Androide Veneziano - Blade Runner

di Trijpmaker
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Cacciatore ***
Capitolo 2: *** capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** La Sorveglianza ***
Capitolo 4: *** Specchi ***
Capitolo 5: *** L'Avvocato ***
Capitolo 6: *** Visite ***



Capitolo 1
*** Il Cacciatore ***


Blade Runner - Venezia

BLADE RUNNER

A.D. 2025

Erano passati dieci anni dalla quarta guerra mondiale.

La terra, devastata dalle esplosioni nucleari e dall'inquinamento era diventata una pericolosa e insalubre pattumiera.

La vita aveva rischiato d'essere cancellata, ma per qualche strano caso s'era riusciti a sopravvivere.

L'emigrazione verso le colonie extra-mondo era diventata una necessità e non più un'avventura

I replicanti umanoidi modello NEXUS 6, erano superiori all'uomo in forza ed agilità ed avevano lo stesso potenziale intellettivo, venivano impiegati nella rischiosa opera di colonizzazione dei pianeti extra mondo, sia come carne da cannone che come mano d'opera a basso costo.

Dopo un sanguinoso ammutinamento di un'unita di combattimento, composta da replicanti, in una colonia extra mondo, quest'ultimi vennero dichiarati illegali sulla terra e le forze dell'ordine erano autorizzate ad eliminarli appena identificati.

Vennero costituite squadre speciali per la caccia ai replicanti.

In Italia la Polizia di Stato, i Carabinieri e la Guardia di Finanza costituirono un unità interforze

col compito di dare loro la caccia, chiamata Opera Contrasto e Repressione degli Androidi, ed erano autorizzati ad uccidere sul posto una volta identificati come tali.

Questo non era definita come un esecuzione,

bensì ritiro.

Venezia

A.D. 2025

La vecchia città era avvolta in una cappa di nuvole, scure come il piombo, che minacciavano pioggia.

I battelli, malgrado gli spinner fossero una realtà dominante nei trasporti, non furono del tutto abbandonati.

La vecchia Venezia continuava a resistere, malgrado le campagne fossero diventate un insalubre deserto, contaminato da una polvere che alcuni dicono radioattiva, altri tossica,

ma ciò non faceva molta differenza. La campagna restava un posto da evitare come la peste.

Malgrado gli sforzi del governo, poche aree venivano reclamate dalla desolazione radioattiva.

Quanto a me, non c'era molto da fare.

L'attività della mia agenzia investigativa da un po' di tempo languiva e quando gl'affari languono non è mai un buon segno, stesso dicasi le bollette della luce e del gas che erano rimaste insolute.

La video telefonata dell'avvocato Messulam quasi mi tirò su di morale, almeno riusciva a distogliere

la mia attenzione dalle sfighe quotidiane.

  • Buon giorno Avvocato...

  • Ah cavissimo....

Inconfondibile, lo stesso accento affettato che, ogni volta che lo ascoltavo, mi faceva girare i coglioni in maniera vorticosa.

  • Avevei bisogno dei suoi sevvigi, mio cavo. Può passave in studio questo pomeriggio?

  • Le va bene dopo pranzo?

  • Vada per le due e mezza

  • Aggiudicato. Ci si vede dopo.

  • Va bene cavo....

Mi misi l'impermeabile e gli stivali di gomma, oggi l'ologiornale ha previsto acqua alta.

Uscendo dal mio disordinato ufficio pensai che era un vero peccato che non fossi ancora nel giro della caccia ai replicanti. Era un lavoro lucroso, molto lucroso e con quello ero riuscito a pagarmi l'acquisto di un vecchio palazzo mezzo rovinato sul Canal Grande. Un ottimo acquisto, dovuto al fatto che la maggior parte della cittadinanza si fosse trasferita nelle colonie extra-mondo di Marte e Titano.

Detti un'occhiata all'orologio, le dieci e mezza. Prima di uscire era il caso di vedersi un attimo allo specchio. Barba fatta, cravatta nera messa bene e una rapida pettinata prima di uscire.

La pistola era il caso di portarsela appresso? Decisi di giocarmela a testa o croce.

Testa me la portavo, croce la lasciavo nel cassetto. Testa.

Presi la mia vecchia, ma efficiente M9, caricata con colpi a punta cava ed uscii dal Palazzo.

Avevo parecchio tempo prima dell'incontro con l'avvocato magari potevo fare una capatina in sala scommesse, per vedere se mi riusciva di sputtanarmi gli ultimi 5 euro ai cavalli.

Nella sala c'era il solito assortimento di disperati, di professionisti del raggiro e gli strozzini delle 'Ndrine di Platì che in quell'edificio la facevano da padrone.

Detti un occhiata veloce allo schermo olografico e decisi di giocare i miei ultimi soldi su Ezechiele 25:17, vincente.

Per quale motivo sputtanarsi gli ultimi soldi ai cavalli?

Non lo sapevo di preciso, ma avevo voglia di riprovare, seppur in scala minore, gli stessi brividi

di quando andavo a caccia di replicanti per tutto il lombardo veneto.

Ero diventato un tossico dipendente dell'adrenalina. Quel brivido che ti prende mentre sei a caccia e che ti lascia solo quando vedi il replicante stecchito e il suo sangue bagnare il selciato.

Tempi del cazzo si diceva la parte razionale di me, ma molto remunerativi.

Lo speaker della fumosa sala scommesse annunciò che la corsa del mio cavallo stava per cominciare.

Ecco sono partiti... Dai Ezechiele... dacci dentro e non ti fermare...

In quei brevi minuti risentivo tutte le antiche emozioni del cacciatore e ad un certo punto la sala era scomparsa e con la mente ero ritornato all'ultimo replicante a cui avevo dato la caccia.

Un modello Nexus 6, che aveva venduto cara la pelle, dopo esser stato sgamato col test di Bonelli.

Aveva corso con la forza della disperazione nelle calli di Venezia, cercando di seminarmi.

Ma per quanto ci provasse gli stavo incollato ai tacchi come un francobollo.

Il replicante, un modello Shanti, che era riuscito ad entrare clandestino sulla terra.

La stronza, che doveva essere stata un modello standard, aveva avuto poco tempo per crearsi un cuscino di emozioni abbastanza solido per spacciarsi come un essere umano.

Si credeva che lavorando in un posto pubblico come in un bar, nessuno l'avrebbe riconosciuta, ma aveva fatto i conti senza l'oste, cioè senza il sottoscritto.

Ormai era davanti a me, spianai il ferro d'ordinanza e tirai in rapida successione tre colpi che andarono tutti a segno sulla sua schiena.

La vidi cadere a terra e mi avvicinai a lei. Aveva cercato con le sue ultime forze di premere il grilletto della sua pistola laser ma senza tanta forza. Flettei le ginocchia e l'ultima cosa che vide il replicante fu il colpo che le fracassò la sua bella faccina.

Sul momento non provai nulla, ma i suoi occhi avevano minato le mie certezze su questo mestiere.

Era come se mi implorassero di non ritirarla, di lasciarla vivere gl'ultimi anni che le erano rimasti libera e felice.

Le sue preghiere se fossero state ascoltate da me, avrebbero avuto sponda nella mia coscienza ma le aveva domandate al cacciatore che c'era in me e lui non negoziava coi lavori in pelle.

Mi ripresi dal mio sogno ad occhi aperti per vedere che Ezechiele aveva vinto la sua corsa e nelle mie tasche erano entrati la bellezza di 60 euro, un vero affare.

Ritirai la mia vincita e decisi di festeggiare questa botta di culo al ristorante Sushi Wok, dove si facevano i migliori ravioli di carne della città, anche se la frittura lasciava a desiderare.

Camminai fino all'Accademia, facendomi i ponti con molta velocità.

Entrai nel ristorante, accolto dalla cameriera che mi scortò al mio tavolo preferito.

Una volta seduto feci le mie ordinazioni e attesi.

Stavo per dare un'occhiata al giornale della comunità cinese, quando vidi che entrarono due marcantoni che si dirigevano al mio tavolo. La cameriera era ritornata con le mie cibarie quando le feci cenno di rimanere.

Il primo che guardai era un tizio,basso e grasso, che s'era spruzzato litri d'una acqua di colonia per mascherare l'odore di cordite che si portava appresso.

L'altro invece era alto e ben pasciuto e anche lui doveva aver usato la stessa acqua di colonia.

Una bella coppia di fottutissimi sbirri.

Parlò il nanerottolo:

  • Bon jour. Vous are unter arrest...

  • jawohl – riprese lo spilungone

Mi voltai alla cameriera e le chiesi cosa avessero detto.

  • questi uomini dicono che siete in arresto.

Presi le bacchette e mi misi tra i denti un raviolo. Squisito.

  • digli che sono a pranzo e che non cagassero il cazzo...

La ragazza rispose e di nuovo il grasso nano da circo riprese a parlare

  • ghé xe l'hauptfeldwbel Takeshi qui quiere look at you.

  • Yeah... Takeshi – riprese lo spilungone.

  • Va bene...

pagai il conto e seguii i due sbirri verso il loro spinner, cazzo era dell'OCRA.

Saltai sopra e dopo pochi istanti lo spinner era in volo verso la questura di Venezia.

Dopo venti minuti di volo arrivammo a destino. I miei due accompagnatori mi scortarono fino all'ufficio del maresciallo maggiore Furlanetto.

Furlanetto Takeshi era un nippo-pellestrinotto infido e totalmente bastardo.

Alto un cazzo e tre barattoli, con due occhi cattivi, capelli neri e due baffoni d'ordinanza che

solo suore e carabinieri hanno il diritto di portare, m'aveva mandato a prelevare dalla sua guardia pretoriana.

Lo conoscevo bene questo nano bastardo, anche troppo.

Entrato nel suo ufficio vidi che col tempo era diventato più brutto e anche malmesso.

Lo salutai e per risposta, oltre ad un saluto, ricevetti un'alitata di gas metano prodotta dal suo fetido fegato.

Storsi il naso e lui esibì un movimento delle labbra che s'arricciarono a formare un sorriso.

  • Ciao bello di casa... hai sentito la mia nostalgia?

  • No Takeshi... nemmeno un po'..

  • Se ti chiedevo di venire sapevo che non saresti venuto, quindi ti ho mandato a prendere da De Gheltof e Corea, i tuoi rimpiazzi.

  • Quale onore... allora posso sapere che cosa vuoi da me? Di certo non é per spiegarti la transustanziazione del sangue di San Gennaro...

Mi guardò storto, come se gli avessi detto che da domani avrebbe cagato noccioli di pesca per tutta la settimana, ma subito dopo riprese:

  • mi servono ancora i tuoi sevizi bello di casa

  • mi sono congedato Takeshi... adesso lavoro in proprio.

  • Col cazzo merdaiolo! Lo sai bene che ti posso obbligare a lavorare per me e gratis se lo volessi, ma so essere onesto quando voglio e tu lo sai e poi...

  • Vieni al punto mezza cartuccia...

Takeshi sapeva incassare e quando voleva o poteva te la faceva scontare con gl'interessi.

Ma per questo giro, senza volerlo, m'aveva dato un informazione molto utile.

Aveva bisogno di me. Riprese

  • Mi serve il vecchio cacciatore sul campo.

  • Chiama Renzi, io mi sono congedato...

  • Stai facendo lo stronzo tesoro – me lo disse in tono smielato – e sembra che tu non voglia capire che mi servi. Renzi s'è rammollito con l'età e i gemelli diversi non sono all'altezza di questo compito.

  • Che gioia sentirsi necessari....

  • Eh già...

Avevo capito come sarebbe andata a finire, perciò era meglio darci un taglio con le cazzate

e sentire cosa aveva da offrire.

  • Dimmi cosa vuoi...

  • Presto detto. Ci sono altri lavori in pelle.

  • Capisco.. Quando comincio?

  • Hai già cominciato, amore...

Estrasse dal cassetto la patacca.

  • Ecco il tuo scudo, cacciatore... vedrai che ci guadagnerai un bel pacco di soldi con questo giro.

Si alzò dalla scrivania e mi fece cenno di seguirlo.

Scendemmo nei sotterranei, vicino alle camere di sicurezza.

Erano come me le avevo lasciate. Un corridoio umido con decina di celle disposte su entrambi i lati.

Dentro il solito campionario di feccia umana che piangeva, parlottava o si disperava.

Takeshi andò avanti e io, come fossi un fottuto cocker spaniel, gl'andavo dietro.

Prima d'entrare in un altra stanza riuscì a vedere i gemelli diversi che si divertivano con una

prigioniera, stuprandola con gusto a turno.

Stavo per intervenire quando Takeshi, senza nemmeno voltarsi, mi disse:

  • Tranquillo... E' solo un lavoro in pelle che hanno beccato i ragazzi a Marghera nel quartiere cingalese. I gemelli hanno voglia di scoparselo prima d'ammazzarla.

Non dissi nulla. Scossi la testa e entrai nello stanzone.

Entrato mi sedetti su di una cigolante sedia. Lo stanzone era piccolo, quasi la stessa grandezza di un'aula scolastica.

Mi sedetti su una sedia cigolante, Takeshi stava armeggiando con un PC portatile, preparandosi

a spiegarmi cosa il destino aveva in serbo per me.

Si schiarì la voce, come se dovesse fare un discorso importante.

  • Dieci giorni fa, uno shuttle proveniente da Titano è stato avvistato, alla deriva

    nell'Adriatico. Tutto l'equipaggio è stato massacrato e le merci che conteneva sono state rubate.

  • Cosa c'era dentro?

  • Cibarie provenienti dal Satellite Tanatos, in orbita geostazionaria. Uno dei pochi posti dove si può ancora coltivare la terra e dove gli animali crescono liberi, felici e in salute da questo schifo di terra.

Il satellite Tanatos era stato costruito in orbita nel 2012. Originariamente era un laboratorio sperimentale della NASA e dell'Agenzia Spaziale Europea. Nel 2018 dopo la quarta guerra mondiale, venne adibito a fattoria della vita.

Come nella fottuta arca di Noè, tutti gl'animali che erano riusciti a raccattare erano stati spediti su quel satellite, per riprodursi in attesa che la situazione sulla terra migliorasse e si potesse ripopolarla con la flora e la fauna.

  • Cosa si sa?

  • Un gruppo composto da otto replicanti.

  • E da dove cazzo venivano?

  • Probabile da un'altra colonia... non lo so da dove.. può darsi da Tannhauser,,

  • con chi ho a che fare?

  • Aspetta che adesso te li presento

Premette un pulsante e dallo schermo vidi le foto dei sospetti replicanti.

Otto personaggi apparvero sullo schermo. Takeshi armeggiò ancora col computer e dopo pochi istanti riuscii a vederli in formato tridimensionale.

  • Dove sono le schede dei soggetti?

  • Aspetta.. dunque il primo lavoro in pelle... Didier... modello da combattimento, scappato da una colonia extra-mondo...

  • Di solito si muovono da soli.. ma qui si può sapere che cosa c'è che non va?

  • Non lo sappiamo... per questo mi servi te... Questo oltre ad essere un lavoro di muscoli richiede cervello. I Gemelli Diversi ti faranno da spalla.

  • Non mi serve Takeshi, lavoro da solo.

  • Come vuoi.. però saranno a tua disposizione se dovessi cambiare idea.

  • Ok. Dov'è il resto del file sugl'altri Replicanti?

Mi porse un flash disk nel quale erano stipate le informazioni sugl'altri replicanti.

Otto o forse qualcuno di più. Troppo vago per i miei gusti.

Comunque avevo poche possibilità. Ancora un'altra volta il destino m'aveva servito

una tazza di merda e cipolle rancide.

C'avrei guadagnato sopra, ma alla fine della sciarada mi sarei ugualmente sentito una

merda come essere umano.

Takeshi riprese a parlare.

  • Allora il secondo è Trenchtown. Da combattimento, classe mitragliere/ricognitore.

    Il terzo invece....

Davanti allo schermo ebbi la possibilità di studiare i soggetti. Fisici asciutti, di sicuro modelli Nexus 6.

  • Il terzo invece è Ming Myaskovski, modello medico avanzato. Questo é meglio che lo riacchiappi tutto intero, senza torcergli un capello. Va impacchettato e rispedito sulle colonie extra mondo. Ha ancora altri 10 anni di vita davanti a se e rimpiazzarlo potrebbe essere molto difficile.

Capivo perfettamente. Gli umanoidi medici erano difficili da costruire e ancora più difficili da sostituire in caso di malfunzionamento. Era probabile che ignorasse di essere un replicante, ma non impossibile che lo sapesse.

Questi modelli avevano un aspettativa di vita maggiore rispetto agl'altri replicanti, i quali di solito avevano tre, massimo cinque anni di operatività, mentre questi, di norma, avevano dieci – quindici.

  • E se lei mi dovesse fare storie?

  • Nel limite del possibile cerca di riprenderla viva.

  • D'accordo.

M'accesi una sigaretta.

  • il quinto è Emmy, modello base di piacere. Un bel tocco di fica, non c'è che dire.

Guardai il modello tridimensionale sullo schermo. Una bella bambola di seta, ma ahimè priva di emozioni.

C'era poco da dire. Gli ingegneri genetici avevano fatto numerosi passi avanti nel creare la vita artificiale e s'erano quasi sostituiti a Dio.

La maggior parte di questi modelli erano assemblati nelle colonie extra-mondo, ma alcuni componenti venivano costruiti sulla terra, come i capelli, il sistema nervoso e gl'occhi.

  • Questi sono i lavori in pelle di cui siamo a conoscenza. Potrebbero essercene degl'altri nascosti qui a Venezia o forse da qualche altra parte.

  • Gli androidi non brillano certo per senso di solidarietà. Cosa si dai soffietti?

  • Non molto. Ma appena possibile inizierò a tirare calci nelle palle per avere notizie. Comincia da Toni Lo Svizzero. Se c'è uno che sa qualcosa su quel poco di losco che va ancora avanti in questa città quello é proprio lui.

  • Avevi detto che ce n'erano otto. Che ne é degl'altri tre?.

Takeshi mi regalò un sorriso giallo nicotina.

  • Due sono morti in campagna. Sono stati ammazzati da un UR dell'Esercito.

  • Cioè?

  • Unità Robotica, Serie 101. Sono stati tagliati in due dalle mitragliatrici di quei robottoni mentre cercavano di forzare un posto di blocco.

  • E il terzo?

  • Se lo stanno scopando di gusto i Gemelli Diversi.

  • Evviva...

Non avevamo più nulla da dirci. Salutai quella merda umana di Takeshi, augurandomi che a fine partita, lo potessi prendere a calci nelle palle per almeno tre giorni.


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Capitolo 2
*** capitolo secondo ***


2 Patacca, Laser d'ordinanza e il vecchio ripostiglio delle scope trasformato in ufficio. Mi sembrava d'aver fatto un salto indietro nel tempo, quando ancora credevo nella missione e ci godevo ad ammazzare la carne sintetica. Detti un'occhiata veloce all'orologio, le 13:30 . Presi dalla tasca dell'impermeabile il mio palmare. Era ora di sentire l'ologiornale. Armeggiando, riuscii a sintonizzarlo sul canale notizie. Mi sedetti sulla cigolante sedia del mio ufficetto e finsi d'ascoltare il notiziario. La mia mente già si preparava alla caccia e ai numerosi giorni da trascorrere sulla strada. Di solito non mi ponevo domande circa i replicanti. Erano utensili, strumenti di lavoro, non meno diversi da un coltello o un robottone agricolo, ma dopo sette anni avevo voglia di voltare pagina. Il sangue, anche se sintetico, cominciava a farmi schifo. Vidi il mio palmare lampeggiare e lessi il promemoria dell'incontro con l'Avvocato. Era meglio che andassi. Tanto valeva avere una seconda staffa su cui mettere i piedi caso mai le cose andassero a puttane. Dalla questura al campiello Dell'Anzolo, sede dello studio associato Messulam, Ravagnan e Torres, ci sarebbero voluti trenta minuti buoni. Detti uno sguardo alla città. Camminando per i suoi angusti vicoli mi dissi che niente e nessuno m'avrebbe convinto a mollare questa perla dell'Adriatico, indipendentemente da quanti androidi mi potessero offrire nelle colonie extramondo. La pubblicità martellava il pubblico giorno e notte per convincere i cittadini ad emigrare, promettevano mari e monti ma a me non interessava. Arrivato al Campo dell'Anzolo suonai al citofono dell'Avvocato. La sua segretaria m'apri il portone del palazzo ed entrai senza fretta nello studio. Dopo dieci minuti d'anticamera, durante i quali riusci a dare un occhiata allo studio, venni ricevuto. Decisi di lasciar perdere i convenevoli e di andare subito al sodo. - Buon giorno avvocato. Mi dica di cosa ha bisogno - Vede cavo, avvei bisogno dei suoi servigi... Di cosa si tratta? Sorveglianza o un recupero? - La pvima, mio cavo. Vede ho uno spinoso caso di divovzio e... - Chi è il soggetto? - Si tvatta della Signova Balliello-Contanoni. Il mavito sta cevcando dele pvove sull'infedeltà della sua coniuge e... - Quando comincio? Questa domanda doveva essere il mio marchio di fabbrica. Quando comincio... l'ho sempre pronunciata in tutti i miei anni, quando ero in Polizia, all'O.C.R.A. e anche adesso di fronte a questo ciucciacazzi in completo gessato da 2000 €uro. Con ogni probabilità avrei guadagnato più soldi spremendo la signora che lavorando per il marito. La porca, con ogni probabilità, aveva più interesse a continuare la relazione col vecchio mollusco blasonato che finire col culo a terra e a doverlo svendere per tirare a campare. Comunque simili considerazioni erano premature, mi sarei regolato di conseguenza una volta avuto in mano la situazione. Continuammo a parlare per altri dieci minuti, discutendo un dettaglio secondario: il mio compenso. - Vede cavo, a me non sono mai andati molto a genio i suoi metodi, ma devo ammetteve che i suoi visultati sono sempve ineccepibili. - La ringrazio Avvocato. - Vada dal mio socio, l'avvocato Tovves, le darà i dettagli sul lavovo e le pvepaveva un contvatto di collabovazione. - A risentirci Avvocato. Uscendo dall'ufficio, chiesi alla segretaria dove fosse l'ufficio dell'Avvocato Torres come risposta ricevetti una scrollata di testa che mi indicava il fondo del corridoio. Prima ancora di dirigermi dall'altro avvoltoio in gessato da 2000 €uro, detti un occhiata allo studio. Tanto di cappello all'architetto che lo aveva ristrutturato, un ottimo lavoro. Le pareti erano state ricoperte con una carta da parati di color caffelatte, dei bei quadri alle pareti e altre sciccherie che, come minimo, le cui cifre erano seguiti da almeno tre zeri.Andai in fondo al corridoio e bussai alla camera dell'Avvocato Torres. Entrando sentii una ragazza che stava berciando al telefono in spagnolo. Non capivo un'acca di quello che diceva, ma dal tono intuivo che era incazzata marcia per qualcosa. Rimasi in disparte e attesi che avesse finito. Appena mi degnò di considerazione mi chiese chi fossi. Dovevo ammetterlo, una topa di prima classe. Capelli neri e corvini, occhi marroni che mi trapassavano e m'inquisivano cercando indizi rivelatori del mio stato d'animo. Lo ammetto, un bel tocco di fica e tanto di cappello ai genitori. Mi ripresi dallo stato di trance. - L'Avvocato Torres? - Mi dica Una bella voce, sensuale e vellutata al punto giusto. Chissà come si trasformava in aula. Sono il nuovo investigatore. L'avvocato Messulam mi ha detto di rivolgermi a lei per definire i dettagli della mia collaborazione. - Ah si. Il laido... si sieda pure. - E' un giudizio severo, ma sono sostanzialmente d'accordo. Non mi rispose e prendendo una cartella, squadernò dei fogli A4 vergati da caratteri piccolissimi. - Dunque, questo è un contratto di collaborazione con il nostro studio, col quale lei – calcando tutto il suo disprezzo – adesso lavora per noi come investigatore. Non mi scomposi poiché ero abituato a ricevere insulti anche peggiori dal mio prossimo sconosciuto. - Dove firmo? - Qui, qui e qui – mi disse indicandomi i spazi bianchi coperti da dei cartoncini adesivi gialli Lessi il contratto velocemente, in sostanza mi assumevano e se finivo nella merda durante il lavoro avrebbero fatto il possibile per aiutarmi. Il compenso era di 3000 €uro, volevano la mia lealtà per questo giro e io gliela avrei concessa, a meno che la signora, o meglio la porca, non mi offrisse argomenti più convincenti. Firmai e chiesi all'avvocato da quanto tempo avesse cominciato a lavorare per il ciuccia cazzi. Mi rispose da circa tre anni. Non avevo altro da dire a quella bambolina in completo gessato da 2000 €uro e me ne andai. La prossima fermata sarebbe stata le Fondamenta Nuove, a cercare quel figlio di puttana di Tony lo Svizzero.

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Capitolo 3
*** La Sorveglianza ***


3


La cosa che più mi piace di Venezia è che non si devono usare spinner e e altri veicoli per gestire una sorveglianza, la cattiva è che mi servivano comunque altre persone.

Chi potevo usare per il lavoro? I Gemelli Diversi?

Fuori discussione perché rozzi e inaffidabili. Decisi di telefonare ad una mia ex collaboratrice, Laura. Mi diressi alla prima cabina telefonica, strisciai la mia I-CARD, per abilitare il servizio telefonico. Digitai il numero e attesi che mi rispondesse.

Al quarto squillo finalmente arrivò una risposta. Stavo per parlare quando sentii dei gemiti provenire dall'altro capo del video telefono. Laura stava trombando di gusto con un tizio o forse una tizia, non avrei saputo di preciso chi fosse, perché la linea faceva schifo.

Dopo cinque minuti buoni, il suo amplesso era finito con reciproca soddisfazione.

Si avvicinò allo schermo e chiese chi fossi.

  • La fata turchina dai boccoli rosa, vecchia porca. Ho un lavoro per te

  • Ah sei te... Cosa cazzo vuoi?

  • Mi serve un paio di occhi in più Devi tenermi d'occhio una tipa.

  • Vaffanculo pezzo di merda! Ho da fare adesso.

  • Non fare la stronza. Ascolta ti posso dare 250 €uro puliti puliti per un lavoro della durata di un pomeriggio.

  • 500 – rilanciò lei

  • Ma che hai sbattuto la testa sulla tazza del cesso? 350....

  • 400...

  • Non rompere i coglioni Laura... 350 e non una parola di più.

  • Dove ti trovo?

  • Al Bar dello Schifo, ti ordino uno spritz. Vedi di essere qui tra venti minuti.

  • Arrivo.

Riagganciai e m'accesi una sigaretta sintetica.

Una cosa era certa, Con questi due lavori mi sarei potuto concedere del vero tabacco, coltivato su Tanatos, bello e sopratutto autentico.

Il cibo sintetico, fabbricato in laboratorio, era diventato una maledetta necessità.

Non avevo ricordi precisi della maledetta guerra che aveva spianato tutto.

Sapevo solo che ero un bambino perennemente affamato a cui i grandi dicevano di stare zitto, perché non capiva un cazzo della vita. Ricordavo i carri armati della NATO sfrerragliare per Mestre, di quando avevano occupato la scuola per farci un posto di comando e di come ero contento perché non c'era più la scuola.

La scuola di sicuro era finita, ma i miei problemi erano appena cominciati e tutto durante la primavera. Fu l'ultima volta che vidi un albero, le erbacce e anche un gatto vero. Mi riuscì di portarlo nel rifugio anti atomico, solo per vederlo soppresso dopo due anni perché il cibo non bastava. Vissi per altri dieci anni come una talpa nel maledetto rifugio, mentre sopra le nostre teste si scatenava l'inferno.

All'età di diciotto anni finalmente mi riusci di mettere il naso fuori dal rifugio.

Il sole non c'era più, la maggioranza degli alberi era scomparse e i pochi che erano rimasti erano finti. Cinque mesi dopo, presi la decisione di arruolarmi in Polizia. E da quel momento in poi cominciarono le mie avventure, tutto pur di dimenticare ciò che avevo dovuto soffrire durante la mia permanenza nel rifugio. Dopo alcuni anni, venni cooptato per l'OCRA.

Il reclutatore era stato molto convincente. Un ottimo stipendio, più le taglie da reclamare sulle teste dei replicanti, fatte salve le competenze da destinare all'erario.

L'unico dettaglio che aveva omesso, era che avrei dovuto girare per tutto il nord est col dito sul grilletto e vedermela con degli avversari molto determinati a vivere.

Anno dopo anno, le facce dei replicanti che avevo ritirato si erano confuse nell'indifferenza generale. Con il morale sotto le scarpe mi avviai al Bar dello Schifo.

Al solito quel locale era all'altezza del suo nome. Decisi di sedermi in un tavolo d'angolo,

con le spalle al muro.

Avevo visto un mio collega venire accoppato da un androide perché aveva dato le spalle e da quel momento avevo sempre avuto la premura di scegliere un tavolo d'angolo o che mi mettesse

con le spalle coperte.

Dopo dieci minuti arrivò la Laura e la riconobbi al volo, senza alcun dubbio.

Fisico atletico e asciutto, testa rasata e tutto sommato ben messa.

La conoscevo dai tempi dell'università, quando era una studentessa arrabbiata e incazzata contro

tutto e tutti.

Aveva militato in numerosi gruppi radicali e continuava la sua lotta contro le ingiustizie di questo mondo malato. Avevamo avuto una relazione a suo tempo, ma la cosa non era durata per colpa mia, perché ero ancora un tossicodipendente dell'adrenalina e a lei non le piaceva scoparsi un assassino.

Ci separammo in maniera amichevole e restammo in contatto.

Ogni tanto m'aiutava, per arrotondare il suo stipendio di assicuratrice all'Isola di Nuova Venezia.

  • Ciao bella bambolina

  • Non chiamarmi bambolina.

  • Come stai?

Mi regalò un bel sorriso, che almeno in parte riuscì a farmi sentire bene.

  • Abbastanza bene. Allora di cosa si tratta?

Era ora di tornare agli affari.

  • Presto detto. Mi devi tenere d'occhio questa persona.

Presi dalla tasca il mio palmare e le feci vedere la foto del soggetto.

Laura la guardò e riprese:

  • Bella donna.

  • Lo è. Osserva senza farti vedere, stalle incollata sulle suole.

  • Va bene. Dov'è il mangime?

Trassi dalla tasca 200 €uro.

  • questo è l'anticipo. Il saldo lo avrai a lavoro ultimato.

  • Va bene.

  • Se ci sono novità urgenti chiamami.

Stava per uscire quando iniziò a piovere.

  • Fermati.. dove credi d'andare? Hai dimenticato la bolla elettromagnetica.

  • L'ho proprio lasciata a casa...

  • Bell'affare... tieni..

Le detti il mio apparecchio. Per difendersi dalla pioggia radioattiva o tossica, all'inizio c'erano le braghe di piombo od un cappotto anch'esso foderato di piombo.

Cinque mesi fa mi riusci di mettere le mani sulla bolla. Era una scatoletta capace di generare un campo elettro magnetico, capace di proteggere l'utilizzatore dalla pericolosa pioggia radioattiva, dieci volte più pratico delle braghette.

  • e tu come farai?

  • Ne ho uno di riserva.

  • Grazie..

  • vai adesso. Ricordati che lo voglio indietro.

  • Puoi passare da me stasera

  • va bene. Porterò un po' di vino.

  • Ottima idea.

La vidi uscire dal bar. Rimaneva sempre bella ed aggraziata ed ogni volta mi davo del coglione per averla lasciata scappare. Dubitavo che si sarebbe potuto ricucire con lei, ma c'avrei potuto riprovare.

Trassi dalla tasca dell'impermeabile la scatoletta di riserva e dopo averci armeggiato per quindici minuti buoni ero pronto per uscire. La prossima fermata sarebbe stata la casa di Toni Lo Svizzero.

Toni lo Svizzero, noto anche come Toni il Lercio, Toni tre dita.

Abitava nei pressi delle Fondamenta Nuove, nel vecchio edificio che una volta era la biblioteca universitaria.

Toni era un cristone alto un metro e ottanta, senza i calzini, con i capelli lunghi e una sigaretta rollata con tabacco autentico che, chissà come, riusciva sempre ad ottenere.

Usuraio, spacciatore di stupefacenti, Eroina Sintetica e di Cocaina Transgenica, insomma era un traffichino le cui dita erano inzuppate in tante belle scodelle di merda fumante.

Se c'era qualcosa che succedeva in città ed era immorale, illegale o che lo sarebbe presto diventata, lui era il primo a saperlo. Arrivato in Fondamenta Nuove, m avviai con calma a casa dello Svizzero.

Prima ancora di vederla avevo visto due dei suoi guardaspalle, fuori dall'ingresso con le berte ben nascoste. Prima di gridare banzai e farmi fare il culo, era meglio dare un'occhiata.

Mi misi in disparte e stetti per quattro minuti buoni ad osservare.

Due soggetti all'entrata. Ma erano solo loro? Tirai fuori dal giaccone un piccolo termografo e

ripresi ad osservare.

Visto. In cima al tetto c'era un tiratore scelto equipaggiato con una mimetica termo-ottica.

Le avevo usate anch'io in passato e ogni volta erano mal di testa feroci dopo essersele tenute addosso per mezza giornata, in compenso era praticamente impossibile che qualcuno mi potesse vedere, salvo che non avesse usato un termografo come avevo fatto io.

Come entrare? Non c'era un ingresso laterale e la porta di servizio dava su di un canale.

Decisi di tornare indietro. Presi il palmare dalla tasca e chiamai Takeshi.

Velocemente gli chiesi di mandarmi per e-mail la pianta della vecchia biblioteca.

Mi sedetti e dopo cinque minuti potei visionarla. Da come potevo vedere dai disegni sarebbe stato impossibile entrare clandestinamente, ma ci fu un particolare che attirò la mia attenzione.

Apparentemente insignificante, ma che sotto sotto poteva rivelarsi decisivo.

Una vecchia porta di servizio, che conduceva ad un locale mezzo allagato dell'edificio.

Avevo trovato la mia via d'entrata, l'unico problema è che mi sarei dovuto fare una nuotata nelle acque tossiche del canale. Comunque fosse, sapevo come entrare se non ero stato invitato. Adesso decisi di andare nella dimora dello Svizzero.

Mi feci avanti e salutai i due marcantoni alla porta.

Dei figli di puttana tutto muscoli, con corpi potenziati e poco cervello. La carne da cannone del Boss.

  • Hello fioi.. ghe xé Swiss Tony?

  • Foutais toi goldon. Keine chance!

  • Oi Allah... Go Want parlare con Swiss Tony...

  • Ghi are you?

  • Tin man Goldon... Tin Man...

Dalla tasca del cappotto estrassi la patacca dell'OCRA.

La guardarono con lo stesso sguardo di chi sta studiando uno stronzo essiccato al forno.

L'altro prese una ricetrasmittente e chiese istruzioni.

  • ti puede entrer. Le chef t'aspetta. Good buisness, soldier boy.

Li ringraziai, mandandoli mentalmente affanculo e i loro corpi cibernetici di second'ordine.

I primi corpi cibernetici furono brevettati nel 2013. Originariamente progettati per uso militare, vennero poi immessi sul mercato due anni dopo. A Venezia, se lo volevi, potevi farti potenziare il

corpo dai nigeriani di Via Piave a Mestre oppure dai cinesi all'isola di Murano.

Paradossalmente i nigeriani erano quelli che facevano un lavoro più accurato, rispetto ai cinesi.

Ma i veri problemi erano sostanzialmente due, l'affidabilità dei pezzi che volevi farti innestare e quanti soldi avevi.

Ormai quella del galletto sessantenne, che s'era fatto innestare un un cazzo biomeccanico che gl'era poi esploso alla prima pioggia tossica non faceva più notizia, semmai era diventata una battutaccia da avanspettacolo.

Come molti anch'io ero stato potenziato, ma una volta congedato avevo dovuto restituire tutto quello che m'ero fatto impiantare. Non era stata una grave perdita, anzi l'unica cosa che avevo era un lieve potenziamento del cervello. Avevo preferito non strafare con il bricolage biologico, perché mi piacevo così com'ero.

Appena entrato iniziai a radiografare tutti i locali della lussuosa magione dello Svizzero.

Il posto, malgrado tutto continuava ad affascinarmi.

Il tempio della cultura e della conoscenza che continuava a resistere alla decadenza del tempo e della materia.

Mi feci avanti e venni prontamente scortato da una bellissima ragazza, probabilmente un androide o forse una schiava del sesso o Dio solo sa che cosa poteva essere.

Dopo aver salito un piano rialzato lo vidi.

La ragazza sparì e mi feci avanti a parlare con il padrone di casa.

Eccolo lì. Mi si fece avanti e mi dette una vigorosa stretta di mano.

  • Allora.. cosa posso fare per te cacciatore?

  • Cominciare a parlare. Dimmi cosa sai sui lavori in pelle che ronzano in città.

  • Dipende...

  • Da cosa?

  • Da quanto è grande il tuo disturbo..

Tipico mi dissi. Malgrado avesse fatto una fortuna coi suoi traffici restava un miserabile bastardo.

Ancora non sapeva o forse s'era montato la testa, che se non mi forniva la sua collaborazione sui lavori in pelle, rischiava di chiudere baracca e burattini e di finire a Nocra, il super carcere al largo della città, per dieci anni buoni.

Tirai fuori dalla tasca cento euro.

  • Molto bene cacciatore. Dimmi cosa vuoi sapere

  • Dove posso cominciare a cercare

  • Comincia da Ca' Vendramin. Di solito si concentrano da quelle parti.

    Sennò comincia da S.Mosè.

  • Non prendermi per il culo Tony. Lo so che i lavori in pelle pagano la tua protezione

    e so anche che quel pezzo di fica che mi ha ricevuto ha la stessa emotività di un ciocco di legno. Come la mettiamo se decido di mettere a soqquadro il posto e decidessi di mandare in vacca i tuoi traffici?

  • Non c'é bisogno di scaldarsi... Serenase fratello... Serenase.

  • Allora comincia a parlare...

  • Cosa vuoi sapere?

  • I replicanti... dove cazzo li trovo? Nel caso non lo sapessi, per entrare qui hanno fatto un massacro.

  • Comincia da Corte Badoera. Se ci sono dovrebbero essere ancora lì

    e poi puoi andartene affanculo per quel che mi riguarda.

Mi stava facendo perdere tempo che non avevo. ripresi:

  • Se lo sa Takeshi sono cazzi.. tu che non collabori...

  • Ma ho la mia Rispettabilità..

  • Rispettabilità? Tu? La tua rispettabilità vale meno d'uno stronzo di cane essiccato..

    vedi di parlare e di non farmi incazzare scopa replicanti.

Trasse dalla tasca dell'accappatoio un flash disk che avrei consultato con calma sul mio palmare.

Lo stronzo aveva capitolato alla fine e io come minimo c'avrei bevuto sopra stasera.

Adesso che avevo le informazioni potevo riprendere la mia caccia.

Uscii dal palazzo e accessi la bolla. Aveva incominciato a piovere e non volevo bruciarmi il cervello con la pioggia sporca. Camminai e camminai per le calli della città. Molti edifici della vecchia città stavano cadendo a pezzi, ma ancora conservavano il loro fascino e la loro aria misteriosa.

Mentre la pioggia si mangiava un altro pezzo della città, decisi di mettermi in contatto con Laura, per sapere come stava andando con la sorveglianza.

Mi avvicinai ad una cabina e dopo aver di nuovo strisciato la mia ICARD digitai il suo numero di telefono cellulare. Nessuna risposta.

Può darsi che l'avesse messo in modalità silenziosa per non farsi scoprire. Le mandai un messaggino. Avevamo stabilito una procedura per mantenere le comunicazioni durante una sorveglianza. Uno squillo di telefono cellulare e un messaggino ed entro cinque minuti avrei ricevuto uno squillo da parte sua sul palmare. Attesi, ma da parte sua non ci fu alcuna risposta.

Cominciavo a preoccuparmi. Corsi a larghe falcate fino al luogo della sorveglianza e li vidi che cosa era successo.

I marcantoni in divisa erano di per se eloquenti, così come i tecnici della scientifica, nelle loro tute bianche, a fare i loro rilievi. Qualcosa era andato storto. Mi ripresi un attimo e decisi di entrare.

Una testa di cazzo in divisa cercò di bloccarmi, ma estrassi la patacca intimandogli di farmi passare oppure avrebbe passato il resto della sua carriera nelle campagne a dare la caccia ai clandestini.

Entrai e la vidi.

La povera Laura era morta. Faccia a terra ed un inequivocabile foro sulla testa dicevano che il lavoro di sorveglianza si era trasformato in un merdaio di proporzioni ciclopiche.

Prima che mi potessi riprendere vidi il commissario Camilleri venirmi incontro.

Un cinquantino siciliano sveglio, scaltro, onesto e molto determinato.

  • Cosa cazzo ci fate voi altri qui? Non è roba vostra....

  • Cosa è successo?

Mi squadrò da capo a piedi e mi disse di levarmi dai coglioni.

Capii che voleva difendere il suo feudo dal sottoscritto, ma decisi di tenergli testa.

  • Ascolti commissario, una delle vittime collaborava con il sottoscritto per una sorveglianza

  • Quale? - mi chiese uno dei suoi collaboratori

  • Quella con un grosso buco in testa...

  • E a che titolo lo stava facendo?

  • Commissario non sono affatto tenuto a darle i dettagli. Come lei sa la mia unità ha uno status diverso rispetto alle ordinarie forze di polizia.

Ciò che gli dissi corrispondeva alla verità, ma sapevo che sollevando questioni di competenza significava mettersi a giocare a chi aveva il cazzo più duro e questo era l'ultima cosa che desideravo. Decisi di venirgli incontro.

  • Ascolti commissario, è appena stato compiuto un delitto e una delle vittime lavorava per me.

    Non è mia intenzione rubarle il caso – per il momento mi annotai mentalmente – e per lei è meglio sapere se la mia unità ci deve inzuppare o meno il pane in questa storia.

  • E se ce lo dovete inzuppare?

  • Cercherò di aiutarla.

Camilleri mi squadrò da capo a piedi. Capiva che gli stavo porgendo della cicuta in una coppa d'argento, ma non aveva molte scelte. Sapeva che mi sarebbero bastati dieci minuti al telefono per fottergli il caso e farlo finire negli archivi della questura di Venezia a prendere polvere assieme ad altre centinaia di faldoni. Di solito sarebbe andata così quando la Polizia di Stato aveva a che fare con l'OCRA, ma nel mio caso avevo più di una ragione per andare fino in fondo e di aiutare il questurino. Camilleri prese un pacchetto di sigarette dal cappotto e se ne accese una.

  • Va bene. Montalbano fai vedere al collega che cosa abbiamo scoperto.

  • Va bene dottore. Abbiamo due morti, di sesso femminile. La prima è...

  • La mia collaboratrice Laura Del Zan, residente sull'isola di Nuova Venezia, calle del Brustolin, 754 interno 5. chi è l'altra?

il collaboratore riprese.

  • Barbara Zuin, coniugata Balielo Contanoni, la moglie del commendatore Balielo Contanoni

    sa, quello della grappa sintetica...

  • Ho presente chi è.. - riprese Camilleri – Dunque caro collega ecco quanto abbiamo fin'ora:
    due morti ammazzati, una scena del crimine piuttosto pulita.

    I topi da laboratorio stanno cercando di capirci qualcosa ma il dottor Di Giulio non ha trovato alcuna traccia.

  • Cosa si sa dalle telecamere di sorveglianza?

  • Abbiamo mandato i nostri ragazzi a prendere i nastri delle due telecamere. entrambe in questo campiello.

  • Che si sa sulle armi?

  • Una torcia laser.

  • Sicuri? - chiesi

  • Non ci sono bossoli a terra e lo vede quel segno sul muro?

Guardai il punto che aveva indicato Montalbano e lo vidi. Solo una torcia laser poteva lasciare quel segno. Un segno bruciato che aveva scavato nel muro.

  • Quanto potente?

  • 30 giga watt. Il dottor Di Giulio m'ha riferito così.

  • Colonie extra-mondo.

  • Come fa ad esserne sicuro? - mi chiese Montalbano.

Camilleri lo guardò un attimo come se lo volesse cazziarlo ma prima che lo facesse aprii bocca.

  • Collega, sulla terra le torce laser sono permesse, ma fino ad una certa potenza.

    Il massimo consentito da queste parti è di 5 gigawatt e non di più. Dai 5 in su sono illegali. Da quanto tempo sei uscito dall'Accademia?

Montalbano arrossi, ma ammise di essere uscito fresco dal corso. Lo guardai e ripresi:

  • Collega non c'è bisogno di vergognarsi della propria ignoranza. In questo mestiere non si finisce mai di imparare. Di solito i cazzoni strafottenti finiscono o col diventare cibo per vermi o questori. Perciò vedi di fare i compiti a casa la sera, invece di smanettare sul computer.

Montalbano sorrise. Camilleri mi guardò un attimo e scosse la testa sghignazzando sotto i baffi.

Riprese

  • Andiamo a vedere cosa stanno combinando i topi da laboratorio. Si credono di essere le star della scena del crimine da quando ci sono quegli sceneggiati alla TV.

Mi voltai a guardare i colleghi della scientifica, tutti presi nelle loro operazioni.

Di solito non restavo sulla scena per vedere i loro virtuosismi scientifici, preferivo sbronzarmi o ascoltare una sinfonia dei miei rutti. Ma oggi avevo una ragione speciale.

La mia amica era stata ammazzata e adesso qualcuno doveva pagare.

Vedevo Montalbano e Camilleri parlare col capo della scientifica, ma ero determinato a venire a capo di questo casino. La prossima fermata sarebbe stata dall'Avvocato Messulam, per capire che razza di carte m'aveva servito. Se il ciucciacazzi mi avesse fatto storie avrei potuto cantargli la lieta novella col mio tirapugni.

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Capitolo 4
*** Specchi ***


4


Di nuovo in questura. Questa volta venni accolto dai colleghi dalla sezione omicidi con un misto di sorpresa e di ripugnanza.

Non potevo dargli tutti i torti. Il loro compito era mettere in galera gli assassini e non vederseli scorrazzare per il loro ufficio come se nulla fosse.

Camilleri mi fece strada verso una linda sala conferenze. Ah non c'è che dire.

Nessun paragone con le fogne in cui l'OCRA era relegato. Spazi aperti, odore di pulito e anche un senso di pulizia che però non riusciva a coprire un odore a me molto familiare; quello della morte e della merda che dovevo grattare dalle strade tutti i santi giorni.

Alla fin fine, l'odore di vernice non mi era mai piaciuto. Preferivo di gran lunga il mio ripostiglio a questo loft ultra moderno e ultra chic dei miei coglioni.

Detti un'occhiata al mio orologio mentre Camilleri prese dalla tasca del suo cappotto il palmare e diede una serie di rapide istruzioni.

Dopo dieci minuti e un caffè macchinetta che sapeva di gomma rancida, si fece vivo Montalbano.

  • Vediamo di capire che cosa è successo. Forza picciotto che accà un avimu tutta la jurnata.

  • Dottore – ripresi – lei é l'ultimo purista della lingua italiana.

  • Quelli della scientifica sono pronti?

  • Cinque minuti, Dottore.

  • E allora sbrighiamoci che il collega dell'OCRA ha fretta.

Tanato. Vaffanculo non potevo permettermi stronzate con Camilleri.

In questo mestiere ci sono burocrati e sbirri e lui apparteneva a quest'ultima categoria.

Sapevo anche che se restavo ancora nel suo radar avrebbe finito col farmi domande a cui, forse, non avrei potuto rispondere con sincerità. Forse.

Tutti assieme andammo nei laboratori della scientifica. Qui tirava un'aria diversa, niente a che vedere col loft ultra moderno della sezione omicidi.. Un aria di precisione ed efficienza.

Estrassi dal mio cappotto il flash disk che mi aveva dato Takeshi e lo porsi ad un collega.

Camilleri ed io ci guardammo negl'occhi. Aveva intuito qualcosa, ma non tutto.

Sapevo però che non gliela stavo contando giusta, ma che poteva fare? Sbattermi al muro e minacciarmi? Ero io il gorilla mica lui.

Mi rivolsi a Camilleri.

  • Si sa a chi hanno affidato il caso?

  • Pare ad Eymerich.

  • Eymerich? Proprio lui?

  • Si. A quanto pare vogliono uno competente per questo giro.

Conoscevo la fama di Nicolas Eymerich. Procuratore capo della repubblica di Venezia.

Integerrimo e incorruttibile. Una macchina infernale nella caccia ai delinquenti.

Se finivi nella sua rete e ti offriva una possibilità di collaborare, era meglio accettare di corsa e senza tentennare. Il suo più grande fan club era composto dai delinquenti che aveva schiaffato a Nocra con pene superiori ai 10 anni.

Se prima la situazione era seria, per via di Camilleri, adesso con Eymerich diventava un fottuto incubo. Per quanto tempo potevo andare avanti nascondendo che il lavoro di sorveglianza non era un'operazione dell'OCRA? Vaffanculo.

Mi accesi una sigaretta e cercai di mantenere la calma. Testa a posto e la cosa sarebbe andata come sarebbe dovuta andare e mi auguravo di non doverci inzuppare il pane in questa storia a livello ufficiale. Montalbano mi richiamò dalle mie riflessioni. Erano pronti col video.

Mentre sullo schermo scorrevano le immagini buttai l'occhio sul palmare.

Se c'erano dei lavori in pelle coinvolti in questa storia lo avrei scoperto alla svelta.

Mentre le immagini scorrevano, mi rimaneva difficile non pensare a Laura.

Cosa cazzo avevi visto e perché dovevano ammazzarti così?

Non era giusto e non avevo nemmeno avuto il tempo di riappacificarmi con te e la cosa mi aveva lasciato l'amaro in bocca.

Sul video scorrevano le immagini della telecamera di sorveglianza. Il solito tran tran quotidiano scorreva sotto i nostri occhi.

Stavo incominciando a rompermi i coglioni e chiesi ad uno dei tecnici se potevano mandare avanti il filmato della sorveglianza fino a mezz'ora prima del delitto.

  • Ci siamo – dissi -Adesso vedremo come si sono svolti fatti

Nei primo dei trenta minuti precedenti l'omicidio, avevo visto la Baliello-Contanoni passare nel campiello, mentre stava entrando nel suo appartamento. Niente di strano mi dissi. Tutto in regola

e prima di venire ammazzata avevo visto Laura mettersi in posizione. Defilata e con una buona vista per la sorveglianza, come le avevo insegnato. Non potei fare a meno di sorridere, brava ragazza. Sullo schermo s'erano fatti vivi due soggetti. Mancavano dieci minuti all'omicidio.

Uno era alto un metro e settanta, l'altro invece era una donna, tra i venti e i trenta. Piccolina, con un impermeabile in pelle nera. I volti non erano facilmente riconoscibili perché la videocamera era sfocata. Avevano suonato alla Baliello Contanoni. Erano entrati nel palazzo.

Laura era ancora nel suo angolo? No. Si era mossa. Cristo di Dio non lo fare, resta defilata. Cosa cazzo avevi visto? Sullo schermo scorrevano i suoi ultimi minuti di vita. Adesso erano scesi tutti e tre. L'uomo aveva in mano una torcia laser, l'altra invece aveva appena inquadrato Laura, mentre il tizio aveva appena fatto fuoco, ammazzando la Baliello Contanoni.

Inutile coglione. La dovevi proprio ammazzare così, in pubblico? Non potevi aspettare un posto più tranquillo per fare le cose con calma?

Adesso avevano visto che non erano soli. Laura, cazzo non restare lì impalata, corri, cazzo, corri.

Forse non riuscirai a fare più di cinque passi, ma è sempre meglio provarci che essere cibo per vermi. C'aveva provato e ce l'aveva quasi fatta ad uscire dal maledetto campiello, ma il figlio di puttana aveva di nuovo tirato il grilletto della sua arma. Il colpo l'aveva centrata in pieno nella sua testa.

Affanculo non ce la facevo a mascherare le emozioni. Le mie mani erano diventate bianche per via della rabbia che avevo dentro di me.

  • Ci potete fare qualcosa con questo nastro? - chiese Camilleri

  • Adesso proviamo a pulire l'immagine e a mettere a fuoco, dottore.

  • Datevi una mossa e controllate il flash disk per vedere se c'entrano i lavori in pelle. - incalzai

I tecnici armeggiarono con le loro apparecchiature, ripulirono l'immagine e la misero a fuoco e in nemmeno cinque minuti avevo due volti.

Il programma antropometrico confrontò i due sospetti con le foto della mia lista. Erano Didier e Emmy. Bestemmiai silenziosamente.

Montalbano ruppe il silenzio, schiarendosi la gola, ma prima che potesse parlare, il suo superiore lo precedette.

  • Allora collega, sembra che ci devi inzuppare il pane in questa storia.

  • Già... - una fottuta ovvietà

  • Allora... qua abbiamo due indiziati d'omicidio che sono anche l'oggetto delle tue ricerche.

    Questo non è un semplice caso di omicidio.

  • Devo riferire ai miei superiori, Dottore.

  • Capisco. Ci rivedremo domani mattina con calma.

  • Non vuole farlo adesso?

  • Fine del turno collega, a meno che lei non voglia darmi una percentuale sulle taglie.

Lo guardai un attimo, stavo per dire qualcosa ma poi decisi di trattenermi.

Dovevo parlare con Takeshi. Non l'avrebbe presa bene, ma se ne sarebbe fatto una ragione.

A volte succedeva che i replicanti ammazzassero in pubblico. A volte riuscivamo a fermarli per tempo, altre volte intervenivamo quando il disastro s'era verificato.

Salutai i due sbirri ed uscii dal laboratorio della Scientifica. La prossima fermata sarebbe stata dall'Avvocato Messulam, avevo molte domande da fargli e lui era meglio che cominciasse a darmi delle fottute risposte.

Ero quasi uscito dalla questura, quando il piantone mi disse di fermarmi.

A muso duro gli chiesi che cosa cazzo volesse, mi rispose che il maresciallo maggiore Furlanetto voleva parlarmi con urgenza.

Decisi che era meglio risolvere subito questo problema, prima di affrontare il mio.

Ridiscesi negli uffici dell'O.C.R.A. Ed entrai senza bussare nell'ufficio del nano bastardo.

  • Bello di casa... bentornato, hai qualcosa da dirmi?

  • Takeshi una mia amica è stata appena ammazzata.

  • Ah si.. Mi dispiace tesoro... allora cosa ci faceva li?

  • Stava sorvegliando la Baliello Contanoni.

  • Chi ti ha messo sulle sue tracce?

  • Nessuno Takeshi. Nessuno. Stavo facendo un secondo lavoro in proprio.

I suoi occhi cattivi mi lanciarono un occhiataccia ed esplose.

  • Cosa cazzo pensavi di fare, stronzo?

  • Guadagnare un soldo che non fosse sporco di sangue nel caso non lo avessi capito e poi ho i miei boys fuori ordinanza per questo genere di lavori.

  • Ah si... la tua Gestapo personale.... Amore.. ma ti rendi conto del macello che hai combinato?

  • Preferivi che a morire fosse stato qualcuno dei nostri magari?

Decisi di giocare la carta dello spirito di corpo, nove volte su dieci funziona, ma Takeshi sembro non abboccare all'amo. Riprese.

  • Certo che no, inutile cazzone, ma se assoldi degli imbecilli.... cosa pensi che devo pensare?

  • Laura era vecchia di questo gioco. L'ho addestrata personalmente e sapeva come muoversi.

Trassi dalla tasca del cappotto il flash disk che mi aveva dato.

  • Qui dentro c'è il filmato della sorveglianza. Metti su il cineclub che ti faccio vedere.

  • Come diavolo lo hai avuto?

  • Segreti del mestiere Takeshi, segreti.

Manco morto gl'avrei spiegato questo trucchetto e poi non aveva bisogno di sapere.

Nella mia Gestapo c'era anche un hacker, che avevo graziato da un lungo soggiorno a spese dello stato nell'isola di Nocra. L'avevo conosciuto otto mesi fa, prima ancora di essere invischiato in questa storiaccia. Lo avevo preso durante un lavoro su di un giro di carte di credito clonate e il tizio s'era rivelato un ottimo acquisto. Al cliente, la Veneto Banca, raccontai la cazzata dell'hacker straniero e sacrificai un povero bastardo col cervello bruciato dall'inquinamento.

Avrei potuto schiacciarlo a mio piacere, ma invece decisi di tenermelo nel taschino. Il ragazzo era un genio e mi aveva fornito una vasta gamma di programmi informatici, scritti da lui, che mi sarebbero potuti tornare utili.

Mentre ero nel laboratorio della scientifica avevo dato ai topi da laboratorio un flash disk contenente una delle meraviglie informatiche del mio hacker. Il programma era riuscito a copiare il file del video della sorveglianza e a metterlo in formato Divx per il mio computer e tutto questo sotto il naso dei miei colleghi.

Tornando a noi, Takeshi stava guardava meravigliato il flash disk. Sorrise.

  • D'accordo cacciatore. Lo sai si a chi hanno affidato il caso?

  • Ad Eymerich.

  • Quindi lo sai che devi avere le spalle coperte, altrimenti quell'inquisitore di merda ti farà il culo a strisce...

  • Eh già... - avevo capito dove voleva arrivare a parare.

  • Ritorno sotto la tua ala?

  • Bravo. Almeno finché mi servi o finché non trovo un sostituto.

Che iella mi dissi. Poteva andarmi peggio, ma era molto meglio così. Per ora Takeshi stava vincendo una battaglia, ma non la guerra. Presto o tardi avrei trovato una scappatoia per uscire da quella pila di merda fumante in cui ero stato sbattuto dentro.

Takeshi prese il flash disk e lo mise nel suo pc portatile.

Dopo alcuni minuti di attesa il lap top di Takeshi era pronto.

Rividi il filmato fino al momento in cui Laura si era messa allo scoperto.

  • ok Takeshi.. ferma qui.

  • Cosa c'è di speciale?

  • Ascoltami bene. Per nessuna ragione al mondo Laura si sarebbe messa così allo scoperto, mai.

  • Pensi che abbia visto qualcosa?

  • Probabile.

Mi avvicinai al lap top ed aprii il programma di elaborazione delle immagini.

Sullo schermo c'erano le immagini di Laura che era uscita dalla sua copertura e di riflesso, sul vetro di una vetrina l'immagine molto sfocata di una persona.

Dopo aver isolato la figura, la ritagliai e la salvai in un file di immagine.

  • Bisogna sapere chi è questa persona.

  • Chiamo il nostro tecnico.

  • Lascia stare. Ci penso io.

Dopo aver dato una rapida serie di clic col mouse avevo ripulito ed e messo a fuoco nitidamente

la sagoma riflessa sul vetro.

  • Ecco perché si è mossa – disse Takeshi...

  • Già...

Sullo schermo era apparsa in tutto il suo splendore la signora Baliello-Contanoni.

Laura pensava di essersela lasciata scappare.

  • Takeshi, andiamo dal segaossa e chiediamogli un analisi del midollo osseo.

  • Non ce n'è bisogno amore.

  • E come facciamo?

  • Aspetta.

Takeshi aprì il primo cassetto della sua scrivania e trasse un tampone simile per le analisi anti droga.

  • Cos'è?

  • Un nuovo trucco che rimpiazzerà il Test Voigt Kampf.

  • Come si chiama?

  • Il test di Stulpnagel.

Detti una rapida occhiata al tampone. Non mi diceva nulla, ma se i cervelloni del ministero ritenevano che fosse utile, chi ero io per contraddirli?

In dieci minuti sapemmo quello che avevamo bisogno di sapere, la cara estinta era un lavoro in pelle. Appena rientrati nell'ufficia chiesi a Takeshi cosa dovevo dire ai colleghi della sezione omicidi.

  • Gli riferirai tutto, tranne quello che ti tocca personalmente.

  • Va bene.

  • Non una parola sul Test. Questo per adesso rimane un segreto.

    E' il nostro asso nella manica.

  • Dove vai?

  • A bermi uno spritz Takeshi. Uno spritz.

  • Occhio alla lingua amore. Se esce una parola sul Test ti ammazzo con le mie mani.

Salutai Takeshi ed uscii dai locali della questura.

E adesso dall'Avvocato.

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Capitolo 5
*** L'Avvocato ***


5


Ero appena uscito dalla questura e mi stavo dirigendo verso il campiello dell'Anzolo.

Tutta questa storia si stava complicando.

Adesso era venuto il momento che qualcuno cominciasse a rispondere alle mie domande.

Arrivare non fu un problema, perchè non c'era anima viva per le strade.

Mentre camminavo non potevo fare a meno di notare quanto fosse silenziosa la città.

Avevo visto molti filmati d'epoca su come fosse viva, pulsante di attività e il suo attuale silenzio era assordante. Mi sembrava d'essere dentro il negozio d'un rigattiere ed era come se tutto fosse stato buttato via in strada, come se a qualcuno non interessasse più.

Le mie riflessioni furono interrotte appena entrai nel campiello. Vidi il portone dello studio legale e mi ci avvicinai. Detti una rapida occhiata per vedere se era chiuso, suonai ma nessuno mi rispose.

Detti una spinta alla porta ed essa s'aprì. Non era stata chiusa bene.

Ero appena entrato e sembrava che qualcosa fosse fuori posto.

Lo studio era come lo avevano lasciato la prima volta che c'ero stato, le luci erano spente.

Seduta sulla sua scrivania c'era l'arcigna segretaria che mi aveva ricevuto il giorno in cui ero andato

per il lavoro di sorveglianza. M'avvicinai a lei e le tastai il polso. Morta.

Estrassi la pistola dalla fondina e salii le scale adagio, restando attaccato al muro.

Tolsi la sicura ed avanzai adagio. Di solito, prima di entrare in un luogo che non conoscevo, avrei usato un segnalatore della Penfield. Questo segnalatore emetteva un onda sonora capace di mandare in catalessi chiunque si fosse trovato nel suo raggio d'azione, umano o androide che fosse,

ma adesso era troppo tardi per simili accorgimenti, ero in ballo e dovevo danzare.

Un passo alla volta, mi ripetevo, un passo alla volta e senza fretta. Il campo santo era pieno di imbecilli che erano entrati alla carica facendosi poi accoppare da quelli che dovevano prendere.

Adesso non provavo più gusto o la solita botta di adrenalina che ti viene in queste situazioni, ma solo nausea. Ancora un passo, procedi come t'hanno insegnato. Controlla gli angoli e guardati le spalle. L'ufficio era in fondo al corridoio ed era stretto, non c'erano altre porte. Ero imbottigliato e sarebbe bastata una scarica per farmi fuori.

Trassi un respiro profondo ed entrai sfondando la porta. La pistola era spianata, cane abbassato e sicura tolta. Sul divano c'era l'avvocato, con le braghe calate e senza mutande e accanto a lui il corpo di un ragazzino di non più di tredici anni, anche lui morto.

Sapevo che il caro, anzi il cavissimo estinto, aveva gusti differenti ma non pensavo così differenti.

Stavo per essere travolto dallo sconforto, ma prima di esibirmi in un piantino liberatorio era meglio controllare il resto dei locali. Meglio essere sicuri che dispiaciuti.

Nello studio non c'era rimasta anima viva e l'unico che poteva darmi delle risposte era morto stecchito. Decisi di dare un occhiata al corpo del ragazzino.

L'unica cosa sensata da fare sarebbe stata quella di alzare i tacchi e di gran carriera.

Qualcuno stava facendo le pulizie, tutti i fili sciolti erano stati tagliati, forse non proprio tutti, ma era meglio affrettarsi a salvarne ancora qualcuno.

Avevo infilati i guanti in lattice e decisi di scoprire qualcosa dal computer dello studio.

Superare le protezioni del sistema operativo non fu un operazione molto difficile, grazie ai programmi elaborati dal mio hacker. Feci una copia dell'Hard Disk e la salvai nel flash disk.

Per andare sul sicuro, decisi di formattare il computer dell'avvocato.

Questo avrebbe rallentato le indagini della Polizia, ma non le avrebbero di certo impedite.

Se c'era qualcosa che avesse valore, lo avrei scoperto appena rientrato a casa.

Uscii dallo studio e con tutta calma mi diressi verso il Bar dello Schifo.

Seduto davanti al banco del bar, con un bicchiere di whisky sintetico e delle patatine estrassi il mio taccuino. Dovevo cominciare a fare mente locale su tutti gli avvenimenti di questi due giorni.

Allora il cavissimo estinto mi manda a chiamare per una sorveglianza, la mia ex viene accoppata durante un lavoro facile e come ciliegina, su questa torta fatta con uova marce e la merda di cane fritta in padella, vengo richiamato in servizio.

Ho il fiato sul collo da parte della sbirraglia e il mio superiore diretto era infido come un'anguilla.

Era finita qui? Probabile o forse no.

Finii il whisky, la prossima fermata sarebbe stata a casa, con l'ultima sigaretta della giornata e una bella dormita.

Le calli erano deserte e molti edifici stavano cadendo a pezzi, si sentiva solo il rumore dei miei passi. Vicino a casa mi capitò di passare vicino alla calle dell'amore degli amici.

Un piccolo vicolo, stretto. La leggenda narra che se una persona bussa ad una porta di un palazzo

e, se a quest'ultima veniva aperto, poteva entrare e sparire verso una nuova dimensione o verso un nuovo tempo.

Non sapevo se ciò fosse vero, ma quella sera avevo una grande voglia di crederci in questa leggenda. Prima di rientrare a casa m'ero fermato davanti ad una vetrina. Mi stavo fissando nel vetro sporco e la faccia che stavo vedendo non mi piaceva per niente.

Era la faccia di un assassino, un uomo che aveva conosciuto l'amore e che l'aveva buttato nel cesso.

Tutto per la sua voglia di adrenalina. Laura era morta e chiunque fosse stato l'avrebbe pagata cara.

Avrei pianto se avessi potuto, ma non ci riuscivo. I pochi vicini di casa che erano rimasti mi guardavano come un diverso, perché non avevo un animale.

Dato che la maggioranza delle specie animali s'era estinta, possederne uno era diventato una sorta

di status symbol sociale. Molti avevano un topo, i più abbienti un animale a quattro zampe di medie-grosse dimensioni, come una capra o qualcosa di simile.

Col mio stipendio me mi sarei potuto permettere qualche animale, vero non una riproduzione genetica da quattro soldi, però non me la sentivo, perché l'avevo visto sopprimere davanti ai miei occhi quand'ero bambino e non volevo piangere ancora le lacrime che avevo sparso per Nea, la mia bella gatta dagl'occhi color lillà.

Ero appena rientrato a casa quando avevo sentito del movimento alle mie spalle, mi voltai di scatto ed estrassi fulmineamente la mia berta.

  • La prego mi aiuti...

Era l'Avvocato Torres.

  • Avvocato, che diavolo ci fa qui?

  • Domanda del cazzo, fottuto imbecille. Sono appena sopravvissuta al massacro dei miei colleghi allo studio.

Una s'era salvata. Finalmente avrei avuto risposte. La poverina era spaventata.

  • Va bene avvocato mi segua dentro casa.

  • Si.. - Fu più un flebile suono che un'affermazione

Stavamo salendo su per i gradini della mia residenza. Anche la mia non faceva eccezione allo stato delle case della città, stava cadendo a pezzi.

La ragazza s'aggirava per il mio appartamento come una pantera inferocita e non potevo biasimarla, perché vedersi accoppati sotto i suoi occhi colleghi ed amici é un esperienza difficile da mandare giù.

  • Adesso si sieda, Avvocato e cerchi di calmarsi

Si sedette sul mio divano e le porsi la mia fiaschetta, con dentro cognac vero, mica schifezza sintetica. Lei la bevve quasi fosse un rimedio contro il cancro.

  • Allora mi dica cosa è successo e cominci dal principio.

Mi guardò un attimo impaurita, ma poi le sue parole vennero fuori come un fiume in piena.

  • Ero andata in studio per curare un paio di pratiche in sospeso... ero impegnata nel mio solito...

  • E poi ha sentito qualcosa.

  • Si.. - disse flebilmente.

Le feci vedere le foto dei miei lavori in pelle. Riconobbe Didier, Trenchtown e Emmy.

La vedevo che ancora tremava come una foglia, ma sapevo che bisognava battere il ferro finchè era ancora caldo.

  • Allora avvocato.. mi dica quello che sa sulla pratica Baliello-Contanoni.Nel caso lei non lo avesse capito quei L.I.P. hanno accoppato molte persone e i suoi colleghi sono solo gl'ultimi della lista

  • L.I.P?

  • Si.. Lavori in pelle, Replicanti, Carne di seconda scelta o scherzi di natura...

  • Basta!!! Non usi questo linguaggio!

  • Mi ascolti attentamente. Siamo entrambi in un mare di merda e se vogliamo uscirne fuori dobbiamo capirci qualcosa e lei deve dirmi tutta la verità.

  • Un normale caso di divorzio...

  • Non credo proprio. Nel caso lei non lo sapesse questi lavori in pelle hanno ammazzato molti esseri umani..

  • Ascolti... Io...

  • Mi dica quello che sa.

Lasciai che continuasse il racconto. In buona sostanza il mollusco mi aveva assunto a seguito della richiesta del marito. Ufficialmente si trattava di divorzio, ma in realtà la ragazza sospettava qualcosa, ma s'era guardata bene dal fare domande.

Una logica ferrea; Nessuna domanda, nessuna risposta.

Le diedi un'altra occhiata. Dietro quella scorza di cinica professionalità c'era una ragazza spaventata

che aveva visto la morte quel giorno. Dopo pochi minuti si lasciò andare in un pianto liberatorio.

Ripresi.

  • Avvocato.. le preparo un letto. Adesso lei cerchi di riposarsi e di riprendere fiato. Domani mattina esamineremo il contenuto dell'hard disk del suo principale.

  • Va bene.

Mi diressi verso la camera degli ospiti e le preparai il letto e appena sdraiata s'addormentò subito.

Mi misi seduto nel salotto. I miei occhi vagavano sulle pareti, osservando le cose che c'erano attaccate. Vedevo stampe, quadri, il soffitto affrescato ma la mia mente non stava nemmeno ammirando quei capolavori. Presi la pistola dalla fondina e iniziai a ripulirla.

La volevo in ottime condizioni d'uso perché presto l'avrei usata.


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Capitolo 6
*** Visite ***


6


Nell'appartamento il silenzio era calato opprimente ed insopportabile.

Certe giornate e certe notti dovevo fare i conti con questo silenzio, che metteva a dura prova la mia determinazione a restare sulla terra, decisi di attaccarmi alle maniglie della scatola empatica.

Qualunque cosa andava bene pur di non sentire il silenzio che era calato in quel momento.

Tutte le famiglie sulla terra e nelle colonie extra mondo ne avevano una e tramite questo aggeggio riuscivi ad assistere all'ascesa di Wilbur Mercer, Mr Empatia in persona.

In quel momento tutto svaniva e in quell'esperienza riuscivi ad entrare in contatto col prossimo e ad allegerirti il cuore e la coscienza. Una volta, prima della guerra, la gente andava in chiesa e ne parlava col parroco, ma ormai le chiese erano diventate dei monumenti vuoti e spogli.

Presi la scatola, l'accesi, attesi che si fosse connessa con la rete e afferrai le maniglie.

Il soggiorno, il palazzo sul Canal Grande era scomparso. Adesso ero in un deserto.

Riaprii gl'occhi e davanti a me una distesa di pietre e sabbia. Ero Mercer.

Sentivo il calore del sole che bruciava la fronte, il tessuto ruvido della tunica, che ad ogni movimento grattava la pelle, il vento e le gocce di sudore che colavano sulla sabbia.

Adesso sono Mercer, sto camminando sul pendio. Sento che arriva il primo sasso, ma non mi prendono. Ne arriva un altro e questo va a segno, colpendomi alle spalle.

E un altro, un altro ancora. Tutte le volte che un sasso va a segno, ne sento l'impatto e dentro di me un esplosione di dolore che riverbera nel corpo.

Al dodicesimo o tredicesimo sasso mollo la presa dalle maniglie della scatola, non potevo più sopportare quella sassaiola. Il collegamento s'interruppe subito.

  • Cosa è successo? Ho sentito un grido..

Doveva essermi scappato un urlo durante la sessione di fusione empatica. Cazzo.

La ragazza vide la mia espressione, un misto di sorpresa e di stupidità.

  • Non la facevo un tipo da scatola empatica..

  • Nessuno è ciò che sembra, avvocato.

  • La prego, mi chiami per nome..

  • Come si chiama?

  • Melissa.

Avevamo rotto il ghiaccio e non sapevo se era una cosa buona o cattiva.

Un atteggiamento poco professionale non mi avrebbe permesso di ottenere informazioni o peggio sarebbero state influenzate dalla mia attrazione sessuale nei confronti della ragazza, che era bellissima. Il manuale sconsigliava scopate coi testimoni, almeno finché fosse durata l'inchiesta.

Ma come potevo resisterle? Decisi di riprendermi e poi non avevo voglia di scopare, non col cadavere della Laura ancora caldo.

  • Allora.. adesso esamineremo il contenuto dell'Hard Disk e lei dovrà darmi molte spiegazioni. Se scopro che ha omesso, nascosto o cercato di depistarmi, giuro che se ne pentirà.

La vidi deglutire e guardarmi con occhi spaventati. Povera ragazza, ma fino a ad un certo punto.

Accendemmo il PC e dopo alcuni minuti cominciavamo a smanettare sui documenti dello studio.

Lasciammo perdere i documenti fiscali, troppo complicati per il momento e ci concentrammo sulla corrispondenza del caro estinto.

  • Un mucchio di mail tra il commendatore, l'avvocato e un terzo soggetto non identificato, che si nasconde dietro il nome di David.

  • Almeno è un inizio.

Ci guardammo di nuovo negl'occhi. Era bella. Molto attraente.

Distolsi lo sguardo e mi rituffai nella corrispondenza.

Aprii il primo messaggio della lista ma non potevo leggerlo, perchè era stato crittografato e l'unico che potesse decodificarlo era morto stecchito.La migliore opzione sarebbe stata interrogare l'avvocato.Adesso ogni possibile pensiero legato al sesso era bandito dalla mia mente.

Lei era una portatrice di informazioni e dovevo riuscire a cavarne fuori il massimo.

Ospedale Arcangelo Michele

Isola di Nuova Venezia

Lunedì Mattina


Alvise Bridolin era un portantino.

Abitava in un condominio d'appartamenti (CONDAP) nel quartiere Pertini, periferia di Mestre.

Non che ne fossero rimasti molti di quei palazzoni, che cadevano a pezzi per incuria e perché abbandonati. Lavorava all'isola di Nuova Venezia, una nuova scommessa edilizia e architettonica lanciata dalla città prima della guerra. Era rimasta incompleta, ma nel giro di sei anni, nuove torri d'acciaio e vetro, svettavano a due miglia marine dalla costa. Una scommessa quasi vincente, malgrado la polvere radioattiva e l'inquinamento. Chi non poteva emigrare si rifugiava in questa nuova isola.

Bridolin aveva fatto domanda per poter emigrare su Titano, nella colonia di Nuova Verona, ed oggi avrebbe ricevuto il risultato dei test, effettuati due settimane prima.

Non era particolarmente nervoso, ma nemmeno eccitato. L'unica cosa che non gli dispiaceva era la possibilità di rivedere la bella dottoressa Myaskovsky.

Non sapeva da dove venisse, ma la conosceva, di vista però sapeva chi fosse. L'aveva vista tante volte quando puliva i corridoi del reparto dove prestava servizio. Era adorata dai pazienti, perché possedeva una naturale sollecitudine nei loro confronti ed aveva una naturale autorevolezza nel condurre le visite. Ogni volta che la vedeva era una delizia per gl'occhi.

Capelli neri lunghi e lisci come seta, fisico atletico temprato dalle arti marziali e una naturale grazia in ogni semplice movimento.

Aveva appena varcato il portone d'ingresso dell'ospedale. Visto da fuori sembrava una spada fatta di vetro che volesse sfidare la sorte e il tempo.

Si fece avanti verso il banco d'accettazione dell'ospedale e chiese informazioni all'impiegata.

Le rispose sgarbatamente di rivolgersi al quarto piano per ritirare i certificati di cui aveva bisogno.

Arrivato al quarto piano entrò nell'ufficio che gl'aveva indicato l'arcigna impiegata e con sua grande sorpresa trovò proprio la dottoressa Myaskosvskiy.

  • Buongiorno signor Bridolin, s'accomodi.

  • Buongiorno a voi dottoressa..

Si sedettero e lei gli rivolse un bel sorriso, poi riprese

  • Signor Bridolin, devo riferirle i risultati dei test, effettuati due settimane prima.

  • Allora? Potrò emigrare su Titano?

  • Temo di no signor Bridolin.

Queste parole s'abbatterono si di lui come un maglio.

  • Perché? - chiese flebilmente

La dottoressa inforcò degl'occhiali da vista e lesse il referto delle analisi.

  • Mi ascolti, lei ha una sindrome degenerativa, che ha affetto il suo cervello.

    E' ai primi stadi e ritengo che con la dovuta terapia ci potrebbe essere una speranza di cura.

Bridolin non riusciva a capire e le successive parole non vennero registrate dalla sua mente.

  • Signor Bridolin.... Alvise.. mi sente?

Rialzò lo sguardo e fisso i suoi occhi azzurri nel volto della dottoressa, inspirò e sospirò

avrebbe voluto mettersi a piangere. Sapeva, Bridolin sapeva cosa sarebbe successo dopo.

Lo aveva visto tante volte quando da inserviente aveva pulito il piano degli “speciali” ovvero i soggetti col cervello bruciato dalla polvere tossica.

Erano fantasmi che vagavano tra i corridoi dell'ospedale come mosche ubriache dal caldo.

Non voleva finire così. Rifiutava con ogni fibra del suo essere un simile destino ed emigrare era la sua unica speranza. Ma adesso? Che fare?

  • Alvise ascolta.. ce la puoi fare. Non finirai col cervello bruciato è ancora ai primi stadi ed è possibile curarla.

  • Guarirò?

  • Si ma dobbiamo cominciare subita la terapia. Adesso ti prescriverò dei farmaci e dopo dovremo effettuare altre visite di controllo. Devi solo tenere duro e rimboccarti le maniche.

    Io t'aiuterò ma tu devi darti da fare.

  • Va bene dottoressa, mi fido di lei.

Le i le rivolse un bel sorriso ed iniziò a scrivere una prescrizione medica.

  • allora due al mattino prima dei pasti...

  • grazie dottoressa.

  • Non ti preoccupare, il tuo problema si risolverà

Si strinsero la mano. Di solito una stretta durava pochi istanti ma, in quel momento, quando i loro occhi s'incontrarono per alcuni istanti, durò qualche momento in più.

Non sapeva che cosa dire ma doveva sfruttare quell'esile momento d'informalità

Decise di osare.

  • Stanno per aprire un nuovo ristorante.. le andrebbe di venire con me?

Lei lo guardò per un istante, era rimasta un attimo interdetta. Cosa avrebbe risposto?

Anche Bridolin era emozionato, quale sarebbe stato il verdetto? Sulla Polvere o sull'Altare?

  • Che tipo di ristorante è?

  • Indiano.. lo inaugurano domani sera....

  • Va bene domani sera ma non glielo garantisco.

  • Alle nove?

  • Andata.

Bridolin uscì dallo studio con passo fiducioso. Era sicuro di se, poiché ad un cervello di gallina mai e poi mai sarebbe riuscito ad ottenere un appuntamento con una bella ragazza. Questa promessa di una notte romantica lo aveva rinfrancato e con un sorriso sulle labbra si diresse verso l'uscita dell'ospedale.


Questura di Venezia

Piazza Roma

Lo stesso giorno


“Takeshi... Figlio di Puttana...” mi dissi tra me.

Oggi avevo ricevuto la sua vendetta. I Gemelli Diversi m'avrebbero accompagnato in ogni mio passo durante questa caccia.

Comunque c'era poco da scegliere, perché sapevo di essere nel taschino di quel nano bastardo.

Quel giorno ero riuscito a stabilire alcune connessioni col caso in corso ed erano:

  1. C'era qualcosa che si stava muovendo nel sottobosco dei lavori in pelle e questo qualcosa poteva avere sviluppi interessanti.

  2. L'Avvocatessa o la iena in completo gessato mi aveva aperto uno spiraglio, di che genere non potevo saperlo, però sapevo che c'era.

  3. Questo giro di giostra sarebbe stato differente sotto molto aspetti e ancora non avevo ben capito quali disgrazie il padre eterno m'avesse nascosto dietro l'angolo.

Seduto nel mio sgabuzzino mi collegai con la banca dati della Questura ed iniziai ad effettuare delle ricerche incrociate. Per le notti successive avrei dovuto muovermi tra la vecchia Venezia e quello schifo di vetro, acciaio e cemento che viene chiamato Nuova Venezia per ottenere delle risposte, ma adesso era ora di cominciare a trovare la prima preda.

Decisi di cominciare dagli ospedali e vedere se saltava fuori il nome dell'androide medico.

Il fatto che non avesse preso le solite precauzioni come un nome falso poteva voler dire che la sua leggenda, cioè la sua finta storia di vita, fosse stata curata nei minimi dettagli.

Cominciai con le cliniche private, ma non ebbi riscontro. Proseguii con controlli incrociati in tutti gl'ospedali della regione, finché non venne fuori una piacevole sorpresa.

L'ospedale Arcangelo Michele aveva effettuato una nuova aggiunta al suo staff medico.

Sul mio volto si dipinse un ghigno sinistro. La prima preda dopo tanta attesa.
M'alzai e trassi dal cassetto della scrivania un caricatore vuoto ed incominciai a riempirlo con cartucce a punta cava, quindici colpi in tutto. Poi pulire la mia pistola e controllare il resto del mio equipaggiamento, ricontrollare le batterie del segnalatore Penfield. I preparativi mi tennero occupato per quindici minuti e dopo essermi messo l'impermeabile uscii dalla questura.

Fuori ad attendermi c'erano i Gemelli Diversi.

Non dissi una parola e feci cenno ai due di seguirmi dentro lo spinner. Il primo gemello accese la radio e il suono dei violini uscì dalle casse.

“Strano – mi dissi – non li facevo tipi da musica classica...”.

Capivo che non avevano molta simpatia nei miei confronti. Erano solo ansiosi di compiacere il loro padrone, in questo caso Takeshi, sperando di migliorare la loro situazione. Ai loro occhi prima riuscivo a chiudere questa storia, prima mi sarei tolto di mezzo.

Nemmeno io avevo la voglia di restare all'OCRA, ormai avevo dato e non ci tenevo a continuare.

Però questo genere di atteggiamento poteva essere un intralcio nel lavoro. Quando le circostanze lo richiedevano bisognava agire in fretta, ma se potevo m'organizzavo prima di buttarmi nella mischia.

Mentre lo spinner viaggiava verso l'Isola di Nuova Venezia decisi come impostare l'azione.

  • Allora sentitemi bene. Niente armi. Andremo ad operare in un ambiente pieno di civili. Il vostro compito sarà quello di bloccare le vie d'uscita dall'ospedale. Corea chiama il comando dei carabinieri a Nuova Venezia e digli che mandino alcuni uomini e che blocchino le vie di fuga intorno all'ospedale. Se ti fanno noie passameli che ci parlo io. Digli che si tratta di un codice libellula.

Corea non disse nulla ed inizio a parlare con il comandante dei carabinieri di Nuova Venezia.

Appena arrivati in Campo Carlo Goldoni scendemmo dallo spinner e ad attenderci c'erano una decina di militi. M'avvicinai al maresciallo e dopo i convenevoli, iniziai ad impartire le istruzioni

per l'operazione in corso.

Mentre gli uomini prendevano posizione mi rivolsi ai Gemelli Diversi

  • Allora statemi a sentire. Sicura alle armi ed evitiamo che questa cosa si trasformi in un merdaio di proporzioni colossali.

I due non dissero nulla, si limitarono ad annuire e a seguirmi.

Prima d'entrare nell'ospedale detti un'occhiata alla sistemazione degli uomini. Tutto era pronto.

Dietro di me s'erano concentrate nuvole grigio piombo, il tempo minacciava pioggia.

Mancava poco ad un nuovo appuntamento col sangue





















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