All That I'm living For

di Ily Briarroot
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** All That I'm Living For ***
Capitolo 2: *** Secondo capitolo ***
Capitolo 3: *** Terzo Capitolo ***
Capitolo 4: *** Quarto Capitolo ***
Capitolo 5: *** Quinto capitolo ***



Capitolo 1
*** All That I'm Living For ***


All That I'm Living For

 
Spalancò piano la porta di casa, lanciando un’occhiata fugace in ogni angolo del salotto, all’interno. Vi entrò lentamente, cercando di non fare rumore. Ogni oggetto, ogni minimo dettaglio riposto lì dentro lo facevano sentire tutto d’un tratto bene.
“Sono tornato!” esclamò in modo che la propria voce echeggiasse in ogni stanza. Non dovette aspettare molto; un bambino dai capelli corvini gli corse incontro, saltandogli quasi in braccio.
“Papà!”.
Ridacchiò entusiasta, allungando le braccia nel tentativo di farsi sollevare da quelle del padre.
“Ciao, piccolo. Dov’è la mamma?”.
Non fece in tempo a chiederglielo, però, perché vide la figura di una giovane donna dai capell castani apparire sulla soglia della cucina, fissandolo a braccia incrociate.
“Ciao, Delia”.
Le sorrise dolcemente, percependo qualcosa di strano nell’aria, nel suo sguardo. Sentì il figlio strattonargli leggermente il lembo della manica senza rinunciare all’idea di salirgli in braccio. E lo accontentò. Lo sollevò di scatto, suscitando le risa del piccolo.
“Contento adesso?” gli chiese, sorridendogli finchè non lo vide annuire entusiasta. Si rivolse poi alla moglie, notando di nuovo il suo sguardo fisso e serio.
“Allora… è pronto? Ho una fame… “ ridacchiò contagiato dall’allegra risata del figlio, massaggiandosi lo stomaco con la mano. Notò lo sguardo accigliato di Delia divenire di nuovo improvvisamente duro, senza distogliere lo sguardo dagli occhi scuri di lui. Dopo qualche secondo, si voltò di spalle procedendo dritta verso la cucina, lasciandolo di stucco.
“E’ già tutto in tavola da una decina di minuti. Sbrigati o si congela” rispose con voce fredda, lasciando che la dolcezza e la bontà che l’avevano sempre caratterizzata scomparissero del tutto, in quel momento.
E neanche lui la riconobbe. Sgranò gli occhi, seguendola velocemente. Scostò una sedia, facendovi poggiare sopra il bambino che aveva ancora stretto tra le braccia, e la raggiunse ai fornelli, guardandola di schiena.
“Ehi, si può sapere che ti prende?” le chiese ingenuamente, osservandola mentre serviva i piatti.
“Niente, non è il momento”.
La vide sedersi e la imitò, portandosi alle labbra il primo boccone della cena ormai fredda. Scrutò ogni suo movimento, ogni espressione del viso, non riconoscendo la donna che aveva davanti.
“Ehi, papà. Hai catturato dei pokèmon forti, oggi?”.
I suoi pensieri furono interrotti dalla voce sottile e piena di gioia che aveva di fianco. Si voltò verso di lui, fingendosi pensieroso.
“Uhm… a dire il vero—“.
“Papà non ha catturato nessun pokèmon oggi. Non è ancora partito, lo sai” lo interruppe Delia, lanciando al marito un’occhiata eloquente.
I grandi occhi neri del piccolo si spalancarono ancora di più, mostrando l’espressione ingenua che, molte volte, appariva sul viso del padre.
“Ma porterà anche me quando ripartirà, vero?”.
“Certo. Viaggeremo io e te, e diventeremo i migliori maestri di pokèmon del Mondo. Sei d’accordo, Ash?”.
Voltò di nuovo lo sguardo verso di lui e, per l’ennesima volta, gli parve di rivedere se stesso da bambino. Gli stessi capelli neri, e gli occhi scuri e profondi. E la voglia di chi ha tanto da imparare e da offrire.
Ash scosse la testa, leggermente imbronciato.
“Tu sei già un maestro di pokèmon, non vale!”.
Sorrise, e persino Delia non potè fare a meno di imitarlo.

“Dormi, piccolo”.
Gli baciò la fronte, rimboccandogli le coperte.
“Papà… ?”.
Sgranò gli occhi, credendo che stesse dormendo. Accennò un sorriso, guardandolo. Aveva gli occhi chiusi, e pensò che probabilmente era uno dei suoi soliti dormiveglia. Anche in quello aveva preso da lui.
“Sì, Ash?”.
“… Ti voglio bene”.
“Te ne voglio anch’io. Fai la nanna”.
Aspettò che il suo respiro si fece regolare, dopodiché si alzò dal lettino e spense la luce, uscendo dalla stanza. Lanciò un’altra occhiata piena d’affetto al figlio, e si chiuse la porta alle spalle, scendendo le scale.
Lei lo stava aspettando al piano di sotto, a braccia incrociate come poco tempo prima.
“Allora?” chiese, nascondendo un po’ della durezza che a malapena riusciva a trattenere.
“Si è addormentato”.
Sospirò, fermandosi davanti a lei. La scrutò nelle iridi scure, cercando una qualche spiegazione nei suoi gesti.
“Dove sei stato?”.
La domanda lo colse totalmente impreparato. Continuò a specchiarsi nei suoi occhi finchè non si rese conto che lei aveva ragione. Aveva bisogno di una spiegazione, una spiegazione che non si sentiva di volerle dare, in quel momento.
“… Dove vuoi che sia stato?”.
Delia gli si avvicinò decisa e lui arretrò istintivamente, non potendo sfuggire al suo sguardo pieno di sofferenza, più che di rabbia.
“Sono settimane che torni così tardi senza neanche darmi un motivo, senza… neppure avvisarmi! Ash ti aspetta ogni pomeriggio e tu non fai altro che sparire e riapparire a quest’ora! Ha solo cinque anni e vorrebbe passare più tempo con suo padre!”.
Quelle parole lo lasciarono spiazzato per qualche attimo. Lesse qualcosa di molto simile al dolore nei suoi occhi, qualcosa per cui si sarebbe volentieri buttato da qualche parte, se ne avesse avuto l’occasione. Non avrebbe mai voluto ferirla.
“Ti spiegherò tutto più avanti, davvero. Adesso… non è il momento…”.
Abbassò leggermente lo sguardo, sentendo quello di lei puntato addosso. Sperò con tutto il cuore che lei avesse compreso, che avrebbe lasciato perdere, almeno per il momento. Nonostante ciò significasse vederla soffrire.
“Cos’è che mi stai tenendo nascosto? Cos’è che non puoi dirmi?!”.
Non le rispose, cercando di concentrarsi su qualcos’altro che non fossero il suo volto, nonostante fosse difficile.
“Ho capito, hai… hai un’altra. Che sciocca, come ho fatto a non pensarci prima… ?”.
La vide scuotere lentamente la testa e allontanarsi piano da lui, scostandosi le lunghe trecce dagli occhi.
“No, Delia, hai capito male! Per favore, ascoltami… “.
“Non voglio ascoltare! Non più… “.
E si allontanò da lui, da quella situazione che la logorava pian piano, dal suo sguardo che era così identico a quello di suo figlio. Lo lasciò da solo, senza riuscire a trattenere le lacrime che lottavano per scivolarle sulle guance.

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Capitolo 2
*** Secondo capitolo ***


Spalancò lentamente la porta, cercando di evitare ogni minimo cigolio. Si ritrovò immerso nella stanza ora non più totalmente buia grazie alla fioca luce del corridoio che ne illuminava debolmente l’interno così da poter distinguere la sagoma del letto.

Si avvicinò ad esso, tenendo lo sguardo puntato sul bambino che dormiva tranquillo. Si sedette accanto a lui, ascoltando per un po’ il suo quasi impercettibile respiro regolare.

Gli accarezzò la fronte, sorridendo a quel piccolo angelo che gli somigliava così tanto. Gli stessi capelli corvini, la stessa grinta. Lo stesso modo di fare, gli occhi neri e profondi. Un amore smisurato e incondizionato per i pokèmon e tutto ciò che riguardava quel mondo. Chissà, forse un giorno sarebbe potuto diventare davvero il più grande maestro di pokèmon del mondo. Avrebbe potuto seguire le sue tracce, arrivare dove lui non era ancora riuscito. C’era qualcosa di più importante, dietro.

Vide Ash rigirarsi nel letto e lo sentì mormorare qualcosa riguardo un Charmander. Sorrise di nuovo, inconsciamente, e rimase a guardarlo per un altro po’.

“Papà?”.

Non si accorse subito della voce del piccolo, né tantomeno che si fosse svegliato. Gli rimboccò le coperte, avvicinandosi a lui.

“Sì, sono qui”.

Ash forzò la vista, cercando di distinguere la sagoma del padre al buio.

“Stai andando via?”.

Quella domanda lo colse impreparato. Non seppe cosa rispondergli.

“Tornerò appena è possibile”.

“Posso venire con te?”.

Percepì un peso allo stomaco e rimase in silenzio per parecchi secondi. Sentiva lo sguardo del figlio puntato su di sé, e si trovò in difficoltà per l’ennesima volta.

“No, Ash. Non vado a catturare pokèmon”.

“E allora dove?”.

Gli sistemò le coperte, scompigliandogli poi i capelli sbarazzini.

“Sono cose da grandi. Ora dormi. Quando ti sveglierai domattina sarò già tornato”.

Ash lo fissava senza capire.

“Ma perché adesso? E’ tardi”.

Aveva uno strano presentimento addosso. Un presentimento troppo pesante da sopportare per un bambino di cinque anni. Non voleva andasse via.

“Perché sì. Fai il bravo mentre sono via, d’accordo? Ascolta la mamma, mi raccomando”.

Lo baciò sulla fronte e si alzò dal letto mentre cercava di ignorare quel qualcosa che gli opprimeva il petto e la gola.

“Allora… ci vediamo domani mattina papà”.

Ash sorrise, scivolando di nuovo sotto le coperte.

“Certo. Hai la mia parola d’onore. Da uomo a uomo”.

Ridacchiò, facendo l’occhiolino al figlio nonostante lui non potesse notarlo. Si avvicinò alla soglia della stanza, e osservò di nuovo Ash illuminato dalla luce del corridoio.

“Ciao, papà. Ti voglio bene”.

“Anch’io, Ash. Tanto. Ora dormi… “.

Rimase sulla porta finchè non lo vide addormentarsi lentamente, col sorriso stampato sulle labbra. Se tutto non fosse andato come avrebbe dovuto, non poteva sapere se l’avrebbe più rivisto.
Ma doveva proteggerlo, a qualunque costo. Doveva proteggere suo figlio e doveva proteggere Delia. Non sapeva come, non aveva la più pallida idea di come avrebbe fatto. Ma non importava, non più. Ormai era deciso a farlo, e l’avrebbe fatto comunque.
Si voltò verso suo figlio ancora una volta, e sorrise. Vederlo lì, nel suo lettino, al sicuro da ogni cosa, non poteva far altro che farlo stare bene. Era tutto ciò che voleva, tutto ciò che aveva sempre voluto.
Uscì dalla stanza e chiuse la porta alle sue spalle, sospirando, e scese le scale tentando di non fare rumore.

 

 

“Te ne vai ancora?”.

Una voce familiare gli giunse alle orecchie, inducendolo a bloccarsi per la scalinata. Il tono distaccato non riuscì a coprire il suono dolce che l’aveva sempre contraddistinta. Sollevò lo sguardo. Mancavano soltanto un paio di gradini e ce l’avrebbe fatta.

Si voltò lievemente, e la vide. Qualche scalino dietro di lui, le braccia incrociate e la camicia da notte bianca su cui ricadevano scompostamente i capelli castani, ora sciolti dalle solite trecce. Vista così, quei lineamenti e quello sguardo serio la facevano apparire una donna ancora più matura del solito. Non la ragazzina che aveva conosciuto, né quella che aveva visto crescere e diventare una ragazza, la stessa che aveva sposato. Delia adesso era una donna e se ne accorse del tutto in quel momento.

“Non vorrei… ma devo”.

La guardò negli occhi, cercando di scorgere il solito brillio che la contraddistingueva. Ma non c’era nulla, stavolta.

“Non avevi intenzione di salutarmi, a quanto pare”.

Sospirò, avanzando verso di lei di qualche gradino.

“Non mi avresti lasciato andare”.

“L’avrei fatto se mi raccontassi una buona volta cosa sta succedendo”.

Era il momento della verità. Stavolta quello giusto.

“Devo andare. Devo… proteggere te e Ash. Devo tenervi al sicuro il più possibile o… “.

S’interruppe, notando l’espressione della moglie che da seria e distaccata si trasformava poco a poco. Ora era perplessa, e confusa.

“Proteggerci? Cosa stai… “.

“Delia, ascoltami. Ti sei sempre fidata di me, ti chiedo di farlo un’ultima volta”.

“Ma perché? Non capisco di cosa stai parlando!”.

La stava facendo spaventare, lo vedeva.

“Ti spiegherò meglio domattina, quando tutto questo sarà finito”.

“Tutto questo cosa?!”.

Lui raggiunse il piano di sotto e si voltò nuovamente verso di lei, sorridendole sinceramente.

“Ti amo. Fidati di me”.

Si avvicinò velocemente a Delia, strappandole un breve bacio a fior di labbra e scappò al piano di sotto, voltandosi solo un istante a guardarla un’ultima volta. Lei lo rincorse fino alla porta d’ingresso semichiusa, ma lui era già scomparso nell’oscurità.

“Cosa mi nascondi… ?”.

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Capitolo 3
*** Terzo Capitolo ***


All That I'm Living For




Terzo Capitolo



Ash si svegliò di soprassalto nel momento stesso in cui percepì una fitta fastidiosa all'altezza del petto. Si sedette di scatto sul letto, stropicciandosi gli occhi ancora socchiusi.
“Papà... ?”.
La luce del giorno si trasformava in piccoli spiragli di luce che si riflettevano sul vetro della finestra e che illuminavano la stanza.
Il piccolo si guardò intorno, ancora un po' spaesato, quando non avvertì il minimo rumore intorno a se'. Appoggiò le mani sul materasso e si diede la spinta per scendere dal letto, lasciandosi scivolare finché non sfiorò il pavimento freddo con i piedi nudi. Infilò le pantofole celesti e raggiunse la soglia della camera, allungandosi per arrivare al pomello della porta.
Riuscì a spalancarla dopo qualche secondo, sporgendosi all'esterno.
“Papà?”.
Uscì dalla stanza, percorrendo il corridoio illuminato. Stropicciò di nuovo gli occhi neri, assonnato, in cerca di qualche viso familiare nelle vicinanze.
“Ash”.
La voce di sua madre lo riscosse e lui la guardò automaticamente, mentre lei gli si avvicinava.
“Mamma... mi sono svegliato”.
Delia si chinò sulle ginocchia e gli accarezzò i capelli sbarazzini, sorridendo.
“Sì... è la prima volta. Vieni”.
Allungò una mano verso il figlio e questi la prese, lasciandosi guidare giù per le scale. Quando furono in salotto, Ash si allontanò dalla madre e corse in cucina, senza dire nulla.
“Cos'hai?” chiese Delia, senza capire “cosa stai cercando?”.
Lo vide avvicinarsi ancora a lei, abbassando lo sguardo.
“Papà ha detto che sarebbe tornato stamattina”.
La giovane donna sgranò gli occhi, lì per lì senza sapere cosa dire. Dopodichè abbassò lo sguardo, socchiudendo la bocca dalla quale non uscì neanche un suono.
“Ne sei sicuro, Ash?”.
“Sì... me lo ha detto ieri sera, quando è andato via”.
Delia si morse un labbro e si sedette sul divano, facendo cenno al figlio di raggiungerla. Quando questi lo fece, lei lo tirò su di sé, facendolo sedere sulle ginocchia.
“Dov'è andato papà?”.
Lo strinse a se', poggiando il mento sui suoi capelli corvini.
“Non lo so neanche io, piccolo. Però... papà mantiene le promesse. Se ha detto che tornerà, vuol dire che lo farà. Dobbiamo solo aspettare”.
La verità era che si sentiva completamente impotente. E stupida, per averlo lasciato andare via a quel modo, senza neanche una spiegazione.
Fidati di me, le aveva detto senza troppi giri di parole e lei lo aveva fatto, così come aveva sempre fatto. Ma adesso, ora che si era resa conto della promessa non mantenuta fatta ad Ash, cominciava a preoccuparsi. Aveva un brutto presentimento addosso, un presentimento che non aveva mai provato prima d'allora. Stringeva il figlio come avesse paura di vederlo sparire allo stesso modo e si sentì ancora più stupida. Avrebbe dovuto fermare suo marito, avrebbe dovuto seguirlo. Avrebbe dovuto pretendere una spiegazione, non importava quanto importante e pericolosa fosse.
“E se... non torna? Mamma, forse papà non vuole che io vada a catturare pokèmon con lui... “.
La voce triste di Ash la riportò alla realtà. Scosse la testa, senza smettere un attimo di accarezzarlo.
“Non pensarlo neanche. Lo sai che non vede l'ora di farti vedere come si fa. E' soltanto andato via per una cosa importante, appena torna ci andrete insieme, eh?”.
Cercò di essere forte per lui e gli sorrise, nel tentativo di calmarlo. E il bambino la imitò, annuendo deciso. Soltanto dopo un po' Delia fece caso al giornale abbandonato sul tavolo davanti a sé. Si sporse, tenendo forte Ash, e lo prese, poggiandolo sullo spiazzo libero del divano. Era già aperto su una pagina particolare e fu tutto come un fulmine a ciel sereno.

Il Team Rocket colpisce ancora
“... atti vandalici e rapimenti sono all'ordine del giorno da parte del Team Rocket. A quanto pare il loro primo e unico intento sembra quello di avere i pokèmon più forti di ogni allenatore del mondo attraverso ogni mezzo. Molti uomini e donne da ogni regione stanno scomparendo misteriosamente dopo aver avuto a che fare con l'organizzazione che, ormai, sembra aver assunto le sembianze di un impero. Si pregano tutti gli allenatori e, in particolar modo, i maestri di pokèmon di fare attenzione a queste persone pericolose. Non si conosce, o conoscono, ancora il nome del mandante, ma gli agenti di polizia stanno indagando... “. 

Delia sgranò gli occhi, impietrita.
“Il Team Rocket... ancora loro?” sussurrò, sudando freddo. Prese Ash e lo spostò delicatamente da se', dopodiché si alzò in piedi.
“Mamma?”.
Ash la guardò stupito e la seguì, ma lei non gli rispose.
“Troverò la base... quale sarà quella principale?” chiese sottovoce, sforzandosi di ricordare. Doveva soltanto ricordare.
L'unica cosa che aveva in mente, però, fu soltanto l'ambiente tetro di una cella buia.
“Non molto distante da qui... accidenti!”.
Il piccolo non distolse un attimo lo sguardo da quello della madre, non riuscendo a capire.
“Forse... forse ho capito... “.
Rimase ferma, immobile, con la schiena contro la parete. Doveva farlo, doveva provarci. Era l'unica possibilità che aveva. Si diede per l'ennesima volta della stupida per non averci pensato prima.
“Mamma!”.
Si svegliò di soprassalto e raggiunse velocemente l'appendiabiti, prendendo il giubbotto di Ash e alcuni indumenti da portare via.
“Ash, ti porto dal professor Oak per qualche ora. Coraggio, vestiti”.
Lo aiutò a infilarsi la giacca sotto lo sguardo sbigottito di un bambino di quasi sei anni.
“Ma perché? Voglio stare qui”.
Delia non lo ascoltò più di tanto. Si vestì velocemente e lo afferrò per il polso, guidandolo verso l'ingresso.
“Coraggio, è questione di qualche ora. Non sei contento di giocare con Gary? E' da tanto che non lo vedi”.
Dopo qualche minuto furono davanti al vialetto che conduceva al laboratorio del professore e Ash rimase restio a fare anche solo un passo.
“Tu dove vai mentre io resto qui?” chiese in modo innocente, percependo una strana e brutta sensazione.
“Devo sbrigare delle faccende. Ash, non fare quella faccia... ci vediamo presto. Promesso”.
Il figlio abbassò lo sguardo, stringendo i pugni. Aveva già sentito quella frase.
“E se poi non torni come papà?”.
Lei trattenne le lacrime, sforzandosi per sorridergli.
“Non succederà, tesoro. Adesso vai. Ci vediamo dopo”.
E Ash cercò di credere alla promessa. Lo fece anche quando il professor Oak lo accolse a braccia aperte nel laboratorio, anche quando si mise a fantasticare con Gary su quale pokèmon fosse il più forte. Anche quando sua madre lo strinse forte, dopo avergli dato un bacio sulla guancia. Persino quando giurò di aver intravisto una lacrima scenderle lungo la guancia, mentre andava via. Anche nel momento in cui il professore cercò di seguirla nel vialetto, afferrandola per un polso. Sembrava volesse impedirle di allontanarsi. E continuò a crederci anche quando la vide correre via.

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Capitolo 4
*** Quarto Capitolo ***


Quarto capitolo


Delia si fermò soltanto quando il luogo che aveva intorno cominciò ad assumere una forma familiare. Le foglie secche che calpestava scricchiolavano sotto le scarpe, poco adatte rispetto alla situazione. I pantaloncini e la camicia verde a quadri la facevano apparire una bambina.D'un tratto, ricordò le parole del professor Oak, il suo sguardo preoccupato che le intimava di cambiare idea.“Ma non pensi ad Ash? A che cosa può pensare, a che cosa potrà pensare?”.Gli aveva voltato le spalle, perdendo all'improvviso la dolcezza che tanto la caratterizzava.“Se lo faccio è anche e soprattutto per lui”.

Aveva percorso le scale soltanto dopo essere stata certa che Ash stesse giocando in giardino con Gary e spalancato la porta qualche secondo dopo.

“Delia, per l'amor del cielo. Il professor Spencer è d'accordo con me nel credere che quello che stai facendo è un puro-”

“-Suicidio? Può darsi. Ma devo farlo. Questa è la mia decisione, non riuscirà a farmi cambiare idea. Né lei né Spencer Hale. A proposito, me lo saluti... è da tanto che non lo vedo. E saluti anche la piccola Molly”.

Dopo un rapido sguardo al figlio era corsa fuori, evitando la mano di Samuel che cercava di afferrare la propria.

Ed ora che era lì, davanti a quell'edificio tetro, fatiscente, che secondo molti risultava abbandonato da molti anni, non era più molto sicura di ciò che stava per fare.

Le bastò pensare a suo marito, agli occhi di Ash e al bene della sua famiglia per convincersi a entrare.

 

“Diventerò migliore di te”.

“Non è vero!”.

“Avrò pokèmon più forti dei tuoi”.

“Basta, stai zitto!”.

Ash si era fiondato su Gary, afferrando il lembo scuro della sua maglia. Soltanto il professor Oak riuscì a evitare il peggio, fiondandosi in giardino nel tentativo di trascinare il bambino lontano dal nipote.

“Avanti, che avete sempre da litigare voi due?!”.

Mise il primo a terra, bloccandolo però con le braccia.

“Dice di essere più bravo di me!” esclamò poi Ash, stringendo le dita a pugno e muovendole nel tentativo di scagliarsi di nuovo sull'amico.

“Rassegnati, mio nonno non starà mai dalla tua parte”. Gary ridacchiò e il moro digrignò i denti, finché la voce del professore non lo distrasse dai suoi propositi.

“Smettila di dire assurdità, Gary! E smettila di provocarlo, non va bene darsi così tante arie... con un tuo amico poi”.

Anche se non voleva darlo a vedere, il nipote ci rimase male. Abbassò lo sguardo e rispose, lasciando trasparire la massima ubbidienza nei confronti del nonno.

“Va bene”.

“E ora... “ il tono del professor Oak si addolcì leggermente, allentando delicatamente la presa da Ash “perché non andate a giocare con i pokèmon vicino al laghetto? Senza litigare”.

I due bambini annuirono e si allontanarono come se niente fosse successo. L'uomo li seguì con lo sguardo, sospirando. Per qualche minuto, in piedi e con le braccia incrociate e l'espressione affaticata, si soffermò sui movimenti di Ash.

“Torna presto, Delia... “.

 

Percorreva il corridoio buio quasi senza respirare per timore di essere scoperta. Non aveva pokèmon con se', nel caso avesse avuto bisogno d'aiuto, e cercò di essere cauta in ogni minimo movimento.

Furono due reclute a trovarla per prime, e appena le apparvero davanti non riuscì a muovere un muscolo.

“Ma guarda chi abbiamo qui... “.

Erano due uomini alti, la “R” rossa sul petto si intravedeva anche al buio, con un ghigno dipinto sul viso che lei non poteva scorgere.

“Voi... chi siete?!”.

Delia arretrò istintivamente, cercando di nascondere la paura che le batteva nel petto e che faceva male. Sentì un'altra risata, la voce diversa, stavolta.

“Poverina... ti sei persa? Hai bisogno di trovare l'uscita?”.

Percepì i passi degli uomini riprendere e lei ne fece un paio indietro, il cuore in gola.

“Sto cercando mio marito! Ditemi dov'è, adesso!”.

Le due reclute non parlarono per qualche secondo, finché una delle due mosse lentamente il braccio. La donna capì cos'avesse preso nel momento stesso in cui credette di aver sentito un rumore simile a quello di un grilletto.

“Perché non lo raggiungi, allora?”.

I suoi occhi si sgranarono, la mano sul petto. Vide un leggero luccichio provenire dalla pistola, accompagnato da un boato sordo che si avvicinava minacciosamente verso di lei. Non poté fare altro che chiudere gli occhi, aggrappandosi come meglio poteva al pensiero di suo figlio.

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Capitolo 5
*** Quinto capitolo ***


Quinto capitolo

 

Si era coperta istintivamente il volto con le braccia, e sgranò gli occhi quando sentì il terribile boato echeggiare attorno a lei.
Poggiò istintivamente una mano all'altezza del petto e, in quel preciso momento, quasi le sembrò di poter prevedere il proiettile che l'avrebbe colpita in pieno e il dolore lancinante che avrebbe sentito quasi nello stesso istante.
Ma non arrivò nulla. Attese un po' di tempo che sembrava un'eternità e rimase stupefatta quando realizzò di essere ancora in piedi. Non mosse un muscolo, tesa. Si ritrovò a pensare che, probabilmente, chi aveva sperato avesse sbagliato mira. D'altronde, con il buio che c'era le risultava complicato il minimo movimento, all'interno di quello spazio angusto e chiuso. Sapeva bene che gli uomini che le stavano davanti ne erano sicuramente abituati, ma sparare a una persona in quella situazione non era di certo come abituarsi a camminarvi.
Soltanto quando sentì un gemito a pochi centimetri da se', e un tonfo sordo subito dopo, si rese conto di ciò che fosse successo.
“Cosa... ?”.
Le luci si diffusero all'improvviso e impallidì alla vista della persona che, piegata in ginocchio davanti a lei, si stringeva convulsamente la spalla destra.
“No!”.
Delia s'inginocchiò accanto a suo marito, facendolo stendere lentamente sul pavimento freddo. Non riuscì neanche a pensare alle reclute che le stavano davanti, la prima delle quali aveva abbassato l'arma, un ghigno beffardo dipinto sul volto.
“Ecco cosa succede a intromettersi negli affari del Team Rocket”.
Gli altri due uomini ai lati risero e osservavano la scena impassibili, senza alzare un dito.
La giovane donna rivolse loro uno sguardo carico d'odio, uno sguardo che non la contraddistingueva per nulla al mondo. Uno sguardo che aveva cancellato dal suo stesso essere la dolce Delia che tutti conoscevano.
Si preoccupò nuovamente dell'uomo steso a terra e gli mise una mano sulla testa, accarezzandogli i capelli sbarazzini.
“Perché lo hai fatto?! Sei forse impazzito?”.
Più che un tono di rimprovero, era carico di preoccupazione. Estrasse un fazzoletto bianco dalla tasca dei pantaloni, con le mani che le tremavano, e tolse la sua mano dalla spalla per poggiarlo delicatamente sulla ferita che gli aveva impregnato la camicia.
Lui teneva gli occhi chiusi, il dolore era insopportabile. Si era buttato a capofitto sulla moglie non appena era scattato il grilletto. Senza pensarci, senza pensare alle conseguenze. Istintivamente, per proteggere lei. Per proteggere ciò che di più caro aveva al mondo.
“Perché?!”.
Dopo l'ennesima richiesta di una spiegazione, lui aveva aperto debolmente gli occhi, rimanendo con lo sguardo fisso in quello di lei.
“E tu che mi hai seguito? Non... “ si bloccò, gemendo a causa di una fitta “Non dovevi venire qui. E'... troppo pericoloso”.
“Dovevamo affrontare questa cosa insieme, hai capito?! Sarebbe bastato che me ne parlassi... “.
Solo in quel momento Delia notò il continuo tremolio delle sue mani, la fronte imperlata di sudore. Si voltò appena alla ricerca di qualcosa, qualsiasi cosa, che avesse potuto aiutarla.
“Bene, direi che ora che li abbiamo entrambi in pugno il gioco è fatto. Non c'è neanche bisogno di far scomodare il capo”.
La pistola sollevata, puntata di nuovo contro la giovane coppia. La recluta armata sogghignò, presa dalla voglia di premere il grilletto a qualunque costo.
“D... Delia... “.
Lei guardò di scatto l'uomo che amava a terra, preoccupata dal tono tenue della sua voce. Gli strinse la mano, avvicinandosi a lui più che poteva.
“Scappa, vai via. A loro ci penso io” aggiunse, nel vano tentativo di sedersi.
Lo osservò senza capire, senza riuscire a formulare neanche un pensiero sensato. Ma lo strinse a sé, conscia del fatto che l'unica cosa di cui era sicura era che non lo avrebbe mai abbandonato.
“No, non ti lascio qui”.
“Ascoltami, Delia!”.
“No, mai!”.
Quando si ritrovò a specchiarsi negli occhi castani di lei, lesse tutta la determinazione del mondo. Gli fu chiaro in quel momento che non sarebbe mai riuscito a convincerla.
L'uomo con la divisa nera rise, sistemando la mira.
“Addio” disse poi, tornando serio in un secondo. Poco prima che premesse il grilletto, però, qualcosa colpì l'arma che deviò il colpo.
Delia si strinse sul petto del corvino, tentando di fargli da scudo con il proprio corpo. Le ci volle qualche attimo per rendersi conto che il colpo non li aveva raggiunti.
Sgranò gli occhi, tornando a guardare davanti a sé, e le luci si spensero di colpo.
“Ehi, ma cosa... ?”
“Guarda dove vai, imbecille! Non sei neanche capace di sparare!”
“Qualcosa mi è arrivato addosso, non è colpa mia!”.

“Da questa parte, presto!”.
Alcuni passi veloci e una voce femminile fecero sussultare Delia.
“Cosa?”.
“Coraggio, non c'è un minuto da perdere!”.
Un'altra voce, stavolta maschile, si avvicinò all'improvviso, ma non era possibile stabilire a chi appartenessero.
Non le importava saperlo, non in quel momento. Si fidò e basta. Dopotutto, non aveva nulla da perdere.
“Mio marito è ferito, gli hanno sparato” disse freneticamente, senza neanche avere idea verso dove volgere lo sguardo.
“Ci penso io”.
Qualcuno lo aveva afferrato per le spalle e ora la aiutava a trascinarlo lontano dal pavimento freddo e dalle reclute prima che fosse troppo tardi.
Non sapeva da quanto tempo stessero andando avanti e neanche per quanto tempo ancora avrebbe dovuto camminare. Non faceva domande, non disse niente.
Stavolta fu la voce femminile a parlare.
“Da questa parte. Coraggio, ci siamo quasi”.
L'angolo verso cui erano diretti era stretto, la flebile luce del lampadario sulla parete di fronte rischiarava appena l'unico punto di quel labirinto.
Delia fece appoggiare il marito contro il muro alle loro spalle, premendo di più il fazzoletto sulla ferita. Dopodiché si voltò verso la coppia, guardandoli dall'alto in basso.
“Tutto bene? Per fortuna abbiamo qualche pokémon con noi. Siamo arrivati in tempo”.
Fu la donna la prima a parlare, una volta che si fermarono. Bella, i lunghi capelli rosso scuro e i lineamenti dolci. Delia si ritrovò a pensare di non avere mai visto una creatura più bella prima d'allora.
“Sì... grazie. Dovremo sdebitarci” rispose flebilmente il corvino, la mano sulla spalla dolorante. Cercò di alzarsi in piedi finché l'ultima non lo trattenne per un lembo della giacca.
“Non ce n'è bisogno”.
Stavolta fu l'uomo a rispondere, alto, moro. Dai lineamenti marcati e decisi.
“Dobbiamo restare uniti contro il Team Rocket. Non possiamo permettere a questi farabutti di continuare il loro sporco piano per conquistare il mondo”.
Delia annuì, stringendo i pugni. Non avrebbero probabilmente avuto possibilità, lo sapeva.
“Tu stai bene?” si rivolse al marito, senza lasciargli la mano un solo secondo. Lui poteva percepire distintamente il tremolio violento del suo corpo, adesso.
“Sì, stai tranquilla. Si sistemerà tutto, vedrai”.
Vide il suo sorriso, il suo cercare di essere tremendamente invulnerabile in qualsiasi situazione si trovasse. Il non mostrare mai la propria debolezza, davanti a nessuno. Erano le sue caratteristiche, il suo essere così dannatamente testardo e orgoglioso. Ma lo rendevano davvero lui. Ed erano alcuni dei motivi che l'avevano fatta innamorare, anni prima.
“Avete un piano?” chiese Delia, stavolta un po' più decisa.
“Forse. Ma dobbiamo unire le forze” rispose l'uomo in piedi, incrociando le braccia.
“Allora, ve la sentite?”.
La donna dai capelli rossi li scrutò uno a uno, notando l'improvvisa fiamma che si accendeva negli occhi dell'altra.
Quest'ultima lanciò uno sguardo eloquente al compagno, che non potè fare a meno di sorridere.
Lo farò per te. Lo farò per Ash.

 

 

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