Sente distintamente qualcuno bussare alla porta, ma decide di
non muoversi. E' comoda; il maglione morbido e un po' sformato, i piedi
allungati sul divano e il riscaldamento acceso sono tutte motivazioni più che
sufficienti alla sua immobilità. Non vuole alzarsi, la giornata è stata pesante
e stancante. Non ha fatto altro che parlare e stare con altre persone e adesso
desidera solo starsene un po' in santa pace. In più, sa già che non può essere
Carter, visto che è partito il giorno prima per andare a Boston da suo
padre.
Ma il bussare la disturba ancora. E' più insistente, adesso,
e, Abby lo potrebbe anche giurare, è macchiato da una nota di
disperazione. Quasi come se la risposta della donna fosse necessaria alla
salvezza della persona sul pianerottolo. Abby mugola infastidita, molto
infastidita, ma si alza, sconfitta. Trascina i piedi fino alla soglia,
sentendo già che il suo corpo sta disperdendo il calore accumulato.
Gira la chiave ed apre un po' la porta: "Sì?"
Nessuna
risposta dall'altra parte, ma lei riconosce l'uomo che si nasconde parzialmente
alla sua vista. Perché, lei lo realizza improvvisamente, c'è solo una persona
che si può materializzare alle dieci di sera. Soprattutto
dopo il casino infernale che ha combinato ieri. Con un gesto rapido
toglie il chiavistello e spalanca la porta. Bingo,
Abby!
Lui la osserva, in religioso silenzio, con lo sguardo di un
bambino che sa di meritarsi una punizione. Uno strano contrasto, il suo corpo
statuario e slanciato e forte, ma avvolto da fragilità e debolezza
indescrivibili.
Abby gli fa
un gesto con la mano, invitandolo ad entrare, ma lui non si muove. Sta
aspettando, Dio solo sa cosa, visto che non si è ancora deciso ad aprire bocca e
che non sembra minimamente intenzionato a farlo. Ed a quel punto lei nota la
valigia blu scuro accoccolata ai piedi dell'uomo con il suo bel cartellino per
l'identificazione ancorato alla maniglia. Abby solleva le sopracciglia in modo
interrogativo e poi torna a fissarlo. Il colore dei suoi occhi è qualcosa di
indefinito, un verde scuro mischiato al grigio, un colore riscontrabile solo
nelle sue iridi; la carnagione è pallida, spenta, il tipico colore di chi si sta
trascurando e due occhiaie bluastre disegnano archi profondi e drammatici sotto
i suoi occhi. Sembra quasi un morto. Da quanto tempo
starà così? Da prima di ieri, ma io non ho prestato troppa attenzione, anzi ci
ho pure scherzato su.
"E quella?" Non può non domandare. Ne ha il diritto. D'altra
parte è lui che si è presentato inaspettato alla sua porta.
"Sto per partire" E basta, non ritiene necessario aggiungere
altro.
Lei continua a fissarlo per cercare una risposta oltre le sue
orbite stanche, il viso un po' emaciato e le labbra screpolate. Ovviamente non
ne sapeva nulla; ma quando mai ha saputo qualcosa di lui? Quando lui l'ha resa
partecipe? Sbuffa, con un moto di stizza: è così tipico da parte sua metterla di
fronte al fatto compiuto. Lo fa in continuzione. Lo faceva quando stavano
insieme e ha continuato a farlo poi. E lo fa anche
adesso, tante grazie. E' un comportamento così da Luka che a lei viene
quasi da ridere.
Eppure qualcosa solletica la sua mente, un altro pensiero,
un'altra conclusione, qualcosa capace di cancellare la stizza e lasciare spazio
ad una sorta di orgoglio perverso. Si può senz'ombra di dubbio affermare che
nessuno sa praticamente nulla di Luka. Nulla del suo passato, nulla dei suoi
hobbies, nulla delle sue amicizie e frequentazioni. Ma lei è una specie di
eletta, perché almeno lei è messa al corrente delle sue azioni irrazionali, Ed è
sempre lui a volerla mettere al corrente, perché lei sa, lei può capirlo.
Non ha bisogno di spiegare, non a lei.
"Parti?", solo un po' sorpresa.
Lui la
fissa per qualche istante, le parole che ha pronunciato da contare sulla punta
delle dita.
Così da copione, così da lui, così familiare.
Poi le afferra una mano, un gesto delicato ma deciso.
E per nulla inaspettato. Lo sapevo. E lo aspettavo.
"Vieni con me"
Non è una domanda. E' risoluto nella sua affermazione, così
come lo era lei nella stanza d'albergo, mille anni fa, quando gli ha sussurrato che non c'era bisogno di parlare. Ed era vero.
Lei gli stringe la mano, sentendo la sua pelle fredda in
contrasto con la sua. La fissa con gli occhi spalancati ed il timore che lei si
possa arrabbiare e lo possa mandare via. D'altronde ne avrebbe il diritto. Non è
stato invitato lì. E lei non ha ancora chiaro il motivo della sua
non-richiesta.
Abby pensa a John, il suo fidanzato, pensa che ha voluto
mettersi insieme con lui, che hanno scelto il momento giusto. Pensa che ci sono
stati tantissimi momenti belli tra di loro e che altri ce ne potrebbero essere,
ma pensa che non è esattamente tutto come si aspettava. Ed è una lama fredda,
più fredda delle mani di Luka, che non ha mai preteso nulla da lei, che non ha
mai provato a giudicarla, aggiustarla o salvarla. Luka, che è lì, in quel momento, con
una valigia chiusa ed il cartellino col nome. Luka che sta per partire e le ha
fatto una proposta, che non sembrava una proposta, ma sotto sotto lo era, perché
lei lo sa che è terrorizzato e fragile ed ha bisogno di conforto, lo stesso
identico conforto che lei gli ha dato anni fa. E lei ha un ragazzo adorabile
che, però, non è lì. Lo sa cosa sta per chiedere Abby, perché al
destino non si può sfuggire, perché quando Luka si presenta alla tua porta dopo
aver rischiato di buttare a puttane la sua carriera, essersi quasi ammazzato (ed
aver quasi ammazzato Erin), e ha una valigia e ti dice che parte c'è solo una
domanda, una, che si srotola, da sola, sulla lingua di
Abby:
"Quando partiamo?"