Il Canto della Banshee

di Shinji
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo Canto ***
Capitolo 2: *** Secondo Canto ***
Capitolo 3: *** Terzo Canto ***
Capitolo 4: *** Quarto Canto ***
Capitolo 5: *** Quinto Canto ***
Capitolo 6: *** Sesto Canto ***
Capitolo 7: *** Settimo Canto ***



Capitolo 1
*** Primo Canto ***


Wow

~Introduzione~

Wow. Finalmente pubblico. Yay *O* sono così emozionatoh! *O*/

 

…sì, ok, come incipit non è il massimo. Riformulo.

 

Salve a tutti, miei fedelissimi lettori (?), quest’oggi sono venuto a proporvi quello che mai vi avevo proposto, per quanto riguarda Saint Seiya.

Una storia a capitoli.

Sì, sì, una storia vera, con una trama e tutto. *rolls*

È il progetto cui tengo di più in assoluto, e soprattutto è una bella scommessa: questa fiction sarà completamente, totalmente ed unicamente Spectre-centrica: ho provato a codificare un mondo del quale sappiamo ben poco. Sì, sappiamo come si risvegliano gli Spectre, sappiamo come è strutturato il Meikai, ma dove stanno loro? Fanno campeggio? Hanno un resort con piscina? Si allenano, almeno un po’, o si risvegliano già completamente pronti? Tutti questi particolari non vengono specificati da Kurumada-sensei, quindi ho provato a dare io una risposta. Certo, è una mia personale interpretazione, ma che ho provato a far combaciare con la trama il più possibile.

Compariranno Spectre già visti, ma il protagonista assoluto sarà un personaggio originale, e molti altri ne compariranno. D’altronde gli Spectre sono 108, potrò farne vedere cinque o sei nuovi, no? *O*
Probabilmente, i più grideranno al Gary Stu. Chi mi conosce sa che non è nel mio stile, assolutamente, e spero che amerete i miei piccoli Spectre quanto li amo io. Guardate, non ho messo neanche l’avviso shonen-ai perché non è previsto neanche lontanamente, nel corso della storia. Poi certo, in roleplay sono successe tante cose e comunque sia voi, viziose creature contaminate dal peccato, riuscirete a slashare qualcuno senz’altro. Ma io non darò alcun tipo di indizio, mai. *rolls*

Pubblico oggi il primo capitolo (una rapida introduzione, più che altro, tornerò sui punti appena accennati dal capitolo molto presto) in coincidenza con il compleanno di Dylan, il protagonista. Quindi, gli faccio gli auguri con tutto il cuore, anche se lui probabilmente non sarà troppo contento. *rolls*

 

Un’ultima cosa, prima di cominciare. Ho una bella sfilza di doverose dediche da fare:

 

A Rucci, a.k.a. Ren-chan, per il suo meraviglioso Kanon, per i Betaggi continui, per le fanart… oddio, per tantissime cose, in realtà, sono troppe da elencare e tu lo sai quanto ti sono grato. Un bacione, Mother.


A Scillina, a.k.a. LeFleurDuMal, per la grande mano che mi ha dato per la caratterizzazione di Rhadamanthys, e soprattutto per aver creduto così tanto nel mio progetto. Grazie, Master! çOç

A Gucci, a.k.a. Kijomi, per il fangirlism silenzioso, per i roleplay privi di senso –ma esteticamente apprezzabili, e per avermi dato l’occasione di roleplayare un fiore lesbica parlante. Non è da tutti.

 

A June per avermi bombardato di fanart, per il bene incredibile che vuoi a Mathias *rolls* , per essere così carina. Ti voglio bene, e anche Shun te ne vuole. Ah, e anche Hades-sama. çOç

 

Ok, ora è il caso di iniziare, la prefazione risulta essere più lunga del capitolo in sé. Erhm.

A voi, signori e signore. Il concerto sta per iniziare.

Godetevi il Canto della Banshee.

 

 

 




 

Primo Canto ~ Preludio alla Sinfonia della Morte

 

La musica deve far sprizzare il fuoco dallo spirito degli uomini.
Ludwig van Beethoven

 

 

 

Sono Dylan Lawrence Dunkin, e vorrei che ascoltaste una storia.

Credetemi, è una storia che merita di essere ascoltata.

Parla di guerrieri e di Dei, di lacrime e di gioia, di onore e di sfortuna.

Di guerra e di amore.

È la storia della mia vita.

 

 

Sono nato il 17 Maggio, di Venerdì, in una giornata fresca ma piovosa: niente di nuovo, per la campagna inglese.

Mia madre non la ricordo bene, è mancata quando io avevo tre anni: ho poco più che un’impressione di lei, il vago sentore del calore di un abbraccio, un profumo, il suono di un pianoforte.

Sì, era una pianista molto brava, come mio padre: in verità, la nostra famiglia si occupa di musica da svariate generazioni.

Robert Daniel Dunkin, mio padre, era un insegnante di pianoforte, violino, contrabbasso e si cimentava anche nel canto. Io, ovviamente, seguivo le sue orme cercando di imparare il più possibile; era nel canto, però, che trovavo me stesso.

 

Stavamo passando un brutto periodo, io e mio padre, a quel tempo. Avevo da poco compiuto nove anni, e non trovavamo lavoro fisso: a malapena sopravvivevamo riparando e accordando strumenti, o suonando ad improvvisate feste e manifestazioni.

Poi, un giorno, un piccolo signore della contea vicina –uno dei pochi sopravvissuti, e strenuamente ancorati al proprio titolo di landowners- ci mandò a chiamare: aveva sentito parlare di noi, e voleva che insegnassimo a suonare ai loro figli.

Sir Sebastian Cristopher Heavendor era un uomo molto gentile: ricordo con chiarezza i suoi occhi chiari e sorridenti, e i suoi baffetti castano-grigi che parevano sobbalzare quando rideva; sua moglie, Madam Henrietta Louise Heavendor, era una persona ben più rigida del marito, e non si mescolava troppo con noi. Non ce la prendevamo, in fondo ci trattavano più che bene: avevamo una piccola stanza nella dependance della loro villa, e venivamo sostanzialmente mantenuti ad un prezzo più che conveniente.

 

Con i signorini sia io che mio padre ci trovavamo bene: la maggiore, Priscilla, era portatissima per il pianoforte, e faceva progressi incredibili di giorno in giorno. Quando giungemmo al maniero aveva tredici anni, e sua madre la stava preparando per il debutto in società: le faceva provare ogni giorno vestiti su vestiti per vedere quale di loro si intonasse meglio col biondo spento dei suoi capelli, elaborando –tra l’altro- sempre nuove acconciature; quando la poverina non ce la faceva più, la ritrovavo spesso vicino alla nostra abitazione, in cerca di svago e libertà.

Poi in mezzo vi era un maschio della mia età, Sebastian jr, al quale all’inizio, devo ammettere, non stavo particolarmente a genio. Probabilmente era anche a causa dei miei occhi, era comune che inquietassero: sono eterocromi, il destro è verde –come quelli di mia madre, diceva mio padre- e il sinistro era di un’insolita colorazione dorata.  Pian piano, però, conquistai la sua fiducia, e già alla fine dell’estate eravamo diventati grandi amici; si dilettava nel suonare il violino, ma senza troppo impegno: a mio avviso sarebbe potuto diventare davvero un ottimo suonatore, ma era troppo preso dai mille giochi che si inventava ogni giorno per stare troppo ad ascoltare mio padre.

Infine c’era la mia favorita, una meravigliosa bambina bionda di cinque anni: Anastasia. Lei stava imparando a suonare il piano, ma era soprattutto la sua voce ad avere grandi potenzialità. Sia io che mio padre ci divertivamo molto con lei: era semplicemente, genuinamente, fantasticamente entusiasta. Qualsiasi cosa era una sorpresa, una meraviglia, e per quanto io non fossi di molto più grande di lei, guardavo con una tenerezza stranamente adulta alle sue esternazioni di gioia.

Cantavamo spesso insieme, e passavo molto tempo con lei.

 

Ma anche la sinfonia più bella deve finire, prima o poi.

Il mio ebbe come conclusione una fuga, tanto angosciante quanto rapida.

 

 

Era il giorno del mio compleanno, e all’Heavendor Manor vi era un gran fermento; erano ormai cinque anni che vivevamo insieme, quindi i signori e soprattutto i ragazzi erano diventati una famiglia per noi, più che datori di lavoro, e sentivo che anche per loro era lo stesso: era stata quindi organizzato una vera e propria festa, sebbene modesta. Avevano allestito la sala principale della villa, con un piccolo rinfresco; alcuni dei servitori, tra giardinieri e camerieri, avevano addirittura improvvisato una scenetta teatrale che mi aveva fatto letteralmente morire dal ridere.

Quante risate! Ne sento ancora il sapore sulla lingua, se ci penso…

La festa stava finendo: Priscilla, Sebastian jr e Anastasia stavano suonando per me i London Trios di Haydn: sapevano quanto io amassi quell’artista, e non potevano farlo mancare dalle loro esecuzioni.

Quanto erano bravi… sì, dopo cinque anni passati insieme avevo anche l’ardire di sentirmi orgoglioso, almeno un po’, per il poco che avevo cercato di trasmettere loro supportando gli insegnamenti di mio padre.

 

Poi accadde.

 

Sentii qualcosa, dentro di me.

Un’entità indefinita, un sentore oscuro.

Era qualcosa di silenzioso e… fragoroso allo stesso tempo.

Conficcato nello stomaco, strisciante e sinuoso, cercava di uscire.

 

Ebbi l’impressione di averlo già sentito prima, dentro di me: non riuscivo a considerarlo qualcosa di alieno, ma anzi lo sentivo profondamente mio.

Era questo a terrorizzarmi di più, in quegli attimi.

 

Mi chiesero che cosa avessi, perché mi fossi alzato di scatto dalla sedia dalla quale stavo ascoltando i ragazzi suonare.

Non risposi: non potevo parlare. Se avessi aperto la bocca, quella cosa sarebbe uscita; provai, però, un desiderio inspiegabile –morboso, quasi- di liberarla, di farla emergere e muoversi e…

 

 

Lacrymosa Dies Illa

Quam Resurget Ex Favilla

Iudicandus Homo Reus.

Lacrymosa Dies Illa

Quam Resurget Ex Favilla

Iudicandus Homo Reus.

Huic Ergo Parce Deus

Pie Jesu, Jesu Domine.

Dona Eis Requiem.

Amen.

 

Non ricordo bene cosa accadde, poi.

Anche l’esecuzione di quel canto la rimembro come un sogno affogato nel nero.

Inafferrabile, inquietante. 

Ma necessaria.

 

Non ricordo bene cosa accadde.

 

So solo che una volta vibrata l’ultima, inconsapevole nota, le fiamme mi stavano già circondando.

 

Non sentii urla, né affanni. Sembrava che nessuno avesse tentato di scappare.

 

Sir Heavendor e sua moglie, Priscilla e Sebastian e la piccola Anastasia e i servitori… e mio padre… erano tutti lì, a terra, immobili.

Solo fuoco a vestirli.

 

Le fiamme arrivarono al pianoforte, facendolo cedere.

Il suono che emise fu il lamento di una bestia ferita, un grido disarticolato, straziante come la morte.

Solo allora mi svegliai, e realizzai.

 

Penso che urlai. Penso che piansi.

So che corsi fuori –almeno credo, dato che mi trovai all’esterno della villa- e cominciai a tossire, soffocato dal fumo.

La mia mente era un nugolo di fumo e paura e fiamme e disperazione.

 

Cenere e lacrime si mischiarono, in un modo di buio e fuoco.

 

L’unica casa che avessi mai avuto, la mia famiglia, il mio meraviglioso concerto… tutto svanito. Rimaneva solo il silenzio.

 

Non so quanto rimasi lì, fermo nel giardino invaso dal fumo.

So per certo che ad un tratto un’ombra mi sovrastò; alzai gli occhi e lo vidi.

Era grande, l’essere più imponente che avessi mai visto.

Aveva enormi ali nere, e artigli. Sembrava un drago, eppure si ergeva su due gambe… o zampe.

 

Si avvicinò di più a me, e vidi che in verità era un uomo.

Un uomo che indossava una strana armatura nera, dai riflessi violacei.

 

Nello stato in cui mi trovavo, ben pochi avvenimenti avrebbero potuto smuovermi.

Quella persona mi sconvolse totalmente, e mi affascinò.

 

Spesso le persone si inquietavano per il mio occhio dorato, si tenevano a distanza da me come se fossi un essere strano ed unico. Quindi, pensavo ingenuamente di essere il solo a possedere questa caratteristica.

Ma quell’uomo, quell’uomo dalle grandi ali nere mi fissava con due occhi dorati, severi e profondi.

 

 

Percepii qualcosa provenire da lui. Era profondo, abissale, pericoloso. Oscuro.

E stava cercando me, ma non per nuocermi.

Riconobbi, in quella sensazione, lo stesso fenomeno che avevo già provato prima: come un nugolo di stelle oscure, vorticanti dentro il mio corpo.

Quella stessa cosa reagì istintivamente alla sua compagna, proveniente dall’uomo in nero.

 

I suoi occhi dorati lampeggiarono, in apparenza soddisfatti.

Finalmente, poi, parlò:

 

-Ti ho trovato, finalmente. Sei stato scelto, ragazzo; nel fuoco hai concluso oggi la tua infanzia. Abbandona le lacrime in questo luogo. Il sommo Hades, il Dio dell’Oltretomba, ti ha inserito nel suo disegno.-

 

Sentendo quel nome, il mio animo si smosse.

Non sono in grado di spiegare come, ma qualcosa gridò di gioia, dal profondo della mia disperazione. Qualcosa che aveva finalmente trovato quello che stava cercando da quattordici lunghi anni.

 

L’uomo dalle ali scure si chinò verso di me, tendendomi una mano guantata di nero.

Era grande e forte, e pareva poter frantumare le stelle come maneggiare la più fine porcellana.

 

-Qual è il tuo nome?-

 

Non esitai un istante (col senno di poi, anche se avessi opposto resistenza probabilmente non sarebbe cambiato niente) e presi quella mano, alzandomi.

 

-…Dylan. Dylan Lawrence Dunkin, signore.-

 

Quel giorno iniziò, per me, una nuova musica.

 

Una cupa sinfonia, struggente e melanconica, che avrei potuto apprezzare solo più avanti nel tempo.

 

Quel giorno, tra le lacrime e le fiamme, nacque quello che sarebbe stato il primo fra gli allievi di Rhadamanthys della Viverna, Generale Infernale del Sommo Hades…

Dylan di Banshee.

 

 

 

 

 

 

 

Note finali: Solo una piccola spiegazione, a rigor di cronaca, anche se tutto verrà meglio sviluppato nel corso della storia. "La banshee è una creatura leggendaria dei miti irlandesi. Fa parte del piccolo popolo ed è uno spirito che spesso viene classificato tra quelli maligni, anche se in realtà nelle antiche leggende viene descritto semplicemente come uno spirito femminile che si aggira attorno a paludi e fiumi, nelle sorgenti o nelle colline d'Irlanda. Il termine Banshee deriva infatti da Bean si che significa "donna delle colline". Il suo aspetto si identifica più che altro negli occhi sempre arrossati per via delle lacrime, che versa sulle tombe di coloro che amava. Si dice che quando muore un membro di una qualche famiglia importante, la banshee che protegge la famiglia pianga e si disperi, rilasciando il suo terribile grido di dolore per le valli irlandesi." (Wikipedia cit.)

Infine il Lacrymosa, per chi non lo sapesse, è l'ottava Sequentia del Requiem In D Minor, K 626, di Wolfgang Amadeus Mozart. Che chissà, magari è stato Spectre di Banshee in passato. *ignoratemi*
Bene, direi che è tutto. Alla prossima!

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Capitolo 2
*** Secondo Canto ***


Il Canto della Banshee

 

 

Secondo Canto ~ Conoscere il proprio Destino (Primo Movimento)

 

“L’inferno è pieno di amanti della musica: la musica è il brandy dei dannati.”
George Bernard Shaw

 

 

 

Era accaduto tutto rapidamente.

Non ero pronto per un cambiamento, anche il minimo, nello stato per cui mi trovavo; ma credo che nessuno, al posto mio, sarebbe stato pronto per quello.

 

Mi trovavo nel Regno dei Morti.

 

Ero un luogo che andava oltre ogni immaginazione, un Mondo non umano.

Un’enorme porta si stagliava davanti a me e all’uomo in nero –Rhadamanthys, aveva detto di chiamarsi. Giudice Infernale, e mio maestro. Non avevo ancora capito che cosa esattamente avrebbe dovuto insegnarmi, o perché, ma sospettavo di non aver visto ancora niente.

 

Sulla porta vi era una scritta in greco: non ero in grado di leggerla.

 

-Lasciate ogni speranza, voi che entrate.-

 

Fu il mio Maestro a tradurla per me: mi diede i brividi.

 

Perché quando si abbandona la speranza, si perde tutto.

Ma io, d’altronde, avevo già perso ogni cosa.

 

-Seguimi. Ti mostrerò il luogo in cui non solo ti addestrerai, ma che dovrai imparare a proteggere. Questo è il regno del Sire Hades, dove le anime degli uomini giungono dopo la morte, per essere giudicate.-

 

Divinità greche? Regno dei Morti? Giudizio?

 

Tutto mi pareva assurdo, ma non osavo contraddire quell’uomo: non pareva avere molta voglia di scherzare o di raccontare frottole.

Qualsiasi cosa uscisse dalla sua bocca, era verità assoluta: almeno, per me così è stato, in questi anni.

 

E comunque, non avevo forse l’incredibile già davanti ai miei occhi?

 

Avanzando in quel regno di ombre e fiamme e di torbide acque, vidi altre persone con armature simili a quella di Lord Rhadamanthys.

Uno in particolare ci si avvicinò ad un tratto, inginocchiandosi davanti alla mia guida.

 

-Bentornato, Sommo Rhadamanthys. Ho già provveduto all’organizzazione dell’addestramento odierno delle reclute.-

 

Il Maestro gli rispose, guardandolo appena: -Bene, Harpy. Ti affido il resto.-

 

Il ragazzo –non pareva essere molto più vecchio di me- posò uno sguardo penetrante su di me: aveva occhi luminosi, e curiosi capelli di un assurdo colore rosato.

 

-È appena stato reclutato? Devo occuparmene?-

 

Sentii un brivido corrermi lungo la schiena, e indietreggiai leggermente d’istinto: sebbene non fosse particolarmente rassicurante, non volevo allontanarmi dal mio unico punto di riferimento.

 

Per fortuna, Lord Rhadamanthys disse che si sarebbe occupato personalmente di me.

 

Il giovane uomo che era stato chiamato Arpia mi lanciò uno sguardo ancora peggiore del precedente, degno del suo nome di mostro mitologico.

 

Tuttavia, non commentò ulteriormente se non per congedarsi da quello che –avevo ormai capito- doveva essere un suo superiore, se non IL superiore per eccellenza.

 

Una volta allontanatosi, proseguimmo per la nostra strada: il Maestro, che fino ad allora non mi aveva degnato di particolari attenzioni, mi guardò da sopra la spalla, sentendosi in dovere di spiegazioni:

 

-Valentine di Harpy, della Stella del Cielo Piangente. È il mio Tenente Generale, e si occupa degli addestramenti delle reclute.-

 

Detta in questo modo, mi sembrò ancora più oscuro; per la prima volta ebbi il coraggio di parlare:

 

-…Stella del Cielo Piangente?-

 

Eravamo giunti, nel nostro camminare, fino ad un campo pieno di fiori: erano meravigliosi, tanto da attrarre irrimediabilmente lo sguardo. Eppure percepii qualcosa di sinistro, che anche quella bellezza non poteva coprire.

 

Il Maestro lì si fermò, e lentamente si girò, guardandomi con i suoi occhi lampeggianti: anche a distanza di anni, quegli occhi avrebbero avuto la capacità di smuovermi nel profondo.

 

Fu allora che mi venne spiegata una storia che nessuno aveva mai raccontato nel mondo degli uomini comuni.

Mi venne raccontato di un Dio oscuro, che voleva creare un mondo freddo e dominato dalle tenebre per purificare gli uomini, quelle creature indegne che avevano sprecato i meravigliosi doni che gli Dei avevano loro concesso. Mi parlò di un Dio salvifico, che con un’unica pennellata di nero voleva portare i fallibili esseri umani sulla retta via: un Dio puro, che voleva salvarci stringendoci nel suo abbraccio.

Mi venne spiegato anche di una Dea bambina, che non comprendeva quanto il genere umano avesse bisogno di essere salvato -ché ogni miglioria necessita di sacrificio- e di come costei cercasse sempre di farli fuggire dalla morte.

La morte, invece, è salvezza.

Libertà.

L’ultimo e il più sublime gesto d’amore che il Sire potesse donarci.

 

 

Il peso di quelle parole mi franò addosso senza scampo. Pesavano, quelle parole, sulle mie spalle di poco più che bambino.

Invero riflettei molto, anche negli anni a venire, su quel discorso.

 

Che il destino di mio padre fosse stato inserito in questo disegno d’amore?

Che la felicità che avevo provato in passato non fosse stata altro che un’illusione, dettata dalla fallibilità umana?

Era più felice, mio padre, adesso? E la piccola Anastasia?

Perché io ero sopravvissuto, allora? E soprattutto…

…li avevo uccisi io?

Era stato quel canto di morte a portarli con sé, tra le fiamme?

 

Era troppo: non potevo accettare una consapevolezza del genere così facilmente.

 

Caddi a terra in ginocchio, le braccia a cingermi in una stretta, un patetico abbraccio per trattenere il tremore che mi assaliva. Come potevo vivere con un dubbio così atroce ad aleggiare su di me?

 

Lord Rhadamanthys mi si avvicinò, scrutandomi con un’espressione dura.

 

-Non fermarti. Non siamo ancora giunti.-

 

Non gli risposi. Stetti lì, fermo, in mezzo a quei fiori che erano sbocciati su una terra pregna di cadaveri.

Mi si avvicinò ancora di più, afferrandomi per il bavero e sollevandomi all’altezza del suo viso, apparentemente senza sforzo.

 

-Quando ti do un ordine sei tenuto ad eseguirlo all’istante. Non intendo ripeterlo mai più; chi trasgredisce le regole, muore.-

 

Io non volevo guardarlo negli occhi, ma non ebbi scelta; furono loro a chiamare me.

Avevo davanti un Giudice, e non potevo sfuggirgli.

Egli era grande e forte e antico, e mi sfogliava l’anima con la stessa facilità con cui una foglia d’autunno viene strappata dal suo ramo.

 

Tutto l’orrore che avevo dentro esplose improvvisamente.

Sentii ancora quel fuoco oscuro, quel serpente raggomitolato sinuosamente dentro di me: ora era incredibilmente vicino, bastava tendere la mano per poterlo toccare… in un attimo era già fuori, con tutta la mia frustrante rabbia.

 

-Che senso ha tutto questo? Perché io? Perché ora? Io non capisco, cosa ho a che fare io con questo luogo? Anche se volesse uccidermi, cosa cambierebbe? Ho già perso tutto! Tutto! Non basterebbe finirla qui? Allora basta, cosa…cosa vuole da me?!-

 

I suoi occhi lampeggiarono minacciosamente, e strinse la presa sul mio collo, soffocandomi.

La furia disperata che mi aveva colto mi abbandonò rapidamente, sostituita dal terrore.

 

-Non osare mai più rivolgerti a me in questo modo. Vuoi morire? Potrei porre fine alla tua vita qui, subito. Ma il Sire Hades ha altri piani per te. E anche io.-

 

Mi fece cadere a terra di colpo; cercai di riprendere a respirare, ma mi era difficile. Era la seconda volta in poche ore che mi ritrovavo totalmente senza fiato.

 

Lord Rhadamanthys continuò imperterrito:

 

-Quello che hai perso non è altro che la prima ordalia che ogni guerriero del Sommo Hades ha affrontato. Hai provato sulla tua pelle la profonda ingiustizia che regna nel mondo degli uomini, ma tutto ciò non è altro che un passaggio. Io ti darò qualcosa di molto più importante: ti darò un nome e una storia. Ti darò il potere, ti darò un ideale, ti renderò un guerriero. E tu userai la tua forza per il Dio dell’Oltretomba.-

 

Ricordo le sue parole come se fosse ieri.

Riecheggiavano, a quel tempo, dentro di me, come impazzite. Si fondevano e si mischiavano, come fumo.

 

Un mondo congelato… un mondo coperto dalle tenebre… un mondo senza affanno…

 

…un mondo silenzioso.

 

La folgorazione mi colpì. Non so da dove provenne quella consapevolezza, forse dallo stesso luogo di quella cosa che poco prima era esplosa.

Una frase, un concetto. Un obiettivo. Non avevo ancora la forza per seguirlo, ne la stabilità per innalzarlo, ma era proprio lì, nel centro esatto del mio animo.

 

In un mondo silenzioso, nessun canto di sventura può risuonare.

Niente grida. Niente suoni. Niente.

Solo la voce del Silenzio.

 

Il Maestro tornò a scrutarmi, con un’espressione indecifrabile, ma prima della rabbia gelida di poco prima.

 

-Hai realizzato, vedo. Ora, andiamo.-

 

come poteva aver capito?

 

Mi alzai a fatica, una mano a massaggiarmi il collo, l’altra istintivamente a togliermi i capelli, arruffati dal vento e dalla cenere, da davanti al viso.

 

Non dissi altro. Solo:

 

-Va bene, Master.-

 

 

Sgranai subito dopo gli occhi, scioccato: il mio sguardo era caduto sulla sua mano destra, con la quale mi aveva afferrato.

Il palmo era ustionato, come se avesse afferrato un tizzone ardente.

 

Non feci altro. Mi limitai a seguirlo sulla strada dei morti.

Lo faccio tuttora.

Lo farò sempre.




_____________________________________________________________

Eccoci qua, dopo un mese esatto. Dovrei tenere questo ritmo, se tutto va bene. *O*;
Il Meikai inizia ad aprirsi davanti ai vostri occhi, o giovani discepoli. Per ora non sento la necessità di spiegare alcunché, ma più avanti inizieranno dei bei casini. Attendete insieme a meh!

Ora, tempo di recensioni. Ringrazio tutti i commentatori, e anche i lettori un po’ più pigri. Io vi aspetto qui, eh? Non siate timidi, coraggio! Non sono pericoloso, sono un adorabile piccolo Spectre! *O*

 

LeFleurDuMal: Scorpio. Ben ritrovato. Ti ringrazio per la benevolenza, non sai quanto la tua opinione sia importante, per me. E sì, il Canto è anche un po’ vostro, ormai. Perché avete accettato a braccia aperte Dylan nell’allegra famigliola, e non posso che esserne fiero ed onorato. Spero di continuare ad emozionare te e tutti gli altri con le mille mirabolanti ed inglesissime avventure di Mister Dunkin. A presto! *spuccia*

 

Claudia: Maziarella! *abbraccio stritolatore* Sono contenta che il prologo ti abbia preso. E ti ringrazio per l’osservazione, hai effettivamente ragione. ._. lo sistemerò appena la dannata Maturità me ne darà il tempo. XD Guarda, c’è sempre tempo, per farsi una cultura su Saint Seiya. Comunque il mondo in cui mi muoverò sarà in buona parte inventato da me, quindi ti basterà un’infarinatura generale sull’Hades Chapter. Un bacione, alla prossima!

Guvo_Tave: Grazie mille! Sì, effettivamente il “What if” è legato a quello. Ma in verità, andando a rileggere il manga, non viene spiegato assolutamente nulla degli Spectre, quindi ogni possibilità è plausibile, ho giocato proprio su questo: Myu di Papillon quando si scontra contro Mu di Aries parla del fatto che gli Spectre sono esseri umani normali, nati su questa terra, e poi in loro si è risvegliata la consapevolezza quando il Sigillo di Athena è venuto a mancare. Non dicono niente riguardo addestramenti o che: certo, l’ipotesi più plausibile è che sia pronti all’uso, come dici tu. Ma non è la sola. Spiegherò meglio più avanti la questione, stay tuned! *_*

Athena:  Ehi, se mi fa i complimenti Athena stessa sono a posto. *O*/  è vero, gli Spectre sono sempre un po’ snobbati, sento infatti una grande responsabilità per quanto riguarda questa storia… speriamo in bene. Intanto ti ringrazio per i complimenti, attendo il commento anche a questo capitolo! Bacioni!

shiinait: Ciao cara shii, ti ringrazio XD guarda, come ho già detto alla maziarella, per documentarsi su Saint Seiya c’è sempre tempo… tu continua a seguirmi, spero di non deluderti ^_^ un bacione, alla prossima!

 

Ren_chan: Camuuuuuuusss çOOOç ciao! Anche per quanto riguarda te, le parole sono superflue. Sono onoratissimo della passione che hai messo nel seguire questa storia, capitolo per capitolo. Ti ringrazio infinitamente e ti mando un bacione e tanti spuccini. …e dì a Kanon di tranquillizzarsi. ._. *spuccia anche lui*

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Capitolo 3
*** Terzo Canto ***


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Terzo Canto ~ Conoscere il proprio Destino (Secondo Movimento)

 

”I musicisti sono gli architetti del Paradiso.”

Bobby McFerrin

 

 

La nostra avanzata lungo il sentiero principale si interruppe poco prima del fiume Flegetonte: un’orribile distesa di sangue ribollente, piena di dannati iracondi ed urlanti.

 

Vi era una biforcazione, alla quale il Master mi indicò la strada secondaria, seminascosta e buia.

 

-Ti sto per mostrare il luogo dove soggiornano gli Spectre e gli allievi. Le uniche eccezioni sono i tre Generali e i loro Tenenti, che risiedono nella Giudecca, dimora del Sire Hades.-

 

A quel punto, pensavo che mi sarei trovato davanti a capanne semidistrutte, o addirittura a caverne…

…eccome se mi sbagliavo.

 

Giungemmo davanti ad un’alta parete di roccia, che si estendeva a perdita d’occhio –aveva dei confini fisici, quel mondo? Probabilmente no- e da essa letteralmente emergeva un enorme palazzo.

Era nero come la notte più buia, e spuntava dalla pietra come un fiore maledetto.

Era semplice nella sua struttura esterna, eppure imponente: pareva assorbire la poca luce di quei luoghi.

 

-Eccoci alla MalaBolgia: oltre ad essere la dimora degli Spectre, come ti ho già detto, è anche il luogo dove vengono custodite le centootto Surplice, le armature degli Spectre per le quali gli allievi si stanno allenando. This way.-

 

Davanti al massiccio portone d’ingresso, vi erano due uomini vestiti interamente di nero; si inginocchiarono immediatamente quando videro il Master, rendendogli omaggio: intuii che dovevano essere dei soldati semplici.

Il portone era intagliato con figure tanto belle quanto inquietanti: ali e sorrisi e falci e demoni si rincorrevano e si annodavano in spirali sinuose.

I due uomini si affrettarono ad aprire il portone per noi: ci ritrovammo in un enorme salone, nero di marmo e viola di stoffe. Drappi decoravano le pareti, alternati ad eleganti torce incise, che spandevano soffusamente una luce pigra nella stanza.

 

In fondo alla sala due scalinate, a destra e a sinistra, conducevano ad una balconata introducente il primo piano: dall’altezza dell’edificio si intuiva la presenza di un ulteriore piano sopraelevato. Che risiedessero lì, gli Spectre?

 

Dopo aver notato le scale, spostai lo sguardo e finalmente lo vidi.

Lui.

Era alto e maestoso, eppure sottile… dotato di una bellezza struggente.

Un angelo oscuro, puro e terribile, dai lunghi capelli del colore dell’ebano.

Aveva grandi ali nere che sembravano poter coprire il mondo intero. Nella mano destra reggeva una spada che scintillava alla luce delle fiaccole; la mano sinistra, invece, era posta in atto beneficente.

Non ebbi bisogno di chiedere chi fosse.

 

-Sire Hades.-

 

Mi scoprii a sussurrare. Era diventato il mio Sire ancora prima che me ne rendessi conto razionalmente.

La voce silenziosa di quella statua, perché di una statua si trattava, aveva confermato un contratto già sancito secoli prima.

 

Lord Rhadamanthys annuì.

 

-Ci ricorda sempre per chi, e per cosa, noi combattiamo. Non dimenticarlo mai, Dylan. Non dimenticarti cosa questa statua rappresenta… cosa tu rappresenterai.-

 

Le parole che mi disse quel giorno –e furono tante, ché c’era un mondo intero da spiegare a me, piccolo bambino ignorante- sono impresse dentro di me in maniera indelebile.

 

-Lord Hades è ovviamente già qui, nel suo Regno, ma non si è ancora manifestato: i suoi comunicati giungono a noi attraverso Lady Pandora, la Sacerdotessa. È la figura più importante del Regno dei Morti, dopo il nostro Dio stesso. Bada bene di comportarti nella maniera più consona, nel caso dovessi incontrarla.-

 

Confermai senza esitazione. Chissà com’era, questa Lady Pandora? Sicuramente una donna potentissima e spaventosa, dato il suo ruolo…

 

Ma non ero incline ai voli pindarici, in quel momento: troppe cose erano accadute, e la mia mente era un sovraccarico di informazioni e di emozioni. Il mio corpo reclamava riposo, cibo, e anche un bagno possibilmente: ero ricoperto di fuliggine e cenere, e decisamente non dovevo avere un bell’aspetto.

 

Fortunatamente, il Master decise che per quel giorno era abbastanza; mi indicò una porta laterale, sulla destra: non l’avevo notata prima, vi era anche una porta gemella dall’altro lato della sala.

 

-Quella porta conduce agli alloggi degli allievi: lì potrai rifocillarti, e troverai tutto ciò di cui hai bisogno. In questo momento probabilmente non vi è nessuno, dato che si stanno allenando con i rispettivi Maestri. Per oggi la tua giornata finisce qui, ma da domani inizierà l’addestramento vero e proprio. Rest, for now.-

 

Non aggiunse altro riguardo le modalità, la durata, o almeno l’ora e il luogo in cui mi sarei dovuto presentare il giorno seguente: come avrei fatto? Inoltre, non c’è il sole nel regno di Hades, come potevo capire la differenza tra notte e giorno?

Tutto ciò l’avrei appreso solamente dopo.

 

Il Master non aggiunse altro. Mi fissò con i suoi occhi lampeggianti e poi si diresse verso l’uscita.

 

-…Thank you, Master.-

 

Non so se mi sentii. So, però, che dovevo dirglielo.

 

Aprii la porta che mi era stata indicata e mi trovai davanti a una lunga scala a chiocciola: la discesi fino a  giungere in una larga camera piena di semplici brande: di certo non potevo aspettarmi una lussuosa camera privata…

Ne contai almeno una sessantina, di letti: ciò significava che probabilmente dall’accesso opposto si poteva giungere ad una sala delle medesime dimensioni. Un totale di circa centoventi allievi. Ma le Surplice erano solo centootto…

Cosa sarebbe accaduto ai giovani in sovrappiù?

Niente di buono, immaginai.

Avevo immaginato bene.

 

Ogni letto era fornito di una cassapanca, di una brocca e di una grossa tinozza: a quanto pare mi sarei dovuto lavare lì. Poco importava, da bambino mi ero lavato in posti peggiori, quando mio padre non aveva un posto fisso dove stare.

 

Una fitta di dolore mi arrivò acuta, quando visualizzai mio padre, ma la ignorai: troppi erano le necessità fisiche che mi muovevano.

 

Nella cassapanca trovai il necessario per lavarmi, alcuni pezzi di pane avvolti in un panno –che divorai senza esitazione- e poi una tuta d’addestramento con calzari e mantellina annessi: era semplice, completamente nera, dotata di un coprispalle e un salvacuore fatti di cuoio.

 

Mi lavai rapidamente, riempiendo la tinozza di acqua calda –che sgorgava da una piccola fontana addossata in fondo al salone- e mi disfai dei vestiti sporchi e semi bruciati che avevo. Indossando la tuta provai una strana sensazione, che avevo già avvertito durante quella giornata: una nostalgia profonda, quasi tenera.

Era curioso che provassi certe emozioni in un luogo così tetro, eppure non riuscivo a controllarle.

E non volevo: ero troppo stanco, troppo fuori di me. Mi buttai sulla brandina senza troppe cerimonie, e caddi in un sonno profondo, senza sogni.

 

Finalmente un po’ di silenzio.

 

 

 

 

 

 

 

_______________________________________________

Photobucket

 

 

Sono insospettabilmente puntuale. Wow.

Ringrazio tutti per il vostro supporto, la cosa mi riempie di gioia çOç

Non stiamo ancora entrando nel vivo della storia, ma almeno si iniziano ad avere alcune spiegazioni. Tutto l’apparato teorico che ho inventato di sana pianta, come ho già detto, dovrebbe potersi incastrare bene con la storia, ma è ancora presto per fare disquisizioni. Presto vi accorgerete che il casino deve ancora arrivare. *O* Chiedo scusa se il capitolo in sé è cortino, ma è stata una scelta obbligata: vi avrei fatto schizzare se avessi messo il sorpacitato casino tutto in una volta. *_*;

Ultima cosa: la MalaBolgia è ovviamente una citazione dantesca, riguardante appunto le "Male Bolgie" da lui descritte nell’Inferno. Perché se Kurumada è il campione del viscidume, io cerco di non essere da meno. Fufu.

 

Ok, answer time!

 

Tsukuyomi: Oh, ti ringrazio infinitamente. È interessante quello che hai notato: effettivamente, io avevo sempre interpretato quella frase di Rhadamanthys come puro humour inglese. Secondo me non sopporta come suona Orpheo, ecco. XD ma è bella anche la tua visione. ^^ ti aspetto anche per questo capitolo, eh ^_- un bacione e grazie ancora!

 

lenna: Grazie mille, spero di non deluderti andando avanti nella storia *_* è il Meikai stesso che fa tutto da solo, in realtà. È incredibilmente affascinante. A presto :*

 

Gufo_Tave: *blush* grazie infinite! :* :*

 

Fata: *ROLLS* eh, sì, è finito nel Regno dei Morti, non a Gardaland. Poi ti spiegherò come è finito a fare lavatrici, non temere. La fatalità è un elemento cardine di questa storia, effettivamente. Ma non solo di questa, probabilmente di tutto Saint Seiya. Il Fato regna, piegando chiunque alla sua volontà , irrimediabilmente. Ti ringrazio per il commento, e per seguirmi sempre^^  un bacione!

 

shiinait: Ovviamente no. *grins* Guarda, quello da te sottolineato è il tema principale dell’Hades Chapter di Saint Seiya. La morte come salvezza finale. È anche l’elemento che rende Hades uno degli antagonisti più affascinanti della storia dei manga. Potrei stare ore a parlarne, ma non credo sarebbe il caso. :P approfondirò sicuramente la tematica andando avanti, quindi credo che potrai destreggiarti senza problemi nella lettura. Un bacione, e mille grazie per il commento!

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Capitolo 4
*** Quarto Canto ***


Ero pieno di ferite, di abrasioni e lividi

 

 


Quarto Canto ~ Andare a tempo con le Stelle

“La musica è una disciplina, e una maestra di ordine e buone maniere. Rende le persone più docili e gentili, più morali e più ragionevoli.
Martin Lutero

 

Il problema della sveglia, in verità, non si poneva.

Il boato di un… corno?... mi svegliò all’improvviso, alcune ore dopo.

 

Scattai sulla brandina, frastornato.

Non focalizzai immediatamente il dove, il come, il perché –sapevo solo che ero vivo, che avevo sonno e che un terribile suono mi aveva svegliato.

 

Poi misi a fuoco.

Voltai il capo a destra e a sinistra, e vidi che la stanza era piena di ragazzi; alcuni potevano avere la mia età, altri erano decisamente più grandi. Tutti con la stessa tunica nera, tutti con una o più ferite: erano gli altri allievi.

 

La loro velocità nel vestirsi e nel prepararsi mi colpì: dovevano esserci abituati, e immaginai che un ritardo non fosse particolarmente apprezzato in un luogo del genere.

 

Sentii molti sguardi su di me. Alcuni incuriositi o pietosi, alcuni freddi, altri ancora indifferenti: evidentemente per qualcuno ero un qualcosa di insignificante, per altri potevo sembrare un potenziale rivale per una Surplice, e vi erano anche coloro che semplicemente in me vedevano un altro ragazzino capitato qui come loro.

 

Ricordo che in pochi, comunque sia, mi rivolsero la parola -più che altro, quelli appartenenti all’ultima categoria- facendomi le classiche domande di circostanza: come ti chiami, da dove provieni, quanti anni hai…

 

Scoprii di essere il più giovane, tra loro. E soprattutto scoprii che, se alla domanda “chi ti ha reclutato?” rispondi “Rhadamanthys della Viverna”, tutti tenderanno a non crederti.

 

Non cercai di convincerli più di tanto: d’altronde, cosa potevo farci? Avevo capito che il Master era una figura importante nel Regno dei Morti –Meikai era uno dei tanti nomi che gli davano- ma immaginavo avesse portato anche altri ragazzi, prima di me. Non ero poi così speciale…

 

Comunque, non ebbi molto tempo per riflettere. Venni letteralmente trascinato via dal gruppo dei ragazzi senza avere neanche il tempo di mangiare – fortunatamente avevo già la tunica addosso!

 

Ci ritrovammo all’esterno della MalaBolgia, dove ci aspettavano tre uomini: uno l’avevo già visto, era Valentine di Harpy. Poi alla sua sinistra vi era un giovane alto, dai lineamenti delicati ma dal cipiglio severo, con lunghi capelli argentati. Subito dopo, un ragazzo dalla corporatura sottile, ma nondimeno…inquietante. La cosa che più mi colpì furono le enormi ali variopinte da farfalla di cui era dotato.

 

Avevano indosso una Surplice, tutti e tre.

 

Fu il giovane uomo al centro ad avanzare, e ad esordire:

 

-Bene, incominciamo. Dividetevi secondo la solita disposizione, avanti: gli allievi già reclutati vadano dai propri maestri, tutti gli altri con me.-

 

Io, in riga con tutti gli altri, non capivo assolutamente niente. Chiesi spiegazioni ad un ragazzo di fianco a me, che prima si era mostrato disponibile.

 

Infatti mi rispose:

 

-Tutti gli aspiranti Spectre si dividono in tre gruppi, uno per ognuno dei tre Tenenti Generali, i vice dei tre Giudici Infernali: sono Valentine di Harpy (quello con i capelli rosa), Rune di Balrog (quello che ha appena parlato) e Myu di Papillon (il ragazzo con le ali da farfalla). Tendenzialmente vengono addestrati in gruppo, sotto la guida o loro o dei Maggiori Generali, ovvero i vice dei vice. Mi segui?-

 

Annuii.

 

-Alcuni –pochissimi in verità- hanno già concluso l’addestramento, e possono addestrare a loro volta altri ragazzi più promettenti di altri. Coloro che hanno già finito l’addestramento sono riconoscibili dalla mantella viola.-

 

Annuii nuovamente: dunque era così… l’organizzazione era impeccabile, e pareva molto ferrea, riguardo la distinzione in classi. Lo tenetti a mente.

 

-Ti ringrazio, sei stato molto gentile. Io sono Dylan.-

 

Il giovane uomo sorrise, scoprendo dei denti incredibilmente candidi; aveva i capelli neri e la carnagione scura: doveva essere arabo.

 

-Io sono Hajidah. Molto piacere.-

 

 

Poi fummo interrotti da un vociare agitato; mi voltai, e vidi che Lord Rhadamanthys stava giungendo alla MalaBolgia.

I tre Spectre si inchinarono leggermente, in forma di rispetto, mentre i ragazzi, in fila, smisero immediatamente di fiatare, come se avessero rubato loro ogni suono. 

 

L’imponente uomo fece un cenno ai tre diretti subordinati, poi fece scorrere rapidamente lo sguardo sulla lunga schiera di ragazzi, l’espressione indecifrabile.

 

Poi, ricominciò ad avvicinarsi, e tutti trattennero il respiro.

 

Si fermò ad alcuni passi da me: mi fissò e disse:

 

-Andiamo.-

 

E nient’altro.

 

 

Centoventi sguardi si puntarono su di me. Centoventi sguardi sconvolti. O rabbiosi, direi.

 

Non fu una bella situazione, per niente; ma mi limitai ad annuire e a seguire il mio Master.

 

Avanzammo per qualche tempo, addentrandoci nel Meikai: avevo ancora l’istinto di non osservare lo spazio intorno a me –troppo tetro ed alieno, ancora, per poter essere sopportato: mi limitavo ad ancorare lo sguardo sull’uomo davanti a me.

 

Ad un certo punto si fermò, voltandosi verso di me; mi scrutò per un attimo, come per valutarmi, e poi parlò:

 

-Oggi inizia il tuo addestramento. Sai già cosa voglio da te, Dylan. Inizieremo valutando il tuo livello di base.-

 

Annuii silenziosamente. Cosa avrei dovuto fare?

 

-Colpiscimi.-

 

-…What?-

 

Non era possibile, era assolutamente fuori discussione! Come avrei mai potuto colpirlo? Mi avrebbe ucciso senza neanche sbuffare per lo sforzo!

Il Master mi scoccò uno sguardo perentorio, il volto ancora inespressivo.

 

-Colpiscimi, ti dico.-

 

Io esitavo: non avevo mai colpito nessuno in vita mia, né ci tenevo particolarmente a farlo.

 

-Ma…Master, non ho mai colpito nessuno e non saprei neanche come farlo…-

 

Il Giudice mi guardò con sufficienza, come si guarda un bambino che ha appena detto una cosa molto stupida. Emise un leggero sospiro e poi rispose:

 

-Se così non fosse, non avresti bisogno di un addestramento, Dylan. Colpiscimi.-

 

Aveva il tono di chi non si sarebbe ripetuto ulteriormente: così raccolsi tutto il coraggio che possedevo, strinsi il pugno e lo colpii in pieno volto.

 

…almeno, ci provai. Dato che il pugno era giunto a destinazione, ma Lord Rhadamanthys non si era mosso di un millimetro, la pelle non si era minimamente spostata, come se fosse stato toccato da una farfalla.

Diamine, se ci rimasi male.

 

Il Master, d’altro canto, sembrava divertito. A modo suo. Calmissimo e gelido, commentò l’accaduto:

 

-Mh. Hai avuto coraggio… Sai cosa accade ad un sottoposto che tenta una cosa simile?-


ma se me l’avevi chiesto tu! fu il mio plausibilissimo pensiero.
Il terrorismo psicologico di Lord Rhadamanthys mi avrebbe messo in crisi dal primo giorno di addestramento fino all’ultimo; se i proprietari dei centoventi sguardi avessero saputo cosa voleva dire allenarsi con un Giudice Infernale probabilmente non mi avrebbero invidiato così tanto.

 

-C-chiedo perdono!-

 

E mi inchinai rapidamente, teso come una corda di violino: mi aspettavo che come minimo mi avrebbe strappato un braccio.

L’uomo in nero, invece, mi fece alzare la testa, e mi trapassò col suo sguardo lampeggiante:

 

-Non ti scusare. Mai. Con nessuno. Quando uno Spectre, o aspirante tale, arriva a fare qualcosa in nome del Sommo Hades, significa che il gesto è fatto pensando al fine ultimo, ciò che egli rappresenta. Quindi, se agisci nella sua ombra, non devi scusarti di alcunché.-

 

Rimasi spiazzato. Completamente.

Come ci crede, pensai.
Come si fa a credere così profondamente in qualcosa, a dedicarsi ad esso dal tuo primo pensiero alla tua ultima molecola? Come? Solo per qualcosa di grande, di enorme si può credere così; solo per qualcosa di bellissimo ed immane.
Fu quello che imparai nel mio primo giorno di addestramento: il potere della fede smuove le montagne, essicca i mari, dilania i cieli. Il potere della fede giustifica ogni cosa.

Non esiste niente di più grande della fede.

 

-Ho capito, Master.-

 

E lui sapeva, che avevo capito davvero; un Giudice sa sempre leggerti dentro, soprattutto se sei un fanciullo dall’animo scoperto.

 

-Right. E ricorda: la gerarchia tra le nostre file deve sempre essere rispettata. Essa è inviolabile, quindi dovrai sempre avere un comportamento impeccabile davanti ai Generali, ai Tenenti e ai Maggiori. Ora, ricominciamo.-

 

E allargò le braccia, come se stesse aspettando un abbraccio; dedussi che il suo fine era ben altro.

 

Raccogliendo di nuovo il coraggio, e chiedendo aiuto allo spirito di mio padre, mi scagliai contro il Master, con il massimo slancio che un ragazzino di quattordici anni non allenato poteva avere.

 

Non arrivai neanche a toccarlo, questa volta; Lord Rhadamanthys mi prese al volo, e mi strinse a sé facendo aderire la mia schiena al suo petto: mi stava stritolando.

 

-Dylan, mi sembri agitato.-

 

dannato humour inglese. 

 

Il suo braccio sinistro mi stringeva incredibilmente, non riuscivo neanche a respirare. Rantolavo, in cerca di aria, agitandomi nella morsa del Master, totalmente incapace di liberarmi.

 

-Mantieni la calma e…guarda.-

 

E in quel momento lo fece. Fece divampare il suo Cosmo, facendolo scorrere dentro di me.

Lo sentivo sulla pelle, nella carne, nello spirito, nel cuore. Era tutto intorno a me, era enorme e spaventoso.

Conosciuto, in qualche modo. Sembrava quella cosa che avevo sentito dentro di me appena il giorno prima, eppure era tremendamente più forte.

 

-Greatest Caution!-

 

 

E tutto intorno a me il mondo parve implodere, concentrarsi, e poi esplodere in un tripudio di luci oscure: io e il Master eravamo come dentro l’occhio di un ciclone annichilente. L’universo intero sembrava distruggersi, come un universo nel quale un ingranaggio salta, facendone crollare l’immensa struttura. Tremavo, incapace di controllare lo shock fisico e psichico che quella sensazione mi procurava. Qualcosa dentro di me gridava, non si sa se per gioia o per terrore.

 

Poi tutto si calmò. A poco a poco, quel grido si spense, l’energia smise di fluire, la terra smise di tremare e distruggersi.

 

La presa del braccio di Lord Rhadamanthys si allentò fino a che non caddi su un ginocchio, incapace di reggermi in piedi.

 

-…what was that?-

 

Sentii la voce del Master rispondermi, alle mie spalle:

 

-Greatest Caution. La tecnica dello Spectre della Viverna. Era il potere del mio Cosmo, quello che ti ha attraversato e hai visto all'opera.-

 

Tentai di riprendere il respiro, lo sguardo puntato sulla devastazione intorno a me.

 

-Cosmo?-

 

Lo percepii muoversi e compiere dei passi regolari fino a giungere davanti a me. Non mi guardava: il suo sguardo era dritto e fiero, come se stesse osservando un ideale incarnato, nascosto tra le ombre del Regno dei Morti.

 

-Sì. È la scintilla di potere che ci deriva dalle stelle. E come una stella brucia, il Cosmo ci eleva in forza, potenza e resistenza. Avvicinandoci al divino e rendendoci degni guerrieri del Sommo Hades. È come l'esplosione nucleare che genera la luce della stella.-

 

Mi alzai in piedi, posandomi una mano sul petto, dove sapevo che quella cosa si annidava. Una nuova consapevolezza mi colpì.

Allora… era quello. Quello, che aveva generato tutto...

 

-Anche tu lo possiedi. Lo sai, vero? Lo hai sentito. Sei in grado di richiamarlo?-

 

Posai lo sguardo su di lui, brevemente, per poi riposarlo sul mio pugno, ancora stretto al petto.

 

-Non intenzionalmente. Non volevo farlo ma…l’ho fatto. E…-

 

Un moto di nostalgia ovattata mi fece vacillare; mandai giù un boccone amaro, dal sapore del sangue, poi continuai:

 

-Non lo controllavo. Ho sentito che usciva, ma non potevo fare niente. Non so cosa sia successo. Non lo so.-

 

Finii in un sussurro, senza poter andare oltre; ma il Master era impietoso, e mi spronò a continuare.

 

-E dunque?-

 

Strinsi di più la mano alla stoffa grezza della tunica, senza fiatare. Non potevo. Non potevo ricordare, non dovevo.

Ma Lord Rhadamanthys non avrebbe ceduto, mi avrebbe spronato fino a farmi dire ogni cosa, sebbene sono convinto sapesse già tutto.

 

-Dylan.-

 

E io crollai nuovamente.

 

-...non lo so, non lo so, so solo che ero lì, e tutti erano lì, tutto era normale...tutto era normale e poi l'ho sentita. Era lì, era forte ed era tremenda. Non è qualcosa di mio, non mi appartiene, non è possibile che sia mia!-

 

Presi fiato disperatamente, continuando il mio patetico discorso:

 

- È uscita, e non so cosa abbia fatto, non so neanche se abbia fatto qualcosa. Io so solo che...-

Fumo. Fiamme.
Uomini e donne a terra.
Ragazzi.
Una bambina.

Fumo. E fiamme.

-…che c'erano fiamme dappertutto.-

E tremavo ancora, come il bambino che ero. Tremavo, e ripetevo una frase.

 

-Non ero io, non ero io, non ero io…-

 

-Eri tu.-

 

Due parole. Una condanna.

Lapidario, il mio Maestro continuò.

 

-Le fiamme preannunciavano il tuo risveglio.-

 

No.

 

Scossi la testa, incapace di accettarlo; ancora oggi il dubbio mi assale, non posso credere di essere stato io. Ma il dubbio rimane.

E brucia.

Come fiamme.

 

-No, io non sono così. Io sono… sono un essere umano!-

 

Non so perché pronunciai quella frase. Dovevo rigettare quello che ero, quello che accadeva, per sopravvivere. Ma il Master mi diede una stabilità meno effimera.

Egli mi disse, semplicemente:

 

-Lo sei. Anche io lo sono. Lo siamo tutti, Dylan.-

 

Lo guardai, occhio dorato in occhi dorati.

 

-Non siamo altro che uomini che combattono per qualcosa. Come ogni uomo fa.-

 

Ricordo ogni cosa che il Master mi ha detto, lo ripeto.

Ma quelle parole, quelle parole mi rimasero impresse come poche altre.

 

L’allenamento continuò ancora per ore. Lord Rhadamanthys non mi fece più combattere, ma mi sottopose a duri esercizi fisici, mi insegnò le basi dello scontro corpo a corpo, mi fece colpire pietre scure, dura come diamanti, fino a farmi sanguinare le nocche.

Non so quanto durò esattamente quella giornata –come quelle seguenti: il tempo nel Meikai è un concetto relativo.

 

So solo che ad un certo punto l’allenamento si concluse, e il Master mi congedò.

 

Ero pieno di ferite, di abrasioni e lividi. Mi reggevo a fatica sulle gambe, avevo assoluto bisogno di riposo.

 

Decisi di allontanarmi da quel luogo, per trovare un angolo di pace dove potermi medicare.

Fu così che mi ritrovai nel campo di fiori.

 

__________________________________________________________________

Uno yay per lo humour inglese. *O*/
…sì, beh, ok. Scusatemi, è che fangirlo il vivernone in una maniera imbarazzante.
Si inizia a delineare la struttura del Meikai: il principio di base è molto semplice, in realtà. Se tra 88 Saints ce ne sono dodici che ufficialmente hanno capacità di comando su tutti gli altri, per 108 Spectre averne sei mi pare il minimo. La scelta dei Tenenti e dei Maggiori è stata quasi obbligata: considerato il numero esiguo di Spectre che il Kuru ci ha mostrato, ho dovuto semplicemente sceglierne i più valenti. Che Rune sia il diretto sottoposto di Minos è più che ovvio, e lo stesso discorso vale per Valentine e Rhadamanthys. Per altri l’associazione è stata di tipo differente, ma tutto sommato spero di aver fatto delle scelte coerenti.

Vi ringrazio ancora infinitamente per i commenti! Non siate timidi, suvvia! Dico a voi, che leggete senza commentare! Io sono una piccola caramellino rosa dolce ed indifesa, non vi mangio! *O*

Tsukuyomi: Eh. La musica di Orpheo è un po’ dura da digerire. Non so se hai ben presente lo Stringer Nocturne com’è. Sono tre note pizzicate in loop fino al coma farmacologico. *rolls* Sono contento che la MalaBolgia ti abbia colpito. Mai quanto Dylan. Che in questo capitolo viene *colpito* e basta, ma tant’è. *si schiaffeggia per la battuta pessima* al prossimo capitolo! :* :* :*

Fata: “Come se appartenesse a quel luogo ma ne avesse perso memoria.” Ecco, hai colto il punto, infatti. Tutto verrà spiegato più avanti, ma il fatto che tu, senza alcuna base riguardo Saint Seiya, abbia colto tutto questo, mi riempie di gioia. çOç Sì, forse è il caso che Dee rimanga lontano da questa cosa. *rolls* ma sarebbe bello fare incontrare i due omonimi un giorno. Che altro dire? Grazie mille tesoro!

stantuffo: Non temere, l’avevo messo in conto. È la prima cosa che si pensa, è normale; proprio per questo ho detto che il mio sarebbe stato un progetto ambizioso, non solo per l’opera di ricostruzione, ma anche per dimostrare che si possono creare pg originali (perché non ci sarà solo Dylan, ne arriveranno degli altri) senza farli diventare Mary Sue/Gary Stu. Sono contento di averti convinto ^_- un bacione! :*

LeFleurDuMal: …Scorpio. Piantala con questa storia di Zellos, fattene una ragione, per la gloriosa Gea. Comunque sia, il player ti ringrazia. In questo momento sta rotolando per le *mie* stanze gongolando e arrossendo. Una visione abbastanza pietosa, in effetti. E ti ringrazio anche io, per apprezzare il fascino degli Spectre. u_ù

shiinait: Guarda, per fare questa fic mi sto rileggendo l’Inferno a pezzi. I riferimenti ci saranno sempre XD Sì, Dylan fa tenerezza alla fine. È uno spuccino quattordicenne, in fondo. E si sta comportando, tutto sommato, come si comporterebbe un quattordicenne normale inserito in questo contesto fuori da ogni logica. Pandora è possibile che appaia, sicuramente. È la Sacerdotessa, cavolo, almeno un’apparizione la dovrà pur fare! Guarda, io non conosco la Pandora a cui tu ti riferisci, ma sappi che la “mia” fa paura. *C*;  grazie infinite per il commento, carissima! Alla prossima! 


 

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Capitolo 5
*** Quinto Canto ***


Il Canto della Banshee






Quinto Canto ~ Il sapore del sangue, il profumo dei fiori

“La terra ha musica per coloro che ascoltano.”
William Shakespeare

 

Giunsi nel campo di fiori nel quale mi ero ritrovato il giorno precedente: mi diede nuovamente l’impressione di qualcosa di meraviglioso ed inquietante insieme.

I fiori emanavano un profumo dolce, impalpabile, che sembrava lenire le mie ferite; ho sempre amato i fiori, ed avevo avuto la fortuna di crescere, dagli Heavendor, in una zona particolarmente ricca di essi.

 

-Chi sei?-

 

Una voce di donna, delicata e tenue come quei fiori stessi, mi chiamò; girandomi, mi accorsi finalmente di lei.

La vidi, ma non potevo credere a ciò che vedevo.

 

Era bella, bellissima e triste. Aveva lunghi capelli biondi, splendenti come un Sole che non poteva brillare nell’Oltretomba.

Ed era parte integrante di una grande roccia, che emergeva dal giardino violentemente: se non avesse parlato, avrei potuto immaginare che si trattasse di una statua incompiuta. Eppure era viva, di carne e sangue, sotto la pietra.

 

-Cosa…?-

 

Lei sorrise mestamente, alla mia reazione: doveva esserci abituata.

 

-Io sono Euridice. Ti starai chiedendo perché sia qui…come tu mi vedi.-

 

E la bellissima fanciulla mi raccontò la sua storia; una storia d’amore vero, capace di oltrepassare le barriere della morte.

Un amore così puro, così forte, da poter superare il senso del dovere di un guerriero splendente d’argento.

Un amore eterno e condannato dal Fato.

 

-…e Orfeo è ancora qui, con te?-

 

Lei annuì.

 

-Vorrei tanto che se ne andasse… non deve restare qui solo per me, lui è vivo, ha un destino da compiere; non merita tutto questo…-

 

Non sapeva, la fanciulla di pietra, che il suo amato avrebbe adempiuto al suo destino proprio lì, nel giardino dei morti. Non poteva saperlo. Si struggeva, i capelli oscillanti al triste vento degli Inferi.

 

Provavo pena per lei. Era ingiusto ed insensato.

Hades non doveva essere, invece, un dio buono e caritatevole? Perché aveva permesso qualcosa del genere, allora?

 

-Non c’è modo di farti uscire da lì, Euridice?-

 

E lei sorrideva tristemente. Ed era pura e bella, disillusa e fiabesca.

 

 

-Non darti pena per me. Va bene così: abbiamo avuto, io e Orfeo, un’occasione che milioni di altre persone non hanno avuto. Perciò, va bene così. -

 

Lo ripeteva, la fanciulla nella roccia: va bene così.

Forse voleva convincersene.

Posai lo sguardo sui fiori che la circondavano: ancora una volta, cercavo in loro riparo dalle mie angosce.

Chissà cosa avevano visto, nella loro vita?

(Fiori dei morti, custodenti segreti arcani.)

 

Ne presi uno, godendo del profumo delicato che emanava.

-Non riesco a credere che in un luogo del genere possa nascere qualcosa di così bello…-

 

Euridice sorrise, e senza malinconia.

-Anche nel luogo più oscuro, più gretto, più sterile, può crearsi l’occasione, per la bellezza, di manifestarsi. Con Orfeo al mio fianco, me ne accorgo sempre di più, anche nella mia statica contemplazione.-

 

Rimasi colpito da quelle parole; non solo per la grande verità che portavano, ma per ciò che vi era dietro alle parole stesse.

Euridice aveva conservato la speranza.

Non l’aveva abbandonata all’entrata. Lei no.

Bastava quello, a far sbocciare i fiori nell’Oltretomba.

 

-Nei fiori vi è un significato profondo.-

 

Mi trovai ad esordire, senza motivazione alcuna; Euridice era lì, ad ascoltarmi, e forse avevo solo bisogno di qualcuno che mi parlasse con dolcezza. Mi vergognai, dopo, del mio egoismo: chi ero io per aver bisogno di conforto? Forse lei non ne aveva bisogno più di me?

(Almeno, però, aveva Orfeo. C’era qualcuno che l’aspettava, seppure invano.)

 

-Cosa intendi dire?-

 

La guardai per un attimo e poi, esitando, posai di nuovo lo sguardo sul fiore stretto tra le mie mani contuse.

 

-Quando morirò le mie cellule si disgregheranno in molecole, e da esse diventeranno atomi che faranno parte della terra.

È, in un certo senso, una forma di reincarnazione: noi non moriremo mai, perderemo solo la nostra individualità, per tornare alla Terra che ci ha generati.

Non mi dispiacerebbe, dopo la mia morte, diventare un fiore o uno stelo d’erba.-

 

Presi il respiro, lentamente: il sapore di sangue, nella mia bocca, era svanito –dimenticato.

 

-Quindi è per questo che amo i fiori: ognuno di essi è unico, ha una sua storia, una sua origine, ed è parte del tutto, e di noi, e del nostro avvenire.-

 

Guardai istintivamente verso l’alto, in ricerca di un cielo che non esisteva, nel Regno dei Morti; esisteva nel mio cuore, e tanto bastava.

 

-Noi tutti non siamo che questo: fiori nelle mani del vento divino.-

 

E il triste vento soffiò ancora, portando con sé il profumo dei fiori e il sorriso della fanciulla di pietra.

 

Salutai Euridice, poco dopo.

 

Non solo perché dovevo ritornare, ma perché non potevo spiegarle perché le mie stesse parole mi avessero turbato.

Le avevo pronunciate io, è vero. E ci credevo.

Però, non erano solamente mie.

 

 





-Dylan! Dylan! Guarda che belli, guarda!-

 

Una bambina bionda correva, con in mano un mazzetto di fiori appena colti. Oscillavano animatamente, come le trecce della ragazzina.

 

-Signorina Anastasia, non corra così, la prego… potrebbe farsi male…-

 

Ma la bambina era troppo felice per dare retta al ragazzino poco più grande di lei: anzi, gli si buttò addosso senza troppe cerimonie.

 

Non che Dylan non ci fosse abituato, d’altro canto. La piccola Anastasia esprimeva sempre così i suoi moti di gioia –tra l’altro molto frequenti. Erano ormai due anni che il ragazzino viveva all’Heavendor Manor.

 

-Signorin…-

 

-Guarda, guarda!-

 

Trillò felice, mostrandogli i fiori: la prospettiva di una commozione cerebrale non l’aveva minimamente sfiorata.  

Dylan sospirò in maniera piuttosto adulta per i suoi undici anni.

 

-Sono molto belli, sì.-

 

Anastasia annuì convinta, prima di proseguire, mettendo il mazzolino tra le mani del piccolo musicista.

 

-Sono per te!-

 

Dylan sorrise, posando la sua mano su quella della bambina, ancora stretta al mazzo di fiori.

 

-La ringrazio infinitamente.-

 

Il momento di pace non poteva durare a lungo, però: l’altra furia della casa stava arrivando.

 

-Hey Dylan, vieni! Devo farti vedere una cosa fortissima!-

 

A parlare era stato Sebastian jr, unico erede maschio della famiglia Heavendor, e decisamente poco incline all’utilizzo del linguaggio che il suo rango comportava.

 

Il ragazzo l’aveva preso senza troppe cerimonie per il braccio, tirandolo in piedi e trascinando così anche la sorellina.

 

-Seby! Ci stavo parlando io con Dylan!-

 

La bambina, stizzita, aveva d’altro canto afferrato la mano di Dylan reggente il mazzo di fiori.

Il ragazzino aveva già capito che sarebbe finita male.

 

-Chissenefrega, tanto non gli devi dire niente di importante no? Lascialo! È un maschio, cosa gliene importa dei fiori!-

 

E giù a tirare.

 

-Ma lui mica è come te, è gentile e sensibile, ecco!-

 

E giù a tirare.

 

-Sì, sì, adesso però andiamo eh, Dylan?-

 

E giù a tirare.

 

-Signorini, potreste lasciarmi and…-

 

-Dylan!-

 

-Dyyyylan!-

 

…era bella quella giacchetta nera. Peccato.

Erano belli anche i fiori, prima.

Eh. Così va la vita.

 

Anastasia, i lacrimoni già pronti sulla rampa di lancio, iniziò a pigolare:

 

-Ecco Seby! Guarda cosa hai fatto, i miei fiori! E alla giacca del povero Dylan!-

 

Il ragazzo, grattandosi il capo, biascicò una sorta di scusa all’indirizzo del ragazzino dai capelli neri.

 

-Oh diamine, cosa succede qua?-

 

Tre teste si voltarono in direzione dell’uomo appena arrivato: andatura tranquilla e sicura, sorriso caldo come il Sole, capelli castani.

 

-Dad!-

 

Dylan si avvicinò al padre, costernato: la sua giacca nuova si era rotta!

 

-Signor Dunkin!-

 

I due fratelli si girarono di scatto con aria ancora più contrita.

Per poi indicare l’altro con fermezza:

 

-È stata lei!-

-È stato lui!-

 

Il sorriso dell’uomo si fece più aperto e luminoso, posando una mano sul capo del figlio.

 

-A quanto pare c’è stato un piccolo scontro, eh?-

 

Si chinò ad esaminare la manica del figlio, per poi commentare:

 

-Dovremmo riuscire a sistemarla, non temere.-

 

Anastasia, nel mentre, era lì per piangere, in mano quel che restava dei fiori.

Il giardino ne era pieno, avrebbe potuto raccoglierne altri mille, eppure era triste per quelle povere vite strappate. Era fatta così, la piccola Anastasia.

 

-Signorina Anastasia, suvvia! Una lady come lei non dovrebbe piangere così facilmente…-

 

La lady in questione tirò su col naso in maniera ben poco nobiliare.

 

-Ma i fiori…!-

 

Robert Dunkin rise sommessamente, abbassandosi all’altezza della bambina.

 

-Evidentemente dovevano finire così. Sai, quanto perdo qualcosa che mi è caro…-

 

E il ricordo non può non andare ad una donna dagli occhi verdi, i lunghi capelli sparsi su un cuscino. Il respiro reso irregolare dalla malattia, le gote arrossate. Ma sempre un sorriso, seppure stanco, sulle labbra.  Fino alla fine.

 

L’uomo socchiuse gli occhi un momento, prima di continuare:

 

-…penso sempre che alla fine noi non perdiamo niente. Se ci pensi, siamo tutti composti dai medesimi elementi. Questo fiore, ormai morto- e prese dalle piccole mani di Anastasia uno dei fiori spezzati –si scomporrà, e tornerà alla terra che lo ha generato. Noi faremo lo stesso. Quindi, se ci pensi, alla fine tutto rimane vivo. Ogni fiore, ogni animale, ogni uomo è unico.-

 

Alzò gli occhi al cielo, di un azzurro intenso: prometteva bel tempo ancora per molto. Prometteva gioia, ancora per molto.

 

-Noi tutti non siamo che questo: fiori nelle mani del vento divino.-

 

Abbassando lo sguardo, vide che i tre lo stavano osservando profondamente rapiti. Ma anche confusi, del resto.

 

Il musicista rise, alzandosi in piedi.

 

-Scusatemi, scusatemi. Ho parlato a vanvera, vero? Non preoccupatevi, penso che ne riparleremo quando sarete più grandi. Ora andiamo, stanno per servire il the.-

 

E Robert Dunkin accompagnò i tre ragazzini verso casa.

 

Dylan era felice: sua padre non era arrabbiato per la giacca, Anastasia era serena, e Sebastian… beh, quello che Sebastian voleva fargli vedere avrebbe aspettato. Ci sarebbe stato sicuramente anche domani.

 

A casa avrebbero preso il the, poi avrebbero suonato. Sarebbe stata servita la cena, che sarebbe trascorsa con serenità. Magari sir Heavendor avrebbe raccontato qualche aneddoto della sua vita. E poi tutti a letto, a salutare le stelle con la mano, una ad una. Con i cuori colmi di speranza, e il respiro regolare dei propri cari accanto, non troppo lontano.

 

 




Ma una volta tornato alla MalaBolgia non c’era nessun padre ad aspettarmi. Non c’erano parole d’affetto, note di allegria, calore accogliente.

Solo i respiri di decine di ragazzi, e bocconi di sogni strappati ad alta voce. Il russare lieve di qualcuno. I singhiozzi soffocati di qualcun altro.

E avevo un piccolo fiore dei morti, con una nuova storia da raccontare.

 

 

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Povero spuccino. Davvero. çOç
Cioè, davvero, ecco. Ok, sto zitto.
…comunque sì, suo padre sembra Mufasa in versione umana. Non fatemene una colpa, è un Sagittario saggio e felice, non ci posso fare niente io.
vabeh, via con le risposte alle recensioni, che è meglio. E ne voglio tante per questo capitolo, mi raccomandoh! *_*/

lenna: Grazie mille, tu mi lusinghi ç_ç spero tu abbia apprezzato anche questo capitolo. Attendo riscontri fiducioso ^_^

LeFleurDuMal: Sono viola ed amorevoli, sì. Fanno tutto da soli, e tu lo sai. XD Rune chissà, magari avrà un ruolo più importante nel corso della storia; per ora non saprei dirtelo, sinceramente, ma chissà… ora conosciamo CERTI riscontri. *C*; un bacione, nespolina.

Ren_chan: Lo humour inglese è la via. Sì, il rischio di cadere nel dickensiano c’è sempre, ma credo che il Vivernone non mi perdonerebbe. Ti ringrazio per il tuo betaggio e per il tuo amore.<3

shiinait: Nah, non è cattivo, Rhada. È solo molto Giudice, molto inglese e molto fetente. Soprattutto molto inglese. Anyway, l’addestramento per diventare Spectre non è una passeggiata, te l’assicuro. Il peggio deve ancora arrivare per il nostro sfigatissimo eroe. Hajidah si rivedrà sicuramente, è un personaggio che avrà una discreta rilevanza nella trama. Myu possiamo sempre farlo comparire, che scherzi? Ma sappi che non è carino come sembra. Cioè, sì, è spuccino e adorabile nell’apparenza, ma fa una paura BOIA. Un bacione, e grazie mille per il commento! ^_^
 

 

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Capitolo 6
*** Sesto Canto ***


Il Canto della Banshee

 

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Sesto Canto ~ Favole notturne

 

 

“La musica non imita e non esprime che lo stesso sentimento in persona.”
Giacomo Leopardi

 

 

 

-Raccontaci una storia.-

 

La voce era emersa dal buio, timida ma netta.

Tutti avevano aperto gli occhi, all’improvviso sveglissimi, nonostante le ferite e la stanchezza incredibile dell’addestramento del giorno.

 

-Ragazzi, non credo sia il caso…-

 

Fu Hajidah, dalla brandina vicino alla mia, a parlare. Erano passati alcuni mesi dal mio arrivo nel Meikai, e pian piano cercavo di abituarmi ai ritmi di un luogo senza luce e senza tempo, alle regole crudeli e ai faticosi allenamenti –al limite della sopportazione umana- cui il Master mi sottoponeva.

 

-Uno Spectre conosce la morte da quando è nato- soleva dire. –E la conosce perché in essa è immerso. Ma con la consapevolezza di ciò che vi è oltre ad essa: è per quello, che combattiamo.-

 

 

-Dai, Hajidah, raccontaci una storia. Sei bravo, no?-

 

Un altro ragazzo, poco più grande di me, aveva dato man forte al primo: evidentemente c’erano ombre da scacciare, quella notte; ce n’erano sempre, in realtà, ma quelle dovevano essere così dense e pesanti da non poter essere allontanate da un ricordo lontano. Serviva un’illusione più potente.

 

Avevo ascoltato altre volte delle storie, nella MalaBolgia; ogni tanto, uno degli allievi più grandi si metteva al centro del dormitorio, ed intratteneva silenziosamente i compagni più piccoli. C’erano sempre tanti incubi da tentare di convertire in sogni.

Hajidah era uno dei più dotati: poteva trasformare una palude in un campo di fiori, il sangue in acqua di sorgente, le grida in canti soavi. Sapeva rendere ogni colore più vivo -e Dio se serviva, nel Mondo dei Morti.

 

 

-Uh, va bene, va bene.-

 

Così, il giovane uomo si alzò dal suo spoglio giaciglio, per sedersi a gambe incrociate nel mezzo del sottile corridoio che separava le due file di brandine. Tutti, nessuno escluso, si avvicinarono.

 

-Questa credo che farà bene a tutti noi, mh?-

 

Sapeva creare la tensione giusta, in ogni occasione: sembrava raccogliere la nostra attenzione come dei sottili fili di ragnatela riescono ad intrappolare le prede più ambite. Si schiarì la voce, prese il respiro. Poi, iniziò:

 

- C’era una volta un cammello, che stava camminando lungo un impervio sentiero…-

-See, ovviamente non poteva parlare altro che di cammelli, il signor Arabia…-

 

Sussurrò un ragazzo particolarmente in vena di sarcasmo; alcuni miei compagni gli fecero passare la voglia in men che non si dica, per poi dare il via libera al giovane mediorientale.

 

-...chiedo scusa per l’interruzione. Vai pure avanti Hajidah!-

 

-Uh, grazie mille. Dicevo… C’era una volta un cammello, che stava camminando lungo un impervio sentiero. Aveva sulla schiena un sacco, che gli gravava come un macigno.-

 

Evidenziò le parole con ampi movimenti delle braccia, come a tastare un enorme peso sopra il suo capo: le sue mani danzavano potenti, creando ombre sulle pareti scure della stanza.

 

-Nel suo cammino, vide per terra una formica. La piccola creatura stava trasportando un fuscello. Certo, un peso risibile per il cammello, ma in proporzione alla formica era grosso dieci volte lei!-

 

Già, chi può dare un metro assoluto, un valore insindacabile a quantificare quanto qualcuno può sopportare una fatica, un dolore?

…alla fine, era proprio quello che i nostri Maestri stavano facendo.

Forse iniziavo ad intuire perché Hajidah avesse scelto quella storia.

 

 

-Il cammello restò a lungo a guardarla, profondamente stupito. Poi, ad un certo punto, disse: “Più ti guardo e più ti ammiro. Tu porti sulle spalle, come se niente fosse, un carico dieci volte più grosso di te. Io invece non porto che un sacco, e le ginocchia mi si piegano. Come mai?”-

 

Il silenzio più totale accompagnava la voce di Hajidah. Occhi grandi e occhi piccoli, chiari e scuri, orientali ed occidentali. Gli stessi occhi che durante il giorno erano decisi, o rabbiosi, o disperati, o semplicemente spenti,  in quel momento erano spalancati e resi dolci dalla meraviglia.

Erano tutti più grandi di me –almeno di poco, lo sapevo: eppure, per un attimo, mi sembrarono tutti bambini.

 

- “Come mai?” rispose la formica, fermandosi un momento. “Ma è semplice…”-




…la mattina dopo –per quanto si potesse parlare di mattina, in quel luogo- ci salutò alla solita maniera: un rumore assordante e profondo, la consueta veloce adunata e la divisione degli aspiranti in gruppi.

 

Lord Rhadamanthys mi esortò a seguirlo, al solito, senza molti preamboli. Percorremmo, però, più strada del solito, quel giorno: me ne domandai il motivo, ma non osai ovviamente fiatare.

 

-Siamo arrivati. Oggi ti allenerai qui.-

 

Alzai lo sguardo: davanti a me, un’ampia distesa di acqua torbida, rossa come il sangue –anzi, sangue vero, l’odore era inconfondibile, era sangue caldo e ribollente, Signore onnipotente. 

Era il fiume degli iracondi, e di ira e morte era tinto.

Era il fiume Flegetonte.

 

Venni totalmente ipnotizzato da quella visione. In poche altre occasioni ero passato presso quel fiume, e mai così da vicino…

 

…perciò non mi accorsi del Master che, con un fluido movimento del braccio, mi gettò tra i flutti.

 

Emersi sputando quello che avevo involontariamente inghiottito –dio, era davvero sangue- e rimasi lì, stupito oltre ogni dire, a fissare il Generale Infernale che pareva essere in vena di scherzi, quella mattina. Lui, con la stessa espressione con la quale avrebbe potuto commentare l’andamento delle Borse, disse:

 

-Well. Tornerò tra due ore. Se sarai ancora vivo, bene. Se no…-

 

Alzò lievemente le spalle, si voltò e se ne andò, scomparendo in un attimo.

 

Goodness Gracious.

 

Ero allibito, ma d’altro canto non capivo a cosa alludesse il Master. In poche bracciate sarei uscito, e

 

E poi mani, e braccia di morti, e grida senza voce che mi trascinavano giù.

 

-Sciocco- pensaistupido sciocco, questo è un fiume dei dannati, e di dannati è pieno! Cosa pensavi?-

 

Mi dibattei, per sfuggire alla morsa ferrea di mani fredde e senza vita, che mi trascinavano più a largo, lontano dalla riva, lontano dalla superficie.

Il sangue era scuro, torbido, infinito –sarei morto, sarei sicuramente morto.

Come si poteva resistere ai sommi sconfitti?

Gli iracondi, furiosi con Dio e con gli uomini, avrebbero preso la mia vita!

 

Annaspavo, cercando un minuto di aria in più, un secondo, un attimo, poi…

 

…poi affondai.

Il sapore del sangue in bocca, le braccia rabbiose degli spiriti su di me, e tutto intorno il silenzio più totale, assordante nella sua staticità.

Silenzio di morte, silenzio malvagio.

 

-Perché lottare?- mi chiesi.

 

-Perché sopravvivere, solo per andare avanti e rischiare di morire ancora? Perché vivere per soccombere?-

 

Ero stanco. Niente aveva più senso.

Il silenzio aveva il peso di mille e mille anime, ma il mio cuore era ancora più gravoso.

Così, mi lasciai andare, nel profondo del fiume dei morti.

Solo un nome, come ultimo pensiero.

 

-Padre…-



 

 

 

 

Ma poi mi tornò in mente una cosa.

 

- C’era una volta un cammello, che stava camminando lungo un impervio sentiero…-

 

 

 

Ma sì, certo.

 

- Aveva sulla schiena un sacco, che gli gravava come un macigno. -

 

Stavo vivendo la stessa esperienza. Non andavo avanti, ogni giorno, con un peso enorme sul capo, sulle braccia, sul cuore?

Un peso che anche altri avevano portato?

 

- Nel suo cammino, vide per terra una formica. La piccola creatura stava trasportando un fuscello. Certo, un peso risibile per il cammello, ma in proporzione alla formica era grosso dieci volte lei!-

 

…E altri, dopo di me, non ne avrebbero portati di più pesanti?

Chi ero io per lamentarmi della vita che mi era stata donata? Io, che ero sopravvissuto?

 

-Il cammello restò a lungo a guardarla, profondamente stupito. Poi, ad un certo punto, disse: “Più ti guardo e più ti ammiro. Tu porti sulle spalle, come se niente fosse, un carico dieci volte più grosso di te. Io invece non porto che un sacco, e le ginocchia mi si piegano. Come mai?”-

 

 

Era quello che mi mancava, quello che non mi permetteva di andare avanti. Non la fatica, non il dolore, non la paura.

Solo la differenza tra il cammello e la formica.

Solo quella.

 

Io non stavo combattendo per Sire Hades, o per la Guerra Santa, o per il Master…

 

- “Come mai?” rispose la formica, fermandosi un momento. “Ma è semplice: io lavoro per me stessa, mentre tu lavori per un padrone.”-

 

…io dovevo combattere per me stesso.

 

 

Ricominciai a nuotare, forte. Una luce densa, dai toni dell’ametista, mi avvolse. Andai su, e su, e su, con i muscoli che bruciavano.

I morti non potevano più trattenermi, ardevano al contatto con il mio corpo, fuggivano, si disgregavano. Ero veloce, ero forte, ero libero!

 

Infransi la superficie del fiume, i polmoni in fiamme, gli arti doloranti; con un gemito soffocato, feci per dirigermi verso la sponda, ma… la spinta iniziale che il mio Cosmo mi aveva dato venne meno. Non ero in grado di controllarlo, non ancora, ero già stato fortunato ad essere arrivato fino a lì…

 

Gli iracondi tornarono, più forti che mai, con l’intenzione di non lasciarmi mai più.

Doveva finire in quel modo, dunque? Dovevo morire ad un passo dalla meta?

-Che creatura ridicola- mi dissi -Che creatura ridicola sono, incapace di andare avanti, anche dopo aver capito.-

 

All’improvviso, un’ombra passò sopra di me. Sentii qualcuno afferrarmi bruscamente, e depositarmi poi sulla riva del Flegetonte con malagrazia.

Era grande, era alto ed era alato. Un uomo nero.

 

-…Master…?-

 

Riuscii a sussurrare tra un colpo di tosse e l’altro.

Poi, lo vidi meglio: non era lui.

 

Indossava una Surplice con grandi ali nere; sembravano ali da drago, ma diverse da quelle della Viverna. Aveva i capelli di un biondo pallido, di media lunghezza, lisci e ordinati all’inverosimile. I suoi occhi erano azzurri come solo il cielo d’Inghilterra dopo la pioggia può essere. Ed erano gelidi, come i ghiacci eterni. Se aveva la Surplice, doveva essere un Maggiore, erano i soli che non avessi visto…

 

 

-No, come avrai già intuito non sono io.-

 

La sua voce era ferma e decisa: cercava di essere impersonale, ma tradiva una passione nascosta, un impeto profondo all’interno del suo cuore. Pareva un uomo molto severo, con gli altri e con stesso.

 

-Una prova non indifferente, per un ragazzo arrivato da poco.-

 

Commentò neutralmente, guardandomi: il suo sguardo pareva indagarmi, cercando forse di catalogarmi, di definirmi.

 

-Non l’ho fatto intenzionalmente, signore… non credo sarei in grado di rifarlo…-

 

Forse non era la migliore pubblicità che avrei potuto farmi, ma d’altronde era la verità: non controllavo il mio Cosmo, avevo a malapena la consapevolezza della sua esistenza. Era lì, dentro di me, e aspettava di uscire come una belva appostata nella tana.

 

 

-Se l’hai fatto, sarai in grado di rifarlo, ovviamente. È per questo che ti ho salvato: sarebbe stato un grave spreco di potenziale, lasciarti sprofondare. Sappi però che non accadrà più: non amo interferire negli addestramenti altrui, soprattutto se si sta parlando del mio Generale.-

 

Era anche lui un diretto sottoposto del Master, dunque!

 

-Signore, se posso chiedere… lei è il Maggiore di Lord Rhadamanthys?-

 

 

Lui si erse in tutta la sua statura, emanando fierezza e onore, come un cavaliere d’altri tempi.

 

-È così. Io sono Olim, Olim di Fafnir, Maggiore Generale dell’esercito degli Spectre.-

 

Era lui, dunque. Il terzo uomo più importante del gruppo di Lord Rhadamanthys.

 

 

-Ti ho osservato attentamente, poc’anzi. Sembrava che avessi smesso di lottare.-

 

Non dissi niente: non c’era niente da dire, in effetti. Un velo di vergogna mi colse, mortificandomi per un attimo.

 

-Perché hai ricominciato, dunque? Chi non ha la forza di vivere, muore. Semplicemente.-

 

-È vero. Ma… ho pensato di avere un motivo per combattere. La mia risoluzione… l’ho finalmente trovata.-

 

Lui mi osservò, con occhi freddi come il vento del Cocito: il viso imperscrutabile mi rendeva impossibile intuire i suoi pensieri.

 

-La tua risoluzione. Comprendo.-

 

Si voltò, puntando lo sguardo verso la tenebra infinita che era l’orizzonte del Regno dei Morti: pareva stesse cercando qualcosa, ma non saprei tutt’oggi dire cosa. Forse le parole adatte da dire, forse un motivo per non rigettarmi nel fiume. Forse niente di tutto questo.

Senza girarsi, finì severamente:

 

-Non perderla mai. Ora che l’hai trovata, essa è ciò che più ti avvicinerà a Lord Hades… o alla morte. Comunque sia, il tuo percorso è iniziato qui, in questi luoghi. E qui finirà.-

 

Non capii bene se il suo tentativo fosse quello di incoraggiarmi, minacciarmi o altro. Olim di Fafnir sarebbe stato per molto tempo un mistero, per me.

Senza aggiungere altro, si allontanò per la sua strada, fino a svanire nelle ombre.

 

 

Vivere per me stesso, vivere per un padrone.

O entrambi.

Qual è il confine tra Fede e schiavitù? Tra costrizione e volontaria abnegazione?

Chi è artefice del mio Destino? Il Sire Hades? Il Master? Me stesso?

Sto ancora cercando una risposta; ma quel giorno, sulle rive del fiume di sangue, imparai una delle lezioni più importanti tra tutte quelle che ricevetti in cinque anni di addestramento.

Che, comunque fosse, dovevo continuare ad avanzare.

 





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Eh. Il nostro Bansheeino sta crescendo. <3  Voglio segnalare che la storia raccontata da Hajidah è effettivamente una favola tradizionale araba, che ho trovato, in varie versioni, vagando sul web, quindi non è uscita dalla mia testa. L’ho trovata adorabile, e molto significativa, e ho pensato di condividerla con voi. Meditate, sulla differenza tra il cammello e la formica. Meditate.
Ed ecco comparire Olim di Fafnir, un altro dei miei personaggi. Ed è meglio che non vi dica com’è nato, davvero. Per chi non sapesse cos’è il Fafnir, vi lascio alla Santa Wikipedia.

Non posso che ringraziare chi mi ha commentato, e anche –chiedo scusa se non l’ho fatto prima- chi ha aggiunto Il Canto tra i preferiti, ovvero Engel, hinayuki e Tsukuyomi. Ringrazio anche chi l’ha aggiunto alle seguite, ovvero Asteria 95, Engel (doppio spuccio!), Gaara4, Kinshine, lenna, Ren_chan e stantuffo.
Ren_chan, inoltre, è al solito da ringraziare per il betaggio. *chu*
Nota di merito ad Arkadio che se l’è fatta tutta di fila. Folle! Grazie mille XD

E ora, tempo di risposte:


Ren_chan: Povero Charles. *no, non è vero, è proprio come ha detto lei* Guarda, il daddy è adorabile, ma nel contesto uccide. Dylan ha un palese complesso di Elettra. Il problema è che è un maschio. Gh. Ti ringrazio enormemente, un bacione çOOç

Tsukuyomi: Grazie a te per i tuoi deliziosi commenti. Sono commosso. çOç *spuccia*

shiinait: Sì, i flashbacks negli Inferi sono devastanti, perché quando torni alla realtà è davvero difficile andare avanti. Per quanto riguarda la domanda, volevo specificare una cosa per te, che non conosci bene Saint Seiya: non è una distorsione effettuata da me. È Masami Kurumada ad aver interpretato alcuni miti un po’ come voleva, ed Euridice ne è l’esempio lampante; è possibile che compaiano altri riferimenti del genere, effettivamente, ma saranno, più che altro, appunto riferimenti all’opera di Kurumada, non cose inventate di sana pianta da me. Grazie mille per il commento, un bacione :*

Engel: Eh, sì! Gli specter non li calcola nessuno, e non capisco perché! Sono così amorevoli e viola! *O* sì, il Vivernone trasuda inglesume. Oh, nobile Viverna. Oh, my Lord. <3 *english fanboy* La fase preparatoria non è ancora finita, in quanto ci sono ancora alcuni personaggi da introdurre… *tende l’amo spoiler* ma il vivo arriverà, non temere. Grazie mille del commento, carissima. Un bacione!

Kinshine: …il Cerchio della Vita, sì. “Lui vive in teeeeeee” *rotola pensando al Re Leone* sono contento che il mio esperimento ti stia piacendo. Sì, mi sono infilato in una cosa più grande di me, palesemente… ma proveremo a portarla in porto. XD Grazie infinite, ti aspetto al prossimo capitolo! P.S.: Oh, la prima recensione! çOç *commosso* è stata deliziosa, davvero. E io non mi formalizzo, eh, puoi anche scrivere una riga in brainstorming, tanto quel che conta è l’amore *O*

Arkadio: Eh, c’è ancora molta strada da fare. Calcola che adesso Dylan ha quattordici anni, ovvero è nell’età di piena formazione.  Fisica, emotiva e spirituale. Spero che tu continuerai a seguire insieme a me lo spuccino viola. Grazie infinite per la recensione, un bacione grande <3

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Capitolo 7
*** Settimo Canto ***


Il Canto della Banshee

 

Settimo Canto ~ La crudeltà di esser prescelti

 

“Che cosa è nata prima: la musica o la sofferenza?”
Nick Hornby

 


Gli allenamenti nel Meikai facevano sembrare i giorni tutti uguali.

Non c’erano mai cambiamenti significativi, soprattutto per me che avevo l’onore e l’onere di avere un Master privato –i Generali avevano svolto la funzione di Maestri già per i loro Ufficiali, e mantenevano il ruolo di supervisori nell’addestramento degli altri aspiranti Spectre; raramente prendevano altri allievi. Io ero uno di quelli, come ben sapete.

Gli allenamenti nel Meikai facevano sembrare i giorni tutti uguali, dicevo, ma quel giorno –dopo ormai quasi tredici mesi di addestramento- Lord Rhadamanthys decise che avevo imparato abbastanza per farmi, sporadicamente, allenare in gruppo con altri miei compagni.

 

Altri non si trattava se non di veri e propri scontri, a dirla tutta: i Maestri si mettevano da parte e l’unico obiettivo tuo e del tuo avversario era di sopravvivere durante i minuti –una manciata come una serie interminabile, a seconda dell’inclinazione dei supervisori- dello scontro; non amavo particolarmente battermi, soprattutto perché in quei momenti si riusciva a scorgere il lato più oscuro degli animi –chi mirava ad ucciderti per togliere di mezzo un potenziale rivale per una Surplice o chi si accaniva su una gamba ferita fino a spezzartela- o quelli più fragili e patetici –chi ti guardava con terrore come se fossi un mostro, chi non aveva il coraggio di alzare la mano su di te perché solo il giorno prima l’avevi aiutato a rialzarsi dopo una brutta caduta. 

I sentimenti si mischiavano, nel Regno dei Morti. Ognuno di noi provava per l’altro un misto di paura, affezione, odio, solidarietà, tutte mischiate in un’unica tonalità; ma se si mischiano tutti i colori, ciò che si ottiene è il nero. Le amicizie autentiche erano rare, perché era pericoloso mostrare il proprio cuore, già reso troppo greve dalla fatica e dalla paura. Potevo dirmi fortunato ad avere un amico come Hajidah: mi supportava in ogni occasione, dandomi consigli o semplicemente sostenendomi, la sera, quando l’addestramento finiva.

Sembrava sempre fresco e riposato, non mi sono mai capacitato di ciò: sembrava quasi che non stesse addestrandosi, solo lo sviluppo della muscolatura e l’affinarsi della sua tecnica mi suggeriva il contrario.

 

Era fresco e riposato anche quando si offrì di accompagnarmi al mio primo scontro:

 

-Non preoccuparti eccessivamente, ma stai sempre concentrato, va bene?-  si profondeva in consigli, sistemandomi il salvacuore di cuoio sul petto. –Uh, e ricorda che l’obiettivo principale è sopravvivere, non uccidere. Ma se dovesse succedere, evidentemente non erano destinati, quindi non dovrai angosciarti. Va bene?-

 

Poteva anche essere un discorso sensato, ma a me sembrava orribile: scossi la testa per scacciare quel pensiero.

 

Quel giorno era stato deciso che ci sarebbero stati degli scontri di allenamento tra gli esponenti del gruppo di Lord Rhadamanthys e quelli del gruppo di Lord Minos, Generale del Grifone. Mi era capitato di vederlo, sebbene non spesso, e ogni volta mi pareva più spaventoso. C’era qualcosa nel suo perenne sorriso, nelle sue movenze, nel suo tono, che dava i brividi.

Si diceva fosse incline alla noia, e che quando si annoiasse si svagasse sulla pelle del primo malcapitato: più un Uomo Nero che una persona in carne ed ossa.

 

 

E l’Uomo Nero era presente, quel giorno. Per nessuna ragione apparente, era seduto su una roccia, le gambe accavallate come se fosse in poltrona. Il gruppo di allievi selezionati per lo scontro era piegato in un profondo inchino –chissà da quanto: sembravano delle marionette spaventate dal burattinaio.

 

Il nostro gruppo era condotto da Lord Valentine, luogotenente del nostro Generale: evidentemente non aveva ritenuto opportuno essere presente.

Lo Spectre dell’Arpia fece un saluto marziale al Generale, per poi –con il suo consenso- iniziare a dividere in gruppi di due gli allievi. Parlava poco, parlava seccamente e parlava il giusto, Valentine dell’Arpia: ostentava con fierezza il suo ruolo e si premurava di dimostrare a Lord Rhadamanthys che la fiducia in lui riposta fosse più che giustificata. Per qualche motivo, non gli andavo molto a genio, e la cosa era talmente palese che alcuni miei compagni mi avevano suggerito di tingermi i capelli di rosa, per cercare di compiacerlo. My God, e poi insultano l’humour inglese.

 

Fatto sta che venni accoppiato con tale Mathias, un ragazzo di due anni più grande di me; anche su di lui giravano delle strane voci, che ritengo non sia il caso di riferire in questa sede. Non so se corrispondessero a realtà, ma credo fossero nate semplicemente per il suo aspetto femmineo, la pelle resa ancora più chiara dai capelli rossi –ondulati e di media lunghezza, per i suoi occhi azzurri maliziosi e attenti. Snocciolava battute sarcastiche che potevano umiliare anche il più fiero degli uomini, e lanciava delle occhiate che avrebbero fatto arrossire un capitello.

Forse, ora che ci penso, le voci su di lui erano vere.

 

-Allora, venite qui voi due. Voglio uno scontro rapido ed efficace, va bene? Darò io il segnale di fine, e ciò vuol dire che nessuno si ferma finché non lo dico io, per nessun motivo. Chiaro?-

 

Il Luogotenente spiegò, con rapidi scatti delle mani, per poi uscire dall’ampio cerchio adibito a perimetro di scontro.

Per quanto non fossi particolarmente entusiasta, tutto sommato pensavo mi fosse andata bene: il mio avversario dal punto di vista fisico non mi sovrastava, quindi sarebbe bastata un po’ di accortezza per concludere l’incontro, teoricamente.

Eppure, lui sorrideva come se trovasse la cosa molto divertente.

 

-Dy-lan-bel-lo, giusto?- scandì, dolcemente. –Stai attento, non sarò gentile per niente.-

 

-Non ho bisogno di gentilezza, ti ringrazio.-

 

Appena l’ultima sillaba uscì dalla mia bocca, il ragazzo si scagliò contro di me, sferrando un calcio diretto alla mia mascella. Riuscii a pararlo appena in tempo, preso in contropiede: appresi col tempo che la sportività non rientrava nell’elenco delle doti di Mathias.

 

 Era rapido ad attaccare, ma io ero rapido a parare. Continuammo in questo modo per un tempo indefinito, scandito solo dai commenti del ragazzo.

 

-Ah, attento sulla destra, eh, Dylanbello.- e un pugno saettava sulla sinistra. –Oh, pensavo che uno allenato dal grande Lord Rhadamanthys fosse più bravo! -e un calcio sibilava a un millimetro dal mio orecchio.

 

Mi stava innervosendo, ed innervosendomi incassai i primi colpi. Per quanto poco incline alla lotta, ero stufo di subire: fui io ad attaccare successivamente, mirando proprio a quel sorriso sardonico.

Ma qualcosa non andava. Sentivo il mio corpo come se fosse intorpidito, rallentato.

Il mio pugno non saettava come avrebbe dovuto, e Mathias parava i miei colpi senza alcun problema, sbeffeggiandomi.  

Non avevo particolare concezione della mia forza, ma pensavo che in quell’anno qualche risultato l’avessi ottenuto: era davvero strano, e non me ne capacitavo, continuando ad attaccare, sentendomi sempre più indebolito.

 

-Che noia, che noia, Dylanbello. Mi sa che la finiamo qui.-


E con un calcio mi fece fare una discreta parabola nell’aria, facendomi schiantare fuori dal cerchio. Lord Valentine decise che era sufficiente per ritenere concluso l’incontro: il gruppo di Lord Minos schiamazzò, allegro, alla vittoria del proprio compagno, che si inchinò graziosamente al suo pubblico; borbottii di varia natura invece accompagnarono il mio ritorno tra le file di Lord Rhadamanthys.

 

Io ero più confuso che altro.

 

-Uh, tutto bene?-

 

Due braccia robuste mi cinsero le spalle, per aiutarmi ad alzarmi in piedi. Hajidah mi guardava, gli occhi scuri socchiusi.

 

-Credo di sì… ma non capisco. Sento tutti gli arti intorpiditi, non rispondono come dovrebbero…-

 

-La cosa non mi stupisce.- inarcò appena le sopracciglia, guardando il mio avversario. –Mathias ha già sviluppato, almeno in parte, il Cosmo. E so per esperienza personale che il suo Cosmo si manifesta sotto forma di veleno. Probabilmente ti ha intossicato senza che tu te ne potessi accorgere.-

 

Spalancai gli occhi, massaggiandomi una spalla dolorante. –Ma è sleale!-

 

Il mio amico fece uno dei suoi sorrisi enigmatici, di quelli che fanno i profeti che hanno già visto cosa succederà in futuro.

 

-No, semplicemente era più forte di te, al momento. Non temere, svilupperai anche tu le tue abilità: sei andato bene.-

 

Poco più in là, Lord Minos si congratulava con Mathias, ruotando appena un polso in un gesto vago: Mathias pendeva letteralmente dalle sue labbra, crogiolandosi nella soddisfazione; di sicuro l’inizio del nostro rapporto non era stato dei migliori.

 

Dopo me e Mathias, vennero chiamati altri due ragazzi: li conoscevo abbastanza bene, e sebbene fossero di due gruppi differenti era risaputo che fossero fratelli –un caso raro, nel Meikai.

 

Si guardarono un attimo, interdetti. Parevano incerti sul da farsi; anzi, parevano non avere alcuna intenzione di combattere.

 

-Allora, cosa aspettate?-

 

L’invito dal tono annoiato era provenuto da Lord Minos, che pareva ansioso incominciassero; probabilmente per lui era come uno spettacolo teatrale.

 

Il maggiore dei due aggrottò le sopracciglia, teso. Si girò verso il Generale, si inchinò e chiese, scandendo le parole per non tradire il suo nervosismo:

 

-Sommo Minos, la prego, le chiedo di poter cambiare il mio avversario.-

 

Il Generale inclinò leggermente il capo, chiedendo spiegazioni; il ragazzo sudava freddo in maniera visibile, mentre il minore cercava di dargli man forte.

 

-È mio fratello maggiore, Sommo Minos, la prego…-

 

L’uomo in armatura schiuse appena le labbra, flautando con indifferenza:

 

-Oh, ma questo non è importante. Combattete, avanti. Ora.-

 

Il maggiore trattenne il respiro. Sbatté gli occhi, fissando a lungo il fratellino.

Poi, con un coraggio che raramente vidi altre volte durante il mio addestramento, dichiarò:

 

-No, Sommo Minos. Non lo farò mai.-

 

Commenti sorpresi rimbalzarono di bocca in bocca, tra i presenti: una vera e propria ribellione, era qualcosa di storico; qualcosa che sarebbe finita male, malissimo.

 

Infatti Lord Minos si alzò, sgranchendosi la mano destra con noncuranza; sorrise appena, e pronunciò la loro condanna a morte.

 

-Non è stata una buona risposta, no. Cosmic Marionation.-

 

E così, semplicemente, espanse il Cosmo –era enorme, e nero, e spaventoso, al pari di quello del Master- e fili splendenti sgorgarono dalle sue dita, come il burattinaio dei morti che era. Ghermirono i due terrorizzati malcapitati, la cui unica colpa era quella di essere stati umani, e con un unico movimento del polso li stritolò, facendo scricchiolare orribilmente le loro ossa fino a che non si spezzarono. Un urlo sordo, uno strillo acuto, e poi più niente.

 

-Valentine, porta via questi due, per favore. Rovinano il panorama.-

 

E basta. Nient’altro.

Accadde tutto in pochi secondi, ma me li ricordo ancora adesso. Due ragazzi morti per svago. Due ragazzi morti per niente.

 

Spalancai gli occhi, inorridito dalla scena come molti altri; ma tutti rimasero in silenzio, i più senza neanche guardare quei poveri corpi martoriati –forse orribilmente abituati a scene del genere. Io no. Io non riuscivo a non guardarli. E non riuscivo a non guardare quell’Uomo Nero che dopo essersi mangiato la sua preda si risedeva sulla roccia come se niente fosse, e il luogotenente del mio Maestro che –seppur rigidamente, potevo vederlo- obbediva all’ordine, allontanandosi con i due corpi.

 

Credo che le volte in cui ho alzato la voce si possano contare sulle dita di una mano. Non sono incline alle urla e agli schiamazzi, ma quel giorno qualcosa dentro di me scattò. Forse avevo visto troppi ragazzi morire per accettare una cosa del genere, forse erano solo i mesi di stanchezza e di paura che si condensavano ed esplodevano tutti insieme. Alla fine, ero soltanto un ragazzino di quindici anni che non aveva avuto neanche l’opportunità di avere un fratello al suo fianco. E vedere un sentimento così bello, così forte da sopravvivere anche alle ombre dell’Ade, svanire per una futilità simile, mi smosse profondamente: c’era un limite tra il rigore, anche quello più estremo, e la crudeltà cieca, e Lord Minos spesso l’aveva varcato. Ma non lo sapevo, all’epoca, volevo solo rigettare quello che avevo visto, con tutte le mie forze. Ancora adesso non saprei spiegare appieno cosa mi fece agire come ho agito. So solo che urlai, senza pensare:

 

-Come può aver fatto una cosa del genere?! Non avevano fatto niente, niente!-

 

Non ci fu una persona che non smise di respirare, in quel momento –io compreso.

Lord Minos voltò il capo lentamente, una ciocca argentata a ricadergli sulla spalla inguainata nella Surplice.

 

-Prego?-

 

Disse semplicemente, con tono quasi dolce.

 

Io, probabilmente fuori di senno – e troppo ciecamente inorridito per capire la situazione in cui mi stavo cacciando-, non pago continuai:

 

-Che senso ha avuto ucciderli? È mostruoso! Mostruoso!-

 

-Oh.-

 

Commentò, semplicemente, alzandosi con studiata calma e avvicinandosi a me tanto da sovrastarmi con la sua semplice presenza –e le ali, quelle ali scure che avrebbero coperto il Sole, se ci fosse stato.

 

-Quindi tu pensi che i miei metodi di insegnamento non siano ortodossi. Sbaglio?-

 

Io ero immobile. I miei compagni erano immobili.  L’aria era immobile. Il tempo era immobile.

 

-Coraggio, ti ho fatto una domanda, è maleducazione non rispondere.-

 

Continuava a sorridere, l’Uomo Nero. I suoi occhi erano celati dalla lunga frangia, ma sapevo che erano puntati dritti su di me; sapevo che erano occhi di demone, li sentivo.

 

-…No, Lord Minos. Non sbaglia.-

Sapevo che sarei morto. Ne avevo la certezza matematica, era cristallino: in un moto di lucidità, almeno provai a lasciare questo mondo con dignità.

 

-Oh. Capisco. Mi dispiace che la pensiamo in maniera diversa, sai. Ma credo che debba imparare un po’ di educazione, sì? Sono sicuro che dopo la penserai come me.-

 

Lord Minos sorrise, e il suo sorriso sapeva di morte.


La Cosmic Marionation si strinse su di me.

 

Fili, fili taglienti da ogni dove: mi avvolgevano le braccia, le gambe, le cosce, il torso. Stringevano, stringevano per fare del male –sollevavano, scuotevano. E stringevano.

 

Solo in quel momento capii realmente. La Cosmic Marionation era così potente non solo per la mera forza dei fili. Non era l’incisione della carne, il soffocamento l’elemento principale di quella tecnica.

Era la paura.

Ti rendeva impotente, ti annichiliva. Una trappola rivestita di sangue, annunciata da un sorriso sardonico. E come ogni trappola, chiamava l’animale che è in ogni uomo. Il terrore cieco, che è in ogni uomo.

Proprio quando la morte stava per afferrarmi per una spalla –ben poca strada avrebbe fatto, eravamo già nel suo regno- sentii nuovamente l’aria fluire in me, i polmoni tendersi, espandersi.

Qualcuno aveva tagliato i fili, facendomi ruzzolare a terra.

-Non penso sia tuo il dovere di punire i miei sottoposti, Minos.-

Lord Rhadamanthys si stagliava nella tetra luce del Meikai, le ali della Surplice aperte e leggermente frementi, come a manifestare disappunto.

Mai come in quel momento mi sentii al sicuro, sotto le ali della Viverna.

 

-Master…- sussurrai, il fiato che ancora usciva a fatica dalla gola.

 

-Taci.-

 

Un sibilo perentorio mi zittì. Non era contento, per niente.

 

-Rhadamanthys, mio caro. Il tuo sottoposto non si è comportato molto bene, però.-

 

Flautò, il sorriso che non abbandonava mai le sue labbra. Non sapevo se mi stesse guardando davvero, ma sentivo i suoi occhi dappertutto.

 

-Non ho mai affermato il contrario. Sarò io stesso a punirlo, infatti.-

 

Due tra gli uomini più forti di tutto il Regno dei Morti si scambiarono uno sguardo, a lungo, senza aggiungere altro. Fronteggiandosi, o forse semplicemente valutando le parole dell’altro.

 

Poi Lord Minos sospirò, voltandosi per andarsene.

 

-Ah, che noia, che noia. Va bene, torniamo indietro, voialtri.-

 

E se ne andò, semplicemente, con i suoi sottoposti al seguito, silenziosi.

 

Alcuni si voltarono a guardarmi, un misto di pietà e di ammirazione, ma i più, semplicemente, se ne andarono a capo chino, con la paura negli occhi e nel cuore.

 

-Dylan.-

 

Mi pietrificai letteralmente, chinando ancora di più il capo.

 

-Guardami. E, di grazia, dammi una buona ragione per non spedirti nelle prigioni con le mie stesse mani.-

 

Alzai lo sguardo, terrorizzato come non mai; forse il rischio di morire non si era ancora dissipato, come avevo invece pensato.

I suoi occhi dorati lampeggiavano, nella fioca luce che ci circondava, ma la sua espressione non tradiva alcuna emozione.

 

-Mi dispiace, Master. Ma Lord Minos ha… ha ucciso due miei compagni di addestramento, senza alcun motivo, non gli avevano mancato di rispetto, ma lui…-

 

La gola mi si chiuse, rendendomi incapace di continuare; sentivo ancora il rumore delle ossa.

 

-La parola di un Generale è legge, e non deve essere messa in discussione. Se sono morti, non erano destinati a diventare Spectre. Se tu sei ancora vivo, il tuo destino sarà diverso: non hai il diritto, di gettare via questa opportunità.-

 

Si mosse, fulmineo, sollevandomi per il bavero della tuta, senza smettere di guardarmi negli occhi.

Gli occhi. Quegli occhi.

 

Stese il braccio ad indicare, nella lontananza, l’ingresso del Regno dei Morti, continuando:

 

-Non ricordi cosa vi è inciso, su quell’entrata? Non hai ancora capito cosa significhi? Nessun sentimento può attraversare quella porta. Essi devono essere lasciati aldilà di essa, perché tutto ciò che sei stato prima di varcare quella soglia è irrilevante: solo da Spectre potrai riacquistarli, solo da Spectre potrai essere servitore del Sire Hades e contemporaneamente padrone di te stesso. Non prima. E per questo che sei qui, Dylan. Non dimenticarlo mai.-

 

 

Io non potevo capire. Era troppo chiedere a dei giovani di spogliarsi della propria identità, per ritrovarla in un percorso di sangue e ombre. Non potevo neanche concepirlo chiaramente, né tantomeno discernere il giusto dallo sbagliato.

 

Ma lui poteva farlo.

Lui era un Giudice.

Mi sarei fatto bastare la sua parola?

 

-Va bene, Master. Chiedo perdono.-

 

Mi sentivo meglio. Mi sentivo peggio.

 

 

Ma sapevo una cosa: era davvero crudele essere costretti a guardare tutto ciò. A vivere, tutto ciò, per poter capire che il mondo è anche peggio, ché il Meikai ne era solo una scala ridotta, un riflesso oscuro appositamente costruito per punirne gli abitanti, di quel mondo.

Era così crudele essere prescelti.

 

 

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CHEPPAURAMINOS.

Gh. Ok. Scusate.

Dicevo.

In un modo o nell’altro ce l’ho fatta a pubblicare in tempo. *C*;; *ha un mese di tempo e si riduce all’ultimo minuto*

Una menzione di merito a Ren_chan, che questa volta ha superato sé stessa betandomi all’ultimo istante. Grazie mille tesoro! *heart*

Ringrazio anche Ruri dato che anche lei ha aggiunto il Canto tra le preferite e le seguite. *un bacione*

Poi, una precisazione ancora, prima di concludere.

Sì, sembra che effettivamente Dylan non faccia altro che rischiare di morire. Beh, da un lato posso dire che effettivamente non sia al parco giochi, e dall’altro voglio evidenziare come questi capitoli siano separati cronologicamente da salti abbastanza consistenti, e soprattutto irregolari. Questo perché Dylan rievoca gli episodi che più lo hanno segnato durante l’addestramento, e quindi il suo è un flusso di coscienza (dis)continuo. I capitoli in flashback acquisteranno una continuità temporale più avanti, quando si arriverà al fulcro della storia. Probabilmente, infine, l’ultimo capitolo o gli ultimi due –dipende da come si svilupperà la trama- saranno, appunto, narrati al presente, per concludere la storia.

Infine, doverosa nota prima di passare ai commenti.

Questo capitolo lo dedico ad Arkadio, che in una lunga giornata a Milano ha fangirlato su Mathias, beccandosi degli spoiler mica da ridere. Mathias ti ama come tu ami lui, tesoro. Ma effettivamente Mathias ama qualsiasi cosa abbia un pene, quindi. Gh.

 

Ringrazio tutti coloro che hanno letto, e attendo tante recensioncine *O* su, dai *O* come potete resistere a questi occhioni? *O*

 

lenna: Ti ringrazio infinitamente per i complimenti! Il merito va molto anche al racconto in sé, devo ammetterlo, è molto pregnante. Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto! Un abbraccio! *luv*

 

Tsukuyomi: *BLUSH* non merito tutta questa considerazione, grazie mille çOOOç *spuccia* e non insudici, anzi, mi rendi felice come non mai! Benedetta sia la mitologia nordica, sì. Olim è un personaggio che mi piace da mattih, ma io sono di parte. *spuccia tedesco* al prossimo mese, attendo con ansia i tuoi commenti! *O* P.S.: Bellissima, quella frase! Mi ricorda qualcosa, forse l’ho letta anche io da qualche parte. Cercherò!

 

shiinait: Ma prego, tesoro, e infatti te lo becchi anche qui il tuo caro arabo! Hai colto alla perfezione il significato che ho cercato di dare al capitolo, e ciò mi riempie di soddisfazione. Ti ringrazio per il tuo commento, mi fa sempre piacere leggerti! *luv* e Olim lo amerai. Tutti amano Olim di Fafnir. *C* *è un fanboy*

 

Arkadio: Fratellino lo dici al tuo gatto. Io sono il tuo Seme. *BWAHAHAHAHAH* …idiozie a parte. Sono contento che tu abbia apprezzato il capitolo, e anche tu hai colto appieno ciò che era mia intenzione rappresentare, sono così contento di avere dei lettori così fantastici çOç *heart* Hajidah è un bravo ragazzo, sì, è facile adorarlo in fondo. Attendo con ansia il tuo commento sugli sviluppi! Un bacione, e grazie mille!



***AVVISO IMPORTANTE:*** Causa periodo di esami all'Università, e successive vacanze di Natale, gli aggiornamenti si interromperanno per Dicembre, e forse anche per Gennaio. Ma non temete, il Bansheeino tornerà. Intanto vi auguro un Buon Natale e un felice anno nuovo, e ci vediamo presto! Fate i bravi Spectre! *heart*

 

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