Giochi Pericolosi

di Evilcassy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Because the Night belongs to Lovers ***
Capitolo 2: *** Our passion-play has now, at last, begun . . . ***
Capitolo 3: *** Caught in a Bad Romance ***
Capitolo 4: *** Crossing the Rubicon ***
Capitolo 5: *** Breathe No More. ***



Capitolo 1
*** Because the Night belongs to Lovers ***


Giochi Pericolosi.

 

1 – Because The Night Belongs to Lovers.

 

Quando Anna Williams entrava in un locale alla moda, nella sua sera libera, non passava mai inosservata.

Ondeggiando suoi tacchi altissimi, muovendosi sinuosa nella minigonna, passava tra la gente gettando qua e là occhiate languide.

Si dirigeva verso il bancone del bar e ordinava sempre lo stesso cocktail. Lo sorseggiava, sicura che non avrebbe dovuto attendere molto prima che qualcuno provasse ad avvicinarsi e a scambiare quattro chiacchiere con lei, o a provarci spudoratamente.

Lei si degnava di rivolgere le proprie attenzioni solo a certe categorie di uomini. Alti, belli, ben vestiti. Quando qualcuno di loro si avvicinava al bancone vicino a lei, ordinando da bere e guardandola  di sottecchi, gli rivolgeva un’occhiata ammiccante e scambiavano qualche parola. Le pagava da bere, le strappava una mezza risata, mentre riusciva a gettare un’occhiata dentro la sua generosa scollatura.

Un’ora dopo uscivano insieme dal locale, salendo sulla sua macchina.

L’auto sfrecciava in direzione di uno degli Hotel più lussuosi della città e veniva posteggiata nel parcheggio privato. Entravano tenendosi a braccetto, immersi in un chiacchiericcio fitto fitto, nello scambio di battute e risolini tipici di chi flirta.

Chiedevano una camera e prendevano l’ascensore. Mentre le porte si chiudevano le labbra dell’uomo raggiungevano l’orecchio di Anna Williams, sussurrando qualcosa di invitante che la faceva sorride di trepidazione.

 

Perfettamente prevedibile, trattandosi di Anna Williams. Nulla di nuovo, nulla di strano, consono al suo stile e al suo modo di fare.

 

Se non fosse che, arrivati al piano predestinato, l’uomo la accompagnava davanti alla porta della camera e la apriva. Poi si rivolgeva a lei, dicendole che l’avrebbe attesa per riportarla alla sua abitazione.

Lei annuiva, senza entrare. “Certo. Grazie.”

Poi proseguiva nel corridoio, arrivando davanti ad un’altra porta. Estraeva il suo inseparabile specchietto per controllare  il trucco e i capelli. Schioccava le labbra per spalmare meglio il rossetto.

E bussava. Tre volte.

Poi girava la maniglia ed entrava.

 

 

Lee Chaolan fissava le luci della città, al di là dell’ampia vetrata. Le auto, venti piani più sotto, sfrecciavano nella via principale, lasciando una scia luminosa dietro di loro.

Gettò ancora uno sguardo al proprio Rolex. Mezzanotte e Trenta minuti.

Sarebbe potuta arrivare da un momento all’altro. Controllò la temperatura del vino rosso – il suo preferito – e la disposizione delle tartine al caviale nel vassoio, prima di aggiustarsi il colletto dell’elegante giacca da sera, dando un’ultima occhiata all’atmosfera della camera. Storse il naso ricordandosi che non c’era nemmeno una candela a rendere la luce più soffusa e calda.

Era un peccato, lei le adorava, e alla luce delle candele sembrava rivelare la sua vera forma: quella di una splendida strega, affascinante signora dell’Ardore.

“… ma quanto sono poetico…” borbottò ironico, tornando a fissare la notte che scivolava veloce al di là del vetro.

 

Tre colpi alla porta.

La maniglia che scattava.

Tre passi sulla moquette. Il rumore dei suoi tacchi – vertiginosi, come al solito, lo sapeva – giungeva ovattato alle sue orecchie.

Un piccolo sorriso si faceva largo dalle sue labbra. Si voltò con studiata lentezza verso di lei.

“Buonasera, splendida signorina Williams.”

“Buonasera a lei, Mr Chaolan.”

 

La invitava ad accomodarsi, a mettersi a proprio agio. Anna rispondeva al suo sorriso con le movenze aggraziate e calcolate di chi conosce bene il gioco, lasciando che le facesse scivolare il pellicciotto dalle spalle nude, intossicandolo con il suo profumo.

Accettò di buon grado il calice di vino rosso che l’uomo le offriva, accompagnandolo con una delle tartine al caviale. “Impeccabile come sempre” commentò sorridendo. “Attento al più piccolo dettaglio.”

“Mi conosci, Anna. Lo sai che non mi risparmio mai di fronte ad una bella donna.”

I convenevoli facevano parte del gioco.

Li facevano entrare nell’atmosfera della notte, ma allo stesso tempo era una barriera, un velo, tra di loro, e le loro emozioni.

Era un gioco, in fondo.

Un gioco eccitante, inebriante, pericoloso. Un gioco che per Anna Williams, collaboratrice di Kazuya Mishima, poteva costare la vita.

I frutti proibiti sono i più dolci da mordere.

 

 Le mani di Lee le scivolavano lungo la schiena, sulla stoffa liscia del vestito, mentre le sue labbra non si staccavano dalle sue. Anna faceva appena in tempo a posare sul tavolino il calice vuoto, che veniva sollevata, le sue gambe attorno ai fianchi dell’uomo, e poggiata tra i cuscini del letto.

I vestiti scivolavano via di dosso ad entrambi l’uno dopo l’altro. Lee si soffermava sempre sulla sua lingerie provocante, studiandola sempre con un sorriso sornione.

I denti di Anna gli solleticavano il collo, come se fosse stato il bacio di un’amante vampiro, che reclamava la sua vita e la sua anima. Le sue lunghe dita affusolate si tuffavano tra i suoi capelli, trattenendo il suo viso su di sé, guidandolo sul suo collo, lungo i suoi seni e il suo ventre piatto e muscoloso.

L’uomo accoglieva i suoi gemiti languidi nella sua bocca, lasciandola poi libera di urlare il suo nome, e le sue unghie gli solcavano la schiena, il petto, le braccia muscolose, quando raggiungeva l’apice della passione, infiammandolo.

 

Si lasciò cadere di fianco a lei, estaticamente esausto. La donna stava riprendendo fiato, poteva indovinare il galoppo del suo cuore dalla vena pulsante del suo collo caldo.

Il loro respiro tornava regolare mentre loro restavano fianco a fianco, persi tra i cuscini e le lenzuola di seta. Era inevitabile abbassare la guardia. Lee faceva scivolare un braccio sotto di lei ed Anna si lasciava trasportare accanto a lui, appoggiando la testa sul suo petto, ancora ansante.

Il gioco era finito, designandoli entrambi come vincitori. Potevano anche concedersi il riposo, a quel punto.

Avevano preso l’abitudine di lasciarsi scivolare nel sonno nello stesso letto, anche solo per un paio d’ore.

Non si potevano permettersi altro. Non dovevano permettersi altro.

Quello era il retrogusto amaro della fine del gioco.

 

Anna si alzò a sedere, voltando la schiena all’uomo. Poteva sentire il suo respiro calmo e regolare, coperto dal velo d’ombra della notte. Fuori dalle sue braccia faceva un freddo cane, e l’oscurità non era più una coperta rassicurante. Si morse le labbra, sospirando, lottando contro quella maledetta debolezza che le faceva desiderare di coricarsi di nuovo, per sentire il suo respiro solleticarle la nuca e la sua pelle calda sulla sua.

Si alzò senza emettere rumore, facendo ben attenzione a dove metteva i piedi. Cercò a tentoni i suoi vestiti, dirigendosi poi verso il bagno, dove si rivestì, dandosi una ritoccata al trucco.

Nascondere la stanchezza e la malinconia dietro uno strato di make-up era sempre stata una sua prerogativa. Il rossetto sulle labbra le disegnava un sorriso furbo, quasi un ghigno, e il mascara le alzava le ciglia quanto bastava per toglierle l’increspatura malinconica del suo sguardo azzurro.

Strega la chiamava lui, morbidamente, mentre percorreva con le sue labbra il suo corpo. Sei una maledetta strega.

Sorrise tristemente: quanto avrebbe voluto dei poteri magici. Uno schiocco di dita, e i suoi desideri realizzati.

Chiuse la pochette di perline nere con uno scatto nervoso. Chi è causa del suo mal, pianga sé stesso.

Fece per uscire dal bagno, le scarpe in mano, ma poi decise di dare un ultimo tocco di classe, un’impronta del suo passaggio.

Prese in mano nuovamente il rossetto, facendolo scivolare sulla superficie riflettente.

Alla prossima settimana, Darling.

Nella stanza, avvolto nell’oscurità, Lee Chaolan continuava a dormire, l’espressione più serena che si potesse immaginare dipinta sul suo volto.

 

 

 

Eccomi qui!!!

Non era la FF che volevo fare inizialmente su questi due ma… mi è saltata in mente questa mattina, e non ho potuto fare a meno di scriverla.

So che attirerò l’ira funesta di Krisalia, ma spero di sopravvivere.

Almeno sino alla fine della Fic….

La canzone che da il titolo al capitolo (scritta da BRUCE SPRINGSTEEN x Patti Smith) è una delle mie canzoni preferite in assoluto.

 

Fatemi sapere i vostri pareri!!

EC

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Our passion-play has now, at last, begun . . . ***


Giochi Pericolosi.

 

2- Our passion-play has now, at last, begun . . .

 

Past the point
of no return -
no backward glances:
the games we've played
till now are at
an end . . .

Tre Colpi.

La maniglia che si apriva.

Lee Chaolan si concesse un sospiro di sollievo, mentre si voltava verso di lei, precedendo i passi che li separavano. “Ti sembra l’ora di arrivare? E’ l’una passata!”

Anna si scosse il cappotto scuro e il berretto di pelliccia, bagnati di pioggia. “Hai visto che tempaccio c’è fuori? C’era il traffico bloccato. Pensavo che il ragazzo di là ti avesse avvisato.”

“No, non lo ha fatto.” L’aiutò a sfilarsi la giacca come sempre, cercando di frenare un tremito di nervosismo nelle mani. “Ormai iniziavo a pensar male.”

La ragazza lo fissò, un sopracciglio alzato, appoggiando la borsetta con noncuranza su una poltroncina. “Stai calmino, Honey. Deve ancora nascere l’uomo che frega Anna Williams.”

Le porse il bicchiere di vino storcendo la bocca sarcastico. A volte l’incuranza di Anna per certe cose lo infastidiva. Avrebbe dovuto stare più attenta, cercare di stare lontano da guai, ed invece non solo si gettava in mezzo all’occhio del ciclone, ma peggiorava la situazione intrattenendo dei brandelli di relazione con il diretto avversario del suo pericolosissimo capo.

Comprendeva appieno il suo desiderio di rivalsa e il suo rancore nei confronti di sua sorella Nina, come avrebbe potuto non farlo, ma la sua spasmodica ricerca di guai gli era incomprensibile.

Uno di quei giorni l’avrebbero scoperta e, credendo che facesse da spia anziché da amante, l’avrebbero fatta fuori.

Esternò il pensiero a lei, ricevendo uno sbuffo irritato come risposta. “Non accetto ramanzine da te.”

“Non accetti suggerimenti da nessuno, Anna. Per questo sei una banderuola al vento.”

“Ma come ti permetti!” strillò sdegnata come se avesse ricevuto uno schiaffo. Appoggiò il calice con forza sul tavolino, girando i tacchi per andarsene. Lee riuscì a scattare tra lei e la porta, bloccandola. “Aspetta. Non intendevo offenderti. Scusa.” Disse, trattenendola per le spalle. “Quello che voglio dire è che sono preoccupato per quello che potrebbe accaderti. Non sarebbe meglio che…”

“…Che terminassimo qui le nostre uscite?” Lo sguardo di Anna era penetrante, duro, le braccia conserte al petto per darsi sicurezza ed allontanarlo, erigendo una barriera che la rinforzasse.

“Non era quello che intendevo dire, ma non puoi negare che se Kazuya ti scoprisse, tu correresti un grosso rischio. Lo hai valutato bene? Ti sei domandata se ne vale davvero la pena?” Anna fece di nuovo il moto di andarsene, ma lui la trattenne per le braccia.

“Non parlo per me. Guardami quando ti parlo, per favore. Io non corro alcun rischio. Eppure mi sono premurato di costruire un piano per vederci, di farti trovare sempre uno dei miei stretti collaboratori al locale che frequenti, che dia l’impressione che veniate in un hotel per spassarvela tra di voi, tutto questo per cercare di farti correre meno pericoli continui. Fosse stato per te ci saremmo frequentati alla luce del sole. Sai quanto saresti durata?”

La donna fu costretta ad annuire debolmente. Sospirò, allontanandosi da lui, voltandogli le spalle. La sua voce era stanca. “Mi dispiace di non riuscire a calcolare tutto alla perfezione come Nina.”

Le braccia dell’uomo le cinsero la vita, le labbra si posarono su una spalla. “Non volevo dire questo, Principessa. Dico solo che dobbiamo stare estremamente attenti nei nostri incontri. Anna, stasera hai tardato ad arrivare e io ho sinceramente temuto che ti fosse capitato qualcosa.”

Rimasero in silenzio, a fissare i vetri della finestra che venivano graffiati dall’acqua. “Non sono venuta qui per litigare.” Ricordò lei, voltandosi. Gli premette l’indice laccato di rosso sulle labbra. “Quindi è meglio se stiamo zitti entrambi, ok?”

“Dormi qui, stanotte.”

“Non eri tu quello che parlava di sicurezza?”

Questa volta fu Lee ad essere costretto ad annuire. “Ma non mi piace che tu te ne vada come una ladra senza nemmeno salutarmi. Mi piace svegliarmi con te.”

Anna rimase immobile per qualche istante, per poi scivolare dal suo abbraccio ed allontanarsi di qualche passo da lui. Pareva improvvisamente a disagio. Riprese in mano il bicchiere di vino, sorseggiandolo. Sembrò riacquistare il controllo, voltandosi verso di lui con il suo solito, smagliante e provocante sorriso. “Cosa stai aspettando?” lo invitò, avvicinandosi e giocherellando con la cravatta, guidandolo verso la sua bocca. Lee sentì le sue dita fresche infilarsi tra i bottoni della camicia, slacciandogli uno ad uno. Lasciò che facesse scivolare la giacca via dalle sue spalle larghe, che sganciasse la cintura dei pantaloni, prima di spingerlo indietro, facendolo cadere sul materasso. Si mise a cavalcioni su di lui, bloccandolo tra le sue gambe e le sue labbra, stuzzicandolo come solo lei, esperta ammaliatrice, sapeva fare.

Lee chiuse gli occhi, lasciandola giocare con lui.

 

“Io avrei un’idea.”

“Quale?”

“Goderci un weekend in montagna. Posso trovare una casa isolata, in una zona tranquilla, e potremmo passare insieme un paio di giorni; solo tu, io e il caminetto acceso.”

“Lee… da quando in qua hai queste uscite romantiche?” Nel buio della notte, Anna alzò la testa dal suo petto, aprendo gli occhi, una punta di amarezza e sarcasmo nella voce. “Mi spaventi, sinceramente.”

“Sciocchina. Dicevo sul serio.” Lee incrociò le braccia dietro alla testa, pensieroso. “Potrebbe essere rilassante, non trovi?”

“Lo sarebbe sicuramente, ma è una cosa totalmente infattibile, per quanto mi riguarda.” La donna si voltò dall’altra parte, mostrandogli la schiena nuda. Le luci della città penetravano tra le tende mal tirate, gettando la stanza in una penombra bluastra.

“Potrei trovare un modo per…”

“Smettila” sibilò lei, un piccolo singhiozzo che le scosse la schiena. “Lee, prima parli di stare attenti, di non fare passi falsi, e poi te ne esci con questa stronzata, perdona il francesismo.” Si alzò a sedere, accendendo l’abat-jour con un gesto stizzoso. “Dove vuoi arrivare? Credi davvero di riuscire ad illudermi? Ti piacerebbe farlo?”

Lee rimase a bocca aperta, seguendola con lo sguardo mentre andava in bagno, uscendone qualche minuto dopo, truccata e pettinata, pronta a rivestirsi e ad andarsene.

“Io non volevo…”

“Non sopporto essere presa in giro.”

“Ti giuro, Anna, io non intendevo…”

“Risparmiati i tuoi giuramenti da quattro soldi. Prima fingi di essere preoccupato a morte per la mia incolumità, poi mi chiedi di fuggire su due piedi per un weekend romantico tra la neve. Cosa ti aspetti, che faccia armi e bagagli e venga con te? Lee, questo è tutto il relax che posso permettermi, tutto il tempo libero che posso ottenere. E le tue stronzate me lo avvelenano.”

L’uomo Riuscì ad afferrarle un polso e a condurla a sé, ancora seduto sul letto. “Mi sono lasciato andare, scusami. Non volevo innervosirti.” Disse baciandola. “Mi perdoni?”

Anna sembrò pensarci qualche secondo. Una parte di lei urlava di gettargli le braccia al collo e tornare sotto le coperte con lui, mentre l’altra le suggeriva di lasciarlo lì, nudo sul letto disfatto e di uscire dalla porta, per non entrarci più. Non era la prima volta che si rivestiva e se ne andava, senza interessarsi ulteriormente a chi aveva condiviso la serata con lei.

Era come una valvola di sfogo, le donava sicurezza sapere che riusciva ad avere il controllo sulle proprie emozioni e sugli uomini.

Peccato che davanti agli occhi di Lee Chaolan (il più grande donnaiolo che avesse mai conosciuto) questo suo controllo vacillava e cedeva.

Ecco qual’era il pericolo reale del gioco, per lei. Non venire uccisa da Kazuya o uno dei suoi, ma di cedere a Lee e di spezzarsi alle sue lusinghe, di credere alle sue illusioni e di aver fiducia nelle sue parole sussurrate tra quelle lenzuola spiegazzate. Il suo istinto di auto conservazione era abbastanza sviluppato da non lasciarla cadere in quella trappola.

Quante volte Mr Chaolan aveva ripetuto quel copione di uomo interessato e protettivo, di fronte ad una donna?

“Devo andare.” Sussurrò infine. Le dita di Lee lasciarono la presa e l’uomo sospirò. “Ci vediamo la settimana prossima?”

 “Vedremo.” Mormorò, prima di trovare la forza di uscire da quella stanza d’albergo.

 

Lee si lasciò cadere sul materasso, le braccia incrociate dietro alla testa.

Le donne per lui non erano mai state un mistero. Sapeva toccare i punti giusti (sia fisici che sentimentali) e la sua fama di tombeur di femmes era ben nota e meritata.

Ma Anna Williams non era di certo come tutte le altre. Quella strega riusciva ad entrare in lui, a venire assorbita dalla sua pelle, attraverso i graffi che lei creava, come segni magici, sulla sua schiena. Anna non si faceva dimenticare.

 Avrebbe potuto giurarci che le prime volte che condivideva le sue serata con lei, allora diciottenne disinibita ed impudica, avesse avuto in mano il suo cuore. Forse non era davvero amore, il suo, ma qualcosa di molto simile, che le faceva brillare gli occhi. Lo vedeva, lo percepiva. Ma poi aveva scelto di seguire la sorella in un limbo di gelo.

Dal suo canto, Anna aveva sempre avuto su di lui l’effetto di una calamita. Era attratto da una donna pericolosa ed infingarda, che mischiava sapientemente la magia della seduzione e il fascino del mistero. Un istante prima languida sirena, un minuto dopo terribile arpia. Si lasciava andare quanto bastava per non essere considerata l’algido iceberg che era la sorella, ma non abbastanza per far capire realmente le sue intenzioni, i suoi pensieri.

Le sue debolezze.

Anna aveva paura di mostrarsi debole e patetica agli occhi di qualcuno. Era una delle poche cose di cui lui ne era sicuro.

L’importante era che questo non le risultasse fatale.

 

 

Ahi ahi ahi… si stanno invischiando nel gioco… riusciranno ad uscirci?

Grazie, Grazie Grazie per le recensioni!

Farò del mio meglio per non deludervi.

Il titolo (e l’intro) sono tratti dalla canzone “Point of No Return” del Fantasma dell’Opera di Andrew Lloydd Webber… uno dei miei musical preferiti.

E ditemi se non lo trovate adatto a questi due…

 

EC

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Capitolo 3
*** Caught in a Bad Romance ***


Giochi Pericolosi.

 

 

3- Caught in a Bad Romance.

 

Quella volta Anna si rivestì frettolosamente, appena ebbe ripreso fiato. L’uomo si puntellò sui gomiti per alzarsi, guardandola infastidito. “Beh, potresti anche prendertela un po’ più comoda, no?”

La donna si voltò di scatto verso di lui. Aveva le gote ancora arrossate dal calore dell’amplesso e il trucco le si era un po’ sciolto ai lati degli occhi. “Te l’ho detto, non ho tempo questa sera.”

Oh…e hai fatto tutta quella strada solo per mezz’oretta di sesso bollente?”

“Idiota” sibilò lei a denti stretti, infilandosi lo striminzito vestito nero.

Lee la osservò per qualche istante, in silenzio, studiandone le mosse scattanti e nervose con cui si aggiustava i capelli e si riassestava il trucco. “Hai pensato a quello che ti ho detto la settimana scorsa?”

“A cosa?” Anna fermò un secondo la mano con cui si stava riaggiustando il mascara, fissandolo attraverso la superficie riflettente dello specchio. “Oh, a quello. No.” rispose, troppo seccamente per farlo sembrare del tutto vero, strappando un sorriso compiaciuto a Lee, che incrociò le braccia. “Guarda che non stavo scherzando.” La punzecchiò.

“Neppure io.” lo gelò lei. Con un sospiro d’impazienza Lee si alzò, raggiungendola alle spalle. “Si può sapere che diavolo hai?”

“Te l’ho già detto. Non voglio essere presa in giro.”

“E chi ti dice che ti sto prendendo in giro?”  Anna sospirò nuovamente riponendo i trucchi nella sua piccola borsetta. “Anna, ascoltami: E’ meglio che molli subito la G Corporation e Kazuya, prima che sia troppo tardi. Sta iniziando a sgretolarsi quell’imbarazzante immagine di ancora di salvezza mondiale che si era costruito combattendo contro la Mishima Zaibatsu, e quando succederà, lui e i suoi collaboratori non passeranno di certo un momento facile, e io sarò fra gli accusatori. Non voglio averti nemica e non voglio dover vederti catturata e incolpata per ciò che ha fatto il tuo capo.”

“Ho anche io le mie colpe.”

“Non ho nulla contro di te. Voglio solo…

“Salvarmi? Chi sei, SuperLee, il paladino delle donzelle in pericolo?” il suo sguardo era tra l’esasperato e l’arrabbiato, le mani sui fianchi per sottolineare il suo stato d’animo. “Metti caso che ora io creda alle tue parole e resti qui, mandando a ramengo i Mishima e le loro stronzate apocalittiche, cosa farei dopo? Dai, suggeriscimelo.”

“Anche io corro la mia buona dose di pericolo.” Si avvicinò al mobile bar, dove versò due bicchieri di scotch, porgendone uno ad Anna. Forse si stava aprendo uno spiraglio, e lui sapeva essere convincente sino all’esasperazione. “Servirebbe anche a me una guardia del corpo. E sono certo che saresti la candidata ideale per ricoprire quel ruolo…

“No.”

Si ritrovò spiazzato da quel no secco, e si concesse un sorso di liquore prima di domandarle perché tanta fermezza.

“Perché non potrei mai lavorare per te.” Anna appoggiò le labbra scarlatte al bicchiere, bevendone un piccolo sorso, seguito da una smorfia.

“Non mi vorrai far credere che sarei un capo peggiore di Kazuya Mishima!”

“In un modo diverso, si.”

“Non ti capisco, ma non capisci che non dovremmo più fare le corse per vederci di nascosto, che potremmo vivere molto più in tranquillità? Mi conosci, non sono una persona che va a gettarsi al centro dell’azione e che corre rischi inutili e stupidi. Correresti molti meno pericoli a stare con me”

Ma Anna scosse la testa lievemente, appoggiando il bicchiere mezzo vuoto al tavolino. Tamburellando le dita laccate di rosso sul vetro, senza alzare gli occhi. “… e per quanto durerebbe, tutto questo idillio?” chiese stancamente. “Per un mese, due, tre? Poi ricominceresti ad uscire con altre ragazze, a portatele a letto, a proporre i tuoi discorsi romantici a loro, sentendoti realizzato nel vedere che ti credono l’uomo perfetto, romantico e passionale che hanno sempre desiderato.

Un principe azzurro uscito dalle fiabe.

Ed io sarei sempre li a guardare il riproporsi degli eventi. Magari farei da ritornello tra una storia e l’altra, nelle serate in cui anche tu sei troppo stanco per uscire e ti accontenti di ciò che hai a portata di mano.

No, Lee. E’ una cosa che farebbe troppo male. Persino ad Anna Williams.”

L’uomo rimase di stucco. Aprì la bocca per tentare di dire qualcosa, ma l’indice scarlatto di Anna premette sulle sue labbra “Shh, Honey. E’ stato un bel gioco, finché è durato. Ma è meglio finirlo qui, davvero, prima che sia troppo tardi per riuscire a tirarci indietro. Mi hai già scottato una volta, non voglio che accada di nuovo.”

Lee scosse appena la testa “Quando?”  mormorò.

La donna tentennò un attimo, come se le risultasse difficile raccontare del perché non riusciva più a credergli, ad avere fiducia in lui. “Quando decisi di farmi ibernare insieme a mia sorella, venni a salutarti un’ultima volta. Sapevo che eri stato cacciato dalla Mishima Zaibatsu, e sapevo che stavi per lasciare il tuo ufficio, così presi l’ascensore e mi ritrovai davanti a quella porta. Credo sperassi che tu mi convincessi di lasciar perdere, che mi proponessi di scappare con te o chissà che altro: d’altronde, erano cose che mi dicevi sempre e io… che stupida, ma avevo diciannove anni, ci avevo anche creduto.” La sua voce era leggermente incrinata, e mentre parlava muoveva le dita sul petto di Lee, come a tracciare ghirigori nervosi tra una parola e l’altra. “Ho aperto piano la porta e… tu eri li con la tua segretaria di allora. Si, quella bionda con le gambe chilometriche, sul divano di pelle del tuo ufficio. Vi ho visto di sfuggita ma… l’audio era eloquente. Avrei voluto entrar dentro e compiere una strage ma… in fondo tu non eri davvero il mio fidanzato, io non potevo vantare nessuna esclusiva su di te. Così me ne sono andata. Purtroppo, non sono stata così fortunata come Nina, i ricordi sono restati tutti nella mia testa, soprattutto quelli brutti.”

Lee si passò la mano tra i capelli, sconcertato, senza parole. Cercò qualcosa da dirle, ma, improvvisamente tutta la sua parlantina brillante, marchio di fabbrica che incantava le donne, era scomparsa del tutto. “Mi dispiace” riuscì solo a mormorare, cercando di sfiorarle il volto con una carezza. Anna si ritrasse, senza incrociare lo sguardo con il suo, scuotendo la testa e avvicinandosi alla porta. “Goodbye, Mr Chaolan.”

“La prossima settimana sarò ancora qui. Spero che tu cambi idea.”

“Faccio sempre scelte autodistruttive e autolesioniste. Ma questa sarebbe eccessiva persino per me.”

Mentre la porta si chiudeva, Lee batté la testa contro il muro, dandosi dell’idiota.

 

 

Eccoci di nuovo!

Ringrazio Miss Trent, Angel Texas Ranger e Nefari per aver commentato i precedenti capitoli!!!

Milllemiiiila Grazie!!!

Il Titolo è…si, la nuova canzone di Lady Gaga (Ro-ro-o o o roma romama ga ga ullllalllà want your bad romance)

 

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Capitolo 4
*** Crossing the Rubicon ***


Giochi Pericolosi.

 

 

4- Crossing The Rubicon.crossed the Rubiconcrossed the Rubicon

 

 

Un mezzo sorriso spuntò tra le labbra scarlatte di Anna Williams quando, aprendo la porta della Sala da Biliardo, riconobbe la figura seduta su uno sgabello al bancone del bar, le lunghe gambe accavallate e un bicchiere tra le dita.

C’era stato un muto accordo tra di loro, quando si erano ritrovate per caso, due mesi prima, nel medesimo posto allo stesso momento.

Quella volta era Anna ad essere seduta al bancone del bar con un bicchiere tra le dita, a guardarsi intorno con aria annoiata. Il locale era semivuoto, a parte una compagnia di punk dall’aria truce ad un tavolo da biliardo e altri tre uomini grassocci e sgraziati ad un altro.

Stava giusto pensando a quanto fastidio le desse la mancanza di rumore e di folla in un locale. In quel bicchiere su cui tamburellava le dita laccate di rosso galleggiavano mille pensieri, e per quanto il liquido colorato e fruttato del cocktail scendesse nella sua gola, loro non vi affogavano dentro.

Aveva gettato un’occhiata alla porta che si apriva, quasi sperando che entrasse qualcuno di interessante. Cosa che era davvero successa, perché la porta di vetro era stata attraversata da sua sorella.

L’aveva guardata stupita, schiudendo appena le labbra. Anna aveva distolto lo sguardo, riposandolo sul bicchiere, lasciandole la prima mossa, preparandosi a schivare un colpo che, ne era certa, sarebbe partito da li a poco.

Evidentemente, quella sera neppure Nina aveva voglia di litigare. Si era seduta al bancone, tre sgabelli lontano da lei e aveva ordinato da bere. Anna aveva alzato allora lo sguardo, accorgendosi che anche l’altra la stava osservando di sottecchi. Con un cenno del capo aveva accennato al tavolo da biliardo li a fianco.

Dopo un sorso del suo drink la sorella aveva annuito, alzandosi con il bicchiere in mano.

Era nata da lì, quella tacita tregua tra di loro. Non si erano dette nulla in tutta la serata, ma avevano stroncato insieme, sul nascere, una specie di rissa con uno dei punk. E mentre Anna stava pensando, meravigliata, che fosse stato divertente e naturale, quell’improvvisa coalizione tra di loro, aveva catturato con l’angolo degli occhi azzurri i capelli di Lee, il suo sorriso sornione e il suo pollice alzato, dietro al bancone.

Affondò le unghie nel palmo della mano. Non doveva più pensare a quell’uomo. Doveva godersi la partita di biliardo e se il punk si sarebbe ripresentato davanti ai suoi occhi con intenzioni bellicose, questa volta l’avrebbe ridotto ad una larva sanguinante. Anche da sola.

 

Nina si voltò morbidamente verso di lei, sentendola avvicinare. Senza dirle nulla, indicò con un cenno della testa bionda il tavolo a lato.

 

La stecca scivolò a lato della pallina, senza riuscire a colpirla, spostandola solo di un fastidioso millimetro. Anna sbuffò spazientita, dando il turno alla sorella.

Giornatina pesante, uh? Non sei per niente in forma stasera.” commentò l’altra, infilando la palla numero 10 nella buca all’angolo opposto del tavolo.

Anna annuì, pensierosa. “Diciamo che il periodo non è dei migliori.”

“E allora molla Kazuya, no?”

Kazuya non è uno che accetta le dimissioni tanto facilmente.” Sospirò, allontanando l’idea con un gesto infastidito della mano. “E non ti ci mettere anche tu!”

“Perché, chi altro ti consiglia di licenziarti?”

Anna sospirò, indecisa se rivelarglielo o meno. Fece una pausa, cercando di parlare con un tono noncurante. “Lee.”

Lo sbuffo divertito di Nina le impedì di colpire bene la palla, che sfiorò di poco la buca.

“Ma ormai lui non è più un problema. Abbiamo chiuso.” Mettendosi in posizione per colpire la 8 per mandarla nella buca laterale, le raccontò brevemente della loro ultima conversazione.

“Mi meraviglio di te! Hai davanti una scappatoia da Kazuya e le sue stronzate, e te la lasci scappare così? Cosa ti costa lavorare un po’ per Lee e poi smollarlo quando non ti andrà più?”

Le dita di Anna si contorcevano al legno della stecca, mentre tamburellava il tacco per terra, nervosamente. “Non so se ce la farei.”

“Ti fa davvero questo effetto?” Nina appoggiò la sua stecca al tavolo, sorpresa. Sembrò studiarla, attraversare la sua pelle con i suoi occhi di ghiaccio. “E… se lui non stesse scherzando? Dico, in fondo è cresciutello anche lui, ormai ha raggiunto una certa età, potrebbe addirittura esser serio.”

“Stiamo parlando di Lee Chaolan…

“Si, questo è vero. In effetti è quasi impossibile.” Nina puntò alla 02, da infilare nell’angolo. “Ma sai, nella vita non si può mai dire.”

“Mi stai dicendo di credere a tutto quello che mi ha detto?”

La sfera entrò filata nella buca, sotto lo sguardo compiaciuto della bionda. “Non proprio. Datti almeno il beneficio del dubbio.”

Qualcosa alle spalle di Anna calamitò l’attenzione di Nina. La ragazza voltò il viso a tre quarti, sorprendendosi nel vedere entrare nel locale un alto uomo dalla pelle diafana e i capelli corvini, vestito con un’uniforme militare.“Hey, ma quello non è…

“Esatto, proprio lui” annuì Nina, sistemandosi il vestito, lisciando le pieghe della corta gonna con un gesto della mano. Estrasse uno specchietto dalla borsa, dandosi un’ultima, velocissima controllata al trucco. “Viene qui ogni sera.”

Vedere la sorella così suscitò un moto di divertimento in Anna. “E tu?”

“… quasi tutte le sere.” Rispose, chinandosi di nuovo sul tavolo un movimento più sinuoso e sensuale del solito. Un colpo deciso del polso, e nell’angolo opposto finirono in buca la sfera numero due e quella bianca, lasciando il tavolo vuoto. “Ed ora, se permetti

 

You're awful bright, you're awful smart
I must admit you broke my heart
The awful truth is really sad
I must admit I was awful bad

Hey, aspetta!” protestò la sorella, mentre l’altra recuperava la giacca e la borsetta. “Quindi, tu mi dici di vedere Lee, la settimana prossima?”

Nina alzò le spalle. “Perché no?”

Anna rimase immobile a guardarla raggiungere ancheggiando il bancone, dove l’uomo si era seduto. Ridacchiò a sentirla ordinare con voce roca un White Russian, e scambiarsi un’occhiata languida con lui.

Ecco un altro gioco che iniziava.

 

While lovers laugh and music plays
I stumble by and I hide my pain
The lights are lit, the moon is gone
I think I've crossed the Rubicon

 

Anna si infilò la giacca, guadagnando l’uscita dopo un cenno di saluto alla sorella, che alzò il bicchiere.

La notte era gelida, piccoli fiocchi di neve ghiacciata scendevano dal cielo e si infilavano nel collo del pellicciotto, le stuzzicavano le gambe, le graffiavano le guancie.

Abbandonò l’idea di chiamare un taxi. Aveva bisogno di camminare, di lasciare che i suoi pensieri uscissero leggeri dalla sua mente e si disperdessero nell’aria fredda.

 

I walk the streets of love and they're full of tears
And I walk the streets of love and they're full of fears


Tutto ciò che doveva fare era prendere una bella rincorsa e spiccare un salto. Attraversare il fiume. La riva opposta si preannunciava un paradiso pieno di ostacoli.

While music pumps from passing cars
A couple watch me from a bar
A band just played the wedding march
And the corner store mends broken hearts

In fondo, cosa c’era di peggio che trovarsi incastrata in quella posizione? Si era alleata con Kazuya solo per poter vendicarsi di Nina. Ed ora che questa motivazione era caduta, rivelando quanto fosse sciocca e patetica nelle sue scelte, si ritrovava imprigionata in quel ruolo inutile, alla mercé di un demone pericoloso e invulnerabile, capace di seminare la distruzione in pochi minuti, con la forza delle sue sole mani, e di uccidere chiunque gli capitasse a tiro e non gli andasse a genio.


And a woman asks me for a dance
Oh it's free of charge, just one more chance


Kazuya  era diverso da vent’anni fa. Prima era solo uno stolto incosciente ragazzo che desiderava la vendetta e la rivalsa sul genitore crudele.

Ora il padre folle, visionario, spietato era lui.

Anna se l’era cercata, ma ciò non significava che potesse porci rimedio.


I walk the streets of love and they're full of tears
Walk the streets of love for a thousand years

Alzò gli occhi al cielo buio, tra i piccoli fiocchi di neve. E Lee? Era cambiato in tutti quegli anni?

Improvvisamente, sentì il bisogno spasmodico di avere un camino acceso davanti a sé, e il corpo caldo di quell’uomo accanto al suo. Se lo immaginò, illuminato dalla luce guizzante del fuoco, gli scoppiettii del legno, il suo profumo che l’avvolgeva e le sue braccia che la circondavano.

Cielo… ne sarebbe valsa la pena soffrire per pochi giorni di assoluto paradiso?

Oh tell me now
I... Oh I walk the streets of love, yeah and they're drenched with tears...
Oh

Si riscosse: non ora, non ora. Non era ancora il momento di decidere, di sognare, o anche solo di cercare Lee. Aveva ancora qualche giorno di tempo.

Prima di prendere una decisione così drastica come quella di attraversare il Rubicone.

 
You had the moves, you had the cards
I must admit you were awful smart
The awful truth is awful sad
I must admit I was awful bad

 

Quel locale poteva essere un posto in cui trovarla, per questo motivo Lee vi entrò sicuro, guardandosi attorno attentamente.

Lo sguardo gli cadde al bancone, riconoscendo immediatamente Nina Williams, intenta in un gioco di sguardi e ammiccamenti con un uomo dai capelli corvini che non vedeva in volto.

Si avvicinò quasi precipitosamente a lei, facendola sussultare e quasi andare di traverso il cocktail di fronte a lei.
“Nina, ti devo parlare”

“Razza di idiota, non vedi che sono in compagnia?” sibilò lei, fissandolo truce.

Lee Chaolan gettò uno sguardo al suo accompagnatore, aprendo la bocca per scusarsi dell’intrusione, ma rimanendo stupito di chi si ritrovava davanti.

“Chiedo scusa, un secondo.” Lo precedette la donna, alzando un indice con un sorriso tirato ed imbarazzato e spingendolo via in malo modo, prima di seguirlo. “Che diavolo vuoi?”

“Ma quello non è…?”

“Si, è lui, fatti gli affari tuoi. Dimmi che diavolo vuoi e sparisci.”


And I walk the streets of love and they're drenched with tears
And I walk the streets of love for a thousand years...
Oh


“Sto cercando Anna, le devo parlare. So che  giocate a biliardo e volevo sapere se l’avevi vista.”

Nina lo studiò. “Davvero ti interessa? E che le dovresti dire?”

Uhn, sono fatti un pochino personali. Ad ogni modo, si, mi interessa. L’hai vista per caso?”

“Era qui sino ad un quarto d’ora fa. E’ uscita e ha girato a sinistra. Non so se fosse a piedi o meno.”


Walk the streets of love and they're drenched with tears
Oh every night, oh there's only one and not enough for him

 

“Sai dove abita, o dove era diretta?”

Nina scosse la testa. “Noi giochiamo solo a biliardo.”

“Ti ringrazio.” Lee sembrava andare di fretta. “Spero di riuscire a trovarla.”

“Fossi in te aspetterei la prossima settimana.”

Lee la fissò stupito, domandandole cosa sapesse. “Qualcosa” rispose lei evasiva. “Fossi in te attenderei la vostra serata

Un piccolo sorriso si fece strada nel volto dell’uomo. Nina ne rimase colpita dal constatare che non si trattava del solito sorrisetto sornione, seduttore o furbo. Sembrava qualcosa di spontaneo, confortato. “Se mi dici così, allora non riesco ad aspettare.” Disse, prima di uscire dalla porta quasi correndo.


Oh I, yeah and they're full of tears
Oh everybody talk about it
Everybody be walking down it
Yeah but I found out....
oh yes that I...

La neve fioccava più abbondantemente, una patina bianca stava già ricoprendo i marciapiedi grigi della città. All’uomo sembrò di riuscire a seguire le orme di un paio di scarpe da donna con il tacco, quasi fosse un cane segugio in cerca della preda a cui fare la punta, illudendosi che fossero quelle di Anna.


Oh yes I do
Oh the streets of love, yeah, they're drenched with, drenched with in tears...
I... oh yeah I don't want to...

 

Ma dopo qualche centinaio di metri le orme finivano ai piedi di una ragazza dai fluenti capelli rossi che baciava appassionatamente il suo fidanzato appena ritrovato.

Nessun’altra traccia, nessun’altro segno di Anna.

Avrebbe dovuto aspettare.

 

 

Ciiiaoo!

Milioni di grazie alle recensioni! Poche ma buone! XD

Ho deciso di ricollegarmi all’ending di Anna: è inutile, mi è piaciuto un sacco, forse il migliore degli ending di Tekken 6.

Avete capito vero con chi flirta Nina? Daaaai, su, non c’è bisogno di spiegazioni!

Per quanto riguarda il binomio –neve /baita isolata, lo nomino spesso nelle mie storie perché… beh, secondo me dividere con la persona amata una cioccolata davanti al camino acceso di una baita in montagna mentre fuori infuria una tempesta di neve, per poi ruzzare come pazzi in ogni angolo della casa è per me la cosa più romantica che esita. (e anche l’unica)

La canzone è Streets of Love, dei Rolling Stones.

Ho utilizzato una frase della canzone per il titolo, per dare l’idea dello spessore della decisione che deve prendere Anna.

… voi sapete vero chi ha attraversato il Rubicone, vero, VERO?????

 

Bene, spero di risentirvi presto….

Un besito.

EC

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Capitolo 5
*** Breathe No More. ***


Giochi Pericolosi.

 

 

5- Breathe no More.crossed the Rubiconcrossed the Rubicon

 

So, so you think you can tell Heaven from Hell,
blue skies from pain.
Can you tell a green field from a cold steel rail? A smile from a veil?
Do you think you can tell?


L’orologio segnava mezzanotte e tre quarti.

“Arriva” mormorò Lee, come una nervosa preghiera.

Aveva rotto il silenzio pesante ed inquietante di quella stanza in penombra con la musica soffusa dello stereo.

La radio sembrava conoscere la sua situazione, a giudicare dalla canzone, quella ballata classica, che stava passando ora sulle frequenze.


And did they get you trade your heroes for ghosts?
Hot ashes for trees? Hot air for a cool breeze?
Cold comfort for change? And did you exchange
a walk on part in the war for a lead role in a cage?

 

Era tardi e lui iniziava ad avere freddo, nonostante la temperatura della camera.

Minuscole gocce gelate, preludio della neve che sarebbe arrivata da li a poco, graffiavano il vetro della finestra, e le luci della città entravano dal vetro, decorando le pareti e l’arredamento con le ombre sottili della pioggia, così simili a pennellate minute di un pittore nervoso.

Come era lui in quel momento. Incrociò le braccia al petto, gettando ancora uno sguardo all’orologio. “Ti prego, arrivasussurrò di nuovo.

How I wish, how I wish you were here.
We're just two lost souls swimming in a fish bowl,
year after year,
running over the same old ground. What have we found?
The same old fears,
wish you were here.

Quello non era il ritardo più clamoroso di Anna, ma di certo era quello che lo innervosiva maggiormente. Perché l’attendeva senza sapere se lei avrebbe davvero varcato quella portaconcedendogli la sua fiducia, sciogliendosi tra le sue braccia.

Se solo l’avesse cercata meglio, quella sera di sei giorni prima, probabilmente ora sarebbero già stati insieme, lontani da Tokio e dai suoi sotterfugi, da quell’insulsa lotta fratricida, da quel gelo prepotente che inghiottiva le strade in quel momento.

Anna amava i posti caldi. Il sole, il mare, il calore sulla sua pelle abbronzata.

E lui non vedeva l’ora di regalargli tutto questo. “Arriva, arriva, arriva arriva...”

L’avrebbe attesa tutta la notte, se fosse stato necessario. Si concesse uno scotch, prima di sedersi su una poltroncina senza togliere lo sguardo dalla finestra.

Chiuse gli occhi.

 

Leggera, come se fosse stata una farfalla, senza fare il minimo rumore era scivolata nella stanza.

I piedi nudi sfioravano la moquette grigia in passi inconsistenti. E le sue mani fresche si erano sciolte in una carezza sul suo volto.

Aveva spalancato gli occhi, incredulo di trovarsela davanti,

Era anche più bella del solito, quasi eterea nel suo pallore, senza il pesante trucco gli occhi sembravano brillare di luce propria, riflettendo la neve che cadeva copiosa al di là del vetro.

Si sentì rinfrancato, rasserenato dal vederla sorridere appena. “Allora sei venuta.” Bisbigliò. Le sue dita scorrevano tra i capelli argentati, come se stesse accarezzando un cucciolo che le ispirava tenerezza, mentre annuiva.

“Non vedevo l’ora. Io…

L’indice di Anna premette le sue labbra. Il suo gesto usuale, quello di zittirlo con quel modo dolce e deciso insieme.

Le labbra della donna si unirono alle sue. Un bacio leggero, sincero: un bacio che Anna non gli aveva mai concesso.

“Hai deciso di stare con me?”

Di nuovo, Anna lo zittì, prima di baciarlo nuovamente. C’era qualcosa di malinconico e impalpabile nei suoi gesti, nelle sue carezze, nel suo sapore. Qualcosa che sfiorava Lee senza rimanerne realmente impresso.

 

La maniglia della porta che scattava, aprendosi, lo fece trasalire.

Riaprì gli occhi, alzandosi in piedi.

“Anna?”

Il vetro era rigato ancora dalla pioggerellina gelida.

…Un sogno ?

Si diede dell’idiota, prima di accendere la luce velocemente.

La porta si aprì appena, con una lentezza esasperante. Una figura femminile avvolta in un cappotto nero, lungo sino ai piedi, il cappuccio alzato a coprire la testa e il volto, varcò la soglia, chiudendo la porta alle sue spalle.

“Anna?”

Il cappuccio bagnato scivolò via dalla testa, rivelando gli stessi occhi azzurri e gelidi che stava attendendo sotto una cascata di capelli dorati. Il cuore di Lee mancò di un battito, mentre tentava di mantenere la calma, appoggiandosi con la schiena ad un mobile, incrociando le braccia al petto. Gli ci volle un istante, un sospiro, prima di riuscire a parlare senza che gli tremasse la voce.

Perché trovarsi la Williams sbagliata davanti non era di certo un buon segno. Affatto.

“Oh, Nina, mi sorprendi. Non ti aspettavo. In giro con questo tempaccio?”

 

Nina Williams non si mosse di un millimetro, se non fosse stato per le gocce che cadevano dal suo cappotto si sarebbe potuta scambiare per una statua di ghiaccio dallo sguardo penetrante.

“Stavo aspettando Anna.” Incalzò l’uomo. “Hai… hai qualcosa da parte sua?”

Le labbra diafane di Nina si schiusero in un sussurro. “Dovrei uccideti.”

“Cosa vuoi dire?”Se non fosse stato per il mobile a cui era appoggiato, le gambe di Lee l’avrebbero abbandonato a terra.

“Sapevi quello che stava rischiando, sapevi che Kazuya non gliel’avrebbe fatta passare liscia, se l’avesse scoperta. Ma a te cosa importava…” I passi di Nina verso di lui lasciavano impronte dure nella moquette. “… tu avevi la tua nottata di sesso sfrenato, e per te non c’erano altri problemi.”

Le parole dure di Nina lo ferivano. Erano il preludio a qualcosa che non voleva sapere, che non poteva sentire. “Non è vero…” bisbigliò. Era così, era vero!

Se gli occhi della donna fossero stati letali come le sue mani, allora lui sarebbe già stato ridotto in cenere. “Non gli sei stato lontano, fottuto vigliacco che non sei altro.” Sibilò con odio.

“Non è così. Te lo può confermare anche tua sorella.”

Nina emise uno sbuffo freddamente ironico. “Confermare? Anna è morta.”

 

Il neon del corridoio era la luce più gelida che potesse illuminare quel luogo. Irrorava qualsiasi cosa di bianco, rendendola asettica e spettrale.

Nina stessa, che camminava di fronte a lui, pareva ancora più algida di quanto già non fosse naturalmente.

Farebbe qualsiasi cosa per danneggiare sua sorella. Continuava a ripetersi come un mantra Lee, da quando l’aveva seguita, fuori da quell’hotel, sino agli ex-laboratori sotterranei della Mishima Zaibatsu. Si aggrappava a quella flebile speranza disperatamente.  Non le credere, non le credere. Lei ODIA Anna, ti sta facendo cadere in trappola per farle un dispetto crudele.

La brusca curva del corridoio segnò una svolta anche nei pensieri di Lee. E’ un trucco per fartela incontrare di nascosto. Si, sicuramente. Al di là della porta ci sarà Anna –viva, sana e salva- che riderà di questo scherzo idiota e ti dirà che è stato un piano geniale.

La donna compose il codice segreto con le dita tremanti sulla tastiera numerica posta di fianco alla porta, che si aprì con un lieve sibilìo.

Lee conosceva quella stanza. Era il laboratorio personale di Bosconovitch. Tra quelle quattro mura erano state tenute criogenicamente congelate per vent’anni, era stato il loro limbo, la loro casa. La temperatura di quel laboratorio rasentava lo zero come allora, con la differenza delle pareti spoglie dai fogli di calcoli dello scienziato e dai suoi macchinari per gli esperimenti.

Vi era solo il tavolo d’acciaio e qualcosa, coperto da un lenzuolo bianco, vi era appoggiato sopra, mentre un uomo in camice bianco compilava un foglio appoggiato alla parete.

“Miss Williams.” Salutò con voce grave, accennando ad un lieve inchino, scuro in volto. Appoggiò il foglio e la matita sull’unica sedia presente nella sala, indossando un paio di guanti di lattice, per poi avvicinarsi al tavolo.

Lee si accorse di trattenere il respiro e di sentire dolorosamente i battiti del proprio cuore.

L’uomo alzò appena il lenzuolo, piegandolo sotto il livido collo da cigno, sfregiato da solchi di artigli.

Lee sentì le gambe tremare, mentre si premeva la mano sulla bocca, ipnotizzato da quello che aveva davanti agli occhi.

La sua pelle – la stessa che si arrossava nei momenti di passione, era dello stesso colore del lenzuolo. Gli occhi chiusi, senza nessuna traccia di trucco.

I capelli erano bagnati e tirati indietro, lasciando il volto scoperto.  Le labbra – delineate dal rossetto che rimaneva sul bordo del bicchiere, avevano assunto un colore azzurrognolo.

E poi il collo, così deturpato.

 

“Avevamo appuntamento per questa sera. Dovevo fornirle documenti falsi per scappare all’estero” spiegò la donna. “Ma non si è presentata. Il suo cellulare era spento, ma sono riuscita a rintracciare il segnale.” La voce di Nina stentava a restare ferma. “L’ho trovata sulla riva del fiume, avvolta in un cellophan.” Deglutì con fatica. “Aveva ancora il cellulare con sé. È stato fatto apposta per farla ritrovare” Nina alzò un lembo del tessuto, facendo scivolare una mano della sorella fuori. La alzò, mostrandola a Lee. Le unghie erano spezzate e un dito sembrava storto. “Si è difesa” spiegò Nina. “Nonostante sapesse che contro Kazuya non ci sarebbe stato nulla da fare, Anna si è difesa.”

 

Anna che rideva sguaiatamente.

Anna che si leccava le labbra, facendole schioccare bramosa.

Anna che sorrideva ammiccante.

Anna che faceva grandi progetti per i suoi viaggi.

Anna nei suoi abiti firmati ed eccentrici, provocanti.

Anna che scivolava tra le sue braccia, lo avvolgeva e lo baciava come se lui potesse donarle linfa vitale.

Anna che urlava il suo nome e lo graffiava.

Anna che sorrideva beata, appoggiando la testa sul suo petto ansante.

Anna che dormiva, l’espressione sfinita ed abbandonata.

Anna che si ritoccava il trucco nervosamente.

Anna con gli occhi lucidi che ricordava di quando l’aveva sorpreso con la sua segretaria.

Anna che si guardava allo specchio, non completamente soddisfatta del suo aspetto.

Anna e le sue tre sottili cicatrici sul polso destro. E la sua risposta vaga quando le aveva domandato come se le fosse procurata.

Anna e la sua inquietudine. Quando aveva ammesso, aprendo uno spiraglio su di sé, di non ricordare l’ultima volta che si era sentita serena.

Anna piena di rabbia repressa, di frustrazione e di amarezza. Che agiva guidata dall’istinto di vendetta, dall’impulso irrazionale di rivalsa. Per cercare una vittoria che sentiva di meritare.

Anna che aveva combattuto fino alla morte, sino a spezzarsi le dita, per sopravvivere.

Per tornare da lui.

Ed infine, a ribadire il concetto di quanto la vita fosse amara e crudele, Anna stesa sul tavolo di quell’obitorio improvvisato.

Nina varcò stancamente la soglia del locale, notando che l’uomo era già seduto al bancone, due bicchieri pieni davanti a sé

 

Nina varcò stancamente la soglia del locale, notando che l’uomo era già seduto al bancone, due bicchieri pieni davanti a sé. Riuscì solo a provare un po’ di sorpresa nel vederlo, ma nessun’altra sensazione, né di gioia né di fastidio.

Si sedette sullo sgabello a suo fianco senza guardarlo, senza dire nulla. Lui fece scivolare uno dei bicchieri sul bancone verso di lei, che lo prese distrattamente tra le dita. Guardò il liquido chiaro tra i ghiaccioli, li fece tentennare. “Sai già quello che è successo?”

Con la coda dell’occhio lo vide annuire e bere un sorso. Si era voltato appena verso di lei, forse per studiarne le reazioni.

“Lo immaginavo. Non scappa nulla a voi russi.” Giocherellò ancora con il bicchiere, sospirando. “Hai fratelli o sorelle?”

Questa volta l’uomo scosse la testa.

“Io l’ho odiata per tutta la vita. O, almeno, credo di averlo fatto. Ora non lo so più.” Si gettò il contenuto del bicchiere in bocca, con il risultato che gli occhi le pizzicarono non appena la gola percepì il bruciore del liquore. Si appoggiò il bicchiere alla testa, come se dovessere rinfrescarsi le idee, strizzando gli occhi. “Non so cosa provare nè cosa pensare.” Appoggiò il bicchiere al bancone, alzandosi. “Offri tu?” domandò, aggiustandosi la giacca, facendo per uscire dalla porta.

Sentì le dita dell’uomo chiudersi sul suo polso, decise ma non strette. Finì anche lui il suo bicchiere, gettò un paio di banconote sul tavolo e poi si alzò, guardandola.

“Vuoi venire con me?” domandò la donna con uno accenno di sarcasmo nella voce. “Non so se sarò di grande compagnia questa notte, Sergei.”

Lui alzò una spalla, quasi noncurante. Fece scivolare la mano dal polso alle sue spalle, ed uscirono insieme dal locale.

 

 

Per il tuo ultimo viaggio ti abbiamo vestito con il qipao rosso che adoravi.

Ti donava incredibilmente anche in quel momento, sembravi la Bella Addormentata, mentre ti dicevamo addio, mentre ti baciavo per l’ultima volta, quasi sperando che sbattessi le ciglia e ti svegliassi.

La rabbia che provavo mentre chiudevano il coperchio della bara non è descrivibile.

Io e Nina abbiamo pensato che avresti preferito essere cremata. Una sola vampata –rossa, il tuo colore preferito – per poterti poi librare nell’aria.

No, non avresti sopportato essere mangiata dai vermi.

Ma ora sei sul mare, sei nel vento. Potrai viaggiare liberamente, visitare tutti i luoghi esotici che ti mancavano all’appello. Un po’ ti invidio sai?

Quante poche cose sapevo di te, che sorpresa trovare tra la tua roba tanti piccoli cimeli dell’Irlanda. Ne è rimasta impressionata anche Nina. Non avremmo mai pensato facessi la collezione di gadgets che raffiguravano trifogli.

 

Ho lasciato che la rabbia sorda mi consumasse per giorni, affogando i sensi di colpa e la tua mancanza nel vino rosso che amavi così tanto.

Poi ho chiamato Lars. E gli ho chiesto un favore.

Non sono abbastanza forte da poter sconfiggere un demone da solo, ma che io sia dannato se non accadrà, il colpo di grazia a Kazuya lo darò io stesso.

 

Bene, tutti a tagliarsi le vene, presto!!!!!

 

Era da un po’ di tempo che volevo scrivere una Ff con il BAD ENDING. Il mio sadismo esigeva questo piccolo tributo.

Ok, ok. Lungi dall’essere un capolavoro, pazienza.

Grazie intanto a Miss Trent (sono tutt’ora schockata dalla scoperta di tu-sai-cosa) AngelTexasRanger, (troppo buona nei miei confronti.), LiliRochefort (mi inchino profondamente commossa dalle tue parole) e Nefari (che ora mi detesterà per aver fatto fuori Anna, ma tant’è)

PS: la canzone in apertura è Wish you were Here dei Pink Floyd.

 

Grazie, Grazie, Grazie, Grazie, Grazie!!!!!

EC

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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