L'illusione di Babu 17 (/viewuser.php?uid=77602)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Abbandono ***
Capitolo 2: *** 2. Mamma ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. Sorpresa ***
Capitolo 5: *** 5. Compagnia ***
Capitolo 6: *** 6. Guardia del corpo ***
Capitolo 7: *** 7. Mancanza ***
Capitolo 8: *** 8. Desiderio ***
Capitolo 9: *** 9. Gelosia ***
Capitolo 10: *** 10. Coma ***
Capitolo 11: *** 11. Contatto ***
Capitolo 12: *** 11. Contatto ***
Capitolo 1 *** 1. Abbandono ***
Salve
Salve
a tutti i lettori. Eccovi una nuova storia direttamente dalle mie
manine sante =). Spero ardentemente che vi piaccia tanto quanto vi
è
piaciuta l'altra mia storia: “Mi appartieni. Ti
appartengo”
(ancora in pubblicazione).
Recensite
in tanti. Voglio proprio sapere che cosa ne pensate.
Bacioni.
Buone
feste.
Babù.
1.
Abbandono
-Mike!
Ti prego! Non andartene!-, urlai in preda alla disperazione, -Non
lasciarmi! Io ti amo!-. Cercai di afferrargli un braccio: dovevo
fermarlo. Dovevo costringerlo ad ascoltarmi.
Con
un movimento secco scostò la mia mano.
Chiuse
gli occhi e sospirò: -Helena, smettila di comportarti come
una
bambina. Lo sapevamo che sarebbe finita così: non siamo
fatti per
stare insieme. Siamo...troppo diversi, ci faremmo solamente del male.
Era da un po' che cercavo il coraggio per dirtelo-.
-Ti
prego...cambierò...-, cercai di dire tra i singhiozzi.
-Non
sei tu il problema...sono io...-. Abbassai lo sguardo. Certo, sempre
la solita storia: caricati la colpa, tanto per alleggerirmi la
sofferenza.
-Se
sei tu il problema allora perché mi stai lasciando tu? Non
dovrei
farlo io?-, chiesi in preda ad una mezza crisi isterica.
-Io...non
so che cosa dirti Lena, non voglio più stare con
te...fattene una
ragione!-. Sbatté la porta d'ingresso ed uscì
dalla mia vita.
Mi
inginocchiai. Piansi, piansi forte per scaricare tutto quel dolore
che si era accumulato nel mio cuore. Era incredibile che un organo
così piccolo potesse contenere tutto quel sentimento.
Non
era possibile! Era successo di nuovo! Perché tutti i ragazzi
che
amavo non facevano altro che scoparmi per qualche mese, illudermi e
poi abbandonarmi come un giocattolo vecchio?
Possibile
che non esistesse un solo uomo di cui fidarsi in tutto il mondo?
Qualcosa
mi disse che era possibile, molto probabile.
Anche
Mike, che mi era sembrato un così caro ragazzo fin dal
principio, mi
aveva mollata come una cicca di sigaretta e mi aveva schiacciata con
la solita solfa: “Non sei tu. Sono io!”. Fottiti
stronzo!
Era successo di nuovo, maledizione. Che cosa avevo che non andava?
Perché i ragazzi adoravano fuggire da me? Avevo la peste? La
malaria? L'AIDS!?
Avevo
mal di testa; era come se un omino piccolo, piccolo con un piccone
stesse colpendo violentemente il mio cranio. Tump,
tump,
tump, tump, andando
avanti di
questo passo presto si sarebbe aperto un varco e sarebbe uscito
all'aria aperta.
Chiusi
gli occhi. Mi stesi per terra e continuai a piangere fino a che tutto
intorno a me divenne buio.
Mi
addormentai.
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Capitolo 2 *** 2. Mamma ***
Salve
a tutti! Ho deciso di postare già il secondo capitolo e di
aspettare
i vostri commenti e le vostre opinioni. Spero davvero che vi piaccia.
Fatemi
sapere che cosa ne pensate.
Bacioni.
Babù.
2.
Mamma
Qualcosa
mi sfiorò la guancia. Era qualcosa di fresco, profumato,
pulito. Mi
infondeva tanta sicurezza. Cos'era? Un animale no di certo, io non
avevo animali domestici; mi avrebbero portato via troppo tempo.
Volevo aprire gli occhi. Solo che non ci riuscivo, come se una forza
sconosciuta mi costringesse a tenerli chiusi.
Mi
sforzai.
Schiusi
piano gli occhi ed una luce accecante mi stordì.
Li
richiusi nuovamente e li strofinai con forza, forse ero diventata
cieca.
Provai
di nuovo ad aprirli, ma la luce si era offuscata. Stava sparendo.
Guardai con attenzione e, nel bianco puro della luminescenza, vidi un
volto. So che sembra assurdo: ma ho visto davvero un volto!
Stavo
di certo impazzendo. Dopo la quinta volta che ti mollavano senza
motivo dopo averti usata era normale avere dei piccoli disturbi
mentali.
La
serratura della porta scattò e lo stipite mi
colpì dritto in testa.
-Ahia!-, dissi massaggiandomi il bernoccolo.
-Che
diavolo ci fai per terra davanti alla porta?-, chiese una voce
familiare.
-Niente
mamma, cercavo una cosa-.
-Per
terra?-.
-Si!-.
-L'ho
sempre detto che non sei tutta normale! Mah!-, disse andando in
cucina. Quando si voltò le feci la linguaccia: odiosa
vecchiaccia! Te lo faccio vedere io se non sono normale!
Mi alzai da terra ed andai in camera mia. Ora, oltre ad essere
depressa ero anche arrabbiata nera, maledetta!
Odiavo
mia madre: era tutto ciò che non avrei mai
voluto essere in tutta la mia vita. Anche se era bella, aitante,
carismatica...mi facevano schifo tutte le sue qualità. La
trovavo
sgradevole come la puzza di pesce marcio.
Ero
stata costretta ad andare a vivere con lei ad Amburgo quando mio
padre era impazzito. Io e papà non avevamo più
nessuno, solo noi
due. Con lui io stavo bene, riuscivamo a capirci, in qualche strano
modo. Poi era successo il fattaccio: aveva avuto un incidente
automobilistico che l'aveva paralizzato; i primi tempi era sembrato
che si ristabilisse, poi era impazzito, aveva cercato di aggredire me
e la sua infermiera e l'avevano rinchiuso in manicomio. Crisi
isteriche frequenti. Perdite di memoria. Le ferite che peggioravano.
Entrò
in coma e morì entro un anno. Ed io fui portata qui di peso.
Odiavo
quel posto come odiavo quella donnaccia che mi aveva abbandonata
prima che compissi il primo anno di età.
Non
la sopportavo. Non sopportavo il suo comportamento da santa quando,
invece, era la prima che la regalava a tutti quelli che le passavano
a tiro.
Era
saccente, antipatica, scontrosa, falsa e rompi palle. Insomma, non
saremmo mai potute andare d'accordo, nemmeno se ci fossimo impegnate.
Lei
odiava me e mi riteneva un peso. Io odiavo lei a la ritenevo una
vacca.
Convivenza
civile.
Mi
gettai sul letto e sospirai. Maledetti tutti!
Stronzi! Che
mondo del cavolo!
Incredibile
come una giornata che sarebbe dovuta essere perfetta diventi
così
orribile. Mi rannicchiai in un angolo e scoppiai di nuovo a piangere:
-Maledetto Mike e le sue stupide scuse!-.
Di
nuovo sentii quella sensazione di carezza sul volto.
Quella
freschezza.
Quel
sentimento.
Aprii
gli occhi. Per un attimo vidi dei lineamenti, poi tutto scomparve.
Che diavolo mi stava succedendo?
Il
cellulare squillò. Era un sms della mia amica Katya; avevamo
legato
subito Katya ed io, era una ragazza simpatica e piena di vita. Stava
sempre appiccicata a me facendomi ridere in continuazione: era una
tale scema. Però era dolce e da ben due anni
(cioè da quando mi ero
trasferita) era l'unica che mi avesse accettata per quello che ero e
non si fosse mai lamentata di tutto ciò che combinavo, o per
cosa mi
lamentavo.
“Com'è
andata con Mike? Sesso sfrenato?”,
risi.
“Mi
ha lasciata”,
scrissi ed
accesi una sigaretta.
“Cosa!?
Oddio tesoro come stai? Tutto bene? Vuoi che venga lì?”.
Mi
sembrava di vederla: tutta preoccupata che aspettava una mia
risposta. “No, tranquilla...me la cavo”.
“Preferisci
andarlo a picchiare domani?”.
“Ci
penso poi ti dico. A domani. Byebye”.
Era
carina come idea, di certo avrei picchiato duro e mi sarei divertita.
Adesso avevo solo voglia di piangere.
Il
letto era comodo, troppo comodo. Stavo per riaddormentarmi quando
qualcuno si schiarì la voce.
Aprii
gli occhi e saltai a sedere. Chi c'era?
Mi
guardai attorno e spalancai la bocca: non era possibile.
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Capitolo 3 *** 3. ***
Ho
deciso di pubblicare
un nuovo capitolo sperando che vi piaccia tanto quanto i precedenti.
Ammetto che è una storia un po' strana, particolare, ma mi
è
piaciuto moltissimo scriverla. Mi sono divertita.
Rispecchia
un po' tutto
quello che provano le fan quando sognano.
Sono
contenta di come sia
uscita e spero vivamente che leggerete e recensirete anche questo
capitolo.
Grazie
per il
sostentamento che mi date.
Baci.
Babù.
3.
“Sto davvero
impazzendo”
Ok,
nella mia testa c'era davvero qualcosa che non andava. Com'era
possibile altrimenti che proprio lui
fosse davanti ai miei occhi in quel momento? No, no, c'era qualcosa
che non tornava.
-Perché
fai quella
faccia?-, chiese la figura longilinea di fronte ai miei occhi.
Oddio:
parlava anche.
Basta
alcool. Guardai le
sigarette sul comodino. Presi il pacchetto e lo lanciai contro il
muro. Basta fumo.
-Ti
senti bene?-.
Sarcastico, il ragazzo mi guardava curioso con il sopracciglio destro
inarcato.
Era...buffo,
che proprio lui fosse
nella mia camera. Buffo che, tra tutti i ragazzi al mondo, proprio
lui
la mia mente
avesse scelto di farmi vedere. Chiusi gli occhi e li riaprii; era
ancora li.
Mugolai
frustrata.
Rise.
-Non
credi che sia
reale?-, chiese sorridendo.
-E'
una domanda stupida,
credi davvero che io sia così scema da credere che tu sia
vero? Oh,
ma andiamo!-. La mia voce risuonò un po' isterica, colpa
delle
troppe emozioni accumulate quel giorno.
-Io
sono reale-.
-Non
prendermi in giro-.
-Sono
reale perché tu
vuoi che io sia reale-.
Spalancai
gli occhi: -Io?
Io vorrei che un sacco di cose divenissero reali, ma proprio
tu...bah, ho i miei dubbi-.
Continuò
a sorridere
nonostante la mia scortesia, -Eppure, qualche anno fa non desideravi
altro che incontrarmi. Ricordi?-.
Era
passato così tanto
tempo. Quattro anni. Quattro lunghi anni. -Lo desideravo quando avevo
quattordici anni, adesso sono grande e non ho più sogni in
cui
credere-.
Divenne
triste, -E'
sbagliato rinunciare ai propri sogni, sai?-.
-Se
lo dici tu-.
-Io
ho sempre ragione,
Helena, ricordi? Lo dicevi sempre-.
Gli
lanciai un cuscino.
-Lasciami in pace! Visione dei miei stivali!-.
Mi
gettai sul letto ed affondai la faccia nel materasso. Desiderai che
sparisse, lo desiderai con tutta l'anima. Sto
diventando
pazza, mamma ha ragione a dire che non sono normale! Guarda che
cavolate che immagino!
-Helena?-, mi chiamò melliflua la sua voce, -Helena
perché ti
nascondi?-.
-Lasciami
stare!-.
Rise
di nuovo. Si sedette
sul letto e si avvicinò piano al mio orecchio: -Ricordi che
cosa
sognavi qualche tempo fa?-. Percepii delle note maliziose nella sua
voce, -Rammenti ancora tutte quelle belle cose che avevi immaginato
di fare con me?-.
Il
sangue mi salì
velocemente al cervello ed arrossii come un pomodoro. Alzai la testa
di colpo e mi ritrovai a pochi centimetri dal suo viso. La visione si
stava avvicinando, piano. Le nostre labbra erano quasi a contatto.
La
porta si aprì di
scatto. -Helena è da tre ore che ti chiamo!-,
urlò mia madre
entrando in camera, -Muoviti o la cena si raffredderà-. Si
fermò a
guardare la mia posizione sul letto. -Non stai scomoda?-, chiese
innocentemente. Annuii. Sospirò: -L'ho sempre detto che sei
proprio
strana...comunque la cena è in tavola, io esco, ci vediamo
domani
mattina-.
-Non
torni a casa?-.
-Si,
ma molto
tardi...quindi immagino che dormirai, visto che domani hai scuola-.
-Ok,
ciao mamma-.
-Ciao-.
Si chiuse la
porta alle spalle.
Mi
lasciai cadere sul
letto.
Bill
era sparito.
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Capitolo 4 *** 4. Sorpresa ***
Rieccomi
con un nuovo
capitolo. Sono contenta che vi sia piaciuto e soddisfatta di tutte le
recensioni. Grazie infinite per i mille complimenti e per aver avuto
voglia di continuare a leggere la mia storia.
Un
bacio ed un abbraccio
enorme.
Babù.
Grazie
di cuore.
4.
Sorpresa
Andai
in cucina. Il mio piatto era pieno di una sostanza giallognola che
somigliava a degli spaghetti, mi avvicinai sospettosa. Disgustoso.
Nemmeno il suo odore mi ricordava della pasta. Presi il piatto e lo
rivoltai dentro la spazzatura. Che schifo, mamma non era mai stata
brava a cucinare.
Presi
un paio di uova dal
frigo e mi feci una grossa e succulenta frittata: avevo proprio
bisogno di calorie. Avevo le allucinazioni, mangiare mi sembrava una
soluzione più che decente per mandarle via.
Mentre
le uova
soffriggevano in padella andai a riempirmi un bicchiere di latte
fresco, anche quello mi avrebbe aiutata a tirarmi su di morale e
anche ti testa. Ne bevvi un sorso e spensi il gas. Il profumo
dell'omelette aveva invaso la cucina.
-Mmmmh,
che fame!-, mi
voltai verso la porta della cucina e trattenni un grido.
-Che
cazzo ci fai qui?-.
Urlai sconvolta.
Scoppiò
a ridere e si
sedette su una delle sedie a sua disposizione, -Sono tornato per
vederti-.
-Che
pensiero gentile-.
-Posso
averne un po'
anche io?-, chiese indicandomi la padella.
Sgranai
gli occhi: -Sei
un'illusione, tu non mangi!-.
-E'
colpa tua se mi
comporto in maniera così reale-.
Inarcai
un sopracciglio,
-Non scaricare la colpa su di me, non c'entro niente se tu hai deciso
di comparire per rompermi violentemente le scatole!-. Mi sedetti di
fronte a lui ed iniziai a mangiare. Appoggiò il viso ad una
mano e
restò ad osservarmi.
-Smettila
di guardarmi a
quel modo, mi da fastidio-. Sbottai quando fui costretta ad alzarmi
per prendere un altro bicchiere di latte dal frigo.
-Perché
mi tratti in
questo modo? Qualche tempo fa saresti stata contenta di vedermi
entrare nella tua cucina...-, fece scivolare due dita sulla
superficie del tavolo, -...ricordi ancora il sogno che avevi fatto
riguardo me, te ed il tavolo della cucina di tuo padre?-.
Avevo
l'assurda
tentazione di lanciargli il cartone del latte, -Ma vuoi startene
zitto?! Che diavolo ne sai di quello che sognavo quando ero una
bambina?-.
Si
alzò, si avvicinò e
mi sorrise cingendomi i fianchi con un braccio: -Ricordati che vengo
da qua dentro-, disse indicandomi la mia testa. -Io so tutto di te,
forse anche più di quello che tu stessa sai-.
Avvicinò
le sue labbra
alle mie e le sfiorò. Rabbrividì. Tentai di
scansarlo, ma le mie
mani affondarono nel suo petto senza toccarlo, era come se fosse
fatto d'aria. Rise: -Smettila di rifiutarmi, lo sai bene che mi vuoi
qui, al tuo fianco...mi vuoi. Ammettilo. Ammettilo a te stessa-.
Scossi
la testa.
-Perché
sarei qui
altrimenti?-.
Le
sue labbra premettero
sulle mie, con forza impercettibile.
Arrossii
nuovamente.
Rimasi immobile a riflettere su quello che aveva appena detto: aveva
ragione? Volevo davvero che lui restasse li accanto a me?
Nella
mia testa qualcosa urlò: si!
Lasciai
cadere il
bicchiere vuoto che si ruppe in mille pezzi e risposi a quel bacio
fasullo, quel bacio che mi faceva stare bene, tanto bene, troppo
bene. Portai le mie braccia dietro il suo collo ed aprii piano la
bocca.
All'improvviso
non sentii
più nulla sotto le mie dita.
Era
scomparso.
Chiusi
gli occhi e mi
sforzai di non piangere: mi ero illusa di nuovo e questa volta
proprio della persona più sbagliata del mondo.
Presi
la scopa e la
paletta ed incominciai a raccogliere i cocci del bicchiere.
Qualche
anno fa non avrei
desiderato altro che ritrovarmi a letto con il ragazzo più
corteggiato del momento: Bill Kaulitz. E adesso guarda che cosa mi
combinava la mia mente! Stavo impazzendo davvero, come se non
bastassero i ragazzi bastardi, un padre morto ed una madre puttana a
farmi sclerare più del dovuto.
Vaffanculo!
Non era giusto che fossi costretta a soffrire in quel modo. Che
cervello stupido che mi ero ritrovata. Che vita
di merda.
Perché?
Perché tra tutte le persone che potevo immaginarmi...proprio
lui?
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Capitolo 5 *** 5. Compagnia ***
Chiedo
umilmente scusa se
non sono riuscita a postare prima di oggi! Ho avuto dei seri problemi
di connessione, ma l'importante è che oggi pubblichi,
finalmente, il
capitolo successivo.
Chiedo
ancora scusa e
ringrazio tutti coloro che leggono e recensiscono la mia storia.
Baci
e sentiti auguri di
buone feste.
Babù.
5.
Compagnia
Avevo
bisogno di una
doccia. L'acqua calda mi avrebbe aiutata a riprendermi dalla brutta
giornata. Tra Mike, mia madre, Katya e le visioni avrei avuto bisogno
di una bella visita da uno psicanalista; ero convinta che nel mio
cervello ci fosse qualche cosa che non andava, se devo essere sincera
l'avevo sempre saputo di non essere normale. Ma arrivare ad
immaginare un cantante tedesco che tenta di sedurmi...era esagerato!
Mi
spogliai e lasciai che
il getto bollente rilassasse i muscoli tesi. Il rumore dell'acqua mi
liberava la mente, era meglio che non pensassi a niente o avrei
rischiato una bella crisi isterica.
Sentii
un rumore dietro
di me. Pensai che fosse uno scricchiolio di qualche mobile.
Poi
un tocco freddo
sfiorò la mia schiena.
Mi
girai e gridai.
Bill
rise.
-Accidenti!
Che cazzo
fai?-. Lo guardai: era nella doccia con me ed era nudo; la cosa non
mi piaceva affatto. Proprio no, non mi piaceva.
-Avevo
pensato che
sarebbe stato carino farti compagnia-. D'istinto cercai di coprire il
mio corpo con le mani.
-Non
mi va la tua
compagnia! Non adesso soprattutto! Ti pare che io sia in vena?-.
Mi
accarezzò la guancia
con due dita: -Prima eri in vena di baciarmi-.
Scostai
la sua mano, -Non
mi va. Stupida illusione! Levati e lasciami spazio!-. Lo spinsi fuori
dalla doccia. Sorrise.
-Come
sei prepotente-. Si
appoggiò al muro e stette a guardarmi fino a che non uscii
dal box e
non mi arrotolai in un asciugamano.
Cercai
di non degnarlo di
uno sguardo. Mi chiusi la porta del bagno alle spalle e tornai in
camera mia. Entrai e sospirai: non ce la facevo già
più. Andai
verso il letto e, -E no! Ma non è possibile!-, vidi Bill
coricato a
pancia in giù con addosso solo i boxer.
-Levati,
avanti!-,
ordinai rabbiosa.
-Non
ci penso neanche!
Perché non ti corichi con me?-.
Alzai
gli occhi al cielo
e mi diressi verso la porta: -Vado a dormire sul divano-.
Bill
comparve
improvvisamente di fronte alla porta. Aveva gli occhi lucidi, -Ti
prego, non voglio che ti arrabbi-.
Il
mio cuore si sciolse,
-E...e va bene...-. Mi coricai vicino a lui e chiusi gli occhi.
Iniziò a giocare con i miei capelli. Sbuffai: -Potresti
almeno
lasciare che mi addormenti? Domani ho scuola, sai?-.
-Scusa-,
disse e rimase
fermo. Immobile.
Richiusi
gli occhi e
sperai di addormentarmi con facilità.
Mi
rigirai più volte.
Poi
Bill cominciò a
cantare.
Non
conoscevo quella
canzone.
Mi
addormentai. Non
sognai niente.
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Capitolo 6 *** 6. Guardia del corpo ***
Capitolo per EFP 6. Guardia del corpo.
Orbene!
=D Eccoci giunti
al sesto capitolo, ancora non riesco a crederci di essere
praticamente a metà della storia. E' emozionante!
Ordunque
(oggi mi
piacciono le parole ''antiche'' XD), spero, come sempre, che il nuovo
capitolo vi piaccia tanto quanto i precedenti. Non vedo l'ora di
leggere le recensioni (sperando che ce ne siano e che siano
esaurienti).
A
questo punto vi lascio
ad una piacevole lettura.
ByeBye.
See you later.
Bacioni.
Babù.
6.
Guardia del corpo
Mi
svegliai in ritardo. Merda!
Afferrai una brioches confezionata, la cartella, la sciarpa e la
giacca e corsi velocemente fuori di casa. Avevo programmato la
sveglia, solo che poi l'avevo spenta senza pensarci. Meno male che
Bill mi aveva svegliata...ma che diavolo penso?!
Mi stavo lasciando condizionare.
Arrivai
appena in tempo
per prendere l'ultimo autobus, mamma non mi dava ancora il permesso
per usare la macchina. Il pullman era pieno zeppo, mi sembrava di non
riuscire neppure a respirare. Salutai due o tre facce che conoscevo e
mi isolai nel mio mondo grazie alle cuffie e all'i.pod.
-Come
stai stamattina?-,
chiese una voce suadente al mio orecchio.
Mi
voltai verso Bill.
Avevo la tentazione di rispondergli di andarsene a quel paese, ma non
mi conveniva: mi avrebbero sentita troppe persone. Feci finta che non
avesse detto niente.
-Che
fai? Mi ignori?-,
rise tra se, -Che bambina cattiva-.
Riprese
a giocare con i miei capelli ed io arrossii. Avevo tanta voglia di
urlargli: Bill smettila!
Finalmente
il bus si
fermò ed io scesi a pochi passi dalla mia scuola. Sospirai
e, quando
un po' di gente si allontanò dalla fermata, mi voltai verso
la
visione con noncuranza e sussurrai: -Non seguirmi!-.
Scoppiò
a ridere, -Non
sono io che voglio seguirti, sei tu che vuoi che io ti segua-.
-Piantala
con questa
storia! Io non voglio nulla del genere!-.
-Dillo
al tuo cuore...-,
disse indicandomi il petto, -Non sono io che decido, ma tu, ricordalo
bene-.
Alzai
le braccia al cielo
e cominciai a camminare, in fretta. Sarei arrivata in ritardo. Bill
teneva il mio passo senza sforzo: -Dove stiamo andando?-, chiese
canticchiando la canzone che aveva usato per farmi addormentare.
-A
scuola! Sai, io non
sono come te, io faccio qualche cosa nella vita!-.
-Siamo
scontrosi
stamattina eh?-.
-Stai
un po' zitto!-.
Rise. Ma che diavolo ci trovava da ridere sempre!
Il
cancello era vicino.
Avevo paura di andare a scuola con Bill, che cosa sarebbe successo se
non mi fossi trattenuta e gli avessi urlato contro di sparire?
Non volevo nemmeno pensarci. Sarebbe stata la fine della mia vita in
quel dannato postaccio.
Lanciai
un'occhiata al
ragazzo vicino a me: -Bill, tu devi assolutamente aspettarmi qui.
Ok?-.
Lui
annuì, sorrise e mi
diede un bacio sulla guancia.
Alzai
gli occhi al cielo:
-E piantala con queste avance!-.
Mi
voltai e rimasi di
ghiaccio, Katya era lì, a pochi passi. Aveva sentito tutto?
-Con
chi parlavi?-,
chiese innocente.
-Parlottavo
tra me e me-
alzai una mano in segno di saluto. Pregai che ci credesse.
Katya
scoppiò a ridere e
mi prese per mano, -Vieni va, pazzoide!-. Mentre mi trascinava per il
cortile della scuola mi voltai un paio di volte per essere sicura che
non si muovesse dal cancello. Difatti era lì. Immobile.
Fermo.
Statico. Così irreale da sembrare quasi vero. Socchiusi gli
occhi;
meglio non pensarci troppo mi sarei data solo false speranze.
-Che
cosa guardi? C'è
qualche ragazzo carino?-, chiese Katya con quella sua espressione
così solare.
-Niente-.
Mentii.
Infilai
la mano nella
tasca della giacca, dov'erano le sigarette?
Accidenti
le avevo
scordate!
-Katya
hai una sigaretta
da prestarmi?-.
Sorrise
dolce: -Certo! Ma
domani me ne riporti due!-.
-Strozzina-,
aspirai una
boccata di fumo. Relax.
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Capitolo 7 *** 7. Mancanza ***
Ecco
a voi, miei cari
lettori, un nuovo capitolo direttamente dalle mie manine sante XD.
Spero vivamente che vi piaccia e che lo recensirete con
sincerità
brutale (quindi niente commenti sdolcinati e spudorati XD. Scherzo!).
Vi
ringrazio tutti per i
complimenti e gli incoraggiamenti.
Grazie.
Bacioni.
A
presto.
Babù.
7.
Mancanza
-A
domani! Ciao!-.
Salutai con la mano la mia amica e sorrisi guardando il suo visetto
felice. Era così dolce. Così tenera. Sarebbe
piaciuta anche a papà,
di certo. Lui adorava le amiche che mi trattavano come una persona
normale e non come una fuori di testa.
Attraversai
veloce il
cortile e mi avvicinai piano al cancello, pronta per trovarmelo
davanti. Svoltai l'angolo e...lui non c'era. Che fine aveva fatto?
Dov'era andato? Perché non mi aveva aspettata? In fondo era
solamente un'illusione, non gli sarebbe costato niente comparire di
fronte a me come per magia.
Invece
non c'era.
La
tristezza mi avvolse.
Ero
stata abbandonata
anche da un'allucinazione.
Una
lacrima rigò il mio
viso. Presi l'autobus e tornai a casa, non volevo pensare.
Mamma
era andata a
lavorare presto, non c'era nessuno. Sola. Ogni adolescente ne sarebbe
stato contento, ma io, io ero da troppo tempo sola
ed
incominciava a farmi male tutto quell'opprimente silenzio.
Chiusi
gli occhi e mi
gettai sul divano. Che cosa diavolo ci facevo ancora qui? Per quale
assurdo motivo stavo ancora vivendo?
Mi
scompigliai i capelli
-Merda!-.
Il
silenzio in casa era
troppo spesso, avevo bisogno di rumore, di casino. Di vita.
Accesi
lo stereo ed
infilai uno dei miei cd, uno di quelli che “risvegliavano i
morti”
come diceva mamma. Era forte, era potente. La musica entrò
nelle mie
vene e si espanse come una macchia d'olio.
Dentro
di me sentivo uno
strano vuoto.
Ero
triste.
Giù
di corda.
Senza
fare niente.
Poi
una voglia mi
costrinse a muovermi: corsi in camera, aprii l'armadio e presi una
grossa scatola verde. Tornai in salotto e ne tirai fuori il
contenuto. Riviste, posters, cd, dvd, disegni, scritte, lettere, fan
fiction; tutta la mia vita da quattordicenne malata di
“tokiohotellite” era
lì, nelle mie mani. Sogni nel
cassetto. Desideri per il futuro. Lacrime versate quando mi ero resa
conto che non avevo alcuna speranza, nessuna.
La
rabbia prese possesso
di me e gettai la scatola per terra spargendone in giro il contenuto.
Maledetti
loro e le loro canzoni.
Maledetto
questo mondo che non mi ha dato nemmeno una possibilità.
Vaffanculo.
Accesi
una sigaretta,
aspirai il fumo e lo feci penetrare nei polmoni. Chiusi gli occhi.
Non volevo pensare a niente.
Soprattutto
non volevo
pensare a Bill, quella stupida visione che mi aveva fatta impazzire
per tutto il tempo, che mi era stata appiccicata come una sanguisuga
e che, adesso, mi aveva lasciata sola. Immersa nella solitudine.
Sola.
Spensi
lo stereo. Tornai
nella mia stanza, mi gettai sul letto e sospirai.
Io
non pensavo di volerlo
davvero al mio fianco, eppure adesso mancava. Mancava come se fosse
stato normale che mi stesse accanto.
Chiusi
gli occhi.
Poi
un rumore arrivò dal
salotto. Forse era la mamma che rientrava a casa.
No,
era un suono diverso.
Musica? Ma avevo spento lo stereo. Da dove arrivava?
La
risposta mi attraversò
il cervello: la tv. Eppure non l'avevo accesa. C'era qualcuno in
casa?
Mi
alzai dal letto e
corsi in sala.
Sorrisi.
Era lì.
Stravaccato
in mutande
sul mio divano. Gli saltai al collo e lo
abbracciai. -Sono
così contenta di rivederti!-.
Ed
il vuoto dentro di me
si colmò.
Mi
strinse al suo petto,
-Credevo che non volessi più vedermi!-, dissi scoppiando a
piangere.
Restai
accoccolata contro
di lui per ore. Piansi, mi disperai, urlai; ero così stanca.
Stavo
soffrendo e l'unica cosa che mi rendeva serena era
quell'allucinazione. Così dolce. Così reale. Era
caldo, parlava,
sorrideva, profumava...tutto mi faceva credere che fosse vero, vivo.
Avevo
paura di confondere
realtà ed immaginazione.
-Devo
dedurre che ti sono
mancato?-, chiese dopo qualche ora.
Annuii.
Le lacrime non si
fermavano.
-Bene,
ho dimostrato il
fatto che vuoi davvero che io ti rimanga affianco- sussurrò
al mio
orecchio.
-Perché?-.
-Cosa?-.
-Perché
non sei reale?-,
dissi tra un singhiozzo e l'altro.
Non
rispose, restò in
silenzio. Ad abbracciarmi.
|
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Capitolo 8 *** 8. Desiderio ***
Inizio
l'introduzione col
ringraziare tutti coloro che leggono la mia storia, soprattutto
Claudia che mi regala sempre recensioni splendide e complimenti
bellissimi. Grazie di cuore, a tutti.
Posto
un nuovo capitolo
sperando vivamente che vi piaccia.
Baci.
Babù.
8.
Desiderio
Quando
la porta
d'ingresso si aprì di colpo mi svegliai. Sbadigliai.
Dov'ero? Ah,
già, sul divano del salotto. Che ci facevo lì?
Ah, giusto, ero
abbracciata a Bill. Bill? Dove era finito per l'ennesima volta?
Accidenti a lui ed alle sue sparizioni improvvise.
-Helena?
Ci sei?-, disse mia madre entrando in casa.
-Si,
sono qua-.
-Dormivi?-.
-Si,
ero stanca-, provai
a giustificarmi.
-Capisco.
E che cos'è
tutto questo casino per terra?-. Guardai il pavimento della sala: era
ancora pieno di tutte quelle cose da quattordicenne. Erano sparse un
po' ovunque. -Metti a posto che fra poco arriveranno-.
-Chi
arriverà?-, chiesi
curiosa.
-Il
mio capo con suo
figlio! Non te lo ricordi?-.
Evidentemente
no.
-Ma
se te l'ho detto ieri
sera! A che cosa pensi sempre che non mi ascolti mai?-.
Di
certo non ai cazzi come te.
-Su,
avanti, sistema e
poi vatti a preparare...-.
Annuii.
Entrai in camera
e mi stesi sul letto a pancia in giù, accesi una sigaretta e
guardai
verso la scrivania dove era seduto Bill. -Perché sparisci
sempre
quando arriva mia madre?-.
-Perché
tu non vuoi che
lei mi veda-. Era logico.
-Puoi
rimanere se vuoi-,
dissi timida.
-Sei
tu che comandi,
basta che tu mi dica che mi vuoi sempre al tuo fianco ed io ci
sarò...-. Si voltò verso di me e sorrise: -Non
dovresti prepararti
per la grande cena?-.
-Non
ne ho tanta voglia-,
mi lamentai alzandomi in piedi. Aprii l'armadio e tirai fuori una
maglietta rossa ed un paio di pantacollant neri. -Che ne dici?-,
chiesi senza troppo interesse.
Si
alzò, frugò fra i
miei abiti e sorrise tirando fuori una maglietta verde lunga. -Io
preferisco questa-.
-Come
vuoi tu-.
Feci
per spogliarmi, poi
mi ricordai che non ero sola. -Ehm, potresti almeno girarti? So che
non sei vero, però mi mette ansia svestirmi di fronte a te-.
Obbedì.
-Non sbirciare
eh?-.
Rise.
-Ecco!
Come sto?-, gli
chiesi aprendo le braccia per farmi vedere meglio. Lui sorrise e mi
cinse la vita con le mani: -Sei splendida-. Avvicinò il suo
viso al
mio e mi baciò, fu un bacio delicato, come baciare l'aria.
-Helena!
Vieni che sono
arrivati gli ospiti!-. Sbuffai ed andai alla porta.
-Mi
aspetterai qui,
vero?-.
-Se
questo è il tuo
desiderio-.
-Si
lo è...sicuro che ci
sarai?-.
-Si-.
Uscii
dalla stanza, certa
che, tornando, l'avrei trovato al suo posto. Lì, dove doveva
stare.
|
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Capitolo 9 *** 9. Gelosia ***
Per
la gioia delle mie
dolcissime fan posterò il nuovo capitolo pregando che vi
piaccia
quanto è piaciuto a me. =) Vi mando degli enormi bacioni e
vi
ringrazio di tutto cuore per il vostro splendido sostentamento.
Ringrazio
nuovamente
Claudia per le sue recensioni che mi commuovono e mi rendono sempre
molto felice. Migliorano davvero la mia giornata.
Baci
a tutti.
A
presto.
Babù.
PS:
Grazie.
9.
Gelosia
Era
incredibile come gli
esseri umani che frequentava mia madre fossero così sciocchi
ed
inutili. Il suo capo, oltre ad essere uno schifoso maschilista rompi
palle, era anche grasso e brutto; non riuscivo a credere che mia
madre avesse una storia con quella specie di maiale ambulante.
Suo
figlio? Beh, il
figlio era bello oltre ogni dire; di certo non aveva preso dal padre.
Il vero problema era che se la tirava come un modello e non come il
segretario di una piccola azienda a conduzione familiare. Certo, era
carino, simpatico, gentile, un po' porco (visto tutti i doppi sensi
che faceva) e un buon partito, ma non era abbastanza per me.
Anzi,
lo trovavo odioso.
Antipatico. Schifoso. Orripilante.
Non
credo che lui
pensasse le stesse cose di me visto come mi guardava, compiaciuto e
malizioso.
Mi
faceva venire voglia
di vomitare.
Ascoltare
i suoi discorsi
meschini e volgari tutta la sera fu stressante. Dovetti anche
sorbirmi tutte le sue avance. Che schifo. E, come
se non
bastasse, mia madre lo incitava! Continuava a dire frasi come:
“ma
che bella coppia che sareste”; “quanto sei dolce e
simpatico”;
“hai visto com'è bella la mia ragazza?”.
Insomma, non stava
zitta neppure un minuto. Non che fosse mai stata zitta in vita sua.
Cercai
di non stare ad
ascoltare niente di tutto quello che dicevano.
Erano
così deludenti.
Al
termine della cena ci
accomodammo in salotto.
Il
ragazzo si venne a
sedere vicino a me: -Allora, come ti è sembrata la serata?-.
Provai
a non essere
troppo scortese, -Piacevole-.
Si
avvicinò al mio
orecchio -Se vuoi posso trovare un modo per renderla ancora
più
piacevole-.
Socchiusi
gli occhi e lo
fulminai: -Non credo proprio che sia il caso-. Mi alzai dal divano e
salutai gli ospiti. -Scusate ma sono stanca. Vado a dormire. Buona
notte-.
Corsi
fino alla mia
stanza e mi ci chiusi a chiave. Finalmente.
Mi voltai e, appena lo vidi, il cuore mi si riempì di
felicità.
Mentre mi coricavo sul letto gli feci segno di stendersi vicino a me.
Lo fece.
Passarono
lunghi minuti
in cui gli tenni la mano e respirai il suo profumo fresco.
Qualcuno
bussò alla mia
porta: -Helena?-.
-Dimmi
mamma!-.
-Io
accompagno il mio capo e suo figlio a casa...non aspettarmi alzata-.
Ci
avrei scommesso.
-Va
bene mamma. Ciao-.
Non
rispose al mio
saluto, tanto meglio. Guardai Bill negli occhi e stetti in ascolto:
dei passi, delle risate, la porta che si chiudeva, il cigolio della
chiave nella toppa. Tutti fuori? Si, c'era silenzio in casa:
perfetto. Non avrei potuto chiedere altro.
-Mi
spiace di averti
lasciato troppo solo-, dissi sorridendo.
-Non
fa niente-.
-Davvero?-.
-Si-.
Sembrava triste.
-C'è
qualcosa che non
va?-, chiesi preoccupata.
-Si-.
Il
mio cuore fece un
battito sordo: -Che cosa?-.
-Sono
arrabbiato-.
-Ho
fatto qualche cosa di
sbagliato?-.
-Sono
arrabbiato con quel
tipo, quel figlio di...-, strinse i pugni e digrignò i denti.
Risi.
-Che
ci trovi da
ridere?!-.
-Sei
geloso!-.
Arrossì,
-Ma figurati!-.
-Si
che lo sei!-, gridai
ridendo. Continuai a ripeterglielo mentre gli facevo il solletico. Si
dimenò un po' per poi bloccarmi mettendosi sopra di me. -No,
che non
sono geloso!-.
Alzai
un po' la testa e
gli morsicai il labbro inferiore: -Si, lo sei...-.
Bill
sgranò gli occhi e
mi fissò. Sorrisi. Non mi importava più se non
era reale: volevo
viverlo. Viverlo fino in fondo. Anche se era una follia, una pazzia
bella e buona. Volevo vivere quel sogno in cui avevo creduto per
tanto, troppo tempo.
-La
tua mente mi sta
chiedendo qualcosa di strano...-, disse sovrappensiero.
-Bill?-,
richiamai la sua
attenzione. Mi fissò. -Vuoi fare l'amore con me?-.
Sorrise
dolce, mi
ricordava Katya. -Io non sono reale, ricordi?-.
-Sarai
reale fino a che
io vorrò che tu lo sia...ed io voglio che tu sia reale,
Bill, lo
voglio davvero...perché solo con te riesco a non sentirmi
sola ed
abbandonata. Solo tu riesci a curare il mio cuore e non mi importa se
sei solamente una stupida illusione. Voglio amarti. Voglio amarti
come ti amavo una volta, quando ancora ero piccola ed innocente...-.
Avvicinò
le labbra alle
mie ed un bacio ci unì dolcemente.
Le
sue mani erano
delicate, il suo tocco gentile ed i suoi sospiri mi ricordavano la
brezza invernale. Era tutto così magico, fuori dal tempo che
avevo
mai conosciuto. I suoi baci, le sue carezze, i suoi movimenti. Tutto
era perfetto. Perfetto come non lo era mai stato con nessun'altro
ragazzo nella mia vita.
Chiusi
gli occhi per
godermi appieno tutto quell'amore a cui ero estranea.
|
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Capitolo 10 *** 10. Coma ***
E'
davvero molto triste
per me ammettere che siamo giunti al penultimo capitolo. Ringrazio
tutti coloro che hanno letto, apprezzato e recensito il mio racconto.
Spero
che il colpo di
scena che ho scelto vi piaccia. Non vedo l'ora di sapere che
cosa
ne pensate.
Di
certo Claudia non se
lo aspetta =).
Buona
lettura.
Baci.
Babù.
PS
(per Claudia): mi
spiace molto di non essere più riuscita a connettermi
spesso, ma
sono davvero molto pressata da compiti ed interrogazioni. Ti chiedo
scusa e ti mando un centinaio di bacioni, ed una scatola con la neve
dentro per posta xD.
10.
Coma
Quella
mattina mi
svegliai tardi. Non avevo sentito la sveglia. Aprii gli occhi e la
luce accecante del mattino mi colpì come uno schiaffo, che
razza di
ora era? Guardai l'orologio sul comodino: le dieci e mezza.
Osservai
la mia stanza.
Tutto era al proprio posto, come l'avevo lasciato la sera prima.
Mi
alzai dal letto per
sgranchirmi le ossa. Ero nuda. Perché ero nuda?
Non
mi ricordavo niente,
sentivo solo che la testa era pesante come un macigno. Cercai di
ripensare alla sera precedente, ma era tutto così sfocato ed
indefinito! Le immagini scorsero lente nella mia mente.
Infine...-Bill?-,
chiamai
incerta. -Bill? Dove sei?-. Indossai una maglia ed un paio di mutande
ed uscii dalla mia camera. -Bill?-, nessuna riposta. Il cuore
cominciò a farmi male.
-Bill?
Che fine hai
fatto?-. Guardai dappertutto, in cucina, in salotto, in bagno, in
camera di mia madre. Lui non c'era. Non c'era da nessuna parte. Da
nessuna parte.
Restai
in piedi, sulla
soglia della mia stanza e cercai di non piangere.
Ero
stata una sciocca a
credere, anche solo per un momento, che potesse funzionare davvero
tra me ed una immagine inventata dalla mia mente. Quella notte mi ero
spinta troppo oltre con la fantasia e, adesso, ne dovevo pagare le
conseguenze e sopportare tutta quella solitudine che si stava
avvicinando al mio cuore.
Perché?
Perché era
dovuto accadere proprio a me?
La
mia mente crollò.
Mi
inginocchiai. Presi la
testa fra le mani e feci scendere le lacrime.
Quante
volte ancora mi
sarebbe successo di essere abbandonata come una prostituta inutile?
La
follia e la rabbia
s'impossessarono di me. Afferrai la scatola verde che conteneva tutto
ciò a cui mai avrei voluto rinunciare: i miei sogni. La
svuotai per
terra ed iniziai a distruggere tutto ciò che ero stata e
tutto ciò
che mi ricordava il suo odioso e bellissimo volto.
Strappai
le lettere.
Bruciai
le foto.
Distrussi
le riviste.
Sputai
su tutto ciò che
avevo creato e su tutto ciò che avevo desiderato.
Odiavo
profondamente
tutto quello che ero stata.
Uccisi
ciò che rimaneva
di una vita senza senso e lo richiusi nuovamente nella scatola. La
presi e mi diressi in cucina per buttare definitivamente quel film di
quarta categoria nella spazzatura. Spazzatura aperta: la vita
c'è
ancora. Spazzatura chiusa: addio vita, non ci sei più.
Lasciai
cadere qualche lacrima solitaria.
Poi
mi voltai. Non ci
volevo più pensare.
Presi
un bicchiere di
latte dal frigo e mi sedetti.
Sul
tavolo c'era un
quotidiano aperto. Strano, mamma non teneva mai i giornali: li
gettava tutti; diceva che occupavano solo spazio e che sporcavano
esageratamente con l'inchiostro.
C'era
una foto che
occupava gran parte della pagina, una foto che avrei voluto non
vedere. Era una loro foto. Che ci facevano su di un
giornale
serio? Che fine avevano fatto gli articoli scandalistici sui
giornaletti per le ragazzine?
Lessi
il titolo e rimasi
immobile: Bill Kaulitz è caduto in coma.
La
paura prese possesso
del mio corpo. Che razza di macabra casualità era che quell'articolo
fosse finito tra le mie mani?
Lo
lessi; c'era scritto
che, in seguito ad un incidente automobilistico di una settimana fa,
il cantante della band più criticata della Germania era
caduto in
uno stato di coma. Si trovava all'ospedale...le condizioni erano
incerte...tutti si preoccupavano...Tom dice: “A volte parla
nel
sonno, dice strane cose, strane frasi. Non sappiamo che cosa
pensare...”.
Improvvisamente
ricordai
un vecchio discorso. Di troppo tempo fa: -E' caduto in coma-.
-Che
cosa vuol dire?
Che morirà?-, presi un bel respiro, -La prego, mi dica se
mio padre
sta per morire...-.
-Vede
ci sono diversi
stadi e tipi di coma...e quello in cui si trova suo padre è
chiamato
“coma del sogno”, il paziente si trova immerso in
una fase R.E.M.
perenne che gli fa vivere un sogno continuo. Alcuni dicono che si
può
venire a contatto con la parte addormentata e risvegliarla, ma io
credo siano solo supposizioni per dare speranza alle famiglie
distrutte dal dolore. In poche parole: io credo che suo padre abbia
poche possibilità di sopravvivere a lungo-.
Come
una freccia un
pensiero mi attraversò la mente: ero davvero pazza?
Poteva
esserci sul serio qualche cosa di reale in tutto quello che avevo
vissuto?
Per
tutto il tempo
avevo creduto di essere stata io a chiamarlo in mio soccorso,
perché
la mia mente desiderava ardentemente qualcuno per non sentirsi
più
sola. Ma se fosse stato il contrario? Se fosse stata la sua anima a
venirmi a chiedere aiuto?
La
visione di mio padre, bloccato in uno stupido letto di ospedale, fece
irruzione nella mia mente: “Helena,
ricordati che le
coincidenze non esistono..."
Ad una causa corrisponde sempre un effetto
uguale e contrario.
C'era
solo un modo per
scoprirlo e non dovevo perdere tempo.
Corsi
fuori di casa e
presi la macchina: al diavolo gli ordini della mamma.
Dovevo
correre, e correre
veloce.
Forse,
almeno per quella
volta, la fortuna sarebbe stata dalla mia parte.
|
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Capitolo 11 *** 11. Contatto ***
E'
davvero emozionante
poter concludere un racconto. Sono davvero contenta che sia piaciuto
e che abbia riscontrato tante opinioni positive.
Grazie
mille a tutti
coloro che hanno letto la mia storia.
Grazie
per tutti i
commenti.
Grazie
per tutto.
Ci
vediamo alla prossima
storia che scriverò. Abbracci e grossi baci.
Vostra
Babù.
Un Ringraziamento speciale a Claudia. Ti auguro il
meglio. Grazie di tutto. Baci nevosi!
11.
Contatto
Il
quotidiano aveva
indicato uno dei più famosi ospedali di Amburgo come luogo
di
ricovero di Bill.
L'autostrada
scorreva
veloce sotto le ruote. Con forza schiacciavo quel benedetto pedale.
Andiamo! Pensavo irritata, forza! Non
mollarmi proprio
adesso! Maledizione! Non mi sarei lasciata vincere dal
destino:
quella volta ce l'avrei fatta.
Guidare
non era mai stato
il mio forte, infatti più di una volta le macchine mi
avevano
ammonita a suoni di clacson. Non che io ci facessi caso più
di
tanto; la mia testa era sempre da un'altra parte.
Sapevo
la strada per
l'ospedale, non so come facessi, ma la conoscevo a memoria. Come se
l'avessi già percorsa più volte...fissai la via
concentrata ed
imboccai l'uscita a destra.
Guardai
l'orologio sul
cruscotto. Quanto ci avevo messo ad arrivare? E se fosse stato
già
troppo tardi? Il mio stomacò reagì, fece uno
strano gorgoglio e si
chiuse. Ermeticamente.
Parcheggiai.
Scesi
dall'automobile.
Scansai
qualche passante
e passai tra le porte scorrevoli dell'ospedale.
Ed
ora che ero dentro?
Che cosa avrei fatto? Da che parte sarei andata? Come diamine avrei
fatto ad entrare nella sua stanza? Avevo davvero fatto tutto quello
solo per sentirmi dire da un omone vestito di nero che non avevo
nessun diritto di vederlo? Assolutamente
no.
Guardai
intorno in cerca
di una soluzione.
Quando
ebbi
un'illuminazione.
Il
ripostiglio.
Uguale: abiti.
Abiti di
pazienti, di dottori, di infermiere.
M'infilai
circospetta,
sperando che nessuno mi avesse vista. Frugai nella cesta dei panni
sporchi, tra gli asciugamani. Trovai una divisa di solo una taglia in
più della mia: fortuna sfacciata.
Uscii
dallo stanzino e
camminai sicura per i corridoi dell'edificio.
-La
stanza di Bill
Kaulitz per cortesia-.
-La
duecentotré-.
-Grazie-.
-Di
nulla-.
Cercavo
di mantenere un
passo tranquillo e naturale, sereno.
Duecentouno,
duecentodue, duecentotré...presi
un profondo respiro e bussai. -Avanti-. Entrai con delicatezza. Lo
spettacolo mi colpì: in mezzo alla stanza c'era un letto
bianco e
candido dove dormiva beata una creatura più reale del
previsto;
vicino al ragazzo c'erano altri tre individui che seppi
immediatamente identificare come Georg, vicino alla finestra; Gustav,
seduto in un angolo; Tom, che teneva la mano di Bill. Bill in carne
ed ossa, non più un'illusione.
-Chi
sei?-.
Restai
senza parole.
-I...io-.
-Sei
una giornalista?-,
chiese Gustav alzandosi dalla sedia. -Siamo stufi che ci giriate
attorno. Lasciateci in pace, per favore!-.
Mi
rannicchiai contro il
muro. -Non sono una giornalista...-, cercai di dire.
-Chi
sei allora?-. La
voce arrivava da in fondo alla stanza: era stato Georg?
I
miei occhi erano fissi su di lui,
-Io...io sono una sua
amica...-.
-Amica?-,
Tom mi fulminò con lo sguardo, -Non ti conosco, non ti ho
mai vista
gironzolargli attorno-.
-Sono
un'amica piuttosto
nuova-.
-Tsk,
e anche piuttosto
fasulla!-.
-No,
sono una sua
amica...io...io non so come spiegartelo...-. Cercai di avvicinarmi al
suo corpo inerme: volevo solo toccarlo. Mi sarebbe bastato. Sapevo
che sarebbe bastato. -Ti prego, sono qui per aiutarlo-.
Tom
sgranò gli occhi:
-Che cosa credi di poter fare?!-, il suo tono saccente e scontroso mi
irritò.
Sfiorai
la mano di Bill,
quella che Tom teneva stretta tra le sue.
-Dammi
una possibilità-,
dissi a me, forse a Tom, forse a quel corpo coricato e pallido.
Il
ragazzo lasciò la
mano. Forse si fidava.
Accarezzai
la fronte a
Bill e sorrisi. Mi avvicinai al suo orecchio: -Sono venuta a
trovarti...non eri una semplice visione. Lo sapevo...lo sapevo che
non lo eri...-, iniziai a piangere, -Ma anche se lo fossi stato non
mi sarebbe importato...davvero Bill, non mi importa cosa sei, chi
sei, che cosa vuoi da me...non importa...ma mantieni la promessa:
avevi detto che ci saresti stato se io ti avessi voluto. Ed io ti
voglio Bill, ti voglio al mio fianco...ti prego...non fa niente se
rimarrai per sempre un'allucinazione...-. Sussurrai così
piano che
nessun'altro sentì. -Io ti amerei comunque-.
Chiusi
gli occhi e
lasciai cadere le lacrime mentre intonavo quella canzone che non
conoscevo. Quella canzone che mi faceva addormentare: desiderai che
lo svegliasse.
Lo
desiderai con tutta me
stessa. Annullai il mio io per far si che si destasse dal suo sonno.
Io
credo nei miracoli
e tu, Bill?
Il
silenzio era tutto
attorno a me.
-Stai
bene con la divisa
da infermiera, sai?-.
Incrociai
il suo sguardo.
Sorrisi. -Davvero?-.
-Si-,
disse lui
stringendo le palpebre appiccicate dal sonno, -Dove sono?-. Era
spaesato.
-Sei
in ospedale-, disse
Georg riprendendosi dallo shock.
-Oh,
si,
ricordo...l'incidente...-.
Si
voltò verso di me e,
con la mano libera dai flebo, fece incontrare le nostre labbra. -Io
ti conosco...riconosco il tuo viso, ma...non riesco a ricordare il
tuo nome-.
-Helena...mi
chiamo
Helena-.
Asciugò
con il pollice una mia lacrima. -Ti ho sognata, sai?
Helena...è
stato un sogno lungo e tanto triste...poi felice...poi di nuovo
triste......e tutto si è fatto buio. Poi ho sentito la tua
voce ed
ho trovato la via per tornare a casa-. Accarezzò il mio
volto. -Sei
un angelo?-.
Scossi
la testa.
-Sei
un'illusione?-.
Sorrisi:
-Sono la tua
illusione-.
-Sparirai?-,
chiese con
voce triste.
-Sono
qui perché il tuo
cuore è venuto a cercarmi per sussurrarmi che mi volevi.
Fino a che
mi vorrai io resterò con te...si trattasse anche di restare
per
sempre...-.
Strinsi
la sua mano.
Ed
il mondo fu finalmente
completo.
The
end
|
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Capitolo 12 *** 11. Contatto ***
E'
davvero emozionante
poter concludere un racconto. Sono davvero contenta che sia piaciuto
e che abbia riscontrato tante opinioni positive.
Grazie
mille a tutti
coloro che hanno letto la mia storia.
Grazie
per tutti i
commenti.
Grazie
per tutto.
Ci
vediamo alla prossima
storia che scriverò. Abbracci e grossi baci.
Vostra
Babù.
Un Ringraziamento speciale a Claudia. Ti auguro il
meglio. Grazie di tutto. Baci nevosi!
11.
Contatto
Il
quotidiano aveva
indicato uno dei più famosi ospedali di Amburgo come luogo
di
ricovero di Bill.
L'autostrada
scorreva
veloce sotto le ruote. Con forza schiacciavo quel benedetto pedale.
Andiamo! Pensavo irritata, forza! Non
mollarmi proprio
adesso! Maledizione! Non mi sarei lasciata vincere dal
destino:
quella volta ce l'avrei fatta.
Guidare
non era mai stato
il mio forte, infatti più di una volta le macchine mi
avevano
ammonita a suoni di clacson. Non che io ci facessi caso più
di
tanto; la mia testa era sempre da un'altra parte.
Sapevo
la strada per
l'ospedale, non so come facessi, ma la conoscevo a memoria. Come se
l'avessi già percorsa più volte...fissai la via
concentrata ed
imboccai l'uscita a destra.
Guardai
l'orologio sul
cruscotto. Quanto ci avevo messo ad arrivare? E se fosse stato
già
troppo tardi? Il mio stomacò reagì, fece uno
strano gorgoglio e si
chiuse. Ermeticamente.
Parcheggiai.
Scesi
dall'automobile.
Scansai
qualche passante
e passai tra le porte scorrevoli dell'ospedale.
Ed
ora che ero dentro?
Che cosa avrei fatto? Da che parte sarei andata? Come diamine avrei
fatto ad entrare nella sua stanza? Avevo davvero fatto tutto quello
solo per sentirmi dire da un omone vestito di nero che non avevo
nessun diritto di vederlo? Assolutamente
no.
Guardai
intorno in cerca
di una soluzione.
Quando
ebbi
un'illuminazione.
Il
ripostiglio.
Uguale: abiti.
Abiti di
pazienti, di dottori, di infermiere.
M'infilai
circospetta,
sperando che nessuno mi avesse vista. Frugai nella cesta dei panni
sporchi, tra gli asciugamani. Trovai una divisa di solo una taglia in
più della mia: fortuna sfacciata.
Uscii
dallo stanzino e
camminai sicura per i corridoi dell'edificio.
-La
stanza di Bill
Kaulitz per cortesia-.
-La
duecentotré-.
-Grazie-.
-Di
nulla-.
Cercavo
di mantenere un
passo tranquillo e naturale, sereno.
Duecentouno,
duecentodue, duecentotré...presi
un profondo respiro e bussai. -Avanti-. Entrai con delicatezza. Lo
spettacolo mi colpì: in mezzo alla stanza c'era un letto
bianco e
candido dove dormiva beata una creatura più reale del
previsto;
vicino al ragazzo c'erano altri tre individui che seppi
immediatamente identificare come Georg, vicino alla finestra; Gustav,
seduto in un angolo; Tom, che teneva la mano di Bill. Bill in carne
ed ossa, non più un'illusione.
-Chi
sei?-.
Restai
senza parole.
-I...io-.
-Sei
una giornalista?-,
chiese Gustav alzandosi dalla sedia. -Siamo stufi che ci giriate
attorno. Lasciateci in pace, per favore!-.
Mi
rannicchiai contro il
muro. -Non sono una giornalista...-, cercai di dire.
-Chi
sei allora?-. La
voce arrivava da in fondo alla stanza: era stato Georg?
I
miei occhi erano fissi su di lui,
-Io...io sono una sua
amica...-.
-Amica?-,
Tom mi fulminò con lo sguardo, -Non ti conosco, non ti ho
mai vista
gironzolargli attorno-.
-Sono
un'amica piuttosto
nuova-.
-Tsk,
e anche piuttosto
fasulla!-.
-No,
sono una sua
amica...io...io non so come spiegartelo...-. Cercai di avvicinarmi al
suo corpo inerme: volevo solo toccarlo. Mi sarebbe bastato. Sapevo
che sarebbe bastato. -Ti prego, sono qui per aiutarlo-.
Tom
sgranò gli occhi:
-Che cosa credi di poter fare?!-, il suo tono saccente e scontroso mi
irritò.
Sfiorai
la mano di Bill,
quella che Tom teneva stretta tra le sue.
-Dammi
una possibilità-,
dissi a me, forse a Tom, forse a quel corpo coricato e pallido.
Il
ragazzo lasciò la
mano. Forse si fidava.
Accarezzai
la fronte a
Bill e sorrisi. Mi avvicinai al suo orecchio: -Sono venuta a
trovarti...non eri una semplice visione. Lo sapevo...lo sapevo che
non lo eri...-, iniziai a piangere, -Ma anche se lo fossi stato non
mi sarebbe importato...davvero Bill, non mi importa cosa sei, chi
sei, che cosa vuoi da me...non importa...ma mantieni la promessa:
avevi detto che ci saresti stato se io ti avessi voluto. Ed io ti
voglio Bill, ti voglio al mio fianco...ti prego...non fa niente se
rimarrai per sempre un'allucinazione...-. Sussurrai così
piano che
nessun'altro sentì. -Io ti amerei comunque-.
Chiusi
gli occhi e
lasciai cadere le lacrime mentre intonavo quella canzone che non
conoscevo. Quella canzone che mi faceva addormentare: desiderai che
lo svegliasse.
Lo
desiderai con tutta me
stessa. Annullai il mio io per far si che si destasse dal suo sonno.
Io
credo nei miracoli
e tu, Bill?
Il
silenzio era tutto
attorno a me.
-Stai
bene con la divisa
da infermiera, sai?-.
Incrociai
il suo sguardo.
Sorrisi. -Davvero?-.
-Si-,
disse lui
stringendo le palpebre appiccicate dal sonno, -Dove sono?-. Era
spaesato.
-Sei
in ospedale-, disse
Georg riprendendosi dallo shock.
-Oh,
si,
ricordo...l'incidente...-.
Si
voltò verso di me e,
con la mano libera dai flebo, fece incontrare le nostre labbra. -Io
ti conosco...riconosco il tuo viso, ma...non riesco a ricordare il
tuo nome-.
-Helena...mi
chiamo
Helena-.
Asciugò
con il pollice una mia lacrima. -Ti ho sognata, sai?
Helena...è
stato un sogno lungo e tanto triste...poi felice...poi di nuovo
triste......e tutto si è fatto buio. Poi ho sentito la tua
voce ed
ho trovato la via per tornare a casa-. Accarezzò il mio
volto. -Sei
un angelo?-.
Scossi
la testa.
-Sei
un'illusione?-.
Sorrisi:
-Sono la tua
illusione-.
-Sparirai?-,
chiese con
voce triste.
-Sono
qui perché il tuo
cuore è venuto a cercarmi per sussurrarmi che mi volevi.
Fino a che
mi vorrai io resterò con te...si trattasse anche di restare
per
sempre...-.
Strinsi
la sua mano.
Ed
il mondo fu finalmente
completo.
The
end
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