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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Capitolo 1 - La volpe arancione *** Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Yu *** Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Ricordi *** Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Essere uno Shinigami ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 - La volpe arancione ***
Una Notte Di Luna Piena
Una Notte Di Luna Piena
1.La volpe
arancione
In
quel momento era in piedi sulla cima di un grattacielo, a pochi centimetri dal
bordo dell’edificio. Una brezza leggera gli scompigliava i capelli, mentre con
gli occhi socchiusi si godeva la pace di quel momento. La Luna era quasi piena,
e neanche una nuvola copriva il cielo stellato, steso sulla città come un manto
nero ornato di centinaia di diamanti.
Nulla turbava il silenzio, solo i
rumori della strada che giungevano ovattati fin lassù, appena percettibili. Le
centinaia di luci colorate che illuminavano così tanto
il terreno, fino a stordire chi non vi fosse abituato, erano per lui un lieve
alone di lucine tremolanti, come se si trovasse sospeso sopra un mare di
lucciole colorate.
Le piume delle sue ali erano appena
mosse dal vento, le sue mani chiuse a pugno ma
rilassate, il corpo che ondeggiava lentamente alla ricerca di un equilibrio. Un
sorriso appena accennato si apriva sul suo volto.
TakutoKira aprì gli occhi.
Sospeso tra cielo e terra, si sentiva
avvolto in un bozzolo di pace in cui il tempo scorreva in maniera infinitamente
più lenta rispetto al caos sottostante, ma infinitamente più veloce dell’eterna
quiete delle stelle.
Volse lentamente lo sguardo verso il
basso. Nulla poteva turbare quella calma, nulla poteva
interrompere quel silenzio, nulla poteva…
“MALEDIZIONE!” Urlò all’improvviso
sgranando gli occhi, e dopo essere saltato giù piombò
in picchiata verso la strada.
“Ah no, se ci prova anche stavolta gliela stacco quella coda!” Pensò mentre
raggiungeva velocemente il terreno. Troppo velocemente.
Si accorse troppo tardi che forse era
sceso troppo in fretta, e rallentò bruscamente un attimo prima di schiantarsi a
terra, continuando a volare a livello della strada. Ma non potè
tirare un sospiro di sollievo, perché un rombo assordante e un’esplosione di
luci gli fece capire che stava volando dritto contro
un camion! Scartò a sinistra, per ritrovarsi giusto in mezzo alla carreggiata,
e dopo uno slalom frenetico fra le macchine attraversò la strada a tutta
velocità urlando a squarciagola, fino a schiantarsi dentro un cassonetto
dell’immondizia, che tremò con un fracasso assurdo, prima che tutto ripiombasse
nel silenzio.
Takuto emerse
dai rifiuti togliendo una buccia di banana dal suo cappello e mormorando parole
decisamente irripetibili. Un attimo
dopo il coperchio del cassonetto si richiuse sulla sua testa con un tonfo
metallico.
Nel frattempo una vecchietta che doveva
avere almeno un’ottantina d’anni camminava dall’altro lato della strada,
appoggiandosi ad un bastone e guardando furtiva
attorno a sé attraverso un paio di occhiali spessissimi, mentre teneva stretta
sotto l’ascella una borsetta di pelle.
Un passetto dopo l’altro si affrettava
velocemente verso la fermata dell’autobus, avvolta in abiti pesanti nonostante
il caldo, e dando l’impressione di potersi sgretolare da un momento all’altro.
“Che ci fai qua tutta sola, nonnetta?”
Una voce ruppe il silenzio facendo fermare di colpo la vecchietta, che si voltò
tremante verso la fonte del richiamo. A parlare doveva essere stata per forza
una ragazza, anche se la voce suonava dura e innaturale.
L’anziana signora strizzò gli occhi per
guardare meglio, e vide una giovane in piedi su un muretto alto un paio di
metri accanto a lei, che la guardava con aria di sfida, le mani poggiate sui
fianchi e un sorriso beffardo in volto.
La ragazza indossava un paio di
scarpette, una minigonna, una camicetta arricciata coperta sulla pancia da una
specie di corpetto, dei guanti a righe e un paio di maniche rigonfie; il tutto,
tranne la camicia bianca, di un arancione sgargiante.
Ma ciò che colpiva di più nel suo
aspetto erano altri particolari: un grosso cappello senza visiera, sempre
arancione, sul quale troneggiavano due orecchie da volpe, una delle quali era leggermente piegata verso l’esterno; una
coda di volpe molto grande che le spuntava sul retro della camicetta e che
ondeggiava lentamente; un’asta che teneva in mano che finiva con una grande
chiave appuntita molto stilizzata e, per finire, due piccole ali come quelle di
un angelo.
La strana ragazza saltò giù dal
muretto, atterrando senza fare rumore davanti alla vecchia. La guardò
attentamente, rivelando due occhi di un azzurro stupefacente e un visino dai
lineamenti delicati.
“Lo sai che non dovresti girare da sola
a quest’ora, vero?” Mormorò mentre la sua coda continuava ad
ondeggiare, e sollevò lentamente l’asta, che terminava con una punta
affilatissima sulla quale si rifletteva la Luna, facendola rilucere di un
bagliore sinistro.
La
vecchietta si fece piccola piccola,
osservando la ragazza che le si avvicinava fluttuando lentamente.
“AAAARGH!!!”
Un fortissimo urlo ruppe il silenzio e
le due donne si voltarono verso la strada, da dove proveniva il grido. O
meglio, fu la vecchia a girarsi, perché la ragazza non fece neanche in tempo a
volgere lo sguardo che Takuto le piombò addosso e la
gettò in un vicolo, avvinghiandosi a lei in una lotta.
I due cominciarono
a prendersi a pugni e a insultarsi a gran voce, sotto lo sguardo perplesso
della vecchietta che si avvicinò lentamente al groviglio di corpi. Osservò per
qualche secondo i due con un espressione curiosa sul
volto, che si trasformò presto in una smorfia di rabbia.
“Giovinastri che non siete altro, come
vi permettete di importunare una povera signora indifesa!” Urlò, e cominciò a
prendere selvaggiamente a bosettate i due. Takuto si voltò per protestare, ma dopo aver ricevuto la
cerniera della borsa nell’occhio si separò dalla
ragazza e si mise a correre insieme a lei, entrambi inseguiti dalla vecchietta
furiosa.
Dopo aver constatato
che non sarebbero riusciti a seminarla, e aver ricevuto entrambi una serie di
colpi sulla testa, i due si alzarono in volo terrorizzati portandosi sulla cima
di un palazzo, inseguiti dalle grida della vecchietta:
“E non fatevi più vedere!”
Takuto e la
giovane si chiusero freneticamente nella tromba delle scale dell’edificio, e
dopo aver constatato che non erano inseguiti si
accasciarono con le spalle alla porta, ansimando pesantemente.
Appena ebbero ripreso fiato, i due si
voltarono lentamente l’uno verso l’altra, e si
fissarono in silenzio per un paio di secondi.
“Maledizione… non posso credere che
l’hai fatto di nuovo!” Tentò di urlare Takuto, costretto però a fermarsi per il fiatone.
“Ah, io? Ma sei stato tu a interferire!” Rispose lei stizzita, parandosi di
fronte a lui.
“Ma sentila! Come ti permetti?” Takuto si rizzò e
provò invano a torreggiare su di lei.
“Brutto…” Ma non finì la frase, perché
si gettò di nuovo addosso a lui, e i due ricominciarono a lottare.
La situazione non cambiò quando si
trasformarono in forma animale, Takuto in un micino e
la ragazza in una piccola volpe arancione con la coda e le orecchie molto
grandi, e gli occhioni azzurri che troneggiavano sul
visino. L’asta si era tramutata in un piccolo ciondolo a forma di chiave che
pendeva dal collo della volpe.
Continuando a combattere, persero
l’equilibrio e rotolarono giù per le scale, rimbalzando per un paio di piani
come una grossa palla di pelo in cui si distinguevano ogni tanto delle membra
aggrovigliate, e dal frastuono si udiva qualche insulto affibbiato all’uno o
all’altra.
I due smisero di rotolare giù per le
scale, fermandosi su un pianerottolo e continuando a fare un baccano assurdo
mentre Takuto tirava la coda alla piccola volpe e lei
gli mordeva le orecchie.
Ad un tratto
un lampo di luce invase la tromba delle scale e i due si bloccarono come
paralizzati, fissando il pianerottolo al di sopra di dove si trovavano loro, da
cui continuava a spandersi una luce abbagliante, mentre un varco circolare si
apriva lentamente crepitando di energia.
“Oh-oh…”
dissero piano il gattino e la volpe, guardandosi.
Il varco si fece sempre più grande, finchè nel suo centro si cominciarono a materializzare i
contorni di una figura umana che brandiva una grossa falce.
Izumi uscì
lentamente dal varco, fluttuando giù dalla rampa di scale verso i due
animaletti. L’energia che turbinava attorno a lui gli
scompigliava i capelli e gli faceva ondeggiare i vestiti, ma il suo
volto era segnato da una profonda calma, e lo sguardo da una severità
tagliente.
Li raggiunse piano, mentre loro lo
guardavano impauriti sbarrando gli occhioni.
“Takuto.”
Mormorò, e il micetto rabbrividì.
“Aryuna”
Disse con voce ancora più bassa, e la piccola volpe abbassò le orecchie
guardandolo dal basso verso l’alto.
“Esigo una spiegazione.” Si posò
sull’ultimo gradino, osservandoli senza far trasparire alcuna emozione.
Il silenzio durò ancora per pochi
secondi, dopodiché Takuto e Aryuna,
tornati in forma di messaggeri, cominciarono a urlare le loro spiegazioni in un
miscuglio indefinito di parole che avrebbe fatto impazzire chiunque.
“SILENZIO!!!”
Urlò Izumi e i due si azzittirono nuovamente
all’istante. “Takuto, prima tu.”
Takuto guardò
sogghignando Aryuna, che in tutta risposta gli fece
una linguaccia.
“Beh, io stavo aspettando la vittima
designata in tutta tranquillità, quando ho visto lei” e sottolineò
con la voce questa parola “che stava lì tutta tranquilla aspettando la vecchia!
È stata tutta colpa sua, lei non doveva essere lì, toccava a me recuperare
quell’anima!”
“Ma guarda un
po’!” Urlò Aryuna, scattando in piedi. “Io avrei
recuperato subito quell’anima se non fosse arrivato lui” e sottolineò
questa parola ancora più di quanto aveva fatto Takuto
“e mi avesse buttato a terra senza motivo!”
“Senza motivo?” Intervenne Takuto, e ripresero ad urlarsi
addosso sotto lo sguardo a metà fra lo stupito e il rassegnato di Izumi.
“Fatemi capire bene…” Riuscì a farli
tacere un’altra volta anche parlando a bassa voce “io vi ho chiesto di
collaborare per recuperare un’anima, e voi non solo vi siete ostacolati a
vicenda, tralasciando inoltre la prima regola fondamentale, ovvero
non mostrarsi agli umani, ma avete anche sbagliato persona, visto che la
vecchia alla quale dovevate prendere l’anima era DALL’ALTRA PARTE DELLA
STRADA!!!! Non avete nulla da dire, ora?”
Lo sguardo di Izumi
passò lentamente da Takuto che si toccava
piano gli indici deglutendo, ad Aryuna che disegnava
cerchietti sul pavimento.
“Ora mi avete davvero stufato! Ho
accettato l’incarico di addestrarvi ad usare i vostri
poteri per prepararvi ad ottenere incarichi ufficiali con dei messaggeri di
morte esperti come compagni - e spero proprio di non dover essere io uno di
questi - ma da una settimana dopo che avete ricevuto i vostri abiti non siete
riusciti a combinare nulla, dico nulla di buono!” Visto che i due continuavano
a stare in silenzio, proseguì “Vogliamo parlare di quando tu, Takuto, non sei riuscito a ritrasformarti da gatto e sei
stato inseguito per dieci isolati da un pitbull? Aryuna,
non ridacchiare! Vogliamo invece parlare di quando tu hai provato ad
attraversare un muro e hai lasciato la coda dall’altra parte?”
I due, trasformatisi nuovamente in
animaletti, erano il ritratto della tristezza.
“Per non parlare di come non la finite
di punzecchiarvi e ostacolarvi! E ora, che ho provato a insegnarvi come una
coppia di messaggeri di morte deve agire in perfetta simbiosi per recuperare
un’anima, voi vi ostacolate a vicenda? Beh, se è la competizione che volete,
allora l’avrete! Seguitemi.”
L’ultima parola fu pronunciata con
un’autorità tale da non ammettere repliche, e i due seguirono Izumi nel varco, dandosi dei piccoli calcetti a vicenda.
Takuto,
varcando il cerchio di energia, socchiuse gli occhi e nascose una smorfia di
dolore. Ancora non si era abituato all’attraversamento di un varco. A crearne,
poi, non ci si avvicinava neanche. Un attimo prima di entrare nel varco lanciò
un ennesimo sguardo torvo ad Aryuna.
Era inutile negarlo, lei era molto più
brava di lui. E il problema era che lo sapeva benissimo, e non mancava mai di
farglielo notare. Nonostante entrambi fossero novellini, Aryuna
imparava in fretta a dominare tutti i suoi poteri, e lui restava costantemente
indietro. Sentiva come una forza che lo tirava indietro ogni volta che provava
a volare, o a trasformarsi, o a mostrarsi agli umani, ma non aveva idea del
perché. Né si era sognato di dirlo a Izumi,
ovviamente.
Chissà, magari era stato così per tutti, all’inizio.
Dopotutto, doveva ancora abituarsi all’idea. Un messaggero di morte… sembrava
così irreale! Era passata appena una settimana da quando si era risvegliato,
convinto di aver abbandonato il mondo, e invece era ancorato ad
esso. Nessuno aveva dovuto spiegargli la sua situazione, il suo ruolo, o la sua
pena infinita da scontare: ne aveva avuto coscienza subito, non sapeva neanche
come. E così, lui che aveva scelto di abbandonare la vita, era costretto a
sottrarla agli altri, giorno dopo giorno, senza
tregua.
Messaggero di morte… così lo aveva
chiamato il capo, avvolto nel suo mantello, assolutamente imperscrutabile. E
aveva conosciuto Izumi, altrettanto silenzioso e
chiuso, che era stato costretto ad occuparsi dei nuovi
arrivati. Era l’ultima cosa che avrebbe voluto fare, e Takuto
lo sapeva bene. D’altronde, Izumi glielo faceva
notare continuamente.
E poi c’era lei. Saccente, egocentrica,
logorroica. Estremamente
logorroica. Non si erano piaciuti dal primo momento, e l’antipatia tra i due si
era accresciuta in maniera esponenziale. Dopotutto, Takuto
non aveva mai incontrato una persona con la testa più dura della sua, ed ora che era successo il risultato era ben visibile.
Il ricordo del loro primo incontro era
assolutamente indelebile: tempo prima, Takuto aveva
preso da poco coscienza del fatto che ciò che gli stava accadendo non era un
sogno, e si trovava in uno stanzone immenso pieno di scaffali.
Izumi l’aveva
mandato lì dentro a prendere i suoinuovi vestiti, dopo avergli spiegato
che una volta finito l’addestramento il suo lavoro sarebbe stato recuperare le
anime dei bambini, e l’abbigliamento doveva essere “adatto allo scopo”. Con una
smorfia Takuto stese una mano per afferrare il suo
cappello con sopra due orecchie da gatto, e la sua mano si sfiorò con quella di
Aryuna.
I due sollevarono lentamente lo
sguardo, e si fissarono negli occhi per pochi istanti.
“Scusa, questo cappello è mio.” Disse
lei tirandolo lievemente verso se stessa.
“Veramente è mio, devi esseri sbagliata”
“Ah certo, lo sapevo! Sono appena
arrivata e già qualcuno comincia a fare il prepotente! Allora, bello, quello è
il mio cappello, quindi dammi il mio cappello e la facciamo finire qui, visto
che quel cappello è mio!”
Takuto la guardò sgranando gli
occhi, mentre lei cominciava a tirare più forte.
“Diamine, la vuoi
finire? Guarda che così lo strapp…”
Non potè finire di parlare che su un lato del
cappello si aprì un lungo strappo. I due si bloccarono, e Takuto la guardò socchiudendo gli occhi.
“Hai rotto il mio
cappello!” Urlò Aryuna “Io odio quando qualcuno rompe
le mie cose! Come ti sei permesso! Ora vedrai che ti
combino!” E si allontanò sbraitando.
Takuto
indossò il cappello, che ovviamente era suo, scuotendo piano la testa. Per
fortuna lo strappo era proprio sul davanti, e avrebbe potuto farci passare i
suoi capelli. Si affacciò per guardare che fine avesse fatto quella matta e la
vide che saltellava felice intorno a un altro cappello, urlando:
“O mio Dio, è fantastico! È tutto
arancione! È proprio il mio cappello!”
Da quel momento si impose
di non averci più nulla a che fare, e poco dopo i due scoprirono di dover
essere addestrati insieme da Izumi. Il resto, furono
pure conseguenze.
Takuto
sospirò ripensando a quel momento, e si passò la mano sul cappello, cucito alla
bell’e meglio per far sembrare che lo strappo ne facesse
parte.
Sì, doveva scontare una pena, ma era
sempre più convinto che non fosse essere un messaggero di morte, ma sopportare
quella specie di volpe arancione!
Il varco si richiuse e i tre furono
catapultati in un altro luogo. Takuto e Aryuna si guardarono intorno, cercando di capire dove
fossero finiti.
Si trovavano
sulla cima di un altro grattacielo, ai confini della città, e davanti a loro
c’era un grande edificio, una specie di villa circondata da un parco. Il
cortile era pieno di bambini che giocavano tra scivoli, altalene e altre
piccole giostrine.
“Qui si deciderà chi tra voi otterrà il
suo primo incarico.” Sussurrò Izumi, e i due lo
fissarono allibiti.
“Di già?”
Pensò Takuto. “Ma non è troppo
presto? L’addestramento è appena cominciato!” e
osservando l’espressione di Aryuna vide che
probabilmente pensava le stesse cose.
“So quello che volete
dire” continuò il messaggero di morte, come leggendo i loro pensieri “Ma non ho
altro da insegnarvi. Il resto lo imparerete strada facendo. Ora, visto che amate tanto le sfide, ve ne impongo una. In questo
palazzo c’è un anima da recuperare, l’anima di un
bambino di nome Yu. Sulla lista c’è scritto che è
destinato a morire in una notte di questo mese, quando la Luna splende fino ad offuscare tutte le altre luci. Visto
che alla Luna Piena mancano tre giorni, quella notte non deve essere
molto lontana. Perciò, a partire dalla prossima notte,
sorveglierete quel bambino. Il primo di voi che mi porterà la sua anima avrà
diritto a diventare un messaggero di morte e otterrà il suo primo incarico
ufficiale. Ora vi spiegherò di chi si tratta, e come dovrete agire…”
Takuto guardò
ancora Aryuna, assorta nell’ascolto delle parole di Izumi. Non gliel’avrebbedata vinta. Lei era più brava di lui ad usare i suoi poteri, certo, ma non avrebbe permesso che
questo le desse un vantaggio. Essere un messaggero di morte era qualcosa che
non riusciva ancora a comprendere, e diventandolo ufficialmente avrebbe potuto
imparare di più, soprattutto da un compagno esperto. Non voleva essere sospeso
ancora a lungo in quella condizione indefinita. Gli dispiaceva per Aryuna, ma lui sarebbe diventato un messaggero prima di
lei. Anzi, in realtà non gli dispiaceva affatto.
Lei lo guardò e gli fece l’occhiolino. Takuto rispose con un breve sorriso di sfida. Di certo Aryuna era sicura di vincere. Beh, gli avrebbe fatto vedere
chi comandava! Si voltò verso l’edificio, osservando i bambini che giocavano.
Chissà, di quale ragazzino avrebbero dovuto rubare l’anima? E cosa si provava
nel rubare l’anima ad una persona? Presto l’avrebbe
scoperto. Izumi ripeteva sempre che la prima regola
era lasciare le emozioni fuori dalla porta, ma lui non credeva di sentirsi
pronto. Si sentiva ancora troppo… umano.
Guardò la targa sul cancello
dell’edificio e vide che la struttura era un orfanotrofio. Un luogo adatto per
terminare l’addestramento di un messaggero di morte, pensò. Poi riprese a dare
ascolto alle parole di Izumi.
Intanto nel cortile dell’orfanotrofio
una bambina rideva felice sull’altalena, spinta da un
ragazzo un po’ più grande di lei.
“Dai,Eichi,” gridava, “più in alto, più in alto!”
“Va bene, va
bene! L’hai voluto tu! Reggiti forte,Mitsuki!”
Al di sopra dell’orfanotrofio, Aryuna si
librava in volo, osservando con calma il Sole che tramontava lentamente dietro
la città.
Il cielo, tinto di violetto, era
completamente terso, solo poche basse nuvole si rincorrevano sulla linea
dell’orizzonte, ricoprendo quasi completamente il Sole come una cappa e
lasciando filtrare gli ultimi raggi rossicci che si tendevano verso l’altro,
come in un ultimo, disperato tentativo di strappare le stelle alla notte.
Dalla parte opposta, l’orizzonte era
una linea blu scura che si allargava piano verso l’alto e quest’onda lenta,
gigantesca e inesorabile, era appena rischiarata da una Luna quasi piena, che
non si era ancora mostrata in tutto il suo splendore.
Aryuna non
era per niente preoccupata, glielo si leggeva in viso. La certezza era un’ombra
palese sul suo sorriso beffardo, lo sguardo si posava tranquillo sui bambini
che rientravano nell’edificio, preparandosi ad andare a dormire. Non aveva
visto Yu, ma durante la giornata si era accertata su
quali fossero la sua camera e il suo letto. Aveva previsto tutto con la massima
cura.
Non aveva visto neanche Takuto… ah, eccolo! Era nel cortile dell’orfanotrofio,
zampettando furtivamente da un albero all’altro. Aryuna
scosse la testa. Che sciocco, pensava. Sa benissimo che gli umani non possono
vederci, perché cammina così? Forse per nascondersi da lei? Che illuso… avrebbe
dovuto fare ben altro per sfuggire al suo sguardo! Non valeva niente come
messaggero di morte, rispetto a lei!
Fin dal primo giorno non aveva avuto
alcuna esitazione: nessun ricordo della vita passata, nessun
rimpianto per essere ancora al mondo, nessuna tristezza per la pena che era
costretta a scontare. Le piaceva l’idea di essere un messaggero di morte, e non
capiva come questa potesse essere una condizione infelice! Dov’era la pena?
Anzi, era stata quasi entusiasta all’idea di poter volare, o passare attraverso
i muri. L’unico fastidio era quel Takuto, così
testardo, così pieno di sé! Ma ciò che le avrebbe
fatto vincere questa competizione non sarebbe stata la sua padronanza dei
poteri, lo sapeva bene. Sarebbe stata la consapevolezza della sua capacità di
allontanare le emozioni. Ciò che Takuto, se aveva
imparato a conoscerlo, non sarebbe riuscito certamente a fare.
“Vai, vai,
nasconditi pure!” Sussurrò. “Guarda come una vera messaggera
di morte si prepara a recuperare un’anima! Certo non tuffandosi in
picchiata e sfondando tutto quello che si trova davanti!” E planò lentamente
verso l’ingresso, proprio al di sopra dei bambini che
entravano nel palazzo. Il sorriso si allargava sempre più sul suo volto.
“Maestra, maestra!
Una fatina che vola!” Urlò un bambino, indicandola.
Aryuna
impallidì e si fiondò come un lampo sul muro più vicino dell’orfanotrofio,
decisa ad attraversarlo. Ci riuscì, ma come l’ultima volta, lasciò la coda
dall’altra parte. Diede uno strattone così forte che per poco non la strappò e
finì sotto una doccia gelata che probabilmente era stata lasciata aperta da
qualche bambino.
“Maestra, maestra!
La fatina è sparita!” Continuò a gridare il bambino di prima.
“Sì, sì certo! Tu guardi troppi film!
Stasera a letto senza cena! E ora fila dentro!”
Intanto Aryuna,
rassegnatasi ad essere incastrata, era immobile sotto
la doccia col volto rosso di rabbia.
“Non è possibile!
Devo essermi concentrata così tanto che mi sono resa
visibile!” E con un ultimo, deciso strattone riuscì a liberarsi dal muro,
uscendo dal bagno mentre borbottava furiosa.
“Che freddo assurdo!” In forma di volpe
si diede una forte scrollata e come risultato le si gonfiò
tutto il pelo, trasformandola in una specie di grossa palla pelosa arancione in
cui si intravedevano a malapena il muso e le zampe.
“Argh!”
Cacciò un urlo soffocato, e quasi rotolò nella stanza più vicina.
Trasformatasi di nuovo nel suo aspetto normale,
si mise a sedere sul pavimento provando ad asciugarsi le ali e si guardò
intorno. Era in una camera molto grande con un gran
numero di letti, e alcuni bambini qua e là si preparavano per andare a dormire.
Trattenne il fiato sperando che non
l’avessero vista, ma per fortuna era riuscita a tornare alla normale
invisibilità e nessuno la notò. Tirando un sospiro di sollievo, andò verso una
finestra e l’aprì piano, in modo che anche se qualcuno
l’avesse vista muoversi avrebbe creduto che fosse stato il vento.
L’aria fresca della sera entrò nella
camera, e lei si mise davanti all’apertura per asciugarsi. Stava ammirando il
panorama, quando un lieve brusio che proveniva dai lettini a fianco la indusse
a voltarsi. A un paio di metri di distanza una bellissima bambina dai capelli
corvini, sdraiata in un letto, si stava togliendo dei nastri dai capelli mentre
parlava con un ragazzo un po’ più grande di lei.
“Voglio guardare le stelle insieme a te, Eichi…”
“Lo faremo quando potrai stare alzata
più a lungo, ok?”
Aryuna
osservò incuriosita la bambina che prendeva un libro rilegato in pelle dal
giaciglio del ragazzo.
“Allora posso dare
un’occhiata a questo libro?”
“NO, MITSUKI!!!”
La reazione del giovane sorprese
l’aspirante messaggera di morte, mentre la bambina scoppiava a piangere.
“Ma come ti
permetti, guarda che le hai fatto!” Urlò Aryuna
mentre sollevava in aria la sua asta a forma di chiave, anche se era ben
consapevole che lui non poteva sentirla.
Mentre il ragazzo chiedeva goffamente
scusa, Aryuna cercò di sbirciare il libro.
“Che avrà di tanto importante…”
Poco dopo i due si misero a dormire, e
lei girò intorno ai letti osservando la bambina che continuava a piangere senza
fare rumore.
“Chissà che c’è scritto lì dentro…”
Mormorava. “Oh, Eichi, perché non vuoi dirmelo?…
perché?…” Serrò gli occhi, e una lacrima le scivolò silenziosa sulla guancia,
scintillando alla luce della Luna.
Aryuna
oltrepassò i giacigli e si mise di fronte al giovane, continuando a parlare,
più per sfogo che per altro.
“Ma perché?
Perché ti sei comportato così? Povera bam…”
Non finì la frase, perché il suo sguardo si posò sul volto del ragazzo.
La sua bocca si aprì in una “o” di stupore.
Anche lui stava piangendo amaramente,
stringendo forte il suo libro.
Aryuna si rizzò
in piedi, sorpresa. Era profondamente incuriosita da
quei due. Voleva saperne di più, ma all’improvviso si ricordò che aveva una
missione da compiere, e non sarebbe certo stato un capriccio momentaneo a
permetterle di darla vinta a Takuto! A malincuore si
allontanò dai due.
Ad un tratto si fermò, e tornò indietro
a chiudere la finestra. La bambina in lacrime era proprio davanti allo spiffero
d’aria sempre più fredda, e in quel momento aveva un’aria talmente fragile che
se avesse dormito con la finestra aperta si sarebbe di sicuro ammalata.
Aryuna spinse
il vetro e girò la maniglia, poi, dopo aver dato un veloce bacio sulla guancia
della bimba, uscì dalla camera.
La finestra, che non era stata chiusa
bene, si spalancò lentamente. Mitsuki fu accarezzata
da una folata di vento, e nel dormiveglia rabbrividì.
In un altro corridoio dell’orfanotrofio
Takuto camminava silenziosamente, osservando ogni
particolare di ciò che lo circondava. Aveva trovato la porta della camera del
bambino e la stava raggiungendo con passo sicuro.
“Aryuna, ti
ho fregato!” Esclamò mentre spalancava la porta, non curandosi della reazione
che avrebbero avuto dei bambini al vedere una porta che si apriva da sola. Di
fronte a lui, però, non c’erano dei bambini e neanche dei letti vuoti, ma uno
stanzino pieno di secchi e spazzoloni.
“Oh, maledizione… ho sbagliato di
nuovo! Ma quanto è grande questo posto?”
Con un’espressione delusa si allontanò
dalla porta e colse con la coda dell’occhio un movimento alla fine del
corridoio. Sorridendo, pensò che era molto improbabile
che i bambini avessero una divisa di un arancione acceso. Aveva trovato la sua
avversaria.
Si avvicinò di soppiatto all’angolo
dietro il quale aveva visto Aryuna scomparire,
appoggiò le mani sullo spigolo della parete e si affacciò dall’altra parte.
“Per caso mi stai pedinando?” Aryuna era dietro l’angolo, in piedi con le braccia
conserte, e il suo viso era a pochi centimetri dal naso di Takuto.
“ARGH!” Takuto
fece un balzo indietro mentre lei continuava a fissarlo impassibile.
“Ma sei matta?
Vuoi farmi venire un infarto?” Si portò una mano al petto,
ansimando pesantemente.
“Non credo che a un messaggero di morte
possa venire un infarto… ah, dimenticavo, tu non lo sei ancora!”
“Neanche tu, fino a prova contraria!”
“Ancora per poco,
caro mio! Dietro quella porta laggiù c’è la camera del
bambino, e… MA CHE FAI?” Queste ultime parole finirono con un gorgoglio
strozzato, mentre le pronunciava dopo essere stata spinta per terra da Takuto.
“E io ci
arriverò prima di te!” Concluse lui, mentre correva ridacchiando.
“Non pensarci neanche!” Aryuna gli corse dietro e lo placcò prima di varcare la
porta, che era già spalancata.
I bambini che erano nella stanza
continuarono a sonnecchiare tranquilli, non avendo il minimo sospetto che un
gattino e una volpe che lo teneva per le zampe erano
appena rotolati oltre la soglia.
“Hai intenzione di farci rimproverare
di nuovo da Izumi?”
“Io? Ma sei stato tu a metterti a
correre così!”
“Ma stai
zitta!”
“Ma sta’ zitto
tu!”
I due si presero per il colletto,
tirando indietro un braccio come per darsi un pugno, ma si bloccarono al suono
di una voce di uno dei bambini.
“Yu, chiudi
la finestra! Si muore di freddo!”
Takuto e Aryuna si voltarono contemporaneamente verso la finestra, vedendo
un bambino che poteva avere al massimo sei anni in ginocchio su un lettino
addossato al muro, affacciato sul davanzale.
“Un attimo, sto dando da mangiare a questo uccellino! Guarda che bello, mi viene a prendere le
briciole sulla mano!”
Yu era biondo
e gracilino, avvolto in un pigiamone più grande di
lui, con un enorme sorriso dipinto sul volto e due occhioni
che ispiravano una tenerezza assoluta. Stava porgendo dei pezzetti di pane a un
piccolo gufetto che si era posato a fianco a lui e gli becchettava sulla mano.
“Hihi! Mi fai il solletico!”
Una risatina angelica uscì dalla bocca del bambino, che cominciò ad accarezzare
delicatamente con la punta del dito la testa del gufetto.
Tornati nella loro forma normale, i due
si avvicinarono lentamente al lettino di Yu, che era
lontano da tutti gli altri e attaccato alla finestra in un angolo del muro.
Poterono osservare più da vicino il bambino, che sembrava così fragile, ma ogni parte del suo corpo e ogni lineamento del
suo viso esprimevano una gioia assoluta per una cosa così semplice come un
piccolo gufo che mangiava sulla sua mano. Aryuna, non
sapendo bene perché, provò un’immensa invidia per quel bambino.
“Ora devo chiudere,
se no gli altri si arrabbiano! Torna quando vuoi! Ciao
ciao!” Chiuse piano la finestra, restando a guardare
il gufetto che volava via, e tirando un profondo
sospiro quando svanì nel buio delle prime ore della notte. Poi si infilò sotto le coperte, e il suo piccolo corpicino si
raggomitolò mentre con una mano Yu si tirava la coperta
fino a sotto il mento. Uno scintillio dorato rivelò che il bambino aveva al
collo una catenella con appeso un portafoto dorato.
TakutoedAryuna arrivarono ai piedi del
letto del bambino, incerti sul da farsi. Sapevano bene qual era il prossimo
passo, ma il sorriso dolce che imperava sul visetto di Yu
li aveva bloccati completamente.
Il bambino sembrava una creatura
eterea, un piccolo angelo finito lì per sbaglio. Entrambi si chiesero se Izumi lo avesse scelto apposta per metterli alla prova. Be’, ci era riuscito. Takuto e Aryuna non avevano il coraggio di guardarsi, quasi
ipnotizzati dalla pelle pallida e vellutata del volto di Yu
illuminata da un debole raggio della Luna. Per un po’ restarono lì in piedi
senza fare nulla, aspettando che l’altro rompesse il silenzio e l’immobilità
che li aveva paralizzati. Dopo un tempo che parve lunghissimo, Aryuna aprì la bocca, ma le parole, che già sembravano
uscire con una difficoltà incredibile, le rimasero bloccate in gola perché i
due furono distratti da una debole luce intermittente che giungeva dal cortile.
Anche Yu se
ne accorse e si rizzò lentamente, stropicciandosi piano gli occhi con i dorsi
delle mani. Il bambino si affacciò sul cortile, e ai suoi lati fecero lo stesso
Takuto e Aryuna. I tre
volti scrutarono all’esterno, oltre il loro riflesso dipinto sui vetri chiusi,
come un quadro appena abbozzato.
Il bagliore proveniva dalla siepe che
divideva il cortile dell’orfanotrofio dalle sbarre che delimitavano la strada.
Dentro la siepe c’era qualcosa che proiettava un debole fascio di luce che si
accendeva e si spegneva proprio verso quella finestra. Yu,
incuriosito, la fissava attentamente. La luce continuò a brillare per qualche
secondo, stavolta puntando dritto sul volto del bambino, che era quasi sorpreso
ogni volta che il suo viso si illuminava e continuava
a tirare dei brevi sospiri di stupore ogni volta che accadeva. Poi si spense
un’ennesima volta, e nonostante il bambino attendesse impaziente, non si
riaccese più.
Yu rimase
immobile per un minuto, indeciso, continuando a scrutare quella siepe appena
visibile nel buio che non mostrava nessun segno di ciò che era appena successo.
Si girò, si infilò un paio di pantofole e si avviò
verso la porta della stanza cercando di non fare il minimo rumore per non
svegliare i suoi compagni che si erano già tutti addormentati.
Takuto e Aryuna si guardarono, poi lo seguirono mantenendosi a una
certa distanza e camminando piano a testa bassa.
Aryuna non
riusciva a capire cosa le stesse succedendo. Era
tenerezza? Pietà? Paura? Qualunque cosa fosse, le aveva riempito il cuore senza
lasciare spazio a nient’altro. Sapeva che per diventare un messaggero di morte
avrebbe dovuto prendere l’anima di quel bambino, che era comunque condannato per qualche motivo a lei ignoto, quindi non stava
compiendo un omicidio. Ma lei, proprio lei che era
convinta delle sue motivazioni ed era così certa di non essere coinvolta
emotivamente, ora si trovava completamente spiazzata. Credeva di essere
preparata a tutto, ma nessuno le aveva detto cosa avrebbe provato a guardare un
bambino pieno di gioia di vivere l’attimo prima di dovergli rubare l’anima.
Nessuno le aveva preannunciato quel groppo in gola,
quella morsa nel petto, quel tremore delle labbra. Non riusciva a piangere, ciò
che provava sapendo di dover rubare il soffio vitale a Yu
era qualcosa di talmente indescrivibile che non le provocava il pianto come una
qualsiasi tristezza.
Come un grosso macigno che le fosse
piombato sul capo, finalmente le era giunta fulminea
la consapevolezza della terribile pena che i messaggeri di morte erano
costretti a provare. In un attimo aveva perso ogni sua certezza. E un veloce
sguardo a Takuto le fece capire che i suoi pensieri
erano gli stessi.
I due seguirono
il bambino che sgattaiolava tra i corridoi privi di vita, e il rumore attutito
dei suoi piedini che percuotevano il pavimento era l’unico suono percettibile
in quel mare di silenzio.
Yu non si
diresse verso l’ingresso principale, ma raggiunse una porticina che dalle
cucine dava sul retro dell’orfanotrofio. Probabilmente aveva la serratura
rotta, perché gli bastò spingerla che questa si aprì senza opporre resistenza,
e i tre si trovarono all’aperto.
Il bambino rabbrividì mentre
attraversava l’uscio, coperto solo dal pigiama e solleticato dal vento. Pochi
secondi dopo Takuto e Aryuna
lo seguirono, cercando nella curiosità sulla provenienza di quella luce
qualcosa che gli facesse dimenticare tutto quello che stavano provando. Come
tentare di arginare un fiume in piena.
Il piccolo gruppo si avviò verso la
siepe, girando su un lato dell’edificio e passando accanto alle giostrine dell’orfanotrofio. Il vento faceva muovere piano
le altalene, che cigolavano sinistramente, e mentre i tre si avvicinavano al
confine del cortile un brutto presentimento cominciò a
farsi strada negli aspiranti messaggeri di morte.
Yu rallentò
fino a fermarsi, bloccandosi a una decina di passi dalla siepe che continuava a
non rivelare nulla di anomalo. Il vento cominciò ad aumentare, facendo agitare
le foglie, che però non si spostavano abbastanza da rivelare cosa ci fosse nel
buio fitto oltre i rami.
Lo sguardo curioso di Yu continuava a spingersi in avanti, quasi tirando il suo
corpo verso i rami. Riprese a camminare, sempre più vicino a quelle foglie
mosse dal vento.
Takuto si
avvicinò piano, e riuscì a scorgere chiaramente un uomo vestito di grigio scuro
e con indosso un passamontagna, perfettamente mimetizzatonell’oscurità oltre la siepe, con i muscoli in
tensione, che si preparava a ghermire il bambino attraverso i larghissimi spazi
fra le sbarre.
Paralizzato dallo stupore, non potè fare altro che continuare a fissare Yu mentre si avvicinava sempre di
più alle foglie che sembravano protendersi verso di lui, invitandolo in quella
trappola.
Nel giro di pochi secondi, un enorme
fracasso che proveniva dal cortile lacerò il silenzio della notte, facendo
sobbalzare Yu e Takuto.
Molte luci si accesero nell’orfanotrofio e si levarono voci spaventate, mentre Yu correva a perdifiato verso la
porta di servizio per non essere scoperto.
Takuto si
voltò nuovamente verso la siepe. L’uomo era scomparso.
La sua attenzione tornò sul bambino,
che stava rientrando nell’edificio, e guardandolo si accorse della fonte del
rumore: uno scivolo era caduto su una panchina di marmo, rompendosi in numerosi
pezzi che ora giacevano immobili tutt’intorno. In piedi, a fianco alla
panchina, c’era Aryuna.
“Ma che hai
fatto? Te ne rendi conto?” Takuto
la raggiunse, più sorpreso che arrabbiato. “Hai interferito! Sappiamo
che Yu una di queste notti doveva morire, e
probabilmente sarebbe successo ora! Perché…”
“Taci! È
impossibile salvare qualcuno se il suo nome è scritto nella lista! Quindi,
sicuramente non era questo il momento della sua morte!” E senza ulteriori spiegazioni si incamminò verso l’altro lato del
cortile.
Takuto stava
per controbattere, ma poi si fermò. Capiva bene quello che Aryuna
stava provando. Probabilmente, se lei non fosse intervenuta, lui stesso si
sarebbe gettato per salvare Yu. Avevano entrambi
bisogno di tempo.
Quello che Takuto
non sapeva, era che in Aryuna era successo qualcosa
di totalmente inaspettato. Infatti, mentre Yu si
avviava verso le braccia dell’uomo, un’immagine le era balenata violentemente
davanti al viso.
Non sarebbe riuscita a spiegare cosa le
dava questa certezza, ma era sicura di essersi già trovata in una situazione
simile. Con lo stesso bambino.
MitsukiKoyama era sdraiata nel suo
lettino, che era stato spostato da quelli di tutti gli altri, avvolta in una
pesante coperta. Aveva il volto arrossato e piccole gocce di sudore le
scivolano sulla pelle, mentre un termometro che le facevano
tenere per dieci minuti ogni ora non faceva che confermare l’evidenza.
Accanto al letto, su un piccolo vassoio
di legno, c’era la sua cena ormai fredda. Non l’aveva neanche assaggiata.
“…Che ci sarà scritto…” continuava a
mormorare nei brevi momenti in cui la febbre alta le lasciava un po’ di tregua,
e si sollevava dal suo torpore.
La stanza era completamente vuota:
erano tutti a cena. I soli occupanti della camera erano una bambina
febbricitante e un’aspirante messaggera di morte che le accarezzava piano la
testa.
Aryuna, nel
suo vestito di un arancione sgargiante, era seduta sulla sponda del letto di Mitsuki. Appoggiata accanto a lei
c’era la sua asta a forma di chiave. Non ricordava più da quanto tempo fosse lì
ad accarezzare i capelli della bambina malata, che non poteva avere il minimo
sentore della sua presenza. Era passata una giornata intera da quando aveva
salvato Yu dalle grinfie di quell’uomo, e per tutto
il giorno lei e Takuto non si erano praticamente parlati. Quando si incrociavano
nei corridoi dell’orfanotrofio si scambiavano solo un breve sguardo, pieno di
un vuoto incolmabile.
Per tutto il pomeriggio, tenendosi sempre a debita
distanza l’uno dall’altra, osservarono quel bambino biondo che trascorreva
felice le ore, ignaro del destino che lo attendeva. I
due spesso si rintanavano in solitudine, riflettendo per ore prima di ritornare
a guardare Yu e così dimenticandosi tutti i risultati
dei loro pensieri. Le occasioni sarebbero state infinite, ma nessuno dei due
era riuscito a compiere la propria missione. Entrambi erano sovrastati da una
serie infinita di dubbi, e in Aryuna questi si
aggiungevano alla strana sensazione di aver già visto Yu
molto tempo fa, contribuendo non poco alla sua indecisione.
Nonostante il loro comportamento, Izumi non si era fatto vedere. Probabilmente li stava
osservando con quel suo ghigno, chiedendosi come sarebbe andata a finire. Forse
era anche divertito dalla situazione.
Mitsuki emise
un lieve gemito, e Aryuna le prese la mano con
dolcezza. Si sentiva colpevole della febbre della bambina, e in un ennesimo
momento in cui aveva un disperato bisogno di stare da sola aveva deciso di
farle compagnia, per quanto le era possibile. Quella bambina le aveva ispirato
subito tenerezza, e la sua curiosità riguardo a lei, Eichi
e quello strano libro non si era ancora esaurita.
I pensieri di Aryuna
tornarono all’immagine che le si era stampata nella
mente nella notte precedente. Era come il negativo di una foto, solo che ad essere ritratte non erano immagini, ma sensazioni. Non
sapeva cosa riguardasse, se fosse uno scherzo della sua mente o un ricordo
della sua vita passata, l’unica cosa certa in quella visione era Yu in una situazione di pericolo. Ma
ogni volta che si concentrava, che cercava di tirarne fuori qualcosa di concreto,
quella specie di ricordo si allontanava di più da lei.
Esasperata, si alzò facendo scivolare
lentamente la sua mano da quella di Mitsuki.
Lentamente uscì dalla stanza, percorrendo il corridoio illuminato dai lampadari
e dalla luce del tramonto che filtrava dalle finestre. Scostò con la mano una
tenda e fece per uscire su un balconcino, ma la figura in piedi davanti a lei
che divideva la luce rossastra del Sole la fece fermare: Takuto
era in piedi sul muretto bianchissimo che delimitava il balcone, e guardava
pigramente il cortile vuoto sotto di lui.
Aryuna sgranò
gli occhi. Non aveva certo intenzione di dividere quello spazietto
con lui! Si girò e stringendosi nelle spalle il più possibile si incamminò in punta di piedi.
“Con quel cappello e quella coda è
proprio impossibile vederti!”
Aryuna si
bloccò, socchiudendo gli occhi e serrando le labbra.
“Uh, sei qua! Non ti avevo visto…”
“Ah, sì? Non penso di avere un cappello che si nota meno del tuo!” Takuto si girò e le fece l’occhiolino.
Aryuna lo
raggiunse sul balcone e gli si affiancò.
“Non hai niente di meglio da fare che
stare qua a fissare il niente?”
“E tu non hai niente di meglio da fare
che venire qua a chiedermi queste cose?”
Silenzio.
Dopo un paio di minuti aprirono tutti e due la bocca, ma appena videro che anche l’altro
stava per dire qualcosa la richiusero subito.
“Sai, ci sono due bambini qui dentro…”
Cominciò a dire Aryuna “Pensa un po’, lui ha una
specie di libro, e da ieri sera non fanno che… ma mi stai ascoltando???”
Lo sguardo di Takuto
era perso nel vuoto.
“Come?”
“Ma come sarebbe,
“come?” È proprio impossibile parlare con te! Una viene qui senza nessuna voglia di parlare, però rimane a parlare
per cortesia e nonostante si metta a parlare con te tu non la ascolti mentre
parla!” Tutte queste parole furono dette senza prendere neanche un respiro.
“Aryuna, ma
che…”
“Ma che cosa?
Accidenti a quando Izumi ci ha presi
tutti e due per addestrarci! Sai che ti dico? Me ne vado! Ecco!”
Aryuna si
girò e si incamminò con passo deciso, ma si fermò non
appena vide che Takuto non le stava dicendo nulla e
non la stava seguendo. Dopo qualche attimo di incertezza
tornò al suo fianco. Lui le concesse solo un breve sguardo.
Rimasero un altro po’ in silenzio,
osservando la notte che piano piano si univa alle
lunghe ombre che i palazzi proiettavano negli ultimi minuti del tramonto.
“Che pensi di fare?” Chiese Takuto. Aryuna si voltò di
scatto, aprendo la bocca come per dire “non sono affari tuoi!” ma ci ripensò.
“Non lo so. È tutto così confuso… tu?”
“Non so. Ho pensato tanto oggi… e mi
sembra di non aver pensato a niente.”
Un altro lungo silenzio.
Takuto si
voltò ed entrò nell’edificio. Aryuna lo seguì con la
coda dell’occhio.
“Comunque, il mio cappello è molto più
bello del tuo.” Mormorò lei.
“Ti ho sentito…” Disse Takuto sorridendo, mentre spostava la tenda per oltrepassarla.
Aryuna rimase
indecisa sul da farsi, poi si girò anche lei e lo seguì.
Il corridoio si era riempito di bambini
che correvano verso le loro stanze, senza sapere che in mezzo a loro c’erano un
gattino bianco e una piccola volpe arancione.
La Luna era quasi piena, e l’indomani
avrebbe fatto capolino nel cielo un disco perfettamente rotondo. Yu stava dando da mangiare allo stesso gufetto
che la sera prima aveva fatto la sua conoscenza, ridendo con gioia allo stesso
modo.
Aryuna e Takuto erano di nuovo in quella stanza, seduti su un letto
vicino a Yu. Si erano richiusi in un mutismo,
aspettando un qualunque segno che li avvisasse del fatto che l’ora del bambino
stava giungendo. Ma non succedeva nulla.
Yu chiuse la
finestra e si sistemò nel suo lettino, aprendo il portafoto che aveva sempre
con sé e osservando al suo interno.
“Takuto… hai
intenzione di restare qui seduto tutta la notte?”
La domanda improvvisa di Aryuna lo spiazzò, ma anche lei si stupì di averla posta. Takuto, però, rispose quasi subito.
“Non chiederlo a me… sei tu quella
convinta della missione, quella piena di obiettivi e senza problemi!” Lo disse
con un tono calmo, ma nonostante questoAryuna si arrabbiò.
“E questo che c’entra?”
“Dico solo…”
“Facevi meglio a stare zitto!”
“Ehi, fino a prova contraria hai
iniziato tu! E ora non dire un’altra volta che con me non si può parlare!”
Aryuna, che
stava per dire proprio quelle parole, si alzò in piedi stizzita.
“Hai ragione, allora non ci provo
nemmeno! Uh, guarda, lo strappo sul tuo cappello si
sta riaprendo!”
Takuto si
alzò a fronteggiarla.
“Avevi proprio ragione prima,
maledizione al giorno…”
“Buonanotte, Aryuna.”
Sussurrò Yu.
Fu come se all’improvviso un pugnale
fosse affondato silenziosamente nelle loro schiene.
Takuto e Aryuna si voltarono di scatto, fissando con gli occhi
sbarrati quel bambino che stava guardando nel suo portafoto dorato. Si
sentivano come un uomo che aprendo la porta di casa dopo una giornata di lavoro
avesse visto al di là della soglia invece del suo
salotto un deserto o una foresta intricata.
La folla di pensieri che riempiva le
loro menti non faceva altro che gridare una marea di suoni indistinti, e in
quel caos l’unico gesto istintivo che fecero entrambi fu di avvicinarsi a Yu e guardare nel portafoto. E lì, incorniciata in un
minuscolo spazietto, c’era una piccola fotografia che
ritraeva Aryuna mentre schioccava un bacio sulla
guancia di Yu, ancora più piccolo di com’era adesso.
Takuto guardò
Aryuna, che dopo un attimo di silenzio si mise a
correre oltre la parete, spiccando il volo con un balzo, mentre cercava di
andare il più in alto possibile. Ma le forze le
mancarono dopo pochi metri e piombò a terra in mezzo al cortile. Poi si mise in
ginocchio a singhiozzare, piangendo amaramente.
In un attimo le si
erano affacciate alla mente numerosissime immagini. Ricordava di essere
stata assunta dai genitori di Yu come babysitter. Di essere diventata quasi di famiglia dopo molti mesi accanto al
bambino. La gioielleria della famiglia del piccolo, che si trovava sotto
la loro casa, dove spesso lei si divertiva con Yu,
osservando i suoi genitori che servivano i clienti. I gioielli con cui il piccolo
si divertiva a giocare, e che li faceva indossare a
lei, ridendo di gusto. La risata, dolce e cristallina, che non mancava mai. Lo sguardo felice della mamma e del papà di Yu.
Le volte in cui lo portava nel parco a giocare con gli altri bambini. Le fototessere
con le facce buffe. Il giorno in cui il bambino le aveva detto che lei era la
sua migliore amica, e lei lo aveva stretto forte al suo petto. Le sere in cui
lei era da sola con Yu nella gioielleria, e giocavano
a fare il ladro e la poliziotta che lo arrestava. I baci, gli abbracci, le carezze. I cioccolatini di cui lui era ghiotto
e le scorpacciate che si facevano insieme. I suoi occhioni
grandi che lo guardavano, che si rispecchiavano nei suoi, così azzurri.
Le immagini si facevano sempre più confuse.
Da momenti di serenità si passò ad un’angoscia
tremenda. Ricordava un uomo col passamontagna. Una pistola. Tensione nella
gioielleria, che esplodeva in una serie frenetica di gesti. Spari, sangue sul
pavimento, grida spezzate, qualcuno che cadeva a terra davanti a lei, le mani
che le tremavano, suoni di sirene della polizia e dell’ambulanza, una pistola
puntata alla sua tempia…
“Aryuna!”
Gridò Takuto, prima di buttarsi al suo fianco.
Lei scoppiò a piangere ancor più a
dirotto, abbracciandolo e spingendo la fronte contro il suo petto. Takuto, completamente spaesato, la strinse a sé cercando di
darle un po’ di sicurezza. Rimasero così per molto tempo, mentre i singhiozzi
di Aryuna si spegnevano lentamente, finchè nel cortile dell’orfanotrofio tornò a regnare il
silenzio.
Takuto non sapeva cosa dire, e nel terrore di rompere il silenzio nel
modo sbagliato aspettò che fosse lei a parlare.
Dopo un tempo che parve infinito, Aryuna iniziò a mormorare qualcosa.
“Ero la sua tata, Takuto…
la sua tata…”
Non c’era altro da dire. Le lacrime continuarono a
scivolarle silenziosamente, bagnando la maglietta di Takuto.
“Non ce la faccio.” Tirò su col naso e si asciugò gli occhi col dorso della mano. “Non
posso rubargli l’anima. Io mi ritiro.” E si alzò lentamente in piedi.
Takuto un
tempo avrebbe esultato sentendo queste parole, ma ora aveva voglia di tutto
tranne che di essere felice.
“Aryuna…”
“No, non dire nulla. Ti prego. Io me ne
vado.”
Si allontanò da Takuto,
senza la forza di volare e riuscendo a stento a camminare fino al muro di cinta
dell’edificio.
“Non è scappando che risolverai il
problema.” Aryuna si fermò. “Siamo condannati, lo
sai. Per quanto vuoi fuggire?”
Lei si prese il tempo di qualche
respiro prima di rispondere.
“Per il tempo che servirà. Ti auguro
buona fortuna, Takuto.”
“Izumi verrà
a prenderti. O qualcuno per lui.”
“E allora gli spiegherò. Come hai detto
tu, siamo condannati per sempre. Avrò tutto il tempo per diventare una
messaggera. Ora tocca a te.”
Takutole si avvicinò di qualche
passo, non sapendo neanche perché.
“Ci ho pensato molto.
Non so neanche io se riuscirò a rubare l’anima di questo bambino. forse…” Fu interrotto da alcune voci sommesse che
provenivano dalla strada.
Due uomini stavano discutendo
animatamente, ma facendo attenzione a non farsi
sentire. Aryuna rabbrividì.
“Conosco questa voce.”
Si diresse piano verso la siepe, fino
al punto da cui provenivano le voci. Takuto arrivò
poco dopo di lei, e quando furono abbastanza vicini si
fermarono ad ascoltare.
“Haku, ti ho
detto che non sono più sicuro di voler andare avanti!”
“Ma sei
impazzito? Siamo così vicini!”
Scrutando oltre la siepe Takuto si accorse che l’ultimo uomo ad aver parlato era lo
stesso energumeno vestito di grigio che il giorno prima aveva tentato di rapire
Yu.
“Lo so, ma ieri stavi per essere
scoperto!”
“Akito,
domani sarà diverso! E dopo saremo ricchi! Ricchi, hai
capito?”
Haku, il più
grosso dei due, troneggiava su Akito e mentre parlava agitava freneticamente le braccia. L’altro era più
calmo, immobile a fissare il marciapiede. Tutti e due
avevano un aspetto trasandato, erano vestiti di grigio scuro e la sagoma
inconfondibile di una pistola che sbucava dalle tasche dei pantaloni. Lo
sguardo di Haku era pieno di malvagità e disprezzo,
la sua barba incolta gli scuriva ancora di più il viso, le sue manone callose sembravano pronte a strangolare qualcuno
senza esitazione.
“Non lo so…”
“Vuoi finirla? Non posso farlo da solo,
mi serve un complice!”
Aryuna
sussultava ogni volta che la voce di Haku risuonava
nel silenzio della notte.
“Secondo me dovremmo rinunciare.”
“Qui non sei tu a decidere!” Si
avvicinò ancora di più all’altro e gli afferrò il colletto con entrambe le
mani. “Comando io, e io dico che si va fino in fondo!
Domani notte entriamo, facciamo quello che dobbiamo
fare e ce ne andiamo! Chi vuoi che ci fermi? Quattro
marmocchi e due maestre?”
Lasciò andare Akito,
che si allontanò bruscamente sistemandosi i vestiti.
“E va bene, va
bene, ma io domani non entro. Rimango fuori a controllare.”
“Fai come vuoi,
pezzo d’idiota.” Dopo aver mormorato tra i denti queste parole
si allontanò, seguito a breve distanza dal suo compagno.
Takuto e Aryuna rimasero ad osservare quei
due mentre sparivano e riapparivano dal buio sotto le luci dei lampioni, finchè dopo un tempo che sembrò interminabile non girarono
un angolo e scomparvero definitivamente.
“Ma chi…”
Iniziò a dire Takuto, subito interrotto dalla voce di
Aryuna.
“La voce di
quell’uomo… tempo fa ha rapinato la gioielleria della famiglia di Yu. E ha ucciso i suoi genitori.” Ricominciò a
singhiozzare.
“E ora cosa vogliono?”
“Li hai sentiti anche tu, no? Non so perché,
ma vogliono Yu! E domani entreranno
nell’orfanotrofio!” Iniziò a camminare senza una meta nel cortile, con l’unica
intenzione di fuggire da tutto ciò che la circondava. Si fermò solo
quando Takuto le mise una mano sulla spalla.
“Allora forse è per
questo che domani notte Yu morirà. Dopotutto,
come diceva la profezia, domani ci sarà anche la Luna piena.”
“Bene, allora domani sarai pronto per
rubare la sua anima.”
“Sei ancora decisa
ad andartene?”
“Sì, e non voglio più
parlarne. Addio, Takuto.” Si alzò lentamente
in volo, inarcando la schiena e tenendo la testa all’indietro mentre i suoi
capelli ondeggiavano per un lieve alito di vento che si era alzato in quel
momento. Teneva gli occhi chiusi, cercando di non pensare a nulla.
“A presto, Aryuna.”
Le rispose lui quando ormai era troppo lontana per sentirlo.
Dopo qualche minuto anche lui si
sollevò da terra, dirigendosi pigramente al di sopra dell’edificio.
Si sedette in mezzo al tetto dell’orfanotrofio, appoggiando il gomito su un
ginocchio sollevato e la testa sul braccio.
Restò in silenzio per tutta la notte,
osservando la Luna che compiva il suo giro, le stelle che si facevano più
luminose e poi sparivano lentamente, le luci della strada che si spegnevano e
quelle delle case che si accendevano di tanto in tanto. Il cielo si schiarì
lentamente, finchè il nero lasciò il posto al blu, il
blu all’azzurro, l’azzurro al violetto chiaro. Aveva
avuto davvero troppe cose a cui pensare negli ultimi
giorni, e ora si sentiva davvero stanco. Sapeva che avrebbe preso l’anima di Yu e sarebbe diventato un messaggero di morte, ma non era
più sicuro di nulla. Era questo che lo aspettava? Sarebbe diventato tutto più
facile, oppure ogni volta avrebbe provato lo stesso tormento? Sarebbe successo
anche a lui quello che era capitato ad Aryuna?
Avrebbe dovuto rubare l’anima a qualcuno che gli era
stato caro in vita, o qualcosa di simile, e i ricordi lo avrebbero dilaniato?
Essere un messaggero di morte vuol dire tutto questo?
Con un balenìo
il Sole fece capolino all’orizzonte. In un attimo tutto si rischiarò, mentre
quel puntino tremolante di luce si faceva sempre più grande, e un bianco
abbagliante accecò per un attimo Takuto, che aveva
guardato laggiù un secondo in più del dovuto. La luce si stese sulla città, non
un manto soffocante come la notte, ma una linfa vitale che si riversava nelle
strade.
Takuto continuò
a guardare l’orizzonte finchè il Sole non si liberò
dell’abbraccio della terra e iniziò la sua ascesa.
“Ora non mi resta che aspettare
stanotte.” Pensò.
Sotto di lui Mitsuki
era affacciata alla finestra della sua stanza, osservando con meraviglia quello
stesso spettacolo.
Capitolo 4 *** Capitolo 4 - Essere uno Shinigami ***
4
4. Essere uno Shinigami
La Luna piena era ormai alta nel cielo.
Un pallido disco che si rifletteva in
ogni specchio d’acqua, creando mille Lune in terra, invidiose di non essere
lassù. I suoi freddi raggi illuminavano le poche persone in giro a quell’ora:
famiglie desiderose di tornare a casa che camminavano in fretta chiedendosi
perché non avevano preso la macchina, gruppi di ragazzi che passavano per le
strade alla ricerca di qualche luogo di ritrovo, coppie d’innamorati che si
scambiavano baci su panchine, muretti, prati o qualsiasi altro luogo adatto a
contenere un angolino d’amore. Qualche alito di vento increspava i ciuffi
d’erba, che illuminati dalla Luna sembravano minuscole trame intrecciate di
fili d’argento.
EichiSakurai camminava nel corridoio dell’orfanotrofio, dopo
aver tentato in ogni modo di addormentarsi ma senza successo. Dopo aver saputo
che Mitsuki si era sentita male solo per non aver letto
il contenuto del suo libro aveva passato le ultime due giornate combattuto tra
la paura di mostrarle il libro e la gioia di sapere che un suo segreto contava così tanto per lei.
Si accorse di aver portato il libro con
sé. Automaticamente si diresse verso la stanza di Mitsuki,
pensando che forse avrebbe anche potuto mostrarglielo, se lei ci teneva così tanto.
A pochi metri da lui, seduta sul
davanzale di una finestra, c’era Aryuna, con la testa
poggiata sulle ginocchia e lo sguardo perso in un punto imprecisato del muro
opposto del corridoio.
Per tutto il giorno aveva vagato senza
meta, fino ad accettare l’idea che non sarebbe riuscita a restare lontana da
quel luogo, quella notte. Takuto aveva ragione, non
era scappando che avrebbe risolto tutto. Doveva esserci. Molto probabilmente
non sarebbe riuscita a rubare l’anima di Yu, ma
essere presente le sarebbe servito nel suo percorso per diventare una
messaggera di morte. Allora perché era seduta lì da ore, senza riuscire a
trovare il coraggio di andare avanti?
Al suono dei passi di Eichi aveva sperato che Takuto
sbucasse da quell’angolo. Almeno sarebbe riuscito a tirarla su.
Poi aveva temuto che i passi fossero di Haku, venuto
per Yu, e aveva rabbrividito al pensiero di rivedere
quel volto che avrebbe potuto suscitarle altri traumatici ricordi. Invece era
arrivato quel bambino biondo, che lei aveva riconosciuto subito come il bambino
del libro, quello che Mitsuki desiderava tanto
leggere.
Aryuna non
era riuscita a comprendere cosa si agitasse nell’anima di quel bambino: chissà
cosa significava per lui quel libro, chissà cosa aveva patito tempo fa.
Dopotutto, ogni ragazzo in quell’orfanotrofio aveva alle spalle un passato che
sapeva di morte.
Eichi si
bloccò di colpo, fissandola. Aryuna si risvegliò dal
suo torpore, guardandolo con aria interrogativa. Sapeva bene che lui non poteva
vederla.
“Mi segui anche oggi, eh? Perché?” Sussurrò, a metà fra il fastidio e il pianto.
Aryuna credette
di aver commesso l’errore dell’ultima volta, e fece per volare attraverso la
finestra e scappare via. Ma come poteva quel ragazzino
averla vista altre volte? Anzi, credere che lo stava seguendo?
Poi si calmò, e seguendo lo sguardo di Eichi che
andava oltre il suo volto stupito, capì che il bambino stava parlando alla
Luna.
Un attimo dopo Eichi
gettò a terra il suo libro, lanciando un urlo di rabbia, e si sedette per terra
a piangere.
Aryuna era
ancora più stupita, se possibile, e non aveva idea di cosa stesse succedendo.
In quel momento quel ragazzino dava un’immagine di fragilità e di insicurezza che andava ben oltre i suoi dubbi. Lo
compatì, sapendo bene ciò che lei stessa stava attraversando in quei momenti, e
convincendosi che Eichi aveva bisogno di un sostegno
si alzò cautamente e fece per avvicinarsi.
Il suo gesto, però, si esaurì nel nulla,
poiché il bambino si alzò dopo poco tempo con uno sguardo risoluto, e sotto gli
occhi di un’attonita Aryuna abbozzò un sorriso.
Eichi si
diresse verso una porta e bussò piano, bisbigliando qualcosa che Aryuna non riuscì a percepire. Incuriosita, una piccola
volpe arancione con la coda e le orecchie basse, un ciondolo a forma di chiave
e due occhioni azzurri si avvicinò alla porta che si
stava schiudendo.
Nello spiraglio che si aprì fece capolino il visino intimorito di Mitsuki, che guardava Eichi in attesa
di sentire le sue parole. Lui le sorrise, e le parlò con voce tranquilla.
“Senti… perché non andiamo a guardare
le stelle?”
Il volto di Mitsukisi illuminò di gioia, i suoi occhi si spalancarono e
la sua bocca si aprì in un sorriso mentre quel “si!” le usciva dritto dal
profondo del cuore.
Eichi le fece segno di non fare
rumore e i due bambini si allontanarono tenendosi per mano, passando accanto ad
Aryuna che li osservava meravigliata. I suoi occhi
rimasero a guardare il punto dove i due avevano
imboccato un altro corridoio per molto tempo dopo che furono spariti alla sua
vista.
Aryuna era
stupita di come un bambino, che doveva sicuramente soffrire per drammi molto
più imponenti di quelli di tanti adulti, era riuscito a trovare una risolutezza
tale da lasciarsi in un attimo il passato alle spalle e fare la cosa più
giusta. La cosa più giusta…
Sollevò lo sguardo e si allontanò dalla
parte opposta di Mitsuki ed Eichi,
decisa ad andare incontro al proprio destino.
Il gufetto
diede l’ultimo, lieve colpo col beccuccio sulla mano di Yu.
Emise un verso appena percettibile, con un movimento fluido spalancò le ali e
sparì in pochi secondi tra le fronde di un albero.Yu, come al
solito, lo guardò finchè i suoi occhi riuscirono a
fissarsi su quella piccola sagoma sfuggente, poi chiuse la finestra e si
rintanò sotto le coperte.
Dietro la sponda del letto, in piedi, Takuto lo osservava in silenzio.
Non aveva più visto Aryuna
dalla notte prima, ma continuava ad essere convinto
che sarebbe tornata presto. Se la conosceva, e ormai aveva imparato a conoscerla, non sarebbe rimasta lontana a lungo. Continuò a
guardare quel visino, del quale dopo gli ultimi giorni conosceva ogni
particolare. Non si sentiva per niente pronto, si augurava solo che al momento
giusto lo sarebbe stato.
Passarono i minuti e si spensero
mormorii e bisbigli, sostituiti dal lieve russare di qualche bambino. Yu, come al solito, faticava ad
addormentarsi. Si girava e rigirava nel letto, stringendo ogni tanto il suo
portafoto che conteneva la foto di Aryuna quando era
in vita. Il tempo per Takuto sembrava rallentare di
secondo in secondo, mentre lui avrebbe voluto che volasse e quel dramma
terminasse una volta per tutte. Immobile come una
statua, i lineamenti contratti in un’espressione che poteva voler dire tutto e
niente, non poteva fare altro che seguire il movimento delle poche nuvole che
ogni tanto offuscavano la Luna per qualche secondo.
Ad un tratto Takuto udì dei passi strascicati nel corridoio. Chi stava
camminando faceva molta attenzione a non fare rumori,
ma nel silenzio della notte ogni passo risuonava come uno sparo. Lentamente il
rumore si fece sempre più forte, fino a interrompersi del tutto. Takuto trattenne il fiato, ma non successe nulla per molto
tempo. Probabilmente anche Yu doveva aver sentito
quei rumori, perché si drizzò a sedere.
Qualcuno si affacciò molto rapidamente
nella stanza, lanciò una breve occhiata all’interno e ritirò subito la testa. Una
figura scura, indistinta.
“Yu…” Un
sussurro si alzò dal corridoio. Yu trasalì.
“Yu!” Il
richiamo si ripetè una seconda volta, più forte, poi
il silenzio.
Takuto, con
un pensiero così forte che a parole sarebbe stato un grido, ripeteva a Yu “Non muoverti!” Ma il bambino, come ipnotizzato, scese
dal letto. Un passetto dopo l’altro si diresse verso il vano oscuro della
porta. Takuto lo seguì in
silenzio.
Yu uscì nel
corridoio, che era deserto. O quasi. In fondo, così lontano da essere appena
percettibile alla luce della Luna, c’era un uomo accovacciato. Takuto lo riconobbe subito, era Haku.
“Yu, non aver
paura, vieni qui! Sono Haku!” Il bambino si avvicinò dubbioso all’uomo vestito di
grigio. Takuto si chiese come facessero a
conoscersi.
Quando arrivò alla fine del corridoio Takuto si voltò e vide, in piedi
nel corridoio accanto, Aryuna. Lei gli volse un breve
sorriso, e lui rispose con uno sguardo interrogativo.
“Bravo, Yu.”
Sussurrò Haku, fremendo di qualcosa che poteva essere
rabbia o attesa. “Ora, perché non mi dai il tuo portafoto?” E stese la mano
verso il bambino.
Yu, dopo un
attimo di indecisione, afferrò il suo portafoto e lo
strinse a sé. Haku sbuffò.
“Dai,Yu, voglio solo riportarlo ad Aryuna!”
“E lei dov’è? Perché non è più tornata?” Takuto guardò Aryuna, che però continuava a fissare l’uomo.
“Yu,
smettila, devi fidarti! Dammi il portafoto!”
“No…” Il bambino indietreggiò.
La tensione cresceva, Takuto se ne era accorto. Stava per succedere qualcosa di irreparabile.
“Dammelo!” Haku
si alzò in piedi e si protese verso Yu.
“No!” Continuando a stringere il
portafoto, mentre i suoi occhi si velavano di lacrime, fece per gridare. A quel
punto Haku estrasse velocemente una pistola con un
silenziatore e la puntò sul bambino. Takuto trasalì e
socchiuse gli occhi.
In un decimo di secondo, al vedere
quella scena, la mente di Aryuna sembrò esplodere. In
quell’attimo ricordò ogni cosa…
Molto tempo prima, o almeno a lei sembrava che
fosse passato molto tempo, Haku era stato il suo
fidanzato. Era un poco di buono, un criminale di poco conto, ma a lei non importava.
O almeno, aveva cercato di tenere chiusi gli occhi e non vedere la realtà. Ma lui le aveva suggerito un’idea, qualcosa che avrebbe
permesso a entrambi di vivere da ricchi e a lui di tirarsi fuori dai brutti
giri in cui era finito. Così diceva. Lei si fece assumere come tata del figlio
dei proprietari di una famosa gioielleria. Il piano
era semplice, diventare intima con quella famiglia e trovare un modo per
derubarla. Erano però andati per le lunghe, perché i sistemi di sicurezza erano
impenetrabili.
Finchè, un
giorno, il bambino le aveva fatto scoprire il cassetto dove
i suoi genitori tenevano i diamanti appena tagliati, coi quali lui giocava
spesso, anche se gli era stato proibito. L’unica parte incustodita della
gioielleria. L’obiettivo era stato scelto, era tutto perfetto. Ma era successo l’impensabile: Aryuna
si era affezionata al bambino, che la considerava una persona cara, “la sua
migliore amica”. Combattuta per molti giorni, decise infine di farsi
licenziare, così il colpo sarebbe andato a monte ma Haku non le avrebbe dato la colpa. Si fece vedere dai
genitori di Yu mentre giocava insieme al bambino coi diamanti e li nascondeva in giro. Yu
ne aveva presi cinque o sei e li aveva messi nel portafoto che lei gli aveva
regalato.
Quando tornò da Haku,
questi andò su tutte le furie e decise che il colpo si sarebbe fatto lo stesso.
Forse il bambino, arrabbiato per la sgridata e perché i suoi avevano licenziato
Aryuna, non aveva restituito i diamanti e li teneva
ancora appesi al collo. Niente di più facile da rubare.
I due si presentarono alla gioielleria,
con l’aiuto di un complice che rimase all’esterno. Nonostante il litigio, la
famiglia di Yu aprì senza indugi la porta ad Aryuna e Haku, che Yu aveva già visto in altre occasioni. Il piccolo però non
era in casa, era fuori città insieme alla famiglia di un amico per qualche
giorno. I diamanti erano con lui. Haku, stanco di
aspettare, decise di fare di testa sua: prese la sua
pistola e minacciò la coppia, ordinandogli di
consegnare tutti i gioielli. Impensabile, perché erano chiusi in una cassaforte
a tempo. Aryuna, che aveva anche lei la sua pistola,
seguì impallidita i toni farsi sempre più alti e la tensione crescere. Fino a
quando il padre di Yu provò a disarmare Haku, che gli sparò tre volte. Sua moglie urlava, mentre Haku puntava la pistola anche verso di lei. MaAryuna non riuscì a fare nulla.
Colpita in pieno petto, la donna si accasciò a terra, e Haku
scappò senza pensare ad Aryuna che era caduta in
ginocchio nel mezzo della stanza, in lacrime.
Era tutta colpa sua.
Dopo molto tempo si udirono le sirene
dell’ambulanza e della polizia. Ma lei non le sentiva.
Non riusciva più a pensare. Non riusciva più a fare nulla. Aveva pianto così tanto che le mancava il respiro. Schiacciata da un peso
infinito, l’unico gesto che riuscì a fare fu quello di portarsi la pistola alla
tempia. L’ultima cosa che vide fu il volto di Yu che
le sorrideva. I muscoli si tesero in un ultimo singhiozzo, e…
“NOOOOO!!!”
Urlò a squarciagola, gettandosi fra Haku e Yu.
Il proiettile la colpì in pieno petto,
e Aryuna si accasciò a terra.
Yu corse via
impaurito e Haku restò immobile a fissare quel corpo
femminile vestito in maniera così strana disteso
davanti a lui. Poi si voltò e vide Takuto che lo
fissava con uno sguardo infuriato. Per lui fu troppo. Lasciò cadere la pistola
e si mise a correre più veloce che poteva, non fermandosi finchè
non ebbe scavalcato la siepe che circondava l’orfanotrofio.
Takuto lo seguì con lo sguardo oltre il vetro della finestra. Scosse la
testa, pensieroso. Com’era possibile che Aryuna fosse riuscita a salvare Yu?
Il suo nome non era forse scritto nella lista? Allontanò lo sguardo dalla siepe
e tornò a osservarla, convinto che un proiettile non poteva farle nulla:
dopotutto, era già morta. Ma ciò che vide lo lasciò
senza fiato.
Il cappello, l’asta, la camicetta e
tutto l’abbigliamento di Aryuna erano a terra. Al di sopra di questi oggetti lei fluttuava in mezzo al
corridoio, circondata dalla luce più forte che Takuto
avesse mai visto. Sembrava avere l’aspetto che avrebbe avuto il Sole se fosse
stato un essere vivente. Era, però, tutto fuorchè
minacciosa: ispirava una pace e una serenità irraggiungibili in questo
mondo. Per continuare a guardarla fu costretto a schermarsi gli occhi con una mano,
e anche così riusciva a capire che quella figura era Aryuna
solo perché ne intuiva i lineamenti del viso.
Poi lei parlò, con una voce lontanissima
dalla sua così acuta e pungente. Era una voce che ne racchiudeva mille altre,
una voce che evocava tempi lontani e spazi infiniti, rumorosissima
e silenziosa.
“Takuto…” Gli sorrise.
“Aryuna, ma
che…”
“Shh!” Tese
dolcemente una mano verso di lui per interromperlo. “Non aver
paura. Il mio destino si è compiuto.”
“Io non…” Aryuna
ridacchiò dolcemente.
“Non so come sia potuto succedere. Né
se possa essere spiegato in qualche modo. Ma so che nel momento in cui quel
proiettile mi ha colpito ho sentito davvero cosa vuol
dire morire. E non è nulla di simile alla morte che credevo di aver
attraversato.”
“Ma com’è
possibile?”
“Avevo una colpa terribile. Una pena da
scontare. Non sono stata capace di salvare i genitori di Yu,
e ho creduto di pagare con la mia morte. Ma non
funziona così. Ora, però, ho visto dall’esterno il mio corpo cadere dopo lo
sparo, e mi è sembrato il corpo della madre di Yu.
Quel piccolo, dolce, tenero bambino che ora vive grazie a me.”
Un lungo silenzio riempì i secondi
successivi, lei era in attesa di una risposta che però non arrivò. Come una
melodia che riprende corpo dopo una pausa in cui la musica è ridotta al minimo,
riprese a parlare.
“Mi sento libera, Takuto.
Da un peso che era diventato la mia stessa esistenza. E senza quel peso, non ho
più motivo di essere in questo mondo. Addio, amico mio.”
Dopo queste parole i contorni e le
forme di Aryuna cominciarono a sparire, avvolti
sempre di più nella luce che l’avvolgeva.
Takuto non riuscì a fare nulla, solo ad osservare quella sua rivale a
cui aveva imparato a voler bene mentre svaniva nell’alone di luce, che iniziò a
portarsi verso l’esterno e verso l’alto. Si accorse di avere le braccia protese
verso di lei e gli occhi velati di lacrime amare. L’ultima cosa che vide di Aryuna fu un viso radioso che ammiccava verso di lui
sorridendo.
Il bagliore si allontanò verso il
cielo, dopo aver preso la forma di una miriade di puntini luminosi che si
riflettevano negli occhi di Takuto, e per un attimo
sembrò essere accolto dalle altre stelle, come un vecchio amico di ritorno dopo
tanti anni. Un momento dopo, fu come se tutto ciò non
fosse mai avvenuto.
La Luna, immobile, non rispose alle
domande che l’aspirante messaggero di morte le rivolse con gli occhi.
“Facciamo una passeggiata, Takuto?”
Si voltò al suono della voce di Izumi, che era seduto su una panca a pochi metri da lui,
immerso nella penombra.
“Ah, alla fine ti sei ricordato di
noi!”
Izumi si alzò
piano e lo raggiunse, mettendogli una mano sulla spalla. Takuto
se la scrollò di dosso e uscì in cortile, seguito dal suo maestro.
“Io vi ho osservato in ogni momento, Takuto. Dall’inizio alla fine.”
“Ah, e non hai mosso un dito quando ti
sei accorto che questo incarico era troppo grande per Aryuna?”
Mormorò a denti stretti, fermandosi di colpo e girandosi verso di lui. Il
silenzio di Izumi fu come un’affermazione che Takuto colse al volo. “Sapevi già tutto, vero?”
“Sì. Anche se non avevo idea che
sarebbe andata a finire così. Devo ammettere che questi ultimi minuti hanno
dato una lezione anche a me.”
“Quindi era
tutta una prova per Aryuna, un test studiato a
tavolino?”
“Sì e no. Era una prova, ma non per Aryuna. Era una prova per te.”
“Come sarebbe?”
“Il nome di Yu
è scomparso tempo fa dalla lista. Al suo posto, era apparso quello di Aryuna. La prima volta che un nome sia apparso due volte,
credo.”
Takuto era
più stupito ogni secondo che passava.
“Quindi sapevi
che Aryuna era destinata a… morire?”
“Non avevamo idea del perchè il suo nome potesse riapparire sulla lista. Ora lo
sappiamo.”
“Ma cosa c’entro io?”
Izumi gli si
avvicinò.
“L’addestramento per diventare un
messaggero di morte non è qualcosa che si può attuare insegnando a volare o a
passare attraverso i muri, Takuto. Esserlo è molto
più di tutto questo. E credo che nelle ultime giornate tu lo abbia compreso.”
Takuto chinò
il capo, e dopo qualche secondo annuì brevemente. Izumi
lo osservò senza dire nulla, poi si alzò in volo.
“Vieni, è ora di andare.”
“Ma Aryuna…”
“Non fare domande di cui non esistono
risposte. Non credevo che fosse possibile scontare una pena come quella che
siamo costretti a portare, ma a quanto pare mi sbagliavo. Andiamo.”
“ E ora dov’è?” Insistette Takuto mentre iniziava a seguirlo. Izumi
sorrise.
“Se vuoi credere negli angeli, Takuto, non sarò certo io a vietartelo.”
Un varco di energia si aprì nel cielo,
e Izumi lo attraversò.
Takuto lo seguì, chiedendosi fino all’ultimo se avrebbe trovato il
coraggio di voltarsi indietro a guardare quell’orfanotrofio, che non avrebbe
mai dimenticato. Con un groppo un gola e un peso nel
cuore, decise invece di guardare verso l’alto e rivolse un saluto ad Aryuna. Poi attraversò il varco.
Peccato, perché alle sue spalle avrebbe
visto un bambino biondo, impaurito e spaesato, ma
destinato a vivere ancora per molto tempo, che raccoglieva un ciondolo a forma
di chiave in un corridoio.
Avrebbe visto due poliziotti catturare Haku, giunti per una segnalazione che li avvertiva di un
uomo che si era introdotto nell’orfanotrofio.
Avrebbe visto un gufetto che
osservava il cielo, sperando che l’indomani lo stesso bambino degli ultimi
giorni gli avrebbe dato da mangiare.
E, soprattutto, avrebbe visto un
ragazzo e una bambina seduti sul tetto dell’orfanotrofio a guardare le stelle, felici
di godersi un momento magico e indimenticabile.