They think I'm not okay

di Freedert
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo Terzo ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quarto ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Mi chiamano Blake. Perché sono come un fantasma, inesistente agli occhi di un mondo sin troppo vero.
 Ho un volto pallido, dai lineamenti affilati che pare possano eludere qualsiasi gesto, qualsiasi tocco, come se fossi incorporeo.  Le iridi, così inusuali da non sembrare nemmeno di questo mondo: occhi rossi, un colore che mi ricorda costantemente d'essere figlio di quel qualcuno che nessuno conosce, scomparso troppo in fretta dopo avermi abbandonato in quella clinica per pazzi.
Fisico secco, magro, di chi non ha mai messo naso fuori di casa, e pelle di carta, che all’apparenza basterebbe un soffio per poterla disintegrare. E tuttavia non è così, e tuttavia continuo a perdere il controllo, a trasformarmi.
E non mi riconosco.
Sono abituato ad esser solo, abitante di questa buia stanza, che rappresenta tutto il mio mondo. L’unica variante in queste quattro pareti bianche? Solo la stretta finestra incantata, ce mi proietta in un cielo plumbeo, pieno di nubi cariche di pioggia. Come quelle che albergano nel mio cuore. Sogno, immerso perennemente nella speranza di poter essere libero da queste catene. Ira, rabbia, timore. In una frazione d'istante il mio corpo ribolle, e sono la bestia. Raziocinio che si tramuta in puro istinto, quiete che diviene tempesta. Sono perennemente diviso in due entità che non desidero. Voglio essere normale, voglio semplicemente essere me stesso. Eppure, c'è il mio riflesso che ogni volta mi ricorda, che se uscissi dalle barriere impostomi, potrei solamente essere un pericolo per gli altri. E tuttavia è arrivata quella lettera.

Tic. Tac. Tic. Tac.
 L’orologio segna ormai le tre passate, no, non c’è verso che io riesca a dormire stanotte. Mi rigiro nel letto, tentando d’assuefarmi al sonno. Niente.
Volgo la parte superiore del petto verso l’alto, dunque. E anche in questa notte non riesco a prender sonno. Tuttavia il motivo è diverso dal solito, è un altro: è per lei, quella fottuta lettera che mi è arrivata. E’ così, quando si mostra una novità non riesco ad abbandonare l’inquietudine.
 …Sono sempre stato troppo attaccato alle mie abitudini...
“Blake, comincia a preparare i bagagli”
Perché non posso fare a meno di guardare quella dannata lettera abbandonata sul pavimento bianco come i muri? La guardo e la riguardo come se in essa vi fosse dipinto il mio futuro, quando invece c’è solamente una nuova delusione. Probabilmente hanno sbagliato indirizzo.
Vecchio matto, in fondo chi vuole un pazzo nella propria scuola? Dentro di me conosco la risposta, ma non la voglio ammettere. Nessuno.
E così ripiombo nell’oblio, indirizzando spasmodicamente lo sguardo verso quella stretta fessura che risponde al nome di finestra. Perché non posso uscire? Perché io sono il risultato di quello. Mi fa schifo solamente l’idea d’essere un incantesimo fallito. Un incrocio tra cosa, poi? Qualche frammento di dna ignoto ed un essere umano? Facciamoci il favore. Ma si, cerchiamo di fare una chimera e vediamo cosa ne nasce, se muore pace se vive… beh, se avrà vita condanniamolo ad un’esistenza praticamente impossibile.
Giusto? Giusto.
La mia vita? E chi ne ha mai avuta una? Fin dal principio sono stato chiuso tra queste quattro pareti spoglie. Ovvio, non che mi disgusti questo trattamento ma, diciamocelo non sono effettivamente portatore di alcun Handicap, sono semplicemente anormale anche nell’”anormale” mondo magico.
Certe volte vorrei mettermi ad urlare, altre semplicemente chiudermi a chiave in me stesso, lontano dagli altri.
Uno come me si chiama “Esperimento Fallito”.
Ed ecco che il respiro s’aizza di nuovo nel petto come una morsa, di nuovo, da cui non c’è scampo. Sono dannatamente nervoso, sento ogni muscolo, ogni singola fibra del corpo agitarsi feroce in cerca di uscita.
E siamo esseri pericolosi, perché in noi circola sangue infetto. Perché generiamo solamente male e siamo solo esperimenti di laboratorio. ‘Cavie’. Piccoli embrioni che alla nascita sembrano bambini, ma che crescendo svelano il proprio essere. E devo controllarmi ogni volta che m’arrabbio per non lasciarmi andare all'ira. Devo tentare in ogni modo di non innervosirmi per non far del male a nessuno.
“Sei strano, il colore dei tuoi occhi. I tuoi ,capelli ma… sei davvero umano?”
No. Non lo sono, non voglio nemmeno esserlo forse. Mi sono stufato di non poter essere né una cosa né un’altra. Cos’è una via di mezzo? Una strada più facile per dirmi che sono strano?
Per questo sono come sono. Poi vengo rimproverato perché faccio danni.
Vengo tenuto sotto chiave come un animale addomesticato ma io, il modo di farlo lo trovo sempre. Non possono relegarmi a quindici anni compiuti in una stanzetta, non a me.
Qui sono e devo essere quello che loro vogliono.
Fuori, posso e sono quello che voglio essere io.
Voglio essere libero. E quella lettera mi appare come la chiave di quella porta tanto bramata.
Sarà per il mio comportamento abituale, ammetto di non essere molto incline alle pubbliche relazioni, ma diamine! Tutti mi guardano dall’alto in basso, ripetendo sotto voce ‘E’ fuori di senno.’ E allontanano chiunque dall’ingresso della mia gabbia composta da quattro ridicole mura.
Ma poi, cosa ne sanno loro?
Com’è bello il pregiudizio. Me ne frego altamente, tanto, peggio di così non potrebbe andare no? Giro e rigiro la posizione sul letto. Maledetta insonnia.
Non ho voglia di alzarmi dal letto. Pigro, saccente ed estremamente asociale. Così mi descrive quel rincoglionito del mio psicologo. Grazie, ti adoro pure io. Meglio essere me che te, questo è poco ma sicuro.
Incrocio le braccia dietro il capo, ora vanno a fungere da cuscino. Se fossi stato qualsiasi altra persona sulla faccia della terra, non sarei stato migliore di ora.
“Blake. Sei ancora sveglio?” il silenzio, quel sacrosanto barlume d’intimità che posso concedermi viene interrotto dall’atonale voce dell’infermiera. Entra, ed eccola che prende ad osservarmi silente. Con lei basta uno scambio d’occhiate, e lei capisce molto di cosa mi turba.
“è per la lettera d’ammissione, vero?” mi chiede, tirandola su dal pavimento e stirandola col palmo della mano. Rimane in piedi, distante. Ovvio, sono un pazzo furioso per la comunità.
Borbotto un paio di parole d’assenso, e solo a lei sento che posso parlare delle mie ansie. Almeno finché sono in quell’inferno d’ospedale.
Muove qualche passo, giusto quelli necessari per impormi dinanzi a lei.
“deve aver sbagliato, il vecchio rimbambito” dico, gelido, mentre un timido raggio lunare attraversa il vetro e illumina di pallidi rilessi argentei i miei capelli neri come la pece, tra i quali spuntano ora un paio di orecchie feline. Perché sono una chimera, un futile incrocio fallimentare.
non bisogna parlare così di lui, in fondo è un mago molto potente, e non si è mai sbagliato” mi dice, forse tentandomi di confortare. Poi esce, dopo aver posato il foglio nel vecchio baule vicino alla porta, quel baule che tuttavia è già pronto per partire.
Socchiudo le palpebre, inspirando, calmo, mentre la coda sferza l’aria agitandosi. Sono nervoso, forse un po’ eccitato, e di certo sono pronto alla delusione che mi prospetta il futuro immediato.
D’altronde chi vuole un folle nella propria scuola? Nessuno.
Corrugo la fronte stringendo forte il pugno destro. Il sangue comincia ad aumentare il circolo nel petto, il muscolo cardiaco accelera a dismisura e sento una terribile nausea venirmi incontro.
Controllati.
Non ci riesco, sono troppo irrequieto stanotte.
Sono in grado di sentire distintamente i suoni dell’ospedale di notte, sento i battiti cardiaci delle due guardie fuori dalla mia porta. Ed eccolo, sento le zanne crescere nella mia bocca, pronte a mordere qualcuno, sento i sensi acuirsi sempre di più, sento l’odore del sangue fuori dalla mia stanza. Un dolore repentino che parte dalla base della colonna vertebrale s’espande in un nano secondo, comincio a contorcermi come una foglia sulla fiamma. Porto entrambe le mani alla testa che comincia a farmi un male atroce, basta. Basta. Basta. Dannazione, devo controllarmi!
E per un istante Il Rosso diviene predominante a tutto il resto, sento correre sulle labbra il sapore del mio stesso sangue. Sbattono le porte, al sentore di un mio strepito. Non riesco a sentire nient’altro che la furia invadermi i sensi.
Riesco a scorgere la presenza di troppe persone attorno a me, andatevene! Lasciatemi in pace! I rumori scompaiono, tutto s’avviluppa lesto. Poi, il nero.
Riapro gli occhi, sono le cinque ormai. Domani la mia vita cambierà di nuovo, sono stupido perché in tutto questo riesco a trovare sempre qualcosa che mi vada storto.
Sono un emerito cretino perché penso di scappare di nuovo non appena metterò piede fuori da questa stanza, dal mio mondo insomma. Non vedo l’ora di essere libero, eppure ho paura di ciò che incontrerò la fuori.
Chiudo gli occhi, e tutto ritorna nero.

♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦

“Ti senti bene?”
Schiudo le palpebre, e vedo un gruppetto di figure umane.
Chi sono? Dove mi trovo?
Sento il rumore di un treno che viaggia, vedo il paesaggio sfumare velocemente fuori dal finestrino.
E’ vero, sto andando a scuola, mi dico, ricordando il viaggio in macchina. Eppure chi sono queste facce sconosciute? Me lo chiedo, sono entrate nel mio scompartimento senza chiedere, infondo. Oppure hanno chiesto e non le ho ascoltate? Non me ne frega, basta che mi lasciano assaporare il piacere della libertà finché dura.
Aggrotto le sopracciglia.
“Perché me lo chiedi?” rispondo alla ragazza davanti a me, una massa di capelli ricci e castani, mentre il ragazzo rosso e quello moro si siedono di fronte a me.
beh, non rispondevi…” commenta poi una seconda ragazza, dai capelli biondo cenere, mentre legge una rivista al contrario.
Sollevo appena gli occhi, guardando in faccia uno a uno i presenti. Beh, loro non conoscono ancora la mia vera natura, non sanno chi sono, e possono conoscermi per ciò che sono interiormente, non per come mi presentano i dottori.
Sogno, dottore di merda, sogno animato dalla speranza di non svegliarmi, ed è per questo che proverò a crogiolarmi in questa assurda fantasia: d’altronde cosa mi rimane da perderci? La faccia? Beh, quella l’ho già persa tempo fa…
E così comincio, sperimentando per la prima volta quella cosa detta “conoscenza”.
“piacere, mi chiamo Blake. E’ il mio primo anno a hogwarts questo, sebbene abbia già ricevuto un’adeguata istruzione…” dico, mentendo nella seconda parte. E’ vero, ho già una buona istruzione magica, ma quella è solamente un effetto collaterale della mia mutazione, ciò che ho realmente imparato finora è il trattenere gli impulsi del mostro che alberga in me.
Già, perché io sono una chimera.

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Capitolo 2
*** Capitolo Primo ***


Il treno viaggiava rapido sui binari diretti a nord, mentre il cielo, prima così azzurro, andava tingendosi di varie tonalità scure.
I ragazzi con me nello scompartimento si chiamavano rispettivamente Hermione Granger  la riccia, Ron Weasley il rosso, Luna Lovegood la bionda, e il ragazzo nero Harry Potter.
Già, Potter… un nome che avevo  già sentito e che rimembravo nella mia memoria, lontano. Dovevo averlo sentito per forza al San Mungo, quella dannata prigione, e tuttavia non ricordavo quando, perché, o in che contesto. Fosse importante, poi…
“E così è il tuo primo anno, eh?” continuò il rosso, distogliendomi dai miei pensieri.
“In che casa speri di andare” mi chiese, mentre avvertii che la bionda non era più concentrata sulla sua rivista, ma sulal mia risposta. Come i presenti del resto.
“mah, non lo so…” risposi cupamente, già conoscendo la risposta: mi rimanderanno a casa...
Il viaggio continuò, tra una chiacchiera e l’altra e ricordai dove ho già sentito il nome “Potter”: l’avevo sentito tempo fa più volte, era il nome del “ragazzo che è sopravvissuto”, dell’ “eletto”, ma anche di una persona considerata quasi più folle di me. E sentivo crescere dentro di me un’affinità unilaterale con quel ragazzo che, al pari di me, sapeva cosa significa essere considerato matto senza un vero motivo.
Si aprì per la seconda volta la porta, e apparvero quattro ragazzi: uno dai capelli castani col viso riempito di pustole che tremava come una foglia, due armadi tutti muscoli e, probabilmente, niente cervello, e, al centro fra questi ultimi due, un ragazzo biondo dai lineamenti affilati.
“Cosa vuoi, Malfoy?” sentii dire dalla ragazza riccia, che venne subito zittita con un rapido insulto.
“Mezzosangue”… Ma d’altronde chi se ne frega se si è per metà babbani, almeno sei del tutto umana, no?
Le parole continuarono a volare, e in breve tempo il moro, il rosso e il biondo tirarono fuori le bacchette lanciandosi fatture senza troppi complimenti, tutte che andarono a segno… Su un gruppo di undicenni che passavano di li, però…
La riccia si alzò subito, e andò a soccorrere i malcapitati  e il ragazzo dai capelli castani mentre i due armadi, che scoprii in seguito chiamarsi Tiger e Goyle, si avvicinavano minacciosamente al ragazzo dai capelli rossi.
Spinto da non so quale istinto, mi alzai e, con un impercettibile movimento di polso, presi il braccio di uno dei due, rigirandoglielo dietro la schiena.
Mi avvicinai al suo orecchi, lasciando intravedere inconsciamente un paio di canini affilati a quel cretino biondo che non sapeva andare in giro senza scorta, e sussurrai un paio di paroline all’armadio immobilizzato con così poco.
“Se non la pianti uno di questi giorni ti invito per cena, sai?” gli dissi, sorridendo minacciosamente e poi lasciandolo andare. Questo subito si rimise in piedi, tremante, e seguendo l’ordine del biondo, si catapultò insieme al compagno fuori dallo scompartimento mentre la riccia tornava dentro allo scompartimento chiudendo la porta, dopo aver guarito il gruppetto di sfortunate matricole.
“Ma quanto sei forte?!” mi domandò subito il rosso, con un sorriso che gli andava da un orecchi all’altro.
“insomma, per spaventare così Tiger ce ne vuole, no? E pure malfoy! Dovevi vedere la faccia che ha fatto!” continuò, ridacchiando, descrivendo la scena all’amica che era fuori a soccorrere i feriti.
“Non ho fatto niente di che…” risposi, conscio della mia reale natura. In fondo, come chimera avevo ereditato anche una forza e una velocità mica da ridere oltre agli istinti incontrollabili e una dieta un po’ più varia del normale…
Ma la cosa che mi aveva sorpreso di più era stata la mia reazione, così diretta e avventata per degli sconosciuti, e, soprattutto, mi aveva sorpreso il fatto che fossi riuscito a mantenere il controllo in ogni singolo gesto.
La bionda, intanto, mi fissava, forse un po’ shockata. Possibile che avesse sentito ciò che avevo detto al ragazzone? No, impossibile… Eppure, continuava a fissarmi con i suoi grandi occhi.
Il viaggio continuò senza altri intoppi, tra chiacchiere e frivoli pettegolezzi da cui mi disinteressai in breve tempo, eclissandomi con la mente fuori dal vetro freddo del finestrino, che vagava in quelle lande buie che il treno stava percorrendo.

♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦

Cosa mi prende? Perché sono intervenuto in una disputa tra perfetti sconosciuti? Non lo so.
Forse è proprio vero ciò che dice quel rincoglionito del mio psicologo: la mia mente è intellegibile anche a me, è la mente di una bestia, irrazionale. No, non te la do vinta, voglio dimostrarti che riesco a integrami, in fondo qualcuno ha creduto in me.
Già, il vecchio rimbambito… Ma sarà davvero così rimbambito? Non lo so, ma non voglio deluderlo prima che lui deluda me.
Il treno continua a viaggiare, scivolando sui binari; di tanto in tanto qualche buca mi fa sobbalzare, ma ritorno subito nella posizione di prima, appoggiato al vetro del finestrino.
‘E così è questo il mondo esterno, eh?’ penso fra me e me, rammentando un periodo in cui avevo avuto addirittura paura di uscire da quelle quattro pareti che mi rinchiudevano. Almeno li ero al sicuro.
Ma ora non ne volevo più sapere, finalmente avevo raggiunto la tanto agognata libertà, e nessuno me l’avrebbe tolta. Manco Dio in persona, quel dio che aveva permesso la mia creazione.
Mi stiracchio leggermente, e volto gli occhi all’interno dello scompartimento: il moro e il rosso stanno giocando a scacchi, il moro perderà in tre mosse, fra parentesi, mentre la bionda continua a fissarmi, sospettosa.
Che vuoi?! Continuo a chiederle nella mia testa, simulando una qualche reazione da parte sua, ma niente. Me lo sento, ha capito il trucco… Ha capito che non sono umano e la cosa mi da fastidio.
Sento il treno rallentare e il panorama immerso nel buio della sera inglese comincia a illuminarsi delle rare luci dei villaggi.
Tutti si alzano e scendono, lasciando li i bagagli. Li imito e atterrò con un piccolo salto sulla banchina gremita di studenti mentre sento alle mie spalle una figura.
Mi giro, mentre dietro di me sento un vocione chiamare le matricole, ma non mi interessa, perché davanti a me c’è un’alta signora dallo sguardo severo.
“Sei tu Blake, giusto?” mi chiede, brevemente, guardandomi forse con un po’ di dolcezza.
“miao” dico sarcastico in risposta, tirando fuori le orecchie per un paio di secondi, orecchie che da quando ero uscito fuori dalla mia stanza avevo tenuto nascoste insieme alla coda.
La donna sorride, e mi fa cenno di seguirla, camminando a passi rapidi su una scorciatoia per il castello.
‘ Bene, mi hanno già rapito’ penso fra me e me, sarcastico, mentre camminiamo nel folto degli alberi per un sentiero secondario, e in breve tempo arriviamo all’immenso castello affacciato sul lago.
Entro nell’edificio, sempre seguendo l’anziana donna che mi porta in una stanzetta angusta, mentre sento gli studenti mobilitarsi in una sala affianco, cicalanti e rumorosi.
Entro nella stanzetta, e trovo altre due persone: un vecchietto dalla lunga barba argentea e un uomo di mezza età dai capelli neri e il naso aquilino.
“Ti presento il preside, Albus Silente, e il tuo futuro insegnante di pozioni” mi dice la signora, mentre io scorro lo sguardo verso i due.
“Insieme all’infermiera della scuola, madama Chips, e al guardiacaccia, Hagrid, sono al corrente della tua situazione Blake, perciò se hai qualche problema rivolgiti pure a me, o a loro. Di qualunque genere si tratti” continua spiccia. Poi, con un rapido cenno di capo si congeda, dicendo che deve assistere i primini alla cerimonia d’apertura.
“Innanzitutto benvenuto, mio caro Blake” inizia poi il vecchio mago, ma subito lo interrompo, incredulo alle mie orecchie.
 “Davvero posso restare?! Non era tutta una montatura questa?!” chiedo, sorpreso e felice, confuso e quasi strabiliato.
“ma certo che non è una montatura, cretino” mi risponde freddamente l’altro uomo mentre mi scruta dall’alto in basso. Eccolo qui, ecco il primo di questo posto a guardarmi male. E oltretutto conosce il mio segreto. La felicità svanisce in fretta, e ritorno il cinico di sempre, sospettoso verso tutti. Eppure… Eppure quel mago anziano… possibile che mi stia sorridendo gioviale? Non me lo spiego, è il primo a farlo così sinceramente.
Abbasso lo sguardo, imbarazzato, e lascio che il Vecchio continui nel suo discorsetto.
“Come ti ha già detto la professoressa Mc. Grannit, se hai qualche problema puoi liberamente rivolgerti a noi. Poi, ti chiedo formalmente di far diventare la tua dieta, la stessa di tutti gli altri studenti, ossia ti chiedo di astenerti dal sangue il più a lungo possibile, nel caso avrai un permesso speciale per andare nei boschi qui intorno. Ma comunque niente sangue umano.” Continua, mentre mi fissa con i suoi profondi occhi azzurri, quasi mi stesse osservando l’animo. Annuisco, convinto e rispondo deciso  “Se voglio sangue ‘umano’ l’unico a mia disposizione è il mio”.
Precisamente” commenta con voce melliflua l’insegnante di pozioni.
Quanto lo odio di già, è una sensazione incredibile: mai provato un odio introverso così a bruciapelo verso qualcuno…
“ Poi” continua Silente “ Ti chiedo di fare attenzione soprattutto all’insegnante di Difesa contro le Arti Oscure”
“Come forse saprai, Hogwarts da quest’anno è controllata e… beh, abbiamo un rappresentante del ministero nel corpo docenti e sfortunatamente è proprio il docente di quella materia, perciò fai attenzione perché lei potrebbe facilmente scoprire la tua vera natura…”
mi avvisa, continuando a scrutarmi con quei profondi occhi blu. Ma sorreggo lo sguardo di ghiaccio, incapace di sentirmi inferiore a lui in nulla. Lo so, l’orgoglio è una brutta bestia, ma che ci volete fare, in fondo non sono anche io una bestia?
Mi accompagna nella sala grande, accompagnato da quel Severus Piton, ed usciamo da una porticina laterale.
Mi trovo in una sala immensa, dal soffitto stellato e davanti a me vedo quattro immense tavolate.  Ma non faccio in tempo ad osservare meglio il posto che la professoressa altezzosa di prima mi presenta e mi fa cenno di sedermi su quello sgabello al centro del palchetto per essere smistato.
E’ vero, me ne ero scordato, devo essere smistato. Di che casa erano i ragazzi del vagone? Non me lo ricordo, ma spero di finire con loro. Almeno li conosco già un po’…
Mi siedo sul tozzo sgabello, e la donna cala su di me il cappello liso che subito comincia a borbottarmi all’orecchio quanto la mia mente sia strana.
Eccolo, il nuovo psicologo, scappo da uno ed eccone un altro che tenta di entrare nella mia mente. E basta!
‘Abbiamo un rivoltoso, eh? E nemmeno del tutto umano’ mi sussurra all’orecchio, mentre spalanco gli occhi sentendo che già a primo impatto ha capito chi sono.
‘ Vediamo… ah! Hai già conosciuto il trio dei malandrini, eh? Beh, se è così esaudisco il tuo desiderio, ma prima ti do un consiglio’ continua a sussurrarmi, facendomi sobbalzare a un certo punto.
apri il tuo cuore, ma diffida dai più perché saranno ben in pochi ad accettarti in questo mondo’ mi sussurra all’orecchio, prima di gridare un  “corvonero”.
Ma come, mica volevi mandarmi da quel trio? Com’è che esulta un altro tavolo? Poi la vedo, li in mezzo, la ragazza dai capelli biondi che in treno leggeva la rivista al rovescio.
‘E così è per lei che mi mandi li, eh?’ dico mentalmente al cappello che sghignazza, e pochi istanti dopo viene tolto dalla mia testa.
Mi alzo e vado a passo veloce verso quel tavolo esultante per avere un nuovo membro, e già lo so: lo so che quel tavolo di genii potrebbe scoprire da un momento all’altro il mio piccolo segreto. Come gli altri studenti del resto…

 

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nessun commento ç_ç
Va beh, questa volta però vi chiedo una cosa a cui gradirei che rispondiate è_é come credo avrete notato, ho iniziato il capitolo scrivendo al passato, per poi tornare ad usare il presente da quando Blake ritorna ai suoi pensieri. Nonostante io prediliga l'uso dei tempi passati, a mio avviso in questa fanfic introspettiva il presente sta bene anche perchè da il ritmo veloce con cui blake prova le emozioni e pensa, in quel suo vortice di emozioni e sentimenti che prova, cedendo spesso (come vedrete) ai suoi istinti.
Dunque vi chiedo: secondo voi sta bene usare il presente?
Oltre a questo volevo sentire un po' di opinioni in merito, visto che ho deciso di iniziare con una fic di un libro che non ricordo molto e che mi ha appassionato solo in parte (dannata passione per alice in wonderland >.<)
Passo ora a voi la parola, sperando in qualche critica costruttiva ._.' al prossimo capitolo^^

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Capitolo 3
*** Capitolo Secondo ***


Il vento ulula nella notte inglese e bussa alla mia finestra. Beh, mia, è la finestra del dormitorio maschile in fondo…
Clock. Clock. Clock.
Ecco, anche qui c’è un dannatissimo orologio. E pure a pendolo, così tutto è ancora più inquietante.
Mi giro e mi rigiro, come ogni notte, ma una cosa è certa: non riesco a prender sonno, troppo confuso ed eccitato per gli avvenimenti successi quel giorno.
Mi alzo, solitario, e senza fare un singolo rumore, con passo felpato mi dirigo verso quella stanzetta con un caminetto che han chiamato sala comune. Almeno li avrei evitato di sentire quel ragazzo russare. Com’è che si chiamava? Ma chi se ne frega…
Scendo le scale, rapido, mentre penso a ciò che potrei fare in quella notte illuminata dal plenilunio.
Dopotutto è la prima notte di libertà, dovrei commemorarla, e poi l’aria del parco del castello è troppo frizzante per ignorarla. L’avevo fiutata appena arrivato al castello, e non avevo potuto esplorare quel maestoso territorio verde che circonda il castello. E questa è l’ora buona.
Clock. Clock. Clock.
Il pendolo batte le due di notte, e mi domando come fa la gente a dormire sapendo di un ambiente così sensazionale appena fuori dalle mura antiche del castello. Apro la finestra, inspirando la fredda aria notturna e un brivido mi percuote, salendomi su per la spina dorsale. E’ aria di libertà, mi dico, e mi prendo in giro da solo per quell’assurda affermazione, da cui però non riesco a separarmi: d’altronde questa è la prima volta in cui posso fare ciò che voglio…
Ed eccomi li, affacciato a quella finestra della torre di corvonero, pronto a buttarmi nel vuoto, pronto a correre nella foresta.
A proposito, l’avevano citata se non sbaglio nel discorso di inizio anno, ma riguardo a cosa? Non ricordo.
Fremo di gioia e la coda comincia a sferzare l’aria, mentre le orecchie ascoltano i suoni del mondo notturno che si risveglia. Sono eccitato, nonostante abbia gli occhi chiusi la pupilla di è ristretta in un ovale allungato e dentro di me sento la bestia fare le fusa, pronta a lanciarsi in quel folle volo illuminato dal chiaro di luna. E’ quello il mio ambiente naturale dopotutto: la notte, la calma, il silenzio; il buio, la luce delle stelle che illumina la mia coda folta. Il verso di un gufo solitario si leva nel parco, facendo fuggire un piccolo stormo di uccellini dalla finestra.
Prendo un respiro e mi lancio, e in un istante tocco il manto erboso, soffice, su cui comincio a correre.
E mi sembra di volare correndo su quei prati verdi, e scappo nella foresta, in un tutt’uno con l’altra metà di me: quella bestiale. E ormai sono ebbro di quella condizione, e non distinguo più il controllo che ho io sul mio corpo e il controllo della bestia, e non distinguo più dove finisce il mio io e dove inizia il suo.

♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦

“Ehi, hai sentito quel verso stanotte?”
“Sentito?! Ma se ero sveglio e ho visto quel mostro correre verso la foresta proibita!”
“Aaaah, io ho sentito che era un licantropo, ma Hagrid l’ha scacciato”
“Ma figurati, saranno tutte balle, Sam!”
“Io ho sentito che era un cucciolo di Girilacco!E’ vero!”

Erano quelle le frasi più diffuse nelle tavolate intente a fare colazione in quella prima mattina di scuola.
Non mi ricordavo di aver fatto tutto quel casino. Beh, a ben vedere: in fondo mi ricordavo a stento di essere uscito quella notte, figuriamoci se mi ricordavo ciò che avevo fatto. Probabilmente avevo anche perso il controllo, anzi, a quanto sentivo in giro dovevo averlo perso per davvero, ma per fortuna non avevo fatto del male a nessuno studente, sebbene fossi stato ebbro della nuova libertà, e non ero stato in grado di domare e dominare l’istinto bestiale crescente in me.
Stavo prendendo una fetta di pane tostato quando poco delicatamente la ragazza bionda del vagone si sedette davanti a me, con un tonfo, e mi rubò la fetta di pane.
“Ehi!” dissi, contrariato, mentre già arreso davanti alla fetta morsicata dalla ragazza mi servivo con un’altra. “Si può sapere perché me l’hai fregata?” chiesi, ma a quanto pareva la ragazza stava giocando con uno strano strumento tondeggiante, una sottospecie di pallina che… possibile che stava emettendo delle scintille?
“E quello cosa sarebbe?” chiesi, alzando un sopracciglio. Ma bene, adesso pure le pustole viventi mi ritrovo davanti, certo che molti maghi hanno dei gusti davvero sindacabili…
“E’ una Rospandola” disse, senza dilungarsi in una spiegazione visto che la mise in una scatola e la fece sparire nella borsa, per poi tornare a osservarmi.
“Parliamo di affari, comunque: mi serve il tuo aiuto, studente nuovo.” disse, schietta, mentre si versava un po’ di tè nella tazza e prendeva un’altra fetta di pane.
“Uuuh, diretta quanto un pugno in un occhio. E per cosa ti servo, di grazia?” replicai, annoiato, nonostante fossi un po’ curioso di sapere cosa volesse la ragazza più strana che avessi mai visto. Anche se non ne avevo conosciute poi così tante, in fondo…
“Beh, immagino avrai sentito anche tu cosa è successo stanotte, no?” continuò, imperterrita, mentre dentro di me mi tirai uno schiaffo. Cosa potevo avere fatto mentre non ero del tutto me stesso? Avevo morso qualcuno? Avevo messo sottosopra qualche ala del castello? Eppure non mi sembrava di essermi sfogato troppo vicino alla scuola, al contrario, mi sembrava di essere andato nel bosco…
“Mmm… non so tanto, ho sentito giusto qualche pettegolezzo volante…” ammisi, mettendo giù la risposta come se fossi interessato alla storia così da volerne scoprire più particolari.
“Beh, Ginny e io abbiamo deciso di stare in piedi questa notte per fare dei turni di guardia e vedere se riusciamo a catturare quella creatura” disse, prendendo un sorso di se son gli occhi chiusi.
“E quindi che c’entro io, scusa? Sono felice che abbiate già trovato un hobby interessante dopo solo una notte passata qua, ma perché volete coinvolgermi?” le chiesi, mentre mi veniva dato l’orario delle lezioni: la prossima sarebbe stata pozioni.
“Beh, molti studenti si sono organizzati in gruppi per scoprire la verità, solo che ne Harry ne Ron hanno accettato di scortarci, insomma, saremmo più sicuri con una presenza maschile nel caso il mostro fosse grosso…” disse, controllando anche lei il suo orario e incorniciando le ore con diversi colori.
“…”
E per questo futile motivo sarei dovuto essere io ad aiutarle?! Ma per piacere, avevo ben altre cose da fare: in fondo dovevo abituarmi a questa nuova vita, volevo conoscere meglio il castello ed evitare che la gente mi guardasse storto, no? Figuriamo ci se…
“Ottimo, chi tace acconsente!” borbottò, alzandosi con il foglio degli orari in bocca “Ti aspettiamo davanti al portone d’ingresso questa sera alle otto in punto, non voglio ritardi.” concluse, e si allontanò verso la prossima lezione senza lasciarmi il tempo di replicare in qualche modo.
‘Idiota’ pensai alzandomi e prendendo le mie cose. Insomma, adesso cosa avrei fatto? Di mio non amavo dar buca alle persone, e quindi sarei dovuto andare? Ma figuriamoci, non avevo di certo voglia di partecipare alla battuta di caccia che prevedeva come target la mia persona. Da chimera ero stato definito pazzo, per poi essere elevato a studente e per ricadere poi a target di una futile caccia al mostro? Ero proprio messo male, conclusi, dirigendomi verso le scale per scendere.
Detestavo quelle scale, anche se era solamente da poco che le “usavo”: continuavano a muoversi, spostandosi da un piano all’altro, e io continuavo a finire su piani che non desideravo; alla terza volta mi irritai non poco. Controllai che nessuno potesse notarmi, e in effetti dovevo essere leggermente in anticipo anche secondo le tabelle di marcia dei più puntuali visto che non c’era nessuno. Comunque, saltai giù dalle scale del secondo piano, stufo marcio di perdere tempo su quelle odiose scale e atterrai elegantemente senza neanche scompigliarmi ancora di più quella balla di fieno che avevo sempre in testa, e mi diressi verso i sotterranei.

Don. Don. Don…
Le otto rintoccarono sull’orologio a pendolo attaccato alla parete del corridoio del sesto piano, in cui mi trovavo.
Stavo tornando dall’infermeria, in cui Madama Chips aveva voluto farmi un prelievo del sangue per  fare alcuni esperimenti con i medicinali, per scoprire se ero intollerante a qualcosa. Fosse importante, poi, d’altronde la mia vita era già una merda dopotutto. E ancora una volta pensai a me come quell’improbabile incantesimo fallito che ero, e sentii l’amaro in bocca, sognando a occhi aperti una vita normale, da comune essere umano, mago o babbano che fosse stato.
Questa volta riuscii a scendere le scale senza troppi intoppi, imparando a muovermi velocemente su quelle infide scale che amavano cambiare posizione, aiutato di tanto in tanto dai ritratti, che avevo scoperto continuavano a scommettere in quanto tempo sarei riuscito ad arrivare a destinazione o dove sarei finito portato controvoglia. Bah, almeno loro un passatempo migliore di quella Lunatica l’hanno trovato in tutti quegli anni che avevano passato appesi, anche se mi infastidiva che fossi io l’oggetto dei loro passatempi.
Comunque arrivai in orario al portone d’ingresso, davanti al quale c’era solo una rossa che si guardava intorno. Che fosse lei Ginny? D’altronde non l’avevo mai vista, e avevo supposto che si trattasse di un’amica di Lovegood.
“Blake?” chiese, venendomi incontro, e io annuii, con tono distante, mentre mi fermavo e mi guardavo intorno in cerca della schizzata che si leggeva le riviste al contrario. Buffo, no? Io che davo della matta a qualcun altro, io che per quindici lunghi anni ero stato rinchiuso in un manicomio, e per i primi anni avevo anche portato una camicia di forza, che si era rivelata decisamente inutile davanti alla mia mostruosa forza.
Dopo cinque minuti la bionda si presentò, camminando con passo rilassato, salutandoci dalla cima delle scale.
“Ehm… Luna…” cominciai, pronto a dirle che declinavo la sua offerta, ma come la mattina questa eclissò la mia voce cominciando a parlare tutta irritata.
“Quel cretino di Gazza ha sentito dei gruppi organizzati dagli studenti, e ha fatto rapporto a Silente che ha vietato di circolare in giro per il castello senza un valido motivo…” disse, amareggiata, mentre trafficava nello zaino che aveva in spalla.
“Comunque, dopo che mi è stata riferita questa cosa questo pomeriggio, mi è venuta una nuova idea” continuò, con una luce negli occhi, cosa che mi preoccupò. Cosa si sarebbe inventata ora? Sentii che dovevo al più presto mettere le cose in chiaro ed eclissarmi via, prima che si venire coinvolto in una nuova impresa assolutamente stupida.
“Ahem… Luna, mi ascolti un attim…“ non riuscii a finire nemmeno questa volta, perché la ragazza riemerse dallo zaino trionfante, con in mano una pergamena, mentre anche la rossa temeva per ciò che avrebbe potuto inventarsi la strana ragazza.
“Ho fondato il giornale della scuola!” Disse, esultante, sventolando davanti a noi il permesso del Club controfirmato da Vitius, dalla Mc Grannit e da Silente in persona.
“E’ per questo che sono arrivata in ritardo, ho dovuto rincorrere per mezzo castello la Mc Grannit che scorrazzava di qua e di la in cerca di Harry, Ron e Hermione per non so quale motivo” continuò, imperterrita, sempre ignorando ogni mio tentativo di sistemare le cose mettendole in chiaro.
“Torniamo ai ruoli, comunque. Io, sono il presidente, Ginny sarà la reporter e tu, Blake, sarai il nostro tuttofare insieme ad Harry e Ron, mentre Hermione ci aiuterà nella stesura degli articoli!” disse, trionfante, mentre ormai io perdevo tutto il coraggio di tirarmi indietro, ormai sconfitto e rassegnato a dover fare il tuttofare.
“Cosa volevi dire prima, Blake?” Mi chiese poi Luna inaspettatamente, quando ormai avevo perso ogni speranza. Alzai gli occhi, e senza avere il fegato di dirle cosa pensavo realmente (poveretta, già la deridono tutti, chi sono io per farle ancora più male?) declinai la domanda, rispondendole un ‘niente’ sottovoce.
Perché sempre io finisco in questi casotti? Mi chiesi, sconfortato, riflettendo che nella mia vita non ne avevo imbroccata una giusta.

 

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Scusate l'attesa, ma con il capodanno è stata ardua scrivere, anzi, mi sono addirittura svegliato da poco^^''
Ringrazio per le recensioni spronanti e interessanti Solly e Lady Linx, grazie davvero, e alla fine ho optato per l'idea di L.L di alternarli intermezzandoli con la fila di rombi, sperando che la scelta non rovini la storia.
Capitolo forse un po' piatto questo, ora devo instradare bene la vicenda anche se un paio di idee e colpi di scena li ho comunque è_é
See You in the next Chapter!^^

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Capitolo 4
*** Capitolo Terzo ***


“Doc, la vita qua è più interessante di quel che mi aspettassi.
E’ passato solo un mese, ma ho già imparato un sacco di cose: ad esempio, lo sapevi che l’erba al mattino è bagnata? O che esiste una bevanda chiamata caffè? L’adoro!
Gli umani sono vivaci, e spesso litigano tra loro. Per cosa, poi, lo sanno solo loro…
A ogni modo ho conosciuto un gruppetto di ragazzi, uno più strano dell’altro a detta della scuola, ma a me non dispiacciono. Almeno, anche se è un martirio no mi dispiace badare a loro da dietro alle quinte. Soprattutto ad una bionda, Lovegood, che mi tira sempre in ballo per un progetto più stupido dell’altro, ti dico solo che nell’ultimo mi sono dovuto arrampicare sul tetto della torre per andare a controllare che ci fossero delle ipotetiche uova di terancipone (animale tuttora a me ignoto), ma è stato divertente.
Abbiamo anche fondato il giornale della scuola, e devo ammettere che come direttore ci sa fare, forse perché prende spunto dal padre redattore, ma comunque abbiamo guadagnato un bel gruzzolo.
Poi…”

Scribacchiavo con la mia bieca calligrafia sottile ed elegante su quel pezzo di pergamena trovato nel fondo del baule la risposta all’ospedale, a quell’infermiera che almeno in parte mi capiva, e che era ansiosa come sempre di sapere le novità. Beh, magari era nervosa anche perché mi aveva scritto più di sette lettere a cui io non avevo risposto per pura pigrizia…
Mi trovavo nell’aula in disuso che era diventata la redazione del giornale della scuola, “Il Ritratto”, come l’aveva chiamato Luna. L’atmosfera era come al solito calda, magari un po’ noiosa visto che avevamo appena finito di vendere l’uscita mensile del giornale, ma a ogni modo era rilassante stare li con le mani in mano a svagarsi.
Hermione e Ginny stavano contando i falci guadagnati e Harry stava passando con Luna la scopa per togliere lo spesso velo di polvere che abitualmente si posava sul pavimento ad una velocità magica.
Finii la lettera e la rilessi, per controllarla. Beh, non avevo scritto molto e probabilmente c’erano degli errori di scrittura, ma non me ne importava granché. Stavo giusto apprestandomi a firmare col numero assegnatomi all’ospedale, 768, quando un meteorite rosso non meglio identificato penetrò nella stanza ad una velocità mostruosa, schiamazzando parole incomprensibili.
“Ma che diav…” scoppiò Hermione, indispettita per aver perso il conto dei soldi, ma subito interrotta da Ron tutto preoccupato.
“Non è possibile! La Umbridge, ancora lei!” urlava irritato, mentre quasi si strappava i capelli.
“Ron, siediti e spiegaci tutto” dissi, diplomatico, spingendo a forza su una sedia il Weasley su una sedia che avevo preso dal tavolo “Che ha combinato ancora quella strega rosa?”
“ E’… E’… Aaaaah, quella donna ne ha fatta un’altra! Leggete qua!” rispose ancora nervoso, porgendo alla sorella un foglio stampato a lettere nere gotiche.
La ragazza rimase in silenzio, leggendolo a mente, e dopodiché esplose anche lei in una fedele replica del comportamento del fratello quando era entrato.
“Si può sapere che diamine c’è?!” interrogò nuovamente Luna, guardando la compagna di corsi.
“C’è” rispose Hermione “che adesso la nostra amata professoressa ha stabilito che il nostro giornale è bandito dalla scuola in quanto divulgatore di false informazioni e futili conoscenze spesso errate”
La maggior parte dei presenti sbiancò a quella risposta. Perché di punto in bianco quella se ne usciva con quel decreto? Beh, il fatto che la metà degli argomenti trattati stabiliti da Luna fossero delle emerite stronzate era vero, ma addirittura definirle “conoscenze errate” sembrava quanto meno eccessivo… E quali erano quelle false informazioni?
Forse Potter mi lesse nel pensiero perché borbottò contrariato poco dopo, sollevando il dorso della mano brutalmente inciso con le strazianti parole fuori uscite dalla penna usata nella punizione
.  “Addirittura false informazioni… Tutto per quell’articolo su Voldemort… Dannata!”
Hermione si appoggiò al tavolo, con gli occhi coperti dai ricci e dalla frangetta. Che stesse progettando qualcosa? Beh, io di certo la conoscevo da poco, però in quei due mesi e mezzo di lavoro insieme avevo imparato ad associare certi suoi gesti e certe sue espressioni a suoi pensieri e stati d’animo, perciò di certo non mi potevo sbagliare, e infatti riemerse poco dopo con una scintilla negli occhi.
“Luna, se per te non è un problema ho intenzione di mandare avanti questo giornale.” Disse, con un ghigno che le incurvava gli angoli della bocca.
“Ovvio che lo mandiamo avanti. L’unico problema è come continuare a farlo uscire se quella controlla tutti gli studenti, insomma, si accorgerà che gli altri vanno in giro con copie nuove del giornale…” disse la bionda, un po’ sconfortata mentre giocava con la collana di tappi di burro birra.
“Avevo sentito di un incantesimo in grado di mascherare gli oggetti. Potremmo stregare tutte le copie del Ritratto in modo che sembrino libri o pergamene vuote, no?” proposi, infilandomi la lettera in tasca e appoggiandomi al muro, gli occhi rossi che danzavano da una parte all’altra della stanza scrutando i volti dei presenti.
“Esatto Blake, proprio quello che avevo pensato io!” confermò la riccia, dandoci una dimostrazione dell’incantesimo e stregando una copia del giornale.
Approvammo tutti la decisione di continuare dopo aver avuto la dimostrazione che il progetto era fattibile. Ora eravamo animati da un nuovo spirito combattivo e ribelle.

Dovemmo ammettere in seguito che il fatto che il giornale fosse diventato abusivo era stato decisamente un bene che aveva aumentato radicalmente le vendite e i galeoni continuavano ad entrare. Il provvedimento della vecchia ranocchia rosa? Decise di istituire un gruppo assolutamente fedele a lei con poteri e privilegi oltre ogni dire, in grado di punire arbitrariamente ogni studente per qualsiasi malfatto. I membri di questo corpo? Ovviamente erano i nostri carissimi amiconi tutti appartenenti alla casata dei serpeverde…

“Signor Deirl? Potrebbe farmi il piacere di rivolgere la sua attenzione sulla lezione piuttosto che sul giardino?”
La voce della Umbridge penetrò nella mia mente come un trapano in un muro, totalmente privo di tatto e stridulo come le unghie che graffiano una lavagna.
“Oh ma la sto ascoltando, professoressa” dissi, irritato, rivolgendo lo sguardo verso quella faccia da tolla con un corpo rinchiuso in quel nuovo, terribile, completino color big babol, manco fosse una camicia di forza.
“Allora potrebbe parlarmi delle chimere? Cosa stavo dicendo a riguardo della loro intelligenza?” replicò,  storcendo le labbra carnose un sorriso malevolo.
Sbuffai e mi alzai. Perché proprio degli esseri come me dovevo parlare? Dannata vita e dannata sfortuna.
“Le chimere non sono niente di più che vie di mezzo tra più esseri. La loro intelligenza è tendenzialmente frutto dell’unione delle conoscenze e delle abilità delle due creature originarie, ergo non dovrebbero essere molto intelligenti. Tuttavia c’è un’eccezione: il caso delle chimere umanoidi. Questo sottogenere di chimere hanno forza e intelligenza straordinarie, ed è indubbio che siano molto più furbe…”
“No, no, no. Non andiamo bene signor  Deirl, si vede che non stava ascoltando. Le chimere sono esseri incompleti, stupidi e pericolosi. Le chimere umanoidi non sono nient’altro che una futile leggenda metropolitana scaturita probabilmente dalla dicerie di qualche vecchio pazzo. “ replicò la vecchiaccia, cominciando a dilungarsi su quanto le chimere fossero errori, esseri inadeguati dal sangue sporco e piuttosto pericolosi.
“Mi scusi professoressa!”
La mano della Granger era schizzata in alto copia delle tante volte precedenti, pronta a chiedere qualcosa, o definire meglio un dato punto della lezione.
“Mi dica, signorina Granger” disse, scocciata, la professoressa, massaggiandosi la radice del naso liberata dagli occhiali.
“Ma se le chimere sono così pericolose e questa è una lezione di Difesa Contro le Arti Oscure, non è che potrebbe insegnarci a combatterle?” chiese la ragazza, sperando come sempre che fosse la volta buona che quell’insegnante, per così dire, insegnasse qualcosa agli studenti.
“Santo cielo, no! Signorina Granger, gliel’ho già detto infinite volte dall’inizio dell’anno: il ministero è qui per insegnarvi in totale sicurezza! Non ci saranno inutili sventoli di bacchette nelle mie lezioni” dichiarò, quasi stizzita, la vecchia rana rugosa mentre si ridirigeva alla cattedra e la riccia si sedeva visibilmente irritata al suo posto.
“Mi scusi, ma Hermione ha ragione” dissi, incapace di contenermi, in piedi in mezzo alla classe.
“Non bisogna sottovalutare le Chimere…” continuai, abbassando gli occhi e pensando all’episodio verificatosi una settimana prima
“Insomma, solo un professore rimbambito non insegnerebbe ai suoi studenti a combattere contro queste creature! La fuori cosa crede che ci siano, sono dolci e gattini?!”
“Ha ragione!”
mi appoggiò Harry
“La fuori c’è Voldemort! E lei si rifiuta di insegnarci a combattere?!”
“ORA BASTA!”
la voce da oca strozzata della Umbridge risuonò nell’aula, con una vena che pulsava leggermente alla tempia. “Basta con tutte queste bugie e insubordinazioni! Punizione per entrambi, stasera alle 6” concluse, secca, per poi riprendere la lezione.
Vecchia rospa rosa. A differenza di Harry non mi risedetti, ma al contrario presi i miei effetti e me ne andai sbattendo la porta dell’aula, ribollendo anche se in maniera controllata e dirigendomi verso l’infermeria.

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Scusate la pausa lunga, ma ho molto da studiare in questo periodo *si tira una mazzata in testa con un dizionario*
Ringrazio come al solito per i commenti Black Rose (scusa se abbrevio il nick XD) e Lady Linx a cui rispondo che non ci avevo pensato, e ti ringrazio perchè mi hai fatto venire in mente un'idea e.e''
Il capitolo è ancora di passaggio, ed è spezzato, nel senso che sto già scrivendo il seguito e se riesco lo posto questa sera stessa XD (non volevo farlo troppo lungo, perdonatemi)
A ogni modo stanno scattando le prime scintille del fuoco rivoluzionario contro la rospa, ergo a breve vedremo i misfatti combinati dagli "studenti modello", ma prima faremo un breve flashback ;) (giusto per commiserare ancora un po' Blake u_u'')
Come al solito le recensioni sono molto gradite!
See you in the next Chapter!

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Capitolo 5
*** Capitolo Quarto ***


Tap. Tap. Tap.
Il mio passo svelto risuonava per i corridoi deserti del castello. Ovvio, erano tutti a lezione dopotutto.
“Ehi ragazzo, lo sai che le lezioni non si marinano?!” mi rimproverò un ritratto al mio passaggio ma lo ignorai. Perché quei dannati dipinti avevano l’insano hobby di spettegolare su tutto ciò che accadeva al castello, osservare pettegoli gli studenti e divertirsi alle loro spalle?! Non avevano una vita loro? Beh, in effetti non credo che per loro si possa parlare di una vita propria…
Salii le rampe di scale, litigandoci some sempre e talvolta saltando anche da un piano all’altro con le mie sole gambe, troppo irritato da quegli assurdi capricci, e in men che non si dica mi ritrovai nel corridoio del quinto piano, in fondo al quale si trovava l’infermeria.
E già mi tornavano alla mente i ricordi vaghi di quella notte.
Era passata solo una settimana, ma non c’era stato giorno in cui non fossi andato a trovarlo.
La stanza era inondata dei pallidi raggi mattutini recanti calore su quei letti vuoti meno uno, su cui riposava un ragazzo bendato in più punti e al momento incosciente.
Mi avvicinai al letto e presi una sedia, su cui mi buttai pesantemente con la testa all’indietro, quasi a ciondoloni, e con gli occhi chiusi mentre mi tenevo la radice del naso tentando di ricordare che diavolo mi era saltato in mente quella fatidica notte. Ma d’altronde erano passate settimane dall’ultima volta in cui avevo perso il controllo, e mi ero convinto che sarei riuscito a controllarmi. Ma non avevo fatto i calcoli con la mia brama di sangue…


♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦

Il pendolo torna indietro.
La notte è giovane, e le stelle illuminano il cielo come scintille di un fuoco bianco, rischiarando quella notte di novilunio oscuro come l’altro lato di me.
Scendo dal letto a baldacchino, piano, mentre il solito studente russa. Quante volte ancora dovremo fargli notare che è alquanto rumoroso di notte? Nessuno lo sa.
Come uno spirito che vaga nel cimitero scendo dal materasso morbido, appoggiando le piante dei piedi sul freddo pavimento. Mi alzo, calmo, e comincio a muovermi per la stanza, uscendo dalla porta e scendendo per le piccole scale a chiocciola che portano al tinello della torre di Corvonero.
Niente si muove nel castello, d’altronde è l’ora in cui tutto dorme, tacendo più o meno.
E il silenzio è padrone di tutto.
Qualcuno si rigira nel letto, ma solo per mettersi più comodo,ignorando ciò che sta per compiersi nel parco del castello. Già, perché nessuno sa di ciò che si aggira praticamente una volta a settimana tra gli alberi della foresta, per i manti erbosi del castello.
Perché è solo di notte che posso sfogare la mia controparte così da non ferire nessuno.
E riprendo ad avanzare, uscendo dal dormitorio come un ombra della notte, e neanche i ritratti, assonnati, si accorgono di me.
Gazza? Beh, Gazza è nel suo ufficio a dormire probabilmente, e la sua gatta mi teme. Come è giusto che sia, in fondo.
Esco dal portone di quercia, libero dalle mura del castello, libero da ogni costrizione. Eppure ho paura ogni volta a trasformarmi in bestia.
Ancora ricordo i giorni, quasi lontani, in cui aggredivo e uccidevo gli infermieri. Già, perché loro avevano deciso di tenermi in gabbia. E come una tigre rinchiusa, la mia rabbia spesso prendeva il sopravvento e uccideva la guardia, come una tigre che azzanna il domatore.
Tac. Tac. Tac.
La porta è aperta in fronte a me, ma perché esito ad uscire?
Sembro un uccellino che ha paura di buttarsi giù dal nido per volare…
I minuti passano, e rimango li a fissare quella porta, quel confine che mi pare quasi insormontabile. Anzi, più che insormontabile, semplicemente mi mostra una cosa a cui non ho dato l’importanza che in realtà si merita. Dannazione, sono passati un paio di mesi e non ho mai riguardato alle mie spalle, al mio passato. Perché voglio dimenticarlo? In fondo il passato è ciò che mi ha formato. Il passato è ciò che da le basi delle mie idee, in fondo… Un pugno di mesi fa avrei dato galeoni per poter fare ciò che sto per fare, e io me ne sto qua impalato troppo impaurito per uscire?
D’altronde qualcosa turba il mio sesto senso, e qualcosa sta per accadere.
Ma una voce dentro di me mi urla che vuole uscire, e non riesco a soffocarla. E il mio corpo, piano, ribolle, come le acque agitate di un mare che si prepara alla tempesta.
“Che aspetti?”
Una vocina mi sussurra all’orecchio. No, non devo darle ascolto, oggi non è nottata per uscire.
Ma quella vocina acquista sempre più importanza e continua a sibilarmi nell’orecchio, come il serpente che tentò Eva, e mi fa apparire la realtà di fronte a me terribilmente affascinante.
Sono confuso. Uscire? Non uscire?
Tac. Tac.
Perché esito?
No… Non voglio tornare un mostro, sto cedendo alla realtà abbandonando il mio sogno. E non voglio.
Perché mi hanno dato vita… Perché devo essere una via di mezzo…? Sono questi gli interrogativi che mi salgono alla mente.
Ma intanto la coda fende l’aria, e il sangue ribolle. “Che aspetti?” La vocina risuona ancora, sempre più ammaliatrice.
L’olfatto diventa più fine, e l’udite ascolta i suoni della notte, il frusciare delle ali di qualche uccello sonnambulo, il dormire della maggior parte degli esseri viventi.
E tuttavia qualcosa non torna. Cos’è quest’odore? Cos’è questo rumore?
Ma la vista diventa sempre più confusa, e va tingendosi di rosso.
I canini del mostro escono, dischiusi tra le labbra vermiglie, mentre ormai non capisco più niente. E il sangue ribolle. Li sento, affondare, in qualcosa. E subito sulle mie labbra ritrovo quel caldo sapore che tanto mi strega, e che è meglio di qualunque cosa.
Rosso, sgorga sotto le mie fauci il caldo liquido di qualcosa. O forse è qualcuno, ma ormai non mi controllo.
Probabilmente la mia preda sta gridando, ma non me ne frega niente. Di cosa parlavamo? Mah, niente di importante credo; già, perché il sangue è ormai al centro di tutto, ritrovato dopo mesi d’astinenza.
Gli artigli intanto hanno atterrato quella creatura impaurita, ormai preda del mio raptus omicida, ormai preda della bestia che è in me, assetata di sangue. Le unghie affondano, come i canini, lacerando la carne in più punti, più o meno superficialmente, e liberando altra tintura rossa.
Le mie labbra scendono sul corpo di quel ragazzo, mentre la stoffa che lo ricopriva è già andata in brandelli, e sensualmente faccio scorrere la lingua leccando via il prelibato alimento, ammirandone ogni singola goccia, leccandolo ovunque e facendo nuovamente calare i canini nella spalla, nel collo, graffiando il petto, e tornando ad accarezzare quei tagli con le labbra tonde.
E la bestia è ormai libera nel mio corpo. E la preda urla di dolore, e Dio solo sa cosa prova.
Le urla non sono sfuggite però, e subito qualcuno è sceso insospettito dalle grida stridule. E sono diviso in più fazioni. Spero che non mi riconoscano. Spero che non mi separino dal sangue di quelle ferite. Spero che salvino il ragazzo è mi rinchiudano al castello. Spero che non mi rimandino alla clinica psichiatrica. Spero di non ucciderli, per quanto deboli possano essere. E soprattutto, in un angolo remoto del mio essere, spero che mi uccidano, eliminando così anche il mostro sanguinario che è in me.
Le chimere umanoidi? Certo che esistono, ne hanno una esattamente davanti.
E la mia lingua continua a scorrere su quel petto caldo, leccando le ferite all’altro, bramosa di altro sangue.
Sento altre urla. Bene, sono arrivati, ora sederanno il mio alter ego, e forse anche me. Altre persone scendono, e spero che non ci sia in mezzo a loro anche qualche studente che conosco. Spero che non ci siano i ragazzi con cui mi sto aprendo. E davanti ai miei occhi scorrono i volti di qualche grifondoro e corvonero.
Qualcuno urla un incantesimo. Il mio corpo viene sbalzato via. E tutto diventa nero.

♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦

“Stai ancora pensando a quanto è successo, Blake?”
La voce del vecchio mi scosse, facendomi tornare alla realtà. Perché non si era arrabbiato quella volta? Perché non mi aveva espulso? Perché nessuno mi aveva ucciso?
Aprii un occhio, quasi timidamente, verso quell’alta figura dal naso aquilino.
“Si” mormorai richiudendo l’occhio dall’iride scarlatta e massaggiandomi piano la radice del naso.
“Perché nessuno mi ha ucciso?” chiesi, piano, dando voce ai miei pensieri “Perché ha deciso di tenermi qui a scuola? Sarebbe stato tutto più facile se mi aveste reindirizzato al San Mungo, no?”
“Di certo sarebbe stato tutto più semplice” disse il professore, mentre Madama Chips cacciava da dietro le tende del suo ufficio l’ennesimo sospiro rivedendomi li come ogni altro giorno.
“Tuttavia io mi fido di te, e tutti hanno almeno una seconda possibilità” continuò, cercando il mio sguardo con i suoi occhi azzurri.
“Non sia sciocco, lei non può fidarsi di me. Non può nemmeno leggermi nel pensiero come fa con la maggior parte delle persone… E poi l’ho quasi ucciso…” dissi, freddo, accennando al povero Neville, adagiato incosciente sul lettino “Ancora pochi minuti e avrebbe guadato il confine che distingue il mondo dei vivi dal regno dei morti, e ora è li incosciente da sei giorni” borbottai.
“Beh, se ti fa piacere saperlo, l’altro giorno si è svegliato per un po’, ma d’altronde è decisamente stanco… e senza sangue…” rincarò l’infermiera scolastica, arrivando da noi come un avvoltoio.
“Tuttavia la nonna del signor Paciock non pretende alcun risarcimento, e non è arrabbiata con te visto che in fondo suo nipote è ancora vivo” cercò di rincuorarmi Silente.
“Tutte palle, mi odia anche lei. E a buon motivo…” replicai, ancora irritato con me stesso per ciò che avevo fatto. E tuttavia sentivo ancora l’odore del sangue fresco nelle narici, e il sapore del sangue in bocca.
“Nel caso vi incontrerete, direi che potrete scambiarvi i vostri pareri, allora, così forse sarai un po’ più propenso a continuare la tua esistenza” disse il vecchio, sistemandosi gli occhiali a mezzaluna sul naso dopo averli puliti.
“Già, la mia esistenza da morto. Proprio una bella vita, davvero” risposi cinico. D’altronde la mia persona poteva facilmente definirsi anche con il concetto di atopia. Già, perché ero fuori da qualunque mondo, diverso da tutto e tutti. E anche la maggior parte delle creature magiche mi temevano. Perché ero u mostro.
Il preside della scuola sbuffò, quasi sconfitto, e si alzò, aggiungendo solamente una cosa.
“Io non la penserei così, ma d’altronde ognuno ha le sue idee. Comunque mi sbrigherei visto che è quasi ora di pranzo” e mi fece l’occhiolino, per poi girarsi e, dopo aver salutato anche Madama Chips, se ne uscì dalla porta.
Rimasi li attonito ancora qualche secondo, poi risuonò la voce irritata dell’infermiera.
“Allora, vuoi stare qui ancora per molto?! Su! Su! Devo cambiare le fasciature e le ferite sono ancora aperte grazie alla tua saliva, quindi ci sarà un po’ di sangue, quindi esci prima di banchettare ancora una volta!” Disse, irritata quasi sbattendomi fuori dalla porta.
Beh, dovetti ammettere che almeno quell’infermiera sapeva prendermi nel modo giusto, trattandomi come uno studente qualunque di cui conosce il più grande segreto e rigirandoglielo contro con frecciatine pungenti.

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Come promesso nel vecchio capitolo, sono riuscito ad aggiungere il nuovo capitolo questa sera stessa! (e meno male visto che teoricamente erano legati in uno solo XD)
Ringrazio come al solito Lady, soprattutto er avermi fatto notare il fatto che avevo scritto due volte lo stesso pezzo °A° arigato gozaimasu!! >.<
Che dire di questo capitolo? Beh, mi sono divertito da matti a scrivere il flashback, soprattutto quando assale il malcapitato neville e.e (e... si, lo so, sembra quasi che stiano "giocando maliziosamente"... <.<'' pardon, spero che non abbiate rimostranze su scene che potrebbero sembrare più adatte ad uno yaoi <.<'' e per chi non l'avesse capito... si, mi piace lo yaoi anche se sono maschio u_u)
A ogni modo rencensite pure se avete voglia!
See you in the next Chapter ;) (che potrebbe essere postato intorno ai primi di febbraio visto che devo studiae o.o'')

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