No one regret.

di Cip93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Life is always a surprise. ***
Capitolo 2: *** Our swings. ***
Capitolo 3: *** The party. ***
Capitolo 4: *** «Let me go» ***
Capitolo 5: *** «Oh let's go back to the start» ***
Capitolo 6: *** The calm after the tempest. ***
Capitolo 7: *** Crazy love. ***



Capitolo 1
*** Life is always a surprise. ***


1st chapter
Life is always a surprise.






Succede sempre così. Le cose belle arrivano quando meno te l’aspetti. Più le vuoi, e più tardano ad arrivare. Sono proprio le sorprese che spezzano la monotonia della vita e a volte la cambiano per sempre. La vita stessa è una continua sorpresa, il domani è una sorpresa. Perciò non aspettarti nulla dal futuro, o potresti rimanere deluso. Lasciati semplicemente trasportare inerme dal destino, dalle coincidenze. Vivi pensando solo e solamente al presente, perché l’euforia della cosa inaspettata è una delle cose più belle che esista.


Ero stesa sul letto, con le cuffie nelle orecchie, a occhi chiusi. Era il mio modo di estraniarmi dal mondo. Non chiedevo altro, dopo una lunga giornata passata tra i banchi di scuola, la musica era quello che ci voleva. Finalmente un po’ di tranquillità: l’indomani sarebbero iniziate le vacanze natalizie che mi sarebbero servite per rilassarmi un po’.
Canticchiavo dentro di me la canzone “Read my mind” dei Killers, cercando di ricordare le parole, quando squillò il mio cellulare. Lessi velocemente il nome sul display.
“Pronto?”
“Ehi Cri! Come va?”. La voce era rimasta la stessa, squillante, anche se non la sentivo da mesi.
“Nina! Da quanto tempo. Tutto bene, tu?”
“Non mi lamento. Ti ho chiamata per invitarti al mio compleanno, è la vigilia di Natale, ma tu sai che ogni anno lo anticipo sempre di un giorno...”. Fece una pausa prima di continuare la frase, e in quell’intervallo di tempo, collegai tutto. Questo voleva dire che l’avrei rivisto. Merda. “… e niente. Allora verrai? Dimmi di si”. Il suo invito era diventato quasi una supplica.
“Io…”. Cominciai la frase ma lei mi interruppe subito. “So che per te è difficile, ma…”. Difficile? No, non credo proprio. Ero riuscita a superare quella fase, ero riuscita a dimenticarlo. Ricominciai la frase dove l’avevo interrotta. “Cosa? Nono, io invece volevo semplicemente dirti che vengo con molto piacere”
“Oh bene!”
“E comunque Nina, lui non ha più niente a che fare con me. E’ semplicemente tuo fratello, lo è sempre stato. Ma lasciamo stare, dai. Spiegami piuttosto dov’è la festa”.
Parlammo per altri dieci minuti e dopo aver chiuso mi sentivo spaesata. Lo avrei rivisto, ma ancora non mi ero ben abituata all’idea. E invece dovevo cercare di abituarmici in fretta, perché la festa sarebbe stata solo tra due giorni.


“Nicoleee sono iooo, dove sei?!” Salii le scale, la musica era assordante: stava suonando la batteria. Da qualche mese era diventata la sua passione e la considerava un modo per sfogare la proprio rabbia su quei piatti di metallo, che tutti insieme riempivano la stanza di un ritmo davvero coinvolgente.
Provai a suonare il campanello inutilmente, ma fortunatamente trovai la porta aperta. Entrai e arrivai nel salone.
“Ma dove diav…”. Eccola lì, seduta sullo sgabbellino, con le cuffie in testa e concentrata nei movimenti di gambe e polsi. Alzò lo sguardo, mi vide e sorrise.
“Ehi Cri! Perché non hai suonato?”
“Ho suonato per due minuti interi il campanello. Forse ti sei dimenticata che fino a due secondi fa stavi suonando musica che a dir poco spaccava i timpani?”
“Ah, già”, ghignò e si tolse le cuffie.
Arrivammo in camera sua e io mi stesi sul letto.
“Dopo domani lo rivedo” dissi tutto d’un fiato.
“Lo avevo immaginato, Nina mi ha chiamata poco fa per invitarmi”
Avrei dovuto saperlo, Nina era anche sua amica.
“A che pensi?”, mi chiede educatamente.
“Non voglio andarci…”
“Non credi sia ora di andare avanti?”. Si sedette vicino a me. “E’ proprio questo il problema! Rivedendolo è come se tornassi indietro nel tempo…”
“Sei tu che ci vuoi tornare... cerchi di sfuggire al passato ma non ti rendi conto che solo affrontandolo potrai dimenticarlo, anzi riuscirai a metterlo da parte... non credi che per una volta dovresti essere più strafottente?”
“Hai ragione. Sì, ci vado. Gli farò vedere che sono cambiata, che ormai fa parte del mio passato”. Più di convincere lei, cercavo di convincere me stessa che la scelta di accettare l’invito fosse stata quella migliore.
“Sei sicura di non mentire a te stessa? Non voglio farti venire dubbi, però non vorrei che la tua ferita si riaprisse... sento che c'è in fondo qualcosa che vuoi reprimere... hai paura?”
“Sì… e tanta. Ho paura che rivedendolo si riaprirà quella ferita che ero riuscita a ricucire con cura, anche grazie al tuo aiuto.”, confessai. Era stata una delle poche persone mi era stata sempre accanto. Ormai la consideravo come un porto sicuro: quando avevo bisogno di conforto e protezione andavo da lei.
"Hai ragione ad aver paura e anche io ne ho a dir la verità. Tutto sommato dalle ferite si passa alle cicatrici, dalle lacrime si passa ai ricordi... fa parte del tuo passato, ma nulla vieta che spunti di nuovo." Si fermò e poi aggiunse: "Stai tranquilla, andremo a quella festa, ci divertiremo e ti chiarirai un po' le idee"
“Ok…” la abbracciai e inspirai a fondo il suo profumo. “Grazie. Ora devo andare, devo essere a casa per l’ora di cena.”
Mi accompagnò alla porta.
“Oh! Prima che mi dimentichi. Domani shopping! Devo trovare un bel vestito per la festa. Vieni?”
“Perfetto, anche io dovrei cercare qualcosa di carino da mettere!” Ci salutammo e mi avviai allo scooter, pronta per tornare a casa, pronta a un’altra serata come le altre: stesa sul letto, con la musica nelle orecchie e con qualche lacrima che scende sul mio viso fino ad arrivare al mio cuscino, pronto a catturarle e farle sue per sempre.

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Capitolo 2
*** Our swings. ***


2nd chapter
Our swings.






Prima regola dello shopping: non uscire mai pensando che troverai già qualcosa di carino da comprare. Quando infatti si torna a casa con le buste in mano, ci si sente soddisfatti; ma quando non si trova nulla… si cade in una specie di pseudo - depressione.
Così quel pomeriggio entrai nell’ottica che stavo uscendo solo ed esclusivamente per fare compagnia a Nicole. Girammo un po’ per i negozi: c’erano delle cose carine ma nessuna mi aveva davvero colpito. Iniziai subito a spazientirmi, purtroppo ero fatta così: per queste genere di cose la mia pazienza raggiungeva livelli sotto lo zero.
“Ma vuoi stare calma?!”, mi rimproverò la mia amica.
“No, finché non troverò un vestito adatto alla festa di domani.”, sbuffai.
“Dobbiamo ancora vedere altri negozi… sii paziente”.
Mentre camminavamo, giravo la testa da una parte all’altra della strada.
“Nicole, tu non capisci. Io domani devo essere perf…”. E poi in quel momento lo vidi, esposto in vetrina. Un tubino color blu notte, con una fascia ocra sotto il seno, aderente fino alla vita e poi sempre più largo man mano che scivolava giù verso le gambe, fino ad arrivare a qualche centimetro sopra il ginocchio.
“Una sola parola: MIO”. Mi fiondai praticamente nel negozio e quando uscii mi sentivo davvero appagata. Tornammo a casa mia, poiché Nicole aveva ancora un po’ di tempo prima di tornare alla sua. Decidemmo di svagarci un po’ sopra le altalene, che si trovavano in una piazzetta piena di altri giochi per i bambini, davanti al mio palazzo.
Mi sedetti sopra la mia altalena, chiusi gli occhi, iniziai a dondolare e i flashback di quella sera riempirono prepotentemente la mia testa.

Gli mandai un messaggio. “Vieni, i miei sono usciti. Non torneranno prima delle 11”. Guardai l’orologio: le lancette segnavano le 8 e mezzo. Dopo pochissimo tempo ricevetti il suo messaggio di conferma dove mi diceva che sarebbe arrivato di lì a poco.
Mi truccai velocemente, indossai la maglietta dell’Hard Rock, un paio di pinocchietto in jeans e converse. Ero pronta. E mi sentivo pronta. Sapevo che quella sarebbe stata una serata speciale.
Il cellulare squillò ancora una volta.
“Scendi, sono giù”.
Il mio cuore iniziò a battere all’impazzata. Appoggiai una mano su di esso. Da quando correva così velocemente?
Scesi le scale, uscii fuori al portone, e lo vidi. Stava seduto sullo scooter dall’altra parte della strada. Appena sentì il portone che si aprì, alzò la testa e puntò gli occhi dritti nei miei mentre mi incamminavo verso di lui. “Ciao”, dicemmo all’unisono e ci scambiammo due baci sulle guance, come era solito.
“Ehi, non credevo di vederti ancora viva dopo l’allenamento di oggi!”, rise.
“Infatti non lo sono!”, esclamai. “Sono a pezzi, ti dispiace se ci sediamo sulle altalene?”
“Certo”. Mentre camminavamo, l’uno affianco all’altro, appoggiò la mano sul mio fianco. Un fuoco dentro mi pervase quando le sue dita calde sfiorarono un lembo scoperto della mia pelle.
Chiacchierammo del più e del meno, con lui era così semplice e spontaneo parlare…
Iniziai a dondolarmi avanti e indietro sull’altalena. “Lo sai che ho imparato da poco ad andarci?”. Rise ancora una volta. Provavo una soddisfazione immensa quando ero io stessa, con le mie stupide frasi, a far sorridere le persone.
“Dico sul serio”, continuai. “Mia madre non mi ha mai insegnato, così un giorno ho provato a farlo da sola”. Si alzò dalla sua altalena e si mise di fronte a me.
“Sei assurda…”, bisbigliò sorridendo. Poi, appoggiò la fronte sulla mia e senza volerlo chiudemmo contemporaneamente gli occhi. Quando li riaprii, lui li aveva già puntati nei miei. E poi mi venne in mente quella frase…
“Sembrava esitare, ma non in maniera normale. Non come un uomo che sta per baciare una donna, incerto della reazione e della risposta di lei, che volesse prolungare quell'istante, il momento perfetto dell'attesa impaziente che spesso è meglio del bacio stesso”.*
Tutto quello che successo dopo, me lo ricordo come fosse ieri. Mi diede un lungo bacio sulla guancia, seguito da un altro posato tra questa e la bocca. Più si avvicinava alle mie labbra, più i miei battiti aumentavano. Infine, dopo un lungo istante che sembrava non finisse mai, poggiò le labbra sulle mie. Mi sembrava tutto così giusto, così perfetto. Non c’era fretta nei suoi gesti; anche lui voleva far durare quel momento il più a lungo possibile, per renderlo speciale e indimenticabile.
Si staccò per un istante, e a quel punto fui io, insaziabile, a cercare le sue labbra. Approfondì il bacio: le nostre lingue si incontravano, si staccavano, si cercavano… era tutto un gioco.
Quando i nostri respiri si trasformarono in affanni, ci staccammo.
“Grazie”, mi disse semplicemente. Sapevo a cosa si stava riferendo. Chissà da quanto tempo aveva aspettato quel momento.
Quando ci salutammo, salii a casa e mi guardai allo specchio. Vidi la ragazza di sempre, ma con qualche differenza: le guance e le labbra arrossate e gli occhi lucidi. Era tutto così strano. Non mi riconoscevo, ma mi sentivo bene.


“Terra chiama Cristina, ripeto, Terra chiama Cristina”.
“Mh?”. Mi girai verso la mia amica.
“Buongiorno! In quale pianeta vivi?”
“In quello dei ricordi…”, sospirai.
E’ vero, quando si ha nostalgia di qualcosa o di qualcuno, basta chiudere gli occhi, e tornare indietro nel tempo. Niente finisce, nessuno scompare, tutto continua a vivere nei nostri pensieri, dentro di noi.


* frase tratta da Twilight -Stephenie Meyer- Capitolo 13.





Ringraziamenti.
-- Beeble: Sì, hai detto bene. E' moooolto vera XD Grazie per aver commentato :]
-- innamorata___: Mi fa piacere che ti sei appassionata! Grazie anche a te per aver lasciato un commento. Un bacio ^^

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Capitolo 3
*** The party. ***


3rd chapter
The party.






Sono una persona abbastanza metodica: porto sempre i capelli sciolti. Quella sera invece optai per una coda alta. Non so perché decisi di sistemarli così. Forse per risaltare il collo e le spalle, che venivano del tutto coperti se li avessi lasciati slegati.
Anche se mancavano due ore alla festa, iniziai a prepararmi. Feci una lunga doccia calda, con la musica di sottofondo. Per me era l’accoppiata perfetta.
Mi asciugai, e armata di santa pazienza iniziai a piastrare tutti i capelli, color biondo cenere e abbastanza lunghi da arrivare quasi al fondoschiena.
Iniziai a truccarmi. Matita sotto gli occhi, una sottile traccia di eye-liner, mascara, un po’ di ombretto e un leggero velo di phard. Non mi andava di cambiare di molto il colore della mia pelle. Può sembrare strano, ma anche se ho una carnagione abbastanza chiara, mi piace.
Infilai i collant color carne e subito dopo il vestito che tanto adoravo. Mi guardai allo specchio: ero pronta. Per completare l’opera decisi di indossare anche una collana e un paio di orecchini.
Ora dovevo solo aspettare che Nicole venisse a prendermi da casa. Nell’attesa mi stesi sul letto. Da due giorni non riuscivo a non pensare ad altro che a questa festa, o meglio a come sarebbe stato il nostro incontro dopo quattro lunghi mesi. Mi avrebbe salutato? O peggio ancora, lo avrei visto mano nella mano con un’altra ragazza? Fortunatamente il suono del citofono interruppe i miei pensieri.
“Pronto?”, risposi automaticamente.
Dall’altra parte del citofono si sentì la risata della mia amica.
“Pronto?! Forza, scendi!”
Salutai velocemente i miei, e mi precipitai giù per le scale. Entrai in macchina, e salutai la mia amica.
Ero nervosa, agitata e Nicole lo percepì subito.
“Stai tranquilla, sei perfetta”, mi sorrise io ricambiai con un “Grazie”.
Per stemperare la tensione accese la radio e la macchina si riempì della canzone “Tell me what we’re gonna do now” di Joss Stone. Dio, l’amavo! E le parole erano di una dolcezza unica.
Dopo mezz’ora di macchina, arrivammo al locale. Varcammo la porta d’entrata e con lo sguardo cercai Nina. Appena incontrai il sguardo, venne verso di noi.
“Criiii”, urlò e mi butto le braccia al collo.
Imbarazzata, e un po’ sorpresa, ricambiai l’abbraccio. Salutò molto affettuosamente anche Nicole.
“Auguri! Tieni, questo è il tuo regalo, da parte mia e di Nicole.”
Lo aprii e già sapevo che le sarebbe piaciuto perché era la sua marca preferita. Un anello Alviero Martini.
“Oddio, grazie! E’ bellissimo!”, disse eccitata.
Istintivamente iniziai a guardarmi intorno, in cerca di lui, ma non li vidi. Meglio così.
Nicole mi diede una gomitata sul fianco.
“Ehi!”, la rimproverai e iniziai a massaggiarmi la parte dolorante.
“Smettila di fare così.”, bisbigliò.
“Così come?”
Alzò gli occhi. “Goditi la serata e rilassati. Prendi coscienza del fatto che inevitabilmente lo vedrai. E’ suo fratello! Ma questo non significa che devi passare la serata in iperventilazione”.
Annuii e raggiungemmo le nostre amiche che stavano sedute su un divanetto, in fondo alla sala. Chiacchierammo del più e del meno e scherzando sempre. Parlare con loro almeno mi distraeva dai pensieri che affollavano la mia testa.
A un certo punto le luci si abbassarono e il volume della musica aumentò.
“Si ballaaa!”, urlò Federica, la più frenetica del gruppo. Male. Il ballo era sempre stato il punto debole per me. Ma non perché non lo sapessi fare, solo perché ballare davanti a tanta gente mi metteva in soggezione e in imbarazzo, soprattutto se fra tutta quella gente c’era anche lui.
Tutti i tentativi di convincimento da parte delle mie amiche erano vani. Sarei restata incollata per tutta la sera a quella sedia, anche a costo di essere considerata l’asociale di turno.
Più di qualche ragazzo si avvicinò per convincermi a ballare, uno si mise perfino in ginocchio! Risi, e scossi la testa rispondendo con un “No, grazie”.
Odiavo quella musica, sempre se può essere definita come tale. Era così monotona e tutte le canzoni sembravano uguali.
A mia sorpresa, però, il dj mise la canzone “Enjoy the silence” dei Abmerlin. Dannazione, quel ritmo era così coinvolgente. Ma che ti importa? Alzati e balla!, pensai. Ok l’avrei fatto, ma prima un’ultima cosa… Guardai a destra a sinistra: di lui nemmeno l’ombra. Perfetto. Così finalmente mi avvicinai alle mie amiche che erano già al centro della pista da ballo.
Inizia a muovermi, all’inizio con passi stentati, poi quando il ritmo di quella canzone iniziò a scorrermi nella vene, non badai più ai movimenti, ma ballai con gli occhi chiusi lasciandomi trasportare dalla musica.
Quando finì la canzone avevo il respiro accelerato, così decisi di prendere un po’ d’aria fuori al balcone. Faceva freddo, ma la temperatura era sopportabile. Mi avvicinai al muretto, e guardai il cielo: quella sera era pieno di stelle. Senza volerlo, mi spuntò il sorriso sulle labbra, al ricordo di una serata…


Eravamo insieme da quasi una settimana. “Ti ricordi la stella cadente del 16 Agosto?”, mi chiese. Ero seduta fra le sue gambe, con la testa appoggiata alla sua spalla. Come dimenticarla quella stella… era la più bella che avessi mai visto. Quel giorno era il compleanno di Nicole e tutti gli invitati ebbero, con grande sorpresa, la fortuna di vedere quello spettacolo nel cielo.
“Certo”, risposi.
“Beh, può sembrare strano, ma è riuscita ad avverare il mio desiderio.”
Lo guardai curiosa. “Davvero? Quale?”
Sorrise e mi guardò negli occhi. “Si è avverato esattamente cinque giorni fa, quella sera, sotto casa tua” Il mio cuore, per un momento, cessò di battere. Mi avvicinai con il viso al suo e lo baciai. Era inutile rovinare con altre parole quel momento così perfetto. Non ci restava più niente da dire.



Una lacrima scendeva solitaria sul mio viso al ricordo di quei bei tempi, la asciugai subito.
Stupida, Cristina. Quando imparerai a mettere la parole “Fine”?
Un brivido, causato dal freddo, attraversò tutto il mio corpo. Forse era meglio rientrare. Iniziai ad avviarmi verso la sala da ballo, quando improvvisamente due mani mi afferrarono la vita e mi trascinarono verso il muro vicino.





Ringraziamenti.
-- innamorata___:Of course! Twilighter al 100 per 100. Grazie di seguire la mia storia *--*
-- Beeble: Thank you :] grazie di leggere ogni volta queste mie schifezzuole ^^

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Capitolo 4
*** «Let me go» ***


4th chapter
«Let me go»






Le mani erano ben salde alla mia vita. I nostri corpi si sfioravano e io gli davo le spalle. Era arrivato il momento di voltarmi per vederlo in faccia ed essere certa che era lui… ma non ne ebbi subito il coraggio. Chiusi gli occhi e inspirai a fondo il suo profumo. Sì, non c’era ombra di dubbio: era proprio il suo. Quello che tante volte mi ero immaginata, o avevo sentito in giro, per i negozi, per i corridoi della scuola. Bastava solo quell’ondata di fragranza a far riaffiorare tutti i ricordi…
Mi fece voltare delicatamente e io tenni fissi gli occhi per terra. Avevo paura… paura di guardalo negli occhi, paura di vedere quanto era cambiato, paura che quella maledetta cicatrice si riaprisse.
Con l’indice e il pollice alzò dolcemente il mio viso e a quel punto non potevo più fuggire. Aprii gli occhi e dopo quattro mesi rividi il suo tenero sorriso.
“Non si saluta più?”, disse con tono scherzoso.
Avevo un groppo alla gola e non avevo la minima idea di cosa dire.
Forza, non fare la stupida e rispondi qualcosa di sensato. “Non sei degno di ricevere il mio saluto”, dissi in tono secco. Portai la mano sulla mia bocca, nel tentativo di fermare le parole che prepotentemente erano uscite fuori, ma ormai il danno era fatto.
Quel sorriso che prima incorniciava il suo viso, si dissolse in un attimo. Ora era serio e sorpreso dalla mia risposta. E anche io lo ero, a dir la verità. Non credevo che sarebbe andato in questo modo il nostro incontro. Ma era inevitabile la mia risposta. Quelle parole le avevo represse da troppo tempo.
Il mio respirò accelerò e sentii gli occhi inumidirsi. Merda. Stavo per piangere.
Fortunatamente la canzoncina che tutti gli invitati stavano cantando per la festeggiata poco prima del taglio della torta mi salvò. Era giunto il momento di rientrare. Per non farmi vedere così fragile, mi allontanai da lui, ma prontamente mi bloccò il braccio.
Ormai le lacrime sgorgavano inesorabilmente dai miei occhi.
“Devo rientrare. Lasciami andare, Roberto. Ti prego…”, dissi con tono supplichevole.
Aveva le sopracciglia aggrottate, ancora non riusciva a spiegarsi il perché della mia reazione. Ma poi si arrese: lentamente le sue dita lasciarono la presa sul mio braccio e io scappai nella sala da ballo.
Una volta dentro, cercai subito il bagno. Lo trovai e mi guardai allo specchio. Gran parte del trucco era andata persa a causa delle lacrime.
Guardavo me stessa su quella superficie riflettente. Era così ovvio che l’immagine riflessa trasmetteva tristezza, sofferenza. Ma lo specchio purtroppo fa vedere solo la superficie delle cose. Dentro mi sentivo veramente così? Non lo sapevo più.
Mi ritrovai a pensare alla causa che portò a tutto questo…

Camminavamo mano per mano per le strade di Lecce. Quel semplice contatto riusciva a farmi sentire bene, come se lui fosse stato sempre quel pezzo di puzzle che mancava al quadro della mia vita per renderla completa. Se magari un giorno se ne fosse andato o mi avrebbe lasciato, l’immagine di quello strano puzzle sarebbe stata sempre integra, non si sarebbe mai sfracellato, perché fortunatamente c’erano gli altri pezzi che riuscivano a tenerlo unito e saldo. Ma cos’erano quei pezzi? Gli amici, la famiglia, e senza di loro non saprei come riuscire a vivere.
“Ti devo parlare di una cosa…”. Al suono di quella frase, improvvisamente mi irrigidii.
“Niente di preoccupante, piccola”, sorrise rassicurandomi. Si sedette su una panchina e fece cenno di accomodarmi vicino a lui. Mi prese nuovamente la mano.
“Mi hanno offerto di giocare in un’altra squadra di pallavolo, in una città a un’ora e mezzo da qui…”. Lo guardavo e non sapevo dove volesse arrivare. Rimasi in silenzio, aspettando che continuasse.
“E dovrei trasferirmi lì, in una nuova casa.”. Aspettò la mia reazione, prima di proseguire, ma vedendomi impassibile si affrettò a puntualizzare.
“… ma verrei qui ogni volta che mi è possibile! Sai che non riuscirei a stare troppo tempo senza vederti”. Non sapevo cosa rispondere, ma di una cosa ero certa: la nostra relazione, il nostro rapporto, sarebbe cambiato. La distanza non porta mai nulla di buono.
“Di qualcosa…”, mi incitò.
“Cosa dovrei dire?”
“Semplicemente quello che pensi”.
“Beh, non posso obbligarti a fare qualcosa che va contro la tua volontà. Hai preso questa decisione e… l’accetto.”. Che bugiarda. Non l’avrei mai accettata.
“Tutto qui?”
“Sì, credo”.
Mi abbracciò e io ricambiai il gesto.
“Sapevo di poter contare sul tuo appoggio, piccola”, mi sussurrò nell’orecchio.
Mi staccai per guardalo negli occhi.
“Anzi, c’è un’ultima cosa. Non fare promesse che non riuscirai a mantenere”.


Mi sciacquai la faccia cercando di sistemare il disastro che avevo fatto poco tempo prima. Mentre uscivo dalla porta del bagno incontrai Nicole.
“Che è successo?”, mi chiese preoccupata.
“Andiamo via”.
Mi accarezzò la guancia: aveva capito, ma sapeva che quello non era il momento adatto a fare altre domande. “Possiamo almeno salutare Nina?”. Scossi la testa.
“Ok, mi inventerò qualcosa da usare come scusa alla nostra improvvisa sparizione nel bel mezzo della festa”.
“Grazie. Anzi, tu vai a salutarla, io raggiungo la macchina. Non voglio che anche tu passi dalla parte di quella maleducata”
“Va bene, ci vediamo fra poco”.
A passo spedito mi avviai verso la Mini Cooper di Nicole. Dopo dieci minuti uscì e entrammo in macchina.
Il silenzio lungo il tragitto fu soffocante, ma necessario perché non avevo la minima forza di raccontare l’episodio di pochi minuti prima.
Quando arrivammo sotto casa mia, aprii lo sportello ma Nicole mi bloccò.
“Aspetta…”. Prese la sua borsa poggiata sopra il sedile posteriore e me la porse.
“Aprila”, mi esortò. Sgancia il bottone, frugai dentro e trovai uno scatolino di forma quadrata, uno di quelli che si usano per fare regali di gioielleria.
Sollevai la parte superiore, ma la mano della mia amica me lo impedì.
“Non ora. Quando sarai in camera tua.”
Ero confusa. “Perché?”
Scosse la testa. “Non lo so. Fai così e basta.”
Annuii. “’Notte Nicole”
“Sogni d’oro Cri”, mi rispose.
Impaziente di scoprire cosa nascondesse quella scatolina, mi svestii e struccai velocemente, infilai il pigiama e mi misi sotto le coperte. Le mie dita sfiorarono quell’oggetto di forma quadrata. Inspirai, e lo aprii. Piegato su stesso, c’era un piccolo foglietto. Le mie mani tremarono mentre presi quel pezzo di carta, e notai che sotto c’era anche un i-pod. Lessi quello che c’era scritto.

“Non sono mai stato bravo con le parole, lo sai. Ho semplicemente bisogno di parlarti e di vederti. So che la tua risposta sarà no, però prima ascolta quello che c’è dentro in questo mp3 e poi, quando sarai sicura della tua decisione, mi farai sapere. Infila le cuffie, chiudi gli occhi e goditi questa canzone…”

I battiti del mio cuore accelerarono e iniziai a piangere sommessamente. Dopo un attimo di incertezza premetti il pollice sul tasto play.
Mi bastarono solo due secondi a riconoscere quelle note così meravigliose, e a quel punto quelle lacrime silenziose si trasformarono in un pianto convulso.





Ringraziamenti
-- innamorata___: hai sperato e il desiderio si è avverato XD Ma chi si vuole liberare di te! ^^ anzi grazie di commentare sempre <3
-- Beeble: Spero di non averti fatto aspettare troppo! Per quanto riguarda l'impressione su di lui, credo che ti chiarirai le idee nei prossimi capitoli ;D
-- TerryTheBest: Oh, una nuova lettrice! :D quando una storia ti prende, purtroppo è sempre difficile mettere la parola FINE. Ci speri sempre che possa ricominciare...

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Capitolo 5
*** «Oh let's go back to the start» ***


Advice: vi consiglio di leggere il capitolo con in sottofondo la canzone dei Coldplay - The scientist. Detto ciò, buona lettura :]


5th chapter
«Oh let's go back to the start»







La canzone, che avevo ascoltato chissà quante volte, ora sembrava assumere un significato diverso, forse perché era dedicata a me. Era andato sul sicuro: Coldplay. Sapeva che rientravano fra la lista dei miei gruppi preferiti, e la canzone altrettanto.
Le parole, anche se in inglese, le conoscevo a memoria e le consideravo pura poesia, di una dolcezza e tenerezza infinita.
Alzai al massimo il volume per godermi pienamente quella canzone.

Come up to meet you, tell you I'm sorry
You don't know how lovely you are.
I had to find you, tell you I need you,
Tell you I set you apart.

Sono venuto per vederti e dirti che mi dispiace
Non sai quanto sei adorabile
dovevo trovarti, dirti che ho bisogno di te,
dirti che che ti ho tenuta troppo lontana

Era davvero quella l’intenzione di quando mi aveva fermata alla festa? Di chiedermi scusa? Mi sentivo un po’ in colpa. Forse invece di scappare dovevo affrontare il problema e restare lì a sentire quello che voleva dirmi. Ripensai all’incontro di quella sera… era come se entrambi nuotavamo in un mare di voglia prima di rincontrarci. L'attimo dopo, quando ancora una volta i nostri occhi si salutavano, cominciavamo ad annegare in quel desiderio che cresceva in noi.
Misi da parte quei pensieri e mi concentrai sugli altri versi della canzone.

Tell me your secrets and ask me your questions,
Oh lets go back to the start.
Running in circles, Comin' up Tails
Heads on a science apart.

Raccontami i tuoi segreti e fammi le domande che vuoi,
Oh ricominciamo dall'inizio
Abbiamo girato a vuoto mordendoci la coda
Due teste troppo diverse.

Ricominciare? Lo voleva davvero? Ma sapeva a cosa andava incontro? Con quale grande responsabilità doveva convivere ogni giorno? Era pazzo, fuori di testa. E pensare che era stato proprio lui a voler troncare questa storia e ora invece la voleva riprendere.

Nobody said it was easy,
It's such a shame for us to part.
Nobody said it was easy,
No one ever said it would be this hard.
Oh take me back to the start.

Nessuno ha mai detto che sarebbe stato facile
è stata una vergogna doverci dividere.
Nessuno ha mai detto che sarebbe stato facile
ma nessuno ha neanche detto che sarebbe dovuto essere così difficile.
Oh riportami all'inizio della nostra storia.

Allora lo sapeva anche lui. Sapeva già dal principio che la nostra relazione sarebbe stata complicata.
Ripensai all’inizio della nostra storia, quando vivevamo giorno per giorno, senza preoccuparci del futuro. Beh, tu eri come ossigeno puro per me, ne volevo ancor di più ed ogni volta mi davi quel pizzico di follia per arrivare fino in fondo alle giornate, fino in fondo alla mia serena monotonia.
Mi hai cercato ossessivamente per tanto, sei riuscito a sorprendermi, sei riuscito a catturarmi e farmi vivere di te. Mi sono chiesta cosa ci è mancato per darci la forza di resistere, di respirare in quell'oceano di nostalgia e di lontananza. Mi sono chiesta perchè tu, hai fatto svanire nell'aria la nostra storia solo per paura di non farcela. Mi sono chiesta se davvero ci tenevi a me, se davvero provavi qualcosa, se davvero era… amore.
E provo tanta rabbia se ripenso a quella sera, quando entrambi prendemmo la decisione che forse la scelta migliore era quella di lasciarci, di ricordare quest’avventura come un bel ricordo, e niente più. Ti ho cercato, volevo parlarti per poter almeno provare a cercare una soluzione a questo problema: la distanza. Ma tu ogni volta te ne uscivi con una scusa diversa. Sotto questo punto di vista ti considero un po’ vigliacco, sai? Se eri davvero sicuro della scelta che avevi preso, allora perché non affrontare il problema a quattro occhi?
Le parole scritte in quei messaggi rimbombano ancora nella mia testa, giorno dopo giorno…

Era da una settimana che sentivo crescere dentro di me quella strana sensazione di presagio che qualcosa non andasse per il verso giusto.
Ci si accorge che le persone cambiano dalle piccole cose, sciocchezze. Ma sono proprio queste ad essere una specie di segnale d’allarme, a farci intuire che è cambiato oppure è mancato un importante ingranaggio di questo strano marchingegno che è l’amore.
Quella sera, con grande coraggio, decisi di mandargli un messaggio breve e conciso.
“In questi giorni ti sento così cambiato, così distante. E’ successo qualcosa?”
“Come mai questa domanda?”, rispose un po’ sorpreso.
“E’ da qualche giorno che mi frullano in la testa tanti dubbi e incertezze. Comunque non hai ancora risposto alla mia domanda”
Quei secondi che precedettero l’arrivo del suo messaggio sembravano non finire mai. Poi il cellulare squillò ancora una volta.
“Cri, tu sai già che mi piaci da morire e che insieme a te sto benissimo. Ma questa lontananza mi fa stare male, mi mette angoscia. Non so più che fare…”
Leggendo quelle parole gli occhi si inumidirono. Era arrivato il momento ormai.
Nulla è per sempre, tutto prima o poi finisce. Il problema però è riuscire a rassegnarsi a questo fatto.
Al contrario, la sua decisione l’accettavo perché anche io non gradivo la lontananza. Però il bello dell’essere coppia è che non si è mai soli, i problemi si affrontano in due, insieme. Proprio per questo gli chiesi se potevamo parlare di persona e cercare almeno di chiarire e trovare una soluzione al problema, consapevole del fatto che quella sarebbe potuta essere anche l’ultima volta.
Ma lui non ha mai accettato questa mia semplice richiesta e ancora oggi non riesco a capire il motivo…


Senza rendermene conto la canzone era finita e ancora una volta, senza volerlo, mi ero lasciata trasportare dai ricordi.
Quei quattro minuti furono così intensi che al termine di essi mi sentivo esausta, stanca.
Così con le parole che viaggiavano ancora nella mia mente e piena sempre più di dubbi, chiusi gli occhi e caddi nelle braccia di Morfeo.


La suoneria inconfondibile del mio cellulare mi svegliò da quel sonno profondo.
Senza vedere il numero risposi alla chiamata.
“Pronto?”, risposi con voce roca.
“Buongiorno, come stai?”. Riconobbi subito la voce familiare della mia amica.
“Ti odio”, biascicai.
“Lo so”, disse seguito da una risatina. “Ma qualcuno doveva pur svegliarti! E poi ero preoccupata per ieri sera…”
“Mmh allora sei giustificata”
“Allora mi racconti?”. Con malavoglia spostai le coperte e quel dolce torpore fu immediatamente sostituito da un’ondata di freddo. Mi alzai dal letto e iniziai a camminare per la stanza. Era più forte di me: mentre parlavo al telefono dovevo fare avanti e indietro per la camera.
Le raccontai della festa, del nostro strano incontro e infine della canzone e del biglietto contenuto in quella scatolina. Lei invece mi raccontò che mentre io la stavo aspettando vicino la macchina, aveva incontrato Roberto che le aveva chiesto il favore di consegnare quel piccolo regalo direttamente a me, poiché non era riuscito a darmelo di persona.
Per un momento fui distratta dalla canzone che si sentiva in sottofondo dall’altra parte della cornetta, ma soprattutto dalle parole.

Provo un po’ a dimenticare
infatti guardo il mare
e non ci penso più...


“Cos’è?”, chiesi curiosa.
“Piove di Alex Britti. Bella, vero?”
Guardai il cielo fuori la finestra. Era grigio e coperto da enormi nuvoloni.
Non risposi alla domanda.
“Vado”
“Dove?!”, la voce della mia amica si alzò di qualche ottava.
“A mare”.





Ringraziamenti:
-- innamorata___: vedo che io e te andiamo d'accordo un po' su tutto! XD sono davvero contenta che ti piace sempre di più *-*
-- TerryTheBest: Anche io la penso così. Ma credo che questo capitolo ti sia stato d'aiuto a chiarirti un po' le idee. Il problema è che i due protagonisti non hanno mai chiarito o parlato. Il discorso è rimasto sempre un po' in sospeso. Proprio per questo Cristina non riesce a mettere così facilmente la parola FINE.
-- Beeble: Grazie per i complimenti. Mi piace l'espressione che hai usato ^^ "sospirare di ricordi".

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Capitolo 6
*** The calm after the tempest. ***


6th chapter
The calm after the tempest.







Premetti il tasto rosso del cellulare così velocemente che non riuscii nemmeno e sentire la risposta di Nicole.
Quando il bisogno di fare una pazzia ti prende devi soddisfarlo subito. Non importa se poi la scelta che hai preso si rivela quella sbagliata, perché se in quel momento la ritenevi giusta significa che la tua mente o il tuo cuore era quello di cui avevano bisogno. Non esitare, poiché più passa il tempo e più questa necessità svanisce.
Presi il casco, cellulare e chiavi di casa e uscii dalla mia camera.
Stavo per uscire quando mia madre mi bloccò sulla porta.
“Dove vai?”
“A casa di Nicole”, mentii.
“Con questo tempo?”. Guardò fuori la finestra. “Il cielo non promette nulla di buono”
“Non ti preoccupare, torno presto”, la rassicurai.
“Okay, mi raccomando”, disse lasciandomi libero il passaggio.
Montai in sella al mio scooter e percorsi la solita strada, quella che d’estate avevo fatto chissà quante centinaia di volte.
Il tragitto mi sembrò più breve del previsto. I chilometri scivolavano via insieme ai miei pensieri fugaci. Il vento era sfavorevole, come lo era stata la mia vita. Da un po’ di tempo c’era in me solo un’aurea da pessimista, provavo rabbia verso quel tipo di routine quotidiana che sembrava quasi come una prigione. Ancora dovevo capire che l’unico modo per evadere non era quello di vendicarmi con la vita, ma perdonarla e prendere una rivincita solo e soltanto con l’amore.
Quando arrivai lasciai lo scooter accanto al marciapiede, non mi curai di mettere il catenaccio e mi incamminai a passo spedito verso la spiaggia. Guardai dritto di fronte a me. Ecco il mare, scuro, increspato, ma fortunatamente non molto agitato. Mi sedetti con le braccia attorno le ginocchia e i piedi caldi affondarono nei granelli di sabbia fredda. Un brivido mi corse lungo la schiena.
Osservavo il susseguirsi delle creste, una dopo l’altra, grandi, piccole, rumorose, silenziose, si infrangevano sulla riva e ricominciavano. Di tanto in tanto la sabbia mi arrivava sul viso.
Cosa ci facevo lì? Mi rassicuravo, era perché mi andava di farlo. Certo, era stato l’istinto… o il cuore? Sì, la voglia di vedere il mare era una scusa. Dentro avevo bisogno di una pausa per riflettere, per star un attimo con me stessa, per ascoltare quello a cui avevo chiuso la bocca un po’ per orgoglio, un po’ per paura. Ero lì per fare i conti con il passato, con la delusione. Non volevo ammettere che ero in crisi e non potevo più prendere in giro nessuno: il suo ritorno mi aveva sconvolto e il mio ego era diviso in due: una parte masochista che pretendeva, o meglio, sentiva il bisogno di riprendere i rapporti con Roberto e perché no, magari anche di ricominciare la nostra relazione; l’altra invece era quella più spaventata, soffocata dalla paura di una nuova delusione, o forse di amare ancora.
Il mio cellulare squillò, risvegliandomi da quei pensieri. Era sicuramente mia madre che mi raccomandava di tornare a casa presto.
“Mamma?”, risposi.
“Cri ho fatto una cazzata!”. Era Nicole e dalla voce sembrava agitatissima.
“Calmati, che è successo?”, dissi lentamente cercando di tranquillizzarla.
“Mi… Mi ha chiamata Roberto e… mi ha chiesto dov’eri. Ero in panico! Credevo che ti fosse successo qualcosa e…”. I miei battiti aumentavano a ogni parola che diceva. Non tolleravo più quell’attesa.
“Arriva al dunque, Nicole”
Riuscii a percepire il gruppo in gola che le si era formato. Poi buttò fuori le parole, tutto d’un fiato. “Sta arrivando”, disse semplicemente.
Sgranai gli occhi. Questo era sicuramente un fuori programma.
“Che cosa?!”. La mia voce risuonava stridula.
“Cri scusami. Non potevo mica immaginare che sarebbe venuto lì…”
“Lo so, non è colpa tua. Il problema si risolve: ora torno subito a casa così non ci sarà il rischio di incontrarlo.” Appena finii la frase vidi un fascio di luce abbagliante partire dal cielo scuro per poi arrivare sulla superficie dell’acqua, seguito poi da un tuono che rimbombò nell’aria. Sobbalzai.
“Piove?”, mi chiese preoccupata Nicole.
“No. Sono ancora in tempo. Quando arrivo a casa ti chiamo, a dopo”.
Mi incamminai a passo svelto allo scooter, salii sopra e lo accesi. Portai indietro il freno e girai la manopola dell’acceleratore. Il motore emesse il suono familiare, ma dopo un attimo si interruppe. Calma. Ci riprovai. Nulla.
“Dio, può andare peggio di così?”, urlai gettando la testa indietro con gli occhi chiusi rivolti verso il cielo. Proprio in quel momento sentii qualcosa di piccolo e delicato sfiorarmi la guancia. Una volta, due, tre… Aprii gli occhi. Pioveva.
Li richiusi e assaggiai quelle goccioline che si mischiarono con il sapore salato delle lacrime.
Ci riprovai ancora, ma fu tutto inutile. Sembrava che la sfortuna volesse umiliarmi e ce l’aveva fatta.
Proprio in quel momento sentii una macchina accostarsi vicino a me e al mio motorino. Era inutile girarsi per vedere chi fosse.
Abbassò il finestrino e si sporse verso lo sportello.
“Serve un passaggio, signorina?”
Senza nemmeno degnarlo di uno sguardo mi alzai e inizia a camminare, consapevole del fatto che non avevo la minima idea di dove stessi andando. La pioggia iniziava a diventare sempre più fitta. Non osavo immaginare quali fossero le mie condizioni in quel momento, tra vestiti e capelli completamente fradici.
Sentii lo sportello aprirsi e poi chiudersi violentemente. “Lo sai che non potrai scappare per sempre, vero?”, gridò. Quella frase mi spiazzò e fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Mi girai e camminai a passo svelto verso di lui. Mi sovrastava dal suo metro e novanta e mi guardava con gli occhi nocciola completamente disorientati. Chissà qual era la mia espressione in viso.
“L’ho imparato da te”, sibilai.
Lo spinsi con entrambe le mani facendolo arretrare di un passo. Da quando ero diventata così manesca?
“Sei un vigliacco. Non hai mai avuto il coraggio di affrontare la discussione a quattr’occhi. Ti ho fatto una semplice richiesta: parlare. Ma tu niente.”. Non riconoscevo più il mio tono di voce normale.
“Poi riappari dal nulla. E te ne esci con un “ricominciamo?”. Ma sai cosa vuol dire almeno?”, feci una risatina sarcastica.
"Mi hai usata solo e soltanto per un bisogno temporaneo, mi hai preso in giro, mi hai illusa, sei un bugiardo, falso, strafottente e superficiale! Vuoi davvero sentire la mia risposta?”. Mi avvicinai al suo viso.
“Vaffanculo”.
Le mie labbra si curvarono in un sorriso maligno.
Mi girai ma le sue dita mi afferrarono e bloccarono il braccio.
“Ora resti qui e mi ascolti. Capisco tutta la tua rabbia repressa e hai fatto bene a sfogarti.
Adesso tocca a me e resterai in silenzio finché non avrò finito quello che ho da dirti, così come ho fatto io.” Lo fissai in silenzio aspettando che continuasse. Si guardava intorno in cerca delle parole giuste.
“Riesci… riesci a capire come mi sia sentito io? Voglio dire… se ti avessi vista dopo aver preso quella decisione? Forse non sei mai riuscita a capire l’effetto che tu provochi su di me. Avrei cambiato idea, Cristina. Questo era certo.” E io invece non ero più sicura di me, delle mie certezze. Una di quelle per esempio era di dimenticarlo, di evitarlo.
“Lo so che mi reputi un codardo e hai ragione. Ma… io non ti ho mai dimenticata e non lo farò mai. Ogni giorno rivolgevo un pensiero a te sperando che stessi bene, che la scelta che avevo preso fosse stata quella giusta. Sai come si dice, veloce e indolore.
Ci tenevo a dirti questo, mi sembrava giusto che lo sapessi.”
Rimasi stupita dalla sua dolcezza, dal suo dispiacere, dalle sue parole sentite.
Inconsciamente non mi accorsi di quell’improvviso e violento colpo di vento che segretamente stavo aspettando. Ed eccolo lì, nel giro di un niente, si è presentato a spazzare via ogni mia protezione, proiettandomi verso qualcosa d'inaspettato, di rassicurante.
Tutto quello che di positivo c’era in lui, d’un tratto mi saziò di gioia.
Succede sempre così. Nel momento di maggiore tranquillità, la vita ti sorprende. Ti pone davanti delle situazioni che ti spiazzano.
Gli tirai piano un pugno sul petto. Lui invece rispose con un gesto dolce e del tutto inaspettato.
“Vieni qui”, sussurrò sorridendomi.
Mi avvicinò a sé e mi abbraccio. Mi irrigidii, ma subito mi sciolsi quando mormorò vicino al mio orecchio: “Lasciati andare… se è quello che vuoi”. Ricambiai l’abbraccio e mi sentii così bene al contatto con il suo corpo caldo. Lo strinsi forte a me… da troppo tempo avevo sognato e desiderato quel momento. Per un momento non pensai più al passato, lasciai da parte i ricordi negativi e evitai anche di preoccuparmi del futuro. Nella mia testa c’era solo lo spazio per il presente: noi eravamo il presente. Era questo che importava.





Ringraziamenti:
-- wonderwall: Giùùùù! Te l'ho già detto che sei un tesoro? Pure qui <3 Spero ti sia piaciuto il capitolo, un bacio.
-- Beeble: sono contenta di averti fatto scoprire una nuova canzone! Grazie di seguirmi sempre :]

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Capitolo 7
*** Crazy love. ***


7th chapter
Crazy love.







Poco dopo si staccò dolcemente e mi sussurrò all’orecchio “Forse è meglio che andiamo, non voglio essere causa del tuo raffreddore”.
Mi raccolsi i capelli con entrambe le mani e li strizzai. Dalla punta uscì qualche gocciolina di acqua.
“Troppo tardi”, dissi facendo spuntare un ingenuo sorriso sulle mie labbra. La testa mi faceva male, colpa dei miei capelli completamente bagnati. Fortunatamente il ritmo della pioggia era diminuito, così potevo tornare a casa tranquillamente in scooter.
Mi allontanai da lui e mi avvicinai al mio motorino. Lui mi seguì.
“Ehi ehi che stai facendo?”
“Torno a casa?” dissi con tono ovvio.
“Ricordi che è rotto?”. Dannazione, me ne ero quasi dimenticata. “Sali in macchina, ti accompagno io.”
Ci avviammo verso la sua Punto grigio metallizzata e quando vi entrai fui accolta dalla sensazione piacevolissima di caldo. Era proprio quello di cui avevo bisogno.
Roberto intanto si sistemò dalla parte del conducente e accese la macchina. Mi girai a guardarlo: era buffo, sì. Con quei capelli bagnati che gli ricadevano sulla fronte e con quell’aria da guidatore esperto e concentrato che lo faceva sembrare quasi serio.
Senza volerlo mi uscì una risatina. Si voltò sorridendo e nello stesso un po’ disorientato, non capendo che cosa trovassi di divertente.
“Che c’è?”
“Nulla…”, dissi sogghignando. Aggrottò le sopracciglia come era solito fare e i suoi occhi tornarono dritti sulla strada. Con un gesto volontario accese la radio e la macchina si riempì delle note della canzone “Crazy Love” di Bublè. Non dissi nulla, aspettai la sua reazione e infatti come avevo ben previsto, le labbra si curvarono in un piccolo sorriso. Era il suo cantante preferito.
Iniziai a canticchiarla.
“Ma quante canzoni sai?”, mi chiese incredulo.
“Quando una cosa ti piace, diventa facile e spontaneo impararla”
“Quindi sai cosa significa il testo?”
“Direi di sì”
“She gives me love, love, love, love, crazy love”, iniziò a cantarla anche lui. “Forse non è pazzo l’amore, ma tu che mi ci fai diventare.” Mi guardò per un istante poi continuò. “Tu e il tuo assurdo modo di fare, il tuo sorriso, i tuoi occhi…”. Avvampai dall’imbarazzo e mi sembrò per un momento che le mie guance potessero prendere fuoco.
“Smettila…”, sussurrai.
“Giusto, dimenticavo che sei allergica ai complimenti”, disse prendendomi in giro.
Roteai gli occhi. Aveva maledettamente ragione. Non so perché ero fatta così, ma ogni volta che qualcuno mi diceva qualcosa di carino, o mi imbarazzavo oppure rispondevo con una battuta, provando a far trasformare il momento da romantico a comico.
Portai giù lo specchietto che si trovava esattamente sopra di me e mi preparai al disastro sulla mia faccia e sui capelli. Sgranai gli occhi. Era peggio di quanto pensassi! Ero assolutamente impresentabile. Dallo specchietto vidi che mi stava scrutando e sorridendo nello stesso tempo. Mi girai e gli tirai un pugno sul braccio.
Per mia sfortuna la sua espressione rimase tale e quale. La prossima volta avrei dovuto usare più forza.
“Non lo sai che non si disturba il guidatore?”, mi chiese ironico e io feci una finta risata.
Guardai fuori dal finestrino e riconobbi la strada che portava a casa mia.
“Ehi, un attimo. Dove mi stai portando?”
“Secondo me soffri di vuoti di memoria. Me l’hai chiesto tu di portarti a casa.”
“Primo, sei stato tu ad offrirti a darmi un passaggio. Secondo, non posso assolutamente tornare a casa in queste condizioni! Mi hai vista? Che cosa penserebbe mia madre? Che sono andata a fare una guerra di palloncini d’acqua?”
“Perché no?”
Abbassai le sopracciglia. “Non se ne parla, portami da Nicole. Dormirò lì dai lei.”
“Agli ordini capitano!”, disse con tono solenne.
Nel frattempo composi il numero della mia amica che rispose dopo nemmeno due squilli.
“Pronto?”, disse con l’affanno.
“Ehi sono io”
“Lo so che sei tu! Va tutto bene? Mi hai fatto spaventare! Perché non mi hai chiamata subito? Non so dove tu abbia la testa a volte…”
“Lo so hai ragione, ma sto bene. Senti… non è che potrei fermarmi da te questa notte?”. Mentre parlavo buttavo occhiate fugaci a Roberto, sperando che stesse con la mente alla guida piuttosto che alla mia conversazione.
“Sì, non ci sono problemi. Ma dove sei ora?!”. Perché diamine stava urlando?
“In macchina…”, risposi vaga.
“Di chi? Sua?!”. Il suo tono di voce non scendeva, anzi mi sembrava che aumentasse sempre di più. Volevo sprofondare.
“Mh…”. Cercavo di rispondere a monosillabi.
“Oh Dio… ti ha baciata?!”. Bene, se il resto della conversazione non era riuscito a sentirlo, questa frase arrivò dritta al suo orecchio e provocò immediatamente un sorriso stampato sulle labbra.
“Sì, pasta al sugo va benissimo”. E chiusi subito la chiamata. La situazione era già tragica, non volevo peggiorarla ancora di più.
“Perché sei tutta rossa?”, mi chiese con un espressione di finta sorpresa sul volto. Perfetto, aveva sentito!
“Ho caldo!”. Mi tolsi frettolosamente la sciarpa che avvolgeva il mio collo e la buttai violentemente sui sedili posteriori.
“Ecco fatto, ora va molto meglio”
Dopo pochi minuti arrivammo sotto casa di Nicole e l’imbarazzo del momento del saluto mi pervase. Mi schiarii la voce.
“Grazie del passaggio…”, dissi timidamente.
“Non mi è costato nulla.” I suoi occhi erano fissi sul mio volto ed era difficile per me reggere quel gioco di sguardi. Avvicinai la mano allo sportello ma le sue parole fermarono il mio gesto.
“So che quelle cose che ti ho detto poco fa non riusciranno a farmi perdonare del tutto. Forse avrei dovuto dirtele tanto tempo fa… Mi rendo conto di aver sbagliato. So che la parola “scusa” non basta, che a volte contano più i gesti delle parole. Ma… Ti chiedo di darmi una possibilità, solo una. Se poi ti deluderò, ti giuro che non mi avrai più fra i piedi.”
“Io… Non so… Ci devo pensare”, dissi tentennando ogni parola.
Un sorriso speranzoso incorniciò il suo volto. Poi lentamente si avvicinò al mio viso e per un momento smisi di respirare. Ma con mia grande sorpresa poggiò delicatamente le labbra sulla mia guancia. Inspirò forte, come se volesse portare con sé e dentro di sé il mio profumo.
Scesi dalla macchina e per un attimo mi appoggiai alla portiera. Avevo bisogno di qualche secondo per riprendermi. Mi avvicinai al portone e intanto sentii il motore della macchina accendersi e poi allontanarsi. Salii le scale, trascinando i piedi ad ogni passo. Non riuscii a fare in tempo a suonare il campanello poiché Nicole aveva già aperto la porta.
“Grazie al cielo sei qui!”, mi avvicinò a sé e mi abbracciò.
“Vieni, andiamo in camera. Mi devi raccontare tutto, perfino i dettagli più insignificanti”.
Mi stesi sul letto e lei si sedette ai piedi di esso. “Da dove vuoi che cominci?”
“Dall’inizio”.
“Okay. Dunque… devi sapere che io e la sfiga ormai andiamo a braccetto. Appena ho chiuso la chiamata con te, ho acceso lo scooter ma non partiva. Ma non è finita qui! Dopo poco tempo ha iniziato anche a piovere!”
Continuai il discorso e le raccontai per filo e per segno tutto quello che mi era accaduto.
“E questo è tutto. Se prima avevo le idee confuse ora lo sono ancora di più. Mi è sembrato carino da parte sua quando ha detto quelle cose, ma nello stesso tempo ho paura di rischiare e di restare ferita ancora una volta”. Sbuffai.
“Carino?”, chiese con tono duro. Annuii lentamente.
“Lasciare una persona senza spiegazione, ricomparire dal nulla e chiedere di ricominciare, abbindolarla in quel modo e fare gli occhioni dolci sperando che possa ricadere di nuovo ai suoi piedi… scusa Cristina, ma io non ci trovo nulla di carino”.
“No! E’ diverso. Lui è diverso, è cambiato. Mi ha fatto anche una promessa…”. La mia amica mi interruppe.
“Parole! Sono parole! Che ne sai se poi sarà così anche nella realtà? Dio, sei così ingenua a volte!”
“Grazie, hai una bella considerazione di me.”
Mi prese la mano. “Non volevo dire questo, Cri. E’ solo che a volte credo che ti fai prendere troppo dall’istinto. Valuta prima i pro e i contro così saprai cosa meglio fare.” Fece una pausa, poi continuò. “Non voglio che tu soffra ancora”
“Questo… questo non succederà. Sono diversa ora. Ho imparato dagli sbagli e non farò gli stessi errori. Se dovesse finire male io non avrò nessun rimpianto.”
“Nessun rimpianto?”, chiese poco convinta.
“Nessun rimpianto, giuro.”
Era una promessa e l’avevo fatta soprattutto a me stessa.
Ci sono una miriade di coincidenze nella vita di tutti i giorni. Queste sincronie, questi meccanismi ci mettono in situazioni che rivangano il passato, scavano dentro, rispolverano quei ricordi che avevamo messo da parte per poter ricominciare. Alcune volte si ha la strana sensazione che qualcosa ci prenda per mano, ci guidi, ci porti su binari mai percorsi, si ha lo strano presentimento che debba accadere, ma non sappiamo cosa.
Alcune volte ci si accorge che c’è sempre quel qualcosa che ci regala sorprese che stravolgono e aprono strade nuove, ponendoci davanti ad una scelta.
Ci chiediamo continuamente cosa sia, da dove arrivi quel qualcosa, quella forza invisibile. Sarà il destino? No, è il cuore.





Ringraziamenti:
-- wonderwall: Grazie tesoro :] Mi fai troppi complimenti XD Spero che il capitolo sia stato di tuo gradimento come i precedenti ^^
-- Beeble: Ciao Fabiola! WOW, se ti ho fatto emozionare significa che il capitolo è stato davvero sentito. Sono davvero contenta ^^ Grazie di leggere sempre, un bacio :]

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