Occhi...

di Meiko
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vento d'Ottobre ***
Capitolo 2: *** ...Desideri silenziosi ***
Capitolo 3: *** Il silenzio della neve...e le luci del Natale ***
Capitolo 4: *** Le onde del mare... ***
Capitolo 5: *** Le vie del destino... ***
Capitolo 6: *** Decisioni sulla riva del lago ***
Capitolo 7: *** Luce nell'oscurità ***
Capitolo 8: *** ...volere...volere... ***
Capitolo 9: *** Tre aspetti di un futuro... ***
Capitolo 10: *** Questa...non è la fine...ma solo...il principio... ***
Capitolo 11: *** Cambio della marea ***
Capitolo 12: *** L'ultima goccia salata di lacrime ***
Capitolo 13: *** Tre mesi di gioia ***
Capitolo 14: *** Epilogo, ovvero occhi guardano il futuro di tre vite durante un'autunno rosso ***



Capitolo 1
*** Vento d'Ottobre ***


Lasciò che il vento passasse scostante tra i capelli, mentre teneva tra le mani il libro di cuoio, tastandone la copertina, soffermandosi sopratutto sulla cornice fatta di foglioline secche, il loro contato ruvido tra le dita le procurava una piacevole sensazione, come l’odore dell’erba umida, segno che aveva piovuto da poco.
Il vento passò ancora, e questa volta le procurò un brivido di freddo, avvertendo una brezza birichina che s’insinuava nelle pieghe del cappotto lungo, in pelle e dentro imbottito di pelo, che evidenziava la figura snella.
Chiuse un attimo gli occhi, per poi riaprirli.
Li chiuse ancora, e li riaprì.
Ancora una volta, e ancora.
Alla fine, stanca di quell’insulso giochetto, sbuffò, mettendo una ciocca di capelli lunghi e capricciosi dietro l’orecchio.
Tastò ancora quel libro, per poi aprirlo, lasciando che le pagine si sfogliassero da sole, mosse al minimo alito di vento, come se questo stesse leggendo quel libro.
Quel libro…apparentemente vuoto.
Tastò una delle pagine gialle, che profumavano di vecchio, e sorrise, mentre continuava a tastarlo, tenendo lo sguardo basso, per poi chiudere gli occhi, ed alzare lo sguardo verso il cielo.
Il sole la colpì in faccia, scaldando le gelate gote pallide, mentre i capelli giocosi solleticavano il suo collo.
Lentamente, allungò il braccio alla sua sinistra, afferrando il bastone appoggiato li vicino, e si alzò in piedi, sistemando meccanicamente il libro dentro la sacca, mettendola poi dietro la spalla, e dopo un attimo d’incertezza, cominciò a camminare verso destra, il vento ora la prendeva in faccia, raffreddandolo, le guance assunsero tinte porpora.
Camminò a lungo, il bastone ticchettava sull’asfalto grigio, come il ticchettare di un orologio, a volte il ticchettio sfumava in qualcosa di secco e fragile che si rompeva, come carta vecchia, come vetro.
Foglie secche.
Le piaceva bloccarle, per poi raccoglierle, tastandole con saggezza, avvertendo il contatto ruvido e secco tra le dita morbide e delicate, per poi lasciarle volare via, ad una folata di vento.
Oggi, però, andava di fretta, e preferì rinunciare al suo passatempo, tenendo gli occhi chiusi, ascoltando i bisbigli del vento, che l’accompagnavano nel suo silenzioso andare.
Ad un tratto, il tacito chiacchiericcio del vento venne interrotto da delle grida, come di comandi, mentre si udivano dei rimbombi, degl’echi sfuocati di rumori metallici.
La ragazza girò il capo in direzione dei suoni, le lunghe e affilate sopracciglia si corrucciavano in un’espressione turbata ed incuriosita.
Afferrò qualcosa sotto il cappotto, tastandolo, per poi tirarlo fuori.
Era un grosso orologio da taschino, le lancette grosse e ben fatte, sotto il vetrino apribile.
La ragazza lo aprì delicatamente, appoggiando le dita, sorridendo.
Erano solo le sei. Casa distava solo cinque minuti da li.
Richiuse con uno scatto veloce il panciuto orologio, nascondendolo dentro la tasca del cappotto, per poi riprendere a camminare in direzione del campetto, il bastone davanti a lei ticchettava aritmicamente, come per dare il tempo alla melodia del vento e delle foglie, che turbinavano accanto alla figura, a volte mostrandole il cammino, a volte nascondendoglielo, a volte limitandosi a spostarsi, in un gioco di fruscii, che ogni volta lei amava ascoltare, accompagnata dal suo rispettoso silenzio.
A mano a mano che si avvicinava, le grida si fecero sempre più forti, i rombi e gli echi si trasformavano in rumori a tratti secchi, a volte nelle sue orecchie risuonava il rumore metallico che sentiva prima.
Mentre si avvicinava all’origine dei rumori, i suoi passi si facevano sempre più incerti, mentre il ticchettare del bastone rallentava, fino a fermarsi, un rumore metallico e una vibrazione del bastone la fermarono.
Un ostacolo.
Lentamente, la ragazza allungò una mano, e avverti il freddo di una maglia metallica, alta. Una rete.
L’anello all’anulare destro fece un tintinnio leggero, mentre si udiva un gran vociare oltre la rete. -Passa!-
-Forza!-
sentì chiaramente un rumore particolare, e la sua mente si sforzò di ricordare l’oggetto coincidente con quel rumore.
Sentì ancora quel vociare, e poi un sordo rombo, che la fece sussultare, avvertendo uno spostamento d’aria improvviso, bloccato all’ultimo momento.
-Bel tiro Tsubasa!-
-Bella la tua parata, Genzo!-

Avvertì un altro spostamento d’aria, e poi sorrise, schioccando le dita.
Un pallone da calcio!
Era davanti ad un campo di calcio.
Di colpo, un sottile velo di nostalgia disturbò il filo dei suoi pensieri, e sulle sue sottili labbra comparve un sorriso malinconico e, al tempo stesso, divertito.
Lentamente, piena di curiosità e voglia di scoprire, la ragazza percorse il perimetro della rete, facendo tintinnare il suo dito contro le reti metalliche, mentre il bastone ticchettava ogni tanto, tanto per farle capire che era ancora sull’asfalto grigio del parco.
Lentamente, le sue mani tastarono una specie di porticina, ma aspetto ancora un po’ ad entrare, avvertendo altre grida.
-TIRA!-
-Para questa, Genzo!-
sentì un rimbombo violento, e in quell’istante entrò dentro il campo, intimidita, ascoltando attenta e guardinga I vari rumori.
Sentì una specie di stoppo, seguito da un di rimbalzo, se non capì male, alcune grida si fecero assordanti.
-EHI, ATTENTA!-
la ragazza restò ancora un momento ferma, per poi avvertire un imminente spostamento, chinandosi giusto in tempo.
Il pallone andò a sbattere contro la rete dietro di lei, mentre i ragazzi spaventati guardavano stupiti la scena, stupendosi della prontezza di riflessi di quella ragazza, che ora si rimetteva in piedi, pulendosi un attimo le maniche della giacca.
-Ehi, stai bene?-
avvertì una voce femminile, e sorrise, per poi cominciare a tastare il terreno, preoccupata.
-Stai cercando qualcosa?-
-Il…il mio bastone…-
Sanae la guardò stupita, accorgendosi che il bastone era poco distante da li.
Un bastone con una fascia giallo fosforescente quasi alla fine.
Sanae lo raccolse, porgendolo alla ragazza fino a farglielo toccare con le dita, e lei sorrise, rialzandosi in piedi, afferrandolo con entrambe le mani, tastandolo e accarezzandolo.
-Grazie…-
-Figurati. Io mi chiamo Sanae Nakazawa-
-Piacere. Il mio nome è Yuko Makoto-
la ragazza allungò una mano verso Sanae, che dopo un attimo d’incertezza gliela strinse, sorridendo intimidita, mentre l’altra ragazza continuava a sorridere, mostrando I suoi occhi socchiusi.
Le iridi dovevano essere di un bel verde smeraldo, ma adesso erano solo un verde pallido, coperte da un velo.
Il velo…
-Ehi, Sanae!-
la ragazza si voltò, accorgendosi dei ragazzi che si avvicinavano.
Yuko restò in silenzio, mentre avvertiva qualcuno arrivare, dovevano essere una decina e abbastanza ben fatti, a giudicare dalla pesantezza dei loro passi.
La ragazza aprì gli occhi, ma ciò che vide fu solo la più totale oscurità.
No…adesso vedeva delle sagome, come avvolte da un’aura luminosa, mentre sotto di loro il terreno assumeva l’aspetto farinoso della terra secca, poche macchie di verde la costeggiavano, ma questo doveva essere solo ai lati dal campo.
Dai rumori di un pallone soffocato, doveva esserci una bella erbetta in campo.
Il flusso dei suoi pensieri s’interruppe, avvertendo una voce che a gran voce parlava con Sanae.
-E chi è questa bella ragazza, Sanae?-
la manager si voltò verso Bruce, che ammirava la figura silenziosa e sorridente di Sakura, che si limitava a tenere tra le mani il bastone.
-Questa è Yuko, l’ ho appena conosciuta-
-Molto lieta-
Le sue orecchie captavano ogni movimento di quei corpi, in poco tempo aveva già individuato il corpo da cui proveniva la voce.
Non era troppo muscoloso, era di stazza normale, anche se era leggermente più alto di lei, come Sanae.
A giudicare dai passi e il modo di parlare di Sanae…
-Sanae, sei per caso la manager della squadra?-
la ragazza la guardò stupita.
-Come hai fatto?-
Yuko si limitò a sorridere, battendo il bastone sul terreno, giudicando la durezza, per poi guardarsi intorno, ascoltando i respiri ansanti dei ragazzi, che chiacchieravano tra loro.
Yuko girò il volto da più parti, ascoltando in silenzio le varie voci che si mescolavano, insieme, sfumature e impostazioni si intercedevano uno sopra l’altro.
Una voce, in particolare, la colpiva più di tutte: era ben impostata, un po’ più bassa delle altre, e aveva una sfumatura di sicurezza e orgoglio.
Cercò di calcolare la distanza fra lei e quel giocatore, ma si limitò a battere ancora il bastone, che alzò un pochino di terra, sporcando la punta, mentre Sanae le si avvicinava di nuovo.
-Scusami, Yuko, ma che ci fai qua?-
la ragazza sorrise, l’atteggiamento curioso e schietto di quella ragazza le faceva ricordare lei, quando ancora poteva contare su tutti e cinque i sensi.
-…diciamo…che mi hanno spinto i ricordi fino a qua…-
Sanae la guardò incuriosita, ma si limitò a fare spallucce, trovandosi totalmente spiazzata di fronte a quel sorriso dolce e calmo, fissandola meglio.
Era davvero una bella ragazza, i capelli leggermente ondulati scivolavano dolci lungo le spalle, e assumevano ogni tanto le sfumature dell’oro, il castano era così chiaro da essere quasi confuso con il biondo, un colore assai raro da trovare in una testa.
Gli occhi erano brillanti ,e nonostante quel velo che li rendeva più pallidi e opachi, mantenevano sempre una lucidità stupenda.
Senza il velo, dovevano assumere i colori degli smeraldi più preziosi.
Era un po’ minuta, il fisico asciutto coperto da quel cappotto di pelle imbottito di pelliccia, che la rendeva ancora più piccola, superava a malapena la spalla di Sanae, e portava sulla spalla una sacca blu scuro con vetrini colorati, la gonna alle ginocchia era di un bel color nocciola, le calze nere fasciavano gambe lunghe e magre, gli stivaletti neri completavano l’abbigliamento.
Sanae ammirò soprattutto i lineamenti del viso di Yuko, che sorrideva, per poi allungare una mano verso Sanae, non vista dagl’altri giocatori.
- Sanae, mi accompagni a sedere?-
la ragazza, dopo ancora un attimo d’incertezza, annuì, sorridendo e prendendo con forza ma senza stringere la mano di Yuko, che sentì di colpo avvolgere da un calore a lei sconosciuto, e che trovava piacevole.
Avvertì il terreno farsi prima erboso, poi farsi duro, i piccoli tacchi degli stivali neri ticchettavano sull’asfalto.
Sanae si fermò un istante, voltandosi verso Yuko, che aspettava silenziosa.
Di colpo, la manager si trovò totalmente impacciata, e senza rendersene conto arrossì, fissando la figura silenziosa e tranquilla di Yuko, che senza chiederle niente, lasciò che il bastone oscillasse, fino a che non colpì il primo di una lunga serie di scalini.
Yuko sorrise con ancora più tranquillità, voltandosi verso Sanae, che la guardava stupita. La ragazza allungò una mano verso la manager, e sorrise tranquilla.
-Mi serve qualcuno che mi accompagni-
Sanae sorrise, cominciando ad affezionarsi a quella ragazza, che tranquilla e candida si lasciò guidare, fino al decimo scalino, dove si fermò, doveva esserci la prima fila degli spalti di quel piccolo campo da calcio.
Yuko si sedette tranquilla al primo posto, mentre Sanae tornava indietro, voltandosi un attimo a guardare ansiosa quella figura, che si limitò a farle un cenno del capo.
-Vai. Adesso ci penso io-
e mentre la manager, leggermente più sollevata, tornava al suo compito di controllare quelle bestie, Yuko cominciò a studiare i vari rumori che avvertiva,mentre davanti alle palpebre semi aperte parevano disegnarsi immagini sfuocate, che lentamente prendevano movimento.
Una in particolare, che sembrava non mollare mai al pallone, al massimo passandola un compagno che lo seguiva.
Avvertì uno schiocco, seguito da una specie di borbottare, che poteva essere paragonato ad un ronzio forte.
Doveva aver tirato, e doveva aver tirato un bolide!
Di colpo, il ronzio s’interruppe, seguito da un frusciare dell’erba del campo.
Yuko riaprì gli occhi chiusi, stupendosi del fatto che ora sentiva solo i complimenti verso quel portiere, mentre il pallone con un tonfo tornava tra i piedi di un altro giocatore.
Niente male il portiere!
Avrebbe voluto poterlo vedere.
Aprire gli occhi e…
Si limitò a sorridere triste, ricominciando un attimo quel giochetto che aveva cominciato sulla panchina del parco.
Aprì gli occhi, e li richiuse.
Li aprì ancora, e li richiuse.
Ancora, e ancora una volta li chiuse.
Ripeté più volte quel gesto, fino a stufarsi, e afferrare la sacca che aveva appoggiato li vicino, insieme al suo bastone.
Con tutta la delicatezza che le lunghe e magre dita possedevano, Yuko tirò fuori quel libro, tastando contenta le foglie secche appiccicate alla copertina di cuoio, per fortuna non si erano rovinate.
Studiò attenta con il tatto le piccoline stradine fatte di spago, che decoravano in motivi fantasiosi attorno alle foglioline appiccicate.
Sorrise, aprendo la copertina, lasciando che la brezza furfante del vento rapisse con se il dolce frusciare di alberi lontani e lo sfogliare di pagine giallognole, come un lettore assetato di curiosità, intento a sfogliare e leggere veloce intere pagine, per poi, lentamente, fermarsi.
Yuko tastò la pagina, sorrise, mormorando tra le labbra ciò che apparentemente era niente sul foglio.

-…We were strangers, starting out on a journey
Never dreaming, what we'd have to go through
Now here we are, I'm suddenly standing
At the beginning with you
No one told me, I was going to find you
Unexpected, what you did to my heart
When I lost hope
You were there to remind me
This is the start…-

Sorrise, mentre la sua mente traduceva silenziosa quelle parole, il sorriso non lasciava le sue labbra, dipingendo il suo viso, di una serenità a chiunque sconosciuta, segreta, che solo lei conosceva.
Lentamente, la sua mente continuava a setacciare la pagina vuota, le dita tastavano veloci, mentre teneva gli occhi chiusi, immergendosi nella lettura di quella che poteva sembrare una semplice lettura, ma che per lei faceva parte di un ricordo.
Un ricordo dolce, tenero.
Ad un tratto, un’altra sferzata di vento, e lei lasciava che le pagine si sfogliassero, avanti e indietro, controllate da mani invisibili, che sapienti decidevano la pagina che doveva scegliere.
Quel vento era così birichino…come un bimbo, che gioca con la palla, o si diverte a saltare la corda, cantando una filastrocca allegra e divertente, fermandosi ogni tanto per prendere fiato, o per sorridere a qualcuno che forse non l’avrebbe mai visto.
Le pagine si fermarono, il dito sfiorò una pagina, liscia, leggermente ruvida, che profumava.
Yuko cercò di recuperare i ricordi, mentre le sue sopracciglia si aggrottavano, leggendo con le dita quelle parole…

“E adesso andate via voglio restare solo
Con la malinconia volare nel suo cielo
Non chiesi mai chi eri perché scegliesti me
Me che fino a ieri credevo fossi un re”

Chiuse il libro con un tonfo veloce e guizzante, mentre le dita stringevano con forza il libro, come se cercassero di chiuderlo ancora di più, di schiacciarlo sotto la loro poca forza.
Sakura scosse la testa, un capello indispettito le accarezzò la fronte, finendo sopra un suo occhio.
Lentamente, la serenità di lei prese il posto dell’inquietitudine che l’aveva afferrata, mentre una mano si allungava timidamente verso il bastone.
Lentamente, con ticchetti ben scanditi, la ragazza scese le scale, contandole a memoria, per poi tastare qualcosa di duro e freddo al suo fianco.
Avvertiva ancora quelle grida, ma era come se tutto si fosse sfuocato, anche se lentamente tornava alla sua normalità.
-Yuko?-
la ragazza si voltò, ormai il timbro di voce di Sanae si era ben memorizzato nella sua memoria di ferro.
-Sanae, io sarei un po’ stanca, vorrei andare a casa a riposare-
-Aspetta! Almeno ti presento i ragazzi! Stanno per uscire dagli spogliatoi davanti a te-
Yuko aguzzò l’udito, e udì confuso tra gli schiamazzi di tutte quelle persone, l scrosciare delle docce.
Lei sorrise dolce e tranquilla, mentre Sanae le si metteva affianco, mettendole una mano sulla spalla.
-Mi dispiace, ma su serio, sono molto stanca. Ti ringrazio, ma mia madre sarà preoccupata. Che ore sono?-
-Le sei-
-Visto? Devo assolutamente tornare a casa…-
la ragazza fece per voltarsi, quando avvertì qualcosa di caldo e duro ma al tempo steso soffice che si cozzava contro di lei, facendole perdere l’equilibrio.
Stava per cadere a terra, quando sentì due braccia forti e robuste prenderla per la vita sottile, un respiro caldo e un odore leggermente aspro invadevano la sua faccia e il suo naso, imprimendosi in mente come un chiodo contro un muro.
Genzo aveva appena fatto in tempo ad afferrare quella ragazza, stupendosi di quanto fosse leggera e minuta, il suo viso leggermente nascosto da alcune onde castano-biondo, gli occhi chiusi.
Yuko arrossì, avvertendo il calore di un maschio che, gentilmente la rialzava da terra.
-Tutto ok?-
la ragazza si riprese dal torpore di quel corpo, una ventata gelida passò su di lei, ed annuì con forza, allontanandosi di qualche passo dal ragazzo che l’aveva tirata su, per poi abbassarsi a terra, tastando il terreno.
-Ehi ma cosa…-
-Il mio bastone…Sanae!-
la ragazza chiamava la ragazza, mentre imbarazzatissima tastava il terreno per trovare il bastone.
Genzo si guardò intorno, trovandolo dietro di lui, e offrendolo alla ragazza, che però…
Sembrava…non vederlo…
Il portiere rimase abbastanza sconcertato della verità, mentre la ragazza, ad un certo punto, incontrava la durezza del suo bastone, unita al calore e alla durezza di dita forti, che l’aiutarono ad rialzarsi in piedi.
-G-Grazie…-
era arrossita, il porpora dell’imbarazzo colorava quelle guance candide come alabastro.
I due restarono fermi, Genzo la osservava stupito, mentre lei si stringeva convulsamente il bastone ed un libro tra le mani.
-Ehi, Genzo! Chi è questo schianto?-
il tono scherzoso di un ragazzo fece rinsavire l’imbarazzata Yuko, che sorrise a Genzo, mostrando le iridi verdi velate al portiere, sorridendo serena.
-Grazie ancora-
lentamente, la ragazza cominciò a picchiettare il bastone davanti a se, cercando la strada libera, mentre il portiere la seguiva con lo sguardo, la figura avvolta da un’aura di serenità e silenzio.

Yuko aprì con un silenzioso scatto la porta di casa, facendo ticchettare con forza per due volte il bastone sul pavimento in marmo, attendendo in silenzio una risposta, mentre dietro di se chiudeva la porta, mantenendo quel sorriso dolce.
Ad u tratto, udì un tintinnio, seguito da un abbaiare festoso, un corpo peloso si fermò davanti a lei, e un naso umido si sfregò control e sue pallide e magre mani, mentre lei sorrideva, aprendo gli occhi gioiosa.
-Inuki! Piccolo, anch’io sono contenta di rivederti!-
la ragazza s’inginocchiò ad accarezzare per un attimo il capo del Border Collie, per poi con uno sbuffo di stanchezza tastare il muro accanto a se, raggiungendo gli attaccapanni in legno, e appendere il cappotto, mostrando la magra figura nascosta in un maglietta a maniche lunghe, color nocciola, che sottolineava la figura magra e il seno ben fatto.
Silenziosamente, la ragazza si tolse gli stivaletti, mentre il cane attendeva impaziente l’arrivo della sua padroncina.
La ragazza gli sorrise, per poi tastare i mobili della nuova casa, ancora non si era abituata al nuovo arredamento, e se non ci fosse Inuki, spesso e volentieri si sarebbe persa in quella nuova casa.
Aprì il grande armadio nero, le sue dita scorrevano tra vari pulsanti, fino a raggiungere uno cubico e abbastanza grosso, spingendolo.
Avvertì il piccolo schiocco dell’impianto che si accendeva, e rapidamente la mano sinistra setacciò i tasti, cercando la valvola del volume, che la ragazza abbassò velocemente.
Come al solito Neko si era dimenticata di abbassare il volume, appena finiva di ascoltare la musica, con le cuffie.
Con un gesto sicuro, la ragazza premette il pulsante, il ronzio leggero del lettore cd la fece sorridere, mentre passava con un tocco di piuma cd , assicurandosi di metterlo bene, per poi mettere la canzone numero 3, allontanandosi dall’impianto per sentirlo meglio.
Partì subito il sottofondo di un pianoforte, poi una voce in inglese cominciò a cantare, facendo nascere sul viso di Sakura un sorriso dolcissimo, mentre il cane si metteva accanto a lei, strofinandosi un attimo tra le gambe della padrona, che lo accarezzò gentilmente.
-Ma sei un cane o un gatto? Ho capito, cucciolone…-
la ragazza tornò a tastare il muro, raggiungendo così un lungo bancone, percorrendo il perimetro, raggiungendo degli armadietti, aprendone uno, tastando le varie scatole, fino a raggiungere quella che cercava, un profumo di grano tostato la fece sorridere.
-Inuki, AL VOLO!-
lanciò d’improvviso un grosso e tondo biscotto, che con un balzo il cane afferrò, mentre lei avvertiva la presa del cane, sorridendo soddisfatta.
-Bravo!-
rise, per poi addentare allegra un altro biscotto, e tornare in salotto, afferrando di nuovo il suo strano libro, sedendosi sul grande comodo divano rosso, stendendovi sopra.
Ad un tratto, la porta di casa si aprì dopo un tintinnio, e la ragazza sorrise, riconoscendo due voci che parlavano fra loro, allegre e vivaci.
-Bentornate!-
-Yuko! Finalmente a casa! Dove sei stata per tutto il giorno?-
la brezza fredda che entrò in casa portò con se un profumo dolce e forte, che Yuko annusò allegra, avvertendo poi un corpicino freddo che l’abbracciava.
-Ciao Neko!-
-Ciao sorellona!-
la ragazza toccò con le mani calde le gote rosse e fredde della sorella, per poi lasciarla andare via, la madre delicatamente le tolse il cappotto, per poi avvicinarsi alla figlia, baciandole la fronte.
-Com’è andata, piccina?-
-Bene mamma…-
la ragazza sorrise contenta, avvertendo una mano calda accarezzarle la fronte, per poi seguire la donna con l’udito nei suoi spostamenti.
Neko si avvicinò alla sorella, e la guardò attenta, per poi girarsi verso la madre.
-Mamma, ma la signora Dijuju ha sbagliato!-
la donna si fece gelida, mentre riponeva silenziosa.
La ragazza sbuffò, mentre accarezzava il capo di Inuki, che per tutto il tempo era rimasto steso al suo fianco.
Yuko si fece pensierosa, mentre una mano accarezzava la testolina di Neko, che le si strusciava proprio come un gatto.
-Cos’ha detto la vicina?-
-Niente che t’interessi!-
la voce della donna era ansiosa e infastidita, ma Neko sussurrò qualcosa alla ragazza, che sorrise triste, continuando ad accarezzare la testa della piccola, che ora scendeva dal divano, prendendo e accarezzando Inuki.
-Mamma, potevi dirmelo che la nostra vicina ha parlato male di me, guarda che non mi offendo-
-Ma mi offendo io! Come si permette! Mia figlia è una ragazza come tutti gli altri, e lo dimostrerò!-
la ragazza scosse la testa, alcuni capelli accarezzarono il viso ben fatto.
-Mamma, perché ti ostini con questa tua assurda idea?-
-Perché tu sei una ragazza normale!-
il tono convinto e leggermente piegato della donna mise un silenzio di tomba intorno alla stanza, persino Neko aveva smesso di canticchiare.
Yuko scosse la testa, alzandosi in piedi.
-Mamma, tu lo sai meglio di me che non è così…-
-Lo so, ma cerca di capire…-
la donna si avvicinò alla ragazza, prendendola per le spalle, mentre questa restava in silenzio ad ascoltare.
-Io non voglio che tu venga trattata diversamente degl’altri ragazzi. Tu non sei anticcapata-
-Mamma, sai cosa significa la parola “handicap”? Vuol dire che si ha un problema, e io c’è l’ ho-
-Lo so, ma…-
-Mamma…la parola andicappato serve ad indicare quel tipo di persona che ha una disfunzione, anche se da un po’ di tempo la gente la usa in tono offensivo…
Anche se cercassi di negarlo, mamma, sai meglio di me quanto io sia anormale…-
-Tu non sei anormale-
-SONO CIECA, DANNAZIONE, PERCHE’ NON VUOI CAPIRLO!!-
il grido della ragazza fece sussultare la donna e Neko, che aveva chiamato a se Inuki.
Lentamente, la ragazza si calmò, e sorrise triste alla mamma.
-Io posso anche seguire il tuo progetto e illudermi con finte speranze, ma nulla della mia situazione cambierà, mamma. Sappilo-
Così dicendo, Yuko salì alla sua stanza, seguita da Inuki, mentre la donna la fissava triste e preoccupata.

Lo stradone grigio che portava verso la scuola nelle prime ore dell’alba era totalmente deserto, un forte contrasto rispetto a quando le porte si aprivano per far entrare o uscire i ragazzi dall’istituto.
In quei momenti, quando la nebbiolina che di solito offuscava leggermente la vista a chiunque (per il massimo i netturbini e i padroni con i loro cani)passasse di li.
Lui ogni mattina faceva quel tragitto, risvegliandosi dal torpore di un sonno abbastanza agitato, i muscoli che lentamente cominciavano a scaldarsi ed a risvegliarsi, il freddo della mattina di solito era la loro cura migliore, quando si trattava di riuscire a cominciare bene la giornata.
Il vento era così debole che quasi non esisteva, ma il freddo era forte, e i netturbini che toglievano cartacce e cicche dalle radice degli alberi di quel viale indossavano un maglione abbastanza pesante.
Lui, invece, indossava solo una tuta rossa, al massimo sotto una maglietta in cotone, che fasciava le potenti e lunghe gambe e il fisico ben fatto, come scolpito nel marmo dopo anni di allenamenti e sudore.
La visiera del berretto rosso copriva i suoi occhi lucenti, ardenti come tizzoni ancora accesi, si poteva al massimo sentire l’affanno del suo respiro, i suoi passi erano silenziosi.
Genzo alzò solo per un momenti lo sguardo, la nebbiolina lentamente si andava a dissipare.
Continuò ancora con quel ritmo, scandito da i battiti del suo cuore e dal ticchettare dello swatch che si portava al polso sinistro, ben nascosto dalla manica stretta della tuta, che ne faceva distinguere i contorni.
All’incrocio delle vie, prima dell’edificio davanti a se, girò, cambiando strada, il viale alberato continuava a costeggiare la strada e i marciapiedi, alla sinistra di quest’ultimi i vari muri delle case dal tipico stile occidentale, anche se ogni tanto si poteva vedere qualche bel esempio di casa giapponese, con un giardino e un piccolo laghetto, dove tranquilli sguazzavano pesci rossi, alcuni di questi macchiati di nero e bianco, ravvivando il grigiore dell’acqua; un bel giardino con l’erba bassa e qualche cespuglio, e in un angolo, i vari bonsai dalle foglioline piccole e verdissime, brillanti di rugiada mattutina.
Lentamente, rallentando l’andatura e alzando lo sguardo, Genzo raggiunse tranquillo la grande villa Wakabayashi.
Sua madre aveva sempre ammirato le case occidentali, e la villa ne era un esempio concreto, in alcuni punti si poteva benissimo distinguere un gusto gotico, mentre in altri la casa assumeva canoni più moderni.
Il grande giardino possedeva un campo da calcio, dove lui e il suo tutore, un tempo, si allenavano abitualmente.
In quel momento, mentre superava il grande cancello, i cui disegni in ferro battuto mettevano abbastanza in soggezione chiunque si sarebbe fermato ad ammirare quella casa, notò la presenza di una villa più modesta rispetto alla sua ma altrettanto ben fatta, i cancelli di questa, invece, possedevano linee più dolci, l’aspetto sereno e accogliente era il contrario da un certo punto di vista della villa di Genzo, che si fermò a fissar ancora quella villa, per poi entrare in casa, sbuffando come un toro per la corsa in quella mattina d’Ottobre.
Nello stesso momento, Yuko usciva da casa, chiudendosi la porta con un leggero click, tenendo saldamente con una mano la sacca e il bastone, per poi girarsi in direzione del cancello, cominciando a ticchettare il pavimento, raggiungendo così le scale, mentre un altro ticchettare, più dinamico e vario accompagnavano i suoi passi incerti.
-Allora, Inuki, pronto per la nostra passeggiata?-
il cane abbaiò con forza, grattando le unghie sul cancello, producendo un fastidioso stridio che accapponò la pelle di Yuko, che ridacchiò.
-D’accordo, ma smettila. Lo sai che non lo sopporto quel rumore!-
il cane smise di graffiare, e guaì, scatenando l’ilarità di Yuko, che ridendo aprì il cancello, lasciando correre via il cane, il ticchettare delle sue unghie si allontanava, per poi tornare dalla padrona, che sorridendo divertita chiudeva il cancello, tastando un attimo alla ricerca della chiave, per poi allungare il suo bastone, e iniziare a ticchettare, mentre Inuki le tornava accanto per l’ennesima volta.
-Bene, dove andiamo?-
Inuki si guardò intorno, guardando il grande stradone con i suoi occhi castani, per poi rivelarsi verso destra, ed abbaiare alla sua padrona, che sorrise.
-Bene, allora al parco!-

Il vento passò con uno sbuffo scocciato, come di un uomo che s’annoiava, uno sbuffo freddo, che fece intirizzire Yuko, che si sistemò meglio la sciarpa beige attorno al collo, continuando a passeggiare, il bastone ticchettava aritmicamente, mentre Inuki andava qua e la come un cuccioletto curioso.
La ragazza sorrise affettuosa, mentre ricordava i primi tempi con Inuki: era sempre stato un cuccioletto buonissimo, e col tempo questa sua caratteristica non era cambiata, così come non era cambiata la sua ansia verso la padrona.
Perché, si ,in fondo quel cane si mostrava molto ansioso nei confronti di Yuko, fin da quando da ragazzina cominciava ad avere le prime difficoltà di vista.
Era un perfetto cane per ciechi, il migliore, e nutriva nei confronti della ragazza un’amore e un affetto davvero esasperanti.
Quando erano a casa era raro che lui non le stesse accanto, al massimo lo si poteva vedere insieme a Neko, ma per la maggior parte del tempo era sempre sdraiato ai piedi della padroncina, che non mancava di coccolarlo e viziarlo un pochino.
Lei non era nata cieca, questo suo piccolo problema era dovuto ad una malattia dell’occhio, la cataratta: un velo che passava sopra gli occhi...
Una malattia che però, ormai, allo stadio di Yuko, era impossibile da curare.
Insomma, era destinata a restare i quella condizione per tutta la vita.
Ma la madre sembrava non capire questo concetto, certe volte la donna si comportava come una bimba capricciosa, e molto spesso Yuko si dimostrava la più matura fra le due.
E forse…anche la più fredda e cinica.
“-SONO CIECA, E BASTA!-”
lei se lo ripeteva spesso, quel motivetto, quasi a volersi scoraggiare, e la madre non poteva fare altro che sbuffare ed abbracciarla, senza però aspettarsi nessuna lacrima dalla figlia.
Piangere non sarebbe servito a nulla, se non a rompere il già delicato equilibrio di Yuko.
Perché Yuko appariva sempre molto sicura di se, ma lo psicologo aveva scoperto una grave crisi, causata dalla sua cecità.
“-E’ come avvolta da una barriera di vetro sottile, quasi come una bolla di sapone. Se la bolla si spacca, temo che la ragazza non reggerà l’urto-”
insomma, era soggetta anche ad attacchi di schizofrenia.
Fantastico!
La ragazza sbuffò, alzando la testa verso il cielo, il vento muoveva ed accarezzava sensuale i suoi lunghi capelli, baciandole il viso come un’amante dolce e silenzioso, che al massimo sussurrava parole dolci cariche di affetto.
Lentamente, la ragazza riabbassò la testa, avvertendo qualcosa di freddo e bagnato sfregarle sulla mano libera, l’altra teneva il bastone appoggiato.
-Si, Inuki, scusami, ero in pensiero. Andiamo avanti-
il ticchettare del suo bastone tornò a farsi udire nel silenzio di quel parco, mentre il flusso dei suoi pensieri diventava una specie di grande fiume, una sorta di Danubio fatto di parole, immagini e ricordi.
La madre era andata come una pazza in giro per il mondo, alla ricerca di un miracolo che permettesse alla figlia di riacquistare il senso della vista, ma tutti i medici avevano scosso la testa, convinti, ripetendo sempre la solita tiritera.
“-Mi dispiace, ma non c’è la minima possibilità. E’ comunque è un’operazione difficile, potrebbero sorgere complicazioni-”
in parole povere, no .
Yuko sbuffò ancora, lo buffo sembrava ripetersi nel vento, mentre le foglie turbinavano affianco a lei ,accompagnandola nel suo passaggio silenzioso, il ticchettare del bastone e quello delle unghie di Inuki erano le uniche cose che turbavano l’atmosfera pacifica che si era andata a creare.
Inghilterra, Francia, Germania, Stati Uniti, Italia.
E infine tornate di nuovo in Giappone.
Per cosa? Per un pugno di polvere, per una speranza impossibile da realizzarsi.
Ma la madre di Yuko era conosciuta oltre per la sua abilità di stilista, anche per la sua terribile testardaggine.
Si…sua madre era una famosa stilista.
Myzuka Tashi, una delle più grandi stiliste.
I suoi capi erano molto conosciuti per la loro comodità ed originalità, un taglio che poteva cambiare con un solo bottone o cerniera spostati.
Di colpo, un abito da sera poteva tranquillamente diventare un vestito comodo, adatto per qualche scampagnata.
E sua figlia era il suo modello preferito, il corpo magro e ben fatto che funzionava da canone.
Un esempio perfetto di bellezza.
I suoi lineamenti la facevano quasi sembrare europea, ma lei amava sempre affermare il suo sangue giapponese.
Suo padre, Takeru Makoto, era un famoso industriale, purtroppo morto per gravi problemi cardiaci, che si erano riscontrati nella piccola Neko.
Neko…un amore di ragazzina.
Allegra, vivace, che sprizzava energia da tutti i pori come un cucciolo di gatto, ma anche silenziosa e tranquilla come un elegante persiano.
I suoi capelli erano di un bel colore ramato, e come la sorella possedeva due splendidi occhi verdissimi, l’orgoglio delle due ragazze.
Beh…forse quelle di Yuko erano un po’ più chiare, e le pupille erano grigio scuro…
Ma non per questo erano meno luminose di quelle della sorella.
Anzi.
Yuko, in quell’istante, aprì gli occhi al cielo grigio, le iridi verdi erano velate come da un sottile velo bianco, che le rendeva più pallide, il nero della pupilla si era sfumato in un grigio fumo.
Eppure…niente era più brillante di vita di quegl’occhi, che lentamente si richiusero, le ciglia lunghe e nere coprivano gelose quegl’occhi, che rare occasioni si mostravano in tutto la loro lucentezza a qualcuno.
La ragazza tornò a camminare, fischiando verso il cane, che obbediente tornò da lei.
-Inuki, accompagnami a sedere-
il cane obbedì ciecamente, e dopo essersi fatto mettere il guinzaglio, accompagnò la padroncina ad una panchina verde.
La ragazza,dopo averla tastata, si sedette con un sospiro di sollievo, accavallando le gambe, fasciate da dei jeans neri che mostravano la loro magrezza, il cappotto nascondeva il seno ben fatto della ragazza, che dopo un attimo in silenzio cominciò a coccolare il cane, sussurrando parole dolci, per poi frugare nel suo zaino, tirando distrattamente fuori un foulard, che di colpo venne portato via da uno spiffero ladruncolo.
-Inuki!-
il cane ubbidì, inseguendo il foulard, mentre la ragazza si metteva in piedi, afferrando di fretta le sue cose, inseguendo con passo accelerato il cane, che però si era allontanato troppo.
Nel frattempo, Genzo si stava affrettando a raggiunger e il campo dove si doveva incontrare con gli altri ragazzi per allenarsi.
Quel giorno la nazionale giapponese si era riunita, e lui non si poteva permettere ritardi, era il loro portiere.
Ad un tratto, qualcosa di violaceo e dorato passò davanti a se, e il ragazzo afferrò al volo.
Un foulard.
Viola, leggero, arabescato di oro, con gli angoli fatti a spruzzi celesti e verdi.
Di colpo, avvertì una presenza avvicinarsi, e osservò stupito un cane che, pian piano, si fermò davanti a lui, sedendosi, puntandosi la, a fissarlo con quei grandi occhi coloro nocciola.
-Inuki! Dove sei?-
Genzo alzò lo sguardo, e sentì un ticchettio accelerato, mentre il cane abbaiava più di una volta verso la figura, che sorridendo si avvicinò.
-Hai trovato il foulard? Cos…-
Yuko si trovò a colpire con una mano qualcosa di duro ma al tempo stesso morbido, come un tessuto, e caldo.
-Mi dispiace! Mi scusi tanto!-
la ragazza scosse la testa, arrossendo, per poi chinarsi verso il cane, accarezzandolo affettuosa.
-Inuki, potevi avvertirmi che c’era una persona-
-E’ tuo il foulard?-
la ragazza socchiuse gli occhi, per poi sorridere dolce e serena, ed alzarsi in piedi, sistemandosi dietro l’orecchio una ciocca di capelli, allungando la mano verso il ragazzo, che lentamente le restituì il foulard.
Lei alzò lo sguardo, i suoi occhi socchiusi mostrarono due iridi verdi velate, e a sua voce era calda e dolce come il fuoco di un caminetto.
-Ti ringrazio…-
Genzo la fissò attento, studiando il viso delicato dai lineamenti dolci e tipicamente occidentali.
I suoi capelli era come un mare castano, le cui onde assumevano sfumature di oro.
La sua figura magra e ben fatta era nascosta da un giubbotto imbottito di pelliccia bianca, fatto di pelle lavorata, con i jeans neri e gli stivaletti neri. Una sciarpa attorno al collo.
Il ragazzo restò per qualche secondo imbambolato, per poi calare il berretto sugl’occhi.
-Scusa, ma devo andare…-
-Non ci siamo già incontrati…o meglio, scontrati?-
Genzo alzò stupito lo sguardo verso quella creatura, che sorrise, mentre il cane le restava seduto al suo fianco, fissando curioso e tranquillo il ragazzo con i suoi caldi occhi nocciola.
-Beh…forse…-
-Ma si, al campo…immagino che tu stia andando li, e sembra che tu vada di fretta…-
la ragazza si scostò, aprendo il passaggio al ragazzo, che la fissò stupito, mentre lei gli sorrideva tranquilla, niente sembrava turbar e il suo viso pallido, le gote leggermente arrossate per il freddo.
Il portiere non poté fare a meno di ammirare quel sorriso, per poi brontolare qualcosa, scatenando una risata silenziosa di Yuko, che ascoltò i passi di scarpine chiodate allontanarsi, rivolgendosi poi al cane, mettendogli il guinzaglio.
-Forza Inuki, andiamo…-
il cane obbedì, cominciando a percorrere, affiancato dalla padrona, il viale dove si stava dirigendo Genzo.

*

Il vociare la spinse a fermarsi, Inuki si voltò a guardarla, incuriosito dall’atteggiamento improvvisamente timido della ragazza, che si sfregò le mani fredde, mettendole poi sul viso per scaldarlo, soffiando poi sulle lunghe dita leggermente arrossate, il vapore dello sbuffo si perse per qualche istante nell’aria, svanendo, portato via da una brezza birichina.
Lentamente, la ragazza si calmò, avvertendo ancora il vociare, mentre insieme alle grida si mescolavano rumori e stoppate, come qualcosa in movimento che si bloccava.
Sorrise, riconoscendo il rumore di un pallone da calcio.
Da anni aveva imparato a riconoscere quel rumore, era come un ricordo che tornava raramente alla memoria, ma che per lei era fonte di sorrisi malinconici e divertiti.
Accompagnata da Inuki, Yuko tastò la rete, raggiungendo il cancello alto e stretto, aprendolo con un cigolio fastidioso, segno che nessuno oliava più quei cardini.
Richiuse la porta, e tastò la rete, percorrendone il perimetro, a proteggerla da possibili pallonate in faccia Inuki, che manteneva all’erta, avvertendo un possibile imminente pericolo.
La ragazza sorrise, accarezzando per un attimo il pelo di Inuki, per poi riconoscere una voce, e dei passi affettati che la raggiungevano.
-Yuko!-
-Sanae! La tua voce squillante la si potrei riconoscere tra migliaia di persone!-
la ragazza arrossì contenta, abbassandosi verso il cane, accarezzandolo affettuosa.
-Che meraviglia! Che bello!-
-Ti piace? Si chiama Inuki E’ un bel cane, vero?-
-Si, è stupendo. Vieni, ti faccio conoscere le altre-
la ragazza obbedì, prendendo la mano di Sanae, che la trascinava via, l’allegria di quella ragazza le ricordava tantissimo Neko.
-Ehi! Yoshiko! Yayoi!-
le due si voltarono verso Sanae, che trascinava con se una impacciata ragazza, che si sistemò un po’ i capelli arruffati, inchinandosi in segno di saluto, un cane dal manto color miele seduto al suo fianco.
-Ragazze, questa è Yuko, è una mia carissima amica-
-Molto lieta-
-Piacere nostro!-
la ragazza restò affascinata dal tono dolce di una voce, mentre l’altra aveva un timbro molto più simile a Sanae, che in quel momento tornò a concentrarsi sul campo.
Yuko restò in silenzio, concentrandosi a mantenere la sua attenzione sul pallone, che rotolava via seguendo uno schema di passaggi abbastanza difficile e impegnativo, i due che seguivano la sfera a scacchi dovevano essere molto affiatati.
Uno di loro due, in particolare, sembrava destare un ricordo di Yuko, che però tornò a concentrarsi sul pallone.
Un passaggio lungo.
Sentì del terreno sfregarsi, poi partì un rombo che la spiazzò, una specie di bolide attraversava adesso il campo, raggiungendo con uno schizzo la rete.
Di colpo, sentì uno “stop” forte e risuonante, due braccia forti dovevano aver afferrato quel pallone.
-Caspita…hai visto, Inuki?-
il cane guaì in affermazione alla domanda di Yuko, che poi tornò ad ascoltare i rumori del campo, le braccia dovevano aver deviato il tiro, forse era troppo potente persino per…
-E tu dovresti essere il grande SGGK? Non sei nemmeno riuscito a trattenere un mio tiro-
-Certo, ma solo perché il tuo tiro mi ha lasciato spiazzato. Questa volta l’ho paro sul serio!-
SGGK…
Genzo Wakabayashi.
Il suo nome risuonò nella mente di Yuko come un campanellino d’aria, mentre Sanae le si avvicinava, preoccupata.
-Yuko, tutto ok?-
-Sanae, per caso c’è Genzo Wakabayashi?-
-Si…è in porta…d’altronde, lui è il portiere titolare della nazionale giapponese-
la nazionale giapponese.
-Ehi, Sanae!-
la ragazza si voltò verso Tsubasa, che l’aveva chiamata a gran voce, allontanandosi da Yuko, che rimaneva in silenzio, per poi voltarsi verso Inuki.
-Piccolo, hai sentito?-
-?-
-Proprio come hai vecchi tempi…-
Yuko si abbassò, accarezzando dolce e sorridendo al cane, che sfregò il muso umido contro la guancia pallida della ragazza.
-Yuko Makoto…-
lei sorrise, quella voce era inconfondibile, le ricordava tanto una carezza sul viso.
-Taro…-
il ragazzo la guardò stranito, per poi avvicinarsi a lei, e lei si limitò a sfiorargli il volto con una mano.
Sorrise, malinconica, triste…
-Non sei cambiato affatto…hai lo stesso sorriso…-
il ragazzo l’abbracciò affettuoso, lei sorrideva contenta, lasciando poi il ragazzo, che si abbassò ad accarezzare il cane.
-Ehila, Inuki, ti sei fatto ancora più grande! Ancora un po’ e quando mi salterai addosso mi ritroverò gambe all’aria-
uno spiffero allegro raggiunse la mente in quel momento sgombra di Genzo, che udì un eco di acqua zampillante, fresca.
Allegra.
Una risata allegra.
Lei rideva, allegra, le iridi socchiuse, le ciglia che come una rete di maglie sottili coprivano le iridi lucenti, una mano che copriva il sorriso allegro e la risata felice, mentre Taro rideva con quella ragazza.
Non seppe mai cosa gli venne in quel momento, ma qualunque cosa fosse stato, l’ha smosso fin nel profondo.
Di colpo, avvertì una leggera rabbia invaderlo nella mente, mentre vedeva due chiacchierare come vecchi amici, lei con quel sorriso così dolce e caldo, lui che ogni tanto le passava una mano sulla guancia, aumentando la rabbia e il fastidio di Genzo.
Poi, i due si avvicinarono al gruppo, la ragazza si teneva per il braccio di Taro, che la presentò a tutti.
-Ragazzi, questa è Yuko Makoto, una mia vecchia e carissima amica-
-Salve, spero che qualcuno si ricordi di me…-
tutti la guardarono, poi Tsubasa si avvicinò.
-Certo, tu sei quella dell’altro giorno!-
-E tu sei…-
-Mi chiamo Tsubasa Ozora. Molto lieto di conoscerti-
il ragazzo allungò una mano, e Yuko dopo un attimo d’incertezza allungò la mano, incrociando poi la sua.
Non la vedeva.
Però lei sorrise, arrossendo imbarazzata, e sorridendo.
-Piacere-
lentamente, la ragazza si avvicinò a Tsubasa, e con una punta d’incertezza, scoprì nelle palpebre socchiuse i suoi occhi verdi pallidi, mentre una mano accarezzava la fronte del ragazzo, sotto lo sguardo curioso degl’altri.
La sua mano passò sugl’occhi del ragazzo, attraversando le valli delle guance, tornando un attimo sugli altipiani della fronte, passando veloce sulle foreste di capelli neri, accarezzando con un dito la montagna del naso, fermandosi sulla collina del mento, per poi sorridere.
-…immagino…che tu sia davvero un ragazzo fortunato…-
la ragazza si allontanò, lasciando la frase in sospeso, per un attimo a Sanae sembrò che la frase si riferisse a lei.
Tsubasa, dopo un attimo d’incertezza, arrossì, mettendosi una mano dietro la nuca, imbarazzato.
-Beh, non mi posso lamentare!-
subito tornò veloce il gran vociare, uno ad uno i ragazzi si presentavano, e la ragazza passava la mano sui loro visi, memorizzando il timbro di voce e le facce, che nell’oscurità della cecità prendevano forma, come schizzi di disegni.
Si soffermò sopratutto su Kojiro, inarcando le sopracciglia.
-…hai…hai un bel viso!-
la ragazza sorrise allegra, mentre esplorava per un ultima volta il viso abbronzato del calciatore, che si limitò a fare un sorrisetto divertito e orgoglioso, che non passò inosservato al tatto attento della ragazza, che sorrise divertita.
-E sei anche un presuntuoso-
tutti scoppiarono a ridere a quell’affermazione, alcuni dei ragazzi le facevano i complimenti.
-Ehi, Kojiro, a quanto pare la ragazzina è molto sveglia!-
-Già! Ha gia capito che razza di tipo sei!-
tra le risate generali sbucò la figura di Genzo, che si avvicinò alla ragazza, che sorrise contenta.
-E così…ci rivediamo…-
il ragazzo si limitò a mettersi a posto il berretto, mentre Taro lo presentava.
Quando la ragazza allungò una mano, qualcosa in Genzo scattò, facendolo scansare al contatto, quasi la mano di Yuko fosse fatta di fuoco.
Si maledisse, ma in qualche modo la ragazza faceva in lui uno strano effetto: la…intimidiva, quelle iridi così chiare…gli sembrava quasi scavassero dentro di lui…anche se quelle iridi non vedevano altro che oscurità…
E quel sorriso…così dolce e tranquillo…era così misterioso…
Yuko sorrise, tranquilla, l’atteggiamento distaccato del portiere sembrava non averle sortito alcun effetto.
A parte…interesse…
-Basta! Torniamo in campo! Abbiamo perso gia troppo tempo!-
la voce severa del portiere nascose l’imbarazzo che portava, il rossore leggero sulle guance era ben nascosto dalla visiera del berretto rosso.
Yuko sorrise, scuotendo il capo a Taro, che tornò in campo, mentre la ragazza si avvicinava a Sanae, che le prese la mano.
-Quella….quella frase…-
-?Si…Tsubasa è davvero fortunato…-
Sana arrossì di botto, e con una carezza Yuko lo scoprì, sorridendo affettuosa, per poi sedersi nella panchina, Inuki le si era messo accanto.
Si concentrò, avvertendo il rumore del pallone tra l’erba, concentrandosi sulla a, utilizzando il suo senso più affinato.
L’udito.
In quegl’anni aveva imparato a cavarsela senza la vista, sviluppando un udito molto affinato, e una capacità di memoria straordinaria, che insieme al tatto le davano la possibilità di cavarsela sempre in ogni situazione.
Si ricordò di quella volta che, da piccola, per sbaglio si perse per una galleria.
Utilizzò il suo udito per trovare l’origine di una sorgente, e con essa l’uscita.
La madre era rimasta abbastanza spaventata dall’accaduto, e aveva pregato alla figlia di stare più attenta e di evitare strade pericolose se non era in compagnia anche solo di Inuki, che in quel momento era sdraiato tranquillo a terra.
-Sai….Inuki…-
il cane alzò lo sguardo alla padroncina, che sorrideva divertita.
-…credo…credo che presto sarà primavera…-
il cane si limitò a guaire, lasciandosi accarezzare dalla padrona, che teneva lo sguardo fisso davanti a se, un’immagine schizzata di un berretto rosso ai suoi occhi, ascoltando poi distratta il rumore di un rombo, e concentrarsi di nuovo sul pallone.

“-E cosi…c’incontriamo di nuovo…-“
le parole risuonavano nella sua mente come echi di cori dolci e sereni, come gocce d’acqua che cadevano in un piccolo lago, procurando rumori cristallini e silenziosi, calmando il suo nervosismo.
In qualche modo, Kojiro era riuscito a scampare alla sua furia omicida.
Le gocce calde della doccia distendevano i muscoli tesi e innervositi, la potenza di quei tiri si faceva sentire sulle braccia.
Però, a forza di testardaggine, aveva ormai capito il trucco, ed ora era più forte che mai.
Però…
Però quegl’occhi verdi non lo mollavano un secondo.
Fissandolo socchiusi, nascosti da una leggera trama di ciglia nere e lunghe, coperti dal velo pallido della cecità.
E quel sorriso…
Così misterioso….dolce e sereno…ma al tempo stesso…divertito, nascosto….quasi trattenesse, imprigionasse parole sussurrate…
Quella mano gli aveva fatto paura, quella ragazza gli aveva fatto paura.
Non sapeva perché, ma in qualche modo si sentiva a disagio.
Forse per il fatto che era ceca.
No, non era quello, anche se in parte lo era.
Era il suo modo di mostrare gli occhi la gente.
Come due gioielli preziosi, erano sempre in uno stato di visibilità- non visibilità, che li rendeva rari, preziosi.
Preziosi.
Genzo aprì gli occhi, e chiuse la doccia, avvolgendo la vita con un’ asciugamano bianco, lasciando che una fitta rete di gocce d’acqua imprigionasse il torace muscoloso e il ventre piatto, gli addominali erano ancora tesi, e formavano pieghe leggere e sexy.
I capelli neri brizzolati erano ancora fradici, e il ragazzo ci passò opra le mani, asciugandoli rozzamente, quasi cercando di fargli prendere una forma, completando l’asciugatura con un altro asciugamano bianco, ritirandosi nella stanza.
Tutto di quella stanza aveva un vigore e mostrava l’orgoglio tipico del portiere e la virilità maschile: dall’armadio e la scrivania con un tagli grosso e vagamente gotico, al letto ampio dalle lenzuola bianche e il copriletto arabescato di rosso e oro, alla tappezzeria damascata, colori caldi sembravano infuocare quella stanza.
Su alcune mensole giornali, foto, maglie e coppe vinte nei suoi anni di carriera, una carriera iniziata da giovane, durata nel tempo.
Fotografie, ritagli di giornale e altro che lo ritraevano in varie pose di bloccaggio della palla.
Si soffermò a guardarne qualcuna, un sorriso di orgoglio e soddisfazione dipinse le sue labbra, mentre si ammirava che festeggiava con i suoi compagni, reggendo tra le varie mani la coppa. Anche quell’anno sarebbe stato così.
E per questo si dava da fare, mostrando il meglio della sua forma fisica e onorando il suo soprannome di SGGK.
Indossò dei jeans e una felpa nera, che metteva in risalto il torace scolpito, sembrava fatto di marmo, la pelle assumeva una tinta abbronzata, i suoi occhi coperti dal suo inseparabile cappellino rosso, mentre si affrettava a scendere le scale, i suoi passi erano silenziosi come quelli di un gatto.
In qualche modo, voleva scappare da quella casa.
Non che gli piacesse, anzi.
Ma…quegl’occhi verdi gli davano una sensazione strana, mai provata, e in qualche modo il portiere cercava di scacciarla.
Uscì, chiudendo dietro di se, il cancello dalle forme grandi e anche minacciose, il ferro battuto era costellato di ombre e parti scure che lo rendevano in qualche modo ancora più minaccioso, facendo scatenare un risolino divertito sul volto di Genzo.
Si fermò un attimo, fissando stupito la villa davanti a se, più modesta, ma altrettanto bella, il cancello di questa era ricco di giochi di chiaroscuro.
Sugli scalini in marmo, sdraiato, un cane dal pelo color ambra e melassa, e una ragazza che, sorridendo, sussurrava qualcosa nel vento, tenendo gli occhi chiusi, passando il dito tra le pagine di quel libro che, agl’occhi del portiere, era vuoto, senza immagini o scritte.
Il cane, di colpo, alzò il capo, fissando il portiere con quei suoi occhi nocciola, che rivelavano una grande intelligenza e calma interiore.
La ragazza si fermò nella “lettura” del libro, e alzò lo sguardo, socchiudendo gli occhi e guardando davanti a se.
-Inuki, c’è qualcuno?-
Racchiusi in trame nere, due smeraldi pallidi si mostravano a occhi curiosi e incerti.
Genzo scostò lo sguardo, ogni volta che guardava quegl’occhi si sentiva tutto rivoltare dentro.
Lentamente, Yuko si alzò in piedi, accortasi che Inuki si era avvicinato al cancello, le sue unghie graffiavano sul metallo, procurando quel rumore stridulo e fastidioso che ogni volta accapponava la pelle di Yuko, che si alzò in piedi e si avvicinò al cane, sorridendo divertita.
-Smettila! Quando imparerai che quel rumore mi da fastidio…-
la ragazza alzò il volto, gli occhi chiusi che si aprirono lievemente, quei smeraldi che luccicavano.
Genzo restò a fissare quello sguardo, bloccato, il respiro a tratti trattenuto.
Gemme preziose che si rivelavano, stelle nascoste dalle trame delle nubi nere della notte.
Yuko alzò lo sguardo, e quasi per sesto senso, riconobbe la imponente figura di Genzo, che si stagliava di fronte a se.
-Buonasera Genzo-
la sua voce era calma e tranquilla, segno che non si accorgeva dell’imbarazzo e dell’inquietitudine che procurava al portiere.
O se l’aveva notata…faceva finta d’ignorarla.
Lui si limitò a calcare il berretto, quando avvertì una mano allungarsi, e si scostò rapido, mentre Yuko schioccava le dita.
-Peccato! C’è l’avevo quasi fatta! Ma prima o poi riuscirò a vedere il tuo viso…-
Genzo la guardò stupita, mentre lei sorrideva contenta, sfiorando con un dito la visiera del berretto rosso.
-Per ora mi accontento del berretto…-
sorrise, un sorriso così dolce e calmo che per un istante il mondo al di fuori di lei e Genzo sembrava essere diventato solo uno scarabocchio su un foglio da disegno.
Genzo, dopo un attimo, abbassò lo sguardo, allontanandosi da quella figura che sorrideva, le mani pallide dalle lunghe dita erano appoggiate al freddo metallo della cancellata, i capelli lunghi ondosi assumevano le sfumature di un biondo pallido, il cielo sopra di loro lentamente si rannuvolava, mentre la ragazza alzò la testa, quasi per vedere le nuvole grigie che, portate da un violento vento, correvano impazzite.
-Credo che pioverà…Inuki, è meglio rientrare…-
il cane obbedì, mentre lei alzava il viso, avvertendo il respiro di Genzo che, anche se impercettibile, lo sentiva benissimo.
-A presto, Wakabayashi…è stato bello rivederti-
una sferzata alzò di colpo i capelli di Yuko, creando tsunami che accarezzavano delicati, a volte però violenti e rabbiosi, quel viso così sereno, gli occhi socchiusi rivelavano due iridi verdi.
Lentamente, la ragazza si voltò, e percorse gli scalini con una punta d’incertezza, fermandosi solo a riprendere il libro che prima stava tastando, decorate di foglie rosse e marroni, come un fuoco buono, che bruciava silenzioso sulla copertina di cuoio.
Con un “click” sussurrato, la ragazza aprì la porta, e la richiuse dietro di se, lasciando Genzo che, silenzioso, aveva osservato la figura magra e ben fatta di quella ragazza.
Piccola…strega…
Genzo si calcò meglio il berretto, nascondendo un leggero rossore, partendo a correre, allontanandosi.

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Capitolo 2
*** ...Desideri silenziosi ***


Ottobre…Novembre…
Dicembre…
Tre mesi.
Contò quel numero tra le dita, come se fosse un gioco divertente, scatenando in lei un sorriso allegro.
Da tre mesi l’aveva conosciuto.
E ogni giorno andava a vederlo allenarsi, come una delle fan più sfegatate.
Ma non come quelle ochette che, dopo aver saputo che i famosi giocatori dalle giovanile giapponese si andavano ad allenare, si erano tutte radunate, sfogandosi in urletti e commenti detti a gran voce, abbastanza stupidi da far diventare rossa una patata.
Trovava fastidioso quel rumore, e questo suo fastidio si trasmetteva in Inuki, che innervosito ogni tanto alza la testa, per poi mugolare.
Yuko sorrideva, accarezzandogli la testa.
-Neanche a te piace questo baccano? Dai, torniamo a casa-
finiva molto spesso così, lei avvertiva subito un gran giramento di testa, e tornava a casa, accompagnata da Inuki, che da quando aveva conosciuto Genzo sembrava non volersi più staccare dalla padroncina.
Lei si alzava, afferrando il bastone, salutando con un cenno della mano Sanae e le altre ragazze, e uscendo dal campetto, allontanandosi da quel fastidioso rumore, ritrovando un po’ di serenità nel sussurrare del vento, che sembrava capire il suo stato d’animo e, come madre affettuosa, coccolarla un po’ nella sua brezza fredda.
Altre volte, in vece, la pazienza di Genzo e della tigre si esaurivano, e si poteva udire le loro urla infastidite per un raggio di quasi dieci metri!
Yuko rideva tra se e se, mentre con il pensiero si avvicinava al volto nascosto di Genzo.
Ci pensava quasi tutte le notti, e ogni volta vedeva quel berretto, con quella visiera, che copriva quel volto.
Ogni volta, la tentazione di alzare la visiera era forte, ma sempre vedeva solo…una testa senza volto.
Dannazione!
Si era ripromessa che avrebbe toccato quel viso a tutti i costi.
Lei lo voleva vedere, quel viso.
VOLEVA VEDERE!
E a quel punto, quando lo gridava con la mente e ogni tanto con la voce, che si stupiva persino delle sue parole.
Voleva tornare a vederci…
Si ricordava bene quando cominciava ad avere i primi sintomi della cataratta.
Poi, fu tutto troppo veloce, la malattia peggiorò di colpo, e lei si ritrovò in poco tempo persa dentro un mondo fatto solo di buio.
In quei momenti, si manifestò la sua schizofrenia, tanto che fu rinchiusa in una clinica.
In un manicomio, da uno strizza cervelli, ecco la verità!
Yuko sbuffò, continuando a far ticchettare il suo bastone, nel tramonto l’unica cosa che storpiava in quello che sembrava un bellissimo quadro ad olio era il giallo fosforescente sul bastoncino.
Ma per il resto, tutto appariva come un bellissimo quadro, i colori caldi delle foglie e di quel cielo al tramonto sembravano infuocare lo stradone grigio e freddo, la panchina di metallo verde spento, il basso recinto che separava il viale dall’aiuola.
Lei aveva alle spalle un cielo rosso, giallo e arancio, i colori sfumavano in rosa e ocra pallido, confondendosi con l’azzurro e il blu più scuro del mare, come acquarelli messi sapientemente dalle mani di un artista.
E lei sembrava il vento, tanto la sua figura era sfuggente, solo il ticchettare del suo bastone rivelava la sua posizione, continuamente scostante, muovendosi veloce e leggera, come una brezza birichina, come un bimbo che giocava a nascondino.
Vestita di un pantalone scuro, la giacca di pelle lavorata imbottita era legata alla sottile vita, e tralasciava vedere la camicia bianca che indossava, alle spalle una sacca azzurra e viola, con appesi tanti vetri, che rimandavano i raggi del sole al tramonto in un caleidoscopio di luci e colori chiari, che si muovevano sinuosi, formando disegni fantasiosi e invisibili agl’occhi di chiunque.
Tranne che a lei…
Lei poteva vederli sempre, quei disegni, poteva vedere il mondo sia di giorno che di notte, bastava solo che lei lo volesse, e poteva cambiare quella città con uno schiocco di dita.
Le piaceva molto fare quel giochetto, mentre descriveva ciò che vedeva alla piccola Neko, che le restava ai suoi piedi, ascoltando affascinata storie di antichi cavalieri e principesse, oppure di robot e aneroidi, o altro ancora.
Storie incredibili, che sembravano quasi essere vere.
Perché Yuko riusciva a vedere ciò che descriveva.
Ma non avrebbe mai potuto…
Non avrebbe mai potuto ammirare il colore del cielo, perché il suo cielo era sempre tinto di un grigio fumo, che andava a chiazze a scurirsi e schiarirsi.
L’ultimo cielo che aveva visto, prima che il velo della sua cecità le impedisse di ammirare ancora una volta le corse delle nuvole.
Adesso, sopra di lei, il cielo era così grande e vasto, al massimo qualche sbuffo bianco come il latte tentava di attraversare quel deserto di rosso, giallo e arancione, che pian piano tendeva ad andare verso il mare, come un lungo bagnasciuga, correva intorno al cielo, per poi essere sommerso dall’alta marea della notte.
Yuko si fermò, richiamando a se con un fischio leggero Inuki, che subito le zampettò attorno, scodinzolando lentamente la lunga coda pelosa, che assumeva sfumature castane e mielose.
La ragazza, velocemente, mise il guinzaglio al cane, che si calmò di colpo, mettendosi seduto, gli occhi nocciola fissarono pazienti la padrona, attendendo il suo comando.
-Inuki…andiamo a casa-
il cane obbedì, rizzandosi sulle quattro zampe, cominciando a guidare la padrona, che per un istante si immerse nel buio, cercando fra i fogli della sua mente, fra i tanti schizzi dei suoi pensieri, uno solo.
Che però non riuscì a trovare, andato perduto nel vento del nord, che in quel momento passò freddo, spingendola a seguire Inuki.

Freddo.
Si strinse un po’ di più il cappotto nero, mentre alzava lo sguardo, fissando sollevato il grande cancello di casa Wakabayashi.
Davanti alla villa dall’aspetto fiero e orgoglioso.
Una più piccola, che sembrava quasi sorridere di fronte a quel miscuglio di gotico e altri caratteri di tipo occidentale.
Si avvicinò curioso alla villa…
Sperava di vedere Yuko, magari leggeva quello strano libro come l’altra volta.
Quando tornava dagl’allenamenti, lei era arrivata prima di lui, e tranquillamente restava sulle scale in marmo, o accarezzando il pelo del suo cane, o leggendo un libro, o semplicemente restando seduta, le gambe piegate, tenendo gli occhi chiusi, quasi stesse dormendo.
In effetti, era difficile capire se dormiva o meno, i suoi occhi erano perennemente chiusi, a nascondere quelle iridi pallide, coperte dal velo della cecità.
Cataratta.
Così si chiamava la malattia di quella ragazza.
Un velo di opacità sul cristallino, e il mondo attorno a te si oscurava…
Si poteva curare ma, a quanto pare, la cataratta di Yuko era molto seria, aveva coperto persino l’iride, che ora era di verde pallido.
Genzo si passò una mano sul berretto, abbassando la visiera, per poi sentire uno scoppiare di risate.
Lentamente, si avvicinò al cancello, e osservò la scena, sorridendo intenerito.
Yuko era li, che giocherellava con una ragazza, più piccola di qualche anno, i capelli corti ramati, gli occhi di un verde così intenso, e brillavano allegri, mentre si divertiva con Yuko, che silenziosa sembrava osservarla.
I suoi occhi erano quasi del tutto aperti, le ciglia lunghe e nere non nascondevano più come mani avide l’intenso brillare delle due gemme verdine della ragazza, mentre Inuki abbaiava, passando da una parte all’altra, scodinzolando allegro.
Il cane, ad un tratto, si fermò, il suo scodinzolare si acquietò, mentre i suoi occhi intelligenti si soffermavano sulla figura alta e imponente di Genzo, che lo guardò stupito, per poi tornare a fissare Yuko, che si era calmata, non udendo più il ticchettare allegro delle unghie del cane sul marmo.
-Neko, c’è qualcuno?-
la ragazza alzò il volto, le iridi si socchiusero, preoccupate, fissando un punto in alto, quasi cercando di sovrastare l’alto cancello, mentre Genzo fissava quel velo opaco su i suoi occhi, immaginandosi al posto della ragazza.
Buio…solo buio, e voci che non riusciva a distinguere…
Si sentì improvvisamente debole, mentre l’altra ragazzina alzava lo sguardo, osservando incuriosita il ragazzo.
-C’è un bel ragazzo con un berretto rosso…-
-Genzo!-
Yuko scattò in piedi, mentre Neko le si avvicinava, scostandosi però ad un cenno della ragazza, che tranquilla scese le scale, Inuki che le camminava affianco, tenendo sotto controllo il portiere, quasi temesse che questo saltasse addosso alla ragazza.
-Genzo, buongiorno!-
-Buongiorno…-
turbato.
Yuko ascoltò attenta il respiro tranquillo del portiere, anche se c’era un qualcosa che lo rendeva nervoso.
Senza pensarci, sorrise, e alzò lo sguardo al cielo, aprendo lievemente le iridi verdi.
-…vorrei poter vedere il cielo…-
Genzo la guardò stupito, sulle sue labbra c’era dipinto quel suo sorriso che la distingueva.
Un sorriso dolce, malinconico…triste…
Lei abbassò di nuovo lo sguardo, e chiuse gli occhi, sorridendo più gaia.
-Dev’essere una bella giornata!-
lui alzò lo sguardo, e sbuffò mentalmente.
No, non era una bella giornata.
Il cielo assumeva tinte di grigio scuro, nuvole gonfie come palloni aerostatici, che si muovevano lente ma a passo di carica, trainate da un vento rabbioso, che quasi urlava.
Di colpo, una sferzata di vento passò tra i due, quasi a voler far notare alla ragazza che stava per venire a piovere.
E lei lo sapeva…
Ma aspetto il commento del portiere…
-Forse…temo che verrà a piovere…-
lei sorrise, annuendo con il capo, poggiando poi con una mano alla cancellata, tenendo lo sguardo basso su un punto impreciso davanti a lei.
-Si…lo penso anch’io…-
Genzo la guardò attento.
I capelli erano come onde di un mare burrascoso, che veloci guizzavano da una parte all’altra del viso e delle spalle, incorniciando con riflessi di oro raffinato quel viso pallido, dai lineamenti delicati, che ricordava quello delle modelle europee…
Il suo nome esprimeva in qualche modo quella bellezza gentile e non sfrontata che aveva con se. Yuko.
Genzo aveva conosciuto migliaia di belle ragazze, una bellezza affascinante, sexy, provocatoria.
Forse anche violenta.
Quegl’occhi spesso truccati, visi pieni di fondotinta o cipria a renderli più pallidi e msiteriosi, labbra carnose sottolineate da rossetti potenti.
E poi abiti che valorizzavano i seni e i fondoschiena, oltre che il fisico magro.
Si, decisamente la loro era una bellezza disarmante, che mandava chiunque KO, con quei sorrisi provocatori e quelle occhiate che affascinavano.
Ma, in qualche modo, la loro era una bellezza violenta, che ti colpiva dentro come un pugnale al cuore.
Una bellezza che faceva male.
Mentre Yuko, invece…
Si, era bella come loro, ma come dire…
La sua era una bellezza gentile, educata, serena, spontanea.
Come è spontaneo un germoglio che cresce, fino a diventare un bellissimo fiore.
Così era Yuko.
Gentile, anche se al tempo stesso aleggiava sempre un’alone di mistero attorno a quella figura, che in quei momenti, sorrideva serena, certa che niente l’avesse turbata.
Genzo, per un momento, si trovò ad ammirare quella serenità, per poi allontanarsi, quasi scottato da quella figura, che si limitò a piegare da un lato il capo, le ciocche ondose accarezzarono il viso come carezze di madre.
-A presto, Genzo…-
la ragazza si girò, riavvicinandosi a Neko, che fino a quel momento si era limitata a fissare incuriosita la figura del ragazzo dietro la cancellata, ammirando poi la figura tranquilla e sorridente della sorella, che tornò a sedersi accanto a lei.
-Yuko?-
-Neko, credo che verrà a piovere, rientriamo a casa…-
la ragazzina sorrise, stringendo la mano che Yuko le allungava, poi avvicinandosi alla sorella, lasciandosi coccolare come un gatto affettuoso, poi staccandosi a malincuore, rientrando in casa.
-Si, Yuko…-

Genzo rientrò in casa come una furia, sbattendo con violenza il portone di casa, l’eco rimbombò per tutta la sala, fortunatamente i domestici sembravano non essere in casa.
O se lo erano, si erano nascosti, il padroncino non era di buon umore.
In effetti, Genzo era entrato in casa di pessimo umore.
In qualche modo, non voleva tornare a casa.
La vista di Yuko lo lasciava sempre….perplesso…
E lui odiava avere dei dubbi, era un tipo preciso e calcolatore.
Ma quella ragazza, in qualche modo…
Lui aveva sempre creato delle barriere intorno a se.
Il suo orgoglio, la sua freddezza, e anche il suo modo di tenere il berretto erano un modo per nascondere un animo sensibile, che teneva dentro di se ansie e paure.
Timori…e dubbi…
Incertezze…
E ogni volta quelle incertezze riempivano la sua mente, ogni volta che quelle iridi velate sembravano fissarlo, alzandosi un attimo dal punto morto che guardavano.
Yuko era una persona…strana…
A volte era così allegra…altre volte era triste e stanca…
E quel suo sorriso misterioso, dolce, felice e al tempo stesso malinconico la rendevano l’unica in grado di rompere le barriere di Genzo, come lisci vetri, come castelli di sabbia.
Ma non era violenta, al contrario.
Entrava dolcemente, silenziosa, come un’ombra furtiva.
E in silenzio stava a guardare, osservando ammirata l’animo di quel portiere, che non vedeva in lei altro che…
Che una persona da rispettare…
Non aveva mai provato pietà per quella ragazza. Mai.
Al massimo preoccupazione, ma pietà no .
Genzo sapeva che Yuko non era una sciocca come gli altri, lei era in grado di vivere tranquillamente la sua vita, anche se la sua vita era come una strada buia, senza luce.
Attorno a lei aleggiava solo un’aria di buio sovrano.
Per un attimo, Genzo chiuse gli occhi, cercando d’immaginare il mondo guardato con…con gli “occhi” di un cieco.
Con gli occhi di Yuko.
E per un solo istante, il grande SGGK, Genzo Wakabayashi, avvertì il terrore che, anche solo per un secondo, lo attanagliava, stringendogli il cuore in una morsa soffocante, il respiro si era bloccato, il sudore si era fatto gelido.
“-…vorrei poter vedere il cielo…-“
svegliarsi una mattina…
E non vedere altro che la notte, che infida e malvagia…ti accompagnerà…per tutta la vita…

Per tutta la vita…

Con un gesto veloce, Genzo corse su per le scale, sbatacchiando in un angolo della camera la sacca, infilandosi in doccia, mettendo l’acqua bollente, che con un forte scrosciare lo assordava, cercando con tutto se stesso di cacciare via quel sospiro crudele, gelido, che come una stilettata rapida era penetrata nella carne.
Per…tutta…la…vita…
Genzo si trattenne dallo gridare, lentamente calmandosi, scuotendo il capo sotto l’acqua bollente. Lasciò che il getto gli massaggiasse il collo e le spalle ancora leggermente tremanti, lentamente i muscoli duri e inflessibili si sciolsero.

Yuko aprì lievemente gli occhi, quasi sperando di vedere la luce di una lampada accesa, accecandola.
Niente…
Al massimo, una leggera nebbiolina grigia, che rendeva il suo sguardo ancora più offuscato.
“Cosa vedi?”
gli sembrava di sentire, quella voce, quel motivetto che si ripeteva spesso nella sua mente, riportando alla luce sotto una coltre di rabbia e frustrazione quel ricordo così dolce e affettuoso.
Si ricordava bene di quegl’occhi.
Un grigio azzurro. Come le nuvole l’ultimo giorno che vide il cielo.
Eppure, quel grigio era chiaro, sfumava in un grigio perla molto bello, che amava spesso paragonare al colore delle stelle.
Lui sorrideva sempre, accarezzandole affettuoso la guancia, a volte facendo un buffetto sulla testa, mentre lei sorrideva, felice, chiudendo gli occhi per poi spalancarli, facendo ammirare a tutti le sue iridi smeraldo, l’orgoglio suo e di suo padre.
“La mia piccola ha due smeraldi agl’occhi!”
La sua piccola…

Poi…aveva cominciato a vedere buio.
Sentiva il padre gridare, piangere contro i medici, che ogni volta gli scuotevano la testa, dicendogli che non c’è era possibilità per un’operazione chirurgica, che era troppo pericoloso.
Eppure, il giorno prima lei ci vedeva benissimo, si ricordava a memoria quel cielo sopra di lei, si ricordava anche del sorriso di suo padre, quando le promise che l’avrebbe portata al luna park, il giorno dopo.
Poi, la mattina dopo, quando si svegliò con il solito bacio affettuoso della madre, non aveva visto altro che buio, mentre invece sentiva chiaramente la madre aprire le finestre, suo padre che era entrato nella stanza per augurarle il buon giorno, pronto per portarla al luna park.
Ma lei si era dimenata, cominciando ad urlare e a sbracciare da tutte le parti, gli occhi spalancati si erano velati.
“AIUTO! AIUTO, PAPA’! NON CI VEDO! NON VEDO NIENTE!”
Maledetta cataratta.
Suo padre aveva all’inizio sofferto molto della situazione, e lei si era sentita in colpa.
Aveva cominciato in quel periodo ad avere i primi sintomi di schizofrenia.
Ma lei cercava sempre di non disturbare suo padre, di non farlo preoccupare.
“Non voglio che papà pianga ancora per me…”
suo padre.
Lui aveva sorriso, l’aveva stretta a se, e le aveva detto che ora non avrebbe più pianto.
Erano sempre insieme, lui che le insegnava a vivere anche senza la vista, e lei che sorrideva, tenendo stretta nella sua manina il grande dito del padre, per poi tenergli con forza la mano, mentre con il tempo cresceva.
“Sei sempre più bella…sei il mio orgoglio”
si era sentita così felice.
E poi, nulla.
Una complicazione, un infarto.
I problemi al cuore che peggioravano…
E poi…
Solo il ricordo di un mare grigio lucente, che ricordava la madreperla.
E quella mano ,ora fattasi debole e pallida, che le sfiorava la guancia, mentre lei piangeva, incapace di parlare o fare altro.
“Sei il mio orgoglio…ti voglio bene…piccolina”
piccolina.
Yuko lasciò scorrere le lacrime dalle guance, da molto tempo non piangeva.
Ma quello non era un pianto, solo la sua ombra.
Perché erano solo due la lacrime che scivolarono via dalle sue guance, e il suo dolore era stato represso di nuovo in una marea di rabbia e frustrazione.
Si sentiva frustata…perché era ceca.
Ceca…

ANTICAPPATA!!

Gridò ad alta voce quella parola, lasciando che risuonasse per la stanza e la tromba per le scale, la tromba era aperta.
Di colpo, avvertì tre tipi diversi di passi, e sorrise.
Mamma…
Neko…
Inuki…
-Piccola mia!-
la madre la strinse a se, e la sorellina le fu accanto, mentre lei sorrideva, triste, accarezzando prima le braccia della madre intorno al collo e alla vita; poi sfiorò il capo ramato della sorella, per poi accarezzare il capo di Inuki, scuotendo il capo e asciugandosi le lacrime, sorridendo tranquilla.
-Adesso state tranquilli. Va tutto bene, ora sto meglio…ora sto meglio…-

E adesso andate via voglio restare solo
Con la malinconia volare nel suo cielo
Non chiesi mai chi eri perché scegliesti me
Me che fino a ieri credevo fossi un re
Perdere l'amore quando si fa sera
Quando tra i capelli un po' d'argento li colora
Rischi d'impazzire può scoppiarti il cuore
Perdere una donna e avere voglia di morire
Lasciami gridare rinnegare il cielo
Prendere a sassate tutti i sogni ancora in volo
Li farò cadere ad uno ad uno
Spezzerò le ali del destino e ti avrò vicino

Comunque ti capisco e ammetto che sbagliavo
Facevo le tue scelte chissà che pretendevo
E adesso che rimane di tutto il tempo insieme
Un uomo troppo solo che ancora ti vuol bene
Perdere l'amore, quando si fa sera
Quando sopra il viso c'è una ruga che non c'era
Provi a ragionare fai l'indifferente
Fino a che ti accorgi che non sei servito a niente
E vorresti urlare soffocare il cielo
Sbattere la testa mille volte contro il muro
Respirare forte il suo cuscino
Dire è tutta colpa dei destino se non ti ho vicino.
Perdere l'amore, maledetta sera
Che raccoglie i cocci di una vita immaginaria,
Pensi che domani è un giorno nuovo
Ma ripeti non me l'aspettavo non me l'aspettavo

Prendere a sassate tutti i sogni ancora in volo
Li farò cadere ad uno ad uno
Spezzerò le ali del destino e ti avrò vicino...
... Perdere l'amore.

Fece un veloce balzo, afferrando con entrambe le mani il pallone, rotolando per terra, passando poi velocemente a Tsubasa, rimettendosi poi dentro la porta, la rete dietro assumeva un alone candido, causato dai fari accecanti dello stadio, fuori dal campo gli spalti erano pieni di tifosi accaniti, urlanti e festanti, alcuni tentavano di superare le barriere di plastiche, altri che urlavano come scimmie impazzite.
Tutti questi rumori erano ovattati nella suadente, mentre dava comandi precisi ai difensori, mettendosi leggermente piegato sulle gambe, pronto a parare qualsiasi altro tiro si sarebbe lanciato verso la sua porta.
Lui era il grande SGGK. Lui avrebbe protetto la sua porta da qualsiasi tiro. Nessun sarebbe riuscito a fargli goal.
Nel frattempo, Taro e Tsubasa si mostravano nell’incredibile Golden Combi, il cui affiatamento era ormai conosciuto in tutto il globo terrestre.
Sanae, seduta sugli spalti insieme a Yayoi e Yoshiko, pregava silenziosa e tifava come un ultras, gridando e urlando, mostrando nei suoi occhi scuri il brillare dell’amore che provava per il bel capitano, che in quel momento ricevette il passaggio di Misaki, pronto a caricare il tiro, passando lo però all’ultimo momento a Kojiro, che da dietro si era avvicinato, e lasciarlo battere un bolide che bucò la rete.
GOAL!
Ci fu un rimbombo assurdo, seguito da delle grida assordanti, e tutti che agitavano bandiere, striscioni, a battere tamburi e gridare con un tifo eccezionale, mentre i ragazzi festeggiavano il tiro della “tigre”.
Solo Genzo restava fuori dai festeggiamenti, sotto la visiera del berretto rosso un sorriso soddisfatto.
In fondo, era anche merito suo, se tutto era andato bene.
Si sistemò i guanti ai polsi, mentre il rumore dello stadio in delirio sembrava ovattarsi, il portiere manteneva la sua concentrazione al massimo, il sorrisetto soddisfatto lasciò al posto ad una espressione seria e concentrata, mentre l’arbitro fischiava ancora il calcio d’inizio.
La squadra Coreana non avrebbe ceduto facilmente, e pur di fare del male a quel dannato portiere, avrebbero segnato un goal.
Stop di petto del capitano, che con un veloce zigzagare, smarcando i vari difensori, si avvicinava pericolosamente all’area di tiro, per poi sparare una micidiale cannonata, che con un guizzo si avvicinava pericolosamente a Genzo, che però restò immobile nella sua posizione, le gambe leggermente divaricate.
Poi, una spinta potente delle gambe all’angolino destro, e con entrambe le mani parò il tiro, rischiando anche di andare a sbattere con la testa contro la nuca.
Rialzandosi velocemente in piedi, prese la rincorsa e rimise la palla in gioco, passandola ancora a Tsubasa, che con Misaki mostrava le prodezze della Golden Combi.
Genzo si riaggiustò ancora il berretto, tornando con ampie falcate alla porta, pulendosi un braccio dall’erbetta verde del campo, la sua uniforme nera era sporca di macchie più scure, segno dell’umidità dell’erba; in effetti poco prima della partita aveva piovuto leggermente.
Il ragazzo fissò con lo sguardo attento i movimenti di Tsubasa e Misaki, quest’ultimo con un colpo di tacchetto scartò tre avversari, passando con un pallonetto il pallone a Tsubasa, che approfittò per fare una delle sue mitiche scivolate, segnando il secondo goal.
Ancora grida di gioia, Sanae che scattò in piedi, gridando fino a quasi non sentire più l’aria nei polmoni, urlando di gioia per il tiro del suo capitano, mentre Yayoi e Yoshiko gridavano con lei, anche se la sua voce sovrastava tutte le altre, e i compagni che sbandieravano una grande bandiera bianca e azzurra, con al centro lo stemma del Giappone.
Stava per essere ribattuto l’ennesimo calcio d’inizio, quando l’arbitro fischiò per tre volte, annunciando la ben meritata vittoria della squadra giapponese, che festeggiava, mentre lo stadio sembrava quasi tremare per le grida entusiaste dei tifosi.
Genzo si avvicinò agl’altri, andando a festeggiare con loro, calcandosi il berretto sulla faccia, lasciando mostrare un sorriso di gioia e orgoglio sul viso ambrato.

-Hanno vinto?-
le grida di tifo di Neko l’avevano tenuta sveglia, e comunque non sarebbe riuscita a dormire, così aveva seguito alla radio la partita, per poi scendere dalla sorella, che aveva gridato di gioia, tifando come uno degli ultra ai goal della squadra nipponica.
La ragazza fissò la sorella, ammirando con una punta d’invidia il corpo magro di Yuko coperto dalla camicia da notte sbracciata, legata in vita da un nastro bianco.
Neko fece posto per Yuko, che distrattamente ascoltava il commento del cronista sportivo, che anche lui aveva tifato con orgoglio per la squadra del cuore.
-Due a zero. Una grande vittoria!-
-Beh, degna della nazionale giapponese. Ho notato un entusiasmo molto grande per il tiro della tigre…-
Neko di venne rossa, e Yuko le accarezzò una guancia, constatandolo di persona, e sorridendo divertita per l’atteggiamento improvvisamente imbarazzato della sorella.
-Beh…diciamo che mi aspettavo un tiro di Tsubasa…poi il passaggio all’indietro…è stato una bella trovata!-
-…si, forse hai ragione-
Yuko sorrise, lasciando a Neko un sospiro di sollievo, le guance dovevano ancora essere colorate di rosso porpora.
La sorella si accoccolò a Yuko, lasciandosi accarezzare, mentre descriveva con gli occhi di una entusiasta tifosa la partita, mentre Yuko ascoltava, sorridendo triste.
Anche a lei sarebbe tanto piaciuto ammirare la squadra giapponese a lavoro, soprattutto le parate di Genzo…
Genzo…il grande SGGK, si era ben meritato quel titolo, i tiri del capitano coreano sembravano essere davvero pericolosi…
Ma lui era riuscito a pararli entrambi, con straordinaria bravura.
Nei suoi occhi ciechi si formavano le immagini di quel portiere che, con grande abilità e agilità che non dimostrava, parava quelle due cannonate, mantenendo sangue freddo e concentrazione. Per un istante, Yuko immaginò di essere in mezzo alla folla, a tifar,e allegra, i suoi occhi verdi appiccicati al numero uno della maglia del portiere.
Invece…si era limitata ad ascoltare in silenzio la partita, al massimo trattenendo il respiro per le parate del SGGK.
Aveva festeggiato mentalmente con lui, sorridendo.
Pian piano, Yuko si accorse che la sorella si era addormentata accovacciata a lei, come un gattino accoccolato alla madre.
La ragazza sorrise, accarezzando il capo e i corti capelli ramati della sorella, addormentandosi sul divano, Inuki che restava sdraiato ai piedi del divano.

L’aeroporto era letteralmente sommerso di giornalisti e fotografi, che con flash potenti e domande accavallate una sull’altra mettevano in imbarazzo e confusione i vari giocatori della nazionale, che in quel momento avrebbero preferito di gran lunga un letto caldo che quei fastidiosi flash.
Genzo si limitò a tenere ben calcato in testa l’immancabile berretto, che in quei casi faceva davvero comodo.
Veloce e silenzioso, il portiere riuscì anche se con non poca fatica, a superare la marea di giornalisti pazzi e flash rompiscatole, “scappando” letteralmente ai parcheggi, alla ricerca della macchina che in quei casi utilizzava per tornare a villa Wakabayashi.
La continuò a cercare, abbastanza stanco innervosito, quando vide…
-Inuki!-
il cane si limitò ad abbaiare, restando seduto accanto a quel pilone del parcheggio, gli occhi nocciola fissi sulla figura alta e ben fatta di Genzo, che dopo un attimo di esitazione alzò lo sguardo, riconoscendo la figura magra e aggraziata di Yuko, che sorrideva, gli occhi bassi a fissare il pavimenti umido del parcheggio, alcune pozzanghere d’acqua giocavano a riflettere la figura snella della ragazza, che teneva davanti a se il bastone, tenendo le mani appoggiate sopra, aspettando una reazione dal portiere, che si trovò spiazzato dalla visione.
Lei sorrise, immaginando la sorpresa del portiere, e parlò a voce alta, l’eco rimbombò per tutto l’ampio paino del parcheggio.
-Bentornato a casa, SGGK-
Genzo la fissò bene, mentre lei, con il bastone che le apriva la strada, si avvicinava a lui, stavolta al solito ticchettare c’era un fruscio metallico, segno della sua timidezza.
In effetti quello non era il solito viale del parco, dove si fermava a passeggiare con il suo strano libro in mano!
-Tu che ci fai qua?-
la domanda gli venne spontanea, e anche se all’ultimo momento la pensò come la domanda più cretina del mondo, il portiere era troppo sorpreso di vedere Yuko davanti a se, che dopo una risatina silenziosa allungò la mano, sfilandogli il berretto, tastandolo con entrambe le mani, avvertendo il calore della testa del ragazzo e una macchia umida sulla visiera.
-Ha piovuto?-
-Un pochino, ma rispondi alla mia domanda-
Genzo gli sfilò delicatamente il berretto dalle mani, mentre lei sorrideva di vestita, senza però tentare di toccare quel viso, come se gia lo conoscesse.
-Sono venuta qua per darti il bentornato-
-Tutto qui?-
era imbarazzato, ma gli sembrava pochino che quella ragazza gli desse solo il bentornato, dopo averlo quasi travolto con il suo sorriso, che in quel momento era dolce e silenzioso, con una punta di divertimento.
-Che cosa ti aspettavi? Un bacio?-
-…qualcosa del genere-
Genzo arrossì per un istante, mentre Yuko scuoteva il capo divertita, ogni volta che lo incontrava imparava a conoscer aspetti sempre più diversi di Genzo.
Era come disegnare un volto in varie posizioni, e nella mente di Yuko le immagini di un rossore su guance ambrate si delineò, facendola aprire lievemente le iridi verdi.
Genzo le ammirò, avvolte come sempre dalla trama delle ciglia folte e nere.
Lei si limitò a dargli una pacca sulla spalla con leggerezza, sfiorandogli con le labbra la fronte, alzandosi in punta di piedi.
Quando si riabbassò, sorrise contante e divertita, ascoltando il silenzio imbarazzatissima del portiere, che in quel momento assumeva tinte viola!
-Soddisfatto?-
Genzo si toccò la fronte, imbarazzato al massimo per il gesto leggermente sconsiderato della ragazza, che teneva lo sguardo dritto davanti a se, lasciando ammirare a Wakabayashi le sue iridi velate, che al portiere…
Si…a Genzo quegl’occhi gli erano mancati…
Il ragazzo sorrise.
-Si…adesso va molto meglio…-
Yuko sorrise, allegra, accompagnandolo in macchina, facendosi anche dare un passaggio a casa, nel quale passarono molto tempo e a chiacchierare, come vecchi amici che non si vedevano da una vita.

(Ringrazio bea che mi ha spinto a dare il meglio, almeno ci provo!^^'
Beh, a presto con il prossimo capitolo!)

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Capitolo 3
*** Il silenzio della neve...e le luci del Natale ***


Neko si guardò intorno, mentre cercava di ricordare la strada che di solito la sorella percorreva, per poi schizzare di nuovo a correre, ricordando la strada che doveva prendere.
Sua madre le aveva sempre detto di non correre, di non fare sforzi esagerati.
Ma lei non poteva non correre.
Per lei correre era uno sfogo, una liberazione, una sensazione di dominio.
La terra che passava sotto i suoi piedi così veloce e rapida, il vento che le colpiva la faccia, la sensazione di poter allargare le braccia volare.
Quando correva, si sentiva sempre incredibilmente libera e serena.
Niente sembrava poterla fermare.
Niente?
Neko rallentò la corsa, sentiva qualcosa che le pizzicava in petto, ed ogni pizzico era sempre più forte.
La ragazza si fermò a prendere aria, nonostante tutto non era portata per le lunghe distanze, correre a lungo le faceva sempre male, e anche per questo la madre se ne lamentava, sgridandola.
Yuko invece restava in silenzio, ad ascoltare, raggiungendola poi nella sua stanza, aspettando che la sorella si calmasse, per poi portarla fuori, sulle scale, a chiacchierare, a esprimere i suoi pensieri liberatemene.
Neko sorrise sorniona, mentre pensava alla sorellona.
Erano lontane solo di due anni, ma Neko a volte si comportava come una bimba pestifera, scatenando l’ilarità della sorella, a cui piaceva molto ascoltare il chiacchierare allegro e frizzante della sorella, stando in silenzio.
Yuko era sempre stata una ragazza silenziosa e misteriosa agl’occhi di sconosciuti, e nessuno riusciva mai a capire cosa stesse pensando.

“-Gli occhi sono lo specchio dell’anima? Allora nessuno potrà mai capire i miei pensieri…e io non potrò mai capire quelli degl’altri-“

era terribilmente vero…e ingiusto.
Neko sbuffò, passandosi una mano tra i corti capelli ramati, i colori arancio-rossi sembravano come delle fiamme sulla testa, le ciocche erano morbide e vellutate, e brillavano anche di riflessi dorati.
In qualche modo stare con Yuko era come trovarsi in una specie di limbo luminoso, ascoltarla parlare, o semplicemente starla a guardare…
Era come trovarsi davanti ad un dipinto ad olio.
Quell’aria sempre serena e tranquilla, avvolta da un’alone di mistero, le mani pallide dalle dita lunghe che tenevano o il bastone o accarezzando Inuki, il pallore si confondeva nel mantello color melassa del cane.
Quella ragazza, il cui aspetto le dava diciassette anni, quando invece ne aveva ormai quasi venti, il cui volto era sempre dipinto di quella espressione così serena e malinconica.
Una volta Neko, da piccola, le aveva detto che sembrava quasi una fata, e Yuko rise, divertita.

“-Una fata che non vede è pericolosa. Immagina se, al posto della zucca, trasformasse Cenerentola in una carrozza, perché non vede dove agita la bacchetta?-“

certe volte quella ragazza era così cinica e fredda con il suo problema, si faceva sempre del male con quelle parole taglienti.
Neko sbuffò, scuotendo il capo, tornando a camminare, più tranquilla, guardandosi attorno, cercando con i suoi smeraldi limpidi Yuko.
La mamma voleva darle una notizia, una notizia di cui Neko non sapeva assolutamente niente. Ad un tratto, un fiocco di neve cadde davanti al naso di Neko, che alzò lo sguardo verso il cielo grigio- bianco, sorridendo felice.
-NEVICA!!-
allungò le braccia verso l’alto, lasciando che alcuni fiocchi di neve le toccassero le mani e le dita, sciogliendosi in acqua e raffreddando i palmi bollenti.
Leccò via la neve sciolta, sorridendo birichina, tornando poi a camminare a passo svelto, cercando con lo sguardo il campetto che Yuko le descriveva.
Nonostante la ragazza non ci vedesse, era capace di fare descrizioni minuziose e precise anche solo ascoltando i rumori o tastando un oggetto.
Certe volte sembrava addirittura che ci vedesse veramente.
Poi Neko la vedeva, socchiudere le palpebre, e le iridi vede chiaro le seppelliva sotto una coltre di tristezza quella speranza così assurda.
Ad un tratto, un rumore metallico la fece sobbalzare, era stato così improvviso che l’aveva colta impreparata, tanto si era abituata al silenzio della nevicata sul parco.
Eccolo!
Neko zampettò come un gatto agile e veloce, raggiungendo il campetto, entrando dalla porticina di metallo, guardandosi intorno alla ricerca di quella figura, questa volt era andata senza Inuki.
Quando non andava con Inuki, due erano i motivi.
O doveva andare in un posto dove non erano ammessi i cani.
O era triste.
“La seconda”
Neko annuì a quel pensiero, tornando poi cercare attenta la figura silenziosa di Yuko, per poi distrarsi un attimo a fissare la giovanile giapponese che si allenava.

COSA?! WOW!
Fin quel momento, la ragazza non si era minimamente accorta dei giocatori della nazionale, presa com’era dalla piccola missione che la madre le aveva dato.
Restò su quella porta di metallo, a fissare con aria vagamente sognante i vari giocatori che si allenavano con grinta.
Di colpo, sentì i palmi delle mani sudare freddo, il sudore si asciugava sui guanti di pelle che indossava, mentre la neve continuava a cadere, dando a tutto un’atmosfera più magica.
Osservò tutti i visi dei vari giocatori, ricordando a memoria i vari nomi, soffermandosi su un ragazzo alto e abbronzato, il cuore che si agitava in petto.
Kojiro Hyuga.
Davanti ai suoi occhi!!!
Neko si trovò improvvisamente nel più totale imbarazzo, mentre si guardava intorno, sperando di trovare Yuko, la figura sicura e tranquilla della sorella che però sembrava essere invisibile!!
Di colpo, il suo sguardo fu catturato dal ragazzo che tirò una sua micidiale cannonata, il bolide percorreva la meta campo come se nulla fosse, raggiungendo in poco tempo la porta del grande SGGK che, incredibilmente tranquillo, balzò in avanti, afferrandolo e facendolo deviare direzione, il pallone che andò a sbattere con la rete metallica, formando un piccolo solco.
La “tigre” ringhiò rabbiosa, stringendo con forza i pungi, le nocche che diventavano bianche.
-Dannato!-
-Hai visto, Kojiro? Nulla entrerà in questa porta, finche ci sarò io-
-PALLONE GONFIATO!-
Neko si tappò la bocca, arrossendo imbarazzatissima, in un momento tutti gli occhi furono puntati su di lei, che aveva gridato infastidita il suo commento contro Genzo, che la guardò seccato, inarcando il sopracciglio.
Neko si guardò intorno, si sentiva incredibilmente in imbarazzo e nervosa, le mani che si stringevano.
Kojiro la guardò stupito, la ragazzina era arrossita fino alla punta dei capelli, e poco ci mancasse che svenisse dalla vergogna.
A quel punto, che intervenne una voce, la salvezza di Neko.
-Neko?-
-YUKO!-
la ragazza sorrise colpita, riconoscendo la voce allegra e imbarazzatissima di Neko, mentre con una mano si stringeva al braccio di Sanae, che fissò colpita la ragazza, che corse verso la sorella, nervosissima, Yuko che invece sorrideva divertita.
-Cosa ci fai qui?-
-Beh….ecco…io…-
Yuko non trattenne una risata per il balbettare della sorella, lasciando per un attimo perplessi gli altri giocatori, mentre Neko si faceva sempre più piccola.
-Ti prego Yuko…-
-Neko, a volte proprio non riesci a controllare la tua lingua, eh? Coraggio, vieni. Questa è Sanae-
la manager strinse la mano ad una imbarazzata ragazza, dall’aspetto giovanile, doveva avere sedici-diciasette anni, i capelli corti color rame dalle sfumature ruggine, e due occhi verdi brillantissimi, il taglio vagamente orientaleggiante.
-Sanae, questa è mia sorella Neko-
-Molto piacere-
la ragazza sorrise più serena, stringendo la mano alla ragazza li vicino, ammirandone il viso abbronzato, dai corti capelli castani e gli occhi nocciola.
Poco più tardi, Neko guardava sbalordita la nazionale in allenamento, ancora incapace di esprimere la sua gioia per essere riuscita a vedere dal vivo i ragazzi della squadra giovanile nipponica.
Yuko sorrideva, restando seduta, il bastone tra le mani, ascoltando i rumori nervosi e a scatti che la sorella produceva.
A volte gli esseri umani non capivano quanto rumore facessero, quando il senso dell’udito era poco sviluppato.
Ma per uno che non ci vedeva, il senso dell’udito era forse uno dei sensi fondamentali per la sopravvivenza.
E quello di Yuko era molto sviluppato, tanto che era sicura di riconoscere un tiro di Tsubasa da uno di Kojiro, una parata di Genzo fatta di lato o dal davanti, o semplicemente un palleggio di Misaki.
Bastava…star ad ascoltare…
-Neko, scusami, ma tu cosa ci fai qui?-
la ragazza, da quel mondo fantastico che si era ritrovata, fu allontanata con dolcezza dalla voce tranquilla di Yuko, che socchiuse gli occhi, corrucciando le sopracciglia sottili.
Neko stava per parlare, quando udì delle presenze avvicinarsi a lei e alla sorella, e sentì la voce mancarle, mentre si voltò, trovandosi faccia a faccia con Hyuga, che la guardava incuriosito, un asciugamano intorno al collo asciugava le veloci e grandi gocce di sudore che scivolavano dal volto.
-E tu chi sei, gatto?-
Neko si azzittì, arrossendo, mentre Yuko scuoteva il capo divertita, alzandosi in piedi e afferrando una mano della sorella, presentandola al moretto.
-Questa è Neko, mia sorella. Scusala, ma è la prima volta che ti vede dal vivo. Non che si sia persa qualcosa…-
-Grazie!-
Yuko ridacchiò con Kojiro, mentre Neko lo fissava stupita, ammirando quel sorriso così allegro e leggermente strafottente del ragazzo, fissando poi il fisico magro, un gioco di tendini e fasci muscolari che rendevano quel corpo perfetto…
Neko restò in silenzio, le guance ancora leggermente arrossate, mentre Yuko e Kojiro si punzecchiavano a vicenda.
Con la coda dell’occhio, Genzo li fissava infastidito, asciugandosi il sudore dalla faccia, mentre non accennava a nevicare, i fiocchi si facevano sempre più grandi e candidi.
-Ragazzi! Io, Yoshiko e Yayoi abbiamo un annuncio!-
il chiacchierio si fermò, mentre Sanae e le altre due sorridevano allegre.
-Siete tutti invitati a venire il giorno della vigilia a casa mia a festeggiare Natale-
i ragazzi lanciarono un grido di gioia, e Neko guardò Yuko, che sorrideva, mentre Sanae le si avvicinava, gli occhi brillavano di speranza.
-Spero verrai anche tu…-
-Ma certamente, verremo sia io che Neko-
la sorella festeggiò felice, abbracciando da dietro Yuko, che sorrideva affettuosa, facendole un buffetto sulla testa.
Neko, ad un tratto, si colpì il capo con una mano.
-Ora mi ricordo! Yuko, sono venuta a cercarti perché mamma ti vuole a casa!-
-? E come mai?-
Yuko voltò lievemente il capo, socchiudendo gli occhi, le sopracciglia corrucciate di preoccupazione.
Neko scosse il capo.
-Non lo so, ha detto che aveva una bella notizia da darti. Era davvero strana!-
-In che senso?-
fu il tono gelido della ragazza che indusse Genzo a voltarsi, il sorriso si era spento, ed ora la ragazza si mordicchiava lievemente il labbro inferiore.
Neko ci pensò su, ricordandosi del viso della madre quando le diede la missione di trovare la sorella.
-Come posso spiegare…sembrava che gli occhi fossero pieni di stelle-
-Di stelle…-
Yuko si strinse convulsamente il bastone tra le mani, Neko sembrava non accorgersene, mentre la ragazza mordicchiava con più vigore il labbro inferiore, spingendo Genzo ad avvicinarsi a lei, turbato.
-Tutto ok?-
il tocco leggero della mano di Genzo sembrò come una scopa che spazzava via la polvere, e in un attimo Yuko tornò a sorridere serena, annuendo delicatamente con il capo.
-Si, sta tranquillo, va tutto bene. Neko, andiamo-
la ragazza sbuffò scontenta, avrebbe voluto stare ancora un po’ con Kojiro, ora che erano riusciti a stabilire un contatto, il ragazzo trovava divertente quella specie di gattino, che dopo un attimo d’incertezza lo salutava con un sorriso allegro, raggiungendo e prendendo sottobraccio la sorella.
Apparentemente le due si assomigliavano molti di viso, e senza il velo gli occhi di Yuko avrebbero avuto lo stesso colore e splendore di Neko.
Ma, a conoscerle più a fondo, ci si accorgeva della netta differenza di caratteri.
Neko era allegra, frizzante, sempre sorridente, con la testa fra le nuvole, a volte silenziosa e tranquilla.
Ricordava molto un piccolo gattino, allegro e curioso del mondo che la circondava.
Yuko, al contrario, era calma e tranquilla, avvolta sempre da quel mistero che la rendeva particolare, la sua malattia agl’occhi sembrava non turbarla minimamente, il suo sorriso era così dolce e bello.
Spesso Neko la dipingeva, alcuni suoi quadri erano appesi alla pareti di casa.
Neko dipingeva, un hobby che suo padre aveva trasmesso in lei, come…
Come i suoi problemi cardiaci.
Neko non diede mai la colpa al padre, che invece lo amava con tutta se stessa.
Quando era morto, la madre temette che pure la piccola impazzisse come Yuko.
Invece, aveva aiutato la sorella a riprendersi, e con lei aveva cercato di andare avanti in una nuova vita.
La neve cadeva silenziosa, riempiendo di neve le due sorelle, che si divertivano come matte ad assaporare il sapore dell’acqua ghiacciata.
Yuko adorava la neve, amava quando cadeva, rendendo tutto in uno silenzio dolce e piacevole, i rumori erano ovattati, e lei restava tanto tempo ad ascoltare il rumore della neve che cadeva, che però a Neko pareva pesante, lei che invece adorava la primavera.
La primavera piena di rumori, acqua sciolta che zampilla, cinguettare di uccellini, il chiacchierare di ragazzi che andavano verso le porte della scuola, indossando le uniformi più leggere, ridendo e scherzando, mentre il sole scaldava dolcemente.
Diverse…ma unite come dalla colla…
-Neko…-
-?-
la ragazza si voltò verso il viso turbato di Yuko, che alzò il viso al cielo, lasciando che la neve la colpisse in faccia, mentre si apprestavano ad entrare nel cancello di ferro battuto di casa.
-Dimmi Yuko…-
-Fa parlare me con la mamma…-
-…va bene…-
Neko restò perplessa dall’atteggiamento turbato di Yuko, assai raro da trovare in quella ragazza.
Di sicuro la notizia della mamma c’entrava qualcosa con la cataratta della sorella.
Ad accoglierle, festante, un agitatissimo Inuki, che saltò addosso a Neko, che faceva da scudo a Yuko, che sorrideva allegra con l’altra ragazza.
-Inuki! Cucciolone!-
-Ciao piccolo!-
-Bentornate, temevo vi foste perse!- la signora Tashi sorrideva affettuosa e felice alle due figlie, che appendevano i loro abiti bagnati, la neve si era sciolta per l’aria calda che circondava la casa, Neko che si faceva abbracciare e coccolare un po’ dalla mamma.
-Ciao gattina!-
-Mamma! Indovina? Ho conosciuto Kojiro Hyuga! E’ amico di Yuko, lo sai?-
la donna alzò lo sguardo turbato verso la figlia, che sorridente accarezzava Inuki, che era ancora nervoso, facendo le feste come un cucciolo, per poi accovacciarsi alle gambe della padrona, che si metteva comoda, sul divano accanto al camino acceso, fiamme rosso-dorate si alzavano in scoppietti allegri, come il ritmo di una danza sfrenata.
La ragazza fissava il camino, quasi vedesse le fiamme del fuoco acceso, che danzavano contro le iridi semiaperte.
-Yuko…-
-Dimmi, mamma, dove dobbiamo andare questa volta? Francia, Islanda, Norvegia. Cina?-
la donna rimase colpita dall’atteggiamento glaciale e sprezzante della figlia, che teneva con una mano le gambe piegate a se, una mano appoggiata sul bracciolo del divano, Inuki alle sue gambe che uggiolava lievemente.
Brutto segno. Il cane era una specie di catalizzatore di sentimenti di Yuko, e in quel momento Yuko non doveva essere di buon umore.
La donna accarezzò il capo ramato di Neko, abbassando il capo vergognandosi, sussurrando qualcosa, che Yuko sentì benissimo.
-Canada…-
-Ma bene…ancora qualche speranza da coltivare, mamma? Certo che sei davvero testarda…e dimmi, quando pensi di partire?-
Neko fissava stupita la sorella, completamente diversa dalla Yuko che conosceva, fredda e cinica, che teneva gli occhi incollati al camino, quasi fosse ipnotizzata a fissare il fuoco, che si ravvivava, gli scoppietti erano leggeri e quasi impossibili da udire.
La donna passò una mano sulla fronte della figlia minore, ammirando la pelle leggermente più scura di quella di Yuko, che ora assumeva tinte di alabastro, come una bellissima statua greca, che ritraeva una specie di divinità.
-…la vigilia di Natale…-
-No!-
Neko scattò in piedi, fissando triste e leggermente arrabbiata la madre.
-Sanae ci ha invitate a casa sua per quel giorno! Non possiamo mancare!-
la donna fissò stupita la figlia, gli occhi verdi brillavano di ansia, mentre stava inginocchiata di fronte alla madre, guardandola negl’occhi neri.
La donna era di origini franco-inglesi, forse questo si era infuso alle figlie, nonostante lei fosse un esempio di donna giapponese, non minuta, ma abbastanza bassa, i capelli neri tenuti lunghi e gli occhi dal taglio orientale neri, il viso privo di rughe, di colore orientale, una specie di sfumatura verso il “giallo”, l’ ocra.
La donna restò in silenzio, e Yuko sbuffò, aspettando che la madre desse i motivi della sua decisione.
-Inanzitutto, non è solo per Yuko che devo andare in Canada. Li c’è una sfilata, e ho deciso di mostrare la mia nuova collezione primavera-estate.
Inoltre avevo scoperto che c’era un ottimo Oculista, uno dei migliori al mondo, e forse con un po’ di fortuna speravo a portarti a farti fare una visita da lui-
-Che scusa avresti usato?-
Yuko conosceva bene sua madre: di solito tentava di raggirare la figlia con scuse quali le sfilate o solo le vacanze studio di Neko, che ormai aveva imparato ben cinque lingue!!
-Ecco…avrei approfittato del fatto che li c’era una mostra d’arte e il concerto musicale. In fondo, pensateci: sarebbe una buona occasione per ammirare il Canada…-
-Mamma…sei una sciocca…sai meglio di me che ormai a queste scuse non abbocco più…-
la donna si era spaventata, così come si era spaventata Neko, nel vedere una Yuko totalmente diversa da quella che conosceva: gelide, cinica, leggermente rabbiosa, che si ostinava a tenere lo sguardo attaccato al camino, il fuoco si era abbassato, segno che c’era bisogno di legna.
Inuki, sotto di lei, uggiolava, e a tratti ringhiava, sentendo il nervosismo della ragazza, che sbuffò, passandosi una mano trai capelli.
-Mamma, io sono stanca di tutte le false speranze che stai cercando di appiopparmi.
Sono stanca di tutte le visite oculistiche che abbiamo fatto.
Sono stanca di andare in giro da una parte all’altra del globo terrestre.
E sono stanca…stanca morta…della tua frase allegra e falsa “UNA BUONA OCCASIONE PER AMMIRARE QUESTO PAESE!!”-
Si era alzata di scatto, e aveva preso la prima cosa dura e fragile, un vaso rosa, sbattendolo a terra, in un caos di schegge e rumori forti, mentre Inuki abbaiava.
-QUANDO CAPIRAI CHE NON POTRO’ MAI “AMMIRARE”, MA SOLO SOGNARE, IMMAGINARE UN POSTO? IO NON POSSO VEDERE! SONO CECA, CECA, MALEDIZIONE! POSSIBILE CHE NON LO CAPISCI?-
la donna l’aveva guardata con le lacrime agl’occhi, stringendo a se Neko, mentre Yuko si calmava, chiudendo e strizzando gli occhi, stringendosi le braccia, restando in piedi, la testa china, i capelli mossi coprivano la vista del suo volto.
-Lo hanno detto tutti…la mia cataratta non si può guarire. Quindi, ti prego, smettila di farmi stringere solo polvere, credendole certezze…-
Yuko restò in silenzio, senza piangere, aspettando che la madre, come al solito, scoppiasse in lacrime, e a lei toccasse pulire.
Invece, sentì le braccia della madre abbracciarla, la donna sorrideva, le lacrime agl’occhi che però non cadevano giù dal viso.
-Hai ragione tesoro, ti sto solo illudendo. Ti ho illusa troppe volte. Ma tu cerca di capirmi. Io voglio che tu sia felice…-
Yuko annuì, sorridendo triste.
-Io sono felice, mamma. Ho te e Neko. Mi basta. Non spero in miracoli. Però, se lo vorrai, ti seguirò…-
-No, tu hai una festa a cui partecipare con Neko, perciò resterete qua, vi farà bene non sentire più le lamentele di questa vecchia-
-Tu non sei vecchia-
Yuko sorrise, mentre Neko tornava allegra, correndo a prendere la scopa, mentre Yuko commentava con una punta di vergogna.
-Scusami…ho rotto il vaso…-
-Tanto non mi piaceva. Quel rosa confetto stonava-
-Mamma, posso dirti una cosa?-
-Si?-
-Sei una gran bugiarda-
-Lo so-

*

-Ehi, Yuko, ci sei?-
Taro era riuscito a rintracciare la villa di Yuko, ed era andato a trovarla, speranzoso di poter fare una bella chiacchierata con lei, come ai vecchi tempi.
Si erano conosciuti a Parigi, e si erano rivisti in Italia.
Lui, la prima volta che l’aveva vista, aveva provato pena per quella ragazza, che con il suo bastone in mano e il cane al suo fianco, passeggiava tranquilla per gli Champs Elises (non lo so se si scrive così…perdonatemi!^^’N.d.M.).
Poi, poco dopo, quando l’aveva conosciuta un po’ meglio, aveva scoperto che era una ragazzina molto gentile e intelligente, che aveva anche una bella lingua certe volte!
La cosa che affascinava più in Yuko a Taro era la sua incredibile serenità, era certa che niente avrebbe scalfito il suo carattere.
Pian piano, tra i due era nato un forte legame affettivo, e solo a lui e a Neko Yuko aveva mostrato tutta la lucentezza dei suoi occhi.
Era un fato assai raro, di solito Yuko li teneva socchiusi, in modo che le lunghe ciglia nere offuscassero il brillare di quelle iridi velate.
La cataratta è una malattia terribile.
Taro, quando guardava e parlava con Yuko, molto spesso si sentiva a disagio, certe volte quando spiegava qualcosa o raccontava un fatto gesticolava e indicava qualcosa, e come sempre arrossiva lievemente, mentre Yuko sorrideva, tranquilla.
“Non temere, non mi sono offesa”
Ecco un’altra caratteristica di Yuko.
Di lei non si capiva se mentiva o diceva la verità, quando parlava di qualcosa, soprattutto del suo stato di ceca.
Ceca…che brutta parola.
A Taro non piaceva il modo in cui gli altri dicevano “ceca”, nei confronti di Yuko.
Lo dicevano in modo sprezzante, quasi schifato, come se Yuko fosse stata spazzatura.
Eppure lei era migliore di tutti loro.
Possedeva una grande intelligenza, e una memoria di ferro.
“Queste due doti mi sono strettamente necessarie per vivere”
vivere.
“Si, vivere”
Taro sbuffò ancora, suonando il campanello, udendo poi abbaiare dentro casa, riconoscendo la voce allegra di Neko.
Neko, per lui, era come una sorellina, sempre attaccata a Yuko e a lui, soprattutto quando andavano in giro per Parigi o per le vie di Roma, parlando, chiacchierando.
Era così allegra, e possedeva la grande abilità di dipingere.
Aveva ammirato alcuni suoi schizzi e disegni, e si era meravigliato di come sembrassero talmente…vivi.
Neko…
Gatto…
In effetti, certi comportamenti di Neko assomigliavano a quelli di un felino, come i suoi passi silenziosi, il suo spirito indipendente, il suo modo di fare curioso, il modo di coccolarsi accanto alla sorella o alla madre, facendo le fusa, scatenando sorrisi di affetto.
Yuko, invece, era decisamente più tranquilla, più matura, ma ugualmente dolce ed educata.
Si…quando non si erano più visti, dopo il loro incontro in Italia, a Taro quelle due sorelle le erano mancate.
E’ stata una scoperta davvero bellissima che Yuko e Neko si fossero trasferite in Giappone.
“Mamma ha ancora tante speranze…certe volte non capisce che tiene in mano solo un pugno di polvere…”
Ecco l’unico difetto di Yuko.
Quello di non avere speranze per la sua cataratta.
-TARO!-
il grido allegro di Neko risvegliò il ragazzo dal torpore dei suoi pensieri, mentre osservava sorridente la ragazza che correva giù per gli scalini, seguita da un felice Inuki, che appena ebbe l’occasione saltò addosso al ragazzo, facendolo cadere all’indietro, scatenando l’ilarità di Neko, che si strinse la pancia dalle risate.
Yuko sorrise dolce, ascoltando quelle risate, Taro che sgridava affettuosamente Inuki, che continuava ad abbaiare, allegro.
Buon segno. Yuko era di buon umore.
-Posso unirmi anch’io alle risate?-
Taro l’ammirò, mentre la ragazza scendeva le scale con la grazia che possedeva, come una modella.
Certe volte assomigliava ad una di quelle ninfe greche che venivano raccontate nei poemi che si leggevano a scuola.
I capelli erano come un mare mosso, le onde castane in alcuni erano squarciate d’oro, e gli occhi erano socchiusi, mostrando- nascondendo al tempo stesso le iridi verdi velate, che si alzarono, incontrando il volto di Taro, che sorrise.
-Ciao, disturbo?-
-No, anzi. Io e Neko ci annoiavano, stavamo per andare al campetto a vedere gli allenamenti-
-Guarda che noi non siamo come quel matto di Tsubasa! Non ci alleniamo anche sotto la neve!-
Yuko rise sommessamente, accompagnando poi Taro dentro casa, il calore del focolare colpì in pieno volto le guance arrossate dal freddo del ragazzo, che si guardò intorno, ammirando lo stile di quel salotto, la classicità di quella stanza ricordava vagamente quella francese dove la famiglia Makoto abitavano.
La presenza di marmi rosati, il legno di ciliegio, i colori vaniglia e rosso- rosa davano al salotto ancora più calore, mentre il ragazzo veniva fatto accomodare su una delle due poltrone rosse, soffici, Neko che subito gli si metteva accanto, lui la fissò ammirato, gli occhi verdi della ragazza erano grandi, e con quel taglio orientale li rendevano ancora più belli.
-Sai, sei cambiata tantissimo in questi anni-
-Tu no, invece. Sei sempre rimasto lo stesso, sempai Misaki!-
il ragazzo sorrise, divertito: lui e Neko andavano a scuola insieme, in Francia, e lei si era abituata a chiamarlo sempai, specificando così il suo sangue giapponese.
In effetti, le due ragazze erano molte orgogliose delle origini nipponiche, nonostante il loro aspetto europeo.
Sopratutto Yuko, il cui volto e colore di capelli la facevano più simile ad una inglese o ad una francese.
In quel momento, Yuko si mise comoda, mente Neko l’aiutava ad appoggiare il vassoio sul tavolo, tre belle tazze fumanti di cioccolata calda.
-Allora, Taro, cosa mi racconti? Tuo padre sta bene?-
-Si, anche se in questo momento non è qui ma in Belgio-
-Ti ha lasciato da solo?-
-Ehi, guarda che ormai ho quasi vent’anni!-
il ragazzo ridacchiò, e per Yuko sembrava essere tornati ragazzini, quando si sedevano su il nastro d’erba poco lontano dalla Tour Eiffel, a chiacchierare, allegri, mentre Neko si divertiva a giocare con Inuki, che in quel momento si avvicinava a Yuko, strofinandogli il naso sulle gambe scoperte sotto la gonna, la ragazza che sorridente lo accarezzava, bevendo poi la cioccolata fumante.
-Voi invece? Vostra madre?-
-E’ partita stamattina, per il Canada. Tornerà la prossima settimana-
-E voi siete rimaste qui?-
-A dire la verità, dovevamo seguirla, ma poi siamo riuscite a farle cambiare idea. Vogliamo esserci per la festa di Sanae!-
-Tu ci sarai, Misaki?-
Yuko sorrideva, e Taro annuì con il capo.
-Certo. Mica mi perdo una buona occasione per stare con le sorelle più belle del mondo- -Sempre il solito-
restarono molte ore a chiacchierare, raccontandosi le varie esperienze passate, dopo che si erano salutati l’ultima volta, in Italia, a Roma.
Dopo, non si erano più visti, primo perché Taro non si faceva mai trovare, secondo perché gli spostamenti di Yuko furono sempre più frequenti, a causa delle sfilate della madre.
Prima Inghilterra, poi America del nord, soprattutto New York e Los Angeles, poi un ritorno in Germania, dove aveva vissuto l’infanzia, infine in Giappone.
-Ormai io e Neko abbiamo imparato ben cinque lingue!-
-Mi hai detto che sei stata anche in Russia-
-Si, li mia madre aveva….trovato un medico per me…-
-Come è andata?-
-Come pensi che sia andata?-
il tono di Yuko era infastidito, e la ragazza si stringeva tra le mani la tazza, Inuki che uggiolava sommessamente.
Taro la guardò turbato, mentre lei si calmava, bevendo l’ultima cioccolata, appoggiandola poi sul tavolo.
-Taro, come ho gia detto a mia madre, sono stanca di viaggiare da un capo all’altro del mondo per ricevere sempre la solita solfa.
Ormai ho capito che la mia cataratta non si può guarire.
Basta-
Con un gesto secco della mano Yuko interruppe li il discorso, e Taro poté solo ubbidire, sbuffando passando una mano tra i corti capelli castani, mentre Yuko sorrideva triste.
-Non preoccuparti per me, Taro.
Io…ormai, ho imparato a cavarmela-
Il ragazzo la fissò attento, mentre vedeva il volto dipingersi in quel suo sorriso misterioso, dolce e, al tempo stesso…triste…
Taro scosse il capo, sorridendo con lei.
-Si-
Il ragazzo passò lo sguardo sopra i quadri sopra il caminetto, ammirandoli, leggendo in un angolo, scritto in piccolo, il nome Neko, con sotto una piccola zampetta di gatto.
-In questi anni sei migliorata tantissimo, Neko, anche se i tuoi soggetti sono sempre gli stessi-
La ragazza annuì soddisfatta, mentre Taro passava a rassegna i vari quadri, molti di questi ritraevano Yuko, il più bello di tutti era la ragazza con Inuki accoccolato sulle ginocchia, seduta accanto al caminetto acceso, i colori caldi del fuoco risplendevano sul bel volto, tinto in un espressione serena, il capo e la schiena poggiati ai piedi del divano rosso, dove in quel momento stava seduta la ragazza.
Poi, ad un certo punto, Taro si trovò a fissare stupito il quadro che era in un angolo, più piccolo ,ma non per questo meno bello, anzi, faceva quasi a gara con quello di Yuko davanti al caminetto.
Era uno sfondo notturno, l’azzurro scuro sulla linea di terra si scuriva man mano che saliva verso quel cielo, che si punteggiava di piccole timide stelle.
Dalla linea di terra partiva una timida lingua di terra scura, su cui camminava una figura, alta, sfuocata, non si riusciva a capire chi fosse.
Ma una cosa è certa: stava fissando una specie di lampo che squarciava il cielo, e partiva da dei cumuli posti nella parte più alta del quadro, cirri grigi chiari e scuro, gonfi come battutoli di cotone.
E accanto al ragazzo, una tigre grande e ruggente, che ruggiva verso quel lampo.
Taro la guardò a lungo, sorridendo divertito, mentre Neko ingoiava a vuoto.
-Yuko…immagino che tu sappia che al nostro bel micino piacciono i felini di grossa taglia-
-Lo so bene, Taro-
Neko arrossì di colpo, e Taro scoppiò a ridere, seguito poi da Yuko, mentre Inuki scodinzolava allegro.
Taro sorrise triste.
-Peccato…che la nostra tigre sia gia impegnata…-
Neko lo guardò colpita, mentre Yuko corrucciava le sopracciglia.
Dopo un attimo di silenzio, la ragazzina si riprese, scuotendo la testa.
Taro guardò l’orologio.
-E’ tardi, devo andare-
Yuko e Neko accompagnarono il ragazzo alla porta, la seconda con Inuki corse ad aprirgli il cancello, mentre la prima restava sulla soglia della porta, fuori il rumore della neve che cadeva la fece sorridere tranquilla.
-Taro, ci sei alla festa di Natale?-
-Si, come ho gia detto, ci vengo-
-Bene. Allora ci vediamo li. Non fare tardi-
-La stessa cosa vale per te-
il ragazzo schioccò un bacio sulla guancia di Yuko, che sorrise, ascoltando i passi del ragazzo che si allontanavano, fermandosi solo per salutare Neko, partendo poi a correre appena affondarono nella neve sulla strada.
Yuko sorrise, aspettando che Neko rientrasse a casa con Inuki, chiudendo poi dietro di se la porta, restando solo per un momento ad ascoltare ancora il rumore della neve che cadeva.

*

Lo scampanellare fece correre Sanae, mentre le altre ragazze terminavano di decorare l’albero di Natale.
-Yuko! Neko! Siete in anticipo!-
-Siamo qui per dare una mano!-
la ragazza dalla testa ramata saltò al collo di Sanae, schioccandogli un bacio sulla guancia, mentre Yuko si avvicinava, tenendo con una mano dei sacchetti colorati.
-Benvenute, prego, entrate-
la casa di Sanae poteva sembrare piccola, ma in realtà aveva un salotto abbastanza grande da starci in trenta!
Yoshiko e Yayoi sbucarono da dietro il grande albero di Natale, decorato di palline stelle filanti, in quel momento stavano sistemando le lucine, e Neko tutta raggiante zampettava da una parte all’altra, ammirando il grande gioco di luci e colori del grande albero, prendendo poi la stella da mettere sulla punta, ammirandola: tutta d’argento, con al centro polvere d’oro, brillava con forza alla luce delle lampade, mentre Yuko si faceva aiutare da Sanae a mettere il cappotto, per poi essere letteralmente trascinata in cucina.
-Vediamo un po’…cosa posso darti da fare?-
-Che ne dici se ti aiuto a preparare la tavola, nel frattempo?-
-Beh…ecco…-
-Non essere imbarazzata, mi devi semplicemente fare due lavori: il primo è mostrarmi la tavola, il secondo e tirarmi fuori l’occorrente. Al resto ci penso io-
Sanae era titubante, ma il tono deciso e sereno di Yuko la spinse ad ascoltarla, portandola verso la tavola, tirando poi fuori i piatti, le posate e il resto per apparecchiare.
Yuko, nel frattempo, tastava il tavolo, giudicando la lunghezza e la larghezza.
-Vengono tutti della squadra?-
-Si, più c’è la fidanzata di Kojiro-
-Si lo sapevo. Ma chi è la sfortunata che sta con quell’orso?-
Sanae ridacchiò alla battuta di Yuko, che non smetteva di controllare la tavola.
-Si chiama a Maki, gioca a softball. Anche se, a mio parere, non è la ragazza giusta per Kojiro…-
Yuko stava cominciando a mettere la tovaglia, quando si voltò un attimo verso il punto dove proveniva la voce di Sanae, che adesso assumeva sfumature preoccupate.
-Perché dici questo?-
-Vedi…Maki si è una ragazza carina, e con Kojiro sta benissimo.
Ma…come posso dire…
A volte mi sembra un po’ troppo possessiva nei confronti di Kojiro, ed è molto gelosa.
Una volta, per poco, non uccideva una ragazza, solo per questa si era avvicinata a chiacchierare con il ragazzo!-
-Quindi…dici che è troppo gelosa per Kojiro? E lui come sta con lei?-
Yuko aveva appena disposto i piatti, contando bene i posti, e adesso stava pensando alle posate, mentre Sanae continuava a pensare al cibo, sbuffando e facendo spallucce.
-Non si capisce. Sembra che stia bene con lei, ma certe volte è come se volesse “scappare” da Maki. Anche perché quella ragazza è così soffocante…-
-E tu?-
Sanae si fermò, voltandosi verso Yuko, che stava disponendo i bicchieri.
-Che intendi dire?-
-Che, al dispetto di Maki, mi sembri un po’ troppo poco espansiva nei confronti di Tsubasa. Eppure, se non mi sbaglio, gli vuoi molto bene…-
Yuko sorrise, attendendo la risposta da Sanae, che era arrossita, tornando a controllare lo stato di cottura della torta salata, come risvegliatasi da un sogno.
-E’ vero, ma lui ha la testa completamente persa dietro la palla a scacchi. Per lui non sono che un’amica, e questo mi basta-
-Bugiarda-
Sanae si bloccò di nuovo, voltandosi verso Yuko, che adesso si era fermata nel preparare la tavola, tra le mani ancora due bicchieri.
Quest’ultima sorrise, mentre metteva a posto i bicchieri e i tovaglioli.
-L’unico tuo problema è la timidezza. Approfittane ora che è Natale, altrimenti non lo potrai più rivedere-
-E tu come…-
-Sono cieca, ma non scema, Sanae. Questo devi averlo capito anche tu-
la ragazza abbassò il capo vergognosa, mentre l’altra sorrideva, tastando una sedia e sedendosi. -Ho sentito dire da Ryo che Tsubasa sta pensando di tornare in Brasile, alla fine di questa serie di partite.
Sanae, io te l’ho dico come amica.
Adesso, o mai più-
Sanae restò in silenzio, mentre Yuko sorrideva, sbuffando e passando una mano tra i capelli.
-Allora? Ho apparecchiato bene?-
Sanae si voltò, ripresasi dal discorso, e restò a bocca aperta: la tavola era stata perfettamente apparecchiata!!
-Ma…come…-
-Forza dell’abitudine. Un piccolo trucco insegnatomi da mio padre-
Yuko riprese il suo bastone, appoggiato sulla sedia dov’era seduta, e si allontanò verso il salotto, lasciando una Sanae stupita e turbata allo stesso tempo.
Nel frattempo, Neko stava chiacchierando allegra con Tsubasa, Jun e Ryo, mentre Yayoi e Yoshiko facevano entrare Hikaru e Kojiro con una ragazza attaccata al braccio di quest’ultimo.
-Yuko, Neko, vi presento Maki, la fidanzata di Kojiro-
-Piacere!-
-Piacere nostro-
Neko la fissò leggermente turbata, per poi sorridere radiosa, stringendo un attimo la mano sul braccio di Yuko, che si limitò a sorridere, per poi rivolgere lo sguardo dietro alla schiena di Kojiro, sulla porta una persona a lei nota.
-Misaki-
-Ehi, Yuko, ma come hai fatto?-
-Vuoi che non riconosca la voce del mio vecchio amico?-
i due si scambiarono un sorriso affettuoso, raggiungendo poi gli altri, Yuko si fermò un momento, udendo la porta aprirsi ancora, e sorrise.
Il suo silenzio era inconfondibile.
Lo sentì arrivare, e si voltò a salutarlo.
-Buon natale, Genzo-
il ragazzo la guardò stupito, prima di lei nessuno era mai riuscito a sentirlo da dietro.
-Buon natale Yuko. Ma come hai fatto?-
-Il tuo passo silenzioso ti tradisce, caro il mio SGGK-
Yuko sorrise maliziosa, per poi prenderlo sottobraccio, sorridendogli.
-Andiamo dagl’altri?-
Genzo la fissò stupito, e lei sorrise, avviandosi con lei dagl’altri, che si stavano radunando in salotto per chiacchierare.
Mentre Sanae e Yayoi pensavano a cucinare, i ragazzi si concentrarono su una partita a carte, mentre Neko e Yoshiko giocavano ad un gioco da tavolo, Yuko stava con Neko.
Maki guardò turbata la ragazza, la presenza di quella ceca la infastidiva, ma cercò di essere la più naturale possibile, tornando da Kojiro, che nel frattempo stava giocando a carte con gli altri ragazzi.
Neko la fissò con la coda dell’occhio, per poi concentrarsi sulla partita, e sbagliare mossa.
-Ma che fai Neko?-
-Scusami Yoshiko, e che sono un po’ distratta-
Yuko sorrise affettuosa, mettendosi più vicina alla ragazza, sorridendo e socchiudendo le iridi.
-Pensa alla partita e a divertirti, dopo potrai distrarti-
Neko guardò la sorella, per poi annuire, tornando a giocare, mentre Yuko si alzava, e si avvicinava a Taro, che nel frattempo assisteva alla partita.
-Come sta andando?-
-Beh, Genzo e Kojiro si stanno squadrando con aria minacciosa, si vedono i fulmini e saette che partono dai loro occhi-
Yuko rise, mentre restava accanto al ragazzo, esattamente dietro a Genzo, ch fissò le carte, per poi mostrare il suo poker d’assi.
Kojiro sfoggiò un sorriso divertito, e gli mostrò la sua scala reale.
-Vinto-
Genzo digrignò i denti, e gli altri scoppiarono a ridere, Neko che si avvicinava alla sorella, sorridendo felice a Kojiro.
-Complimenti!-
Maki le lanciò uno sguardo assassino, e la ragazza si ritrasse un attimo, Yuko che per un attimo si fece seria, per poi sorridere.
-Neko, non fare il gattino timido. Mostra agl’altri la tua abilità nelle carte-
la ragazza fissò stupita la sorella, annuendo, prendendo il mazzo che Taro le porgeva.

Dire che era brava la sminuiva.
I suoi giochi con le carte erano incredibili, e Taro si divertiva a descrivere sottovoce le varie facce a Yuko, che tratteneva a stento le risate.
Anche Kojiro era rimasto impressionato dalle abilità di Neko, che di colpo smise di mischiare il mazzo, formando una specie di quadrato con otto carte per ogni fila.
-Ed ora, il mio numero migliore!-
la ragazza si concentrò, e cominciò a passare la mano sopra le carte, mentre tutti stavano a guardare, Sanae e Yayoi erano uscite dalla cucina a vedere.
Neko si fermò su una carta.
-Asso di cuori-
la scoprì e…asso di cuori!!
Mentre tutti rimanevano impressionati, Neko passò ancora la mano tra le carte, e si fermò ancora.
-Regina di fiori-
la scoprì e….regina di fiori!
Continuò quel giochetto fino all’ultima carta, per poi ricevere gli applausi di tutti.
-Come hai fatto?-
-Me l’ha insegnato mio padre. Quando mi annoiavo, mi allenavo a fare questo giochino-
-Infatti, ricordo che ogni volta che giocavamo, mi batteva sempre-
Taro sorrise a Neko, mentre gli altri si chiedevano ancora qual’era il trucco.
Kojiro afferrò il mazzo di carte, e lanciò un’occhiata di sfida a Neko, che lo guardava stupita e leggermente arrossita.
-Vogliamo vedere chi è il più forte, gattino?-
la ragazza sorrise sfacciata.
-Ti farò vedere io, “tigre”-
-Bene ragazzi! Si accettano scommesse!-
e mentre i ragazzi scommettevano(senza soldi! N.d.M.) tra Kojiro e Neko, la ragazza mischiò il mazzo, per una rapida veloce partita a poker.
Yuko le si mise accanto, sedendosi sul bracciolo dove stava Genzo, che guardava incuriosito, sul suo volto c’era dipinto un bel sorriso divertito.
Tutti restarono in silenzio ad aspettare, quando Kojiro mostrò a tutti la scala reale di fiori.
Neko si limitò a battere un dito sul tavolo, e Yuko sorrise.
-Bravissima Neko-
gli altri non capirono il linguaggio in codice delle due sorella, almeno fino a quando Neko, lentamente, mostrò la sua scala reale di picche, mormorando.
-Come quando fuori piove…-
Kojiro restò di pietra, e tutti festeggiarono Neko, che strinse la mano a Yuko, per poi alzarsi con lei, e stringere la mano a Kojiro, che rideva divertito.
-Beh, mi hai dito una bella bastonata!-
-Non dirlo, è stata fortuna!-
i due si guardarono, e Maki infastidita spinse via il ragazzo, che sorrise a Neko, mentre questa arrossiva, raggiungendo poi la sorella.
Mangiarono e chiacchierarono allegramente, fuori nevicava ancora, e Yuko si fermò di fronte alla finestra del salotto, poggiando una mano sul vetro freddo, chiudendo gli occhi e cercando di ascoltare il silenzio della neve.
Sorrise, voltandosi.
-Cosa c’è, Genzo?-
il portiere la guardò stupito, per poi sbuffare, mentre lei sorrideva, divertita.
Nel frattempo, Sanae stava lavando i piatti, Neko si era allontanata un attimo, e stava sistemando le ultime cose da sola, prima di dare i suoi regali ai ragazzi.
Stava ripensando alle parole di Yuko, che l’avevano colpita molto.
Si…doveva dire a Tsubasa la verità…al più presto…
Sentì dei passi, e sorrise, svegliandosi dai suoi pensieri.
-Neko, sei tornata finalmente! Dammi una mano ad asciugare questi piatti!-
-Va bene!-
la ragazza sentì il cuore fermarsi, mentre si voltò a guardare Tsubasa che, sorridente, cominciava ad asciugare i piatti.
I due restarono in silenzio, poi Tsubasa ruppe il ghiaccio, non gli piaceva l’atmosfera piena di ansia che c’era.
-La cena era ottima, i miei complimenti-
-Beh…grazie…senti, Tsubasa…-
Sanae si mise un ciuffo di capelli dietro l’orecchio, e i ragazzo si soffermò ad ammirare il volto leggermente arrossato della ragazza, i corti capelli castani incorniciavano il viso abbronzato, gli occhi nocciola brillavano di nervosismo, fissando quasi ipnotizzati le mani al lavoro, che pulivano i piatti, passandoli poi timidamente al ragazzo li vicino, che si affrettava ad asciugarli.
-Tsubasa…hai gia…deciso quando partirai per tornare in Brasile?-
dirlo le faceva male come fa male un pugno allo stomaco, e ogni volta le si formava un piccolo nodo alla gola, che aumentava ogni volta che s’immergevano in questa discussione.
Il ragazzo sbuffò, asciugando un piatto, mettendolo in cima al mucchio.
-No, ancora no. Ma dovrò cominciare a pensarci gia da adesso-
-Ma, in fondo, mancano almeno tre mesi prima che finisca questa serie di partite-
il nodo s’ingrossa, la voce cominciava a farsi mancare. Ma lei sarebbe fino in fondo a questa discussione.
-Hai ragione, ma sai come vola il tempo, tra partite e gli allenamenti-
Sanae annuì con il capo, mentre le mani rallentavano, restando immerse nell’acqua calda, rammollendole.
Tsubasa la guardò con la coda dell’occhio, e si sentì stringere il cuore nel vederla così triste.

-Sanae…ti piacerebbe…venire in Brasile con me?-
la ragazza si voltò a guardarlo, stupita, sorpresa, sbalordita.
-C-Come?-
-Vedi…in quest’ultimo periodo…mi sono accorto che…accidenti, è difficile dirlo così…-
Tsubasa appoggiò distrattamente lo straccio sulla cima del castello di piatti, ficcandosi una mano nella tasca dei jeans scoloriti, tirando fuori un pacchettino verde con un bel fiocco un po’ sformato, consegnandolo alla ragazza.
La ragazza lo guardò turbata, aprendo il pacchetto, restando impressionata.
Un anello d’argento, molto semplice, su cui inciso c’era il suo nome.
-Ma…Tsubasa…-
-Sanae…-
il ragazzo si avvicinò alla ragazza, sussurrandole qualcosa nell’orecchio, e la ragazza cambiò improvvisamente colore, diventando rossa, quasi viola, mentre sorrideva, e si sentiva il fiato mancarle, mentre abbracciava i ragazzo, annuendo con il capo, sussurrandogli qualcosa anche lei all’orecchio del ragazzo, che sorrise felice.
-Bene, avete visto abbastanza!-
Neko e Misaki si voltarono verso Yuko e Genzo, ridacchiando tra loro, per poi essere trascinati via dalla coppietta, la porta socchiusa venne chiusa del tutto.
Neko riuscì a scampare a Yuko, ma andò a sbattere contro il corpo di qualcuno, cadendo all’indietro.
-Scusami, gattino, ma non ti avevo vista-
Neko alzò lo sguardo, incrociando quello nero di Kojiro, che sorridente le allungò una mano.
La ragazza, timida, afferrai quella grande mano, in confronto la sua era una mano di bimba, e la presa salda e delicata delle dita del ragazzo diede in quella mano un calore fortissimo, come di un fuoco acceso.
La ragazza si alzò in piedi velocemente , ritrovandosi così a pochi centimetri dal volto di Kojiro, che le sorrise in quel suo modo leggermente presuntuoso, mentre Neko arrossiva, allontanandosi poi dallo sguardo di fuoco di Maki, che la stava tenendo d’occhio.
Quest’ultima si avvicinò alla ragazza.
-Ascoltami, piccola gatta morta. Azzardati ancora ad avvicinarti a Kojiro, e ti dimostrerò quanto può essere forte una giocatrice di softball si un gattino spelacchiato. Chiaro?-
Neko annuì, mentre sentiva il polso farle male, sotto lo stringere di quelle dita grandi e lunghe, e terribilmente potenti.
Maki si allontanò, avvicinandosi a Kojiro, lanciando un’ultima occhiataccia di fuoco a Neko, che tremava spaventata, stringendosi il polso ancora dolente.
-E tu vuoi farti mettere i piedi in testa da quella?-
Yuko sbucò da un angolo, avvicinandosi a Neko, che tremava ancora, scuotendo il capo con forza, i quegl’occhi verdi brillò la fiamma della rabbia.
-Io non mi faccio mettere i piedi in testa da una stupida giocatrice di softball!-
Yuko annuì, per poi raggiungere con la sorella gli altri, che in quel momento si scambiavano i regali di Natale, sotto il grande albero colorato e pieno di luci.

(Che finale schifoso :P
Di sicuro lo cambierò, vedrò cosa posso fare.
Nel frattempo, vi prego, COMMENTATE!)

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Capitolo 4
*** Le onde del mare... ***


Come le onde del mare.
Beh, per l’esattezza come il mare.
Scostante.
Forse…era questo che l’attirava a lui…
Genzo Wakabayashi, il grande SGGK.
Un carattere scostante, come il mare, che un giorno è sereno e tranquillo, e poco dopo è in burrasca.
E così l’ho era anche lui.
Glielo aveva dimostrato un paio di volte.
Però…per questo suo carattere che Yuko lo trovava interessante.
Anche a Natale.
Aveva allungato una mano verso il suo viso, ma lui si era scostato, quasi la sua mano fosse fatta di fuoco, e lei si era limitata a fare spallucce, mentre lui aveva imprecato, bofonchiando come una pentola piena d’acqua sotto il fuoco.
Yuko sorrise, giocando con il ciondolo che Genzo le aveva regalato.
Tastò il metallo duro, mentre nella sua mente si tracciava una sottile linea, che assumeva le sembianze di una piuma, che al tatto della ragazza prendeva forma, consistenza.
Vita…
Eccola, una piuma bianca, luminosa, che delicatamente cadeva a terra, in un tacito andare lento e dolce.
La ragazza sorrise, mentre continuava a rigirarsi tra le dita il ciondolo, sorridendo al ricordo di quella sera.
Lei gli aveva regalato un berretto, quasi per fare dell’ironia, e lui l’aveva ammirato: bianco, con una fascia grigio perla sulla visiera.
Ora non lo portava, la testa scoperta mostrava i capelli neri tagliati molto corti, alcuni ciuffi più lunghi accarezzavano il collo del portiere, mentre camminava nella neve, questa nevicata era più tranquilla delle ultime pesanti che erano venute in quei giorni.
A lui non piaceva molto la neve, la trovava troppo fredda.
Però, quando guardava la neve, gli sembrava di vedere il volto di Yuko, con quel suo sorriso misterioso.
Genzo sorrise, continuando a camminare per lo stradone, raggiungendo villa Wakabayashi, anche sotto la neve quella villa non perdeva quell’aspetto vagamente austero, che faceva intimidire chiunque si fosse fermato a guardarla.
Lui si era fermato a guardarla, con il sopracciglio inarcato, le iridi nere luccicavano di pensieri. Poi, di colpo…
*!PAM!*
-Oh mio dio! Scusami!-
il ragazzo si tolse la neve fredda, alcune gocce sciolte scivolarono lungo il collo rovente, provocandogli un brivido di gelo.
Neko lo fissò stupita, per poi scoppiare a ridere, seguita da Taro, mentre Inuki abbaiava, scodinzolando allegro.
Genzo li guardò infastidito, afferrando poi della neve e appallottolandola.
-VI FACCIO VEDERE IO!-
-AAAHH! AIUTO!-
le risate riecheggiavano in quella strada assolata, e Yuko restò in silenzio ad ascoltarle, sorridendo, gli occhi rivolti in un punto vuoto, poi scendendo dalla sua stanza.
Quando aprì la porta, poco ci mancasse che la colpisse una palla di neve, i tre ragazzi che la guardarono, mentre lei sorrideva, Inuki che subito gli corse incontro.
La ragazza teneva una sciarpa attorno al collo, e si era messa un cappotto abbastanza pesante, sedendosi sulla porta chiusa, restando in silenzio, mentre i tre ricominciavano la battaglia.
Yuko ascoltava, sorridendo tranquilla, il vociare allegro di quei tre pazzi, che se le davano di santa ragione a suon di palle di neve, Neko che agile balzava da una parte all’altra, evitando i colpi dei due ragazzi, mentre Genzo parava le palle di neve.
Alla fine, fu Taro che ci rimise, “sommerso” da una coltre di neve, tra le risate degl’altri due ragazzi.
Si voltarono di colpo, ascoltando la risata di Yuko, sentirla ridere era raro come guardarla negl’occhi, come riuscire a penetrare nei suoi pensieri.
Genzo sorrise dolce, ricordando l’unica volta che l’aveva vista ridere così.
Quel giorno, al campetto…con Taro…
Come scosso, il ragazzo con una banale scusa si allontanò di gran fretta, a passo di carica, suscitando la curiosità di Neko e Taro, e facendo sorridere Yuko, che si alzò in piedi, afferrando il bastone che si era portata dietro, intimando ad Inuki di stare con Neko e Taro, mentre lei si avviava a villa Wakabayashi, il suo sorriso dolce e misterioso dipinto sul volto.

Genzo aveva sbattuto il portone con rabbia, togliendosi di gran fretta il cappotto lungo nero, appoggiandolo con la sciarpa rossa sull’attaccapanni in salotto, il camino acceso sembrava furioso quanto lui.
Cosa, adesso, COSA aveva rovinato quella bella atmosfera?
Vedere Yuko ridere….gli era sembrato che il mondo fosse più leggero.
E allora cosa?

Taro…
Si, era geloso di quel ragazzo: geloso perché quel ragazzo possedeva come amica una ragazza che, dannazione, riusciva sempre a mischiare le carte dei sentimenti di Genzo, disponendole in un modo totalmente diverso.
Ma ciò che lo faceva più arrabbiare era che LUI la lasciava fare, e ogni volta si sentiva bene, quando osservava quel sorriso, quegl’occhi così belli, eppure così nascosti dalle avide ciglia nere, che come una rete a maglie larghe nascondevano quelle iridi.
Genzo Wakabayashi, il grande SGGK, si era perso dietro le iridi di una ceca!
No…Yuko non era una ceca.
Si schifò dei pensieri che aveva fatto, e si vergognò da morire per aver dato della ceca a quella ragazza.
Yuko…era straordinaria, non ceca.
C’era una bella differenza.
Perché, a dispetto di una persona con funzioni e vita normale, Yuko aveva un problema, ma riusciva a conviverci in maniera perfetta.
Ormai…lei era come una ragazza normale…e anche di più
Lei…lei era come…come l’autunno…
Calda, dolce, triste, malinconica, bella.
Terribilmente bella.
E lui si era invaghito di lei.
No, non era un desiderio carnale, come le sue storielle con le altre donne.
Con Yuko era diverso.
Lui voleva amare Yuko.
Amarla con il cuore.
Genzo scosse il capo, infastidito, passandosi una mano tra i capelli, dannandosi per non avere il suo berretto con se.
Il berretto…
Quasi come se una scossa elettrica lo attraversasse, con poche falcate i ragazzo salì le scale, raggiungendo a passo di carica la sua stanza, spalancando con un rumore sordo la porta, fissando un punto nella grande scrivania dall’aspetto virile.
C’era ancora.
Per un attimo, il ragazzo aveva temuto che non ci fosse più.
Genzo si avvicinò alla scrivania, ammirando con la coda dell’occhio il legno scuro tagliato in modo grosso ma al tempo stesso delicato, le decorazioni alle gambe e sul perimetro del tavolo davano un’ aspetto più virile al tavolo, mentre al centro una macchia bianca macchiava il colore scuro del legno.
Un berretto bianco, con una striscia grigio perla sulla visiera.
Genzo lo prese tra le mani, ammirandolo, quasi sentendo il calore dalle dita lunghe e affusolate della ragazza, che tenendolo per la visiera, gli toglieva quello rosso e gli metteva quello nuovo.
Poi…quella mano che si allungava per toccargli il viso…
E lui si era scostato…quasi scottato da quella figura dolce, che si limitava a sorridere, il sorriso tinto in una sfumatura i tristezza, facendo spallucce.
Ma perché, perché, dannazione?!
Perché…perché aveva avuto paura…
Paura che quella mano rovinasse ciò che si era creato tra i due.
Una amicizia che si saldava, si faceva forte, anche se apparentemente i due sembravano solo dei conoscenti.
Ma lui…
Lui voleva Yuko…
Voleva ammirare sempre il suo sorriso, le sue iridi nascoste, il suo viso dai lineamenti europei, il corpo magro e ben fatto, la sua bellezza gentile…
Genzo sospirò triste…
Ma lei cosa ci trovava in lui?
Lui era sempre stato molto orgoglioso e freddo, certe volte era anche presuntuoso, come aveva commentato Neko, quel giorno.
Era sempre stato un ragazzo freddo, che aveva paura che la violenza di quei sentimenti lo spaccassero come una statua di cristallo.
Per questo, ogni volta, si allontanava da quella mano.
Temeva che quella sensazione di benessere passasse quando quella mano sarebbe riuscita a sfiorare il suo volto.
E Yuko, sorridendo, si sarebbe ritenuta soddisfatta, e se ne sarebbe andata via, lasciandolo nel vento freddo dell’inverno.
Lui, invece, voleva ancora perdersi nel calore dell’autunno, poter sentire le brezze gli spifferi birbanti, oppure le ventate dolci, o i colpi freddi che sembravano tagliare le persone che colpivano.
Poter ammirare il cielo nuvoloso, i cirri gonfi sfumati di grigio e bianco che correvano veloci, incoraggianti dall’urlare di un vento troppo lontano per essere udito dalle sue orecchie.
Ma che Yuko sentiva benissimo.
Yuko…
-Yuko-
sussurrò quel nome, prima di sentire il campanello suonare, e correre giù ad aprire, anche se avrebbe preferito non vedere nessuno.
Restò di sasso, mentre osservava al figura dolce della ragazza, catalizzatore di tutti i suoi pensieri, il cappotto sulle spalle imbiancato dalla neve.
-Posso entrare?-
il ragazzo la fissò ancora un po’ ammattito, per poi scostarsi, facendola entrare, il bastone fece un rumore soffocato, toccando il tappeto rosso, quella banda gialla fosforescente sul rosso caldo del tappeto era come un pugno nell’occhio.
La ragazza si girò verso il portiere, che restò ancora sorpreso dalla presenza di lei, che si limitò a togliersi il cappotto.
-Dove lo metto?-
Genzo si riprese, prendendolo e appoggiandolo sull’attaccapanni, sopra il suo, accompagnando poi Yuko in salotto, la ragazza che tranquillamente si lasciava accompagnare, il bastone che emetteva quei rumori soffocati e vibrazioni morbide, segno che c’era un tappeto o una moquette per terra.
Si sedette sulla poltrona, assaporando il calore del camino li vicino, l’atmosfera che si respirava era si un po’ austera, ma incredibilmente serena e pacifica.
E dire che, pochi minuti fa, in quella casa aleggiava un’aria rabbiosa! Quasi come se stesse per scoppiare un temporale, un uragano!
Ma lei era stata come uno spiffero ladruncolo, portandola via con il suo sorriso, portando via quell’aura malvagia, lasciando solo la sua serenità.
Genzo si era messo sul divano, e l’ammirava alla luce soffusa del camino.
I colori caldi si riflettevano sul bel volto rilassato, le palpebre chiuse, come se stesse dormendo, le onde del mare dei suoi capelli castani assumevano il colore dell’oro fuso.
Indossava un maglioncino beige a collo alto, le maniche coprivano una parte delle mani, i jeans neri fasciavano le gambe magre e ben fatte.
Si era tolta gli scarponcini, bagnati, che erano rimasti vicini alla porta.
Bella…
Non da mozzare fiato, ma da restarne colpiti e affascinati…
Questa era la vera bellezza, secondo Genzo, che non le staccava gli occhi di dosso, ammirandola, contemplandola, quasi fosse davanti ad una visione.
La ragazza sorrise, quell’atmosfera così calma e pacifica era così bella.
Avrebbe tanto voluto…
-Vuoi qualcosa di caldo? Un the?-
il ragazzo la risvegliò da quel pensiero, e lei sorrise, annuendo con il capo.
-Si, magari…-
il ragazzo tornò velocemente con due tazze fumanti, temendo che quella visione fosse svanita.
No, lei c’era ancora li, seduta sulla poltrona, in silenzio, ad assaporare quell’atmosfera.
Genzo le offrì la tazza, e lei sorrise, per un attimo rischiarò i pensieri del ragazzo, che imbarazzato si mise comodo sul divano, passandosi una mano tra i corti capelli neri.
Yuko ascoltò lo sbuffare stanco del portiere, e ne ascoltò i respiri affaticati, quasi come se qualcosa lo crucciasse.
-Immagino…che ti starai chiedendo perché sono qui…-
Genzo la guardò lei sorrideva, sorseggiando a tratti il the caldo.
-In effetti non trovo il motivo della tua visita inaspettata…-
lei sorrise, appoggiando la tazza calda sulle gambe, socchiudendo gli occhi, per poi alzare lo sguardo davanti a se, in un’espressione di serenità.
Il ragazzo restò in silenzio, il cuore si allargava e stringeva contemporaneamente: quelle iridi così belle…di sicuro senza il velo della cecità dovevano essere meravigliosi…e quel suo modo di guardare il mondo, con gli occhi socchiusi, nascosti alla vista di qualche curioso, che brillavano con forza.
-Ecco…mi domandavo come mai così, all’improvviso, dopo essere riuscito a battere Taro, te ne sei scappato, con una scusa che direi abbastanza stupida…-
Genzo la fissò stupita, mentre lei tranquillamente posava la tazza su tavolo, alzandosi e a tastoni sedendosi accanto a lui sul divano, il tutto in una naturalezza incredibile.
-Genzo…-
quel modo di sussurrare il suo nome…quella mano che delicatamente si posava sulla sua spalla…
Quella era una piccola strega…un angelo bellissimo…
Lei si limitò a scuotere il capo, non ricevendo altro che silenzio, e si appoggiò con il capo sulla spalla grande e forte del portiere, che sussultò.
-Genzo, ti prego…sono preoccupata per te…-
-Perché…-
lei si scostò dalla spalla, restando colpita da quella domanda.
-Perché…ti preoccupi per me? Hai…Taro…-
Ecco il motivo del suo comportamento…
Lei sorrise soddisfatta, accarezzandogli la spalla, per poi scendere lungo il braccio fino alla mano, prendendogliela.
-Taro è un mio caro amico d’infanzia…un fratello…
Ma tu…
Tu sei…come il mare…
E io…ho sempre amato il carattere scostante del mare…-
Il ragazzo strinse con delicatezza ma al tempo stesso con forza quella mano, appoggiando la fronte contro quella della ragazza, che sorrise dolce.
In silenzio, così, le fronti appoggiate, le mani che si stringevano, mentre il caminetto scoppiettava allegro.
Genzo desiderò con tutto se stesso che, quel momento, quella sensazione di benessere, fosse bloccata, si ghiacciasse, in modo da rimanere perpetua nel tempo, custodendola in fondo al cuore come un gioiello prezioso.
Yuko, invece, si scostò, socchiudendo le iridi, allungando una mano.
Genzo si scostò ancora, spaventato, e lei sorrise triste.
-Ancora no…-
lei si alzò dal divano, e lui si maledisse, imprecando, fermando con una mano la ragazza, che nel frattempo si allontanava.
Lei restò ferma, aspettando silenziosa la prossima mossa del portiere, che senza pensarci due volte la strinse a se.
Non voleva lasciarla andar e via.
Voleva aver e accanto a se ancora la sua dolcezza, ammirare il suo sorriso e le sue iridi socchiuse.
Assaporare ancora il contatto delle loro mani unite.
La strinse a se, il corpo magro era avvolto dalle sue braccia grandi e muscolose, che lo avvolgevano con dolcezza, come un germoglio di fiore delicato.
Lei sorrise, aderendo a quel torace muscoloso, le sue mani che tastavano felici quella composizione di fasce muscolari e tendini, un esempio perfetto di anatomia creata dopo anni e anni di duri allenamenti.
Restarono così in silenzio, abbracciati, ad assaporare quella serenità che aleggiava tra i due.
Lei in altezza raggiungeva la sua spalla, e alzandosi in punta di piedi lo raggiungeva in volto, il fisico magro gia di suo appariva ancora più minuto sotto quel canone di bellezza, che ricordava molto le statue greche al tempo ellenistico, o come quelle di Roma durante l’impero.
-Resta…-
lei si scostò un attimo, giusto per lasciare al ragazzo la possibilità di guardarla in viso.
Lentamente, lei alzò il capo, e dischiuse, come boccioli di rosa che si schiudevano alla luce del mattino, le sue iridi.
Centinaia e centinaia di stelle, che erano catturate dalla nebbia del mattino, che le imprigionava, legandole a se, illuminando l’immensità di una prateria verde, le cui sfumature pallide la rendevano ancora più infinita e luminosa.
Due piccole chiazze grigiastre, come cirri di nuvole, che sembravano fissare Genzo, che era rimasto sbalordito e affascinato da quegl’occhi così belli e meravigliosi.
E la sua voce pareva il canto di cento arpe e cento violini.
-Resterò…questa notte resterò…-
il portiere le accarezzò il viso, e Yuko chiuse gli occhi, nascondendo ancora una volta quello spettacolo, assaporando il calore di quelle mani così forti e leggermente ruvide al contatto con la sua pelle morbida di seta, le dita del portiere s’intrecciarono con le onde di quel mare castano, che ora aveva le sfumature dell’oro più dorato.
Una mano di Genzo si fermò ad osservare il ciondolo che la ragazza portava al collo, il ragazzo sorrise con dolcezza.
-Lo sapevo che ti stava bene…-
lei annuì, fissando un punto vuoto sul torace, passandoci sopra le mani, che sapienti tastavano i muscoli duri sotto il maglione caldo del ragazzo, che sorrise, sfregando poi una guancia contro quella di Yuko.
Lentamente, i due si separarono, sui loro corpi e sui loro visi il calore di quel contatto così bello e profondo.
Yuko restò in silenzio, gli occhi semichiusi che fissavano davanti a se, il suo sorriso dolce e misterioso, mentre Genzo l’ammirava, tenendole stretto una mano, quasi temesse che scappasse via da lui.
Poi, la ragazza staccò anche quell’ultimo contatto, tornando a sedersi sulla poltrona, finendo di sorseggiare il the ormai tiepido, mentre il ragazzo sorrideva dolce, ammirandola.
Come l’autunno…
Sfuggente, portato via dal Maestrale, che intonava con spifferi soprani e brezze contralte melodie di musica infinita, che passavano veloci tra le foglie, producendo il suono di fruscii e tocchetti leggeri.
L’autunno freddo, piacevole da passare con addosso un maglione caldo…
Il profumo delle caldarroste e della frutta secca che inondava i pensieri di chiunque si fosse fermato ad annusare.
L’autunno rosso e marrone, dalle sfumature dorate, un grande tappeto di foglie rosse mischiate al marrone e al giallo orato, che come fuoco incendiava la strada grigia e priva di vita.
E quelle iridi verdi che si socchiudevano, ascoltando il canto del vento, oppure udendo il rumore della neve che cadeva.
Ora quelle iridi fissavano un punto vuoto della stanza, ed assumevano sfumature di tristezza, che fecero mettere in ansia il portiere, mentre Yuko finiva di bere il suo the, appoggiando la tazza sul tavolo, tastandone la durezza e il taglio molto semplice.
-Ho sentito da Sanae…che tornerai ad Amburgo…-
Genzo la guardò stupito, per poi sbuffare, passandosi una mano tra i corti capelli neri, avvicinandosi alla ragazza, che restava in silenzio, ascoltando i passi silenziosi del portiere, che si mise seduto su uno dei braccioli della poltrona, prendendola per le spalle e attraendola verso il suo corpo, il capo che si appoggiava un po’ sopra il ventre piatto, una mano di Yuko giocherellava con un ciuffo, mentre l’altra s’intrecciava con la mano del ragazzo, che restò in silenzio, prima di rispondere annuendo.
-Appena finirà questo giro di partite si, tornerò ad Amburgo-
-Quindi tra tre mesi…-
In tre mesi l’aveva conosciuto, e in tre mesi l’avrebbe perso.
Come corre il tempo, quando si sta bene…
Genzo si mordicchio il labbro, mentre la mano libera accarezzava il volto liscio caldo di Yuko, che si appoggiò con il capo su una gamba del portiere, lasciandosi accarezzare il capo, i capelli ondeggiavano lungo le spalle, accarezzandole la schiena e il petto.
Restarono così, in silenzio, fino a quando Yuko alzò il capo stupita, socchiudendo le palpebre, corrucciando le sopracciglia, e guardando un punto nel vuoto.
-Cosa?-
era sussurrato, quasi per non rompere l’atmosfera calda e serena, e Genzo la guardò, stupito di come ci sentisse bene. Ripeté la richiesta, imbarazzato, stringendo la mano della ragazza.
-Vieni con me ad Amburgo…-
...
Yuko restò colpita dalla richiesta, e dopo un attimo d’incertezza sorrise, abbassando il capo. -Sai cosa mi stai chiedendo?-
Genzo la guardò, triste, mentre stringeva la mano di Yuko, tra le sue dita quelle della ragazza erano fragili e delicate, lunghe e affusolate, dal candore che sfumava in un rosa pallido.
-Lo so che ti chiedo tanto…però…-
Genzo scivolo giù dal bracciolo, la poltrona era abbastanza larga da farlo stare seduto, appoggiando il capo della ragazza sul suo petto, tenendola per la vita.
-Però…non ti voglio lasciare…vorrei poterti….poterti stringere sempre a me…-
lei ascoltava, sorridendo dolce, poggiando una mano sul petto del portiere, l’altra sempre intrecciata a quella del ragazzo, le dita di lui erano grandi, forti e calde, quasi ardenti.
Genzo le baciò il capo, assaporando il profumo di frutta secca e vaniglia che emanavano, coccolandola con carezze sulla schiena e sul viso.
-Non voglio metterti fretta…pensaci…però sappi…che quando me ne andrò in Amburgo…temo che non ci rivedremo per molto tempo…-
-Questo lo so…ma non posso lasciare sola Neko…non adesso…-
Genzo non chiese altro, udendo il sussurrare soffocato della ragazza, limitandosi a stringerla a se, lei che restava con il capo appoggiato al petto del portiere.

Nella luce tu stavi là
dritta in piedi ed io ero qua
ti guardavo come se
se esistessi solo te
perso dentro negl’occhi tuoi
nel profumo che tu fai
poi un bacio ed ecco che
tu da allora stai con me

Quando si era risvegliato, in camera da letto, lei non c’era più.
Alla fine, erano saliti in camera, la poltrona era decisamente troppo scomoda.
Erano rimasti tutta la notte abbracciati, a coccolarsi a vicenda.
Senza parlare, solo a sfiorarsi.
Lei non aveva toccato il viso, come desiderio del ragazzo, intrecciando molto spesso le sue mani avide di curiosità con quelle del ragazzo, frenando il suo desiderio di scoprire quel volto, quel volto che non riusciva a vedere, nella nebbia dei suoi occhi.
I suoi occhi.
Genzo chiuse gli occhi, e li rivide.
Brillanti, infiniti, velati dalla nebbia del mattino, verdi e immensi come le praterie dell’Irlanda, illuminati dalla rugiada del mattino e dalle stelle incatenate ad un incantesimo.
Così belli e splendenti…il velo della cataratta li rendeva solo leggermente più pallidi.
Ma erano comunque meravigliosi…come lei…
Lei…che l’aveva lasciato nel dubbio di quella richiesta…
“Vieni con ad Amburgo”
Ma come poteva chiedergli una cosa del genere?
Gli aveva lasciato il tempo di decidere, ma tre mesi erano pochi…
E passavano in fretta…
Tre mesi…
Tra partite e allenamenti, conferenze ed altro, non si sarebbero più rivisti.
Il silenzio della neve non sarebbe riuscito a calmare il vuoto che si era creato a villa Wakabayashi, dopo la visita di quell’angelo…
Quell’angelo ceco…
Genzo si alzò in piedi, sbuffando come una locomotiva, aprendo la massimo l’acqua della doccia, tentando di lavarsi via le sue incertezze e i suoi dubbi.
Nella sua mente, il ricordo di frutta secca e vaniglia, e un sorriso dolce che lo aveva fatto perdere in un limbo oscuro ma pieno di serenità.

Neko sentì sua sorella tornare verso le sette, e subito aveva sentito la sua voce che tentava di calmare un irrequieto Inuki, che sembrava volerla sgridare, saltandogli addosso e uggiolando, abbaiando a tratti.
-Calmati, piccolo, ora sono tornata-
-Dov’eri? Sai che mamma era in ansia quando mi ha chiamato, perché non ti aveva più sentito?-
Yuko si mise una mano sulla fronte: doveva chiamare la mamma la sera precedente. Invece…invece era rimasta a dormire da Genzo, accoccolata tra le braccia del portiere, lasciandolo nel mondo dei sogni, ascoltando sorridente il respiro sereno, mentre le sue mani aveva attraversato per un attimo quel corpo ben fatto, ancora vestito dei jeans e del maglione.
-Hai ragione, Neko…-
-Com’è andata?-
Yuko si fermò, stupita nel sentire la voce allegra e curiosa di Neko, che in quel momento saltellava verso la sorella, curiosa.
-Piccolo gatto curioso, guarda che non ti dico niente!-
-Eh, dai, Yuko! Dimmi cosa è successo tra te e Wakabayashi!-
le due passarono il tempo a “litigare”, ridendo e divertendosi, Inuki che abitava, saltando da una parte all’altra.
Alla fine, si calmarono, e silenziose si sdraiarono sul grande tappeto persiano del salotto, i capelli di Yuko sparsi formavano un’aureola dorata, mentre Neko si era messa sulla sua pancia, lasciandosi accarezzare il volto dalle mani sapienti di Yuko, che sospirò, dubbiosa.
-Mi…mi ha chiesti di seguirlo ad Amburgo…-
era sussurrato, lo scoppiettio del camino si confondeva con la sua voce.
Ma Neko ci aveva sentito benissimo, ed aveva spalancato gli occhi, per poi socchiuderli, il sorriso si era tinto di tristezza, mentre Yuko delicatamente lo tastava con i polpastrelli magri, sospirando.
-E…tu…cos’hai deciso?-
-…ancora niente…-
-...seguilo…-
Yuko restò abbastanza sorpresa dell’affermazione di Neko ,che si mise seduta, ad osservare la sorella apparentemente addormentata, i realtà sveglissima, i suoi occhi si socchiusero, le iridi nascoste dalle lunghe ciglia, che nascondevano anche il brillare della sua tristezza e malinconia…
-…non posso lasciarvi sole…tu e la mamma…e anche Inuki…-
-Yuko, ormai non devi più preoccuparti per noi. Adesso, fra qualche settimana, il venti Gennaio, fai vent’anni, sei ormai maggiorenne e consapevole delle tue scelte.
E’ tempo che tu ti faccia un futuro…-
-Hai ragione, ma cerca di capire…potrei non tornare mai più da voi…-
Neko sorrise affettuosa, abbracciandola, Yuko si era alzata in piedi, e si stringeva a Neko, che la coccolava, le parti si erano scambiate, ora la piccola faceva da sorella maggiore.
-Sei rimasta con noi per diciannove anni, ormai quasi venti. E’ tempo che tu lasci il nido e voli, uccellino-
-Ma questo uccellino potrebbe andare a sbattere contro un albero…-
a volte queste sue ironie erano insopportabili, ma Neko ci passò sopra.
-Questo uccellino non sarà solo, perché ci sarà una mano che lo aiuterà a risollevarsi.
La mano di Wakabayashi…
Sempre che tu…lo ami…-
Yuko restò in silenzio a questa affermazione, tornando poi a sdraiarsi, seguita dalla sorella.

Ho scritto solo la prima strofa, ma l'ho fatto apposta!
COMMENTI! GRAZIE!

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Capitolo 5
*** Le vie del destino... ***


La ragazza restò in silenzio, mentre avvertiva i passi veloci di Neko che scendeva le scale, mentre qualcuno suonava alla porta, Inuki abbaiava nervoso.
-E’ Taro…-
Neko la guardò stupita, per poi sorridere, ed aprire la porta, trovandosi di fronte lo sguardo dolce di due iridi color nocciola.
-Caspita! Yuko non ne sbaglia una!-
Taro si limitò a ridere, divertito dal benvenuto di Neko, che arrossì imbarazzata, per poi ridere con lui, facendolo entrare.
Yuko sorrise, mentre appoggiava sul tavolo lo straccio che stava usando per pulire il vetro della finestra, scendendo dalla sedia, mentre Taro le si faceva incontro, schioccandole un bacio sulla guancia, affettuoso.
-Ciao. Tutto bene?-
-Si, non c’è male. Si sente che il freddo se ne sta andando-
Yuko si strofinò le mani sulle braccia, coperte dal maglione caldo di colore verde scuro, i capelli erano legati in una coda morbida, che la ragazza con un gesto fluido sciolse, lasciando libere le onde di quel mare castano.
Taro l’ammirò, mentre Neko risaliva in camera, a finire di studiare, seguita da Inuki sotto comandi di Yuko, la ragazza si spostò sui fornelli della cucina, tastando con attenzione e trovando con memoria da elefante tutto l’occorrente per fare del the.
-Mettiti comodo, Taro. Io preparò un po’ di the-
il ragazzo si limitò a togliersi il cappotto per poi sedersi e ammirare la figura sottile e gentile di Yuko, che con precisione certosina sistemava il tutto per il the, misurando il peso della teiera pe vedere quanta acqua c’era.
Questa cosa, agl’occhi di uno sconosciuto, possono essere cose incredibili, ma per gli occhi di Taro e degl’altri era normale, ormai aveva imparato ad osservare Yuko con occhi attenti.
La ragazza poteva vantare anche di alcuni pregi che la differenziavano anche dagli uomini normali. Un udito e un tatto molto sensibile, ed una straordinaria memoria, che le permetteva di ricordarsi le strade che percorreva, le persone che conosceva, i luoghi dove doveva andare.
Se fosse stata capace di farlo, sarebbe riuscita a tracciare la mappa di Fujisawa interamente solo grazie ai suoi ricordi!
Purtroppo, però, Yuko non si poteva permettere di scrivere, ne tantomeno di disegnare.
Poteva solo spiegare a Neko cosa doveva fare, e la sorellina dalla mano di artista ritraeva ciò che Yuko le descriveva.
Taro restò in silenzio, mentre osservava il corpo magro e slanciato di Yuko, che si allungò per prendere le tazze, che erano messe in uno scaffale in alto.
-Hai bisogno di una mano?-
-No, grazie Taro. Ho fatto-
Yuko agitò una delle due tazze, tenendo gli occhi chiusi, poggiandole accanto al fornello, dove stava bollendo l’acqua.
Il ragazzo l’ammirò, silenzioso: i capelli lunghi e ondosi, gli occhi socchiusi di colore verde, le ciglia nere che come una rete nera li copriva; il corpo magro e aggraziato, simile a quello delle ballerine, le gambe lunghe e magre, fasciate dai jeans blu scuri.
Quell’aria adulta, affettuosa, avvolta da un’alone di mistero, che aveva sempre affascinato i ragazzo, che si alzò dalla sedia, avvicinandosi alla ragazza.
Yuko avvertì i passi di Taro e avvicinarsi, e si limitò a sorridere, mentre trafficava con le bustine del the e con lo zucchero.
I ragazzo ammirò ancor ala sua figura dolce e sottile.
Bella…
Bella e gentile…
Come…come un fiore di pesco…aggraziata…proprio come le ballerine….
Ballerine…Lucille….
Gia….Lucille…lui ci stava, era una ballerina dalle grandi doti e ambizioni…
E a causa di quelle ambizioni che lei lo lasciò.
In fondo, però, Taro sapeva che sarebbe andata così…
Perché, in fondo, lui non l’amava veramente…
Lui…amava…
Il ragazzo abbracciò da dietro Yuko, stupendo per un momento la ragazza, che sorrise, mentre lui si appoggiava al muro della cucina, stringendola a se.
Lui amava Yuko…l’amava da sempre…
Amava la sua grazia, la sua dolcezza…il suo alone di mistero…
-Je t’aime, Yuko-
-Taro…-
la ragazza si staccò dolcemente dalla presa del ragazzo, avvicinandosi alla teiera che fischiava, spegnendo il gas e riempiendo le tazze di acqua, per poi metterci le bustine di the.
Yuko sapeva che Taro l’amava, glielo aveva gia detto.
-Prima a Parigi.
Poi a Roma…
Anche qui, Taro? Non vuoi proprio dimenticarmi?-
Yuko gli aveva sempre detto che per lei lui era come un fratello, un amico prezioso, un angelo custode, ma non oltre…
Ma Taro non avrebbe mai rinunciato.
-Yuko, potrei ripeterlo ogni volta che me lo chiedessi. Io ti amo, e lo sai…-
-E anche per questo Lucille ti ha lasciato? A proposito, non ti ha chiamato?-
Taro si trovò imbarazzato, grattandosi dietro il capo, mentre Yuko portava le tazze sul tavolo più grande per poi mettere a posto la roba che aveva utilizzato.
-Gia…mi ha chiesto di raggiungerla a Parigi, appena finito il campionato…-
-E tu…-
-Io ho detto che non potevo raggiungerla. Primo perché mio padre era in Belgio…
E poi c’eri ancora tu…nel mio cuore…-
Yuko scosse di nuovo la testa, sorridendo sofferente, le parole di Taro le stringevano molto il cuore.
Lucille amava molto Taro, ma lui le aveva spiegato chiaramente che lui amava solo Yuko.
Lucille lo aveva lasciato per questo.
Poi, certo, le sue ambizioni l’avevano portata lontano, verso il successo.
Ma la ragazza ci soffriva.
Ne aveva discusso con Yuko proprio qualche giorno prima, al telefono.
La francese aveva spiegato che avrebbe potuto anche vendere l’anima al diavolo, pur di riavere Taro.
Ma lui aveva ancora nella testa e nel cuore la ragazza cieca, che si era rimasta veramente male…
Anche a Roma si erano rincontrati, e questa volta lei gli aveva spiegato bene la situazione.

“Tu sei un caro amico, ma non puoi chiedere un amore che non ti posso dare. Il legame che mi lega a te è un legame di tipo affettivo. Per me sei come un fratello. Ma niente di più”

Gli aveva fatto male, lo sapeva bene, ma come poteva non negare?
Il ragazzo si avvicinò a Yuko, e al strinse ancora, questa volta con più forza, mentre Yuko restava in silenzio.
-Yuko, ti prego. Perché non mi ami?-
-Perché quello che mi lega a te è un legame fraterno, tu per me sei l’amico più prezioso.
Ogni volta che volevo sfogarmi c’eri tu.
Ma…l’amore…è diverso…-
Taro scosse il capo, e strinse ancora di più la ragazza, accarezzandole il capo.
-…Yuko…ti prego…-
Taro la guardò in volto, lei che teneva le sue iridi verdi socchiuse, le ciglia nere gelose le nascondevano allo sguardo affamato di Taro, che cercava di poter assaporare le emozioni che provava quando guardava gli occhi velati di Yuko.
-…Vieni…con me….in Belgio…-
Yuko spalancò per un secondo gli occhi, ritraendosi di scatto da Taro, stringendo una mano sul cuore che gli doleva da morire.
Perché le faceva male?
Un ragazzo senza volto si insinuò nei suoi pensieri, un ragazzo dal volto coperto da un berretto rosso.
E la sua richiesta.
“Vieni con me ad Amburgo…”
Che fare? Dove andare?
Yuko si sentì inspiegabilmente persa, una sensazione che odiava, lei che nella vita non poteva perdersi, o sarebbe morta…
Perdersi per lei significava morire.
La ragazza si strinse le mani al cuore, supplicando di non aver sentito quelle parole…
Sperando che Taro…
-Sta…scherzando? Vero?-
Taro si erreggeva alto e fiero nella sua statura alta, Yuko lo raggiungeva di poco alla spalla, e le mani del ragazzo si appoggiarono sulle spalle fragili di lei, che tremò leggermente, avvertendo quel tono di voce caldo, gentile, sicuro, deciso, che le soffiava sul collo e sull’orecchio.
-Non sono mai stato così tanto serio. Vieni con me in Belgio…-
-O mio dio…-
la ragazza si scostò, appoggiandosi alla parete, avvertendo che le gambe non la reggevano, tremava vistosamente, e questo mise in allarme Taro, che si avvicinò, allontanato poi da una mano di Yuko, che si voltò, coprendo la visuale del suo viso turbato…
Taro la guardava sospettoso, non riuscendo a capire cosa…
Poi…
Il ragazzo la guardò serio e arrabbiato.
-Cosa ti ha detto Genzo?-
Yuko si fermò nel tremare, e sbuffò, un sospiro lungo che la calmava, un sospiro lungo e triste.
-Mi…mi ha chiesto…di…di seguirlo ad Amburgo…-
Taro la guardò, scosso, per poi avvicinarsi a lei, stringendola ancora, questa volta con prepotenza.
-Io…io non voglio che tu lo segua…
Io ti amo, TI AMO!
Ti renderei veramente felice!
E poi…non lo voglio… non voglio che tu ti allontani ancora da me…-
Yuko sentiva benissimo i singhiozzi che stavano per salire in gola a Taro, che guardò la ragazza scuotere la testa triste, e sorridere con sofferenza, come se in quel momento avesse un coltello nel petto.
-…ho bisogno i tempo per decidere…anche se…-
-…il tempo è l’unica cosa che ne io ne Genzo possiamo darti…-
Taro si slacciò dall’abbraccio, Yuko avvertì il gelo afferrarla per qualche istante, per poi udire di nuovo il tono caldo e gentile di Taro.
-Deciderai tu, e sono sicuro che farai la scelta giusta. Su, ora beviamo questo the, prima che diventi freddo-
Yuko restò per un momento i silenzio, per poi sorridere, annuendo con la testa.
-Si, hai ragione…-

Neko stava rovistando tra le vetrine, alla ricerca di un regalo per Yuko, il giorno dopo la sua sorellina avrebbe compiuto vent’anni!
Conoscere i gusti di quella ragazza era impossibile.
Era sempre misteriosa, anche con Neko e con la madre, non aveva mai mostrato veramente com’era veramente, e le uniche volte che lo aveva fatto era stato quando era ancora in vita il padre.
…papà…
Neko si strinse gli occhi, sorridendo amara.
Il padre…
Si ricordava delle mani del padre, quando si allungavano verso di lei, accarezzandola, prendendola per la mano, raggiunta da Yuko e dalla mamma.
Si ricordò perfettamente quel giorno.
Lei era triste, gli si era rotta una bambola, il braccio.
Stava piangendo, quando vide quella mano.
Era grande, forte, dalle dita lunghe, una fede d’oro sull’anulare, una leggere peluria, il colore olivastro della pelle.
Poi aveva visto quel grande sorriso, quegl’occhi azzurri, con pennellate di grigio chiaro-grigio scuro, che riflettevano un carattere dolce e sereno.
Si…suo padre era un uomo molto paziente e serio al lavoro, e molto dolce e affettuoso in famiglia.
Sua madre gli aveva raccontato che si erano conosciuti ad un party, dopo una delle sue prime sfilate, e li lo aveva conosciuto.
“Era un uomo molto affascinante, con quel sorriso molto calmo e carismatico, molto simile a quello di Yuko…”
si…Yuko aveva di sicuro il sorriso del padre.
E lei…
“Tu hai la sua passione per la pittura, la forma del volto…”
e i suoi problemi di cuore…
No, come avevo gia detto, Neko non dava colpa al padre.
Era stata sfortuna .
L’aveva chiamata Neko, gatto…
Perché…
“Quando tua madre stava in ospedale, c’era un gatto dal pelo lungo e rossiccio, un bel gattone, che spesso si metteva sul davanzale della camera di tua madre, li dove si prendeva meglio il sole…”
da li, Neko.
Era così orgogliosa del suo nome.
Neko scosse un attimo la testa, il filo dei suoi pensieri si era bloccato, mentre un ricordo si insinuava nell’intreccio dei suoi ricordi.
Il regalo di Yuko!
Si guardò ancora intorno, tra le vetrine, e si era messa a correre, quando era andata per l’ennesima volta a sbattere contro qualcuno, che però era riuscito a trattenerla per la mano, mantenendola in piedi.
-Mi scusi!-
-Dev’ essere una tua abitudine, micetto!-
la ragazza spalancò gli occhi verdissimi, riconoscendo la voce e la figura di Kojiro, che le sorrideva divertito.
In un attimo, la ragazza divenne rossissima, le guance erano avvampate, mentre velocemente si separava da Kojiro, tenendo lo sguardo basso.
-Scusami!-
-Ehi, non temere. Non mi sono fatto niente!-
i due risero, per poi cominciare a passeggiare per i negozi, Neko per cercare il regalo per Yuko, Kojiro per farle compagnia.
Neko lo ammirò, il ragazzo portava un cappotto nero imbottito che però faceva notare la grandezza delle sue spalle, i jeans fasciavano le gambe magre e muscolose.
Il cappotto aperto all’inizio lasciava intravedere una felpa chiara, che faceva risaltare il colorito scuro della pelle, gli occhi neri e i capelli selvaggi lo rendevano ancora più…esotico!
Neko arrossì lievemente, per poi fermarsi davanti ad un negozio, il “Chikyuya” (mi sono ispirata a “Sussurri del cuore”. Vi consiglio di leggerlo! E’ un manga delizioso! N.d.M.)
Ammirò affascinata gli oggetti che vendeva, penne, bambole antiche, oggetti dal fascino misterioso.
-Qui!-
Kojiro annuì, seguendola dentro il negozio.
Una zaffata di legno di cedro vecchio l’investì, tutto aveva un’ aspetto vecchio e….affascinante…
Sembrava un negozio dell’Europa vecchia del Quattrocento-Cinquecento, le vetrate in alcuni punti erano colorate come quelle delle chiese gotiche, e il sole che quel giorno brillava abbastanza lasciava macchiare il pavimento di luci rosse, violacee, gialle, bianche, azzurre.
Neko passava tra le vetrate, lasciandosi colorare le mani e il corpo, il cappotto scuro si tingeva di verde, la gonna e le calze erano squarciate di azzurro, mentre un raggio rosso infuocava ancora di più i capelli ramati.
Kojiro l’ammirava, ricordava uno di quei folletti delle favole, o come una deliziosa fatina dei fiori.
Gli sembrava persino di vedere delle ali spuntare dietro la schiena di quella ragazza…deliziosa.
Simpatica…allegra…vivace…bellissima.
Neko si voltò , e gli sorrise, continuando a camminare tra le vetrate, le “ali” dietro la sua schiena sbattevano allegre in un ronzio piacevole, mentre i ragazzo la seguiva da lontano.
Alla fine, le ali svanirono, fermando il loro ronzare, mentre la ragazza si soffermava ad osservare un oggetto, sopra una mensola messa in bella mostra.
-Trovato qualcosa?-
-Guarda-
Neko puntò il dito su di una bambola, e Kojiro la guardò, abbastanza colpito.
Era una bambola di porcellana, in piedi, che rappresentava una bellissima bambina, il vestito lungo a maniche lunghe, azzurro, un bel fiocco blu al centro, le scarpette nere con le calze bianche come il sotto vestito, un ombrellino tra le mani, celeste, e un cappello di paglia con un nastro, tenuto fermo da una mano; l’espressione ridente, felice.
Kojiro ne ammirò soprattutto le fattezze e i tratti del viso, stupendosi di quanto fosse realistica.
Sembrava proprio una bimba vera, che si teneva in mano il cappellino, lunghi capelli biondi riccioluti, gli occhi leggermente socchiusi di un celeste pallido, il sorriso dolcissimo e felice.
-E’ bellissima!-
-Mi ricorda un po’ Yuko e me da piccole…eravamo sempre così allegre, così serene…-
il ragazzo si voltò, gli occhi di Neko velati di una leggera malinconia triste, che però la rendeva ancora più affascinante, rendendo quel viso dapprima da ragazzina adesso da una donna matura.
Nonostante i suoi sedici anni, Neko sembrava in certi suoi comportamenti una donna di venti, a volte le parti della due sorelle s’invertivano.
-E…adesso?-
Neko si voltò a guardare negl’occhi il ragazzo, le braci ardenti sembravano voler accarezzare il suo sguardo verde, alcuni ciocche di capelli neri scivolavano sul volto lungo e ben fatto, dall’incarnato abbronzato.
Lei sorrise, adesso la somiglianza con Yuko era straordinario, certe volte quelle due sembravano gemelle.
-Adesso…siamo serene…viviamo nella realtà del mondo…-
quell’aura così misteriosa si era posata in lei.
Passarono molto tempo a guardarsi, poi Neko arrossì, guardando un altro punto, e sorridere entusiasta, mentre si avvicinava ad una scatolina in una mensola alta, puntandola con il dito.
-Questa!…-
la ragazza si alzò sulle punte, cercando di raggiungerla, la mensola era molto alta.
-Aspetta…-
Kojiro allungò una mano, afferrando la scatolina, ammirandola alla luce bianca di una vetrata: d’argento, con sul coperchio l’intarsio di una composizione di fiori, le decorazioni abbellivano i lati e il fondo della scatola, dentro era coperta da velluto rosso.
Neko l’afferrò con dolcezza, sfiorando la mano del ragazzo, sorridendo contenta.
-E’ perfetto. Grazie!-
la ragazza corse a pagare, lasciando un perplesso Kojiro, che sorrise facendo spallucce, raggiungendola, mentre lei usciva da negozio.
-Kojiro! Finalmente!-
i due si voltarono, e Neko osservò stupita e spaventata la figura di Maki, che si voltò un attimo a lanciarle un’occhiata infastidita, per poi prendere per il braccio del ragazzo, stringendolo con forza, tirandolo verso di se.
-Dov’eri finito? Ti ho cercato dappertutto!-
-Scusami, ma avevo aiutato Neko a cercare un regalo per Yuko. Ci vediamo domani!-
Neko lo salutò con un sorriso, scoccando poi un’occhiataccia di rabbia a Maki, che la guardò stupita, per poi lanciarle quasi un lampo in uno sguardo, allontanandosi a grandi passi con Kojiro, che si voltò a guardare quel dolce micetto, che gli sorrideva allegra, agitandogli una mano in segno di saluto.

Due mesi…
Erano passati due mesi…
Quanto passa veloce il tempo…
Yuko alzò il capo, continuando ad ascoltare con le cuffie la canzone italiana.
Le piaceva molto la musica italiana e irlandese, le trovava molto affascinanti.
Amava molto stare seduta sul davanzale della finestra, con un maglione caldo, la testa appoggiata al vetro, con la radio accesa o il lettore cd alle orecchie, Inuki ai suoi piedi sonnecchiava tranquillo, segno che Yuko stava bene.
Inuki era il catalizzatore delle emozioni e dei pensieri di Yuko, e ogni volta che si voleva scoprire come stava Yuko, bastava dare un occhiata al cane.
Solo quel suo sorriso misterioso rimaneva tale, nemmeno il cane riusciva a capire cose pensasse la sua padrona.
Yuko canticchiava, con gli occhi chiusi, battendo a ritmo le dita sul legno lucido e leggermente ruvido del davanzale.
In quel momento, Inuki alzò il capo.
Yuko stava riflettendo sulla sera precedente.
Quel giorno, tra poco più di un’ora, ci sarebbe stata la partita per le semifinali.
Neko sarebbe andata allo stadio, mentre lei sarebbe rimasta a casa, anche se Sanae l’aveva pregata di raggiungerla.
Lei aveva scossa la testa, sorridendo tranquilla.
“Cosa ci farebbe un ceco in uno stadio? E, comunque, oggi non mi sento molto bene…”
in realtà, era ancora turbata sulla proposta di Genzo.
Anche perché non era l’unico che gli aveva chiesto di seguirla…
Yuko sbuffò, stanca, si sentiva stanca di questa situazione.
Era molto indecisa, e questo non le piaceva molto.
Giocò distrattamente con il suo ciondolo, per poi soffermarsi a tastarlo, e gli sembrò di sentire la mano di Genzo che le sfiorava il medaglione, mentre un braccio la legava in vita.
Avvertiva quel calore…quella dolcezza…
Genzo…

“Vorrei poterti stringerti sempre a me”

la ragazza più ci pensava, più si sentiva la testa pesante.
Genzo l’amava, ma lei?
Lei non poteva seguirlo se non sapeva cosa provava, sarebbe stato come prenderlo in giro.
Genzo…
Pensò al ragazzo, ma lo vide di schiena.
Quando lo girò, non vide altro che la sua ombra, nascosta dal capellino.
Non riusciva a vederlo in faccia.
Eppure…avrebbe voluto vederlo in faccia…
Potergli sfiorare quel volto, che sapeva di virilità…
Allungare una mano e…
Yuko si accorse di aver allungato la mano verso il vuoto, e velocemente la ritrasse, come se si fosse scottata.
La ragazza pensò intensamente ad un viso, ma quello che vide fu quello di Taro.
Taro…

“Ti renderei veramente felice”

quel ragazzo era sempre stato una specie di angelo custode.
L’aiutava, l’ascoltava, parlava con lei con una tranquillità che le era mancata.
Da quando le era morto il padre…
Quel ragazzo l’amava molto, lo sapeva, lo capiva da come si comportava.
Andare con lui in Belgio.

Si, però…
“Per me è solo un amico, una specie di fratello maggiore…”
Yuko sbuffò ancora, passando una mano sul freddo vetro della finestra, mentre Inuki alzava lo sguardo verso la padroncina, avvertendo il peso di quei pensieri e di quella tristezza sciolta in una nostalgia strana…
La sua padrona aveva nostalgia…ma di cosa, non riusciva a capirlo…
Yuko ascoltò distratta la canzone di lingua italiana, una melodia dolce come una ninna nanna.
Poi, c’era sua madre.

“Ti prego, pensaci”

Canada…
Era così lontana dal Giappone, dall’Europa…
Dall’Europa…

Yuko si abbracciò una gamba, chiudendo gli occhi socchiusi, iniziando a rifare quello strano giochetto.
Aprì gli occhi, e li richiuse.
Ancora, e li chiuse.
Ancora una volta, e richiuse per l’ennesima volta.
La nebbia non calava, era un banco abbastanza fitto, e il buio divorava qualsiasi cosa che gli occhi di Yuko cercavano di vedere.
Cataratta.
Da quanto, ormai, viveva con questa disfunzione?
…Undici anni…
Undici anni vissuti nel buio, nella nebbia, che ogni volta si faceva a tratti più fitta, a tratti più leggera, ma le tenebre c’erano sempre.
Undici anni erano tantissimi…
Troppi, per sperare ancora in qualche miracolo…
Eppure sua madre e sua sorella erano cocciute come dei muli.
Soprattutto sua madre.
Neko no, lei riusciva a capire la sorella, e si limitava a starsene zitta, sorridendogli e coccolandola.
Neko…
Yuko non poteva partire…
C’erano Neko, Inuki, sua madre…

…Seguilo…
E’ tempo che tu ti faccia un futuro…”

…si stava comportando da vigliacca.
Non voleva ammettere che…
Che cosa?
…che…
Yuko sbuffò, spostandosi dalla sedia, con il lettore cd in mano, sdraiandosi su letto, tenendo gli occhi socchiusi.
-Yuko!-
-Si?-
Neko entrò velocemente in camera, pronta, e guardò abbastanza stupita la sorella, sdraiata su letto, il lettore cd in mano, Inuki ancora sotto la finestra che sonnecchiava.
Stava pensando alle sue tre proposte…
Sorrise triste.
-Io vado. Non pensare troppo, e concentrati sulla partita!-
ecco un’altra cosa che rendeva ancora più simile tra loro le due sorelle.
La perspicacia.
-Hai ragione. Divertiti!-
-Non mancherò!-
Neko scese le scale allegramente, ridendo spensierata, mentre fuori si sentiva il rumore del clacson della macchina di Sanae, con lei Yoshiko.
Yuko restò in silenzio, togliendosi le cuffiette, ascoltando il rombo della macchina che partiva, allontanandosi.
La ragazza si alzò dal letto, e lentamente afferrò la radio sul tavolo, scendendo con Inuki giù in salotto, ad ascoltare la partita, che cominciava tra mezz’ora.

La partita era stata grandiosa, i ragazzi avevano una goleada eccezionale.
5-0!!(certe cose solo su Capitain Tsubasa! N.d.M.)
Le finali erano ormai alla fine, e si sarebbero svolte tra due settimane, che i ragazzi avevano deciso di sfruttare in una villa sul lago, idea di Tsubasa e di Sanae.
Ora questa e le ragazze con Neko erano andate a incontrare i ragazzi alle porte degli spogliatoi.
Sanae, Yoshiko e Yayoi erano leggermente nervose, mentre Neko si guardava attorno, affascinata e un po’ triste.
Le sarebbe piaciuto avvertire la presenza di Yuko accanto a se, che paziente ascoltava la sua tensione, che camuffava dietro un sorriso tranquillo, anche se i suoi occhi verdi catturavano ogni minimo movimento si catturava dietro le porte di quegli spogliatoi, si potevano sentire le risate, alcuni commenti ad alta voce e le urla di gioia dei ragazzi, mischiati al rumore delle docce e degli sgabuzzini dalle porte di metallo che ogni tanto venivano sbattuti con violenza.
In particolare uno, che Neko riconobbe come quello della “Tigre”, spesso sentiva anche la risata di Kojiro, segno che era felice.
Era chiaro. Due goal li aveva segnati lui, uno con un bel passaggio di Misaki, l’altro giocando con una scivolata di un pallone che stava per finire fuori.
La ragazza era rimasta sempre con il fiato sospeso, pregando affinché la squadra giapponese vincesse.
Affinché lui vincesse…
Neko arrossì a quel pensiero, per poi avvertire il rumore della porta dello spogliatoio che si apriva. Il primo ad uscire fu Genzo, seguito da Tsubasa e Kojiro, poi Misaki, che raggiunse subito il piccolo gatto, che sorrideva allegra.
-Complimenti!-
-Grazie. Yuko?-
-Non è venuta. Mi ha chiamato adesso, gli è venuta un po’ di febbre, ma niente di grave, verrà alla villa-
Genzo e Taro restarono abbastanza colpiti da quella notizia, ma il sorriso della ragazza calmò Misaki, mentre Wakabayashi ripensava alla sua proposta fatta a Yuko.
“Vieni con me ad Amburgo”
-Senti Misaki…per caso hai chiesto a mia sorella qualcosa?-
Genzo si voltò, interessato al discorso, il ragazzo arrossiva, segno che la ragazza aveva centrato nel segno.
-In effetti…gli ho chiesto…di venire con me in Belgio-

Genzo spalancò gli occhi, per poi nascondere uno sguardo TERRORIZZATO sotto il berretto rosso, mentre Neko faceva un balzo.
-Cosa? Ti rendi conto di quello che gli hai chiesto?-
-Beh…dovresti saperlo…che sono capace di fare queste cose...-
Wakabayashi reputò di avere ascoltato anche troppo, e velocemente si allontanò dal gruppo, mentre all’uscita del corridoio decine di ragazzine e donne urlanti gli chiedevano il suo autografo, facendogli aumentare il nervosismo.
Nel frattempo, Kojiro si guardò intorno, alla ricerca di due occhi verdi di gatto, sperando di non incontrare quelli scuri e ardenti di una giocatrice di softball, che da un po’ di tempo cominciava a diventare davvero insopportabile.
La “Tigre” non sopportava una tigre come lui, feroce, gelosa, che divora chiunque si avvicini troppo al suo “lui”, trattandolo come se fosse un oggetto SUO.
Non riusciva più a sopportare quella ragazza, glielo aveva detto chiaro in faccia.

“BASTA! NON SOPPORTO LA TUA GELOSIA E LA TUA POSSESSIVITA’!”
“ALLORA A ME PREFERISCI QUELLA GATTA MORTA, LA SORELLA DI QUELLA ANTICCAPPATA?”
“NON TI PERMETTO DI PARLARE COSI’ DI YUKO E SOPRATTUTTO DI NEKO! LEI E’ MILLE VOLTE MIGLIORE DI TE!”

Dio, che sfuriata!
Alla fine si erano lasciati, e naturalmente la notizia si era sparsa a macchia d’olio in tutta la squadra.
Kojiro, finalmente, poteva respirare senza che Maki si tenesse appiccicata a lui!
Si era indiavolato quando la ragazza aveva chiamato “gatta morta” Neko.
Neko non era una gatta morta!
Lei era…
-Ehi, gatto!-
la ragazza si voltò, incrociando lo sguardo ardente di Kojiro, e arrossendo di colpo per la sua vicinanza con i ragazzo, abbassando il capo intimidita.
-Ciao Kojiro!-
il ragazzo sorrise divertito, quella sua timidezza innocente la rendeva ancora più carina, come un cucciolo di gatto.
Il ragazzo le appoggiò affettuosamente la mano sulla testa, facendole un buffetto.
-Sei davvero un micetto!-
Neko lo guardò stupita, e sorrise, arrossendo leggermente, per poi tornare a chiacchierare con Taro, Kojiro si unì alla coppia, partecipando allegro alla discussione, quella sera era davvero di buon umore.
Al contrario di Genzo, che in quel momento guidava ad alta velocità, la macchina che manteneva sempre la massima velocità, scaricando il nervoso del portiere, che teneva il berretto basso sugl’occhi.
Taro aveva chiesto a Yuko di seguirlo in Belgio…
Questo significava…che tra lei e Misaki ci fosse del tenero…
No, questo non poteva sopportarlo!
Pensare che il suo autunno abbracciasse un altro che non fosse lui gli faceva ribollire il sangue, mandando a fuoco i suoi occhi neri, che in quel momento brillavano tesi.
Doveva parlare con lei assolutamente!
Arrivò con una sgommata a villa Wakabayashi, uscendo dalla macchina silenzioso, sbattendosi dietro la portiera, scaricando i quella spinta una parte della sua tensione, sopra di lui il nero della notte era tinto di argento e madre perla dalle nuvole che passavano di corsa.
-COMPLIMENTI!-
il ragazzo si voltò, la vide.
Il motivo della sua rabbia, il centro dei suoi pensieri.
Vestiva di un lungo cappotto beige, tenuto stretto dalle braccia avvolte intorno al corpo. I capelli sparsi sulle spalle e sulla schiena, accarezzandogliela.
Un sorriso felice dipinto sul volto, sbuffi di aria calda uscivano dalla sua bocca di rose. I suoi occhi chiusi.
I suoi occhi…
Il ragazzo rivedeva all’infinito quelle iridi aperte, quelle sconfinate prateria di erba verdissima, come le distese irlandesi.
Era come vedere l’infinito in quegl’occhi, e il cielo nel suo sorriso.
Yuko restò immobile, cercando di captare qualche movimento del portiere.
Aveva immaginato nei suoi pensieri le parate del portiere, ed era uscita a fargli i complimenti, avvertendo il rombo di motore della sua auto, una sportiva.
Aveva anche avvertito nervosismo nel rombo di quel motore.
Inuki, nel frattempo, si era messo seduto accanto a lei, fissando tranquillo e severo il portiere, che si limitò a sbuffare, rientrando in villa.
-Temo che gli sia successo qualcosa, Inuki…-
il cane alzò lo sguardo verso la padrona, che sbuffando tornò dentro casa, attendendo il ritorno di Neko, accompagnata da Taro e Kojiro, festeggiando con loro e con una bella cioccolata calda la vittoria della squadra giapponese.
(COMMENTI!! GRAZIEE!!^^’
Meiko)

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Capitolo 6
*** Decisioni sulla riva del lago ***


La villa era grande quasi quanto quella dei Wakabayashi, se non di più.
Neko era rimasta letteralmente a bocca aperta nell’ammirarla, ed aveva scatenato l’ilarità di tutti, mentre la ragazza arrossiva, Yuko che le teneva la mano.
Questa aveva respirato l’aria fresca del lago, avvertendo i vari rumori, imparando a memoria la mappa del luogo in poche ore, seguita dalla sorellina, Inuki era rimasto a casa con la madre.
-Gia me lo immagino. Di fronte alla porta d’ingresso, ad aspettare il nostro ritorno-
Neko rise, immaginandolo, per poi lasciare la mano della sorella, correndo via, ammirando lo splendore di quel lago, sembrava quasi che il cielo, in quei giorni limpido, fosse finito dentro a quel grandissimo buco, riempiendolo.
Attorno a loro il paesaggio di dolci colline e la villa, che appariva molto pittoresca agl’occhi verdi di quel gatto, che riprese a correre, seguita con l’udito da Yuko, che sorrise, mettendosi seduta alle rive del grande lago, i ragazzi in quel momento si stavano allenando, anche se molto spesso avrebbero fatto volentieri un bagno in quel luogo così meraviglioso, nonostante fossero solo agl’inizi di Marzo faceva caldo.
Yuko sorrise malinconica, ricominciando a fare il solito apri e chiudi, per poi sdraiarsi, assaporando la brezza leggera che le spettinava qualche filo di capelli.
Sentì i passi di Neko rallentare, fino a fermarsi, la ragazza che con uno sbuffo stanco che si metteva seduta accanto alla ragazza, che sorrideva, continuando ad ascoltare il sussurrare di quella brezza delicata.
Neko che si lasciava accarezzare dal vento, Yuko che invece assaporava la morbidezza dei ciuffi di erba della riva del lago.
Iniziarono a parlare, divertite, descrivendo con gli occhi della fantasia storie che nascevano dalla superficie liscia del lago, che rifletteva come il più lucente degli specchi il cielo azzurro e la dolci colline, l’immensità del sereno era turbata da qualche piccolo sbuffo bianco, come di piccoli batuffoli di cotone.
Le loro voci, chiacchieranti sembravano propagarsi veloci e guizzanti sulle rive leggermente increspate del lago, mentre le due sussurravano, quasi temessero che tutto intorno a loro svanisse, si sciogliesse come neve al sole, mentre invece volevano restare ancora un po’ ad ammirare quel capolavoro creato dalle mani sapienti di madre natura, che ora affettuosa accoglieva le sue figlie predilette, in quell’atmosfera le due ricordavano molto due fate, due ninfe felici e sorridenti.
Le due sorella erano sempre state così unite.
Ogni volta che una cadeva, l’altra la prendeva per mano e riprendeva a camminare con lei.
E anche se sapevano che prima o poi una delle due se ne sarebbe andata, l’altra avrebbe continuato a camminare, e se fosse caduta si sarebbe rialzata da sola.
Ma nessuna delle due poteva immaginare che la prima delle due che se ne sarebbe andata fosse stata proprio Yuko!
-Ora che si penso, hai deciso cosa fare?-
-Riguardo a cosa?-
Neko sbuffò divertita dello gnorri della sorella.
-Riguardo a tua madre, a Genzo…e a Taro-
-Allora lo hai saputo…-
Neko annuì con la testa e facendo verso di si con la bocca, mentre Yuko sorrideva in quel suo modo particolare, mentre lentamente apriva gli occhi, lasciando che il lago ammirasse incantato quelle iridi, che ora brillavano preoccupate.
-Sono così indecisa…
Più che altro, per Genzo e Taro…
Ho gia detto a mia madre che non l’avrei seguita, ma immagino che questo tu lo sapevi-
Neko si fece un po’ triste, sorridendo.
-Mamma ha detto che non sperava in una tua risposta positiva, anzi, era certa che avresti rifiutato la sua proposta.
Ormai ha capito che tu non speri più…-
-Non dirlo in questo modo. Io sto solo guardando la realtà dei fatti, cosa che mamma certe volte non fa, e non vuole fare-
Yuko era sempre stata una ragazza che guardava i fatti, credeva poco nei “miracoli”, ma alcune volte ci credeva.
Credeva a sufficienza nell’occulto e nel mistero, ma preferiva a volte la realtà della scienza e delle prove.
Forse l’ho spiegato un po’ male, ma così era fatta Yuko, era ambigua.
Infatti nemmeno sua madre e Neko riuscivano a capirla.
Solo il padre sembrava riuscire a capire quel sorriso misterioso che possedeva fin da piccola, e spesso parlavano a bassa voce, dicendosi confessioni segrete, che Yuko ricordava come scritte su carta.
La ragazza sbuffò, si era messa seduta, al suo fianco il suo bastone che stonava in quel capolavoro naturale, mettendosi una mano tra i capelli, mettendone parte dietro l’orecchio, lasciando liberi gli altri.
-Comunque…sono così indecisa…-
-Parlane. Magari così ti fai un po’ di chiarezza-
Neko si mise comoda, le braccia appoggiate alle gambe piegate, mentre Yuko sorrideva, mettendosi anche lei seduta, piegando le gambe di lato e rimettendosi sdraiata.
-Allora…Taro mi ha chiesto di andare in Belgio con lui.
Gia a Parigi e a Roma mi ha detto che mi amava, e anche a casa me l’ha ripetuto…-
-Ma?-
-…ma per me è un caro amico, un fratello, un angelo custode…tutto qui…
E seguirlo sarebbe prenderlo in giro…-
-E Genzo?-
Neko giocherellava con un filo d’erba, prendendolo tra le dita e lisciarlo tra le dita, per poi metterlo sulle labbra e soffiandoci sopra, procurando un lungo fischio che risuonò in tutto il lago, forse fino alle rive opposte, l’eco era come un cantico silenzioso procurato dalle leggere increspature del lago, come di esseri che si liberavano dalla superficie liscia del lago, cantando le loro melodie.
Yuko ascoltò il fischio, socchiudendo gli occhi, imprigionandoli di nuovo tra le ciglia.
-Genzo…non lo capisco…
Forse…perché non sono ancora riuscito a vederlo in faccia…-
Neko si voltò stupita.
-Vuol dire che non l’hai ancora toccato in viso?-
Yuko scosse la testa, il suo sorriso si fece ancora più dolce e misterioso, con una sfumatura di divertimento.
-No, ogni volta lui si scostava.
Mi ha chiesto di seguirlo ad Amburgo…perché…
Perché mi vorrebbe sempre avere accanto…-
Arrossì, stupendo Neko, che sorrise allegra.
-Sei arrossita!-
Yuko si stupì molto, tastandosi le guance calde.
Neko annuì con il capo.
-Eh si, il grande SGGK ha colpito ancora! Però, io ti avverto…-
Neko si fece seria, voltandosi verso Yuko, il vento si fece più forte.
-Genzo Wakabayashi non è uno stinco di santo. Potresti rimanere ferita con lui.
E non parlo di ferite fisiche…-
La ragazza fissò preoccupata la sorella, che si limitò ad annuire.
-Ho capito-
Yuko si voltò, fissando un punto a vuoto sul terreno ai piedi di Neko, che la guardò preoccupata e ansiosa, stringendo con forza il filo d’erba.
-…avevi ragione…parlarne ti fa diventare più lucida…-
-Allora hai deciso?-
-…si, credo di si…piuttosto…-
Yuko si prese le gambe tra le braccia, per poi inginocchiarsi e avvicinarsi felina alla sorella, che guardò stupita il sorriso malizioso della sorella.
-Ho saputo che Kojiro ha lasciato Maki. Hai intenzione di approfittarne…micetto?-
Neko arrossì vistosamente, per poi scuotere la testa, mentre Yuko s’immaginava la scena, ridendo divertita.
-NON E’ DIVERTENTE!-
-Ma l’immagine della tua faccia arrossita si!-
Neko uggiolò come Inuki, e Yuko si calmò, facendosi più seria.
-A parte gli scherzi…cosa vuoi fare?-
-…niente…-
Yuko restò sorpresa da quella confessione, Neko si rivolgeva al lago, i suoi occhi verdi si perdevano nell’immensità del cielo riflesso in quel gigantesco specchio d’acqua.
-Non voglio fare niente, perché so che in fondo in fondo, Kojiro ha bisogno di tempo per riparare la ferita al cuore.
In fondo, Maki è stata il suo primo amore…-
-Ma lo sai meglio di me che poi tornerà in Italia –
Neko annuì, facendosi pensierosa, il sorriso triste svanì completamente dal viso, gli occhi si fecero seri.
-…non fa nulla. Mi basta anche la sua amicizia-
-Menti proprio come Sanae. Pazienza! Tanto, è la tua di vita!-
Yuko si alzò in piedi, pulendosi i pantaloni, il bastone in mano.
-Io torno alla villa-
-Io vengo più tardi. Questa situazione mi ha fatto riflettere-
la ragazza restò in silenzio, restando in piedi, una leggera brezza mosse ciocche dei suoi capelli, che come onde di un mare castano- oro si agitavano come in mezzo ad un maremoto.
-…d’accordo…-
Yuko sorrise dolce, allontanandosi dalla sorella, che riprese a perdere lo sguardo nel grande specchio d’acqua, che sembrava riflettere anche i suoi pensieri.

Yuko passeggiava tranquilla per i corridoi della grande villa, i tappeti soffici ammutolivano i suoi passi, mentre l’atmosfera tranquilla e silenziosa la inducevano ad ammutolire anche il flusso dei suoi pensieri, mentre con l’udito affinato cercava di captare la strada verso la sua stanza, tenendo il bastone stretto in mano, una mano tastava il muro di legno e gli occhi erano socchiusi, come se riuscisse a vedere il tappeto rosso scuro.
Ad un tratto, un altro frusciare interruppe il suo cercare, e la indusse a fermarsi, i passi si dirigevano verso di lei.
Vediamo…
-…Genzo…-
il portiere si fermò sbalordito, non ci era ancora abituato all’abilità di Yuko a riconoscere con l’udito le persone che le passavano accanto.
Vestiva di jeans blu e comodi, e una camicetta azzurra.
Deliziosa…
L’immagine di Taro interruppe quella descrizione mentale, e indusse il portiere a passare affianco a Yuko, duro come la pietra, impenetrabile.
Yuko lo fermò con un tocco leggero alla spalla, turbata, le sopraciglia aggrottate.
-Genzo…tutto bene?-
il portiere si limitò a interrompere di malavoglia quel tocco, allontanandosi a grandi falcate, mentre Yuko si stringeva, turbata, il bastone sottile tra le mani, per poi riprendere la strada verso la sua stanza, fermandosi all’ultimo momento a voltarsi, accorgendosi che il portiere si era fermato.
-…andrai con Taro?-
Yuko restò in silenzio, colpita da quella domanda, ma non per la domanda, ma dal modo in cui venne fatta.
Una voce ferita, delusa.
-…tu cosa pensi?-
la ragazza si strinse il bastone dalle mai, per poi lentamente lasciare la presa, mentre avvertiva Genzo che si allontanava, senza fiatare, superando la villa a grandi passi rabbiosi.
Yuko si limitò a stare in silenzio per qualche minuto, prima di passarsi una mano tra i capelli, poi sul viso, fermandosi un attimo tra le labbra, per poi scendere sul fianco, prendendo il bastone, i suoi passi ripresero il suo lento andare.

Genzo si diede del cretino.
E così, dopo averle fatto quella domanda in QUEL modo, sperava ancora che lei lo seguisse ad Amburgo?
Ma poi, come cribbio gli era venuto in mente di fare una domanda del genere? Era impazzito?
Si…
Era pazzo…pazzo di lei…
Di quell’autunno eterno, così come eterne e immense erano le valli verdi delle sue iridi, velate di nebbia mattutina, luccicanti di stelle imprigionate e rugiada fresca.
Ma ora…come poteva…
Come poteva sperare di avere ancora la possibilità di ammirare quegl’occhi?
Come poteva avere solo il diritto di ammirare quella divinità? Quel canone di bellezza greca ellenistica? (Perdonatemi, Storia dell’Arte mi manda in corto circuito!*__* N.d.M.)
Voleva…averla ancora a se, e stringerla…senza farla fuggire più…assaporando ogni minima emozione e sensazione che la sua pelle e la sua mente provava.
Il portiere passò una mano sul berretto, calcandolo ancora di più, quasi cercando di coprirsi il viso del tutto, un lampo di rabbia e frustrazione attraversava quelle braci ardenti, mentre nella sua mente si formava l’immagine di Yuko che, lentamente, accompagnata dal vento del Maestrale, veniva portata via, foglie secche e la luce di tramonti freddi l’accompagnavano (in ricordo di “Luce”, di Elisa, magnifica canzone!N.d.M.)
Lei, bella come un tramonto, onde di un mare castano dorato, morbido al contatto, così come morbide dovevano essere quelle sottili labbra, che…
Che…
Genzo sentì il corpo fremere, al solo pensiero di quel breve e leggero contatto, solo pensarlo suscitava in lui una tempesta di sentimenti che lo facevano ribollire dentro, al solo pensiero che…
Che Misaki, forse, avrebbe assaporato quelle emozioni, al suo posto, portando via con se, come uno spiffero gelido e ladruncolo, quella dolce ninfa, magari sorridendo maligno, voltandosi verso Genzo.
Il portiere sentì le mani fremere, pronte a prendere a botte Taro.
Invece si limitò a respirare profondamente, ripartendo a percorrere la villa, quasi a passo di carica, cercando di staccare via da se il ricordo di Yuko, cercando di allontanarlo il più possibile, ma più ci provava, più quel pensiero s’insinuava, leggero, come leggera è la nebbia, che alle prime luci dell’alba svanisce…

Taro l’aveva incrociata al campetto, mentre con Tsubasa si allenava ancora un momento.
L’aveva vista raggiungere Sanae, con quella sua aria serena, anche se…
Anche se, nella presa di quelle mani sul bastone, si avvertiva un leggero tremore.
Se ci fosse stato Inuki, questo avrebbe guaito con forza.
Era nervosa, turbata.
Parlava serena con Sanae, ma dentro aveva paura…
Poi l’aveva vista volare via, come una foglia secca che vola via con il vento.
Era seriamente preoccupato per lei.
Ma non si pentiva di quello che le aveva chiesto.
Anzi.
Ci avrebbe provato una seconda e una terza volta, pur di convincerla a seguirlo, in Belgio…
Non poteva permettersi di perderla di nuovo.
Non poteva permettersi che Genzo la prendesse e la portasse via con lui.
Lui non era adatto a Yuko.
Era violento, testardo, orgoglioso, presuntuoso.
Lei, invece, era dolce, gentile, modesta, umile.
E tanto bella…
Dio, se era bella!
Non si può descrivere la perfezione semplicemente con queste parole che sto scrivendo, la perfezione bisogna vederla, assaporarla, ammirarla, desiderarla.
Lui desiderava Yuko…
La desiderava…perché lei era…
Era Yuko…
Ed era unica…
Unica al mondo…e lui voleva avere quel pezzo unico.
Poterla stringere a se, assaporando ancora quel calore sulla sua pelle, desiderando di assaporare quelle labbra sottili e dolci, che si dipingevano in sorrisi carichi di mistero…
Scoprire i suoi segreti, i suoi pensieri…
Scoprirla, pian piano, senza fretta…
E amarla…

Volevano amarla…
Amarla in tutto e per tutto…
Volevano amarla psicologicamente, entrare in lei così come lei entrava in loro, e scoprirla, così come si scopre un tesoro raro e prezioso.
E poi…sentire l’ebbrezza di poterla amare fisicamente, anche solo sfiorandola o abbracciandola, senza esagerare.
Pian piano, torturandosi e consumandosi dal desiderio che ogni suo minimo cenno e o movimento procurava a loro.
E lei…lei sarebbe stata li, a sorridere, misteriosa, restando sempre con loro, magari stringendogli la mano, sfiorandoli, mostrando solo a loro la lucentezza dei suoi occhi.
Solo…a loro…
Solo…a lui…Taro
Solo…a lui…Genzo

Yuko si sentiva la testa pesare.
Dannazione!
Era da quella mattina che si sentiva stanca, come sei suoi pensieri si fossero fatti ancora più pesanti e faticosi da sostenere.
“Vieni con me ad Amburgo”
“Vieni con me in Belgio”
Belgio…Germania…
Amburgo…Bruxelles…
Chi seguire, quale ramo di strada seguire?Qual destino scegliere?
Gli sembrava di vedere, quelle due strade.
In una…un enorme distesa di mare, acqua salata che s’infrangeva fragorosa sulle onde, oppure scivolava placida sulla lingua di sabbia.
E li, su uno degli scogli…
Quel ragazzo senza volto, coperto da un berretto rosso.
Come…come un demone maligno…
Un demone che la sconvolgeva, nonostante tutto il suo autocontrollo…
Dalla voce calda e gentile…il comportamento leggermente presuntuoso e freddo…e…dalla dolcezza e dal calore che la bruciavano…
E dall’altra parte…
La massa indefinita di un cielo coperto da nuvole bianche, che come batuffoli di cotone erano morbidi, soffici, caldi, dove riposarsi…
E su una delle nuvole…l’angelo custode…il suo angelo custode…
Dal sorriso gentile…dall’amore gentile e sincero…dal sorriso dolcissimo…pronto anche a morire per lei…
Il diavolo e l’angelo…
Quale delle sue strade scegliere?
L’inferno o il paradiso?
Era tutto così confuso.
Yuko si toccò la fronte, stanchissima, per poi riprendere la sua camminata verso la sua stanza, avevano parlato con Sanae, informandola che non sarebbe scesa per cena.
Aprì la porta scorrevole della sua stanza, fermandosi all’ultimo momento per ascoltare Tsubasa e Taro che rientravano alla villa dopo la serie di tiri, accaldati e sereni.
Taro…
La ragazza si richiuse dietro la porta scorrevole, svestendosi ed entrando in doccia.
Avvertì il benessere che il getto d’acqua calda le procurava sulla pelle, rilassando i suoi muscoli leggermente tesi, il rumore della doccia la stordiva sempre.
Sembrava di stare sotto la pioggia…
Lei amava la pioggia, la pioggia lavava via pensieri e stanchezza, le faceva sentire la testa più leggera, scacciava via ogni suo dubbio, che invece alla luce del sole si illuminava e offuscava la linea continua dei suoi pensieri.
Yuko si appoggiò con la schiena al muro in marmo, ripetendo quel giochetto, mentre l’acqua calda le rilassava i muscoli tesi delle braccia e delle gambe, sentiva il corpo tremare tutto, al solo pensiero…
Il calore ardente e passionale di un diavolo…il tocco leggero e dolcissimo di un angelo candido.
Apri e chiudi.
Apri e chiudi.
Ancora apri, e ancora chiudi…
Sorrise, mentre lentamente fermava il getto d’acqua, aprendo silenziosa la porta della doccia, avvolta da un getto di vapore come un apparizione celeste, afferrando il suo asciugamano e avvolgendolo intorno al corpo, un altro asciugamano per asciugare il mare in burrasca dei suoi capelli, che bagnati assumevano dorature accese.
Yuko, silenziosamente, rientrò in stanza, asciugandosi con lentezza ma meticolosità i lunghi capelli, lasciandoli semi-umidi, per poi sdraiarsi sul letto soffice e morbido, avvolta da un fresco profumo di pulito e del suo Shampoo che dava ai capelli una fragranza di fiori e frutta secca.
Si sentiva bene, adesso la stanchezza e il mal di testa erano passati, ma non la sua confusione.
Eppure sembrava finalmente aver preso una decisione.
Ma riavere contatti con quelle due voci, il ricordo di quei due esseri l’aveva di nuovo messa di fronte a quel bivio, confondendola ancora di più.
Sbuffò, mettendosi seduta sul letto, allacciando le gambe piegate al petto, mentre l’asciugamano aderiva al corpo ben fatto, i capelli leggermente umidi e caldi sfioravano il volto e le spalle scoperte, mentre le dita delle mani giocavano con quelle dei piccoli piedi nudi.
Restò così in silenzio, assaporando quel momento di tranquillità, tenendo gli occhi chiusi, socchiudendoli solo un attimo, quasi certa che…
No…
Niente…
-Non vedo…niente…-
sentì la sofferenza e frustrazione l’aveva di nuovo attanagliata, facendola arrabbiare, mentre lei afferrava la prima cosa che le capitò a tiro, buttandola contro il muro, provocando un fragore, mentre lei gridava, furiosa.
Era qualcosa di vetroso…
Il suo specchietto.
Di colpo, avvertì dei passi correre verso la sua stanza, passi veloci e sfuggenti.
-Sanae…-
-YUKO! E’ SUCCESSO QUALCOSA?-
la ragazza era entrata spalancando la porta, trovandosi di fronte Yuko che, seduta sul letto, era seduta tenendo saldamente le gambe al petto, sul muro di fronte a lei un segno sfuggente, e a terra una cornice di uno specchietto e tanti vetri rotti, che brillavano.
-Scusami, ma per sbaglio ho fatto cadere lo specchietto, e mi sono tagliata…-
la ragazza mostrò il pugno chiuso della mano, il pollice e l’indice erano feriti, alcune schegge di vetro ancora dentro le dita.
Sanae la guardò colpita, mentre Tsubasa e gli altri si affacciavano a vedere la ragazza che, tranquillamente, restava seduta, mostrando la mano ferita.
La manager restò ancora un attimo perplessa, per poi afferrare la cassetta del pronto soccorso che Yoshiko aveva preso, e avvicinarsi a Yuko, che silenziosa e tranquilla si lasciava medicare, la mano sana spostava delicatamente una ciocca di capelli, che erano scivolati sulla spalla nuda, una lingua di mare castano- oro copriva la pelle serafica, dalle sfumature alabastro prodotte dall’unica lampada accesa, quella sul comodino, tanto a Yuko non serviva la luce…
Non gli sarebbe mai servita…
La ragazza socchiuse gli occhi, mentre nella sua mente si delineavano figure a lei familiari, visi a lei conosciuti attraverso il tocco leggero dei polpastrelli sulla pelle di quei visi, che attraverso voci poteva delineare come una matita tracciava una linea, che prendeva forma.
Tsubasa, Ryo, Hikaru, Jun, Yayoi, Yoshiko…
Ne Genzo, ne Taro erano presenti…
-Dov’è Taro?-
la sua voce era così sottile e impalpabile che a stento Sanae riuscì ad udirla.
-…non lo so…forse è uscito, aveva un’espressione strana in volto…-
-Si, lo so-
Sanae guardò incuriosita Yuko, finendo di medicargli la mano, per poi uscire con gli altri, mentre Yuko la tranquillizzava.
-Rimetto io a posto, non temere…-
la ragazza si alzò, cambiandosi tranquillamente, per poi fare attenzione e raccogliere i vari vetri, ripulendo la stanza, per poi tastarsi i piccoli cerotti che aveva al pollice e all’indice.
Si era ferita di proposito, per poter nascondere la verità di quel momento di…
Di pazzia…
Non era riuscita a controllare la sua frustrazione.
Le capitava ogni tanto, raramente però gli attacchi degeneravano…
Come…come alla morte del padre…
Era totalmente impazzita, tanto che si pensò perfino di mandarla in manicomio…
Ma…arrivò Neko…e la salvò…
Neko…
Forse…era anche per questo…che non se la sentiva di partire…
Aveva una paura folle di…impazzire…
Non voleva che ne Genzo ne Taro la guardassero come lei era veramente.
Una matta, una schizofrenica.
L’avrebbero ripudiata, e lei…
Si sarebbe persa in un’oscurità che fino a quei momenti le era amica.
Distruggendola…
Si mise un maglione pesante, avvertiva un grande freddo dentro di lei, mentre sentiva dei passi irrequieti avvicinarsi alla stanza.
Senti i passi fermarsi, e sorrise, mentre avvertiva qualcuno arretrare, turbato, quella mano forse era a pochi centimetri dalla parete scorrevole…
Lei si limitò ad aprire la porta, e sorridere.
-Taro, se vuoi puoi entrare…-
il ragazzo la guardò stupito, mentre lei tranquillamente rientrava nella sua stanza, seguita dal moretto, che la fissava turbato.
-Ti sei fatta male?-
lei si mise con il viso di profilo, un raggio di sole illuminava la dolcezza di quel viso, che sorrideva quieto, mentre una mano si alzava, mostrando due cerotti alle due dita.
-Niente di grave. Lo specchio mi è scivolato…-
il ragazzo non poté fare a meno di sbuffare triste, avvicinandosi alla ragazza e fissando quei cerotti.
-Perché?-
-…forse…perché ho paura…-
Taro alzò lo sguardo verso gli occhi socchiusi di Yuko, che alzò il viso, allungando una mano, sfiorando quel volto a tratti così familiari, a tratti così sconosciuto.
-Da quanto ci conosciamo?-
-…da tanto tempo…-
Taro aveva sorriso, sentiva chiaramente la linea delle labbra formare un sorriso dolce e malinconico, lei lo dipingeva come colori ad olio nella tela della sua oscurità, mentre continuava a parlare.
-…ti ricordi…la prima volta che ti ho guardato in volto?-
-E chi se lo scorda! Le tue mani erano gelate-
la ragazza rise, ripensandoci.
Era avvenuto in un pomeriggio freddo a Parigi, lei di colpo gli aveva messo le mani sul viso, e lui era arrossito, lei avvertiva le guance scaldarsi.
Poi lui si era lamentato.

“Ma sei gelata!”

E lei aveva riso con forza, divertita.
Ora era diverso, le mani di lei erano tiepide e morbide, le sue carezzi erano dolci e rilassanti, e Taro avrebbe voluto che Yuko continuasse in eterno.
Ma lei si staccò, e aveva sorriso sofferente, stringendo quella mano che il ragazzo le aveva dato. Lui l’ha guardava turbato, gli sembrava persino di vedere perle di lacrime rotolare dal viso, anche se in realtà erano solo i giochi di quel sole birichino sul viso leggermente pallido di lei, che sorrise, scuotendo la testa, alzandosi in piedi.
-…stasera non scendo per cena…sono molto stanca…-
Taro la guardò stupito, per poi annuire, alzandosi.
Si voltò solo un istante, ad ammirarla ancora.
-Yuko…ti prego…
Abbiamo passato tanti momenti belli insieme…
Eravamo amici….eravamo fratelli….
Non vorresti vivere di nuovo quelle sensazioni? Magari…con amore…
Insieme…io e te…-

lei non rispose, e Taro sbuffò, uscendo dalla stanza, turbato e rattristato per non aver ricevuto alcuna risposta dalla ragazza.
Yuko restò in silenzio, per poi avvicinarsi alla fonte di un calore leggero che si spargeva lungo le braccia, raggiungendo la finestra, credo che fosse un termosifone...
Sfiorò con una mano il vetro freddo, lasciando che la mano formasse un’aura di vapore intorno a se, lasciando l’impronta di quella mano pallida e sottile.
Si sentiva così sola, adesso il freddo era forte.
Cosa aveva avvertito, quando aveva stretto la mano di Taro?
…un forte legame affettivo…
Yuko si strinse le mani, per poi sorridere, e alzare il capo in un punto morto davanti a se, ascoltando il rumore della porta scorrevole che, lentamente e in silenzio si apriva e si chiudeva dietro le sue spalle, una figura entrava con passi muti.
-Genzo…-
lui alzò lo sguardo da terra, dopo l’incidente di quella mattina si era sentito ancora più in colpa. Restò a bocca aperta, mentre l’ammirava.
Il tramonto che andava sul rosso fuoco creava un’aura di luce intorno a quella figura, che ora appariva come una visione del cielo, come un angelo sceso davanti a lui, comune mortale.
I suoi capelli erano mari dorati- castani, i suoi occhi semichiusi erano smeraldi imprigionati da ciglia lunghe e nere, come larghe trame di un tessuto pregiato.
La sua figura, magra e delicata, era illuminata da quel sole che, lentamente, andava a dormire, scambiando con la luna che saliva in cielo la promessa di un ritorno, di un nuovo bacio.
Yuko restò in silenzio, per poi muoversi verso il ragazzo.
-Genzo…-
lui non la fece parlare ancora, afferrandola per un braccio, trascinandola verso di se, abbracciandola con forza, scaldandola.
Yuko avvertì una vampata in mezzo al ventre, che si sparse lungo il corpo.
Qualcosa di bruciante come il fuoco, ma dolce come il miele.
Lei si limitò a stringersi ancora di più in quell’abbraccio, le sue mani si trattenevano nel sfiorare quel viso a lei inaccessibile, stringendosi contro la felpa nera del ragazzo, il cotone pesante tratteneva quel desiderio così insistente, mentre avvertiva le mani del ragazzo accarezzarle la schiena, una guancia appoggiata sulla sua spalla, il berretto rosso non c’era, poteva sentire chiaramente i capelli neri brizzolati solleticarle il collo.
Lei sorrise, dolce, lasciandosi cullare e cullando a sua volta il ragazzo, rimanendo così, cercando di mantenere quel contatto il più a lungo possibile.
-…stai bene?-
-Si, non preoccuparti…-
si sussurravano, spaventati nel parlare a voce normale, temendo che quella fragile atmosfera andasse a pezzi come il vetro di quello specchietto che aveva scagliato.
A proposito…
-…ho rotto uno specchio…-
-?-
-…mi aspettano sette anni di guai…-
Genzo sorrise, sbuffando divertito, alzando il capo, ammirando i giochi di sfumature su quel volto così sereno.
Gentilmente, il ragazzo la teneva per la vita, mentre lei si aggrappava alla sua felpa, le mani fervevano di desiderio nel poter sfiorare quel viso.
Il portiere sembrò non accorgersene, ma strinse ancora Yuko, una sua mano s’intrecciò nella morbidezza di quei capelli, intimando la ragazza ad affondare il viso in quello splendido corpo, caldo, dall’odore amarognolo e virile, dove lei si stava lentamente perdendo.
Oramai non riusciva più a seguire un filo logico nei suoi pensieri.
Voleva solo…poter…restare così…
Per l’eternità.
-…sono un po’ stanca…-
Genzo ascoltò quel piccolo desiderio, e annuendo, gentilmente, l’accompagnò a letto, facendola sdraiare, ammirando quella creatura, i capelli formavano un’aureola, mentre lei si lasciava guidare, stringendo la mano di Genzo, le sue dita sottili e lunghe s’intrecciavano in quelle grandi e forti del portiere.
-Resta-
lui si limitò ad alzarsi in piedi, mentre lei gli faceva spazio, avvertendo il grande corpo sdraiarsi sul giaciglio cigolante, lasciandosi attirare verso quella fonte di calore.
Era tutto così…tranquillo…
Bello…sereno…
Yuko chiuse gli occhi, inspirando l’odore virile del ragazzo, mentre lui assaporava ancora la morbidezza di quei capelli, che come onde di cascate si rovesciavano lungo la sua mano, le dita tastavano e s’intrecciavano con ciuffi oro-castani.
Restarono così, in silenzio, le loro mani intrecciate, lei che era accoccolata a lui, e lui che credeva in quegl’istanti, mentre si spostava per vederla meglio, che dormisse.
-…sei così bella…così dolce…
Io…non ho mai provato tutto ciò quando…quando andavo con altre donne…
Si, erano molto belle e affascinanti…ma nessuna…è stata capace…di questo…
Tu sei così…dolce…delicata…a tratti sei fredda o sfuggente, a volte sei calda e accogliente…
Io…io…io amo questo tuo essere…io amo te….
E…anche per questo…non potrei permettere a Taro…di portarti via da me…
So che non sono e forse non sarò un amante dolce e sempre presente…ma ti giuro…che farò di tutto…per starti accanto…-
gli baciò delicatamente la fronte, stringendola delicatamente a se, socchiudendo gli occhi, cercando di memorizzare quello che forse sarebbe stato l’ultimo contatto che avrebbero passato insieme.
Yuko socchiuse gli occhi, e sentì gli occhi pizzicare, trattenendo le lacrime, mentre li richiudeva, stavolta lasciandosi avvolgere dal calore delle braccia di Genzo e del sonno.

Neko si alzò in piedi, il vento soffiava con moderazione, alzando le corte ciocche dei suoi capelli ramati, i ciuffi corti accarezzavano i lineamenti di quel volto pensieroso, mentre una mano spostava le ciocche più fastidiose dai suoi occhi, mettendoli dietro l’orecchio, mentre ammirava il lago al tramonto.
Sembrava che l’acqua andasse al fuoco, il rosso e l’azzurro scuro del cielo ricordavano i giochi degl’acquarelli, mentre le colline si tingevano di ombre scure, e una palla lucente brillava con un‘energia inaudita, specchiandosi sull’increspare dolci di quelle acque.
Meraviglioso, Neko memorizzava ogni minimo tratto, quasi terrorizzata che domani quello spettacolo non si sarebbe più ripresentato, mentre le prime stelle, come lucciole timide, si mostravano dietro l’immensità blu della notte che, come una regina, dolce ma regale, copriva con il suo abito scuro il passaggio del sole, che andava a dormire dietro le colline.
E la ragazza restò li, accarezzata dal vento, sulle rive del lago, ad ammirare silenziosa gli ultimi saluti del sole a lei e alla villa.
E…anche ad un tigre, che silenziosa si avvicinava alla ragazza.
-Ehi, gatto!-
Neko fece un piccolo balzo, mentre si voltava spaventata, dietro di lei la tigre la guardava divertito.
-Kojiro! Per poco non mi fai prendere un infarto!-
il ragazzo ridacchiò, mentre Neko faceva un finto broncio, per poi ridere insieme al ragazzo, lui con la coda dell’occhio ammirò la sua figura magra e slanciata nello sfondo del lago, il vento muoveva con dolcezza le corte ciocche ramate, sembrava che un piccolo fuocherello vivesse tra quei capelli, senza però riuscire a toccare le dolci iridi verdi della ragazza, che dopo un attimo di silenzio arrossì lievemente, la vicinanza con il ragazzo le faceva ancora quell’effetto.
Più che altro…temeva…che lei…
Maki…
-Posso farti una domanda, Kojiro?-
il ragazzo la guardò stupito, annuendo con il capo, mentre lei si faceva seria, tenendo il capo basso, il bel sorriso era svanito, lasciando il suo posto ad un viso teso e preoccupato.
-Ecco…tu…a te manca Maki?-
era una domanda a bruciapelo, e per un attimo tra i due ci fu il più assoluto silenzio, turbato solo dal passare leggero del vento, che muoveva dolcemente i capelli di Neko, che teneva lo sguardo basso, incapace di guardare negl’occhi Kojiro, che era rimasto muto e stupito della domanda.
Poi, lentamente, il ragazzo si fece più torvo e incupito, voltandosi e dando le spalle alla ragazza.
-Muoviti, Sanae mi ha mandato a dirti che è pronta la cena…-
la ragazza lo guardò colpita, per poi annuire timorosa, affiancandolo, mentre lui manteneva lo sguardo davanti a se, freddo e impenetrabile, Neko che con la coda dell’occhio lo guardava, ammirando quel profilo, quella carnagione scura, quegl’occhi neri, brillanti come braci ardenti.
La ragazza restò in silenzio, e Sanae li guardò arrivare, lei sembrava ancora più piccola accanto alla “Tigre”, che con uno sbuffo infastidito entrava dentro, mentre Neko si guardava intorno, preoccupata.
-Dov’è Yuko?-
-Ha detto che non sarebbe scesa per cena, perché diceva di essere stanca…-
Neko si limitò ad annuire, per poi avviarsi verso la stanza della sorella, incrociando per caso Genzo, che le sorrise tranquillo ,scendendo per andare a tavola.
Neko lo guardò attentamente, per poi bussare la porta della stanza di Yuko, che con un lieve “avanti” fece entrare la sorella, sorridendo nel sentire il timido camminare della sorella, che le si sedette sul letto, appoggia dogli la testa sulla spalla, sbuffando come una pentola a pressione.
-Dimmelo: sono una stupida-
-Dirlo non servirebbe a molto, non credi?-
Yuko sorrise, mantenendosi seduta con le braccia che abbracciavano le gambe piegate, la schiena poggiata sulla testiera del letto, un’aura di serenità e leggera sonnolenza la coccolava.
Neko restò con la testa appoggiata alla spalla della sorella, che si limitò a sorriderle, accarezzandogli con una mano i capelli segosi, intrecciando le dita tra le ciocche ramate.
-Allora?-
-Ho fatto la cosa più stupida del mondo…-
-Riguarda la “Tigre”?-
Neko annuì, strusciandosi contro il maglione di Yuko, facendo le fusa con tristezza, mentre Yuko sorrideva affettuosa, spostando la testa della sorella dalla spalla al suo grembo, le gambe piegate poggiate sul materasso morbido, Neko che con le mani accarezzava le braccia della sorella, mentre con occhi tristi guardava il soffitto sopra di se.
-…gli ho chiesto…se gli mancava Maki…-
Yuko annuì, per poi sospirare.
-E lui cosa ti ha detto?-
-Niente, ha ignorato di proposito la domanda…-
-E questo secondo te cosa significa?-
Neko sentì gli occhi farsi lucidi, ma mantenne l’autocontrollo.
-…che…in fondo…ama ancora Maki…-
Yuko annuì, mentre avvertiva la sorella singhiozzare, e le sorrise affettuosa, abbracciandola e cercando di calmarla on sussurri gentili e strette calorose, mentre Neko si stringeva al corpo di Yuko, come un piccolo micio bisognoso della madre.
-Cosa posso fare?-
-…se non lo sai tu…-
Neko alzò lo sguardo verso la sorella, che si limitò ad accarezzargli il viso, le mani sapienti passavano sulla pelle leggermente umida, asciugando con gesti gentili le lacrime e la strada umida che avevano creato.
Yuko, lentamente, si alzò dal letto, lasciando sdraiata una Neko pensierosa.
Lentamente, la ragazza sorrise, mentre sentiva la sorellina uscire dalla stanza, il suo passo ancora più incerto ma, in qualche modo, più sereno.
“Ed ora…tocca a me…”

Doveva essere mezzanotte…
-Kojiro? Sei sve…-
Neko non finì la parola, rimanendo sull’uscio della porta scorrevole, mettendosi una mano sulla bocca, la figura di Kojiro di spalle l’aveva spaventata.
Il ragazzo era davanti alla finestra, le tende semi-aperte lasciavano passare un filo di luce di luna, che illuminava con un fascio bianco pallido una diagonale del corpo del ragazzo.
La ragazza restò ancora sull’uscio, intimidita dalla figura ancora in piedi del ragazzo, appariva ancora più grande e minaccioso di quella serata.
Lentamente, la ragazza si chiuse dietro la porta, rendendosi conto che ora non poteva più tornare indietro, ormai era dentro.
E lui lo sapeva.
Lei rimase sulla porta, le mani dietro la schiena poggiavano sulla parete liscia della porta, mentre i suoi occhi fissavano con un brillare ammirato ed emozionato la grande schiena di Kojiro, che si limitò a guardare a vuoto quel fascio di finestra, una parte della diagonale gli illuminava l’occhio sinistro.
I due restarono in silenzio, lei aveva abbassato e accelerato il respiro, temeva che il suo cuore si sentisse rimbombare in tutta la stanza, e si mise le mani in petto, stringendo con forza, le guance avevano assunto colorazioni rossastre.
Lentamente, prese qualche profondo respiro, per poi rialzare lo sguardo, lui era ancora voltato verso la finestra.
-Io…io non volevo…farti arrabbiare…questo pomeriggio…ma…ma io…io dovevo sapere…-
balbettava lievemente, la sua voce tremava, mentre a piccoli passi si avvicinava verso la grande schiena di Kojiro, la canotta aderente faceva risaltare il fisico atletico, e Neko ingoiò un colpo, avvertendo il rossore farsi più forte, sostituito poi da un’improvviso colpo di malinconia, il rossore svanì, e gli occhi brillarono ancora di più, mentre una mano, timidamente, si allungava verso quella schiena…
L’aveva sentita entrare, e si era fermato…aveva fermato il filo dei suoi pensieri…
Stava pensando a lei…a lei, piccolo gatto innocente…che però era capace di graffiare con forza, anche se involontariamente…
“A te manca Maki?”
…si
Odiava ammetterlo, ma gli mancava quella scatenata giocatrice di softball.
Era stata l’unica in grado di penetrare nella sua barriera, e di rimanerci.
Ma…Neko…
La conosceva da poco, e gia aveva avvertito qualcosa, mentre l’ammirava camminare a affianco a lui, quando sorrideva, quando arrossiva imbarazzata…
Si ricordò quel negozietto…
La sua fatina, dalle ali colorate, dal sorriso e dai modi di fare deliziosi…
Per un istante, Kojiro avrebbe voluto fermare il suo volo, e stringerla a se.
E quel desiderio si riproponeva, prepotente e autoritario nella sua mente, mentre guardava la sua figura magra e delicata, quale suo sorriso e i suoi occhi di giada.
Eppure sentiva che era ancora legato…a quella stupida ragazzina gelosa e possessiva…
Una volta non era stato così…una volta si erano voluti davvero bene…
Ma…era amore quello che provavano? O era solo una illusione dettata dai loro cuori desiderosi di affetto e di qualcuno da avere accanto a se?
Si…forse quello che avevano vissuto…era solo un’illusione…
Ma Neko…
Lei era invece era reale, e a volte quella realtà faceva dannatamente male.
Perché ogni volta che lui provava ad avvicinarsi, qualcosa lo bloccava.
La paura di prendere in giro…quella deliziosa creatura, quel piccolo micino, che adesso, con timido coraggio, aveva osato entrare nel covo della “tigre”, parlandogli con parole balbettate…
No…no nera arrabbiato…
Ma…non voleva…

Kojiro spalancò gli occhi, mentre avvertiva il calore del corpo di Neko dietro di se, con coraggio inaspettato la ragazza lo aveva abbracciato da dietro, le braccia stringevano la vita del ragazzo, mentre il viso si appoggiava alla pelle calda del ragazzo, che sentiva come una marchio fatto a fuoco sulla pelle, mentre lei continuava a parlare, questa volta con tono calmo e dolce.
-Kojiro, ti prego, perdonami. Io non voglio che tu mi odi. Voglio che tu mi consideri ancora tua amica. Io tengo troppo alla nostra amicizia…
Io…tengo troppo a te…-
La ragazza spostò le mani dalla vita al petto, e avvertì i pettorali tesi sciogliersi al suo tocco, il ragazzo rimaneva immobile, ma assaporava con gioia quel contato, a lungo desiderato.
-Kojiro…io…ti amo…-
non parlò, non diceva nulla, si limitava a stare immobile.
E per Neko quella fu la risposta alla sua affermazione.
Lentamente, slacciò il contatto, altrimenti rischiava d’impazzire al quel calore, a quel profumo pungente di menta che il ragazzo usava, indietreggiando di qualche passo, tenendo lo sguardo basso.
Sapeva, infatti, che se lo avrebbe visto, avrebbe pianto, e lei non sopportava di piangere.
Non in quella situazione.
-Scusami…se ti ho disturbato…-
la ragazza si voltò, una mano pronta ad aprire la porta, quelle parole sulle labbra, le lacrime che gia cominciavano a correr impazzite lungo le guance, lei che fissava il vuoto.
-Beh..buonanotte Ko…-
si sentì di colpo afferrare con forza alla vita, trascinata via dalla porta, di colpo un’improvviso calore le riempì il corpo svuotato, mentre gli occhi si spalancavano, stupiti.
No…
Non era una sogno…
Kojiro l’aveva presa di peso e stretta a se, sentiva le punte dei piedi toccare a malapena terra.
-Neko…gattino mio…
Perdonami…io non voglio che tu esca da questa stanza…
Resta con me…per sempre…-
Neko si voltò, e guardò il firmamento negl’occhi del ragazzo, le sue lacrime avevano smesso di correre impazzite, mentre avvertiva quelle grandi mani calde prenderle il viso a mo’ di coppa, sollevandola ancora di più da terra, mentre le sue mani scivolavano dal petto alle spalle, al collo. Fu come se un petardo esplodesse nella stanza, una miriade di fuochi d’artificio nelle loro teste.
Le loro labbra si sfiorarono, si toccarono, si accarezzavano, si stuzzicavano.
Si amavano.
E quando si staccarono per prendere aria, i loro occhi erano rimasti incatenati.
Poi, come se qualcosa l’avesse risvegliata, Neko abbracciò con foga Kojiro, stringendosi a lui, non voleva più andarsene, piangendo di felicità, stringendo le labbra in un sorriso colmo di gioia.
Lui la prese, la strinse, baciandole il capo, le spalle, le labbra più e più volte, mentre entrambi, lentamente, si sedevano a terra, senza staccarsi, senza dividersi, ormai erano due esseri uniti.
E rimasero così, seduti a terra, abbracciati, lei sorrideva felice, lui che la stringeva a se come se fosse fatta di cristallo o cartapesta, quel piccolo corpicino sembrava ancora più piccolo e indifeso al confronto di quello grande e atletico del ragazzo.
Così…semplicemente…

Nel frattempo, Yuko era scesa per le scale, quasi certa di trovare quei due che, scesi, si erano fissati a lungo.
Un angelo e un diavolo.
E lei, comune mortale, aveva scelto il suo destino, la sua strada, il vento da seguire.
Se quello caldo e portatore di pioggia dello Scirocco.
O quello freddo che portava sereno della Tramontana.
Lei sorrise, mentre avvertiva le due presenze, e parlò con voce chiara e decisa.
-Ho preso la mia decisione…-
i due erano in piedi, nervosissimi, al contrario di lei che, calma e sorridente, restava in piedi, il bastone davanti a se.
Prese un profondo respiro, e aprì gli occhi, le sue praterie si potevano ammirare sfuocate, alla luce di una lampada accesa in lontananza, che rifletteva la sia figura seminascosta.

Creatura misteriosa, che delle tenebre vieni inghiottita, chi sceglierai tra il cielo e l’acqua?
Chi, tra il diavolo di cui tu non vedi il viso, e il tuo angelo custode, avrà l’onore di poterti avere a se?
Chi, dei due litiganti, potrà stringerti tra le sue braccia?
Parla, o dunque, tu essere, le cui iridi non possono vedere che oscurità.
Sussurra il suo nome, in questa notte…

(Commenti!! Lo so, sono cattiva, ma presto il porssimo capitolo!
Meiko)

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Capitolo 7
*** Luce nell'oscurità ***


Era la partita della finale del campionato.
Lei era li, che trafficava in cucina, Inuki li accanto, che ascoltava con distrazione la partita, mentre preparava le tazze per una cioccolata calda per tutta la squadra giapponese, in segno di vittoria.
Lei non sperava nella vittoria.
Ne era certa.
E Neko le aveva sorriso, contenta, se sua sorella diceva così allora era così.
Era andata allo stadio a tifare con Sanae, Yaoi e Yoshiko, mentre Yuko aveva preferito restare a casa a preparare il tutto.
Contò di nuovo le tazze, per poi rifugiare le guance fredde nello scialle bianco di lana, strofinandole in cerca di calore.
Sorrise distrattamente, mentre ripensava al calore dell’abbraccio di Genzo…
Genzo…
Alla fine…
Sarebbe andata ad Amburgo…
Si, quella era la sua decisione, avrebbe seguito Genzo.
Il suo mare…
La partita era contro i cinesi, che erano dei tipi davvero tosti…
Infatti…

Yuko si fermò, ascoltando con attenzione la radio.
WOW!
Wakabayashi è stato colpito ad una mano, questo costerà un cartellino giallo all’attaccante cinese>
Yuko rimase paralizzata, mentre Inuki si alzava in piedi nervoso.
<…ecco…Wakabayashi si è rialzato…e sventola la mano ferita…il portiere della nazionale può ancora giocare…>
-Stupido…-
Yuko si allontanò dalla cucina, Inuki zampettava li accanto, fermato però da un cenno della padroncina, che infilò velocemente il cappotto e gli stivali, prima di uscire di casa con le chiavi in mano.
-Inuki, resta qui a fare la guardia!-
Velocemente, Yuko uscì in strada, il rumore di una macchina la indusse a chiamarla, si trattava di un taxi.
-Presto, mi porti allo stadio…-
nel frattempo, il Giappone aveva ripreso ad attaccare, gli altri non erano stupidi, e si erano accorti della situazione abbastanza discutibile di Genzo, famoso però per essere un gran testone, infatti si rimise in posizione in porta, la mano gli pulsava con forza, quasi urlando che era in una situazione critica.
Ma lui non avrebbe lasciato la sua porta per niente al mondo.
Questo era l’ultima partita che passava in Giappone, con la nazionale, con i suoi amici.
…con Yuko…
Certo, la ragazza l’avrebbe seguito, e forse anche per questo il ragazzo decise di giocare fino all’ultimo minuto.
Voleva vincere quel campionato, per poi tenere testa alta, quando avrebbe preso quell’aereo, insieme a lei, bellissima fata, i cui occhi erano vasti come le praterie irlandesi…
Yuko…
Avrebbe vinto per lei.
Per dimostrare quanto l’amasse…
Si, amava Yuko…
E l’avrebbe amata…alla follia…per sempre…
Nel frattempo, anche altri due giocatori davano tutto loro stessi.
Taro lo faceva per il ricordo di Yuko.
Si…alla fine…aveva accettato la decisione della ragazza, anche se dentro si tormentava ancora, al solo pensiero che per la vita, avrebbe potuto tenersi stretto quell’angelo…
Certo, gli faceva venire una rabbia atroce, al solo pensiero che quel portiere, che non era conosciuto come stinco di santo, si sarebbe portato via con se quel fiore di pesco, e che lui non avrebbe potuto fare niente.
Ma…vedere il sorriso sereno di Yuko, quando annunciò la sua decisione…

“Erano tutti e tre li, e Yuko sorrideva tranquilla, le mani strette in grembo.
-Ho deciso…di seguire Genzo ad Amburgo-
Taro era rimasto di pietra, mentre Genzo sentiva il suo cuore mancare di un battito, per poi accelerare, e gridare dalla gioia.
Taro alzò lo sguardo verso la ragazza, e la vedeva, tranquilla, sorridente…
Ma si…in fondo…
In fondo Yuko gli aveva detto ante volte che il suo amore non era reciproco…
Forse, era giusto così…
Lei pensava soprattutto al fatto che avrebbe preferito restare in Giappone, che prendere in giro Misaki.
Lei si era avvicinata a Misaki, e gli aveva sfiorato la guancia con le labbra, per poi sussurrargli…
-Sappi che, comunque, tu per me sarai come un fratello maggiore…-“

Lui se l’era abbracciata per l’ultima volta, strappando a quel momento di sofferenza gli ultimi istanti in cui avrebbe potuto assaporare quella sensazione di benessere, per poi lanciare uno sguardo convinto al portiere, che aveva recepito subito il messaggio.
“Fa piangere a Yuko, e te la vedrai con me”
ora, Misaki stava dando grande dimostrazione con Tsubasa del feeling della coppia d’oro, dedicando tutte le sue energie a questa partita…
Per Yuko…
E il terzo, chi era?
Beh, era Kojiro.
Lui doveva mantenere una promessa.
E mentre Neko lo guardava dagli spalti più vicini, accanto a lei Yoshiko e Sanae, che tifavano come ultras scatenate, lui ripensava alla sua promessa, fatta proprio quella stessa notte…
“-Se segnerò un goal alla finale, tu verrai con me in Italia. Me lo prometti?-
-…si, te l’ho prometto…-“
capito ora?
Tsubasa intercettò il passaggio di Misaki, ma si trovò marcato stretto, e così passò la palla a Jun, che però, con un tacchetto monello, la passò a Kojiro, che scavò letteralmente un buco nel terreno, sparando a tutta velocità il suo “Raiju Shot”, che si fiondò in porta, bucando la rete e schiantandosi contro il muro dello stadio, mentre i tifosi della squadra nipponica festeggiavano con grida e urla scatenate, dalla curva si sentì un urlo unico di vittoria, mentre enormi striscioni sventolavano tra mani di migliaia di spettatori, tutti in visibilio per il tiro della “tigre”, che festeggiava con un grido di gioia, gli altri lo raggiungevano…
E con questo goal che segnava l’uno a zero contro la Cina, l’arbitro fischiava la fine del primo tempo.
Neko, veloce come una saetta, scappò via dallo stadio, scendendo delle scale, Sanae le faceva strada, anche lei preoccupata per l ostato di salute dei ragazzi.
Poi..un ombra furtiva sbucò da un angolo, lasciando la ragazzina dalla testa ramata di stucco.
-TU?!-
-Ciao, mi fai strada?-

“Dannazione!”
gli faceva un male cane la mano destra, quel cinese deficiente lo aveva colpito proprio al centro, con una violenza tale che era un miracolo se la mano non si era staccata dal polso!
Per fortuna, avvertiva che non c’era nessun osso rotto, ma comunque il bruciore era tale che sembrava essere scoppiato l’inferno dentro quella mano.
Aprì con fastidio l’acqua del lavandino, il berretto copriva il suo sguardo dolorante e arrabbiato, mentre avvertiva la frescura del getto d’acqua sulla mano ferita, che pulsava, e assumeva tinte indaco- rossastre.
Si fissò la mano, il guanto nero lo teneva attaccato per la cinta dei pantaloni: un grosso livido al centro viola e tutto intorno assumeva tinte sempre più chiare sfumate fino al colore abbronzato della pelle, ma questo sulle punte delle dita e sul polso.
Si passò più e più volte la mano sotto l’acqua, il bruciore non se ne andava, e gia si chiedeva come avrebbe fatto a continuare con quella botta…
Ad un tratto, due mani pallide e delicate si poggiarono con delicatezza sulla sua grande mano, mentre una voce dolce e tranquilla calmava la tempesta rabbiosa che gli si era creata dentro.
-Posso?-
alzò sbalordito lo sguardo, e incrociò il viso di una visione, che con dolcezza tastava la sua mano, che si, procurava qualche dolore, ma era così delicata che sembrava velo su quella pelle, mentre da una tasca del giubbotto in pelle usciva un tubetto bianco, il gel ghiacciato si poggiò come una benedizione sulla mano dolorante, lui che era ancora sotto shock per quella visione, mentre lei con dolcezza gli massaggiava la mano.
Una sensazione di benessere…anche solo a starla a guardare…gli pervadeva dentro…si espandeva come una macchia bianca su una superficie liscia nera.
E li c’era l’unica cosa che lo faceva sorridere, lo faceva sentire bene…
Il suo autunno…
-Yuko…tu che…-
-Cosa ci faccio qui? Diciamo che il mister ha dato a me, a Neko e a Sanae un permesso speciale- la ragazza “ammiccò” con un occhio, senza però smettere di massaggiare con delicatezza la grande mano del portiere, la sua grandezza era pari ad una mano e mezza di quella della ragazza, che di fronte a quel portiere atletico e grande appariva più piccola e delicata, come una dolce visione…
Lei sorrideva serena, mentre Genzo la portava verso la cassetta, dandole delle bende, lei tranquillamente gli bendava la mano.
-Cerca di stare attento…la crema ha alleviato il dolore…ma non sforzarti troppo…-
sbuffò divertita, mentre terminava di fasciare la mano.
-Vorrei averti tutto intero quando prenderemo l’aereo per Amburgo!-
Prenderemo…loro due…
Quella parola…bastava a rendere tutto intorno a lui e a lei più bello, prendeva una piega più serena e ottimistica…tutto più bello e chiaro…
E sapeva che ce l’avrebbe fatta…
-Vincerò…parerò ogni tiro…-
-Lo so. Tu sei Genzo Wakabayashi, il grande SGGK-
sorrideva come se fosse tutto normale, era un sorriso così bello e dolce che Genzo non resistette, e le accarezzò una guancia.
La vide abbassare lo sguardo, e arrossire, scatenandogli un sorriso felice e affettuoso, le guance alabastro che sfumavano in rosa scuro.
Nel frattempo, Neko aveva cercato, tra tutti quei giocatori, la sua tigre, come un piccolo micino tra i grandi felini, Sanae aveva raggiunto Tsubasa.
Cercava con sguardo spaventato, temeva che quello che aveva visto tirare non fosse lui ma solo una visione.
Poi la vide, la figura più grande di tutte.
Il numero nove grande, messo proprio al centro di quella grande schiena.
Il numero nove del migliore cannoniere del mondo!
Neko partì in corsa, saltando letteralmente addosso a Kojiro, con un balzo riuscì ad afferrarlo per le spalle, lasciandolo sbilanciato per qualche secondo.
-Cosa…NEKO!-
-Miao!-
lei sorrise contenta e birichina, e Kojiro sorrise felice, mentre lei scendeva dalla grande schiena leggermente sudata, per poi abbracciarlo al collo, felicissima, lui che la stringeva orgogliosamente per un braccio, intorno alla vita sottile, squadrando chiunque che, con lo sguardo, si fosse fermato sulla figura sottile di Neko, che appariva ancora più piccola nei suoi sedici anni rispetto ai venti ormai compiuti di Kojiro.
Lui la guardò felice, sentendo quel piccolo corpo abbracciarlo, lei che contenta chiacchierava con aria da bambina che aveva avuto la sua prima bambola in regalo per il compleanno.
-Sei stato bravissimo! Quel goal è stato STRAORDINARIO!-
-Ne segnerei altri cento, se questo servirebbe a convincerti a portarti con me in Italia. Ricordi la promessa?-
e chi se la scordava?
Neko sorrise con dolcezza, mettendo un dito sottile sul naso di Kojiro, sorridendo felice.
-Certo, e sta tranquillo che manterrò la promessa-
il mister entrò con un grido che donò grinta ai ragazzi, che uscirono lentamente dallo spogliatoio, Neko diede un bacino portafortuna sul naso di Kojiro, che sorrise imbarazzato, prima di raggiungere Tsubasa e Misaki, che con un gesto della mano salutò Neko, per poi salutare Yuko, che gli sorrise, prima di fermare per un momento Genzo, che la guardò incuriosito.
-Sta attento, ti prego…-
il portiere sorrise, accarezzandole una guancia con la mano sana, quella ferita racchiusa nelle mani della ragazza, che sorrise leggermente rasserenata.
-Parerò tutti i tiri, e non preoccuparti-
il ragazzo la lasciò così, con una sensazione di sicurezza- insicurezza nei confronti delle parole del portiere, avvertire il calore di quella grande mano sulla sua guancia le aveva dato un dolcissimo senso di benessere.
Neko le fu accanto insieme a Sanae.
-Torni a casa?-
-…si…vi aspetto li…-
Yuko, lentamente, uscì dallo spogliatoio, poi dallo stadio, voltandosi un ultima volta per dare la buona fortuna al portiere, che con nuova grinta affrontava il nemico cinese.


Quel pazzoide aveva deciso di uscire dalla porta, segnando con un tiro potentissimo.
Yuko scuoteva la testa, sorridendo divertita, mentre mescolava la cioccolata calda nel mestolino.
Ci avrebbero messo poco ad arrivare, lui soprattutto, se guidava la sua sportiva.
Era tornata in poco tempo a casa, aveva gusto il tempo di ascoltare gli ultimi commenti del cronista, mentre i giocatori tornavano allo spogliatoio, lei aveva preparato la cioccolata calda e un po’ di panna.
Ascoltò con attenzione un rumore lontano, per poi sbuffare, no, la macchina non veniva verso casa sua.
Per la prima volta, si sentiva incredibilmente emozionata, al solo pensiero di poter di nuovo tornare tra le braccia di Genzo.
Arrossì di colpo, per lei era incredibilmente anormale pensare a quelle cose.
Lei non si era mai innamorata, aveva sempre creduto si nell’amicizia e nel rispetto reciproco, ma mai aveva provato la sensazione di “batticuore”, come Sanae o Neko.
A proposito…doveva ricordarsi di salutare per un ultima volta Sanae.
Primo, perché la ragazza seguiva Tsubasa in Brasile, alla fine c’è l’aveva fatta a dirgli che lo amava.
Secondo, perché domani Yuko avrebbe preso l’aereo per Amburgo, con Genzo…
Con lui…partire con lui…
Sorrise, felice, le guance ancora arrossate, avvertiva un dolce calore, come la brezza tiepida di primavera, che fa sbocciare i ciliegi, i loro colori bianchi-rosati si mischiavano con il grigiore di quella vita così triste, rendendo tutto più sereno…
Si…
Per la prima volta, Yuko sognava ad occhi aperti…
Immaginava una vita felice, senza le problematiche della realtà.
E tutto questo le alleggeriva il cuore.
E questo non le fece accorgere di una macchina che si fermava davanti a casa sua, se non quando Inuki si alzò, graffiando la porta di casa e abbaiando, risvegliando Yuko da quella dolce sensazione.
-C’è qualcuno, Inuki?-
la ragazza aprì la porta con delicatezza, mentre avvertiva una presenza di fronte a lei, un caldo saluto sembrò bruciarla dentro.
-Ciao-
Yuko sorrise dolcemente, facendosi in la e lasciando entrare in casa Genzo, che dopo un attimo d’incertezza si metteva comodo, la ragazza gli prese il cappotto, mettendolo a posto.
Un’aria così familiare era rara trovarla a casa Wakabayashi, l’aspetto esterno severo e arcigno della villa rifletteva certe volte l’atmosfera che regnava.
Eppure…quella sera…quando Yuko visitò Genzo…quella casa…era completamente trasformata: tutto aveva assunte tinte più dolci, e il fuoco del camino sembrava scaldare più del solito…
E Yuko…
Una dolce padrona di casa, che con quel sorriso lo agitava dentro, ma non si innervosiva…
Un enorme vortice, che però non infastidiva il portiere, che con anche un certo imbarazzo si metteva comodo, Inuki lo squadrò un attimo, prima di rimettersi accanto al caminetto, proprio sotto i piedi del portiere, che con incertezza prese ad accarezzarlo, la sua grande mano abbronzata passava su quel mantello color melassa.
Lui osservò con dolcezza e con una punta di timore Yuko, che si metteva comoda accanto al caminetto, di fronte al portiere.
Era così bella, i lunghi capelli incorniciavano il volto dolce e delicato, il profilo assumeva le tinte rosso- arancioni del fuoco, che danzava allegro, con scoppietti lenti e silenziosi, mentre la pelle della ragazza si tingeva di sfumature calde, gli occhi socchiusi riflettevano in quella fascia di nebbia le fiamme danzanti, mentre le mani tenute in grembo si scaldavano, baciate dal calore del fuoco.
Assomigliava ad una specie di madonnina, come quella nei quadri di artisti del Barocco, i cui colori caldi davano l’idea della morbidezza, della tranquillità, della serenità che in quel momento si respirava.
Una divinità, una santa scesa li, in quella casa, davanti a lui, comune mortale, per lasciarsi ammirare e rispettare.
Genzo, lentamente, si alzò in piedi, e con passo insicuro si avvicinò a Yuko, che si limitò a girare il capo, tenendo lo sguardo basso, sorridendo.
Cieca…
Ma a lui non gl’importava.
Con dolcezza, il ragazzo sfiorò una guancia, scaldata dal calore del fuoco, morbida come seta.
Poteva avvertire chiaramente lo sfiorare delle ciocche dei capelli sul dorso della mano malata, Yuko avvertì chiaramente la fasciatura rigida sulla mano del portiere, prendendogliela con delicatezza tra le sue fragili mani, che ora parevano fatte di porcellana, come la sua figura.
Una delicata e preziosa bambola di porcellana o ceramica, sul viso erano tinti un’espressione tranquilla, anche se le sopracciglia si corrucciarono, un velo di ansia si tinse su quel bel volto, mentre le mani accarezzavano la fasciatura, avvertendone il tessuto sottile e leggermente grezzo, tipico delle bende di ospedale.
-A quanto pare è più serio del previsto…-
aveva sussurrato, triste, e a Genzo il cuore si stringeva in una morsa di sensi di colpa, che lo uccidevano, non voleva vedere quel capolavoro di Madre Natura soffrire.
No…lui voleva che sorridesse, anche in quel suo modo misterioso, che in qualche modo lo attraeva.
Quell’aria di mistero che aleggiava intorno a lei, i suoi occhi socchiusi, nascosti da ciglia lunghe e nere come ebano, che in quel momento imprigionavano due iridi verdi velate oltre di nebbia anche di preoccupazione, mentre le mani di lei si stringevano a quella grande e forte di lui, parevano mani di bimba in confronto a quella di gigante di Wakabayashi, che si limitò ad accarezzare con l’altra mano Yuko, che schiuse gli occhi, come due fiori che sbocciavano.
Vedere quel gioco di luci, un caleidoscopio di scintille, come stelle in un cielo notturno d’estate, assaporare l’immensità di quelle montagne verdi, poterle scalare, ed ammirare da più vicino quelle stelle.
E forse, chissà, magari acchiapparne una, e farne un diamante per una collana, oppure trasformarlo in una spilla o…in un anello…
Il portiere sorrise, mentre ammirava quelle iridi, che lentamente venivano coperte da tende nere, cigli lunghe e delicate che con gentilezza nascondevano gelose quegl’occhi.
-Sta tranquilla. Una settimana e passerà tutto…-
-Sei sicuro che basti una sola settimana?-
la ragazza conosceva Genzo meglio di quanto lui potesse sospettare.
Il SGGK sbuffò, arrendevole.
-Due settimane-
-Ecco, mi sembrava strano-
Yuko rise lievemente, il mondo si schiariva intorno a lei, come un raggio di sole che s’infiltrava da quel sorriso intorno a loro.
Ammirarla da così vicino, sentire il calore e il velluto della sua pelle.
Avvertire il suo respiro, perdersi nei suoi occhi…
Un sogno…
Genzo continuò ad accarezzarla con una mano, incapace di smettere, avrebbe preferito morire, pur di restare sempre così, in quella posizione, seduto di fronte a lei, lei…che lo avrebbe seguito.
Ancora adesso gli sembrava incredibile, ma era così.
Lei lo avrebbe seguito, avrebbe preso con lui, mano nella mano, quell’aereo.
E poi via…loro due…solo loro due…
Genzo prese una delle due mani, baciandola con dolcezza.
Yuko arrossì, per poi avvertire il viso del ragazzo farsi vicino…
Un calore che si spargeva dalle guance, una fiamma che dal ventre partiva e si spargeva intorno a loro, la sensazione che tutto si stava fermando.
Lentamente, socchiuse gli occhi, per poi avvertire un calore umido sulle labbra.
Un bacio…
Sfiorato…ma dolcissimo..e penetrante, sentiva qualcosa che penetrava in lei.
Non qualcosa di fisico, ma qualcosa di spirituale.
Le labbra di lui erano piacevolmente carnose e ben fatte, calde, e leggermente umide, l’odore del suo profumo le stava lentamente facendo perder e il filo dei pensieri.
Anche se quello era un bacio a fior di labbra, lei lo sentiva penetrare in lei, con dolcezza, quasi con timore di rompere qualcosa di fragile.
Come…la sua anima…
Ecco, Genzo avvertiva.
Quel sapore di frutta secca e vento di Maestrale.
La sensazione di foglie secche e di piogge come canti di chiesa.
Il suo autunno.
Assaporarlo con gioia, con gentilezza.
Certo, lui era affamato di lei, avrebbe voluto poterla assaggiare con più voracità, ma sapeva che lei era come un farfalla, sarebbe volata via, spaventata dalla sua grande mano di gigante, che su quella pelle sembrava più scura del solito, la carnagione del portiere risaltava leggermente l’alabastro di Yuko, che restò in silenzio, prima di lasciare quelle labbra, lui avvertiva come uno spiffero monello che gli portava via quel dolce autunno, che ora gli sorrideva, alzandosi lentamente in piedi.
-Stanno arrivando…-
sotto lo sguardo supplicante e infastidito di Genzo, quella porta venne colpita da una seria di colpi leggeri, Inuki cominciò ad abbaiare festoso, mentre Yuko si avvicinava alla porta, sorridendo come al suo solito.
-Arrivo!-
con commenti come “Finalmente!” o “Che bel calduccio!”, Tsubasa, Misaki,Sanae, Yoshiko, Yaoi, Jun, Hikaru, Neko e Kojiro entravano in casa, salutando Genzo e lasciandosi coccolare dai complimenti di Yuko, che con l’aiuto della sorella sistemava i cappotti e il fuoco, versando poi le cioccolate bollenti nelle tazze, offrendole ai giocatori, che commentavano con allegria la loro vittoria, complimentandosi con Tsubasa, Kojiro e Genzo.
Passarono così la serata, tra chiacchiere e cioccolate, per poi lasciarsi andare tutti ad un bel sonno, solo due figure restavano in piedi, sistemando il macello che si era venuto a creare a casa Makoto.
-Quando prendi l’aereo-
-Domani pomeriggio, alle cinque. Tu?-
-Io parto presto. Alle sette devo essere gia in aereoporto-
-Mamma lo sa?-
-No-
Neko si fermò a guardare stupita Yuko, che tranquillamente continuava a sistemare i cuscini, Neko finiva di portare le tazze nel lavabo.
-E come farai?-
-Non lo so-
-Certe volte la tua semplicità è mostruosa!-
Yuko sorrise all’affermazione di Neko, che sbuffò, prima di tornare a parlare con voce un po’ più triste alla sorella.
-Adesso vai da lui?-
-Si, passo la notte da lui, ho gia preparato le valigie-
-Allora…dobbiamo dirci addio-
Yuko si femò, Inuki uggiolava, e si fece accarezzare dalla padroncina, che aspettò che Neko tornasse, abbracciandola.
-Non è un addio, è solo un arrivederci. Dopotutto, l’hai detto tu stessa che è tempo che pensiamo al futuro-
Neko annuì, anche se non smetteva di piangere, lasciandosi prendere il viso dalle mani fatte a coppa della sorella, che apriva gli occhi, come se la guardasse veramente.
-Sta attenta soprattutto tu, Neko. Hai sedici anni, quasi diciassette. Cerca di stare attenta-
Neko annuì, per poi lasciarsi abbracciare ancora dalla sorella, che la lasciò piangere, sorridendo maternamente.
Dopo tutti quegl’anni…per la prima volta si separavano…
Era difficile…
Ma sarebbero andate avanti…
Fino alla fine…
Fino alla fine…

Socchiuse gli occhi, tanto a che sarebbe servito aprirli?
Era notte, di sicuro.
Era sdraiata, lo sapeva…
Ma dove?
Ah, si…villa Wakabayashi…
Richiuse gli occhi, sperando che Morfeo, il dio del sonno, le baciasse la fronte e la portasse via da quel mondo fatto sol odi oscurità, conducendola in un luogo fato di luce e di sicurezza…
Ma sempre…sempre con la certezza di sentire, nella mano, tra le dita, il calore di una mano che la stringeva, con gentilezza, eppure con forza, quasi temesse che quella mano scappasse via.
Genzo era ancora sveglio, e la stava ammirando, la stava osservando mentre dormiva, il petto compiva movimenti lenti e tranquilli.
I suoi occhi si perdevano in quel mare castano- dorato, che avvolgeva quel viso come un’aureola, accanto a lui non poteva esserci una creatura maledetta, ma una delle figlie predilette del signore, che le aveva donato tanta bellezza e umiltà…
Si, forse esagerava, lei in fondo era solo Yuko, una ragazza di vent’anni.
“Si, ma è ceca!”
e allora?
Quando guardi una mela, ti preoccupi che la buccia sia perfettamente liscia?
Quando guardi una statua, ti preoccupi che il marmo sia completamente lucido?
Anche una mela perfetta ha piccoli difetti, come qualche leggera botta.
Anche una statua può avere delle scalfitture.
Ma, in fondo, è questo che le rendeva uniche.
Proprio come lei.
Lei era unica, Genzo era sicuro che anche se avesse cercato in ogni parte del mondo, non sarebbe riuscito a trovare un’altra ragazza come Yuko.
Il suo autunno…
La mano libera si intrecciò per qualche momento tra quei capelli, si poteva sentire l’odore della frutta secca e delle caldarroste, sembrava che quella stagione fosse rimasta impigliata nelle trame di quei capelli.
Con gentilezza, Genzo appoggiò la sua fronte su quella di Yuko, stringendo quella mano.
Lei era sveglia, e si mosse, mettendosi di fronte al portiere, la mano libera si stringeva con forza al vestito.
Si erano addormentati vestiti, la giornata per entrambi era stata davvero faticosa, soprattutto per lui, che si era lasciato coccolare da quella dolce figura, che ora tratteneva con disperazione il desiderio di…
Toccare…
Sfiorare…
Assaporare…
Avvertire…
Quanti modi per dire che voleva guardarlo in volto.
Lei si teneva, ma…
Guardare solo un berretto rosso che nascondeva geloso quel volto la stava lentamente distruggendo di curiosità.
La sua mano, lentamente, si alzò, percorrendo con carezze sfuggenti quel corpo da divinità antica, raggiungendo però il collo.
Aveva paura…
Di cosa?
Se lo avesse visto…forse…tutto il sogno che si era costruita attorno a lui…
Si sarebbe irrimediabilmente frantumato in tanti pezzi di illusioni svanite.
E lei era stanca di illusioni.
Voleva certezze.
Yuko si morse il labbro, stringendo gli occhi, mentre la mano, con lentezza disperata, scendeva giù, fermandosi su quella bendata del ragazzo, che la fissò colpito.
“No, non posso.
Ho troppa paura…”
la ragazza abbassò il capo, sconfitta, cercando un po’ di calore in quelle braccia, un po’ di conforto in quella voce, che però restava zitta.
Non parlava, non l’abbracciava, e sorrise triste, di sicuro stava dormendo, come poteva sentire la sua preghiera mentale?
Poi, ad un tratto, una mano afferrò dolcemente la sua, e con delicatezza la faceva scorrere lungo le spalle del ragazzo, fino a soffermarsi su una guancia.
Una calda…guancia…
Yuko sentiva il fiato farsi più corto, mentre le sue dita, intimidite e incerte, si muovevano lungo lo zigomo della guancia, leggermente ruvida per la barba.
Era grande…calda…morbida…leggermente ruvida alla fine, lungo la linea della mascella…forte…virile…
Era così grande…e…e si muoveva…
Si…la guancia formava…un movimento…di sorriso…
Stava sorridendo…
Yuko aprì leggermente gli occhi, lasciando uscire uno spiraglio di verde offuscato.
Dalla guancia si mosse, scendendo giù, percorrendo con un dito più coraggioso la mascella , che era forte e dura, adesso ammorbidita da quel sorriso.
Una linea sottile, che percorreva lungo un foglio tutto nero.
Una linea di colore bianco, luminosa.
Come il primo raggio di sole che squarcia le tenebre.
Il mento era duro, grande, e lo risaliva con delicatezza, quasi temesse che in realtà fosse fatto di cristallo.
Genzo sorrideva, le mani di Yuko erano morbide e lisce, come tessuto pregiato, seta delicata o velluto raffinato.
Yuko intanto continuava, sfiorando con piccoli tocchi leggeri le labbra carnose, che aveva gia assaporato…
Labbra così morbide…carnose…un po’ amare…
Buone…
Yuko arrossì lievemente, Genzo la guardò stupito, doveva pensare a qualcosa di davvero bello, mentre la mano ferita scorreva con il dorso sulla guancia, alcune ciocche di capelli toccavano come mani curiose la benda della mano.
Yuko si fermò, e tastò ancora la benda con la mano, che si staccò dal viso del portiere…
Genzo sorrise.
-Non ti preoccupare-
-Lo so che non devo, ma non ci riesco…
E tutto così…improvviso…
Ci conosciamo solo da sei mesi, e adesso…
Adesso sono qui, vicino a te, e domani prenderò un aereo che mi porterà in Germania…
E così lontana da qui…-
-Hai paura?-
Genzo lasciò che Yuko affondasse il viso nel petto del portiere, lasciandosi ubriacare da quel buono odore amarognolo- aspro.
-Un po’…-
-Non temere…-
Genzo si fece serio, e la strinse a se, in un abbraccio protettivo, stringendola.
-Ci sono qui io…nessuno ti farà del male…-
Yuko sorrise, strofinandosi lievemente sul petto, prima di alzare di nuovo la mano.
-Posso?-
-…certo…-
Genzo tornò a sorridere, e Yuko toccò di nuovo quelle labbra, prima di usare anche l’altra mano, e tornare ad accarezzare le guance, il naso, la fronte, il mento…
Le labbra…
Carnose labbra di uomo…
Yuko si allungò, si stirò, le sue labbra toccarono quelle del portiere, che la strinse a se, le braccia intorno alla vita sottile di lei, che teneva il volto di lui tra le mani, e lasciò scappare una lacrima di felicità.
Nella sua mente, ora, si mostrava il viso di un bellissimo ragazzo…
Il suo demone, il suo mare, che ora la baciava con amore, con dolcezza, come il mare tranquillo d’inverno…

Yuko si fermò un attimo, il vento e le ventole dell’aereo muovevano nervosi i suoi capelli, mentre i suoi occhi si socchiudevano, ascoltando on attenzione il rumore dell’aereo.
-Qualcosa non va?-
Genzo le prese una mano, stringendola.
Lei sorrise, riprendendo lentamente a camminare.
-No, sta tranquillo.
Andiamo-
Yuko sorrise con quel suo modo misterioso, e Genzo la guardò stupito, seguendola in aereo…

(non è ancora finita, almeno lo spero! Meiko)

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Capitolo 8
*** ...volere...volere... ***


Quella casa...
Le sembrava così grande e spaziosa, le sembrava addirittura di perdersi, fra le tante stanze.
Però…ogni volta, la sua mente delineava una mappa da lei costruita con sapienza e pazienza, che ogni volta la portava alla sua destinazione.
Spesso Genzo restava stupito dalla veloce capacità di apprendimento e di memorizzazione di Yuko, che in quel momento si mise comoda sulla poltrona di fronte al ragazzo, sorridendo tranquilla, lasciandosi cullare da quell’atmosfera serena.
Era gia da un mese che abitava li, e tutto sembrava andare per il meglio, anche se…
Beh, a giudicare dai brontolii che si sentivano spesso dal piano di sopra, pareva che un orso si stesse lamentando!
In realtà, Genzo avrebbe preferito andare agli allentamenti, ma in qualche modo il suo medico e Yuko lo avevano convinto a restare a casa.
Yuko…
In qualche modo, pensare a quella ragazza lo faceva stare meglio, soprattutto ora che era li, con lui.
Ad Amburgo.
Ogni volta che la vedeva passare, scendere o salire, sedersi o alzarsi, gli prendeva la voglia di abbracciarla e di stringerla a se, e senza vergogna lo faceva, lasciando la ragazza sempre in uno stato di stupore, per poi lasciarsi coccolare da quelle braccia forti, sorridendo dolcemente. Anche quella sera, quando si alzò per salire in camera, l’aveva afferrata da dietro per la vita, trascinandolo verso il suo corpo atletico, muscoloso, dal sapore virile.
E lei aveva sorriso, accoccolandosi ancora di più, lasciando che anche le braccia tenesse per la vita, lei con le mani le accarezzava, mentre lui appoggiava il mento sui capelli di Yuko, che sorrise, per poi voltarsi.
-Tutto bene?-
-Si. E’ tutto…perfetto…-
Yuko sorrise, annuendo, lasciandosi affondare in quel petto coperto dalla felpa, mentre lui intrecciava le dita tra i capelli di lei, che alla luce soffusa delle lampade sembravano onde di oro colato, come un grande mare rilucente.
Restarono, così, in silenzio, fino a quando Genzo non la portò a sedersi sul divano, accanto a lui, trascinandola poi fino a sdraiarsi accanto a lui, occupando una minima parte di divano, dato che il grande fisico dell’atleta lo occupava tutto.
Ma a lei bastava, il braccio del portiere ancora legato alla sottile vita da vespa, mentre una mano giocava con i suoi capelli, lei che teneva gli occhi socchiusi, lasciando che la luce delle lampade semi-spente illuminassero come tante stelle luminose le sue iridi verdi.
-Perfetto?-
l’SGGK si limitò ad annuire, stringendola ancora un po’ a se.
-Si…tu sei qui, ad Amburgo…l’atmosfera…il silenzio…la tua presenza…
E’ tutto…perfetto…-
Yuko si limitò ad annuire, e questo bastò a far sospettare il portiere, per poi udire la voce soffusa della ragazza, che parlava, mormorando timida.
-Sarebbe tutto perfetto…se al mio posto ci sarebbe una ragazza che ti ammirasse guardandoti…-
-Non dire così, perché non è vero-
Genzo sentì un impeto di rabbia: accidenti, certe volte quella ragazza era così cinica nei confronti della sua cataratta, quasi non accorgendosi che si faceva del male a se stessa!
Yuko si voltò con lentezza, aprendo gli occhi, e guardando convinta e forse infastidita Genzo, che restò colpito profondamente dall’infinito di quelle iridi verdi, che apparivano come prati verdi di grandi praterie, bagnate dalla pioggia, illuminate dalla luce di un sole al tramonto.
Yuko parlò con voce più tremolante, quasi fosse sull’orlo di un pianto.
-Dimmi la verità, Genzo Wakabayashi: tu preferiresti che io vedessi?-
il portiere rimase per qualche secondo senza fiatare, la domanda di Yuko era diretta ma, al tempo stesso, incapibile.
Era come…una supplica…una preghiera a rispondere di no…e di si allo stesso tempo.
Il portiere la guardò a lungo: quelle verdi prateria…che vedevano?
La fissava con attenzione, quella pallida macchia grigia, come una pozza d’acqua sporca.
Sospirò, mentre timidamente accarezzava la guancia di Yuko, che aspettava spaventata la risposta.
-Vuoi la verità? No-
Yuko sussultò.
-Cosa? P-Perché?-
Genzo chiuse per un attimo gli occhi, per poi abbracciarla e stringerla a se.
-Perché…perché non ti piacerebbe sapere cosa c’è oltre il buio, quel buio che in qualche modo si, ti nasconde la verità.
Ma…ti protegge.
Tu hai bisogno di protezione…
Ma…
Non lo so neanche io cosa voglio…
Perché, si, ammetto che mi piacerebbe al tempo stesso che tu vedessi…
Ma...ho paura…che il mondo che tu guarderai…ti spaventi…
E…e ti facesse scappare via da me…-
Yuko restò in silenzio, avvertendo quelle braccia stringerla a se, per poi muoversi, e aderire ancora di più a quel corpo.
Il mondo…
Voleva scoprire il mondo…
Non si ricordava quasi più niente, dopo anni da quando era stata colpita da quella malattia.
La sua curiosità e il suo desiderio di guardare il mondo erano stati repressi sotto risposte negative che non portavano a nessun barlume di speranza di famosi dottori.
Era come percorrere un corridoio fato di tante porte, che però si rivelavano sbarrate da pannelli di vetro e di plastica trasparente, che storpiavano in parte la realtà, e in parte la mostravano per quello che era.
Yuko si sentì di colpo stanca e debole, avvertiva la frustrazione prendere il sopravvento, e con lei la rabbia.
Cominciò a tremare, stupendo Genzo, che la guardò preoccupato, mentre lei tremava, furiosa.
-Perché…perché nessuno…nessuno mi dice che va bene così?
Tutti a sperare in qualche miracolo.
Io non posso vedere…
NON POSSO VEDERE!
SONO CIECA, CIECA, MALEDIZIONE!-
Aveva cominciato a gridare e a muoversi convulsamente, sbattendo con rabbia i pugni sul petto di Genzo, che la lasciò alzarsi, ma quel gesto di rabbia della ragazza non procurò a Yuko che una sonora caduta a terra, mentre lei continuava ad urlare che era cieca, che la speranza non sarebbe mai venuta da lei, che non c’era speranza.
C’era solo buio.
-Buio…-
Genzo si era alzato, e si era avvicinato spaventato alla ragazza, per poi tingere il suo viso di dolore, mentre la vedeva piangere, per la prima volta la vedeva piangere di dolore.
Non voleva vederla piangere, non doveva farla piangere.
L’aveva promesso a Taro.
Gentilmente, il portiere l’alzò e la portò verso di se, abbracciandola con gentilezza, lasciando che si sfogasse sul suo petto.
-Vedo solo buio…non voglio più vedere buio…
sono stanca…sono stanca…basta…basta…-
piangeva sommessamente, vergognandosi del suo comportamento, vergognandosi di essere abbracciata a Genzo.
Di sicuro, ora la credeva una pazza…
Perché aveva fatto così?
Perché non riusciva a capire che era inutile sperare?
Nonostante tutto, Yuko credeva ancora in una possibilità di riscattarsi.
Ma…ma come poteva tenere accesa quella fiammella?
Che sciocca…era una sciocca…
-Sono una sciocca-
-No, non lo sei-
Genzo l‘aveva stretta di più, stupendola, mentre lui la teneva a se con fare protettivo, come se davanti a lui ci fosse qualcuno che voleva farle del male.
-Tu speri, e io spero con te…
Tu puoi vedere, Yuko, se lo vuoi.
Se vuoi, domani stesso proveremo a vedere un oculista mio amico.
E ci proveremo ancora e ancora, per cento volte, se sarà necessario.
Ma questo posso farlo solo se tu lo vuoi…-
La ragazza non aveva fiatato, ma si era stretta di più a quel petto così grande, suo appiglio in quello che appariva come un burrone senza fondo, un limbo di paura e orrore, pieno di voci che parlavano, malelingue che le dicevano contro parole crudeli.
Un luogo dove non c’era luce.
Ma qualcuno l’aveva presa…un demone dal volto coperto da un berretto rosso, che però era caduto nel burrone, rivelando un bellissimo viso, che ora Yuko tastava di nuovo, Genzo la lasciava fare, prendendola tra le braccia, quando lei, alla fine, stanca, si tenne per il collo del portiere, che con fare affettuoso e protettivo la portò in camera.

Non era riuscito a dormire…
Ogni volta che chiudeva gli occhi, vedeva davanti a se l’immagine di una Yuko totalmente diversa da quella che vedeva ogni giorno sorridergli, abbracciarlo, baciarlo.
Era una Yuko disperata, racchiusa dentro una prigione fatta con sbarre di buio e oscurità, troppo forti da spezzare.
Lei teneva il viso coperto dalle sue mani, la sua pelle candida assumeva sfumature cadaveriche.
I capelli, ondulati, erano spettinati.
La si sentiva piangere.
E lui l’ ha chiamava, preoccupato, disperato.
Ed ogni volta.
La vedeva alzare lo sguardo, gli occhi non avevano altro che sclera bianca, e le sue lacrime erano fatte di sangue.
Ed ogni volta, lei gli gridava il nome, ed una frase che non avrebbe mai voluto sentire dalle labbra di colei che amava.
-TI ODIO!!-
Genzo spalancò anche quella volta gli occhi di scatto, tenendoli fissi, colmi di angosci, verso un punto impreciso nel buio della stanza, rischiarato solo dalla tenue luce di una pallida luna ovale, che sbucava a tratti dalle nuvole, chiazzando le tende candide e leggere che nascondevano quella finestra, solo uno spiraglio aperto, per fare entrare un po’ di luce e di aria.
Genzo restò immobile, ancora leggermente sconvolto, per poi chiudere gli occhi in un gesto colmo di sofferenza, mentre si girava, accanto a lui sentiva chiaramente il calore di Yuko, che sembrava dormire.
Sembrava…non si riusciva a capire…ciò che passava per la mente di quella ragazza…ciò che odiava…ciò che voleva…
No, quest’ultima affermazione era sbagliata, lui aveva capito cosa lei volesse.
Lei voleva vedere.
Aprire gli occhi, e vedere com’era fatto il mondo attorno a se, dalla più piccola foglia all’immensità del cielo.
Ma lui…lo voleva?
Con un gesto che aveva del possessivo, il ragazzo avvolse la vita sottile della ragazza con il suo braccio, portandola gentilmente verso il suo grande e forte corpo di atleta, l’altra mano s’intrecciò in quei capelli che sapevano di vaniglia e frutta secca.
Il suo autunno…
Il suo amato e triste autunno…
Avvertì Yuko muoversi, scostandosi leggermente da lui, le mani sottili e fredde si poggiavano sul petto quasi scolpito nel marmo, tanto era forte, che in quel momento pareva bruciare.
- Genzo?-
lui non rispondeva, restando in silenzio ad osservarla…ad ammirarla…
Così bella…così innocente….
Con quel suo sorriso carico di mistero, quel viso dolce, dai lineamenti europei, dai lunghi capelli castani dalle sfumature d’oro, e dagl’occhi verdi…velati dalla cecità…
Yuko non riusciva a capire perché, ma Genzo l’abbracciò di nuovo, il suo viso si ritrovò immerso in quel suo profumo di bagnoschiuma e virilità, un profondo quasi ipnotico.
E lei si accoccolò, come un gatto, come faceva Neko.
A proposito, chissà come stava?
Beh, ma ora, in quel momento, non era importante come stava Neko, anche perché Yuko era certa che stava bene.
Ora la sua preoccupazione era rivolta a Genzo, che la teneva ancora abbracciata a se, accarezzandole con dolcezza la schiena.
- Genzo, qualcosa non va?-
il ragazzo fissò il suo capo, baciandolo con tenerezza, tenendola ancora stretta a se, quasi avesse paura che scappasse.
-No, niente d’importante…-
-Sicuro?-
Yuko lo guardò, ora non sembrava più la donna che passava con lui ogni giorno.
Adesso…assomigliava ad una ragazza di sedici anni, che preoccupata guardava il suo fidanzato turbato, cercando di aiutarlo in qualche modo.
Dolce Yuko.
Genzo sorrise, e lasciò che Yuko tastasse quel sorriso, prima di baciarla sulla fronte.
-Va tutto bene, Yuko. Dormi…-
la ragazza obbedì con un sorriso rasserenato, accoccolandosi ancora un po’ di più tra quelle calde braccia, lasciandosi cullare dal respiro tranquillo di Genzo. Che sorrideva, cercando di smetter edi pensare, assaporando solo quel contatto…

Quando si era risvegliata, lui non c’era più, doveva essere sceso.
Velocemente, si preparò, ormai conosceva a memoria quella grande villa, e riusciva ad orientarsi con facilità.
Si lavò e vestì in fretta, legandosi i capelli in una coda bassa, lasciandosi scappare qualche ciuffo, per poi scendere rapidamente le scale di casa, contandole a memoria e stando attenta a non inciampare, mentre avvertiva la moquette morbida sotto i piedi scalzi.
Quel giorno era di buon umore, aveva voglia di fare una passeggiata con Genzo, quando lo udì ridere e chiacchierare con un’altra voce.
Era una voce un po’ più bassa, con un timbro di voce invecchiato, come del buon vino.
Silenziosamente, Yuko seguì la voce, alla ricerca della sua sorgente, fino ad incappare nella porta scorrevole chiusa del salotto, aperto solo un breve spiraglio, dove provenivano ancora le voci.
-Allora dottore?-
-Bene, Wakabayashi, posso confermare che la tua mano è guarita, e che ora puoi tornare a riprendere gli allenamenti regolarmente-
-Benissimo, la ringrazio-
-Sei contento?-
Genzo si voltò sorpreso, incrociando il sorriso sereno di Yuko, che entrò nel salotto educatamente, avvicinandosi alla poltrona di Genzo, che le afferrò una mano con quella guarita, lasciando che Yuko la tastasse, con un sorriso felice in volto.
Nel frattempo, il dottore l’aveva guardato sbalordito, e ancora la stava osservando, quel sorriso e quel viso non erano a lui sconosciuti.
-…Yuko Makoto…-
la ragazza si voltò, sentendosi chiamare, e udendo ancora quella voce, nella sua mente si delineavano le forme di un viso a lei familiare, ma avvolto dalla nebbia di ricordi confusi.
-Si? Chi è lei?-
-Ma come, piccola Yuko, ti sei dimenticata del signor Strass?-
la ragazza trattenne un grido di sorpresa, per poi abbracciare il medico, percorrendo velocemente il volto di un anziano uomo sulla settantina d’anni, che sorrideva malinconico.
-Signor Strass, che piacere rincontrarla-
-Anche per me è un piacere, piccola Yuko -
-Vi conoscete?-
Genzo guardò stupito Yuko, che gli prese la mano, annuendo dolcemente con il capo.
-Il signor Strass è stato il medico di mio padre, molto anni fa-
-Non sapevo che ora tu vivessi con Wakabayashi, Yuko -
lei arrossì lievemente, stringendo la mano di Genzo, il medico scambiò un occhiata complice con il ragazzo.
-Abbine cura, Genzo, è una ragazza preziosa-
passarono così la mattinata a chiacchierare, tra risate e momenti di silenzio, nei quali il signor Strass passava il tempo ad osservare la cataratta di Yuko, quando aveva conosciuta la ragazza quando era solo una bambina, la malattia era nata proprio in quel periodo, e il signor Strass si trovò coinvolto non solo come medico, ma anche come amico nei confronti di quella bambina, che ora si era fatta adulata, ma aveva ancora negl’occhi quella orribile patina che le impediva di poter vedere.
-Senti, Yuko…come va la tua cataratta?-
la domanda era venuta a bruciapelo, e la ragazza si trovò per un momento svantaggiata, per poi sorridere gentilmente e rispondere senza alcuna difficoltà.
-Ormai ci vivo, signor Strass, e non posso lamentarmi-
-Tua madre continua a cercare qualche bravo oculista?-
-Si, ora è in Canada, ma io non ci sono voluta andare-
Yuko avvertì di colpo un impulso irresistibile di chiedere una cosa al dottor Strass, ricordandosi di una frase che, quando da bambina aveva avuto la malattia, il vecchio aveva detto al padre.
Ma il signor Strass fu più veloce di lei.
-Io, come sai, conosco un ottimo chirurgo- oculista, che forse potrebbe aiutarti…-
Genzo aveva ascoltato senza fiatare, e con sorpresa scoprì questa informazione, prima d’ora il dottor Strass non glielo aveva mai detto.
Yuko si era fermata.
La…possibilità…di…vedere?
-Lei crede che potrebbe aiutare Yuko?-
Genzo aveva preso la ragazza per una mano, per poi abbracciarla da dietro, stringendola a se, quasi temesse che il dottore l’attaccasse.
Il signor Strass si accarezzò la pelata, ciuffi grigi erano ancora attaccati intorno alle orecchie, mentre i suoi occhi stanchi fissavano pensierosi quella che ora gli appariva tornar come la piccola Yuko che aveva conosciuto molti anni fa.
Il vecchio sorrise.
-Forse….ma non ne sono sicuro…si dovrebbero fare prima dei test-
Genzo stava per ribattere, ma sentì la voce di Yuko farsi più forte della sua, stupendolo.
-Facciamoli-

Vedere…
Tornare a vedere…
Riaprire gli occhi…spalancarli…
E poter vedere il cielo…
Un cielo che lei gli è sempre apparso grigio e nuvoloso, prossimo a piovere…
Poter vedere di nuovo i sorrisi di persone…il verde dei prati…
E vedere…quel viso…
Non più schizzo di disegno…ma certezza di pelle ed ossa…
Vedere…
Vedere…
Si…ma…se non gli sarebbe piaciuto quello che avrebbe visto?
Se…aprendo gli occhi…avrebbe visto qualcosa che l’avrebbe spaventata?
Non avrebbe più potuto rifugiarsi nella sua oscurità, nel buio del suo essere…
Paura…aveva tanta paura…
Cosa doveva fare…cosa?

L’oculista controllò la cartellina rigida che teneva tra le mani, mentre con la coda dell’occhio lanciava uno sguardo alla coppia, il ragazzo stringeva con fare protettivo la mano della ragazza, che fissava un punto vuoto, sembrava nervosa, anche se manteneva quel sorriso dolce.
Il dottore guardò le varie scartoffie piene di numeri e dati all’apparenza indecifrabili, prima di voltarsi verso i due, sorridendo.
-Allora…secondo i dati del test, la sua cataratta appare molto profonda. Tuttavia, è possibile un’operazione chirurgica con la possibilità di successo del 50%-
per Genzo e per Yuko quel numero appari enorme, eppure al tempo stesso traballante, come fatto di un enorme pila di carte, al minimo cenno di vento rischiavano di cadere giu.
50%…
Yuko avvertì la testa pesargli, mentre Genzo si voltava a guardarla, tutto intorno a lei prendeva un’aria così confusa e intoccabile, come se si fosse alzata un muro di sapone, inconsistente ma presente.
50%…
Vuol dire che avrebbe potuto vedere, come avrebbe potuto perdere l’ultima speranza di vedere…
Dio, quel numero la metteva in crisi…
Ma non aveva tempo per pensarci.
-Purtroppo questa situazione è temporanea, nel senso che questa cataratta è ormai penetrata nell’occhio, e si rischia solo ad un peggioramento-(Avverto che non so’ nulla di medicina, non so se questo che ho scritto sia corretto! N.d.M.)
-Quanto tempo ho per decidere?-
l’oculista guardò fermamente la ragazza, anche se sapeva che lei non l’avrebbe potuto vedere.
-Molto poco, signorina. Io le consiglio di decidere adesso, sempre che questo non le metta agitazione-
due forze contrapposte stavano lottando.
Come due gladiatori romani in un arena.
Il suo cuore a metà.
Cosa fare? Cosa fare?

Genzo le strinse la mano, e Yuko socchiuse gli occhi.
Lui…le sarebbe sempre stata accanto…
Genzo…
Yuko sorrise, e aprì gli occhi in un gesto convinto.
-Dottore, a quando l’operazione?-

*

Si svegliò ancora assonnato, quella benedetta tenda era ancora semi aperta, e quel dannato raggio di sole lo colpiva precisamente in faccia.
Beh, almeno un buon giorno tranquillo, senza quella dannata sveglia che gli fracassava il cervello con il suo rumore assordante.
Ma cribbio, era Domenica!
L’unica Domenica libera che era riuscito a permettersi.
E lui voleva dormire, DORMIRE!
Uff!
Si girò, e di colpo si trovò di fronte agl’occhi uno spettacolo mozzafiato.
Lei era li, ancora addormentata, un braccio sotto la testa per cuscino, vestita di una maglietta più grande di lei di almeno tre misure, che la rendeva ancora più infantile, e…
Deliziosa.
I capelli ramati sparsi per il cuscino bianco, la posizione leggermente acciambellata come un felino.
Il suo piccolo micio.
Kojiro sorrise, intenerito, dimenticandosi tutte le bestemmie che avrebbe voluto gridare contro quella benedetta tenda, fermandosi ad ammirare quella creatura, un braccio sosteneva la testa, mentre l’altra mano sfiorava con un innata delicatezza quel viso addormentato, tinto di un sorriso sereno.
Anche se era da un mese che Neko stava con lui, ancora non si era abituato alla presenza di quel piccolo gattino li affianco.
Non l’avrebbe mai voluta svegliare, gli sarebbe piaciuto fermare il tempo, come in una fotografia da ammirare ogni volta che voleva.
Perché, dannazione, Neko c’era, ma lui no .
Gli allenamenti con la squadra lo tenevano sempre occupato, soprattutto la mattina, mentre le Domeniche doveva giocare.
Lei però lo seguiva sempre, dagli spalti più vicini dello stadio, a gridargli fino a quasi perdere la voce.
Per poi attenderlo fuori dallo spogliatoio, tornando a casa a braccetto, lasciandosi anche fotografare dai paparazzi, tanto di cosa dovevano vergognarsi?
Stavano insieme, e allora? Cosa c’era di così sconveniente?
Forse perché prima stava con una famosa giocatrice di softball…
Che stronzate!
Non amava Maki, gli era solo molto grato, questo era la verità.
Lo aveva capito quella notte, quando aveva stretto a se Neko, quando erano rimasti loro due abbracciati per tutta la notte, a coccolarsi…
Lui amava Neko. Quella era la verità.
Solo quella.
Sentì qualcosa muoversi sotto le lenzuola, e sorrise, mentre osservava due felini occhi verdi brillargli, e un sorriso felice e un po’ assonnato gli risplendeva quella mattinata un po’ grigia.
-Buon giorno-
- ‘Giorno-
Neko si stiracchio un po’ sotto le coperte, quella maglietta in realtà era una camicia a maniche lunghe di tre taglie più grande, bianca, che la rendeva ancora più deliziosa e innocente, appariva un’adolescente.
Beh, lei lo era, aveva diciassette anni.
Forse anche per questo i paparazzi facevano tanto baccano.
Ma Kojiro mica era pedofilo!
Scusa, c’era solo una differenza di tre anni, cosa c’era di strano?
UFF!
-Qualcosa non va Kojiro?-
il ragazzo scosse il capo, accarezzandogli la guancia con il dorso della mano, per poi avvicinarsi quel viso di bimba e scoccargli un bacino sul nasino, la ragazza lo arricciò insoddisfatta, mettendosi in ginocchio e baciando con gentilezza le labbra del ragazzo, per poi sorridere e andare sotto la doccia, stiracchiandosi ancora un po’.
Il ragazzo ammirò quella sottile figura coperta dall’intimo e da quella camicia che non riusciva a raggiungere le ginocchia, i capelli ramati spettinati formavano una specie di aureola birichina, e gli occhi verdi brillavano ancora un po’ assonnati, il suo movimento felino dei fianchi faceva impazzire il ragazzo, che si lasciò scappare un sorrisone beato, prima di uscire dal letto, aprendo le tende del tutto, lasciando che una vampata di sole lo colpisse direttamente in faccia e sulla pelle scura.
Sentì chiaramente lo scrosciare della doccia, e con uno sbadiglio e grattandosi il capo il ragazzo si spostò in cucina.
Bisogna dire che l’appartamento di Kojiro non era affatto male: quattro locali spaziosi, con vista sulla città, abbastanza sobrio ma con un tocco di eleganza che non faceva mai male.
E poi, con quella presenza femminile, sembrava essere diventato ancora più luminoso.
Il ragazzo, con fare distratto, accese la radio sul tavolo della cucina, lasciando che la radio mettesse un disco italiano, di un certo Nek .

Perchè mi piaci
in ogni modo
da ogni lato o prospettiva tu
perchè se manchi
stringe un nodo
e il respiro non mi ritorna più
perchè non chiedi mai perdono
ma se mi abbracci
non ti stancheresti mai
e poi sai fare
morire un uomo
con l'innocenza del pudore che non hai

Un po’ d’italiano Kojiro lo aveva imparato, e gli sembrò di sentire la descrizione perfetta di Neko.
Una deliziosa ragazza dai corti capelli ramati sbarazzini e occhi verdi felini birbanti, dal corpo sottile e flessuoso, dai movimenti felini, dall’aspetto innocente eppure al tempo stesso birichino.
In quel momento, la ragazza uscì dalla doccia, mettendosi dei jeans e una maglietta, un’ asciugamano ancora in testa, mentre si spostava dalla camera da letto in disordine alla cucina, osservando con una punta di malizia e d’imbarazzo la schiena nuda di Kojiro, che non accorgendosi di lei continuava a cucinare.
Quelle spalle così grandi, la schiena gli sembrava un enorme distesa scura.
Nonostante vivesse con lui gia da un mesetto e più, vederlo a torace nudo ogni mattina, quando si svegliava, gli faceva ancora quell’effetto d’imbarazzo.
Lo sapeva che era un po’ sciocca, ma non ci poteva fare niente.
Neko sorrise birichina, camminando con passo felpato, i piedi nudi toccavano il pavimento gelato, mentre l’asciugamano dalla testa si spostava sulle spalle.
Con un balzo, la ragazza afferrò Kojiro dietro, coprendogli per un secondo gli occhi, per poi dargli un bacino dietro la schiena.
Lui sorrise, divertito, lasciando fare la ragazzina, mentre la canzone continuava ad andare.

sei solo tu
nei giorni miei
sempre più
dentro me
sei solo tu
e dimmi che sono questo ora anch’io per te

Kojiro afferrò dolcemente per la vita la ragazza, che si mise di fronte a lui, aiutandolo nel preparare la colazione, chiacchierando senza pensieri.
-Oggi sei libero, che vuoi fare?-
-Pensavo di restare ad oziare qui a casa, magari coccolando un bel gatto dai capelli rossi-
Neko fece le fusa, scatenando le risate di Kojiro, che le baciò la testolina, continuando a trafficare in cucina con la ragazza, che dava una mano.
-Io, invece, pensavo di fare un passeggiata. E’ da un po’ di tempo che non usciamo insieme-
Kojiro la guardò per un momento, per poi lanciare un’occhiata fuori dalla finestra, nuvole grigie e bianche passavano a tratti lente e a tratti veloci sul cielo.
-Mm…non credo sia una buona idea. Con il tempo che ha fatto in questi giorni, ci si può aspettare di tutto!-
Neko sbuffò delusa, annuendo: in effetti, in quell’ultimo periodo il tempo era stato davvero lunatico, non si capiva niente.
Una volta era freddo, poi pioveva, poi faceva un caldo torrido, poi tornava la pioggia, poi c’era bel tempo.
Insomma, un tempo pazzo!
Kojiro la guardò lei aveva fatto una smorfia delusa, per poi tornare a lavorare, l’asciugamano ancora sulle spalle e i capelli ancora umidi

perchè sei bella
che mi fai male
ma non ti importa
o forse neanche tu lo sai
e poi la sera vuoi far l'amore
ogni volta come fosse l'ultima

Kojiro, senza pensarci, gli prese l’asciugamano da dietro, posandoglielo sulla testa, e iniziando a sfregarglielo con forza, scatenando le lamentele di Neko.
-Ehi! Mi fai male!-
-Allora vatti ad asciugare i capelli, se non vuoi prendere un malanno!-
e con un bacino e una spintarella, il ragazzo la fece uscire dalla cucina, lei si voltò a guardarlo, notando poi che era ancora a torso nudo.
Neko si fece di colpo rossa, e Kojiro capì subito il motivo, tornando a ridere divertito, mentre Neko si lamentava ancora.
-E dai, non prendermi in giro!!-

sei solo tu
nei gesti miei
sempre più oramai
sei solo tu
dentro me
tutto il resto è invisibile

cancellato ormai
conquistato dagli occhi tuoi
quel che resta poi

Kojiro si avvicinò a Neko, il loro visi si sfioravano.
La ragazza si limitò a socchiudere gli occhi, in un gesto d’invito, che il ragazzo afferrò al volo, accarezzando le labbra di lei con le sue in un bacio sfiorato e sensuale, che pian piano si fece più profondo.
Nulla
Nulla era più bello di quella sensazione.
Un misto di dolcezza e di passione che riusciva sempre a mettere in subbuglio la tigre.
Una tigre innamorata di un dolce gattino dal muso dolce e dal manto ramato.
Kojiro sfiorò con la lingua quelle labbra, prima di staccarsi, facendo prendere fiato a Neko, che fece l’occhiolino, sciogliendosi da quelle braccia, correndo in bagno ad asciugarsi.

sei solo tu
nei giorni miei
sempre più dentro me
sei solo tu a dirmi che
solo tu dentro me

sei solo tu
nei giorni miei
sempre più dentro me
sei solo tu
e dimmi che
sono questo ora anch’io per te

sei solo tu
nei giorni miei
sempre più dentro me
sei solo tu
e dimmi che
tutto il resto non conta
ora non conta
tutto il resto sei solo tu

Kojiro si voltò verso la radiolina nera sul tavolo, ascoltando le ultime note di quella canzone.
Certe volte quel Nek scriveva cose sensate!
E dire che quella canzone a Kojiro non piaceva tanto.
Con fare stanco, il ragazzo sistemò le ultime cose per al colazione, prima di entrare in bagno dopo Neko, che si era asciugata i corti capelli.
A dire la verità, in quegl’ultimi giorni il ragazzo aveva notato che gli si erano allungati, ora raggiungevano a malapena le spalle, mentre prima erano davvero corti, solo quella zazzeretta sbarazzina.
Aveva scoperto che la ragazza aveva i capelli ondulati proprio come Yuko, solo il colore era diverso.
Quando il ragazzo tornò in cucina, ad aspettarlo c’era Neko, che tranquillamente stava sorseggiando il suo caffellatte, aveva finito gia di mangiare.
-Allora restiamo a casa?-
Kojiro la guardò un attimo, ammirandola.
Deliziosa.
Sbuffò, guardando fuori dalla finestra, per poi sorridere.
Gli era venuta un idea.
-No . Prendi la tua roba da disegno, che usciamo-
la ragazza illuminò il volto con un sorriso radioso, per poi correre a preparare la sua sacca, mentre Kojiro finiva di mangiare e di mettere a posto, aspettando Neko.
Quando la ragazza gli arrivò da dietro, saltandogli sulle spalle, per poco non fece un capitombolo!
Il parco era a pochi passi dal loro appartamento, il posto preferito di Neko, dove di solito a quell’ora e quasi tutti i giorni la si trovava li a schizzare e a fare disegni di famiglie con bimbi piccoli, o uomini e donne che tranquillamente facevano jogging, spesso passandosi accanto, senza conoscersi,senza nemmeno immaginare a cosa sarebbe potuto accadere, in un futuro alternativo, se si sarebbero conosciuti.
Spesso Neko pensava a queste cose, mentre disegnava impiegati, manager, single, casalinghe,e chi più ne ha più ne metta che trascorrevano almeno un’ora della loro vita impegnata a pensare solo a se stessi, allenando su quel percorso fatto di terra battuta, dove ogni tanto, ad un certo tot di metri percorsi, s’incrociava un cartello e un attrezzo in legno, dove si faceva flessioni e vari esercizi (nel parco della mia città queste cose ci sono! N.d.M.)
Neko e Kojiro passeggiarono per un po’ lungo la strada battuta, a volte incrociando lo sguardo stupito e forse emozionato di qualche uomo, donna o ragazzo che vedeva incrociare la strada con la famosa Tigre, Kojiro Hyuga in persona!!
Al suo fianco, mano nella mano, una deliziosa ragazza dai corti capelli ramati e gli occhi verdi, che chiacchierava allegra, tenendo sulla spalla una sacca colorata qualcosa di quadrato e grande.
Neko si guardò intorno, prima di sorridere, indicando con un cenno della testa una panchina verde che dava con lo sguardo alla zona dove i bambini si divertivano su scivoli, altalene e vari giochi.
Kojiro si sedette con fare stanco, nonostante tutto aveva ancora un po’ sonno, mentre Neko aveva gia cominciato a schizzare delle bambine con due donne che si divertivano a giocare alla campana.
I suoi schizzi erano semplici, ma al tempo stesso complessi, sembrava che la bimba che stava in quel momento saltando uscisse di colpo dal foglio, mentre Neko rifiniva i particolari con chiaroscuri a carboncino, occupandosi poi delle due donne l affianco, che chiacchieravano come vecchie amiche, mentre le grida delle due bimba si facevano sentire con la conta, in italiano.
Neko spostò lo sguardo e girò il foglio, coprendo il disegno appena fatto con una patina in plastica, per poi cominciare a disegnare un bimbo di pochi mesi su un’altalena con la madre, il padre da dietro spingeva.
Quei visi gioiosi, quelle risate e quel chiacchiericcio tranquillo.

Nostalgia….
Una dolce nostalgia che nasceva da ricordi passati, quando, anche lei su un’altalena, da piccola, si faceva spingere dal padre, li accanto la sorellina, la madre le osservava.
Poi…la madre prese il posto di Yuko, che sorridendo salutava con un cenno della mano Neko, che non capiva.
Perché la sorellona non giocava più con lei?
Poi…un giorno…
Gli aveva allungato una tazza, e l’aveva lasciata andare, sicura che Yuko l’avesse presa.
Invece…
Invece era caduta a terra, spaccandosi in tanti pezzi…
E da li la verità nuda e cruda.
-La tua sorellina non vede, ha una brutta malattia-
cataratta.
Sua sorella…cieca…
Aveva pianto, gridato, fatto i capricci.
Poi si era calmata.
Ed aveva smesso di andare sull’altalena.

Kojiro la fissò con occhio preoccupato, Neko fissava con aria assente quell’altalena con il bimbo e la madre, il disegno ancora grossolano fatto con il carboncino.
Il ragazzo spostò il braccio appoggiato sulla panchina alle spalle di Neko, che si riscosse, sorridendo a Kojiro, per poi continuare a disegnare, schizzando velocemente, come a voler cancellare qualcosa.
Kojiro la guardò preoccupato, per poi a vere un’idea.
-Ti va di fare un giro sull’altalena?-
-Cosa?-
Neko lo guardò come se fosse ammattito, per poi sorridere come una bambina felice, annuendo, mettendo a posto la roba per disegno, il ragazzo gliela prese cavallerescamente, prendendola per la mano e accompagnandola alle altalene più grandi, facendola sedere, per poi iniziare a spingerla.
Come volare…
Andare sull’altalena era come volare.
Volare, sempre più in alto.
Superare tutti gli ostacoli, per toccare il cielo.
Il cielo azzurro, il cielo infinito.
Neko dondolava allegra, sorridendo, mentre con una mano si allungava verso il cielo azzurro, tentando di toccarlo, inutilmente.
Quell’altalena era come la vita.
Sali…e scendi…
Neko scese giù, Kojiro la guardava con occhio sereno, sulla spalla la sua sacca.
Neko dondolò ancora, prima di fermarsi lentamente, e sorridere come una ragazzina pestifera, come una bimba che aveva ricevuto il suo regalo di compleanno.
- E’ stato divertentissimo! Era da un sacco di tempo che non andavo più sull’altalena!-
Neko prese a braccetto Kojiro, come una fidanzata spensierata, come una di quelle quindicenni a cui piace fantasticare ad occhi aperti, sognando il grande amore.
Si spostarono, dalla panchina si sedettero a dei strani cilindri colorati in cemento, un po’ sporchi, di varie altezze, Neko si prese quello più alto, ricominciando a disegnare, mentre Kojiro stava a quello più sotto, le raggiungeva la spalla, socchiudendo gli occhi.
Nonostante tutto quella era davvero una bella giornata.
-Guarda-
Kojiro si voltò, Neko indicò un ragazzino che giocava a pallone con il padre.
Qualcosa che Kojiro tempo addietro aveva provato, ma poi…
-Non mi hai mai parlato della tua famiglia…-
Neko parlava con tono di voce basso, temendo di toccare qualche tasto dolente.
Ma Kojiro ormai aveva passato tutto.
-Ho una madre, due fratelli e una sorellina. Mio padre purtroppo è morto…-
-Mi dispiace…-
-E di cosa? Non è mica colpa tua-
-Si…ma è triste…perdere qualcuno a se caro…-
Neko si strinse le braccia intorno alle spalle, quasi come un’ improvviso gelone l’avesse colta.
Kojiro Si affrettò a stringerla a se.
-Lo so, ma adesso ci siamo noi due, no?-
Neko restò in silenzio, per poi sorridere ed annuire.
-Si…-
-Sei stanca?-
Neko si rimise seduta, scrollando il capo.
-No, sta tranquillo-
la ragazza prese un profondo respiro, memorizzando l’odore del vento, per poi voltarsi verso Kojiro, sorridendo tranquilla, balzando giù dal cilindro più grande, seguita poco dopo dal ragazzo.
Passarono così la mattinata, tornando a casa ad ora di pranzo.
Appena entrarono dentro casa, scoppiò un fortissimo temporale, i tuoni rimbombavano con violenza, spaventando Neko, che si strinse a Kojiro, che la guardò sorridendo divertito, per poi stringerla a se.
Così piccola…così adorabile…
Restarono così, abbracciata, fino a quando il telefono non squillò come un ossesso, e Kojiro lo mandò a quel paese, scatenando la risata di Neko, che affettuosamente prendeva il cappotto suo e del ragazzo e li metteva sull’attaccapanni, Kojiro rispose con fastidio al telefono.
-Pronto…!!-
il ragazzo si bloccò per un istante, mentre Neko lasciava sbucare fuori la testolina ramata, fissando stupita e preoccupata i ragazzo pietrificato, che balbettava al telefono.
-Che…che cosa vuoi? Io…io e te non abbiamo niente da dirci!…Cosa?!-
il ragazzo scostò la tenda, e spalancò gli occhi, Neko gli fu subito accanto, e per poco non svenne. …quella cabriolet nera le era familiare…
…Maki…

(Vi lasciò con il fiato sospeso, anche perché non so nemmeno io come la continuerò! Scherzo, tranquilli A presto con il prossimo capitolo! Meiko)

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Capitolo 9
*** Tre aspetti di un futuro... ***


-Maki...cosa...-
"Kojiro, ho bisogno di parlarti...di parlare di noi due..."
-Che…che cosa vuoi? Io…io e te non abbiamo niente da dirci!
"Sono qui fuori casa tua..."
-Cosa?!-
il ragazzo scostò la tenda con un gesto spaventato, sotto la pioggia che la nascondeva come un velo delicato, una cabriolet nera era parcheggiata con i fari accessi a voler tagliare come un coltello luminoso le gocce di pioggia.
Neko si avvicinò alla finestra, e rimase sconvolta da quella macchina, fuori, appoggiata alla portiera aperta, una ragazza vestita di un’impermeabile elegante nero parlava al telefono, un cappuccio copriva i neri capelli.
"Vedo che Neko e li con te…bene…Kojiro, salgo su "
-Maki! Io e te non abbiamo niente da dirci! Maki? Dannazione!-
Kojiro sbatté nervosamente la cornetta sul telefono, mentre Neko lo guardava ansiosa di spiegazioni, coprendo di nuovo il vetro della finestra con la tenda, mentre vedeva la figura nera di Maki sparire dalla sua vista.
Il ragazzo la guardò preoccupato, passandosi nervoso una mano tra i capelli, mentre Neko si stringeva le mani introno alle spalle, avvertì improvvisamente un moto di freddo in tutto il corpo.
-E’…E’ qui…-
-Si…-
-Sta salendo?-
-…si…-
l’aveva sussurrato con vergogna, non riusciva a guardare Neko, che alzò lo sguardo spaventata verso Kojiro, che fissava un punto vuoto.
Neko strinse un pugno: era tempo.
Aveva aspettato a lungo, prima di ripetergli quella domanda.
E se non l’avrebbe chiesta in quel momento, non avrebbe più avuto occasione.
-Kojiro, adesso mi devi rispondere sinceramente a questa mia domanda…-
il ragazzo non si voltò, ma sentiva il suo cuore accelerare di botto, un’atroce dubbio lo coglieva, mentre Neko continuava a stringere i pugni, tenendo le braccia sui fianchi, lo sguardo fisso sulla schiena del ragazzo.
-…tu…ami ancora Maki?-
Kojiro restò senza parole a quella domanda fatta a bruciapelo, quella domanda che gia una volta aveva rifiutato di rispondere, quel pomeriggio, alla casa sul lago, dove poi aveva capito di amare Neko.
Ma amava solo lei?
Si, solo lei.
Però…forse…
Il ricordo di quella affascinante pantera s’insinuava nella sua mente, che però non riusciva ad offuscare lo sguardo delizioso di un tenero micetto.
Però…Maki c’era sempre nella sua testa…nascosta fra le trame di tanti pensieri…mostrandosi quando meno il ragazzo voleva vederla…
Si…quella ragazza era entrata con violenza nella vita di Kojiro, come un sasso che colpisce un vetro, e le schegge ferivano il ragazzo, che parlò piano, la sua voce leggermente tremante, sudava freddo.
-Ecco…io…-
-Kojiro, si o no?-
Neko cominciava ad avvertire nervosismo, l’aria dell’appartamento si stava caricando dell’elettricità del temporale e della tensione di Maki che stava arrivando tra loro, a rovinare quella pace…
Quella pace tanto agognata che Neko sperava ancora di avere, e che invece avrebbe dovuto dire addio.
Maki era testarda, ed era anche pericolosa, e lei lo sapeva.
Ma Kojiro le aveva detto che si erano lasciati…
Lo aveva detto però con un tono di voce vagamente nostalgico.
No…non si fidava…
Di questo se ne vergognava, ma non poteva sopportare l’idea di essere presa in giro da quell’uomo che ora non le rispondeva, facendola ancora di più innervosire.
Strinse ancora di più i pugni, chiudendo gli occhi, strizzandoli con sofferenza, mentre aspettava quella risposta, un lampo da dietro la tenda illuminava la scena, le gocce di pioggia battevano con violenza e rabbia contro il vetro, quasi a voler rappresentare il nervosismo di Neko in quel temporale.
Restarono ancora un attimo in silenzio, prima che Neko sentisse mancargli il fiato, mentre Kojiro sussurrava la risposta.
-…si…-
-…capisco…-
i pugni serrati si sciolsero, ora le mani erano abbandonate lungo i fianchi, mentre la ragazza guardava con dolore, rabbia repressa e sofferenza quella schiena che si voltava, mostrando il volto di Kojiro colmo di vergogna e colpa, come poteva aver detto quelle parole a Neko?
Come poteva aver detto a quella deliziosa fatta quella risposta?
Adesso la vedeva morire, così come muoiono le foglie ad autunno, così come muoiono gli alberi in inverno, sotto il peso della candida neve.
La vedeva sorridere con amarezza e timidezza, un braccio intorno alle spalle, l’altra mano che timida e imbarazzata metteva una ciocca di capelli dietro l’orecchio, gli occhi non riuscivano a soffermarsi da nessun’altra parte se non il pavimento li sotto.
No…non poteva finire così…
Kojiro si avvicinò, afferrando per un polso Neko, che alzò lo sguardo.
-Però, Neko, questo non c’entra nulla con noi! Io amo solo te adesso! Amo te! Non Maki!-
-Certo…ma in un futuro prossimo ti potresti pentire della nostra relazione…e poi…-
Neko alzò lo sguardo, le lacrime dagl’occhi cominciarono a scorrere lungo le guance.
-E POI NON VOGLIO ESSERE PRESA IN GIRO! IO TI AMO, KOJIRO!-
aveva gridato queste parole, sicura che altrimenti la voce le sarebbe mancata, e lentamente abbassò il polso ancora stretto nella mano di Kojiro, che la guardava stupito e terrorizzato, terrorizzato al solo pensiero delle parole che sarebbero uscite dalla bocca di Neko.
-Però…tu ami ancora Maki…quindi…forse…forse è meglio se non ci vedessimo più…-



avete presente quando un bicchiere quando a terra? O quando un oggetto di vetro si frantuma? O quando qualcosa colpisce con violenza una finestra, fracassandola?
Il cuore di Kojiro aveva fatto lo stesso rumore, mentre la sua mano aveva perduto tutta la forza che possedeva, Neko piangeva silenziosa, mentre si allontanava, afferrando il cappotto, mettendoselo, senza asciugare le lacrime che copiose bagnavano le guance, aprendo la porta e scendendo in tutta fretta le scale, senza guardare indietro, senza poter guardare indietro, non volendo guardare indietro.
Se si fosse guardata indietro, a cosa sarebbe servita quella domanda?
In quell’istante, Maki uscì dall’ascensore, sentendo i passi di qualcuno che scendeva dalle scale riecheggiare per la tromba delle scale, lasciandosi scappare solo una smorfia di un mezzo sorriso vittorioso, per poi entrare con passo felino e deciso dentro l’appartamento di Kojiro, il ragazzo si voltò a guardarla, scuro in volto, mentre la ragazza lo guardava con aria ammirata, ancora una volta quella meraviglia della natura sarebbe stata sua, SUA.
-Ciao Kojiro…sono tornata-
e mentre parlava con voce rauca e sexy, avvicinandosi con passo ancheggiante verso il ragazzo, Neko uscì di corsa dall’edificio, fermandosi in mezzo alla strada, avvertendo il cuore farle un male atroce, una fitta assurda, il pianto non accennava a smettere, mentre insieme alle lacrime calde si univano gocce di pioggia fredde, gelate, che lentamente bagnavano la ragazza, che rimase li, sotto la pioggia, senza parlare, senza poter fare altro che restare in piedi, in mezzo a quella strada, a bagnarsi fino alle ossa.

*

(Ora ci spostiamo, in Belgio! Chiedo perdono per la mia ignoranza riguardo alla città, ogni cosa è puramente inventata di sana pianta dalla mia mente malata!)

Taro camminava con passo tranquillo per il grande viale alberato, il vento freddo muoveva dolcemente i rami più fragili degl’alberi, carichi di gemme, accarezzando con mani di bimba, che si divertiva a giocare a colorare il grigiore spento dell’ aria del lungo viale che separava la casa del ragazzo dal campo di allenamento, dove stava tornando, con la sacca dietro la spalla e un’espressione stanca ma soddisfatta dipinta in volto, i capelli ancora umidi per la doccia da poco fatta venivano asciugati dolcemente dal vento fresco, mentre i suoi occhi color nocciola si perdevano nelle macchie gialle e bianche della strada, la neve aveva cominciato a cadere, ma era così poca che il giorno dopo era gia svanita, sciolta da quel sole tiepido coperto da cirri grigi e gonfi.
Stava pensando a Yuko, a come doveva stare adesso con Genzo, ora che viveva con lui da circa…due mesi o meno, non se lo ricordava più nemmeno lui, il tempo volava!
Le mancava molto quella dolce figura, ma non si era pentito di averla lasciata andare, incredibilmente non aveva pianto, ma si era limitato a stringerla a se, imprimendosi nella mente il suo buon profumo di frutta secca che aveva sentito per la prima volta sotto la Tour Eiffel.
“Beh, spero che stia bene!”
pensando a questo, il ragazzo iniziò a fischiettare una canzone che aveva sentito alla radio, qualche giorno prima, una canzone un po’ vecchiotta dei Beatles, riadattata da una cantante italiana, si doveva chiamare Mina.
Come si intitolava…ah! “When I’m 64”
Era abbastanza carina, ricordava molto quelle vecchie canzoni occidentali che negl’anni 60 si ascoltavano nelle radio.
Era immerso nel ricordare quella canzone, che non si accorse di una figura femminile che gli passò accanto, per poi voltarsi e seguirlo, ticchettando leggermente le dita contro la schiena calda del ragazzo, che si risvegliò dai suoi pensieri, voltandosi, avvertendo una voce femminile allegra salutarlo.
-Salut Taro!-
il ragazzo si voltò, trovandosi di fronte una ventenne dai lunghi capelli biondi legati in una coda, un neo sopra la parte sinistra del labbro, gli occhi color ametista che osservavano birichini e meravigliati il ragazzo, che ci mise un momento prima di capire chi era la ragazza vestita di una tuta da ginnastica, dal fisico ben fatto, che gli sorrideva.
-Lucille!!!-
(metterò il discorso in italiano, ma in realtà stanno entrambi parlando in francese!)
-Per fortuna che mi hai riconosciuta!-
-Scusami, ma sei cambiata molto dall’ultima volta!-
in effetti, Lucille si era tinta i capelli di quel biondo, mentre in realtà i suoi capelli erano di un bel castano scuro lucente.
-Cosa ci fai qui in Belgio?-
-Sono qui di passaggio, per un tour. E tu?-
-Mio padre si è trasferito qui, ed io…-
-…e tu giochi a calcio nella squadra giovanile nazionale, ho indovinato?-
entrambi scoppiarono a ridere, in effetti Taro era un tipo abbastanza prevedibile, soprattutto per quanto riguardava il calcio.
I due cominciarono a percorrere la strada verso casa del ragazzo, Lucille chiacchierava con la sua solita aria allegra e sorridente, i capelli biondi legati in quella coda alta con un fiocco viola, il neo sbarazzino sopra il labbro piegato in un sorriso contento, mentre Taro ascoltava, anche se spesso si soffermava ad ammirare la figura magra della ballerina, non aveva perduto niente del suo brio.
Continuarono a chiacchierare come non avevano mai fatto, in effetti era trascorso qualche annetto da quando si erano lasciati.
A, almeno…da quando lui aveva lasciato lei per Yuko…
A proposito…
-E Yuko come sta?-
Taro si fermò a quella domanda, per poi sorridere al suo solito modo e riprendere a camminare. -Sta bene, adesso sta ad Amburgo con Genzo Wakabayashi-
-Ah! Il famoso SGGK!-
Lucille rallentò, per poi fermarsi, e sorridere triste, guardando con malinconia il ragazzo.
-Allora…non ti ha corrisposto?-
Taro sorrise triste, scuotendo il capo.
-No, ma siamo rimasti amici-
-Come noi due…-
Lucille abbassò un attimo il capo, prima di risvegliarsi e affiancare di nuovo il ragazzo, che la fissava con una punta di sofferenza e di nostalgia.
Lui l’aveva lasciata per seguire Yuko, e lei ne aveva sofferto, però riuscendo a riprendersi, e continuando la sua strada.
Taro cercò di cambiare argomento, non voleva far rattristare Lucille, non appena averla ritrovata! -E dimmi…di cosa tratta il tuo tour? Avete gia fatto qualche tappa?-
con un sorriso raggiante dipinto sulle labbra, la ragazza cominciò a raccontare dei posti che aveva visitato, del programma del tour, e dei suoi compagni di viaggio.
-Ehi! Sei impegnatissima! Immagino che non hai tempo per il ragazzo!-
-Infatti, non ho tempo da perdere! E comunque non sono riuscita a trovare il ragazzo…perché ti amo ancora, Taro-
il ragazzo si voltò a guardarla, il vento passò con uno spiffero birichino, muovendo nervosamente la lunga coda di cavallo della ragazza, che sorrideva…come l’ultima volta che si erano salutati.
Quel sorriso tranquillo, dipinto di amara verità e sofferenza, qualcosa che aveva sempre lasciato in Taro un grande senso di colpa…e una grande tristezza.
Lei sorrise ancora, per poi indicare un locale li vicino.
-Ci prendiamo qualcosa di caldo? Ho freddo!-
annuendo sorridente, Taro seguì la ragazza, ordinando per entrambi una cioccolata calda, che arrivò in pochi minuti.
-Ma tu non seguivi una ferrea dieta, Lucille?-
-Oh! Non me ne parlare! A volta la trovo assolutamente stupida quella dieta che il mio maestro mi fa fare!-
Lucille copiò con i gesti e la voce nasale il suo maestro, facendo scoppiare a ridere Taro, mentre la ragazza lo guardava con malinconia.
Le era mancato quel sorriso, quei modi di fare gentile, quella dolcezza.
Insomma…gli era mancato Taro!
Lucille rise con lui, continuando a chiacchierare, sembrava che le cose da dirsi non finissero mai, mentre sorseggiavano la loro cioccolata.
La radio del bar, ad un certo punto, mandò quella canzone che Taro prima stava fischiettando, ed entrambi di fermarono ad ascoltarla.
Un motivetto allegro, simpatico, fatto dai Beatles, riproposto in modo diverso da quella cantante italiana, che l’aveva resa davvero graziosa.
Lucille ticchettava con le unghie lunghe sulla tazza, mentre l’ascoltava, Taro ogni tanto le lanciava qualche occhiata, ammirando la figura magra e slanciata dalle ragazza.
Appena finì la canzone, i due ripresero a parlare, Lucille sorrideva contenta.
-Lo sai che c’è anche questo pezzo nello spettacolo? Pensa che io sono una delle tre ballerine che lo ballano-
-Interessante! Fai qualcos’altro?-
-Vediamo…faccio un balletto classico da sola…poi…con tutto il gruppo faccio un pezzo moderno…poi faccio da coreografia ad un brano musicale di tipo irlandese cantato da una ragazza molto brava!-
-Insomma, fai tutto tu!-
-Beh, non esageriamo, diciamo che mi do da fare!-
Taro ammirò stupito la modestia di Lucille, prima di allora non aveva notato quell’atteggiamento nella Lucille che ricordava, molto orgogliosa e sicura di se, ma che sapeva mostrarsi dolce e timida.
-Sai…in questi anni ti ho pensato…-
Lucille con un dito fece la circonferenza della bocca del bicchiere, mentre Taro la guardava con tristezza, annuendo.
-So che hai chiamato Yuko…e poi…-
-Ho chiamato te…scusami, ero stata una sciocca!-
-No, aveva tutto il diritto di farmi quella telefonata. In fondo…l’ho detto io stesso, quel giorno, quando ci siamo salutati, che potevi tranquillamente chiamarmi!-
-Forse, ma come amica, non come una ragazza innamorata disperatamente che cercava di riaverti, quando invece tu eri ancora legato ad Yuko -
Taro la guardò, sorridendo felice, facendola arrossire.
-Sei molto maturata-
Lucille arrossì, imbarazzata, lasciando stupito Taro, mentre lei tornava normale, sorridendo contenta.
-Questa esperienza mi ha fatto maturare. Spero di non averi lasciato male per non aver ritrovato la vecchia Lucy!-
-Figurati, anzi! Sono felicemente sorpreso-
-Grazie-
Taro si trovò di colpo in imbarazzo, quella ragazza i qualche modo lo affascinava.
Si guardò intorno, e fissò con delusione l’ora nell’orologio in vetro appeso ad un punto alto del bar.
-Si è fatto tardi…è ora che torni a casa!-
-Anche per me si è fatto tardi, devo prepararmi per stasera-
-Stasera fate lo spettacolo?-
-Si, purtroppo l’ultimo, poi domani partiamo, torniamo a Parigi -
Taro la guardò stupito e rattristato, non voleva che lei partisse così presto, si erano appena ritrovati!
-E’ un peccato che tu parta così presto!-
-E’ un peccato che ci siamo incontrati solo adesso! Però spero che verrai stasera, alle otto, in piazzi, a vedere il nostro spettacolo!-
-Contaci!-
i due si salutarono, ognuno prendendo strade diverse, ma sperando incosciamente di ritrovarsi alle otto, in quella piazza…

Erano le otto meno dieci, ma gia c’era parecchia gente radunata alla piazza, prendendosi un posto a sedere per lo spettacolo all’aperto per la compagnia di Lucille.
“Accidenti! Meno male che volevo arrivare presto! Sarà meglio che mi trovi subito un posto, se non mi voglio ritrovare a vedere lo spettacolo in piedi!”
-Taro!-
il ragazzo si voltò, e fissò sbalordito una ragazza dai morbidi capelli biondi brillanti, gli occhi truccati, la pelle brillante, vestita di un body nero con un nastro viola intorno alla vita scarpette di ballerina, il tutto sottolineava il fisico ben fatto della ragazza, Taro cercò di non notarlo, anche se era arrossito constatando che la ragazza stava davvero bene in quanto a salute!
-Lucille! Sei bellissima!-
-Figurati! Questo è solo il costume per il pezzo d’inizio, poi mi dovrò cambiare per il pezzo di musica classica! Ma vieni, ti ho tenuto un post in prima fila!-
la ragazza lo trascinò per un braccio verso i primi posti a sedere, su una delle seggiole verdi c’era un foglio quadrettato con sopra scarabocchiata la parola “occupato”.
Taro s’imbarazzò per le attenzioni di Lucille, che non sentì ragioni, per poi essere richiamata da una delle ragazze della compagnia, allontanandosi e dando il “buon divertimento” a Taro, che appoggiò la giacca sulla seggiola, attorno a lui la gente si radunava, e i bambini si mettevano seduti per terra di fronte alle prime file per vedere meglio lo spettacolo.
-Lucille, chi è quel bel ragazzo? Il tuo ragazzo?-
-Magari lo fosse Carmen! Ma basta parlare di sciocchezze, che si va in scena-
-IN BOCCA AL LUPO TUTTI!- -CREPI!!-

*

Porta Romana bella, porta Romana…
E gia passato un anno da quella sera
Un bacio dato in fretta sotto un portone
Porta Romana bella…
Porta Romana

Porta Romana…

In un cortile largo e fatto a sassi
Io fischio e tu ti affacci alla ringhiera
Poi scendi e il pomeriggio è tutto nostro
In giro per i prati fino a sera
M’han detto che sei andata ad abitare
In un quartiere nuovo più elegante
Ti sei sposata è giusto è regolare
Da me, lo so, non t’aspettavi niente

La la la la lalla

Passa un ciclista e canta…
La voce si allontana….

Porta Romana bellaaa
Porta Romana…

Porta Romana bella, Porta Romana
Un anno è brutto e lungo da passare
D’amore non si muore, sarà anche vero
Ma quando ci sei dentro
Non sai che fare

Porta Romana…

Un cinemino, forse fatto apposta
Due film in una volta, cento lire
Ci siamo andati insieme ad ogni festa
Seduti in fondo, la senza guardare
Quel giorno che hai detto “adesso basta!”
Io zitto preferivo non sentire
Ma tu hai insistito “No sul serio basta!”
Come se fosse facile capire…

La la la la lalla

Festeggia un ubriaco…
La fine settimana…
Porta Romana bella!

Porta Romana…

Porta Romana bella!
Porta Romana!

(Giorgio Gaber “Porta Romana”)

Genzo spense la musica dello stereo, rimettendo a posto il cd di quel cantante italiano, mentre avvertiva il silenzio scendere pesante in tutta la casa, un silenzio che schiacciava, che dava un senso di fastidio nel portiere, che si limitava a cambiare cd e a spegnere il silenzio con la musica che metteva.
Solo che, adesso…quel silenzio non gli procurava tutto quel fastidio…
In qualche modo…lo trovava piacevole…
Era l’unico momento in cui non aveva da una parte le grida e le domande dei rompiballe di giornalisti, e dall’altra il tifo di ultra scatenati in partite e allenamenti.
L’unico attimo di pace…insieme a lei…
Da quanto tempo si conoscevano?
Genzo provò a fare un calcolo approssimativo dei mesi.
Cinque…cinque mesi…
Sembrava così poco, eppure al portiere sembrò essere passata un’eternità.
Ora Yuko era al piano di sopra, che dormiva, mentre lui l’aveva lasciata in pace, erano successe tante di quelle cose.
Si fermò nel suo giro al piano di sotto, soffermandosi a fissare la scalinata che portava ai piani di sopra, cominciando a percorrerla, i suoi passi venivano soffocati dalla moquette.
La visita all’oculistica, la decisione di Yuko.
Avrebbe aspettato ancora una settimana, poi avrebbe fatto l’intervento.
Solo sette giorni.
Tra sette giorni, Yuko avrebbe aperto gli occhi.
Tra sette giorni, avrebbe ammirato e odiato il mondo.
Tra sette giorni, avrebbe cominciato ad amare e detestare il mondo…
Tra sette giorno, forse, l’avrebbe persa…
NO!
Non doveva pensare a questo!
Fermò il suo salire lento e ponderato, scuotendo il capo, imprecando la mancanza del berretto dalla sua testa, era in camera.
Salì le scale con sempre più lentezza, prima di fermarsi di fronte alla porta socchiusa della stanza, aprendola con incertezza, lasciando che uno spiraglio gli permettesse di guardare quello che accadeva nell’immobilità apparente della stanza.
Lei era distesa sul letto, avvolta dalle lenzuola leggermente sgualcite.
Le persiane erano leggermente socchiuse, in modo dal lasciare passare un raggio di sole che illuminasse il letto e la mano della ragazza, che dormiva tranquilla di fianco, i capelli sparsi, una mano sopra i lenzuolo, l’altra sotto il cuscino.
Vestiva di una canotta bianca e jeans, parte del corpo coperto dal lenzuolo bianco.
Era davvero angelica, Genzo sorridendo la guardò, mentre si avvicinava al tavolo li vicino per prendere il berretto bianco che Yuko gli aveva regalato per Natale.
Il suo sguardo, improvvisamente, si fermò su un libro che era a poca distanza dalla ragazza, decorato con foglie rosse secche, di cuoio scuro.
Il ragazzo si sedette sul bordo del letto, guardando il libro, per poi ammirare Yuko, con un gesto triste le accarezzò una guancia, mettendogli dietro l’orecchio un ciuffo di capelli, fissandola con aria afflitta.
Perché stava così male? Doveva essere felice, presto Yuko sarebbe tornata a vedere…
Eppure…aveva sempre un brutto presentimento, che non si riusciva a spiegare.
Sbuffò stancamente, tenendo su una gamba il berretto, passandosi una mano tra i capelli neri, per poi alzarsi dal letto, avvicinandosi alla finestra, cercando di vedere fuori dalla persiana il mondo fuori, illuminato dal sole che scaldava dopo la pioggia di prima.
-Genzo…-
il ragazzo si voltò sorpreso, Yuko si era messa seduta sul grande letto, i capelli leggermente spettinati, una mano la reggeva, mentre l’altra s’intrecciava con i capelli.
Il portiere sorrise dolcemente.
-Scusami, ti ho svegliata-
-No, figurati, era sveglia da un po’ di tempo. Mi dici cos’hai?-
-Niente-
-Sicuro?-
Yuko schiuse gli occhi, Genzo ammirò da lontano le iridi velate, mentre la ragazza tastava le lenzuola, mettendosi meglio seduta su letto, toccando con delicatezza il libro li vicino, afferrandolo e stringendolo in grembo, suscitando la curiosità di Genzo, che si avvicinò.
-Si, sta tranquilla. Piuttosto, che cos’è questo libro?-
Yuko sorrise raggiante, aprendo il libro, le pagine bianche venivano passate dolcemente dalle mani delicate della ragazza, che parlava malinconica e felice.
-Questo libro contiene tutti i miei ricordi più cari. Testi, poesie, frasi prese da libri, canzoni-
afferrando gentilmente la grande mano del portiere, Yuko lo spinse a toccare la pagina bianca, che si mostrò piena di piccoli buchini.
Scrittura in Braille…
Genzo sorrise, accarezzando poi una guancia di Yuko, che socchiuse di nuovo le iridi, questa volta turbata.
-Genzo, ma che cos’hai?-
-E che…pensavo che tra sette giorni…quando aprirai gli occhi…potrai vedere il sole…-
-Sempre se tutto andrà bene-
-Ma certo che andrà tutto bene, sciocchina!-
Yuko annuì, anche se vedeva quell’enorme 50% fatto apparentemente di roccia, quando in realtà era sabbia asciutta, che veniva spazzata via dal vento.
Genzo gli appoggiò la fronte sulla sua, no, non riusciva a nasconderglielo.
-In verità, sono preoccupato che quello che vedrai non ti piacerà e…-
-Che io me ne vada via?-
Genzo si nascose il viso con il cappello, si vergognava molto di quello che pensava, non si fidava di Yuko, e questo la ragazza di sicuro non glielo avrebbe perdonato.
Invece, Yuko si limitò a cercarlo, per poi stringere le braccia intorno al collo del ragazzo, abbracciandolo e mettendosi seduta sulle sue gambe, appoggiando il capo sul grande petto, ascoltando il battito del suo cuore, sussurrando.
-Io…non lo farò…io voglio restare accanto a te…ora…ti prego…abbracciami…-
Genzo annuì, e la strinse a se, baciandole il capo, poi le labbra, per poi sdraiarsi accanto a lei, ed addormentarsi tenendola abbracciata a se, aspettando con lei che passassero quei sette giorni…

(Spero che vi piaccia, so che la canzone che non c’entra nulla, ma mi piace moltissimo, e l’atmosfera che creava mi sembrava l’ideale! Aspetto co

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Capitolo 10
*** Questa...non è la fine...ma solo...il principio... ***


Il lungo corridoio dai muri bianchi era piastrellato da piccole mattonelle di colore azzurro, mentre le seggiole di plastica bianco- grigio (colpa di certa gente che li confondeva con portacenere) erano saldamente incollate alla parete con viti e bulloni, che però staccavano piccoli pezzi di intonaco alla parete apparentemente bianca e pulita, che però mostrava qualche alone.
Lui era seduto li da più di tre ore, l’attesa lentamente lo stava uccidendo, mentre il suo sguardo era fisso su un punto preciso, un grosso orologio tondo dalla cornice semplice smaltata di nero, le lancette nere segnavano esattamente che mancava un minuto alle sette.
Erano entrati li alle quattro di pomeriggio, lei tesa come una corda di violino, che camminava a stento, il nervosismo la bloccava ad ogni passo, mentre lui con dolcezza l’accompagnava, stringendole la mano con fare dolce eppure al tempo stesso possessivo.
Si erano lasciati con la promessa che lui sarebbe rimasto li, ad attenderla, fino alla fine dell’operazione.
E lui, fedele, era ancora li, a passarsi per l’ennesima volta la mano sui capelli neri cortissimi, alcuni ciuffi birichini gli solleticavano il collo, il suo berretto in mano, le gambe incrociate.
Con uno sbuffo guardò per l’ennesima volta la porta che lo separava dalla stanza di chirurgia dove lei, in quel momento, stava commettendo il tutto per tutto per un desiderio che fino a quel momento era sembrato assurdo, impossibile per lei.
Eppure…quell’innato desiderio nato da un viso nascosto da un berretto…un berretto rosso…lo stesso berretto che in quel momento aveva appoggiato al ginocchio libero, e che fissò intensamente.
Non con rabbia, non con gratitudine…ma con uno strano senso d’inquietitudine.
Un senso che non l’aveva mai lasciato, da quando aveva messo piede in quella clinica, da quando aveva stretto con decisione la mano all’oculista, un senso che era cresciuto quando aveva visto Yuko allontanarsi da lui, facendosi strappare quella promessa di se banale, ma fondamentale per lei in quel momento.
“Promettimi che mi aspetterai…”
“Si, sta tranquilla, resterò qui”

un senso che ora riviveva in lui, mentre fissava con aria turbata quel berretto rosso, incerto se rimetterselo in testa, o lasciarlo la, sulla gamba, una macchia rossa sul jeans blu.
Doveva ringraziare o maledire quel berretto?
Boh!
Genzo sbuffò ancora, per poi avvertire un tintinnio, e alzarsi di scatto colpito da uno strano senso di terrore.
Era conclusa l’attesa…l’operazione era conclusa.
Il dottore uscì dalla stanza, dietro di lui una figura bendata lo seguiva con passo incerto, ancora un po’ traballante, segno che l’anestetico era ancora in circolo, anche se ormai l’effetto era gia passato.
Genzo si fece subito vicino alla ragazza, che sentì stringersi la mano, e sorrise, le bende candide coprivano i suoi occhi alla vista del portiere preoccupato e ansioso, che guardò l’oculista, che fece un cenno positivo del capo.
-L’operazione è riuscita brillantemente. Venite, vi porto in un’altra stanza, per verificare l’esito-
Genzo strinse ancora la mano a Yuko, che sorrideva gentile, i capelli racchiusi prima in una crocchia ora erano sciolti e liberi sulle spalle, mentre le bende candide facevano risaltare la pelle pallida ma dalle sfumature scure di lei, lei che sorrideva come una bambina che aspettava il suo gelato.
Era agitata, sentiva tutto il sangue ribollirle dal nervosismo, e sorrideva come una sciocca, scatenando solo però affetto a Genzo, che senza spiegazioni le diede un bacio sulla guancia, facendola arrossire lievemente, stringendosi di più a lui, mentre s’incamminavano verso la piccola saletta dove ad attenderli c’erano il dottore ed un suo assistente.
Agl’occhi del SGGK, la stanza era abbastanza piccola e spoglia, quattro mura intonacate di un colore che andava verso il marroncino, una specie di beige, ai loro piedi una moquette rossa, e solo una finestra, chiusa dalle tende bianche che lasciavano far passare fili di raggi di luce che tendeva a scurirsi, segno dell’ormai prossimo tramontare del sole.
L’arredamento spartano costituiva in un grande tavolo ad un angolo e una sedia di legno poggiata al muro.
Yuko si sedette nervosa sulla sedia, le mani strette appoggiate sulle gambe magre, vestiva di un maglione e di jeans neri.
-Bene, signorina Makoto. Ora le toglieremo le fasciature. Mi raccomando, apra lentamente gli occhi-
con fare esperto, il dottore cominciò a sfilare via le bende bianche dagl’occhi chiusi delle ragazze, levando anche i pezzi di ovatta appoggiati sopra, ora i capelli liberi scivolarono accarezzando il viso, mentre la ragazza con lentezza e incertezza socchiudeva le palpebre, aprendole come scrigni preziosi.
Davanti agl’occhi ansiosi di Genzo, si aprirono due meravigliose praterie verdi, lo scintillare dei suoi occhi sembrava la rugiada sull’erba di prima mattina, illuminata dolcemente dai primi raggi di sole.
Erano magnifici, le pupille nerissime restarono fisse per un punto, prima di guardarsi intorno, Yuko si trovava confusa.
-Vedo…vedo tutto strano…-
perché non vedeva i visi, i contorni?
L’oculista la calmò subito con un sorriso gentile.
-E’ normale, dopo tutti questi anni, vedrà leggermente sfuocato. Aspetti…-
uscì un attimo dalla sala, prima di tornare con una lattina, e porgerla alla ragazza, che l’afferrò con entrambe la mani, tastandola con sapienza e forse con paura.
Genzo era li di fronte, a fissare spaventato quella creatura che ora appariva fragile e delicata come una farfalla appena uscita dal bozzolo.
Yuko, invece, si trovava spaesata, tastando ancora quella…lattina…che pian piano cominciava a prendere forma, il colore si faceva più lucente, e pian piano il grigio metallo si faceva vedere più nitidamente.
Alla fine, Yuko vide chiaramente una lattina, una lattina di Coca Cola, e sorrise, sorrise felice, emozionata, una sensazione di gioia sembrò strariparle.
-E’…un lattina…una lattina rossa!-
Genzo la guardò sconvolto, lo shock lo bloccò, svuotandogli le energie, per poi caricarlo…di gioia…
Yuko…vedeva…Yuko ci vedeva…
L’oculista sorrise, mettendo affettuosamente la mano sulla spalla di Yuko.
-Complimenti, signorina Makoto. Lei è guarita dalla sua cataratta-
la ragazza annuì, sorridendo, mentre stringeva ancora tra le mani quella lattina, per poi chiamare…
-Genzo?-
-Sono qui Yuko -
aveva la voce rotta, e gli s’inginocchiò di fronte, guardandola con gioia, accarezzandole una guancia, mentre lei cominciava a fissare quel viso sfuocato, passandoci sopra le mani, quasi a volersi ricordare quel disegno in bianco e nero che aveva nella sua memoria.
I suoi occhi…il naso…le guance…la bocca…i capelli…
Di fronte a lei, lentamente, si mise a fuoco l’immagine di un bellissimo uomo, dagl’occhi neri, caldi come braci ardenti, la pelle abbronzata, e i capelli neri corti…
Yuko sentì le lacrime venirle agl’occhi, e sorrise, poggiando la sua fronte contro quella di Genzo, sorridendo felice, tenendo per le guance il viso del portiere.
-Posso vederti….posso vedere…-
-Si…si Yuko…-
i due furono lasciati soli dall’oculista e l’assistente, lasciandoli sussurrare parole cariche di dolcezza, mentre Yuko si convinceva di quel miracolo.
Poteva…di nuovo…vedere…

*

(Cambio scena!)

-Mi sei mancato da morire…-
-Che cosa vuoi?-
era infastidito, turbato, le dava la schiena, fissando quella grande finestra nel suo appartamento, il temporale fuori sembrava entrasse dentro, le gocce colpivano con ritmo intenso e frenetico sul vetro freddo, dove Kojiro vi si era appoggiato lo sguardo, andando oltre il riflesso di quella donna, andando a cercare oltre quella figura, cercando disperato quei grandi occhi verdi di gatto…cercando disperato il suo amato micino…
Invece…invece quella pantera selvaggia ancheggiava felina e pericolosa verso di lui, le mani ben curate si appoggiarono sulla grande e calda schiena dell’attaccante, che avvertì come una serie di pugnali colpirlo, una scarica elettrica attraversò violenta il corpo.
Perché…perché provava ancora questa emozione, quando lo toccava così?
Lui non l’amava…NON L’AMAVA!

“Tu ami ancora Maki?”
“…si…”

no Neko! Non era così! Lui non l’amava più!
Lui ama solo te, solo te!

“Forse…è meglio non vederci più…”

no Neko! Non lasciarmi solo! Non lasciarmi! Non voglio!
Voglio te, Neko, VOGILO TE!
NEKO!
-Non mi toccare, Maki. La tua presenza, se non l’hai ancora capito, non è ben accetta…-
la ragazza fissò stupita l’atteggiamento freddo e ostile di Kojiro, e con stizza tolse le sue mani dalla morbida e calda schiena dell’uomo, morsicandosi un unghia, senza però togliersi dalle labbra quel sorriso felino, i suoi occhi fissavano il ragazzo come il cacciatore quando osservava la preda.
Voleva avere quel ragazzo…voleva averlo di nuovo tutto per se…
No…quella stupida mocciosetta, quel gatto schifoso non l’avrebbe avuto!
Quello era solo un misero e pulcioso micetto, mentre lui era una grande e fiera tigre!
E quella tigre era sua, SUA!
-Perché dici questo, Kojiro? In fondo, io ti amo ancora…-
la ragazza si trovò di fronte al ragazzo, afferrandogli il viso tra le mani, avvicinandosi la bocca del ragazzo alla sua…
voleva quel sapore…lo voleva ancora…
-E so che tu ami ancora me…-
-Lasciami! Non mi toccare!-
l’allontanò con un gesto di stizza, schifato da quell’atteggiamento di quella ragazza, che ora appariva come una ruggente pantera, vestita in modo attillato da mostrare il suo magro corpo e le sue curve stupende, che in quel momento però Kojiro trovava inguardabili, non riusciva più a guardare quegl’occhi scuri.
Gli sembravano sporchi…gli sembravano macchiati…
Quel corpo gli sembrava macchiato dallo sperma di altri uomini dopo di lui.
Maki gli si fece ancora incontro, non avrebbe rinunciato alla su preda.
-Avanti, non fare il timido. Tanto quella stupida gatta morta non c’è ora. Ci siamo solo io e te…-
-Non chiamare così Neko! Tra voi due l’unica gatta morta sei tu!-
era furioso, glielo si leggeva negl’occhi.
Non gli piaceva che Neko venisse chiamata così.
Lei non era Maki, non si strusciava contro il corpo di altri uomini, come invece aveva fatto la ragazza.
Il cannoniere la guardò ancora rabbioso, parlando con voce seria e autoritaria.
-Credi che non sappia quanti uomini tu hai scopato dopo di me? Mi fai schifo…-
-QUESTO NON C’ENTRA NULLA!-
-SI CHE C’ENTRA, IO NON SONO IL TUO GIOCATTOLO!-
stavano cominciando a gridare, Maki non sopportava quell’atteggiamento testardo nei confronti di Kojiro.
Lui doveva capire che era suo! Suo!
-Tu non devi parlarmi così! Tu mi amavi, MI AMAVI!-
-Io non ti ho mai amata, mi sono messo con te credendo che quello che provava fosse amore! Ma ora ho capito che era solo gratitudine, amicizia! Una cosa che ormai è sfiorita da quando sei diventata una ragazza possessiva ed egoista!-
Kojiro la fissava con le fiamme agl’occhi, i suoi occhi neri brillavano con rabbia e disprezzo, sentimenti così violenti che colpivano Maki con furia, lasciando la ragazza sbalordita a quelle parole.
Come poteva dire quelle cose…lui era innamorato di lei!
-Tu…tu non puoi dire così…TU SEI MIO!-
Kojiro la guardò per un ultima volta, con rabbia, disprezzo e…tanta pena…
-Maki…vattene via da qui…
Io non sono il tuo oggetto…
E se provi ancora a parlare male di Neko…allora queste mie mani peseranno molto sulla tua schiena…-
la ragazza spalancò gli occhi, sconvolta, stringendo i pugni con rabbia, con odio…
-Io…io…IO TI ODIO, KOJIRO HYUGA!-
-Ti odio anch’io, Maki -
la ragazza lo guardò, per poi precipitarsi su di lui e dargli uno sonoro schiaffone, prima riandarsene da quella casa, il ragazzo rimase per qualche momento a guardarla allontanarsi fuori, verso la macchina, partendo a tutta birra, allontanandosi da quella casa.
Poi, velocemente, il ragazzo afferrò la giacca e le chiavi, e uscì di casa, in mezzo al temporale, alla ricerca di un povero micino abbandonato…

Prima di partire per un lungo viaggio
Devi portare con te la voglia di non tornare più
Prima di non essere sincera
Pensa che ti tradisci solo tu

Non voleva più tornare…avrebbe voluto scappare, fuggire via da quel mondo…quel mondo che ora le appariva macchiato, estraneo…malvagio…
La pioggia l’aveva infradiciata, si sentiva il cuore farle male, era debole, e restò rannicchiata in quel vicolo, sotto i colpi del temporale, la gente che passava neanche si accorgeva di lei…del uso senso di vuoto…della sua disperazione…

Prima di partire per un lungo viaggio
Porta con te la voglia di non tornare più
Prima di non essere d'accordo
Prova ad ascoltare un po' di più

Prima di non essere da sola
Prova a pensare se stai bene tu
Prima di pretendere qualcosa
Prova a pensare a quello che… dai tu

Era sola, sola al mondo…Yuko se n’era andata, la mamma non er ali accanto a lei…
E Kojiro…
Kojiro era con Maki…
Il solo pensiero di cosa stavano di sicuro facendo era come una stilettata nel cuore di Neko, che l sentiva sempre più debole, respirava a fatica.
Ma lei in fondo cosa aveva chiesto? Voleva stare solo con Kojiro…
Ma forse….il desiderio di stare con una tigre per un piccolo gattino era troppo, troppo da esaudire…
Infatti…ora una pantera l’avrebbe preso, catturato…

Non è facile però
È tutto qui
Non è facile però
È tutto qui

Non sarebbe stato facile lasciarlo…ma era sapeva che lui amava ancora Maki. L’amava ancora…ancora…
Neko lasciava sgorgare le lacrime, senza impedire alle gocce calde e salate di mescolarsi a quelle fredde e dolci di pioggia, che impertinenti s’infilavano nei vestiti, bagnando la pelle, mentre i suoi capelli fradici erano appiccicati al suo volto, che non mostrava altro che un sordo e ceco dolore…
Ceco…Yuko…
Chissà…magari poteva raggiungere Yuko…
Si…andare in Germania… da Yuko…

Prima di partire per un lungo viaggio
Porta con te la voglia di adattarti
Prima di pretendere l'orgasmo
Prova solo ad amarti

Prima di non essere sincera
Pensa che ti tradisci solo tu
Prima di pretendere qualcosa
Prova a pensare a quello che… dai tu

Aveva chiesto solo un po’ d’amore da parte di Kojiro, da parte di quell’uomo…
Si, ormai era uomo, ma lei…
Lei era solo una diciassettenne…
No…non era adatta a lui…
Per lui ci volevano donne formose, magari modelle o…
O Maki…
Il solo pensare a quel nome faceva male al cuore di Neko, che strizzò gli occhi, lo sentiva sempre più debole e affaticato…
Maledetto, anche lui aveva deciso di lasciarla?
Possibile che…era tutto perduto?…
Neko tentò di muoversi, ma sentiva le forze mancargli, e le lacrime non smettevano di scendere…

Non è facile però
È tutto qui
Non è facile però
È tutto qui

Non è facile però
È tutto qui

No, la vita non è facile…
Ma era stanca di combattere contro fantasmi e pensieri fatti di bolle di sapone.
Stanca di illusioni, di bugie…
Voleva solo Yuko…
Voleva solo Kojiro….
Voleva solo amare Kojiro…
Kojiro…

Prima di pretendere qualcosa

Di colpo, avvertì dei passi fermarsi di fronte a lei, e alzò lentamente lo sguardo, il respiro affaticato.
Un ragazzo…no, un uomo…davanti a lei…bagnato fradicio…
Quegl’occhi….quella segreta forza dirompente…
-Kojiro…-

Prova a pensare a quello che… dai tu

In mezzo alle strade oramai deserte di una Domenica sera, sotto un terribile temporale, un ventenne si teneva stretto a se, come il più grande tesoro che gli avessero dato, una ragazza bagnata come lui, infreddolita, che dentro a quell’abbraccio tremava come una foglia, ma si sentiva scaldata, protetta…
Al sicuro…

(So’ che la canzone non c’entra granché, ma mi piaceva molto l’atmosfera “piovosa” che dava, spero che mi perdonerete!
Solo un piccolo appunto, una frase che ho leto da qualche parte…
“L’odio è la forma più disperata di amare…”)

*

b>(Altro cambio scena!)

I lampioni della piazzetta non davano il minimo cenno di fastidio allo spettacolo che si stava svolgendo, molti spettatori erano in piedi o seduti di fronte alle prime file, i bambini battevano spesso le mani a tempo, divertiti dai buffi pagliacci che ogni tanto spuntavano nello spettacolo, pronti a far ridere la gente.
Taro era sulla fila davanti, ammirando la bravura dei ballerini e di Lucille, che si erano esibiti per ora in musiche moderne ed etnico, un miscuglio che non dispiaceva a nessuno.
In quei momenti, tutti i ballerini avevano saputo la loro parte a memoria, esibendosi anche in pezzi di improvvisazione, che davano un tocco originale a quella parte di spettacolo.
In quel momento, tra gli applausi del pubblico, apparvero tre ragazze vestite con frac corti brillanti, calze lunghe e cappello a cilindro, una delle tre era Lucille, che si posizionò.
Di colpo, uscì la simpatica musichetta che lei e Taro avevano sentito al locale dove avevano trascorso il pomeriggio, e la ragazza con le altre due si esibì con grazia sbarazzina e con bravura ineguagliabile, in tutto quel tempo aveva migliorato il suo modo di ballare.
E dire che una volta quella stessa ragazza aveva intenzione di frequentare la Scala!
Ora era li, a ballare per divertire la gente, sotto lo sguardo stupito ed ammirato di Taro, che ammirava il corpo ben fatto, che si esibiva in una serie di piccoli passi a tempo di musica e piccole acrobazie come ruote o ponti, il viso manteneva sempre un sorriso felice e divertito.
Poi, tute e tre, di colpo, terminarono con uno scivolone assurdo, scatenando l’ilarità generale di tutti, bambini e adulti, che applaudirono con grinta, segno che si erano divertiti per quella prima parte di spettacolo.
Taro, velocemente, si allontanò verso i ballerini dietro piccoli tendoni che ricordavano vagamente quelli del circo, il piccolo palco era gia stato assediato dai bambini, che saltavano e ballavano allegri.
Velocemente, il ragazzo andò in direzione dei tendoni, alla ricerca di quegl’occhi color ametista, mentre le varie ballerine della compagnia ammiravano con commenti ammirati il bel moretto che passava tra di loro.
Alto, fisico ben fatto, gambe lunghe e magre, braccia forti, petto grande e duro, schiena grande, capelli castani leggermente spettinati, occhi color nocciola, sorriso dolce.
Le ragazze cominciarono a fare gli occhi dolci verso Taro, che cominciò a preoccuparsi, per poi sentire una voce amica dietro di lui.
-Taro, sono qui!-
il ragazzo si voltò, ed incrociò a pochissima distanza dal suo viso gli occhi violacei brillanti di Lucille, che sorrise, i capelli biondi erano legati in una crocchia che lasciava libero qualche ciuffo birbante, che accarezzava il viso ben fatto, il neo sopra il labbro in bella mostra.
Taro le sorrise.
-Complimenti! Tu e la compagnia siete straordinari!-
-Beh, hai visto solo metà dello spettacolo! Il bello deve ancora venire-
-Mi avevi detto che facevi qualche pezzo da sola-
-Faccio da coreografia a due cantanti, e poi faccio un brano di danza classica, non so se conosci la morte del cigno…a proposito, devo andarmi a cambiare costume! Ci vediamo!-
e volando via come una farfalla gentile, Lucille si allontanò da Taro, che ritornò a sedersi al proprio posto, aspettando impaziente il pezzo di Lucille, che non tardò a venire.
Lentamente, alcuni lampioni si spensero, lasciandone solo qualcuno che illuminasse la figura di una fanciulla dai capelli biondi, vestita di un body bianco con una gonna bianca semplice,gli occhi ametista sottolineati dall’ombretto argentato, i brillantini sul viso la rendevano ancora più etera.
Taro ci restò di sasso, mentre ammirava quella dolce figura cominciare a danzare accompagnata dalle dolci e al tempo stesso tristi noti di Ciaikovsky, del “lago dei cigni”.
Era così bella, danzava come un angelo…
Taro non riusciva a staccare gli occhi da quella figura così dolce e gentile, che ora appariva debole e fragile, mentre rappresentava il cigno- fanciulla che danzava leggiadra.

“Nel parco del suo castello il principe Siegfried festeggia il suo ventunesimo compleanno. Il precettore Wolfgang introduce gli ospiti. La regina madre entra e rimprovera il figlio amorevolmente comunicandogli che è ormai giunto il momento di scegliere una fidanzata tra le ragazze che ella ha invitato alla festa.
Terminati i festeggiamenti Siegfried, rimasto solo, è turbato e pensieroso. Il precettore cerca di riportarlo alla realtà ma egli continua a sognare il suo amore ideale.
Siegfried va a caccia con gli amici nei pressi del lago. Cigni bianchi vengono presi di mira dai cacciatori. Il principe, rimasto solo, punta la sua faretra verso uno splendido cigno bianco che fa da guida agli altri. Il cigno, che nel frattempo si è trasformato in una fanciulla, gli confida di essere la principessa Odette trasformata in cigno, come le altre fanciulle, dal mago Rothbart. L'incantesimo potrà essere spezzato solo il giorno in cui qualcuno le giurerà eterno amore. Siegfried promette a Odette di salvarla e la prega di partecipare alla festa durante la quale sceglierà la sua sposa. Ma Odette non può perchè è un cigno. Il giovane, allora, le giura amore eterno affermando che non sposerà nessun'altra che lei.
E' giunta l'alba, Rothbart richiama nel lago Odette e le compagne che si trasformano nuovamente in cigni.
Nella sala da ballo del castello iniziano i festeggiamenti. Entrano la regina madre e Siegfried seguiti da sei damigelle che aspirano alla mano del principe. Egli però le rifiuta finchè non giunge il barone Rothbart con sua figlia Odile le cui sembianze sono identiche a quelle di Odette. Siegfried, soggiogato dalla fanciulla che danza con lui, la chiede in sposa. Rothbart trionfa per lo spergiuro di Siegfried che, disperato, fugge verso il lago.
Sulle rive del lago le fanciulle cigno sono tristi per Odette che piange per il destino a cui è stata condannata. Giunge Siegfrid che, disperato e pentito per il tradimento, implora il suo perdono.
Odette sta morendo. I due innamorati si immergono nelle acque del lago, sconvolte dalla tempesta scatenata da Rothbart, che li sommergono ma i loro spiriti uniti si levano al di sopra del lago tornato calmo.”

Una triste storia…
Ma ora a Taro sembrava non interessare, incatenato ormai a quella figura dolce e gentile che, lentamente, terminava il suo balletto, il suo incantesimo su tutto il pubblico lentamente andava a svanire, mentre Lucille lentamente eseguiva gli ultimi passi, scivolando dolcemente a terra, inginocchiandosi, prima di accasciarsi, rivolgendo però un ultimo disperato tentativo al pubblico, allungando una mano verso…
“Taro…”
per poi far cadere quella mano, terminando il suo balletto.

Passarono momenti interminabili, poi il silenzio venne fermato da uno scrosciare assordante di applausi, tutti si erano alzati in piedi, mentre Lucille si alzava in piedi e, imbarazzatissima, abbozzava un piccoli inchino, uscendo poi di scena, lasciando entrare le altre ballerine.
Lucille fece la coreografia ad una canzone irlandese cantata da una bella e brava voce femminile, poi lo spettacolo terminò con una danza generale e il saluto, tutto il pubblico era entusiasta dello spettacolo.
Appena dopo lo spettacolo, Taro corse verso i tendoni ,alla ricerca di Lucille.
Il giorno dopo sarebbe partita…
No! Non lo poteva permettere!
Almeno la voleva salutare per un ultima volta.
-Taro!-
il ragazzo la trovò a pochi metri da lei, e con un sorriso felice la raggiunse.
-Sei stata fantastica, i miei complimenti!-
la ragazza arrossì imbarazzata, per poi passarsi tristemente una mano tra i capelli: il giorno dopo sarebbe ripartita, non l’avrebbe più visto…
Poi un’ideale passò in mente: velocemente, trascinando con se Taro, afferrò un foglio e una penna, e scribacchiò velocemente un indirizzo e un numero di telefono, porgendolo poi al ragazzo.
-Tieni, così mi potrai contattare-
il ragazzo afferrò il foglietto, per poi sorridere felice, e prendere il coraggio a due mani.
-Senti, io non ho ancora mangiato, ti va di venire da me a mangiare qualcosa?-
la ragazza ci pensò un momento, turbata.
-Ma tuo padre?-
-E’ in giro anche lui per l’Europa, non torna prima di tre giorni-
-Allora aspetta!-
la ragazza si allontanò a pochi metri dal ragazzo, parlando con una ragazza sua coetanea, che teneva in braccio un bambino di qualche mese, che sbracciò verso Lucille.
Sotto lo sguardo intenerito di Taro, la ragazza abbracciò il piccolo e gli schioccò un bacio sulla guancia, per poi porgerlo di nuovo all’amica, ringraziandola, tornando poi dal ragazzo.
-Bene, possiamo andare!-
-Non mi hai detto di avere un fratellino!-
-Infatti non è mio fratello…è mio figlio-
Taro si bloccò, fissando la ragazza sconvolto.
-Ma…come…tu…-
-No, non sono sposata, se è quello che vuoi dire…-
la ragazza lo fissò seria, i suoi occhi mostravano un forte dolore e una grande vergogna…
-Lui….è frutto di uno stupro…-

(Al prossimo capitolo! Meiko)

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Capitolo 11
*** Cambio della marea ***


L’appartamento del padre di Taro e del ragazzo non era troppo grande, ma consentiva movimento.
Un bagno, due camere da letto, il salottino collegato alla cucina.
In quel momento, Taro stava lavorando ai fornelli, mentre Lucille si era messa comoda sul divano del piccolo salotto, anche se era poco largo era molto confortevole, dava una sensazione di familiarità che, in qualche modo, lei sentiva di avvertire, mentre sentiva Taro al lavoro in cucina.
Da quando gli aveva rivelato che François (così si chiamava il figlio di Lucille) era nato da uno stupro, Taro aveva fatto di tutto per evitar e l’argomento, e la ragazza lo ringraziava mentalmente di questo.
In fondo, però, Lucille sentiva che prima o poi con qualcuno si sarebbe dovuta sfogare, quell’orribile sensazione di sporco che tratteneva dentro di se ogni tanto le dava dei problemi con i bambino.
Era così bello quel piccolo, che lei temeva di sfigurarlo anche solo toccandolo ,temeva che la sua sporcizia si sarebbe passata a lui.
E lei non voleva questo, lei voleva abbracciare e stringere a se quel bambino così bello e dolce.
-E dimmi…quanti mesi ha François?-
Lucille sorrise affettuosamente, mentre Taro cerava di attaccare discorso, quel silenzio non gli piaceva nemmeno un po’…
-Ha quattro mesi-
-E’ davvero un bellissimo bambino, sembra molto dolce-
-E lo è! E’ tranquillo, non piange molto, però a volte è un pigrone-
Lucille rise al pensiero di quel bambino, e Taro si lasciò scappare un sorriso dolce, vederla sempre con quell’aria serena lo faceva stare bene.
Era un po’…come vedere Yuko…
No, Yuko era molto diversa da Lucille.
Lei era…diversa…

-Yuko come sta? Da quando è tornata in Giappone, le ho fatto solo una telefonata!-
-Oh, sta bene, pensa che a adesso è ad Amburgo-
-Amburgo? E che ci fa li?-
-Abita insieme a Genzo Wakabayashi, non so se lo conosci…-
-Il grande SGGK? Stai scherzando?-
-No, sono serissimo-
Lucille spalancò la bocca, sbalordita: Yuko con il SGGK?
Beh…doveva riconoscere che Yuko era una bella ragazza, aveva fatto gola a tutti…
Anche a Taro…
No! Quella era storia passata!
Adesso doveva pensare al presente…
Si alzò dal divano, avvicinandosi a Taro, che lavorava ai fornelli, dandogli una mano a preparare la tavola per loro due.
-E dimmi…tu?-
-Io cosa?-
-Tu come l’hai presa?-
Taro si bloccò qualche secondo, giusto per riordinare i ricordi e mantenere il controllo, poi sorrise triste, riprendendo a scrivere.
-Come vedi, adesso sto cucinando con una bella ragazza francese-
Lucille si voltò a guardarlo, tenendo fra le mani il piatto, fissando la schiena e il profilo del ragazzo, che manteneva sempre quel sorriso tranquillo.

-Scusa se lo dico, Taro, ma secondo me…Yuko ha fatto bene a scegliere di seguire Wakabayashi…-
Taro si bloccò, voltandosi verso Lucille, che appoggiò tranquillamente il piatto sulla tavola, pensando alle posate e ai bicchieri, continuando a parlare, non le interessava se Taro l’ascoltava o meno.
-A volte…quando vi guardavo…mi sembrava di vedere…mi sembrava di vedere un ragazzo che aiutava un andicappata anche solo per alzarsi da una sedia-
Taro fece cadere il mestolo su lavandino, voltandosi verso la figura di schiena di Lucille, che si era fermata, per poi riprendere a mettere a posto la tavola, sistemando le pieghe della tovaglia.
-Io…io so che tu volevi molto bene a Yuko…che l’amavi…
Ma…ma non hai mai pensato…
Che questo tuo amore…fosse un po’ troppo soffocante?-
Lucille si era voltata verso Taro, che la guardava con sorpresa.
Non rabbia, ma stupore, ansia…vergogna…
La ragazza si trovò improvvisamente in imbarazzo, e si mise un ciuffo biondo dietro l’orecchio.
Ora che aveva cominciato, doveva finire quel discorso, altrimenti non sarebbe mai stata più capace di prenderlo in mano un’altra volta.
-Intendo dire…che a mio parere…il tuo atteggiamento verso Yuko era…come dire…soffocante…
So che le volevi molto bene, e non lo voglio negare…
Ma forse…-
-Forse ho esagerato?-
Lucille guardò preoccupata Taro, che si limitò a sorridere, tornando alle pentole, sistemando le ultime cose, versando le pietanze su dei vassoi, pulendosi alla fine le mani.
-Hai ragione.
Si, devo ammettere che a volte con Yuko ero decisamente soffocante.
Mi preoccupavo sempre per lei, e certe volte la mia ansia doveva averla stancata.
Io…io ho capito tutto questo…quando ha scelto Genzo a me…
Lui…lui le aveva sempre dimostrato il suo amore, la sua cieca fiducia, la sua gentilezza…
Non…non le ha mai fatto notare che era…era…-
-Un’invalida?-
Lucille si era avvicinata a Taro, che non riusciva a trattenere le lacrime, mentre restava appoggiato sul tavolo della cucina.
-Io…io l’ho fatta sempre sentire invalida.
Ma lei non lo era, non lo è mai stata!
Sono…sono stato un’ipocrita, come tutte le persone che hanno avuto a che fare con lei…-
Taro si coprì il viso con una mano, per poi spalancare gli occhi, avvertendo le braccia di Lucille avvolgergli la vita, la testa della ragazza appoggiata alla schiena del ragazzo.
-No Taro.
Tu non sei stato ipocrita come tutte le altre persone.
Perché, al contrario di queste, non hai mi nascosto i tuoi sentimenti a Yuko.
Per lei tu eri importante.
Eri…il suo angelo custode…
L’hai sempre protetta.
…lei ti ha voluto molto bene…-
Taro scosse il capo, sorridendo mestamente, per poi girarsi, e stringersi a Lucille, sussurrando con voce rotta.
-Scusami-
-Non dire sciocchezze. Sfogati-
il ragazzo annuì, mentre Lucille gli accarezzava dolcemente la testa bruna, assaporando di nuovo quel contatto che tra di loro era venuto a mancare.
Si…ne stava approfittando, che vergogna…
Ma non poteva farci niente…lei amava ancora Taro…
E l’avrebbe sempre amato.
Si lasciò scappare una lacrima, per poi asciugarsela velocemente, mentre Taro si liberava dalla sua stretta, tornando a sorridere come al suo solito.
-Grazie, ora sto meglio. Vieni, andiamo a mangiare, prima che si raffreddi-
la ragazza annuì, mettendosi a tavola con il ragazzo, facendogli i complimenti per l’ottima cucina.
Trascorsero la serata tra momenti di chiacchiericcio a momenti di silenzio, un silenzio che alcune volte era anche piuttosto imbarazzante.
Ma stavano così bene…sorseggiando del buon vino rosso…parlando di ricordi, di progetti, di passato e futuro, che venivano mescolati come gli ingredienti per la ricetta della vita.
Alla fine, però, Lucille sospirò tristemente, fissando con aria stanca il liquido rosso nel suo calice, sotto lo sguardo attento e preoccupato di Taro.
-Sai…dopo lo stupro, pensavo che non sarei mai più riuscita a vivere una vita così. Una vita...normale…-
il ragazzo la guardò attento, memorizzando la linea delicata del viso, gli occhi brillanti ametista, i lunghi e soffici capelli sciolti che cadevano con delicatezza lungo le spalle e la schiena.
Si passò nervosamente una mano sopra la testa.
-Posso chiederti…com’è avvenuto?-
lei sorrise divertita, bevendo qualche goccia dal calice.
-Lo hai gia fatto…-
prese il bicchiere tra le mani, ammirando il vino rosso scuro alla luce della lampada sopra la sua testa, mentre cercava di mettere in ordine i vari ricordi confusi di quella serata…
-E’ accaduto…un anno fa…un mese prima di incontrare la compagnia…
Io…ero ancora un po’ giù per la nostra separazione…oltre che per aver fallito ad un esame per entrare alla Scala…-
sbuffò, passandosi una mano tra i capelli.
-Ero davvero giù di corda…ed entrai in un locale a bere qualcosa di forte…senza accorgermene, cominciai ad essere infastidita da tre ragazzi, che mi facevano un sacco di proposte…
Così…decisi di andarmene…
Ho fatto la più grossa sciocchezza della mia vita…-
Lucille sembrava raccontare qualcosa di non suo, il suo atteggiamento era sicuro e tranquillo, non sembrava affatto una ragazza che aveva subito una violenza.
-Quando uscii dal locale, li rividi che m aspettavano…decisi di allontanarmi da loro…ma mi afferrarono con la forza per le braccia, trascinandomi in un vicolo…
Erano tutti e tre ubriachi…
Due mi tenevano per le braccia, e tenevano larghe le gambe, mentre il terzo…-
Taro trattenne un conato di vomito, mentre l’ira per qualche secondo lo accecava, mentre Lucille continuava a parlare, il suo tono si era fatto più sofferente.
-Facevano a cambio tra loro…poi mi abbandonarono in quel vicolo…
Quando i genitori di mio padre seppero questo, tagliarono con me ogni collegamento.
Conosci mio padre e la sua famiglia.
Tutti con la puzza sotto il naso, troppo impegnati a tenere alto l’onore della famiglia.
E chi voleva aiutare una puttanella?-
Non c’era ira o rabbia, solo un senso di sofferenza.
Taro si alzò, avvicinandosi con la sedia a Lucille, che continuò a parlare, un sorriso felice, ma molto debole sulle labbra.
-Solo la mia nonna materna e mia cugina mi aiutarono. Poi ci fu la compagnia…e la nascita di François…
E’ un bimbo bellissimo…ma ogni volta che lo vedo…mi sento così sporca…
Ho paura…persino...a toccarlo…
Non sono la madre adatta a lui-
-Non dire sciocchezze!-
Lucille guardò Taro, le lacrime cominciarono a scivolare giù dalle guance.
-François è fortunato ad avere te come madre.
Io ho avuto l’onore di conoscere il carattere forte di Lucille.
E Lucille è coraggiosa, testarda, protettiva, affettuosa.
Insomma, è la madre perfetta…
Io…mi sento orgogliosa di averla conosciuta-
Lucille sorrise, asciugandosi le lacrime, stringendosi poi a Taro, che dopo un attimo d’incertezza la strinse forte a se.
No…
In fondo…nulla era stato perduto…
Una piccola scintilla che era a fatica vissuta, ora stava lentamente diventando una fiammella.
Si erano sostenuti, si erano rincontrati.
Si erano parlati, aiutati.
Come amici, in cerca di affetto.
Lucille si allontanò di scatto da Taro, stupendo il ragazzo.
-Taro…io…-
il ragazzo la zittì con un dito sulle labbra, per poi sfiorare quelle stesse labbra con le sue.
Erano dolci, sapevano di vino.
Lentamente, il contatto prese fuoco, fermato però dagl’occhi viola spaventati e tristi di Lucille.
-Taro…non voglio…che sia solo una storiella così..
Io ti amo veramente..-
Taro la guardò.
Cosa voleva?
Voleva solo una storia?
Voleva solo farla solo sua per una notte e poi via?
Non lo sapeva…
Seppe solo che la baciò con ancora più passione, stringendola a se, portandosela in camera da letto.
E fondendo il suo spirito con quello di Lucille.
Quando poi, la mattina dopo, si svegliò, trovò solo un biglietto scritto velocemente dalla ragazza.

“Sappi che non importa chi incontrerò, chi sposerò, con chi vivrò. La mia mente, il mio corpo, il mio cuore apparterranno ad un'unica persona...
Ti amo, e ti amerò per sempre.
Solamente tua.
Lucille”

*

(Cambio scena! Consigliò di ascoltare come sottofondo “Se tu non torni” di Miguel Bosè)

Aprì lentamente gli occhi gli occhi, cercando di afferrare brandelli di ricordi. Dov’era? Cos’era successo?
…ricordava solo…la pioggia…Maki…aveva lasciato Kojiro…era corsa sotto la pioggia…si era nascosta in un vicolo…
Poi…poi aveva visto Kojiro che la guardava…ed aveva avvertito delle braccia sollevarla da terra. E adesso?
Neko alzò lievemente la testa da morbido cuscino, alzando lo sguardo dal corpo seminascosto dall’oscurità al viso addormentato di Kojiro, che la teneva stretta a se in un caldo abbraccio.
Per un attimo a Neko sembrò mancargli il fiato, mentre osservava emozionata quel viso a lei così vicino, tinto però…di sofferenza.
Le braccia di Kojiro la stringevano quasi con prepotenza, lei appariva ancora più piccola e minuta di quanto non lo fosse gia.
Era silenzio intorno a loro, e Neko ascoltò stanca lo scrosciare della pioggia, il temporale non aveva smesso, ma si era leggermente calmato.
Neko fissò ancora il volto addormentato di Kojiro, per poi accucciarsi ancora un po’ in quel calore così piacevole.
Aveva indosso uno di maglioni del ragazzo, infatti per lei era molto grande, le copriva tutto il corpo, raggiungendo metà coscia.
La ragazza, lentamente, si avvicinò al petto nudo del ragazzo, assaporando quella pelle calda dall’odore virile.
Poi, lentamente, nella mente della ragazza arrivò un piccolo messaggio di consapevolezza.
Maki…
Lentamente, Neko si staccò da quelle braccia, uscendo a malavoglia dal letto, spostandosi verso il salotto, dove le finestre semicoperte dalla tenda rivelavano nello sfondo grigio la città immersa nella pioggia.
L’orologio sul bancone della cucina, dalle lancette che s’illuminavano, avvertiva la ragazza che erano ormai le otto di sera.
Aveva dormito per tutto il pomeriggio…
Beh, con tutti i fatti che erano avvenuti, era normale che si fosse addormentata.
Ma allora…perché stava così male?
Non lo sapeva cosa aveva…si sentiva triste, eppure al tempo stesso felice di stare di nuovo li, in quell’appartamento, con quel ragazzo, che ora la guardava, seduto sul letto.
Neko sembrava non guardarlo, mentre con una mano delicatamente apriva la tenda.
Poi parlò con voce roca.
-Da quanto tempo eri sveglio?-
-…da un’ora…ma ho preferito tenerti vicino-
un sensazione di benessere avvolse Neko, che sperò svanì, spazzata via da un pensiero fisso. Maki…
-Lei...-
-Maki se ne andata, l’ho cacciata via-
Kojiro restò in silenzio, contemplando la magra figura di Neko: il maglione del ragazzo la faceva apparire ancora più bambina, mentre i capelli ramati leggermente spettinati incorniciavano il volto e i grandi occhi verdi, che però si tenevano fissi sul vetro della finestra, sembrava che la pioggia si riflettesse in quello sguardo.
Kojiro l’ammirò ancora un po’, gli sembrava di vedere uno di quei dipinti ad olio che si vedevano nei musei, nelle mostre d’arte.
Ma nessuno dei più grandi maestri sarebbe riuscito a mettere su tela tanta delicatezza e quella sensazione impalpabile, quel silenzio che abbracciava, non pesava, quelle sensazioni legger,e aeree, come strutture di case fatte di cristallo, bolle di sapone e carta.
Niente sembrava reale, eppure tutto era li.
Sensazioni leggere quali la tristezza, la serenità, la consapevolezza, la sincerità, tutte racchiuse in quella figura magra e snella, una mano teneva delicatamente spostata la tenda della finestra, nei grandi occhi verdi si rifletteva la pioggia e l’intera città.
Kojiro era completamente affascinato da lei, era come se una dolce melodia lo rapisse via, un suono lontano di violino, mentre con tutto se stesso desiderava provare di nuovo la sensazione di stringersi a se Neko, che restava in silenzio, a contemplare il delicato gioco della pioggia.
Lentamente, Kojiro si alzò dal letto, la sua figura alta e poderosa, il petto nudo, addosso solo pantaloni di cotone elasticizzato, che sottolineavano le gambe lunghe e muscolose, mentre in bella mostra il petto scolpito, i capelli neri lasciati liberi e selvaggi, i suoi occhi neri carichi…di paura…
La paura di perderla…e con lei…un sogno che si frantuma…come uno specchio che si rompe…
Si avvicinò lentamente, fino ad arrivare dietro a Neko, che restava immobile ad guardare fuori dalla finestra.
Mille pensieri attraversavano i suoi occhi e la sua mente, mentre avvertiva chiaramente la grande presenza della tigre dietro di se.
Una tigre…che ora appariva docile e tranquilla.
…quante facce aveva, quella tigre…
Poteva essere violenta e ruggente…
Ma poteva anche rivelarsi orgogliosa e piena di coraggio…
Oppure…poteva diventare docile e affettuosa…
Oppure…
Oppure spaventata e indifesa…
Neko sospirò, continuando però a tenere lo sguardo rivolto alla finestra, anche se ormai le sembrava di non vedere altro che colori mischiarsi a colori, in un acquarello sciupato dalla pioggia…
E lei…lei com’era?
Lei era solo…un gatto…un gatto che chiedeva di essere solo amato…
Restarono immobili, entrambi.
Senza parlarsi.
A che servono le parole?
Lui era dietro di lei, distante pochi centimetri, il calore dei loro corpi si attraversavano, scambiandosi.
Poi, ad un tratto, l’irrealtà di quel silenzio venne rotta dal sussurrare di Neko, che continuava a fissare quella finestra.
-…Maki?-
-…l’ho cacciata di casa…le ho detto che la odiavo…che non l’amavo più…-
-Perché?-
Kojiro guardò la schiena di Neko, quel maglione che la rendeva ancora più piccola dei suoi diciassette anni.
Dio, aveva una voglia matta di abbracciarla e stringerla a se!
Ma si trattenne, alzando lo sguardo verso la finestra, seguendo il correre delle gocce di pioggia sul vetro freddo.
-Quando chiudevo gli occhi…non vedevo il volto di Maki….non vedevo gli occhi neri e vuoti, privi di qualsiasi emozione di Maki…
Ma vedevo…vedevo due occhi grandi, di colore verde smeraldo, brillanti come gemme preziose…
Due occhi di fata…due occhi felini…due occhi di gatto…
E poi…vedevo una matita disegnare…disegnare su un foglio di carta un viso, mentre una voce mi chiamava, gentile, dolce, allegra…-
Neko sentiva le lacrime salirgli, ma le trattenne, limitandosi a stringere la mano a pugno sulle labbra, per poi tornare alla posizione di prima, chiudendo un attimo gli occhi, riaprendoli, formulando la sua domanda.
-E…e questo volto…aveva un nome?-
Kojiro sorrise, annuendo, sicuro che Neko, in quell’istante, lo guardasse del vetro della finestra.
-Si…si chiamava Neko…-
la ragazza sorrise, un sorriso sereno, anche se possedeva una malinconia dolce.
Lentamente, il ragazzo allungò una mano, che fu afferrata da Neko, che la strinse intorno alla sua vita.
Lentamente, Kojiro l’abbracciò da dietro, stringendola dolcemente a se, baciandole il capo, mentre lei sospirava, sorridendo sollevata.
Poi, gentilmente, la ragazza riaccompagnò Kojiro sul letto (dovevo dirlo prima: la camera da letto e il salotto sono collegati, non ci sono porte che li separano N.d.Meiko), sdraiandosi accanto a lui, lasciandosi stringere in un caldo e dolce abbraccio, formulando la sua ultima domanda…
-E…che cosa hai provato…quando hai visto quel volto?-
-…l’ho amato…e l’avrei voluto baciare…e sussurrargli all’orecchio…ti amo…-
Neko sorrise, lasciando scorrere le lacrime, mentre si stringeva a ancora di più a Kojiro, lasciandosi cullare dalle braccia calde del ragazzo…e dallo scrosciare della pioggia, che pian piano si allontanava, lasciando solo l’immensità del cielo notturno, una mezza luna fredda tentava di spiare curiosa, ma le tende della stanza le impedivano di ammirare due innamorati, che dormivano abbracciati, quasi a volersi fondere in un unico essere…

*

(Cambio di scena!)

Il rumore della pagina si espanse come una macchia d’olio per tutta la sala, offuscata solo dal tranquillo e dolce suono di violini proveniente dallo stereo.
La grande sala era colorata di tinte calde, come il rosso bordeaux e il marrone nocciola, e in uno dei grandi e soffici divani stava sdraiata una ragazza, non doveva avere più di vent’anni, i lunghi capelli castani assumevano a tratti le tinte dell’oro, ed erano messi da una parte in modo che non le dessero fastidio durante la lettura.
I suoi occhi verdi scorrevano veloci lungo le righe piene di caratteri scuri.
Era affascinata da quei caratteri, dalle parole, dalle frasi, dai paragrafi.
Era totalmente immersa nella lettura, attorno a lei il mondo sembrava diventare più irreale, modificarsi, cambiare, divenire qualcosa di malleabile, attorno a lei figure strane, ragazzini coraggiosi, istanti di tante vite passavano, si fermavano accanto a lei, e poi scomparivano.
Sorrideva, un sorriso all’apparenza non reale, come il sorriso della Madonna.
Il suo spirito viveva tra quelle righe, i suoi occhi scorrevano incatenati a quelle parole, a quelle lettere.
Un’altra pagina, un'altra scena.
Era così immersa nella lettura, che non si accorse di qualcuno che entrava nella villa, sbuffando, notandola poi nel salotto, di spalle, che ignorava quella presenza che, lentamente, si avvicinava a lei, i suoi passi erano silenziosi, mentre i suoi occhi si concentravano sulle spalle esili della figura, che alzò di scatto la testa, per poi voltarsi di scatto, sorridendo sollevata.
-Genzo! Ben tornato!-
il ragazzo sorrise, abbracciando Yuko dietro le spalle, ammirando con orgoglio i stupendi occhi verdi della ragazza, che brillavano privi di qualsiasi nebbia.
Era ormai più di un mese che Yuko era guarita, e ormai la ragazza aveva fatto il giro di tutta la città, ammirando Amburgo con i suoi curiosi e brillantissimi occhi.
E lui, fiero, l’accompagnava, stringendole la mano o sottobraccio, rivolgendole sguardi felici e sereni.
Com’era bella la sua Yuko…com’era sorridente…
Ora assomigliava a quello stupende giornate di Maggio, carico di sole.
La guardò ancora, ammirandola, mentre lei gli sorrideva, appoggiandogli la fronte sulla guancia, tenendo stretto a se il libro che stava leggendo, mettendogli poi una foglia come segnalibro, e alzarsi dal divano, abbracciando meglio Genzo.
Così vicini….non erano mai stati così vicini…
Una gioia che si poteva toccare, stringere…godere…
Genzo le schioccò un bacio sulla guancia, prima di sentirla allontanarsi da lui.
-Ma…aspetta un attimo Genzo, ma oggi non dovevi restare tutto il giorno con la squadra? Che ci fai qui?-
-Volevo chiederti se potevi accompagnarmi questo pomeriggio agli allenamenti, così ti faccio conoscere la squadra-
Yuko annuì tranquillamente, afferrando il cappotto, fermandosi un istante a guardare un bastoncino di metallo con alla fine una striscia gialla fosforescente.
…sorrise malinconica
Genzo la fissò, per poi guardare il bastoncino.
-Nostalgia?-
-Beh, per undici anni quel bastone mi ha aiutato ad andare avanti…-
-Beh, adesso io sono il tuo bastone-
il ragazzo strinse la mano di Yuko, baciandola dolcemente sulle labbra, per poi avviarsi verso la macchina, raggiunto dalla ragazza.

Il campo di allenamento era un vero e proprio centro sportivo, dove oltre al camp odi calcio c’era una piscina al coperta, due campi da tennis e una palestra super attrezzata.
La ragazza osservò il grande edificio, e per la prima volta si sentì super imbarazzata, mentre avvertiva tanti sguardi puntare a lei e a Genzo, che la teneva per mano, facendole da Cicerone. Era così imbarazzante!
Prima di allora non se n’era accorta a tutte le persone che li guardavano con sorpresa, anche se ogni tanto qualche paparazzo rompeva le scatole con domande o foto che Genzo trovava “inutili” D’accordo, ammetteva di avere avuto qualche altra storiella oltre a Yuko.
Ma quello era diverso, ora lui era completamente perso dietro a quella dolce ragazza, che adesso sembrava una di quelle giovani liceali, imbarazzata e con l’aria sbarazzina tipica di un adolescente.
Genzo sorrise, e l diede u bacino sulla guancia, facendola così calmare, la stretta alla mano si fece più salda.
Ma si, in fondo chi se ne frega!
L’importante era che Genzo fosse li accanto a lei.
Il ragazzo la portò verso il grande campo di calcio, dove sbracciò in direzione della squadra, al momento in riposo dopo la prima parte di allenamenti.
In meno di un minuto, tutta la squadra fu intorno al portiere.
(Fate finta che parlino in tedesco)
-Ehi, Genzo!-
-Ma dov’eri finito?-
-Per qualche momento credevamo che tu fossi scappato!-
ci fu uno scoppio di risate, mentre Yuko restava in silenzio sugli spalti ad ascoltare il chiacchierare dei ragazzi della squadra.
Dopotutto, aveva vissuto parte della sua vita in Germania, e il tedesco lo sapeva bene. Ad u tratto, una figura gli si avvicinò, e sorrise, riconoscendo il passo orgoglioso leggermente severo di…
-Karl Heinz Schneider…-
il ragazzo si fermò, per poi sorridere felice alla ragazza che si alzò in piedi, mostrando la sua magra figura nascosta in parte dal cappotto nero.
-Yuko! Amica mia!-
i due si abbracciarono, mentre Genzo si voltava, stupendosi dell’atteggiamento dei due, Karl accompagnò Yuko verso il portiere, che li guardò stupito e sospettoso.
-Yuko, conosci Karl?-
-Si, l’ho conosciuto durante uno dei miei viaggi…alla ricerca di una cura…-
-Lei era sempre seduta sugli spalti più in alto. Non puoi avertela dimenticata, Genzo! Era quell’ombra che stava lassù-
Karl indicò uno degli scalini più alti, che dava verso il cielo, in quel momento privo di nuvole, di un bel azzurro intenso.
Genzo concentrò tutta la sua memoria, prima di ricordarsi…di ricordarsi di quella figura che ad ogni allenamento si trovava sul gradino più in alto…
Come…come aveva fatto a scordarsi di lei?
Yuko fece spallucce.
-Mi pare ovvio che Genzo non si ricordi di me. E’ passato troppo tempo. E comunque io per voi ero solo la figura sulle scale più alte. Un giorno per caso Karl m’incrociò, e facemmo amicizia-
la squadra continuò a chiacchierare con Yuko, era davvero una ragazza intelligente e simpatica, e tutti potevano dire senza ombra di dubbio che era davvero carina.
Ma…per chiunque, lei rimaneva sempre la ragazza di Genzo, infatti i ragazzo le si era fatto più vicino mentre chiacchieravano, e aveva lanciato occhiatacce in infuocate.
Poi, l’allenatore richiamò all’ordine i ragazzi, mentre Yuko restava sugli spalti ad ammirare il portiere esibirsi in una partita di riscaldamento, la vera partita si sarebbe svolta Domenica, contro il Manchester United, e Yuko aveva tutta l’intenzione di andarci, anche se Genzo ci aveva pensato un attimo prima di dargli il consenso.

“Gli ultra del Manchester sono molto pericolosi. Dovrai stare molto attenta. Io ti posso dare un biglietto per la tribuna dei vip”
Yuko aveva abbracciato Genzo.
Che bello…che bello avere la sensazione di esser protetta, di essere amata così!
Yuko restò con la squadra per tutta la giornata, ammirando con stupore la bravura dei giocatori, soprattutto di Karl e del SGGK.

Lo stadio era letteralmente straripante di gente, tifosi delle due fazioni sembravano tori scatenati, e forse anche per questo l’inizio della partita venne ritardato per qualche minuto.
Yuko era nervosa, forse più di Genzo, che in quel momento le stava accanto, vestito con la maglia del portiere, il numero uno bianco su l’intero sfondo nero sembrava diventare piccola e minuta contro la grande schiena del portiere.
I guanti neri profumavano di nuovo, mentre le braccia erano incrociate contro il grande petto, i pantaloni rendevano la agre ancora più magre e lunghe.
Il berretto ben calcato in testa.
Da un po’ di tempo aveva cominciato ad usare quello grigio perla che gli aveva regalato Yuko, anche se ogni tanto la ragazza simpaticamente gli metteva quello rosso, con un sorriso malizioso sulle labbra sottili.
In quel momento, Yuko era li accanto a lui, anche lei appoggiata al muro, vestita con comodi jeans e una camicetta bianca nascosta dal capotto aperto, i capelli legati in una comoda treccia, gli occhi socchiusi che fissavano preoccupati un punto nel pavimento.
Era stranamente nervosa, non le piaceva quella situazione.
Genzo si voltò a guardarla, per poi sorriderle e abbracciarla sulle spalle, portandola verso di se.
-Tutto ok?-
lei si limitò ad annuire con il capo.
-Sono solo…un po’ preoccupata…-
-Ah, non devi. A volte capitano questo genere di situazioni…-
i ragazzo alzò la testa da Yuko, qualcuno lo stava chiamando.
Sorrise, lasciando a malincuore la presa dalla ragazza, scoccandole un bacio in fronte.
-Ma come vedi, tutto si risolve! Fammi gli auguri-
i ragazzo si avviò verso il compagno, mentre Yuko tirava un sospiro di sollievo, allontanandosi verso gli spalti.
Alla fine aveva preferito sedersi tra gli altri tifosi, per avvertire l’eccitazione che si provava a vedere la squadra del cuore giocare.
Inutile dire che il grande SGGK aveva difeso egregiamente la porta, mentre gli ultra del Manchester li vicino urlavano e bestemmiavano, Yuko li guardava con una punta di terrore che le gelava il sangue ogni volta che qualche ultra cercava di superare la cancellata.
Non…non aveva mai visto tanta violenza…solo…solo per una partita…
Era…era terribile…
Lentamente, nella mente di Yuko cominciarono a prendere forma varie immagini, senza significato, ma che le mettevano solo i brividi.
Questo era un aspetto delle persone…che non aveva mai conosciuto…
Aveva trovato nelle persone la compassione, l’amicizia, a volte anche la cattiveria…
Ma mai…mai aveva visto tanta violenza scatenarsi…
…paura…
Aveva paura…
Una paura matta…come non aveva mai provato…
E ad ogni grido, ogni urlo degli ultra, la sua paura cresceva, ora tremava come una foglia.
Per fortuna, il fischio della fina della partita le diede la possibilità di fuggire via.
Si alzò velocemente dalla sedia, quando un rumore violento la fece voltare, gli occhi colmi di terrore…
Gli ultra….avevano superato la barriera…e si stavano scatenando contro GENZO!
La ragazza rimaneva sugli spalti con il resto dei tifosi, che scioccati guardavano il portiere difendersi con rabbia dalla bande degli ultra, ad aiutarlo i compagni di squadra con in testa Karl.
La ragazza fissava scioccata il ragazzo che si, si difendeva…
Ma…ma stava… picchiando…
E vedeva…vedeva in quegl’occhi…solo…

VIOLENZA!

Yuko sentì le gambe cedergli, mentre vedeva la polizia intervenire, Genzo e gli alti ragazzi ai allontanavano aiutati anche dalla squadra del Manchester, gli ultra venivano bloccati dalla polizia. Con il cuore in gola, Yuko corse via dagli spalti, correndo come una matta verso gli spogliatoi, verso l’infermeria.
Aveva visto Genzo ferito….si stava reggendo la spalla.
Vide la figura di Karl che si avvicinava alla ragazza.
-Karl! Dov’è Genzo?-
-Vieni, di qua-
il ragazzo la condusse verso l’infermeria, sul lettuccio senza maglietta Genzo, che la guardò stupito, per poi sorriderle tranquillamente, Yuko tirò un sospiro di sollievo, notando che la spalla di Genzo non aveva nessun segno grave.
-E’ solo una brutta botta, si riprenderà prima di domani-
-Grazie dottore-
i ragazzo si mise velocemente la felpa che teneva nella sacca, e Yuko uscì permettendogli di cambiarsi i pantaloni.
Lo vide uscire con jeans e una felpa grigio fumo, i capelli liberi dal berretto che indossava.
Eppure…
Eppure Yuko non poteva a fare a meno di rivedere quel volto pieno di rabbia, mentre il portiere picchiava gli ultra…
Si stava difendendo…
No…
A lei faceva lo stesso paura…
Genzo la guardò preoccupato, e le allungò una mano verso la guancia.
Di colpo, però, Yuko scansò la mano, per poi spalancare gli occhi, colpita del suo stesso gesto.
Che…che cosa aveva fatto?
Yuko guardò Genzo, che si limitò ad avvicinarsi a lei, anche se per qualche istante la ragazza sembrava volersi allontanare da lui.
-Yuko, tutto ok?-
la ragazza la guardò, per poi scuotere la testa.
-Ho…ho avuto paura…-
Genzo le sorrise comprensivo, abbracciandola.
-Ehi, ora è tutto a posto. Forza…-
la ragazza annuì, lasciando che il ragazzo la stringesse ancora per un po’.
Anche se…
Anche se…

(Anche stavolta ho fatto tardi, mannaggia!
Meiko)

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Capitolo 12
*** L'ultima goccia salata di lacrime ***


(Allora...innanzitutto volevo ringraziare luxy e Betty per il sostegno che mi danno ad ogni capitolo che pubblico. Volevo invitare tutti gli altri a leggere questa storia ed a commentarla, perché mi piacerebbe anche sentire altri pareri. Ringrazio anche Izumi. Grazie mille a tutti!
E poi…poi volevo dire qualcos’altro…
Ah si!
BUONE VACANZE DI NATALE!!)

Maggio…
Era rimasta sulle scale della villa, osservando incuriosita la villa di fronte a quella sua e di Genzo, osservando soprattutto il grande fiocco azzurro appeso alla grande e alta porta di legno massiccio della villa, i pizzi azzurri decoravano come una sorta di cornice, il nastro di seta, al centro un medaglione bianco con u un immagine ch Yuko non riuscì a vedere, sotto al grosso fiocco un bigliettino in carta bianca decorata con porporina dorata.
Yuko si alzò in piedi, mostrando le lunghe gambe sotto i pantaloncini corti di jeans, nonostante facesse leggermente fresco, si poteva stare tranquillamente in maglietta e pantaloncini.
Si avvicinò con una punta d’incertezza al cancello in ferro doppio della villa, cercando di osservare meglio il fiocco azzurro.
I capelli ondeggiavano dolcemente dietro la schiena, mentre le sue mani si stringevano al cancello, i suoi occhi verdi fissi su quell’enorme fiocco, grosso quanto la sua testa, decorato di quel pizzo.
-Che stai facendo?-
Yuko sobbalzò, allontanandosi di scatto dalla figura dietro di lei, riconoscendo il berretto rosso di Genzo, che la guardò stranito, la ragazza era visibilmente imbarazzata, mentre ogni tanto lanciava qualche occhiata al fiocco.
-Beh…ecco…io…io mi stavo chiedendo…perché i vicini hanno appeso quel grosso fiocco azzurro sulla porta…-
il portiere si voltò a guardare il fiocco, un sorriso felice comparve sulle sue labbra carnose.
-Alla fine è nato!-
-Chi?-
Genzo si voltò a guardare il viso di Yuko, che arrossì ancora, mentre i ragazzo le sorrideva affettuoso.
-Un bambino. Quando nasce un bambino, è tradizione mettere sulla porta di casa della famiglia fortunata un fiocco, e a seconda se un bambino o una bambina, il fiocco può essere azzurro o rosa-
Yuko ascoltò affascinata, guardando con occhi rapiti il fiocco, ora le sembrava ancora più bello del solito, mentre un sorriso felice appariva sulle sue labbra.
Genzo ammirò quella stupenda ragazza, i jeans corti mostravano le belle e magre gambe dalla palle lattea, , la maglietta sbracciata era di un bel fresco celeste misto a rosa, i capelli liberi scivolavano lungo il viso e la schiena, gli occhi verdi brillavano contenti osservando il fiocco azzurro.
Senza pensarci, i ragazzo abbracciò da dietro con un solo braccio la vita di Yuko, avvicinandosela a se, strofinando le labbra tra i capelli di Yuko, che sapevano di foglie secche.
Ma, improvvisamente, Yuko si dibatté, staccandosi con forza dalla presa del ragazzo, che la guardò stupito, lei non alzò il suo sguardo verso il portiere, limitandosi a mormorare un lieve “scusa”, correndo verso casa, lasciando li un Genzo stupito e quasi spaventato dall’atteggiamento che la ragazza aveva preso verso di lui…
Era da più di una settimana che Yuko aveva uno strano atteggiamento, ogni volta che i ragazzo si avvicinava a lei per una carezza, o che la prendeva da dietro gentilmente, lei si allontanava di scatto, spaventata.
Ogni minimo contatto subiva una gelata, quando la ragazza lo schivava, sorridendo, scusandosi imbarazzata e allontanandosi.
Eppure…eppure c’era sempre amore quando si abbracciavano, ma…ma in qualche modo, Genzo avvertiva un senso di freddo e di…di paura nella ragazza verso di lui…
Perché?
Yuko, nel frattempo, si era fermata con il fiatone in cima alle scale, ancora colpita per i contatto di prima…
Ogni volta…
Ogni volta che lo avvertiva avvicinarsi a lei per una carezza, lo evitava…
Era stupido farlo, ma non riusciva….
Non riusciva a togliersi dalla mente quelle scene di violenza, quei pugni quegli schiaffi.
Ma Genzo non le avrebbe mai fatto del male, e questo lei LO SAPEVA!
Ma allora perché faceva così, dannazione!
Yuko digrignò i denti per la rabbia, inginocchiandosi a terra sulla cima delle scale, era arrabbiata con se stessa.
QUANTO ERA STUPIDA!
Avvertì dei passi salire verso di lei, Genzo la stava raggiungendo.
Si alzò in piedi, pulendosi le gambe e i pantaloncini, prima di voltarsi verso i portiere, che si limitò a guardarla, scostandosi da lei, mentre Yuko lo guardava impietrita, senza riuscirà a parlare.
Cosa…cosa stava succedendo?
Il suo…il suo mondo perfetto…
Stava crollando…
E tutto…
Tutto per UN SUO CAPRICCIO!!
Yuko si voltò, correndo verso la figura di Genzo, abbracciandolo con foga da dietro, stringendosi a lui, il ragazzo si era fermato, mentre lei strusciava la sua fronte sulla schiena del ragazzo, sussurrando.
-Perdonami, perdonami, perdonami-
Genzo si limitò a sbuffare, mentre lei si stringeva di più a lui, spaventata per aver ricevuto solo uno sbuffo come risposta.
I due rimasero fermi così, per un po’ di tempo, Yuko pregando disperatamente che Genzo la perdonasse, quando avvertì la voce del ragazzo parlare con voce pacata.
-Tra una settimana dovrò partire per la Bulgaria per una serie di partite. Starò via una settimana-
una settimana di tempo per calmarsi…una settimana per non averlo mai più…
Oddio, il tempo vola troppo velocemente, è come un atleta che corre, è troppo veloce da acchiappare.
Ma perché il tempo l’aveva sempre trattata così male?
Cosa aveva fatto di sbagliato?
Yuko sorrise triste, lasciando lentamente la schiena del ragazzo.
-Si, va bene…-
-Solo questo sai dire?-
Genzo si voltò ferito verso Yuko, che scosse la testa con violenza, lasciando scorrere via una lacrima, sorridendo infelice ma consapevole e colpevole.
-Mi…mi mancherai da morire…-
il ragazzo l’abbracciò, e con ossessività la strinse a se, baciandola con violenza, le sue labbra cercarono di abbattere con un moto selvaggio quelle di Yuko, che rimase impressionata da quel bacio, e lasciò scorrere un’altra lacrima, quelle immagini erano come un sasso contro una vetrata, e con uno scossone si staccò dall’abbraccio possessivo di Genzo, che la guardò infuriato, il tic alla guancia si era fatto risentire.
-Perché….perché mi eviti?-
Yuko era scossa, e tremava visibilmente, mentre si stringeva le mani i grembo, limitandosi a scuotere la testa, scendendo velocemente al piano di sotto, afferrando la giacca ed uscendo di casa, senza riuscire a motivare il su strano comportamento, scatenando un moto di rabbia in Genzo, che però si limitò a passare una mano su berretto, indossava quello grigio perla, sbattendolo lontano da se, con rabbia.

*

Il vento leggero spostava i suoi corti e birbanti capelli, mentre il suo sguardo d’artista osservava la linea spezzettata degl’edifici che si univano alla dolce presenza degl’alberi dei viali, il sole che tramontava sembrava voler mandare a fuoco tutto.
La sua matita colorata scorreva rapida con guizzi allegri lungo il foglio bianco, mentre nella sua mente risuonava per l’ennesima volta la sua canzone preferita, il lettore cd con un rumore sfuocato la rimandava ancora una volta indietro.
Continuò il suo disegno, curando in quell’istante i particolari di un albero li vicino, mentre con un carboncino nero disegnava le ombre più scure dell’edificio.
La giacca celeste scivolava via dalle spalle, mostrando a tratti una maglietta a maniche corte, i jeans blu erano l’ideale per quella giornata calda ma con quel venticello fresco, segno che l’inverno non era ancora del tutto passato.
Era in cima al tetto dove abitava con Kojiro, era uno dei palazzi più alti, e poteva godere di un’ottima vista sull’intera città.
Era così concentrata e al tempo stesso distratta dalla musica, che non si accorse della presenza di qualcuno che si faceva più vicino, fino ad abbracciarla da dietro, lasciandola per qualche istante senza fiato, spaventandola, per poi calmarsi, sentendo nell’aria un forte odore di dopobarba, lui ne usava molto.
-Kojiro, mi hai spaventata…-
-Scusami, ma non ho resistito-
i ragazzo appoggiò con un tonfo la sacca degl’allenamenti a terra, e sedendosi accanto alla ragazza, che spostava i colori dalla parte del suo lettore, mentre passava una cuffietta al ragazzo, con la coda dell’occhio Kojiro osservò il bellissimo disegno di Neko, per poi concentrarsi di nuovo sul passaggio di fronte lui, ormai era quasi sera.
Restarono così per una manciata di minuti, giusto il tempo di sistemare le ultime cose al disegno di Neko, che con un sorriso soddisfatto ci mise la firma, prima di mettere tutto a posto, prendendo per mano Kojiro, e seguendolo verso il loro appartamento, vuoto.
Neko si tolse la giacca, mostrando le magre braccia e il seno piccolo e tondo dentro la maglietta arancione, i capelli rossi brillavano con forza, se li era tagliati, tornando alla sua testolina birbante che aveva conquistato alla prima occhiata Kojiro, che ora sorrideva, abbracciando da dietro la sua Neko, il suo gattino.
Dopo i problemi causati da Maki, tutto si era aggiustato, ed ora erano li, finalmente insieme.
Però…
Neko si lasciò coccolare, per poi separarsi di malavoglia dall’abbraccio, iniziando a preparare la cena.
In questi ultimi tempi….aveva avuto dei piccoli disturbi…
Ogni tanto avvertiva il fiato mancarle…il cuore le faceva male, come se degli spilli la pungessero.
Ed avvertiva l’energia, la forza, fluirgli via dalle dita, dal corpo, persino la sua pelle si era impallidita…
Ma non voleva mettere in ansia Kojiro, forse la colpa era solo sua, forse si era sforzata troppo.
In quell’istante, mentre pensava a questo, gli sembrò di sentire la voce di sua madre, che la raccomandava sempre di non sforzarsi troppo.
A pensarci in quel momento, le veniva da ridere.
Il suo sorriso si tinse di malinconia, al pensiero dell’ultima telefonata che aveva fatto alla madre, una settimana fa.
Anche Yuko aveva chiamato la madre, annunciandole dell’operazione agl’occhi.
Dire che Neko era felice era dire poco.
Quando lo seppe, cominciò a saltare su letto, per poi cominciare a piangere, felice, Kojiro dapprima spaventato ridacchiò divertito, per poi calmare il suo gattino, che tanto “ino” non lo era più da un po’ di tempo, da i giorno prima.
Diciotto anni.
Ormai era anche lei nel mondo degli adulti…
Kojiro la guardò attentamente, ammirando il fisico magro e slanciato, anche se leggermente bassa.
Ma come si dice…nella botte piccola c’è il vino buono! Kojiro ridacchiò, mentre abbracciò da dietro la ragazza, stupendola, Neko sentiva chiaramente il ragazzo ridacchiare soddisfatto.
-Beh? Cos’hai da ridere?-
-Niente, niente-
-E, dai! Dimmi perché ridi!-
-No, non te lo dico!-
Kojiro fece la linguaccia a Neko, che sorridendo furbetta si preparava a dargli una bella lezione, quando avvertì improvvisamente la terra mancarle sotto i piedi, in un momento avvertiva la vita uscirle dal corpo, tutto intorno a lei girava, e la voce di Kojiro non era altro che l’eco del suo stupore.
-NEKO?!-
Kojiro la vedeva cadere, svenire di fronte ai suoi occhi.
Senza un motivo, senza una ragione…
Ma dando in lui un senso di terrore…
-NEKO!!!-

*

Yuko salì le scale, mentre ricontava tra le dita i giorni che mancavano alla partenza di Genzo. Dio, gli sembrava che il tempo gli scappasse, andava troppo in fretta.

Sembravano essere trascorsi anni da quando aveva aperto gli occhi per la prima.
E invece…quanto tempo era?
Uno, due mesi al massimo.
No, non era il tempo…
Era la sua angoscia…
Da quando aveva aperto gli occhi, il mondo era cambiato troppo.
Si era…si era ritrovata improvvisamente a combattere contro l’intero mondo, quando invece era così abituata ad ignorarlo…
Ora non poteva ignorare più niente.
Nessuno più la ignorava, o voleva ignorarla.
Ma questo…questo le faceva paura…
Solo in quel momento, quando raggiunse l’ultimo scalino, si rese conto di essere sempre stata una ragazza egoista.
Che pensava solo a se stessa.
E adesso stava ripetendo lo stesso errore.
E rischiava di perdere la cosa più preziosa che la vita gli avesse offerto.
Si voltò, in direzione di un suono scrosciante, iniziando a raggiungere la sorgente del rumore.
Genzo si stava facendo la doccia.
I passi di Yuko erano soffocati dal tappeto roso, mentre i suoi piedi la portavano di fronte alla grande porta massiccia del bagno.
Yuko appoggiò la mano sulla maniglia in ottone, fissando con sguardo triste e angosciato la porta, le sembrava di vedere oltre il legno, oltre la porta della doccia, vedeva il fisico magnifico, gioco di muscoli e tendini, il petto come scolpito nel marmo, le gambe e le braccia muscolose ma sode.
I capelli neri e occhi come braci ardenti.
Le labbra morbide e saporite.
Yuko strinse un pugno, mentre lentamente lasciava il pomello, coprendosi gli occhi in lacrime con la mano, voltandosi e appoggiando la schiena sulla porta, sedendosi lentamente per terra.
Era disperata…disperata…
Ne era certa…
L’avrebbe perso…
L’avrebbe perso…
Genzo, nello stesso istante, si passò per l’ennesima volta la mano nei capelli costantemente bagnati dal getto bollente, appoggiandosi con un braccio alla porta della doccia.
Yuko…la sua dolce Yuko…
Lo sapeva…lo sapeva…
Nello stesso istante che era uscita dalla clinica, i suoi occhi verdi brillanti di gioia, che osservavano per la prima volta il mondo, Genzo lo sapeva…
Sapeva che la sua dolce ed innocente Yuko sarebbe sfiorita, appena avrebbe capito la realtà del mondo, delle persone che ogni giorno la circondava…
E…e adesso…

“TI ODIO!”

Ora solo aspettava quel momento in cui, dalla bocca di quella stupenda creatura, quelle orribili parole sarebbero risuonate nella mente del portiere.
Lo avrebbe odiato…
Separati…
Separati…
Divisi…
Divisi da due occhi che hanno cominciato a vedere…
A vedere la verità…
Ed entrambi ora erano li, a chiedersi perché era successo tutto questo…
A domandarsi se c’era una soluzione…
Una soluzione…

DRIINN!!
Yuko si risvegliò dai suoi pensieri, asciugandosi le lacrime, correndo al telefono.
-Si, pronto? Si, sono io…Kojiro!-
Genzo uscì dalla doccia, l’accappatoio di spugna rossa addosso, mentre si avvicinava a Yuko, che parlava preoccupata al telefono con Hyuga.
-Dimmi?…cosa?…-
Yuko cominciò a tremare, la sua voce iniziava a balbettare sconvolta.
-Quando?…a…E adesso?…si…si. Arrivo, prendo il primo volo-
la ragazza mise giù la cornetta, Genzo le si avvicinò preoccupato.
-Yuko, cosa…-
la ragazza si voltò, e abbracciò con foga, scoppiando in lacrime.
-Genzo…Neko…Neko ha avuto un infarto!-
il portiere guardò spaventato Yuko, che ora appariva delicata e fragile, le lacrime correvano dalle guance.
Il ragazzo si fece serio, stringendo tra le sue mani le spalle tremanti.
-Preparati. Partiamo immediatamente-

*

Le immagini scorrevano lente ed offuscate.
Lei…lei stava cadendo a terra…ed era riuscito ad afferrarla in tempo…
Ma non rispondeva…non rispondeva quando la chiamava…
Era svenuta…
Aveva…aveva chiamato un’ambulanza…e l’aveva seguita con la macchina…
Ed ora era li…seduto sul quella panchina, ad attendere che l’operazione finisse, sperando di vederla correre verso di lui, di abbracciarla…
Neko…
La sua amata Neko…
Il ragazzo si copriva il viso con entrambi le mani, i gomiti appoggiati alle ginocchia, seduto su quella benedetta panchina…
Da quante ore era li?
…da più di quattro ore…
La cosa era più seria del previsto…
Aveva una paura folle…
Paura che da un momento all’altro, uscisse da quella sala operazione un medico con camice bianco, che scuotendo la testa, diceva con voce falsamente dispiaciuta…

“Mi dispiace, non c’è l’ha fatta”


Non avrebbe più potuto ammirarla addormentata…
Non l’avrebbe più stretta a se…
Non avrebbe più passato le Domeniche a passeggiare con lei nel parco…
Non avrebbe più ammirato i suoi stupendi disegni…
Non avrebbe più guardato lei…
Neko…
Neko…

“Kojiro!”

il ragazzo alzò lo sguardo stupito, per poi voltarsi verso una ragazza, affiancata da…Genzo! Yuko!
-Kojiro!-
-Yuko…tu…-
-Come sta?-
il ragazzo fissò sbalordito le iridi verdi di Yuko, che brillavano con furore e con spavento, per poi voltarsi, amaramente consapevole di ciò che stava accadendo oltre la porta della sala operatoria.
-E li dentro da più di quattro ore…è svenuta a casa…-
Yuko guardò oltre il corpo del ragazzo, la luce dell’operazione era ancora accesa.
Lentamente, la ragazza abbandonò la presa da Kojiro, e a passo lento si sedette su una delle panchine, e chiuse gli occhi, aspettando paziente che l’operazione terminasse, pregando che qualcuno lassù aiutasse Neko.
Genzo, lentamente, l’affianco, restando però in piedi, mentre Kojiro lanciava un’occhiata ai due, per poi tornare a concentrarsi nella sua preghiera.
-Mia madre è stata informata?-
-Si…-
-Allora entro domani sarà qui…-
Yuko sospirò, mentre con la coda dell’occhio cercava la mano di Genzo, che però non strinse, limitandosi a lanciargli un’occhiata preoccupata, il ragazzo sbuffò, passando una mano sul suo berretto.
Attesero un'altra ora, fino a quando dalla sala delle operazioni uscì, su un lettino, accompagnata da un’infermiere, una ragazza di diciotto anni con una mascherina di ossigeno sulla bocca, dai capelli ramati, gli occhi chiusi, la pelle impallidita.
Yuko si appoggiò con le mani sul bordo del letto, guardando sofferente la ragazza.
“Neko…ho aperto gli occhi…e guarda come ti devo vedere…”
lentamente, l’infermiere portò via il letto con Neko, mentre Yuko la osservava allontanarsi.
Genzo, gentilmente, le stava per mettere una mano sulla spalla, quando di colpo la scostò, temendo quasi di scottarsi.
Kojiro si avvicinò al cardiologo, parlandogli, la ruga d’ansia sulla fronte sembrava rilassarsi leggermente.
Quando i ragazzo tornò, prese un profondo respiro, prima di spiegare la situazione a Yuko.
-Allora…il medico mi ha detto che il peggio è passato, e che Neko ha superato abbastanza bene l’operazione…-
-Ma?-
-Ma ora dipende tutto da come passa la notte. Se supera la notte bene, ha buone speranze di superare l’infarto-
Yuko tirò un sospiro di sollievo, stringendolo e mani in segno di preghiera.
C’è l’avrebbe fatta, Neko era forte.
-Il dottore ci ha dato il permesso di passare la notte qui. Venite-
il ragazzo venne affiancato da Yuko, mentre Genzo silenzioso li seguiva dietro, fissando la figura di Yuko, accanto a Kojiro appariva piccola e delicata.
Nella stanza, su letto di ospedale, Neko riposava tranquilla.
Yuko e Kojiro le erano vicino, il ragazzo le stringeva la mano, mentre Yuko le accarezzava delicatamente la fronte.
“C’è la farai, vero piccolina? Non mi tradire, voglio vedere i tuoi occhi…voglio vederti…ti prego, non mi tradire…”
“Non mollare, micino. Io ti sono vicino. Non mi lasciare, io sono qui, qui, accanto a te. E ti veglierò tutta la notte se sarà necessario…”
Genzo rimase appoggiato alla parete, non riusciva a spiccicare una parola, mentre guardava la scena, si sentiva di troppo.
Lui non c’entrava niente…
Lentamente, il ragazzo fece per uscire dalla stanza, quando avvertì Yuko prenderlo per mano. Lo sguardo di lei era basso.
-Ti prego, resta…-
Genzo la guardò stupito.
Cosa gli ricordava quella scena?
Quando lei era venuta a casa sua, in Giappone, quella sera d’inverno.
Anche lui l’aveva pregata di restare.
E lei era restata…
Genzo annuì gravoso con il capo.
-Si, resto-
Yuko sorrise, anche se piangeva.
Genzo, timidamente, provò ad accarezzarla, e le sue dita riuscirono a sfiorare la guancia bagnata, mentre Yuko lo guardava spaventata.
Genzo l’accarezzò, anche se con fatica, sentiva la pelle di Yuko tremare sotto il suo contatto.

Era mezzanotte, Kojiro si era addormentato, tenendo saldamente la mano a Neko, che continuava a riposare.
Yuko era uscita dalla stanza, lasciando sola i due ragazzi, aveva gentilmente messo una coperta sulle spalle del ragazzo, nonostante fosse tarda primavera, faceva freddo in ospedale.
Ora era sola, a camminare senza meta per i corridoi vuoti dell’ospedale, le porte delle varie stanze con i pazienti erano chiuse, e solo qualche infermiere che faceva il turno di notte si permetteva di entrare.
Passò senza rendersene conto nella parte di pediatria, e il suo sguardo ricadde oltre le vetrate coperte da delle tendine, che davano nella stanza dove dormivano i bambini appena nati.
Osservò con un sorriso sereno quei piccoli tesserini dormire tranquilli, qualcuno di loro si faceva coccolare dalla propria madre, ancora ribelle ad andare a dormire…
Era una scena così tenera, la madre che sedeva su una sedia a dondolo, che sussurrava paroline dolci o parole di una ninna nanna, coccolando il proprio figlio…
Yuko sospirò, mentre metteva distrattamente una ciocca dietro l’orecchio, per poi notare una presenza avvicinarsi a lei, Genzo reggeva due bicchierini, offrendone uno alla ragazza, che con un sorriso accettò.
Bevvero in silenzio i loro caffè, tornando entrambi a guardare la madre, che ora con un bacio sulla fronte metteva a dormire il piccolo, che le stringeva con la manina il ditino.
Yuko non resistette una lacrima, era una scena così bella, così carica di amore da avvolgerla totalmente.
Genzo la guardò, ammirando quella ragazza ch si commuoveva di fronte a quel gesto d’amore. Yuko, poi, si rabbuiò, fissando vuotamente il bicchierino in plastica, parlando a voce bassa, per non rompere l’atmosfera.
-Io…io non volevo…non avrei mai voluto…non volevo farti soffrire così…
E’…è solo colpa mia…-
Genzo la guardò sbalordito, la vedeva piangere, ma la sua voce non era rotta dai singhiozzi, quando non si accorgesse del suo pianto.
-Quando…quando ho visto…quegli ultras…a quella partita…contro di te..e tu che ti difendevi…mi…mi sono spaventata…
Ma ti giuro Genzo!-
La ragazza si voltò verso il portiere, piangendo, stringendo il bicchierino.
-Io non volevo!-
-Lo so…lo so…-
Genzo l’abbracciò, stringendola a se.
Due parole.
Dillo…
Dillo.
DILLO!
No…non ci riusciva…
I due rimasero così abbracciati, anche se si erano spiegati…lei non c’è l’aveva fatta…

Dovevano essere le otto di mattina, quando Neko aprì gli occhi, avvertendo debolezza in tutto il corpo, però un calore gentile la stringeva.
Una mano…
-Ko…Kojiro…-
il ragazzo si scosse, aprendo lentamente gli occhi, per poi spalancarli.
Neko…
-Piccola…-
-Ciao…-
sussurrava, la voce era roca, e lui sorrise, accarezzandole la guancia affettuoso…
-Ciao, come stai?-
lei ondeggiò lievemente la testa.
-Potrebbe andarmi meglio…-
ridacchiò, felice, mentre Yuko tornava nella stanza, guardando stupita la scena, per poi sorridere, avvicinandosi a Neko, che la guardo sorpresa, balbettando.
-Yu-Yuko?!-
-Come stai, piccola?-
Neko la guardò stupita, per poi annuire, senza trovare le parole giuste, mentre Yuko sorrideva.
-Sono felice…di vedere che stai bene-
di colpo, la porta si spalancò, e una donna entrò ansimando, come se avesse corso per un’ora di fila, guardando stupita le due ragazze e i ragazzo, che si alzò in piedi, facendosi in la, mentre la donna abbracciava prima Yuko, poi Neko, in lacrime.
-Le mie bambine! Le mie bambine stanno bene!-
-Si, mamma, stiamo bene-
-Yuko…è un miracolo!-
la ragazza si limitò a scuotere la testa, mentre la donna si avvicinava a Neko ,abbracciandola felice.
-Ho preso il primo aereo appena l’ho saputo. Come stai piccola?-
-Sto ben, mami-
Yuko sorrise, prima di uscire dalla stanza, richiamata da i gesti di Genzo, che la guardò imbarazzato, mentre lei sorrideva tranquilla: doveva partire.
-Vai pure, qui adesso è tutto a posto-
Genzo si limitò ad annuire, accarezzandole una guancia, adesso era tutto a posto.

Sicuro?

Yuko lo guardò allontanarsi, la figura imponente svaniva dietro ad un corridoio, per poi entrare dentro ad un taxy, partendo in direzione dell’aereoporto.
E così…era andato…
Andato…
Yuko mosse nervosa le mani, per poi passarle tra i capelli, mentre stava per tornare nella stanza…
Genzo…
Appoggiò la nano sulla maniglia…
Genzo…
Si voltò…
Genzo…
E corse via dall’ospedale…
GENZO!
Uscì dall’ospedale, quando sentì il clacson di una macchina, Kojiro la stava aspettando.
Yuko sorrise, entrando velocemente in macchina, mentre con una sgommata partiva in direzione dell’aereoporto.

(A questo punto il consiglio sarebbe quello di ascoltare la versione in pianoforte de “Il segreto” degli Stadio, ma forse sarebbe meglio “Guilty” dei Blue. Boh, fate un po’ voi! N.d.Meiko)

Uscì velocemente dalla macchina di Kojiro, correndo verso l’entrata dell’aereoporto, partendo a correre alla ricerca del gate del volo verso la Bulgaria.
Correva tra la gente che affollava l’aereoporto, spingendo per farsi largo, i suoi occhi cercavano tra la massa confusa un berretto rosso…
Un berretto…
Un berretto grigio perla!
GENZO!
Eccolo! Stava per entrare nella parte delle partenze.
Oh no!
Yuko non ci pensò due volte, e gridò.
Gridò con tutto il fiato che aveva in corpo, sperando che il ragazzo la sentisse.
-GENZO!-
i ragazzo, in quell’istante, si voltò, e la vide.
Vestita di jeans neri, una giacca verde, maglietta nera sotto, i capelli spettinati, che gridava.
-GENZO!
TI AMO!
TI AMO!
TI ASPETTO!
TORNA CAMPIONE!-
Yuko ansimò, sorridendo triste, era sicura che non l’aveva sentita…
O forse…
Lo vide guardarla, e lasciò scorrere una lacrima di gioia…
L’aveva sentita, e sorrideva…
Sorrideva con lei…

(L’ho fatto!!! OLEEE!!! Meiko)

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Capitolo 13
*** Tre mesi di gioia ***


(Consiglio a tutti di ascoltare la stupenda canzone di Eros Ramazzotti e Cher “Più che puoi”, mentre leggete questo ultimo capitolo!
Grazie a tutti i fedelissimi che non mi hanno abbandonato!)

Alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo, la brezza fresca che proveniva dalla vetrata aperta del pannello che dava al giardino la risvegliava dai suoi pensieri, inutilmente aveva tentato di concentrarsi nella lettura, le parole le scappavano via dalla mente, passando attraverso le orecchie e il respiro.
Ormai era Giugno da almeno qualche giorno, e gia il caldo si era fatto sentire, in quel momento era sdraiata sulla poltrona, con jeans corti e maglietta, i capelli legati in una coda messi da un lato.
Fissò per qualche minuto la vetrata, stringendo a fessura gli occhi, avvertendo un forte bruciore, la luce la colpiva in faccia.
Rimase in quella posizione per qualche istante, prima di scostare lo sguardo dalla vetrata, avvertiva gli occhi pizzicarle terribilmente, strofinandone uno con la mano, prima di sbuffare, appoggiando all’indietro il capo sullo schienale mordilo della poltrona.
Era quasi una settimana che se n’era andato, domani sarebbe tornato…
Eppure…eppure gli mancava da morire…
Avvertiva ogni centimetro di pelle contenere disperatamente la sua anima, aveva una voglia matta di raggiungerlo in Bulgaria, di tifare per lui e poi di abbracciarlo a fine partita, vincitore.
Perché lui era il grande SGGK.
E sapeva che sarebbe tornato da lei campione, una medaglia d’oro che brillava in petto.
Il ricordo del sorriso del ragazzo diede a Yuko una forte scossa, brividi le percorsero la schiena, mentre stringeva convulsamente la copertina del libro chiuso.
Il suo sguardo ricadde sulla decorazione di foglie rosse del suo libro, il suo quaderno con la copertina in cuoio che profumava di buono, foglie secche di un colore rosso fuoco.
E al suo interno…pagine bianche…
Così era sempre stata la sua vita, solo delle pagine bianche, prive di immagini, di parole che descrivessero lei…
Solo…scrittura in Braille, che però nessuno sarebbe riuscito a capire…
Erano segreti…
Segreti…che lentamente lei stava dimenticando…
Stava perdendo un’intera vita, vissuta nel buio, dentro ad una gabbia dalle sbarre di buio, nessun contatto con il mondo esterno…
Solo la certezza di non essere mai ferita.
Ma così non è vivere…
Vivere…

“Vivere è sapere che dovunque tu andrai…avrai la certezza di avere un posto dove tornare…e qualcuno che ti aspetterà…”

Sorrise, chiudendo gli occhi.
Aveva ricominciato a fare quello strano giochino.
Apri, e chiudi
Luce, e buio…
Presente e passato…
Futuro…
Un futuro…
Aveva avuto il dono di avere un futuro…
Qualcuno lassù le voleva davvero bene…
Forse suo padre l’aveva aiutata…
Suo padre…
“Grazie papà”
sorrise, il suo sorriso assomigliava in quell’istante a quello della Monnalisa.
Un sorriso misterioso, come se nascondesse qualche segreto…
Un segreto importante da non rivelare a nessuno, solo alla persona di cui si ha piena fiducia…
Si dice spesso un’ipotesi, che la Monnalisa fosse incinta, quando la dipinsero, e che il suo sorriso nascondesse il segreto della sua gravidanza…
Beh, lei non era incinta…
Ma aveva anche lei un segreto, che aveva confidato al mondo, e solamente ad una persona…
A Genzo…
Gli aveva detto che lo amava, l’aveva detto urlando, disperata, quando lui si stava allontanando da lei…
Ora non era certa che l’avesse sentita…
Ma se non l’aveva sentita, glielo avrebbe detto quando sarebbe tornato…
Si, sarebbe tornato, e lei abbracciando gli avrebbe detto che lo amava.
Senza vergogna, senza pudore…
Urlandolo, felice, al mondo, due o mille volte, non gli interessava…
Lui l’avrebbe saputo…
Yuko si alzò dal divano, i piedi nudi percorsero il parquet freddo, con una mano lentamente la ragazza chiuse il pannello di vetro, spostando lievemente le tende, lasciando solo uno spiraglio che mostrava un taglio sottile del giardino.
Stava per andare su in camera, quando avvertì un rumore a lei sconosciuto, ma al tempo stesso familiare.
Chiuse istintivamente gli occhi, voltandosi verso il pannello, cominciando a ripercorrere i suoi passi, senza incertezze.
Era così naturale per lei, camminare nel vuoto, mentre quel suono riecheggiava nella sua mente.
Un suono basso, silenzioso, frusciante, ritmato, anche se un po’ incerto.
Era un suono di passi…un camminare intimidito ed incerto…
E solo ad una persona appartenevano quei passi di silenzio…
Silenzio…come il mare la mattina, quando è calmo, nemmeno il vento osa muoverlo, e le onde s’infrangono come carezze delicate sul bagnasciuga di una spiaggia bianca.
-Genzo…-
parlò con un sussurro, ma il ragazzo la sentì ugualmente, irrigidendosi.
Ma come…?
La ragazza aprì gli occhi, vedeva solo una figura dai contorni leggermente sfuocati dalla tenda a velo, il suo viso tinto in stupore, gli occhi neri guardavano attraverso il pannello della finestra, vedeva chiaramente la magra figura di Yuko, che però non aprì il pannello, avvicinandosi.
-Il tuo silenzio è a me rumoroso…-
il ragazzo sorrise, sorrise felice, riconoscendo in quegl’occhi verdi quella dolcezza e sicurezza che da un po’ di tempo non aveva più trovato.
Yuko era li, davanti a lui, sorridente come sempre.
La sua dolce Yuko.
-Sei tornato presto…-
-Sono tornato prima per vederti…-
-Mi sei mancato…-
la ragazza appoggiò una mano al vetro, e il ragazzo copiò il gesto sorridendo.
-Anche a me sei mancata…-
Yuko sorrise, felice, per poi non riuscire a resistere il pianto, mentre continuava a parlare sussurrando.
-Ti amo…-
-Lo so…ti amo anch’io, Yuko. Ti amo da morire…-
-Genzo…-
la ragazza aprì di scatto la tenda e il pannello, tuffandosi nelle braccia di Genzo, che la strinse a se, intrecciando le sue dita tra i capelli morbidi e profumati di Yuko, che affondò il viso nel petto del ragazzo, sorridendo e piangendo felice.
Finalmente…
Dopo una vita fatta di buio, e un’istante in cui la sua vita aveva incontrato una striscia di zona grigia…
Finalmente la luce…
La calda, dolce luce di un sorriso che amava, il viso che amava, i ragazzo, l’uomo che amava…
Ora il tempo le sembrava così lontano, ora c’erano solo lei e lui, ad abbracciarsi, affondando l’uno negl’occhi dell’altra, sorridendo, Yuko si lasciò asciugare con dolcezza le lacrime, mentre Genzo appoggiò la sua fronte su quella della ragazza.
-Non è un sogno…-
-No, non lo è…ti amo davvero, Yuko…-
-Ti amo anch’io, Genzo…-
il ragazzo non la fece più parlare, perché delicatamente gli sfiorò le labbra, prima di approfondire quel bacio, la ragazza si lasciò avvolgere da quella sensazione di pienezza, quel desiderio di calore e di amore che aveva bisogno.
Si staccarono dopo qualche minuto, Genzo baciò con dolcezza una ciocca di capelli della ragazza, che con delicatezza lo portò dentro casa.
-Com’è andata?-
-Ho vinto-
-Lo sapevo…sei sempre il migliore, SGGK-
nessuna presa in giro…
nessuna ironia…
solo tanto amore in quella frase…
Genzo l’abbracciò ancora, e ancora, gli era mancata da morire!
Aveva passato la settimana peggiore della sua vita, anche se in campo la sua concentrazione era al massimo, fuori si sentiva incredibilmente a pezzi e vuoto…
Gli mancava lei, il suo sorriso…
Yuko lo prese per mano, portandolo al piano di sopra, facendolo sdraiare sul letto, mentre lei chiudeva le tende sulle finestre aperte, una timida luce usciva dalle serrande semichiuse.
Un buio avvolse i due, come una gentile presa di mano, mentre Genzo restava ad ammirare la figura di Yuko, coperta da un’ombra delicata.

(Attenzione! V.M. 18)

Lentamente, Yuko si fece avanti, piegando una gamba sul letto, avvicinandosi lentamente a Genzo, chiudendo gli occhi, e baciandolo con dolcezza sulle labbra.
Genzo le prese gentilmente le spalle, facendola girare sotto di se…
Aveva bisogno di lei, disperatamente.
Sapeva che non si sarebbe fermato, e che quello era il momento decisivo.
Guardò per un istante lo scintillare degl’occhi semiaperti di Yuko, che con un sorriso si avvicinò con le mani il viso di Genzo, baciandolo, baciandolo con dolcezza, sicura…
Lentamente, il bacio si fece più appassionato, le lingue si toccavano con delicatezza, diventando pian piano ardenti come fiamme di fuoco.
Con gentilezza e sapienza, Yuko sbottonò la camicia di Genzo, mentre questo alzava la maglietta di Yuko, ammirando il seno tondo e perfetto di lei, che sorrise, tornando a baciarlo.
Pian piano, anche i pantaloni di entrambi scivolarono via dal letto, seguiti poi dalla biancheria.
Genzo era estasiato: il corpo di Yuko era magro, ma carnoso, la pelle era serafica, leggermente pallida, e liscia come seta.
I capelli formavano aureola dorate introno al viso sorridente della ragazza, mentre Genzo adorava quel corpo con baci gentili e carezze dolci.
Non voleva solo fare sesso…
Voleva amare quel corpo, voleva amare Yuko…
Voleva fondere il suo spirito con quello della ragazza, e raggiungere con lei l’apice del piacere.
Con gentilezza, Genzo allargò le gambe della ragazza, che all’ultimo istante gli sussurrò all’orecchio.
-Ti prego…-
-Non temere…-
lei non aveva paura…
Sapeva che lui non le avrebbe fatto del male…
Lentamente, Genzo penetrò in lei, un dolore per qualche istante bloccò Yuko, che lentamente si calmò, mentre il suo corpo aderiva a quello di Genzo…
Erano una cosa sola…
Lui e lei…
Te ed io…
si baciavano con foga, con passione, ma sempre con dolcezza, con un gesto amoroso Genzo tolse la lacrima di dolore di Yuko, che aveva solcato la guancia quando lentamente era entrato in lei.
Ora c’era solo piacere…
Ora c’era solo amore…
Insieme, mano nella mano, avvolti da una luce dorata, a sorridere, ad amarsi…
Amarsi…
Com’è bella questa parola…
Amare…
Amare è una cosa così bella…
Spesso la gente non si accorge di quanto sia bello amare qualcuno…
Può anche darsi che l’amore faccia soffrire…
Ma a mio parere…se uno soffre per amore…e perché ama in modo sbagliato…
Amare è sempre bello…
Genzo e Yuko caddero sul letto stanchi e ansimanti, la ragazza venne abbracciata da Genzo, che affondò il suo viso nell’incavo della spalla di lei, che sorrise felice, le sembrava di raggiungere il cielo con un dito…
Anche la prima volta che si erano baciati, nella villa in Giappone, la ragazza aveva provato la stessa cosa, Yuko aveva provato qualcosa di simile…
-Dillo ancora…-
-Ti amo, Yuko…-
-Ti amo anch’io-
Genzo baciò sulla fronte Yuko, che sorrise, per poi lentamente addormentarsi con il ragazzo, avvolti nella dolce frescura di una giornata di Giugno…

*

(Cambio di scena! Qui, dopo vari ripensamenti, ho pensato a “The voice within”, di Christina Aguilera, spero che vada bene anche per voi!)

Taro restò ancora per qualche minuto di fronte alla porta bianca dell’appartamento parigino.
Allora…cosa era successo?
Era da più di tre mesi che avevano…che avevano fatto l’amore, la mattina dopo, quando lui era andato a cercarla, erano gia partiti.
Quel biglietto non aveva più abbandonato il comodino della stanza di Taro.
Quelle parole nate dal cuore.
“Ti amo, e ti amerò per sempre”
l’amava…
E lui…
Lui l’amava…
Lo aveva scoperto quando, quella mattina, quando l’aveva cercata, scoprendo che era gia partita, si era sentito avvolto da un gelone.
Qualcosa di freddo che scacciò il dolce calore di quella notte di passione.
Non aveva ancora capito se era stato solo sesso o meno…
No, solo sesso no…
C’era anche qualcos’altro…
Ma non riusciva a capirlo…
“Solamente tua”
no, lui era suo…
Entrambi erano di ciascuno…
Anche se ci avevano messo anni a capirlo, alla fine avevano capito che insieme erano tutto, e divisi erano niente…
Si, aveva deciso…
Suonò con timidezza il campanello, sentiva del vociare provenire dall’appartamento, voci francesi dicevano “Bravo piccolo!” oppure “Bravo François!”
Taro sorrise, aveva un ricordo sfuocato del bimbo, ma non si era dimenticato i capelli chiari che coprivano in parte la testa rotonda del bimbo.
Un “arrivo” lo risvegliò dal suo ricordo, e sorrise quando, ad aprigli la porta, si trovò di fronte una Lucille sorpresa e…incredibilmente felice, tanto da abbracciarlo con foga.
-TARO!-
-Ehilà, che accoglienza!-
-Che bello, sei riuscito a venire! Casa mia è difficile da trovare, vero? Avanti, entra!-
non gli lasciava mai il tempo di rispondere, ma a lui non dava tanto fastidio, entrando timidamente nell’appartamento che sapeva…sapeva di biscotti, di casa, di calore.
-Lucille, chi è?-
da un angolo sbucò una ragazzina di quindici anni, in braccio un bambino di sette mesi, i capelli di un biondo scuro, occhi violacei grandi e luminosi come fari fissavano stupiti Taro.
La ragazzina fissò sbalordita il ragazzo, i capelli neri scomposti in ricci ribelli, ed occhi neri come il carbone fissavano scioccati il giocatore della nazionale giapponese!!!
-Lucille…-
-Marie, questo è Taro Misaki, un mio amico. Taro, questa è mia cugina Marie-
i ragazzo sorrise alla ragazza, che dopo un attimo di timidezza sorrise imbarazzata.
-Per è un onore conoscere Misaki della mitica Golden Combi!-
-Vedo che ti piace il calcio-
-Altroché! Io e François siamo tuoi grandi ammiratori Vero piccolino?-
Taro si avvicinò timidamente al bimbo, che dopo un attimo di esitazione sbracciò in direzione del ragazzo, che si ritrovò qualche minuto dopo il bimbo in braccio, Lucille lo guardava divertita, Misaki appariva impacciato nel reggere una creatura così delicata, che però rideva contento.
-Gli piaci!-
-Sa gia gattonare?-
-Si, dovresti vedere, non riusciamo a tenerlo un secondo fermo!-
-Beh, a preso dalla mamma!-
la ragazza rise, mentre Taro si divertiva a giocare con il bimbo, che rideva allegro, sbracciando e accarezzando il viso del ragazzo.
-Allora? Casa mia dicono sempre che è difficile da trovare-
-Non più di tanto. Mi sono perso solo due volte-
Lucille rise ancora, invitando il ragazzo in salotto, sul tappeto erano sparsi peluche e giochi per il piccolo, che tornò tra le braccia di Marie, che iniziò a giocare con lui, mentre Lucille dava un succo di frutta al ragazzo.
-Casa tua è davvero molto accogliente-
-Anche se i vicini si lamentano alcune volte per il baccano si, devo ammettere che vivere qui è piacevole-
-Inoltre sei vicina alla Tour Eiffel-
-A proposito, vogliamo andarci?-
-E il bimbo?-
Marie si fece avanti, senza però smettere di giocare con il bimbo.
-Se volete, io mi posso occupare del piccolo, tanto oggi posso tornare a casa più tardi-
Lucille ringraziò con l’occhiolino Marie, che rispose allo stesso modo, salutandoli e augurandogli buona passeggiata, con François in braccio.
Lentamente, i due presero la strada che li portava alla Tour Eiffel, chiacchierando del più e del meno, evitando accuratamente però di parlare di quella famosa serata, entrambi intimiditi.
Pian piano, la grande struttura in acciaio che simboleggiava la Francia e soprattutto Parigi si faceva sempre più vicina, le prima luce della sera si accesero sotto lo sguardo malinconico di entrambi i ragazzi.
Li si erano conosciuti, li si erano baciati per la prima volta, li si erano lasciati.
I qualche modo, la Tour Eiffel era legata al loro destino.
Dopo chissà quanto tempo erano di nuovo li, di fronte all’altissima torre, Lucille cercò di guardarla fino alla punta, ma si trovò sbilanciata, afferrata appena in tempo da Taro, che rise.
-Anche quella volta ci avevi provato…-
-…e tu arrivasti in tempo a prendermi-
i due risero, mentre Taro rimetteva in piedi Lucille, senza però lasciarle la mano, la ragazza sorridendo la strinse, copiata dal ragazzo, che le propose di salire fino all’ultimo piano.
L’ascensore costava un’occhio della loro testa, e per l’ultimo tratto che li avrebbe portati verso il tetto, decisero di usare le scale, anche se erano leggermente piene di turisti, quella era la stagione migliore per ammirare il panorama serale di Parigi.
Lucille si aggrappò con le mani sulla grata che le impediva di fare un volo giù dalla torre, li sopra soffiava un bel vento fresco, che muoveva i capelli biondi, i suoi occhi d’ametista percorrevano ogni singola strada e “centimetro” di Parigi, portandola anche oltre, verso il sole che ormai era quasi del tutto sceso.
-E’ stupendo…-
-Mai quanto te…-
Lucille arrossì, quando avvertì Taro abbracciarla da dietro, con un sorriso di gioia Lucille si accoccolò nell’abbraccio di Taro, sorridendo.
-Taro…-
-Lucille, ascoltami…quando te ne sei andata, quella mattina, mi sono sentito malissimo, non avrei mai voluto lasciarti andare…-
-Anch’io non avrei voluto, Taro…-
-E per questo ho deciso di non permetterti più di lasciarti svanire così-
Lucille si voltò sorpresa verso il ragazzo, che con u sorriso e un bacio a malapena sfiorato sulle labbra della ragazza, infilò al dito di questo un anello sottile dorato, decorato con argento.
Lucille guardò sbalordita l’anello.
-Lucille…vogliamo riprovarci?-
la ragazza guardò i ragazzo, abbracciandolo poi con foga.
-Si, si Taro!-
il ragazzo sorrise dolcemente, baciando ancora Lucille, per poi ammirare con lei il paesaggio di Parigi, la loro amata città…

*

(Altro cambio scena!)

-Eccoci di nuovo a casa principessa!-
-Finalmente! Ancora un po’ in ospedale e diventavo più rammollita di un budino!-
Kojiro rise a quell’affermazione, scioccando una bacio sulla guancia di Neko, ormai era Agosto, da più di tre mesi Neko era stata costretta a vivere in ospedale, in attesa di un cuore.
Era stata molto fortunata.
Adesso faceva ancora un po’ di fatica, ma per il resto stava più che bene!
Kojiro le aveva sempre fatto visita ogni volta che aveva potuto, premuroso e gentile, anche se spesso litigava con gl’infermieri, alcune volte scatenando le risate di Neko.
La ragazza in quel momento si stiracchiò la schiena, felice più che mai di poter riassaporare di nuovo il calore della casa di Hyuga, gli era mancato tutto, Kojiro compreso.
Alcuni giornali scandalistici con foto e conferme di Maki avevano fatto sospettare una relazione con la tigre e la pantera, ma Neko sapeva bene che quella schifosa l’avevano fatto solo per ripicca, e più di tanto non ci badava.
In più Kojiro aveva sporto denuncia per querela, e Maki aveva dovuto sborsare una bella cifra, oltre che scusarsi con Kojiro in persona di fronte ai fotografi.
Un bel colpo per il suo orgoglio.
Non ci avrebbe più riprovato, di questo Neko era sicura.
Com’era sicura che da quel momento in poi tutto sarebbe andato bene!
Era così felice, aveva telefonato a Yuko, dicendole la bella notizia, e ricevendo conferma che tra la sorellona e Genzo si era tutto sistemato.
Che sollievo! Si era davvero preoccupata!
Passandosi stancamente i corti capelli, Neko finì di rimettere a posto le ultime cose dall’ospedale, prima di tornare in salotto, osservando stupita un disegno che aveva fatto, ritraendo un bambino sull’altalena, il padre lo spingeva, mentre la madre lo osservava felice.
Lo fissò attenta, era stato fatto con il carboncino, ritraendo il parco, il bimbo era imbacuccato per il freddo che aveva fatto, Neko si ricordava che il disegno l’aveva fatto i primi di Marzo, era naturale che facesse ancora freschetto.
Sorrise, ammirando la felicità e la serenità che traspariva da quel quadro, in un angolo in basso un piccola zampina di gatto disegnata e la sua forma.
Neko
La ragazza ammirò ancora il quadro, mentre lasciava che Kojiro da dietro l’abbracciasse, dandole un bacio sulla testa ramata.
-Hai visto?-
-Quando lo hai appeso?-
-…Verso Luglio. Mi mancavi, così per farmi compagnia ho cercato nel tuo album qualcosa da appendere, e mi sono ricordato di questo quadro. In fondo, e da li che è cominciato tutto il casino-
-Gia, è vero!-
Neko ridacchiò con il ragazzo, lasciandosi coccolare tra quelle braccia muscolose e forti, le grandi mani accarezzavano gentili e forse un po’ impacciate il viso di lei, che sorridendo fece le fusa, scatenando una risatina del ragazzo.
-Hai saputo del matrimonio di Tsubasa e Sanae?-
-Gia, tutto alle nostre spalle-
-Eh dai, per farsi perdonare ci hanno invitato a vedere il loro bimbo quando sarà nato!-
-Beh, con un bebè in pancia quella scatenata di Sanae si darà una calmata!-
Neko rise, la testa era leggera, e si sentiva protetta abbracciata a Kojiro, che sorrideva tranquillo, guardandola amorevolmente.
-Un soldo per i tuoi pensieri, Kojiro-
il ragazzo ammirò le gemme verdine della ragazza, che sorrideva tranquilla, incurante o forse ignorante dei sentimenti che smuoveva nel ragazzo.
Era un fiore…una creatura tanto bella quanto fragile…
Le fate sono fragili…
I gatti, da piccoli, sono fragili…
E lei era così delicata.
Se avesse potuto l’avrebbe rinchiusa in una campana di vetro, tenendola lontana da tutto il male e le spine di quell’orribile mondo, un mondo che pian piano si stava degradando.
Ma sapeva che lei si sarebbe ribellata, non puoi negare ad un uccellino di volare, e anche se gli taglierai le ali, trovare il modo di salire di nuovo in cielo.
E lui lo sapeva…
Neko inarcò il sopraccigli, iniziando a preoccuparsi, il ragazzo non le rispondeva, fissandola solamente.
-Kojiro?…-
-…scusami, mi sono incantato. Dicevi?-
Neko scosse il capo, sorridendo.
-Ti chiedevo a cosa tu stessi pensando…-
il ragazzo tornò a guardare il quadro, abbracciando la ragazza.
-Pensavo…a noi due….a quanto è bello il quadro, e a il tuo talento…pensavo a Tsubasa, devo ricordarmi di dirgliene quattro-
-Kojiro!-
-…e pensavo che dovrò invitarlo al nostro matrimonio-
Neko si voltò sbalordita al ragazzo.
-Cosa?-
-Neko, con tutto il coraggio che mi sta abbandonando, ti chiedo se vuoi sposarmi…-
la ragazza lo guardò sbalordita.
-…c-caspita! Ma non credi che sia un po’ presto?-
Kojiro sorrise.
-Non ti ho mica detto di rispondermi subito. Prenditi tutto il tempo che vuoi. In fondo hai ragione, per te forse è un po’ presto…ho fame!!-
il ragazzo lentamente si slacciò dall’abbraccio di Neko, che lo guardò ancora stupita, e spaventata.

-Kojiro, io…IO LO VOGLIO!-
il ragazzo si fermò, voltandosi sbalordito, Neko con un sorriso emozionato e le lacrime che scorrevano dalle guancia, lo guardava imbarazzata.
-Io voglio sposarti…-
il ragazzo corse da Neko, abbracciandola felicissimo, il cuore sembrava per scoppiargli, mentre Neko rideva contenta, lasciandosi sollevare da terra, il ragazzo la fece girare, ridendo con lei felicissimo.

(E anche l’ultimo capitolo è fatto!!
A presto con l’epilogo!
Meiko)

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Capitolo 14
*** Epilogo, ovvero occhi guardano il futuro di tre vite durante un'autunno rosso ***


(Ordunque...mentre mi sto ascoltando “Piccola stella senza cielo“ e “Broken“, rispettivamente di Ligabue e di Elisa, mi metto a scrivere l’epilogo di “Occhi” ff che mi ha preso molto a cuore.
E si, in effetti sono un po’ triste a lasciare Yuko e Neko, ma in fondo e giusto che dia una fine alle loro disgrazie.
Poverette…quante gliene ho fatto passare! Si meritano la loro giusta dose di felicità.
Come sempre ringrazio luxy e Betty che non mi hanno mai abbandonato, e ringrazio tutti voi che avete letto e recensito questa mia storia.
A presto!)

Vola…
Vola persa nel vento di Maestrale…
Vola, piccola e ruvida, rossa bordeaux, leggermente arrotolata su se stessa.
Vola…vola tra cieli di tanti mondi, vola tra tanti pesi, tra strade…tra persone…
Ma ora è stanca, e lentamente si avvicina, si avvicina ad uno scrigno…
Uno scrigno fatto da due mani, due mani pallide e delicate, che gentilmente la racchiudono dentro un calore dolce e gentile, per qualche secondo resta nel buio, prima di essere ammirata…
Ammirata da due meravigliosi occhi verdi, smeraldi sembrano incastonati in quegl’occhi, tanto sono verdi e lucenti.
Lucenti e carichi di dolcezza e curiosità…
Yuko ammirò ancora la fogliolina, era più piccola del uso palmo, e la sfiorò con le labbra, come una madre che bacia la testolina dl proprio bimbo, lo stesso amore e la stessa dolcezza.
Genzo ammirò quella meravigliosa creatura, sembrava una ninfa uscita da uno di quei libri fantasy, con quel suo cappotto di pelle imbottito di pelo, la gonna che arrivava alle ginocchia e gli stivali neri, i capelli liberi; lentamente, Genzo gli si avvicinò, e la prese da dietro, abbracciandole la sottile vita, ricevendo un sorriso da Yuko, che tornò a fissare la foglia con amore, per poi con gentilezza farla volare via, via, accompagnata dal vento freddo del nord, che gentilmente le scompigliava i lunghi capelli castani, i riflessi dorati le davano ancora più luce agl’occhi, il suo sguardo si perse in quella fogliolina, Genzo la guardò insieme alla ragazza.
-Era una foglia molto bella…-
-Mai quanto te, mio dolce autunno…-
la ragazza sorrise, arrossendo lievemente, era raro vederla arrossire, e a Genzo piaceva da morire quel leggero rossore sparso come porporina brillante sulle guance di Yuko, appoggiando poi con gentilezza la sua testa nell’incavo della spalla, facendo affondare la ragazza tra le sue braccia, entrambi fissavano il tramonto di quella giornata di Ottobre, il vento tentava di insinuare in loro il freddo, ma il calore di quell’abbraccio era più forte.
Genzo affondò il viso tra i capelli di Yuko, il profumo di frutta secca e caldarroste lo faceva sempre impazzire, e baciò il capo della ragazza, che sorrise, prima di sciogliersi dall’abbraccio, prendendolo per mano e incamminandosi con lui via da quella strada, Yuko si voltò solo un momento a richiamare Inuki, che abbaiando festoso raggiunse la coppia.
Erano tornati in Giappone da una settimana, ed avevano deciso di tenere con loro Inuki, la madre di Yuko ormai non ci poteva più badare, e comunque la ragazza era troppo affezionata al suo amato cane, che per quasi una vita l’aveva accompagnata nel suo cammino.
Ora, Inuki aveva lasciato il posto a Genzo, ma sarebbe stato sempre li, fedele, con la sua padroncina.
Yuko strinse la mano di Genzo, che sorrise, ammirando la bellezza degl’occhi di Yuko, che lo guardava.
Era da quasi un anno che si conoscevano.
Un anno pieno di imprevisti e avventure!
Ma ora tutto sarebbe andato per il verso giusto.
Yuko sorrise, per poi mettersi a correre, troppo felice di quel momento, mentre Genzo l’ammirava, e Inuki la inseguiva.
Il suo autunno.
Un autunno dal sorriso dolcissimo, negl’occhi gli ultimi spruzzi di un’estate ormai finita, nei capelli erano intrecciate foglie rosse e vento di Maestrale, la sua risata era l’acqua fredda dei ruscelli che dava vigore e felicità.
Il suo profumo era quello delle caldarroste e della frutta secca…
La sua dolce Yuko…
Il suo amato autunno…
La ragazza si fermò dal giocare con Inuki, e sorrise a Genzo, che la raggiunse, baciandola dolcemente sulle sottili labbra, per poi appoggiare la sua fronte contro quella della ragazza.
-Grazie di esistere…-
-Grazie a TE di esistere, Genzo. Grazie per tutto…-
i due sorrisero, per poi riprendere a camminare, seguiti da un festoso Inuki, mano nella mano, insieme.
Insieme…

*

(Cambio di scena)

Aprì gli occhi, di fronte a se solo l’immensità del cielo, le stelle brillavano con vigore, anche se i lampioni della strada li offuscavano leggermente.
Alla sua destra, udiva chiaramente il tranquillo respiro di Taro, che fissava con lei la cupola di blu scuro decorata con lucciole d’argento.
-Si sarà addormentato?-
Lucille non rispose alla domanda, ma sorrise, mentre sentiva qualcosa tirarle dolcemente i capelli, anche Taro sentiva qualcosa tirarlo.
-Eccolo qui il campione-
sorridendo affettuosamente, Taro si alzò, mettendosi seduto, prendendo tra le braccia il piccolo François, che sbracciava allegro, ridendo e mostrando un sorriso bellissimo, che contagiò anche Lucille, che guardava quella scena ormai a lei familiare: Taro giocava con il piccolo, facendogli il cavalluccio, il bimbo che rideva allegro, muovendo le braccine verso il viso del ragazzo, gli piaceva molto il viso del ragazzo e gli occhi della madre, che anche lui possedeva, due grandi e brillanti ametiste viola, mentre il capo era coperto leggermente da ciuffi di capelli biondo scuro.
Non assomigliava per niente a…a chiunque sia stato il padre…
Assomigliava tutto e per tutto alla madre, che ora si metteva anche lei seduta, ammirando la Tour Eiffel, luminosa dato che erano le otto di sera, il suo faro aveva cominciato in quel momento a sondare il cielo come un radar, prima di quel momento non aveva mai notato quanto fosse bello il simbolo di Parigi, quello stesso simbolo che gli aveva fatto conoscere e amare Taro.
In effetti…se non avesse alzato lo sguardo verso il faro, quella sera, non avrebbe mai conosciuto Taro, Yuko e Neko…
Chissà come stavano adesso…
Lucille sospirò, passandosi una mano su un ciuffo biondo che le cadeva su un occhio, attirando a se la curiosità di Taro, mentre François sbracciava verso la madre, che con un sorriso di gioia lo prendeva in mano.
Lunghi capelli biondi chiari tinti, occhi viola assai rari da trovare, un sorriso dolce, un grazioso neo sulla parte superiore del labbro.
Taro sorrise, allungando una mano sul viso di Lucille, che stupita lo guardò un attimo, prima di sorridere, lasciandosi accarezzare.
-Cosa c’è?-
-Pensavo…a quanto fossi bella…e a noi due…-
lei annuì, sorridendo, quel contatto era più di quanto sperasse.
Taro le si avvicinò, sfiorandole le labbra con un bacio, mentre lei sorrideva serena, François all’improvviso cominciò a tirarle una ciocca di capelli, tra le risate del ragazzo.
-Piano amore! Mi fai male!-
-Si vede che è pazzo dei tuoi capelli!-
-Forse anche troppo!-
-Beh, spero che la madre non si lamenti anche che il padre di questo bimbo sia pazzo di lei-
Lucille si voltò, sbalordita della confessione e del sorriso tranquillo del ragazzo.
-Taro…tu…-
-Voglio che questo bambino sia di tutti e due, Lucille-
la ragazza lo guardò sorpreso, non riuscendo a trattenere una…risata!
-Beh, che hai da ridere?-
-No, non pensare male…non rido per la proposta, ma rido per il fatto che me l’hai detta QUI-
Taro ci mise un momento a capire, poi scoppiò anche lui a ridere, notando solo in quel momento la Tour Eiffel li davanti.
-Non c’è nulla da dire, questa torre è legata a noi…-
-Gia…-
-Ma non hai risposto alla mia domanda…-
-Ah, c’era la domanda?-
-Si-
il ragazzo la guardò seriamente, mentre lei stringeva il bambino a se, il piccolo cominciava ad avere sonno, e sbadigliò poco elegantemente, facendo nascere un risolino divertito sul volto di Lucille e Taro, che però tornarono a guardarsi, mentre il ragazzo formulava la domanda.
-Lucille…vuoi sposarmi?-
-…si, lo voglio-
Taro sorrise, baciando con dolcezza Lucille, mentre François si addormentava, magari sognando di camminare in una strada di luce accompagnato dalla mamma e dal suo nuovo papà…

*

(Ultimo cambio di scena!)

Neko appoggiò una mano guantata sulla vetrata della stanza, acanto a lei un tavolo abbellito on stupendi mazzi di rose bianche e rosse con piccoli grappoli di fiorellini bianchi.
Era terribilmente AGITATA!
-Neko…-
la ragazza si voltò, e rimase felicemente stupita di ammirare la sorella, la sua damigella, vestita di un abito lungo di seta verde fatto dalla madre per le damigelle, partiva dal seno e fasciava tutto il busto, per poi allargarsi fino a terra, con uno strascico non troppo lungo, che la ragazza teneva saldamente con due dita; portava i capelli sciolti, leggermente mossi, ed aveva un po’ di ombretto dorato- verde sugl’occhi, rendendo le sue iridi verdi ancora più brillanti.
La ragazza sorrise, ammirando la sorella.
-Sei bellissima…-
-Questo lo dovrei dire io a te, cara la mia sposina. E dire che quella che doveva sposarsi prima dovevo essere io!-
Neko ridacchiò, mentre si voltava verso la sorella, che sorrideva felice: Neko indossava un abito lungo color perla, la gonna lunga di seta toccava terra, coprendo le scarpette bianche a tacco basso, il bustino era decorato con perline bianche e rose bianche sul decolté, guantibianchi fino al gomito di velluto e in testa, tra i capelli ramati corti, solo un cerchietto bianco con una rosa bianca fresca e profumata, ombretto argentato e brillantini sul viso, tra le mani un bouquet di fiori bianchi.
-Sei davvero stupenda. Mamma ha fatto davvero un ottimo lavoro-
-Mi sento…nervosissima!-
Neko sbatté il piede a terra, scatenando una risatina in Yuko, che rivedeva in quella sposina la piccola sorellina pestifera e allegra, che adesso era sulla soglia di una crisi!
La ragazza si avvicinò alla sorella, sistemandole un attimo i capelli, il suo sorriso era sempre misterioso, ed ogni volta attirava la curiosità di Neko, che lo toccava, come in quell’istante, sorridendo malinconica.
-Mi sono sempre chiesta cosa nascondesse quel tuo sorriso…solo papà conosceva i tuoi segreti-
-Ma anche tu confessavi i tuoi segreti a papà-
-Si, ma poi spifferava tutto a te!-
Yuko e Neko risero, la ragazzina tentò di trattenersi dal passarsi una mano sugl’occhi, per non rovinare l’ombretto.
Yuko guardò per bene la sorella, sorridendo affettuosa.
-Come va?-
-Molto meglio, grazie-
-Sei pronta a fare il grande passo?-
-Se devo essere sincera, sono ancora un po’ spaventata. Ma…ma ho deciso! Voglio passare il resto della mia vita con Kojiro!-
-Mi fa piacere sentire questa tua risolutezza!-
-Ehi, belle signorine-
una testa castana uscì dalla porta bianca, Taro con lo smoking era ancora più affascinante, i capelli disordinati gli davano l'aria da ragazzo, mentre Lucille sbucava con la testolina del suo bimbo.
-Tutto ok?-
-Si, vieni pure, Lucille-
la ragazza mostrò il suo abito a damigella, mentre teneva in mano un felicissimo François, vestito di un abitino elegante celeste, che lo faceva apparire ancora più angelico.
Yuko lo prese un po' in braccio, mentre Lucille la guardava, ancora non si convinceva del fatto che l'amica avesse recuperato la vista.
Quando lei e Taro lo aveva saputo, avevano gridato di gioia, correndo da una parte all’altra della casa, mentre François li guardava stupito.
Yuko ci giocò un po’, sussurrandogli delle paroline dolcissime all’orecchio, mentre Taro sentiva un moto di malinconia, era ancora così bella.
Ma adesso c’era Lucille nella sua vita.
-Taro, cosa c’è? Sei venuto a dirci qualcosa?-
il ragazzo si riscosse, e gli venne un moto di ridarella.
-Si, e cioè che ti devi sbrigare, Neko! Tra un po’ Kojiro comincerà a picchiare a sangue Genzo, se non arrivi-
-Oh santo cielo! Kojiro è capace davvero di farlo!-
-Lo sposo è un tantino nervoso, eh?-
-Dire che è nervoso è poco!-
le tre ragazze e Taro scoppiarono a ridere, poi Neko si rigirò tra le mani il bouquet, sorridendo felice e forse un po’ nostalgica, prima di prendere un profondo respiro.
-Sono pronta. Possiamo andare!-
-Bene! Allora chiamo Sanae e le altre!-
-E io torno da Tsubasa, poveretto, l’ho lasciato a tenere a bada quei due!-
Taro e Lucille sparirono con François, mentre Yuko guardava ancora una volta Neko, per poi sorriderle.
-Andiamo?-
Neko sorrise, avviandosi verso la porta.
-Si-

Le prime ad arrivare furono Sanae, Yaoi, Yoshiko, Lucille e Yuko, che avanzarono silenziose e sorridenti, Sanae mostrava gia la pancia della gravidanza, mentre raggiungeva Tsubasa, le altre ragazza raggiunsero i compagni, Lucille prese in braccio François, aspettando l’arrivo di Taro, mentre Yuko raggiungeva Genzo, che le sussurrava all’orecchio.
-Sei fantastica-
-E tu sei il solito! Possibile che devi sempre fare a pugni con Kojiro?-
-E’ stato lui a cominciare!-
-Come sta? Nervoso?-
-Se ti dico che mi stava per uccidere, ci credi?-
Yuko soffocò una risata, per poi sorridere con dolcezza, ammirando la sposina che stava arrivando, Taro le faceva da accompagnatore, mentre Kojiro ammirava quella magnifica creatura, appariva come un angelo, con quel sorriso dolcissimo.
La cerimonia finì con lo scrosciare degli applausi, quando Kojiro sollevò da terra Neko e la baciò con tanta dolcezza da far venire le lacrime alla sposina, che lo abbracciò, mentre due fedi in oro brillavano.
Yuko lasciò scivolare qualche lacrima di gioia, asciugata dal pollice di Enzo, che la baciò teneramente sulla guancia, per poi accompagnarla al rinfresco, seguendo Neko e Kojiro, che si sorridevano a vicenda, tenendosi strettamente per mano.
-NEKO, LANCIA IL BOUQUET!-
la ragazza rise, per poi lanciare il bouquet, rose bianche volavano come colombe candide, finendo tra le braccia Yoshiko, che abbracciò Hikaru, felicissima, mentre Yuko e Genzo li guardavano da lontano, sorridendo.
-E noi due?-
Genzo sussurrò questo all’orecchio di Yuko, che voltandosi sorrise, lasciando ammirare il suo sorriso alla Monnalisa e i suoi occhi, intrappolati nelle ciglia lunghe e nere.
Genzo non la lasciò rispondere, baciandola con dolcezza, mentre tutti festeggiavano un gattino e una tigre che si davano l’ennesimo bacio, carico di amore.

FINE

(BUHUUU!!! T__T E’ finita!!! Vabbe, pazienza.
Volevo solo dire che ringrazio ancora tutti, e chevi aspetto a “Dillo con un fiore“.
CIAOOO!!
Meiko)

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