Passato...Presente...Futuro...

di Rain e Ren
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. Ricordi ed Esami. ***
Capitolo 2: *** 1. Incontri e Scontri. ***
Capitolo 3: *** 2. Ciò che non si può dimenticare. ***
Capitolo 4: *** 3. Prime verità a galla. ***
Capitolo 5: *** 4. Profumo di guai. ***
Capitolo 6: *** 5. In riva al mare... ***
Capitolo 7: *** 6. Qualcosa di nuovo. ***
Capitolo 8: *** 7. Oblio. ***
Capitolo 9: *** 8. Nascondino. ***
Capitolo 10: *** 9. ...Passato... ***



Capitolo 1
*** Prologo. Ricordi ed Esami. ***


Tutti i personaggi di questa fanfiction non mi appartengono e questa fanfictio non è scritta a scopo di lucro.



Prologo.


Il sole penetrava attraverso le finestre illuminando l’aula.
Dentro ad essa, la tensione era palpabile.
Il silenzio regnava sovrano, e l’unico rumore era quello delle penne stranamente solerti degli studenti che scrivevano freneticamente sulla carta, bloccandosi di tanto in tanto per concedersi un attimo di riflessione su questa o quella domanda.
Tutto taceva, e quella calma era quasi falsa.
Per anni i professori avevano provato a tenere buoni quegli scalmanati dei loro studenti, e proprio ora che quell’utopia si era realizzata, loro si sentivano quasi in colpa.
Erano sempre stati casinisti, rompi scatole all’inverosimile e malandrini fin dentro l’anima, ma erano bravi ragazzi, brillanti e generosi, leali verso se stessi e i loro amici, fedeli verso chi amavano.
Era stata dura andare avanti per tre anni consecutivi, dovendo subire tutti gli scherzi, le marachelle e i tiri mancini che erano in grado di combinare; e poi tutte le scuse, alcune volte davvero campate in aria, che riuscivano ad inventarsi da un momento all’atro per non finire in punizione.
Erano stati tre anni davvero strani, difficili e complicati, sia per i professori sia per gli alunni. Erano successe talmente tante cose che si sarebbe potuto scrivere un libro.
E ora gli insegnati guardavano quasi con malinconia quei ragazzi che erano stati il loro incubo per tanto tempo, ma a cui erano affezionati quasi come figli.

Isabel si bloccò un momento per sbadigliare per l’ennesima volta nella mattinata.
Se pensava a tutte le cazzate che avevano fatto la sera prima…
Le veniva da sorridere al pensiero che tutto quello, tutta quella storia, era iniziata un giorno di settembre con un semplice scontro.
O meglio, per lei aveva avuto inizio qualche mese prima, a causa della morte di suo nonno, ma la vera avventura era cominciata con quell’incontro pazzo ed impensabile, ma ancora vivo nel suo cuore. E da quel giorno le cose erano cambiate radicalmente.
E tra litigate, risate, baci, musica, canzoni e tanto, tanto amore e amicizia, si era arrivati ad allora, agli ultimi giorni di scuola.
Dopo gli esami tutto sarebbe finito, o solamente in parte.
Erano cresciuti insieme, imparando i veri valori della vita, ma la fine della scuola rappresentava un passo comunque grande per loro che, alla fine, erano sempre rimasti ragazzi pieni di sogni e speranze.
Avevano paura, tanta paura, che tutto si dissolvesse come fumo, e che loro si dividessero per sempre. E così la sera prima avevano festeggiato…
Erano andati sulla spiaggia, per le vide della città, sulle colline, nel loro parco…insomma, dappertutto.
Erano andati senza una meta precisa.
Semplicemente avevano preso le moto dei ragazzi ed erano partiti in quarta per la città, senza pensare a dove andare, senza un programma preciso, senza problemi di alcun genere o seghe mentali.
Si erano divertiti da pazzi, facendo ogni genere di cazzate.
Avevano fatto il bagno a mezzanotte, una battaglia di gavettoni, avevano tirati fichi e palloncini pieni di acqua e sapone sulle finestre dei lori insegnati, si erano rotolati giu per le colline, gare di moto, gare di Karaté, di skateboard, partite di calcio, pallavolo, basket, si erano lanciati in una fontana, avevano giocato con i fuochi d’artificio ecc…
Isabel non sapeva com’erano riusciti a fare tutte quelle cose in una notte, ma di sicuro era stata la migliore della sua vita; non erano andati a dormire, ma si erano messi sulle colline ad osservare l’alba.

La ragazza guardò l’orologio: mancava ancora mezz’ora e lei aveva gia finito il test!
Appoggiò la penna e si fece invadere dai ricordi.
La sua mente volò indietro nel tempo, a quanto tutto aveva avuto inizio…
Al loro incontro!




Allora, questa è la mia prima ff su Saint Seiya, spero che vi piaccia. visto che non sono capace di descrivere battaglie e guerre ho pensato di scrivere un AU.
Forse ho modificato un pò il carattere dei personaggi, e se l'ho fatto non era mia intenzione.
Spero che recensirete in molti!
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** 1. Incontri e Scontri. ***


Ecco il primo capitolo.



1. Incontri e Scontri.


“ No, Mylock, lascia perdere. C’è la faccio da sola.” Ripetè per l’ennesima volta in quella mattina Isabel.
Dio, possibile che quell’uomo non capisse che era perfettamente in grado di farcela da sola senza bisogno di lui?! Accidenti, non aveva mica quattro anni! Sapeva cavarsela da sola.
“ Ma, Milady, la prego di ragionare…” tentò nuovamente il maggiordomo di casa Thule, sperando di riuscire a convincerla.
Isabel sbuffò incrociando le braccia al petto e scuotendo la testa: era una caso perso!
Da quando lo conosceva Mylock era sempre stato iperprotettivo nei suoi confronti; la seguiva ovunque, le faceva sempre da guardia del corpo…alcune volte l’aveva anche pedinata per sapere dove andava!
Manco fosse suo padre…!
La ragazza lo guardò di sottecchi per qualche istante. Alto e ben fatto, tanto da sembrare un armadio rispetto a lei, pelato come sempre da quando lo conosceva, ovvero da quando era nata, e sempre e costantemente vestito in camicia e cravatta come un damerino.
Era stato buon amico di suo nonno, nonché capo di tutta la servitù di casa Thule; l’anziano signore si fidava ciecamente di lui, tanto che gli affidava Isabel quando lui non era in casa…
- …ovvero sempre…- pensò tristemente Isabel al ricordo del defunto nonno.
“ Lady Isabel…” il richiamò di Mylock la riportò alla realtà e lei scosse la testa.
“ Cosa c’è?” chiese sospirando, chiedendosi se la storia sarebbe andata avanti ancora a lungo.
“ È sicura che…” tentò piano mentre lei alzava gli occhi al cielo.
“ Si, sono sicura.” Ripetè come se fosse una nenia. “ Mylock…sono le 8:30 di mattina, e io non ho voglia di discutere. Senza contare che la scuola non è poi tanto distante, e io conosco Tokio…dai, mica mi perdo.” Disse con un sorriso. L’uomo la guardò per un momento senza sapere cosa dire. Alla fine sospirò sconfitto e abbassò il capo. “ Va bene.” disse alzando le spalle.
“ Grazie!” saltò su la ragazza abbracciandolo di slancio e dandogli un bacio sulla guancia mentre lui assumeva tutte le tonalità possibili. “ Sei il miglior maggiordomo del mondo.” E corse su per le scale della villa, dirigendosi nella sua camera saltellando tutta contenta.
“ Quella ragazza è impossibile…” sbuffò Mylock quando ormai lei non poteva sentirlo.

Isabel aveva fatto tutte le scale saltellando come una cavalletta dalla felicità.
Era raro che Mylock la lasciasse libera di comportarsi come tutte le sue coetanee dato il titolo che ricopriva, ma qualche volta riusciva anche a strappargli quei permessi che per lei significavano libertà totale.
Corse nella sua stanza come un tornado, prese un elastico dal comò e si sistemò i lunghi capelli indaco in una coda veloce prima di osservarsi allo specchio con fare scettico.
- Accidenti a questa dannata divisa…!- pensò sbuffando davanti alla sua immagine riflessa.
In America, dove abitava prima, quelle cose non passavano nemmeno per l’anticamera del cervello della gente. A scuola ognuno andava vestito come voleva…il che era un gran vantaggio visto il suo rifiuto per le gonne.
Lo sapeva che era strana. Tutte le sue coetanee portavano minigonne in continuazione per far colpo sui ragazzi, lei invece era totalmente indifferente a questo genere di cose, e tutte le prediche delle sue ex compagne le entravano da un orecchio e le uscivano dall’altro.
Osservò la divisa scolastica che indossava con evidente scetticismo. Era composta da una minigonna blu e una maglia alla marinara con un nastro rosso attorno al colletto.
Tutto sommato, si disse Isabel, non era poi così brutta come l’aveva immaginata; doveva solo farci l’abitudine e poi avrebbe smesso di pensarci.
Gettò uno sguardo all’orologio accorgendosi che era tardissimo. Prese al volo la cartella e si diresse correndo fuori dalla stanza; una volta arrivata alle scale si sedette sul passamano e si lasciò scivolare giù a tutta velocità.
“ Milady!” urlò Mylock appena la vide, ma lei lo superò gridandogli contro che era in ritardo e sparì oltre la porta della casa.

Una volta uscita in strada Isabel assaporò a pieno l’aria fresca della mattina.
Si stiracchiò e respirò a pieni polmoni prima di mettersi a correre lungo il marciapiede.
Sorrise, finalmente tutto stava passando…
Quand’era tornata in Giappone, quell’estate, la morte di suo nonno l’aveva così sconvolta che aveva vissuto in uno stato di totale apatia tutto il tempo. Non riusciva ad accettare la cosa, e più si diceva che doveva andare avanti, più il ricordo di quel maledetto incidente le tornava alla mente.
Aveva passato l’estate chiusa nella sua stanza, distesa sul grande letto a baldacchino con gli occhi vacui che osservavano chissà cosa. Non aveva pianto perché ormai non aveva più lacrime da versare…anche se l’avrebbe voluto.
- Ma alla fine c’è l’ho fatta.- pensò orgogliosa di se stessa la ragazza.
Era riuscita a rialzarsi. Certo, ci aveva messo un po’ di tempo, ma alla fine era tornata le stessa di sempre, o quasi…
Concentrata com’era sui suoi pensieri, non si rese conto che stava andando a sbattere contro qualcuno fino a quando non si ritrovò seduta per terra.
“ Ma guardi dove vai?” chiesero in coro i due, e Isabel si rese conto si essersi scontrata con un ragazzo della sua stessa età.
“ Io si, per quanto riguarda te ho qualche dubbio.” Disse lui alzandosi in piedi e guardandola male.
“ Se davvero è così allora potevi anche spostarti invece che venirmi addosso.” Ribatté lei alzandosi a sua volta e pulendosi la gonna dalla polvere.
“ Ma come…” ma la voce del ragazzo venne bloccata da una femminile.
“ Avanti Pegasus, si più gentile.” Disse una ragazza comparendo alle spalle di lui. “ Perdona mio fratello, a volta dimentica le buone maniere.” Si scusò lei con un sorriso.
“ Non preoccuparti.” Rispose Isabel alzando le spalle. “ A proposito, io mi chiamo Isabel.” E le tese la mano. “ Io sono Patricia, piacere.” Disse lei afferrandola. “ E questo galantuomo dietro di me è mio fratello Pegasus.” E indicò il ragazzo che si limitò ad una smorfia.
“ Sai, ho come l’impressione che tu non abbia dimenticato le buone maniere…semplicemente nemmeno le conosci.” Notò Isabel rivolta a Pegasus.
“ Cosa?” gridò lui facendo voltare tutta la strada.
“ Datti una calmata e abbassa la voce, stai dando spettacolo.” Gli disse lei incrociando le braccia al petto.
Nel frattempo, vicino a loro, Patricia si stava chiedendo se quei due avessero intenzione di andare avanti ancora molto dato che ormai tutta la strada si era voltata a guardarli.
Per sua fortuna arrivò l’autobus e la lite ebbe fine. Isabel montò davanti mentre Pegasus dietro seguito dalla sorella.
“ Ma chi si crede di essere quella?” sbottò il ragazzo.
“ Dai, aveva ragione lei. Potevi anche evitarla.” Gli disse la sorella con un sorriso.
“ Ora la difendi pure?!”
Patricia rise e guardò il fratello con la faccia di chi la sa lunga.
“ Perché hai quell’espressione?” chiese lui.
“ Mah, così…” disse vaga.
“ Patricia…”
“ Non è che lei ti piace?”
Pegasus per poco non cadde a terra dopo le parole della sorella. La guardò come se fosse pazza e scosse la testa.
“ Sei sicura di sentirti bene? Non è che hai bevuto qualcosa stamattina a colazione?” chiese sconvolto.
“ Quindi non ti piace?!”
“ Certo che no!” e sottolineò quel no in modo che non si potesse più dire nulla prima di tornare a far vagare lo sguardo sull’autobus, ma questo cadde proprio su di lei.
Aveva lunghi capelli indaco legati in una coda bassa, le sopracciglie fine, il naso un po’ all’insù alla francesina accentuava la dolcezza del suo viso, le labbra carnose ma non troppo; ma quello che colpì di più il ragazzo furono i suoi occhi. Stesso colore del cielo notturno.
Neri con dei magnetici riflessi blu elettrico risaltavano sulla pelle di porcellana facendola sembrare quasi una bambola.
- Sarà la classica ragazzina tutta fronzoli e poco cervello.- pensò il ragazzo con un’ultima occhiata veloce.

Isabel aveva appoggiato la testa sul finestrino e ora guardava il paesaggio urbano muoversi fuori dal mezzo.
Ma chi si credeva di essere quel ragazzino? L’aveva trattata come una bamboccia e questo le dava sui nervi. Con chi credeva di avere a che fare? Con una stupida?
Bè, si sbagliava di grosso!
Isabel fece saettare gli occhi nella direzione dei due ragazzi e li osservò meglio.
Lei, Patricia, doveva avere uno o due anni in più di lei. Portava la sua stessa divisa, così come il fratello, con la sola differenza che la gonna era un po’ più lunga. Aveva corti capelli rossi ricci, la carnagione chiara e due grandi occhi nocciola dolci e sinceri.
Suo fratello, invece, Pegasus… Solo il suo nome le faceva ribollire la rabbia dentro…!
Portava dei pantaloni neri e una giacca dal collo rigido dello stesso colore aperta sui primi bottoni, così da lasciare intravedere la maglia rossa al di sotto. Aveva i capelli castano scuro che gli arrivavano poco sopra le spalle, la carnagione un po’ più scura di quella della sorella e come lei aveva due grandi occhi nocciola, ma dubitava fortemente che fosse una persona dolce e sensibile. Sembrava più uno di quei bulletti che si vantano in continuazione.
In quello l’autobus si fermò e lei scese rendendosi conto che anche gli altri due ragazzi erano scesi con lei.

“ Ehi, Pegasus, Patricia. Siamo qui.” Urlò una voce.
Sentendosi chiamare, i due ragazzi si voltarono e videro un ragazzo dai lunghi capelli verdi e gli occhi del medesimo colore alzare un braccio nella loro direzione per farsi notare.
“ Ciao Andromeda.” Esclamò Pegasus raggiungendo il ragazzo insieme alla sorella. “ Dove sono gli altri?” chiese poi notando l’assenza degli altri del gruppo.
“ Arriveranno.” Si limitò a rispondere Andromeda.
Non aveva nemmeno finito di parlare che tre ragazzi arrivarono alle loro spalle.
“ Cristal, Sirio, Phoenix…era ora.” Esclamò il moro con un sorriso.
“ Sta zitto, Pegasus, che di solito sei tu quello che arriva sempre in ritardo.” Gli fece notare un ragazzo biondo e dagli splendidi occhi azzurro ghiaccio.
“ Appunto per questo l’ho detto, Cristal.” Ribatté Pegasus con un sorriso.
“ Piuttosto…avete sentito che abbiamo cambiato professore d’inglese?” chiese un ragazzo dai lunghi capelli neri e gli occhi blu rivolto agli altri.
“ Si, ma nessuno ha la minima idea di chi possa sostituirlo.” Rispose un ragazzo dai capelli blu e gli occhi dello stesso colore. “ Ma non sei tu, Sirio, l’esperto informatico?” chiese poi rivolgendosi al compagno.
“ Phoenix ha ragione, potresti provare a scoprire chi è.” Notò Cristal sedendosi per terra.
“ Mi spiace, ma ci ho gia provato e non sono riuscito a sapere nulla.” Spiegò Sirio sconsolato.
Il gruppo rimase in silenzio per alcuni istanti, fino a quando Phoenix non si accorse di una ragazza appena entrata dal cancello.
“ Ehi, guardate quella.” Disse rivolto hai compagni.
“ Mai vista.” Notò Cristal.
“ Sarà una nuova.” Disse Pegasus senza nemmeno guardare di chi stavano parlando, ma quando alzò lo sguardo per vedere il suo cuore mancò un battito.
Era lei.

Quando Isabel entrò nel cortile di quella che da allora sarebbe stata la sua prigione, si rese conto, con notevole disappunto, che gli occhi di tutti gli studenti erano puntati su di lei…e questo la fece un tantino irritare. La verità era che non amava stare al centro dell’attenzione, e tantomeno sentirsi un fenomeno da baraccone, perché era proprio così che si sentiva con tutti quegli sguardi addosso.
Per questo adorava le scuole americane dove nessuno ti nota se non hai un certo gruppo o un certo nome, e lei aveva sempre cercato di fare in modo che non fosse così. Gia il semplice fatto di essere la nipote di Alman di Thule, l’uomo più ricco di tutto il Giappone, rappresentava un problema quando si trattava di fare amicizie, figuriamoci se ci si metteva pure lei a sottolineare la cosa!
La nipote del duca Alman di Thule…
Quanti ricordi l’assalivano al sentir pronunciare questa frase; ricordi belli e ricordi brutti, ricordi che forse, se fosse stata in grado di cancellare, sarebbe stato meglio…
I suoi occhi si velarono improvvisamente e per un momento ebbe l’impressione che sarebbe stramazzata al suolo, ma ritrovò presto la solidità sulle proprie gambe e la determinazione che le apparteneva da sempre. Si guardò intorno con un pizzico di curiosità infantile.
Il cortile era ampio, e proprio davanti al cancello c’era la scuola. Voltandosi verso destra notò vari gruppetti di ragazzi appollaiati sui muretti intenti a chiacchierare, a ridere o a copiare i compiti per le vacanze in tutta velocità. Voltandosi verso sinistra vide alcuni gruppetti di ragazzine che ridevano come oche per qualche pettegolezzo e…
Il suo cuore mancò un battito quando vide un gruppo di ragazzi seduti sotto un albero a poca distanza da lei.
Era lui.

Nel momento stesso in cui Pegasus alzò lo sguardo per vedere chissà quale ragazza avesse attirato gli sguardi dei suoi amici, Isabel portò il suo proprio in quel punto.
Entrambi i ragazzi rimasero spiazzati per un momento vedendo l’altro, ma da sorpresi i loro sguardi divennero presto arrabbiati e indifferenti. Voltarono la testa nello stesso instante e interruppero il contatto visivo.

Non appena Pegasus girò la testa dall’altra parte, gli sguardi sorpresi di Sirio, Cristal, Andromeda e Phoenix gli si poggiarono addosso.
“ Perché mi guardate così?” chiese il moro non capendo.
“ Perché abbiamo come l’impressione che tu e quella ragazza vi conosciate.” Rispose Sirio laconico.
“ Naaaah…” disse Pegasus ripensando all’incontro, o per meglio dire allo scontro di poco prima.
“ Ma come, fratellino, non glielo dici hai tuoi amici?” gli chiese Patricia con voce angelica.
“ Dirci cosa?” domandarono i ragazzi in coro.
“ Bè, come dire…questa mattina, venendo a scuola, mio fratello e quella ragazza si sono scontrati…” raccontò la ragazza facendo la vaga. “ …e ho come l’impressione che lei gli piaccia…” terminò sorridendo malefica.
A quelle parole, per poco a Pegasus non prese un infarto.
“ Ancora con ‘sta storia?” gridò alla sorella. “ Ma ti ci sei proprio fissata. Quante volte te lo devo ripetere: quella li non mi piace!” e sottolineò la parola non in tono che non ammetteva repliche; prese poi la sua roba e si diresse verso l’edificio alle sue spalle. “ E poi io c’è l’ho gia la ragazza!”
“ Ma che gli è preso?” chiese Cristal senza capire.
“ Mi sa che abbiamo toccato un tasto dolente.” Rispose Andromeda ridendo.
“ Gia, quella ragazza gli piace proprio.” Finì Patricia scoppiando a ridere anche lei seguita da tutti gli altri.

Poco distante, nascosta dietro un muro della scuola, una ragazza dai capelli color verde chiaro stava ribollendo di rabbia.
Ma come si permetteva quella smorfiosa di trattare così Pegasus, il suo Pegasus!?
Lei l’aveva sempre amato, fin dal primo momento che l’aveva visto, e ora quella ragazzina appena arrivata da chissà dove si metteva in mezzo.
No, non le avrebbe permesso di portarglielo via.
A qualunque costo!



Come vi sembra?
Un arrivo a scuola movimentato, non c’è che dire, ma vi assicuro che anche il primo giorno di scuola si rivelerà pieno di sorprese per i nostri amici.

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Capitolo 3
*** 2. Ciò che non si può dimenticare. ***


Secondo capitolo postato!
Ringrazio HollyMartin per l’incoraggiamento!
In questo capitolo succederà qualcosa di inaspettato che darà il via ad una serie di misteri che…
Bhè, leggete e saprete!
Baci!




2. Ciò che non si può dimenticare.


“ Allora ragazzi, da oggi avrete una nuova compagna.” Disse il professore richiamando l’attenzione della classe su di se. “ Si chiama Isabel Kido, si è appena trasferita dall’America, perciò cercate di aiutarla con la lingua se ne avrà bisogno.” E guardò i ragazzi sperando che alcuni di essi non avrebbero combinato l’esatto contrario. “ Bene, avete domande da farle?” chiese poi.
Dalla seconda fila una ragazza con lunghi capelli biondi legati in una coda e occhi color del mare alzò la mano.
“ Si Nemes?” le diede la parola il professore.
“ Volevo solo sapere se conosce almeno un po’ della nostra lingua.” Disse semplicemente.
L’uomo si preparò a tradurre la frase in inglese ma Isabel, sorprendendo tutti, lo precedette.
“ Sono andata a vivere in America quando avevo 6 anni, ma prima ho vissuto qui in Giappone, perciò conosco la lingua.” Spiegò velocemente.
“ Bene, quindi presumo che non avrai problemi con la lingua. Ora ci sono altre domande?” chiese ma dato che nessuno alzò la mano fece accomodare Isabel in penultima fila, proprio davanti a…
- Non è possibile! Ancora lui!?- pensò mentre sentiva la rabbia ribollire dentro solo vedendolo.
Notando la ragazza davanti a lui, Pegasus sbuffò: sarebbe riuscito a liberarsene?
Isabel si sedette senza degnarlo di uno sguardo.
Sarebbe stato un lungo anno.

Era passato un quarto d’ora buono da quando la lezione era cominciata, e Isabel si rese conto di non aver ascoltato una sola parola.
Portò lo sguardo sul professore osservandolo meglio. Sulla cinquantina, alto e ben fatto con due candidi baffoni che gli davano un’aria rassicurante e al tempo stesso inquietante.
- Assomiglia al nonno…- pensò mentre gli occhi le si velavano di nuovo.
No, doveva smettere di pensarci. Quell’uomo era morto, morto e sepolto…e non sarebbe tornato indietro. Doveva farsene una ragione e andare avanti, non poteva vivere per sempre con il fantasma di ciò che era successo.
Da quando l’uomo era morto la sua vita aveva subito cambiamenti radicali. Come quello di tornare in Giappone dopo ben 10 anni di assenza; ma questa era stata la parte più positiva della faccenda.
In quel paese, e in quella città per lo meno, nessuna la conosceva, nessuno sapeva chi era davvero.
Alla televisione o sui giornali la presentavano sempre come Lady Isabel di Thule, la duchessa nipote dell’uomo più ricco del Giappone, Alman di Thule.
Per questo motivo aveva deciso di chiamarsi Isabel Kido, perché nessuno conosceva quel suo secondo cognome, e lei avrebbe potuto ricominciare semplicemente da zero, come se il passato non esistesse. Ed essere semplicemente Isabel, senza il peso del ruolo e del titolo che portava sulle spalle.
“ Isabel.” La chiamò il professore e lei sbatté le palpebre confusa.
“ Si?”
“ Potresti venire alla lavagna a risolvere quest’equazione?” disse porgendole il gesso. Lei si alzò e lo prese senza esitazione.
- Vediamo come se la cava adesso la ragazzina.- pensò Pegasus sghignazzando.
“ Posso sapere cos’hai da ridere?” gli chiese, accanto a lui, Andromeda.
“ Lei non ha nemmeno seguito una parola della lezione, perciò non saprà risolvere quell’equazione, e sarà nei guai.” Gli spiegò sorridendo.
“ Ma cos’hai contro di lei?” domandò l’amico.
Ma Pegasus non potè rispondere perché un gesso lanciato dal professore lo centrò in piena.
“ Pegasus potresti gentilmente tacere e ascoltare, anche se immagino che per te la scuola sia un optional.” Lo riprese l’insegnante prima di tornare a guardare la lavagna dove Isabel aveva ormai completato l’esercizio da un po’ e si stava godendo la scena. “ Molto bene, perfetta.” Esclamò poi notando il risultato giusto.
“ Ma come cavolo ha fatto?” chiese Pegasus rivolto ad Andromeda.
“ E io come faccio a saperlo?” rispose quello.
Isabel nel frattempo era tornata al suo posto e aveva sorriso innocentemente allo sguardo furente del moro.
“ Se sei scemo non è colpa mia.” Gli aveva poi sussurrato con un’alzata di spalle.
- Questa me la paghi.- pensò il ragazzo cercando gia qualche idea nella sua mente.

Dopo due ore di matematica, due di giapponese e una di stoia finalmente era arrivata la pausa pranzo. Tutti i ragazzi uscirono facendo baccano dall’aula, o quasi tutti.
“ Nemes, tu non vieni?” le chiese Andromeda sulla soglia della porta.
“ Arrivo subito.” Gli disse. “ Senti, pensi che darebbe fastidio se riesco a convincere Isabel a sedersi con noi? Non conosce ancora nessuno e così…”
“ Non credo che ci siano problemi, anche se forse Pegasus potrebbe fare un po’ di storie.” Notò il ragazzo pensieroso.
“ Ho notato anch’io che quei due si guardano in cagnesco, ma sai cos’è successo?” domandò curiosa di sapere perché quei due si odiassero gia tanto dopo nemmeno un giorno di scuola.
“ Da quello che ci ha raccontato Patricia si sono…come dire…scontrati questa mattina venendo a scuola, ma non so dirti di più.” Le rispose raccontando quella che la rossa gli aveva riferito quella mattina.
“ Ok, allora a tra poco.” Lo salutò avviandosi verso Isabel.

“ Ciao.” La salutò Nemes con un gran sorriso.
“ Ciao, se non sbaglio tu sei Nemes, la ragazza che prima ha chiesto se parlo giapponese.” Notò Isabel tranquilla ricordando la domanda della ragazza.
“ Si, sono io. Piacere…e scusami se stamattina sono stata poco educata facendo quella domanda in terza persona e non rivolta direttamente a te.” Si scusò con un sorriso.
“ Non c’è problema, dall’altra parte non potevi sapere, no?” rispose la ragazza con un’alzata di spalle.
“ Sai che sei proprio simpatica?”
“ Anche tu.” E le due si strinsero la mano in segno di amicizia.
“ Senti, dato che sei nuova, ti andrebbe di pranzare insieme a noi? Così almeno fai conoscenza.” Le chiese gentilmente.
Isabel rimase un attimo in silenzio valutando l’offerta.
“ Se non sbaglio tu sei amica di Andromeda, vero?” Nemes annuì. “ E lui conosce anche Pegasus…sai, non credo sia una buona idea che mi sieda con voi.” Rispose infine.
“ E perché?” chiese la bionda sorpresa.
“ Perché potrei rischiare di fare un macello a causa di uno stupido.” Rispose semplicemente.
Nemes la guardò incuriosita un attimo e poi si ricordò dello sguardo carico di antipatia che la ragazza e Pegasus si erano lanciati poche ore prima.
“ E a causa di Pegasus, vero?” chiese capendo tutto.
“ E tu come fai a saperlo?”
“ Abbiamo notato tutti che voi due vi odiate, anche se non sappiamo il perché.”
“ Perché è un emerito idiota senza un minimo di educazione.” Rispose schiettamente Isabel.
Nemes cercò ti trattenersi ma dopo un po’ fu costretta a scoppiare a ridere.
“ Sai che sei proprio grande, Isabel?” le chiese tra le risate. “ Nessuna aveva mai offeso Pegasus. Di solito sono tutte eccitate non appena passa perché lo credono un gran figo, tu sei la prima che mi dice che è uno scemo senza cervello.”
“ Ma nemmeno tu mi sembri molto presa da lui.” Notò tranquilla.
“ Io?” chiese sorpresa prima di sciogliersi in un sorriso. “ Non c’è mai stato nulla tra me e Pegasus ne mai ci sarà. Siamo amici d’infanzia cresciuti insieme fin da piccoli.” Raccontò tranquilla.
“ Capito.”
“ Allora, ti siedi con noi?” le chiese di nuovo. “ Dai, ti prometto che Pegasus non romperà altrimenti hai il permesso di fargli tutto quello che vuoi.” Propose allegra.
“ Anche massacrarlo di botte?” s’informò incuriosita.
“ Anche massacrarlo di botte.” Annuì la bionda.
“ Allora andiamo.”

Quando le due ragazze arrivarono la mensa era gia strapiena di gente.
“ UAO…c’è un bel po’ di gente…” commentò Isabel guardandosi intorno.
“ Le scuole in America come sono?” le chiese Nemes curiosa come al solito.
“ Non molto diverse da qui sotto certi punti di vista…un altro universo sotto altri.” Disse annotando mentalmente tutte le differenze tra i due paesi.
“ Dimmene un paio.”
“ Per esempio li non ci sono divise, e tutti vanno a scuola come vogliono.” Raccontò indicando la divisa.
“ Fico.” Commentò la bionda.
“ Qua in Giappone le lezioni sono quelle e non si possono cambiare. Cioè, tutti devono fare le stesse materie, la invece puoi decidere cosa fare e ci si sposta per le aule.”
“ Immagino che i corridoi siano sempre intasati.”
“ Più o meno.”
“ Ah, eccoli li.” Disse indicando un tavolo attaccato ad una finestra dove Andromeda le stava facendo cenno con la mano.

“ Ma quando arriva Nemes? Io ho fame.” Piagnucolò Pegasus impaziente.
“ Ma la smetti di lamentarti?” borbottò Cristal stufo di sentirlo.
“ Ah, ecco Nemes.” Disse Andromeda notando la ragazza e facendole cenno con la mano.
“ Finalmen…” ma non finì la frase notando chi c’era con la ragazza. “ Mi spieghi che ci fa lei qui?” chiese riferendosi a Isabel.
“ Non consoce ancora nessuno così Nemes ha deciso di farla sedere con noi.” Spiegò il ragazzo.
“ Che razza di nome è Isabel?” chiese Phoenix.
Proprio in quel momento arrivarono le ragazze.
“ Ragazzi, questa è Isabel, e oggi mangerà con noi.” Disse allegramente. “ Allora, Andromeda e Pegasus gia li conosci, questi altri invece con Sirio…”
“ Piacere.” Disse compostamente.
“ Cristal.”
“ Ciao.”
“ Li ci sono Fiore di Luna, Erì ed Esmeralda.” Disse indicando tre ragazze e Isabel si rese conto di conoscere (di vista) la seconda.
“ Ciao.” La salutarono allegramente.
“ E li c’è Phoenix.” Disse indicando il ragazzo che le fece un gesto vago.
“ Phoenix?” ripeté lei sorpresa.
“ Si, è il mio nome, problemi?” chiese lui aggressivo. Isabel ghignò.
“ Ma che razza di nome è Phoenix?” chiese ribaltandogli addosso la stessa identica domanda, e il ragazzo capì che lo aveva sentito. Sorrise a quella ragazza che era più in gamba di quanto sembrasse.
Dopo le presentazioni senza commenti da parte di Pegasus, cosa che stupì tutti, Isabel si sedette tra Nemes e Erì dandole così la possibilità di osservarla meglio.
Lunghi capelli biondi, un po’ più scuri di quelli di Nemes, raccolti sulla testa e due occhi azzurri dolcissimi.
“ Allora, Isabel, dicci qualcosa di te. Non sappiamo nulla.” Disse Esmeralda con un sorriso.
La ragazza la osservò per un momento; anche lei bionda, con i capelli che le arrivavano un po’ sotto le spalle, e due grandi occhi verde chiaro. Sembrava una persona simpatica e gentile.
“ Non c’è molto da dire. Mi sono trasferita qui in Giappone per motivi famigliari.” Disse velocemente.
“ Perché prima dove vivevi?” le chiese Cristal che non era a conoscenza di questo, non essendo in classe con lei e Nemes.
“ In America. Ho vissuto lì da quando aveva 6 anni, mi nonno disse che era meglio se studiavo la, così sarei stata avvantaggiata in fatto di lingue.” Spiegò prima di bere un sorso di coca.
“ Quindi hai vissuto lì per 10 anni.” Commentò Sirio. “ Ma come sono le scuole la?” le chiese poi.
“ Come stavo dicendo prima a Nemes non tanto diverse da qui da una parte, ma sotto certi punti di vista sembra un altro universo.” Rispose ripensando al paese in cui aveva vissuto per tanti anni.
“ Per esempio?” chiese Andromeda.
“ Per esempio il metodo insegnamento, oppure il fatto delle divise, che li non ci sono, gli orari di lezione, i compiti e proprio la vita. C’è un sistema molto di verso da qui, non ci sono tante ore di scuola, anche se in compenso ci si trova con in compiti fin sopra i capelli, ma anche li dipende da scuola a scuola.” Spiegò al ricordo della scuola che frequentava prima.
“ Una altro mondo rispetto al nostro.” Commentò Phoenix.
Isabel sorrise prima che i ricordi si facessero di nuovo strada in lei. E in un momento rivide tutti gli episodi di quella vita lunga 10 anni che suo nonno aveva scelto per lei.
- Quanti ricordi…purtroppo solo questi sono rimasti….-
“ Isabel. Isabel.” Il richiamo continuo di Nemes la riportò alla realtà, e lei scosse la testa cercando di scacciare i ricordi che l’avevano assalita poco prima. “ Stai bene?” le chiese la bionda preoccupata.
“ Si, tutto ok.” Rispose con un sorriso un po’ forzato.
“ Sicura?” chiese ancora. “ Eri come in trance e…” ma venne bloccata da Pegasus.
“ E avevi un’espressione talmente ridicola che sembravi un pesce lesso.” La prese in giro il ragazzo ridendo di gusto.
Isabel, per tutta risposta, si alzò in piedi e gli scaraventò in faccia un bicchiere pieno d’acqua che era appoggiato vicino a lei.
“ Ma sei scema?” le urlò lui alzandosi immediatamente e guardandosi i capelli gocciolanti.
“ Così impari a prendere in giro chi cerca di pensare.” Gli disse arrabbiata fronteggiandola.
“ Perché? Tu sai forse pensare?” la schernì il ragazzo con un ghigno.
“ Sicuramente più di te.” Ribatté stringendo i pugni.
“ E allora cosa pensi di questo?” e gli lanciò a sua volta un bicchiere di acqua addosso bagnandole i capelli.
“ Ma cos’hai al posto del cervello? Segatura?” gli gridò prendendo i capelli e facendoli sgocciolare il più possibile.
“ Chi la fa l’aspetti.” Disse lui per tutta risposta.
Isabel era gia sul punto di lanciarglisi addosso quando Nemes la prese per un polso.
“ Ok, che ne dite di finire qui il primo round?” chiese trattenendo l’amica.
“ Ha cominciato lui!”
“ Ha cominciato lei!” dissero in coro indicandosi a vicenda.
“ Non importa chi ha iniziato…” s’intromise Sirio. “ Il punto è che state dando spettacolo.”
I due si resero conto solo in quel momento che tutta la mensa li stava guardando e si rimisero seduti senza guardarsi negli occhi mentre gli altri scoppiavano a ridere.

Quando la campanella suonò tutti i ragazzi si diressero verso le rispettive aule.
“ Cosa abbiamo adesso?” chiese Isabel a Nemes.
“ Musica.” Rispose tranquillamente la bionda.
“ M-Musica?” chiese titubante Isabel a quella risposta.
“ Si, ma non ti preoccupare, anche se non sai suonare uno strumento fa nulla, imparerai.” Le spiegò cercando di calmarla anche se non sapeva perché era preoccupata. “ L’unica cosa stai attenta alla professoressa. È una tipa acida sempre di cattivo umore…se poi sente suonare un cellulare…”
“ Anch’io avevo un professore simile, e puoi star certa che so come trattare con quelli.” Le raccontò ricordandosi del suo vecchio professore di storia.
Poco dopo raggiunsero l’aula di musica. Una grande stanza piena di strumenti appoggiati ad ogni parete. Proprio davanti alla porta c’era la lavagna, la cattedra e i banchi mentre sotto un’ampia finestra c’era un bellissimo pianoforte.
Gli occhi di Isabel caddero proprio su quest’ultimo, e i suoi occhi s’intristirono all’istante.
“ Ragazzi, vi volete sedere o no?” chiese una voce arrabbiata dal fondo dell’aula, e solo allora i ragazzi si accorsero che la professoressa era gia arrivata.
“ Lei è la Nakajima, la prof di musica…e ti consiglio vivamente di non farla arrabbiare. Sa diventare perfida più di una strega.” Spiegò Nemes a Isabel guardando verso la donna.
Isabel la osservò meglio. Alta, fin troppo magra, dinoccolata e dal mento cavallino; i capelli neri aridi e crespi e i piccoli occhi dello stesso colore scrutavano la classe con sufficienza.
- Forse questa è addirittura peggio del mio prof di storia…- pensò con una smorfia.
Poi, improvvisamente, la donna ghignò e Isabel capì che aveva letto il suo nome nel registro.
“ Ma bene, abbiamo una nuova alunna. Vediamo cosa sai fare.” Disse mentre il ghigno di allargava. “ Forza, vai al piano.” Le ordinò poi con un gesto vago della mano.
Isabel si irrigidì e deglutì a vuoto mentre Nemes l’alzava e la spingeva verso lo strumento.
Camminò come un automa. Passi rigidi, gli occhi vissi sul vuoto, le mani serrate tremanti e le forze che pian piano scompaiono. Sapeva che poteva stramazzare al suolo da un momento all’altro e non ci avrebbe potuto far niente.

Non appena Pegasus sentì che la ragazzo era stata chiamata un ghigno gli si dipinse addosso. Quella era finalmente l’occasione in cui quella ragazza si sarebbe umiliata davanti a tutti.
Ma la sua espressione cambiò quando Isabel gli passò accanto.
Il terrore puro che lesse nei suoi occhi lo impaurì a tal punto che si chiese cosa realmente stesse vedendo la ragazza.

Isabel, nel frattempo, continuava a camminare verso il pianoforte, ma la strada le sembrava infinita.
Più camminava più le sembrava di dover continuare.
Poi, all’improvviso, le forze vennero meno e lei sentì il proprio corpo afflosciarsi senza più energia.
Tutte le immagini di quel incidente fluirono nuovamente nella sua mente.
I richiami della professoressa e le urla dei suoi compagni di classe le parevano troppo lontani.
Le sembrava come quella sera, quando suo nonno le era stato portato via.

E lei, sciocca, che credeva di poter dimenticare il passato!

Pegasus, grazie ai suoi riflessi, l’afferrò al volo e la stese per terra.
“ Ehi, rispondimi.” Disse alla ragazza mentre questa non dava segni di ripresa. “ Isabel…” provò a chiamarla, ma lei niente.
Le ascoltò quindi il polso e il suo cuore mancò un battito.
“ E ora cos’ha quella sciocca?” chiese sbuffando la professoressa. “ Non mi pare proprio il caso di scherzare.”
“ Non sta scherzando…” disse Pegasus mentre la voce gli tremava.
“ Cosa?” chiese ancora la donna mentre dietro di lei la classe scalpitava.
“ Il battito cardiaco è accelerato, sta sudando, respira affannosamente e ha i brividi.” Riassunse il ragazzo velocemente e finalmente la professoressa lo prese sul serio.
“ Pegasus, portala in Infermeria…e anche velocemente.” Disse al ragazzo che subito prese il braccio Isabel e corse fuori dalla classe mentre la donna cercava di calmare gli altri.

Mentre correva per i corridoi Isabel, non proprio cosciente, sussurrò una parola.
“ Nonno…”



Fatto!
Spero che abbia soddisfatto le aspettative.
Nel prossimo capitolo ci saranno alcune spiegazioni, ma per sapere bisognerà continuare a leggere la storia!

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Capitolo 4
*** 3. Prime verità a galla. ***


Ecco qua il terzo capitolo.
Alcune verità stanno per venire a galla, proprio come si legge nel titolo.
Ci sarà l’apparizione di un altro personaggio.
Bhè…buona lettura.



3. Prime verità a galla.

Erano ormai passate un paio d’ore da quando Isabel si era sentita male, e fuori dall’Infermeria si era radunato un gruppetto di persone.
“ Secondo voi come sta?” chiese Nemes con la voce soffocata dai singhiozzi mentre Andromeda la stringeva cercando di tranquillizzarla.
“ Chi può dirlo?” disse Phoenix. “ L’Infermiera ha detto che si sarebbe ripresa, ma che le cause del suo malessere non le conosceva.”
E per un momento tutti pesarono a quando, poche ore prima, la donna gli aveva parlato.

[FLASHBACK]
Pegasus aveva portato Isabel in Infermeria e li l’aveva adagiata su un lettino come gli era stato detto.
Poco dopo, anche tutti i suoi amici lo aveva raggiunto.
“ Non so dirvi con esattezza cosa sia successo.” Aveva ammesso l’Infermiera mortificata.
“ Ma allora potrebbe anche avere qualcosa di grave.” Disse Nemes sempre più preoccupata.
“ No, di solito, in questi casi, è uno shock a causare il malessere.” Spiegò loro la donna. “ Pegasus prima mi ha detto che si stava dirigendo verso il pianoforte quando si è sentita male, perciò potrebbe essere che nel suo passato sia successo qualcosa che riguarda lo strumento…oppure la musica in generale, ma di più non posso dirvi.”
[FINE FLASJNACK]

E così erano ancora tutti li, che aspettavano che Isabel riprendesse i sensi.
“ Uno shock…” disse piano Cristal. “ Ma quale shock può provocare un tale rigetto per gli strumenti musicali?” chiese rivolto più a se stesso che hai suoi amici.
“ E chi lo sa.” Rispose Sirio senza quasi rendersene conto.
“ E se il motivo fosse lo stesso che l’ha costretta a trasferirsi qui?” domandò Pegasus alzando la testa e guardando gli altri.
“ Che vuoi dire?” gli chiese Nemes calmandosi finalmente.
Pegasus si staccò da muro sul quale si era appoggiato e si passò una mano tra i capelli.
“ Se vi ricordate ha detto di essersi trasferita qui dall’America per motivi famigliari, forse centra questo.” Spiegò incrociando le braccia.
“ Ma come possiamo scoprire se è la verità?” chiese Andromeda.
“ Chiediamolo a lei.” Propose Phoenix ma Pegasus scosse la testa.
“ Ho i miei dubbi che ci risponderà.”
“ Perché?” chiese Cristal.
“ Se davvero è stato uno shock molto forte a provocare questo malessere allora può darsi che Isabel non se la senta di parlarne…tanto meno con noi che siamo dei perfetti sconosciuti dato che ci siamo conosciuti oggi.” Spiegò Sirio capendo cosa l’amico volesse dire.
“ E allora coda possiamo fare?” chiese Nemes desiderosa di aiutare la sua nuova amica; non sapeva bene perché, ma si era subito affezionata a quella ragazza appena arrivata, e sentiva di volerle gia bene.
“ Sirio, sbaglio o tu sei un genio del computer?!” chiese Pegasus rivolto all’amico che ghignò divertito.


“ Accidenti a te! Ma quanto cavolo ci metti?!” esclamò Pegasus incitando il compagno a muoversi.
“ Ma la pianti di lamentarti?” ribattè quello stufo delle continue crisi dell’amico. “ Io faccio del mio meglio ma il file che riguarda quella ragazza è più protetto del Presidente degli Stati Uniti.”
Pegasus sbuffò e tornò a quello che stava facendo prima di interrompere Sirio per l’ennesima volta, cioè controllare che non arrivasse nessuno. Quella non era la prima volta che s’intrufolavano nella Presidenza e accedevano al computer, e avevano gia rischiato un paio di volte di farsi beccare quindi, si disse Pegasus, dato che ormai stavano esaurendo le scuse, sarebbe stato meglio se nessuno fosse passato di la in quel momento.
Sirio, proprio in quel momento, riuscì ad accedere al file che riguardava Isabel ed ebbe il tempo di leggere poche righe prima che la sua gioia per la riuscita della ‘missione’ svanisse. Diventò serio all’improvviso e decise di stampare quello che aveva scoperto senza però farlo leggere al suo amico o ad alcuno della loro compagnia.
“ Allora, c’è l’hai fatta?” domando Pegasus voltandosi all’improvviso. Il moro nascose velocemente il foglio dietro la schiena e fece spallucce fingendosi dispiaciuto.
“ Mi spiace, ma non riesco ad accedervi. Non so perché, ma hanno installato un qualcosa che impedisce a chiunque che non sia la Preside di entrare nella cartella.” Spiegò scuotendo a testa.
“ Dai, Sirio, tu sei il genio del computer. Certo che c’è la puoi fare.” Tentò di incoraggiarlo l’altro, ma lui scosse la testa.
“ Non posso.” Ribadì nuovamente. “ Avrei bisogno della password e potrei anche cercarla ma chissà quanto ci metterei, e se qualcuno ci trova qui a quest’ora l’espulsione non c’è la toglie nessuno.”
Pegasus sgranò gli occhi non appena il compare nominò l’ora.
“ Scusa ma…che ora è?” chiese iniziando a sudare freddo, ricordandosi solo in quel momento che doveva fare una cosa quel pomeriggio.
“ Le 17:30, perché?” domando l’altro guardando l’orologio.
“ Perché avrei un appuntamento con Lania, e sono gia in ritardo di mezz’ora.” Urlò spaventato iniziando a correre per i corridoi alla velocità della luce, tanto che si dimenticò pure di salutare il suo amico.
“ Ciao…” sospirò quello con un’alzata di spalle, dicendosi che forse era meglio che se ne fosse andato; almeno non avrebbe dovuto mentire e avrebbe potuto parlare subito con Isabel di quanto aveva scoperto.


Nel frattempo, stesa su uno dei letti dell’infermeria, Isabel stava iniziando ad aprire gli occhi.
Si sentiva stanca, spossata, come se avesse appena fatto la maratona di New York o peggio, come se l’avessero appena messa in un frullatore o buttata sotto da un tir.
“ Ah, finalmente ti sei svegliata.” Commentò una voce alla sua destra. “ Come ti senti?” le chiese poi.
“ Come se mi avessero appena messo dentro un frullatore.” Rispose sarcastica massaggiandosi la testa e facendo ridere la donna.
“ Bè, se hai voglia di scherzare vuol dire che stai bene; sei solo stanca a causa dell’attacco che hai avuto.” Le spiegò guardando la cartella che aveva tra le mani ma, vedendo la ragazza aveva spostato lo sguardo capì che c’era sotto qualcosa.
“ Non era la prima volta, vero?” le chiese tranquillamente facendo finta di rimettere a posto alcune carte.
Isabel sgranò gli occhi ma rimase in silenzio, e l’Infermiera lo prese come un si, anche se decise di non indagare oltre. “ Comunque se vuoi puoi andartene.” Sistemò la cartella della ragazza in un cassetto e poi sparì fuori dalla porta.
Quando se ne fu andata, Isabel rimase ferma per qualche minuto ancora poi, sentendosi più sicura, decise di tornare a casa, anche perchè era sicura che Mylock avrebbe avvisato tutta la polizia nazionale se non rientrava entro cena.
Aprì la porta dell’Infermeria e Nemes le si buttò addosso stringendola in un abbraccio stritolatore, tanto da toglierle il fiato.
“ Stai bene, stai bene, stai bene…” continuava a ripetere senza sosta la ragazza attaccato al collo di Isabel. “ Si, sto bene, ma se continui così mi sa che sverrò di nuovo, ma stavolta per soffocamento.” Commentò quella con un mezzo sorriso.
“ Ops, scusa.” Disse la bionda con la faccia dispiaciuta, ma il sorriso divertito di Isabel le rimise subito il buon umore. “ Allora, come ti senti dopo averci fatto prendere e aver fatto preoccupare la Nakajima per la prima volta nella sua vita?” le chiese poi tutto dun fiato.
“ Uao! Sono davvero riuscita a fare una cosa simile?” domandò rivolta a tutto il gruppo che annuì con un sorriso ammirato. “ Però, credo che mi daranno un premio nobel.”
“ Poco ma sicuro.” Commentò Phoenix prima che Esmeralda gli tirasse una gomitata nello stomaco.
“ Ma ti sembrano cose da dire dopo quello ch’è successo?” gli chiese sottovoce.
“ Non preoccuparti, non mi fa ne caldo ne freddo questa situazione. Anzi. Penso sia meglio riderci sopra.” Ammise Isabel con un’alzata di spalle.
Poi, improvvisamente, il suo sguardo cadde su Sirio che la guardava senza dire una parola e senza ridere da quando aveva messo piede fuori dall’Infermeria. Capì immediatamente che la stava studiando, che stava cercando di capire cosa ci fosse sotto tutta quella sicurezza e quell’allegria che stava cercando di mantenere.
Gli restituì lo sguardo senza permettere ai suoi sentimenti di trasparire dai suoi occhi.
“ Isabel…Isabel…sicura di stare bene?” le chiese gentilmente Andromeda vedendo che si era fatta seria di colpo, senza una ragione precisa.
“ Uh? Si, non preoccuparti, ho solo un po’ di mal di testa.” Lo rassicurò con un sorriso.
“ Allora è meglio se ci avviamo verso casa, che ne dite?” propose Erì prendendo la sua cartella.
“ Sinceramente non ho tanta voglia di tornare a casa, ma se non lo faccio Mylock sarebbe capace di mandare persino l’esercito a cercarmi.” Sospirò Isabel sconsolata con un’alzata di spalle.
“ Penso che tu stia esagerando.” Le fece notare Cristal.
“ Tu non lo conosci…” sbuffò lei al solo pensiero della chiacchierata della mattina.


Pegasus arrivò tutto trafelato al luogo dell’appuntamento e da lontano scorse una ragazza che, ferma sul bordo del marciapiede, sembrava aspettasse qualcuno. La raggiunse e le sorrise prima che la borsetta di lei lo colpisse in testa.
“ Razza di screanzato! Ti sembra questo il modo di far aspettare una signorina?” gli urlò contro arrabbiata. “ Scusa. Scusa. Scusa.” Disse lui coprendosi la testa con le mani per non prenderle. “ Lo so che sono in ritardo, ma è successa una cosa a scuola e…” non finì la frase che la ragazza smise di dargliele con la borsetta e si fece seria.
“ Stai dicendo che qualcuno è stato male durante le ore?” chiese più tranquilla.
“ Si, è una nuova ed è in classe con me.” Spiegò chiedendosi perché le stesse dando tutte quelle rassicurazioni. – Ma su cosa dovrei rassicurarla?- si chiese senza capire.
“ E tu che centri in tutta ‘sta storia?” domandò lei indagatrice mentre Pegasus iniziava a sudare freddo.
“ È colpa di Nemes che è diventata subito amica di questa qui, e quindi ha costretto tutti ad aspettare che si svegliasse, ma io me la sono data a gambe non appena ho potuto.” Disse cercando di sembrare il più naturale possibile, ma la verità era un’altra.
Qual’era? Presto detto: non lo sapeva nemmeno lui perché era rimasto a scuola. L’aveva fatto, tutti qui. E non c’era una spiegazione logica o complicata, semplicemente era rimasto; non sapeva ancora il motivo, ma l’aveva fatto.
La ragazza lo guardò ancora per un momento prima di sorridere dolcemente.
“ Va bene, ti credo.” Disse poi prendendolo per mano. “ Ma che sia l’ultima volta che arrivi in ritardo ad un appuntamento.” Aggiunse poi fingendosi arrabbiata e iniziando a camminare a braccetto con lui.


Avevano da poco salutato Andromeda e Phoenix che prendevano una strada diversa dalla loro quando, dopo un silenzio che sembrava eterno, Isabel prese la parola.
“ Allora, cos’hai scoperto su di me?” chiese a Sirio che le camminava affianco.
“ Cosa?” fece lui sorpreso.
“ Non fare il finto tonto che con me non attacca.” Lo riprese lei in tutta tranquillità. “ Immagino che tu abbia forzato i computer della scuola e sia entrato nel mio file personale scoprendo un paio di cose che mi riguardano. Prima ho sentito Pegasus e Cristal che parlavano della tua bravura come hacker.” Aggiunse poi vedendo la sua faccia stranita.
“ Come hai fatto a capirlo?” le chiese infine cedendo davanti a tanta serenità.
“ Oh, non credere sia stato difficile. Non sei un bravo attore, Sirio.” Lo informò in tono scherzoso. “ Non mi hai rivolto la parola per un solo istante da quando sono uscita dall’Infermeria, mi guardavi con un misto di compassione e curiosità e dalla tua tasca spunta un foglio bianco che ha tutta l’aria di essere stato stampato di recente dato che si sente ancora l’odore dell’inchiostro.” Spiegò semplicemente.
“ Potrebbe benissimo essere un compito o dei bigliettini.” Ribatté lui cercando di nascondere il foglio che gli usciva dalla tasca.
Isabel aggrottò lo sopracciglie prima di sospirare e fermarsi.
“ Quel foglio è tutto spiegazzato, il che prova che l’hai messo via in tutta velocità, e di sicuro non faresti una cosa del genere con un compito, e non useresti mai dei bigliettini perché sei troppo studioso e onesto per fare simili cose.” Disse chiedendosi se per caso la prendesse per una scema. “ Allora, cos’hai scoperto?”
Sirio abbassò la testa sconfitto e tirò fuori il corpo del reato.
Stampato sopra a caratteri cubitali c’era l’articolo della morte dell’uomo più ricco del Giappone: il Duca Alman di Thule!
Isabel prese il foglio riconoscendo immediatamente l’articolo; lo stesso che aveva continuato a rileggere durante l’estate passata, nella speranza che fosse tutto un sogno.
“ Capisco…” sussurrò con voce flebile ma sicura.
“ Tu…” Sirio si bloccò indeciso. “ Isabel…tu…se davvero la nipote di Alman di Thule?” chiese infine a bruciapelo e senza guardarla negli occhi, ma la vide chiaramente annuire con la testa prima di alzare lo sguardo e porgergli il foglio.
“ E ora cos’hai intenzione di fare?” gli chiese tranquillamente. “ Andare in giro per la scuola a sbandierare che sono la nipote dell’uomo più ricco di tutto il paese?”
“ Ti farebbe arrabbiare?” le domandò con semplice curiosità, ma lei scosse la testa.
“ Più che altro mi darebbe fastidio.” Ammise portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “ Vedi, non è molto piacevole essere etichettata per il proprio cognome o per il proprio patrimonio.”
“ È per questo motivo che ti fai chiamare Isabel Kido?” le chiese incrociando le braccia al petto e appoggiandosi ad un palo li accanto. Lei annuì.
“ Ho passato gran parte della mia infanzia da sola, chiusa nell’enorme prigione che sarebbe casa mia, senza poter conoscere altri bambini e giocare con loro; mio nonno poi… Lui era sempre in viaggio per affari, e non aveva il tempo per volermi bene come avrebbe dovuto.” Raccontò ricordando tristemente quegli anni della sua infanzia che non erano stati affatto felici. “ Poi, un giorno, mi dissero che sarei andata a vivere in America per consentirmi una migliore educazione e ti assicuro che ne fui felice, almeno per i primi tempi, poi mi resi conto che per gli altri non ero altro che la nipote di Alman di Thule. Tutti qui. Solo questo. M’identificavano come una persona che non ero, per un cognome, per un patrimonio, ma mai per quello che ero realmente; è stato per questo che ho deciso, una volta tornata in Giappone, che nessuno avrebbe dovuto conoscere il mio vero cognome. Non volevo più essere soltanto Lady Isabel di Thule, la duchessa. Ma volevo essere solo Isabel, un sedicenne che come tutti i ragazzi della sua età ha dei sogni, prova sentimenti…insomma, volevo essere normale!”
Dopo quella confessione da parte di Isabel tra i due calò un silenzio quasi palpabile, ma per niente carico di tensione.
La ragazza si sentiva finalmente libera, libera da un peso che la stava schiacciando, che la opprimeva, impedendole quasi di respirare; ma ora era finalmente libera, e questo solo perché aveva parlato con qualcuno di quella che era stata una parte della sua vita, anche se quella più importante era ancora rinchiusa infondo al suo cuore. Non sapeva perché aveva raccontato tutte quelle cose a Sirio, lo conosceva da meno di un giorno, ma qualcosa le diceva che andava bene così, riusciva a leggere le sincerità e la sicurezza nei suoi occhi orientali.
“ Io…io non dirò nulla agli altri.” Le disse infine rompendo il silenzio. “ Manterrò il segreto finché non sarai tu a voler parlare.”
“ Lo so…” sussurrò lei sorridendo.
“ Cosa? Come fai a sapere che…?” tentò di domandare stupito. Lei alzò le spalle.
“ Lo so e basta.” Disse semplicemente. “ So che non mi tradirai e manterrai questo segreto, l’ho letto nei tuoi occhi, e questo mi basta.”
Sirio la fissò stranito, colpito da quella fiducia che era riuscita a dargli guardandolo semplicemente negli occhi; un solo sguardo l’aveva convinta a fidarsi si una persona che conosceva a malapena, ma il ragazzo sapeva che quella fiducia non era mal riposta.
“ Grazie.” Disse soltanto con un sorriso. “ Allora, amici?” chiese poi tendendogli la mano.
“ Amici!” affermò lei stringendola sorridente prima che un clacson li disturbasse.
“ Milady, finalmente l’ho trovata.” La voce burbera di Mylock entrò prepotentemente nelle sue orecchie e lei alzò gli occhi al cielo chiedendosi come avesse fatto a trovarla.
“ Non preoccuparti, Mylock, sto bene. Ora possiamo tornare a casa.” Disse al maggiordomo cercando di mascherare l’irritazione che provava. “ Allora a domani Sirio, lo vuoi un passaggio?” chiese poi al ragazzo che era ancora in piedi sul marciapiedi e la osservava stranito.
“ Non preoccuparti, abito qui vicino e ho proprio voglia di fare due passi. Ma grazie comunque.” Disse con un sorriso prima di svoltare l’angolo e sparire mentre Isabel saliva in macchina e si dirigeva verso casa.



Grazie a chi continua a commentare.
Mi fa piacere sapere che la ff piace ed è bello che continuate ad incoraggiarmi a scrivere.
Vi ringrazio di cuore.
Baci Rain!

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Capitolo 5
*** 4. Profumo di guai. ***


Lo so. Lo so. Lo so.
Sono in un ritardo pazzescoooooooo!!!!!!!!!!! Vi prego, chiedo umilmente perdono(in ginocchio).non ammazzatemi, ma ho avuto alcuni problemi con il computer e allora…
Bè, ora sono tornata e la ff può continuare.
Un capitolo che potrebbe farvi ridere ma che…darà il via ad una serie di eventi che…
No, no, no…se lo volete sapere dovrete leggere!



4. Profumo di guai.



Isabel finì di appuntarsi i compiti che l’insegnate aveva assegnato quando la faccia di Nemes le si parò davanti con un espressione talmente ebete che la ragazza non potè far a meno di scoppiare a ridere.
“ Perché ridi?” le chiese la bionda senza capire lo strano comportamento dell’amica.
“ Scusa, ma avevi una faccia talmente buffa che non sono riuscita a trattenermi.” Si scusò infilando le cose nello zaino per poi metterselo sulle spalle.
“ Ah, bella amica!” disse fingendosi offesa ma ritrovando subito il buon umore. “ Allora, ci sarai alla festa di stasera?” le chiese poi iniziando ad incamminarsi verso l’uscita.
Isabel sospirò sconfitta e annuì non troppo convinta.
“ Si, ci sarò, anche perché Mylock sarebbe capace di portarmici di forza, e non sarebbe di certo la prima volta.” Le raccontò sconsolata alla sola idea.
Nemes mise il broncio a gonfiò le guance indispettita, o forse solamente incapace di capire l’avversione dell’amica per le feste.
“ Ma si può sapere cos’hai contro queste serate?” domandò bloccandosi e incrociando le braccia al petto.
“ Mmmmh…vediamo, ah si, ora me lo ricordo: TUTTO!” disse lapidaria facendo capire alla bionda che il discorso era chiuso.
“ Uffa…ci vorrebbe essere degli alieni per capirti ogni tanto.” Disse offesa Nemes.
“ Perché ci vorrebbero degli alieni?” chiese Sirio arrivando alle spalle delle due ragazze.
“ Semplice, perché solo loro sarebbero in grado di capire la mentalità contorta di Isabel.” Spiegò la bionda sorridendo al ragazzo. “ A volte sembra che la sua mente parta per la tangenziale sparendo dagli schemi che noi comuni mortali possiamo capire…” si bloccò un momento guardandosi attorno. “ E a proposito di cose che spariscono, dove si è cacciato Pegasus?” chiese poi notando l’assenza del ragazzo.
“ È vero, è da un po’ che non sento il ronzio che dovrebbe essere la sua voce.” Fece Isabel non vedendolo e, soprattutto, non sentendolo lamentarsi. “ Ah, che pace senza quello tra i piedi.” Aggiunse poi con un sorriso.
“ È corso via subito perché doveva andare da Lania.” Spiegò semplicemente Sirio.
“ Lania?” chiese Isabel sorpresa. “ Questo nome mi giunge nuovo.”
“ Ah, è vero. Tu non l’hai ancora conosciuta; Lania è la ragazza di Pegasus.” Le spiegò Nemes ricordandosi che le due ragazze non si erano ancora incontrante. “ Frequenta un’altra scuola, per questo non l’hai mai vista e…si può saper cosa ci trovi di divertente?” chiese poi notando che Isabel stava sghignazzando.
“ Niente, è solo che mi chiedevo come facesse ad avere la ragazza un tale idiota come Pegasus.” Disse asciugandosi le lacrime.
Nemes ghignò anche lei a quella frase.
“ Non sai quante volte me lo sono chiesto io.” Ammise sorridendo allegra.
“ Ehm, Ehm…” le richiamò Sirio. “ Vi devo ricordare che ci sono io qui, e che quello di cui state parlando è il mio migliore amico.”
“ Ma tu non gli dirai nulla, vero?” chiesero in coro le due ragazze facendogli gli occhi dolci e mettendolo in imbarazzo. Il moro indietreggiò di qualche passo e sorrise forzatamente.
“ Io…non gli dirò…nulla, contente?” disse balbettando mentre le altre due scoppiavano a ridere.
Camminarono per un po’ in assoluto silenzio, ma poi scoppiarono a ridere come scemi davanti a quella strana calma che non faceva parte del loro carattere; alla fine Isabel li salutò e si avviò verso casa.
“ Sirio, tu non vieni?” chiese all’amico vedendo che non la seguiva.
“ No, prima devo passare a ritirare il vestito per stasera.” Spiegò con un sorriso.
“ Okay, allora a stasera ragazzi. Ciao!” e corse via sorridendo, felice che almeno per una volta non sarebbe stata sola a quelle assurde feste che odiava con tutta se stessa.


Pegasus e Lania camminavano mano nella mano per le strade principali della città ridendo allegramente.
“ Allora, com’è andata oggi a scuola?” chiese la ragazza con un sorriso vedendolo sbuffare.
“ Come ogni giorno: lezioni noiose su lezioni noiose.” Disse lui con un’alzata di spalle.
“ Eddai, è mai possibile che nella tua scuola non succeda mai nulla? Da me ci sono continue novità.” Disse arrabbiata per come le aveva risposto; a volta quel ragazzo riusciva ad essere veramente irritante quando parlava, e ancora di più quando dava quel genere di risposte.
Pegasus la vide mettere il broncio e staccarsi da lui arrabbiata. Sorrise quindi e l’abbracciò da dietro dandole piccoli baci dietro l’orecchio.
“ Non ti sarai mica offesa?” le chiese con voce suadente e sorridendo vedendola capitolare.
“ Lo sai che quando fai così non posso restare arrabbiata con te a lungo.” Gli rispose girandosi nel suo abbraccio e sfiorandogli le labbra per poi prenderlo per mano e ricominciare a camminare. “ Ci sarai alla festa di stasera?” chiese poi ricordandosi della serata che doveva esserci.
“ Quella a casa della Himeno?” domandò Pegasus pensieroso.
“ Quella.”
“ Bah, penso che mi toccherà esserci come al solito, ma non credo che ci resterò molto.” Ammise pregustando gia la fuga dalla festa, cosa che lui e i suoi amici facevano sempre.
“ Bambino cattivo!” disse Lania ridendo e sfiorandogli nuovamente le labbra.


Nemes sembrava pensierosa mentre accompagnava Sirio a ritirare l’abito per la sera, infatti non disse una parola per tutto il tempo, almeno fino a quando non fu il ragazzo a parlare una volta usciti dal negozio.
“ Perché sei così taciturna?” chiese alla bionda che parse scuotersi dai suoi pensieri.
“ Non è niente, stavo solo pensando a Isabel.” Disse con un’alzata di spalle.
“ E perché pensavi a lei?” domandò ancora il ragazzo.
Nemes non rispose, si limitò ad appoggiarsi sulla ringhiera accanto a lei e a guardare il cielo.
“ Sei riuscito a farla uscire almeno un po’ dal suo guscio…” disse all’improvviso rivolta al ragazza al suo fianco; Sirio la guardò perplesso per un momento prima di sorridere.
“ Ho fatto quel che ho potuto ma…”
“ Ma…?” lo esortò lei.
Sirio scosse la testa e incrociò le braccia al petto con fare pensoso.
“ C’è qualcosa che ancora la blocca. Non so come spiegarlo, ma dev’essere successo qualcosa che le impedisce di essere totalmente se stessa; è come se si fosse creata una corazza, come…”
“ Come se stesse cercando di proteggersi da qualcosa.” Finì Nemes per lui annuendo. “ Si, l’ho notato anch’io, ma almeno ora sembra un po’ più serena di prima. Credo che parlare con te le abbia fatto bene.”
“ Sembrerebbe di si.” Concordò lui con un’alzata di spalle.
La bionda sorrise e poi si stiracchiò le braccia e il collo. “ Forza, è ora di andare a casa. Ci vediamo dopo alla festa, okay?” chiese rivolta al ragazzo.
“ Okay, a dopo allora.” E si diresse verso la sua casa mentre Nemes andava nella direzione apposta.

Una volta arrivata a casa salutò sua madre per poi salire nella sua stanza e aprire l’armadio per decidere cosa mettersi. Poi, improvvisamente, un’idea le balenò in mente e corse a tutta velocità giu per le scale con un sorriso.
“ Mamma.” Chiamò entrando in salotto dove la madre, una donna con folti capelli castani e gli occhi verdi, stava seduta sul divano leggendo una rivista.
“ Cosa c’è?” chiese alla figlia sorpresa di vederla così eccitata.
“ Senti, mamy, ti darebbe fastidio se non vengo con voi alla festa e vi raggiungo la?” domandò speranzosa. “ No, non ci sarebbero problemi.” Ammise la donna dopo aversi pensato un attimo. “ Ma perché dovresti venire dopo?”
“ Dovrei andare a casa di una mia amica per aiutarla a scegliere il vestito.”
“ E chi sarebbe questa amica?” s’informò la madre.
“ È una mia nuova compagna di classe e si chiama Isabel, e dato che è appena arrivata io e le altre abbiamo pensato di andare da lei prima della festa per stare un po’ insieme.” Le spiegò con un sorriso.
“ Va bene, vai pure.” Le diede il consenso e Nemes l’abbracciò fortissimo prima di correre di nuovo nella sua camera per poi prendere il cellulare e comporre il numero di Erì tutta contenta.


Isabel lanciò la palla con precisione e questa entrò nel canestro come previsto.
Riprese la palla e provò da un’altra angolazione riuscendo di nuovo a fare canestro. Continuò così lanciando da tutti i punti possibili e da tutte le distanze consentite prima di prendere a palleggiare tranquillamente.
Adorava fare sport!
Qualunque esso fosse, basket, pallavolo, calcio, nuoto, baseball, rugby, pattinaggio…tutto.
Eccelleva anche nell’atletica, disciplina dove, quando viveva in America, spesso vinceva gare a livello scolastico; le piacevano soprattutto i 100 metri, il salto in alto, il salto in lungo e il lancio del peso.
Riprese a tirare a canestro, ma quando riuscì in una schiacciata qualcuno la distolse dal gioco.
“ Vai così, Campionessa!” urlò la voce allegra e spensierata di Nemes mentre, al suo fianco, Fiore di Luna, Esmeralda ed Erì sospiravano sconsolate.
“ Ragazze. Ma che ci fate qua?” chiese Isabel sorpresa di vederle tutte li.
“ Siamo venute a darti una mano a scegliere il vestito.” Disse Nemes con un sorriso.
“ O forse ad assicurarsi che venissi davvero alla festa?!” propose l’altra ottenendo un cenno col capo da parte di tutte. “ Me lo dovevo immaginare!” commentò sospirando.
“ Però lo sai che sei davvero brava!” la elogiò Fiore di Luna. “ Lo sport è proprio una cosa che non fa per me.” Ammise poi con un’alzata di spalle.
“ In compenso sei un piccolo genio in tutte le materie scolastiche.” Disse Erì.
“ Bè, c’è chi eccelle da una parte e chi dall’altra.” Commentò Isabel con un sorriso lanciando la palla e facendo canestro per l’ennesima volta nella giornata.
“ E tu in cosa eccelli?” le chiese Nemes con un sorriso.
“ È per caso una domanda trabocchetto?” domandò lei in risposta. “ No, diciamo solo interessamento. Da quando sei qui ho potuto vedere che sei brava sia a scuola che negli sport.” Disse ricordandosi tutte le volte che Isabel era riuscita in qualcosa, cioè sempre. “ Ma basta parlare. Ora dobbiamo andare a vestirci.” Aggiunse poi allegra spingendo le ragazze verso la Villa.
“ E voi come venite alla festa? In divisa scolastica?” chiese poi vedendo com’erano vestite.
“ Tu saresti anche capace di farlo, vero?” domandò Esmeralda.
“ Io l’ho fatto!” disse Isabel con un sorriso furbetto.

L’acqua fredda la inondava completamente dandole un senso di pace e serenità che non provava da tempo. Dopo essere rientrate nella Villa ed essere salite di corsa in camera, Isabel si era lanciata sotto la doccia del suo bagno personale aprendo l’acqua fredda al massimo; adorava stare sotto la doccia con l’acqua gelata, era come se fosse capace di lavare via tutta la fatica della giornata e farla sentire libera.
Sorrise pensando che, dietro la porta, la sua stanza doveva essere un disastro dato che Nemes e le altre, sicuramente, avevano fatto un casino assurdo tirando fuori tutti i suoi vestiti da sera, che non erano certo pochi. Sapeva benissimo che, non appena Mylock avrebbe messo piede nella stanza, gli sarebbe come minimo preso un infarto e si sarebbe messo a bestemmiare in tutte le lingue conosciute e non.
“ Isabel, ti muovi?” la voce di Nemes la riportò alla realtà e si rese conto di essere sotto la doccia da almeno una buona mezz’ora. Chiuse quindi l’acqua e si attorcigliò un asciugamano intorno al corpo e uno intorno ai capelli prima di uscire da bagno e rientrare in quella che, fino a poco tempo prima, era stata la sua camera.
“ È per caso passato un tornado qua dentro?” chiese rivolta alle ragazze.
“ No, solo Nemes che voleva vedere tutti i tuoi abiti.” Le rispose Erì. “ Però. Sono tanti!” commentò poi. “ Addirittura troppi, ma non chiedetemi dove li ho presi tutti perché nemmeno io mi ricordavo di averne così tanti.” Ammise lei guardandosi intorno con un smorfia. “ Allora, la stilista ha trovato qualcosa che le piaccia?” chiese poi a Nemes che sorrise soddisfatta.
“ Certo.” Annuì con un sorriso a trentadue denti.

“ Sei splendida!” esclamò Esmeralda con un sorriso.
“ Mah, a me non pare un granché.” Disse Isabel guardandosi allo specchio per l’ennesima volta.
“ Tu non capisci nulla.” La rimproverò Nemes ammirando soddisfatta la sua opera.
Certo non era stato facile trovate qualcosa di adatto, ma soprattutto qualcosa che piacesse a Isabel dato che in ogni vestito riusciva a trovare qualcosa che non andava. Il fatto era che, se fosse stato per le, un paio di jeans e una maglietta sarebbero andate bene, ma le ragazze avevano insistito talmente tanto che alla fine era capitolata.
Isabel osservò le sue amiche che, sorridendo soddisfatte ma soprattutto allegre, avevano anche loro indossato i loro abiti eleganti, e ora si complimentavano a vicenda per essere riuscite a far indossare una gonna che non fosse quella della divisa scolastica a quella testona della loro nuova amica.
Improvvisamente qualcuno bussò e subito dopo, Doroty, una delle cameriere anziane di casa Thule e confidente di Isabel, fece capolino nella stanza.
“ Oh, signorina. È stupenda!” disse quasi con le lacrime agli occhi.
“ Mi fa piacere che ti piaccia, Doroty, ma non mi sembra il caso di mettersi a piangere per una cosa simile.”
“ Lo so, signorina, ma era da tanto che non la vedevo con un abito del genere.” Si scusò la donna.
“ Da quanto esattamente?” chiese Nemes curiosa.
“ Diciamo da quando…” iniziò Doroty prima di essere interrotta bruscamente da Isabel.
“ Da tanto tempo.” Tagliò corto la ragazza facendo capire che la discussione era chiusa.
Isabel uscì dalla stanza in tutta velocità senza degnare di uno sguardo nessuno e sbattendo la porta alle sue spalle.
Doroty alzò le spalle sconsolata e sospirò gravemente davanti al comportamento di quella che, per lei, era quasi una nipote; l’aveva vista crescere sin da quando era stata portata alla Villa dal suo defunto padrone, e da allora aveva iniziato a volere bene come una nonna con la nipotina. Anche per questo, vederla in quello stato era un duro colpo per il suo tenero cuore.

Isabel sbatté a caso una porta chiudendosi dentro la stanza che aveva appena raggiunto.
Si raggomitolò in un angolo e rimase li, seduta nella penombra di una stanza, ferma come una statua, ad osservare qualcosa che non vedeva realmente.
- Accidenti! Perché bisogna sempre tornare a quella dannata sera?- imprecò mentalmente per non correre il rischio che qualcuno la sentisse.
Ormai la tristezza di poco prima aveva lasciato spazio ad una rabbia intensa che era divampata come un fuoco e ora continuava a bruciare tutto quello che trovava sul suo cammino senza pietà. Aveva passato mesi e mesi cercando di convincersi a tornare se stessa, cercando di andare avanti, e proprio quando credeva di avercela finalmente fatta, ecco che il passato tornava come una bomba a far parte della sua vita. Prima l’attacco nell’aula di musica, poi il fatto che Sirio avesse scoperto chi era e glielo avesse fatto ricordare, e infine l’accenno di poco prima.
Se voleva dimenticare e continuare a vivere cercando di andare avanti allora si, quegli avvenimenti erano proprio indicati per lei.
Sospirò per poi alzarsi e portare lo sguardo sulla stanza in cui si era rifugiata.
Spalancò gli occhi e poi si lasciò cadere a terra.
La stanza degli strumenti o Stanza della Musica come lei amava chiamarla!
“ Ecco…ora sono apposto.” Disse chiudendo gli occhi e sperando che tutto sparisse da davanti a lei. Voleva solo il vuoto, niente più, solo il più totale vuoto; voleva che lui la inghiottisse facendola cader in un limbo in cui, forse, avrebbe trovato un po’ di pace.
“ Isabel. Isabel.” La voce di Nemes, unita a quella delle altre ragazze la riscosse dai suoi pensieri e le fece spalancare gli occhi. A fatica si alzò e con ancora di più uscì da quella stanza, rimandando per l’ennesima volta una battaglia che presto o tardi avrebbe dovuto combattere comunque.

“ ISABEL!” chiamò per la duecentottantesima volta Nemes, quando la persona in questione comparve alle sue spalle facendola sobbalzare.
“ Se eviti di urlare mi fai un piacere.” Le disse Isabel facendola saltare e urlare dallo spavento. “ Non sono un fantasma.” Fece seccata alla sua reazione.
“ Forse no, ma potresti sembrarlo da come ti muovi silenziosamente.” Notò la bionda sarcastica.
“ Non è mica colpa mia. La colpa è dei miliardi strati di tappeto che ci sono in questa casa, attutiscono completamente i rumori.” Spiegò indicando il pavimento.
Nemes alzò un sopracciglio prima di scuotere la testa rassegnata: capire quella ragazza era un’impresa!
“ Se voi due avete finito direi che possiamo iniziare ad andare, altrimenti i nostri ci daranno per dispersi.” Fece notare Erì con un piccolo sorriso d’incoraggiamento.
“ E va bene. Andiamo all’inferno!” disse Isabel mentre le altre scoppiavano a ridere per la sua reazione.


“ Pegasus ti vuoi muovere?” chiese una voce arrabbiata.
Il ragazzo se ne stava comodamente disteso sul suo letto nella sua stanza ad ascoltare musica ad un volume assordante. Sua sorella entrò nella camera e dovette tapparsi le orecchie per non diventare sorda.
“ Pegasus! Ma che fai? Non sei ancora vestito?” tentò di dire, ma suo fratello le fece segno che non la sentiva: come avrebbe potuto non si sapeva!
Patricia andò verso lo stereo e lo spense facendo tornare la stanza nel silenzio.
“ Perché l’hai fatto?” sbottò suo fratello contrariato alzandosi dal letto.
“ Perché sarebbe ora da andare, e tu, come al solito, non sei ancora vestito.” Gli fece notare la rossa con calma mentre lui sbuffava.
“ Posso sapere perché ci devo venire anch’io a ‘sta festa? Non posso restare qui?” domandò speranzoso.
“ Affatto.” Disse la voce di una donna facendo capolino sulla porta. “ E poi di cosa ti lamenti? Ci saranno anche i tuoi amici e la tua ragazza, no?” domandò sua madre, una bella donna con i capelli neri e gli occhi azzurri stretta in un lungo abito di seta blu scuro.
“ Si, ma…” tentò di dire prima che la mora lo bloccasse.
“ Niente –ma-! Ora vestiti…e in fretta, per favore.” Gli ordinò prima di sparire oltre la porta.
Pegasus rimase fermo, seduto sul letto, con lo sguardo che saettava da una parte all’latra della stanza.
“ Allora? Hai intenzione di muoverti o no?” gli chiese sua sorella con fare sbrigativo.
“ Ho capito. Ho capito.” Sbottò il ragazzo contrariato. “ Ora arrivo.”
Patricia sorrise e poi uscì chiudendosi la porta alle spalle.

Pegasus smontò dalla macchina con fare annoiato e si appoggiò alla vettura aspettando che sua sorella e i suoi genitori fossero fuori prima di chiudere lo sportello.
Suo padre, un uomo alto e ben fatto, con i capelli castano chiaro e gli occhi neri, gli lanciò un’occhiata.
“ Riuscirò mai a farti indossare una cravatta?” chiese sconsolato al figlio che alzò le spalle indifferente.
Patricia e sua madre scossero la testa spazientite prima di entrare seguite dai due uomini.
Pegasus vide subito Lania e capì che anche lei l’aveva notato quando gli venne incontro sorridendo.
Gli circondò il collo con le braccia e gli diede un bacio sulle labbra.
“ Sei venuto.” Disse al ragazzo senza lasciarlo andare. “ Pensavo che saresti rimasto a casa data l’ora.”
“ L’idea era quella, ma i miei mi hanno trascinato qui con la forza.” Ammise lui sbuffando mentre la ragazza alzava gli occhi al cielo e lo conduceva in mezzo alla folla.


Quando Isabel e le altre ragazze entrarono nel giardino della villa, molti degli invitati erano gia arrivati.
Per tutto il parco erano sparse delle lanterne in modo da illuminare almeno un po’, mentre appoggiate in ogni dove possibile c’erano candele su candele che donavano al luogo un’atmosfera quasi esotica.
Isabel si rese conto solo dopo essersi guardata in giro che quella, a dispetto di quanto pensava, non era un giardino ma bensì una terrazza; enorme, questo si, ma pur sempre una terrazza. Da li si poteva godere uno splendido paesaggio del mare notturno, dato che proprio sotto c’era la spiaggia.
“ Però, bel posto!” commentò ottenendo l’approvazione delle sue amiche.
“ Gia. Da quello che so la Himeno adora i paesaggi che rappresentano il mare, e si dice anche che abbia tutta la casa tappezzata di quadri che rappresentano questo.” Spiegò Fiore di Luna ricordando i racconti della madre.
Le ragazze si guardarono intorno cercando i loro amici che dovevano essere gia arrivati e infatti, dopo qualche occhiata, li trovarono in un angolo, seduti su un muretto, che chiacchieravano allegramente tra di loro. Li raggiunsero.
“ Ehilà.” Salutò Nemes. “ Allora ci siete tutti.” Disse mentre, alle sua spalle, anche le altre salutavano.
“ Ciao, ragazze.” Disse Cristal. “ Si, ci siamo tutti.” Ammise sconsolato.
“ Ma ho come l’impressione che molti avrebbero preferito non venire. Me compresa, s’intende.” Notò Isabel con un sorriso annoiato.
“ Hai avuto l’impressine giusta.” Le disse Phoenix bevendo un grosso sorso del cocktail (non so se si scrive così) che teneva in mano.
Rimasero un po’ in silenzio, quel che bastava per guardarsi intorno e sbuffare stufi.
“ Penso che ‘sta festa sarà parecchio noiosa.” Disse Andromeda incrociando le braccia al petto.
“ Io invece penso che non ci rimarremo per molto, vero?” chiese Erì rivolta hai ragazzi.
“ Gia.” Dissero loro in coro.
“ Non ditemi che volete di nuovo sgattaiolare via?!” sbottò Esmeralda guardandoli male.
“ Ovviamente si.” Disse Sirio con un sorriso furbo. “ E abbiamo gia trovato anche il modo, ma…qualcuno sa che fine ha fatto Pegasus?” chiese poi rivolto agli altri che scossero la testa.
“ Noi non l’abbiamo nemmeno visto.” Ammise Fiore di Luna con un’alzata di spalle.
“ Per mia fortuna.” Commentò Isabel piano, ma tutti la sentirono lo stesso e scoppiarono in una fragorosa risata al pensiero di tutte le frecciatine che si erano lanciati a vicenda durante la settimana passata.
“ Comunque credo che sia con Lania, di solito è sempre così.” Disse Phoenix contrariato.
“ Mi spieghi cosa c’è di male e stare con la propria ragazza durante una festa?” chiese Esmeralda sibilando.
“ Nulla, ma se per stare con la sua ragazza deve dimenticarsi degli amici allora c’è molto di male.” Rispose il ragazzo innervosendosi.
Per fortuna, a calmare le acque ci pensò Erì.
“ Ok, prima che prendiate a litigare lasciamo cadere l’argomento che è meglio.” Disse mettendosi tra i due.
Isabel rise insieme agli altri, rendendosi conto che per la prima volta non si annoiava e non doveva stare da sola in un angolino e oppure, ancora peggio, in mezzo a tutte quelle persona fastidiose e tremendamente false.
Si guardò intorno e scorse Pegasus e una ragazza che, a priori, capì che era la sua ragazza.
“ Ho appena trovato i due piccioncini.” Disse indicandoli.
“ Se devo dirla tutta non mi sembrano tanto piccioncini in questo momento.” Notò Andromeda mentre gli altri annuivano davanti a quella scena.


Poco distante dal muretto dov’erano Isabel e gli altri, Pegasus e Lania stavano litigando.
“ Ma si può sapere perché?” chiese la ragazza incrociando le braccia al petto.
Pegasus sbuffò più stanco che arrabbiato: ogni volta la stessa storia!
“ Perché sono i miei amici, ecco perché. È un concetto troppo difficile da capire?” domandò estremamente calmo per una situazione simile.
“ I tuoi amici?” chiese lei alzando la voce. “ Pegasus. Loro li vedi ogni sacrosanto giorno.”
“ Perché tu no?”
“ Ora non cambiare discorso!” lo redarguì lei. “ Per una volta che ti chiedo di passare la serata insieme ecco che tu metti al primo posto i tuoi amici. Ma io a che posto sono?”
“ Ora non metterti a fare la tragica.” Sbottò lui iniziando ad arrabbiarsi. “ Lo sai benissimo che per me sei importante, ma sai anche che ‘ste serate non le sopporto. Mi annoio.”
“ Oh, certo. È più divertente andare in giro senza una meta che stare qui con me, vero?”
Pegasus stava iniziando ad alterarsi parecchio, e non era da lui, ma se c’era una cosa che proprio non sopportava erano le scenate melodrammatiche delle ragazze.
“ Senti, io non ho voglia di litigare, quindi ora ognuno va per la sua strada e quando ti sarai data una calmata ne riparleremo, ok? Ciao.” E se ne andò raggiungendo i suoi amici.
Lania strinse forte i pugni e, se avrebbe potuto, si sarebbe messa e sbattare i piedi per terra dalla rabbia.
Non sopportava quando Pegasus faceva così, quando la metteva al secondo posto, e di certo stavolta non l’avrebbe perdonato tanto facilmente.

Pegasus marciò verso i suoi amici dopo averli individuati.
“ Ciao.” Salutò senza troppo entusiasmo mentre gli altri restavano in silenzio.
“ Stai bene?” gli chiese Andromeda. “ Cos’è successo?”
“ Il solito. È convinta di che la metta al secondo posto rispetto a voi.” Raccontò appoggiandosi al muretto.
“ Manie di protagonismo!” commentò Isabel acida e solo allora Pegasus si rese conto che c’era anche lei.
“ Ma che ne sai? Tu non reagiresti forse allo stesso modo?” le chiese sprezzante.
Lei lo guardo sorpresa per un momento e poi scoppiò a ridere amaramente.
“ Mi dispiace, ma non mi faccio buttare giu da una cosa così.” Disse semplicemente. “ A mio parere stare con una persona non significa passare tutta la vita appiccicati. Io ho il mio gruppo e tu hai il tuo. Fine della storia, altrimenti rischia di diventare morboso. E ora scusatemi ma vado a farmi un giro.” E si congedò con un gesto casuale della mano senza fare caso hai richiami degli altri.
Quando se ne fu andata Nemes si voltò verso il ragazzo e lo fulminò.
“ Perché mi guardi così?” chiese l’interessato.
“ Perché ti guardo così?” ripeté la ragazza incredula. “ Io cerco di farla uscire da quel maledetto guscio che si è creata per non so quale motivo e tu ti metti e dire certe cose?”
“ Guarda che ha cominciato lei.” Si difese Pegasus.
Nemes rimase a bocca aperta e scosse la testa prima di andare a prendere da bere.



Piaciuto?
Io sinceramente mi sto divertendo un mondo a scrivere questa ff, e spero voi a leggerla.
Grazie a chi ha commentato.
Baci, Rain!

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Capitolo 6
*** 5. In riva al mare... ***


Lo so che ho postato ieri il quarto capitolo, ma visto che per un po’ non potrò star dietro a questa ff ho pensato di inserire subito anche il quinto. Dovrei riuscire ad aggiornare tra 2 o 3 settimane se tutto va bene ( ho anche gli esami e devo studiare un casino, perciò molte delle mie ff saranno ferme in questo periodo.) Mi dispiace! In questo capitolo fa la sua apparizione una nuova ragazza, una vecchia conoscenza di Isabel e forse…chissà che lei non abbia le risposte e le soluzioni a quel problema che Isabel continua a nascondere e rimandare. Cosa sarà mai??? Baci baci. Rain! Chasya…Isabel… 5. In riva al mare… Il mare era calmo e il cielo sereno quella sera. Dall’Oceano soffiava una leggera brezza che rendeva l’aria fresca. Era appena settembre, e il caldo non era ancora scomparso perciò si poteva stare sulla spiaggia anche senza una giacca. Isabel, seduta sulla sabbia, si chiedeva chi cavolo glielo avesse fatto fare: perché diamine era andata a quella festa? Sapeva benissimo come sarebbe andata a finire, quindi quale strano folletto maligno l’aveva convinta a prendere parte a quella serata piena di persone pompose, egocentriche e senza un minimo di cervello quando si toccavano certi argomenti…soprattutto se ci si metteva a parlare con quelli della sua stessa età. Viziati fino all’inverosimile, talmente pieni di se che poco ci mancava che scoppiassero, credevano di avere il mondo ai loro piedi grazie alle potenti e ricche famiglie dalle quali venivano. Anche lei proveniva da una di quelle, anche le faceva parte di quel maledetto mondo; un mondo dove sei accettata solo per il tuo bel visino e per il tuo conto in banca, perché altrimenti nemmeno ti notano. Odiava quel mondo. Lo odiava perché lei non ne faceva realmente parte, perché lei era solo una figlia adottiva di tutto quel sfarzo e quel lusso che da sempre la circondava; non era tra tutto questo che era venuta al mondo, e non era nemmeno per l’unione di due potenti famiglie che era nata. No. Lei era diversa da tutti quei figli di papà. Quello non era il suo mondo…ne mai lo sarebbe stato. Portò lo sguardo sul mare pensando a quella famiglia che, fin da piccola, non aveva mai avuto. Privata dei genitori in tenera età, non sapeva chi fossero. Per un breve periodo aveva creduto che Alman di Thule fosse suo nonno ma poi, grazie a delle dicerie, aveva scoperto che il duca non aveva figli e che quindi, lei, non poteva essere davvero sua nipote. Si era sentita persa perché il suo piccolo mondo perfetto era andato in fumo. Aveva capito, a soli 6 anni, che non aveva legami di sangue a lei conosciuti, e che era un’orfana… All’improvviso qualcuno le si sedette accanto e le porse qualcosa: una lattina di the alla pesca! “ Te ne ho portato un po’, so che ti piace.” Le disse una voce gentile. “ Lo credo bene!” commentò Isabel riconoscendo la ragazza al suo fianco. “ Dopotutto mi conosci da una vita…Chasya!” La ragazza in questione ghignò prima di voltarsi verso la sua coetanea e sorridere. “ Credevo che non mi avessi riconosciuta.” Commentò prima di bere un sorso del suo the. “ Diciamo che credevo di vedere chiunque a questa festa tranne te. Di solito cerchi di evitare queste serate.” “ Potrei dire la stessa cosa, sai?” Isabel ghignò rendendosi conto di doverle dar ragione ancora una volta. “ Che vuoi farci, Mylock ha minacciato di trascinarmi qui con la forza se non venivo di mia spontanea volontà. E sai benissimo di cosa è capace quando ci si mette.” “ Mmmmh…” commentò l’altra distratta. Isabel la osservò meglio. Capelli lunghi fino alle spalle, ricci e di un biondo ramato con riflessi rossi. Gli occhi piccoli e di un verde tendente all’azzurro le davano un’aria quasi mistica, mentre la pelle era più scura rispetto a quella dei giapponesi. “ Non sei cambiata da l’ultima volta.” Commentò Isabel spostando nuovamente lo sguardo sul mare. “ Nemmeno tu s’è per questo.” Calò un silenzio carico di domande non fatte e di risposte che ancora venivano celate. “ Perché non mi hai detto niente?” Chiese Chasya all’improvviso. Isabel alzò brevemente lo sguardo su di lei e bevve un altro sorso dalla sua lattina. “ Non ero abbastanza forte…” ammise infine chinando il capo. “ Ora invece lo sei?” chiese quasi ridendo di quella situazione così assurda per loro. “ Diciamo che sto imparando a convivere con la cosa…più o meno…” aggiunse a bassa voce. Chasya scoppiò a ridere: una terribile risata priva di allegria! “ Ma fammi il piacere.” Disse acida lanciando lontano la lattina. “ Tu non lo riesci ancora ad accettare.” “ Si invece.” Ribatté Isabel con rabbia. “ Ma davvero? La schernì la bionda. “ Allora perché hai smesso di cantare?” Il sangue gelò nelle vene di Isabel e lei ebbe l’impressione che sarebbe potuta morire da un momento all’altro. Chiuse gli occhi per un paio di secondi e quando li riaprì scosse la testa; si lasciò cadere all’indietro, sulla sabbia, e i minuscoli granelli entrarono dentro al vestito facendole il solletico. “ Non lo so…” sussurrò piano guardando le stelle. “ Ti giuro che non lo so…!” Chasya si lasciò cadere al suo fianco e incrociò le bracci dietro la testa. “ Ti piacerebbe cantare con me Isabel?” le chiese poi riportando alla luce una vecchia domanda che aveva fatto tanti anni prima. “ Come allora?” domandò Isabel con un sorriso carico di malinconia. “ Come allora!” Rimasero in silenzio per un paio di minuti mentre, nella testa di entrambe, un miriade di melodie diverse passavano riportando alla memoria ricordi che credevano svaniti nel nulla. “ Che bello…” ammise Isabel sorridendo a tutto quello che avevano fatto. “ Peccato che ormai sia finito…” “ Non è detto che debba finire.” La rimproverò Chasya. “ Finisce solo se sei tu a decidere questa fine.” “ Non è forse quello che ho fatto?” chiese Isabel amaramente. “ No.” Disse l’altra. “ No. Lo hai solo nascosto in te.” “ Gia, ma non so dove…” ammise mentre gli occhi le bruciavano improvvisamente. Perché parlare con Chasya di certe cose non faceva mai male, ma al contempo le metteva davanti la verità. Era bello, piacevole stare insieme a lei, anche perché era la persona che più la conosceva al mondo. “ Tua madre sa che sei sgattaiolata via?” le chiese improvvisamente cambiando discorso. “ Probabile.” Rispose l’altra con un sbuffo. “ Ma non dirà nulla.” “ Come al solito…” “ Come al solito.” Ripetè la bionda chiudendo gli occhi. “ Sai, mi piacerebbe avere una mamma come la tua.” Disse Isabel come se niente fosse. “ È sempre così aperta con te, disposta a parlare…e ti capisce.” Chasya sorrise dolcemente prima di chiudere gli occhi. “ Sai com’è fatta mia madre. Il suo carattere la porta ad essere prima un’amica e poi una mamma; sa cosa significhi per me stare a queste feste, ci è gia passata.” “ È uno spirito libero…” sussurrò Isabel con un sorriso. “ Perché noi no?” chiese la bionda con sarcasmo. “ Noi siamo diverse da lei.” Disse ricordando il comportamento della donna. “ Lei è anche una madre, e quindi cerca in qualche modo di frenarsi almeno un po’; mentre noi non abbiamo legami di questo genere, io ancora meno di te. E se qualcuno mi dicesse di partire per l’Alaska in questo momento io non avrei nessun problema a farlo, non ho legami di alcun tipo che mi costringano qui.” “ Hai me.” Sussurrò Chasya. “ Ma è diverso.” Sbottò Isabel mettendosi seduta. “ Io e te…siamo diverse…” non continuò ma sapevano entrambe cosa volesse dire. Il loro rapporto era sempre stato speciale in qualche modo. Bizzarro fino all’inverosimile, niente da ridire su questo, ma c’era qualcosa che avevano solo loro. Si capivano con un sguardo e, anche se lontane, erano sempre vicine; amiche dal profondo dell’anima. Fino alla fine. “ Ti andrebbe di cantare?” Le chiese Chasya con un mezzo sorriso. “ Non so quanto convenga.” Ammise Isabel con una smorfia. La bionda la guardò esasperata prima di alzarsi e prendere a guardare intensamente il mare. Il tuo mondo Sta andando a puttane Oramai Puoi reagire ma forse Non è ciò che vuoi Preferisci esser vittima Non guarirai Non mollare E' un consiglio O ti ridurrai Fumo e cenere Le parole fluirono rapide e melodiose fuori dalle sue labbra, in una canzone triste ma accusatoria. “ Non è questo il vero significato della canzone.” Disse Isabel cercando di nascondere il turbamento che aveva sentito quando quelle parole l’avevano colpita. “ Forse no, ma la possiamo interpretare anche così, no? Basta non cantarla tutta…” L’altra non rispose, intenta a guardare un orizzonte che non vedeva realmente; era incredibile: quella era una delle sue canzoni preferite, una di quelle alle quali si era aggrappata quando il dolore era diventato troppo, e ora Chasya gliela sbatteva contro a quel modo. “ Non puoi continuare così…” sussurrò la bionda senza guardarla. “ Non puoi scappare in eterno!” “ Vorrei non fosse così…” Ehi adesso come stai? Tradita da una storia finita E di fronte a te l'ennesima salita. Un po' ti senti sola, Nessuno che ti possa ascoltare, Che divida con te i tuoi guai. Mai! tu non molare mai! “ Oggi ti piace storpiare le canzoni, eh?” fece Isabel con un mezzo sorriso. Chasya la ignorò bellamente. Rimani come sei, Insegui il tuo destino, Perché tutto il dolore che hai dentro Non potrà mai cancellare il tuo cammino E allora scoprirai Che la storia di ogni nostro minuto Appartiene soltanto a noi. Ma se ancora resterai, Persa senza una ragione In un mare di perché Isabel si arrese alla sua voce melodiosa: non era mai cambiata! Era sempre stata un brava cantante, e con lei aveva condiviso mille e più canzoni di ogni genere. Conosceva la sua voce come fosse la propria, ma sentirla nuovamente era una gioia incredibile! Lei, Chasya, la sua migliore amica, l’unica che era sempre in grado di capirla, quella che riusciva a sbatterle la verità in faccia senza farsi odiare da lei. Cosa avrebbe fatto se lei non ci fosse mai stata?! Dentro te ascolta il tuo cuore E nel silenzio troverai le parole. Chiudi gli occhi e poi tu lasciati andare, Prova a arrivare dentro il pianeta del cuore Sorrise a quelle parole che forse, per lei, erano una speranza per il futuro. Ne aveva passate tante in quegli ultimi tempi, ma il ritorno in Giappone e il ritrovare Chasya erano le risposte che cercava da tempo. E di questo era sicura! È difficile capire Qual è la cosa giusta da fare Se ti batte nella testa un'emozione. L'orgoglio che ti piglia, Le notti in cui il rimorso ti sveglia Per la paura di sbagliare, Ma se ti ritroverai Senza stelle da seguire Tu non rinunciare mai Aveva iniziato a cantare anche lei; piano, quasi un sussurro troppo flebile per esser sentito, ma stava cantando…come tempo prima. Chasya sorrise senza smettere d’intonare quella melodia che tanto piaceva ad entrambe: c’era riuscita, Isabel stava nuovamente cantando! E in quel momento tutto si perse. C’erano solo loro e la loro amicizia, quella stessa che tanta forza aveva dato ad entrambe quando sembrava che il mondo fosse troppo forte per essere contrastato. Credi in te! Ascolta il tuo cuore! Fai quel che dice anche se fa soffrire. Chiudi gli occhi e poi tu lasciati andare, Prova a volare oltre questo dolore. Poco distante, sentendo quelle splendide voce, Nemes, curiosa come sempre, si era avvicinata piano. “ O mio Dio…” sussurrò vedendo Isabel seduta sulla sabbia, con il volto rilassato come non mai, cantare quella melodia muovendo le spalle a ritmo. “ Che bella voce…” Ed era vero: Isabel aveva una voce stupenda, quasi incredibile credere che esistesse davvero. Riusciva a cambiare tonalità a suo piacimento, ma mai stanando la canzone, anzi. Sembrava che le regalasse un po’ del suo umore in quel momento, un po’ di se stessa e dei suoi sentimenti. Non ti ingannerai Se ascolti il tuo cuore, Apri le braccia quasi fino a toccare Ogni mano, ogni speranza, ogni sogno che vuoi Perché poi ti porterà fino al cuore di ognuno di noi. Ma poi, contro ogni aspettativa, lacrime cristalline rigarono il volto candido di lei. Scendevano veloci dagli occhi. Scorreva come fiumi in piena sulle guance, lasciandosi dietro le scie infuocate del loro passaggio. Ma Isabel non smise di cantare, anzi. Continuò, sempre più forte, sempre più violentemente; e il dolore, che fino a quel momento l’aveva attanagliata sembrò svanire. Il muro che si era costruita attorno s’incrinò di colpo, ma non crollò. Troppa era la sofferenza del suo cuore per cadere così in fretta. Ogni volta, che non sai cosa fare, Prova a volare, dentro il pianeta del cuore. Tu tu prova a volare Do do do dov'è il pianeta del cuore. Tu tu tu dentro il pianeta del cuore Terminarono assieme, perfettamente in sincronia. Sorrisero entrambe: la loro sintonia non aveva risentito della lontananza. “ Era così difficile?” chiese Chasya guardandola sorridente. “ No…” sussurrò Isabel. “ No… Ma fa male comunque…non passerà così facilmente.” Sospirò tristemente. “ Non passerà facilmente, ma col tempo farà meno male.” “ Lo so…” e si asciugò le ultime lacrime. “ Lo so…” E rimasero in silenzio, a guardare il mare e le sue onde che piano s’infrangevano sulla sabbia. “ Penso sia ora di tornare…” disse Chasya con una smorfia. “ Che ora è?” “ Mezzanotte e mezza:” “ Ok, andiamo.” Concordò Isabel, ma un sorriso furbo le si dipinse in viso. “ Tanto la notte è ancora giovane.” aaaaaaaaaaaa Quando tornarono sulla terrazza niente era cambiato. Persone di alto rango, tutti vestiti ed impomatati al massimo, parlavano di politica o economia ridendo di tanto in tanto a qualche battuta e bevendo champagne. “ Tutte uguali ‘ste feste…” sospirò Isabel con una veloce occhiata. “ E cosa ti aspettavi?” chiese Chasya mentre l’altra alzava le spalle arresa. “ Ah, ragazze…” la voce allegra e gentile di una donna le raggiunse facendole sorridere. “ Chasye!” esclamò Isabel rivolgendole un sorrisone. “ Isabel?” chiese la donna sorpresa. “ Piccola Issy?!” “ Proprio io.” Annuì la ragazza. Chasye l’abbracciò felice di rivederla, felice di rivedere quella ragazza che era come una figlia per lei. L’aveva vista crescere fin da piccola, e giocare e diventare la migliore amica di Chasya col tempo: come poteva non volerle bene? “ Che bello rivederti!” disse abbracciandola maternamente. “ Non sapeva che fossi tornata in Giappone; questa testona di mia figlia non me l’ha mica detto.” “ Non lo sapeva nemmeno io, ad essere sincera.” Si discolpò la bionda con un’alzata di spalle. “ Me la sono trovata qui.” “ Ha ragione, non incolparla.” Le disse Isabel con tono dispiaciuto. “ Non ho detto a nessuno del mio ritorno…non volevo si sapesse…ecco…” “ Non preoccuparti.” La rassicurò Chasye. “ L’importante è che tu sia qui con noi. Di nuovo.” “ Di nuovo.” Ripeterono in coro le due ragazze. Isabel si fermò un momento ad ammirare la donna che la stava davanti: non era cambiata di una virgola! Benché fossero passati 10 anni dall’ultima volta che l’aveva vista, era rimasta la stessa di quand’era piccola. Il tempo non aveva intaccato la sua bellezza, anche se, guardando bene, si potevano scorgere sul suo viso i segni di quegli anni. Piccole e quasi invisibile rughe si mostravano ai lati degli occhi quando li strizzava un po’ più forte, e se aggrottava le sopracciglie una linea orizzontale le deformava le fronte. Ma nonostante tutto era bella; bella come la ricordava. Assomigliava molto a Chasya, sua figlia, a partire dal nome apparentemente uguale. Anche le bionda, ma al contrario della figlia i suoi capelli erano lisci, tagliati in un caschetto regolare, ma scompigliati fino all’inverosimile, tanto che pareva avesse messo le dita nella spina. La pelle scura, più scura rispetto a quella di Chasya, rifletteva pallidamente le luci delle fiaccole poste intorno a loro. E gli occhi… Isabel era sempre stata affascinata da quegli occhi così strani, così profondi; sembravano celare chissà quali segreti, misteri e quant’altro. Quegli occhi avevano visto tante cose, tante persone, tante battaglie. Fin troppe… Eppure erano sempre puri ed allegri: verdi come la speranza, come lo smeraldo. Occhi capaci di scavare nel profondo di ognuno per vedere le sue ferite e provare a lenirle. Era giovane, forse troppo per avere una figlia come Chasya e una responsabilità come quella che aveva. Ma era forte, e testarda, e determinata: quando si metteva in testa una cosa… “ Ragazze, mi spiace ma vi devo lasciare.” Si scusò Chasye con un sorriso sconsolato. “ Alcune vecchie tartarughe richiedono la mia presenza.” E si dileguò con grazia tra gli invitati. “ Non è cambiata per niente.” Disse Isabel alzando un sopracciglio. “ E non sperare che accada.” Ribatté l’altra con un sorriso d’ammirazione verso la madre. Poi, però, il suo sguardo cadde su un palchetto allestito poco lontano da loro…e i suoi occhi s’illuminarono. “ Non pensarci nemmeno!” l’avvisò Isabel intercettando il suo sguardo. “ Non fartelo nemmeno passare l’anticamera dal cervello!” “ Eddai!” la supplicò la bionda. “ Che ti costa??” “ NO, NO E ANCORA NO!!” ribatté scuotendo la testa. “ IO NON FARÒ UNA COSA SIMILE!!!” “ E invece si!” Nemmeno aveva finito di parlare che gia l’aveva trascinata sul palchetto senza far caso alle sue proteste. “ Signori e Signore buonasera a tutti!” trillò Chasya prendendo il microfono. Tutti gli invitati si voltarono a guardarle e Isabel pregò in tutte le lingue conosciute e non che quella pazza psicopatica della sua migliore amica non avesse in mente quello che temeva. “ Domandiamo scusa per avervi interrotto da quello che stavate facendo, ma dato che la serata ci sembrava un po’ noiosa abbiamo deciso di animarla un po’.” Spiegò mentre alcuni le lanciavano occhiate curiose e altri furiose, quasi volessero incenerirla con lo sguardo. Isabel sospirò: come poteva dargli torto?! “ Abbiamo deciso che canteremo delle canzoni.” Annunciò la bionda con un sorriso. “ Un po’ di musica non fa mai male, giusto?” alcuni risero, altri annuirono. La madre di Chasya, intenta a parlare con qualche riccone, rise sotto i baffi aspettando la performance delle sua figlie. - Vediamo cosa sanno fare.- aaaaaaaaaaaa Poco distante, appoggiati al muretto di prima, Pegasus e gli altri non si erano mossi di un millimetro. “ Ma noi non dovevamo andarcene?” chiese Phoenix spazientito. “ Effettivamente si.” Rispose suo fratello. “ Ma non ho idea del perchè siamo ancora qui.” In quello, lo sguardo di Esmeralda cadde sul palchetto e sulle due ragazze. “ Ma quella è Isabel!” esclamò sgranando gli occhi. Tutti guardarono nella sua direzione e rimasero a bocca aperta. “ Secondo voi cos’hanno in mente?” chiese Cristal incredulo. “ Io dico cantare…o farci sbellicare dal ridere.” Disse Pegasus con un ghigno. “ Sulla seconda opzione non metterei la mano sul fuoco se fossi in te.” Disse Nemes sbucando da chissà dove con un sorrisone sul volto. “ Che intendi dire?” le chiesero gli altri. “ State a vedere, o meglio, state a sentire.” aaaaaaaaaaaa “ Allora, gentile pubblico, abbiamo deciso di iniziare.” Annunciò Chasya allegra. “ E quindi, per prima cosa, la mia amica canterà un pezzo da solista.” Aggiunse Isabel con un ghigno malefico che le procurò un’occhiataccia da parte della bionda. Lei alzò le spalle sorridendo innocentemente e scese dal palco per avvicinarsi alle apparecchiature. - Issy…questa non te la perdono…- pensò Chasya rimuginando sulla possibile punizione da infliggere all’amica. - Vedrai… Dopo te la farò vedere io!- In quello partì la musica. Remember the feelings, remember the day My stone heart was breaking My love ran away This moments I knew I would be someone else My love turned around and I fell Chasya sorrise mentre cantava sicura le parole: era una delle sue canzoni preferite! A quanto pareva Isabel se n’era ricordata. La osservò con la coda dell’occhio mentre rideva e le faceva segno che andava tutto bene. Be my bad boy, be my man Be my week-end lover But don't be my friend You can be my bad boy But understand That I don't need you in my life again Won't you be my bad boy, be my man Be my week-end lover But don't be my friend You can be my bad boy But understand That I don't need you again No I don't need you again Il pubblico rimase incantato dalla bella voce di lei; alcuni si misero persino a ballare o battere le mani. Chasye, poco lontano, sorrise nel vedere quanto la figlia le somigliasse. Stessa esuberanza, stessa figura, stesse passioni… Anche lei, anni addietro, era stata una “cantante”, proprio come la figlia; anche lei aveva fatto ciò che stava facendo Chasya in quel momento e… …e anche lei aveva avuto un’amica speciale con cui condividere quei momenti. Ma ora lei dov’era? You once made this promise To stay by my side But after some time you just pushed me aside You never thought that a girl could be strong Now I'll show you how to go on Nemes e gli altri si erano avvicinati ed avevano stampata in faccia un’espressione buffissima, tutti tranne la bionda, ovviamente. Quella ragazza che stava sul palco, e che si esibiva senza paura davanti a tutta quella gente “per bene” era una sirena! La voce bellissima regalava un tocco esotico ed estroverso a quella figura gia strana di suo. Aveva un vestito semplice, diverso da quello degli altri. Verdeacqua, che s’intonava benissimo con i suoi occhi, scendeva in diagonale sulla sua figura magra e slanciata mettendola in risalto; le spalline erano strette, ma sopra portava una maglia blu scuro dal collo largo che le lasciava scoperte le spalle. I capelli erano lasciati sciolti e si muovevano seguendo il movimento della sua testa. Che ragazza particolare! Be my bad boy, be my man Be my week-end lover But don't be my friend You can be my bad boy But understand That I don't need you in my life again Isabel sorrise sorniona vedendo la sua migliore amica divertirsi come una pazza su quel palchetto messo li chissà per quale futile motivo… Chi avrebbe mai detto che sarebbe diventato il palco di un’esibizione musicale improvvisata? Ma d’altronde, ricordò scuotendo la testa, loro due erano sempre state brave a ricavare le cose e le situazione più bizzarre da momento noiosi o semplicemente troppo per loro. Eh si, non erano cambiate in dieci anni! Won't you be my bad boy, be my man Be my week-end lover But don't be my friend You can be my bad boy But understand That I don't need you again No I don't need you again La musica terminò e Chasya depose il microfono sul piedistallo mentre ascoltava gli applausi. In quello Isabel salì sul palco e prese l’altro. “ Allora, vi è piaciuta l’esibizione della mia amica?” chiese mentre tutti annuivano e applaudivano. “ Vi andrebbe di sentirla ancora?” Urla e fischi partirono dai più giovani, ma prima che potesse dire qualcosa Chasya l’anticipò. “ Ma ora è il momento della mia amica!” annunciò prendendola in contropiede. “ Ora detterà con uno di voi scelto a caso tra il pubblico. “ “ Chasya…non osare!” sibilò Isabel intuendo cosa aveva in mente la bionda. “ E perché no?” chiese quella innocentemente. “ Giuro che dopo ti annego.” La minacciò arrendendosi però alla testardaggine dall’amica: non sarebbe riuscita a spuntarla! “ Allora…” disse Chasya guardando la folla. Non notava nessuno di particolarmente interessante, finché il suo sguardo non cadde su una ragazzo che guardava Isabel con uno sguardo strano; si chiese se i due si conoscessero, e dopo aver notato l’occhiata poco amichevole dell’amica al ragazzo ghignò perfida. “ Scelgo te.” E indicò il ragazzo con l’indice. - No!- supplicò Isabel. - Lui no!- Ecco qua!!! Ringrazio che ha letto e commentato!!! Le canzoni sono quelle di Laura Pausini con Ascolta il tuo cuore (cantata da Chasya e Isabel); dei Cascada con Bad Boy (cantata da Chasya) e un pezzo dei Finley con Fumo e Cenere (cantata sempre da Chasya)… Ci vediamo tra un paio di settimane…Baci Rain! Lo so che ho postato ieri il quarto capitolo, ma visto che per un po’ non potrò star dietro a questa ff ho pensato di inserire subito anche il quinto

Lo so che ho postato ieri il quarto capitolo, ma visto che per un po’ non potrò star dietro a questa ff ho pensato di inserire subito anche il quinto.

Dovrei riuscire ad aggiornare tra 2 o 3 settimane se tutto va bene ( ho anche gli esami e devo studiare un casino, perciò molte delle mie ff saranno ferme in questo periodo.)

Mi dispiace!

 

In questo capitolo fa la sua apparizione una nuova ragazza, una vecchia conoscenza di Isabel e forse…chissà che lei non abbia le risposte e le soluzioni a quel problema che Isabel continua a nascondere e rimandare.

Cosa sarà mai???

 

Baci baci. Rain!

 

Chasya…Isabel…

 

 

5. In riva al mare… 

 

Il mare era calmo e il cielo sereno quella sera.

Dall’Oceano soffiava una leggera brezza che rendeva l’aria fresca.

Era appena settembre, e il caldo non era ancora scomparso perciò si poteva stare sulla spiaggia anche senza una giacca.

Isabel, seduta sulla sabbia, si chiedeva chi cavolo glielo avesse fatto fare: perché diamine era andata a quella festa?

Sapeva benissimo come sarebbe andata a finire, quindi quale strano folletto maligno l’aveva convinta a prendere parte a quella serata piena di persone pompose, egocentriche e senza un minimo di cervello quando si toccavano certi argomenti…soprattutto se ci si metteva a parlare con quelli della sua stessa età.

Viziati fino all’inverosimile, talmente pieni di se che poco ci mancava che scoppiassero, credevano di avere il mondo ai loro piedi grazie alle potenti e ricche famiglie dalle quali venivano.

Anche lei proveniva da una di quelle, anche le faceva parte di quel maledetto mondo; un mondo dove sei accettata solo per il tuo bel visino e per il tuo conto in banca, perché altrimenti nemmeno ti notano.

Odiava quel mondo.

Lo odiava perché lei non ne faceva realmente parte, perché lei era solo una figlia adottiva di tutto quel sfarzo e quel lusso che da sempre la circondava; non era tra tutto questo che era venuta al mondo, e non era nemmeno per l’unione di due potenti famiglie che era nata. No. Lei era diversa da tutti quei figli di papà.

Quello non era il suo mondo…ne mai lo sarebbe stato.

Portò lo sguardo sul mare pensando a quella famiglia che, fin da piccola, non aveva mai avuto.

Privata dei genitori in tenera età, non sapeva chi fossero.

Per un breve periodo aveva creduto che Alman di Thule fosse suo nonno ma poi, grazie a delle dicerie, aveva scoperto che il duca non aveva figli e che quindi, lei, non poteva essere davvero sua nipote.

Si era sentita persa perché il suo piccolo mondo perfetto era andato in fumo.

Aveva capito, a soli 6 anni, che non aveva legami di sangue a lei conosciuti, e che era un’orfana…

All’improvviso qualcuno le si sedette accanto e le porse qualcosa: una lattina di the alla pesca!

“ Te ne ho portato un po’, so che ti piace. Le disse una voce gentile.

“ Lo credo bene!” commentò Isabel riconoscendo la ragazza al suo fianco. “ Dopotutto mi conosci da una vita…Chasya!”

La ragazza in questione ghignò prima di voltarsi verso la sua coetanea e sorridere.

“ Credevo che non mi avessi riconosciuta.” Commentò prima di bere un sorso del suo the.

Diciamo che credevo di vedere chiunque a questa festa tranne te. Di solito cerchi di evitare queste serate.

“ Potrei dire la stessa cosa, sai?”

Isabel ghignò rendendosi conto di doverle dar ragione ancora una volta.

“ Che vuoi farci, Mylock ha minacciato di trascinarmi qui con la forza se non venivo di mia spontanea volontà. E sai benissimo di cosa è capace quando ci si mette.”

“ Mmmmh…” commentò l’altra distratta.

Isabel la osservò meglio.

Capelli lunghi fino alle spalle, ricci e di un biondo ramato con riflessi rossi. Gli occhi piccoli e di un verde tendente all’azzurro le davano un’aria quasi mistica, mentre la pelle era più scura rispetto a quella dei giapponesi.

“ Non sei cambiata da l’ultima volta.” Commentò Isabel spostando nuovamente lo sguardo sul mare.

“ Nemmeno tu s’è per questo.”

Calò un silenzio carico di domande non fatte e di risposte che ancora venivano celate.

Perché non mi hai detto niente?” Chiese Chasya all’improvviso.

Isabel alzò brevemente lo sguardo su di lei e bevve un altro sorso dalla sua lattina.

“ Non ero abbastanza forte…” ammise infine chinando il capo.

“ Ora invece lo sei?” chiese quasi ridendo di quella situazione così assurda per loro.

Diciamo che sto imparando a convivere con la cosa…più o meno…” aggiunse a bassa voce.

Chasya scoppiò a ridere: una terribile risata priva di allegria!

Ma fammi il piacere.” Disse acida lanciando lontano la lattina. “ Tu non lo riesci ancora ad accettare.”

Si invece.” Ribatté Isabel con rabbia.

Ma davvero? La schernì la bionda. “ Allora perché hai smesso di cantare?”

Il sangue gelò nelle vene di Isabel e lei ebbe l’impressione che sarebbe potuta morire da un momento all’altro.

Chiuse gli occhi per un paio di secondi e quando li riaprì scosse la testa; si lasciò cadere all’indietro, sulla sabbia, e i minuscoli granelli entrarono dentro al vestito facendole il solletico.

“ Non lo so…” sussurrò piano guardando le stelle. “ Ti giuro che non lo so…!”

Chasya si lasciò cadere al suo fianco e incrociò le bracci dietro la testa.

“ Ti piacerebbe cantare con me Isabel?” le chiese poi riportando alla luce una vecchia domanda che aveva fatto tanti anni prima.

“ Come allora?” domandò Isabel con un sorriso carico di malinconia.

“ Come allora!”

Rimasero in silenzio per un paio di minuti mentre, nella testa di entrambe, un miriade di melodie diverse passavano riportando alla memoria ricordi che credevano svaniti nel nulla.

Che bello…” ammise Isabel sorridendo a tutto quello che avevano fatto. “ Peccato che ormai sia finito…”

“ Non è detto che debba finire.” La rimproverò Chasya. “ Finisce solo se sei tu a decidere questa fine.

“ Non è forse quello che ho fatto?” chiese Isabel amaramente.

“ No.” Disse l’altra. “ No. Lo hai solo nascosto in te.”

“ Gia, ma non so dove…” ammise mentre gli occhi le bruciavano improvvisamente.

Perché parlare con Chasya di certe cose non faceva mai male, ma al contempo le metteva davanti la verità.

Era bello, piacevole stare insieme a lei, anche perché era la persona che più la conosceva al mondo.

“ Tua madre sa che sei sgattaiolata via?” le chiese improvvisamente cambiando discorso.

“ Probabile.” Rispose l’altra con un sbuffo. “ Ma non dirà nulla.”

“ Come al solito…”

“ Come al solito.” Ripetè la bionda chiudendo gli occhi.

“ Sai, mi piacerebbe avere una mamma come la tua. Disse Isabel come se niente fosse. “ È sempre così aperta con te, disposta a parlare…e ti capisce.

Chasya sorrise dolcemente prima di chiudere gli occhi.

“ Sai com’è fatta mia madre. Il suo carattere la porta ad essere prima un’amica e poi una mamma; sa cosa significhi per me stare a queste feste, ci è gia passata.”

“ È uno spirito libero…” sussurrò Isabel con un sorriso.

Perché noi no?” chiese la bionda con sarcasmo.

“ Noi siamo diverse da lei.” Disse ricordando il comportamento della donna. “ Lei è anche una madre, e quindi cerca in qualche modo di frenarsi almeno un po’; mentre noi non abbiamo legami di questo genere, io ancora meno di te. E se qualcuno mi dicesse di partire per l’Alaska in questo momento io non avrei nessun problema a farlo, non ho legami di alcun tipo che mi costringano qui.”

“ Hai me.” Sussurrò Chasya.

Ma è diverso.” Sbottò Isabel mettendosi seduta. “ Io e te…siamo diverse…” non continuò ma sapevano entrambe cosa volesse dire.

Il loro rapporto era sempre stato speciale in qualche modo. Bizzarro fino all’inverosimile, niente da ridire su questo, ma c’era qualcosa che avevano solo loro.

Si capivano con un sguardo e, anche se lontane, erano sempre vicine; amiche dal profondo dell’anima.

Fino alla fine.

“ Ti andrebbe di cantare?” Le chiese Chasya con un mezzo sorriso.

“ Non so quanto convenga.” Ammise Isabel con una smorfia.

La bionda la guardò esasperata prima di alzarsi e prendere a guardare intensamente il mare.

 

Il tuo mondo
Sta andando a puttane
Oramai
Puoi reagire ma forse
Non è ciò che vuoi
Preferisci esser vittima
Non guarirai
Non mollare
E' un consiglio
O ti ridurrai
Fumo e cenere

Le parole fluirono rapide e melodiose fuori dalle sue labbra, in una canzone triste ma accusatoria.

“ Non è questo il vero significato della canzone. Disse Isabel cercando di nascondere il turbamento che aveva sentito quando quelle parole l’avevano colpita.

“ Forse no, ma la possiamo interpretare anche così, no? Basta non cantarla tutta…”

L’altra non rispose, intenta a guardare un orizzonte che non vedeva realmente; era incredibile: quella era una delle sue canzoni preferite, una di quelle alle quali si era aggrappata quando il dolore era diventato troppo, e ora Chasya gliela sbatteva contro a quel modo.

“ Non puoi continuare così…” sussurrò la bionda senza guardarla. “ Non puoi scappare in eterno!”

Vorrei non fosse così…”

 

Ehi adesso come stai?
Tradita da una storia finita
E di fronte a te l'ennesima salita
.
Un po' ti senti sola,
Nessuno che ti possa ascoltare,
Che divida con te i tuoi guai.
Mai! tu non molare mai!

 

“ Oggi ti piace storpiare le canzoni, eh?” fece Isabel con un mezzo sorriso.

Chasya la ignorò bellamente.

 

Rimani come sei,
Insegui il tuo destino,
Perché tutto il dolore che hai dentro
Non potrà mai cancellare il tuo cammino
E allora scoprirai
Che la storia di ogni nostro minuto
Appartiene soltanto a noi.
Ma se ancora resterai,
Persa senza una ragione
In un mare di perché

 

Isabel si arrese alla sua voce melodiosa: non era mai cambiata!

Era sempre stata un brava cantante, e con lei aveva condiviso mille e più canzoni di ogni genere. Conosceva la sua voce come fosse la propria, ma sentirla nuovamente era una gioia incredibile!

Lei, Chasya, la sua migliore amica, l’unica che era sempre in grado di capirla, quella che riusciva a sbatterle la verità in faccia senza farsi odiare da lei.

Cosa avrebbe fatto se lei non ci fosse mai stata?!

 

Dentro te ascolta il tuo cuore
E nel silenzio troverai le parole.
Chiudi gli occhi e poi tu lasciati andare,
Prova a arrivare dentro il pianeta del cuore

Sorrise a quelle parole che forse, per lei, erano una speranza per il futuro.

Ne aveva passate tante in quegli ultimi tempi, ma il ritorno in Giappone e il ritrovare Chasya erano le risposte che cercava da tempo.

E di questo era sicura!

 

È difficile capire
Qual
è la cosa giusta da fare
Se ti batte nella testa un'emozione.
L'orgoglio che ti piglia,
Le notti in cui il rimorso ti sveglia
Per la paura di sbagliare,
Ma se ti ritroverai
Senza stelle da seguire
Tu non rinunciare mai


Aveva iniziato a cantare anche lei; piano, quasi un sussurro troppo flebile per esser sentito, ma stava cantando…come tempo prima.
Chasya sorrise senza smettere d’intonare quella melodia che tanto piaceva ad entrambe: c’era riuscita, Isabel stava nuovamente cantando!

E in quel momento tutto si perse.

C’erano solo loro e la loro amicizia, quella stessa che tanta forza aveva dato ad entrambe quando sembrava che il mondo fosse troppo forte per essere contrastato.

 

Credi in te! Ascolta il tuo cuore!
Fai
quel che dice anche se fa soffrire.
Chiudi gli occhi e poi tu lasciati andare,
Prova
a volare oltre questo dolore.

 

Poco distante, sentendo quelle splendide voce, Nemes, curiosa come sempre, si era avvicinata piano.

O mio Dio…” sussurrò vedendo Isabel seduta sulla sabbia, con il volto rilassato come non mai, cantare quella melodia muovendo le spalle a ritmo.

Che bella voce…”

Ed era vero: Isabel aveva una voce stupenda, quasi incredibile credere che esistesse davvero.

Riusciva a cambiare tonalità a suo piacimento, ma mai stanando la canzone, anzi. Sembrava che le regalasse un po’ del suo umore in quel momento, un po’ di se stessa e dei suoi sentimenti.

 

Non ti ingannerai
Se
ascolti il tuo cuore,
Apri
le braccia quasi fino a toccare
Ogni mano, ogni speranza, ogni
sogno che vuoi
Perché
poi ti porterà fino al cuore
di ognuno di noi.

Ma poi, contro ogni aspettativa, lacrime cristalline rigarono il volto candido di lei.

Scendevano veloci dagli occhi.

Scorreva come fiumi in piena sulle guance, lasciandosi dietro le scie infuocate del loro passaggio.

Ma Isabel non smise di cantare, anzi.

Continuò, sempre più forte, sempre più violentemente; e il dolore, che fino a quel momento l’aveva attanagliata sembrò svanire. Il muro che si era costruita attorno s’incrinò di colpo, ma non crollò.

Troppa era la sofferenza del suo cuore per cadere così in fretta.

 

Ogni volta, che non sai cosa fare,
Prova
a volare, dentro il pianeta del cuore
.

Tu tu prova a volare
Do do do dov'è il pianeta del cuore.

Tu tu tu dentro il pianeta del cuore

 

Terminarono assieme, perfettamente in sincronia.

Sorrisero entrambe: la loro sintonia non aveva risentito della lontananza.

“ Era così difficile?” chiese Chasya guardandola sorridente.

“ No…” sussurrò Isabel. “ No… Ma fa male comunque…non passerà così facilmente.” Sospirò tristemente.

“ Non passerà facilmente, ma col tempo farà meno male.

“ Lo so…” e si asciugò le ultime lacrime. “ Lo so…”

E rimasero in silenzio, a guardare il mare e le sue onde che piano s’infrangevano sulla sabbia.

“ Penso sia ora di tornare…” disse Chasya con una smorfia.

Che ora è?”

“ Mezzanotte e mezza:

“ Ok, andiamo.” Concordò Isabel, ma un sorriso furbo le si dipinse in viso. “ Tanto la notte è ancora giovane.”

aaaaaaaaaaaa

Quando tornarono sulla terrazza niente era cambiato.

Persone di alto rango, tutti vestiti ed impomatati al massimo, parlavano di politica o economia ridendo di tanto in tanto a qualche battuta e bevendo champagne.

“ Tutte uguali ‘ste feste…” sospirò Isabel con una veloce occhiata.

“ E cosa ti aspettavi?” chiese Chasya mentre l’altra alzava le spalle arresa.

“ Ah, ragazze…” la voce allegra e gentile di una donna le raggiunse facendole sorridere.

“ Chasye!” esclamò Isabel rivolgendole un sorrisone.

“ Isabel?” chiese la donna sorpresa. “ Piccola Issy?!

“ Proprio io.” Annuì la ragazza.

Chasye l’abbracciò felice di rivederla, felice di rivedere quella ragazza che era come una figlia per lei.

L’aveva vista crescere fin da piccola, e giocare e diventare la migliore amica di Chasya col tempo: come poteva non volerle bene?

Che bello rivederti!” disse abbracciandola maternamente. “ Non sapeva che fossi tornata in Giappone; questa testona di mia figlia non me l’ha mica detto.

“ Non lo sapeva nemmeno io, ad essere sincera. Si discolpò la bionda con un’alzata di spalle. “ Me la sono trovata qui.”

“ Ha ragione, non incolparla.” Le disse Isabel con tono dispiaciuto. “ Non ho detto a nessuno del mio ritorno…non volevo si sapesse…ecco…”

“ Non preoccuparti.” La rassicurò Chasye. “ L’importante è che tu sia qui con noi. Di nuovo.”

“ Di nuovo.” Ripeterono in coro le due ragazze.

Isabel si fermò un momento ad ammirare la donna che la stava davanti: non era cambiata di una virgola!

Benché fossero passati 10 anni dall’ultima volta che l’aveva vista, era rimasta la stessa di quand’era piccola.

Il tempo non aveva intaccato la sua bellezza, anche se, guardando bene, si potevano scorgere sul suo viso i segni di quegli anni.

Piccole e quasi invisibile rughe si mostravano ai lati degli occhi quando li strizzava un po’ più forte, e se aggrottava le sopracciglie una linea orizzontale le deformava le fronte.

Ma nonostante tutto era bella; bella come la ricordava.

Assomigliava molto a Chasya, sua figlia, a partire dal nome apparentemente uguale.

Anche le bionda, ma al contrario della figlia i suoi capelli erano lisci, tagliati in un caschetto regolare, ma scompigliati fino all’inverosimile, tanto che pareva avesse messo le dita nella spina.

La pelle scura, più scura rispetto a quella di Chasya, rifletteva pallidamente le luci delle fiaccole poste intorno a loro.

E gli occhi… Isabel era sempre stata affascinata da quegli occhi così strani, così profondi; sembravano celare chissà quali segreti, misteri e quant’altro. Quegli occhi avevano visto tante cose, tante persone, tante battaglie. Fin troppe…

Eppure erano sempre puri ed allegri: verdi come la speranza, come lo smeraldo.

Occhi capaci di scavare nel profondo di ognuno per vedere le sue ferite e provare a lenirle.

Era giovane, forse troppo per avere una figlia come Chasya e una responsabilità come quella che aveva.

Ma era forte, e testarda, e determinata: quando si metteva in testa una cosa…

“ Ragazze, mi spiace ma vi devo lasciare.” Si scusò Chasye con un sorriso sconsolato. “ Alcune vecchie tartarughe richiedono la mia presenza. E si dileguò con grazia tra gli invitati.

“ Non è cambiata per niente.” Disse Isabel alzando un sopracciglio.

E non sperare che accada.” Ribatté l’altra con un sorriso d’ammirazione verso la madre.

Poi, però, il suo sguardo cadde su un palchetto allestito poco lontano da loro…e i suoi occhi s’illuminarono.

“ Non pensarci nemmeno!” l’avvisò Isabel intercettando il suo sguardo. “ Non fartelo nemmeno passare l’anticamera dal cervello!”

“ Eddai!” la supplicò la bionda. “ Che ti costa??

“ NO, NO E ANCORA NO!!” ribatté scuotendo la testa. “ IO NON FARÒ UNA COSA SIMILE!!!

E invece si!”

Nemmeno aveva finito di parlare che gia l’aveva trascinata sul palchetto senza far caso alle sue proteste.

“ Signori e Signore buonasera a tutti!” trillò Chasya prendendo il microfono.

Tutti gli invitati si voltarono a guardarle e Isabel pregò in tutte le lingue conosciute e non che quella pazza psicopatica della sua migliore amica non avesse in mente quello che temeva.

“ Domandiamo scusa per avervi interrotto da quello che stavate facendo, ma dato che la serata ci sembrava un po’ noiosa abbiamo deciso di animarla un po’.” Spiegò mentre alcuni le lanciavano occhiate curiose e altri furiose, quasi volessero incenerirla con lo sguardo.

Isabel sospirò: come poteva dargli torto?!

“ Abbiamo deciso che canteremo delle canzoni. Annunciò la bionda con un sorriso. “ Un po’ di musica non fa mai male, giusto?” alcuni risero, altri annuirono.

La madre di Chasya, intenta a parlare con qualche riccone, rise sotto i baffi aspettando la performance delle sua figlie.

- Vediamo cosa sanno fare.-

aaaaaaaaaaaa

Poco distante, appoggiati al muretto di prima, Pegasus e gli altri non si erano mossi di un millimetro.

“ Ma noi non dovevamo andarcene?” chiese Phoenix spazientito.

“ Effettivamente si.” Rispose suo fratello. “ Ma non ho idea del perchè siamo ancora qui.

In quello, lo sguardo di Esmeralda cadde sul palchetto e sulle due ragazze.

Ma quella è Isabel!” esclamò sgranando gli occhi.

Tutti guardarono nella sua direzione e rimasero a bocca aperta.

“ Secondo voi cos’hanno in mente?” chiese Cristal incredulo.

“ Io dico cantare…o farci sbellicare dal ridere. Disse Pegasus con un ghigno.

“ Sulla seconda opzione non metterei la mano sul fuoco se fossi in te.” Disse Nemes sbucando da chissà dove con un sorrisone sul volto.

Che intendi dire?” le chiesero gli altri.

“ State a vedere, o meglio, state a sentire.”

aaaaaaaaaaaa

“ Allora, gentile pubblico, abbiamo deciso di iniziare. Annunciò Chasya allegra.

“ E quindi, per prima cosa, la mia amica canterà un pezzo da solista. Aggiunse Isabel con un ghigno malefico che le procurò un’occhiataccia da parte della bionda.

Lei alzò le spalle sorridendo innocentemente e scese dal palco per avvicinarsi alle apparecchiature.

- Issy…questa non te la perdono…- pensò Chasya rimuginando sulla possibile punizione da infliggere all’amica. - Vedrai… Dopo te la farò vedere io!-

In quello partì la musica.

 

Remember the feelings, remember the day
My stone heart was breaking
My love ran away
This moments I knew I would be someone else
My love turned around and I fell

 

Chasya sorrise mentre cantava sicura le parole: era una delle sue canzoni preferite!

A quanto pareva Isabel se n’era ricordata.

La osservò con la coda dell’occhio mentre rideva e le faceva segno che andava tutto bene.

 

Be my bad boy, be my man
Be my week-end lover
But don't be my friend
You can be my bad boy
But understand
That I don't need you in my life again
Won't you be my bad boy, be my man
Be my week-end lover
But don't be my friend
You can be my bad boy
But understand
That I don't need you again
No I don't need you again

 

Il pubblico rimase incantato dalla bella voce di lei; alcuni si misero persino a ballare o battere le mani.

Chasye, poco lontano, sorrise nel vedere quanto la figlia le somigliasse.

Stessa esuberanza, stessa figura, stesse passioni…

Anche lei, anni addietro, era stata una “cantante”, proprio come la figlia; anche lei aveva fatto ciò che stava facendo Chasya in quel momento e…

e anche lei aveva avuto un’amica speciale con cui condividere quei momenti.

Ma ora lei dov’era?

 

You once made this promise
To stay by my side
But after some time you just pushed me aside
You never thought that a girl could be strong
Now I'll show you how to go on

 

Nemes e gli altri si erano avvicinati ed avevano stampata in faccia un’espressione buffissima, tutti tranne la bionda, ovviamente.

Quella ragazza che stava sul palco, e che si esibiva senza paura davanti a tutta quella gente “per bene” era una sirena! La voce bellissima regalava un tocco esotico ed estroverso a quella figura gia strana di suo.

Aveva un vestito semplice, diverso da quello degli altri.

Verdeacqua, che s’intonava benissimo con i suoi occhi, scendeva in diagonale sulla sua figura magra e slanciata mettendola in risalto; le spalline erano strette, ma sopra portava una maglia blu scuro dal collo largo che le lasciava scoperte le spalle.

I capelli erano lasciati sciolti e si muovevano seguendo il movimento della sua testa.

Che ragazza particolare!

 

Be my bad boy, be my man
Be my week-end lover
But don't be my friend
You can be my bad boy
But understand
That I don't need you in my life again

 

Isabel sorrise sorniona vedendo la sua migliore amica divertirsi come una pazza su quel palchetto messo li chissà per quale futile motivo… Chi avrebbe mai detto che sarebbe diventato il palco di un’esibizione musicale improvvisata?

Ma d’altronde, ricordò scuotendo la testa, loro due erano sempre state brave a ricavare le cose e le situazione più bizzarre da momento noiosi o semplicemente troppo per loro.

Eh si, non erano cambiate in dieci anni!

 

Won't you be my bad boy, be my man
Be my week-end lover
But don't be my friend
You can be my bad boy
But understand
That I don't need you again
No I don't need you again

 

La musica terminò e Chasya depose il microfono sul piedistallo mentre ascoltava gli applausi.

In quello Isabel salì sul palco e prese l’altro.

“ Allora, vi è piaciuta l’esibizione della mia amica?” chiese mentre tutti annuivano e applaudivano. “ Vi andrebbe di sentirla ancora?”

Urla e fischi partirono dai più giovani, ma prima che potesse dire qualcosa Chasya l’anticipò.

Ma ora è il momento della mia amica!” annunciò prendendola in contropiede. “ Ora detterà con uno di voi scelto a caso tra il pubblico. “

“ Chasya…non osare!” sibilò Isabel intuendo cosa aveva in mente la bionda.

 E perché no?” chiese quella innocentemente.

“ Giuro che dopo ti annego.” La minacciò arrendendosi però alla testardaggine dall’amica: non sarebbe riuscita a spuntarla!

 “ Allora…” disse Chasya guardando la folla.

Non notava nessuno di particolarmente interessante, finché il suo sguardo non cadde su una ragazzo che guardava Isabel con uno sguardo strano; si chiese se i due si conoscessero, e dopo aver notato l’occhiata poco amichevole dell’amica al ragazzo ghignò perfida.

“ Scelgo te.” E indicò il ragazzo con l’indice.

- No!- supplicò Isabel. - Lui no!-



 

 

 

Ecco qua!!!

Ringrazio che ha letto e commentato!!!

Le canzoni sono quelle di Laura Pausini con Ascolta il tuo cuore (cantata da Chasya e Isabel); dei Cascada con Bad Boy (cantata da Chasya) e un pezzo dei Finley con Fumo e Cenere (cantata sempre da Chasya)…

Ci vediamo tra un paio di settimane…Baci Rain!

 

 

 



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Capitolo 7
*** 6. Qualcosa di nuovo. ***


ODDIO

ODDIO!!!!!!!!!!!!! Sono in un ritardo pazzesco!!!! Vi prego davvero di perdonarmi!!!

Avevo detto due o tre settimane, ma mi sono resa conto di non riuscire davvero a scrivere questa ff. ho davvero fatto di tutto per poterla postere il prima possibile e…bè…oggi è quel prima possibile…(stendiamo un velo pietoso…T_TNdMe).

Comunque…bado alle ciance!!

Che si apra il sipario!!!

 

 

 

 

Isabel…Pegasus

 

6. Qualcosa di nuovo.

 

- No!- supplicò Isabel. - Lui no!-

 

Pegasus sgranò gli occhi quando Chasya lo indicò con l’indice: c’è l’aveva con lui?!

Guardò la ragazza che gli faceva segno di avvicinarsi sorridendo perfidamente; ma più che perfida la bionda era curiosa, curiosa di sapere cosa c’era tra quel bel ragazzo e Isabel.

Pegasus scosse la testa con decisione, facendole chiaramente capire che lui, su quel palco, non ci sarebbe mai salito: mica era un cantante?!

Isabel, dal canto suo, stava maledicendo la sua migliore amica in tutte le lingue possibili, e come minimo ne stava inventando altrettante.

Prese Chasya per le spalle e la guardò con occhi supplichevoli: non voleva!

Ma perché?” chiese la bionda intuendo ciò che le stava dicendo.

“ No…” sussurrò debole l’altra.

La guardò negli occhi scuri come la notte e capì di cosa avesse realmente paura la sua amica.

Dopotutto se aveva smesso di cantare e suonare un motivo doveva esserci, e loro ne avevano parlato poco prima alla spiaggia; e un conto era canticchiare sottovoce nascosta dall’oscurità, ma essere messa sotto i riflettori per fare qualcosa che lei stessa rigettava dal più profondo del suo cuore era un altro paio di maniche.

“ Isabel, devi farcela!” le disse abbracciandola noncurante di tutti gli occhi puntati su di loro. “ Devi farlo per te stessa. Non puoi continuare così.”

“ Non c’è la faccio.” Sussurrò la ragazza con il viso nascosto nella sua spalla, reprimendo le lacrime che volevano uscire libere. “ Sento di non avere la forza.”

Si che c’è la fai.” La incoraggiò la bionda. “ C’è l’hai sempre fatta; non puoi arrenderti ancora prima di iniziare a lottare, non è da te.

“ Io non sono più io da molto!”

“ E allora è il momento di tornare ad esserlo. Le disse decisa come non mai. “ Anche per lui!”

Isabel sentì una scossa lungo la schiena e deglutì rumorosamente a quelle parole.

Farlo per lui…

Farlo per suo nonno che tanto amore le aveva donato nel passato.

Per il suo ricordo ancora così vivido nella sua memoria.

Guardò il pubblico e fece un sospiro profondo: come sarebbe finita quella storia?!

Infondo poteva anche provarci, ma non era sicura che la voce uscisse dalle sue labbra; temeva di avere di nuovo quel blocco maledetto, temeva di crollare come l’ultima volta.

“ Mi vuoi proprio vedere morta, eh?” chiese a Chasya con un sospiro.

“ Certo che no!” ribatté lei mettendo il broncio. “ Io voglio vederti sorridere di nuovo.”

“ Ho sorriso per tutta la sera.” Le fece notare alzando un sopracciglio.

Chasya la ignorò bellamente e fece nuovamente cenno a Pegasus di salire; e lui, ancora una volta, scosse la testa contrariato.

“ Vuole la guerra?” domandò la bionda sotto voce. “ E guerra avrà.”

Prese il microfono a sorrise maligna.

“ Gli amici di quello che non ha nessuna intenzione di ascoltarmi possono portarlo di forza sul palco prima che perda la pazienza e lo meni di brutto?” chiese con tono amabile mentre Isabel ghignava divertita da quella minaccia che, per un istante, le fece dimenticare che la stava spingendo a cantare davanti a un centinaio di invitati.

Sirio, Phoenix e gli altri scoppiarono a ridere piegandosi in due.

Poi si voltarono verso Pegasus e sorrisero amabilmente.

“ Non oserete!” disse il ragazzo spaventato da quelle espressioni che non gli piacevano per niente.

“ Eddai, cha sarà mai?” chiese Cristal avvicinandosi.

“ Devi solo cantare con Isabel.” Rincarò la dose Andromeda.

“ E-E…vi se-sembra…poco…?” chiese senza convinzione.

Non aveva nemmeno avuto il tempo di voltarsi e scappare che i quattro ragazzi gli si erano gia fiondati addosso e ora lo portavano di peso verso il palchetto improvvisato mentre lui gli mandava maledizioni e gli invitati ridevano di gusto a quel fuori programma.

“ Eccolo qua!” annunciò Sirio contento. “ Tutto vostro!”

“ Grazie mille dell’aiuto.” Disse Chasya prima di rivolgersi al ragazzo. “ E ora che ne dici di dimostrarci quanto sei bravo a cantare?!” gli chiese allegra.

“ Non ci penso nemmeno.” Dichiarò lui incrociando le braccia al petto ed impuntandosi come un bambino.

“ Vedremo se sarà così!” e gli piazzò il microfono in mano prima di scendere dal palco.

“ Voglio vederti sorridere di gusto.” Sussurrò a Isabel passandole accanto.

La ragazza la guardò con la coda dell’occhio priva di parole: aveva ragione lei, doveva tornare a sorride con il cuore, e non perché era d’obbligo.

Dannata Chasya…!

“ Ehi.” La voce di Pegasus la riportò alla realtà. “ Non dirmi che ci farà cantare davvero?!”

Isabel ghignò perfidamente alla faccia del ragazzo. “ Non ti conviene sottovalutare Chasya. Quella è capace di fare tutto in qualsiasi momento.

Il castano la guardò orripilato e deglutì un paio di volte a vuoto.

La musica partì.

La ragazza sorrise; conosceva bene quella canzone, altrochè. Lei e quella pazza della sua migliore amica l’avevano cantata talmente tante volte, da piccole, che perfino in quel momento, a distanza di anni, ricordava le parole una ad una.

Ah, quanti ricordi… Giorni interi a far finta che penne e pennarelli fossero microfoni, che i peluche fossero spettatori, che il letto fosse il palco dell’esibizione…giorni felici dove tutto era facile, dove non c’erano problemi, dove…dove erano solo delle bambine.

 

Dietro al palchetto Chasya sorrise soddisfatta: tutto stava andando proprio come aveva previsto!

Isabel sembrava calma, non mostrava segni di irrequietezza o quant’altro.

- Forse c’è la possiamo fare…- pensò la bionda senza smettere di osservare la sua migliore amica.

Si, stava andando tutto bene…

o forse no…!

 

Isabel portò lo sguardo sulla folla davanti a lei e…tutto divenne nero!

Spalancò gli occhi terrorizzata mentre un forte senso di nausea le prendeva lo stomaco.

I brividi freddi lungo la schiena, la testa che inizia a girare, le forze che vengono meno…tutti questi erano sintomi che aveva gia provato una volta. Quella volta…in classe…

Deglutì a vuoto un paio di volte e cercò di regolarizzare il respiro orami affannoso.

No, non poteva farcela. Non ne aveva la forza.

Prese a tremare incontrollatamente, gli occhi di tutti puntati addosso, la musica che lenta continuava ad uscire dalle casse…e il microfono nella sua mano che non aspettava altro che essere usato…

“ Non c’è la faccio…”

 

Pegasus guardò prima il microfono che aveva in mano e poi la folla davanti a lui: darsela a gambe non sarebbe servito a molto. Tanto più che c’erano i suoi amici lì vicino pronti per rispedirlo su, perciò…

Ma chi glielo aveva fatto fare di andare a quella dannata festa…?!

Quale folletto l’aveva convinto?!

Fece vagare lo sguardo sulle persone presenti; riconobbe sua sorella che, come c’era da immaginarselo, se la stava ridendo di gusto, sua madre e suo padre che lo guardavano malamente, come a dirgli che non era proprio il caso di mettersi a fare certe scena davanti a tutte quelle persone importanti. Poi c’erano i suoi amici che, come sua sorella, se la ridevano di gusto, e c’era…Lania!

Oddio!!! Ci mancava solo lei!!!!

Il ragazzo sospirò sconfitto, certo che non sarebbe riuscito a togliersi da quell’impiccio.

Portò lo sguardo su Isabel, e subito capì che qualcosa non andava in lei. Aveva la stessa espressione terrorizzata di qualche giorno prima, quando la professoressa l’aveva spedita al pianoforte; lo sguardo vacuo davanti a se e la paura dipinta sul viso.

“ Isabel…cha diavolo…?” ma non riuscì a finire la frase che lei si era gia voltata a guardarlo.

No, non era semplice paura la sua, non era solo quella a trasparire dai suoi occhi, c’era anche dolore, rimpianti…odio…

La fisso intensamente per un paio d’istanti, e capì al volo che c’era qualcosa, di profondo e oscuro, che le impediva di aprir bocca.

 

Lui non cantava perchè non voleva essere preso in giro…lei perché ormai non aveva più voce!

 

Ma cos’era successo di tanto grave da procurarle un danno simile?

“ Io…io…non c’è la faccio…” le parole uscirono in un sussurro quasi impercettibile dalle sue labbra, talmente piano che lui fece fatica a sentirla. “ Non c’è la faccio.” Ripetè ancora una volta.

E Pegasus, inaspettatamente, le prese la mano.

La strinse forte nella sua, che in quel momento gli sembrava così grande rispetto a quella di lei; sembrava che volesse darle forza, quel coraggio che nemmeno lui, però, era certo d’avere.

Si che c’è la fai!” le sussurrò sicuro mentre, quasi spinto da una forza invisibile, alzava il microfono e lo portava alle labbra.

 

Living in my own world
Didn't understand
That anything can happen
When you take a chance

 

La voce gli uscì normalmente dalle labbra, come se cantare fosse una cosa che faceva ogni giorno, come se fosse la cosa che più amava.

E dire che lui odiava cantare!

Ma gli era sembrato normale…facile!

Isabel lo guardò stupita: mai avrebbe pensato che fosse così bravo!

E invece era una cosa…bella, e la sua voce le dava forza, speranza…coraggio.

Pegasus le sorrise mentre lei, facendosi coraggio, stringeva più forte la sua mano e portava il microfono alle labbra.

 

I never believed in
What I couldn't see
I never opened my heart (ooh)
To all the possibilities (ooh)

 

 

Pegasus spalancò gli occhi ammaliato dalla voce della ragazza che gli stava accanto, e lo fecero anche tutti i presenti: era bellissima!

La voce di Isabel era stupenda, mistica e arcana. Era in grado di rapire chiunque l’ascoltasse, di renderlo schiavo della melodia che intonava. Sembrava che non le costasse alcun sforzo cantare, la voce melodiosa e suadente usciva facilmente dalle sua labbra.

Isabel chiuse gli occhi per assaporare appieno l’emozione che le dava cantare nuovamente; non era come prima, con Chasya, era qualcosa di straordinario, come se una parte di lei fosse improvvisamente tornata. Le sembrava così sciocco non aver cantato per tutto quel tempo.

Portò lo sguardo sul ragazzo al suo fianco che, ammirato, la guardava come se non avesse mai sentito nulla di simile.

 

I know that something has changed
Never felt this way
And right here tonight
This could be the start
Of something new
It feels so right
To be here with you (ooh)
And now looking in your eyes
I feel in my heart (feel in my heart)
The start of something new

 

Chasya spalancò gli occhi: quei due erano bravissimi! Molto di più di quanto si sarebbe aspettata…soprattutto da Pegasus. E invece…

I due protagonisti si fissarono stupefatti da ciò che stava accadendo: era così facile!

Era incredibile, ma cantare l’uno con l’altra era qualcosa di estremamente semplice, come se lo  facessero da sempre, come se da una vita stessero provando e riprovando.

Isabel chiuse gli occhi e respirò profondamente. Cantare con Pegasus era una cosa bellissima, qualcosa che le metteva nel cuore una grande nostalgia ma anche una grande felicità…

E si, per entrambi era proprio come diceva quella canzone: nel loro cuore stava davvero succedendo qualcosa di nuovo!

 

Now who'd of ever thought that (ooh)
We'd both be here tonight (ooh yeah)
And the world looks so much brighter (brighter)
With you by my side
I know that something has changed
Never felt this way
I know it for real

 

È davvero incredibile! pensò Isabel continuando a cantare quella canzone che, in quel momento, sembrava rispecchiare tutto quello che pensava. Chi avrebbe mai pensato che si sarebbero trovati lì, quella sera, su quel palco improvvisato a cantare una canzone.

E i pensieri di Pegasus non erano poi così diversi!

C’erano tante cose che non credeva possibili, ma in quel momento gli sembrava possibile persino volare.

Era come se la voce di Isabel avesse sortito chissà quale effetto su di lui. Tutto sembrava risplendere in quel momento ch’era con lei.

E la cosa incredibile era che tutto gli sembrava stranamente vero.

 

This could be the start
Of something new
It feels so right
To be here with you (ooh)
And now looking in your eyes
I feel in my heart
The start of something new

Pegasus si voltò nuovamente a guardarla come aveva fatto per gran parte della canzone, e trovò così semplice, così giusto…essere lì con lei, a cantare, come se non aspettasse altro da tutta la vita.

Le strinse ancora di più la mano e le sorrise, sorpreso che lei ricambiasse quel sorriso che gli nato spontaneo.

E Isabel lo trascinò in un ballo improvvisato, in quel momento, felice come non lo era da tanto, forse troppo.

Il suo cuore era pieno di gioia in quel momento, talmente tanto che avrebbe potuto esplodere da un momento all’altro.

 

I never knew that it could happen
Till it happened to me
I didn't know it before
But now it's easy to see

 

Chi avrebbe mai pensato che qualcosa del genere sarebbero potuta accadere?

Di certo non loro che, per quanto si stessero lasciando trasportare dalle emozioni, erano ancora alquanto perplessi dalla situazione.

 

Pegasus, ormai fuori controllo, lasciò andare la sua mano e prese il microfono imitando i rockettari, facendo ridere la ragazza al suo fianco che scosse la testa e rise ancora di più.

 

It's the start
Of something new
It feels so right
To be here with you (ooh)
And now looking in your eyes
I feel in my heart

 

Isabel alzò la voce volendo gridare al mondo intero quello che sentiva in quel momento in fondo al cuore: una gioia indescrivibile, qualcosa che mai le era capitato di provare! O meglio, era gia stata felice, non a quei livelli, ma vicina c’era andata…solo che…in quel momento…quella gioia era qualcosa che sapeva non sarebbe riuscita a descrivere.

E lo stesso valeva per il ragazza vicino a lei, che si stava divertendo come un matto in quel momento.

 

That it's the start
Of something new
It feels so right (so right)
To be here with you (ooh)
And now looking in your eyes
I feel in my heart
The start of something new

 

Si, per chissà quel ragione, sia Isabel che Pegasus erano convinti di una cosa: quello era davvero l’inizio di qualcosa di nuovo…!

E Isabel amava le cose nuove ed inaspettate, anche se forse, stavolta avrebbe cambiato opinione.

Chissà…dopo quella sera…era davvero tutto possibile…!

 

Start of something new

 

Quello era davvero un nuovo inizio!

 

The start of something new

 

E quel qualcosa di nuovo valeva davvero la pena di essere vissuto!

[Start Of Something New – High School Musical 1]

 

 

Isabel e Pegasus abbassarono contemporaneamente i microfoni, senza smettere di guardarsi negli occhi.

Poi…un applauso ruppe l’incantesimo che s’era creato tra di loro.

La ragazza portò lo sguardo sulla platea…e qualcosa dentro di lei di ruppe.

 

CRACK

 

Qualcosa andò in frantumi…com’era gia successo tempo prima.

Gli occhi le si velarono e tutto divenne scuro davanti a lei.

 

“ Isabel!”

 

Solo questo riuscì a sentire prima di chiudere gli occhi e abbandonarsi all’oblio ancora una volta!

 

 

 

 

 

 

Ecco qua!!!

Che ne dite? Un po’ corto? Mi dispiace, ma non sono proprio riuscita a far di meglio!!!

Comunque…spero di riuscire a postare il prossimo capitolo quanto prima, ma come potete vedere non sono molto regolare…quindi siete avvisati!!

All prossimo capitolo!

Baci…Baci…Rain!!!

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Capitolo 8
*** 7. Oblio. ***


Mi scuso subito per l’immenso ritardo con cui posto questo capitolo, ma tra scuola, sport, gite, gare di pattinaggio e altre ff nono sono proprio riuscita a farcela prima

Mi scuso subito per l’immenso ritardo con cui posto questo capitolo, ma tra scuola, sport, gite, gare di pattinaggio e altre ff nono sono proprio riuscita a farcela prima. Mi dispiace davvero tanto. (mi sa che dovrò fare penitenza…T_T).

Comunque ce l’ho fatta e anche se il capitolo è piccolino rispetto agli standard, spero che vi piacerà comunque. Credo che riuscirò a postare il prossimo entro breve, ovviamente in assenza di qualcosa che me lo impedisca.

E ora…Buona lettura!!!!

 

 

 

 

 

7. Oblio.

 

 

 

 

Isabel buttò malamente i libri nella tracolla rossa e se la mise in spalla senza preoccuparsi di chiuderla. Se anche i libri cadevano fuori…poco importava! Anzi, non le importava proprio nulla!

Uscì velocemente dalla classe senza far caso ai suoi amici che la guardavano preoccupati e chiedevano silenziosamente risposte; ma non le importava nulla delle loro domande, in quel momento. Così come non le importava dei giudizi e delle accuse che le venivano mosse contro. A Isabel, in quel momento, non importava nulla di nessuno, nemmeno di se stessa.

Decise di deviare per il parco, così da poter tardare l’arrivo a casa e ai mille compiti che l’aspettavano lì, e che avevano le fattezze di fogli e carte prive di significato alcuno; cose di cui una sedicenne come lei non avrebbe mai dovuto occuparsi, perché avrebbe dovuto esserci un adulto accanto a lei a lasciarla libera di vivere la sua adolescenza. E invece così non era! No, altroché! Perché lei, un adulto che la incoraggiava e la proteggeva da quel mondo troppo crudele non ce l’aveva! Ed era sola in mezzo ad un mare in tempesta, pronta ormai da molto a smettere di lottare.

Era stanca, terribilmente stanca!

Da quando una settimana prima, alla festa a casa di Chasye, era successo quello ch’era successo, lei non aveva più parlato neanche lontanamente con i suoi amici. Troppe sarebbero state le domande, troppe le risposte da dare così come le spiegazioni, e affrontare tutto questo… No, non poteva farcela! Non in quel momento almeno.

Si era risvegliata all’ospedale, con Chasya accanto, che aveva un’espressione indecifrabile in viso. Non si erano nemmeno salutate, neanche un sorriso sul loro volto. La bionda si era alzata ed era uscita dalla stanza sbattendo forte la porta, e Isabel era rimasta sola, stesa su quel lettino che puzzava di disinfettante, a stringere forte i pugni – così forte da farsi sanguinare le mani – per non permettere a quelle dannate lacrime salate di scendere lungo il suo viso candido.

Non aveva rivolto la parola a nessuno da quel momento, nonostante Nemes avesse continuato a tartassarla per tutto il giorno. Solo alla sera aveva desistito e aveva abbassato la testa sconfitta, conscia che Isabel non voleva avere niente a che fare con lei…con loro. E forse lo sguardo addolorato della bionda era stata la prima ed unica cosa a farle sentire qualcosa quel giorno. Perché non sentiva più nemmeno il cuore battere nel petto, come se questo le fosse stato tolto e sostituito con  uno artificiale che però non aveva suono ne movimento.

Dentro di se Isabel non sentiva che il vuoto!

“ Sei tu Isabel, vero?”

La voce di una ragazza la risvegliò improvvisamente dai suoi pensieri e la fece voltare: Lania, la ragazza di Pegasus! Da quelle voci che giravano per la scuola era venuta a sapere che i due erano tornati insieme, per l’ennesima volta a quanto aveva capito. Sembrava un continuo tira e molla il loro rapporto, e si vociferava anche che quella era più o meno la quinta o sesta volta che si lasciavano per poi rimettersi insieme.

Lania si ritrasse per un momento quando il volto di Isabel fu chiaro ai suoi occhi: quella non era la stessa ragazza che aveva visto alla festa della Mizuno e che aveva cantato con Pegasus!! No, la persona che le stava davanti era qualcuno che non aveva mai visto.

Il volto magro iniziava ad essere incavato nelle guance, i lunghi capelli ricadevano scialbi sulle spalle fragili e gli occhi, quegli occhi profondi come la notte erano spenti, vuoti, privi di alcunché. L’intera figura sembrava aver perso vita da quando l’aveva vista l’ultima volta.

“ T-Tu sei Isabel..?” ripeté stavolta più piano, a tratti spaventata da quel viso vuoto che aveva davanti.

Isabel la guardò annoiata e annuì distrattamente.

“ Bene, perché io sono la ragazza di Pegasus.” Dichiarò Lania incrociando le braccia al petto, raccogliendo il coraggio che le era rimasto dopo quello che aveva visto.

“ Lo so.” Disse con voce strascicata l’altra.

“ Allora saprai anche che Pegasus è mio e di nessun altra immagino.”

“ Questa parte devo essermela persa.” Esclamò Isabel quasi sorpresa, ma con gli occhi spenti. “ Ma, sinceramente, che vuoi che me ne importi di ‘sta cosa!?

Le parve quasi di cogliere un guizzo negli occhi della ragazza che le stava davanti, ma stranamente la cosa non la divertiva più di tanto come avrebbe dovuto essere. Non sapeva chi in realtà fosse la persona che in quel momento le stava parlando, ma non le importava neanche di saperlo. Perciò le voltò le spalle pronta per andarsene.

“ Ehi tu, mi stai ascoltando?” la voce di Lania, fattasi improvvisamente stridula e arrabbiata, le perforò i timpani e la fermò. “ Tu devi stare alla larga da Pegasus, dal mio ragazzo, chiaro? Non voglio più vederti gironzolare intorno a lui, capito?

Gironzolare?

E quando mai lei aveva fatto una cosa del genere?

Sentì la rabbia montarle dentro, quasi volesse esplodere nel suo petto, e le dispiaceva che proprio quella ragazzina ne sarebbe stata travolta. Perché lei, alla fine, poco aveva fatto se non far scattare la scintilla che si sarebbe poi trasformata in fuoco.

Ma non era solo rabbia quella che ora bruciava in ogni parte del suo corpo, era anche fastidio per quel tono stridulo e accusatorio che Lania le aveva rivolto contro.

Puttana!

Ecco cosa le urlava quell’accusa. E questo, lei, non poteva tollerarlo! Aveva gia sopportato troppo in quel periodo, troppo. E non avrebbe sopportato oltre!

Si tolse velocemente la tracolla e la lanciò poco distante, nella polvere; alzò lo sguardo scuro sulla ragazza che le stava davanti e la vide sussultare spaventata mentre fissava i suoi occhi ora pieni di qualcosa a cui non riusciva a dare un nome.

“ Ora tu mi ascolti bene!” dichiarò Isabel puntandole contro un dito, nella voce una calma e una determinazione incredibili. “ Primo: io non so chi tu sia e neanche cosa vuoi da me, e sinceramente non m’importa. Secondo: io non ho mai gironzolato intorno al tuo ragazzo. Terzo: non provare mai più a darmi della puttana, neanche se sottointeso. Quarto: cresci!”

Lania non era riuscita a staccare gli occhi da Isabel nemmeno per un attimo, troppo spaventata da quello che le avrebbe potuto fare. Ma in quel momento, lì in quel parco bagnato dagli ultimi sprazzi di sole, a farle veramente male non furono calci o pungi, che comunque non le arrivarono mai. No, furono le parole di Isabel che, taglienti come lame di rasoi nonostante fossero traboccanti di calma e razionalità, furono un pugno nello stomaco per lei. E furono anche gli occhi di Isabel, che non nascondevano solo rabbia e insofferenza, ma anche dolore e stanchezza.

Lania fuggì a quello sguardo accusatorio che non poteva sostenere. Lei, che nonostante tutto era stata felice anche se i suoi veri genitori l’avevano abbandonata e lei era cresciuta in una famiglia adottiva, non poteva sopportare su di se uno sguardo carico di dolore e odio; riusciva a riconoscere quei sentimenti, ma non riusciva a comprenderli. Perché quegli occhi sembravano troppo maturi per appartenere ad una ragazza che aveva appena la sua età.

Prese a correre furiosamente per uscire dal parco, incurante del fatto che Isabel non si fosse mossa di un passo, che avesse mantenuto un’espressione neutra e distaccata: un’espressione totalmente vuota!

 

bïa

 

Isabel alzò la testa verso il cielo non riuscendo effettivamente a vederlo.

Le mani presero a tremarle convulsivamente così come tutto il corpo, sentì il cuore pompare sempre più veloce e il respiro farsi corto. Non riusciva più a respirare, stava soffocando. Si avvicinò tremante alla borsa ed estrasse un contenitore azzurro con dentro delle pastiglie bianche: i calmanti! La dottoressa che gliele aveva date una settimana prima le aveva raccomandato di non prenderle troppo spesso, ma Isabel non aveva ascoltato, e le aveva prese ogni giorno nella speranza che non succedesse quello che, effettivamente, le stava succedendo.

Aprì velocemente il tappo e ingurgitò tre o quattro pastiglie in una volta per poi accasciarsi al suolo con la testa più dolorante di prima e le convulsioni che diventavano ogni secondo più potenti. Si passò una mano tra i capelli sporchi di polvere cercando di togliersi di dosso il sudore che le imperlava la fronte e la rendeva appiccicaticcia.

Fu in quel momento, persa nei deliri del dolore e della colpa, che lo vide di nuovo. Ancora una volta. E ancora una volta le sembrò che i suoi occhi scuri come la notte la stessero giudicando e incolpando.

 

“ Mi dispiace…”

 

La voce flebile e roca le uscì in un sussurro appena percettibile, anche se avrebbe voluto gridarlo.

Avrebbe voluto urlargli che le dispiaceva, che le mancava e che…che dei suoi sogni non le importava nulla. Tutto…pur di riaverlo accanto come un tempo che ormai sembrava lontanissimo, quasi inesistente.

 

“ Mi dispiace…”

“ Davvero…!”

 

Non seppe nemmeno lei dove trovò la forza per pronunciare anche quel “davvero”.

Gli occhi iniziarono pian piano a chiudersi e si sentì sprofondare nell’oblio più tetro, quello da cui non c’è via d’uscita. Ma le andava bene così!

Si, perché così facendo avrebbe potuto nascondersi ancora una volta. Avrebbe potuto giocare a Nascondino per l’ennesima volta, e fingere che tutto quello non era reale, ma solo il frutto del suo dolore e delle sue paure. Avrebbe potuto farlo ancora una volta e fuggire da una realtà che la feriva più di ogni altra cosa al mondo.

Avrebbe potuto farlo…e lo fece!

Cedette all’oblio!

 

bïa

 

Patricia rideva spensierata mentre passeggiava con la madre a ritorno da una “giornata tra donne” che non passavano da tanto, troppo tempo. Sua madre era una donna in affari, una di quelle che ogni mattina si mettono un tailleur di un colore smorto e prendono la macchina per andare a lavoro, per passare praticamente tutta la giornata seduta con le gambe accavallate dietro una scrivania, oppure intente ad ascoltare un consiglio d’amministrazione e cose simili.

Ma sua madre era anche una madre, e proprio per questo ogni tanto sfuggiva a quelle giornate monotone per andare in giro per negozi con la figlia, oppure a prendere un caffè o a bere un drink con un’amica. Forse sua madre era una delle poche donne in carriera che riuscivano a conciliare lavoro e famiglia!

Patricia lanciò uno sguardo di sfuggita alla bella donna che le stava accanto e che in quel momento controllava l’orologio; era alta, sua madre, per essere una donna, con un fisico magro e slanciato da far invidia a qualsiasi ragazza, anche se ormai i suoi 40 anni iniziavano a mostrarsi dalle piccole rughe che di tanto in tanto le rigavano la fronte.

Aveva i capelli neri come l’ebano, lunghi fino alle scapole e lisci come la seta.

Gli occhi azzurri come il ghiaccio, pallido e tagliente, ma pur sempre bellissimo.

Kioko Tsuji era sempre stata bella, fin da piccola, ma con il passare del tempo la sua bellezza s’era accentuata e trasformata, sino a farla divenire – ad occhi esterni – una donna raffinata ed elegante sulla quarantina; ed era anche in gamba oltre ad essere bella. Riusciva a guidare perfettamente la grande compagnia che possedeva, anche senza il marito.

Ma per Pegasus e Patricia lei non era solo questo. No! Per loro era la donna che gli aveva fatto da madre, la donna che li aveva accuditi fin dall’infanzia, che gli aveva dato l’amore materno che avevano perso tempo prima.

“ Ehi, guarda com’è tardi!” esclamò Kioko dopo aver guardato l’orologio.

“ Mi sa che ci siamo dilungate un po’ troppo come al solito.” Ridacchiò Patricia con una rapida occhiata alle borse che tenevano in mano.

“ Gia.” Annuì la madre. “ Ma ora è meglio se rientriamo. Di qua, vieni!” e la prese per mano conducendola attraverso quello che sembrava un parco.

“ Non ci sono mai stata qui.” Ammise la rossa guardandosi intorno come una bambina curiosa.

Kioko ridacchiò. “ Non mi sorprendo affatto. Sai, in questo parco, tanti anni fa, tuo padre mi chiese di sposarlo. Raccontò persa nei ricordi di quasi vent’anni prima.

“ Davvero?”

“ Oh, si!” annuì la donna. “ Era il 25 aprile e noi eravamo venuti qui per fare una passeggiata; il sole stava tramontando quando, all’improvviso, tuo padre si è inginocchiato davanti a me, ha preso fuori dalla tasca una scatolina nera e mi ha chiesto di sposarlo. Avevo vent’anni.”

Patricia sorrise vedendo gli occhi della madre illuminarsi di gioia a quei ricordi. Le era sempre piaciuto ascoltarla mentre le raccontava degli anni in cui anche lei era una ragazzina piena di sogni e di ambizioni; sogni e ambizione che, ogni tanto, l’avevano portata in conflitto con il resto della famiglia. Perché Kioko era bella si, ma anche intelligente e intraprendente, e non le andava che qualcun altro decidesse per la sua vita. Aveva litigato tanto con i suoi genitori a causa di questo, e più volte era scappata di casa. Era stato proprio durante una di queste fughe che aveva incontrato l’uomo che sarebbe poi divenuto suo marito. E loro erano ancora innamorati come allora, come due sedicenni alla loro prima cotta.

Gli occhi di Kioko erano ancora illuminati dalla felicità e dai ricordi quando, improvvisamente, Patricia si bloccò e cacciò un urlo spaventoso. La donna scosse preoccupata la figlia per le spalle mentre questa continuava a tenere gli occhi fissi davanti a se, quasi vuoti.

“ Trish…Patricia cosa c’è???” le chiese quasi urlando.

La rossa alzò tremante una mano e indicò davanti a se, qualcosa che la madre non aveva sicuramente visto. Kioko si voltò in quella direzione e spalancò gli occhi.

Una ragazza, una ragazza era riversa al suolo.

“ O mio…” sussurrò spaventata.

Lasciò cadere a terra le borse e si fiondò sul corpo immobile e sudato della giovane. Le tastò il polso preoccupata e, con sua immensa gioia, notò che il battito c’era ancora. Si voltò verso la figlia che aveva ancora gli occhi spalancati e che non si era mossa di un millimetro dalla sua posizione.

“ Patricia dammi una mano!” la incoraggiò facendole segno di avvicinarsi.

Ma la ragazza non dava segno di averla sentita, e non perché fosse totalmente paralizzata dalla paura, ma perché davanti a lei stava il corpo di un’amica, una ragazza che aveva conosciuto quasi per caso ma che gia sentiva parte di se e della sua vita. Una ragazza così fragile nell’aspetto, ma che negli occhi nascondeva una forza immensa, una forza che aiuta a rialzarsi anche da soli da situazioni terribili.

E l’aveva vista specchiarsi nei suoi occhi quella situazione terribile.

Come un lampo, o meglio una vena di dolore e tristezza che tendeva ad offuscare quei bellissimi e magnetici occhi blu notte. Sapeva…sentiva che lei aveva sofferto tanto, anche se non lo dava a vedere; nascondeva nel profondo del suo cuore quella debolezza che era anche la sua forza.

 

“ Isabel…”

 

bïa

 

Due mesi prima…

 

Faceva caldo quella sera, e l’aria leggermente frizzante le solleticava le braccia scoperte; dal tettuccio aperto della decapottabile le luci e i colori sfavillanti di New York creavano magnifiche illusioni.

L’adrenalina che le scorreva in corpo dopo la fine del concerto ancora non se n’era andata, e la faceva sorridere in continuazione facendola sentire felice.

Per quella serata aveva optato per un look leggermente diverso dal suo solito, tanto per rendere un evento speciale ancora più speciale. Aveva indossato una minigonna di jeans, una canottiera bianca con le spalline strette e sopra un gilet senza maniche nero; sulla mano destra un guanto di rete nera mentre sul polso sinistro aveva intrecciato tutta una serie di braci alletti di perline blu, nere e viola. Aveva lasciato sciolti i lunghi capelli di seta e vi aveva messo sopra una rosa nera. Ai piedi degli stivaletti neri con il tacco alto e sulla vita una cintura rossa, viola e blu.

Ah, che bel concerto ch’era stato quello. La folla esultante, la musica a palla e lei, sul palco e con il microfono in mano, che cantava l’ultima canzone che avevano inciso poco tempo prima. Era stata un’emozione unica ed irripetibile, come se all’improvviso tutto il mondo circostante non esistesse più, ma ai suoi occhi ci fosse solo la musica e ciò che cantare le trasmetteva. Un mondo che ormai sapeva suo.

“ Ancora elettrizzata, eh?” le chiese suo nonno, seduto davanti a lei, riportandola improvvisamente alla realtà.

Lei lo fissò per un momento e poi scoppiò a ridere come una bambina. “ Puoi dirlo forte nonno!”

Si lasciò andare contro al sedile e inclinò la testa per guardare le stelle; non si era mai sentita come in quel momento, felice e piena di vita. 

Chiuse gli occhi pensando che, il giorno dopo, avrebbe dovuto chiamare Chasya per raccontarle tutto, altrimenti la sua migliore amica l’avrebbe presa per il collo. Ah, Chasya…chissà da quanto non la vedeva. E dire che erano praticamente cresciute insieme, ma poi quel trasferimento improvviso in America…

Decise di non pensarci in quel momento, e tornò a guardare le stelle che brillavano timidamente nel cielo notturno della grande mela.

Poi, all’improvviso, un fischio sordo la ridestò dalle fantasie in cui si era persa; saltò su e sgranò gli occhi un attimo prima che tutto accadesse. Da quel momento in poi non seppe dire quanto tempo fosse passato, cosa avesse realmente visto e dove si trovasse. Di quel bruttissimo istante rammentava solo un paio di fari e un boato, ma l’esplosione, le fiamme e la confusione che seguirono non li sentì.

Chiuse gli occhi e si lasciò andare senza forza all’oblio…

 

 

 

 

 

 

 

Allora????

Un po’ corto, eh??? Mi dispiace davvero ma ho fatto quanto potuto, anche perché il capitolo in se era forse uno a cui tenevo di più. Spero di essere riuscita a farlo come volevo e, se così non è stato, vi chiedo scusa.

Grazie di cuore a chi ha commentato e anche a chi continua a seguirmi nonostante i ritardi e tutto il resto. Grazie davvero!!!

Al prossimo capitolo (spero presto).

Baci…Rain!!!!

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Capitolo 9
*** 8. Nascondino. ***


Chiedo umilmente perdono per il mostruoso ritardo con cui posto questo capitolo, ma purtroppo non ho quasi avuto tempo di scrivere nulla in questo lunghissimo periodo; gli impegni sono stati davvero troppi, e purtroppo non sono ancora finiti

Chiedo umilmente perdono per il mostruoso ritardo con cui posto questo capitolo, ma purtroppo non ho quasi avuto tempo di scrivere nulla in questo lunghissimo periodo; gli impegni sono stati davvero troppi, e purtroppo non sono ancora finiti.

Mi dispiace davvero e mi scuso con tutti i lettori che volevano leggere il seguito!!!

 

E ora:

x Kloe2004: Ciao…mi fa piacere che la storia ti piaccia. Pare che tu sia una dei pochi a cui la coppia Pegasus/Isabel piaccia, proprio come me. Grazie mille per il commento e per i complimenti. Ecco a te il seguito! Baci…Ciau…

 

 

 

 

 

 

8. Nascondino.

 

 

 

[“ Giochiamo a nascondino?”

“ Si si!”

“ Allora tu conti e io mi nascondo!”

“ No, non è giusto! Voglio essere io a nascondermi!”]

 

 

 

 

 

 

Quando aprì gli occhi, in quella ventosa mattina autunnale, tutto aveva perso colore intorno a lei. Si mise a sedere. Troppo in fretta ovviamente. La testa iniziò a vorticarle furiosamente e gli oggetti si sdoppiarono davanti ai suoi occhi. La testa le doleva in maniera tremenda, tanto che le sembrava che qualcuno la stesse picchiando dall’interno. Ripiombò violentemente sul cuscino e chiuse gli occhi inspirando pesantemente l’aria; sapeva di erba appena tagliata e di…limone. E anche di acqua salata.

Le erano sempre piaciuto come odori. Li trovava freschi e le donavano un senso di libertà di limpidezza. Come se fossero in grado di schiarirle le idee. Tuttavia, in quel momento, nemmeno quello bastava. La confusione che aveva dentro era qualcosa che non sembrava volersi placare, minimamente.

Dolore.

Paura.

Rabbia.

Questi sentimenti vorticavano dentro di lei come in un pentolone vortica della minestra. Calda e viscida. Poteva sentire il corpo madido di sudore appiccicaticcio, tanto che la camicia da notte che le era stata infilata formava una seconda pelle su di lei. Scostò violentemente le coperte, il viso bollente e rosso. La gola le bruciava come se qualcuno vi avesse infilato dentro un fiammifero acceso. Voleva andarsene, uscire da quella stanza dove si trovava chissà perché. Ma gli occhi erano ancora velati, e lacrimavano dolorosamente; la luce del giorno avrebbe potuto bruciarglieli in quel momento. Ma non voleva restare ancora in quel luogo buio che non conosceva, benché si sentisse in qualche modo protetta a stare lì. Ma no, lei non voleva restare. Non voleva più nascondersi!

Cercò di orientarsi tastando ciò che la circondava, ma niente. Tutto inutile.

Si accasciò nuovamente, questa volta sul pavimento. Si coprì gli occhi con un braccio e lasciò che le salate lacrime uscissero come fiumi e le bagnassero le gote arrossate dallo sforzo.

 

bïa

 

Pegasus si buttò sotto la doccia calda e lasciò che l’acqua lo rigenerasse.

L’allenamento di quel giorno era stato estenuante, e tutta la stanchezza era andata a posarsi sulle sue spalle. Erano state le due ore più lunghe della giornata, e proprio non capiva come facesse Andromeda a non sentirsi anche solo intorpidito; ma il suo amico sembrava più in forma che mai, anzi.

“ Ehi,” lo chiamò Andromeda all’improvviso facendolo balzare. “ mi sa che la voce di quello ch’è successo l’altra sera si è leggermente sparsa.”

Pegasus guardò sorpreso l’amico, e solo in quel momento si ricordò che solo una settimana prima era successo quel qualcosa che aveva messo strane voci in giro per la scuola. Ed era tutta colpa di quella biondina mezza occidentale!

“ Accidenti!” inveì a bassa voce, così che solo Andromeda potesse sentirlo. “ Ma si può sapere chi cavolo ha fatto girare ‘sta storia?”

L’altro alzò le spalle. “ Voci di corridoio.” Gli spiegò velocemente. “ È tutto quello che si riesce a sapere. A quanto pare qualcuno ha detto una parole di troppo, e la cosa si è sparsa a macchio d’olio. Il che mi sembra anche abbastanza nella norma.

Il castano fece una smorfia di disappunto e tornò alla sua doccia cercando di non far caso alle occhiate che i suoi compagni di squadra – Andromeda escluso ovviamente – continuavano a lanciargli. Decise ch’era tempo di sparire e, in men che non si dica era gia fuori dal box e si stava asciugando velocemente; indossò la divisa alla bell e meglio e in meno di cinque minuti era gia fuori dagli spogliatoi senza nemmeno salutare Andromeda che, in risposta, sospirò scuotendo la testa.

Pegasus iniziò a camminare sulla strada di casa. Per fortuna quel giorno non aveva appuntamento con Lania. Se quelle che giravano erano davvero voci di corridoio, allora sicuramente erano gia arrivate alle orecchie della sua ragazza, anche se questa frequentava un altro istituto. E, sinceramente parlando, non aveva voglia di litigare quel giorno, non dopo che aveva fatto pace… Per l’ennesima volta! Ormai con Lania era un tira e molla continuo. Un giorno si, l’altro no. Quello dopo si, e quello dopo ancora no. Era più il tempo che passavano a litigare che quello in cui riuscivano ad essere una coppietta felice. Forse i suoi amici avevano ragione, ed era infine arrivato il momento in cui si deve mettere la parola fine ad una storia che non avrà mai un futuro. Perché era così. E ormai lo sapeva.

Tuttavia questo era solo uno dei problemi da risolvere. L’altro era far cessare quelle dannate voci! Quelle che lo vedevano protagonista di una serata di…karaoke, ecco.

Ma…perché la cosa gli dava così fastidio? Cosa aveva fatto di così sbagliato da doversene vergognare a tal punto?

Nulla!

Ed era proprio questa la cosa peggiore. Lui non se ne vergognava. Per lui non c’era nulla di male. A lui aveva fatto piacere, gli era piaciuto. Ed era per questo che la cosa gli dava fastidio, a tal punto che gli prudevano le mani al solo pensiero. E gli dava fastidio il fatto che lei lo avesse fatto sentire così bene, quasi in pace con il mondo oltre che con se stesso. La sua voce… Ancora la sentiva la notte, quando si addormentava. E la mattina, a colazione, si trovava a fischiettare la canzone che avevano contato insieme quella sera. Roba da pazzi.

Lui era un calciatore. Lui non era un cantante.

O forse si? Quella notte e quella ragazza erano riuscite a confonderlo, a mandare in tilt tutto il mondo perfetto che aveva creato, quella maschera che solo i suoi amici sapevano togliere. Ma quando non era con loro…puff. Ecco che la maschera tornava a far bella mostra di se sul suo viso. Era stato così con Lania, era stato così con i professori, con il suo allenatore e con tutte le altre ragazze che aveva avuto, perfino con la sua famiglia. Ma con lei NO! Con lei non c’era riuscito, e la maschera aveva mostrato un lieve increspatura sulla piattezza che di solito la caratterizzava. Una crepa, ma una crepa poteva diventare molto di più se non era curata in tempo.

Pegasus alzò il volto al cielo. In lontananza il sole era gia scomparso: doveva essere molto tardi. Ma questo non lo preoccupò più di tanto; era gia accaduto che rientrasse alle ore più disparate, e benché i rimproveri di sua madre non mancassero mai la cosa passava sempre. E tutto tornava alla solita routine. Ma quel giorno, stranamente, sentiva che quella normalità non sarebbe tornata tanto facilmente. La monotonia era stata spezzata da qualcosa d’inaspettato e ora, forse, le cose avrebbe preso a seguire un altro corso.

- Che cosa devo fare?- si chiese silenziosamente il ragazzo mentre osservava le stelle in cielo. - Cosa?-

Non aveva più voglia di nascondersi, di fingere che nulla fosse successo. Per la prima volta nella sua vita non gl’importava del giudizio altrui, ma solo di quello personale.

Forse doveva smetterla di giocare a nascondino...

 

bïa

 

Faceva caldo, troppo caldo.

Isabel scostò le coperte da se, convinta di averlo gia fatto in precedenza. Che qualcuno l’avesse coperta di nuovo? Si mise a sedere e la testa le vorticò nuovamente.

“ Non sforzarti.” L’ammonì dolcemente una voce. “ Devi stare calma e riposare. È normale che ti senta spossata, ma passerà tra un po’.

Portò lo sguardo davanti a lei e la vide. Era una donna, bella ed elegante; i lunghi capelli neri erano raccolti da un mollettone e gli occhi chiari la fissavano indecifrabili. Cosa stava cercando di comunicarle?

“ Chi è lei?” chiese Isabel, istintivamente. “ Dove sono?”

“ Mi chiamo Kioko Tsuji, e sei a casa mia.” Le rispose cortesemente la donna.

Capelli neri.

Occhi di ghiaccio.

Kioko Tsuji.

Qualcosa passò nella mente di Isabel. Quella donna…l’aveva gia vista…

“ La mamma di Pegasus e Patricia.” Sussurrò senza rendersene conto.

Si,” annuì la mora. “ io sono la madre di Pegasus e Patricia. E tu, se non vado errato, sei Isabel Kido, alias Lady Isabel di Thule, la duchessa nonché la donna più ricca del paese.” I suoi occhi divennero due fessure. Sembrò studiarla per qualche istante. Alla fine sorrise. “ Allora le voci che circolavano erano vere… Dopotutto…

“ Prego?” di cosa stava parlando quella donna.

Kioko sospirò pesantemente prima di appoggiarsi ad una parete della stanza. “ Pochi anni fa si sparse la voce che Alman di Thule non avesse figli, e quindi che tu non potessi essere sua nipote. La cosa creò non poco scandalo, ma il tutto venne messo a tacere in poco. Isabel spostò lo sguardo sulla parete, lontano dagli occhi di quella donna. “ Immagino tu sia stata adottata.” Disse mesta la mora.

Isabel deglutì rumorosamente. Infine sospirò. “ Si, io sono stata adottata.” Ammise abbassando lo sguardo. Tutto ciò che aveva scoperto anni prima e che mai avrebbe creduto di dover rivelare. “ Non conosco i particolari della mia storia, ma so per certo che le mie origini non sono giapponesi. Occidentali, sicuramente.”

L’altra annuì. “ Oserei dire mediterranee.” Azzardò dopo un’occhiata fugace. “ Italiane, spagnole o greche per essere più precisa. Ma non posso dirlo con certezza.”

Isabel non rispose, si limitò a scuotere la testa. Quella donna era lì per un motivo, e questo non era sicuramente fare ipotesi senza prove; non era lì per parlare delle sue origini, ma di quello ch’era successo… Quando tempo prima? Da quanto si trovava in quella casa?

“ Hai dormito un paio d’ore.” Disse Kioko quasi a leggerle nella mente. “ Ho gia provveduto ad avvisare il tuo maggiordomo, Mylock. Ha fatto un po’ di storie ma poi si è calmato. Gli ho detto che resterai qui per un paio di giorni, almeno finché non ti sarai rimessa. La ragazza annuì meccanicamente. Chissà se aveva davvero capito la situazione?! “ Ma ora,” e calcò su quel ora in maniera impressionante. “ vorrei sapere cosa ci facevi in quel parco, con una boccetta di tranquillanti ormai quasi vuota. Ne hai assunti troppi in un solo colpo, vero?

“ Non sono fatti suoi.” Ripose velocemente, troppo velocemente, e maleducatamente Isabel. Non voleva che lei sapesse. Non voleva ammettere di essere ancora così debole, così instabile sulle sue gambe. Voleva essere in grado di rialzarsi sola, di dimostrare di essere forte, di poter fare ciò che doveva fare. Gli adulti dovevano star fuori dalla sua vita. Di buono non aveva portato proprio niente. Solo suo nonno…che orami non c’era più.

Kioko la fissò intensamente per qualche istante. In quella ragazza c’era qualcosa di strano, di troppo strano. Riusciva quasi a percepire il dolore che, oramai, era divenuto per lei un fido compagno. Qualcosa di terribile, evidentemente troppo terribile, aveva segnato la sua giovane esistenza. Una ferita profonda, lacerante, mai rimarginata; il tempo non aveva potuto far nulla per lei se non farla star sempre più male. E sola aveva provato a rialzarsi, fallendo.

- È troppo giovane. - si disse silenziosamente Kioko. - Non avrebbe dovuto vivere nulla di ciò che ha vissuto, anche se non so cosa sia. È troppo giovane!-

Quella ragazza aveva bisogno d’aiuto, di una mano tesa nella sua direzione. Ma a quanto sembrava nessuno le aveva ancora teso quella mano in modo che lei l’afferrasse e riuscisse ad alzarsi e a vivere. Non poteva e non doveva lasciarsi andare. Aveva visto troppo poco della vita. Non poteva ancora lasciarsi andare.

 

Doveva smetterla di nascondersi!

 

Kioko le lanciò un’ultima occhiata e poi uscì, lasciandola sola, con la testa china e le lacrime di nuovo sul punto di sgorgare.

 

bïa

 

“ Allora? Come sta?” chiese Patricia appena uscì dalla stanza di Isabel. Doveva averla aspettata per tutto il tempo che avevano parlato.

Kioko scosse la testa. “ Bene…relativamente.” Aggiunse con un sospiro. “ A me non ha voluto dire nulla, anche se credo che si rifiuti di parlarne e basta.”

“ Ma…non credi che…dovremmo fare qualcosa?” chiese la figlia preoccupata.

“ Finché non sarà Isabel stessa a decidere di parlarne noi non possiamo fare altro che aspettare.” Disse la donna incrociando le braccia al petto. “ Ci sono ferite che nemmeno il tempo è in grado di sanare. Forse lei è stata ferita proprio in questo modo.” E se ne andò.

 

bïa

 

Quando Pegasus rientrò ormai s’era fatta notte. Aveva allungato un po’ troppo la camminata solitaria nel quale si era lanciato senza saperne il motivo; le gambe avevano preso a muoversi da sole, e lui non aveva fatto altro che assecondarle. A causa di questo erano quasi le dieci e mezzo e lui era appena tornato a casa.

Nel salotto della grande casa trovò sua madre e sua sorella che guardavano – o facevano finta – di guardare la televisione. Avevano entrambe un’espressione persa di chi ha la testa per altro.

“ Ciao anche a voi, eh?” disse sarcastico Pegasus notando la scarsità d’interesse delle due.

Sua madre si limitò a scoccargli un’occhiata poco gentile che si poteva benissimo tradurre in “ io e te facciamo i conti dopo!”. Espressione che il castano conosceva fin troppo bene e anche per questo non gli diede troppo peso.

“ Abbiamo ospiti.” Gli annunciò Patricia senza degnarlo di uno sguardo.

Il ragazzi inarcò un sopracciglio. “ Se è un’altra delle tue amiche sappi che…

“ Non è una mia compagna di classe.” Lo bloccò lei prontamente. Suo fratello aveva avuto delle brutte esperienze con alcune sue compagne quando queste erano andate a casa sua a dormire, e per questo aveva deciso di limitare quegli inviti a quando suo fratello non c’era. “ È una tua compagna di classe.”

“ Cosa?” Non capiva chi mai poteva essere. Una sua compagna di classe?! – Che sia Nemes? – si chiese scartando subito l’ipotesi. Che cosa ci sarebbe venuta a fare Nemes a casa sua? “ Si può sapere di chi si tratta?” chiese alla fine esasperato.

“ Va a vedere e lo saprai.”

Quanto odiava sua sorella quando faceva così!?

Pegasus avrebbe davvero voluto strozzarla, ma il fatto che sua madre fosse presente lo fece desistere immediatamente. Non voleva certo morire giovane. Così s’impose di stare calmo e salì le scale che lo avrebbero portato al piano superiore; solo quando vi arrivò si accorse di una cosa importante: non aveva idea di quale fosse la stanza in cui si trovava la loro ospite! Si grattò la nuca esasperato all’ipotesi di dover aprire una stanza alla volta. A salvarlo ci pensarono dei singhiozzi sommessi.

Gemiti appena sussurrati, segno che chiunque fosse l’ospite questi non aveva voglia di farsi sentire piangere.

Aprì la porta della stanza dalla quale provenivano i singhiozzi e si sorprese non poco nel vedere chi vi fosse dentro.

“ E TU CHE CI FAI QUA???” urlò vendendo la ragazza seminascosta dal buio, con un braccio poggiato sopra gli occhi e le guance rigate da fiumi cristallini.

Lei alzò lo sguardo spento e bagnato e lo osservò vuota. Non c’era rabbia nel suo sguardo, non c’era fastidio, odio o tristezza. Nulla. Gli occhi di Isabel erano vacui e spenti come se la vita si fosse ormai spenta in lei.

Pegasus si ritrasse all’istante quando quegli occhi incrociarono i suoi. Non aveva la forza di sostenere quello sguardo vuoto. Non ce la faceva. Non riusciva nemmeno ad avvicinarsi al letto su cui si trovava, seduta scompostamente, con una leggera camicia di senta bianca tutta spiegazzata e mal messa, tanto che una spallina era scesa lunga la candida spalla lattea. Se quella fosse stata una normale situazione sicuramente sarebbe arrossito per com’erano messi i suoi vestiti. Ma in quel momento proprio no. L’unica sensazione che riusciva a provare era paura. Paura davanti a quel involucro privo di vita.

Ma qualcosa accadde proprio in quel momento. “ Aiuto…” sussurrò debolmente Isabel, in un flebile e appena percettibile alito di voce. “ Ti prego!” e qualcosa dentro di lui si sciolse. Si avvicinò piano a lei, quasi con timore, e dopo essersi seduto sul letto le circondò le spalle attirandola a se in un delicato abbraccio.

Lei non si sottrasse a quel tocco così leggero.

E Pegasus rimase lì con lei, mentre le lacrime gli inzuppavano la divisa. Quasi si trovava ad aver paura di stringerla troppo; gli sembrava così fragile che aveva paura di romperla. Gli sembrava così piccola al suo confronto. Troppo piccola e delicata per sopportare tutto il dolore che, soltanto riusciva ad intuire, le stava rodendo l’anima, fino a consumarla inesorabilmente.

 

 

 

 

Grazie mille ai 2 che hanno messo la storia tra i Preferiti!

Grazie mille ai 2 che hanno messo la storia tra le Seguite!

Grazie mille a chi ha commentato!

Grazie mille a chi ha letto!

Baci…

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Capitolo 10
*** 9. ...Passato... ***


Chiedo umilmente scusa per l’enorme quantità di tempo che ci ho messo per aggiornare ma, purtroppo, tra scuola e lavoro è stato un tantino impossibile scrivere

Chiedo umilmente scusa per l’enorme quantità di tempo che ci ho messo per aggiornare ma, purtroppo, tra scuola e lavoro è stato un tantino impossibile scrivere. Inoltre ci tenevo particolarmente a questo capitolo che farà un po’ tra introduzione a fatti e persone che entreranno in scena più avanti. 

Scusate ancora!!!

 

E ora:

x Kloe2004: Ciao…scusami, per favore, del enorme ritardo con cui posto e per averti fatta aspettare tanto. Mi dispiace davvero. Effettivamente, di storie sulla coppia Pegasus/Isabel, se ne trovano addirittura troppo poche. E io continuo a chiedermi perché visto che sono una delle coppie più intriganti e complesse dell’anime/manga. Sarà che non mi piacciono le cose semplici. Sarà perché Pegasus e Isabel, come personaggi singoli, stentano a piacere al pubblico. Lui è visto come un raccomandato, o un cagnolino fedele pronto a scodinzolare e fare tutto ciò che gli dice Isabel. E lei, forse, non piace proprio per la sua immagine da principessina viziata che possiede. Tuttavia nel corso della serie cambia parecchio, anche troppo. Insomma…passiamo da un opposto all’altro. Prima viziata e capricciosa e poi pronta a pregare e ha dare la vita per il genere umano senza nemmeno un passaggio di personalità ben definito. Sembra una folle con problemi di personalità multipla. Infondo non è difficile capire perché non piaccia, no?! Comunque…ho perso il filo. Avrei voluto postare prima ma il tempo non ce l’ho avuto. Ma da adesso…ci saranno altre svolte, e intendo concentrarmi anche sugli altri personaggi di questa storia, senza ovviamente tralasciare questi due. Grazie del commento. Baci…Ciau.

 

Grazie a tutti quelli/e che hanno commentato e anche solo letto.

Grazie di cuore!

Baci a tutti/e.

 

 

 

 

 

 

9. …Passato…

 

 

 

Quattro mesi prima…

 

C’era un caldo tremendo quel giorno. Il sole di punta inondava tutto con i suoi raggi bollenti che bruciavano la pelle. Lei, distesa comodamente nel cortile interno della sua scuola, si beava tranquillamente di quella stupenda giornata quasi estiva. Accanto erano buttati malamente dei quaderni e dei fogli.

I suoi lunghissimi capelli di seta le facevano sudare il collo candido, e il maglione pesante che si era messa per andare a scuola quella mattina giaceva ormai dimenticato poco lontano; i jeans a vita bassa lasciavano scoperta la pancia piatta, grazie anche alle braccia lasciate inermi dietro la testa che le alzavano la canottiera rossa. Gli occhi chiusi e un’espressione beata contornavano l’immagine.

Il suono della campanella le fece apparire una curiosa smorfia sul viso.

Isabel aprì pigramente gli occhi blu e il sole glieli quasi bruciò. Li richiuse immediatamente e sospirò pesantemente: di andare in classe proprio non c’era voglia! E poi, sinceramente parlando, la professoressa di matematica era talmente rincoglionita che mai più si sarebbe accorta della sua mancanza. Molto meglio restarsene lì, spaparanzata, cercando di concludere quella dannata canzone che le era venuta in mente quella notte.

Black Rose!

Certo il titolo era quello. Di questo era sicura al cento per cento. Ma le parole non legavano con la melodia che aveva nella mente, anzi. Sembrava quasi che stonassero in maniera alquanto fastidiosa. E per questo motivo che, da ormai due ore, si trovava distesa su quel prato, sotto il sole cocente, cercando di trovare le parole giuste per completare quella che, n’era certa, sarebbe stata una canzone meravigliosa.

Improvvisamente il cellulare vibrò nella testa dei jeans facendola sbuffare: chi rompeva?

 

SI PUÒ SAPERE CHE CAVOLO DI FINE HAI FATTO?????? LA PROF. TI STA CERCANDO DA MEZZ’ORA…!!!!

JEJE

 

Isabel inarcò le sopracciglia. A quanto pareva tutti i suoi piani erano saltati. E Jessica glielo aveva spiegato in maniera fine e pacata. Si mise seduta a gambe incrociate e rispose velocemente al messaggio.

 

STO ARRIVANDO…

ISSY

 

Non appena il cellulare le confermò l’invio si alzò, racattà velocemente la sua roba sparsa sul prato e, con calma, si diresse verso in grande edificio bianco che corrispondeva al nome di scuola. Non appena mise piedi in classe la professoressa Watson, docente d’elite della scuola a sentire lei, la spettinò con la sola forza dell’ugola.

“ SIGNORINA KIDO! MA LE SEMBRA L’ORA DI PRESENTARSI IN CLASSE??? E SCOMMETTO CHE, SE LA SUA CARA AMICA JESSICA NON L’AVVISAVA, LEI NEMMENO SI SAREBBE FATTA VEDERE!”

Isabel scosse lievemente la testa: quell’urlo disumano l’aveva rintontita completamente! Aspettò pazientemente che la pazza – così la conosceva tutta la scuola – finisse di sbraitare a destra e a manca e poi, molto educatamente, s’inventò una scusa qualunque, una di quelle che usava quando non ce n’era una gia pronta per l’occasione. Ovviamente la cara professoressa Watson non volle credere ad una delle sue parole, ma la ragazza, per niente preoccupata, sorrise sorniona all’insegnante e andò a sedersi, incurante delle vene che pulsavano pericolosamente sulla tempia della donna.

“ Era ora che arrivassi. Non sapevo più che inventarmi per tenerla buona.” Le sussurrò una ragazza al suo fianco sorridendo furbescamente.

“ Scusa Jeje, ma ho completamente perso la cognizione del tempo stando fuori.” Disse Isabel senza preoccuparsi troppo di abbassare la voce.

Jeje ridacchiò lanciando un’occhiata alla professoressa ora seduta e sudata. “ Le avrai fatto andare la pressione alle stesse. Poveretta…”

“ Oh, tanto povera non direi. Al massimo si prende una o due dosi in più di calmanti. Così la prossima ora dormirà placidamente sulla cattedra e noi saremo libere di non fare nulla.

La ragazza al suo fianco rise nuovamente, stavolta apertamente prima di scuotere la testa e affondare la testa tra le braccia ora posate sul banco. Isabel riconobbe all’istante il messaggio e spostò la sua attenzione su qualcosa di più interessante che, ovviamente, non era la lezione della professoressa. Per un momento la sua attenzione tornò su Jeje, tranquillamente spaparanzata sul banco. Ancora non stava dormendo, ma era possibile che questo accadesse entro breve. I capelli scuri, tagliati in quel caschetto allungato sul davanti, fungevano perfettamente da tende.

Guardandola l’amica che le stava  accanto la sua mente volò indietro nel tempo, a 10 anni prima, a quando s’era trasferita a New York con suo nonno. All’inizio non era stato affatto facile. Il Giappone le mancava tanto, così come Chasya e tutto ciò che aveva laggiù. Aveva provato più volte a convincere suo nonno che non era necessario che andassero in America, soprattutto perché sapeva che lo stavano facendo per migliore la lingua, ma il vecchio Duca era stato irremovibile. Tuttavia era bastato il tempo a placare i problemi e a sanare la ferita che la separazione dalla sua migliore amica aveva causato. Andando a scuola aveva conosciuto Jeje prima di tutti, e poi piano piano anche tutti gli altri. All’inizio non aveva ritenuto possibile che loro, tutti così diversi gli uni dagli altri, potessero trovare un punto in comune, e invece era accaduto proprio questo.

La musica!

Ecco cosa li aveva uniti. Quella cosa chiamata musica. Quella passione che, anni addietro, aveva costruito e poi rinforzato il legame fra lei e Chasya. Tutto, alla musica doveva proprio tutto. Le doveva la presenza costante, anche se lontana, della sua migliore amica; le doveva la presenza ormai essenziale di quei pazzi che erano i suoi amici, i suoi compagni. Quelli con cui aveva formato quella band fuori dagli schemi della società alla quale lei apparteneva. Perché la musica che loro facevano era libertà, era gioia, trasgressione e passione. Un mix esplosivo, certo, ma non ben visto dalle persone snob e aristocratiche che lei frequentava a causa dell’impero di suo nonno.

E così si era trovata divisa. Divisa tra due vite, l’una l’opposto dell’altra.

Da una parte l’eleganza, la raffinatezza, i soldi, la politica e il commercio. Una vita fatta di lussi sfrenati, circondata da persone dai nomi altisonanti e dai corpi ricoperti di diamanti e rubini, oro e argento, zaffiri e smeraldi. Persone appariscenti grazie ai loro soldi, ma vuote e prime di altro. Fredde proprio come i diamanti di cui tanto si vantavano.

E dall’altra una vita completamente diversa. Una vita dove non conta il conto in banca, l’influenza politica e lo sfarzo quasi fastidioso, pieno soltanto di egoismo e monotonia. Una vita dove la musica regnava sovrana, dove si può trasgredire, infrangere le regole e lasciarsi alla spalle una vita che, in fin dei conti, sta bene solo agli adulti, ma che sta stretta a dei ragazzi. Una vita fatta di cose semplici come la scuola, degli amici e una passione che non smette mai di bruciare.

E così Isabel finiva per trasformarsi, come se in lei esistessero due personalità contrapposte. Aveva imparato a fingere bene in quegli anni, aveva imparato a sorridere falsamente a tutti coloro che omaggiano di doni solo per avere favori. Ma quand’era sul palco, con il microfono in mano e le sue canzoni che rimbombavano nella testa come martelli pneumatici tutto questo scompariva. E poteva essere libera. Libera di avere 16anni e di essere chi voleva. Libera di essere semplicemente Isabel.

 

bïa

 

Quella sera…

 

La stanza di Isabel era, tanto per cambiare, un casino totale! E questo perché, come ogni venerdì sera, i componenti della band erano lì riuniti per il consueto pigiama party. Era un’abitudine che avevano preso quasi per caso; una sera Jeje si era presentata a casa sua tutta elettrizzata: aveva composto un numero pazzesco con la chitarra elettrica e non vedeva l’ora di farglielo ascoltare. E una volta che Isabel lo aveva sentito aveva insistito perché anche gli altri lo potessero ascoltare. Così, quella sera stessa, li aveva radunati a casa sua e…ecco che tutto era successo. Da quel giorno ogni venerdì sera erano lì, in camera di Isabel, con patatine, bibite e quant’altro, a ridere e scherzare.

In quel momento erano tutti e quattro intenti a prendere in giro Kevin che, come al solito, si era appena fatto una delle sue magre figure. Non che lui fosse uno “sfigato”, solo un tenero pasticcione dal carattere forse troppo infiammabile. Con quei suoi capelli neri sempre sparati all’in su per sembrare un duro, e gli occhiali sul naso che smentivano quella prima impressione. Ah, se solo se li fosse tolti… Glielo avevano più volte detto che senza sarebbe stato meglio, ma lui, imperterrito, continuava a metterli fregandosi del giudizio degli altri. E dire che aveva due occhi verdi ch’erano la fine del mondo! Di un colore così intenso da non sembrare nemmeno vero. Un contrasto incredibile con il nero dei suoi capelli. Un bel ragazzo, niente da dire, ma per Isabel era soltanto il suo tenero, imbranato e irruento fratellone. Voleva un bene dell’anima a quel ragazzo, tanto che, ormai, il soprannome fratellone non era poi tanto raro per lui. Aveva sempre amato la sua dolcezza e la sua gentilezza, con la quale era in grado di fare da pacere anche nelle risse più violente. Le sue parole erano in grado di arrivare dovunque e a chiunque. Era questo che le piaceva di lui. E ne andava fiera, senza sapere che, tempo dopo, avrebbe incontrato un altro ragazzo come Kevin, un ragazzo che l’avrebbe sempre aiutata e a cui, un giorno, avrebbe dovuto moltissimo.

“ Kevin Kevin…” Lo riprese Jeje ancora ridendo. “ A volte mi domando proprio come fai…”

“ Non ci vuole poi molto. Basta non attivare il cervello…e in questo Kevin non ha alcun problema. Disse James con l’aria da sbruffone che gli apparteneva da sempre.

“ Nemmeno per te sarebbe un problema, Jamie. Tu, il cervello, nemmeno ce l’hai.” Lo prese in giro Isabel strizzando l’occhio a Kevin a battendo il cinque a Jeje.

“ Molto simpatica.” Disse James lanciandole contro un cuscino e fingendosi offeso. Nessuno ci fece troppo caso. Erano ormai abituati ai battibecchi fra Isabel e James, battibecchi che nessuno si premurava più di ascoltare. Erano proprio come cane e gatto quei due! Troppo simili nelle loro idee, ma anche troppo orgogliosi per ammettere che l’altro avesse ragione.

James, al contrario di Kevin, aveva la tipica aria da bullo. Ed era anche un’immagine che gli donava parecchio…se non fosse stato per il cuore grande e il suo animo gentile. James fingeva sempre di essere il capo, il duro, ma in realtà non poteva che cedere davanti ad una ragazza in lacrime, o ad un cagnolino ferito. Con quei suoi capelli castano scuro e la frangia che ricadeva sugli occhi perennemente ossigenata fino a diventare bionda, gli occhi chiari di un azzurro pallido aveva una schiera di ragazze alle spalle. Peccato che usasse questa cosa sempre nella maniera sbagliata…facendo incavolare Jeje ogni due per tre. Ah, quei due erano proprio fatti l’uno per l’altro. Peccato che non lo capissero.

Certo erano due testoni tutti e due. Tanto che Jeje ci aveva messo parecchio per ammettere che James le piaceva. E anche tanto. E Isabel sapeva perfettamente quali fossero i sentimenti del ragazzo nei confronti dalla sua amica. Lui stesso glieli aveva confessato poco tempo prima. Sembrava quasi che l’avessero presa per la confidente del gruppo!?

Ma nonostante quei piccolo intrigo amoroso i rapporti della band erano sempre stati perfetti. Sia sul palco sia nella vita normale. Una sincronia incredibile, un affiatamento mai visto. Avevano capito fin da subito che loro quattro erano fatti per stare insieme, per fare qualcosa insieme. E non si erano mai sbagliati.

Isabel osservò i suoi tre amici che ridevano spensierati. Si sentiva sempre così bene quand’era insieme a loro. E sapeva perfettamente che, un giorno, le sarebbero mancati moltissimo. Perché lei, presto o tardi, se ne sarebbe dovuta andare. Certo aveva frequentato le elementari, medie e adesso si apprestava ad iniziare superiori in America, ma suo nonno aveva più volte espresso il desiderio che l’Università la facesse in Giappone. Aveva urlato contro di lui come mai aveva fatto: perché continuava strapparla ai suoi affetti ogni volta che trovava qualcuno a cui volere bene veramente? Perché continuava a farla soffrire a quel modo?

“ Ragazzi!” Chiamò i suoi migliori amici con la voce seria che le apparteneva solo nei casi più gravi, quel tono che tutti odiavano perché portava sempre notizie poco rassicuranti. “ Io…devo dirvi una cosa…” Ammise abbassando lo sguardo, sentendosi nuovamente sopraffatta dalla tristezza.

“ È successo qualcosa?” Le chiese Jeje preoccupata andandole vicino e poggiandole una mano sulla spalla.

“ No. O meglio…non ancora.” Ci tenne a precisare. “ Ma accadrà e io…io non so se potrò evitarlo…” Sembrava sul punto di piangere. In che era molto raro per lei.

“ Issy…” La chiamò Kevin con immensa dolcezza.

“ Non ve l’avevo detto prima perché pensavo di poterlo impedire ma…ma mio nonno non ha voluto sentir ragione alcuna.” Prese fiato mentre sentiva l’aria intorno a se farsi pesante e carica di tensione. “ Io…dovrò tornare in Giappone.”

CRACK

Le parve si sentirlo distintamente il suo cuore andare in pezzi. Ed insieme a lui una promessa che si erano scambiati tanto tempo prima.

 

“ Noi resteremo insieme per sempre. E diventeremo famosi insieme. Promesso?”
“ PROMESSO!”

 

E faceva male perché in quelle parole ci avevano creduto veramente, nonostante il tempo fosse passato e loro non avessero più 10 anni. Gia, promesse di bambini. Ma loro ci avevano creduto veramente. E faceva male pensare che ben presto tutto sarebbe andato a puttane. Tutto si sarebbe disgregato come polvere.

“ Ma…ne sei sicura?” Chiese Jeje respirando appena.

“ Purtroppo si.” Ammise lei con il capo ancora chino. “ Sono riuscita a convincerlo a rimanere qui per le superiori, ma l’Università dovrò farla in Giappone. Su questo non ha voluto sentir ragione. Io…” Cercò la forza di continuare, ma le lacrime le offuscavano la vista e i singhiozzi uccidevano le parole. “ Mi…mi dispiace tanto. Da.-davvero…”

E Isabel non si trattenne più. Pianse come una bambina, come poche volte aveva fatto nella sua vita. Aveva imparato fin dall’inizio che la vita non è affatto facile, che è piena di segreti, bugie e quant’altro. Ma quello a cui non si era mai abituata era il dolore. A quello proprio non ci riusciva.

Non seppe quando, ma sentii le braccia di James stringerla forte a se. Poche volte lui si era lasciato andare così. E quando lo faceva voleva dire che anche lui stesso stava male. Tanto male. E quello era uno di quei momenti.

Isabel pianse sulla sua spalla. La mano di Jeje ancora appoggia sulla sua e quella di Kevin che si chiudeva sulla sua mano e la stringeva per infonderle forza e coraggio.

“ Non preoccuparti.” Disse James senza lasciarla andare. “ Ce la faremo comunque. Vedrai.”

 

Due mesi dopo…

 

Fissava la sua immagine riflessa nel grande specchio del camerino e si chiedeva se avesse optato per l’abbigliamento giusto. Lei, solitamente, era più un tipo da jeans e scarpe da ginnastica che da minigonne e tacchi. Tuttavia quella sera era speciale. Quello che si apprestavano a fare era l’ultimo concerto della stagione, e se tutto andava bene c’era la possibilità che un noto discografico li notasse. Era talmente eccitata dall’idea che quasi non riusciva a stare ferma.

“ Ehi, Issy.” La chiamò Jeje facendo capolino nel camerino. “ Siamo pronti.”

Isabel si voltò a fissarla brevemente. Stava per iniziare.

Jeje portava un paio di jeans chiari, una maglia viola lunga fino al ginocchio e senza maniche e un paio di decolté nere tacco 14. Al polso aveva messo la stessa rosa nera che lei aveva appuntato sui capelli.

Annuì convinta prima di seguirla dietro le quinte fino a raggiungere il palco. La folla esultò fragorosamente alzando le braccia e urlando a squarcia gola. Isabel portò lo sguardo prima su di loro e poi sui suo amici. Kevin aveva optato per un look più pacato; jeans chiari, camicia bianca sbottonata sul davanti e scarpe da ginnastica. James, invece, doveva come al solito mostrarsi figo. Jeans neri, scarpe da ginnastica e una maglia grigia talmente attillata che Isabel si chiese come facesse a respirarci dentro. Entrambi avevano una rosa nera appuntata al petto.

“ Buonasera a tutti, ragazzi!” Esclamò Isabel prendendo il microfono. Altre grida. “ Come avrete sicuramente notato tutti noi quattro portiamo una rosa nera. E questo perché, questa sera che – che tra l’altro è anche l’ultima – vi faremo ascoltare in anteprima la nostra nuova canzone: Black Rose!” Un boato si alzò dal pubblico; era sempre così quando cantavano qualcosa di nuovo. “ Speriamo che vi piaccia!” E dopo aver fatto cenno a Jeje la musica scoppiò più forte che mai.

Prima di incominciare Isabel lanciò un’ultima occhiata ai suoi amici: Jeje alla chitarra, Kevin alle tastiere e James con la batteria! Perfetto. Tutto era pronto!

“ SI INIZIA!”

 

Poteva ancora sentire l’adrenalina scorrere veloce nel suo corpo. Due ore intere di concerto l’aveva elettrizzata al massimo tanto che, alle 2 di notte, lei non aveva proprio sonno. Aveva salutato gli altri poco prima ed ora si trovava in macchina con suo nonno che, come al solito, era venuto a vederla cantare.

Stava seduto davanti a lei nella grande limousine e le sorrideva ignaro che, entro pochi minuti, quello sarebbe stato il suo ultimo sorriso.

 

Cinque giorno dopo…

 

C’era puzza di disinfettante in quel posto, ovunque lei si trovasse.

Aprì piano gli occhi e un bianco accecante minacciò di bruciarglieli. Troppo chiaro, troppo bianco…troppo silenzio. E…cos’era successo? Dov’era? E suo nonno?

Mille domande si affollavano nella sua mente confusa. Sentiva la testa esploderle quasi mentre, vicino a lei, un suono regolare e acuto le perforava i timpani. Sembrava quasi… Si, quelle macchina che si mettono ai malati che sono in coma.  Ma cosa c’entrava con lei?

“ Bambina.” Disse una voce calma e gentile di donna. “ Come stai? Riesci a sentirmi?” Chiese piano. Solo quando le poggiò però una mano sul braccio risvegliando in lei la sensibilità si accorse che stava parlando con lei.

“ Si…” Sussurrò flebilmente. Purtroppo non riusciva a dire altro. La bocca era completamente impastata ed era gia un miracolo che fosse riuscita ad aprirla.

“ Bene. Allora chiamò il medico.” E se ne andò.

Isabel ci mise pochi secondi a capire che quello in cui si trovava era un letto d’ospedale. Immediatamente le immagini di…di quando? Non riusciva a ricordarlo? Il tempo sembrava inesistente ormai. Ma ricorda il fischio, poi il botto…e poi il buoi totale.

Fu tutto chiaro pochi minuti dopo quando, con un camice troppo bianco, un medico si presentò nella sua stanza con un sorriso gentile.

“ Ben svegliata, Isabel.” Disse sorridendole affabile mentre lei cercava di mettersi a sedere, fallendo. “ No no. Non si sforzi.” La rimproverò lui bonario.

“ Cos’è successo?” Chiese la ragazza tornando distesa.

“ Ha avuto un incidente ed è rimasta in coma per cinque giorni. Ha due costole rotte, così come il braccio sinistro e ha avuto una commozione cerebrale. Ma data la sua giovane età confido che si rimetta al più presto. Non ha riportato danni permanenti e questo è gia qualcosa.” Mentre parlava Isabel aveva la netta impressione che la sua voce fluisse veloce alle sue orecchie, ma lei non riuscisse ad afferrare completamente il discorso.

Poi un lampo. Qualcosa si accese in lei. Tutto fu chiaro. Ogni scena, ogni emozione, ogni piccolo pezzo tornò improvvisamente al suo posto portandole una domanda alle labbra.

“ E mio nonno? Come sta il nonno? E Mylock?” Chiese allarmata mentre, nel suo profondo, c’era qualcosa che gia le suggeriva la risposta. Come un fremito di paura, di terrore. Il presentimento che qualcosa fosse cambiato per sempre.

“ Il signor Mylock sta bene. Ha riportato diverse fratture scomposte e anch’egli una commozione cerebrale ma non c’è da preoccuparsi. Si rimetterà alla grande.” Tuttavia quella spiegazione non convinse la ragazza. Perché il dottore sembrava soppesare la risposta? Cosa c’era di così grave da non poter essere detto?

“ E mio…mio nonno…?” Chiese nuovamente lei cercando di controllare la voce ancora impastata.

L’uomo sospirò scuotendo la testa. “ Mi dispiace, Isabel. Purtroppo suo nonno non ce l’ha fatta…”

CRACK

 

Fine. Qualcosa s’era spezzato per sempre.

Isabel rimase immobile nella sua posizione. Non capiva più nulla. Era come se ci fosse un blackout dentro di lei. Capì di star piangendo solo quando sentì il sapore salato della lacrime che, imperterrite, scorrevano lungo le sue guancie ora pallide e salate e le bagnavano le labbra.

Ma oltre a quelle lacrime non vi furono altre reazioni. Non trovava la forza, dentro di se, di fare altro. Tutte le sue emozioni erano scomparse. Era rimasto solo il vuoto dentro di lei. Una voragine che, in quel momento, stava risucchiando quanto di più bello avesse dentro di lei. I ricordi col nonno…i sentimenti… Ormai non esisteva più nulla!

 

bïa

 

“ Ecco. Ora sai tutto…” Disse piano Isabel uscendo dal flusso dei ricordi e tenendo lo sguardo basso.

Il dolore lacerante che sentiva dentro di se era indescrivibile. Sembrava un fuoco ch arde bruciando tutto quello che gli capita a tiro.

Pegasus, accanto a lei, aveva lo sguardo perso nel vuoto. Quello che Isabel gli aveva raccontato era terribile. Non riusciva nemmeno ad immaginare come si sentisse. Era qualcosa d’inconcepibile per lui in quel momento. Certo, anche lui e sua sorella avevano perso entrambi i genitori da piccoli ed erano stati addottati, ma lui non aveva praticamente assistito alla morte di chi amava così tanto. Lui non li ricordava nemmeno i suoi genitori. Mentre Isabel…

Alzò gli occhi su di lei e la scoprì a piangere ancora, come d'altronde aveva fatto per tutto il racconto. Mai una volta aveva smesso di versar lacrime, quasi stesse cercando di espellere tutto il dolore che sentiva dentro da sempre, ma che aveva segretamente trattenuto cercando di essere forte.

Allungò un braccio verso di lei e la strinse forte al petto. Sentiva il bisogno di stringerla, di consolarla in qualche modo. Tuttavia sapeva benissimo che il dolore che portava dentro di se era difficile da lenire. Solo tempo e tanta forza d’animo, forse, ci sarebbero un giorno riusciti. Ma ora era ancora presto per dimenticare e lasciar andare. Quello era il tempo di sopportare, d’imparare a convivere ancora con la parte più terribile della vita. Solo così sarebbe riuscita, un giorno, a rialzarsi e ad essere più forte.

Isabel si strinse forte a lui cercando quel calore di cui, ora più che mai, aveva bisogno. Quella forza che tanti le avevano invidiato e che ora sembrava essersi dissolta. Strinse forte la camicia del ragazzo con le piccole mani. Aveva bisogno di sfogarsi. E piangere era l’unica cosa che il quel momento potesse fare.

E rimasero lì, soli. Il silenzio faceva da sovrano ai singhiozzi sommessi di Isabel. Le braccia di Pegasus erano ancora intorno alle sue spalle, pronte a stringerla più forte se lei ne avesse avuto il bisogno. Ma in realtà, in quel momento, Isabel aveva solo bisogno della sua presenza.

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