Figlio Della Notte

di EtErNaL_DrEaMEr
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Figlio Della Notte








Capitolo I.






La sigaretta che teneva tra le dita si stava consumando troppo velocemente per i suoi gusti. Avrebbe voluto durasse per molto tempo ancora. In quel momento, non desiderava altro che starsene lì fuori, circondato solo dal freddo e dal buio di una notte di gennaio a fumare la sua sigaretta. Dal momento che di suo non aveva più nulla, quello era il massimo a cui poteva aspirare.

Mentre dischiudeva le labbra e delle nuvolette di fumo svanivano nell'aria gelida, sperava di fare la loro stessa fine: semplicemente svanire.
Nessuno avrebbe più chiesto di lui, nessuno l'avrebbe più cercato, nessuno avrebbe più pronunciato il suo nome.
Magari, sarebbe andato in un posto in cui avrebbe potuto fumare indisturbato per tutto il giorno...

Abbassò il capo, sorridendo malinconicamente dei suoi stessi pensieri. Quando rialzò il volto, i suoi occhi fissarono vuoti quello che ormai era un mozzicone tra le sue dita, e lo seguirono fino a quando quello non toccò terra, spegnendosi a contatto con l'asfalto bagnato.
Anche quella sera aveva finito col perdere l'unica cosa che gli apparteneva.
Anche quella sera nessuno sarebbe andato da lui per esaudire il suo desiderio.

Con le mani in tasca e gli occhi celesti che scrutavano la strada davanti a lui, persa nella notte nera, prese a camminare lentamente, diretto verso il motel dove aveva una stanza.
Era l'una di notte, ma non aveva alcuna voglia di andarsene a dormire, da solo. Allora seguì il corso del marciapiede, poi svoltò a sinistra e continuò a camminare per altri venti minuti, con l'aria fredda che gli sfiorava le guance e qualche lampione che gli illuminava la strada.

E fu tra la luce e il buio che realizzò che da ben cinque anni non vedeva Dublino, la sua città.
Lì era nato, lì aveva passato i dieci anni più belli della sua vita, lì i ricordi di quei momenti erano sepolti per sempre.
In quella città che ancor oggi gli risultava così viva e magica era iniziato e finito tutto.
In quel luogo aveva conosciuto la bellezza dell'amore e l'orrore della morte.

Ad un tratto dovette fermarsi e respirare a fondo. Lo fece altre due volte, finché non sentì il cuore battere di nuovo ad una velocità ragionevole.
Gli succedeva ogni volta che la sua mente tornava a quei momenti: non era necessario che li ricordasse per filo e per segno, gli bastava ricordare le sensazioni che aveva provato per rievocare tutto.
Per rivedere davanti ai suoi occhi di bambino le immagini dei genitori uccisi; per rivedere sua madre che moriva davanti a lui, tentando inutilmente di fargli da scudo; per rivedere suo fratello piangere e gridare, lui che a soli cinque anni neanche sapeva cosa diavolo stesse succedendo... Era tutto così orribilmente vivido che ogni volta era come rivivere l'esatto istante in cui era morto.

Anche adesso, anche dopo diciotto anni, era come se non fosse passato un singolo giorno da allora.

Lui era morto quel giorno e quel ragazzo che ora era fermo in mezzo ad un marciapiede, appena illuminato dalla luce fioca e tremolante di un lampione di periferia era solo l'ombra di quello che era stato, di quello che avrebbe potuto diventare.
L'unica cosa che lo teneva legato a quel mondo, a quella che si ostinava a chiamare vita era la speranza: paradossalmente, era ancora capace di sperare.
Sperare che un giorno qualcosa sarebbe cambiato.
Sperare che avrebbe potuto rivedere suo fratello.
O semplicemente, sperare di fumare un'altra sigaretta...

Riprese a camminare, passandosi una mano sul volto stanco e segnato. La bellezza dei suoi tratti riusciva malamente a nascondere i segni lasciati dalla sofferenza e dalla crudeltà sul suo viso. I suoi ventotto anni ce li aveva tutti segnati sulle labbra increspate e secche, sugli occhi vitrei e opachi, sulla fronte perennemente solcata dai pensieri che mai lo abbandonavano.

Giovane uomo all'apparenza, vecchio e stanco nell'animo.

Continuò a camminare, un piede dopo l'altro, un passo dopo l'altro.
Quando finalmente giunse in O'Connell Street tutti i suoi pensieri sembrarono perdere consistenza: era come se la ricordava.
Qualcosa che doveva essere la sensazione più vicina alla felicità che avesse mai provato da molto tempo lo avvolse. Sapere che c'era ancora qualcosa, un strada, dei negozi, che fosse ancora rimasto lì, dov'era e com'era prima, era rassicurante.

O'Connell Street si apriva davanti a lui in tutta la sua grandezza: macchine sfrecciavano su entrambe le ampie carreggiate, divise da un largo marciapiede.
Si fermò davanti ad una strada laterale, più o meno all'altezza del Millenium Spire che spiccava alto verso il cielo: anche James Joyce era ancora lì, immobile a fissare le migliaia di persone che ogni giorno gli sfilavano davanti... Quante volte si era fermato davanti a quel signore, osservandolo con sguardo ammirato di bambino, e ogni volta cercava di allungarsi il più possibile, si alzava sulle punte dei piedi, cercando di riuscire a guardarlo negli occhi.
Per quanto sciocco potesse essere, quello era il suo sogno a quel tempo: poter guardare James Joyce negli occhi.
Un sogno come un altro.
E – ora lo sapeva - come tutti i suoi sogni sarebbe stato infranto.

Eppure, ora poteva fissare James negli occhi, ma quella piccola vittoria non aveva più il gusto che s'immaginava.
Forse, perché anche lui era cambiato.
Non era più quello di una volta.
Nemmeno il suo nome gli apparteneva più.
Chi era lui?

Nessuno.

E tale sarebbe rimasto anche quella sera.
Sarebbe solo stato un ragazzo qualunque, un uomo senza nome che vagava per le strade di Dublino. Niente di più, niente di meno.





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Salve gente!^^
Primo capitolo di una storiella scritta per il contest "Fan Fic per i Within Temptation" indetto da Arwen88 sul forum EFP, che si è pure classificata seconda!^^ La canzone che avevo scelto era "Hand Of Sorrow", canzone che ha ispirato la storia. I credits, ovviamente, vanno ai Within Temptation, sempre loro!!^^



Alla prossima!,
Vale=)




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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***








Capitolo II.






Continuava a camminare da solo.
Anche se faceva sempre più freddo, anche se le gambe cominciavano a lanciare i primi segni di stanchezza, lui continuava a camminare. E non aveva alcuna intenzione di smettere tanto presto. Se quello era l'unico modo di essere il più vicino possibile alla libertà, non si sarebbe fatto troppi problemi di stanchezza o freddo o cose simili.
Senza fermarsi, infilò una mano nella tasca del giubbotto, estraendone un pacchetto di sigarette. Ne sfilò una, posandola sulle proprie labbra. Con un gesto veloce e naturale ripose il pacchetto, prese l'accendino e iniziò a fumare.
Solo allora, quando ormai era a pochi isolati da Grafton Street, si concesse una piccola pausa. Inclinò il capo all'indietro, tuffandosi nel buio della notte e cercando di distinguere quelle poche stelle che ancora risplendevano nonostante l'inquinamento causato dalla luce artificiale dei lampioni.

Ah, quanto era bello guardare il cielo con la propria donna.

Riabbassò la testa, imponendosi di sorridere, piuttosto di lasciarsi andare a quel senso di fallimento che ormai gli era così familiare.
Era arrivato al punto di considerare la sua sigaretta e la sua donna la stessa cosa.
Non sapeva se la cosa aveva dell'ironico o del patetico, ma qualcosa lo spingeva a propendere per la seconda ipotesi.

Ancora fermo, notò un gruppo di ragazzi passargli davanti.
Alcuni urlavano frasi senza senso, altri barcollavano, altri – i pochi sobri- se la ridevano di gusto, alla vista dei loro amici in quelle condizioni.
Quella scena avrebbe dovuto rallegrarlo, ma in realtà non faceva altro che aumentare il vuoto che aveva dentro. Perché, anche se tutti coloro che l'avevano conosciuto lo consideravano un uomo cinico, freddo e privo di ogni sentimento di compassione o pietà, a lui mancavano cose di quel genere.
Avere degli amici.
Ridere.
… Gli mancava davvero quello che non aveva mai avuto. A pensarci bene, era come se per diciotto anni avesse vissuto rinchiuso, lontano da tutto il mondo reale, da tutta quella che era la vita.

Dopo qualche metro il gruppo cominciò a dividersi. A dire il vero, tutti i ragazzi svoltarono a destra, verso una strada laterale, mentre solo uno di loro proseguì dritto, da solo.
Quando abbassò lo sguardo sulla strada, vide quello che era un portafoglio a terra. Doveva essere di quel ragazzo.
Prese a camminare appena più veloce del normale, lo raccolse e raggiunse il proprietario. Lo fermò posandogli una mano sulla spalla sinistra, e quando lui si voltò, tutto il resto sembrò fermarsi.

Non era possibile.

Davvero, non era possibile.
Perché lui non credeva in Dio – non dopo tutto quello che aveva passato. E di certo non credeva nel destino, o fato che dir si voglia. Per non parlare delle coincidenze, poi!

E allora, come si poteva spiegare una cosa del genere? Come si poteva spiegare che dopo diciotto anni, lui fosse proprio lì, davanti ai suoi occhi?

Sbatté una sola volta le palpebre, per paura di vederlo svanire, e sentì qualcosa pungergli gli occhi, qualcosa che voleva uscire, qualcosa che chiunque avrebbe chiamato lacrime, ma che lui non sapeva neanche riconoscere.

Quando realizzò che due occhi azzurri, così simili ai suoi, lo stavano fissando piuttosto interrogativi, il suo spirito pragmatico riprese il sopravvento su qualsiasi emozione.


“Questo è tuo. Dev'esserti caduto poco fa.” disse, porgendogli il portafoglio che aveva appena raccolto.

Il ragazzo davanti a lui seguì i suoi gesti.
Poi sorrise.

“Ah, sì, grazie!” esclamò “E' proprio mio! Che idiota, devo decidermi a stare più attento una volta o l'altra!” rise di nuovo, sbattendosi un palmo sulla fronte. Poi rivolse gli occhi verso di lui, senza mai perdere il sorriso “Non credo che molti mi avrebbero seguito per restituirmi un portafoglio... quindi, lascia che ti offra una birra!”


I suoi occhi erano sinceri e rilassati.
Puri.
Il suo sorriso disteso e nitido.
Vero.
Il suo volto, tutto il suo volto, gli trasmetteva un senso di calma che non credeva esistesse davvero. Era pulito.
Innocente.

E in quell'istante si chiese se forse non si stesse sbagliando. Forse aveva preso un enorme abbaglio. Forse il troppo pensare di quella notte l'aveva fatto sperare troppo, più di quanto si concedesse di solito, e ora vedeva quello che non c'era.
Vedeva suo fratello davanti a sé.
E sicuramente questo doveva essere uno sbaglio, anche perché non poteva avere assolutamente nulla in comune con il ragazzo che gli sorrideva, proprio davanti a lui.
Erano troppo diversi.
Erano il bianco e il nero.
L'innocenza e la crudeltà.

Non doveva accettare quell'invito.
No.
Sarebbe stato un ulteriore sbaglio.
Senza contare che, così, avrebbe continuato inconsciamente a sperare che fosse tutto vero, e allora quando si sarebbe svegliato, quando sarebbe caduto di nuovo all'Inferno, tutto sarebbe stato ancora più buio di ora.

Non doveva accettare quell'invito.

“Forza, seguimi! Conosco un posto qui vicino dove perfino la Guinness ti sembrerà ancora più buona!”

Bravo irlandese.

Sorrideva, ancora, e con un cenno della mano lo invitava a seguirlo.

Non seguire quella mano.

Non accettare quell'invito.

Non lo fare.


“D'accordo” disse, invece, increspando le labbra e imitando un pallido sorriso.





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Salve gente!
... No, non mi ero dimenticata di aggiornare questa storia - cioè, forse giusto un attimino - ma sono mesi che non scrivo, presa in alto mare come sono con scuola & co. ... senza contare che devo aggiornare scrivendo a mano l'html, e non è tanto simpatica come cosa, affatto!-.-
Comunque, ecco qui il secondo capitolo di questa storiella!^^

Grazie a Rogue17 che ha commentato (che la forza di msn sia con noi e che ci faccia beccare, prima o poi!!XD), e anche a Arwen88... corro subito a mettere il link sul forum!^^
E, ovviamente, grazie a chi ha letto - pochi ma buoni!
E, ri-ovviamente, recensioni sempre ben accette=)!




Alla prossima!,
Vale=)




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