Dimmelo, ancora una volta.

di EffyBk
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


ATTENZIONE: questa FF è breve, sono tre capitoli più l'epilogo. Ogni capitolo è composto da due parti: una dal punto di vista di Sam e una da quello di Bill. E' una stupidata, ma è la prima FF che finisco di scrivere xD forse proprio perchè è corta. Non so se è bella o no, ma la posto lo stesso. Buona lettura ^^

DIMMELO, ANCORA UNA VOLTA.

Capitolo 1

Sam

“Sam, vuoi stare calma?”
“Niky, come faccio? Non troverò mai il coraggio.”
“Sì invece. Io lo so quello che provi, so che ci tieni davvero e so che per lui potresti fare qualsiasi cosa. Perciò andrà tutto bene, fidati”
Niky mi strinse la mano e mi sorrise rassicurante. Vedere i suoi occhi verde scuro così calmi e sereni, mi fece rendere conto che essere troppo ansiosa avrebbe solo peggiorato le cose. Dovevo essere decisa, fiduciosa e, soprattutto, dovevo avere tanto, tantissimo coraggio. Era la mia unica possibilità.
Scendemmo dall’autobus alla fermata davanti a quell’enorme hotel a cinque stelle. Era lì che avrebbe avuto luogo il tanto atteso, e da parte mia temuto, meet&greet; era quello il luogo in cui di lì a pochi minuti, avremmo incontrato la nostra band preferita: i Tokio Hotel. Erano tre anni e mezzo che li seguivo, per Niky erano pochi mesi meno di me, e mai eravamo riuscite a vincere un’incontro con loro, pur avendo tentato davvero qualunque cosa. Ma finalmente ce l’avevamo fatta, stavamo per incontrarli. Bè, meglio tardi che mai, no?
Io ero particolarmente nervosa perché avevo deciso di fare una cosa; niente di cui preoccuparsi, non volevo certamente rapire un membro della band o cose simili. Ma era una cosa che per me significava davvero tanto e avevo paura di non trovare la forza. Ma la presenza di Niky mi dava qualche certezza in più.
Nell’immensa hall dell’hotel trovammo la traduttrice dei quattro musicisti tedeschi insieme ad una guardia del corpo e alle altre due vincitrici del meet&greet. Evidentemente ci stavano aspettando. Ci guidarono su per tre piani di scale (probabilmente a noi comuni mortali non era permesso usare il lussuoso ascensore con omino-schiaccia-bottone incorporato) e arrivammo davanti alla camera 627. Il bodyguard bussò e dopo qualche istante ci fece entrare. La camera era immensa, anzi il salotto era immenso; il resto non ci era permesso vederlo. In ogni caso, ciò che interessava a noi stava in quella parte della suite: quattro ragazzi sorridenti che ci accolsero con un “Hallo!” amichevole.
Dopo le dovute presentazioni, la guardia del corpo si fece da parte, lasciandoci sole con la band e la traduttrice, dato che, benché io e Niky sapessimo quasi perfettamente il tedesco, le altre due ragazze parlavano solamente l’italiano.
Mentre la mia amica e le altre si facevano autografare i loro poster e i CD, facevano le foto con i ragazzi e si scambiavano qualche parola come avrebbe fatto chiunque, io me ne stavo in disparte, divorata da un conflitto interiore: la mia naturale codardia e lo smisurato desiderio di fare ciò che volevo fare.
Evidentemente Gustav si accorse che io non stavo partecipando per niente all’incontro, forse a causa di una grande timidezza, perciò mi chiese gentilmente se volevo una foto e un autografo. Ecco, era il momento. ‘Ora o mai più’ pensai dentro di me. Feci un gran respiro e poi finalmente presi coraggio.
“No grazie. In realtà non mi interessano quelle cose. Vorrei solo chiedere un favore a Bill.” Il cantante mi guardò con aria interrogativa. ‘Oh, ti prego. Non guardarmi con quegli occhi o mi sciolgo’ dissi nella mia mente.
“Ecco” continuai “è difficile da spiegare. Potremmo rimanere un minuto da soli?”
Subito mi resi conto che la mia richiesta era piuttosto ambigua ed allarmante.
“No, non volevo…” risi nervosamente cercando di rompere quell’atmosfera imbarazzante “vorrei solo chiederti un favore, ma non davanti a tutti. Se.. se vuoi, stiamo qui fuori, davanti alla porta. Un minuto soltanto, non ti faccio niente” precisai. Non volevo pensasse che progettavo uno stupro, un rapimento, un attentato o chissà quale altro gesto perverso. Si vede che la mia richiesta così timida ed esitante lo convinse che non ero affatto un pericolo.
“D’accordo” mi disse sorridendo.
“No, va tutto bene” esclamò poi fermando il bodyguard che voleva seguirci, il quale fece un piccolo cenno con la testa e tornò al suo posto.
Bill aprì la porta e mi fece uscire, mi seguì e la richiuse alle sue spalle. Ci fermammo appena fuori dalla stanza, uno di fronte all’altra, io con lo sguardo basso. Il mio cuore martellava contro il mio petto con una violenza incredibile e sentivo che le forze stavano per abbandonarmi.
“Allora? Cosa mi volevi chiedere… Sam, giusto?” mi chiese il moro con la sua voce di velluto.
“Sì, Sam…” annuii debolmente. Alzai lo sguardo e lo puntai nei suoi occhi scuri, così simili ai miei. “In realtà non ti devo chiedere nulla in particolare, vorrei solo fare una cosa…”
“Ok, cosa? E io cosa devo fare?”
“Niente. Devi stare così come sei, immobile”
Non mi ero neanche accorta che stavamo sussurrando, ma non ci badai. Ora che avevo trovato il coraggio, non potevo nemmeno fermarmi a pensare, avrei rovinato tutto.
“Fermo…” ripetei. Alzai le mie mani e sfiorai leggermente il suo viso, il suo collo. Lui mi obbedì e rimase immobile. Avevo quasi paura che sparisse, temevo si dissolvesse in una nuvoletta, con un puff. La sua pelle era calda, morbida e liscia, proprio come l’avevo sempre immaginata. Un turbine di emozioni mi sconvolse dentro, il cuore batteva sempre di più, quasi volesse scappare via dal mio corpo. Ero in una sorta di trance, tra sogno e realtà, tra piacere e dolore. Una lacrima sfuggì dai miei occhi e Bill fece per asciugarmela bisbigliando “Perché piangi?”, ma lo fermai.
“Sssh, immobile. Mi basta un minuto. Soltanto un minuto. Mi basta… per sempre” e con queste parole chiusi gli occhi e mi appoggiai lievemente al suo petto, inspirando il suo profumo che mi ribaltò tutti i sensi.
Subito sentii le sue braccia stringermi un po’ e trattenni un attimo il respiro: non glielo avevo chiesto, gli avevo detto di stare fermo! Prima che me ne rendessi conto, la maglietta di Bill si stava già inzuppando delle lacrime che sgorgavano abbondanti dai miei occhi. Avvicinai la mia bocca al suo orecchio e dissi piano “Ti amo”. Fu come una liberazione; era la prima volta che lo dicevo, anche perché non mi ero mai innamorata di nessun altro. Ero fiera di me, ero riuscita a dirglielo, ero riuscita ad ammetterlo, ma ora faceva male. Troppo.
Sciolsi l’abbraccio, mi scostai da lui e mi coprii la bocca con una mano, come per nascondere il pianto, per nascondere me, orgogliosa com’ero.
Ero talmente imbarazzata, volevo sparire. Non avrei resistito un secondo di più lì con lui. Avevo avuto il mio minuto, e quel minuto mi sarebbe bastato davvero, per l’eternità.
“Bill, grazie.. grazie di cuore” riuscii a dire tra i singhiozzi.
“Ma…” iniziò una frase, ma lo interruppi.
“Torna dentro, ti aspettano. Io… devo andare” e corsi via, senza più preoccuparmi di trattenere le lacrime di gioia e dolore insieme.

*****

Bill

Quel giorno eravamo in Italia per un programma televisivo e avevamo deciso di organizzare un meet&greet per l’occasione. Io e i ragazzi eravamo in camera aspettando l’arrivo delle quattro vincitrici del concorso. Eravamo sempre un po’ agitati in quei momenti; ci piaceva incontrare le nostre fan, vederle un po’ più da vicino, magari scambiare due parole con loro, ma non si sapeva mai come potevano reagire. Si sa, l’emozione…
Finalmente Ralph bussò e le fece entrare. Due erano piccole e tenere, quattordici anni ed espressioni esaltate. Le altre due erano più grandi, avevano quasi diciotto anni ed erano molto particolari. Si chiamavano Niky e Sam.
Sam… probabilmente non mi sarei neanche ricordato della sua presenza se non fossi rimasto così colpito dai suoi occhi grandi e meravigliosi; infatti, dopo aver detto il suo nome e una piccola presentazione, non aprì più bocca. Se ne stava un po’ da parte senza fare nulla, con un’espressione confusa e spaventata. Pensai che fosse molto timida e stavo per farle una domanda per cercare di coinvolgerla un po’, quando Gustav mi precedette. Le chiese se voleva un autografo e una foto, ma lei disse di no. Rimasi molto sorpreso e la sua richiesta mi stupì ancora di più: voleva chiedermi un favore.. a me! E voleva farlo fuori dalla stanza, da soli io e lei.
Devo ammettere che all’inizio mi spiazzò, di solito non era una cosa raccomandabile stare da soli con le fan. Ma quella ragazza era così timida ed insicura; non riuscivo in alcun modo ad essere spaventato da lei, anzi mi faceva solo venire voglia di proteggerla. Per questo acconsentii. Fermai Ralph che voleva venire con noi. Sinceramente mi diede un po’ fastidio quel suo gesto automatico di alzarsi per seguirmi: ero un uomo, anche se fosse stata una pazza scatenata, potevo difendermi benissimo.
Quando fummo da soli fuori dalla stanza, Sam non fiatò. Stava lì davanti a me fissando per terra. Dopo un po’ decisi di parlare e le chiesi quale fosse questo favore. Mi spiazzò di nuovo; puntò i suoi occhi nocciola nei miei e disse “In realtà non ti devo chiedere nulla in particolare, vorrei solo fare una cosa…”.
Era così criptica in ogni sua parola, in ogni suo gesto. Mi attraeva in un modo quasi assurdo, non la capivo assolutamente. Le chiesi cosa dovessi fare io.
“Niente.” mi sussurrò “Devi stare così come sei, immobile”
Ero curioso e le obbedii; non avevo paura di nulla, non sembrava avesse cattive intenzioni. Era solo molto imbarazzata. Rimasi fermo mentre lei iniziava a sfiorare il mio viso con la punta delle sue dita un po’ fredde. Mi toccava leggermente, quasi per paura di rompermi; con mani tremanti disegnava il profilo delle mie guance, il contorno delle mie labbra. Mi accarezzò il collo e un brivido mi percorse la schiena. Non avevo la minima idea di ciò che stava facendo, ma mi piaceva. Provavo qualcosa di strano, forse a quel punto c’era anche un po’ di ansia, ma non volevo che smettesse.
Qualche istante dopo un paio di lacrime le rigarono il viso.
“Perché piangi?” le chiesi a bassa voce avvicinando la mia mano a lei per frenare quelle gocce nere di mascara. Ma mi fermò.
“Sssh, immobile. Mi basta un minuto. Soltanto un minuto. Mi basta… per sempre”
La sua voce era un po’ rauca e quelle sue frasi mi lasciarono senza parole. Capii tutto. Il favore che voleva che le facessi era rimanere un minuto con lei. Era il suo unico desiderio. Mi fece un’immensa tenerezza, era così fragile e dolce in quel momento.
Sam chiuse gli occhi e si appoggiò a me, respirando profondamente. La punta del suo naso mi faceva un po’ di solletico al collo, ma non mi dava fastidio. Non riuscivo a capire bene quello che stava succedendo; tutta quella situazione aveva un effetto strano su di me. Forse perché era da tanto che non mi trovavo così vicino ad una ragazza. Forse era per il fascino che quella ragazza sconosciuta esercitava su di me. Il punto è che senza neanche pensarci, istintivamente, la abbracciai e la strinsi un po’ a me.
‘Bill, che cosa fai? Ti ha detto di stare fermo, lasciala!’ mi rimproverai, ma era più forte di me.
Sentii le sue lacrime aumentare e bagnarmi la spalla; sentii le sue mani stringere un po’ la mia maglietta, finché non si tirò in punta di piedi, si avvicinò al mio orecchio e mormorò “Ti amo”.
Subito sciolse l’abbraccio e si allontanò un po’. Mi fissava con quegli occhi pieni di lacrime e una mano davanti al viso, come per trattenersi, come per sparire e non farsi vedere, come per non farmi capire tutto il suo imbarazzo. Mi disse di tornare dentro e corse via, lasciandomi lì impalato, sconcertato e con un leggero senso di nausea. ‘Che mi succede?’ pensai e con gli occhi ancora sgranati rientrai nella stanza.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

Sam

Correvo. La vista appannata dalle lacrime, ma correvo; non sapevo dove stavo andando, trovai delle scale e scesi per un po’, finché il pianto non si fece così forte da costringermi ad accasciarmi a terra su un pianerottolo a metà rampa. Sì, avevo avuto il mio minuto, gli avevo detto che lo amavo; ma lui cosa avrà pensato?
‘Dio, che figura…’ dissi tra me e me. Ero talmente presa dal desiderio di dirglielo e dall’ansia di non riuscirci, che non avevo pensato alle conseguenze. Insomma, gli capita lì una sconosciuta che si butta tra le sue braccia in lacrime dicendo di amarlo.
‘Cosa penseresti ora se fossi al suo posto?’ cercai una risposta confortante. 'Patetica..' fu tutto ciò che mi venne in mente. Mi immaginai Bill che raccontava tutto a Tom, Georg e Gustav, me li immaginai tutti e quattro piegati in due dalle risate, mi immaginai Bill che mi compativa dicendo “Poverina, mi faceva pena…”
No, non era quello che volevo. Perché non pensavo mai? Perché agivo così d’impulso? Era una cosa terribile: essere derisa e compatita dalla tua band preferita e dal ragazzo che ami.
‘Bè, Sam, complimenti! Te la sei proprio cercata!’ pensai, tirando una leggera testata al muro dietro di me.
Mi sentivo ferita nell’orgoglio e le lacrime non volevano saperne di cessare, ma in fondo aveva ragione la mia coscienza: me l’ero cercata. Era solo colpa mia, di nessun altro.
Appoggiai la testa sulle ginocchia come per isolarmi, per fuggire da tutto, da quella situazione che avevo creato da sola.
Rimasi così per un po’, fino a quando sentii qualcuno avvicinarsi a me. Lentamente sollevai il viso e mi trovai davanti quegli occhi contornati di nero che tanto amavo. La prima cosa che pensai fu di essere in un sogno. Ma presto mi resi conto che c’era davvero Bill inginocchiato di fianco a me e mi fissava. Mi asciugai un po’ gli occhi, cercando di nascondere la mia debolezza e gli chiesi “Che ci fai qui?”
Lui mi ignorò completamente, come se non avessi aperto bocca.
“Mi ami davvero?” mi chiese.
La sua domanda mi suonò strana; lo guardai diffidente, ma sul suo viso non c’era ombra di scherno o pietà. Era serio e aspettava una risposta.
“Ha davvero importanza?” la mia voce era piatta. Mi fece impressione.
“Sì” fu la sua unica risposta. Senza esitazioni, senza giri di parole. Non mi prendeva in giro.
Mi sorprese non poco, non capivo dove volesse arrivare, ma conclusi che ormai non avevo più nulla da perdere e la cosa migliore era essere completamente sincera, almeno con Bill.
“Sì, ti amo davvero, ti amo anche se non ti conosco. Ti amo più di qualsiasi altra cosa al mondo, anche se è assurdo, malsano, stupido e completamente irrazionale. Ti amo pur sapendo che non sarai mai mio; ti amo da tre anni e mezzo, nei quali non ho mai smesso di pensare a te. Ti amo, e ora che lo sai non cambierà assolutamente nulla.”
Abbassai lo sguardo e ricominciai a piangere, non so perché. Non volevo che mi vedesse ancora così, non volevo mostrargli ancora quella parte di me, ma non riuscivo a trattenermi. Il mio più grande desiderio si era trasformato nel mio più grande incubo. Sapevo che era sbagliato, non avrei mai dovuto fare quella stupidata di confessargli tutto; avrei potuto godermi quel meet&greet, avrei potuto parlare con Tom, Gustav e Georg. Invece mi ero bruciata tutto per un dannato sogno insensato. Mi sentivo solo una grande idiota.
Bill si sedette di fianco a me senza parlare. Mi cinse le spalle e mi fece appoggiare la testa sul suo petto. Lì continuai a piangere ininterrottamente per qualche minuto, mentre lui mi cullava un po’, come una bambina.
Anche quando mi calmai, non ci muovemmo. Bill mi tenne lì, accanto a sé stringendomi un po’.
All’improvviso disse “Dillo ancora”
“Che cosa?”
“Dimmi che mi ami”
“Ti amo” gli dissi senza pensarci. Ma poi realizzai che non aveva senso e, quando stavo per replicare, lui attaccò a parlare, come se niente fosse.
“Sta notte ho fatto un sogno troppo buffo…” iniziò.
Decisi di lasciar perdere e ascoltarlo. Alla fine non aveva così tanta importanza.
“Sì? Perché?”
“Ero in una stanza enorme e circolare e al centro c'era una mano gigante con una boccetta di smalto rosso alta 50 centimetri…”
“Una mano gigante? E dello smalto rosso??” gli chiesi ridendo.
“Sì!! E io iniziavo a mettere lo smalto a questa mano, anche se non era facile perché aveva delle unghie grandissime e il pennellino pesava tantissimo. Però poi succedeva una cosa stranissima…” la sua voce prese una piega divertita.
“Cioè?”
“Non so come mai, ma quando avevo finito di mettere lo smalto, le unghie dell'indice e dell'anulare diventavano gialle brillanti…”
Esplosi in una risata “Gialle?!”
“Sì” rise anche lui “e a me non piacevano! Quindi provavo a rimettere sopra lo smalto rosso, ma all'improvviso sono diventate tutte blu e la mano ha iniziato a sciogliersi come se fosse stata fatta di burro”
“Addirittura?”
“Già… e non era bello! Era tutto unticcio...”
Mentre Bill andava avanti a raccontare il suo sogno divertente, io me ne stavo tra le sue braccia, a volte ridendo, a volte ascoltandolo curiosa. Avevo capito che le mie preoccupazioni erano infondate, lui non mi avrebbe mai derisa, mi aveva presa davvero sul serio. Ne ero felice e gli ero grata per tutto quello che stava facendo. Evidentemente aveva capito che mi sentivo umiliata e ferita, e stava facendo di tutto per tirarmi su di morale. Come potevo non adorarlo?

*****

Bill

Appena fui di nuovo dentro alla camera, mi trovai nove paia di occhi puntati addosso.
“Allora?” mi chiese Tom “Cosa voleva chiederti?”
“Ma lei dov’è?” domandò Georg.
“Non lo so…” risposi, ancora un po’ shockato.
“Come non lo sai?! Bill, dov’è Sam?” la sua amica, Niky, era preoccupata. Ovviamente.
“Io… non so. E’ andata via” capii che non potevo rovinare tutto anche a Niky. “Ha detto che ti aspetta nella hall”
Sentendo quella bugia sembrò calmarsi un po’, ma io non mi sentivo per niente tranquillo. Continuavo a ripensare a quei pochi minuti lì fuori dalla stanza, continuavo a pensare a quel “Ti amo” sussurrato in quel modo, così sentito, così sofferto, così sincero. Quella ragazza mi aveva colpito. E l’immagine del suo viso devastato dalle lacrime mi balenava continuamente nella testa. Non potevo far finta che non fosse successo niente, non potevo lasciarla andare così. Non potevo lasciarla affogare in quel dolore. Presi un foglietto stropicciato e, con l'indelebile vi scarabocchiai due righe; poi mi diressi verso la porta, appallottolando quel pezzetto di carta e infilandomelo in tasca.
“Ehm, dovete scusarmi, davvero, ma devo andare. E’ un’emergenza” annunciai a tutti, lasciando di corsa la camera e andando in cerca di Sam.
Corsi giù per le scale, era l’unica via per cui poteva essere passata. Infatti al pianerottolo del secondo piano la vidi, accovacciata per terra, la testa tra le ginocchia. Piccola, debole, fragile… bellissima. Mi avvicinai piano, senza far rumore e mi inginocchiai di fianco a lei. Restai lì per un po’, osservando i suoi capelli scuri e lisci, contando i suoi respiri e i suoi singhiozzi. Piangeva ancora; mi faceva male vederla così e sapere che era colpa mia, non migliorava di certo le cose.
Passò un po’ di tempo prima che si accorgesse che ero lì. Sollevò il viso e mi guardò negli occhi un po’ incredula. Quando si rese conto che ero io, cercò di asciugarsi le lacrime, come se volesse far finta di non aver mai pianto. Era molto orgogliosa. Mi chiese cosa ci facessi lì; tentò di simulare un tono un po’ scocciato, ma il risultato non fu un gran che.
Io la ignorai, principalmente perché non avrei saputo cosa rispondere. Volevo domandarle altro. “Mi ami davvero?”
In fondo al mio cuore sapevo che era vero, ma dovevo sentirmelo dire ancora, avevo bisogno di un’ulteriore conferma.
“Ha davvero importanza?”
La sua risposta fu piatta, la voce stanca forse per la troppa sofferenza. Avrei voluto stringerla forte, ma da bravo egoista, prima dovevo esaudire quella voglia, quel bisogno di certezza. Perciò le dissi un “Sì” secco e convinto, in modo da farle dire ancora una volta quelle parole che volevo sentire.
“Sì, ti amo davvero, ti amo anche se non ti conosco. Ti amo più di qualsiasi altra cosa al mondo, anche se è assurdo, malsano, stupido e completamente irrazionale. Ti amo pur sapendo che non sarai mai mio; ti amo da tre anni e mezzo, nei quali non ho mai smesso di pensare a te. Ti amo, e ora che lo sai non cambierà assolutamente nulla” i suoi occhi brillavano mentre parlava e mi lasciò senza parole. Era molto più di quello che mi aspettavo.
Di nuovo molte lacrime iniziarono ad uscire dai suoi occhi, ma questa volta era diverso. Non si tratteneva più, non cercava di nascondersi. Si era arresa, mi aveva rivelato tutto, mi aveva donato sé stessa. Non si vergognava più di essere debole davanti a me. In quel momento non riuscii più a frenarmi. Mi misi seduto e la abbracciai, la tirai a me e la tenni lì cullandola piano. Non ce la facevo più a vederla in quello stato; sì, era solo una ragazza che non avevo mai visto prima, ma sentivo che era speciale, lei era quella che cercavo. E non l’avrei lasciata andare. Volevo starle accanto e volevo vederla sorridere. Basta lacrime, basta dolore: volevo farla felice.
La cullai come fossi suo padre fino a quando non si fu calmata completamente.
“Dillo ancora” le dissi in tono di supplica.
“Che cosa?”
“Dimmi che mi ami”
“Ti amo” sussurrò lei, senza chiedermi altro, senza replicare, senza arrabbiarsi.
Ero felice che me l’avesse detto ancora. Ormai lo sapevo, e sapevo anche che era vero. Ma la verità era che mi piaceva sentirmelo dire. Mi piaceva che fosse lei a dirmelo.
Senza aspettare altro, iniziai a raccontarle di un sogno strano e buffo che avevo fatto quella notte. Non so perché, mi venne naturale raccontarglielo. E lei sembrava interessata. Era curiosa di sapere, a volte rideva di gusto per quello che dicevo ed era meraviglioso. Ero riuscito a farle dimenticare tutte le sue sofferenze, ero riuscito a farla sorridere.
Ero fiero di me.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Sam

Bill andò avanti a parlare. Mi raccontava di sé, mi spiegava i suoi pensieri, le sue emozioni. Mi diceva ciò che aveva pensato mentre scriveva le sue canzoni. Mi incuriosiva, mi divertiva, mi catturava con quel suo modo di parlare veloce ed elegante. Io lo ascoltavo avida di conoscere la sua mente, impaziente di saperne di più.
Ero così presa da lui che non so dire quanto tempo restammo lì per terra. So solo che ad un certo punto mi resi conto di essere ancora nell’hotel: fu come ricordarsi tutto all’improvviso dopo una lunga amnesia.
“Cavolo, da quanto tempo siamo qua? Io devo andare a casa. Chissà dov’è Niky… è meglio che vada giù ad aspettarla”
“E’ vero, io devo ritornare in camera! Se poi iniziano a preoccuparsi, potrebbero aver paura che sia stata tu a rapirmi” mi guardò con un’espressione che, in teoria, avrebbe dovuto spaventarmi “e se Ralph si arrabbia, sono guai”.
Io mi misi a ridere per la voce che aveva fatto: sembrava il padre che racconta la storia dell’uomo nero alla bambina per farle fare la brava.
Anche lui sorrise e mi aiutò ad alzarmi. Una volta in pedi restammo fermi, uno di fronte all’altra. Solo in quel momento mi resi conto di quello che avevo fatto quel pomeriggio e sentii un enorme bisogno di scusarmi.
“Bill ascoltami, io ti chiedo scusa. Davvero scusami”
“E per cosa?” mi chiese lui senza smettere di fissarmi.
“Per tutto. Insomma, non avevo alcun diritto di arrivare qui, dirti quello che ho detto, fare quello che ho fatto. Ho rovinato il meet&greet a te, Tom, Gustav, Georg e alle ragazze. Ti ho fatto preoccupare, ti ho fatto stare qui a cercare di tirarmi su di morale…”
“Ma figurati, quella è stata una mia scelta, non mi hai obbligato” precisò lui.
“Non è questo il punto, Bill. Non avevo il diritto di fare tutto questo e basta. Mi sono comportata male nei confronti di tutti. Perdonami, ti prego; io non volevo rovinare tutto. Sono sempre troppo egoista, insensata, impulsiva e irrazionale. Scusa” abbassai il viso per esprimere meglio il mio pentimento. Ero così maledettamente lunatica: perché ora me ne stavo lì a chiedere scusa? L’atmosfera si era alleggerita, eravamo stati bene entrambi, perché dovevo rompere tutto creando nuovo imbarazzo? Certe volte davvero non mi capivo. Ma ormai era fatta, avevo parlato e non potevo più tornare indietro.
‘Mannaggia a me! Perché sono nata senza un filtro tra i pensieri e la bocca?’ pensavo mentre avrei voluto prendermi a schiaffi.
Bill mi guardava con un leggero sorriso sulle labbra. Se devo essere sincera la cosa mi irritò parecchio. Stava lì, zitto, senza togliermi lo sguardo di dosso con quella faccia divertita, mentre io mi stavo scusando.
“E ora che c’è? Perché quel sorrisetto?” gli domandai brusca.
“E se ora ti chiedessi il permesso per fare una cosa? Se ora fossi io quello insensato, impulsivo e irrazionale?” mi ignorò, di nuovo. Stava diventando un vizio!
“Ti direi che, a questo punto, ne hai tutto il diritto. A meno che tu non voglia picchiarmi o cose del genere; anche se, lo devo ammettere, avresti assolutamente ragione”
Fece segno di no con la testa e alzò il sopracciglio destro. Quanto adoravo quel suo tic…
“Se ti dicessi che sto per baciarti?”
‘Che cosa?!?’ urlai silenziosamente dentro di me. Ok, mi stava prendendo in giro. Era ovvio, dovevo aspettarmelo: tanto tenero e carino solo per umiliarmi ancora di più.
Lo guardai scettica con un’espressione di sfida. Ma lui non lasciò perdere, mi fissava intensamente negli occhi. Era serio?
“No, aspetta. Stai scherzando, vero?” gli chiesi con voce soffocata.
Lui non rispose. Ormai mi ero abituata a fare domande al vento. Si avvicinò un po’ al mio viso e io stavo per perdere completamente la testa, ma riuscii a spostarmi. Era serio!
“Fammi capire. Tu non eri quello romantico in cerca del vero amore? Un bacio è forse un gioco per te?” parlavo come una pazza. Ma la sua vicinanza, quella situazione e quegli occhi che non lasciavano i miei, mi mandavano in confusione, non riuscivo a formulare un pensiero compiuto.
“No non è un gioco” disse piano e il suo sorrisetto sparì.
“E allora se baci una persona, deve avere un significato, deve essere importante”
Non lo capivo. Si contraddiceva di continuo e mi confondeva sempre di più.
“Appunto. Chi ti ha detto che questo bacio non è importante? Solo perché ho detto che è irrazionale, non vuol dire che non vale niente. Anche il tuo ‘ti amo’ era irrazionale, ma vuoi forse dire che non era serio?”
“Il ragionamento fila…” osservai. In effetti aveva ragione. Ma mi sembrava così strano; forse era solo che non volevo crederci perché pensavo fosse solo frutto della mia immaginazione.
“Significa davvero tanto, credimi” mormorò avvicinandosi a me e cingendomi la vita.
Avvicinò il suo viso al mio e non appena sentii le sue labbra, chiusi gli occhi. Decisi di non pensare più a nulla tranne che a quel momento, decisi di fidarmi di lui. Il mio cervello si spense, il mio cuore accelerò all’improvviso e mi dimenticai di tutto. Era questo l’effetto che lui aveva su di me: riusciva a farmi perdere qualsiasi sorta di collegamento con la realtà.
Fu un bacio lento, intenso, tenero. Stavo bene lì, non volevo che finisse quell’attimo. Bill mi stringeva come se volesse impedirmi di scappare via; io gli accarezzavo il collo per dirgli che non sarei andata da nessuna parte. Almeno in quel momento.
Mi resi conto che era troppo. Per una volta pensai alle conseguenze e conclusi che più fossi rimasta lì, più avrebbe fatto male dopo.
Lentamente mi allontanai da lui, lasciando le sue labbra senza però volerlo davvero. Bill sorrideva; amavo quel sorriso. Io ricambiai e decisi che era ora di andarmene.
“Devo andare, Bill”
“No” mi disse lui.
Lo guardai continuando a sorridere e quando feci per andarmene, mi prese per un braccio.
“Aspetta un attimo”
“Cosa c’è?”
“Me lo dici un’altra volta?”
Non ci fu bisogno di chiedergli che cosa, lo sapevo già.
“Ti amo Bill. Addio”
Così dicendo me ne andai, con il cuore pieno di tristezza e il suo sapore ancora sulle labbra. Avrei potuto piangere, disperarmi, ma non sarebbe servito a nulla e soprattutto non potevo. Avevo avuto molto più di quello che potessi desiderare e non sarebbe stato giusto lamentarmi, anche se non potevo negare che il dolore mi straziava dentro.

*****

Bill

Rimasi lì con Sam a parlare per non so quanto. A dire il vero, io parlavo e lei mi ascoltava. Mi faceva tante domande e io rispondevo sinceramente, senza nasconderle nulla. Già di natura non ero un bugiardo e con lei soprattutto, non riuscivo a mentire.
Stavo così bene che non mi accorsi del tempo che passava e sarei rimasto lì per sempre se lei, ad un certo punto, non avesse detto che doveva andarsene. Andare via… non mi piacevano quelle parole, significavano che non l’avrei più vista. Non volevo pensarlo.
La aiutai ad alzarsi e intanto pensavo ad un modo per trattenerla ancora un po’, per non farla scappare via. Restammo un attimo in silenzio, in piedi, e io mi scervellavo per trovare un modo, anche stupido, per ritardare il suo addio solo di pochi minuti. Ma per fortuna ci pensò lei, che iniziò a parlare chiedendomi scusa.
Non capivo: scusa per cosa? Non dovevo perdonarla di nulla, non aveva fatto niente. Ma lei insisteva dicendo che aveva rovinato il meet&greet a tutti, che non aveva il diritto di dirmi che mi amava, che era egoista, insensata e irrazionale.
Quando disse quelle parole, finalmente capii cos’era, cosa c’era in lei che mi attraeva tanto: la sua completa illogicità, quel suo fare folle ed insensato, spesso contraddittorio. Sorrisi soddisfatto della mia conclusione e presi una decisione.
Mi accorsi che lei mi stava ancora parlando, ma io mi ero perso nei miei pensieri e non l’avevo più ascoltata. La sua espressione imbronciata mi divertiva un po’, era così tenera; probabilmente si era accorta che non ero attento alle sue parole.
“E se ora ti chiedessi il permesso per fare una cosa? Se ora fossi io quello insensato, impulsivo e irrazionale?” le chiesi deciso, senza chiederle di ripetere quello che aveva detto.
“Ti direi che, a questo punto, ne hai tutto il diritto. A meno che tu non voglia picchiarmi o cose del genere; anche se, lo devo ammettere, avresti assolutamente ragione”
Mi aveva dato il permesso… credo. Sì, aveva detto che ne avevo il diritto, quindi voleva dire che potevo, che non mi avrebbe tirato un ceffone come quelli che si vedono nei film. Ma dovevo esserne sicuro: non volevo rischiare che mi odiasse.
“Se ti dicessi che sto per baciarti?” mentre le facevo la domanda, il mio cuore batteva fortissimo. Chissà se lei riusciva a sentirlo; a me sembrava assordante.
Avevo paura che si arrabbiasse, temevo che non mi prendesse sul serio. E infatti l’espressione che si disegnò sul suo viso confermò le mie paure. Mi fissava scettica e mi chiese se per me era un gioco.
‘Un gioco? Sam, dico davvero, non ti sto prendendo in giro! Come posso fartelo capire?’ mi chiedevo, arrancando in cerca di una risposta che la portasse a fidarsi di me.
“No non è un gioco” fu tutto quello che mi venne in mente. La voce mi uscì un po’ soffocata e cancellai il mio sorriso: forse così sarei stato più credibile.
“E allora se baci una persona, deve avere un significato, deve essere importante” disse lei fermamente.
Non aveva capito, per me lei era importante, volevo baciarla proprio per dimostrarglielo. Era irrazionale, sì, ma non per questo era senza significato.
Giusto! Le illuminazioni migliori mi venivano sempre spontaneamente, se pensavo troppo, tiravo fuori solo stupidate. Le spiegai che quel bacio, quello che provavo, era come il suo “ti amo”: folle ma vero. Si convinse, decise di fidarsi di me ed ero al settimo cielo. Volevo davvero che capisse quello che avevo dentro.
La abbracciai, impaziente di averla di nuovo vicina e di sentire ancora il suo profumo e il battito del suo cuore. Chiusi gli occhi abbandonandomi a quel bacio. Era assurdo quello che stava succedendo, ma era la cosa che più desideravo. Non riuscivo a pensare ‘Sto sbagliando’ perché il mio cuore mi diceva il contrario. Non conoscevo quella ragazza, ma sentivo che era giusta per me. Era una specie di sesto senso o forse era a causa di quella scintilla nei suoi occhi che avevo notato fin dal primo istante. Non lo sapevo e non mi interessava. In quel momento volevo solo sentire lei e il suo amore, trasmetterle il mio.
Mi accarezzava il collo delicatamente e mi fece perdere la testa. Era da troppo tempo che non provavo emozioni simili. Speravo che tutto quello non finisse mai; ma lei si allontanò da me e mi disse che doveva andarsene.
Quelle parole furono un colpo, ma non insistetti troppo per trattenerla: aveva la sua vita, doveva andare e viverla. Tanto ero sicuro che prima o poi sarebbe tornata da me, in un modo o nell’altro ci saremmo ritrovati. Perché lei era quella giusta per me, io ero quello giusto per lei. Mi sorrideva. Era splendida quando sorrideva. Fece per andarsene, ma la fermai.
“Aspetta” le dissi.
“Cosa c’è?”
“Me lo dici un’altra volta?”
Avevo ancora bisogno di sentirmelo dire e lei capì.
“Ti amo Bill. Addio” e se ne andò, senza più voltarsi a guardarmi.
Non la seguii, non cercai di fermarla.
‘Non è un addio, Sam…’

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Capitolo 4
*** Epilogo ***


Epilogo

Sam

Arrivata nella hall, non feci in tempo a guardarmi intorno che avevo già Niky addosso.
“Sam, stai bene? Dove sei stata? Cos’è successo? Cosa hai fatto? Soprattutto, com’è andata?”
La sua voce era preoccupata, ansiosa; la capivo: anche io lo sarei stata. Ma non le risposi subito.
“Sei scesa in ascensore?” le chiesi quando mi accorsi che non era passato nessuno dalle scale.
“Sì, ma che c’entra, Sam?!” esclamò esasperata.
Io mi misi a ridere. Forse perché mi sembrava assurdo tutto quello che era successo. Mi diressi fuori dall’hotel, bisognosa di aria fresca.
“Allora, mi vuoi rispondere? Cos’è successo?” ripeté Niky seguendomi fuori dalla porta di vetro.
“E’ una storia lunga, te la spiego mentre andiamo a casa”
Le sorrisi e quel gesto sembrò rassicurarla, così che per un po’ fermò le domande a raffica.
Il sole si stava abbassando e la luce giallo-aranciata illuminava la strada deserta. Il cielo era meraviglioso. Fissandolo mi venne subito in mente Bill; ci eravamo appena separati e già mi mancava da morire. Come avrei fatto per il resto della mia vita senza di lui? Avrei dovuto imparare a convivere con quel vuoto che si era creato dentro di me dopo quel pomeriggio.
Era difficile e faceva male. Sentivo ancora le sue labbra, il suo respiro, le sue mani, il suo profumo. I ricordi di quell’attimo appena passato erano troppo accesi, troppo reali. Mi colpivano ogni istante con immagini dolci e piene d’amore. Quei ricordi mi straziavano il cuore e rendevano tutto meravigliosamente atroce. Per quanto sarei riuscita a sopportarli?
Avevo bisogno di raccontare tutto a Niky, ma non ne avevo il coraggio. Parlarne ad alta voce avrebbe concretizzato tutto, anche il fatto che non avrei mai più rivisto Bill. Non sapevo se avrei trovato la forza per accettarlo, almeno non per il momento.
Nonostante l’espressione serena, dentro l’angoscia era enorme. Continuavo a pensare e ripensare, quelle sensazioni, quelle emozioni, quei gesti, tutto sembrava tornare apposta per torturarmi. Avrei solo voluto poter svuotare la mente e sentirmi leggera, libera da quel peso che mi schiacciava il cuore.
“Sam, ma mi stai ascoltando?”
Solo allora mi resi conto che Niky mi stava raccontando il meet&greet in ogni piccolo particolare.
“Sì, certo. Vai avanti” la incoraggiai, appoggiandomi alla pensilina della fermata dell’autobus.
Niky ricominciò a spiegarmi di quando Tom l’aveva abbracciata per fare la foto e di quanto era stato carino quando le aveva dato un bacio sulla guancia.
All’inizio cercai di concentrarmi sulle sue parole, sperando di trovare una distrazione dai miei pensieri, ma poco dopo mi persi di nuovo nel ricordi di quegli occhi brillanti e caldi in cui ero caduta senza più riuscire ad uscirne.
Automaticamente infilai le mani nelle tasche posteriori dei jeans, come ero solita fare quando aspettavo ferma in piedi. Ma la tasca sinistra non era vuota.
“Ma che cosa…” pensai ad alta voce tirando fuori la mano dalla tasca.
Niky interruppe il suo racconto e mi chiese cosa succedeva.
“Niente, ho trovato questo nella tasca dei jeans. E’ strano, di solito non ci metto nulla” le spiegai.
“Ma cos’è?”
“Non lo so” guardai meglio ciò che avevo nella mano “sembra un foglietto piegato…”
“Aprilo!” mi suggerì lei.
Non me lo feci ripetere due volte, anche se ci volle un po’: era piegato così tante volte che all’inizio sembrava quasi un sassolino bianco. Finalmente riuscii a stendere il pezzo di carta.
“Allora? Che cos’è?” domandò curiosa Niky.
Un sorriso immenso mi si disegnò sul viso e sentii di nuovo l’aria nei polmoni, come se fino ad allora fossi stata in apnea.
C’era un numero scarabocchiato e sotto una frase.
Chiamami e… dimmelo, ancora una volta.

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