Storia di un'interrogazione

di Vale_Hiwatari
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I - Alessandra ***
Capitolo 2: *** II - Giovanni ***
Capitolo 3: *** III - Omar Cattaneo ***
Capitolo 4: *** IV - L'arte di scamparla ***
Capitolo 5: *** V - La trahison des images ***



Capitolo 1
*** I - Alessandra ***


Alessandra era bella.
Era quella che un qualsiasi ragazzo avrebbe definito bella. E non perché fosse, in fondo, bella di viso o di forme.
Certo, anche quello faceva la sua parte, ma Alessandra aveva una grazia e un modo di muoversi che anche in mezzo a tantissima gente non passava mai inosservato.
Aveva dei bellissimi capelli, Alessandra.
Erano biondi e lunghi, e soffici, e ci si poteva fare qualsiasi pettinatura, fosse coda di cavallo o treccia; qualche volta anche lo chignon.
E ovviamente i suoi capelli erano intonati ai suoi occhi verdi.
Alessandra non aveva mai gli occhi tristi; la matita che metteva costantemente non si bagnava mai e non le scivolava mai sulle guance.
Era fiera, dritta, guardava il mondo dall'alto eppure quando parlava con chiunque sembrava che stesse in basso.
Non offendeva mai, Alessandra.
Anche quando la offendevano rideva; era bella anche la sua risata. Limpida, chiara, sovrastante rispetto alle piccole altre: lei gettava indietro i capelli di miele e rideva forte.
Quando parlava Alessandra tutti ascoltavano rapiti, e la sua voce era cristallina quanto chiara nello spiegare un concetto.
I professori la stimavano.
I ragazzi la volevano.
Le ragazze la invidiavano.
Ma Alessandra non si era mai accorta di questo.
Lei era felice delle sue piccole cose, per quanto sciocche; lei desiderava solo le sue gioie quotidiane: un fiore, un messaggio, un sorriso, un bacio.
Ad Alessandra piaceva il cioccolato, ma non ne mangiava mai. Paura di ingrassare.
Chiunque le avrebbe riso in faccia o dato della pazza a quell'affermazione.
Con Alessandra, invece, nessuno rideva; anzi, la prendevano molto, troppo sul serio!
Qualcuna delle ragazze era giunta ad imitarla. Qualcun'altra invece diceva che era suonata.
Ma nessuno glielo disse mai.
Alessandra sorrideva, aggraziatamente si sedeva e tutto andava a posto, per tutti.
Un suo gesto bastava a rallegrare.
Non sapevano chi fosse Alessandra. Lei aveva tutti 10 e neanche un 9, ma non lo diceva a nessuno.
Odiava Vantarsi.
Qualcuno lo considerava un male.
Alessandra alzava le spalle. A lei non importava.
Le bastava essere se stessa.
Alessandra era bella, ma non per il viso o per le forme.
Lei era bella perché era se stessa, e sapeva che non esisteva, non era mai esistito ne sarebbe esistito mai nessuno come lei in milioni e milioni di anni.
E non c'era cosa più bella, per Alessandra.
Perché Alessandra era solo se stessa.

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Capitolo 2
*** II - Giovanni ***


L'atrio era grande.
Era sempre stato grande, solo che nessuno ci faceva caso.
C'era un grande tavolo da ping-pong in mezzo, sotto un grande soffitto bianco retto da grandi colonne.
Solo che nessuno ci faceva caso.
Erano tutti impegnati a riempirlo per accorgersene.
Qualcuno giocava a ping-pong, qualcun altro stava seduto guardando l'orologio appeso alla parete, altri ancora chiacchieravano animatamente del più o del meno...
Senza però dire realmente qualcosa, salvo forse qualche appunto e un mare di paradigmi.
In quest'area satura di clausura e piena di gente si muoveva Alessandra; e ogni volta che Alessandra si muoveva nell'atrio Giovanni era lì a guardarla.
Giovanni era strano.
Era quello che chiunque avrebbe definito un ragazzo strano.
Non aveva un brutto viso, né in fondo era brutto, ma guardandolo anche solo di sfuggita tutti si sarebbero resi conto del suo "non essere comune".
Aveva i capelli biondi, Giovanni.
Non chiari come quelli di Alessandra, questo no, ma comunque biondi.
Spiccava sulla fronte un ciuffo ribelle, che nonostante tutti i tentativi di tenerlo fermo era sempre lì sventolante.
Forse lo caratterizzava.
Seppure avesse occhi luminosi, da gatto, Giovanni sorrideva poco e poco li faceva brillare.
Sorrideva molto poco, Giovanni, e anche quando sorrideva il suo sorriso era più una smorfia storta.
Tutto sommato, però, Giovanni era felice.
Era felice dentro, lo dava a vedere poco fuori.
Pensava un po' solo a se stesso, a star bene con se stesso e ai suoi voti.
Aveva bei voti, Giovanni.
Tutti 9, qualche 10; non era bravo come Alessandra, ma era piuttosto soddisfatto dei suoi risultati.
Quando parlava con te sembrava che guardasse il mondo dall'alto, invece lo vedeva dal basso.
Quando chiacchierava, se lo faceva, bisognava tendere l'orecchio oppure non si sarebbe sentito assolutamente nulla.
I professori lo stimavano.
Le ragazze non lo capivano.
I ragazzi lo snobbavano.
Aveva qualche amico ma preferiva stare solo, Giovanni; ascoltava musica seduto sulla sua panca preferita nel grande corridoio pieno.
Nessuno sapeva chi fosse Giovanni.
Non sapevano che musica ascoltasse né che libri leggesse; ma a loro non importava.
Giovanni era strano perché non riusciva ad essere se stesso.
In nessun modo, per quanto si sforzasse.
E guardava di sottecchi Alessandra passeggiare nell'atrio, senza sapere cosa fosse quella sensazione che provava alla bocca dello stomaco.
Era strano, Giovanni, chiuso e muto.
E, come se non bastasse, era innamorato di Alessandra.

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Capitolo 3
*** III - Omar Cattaneo ***


La classe era silenziosa.
Qualcuno rileggeva la sua verifica di Chimica, qualcun altro invece scriveva freneticamente, altri ancora cancellavano nervosamente.
A cinque minuti dalla fine dell'ora la prof. Piacenti passeggiava fra i banchi controllando che nessuno copiasse.
Alessandra masticava la penna nervosamente, senza sosta.
Sperava di essere andata bene, Alessandra.
Sapeva di essere andato bene, Giovanni.
Quando la campanella suonò si udì un mormorio di disapprovazione mentre tutti si alzavano a riconsegnare il proprio foglio.
La professoressa Piacenti di Chimica e Fisica cercò di attirare un po' di attenzione per comunicare i compiti, dopodiché si arrese e li scrisse alla lavagna.
Qualcuno aprì il diario per scriverli, altri se ne fregarono altamente.
Alessandra li scrisse velocemente su un foglio, giusto per non dimenticarsene, poi aprì il libro di Storia dell'Arte per ripassare.
Non aveva studiato molto bene, quella volta.
Giovanni invece era sicuro e preparato come sempre.
Sorrideva, Giovanni, con quella strana smorfia caratterizzante; parlando con il suo amico Federico confessò che la verifica era andata proprio bene.
In realtà il suo motivo di conversazione era stare più vicino ad Alessandra, guardarla, sfiorarla.
Sorrideva anche Alessandra, mentre una sua amica le faceva leggere qualcosa di ignotamente affascianante su un foglietto giallo.
Giovanni scosse la testa, tornando brusco alla realtà.
[...]
Il professore di Storia dell'Arte si chiamava Massimo Omar Cattaneo, anche se di solito si firmava solo con il secondo nome.
Era un tipo alto, Cattaneo.
Alto sotto gni punto di vista; dell'aspetto, del carattere, della carriera, del lavoro.
Qualcuno diceva che fosse sposato, altri lo consideravano single.
Non lo si è mai saputo con precisione.
La fede non l'aveva, al dito, però diceva che non l'avrebbe mai portata, sposato o meno.
Tutti, quando parlavano con lui, si sentivano sotto giudizio: aveva uno sguardo scuro, quasi cattivo.
Tutti, quando lo vedevano arrivare, facevano spontaneamente silenzio.
Era un grande tifoso dell'Inter, Cattaneo.
Per questo i Milanisti si tenevano alla larga: Cattaneo non era tipo da sopportare per più di dieci minuti un Milanista (Perlomeno non senza dare in escandescenze).
La calma era, nonostante questo, la virtù principale del prof. Cattaneo.
Mio padre dice che non bisogna aver paura della rabbia delle persone irascibili, quanto bisogna temere le persone calme quando si irritano.
Cattaneo era un tipo di cui aver paura.
Non faceva nessuno sforzo per mantenere l'attenzione alta in classe, anche se in verità le sue lezioni non erano poi così interessanti.
Bastava il suo sguardo, in effetti, a mantenere il silenzio.
I ragazzi ne avevano soggezione.
Le ragazze ne avevano paura.
I professori lo ammiravano.
Cattaneo arrivava puntualmente a scuola con la sua borsa nera e alzava la mano a mo' di saluto.
Non voleva che gli si dicesse 'Salve', Cattaneo.
Sosteneva che nel significato della parola (Salve = Salute a te) fosse implicita una mancanza di rispetto, dando anche se non intenzionalmente del TU.
Preferiva un sano 'Buongiorno', Cattaneo.
Allo stesso modo, fissato com'era con il rispetto, pretendeva che si prendessero sempre appunti durante le sue lezioni.
Aveva anche un tic, Cattaneo.
Lo rendeva parecchio ridicolo, a guardarci bene, quel tic all'occhio.
Ma nessuno lo prendeva in giro, mai.
Non era brutto né era bello, Cattaneo.
Però amava le cose belle.
E non si parla di donne o di vino.
Si parla di quadri, di paesaggi, di libri e di verità.
Amava la verità, Cattaneo, fosse essa bella o brutta; e la guardava in faccia.
Viso aperto, spalle dritte, guardava il mondo dal suo punto di vista, a metà fra alto e basso.
E chi dice che la sua verità non fosse quella?
Come dicevano i latini, est modus in Rebus.
Questo era il motto del professore di Storia dell'Arte, Massimo Omar Cattaneo.

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Capitolo 4
*** IV - L'arte di scamparla ***


Il professore di storia dell'arte entrò in classe pochi minuti dopo il suono della campanella.
Il mormorio di disappunto della classe si diffuse per l'aula mentre Omar Cattaneo sedeva in cattedra.
Tutti tornarono ai loro posti e si misero in piedi per accogliere l'insegnante.
Aveva una camicia bianca, Cattaneo.
Portava dei Jeans e un maglione peruviano con una sciarpa azzurra e scarpe intonate, Alessandra.
Indossava Pantaloni neri e maglietta rossa con un leone ricamato sulla schiena, Giovanni.
"Dritto con la schiena, Ripoli!"
Mirko Ripoli drizzò la schiena, pancia in dentro e petto in fuori.
"Adesso non esagerare, Ripoli"
Si rilassò, Mirko.
Compilando il registro il prof. fece segno a tutti di sedersi; il rumore di sedie spinte su e giù fece, come al solito, scattare la reazione dell'insegnante.
"Allora, ragazzi?"
Naturalmente tutti erano rigidissimi, seduti ai loro posti.
Quanto il professor Cattaneo riusciva a farli sentire in colpa non ci riusciva nessuno.
Alessandra ripassava.
Giovanni si sentiva sicuro della sua preparazione.
Sfogliano appunti e libro, sempre di più Alessandra si accorgeva di NON essere preparata.
Per la prima volta forse.
In effetti c'era la verifica di Chimica, e Arte le era proprio passato di mente... Sperò ardentemente che non la chiamasse, supplicò qualche dio che non succedesse proprio quel giorno quella dannata interrogazione.
"Oggi ho deciso che facciamo un bel ripassone di TUTTO quello che abbiamo studiato, a piacere mio"
Terrore dipinto su occhi che osservano altri venti occhi terrorizzati.
"Quindi che ne dite se oggi interrogo due persone?"
Sollievo delle persone già interrogate, tensione più alta per i mancanti al giro.
"Perché ve lo chiedo, tanto decido io"
Sguardo maligno verso la classe del professore.
"Oh, sarà un'interrogazione difficile, quindi chiamerò due persone brave. Oggi sono buono, voglio mettere due bei voti. Quindi Gianese, che ne dici di venire qui avanti a sederti?"
Dal suo terzultimo banco, Giovanni si alzò sereno e si diresse al primo posto, proprio di fornte a Cattaneo, come imponeva la tradizione del professore.
"...e Ripoli, perché non gli fai compagnia?"
Mirko si irrigidì di nuovo.
"Ma prof...."
"Che c'è Ripoli, non sei preparato?"
Sudava, Mirko, sperando non fosse vero.
Non era il primo 2 che si prendeva, ma in Arte era sempre diverso.
"E allora?"
"Ecco... Ieri ho avuto la febbre"
Che non era la verità.
Ma non era nemmeno una bugia.
Il giorno prima era stato un po' male, Mirko, però poi aveva avuto tempo (non voglia) per studiare o Chimica o Arte.
E aveva scelto Chimica.
"Ripoli, non sei molto bravo a mentire. E in più sei milanista"
"E' la verità" -Disse simulando un colpo di tosse.
Omar Cattaneo si stava stufando di perdere tempo; ok, aveva due ore per interrogare ma non voleva certo perderle dietro Ripoli.
"Per questa volta voglio crederti. Ma la prossima non ti salvi. Siedi"
Si rimise a sedere.
Cattaneo riprese a scorrere con la penna il registro su e giù.
Si soffermò su un nome, poi cambiò idea, poi ci tornò. Scuotendo la testa decise che per quel giorno le cose doveva farle in gran stile.
Quindi avrebbe chiamato la seconda persona che più stimava nella classe, Cattaneo.
"Colombi. Signorina Treccedoro, vieni a sederti qui di fronte a me, così ti vedo meglio"
Era bella, Alessandra.
Ma in quel momento non pensava che questo avrebbe potuto salvarla.
Sapeva il resto del programma di Arte, ma Boccioni proprio no.
Magari 6 avrebbe potuto prenderlo, Alessandra.
In fondo era bravina, poteva sperare nella clemenza del prof.
Si sedette tentando di mantenere lo sguardo alto mentre Cattaneo finiva di scrivere la I che segnava la sua condanna.
Era tranquillo, Giovanni.
Così almeno pareva al professor Cattaneo.
Era agitata, Alessandra.
E di questo si sorprese il professor Cattaneo, la ragazza era sempre calmissima.
"Bene, signori, guardate e imparate" -E così dicendo Cattaneo aprì il libro di Storia dell'Arte.

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Capitolo 5
*** V - La trahison des images ***


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La Trahison des images



Cattaneo accavallò le gambe.

Alessandra si guardò le mani in grembo, girandosi un po' i pollici, tutta rossa in viso.

Giovanni alzò lo sguardo e guardò il professore di Storia dell'Arte.

"Bene, molto molto bene" -Girando lentamente le pagine del libro, forse cercando un argomento appropriato da chiedere per un'interrogazione da quinta superiore, ultimo anno, Terza liceo classico, Cattaneo commentava a bassa voce ogni immagine- "No, non va"

Giovanni guardò di sottecchi Alessandra.

Quanto bella era quella ragazza?!

Scosse la testa accorgendosi che finalmente il professore di Storia dell'arte aveva sollevato trionfante il libro.

"Ok, Colombi"

Alessandra diventò dello stesso colore della felpa di Giovanni. Rosso Fuoco.

"Forza, analizza questo quadro"

Alessandra si sporse verso la cattedra e sbirciò il libro aperto.

Magritte; lo riconobbe a prima vista.

Almeno era qualcosa, si disse.

 

 

Sospirò profondamente e osservò di nuovo il quadro. 

Ceci n'est pas une pipe.

Questa non è una pipa.

E allora che diavolo è? -La domanda che le sorse le parve immediatamente inopportuna, così trovò intelligente riservarla per un secondo momento.

La seconda domanda che si affacciò al suo cervello fu: Ma scusa, perché non gli dici che sei impreparata? -Scartò anche quest'ipotesi. Un due non era il caso. Meglio tentare di cavarsela e prender quattro.

Terza domanda: Allora cosa cavolo dico? -ecco, qui la risposta era un po' meno scontata per Alessandra.

Giovanni la guardò, facendo segno con la testa di parlare.

Alessandra scosse la testa.

Ok, ragionare per prima cosa.

C'è una pipa nel quadro. Una pipa. Ma sotto c'è scritto che non lo è.

Oggetto, parola e immagine: tre concetti chiave.

Ecco che cominciarono a tornarle alla memoria le immagini e le parole di un pomeriggio alquanto noioso, durante la penultima -o terzultima, non ricordava bene- lezione di arte.

 

*****

 

Vedevi nel cielo quell'alta pressione, sentivi una strana stagione? Era la nebbia del pomeriggio, che ti diceva che l'inverno era lentamente ma inesorabilmente arrivato.

 

Ed era arrivato tutto di un colpo.

"Alessandra, Alessandra, sempre distratta in classe, sempre a sognare di cose inesistenti. A pensare a un nulla. Il difetto tuo e del tuo distrarti è che alla fine non pensi mai realmente a qualcosa, solo a un nulla fatto di nebbia"

Alessandra era spiazzata.

Beccata distratta dal prof. più severo della scuola, Cattaneo.

Sospirava guardando fuori dalla finestra.

"Vedi di prendere appunti su questa roba adesso"

Se solo avessi saputo dirglielo, Alessandra.

Se solo avessi saputo dirgli che quel nulla per te valeva molto di più dei suoi tanti "Qualcosa".

Eppure stavi zitta e rossa di fronte a lui, Alessandra.

 

Sentivi il tuo aereo, che volevi ti portasse lontano? Lo sentivi quel suono di un piano, di un Mozart stonato che provava e riprovava, ma il senso del vero non trovava? Senso del vero. Come una pipa che non è una pipa, giusto? Lo sentivi il perché di cortili bagnati, di auto a morire nei prati, la pallida linea di vecchie ferite riaperte, il francobollo di vecchie lettere ingiallite e ormai non spedite? Vedevi il rumore di favole spente? Sapevi che non siamo più niente? Non siamo un aereo né un piano stonato, stagione, cortile o un prato...

 

Neppure una pipa era più una pipa, nel tuo mondo. Cominciavi a capire Magritte, a sentire quanto fosse vera quella scritta sotto quel quadro senza senso. Concetto di Parola, Immagine, Oggetto.
Parola, come cavallo.
Immagine, come il disegno di un cavallo.
Oggetto, come il cavallo stesso.

 

Conoscevi l'odore di strade deserte che portano a vecchie scoperte, e a nafta, telai, ciminiere, a periferie misteriose, e a rotaie infinite per nessun posto, a letti, a brandine, ad alcove? Sapevi che colore hanno le nuvole basse e i sedili di un'ex terza classe?

 

Parola, quel qualcosa di magico da maneggiare e manipolare per creare sensazioni e inventare mondi nuovi che si riflettono in specchi vuoti per creare nuovi mondi...

 

L'angoscia che dà una pianura infinita? Hai voglia della vita? Di un giorno qualunque, di una sponda brulla? Sapevi che non siamo più nulla?

 

Immagine, il riflesso della parola che l'ha creata in uno specchio. Specchio rotto. Frantumi di cristallo.

 

Non siamo una strada né malinconia, un treno o una periferia, non siamo scoperta né sponda sfiorita, non siamo né un giorno né vita... Non siamo la polvere di un angolo tetro, né un sasso tirato in un vetro, o lo un raggio di sole in un campo di grano...

 

Oggetto, il riflesso uscito dallo specchio rotto per farsi vero e colorato e vivo per te.

Tu l'hai creato, Alessandra.

E adesso sei prigioniera del tuo stesso specchio.

Si faceva a strisce il cielo e quell'alta pressione diventava un film di seconda visione, con l'urlo di sempre di accompagnamento che pian piano ti ripeteva: "Non siamo, non siamo, non siamo..."

 

*****

 

Prese fiato con gli occhi chiusi, Alessandra.

"Colombi? Dormi?"

Alessandra riaprì di botto gli occhi.

Ecco, la sua distrazione; quella doveva eliminarla.

Stava distratta in classe e studiava a casa, Alessandra.

E voleva rimediare.

Portò il ricordo della lezione sulle labbra.

"Oggetto, Parola, Immagine- ecco quello che Magritte voleva dirci..."

Nessuno degli altri presenti proferì parola mentre Alessandra parlava.

Finì in pochi minuti di esporre mentre il prof. Cattaneo decideva che era ora di cambiare vittima.

"Va bene, Colombi, adesso zitta un po' mentre sento Gianese cosa ne pensa di questa statua"

 

 

 

La prima foto che Alessandra decise di strappare dal suo Album fu la foto della distrazione.

Rappresentava una ragazza che guardava fuori dalla finestra, con i capelli sciolti sulle spalle. A lato c'era un professore alto che cercava di richiamare la sua attenzione, invariabilmente concentrata sulla nebbia del pomeriggio invernale e sull'aereo appena passato. E' strappata in mille pezzettini, la foto della distrazione di Alessandra.

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