
riuscito a sottrarsi alla sua mira. Eros è la forza
motrice dell’umanità e per lui si sono compiute le opere
più straordinarie, ma anche i disastri più tremendi.
- Come la guerra di Troia.
- Esattamente, Bagoas. Esattamente.
- Credi che l’amore possa affiancarsi
all’insania?
- Certo, Bagoas. In ogni cuore di un
innamorato non ricambiato c’è una guerra, in ogni mente di un
innamorato qualunque c’è un pizzico d’insania.
“Allora io ti amo, mio signore, ti amo
più di qualsiasi altra cosa al mondo.”
Calò all’istante un lungo silenzio,
disturbato solo dai versi dei primi animali della sera, in cui Bagoas sembrava
riflettere su quanto aveva ascoltato da Alessandro. Poi, senza guardarlo negli
occhi, gli chiese: - Signore… tu… non mi faresti mai del male,
vero?
Alessandro sorrise, tra il divertito e il
sorpreso: - No, Bagoas, come ti può venire in mente una cosa del genere?
Io non ferisco le persone che amo.
- …Secondo te ferire una persona
significa non amarla?
Alessandro tacque per un secondo. – Si cerca
sempre di fare il meglio possibile per il proprio amante. In alcuni casi
può capitare di ottenere il contrario, senza comunque
aver agito di proposito. – sospirò – Come ti dicevo prima,
in ogni mente di un innamorato c’è un
pizzico d’insania.
Bagoas si sentì minuscolo. – Tu
hai mai amato completamente?
- Sì, Bagoas, ho amato completamente. –
“E amo ancora”, avrebbe voluto aggiungere.
- Efestione?
- Sì.
“Maledetto” Bagoas digrignò
i denti, ma fu abile a nascondere il suo turbamento: - E avresti fatto di tutto
pur di vederlo felice?
- Sì, Bagoas. Nell’amore non c’è
spazio per l’egoismo, purtroppo.
Bagoas si sentì sparire, ma aveva
ancora il coraggio di parlare: – Signore… mi prenderai con te
ovunque tu andrai, fin sul letto di morte?
- Sì, Bagoas, lo farò.
Bagoas avrebbe voluto
morire, ma ebbe il coraggio di appoggiare la testa al petto del re quando
questi gli cinse malinconicamente un braccio intorno alla vita.
Seguire Alessandro nella sua impresa era stata un’ottima scelta.
In quasi quattro anni di marcia assieme a lui,
aveva assistito agli spettacoli più emozionanti che
gli dei potessero riservargli, come il giardino di Babilonia in cui
stava pacatamente passeggiando; agli episodi più straordinari, come il
nodo di Gordio o la rivelazione di discendenza divina dell’oracolo di
Ammone; aveva visto crescere e maturare il Signore dell’Asia; e,
soprattutto, per la prima volta in vita sua aveva preso parte alla vita
sociale, e aveva compreso che non sempre essere un veggente implicasse vivere
da eremita.
Ma c’era qualcosa
di strano in quella bonaccia alquanto tediosa che lo attorniava, percepiva un
sorriso maligno tra le fronde leggermente squassate degli alberi, il sole che
tramontava silenzioso non gli sembrava abbastanza rosso. Quasi d’istinto,
alzò lo sguardo verso gli appartamenti del re. E lo vide appoggiato al
parapetto, con il suo solito sguardo rivolto verso i
suoi sogni al di là dell’orizzonte, e una massa di capelli scuri
che volteggiava al suo fianco.
Chiuse gli occhi e si lasciò cullare
dal vento per ascoltare le parole che gli suggeriva,
perché il vento aveva tante cose da raccontare, il vento non si fermava
mai, vedeva ogni cosa, in ogni luogo, e lungo il suo
interminabile viaggio avrebbe riportato le sue notizie a chiunque fosse stato
in grado di porvi l’orecchio.
E una ventata più forte delle altre gli
portò al naso un odore leggermente aromatizzato, un’essenza a lui
sconosciuta, qualcosa simile alla mirra ma meno
intensa, più soave, in un certo senso ultraterrena… lo stesso
odore che lo aveva colpito quando aveva annusato la coppa di bronzo.
Aprì gli occhi, rivolse nuovamente lo
sguardo verso Alessandro e il suo servo e avvertì immediatamente una
sensazione di stordimento. Inspirò profondamente, ma dello strano odore
non c’era più traccia.
Rientrò a passo svelto nel palazzo e si
diresse verso la sala dei banchetti, dove un eunuco stava lucidando il
pavimento.
Si recò nella cucina, prese la coppa di
bronzo e attirò l’attenzione dell’eunuco.
- Signore, serve qualcosa?
- Avvicinati.
L’eunuco obbedì e Aristandro gli
porse la coppa di bronzo.
- Annusa. Hai mai sentito quest’odore?
L’eunuco annusò e guardò
negli occhi l’indovino con aria perplessa: - Mio signore, questa coppa
è stata utilizzata durante il banchetto tenuto qualche giorno fa, ma ti
assicuro che abbiamo provveduto subito alle pulizie, e non è rimasta una
sola goccia di vino.
- Infatti, questo non
è odore di vino.
- Ma signore… a dirti
la verità, io non sento nessun odore! Ma se può farti piacere la posso lavare nuovamente!
Aristandro sorrise soddisfatto e scosse la
testa: - Non c’è bisogno, bravo servo, torna pure al tuo lavoro.
- Grazie, signore.
Aristandro aspettò che l’eunuco
si girasse e avvolse la coppa di bronzo nel suo mantello.
- Bagoas è riuscito ad assicurarsi i favori più intimi del
re. – stava sistemandosi i capelli in una lunghissima treccia.
- E’ quello a cui ha sempre mirato.
- Credi che re Alessandro ne sia innamorato?
- Non lo so ma lo
spero per lui, duole spasimare per chi non ricambia il proprio amore.
Le labbra di Narda s’incurvarono in un
sorriso indecifrabile: - Ti sei mai chiesto che genere di forza ti abbia spinto
da me?
- La forza dell’Amore, Narda, quale
altra?
- Già, la forza dell’Amore. –
annuì con un solenne cenno del capo – L’amore celebrato dai
poeti… - il suo viso s’incupì e la sua voce si fece roca - un amore maniacale.
Efestione la guardò negli occhi.
- Il mio per te?
- No. Il suo
per lui.
- Non capisco.
Narda scacciò ogni pensiero dalla sua
mente con un lungo bacio appassionato.
Aristandro si era ritirato nella sua stanza da
letto e osservava attentamente la coppa di bronzo che aveva prelevato senza permesso nella sala dei
banchetti.
Era una normalissima coppa di bronzo decorata,
nemmeno tanto pregiata, se la si confrontava con la
coppa intarsiata in oro in cui aveva bevuto il re. Doveva essere una di quelle
coppe in cui avevano bevuto i generali.
Si era servito vino puro come aveva desiderato
Alessandro, un vino giunto direttamente dalla Macedonia – al re non
piacevano i vini dolciastri della regione persiana e tanto meno che venissero serviti annacquati – e qualche eunuco
persiano particolarmente integralista si era sentito in qualche modo offeso.
Accostò per l’ennesima volta il naso
alla coppa.
Quell’odore… si sforzò di
ricordare se sulla grande tavola imbandita di ogni
bendiddio ci fossero state altre anfore oltre a quelle del vino ma non
riuscì a focalizzarne nessun’altra.
Quasi come d’istinto provò ad
appoggiare la lingua sul bordo e ad agitarla un poco, e si schermì
immediatamente al contatto col gusto amarognolo del bronzo. Nessun sapore
particolare. La coppa era stata lavata perfettamente. Ma
allora, quell’odore…?
Deciso a risolvere una volta
per tutte quell’enigma, avvicinò la coppa
all’orecchio destro e ascoltò attentamente. Nessun rumore
particolare.
Solo quell’odore attanagliato alla
coppa, a quanto pare per volergli dire qualcosa, qualcosa che solo lui sarebbe
stato in grado di interpretare.
Un odore dolce e agro, pensò, come
l’amore, e che lasciava senza fiato, come l’amore a prima vista; e
ad un tratto gli occhi s’illuminarono. L’amore a prima vista.
Ecco svelato il mistero.
Appoggiò la coppa allo scrittoio e
uscì dalla sua stanza per dare un’occhiata
in giro.
Camminava con la sua solita andatura quasi
apatica di chi ormai non avrebbe potuto meravigliarsi
di nulla, e presto si trovò nuovamente in giardino.
Guardò nella direzione delle stanze del
re ma sul ballatoio non c’era nessuno. Quasi
come per associazione logica, il suo sguardo si volse verso gli appartamenti di Efestione, e quando lo vide sorrise. Stringeva qualcuno
al petto, ma quando i suoi occhi miopi si abituarono meglio al buio si accorse
che non era la persona che s’aspettava. Non riusciva a mettere bene a
fuoco i suoi contorni, ma i lunghissimi capelli neri che si diramavano selvaggi
attorno alle spalle del generale non erano certamente quelli di
Alessandro.
“Molto, molto interessante.”
Ascoltava il suo respiro sommesso e silenzioso – Dario, invece,
russava - e contemplava il suo viso liscio e delicato, le gote d’avorio
erano asperse di un grazioso rossore che sembrava dipinto dalle dita di Afrodite, i suoi capelli erano dell’oro più
pregiato; alzò istintivamente una mano per raggiungere la sua pelle ma
si fermò poco prima.
Era troppo bello per essere
rovinato.
Alessandro.
Chiudeva gli occhi e un nodo gli serrava la gola quando pensava a quanto gli sarebbe piaciuto potergli
gettare le braccia al collo e gridare il suo nome, davanti ai suoi occhi, alle
sue labbra sanguigne, stordendosi del suo profumo, affondando il viso tra i
suoi capelli.
- I… Iskander…
- fu l’unica cosa che le sue labbra, inginocchiate di fronte a tanta
sublime bellezza, poterono sussurrare. Non resistette, e in un attimo le sue dita
brunite furono sul suo petto, e si alzavano e si
abbassavano al suo ritmo.
“Perdonami se ti ho fatto tanto
soffrire, amore mio,” socchiuse le labbra per
assaggiare il sapore salato di una lacrima “ma il tuo amore non ha
prezzo. Vorrei stringerti le mani e spiegare le mie ali e portarti via;
rabbrividisco al pensiero che facciamo l’amore sul letto impregnato dei
tuoi singhiozzi sommessi, quelli che ti scuotono anche l’anima quando
anche solo il vento ti sussurra il suo
nome; non avrei mai voluto sentire la tua voce spezzata, vedere i tuoi occhi
umidi e gonfi di pianto; sentirti invocare il suo nome nel sonno tra rantoli e sospiri mi uccide;
senza che tu te ne accorga mi ricordi ogni giorno di più quanto piccolo
è il puntino che ho tracciato nel firmamento del tuo cuore; ma perché Eros dev’essere
così crudele col cuore degli esseri umani?, ho perso tutti i miei
affetti quando ero solo un bambino, e in te vedo tutto quello che non ho mai
avuto, e che avrei voluto avere, tutto quello che non sarò mai, e che
avrei voluto essere; volevo solo che tu ricambiassi il mio amore, volevo solo
che tu dimenticassi quell’Efestione e per questo ho sfidato le leggi di
Eros, ho stravolto la sua volontà, e se, come dici, sfidare la
volontà di un Dio comporta conseguenze terribili, sarò pronto a
subirle. Con una mano nella tua sarebbe più caldo anche il respiro della
morte.”
Si coprì il volto con le mani e il suo
corpo venne scosso da tremiti convulsi, da lacrime
infuocate; e si alzò da quel letto che sapeva troppo, non voleva che gli
raccontasse cosa avesse visto le notti in cui ospitava anche Efestione,
uscì dalla stanza silenzioso come sempre, e si mise a vagare come un
fantasma per i corridoi del palazzo, si fece inghiottire dall’oscurità,
piangendo e singhiozzando, ogni tanto guardava fuori dalle grandi finestre
trifore come se cercasse risposte dalla bocca della luna, ma quella continuava
a sorridere come se non comprendesse il suo dolore, e allora Bagoas si
sentì tremendamente solo e in colpa.
“Oh Efestione, maledetto Efestione!, che rapisti il cuore del mio amato Alessandro non so
quanto tempo fa, forse nelle notti trascorse a Mieza,
quando vi scaldavate uno contro il corpo dell’altro fantasticando sul
vostro glorioso futuro, esci da lui e permettimi di amarlo!; Oh Dio, Dio di
tutti gli dei, Dio dal volto sconosciuto, detentore di tutte le verità,
dimmi, quale voce ha sussurrato al mio orecchio quella sera, quella
dell’insania o quella dell’egoismo? Lo amo o non lo amo? Dimmelo, oh Dio Creatore, perché questo dubbio
mi distrugge, perché se mi dicessi che non sono
un innamorato, allora sarei un assassino, perché ho ucciso un cuore
innamorato; e sarei un suicida, perché al pensiero di aver ucciso il
cuore di colui che non amo, ma che
sento di amare più della mia stessa vita, mi ucciderei.”
Si alzò nel bel mezzo della notte senza un preciso motivo e si
guardò intorno, intontito. Nessuno giaceva accanto a lui, eppure era
convinto d’aver fatto l’amore con Bagoas, quella sera.
Bagoas.
Quella creatura scatenava in lui una pena
infinita, struggente. Si abbandonava tra le sue braccia e lo accarezzava con
dedizione assoluta, soddisfava ogni suo desiderio, vibrava ad ogni sua carezza, e quando lo possedeva si squassava sotto
di lui senza ritegno, gli si concedeva senza riserve, lo circondava di un amore
assoluto, devoto fino all’eccesso.
Un amore che lui non
avrebbe mai potuto ricambiare.
Non era quella la volontà di Eros. O per lo meno, non lo era
stata sino a quel momento. Aveva imparato sulla propria pelle che la
verità di Eros era mutevole come il tempo, come
le stagioni, come la vita dell’uomo. Non era niente di certo, niente di assoluto, soltanto una velleità, una sorta di
capriccio, come se quel demone alato ogni tanto riprendesse frecce e faretra e
si divertisse a scombinare quello che aveva creato, e si tappasse le orecchie
per non angosciarsi dei lamenti dei poveri esseri umani.
Sarebbe stato più semplice innamorarsi
per sempre di Bagoas, e vivere felice con lui, pensava,
perché lui sì che avrebbe potuto renderlo veramente felice, lui,
che per sua natura avrebbe potuto amarlo completamente, lui, che per sua natura
non avrebbe mai potuto amare una donna al suo posto.
E invece si trovò a guardarsi di nuovo
intorno e a realizzare quanto quel letto fosse freddo
e dannatamente grande, con o senza Bagoas.
L’argentea luce della luna si soffondeva
nella stanza e per un attimo penetrò nella sua mente illuminando un viso
che Alessandro avrebbe voluto velare di nero per sempre.
Ma il suo corpo la
pensava diversamente e, senza neanche accorgersene, si ritrovò nel
corridoio.
- A quanto pare non
dormi la notte per disturbare i miei sonni. Lasciami in pace, per favore.
Aveva pensato ad alta voce, come per
convincersi delle sue stesse parole, che però suonarono
troppo fiacche e piagnucolanti per avvizzire il suo febbrile desiderio.
I suoi piedi lo condussero fino alle stanze
del suo amato e lo fermarono dinnanzi alla porta della sua stanza da letto.
“Dei, se ti
trovo avvinghiato a quella strega la uccido su due piedi.”
Non esitò un istante a varcare quella
soglia, e una volta dentro si sentì stordito, come se fossero passati
anni dall’ultima volta che si era trovato in quella stanza.
Lo vide. Venne scosso
da un tremendo moto d’emozione e avrebbe avuto voglia di gridare e
gettarsi sopra di lui, baciarlo, accarezzarlo ovunque, tirargli i capelli e
ansimare sotto le sue mani, ma sebbene non c’era quella sporca ladra accanto a lui, sapeva che
non avrebbe potuto farlo. Perché il suo Efestione non
l’amava più. Non
l’amava più. Probabilmente il suo grido gli sarebbe sembrato
troppo stridulo, non avrebbe ricambiato i suoi baci e le sue carezze,
l’avrebbe spinto via quando le sue mani avessero
cercato i suoi capelli, non avrebbe sopportato i suoi ansimi sotto di lui.
Incurante di questi pensieri, si
avvicinò con passo finissimo come avvolto in una nuvola di vapore, e si inginocchiò ai piedi del letto dove Efestione
dormiva di lato, nudo e squisitamente indifeso.
Con un dito gli sfiorò
impercettibilmente la guancia abbronzata, la bocca socchiusa, i capelli morbidi
e ondulati, il collo leggermente reclinato all’indietro.
“Efestione, amor mio, riesci a sentirmi?
C’è ancora in un meandro del tuo cuore una voce che scalpita
gridando il mio nome? Dimmi di sì, dimmelo ora, apri gli occhi e
guardami, Efestione, guarda le mie guance rigate di lacrime, e apri la porta a
quella voce affinché il suo fuoco possa espandersi nel tuo corpo, e che
il suo eco rimbombi fino a bruciarti le mani, e che esse possano
afferrarmi e stringermi a te come se fossi l’unica sorgente in grado di
spegnerle, appagando le loro voglie. L’aria di Babilonia non mi è
mai sembrata tanto fredda come adesso, da quando mi
hai rivelato di non amarmi più. Non cavalcheremo più fianco a fianco nei deserti e nelle paludi, le nostre mani fervide
non si stringeranno più quando sentiremo la morte incombente sul campo
di battaglia, i nostri occhi non si cercheranno più per trovare la forza
e il coraggio di andare avanti in questa impresa disumana, in queste terre
ignote e ostili, nella marcia ti perderai in mezzo a tutti quei soldati
sconosciuti che mi riveriscono e mi onorano solo come loro re, le nostre gambe
non si intrecceranno più nella notte torrida e terribilmente silenziosa.
Non sentirò più il respiro del mio Patroclo sul mio collo.”
Tremando, appoggiò le mani al bordo del
letto e lentamente scivolò accanto al suo amato. Non osava toccarlo, ma
riusciva a percepire il suo calore, sapeva che correva un grande
pericolo perché qualora Efestione si fosse svegliato, avrebbe dovuto
affrontare i suoi occhi, non più brucianti d’amore, che
l’avrebbero fissato, e le sue labbra serrate che gli avrebbero
sussurrato, con quella voce fredda e atona, che non l’amava più.
Ma il suo respiro lento e le forme definite
del suo corpo erano troppo invitanti per rinunciarvi,
e, abbandonato ogni indugio, Alessandro si avvicinò paurosamente, gli
cinse un braccio intorno alla vita e infilò una gamba tra le sue.
Efestione sbuffò, svegliato da un sonno
tranquillo, e si strofinò gli occhi.
Il cuore di Alessandro
cessò in quell’esatto momento di battere.
Efestione sbatté due o tre volte le
palpebre e socchiuse gli occhi cercando di mettere a fuoco,
nell’oscurità, la figura snella e trepidante distesa al suo
fianco. I capelli di finissimo oro illuminati dal chiarore lunare gli fecero
salire il cuore in gola.
- Alessandro.
- Efestione. – pronunciò il suo
nome velocemente, come se avesse avuto paura di non poterlo fare mai più.
- Cosa ci fai qui?
– erano vicini, vicinissimi, i loro nasi quasi si sfioravano, e il fiato di Efestione era più gelido del vento che spirava
violento sulle montagne d’Illiria.
- Ti cercavo, Efestione. – era un
sussurro, niente di più, e si andò a perdere tra gli spifferi di
brezza estiva che animavano la stanza.
Efestione si liberò garbatamente della
presa del re e si sedette sul letto. – No, Alessandro.
Alessandro scese dal letto e si erse nudo
davanti a lui. Efestione accese la lucerna sul comodino accanto al letto e lo
guardò dritto negli occhi. Il re si sentì mancare, quegli occhi
non erano mai stati così neri, le pupille dilatate erano minacciose come
una lama alla gola, e presto scoprì che quel demonio gli aveva legato la
lingua.
- E’ meglio per te che tu te ne vada, Alessandro. Dico davvero.
Alessandro sussultò e si sforzò
di mantenersi integro. - Vuoi che me vada, quindi? – avrebbe voluto
dirgli tante cose, avrebbe voluto vomitargli sul letto
i suoi affanni, avrebbe voluto stringerlo a sé e imporgli
d’amarlo, ma lui non era così crudele con i suoi soldati.
- Sì, Alessandro. Vattene,
è meglio per te. Non soffrire più per me, non ne vale la
pena, davvero. Dona il tuo amore a chi lo saprà conservare.
- Io ti
amo, Efestione.
Efestione scosse la testa. – Esci, Alessandro.
Esci e lasciami dormire.
Se il generale avesse proferito
altre parole, Alessandro sarebbe inesorabilmente crollato, pertanto non se lo
fece ripetere e uscì silenzioso com’era arrivato. L’altro lo
seguì con lo sguardo finché non lo vide perdersi completamente nell’oscurità.
“Buonanotte, Alessandro.”
Nudo come un verme, intento a strapparsi i capelli dalla testa e a soffocare le grida che gli spaccavano il cuore, venne afferrato da una mano grinzosa e quando si
voltò vide due occhietti socchiusi e un paio di labbra sottili tirate in un
sorriso divertito. Cercò di ricomporsi alla meglio e si schiarì
la gola per ritrovare un tono abbastanza perentorio.
- Aristandro. Anche tu sveglio?
- Siamo in parecchi a non avere sonno,
stanotte. Ho visto Bagoas gironzolare per i corridoi nelle tue stesse
condizioni.
- Ah, Bagoas.
- Hai visto la luna, fuori?
- No.
- Voltati.
Alessandro obbedì. Dalla finestra
dietro di lui poteva vedere una luna esageratamente grande, di uno strano
colore rossastro. – Strana.
- Sì. Strana.
- Perché, ti
dice qualcosa?
- Mio caro Alessandro,
credo che sia giunto il momento di chiarire un paio di cose con te. Seguimi.
La luce fioca della lucerna scolpiva i lineamenti affilati e gli zigomi
prominenti di Aristandro regalandogli un’aria
decisamente inquietante e un sapore sibillino alla sua voce che ben
s’addicevano ad un indovino.
Alessandro si era prontamente accomodato su un
treppiede alquanto fragile e agitava nervosamente la gamba sinistra,
accavallata su quella destra, stringendo le braccia conserte al petto e
mangiandosi letteralmente il labbro inferiore.
Per un attimo, il cigolio del treppiede,
esasperato dall’agitazione del re, fu l’unico sinistro rumore ad
infrangere il grave silenzio che ottenebrava la stanza.
- Ricordi l’ultimo banchetto che avevi organizzato?
Alessandro si passò una mano fra i
capelli madidi di gelido sudore riavviandoli all’indietro e
corrugò la fronte dilatando le pupille come se dovesse sottoporsi ad un
enorme sforzo. La gelida maschera di Efestione era
rimasta impressa nella sua mente come marchiata a fuoco e non riusciva a
pensare ad altro. – Sì… sì, mi pare di ricordarlo.
Sono passate quasi due settimane da allora. Perchè?
Aristandro cercò qualcosa sullo
scrittoio e quando sembrò averlo trovato lo svelò da una delle
sue estrose mantelline, tinta di porpora ricamata d’oro con motivi
arabeggianti.
Alessandro sembrò risvegliarsi da un
agitato torpore e scosse la testa rilassando i lineamenti in un amaro sorriso.
Tra i soldati correva voce che Aristandro cambiasse la
palandrana più spesso che la biancheria.
L’indovino portò l’oggetto
alla luce della lucerna.
- Una coppa in
bronzo.
- Sì.
- Come mai è qui?
- Questo non ha importanza. Ricordi chi bevve
nelle coppe in bronzo?
- Sì, certo. I generali e anche…
tu.
- Benissimo. Sai dirmi se oltre al vino avevi
ordinato qualche altra bevanda dalla Macedonia?
- Avevo ordinato solo il vino, perché
lo prediligo a quello persiano.
- Solo il vino, quindi?
- Solo il vino. – inclinò il capo
a sinistra e alzò il sopracciglio destro – Dove vuoi
arrivare?
- C’è un enigma che mi turba da
qualche giorno a questa parte. Annusa questa coppa.
Alessandro vinse il suo scetticismo e
accostò il naso alla coppa. – Quindi?
- Non senti niente?
- Niente.
- Dannazione.
- Ma cosa stai
cercando di dirmi?
- E’ qualcosa di strano, Alessandro. Non
riesco a spiegartelo bene, ma sento che c’è qualcosa di strano.
Alessandro sbadigliò. – Se
è qualcosa di strano, come dici, allora io non
posso aiutarti, questa è una cosa che fa per te.
- Non mi credi, eh?
- Ti credo, Aristandro, finora non ti sei mai
sbagliato, ma se non mi spieghi quello che senti non
potrò mai aiutarti.
- E’ un odore… - i suoi tondi
occhi glauchi si alzarono al cielo come se volessero cercare qualcosa
d’inconsistente e le sue mani si persero a tracciare cerchi immaginari
nell’aria – Non so come dire… qualcosa di inebriante.
Qualcosa di dolce, di amaro, qualcosa di energico, di
soave…
Alessandro socchiuse
gli occhi per cercare di interpretare quegli incerti accostamenti di parole. – Non
capisco… forse è qualcosa che solo i sensi straordinariamente
affinati di un indovino possono percepire.
Aristandro si bloccò e fissò il
re con la bocca spalancata.
- Ho detto qualcosa che non va?
- Sensi affinati… - scandì quelle
parole e tenne le pupille ridotte a due puntini immobili su Alessandro come se
avesse visto il viso di Zeus in persona sostituirsi a quello del sovrano
– I sensi affinati di un indovino… i sensi
affinati… aspettami qui, Alessandro. Torno subito.
Alessandro, incapace di immaginare cosa stesse
per combinare il veggente e nemmeno tanto interessato a provarci, si
abbandonò sul letto e fissò il soffitto sopra di sé.
Completamente bianco. Nessun affresco, nessuna
decorazione. Aristandro aveva scelto una stanza
incredibilmente spoglia e umile, perché, diceva, il lusso non
accompagnava la meditazione. Mentre sentiva l’indovino armeggiare con
ampolle e strani contenitori nella camera adiacente, comunicante con quella da
letto tramite una piccola porta senza serratura, i suoi pensieri volarono fino
all’immagine di Diogene nudo e assorto nei suoi pensieri, con gli occhi
pressati in un’espressione di profonda concentrazione che aveva in
sé qualcosa di addirittura malefico, e alla sua casa spoglia e umile,
come la stanza di Aristandro. Evidentemente essere
speciali implicava essere strani. Sorrise. Chissà se qualcuno trovasse
strano anche lui.
Il passo irrequieto dell’indovino che si
avvicinava allo scrittoio lo distolse dai suoi pensieri.
- Vieni qui,
Alessandro.
Il re si alzò svogliatamente dal
giaciglio e raggiunse Aristandro. Quando
vide cosa stringeva tra le mani non poté trattenere una smorfia di puro
ribrezzo.
- Cosa sono?
Aristandro appoggiò sullo scrittoio un
barattolo colmo d’acqua fino a metà, al cui interno si
diguazzavano tre o quattro creature dall’aspetto raccapricciante. –
Scorpioni. Li catturai mentre marciavamo lungo la
strada per Babilonia. – sorrise - Li osservo da giorni
ma non ne vogliono sapere di accoppiarsi. Chissà, forse non si
piacciono!
- O forse sono dello
stesso sesso tutti e tre.
- No! La femmina è leggermente
più piccola del maschio ed ha un colore diverso, più chiaro.
Vedi? – gli indicò lo scorpione più grande per fargli
notare la differenza.
Alessandro si abbassò e avvicinò
il viso al barattolo. – Sono orribili. E
velenosi.
- Questi sono niente a confronto di quelli del
deserto! – ridacchiò Aristandro.
- Perché li
hai portati qui?
- Perché i loro sensi sono molto
più aguzzati di quelli degli esseri umani, e potrebbero percepire molto
di più di quanto io non riesca. Per esempio, un
qualche strano sapore. Voglio fare un semplice esperimento.
- Credo di capire a cosa ti riferisci.
– le sue parole erano prive di ogni convinzione.
Aristandro senza battere ciglio infilò
una mano nel barattolo, prese per la coda lo scorpione
maschio e lo appoggiò all’interno della coppa, Alessandro distorse
la bocca ma assistette alla scena, assorbito dalla sicurezza con cui Aristandro
maneggiava i suoi animali e le sue intenzioni. Lo scorpione esplorò quel
nuovo ambiente con smaniosa curiosità, salendo e scendendo dalle pareti
insormontabili di quella nuova prigione, tastò il bronzo con le zampette
e serrò i cheliceri. La mano di Aristandro lo
afferrò di nuovo per la coda e lo ripose nel barattolo.
- Osserviamone la reazione.
Si chinarono per guardare meglio
all’interno del barattolo; anche Alessandro si scoprì interessato
a notare qualche cambiamento nell’aspetto o nel comportamento dello
scorpione.
L’animaletto corse come impazzito contro
la prima delle due femmine che intralciò il suo
percorso verso il fondo del barattolo e si ancorò ad essa, rilasciando
dei piccoli granelli che vennero subito raccolti dall’altra.
Alessandro aggrottò le sopracciglia,
tentando di capire cosa stesse succedendo.
– Per tutti gli dei! Hai visto? –
Aristandro sgranò gli occhi - Si stanno
accoppiando! – afferrò la coppa e la osservò da tutte le angolazioni manipolandola freneticamente - Lo dicevo, io,
che questo era amore a prima vista!
Alessandro non riuscì a condividere le
esultanze dell’indovino. Non riuscì nemmeno a capacitarsi di
quello che aveva appena visto. Riuscì soltanto a tenere gli occhi
incollati alla coppa di bronzo gettata all’aria e poi riafferrata dalle
mani di Aristandro.
- A
proposito, Alessandro.–
il veggente gli si rivolse con uno sguardo indecifrabile, forse storpiato dalla
luce difforme della lucerna – Ho come
l’impressione che ultimamente tra te ed Efestione non sia tutto come
dovrebbe essere.
Alessandro increspò le sopracciglia.
– Mi sembra di vivere un incubo, Aristandro…
è innamorato di una donna. E sembra
essersi completamente dimenticato di quello che provava per me. - gettò
gli occhi al pavimento e scosse la testa.
- Non ti sembra che ci siano un po’
troppe cose che facciano pensare a…
- So cosa stai per dire, Aristandro, ti
prego, non continuare. – sospirò – …E io che pensavo
che certe cose potessero prendere forma solo nella fantasia dei cantori e dei poeti… ma sei sicuro che…?
Aristandro chiuse gli occhi e annuì
solennemente. – Mio caro Alessandro, nella mia
lunga vita ho assistito a fenomeni incredibili. E non stento a dare credibilità al parere che…
- No, Aristandro. Lo so. Non lo voglio neanche
sentire. – si alzò dal cigolante treppiede, che per un attimo
sembrò quasi respirare, e si diresse a passi strascicati verso la
finestra dietro di sé. La grande luna rossa era
parzialmente oscurata da una timida nuvola scura. – Efestione… non
posso crederci… ma chi avrebbe mai
potuto…? I cuochi non avrebbero avuto interesse… forse quella
strega di Narda… - la sua voce crepò e in un attimo Alessandro si
abbatté al suolo in un agghiacciante mugolìo,
attanagliandosi i capelli, tirandoli nervosamente, stringendoli fino a che le
nocche delle dita non divennero bianche, le sue labbra si deformarono in
un’espressione di inquietante disperazione; si
contorceva sul pavimento, scuoteva la testa e scalciava freneticamente come se
volesse scacciare il demonio in persona dalla sua mente, piangeva e delirava
incomprensibili imprecazioni, per poi addormentarsi di colpo.
Aristandro aveva assistito alla
scena seduto sul treppiede, limitandosi ad aspettare che il sovrano si
calmasse, dopodichè lo prese tra le braccia e lo distese sul letto.
Si addormentò accanto a lui, con una
mano sul suo petto, come se volesse infondere nel suo animo spossato il calore
che rigonfiava le sue vene.
Quando si svegliò, Alessandro dormiva
ancora saporitamente. Sul suo volto era dipinto un sorriso beato: evidentemente
stava godendosi un sonno tranquillo e ristoratore. Decise di
non disturbarlo, quella quiete avrebbe rigenerato i suoi sensi e i
riflessi del suo intelletto permettendogli di ragionare con maggiore
lucidità.
Si alzò dal letto e contemplò a
lungo la coppa di bronzo. Chi mai avrebbe potuto trarre favore
nell’allontanare Efestione da Alessandro? La donna che aveva visto
assieme al generale sul ballatoio? O qualcun altro?
Quella situazione sapeva davvero di assurdo, e
sicuramente l’artefice doveva essere una persona profondamente disturbata
dal rapporto che univa i due giovani amanti, ma l’abilità con cui
la droga era stata preparata e somministrata lasciava trapelare una certa
esperienza con infusi e boccette.
Agguantò la coppa e la strinse forte
nella sua mano.
Aprì gli occhi e la prima cosa che sentì fu un lurido
guanciale impregnato di lacrime aspre.
Quella notte non aveva trovato il coraggio di
rimanere accanto al re, e aveva preferito rifugiarsi nella sua camera,
caldissima e così umida, soffocante, come una punizione che aveva
sentito di volersi infliggere. Lì, lontano da tutti, coperto
dall’oscurità e ovattato dalle spesse mura scrostate, aveva
consumato il più drammatico dei suoi pianti, le lacrime erano scorse
impetuose sulle sue guance fino a scavarle come i fiumi scavano
il loro tortuoso percorso tra le pareti delle montagne.
Quando si alzò a sedere sul letto la testa gli girò turbinosamente.
Nonostante tutto, si alzò
e si vestì di tutto punto, doveva andare a svegliare Alessandro.
Camminò barcollando lungo il corridoio
e raggiunse la stanza del re.
Trasalì.
La porta era aperta e il letto disfatto.
In un certo senso si sentì sollevato,
non avrebbe dovuto affrontare lo sguardo mesto del suo re, ma decise comunque di aspettarlo, ovunque si fosse recato, e nel
frattempo si distese sul grande letto a baldacchino al centro della stanza.
Le coperte e il guanciale sapevano ancora di
lui, e mentre si allungava e rotolava tra le lenzuola per avvolgersi del suo
profumo, avvertì in lontananza un rumore di passi svelti e leggeri.
Incuriosito, si alzò e sbirciò fuori dalla
porta. Due gambe snelle si avviavano a passo veloce lungo il corridoio.
L’amante di Efestione.
Di quell’Efestione che non ne voleva sapere di restituire il cuore che
aveva rubato.
- Narda!
La donna si fermò e si voltò
nella direzione da cui aveva sentito provenire la voce. – Bagoas.
- Stai meglio, ora? – gli aveva fatto trovare sul comodino un
vassoio di biscotti dall’impasto semplice e friabile e una caraffa
d’acqua. Non voleva che s’appesantisse, perché appena
avrebbero ripreso a parlare dell’argomento lasciato drasticamente in
sospeso la sera prima lo stomaco avrebbe potuto
giocargli brutti scherzi.
- Sì, Aristandro. Grazie. – si
alzò e sciolse le membra intirizzite dal sonno con qualche flessione
degli arti.
- Ti va di parlare?
Alessandro si voltò verso di lui con
piglio accigliato. – Certo che mi va.
L’indovino si grattò la fronte
rugosa. – Credo che converrai con me che siamo
di fronte ad una situazione alquanto irrazionale. Conosco veleni potenti e
medicine altrettanto potenti, ma con filtri
d’amore non mi era mai capitato di avere a che fare. - abbozzò ad
un sorrisetto malizioso, ma i lineamenti duramente corrugati di
Alessandro lo turbarono non poco. – Di conseguenza, non ho la minima idea di come esso sia preparato. Di ulteriore conseguenza, non ho la minima idea di come esso
possa essere annullato.
Gli occhi di Alessandro
vibrarono, e fece appello a tutte le sue forze per non crollare come aveva
fatto la notte appena trascorsa. – E ora come
facciamo? Efestione è vittima di un incantesimo che potrebbe essere
irreversibile.
- Beh, una soluzione ci sarebbe.
- Cioè?
- Beh, come hai potuto notare dal
comportamento dello scorpione, si tratta di un incantesimo che dovrebbe far
innamorare chiunque lo beva del primo individuo che
vede. Come sai, nel cuore di una persona c’è
posto per un solo, vero amore. Di conseguenza, basterà scoprire
l’artefice, metterlo alle strette con qualche minaccia, far bere
nuovamente la pozione ad Efestione, e…
Alessandro alzò energicamente la mano
destra.
- Non ci pensare. Il suo amore
dev’essere sincero, non frutto di un artificio.
Tutto deve tornare come prima.
Aristandro scosse il capo tristemente e
Alessandro lo chinò ancora più tristemente.
- Pensavo che le leggi dell’amore
potessero essere governate solo da Eros. – affermò
l’indovino – E invece, a quanto pare,
esiste, tra gli uomini, l’empio che si permette di sfidare la
verità divina, spinto da chissà quale dissennato coraggio.
– osservò la coppa di bronzo appoggiata allo scrittoio. –
Questa, oserei dire, è degna opera di una strega.
- Già. Di una strega.
L’indovinò
guardò intensamente il sovrano. – Conosci qualche strega,
Alessandro?
Alessandro non occupava più i suoi pensieri.
Doveva capirlo, in qualche modo.
Quanto gli era costato pronunciare quel vattene davanti ai
suoi occhi umidi e a quel povero corpo snervato, risucchiato di ogni energia;
non avrebbe mai voluto fare del male al suo amico di infanzia, alla persona che
più aveva amato al mondo; si era già rivelato abbastanza vile nei
suoi confronti, e ora si sentiva in colpa per averlo ferito in quel modo,
quella notte. La sua faccia era la maschera della
disperazione, i suoi occhi tremavano dal desiderio di un amore perduto,
così vicino a lui eppure così lontano, irraggiungibile,
dolorosamente sottrattogli.
Dei, era incredibile quanto fosse ancora
in grado di penetrare nelle profondità della sua anima, di capire il
significato dell’increspatura delle sue labbra o delle sue sopracciglia,
del socchiudersi o dello sgranarsi dei suoi occhi.
Ma non avrebbe potuto
prenderlo in giro ancora una volta. Non se lo sarebbe mai perdonato.
Doveva essere, ahilui, sincero fino alla
crudeltà, un po’ per Alessandro, un po’ per il suo orgoglio
già ferocemente ferito.
Due mani leggere s’impadronirono delle
sue spalle e cominciarono a muoversi sapienti in un massaggio risvegliando la
sua carne nervosa.
Non c’era bisogno di voltarsi per
immaginare un corpo da pantera e due labbra carnose socchiuse nel lieve respiro
che si abbatteva alla base delle sue scapole.
- Narda…
- Amore… - le sue labbra
s’appoggiarono sulla sua schiena e cominciarono
a scorrere lasciando tracce di saliva sul loro lento ed esasperante percorso
– Voglio fare un viaggio con te.
Efestione si voltò.
- Ti andrebbe? Solo io e te… - i suoi
artigli affilati si ingarbugliarono tra i capelli di
Efestione. – Lascia questa terra piena di insidie
e questa corte di soldati stremati dalla fatica…
Efestione gettò la testa
all’indietro. Le dita di Narda s’insinuarono sulla sua nuca come se
volessero manomettere i suoi pensieri.
- Corri verso l’ignoto solo per
realizzare un sogno in cui ormai crede solo il tuo re. Invece noi vedremo il
mondo senza inutili ansie, senza la paura di non poter vedere la luce del
giorno dopo; soli, io e te… ci sentiremo dei.
Dèi padroni del mondo, Efestione…
Grazie a
Lisachan, Flora e Dappyna
per i commenti lasciati.
- Come mai tutta questa fretta di partire per un viaggio?
- Ho voglia di godere
dell’aria nuova, di uscire da questo palazzo, di vedere il mondo,
e soprattutto di accarezzare i tuoi muscoli non più così tesi,
sentire la tua pelle non più così nervosa. Non avresti voglia di
fuggire, di prendere tutto e andartene, lasciarti alle spalle guerre e
conquiste, vivere finalmente in pace con me, e con i figli che avremo? Potremo goderci tutto quello che abbiamo in tutta
tranquillità, potremo visitare l’India, l’Italia,
l’Africa, tutto quello che vorremo, se solo accetti. Pensaci: per quale
scopo stai spargendo tutto questo sangue lungo il tuo percorso?, per quale motivo giurasti fedeltà al tuo re prima
di partire? Ti saresti mai immaginato che il vostro sogno di gloria avrebbe
comportato tutte quelle perdite di soldati, che avreste
condotto una così dura vita castrense? Alessandro è pazzo se
crede che i suoi soldati gli rimarranno fedeli fino alla fine di questa folle
scampagnata! Per il suo sogno sta sacrificando un ingente numero di uomini e di fondi finanziari, e se è vero che
finora il Fato gli ha puntato il sole in faccia, un giorno potrebbe ritrovarsi
nella più totale oscurità. Cosa succederebbe se veniste sconfitti? A cosa sarebbero valse tutte queste
guerre, tutta questa fatica? Guardati, Efestione.
– gli accarezzò dolcemente il viso – Hai appena ventisei
anni, e non c’è parte del tuo corpo che non sia marchiata
da cicatrici. Ma ci pensi? La morte ti affianca da quando hai deciso di seguire Alessandro in
quest’impresa e potrebbe colpirti da un momento all’altro. Al petto per mano di un nemico nel furore della battaglia, o nella
schiena per mano di uno dei tuoi amici nell’ebbrezza di un banchetto.
Sai bene che non sei più benvoluto come una volta, non siete più dei ragazzi, e quando ricchezza e potere
fanno sentire la loro voce, l’invidia e il rancore non esitano a
rispondere. E sai ancora meglio che è proprio l’invidia ad animare
critiche e commenti tra gli altri soldati, che non
vedono di buon occhio il tuo rapporto così intimo con Alessandro. Anche se ora vi siete staccati, le cose non cambieranno.
Rifletti, Efestione: se partiremo, non avrai nulla da rimpiangere. Non c’è più amicizia, non c’è
più amore, solo guerra e sofferenza.
- Hai pensato a tutto questo in una sola notte
che non ci siamo visti? – sorrise – Dormire senza di me ti fa male,
Narda.
Narda sgranò gli occhi, incredula.
– Cosa vuoi dire, Efestione?
- Che non ho alcuna intenzione
di partire.
- Maperché? Perché
ti ostini a rischiare la tua vita inutilmente? Non hai nemmeno voglia di
tornare a casa, rivedere la tua famiglia, la tua
patria, il tuo luogo natio?
- Non avrei il coraggio di abbandonare il mio
re nel bel mezzo dell’Asia e tornarmene a casa. No, se tornerò a
casa, un giorno, terrò la testa alta e lo sguardo fiero dinnanzi a me di
chi ha osato sfidare l’impossibile, tra deserti e montagne, dormendo in
una tenda d’accampamento, cibandosi di umili
tozzi di pane, concedendosi qualche volta il lusso di dormire tra le mura di un
palazzo conquistato con sangue e sudore. Giurai ad Alessandro che gli sarei
stato per sempre vicino, e anche se non provo più amore nei suoi
confronti, non ho la minima intenzione di calpestare
il mio orgoglio e la parola data. Rischio ogni giorno la mia vita sul campo di
battaglia, ma sono stato addestrato per combattere e per rendere onore alla mia
patria, non oserei mai infangarla e ritornare come se
nulla fosse. – fu un attimo e si rivide a Pella, quando giocava nel
giardino del palazzo reale assieme ad uno scricciolo biondo, e quelle
parole… “Fino alla morte?”
“Fino alla morte.” - Un giorno, tanto tempo fa, qualcuno mi disse che i grandi uomini non muoiono sul proprio letto.
Narda rimase interdetta. Doveva usare tutte le
armi possibili per convincerlo a lasciare per sempre l’esercito, a lasciare per sempre Alessandro.
– E a me non ci pensi? Non pensi a questa povera
donna che piangerà sul tuo cadavere strappandosi i capelli e i vestiti,
picchiandosi il petto e versando lacrime sul tuo ventre esanime? Ti avrò
perso per sempre, e non avrò mai la certezza d’averti goduto
completamente!
- E non pensi che
sarebbe peggio piangere sul cadavere di un vigliacco che quand’era un
giovane leone pieno di forze abbandonò i suoi sogni e la sua parola per
condurre una vita senza sofferenze e senza gloria? No, Narda. Ho appena
ventisei anni, e sono troppo abituato a tremare di commozione davanti ad una
nuova conquista per potervi rinunciare.
L’amore non funzionava. L’animo di Efestione, farcito di ideali eroici e cavallereschi sin
dall’infanzia, era qualcosa di troppo nobile, a quanto pare, per cedere
alle passioni terrene; si innalzava oltre, e oltre, e oltre… ma forse
l’orgoglio che vantava tanto avrebbe potuto fungere da esca. – Hai
forse paura che Alessandro ti condanni per tradimento? Le tue decorose parole nascondono
un semplice timore della morte? – le sue parole assunsero un tono quasi
di sfida.
- Questo discorso non ti fa onore, Narda. Non
capisco come in una notte ti sia venuta questa smania di partire, ma se vuoi
farlo, io non ti tratterrò. E non ho intenzione
di spiegarti il perché. Ti basti sapere una cosa: resterò a
fianco del mio re. – “Fino alla morte?”
– Fino alla morte, Alessandro.
“Non sarà l’amore a
distrarmi dai miei doveri e dalla mia parola,
Alessandro. Riesci a sentirmi? Quel pomeriggio di primavera, tanto tempo fa, ci
scambiammo un pegno d’amicizia eterna e io ti chiesi: “Fino alla morte?” e tu mi rispondesti “Fino alla
morte”. E fino alla morte sarà, anche se
non provo più amore, la stima e l’affetto nei tuoi confronti non
sono affatto scemati, e mi piacerebbe ancora poter entrare nella tua stanza e
intrattenermi in lunghe conversazioni con te. So che soffrirai nel vedermi
accanto a te e non poter protendere una mano nel disperato tentativo di
toccarmi e forse sciogliermi, ma ti prego di cercare di dimenticare, di
apprezzare quello che mi è rimasto da donarti,
accettalo, mio re, perché qualsiasi cosa sia, sarà scaturita da
questo cuore.”
Aristandro gli prese una mano tra le sue e gliela strinse fortemente.
Alessandro aveva ceduto un’altra volta,
quella situazione appannava i suoi sensi come una cappa scura ed asfissiante, e
gli impediva di muoversi, di ragionare, di immaginare qualsiasi tipo di vita
senza la mano del suo compagno di sempre sulla sua
spalla.
- Coraggio, Alessandro. Andrà tutto
bene. Sono sicuro che, insieme, troveremo una soluzione.
Era sorprendente quanto l’animo di Alessandro, forgiato dal fuoco di mille battaglie,
mostrasse tutta la sua nuda fragilità e non fosse in grado di trattenere
le lacrime che da troppo tempo gli pulsavano alla
gola. Nello sguardo avvilito e sulle guance umide sbatteva ancora le ali il ragazzino che aveva lasciato a Pella sulla tomba di
suo padre.
- Ci basterà scoprire chi è
l’artefice, e tutto sarà risolto. Sei il re, disponi
di macchine da tortura, e non sarà difficile convincere chiunque
sia stato ad annullare l’incantesimo.
Ma non erano quelli i tormenti che
abbrancavano il cuore di Alessandro. Anche se fosse riuscito a spezzare l’incantesimo, non
avrebbe mai dimenticato lo sguardo del suo amato compagno che fissava il
pavimento e le sue labbra screpolate che pronunciavano quella parola: no. Non l’amava più; e non
avrebbe mai dimenticato gli occhi inerti, fissi sui suoi muscoli tremanti, che
gli intimavano di andarsene e lasciarlo
dormire. Gli sembrava così remota la possibilità di annullare
l’effetto della pozione, e una lacrima luccicava sgorgando dai suoi occhi
al pensiero di dover combattere contro quelle iridi nere come il carbone ogni
qual volta le avesse guardate per cercarvi conforto.
…E in quell’immenso giardino, tra
il vociare di quei fanciulli appena in erba e il
verdeggiare degli alberi e del prato, quella promessa.
“Fino alla morte?”
“Fino alla morte.”
- Avanti, cerchiamo di fare mente locale.
Conosci qualcuno che avrebbe trovato interesse nel far
disamorare Efestione di te?
Le sue labbra tremavano ancora. – Quella
donna… Narda…
- Solo lei?
Alessandro fece scivolare la testa tra le manicome se queste
potessero in qualche modo tirare fuori informazioni dai suoi ricordi.
- Perché non
ne parliamo anche al tuo servo, Bagoas? Mi sembravi molto
vicino a lui in questi ultimi tempi, ed egli, essendo servo, potrebbe
aver carpito qualcosa tra i corridoi del palazzo.
- Bagoas… no, meglio di no. Lui non ha
mai sopportato Efestione. E poi ultimamente mi porgeva
domande strane. Domande sugli dei, sulle
volontà divine, su Eros e… Dei… Bagoas… non
c’è da escludere che sia coinvolto.
- Non ti viene in mente nessun altro?
- Potrei sospettare di chiunque. Il nostro
rapporto non era ben visto tra gli altri compagni:
loro erano invidiosi di Efestione per ovvie ragioni,
era l’uomo che entrava nella mia tenda di sera e non usciva fino alla
mattina dopo, era l’uomo che mi abbracciava quando di notte restavo
sveglio, assorto nei miei pensieri, a contemplare il mare, era l’uomo che
cavalcava al mio fianco e discorreva con me quando volevo rilassarmi; era
l’uomo che godeva dei miei maggiori favori e questo gli ha sempre
alienato le simpatie di tutti: è un uomo fondamentalmente solo.
- Ma c’è qualcuno tra i tuoi compagni che avrebbe
potuto preparare una pozione d’amore con tale abilità?
- Non credo che tra i miei compagni ci fosse
qualcuno interessato all’esoterismo, ma non mi sento di escludere anche
questa possibilità. – si zittì e si grattò nervosamente
il mento – Quello che non capisco esattamente,
è lo scopo per cui questa droga è stata somministrata.
Sicuramente per allontanarmi da Efestione, ma per quale motivo? Potrebbe essere
stata Narda, innamorata di Efestione, ad averlo voluto
solo per sé. Potrebbe essere stato qualche mio compagno, deciso ad allontanarci cosicché Efestione non
sarebbe più stato il mio favorito,e in caso di morte senza figli
non l’avrei nominato mio erede. Potrebbe essere stato Bagoas, per avermi
tutto per sé, ma allora perché non avrebbe
diluito la pozione direttamente nella mia coppa? Sarebbe stato di gran lunga più semplice… oppure potrebbe
essere stato qualcun altro con il semplice intento di farmi in qualche modo
soffrire…
- Io sono sempre dell’idea di parlarne
con il tuo servo, Bagoas. Potrebbe saperne di più, oppure, se
effettivamente egli stesso è il colpevole, potrebbe lasciar trasparire
involontariamente qualche parola… qualche espressione… che ci possa mettere sulla buona strada per accusarlo.
- Non credo che sarà così: i
servi sanno fare il loro mestiere, e quando questo
coinvolge la menzogna, sanno comportarsi magistralmente.
- Potrebbe essere comunque
un passo avanti. Finché ci limiteremo a
scambiare opinioni nella mia stanza, non riusciremo mai ad arrivare fino in
fondo.
Alessandro si guardò stizzosamente
attorno. – Dei, se scoprissi che il mio servo ha
osato affrontarmi in questo modo…
- Calmati, Alessandro. Dobbiamo agire con
calma.
Alessandro sembrò non curarsi delle
parole dell’indovino e si precipitò verso la porta.
- Mio signore… - Aristandro gli si
rivolse con un tono fortemente sarcastico.
Il re si voltò di scatto, ulteriormente
incollerito. – Cosa c’è?
- Non ti stai dimenticando qualcosa?
Alessandro sbuffò, aprì la porta
e fece per uscire ma la mano dell’indovino lo
frenò bruscamente afferrandolo per una spalla. Il re si voltò e
dalla sua espressione si sarebbe detto che avrebbe
voluto imprecare contro chissà quale dio, ma una mantellina blu cobalto
ricamata con fili d’argento intrecciati in estrosi motivi arrivatagli
direttamente in faccia gli impedì di aprir bocca.
- Sei completamente nudo, mio signore.
Chissà dove avrebbe potuto essersi
recato, il suo re, senza vestiti.
Erano lì, sulla sedia dove li aveva
appoggiati la sera prima, quando si era spogliato davanti a lui esibendo
fieramente quella pelle spessa e sfregiata, eppure così morbida al
tatto, scolpita dalla flebile luce della lucerna, quello sguardo corrucciato
che tanto amava, quelle morbide onde che lambivano deliziosamente le sue
spalle, e gli era apparso come un dio, come uno di quegli
dei raffigurati nei quadri greci che aveva osservato nelle case dei nobili in
cui aveva servito prima di arrivare in quel palazzo; e con quelle labbra
carnose gli aveva succhiato anche l’anima via dal corpo, e gli aveva
imposto di non avere tabù; gli aveva intimato di non avere pudori, di
rinchiudere il suo servilismo e di abbandonare quello sguardo riverente che
tanto eccitava gli altri re: lui no, lui non era attratto da quei fanciulli così
giovani e inibiti, che abbassavano il capo al suo passaggio e arrossivano alle
sue parole. Era un rozzo macedone, lo
aveva capito sin dall’inizio, ma il modo
rozzo in cui lo prendeva sotto le lenzuola era così maledettamente eccitante, anche per un composto eunuco persiano.
Dei, quanto lo amava.
Indossò i suoi vestiti e si
sentì mancare quando venne fasciato da
quell’inconfondibile profumo… cos’era… mirra? Sandalo?
Rosa canina? Muschio bianco? Qualche fragranza proveniente dalla lontana
Macedonia, o un olio arabo? Ma no, era il suo profumo,
quello della sua pelle, quello che lo contraddistingueva da tutti quei soldati
puzzolenti, quell’aroma che parlava di lui e che nessun altro profumo
avrebbe mai potuto annientare.
Si stava specchiando, vanesio più che
mai avvolto da quelle vesti così strane per lui eppure indubbiamente
belle, ricamate d’oro, argento e lapislazzuli, e
assumeva le pose caratteristiche del suo re, inclinava il capo a sinistra,
scuoteva la testa ondeggiando i capelli, camminava col suo passo deciso e le
gambe leggermente divaricate, quando la porta si spalancò ed
entrò lui, assieme al vecchio
indovino che seguiva l’esercito nella marcia.
- Mi… mio signore… mi hai
spaventato.
Alessandro non fece neanche caso ai propri
vestiti addosso a Bagoas. - Bagoas… dobbiamo parlare.
L’eunuco sbiancò. Alessandro non
si era mai rivolto a lui con quelle parole e con quello
sguardo inquisitorio. E Aristandro, l’indovino,
stringeva in mano una coppa di bronzo.
- Certo, mio signore.
Alessandro ed Aristandro si accomodarono
semplicemente sul letto ancora disfatto; il re tremava d’emozione e
quando l’indovino se ne accorse gli
appoggiò una mano sul ginocchio.
- Bagoas… durante l’ultimo
banchetto hai notato qualche movimento strano da parte
dei cuochi o di qualche altra persona presente nella sala?
Come avevano potuto scoprire? Come? Doveva
ricorrere a tutte le sue capacità di buon servo camaleonte per poter
fronteggiare una simile situazione. Dei, il suo re
sedeva davanti a lui con un’espressione così affranta, dove
avrebbe potuto scovare il coraggio necessario per mentirgli di nuovo? –
In che senso, sire? – la mossa migliore era prendere tempo.
Alessandro sbuffò e abbacchiò la
testa tra le mani. Aristandro comprese che il sovrano non ce l’avrebbe
fatta a parlare, e quindi s’intromise. – Abbiamo trovato tracce di
una strana sostanza in questa coppa di bronzo. Ne sai qualcosa, Bagoas?
La luna si mostrava e si eclissava misteriosa e lasciva dietro una
nuvola come un’odalisca; tutto intorno era argento; gli ultimi borbottii dei
soldati che si ritiravano nelle loro stanze si smorzavano in quell’aria
asfissiante, quasi soporifera.
- Sai, ha scoperto.
Sfilò prontamente il dito che aveva
attorcigliato tra i capelli e si voltò. Non incrociò il suo
sguardo. Quello, era smarrito tra le stelle che firmavano il cielo di
Babilonia. – E com’è riuscito?
- Non lo so. Ma
c’è di mezzo l’indovino. –un’altra stella luccicava,
ma la fissità degli occhi di Bagoas probabilmente non se
n’accorgeva. – Mi hanno chiesto qualcosa. Hanno cercato di capire
se fossi coinvolto.
- E tu?
- E io ho negato di saperne alcunché.
- Alessandro soffre.
Tra gli alberi si levò finalmente un pacato sussurro di vento; e lo straziante frignio di un
gatto in amore. – Partirete?
Narda abbassò lo sguardo e
inumidì con la lingua il labbro inferiore. – Veramente, no.
Bagoas sembrò
riemergere da un cupo torpore, la sua voce si alterò un poco.
– E perché?
- Efestione non vuole partire. Dice che ha promesso al suo re che sarebbe rimasto al suo
fianco fino alla morte, e non ha intenzione di abbandonare l’esercito.
Schiodò lo sguardo dal cielo per
piantarlo in faccia all’ancella. - Dannazione, Narda, ma tu puoi
corromperlo! Lui ti ama! Non capisci che…
Narda scosse la testa. – No. Io…
ho visto i suoi occhi. Bagoas, lui è legato ad Alessandro da qualcosa
che va oltre l’amore nella sua forma meramente concepibile. Comincio a
pensare che sia stato tutto inutile.
Fu un attimo, e le dita di Bagoas si
aggrapparono disperatamente alle spalle nude di Narda. – Ma perché? Perché? Ma cosa devo fare, Narda? Dimmelo! – lacrime scure di
bistro ombreggiarono i suoi occhi e colarono crudelmente sulle sue gote sciupate. – Cosa devo
fare per essere amato un poco? Non ho più parole, Narda, e non so
più cosa fare.
- Non otterrai l’amore di Alessandro facendo allontanare Efestione da lui. Forse
sarebbe stato meglio se avessi disciolto la pozione nel bicchiere di Alessandro.
- Non l’avrei mai fatto! Il suo amore
dev’essere sincero, non frutto di un artificio.
- Per quest’amore maniacale state soffrendo
entrambi.
Bagoas si sforzò di non sentire quello
che Narda gli stava dicendo e si voltò per dare sfogo ad altre dolorose
lacrime. – Devo trovare un modo per allontanare definitivamente Efestione
dai suoi occhi, cosicché non soffra più e possa sentire il
desiderio di occuparsi totalmente di me.
- Sei meschino; e inoltre, non ce la farai. Te
l’ho detto: lo seguirà fino alla morte.
Bagoas scacciò un sasso davanti ai suoi
piedi. – Solo fino alla morte,
lo seguirà. – si voltò e sorrise a Narda.
- Sì.
Il vento infuriò e la luna si nascose.
Bagoas tremò appena e abbassò lo sguardo verso i piedi di Narda,
scalzi.
- Narda, ti ringrazio per tutto quello che hai
fatto. – la sua voce venne rapita dal vento.
- Cosa? Non capisco;
parla più forte.
- Ho detto che ti
ringrazio per tutto quello che hai fatto.
- Non è stato per niente.
- Ti voglio chiedere un ultimo favore. –
sfilò dalla tasca dei suoi calzoni un sacchetto tintinnante di denaro.
La lucerna si era da poco consumata.
Efestione giaceva
scompostamente e un piede sporco penzolava dal letto, era nudo, spossato, la
bocca era socchiusa e le palpebre dischiuse; la luna l’osservava dalla
finestra, indecisa se uscire allo scoperto; il vento s’era calmato e
s’udiva solo lo stridere delle cicale.
Nulla vibrava, nulla gridava.
I servi si erano ritirati nelle loro stanze, i soldati giacevano soli o
stringendo il seno delle donne del campo, le concubine del re sospiravano addossate le une alle altre nell’ennesima uggiosa
notte d’estate, alcune si toccavano e sorridevano, si guardavano negli
occhi e gemevano; una si alzava e danzava leggiadra, oscillava la veste e i
campanellini, i capelli scuri davanti al viso, e i fianchi rotondi.
Grandi volumi riposavano impolverati tra gli scaffali della biblioteca;
le stoviglie nella credenza della cucina e le sedie attorno al tavolo del grande salone; dalle trifore penetrava la chiara luna ad
illuminare i lucidi pavimenti dei corridoi.
Era follia; l’ennesima. E tutto quel
denaro.
Per amare un soldato, per stringere in mano un
pugnale, non faceva alcuna differenza; non era tempo per gli scrupoli, non di
certo per chi aveva conosciuto le tenebre appiccicose della miseria, e a cui
l’oro pareva così splendente.
Era un rischio, e per lei e per Bagoas; ma era
la follia, l’estasi che avvicina l’uomo al suo Dio.
Che sciocca, pensava,
sciocca prostituta che era, mentre toccava il petto glabro dell’uomo che
l’aveva amata, col dito caldo e con la lama fredda, e quasi piangeva.
Alessandro giaceva solo, con gli occhi al soffitto, e non pensava a
niente.
Le palpebre erano tese e le labbra vibravano;
il sonno tardava ad arrivare, quella notte, il caldo era torrido e ogni
movimento era sudore.
Da tempo non visitava l’harem, da tempo non accoglieva nel suo letto altri che Bagoas; e in un
sospiro si alzò.
E anche Aristandro vegliava.
Continui spifferi disturbavano il suo sonno,
si copriva ma sudava, si scopriva e rabbrividiva,
eppure il cielo era ora terso, e le fronde degli alberi sonnecchiavano dettando
il silenzio.
Si alzò irrequieto, scostando le
coperte, scacciando una mosca. La coppa di bronzo era lì dove
l’aveva appoggiata l’ultima volta; nessuno, nessuno in quel palazzo
sembrava saperne qualcosa.
Avanzò fendendo l’oscurità
con i suoi capelli canuti accarezzati dal chiarore lunare; i suoi occhi miopi
non videro quell’instabile seggiola che urtò violentemente
rovinando a terra un barattolo di vetro, le schegge si sparsero ovunque,
pericolose, allorché il vecchio tastò qua e là per trovare
la lucerna e l’accese.
E la concubina danzava ancora, e tutti gli occhi erano sui suoi candidi
piedi che volteggiavano, e sul corpo sinuoso avvolto dai veli, le mani che
s’alzavano e s’intrecciavano tra loro; Alessandro si sollazzava tra
le braccia delle altre ragazze, non riuscendo a staccare gli occhi dalla
danzatrice, aggraziata e leggera come una piuma
abbandonata al vento; le altre sospiravano e sorridevano e accendevano la pelle
del re, e tutte guardavano lei, la più bella tra loro; ma il vento
spirò forte.
Cercava la sua carne ma non aveva il coraggio
di affondarla e dilaniarla, cosa sarebbe stato di lei? Prostituta e vigliacca,
ecco cos’era.
Tutt’intorno era così silenzioso,
ed Efestione non si muoveva; quella notte gli avrebbe stretto per
l’ultima volta le braccia, avrebbe accolto per l’ultima volta il
suo sospiro, e il suo gemito. Si lasciò
sfuggire una lacrima, che si affrettò ad
ingoiare per non farla cadere sul suo petto.
Quel povero cuore non aveva colpa se non di
essere amato così tanto; com’è
crudele Eros, pensava lei, che asfissia la mente degli innamorati, e fa
compiere loro azioni così empie e sciagurate; e lei, abbacinata dallo
splendore di quell’oro, che sfidava ogni legge e giustizia divina, alla
mercè di un pazzo preso d'amore.
Chiuse gli occhi tremando e lasciò andare la mano.
I suoi piedi cedettero al suolo, la sua grazia
s’infranse e i veli l’avvolsero a terra, mentre Alessandro
d’un tratto trattenne il respiro.
Sul pavimento, tra le schegge di vetro, s’allargava una pozza
color rosso intenso.
Non c’era tempo da perdere.
Il presagio parlava chiaro, il pericolo era
imminente, o forse era già troppo tardi.
I suoi sensi erano acuminati più che
mai, e dirigevano i suoi passi diretti come le stelle i
marinai; sentiva già l’odore del sangue pervadere i corridoi,
dimenticò la sua età e si precipitò nella stanza di
Efestione.
La danzatrice si alzò elegantemente, ma un
tiepido rossore si diffuse sulle sue gote d’avorio; imbarazzata
s’inchinò dinnanzi ad Alessandro inquieto, mentre una procace
concubina si trastullava tra i suoi capelli dorati; la danzatrice riprese il
suo posto tra le altre ragazze, ma il re la desiderava e, afferratala per un
fianco, la strinse forte a sé.
Si lasciò cadere a terra e i capelli le annebbiarono il viso,
coprendolo come avrebbero fatto le sue mani sporche di sangue e di vergogna, si
rannicchiò in un angolo sperando che l’oscurità
l’inghiottisse e la sbranasse, avrebbe preferito
morire oramai, si sarebbe lasciata morire d’inedia, ma no, Alessandro
l’avrebbe giustiziata prima, meglio così allora, piuttosto che
vivere con quella macchia indelebile nell’anima.
Nemmeno l’entrata improvvisa di Aristandro le riscosse le spalle. Se ne rimaneva
lì, contro il muro, nell’angolo buio, a rimestarsi il sangue sulle
dita. Misera donna.
Aristandro cadde in ginocchio. Efestione
giaceva sul proprio letto candido macchiato di sangue, l’espressione era
tirata, ancora agonizzava e non riusciva ad urlare.
- Ah, se Alessandro fosse qui! –
imprecò il vecchio – Ah, misera donna! Aspetta che lo veda!
Narda scoppiò in un pianto nervoso e
quasi si annullò nell’angolo buio, il vecchio si prese i capelli e
li strattonò forte, afferrò il pugnale sul letto e lo
brandì verso di lei, ma le sue mani tremarono e il pugnale andò a imbrattare il pavimento di marmo. Come meglio poté
caricò Efestione sulle proprie spalle e si diresse a svegliare il medico
Filippo.
Alessandro furente si gettò contro la porta della stanza del
medico e ai piedi della barella su cui giaceva Efestione, pallido ed esangue, e
gli prese una mano gelida tra le sue.
- L’ho trovato così. –
asserì grave il vecchio indovino.
- Ma chi? Chi? Per la
grazia di Dio, chi?
Aristandro scuoteva la testa, Efestione
guardava disperatamente Alessandro e gli stringeva la mano, sebbene ogni movimento
gli costasse un alito di vita; le sue labbra cercavano di pronunciare quel
nome.
- Alessandro, c’è ancora qualche
speranza.
- Ma chi? Chi ha
potuto? Dimmelo, Aristandro! Perché taci?
– appoggiò anche l’altra mano su quella dell’amico e
la sfregò per scaldarla.
- Nar… da. Ales…
- Cosa, Efestione?
Che cos’hai detto?
Aristandro abbassò il capo. – Narda, Alessandro. Questo è
quello che ha detto.
- Narda?
– Sì, Alessandro, proprio lei.
L’ho trovata nella stanza.
- Ma…
perché?
Filippo fece capolino nella stanza con
medicamenti e un’aria preoccupata. – Una ferita di pugnale,
fortunatamente non ha colpito il cuore.
- Ma
sopravvivrà? Potrà farcela?
- Sta perdendo molto sangue, ma forse siamo
ancora in tempo.
- E allora forza,
cosa fai con le mani in mano?
Esortato, Filippo scattò a prodigarsi
alle cure. Efestione non si muoveva, pareva morto, e ben presto
perse i sensi.
Alessandro si voltò verso il vecchio
indovino. – Narda… ma perché? Perché
l’ha fatto? Credi che volesse ucciderlo? Perché allora non l’ha colpito al cuore?
- Alessandro, credo che si trovi ancora nella
stanza di Efestione. Era veramente scossa. Non ho la
più pallida idea di cosa stia succedendo.
- Nella stanza? Ma
perché non è scappata? – le vene del collo erano turgide e
il viso era paonazzo; Aristandro scosse la testa, il re era veramente fuori di
sé. - Scellerata! E’ andata cercandosi la morte. Non la passerà liscia, lo giuro. – uscì dalla
stanza come un leone ferito, seguito a ruota da Aristandro.
Si guardava allo specchio.
I suoi occhi brillavano di follia. La morte
non lo spaventava, nemmeno il pensiero lo sfiorava.
Eros l’aveva completamente bendato, l’aveva fatto suo e non aveva
intenzione di uscire da lui, non ora che erano così vicini e quasi si
toccavano.
Tese le braccia a raggiungere la sua morbida
immagine e l’accarezzò lentamente.
Alessandro, il suo amato Alessandro senza
Efestione.
- Pazza! – la voce tuonò prima che la porta di spalancasse.
La stanza era impregnata dell’odore del
sangue secco. Una magra ombra si mosse appena e
riaffiorò dalle caligini di quella sua notte nera; tuttavia, la luna si rifiutò
di rischiararla e si nascose nuovamente dietro la nuvola.
- Pazza! Dove sei?
Aristandro accese la lucerna. Narda era
completamente avvolta dai propri capelli.
- Disgraziata! Le tue mani…!
Narda sollevò il capo per guardarsi le
mani insudiciate per poi adombrarsi nuovamente. Il re la raggiunse veemente e,
presala per i capelli, la costrinse ad alzarsi.
- Misera! Perché
l’hai fatto? Perché mi hai sfidato in
questo modo?
Il viso luminoso di Alessandro
bruciava su quello scuro e umido dell’ancella.
- Non vuoi parlare adesso? Canterai,
allora, sotto tortura!
Narda spalancò gli occhi. –
Alessandro… no, ti prego! – si abbatté a terra e
afferrò i piedi di Alessandro, ma questi
scalciarono e indietreggiarono.
- Non chiedermi pietà; sei andata
cercando la tua fine!
Narda si prese i capelli tra le mani. –
E’ colpa dell’amore, Alessandro.
- Cosa? Che stai dicendo? Di quale amore vai delirando?
- Oh, Alessandro, lui è pazzo.
- Tu vaneggi! Sarà tutto più
chiaro una volta che i torchi ti stritoleranno le membra!
– la afferrò nuovamente per i capelli e la trascinò verso
la porta.
- No, aspetta! Ti prego, Alessandro! Uccidimi
subito, allora! Ti dirò tutto, e potrai uccidermi!
- Parla, allora.
- E’ Bagoas… - inghiottì un
singhiozzo.
- Parla!
- E’ lui… parla con lui,
Alessandro; lui sa molto più di me. E uccidimi. Uccidimi subito.
Alessandro l’afferrò per i polsi
e la sbatté tra le mani di Aristandro. –
In carcere. Verrò a farti visita se lo riterrò il caso.
L’indovino la condusse fuori dalla stanza e nei sotterranei del palazzo.
Bagoas vestiva di porpora e profumava di mirra quando
Alessandro lo trovò nella sua stanza intento a rimirarsi allo specchio.
Il vetro rifletté la porta aprirsi lentamente e il sovrano entrare alle
sue spalle. Impallidì.
- Oh, mio signore. Come mai sveglio?
- Potrei farti la stessa domanda.
- Stavo provandomi un abito nuovo, signore.
L’ho comprato allo scorso mercato, ti piace?
- Incantevole. Vorrei scambiare due parole con
te, se non ti dispiace.
- No di certo, mio signore.
Alessandro inspirò profondamente.
– No, anzi. Prima voglio mostrarti una cosa.
Scesero nei sotterranei e la puzza di umido
cominciò a preoccupare Bagoas.
- Cosa… cosa mi
vuoi mostrare, mio signore?
- Oh, stai pure tranquillo, se non hai niente
da temere, mio caro Bagoas.
L’aria nelle carceri era appena
respirabile; l’umidità si mischiava all’odore di urina ed escrementi umani. Alessandro si sentì
mancare.
- Mio signore, io non capisco, dove… -
si ammutolì quando la luce della fiaccola che
Alessandro stringeva in mano illuminò il viso scavato di Narda dietro le
sbarre. Stordito, si guardò nervosamente attorno con le labbra tremanti
e sussultò. La figura smilza di Aristandro era
piombata tra le tenebre come le ali di un pipistrello.
- Io…
- Lei sostiene – cominciò
Alessandro – che tu sia a conoscenza di un
tentato omicidio. Ma si sbaglia di certo, non è
vero, Bagoas?
Il servo non capì cosa si celava dietro
il tono del re. – Mio signore, io…
Narda non si muoveva.
- Parla pure, mio caro Bagoas.
- Io non so proprio di cosa si stia parlando, mio signore… dico sul serio. - ma le
sue gambe rabbrividivano e le sue parole erano prive di ogni
convinzione.
Alessandro illuminò il proprio viso con
la fiamma e lo guardò dritto negli occhi. – Ne sei sicuro?
- Mio signore… ma io… non ti farei
mai del male.
Alessandro gettò la testa
all’indietro ed emise un grugnito simile ad una risata. – Farmi del
male? E cosa pensi che abbia potuto farmi del male?
Bagoas spalancò gli occhi e le sue
ginocchia quasi cedettero al suolo.
- E’ meglio che vi mettiate
d’accordo, voi due. - lo sguardo di Alessandro
era tanto feroce che il miasma sparì.
Narda continuava a non muoversi.
- Vedete di mettervi d’accordo – continuò il re minaccioso – altrimenti
farò marcire entrambi in queste fetide carceri senza alcun processo.
- Bagoas… - la voce di Narda era un
sospiro strappato alla morte.
Alessandro illuminò gli occhi gravidi
di lacrime di Bagoas.
- Mio signore… - si abbandonò al
suolo – è l’amore, mio signore…
- Ho già sentito queste parole. Mi
aspettavo qualcosa di nuovo.
Bagoas cominciò a dare sfogo a penose
lacrime. – Io non ti avrei mai fatto del male, mio signore. Volevo solo
il tuo amore.
- Vaneggi.
- Ascoltami, ti prego.
Ho fatto tutto per amore. Per amore.
- Cosa hai fatto al
mio Efestione?
Bagoas strinse i denti e le
palpebre più forte che poté – Riusciresti a
perdonare l’amore?
Alessandro scalciò
violentemente, Bagoas ruzzolò sul ruvido pavimento.
- Mio signore – tossicchiò
tenendosi l’addome dolorante – sono stato io, è vero,
ma l’ho fatto per amore…
- Tu, quindi, hai ordito l’omicidio di Efestione?
- Sì, mio signore, sono stato io.
– gli occhi pesanti del suo amato sovrano erano più strazianti di qualsiasi macchina da tortura.
- Efestione non è morto. Il tuo sicario
non ha avuto il coraggio di ucciderlo. E dunque? Ora
cosa tenterai?
Bagoas si rannicchiò su sé stesso.
– Mio signore, perdonami.
Un altro calcio. – Tu, quindi, hai
incantato Efestione con quella pozione?
- Sì, mio signore, sono stato io.
- Strega che non sei altro! –
sbottò e si chinò fino a sentire il respiro di Bagoas sul proprio
viso – Ti risparmio solo per avere
l’antidoto.
Efestione giaceva tra la vita e la morte.
Filippo aveva disinfettato e bendato la ferita
ma gli occhi del soldato non accennavano ad aprirsi. Se non fosse stato in
grado di curarlo, avrebbe potuto stare certo che le
carceri sarebbero state affollate. Si ritrovò a spergiurare gli dei che
tutto andasse bene e che la ferita non suppurasse,
mentre sentiva grida disperate provenire dai sotterranei.
Bagoas teneva le spalle contro le spesse pietre scure dei muri, premuto
dal corpo di Alessandro.
- Come sarebbe a dire
che non ricordi l’antidoto?
- Mi… mio signore –
farfugliò, incapace di respirare – avevo letto la procedura a
Susa, quando lavoravo per quel venditore di gioielli…
- E quindi?
- Sua moglie… lei era
un’appassionata… amava queste cose… - si fermò per
prendere fiato – una sera tra i suoi volumi impolverati trovai quel libro
d’incantesimi… incuriosito cominciai a leggerlo e trovai questo
filtro d’amore… strappai la pagina… ma
non avrei mai pensato di farne uso, un giorno, io… non credevo a queste
cose…
Alessandro gettò all’indietro la
testa e ruggì. – Menti! Mi rivelerai l’antidoto sotto
tortura! E poi morirai! Tu e la tua complice,
marcirete qui!
- No, mio signore, no! Ti dico
la verità! Davvero!
Alessandro furibondo lo afferrò per un
braccio e lo scaraventò in carcere assieme a Narda. Aristandro
volò verso la sua spalla.- Andiamo,
Alessandro. Troveremo noi l’antidoto.
S’incamminarono lentamente su per le
scale di pietra scura e raggiunsero la stanza di Filippo. Efestione giaceva
ancora immobile e il medico pregava tutti gli dei con le labbra tremanti.
Alessandro si prese la testa tra le mani.
- Ancora niente? – chiese
l’indovino.
- La ferita è disinfettata, ci
vorrà un po’ di tempo perché si cicatrizzi…
- Quanto? – sbottò Alessandro
senza pensare troppo.
- Beh…
- E quando
potrà riaprire gli occhi?
- Sono sicuro che li aprirà molto
presto…
- Lo spero per te. – si adagiò
piano sul petto di Efestione e sparse i suoi capelli
sulla benda della ferita, macchiata di sangue rosso. – Ascoltami,
Efestione – erano parole sussurrate direttamente al suo cuore
– presto potrai stringermi di nuovo la mano. - Filippo si grattò
nervosamente la nuca.
- Posso – riprese il re fissandolo
– portarlo nella mia stanza?
- Potrebbe aver ancora bisogno di me.
- In quel caso, verrò a chiamarti.
– aveva già caricato il suo amato tra le sue
braccia.
Aristandro decise questa volta di non
seguirlo.
Lo depose sul letto e gli si coricò accanto, disteso su un
fianco, ad accarezzargli i capelli e a contemplare il suo viso incavato. Si
lasciò sfuggire una lacrima ma s’impose
di non versarne altre, ad Efestione non piaceva vederlo piangere per lui. Il
suo corpo striato di sfregi raccontava del suo animo ardente, tuttavia il suo
petto era ancora così morbido al tatto, ancora così, come quando l’aveva accarezzato per la prima volta.
Chi mai avrebbe potuto portargli via
quell’Efestione? Due miserabili mai, il tempo nemmeno, la morte non
contava. Quell’amore oltre il bene e oltre il male, era troppo palpabile per poter spirare.
Cercò di addormentarsi.
Mille volte meglio morire, piuttosto che soffrire d’amore.
Ecco a cosa lo aveva portato quella sua
malsana smania di possedere la persona amata; sarebbe forse marcito in quelle
fetide carceri? Narda non dava segni di vita, ma sapeva che respirava; ogni
tanto sentiva un singhiozzo e un sospiro.
Ma sarebbe andato tutto
bene, pensava Bagoas, se non fosse stato per quell’indovino. Avrebbe
dovuto farlo fuori quando era il momento.
Tre tocchi alla porta.
Lentamente, si riscosse. Per quanto tempo
aveva dormito?
- Sì…
Aristandro entrò scandendo i passi con
prudenza.
- Stavo pensando all’antidoto.
- Sì. – sospirò e si mise
in piedi.
- Pensavo che forse il modo migliore sarebbe cercare di annullare letteralmente l’effetto dell’incantesimo partendo dalla
procedura dello stesso.
- Cioè dovremmo
reperire le istruzioni per preparare la pozione d’amore?
- Esatto.
- Mmm. Potrebbe essere un’idea. Ma solo Bagoas sa dove sono nascoste.
- Andrò a chiederglielo.
Alessandro si morse il labbro inferiore.
– No, aspetta. – Aristandro si voltò – Forse è meglio che vada io.
Di nuovo in quelle torbide prigioni.
Quando la fiaccola
illuminò il viso di Bagoas, questo sembrò rinascere.
- Mio signore…
- Non sono qui per liberarti. Voglio solo
sapere una cosa, da te.
Narda rimaneva immobile.
- Sì, mio signore.
- Dove tieni nascoste le ricette per le
tue… pozioni?
Efestione giaceva nelle cure di Aristandro.
Alessandro tardava a tornare, la ferita perdeva molto sangue e il vecchio
dovette cambiare le bende. Nel frattempo, si chiedeva quale punizione avrebbe inflitto
il re a quei due poveri disgraziati. Un processo sarebbe stato inutile: chi
avrebbe raccontato all’esercito intero di quella storia balzana? E, anche se avessero capito, a chi sarebbe importato della
sorte di due servi, persiani, per giunta? D’altronde, se conosceva bene
Alessandro, la condanna a morte gli sarebbe sembrata solo
un modo rapido per finire per sempre le loro sofferenze. Li avrebbe davvero
lasciati morire dolorosamente nelle prigioni, che magari li avrebbero visti
mangiarsi a vicenda per vincere la fame? Li avrebbe torturati? O avrebbe pensato a qualcosa di più crudele?
Alessandro entrò nella stanza di Bagoas; puzzava di umido e di chiuso. Ultimamente era stata pressoché
lasciata a sé stessa. Si guardò in giro:
nessun’ampolla, nessun vasetto o qualche
fialetta con strani unguenti. Da sempre si era immaginato diversamente la
stanza di una strega.
Appena volse lo sguardo allo
scrittoio, si mise le mani tra i capelli: era in assoluto disordine. Fogli,
libri, pagine strappate e bozze di disegni si ammassavano qua e là quasi
come per impedirgli di trovare quello che stava freneticamente cercando. In
mezzo a quel ciarpame, grossi volumi all’apparenza molto antichi
attirarono la sua attenzione: la grammatica persiana, l’antica e la
nuova, e libri di erbe e infusi medicamentosi. Bagoas
aveva più segreti di quanto si potesse
sospettare. Immerse allora le mani in quel mare di cartacce strappate e
bruciate ma, sebbene non comprendesse ancora molte parole di persiano e quei
fogli fossero addirittura scritti in lingua antica,
non gli sembrò di scorgere nessun filtro d’amore.
“Dannazione,” pensò
“dovrò andare a liberarlo?”.
La storia stava prendendo una piega veramente
assurda, e ancora una volta pensò che avrebbe dato qualsiasi cosa pur di
potersi addormentare e, dopo un lungo sonno, potersi destare di nuovo tra le
braccia di Efestione, e magari sentir bussare alla
porta e veder entrare Bagoas con la sua colazione.
Chiuse gli occhi per un attimo e fece appello
a tutte le sue forze per mantenere la calma.
Il letto di Bagoas era un umile giaciglio
dalle lenzuola scomposte; quasi come per istinto Alessandro si mise a
squassarlo e a tastarlo qua e là, guardò sotto, sollevò i
cuscini e finalmente pensò d’aver trovato qualcosa simile ad una
ricetta per un filtro d’amore. La pagina era di papiro, visibilmente
strappata e ormai ingiallita. La scrittura era incomprensibile, e su alcuni
passaggi erano state annotate le traduzioni in persiano moderno. “Aveva
anche studiato, per fare tutto questo.”pensò, rigirandosi il foglio tra le mani
“Maledetta strega. E mi aveva sempre detto di
non saper leggere. La pagherà; la pagherà
molto cara”.
Non perse altro tempo a rimuginare e si diresse verso la sua stanza,
dove lo aspettavano Aristandro e, ahilui, Efestione privo di sensi.
-Mmm. Effettivamente, è un lavoro magistrale. Si tratta di
persiano molto antico, e il tuo servo deve aver studiato molto per riuscire a
tradurlo, da basi oltretutto… pressoché inesistenti, direi. Doveva
desiderarti con tutto sé stesso. Riesce persino
a muovermi compassione.
- Credi di riuscire a fare qualcosa, quindi?
- Lo porterò nella mia stanza e
cercherò di esaminarlo meglio. Nel frattempo, bada ad Efestione. La
ferita perde sangue, e lui non accenna a rianimarsi.
Prima di congedare Aristandro, Alessandro
gettò un’occhiata colma di lacrime al suo amico disteso sul letto
e alla benda rossa di sangue.
- Mi raccomando –
aggiunse l’indovino – cerca di controllarti. Andrà
tutto bene; parola di un veggente. – e richiuse
la porta alle sue spalle.
Alessandro si gettò sul letto accanto
ad Efestione e si denudò; poi, mentre si stringeva a lui più
forte che potesse, sentì come se un po’ della sua vita si
trasfondesse nelle membra inerti dell’altro. Con le mani percorse i contorni del suo petto ferito e, ancora una
volta, non riuscì a trattenere le lacrime. – Quando
ti risveglierai, potrai di nuovo stringermi la mano, Efestione. E sarà tutto come prima… mi amerai. Mi amerai
di nuovo, o morirò. – con un gemito sommesso nascose il viso
bagnato nell’incavo della spalla del suo amato. Quella pelle ruvida, era
da tempo che non la sentiva così vicina.
“Mille volte meglio morire,” pensò, mentre stringeva i denti e sfogava le
sue pene “piuttosto che soffrire d’amore”.
- Dovevo immaginare che sarebbe finita così; ahimé,
maledetto il giorno in cui accettai di darti ascolto! – sospirò
Narda.
- Tu non sai cosa significa soffrire mille
pene d’amore, sciocca ancella! Tu non sai che è molto peggio della
morte! Ora che non posso più avere l’amore del mio Iskander, a che serve vivere?
- Io
mi sono macchiata di sangue per questa tua folle infatuazione! Ma che importanza ha, ora? Morirò. Morirò tra
queste luride mura!
- Se tu fossi
scappata, le cose sarebbero andate diversamente. Sapevo che non avrei dovuto fare
affidamento su una donna, una schiava, tra l’altro.
- Sta’ zitto, senza testicoli! Tu,
ridotto in quel modo, non hai maggior virilità né condizione
sociale.
Bagoas sospirò, punto sul vivo,
ricordando quello che sarebbe potuto diventare. Lui, figlio di
Artembare, figlio di Araxi, nato per combattere e per perpetuare la sua
dignitosa dinastia, si ritrovava evirato, nelle sozze segrete di un castello, a
struggersi d’amore e a riecheggiare gloriosi tempi ormai andati perduti.
Soppresse lacrime amare. - Iskanderè magnanimo, forse cambierà idea.
- Sì. Invece che lasciarci marcire qui,
ci ammazzerà sotto le macchine da tortura! Ah, magari decidesse
così! La morte sarebbe più rapida. Ma
non lo farà, e sai perché? Perché gli
hai tolto quanto di più prezioso aveva al mondo. E non ce lo perdonerà mai, nemmeno quando potrà
rimirare le nostre carni decomposte dietro queste sudice sbarre! – con le
mani si aggrappò disperatamente alle sbarre e le scosse violentemente,
ma quelle non si muovevano e allora gettò la testa all’indietro ed
emise un lungo, angoscioso lamento.
- Smettila, stupida che non sei altro! Mi dai
fastidio quando ti lamenti, hai una voce insopportabile. – Bagoas
continuava a non scomporsi troppo.
- Miserabile! – sbottò Narda,
voltandosi e incenerendolo con lo sguardo – Quando comincerò a
soffrire la fame, sarai tu stesso a saziarmi! –
un altro doloroso lamento.
Bagoas le diede le spalle e si sedette.
“Mille volte meglio morire, piuttosto che soffrire d’amore.”
L’attesa era interminabile. Quanto ci avrebbe impiegato,
Aristandro, per trovare una soluzione? E soprattutto,
l’avrebbe trovata? Ed Efestione, ce l’avrebbe
fatta? Quei tormenti gli facevano pulsare le tempie e
accartocciare lo stomaco; avrebbe voluto correre nella stanza
dell’indovino, avrebbe voluto vegliare il suo amato; quello che fece alla
fine fu alzarsi dal letto, coprirsi con un panno di lino e mettersi a camminare
avanti e indietro per la stanza.
Passarono minuti interminabili, forse mezzore,
forse ore, chi lo sa?, e sentì bussare alla
porta. – Sì…?
L’indovino entrò con
un’aria del tutto indecifrabile. Alessandro non sapeva se cantare gloria
o avvilirsi, così tirò le labbra in un’espressione strana
almeno quanto quella di Aristandro.
- La situazione… - cominciò il
sovrano.
- La situazione è alquanto strana, Alessandro. – concluse
il vecchio.
Alessandro con un soffio scostò una
ciocca di capelli che gli ricadeva sul viso. – Ah, non mi sorprende.
Dunque?
- Beh, la ricetta è molto semplice: un
infuso di essenze di alimenti fortemente afrodisiaci e
qualche ingrediente del tutto strampalato che non so nemmeno dove cominciare a
cercare. La cosa interessante è la nota scritta in sanscrito in fondo
alla pagina: probabilmente nemmeno Bagoas ha saputo tradurla.
- E allora, forza,
parla!
- La pozione fa effetto immediato sul sangue e
il tempo che impiega per stabilizzarsi è di all’incirca
cinquanta giorni, perciò è molto importante che la vittima non
perda ingenti quantità di sangue prima della scadenza di questo tempo.
Alessandro si abbandonò al suolo e
alzò le braccia al cielo – Che il Dio sia
ringraziato! Questa è la salvezza del Dio Creatore! Questa è la
provvidenza!
Aristandro leggeva e rileggeva la nota in
sanscrito, incredulo e felice allo stesso tempo; leggerla da solo nel suo
studio e leggerla davanti al suo re commosso dalla
gioia erano due cose del tutto diverse. Il re si sollevò da terra e
abbracciò il vecchio indovino, lo baciò su entrambe le gote e si
mise a piangere dalla contentezza. – Oh, Aristandro! Oh, amico mio, oh! Grazie, grazie di tutto! Oh, non posso crederci! –
e prese a baciare giubilante tutte le cose che gli capitavano in mano, dalla
porta al materasso, dallo sgabello accanto al letto all’arpa appoggiata
alla parete, e naturalmente il viso ancora immobile di Efestione.
- Di niente, mio sovrano. –
sussurrò Aristandro, chissà se in quel momento Alessandro potesse
udirlo.
Senza essere visto, decise di lasciarli soli e
si voltò per non mostrare al suo re una lacrima di gioia che solcava la
sua guancia rugosa.
Con quell’umore addosso, Alessandro
sarebbe anche stato capace di perdonare i prigionieri.
Non avrebbe più potuto aspettare. La sua euforia era qualcosa
d’incontenibile, doveva stringere la mano del suo Patroclo, doveva amarlo
ancora una volta. Tante sofferenze avrebbero dunque avuto una fine? Corse a
riempire una coppa d’acqua fresca e la accostò
alle labbra screpolate di Efestione, poi gli si sdraiò nuovamente
accanto, accarezzandogli i capelli crespi con le mani sottili e profumate e
tutto il corpo con occhi di fuoco.
La concupiscenza scatenò in lui
un’improvvisa vanità che da quando il suo
amato gli aveva negato l’amore gli era sembrata quasi appassita; si
preparò un bagno odoroso e si lavò accuratamente i capelli, li
cosparse di un olio d’Arabia e si rase, infine si contemplò allo
specchio e agitò con le mani la fulgida chioma per darle volume, si
avvolse in una morbida veste di lino ricamata d’oro e si sedette accanto
ad Efestione.
Quando si fosse svegliato,
l’avrebbe accolto così.
Nel frattempo, Aristandro gironzolava serenamente nei sotterranei del
castello, intento a dare un’occhiata a due
miseri condannati.
Riuscivano davvero a muovergli compassione,
addossati l’uno all’altra, mentre Narda si scioglieva in penosi
lamenti e Bagoas nascondeva il viso tra le mani, immobile, in un angolo della
cella.
- Ah, miseri! – esordì
l’indovino. I due si riscossero immediatamente,
come se nei loro occhi stesse ora vacillando un ultimo barlume di speranza.
- Saggio indovino! – gemette Narda
– Sei qui per annunciarci quale tremenda
punizione ha intenzione di infliggerci il sovrano?
- Il sovrano non ha ancora deciso.
- Credi che ci farà davvero morire di
fame in queste prigioni?
- Forse. Voi cosa fareste al suo posto? Vi
perdonereste?
Narda scosse la testa e si abbandonò
sul pavimento in lacrime. Bagoas alzò gli occhi e, quando vide la sagoma
scheletrica dell’indovino, non ebbe nemmeno la forza di odiarlo. Cosa sarebbe stata la sua vita, ora, senza l’amore del
suo Iskander?
- Il re… - riprese Narda dal suo cupo
nascondiglio di capelli – Il re è magnanimo… non è
vero?
- Certo, Alessandro è clemente ogni
volta che sia possibile. E’ clemente con chi si
arrende alla sua avanzata, ma non con chi osa sfidarlo.
Ma il re comprendeva sempre l’amore,
pensava Bagoas. L’avrebbe compreso anche questa volta? Avrebbe saputo
comprendere l’amore che gli era stato duramente vietato? Forse no. Forse,
quella volta, non avrebbe compreso.
E nascose ancora il
volto tra le mani.
Aristandro si avvicinò ulteriormente
alla cella e appoggiò le mani alle sbarre. – Siete stati
fortunati, in un certo senso.
- Come? – mormorò Narda incredula
- Alessandro ha trovato il modo per annullare
l’incantesimo. - Bagoas ebbe un sussulto e Narda sembrò risalire
nel mondo dei vivi. Aristandro continuò: - E’ di
ottimo umore, e non escludo che possiate beneficiarne anche voi.
Bagoas sapeva che Alessandro non avrebbe di
certo dimenticato, ma sapeva anche che molto spesso egli prendeva le decisioni
in base all’umore del momento. - Questo… questo vuol dire che c’è ancora qualche speranza, per me.
– mormorò con una voce così flebile che né Narda
né Aristandro riuscirono a udire.
Gli cambiò le bende e gli bagnò ancora le labbra con
qualche goccia d’acqua e si sedette accanto a lui.
Furono forse i suoi sguardi accorati, forse il
calore del suo tocco sul suo petto sfregiato o forse
la fragranza delicata che emanava dal suo corpo a fargli aprire di nuovo gli
occhi.
Era stordito, e la sua vista era appannata. La prima cosa che,
strizzando le palpebre due o tre volte, riuscì a mettere a fuoco fu un viso affranto circondato da una massa di biondi e
lucenti capelli e un profumo irresistibile che sembravano avvolgerlo in una
morbida nube.
- Alessandro – la voce gli tremava.
Anche il re sopra di lui gli sembrava che tremasse, allora avvicinò
lentamente una mano al suo viso. – Alessandro, perché tremi? Dove
sono? Cos’è successo?
- Sei nella mia stanza.
Efestione cercò di alzarsi ma
l’acuto dolore lo costrinse a rinunciare. – Cosa…? Sono
ferito!
Alessandro sorrise dolcemente e gli
passò la mano tra i capelli per un tempo che parve meravigliosamente
interminabile. Quei capelli, gli sembravano più morbidi. E quello
sguardo… - Sì, Efestione, sei ferito. Non ricordi?
Chiuse gli occhi per cercare di ricordare, ma
era tutto così confuso. – Io… l’unica cosa che ricordo
è che ero ad un banchetto… - Alessandro si era chinato per
baciargli la fronte ma a quelle parole sussultò e lo guardò negli
occhi - Sì… ero ad un banchetto. Ricordi? O forse mi sono sognato
tutto? Oh, Alessandro, mi pare d’aver dormito per così tanto tempo…
chi mi ha ferito? Perché? Ero ubriaco e ho litigato con qualcuno?
Gli occhi di Alessandro divennero umidi e
presto lacrime sottili gli rigarono nuovamente le guance già sciupate.
- Xandre…
- protese una mano e la ingarbugliò fra le soffici trame di quei folti
capelli.
- Sì… sì, hai dormito per così
tanto tempo… e io avevo una così grande paura d’averti perso
per sempre…
- Perso per sempre… - ripeté
Efestione quasi involontariamente, mentre si perdeva davvero a guardare quel
viso bellissimo e gli pareva fossero passati cent’anni dall’ultima
volta che l’aveva ammirato. Lo vide chinarsi su di sé e
sentì quelle labbra carnose posarsi sulla sua fronte. – Xandre… - e quanto tempo era
passato dall’ultima volta che l’aveva chiamato così? –
Xandre… dove sei stato tu, per
tutto questo tempo?
- Qui, Phai.
– in un lampo, i suoi occhi bassi sul pavimento e le sue braccia tese, il
suo sguardo perduto. Scosse la testa per scacciare quell’immagine –
Qui. Ti ho vegliato.
- Per tutto questo tempo?
Un attimo di silenzio e due occhi che
parlavano più di mille parole – Tu… non mi parlavi
più.
- Xandre…
- fece scorrere la mano sulla sua guancia umida – Cos’è
successo?
- Non avrei mai pensato che tu potessi essere
così crudele con me.
- Crudele… Alessandro, io…
- Eros sconvolge la vita degli uomini. Guarda
come mi ha ridotto. – non erano più parole rivolte ad Efestione.
- Alessandro… - pensò che il suo
re fosse di nuovo preda dei suoi tormenti interiori; con un braccio lo
attirò a sé e contro il suo petto ferito. Alessandro si
lasciò andare a quel battito caldo e regolare, a quelle mani così
familiari e sapienti, a quel profumo suo di una terra lontana, a quei ricordi
di un’infanzia felice, a quella promessa di tanti anni fa.
- Lo sai, non mi piace vederti così.
- Perdonami, Efestione. Dovrei rilassarmi,
pensavo ad alta voce. E’ che era tutto così scuro, quando tu non
c’eri.
- Ora ci sono. Fino alla morte, Alessandro.
- Fino alla morte, Efestione.
E restarono così, immobili, ad
ascoltare il battito dei loro cuori, a rendersi conto di essere ancora uniti, a
stringersi la mano più forte che potessero; restarono così per un
tempo infinito, fino a quando Efestione sollevò il viso dell’altro
e lo pose di fronte al suo. E, per un attimo ancora, silenzio; rotto soltanto
da un gemito disperato che sembrava provenire direttamente dall’Ade.
Alessandro sussultò. – Devo… devo andare, Efestione.
- Dove?
- A sbrigare alcune faccende. Manderò
qualcuno a prendersi cura di te, tornerò presto. – si alzò
molto lentamente dal letto tenendo la mano di Efestione e non la lasciò
fino a che le loro braccia non potessero più toccarsi, lo guardò
fino a che non ebbe girato l’angolo della porta.
Una volta fuori, sospirò e si diresse
nella stanza di Aristandro per ordinargli di badare al suo amico.
Le sembrava ormai che fosse passata un’eternità. Come
sarebbe stato il resto della sua vita, chiusa in quella cella?
Bagoas, sbattuto contro il muro, sembrava non
sentire più il peso di quella disgrazia, sembrava che la morsa della
fame non gli attanagliasse lo stomaco; o forse soffriva come lei ma non lo dava
a vedere. Senza il suo Iskander non
avrebbe più saputo vivere?
All’improvviso la luce di una fiaccola,
e il suo viso fu illuminato.
- Grande Re… - fece lei.
- Is… Iskander… - fece una voce fievole alle sue spalle, ancora
avvolta tra le tenebre. Avrebbe loro comunicato la sentenza; le loro gambe
tremavano inesorabilmente.
- Di solito non faccio
visita ai prigionieri più di una volta – una lunga pausa –
Efestione si è svegliato.
- Ci fa piacere, Grande Re.
- Immagino. Bagoas.
Quando lentamente
l’eunuco si alzò e si fece illuminare dalla fiaccola,
scoprì un viso pallido e scavato dalle profonde sofferenze. – Mio
signore.
- Perché l’hai fatto?
Un lungo, pesante silenzio, e una voce rotta
dal pianto – Per amore.
- Amore?
- Non avrei mai voluto farti del male. Volevo
solo che tu mi amassi, Iskander.
Volevo essere amato sinceramente, per una volta nella mia vita.
- Le vostre azioni sono state efferate.
- L’amore mi ha bendato, Iskander. Un amore invincibile, che mi
bruciava nel petto e mi faceva male. Non chiedo perdono, mio signore, non
l’avrò mai, ma ormai la mia vita non ha senso.
- Narda.
- Alessandro.
- Parli bene il greco.
- Il mio primo padrone era greco.
- Perché hai accettato tutto questo? Mi
sono state dette cose dignitose su di te.
- Cose dignitose? Grande Re, la mia famiglia
mi vendette quando ero appena una ragazza, e io non avevo mai conosciuto altro
che la sopravvivenza. Re Dario non mi preferì mai alle altre e ho sempre
vissuto tra stenti e privazioni – si gettò a terra e giunse le
mani verso Alessandro – perdonami, Grande Re, la
mia famiglia è sempre stata così povera, e io così
sciocca, così ignorante, quando vidi il denaro che mi fu offerto non ci
pensai due volte, non pensai alle conseguenze, ero una così sciocca
puttana… il denaro, mio Re, il denaro…
- Capisco. Mentre Bagoas
può contare su una cassa non indifferente. E’ sempre stato
il favorito, a quanto mi risulta.
- Sì, mio signore. Ma non l’avrei
mai fatto se non fossi stato innamorato.
- Ricordi il discorso sull’amore che
facemmo sul mio balcone?
- Sì, mio signore, e quando mi guardi muoio dalla vergogna, perché i tuoi occhi
bruciano sulla mia pelle, e mi viene da piangere al pensiero d’averti
ormai perso per sempre, di non poterti più accarezzare, di non sentire più
le tue braccia stringermi forte. Non sopportavo il pensiero che cercassi da me solo voluttà, e che il tuo amore
trovasse sollievo tra le braccia di Efestione, ho provato di tutto per farmi
amare da te, per sentirmi finalmente amato da te, ma è inutile, ai
voleri di Eros nessuno può scampare. Eros è stato crudele con me,
guarda come mi ha ridotto.
Alessandro teneva gli occhi fissi su Bagoas,
le cui parole gli fiammeggiavano nella mente come tizzoni ardenti.
L’amore fa soffrire, pensava, fa soffriretutti. Come poteva dimenticare gli occhi
del suo Efestione che lo guardavano gelidi e le sue
labbra che gli rivelavano di non amarlo più, di lasciarlo dormire?
– Ma… vi rendete conto di quello che avete
fatto? Voi due, schiavi, contro un re.
Narda gemette, Bagoas
alzò gli occhi - L’amore non conosce restrizioni. E io ti amo, Iskander.
- Tu – prese
Alessandro con voce atona – sei uno schiavo. E
il tuo compito è…
- Quello di amarti. – concluse Bagoas
– Ti amerò, Iskander,
anche se tu non lo vorrai. Ti amerò anche chiuso in questa cella.
Un lungo, interminabile silenzio; e
l’armeggiare di oggetti metallici.
- Tra due settimane, quando Efestione
starà meglio, si terrà un banchetto. Siete invitati anche voi.
Narda si gettò ai suoi piedi,
baciandoli e stringendoli, piangendo e gridando in una lingua incomprensibile, e in greco gli giurò
fedeltà assoluta.
Bagoas si inginocchiònel rispetto dei costumi persiani,
tenendo però gli occhi timidamente piangenti su quelli del re, impassibili,
che fissavano un punto indefinito, in là nel tempo. Mai, pensò,
potrà perdonarci.
E già si
chiedeva cosa avesse in mente.
Ora, finalmente, avrebbe potuto dedicarsi
completamente al suo Efestione. Salì impaziente le scale per
tornare ai suoi appartamenti, ma davanti alla porta della stanza di Bagoas si
arrestò per qualche secondo. Quanti segreti nascondeva
il suo servo? Cosa narravano i libri che teneva sullo
scrittoio? Fu vinto dalla curiosità e, guardandosi attorno, decise di
entrare.
Grossi volumi ingialliti di grammatica
persiana, storie popolari. E quel papiro consumato,
con disegni di strane erbe e medicamentosi. Chissà, forse erano proprio
quelli gli strani ingredienti della pozione d’amore. Aristandro aveva ragione,
pensava, Bagoas doveva desiderarlo con tutto sé
stesso per essere arrivato a tanto. L’amore non ha restrizioni, aveva
detto; ah, quanto era vero. Fa soffrire re e schiavi allo stesso modo, e chi avrebbe potuto dire se, al suo posto, lui stesso non si
sarebbe comportato esattamente come il suo servo?
Prese con sé il papiro e tornò
nella stanza. Aristandro sedeva sul treppiedi di
fianco al letto e conversava con Efestione. – Oh, Alessandro.
- Aristandro. Avrei bisogno di te.
- Certo. – uscì. Efestione fece
una smorfia di disappunto: Alessandro gli stava tenendo nascosto qualcosa.
- Cosa? Li hai risparmiati?
- Sì.
- Ti sei rincitrullito, Alessandro? Ti rendi
conto di quello che hai fatto?
- Perfettamente.
- Hanno attentato alla vita di
Efestione! Avresti condannato chiunque! Perché
mai risparmiare due schiavi!
- Al mio posto avresti scelto la stessa
punizione. L’amore non ha restrizioni, Aristandro.
L’indovino alzò gli occhi al
cielo – Dio di tutti gli dei!, ho sempre pensato
che tu fossi imprevedibile, ma che arrivassi a tanto…
Alessandro, per tutta risposta, rise.
- Ma,
d’altronde – continuò Aristandro – tu sei il re. Mi
chiedo comunque come abbiano potuto quei due
intenerirti a tal punto.
- Mi raccomando, Efestione non deve sapere
nulla di quanto è successo.
- Fidati di me.
Alessandro mostrò il foglio di papiro
all’indovino. – Dai un’occhiata.
Aristandro passò attentamente i suoi
occhi piccoli sul foglio – Mmm. Erbe… strane erbe.
Dove l’hai preso?
- Nella stanza di Bagoas. Perché
non provi ad… esaminarlo meglio? E magari domani
vieni a trovarmi, avrò sicuramente bisogno di te. - e
lanciò al vecchio un’occhiata d’intesa.
Rientrò nella stanza ed era bellissimo nella veste di lino
leggera rossa coi bordi ricamati in oro. I capelli
biondi gli ricadevano sofficemente sulle spalle incorniciando un viso
finalmente sereno e rilassato. Si voltò; il suo Efestione lo stava
guardando. E, anche così, pallido, scavato e
smagrito, era naturalmente bello, virile, energico. Sorrise. Non
l’avrebbe cacciato, quella volta; non sembrava avere sonno. Leggerissimo,
gli si avvicinò e si sedette sul letto accanto a lui; si guardarono per
un tempo infinito, come mai si erano guardati. E in
quell’esatto momento, il resto scompariva. Niente
più Bagoas, niente più Narda, niente più occhi bassi,
niente più braccia tremanti, niente più.
Efestione protese una mano e lentamente
scostò la veste dell’altro accarezzandogli il petto. Le sue labbra
si schiusero – Alexandre…
Il suo amato chiamava il suo nome. Le sue
labbra l’avevano pronunciato in un filo di voce, cercandolo; non le fece
aspettare e le unì alle sue con una passione disperata, e sentì
di nuovo il suo sapore, lo sentì vibrare, e allora si sollevò
appena, e vide gli occhi socchiusi, le membra inerti sul letto, e il collo
scoperto, lo baciò e lasciò la lingua alla sua libidine,strappandogli
un gemito.
Gli strinse forte i capelli e alzò il suo viso per dirgli che si sentiva debole, che moriva dalla voglia di
prenderlo, possederlo lì, ora, ma non avrebbe potuto. Ma quando vide gli
occhi dell’altro accesi di una bramosia incoercibile, le sue labbra parlarono da sole: - Sei bello, Xandre. E
desiderabile… - e in un ansimo abbandonò la testa al cuscino e
ogni resistenza tra le sue braccia, mentre sentiva la folta chioma del suo
amato spargersi sulla sua pelle tesa e sensibile, mentre sentiva la sua lingua
farlo sprofondare negli abissi di un piacere sconvolgente, mentre sentiva il
sangue scorrere furentemente sempre più giù.
Quanto l’aveva desiderato? Quanto? E quella meravigliosa pelle,
l’aspro profumo dei suoi capelli, erano ancora intatti,
acqua nel deserto, soffiavano via ogni sofferenza; eppure gli sembrava
ancora più bello, gli occhi socchiusi e brucianti erano più
luminosi, e quelle forme perfette, non gli sembrava vero; e lo poteva ancora
abbracciare, accarezzare, baciare dappertutto, poteva tremare di commozione,
era suo; vide le sue mani impazienti raggiungerlo per far scivolare
morbidamente la veste che lo avvolgeva sulle spalle, sulla vita, sui fianchi, e
si scoprì liscio e splendente, e vide i suoi occhi accarezzarlo con libido, e allora gli donò la sua luce; e lo guardava sempre, mai
abbassava gli occhi, mentre lo deliziava di ferventi piaceri, mentre lo sentiva
scuotersi appena e gemere sotto di sé, mentre sentiva il suo respiro
affannato, mentre sentiva il sangue nel suo sesso gonfio scalpitare di
desiderio, e quando si adagiò su di lui e gli catturò sensuale i
fianchi tra le cosce affondandolo nel suo calore vide i suoi occhi spalancarsi
e il suo petto vincere il dolore, sollevandosi, per poterlo afferrare e
stringere forte a sé.
Quando si svegliarono erano ancora abbracciati.
Alessandro giaceva con la testa sul petto di Efestione,
sorridente mentre la mano del suo amato percorreva la sua schiena e si
aggrovigliava fra i suoi capelli. La sua tranquillità fu violentemente turbata quando vide la chiazza rossa notevolmente allargata,
e si alzò immediatamente.
- Ti sei sforzato troppo, ieri notte. Avresti
dovuto rimanere steso. – fece mentre lo tamponava e gli cambiava le
bende.
- Lo so. Non ho resistito. – e non
resisteva nemmeno ora a quei capelli profumati e a quegli occhi cangianti
– Ho dormito per troppo tempo, e avevo voglia di te.
Alessandro sorrise a quell’ammissione e
gli promise che quel giorno si sarebbe dedicato
completamente a lui.
- Alessandro – fece Efestione dopo una
lunga esitazione - dimmi la verità,
cos’è successo durante quel banchetto? Chi mi ha ferito?
Alessandro tentennò: - Un… un
servo. Non so perché vi foste messi a litigare, ma tutta la situazione
precipitò in pochi minuti. Non preoccuparti, comunque, la sentenza
è già stata eseguita.
- Ah, capisco. Chissà, forse ero
ubriaco.
- Sì, forse. – si chinò
per dargli un bacio sulla fronte e il suo viso venne trattenuto dalle mani di
Efestione; i loro sguardi si smarrirono e le loro labbra si unirono ancora una
volta. – Ti fa molto male?
Efestione fece per sollevare il petto ma si
accasciò subito dopo in un gemito.
- Mmm. Cerca di stare steso, in questi giorni.
– e si ritrovò di nuovo con la testa sul
petto del suo amato. Le sue mani su di lui, calde e sapienti, lo facevano
sentire più che mai desiderato.
- Mi stai tenendo nascosto
qualcosa, non è vero?
- Non sia mai. A cosa ti riferisci?
- Ieri, hai chiamato da parte Aristandro. Cos’è tutto questo mistero?
- Niente di particolare, Efestione, una
sciocchezza.
Il generale alzò il viso del suo amato
e lo costrinse a guardarlo negli occhi – Se fosse stata una sciocchezza
– disse con tono leggermente alterato – avresti
potuto dirla anche in mia presenza, non credi?
Alessandro non trattenne un risolino. Era
così divertente Efestione con quella smorfia quasi di gelosia, e non
ricordava assolutamente nulla, non ricordava il suo
comportamento meschino, quando amava quella dannata ancella.
- Perché ridi?
M prendi in giro?
- Sciocco! Voleva essere una sorpresa, ma
siccome insisti, parlerò. Avevo intenzione di
organizzare un banchetto, tra due settimane, in tuo onore.
Efestione gli abbassò il viso sul suo
petto e lo strinse ancora di più a sé. Dei, quanto
lo amava.
All’improvviso, tre tocchi leggeri alla
porta.
- Sì?
Entrò un bellissimo ragazzo persiano,
portando due vassoi.
- Le nostre colazioni. Mangiare qualcosa ti
rimetterà in forze.
Il ragazzo persiano obbedì al cenno del
suo re di portargli le pietanze sul letto e gliele porse silenziosamente. Poi,
tenendo gli occhi bassi, con un lieve inchino uscì come
era venuto.
- Bagoas – mormorò Efestione,
mentre Alessandro gli offriva la colazione – sempre così
obbediente, così discreto. Mi piacerebbe proprio avere un servo come
lui.
Alessandro rise e strinse forte la mano del
suo Patroclo, com’era giusto: ai voleri di Eros
era impossibile scampare, e quello era un volere di Eros.
Una decina di giorni dopo, come previsto, Efestione era di nuovo in
piedi, aveva riacquistato colorito e forma fisica, tuttavia la cicatrice era
ancora fresca e il dolore non era del tutto estinto. Camminava lentamente e Alessandro
gli era sempre al fianco, lo sorreggeva quando si
sentiva male, lo circondava di ogni tipo di cure e attenzioni.
- Sarò in forma
perfetta per il banchetto – disse una mattina, mentre sul suo
letto, assieme con Alessandro, cercava di tradurre un papiro persiano –
e, questa volta, starò attento a non bere troppo.
Nel frattempo, una bellissima ragazza di nome
Narda fece capolino nella stanza portando la colazione.
- Bella – commentò
Efestione – è una nuova serva?
- Direi di sì, non
l’ho mai vista prima. Ragazza, aspettami qui, ho
una cosa da darti – e sparì dietro la porta. Tornò qualche
minuto dopo, con un vassoio e due coppe di vino in mano. – Tieni, portala a Bagoas. E, se
vorrai, l’altra è per te.
Narda si piegò in un
lieve inchino – Magnanimo Re, ti ringrazio. – si inchinò anche davanti ad Efestione ed uscì.
Il re si voltò verso
il suo amante – Guarda. I servi, in questo palazzo, sono
così amabili e rispettosi.
- Vino?
- Sì. Ho portato la colazione al re e
ad Efestione, e loro mi hanno offerto queste due coppe.
- Iskanderè magnanimo, te l’avevo detto. –
sorseggiò il vino – Ma sono sicuro che
non potrà mai perdonarci quello che abbiamo fatto. Niente sarà
più come prima, ormai. E spesso, durante la
notte, mi ritrovo a piangere, solo nel mio letto, e pensare alla mia
stupidità. Se non fossi stato così sciocco, ora
potrei ancora dormire con il mio re, potrei ancora stargli vicino, in qualche
modo.
Anche Narda bevve il suo
vino. – Questo vino è veramente particolare. Chissà da dove
viene.
- Hai ragione! Ha un sapore aromatizzato. Sono
sicuro che Iskander l’ha fatto pervenire da una
regione lontana.
E alzò gli occhi
verso Narda, che, a sua volta, lo stava guardando con un’espressione
piuttosto strana. Era forse l’aria mattutina, era forse quella linea di
bistro nei suoi grandi occhi scuri, o quell’abito di lino che fasciava il
suo corpo perfetto, che la facevano apparire
così bella? Ed era soltanto una sua
impressione, o lei lo stava guardando in quel modo? Cos’era quella smania
che sentiva addosso di prenderla e farla sua lì, in quel momento? Lei
rise, imbarazzata, ma sembrava pensare le stesse cose. Cosa
stava succedendo? Perché all’improvviso
l’amato nome Iskander gli
rimandava semplicemente l’immagine di un re? Un re magnanimo, un re clemente e coraggioso, ma che mai avrebbe
potuto perdonare un simile affronto.
Ah, miseri loro, ora capivano tutto. E povero
Bagoas, che avrebbe preferito morire piuttosto che soffrire pene d’amore,
che si struggeva nel suo letto, pensando al suo amato re tra le braccia di Efestione, e Narda, che l’amore mai l’aveva
conosciuto, e che solo ora si rendeva conto di quanto doloroso avrebbe potuto
essere. Quanto desiderava quel bellissimo ragazzo dagli occhi a mandorla,
profumato e dal corpo agile e sinuoso, dai capelli di seta, lunghi e corvini; e
lui, quanto desiderava quella splendida ancella dalle labbra carnose, dalle
gambe lunghe e snelle, dai fianchi rotondi? E quanto
era crudele Eros, che concedeva loro un amore di cui mai avrebbero potuto
godere? Come avrebbe potuto Bagoas sopportare l’ennesima sofferenza
amorosa? Si guardavano ancora, uno sguardo misto tra desiderio e rassegnazione.
Lei si alzò piangendo e uscì,
coprendosi il volto con le mani. Lui si abbandonò sul letto e si
tirò i capelli.
Avrebbe dovuto aspettarselo, da Iskander. Non avrebbe mai potuto perdonarli, era
giusto che fosse andata così, ma avrebbe preferito mille volte morire,
piuttosto che soffrire d’amore. Quella splendida ragazza, così
desiderabile, che ora tanto l’attraeva, come avrebbe potuto amarla? Lui, che per sua natura mai avrebbe potuto amare una donna; e ora
l’avrebbe vista sempre, lei l’avrebbe guardato con occhi
innamorati, e avrebbero desiderato accoppiarsi, ma mai avrebbero potuto farlo.
Perché l’Amore è crudele,
l’Amore fa soffrire, l’Amore l’aveva fatto impazzire, e
quella era la sua punizione. Che senso avrebbe avuto,
ora, la sua vita? Avrebbe ora pianto nel suo letto pensando a quanto gli
sarebbe piaciuto poterla prendere, poterla amare, e
avrebbe pensato a lei, sola nel suo letto.
E lei avrebbe pianto,
pensando a quel bellissimo ragazzo che mai avrebbe potuto amarla, e a quanto
fosse crudele re Alessandro. Non aveva mai provato un sentimento tanto intenso
per un uomo, mai aveva così tanto desiderato
stringerlo così forte da sentirsi parte di lui, e purtroppo non avrebbe
mai, mai, potuto farlo.
La loro vita si sarebbe conclusa tra le mura di
un palazzo, a servire il crudele Iskander,
a struggersi di un amore impossibile.
I festeggiamenti ebbero inizio dopo qualche giorno.
Al banchetto furono invitati tutti, ed
Efestione si risentì del fatto che nessuno gli chiedesse se stesse
meglio.
- Tutti sanno – gli disse
Alessandro, sempre accanto a lui – che ti sei ripreso. Nessuno dubita
delle forze di un uomo come te.
- Sì, hai ragione. Ma,
la cortesia…
Lo sguardo di Alessandro
si spinse in là nella folla, dove vide due splendidi persiani guardarsi
languidamente e, persino da così lontano, poteva avvertire i loro
sconsolati sospiri.
- Guarda là, Efestione. Bagoas è
attratto da quell’ancella.
- Ma non dire
sciocchezze! E’ un eunuco. E, anche se fosse, non riuscirebbe mai a
soddisfarla – e si lasciò sfuggire un
risolino malizioso.
- Hai proprio ragione.
Aristandro si fece loro incontro, e li
salutò con un rispettoso cenno del capo. – Stai meglio, Efestione?
- Sì, grazie. Mi sento pieno di forze.
- Stai solo attento a non esagerare col vino.
– e strizzò l’occhio ad Alessandro,
prima di portarsi la coppa alla bocca.
Quando l’euforia si diffuse tra generali, soldati, filosofi,
storici, architetti, veggenti, schiavi e concubine, il grande
salone sembrò bruciare di fuoco vivo, e nessuno più si
curò di due insignificanti sguardi scuri e malinconici, persi
nell’aria mite della sera di Babilonia.