But I'll be with you 'til the end

di Adrienne e Shomer
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo Cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo Otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo Dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo Undici ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ***


But I'll be with you 'til the end

 

 

I remember all the good times
Sometimes I'd wonder would it last
I used to dream about the future
But now the future is the past

I don't wanna live in yesterday
Cross my heart until I die
Don't wanna know just what tomorrow may bring
Because today has just begun
No matter whatever else I've done
I'm here for you

So now I sit here and I wonder
What ever happened to my friends?
Too many bought a one way ticket
But I'll be with you 'til the end

You're my religion, you're my reason to live
You are the heaven in my hell
We've been together for a long long time
And I just can't live without you
No matter what you do, I'm here for you

Here For You – Ozzy Osbourne

 

 

« No, aspetta un attimo ».

Rachele si voltò a guardare la sua amica, nonché compagna di banco, con un’espressione visibilmente seccata.

« Spiegami ancora perché oggi, invece di fare ricreazione come tutte le persone normali, ho dovuto ascoltare uno Jacopo decisamente e anche stranamente arrabbiato che mi elencava i venti motivi per la quale non dovrebbe interessarsi a te ».

Rachele sbuffò sonoramente, continuando a camminare decisa verso casa sua.

« Te l’ho già detto », disse. « Oggi ho invitati a cena. E, anzi, considerando che sono le sette, probabilmente sono già a casa. Non posso uscire con Jacopo ».

Lisa le rivolse uno sguardo di fuoco. Rachele sospirò: dopotutto, non era certo colpa sua se quel ragazzo tartassava la sua amica ogni qual volta avessero qualche problema.

« Va bene », disse Lisa, cercando di mantenere la calma. « E ieri? Perché non ci sei uscita, ieri? »

« Perché dovevo studiare. Ricordi, oggi, compito di matematica? Non posso farci niente se lui è un genio e non deve studiare per il compito ».

Rachele fece una pausa. Davvero, non ne poteva più di quella situazione. Avrebbe parlato chiaro, sì, conscia del fatto che la sua amica avrebbe rivelato tutto a Jacopo per farlo stare tranquillo.

« Senti, Lisa », disse. « A me piace Jacopo, davvero. Però è troppo oppressivo e comunque io non gli ho mai promesso niente. Siamo usciti insieme solo una volta ».

« Mmh, è vero, te ne do atto. Comunque.. », fece, pensierosa. « Chi viene a cena da te? »

« Un’amica di mia madre con suo figlio. Beh, sono arrivata. A domani ».

Rachele salutò la sua amica con un cenno del capo e si avviò verso casa sua, dall’altro lato della strada. Mentre camminava velocemente pensò che quella sera sarebbe stata noiosa come tutte le volte che quelli là andavano a cena da loro, ovvero una volta ogni anno.

In primis perché sua madre non faceva altro che riportare a galla avvenimenti che erano successi quando lei e la sua amica erano giovani. Fatti che, Rachele si chiedeva costantemente perché, facevano morire dal ridere entrambe. L’unica cosa probabilmente buffa era lo sguardo omicida di suo padre che, scontrandosi bruscamente con le sue sopracciglia aggrottate, stava a dire “ridi anche tu, piccola ingrata”.

In secondo luogo, quando venivano loro a cena c’erano delle regole ben precise. La tv doveva essere rigorosamente spenta e Rachele non poteva alzarsi da tavola quando voleva, giusto per citarne alcune.

Come se non bastasse, c’era il figlio di questa donna che era un vero musone. Dunque non poteva neanche fare conversazione con qualcuno.

La rincuorava solo il pensiero che, probabilmente, suo fratello – Stefano, tre anni – ne avrebbe combinata una delle sue, tanto per cambiare.

Girò la chiave e aprì la porta.

« Sono tornata », mormorò, notando che il ragazzo si era già appropriato del suo divano.

 

 

Oddio che palle.

Era questo il pensiero che invadeva la sua mente all'incirca ogni due minuti. Che palle, esatto.

La stanza era calda e un chiacchiericcio continuo riempiva la sua mente, impedendogli di concentrarsi su qualcos'altro. Il libro aperto appoggiato alle sue gambe sobbalzava ad ogni suo movimento, e lui si assicurò che stesse ben fermo, tenendolo con una mano, mentre continuava a pensare: che palle.

I suoi pensieri galoppavano, e pensava che avrebbe potuto trovarsi nella sua stanza, a casa sua, sulla sua scrivania, a ripetere, a sottolineare le righe di quel libro con il suo evidenziatore giallo fluorescente, a ripassare. Con quell'esame di storia moderna, che l'indomani mattina alle ore otto in punto l'avrebbe aspettato trepidamente dentro una delle polverose aule della sua università, non si scherzava. Il professore aveva l'aria di essere crudele e cinico, e lui lo sapeva. Sapeva che non poteva essere rimandato né racimolare uno scarso diciotto. Aveva studiato, ma c'era davanti tutta la notte per mettere a punto le ultime cosette. Ed invece, purtroppo, non si trovava nella sua stanza di casa sua: si trovava lì, in quella casa a lui totalmente estranea se non per quella volta all'anno in cui ci entrava, costretto a stare seduto in quel - comodo, sì, era vero, questo doveva ammetterlo - divano, ma impotente, totalmente fuori luogo con quel libro sulle ginocchia, mentre davanti ai suoi occhi due donne - tra cui una molto conosciuta, sua madre - sorseggiavano del buon vino rosso parlando allegramente del più e del meno. Voleva andarsene, era scocciato, non sopportava quei discorsi e il dover essere lì in quel momento. Cosa c'entrava lui se sua madre era amica con quella donna, e se suo padre era amico con il marito di quella donna? Non potevano lasciarlo stare? Cortesia, dicevano. E' buona educazione.

Beh, cortesia un corno. Che palle.

Un rumore improvviso spezzò le risate delle sue donne, e lui sobbalzò. La porta dell'ingresso si era aperta e ne era entrata una ragazza: la figlia dell'amica di sua madre. Ma come si chiamava? Non ricordava, non aveva memoria per queste cose, e c'era da considerare il fatto che aveva parlato con quella ragazza una volta, al massimo, e per chiederle di passargli il pane per giunta. Alzò lo sguardo dal libro per un secondo, osservando la ragazzina che entrava nella propria casa. I capelli ricci e rossi le sobbalzavano allegramente sulle spalle quando si muoveva.

« Tesoro, sei tu? Ciao. » disse la donna alla propria figlia, con un sorriso.

Gianluca scrollò le spalle, e riabbassando lo sguardo tornò alle cause della Guerra Fredda. Sua madre lo guardava con le sopracciglia all'insù, evidentemente contrariata dal suo atteggiamento.

 

Rachele si tolse distrattamente il cappotto e lo appese nell’appendiabiti, dopodiché andò in cucina per salutare gli ospiti.

« Salve », disse, dando i due soliti baci sulla guancia all’amica di sua madre. Poi, rivolta a quest’ultima, chiese: « dov’è papà? »

« Tornerà tardi, tesoro, ha una cena di lavoro » rispose. « La cena sarà pronta tra quindici minuti! » disse poi, un po’ più ad alta voce per farsi sentire anche dal ragazzo che studiava seduto comodamente sul divano.

Rachele andò controvoglia a sedersi sul tappeto. Si diede mentalmente della stupida, ma si vergognava realmente a sedersi sul divano, dato che era già occupato.

Un rumore disordinato di passi e un grido capace di perforare il cervello - « Cheeeeeeleee! » - annunciò l’entrata quasi teatrale di suo fratello che, a giudicare da come le fosse saltato addosso facendola letteralmente sdraiare sul tappeto, era molto felice di vederla.

« Sì, sì, ciao anche a te », rise Rachele. « Adesso per favore levati di dosso ».

« Facciamo un castello di carte? » chiese suo fratello, sventolandole sotto il naso il mazzo.

« Certo ».

Rachele si accorse con disappunto che il ragazzo seduto sul divano – Gianluca? – aveva storto il naso.

 

Perché sono così sfigato?

   Fu questo il secondo pensiero che attraversò la mente di Gianluca, cancellando il primo. Sua madre si era allontana con l'amica in cucina, probabilmente per aiutarla con la cena, ed adesso quei due dovevano mettersi a giocare proprio davanti a lui, che aveva ben altri problemi? In fondo erano a casa loro, ma lui era l'ospite, ed aveva sempre ragione. O forse era il cliente ad avere sempre ragione? Beh, a lui non interessava. Automaticamente storse il naso, anche a costo di essere scortese, ed alzò lo sguardo proprio verso la suddetta ragazza - Chele? Ma che razza di nome aveva, diamine? - e il fratellino più piccolo, che finché non parlava e non dava fastidio, era adorabile. La sua voglia di fuggire si fece più intensa. E poi perché stavano per terra? Sul divano c'era ancora posto. Non capiva, e non vedeva l'ora che la serata finisse.

 

***

Quello che Rachele non capiva – e che probabilmente non avrebbe mai capito – era perché in casa sua dovessero osservare le buone maniere soltanto quando c’erano ospiti. Dopo un brusco cenno del capo di sua madre, infatti, si vide costretta a mettersi il tovagliolo sulle gambe, proprio come una brava fanciulla educata.

« Buon appetito! » squittì l’amica di sua madre, dopo aver servito il primo piatto a tutti ed essersi seduta. « Allora, Rachele.. » cominciò, costringendo la ragazza ad un violento movimento del capo. « A che punto sei con gli studi? »

Rachele ingoiò velocemente un boccone e si schiarì la voce. « Faccio il quarto anno », disse.

« Oh, ma allora sei diventata grande! » la donna – che Rachele ricordò improvvisamente chiamarsi Maria – rise insieme a sua madre. La ragazza dovette reprimere una smorfia e mordersi la lingua per non dire “sì, di solito succede, con il tempo”.

« Il mio Gianluca, » continuò, facendo un cenno del capo in direzione di suo figlio « quest’anno è all’università e indovina? Proprio in questa città! E’ stato così difficile lasciarlo andare via di casa.. quando sarai grande e avrai dei figli, Rachele, te ne accorgerai.. però è giusto così, bisogna lasciarli crescere.. »

E lì partì con un monologo sull’importanza dei figli in una coppia sposata, su quello che faceva e non faceva suo figlio, su quanto fosse intelligente e bravo, interrotto ogni tanto da qualche commento di sua madre - « Oh, come ti capisco! » « Complimenti al nostro Gianluca, sei proprio un caro ragazzo! » « Sì, è vero. Rachele quest’anno ha notevolmente migliorato i suoi voti.. » - e reso divertente dall’espressione esterrefatta di Gianluca ogni qualvolta dicessero il suo nome.

“Quanto durerà questo strazio, Dio?”, pensò Rachele, alzando gli occhi al soffitto.

 

   Gianluca sobbalzò ogni singola volta che sentì pronunciare il suo nome. Non perché fosse imbarazzato, ma perché era sorpreso. E anche un po' infastidito che si parlasse così di lui. In fondo,    loro     non sapevano    niente    , niente di lui. Quella che indossava in quel momento, era solo una maschera. Una delle tante. E, sopra ad ogni cosa, odiava quando sua madre cominciava con i suoi sproloqui, interminabili, e che - tra l'altro, miracolosamente - attiravano sempre l'approvazione di chiunque l'ascoltasse. Come in quel momento.

In una maniera terribilmente lenta, la cena finì e tutti si spostarono verso il salotto, dove venne servito il caffè. Gianluca sprofondò nuovamente sul divano col suo libro, nervoso ma sollevato al pensiero che la cena fosse finita.

 

 

Mentre sorseggiava il suo caffè seduta sul tappeto – e questa volta c’era un motivo valido: sul divano si erano sedute anche Maria e sua madre -, Rachele si chiese se quello fosse uno di quei momenti infiniti, di quei momenti che durano per sempre.

Suo fratello era intento a fare capriole sul tappeto e a guardarla ogni tanto in cerca di approvazione. Rachele annuiva e diceva « bravo! » ogni volta che i suoi occhioni imploranti si posavano su di lei.

« Maria », esclamò ad un certo punto, sua madre, facendola sobbalzare. « Non immagini neanche cosa ho trovato due giorni fa! »

« Che cosa? »

« L’album di fotografie del nostro primo anno di liceo, ricordi? Ce l’ho in camera da letto, vieni.. »

Si alzarono continuando a parlottare e salirono le scale. Rachele sbuffò.

« Scusa? »

“Oh”, pensò la ragazza, sorridendo tra sé e sé. “Allora sa parlare.”

« Dimmi », disse, attorcigliandosi un boccolo tra le dita.

« Potrei avere un bicchiere d’acqua? »

Rachele lo guardò, e quasi trasalì scontrandosi con l’azzurro dei suoi occhi. « C-c-cosa?! » balbettò, come un’idiota.

La ragazza rimase immobile per qualche secondo, prima di riordinare i pensieri. Non aveva mai guardato Gianluca negli occhi. Anzi, in realtà non l’aveva mai guardato in generale. L’aveva “visto”, sì, ma non l’aveva mai “guardato”. Non si era mai soffermata a lungo sulla sua figura, e non aveva mai notato che quell’azzurro fosse così terribilmente simile all’azzurro dei suoi occhi.

Riemergendo dai suoi pensieri, poi, notò che in quel momento, quegli stessi occhi la stavano guardando con aria preoccupata.

« Tutto bene? », chiese il ragazzo, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

« Sì, certo! » rispose lei, forse troppo velocemente, alzandosi e rassettandosi la gonna. « Volevi un bicchiere d’acqua? E che bicchiere d’acqua sia »

« Ehm.. ok », disse lui, scettico, seguendola in cucina.

Mentre la ragazza versava l’acqua nel bicchiere, irruppe nella stanza Stefano.

« Cheeele! » gridò. « Guarda, in questo foglio c’è disegnato un signore con un fucile! »

Il bambino aveva in mano un foglio strappato, e lo agitava furiosamente cercando di attirare l’attenzione dei due ragazzi.

Rachele notò che Gianluca aveva stretto i pugni così tanto da far diventare le nocche bianche.

« Non è possibile », sussurrò. « Non è vero ».

 

Era impossibile che tutto questo stesse capitando a lui, proprio a lui.

Quel bambino, Stefano, stringeva nella manina chiusa a pugno un lembo di un foglio del libro. Il suo libro, che aveva lasciato incustodito per cinque secondi, sul divano, per un bicchiere d'acqua.

Improvvisamente, si accorse di non avere più sete.

« No, cacchio! », si lasciò sfuggire con poca eleganza, con un tono di voce che salì di un'ottava. Lui non diceva mai parolacce, e se le diceva era per un solo motivo: era veramente arrabbiato.

Rachele notò tutto questo e cercò di rimediare in qualche modo.

« Ops, scusa! Ma lo sai, è solo un bambino.. »

Gianluca sembrò esplodere. « Solo un bambino? Solo un bambino?! Io, domani, ho un esame! E il libro mi serve! » ribatté, con un tono di voce troppo stridulo.

Stefano sembrava non capire perché il ragazzo reagisse così, e continuava a tenere il foglio il mano. Gianluca fece qualche passo avanti e gli si avvicinò, così Stefano lo fissò con i suoi grandi occhi scuri, come quelli della sorella.

« Vuoi vedere anche tu il signore con il fucile? »

« No! »  esclamò Gianluca, « Non mi interessa! » e cercò di riprendersi il foglio, con una certa forza. Ma il bambino, prendendolo per un gioco, scoppiò a ridere e scappò via, uscendo dalla cucina. Gianluca fece una specie di verso rabbioso, e si sbatté una mano sulla fronte.

« Io al posto tuo non ne farei una tragedia.. Mi disp-» stava per dire Rachele, ma Gianluca la bloccò.

« No, tu non puoi capire, e comunque non c'è bisogno che ti scusi, adesso, il danno è stato fatto. »

Lui sapeva di non essere per niente gentile né cortese, ma quando era troppo era troppo. Non solo era costretto ad andare in quella casa di malavoglia, ma pure quella peste doveva rovinargli la serata, più di quanto non fosse già rovinata? Quello era troppo per uno come Gianluca. Per non contare che quella ragazzina - Chele? Rachele? Mio Dio - gli stava dando sui nervi. Che ne sapeva, lei?

Rachele alzò un sopracciglio con aria infastidita.

« Beh, scusa se ho cercato di essere gentile. La prossima volta sarò io a dire a mio fratello di stapparti tutto il libro, e non solo una pagina, che ne dici? »

Gianluca la fissò dritto negli occhi con un'aria gelida e la ragazza sembrò smarrirsi un attimo. « Non ci sarà una prossima volta» , disse a denti piuttosto stretti. Rachele stava per ribattere, quando sulla porta della cucina fece capolino Anna, la madre di Rachele e Stefano.

«Gianluca! » esclamò, « Mi dispiace immensamente, ma quel tornado di mio figlio non sa ancora come comportarsi, scusalo.. Ma è piccolo.»

Gianluca sospirò e seppe di odiarli tutti quanti. Non rispose neanche, si limitò a scrollare le spalle ancora una volta, e poi afferrò la pagina strappata che Anna gli porgeva.

«Grazie,» mormorò, « Adesso possiamo andare? » disse invece rivolto alla madre, che seguiva Anna nel corridoio.

Era davvero molto stanco. Non ne poteva più. E quella era l'ultima volta che sua madre lo trascinava in quelle cene del cavolo. Mai più! Del resto, non avrebbe sentito la mancanza di nessuno di loro.

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo Due ***


Capitolo due

Capitolo due

La notte non fu del tutto serena.
Gianluca andò a dormire tardi, e si girò diverse volte sotto le lenzuola: era troppo preoccupato e non riusciva a prendere sonno. E non era neanche il suo primo esame! Ma la giornata precedente l'aveva indebolito, e il fatto di non esser stato libero di ripassare come voleva la sera, l'aveva infastidito terribilmente. Se fosse andata male, probabilmente, avrebbe dato colpa a quel bambino e alla ragazzina, Rachele. Se ci pensava ancora, accidenti, ritornava ad arrabbiarsi..
Perciò quando la sveglia suonò, alle sette spaccate, Gianluca avrebbe preferito volentieri dormire un altro po'. Era sicuro di avere delle occhiaie terribili, per non parlare in che condizione avrebbe trovato i propri capelli, poi. Rimase cinque secondi a realizzare che era vivo e che aveva un corpo, poi di scatto allontanò la coperta da sé e si sedette in mezzo al letto. Si stiracchiò portando le braccia in alto e poi passò le mani in mezzo ai capelli. Nel frattempo, un timido sole aveva cominciato a disegnare dei pallidi disegni sul pavimento della sua camera, filtrando attraverso le tende della finestra chiusa. Gianluca fece un ultimo sbadiglio da spacca-mascella e si alzò dal letto, ciabattando a passo strascicato fino alla cucina.
Tirò su la tapparella della finestra, e la luce inondò la stanza. Gianluca si sentì improvvisamente meglio: gli piaceva il sole, e tutto ciò che era collegato ad esso. L'estate, la luce, il giallo. Il cielo. Avanzò verso la credenza, prese una tazza, poi un bollitore che riempì con dell'acqua e che mise sul fornello, accendendolo. Aspettando che l'acqua diventasse calda, prese dalla credenza delle bustine di thé colorate e alla fine scelse quella di colore arancio. Pesca e Frutto della Passione, diceva l'etichetta. Era interessante.
Spense il fornello e versò l'acqua calda nella tazza, la prese e la poggiò sul tavolo. Ci ficcò dentro la bustina di thé, e si incantò a guardare l'acqua che assumeva pian piano un colore ambrato. A lui piaceva bello scuro, quindi rimase un bel po' ad aspettare. In condizioni normali avrebbe accompagnato il tutto con qualche biscotto al cioccolato, ma sentiva che non era in grado di buttare giù neanche un singolo boccone.
E la cena del giorno prima sembrava galleggiargli ancora nello stomaco, oltretutto. Si mise a sorseggiare il thé, facendo attenzione a non bruciarsi le labbra, assaporando la pace che regnava a casa sua. Non avrebbe scambiato quel silenzio con niente al mondo, assolutamente. Dopo la colazione, fece una doccia ed infine si vestì. Preparò la sua borsa di tela verde e ci infilò dentro il libro di storia - la pagina strappata sbucava fuori dalla copertina rigida -, il suo amato Ipod da 30gb, il libretto degli esami ed alcune penne, la maggior parte con l'inchiostro esaurito. Uscì di casa fischiettando, dopo la doccia era riuscito a calmarsi e a rilassarsi, ed era più sicuro di sé. L'aria era fredda e strinse meglio al collo la sciarpa che portava in quel momento, ma non gli dispiaceva camminare a piedi: la facoltà di Lingue Moderne, dov'era iscritto, distava a cinque minuti di strada. Non aveva senso prendere la macchina, anche perché trovare un parcheggio nelle vicinanze era praticamente impossibile.
Gianluca entrò in facoltà con passo sicuro. Per fortuna l'esame si svolgeva lì, nella sua sede. Diede un'occhiata all'orologio appeso sulla parete: ore sette e cinquanta. Era persino in anticipo! Percorse il corridoio, e arrivò nell'aula sette.

Lì, appena fuori la porta dell'aula, incrociò qualche suo compagno di corso, che salutò con un cenno della mano. Erano molto più puntuali di lui. Regnava il silenzio: nessuno parlava, nessuno ne aveva voglia.
Ma Gianluca era più sicuro, sapeva che ce l'avrebbe fatta. Sapeva che avrebbe portato a casa un 28, come minimo.

*
Lesse quella svolazzante scritta in blu.
..27. Meno delle sue aspettative, ma non poteva assolutamente lamentarsi.
Gianluca posò con cura il suo libretto, appena firmato dal professore - che non era stato neanche tanto spietato, quando si dice fortuna - , dentro la borsa e uscì dall'università quasi immediatamente, percorrendo la strada a ritroso. Voleva tornare a casa e passare almeno una settimana sul divano a mangiare patatine e a guardare film idioti. Era contento, almeno: non riusciva a cancellare il sorriso dal suo volto. Non doveva avere più il pensiero angosciante di questo esame, e avrebbe potuto starsene in pace per un po', in compagnia del dolce far niente. Pensò di dover chiamare sua madre per farle sapere com'era andata, e poi voleva chiamare anche il suo migliore amico, Gabriele, che conosceva ormai dai tempi del liceo ed era forse l'unica persona di cui si fidava ciecamente. Gli avrebbe fatto piacere sentirlo e fargli sapere che era andata bene. Pensò di farlo in quel momento per non dimenticarsene, così si fermò in mezzo al marciapiede, sulla strada di casa, per rovistare nella borsa alla ricerca del cellulare. Ma non lo trovò da nessuna parte.
Cercò in ogni tasca, in ogni angolino della borsa, ma non c'era. Che fine aveva fatto? Fece mente locale, e si ricordò che quella mattina non l'aveva preso, uscendo di casa. Perché non c'era.
Si toccò le tasche, ma neanche lì c'era qualcosa.
Ho perso il cellulare, porc..
Gianluca lo diceva, di essere sfigato, e spesso veniva smentito.
"Ma che dici!" gli dicevano, "E' solo una tua impressione!"
Ma in occasioni come quelle, aveva la conferma di aver avuto sempre perfettamente ragione.

*

Rachele, quella mattina, si svegliò in un bagno di sudore. Spense distrattamente la sveglia e si strofinò gli occhi con le mani, senza stupirsi del fatto che fossero bagnati di lacrime.  

Ovvio.” pensò. “Questa storia non finirà mai, vero?”

Le capitava spesso di fare quel sogno, quasi come se qualcuno volesse ricordarle ciò che era successo. Ma lei lo ricordava bene, le immagini di quella sera le sembravano più nitide col trascorrere del tempo e lei piangeva imprecando, perché avrebbe dovuto essere il contrario.

Ricordava tutto: i rumori, le voci, le luci abbaglianti e la paura. E poi, la disperazione. Era successo due estati prima, il sette luglio, e tornava come sempre a tormentarla nella notte, appena le pareva di aver riattaccato i pezzi della sua vita.

Si alzò a rilento e aprì la finestra e, quasi per uno scherzo del destino, la stanza di riempì di sole. Rachele non si poteva certo definire meteoropatica.

La musica rimbombava forte nelle orecchie di Rachele, mentre la ragazza guardava la città svegliarsi attraverso il vetro dell’autobus. Di tanto in tanto rivolgeva sorrisi ai compagni che passavano, salutandola. Non si può dire che quella mattina si fosse svegliata di umore ottimo, ma di certo non era il tipo da mostrare agli altri i suoi sentimenti. Infatti, tendeva ad essere solare e allegra anche quando dentro di lei era tutt’altro. Probabilmente questo non faceva che accentuare la sua tristezza, alle volte, ma considerando che erano rari i momenti in cui era triste, era un prezzo che aveva accettato di pagare per recitare la parte della ragazza forte e indistruttibile. In più pensava, ingenuamente, che facendo finta che tutto andasse bene, alla fine sarebbe andato tutto bene realmente. Si era già una volta lasciata il passato alle spalle in questo modo, e doveva ricominciare subito a ricacciarlo indietro, adesso che era tornato a tormentarla. Le pareva quasi che  i ricordi volessero impedirle di far entrare qualche altro ragazzo nella sua vita.

Si tolse velocemente le cuffie vedendo Jacopo che saliva sull’autobus, e lo salutò sorridente con la mano.

Mentre il ragazzo si avvicinava a Rachele e si lasciava cadere sul sedile accanto al suo, la ragazza stava giocherellando con il braccialetto d’argento che le cingeva il polso sinistro e del quale non si liberava mai.

« Buongiorno, splendore! » disse il ragazzo mentre l’autobus ripartiva, stampandole un sonoro bacio sulla guancia.

« Ciao », disse lei, con un lieve sorriso. « Scusa per ieri sera ».

« Non preoccuparti, Lisa mi ha spiegato la situazione meglio di te ».

Jacopo rise, e Rachele si sentì in colpa per aver detto quelle cose a Lisa, la sera prima. Probabilmente era stata un po’ avventata: non avrebbe dovuto mettere le cose in chiaro così in fretta perché, ripensandoci a mente lucida, non sapeva neanche lei cosa volesse in realtà. Sapeva solo che, ogni tanto, il solo guardare gli occhi verdi di Jacopo riusciva a scaldarle il cuore, e questo, per il momento, le bastava.

« Com’è andata, ieri sera? »

« Noiosamente » disse la ragazza, sospirando. « Per fortuna ci ha pensato mio fratello ad animare la serata ».

« Ahah.. sì, me lo immagino, quel pazzo furioso. »

« Ragaaaazzi! »

Rachele e Jacopo voltarono subito la testa verso la fine del bus, dalla quale stava arrivando una Lisa che, considerata la faccia, si era addormentata sul sedile.

« Buongiorno » dissero i due, in coro. Lisa si piazzò davanti a loro barcollando per le curve, e pensò bene di aggrapparsi al sedile di Jacopo.

« Indovinate che giorno è oggi! » esclamò, radiosa.

« E martedì, Lisa » rispose Rachele, aggrottando le sopracciglia.

« Un punto per te, ragazza dai lucenti capelli rossi » fece, annuendo convinta. « Questa domanda è per Jacopo: che giorno sarà fra due giorni? »

Rachele si passò una mano sulla fronte: certe volte Lisa riusciva ad essere davvero snervante, non si capiva mai dove volesse andare a parare.

Jacopo, invece, aggrottò le sopracciglia. « Devo contare anche oggi o parto da domani? »

« Giovedì », disse Rachele, con uno sguardo di scuse rivolto al compagno di classe. « E che cosa succede giovedì, cara Lisa? »

chiese, dato che dalla sua espressione si capiva chiaramente che moriva dalla voglia di dirlo.

« Con l’autorità di cui dispongo in quanto rappresentante d’istituto, » cominciò, pavoneggiandosi come faceva sempre. « Ho, grazie alla mia mente brillante, organizzato niente poco di meno che.. », si interruppe, guardandoli.

« Ok, amica dalla alta carica, » disse sarcasticamente Jacopo, intuendo che la ragazza non avrebbe ripreso a parlare finché qualcuno dei due non avesse detto qualcosa. « Attimo di suspense finito ».

« Sei un dannato, Jacopo » rispose lei, altezzosa. « E io che faccio così tanto per voi! »

Dopo essersi guadagnata ben due occhiatacce, decise che era il momento di sputare il rospo.

« Ok, va bene, va bene. Dopo una settimana che organizzo tutto, parlo con le più alte autorità della scuola quali preside, vice-preside e compagnia, dopo averli assicurati che le previsioni del tempo per venerdì sono ottime.. sono lieta di annunciarvi che andremo allo zoo! »

Lisa era così orgogliosa di sé stessa che Rachele proprio non ci riuscì, dopo un attimo di stupore, a dirle che era una pessima idea.

Jacopo, invece, che era conosciuto per la sua quasi inesistente sensibilità, disse, con le

sopracciglia aggrottate: « Ah, ehm.. e perché?! »

Rachele si mise una mano davanti alla bocca e si girò dall’altra parte, guardando fisso

dall’altra parte del vetro, per evitare di scoppiare a ridere in faccia all’amica. Immaginò,

però, che la sua espressione dovesse essere tutta un programma, orgogliosa com’era.

Cinque secondi dopo, infatti – Rachele immaginò che quei secondi erano stati necessari alla ragazza per riprendersi dallo shock – la sua voce altera e acida ruppe il silenzio.

« Non mi aspetto che uno come te possa capire, Jacopo. E lo stesso vale per te, signorina! »

Rachele aspettò di sentire il rumore dei passi dell’amica che andava, molto risentitamente, a sedersi al suo posto, prima di guardare Jacopo e scoppiare finalmente a ridere.

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Capitolo 3
*** Capitolo Tre ***


Capitolo tre

 

 

Come per ogni normale essere umano, c’erano molte cose che a Rachele non piaceva fare. Buttare la spazzatura, per esempio. O uscire scalza sul balcone per cercare dei calzini stesi, o ancora le matite non appuntite, i libri messi al contrario, il latte troppo caldo e un altro centinaio di cose.

Detto francamente, a Rachele non piaceva neanche studiare. Però lo faceva, perché doveva farlo. Aveva la nettissima impressione che il compito in classe di matematica fosse andato male, dunque, in quel momento, era immersa in una marea di seno e coseno, premendosi di tanto in tanto le dita sulla fronte come per chiedere gentilmente al cervello di azionarsi.

Se c’era una cosa che non le piaceva addirittura più dello studiare, era studiare in mezzo al rumore. Il distrarsi continuamente a causa di suo fratello che gridava - « Ho vinto io! » « Chele, guarda, la macchina gialla mi ha superato! » - davanti alla playstation, di sicuro non la aiutava.

Lei non chiedeva molto, in verità. Le sembrava che le sue richieste fossero più che lecite. “Mamma, io devo studiare. Se vuoi che faccia la babysitter nonostante questo, almeno pagami”, aveva chiesto, per quella che doveva essere la centesima volta, alla madre, prima che uscisse. E, per quella che doveva essere la centesima volta, la madre le aveva risposto con un divertito “non se ne parla”.

Improvvisamente, il campanello di casa suonò.

“Come se non bastasse!”, pensò la ragazza, alzandosi. “Saranno i soliti venditori di lavatrici, o apriscatole, o chissà quale diavoleria appena inventata”.

Si trascinò a passi pesanti verso l’ingresso, lanciando un’occhiata al fratello che, concentratissimo, armeggiava con il joystick.

Aprì la porta, pronta a guardare con aria di sufficienza il venditore ambulante, e invece quasi dovette tenersi la mascella con la mano per lo stupore.

Appoggiato al muro, mani in tasca, con un codino che lasciava libero qualche ciuffo e quegli occhi che le fecero venire una stretta allo stomaco, c’era proprio Gianluca.

« Tu?! », chiese Rachele, troppo sorpresa per accorgersi di essere scortese; dopotutto, aveva avuto la nettissima sensazione che se avesse potuto, quel tizio l’avrebbe bruciata viva. Ok, forse stava galoppando un po’ troppo con la fantasia, ma di sicuro non le avrebbe fatto niente di bello. « Cioè, ehm, tu.. sì, che cosa ci fai qui? »

Gianluca si drizzò, piazzandosi davanti a lei e inarcando un sopracciglio.

« E chi ti aspettavi, Babbo Natale? », chiese, sarcastico. « Scusa l’intrusione, ma ieri mi sono accorto di aver perso il cellulare, e magari l’ho perso proprio qui, quando sono venuto a cena ».

« Oh, ovviamente! » esclamò la ragazza, dandosi mentalmente della stupida. Perché mai avrebbe dovuto essere ovvio? E soprattutto, perché era la seconda volta che si dava mentalmente della stupida per colpa di quel tizio lì? « Certo, entra.. di sicuro è in cucina o in salotto, anche se non mi pare di averlo visto ».

« Grazie ». Gianluca entrò in casa sfregando le scarpe sul tappeto e guardandosi intorno. Rachele notò divertita che i suoi occhi indugiarono un secondo di più su suo fratello Stefano, assottigliandosi. « Comunque, non ti dispiace se controlliamo, vero? »

« No, no » rispose Rachele, chiudendo la porta. « Tanto non stavo facendo nulla ».

Stefano spostò l’attenzione dalla televisione al nuovo arrivato, e il suo viso si illuminò.

« Ciao! Mi hai portato un altro signore con il fucile? », chiese, speranzoso. Rachele gli rivolse un’occhiataccia, imitata prontamente da Gianluca – anche se la sua era decisamente più omicida -, che la seguì in cucina.

« Beh, » fece Rachele, le mani sui fianchi. « Chi lo trova vince un biscotto al cioccolato ».

Gianluca fece un mezzo sorriso, scostandosi i capelli dagli occhi, e cominciò a cercare sotto il tavolo.

Rachele rimase per un po’ a fissarlo perché, prima di tutto, le sembrava piuttosto strano cercare un cellulare sotto il tavolo e poi, perché doveva ammettere che il ragazzo non era niente male.

« Qui non c’è niente », disse, riemergendo da sotto il tavolo. Rachele pensò che probabilmente avrebbe dovuto darsi una mossa anche lei a cercarlo, e cominciò a controllare dietro il tostapane e nel contenitore della frutta, sentendo due occhi puntati sulla sua schiena che probabilmente si chiedevano se fosse scema. “Beh, meglio dietro il tostapane che sotto il tavolo”, pensò, fiera di sé stessa.

Improvvisamente un fischio la riportò alla realtà. « Oh, il caffè! », esclamò, affrettandosi a spegnere il fuoco. « Me ne ero dimenticata! »

Gianluca si appoggiò al ripiano della cucina. « Non stavi facendo nulla, eh? », chiese, scettico.

« Il mio “nulla” comprende un sacco di cose » ribatté, acida, versando il caffè. « Tu lo prendi? Con quanto zucchero? »

« Sì, amaro, grazie », rispose, con un sorrisino.

Rachele fece una smorfia, posando le tazzine e lo zucchero sul tavolo. « Amaro.. », mormorò, pensando ad alta voce e versandosi due cucchiaini abbondanti di zucchero. « Beh, non ti siedi? »

Gianluca andò subito a sedersi di fronte a lei, poi la guardò e disse: « sì, amaro, mi piace sentire il sapore del caffè ».

Lei lo fissò per un lungo attimo e, non sapendo cosa ribattere, cominciò a sorseggiare il caffè, maledicendo tra sé e sé quegli odiosissimi momenti di silenzio imbarazzante.

 

 

 

Lui nel frattempo prese a fissarla, perdendo il suo sguardo tra i capelli ricci e rossi di lei, che sembravano quasi ipnotizzarlo e lui non sapeva perché, e continuando a bere il caffè: « Beh, tutto bene? Tuo fratello ha strappato altri libri? »
Rachele arrossì visibilmente e il caffè sembrò andarle di traverso, ma riuscì a ricomporsi quasi subito. « No, strappa solo i libri lasciati irresponsabilmente incustoditi,
» rispose, con un tono lievemente sarcastico.
Gianluca non rispose e continuò a fissarla, a seguire ogni piccolo movimento dei suoi boccoli. Lo incantavano.
« Ho qualcosa nei capelli?!
»  aggiunse lei, allarmata.
Gianluca scoppiò a ridere a quella frase, scoprendo una fila di denti drittissimi e bianchi, frutti di anni di apparecchio ai denti, e scosse la testa lentamente. « No, tranquilla, è tutto a posto! Comunque, temo che dovresti insegnare al tuo fratellino di non toccare le cose altrui.
»
Rachele sbuffò, alzando gli occhi al cielo. « Ci proverò, ma non ti prometto niente.
»
Lui le sorrise. « Grazie » disse semplicemente, poi dopo una breve pausa, finendo il caffè dalla sua tazzina, disse: « Dato che sicuramente in questa stanza del mio cellulare non c'è ombra, per evitare di perdere tempo che ne dici di farlo squillare?
»
Rachele parve illuminarsi, magicamente, come quando nei cartoni animati si accende una lampadina vicino alla testa del personaggio.
« Uh, giusto!
» Rachele si allungò verso il ripiano della cucina e prese un cellulare, evidentemente il suo, « Dettami il numero. »

Gianluca annuì e le dettò velocemente il numero, che sapeva a memoria, naturalmente. « Ora non ci resta che tendere l'orecchio. »
Aspettarono per un attimo in silenzio, poi in lontananza si sentì una musica, evidentemente una suoneria, che squillava. Era una canzone di Giovanni Allevi, un famoso compositore Italiano, ed era impossibile non sentirla.
« Simpatica la suoneria!
» disse Rachele.

« Grazie.. Allevi, lo conosci? » disse lui, alzandosi dalla sedia dov'era seduto e orientandosi seguendo il suono, facendo per uscire dalla cucina. Non voleva smettere di fare conversazione: lo trovava terribilmente piacevole.
« Ehm..
» Rachele esitò un poco, « Veramente non ho la più pallida idea di chi sia. »
Gianluca scoppiò in un'altra risata, ancora una volta perfetta, « Non importa.
»

Non aggiunse nient'altro, e proseguì lungo il corridoio fino ad arrivare in salotto, dove la suoneria era praticamente sovrastata dai rumori che provenivano dalla tv, a causa della Playstation di Stefano, che nel frattempo era scatenato come non mai.
Infatti, Stefano si mise a gridare proprio in quel momento. « Sono io il migliore, stupida macchina gialla!
» esclamò con aria arrabbiata, agitando il joystick contro lo schermo. Rachele alzò gli occhi al cielo, o meglio al soffitto, dicendo: « Ovvio, sei sangue del mio sangue. » Stefano le batté un cinque, tutto contento.
Rachele ritornò a rivolgersi a Gianluca, che nel frattempo aveva riso ancora osservando la complicità dei due fratelli. « Dunque.. il suono sembra provenire da qualche parte dietro il divano, no?
»
Gianluca annuì. « Hai ragione, aspetta.. 
», si accucciò per terra per osservare meglio sotto il divano, tenendosi i capelli scuri con una mano, « Forse.. Eccolo! »

Rachele sbuffò. « Diamine, il biscotto te lo sei guadagnato tu. »
Gianluca estrasse da sotto il divano il proprio cellulare, con aria trionfante, e si rialzò in piedi. « Giusto, guarda che lo voglio veramente,
» tornando a fissarla.
Lei si guardò intorno spaesata. « Guarda, al momento dispongo solo dei biscotti che ho fatto io prima presa da un momento di pura follia. Vuoi rischiare?
»
Gianluca le sorrise cortesemente.
« Ah, cucini pure? Beh, almeno se muoio dopo averli assaggiati, sanno chi incolpare. E, grazie per il cellulare. Ieri mattina stavo andando di matto quando mi sono accorto che non l'avevo più. »
«Mio fratello è ancora vivo.. Ma premetto che non ho avuto il coraggio di assaggiarli, ma lui dice che sono buoni, » disse Rachele, indicandolo col pollice con un’aria fiera, poi aggiunse, ritornando in cucina: « Immagino, purtroppo la nostra generazione è tecnologia-dipendente. »
Gianluca la seguì verso la cucina. « Questo mi consola.. Beh, assaggiamoli. » Si ficcò il cellulare in tasca, «E comunque sì, è verissimo. » concordò, pensando che quella ragazzina poteva essere anche molto saggia, quando voleva. Non era così irritante come pensava. Una volta arrivati in cucina, Rachele prese un vassoio coperto da un tovagliolo da sopra il forno a microonde. Tolse il tovagliolo, e fissò sospettosa i biscotti, che d’aspetto sembravano buoni ed innocenti. «Beh, a te l’onore. »
Gianluca ne prese uno, lo esaminò attentamente con lo sguardo assottigliando gli occhi, ed infine lo mise in bocca mangiandolo e masticandolo lentamente.
Improvvisamente, il suo sguardo si riempì d’orrore. Rachele, che già aveva allungato la mano per prendere uno, notò la scena e ritirò la mano immediatamente, preoccupata.
«Emh.. Qualcosa non va? » gli chiese invece, con espressione angelica.
Gianluca la guardò dritto negli occhi. « Acqua, » disse solamente, « Acqua!»

Lei si alzò di scatto, si precipitò a prendere un bicchiere e lo appoggiò sul tavolo accanto a loro. Andò verso il frigo, lo aprì, lo chiuse, ed esclamò guardandosi intorno: « E dov’è finita l’acqua?! »
In una frazione di secondo riaprì il frigo, prese la prima bibita che trovò e gliela versò nel bicchiere così velocemente che un po’ ne cadde addirittura sul tavolo.
Gianluca per tutto il tempo neanche la guardò, aveva gli occhi chiusi mentre si sentiva la gola praticamente bruciare; poi all’ultimo afferrò il bicchiere e buttò giù tutto d’un fiato quella che si rivelò essere della coca-cola. Finito di bere, fece un sospiro profondissimo e posò il bicchiere vuoto sul tavolo, riaprendo contemporaneamente gli occhi e fissando Rachele.
« Forse.. Forse hai esagerato un po’ col sale.. »
« Sale?! » chiese lei, esterrefatta, « Sale?! Ma mio fratello mi aveva detto che erano buoni, la mia carriera di cuoca è finita ancora prima di cominciare.. »
« Sì, sale! Lo avrai scambiato con lo zucchero.. » ribatté lui, annuendo vigorosamente, ancora sotto shock, « Tuo fratello ha qualcosa che non va.. »
« Sarà stato lui a finire tutta l’acqua, probabilmente.. » disse Rachele con aria pensierosa. Poi si girò per guardare Gianluca, e tormentandosi le unghie, disse « Ehm.. Scusa. » per poi scoppiare a ridere.
Gianluca prima la fissò esterrefatto, sentendosi preso un po’ in giro, poi si unì alla sua risata.
« Ehi, okay che ho ritrovato qui il mio cellulare, ma così non va, voglio essere rimborsato, è tentato omicidio.. » disse fra le risate, continuando a guardarla.
« Sì, ma ti ho anche salvato la vita! » ribatté Rachele con aria fiera, « Se non fosse stato per la mia prontezza di riflessi nel versarti la coca-cola, adesso saresti morto! Dovresti ringraziarmi, ingrato! »
Gianluca esibì una faccia sorpresa. « Grande consolazione, della coca-cola! avevo richiesto dell'acqua, della sana e pura acqua, e neanche quella! » ribatté, scuotendo la testa con aria contrariata, continuando a sorridere.
Lei sbuffò e voltò la testa dall’altra parte fingendosi offesa. «
Accontentati di essere vivo, e pensa a come sarebbe stato se invece della coca-cola in quella bottiglia ci fosse stato dell'arsenico! »

« Ah, scusami..! Grazie, per avermi salvato la vita..! » disse con lui con un tono parecchio sarcastico, e si avvicinò appoggiandole una mano sulla spalla, in modo che lei si girasse.
Lei arrossì e si girò di scatto, fissandolo per un po’.
«
Beh.. eh.. sì, fai bene a ringraziarmi.. » bofonchiò lei, stupidamente e confusamente, come se non sapesse quello che stava dicendo.
Gianluca non parlò e la guardò intensamente nei suoi occhi colori cioccolato, notando che era vagamente arrossita, poi lei si allontanò e lui la lasciò fare. Non aggiunse nient’altro, si limitò solo a scrollare le spalle.
Gianluca decise che doveva andarsene. « Beh, grazie di tutto veramente, a parte gli scherzi, ma adesso devo proprio scappare. »
Rachele annuì. « Figurati, è stato un piacere. » e lo seguì mentre lui usciva dalla cucina e si dirigeva verso la porta d’ingresso.
Gianluca le sorrise gentilmente, e passando per il salotto salutò Stefano, ancora appiccicato alla PlayStation, che non gli badò. Arrivò alla porta, e l’aprì.
« Allora.. a presto. »
« Sì, alla prossima.. E mi assicurerò di comprarli, i biscotti. » lo salutò lei, toccandosi il collo con una mano.
Lui le regalò un ultimo sorriso a trentadue denti. « Sì, è decisamente meglio così, credimi. Ciao. »
Gianluca uscì dall’appartamento e si chiuse la porta alle spalle. Scese le scale del condominio a due a due, com’era solito fare, e mentre stava per arrivare al portone d’ingresso, estrasse nuovamente il proprio cellulare dalla tasca dei jeans. Lo controllò: tre nuovi sms, e due chiamate perse. Scorse l’elenco delle chiamate a cui non aveva risposto, e vi trovò un numero che non aveva salvato in rubrica: quello di Rachele. Decise di memorizzarlo sulla rubrica, ed uscì dal palazzo con un sorriso che gli illuminava il volto.
Rachele, quella strana ragazzina..

 

 

 

 

 

 

 

Amici lettori e amiche lettrici, qui è AllegraRagazzaMorta! Prima di tutto voglio (anzi, vogliamo, faccio anche le veci di Adrienne) ringraziarvi. Grazie per i seguiti e grazie per le letture. Un grazie a Kite e Laura93 che hanno recensito lo scorso capitolo!

Speriamo davvero che questa storia vi appassioni, così come ci siamo appassionate noi (e ci appassioniamo tutt’ora) a scriverla.

Pooooi vi facciamo degli auguri enormi! Per il Natale in ritardo, e per il nuovo anno in anticipo! XD

Ci risentiamo l’anno prossimo col capitolo quattro! Grazie e ancora auguri.

Recensite! :-) xD

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Capitolo 4
*** Capitolo Quattro ***


Capitolo quattro

Capitolo quattro

Quella sera Rachele non riusciva proprio a prendere sonno, il che era piuttosto insolito, considerando la giornata che aveva avuto. A scuola c’erano state cinque ore fitte di spiegazioni, contro spiegazioni, vocaboli latini mai sentiti, formule da attacco cardiaco e chi più ne ha più ne metta. Il pomeriggio, poi, aveva tentato di studiare con risultati alquanto scarsi, causa era stata l’irrequietezza di suo fratello che inizialmente proprio non voleva saperne di smettere di gridare davanti a quell’aggeggio infernale e, successivamente, era riuscito a versarsi lo yogurt in testa gridando che se il guidatore della macchina gialla aveva i capelli bianchi, allora doveva averceli anche lui, perché era il più forte e di sicuro i suoi sarebbero stati migliori. Dunque la sfortunata ragazza, dopo aver lavato le chiazze bianche di yogurt dal pavimento, aveva anche dovuto convincere uno Stefano riluttante a farsi il bagno, sperando che gli avrebbe lavato anche il cervello da tutte quelle stupidaggini.

Senza contare, poi, la visita a sorpresa che aveva ricevuto nel bel mezzo del pomeriggio. Quel ragazzo, Gianluca, non era poi tanto male, doveva ammetterlo. Si conoscevano fin da quando erano piccoli, ma stranamente non si erano mai rivolti la parola tanto che quell’unica volta all’anno in cui si vedevano Rachele dubitava perfino che si chiamasse Gianluca. Nella sua mente l’aveva sempre chiamato soltanto “Gian” e occasionalmente lo abbinava con altri nomi che davano come risultato “Gianmarco” o “Gianluigi” e così via. Ripensandoci, Rachele non riusciva a darsi una spiegazione. Ok, aveva creduto per anni che fosse un musone asociale, ma perché non rivolgergli la parola? Probabilmente perché lei era una ragazza sostanzialmente allegra e non si trovava a suo agio con persone troppo inquadrate, si rispose. Ma adesso che aveva scoperto che in realtà non era poi così introverso, quell’unica cena all’anno avrebbe potuto mutare da noiosa a piacevole.

Improvvisamente si ricordò di aver salvato il suo numero, quel pomeriggio, e si chiese se fosse stata troppo maleducata. Avrebbe voluto mandargli un messaggio, per chiedergli come fosse andato l’esame, dato che quando si erano visti se ne era completamente dimenticata, e soprattutto si sentiva in colpa per quello che aveva fatto suo fratello. Dopotutto, non era forse sua responsabilità controllarlo e impedirgli di far danni?

Ma se a Gianluca non avesse fatto piacere, il suo messaggio? Se avesse pensato qualcosa tipo “e adesso che cosa vuole, questa? Non le basta avermi quasi ucciso con quei biscotti?” o avesse risposto in modo scontroso o non l’avesse addirittura degnata di una risposta?

Rachele si fermò un attimo a riflettere. Se Gianluca non le avesse risposto, sarebbe stato a significare che non aveva neanche il suo numero salvato e quindi non sarebbe stato un problema, dato che non avrebbe mai saputo che in realtà si trattava proprio di Rachele. Se Gianluca le avesse risposto chiedendole chi fosse, lei non gliel’avrebbe detto e se ne sarebbe fregata e, infine, non era possibile che lui le rispondesse male nonostante avesse il suo numero salvato, perché se quel pomeriggio l’aveva salvato, stava significare che almeno un po’ simpatica gli era stata.

Dunque Rachele si armò di coraggio e prese il cellulare dal comodino, cercando di auto convincersi e di assumere un’aria sicura. Neanche a farlo apposta, in quel momento il telefono vibrò. “Un segno del destino?”, si chiese, leggendo il mittente. Era Jacopo che le augurava la buonanotte e le raccomandava di non fare ritardo la mattina successiva, altrimenti l’autobus per lo zoo l’avrebbe lasciata a piedi.

Tsk, come se io potessi fare ritardo!”, pensò Rachele, sorridendo.

Dopo aver risposto, si chiese se fosse sbagliato nei confronti di Jacopo, scrivere a Gianluca. Ma tra lei e Jacopo non c’era ancora nulla, e soprattutto lui non l’avrebbe mai saputo. E poi che motivo c’era di sentirsi in colpa? Voleva solo sapere come era andato l’esame di un tizio che conosceva appena.

Si armò di coraggio una seconda volta e scrisse finalmente il messaggio. Niente di particolare, gli chiese soltanto come fosse andato l’esame, dato che il pomeriggio si era dimenticata di domandarglielo, e si augurò che il docente non gli avesse chiesto proprio la pagina che Stefano aveva brutalmente strappato.

Appoggiato il cellulare sul comodino, accarezzò con un dito il braccialetto d’argento al polso sinistro, come faceva ogni sera, e dopo quelle che le parvero ore, si addormentò.

*
Gianluca spense con aria annoiata la televisione, e buttò il telecomando sul divano su cui era spaparanzato proprio in quel momento.
Era mezzanotte passata, e lui cominciava ad essere stanco, ma non perché lo fosse realmente: più che altro lo era per la noia che lo tormentava. Non aveva nulla di eccitante da fare, e in televisione non c’era proprio niente d’interessante, nonostante gli ottocento e passa canali che la televisione via cavo gli proponeva. Avrebbe potuto leggere, o ascoltare della musica, ma non ne aveva alcuna voglia in quel momento.

Rimase in silenzio a fissare il suo riflesso sullo schermo nero della televisione spenta, finché non vide con la coda dell’occhio che sul tavolino là vicino, il suo cellulare vibrò appena e fece una lucina.
Sicuramente doveva aver ricevuto qualche chiamata o un messaggio, ma con il volume alto della televisione non aveva sentito la suoneria, così il cellulare lo stava avvisando in ritardo. Allungò il braccio per prendere il cellulare, rimanendo immobile col resto del corpo.
Un nuovo messaggio. Chi poteva essere? Non aspettava notizie da nessuno.
Quando lesse il mittente, sgranò un poco gli occhi.
Rachele.
Gli chiedeva come fosse andato il suo esame, dato che nel pomeriggio si era dimenticata di chiederglielo.
Gianluca pensò che era un gesto proprio carino e che quella ragazza era davvero adorabile, oltre che strana. Nessuno – pensò - avrebbe mai avuto questo pensiero per lui. Con una punta d’orgoglio e di felicità, si disse che probabilmente era stato simpatico alla ragazza. In fondo, se gli aveva mandato un messaggio, lei l’aveva pensato.. E aveva addirittura deciso di memorizzare il suo numero.. No?
Gianluca si fermò a riflettere.
”Perché penso queste cose di una ragazzina che conosco appena? E poi, è praticamente una bambina!” pensò, incredulo.
Nonostante tutto, non aveva senso non ammettere che gli aveva fatto piacere, così senza pensarci si ritrovò davanti alla schermata vuota dei messaggi, pensando a cosa scriverle per risponderle. Forse non era troppo tardi, per farlo, però? Magari lei stava dormendo. Gianluca pensò che probabilmente avrebbe letto la risposta l’indomani mattina, quando si sarebbe svegliata per andare a scuola.
Le scrisse che l’esame, nonostante la pagina strappata, gli era andato bene e che era riuscito a prendere 27. La ringraziò per il pensiero ed infine aggiunse: “Ti auguro una buonanotte o un buongiorno, dipende da che ora stai leggendo questo messaggio. A presto.”
Lo inviò e posò il cellulare di nuovo sul tavolino accanto a sé, con un sorriso.
Mentre Gianluca si dirigeva verso il bagno per lavarsi i denti prima di andare a dormire, rifletté un poco ancora.

Rachele era una ragazzina, okay, ma questo non escludeva il fatto che fosse una persona simpatica. Non le aveva mai parlato prima, e ad ogni cena, che avveniva una volta all’anno, aveva sempre pensato che fosse troppo timida per proferir parola; invece, a quanto pare, si era totalmente sbagliato. Era socievole, allegra, e gentile. Doveva ammettere che non era niente male, e che c’era una cosa che gli piaceva particolarmente, di lei: i suoi bellissimi capelli ricci e rossi. Gli veniva voglia di toccarli, ogni volta che li vedeva.
Gianluca si stupì che ancora continuasse a pensarla e scosse lievemente la testa come per far scivolare via questi pensieri da sé.
Finì di lavarsi i denti, si spogliò, mise il pigiama – una maglietta a maniche corte e dei pantaloni di tuta – e si infilò a letto. Fissò il soffitto, e improvvisamente gli venne in mente che l’indomani mattina avrebbe dovuto fare colazione con Gabriele.
Allora puntò la sveglia sul suo comodino alle nove, si mise di nuovo sotto le coperte, e si addormentò quasi all’istante.

*

Quando si svegliò, Rachele si accorse con un sorriso che c’era il sole. Con una rapida occhiata all’orologio, si accorse di essere in ritardo. Fece la doccia e si vestì con una rapidità impressionante,  chiedendosi se per caso non fosse colpa del karma: lei aveva fatto un torto a Jacopo mandando un messaggio a Gianluca, e per punizione si era svegliata tardi.

Imprecò nella sua mente, pensando di non avere neanche il tempo di controllare se le fosse arrivata una risposta. Lo fece solo dopo che, uscita di casa correndo con uno svolazzante “ciao mamma, ciao papà!”, con la sciarpa e il cappotto in una mano e lo zaino nell’altra, si fu lasciata cadere pesantemente nel sedile vuoto accanto a quello di Jacopo, sull’autobus, accolta dalle occhiatacce dei suoi compagni.

« E’ colpa tua », disse, rivolta a Jacopo. « Porti sfortuna ».

« No, io sono il tuo grillo parlante », rispose lui, accarezzandole una guancia.

Rachele inarcò un sopracciglio e prese finalmente il cellulare dalla tasca, pronta a leggere il “nuovo messaggio”. Come si aspettava, era la risposta di Gianluca. Le diceva che era riuscito a prendere ventisette e le augurava la buonanotte, o il buongiorno.

Rachele allora pensò che non la trovava così irritante come credeva e, involontariamente, sorrise.

« Perché ridi? », le chiese Jacopo, fissando il cellulare. « Fammi vedere! »

« Niente », rispose la ragazza, cercando di nascondere il cellulare, ma Jacopo fu più veloce e, con un allungamento del collo degno di una giraffa, riuscì a scorgere il mittente.

« Chi è Gianluca? », chiese, cercando di mantenere un tono di voce normale, ma Rachele riuscì a scorgere una punta di gelosia e rise.

« Non è nessuno! », rispose, sorridendo.

« Ah, sì? Allora fammi leggere ».

« E’ il figlio dell’amica di mia madre, Jacopo. Quello della cena ».

« E perché ti scrive? »

« Gli ho scritto io, in realtà, per chiedergli come gli fosse andato un esame ».

« E a te che importa? »

« Jacopo, piantala ».

Rachele si passò una mano sulla fronte, come faceva sempre quando era irritata. Il ragazzo la guardò intensamente per un attimo e poi, chiamato dai loro compagni di classe, si alzò avviandosi verso il retro dellautobus.

Lisa sbucò dal sedile dietro il loro e, con lo sguardo di una che la sa lunga, disse: « Lhai fatta, cara. Stavolta ti salvi da sola ».

Rachele imprecò mentalmente una seconda volta. « Non è colpa mia, è colpa del karma », sussurrò.

*

Gianluca scese dalla sua Range Rover LLC nera, appena posteggiata. Mise l
antifurto e si infilò le chiavi nella tasca anteriore dei jeans, al sicuro.
A dieci passi da l
ì cera il bar dove lui e Gabriele avevano trascorso i migliori pomeriggi della loro adolescenza, e in cui di tanto in tanto si vedevano per prendere un caffé e parlare del più e del meno.
Anche quella mattina avevano appuntamento l
ì. Non si vedevano da un po, e Gianluca era sicuro che lamico avrebbe avuto un sacco di cose da raccontargli.
Non aveva quasi niente in comune con Gabriele. Lui
Gabriele - era un ragazzo che amava le feste, conoscere sempre persone nuove, che era continuamente in contatto con dieci persone diverse, passava da una donna allaltra, amava quelle ridicole canzoni pop che passavano alla radio e vestiva, molto spesso, con un mucchio di roba firmata.
Gianluca era l
opposto di tutto ciò, ma non avrebbe mai rinunciato allamicizia di Gabriele neanche per tutto loro del mondo. Gli era stato vicino in un mucchio doccasioni, era stato il suo migliore amico al liceo e continuava ad esserlo. E spesso sembrava leggergli nel pensiero. Insomma: era una persona straordinaria e gli voleva bene. Non importava che fossero tanto diversi.
Gianluca entr
ò nel bar, e si sedette ad uno dei tavolini. Naturalmente, Gabriele era in ritardo: tipico. Lui ingannò lattesa guardandosi attorno, e sfogliando il menù, che ormai praticamente conosceva a memoria, e che neanche gli serviva. Non era mica cambiato, in tutti quegli anni.
Cinque minuti dopo all
incirca, Gianluca vide lamico entrare nel bar. Incrociò il suo sguardo, e Gabriele gli sorrise venendogli incontro.
Gabriele era un ragazzo alto e magro, con un bel fisico, occhi neri e capelli altrettanto scuri sparati quasi sempre in aria con del gel. Arriv
ò al tavolino dovera seduto Gianluca, e si sedette sulla sedia di fronte a lui.
« Ehilà, amico mio, come va? » lo salutò allegramente Gabriele, come sempre.
Gianluca sorrise.
« Tutto bene, e tu? »
« Alla grande. Allora, che prendiamo? Il solito? »
Le ordinazioni erano sempre la stesse: caff
é e cornetto per Gianluca, cappuccino e ciambella fritta per Gabriele. Ecco, anche queste piccole abitudini facevano da decoro alla loro amicizia, ormai.
Ordinarono e quando il cameriere se ne and
ò, ripresero a parlare.
« Gianlu, è da tanto che non ci si vede, allora! Perché non mi hai detto com’è andato lesame? » riprese infatti Gabriele.
« Eh, perché avevo perso il cellulare.. »
Gabriele sgran
ò gli occhi e lo guardò come se gli avesse detto che la terra, in realtà, era piatta. « Cosa?! Oddìo, e lhai ritrovato? »
Gianluca trattenne a stento una risata per la sua reazione, ed annu
ì. « Sì, tranquillo, era a casa di unamica dei miei, te lho detto che io e mia madre andavamo a cena da loro laltra sera, no? Ecco, lho perso lì. »
« E poi te lhanno ridato loro? »
« No, ieri pomeriggio ci sono andato per controllare se lavevo perso lì, e fortunatamente il mio cellulare era sotto il divano del salotto. »
Gianluca evit
ò accuratamente di fare il nome di Rachele. Non sapeva perché.
« Ho capito.. Beh, meglio così. E quindi, lesame? »
« E andato bene, ho preso 27. »
« Ottimo! Te lho detto che sei bravo e che sarebbe andato bene. »
« Sì, grazie mille.. » disse Gianluca con un sorriso. Non gli piaceva parlare di lui, così si preoccupò di spostare il discorso su altro. « E tu invece, che novità hai da raccontarmi? Lo sai che la mia vita, rispetto alla tua, è vuota. »
Gabriele scroll
ò le spalle e cominciò a giocherellare con il porta tovaglioli sul tavolino. « Nulla di che.. Solite feste, solita noia, vita normale. Non c’è nulla di nuovo.. A parte Claudia. »
Gianluca alz
ò gli occhi ai cielo.
Andava sempre cos
ì, con Gabriele. Lui passava da una donna allaltra, okay, ma la cosa che dava più fastidio a Gianluca e che era davvero molto ridicola, era che ogni volta Gabriele pensava che questa donna fosse la donna della sua vita. Dichiarava di esserne innamorato, che gli piaceva davvero, e poi se ne dimenticava una settimana dopo, già stufo, e pronto a chiamare la prossima sullelenco.
Gianluca glielo aveva fatto notare molte volte, ma ormai ci aveva perso la speranze. Gabriele gli diceva sempre che lui non poteva capire, e che si sbagliava, perch
é non era così.
Ora c
era questa Claudia.
« Gabri.. di nuovo? » mormorò Gianluca, mentre il cameriere di prima portava loro ciò che avevano ordinato in precedenza.
Gabriele arricci
ò le labbra. «Dai, Gianluca, non cominciare.. »
Gianluca pens
ò che non aveva senso mostrarsi ostile. « Beh dai, parlami di questa Claudia.. »
« Ha diciannove anni, è davvero carina, simpatica.. E dovrei uscire insieme a lei stasera. » disse tutto dun fiato Gabriele.
« Ah, davvero? Bene! Andrà sicuramente bene, lo sai.. »
« Sì ma, » Gabriele esitò, « Ci sarebbe una cosa.. »
Gianluca, che aveva appena dato una sorsata al suo caff
é, fece una smorfia. Troppo zucchero.
« Che cosa? » chiese poi, lievemente preoccupato.
« Ecco.. Claudia, ha detto che usciva con me solo se presentavo alla sua migliore amica un ragazzo, e a patto che uscissimo tutti e quattro assieme, prima. » disse Gabriele.
Gianluca lo guard
ò esterrefatto e posò di scatto la tazzina di caffé sul piattino. « Non avrai mica pensato che.. »
Gabriele esib
ì unespressione implorante. « Dai, Gianluca, ti prego! Non ti costa nulla, devi soltanto presentarti alla sua amica e tenerle compagnia, chiacchierarci! » esclamò.
Gianluca odiava queste cose. Le odiava dal pi
ù profondo del cuore, così scosse la testa ancor prima che lamico completasse la frase. « No, Gabriele, niente da fare.. »
« Non lo faresti neanche per me, il tuo migliore amico? » disse ancora Gabriele.
« Ma non puoi presentargli qualcun altro? » disse Gianluca, infastidito.
« Non mi fido di nessuno come mi fido di te, e poi le ho già detto che il mio amico si chiama Gianluca.. Dai! Se non ti interessa niente di conoscere una ragazza e non capisco neanche perché, poi fallo per me! Altrimenti questa mi scarica! » insisté ancora Gabriele, parlando a mò di cantilena.
Gianluca rimase un attimo in silenzio. Stranamente non gliene fregava niente di conoscere una ragazza, semplicemente perch
é non dava troppa importanza a queste cose. Ma non gli sarebbe piaciuto avere qualcuno accanto a sé? Sì, gli sarebbe piaciuto.
Ma lui era troppo strano, taciturno, sconclusionato, malato..
Cancell
ò questi brutti pensieri dando un morso al suo cornetto, mentre Gabriele lo fissava ancora, con la sua ciambella in mano. Faceva quasi tenerezza.
« Allora? » incalzò.
Gianluca sospir
ò. « E va bene, accidenti. Ma solo per questa volta, capito? E perché sei tu. »
Le labbra di Gabriele si stirarono in un sorriso che arrivava da un orecchio all
altro. « Sei il migliore, Gianluca. Grazie. »
Gianluca annu
ì come per dire che aveva sentito questa frase un mucchio di volte, e tornò a mangiare il suo cornetto. Sapeva che si sarebbe pentito daver accettato. Lo sapeva, ma non riusciva a dire di no al suo migliore amico.

*

Rachele si chiese come fosse possibile che nel bel mezzo di novembre ci fosse tutto quel sole. I suoi compagni di classe erano intenti a gridare e schiamazzare, a dare da mangiare agli animali e a ridere, cosa che a lei non interessava minimamente. Non le piacevano granch
é, in realtà, gli animali, per un semplice motivo: puzzavano. Dunque lei, zaino in spalla e cappotto sottobraccio per il caldo, andò a sedersi proprio dietro al bar, dove cera ombra. Sorseggiando la sua bibita in lattina, rimase a guardare per un po i suoi compagni e cercò con lo sguardo Jacopo.

Le dispiaceva per la semilitigata, però pensava anche che Jacopo se la prendesse troppo per cose stupide. Voleva forse farle credere che lui non parlava con altre ragazze? Ma per favore.

« Posso sedermi? »

La voce di Jacopo era quasi un sussurro, ma nonostante questo era calda e, in qualche modo, rassicurante. Rachele fece cenno di sì col capo e spostò lo zaino dalla panchina, così lui si accomodò.

« Senti », cominciò la ragazza. « Mi dispiace per prima, ma non dovresti prendertela per queste stupidaggini ».

Jacopo sospirò sonoramente. « Lo so, lo so », disse. « E che tu sei sempre così sfuggente.. ogni tanto credo che tu possa dileguarti da un momento allaltro, o scoppiare come una bolla di sapone ».

Rachele, inavvertitamente, scoppiò a ridere.

« Ma che cosa dici, Jacopo! » riuscì a dire, tra le risate. « E poi, pur volendo, che cosa centra? »

Anche Jacopo sorrise, e gonfiò il petto come faceva sempre quando si sentiva punto sul vivo.

« Evidentemente non hai capito quello che stavo dicendo! », disse. « Intendevo dire che mi sembra costantemente di perderti, anche per delle sciocchezze, dunque mi sentirei molto più tranquillo se potessi metterti un cartello al collo con scritto occupato, ecco ».

« Mi dispiace », fece Rachele, sarcastica. « Ma girare con un cartello al collo non rientra esattamente nelle cose da fare prima di morire, non so se mi spiego ».

Jacopo si fece scherzosamente il segno della croce, e congiunse le mani come per pregare.

« Era un esempio, cara », disse, guadagnandosi unocchiata torva.

In un attimo smisero entrambi di ridere, e si guardarono a lungo. Jacopo mise una mano sopra quella di lei, accarezzandola, e con laltra le sfiorò la guancia.

Poi, lentamente, si avvicinò. La mente di Rachele si svuotò, e quasi non riuscì a capire che cosa stesse succedendo. Sentiva solamente un caldo allucinante alle guance e alle orecchie e, quando il naso di Jacopo fu così vicino al suo quasi da toccarlo, chiuse gli occhi.

Le labbra di Jacopo si posarono sulle sue solo per un secondo, e quando la ragazza riaprì gli occhi si accorse che stava sorridendo.

« Che c’è? Non ti basta? Ne vuoi un altro? » chiese lui, guadagnandosi una gomitata nelle costole.

Jacopo si piegò in due dal dolore, ridendo. Appena si fu ricomposto, la prese per mano.

« Forza, torniamo dagli altri! »




Salve gente! Sono Adrienne =D Spero che la nostra storia vi piaccia, ringraziamo Morneeng Yeah, Kite e TheDreamerMagic per le loro recensioni, sperando di riceverne altre! Speriamo anche che questo 2010 sia iniziato nei migliori dei modi!
Ci si rivede al prossimo capitolo... Recensite!! XD

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Capitolo 5
*** Capitolo Cinque ***


Capitolo Cinque

 

Alle nove di sera, Gabriele e Gianluca camminavano per le strade semivuote e buie della città. Avevano appuntamento con le due ragazze proprio di fronte al locale che avevano scelto per quella serata: Gabriele era un esperto in materia. Gianluca aveva dovuto posteggiare lontano la sua auto, e così gli era toccato farsi la strada verso il locale a piedi.
Arrivarono all’ingresso del locale – un massiccio portone di legno - rimanendo in silenzio. Non avevano nulla da dirsi, del resto.
Gianluca non era ben sicuro di quello che stava facendo. Già si era pentito di aver accettato, ma Gabriele sembrava tanto contento di dover vedere questa fantomatica Claudia, che Gianluca non se l’era più sentita di tirarsi indietro. Ed ormai, era uscito con lui e non poteva disertarlo.
« Quando arriveranno, secondo te? » chiese Gianluca all’amico.
« Le donne portano almeno mezz’ora di ritardo, lo sai. »
Gianluca sbuffò, irritato da quella affermazione. Odiava aspettare, specialmente se si trattava di dover aspettare due perfette sconosciute.
Gabriele si appoggiò al muretto vicino al portone di legno del locale, ed estrasse dalla tasca un pacchetto di sigarette – delle Chesterfield Classic Blue - e un accendino. Ne mise una fra le labbra, e riparandola con le mani, se l’accese.
A Gianluca arrivò al naso lo stuzzicante odore del tabacco e guardò Gabriele.
« Mi avevi detto che stavi provando a smettere.. » commentò, con uno sguardo di rimprovero.
« Appunto, stavo provando, » precisò Gabriele dopo un lungo tiro, rilasciando il fumo in aria. Notando che l’amico continuava a fissarlo, gli porse la sigaretta. « Dai, fai un tiro. »
Gianluca lo guardò sgranando gli occhi. « Mi vuoi morto? Anche se è solo una sigaretta, lo sai che non posso. »
Gabriele lo guardò senza dir nulla, poi annuì e finì la sigaretta da solo. Calò un silenzio a dir poco imbarazzante, in cui Gianluca non sapeva proprio cosa dire.
Mentre Gabriele dava un ultimo tiro alla sua sigaretta, individuò due ragazze che si stavano avvicinando.
« Sono loro, » disse all’amico, « Quella a destra è Claudia, l’altra è l’amica. Mi raccomando. »
Gianluca annuì anche se si sentì offeso da quella raccomandazione. A che cosa doveva stare attento, accidenti?
Le due ragazze si avvicinarono a loro, mentre Gabriele si staccava dal muro e spegneva quel che rimaneva della sua sigaretta, schiacciandola sotto la suola della sua scarpa.
« Buonasera, ragazze, » esclamò.
Le due ragazze erano vicine, così Gianluca poté finalmente guardarle. Claudia, quella a destra, era veramente carina. Grandi occhi marroni, una fronte spaziosa, e una coda di cavallo lunghissima di capelli neri. L’altra, l’amica, era altrettanto carina. Occhi marroni anche lei, capelli sulle spalle sul castano scuro, un minuscolo brillantino al naso e delle belle labbra. “Beh,” pensò Gianluca, “almeno è carina.”
« Ciao! » esclamò di rimando Claudia, andando verso Gabriele e scoccandogli un sonoro bacio sulla guancia. Poi inchiodò di fronte Gianluca.
« Ah, ragazze, vi presento il mio migliore amico Gianluca. Gianluca, Claudia, Claudia, Gianluca. » intervenne Gabriele, con un sorriso.
Gianluca strinse la mano a Claudia sorridendo, poi l’altra ragazza si fece avanti.
« Gloria, » gli disse sorridendo, « Piacere. »
Gianluca notò che lo squadrò dalla testa ai piedi. Il pensiero lo imbarazzò, ma le strinse la mano senza fare una piega. « Gianluca. » mormorò.
Terminati i convenevoli, i quattro ragazzi entrarono nel locale.
Lì dentro, molte palle stroboscopiche galleggiavano sulle loro teste roteando e riflettendo specchi di luce sulle pareti, dipinte di colori vivaci. La gente era seduta in tavoli rotondi di legno, e parlava, chiacchierava, mangiava e fumava sotto alcuni scatenati pezzi di musica hip-hop. Secondo Gianluca il locale era carino, a parte la pessima scelta della musica. Il volume era troppo alto, poi.
Una ragazza del locale scambiò qualche parola con Gabriele, e li condusse verso un tavolo vicino la porta d’ingresso, augurando loro una buona serata. Per fortuna tutti i tavoli erano rotondi, così Gianluca capitò fra Gloria e Gabriele. Notò che quel posto era piuttosto scomodo: erano troppo vicini alla porta ed ogni volta che veniva aperta, un folata di aria fredda proveniente da fuori li investiva.
Gianluca prese un menù dal tavolo, e cominciò a sfogliarlo, nascondendosi dietro di esso. Gloria fece lo stesso, mentre Gabriele e Claudia ne sfogliarono uno insieme. Gianluca li sentiva ridacchiare di tanto in tanto e pensò che era davvero ridicolo.
Dopo una breve consultazione, Gianluca optò per un semplice panino e per una birra. Quando anche gli altri ebbero deciso, un’altra cameriera prese le loro ordinazioni e poi sparì.
Gabriele e Claudia cominciarono a parlare fitto fitto, e Gianluca si rese conto che forse quello era il momento giusto per cominciare a socializzare con Gloria.
« Ehm, » bofonchiò, avvicinandosi alla ragazza per parlarle, « Allora, Gloria, che cosa studi? »
La ragazza gli sorrise. Probabilmente era contenta che Gianluca le stesse rivolgendo un po’ d’attenzione.

« Studio legge, » rispose, « E tu? »
« Io studio lingue moderne. Dev’essere difficile, la facoltà di legge.. »
« Se una cosa del genere ti piace, non lo è affatto.. Ad esempio, io.. »
Gianluca e Gloria furono impegnati a parlare delle loro materie di studio finché non arrivarono le ordinazioni. Gianluca si rese conto che Gloria era socievole e non era molto difficile parlare. O meglio, non era difficile ascoltarla. Gianluca non era un tipo che generalmente parlasse molto: diceva solo qualcosa al momento giusto, o annuiva o faceva segni di diniego. Però, in qualche modo, riusciva a tenere la conversazione sempre accesa.
Parlarono anche fra un boccone e l’altro dei loro panini, spostando l’argomento su argomenti più leggeri come la musica o le ricette mediche.
Quando Gianluca aveva quasi finito di mangiare, e stava bevendo un sorso della sua birra bionda, notò che Claudia e Gabriele cominciarono a baciarsi.
Quella scena gli fece tornare in mente i tempi del liceo. I loro primi baci, le loro prime uscite con le ragazze, le prime sigarette, l’estate, le ore passate con lui a guardare le stelle distesi su un prato a chiedersi il perché di tante cose. Gianluca provò una nostalgia fortissima per un attimo. Poi decise di distogliere lo guardo, perché non era giusto.
Gloria notò sicuramente che il suo sguardo era cambiato.
« Ehi, tutto bene? » gli chiese.
« Benissimo. » le rispose, riprendendosi, e sorridendole.
« Sai, Gianluca, » continuò lei, « Mi piace parlare con te. Avevo il timore che Gabriele si presentasse con un amico stupido, o maniaco, o non so che.. Insomma, che non rispettasse completamente le mie aspettative. »
Gianluca scoppiò a ridere. « Ah, ed io le rispetto invece? »
Gloria esitò un attimo e poi gli sorrise. « Eccome.. »
Gianluca le sorrise di nuovo per ringraziarla, e poi buttò giù un altro lungo sorso di birra. Attraverso il suo bicchiere di vetro, Gianluca vide la porta dell’ingresso spalancarsi nuovamente. Una leggera brezza gelida li attraversò, e nel momento in cui Gianluca posò il bicchiere sul tavolo, i suoi occhi si incollarono – letteralmente – all’ingresso.
Rachele era appena entrata. Gianluca la riconobbe subito, per via dei suoi capelli ricci e rossi, che in quel momento erano appuntati in maniera più ordinata di lato con delle forcine. Gianluca la trovò davvero molto carina, nella sua semplicità, anche nel modo di vestire.
Però, ciò che lo colpì fu altro.
Rachele si teneva per mano con un ragazzo, un ragazzino della sua età, probabilmente. Forse era il suo fidanzato. Entrambi si guardarono intorno, poi la ragazza di prima scambiò qualche parola con il ragazzo e li condusse verso un tavolo.
Erano belli. Lui dovette ammettere che insieme, stavano bene. Erano una bella coppia.
Gianluca li seguì con lo sguardo per tutto il tempo, incantandosi ancora una volta a fissare i capelli di lei, e vide che si sistemarono in un tavolo lontano, ma non abbastanza lontano per non essere osservati.
Fu come se colpissero Gianluca con un pugno allo stomaco. Infatti, sentì una stretta proprio lì, che cercò di coprire prontamente scolandosi definitivamente la birra che gli rimaneva nel bicchiere. Smise di guardarli, ritornando invece a guardare Gloria che aveva ricominciato a parlare. Gloria parlava, ma lui non ascoltava più niente. Aveva disattivato l’audio ed il suo cervello correva come non mai. Mio Dio, perché quella confusione? Perché si sentiva così? Andava tutto bene, poi Rachele era entrata, e lui.. Lui non ci aveva capito più niente. La sua mano stretta ad un ragazzo, lei che sorrideva raggiante, bella, non carina..
Lo sguardo di Gianluca scivolò di nuovo verso i due e notò che lui le stava toccando i capelli, scostandoglieli dal collo.
La stretta allo stomaco si fece ancora più acuta e lui dovette chiudere gli occhi per un attimo per placarla.
”Gianluca, dici sul serio?” pensò, allarmato.
Insomma, Rachele era una ragazzina. Era giusto che avesse amici e ragazzi della sua età accanto a lei, e che si divertisse. Era l’età più bella, e lui lo sapeva. Doveva capirlo.
Ma allora perché si sentiva così? Cosa gli era preso, improvvisamente?
Era bastato vederla, perché il cervello gli si scollegasse improvvisamente, perché lui pensasse quelle cose, perché si sentisse così..?
« Gianluca, mi stai ascoltando? » sentì improvvisamente dire a Gloria.
No, non la stava più ascoltando. Gianluca si portò una mano alla fronte e scosse la testa, rimanendo in silenzio per un bel po’.
« Scusa, » le disse, « Ma non mi sento tanto bene. »
« Oh, » mormorò lei, improvvisamente dispiaciuta, « Che cos’hai? »
« Tranquilla, » la rassicurò, facendole un sorrisino. « Vado fuori, è meglio. Prendo una boccata d’aria e poi se me la sento, ritorno. »
Gianluca, in un solo gesto, estrasse dal portafoglio una banconota da venti euro e la lasciò sul tavolo, in modo che la sua parte di conto fosse già pagata.
Gloria guardò Gabriele e Claudia, che ancora si baciavano – “Ma stanno in apnea, questi due?” pensò Gianluca – e disse: « Vengo con te. »
Entrambi si alzarono dal tavolo – i due amici neanche si accorsero di loro – e si avviarono verso l’uscita del locale. Gianluca evitò accuratamente di spostare lo sguardo verso quel tavolo, ed uscì da lì seguito da Gloria.
L’aria fresca della notte gli fece sicuramente bene. Lo colpì dritto in faccia, ma non spostava i suoi pensieri verso ciò che aveva visto prima. Camminando si allontanarono dalla porta d’ingresso e si sistemarono all’angolo della strada, in piedi.
« Come va? » gli chiese Gloria.
« Un po’ meglio, grazie.. » la rassicurò Gianluca, sorridendole.
Gloria rimase in silenzio per un po’, abbassando lo sguardo, poi sospirò e rialzò lo sguardo su di lui.
« Gianluca, tu hai la ragazza? » chiese.
Gianluca la guardò attentamente. « No, tu? »
« No.. Veramente, mi sono appena lasciata. » rispose lei, fissandolo.
« Ah, » commentò Gianluca, non sapendo che dire in situazioni del genere, « Mi dispiace. »
« No, non importa, » si affrettò a dire Gloria, scrollando le spalle, « Sono stata io a chiudere. Troppo geloso. »
Gianluca annuì come se sapesse perfettamente di cosa stava parlando. « Ahi, brutto affare. »
« Già, pensa che non potevo parlare neanche con un ragazzo quando stavo con lui, almeno che non mi desse il permesso. »
Gianluca sgranò un poco gli occhi. « E’ ridicolo. » disse sinceramente.
Gloria annuì. « Infatti. E, ti piace qualcuna? »
Perché i suoi pensieri andarono automaticamente verso Rachele? Perché, cazzo, perché?
E poi perché quella ragazza appena conosciuta gli faceva domande simili? Dove voleva arrivare? Gianluca lo sospettò con orrore.
« No, » rispose lui, « Perch-»
Gianluca non finì neanche la frase, che Gloria si avvicinò annullando la distanza fra i loro corpi. Si alzò in punta di piedi, e premette le proprie labbra contro quelle di Gianluca.
Lui spalancò gli occhi, perfettamente immobile, a labbra serrate, cercando di realizzare e cercando di far lavorare il cervello il più velocemente possibile.
C’era una parte di lui – una piccola voce in fondo alla sua testa - , in quel momento, che gli diceva di stringere fra le sue braccia Gloria, di baciarla, di insinuarle la lingua in bocca e di godersi quel momento, quell’occasione che gli veniva servita su un piatto d’argento.
E invece c’era una parte – più grande ed importante – che gli diceva che non era giusto, che Gloria non gli interessava, e che baciandola l’avrebbe solo illusa e avrebbe portato a guai. Che doveva respingerla.
E un’altra parte del suo cervello, era impegnato a visualizzare ancora l’immagine di Rachele, che in quel momento si fece viva come non mai.
Così, quando Gloria gli cinse le spalle con le braccia, cercando di farsi spazio fra le sue labbra, Gianluca si staccò improvvisamente da lei. Rimase ad occhi spalancati a fissarla, mentre anche lei riapriva gli occhi e lo guardava smarrita.
« No, » sussurrò Gianluca, « Io non posso, non posso, mi dispiace, ma non posso proprio.. »
Gloria non disse niente. Solo lo fissò, evidentemente confusa e sorpresa. Forse nessuno l’aveva mai rifiutata? No, precisiamo: Era Gianluca che non aveva mai respinto una ragazza.
Perché? Che stava facendo?
Lui si passò una mano fra i capelli, scombinandoseli, come se avesse mal di testa. « Ritorna da Claudia, io vado a casa. » le disse.
Gloria lo prese per un braccio. « Perché, Gianluca? Cosa c’è che non va? » disse, guardandolo strano.
Gianluca la guardò per un attimo, poi scosse la testa. « No, non posso..»
« Ma cos’è che non puoi? Cazzo, ti chiedevo solo un bacio, un bacio! » scoppiò Gloria.
« Ed io non posso, lo capisci? » disse di rimando Gianluca, cominciando a scaldarsi. Perché non capiva? Basta, l’aveva respinta, le aveva detto che non poteva!
« Tu mi piaci, Gianluca. Tu invece lo capisci, questo? » disse Gloria.
Gianluca la guardò perso.

« Tu non sai niente di me, Gloria, neanche mi conosci. »
« Vorrei farlo. »
Lui scosse la testa. « Ma io no, è questo il punto. »
Gloria sembrò esser stata colpita sul vivo. « Ah, no? E allora vaffanculo, non sai quello che ti sei perso! Ciao! » urlò acida.
Girò sui tacchi e fece la strada a ritroso, maledicendo Gianluca.
Lui la fissò andare via, finché non fu sparita dentro il locale, poi sospirò profondamente ed alzò gli occhi al cielo.
Perché tutto doveva sempre capitare a lui?
Decise di non perdere altro tempo, e a passo di marcia si allontanò da quella strada, dirigendosi verso la propria auto. La sua mente, adesso, sembrava essersi completamente svuotata. Non pensò a niente mentre camminava sul marciapiede.
Individuò la sua Range Rover, prese le chiavi, disinserì l’antifurto ed entrò dentro. La mise in moto, uscì dal parcheggiò, e imboccò la strada verso casa sua. Abbassò tutti i finestrini, e lasciò che l’aria fredda della notte lo investisse e gli scombinasse i capelli.
Voleva solo che l’immagine di quel sorriso, e di quei capelli rossi e ricci gli si cancellasse dalla mente, ed il vento sembrava non riuscire nell’intento.


 

 

L’espressione di Rachele mentre guardava l’imponente porta di legno era di puro terrore. Strinse forte la mano di Jacopo che intanto rideva sotto i baffi, guardandola.

« Senti, Jacopo.. », cominciò, cercando di mantenere calmo il tono di voce piuttosto alto, dato che la musica che proveniva da dentro era a volume altissimo. « A me piacciono i posti tranquilli ».

« Sì, anche a me », annuì Jacopo cercando di mascherare il divertimento. « Ma volevo sperimentare un posto nuovo! »

Jacopo le rivolse uno sguardo angelico, ma che di angelico non aveva proprio niente.

Rachele respirò a fondo. « Dimmi almeno che non è una discoteca ».

« No, no, », sghignazzò il ragazzo. « Credo sia un pub, o qualcosa del genere ».

« Un pub o qualcosa del genere », ripeté Rachele. « Certo ».

« E dai, stai tranquilla », la pregò Jacopo, che proprio non ci riusciva, a smettere di sorridere. « Che cosa potrà mai succedere? »

« Niente, sono tranquilla », lo rassicurò Rachele. « E’ solo che mi piacciono i posti tranquilli.. beh, per questa volta mi accontenterò ».

« Questo è parlare! », esultò Jacopo, dandole una pacca sulla spalla. « Ti sei meritata un bacio ».

Detto questo, la spinse delicatamente contro muro e la baciò. Fu un bacio diverso da quello avvenuto allo zoo, Rachele si accorse che era molto più intenso. E mentre la lingua di Jacopo si faceva strada nella sua bocca, la ragazza prese ad accarezzargli piano la base del collo, per poi salire e giocherellare con i suoi capelli biondi un po’ troppo lunghi.

Dopo quelle che avrebbero potuto benissimo essere ore, i due interruppero il bacio e Jacopo sorrise sul collo di Rachele.

« Beh, entriamo? », chiese, e Rachele annuì.

Il ragazzo la prese ancora per mano e insieme si avviarono verso la massiccia porta.

« Allora », proferì Jacopo, entrando. « Non mi fai i complimenti? »

Rachele lo osservò un po’, prima di inarcare un sopracciglio. « E perché mai dovrei farti i complimenti? Sentiamo ».

Intanto la porta alle loro spalle si chiuse, e una cameriera si avvicinò a loro, chiedendo cortesemente di seguirla al tavolo.

« Come perché?! », chiese esterrefatto Jacopo, sedendosi in uno sgabello di legno.

« Scusami », fece, sedendosi a sua volta, « se non sono intelligente come te e devo chiedere spiegazioni ».

« Beh, dovresti farmi i complimenti perché bacio da dio! ». Jacopo lo disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo, e mentre lo fece allargò le braccia come a ringraziare un pubblico inesistente.

« Sei un idiota », disse Rachele, ridendo. Jacopo sorrise e le accarezzò il collo, scostandole i capelli.

Subito i ragazzi si lanciarono alla scoperta del menù, nel quale c’erano scritti dei nomi assurdi per dei semplici panini, e si sfidarono a vicenda per vedere chi avrebbe avuto il coraggio di ordinare un “panino del guerriero” senza scoppiare a ridere in faccia alla cameriera.

Come Rachele aveva previsto, vinse Jacopo: ordinò il panino senza battere ciglio e, quando fece cenno a Rachele di parlare – avrebbe dovuto dire “sì, un panino del guerriero anche per me” -, la ragazza scoppiò a ridere, di fronte ad una cameriera decisamente sconvolta e forse anche un po’ offesa.

Rachele non avrebbe mai scoperto come avesse fatto Jacopo a non scoppiare a ridere a sua volta. Tra le risate, però, era riuscita a scorgerlo mentre sorrideva cordialmente alla cameriera e lanciava un’occhiata di sufficienza a lei, come per dire “quello che fa questa scema non c’entra niente con me, io sono educato”, e aveva detto: « ehm.. lei prende un “riposo dell’angelo”».

Era questa la penitenza: Rachele e Jacopo avevano scelto un altro panino senza leggere gli ingredienti, e chi avesse perso la scommessa si sarebbe guadagnato un panino a sorpresa. Rachele sperò solo che nel panino non ci fossero cose troppo strane, anche se il nome la faceva alquanto preoccupare.

Stare in compagnia di Jacopo la faceva sentire bene, come non succedeva da molto tempo. Lui era sì un po’ troppo paranoico e, a volte, anche isterico, ma era anche divertente e gentile, e Rachele si trovava bene.

Si conoscevano da anni: Rachele ricordava ancora quel giorno di dicembre, in primo superiore, in cui si era presentato in classe quel ragazzino esile e troppo abbronzato, con i capelli biondi sparati da tutte le parti e gli occhi verdi grandissimi. Era più grande di un anno, ed era finito in classe con loro perché i genitori l’avevano trascinato in un viaggio lunghissimo alla scoperta dell’Africa. Non avevano legato subito, inizialmente, si erano scoperti solo in terzo superiore quando, prima di diventare uno dei suoi migliori amici, Jacopo si era preso una cotta per Lisa, che l’aveva elegantemente rifiutato.

Una volta arrivati i panini, Rachele scoprì suo malgrado di avere ragione: il “riposo dell’angelo” era veramente immangiabile.

« Non se ne parla! », esclamò Jacopo, indignato. « Abbiamo scommesso e adesso devi mangiarlo! »

« Ma c’è salame piccante, salse assurde, olive, formaggio, funghi e lattuga.. », protestò Rachele che invece era disgustata. « Io sono allergica alla lattuga! »

« Non è vero che sei allergica alla lattuga ».

« Ok, non è vero, però potrei diventare allergica in questo momento, non si scherza con le allergie! »

« No, sei scorretta e basta ». Jacopo cercò di guardarla in modo da intimidirla, ma il suo volto tradiva una punta di divertimento. « E visto che io sono buono, e magnanimo, e misericordioso.. ti concedo di fare a cambio »

« Dillo che in realtà adori le olive e i funghi ».

« Ok, è vero », ammise, abbassando lo sguardo, e dopo un attimo scoppiarono entrambi a ridere.

Quando ebbero smesso di ridere, Rachele si guardò intorno e si accorse di essersi dimenticata la borsa in macchina. “Ecco perché il cellulare non ha squillato neanche una volta”, pensò. “Mia madre deve avermi chiamata un centinaio di volte”.

« Ho dimenticato la borsa in macchina », disse. « Mi dai le chiavi, così vado a prenderla? »

Jacopo gliele porse con quel sorriso che non mancava mai dal suo volto, e lei uscì dal locale diretta alla macchina, che era parcheggiata poco lontano.

Ci mise un po’ a trovare la borsa: non riusciva a spiegarsi come, era finita sotto il sedile del passeggero, tra una marea di cd e cianfrusaglie varie.

Chiuso lo sportello, prese a cercare il cellulare nella borsa e, quando lo trovò, notò che al contrario delle sue aspettative più rosee, non c’era neanche una chiamata persa. “Probabilmente mamma si è accorta che ho diciassette anni”, pensò.

Mentre faceva per riavviarsi all’interno del locale, sentì un vociare proveniente dalla sua destra. Si girò, e appoggiati al muro del locale riusciva a scorgere una ragazza che parlava con qualcuno davanti a lei che non riusciva bene a vedere, ma che doveva essere un ragazzo. Non è che fosse uno spettacolo così interessante, dunque ripose il cellulare nella borsa e mosse un passo. Ma, appena lo fece, la ragazza dai capelli bruni si attaccò a mo’ di sanguisuga alla bocca del ragazzo, che spalancò gli occhi.

In quel momento, l’unico pensiero di Rachele fu “nasconditi!”, e immediatamente si accucciò dietro la macchina.

Quel ragazzo era Gianluca. Quel Gianluca. Il cuore prese a batterle velocemente e il respiro le si fece affannoso.

La mente le si riempì di pensieri assurdi – “sarà la sua ragazza?” “e adesso che faccio?” “era nel locale anche lui?” “e se mi ha vista? No, era impegnato a sbaciucchiare quella tipa” -, prima che l’unica domanda a suo avviso sensata le affiorò come un regalo divino, ovvero: “e a me che cosa importa?”.

Ordinò al respiro e al cuore di regolarizzarsi ma, dati gli scarsi risultati, optò per fingere che fossero regolari. Dopotutto, non aveva visto niente di così assurdo. C’era una coppia che si stava baciando. Lei conosceva il ragazzo. E quindi? “E quindi proprio un bel niente”, pensò, alzandosi lentamente.

Facendo attenzione a non guardare dalla loro parte, sgusciò velocemente dentro il locale, pregando tutti gli dei che i due piccioncini non la vedessero.

E poi, domandandosi il perché fosse così preoccupata dal fatto che potessero vederla.

 

 

 

Gentili lettori e gentili lettrici, qui è AllegraRagazzaMorta! Adrienne è nell’altra stanza che cerca di fare il filo a Gianluca u.ù xD

Ringraziamo legolina77 e TheDreamerMagic per aver recensito lo scorso capitolo e.. come fate ad odiare Jacopo?? Io adoro Jacopo, amo Jacopo, penso che se fossi Rachele non ci perderei due secondi dietro Gianluca, avendo Jacopo! E’ la mia idea di ragazzo ideale xD è ovvio che un po’ si ingelosisca, dai u.ù poi noi ragazze siamo così.. se si ingelosisce diciamo “uffi, è geloso, che barba!” se invece non lo fa ce la prendiamo perché “non gliene frega niente” u.ù tutto questo per dire VIVA JACOPO! xD

Poooi.. ringraziamo per i preferiti e per i seguiti.. e sì, anche per le letture =) e invitiamo i lettori ‘silenziosi’ a lasciare un segno del loro passaggio, anche due parole in croce ci farebbero piacere =)

Detto questo, al prossimo capitolo gente!

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Capitolo 6
*** Capitolo Sei ***


Capitolo sei

Capitolo sei


“ Gianluca, che fine hai fatto? Sei sparito. Non vorrei preoccuparmi. Gloria sembrava incandescente dalla rabbia. Fatti vivo, appena puoi. “
Gianluca rilesse per la decima volta, se i suoi calcoli non erano errati, il suddetto messaggio. Era da parte di Gabriele, ed era stato inviato due ore dopo che era sparito. Beh, diciamo che il suo amico non aveva uno spirito d'osservazione molto acuto, accidenti!
Gianluca scosse la testa per l'ennesima volta e non si preoccupò neanche di rispondergli. Anzi, addirittura decise di spegnere il cellulare.
Voleva essere lasciato in pace per un po', almeno per qualche ora.
Gli ultimi avvenimenti della serata appena trascorsa occupavano ancora la sua mente, e lui aveva bisogno di chiarezza. O di dimenticare. Non stava per niente bene, così, e si sentiva impotente ed inutile a non poter fare nulla.
Gianluca ci stava pensando da un po'.
Erano quasi due mesi che non lo faceva, e se l'avesse fatto per quella notte, solo per quella notte, non avrebbe potuto fargli male, giusto? Giusto. Pensò a Gabriele, e a quanto si sarebbe arrabbiato con lui se solo l'avesse saputo. Ma non c'era bisogno che Gabriele lo venisse a sapere. Anzi, non doveva proprio saperlo.
Gianluca sospirò profondamente. Aveva preso la sua decisione. In fondo, quel che faceva riguardava solo lui, e lui era libero di fare tutto quello che gli passava per la testa senza dare spiegazioni a nessuno. Meno che mai a Gabriele, nonostante la loro amicizia.
Posò il cellulare spento sul comodino accanto a letto, vicino alla sveglia, decidendo di lasciarlo lì, tanto almeno per un po' non l'avrebbe più utilizzato. Prese il portafoglio, lo aprì, e velocemente contò quanti soldi aveva. Venti, trenta, quaranta.. Sì, gli bastavano. Se lo infilò nella tasca posteriore dei jeans, poi si mise addosso il giubbotto e prese le chiavi, uscendo di casa.
Gianluca uscì dal suo palazzo e si trovò in strada, completamente vuota. Doveva essere mezzanotte passata, e non c'era praticamente nessuno. Si avviò verso la propria auto, posteggiata lì vicino, e dopo aver levato l'antifurto, salì, mise in moto e partì.
Sfrecciava a velocità moderata sulle strade vuote, e Gianluca si sentì un pochino meglio, ma non abbastanza. Diede un'occhiata all'orologio digitale vicino al cruscotto: l'una meno dieci. Non si era sbagliato, ecco perché non c'era nessuno.
Dato che il tragitto era più lungo del solito, decise di mettere su un cd per sentirsi meno solo. Con una sola mano cercò di quali erano i cd che aveva sparpagliato ovunque sotto il sedile, ed individuò l'ultimo di Giovanni Allevi.
“Questo dovrei prestarlo a Rachele..” pensò improvvisamente, senza volerlo.
Per poco non sbandò.
Decise che non doveva assolutamente più pensare a quella stupida ragazzina, però scelse proprio quello, inserendolo nel lettore cd e schiacciando play.
Una musica rilassante e piacevole, composta da piano, violini e qualche altro strumento che Gianluca non aveva voglia di individuare, si diffuse nell'abitacolo. Gianluca muoveva le dita sul volante a tempo di musica, fissando però la concentrazione sulla strada davanti a sé che i fari della sua auto illuminavano artificialmente.
Rimase in viaggio per una mezz'ora abbondante, allontanandosi dalla sua città ed arrivando alla periferia, una zona non troppo raccomandabile, specialmente di notte. Ma lui c'era andato talmente così tante volte, che ormai non correva alcun pericolo, né rischiava di perdersi.
L'atmosfera di quelle case era buia e triste.
Gianluca spense lo stereo, lasciando il cd dentro, e voltò verso destra, imboccando una strada piena di casa appiccicate fra di loro. Per fortuna era notte e non c'era quasi nessuno, così non avrebbe attirato l'attenzione di nessuno.
Posteggiò l'auto lì vicino e si assicurò di inserire l'antifurto, poi proseguì a piedi per una decina di metri, camminando sul marciapiede, finché non inchiodò ad un palazzo grigio. Diede uno sguardo in su, neanche qui c'era nessuno. Si guardò attorno, stessa cosa.
Gianluca, sospirando, si avvicinò al citofono e suonò al terzo piano, in cui l'etichetta non recitava alcun nome. Attese un po', poi qualcuno venne a rispondergli.
« Ma
chi è a quest'ora, si può sapere? » disse una voce maschile, metallica – per via del citofono. Una voce scocciata ed assonnata, ma che Gianluca aveva imparato a conoscere troppo bene.
« Sono Gianluca
. » disse lui, eloquentemente, come se questo bastasse a spiegare ogni cosa.
Dall'altra parte del citofono, l'uomo non disse più nulla. Ci fu un silenzio che durò alcuni secondi, poi parlò di nuovo. « Aspetta. »
Un nuovo rumore metallico avvisò Gianluca che aveva messo giù il citofono. Infilò le mani in tasca, non credendo che lo stesse facendo realmente, di nuovo.
Il portoncino del palazzo si aprì ed una testa ne sbucò fuori. Un uomo, sulla trentina, con una folta barba incolta, capelli nerissimi e delle borse sotto gli occhi, guardò fisso Gianluca.
« Gianluca! » esclamò questo, con un'espressione evidentemente sorpresa, ma mantenendo un tono di voce bassissimo. « Qual buon vento? »
« Vento di affari, lo sai, no? » rispose Gianluca, con un mezzo sorriso.
« Pensavo che avessi trovato qualcun altro, sono secoli che non ti vedo più. » si affrettò a precisare l'uomo, abbandonando l'espressione sorpresa e guardandolo con un sopracciglio sollevato.
Gianluca scosse la testa. « Negativo, non c'è nessun altro in mezzo. Solo.. »
« ..Volevi smettere, eh? Lo vedo dalla tua faccia, ragazzo. »
Gianluca non disse niente, sentendosi una schifezza. Guardò solamente l'uomo, poi fece spallucce, decidendo che non aprire bocca era la scelta migliore.
L'uomo parlò ancora, però. « Beh, comunque, lasciando da parte questi discorsi tristi.. Ho qualcosa di buono per te, davvero, te lo consiglio. Torno subito. »
Lui non rispose neanche che l'uomo sparì nuovamente, socchiudendo il portoncino. Gianluca fissò un punto indefinito dall'altra parte della strada, con la sua mente che faceva tabula rasa di ogni pensiero razionale, e con le mani ancora sprofondate nelle tasche.
Dopo cinque minuti l'uomo tornò. Gianluca entrò per metà dentro il palazzo, non chiudendo del tutto il portoncino, però.
L'uomo aveva in mano una bustina di plastica trasparente, con dentro una polvere cristallizzata, bianca.
« Che cos'è? » chiese spontaneamente Gianluca. Non ne aveva mai visto di quel tipo, così cristallina, almeno.
« Speed, Ice, Cranck, » elencò l'uomo, con un largo sorriso. « Ha tanti nomi, puoi chiamarla come ti pare. »
Gianluca scrollò le spalle: non gliene importava un fico secco del nome. « Non intendevo questo.. »
« Metanfetamina, » lo interruppe l'uomo, cambiando espressione e diventando improvvisamente serio. « Puoi scegliere. O la fumi, o la sciogli nell'acqua o nell'alcol, o te la sniffi, o te la passi per via endovenosa. »
Gianluca ci pensò su, e fissò l'uomo. « Quanto durano gli effetti? »
« Dipende da come la usi e soprattutto quanta ne usi. Generalmente, comunque, sei o otto ore. »
“Mi basta”, pensò Gianluca, soddisfatto.
« La prendo. » disse infatti, allungando una mano.
« Gianluca.. Sappi che provoca una dipendenza assurda, questa.. » cominciò ad avvertirlo l'uomo.
« Tutte le droghe provocano dipendenza, cazzo, cosa vuoi che mi cambi? » sbottò Gianluca, iniziando ad innervosirsi. Non era un bambino, e quella non era certo la prima volta, per lui.
L'uomo non fece un'ulteriore piega, e posò la bustina trasparente nella mano di Gianluca. Lui la strinse, poi con l'altra mano estrasse il portafoglio dalla tasca.
« Sessanta. » disse l'uomo precedendo la domanda.
Gianluca estrasse sessanta euro dalla tasca e li ficcò in mano all'uomo.
« Buonanotte. » disse, prima di sparire, senza aspettare alcune risposta.
Gianluca si affrettò a ritornare in auto, l'anima che gli pesava come piombo.
Gianluca era questo.
Era un drogato, un drogato del cazzo, come spesso gli aveva ripetuto Gabriele, l'unico che sapesse di tutta questa storia.
Quella – la droga, perché non chiamarla con il suo nome? - era l'unica cosa che riusciva a farlo stare bene, che riusciva ad allontanarlo da tutto quello che gli faceva male, era la sua croce e la sua delizia; era l'unica cosa in grado di farlo sentire vivo, anche se piano piano lo stava uccidendo. Ma Gianluca non lo ammetteva mai, nonostante dentro la sua testa lo sapesse bene. Molto più che bene.

*

Rachele sentì la mano di Jacopo stringersi sopra la sua mentre guardavano un film al cinema. La luce era stranamente accesa, e dal soffitto pendevano dei nastri colorati alle cui estremità erano appese delle farfalle colorate.
« Ti piace, il film? », chiese Jacopo. « Perché se non ti piace sei fortunata. Stai per scoppiare come una bolla di sapone ».
« Che cosa intendi? »
Rachele non riusciva veramente a capire dove volesse andare a parare Jacopo, con quei discorsi sulle bolle di sapone che scoppiano. Lei era lì, no? Era al cinema con lui e gli stava stringendo la mano. Cosa voleva ancora?
« Stai per scoppiare come una bolla di sapone », ripeté ancora, più ad alta voce. E la gente che stava guardando il film, invece di intimargli di stare zitto, si girava e rideva.
« Rachele! »
La ragazza si voltò di scatto, sentendo la voce di sua madre, e la vide che correva trafelata in sua direzione.
« Mamma, che cosa ci fai qui? »
« Questo te lo domando io, signorina: abbiamo invitati a cena e sei in ritardo! »
Rachele sobbalzò sulla sedia: se ne era completamente dimenticata. Si alzò in fretta ed uscì dal cinema correndo.
Ad attenderla all’entrata c’era una carrozza, e il guidatore era vestito d’azzurro.
« Dove la porto, signorina? »
« A casa », disse Rachele, ed era vestita con abiti ottocenteschi e i suoi capelli erano tirati all’indietro.
Una volta scesa dalla carrozza ringraziò il carrozziere che, invece di ripartire, scese e si tolse il cappello.
« Questa è una bella serata per i cavalli », disse Gianluca, un attimo prima di chinarsi su Rachele e baciarla con passione.
La ragazza chiuse d’istinto gli occhi e si sentì pervasa da uno strano brivido, le sembrava quasi di essere ubriaca mentre le ginocchia le tremavano e sentiva che stavano per cedere.
Poi, d’un tratto, aprì gli occhi e non c’era nessuna stella e nessuna carrozza, nessun cavallo né Gianluca vestito d’azzurro, ma solo il soffitto bianco della sua stanza con appeso il lampadario arancione troppo grande.

*

Rachele si complimentò con sé stessa: stava riuscendo a mantenere le sopracciglia aggrottate per tutta la mattina. Non si può dire che i suoi complimenti fossero sinceri; erano tutto l’opposto. Di solito riusciva a mantenere un andamento sereno anche nei periodi di maggiore inquietudine, ma quella mattina il suo turbamento aveva raggiunto livelli così alti che era troppo, perfino per lei.
Non riusciva bene a spiegarsi il motivo di quel suo stato d’animo, perché non poteva assolutamente essere per quello stupido sogno che, seppur strano e decisamente ambiguo, era pur sempre solo un sogno.
Dopo aver passato metà ora di fisica a cercare di capire il perché di quel turbamento, cominciò seriamente a pensare di avere qualche problema psicologico serio e se la prese con stessa. Come se non bastasse, c’era anche Lisa che proprio non voleva saperne, di lasciarla in pace.
Rachele non aveva mai desiderato fino a quel momento di cambiare compagna di banco.
« Beh? », disse Lisa, distogliendo lo sguardo da un certo “delta t” fratto qualcosa.
« Beh che cosa? », chiese di rimando Rachele, che però non smise di fissare la lavagna, anche se non aveva ancora capito quale fosse il tema della lezione.
« Vi ho visti, ieri ». Rachele immaginò gli occhi carezzevoli di Lisa che la squadravano. « Tu e Jacopo. ».
« Vuol dire che non hai bisogno degli occhiali ».
« Beh, questo è sicuro. E comunque è stato tutto merito mio! », disse la ragazza, con un tono di voce che la diceva lunga su quanto fosse fiera di sé stessa.
« E perché, di grazia? ».
« Perché la gita allo zoo l’ho organizzata io, ovviamente! Altrimenti non vi sareste baciati ».
Rachele si voltò a guardare l’amica, roteando gli occhi.
« E poi complimenti anche a te, », continuò Lisa. « E’ stato un bel modo per fare pace! »
Rachele si lasciò sfuggire un sorriso, e Lisa disse qualcos’altro che la ragazza non sentì perché la sua voce venne sovrastata dal suono della campanella della ricreazione.
Quando Lisa sgusciò velocemente fuori dall’aula, il suo banco vuoto venne prontamente occupato da Jacopo.
« Che avevi ieri? » chiese, accarezzandole il braccio con movimenti lenti.
« Non avevo niente », disse Rachele, aggrottando – se possibile – ancora di più le sopracciglia.
« Mah, » fece, pensieroso. « Quando sei rientrata nel locale eri strana ».
« Sì, e tu sei pazzo ». Rachele scoppiò a ridere, ma Jacopo non la bevve.
« Se non me lo vuoi dire non importa », disse, scostando la mano dal braccio di Rachele. « Ma non dire che non è vero, l’ho notato. E sei strana anche oggi ».
« Sono normalissima, Jacopo », disse la ragazza, che iniziava ad irritarsi.
« E perché ti stai toccando il bracciale? »
Rachele si guardò le mani. Jacopo aveva ragione, con la mano destra stava giocherellando con il braccialetto d’argento. Ormai era diventato un gesto così istintivo che neanche se ne accorgeva.
« Che c’è di strano se mi tocco il bracciale? », chiese, non capendo che cosa c’entrasse con tutto il resto.
« Lo fai sempre quando sei preoccupata, o turbata, e cose del genere ». Rachele era sinceramente stupita: Jacopo aveva notato un particolare che neanche lei stessa aveva colto. Ok, spesso quel braccialetto lo toccava, ma non si era mai accorta che lo faceva nei momenti di turbamento.
Ripensandoci in quel momento, però, osservò che Jacopo aveva ragione.
« Sarà una tua impressione », mentì.
« E’ un regalo di qualcuno? »
« Sì ». Il tono di Rachele si fece un po’ più deciso, mentre notava che la conversazione iniziava a diventare scomoda. “E’ proprio vero”, pensò. “Se il buongiorno si vede dal mattino..
« E di chi? », insistette Jacopo, fissandola intensamente.
« Di una persona importante », disse, alzandosi.
« Chi? »
« Devo consegnare un compito al professore di scienze. Scusa, lo vado a cercare ».
Rachele si fece largo tra i banchi senza guardarlo in faccia, ricacciando indietro le lacrime che minacciavano di sgorgare, senza neanche prendere il compito dallo zaino, e si fiondò velocemente nel bagno delle ragazze, dove Jacopo non poteva trovarla.




Sono Adrienne =D Come va, gente? Eccoci qui pronte per l'aggiornamento della storia. Come al solito io e la mia collega AllegraRagazzaMorta ringraziamo legolina77 e TheDreamerMagic per le loro recensioni! Proprio Jacopo non riuscite a digerirlo, eh? Ahah, poveraccio... Ma ognuno ha i suoi gusti, e chissà se non possiate cambiare idea!
Questa volta però devo darvi una brutta notizia. Purtroppo io e AllegraRagazzaMorta ci siamo bloccate... Non siamo molto invogliate a continuare la storia (nonostante le idee) per mancanza di PARERI. Abbiamo un po' di seguiti, ma che purtroppo non commentano... Sarebbe bello sapere cosa ne pensate, darci persino delle IDEE, oppure semplicemente criticarci. E' un po' deludente vedere dopo settimane dall'ultimo aggiornamento soltanto DUE recensioni, oppure no?
Dai, chiudo qui, che vi sto annoiando abbastanza... Un bacio, al prossimo aggiornamento!

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Capitolo 7
*** Capitolo Sette ***


Capitolo Sette



Di certo quello non doveva essere uno dei pomeriggi più fortunati di Rachele. Lei e Lisa erano andate al centro commerciale e l’unico negozio che andasse loro a genio era chiuso per lutto, Rachele si era versata la cioccolata calda sulla maglietta e, come se non bastasse, una volta uscite dal centro, le due ragazze si erano accorte con orrore che c’era in corso un diluvio universale, e nessuno poteva andarle a prendere. Il padre di Rachele era al lavoro, sua madre era in piscina con suo fratello e la madre di Lisa era, come sempre, fuori città.

Rachele si strinse forte nel cappotto e si fissò bene in testa il cappuccio, continuando a camminare velocemente. Per arrivare a casa ci sarebbe voluta ancora una mezz’ora, e lei sarebbe stata fradicia.

« Devo dirti una cosa », sussurrò timidamente Lisa, ad un tratto.

Rachele si voltò a guardarla decisamente stralunata: quando Lisa usava quel tono, cosa che non accadeva molto spesso, stava a significare che ne aveva combinata un’altra delle sue. Ok, Lisa ne combinava sempre una delle sue, ma era solita raccontarle con una risata. Quella volta.. beh, quella volta doveva essere una cosa seria, se parlava con quel tono.

« Che cosa hai fatto? », chiese Rachele, mantenendo un tono di voce neutro.

« Promettimi che non mi giudicherai ».

Rachele iniziò realmente a preoccuparsi. Fissò negli occhi l’amica per un lungo attimo, accorgendosi con orrore che si stava mangiucchiando le unghie perfette. L’ultima volta che Lisa si era mangiata le unghie era stata quando aveva preparato uno scherzo crudele per il nuovo compagno della madre, senza sapere che si trattava del loro nuovo professore di storia e filosofia.

« Lisa, sputa il rospo », ordinò Rachele, e il suo tono non ammetteva repliche.

« Ieri Simone è venuto a casa mia a portarmi gli appunti che gli avevo prestato », dichiarò con un sussurro.

Rachele trasse un profondo sospiro. Simone era un loro compagno di classe, un ragazzo della peggior specie, e qualsiasi cosa lo riguardasse poteva essere tutto meno che casta e/o pura. Per di più, scavando in tutto quello che faceva, anche un bambino di cinque anni sarebbe stato capace di trovare un secondo fine, e, inoltre, a Rachele non risultava che Simone avesse anche solo una minima idea di che cosa fossero degli appunti. Non che fosse stupido, assolutamente. Al contrario, la sua intelligenza era così brillante e manipolatrice, così subdola e viscida, così furba e perversa, che non aveva sicuramente bisogno di libri e appunti per strappare delle sufficienze. In qualche modo, riusciva sempre a fregare il prossimo.

« Ok », disse Rachele, cercando di convincersi di qualcosa che in cuor suo sapeva essere falso. « Ti ha riportato gli appunti e poi se n’è andato ».

« Non proprio », rispose, mentre un lampo squarciava il cielo. « Mia madre era fuori per lavoro, ed ero sola a casa, così gli ho chiesto di rimanere a cena da me.. e poi è rimasto fino a stamattina ».

« Aspetta un attimo », Rachele la guardò e si accorse che le tremavano le labbra. « Vuoi dire che se n’è andato e poi è tornato stamattina, per darti un passaggio a scuola, giusto? »

« No. Non se n’è andato », rispose, seria. « E tu hai detto che non mi avresti giudicata ».

« Scusami.. è che proprio non riesco a capire perché ».

Lisa si spazientì, alzando notevolmente il tono di voce. « E’ successo e basta. Sono mesi che mi lancia frecciatine ».

« Non me l'avevi detto », fece Rachele, stupita. « Ma.. lui ti piace? »

« Sì ».

« Allora è ok », mentì. In realtà non era affatto ok: Simone l’avrebbe fatta soffrire e basta. Perché Lisa avrebbe dovuto essere la sua eccezione?

Ad un tratto Rachele notò una macchina che si accostava al marciapiede, proprio vicino a loro, e continuava imperterrita a suonare il clacson. Fece un cenno a Lisa, che intese, e insieme affrettarono il passo.

« Rachele! » sentì gridare la ragazza, che si girò, notando che la voce proveniva proprio dalla macchina. Il finestrino era abbassato, e da lì sbucava una testa che, Rachele se ne accorse con un tuffo al cuore, era quella di Gianluca. « Serve un passaggio? », chiese, sorridendo.

E la carrozza dove l’ha lasciata? E i vestiti azzurri?” si chiese Rachele, reprimendo una smorfia.

« Grazie ».

Rachele fece un cenno a Lisa, che sorrise a trentadue denti per la doccia quasi scampata, e salì nel sedile posteriore. Rachele, dopo essersi accomodata al posto del passeggero, fece le dovute presentazioni.

« Gianluca, Lisa. Lisa, Gianluca ».

L’espressione di Lisa si fece pensierosa. « Gianluca.. mi ricorda qualcosa », mormorò. « Hey, non sarà mica il tizio del messaggio che ha fatto arrabbiare Jacopo? »


A quelle parole, automaticamente Gianluca tese l'orecchio, ma non commentò.
« Emh, allora.. » disse, « Lisa, giusto? Dove devo lasciarti? »
« Emh.. Al semaforo giri a destra, poi prosegui per circa 300 metri, poi a sinistra.. Abito nel palazzo sopra il negozio di giocattoli. » gli spiegò l'amica di Rachele.
Gianluca svoltò a destra e cominciò a proseguire dritto.
« Sì, tranquilla, ho capito dov'è. » le disse, rimanendo poi in silenzio, non sapendo cos'altro dire. La situazione iniziava ad essere imbarazzante. Gianluca notò che Rachele, probabilmente più imbarazzata di lui, congiunse le mani in grembo e abbassò la testa, come se volesse sparire. Lui sorrise fra sé e sé a questa vista, e girò
a destra, per poi proseguire dritto.
« Eccoci arrivati! » esclamò tutto sorridente, una volta arrivato a destinazione, e accostando accuratamente l'auto accanto al marciapiede.
Lisa spostò lo sguardo da Rachele a Gianluca come se stesse guardando una partita di tennis. Gianluca poteva vederla dallo specchietto retrovisore e per poco non scoppiò a ridere: poteva intuire i pensieri della ragazza. E
non gli dava fastidio.
« Ok, grazie per il passaggio! » tintinnò allegramente Lisa, facendo per scendere dalla macchina. « Con te ci vediamo domani a scuola. » aggiunse poi, rivolta a Rachele.
« Prego! » fece Gianluca, ancora una volta divertito da quella ragazzina.
Aspettò che scendesse dall'auto e che sbattesse la portiera, e poi ripartì, mettendo in moto quasi subito.
Calò un silenzio a dir poco imbarazzante. Rachele aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse subito. Gianluca la guardava con la coda dell'occhio, concentrandosi il più possibile sulla strada. Non era stato bene in quei giorni, e aveva delle occhiaie profonde e scure. Non aveva dormito quasi per niente.
« Beh.. non c'è bisogno che ti spieghi dove abito, giusto? » disse all'improvviso Rachele, con un sorrisetto.
Anche Gianluca sorrise. Come dimenticare quella strada, che aveva percorso innumerevoli volte in quegli anni? Come dimenticare la noia che provava nel vederla, nel percorrerla, nel vedere
quel palazzo avvicinarsi?
« Temo proprio di no. Potrei farla anche ad occhi chiusi, la strada. » rispose lui, continuando a guardare dritto davanti a sé. La pioggia continuava incessantemente a cadere giù e Gianluca, vista la sua debolezza fisica, non voleva mettersi nei guai. Almeno, non con Rachele accanto a sé.
Ci fu un attimo di silenzio. Rachele si voltò un attimo a guardarlo, e anche lui si voltò a guardarla, fissandola nei suoi occhi scuri. Ma lei all'improvviso avvampò sulle guance, e si voltò dall'altra parte, guardando fuori dal finestrino appannato. Cosa alquanto inutile, perché non avrebbe potuto comunque guardare nulla.
Gianluca non poté fare a meno di sorridere a quella scena, e decise di provare ad intavolare una conversazione con la ragazza.
« Allora.. come va? » le chiese, quindi.
« Io.. bene. E a te? Che facevi in giro? »
« Bene. Sono appena tornato da casa di un mio amico, Gabriele. Tu? »
« Centro commerciale. »
“Che domanda stupida”, pensò Gianluca, “L'ho incontrata proprio là davanti, è ovvio.”
Girò a destra, rimproverandosi per essere tanto cretino, quando era con lei.
« Peccato per la pioggia. »
« Già, peccato. » commentò Rachele. Sembrava troppo imbarazzata; ma anche per parlare con lui? Gianluca pensò che se lei era così imbarazzata quando si vedevano, non avrebbero mai potuto conoscersi realmente. Perché quella ragazza si
comportava così, e smontava i suoi disperati tentativi di fare conversazione? La mente di Gianluca andò ai pensieri che aveva avuto nei suoi riguardi qualche sera prima al locale, e sentì anche le proprie guance infuocarsi.
« Sì.. A scuola, tutto ok? »
« Sì, sì, è un periodo un po' pesante questo, interrogazioni e cose varie.. Tu? »
« Sì, mi ricordo i tempi del liceo.. Comunque io niente, all'università per ora è puro ozio. »
« Immagino.. Così ti puoi dare alla bella vita. »
Ma chi, lui, che la vita se la stava distruggendo?
« Non proprio. » disse con tono amaro.
« No, come mai? » chiese lei, con un tono di chi la sa lunga, ma fingendosi casuale, « Non mi sembrava.. L'altro giorno ti ho visto, con la tua ragazza. » e Rachele sorrise.
Gianluca sgranò gli occhi. La
sua ragazza? Ma chi?
Improvvisamente nella sua testa suonò un campanello d'allarme. « Quale ragazza? » chiese d'istinto, sicuro di star facendo la figura dello stupido, ancora più di prima. Poi in un micro secondo fece mente locale. Si riferiva a Gloria! Ma come aveva fatto a vederli? Possibile che anche lei fosse lì, in quel luogo e in
quel momento? E aveva visto come Gloria si era avviluppata a lui? Sicuramente non aveva visto che Gianluca l'aveva respinta, altrimenti non avrebbe mai creduto che quella ragazza fosse la sua ragazza.
« Aaaah! No,
quella lì non era la mia ragazza. » disse poi, come se lui avesse altre ragazze tra cui scegliere.
“Grazie a Dio.” pensò simultaneamente.
Rachele fece un'espressione corrucciata.
« Ma, ma.. » cominciò, evidentemente qualcosa non le quadrava, « Beh, devo aver frainteso, allora. »
Gianluca stava per dirle che era sicuramente così, quando lei parlò ancora.
« Quindi tu baci tutte quelle che incontri? » gli chiese, con un tono di voce innocente.
Gianluca rimase in silenzio per un po', spiazzato e chiedendosi ancora come lei avesse fatto a vederlo. L'aveva fregato, insomma!
« No, ti risulta che io ti abbia baciato? » disse con un mezzo sorriso, sicuro di essere lui a fregare la ragazza, questa volta.
Anche Rachele rimase un attimo in silenzio, come se ci stesse pensando.
« Magari sono l'eccezione che conferma la regola. » disse infine.
« No, » continuò Gianluca, « Fidati, non bacio tutte quelle che incontro. »
Gianluca avrebbe voluto precisare che non era stato lui a baciare Gloria, ma l'esatto contrario, tra l'altro. Ma naturalmente Rachele non poteva saperlo. E non doveva sapere che lui l'aveva respinta, chissà che figura ci avrebbe fatto.
A Gianluca improvvisamente venne in mente un'idea diabolica. In fondo, anche lui l'aveva vista, no? Tanto valeva dirlo, dopo che lei l'aveva fatto con lui.
« Tu, piuttosto, parli di me e poi.. Non hai il ragazzo, forse? » disse, sperando che il suo tono di voce non fosse fin troppo acido. Del resto, quello era il motivo per cui qualcosa – dal nome ancora sconosciuto - dentro di lui si era scombussolata tanto. Perché lei aveva un ragazzo.
« Ah, sì, è vero. » commentò lei distrattamente, come se si ricordasse soltanto in quel momento che aveva un ragazzo. Gianluca la guardò con la coda dell'occhio ancora una volta, e lei passò una mano fra i propri capelli, forse nell'intento di sistemarli, ma li scombinò ancora di più.
Lui tentò di reprimere una smorfia a quella notizia, sentendo ancora quella sensazione sul suo stomaco. Era come avere un macigno lì dentro.
« Ecco, vedi. » aggiunse abbastanza stupidamente, non sapendo cos'altro dire.
Arrestò la macchina vicino al marciapiede anche questa volta. Erano arrivati proprio di fronte casa di Rachele. Ma lei non si mosse, e si voltò verso di lui, guardandolo.
« Siamo arrivati. » disse.
Gianluca annuì, come se non lo sapesse. « Sì, lo so.. Dovresti salutarmi tua madre, e anche il tuo
adorabile fratellino. »
Lei sorrise.
« Hai le occhiaie. » disse tutto d'un tratto.
Gianluca non si scompose, aveva sentito quella frase almeno un milione di volte. Inizialmente non disse niente, poi: « Sì, lo so. Non dormo molto in queste notti. » mentì abilmente, ormai ci era abituato. Ed era bravo a mentire. In una situazione come la sua, essere bravi nel mentire era fondamentale.
« Ah. » commentò Rachele, ed alzò un sopracciglio. « E perché? »
« Perché.. » iniziò Gianluca, cercando di inventarsi una scusa plausibile il più velocemente possibile, « I miei vicini fanno casino. »
Bravo a mentire? Non in quel caso, non con Rachele. Gianluca smadonnò mentalmente e si pentì di quel che aveva detto nell'istante stesso in cui quelle parole uscirono dalla sua bocca. E come i suoi vicini avrebbero dovuto fare casino di notte? Urlando? Suonando uno strumento? Sperò che Rachele non glielo chiedesse.
Rachele invece annuì, anche se non sembrava proprio convinta. Probabilmente, pensò Gianluca, Rachele stava pensando che lui di notte era impegnato con quelle che bacia ma con cui
non sta assieme. Ecco il perché delle occhiaie.
Se solo Rachele avesse saputo la verità..
..Beh, se l'avesse saputa non gli sarebbe neanche andata vicino, pensò ancora Gianluca, triste al pensiero.
« Hmm.. » fece Rachele, interrompendo i suoi pensieri, « Beh, dovrei scendere, adesso. »
« Hmm.. Sì, dovresti. » confermò lui, improvvisamente titubante al pensiero.
« Allora.. ciao. » disse Rachele. Sgusciò alla velocità della luce fuori dall'auto, come se non volesse stare più di un minuto lì dentro.
« Ciao. » disse Gianluca alla portiera che si stava chiudendo.
Ma la borsa che Rachele portava su una spalla si incastrò proprio nella portiera mentre lei scendeva. Allora lei la riaprì, guardando Gianluca, totalmente rossa nelle guance ed imbarazzata, ancora più di prima; afferrò la borsa con una mano e disse velocemente:
« Ciao!», per poi andarsene.
Gianluca scoppiò a ridere sonoramente e mise in moto l'auto.
Quella ragazza
gli piaceva davvero un sacco.
E lui sapeva che non era giusto, né corretto, né accettabile, e che doveva reprimere tutto prima che gli facesse del male. Come sempre.







Salve a tutte e tutti, in caso ci sia anche qualche lettore uomo : )

Chi vi parla è AllegraRagazzaMorta, o Federica. Il mio nick è vecchio e lungo ed è uno strazio scriverlo ogni volta, anche se probabilmente a voi non frega granchè u.ù

Vi dico che siamo veramente felici per le recensioni dello scorso capitolo! Chi di voi è solito pubblicare storie probabilmente sa che gioia e orgoglio da una recensione, e soprattutto quando questa inciti lo scrittore ad andare avanti col suo progetto, quindi non possiamo fare altro che ringraziarvi infinitamente e cercare di migliorare, di farvi appassionare a questa storia così come appassiona noi : ) dunque ringraziamo Emily Doyle, The Dreamer Magic ( fonderò il club Pro Jacopo, ho deciso u.ù ), Ylenia, Billie Joe Fan, lucyette e legolina 77.

A chi chiede del segreto della nostra Cheeeeele rispondo: pazientate qualche capitolo xD

Per quanto riguarda il capitolo, direi che può essere definito come capitolo di transizione, e spero che vi piaccia!

Un bacione a tutti, al prossimo aggiornamento!

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Capitolo 8
*** Capitolo Otto ***


Capitolo otto

Capitolo otto

La pioggia batteva
in maniera incessante sul parabrezza. Gianluca mosse la manovella del tergicristalli, facendolo andare più veloce. Il flusso di pioggia aveva deciso d'aumentare proprio quando lui era si era messo in auto, fantastico.
Forse non sarebbe dovuto uscire con questo tempaccio, ma non ci aveva pensato due volte: ormai era fuori ed era troppo lontano da casa per tornare indietro.
Erano giorni che il maltempo non voleva lasciare in pace la città, e di certo questo non contribuiva all'umore già nero di Gianluca. Era un periodo orribile, e non sapeva come questa volta si sarebbe tirato fuori dai guai. Ci era dentro fino al collo.
Svoltò a sinistra.
Le strade erano allagate d'acqua e nel passare le ruote della sua auto schizzarono una profonda pozzanghera, la cui acqua si riversò sul marciapiede, già completamente bagnato.
Sospirò e continuò a guidare, riflettendo.
Era uscito con questo tempo assurdo solo per un motivo, alquanto stupido, poi.
Voleva rivedere Rachele.
E soprattutto, voleva darle il cd di Allevi che il giorno precedente si era dimenticato di darle, quando si erano visti. Gianluca, istintivamente, pensò al loro incontro e fece un sorriso.
“Ma
lei ha il ragazzo”, pensò poi, sicuro che questo pensiero gli si sarebbe definitivamente cancellato dalla mente una volta che l'avrebbe avuta di nuovo davanti a sé.
Arrivato di fronte al palazzo della ragazza, trovò un parcheggio in un ultimo spazio lasciato libero, e arrestò la macchina. Gianluca sospirò profondamente, e guardò il suo riflesso sullo specchietto.
Okay”, si disse, “Calma.”
Si diede una rapida sistemata ai capelli, afferrò il cd, che era riposato con cura sul sedile del passeggero, e dopo aver preso le chiavi dell'auto, aprì la portiera per scendere.
Una volta sceso dall'auto, Gianluca si rese conto con amarezza di non aver portato l'ombrello con sé.

*


« Mi stai evitando? »
Rachele si impegnò a fare la sua migliore espressione stile “che diavolo stai dicendo ti sei bevuto il cervello ti sbagli”, un attimo prima di ricordarsi che Jacopo, in quanto dall’altro capo del ricevitore, non poteva vederla. Allora si avvicinò un po’ allo specchio per osservarsi meglio le lentiggini e pensare a qualcosa di sensato da dire.
“Sì, Jacopo”, pensò. “Ti sto evitando perché l’altra notte ho sognato il figlio dell’amica di mia madre vestito d’azzurro che scendeva da una carrozza e mi baciava. Questo mi ha tremendamente confuso, e come se non bastasse quello stesso pomeriggio mi ha accompagnata a casa e io ero stranamente contenta quando mi ha detto che quella sanguisuga non è la sua ragazza. Dunque ogni tanto non riesco neanche a guardarti perché sono terribilmente confusa. Ah, ci vediamo a cena?”
« No, no, ma che cosa ti salta in mente », mentì Rachele, sperando che non trapelasse nulla dal suo tono di voce. Non era mai stata brava a dire bugie.
« Non mi richiami, in classe trovi sempre qualche scusa per starmi lontano e stamattina sei venuta a scuola a piedi. Nonostante la pioggia ».
« Mi sono svegliata tardi »
. Ok, non era del tutto vero. In realtà aveva cercato di allontanare sempre di più il momento in cui sarebbe dovuta uscire di casa, così avrebbe perso l’autobus che di solito prendevano Jacopo e Lisa e non l’avrebbe visto. Un piano perfetto, aveva pensato, se solo non si fosse fatta prendere un po’ troppo la mano così da arrivare alla fermata del bus quando erano già passati tutti.
Lo squillo del campanello arrivò fulmineo e sembrò quasi un salvatore: Rachele ringraziò tutti gli dei, un attimo prima di sentirsi tremendamente in colpa per quello che stava facendo a Jacopo. Ma, dopotutto, le sarebbe servita solo una notte per mettere ordine nella sua testa, e poi con lui sarebbe tornato tutto come prima. “Voglio rovinarmi”, pensò la ragazza. “Magari anche meglio di prima!”
« Adesso devo andare, » disse. « Hanno suonato al campanello. Ti richiamo dopo ».
Il ragazzo al telefono borbottò un “ciao” e chiuse. Rachele sentì una morsa allo stomaco quando lesse “chiamata interrotta” sul display del cellulare, e andò ad aprire la porta.
Il telefono le cadde a terra per lo stupore: di fronte a lei, c’era la fonte di tutti i suoi problemi. Gianluca. Gianluca grondante d’acqua con i capelli che gli ricadevano a ciocche sugli occhi. Gianluca sorridente noncurante del fatto che, con una semplice strizzata, avrebbe potuto dissetare tutti i bambini dell’Africa.
« Rachele! », esordì il ragazzo, sorridente. « Come va? Ho pensato di portarti un cd, così ti fai un po’ di cultura ».
Rachele si chinò a raccogliere il telefono da terra e, una volta tornata in posizione eretta, si chiese se magari avrebbe dovuto reggersi la mascella con la mano.
« Ma
.. » cominciò, esitante. « Sei tutto bagnato! »
« Ah, sì? » fece lui, che proprio non la voleva smettere di sorridere. Rachele si chiese se fosse così divertito a causa della sua espressione stralunata. « Non me ne ero accorto ».
La ragazza strinse la presa sul cellulare. « Certo », commentò. « E’ facile non accorgersi di essere grondante d’acqua ».
« Di solito non faccio caso a queste cose », rispose Gianluca con nonchalance, scostandosi una ciocca di capelli gocciolante dagli occhi. « Posso entrare o vuoi lasciarmi sulla porta? »
« Sì, sì! », esclamò Rachele, risvegliatasi dal coma. « Certo, entra ».
La ragazza si scostò dall’ingresso per farlo entrare, e poi chiuse la porta. Gianluca si guardò intorno e si tolse delicatamente il giubbotto. « Ma sei sola? », chiese, notando il silenzio che aleggiava nella casa.
Rachele, che intanto era andata a prendergli un asciugamano, glielo porse sorridendo. « Sì, i miei sono partiti stamattina per andare dai miei zii.. dovrebbero tornare sul tardi ».
Gianluca sorrise e si passò l’asciugamano nei capelli, schizzandosi un po’ d’acqua sul viso. Rachele rimase lì a fissarlo con espressione ebete finché lui non parlò.
« Se si sono portati dietro anche tuo fratello, mi sta più che bene ».
Rachele rise genuinamente. « Sì, sì, i tuoi libri sono salvi », disse.
« Meglio così », disse, porgendole l’asciugamano. « Grazie ».
Poi tirò fuori un cd dalla tasca del giubbotto appeso all’appendiabiti. « Allora tieni. Così lo ascolti se vuoi e mi dici cosa ne pensi ».
« Grazie », disse Rachele, prendendo entrambi gli oggetti.
Si avvicinò alla televisione e posò il cd su di essa. “E adesso che cosa faccio?”, pensò, sperando di non essere assalita dal panico proprio in quel momento. Si guardò la mano destra. “Oh”, pensò, accorgendosi di avere ancora l’asciugamano in mano.
Corse come un razzo a portarlo in bagno, e non perse l’occasione per guardare la sua immagine riflessa nello specchio. “Bleah”.
Mentre usciva dal bagno, si accorse non senza imbarazzo che Gianluca la stava fissando. Arrossì, come non mancava ormai di fare ogni qualvolta si trovasse con lui.
« Bel tempo, eh? Peggio dell’altro giorno ».
« Già », mormorò Rachele, accendendo la televisione. « Le previsioni hanno detto che dovrebbe anche grandinare ».
« Addirittura? E se muoio tornando a casa? »
« Che importa? Tanto il cd me l’hai già dato », sghignazzò Rachele, sentendosi un’idiota per aver riso in quel modo stupido.
« Veramente vorrei fare tante altre cose prima di morire, sai com’è.. »
Gianluca sorrise, e Rachele si trovò per l’ennesima volta a fissarlo. Distolse subito lo sguardo.
« Del tipo? »
« Non so.. scalare l’Himalaya, scoprire un nuovo elemento chimico, veder compiersi un miracolo.. »
« Allora credo che morirai triste », commentò Rachele, facendo zapping tra i canali.
« Grande verità, Rachele! », rise Gianluca. « Ma posso sempre sperare ».
« Strade bloccate per il maltempo.. prevista grandine per.. »
Rachele rimase un po’ imbambolata davanti alla televisione. « Beh », disse, poi. « Questo è un bel problema ».
« Oddio », si preoccupò Gianluca, guardando Rachele che si era appoggiata al mobile del salotto con le braccia incrociate. « Al massimo muoio davvero per strada mentre guido ».
« Vuol dire che l’elemento chimico lo scoprirai in un’altra vita. Ma non dire sciocchezze.. ». Rachele si armò di un coraggio che non pensava di avere. « Rimani qui finché la tempesta non si calma ».
Gianluca la guardò stralunato, e la ragazza, ovviamente, arrossì. « Sicura che non ti do fastidio? »
« Non posso certo averti sulla coscienza! »
Gianluca rise. « Grazie, grazie mille davvero », disse, più sollevato.
Rachele si scostò dal mobile battendo le mani e dando una rapida occhiata all’orologio. « Beh, è ora di cena. Hai fame? »
Gianluca annuì, seguendo la ragazza in cucina. « Sì », disse. « Ti aiuto, così non fai danni questa volta, magari? ».
Ricordando improvvisamente l’episodio dei biscotti salati, la ragazza si girò rivolgendogli un’occhiataccia. « Oh, meno male che ci sei tu », commentò acidamente. « Altrimenti avrei rischiato di morire avvelenata ».
« Dovevo stare zitto, vero? »
« Sì, dovevi ». Rachele, a sorpresa, rise. « Dunque.. cosa possiamo fare? »
« Io vivo di panini e di roba riscaldata al microonde, quindi non lo so », rispose Gianluca. Rachele rimase sorpresa: non sapeva perché, ma aveva immaginato che il ragazzo fosse un grande cuoco. Più o meno.
« E ti permetti di commentare la mia cucina! », disse allora, indignata.
« Tu volevi avvelenarmi fin dall’inizio ».
Rachele ghignò. « Mi hai beccato! », rise. « Possiamo fare patatine fritte. Quelle le so fare ».
La ragazza prese la busta dal freezer e mise la pentola sul fuoco, pensierosa. Gianluca la fissò per tutto il tempo.
« Dunque.. », fece, con una mano sul mento. « Quanto olio devo mettere? E soprattutto, olio di semi o d’oliva? »
« Ehm.. », balbettò lui, prendendo la confezione e leggendo sul retro. « Penso di semi, no? E poi non le sapevi cucinare, tu?! »
« Le so mangiare », fece Rachele con tono di voce angelico, versando un’abbondante e decisamente esagerata quantità d’olio nella pentola. « Non è la stessa cosa? »
La ragazza mise poi le patatine nella pentola e si sedette a braccia incrociate su una sedia. « Adesso aspettiamo ».
« Non è
esattamente la stessa cosa », fece Gianluca, spiazzato, mentre lanciava un’occhiata alle patatine che emettevano rumori strani.
Rachele, dopo un attimo, disse: « e adesso le posso togliere? Quanto dobbiamo aspettare? »
« Non lo so, controlla! », esclamò Gianluca, incitandola ad alzarsi. « Forse sarebbe stato meglio se le avessi messe nel microonde ».

Rachele si alzò a malincuore e andò a controllare sul retro della confezione, che diceva “sette minuti”. « Perché, si possono mettere anche nel microonde? », chiese, con l’aria di una che ha appena scoperto l’America, e quando si girò a guardare il ragazzo si accorse che il suo volto era a pochi centimetri dal suo, intento anche lui a leggere la confezione.
Lo guardò per un attimo che le sembrò interminabile negli occhi, e si chiese per l’ennesima volta come potessero essere così azzurri, così    simili    , così brillanti quasi da potersi specchiare.
Trasalì quando lui aprì bocca. « Te l’avevo detto. Ormai è troppo tardi ».
Improvvisamente squillò il telefono, e Rachele si ritrovò per la seconda volta a ringraziare tutti gli dei. Il ragazzo si fece subito da parte. « Rispondi, le controllo io le patatine ».
Rachele annuì e si fiondò a rispondere.
« Tesoro, tutto bene? Le autostrade sono bloccate, quindi dobbiamo rimanere a dormire dallo zio.. arriviamo domani, verso le dieci, se tutto va bene.. tu puoi anche non andare a scuola ».
Rachele deglutì. « Certo, mamma ».
Gianluca sentì Rachele parlare ancora un po' al telefono, poi riattaccò e lo raggiunse nuovamente.
« Adesso le possiamo togliere? » gli chiese, come se parlasse con un cuoco esperto. L'olio nella padella, nel frattempo, cominciò a sfrigolare e a schizzare minacciosamente. « Toglile tu, io ho paura! » si affrettò ad aggiungere, infatti.
Gianluca si armò di coraggio e brandendo il cucchiaio con cui le aveva mischiate prima, esclamò: « Aspetta! Dammi un piatto, prima! »
Non sapeva perché, ma tutta quella situazione aveva un non so che di tragicomico. Insieme, di certo, avrebbero combinato danni anche solo imbottendo un panino.
Rachele si allontanò di qualche centimetro, e alzandosi in punta di piedi, prese un piatto da rompere da uno sportello della credenza, per poi porgerglielo, attenta a non avvicinarsi troppo alla padella maledetta, che sembrava averla terrorizzata.
Lui, improvvisandosi un cuoco provetto, si armò di una forchetta, ed insieme al cucchiaio di prima cominciò a prendere la patatine e a metterle nel piatto, che aveva appoggiato al bancone accanto ai fornelli.
Quando neanche una patatina rimase nella padella, Gianluca spense il fornello, prima che qualcosa prendesse fuoco.
« Ecco! » disse, con un tono chiaramente orgoglioso di sé stesso.
« Wow, come sei bravo
. » disse lei, con una falsa ammirazione, seguendolo con lo sguardo.
« Mi prendi in giro? » chiese lui con un mezzo sorriso, mettendo forchetta e cucchiaio sporchi dentro il lavello.
« No, non mi permetterei mai! » rispose lei, ricambiando il sorriso, prendendolo in giro.
Rachele – molto stupidamente, ad avviso di Gianluca – prese una patatina dal piatto e l'infilò in bocca per mangiarla. Era chiaro che le patatine erano ancora bollenti.
« Ma scotta! » si lamentò lei, mettendosi una mano davanti la bocca e trasalendo.
Gianluca scoppiò a ridere. « Non sai neanche mangiarle.. Ovvio che scotta. » disse, e con fare da vero gentiluomo ne prese un'altra dal piatto, ci soffiò sopra e gliela porse.
Lei la prese, la mangiò e trasalì di nuovo. « Grazie, ma scotta ancora! »
Gianluca continuò ad osservarla, divertendosi troppo.
« E soffiaci ancora sopra prima di mangiarla, ti ho insegnato come si fa. » disse con aria da sapientone.
Rachele gli rivolse uno sguardo a dir poco truce, ma anche essendo molto risentita, prese un'altra patatina e ci soffiò sopra più del dovuto.
« Ovviamente scherzo, » precisò lui sorridendo, e prendendo dal piatto una patatina per sé questa volta, « Ah, chi era al telefono? »
“Magari era il ragazzo. pensò lui, come se avesse tutto il diritto di sapere chi la chiamava.
« I miei, » rispose Rachele, e Gianluca fece un sospiro di sollievo, « Devono rimanere da mio zio perché l'autostrada è bloccata. »
Lui ingoiò la patatina che aveva appena messo in bocca senza masticarla.
« Ah, e quindi rimarrai da sola stanotte? » disse molto stupidamente, rendendosi conto che quella frase poteva dar da pensare a ben altro.
« Sì. » rispose lei, come se fosse un dettaglio di nessuna importanza, continuando a mangiare.
« Hmm.. » commentò solamente lui, prendendo un'altra patatina solamente per prendere tempo, non aveva proprio fame. Fuori pioveva ancora, se rimanevano in silenzio poteva sentirlo. E avrebbe avuto Rachele tutta per sé.
Improvvisamente Gianluca benedì la pioggia, i temporali, l'acqua, i tuoni, le tempeste. Proprio lui che amava il sole.
Calò il silenzio, e all'improvviso se ne andò la luce.
« Cazzo! »
« Cacchio! »
Gianluca imprecò per secondo e nello spavento diede anche un calcio a Rachele.
Quest'ultima lanciò di nuovo un epiteto poco felice. « Ma sei scemo! » esclamò.
Lui arrossì violentemente, ma tanto era buio e non poteva vederlo nessuno. Com'era idiota!
« Scusa! » disse lui, veramente dispiaciuto, « Ma non si vede niente, fa qualcosa! »
Sentì Rachele muoversi accanto a sé. « Vado a prendere le candele, dovrei averne un paio nella mia stanza. » annunciò, con l'aria di chi avrebbe presto salvato l'umanità.
Rachele uscì dalla cucina, attraversò il salotto, sbatté il fianco sul divano e finalmente raggiunse la sua stanza. Tutto ciò, al buio.
« Ma al buio non le trovo! » gridò a Gianluca dalla sua stanza, entrando improvvisamente in panico ed abbandonando l'aria spavalda di prima.
Gianluca rimase in silenzio e per poco non dovette infilarsi un pugno in bocca per non ridere.
Rachele, nel frattempo, prese a tastare tutte le superfici rigide della camera, elencandole persino ad alta voce.
« Allora, questo è il muro. Questo è l'armadio. Questo è ancora il muro. Questa è la scrivania, quindi qua sotto dovrebbe esserci il cassetto.. No, è il cestino. Il cassetto è a destra. »
Poi smise di parlare e ci furono dei rumori di cassetti aperti e cose che venivano sbattute l'una sull'altra.
« Le ho trovate! » esultò finalmente.
« Brava! » le gridò di rimando Gianluca, scoppiando a ridere. Non era riuscito più a trattenersi. « Adesso muoviti, però. Sai, non è una bella sensazione. »
Lei fece la strada a ritroso, sbattendo di nuovo sul tavolo, ed infine entrò di nuovo in cucina.
« Hai un accendino?! » gli chiese.
Gianluca, naturalmente, l'aveva.
Si tastò le tasche ed estrasse da quella posteriore un accendino, porgendoglielo a tentoni. « Sì, ce l'ho. Te lo sto porgendo. » disse.
Rachele lo fissò per un po', non vista chiaramente, e riuscì a prendere l'accendino che lui le offriva. Una volta preso, accese le candele, per poi posare l'accendino sul bancone.
« Un applauso a me! »
Finalmente l'aria s'illuminò fiocamente, grazie alla fiammella delle candele
. Era debole, ma bastava. Gianluca pensò, stupendosi subito dopo, all'atmosfera romantica che producevano.
« Attenta a quando le appoggi!» le disse però.
« Ma mi hai preso per cretina? » disse ridendo Rachele. Adesso Gianluca poteva finalmente vederla.
« No.. mi fai solo ridere, » disse ridendo, appunto, « In senso buono, eh! »
Rachele non disse nient'altro, e gli sorrise.
Gianluca la fissò negli occhi scuri, e in quel momento preciso la trovò terribilmente bella.
“E' un'occasione perfetta, Gianluca. Non puoi sprecarla.” si disse.
Gianluca si avvicinò a lei, rimanendo a labbra socchiuse e respirando leggermente. Le poggiò una mano sulla spalla, e con l'altra prese a toccarle delicatamente i capelli, avvolgendo quei ricci attorno alle proprie dita. Quei capelli che tanto aveva fissato, che tanto aveva sperato di avere fra le mani..
..E poi, quelle labbra che tanto aveva sperato di poter assaggiare.
« Che cos.. » sussurrò Rachele, ma non ebbe tempo di finire la frase. Si bloccò a metà, poiché le labbra di Gianluca si poggiarono sulle sue, schiudendosi in un delicato bacio.
Il tempo si arrestò.
Solo loro, quelle labbra, e la pioggia.

 


OH!OH!OH! *___*
Ebbene sì, la frittata è stata fatta!
Buonasera lettori e lettrici, qui è Adrienne :D Vi è piaciuto questo capitolo? Diciamo che ha compensato quello precedente, che era solo un capitolo di 'passaggio'. Ehehe e ora? xD Come sempre ringraziamo tutti, in particolare TheDreamerMagic e Billie Joe Fan, grazie, davvero! *-* Speriamo con tutto il cuore che la nostra storia continui ad appassionarvi e di ricevere molti altri pareri!
Alla prossima!
Ps: nessuno vuole iscriversi al club Pro Jacopo?! XD

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Capitolo 9
*** Capitolo nove ***


Capitolo nove



Rachele era cresciuta in una famiglia terribilmente simile a quelle della pubblicità, di conseguenza anche lei era uguale ad una delle “bambine tipo” che di solito si vedono in tv.

Alle volte era presuntuosa, scontrosa e egoista, ma era anche quella che sorrideva sempre sinceramente e non si era mai rifiutata di aiutare un amico.

Rachele era il tipo di ragazza che arrossisce quando riceve un complimento, che tifa sempre per i buoni e che piange alla fine dei film romantici. Sostanzialmente, era una persona buona. Nonostante a volte non assumesse un atteggiamento esemplare, non aveva mai e mai realmente fatto qualcosa che avesse potuto ferire qualcuno. Almeno, non consapevolmente. Tranne quella volta.

Rachele sentiva un brivido percorrerle la schiena mentre con le mani accarezzava dei capelli talmente sottili che, pensava, si sarebbero potuti sgretolare tra le sue mani.

Tutto in quel momento le dava una sensazione di profonda calma, di tranquillità, e avrebbe voluto rimanere in quel modo per sempre.

Poi, ritornò la luce. Come appena uscita da un profondo trans, la ragazza aprì di scatto gli occhi: era così vicina a Gianluca da potergli vedere i pori, così vicina da poter respirare il suo odore che quasi la drogava. Poi le ciglia del ragazzo si schiusero e, per un attimo, si fissarono.

A Rachele venne in mente una frase che aveva pensato molti mesi prima e poi ruppe quel bacio.

Ha gli occhi azzurri come il cielo. Chissà se di notte si possono vedere le stelle.”

Fece qualche passo indietro con le labbra che le tremavano, senza riuscire a trovare il coraggio per guardare Gianluca negli occhi. Dentro di lei ribollivano tante sensazioni ed emozioni diverse, ma quella più forte e viva era il senso di colpa. Il “oddionocheèsuccessononècolpamiaeadesso?”.

Respirò a fondo. Per un attimo si era dimenticata di farlo.

« No, aspetta », disse, guardando la cera della candela che cominciava a colare sul tavolo. « Non è successo, tu non l’hai fatto ».

« Invece sì, l’ho fatto ». Il tono di Gianluca era alto e deciso, e Rachele immaginò che stesse stringendo i pugni fino a far diventare le nocche bianche.

Sentiva un vuoto al livello della pancia, in testa aveva solo l’immagine di Jacopo con i suoi capelli biondi scompigliati.

« No, io no! Sei stato tu! Mi hai presa alla sprovvista, non dovevi, come ti sei permesso? », disse, cominciando ad alzare la voce. « E adesso che faccio.. »

« Ma sei scema?! Guarda che i baci si danno in due, non venirmi a dire che è colpa mia adesso! », ribatté Gianluca, evidentemente colpito nell’orgoglio.

« E no, non cercare di darmi la colpa! Tu hai cominciato! ». Rachele notò che la sua voce cominciava a diventare isterica, e i suoi occhi si erano già gonfiati di lacrime. Si girò, dandogli le spalle, e cominciò a camminare per la cucina come quella che lei avrebbe normalmente definito “moglie stressata e arrabbiata”. « Non dovevi farlo, punto e basta », concluse, poi.

Rachele sentì i passi di Gianluca che evidentemente aveva preso a camminare stando un passo dietro di lei, e la cosa la terrorizzò non poco.

« E’ colpa di tutti e due. Avresti potuto respingermi anche subito, o no? », disse, lui.

Rachele ignorò la domanda di Gianluca, classificandola come “domanda retorica e dunque stupida, evidentemente poco degna di ricevere considerazione”, anche se in cuor suo sapeva che, infondo, aveva ragione. Come si sarebbe comportata con Jacopo adesso? Gliel’avrebbe detto così da far sì che lui la lasciasse o avrebbe fatto finta di niente così che tutto rimanesse come prima? Si sarebbe presa le sue responsabilità o avrebbe continuato a vedere Jacopo lasciando che questo peso la tormentasse?

Per quanto Rachele si considerasse matura, infondo era ancora una bambina. Eternamente indecisa, incapace di farsi carico di troppi pesi.

Poi, così presa dal torto fatto a Jacopo, non si era neanche chiesta perché avesse risposto al bacio di Gianluca.

« Non ti voglio ascoltare, lasciami sola », disse poi, sedendosi su una sedia e prendendosi la testa fra le mani. « Puoi rimanere qui fino alla fine della tempesta, ma va’ in un’altra stanza per favore. »

Rachele sentiva lo sguardo di Gianluca puntato in mezzo alla schiena. Dopo un lungo attimo il ragazzo sospirò. « Non fare la bambina capricciosa, Rachele! », disse, e dalla voce si capiva benissimo che doveva essere infastidito e offeso, ma a Rachele non importava proprio un bel niente di ciò che doveva essere lui.

Cos’era, non capiva? Non ci arrivava, forse? Non pensava alla gravità di ciò che era successo? Rachele aveva il ragazzo, in caso Gianluca l’avesse dimenticato.

« Capricciosa?! », strillò, alzandosi così velocemente che quasi cadde la sedia. « Capricciosa?! Tu non capisci. Tu non hai la minima idea.. ecco perché sei così tranquillo, a te non frega proprio un bel niente, tu puoi andare in giro a divertirti baciando tutte le ragazze che vuoi e poi continuare ad essere fresco come una rosa. Io non sono così. Io penso a quello che faccio e soprattutto penso alle conseguenze. Perché a differenza di te, io devo dare conto a qualcuno. Quindi vattene da questa stanza, adesso. »

Rachele disse tutto questo senza riprendere fiato neanche una volta, e mentre parlava aveva avuto l’impulso di mettere le mani addosso a Gianluca, che se ne era stato lì fermo, a fissarla, per tutto il tempo.





Gianluca la guardò per tutto il tempo, poi scoppiò a ridere. « TU pensi a quello che fai? Non si direbbe proprio... Forse i tuoi pensieri non corrispondono alle tue azioni, o no? Comunque, signorina, scusi il disturbo... Dato che non la capisco, posso andare via a baciare qualche altra ragazza.» disse infine, accompagnando quella frase con una dose massiccia di ironia. E forse, anche con un po' d'acidità.
« Forza, vai, dato che ti diverte tanto baciare le prime che passano! » ribatté lei, scaldandosi sempre di più. Ovviamente, non aveva scordato di quella ragazza avviluppata a lui, fuori dal locale, l'altra sera. Che stava facendo, le stava togliendo degli schizzi di maionese del panino con le sue labbra? Ridicolo!
Gianluca era irritato del fatto che quella ragazzina lo stesse giudicando male: pensava che lui fosse proprio quello che non era. Certo, non aveva mai avuto problemi con le ragazze, le quali sembravano apprezzarlo e che non gli riservavano mai un due di picche, ma non aveva mica uno stuolo di loro che gli andavano dietro; e onestamente parlando non si ricordava l'ultima volta che aveva baciato una ragazza provando qualcosa. Con Rachele, era successo... Ma forse lei non l'avrebbe mai saputo. Non l'avrebbe mai capito.
E poi, come diavolo si permetteva?!
« Tu non sai niente di me... » Gianluca assottigliò gli occhi chiari, riducendoli quasi ad una fessura, e parlò a voce bassa. Si stava irritando, lo sentiva. Doveva mantenere la calma...
« Né mi interessa saperlo! » concluse Rachele, nera dalla rabbia, e tornò a sedere dandogli le spalle.
Lui continuò a guardarla. In quel momento pensò che forse aveva a che fare con una ragazzina e basta, ma una piccola vocina dentro di lui – una piccola e impercettibile voce dentro la sua testa - gli diceva che forse reagiva così soltanto perché proprio questa ragazzina – come ormai la definiva, appunto, aveva ferito per la prima volta il suo intatto orgoglio... Lei, proprio lei, era stata la prima ragazza a ferirlo. Ecco qual era la verità.
Ma non aveva più senso stare lì. Rachele era arrabbiata con lui, magari avrebbe iniziato a detestarlo seriamente per questo gesto. Gianluca si maledisse mentalmente.
« Come vuoi tu. Posso andare? » chiese Gianluca, che oltre a maledirsi, però, era anche lui incazzato e offeso. Cioè, lei mica aveva fatto qualcosa per fermarlo. Non se l'era immaginato: anche lei l'aveva baciato... Eccome. Significava solo che anche lei provava il desiderio di baciarlo e, una volta presentata la possibilità, non si era tirata indietro...
« Direi che sarebbe proprio il caso... » Rachele guardò Gianluca con la coda dell'occhio.
« Oh, ma chi se ne frega, piantala. » disse lui.
E in un attimo, Gianluca si avvicinò lei, si chinò e la baciò di nuovo.
Le appoggiò una mano sulla spalla, come se volesse assicurarsi che stesse ferma, e la baciò. Si fece spazio tra le sue labbra, inclinando la testa. La presa della mano sulla spalla di lei era forte, ma senza essere insistente. Anzi, riusciva ad essere incredibilmente dolce, nonostante tutto.
Rachele cercò di divincolarsi, rimanendo ad occhi spalancati, mugugnando qualcosa di incomprensibile con le labbra appiccicate a quelle di lui, ogni pensiero azzerato. Poi anche lui aprì gli occhi, senza spalancarli, e Rachele fissò il riflesso dei suoi occhi dentro quel mare blu. Si guardarono, come se si stessero dicendo mille cose senza parlare, e Rachele si arrese e lo baciò a sua volta.
Quando Gianluca lo capì, afferrò Rachele, costringendola ad alzarsi, e con entrambe le braccia le cinse la vita, abbracciandola. Lei poggiò entrambe le mani sul suo petto, mentre il bacio si faceva più intenso. La lingua di lei incontrò la sua e il battito cardiaco di entrambi sembrò accelerare; Rachele strinse di più gli occhi, mentre una mano di Gianluca si spostava sulla sua schiena.
D'altro canto, il cuore di Gianluca galoppava davvero. Ma da quando tempo non provava tutto questo? E tutto, tutto era solo partito da delle labbra di una... ragazzina.

Gianluca cominciò a camminare indietro, a tentoni, continuando a tenerla stretta a sé: aveva paura che una volta lasciata andare, quella magia fosse finita. Si scostò leggermente dalle sue labbra, poggiando la fronte contro la sua. I loro respiri erano sincronizzati.
Si ritrovò fuori dalla cucina, in mezzo al corridoio. Aveva intenzione di spostarsi in un posto più comodo, come il divano. Né Gianluca né Rachele osavano aprire gli occhi o separarsi... Erano in un equilibro troppo precario.
Arrivarono nel salotto, ancora coinvolti in quella danza troppo strana. Gianluca sentì il tappeto sotto i suoi piedi: ma in quel momento inciampò, le gambe di lui si erano praticamente intrecciate con quelle di lei, e perse l'equilibro cadendo all'indietro.
E come se non bastasse, la luce andò via di nuovo, lasciandoli al più totale buio.
« Ah! » esclamarono all'unisono.
Gianluca si ritrovò disteso sul tappeto, con Rachele addosso a lui.
Rimasero per mezzo minuto buono immobili, in silenzio, al buio, con i battiti e il respiro ancora troppo forti, le menti che vagavano, il rossore sulle guance.
Ma bastò un'altra frazione di secondo ancora, e i loro corpi continuarono a sfiorarsi, e le loro bocche a cercarsi, mentre le mani di lui afferravano stringendo quelle di lei.
Persero la cognizione del tempo; e infine abbandonarono le loro anime stanche – confuse, emozionate, quasi febbricitanti – sul tessuto di quel tappeto, che se solo avesse potuto parlare...




Salve a tutte le lettrici =)

In questo capitolo le cose si sono un po' scaldate, e converrete con me che Rachele si comporti un po' da bambina! Ma poveraccia, e confusa, e ormai si è capito che a Gianluca non resiste.. il perchè si scoprirà!

Poooi.. noto con dispiacere che nessuno si iscrive al club pro Jacopo ç_ç vorrà dire che gli unici membri saremo io e lui! XD

Ringraziamo Tiara, _ deny _ e TheDreamerMagic per le recensioni e tutti coloro che hanno inserito la storia tra le preferite, seguite e quelle da ricordare. Grazie!

Alla prossima ragazze, e mi raccomando, lasciateci pareri, sia positivi che negativi!

Un bacio, AllegraRagazzaMorta.



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Capitolo 10
*** Capitolo Dieci ***


Capitolo dieci

Capitolo dieci

 

 

Rachele si svegliò di soprassalto. Lei e Gianluca erano sul tappeto, rannicchiati vicini sotto una coperta. Sentì l'ormai troppo familiare morsa allo stomaco mentre guardava Gianluca respirare pacato. Mentre dormiva sembrava quasi un cucciolo. Aveva un braccio sul fianco di Rachele e la sua mano era calda. Rachele reprimette a forza le lacrime.
I capelli ormai scompigliati di Gianluca gli ricadevano a ciocche sul volto e le ciglia lunghe erano perfettamente immobili. Nel sonno, sorrideva.
La ragazza rimase a fissarlo per un po' prima di accorgersi di essere grondante di sudore. Sempre lo stesso sogno.
Ormai ci ho fatto l'abitudine”, pensò. “non mi lascerà mai in pace.”
Era l'estate dei suoi sedici anni, il ventisette agosto, e tornava come sempre a tormentarla nella notte, quasi come se le volesse ricordare che doveva comportarsi bene, che aveva già perso tutto una volta e non doveva farlo di nuovo. Quasi come volesse che quel ricordo rimanesse impresso nella sua mente per sempre. Come se fosse stato facile, per lei, dimenticare. Rachele si alzò da terra facendo bene attenzione a non svegliare Gianluca e controllò l'orologio. Erano le cinque e trenta del mattino, e avrebbe voluto scappare e non tornare mai più.

Era il quindici giugno del duemilanove e quella era una normale casetta di campagna, con la staccionata di legno e il camino che, però, nessuno usava mai, dato che era abitata solo d'estate. La casa si trovava a venti minuti di autobus dal mare e ci abitavano tre famiglie; apparteneva per un terzo alla famiglia di Rachele e il resto era dei due fratelli della madre. Tutte e tre le famiglie erano solite “trasferirsi” lì per le vacanze estive, e partivano di solito subito dopo la fine della scuola. La città in cui si trovava era ad un'ora di distanza dalla città di Rachele, perciò non era neanche un problema per suo padre – che in ogni caso era sempre in giro per la regione – andare a lavorare. Né per sua madre, che era la proprietaria di una scuola d'inglese. I cugini di Rachele avevano tutti un'età compresa tra i sei e i dodici anni, per questo lei non stava quasi mai in casa ed era sempre al mare con gli amici che si era fatta lì nel corso degli anni. Quella mattina Rachele era uscita di buon ora per andare a prendere l'autobus, e in quel momento era seduta vicino al finestrino mentre leggeva una rivista di moda.
« Scusa? ».
Rachele alzò la testa di poco per vedere in faccia colui che l'aveva chiamata. Era un ragazzo alto, con i capelli neri che gli ricadevano a tratti sugli occhi e dei bellissimo occhi azzurro cielo. Di carnagione chiara, aveva una maglietta nera che faceva risaltare ancora di più la sua pelle lattea e uno zaino strapieno in spalla.
Rachele gli fece un cenno per incitarlo a parlare.
« E' occupato qui? », chiese, indicando con la mano il posto vuoto di fianco a lei.
« Fai pure », rispose Rachele, pacata, ritornando alla sua rivista.
Il ragazzo si sedette e appoggiò senza molta grazia lo zaino per terra. Rachele sentiva i suoi occhi puntati addosso, e la cosa la mandava in agitazione. Quando una persona si sente osservata, o come in questo caso è osservata, comincia a fare movimenti strani. Rachele ci pensava sempre, ma ogni volta che qualcuno la guardava proprio non ci riusciva, a stare calma. Non erano movimenti bruschi, erano piccoli scatti, magari impercettibili agli occhi dell'osservatore, che però la mandavano ancora di più in agitazione. Può sembrare un po' esagerato, ma Rachele non riusciva a sopportare di essere guardata.
Per questo, dopo cinque minuti abbondanti, si girò a guardarlo anche lei.
« Scusa, ma che vuoi? », chiese, aggrottando le sopracciglia.
Il ragazzo non sembrò scomporsi minimamente di fronte alla reazione di Rachele, cosa che fece irritare non poco la ragazza.
« Mi stai infastidendo », disse poi, Rachele, notando che dall'altra parte non otteneva risposta.
« Non era mia intenzione », disse in un soffio quello strano tizio, chiaramente senza smettere di fissare Rachele.
« Ottimo, Ragazzo X. Hai notato, vero, che l'autobus è pieno di posti vuoti? », Rachele mise maggiore enfasi sulla parola “pieno”.
« Non ci vuole certo un particolare spirito di osservazione, per notarlo ».


Era il ventitré luglio del duemilanove e Rachele era piena di speranze per il futuro. Finalmente sentiva di poter riuscire in qualcosa, finalmente aveva deciso cosa fare della sua vita e finalmente si era innamorata. Aveva solo sedici anni, vero, ma il futuro per lei era sempre stato un chiodo fisso. Per questo, l'aver finalmente deciso cosa fare della sua vita significava aver raggiunto un gran traguardo. Anche se forse non era quello il futuro che si era sempre aspettata.
Il ragazzo di cui si era innamorata Rachele era un ragazzo normale, come tanti, ma allo stesso tempo era diverso. Aveva i capelli neri di media lunghezza, mossi, e degli occhi azzurro cielo profondissimi. Il suo sogno era suonare la chitarra, e il nuovo sogno di Rachele era quello di accompagnarlo e sostenerlo ovunque lui avesse deciso di andare. Si sarebbe trovata qualche lavoretto pomeridiano e, una volta finita la scuola, avrebbe avuto un mucchietto di soldi da parte.
« Certo, cara », le aveva detto sua madre, giorni prima, dopo aver ascoltato attentamente il suo nuovo sogno americano. « E poi sarai anche la prima donna a metter piede su Marte. »
Suo padre aveva riso. « Ma lasciala stare! », aveva detto, tra le risate. « Ha ancora sedici anni. Io, alla sua età, da grande volevo fare il ballerino ».
Rachele non si era scomposta minimamente ai commenti dei suoi genitori, anzi, era sempre più decisa a seguire il suo nuovo Romeo in giro per il mondo.
Romeo era un ragazzo taciturno, un po' introverso, ma divertente al momento giusto e con un cuore talmente grande da far sentire Rachele come una bambina che vuole bene al suo papà.
« Senti, Marc.. », mormorò Rachele, guardando dritto all'orizzonte, dove il sole stava piano piano scomparendo. « Tu ci credi davvero? A questa cosa di girare per il mondo a suonare, intendo. Io non sono mai stata un'appassionata di musica, quindi non capisco del tutto il tuo desiderio. Però sarei disposta a fare qualsiasi cosa, pur di stare con te. »
Marc la baciò dolcemente, e poi sorrise. Rachele pensava che Marc sorridesse con gli occhi. Socchiudeva le palpebre e le pupille cominciavano a brillare.. beh, questa era un'impressione di Rachele. Però le palpebre le socchiudeva veramente. La cosa importante, però, è che anche se Rachele non avesse potuto guardare le sue labbra, avrebbe capito che Marc stava sorridendo semplicemente guardandolo negli occhi.
“Ha gli occhi azzurri come il cielo”, pensò, ad un tratto. “Chissà se di notte si possono vedere le stelle.”
« Io ci credo solo se ci credi tu », disse Marc, stringendola forte. « Ci credi? »
« Sì, ci credo. »

Marc era morto il venticinque agosto del duemilanove alle nove e mezzo del mattino, e una cosa che Rachele non sarebbe mai riuscita a dimenticare era il rumore. Il botto, i clacson, le urla. Non riusciva neanche a sentire la sua voce chiamare il nome di Marc.
Un'altra cosa che Rachele non sarebbe mai riuscita a dimenticare, era il sangue. Il resto, proprio, non lo ricordava. Si svegliò in ospedale, ore dopo, e la prima cosa che vide fu il viso preoccupato di sua madre. La donna parlava, parlava, le chiedeva se stava bene, chiamava l'infermiere e le toccava i capelli. Rachele inizialmente non riusciva a parlare, e si girò ad osservare la stanza. Le pareti erano bianche proprio come in ogni ospedale, aveva una flebo attaccata al braccio destro e il sinistro ce l'aveva ingessato.
Si chiese dove avessero messo il braccialetto con le stelline che le aveva regalato Marc e che teneva sempre al polso sinistro.
« Tesoro, tesoro, come ti senti? ». la madre di Rachele aveva, ovviamente, un tono ansioso e preoccupato, e le passò una mano sulla fronte.
« Ma-mamma.. » tentò di mormorare Rachele.
« Allora?! », strillò la madre di Rachele. « Mandatemi subito un infermiere! »
« Mamma.. dov'è Marc? ». La ragazza cercò di reprimere dei colpi di tosse.
« Eravamo preoccupatissimi, vi ha investiti un camion, oddio santo.. pensavo fossi.. »
« Mamma », Rachele tentò di assumere un tono più duro e alto. « dov'è Marc. »
« Tesoro.. »
La madre di Rachele non rispose. Bastava osservare il suo viso, per capire. Per la prima volta da che Rachele avesse memoria, sua madre piangeva.

 




Salve gente! Sono Adrienne!
Come avete passato le vacanze Pasquali? Io bene, peccato che sono in crisi perché domani si torna a scuola :(
Bando alle ciance, che ne dite di questo capitolo? Finalmente abbiamo scoperto il "segreto" di Rachele! Le cose nel capitolo scorso si sono infiammate parecchio, ed era ora che scoprissimo qualcosa in più sui nostri amati personaggi. :) Speriamo vi sia piaciuto!
Nel frattempo, ringraziamo tantissimo Emily Doyle, Tiara, _deny_, XXX_Ice_Princess_XXX, Billie Joe Fan e TheDreamerMagic per le numerose recensioni! Ci fa tantissimo piacere, continuate così! *-*
E per chi non l'avesse ancora capito... Questa è una storia scritta a quattro mani, cioè da due autrici. Siamo in due a scrivere! ;)
Beh un bacio grande, alla prossima! Grazie!

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Capitolo 11
*** Capitolo Undici ***


Capitolo undici

Capitolo undici

 

 

Era estate, ed erano le quattro del mattino.
Gianluca si alzò dal suo letto, e i piedi nudi toccarono il freddo pavimento.
Si stropicciò gli occhi, e immerso nel buio della casa, andò in cucina a bere un bicchiere d'acqua, nel massimo silenzio.
Non era la prima volta che Gianluca si svegliava nel cuore della notte, perché non riusciva più a dormire: aveva troppi pensieri in testa, in quel periodo. Era confuso, triste, e neanche dormire riusciva a scrollargli via alcuni dei suoi brutti pensieri.
Buttò giù l'acqua ghiacciata: sua madre gli diceva sempre che faceva male berla a stomaco vuoto, ma lui se ne fregava sempre, anche questa volta. A maggior ragione, dato che non poteva neanche vederlo.
Uscì dalla cucina, e in punta di piedi salì le scale del piano di sopra, verso il terrazzo. Il rumore della porta che conduceva al terrazzo sembrò quello di uno sparo di pistola, in quel silenzio, ma lui fece finta di nulla ed uscì.
Gianluca si rifugiava spesso sul terrazzo. Si arrampicava cautamente sul tetto spiovente, e si sedeva sulle tegole rosse e rovinate. Guardava le luci della città accese, quelle luci che sembravano bruciare come fuoco, e pensava. Pensava, pensava, pensava.
E in quel momento pensò anche che avrebbe proprio dovuto smettere di pensare così tanto. Gli faceva male.
Anche quella volta, si arrampicò e si sedette sul tetto. Era quasi tutto buio, e anche quella volta le luci all'orizzonte non lo delusero. Era davvero bello. Lì, Gianluca si sentiva felice...
Spostò una tegola che aveva rotto mesi fa con un martello e lo scalpello. Ne estrasse un pacchetto di sigarette e un accendino, ne prese una e se l'accese, sorridendo. Ogni volta non poteva che essere fiero del suo nascondiglio... Come avrebbero fatto i suoi genitori a scoprire che ormai fumava regolarmente? A nessuno sarebbe mai venuto in testa di controllare lì. Mai.
Gianluca espirò profondamente, guardando l'orizzonte davanti a sé. Già, i suoi genitori... Erano proprio loro, a recargli così tanti pensieri, ultimamente. Li aveva visti sempre sereni ed innamorati, comprensivi, pronti ad ascoltarlo, e non erano mai stati neanche troppo severi nei suoi confronti. Li aveva sempre adorati, e rispettati. Il loro era proprio un bel rapporto.
Ma qualcosa – Gianluca non sapeva cosa – si era spezzato, in loro. Ormai non facevano altro che litigare e rinfacciarsi ogni cosa, anche la più minima. Non parlavano più con lui – certi giorni non gli chiedevano neanche come stava - e non facevano altro che pressarlo per la storia dell'università, dicendogli gli sbrigarsi a scegliere una facoltà e a studiare, quando gli esami di maturità erano finiti da poco più di un mese.
E, appunto, c'era anche la storia dell'università. Era uscito dal liceo con un ottimo punteggio, ma non sapeva ancora che strada prendere. Era sempre stato bravo nelle lingue straniere, e parlava l'inglese ormai abbastanza scorrevolmente anche grazie al viaggio a Londra dell'anno prima, ma aveva paura. L'università non era come il liceo. E poi, se non si fosse trovato bene? E se avesse voluto cambiare? E se avesse deluso i suoi genitori?
Quest'ultimi pensavano che l'indecisione di Gianluca fosse determinata dal fatto che non si era mai ammazzato di studio e che si era stufato. Che volesse rimanere un pantofolaio, cosa che Gianluca aveva aborrito da sempre. D'altra parte, lui non aveva mai parlato delle sue paure e delle sue indecisioni con loro, perché pensava fosse perfettamente inutile. Ormai, non l'avrebbero capito. Gli avrebbero solo puntato il dito contro, come facevano sempre.
A Gianluca sembrava di soffocare. Voleva andare a vivere da solo, voleva partire e non ritornare mai più. Voleva tornare a Londra, città che gli aveva rubato il cuore.
Schiacciò la sigaretta ormai finita e rimise a posto la tegola.
E proprio lui, che non aveva mai mentito ai suoi genitori, e che li aveva sempre considerati degni di stima, aveva iniziato a fumare. E ovviamente loro non lo sapevano, e non dovevano saperlo. Era come se volesse vendicarsi per il modo in cui lo stavano trattando: e l'unico modo era trasgredire alle loro regole. Essere un ribelle. E fare una cosa che loro due avevano sempre trovato orrenda... Schifosa.
Ma Gianluca, quella notte, non sapeva fino a che punto si sarebbe spinto.

*


« Dai, Gianlu, fallo per me! »
« Ma dai, che ci vengo a fare in discoteca? Lo sai che non so ballare. E neanche mi piace quel tipo di musica, che schifo! »
« Per favore. Possiamo incontrare qualche ragazza, divertirci un po'. Non esci da una settimana, ti farà bene stare un po' fuori! »
Gianluca pensò che era vero, anche se detestava andare in discoteca.
« Oh, e va bene. Passo da te alle nove. »
« Alla grande! A più tardi. »


*


Gianluca sorseggiava il suo cocktail. Aveva ordinato un Quattro Bianchi, ma quello che aveva nel bicchiere non era un Quattro Bianchi. Faceva schifo, si sentiva solo troppo alcol. Che baristi incapaci.
Gabriele era in mezzo alla pista già da un bel po', come minimo tre quarti d'ora. Gianluca aveva solo ballato per massimo dieci minuti, poi si era precipitato a bere. Del resto, sembrava che Gabriele avesse già adocchiato una ragazza con cui ballare.

Bevve ancora. Che noia. Noia, noia, noia.
Aveva pensato che uscire avrebbe allontanato i numerosi pensieri della sua testa. Neanche quella orrenda musica a palla, neanche tutta quella gente attorno a sé, neanche più le sigarette e l'alcol riuscivano a farlo. E lì, in mezzo a tutta quella folla, si sentiva solo.
Gianluca ricacciò indietro le lacrime. Le tratteneva da tanto tempo, ma quello non era il momento né il luogo migliore per scoppiare a piangere. Aveva proprio bisogno di un pianto liberatorio, come quelli che si fanno da bambini, quando ti sbucci il ginocchio o semplicemente quando credi di esserti perso al supermercato. La mamma mi ha lasciato solo, invece si è solo allontanata al reparto della frutta e tu sei rimasto indietro...
Finì il suo cocktail, col cuore che gli scoppiava, e che andava in mille pezzi.
Cosa ci faceva lì? Voleva solo tornare a casa...
Voleva solo qualcuno che lo capisse, che lo facesse sentire meno solo.
Voleva qualcuno che azzerasse la sua mente da ogni pensiero opprimente.
Nient'altro...
Gabriele riemerse dalla folla di sardine che ballavano.
« Gianluca! Che ti prende? Hai una faccia... »
« Il cocktail faceva schifo. » Rispose prontamente lui, mentendo. Non voleva che il suo amico lo considerasse un pappamolla.
« Non è solo questo... »
« Già, scusa ma non sono proprio di buon umore. »
« Lo so bene. Infatti ho pensato a te. »
« Che vuoi dire? »
Gabriele si avvicinò moltissimo a lui, e aprì il pugno chiuso.
Sul palmo della mano, c'era una piccola pillolina blu intenso. Sopra era inciso uno smiley, una faccina sorridente.
Gianluca la guardò, poi guardò Gabriele.
« Ma... Sei impazzito o cosa? Chi te l'ha... »
« Non è la prima volta che lo faccio, Gianlu. »
« Cosa?! Ma fai schifo! Non me l'hai mai detto. »
« Perché sapevo che avresti reagito così, figlio di papà. »
A Gianluca quella frase diede fastidio, per ovvi motivi. Improvvisamente sentì la rabbia montare dentro di sé. Lo stava forse sfidando?
« Non è vero, stronzo. »
Gabriele sapeva dove colpire. Sorrise.
« Allora, dai... Fidati di me, ti farà sentire meglio. Peggio di così... »
« Ma... » cercò di protestare Gianluca, ma Gabriele gli ficcò la pillolina in mano.
« Ritorno tra cinque minuti, non la voglio più vedere nella tua mano. »
Detto questo, sparì di nuovo tra la folla.
Gianluca rimase lì immobile e senza parole. Ma era impazzito? Della droga... Era davvero quella la soluzione? La vita doveva ridursi tutta là?
Da una parte però quello che diceva Gabriele era vero. Era disperato... Peggio di così? Gianluca guardò la pillolina nella sua mano. Gli sorrideva, era proprio così. Scrollò le spalle, se la ficcò in bocca ed inghiottì, prima che ci ripensasse. Se ne pentì quasi all'istante.
Dopo un quarto d'ora, Gabriele era accanto a lui.
E Gianluca piangeva, piangeva, piangeva come aveva desiderato poco prima, piangeva come un bambino. Il mondo si era ribaltato, i colori erano psichedelici, e a lui sembrava di volare. Non sentiva più il suo corpo. Piangeva, piangeva, ma non sapeva perché. Nella sua testa non c'era più niente, era libero, vuoto, e piangeva, però non era triste. Era felice... Non c'era più niente.
Niente.

*

Gianluca ritornò a casa alle sei e mezzo del mattino.
Si buttò sul letto, incapace di altri movimenti, distrutto.
Chiuse gli occhi, ma sorrise tra sé e sé.
Aveva capito.
La droga era quello che cercava.
Lei lo capiva, lo faceva sentire meno solo.
Lei azzerava la sua mente da qualsiasi pensiero opprimente...
Decise che l'avrebbe abbandonata mai più.

 





Buona domenica! E' ancora Adrienne che vi parla, eccoci qui con un nuovo capitolo pronto per voi. Dopo lo scorso capitolo, incentrato su Rachele, ecco il capitolo "Gianlucentrico", come l'ha definito la mia collega AllegraRagazzaMorta XD
As always, fateci sapere cosa ne pensate! Ringraziamo Tiara, _deny_, Emily Doyle e TheDreamerMagic; i vostri commenti ci fanno molto piacere, continuate così *-*
Poi vorremmo ricordare agli utenti che proprio in questo momento è in corso un EFP un concorso per le storie originali con i migliori personaggi... Se la nostra storia vi è piaciuta tanto, sarebbe un piacere se voi ci segnalaste, ne saremmo DAVVERO onorate! (: Vi invitiamo a leggere il bando sulla homepage del sito per saperne di più.
Detto questo... Alla prossima, grazie!

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