Hopelessly Devoted To You di Noony (/viewuser.php?uid=64336)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. Da cieli differenti. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. Good morning New York. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. Non tutto è come sembra. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. Big Blue Wall (there's a chance outside this isolation). ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. Amici. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. Girls. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. Boys. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. Il cambiamento. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. Al bivio. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. Dieci giorni per conoscerci. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11. Primi passi. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12. In frantumi. ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13. Pazzi d'amore. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14. Brutte giornate. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15. Unsaid. ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16. New Year in New York ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1. Da cieli differenti. ***
Hopelessly Devoted To You <3
Capitolo
1. Da cieli differenti.
Lei.
-...
E per tutti
questi motivi, sono sicuro che trasferirci a New York sia la scelta
migliore per la tua crescita. Necessiti di un salutare cambiamento,
di conoscere altri modi di vivere, vedere nuovi luoghi, e l'offerta
di cominciare ad insegnare seriamente, fattami da Bert, data cade
proprio a fagiolo, come direbbe la tua cara tata. Non deve
spaventarti la lontananza dall'Inghilterra, sono certo vorrai fare
ritorno tra due anni, per frequentare il college. Oxford è
per te la
scelta migliore, come lo è stata per me, per mio padre, per
il padre
di mio padre e via dicendo.- E concluse così, con un leggero
roteare
una mano in aria, il monologo così ben preparato,
durante il quale non aveva sollevato
mai il naso dal suo giornale del mattino, che detto per inciso,
veniva eretto spesso e volentieri a mò di barriera, a
difenderlo
dalle insidie dell'adolescenza.
Non
la propria,
ovvio, ma quella di sua figlia, Hannah, una sedicenne seria e
assennata, ma ahimè, soggetta a tutti quei fastidiosi
cambiamenti
che davanti agli occhi di George, la stavano trasformando velocemente
in una donna.
La
sua copia del
Daily Mail era di certo più facile da
comprendere, non
chiedeva consigli, non aveva problemi, riportava semplicemente i
fatti salienti accaduti il giorno precedente, senza pretendere
però
che cercasse una soluzione per uno qualsiasi di quei fattacci.
In
effetti, neppure
Hannah lo faceva, ma d'altronde aveva assunto tata Eleanor proprio
per questo.
Durante
il suo bel
discorso, George le aveva elencato tutti gli innumerevoli vantaggi
del loro imminente trasferimento negli Stati Uniti, che sarebbe
avvenuto di lì a un mese, e Hannah l'aveva ascoltato senza
fiatare,
annuendo di tanto in tanto, e mostrandosi totalmente d'accordo con
ognuna delle giustificazioni fornitele. Non che avesse molta scelta,
e in fondo non le importava. Se poteva portare con se la sua adorata
tata, sarebbe andata volentieri ovunque.
C'era
però un
pizzico di tristezza che la prendeva, al pensare a quegli ultimi giorni
della sua
vecchia vita prima di immergersi in una completamente nuova. Amava la
sua patria, ma non era il pensiero di doverla lasciare a renderla
triste. Era il cambiamento in se, a tramortirla. Ne era terrorizzata,
perché i pochi cambiamenti che c'erano stati nel corso dei
suoi
sedici anni, avevano avuto conseguenze catastrofiche sul suo piccolo
mondo dorato. Ma questo a suo padre non poteva dirlo, certa com'era
che non avrebbe capito.
Il
massiccio
orologio a pendolo dell'ingresso suonò l'ora, le otto in
punto.
Hannah bevve un altro sorso di tè, e fece per alzarsi.
-
Aspetta, Hannah.-
Riprese George, prima che la ragazza avesse il tempo di lasciare la
sala da pranzo. - Da oggi non avrai più lezione, ho
già preso
accordi con la signorina Burton. Voglio che tu utilizzi il tempo che
ti rimane per prepararti alla partenza. Ti ho già iscritta
alla St.
John E. Rivers, dove insegnerò, quindi non hai
più bisogno di
seguire delle lezioni private per i tuoi A-Levels. Ti diplomerai
all'estero. Frequenterai la scuola gestita da Bert, quindi ti viene
assicurata una preparazione di prima qualità.- Detto
ciò torno a
chiudersi nel suo ostinato silenzio, sollevando ancor di più
il
quotidiano, finché le sue pagine grigiastre non ne nascosero
completamente il volto, e Hannah comprese che la loro conversazione
finiva lì.
-
Va bene, papà.-
Rispose solamente, e emettendo un flebile sospiro, abbandonò
la
sala, ponendo fine al loro rituale mattutino.
Padre
e figlia si
vedevano solo per la colazione e raramente per la cena,e ogni mattina
era identica alla precedente. Stessa colazione, stesso tè al
latte,
nelle stesse tazze di pregiata porcellana, stesso pane imburrato
posato sugli stessi eleganti piattini, stessa brocca di spremuta
d'arancia al centro del lungo tavolo che sembrava dividerli
più di
chilometri interi,e che nessuno dei due toccava, quasi avesse paura
di avvicinarsi troppo all'altro, ma che doveva esserci, come fosse
anch'essa un commensale. Identici erano anche i discorsi, che si
limitavano a essere i soliti formali convenevoli: Hai dormito bene?
Si grazie, e tu? Stupendamente, o a seconda del tempo orrendamente.
Hannah voglio tu faccia questo e quest'altro oggi. Certo
papà, come
vuoi tu... E via dicendo.
La
loro non era una
famiglia appassionata, ne felice. Apparentemente serena forse, ma
felice mai. George e Hannah erano a tutti gli effetti due estranei,
legati solo da un'elica di DNA. Non avevano altro in comune se non un
inscindibile vincolo genetico. Da quando di sua moglie Zara si era
uccisa, undici anni prima, egli aveva smesso di interessarsi a sua
figlia, aveva smesso di interessarsi a tutto, tranne che al suo
lavoro. Paradossalmente i suoi studi sul genoma umano in quegli anni
bui, erano sempre venuti prima dell'unica persona con cui condivideva
il proprio corredo genetico. La ricerca veniva prima dei suoi
successi scolastici, della sua condotta irreprensibile, della sua
buona educazione, e di qualsiasi altra cosa la riguardasse. Il lavoro
lo liberava da tristi e dolorosi ricordi, e a lui andava bene
così,
isolarsi per andare avanti era necessario.
Lui.
-
“Gentilissimo
Signor Stein, La informo con gioia che, dati i Suoi successi
scolastici, Le viene data l'opportunità di entrare a far
parte del
nostro esclusivo programma di tutoraggio. So che sarà lieto
di
aiutare ad ambientarsi e mettersi in pari con i suoi futuri compagni
la signorina Hannah Zara Georgia Barnes, figlia di un mio caro e
stimatissimo amico.
Le Sue doti
innate, la Sua vivace intelligenza, e il Suo carattere naturalmente
espansivo, aiuteranno la signorina Barnes ad adattarsi al meglio ad
un sistema scolastico tanto differente da quello britannico. Le
ricordo, che simili attività sono molto apprezzate dalla
commissione
esaminatrice di un certo prestigioso college, e non potranno che
agevolarla riguardo a quella sostanziosa borsa di studio di cui
abbiamo tanto discusso Sua madre ed io. Spero non vorrà
deludere le
mie anzi, le nostre aspettative. Distinti saluti, il preside Albert
Miller.”-
Il
silenzio calò
nella piccola e disordinata cucina del loro piccolo e disordinato
appartamento ad Harlem, quando Greta, con le lacrime agli occhi per
l'emozione e l'orgoglio, terminò di leggere la lettera che
stringeva
ancora tra le mani.
-Tesoro,
è
un'occasione stupenda!- Cinguettò, mentre Jace, affacciato
all'unica
finestra della loro minuscola cucina all'ultimo piano di un grigio e
vecchio palazzone, osservava il via vai di persone per la strada,
piccole come formiche, dall'alto del tredicesimo piano.
Il
ragazzo sbuffò,
voltandosi poi verso la madre. - Non voglio farlo, lo sai vero?-
Greta
lo fissò
corrugando la fronte. -Certo, ma tu lo farai. Hai lavorato tanto per
arrivare a questo punto per buttare tutto al vento.- Il tono era
implorante, o quasi. Oh, non sarebbe arrivata certo al punto ad
implorarlo, sapeva bene come convincere il suo ragazzo a darle
ascolto, e commuoverlo era il modo più sicuro per indurlo (o
meglio
costringerlo) a seguire i suoi consigli. Si avvicinò ad un
cassettino,lo aprì e vi rovistò per un minuto
buono, prima di
tirare fuori trionfalmente un pacchetto di sigarette schiacciato e
ammaccato. - Ecco qua. Ti sei meritato una sigaretta. Sali sul tetto,
prendi un po' d'aria, ci pensi un po' su e quando torno dal lavoro ne
riparliamo, va bene?- Si chinò a poggiare il pacchetto sul
davanzale
della finestra e a scoccare un bacio sulla guancia al suo bambino
ormai troppo cresciuto. - Sono molto fiera di te. Ti voglio bene.-
Gli sorrise amorevolmente, e Jace specchiandosi in quegli occhi grigi
così simili ai suoi, comprese di non avere scelta.
-
Mamma, sei
malefica. Un vero demonio!Chissà quanti uomini avrai
circuito con le
tue arti seduttive!- Bofonchiò, rivolgendole però
un largo sorriso,
seguendola con lo sguardo nel suo muoversi attraverso la stanzetta.
-Meno
di quel che
credi, insolente! A stasera!- Rispose Greta, ridendo.
Afferrò la
borsa e usci senza aggiungere niente altro.
L'appartamento
si
fece silenzioso. Jace continuava a guardarsi intorno, e tutto gli
parve meno luminoso, addirittura monotono senza la sua presenza.
Amava
profondamente
sua madre, una donna in gamba e forte che per suo figlio aveva
sacrificato tutto, che
aveva assunto anche il ruolo di padre quando quello vero era
scappato, lasciando dietro di se solo innumerevoli debiti e un bimbo
da crescere. Lei era la sua migliore amica, la persona che
più amava
al mondo, e dubitava di poter provare mai affetto di tale
intensità
per un altro essere umano.
-Credo
dovrò
farlo...- Mormorò infine tra se e se, storcendo le labbra in
una
smorfia di fastidio. Prese le sigarette, le chiavi di casa, e
uscì.
Al
tetto del
palazzo si accedeva attraverso una scala in ferro piuttosto malferma,
vecchia come tutto il resto dell'edificio e arrugginita in qualche
punto. A Jace piaceva stare li, guardare il quartiere e la
città
dall'alto, lo aiutava a riflettere sulle cose, a prendere decisioni
importanti. Ancor meglio se poteva portare con se una sigaretta.
Quando
aveva
tredici anni, Jace fu beccato da sua madre a fumare. Lo faceva da
qualche mesi, ma non era stato abbastanza furbo da non farsi beccare.
In realtà, fumare gli piaceva ma non tanto da farlo
diventare un
vizio. Era solo un ragazzino che voleva sentirsi uomo prima del
tempo. Greta comprese che se si fosse impuntata non avrebbe ottenuto
nulla, così madre e figlio fecero un patto: ogni volta che
Jace se
lo fosse meritato, avrebbe avuto in premio una sigaretta.
Per
i quattro anni
successivi il ragazzo non fumò una sola sigaretta, anche
quando gli
sarebbe spettata di diritto. Sapeva di aver deluso sua madre, e
credeva con tutto il cuore che se avesse superato quella prova,
rifiutando quel premio tanto ambito, avrebbe potuto riparare al torto
fatto. Ma ormai aveva quasi diciotto anni, e più maturo e
ormai
adulto, sentiva di poter godere di quel premio in tutta
tranquillità.
Per tutto quel
pomeriggio rimase nel suo pensatoio, a rimuginare e rimuginare
ancora.
Fregato.
Jace era
stato fregato. Sembrava che ci fosse una cospirazione contro di lui.
Lui
neppure aveva
presentato domanda di partecipazione a quel tanto ostentato programma
di tutoraggio.
“Le
viene data
l'opportunità” aveva scritto
il preside Miller. La realtà era
ben diversa: era obbligato a star dietro a questa Hannah.
La
fervida fantasia
del ragazzo viaggiava a tutto vapore. Immaginava già di
vedersi
appioppare quella che quasi certamente sarebbe stata una ragazzina
con la puzza sotto il naso, magari un'ochetta del primo anno, oppure
una specie di Hermione Granger, ma più brutta,
più stupida e
certamente molto più svenevole...E ovviamente con dei denti
orribili... Si, proprio come quelli del principe Carlo, per
intenderci. D'altronde Barnes era un cognome inglese, e il preside
stesso lo era da parte di madre (e ne andava parecchio fiero), quindi
sentiva di avere il diritto di aspettarsi un'inglesuccia scialba.
Non
poteva
immaginare sacrificio più arduo, e gli costava parecchio
dover
sottostare a quello che sentiva essere un ricatto bell'e buono, ma
doveva troppo a sua madre per poter rifiutare quell'offerta a cuor
leggero. Sentiva di avere nei suoi confronti un enorme debito,
qualcosa che la sua coscienza non gli permetteva d'ignorare,
perché
costantemente e totalmente conscio dei sacrifici che lei compiva per
lui.
Greta
non gli
rinfacciava mai nulla, com'è ovvio, non faceva mai pesare
nulla al
suo ragazzo, cercava di nascondergli le sue preoccupazioni quando ne
aveva qualcuna e la stanchezza, ma lui era più che empatico
verso la
madre, e riusciva a capire con un solo sguardo se qualcosa non andava
per il verso giusto. E quando accadeva, Jace ne soffriva
terribilmente.
Sentiva
su di se il
peso di enormi responsabilità, un peso che egli stesso aveva
deciso
di addossarsi. Loro non erano ricchi, vivevano in un appartamento
malandato in uno dei quartieri peggiori della città, sua
madre
lavorava come infermiera ma non era raro che svolgesse qualche altro
lavoretto per arrotondare. Jace era intenzionato a ribaltare quella
situazione, a lavorare sodo, a ripagare sua madre di tutti i
sacrifici. L'affetto che provava per lei, era ciò che lo
spingeva
più di tutto, ad andare avanti, nonostante gli ostacoli, per
quanto
la strada potesse essere lunga e tortuosa.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2. Good morning New York. ***
Hopelessly devoted to you
Hopelessly
Devoted To You <3
Capitolo
2. Good morning New York.
Lei.
Avevano
alloggiato
in un lussuoso hotel sulla Park Avenue nell'ultima settimana, mentre
attendevano che arrivassero dall'Inghilterra gli ultimi effetti
personali. Le camere degli hotel la stranivano, le trasmettevano un
senso di instabilità. Ad Hannah piaceva avere nuovamente uno
spazio
da poter chiamare “casa”, se casa poteva definirsi.
A
Manhattan non si
trovano delle unifamiliari con giardino annesso come a Londra, quindi
suo padre si era dovuto accontentare di un lussuosissimo ed enorme
appartamento all'ultimo piano di un imponente palazzo di nuova
costruzione. Il che le piaceva tutto sommato, e poteva essere
considerato a tutti gli effetti un successo. Non era tipo da
entusiasmarsi e lasciarsi andare in eclatanti dimostrazioni di
felicità. Tutt'altro.
La
zona in cui
sorgeva l'edificio era una delle più rinomate della
città, l'Upper
East Side. La cosa non impressionava per nulla Hannah, semmai
l'impensieriva. La scuola che avrebbe frequentato si trovava a breve
distanza da casa, poteva quindi facilmente immaginare quali individui
vi avrebbe incontrato. Sarebbe stata a stretto contatto con i pupilli
dell'alta società newyorchese, ragazzi ricchi e viziati, per
nulla
diversi dai coetanei inglesi che durante tutta la sua vita, privata e
scolastica, aveva sempre evitato.
Fin
da piccola era
stata timida, piuttosto introversa, un misto tra diffidenza e
quell'ingenua bontà tipica di chi il mondo non lo conosce
affatto.
Avendo sempre vissuto in una bolla, evitando ogni contatto con il
resto della popolazione mondiale, non aveva il desiderio di farsi
degli amici ne l'attitudine a socializzare. Gli unici amici che
lasciava in patria erano i cavalli e i cani da caccia dei nonni.
Era
una ragazza
sola, e così stava bene. Non si era mia chiesta se ci fosse
qualcosa
di meglio, al di là del confine del suo piccolo mondo. Non
voleva
chiederselo. Avrebbe significato fare dei cambiamenti. E lei non li
voleva. Così andava avanti, dicendosi che in fondo non si
può
desiderare qualcosa che non si conosce.
Trovava
normale e
scontato vivere come aveva sempre vissuto, con la consapevolezza che
il suo nome avrebbe potuto aprirle qualsiasi porta, ma non vi trovava
nulla di cui vantarsi non avendone alcun merito se non una fortuna
sfacciata. Non comprendeva il bisogno ossessivo mostrato dalla
maggior parte dei figli della nobiltà inglese di far sfoggio
di
antenati illustri o delle grandi somme di denaro: io
erediterò
questo e quello, io prenderò tale cifra, io quella famosa
società,
io tale titolo nobiliare.
Non
sentiva dire
altro. Una simile cultura era tanto radicata in alcuni suoi coetanei
che, mentre lei si preoccupava solo di giocare con le bambole, loro
già calcolavano la loro futura fortuna, consapevoli senza
sapere
bene il perché, che un titolo e una grossa somma di denaro
chiusa
nel caveau di una banca li avrebbero resi migliori degli altri.
Hannah
trovava
noiose quelle chiacchiere profonde quanto una pozzanghera, ed era
refrattaria alle attenzioni di chi era interessato solo ai soldi di
suo padre, o a quanto sangue blu ci fosse nelle sue vene.
Non
voleva essere
inglobata da quel mondo di falsità, fatto di sorrisi vuoti e
vanità.
Se proprio fosse stata costretta a socializzare, avrebbe dovuto
piacere per quel che era, non per chi sarebbe stata un giorno.
Il
suo essere
schiva, l'aveva sempre protetta da tutto questo, ma pian piano
l'aveva anche irrimediabilmente allontanata da tutti. Non aveva amici
della sua età, ed era sicura di non desiderarne. Non si
illudeva che
cambiare stato potesse cambiare la situazione.
L'unica
persona di
cui si fidava, era la sua tata. L'aveva cresciuta da quando aveva
cinque anni, ed era ciò di più vicino ad una
madre che conoscesse.
A lei e solo a lei, confidava le preoccupazioni e gli affanni di
quell'età così difficile, e poteva ben dire che
la corpulenta
cinquantenne scozzese, con i capelli rossi e il volto lentigginoso
segnato da qualche ruga fosse la sua unica amica.
-
Hannie,
svegliati!- La tata la scosse appena, destandola dal suo sonno
leggero. Si affrettò a scostare le tende dalla finestra ed
aprire le
imposte, così che il sole in tutto il suo splendore
settembrino
inondasse la stanza, spazzando via anche le ultime tracce di sonno.
Hannah si alzò senza fare storie, stiracchiandosi appena.
Sbadigliò,
coprendosi educatamente la bocca con una mano, prima di biascicare un
buongiorno con voce impastata.
Con
un sorriso, la
donna le porse una pila di vestiti ben piegati, e la spinse verso il
bagno. - Avanti, cara. Siamo perfettamente in orario ma la colazione
è già pronta, tuo padre ha già
terminato. Ti aspetta di sotto.
Pensa, ha deciso di guidare fino alla scuola! Lo conosco, arriverete
sicuramente in ritardo! Buon Dio! Quell'uomo è
incorreggibile!-
Cinguettò, mentre canticchiando riordinava la stanza.
Nonostante
l'aspetto burbero, era una donna dolce e affabile, dalla voce morbida e
vellutata, di quelle che ti cullano dolcemente ad ogni sillaba.
La
ragazza annuì,
e presi gli abiti che le venivano porti, si diresse verso il bagno.
Non era solita indugiare davanti allo specchio, non amava truccarsi,
ne acconciava i capelli in modo particolare, quindi fu pronta in
breve tempo.
Quando
scese di
sotto, indossava la divisa della nuova scuola perfettamente stirata e
in ordine, i lunghi capelli castani erano legati in una coda alta,
che le dava un aria ordinata, da studentessa diligente quale era.
Portava con se già la tracolla, colma dei libri da riporre
nell'armadietto che le avrebbero destinato. La poggiò su una
seggiola libera, prima di sedere ad un capo del tavolo e
sbocconcellare la propria colazione.
La
solita vecchia
colazione, la solita brocca di spremuta a dividerli, il solito tram
tram mattutino, il solito silenzio snervante.
Non
appena ebbe
finito, la tata le porse la borsa e si affrettò a portare
via i
resti del pasto dal tavolo.
George
aspettava
sua figlia alla porta, senza nascondere un moto d'impazienza che la
sorprese. Neppure quando doveva tenere delle lezioni in un college
mostrava segni così evidenti di nervosismo.
In
macchina non
parlarono. Hannah fissava edifici sconosciuti sfilare l'uno accanto
all'altro, eleganti e lussuosi, tutti simili in qualche modo, tutti
privi di anima. Bellissimi esempi di architettura contemporanea senza
significato. La St. John non era da meno.
Quando
vi
arrivarono il cortile antistante all'entrata era già
deserto. La
prima lezione doveva essere già iniziata, e il preside
Miller li
attendeva all'ingresso, con un sorriso divertito sul volto.
-
Sapevo che
saresti arrivato in ritardo! Certe cose non cambiano mai, amico mio!
Ti avevo detto di assumere un autista!- Scoppiò in una
fragorosa
risata, allegra e contagiosa.- Ne sono certo, tu hai sbagliato
strada!-
Ed
era proprio
così.
Lui.
Il
primo giorno di
scuola arrivò in un lampo. Jace ne era poco entusiasta.
Detestava il
solo pensiero di dover passare i prossimi mesi con una ragazzina
perennemente alle costole.
Non
poteva essere
altrimenti. Aveva bisogno di quella borsa di studio: aveva presentato
domanda in vari college, partecipato agli esami di ammissione,
compresi quelli per la NYU e la Columbia, ed era a quest'ultima che
lui ambiva. Non c'era neppure da discuterne, se era necessario fare
anche questo, beh, lui l'avrebbe fatto.
La
sveglia suonava
chissà da quanto, quando si decise ad aprire gli occhi.
Cercò di
spegnerla buttandola a terra, con un grugnito di disapprovazione,
perché quella invece di zittirsi, cominciò a
trillare con ancor più
foga.
-Va bene, va bene!
Mi alzo! Stupido aggeggio!- Brontolò, puntando i gomiti
contro il
materasso, per tirarsi su. I capelli biondi erano un groviglio
informe, più criniera che altro. Gli occhi grigi e profondi
erano
assonnati e stanchi, come se nove ore di sonno profondo e
ininterrotto non fossero state abbastanza per loro. Jace faticava a
tenerli aperti, ma quando si posarono su quelle lancette, si
spalancarono.
-
Le 7.30?! Oh
santissima merda!- Sbottò, scaraventandosi giù
dal letto. Afferrò
la divisa, sparpagliata per la stanza e si infilò nell'unico
bagno
di tutta la casa. -Ma dai! Il tappeto è bagnato!-
Urlò, quando vi
mise sopra i piedi scalzi. -Zuppo! Ma dico io... Come diavolo fa
quella donna a ridurre il bagno in un lago ogni maledetta mattina!-
Continuò
a
borbottare come una locomotiva, anche mentre si pettinava (il che
equivaleva a passarsi una mano tra i capelli nel vano tentativo di
renderli meno simili a qualcosa di animalesco) e si lavava i denti.
Scalciò via il tappetino fradicio e si vestì.
Corse in cucina
saltellando su un piede solo, mentre cercava di infilarsi una scarpa.
Attaccata alla macchina del caffè, sua prima e
più grande passione,
stava attaccato un post-it:
“Scommetto
che sei in ritardo!Ricordati lo zaino... E le chiavi di casa! Buona
fortuna per il tuo primo giorno di scuola!Ci vediamo li! XXX Mamma
<3”
Il
ragazzo lesse il biglietto, e lo voltò
“P.S.
Non ti lamentare se il caffè è tiepido! Sei tu
quello in
ritardo! “
Ridacchiò
e lo infilò in tasca. Si versò una tazza di
caffè
-Bleah! É freddo! Altro che tiepido!- che venne subito
abbandonata
sul tavolo. Raccattò chiavi e uscì di corsa,
chiudendosi la porta
alle spalle. Scese le scale di fretta, come se ne andasse della sua
stessa vita e quando finalmente raggiunse la porta d'ingresso della
palazzina...
-Oh
santissima merda! Lo zaino!-
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Capitolo 3 *** Capitolo 3. Non tutto è come sembra. ***
Hopelessly devoted to you
Hopelessly Devoted To You
<3
Capitolo
3. Non tutto è come sembra.
Lui.
La
prima lezione
della giornata era agli sgoccioli, e la sua
“protetta” non si era
fatta ancora vedere. Jace aveva passato l'ultimo mese delle sue
vacanze a ideare un dettagliato e meticoloso programma di studi per
la ragazza, che prevedeva anche qualche visita ai più
importanti
musei della città.
La
sua assenza lo
rendeva nervoso, si sentiva offeso, percepiva il suo comportamento
come un affronto personale perché, anche se a malavoglia, si
era
assunto quell'impegno facendo appello a tutto il suo senso di
responsabilità e si era ingenuamente convinto che l'avrebbe
fatto
anche lei.
-Signor
Stein?
Signor Stein? Se volesse tornare tra noi le saremmo tutti molto
grati.- La monotona voce del professore di francese, con quella sua
irritante erre moscia, irruppe tra i suoi pensieri, riportandolo con
i piedi per terra. Era tanto preso in riflessioni senza capo ne coda
da non essersi accorto dell'ingresso della segretaria nell'aula, ne
di essere stato più volte richiamato dall'insegnante che ora
gli
tendeva un foglietto. Le risatine sommesse si sprecavano e gli pareva
rimbombassero nell'aula silenziosa, mentre imbarazzato sollevava lo
sguardo sul professor Pelletier.
-Eh?
Cioè...Scusi... Ero sovrappensiero.- Si scusò con
uno dei suoi
miglior sorrisi, che nascondeva splendidamente tutto l'imbarazzo del
momento.
-Abbiamo
notato. Il
preside Miller richiede la sua presenza nel suo ufficio.-
Replicò
svogliatamente l'uomo, con voce ancor più atona del solito.
-Ahm...
Va bene.-
Il ragazzo infilò i libri nello zaino, afferrò il
foglietto e tra
il chiacchiericcio e qualche altra risatina lasciò l'aula.
Sapeva
dove si
trovava l'ufficio di Miller. C'era stato spesso, ma non per la sua
cattiva condotta. Nonostante a casa fosse disordinato, pigro,
distratto, talvolta egoista e indisponente e fosse capace di
addormentarsi all'istante non appena si trovasse su una superficie
sufficientemente confortevole, a scuola era uno studente modello,
probabilmente uno dei migliori della scuola.
Ordinato,
responsabile, rispettoso ed educato, ottimi voti, intraprendente,
generoso e sempre pronto ad aiutare il prossimo. Faceva parte del
consiglio studentesco e fino all'anno precedente della squadra di
football. Era il pupillo della maggior parte dei professori, non
c'era da meravigliarsi se si rivolgevano quasi esclusivamente a lui
se costretti ad affidare ad uno degli alunni un compito di una certa
importanza.
In
definitiva non
aveva nulla da temere, eppure si sentiva agitato. Intuiva chiaramente
perché era necessaria la sua presenza. Non poteva esserci
altro
motivo, se non lei. Era finalmente arrivata.
Mentre
bussava alla
massiccia porta dello studio, prese un profondo respiro. Si preparava
a fronteggiare il peggio che riuscisse ad immaginare.
-Avanti.-
Tuonò la
profonda voce del preside, e quando Jace aprì la porta, si
trovò
davanti quella che sembrava essere solo una ragazzina, e che cercava
disperatamente di scomparire tra i cuscini della poltroncina che
occupava. Sedeva ben dritta e composta, rigida, evidentemente a
disagio.
Compita,
l'esatta
parola che Jace avrebbe utilizzato per descriverla in quell'istante,
con le mani intrecciate sul grembo, il capo appena chino e lo sguardo
basso.
Nell'insieme
era
decisamente bella. Aveva lunghi capelli scuri, grandi occhi azzurri
da cerbiatto, profondi, che a Jace parvero vuoti, come se quella
ragazza non avesse nulla che le desse vera gioia. Il volto era ancora
infantile nel complesso, leggermente allungato ma con le gote piene e
un'adorabile fossetta sul mento, labbra carnose e un naso piccolo e
perfettamente diritto, puntellato qui e la da qualche lentiggine.
Pareva più simile ad una bambola di porcellana, con quella
candida
pelle perfetta, che ad un adolescente, con tutto ciò che
questo
comporta.
Quando
al suo
ingresso lei si alzò, sotto tacito ordine dell'uomo che le
sedeva
accanto, vide che era piuttosto alta e le forme che non erano
completamente nascoste dall'uniforme la resero meno bambina ai suoi
occhi.
Tutto
in lei urlava
“Attenzione! Fragile! Maneggiare con cautela!”.
Si
aspettava una
snob, non credeva si sarebbe ritrovato tra le mani una coppa di
cristallo scheggiata. Provò la netta sensazione di doverla
proteggere, senza sapere da cosa e perché.
***
Per
tutto il tempo
in cui stette in quell'ufficio, lei non lo guardò mai in
volto. In
realtà, non sollevò mai lo sguardo verso nessuno
dei presenti,
seguitò semplicemente a fissare un punto indefinito del
pavimento,
silenziosa e lontana. Jace continuava ad osservarla di sottecchi,
cercando nel contempo di afferrare la conversazione tra i due uomini,
quando quello che aveva scoperto essere il padre della ragazza, lo
interpellò.
-
Quindi, Signor
Stein, lei sarà...-
Jace
lo interruppe,
sollevando una mano. Lo fissava sorridente ma sicuro.-Mi chiami pure
Jonathan, signor Barnes, e preferirei mi desse del tu, se non le
spiace.- Asserì, educato ma deciso.
Quelle
poche parole
bastarono a risvegliare Hannah, riportandola tra loro. Per la prima
volta sollevò lo sguardo sul giovane, osservandolo con un
misto di
sorpresa e ammirazione. Jace non se ne accorse, ma George si. E la
cosa non gli piacque affatto.
-
Vorrei, ma il
regolamento interno dell'istituto me lo vieta, da domani
sarò il suo
insegnante di biologia, come avrà ormai capito. - Gli
sorrise, e il
sorriso dell'uomo era gentile ma tagliente. Il ragazzo non seppe se
fidarsene. - Bert si è tanto sprecato in lodi nei Suoi
riguardi, e
devo dire che ha faticato notevolmente a convincermi a imporre a mia
figlia un tutor, nonostante non ci sia nulla in lei che lo renda
necessario.- Con un lieve cenno del capo indicò Hannah, che
al
sentirsi tirata in ballo sembrò voler sprofondare ancor di
più, e
si chinò ad aprire la ventiquattrore che fino ad allora se
n'era
stata buona ai suoi piedi.
-Questo
perché ti
conosco, mio caro George, e se la tua Hannah ti somiglia quel che
basta, ho i miei buoni motivi per credere che questo ragazzo le
sarà
di grande aiuto.- Lo interruppe il preside, ricevendo in risposta
solo un'occhiataccia, prima che l'uomo riprendesse a rivolgersi al
ragazzo.
-
Per ora, ad una
prima occhiata, nonostante l'aspetto trasandato tipico di voi
americani...- Il suo tono si fece, per un attimo solo nel pronunciare
quell'ultima parola, tagliente più del suo sorriso. -
...sembra un
ragazzo educato quando basta, intelligente e abbastanza sveglio da
capire che quale è il suo compito e che dovrà
compierlo senza
alcuna deviazione.-
Non
lo guardava
mentre gli rivolgeva parola, ma frugava con calma l'interno della
valigetta, totalmente assorto dai proprio lenti gesti.- Evidentemente
è sicuro di se, ma senza apparire presuntuoso. Ottimi voti,
comportamento encomiabile, ben inserito e popolare tra i compagni...
Non mi guardi così, sono piuttosto bravo nel leggere le
persone. -
Disse nel notare lo sguardo stranito del ragazzo.- E avere il suo
curriculum scolastico è stato di grande aiuto, di certo.-
Concluse,
tendendogli una cartellina in carta giallognola.
Dubbioso
e
vagamente preoccupato, il ragazzo l'aprì, trovandovi una
copia della
sua ultima pagella e un sunto di tutta la sua carriera scolastica.
Come era stato possibile che quell'uomo ottenesse quei documenti?
-
Credevo
esistessero delle leggi sulla tutela della privacy...-
Borbottò con
un mezzo sorriso, sporgendosi verso la scrivania di Miller, dove
adagiò piano la cartella, spingendola verso l'uomo.
-
Ovvio, per tale
motivo ho convocato Sua madre qualche settimana fa. Lei non
è ancora
maggiorenne, e anche se lo fosse, non credo sarebbe stato ben
disposto.- Replicò l'uomo, e con l'indice spinse nuovamente
la
cartella verso il ragazzo. - Questi sono suoi. Sua madre è
una donna
in gamba, capisce al volo quando ha il coltello dalla parte del
manico. E devo dire che ci ha dato parecchio filo da torcere. -
Sorrise. - Era parte del nostro accordo, in ogni caso.-
Jace
si limitò ad
annuire, riprendendo la cartella tra le mani. Il suo volto era
illuminato da un sorriso radioso, come ogni qualvolta venivano
rivolti dei complimenti a sua madre. Inoltre, aveva sempre pensato
che sotto sotto Miller avesse un debole per lei, e quelle parole
appena pronunciate, non poterono che convincerlo ancor di
più.
-Bene,
Signor
Stein, Signorina Barnes...- Il preside si alzò, e Hannah
scatto in
piedi insieme a lui. Suo padre la fissava compiaciuto, e al ragazzo
sembrò fosse soddisfatto d'aver reso sua figlia una specie
di
cagnolino perfettamente ammaestrato. -Potete andare. Il professor
Barnes ed io abbiamo alcune cose di cui discutere.
Giustificherò
personalmente la vostra assenza dalle lezioni, quindi prendetevi
tutto il tempo di cui avrete bisogno per visitare l'edificio e...Ah
dimenticavo!- Si chinò, aprì un cassetto e ne
estrasse una busta
gialla, piuttosto rigonfia. La tese verso Hannah, che si
affrettò a
prenderla e infilarla nella tracolla.- Sono gli strumenti del
mestiere, non li perda, signorina. Si accorgerà presto che
questo è
un istituto totalmente diverso dal collegio che ha frequentato fino
ora.- E con l'ennesimo sorriso, li cacciò gentilmente dal
suo
ufficio.
Lei.
Hannah
camminava in silenzio al fianco del ragazzo, attraverso un
ampio corridoio dalle pareti totalmente nascoste da armadietti
metallici, ognuno con il suo bel lucchetto lustro e pesante. La
maggior parte era coperta da una marea di adesivi e decorazioni
varie, alcuni ne erano talmente ricoperti che se non fosse stato per
il lucchetto in bella vista, non ci si sarebbe accorti che si
trattava di uno stipetto. Questo le bastò per farsi un idea,
carica
di pregiudizi, di quell'ambiente scolastico. Tutto sembrava
stravagante e colorato, così diverso dalla scuola che aveva
frequentato fino ad allora. Grazie alle migliaia di dollari versati
dalle famiglie degli alunni, a questi, era evidente, veniva permesso
di deturpare impunemente la proprietà scolastica. Anzi,
poster e manifesti appesi alle pareti sembravano inneggiare al
vandalismo,
spacciandolo sotto il nome di
“creatività”.
Lei
non era fatta per quel caos, quell'accozzaglia di colori e forme
che non sembravano seguire un ordine logico. Provava un certo timore,
poiché non sapeva cosa doversi aspettare, era come se
l'avessero
rinchiusa in un manicomio. Il collegio non le piaceva di certo, ma il
quel momento lo rimpianse. Li almeno non c'erano sorprese: aveva una
routine scandita da regole ferree che non osava infrangere.
Represse
l'impulso di scappar via senza guardarsi indietro, deglutì,
e senza emettere fiato, estrasse dalla borsa la busta consegnatale
poco prima. L'aprì sollevando la linguetta superiore e ne
tirò
fuori una risma di fogli: il regolamento scolastico (che aveva
già
letto), una cartina dell'edificio, l'orario, nominativi dei
professori e rispettivi recapiti, e il numero e la combinazione dei
suoi armadietti personali. Tutti i suoi gesti erano lenti e
meticolosi, non c'era mai nulla di affrettato in lei, nulla che
potesse tradire impazienza o il nervosismo le stava rivoltando lo
stomaco.
-
Allora, che numero?- Hannah si voltò di scatto. Jace le
sorrideva
arricciando appena il naso, ma con una naturalezza e un'allegria che
la mettevano a disagio, aspettando una risposta a quella semplice e
banale domanda. Arrossì, perché era totalmente
dimenticata delle
sua presenza.
Il
ragazzo le aveva lasciato tutto il tempo di guardarsi intorno,
senza importunarla con chiacchiere inutili e senza invadere il suo
spazio. Ne fu sorpresa. Non si era mai sentita così
indifferente di
fronte ad un ragazzo. Si solito si sforzava a evitarli, l'imbarazzava
avere a che fare con loro. Ma questo Jonathan sembrava diverso.
Forse. - E non ci siamo neppure presentati ufficialmente. - Le tese
una mano.- Jonathan Alexander Stein, come probabilmente sai, ma io
preferisco essere chiamato Jace.-
Avrebbe
evitato volentieri di toccarlo, ma non poteva fargli uno
sgarro simile, seppure non lo conoscesse affatto. La stretta fu
debole e rapida, riluttante.- Hannah Zara Georgia Barnes.- E non
aggiunse altro.
Aveva
appreso la notizia di dover essere affiancata da uno studente
dell'ultimo anno con una certa apprensione. Non ne era entusiasta, e
proprio come Jace, si era preparata al peggio.
Certo
il ragazzo aveva l'aspetto trasandato tipico di tutti gli
adolescenti americani, o perlomeno di tutti quelli che aveva visto in
tv. Indossava la divisa come se fosse qualcosa di insignificante: la
camicia era spiegazzata, con le maniche arrotolate fino al gomito e
il colletto sbilenco, la cravatta era larga, e per giunta non portava
il blazer. Ma aveva un bel viso, nonostante i capelli che sembrava
non vedessero un pettine da mesi o peggio da anni, e un sorriso
solare, il sorriso che ci si aspetterebbe da una persona estremamente
sicura di se ma al contempo premurosa. Ciò che la
colpì furono gli
occhi. Non ne aveva mai visti di così espressivi,e la loro
luce era
per lei qualcosa di mai visto prima, addirittura vibrante.
Sembrava
un bravo ragazzo, e il fatto che non tentasse di attaccare
bottone ad ogni costo gli fece guadagnare parecchio valore agli occhi
della ragazza. Forse, con un pizzico di fortuna e tanta buona
volontà, la faccenda si sarebbe risolta in maniera rapida ed
indolore per entrambe le parti.
-
Ahm...- Mugugnò, dopo un breve silenzio, lanciando un
occhiata ad
uno dei fogli. Li fissava con intensità, come se dovesse
interpretare una scrittura antica e sconosciuta. Semplicemente
cercava una scusa per evitare di doverlo guardare ancora in volto. -
146, suppongo. L'armadietto numero 37... Uhm... Si riferisce a cosa
di preciso?- Domandò poi, infilando il resto dei fogli nella
busta,
che tornò nella borsa e vi rimase. Parlava con voce
piuttosto bassa,
e con la coda dell'occhio lo vide chinarsi appena per poterla sentire
meglio.
-
Bene, sei fortunata, è dietro l'angolo. Il 37 é
l'armadietto
della palestra! Ci troverai dentro la tua divisa, se non te l'hanno
già spedita a casa e...- Ma la ragazza non sentì
il resto. La
campanella trillò, dilaniando il silenzio, e un fiume di
studenti si
riversò nel corridoio.
Con
orrore notò che Jace non era l'unico a trattare la sua
divisa
come uno straccio, o peggio come un accessorio da coordinare alla
borsetta. Alcune ragazze dell'intero completo indossavano solo il
cravattino.
Una
miriade di occhi di ogni colore si fissò su di loro, mentre
si
facevano strada fino all'unico armadietto intonso. Hannah camminava
con la schiena eretta ma lo sguardo basso, intorno a se la folla
mormorava, senza neppure darsi pena di cercare di nasconderlo.
“E
quella chi
sarebbe?”
Sentì una ragazza
mormorare con viva curiosità.
“Come
non lo
sai?é la ragazza nuova! Dicono che sia la figlia del nuovo
professore di biologia dell'ultimo anno!”Rispose
un'altra.
“Pare
siano
dei nobili! Addirittura dei conti...” Aggiunse
un'altra ancora, con un tono che la fece sentire come un pezzo di
carne sul bancone del macellaio. Stavano calcolando il suo valore in
dollari, o si sbagliava?
“Ma
guardala... Sta già cercando di accalappiare Stein. Ma chi
si crede
di essere?” Riprese
la prima,
con voce aspra, carica di invidia.
Hannah
si sforzò d'ignorarle, ma non fu capace d'impedirsi
d'arrossire a quelle parole. Lei che provava a
“accalappiare”
qualcuno era già di per se qualcosa di poco probabile, se
poi quel
qualcuno era il suo tutor, diventava assolutamente impossibile.
Fu
un sollievo quando raggiunse l'armadietto e poté nascondersi
dietro lo sportello. Prese a svuotare la tracolla dei propri libri,
con più lentezza del necessario, sperando il luogo si
svuotasse
prima che lei avesse finito. Di tanto in tanto ne spostava uno,
sistemandolo in ordine alfabetico.
-Non
credo ci sia bisogno di dirtelo, ma te lo dico lo stesso:
ignorale. Probabilmente tra ventiquattro ore saranno le tue migliori
amiche, o cercheranno di diventarlo.- Jace scrollò le
spalle, e
quando la ragazza lo osservò con la coda dell'occhio,
notò che lui
continuava a sorriderle. Mentre lei si sentiva imbarazzata e afflitta
da quelle parole, lui non ne era stato minimamente sfiorato.
-Non
lo saranno.- Rispose, senza sollevare lo sguardo dall'interno dello
stipetto. - Non mi piacciono le persone come...Come me. Non volevo
degli amici a Londra e non li vorrò neppure qui. Non mi
interessa. -
Non aveva mai parlato tanto a lungo davanti ad un ragazzo. E Jace
l'osservava stranito, come se si stesse trasformando in qualcosa di
sconosciuto davanti ai suoi occhi increduli.
-
Qualcosa non va?- Gli chiese più per cortesia che per reale
interessamento, notando quell'espressione confusa sul suo volto
quando sollevò lo sguardo, incuriosita dal rumore di
sportelli che
venivano aperti e da un certo vociare intorno a loro. Alle spalle del
ragazzo vedeva spuntare tre teste che si agitavano vivacemente,
accompagnate da concitate voci femminili.
-No...
Io... Sono sorpreso, e se devo essere sincero, preoccupato.
Perché le possibilità sono due: o sei
più snob delle altre, oppure
sei davvero strana per essere una ricca contessina inglese!-
Scrollò
le spalle. Era il turno di Hannah di fissarlo allibita. - A
proposito, è vero?- Aggiunse, ridacchiando. Per lui tutto
sembrava
senza rilevanza, come se fosse un gioco. Non sembrava riuscire a
prenderla e a prendersi sul serio.
-
Voi americani... Non sapete proprio cosa sia il riserbo.-
Replicò
lei infastidita, continuando ad arrossire. Spostò ancora un
libro,
quindi richiuse lo sportello bloccandolo con il lucchetto. - E
l'educazione.- Sospirò.- E si, è vero, anche se
preferirei non lo
fosse. Ma non credo che uno nella mia stessa situazione possa
capire.-
-Siamo
solo molto schietti, non per questo manchiamo di educazione. -
Precisò, mantenendo la calma.
La
ragazza ebbe la sensazione di trovarsi davanti ad un muro di
gomma. Tutto gli rimbalzava contro senza dargli alcun pensiero. -
Dato che non ti interessa fare amicizia, perché dovrei fare
finta di
essere qualcosa che non sono? Non devo piacerti per forza, anche se
siamo costretti a frequentarci.- Si passò una mano tra i
capelli
arruffati, alcune ciocche gli ricadevano disordinate sulla fronte. -
Ma mi piacerebbe. Gli esseri umani sono animali sociali. Siamo fatti
per vivere in gruppo. E poi, chi ti dice che io non sia un
poveraccio? Non tutto è come sembra.-
Hannah
non poté non fissarlo dritto in volto a quelle parole,
quando
rispose: - Se tu lo fossi, ti invidierei.-
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 4. Big Blue Wall (there's a chance outside this isolation). ***
Hopelessly devoted to you
Hopelessly
Devoted To You <3
Capitolo 4.
Big Blue Wall (there's a chance outside this isolation).
Lei.
Sedeva
ad uno dei tavoli della sala mensa, in completa solitudine,
scarabocchiando annoiata su un blocco per schizzi. Accanto a se il
vassoio del pranzo, cui contenuto era intatto. Non aveva affatto
fame, ma non era certo una novità. Preferiva dare uno
sguardo agli
appunti o leggere durante la pausa pranzo, anziché mangiare.
Sentiva
continuamente addosso gli sguardi, chi acceso dalla
curiosità, chi
dall'invidia, degli altri studenti. Le si chiudeva la stomaco al
pensiero di trovarsi sotto i riflettori, lei così timida...
Anche se
preferiva definirsi discreta. I giorni passavano, e ancora non
riusciva a farci l'abitudine.
Nessuno
l'avvicinava. Essere la figlia di uno dei docenti, la rendeva
insopportabile a priori, e il suo essere riservata e schiva, agli
occhi dei compagni sembrava esserne la conferma.
Nessuno
le rivolgeva la parola. Nessuno tranne Jace. E tre strane
ragazze che dovevano essere delle sue amiche. O così le
pareva.
La
matita nera che rigirava di tanto in tanto tra le dita, con un
movimento nervoso e ritmico, era lucida e fine, elegante ma anche
frivola con un luminoso strass in cima. Ad Hannah piaceva,
perché
era nei piccoli particolari che ritrovava se stessa, o perlomeno la
se stessa che avrebbe voluto essere. Una ragazza qualunque, ma lo
stesso elegante e raffinata, la figlia del Signor Nessuno, con quel
pizzico di coraggio che le avrebbe forse permesso di diventare la
persona che desiderava essere e brillare di luce propria. Intanto
osava nel suo piccolo e si concedeva un insignificante vezzo.
La
sua mente vagava, libera di volare verso luoghi sconosciuti, mondi
fantastici frutto della sua vivace immaginazione, attraverso oceani
viola e cieli verdi, lasciandosi trasportare dal vento come saprebbe
fare solo un gabbiano. E come un gabbiano provare l'ebbrezza della
picchiata, del rischio, e il sollievo della dolce risalita, verso
l'alto e ancor più su. E scoprire quanto sia piacevole non
avere una
meta da raggiungere, essere ignari della propria posizione nel mondo,
perché il cielo è lo stesso ovunque ci si trovi,
e il mare è senza
confini.
Esistevano
anche per lei, anche se rari, quei momenti in cui si
desidera ardentemente essere liberi dall'apparenza.
Sul
foglio tracciava linee precise ma leggere, senza prestare
attenzione a ciò che esse andavano a formare. E senza sapere
come,
si ritrovò a disegnare un paesaggio alieno. Un mondo che
sarebbe
esistito sempre e solo nella sua mente, dove sarebbe rimasto puro e
incontaminato, protetto come il più caro dei tesori.
Sospirò,
sostenendosi il capo con una mano. La noia la riportò con
i piedi per terra. Non le capitava mai di sentirsi annoiata. Chi
è
abituato a essere solo, trova sempre un modo per ingannare il tempo.
Ma questo sembrava essersi dilatato, un istante era lungo un ora, e
non c'era verso d'accelerare la sua corsa.
Qualcosa
mancava. Non riusciva a comprendere di cosa sentisse il
bisogno. Non era nell'aria, era qualcosa di assolutamente materiale.
Neppure tutte le fantasticherie del mondo intero, poterono
allontanare la sensazione, che era chiara, ma che non sapeva
spiegarsi.
Mancava
un suono in particolare, ma non riusciva ad afferrare quale
fosse.
Era
il silenzio, nonostante fosse circondata da voci e rumori, a
darle il tormento. Da lungo suo compagno di vita, l'accompagnava
sempre, anche nei luoghi più rumorosi, la divideva dal resto
della
gente come un grande e triste muro, ovattando ogni suono, a volte
inghiottendoli del tutto, divorando anche il più lieve
sussurro.
Nessuno aveva mai tentato di oltrepassarlo, nessuno aveva mai osato
fronteggiare quel suo subdolo amico. Nessuno tranne Jace, con il suo
inarrestabile chiacchiericcio, con quel suo parlare di tutto e di
niente. Lui era l'unico ad aver cercato una breccia, il punto debole
di quell'invalicabile barriera.
Hannah
non aveva mai mostrato interesse per le sue chiacchiere, ma
seguiva il suo ciarlare, qualsiasi cosa dicesse, con tutta
l'attenzione e insieme la discrezione di cui era capace, sedendo
all'altro capo del tavolo. Ma il posto davanti a sé quella
mattina
era vuoto.
Ecco
cosa mancava.
Sollevò
lo sguardo dal foglio. Jace non era venuto a pranzo. Non
sapeva spiegarsi come non se ne fosse accorta, e ancor meno
perché
desiderasse la sua compagnia. Era una nuova sensazione l'assenza, la
nostalgia. Non riusciva a darle un senso. Tutto il suo raziocinio le
si rivoltava contro, non c'era niente di logico in tutto ciò.
Cominciò
a guardarsi intorno, in attesa. Poteva trattarsi di un
semplice ritardo, poteva esser stato trattenuto da un professore, o
aver dimenticato qualcosa in aula. Ma non lo vedeva, ne seduto ad uno
dei tavoli, ne arrivare dal corridoio.
Cominciava
a chiedersi se la sua assenza non dipendesse da lei, da
come si era posta nei suoi confronti. Ripercorse mentalmente le
ultime settimane: non era stata maleducata, non gli si era rivolta in
maniera sgarbata, ma neppure era stata un esempio di
affabilità,
proprio perché non aveva mai aperto bocca. Era stata
silenziosa ai
limiti dell'assurdo, e cercando di entrare nelle sue scarpe, si
chiese come il ragazzo poteva aver interpretato tutto ciò.
La
discrezione poteva diventare sdegno e alterigia ad occhi estranei.
Non aveva mai pensato che il suo comportamento potesse essere
sgarbato per qualcuno.
Dovrei
chiedergli scusa. Si disse senza
troppa convinzione. Era riluttante. Non era sicura di riuscire a
rivolgergli la parola senza peggiorare la situazione.
Continuò a
pensarci e ripensarci, ma non osava andare a cercarlo. D'improvviso,
un'ombra enorme si stagliò su di se togliendole la luce.
Sollevò
lo sguardo timidamente, trovandosi davanti tre ragazze.
-Ciao
Hannah! Possiamo sedere?- Domandò la biondina. Inutile
rispondere,
il Trio aveva già preso posto, circondandola. Ma Hannah lo
fece lo
stesso. Si chiese se non dovesse chiedere scusa anche a loro. Come
Jace avevano cercato un contatto e lei le aveva inesorabilmente
respinte.
-Certo...-
Mormorò, sforzandosi di tenere lo sguardo altro, mentre gli
si
rivolgeva. - Sedete pure.-
La
consapevolezza la colse: forse valeva davvero la pena, impegnarsi.
C'era una possibilità al di là dell'isolamento in
cui si era
esiliata.
Lui.
-E
così le cose non vanno bene...-
Dire
che non andavano bene era usare un eufemismo, e Jace non era mai
stato granché bravo nel minimizzare. Erano passate ben due
settimane
dall'inizio dell'anno scolastico, e gli pareva di trovarsi
impantanato in un problema senza soluzione.
-Beh,
speravo con il tempo sarebbero migliorate. Ma ormai sono
passate due settimane, e quasi non mi rivolge la parola. Tutto quello
che ho ottenuto è un “ciao” a inizio
lezioni e un “arrivederci”
alla fine. E durante la pausa pranzo... Dio santo!Studia durante la
pausa pranzo!Ti rendi conto? Va contro natura! Deve detestarmi a
morte, se preferisce studiare! - Esclamò, gesticolando
furiosamente
e tirandosi su sui gomiti, sotto lo sguardo attento e al contempo
divertito di Greta.- Jaquie, Daphne e Rose si siedono di continuo al
nostro tavolo ma lei non sembra neppure vederle, a malapena le
saluta. - Si grattò il capo, tirando indietro i capelli,
mentre
sdraiato sul lettino dell'infermeria, dava sfogo alla frustrazione
degli ultimi giorni. -Non capisco, mamma! Non ho problemi a fare
amicizia!Mai avuti! Ricordi come era timida Rose? Eppure siamo
diventati amici così facilmente! Perché con lei
non riesco?- Sbuffò
sonoramente lasciandosi ricadere contro il materassino. Fissava il
soffitto candido, indispetitto dalla propria incapacità di
darsi per
vinto.
Aveva
detto ad Hannah che non dovevano essere amici per forza, allora
perché lui non riusciva a lasciar perdere? - Credimi mamma,
ho
tentato! Ho provato a farle delle domande, e ho scoperto solo che
abita sulla Columbus Avenue! Ho provato a parlare io, ma non ha mai
sollevato lo sguardo dai suoi appunti!Credo non mi stesse neppure
ascoltando!- Era scoraggiato. Non si era mai scontrato contro
qualcosa del genere: un invisibile muro che Hannah aveva eretto a sua
difesa, e lui non riusciva a trovare una breccia, un piccolo punto
debole che gli permettesse di superarlo.
-
Mi sorprende che tu non ci sia arrivato prima, tesoro. Di solito
sei fin troppo perspicace!- La donna sospirò scuotendo il
capo e
levando gli occhi al cielo. - Devi avere un po' di pazienza con
lei!Mi sembra evidente che Hannah non è una ragazza come le
altre,
non puoi approcciarti a lei come hai sempre fatto. Devi trovare la
giusta strategia. Oramai credo tu abbia capito che non è
certo nello
studio che ha bisogno di aiuto.- Si allungò ad accarezzargli
la
fronte, delicata come una brezza, e la sua voce si fece più
dolce.
Era il suo modo tutto speciale di rassicurarlo, come solo una madre
sa fare.
-Certo
che no...- Borbottò Jace, sospirando profondamente e
socchiudendo gli occhi al tocco materno. - é al penultimo
anno, e
riesce a studiare il doppio di quanto non facessi io lo scorso anno.
E io che la credevo al massimo al terzo anno, sembra una bambina! Mi
fa quasi paura!- Continuò ridacchiando, più
rilassato di quando
all'inizio della pausa pranzo aveva fatto irruzione nell'infermeria
della St. John dove sua madre Greta lavorava ormai da anni. - Miller
mi ha scelto per questo vero? Voglio dire, perchè
è una ragazza
sola. È così chiusa in se stessa. - Si
tirò su mettendosi seduto,
con le lunghe gambe che penzolando sfioravano il pavimento. - Miller
ha detto che... Ma certo...- Mormorò tra se e se, immobile
per pochi
istanti, prima di saltare in piedi e afferrare lo zaino. - Ho capito
cosa devo fare! Grazie mamma!- Le scoccò un bacio su una
guancia e
la strinse in un abbraccio stritolatore. - Sei una forza, ancora mi
chiedo perché non hai studiato psicologia!-
Scherzò, facendole un
occhiolino. Si diresse verso la porta, indietreggiando, e voltandosi
solo per afferrare la maniglia.
-Uhm...-
Si portò una mano al volto, storcendo le labbra.- Fammi
pensare... Esattamente diciassette anni fa... Ero incinta...Di te!-
Replicò lei, scoppiando a ridere. Non aveva mai nascosto a
suo
figlio di come la gravidanza fosse stata un imprevisto, ne che lo
considerasse il suo errore più bello e caro.
-Eri
solo all'ottavo mese, che vuoi che sia!- Replicò lui,
ridendo e
aprendo la porta. - Ci vediamo stasera!- Ed uscì,
lasciandosi alla
spalle una madre sorpresa e divertita al contempo. Probabilmente non
avrebbe capito mai fino in fondo i mille e più pensieri che
si
aggrovigliavano nella mente del suo ragazzo.
L'angolo
dell'autrice:
Grazie
grazie grazie a chi ha inserito questa storia tra le sue preferite o
tra le storie seguite. E grazie a chi ha commentato. é la
seconda storia che scrivo, e la prima originale in assoluto. Non so
proprio che dire, se non che spero continuate a seguirla, e magari a
lasciare una piccola recensione. Fareste felice l'autrice. :-P
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5. Amici. ***
Hopelessly devoted to you
Hopelessly Devoted To You
<3
Capitolo
5. Amici.
Lui.
I
ruoli sembrarono
essersi invertiti, con grande divertimento di Jaquie, Daphne e Rose,
che seguivano lo scorrere degli eventi come se si trattasse di una
soap-opera di successo, con tanto di scommesse e fantasticherie su
improbabili capovolgimenti degli eventi.
Le
tre, che Jace
chiamava affettuosamente “il Trio” (e loro
altrettanto
affettuosamente avevano accettato il nomignolo, tanto da essere
così
conosciute in tutto l'istituto) , da quando avevano preso posto al
tavolo di Hannah per la prima volta, avevano deciso
all'unanimità
che sarebbe diventata un'abitudine. Un po' per morbosa
curiosità, un
po' perché erano decise a conquistarsi l'amicizia della
ragazza.
Jace sapeva e lasciava correre, curioso anche lui di sapere quando ci
avrebbero messo a conquistarla.
Hannah
cercava,
ogni giorno con più convinzione, di intavolare un discorso,
uno
qualsiasi, per quanto banale potesse suonare, e Jace se ne stava
zitto zitto, ad ascoltarla, nonostante cercasse di ostentare un certo
disinteresse. In realtà registrava mentalmente qualsiasi
cosa
dicesse.
Scoprì
così
qualcosa di più del suo indirizzo. Per esempio, di come le
sembrasse
strano tornare a casa dopo le lezioni, che anche lei aveva fatto da
“tutor” in collegio, di come fosse diversa la vita
lì e a Londra
in generale, ma che per certi versi quella grande e lontana
città le
mancava. Scoprì anche che amava dipingere, che aveva preso
lezioni
di pianoforte, e che sempre in collegio praticava l'hockey su erba, a
quanto pare sport piuttosto popolare nei collegi femminili inglesi.
Non ascoltava molta musica, se non la classica, forse perché
non
aveva tempo di documentarsi.
Certo
erano
informazioni piuttosto futili, ma lo aiutarono a capire che dietro la
facciata così ben costruita, c'era un'adolescente insieme
diversa e
uguale a tutte le altre: tanto riservata e timida da essere asociale,
tremendamente e tristemente sola, con uno spiccato senso artistico,
gentile e educata e felice di potersi adoperare per gli altri ma con
un carattere piuttosto rigido e rigoroso, totalmente disinteressata
alle mode del momento, troppo inesperta delle cose del mondo.
La
ragazza gli
piaceva, ma non si trattava di mera attrazione fisica. Più
lei
parlava, più ne era incuriosito, e inoltre lei lo trattava
diversamente dalle altre. Eccetto il Trio, tutte le ragazze della St.
John avevano tentato di conquistarlo, di uscire con lui, o
semplicemente gli avevano lasciato una lettera d'amore o un regalo
nell'armadietto. Qualcuna era arrivata a importunare sua madre mentre
lavorava, pur di avere una chance.
Hannah
non lo
guardava sognante, non cercava di irretirlo facendo la svenevole ne
fingeva di essere la ragazza perfetta per lui. Non si curava affatto
del suo aspetto o di quanto potesse essere popolare. Di tanto in
tanto arrossiva mentre parlava, ma Jace era certo si trattasse di
timidezza, e per il resto lo trattava come una qualsiasi altra
persona.
Talvolta,
quando
stavano in silenzio in biblioteca, dove si recavano a studiare
(poiché il regolamento dell'istituto proibiva che le lezioni
dei
tutor si tenessero in altro luogo se non l'edificio scolastico),
ognuno chino sui propri compiti, sollevava lo sguardo e l'osservava
di sottecchi, scoprendo lei a fissare assorta il cortile attraverso
una delle ampie vetrate, per poi con uno sbattere di ciglia
ridestarsi e tornare sui libri, e se stesso a immaginare quali
pensieri ne affollassero la mente.
***
Per un po' le cose
andarono così, e se Hannah diventava piano piano sempre
più
comunicativa, arrivando persino a rivolgere spontaneamente la parola
al Trio, Jace diventava sempre più silenzioso... E nervoso.
Era
un
chiacchierone per natura, sempre al centro qualche animata
discussione, faceva ridere gli altri, e gli altri ridevano con lui
spesso e volentieri. Quando lui e Hannah camminavano per i corridoi,
si voltava a salutare qualcuno ogni trenta secondi. Sempre
sorridente, con lo sguardo acceso da un'inesauribile allegria. Ma
quel suo costringersi al silenzio, gli era insopportabile. Lo faceva
sentire solo,e gli lasciava troppo tempo per pensare a cose che
avrebbe voluto cancellare persino dai proprio ricordi. Quando si ha
tanto tempo per riflettere, tornano a galla i pensieri relegati in un
cantuccio oscuro della propria anima.
Cominciava
ad
essere insofferente e tutte quelle inezie che prima non aveva mai
notato cominciarono ad ingigantirsi davanti ai suoi occhi: i banchi
erano sempre stati di quell'orribile grigiastro, le sedie scomode, e
i maccheroni al formaggio della mensa erano improvvisamente diventati
mollicci e insapore o era solo una sua impressione? Essendo oltremodo
ostinato non intendeva infrangere il voto di silenzio fatto
(perché
di questo si trattava) finché le cose non fossero andate
come
voleva, anche se lui stesso ancora non era sicuro di cosa volesse
ottenere. Hannah ormai aveva imparato a rivolgersi a lui senza timore
anche se non si spingeva mai oltre ciò che richiedevano le
circostanze,e ciò non gli sembrava ancora sufficiente.
Il
Trio intanto si
divertiva immensamente. Gli ponevano continue e imbarazzanti domande,
lo sommergevano di battutine maliziose, lo prendevano in giro e lo
stuzzicavano, insomma approfittarono di quell'occasione più
unica
che rara. Vederlo arrossire per la rabbia, era un divertimento a cui
non seppero proprio rinunciare. Sapevano che il ragazzo non se la
sarebbe presa per davvero, e che al posto loro, avendo un'indole
goliardica, avrebbe fatto la stessa cosa.
Grazie
al cielo
Hannah, che cominciava a sentir montare il rimorso, prese coraggio e
si decise ad affrontare la questione prima che il ragazzo cominciasse
a dare segni di squilibrio.
I due studiarono in
biblioteca come loro solito. Sembrava essere un pomeriggio come i
precedenti, monotono, all'insegna dello studio, senza che i due
scambiassero più di una o due parole.
Hannah
posò la
penna e chiuse con un piccolo tonfo il libro di aritmetica. Jace
continuava a stare chino sulla sua relazione di inglese, tanto
concentrato su ciò che scriveva che non notò il
rumore, ne quando
lei con un piccolo colpo di tosse, si schiarì la voce.
-Jonathan?-
Lo
chiamò, in un sussurro che sembrò perdersi nel
silenzio. Lui non lo
percepì neppure. - Jonathan...- Chiamò
nuovamente, alzando appena
la voce e al contempo guardandosi intorno con ansia, come se si
aspettasse di veder apparire da un momento all'altro un inferocita
bibliotecaria pronta a bandirli vita natural durante dal posto. Jace
sollevò piano il capo, come se non fosse sicuro di averla
sentita
chiamarlo, con aria dubbiosa. La ragazza boccheggiò per
qualche
secondo, prima di chinare il capo, e mormorare: - Io avrei
terminato...Ti...Ti va di fare due passi?- Chiese tutto d'un fiato,
prima che potesse mancarle il coraggio.
Il
ragazzo annui,
intuendo forse di essere riuscito a ottenere ciò che si era
prefissato, e raccattate le loro cose, i due uscirono dalla
biblioteca.
Vagarono
per un po'
nel cortile della scuola, ognuno trincerandosi dietro il proprio
silenzio , gli unici rumori erano i loro passi sul selciato e il
rombare delle automobili al di là della recinzione. Jace
adocchiò
una panca in pietra, dove di solito sedeva dopo le lezioni se
aspettava sua madre e se il tempo era clemente. Sfiorandole il
braccio accennò con il capo in quella direzione. Era il suo
modo di
dirle “ok, sediamoci e parliamo”.
Aspettò che lei si sedesse,
prima di prendere posto. Notò come sedesse rigidamente,
stringendo
convulsamente un libro tra le braccia, agitata si, ma con uno sguardo
deciso che non ammetteva ripensamenti, non a quel punto. Dopo aver
preso un profondo respiro, si voltò verso di lui.
-
Jonathan,
credo... No, sono certa di doverti delle scuse. - Cominciò.
Continuava a tenere lo sguardo basso, ma il tono che usava non
lasciava dubbi. Era sinceramente dispiaciuta, al punto che Jace si
chiese se non stesse esagerando l'accaduto. - Ammetto di essere stata
addirittura indisponente, oltre che per nulla educata e... E
rispettosa nei vostri riguardi... Tuoi e delle tue amiche, intendo.-
Aggiunse in fretta, proseguendo poi più pacata. -Non ti
chiedo di
scusare o giustificare i miei modi, ne di prendere in considerazione
la possibilità di rivolgermi la parola, solo riprendi a
parlare con Jaqueline, Daphne, Rosalie, e tutti gli altri. Non si
meritano un
trattamento simile, solo io ho delle colpe. Ho capito quanto deve
essere stato fastidioso e snervante dovermi frequentare, essendo
così...Così... Riservata...Se così si
può dire. - disse dopo un
attimo di esitazione in cui aveva cercato il termine più
adatto a
descriversi correttamente pur conservando un minimo di
dignità. - é
nella mia natura. Non sono in grado di socializzare come fanno gli
altri. Non avevo mai valutato la cosa da un'altra prospettiva. Ora mi
rendo conto che non è accettabile un simile comportamento.
Grazie di
avermi fatto provare sulla pelle che significa.- Concluse, sollevando
i suoi enormi occhi azzurri sul ragazzo, che la guardava senza
emettere fiato. Non aveva parole. Era esterrefatto.
Si
era scusata con
lui, ma per cosa poi? Nulla di cui avesse realmente colpa, non poteva
andare contro la sua stessa indole, non più di quanto lui
non
potesse andare contro la propria, e le ultime settimane ne erano la
lampante dimostrazione. E lo ringraziava, per aver fatto una cosa
tanto stupida come un voto di silenzio. Lo faceva con tanto garbo,
con quella timida gentilezza che lo faceva sentire in colpa. I suoi
modi erano come una pugnalata in pieno stomaco. Si sentì un
idiota
patentato per aver avuto un'idea che in un primo momento gli era
parsa un illuminazione, ma ora gli appariva solo estremamente
infantile. Se ne vergognò come gli era capitato poche altre
volte,
si diede mentalmente del cretino per averci solo pensato.
Non
riemerse dai
propri pensieri che quando Hannah, che aveva aspettato una risposta
mai giunta, mormorò un saluto sorridendogli
malinconicamente. - A
domani Jonathan. Grazie per avermi ascoltato.- Fece per voltargli le
spalle, ma lui la bloccò, scattando in piedi e afferrandole
debolmente un braccio.
-
Resta Hannah,
vuoi?- Domandò, ritrasse la mano non appena lei si
voltò, sicuro di
avere la sua attenzione. Le sorrise, di nuovo spensierato, di nuovo
euforico. - Mi sono comportato come un idiota, dovrei essere io a
scusarmi. Non mi sto giustificando ma... Non avevo proprio idea di
come fare a rompere il ghiaccio con te. Ho pensato che probabilmente
ti stavo forzando ad aprirti con un estraneo, perché so di
essere
solo questo per te. - La invitò a sedere con un ampio cenno
di una
mano, e aspettò in piedi, come un vero gentiluomo, che lei
si fosse
nuovamente seduta, prima di accomodarsi al suo fianco. -
Così mi
sono detto che probabilmente dovevo darti tempo, ma tu sembravi
sempre più chiusa in te stessa, ho pensato fosse una buona
idea
assecondarti, e rispondere al silenzio con il silenzio, lasciare che
tu ti abituassi alla mia presenza. Ho parlato con Miller, e mi ha
detto che quando ha conosciuto tuo padre, ha avuto la stessa idea. Se
funzionò per loro, perchè non per noi?-
Esclamò scrollando le
spalle,e poi passandosi una mano tra i capelli arruffati. - E quando
hai cominciato a parlare mi sono detto “touchdown per
Jace”. -
Rise, sollevando entrambi i pollici. - Ma ora capisco che è
stata
una cosa molto stupida, hai creduto volessi punirti non so neppure
per cosa. - Sospirò, sorridendole malinconicamente, e dopo
qualche
istante di assoluto silenzio, riprese. - Ti ricordi quando il primo
giorno di scuola, ti ho detto che non dovevamo essere amici per
forza? Mi sono reso conto che non riesco a tener fede a quelle
parole. Io voglio esserti amico, come lo vogliono le ragazze, e non
ci arrenderemo, perché abbiamo visto qualcosa in te che non
ce lo
permette. Probabilmente ci consideri davvero strambi, e in effetti
siamo un perfetto esempio di ordinaria follia, ma siamo innocui, te
lo giuro!- Portò la destra sul cuore e sollevò la
sinistra. -
Parola di scout! - Esclamò sghignazzando, prima di
allontanare la
mano dal petto e tenderla verso lei. - Che ne dici, ricominciamo da
zero? Amici?-
Lei.
Jace
la fissava
speranzoso, la mano tesa, attendendo che lei ricambiasse quel gesto.
La ragazza non era sicura di volerlo fare. Quella scelta implicava
troppi cambiamenti, avrebbe voluto rifletterci con attenzione. Al
contempo, una piccola parte di lei per la prima volta desiderava
ardentemente ciò che aveva ignorato per tutta la vita:
voleva degli
amici.
Aveva
assaggiato il
suo frutto proibito, e non era più certa di poterne fare a
meno.
Aveva visto i sorrisi sul volto delle ragazze, le risate, le
chiacchiere sulla moda, sui ragazzi e su tutto ciò che lei
classificava come una frivola perdita di tempo. Eppure smaniava di
farne parte, perché negli occhi di Rose e delle altre aveva
visto
una sicurezza che le era estranea: la sicurezza di avere accanto
qualcuno in cui riporre la propria fiducia. Quelle ragazze avevano
messo i loro cuori l'una nelle mani delle altre, senza riserve,
confidandosi ogni segreto, e facevano di questa sincerità la
loro
forza. D'improvviso si sentì commossa e lusingata dal loro
tentativo
di fare amicizia. Jace aveva ragione, era un estranea tra gli
estranei, ma poteva cambiare le cose, se solo avesse voluto.
La
sua mano sembrò
muoversi senza controllo alcuno, come se avesse vita propria
sfiorò
quella del ragazzo, e si serrò intorno alle sue dita lunghe.
- Va
bene, amici.- Mormorò, lasciando che un sorriso imbarazzato
le
illuminasse il volto e che lui le scuotesse energicamente la mano,
prima di lasciarla andare.
-Grande!
Vedrai, ti
troverai bene con noi!Siamo l'anima della scuola!- Rise ancora, con
quella sua risata vivace e contagiosa. - E ora che ne dici di
festeggiare con un gelato? O un frullato? O quello che preferisci!-
Disse, alzandosi e porgendole galantemente un braccio. Hannah si mise
in piedi, ma ignorò il braccio. Non era ancora pronta per un
contatto così ravvicinato, e Jace sembrò
comprendere.
-Vada
per il
gelato.- Replicò, sforzandosi di comportarsi con
naturalezza,
sebbene fosse per lei una vera impresa. Sollevò il capo e
cercò di
sorridergli. Il ragazzo apprezzò lo sforzo, e con una mano
le
spettinò i capelli, quel giorno sciolti sulle spalle. Era un
gesto
che gli aveva visto compiere spesso con il Trio. Era come se le
dicesse “benvenuta in famiglia.”
-Perfetto!
Qui
vicino c'è un posto dove fanno dei gelati strepitosi!-
Cominciò ad
avviarsi al suo fianco verso il cancello d'uscita. -E
Hannah...Chiamami Jace.-
Gli
altri.
La
ragazza fissava
attraverso una finestra aperta, i due che si allontanavano. Una lieve
brezza ne smuoveva i lunghi e riccioluti capelli neri, imprigionati
in una coda di cavallo che sembrava accentuare la loro lucentezza. Il
loro nero intenso strideva con l'azzurro chiarissimo dei suoi gelidi
occhi, ora puntati sulle due figurine che attraversavano la strada e
si perdevano tra la folla. In quelle iridi di ghiaccio non c'era
posto per i buoni sentimenti. Li fissava con malcontento e una certa
irritazione. Incrociò le braccia, sbuffò, e
quando volse le spalle
alla finestra, si accorse di non essere sola.
-Cosa
vuoi, Tom?-
Sbottò, superando il ragazzo per andare a poggiarsi al muro
di
fronte. Anche lui aveva i capelli neri, ma di un nero meno intenso,
che si accordava alla perfezione agli occhi verdi, che seguivano
fedeli i movimenti della ragazza soffermandosi sulle forme
evidenziate dalla divisa da cheerleader, rendendone il volto ancora
più piacente.
Era
bello, di una
bellezza delicata e solenne che riusciva ad affascinare senza sforzo
alcuno, ma ad Amanda non interessava, perché era proprio
come tutti
gli altri. Pronto a cadere ai suoi piedi in qualsiasi momento, a
correre da lei non appena avesse schioccato le dita.
Certo,
lui a
differenza di tanti l'amava dalla prima elementare e non si era mai
arreso, per quanto lei lo rifiutasse e talvolta umiliasse, tornava
sempre alla carica, per quanto non avesse mai riportato alcuna
vittoria. E sapeva che Amanda voleva sempre e solo ciò che
non
poteva avere, desiderava vincere una sfida lasciata in sospeso.
Voleva Jace Stein, e lo voleva per se soltanto, finché non
se ne
fosse stancata, come con tutti gli altri.
Thomas
rispose alla
sua domanda con un altra. -Gli corri ancora dietro, eh Mandy? Non hai
già avuto quello che volevi da lui? Non ti è
bastato esserci andata
a letto? - Domandò con rabbia, serrando i pugni.
-No,
ovvio!- Ammise
lei senza alcuna vergogna, scoccandogli un'occhiata maliziosa. - Di
lui non se ne ha mai abbastanza, credimi... E poi dovresti saperlo,
più mi sfugge, più mi eccita. - Aggiunse con tono
lascivo, fin
troppo per una diciottenne dalle fattezze d'angelo. - Non mi
lascerò
certo battere dalla nuova arrivata. Quella non sa con chi ha a che
fare, se pensa di riuscire a farmi le scarpe.- Sbottò,
indispettita.
-Non
ti è mai
passato per la testa che forse è lui che ci sta provando con
lei?
Ammettilo Mandy, hai visto come le stringeva la mano e...- Il tono
prima tagliente, si affievolì insieme alla sua voce,
troncando a
metà il suo dire. Si voltò nuovamente verso la
finestra. Le labbra
fini si arricciarono in un sorriso cattivo che non lasciava presagire
nulla di buono. - Sai che ti dico? Quella Hannah non è
affatto male.
Jace ha sempre avuto buon occhio. Tra poco non dovrai più
preoccuparti di lei. - E ridacchiando tra se e se, le voltò
le
spalle, lasciandola sola nel corridoio deserto.
Hopelessly devoted to you
L'angolo
dell'autrice:
Grazie a Lea_91 per la sua
recensione, sono felicissima che ti sia appassionata alla mia storia
tanto da leggerla tutta d'un fiato. Spero continuerai a
leggere, anche senza recensire, se non ti va. L'hai fatto
già una volta, e sapere che hai precato un po' del tuo tempo
per farmi dei complimenti mi riempie di gioia... Grazie.
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 6. Girls. ***
Hopelessly devoted to you
Hopelessly
Devoted To You <3
Capitolo
6. Girls.
Lei.
-Bene,
signore mie,
oggi è venerdi!- Esordì Daphne sedendo al loro
solito tavolo, già
occupato da Hannah e Rose tutte intente a discutere del test di
spagnolo che avevano appena svolto, era uno dei tanti corsi che le
due avevano in comune.
Ogni
settimana si
ripeteva la stessa identica scena. Il Trio passava la pausa pranzo ad
organizzare il week end, e Hannah le ascoltava assorta, senza dir
nulla o quasi. Non perché avesse deciso di darsi nuovamente
al
mutismo, ma perché le mancava quel po' di sicurezza in
più che
l'avrebbe fatta sentire parte integrante del gruppo. Non si sentiva
mai totalmente coinvolta nei loro progetti, e anche se gli inviti
fioccavano numerosi, si rifiutava di accettarli. La paura di potersi
sentire di troppo, e ridicola, le impediva di dar loro la
possibilità
di mostrarle che fare amicizia è la cosa più
naturale al mondo.
Daphne
posò il
vassoio e aprì la sua confezione di insalata. Jaquie la
seguiva,
prese posto accanto a lei, avvicinando un poco la propria sedia a
quella della splendida bionda.
La
ragazza era,
secondo l'opinione di Hannah, la più bella ragazza della
scuola, non
aveva dubbi in proposito. Aveva capelli lunghi e folti, morbide onde
dorate fatte di pura perfezione: per quanto la ragazza li toccasse,
li spettinasse, li maltrattasse avviticchiandoli in code, chignon e
quant'altro, quelli tornavano sempre ad essere una setosa cascata
d'oro. Gli occhi erano azzurri, e la pelle chiara e delicata,
particolare di cui andava molto fiera.
Alta
e statuaria,
aveva gambe lunghe che amava mostrare portando minigonne e shorts.
Era conscia della sua bellezza e le piaceva enfatizzarla senza dar
peso a battutacce e pettegolezzi che puntualmente facevano da eco ai
suoi passi quando la si poteva osservare camminare serafica per i
corridoi della scuola. Erano tanti i ragazzi che avevano provato a
conquistarla, ma lei sembrava essere infastidita dalle loro
attenzioni e li rifiutava tutti, l'uno dopo l'altro, senza alcun
ripensamento.
Ad
un occhio poco
attento poteva sembrare incarnasse lo stereotipo della tipica ragazza
popolare, dotata di molta bellezza e poco intelletto, ma ciò
non
significa che fosse vero. Era invece, una ragazza molto in gamba. Era
intelligente, carismatica, spigliata, e allo stesso tempo gentile e
una persona di spirito. Aveva presentato domanda d'iscrizione ad
alcuni dei più facoltosi college americani. Desiderava
diventare un
medico come suo fratello e sua madre.
Il
suo credo era
“mai vergognarsi di ciò che si
è”. Lei era nata bella, lo
considerava un dono, e a suo dire i doni andavano mostrati e non
nascosti. Possedeva una sicurezza in se stessa e una determinazione
che Hannah le invidiava.
-Salve
ragazze.-
Hannah le salutò entrambe con un sorriso.
Cominciò a sbocconcellare
la crema giallognola e molliccia che le riempiva il piatto: c'erano
alte probabilità che si trattasse di purè di
patate, ma non ne era
troppo sicura, non ne aveva l'aspetto e tanto meno il sapore. La
St.John era una splendida scuola. Dotata di tutte le attrezzature
più
avanzate e di ottimi insegnanti, offriva una preparazione scolastica
superiore alla norma, ma la cucina lasciava grandemente a desiderare.
Dopo
aver
smangiucchiato qualche foglia d'insalata e un pomodorino, Daphne
sollevò lo sguardo sulle amiche, fissandole interrogativa. -
Allora?
Sto aspettando d'essere travolta dalle vostre proposte! Qualche idea
per il week end?- Infilzò con la forchetta dell'altra foglia
di
lattuga.
Jaquie
e Rose si
scambiarono un'occhiata complice. Non avevano bisogno di parole, se
non una : -Shopping!- Risposero all'unisono, scoppiando a ridere
fragorosamente.
Hannah
le osservava
entusiasmarsi per poco con un certo rimpianto. Non riusciva ad
inserirsi in una delle loro conversazioni senza che le si
rivolgessero direttamente, e desiderava sempre più acquisire
quella
spontaneità che per loro era naturale, forti della profonda
amicizia
che le legava da anni.
-Hannie,
tu che
dici?- Sollevò lo sguardo su Rose, corrugando appena la
fronte. Non
si sarebbe mai abituata a sentirsi chiamare Hannie. In
realtà, non
apprezzava granché quel nomignolo, un po' se ne vergognava,
e doveva
a malincuore sforzarsi di accettarlo da chiunque non fosse la sua
tata.
-Non
saprei
proprio.- Rispose, mentre annoiata rimescolava il cibo con la
forchetta. - Suppongo che... Si, potreste andare per negozi e...-
Jaquie l'interruppe prima che potesse terminare.
-Potreste?Eh
no,
bellezza! Così non va proprio bene!- Esclamò,
agitando l'indice
destro in aria con foga. Hannah impallidì e
arrossì in rapida
successione. -Non è potreste, è potremmo! Noi
potremmo andare per
negozi. Noi quattro! Bah, questa ragazza è davvero
incorreggibile!-
Sbottò, incrociando le braccia al petto, scontenta e
forse...
Delusa? Ad Hannah parve proprio così.
La
rossa tutto pepe
aveva dei modi sempre molto diretti, non mandava a dire nulla, e se
voleva qualcosa cascasse il mondo l'avrebbe ottenuta, o perlomeno
avrebbe tentato fino allo sfinimento, suo e delle amiche che
riusciva, senza che loro sapessero come, a trascinare nelle sue
crociate. Da quando Hannah era apparsa all'orizzonte, si era messa in
testa che l'idea del Trio ormai era superata, roba vecchia a sentir
lei. E così voleva che lei diventasse parte integrante della
combriccola. Adorava essere circondata da belle ragazze, era questa
l'unica motivazione che l'aveva spinta a ricercare la compagnia della
ragazza. Si era accorta poi, non senza una certa soddisfazione, che
Hannah oltre il visino da bambola poteva possedere una
personalità
particolarmente interessante.
I
suoi modi erano
spesso rudi e mascolini, stridevano con i bei lineamenti femminili.
Certo non era bella come Daphne. Era più bassa di dieci
centimetri
buoni, meno formosa e in lieve sovrappeso, ma era comunque piacente.
Le labbra carnose erano sempre arricciate in un sorriso sicuro, gli
occhi verdi e limpidi erano lo specchio del suo spirito: critici si
posavano su ogni cosa, scrutando tutto e tutti con attenzione, alla
ricerca di gesti e sguardi rivelatori di inconfessabili segreti.
Rivelavano una forza di volontà inaudita, e talvolta del
cinismo
neppure troppo velato.
Con
occhi così
sinceri, non le era possibile nascondersi dietro le bugie che tutti
prima o poi raccontano e si raccontano. Non c'era modo di camuffare
la dolcezza che da essi traspariva non appena si soffermavano su
Daphne. Neppure ad Hannah, per nulla empatica, sfuggiva la totale
devozione e amore che la ragazza provava nei confronti dell'amica.
Sentimenti che trascendono tutto ciò che non è
fine ad essi, quelli
che si provano una volta nella vita, dolci e amari insieme.
-Jaquie
perchè sei
così melodrammatica? Lasciala in pace! Ha lezione con Jace
oggi,
oltretutto. Non pretenderai che la salti.- L'ammonì Rose,
che la
timidezza rendeva la più saggia e riflessiva del gruppo.
Jaquie
si divertiva
a prenderla in giro chiamandola “mammina”, e quel
nomignolo le
calzava a pennello. Aveva sempre un che di materno e dolce nei modi.
Tutto in lei faceva pensare fosse nata solo per accudire e consolare
ogni essere del creato. Vedeva del buono in tutti e tutto,
specialmente nelle sue migliori amiche, che adorava e a cui perdonava
qualsiasi azione. Era lei il collante che teneva insieme il Trio, con
la pazienza di cui sembrava avere una scorta infinita. Si prodigava
per le altre, faceva da paciere nelle loro discussioni, forniva una
spalla su cui piangere nei momenti di sconforto.
Amava
la vita anche
se questa non era stata magnanima con lei. Con alle spalle una storia
triste che non amava rivangare, era stata costretta a crescere da
sola con quattro fratelli, uno maggiore e tre minori, mentre sua
madre lavorava come domestica dell'uomo che poi aveva sposato sei
anni prima, catapultando tutta la famiglia nel favoloso mondo dei
ricchi e famosi. L'inaspettata fortuna non ne modificò il
carattere
e le abitudini, rimase sempre una giovane modesta e di modeste
pretese, e generosa.
Compensava
in bontà
ciò che le mancava in bellezza. Era molto carina nel
complesso, non
bella quanto Jaquie e neppure lontanamente paragonabile a Daphne. Era
alta ma piuttosto robusta, sebbene le sue forme fossero rotonde e
morbide. Il volto dai tratti latini e la pelle olivastra si
armonizzavano alla perfezione con i lunghi capelli scuri e gli occhi
neri. Era il sorriso il suo punto forte, di certo il più
bello che
Hannah avesse mai visto. Questo bastava a renderla bellissima ai suoi
occhi.
Non
ricordava il
sorriso di sua madre, ma quando vide il sorriso di Rose per la prima volta,
desiderò
ardentemente di poter ricordare che fosse proprio così, come
il suo,
radioso e materno, che potesse parlarle di coccole e carezze che non
ricordava d'aver ricevuto, di ninna nanne e storie della buonanotte
lette da una voce diversa da quella della tata.
-Ci
sono sempre
sabato e domenica, stavolta non puoi scamparla Hannie. Devi venire
con noi! É la quarta volta che passi!- Riprese Jaquie,
facendo
roteare nervosamente una mano in aria.
-Se
non vuoi o non
puoi venire con noi non devi preoccuparti, sarà per la
prossima
volta.- Rose l'ignorò completamente, e tornò a
rivolgersi ad
Hannah, che non aveva creduto fosse inclusa nei loro programmi.
-Io...Veramente
io
non pensavo di... Insomma...- Voleva essere sincera senza perdere la
propria dignità, ma non c'era modo di esserlo senza rendersi
ridicola. Evidentemente negli Stati Uniti la dignità di una
ragazza
inglese di buona famiglia è un articolo ampiamente
sottovalutato.-
Non avevo capito fossi inclusa anche io.- Mormorò, chinando
lo
sguardo. Jaquie scoppiò in una risata che la fece arrossire,
zittita
rapidamente da una gomitata ben piantata tra le costole.
-Jaquie
finiscila!- Sbottò Daphne scuotendo il capo con disappunto,
mentre
la compagna si massaggiava un fianco. -Tu il tatto non sai proprio
cosa sia! Hannie, quel che Jaquie voleva dire, con i suoi modi da
neanderthaliana... -Scoccò un'occhiataccia alla ragazza che
sollevò
le spalle, come a chiedere che mai avesse detto di male. - …
è che
ci farebbe davvero piacere se ti sentissi parte del gruppo. Insomma,
non siamo tanto male, no?- Concluse, continuando a smangiucchiare la
sua verdura. Sulle labbra aveva il sorriso di chi sa di avere la
vittoria in pugno, convinta com'era che loro non solo non fossero
tanto male, ma il massimo in assoluto.
-No..
No, affatto.-
Replicò la ragazza, prendendo a giocare con una ciocca di
capelli.
Daphne aveva ragione. Non poteva fingere che negarsi fosse la
migliore delle strategie per tenersi strette delle amiche. Ma tutto
era tanto nuovo e bello da spaventarla terribilmente. E se
frequentandola le tre avessero scoperto un qualsiasi lato del suo
carattere che non potevano tollerare? Qualcosa che le allontanasse
irrimediabilmente? Non voleva più essere sola, era sicura di
non
poter tollerare più le ore di solitudine, il silenzio rotto
solo dal
frusciare delle pagine di un libro consunto dal troppo leggere, il
tornare a chiudersi in se stessa e crearsi un mondo immaginario, dove
però non poteva più trovare sollievo. Non avrebbe
ottenuto nulla
continuando a fuggire. Non voleva più fuggire.
-
Va bene, verrò,
se possiamo rimandare a domani.- Disse infine, sollevando lo sguardo
e sorridendo, insicura ma sollevata nonostante fosse conscia che
ciò
che faceva, andava contro alla filosofia di tutta una vita. Lei non
aveva mai aperto i cancelli del suo piccolo mondo agli estranei. In
realtà, non permetteva neppure di avvicinarsi abbastanza da
poter
intravedere quali meraviglie si celassero dietro le sbarre dorate.
-Fantastico!-
Esclamò Jaquie, strizzandole un occhio. - Visto? Non era
così
difficile dopo tutto!-
-Cos'è
fantastico
e non così difficile?- Chiese una voce alle sue spalle.
Prima che
potesse voltarsi Jace afferrò una sedia da un tavolo accanto
e
sedette tra Hannah e Rose, cingendo le spalle di entrambe con un
braccio. Se quel gesto innocente non sembrava avere alcun peso per
l'amica, che anzi sorrideva al ragazzo come se si trovasse davanti un
bambino birichino a cui era capace di perdonare tutto o quasi, per
Hannah era più che imbarazzante, ma era troppo arrendevole
per
lamentarsene.
-Abbiamo
appena
convinto Hannie a fare una seduta di sano shopping, domani.
Perché
non ti aggiungi a noi? Potresti portare tu sai chi...- Rispose
Daphne, ammiccando furiosamente. Il su e giù delle sue
sopracciglia
era quasi ipnotico. - Sono sicura ci serviranno tre paia di braccia
forti e muscolose a fine giornata...- Concluse con un sorriso
malizioso.
-Oh...-
Jace
sorrise con altrettanta malizia, arricciando appena il naso. - Tu sai
chi non mancherebbe per nulla al mondo, quindi ci saremo, a patto che
voi offriate il pranzo! Non vi aspetterete che ci lasciamo sfruttare
senza avere nulla in cambio!-
-Mi
sembra più che
giusto.- S'intromise Jaquie, annuendo energicamente. - Anche se
qualcuno forse otterrà di più di un pranzo...
Chissà...- Lanciò
un'occhiata a Rose, che arrossì improvvisamente.
Hannah
li fissava e
non capiva. Di chi parlavano? E perché Rose sembrava essere
arrossita senza alcun motivo?
-Se
il tempo lo
permette... Potremmo...Potremmo mangiare a Central Park.-
Cominciò la
ragazza, senza che il rossore delle gote scemasse. - Posso chiedere
alla cuoca di preparare qualcosa, e una delle domestiche potrebbe
portarcelo, non credo dispiacerà loro.-
Sentenziò, sperando di
poter cambiare argomento di conversazione. Le ragazze si divertivano
a giocare al Dottor Stranamore con lei. Lo sopportava ma non
significa che dovesse piacerle.
-Dici
fare un
pic-nic? Non è una cattiva idea! Così Hannie
potrebbe vedere
Central Park...- Le rivolse uno sguardo implorante. - ...sempre se ti
va, s'intende. Ma a te va, vero? Vero?-
-Ci
sono già
stata.- Rispose lei, incassando la testa tra le spalle e aspettandosi
una brusca reazione.- Vado al maneggio ogni sabato e domenica
mattina. Visto che ho sempre molto tempo libero durante i week end ho
pensato di trovare un passatempo e...- Il ragazzo non le permise di
continuare.
-Hannie
rilassati!-
Rise lui, posandole una mano sul capo e scompigliandole i capelli. -
Possibile che rischi l'infarto ogni volta che fai qualcosa di testa
tua? - La ragazza fece per aprire bocca, ma lui la zittì
posandole
un dito sulle labbra. - E non chiedere scusa! So che stavi per farlo.
- La fissò negli occhi con sguardo serio, che sostenne
finché la
ragazza non annuì. - Okay, deciso, shopping, pic-nic, e se
poi
avremo la forza di reggerci in piedi, ancora shopping!-
Batté con
una mano sul tavolo. -La seduta è tolta! E io sono in
ritardo! Il
punto di raccolta è davanti a Sundaes and Cones sulla 5th Avenue, alle dieci,
non
scordate i viveri.- Si chinò su Hannah, a darle un bacio
sulla gota.
- A dopo Hannie!- E corse via, senza badare allo sguardo sorpreso
della ragazza e alle risatine del Trio.
L'angolo
dell'autrice:
Tre...
Tre...TRE...T-R-E... 3...
Non
ci posso credere... Tre recensioni
per un solo capitolo... é il mio record personale!
Yuppyduuuuhhh!!!
*____*
Vi
adoro, vi adoro, vi adoro, e
prometto che se troverò un lavoro, entro il prossimo Natale
(sognare
non costa niente XD) vi manderò panettone e spumante! U.U
Io
ho scritto una sola storia prima di
questa, e sinceramente non avendo ricevuto molte recensioni in quel
fandom (Twilight, fin troppo popoloso e zeppo di storie ampiamente
sopravvalutate) non credevo di riceverne più di due per
l'intera
storia in questa categoria.
Ci
sono così tante storie originali
meravigliose che vengono ampiamente sottovalutate, figurarsi se mi
aspettavo di venire recensita da qualcun altro se non l'anima pia di
turno, impietosita dal mio pietoso (scusate il gioco di parole)
lavoro.
Ragazze
(perchè dai nick credo siate
tutte donnine) non ho parole per ringraziarvi dei complimenti, del
tempo perso a recensire, di aver messo la storia tra seguite o
preferiti. Mi sento così lusingata da sentirmi un po'
stupida e pure
infantile.
Piccola
anticipazione: il capitolo 7
sarà completamente dal pov di Jace, che ci
racconterà la prima
uscita di gruppo di Hannah e ci presenterà i suoi migliori
amici. Ho
deciso di dividere questo capitolo in due perché sarebbe
venuto un
davvero troppo lungo (solo questa parte sono quattro pagine di word
belle piene), sarebbe stato tedioso da leggere, quindi portate un
altro poco di pazienza.
Lea__91: XD ecco un
altro buon motivo
per recensire le storie altrui: farsi pubblicità!
Ovviamente
scherzo, lunghi da me fare
qualcosa di simile!
Se
tu gradisci recensire io non posso
non gradire e non voler leggere i tuoi commenti e risponderti. :-)
Ammetto che avere una “fan” che abbia la forza
d'animo di
recensire ogni capitolo mi fa montare un po' la testa! XD Che dire di
Amanda, un elemento di disturbo ci vuole, altrimenti se tutto
andasse bene, non avrebbe senso scrivere una storia. Il suo momento
però non è ancora arrivato. I colpi di scena sono
necessari per
mantenere vivi l'attenzione e l'interesse del lettore! E in questa
storia ce ne sarà ancora qualcuno spero sfizioso per chi
legge...
_KykyBlonde_:
Mi
piacerebbe approfondire quel che mi hai scritto! Vorrei sapere che
intendi per forzata, o meglio, se intendi dire che lei si comporta in
maniera forzata, per tutta una serie di cose (educazione, classe
sociale eccecc) oppure se io ho sbagliato nel descriverla dandoti
l'impressione di avere davanti un personaggio non coerente,
“finto”
ecco. Ovviamente sono pronta ad accettare qualsiasi consiglio,
critica, correzione o simili. :-) Anzi grazie per avermelo fatto
notare. :-)
legolina77:
eheh povero
George! Danno tutti la colpa a lui! XD Su su...Sii clemente, non
è
solo colpa sua... Se dicessi altro svelerei troppo, quindi non ti
rimane che leggere! =P Come ho scritto a Lea, Amanda è un
elemento
di disturbo, e ce ne saranno altri durante la storia. Probabilmente
sarà l'unica rivale in amore che Hannah
incontrerà sulla sua
strada, ma a conti fatti credo che lei sia a tutti gli effetti il
male minore e... Non dico altro! =P
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 7. Boys. ***
Hopelessly devoted to you
Hopelessly Devoted To You
<3
Capitolo
7. Boys.
Lui.
-Ah-ah...
Si... Si,
ci sarà anche Rose domani! Certo che sono sicuro, che
domanda
cretina Seth! Si è mai visto che Jaquie e Daphne organizzino
qualcosa senza di lei?- Jace addentò una fetta di pizza unta
e
fredda, mentre teneva la cornetta del telefono stretta tra capo e
spalla. Mangiava quella che probabilmente era la pizza peggiore di
tutta New York. La pizza di Yonkers, un minuscolo locale a qualche
isolato da casa loro, una volta fredda diventava così
gommosa che
andava masticata per parecchio tempo prima di poter deglutire senza
correre il rischio di strozzarsi. Il loro ragazzo delle consegne era
però l'unico disposto a farsi tredici piani a piedi per due
dollari
in più di mancia e Jace e Greta, quando la pigrizia aveva la
meglio,
dovevano accontentarsi di buon grado.
Fece
roteare gli
occhi mentre a fatica mandava giù il boccone: Seth,
dall'altra parte
della cornetta, aveva cominciato uno dei suoi soliti sproloqui senza
fine su quanto Rose fosse perfetta-in-tutto-e-per-tutto. Ormai
conosceva ogni parola di quei suoi discorsi senza fine, tanto da
sapere con precisione quando si sarebbe fermato per dargli la
possibilità di mugugnare qualcosa di incomprensibile, giusto
per
fargli capire che no, non era scomparso nel nulla, e si, lo ascoltava
ancora, o almeno faceva finta. E anche se si fosse dileguato, Jace
dubitava che Seth se ne sarebbe accorto, preso com'era a lodare la
sua bella. - Ah-ah... Certo che ti sto ascoltando! Come ti viene in
mente il contrario! - Disse con troppa enfasi, ma trattenendo una
risata.- Si, ci vediamo qui alle nove, un caffè da Barney e
per le
dieci siamo da Sundaes and Cones sulla 5th
Avenue.
Si...Si, proprio quello dove fanno il gelato al gelsomino che piace
tanto a Rose... – Scosse il capo, ormai rassegnato.
Dall'altra
parte
del tavolo sua madre non poté trattenere una risata, che lui
tentò
di zittire lanciandole contro una pezzo di crosta che Greta
schivò
agilmente chinandosi di lato. - Ridere? Nessuno sta ridendo, Seth
cominci a sentire le voci, mi preoccupi! L'emozione gioca dei brutti
scherzi eh... - Greta si portò entrambe le mani a coprire la
bocca,
zittendosi. - Di a Jem che l'ho sentito, il pranzo lo portano loro!
Si... No...E io che ne so? Si si, a domani!- Chiuse la chiamata e
sbuffando posò il telefono sul tavolo.
-Scommetto
l'ultima
fetta che a Seth piace ancora Rose. É così,
vero?- La donna rise,
allungandosi ad afferrare l'ultima fetta di pizza, che oramai era
tanto gommosa che, se l'avessero lanciata contro un muro,
probabilmente avrebbe cominciato a rimbalzare per tutta la stanza
come una pallina impazzita.
-Dire
che gli piace
è riduttivo! É ossessionato! Giuro, se gli sento
dire un'altra
volta quanto sono belli i suoi capelli, do di matto! Avrei dovuto
parlare con Jem!- Sbottò, incrociando le mani dietro la nuca
mentre
si dondolava sulla sedia.
-Non
credo sia
meglio l'adolescente in piena crisi ormonale, io preferirei
l'innamorato cronico e ossessivo! É tenero, in fondo! -
Replicò
lei, sghignazzando ancora. Trovava assurdamente divertenti gli amici
di Jace, i gemelli Jeremy e Seth Sanders, volti identici che come
maschere nascondevano personalità opposte come fuoco e
ghiaccio.
Sollevò la pizza e l'addentò, masticandola con
vigore.
Da
quando più di
un anno prima Seth aveva conosciuto Rose, non aveva avuto
più pace.
Il ragazzo era d'animo romantico e sensibile, incline alle
infatuazioni, che erano spesso flebili fiammelle già spente
al primo
soffio di vento. Con Rose era diverso, così lui diceva, e ad
un anno
di distanza cominciava a crederci anche Jace. Si era innamorato fin
dal primo istante dello splendido sorriso della ragazza, e dei suoi
modi gentili, e così non faceva che parlare di lei,
scriverle
lettere che non sarebbero state mai consegnate, strimpellare alla
chitarra improbabili canzoni cui testo si riduceva immancabilmente a
“Mia Rose, mia dolce Rose”, ripetuto ad intervalli
regolari. Il
ragazzo, quando si professava innamorato, era pronto a donarsi anima
e corpo alla bella di turno, senza riserve.
Ma
la cosa più
incredibile è che Rose sembrava ricambiare quei sentimenti.
O così
era arrivato a credere Jace, che vedeva nel suo evidente imbarazzo e
negli splendidi occhi scuri persi in sogni ad occhi aperti ogni
qualvolta capitava che nominasse l'amico, i segni dell'innamoramento,
o almeno di una bella cotta. Nel suo tenero cuoricino Seth si era
ritagliato un angolino tutto speciale senza neppure sapere come. Jace
non riusciva a spiegarselo, giacché erano entrambi talmente
timidi
che ogni volta che si incontravano, non riuscivano a far altro se non
balbettare una parola o due, abbassare lo sguardo e ignorarsi per il
resto del tempo. Certo l'amore è cosa ben strana.
Continuò
a
dondolarsi e sembrò riflettere sulle parole della madre per
qualche
istante, mordicchiandosi le labbra. - Non so proprio chi sia meglio!
No, forse hai ragione, Seth è più sopportabile! -
Esclamò
storcendo le labbra. Al contrario di Seth, Jem non era certo famoso
per essere un romanticone. Anzi, sembrava i suoi ormoni avessero
perennemente il turbo inserito. Suo fratello Seth lo chiamava poco
simpaticamente “animale da monta”, e scherzava sul
fatto che in
compenso non aveva poi tante pretese in fatto di donne: gli bastava
che respirassero. Jem non era profondo ed emotivo come il gemello,
anzi, era piuttosto superficiale nelle faccende sentimentali. A lui
non importava l'amore o la ricerca di esso, era troppo attratto dal
sesso fine a se stesso per desiderare di farsi accalappiare da
qualcuna.
Greta
rise ancora,
quasi strozzandosi con l'ultimo boccone. Jace pensò che sua
madre
avesse la risata più bella del mondo. - Ho sempre ragione,
non
scordarlo mai tesoro!- Bevve un sorso di cola, e afferrato un
tovagliolo accartocciato si ripulì le mani.- Hai pensato al
fatto
che potrebbe provarci con Hannah?- Domandò a bruciapelo
mentre si
alzava e sbarazzava il tavolo dai resti della cena. - Nonostante
tutto è davvero un bel ragazzo, e lei non lo conosce al
contrario
delle altre, che sanno come tenerlo a bada.- Aggiunse, buttando nel
cestino dei rifiuti il cartone unto, e cominciando a raccattare i
piatti e le posate sporche sparsi qui e la, che andarono a far
compagnia a due padelle incrostate in una delle vasche del lavello.
Il
ragazzo smise di
dondolare, e dopo un lungo e pesante silenzio, si voltò
verso la
madre, indaffarata a sbottare contro il rubinetto che si rifiutava
di sputare dell'acqua perlomeno tiepida. - Oggi i piatti toccano a
me.- Si alzò e prendendola per le spalle la spinse fino alla
sedia
più vicina.
-Ma
non è vero! -
Cercò di ribellarsi, ma Jace era irremovibile. La costrinse
a
sedere, accese il televisore davanti a lei.
-Siediti,
guarda la
TV e niente storie! Ieri ho saltato il turno per studiare inglese,
quindi stasera tocca a me. - Le schioccò un bacio su una
guancia e
le voltò le spalle, prima che potesse aggiungere altro.
Ammassati
all'interno della vasca c'erano infatti anche i piatti della della
sera prima e della colazione. Aprì uno sportello sotto il
lavello e
prese una spugnetta e il flacone di detersivo. Sollevò le
maniche
della felpa, ricoprì abbondantemente le stoviglie di sapone
e fatta
scorrere un po' d'acqua gelida cominciò a fregare
energicamente la
prima padella. - Ci avevo pensato, in ogni caso, ma Hannie è
troppo
riservata per dargli corda. Mi basterà tenerla d'occhio e la
timidezza farà il resto. É anche vero che ci
sarà Daphne, quindi
dubito le rivolgerà più di un'occhiata, sai per
“valutare la
merce”, come direbbe lui. - Disse con una punta di
soddisfazione
nella voce.
-Mi
sembri fin
troppo contento. O sbaglio?- Incalzò Greta, che di suo
figlio
conosceva ogni inclinazione, talvolta ben prima che egli stesso ne
prendesse coscienza. Negli ultimi mesi l'aveva visto cambiare, ma
erano quel genere di piccoli mutamenti che solo una madre attenta
avrebbe potuto notare. Era certa che tra le pieghe del suo animo si
fosse annidato qualcosa di fragile, un germoglio tardivo bisognoso di
cure e protezione, tanto piccolo che sarebbero bastate poche gocce di
pioggia ad annegarlo o un raggio di sole più luminoso degli
altri a
farlo rinsecchire. Se l'avesse ignorato, lasciandolo morire, avrebbe
perso l'unica cosa davvero importante, quel qualcosa capace di dare
un senso ad una vita intera e renderla degna di essere vissuta. Lei
aveva amato con tutta la veemenza della gioventù ed era
stata amata,
non portava più rancore verso chi l'aveva abbandonata senza
alcun
rimorso, perché comprendeva che neppure le ferite
più profonde
avrebbero potuto mai cancellare il ricordo della felicità
che
l'amore le aveva donato. Era stato l'amore a donarle Jace.
-Sbagli.
É che non
mi va che Jem l'importuni, tutto qua.- Replicò scuotendo le
spalle
con noncuranza. - Hannah mi piace... Ma non come intendi tu.- Si
affrettò a precisare. - Come potrebbe non piacermi?
é una persona
fantastica. É così intelligente, ed è
diversa dalle altre. É
interessante ecco. A volte mi sembra... Non so come spiegarti... Ecco
mi sembra possa capirmi meglio chiunque altro, con lei è
sorprendentemente facile parlare di tutto, anche delle cose
più
stupide. Mi ha dato fiducia mamma, e tu sai che non è stato
affatto
semplice, e non voglio che quel maniaco faccia qualcosa che possa
segnarla a vita. - Concluse con un sospiro.
-Quindi
non vuoi
che ti faccia sfigurare davanti a lei, giusto?- Domandò
maliziosamente. - Ti ha colpito davvero questa ragazza, se ti
vergogni di Jem, e dire che negli anni di motivi per vergognartene te
ne ha dati parecchi.- Disse divertita. Jem non era un cattivo
ragazzo, ma la sua totale mancanza di tatto lo ficcava di frequente
in situazioni imbarazzanti. - Sei sicuro che sia solo un'amica?-
Greta sapeva essere davvero testarda, quasi quanto suo figlio, ma
anche estremamente più tenace e paziente, e sapeva quali
corde
andare a toccare per far si che le dicesse esattamente ciò
che lei
voleva sentire.- Sai, avrei detto ci fosse qualcosa di più
sotto.
Certe voci di corridoio arrivano dritte dritte in infermeria... -
Mormorò con finta indifferenza, mentre andava in onda la
pubblicità
di una nota marca di cereali per la colazione, e lei fissava fin
troppo interessata un gruppo di api ballerine esprimersi per
irritanti onomatopee. - Un uccellino... Okay, diciamo uno stormo di
uccellini disperati, mi ha detto che amoreggiate senza pudore durante
la pausa pranzo. Ah... Il mio bambino si è fatto grande... -
Si
posò una mano sul cuore e finse di asciugarsi una lacrima di
commozione.- Forse dovrei farti un certo discorso sulle api e i
fiori... - Aggiunse scuotendo un indice in aria, ispirata dallo spot
appena andato in onda.
-Me
l'hai già
fatto quando avevo undici anni, e alla fine ero così confuso
che ti
chiesi se mio padre era un ape o un fiore! E poi da quando un bacio
sulla guancia è amoreggiare? E da quando credi
più ai pettegolezzi
che a tuo figlio?- Chiese di rimando, senza lasciarle però
il tempo
di rispondere. - Non capisco perché la gente non si fa gli
affaracci
suoi. Non mi sembra di aver fatto nulla di strano. É solo
che con
Hannie è facile essere affettuosi. Lei non fraintenderebbe
mai le
mie intenzioni, come fanno certi uccellini che non sanno tenere il
becco chiuso.- Borbottò contrariato. Era abituato ai
pettegolezzi
più o meno infondati che circolavano a scuola, lui c'era
già
passato, ma questa volta era diverso. C'era di mezzo anche Hannah, ed
era certo che suo padre non avrebbe fatto i salti di gioia se quelle
voci fossero giunte fino a lui.
-Uh,
vedo che ti
scaldi!Sarà... Però non ti ho mai visto dare un
solo bacio a Daphne
e Jaquie, ne a Rose. Anche con loro è facile essere
affettuosi,
sono ragazze adorabili! E non parliamo di Amanda! Quando la
frequentavi tenevi addirittura le distanze. Ti infastidiva solo
l'idea di poter essere visto con lei.- Si voltò verso il
ragazzo che
ancora le dava le spalle. - Jace puoi mentire a te stesso quanto
vuoi, ma non puoi mentire a me. Hannah ti ha colpito, lei ti piace
come ad un ragazzo piace una ragazza, che è molto
più di quanto tu
sia disposto ad ammettere. - Concluse, con l'aria di chi la sa lunga.
Il
ragazzo ignorò
quell'ultima affermazione e continuò a lavare e strofinare.
- Se ci
provassi Jaquie mi ucciderebbe, e se baciassi Rose ad uccidermi
sarebbe Seth. Ed è meglio che non dica nulla a proposito di
Mandy...
- Sbottò, prendendo a strofinare con ancor più
foga, come preda di
una grande rabbia.. - é molto più sicuro per la
mia salute fisica e
mentale essere affettuoso con Hannie, credimi!- Scherzò, ma
Greta
ebbe l'impressione cercasse di arrampicarsi sugli specchi.
-Io
continuo a
pensare che t'inganni. Ricordati che la tua mamma c'è
passata prima
di te. E certe cose le percepisce a pelle.- E dopo quest'enigmatica
frase, si alzò e si stiracchiò.
Afferrò il telecomando e spense il
televisore. - Io vado a dormire, domani devo sostituire Cynthia
giù
al supermarket. Timmy ha di nuovo la febbre e lei non ha abbastanza
soldi per pagare una baby sitter. - mormorò stancamente. Gli
si
avvicinò e gli scompigliò i capelli con una mano.
- Mi raccomando,
non stare alzato fino a tardi o come al solito non sentirai la
sveglia. Divertiti domani, tesoro.- Gli diede un bacio e gli
augurò
buona notte.
-Notte,
mamma.-
Sentì i suoi passi pesanti attraverso la sala, poi lungo il
corridoio e infine una porta aprirsi e immediatamente dopo chiudersi.
E poi, il silenzio. Non gli dispiaceva, non in quel momento. Sentiva
la testa pesante, carica di pensieri. Ma il cuore era leggero,
felice.
***
-Volete
muovervi?- Chiese Seth per l'ennesima volta, camminando un metro
avanti agli altri, impaziente d'incontrare nuovamente la sua Rose. Al
ragazzo era sempre piaciuta la puntualità, ma le chance di
arrivare
in un qualsiasi luogo ad un orario prestabilito si riducono
drasticamente quando si ha a che fare con due ritardatari cronici
come Jace e Jem. Erano in ritardo di dieci minuti appena, il che per
i loro standard erano davvero poca cosa.
-Seth,
vuoi piantarla? È solo una ragazza!- Sbottò il
fratello scuotendo
il capo e sistemando con un gesto nervoso la visiera sbilenca del
proprio cappellino.
Jem
sembrava essere uscito dritto dritto dal video di un rapper, quel
giorno come sempre. Indossava esclusivamente abiti baggy: jeans
cadenti e maglie esageratamente larghe, oltre a cappelli, catene
vistose e tutto ciò che solo un vero rapper indosserebbe.
Cultore
della cultura hip-hop e appassionato di musica rap, faceva parte di
un piccolo gruppo di breaker, che con affetto misto ad orgoglio
chiamava “la mia crew”. Nonostante ciò,
non era la breakdance la
sua più grande passione: erano i graffiti. Quello che per
alcuni è
solo imbrattare i muri di vernice, per lui era arte moderna nella sua
forma più primitiva e al contempo passionale,
perché per Jem la
passione era una componente fondamentale nel dar sfogo a tutta la sua
creatività. Creare una nuova opera per lui era del tutto
simile al
fare l'amore, allo stesso modo coinvolgente ed estenuante, e
talvolta, doveva ammetterlo, ben più soddisfacente.
Così
la
bomboletta di vernice poteva essere più di uno strumento, ma
un'estensione del proprio corpo, e il muro non più un
ammasso di
mattoni tenuti su da intonaco e cemento. Le pareti davanti ai suoi
occhi si tramutavano in avvenenti donne, esotiche e sconosciute,
tutte da esplorare, o in tante orfane cenerentola, da reinventare a
proprio piacimento. Così nacquero Diana, Missy, Brittany e
le
altre... poiché con tali premesse, le sue opere non potevano
non
avere dei nomi di donna.
-Non
è
solo una ragazza! É Rose! La mia Rose!- Replicò
Seth con stizza, ma
senza perder tempo a voltarsi verso il fratello. - Ma cosa puoi
capirne tu... Animale da monta...-
-Ma
se
non vi parlate neppure! Non hai neppure il coraggio di chiederle il
suo numero! - Lo rimbeccò lui, provocatore. L'altro fece per
voltarsi, però non poté rispondere alla
provocazione. Jace si
impose come paciere prima che potesse aprire bocca.
-Okay,
okay, finitela!- Sbottò ponendosi tra i due.- Possibile che
sia
sempre la stessa storia? Dateci un taglio!- Alternò lo
sguardo tra
l'uno e l'altro. Parlava seriamente, e non ammetteva repliche. -
Almeno per una volta cerchiamo di cominciare bene la giornata e non
farci riconoscere! - I due non risposero. Seth voltò loro le
spalle
e riprese a camminare spedito finché non scomparve dietro il
primo
angolo. Jace buffò, passandosi una mano tra i capelli.-
Certo che
potevi evitare. Santissima merda, lo sai! Mai, e dico mai, per
nessuna regione, neanche se cascasse il mondo, devi parlare di Rose
in questo modo. E poi...- Gli afferrò un orecchio e lo torse
con
forza. Incamminandosi si trascinò dietro il proprietario,
insensibile alle sue proteste, lamentele, insulti e preghiere
accorate. -... é una delle mie migliori amiche! Quindi
finiscila,
pezzo d'idiota...- Aggiunse, dando un ultimo strattone, prima di
liberarlo dalla sua presa.
-Va
bene... Va bene... Come siete permalosi voi due, accidenti!-
Replicò
Jem, massaggiandosi l'orecchio, dolorante e arrossato. Fecero
anch'essi per svoltare l'angolo, e quasi si scontrarono contro Seth,
che sbucò da dietro esso, camminando a passo di gambero.
-Hei
Jace, vieni a vedere.- Gli rivolse un'occhiata veloce e gli fece
segno d'avanzare. Seth, più di chiunque altro, era un libro
aperto
per Jace. E ciò che vi leggeva in quel momento, non gli
piaceva
affatto. Sembrava aver visto qualcosa, o qualcuno, che si sarebbe
augurato di non rivedere mai. Due passi, e fu oltre l'amico. Davanti
a se si estendeva la 5th Avenue in tutto il suo
lusso
sfrenato. Ma lo sguardo, come attirato da un singolare magnetismo,
cadde subito su di lei.
Hannah
stava davanti all'ingresso di Sundaes and Cones, infagottata nel suo
caldo (e sicuramente costoso) cappotto nero, a pochi metri da lui. Il
collo fine era avvolto in una bella sciarpa grigia a quadri, con la
quale giocherellava nervosamente. Lei, con le gote arrossate dal
freddo, i capelli lunghi che posandosi sulle sue spalle sembravano
venire inghiottiti dal nero intenso del cappotto, gli occhi limpidi
come il cielo che li sovrastava, per un istante fu l'unica cosa che
vide. Si sentì scaldare il cuore, e non seppe dare un nome a
ciò
che provava. Più tardi provò a convincersi che
fosse semplice
sollievo o soddisfazione, perché in fondo non era mai stato
del
tutto certo che la ragazza non avrebbe dato loro buca. Quella
giustificazione non lo convinse mai del tutto.
Fu
solo
in un secondo momento, solo quando lui le prese una mano e si
esibì
in un baciamano esemplare, che ne notò la presenza. Quando
lasciò
la sua mano le rivolse qualche parola, standosene li, con le mani
affondate dentro le tasche del suo giubbino in pelle da quattrocento
dollari e un sorriso affabile ed innocente stampato sul bel volto.
Era perfetto, in tutto, tanto da risultargli irritante: perfetto
l'abbigliamento, casual ma senza nulla perdere in stile ed eleganza,
perfetti i suoi modi, perfetta la distanza a cui teneva da lei, non
troppo vicino perché potesse invadere i suoi spazi ma
neppure così
lontano da poter sembrare dei perfetti sconosciuti, perfetti i toni e
le parole che le rivolgeva, anche se non poteva sentirli, ne era
certo, erano perfettamente consoni alle circostanze. Lui sapeva
essere ammaliante senza alcuno sforzo. Era una dote naturale la sua,
ce l'aveva nel sangue, e Jace lo sapeva bene. Gli sembrava fosse
passata un'eternità intera da quando era stato il suo
migliore
amico.
Durante
la loro breve ma profonda amicizia, si era sentito spesso intimorito
dai suoi modi così seducenti e dalle reazioni che questi
suscitavano
negli altri. L'aveva spesso invidiato con tutto l'ardore di cui un
adolescente amareggiato dalla vita può essere capace,
perché era
tutto ciò che avrebbe voluto essere e temeva non sarebbe
stato mai:
ammirato, rispettato, piacente e soprattutto ricco. Sentì
montare
una rabbia irragionevole e ingiustificata. Non lo voleva accanto ad
Hannah. Strinse i pugni con forza, e scattò come una molla
quando
Jem gli posò una mano sulla spalla.
-Jace,
amico, tutto okay?- Gli chiese, sollevando un sopracciglio in
un'espressione dubbiosa. Jace prese un respiro profondo e
annuì, poi
fece ad entrambi cenno di seguirlo. Colmò il più
celermente
possibile la distanza che lo separava da Hannah. Si stampò
in volto
il suo miglior sorriso. Non dovevano capire quanto trovasse irritante
la visione di loro due insieme, quanto fosse terrorizzato dall'idea
che lui avrebbe potuto prendere il suo posto, dopo essersi scavato
una nicchia nella vita di lei con tanta fatica. Nelle sua mente
risuonarono parole lontane nel tempo, e rivide con gli occhi della
mente il volto del ragazzo trasfigurato dall'odio. Aveva un occhio
nero e gonfio e un livido su una guancia che Jace gli aveva fatto.
-Prima
o poi la
pagherai... La pagherai! Un giorno, Stein , troverai una disposta a
perdere il suo tempo dietro un pezzente come te, e allora io me la
prenderò, come tu ti sei preso Amanda! Come potrebbe mai
preferire
un povero perdente come te a uno come me?-
Rabbrividì.
Allora non aveva dato peso a quelle minacce, gli erano parse
infantili e dettate dal rancore. Prese un altro profondo respiro e
scosse il capo, come ad allontanare certi ricordi molesti. Ormai si
era avvicinato tanto ai due che questi si voltarono al rumore dei
suoi passi. - Hei, Hannie! Scusa il ritardo!- Disse, cercando di
tenere un tono allegro e gioviale, mentre allungava una mano a
scompigliarle i capelli, come era solito fare. Hannah gli sorrise,e
quanta stupida soddisfazione gli diede quel piccolo gesto!
Poiché
all'altro, lei non aveva rivolto nulla più della solita
garbata
indifferenza. Il ragazzo si sentì improvvisamente
intaccabile. E
proprio sull'altro, portò infine lo sguardo. Si fissarono
reciprocamente per qualche istante, prima che Jace gli sorridesse
sarcastico. – Ciao Tom. É bello vederti.-
L'angolo
dell'autrice:
Lo
so, sono perfida ad interrompere il
capitolo a questo punto, ma anche questo stava diventando una roba
lunghissima, quindi dopo averci riflettuto un po', ho deciso di
dividere anche questa parte dal resto. Non volevo annoiarvi con un
capitolo eccessivamente lungo, ecco.
Wow...
Cinque recensioni... *Risatina isterica* O.O Non so neppure io che
dire...
Sono
sempre più commossa e lusingata. Quante splendide
recensioni, e
quasi tutte belle lunghe e corpose, non so proprio come ringraziarvi,
tutti quanti, chi recensisce, chi legge, chi ha la mia storia tra le
seguite e i preferiti.
sonietta
: Scusa, non ho capito se ti piace! XD Scherzi a parte, grazie mille
per i complimenti.
Hehehe
Jace è un rubacuori a quanto vedo, miete vittime ovunque
vada! È un
moderno gentiluomo, evidentemente la cosa piace! =P E lo ammetto,
Jace è il mio grande amore e sogno proibito (ma non
diciamolo in
giro u.u”), e mi diverte tantissimo scrivere di lui, anche se
avevo
paura di averlo reso un poco frivolo. Invece vedo che piace
parecchio! Anvedi! XD Ed è anche sorprendentemente facile
scrivere
di lui , molto più facile che scrivere di Hannah.
Il
Trio è stata una sfida per me, perché dover
scrivere i dialoghi tra
loro è davvero difficile, ho dovuto rivedere il capitolo 6
decine di
volte perché ogni tanto dimenticavo qualche battuta. =P
Spero
di poter aggiornare il prima possibile purtroppo tra lo studio e la
vita al di fuori del sito, impiego sempre quelle due settimane per
scrivere un capitolo, porta pazienza, ok? ^.*
Lea__91
: Sono contenta che il Trio ti piaccia! XD Dovevo trovare delle
amiche adatte ad Hannah, che fossero il suo esatto opposto altrimenti
non avrebbero mai avuto l'energia per convincerla ad aprirsi, e non
ci sarebbe stata nessuna storia! Non potevo caricare tutto sulle
spalle del povero Jace, perché nella parte finale della
storia avrà
il suo bel daffare. =P Tranquilla, non è ancora arrivato il
momento
di Amanda, ma come avrai letto, non è di lei che devi
preoccuparti
per il momento, lei se ne starà buona buona in un angolo
ancora per
un poco prima di partire all'attacco.
_KykyBlonde
_ : (mi sa che nello scorso capitolo ho
scritto male il tuo nome, in caso chiedo venia!) Ho capito, e devo
dirti che tiro un sospiro di sollievo. Avevo davvero paura che Hannah
sembrasse uno di quei personaggi che già dalla prima battuta
fa
storcere il naso e pensare “è irreale, nessuno
parlerebbe o si
comporterebbe così”. Ammetto che Hannah
è strana, soprattutto se
vista attraverso gli occhi dei coetanei (non a caso diventa amica del
Trio, che alla fin fine normale normale non è XD), e io
stessa non
vedo l'ora di proseguire nella storia per far si che si sciolga e
smetta di essere Miss Perfezione, perché è
davvero difficile
gestirla essendo così rigida e composta ( e se lo dico io
che l'ho
creata...). Posso dire con sicurezza che cambierà, e
sarà un
cambiamento che spero di rendere al meglio, perché
sarà piuttosto
graduale.
Bisogna ricordare che non sto a descrivere tutto ciò
che fanno i miei personaggi nel corso della giornata, quindi se
Hannie è ancora piuttosto chiusa con il Trio, non lo
è nei
confronti di Jace, con cui passa molto più tempo.
S chan : XD Ma dai!
Anche io sono davvero molto molto
prolissa! Ma davvero tanto (e si vede nelle risposte alle recensioni
=_=), se avessi seguito la mia prima idea avreste dovuto leggere un
capitolo chilometrico... O.O” Forse è un poco
esagerato, o almeno
per me lo è, perché ho davvero paura che un
capitolo eccessivamente
lungo possa annoiare, e quindi ottenere l'effetto opposto a quello
desiderato: i miei affezionati lettori scapperebbero a gambe levate,
altro che attirarne altri! XD Sperò però che
questo capitolo non
sia una delusione...
Un piccolo OT: ho letto la tua originale “La solita
vecchia storia” e l'ho adorata! *___* é da
parecchio che cerco il
tempo di recensirla, prometto che rimedierò il prima
possibile. É
incredibile ma se non l'avessi letta avrei corso il rischio di
plagiarti! Anzi no, ti avrei proprio plagiata, anche se
involontariamente. O.O” Anche io volevo inserire il musical
“Grease”, (sarà che mia madre me l'ha
fatto riscoprire questo
Natale e me ne sono innamorata) e il mio epilogo sarebbe stato
davvero troppo simile al tuo, con un bimbo che parla alla maestra
della sua famiglia “particolare”, ma attraverso un
disegno
anziché un tema. Il pupattolo però non sarebbe
stato figlio dei
protagonisti, ma di... Lo leggerai poi...Forse! =P
irisdoll : grazie
mille, sono felicissima che la storia
ti sia piaciuta. La tua recensione però risulta doppia,
credo
dovresti cancellarne una! ^_^
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Capitolo 8 *** Capitolo 8. Il cambiamento. ***
Hopelessly devoted to you
Hopelessly
Devoted To You <3
Capitolo
8. Il Cambiamento.
Lei.
Quando
Jace le fu accanto, Hannah si sentì rinfrancata. Non era
più sola
davanti ad uno sconosciuto che, prima di quel momento, aveva
incrociato solo qualche volta nei corridoi della scuola tra una
lezione e l'altra, e che a malapena aveva degnato di uno sguardo. Uno
sconosciuto che, questo lo capiva bene, come tanti altri cercava di
far colpo su di lei mostrandosi garbato e galante, cercando di
passare per un vero aristocratico, senza sapere neppure di che si
tratta. Di certo sapeva bene chi ella fosse e chi fosse suo padre,
Hannah non poté che attribuire il suo interesse a questo.
Ancora una
volta veniva considerata come un vantaggio materiale, e non come una
persona, con tutto ciò che questo comporta. Ancora una volta
qualcuno cercava di accattivarsene le simpatie facendo sfoggio di
un'ottima educazione, come se potesse bastare. Fino a qualche mese
prima avrebbe considerato tutto ciò come una fastidiosa
necessità,
ma dopo aver conosciuto Jace, dopo essere stata conquistata dalla sua
spontaneità, lo trovava superfluo e irritante.
Alzò
gli occhi sul ragazzo e gli sorrise grata. Avvertì
chiaramente la
tensione tra lui e l'altro, però. Sebbene si sorridessero a
vicenda,
in realtà era lampante come si studiassero attenti, pronti a
scattare l'uno contro l'altro, come leoni che si contendono un pezzo
di carne.
-Non
posso dire lo stesso. - Rispose Thomas serafico. La tata l'avrebbe
sicuramente definito “un buon partito”,
perché era certamente
bello, dotato di fascino, e apparentemente di tutte le
qualità che
lei riteneva indispensabili in un uomo. Inoltre era, con tutta
probabilità, convenientemente ricco. Per Hannah
però rimaneva uno
tra i tanti, uno che non era Jace, non si avvicinava minimamente
all'ideale del ragazzo perfetto che grazie a lui s'era fatta. Quel
pensiero la colse alla sprovvista, facendola arrossire e vergognare
al contempo. Non aveva mai avuto occasione di paragonarlo ad altri,
ne avrebbe mai voluto farlo, ma il paragone era sorto spontaneo.
Thomas era probabilmente più bello di Jace. Avevi
sì eleganza e
disinvoltura, ma mancava in carattere e naturalezza, e lo aveva ben
dimostrato, con quel perfetto baciamano, così freddo, e le
abusate,
seppure gentili, parole di circostanza che le aveva rivolto.
-Non
credo di essere gradito, per cui... - Thomas si rivolse ad Hannah,
ignorando volutamente Jace. -é stato un piacere conoscerti
ufficialmente. Ci rivedremo sicuramente a scuola e... Domani al
maneggio, magari? - Sorrise, mostrando la dritta e bianchissima
dentatura, degna dello spot di un dentifricio, fin troppo perfetta.-
So che vai li ogni week-end, a cavalcare Celian. Te la farò
trovare
pronta...Hannie.- La chiamò come non gli era permesso fare,
e
guardò Jace nel mentre, i suoi occhi verdi fissi su quelli
grigi
dell'altro. Sembrò volesse sfidarlo a fare di
più, a provare ad
accattivarsi il favore della ragazza in altra maniera, se gli fosse
riuscito di trovare qualcosa di più efficace del mostrare
interesse
per ciò che più l'appassionava.
Hannah
sgranò gli occhi alle sue parole, e da rossa che era,
impallidì.
Trovava strano, spaventoso, per non dire inquietante che quel
ragazzo, con cui non aveva mai avuto nessun tipo di contatto, fosse a
conoscenza di cosa lei faceva durante il suo tempo libero in maniera
tanto dettagliata. E poi, aveva osato chiamarla Hannie.
Indietreggiò
di un passo, istintivamente, cercando riparo dietro le larghe spalle
di Jace, che sorrise di soddisfazione, quando poi le posò un
braccio
sulle spalle spingendola ad avanzare nuovamente.
-Hannah.-
Infine rispose lei incoraggiata dalla sua vicinanza e facendo
appello a tutta la sua forza, perché sollevasse lo sguardo e
lo
mantenesse fisso sul volto di Thomas. - Preferisco che mi chiami
Hannah.- Aggiunse titubante, a voler precisare che ciò che a
Jace
era permesso fare, non lo era a lui.
Il
ragazzo peccava in sicurezza, poiché non sembrò
rendersi conto che
con quel suo comportamento aveva ottenuto l'opposto di ciò
che
voleva ottenere. L'aveva colpita di certo, ma non positivamente. Hannah
si sarebbe ricordata di lui come della persona spaventosa che
la faceva seguire, non di certo come un bel ragazzo dai modi
accattivanti.
Thomas
non la conosceva affatto, non si era soffermato ad osservarla e
studiarne il carattere e i modi, ma solo le abitudini. Aspetti
superficiali della sua vita, senza importanza. Se si fosse soffermato
su ciò che lei era piuttosto che su ciò che
faceva, si sarebbe
accorto che Hannah era una persona piuttosto complessa, con tante
paure e sue poche certezze erano però profondamente radicate
in lei.
Profonda e riflessiva, chiusa in se stessa e gelosa dei suoi spazi,
come piccole isole inaccessibili a chiunque, talvolta persino alla
tata, e si sentiva violata dalla sua mancanza di riserbo, e dal modo
in cui sembrava farsene un vanto.
Il
sorriso vacillò per un singolo istante sul volto del ragazzo
a
quelle parole e infine distolse lo sguardo. Volgendo gli occhi verdi
sui gemelli, disse - Jem, Seth, è bello rivedervi, mi fa
davvero
piacere. - E stavolta, parve sincero. Un cenno del capo, e fece per
andarsene. Nel farlo passò vicino a Jace, mormorandogli con
un
irritante sorrisetto stampato in volto qualcosa che nonostante il
tono basso Hannah non ebbe nessuna difficoltà a udire. - Non
sarai
mai al suo livello. Scordatela.- I gemelli gli fecero spazio, e lui
se ne andò, passando tra loro senza aggiungere altro, non
uno
sguardo, non una sola parola.
Quando
la ragazza sollevò lo sguardo su Jace vide che teneva le
palpebre
serrate e inspirava e espirava profondamente. Quando li
riaprì, non
vide la collera che si sarebbe aspettata, ma della malinconia e forse
del rimpianto. Per la prima volta in vita sua provò il
desiderio di
abbracciare qualcuno che non fosse la sua tata. Ma troppo riservata
per lasciarsi andare in simili dimostrazioni d'affetti, si
limitò a
sfiorargli velocemente la mano posata sulla propria spalla. Lui le
sorrise teneramente, e la strinse a se. Fu un gesto inaspettato, e
Hannah non ebbe il tempo di reagire in alcun modo. - Grazie. -
Mormorò Jace, con il volto affondato tra i capelli di lei.
Ne
rimase spiazzata. Non l'aveva previsto, come non aveva previsto e mai
avrebbe potuto prevedere la propria reazione. Tra quelle braccia
stava racchiuso il tutto più assoluto, forse il mondo intero
e per
la prima volta in vita sua sentì di farne parte. E si
sentì forte,
addirittura possente, come se quell'unico braccio che la stringeva al
suo petto, fosse uno scudo indistruttibile, una barriera
invalicabile. Allo stesso tempo, le tremavano le gambe, per
un'emozione che non riusciva a riconoscere ed era lungi dal
comprendere. Si sentiva a disagio, e l'avvertiva nel silenzio attorno
a loro l'imbarazzo chi li stava a guardare, ma sarebbe stata felice
di godere di quello stato di beatitudine per un tempo lunghissimo,
forse infinito. Qualcuno tossicchiò, un altro rise, ma Jace
non
accennava a volerla lasciare andare. Seppure non l'avesse mai
lasciata andare, lei non se ne sarebbe lamentata. Stretta contro il
suo petto, sentiva l'appena percettibile battito del suo cuore
attraverso i pesanti vestiti e il suo buon odore: sapeva di sapone,
di pulito e di panni stesi ad asciugare al sole. Provò
l'impellente
desiderio di stringerlo a sua volta e nascondere il volto contro il
suo petto, per non pensare più e far finta, anche se per
poco, che
il mondo intorno a loro, con tutte le sue regole, non esistesse
più.
Ma le sue braccia sembravano essersi incollate al busto e non ne
volevano sapere di staccarsene.
-Vieni,
ti presento i ragazzi!- Le disse dopo un tempo che le parve
lunghissimo, quando infine si staccò da lei e
l'allontanò in
maniera fin troppo sbrigativa. Con il cuore in gola, venne
scaraventata di nuovo nella realtà. E libera dal suo
abbraccio,
lontana da lui, si sentì vuota.
Lui.
Jace non
era mai stato avaro nel distribuire abbracci. Abbracciava almeno una
volta al giorno sua madre, da quando ne aveva memoria, abbracciava
gli amici, il Trio conosceva bene i suoi abbracci stritolatori.
Quando era piccolo abbracciava gli sconosciuti per la strada,
sperando di ritrovare in ognuno di loro quel padre di cui non
ricordava nulla, neppure il volto, e aveva abbracciato persino la
preside della sua vecchia scuola, quando gli aveva comunicato di aver
ottenuto la borsa di studio. Abbracci, abbracci, e ancora abbracci,
per Jace non c'era modo migliore per dimostrare il proprio affetto.
Ma stringere Hannah tra le braccia, non era paragonabile a
null'altro.
Gli
tornarono in mente le parole di sua madre “- Jace
puoi mentire a
te stesso quanto vuoi, ma non puoi mentire a me. Hannah ti ha
colpito, lei ti piace come ad un ragazzo piace una ragazza, che
è
molto più di quanto tu sia disposto ad ammettere.
-” .
Allontanò
Hannah piuttosto bruscamente, non poteva dar adito a quelle parole e
ammettere che Greta aveva centrato il bersaglio, come sempre. Si
sforzò di riuscire a trovare qualcosa di sbagliato nella
sensazione
del corpo di lei contro il suo, e non ne trovò. La paura di
ammettere che sua madre aveva ragione aveva comunque la meglio. Non
poteva permettersi di farsi piacere Hannah. Era fuori discussione.
Non
riuscì però ad interrompere il contatto
altrettanto bruscamente.
Continuò a tenerle una mano sulla schiena, mentre la
spingeva ad
avanzare verso i gemelli. - Loro sono Jem e Seth.- Disse, felice di
occupare la mente con qualcosa che non fosse il ricordo del profumo
dei suoi capelli. - I miei migliori amici.-
Hannah
sorrise, sollevando una mano in segno di saluto. Gli parve piuttosto
disorientata in verità, ma incredibilmente adorabile con le
belle
guance colorite per l'imbarazzo. Non immaginava fosse proprio lui la
causa dello smarrimento che le leggeva in volto, e nel tentativo di
trovare una spiegazione, l'attribuì alla sorpresa di
trovarsi
davanti i due ragazzi. I loro volti erano identici, e lui stesso la
prima volta che li aveva visti ne era rimasto colpito, e anche
inorridito. Stessi lineamenti spigolosi, mento pronunciato e naso
lievemente sproporzionato rispetto al resto, stessa bocca larga dalle
labbra fini e gli stessi occhi blu, intensi, vivi, specchio delle
rispettive personalità. L'unico tratto distintivo erano i
capelli,
d'un biondo chiarissimo, che portavano in maniera differente l'uno
dall'altro. Se quelli di Jem erano cortissimi e nascosti dal
cappellino, quelli di Seth erano piuttosto lunghi, ricadevano fini,
lisci e ordinati sul volto, coprendone interamente la fronte.
Jem
intanto li osservava entrambi con un sorriso malizioso sulla bocca
larga dalle labbra sottili. I suoi occhi gli parve indugiassero
troppo sul corpo di Hannah, coperto dal cappotto, alla ricerca di
cosa non dovette neppure chiederselo, era più che lampante.
Istintivamente la ragazza incrociò le braccia sul seno,
chinando lo
sguardo. - Ciao!Jeremy... - Disse, con quell'aria strafottente che
sembrava piacere tanto alle ragazze, sistemandosi la visiera del
cappellino con il solito scatto nervoso della mano. - ...Ma gli
amici e le belle ragazze come te possono chiamarmi Jem!- Le fece un
occhiolino che la fece arrossire, facendo irritare terribilmente
Jace, con grande divertimento del ragazzo che lo fissava con
un'ironia che non gli era abituale e negli occhi un particolare
scintillio che non lasciava presagire nulla di buono.
-Jem,
non cominciare! Piuttosto prendi esempio da tuo fratello che...- Si
voltò verso Seth, che ancora non aveva aperto bocca, per
trovarlo
imbambolato a fissare un punto indefinito davanti a se. - …
ha una
faccia da ebete...?- Corrugò la fronte, e gli si
avvicinò
agitandogli una mano dinanzi al volto. Quello non si mosse,
continuò
a fissare sognante il nulla. - Uhm... Già, ci sono tutti i
sintomi...Deve averla vista...- Concluse infine, annuendo
profondamente e incrociando le braccia al petto.
-é alle
tue spalle, amico, non poteva non vederla. - Aggiunse Jem, facendogli
cenno con il capo nella direzione da cui arrivavano proprio in quel
momento tre ragazze dall'aria decisamente familiare. Due si tenevano
per mano, e una di loro trasportava una grossa borsa, e la terza si
teneva un passo dietro loro, seminascosta ma comunque visibile anche
ad una certa distanza. Quando Jace le vide, si sbracciò nel
salutarle e le tre risposero con medesimo entusiasmo, affrettando il
passo.
-é
normale?- Chiese Hannah, che non aveva smesso di osservare Seth con
una certa perplessità.
-Oh, si,
più che normale. É solo che il Rose-Radar
è entrato in funzione!-
Disse il fratello, ridendo. - Devi sapere che Seth ha un debole per
Rosalie. Purtroppo ha la pessima abitudine di diventare catatonico in
sua presenza, vero fratellino?- Gli diede una forte pacca su una
spalla, tanto da farlo vacillare, ma Seth continuò a fissare
Rose
con sguardo vacuo e ad ignorare il resto del mondo.
***
I saluti
di rito furono cosa breve, ridotti ai minimi termini. Probabilmente
Hannah li aveva considerati eccessivamente sbrigativi, ma in quel
momento il galateo non rientrava tra le priorità del Trio,
che
arrivato con mezz'ora di ritardo, era impaziente di darsi allo
shopping. Dopo aver concordato l'orario del pranzo (di fondamentale
importanza per i ragazzi) per le due, si incamminarono lungo la
lussuosa Madison Avenue, costellata qui e là di boutique di
famosi
marchi e negozietti piccoli quanto esclusivi.
Daphne e
Jaquie, presa a braccetto Hannah una per braccio, guidavano la
truppa, cui obbiettivo era niente meno che il paradiso di ogni
fanatica dello shopping: Barneys, otto piani di vestiti, scarpe,
borse, e accessori di qualsiasi stile. Avevano tutta l'intenzione di
convertire la ragazza al loro credo: comprare è cosa buona,
molto
buona. Non ci sarebbe stata mai occasione migliore per convincerla a
spendere i soldi di papà in un mucchio di abiti che loro
molto
gentilmente avrebbero provveduto a consigliarle, ergo costringerla a
provare e a comprare.
Alle
loro spalle, Seth e Rose camminavano fianco a fianco, senza avere il
coraggio neppure di guardarsi, figurarsi rivolgersi la parola. Rose
tentò in verità d'intavolare un discorso, uno
qualsiasi, partendo
da una delle frasi più banali al mondo: “oggi
è una splendida
giornata...”. Le risposte monosillabiche del ragazzo
avrebbero
scoraggiato persone ben più loquaci di lei.
Jace e
Jem chiudevano la fila, tenendosi abbastanza lontani dagli altri per
poter parlare senza essere sentiti e senza rischiare di perderli.
-Allora,
per quanto avevi intenzione di tenermela nascosta? Cos'è
tipo la tua
ragazza o che?- Chiese Jem, che non sembrava intenzionato a smettere
di fissare il fondo schiena di Hannah, finché ne aveva la
possibilità. E più lo faceva, più Jace
si sentiva irritato, e più
lui si irritava, più Jem provava gusto nel farlo.
-Almeno
fino a quando gli ormoni non smetteranno di intasarti il cervello,
come minimo. Voglio credere che siano quelli a farti pensare certe
cose, perché so cosa stai pensando e no, no, e ancora no. Ti
proibisco di provarci con lei, chiaro? E smettila di guardarle il
sedere!- Cercò di nascondere l'irritazione dietro il tono
ironico
delle sue parole, ma servì a ben poco. - E non è
la mia ragazza.
Questo però non significa che puoi provarci con lei. Mi hai
capito
Jem? Lasciala in pace. Lei non è una da una botta e via.-
-E
perché non dovrei provarci? É un bel bocconcino e
ha un bel...Beh,
non che si veda granché, con quel cappotto...-
Borbottò piegando il
capo di lato, alla ricerca di una migliore visuale della parte in
esame.- Sembra carino... Si. Comunque, se lei non ha un ragazzo e tu
non hai intenzione di farti avanti, lo farò io. Lo sai come
si dice,
ogni lasciata è persa!- Jem scrollò le spalle,
incurante di ciò
che l'amico gli aveva appena detto. Non perché fosse
particolarmente
interessato ad Hannah, ma perché voleva capire cosa lei era
per
Jace, e quale metodo migliore per scoprirlo se non stuzzicarlo un
po'? Negli ultimi tempi aveva spesso parlato loro di questa strana
ragazzina. Era stato subito colpito dal modo in cui lui pronunciava
il suo nome, quasi in un sussurro, come se il solo nominarla potesse
farla svanire nel nulla. Doveva essere una persona importante per
lui, e la sua reazione quando l'aveva vista parlare con Thomas ne era
probabilmente la dimostrazione.- Se pensi che siccome tu hai deciso
di rispettarla perché emotivamente fragile..- disse,
sarcastico.
-... qualsiasi altro sia costretto a fare lo stesso, sei diventato
completamente idiota. Se non sono io, sarà qualcun altro,
tipo...Vediamo, un nome a caso? Thomas?- Nonostante la mente di Jem
fosse spesso annebbiata dalla sovrapproduzione di testosterone,
c'erano dei momenti di lucidità in cui era fin troppo
perspicace e
attento, e troppo tardi Jace si accorse che quello era uno di quei
momenti. Per la prima volta in vita sua, Jace trovò Jem
irritante.
Aveva sempre riso dei suoi modi da playboy incallito e strafottente,
ma quella volta li trovò fuori luogo e dannatamente
fastidiosi.
Preferì non replicare anziché dover mentire
spudoratamente, poiché
non poteva fingere, non con lui, che immaginare Thomas e Hannah
insieme come una coppia non gli procurasse seri problemi nel
controllo della rabbia.
-Quindi
secondo te cosa dovrei fare, sentiamo!- Rispose, aspettandosi una
risposta ironica delle sue, quasi sperandoci poiché
l'avrebbe
autorizzato a non dar alcun peso a tutto quel discorso.
-Ammettere
che ti piace, è così evidente! Avrei voluto
avessi visto la tua
faccia quando li hai visti insieme, era tutto un programma! Ma lo
vedi che non tenti neppure di fingere che non te ne frega niente se
fa il gallo nel pollaio con Hannah?-
-Mi fa
rabbia che lui abbia intenzione di usarla, tutto qui. Sarebbe diverso
se ci fosse la possibilità che lei gli piacesse veramente.
Non c'è
nulla sotto, e non è così strano voler protegger
un amica. Ma tu
che ne sai? Tu sei quello che non ha amiche perché finisce
per
andare a letto con tutte quante.- Replicò con insolito
astio,
infilando le mani nelle tasche del piumino, incassando la testa tra
le spalle, mentre accelerava il passo, del tutto intenzionato a
mettere fine a quella conversazione. Jem non sembrava essere della
stessa idea.
-Uno:
non far passare me per il cattivo, Jace. - Tenne il conto sulle dita,
distendendo l'indice e toccandolo con l'opposto. - Io ho sempre messo
le cose in chiaro con tutte, e se c'è stata qualcuna che si
è
illusa di poter fare la differenza non è certo colpa mia.
Due: non
cercare di cambiare argomento, non attacca. E tre: non mi pare tu
abbia mai voluto proteggere Daphne da me, non è una tua
amica, lei?-
Domandò infine, fissandolo seriamente, con la fronte
corrugata.
-Daphne
è lesbica, Jem! Convinta e suppongo molto felice di esserlo,
in caso
non te ne fossi accorto. Mi dici da cosa avrei dovuto proteggerla?
Dalle tue avance, quando è chiaro che non ti
degnerà mai di uno
sguardo? Lei si sa difendere da sola, è Hannah che non...-
-Non
cosa?- Qualcuno lo interruppe, e quel qualcuno era proprio Daphne.
Erano arrivati da Barneys e loro non ci avevano fatto caso. Avrebbero
superato il grande magazzino se la ragazza, che li attendeva con
cipiglio divertito e mani sui fianchi davanti al lustro portone
d'ingresso, non li avesse interrotti attirando la loro attenzione.
-Non è
sexy quanto te, bellezza!- Jem colse al volo l'occasione,
cercò di
stringerla per la vita, ma la ragazza si divincolò con
grazia e lo
respinse.
-Ma
grazie, tesoro! Nella mia prossima vita farò di tutto per
rinascere
etero, lo prometto! Per ora tieni la mano morta a posto.- Disse,
dandogli un buffetto sul volto, scherzoso quanto leggero schiaffetto.
-Beh,
tentar non nuoce!- L'altro fece spallucce, ed entrò,
raggiungendo
gli altri che, raggruppati davanti alla cartina dell'edificio,
intenti a scegliere da quale piano sarebbe stato meglio cominciare:
reparto jeans o top e t-shirt? Che dilemma!
Nessuno
sembrò essersi accorto della loro assenza, tranne Hannah. La
vide,
attraverso i vetri della porta girevole, guardarsi intorno con una
certa ansia e rilassarsi poi, dopo averlo visto. Gli sorrise e
tornò
ad interessarsi al dibattito in corso tra il resto del gruppo.
-Allora,
che succede? Oggi sei strano, l'ho capito alla prima occhiata che
qualcosa non va. Sputa il rospo.- Daphne era una maestra nel fare
domande scomode nei momenti peggiori e pretendere risposte ancor
più
scomode. Ma Jace non aveva idea di cosa dirle.
-Io...
Non lo so Daphy. Non lo so proprio. Mi sento... Incasinato.-
Seguitò
a fissare Hannah attraverso i vetri, registrando ogni suo movimento e
il mutare dell'espressione del suo viso: ora attenta, ora seria, ora
divertita da qualcosa che Jaquie doveva aver detto. - Ho visto Tom
parlare con Hannah, poco prima che arrivaste. Avrei voluto prenderlo
a pugni, e se non ci fosse stata lei, Cristo, l'avrei fatto. L'ho
odiato con tutto me stesso, e so che tutto questonnon ha senso.-
Mormorò, con la mandibola contratta. Daphne avrebbe potuto
vederne
i muscoli contratti pulsare sotto la sua pelle.
-Si
chiama gelosia, Jace. Sapevi che prima o poi sarebbe capitato.-
-Che
cosa intendi?- Chiese, voltandosi a guardarla. Ma lei fissava Jaquie,
e Jace si chiese per la prima volta se quando guardava Hannah, anche
lui avesse quella stessa espressione in volto, quel sorriso e quello
sguardo che urlavano di totale devozione verso l'altro. Ne fu
spaventato, non era così che voleva apparire, non era
così che
doveva guardare Hannah.
-Che
doveva capitare che ti piacesse tanto una ragazza da esserne geloso.
E conoscendoti, non poteva essere una ragazza comune. Se fossi
romantica come Rose, ti direi che eravate predestinati, ma siccome
non lo sono affatto, posso solo dirti quel che vedo. Tu hai un debole
per lei, e da quel che ho sentito poco fa, non sono l'unica a
pensarla così. Mi sa che devi rifletterci sopra e fare
chiarezza, o
finirai per fare qualcosa di cui potresti pentirti. Hannah prima o
poi si sveglierà, aprirà gli occhi e si
guarderà intorno, e si
accorgerà che non può o non vuole aspettarti in
eterno.- Concluse,
guardandolo dritto negli occhi. - Cosa hai intenzione di fare? Vuoi
scappare? Il Jace che conosco io non scappa. - Aggiunse, con grande
serietà
-Credimi,
in questo momento non credo di essere completamente me stesso.- Si
lasciò andare in una breve e debole risata. Non gli restava
che
tentare di mostrarsi ironico, non conosceva altro modo in cui
reagire. Daphne non era la prima a fargli notare quanto fosse palese
che fosse attratto da Hannah, tanto che cominciò a chiedersi
se non
fosse solo condizionato da quello che gli altri continuavano a
ripetergli. Non sapeva cosa pensare, anzi, avrebbe preferito riuscire
a non pensarci del tutto, ma non gli era possibile.
***
Tre ore
dopo uscivano da Barneys carichi di buste, bustine e pacchettini,
tutti galantemente trasportati dai ragazzi (non che avessero scelta),
e si dirigevano a passo spedito verso uno degli ingressi Ovest di
Central Park, dove li attendevano due delle domestiche di Rose. Le
due donne furono ben felice di consegnare i due grandi cestini da
pic-nic che portavano e tornare alle proprie faccende. Jace non
credeva si potessero trovare ancora degli oggetti simili, ne che
potesse esistere qualcosa di più retrò di un
cestino da pic-nic
vecchio stile, di pallido vimine intrecciato. Questo finché
consegnate le buste alle legittime proprietarie, non si fece carico
di uno di essi. Il cestino era pesante e certamente pieno fino al
colmo, ma il ragazzo non osò lamentarsene, non dopo essersi
quasi
offerto come uomo di fatica per l'intera giornata. Sapeva benissimo
che a fine serata avrebbe ricordato solo i divertimenti e non la
fatica. Inoltre Hannah gli camminava accanto, rifiutandosi di unirsi
agli altri, che li precedevano di qualche metro. La cosa lo rendeva
felice, in quel momento si accorse di gradire la sua compagnia
più
di quella degli altri, che gli parve avessero accelerato
repentinamente e ingiustificatamente il passo, anche se una parte di
se continuò a cercare di convincerlo d'essersi sbagliato.
Lei.
Hannah
dal canto suo ci teneva a fargli compagnia. Voleva stargli accanto,
sentiva pressante il bisogno di parlargli e condividere con lui anche
il più stupido pensiero. La sua compagnia le era
più gradita di
quella di chiunque altro, pensiero che la fece sentire un'ingrata nei
confronti del Trio e i gemelli, che per tutta la mattinata si erano
mostrati gentili nei suoi riguardi e ben felici di consigliarla in
qualunque scelta. Certo aveva il sospetto che le ragazze l'avessero
presa per una bambola con cui giocare alle fashion stylist, ma
cercò
di scacciare quel pensiero dalla mente il prima possibile. Aveva
un'opinione troppo buona delle tre per credere una cosa simile. E
peccava decisamente d'ingenuità.
-Credi
abbia esagerato?- Chiese a Jace, mentre osservava pensosa le tre
enormi buste che teneva infilate su per un braccio e le altre due
stringeva nella mano opposta.
-Naah!Figurati!
Se avessi dato retta al Trio, allora si avresti dato fondo alla tua
carta di credito, credimi! Non conoscono limiti quando si tratta di
spendere!- Disse lui. Sembrava più sereno di quella mattina.
Più
lucido, più attivo, più felice. A guardarlo
pareva che il ricordo
di ciò che era accaduto solo poche ore prima fosse svanito,
e che
durante il tour de force appena terminato si fosse addirittura
divertito nel vederla prestarsi con tanta pazienza a fare da manchino
per le ragazze, che l'aveva vestita e svestita a loro piacimento, e
nel farsi trascinare da un piano all'altro dell'immenso negozio,
sempre più carico di abiti, borse firmate e quant'altro. -
Oserei
dire che te la sei cavata davvero bene! Sei sopravvissuta, e guarda,
non hai neppure un graffio!- Anche in quel momento sembrava pimpante
come suo solito, nonostante camminasse da una ventina di minuti con
un cesto carico di cibarie in una mano che tremolando cominciava a
dare segni di cedimento.
Hannah
invece non riusciva a levarsi dalla mente i suoi occhi tristi, e
quell'abbraccio. Il ricordo di quelle sensazioni bastava a
emozionarla, e al contempo si chiedeva se non ne fosse influenzata,
se non dovesse provare a stargli lontano invece di ricercare
costantemente la sua compagnia, almeno il tempo necessario per
disintossicarsi dal suo profumo. Ma voltandosi a guardalo mentre le
camminava al fianco si chiese se ce l'avrebbe mai fatta, e come la
prima volta che si era trovata da sola con lui provò
l'impellente
desiderio di tracciarne il profilo sul suo album da disegno, rendendo
eterno ciò che lei vedeva in quell'istante.
Le
ragazze li chiamarono, agitando le mani in aria e facendo loro segno
di seguirle. Fu loro grata d'averla distolta da certi pensieri.
Jace
sospirò di sollievo. Le ragazze avevano scelto un angolo di
paradiso
nel mezzo di Central Park, una zona poco affollata in cui fermarsi,
dove solo qualche coppietta sostava, e non troppo a lungo. Era un
grande prato d'erba indurita dal freddo, d'un verde un poco spento ma
non per questo meno piacevole alla vista, davanti ad uno dei laghetti
del parco, abbastanza soleggiato perché durante il pasto non
sentissero freddo, nonostante la temperatura non fosse delle
più
miti.
-Che bel
posto! Non sono mai stata in questa parte del parco. Non credevo si
potessero trovare dei posticini appartati a Central Park.- Disse
Hannah, incantata dai riflessi luccicanti del sole sulle chete acque
del laghetto. - Mi piacerebbe poterlo disegnare, vorrei avere un
foglio proprio qui, ora...- Disse ancora, stavolta in un sussurro,
come se involontariamente avesse dato voce a pensieri che avrebbe
preferito tenere per se.
-Certo
che si! Non è tutto come mostrano nei film, Hannie. A
Manhattan ci
sono anche degli angolini nascosti in cui potersi rifugiare. Anche
noi frenetici newyorchesi abbiamo bisogno di fermarci a riposare, di
tanto in tanto.- Le rispose Jace, a cui non dovevano essere sfuggite
le sue parole. D'altronde pareva che poche cose che la riguardassero
potessero sfuggirgli. - Ti prometto che ti ci porterò
ancora, e
fornita di carta a volontà e matite di ogni genere!-
Esclamò
ancora, posando finalmente a terra il pesante cestino. Davanti a loro
Rose e Daphne, tra una risata e l'altra, erano indaffarate a stendere
sull'erba un ampio telo, e fatto questo aiutarono Jem a svuotare il
secondo cesto, da cui estrassero ben tre termos, vettovaglie varie e
alcuni recipienti.
-Uhm! La
tua cuoca ci ha fatto i brownies Rose! Ne sono sicura!- Daphne si
lasciò andare in un gridolino di piacere. - E forse anche
una torta,
guarda quante ciotole!-
Anche
Jaquie dava il suo contributo limitandosi a dar ordini a destra e a
manca, seduta a terra con gambe e braccia incrociate come un capo
indiano, perché troppo stanca per muovere un solo dito,
diceva.
Teneva ben stretta a se la sua borsa, come se contenesse un milione
di dollari e non una reflex professionale, con cui continuava a
scattare delle foto fin da quando avevano messo piede da Barneys. Al
contempo urlava contro Jem, che secondo lei avrebbe dovuto poggiare
il cesto, ora svuotato del suo contenuto, dalla parte opposta a dove
l'aveva letteralmente abbandonato, e a Seth di fare attenzione alle
sue buste. - Hei! C'è un De La Renta da mille dollari li
dentro!
Seth! Non oserai posare quella busta sull'erba spero!- Sbraitava
contro il povero ragazzo che non osava più muovere un
muscolo senza
il suo consenso, conscio di tenere tra le mani un vero e proprio
patrimonio. Se avesse rovinato i costosissimi abiti della ragazza ci
avrebbe messo anni, se non decenni, per poterli ripagare. Il terrore
gli si leggeva chiaramente in volto.
-Ehm...
Non credevo Jaquie fosse così autoritaria.-
Commentò Hannah
impressionata, mentre Jace avvicinatosi e sedutosi sul telo svuotava
il suo cesto, riversando sullo stesso una miriade di sandwich ben
impacchettati, vaschette d'insalata di vario genere e quelli che
probabilmente erano chili di macedonia ben chiusa in coppette di
plastica.
-Te ne
accorgi solo ora?- Rise lui. - Jaquie è una dittatrice nata!-
***
Avevano
mangiato, riso, qualcuno di loro aveva ingaggiato una guerra
all'ultimo cucchiaio di macedonia, e la maglia di Jace era una delle
vittime della succosa battaglia. Jaquie aveva continuato a scattar
loro delle foto, tra un morso di sandwich al tacchino e un sorso di
limonata, con la scusante che se voleva diventare un'affermata
fotografa, come sognava fin da quando era bambina, doveva sfruttare
ogni occasione per far pratica. Era stato uno dei pomeriggi
più
divertenti che Hannah potesse ricordare, ed era felice come non mai.
Finalmente si sentiva parte di quel gruppo assolutamente eterogeneo,
non più un estranea, non più l'ultima arrivata,
solo Hannie,
un'amica e una compagna d'avventure.
Quando
anche l'ultima briciola di torta al limone fu divorata, ormai erano
quasi le sei del pomeriggio. Il sole aveva cominciato la sua
quotidiana discesa, quasi al termine del suo cammino, per lasciar
spazio alla notte. Non prima d'unirsi in quello che Hannah chiamava
“il bacio degli amanti divisi”, quando al
crepuscolo notte e
giorno si univano per pochissimo in un unico bacio passionale, dando
vita ai viola, ai rosa, agli arancioni, ai rossi e a tutte le
sfumature che rendevano ogni tramonto diverso dall'altro. Sotto
quella luce rosata, ai suoi occhi tutto sembrava un poco più
romantico, e le ricordava tanto una vecchia canzone d'amore francese,
la preferita della tata, la vie en rose.
Seduta
accanto a Jace, che sdraiato sull'erba con le mani incrociate dietro
la nuca fissava il cielo tingersi di rosa, cercava di godersi
quell'attimo di pura poesia, ma non ci riusciva del tutto. Ora che
gli animi si erano quietati, solo perché tutti erano troppo
sazi per
darsi a qualsiasi attività che non fosse oziare, una domanda
le
martellava le meningi ma non era sicura di poter chiedere a Jace
ciò
che desiderava sapere.
-Jace...-
Infine si fece coraggio, e con voce tremula lo chiamò. Il
ragazzo si
sollevò di scatto, puntando i gomiti contro il terreno.
- Che
succede? Jem ti sta dando fastidio?- Domandò nervosamente,
guardandosi intorno alla ricerca del ragazzo che per una volta era
lungi dall'interessarsi ad una ragazza e parlava con il gemello a
poca distanza da loro. Jace gli rivolse uno sguardo truce che fece
scoppiare a ridere Hannah.
-No, no!
Cielo, no! Povero Jeremy, se avessi potuto l'avresti fulminato con lo
sguardo. Ti assicuro che non mi si è mai avvicinato.- Lo
rassicurò,
posandogli una mano sulla spalla, ritirandola velocemente. - Io...
Piuttosto... Non voglio essere invadente ma... Mi chiedevo...-
Cominciò, torcendosi le mani, piuttosto indecisa se
continuare o
lasciar perdere e far finta di non aver mai cominciato quel
balbettante discorso. - Mi chiedevo cosa è capitato tra te e
Thomas.
Mi pareva ci fosse molta tensione tra voi, e il tono con cui si
è
rivolto a te poi, è stato estremamente maleducato. - Disse
infine,
assolutamente parziale. Ai suoi occhi Jace era buono e caro, e non
poteva certo avere alcuna colpa. Ahimè, ciò che i
suoi occhi
vedevano non sempre corrispondeva alla realtà.
-Te lo
dirò. Prima o poi l'avresti saputo comunque Hannie. Credo
che lui te
lo dirà alla prima occasione se tu gli darai corda. Tom te
lo dirà.
- Ripeté mestamente.- E preferisco che tu lo sappia da me.-
Jace
divenne improvvisamente serio. Dai suoi occhi traspariva tutta la
tristezza e il rammarico che la giovane vi aveva visto quella stessa
mattina. Si sedette, e incrociò le gambe.
-Thomas
era il mio migliore amico. Veniva prima del Trio, e detesto
ammetterlo, anche prima di di Jem e Seth. Lo siamo stati fin dal
primo anno, quando io arrivai alla St. John. Con lui non c'era
bisogno di parole, eravamo in perfetta sintonia. Tom non è
cattivo
in fondo Hannie, è stato l'unico che non ha visto in me solo
un
poveraccio con una fortuna sfacciata. Se a scuola sono popolare, se
tutti hanno un occhi di riguardo per me lo devo in gran parte a lui,
e all'influenza che lui ha e ha sempre avuto sugli altri. Sono
pienamente consapevole che per tutti loro, una volta uscito da quelle
quattro mura con il mio bel diploma in mano, tornerò ad
essere un
pezzente, un perdente, una cosa senza valore. -
Hannah
lo ascoltava quasi trattenendo il fiato. Sembrava avesse bisogno di
confidarsi con qualcuno, di liberarsi anche se per poco, di un enorme
peso. La sua voce vibrò di rabbia e rancore per pochi
istanti. - Non
sono stato capace di ricambiare la sua amicizia come avrei dovuto.
Anzi, l'ho sommerso di merda. Ero geloso Hannie, geloso marcio,
perché credevo che fosse tutto ciò che sarei
dovuto essere ma che
Dio mi aveva tolto senza pietà. A volte lo penso ancora.
Allora ero
arrabbiato, amareggiato perché circondato da tutte quelle
belle e
ricche persone che sprecavano i loro soldi per delle autentiche
idiozie, mentre mia madre sgobbava come una schiava per arrivare alla
fine del mese. Ce l'avevo con il mondo intero a momenti, e con Tom,
che sembrava essere sempre un gradino sopra di me.- Prese fiato, e
dopo essersi inumidito le labbra, riprese.
- Era la
fine del secondo anno, quando successe. Per la prima volta mia madre
mi aveva permesso di partecipare ad una delle feste organizzare dai
ragazzi della squadra di football. Quello che non le avevo detto
è
che la festa si teneva nell'appartamento del fratello di uno di loro,
uno che non conoscevo neppure, e ti lascio immaginare come potesse
essere una festa di studenti universitari agli occhi un sedicenne:
inferno e paradiso insieme, credimi.- Le sorrise amaramente. - Avevo
bevuto più del dovuto, ma questa non è e non
sarai mai una
giustificazione ne una scusante per quel che ho fatto. Non ero
abbastanza ubriaco da non rendermi conto di quel che facevo. Quel che
ho fatto lo feci in piena coscienza. - Si affrettò a
spiegare,
scuotendo il capo. La fissava in volto mentre parlava.
-Ad un
certo punto c'era talmente tanta gente che avevo perso di vista Tom,
e quando lo trovai parlava con dei ragazzi che non avevo mai visto,
ma che lui sembrava conoscere bene. Di certo non eravamo gli unici
minorenni quella sera, ma ero talmente ingenuo d'averlo pensato fino
a quel momento. Uno di loro gli disse che gli avevano raccontato che
si era dato alle opere di bene, e gli chiese perché si
tirava dietro
un miserabile come me. Lui se ne vergognò, lo vidi arrossire
e volli
credere che fosse l'effetto della bottiglia di birra che si era
appena scolato o del caldo, ma era ovvio che non era così.
Tom
rispose che lo faceva solo perché gli facevo pena. Forse tu
non puoi
capire, e spero non potrai mai capire cosa ho provato in quel
momento. Mi sentii come un sacco di spazzatura: uno schifo, una cosa
immonda, inutile, un intralcio. L'invidia divenne rabbia,
così
grande che volli vendicarmi, volli ferirlo, volevo toglierli anche la
dignità se mi fosse stato possibile, e ci provai, nell'unico
modo in
cui ero sicuro di poter riuscire: andare letto con la ragazza a cui
faceva il filo.- Distolse lo sguardo da Hannah, sembrava non riuscire
più a sopportare la sua vista, non mentre le confessava
quella che
considerava essere la sua azione più vergognosa e
riprovevole.
-Dire
che le faceva il filo è riduttivo, é innamorato
di lei dall'asilo,
non c'è nessuno che non lo sappia a scuola. E lei era a
quella
festa, e io ero ubriaco quel tanto che mi bastava per avere il
coraggio di fargli uno sgarro simile. Non fraintendermi, lei
é bella
per davvero, ma è anche una persona insignificante, che
negli anni
si è sempre divertita ad umiliarlo in ogni modo possibile.
Non sono
mai riuscito a capire cosa ci sia in lei che lo attrae tanto. La
disprezzavo, e continuo a farlo, mi ricorda quante cose stupide fa
fare il rancore. Comunque sia, lei è una a cui piace mettere
zizzania e sapevo che aveva un debole per me. Allora non ci pensai
due volte a portarmela a letto, lei che non mi è mai
piaciuta, e mai
mi piacerà, lei che trovo insopportabile, e infantile, lei
che è
l'unica persona con cui non avrei mai voluto avere a che fare. E
l'avevo fatto solo per fare un dispetto a quello che era il mio
migliore amico, lo volevo vedere a pezzi, ferito, distrutto. Lui lo
venne a sapere subito dopo. Ci evitammo per tutto quel week end. Io
in qualche modo sentivo che lui sapeva, e quando il lunedì
ci
incontrammo a scuola volarono parole grosse e qualche pugno. Lui mi
ruppe un dente, io gli feci un occhi nero, e da allora non ci siamo
più rivolti una sola parola. Fino a stamane, ovviamente. -
Sospirò,
voltandosi a fissare il lago, tinto di rosso.
-Ti sto
raccontando questo perché non voglio che lui ti ferisca
Hannah.
Voglio che tu mi prometta che starai in guardia. Lo so, ho detto che
non è cattivo, ma il suo interessamento nei tuoi confronti
non è
sincero, ne sono certo. Come io ho usato quella ragazza per
vendicarmi, lui potrebbe fare lo stesso con te, e io tengo troppo a
te per lasciare che lui ti faccia questo. Volevo solo essere il primo
a raccontartelo,e spero apprezzerai almeno la mia sincerità.
Non
avrei mai voluto che tu lo venissi a sapere, men che meno che lo
venissi a sapere da altri. Ora puoi giudicarmi, puoi provare pena per
me, puoi esserne disgustata... Puoi essere ciò che
preferisci,
credimi, io lo accetterei. Hai tutto il diritto di pensare che io
stia mentendo a te ora o che potrei farti una cosa simile,e credimi,
da te accetterei anche questo.- Lui continuò a fissare il
lago, e
Hannah, ammutolita, non aveva la forza di pronunciare una sola
parola. Non avrebbe mai immaginato che sotto quella che pareva essere
solo una superficiale antipatia reciproca, si agitassero tempestosa
rabbia, gelosia, menzogna, tradimento. Non poteva credere che la
bellissima persona che credeva fosse Jace si fosse abbassata a tanto,
compiendo un'azione così misera solo per ripicca. Cosa
doveva
pensare di lui ora? Come doveva comportarsi? Doveva compatirlo, o
peggio doveva allontanarlo? Queste e mille altre domande le facevano
scoppiare la testa. Si sentiva confusa, e doveva ammettere delusa,
perché Jace si era mostrano capace di sbagliare e provare i
peggiori
sentimenti, come qualsiasi altro umano. Aveva perso la sua patina di
assoluta perfezione.
Lui.
Hannah
non aveva emesso fiato. Non aveva detto una sola parola da quando
più
di dieci minuti prima, aveva terminato il suo racconto. Le aveva
detto tutto ciò che doveva, di più non poteva
fare. In silenzio si
alzò, e si diresse lentamente verso la riva del laghetto,
con le mai
infilate nelle tasche dei jeans. Rimase così, in silenzio, a
scalciare qualche sassetto di tanto in tanto, a chiedersi se lei
l'avrebbe accettato ora che sapeva. La cosa che più lo
faceva stare
male era proprio il pensiero di non poter più far parte
della sua
vita. E sapeva che non pensava di perdere un'amica, pensava di
perdere Hannah. Hannah era Hannah, un mondo a se stante nel suo
universo. Non era un'amica, forse non lo era mai stata. La paura in
lui portava alla consapevolezza che forse per davvero lei era
qualcosa di più. Ma tutto era ancora così
confuso, che si rifiutava
di pensarci per un istante di più.
Quando
sentì dei passi alle sue spalle, senza neppure voltarsi
disse
sgarbatamente – Seth, Jem, Daphne o chiunque altro tu sia,
smamma.-
-Oh...
Scusa... Volevo solo dirti che gli altri hanno deciso di andare via.
Ma se tu hai deciso di restare ancora, non importa.- La voce di
Hannah gli era parsa ancora più lieve del solito. - Lo
dirò agli
altri.- Quando Jace si voltò, lei stava correndo verso gli
altri,
intenti a raccogliere le loro cose. Nessuno di loro gli si
avvicinò,
lo conoscevano abbastanza bene da sapere che in quel suo mettere
delle distanze tra se e il resto della comitiva c'era il bisogno di
riflettere in solitudine. Lo salutarono da lontano, e poi ognuno
prese la sua strada, lasciandolo li, in riva a quelle acque che ora,
passato il crepuscolo, erano nere quanto il suo umore.
L'angolo
dell'autrice:
Non
so proprio come scusarmi per il
terribile ritardo di questo aggiornamento. L'unica giustificazione
è
che tornando dalle lezioni la sera tardi, e avendo avuto alcuni
problemini di salute, la sera non riuscivo proprio a mettermi al pc a
scrivere. C'è stato un momento in cui ero così
stanca e nervosa che
ero decisa a mollare totalmente la storia, e ancora non sono
sicurissima di riuscire a portarla a termine nelle condizioni in cui
mi trovo. Prego le mie fedeli lettrici di portare un poco di pazienza
quindi, se gli aggiornamenti dovessero tardare parecchio.
Detto ciò, passiamo
ad argomenti più
leggeri.
Signori
e signore, ho finalmente dato un
volto a quasi tutti i personaggi della storia. Ebbene si, dopo tanto
penare ho trovato dei volti che mi soddisfacessero, finalmente!
Diciamocelo, forse mi sono data troppo da fare! Sono tutti troppo
belli per essere reali... =_=”
Ed
eccoli qui.
Jace e Hannah sono
rispettivamente Jeremy Sumpter (ma quanto sei belllloooooooo
*çççççççççççççç*)
e Alexis Bledel, che nonostante sia più vicina ai trenta che
ai venti ha sempre sto faccino da bambolina.
George
è quello che mi
ha fatto penare di più! Sono passata da Colin Firth a Ralph
Fiennes
circa un centinaio di volte, e alla fine ha vinto Ralphuccio mio! *3*
é perfetto, ha pure la stessa età del mio
personaggio. E
non ditemi che non è fascinosissimo (anche se poraccio, la
calvizia incombe ç_ç)! É l'unico che
pelato,
pallido,
e senza naso, è ancora più che affascinante.
É per
colpa sua se io
mi sono innamorata di Voldemort. u.u”
George ha quarantasette anni, è un genetista piuttosto
famoso in
quell'ambiente nonostante sia piuttosto giovane rispetto alla maggior
parte dei colleghi, ed e vedovo da undici anni. Come avrete
già
letto sua moglie si è uccisa, e per ora non credo
approfondirò la questione. Credo sia fuori dalle mie
capacità parlare di un tema così delicato,
finirei per
offendere chi purtroppo, ha vissuto un'esperienza di questo
genere, inoltre per
ora non è pertinente con la storia.
Anche
Greta mi ha dato il mio bel
daffare. Inizialmente non avevo proprio pensato a Sienna Miller, poi
mi è capitata tra le mani una sua foto e boom! Una
folgorazione!
Volevo una biondina tutto pepe con i capelli corti e sbarazzini
e...Eccola qua! La Miller però è piuttosto
giovane, ha 29
anni e
Greta 36, ma credo possa andare, che dite? :-) Anche Greta ha
già un matrimonio alle spalle. é nata e cresciuta
in
Germania, dove ha conosciuto il suo ex marito, ricco uomo d'affari
americato, molto più vecchio di lei, che al tempo era appena
diciottenne. Rimase incinta poco dopo, e l'uomo si decise a sposarla,
per riparare al "danno" e salvare le apparenze più che per
amore. Sarebbe stata una cosa quasi lodevole se lui neanche due anni
dopo non
l'avesse abbandonata con un bimbo piccolo e una marea di debiti,
fuggendo dalle sue responsabilità.
Quando ho cominciato a scrivere la
storia, solo di tre personaggi avevo chiara in mente la fisionomia:
Jace, Hannah e Daphne. Ed è proprio da lei che ho cominciato
a
costruire il Trio.
Ero certa di volere Blake Lively ( Serena di
Gossip Girl), è perfetta per essere Daphne. Alla
fine, cercando delle sue foto,
ho trovato dei photoshoot promozionali del film “ The
sisterhood of
traveling pants”(credo
che in Italia sia stato tradotto con
“Quattro amiche e un paio di jeans”), e chi ci
trovo? Alexis Bledel,
la mia Hannie!
Quando ho dato uno sguardo anche alle
altre due attrici (America Ferrera e Amber Tamblyn) ho visto che
erano perfette per "interpretare" le altre componenti del Trio! Sono
eterogenee al punto giusto! Ho
avuto una fortuna pazzesca, lo riconosco!
Per il resto dei personaggi è stato
piuttosto facile trovare dei prestavolto adatti. Thomas è
stato
da
sempre Tom Sturridge, un po' perchè per me è un
volto
noto (l'ho
utilizzato anche in un'altra storia) e mi ci sono affezionata, e un
altro po' perché dai, diciamocelo, ce l'ha la faccia da snob
arrogante! =P Allo stesso modo i gemelli Sanders sono sempre stati
Lucas Till, perché volevo avessero un aspetto molto...
“americano” e perbene, soprattutto per quanto
riguarda
Seth.
Non
so ancora se Amanda avrà il volto di Megan Fox
(sarà che ho proprio una certa antipatia per l'attrice in
questione
=P) o di Kaya Scodelario, è difficile scegliere
perchè sono entrambe belle ma in modo completamente
differente.
Vedremo chi la spunterà.
Per la tata Eleanor e per il preside Miller invece, non ho proprio
alcuna idea! Lettori miei, se
vi viene in mente una attrice sui 60, bella robusta e con i capelli
rossi, non esitate a contattarmi! :-P
S chan : XD ahahaha!
Dai lasciami essere cattivella!
Solo un pochettino!! =P Ora come ora il bimbo non so più se
ci sarà,
perché mi addentrerei su per un terreno impervio.
Sconfinerei in un
argomento particolarmente delicato. Io vorrei dare un lieto fine alla
mia storia, e non so se la nascita di questo bimbo lo renderebbe
possibile. Hannah non credo sopravvivrebbe alla cosa. (muhahahah
questa
è vera cattiveria, comincia a far congetture! XP)
Io adoro Greta,
perché una mamma-non-mamma. Se hai
letto gli scorsi capitoli avrai notato un certo accenno
all'età in
cui ha avuto Jace. Se fai due calcoli, a questo punto della storia
ha... 36 anni!! é giovanissima!! Quindi mi è
parso più coerente
renderla una mamma molto moderna, anche troppo
“amica” in
alcuni momenti, tanto che spesso sembra essere Jace il più
maturo
tra i due.
37 pagine?? O.O” Oki, forse non sarei capace di
arrivare a quel livello! Non ancora almeno! XD
Per
quanto riguarda Tom, tranquilla, l'ho nominato solo
alla fine del quarto capitolo, è comprensibile che non lo
ricordi!
Anche se rileggendo l'ultima parte del capitolo 7 mi sono accorta di
aver fatto un casotto. É davvero confusionario! Prometto di
rimetterlo a posto il prima possibile! :-( Arriveranno
tutti gli approfondimenti del caso. Ho
preferito dare la precedenza al rapporto tra i due protagonisti, e
tra i protagonisti e i rispettivi amici, ma piano piano
arriverò a
parlare anche del padre di Hannah e della tata, e credo (ma non ne
sono ancora sicura) anche del preside Miller e di qualche altro
personaggio (ma ancora non ho ben chiaro in che termini).
Grazie
ancora per i complimenti (secondo me immeritati
=P). Finirò per montarmi la testa, lo so! T_T
Lea__91
: Il tizio che
importuna Hannah l'ho gia nominato nel capitolo 4! =P Mi sa che Amanda
ha monopolizzato l'attenzione! Come sempre! XD Povero Thomas! Puoi
farmi tutte le
domande che vuoi, a me fa piacere rispondere... Se posso senza fare
spoiler, ovvio! =P
Seth è un personaggio a cui tengo particolarmente,
è
praticamente la trasposizione al maschile della mia migliore
amica . Lo
so è strano che una ragazza dia l'ispirazione per un
personaggio
maschile... =_=" Proprio come lei, Seth è una persona
estremamente dolce, e ingenua. Forse per la sua estrema
sensibilità,
è sempre bisognoso d'affetto, per questo basta un gesto
gentile
per farlo innamorare. C'è stata anche chi ha approfittato di
lui
per arrivare a Jem, povero cuore (con grande sdegno di Jem stesso,
bisogna dirlo)! Ma nonostante le batoste e
le delusioni, lui non riesce a smettere di innamorarsi!
XD Non preoccuparti, so di essere banale ma a me piacciono i lieto
fine,
solo che mi diverto a strapazzare un po' i miei personaggi prima di
arrivarci. Jace e Hannah dovranno passarne ancora parecchie, e come ho
già detto non è Thomas il peggio che
capiterà
loro! Anzi, vedrete tra vari capitoli che non è male come
sembra. é un ragazzo viziato, certo, e ferito nell'orgoglio,
ma
non è cattivo in se.
I pensieri di Jace... Eh, credo di aver chiarito in parte proprio in
questo capitolo! ^.*
Dayan18 : Grazie
per i complimenti, è sempre stupendo sapere che
ciò che scrivo riesce ad appassionare dalla prima all'ultima
riga, spero continuerai a seguire la storia. :-)
|
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Capitolo 9 *** Capitolo 9. Al bivio. ***
Hopelessly devoted to you
Hopelessly
Devoted To You <3
Capitolo
9. Al bivio.
Lei.
-E
questo è tutto...- Disse Hannah, sospirando. Aveva appena
terminato
di riferire alle ragazze tutto quello che Jace le aveva raccontato il
sabato precedente, ma su nessuno dei loro volti leggeva lo sgomento,
la sorpresa, l' ira o l'incredulità che si sarebbe
aspettata. - Ho
l'impressione che voi foste al corrente di tutto.- Le fissò
una ad
una vagamente indispettita. L'avevano fatta parlare per venti minuti
interi, mentre erano già a conoscenza di ogni particolare.
Cominciava a pensare si divertissero a prenderla in giro a quel modo.
-Certo
che si, visto che in questa storia siamo state coinvolte anche noi!-
Esclamò Jaquie, come se fosse cosa ovvia che avessero parte
in
qualsiasi vicenda riguardasse Jace.
-Che
significa?- Chiese lei di rimando, ritrovandosi a fissarla con aria
perplessa.
-Significa
che prima che succedesse tutto questo casino tra quei due, eravamo
amici. Ed eravamo una bella crew, come direbbe Jem.- Rispose quella,
ammiccando.- Daphne ed io conosciamo Tom dall'asilo. Sai come va in
questo ambiente Hannie. Ci si conosce tutti tra rampolli dell'alta
società! Sarà lo stesso anche in Inghilterra,
no?- Aggiunse
sarcastica. Hannah annuì, era vero, che volesse o no
conosceva quasi
tutti gli eredi delle migliori e più ricche famiglie del suo
ambiente, in patria. - Per farla breve, quando hanno smesso di
parlarsi dopo essersele date di santa ragione, abbiamo cercato di
dividerci tra loro. Sai, è stato come se avessero divorziato
e
avessero ottenuto l'affidamento congiunto su di noi. Metà
settimana
con uno, metà con l'altro, e week end alternati. Ma la
scuola era
terreno neutro, non si parlava con loro due neppure sotto tortura.
Non volevamo fare un torto a nessuno. Jace ha capito subito la
situazione, e non si è lamentato...Beh, non che ne avesse
motivo,
era colpa sua! Ma Tom non la pensava allo stesso modo, siccome
eravamo amici fin da bambini ha ben pensato avessimo l'obbligo di
stare dalla sua parte. Lo stronzetto ha pensato che la nostra
imparzialità significasse che davano ragione a Jace, ci ha
accusato
di aver sempre preferito lui e da allora non ci ha più
rivolto la
parola, preferendo quei cretini senza cervello della squadra di
football, quelle teste vuote che lo seguono come cagnolini
scodinzolanti e lo adorano incondizionatamente! Come se fosse un Dio!
Un Dio? Altro che Dio! Lo prendere volentieri a calci in quel suo
culo ossuto!- Jaquie si stava scaldando. Gesticolava furiosamente, e
una volta o due rischiò di colpire accidentalmente Rose in
pieno
volto. Ma la ragazza schivava agilmente ogni colpo, ormai abituata ad
avere a che fare con Jaquie e le sue mani, che come il corpo a cui
stavano saldamente attaccate di stare ferme non volevano mai saperne.
-Jaquie
calmati! Possibile che dopo due anni non ti sia ancora passata? Tom
ha fatto la sua scelta, per quanto ci abbia fatto male, non
è di
certo insultandolo che cambierai le cose. - Molto calma, Daphne
intervenne nel tentativo di arginare le reazioni sempre spropositate
della compagna, e evitare che davvero Rose si beccasse un pugno in
pieno volto.
-Beh di
certo mi fa sentire meglio!- Sbottò l'altra, incrociando
finalmente
le braccia al petto. Erano così Daphne e Jaquie, una cheta
come
l'acqua, l'altra scoppiettante come il fuoco, la dimostrazione che
gli opposti si attraggono.- Se Jace non ne vuole parlare con noi
c'è
un motivo, così come c'è un motivo se l'ha voluto
raccontare ad
Hannah. Un buonissimo motivo, direi. Vuole proteggerla, mi sembra
evidente.- Riprese, stringendosi ancora un poco nel suo cappotto e
rivolgendosi poi ad Hannah. - Sono certa che Jace non te l'abbia
detto, ma è giusto che tu lo sappia, quanto meno
perché tu possa
capire cosa l'ha spinto a parlare di un argomento molto doloroso per
lui. Quando fece a botte con Tom, lui gli promise che si sarebbe
vendicato ripagandolo con la stessa moneta. Fino ad ora Jace non ha
mai mostrato un interesse più... Marcato ecco,
più marcato del
normale per nessuna ragazza... Finchè non sei arrivata tu.-
La fissò
intensamente, i suoi occhi azzurri dicevano tutto senza che lei
avesse bisogno di pronunciare una parola di più.
-Intendi
dire che Thomas crede che Jace...? Suvvia è assurdo! Ci deve
essere
stato per forza un malinteso. Jace non è e non
sarà mai interessato
a me nel modo che lui intende. Questo è certo.- Disse con
totale
convinzione. Nel suo immaginario nessun ragazzo che fosse al livello
di Jace, avrebbe mai potuto provare per lei sentimenti che andassero
ben oltre l'amicizia. Era conscia di avere poche buone
qualità, ma a
parte un cospicuo patrimonio, non aveva nulla di più di
qualsiasi
altra ragazza al mondo. Anzi, alcune sue compagne, erano ben
più
ricche di lei. Si, si era convinta, c'era sicuramente stato un
fraintendimento. - Dovrò parlargli, anche se non ne sono
felice.
Quel ragazzo mi terrorizza. Giusto Cielo, mi ha fatta seguire! Non
c'è nulla di più spaventevole!-
Esclamò rabbrividendo, e non per
il freddo. - Ma ne varrà la pena. Sicuramente
comprenderà, lascerà
Jace in pace e smetterà di farmi seguire, ne sono certa.-
Aggiunse
poi, con insolita decisione.
Le
ragazze si guardarono l'un l'altra sospirando e scuotendo il capo.
L'ingenuità di Hannah a volte aveva davvero dell'incredibile.
Era un
martedì pomeriggio freddo e nuvoloso. Un vento freddo si
divertiva a
colpire con violente sferzate i volti delle quattro adolescenti che
per la prima volta tornavano a casa tutte insieme, camminando strette
le une alle altre per proteggersi dal tempo inclemente. Jace era
assente da scuola da due giorni, e Hannah ancora non aveva ancora
trovato il coraggio di bussare alla porta dell'infermeria e chiedere
alla madre del ragazzo che gli fosse capitato. La mattina prima era
passata davanti a quella porta almeno una decina di volte, ma al
momento di sollevare il pugno e bussare le mancava il coraggio e
correva via trovando ogni volta una diversa scusante. Jaquie aveva
parlato
di un brutto raffreddore, o un'influenza, e lei s'era fatta bastare
quella misera e vaga notizia, non senza domandarsi se fosse la cosa
giusta da fare. Era preoccupata per Jace, sentiva la sua mancanza, e
l'idea di lui solo soletto, magari rannicchiato a letto con un
febbrone da cavallo e in preda ai deliri, mentre lei non aveva
neppure il coraggio di andare ad informarsi sulle sue condizioni, le
era appena sopportabile. Ma poi le tornavano in mente le sue parole,
ciò che le aveva raccontato, ciò che aveva fatto
a Thomas. Non
riusciva a crederci, non poteva credere che il ragazzo ,sempre
così
gentile e attento ai sentimenti altrui, avesse potuto fare una cosa
del genere, e non ad una persona qualsiasi, ma al suo migliore amico.
Si
chiedeva se non fosse capace di fare anche a lei un simile sgarbo, se
non fosse capace di tradirla e umiliarla, e magari fingere poi
rimorso e pentimento davanti alla sua prossima vittima. Aveva paura
di Jace e di quel che di lui non poteva prevedere: le sue scelte
future. Non era l'essere pubblicamente umiliata a sembrarle tanto
grave, poteva passarci sopra se l'alternativa era esserne ferita.
Per tutta la considerazione che nutriva nei suoi confronti, per
l'affetto e quella strana sensazione che provava vicino a lui e a cui
aveva dato il nome di devozione, lei non se ne sarebbe più
ripresa.
Non l'avrebbe sopportato, e lo capiva benissimo, anche senza le
maliziose battutine delle ragazze e le loro illazioni senza
fondamento.
A casa,
la tata l'aspettava in salotto, già pronta per il
tradizionale tè
delle cinque.
-Non
perché siamo finite in un luogo privo di tradizioni civili,
dobbiamo
rinunciare alle nostre più sacre usanze.- Le diceva sempre,
anche se
sapeva benissimo non essere assolutamente vero. Il patriottismo la
rendeva cieca. Ciò non piaceva ad Hannah, che cominciava ad
apprezzare gli Stati Uniti per la libertà di cui li godeva,
per le
diverse culture e ambienti sociali con cui poteva venire a contatto e
per tutto ciò che di positivo una metropoli come New York
poteva
offrirle, amiche come il Trio, e soprattutto Jace. Ma l'affetto che
provava per la domestica era grande quanto basta per poter passare
sopra qualsiasi suo difetto.
Eleanor
non amava l'America, sarebbe stato palese anche per un cieco.
Nonostante dopo il loro trasloco potesse stare più vicina
alla sua
unica parente in vita, una sorella minore, che abitava a Brooklyn
dove possedeva una boutique di moda o qualcosa di simile, non poteva
darsi pace. Era stata educata a vedere in tutto ciò che
viene dagli
Stati Uniti una mera imitazione dello splendore e dalla potenza
dell'amata patria, e questo principio aveva cercato d'inculcare anche
in Hannah, ma con scarsi risultati. Non riuscendo a muovere alcuna
critica contro la sua pupilla, sempre così buona,
obbediente,
educata, e affettuosa, aveva decretato che era tutta colpa di una
qualsiasi cosa a caso, non certo di Hannie, il suo caro angioletto,
se lei non nutriva la sua stessa devozione per la Gran Bretagna. I
giovani d'oggi hanno il mondo per patria, soleva dire con un certo
rammarico.
Quando
Hannah la raggiunse, dopo essersi levata l'uniforme, averla riposta
con cura e aver indossato degli abiti più comodi e consoni
ad un
pomeriggio in casa ad oziare, Eleanor si stava versando la sua
seconda tazza di tè. Sul tavolino del salottino stava posato
un bel
vassoio in argento, su cui spiccava un piattino in ceramica bianca
cosparso di briciole.
-Tata...-
Mormorò la ragazza, sollevando il piattino con tono
ammonitore. - Il
medico ti ha proibito i biscotti, soprattutto quelli al burro.
Scommetto che erano quelli con le gocce di cioccolato. Ne va della
tua salute. Devi moderarti.- Si diresse in cucina, e prese qualche
altro biscotto che posò sul piattino che non
tornò però sul
vassoio. Lo tenne sulle ginocchia per tutto il tempo, proteggendo il
gustoso tesoro dalle grinfie della golosa scozzese.
-Suvvia
cara, ne ho mangiato giusto uno... O cinque...- Borbottò a
mò di
giustificazione, mentre le porgeva una tazza colma della fumante
bevanda. - Con un goccio di latte e due zollette di zucchero, come
piace a te.- Disse con un sorriso.
-Grazie.
Non cercare di cambiare argomento però. Devi stare attenta,
il
dottor Hamilton te lo diceva sempre, il colesterolo non va
sottovalutato.- Aggiunse seriamente, prendendo la tazza che le veniva
porta dal suo piattino. Prima di assaggiare il suo té,
cominciò a
smangiucchiare uno dei biscotti. - Se ti dovesse succedere
qualcosa... No, non voglio affatto pensarci.- Sbottò infine,
scuotendo con forza il capo.
-Avresti
sempre tuo padre. Ne abbiamo parlato spesso, Hannie. Io sono solo la
governante in casa Barnes, anche se ti ho cresciuto, ti ho amato e
ancora ti amo come se fossi figlia mia. Ma sono sempre una
dipendente,e non è bene che la figlia del padrone si mostri
così
affettuosa nei miei riguardi.- Era un discorso che riproponeva
spesso, durante le loro chiacchierate, forse solo per esorcizzare la
realtà e le convenzioni che le volevano divise, mentre loro
erano
più unite che mai. Eleanor per Hannah era a volte madre, a
volte
vecchia zia zitella e pure un poco acida, a volte saggia nonna,
però
sempre amica e confidente. Quella era l'unica regola che amava
trasgredire, la sua tata non sarebbe mai stata soltanto una
dipendente, non per lei. Quando non avesse avuto più bisogno
delle
sue cure, sarebbe stato il suo turno di prendersi cura della donna,
fino all'ultimo istante della sua vita, che Hannah si augurava
giungesse il più tardi possibile.
-Proprio
per questo non ti posso permettere di mettere a rischio la tua
salute. Sai benissimo che per mio padre non sono proprio tra le
priorità, nella sua vita.- Replicò Hannah, con
totale indifferenza.
Eleanor non replicò affatto. Non poteva darle torto. George
Barnes
non era mai stato un esempio di padre attento e premuroso nei
confronti della propria prole.
-Allora,
come è andata la giornata? Hai parlato con quel tuo amico?-
Chiese
dopo un breve silenzio, cambiando argomento. Ovviamente le aveva
raccontato tutto di quel sabato pomeriggio
-Jace?
No, era assente anche oggi. Jaquie gli ha telefonato, dice di aver
preso freddo durante il week end e d'aver preso un'influenza.- Disse,
prima di dare un piccolo morso ad un biscotto.
-Quindi
non hai parlato neppure con sua madre? Sarebbe cortese da parte tua
se t'informassi sulla sua salute.- Asserì la donna, posando
la sua
tazza vuota sul bel vassoio, lucido come uno specchio.
-Io...
Veramente mi piacerebbe potere andarlo a trovare.- Hannah
arrossì.
Aveva paura la tata l'avrebbe per quell'assurda idea e trovato
sconveniente una simile eventualità. Per la corpulenta
sessantenne
l'idea della sua dolce bambina sola nella stanza di un
“uomo”
sfiorava l'indecenza. Certo ai suoi tempi era diverso, ma anche lei
tanto tempo prima aveva avuto sedici anni, e con orrore immaginava
cosa sarebbe potuto succedere. Esattamente ciò che era
successo a
lei.
-Se sua
madre ti invitasse, ti accompagnerei volentieri, e potrei portargli
del brodo di pollo, fatto seguendo la ricetta della nonna Josephine,
pace all'anima sua. - Da fervente cattolica quale era, si fece il
segno della croce e volse gli occhi al cielo. - é una manna
per il
raffreddore.-
-E se
non lo facesse? E se...- Deglutì nervosamente. - E se le
chiedessi
io di poterlo vedere? Credi che sarebbe offensivo?- Chiese titubante.
Aveva visto solo di sfuggita la madre di Jace, e le pareva un tipino
particolare. Non riusciva ad immaginare quale sarebbe stata la sua
reazione ad una simile richiesta.
-Oh
cielo, offensivo no di certo! Ma preferirei se non imponessi la tua
presenza se non richiesta o ancor peggio non gradita. Sai come la
penso a riguardo. Mio padre diceva che gli ospiti sono come il pesce,
dopo due giorni cominciano a puzzare. Non voglio che qualcuno possa
pensare questo di una Barnes. Non è decoroso.-
Replicò Eleanor,
volendo rassicurarla ma allo stesso tempo ammonirla.
-Già.-
La giovane sospirò. Terminò la sua tazza di
té e mangiò i
biscotti rimasti. La tata le prese dalle mani tazza e piattino,
posandoli sul vassoio che poi in silenzio portò in cucina,
lasciando
Hannah sola nel grande salotto. Nel seguirla con lo sguardo,
notò
qualcosa di diverso nella stanza. Su un tavolino, su cui faceva bella
mostra di se una splendida lampada, mancava qualcosa. Una antica
cornice in argento che conteneva la foto di sua madre. Era una delle
poche immagini della defunta Signora Barnes che si potessero trovare
in casa.
-Tata...
Dov'è finita la foto della mamma?- Le chiese, raggiungendola
in
cucina.
-Quella
sul tavolinetto intendi? Oh, tuo padre l'ha spostata, borbottando
qualcosa sul fatto che quello non fosse il posto adatto. Credo
l'abbia messa nel suo studio.-
-Capisco...-
No, in realtà non capiva, non del tutto. L'unica cosa che
vedeva
chiaramente era che suo padre pareva vergognarsi di quella giovane
moglie persa così tragicamente e volesse farle scordare sua
madre
levandole pure quei pochi ricordi che di lei possedeva. Sarebbe
andata a cercare quella foto, e l'avrebbe riposta al suo posto, alla
vista di tutti, dove meritava di essere, nonostante il modo in cui
Zara aveva deciso di lasciare questo mondo.
***
Con
molto imbarazzo aveva detto alle ragazze di non aspettarla per la
pausa pranzo quella mattina, perché aveva
“qualcosa di importante
da fare”. Jaquie l'aveva tempestata di domande, curiosa
com'era, ma
Daphne aveva ben pensato di trascinarla via prima che costringesse
Hannah ad aprire bocca con un paio di tenaglie, tacciandola d'essere
una pettegola e suggerendole caldamente di farsi i fatti suoi, una
volta tanto. Ed ora eccola là Hannah, impalata davanti alla
porta
dell'infermeria, troppo vigliacca per sollevare una delle sue
delicate manine, chiuderla in un pugno e bussare, quasi avesse paura
che ognuno di quei gesti insignificanti potesse potesse prosciugarle
tutte le forze o portare a conseguenze catastrofiche.
Giusto Cielo Hannah! Sei
una Barnes! E i Barnes non si fanno intimorire da niente!
Si disse annuendo a se stessa con convinzione, cercando di infondersi
un po' di coraggio. Prese un profondo sospiro, e gonfiando il petto
come se si preparasse a fronteggiare la propria personale nemesi
bussò alla porta, cui vetro coperto da una squallida
avvolgibile
vibrò sotto i suoi deboli colpi.
Quando
la maniglia si mosse fece un salto indietro. L'intenzione era quella
di scappare a gambe levate, alla faccia del buon nome e dell'orgoglio
dei Barnes. Per sua fortuna, non fu abbastanza veloce.
-Si? Oh,
salve tesoro, qualcosa non va?- Sollevò lo sguardo,
posandolo sulla
donna che le aveva aperto e che ora le stava davanti. La madre di
Jace le parve bellissima, vista così da vicino. Avevano gli
stessi
occhi grigi screziati d'oro loro due, sebbene il taglio fosse diverso
e le ciglia di lei fossero più lunghe e folte, e lo stesso
sorriso
allegro, capace di conquistare e rallegrare anche l'individuo
più
cupo e triste. Eppure le sue labbra, rese lucide da uno strato di
lucidalabbra, erano più piccole e carnose di quelle del
figlio. Era
alta quanto Hannah, con corti capelli d'un biondo così
chiaro da
avere dei riflessi argentei alla luce del sole. Il taglio poi era
davvero particolare, così stravagante con quella lunga
frangia a
coprire tutto il lato destro del volto e piccole ciocche sfilacciate
sparate qui e li sulla nuca. Una capigliatura che non ci si
aspetterebbe di veder portare da una madre. Sotto il lungo camice
bianco bianco spuntavano jeans skinny e allstar d'un accesissimo
verde smeraldo. Viste da lontano, le avrebbero sicuramente scambiate
per coetanee.
Osservandola
nell'insieme, si chiese se non ci fosse stato un fraintendimento di
fondo. Forse si era sempre sbagliata, e quella donna che ora fissava
inebetita, la stessa che spesso aveva visto chiacchierare con Jace
nei corridoi, non fosse che un'assistente dell'infermiera, o
un'infermiera più giovane e notevolmente attraente. Forse
aveva aver
frainteso i discorsi del Trio, doveva essere così,
perché non
poteva credere che Greta, così giovane e bella, potesse
essere
davvero la madre di un diciassettenne. Con quel fisico così
asciutto
poi, era difficile credere addirittura che fosse mai stata incinta.
-Ahm...-
Hannah deglutì rumorosamente, prima di riuscire ad
aggiungere
qualche parola a quel verso inarticolato. - La... La... Signora
Stein?- Chiese, quasi balbettando.
-Sono io
cara, vieni entra pure.- La fissò senza vergogna, con le
labbra
spalancate a formare una piccola O. La donna le posò
dolcemente una
mano sulla spalla, ridendo ed insieme spingendola ad entrare. - Lo
so, faccio sempre questo effetto!- Aggiunse, facendole un occhiolino.
La
ragazza si guardo intorno. Tutto era immerso in un silenzioso
ovattato ora che la porta chiusa le separava dal frastuono del
corridoio. Non c'erano finestre, ma solo una lampada al neon ad
illuminare il luogo, che eppure era luminosissimo grazie
all'arredamento rigorosamente bianco brillante, che rifletteva il
più
pallido raggio di luce, amplificandolo. Inoltre rendeva l'infermeria
un luogo apparentemente asettico e freddo, molto impersonale, reso
più accogliente solo da alcuni tocchi di colore qui e la. In
quei
particolari si poteva notare il tocco della donna, tracce del suo
particolare ed esuberante carattere. La scrivania, relegata in un
angolo, era piena di foto, post-it colorati, penne bizzarre raccolte
in un una specie di tazza in terracotta mal riuscita e tutta sbilenca
da un lato, ancor più bizzarra. Non ne fu sorpresa come
sarebbe
stata di solito, in fondo era della donna che aveva cresciuto Jace
che si trattava, e non l'aveva mai immaginata come il prototipo di
madre perfetta, tutta intenta a preparare biscotti con un grembiule a
quadri legato in vita e i capelli sempre in piega. Magari con qualche
anno in più e qualche ruga a segnarle il volto, questi si.
Quelle
macchie di colore sgargiante venivano nascoste al resto
dell'infermeria da una tenda, anch'essa bianca, che all'occorrenza
copriva completamente la metà della stanza occupata da due
lettini,
un armadio in metallo e un altro mobiletto che poteva vedere,
attraverso i vetri degli sportelli, fosse ricolmo di garze, cerotti,
bende e due grossi cofanetti verdi, probabilmente due kit di pronto
soccorso. Alcune confezioni di cerotti erano coloratissime, e
spiccavano tra i bendaggi bianchi
Cerotti
per bambini? Si chiese, corrugando la fronte.
-Allora
Hannah, sdraiati su uno dei lettini e dimmi cosa c'è che non
va. Non
devi stare bene,vero? Sei piuttosto pallida.- Disse, prima di
voltarsi a chiudere la porta a chiave.
La
ragazza non si era affatto accorta, distratta com'era a guardarsi
intorno, che la donna l'aveva chiamata per nome, e siccome non le
aveva affatto risposto, Greta la chiamò ancora.
-Hannah?-
La ragazza rabbrividì e si voltò. Il silenzio
rendeva ogni rumore
suadente, anche la vocetta un poco stridula della donna, provocandole
quei brividi lievi di piacere che partono dalla nuca fin
giù, lungo
tutta la schiena.
-Come...Fa
a conoscere il mio nome?- Chiese sorpresa, rimanendo impalata nel bel
mezzo dell'infermeria, con le braccia pendenti lungo i fianchi,
immobili.
-Tesoro,
sono l'infermiera. E un'infermiera piuttosto pettegola, se devo
essere sincera!- Rise, incrociando le braccia al petto. Si
avvicinò
alla scrivania e si sedette con le gambe a penzoloni. - E ancor prima
sono la madre di Jace, come potrei non conoscerti, quando lui mi
parla tanto spesso di te?- Aggiunse, e il suo sorriso si fece appena
malizioso, solo per pochi istanti, tanto che Hannah non se ne rese
conto. - A proposito, dammi del tu, ti prego!-
-Oh.- Fu
tutto ciò che la ragazza riuscì a replicare,
prima che Greta
riprendesse a parlare. Erano proprio madre e figlio lei e Jace, lo si
notava se non per l'incredibile somiglianza, per l'impareggiabile
loquacità.
-Già,
comprendo l'imbarazzo, ma vedi, sono comunque l'infermiera, quindi se
c'è qualcosa di cui mi devi parlare, se non ti senti bene...
- La
fissò sgranando gli occhi.- Oh, ho capito! - Si
batté una mano un
fronte, e agile saltò giù.- Sei in quel periodo
“particolare”
del mese! Ma certo, che stupida come ho fatto a non capirlo subito.
Non sai quante ragazze vengono da me con questo piccolo problema.-
Corse dietro alla scrivania, cominciando a rovistare sul piano, tra
fogli, foglietti, cartelle e cianfrusaglie varie.- Il ciclo mestruale
per alcune è una vera maledizione! Ti cerco subito qualcosa
per
alleviare il dolore... Oppure ti serve un assorbente? Sempre se trovo
le chiavi... Maledette...- Borbottò irritata, poi si
chinò e aprì
un cassetto da cui tirò fuori il mazzo di chiavi tanto
cercato. -
Oh, eccole le fuggitive!- Rise, tenendole sollevate tra indice e
pollice. Hannah la fissò esterrefatta. Quella donna, una
totale
sconosciuta che per giunta era la madre di Jace, le stava parlando di
ciclo mestruale? Per davvero aveva pronunciato quelle due
imbarazzanti parole? Era vero,e non riusciva a capacitarsene. Hannah
ne fu sconvolta. Forse se avesse avuto una madre con cui poter fare
certi delicati discorsi, non avrebbe avuto una simile reazione,
purtroppo aveva solo la tata che evitava tali argomenti come i gatti
evitano l'acqua. Cominciò a sentire un gran caldo, come se
qualcuno
le avesse dato fuoco al volto, tanto era l'imbarazzo.
-N-no...
No..I-io...Io volevo...- Trovò la forza di balbettare, prima
che la
situazione potesse degenerare e diventare ancor più
imbarazzante di
quanto già non fosse. - Io volevo solo... So-solo sapere
come sta
Jace...-
Greta si
fermò di colpo a fissarla con tanta intensità che
Hannah incassò
istintivamente il capo tra le spalle, aspettandosi una ramanzina per
essersi interessata della salute del ragazzo solo dopo la bellezza di
tre giorni. Greta invece le venne incontro e l'abbracciò di
slancio,
lanciando via le chiavi che caddero con un tonfo sulla scrivania.
Ha il suo stesso
profumo...
Fu la prima cosa che Hannah pensò, ancor prima del rendersi
conto
che era la stessa donna che un minuto prima le parlava senza vergogna
di assorbenti ad abbracciarla. Una cosa decisamente bizzarra.
-Oh, finalmente! Sono così felice che sia venuta a chiedermi
di
lui!Era ora! Mi domandavo quando l'avresti fatto!- La lasciò
andare
e le prese il volto tra le mani. - Mio Dio Hannah, sei hai un volto
così bello, e che occhioni! Tutte le amiche di Jace sono
così belle
che finirò per sfigurare!- Borbottò mettendo su
un broncio
infantile ma divertente. Impiegò meno di mezzo secondo a
cambiare
espressione e farsi seria. Tutti questi repentini cambi d'umore
stordivano la ragazza, che non aveva mai incontrato nessuno di tanto
lunatico ed instabile. -Il nostro baldo giovane sta peggio di quel
che temevo, stamattina il medico l'ha visitato, e a quanto pare ha
preso una bronchite. Nulla di grave, ma dovrà stare a casa
per
almeno una decina di giorni ancora, se tutto va bene.- Strinse le
spalle, sospirando. - Negli ultimi giorni è stato
intrattabile, così
nervoso, il che è strano, di solito smania per ammalarsi e
poter
stare a casa a poltrire! Sono certa gli farebbe molto bene se tu lo
chiamassi. Da quando ti frequenta, mi sembra sia più sereno.
- Disse
infine, simulando totale ingenuità. Dovette essere parecchio
convincente perché Hannah non intuì affatto che
ella sapeva
benissimo cosa era successo tra loro il sabato precedente. In quel
momento la campanella suono, e Hannah scatto immediatamente verso la
porta, afferrando la maniglia e tirando. Una volta... Due volte...
Tentativo di fuga fallito. La porta era ancora chiusa a chiave.
-Io... Devo andare... La campanella...- Borbottò, senza
voltarsi.
Intanto la sua mente lavorava freneticamente. Telefonargli, aveva
proprio detto che gli avrebbe fatto piacere se avesse chiamato.
Cercò
di non focalizzarsi sul sollievo che quelle parole le avevano dato,
perché lei non voleva telefonargli, doveva vederlo. Anzi non
doveva,
non era un obbligo, lei voleva vederlo. Ma l'invito da parte della
donna non era arrivato, anzi le si era avvicinata e facendo scattare
piano la serratura, le aveva aperto la porta.
-Calmati tesoro, nessuno ti condannerà a morte se per una
volta
farai cinque minuti di ritardo. In caso, mandali da me, intesi?
Questioni tra donne, sono le tre paroline magiche che risolvono ogni
problema. - Le sorrise, afferrandole delicatamente il mento con una
mano e costringendola a voltarsi. La fissava dritto negli occhi, con
i suoi così simili a quelli di Jace che Hannah ne fu
inspiegabilmente scossa da capo a piedi. - Mi farebbe piacere
chiacchierare con te, Hannah. Mi piace poter conoscere le amiche e
gli amici di mio figlio, sono sempre persone molto particolari e
fuori dalla norma. Persone da cui imparare qualcosa. Ma in te
c'è
qualcosa di più, lo sento. - La lasciò andare
ritraendo piano la
mano, e Hannah si precipitò fuori dall'infermeria. - Buona
giornata,
spero di rivederti presto, e non in infermeria!- Aggiunse,
sorridendole ancora, per nulla offesa dal modo in chi la ragazza
stava letteralmente scappando da lei, senza neppure un saluto di
commiato. Hannah vide la porta chiudersi,e rimase li, a fissarla, nel
corridoio deserto e silenzioso come lo era la stanza che aveva appena
lasciato. Cominciò ad incamminarsi verso l'aula di biologia,
senza
smettere un attimo di pensare e ripensare.
Amica. Lei per Jace era un'amica, o perlomeno suo madre la credeva
tale. Era ciò che le sarebbe bastato essere per lui.
Un'amica tra le
tante sarebbe stato perfetto, né più
né meno importante di nessuna
delle altre, non pretendeva null'altro. Ma non si stava comportando
come tale. Si rese improvvisamente conto che desiderava con tutta
l'anima potersi fidare di lui, dimenticare ciò che lui le
aveva
raccontato, ciò che aveva fatto e i dubbi su ciò
che avrebbe potuto
fare ancora in futuro. Cominciò a chiedersi se il passato in
fondo
non fosse che passato, se è vero che si impara dagli sbagli
e se
Jace aveva imparato dai propri, se non dovesse prendere il racconto
di lui per quel che era: una sincera confessione, lusinghiera per
giunta, perché significava che per lui era in qualche modo
importante, che teneva a lei tanto da voler essere sincero fino allo
spasimo, che per esserle amico era disposto a scoprirsi totalmente,
mostrandole pregi e difetti, raccontandole di vittorie e sconfitte
passate.
E poi si parlava di Jace, di quello stesso Jace che aveva fatto voto
di silenzio affinché lei gli parlasse, quello stesso Jace
che
l'aveva spinta ad aprirsi verso il prossimo, quello stesso Jace che
l'aveva coinvolta nella sua vita, accolta tra i suoi più
cari amici,
che si fidava di lei e per lei aveva sempre un sorriso. Una persona
così, non meritava forse la sua fiducia più di
tutti gli altri? Non
meritava la possibilità di dimostrarle che aveva commesso
solo un
grosso errore di percorso? Si chiese chi altro potesse meritare una
seconda occasione, se non Jace.
Si
fermò nel bel mezzo del corridoio, e si voltò
piano. Vedeva ancora
la porta dell'infermeria, ancora chiusa, e con essa
un'opportunità,
quella di sbagliare per amore di un amico, sbagliare ed essere
felice. Dall'altra parte, l'aula di biologia, la sua lezione, il
dovere, la regola da non infrangere, il rifiutarsi di seguire
ciò
che il cuore le urlava a gran voce di fare. Hannah non amava il
rischio, e l'errore nella sua esistenza non doveva essere neppure
contemplabile, ma quella volta, davanti ad un bivio, scelse la strada
più tortuosa, la strada sbagliata, paradossalmente la
più giusta
per lei. Non sapeva dove quel cammino l'avrebbe portata, ma voleva
percorrerlo fino in fondo. Qualcosa in lei era scattato e aveva preso
il sopravvento, prima che la ragione potesse porre un freno a quella
scintilla di istintività, tornò sui suoi passi,
veloce, quasi in
una corsetta. Di nuovo davanti alla porta dell'infermeria,
bussò.
Quando Greta aprì la porta, sforzandosi di sostenerne lo
sguardo
disse, ansante per la tensione che le serrava la gola. - La prego, lo
faccia, la scongiuro! Mi inviti ad andare a fare visita a Jace!- Per
la prima volta in vita sua non le importò di essere additata
come
maleducata e invadente. Se per Jace, l'avrebbe sopportato.
L'angolo
dell'autrice:
S chan : Innanzi tutto, ci tengo a
fare
qualche precisazione sulla questione dei volti. Li ho inseriti 1)
perché mi intriga un sacco photoshoppare XD e non ho
resistito alla
tentazione di fare dei piccoli lavoretti. 2) per dare ai lettori
un'idea di come io immagino i miei personaggi, o quali volti mi hanno
ispirato in alcuni aspetti. Non ho scelto questi attori e attrici
perché “fa figo” (altrimenti avrei usato
solo gli attori di
Twilight che ormai sono in ogni dove =_=) o perché sono fan
di uno o
dell'altro e dovevo infilarcelo a forza da ogni parte. Trovo giusto
(e personalmente molto stimolante e piacevole per me come autrice)
che ogni lettore immagini a modo suo Hannie, Jace, e tutto il resto
della combriccola. É come se facendo questo il lettore
lodasse me e
il mio lavoro, perché la Noony lettrice se non viene
coinvolta dai
personaggi e dalla loro storia, non si sforza neppure di
immaginarseli. :-)
Detto
questo... Eeeeeh! Jace stava
diventando un Gary Stu a tutti gli effetti, dovevo creargli degli
imbarazzanti precedenti e dei difetti. E a dirla tutta lo preferisco
così, imperfetto come ogni altro diciassettenne! Non
preoccuparti,
Hannah non si rende conto di essere un'anima pura e ingenua rispetto
ai suoi coetanei, non giudica ma si sorprende alquanto quando
qualcuno compie delle azioni che ha sempre ritenuto
sbagliate e che si vergognerebbe di compiere (e lei si vergogna
decisamente di troppe cose). E poi è di Jace che si sta
parlando,
probabilmente non riuscirebbe a giudicarlo neppure se fosse colpevole
di omicidio.
Mia madre mi ha avuto che aveva appena
ventitré anni... ed è sempre stata una pazza(in
senso buono eh XD)!
O.O” Certo quando c'è bisogno che faccia il
genitore lo fa, ed è
pure piuttosto severa, ma per il resto, a volte sembra più
un'amica.
É lei che il sabato sera esce e io che l'aspetto alzata,
solo per
avere il gusto di dirle “beh? Ti sembra questa l'ora di
rientrare??” XD Si compra una marea di vestiti e non sa mai
che
mettersi, spenderebbe milioni in scarpe che poi metterà solo
una
volta, va ai concerti con le amiche e appena può si fa i
week end fuori con mio
padre. Insomma fa quel che alla mia età non ha potuto fare
perché
era già madre e moglie, come era la norma allora. Come hai
detto tu,
si tratta di situazioni diverse, di contesti diversi e in gran parte
di carattere e educazione diversa. D'altronde il mondo è
bello
perché è vario no? ^.*
Grazie
grazie grazie per i complimenti,
che mi emozionano sempre (quando vedo un nuovo commentino mi gaso
sempre tantissimo *_*), non posso prometterti di
accorciare i tempi di aggiornamento, ma cercherò di finire
questa
storia, perché mi spiacerebbe lasciare a metà
qualcosa a cui tengo
e deludere i miei pochi fedeli lettori. :-)
irisdools :
Grazie! Sono felice ti sia
piaciuta quella scena, perché è forse il pezzo
che mi ha coinvolto
di più mentre lo scrivevo e ci tenevo che venisse bene. :-)
Lea__91 :
Recensire non è un obbligo
(anche se all'autrice fa piacere ricevere le vostre recensioni XD)
quindi non scusarti mai di non aver recensito subito o affatto.
É
giusto e normale che ci siano delle priorità, e tra queste
non ci
deve essere il recensire ad ogni costo. :-) Io per prima è
molto
raro che recensisca più di una volta la stessa storia e
prima che
questa sia terminata (anche perché le volte che l'ho fatto
le
storie, escluse alcune, hanno perso in qualità e sono
diventate
magari pure squallide, facendomi pentire dei complimenti fatti
all'autrice/tore e alla storia in se... Ma questa è un'altra
storia). Comunque capisco, io a parte la salute che va e viene
(l'ansia è una brutta bestia credetemi), sto studiando per
la
patente, per due esami, e sto partecipando a due laboratori, quindi
posso capire quando dici che hai pochissimo tempo. Il capitolo 8 l'ho
scritto tutto la notte, ogni notte dopo l'una mi mettevo a
scribacchiare qualche riga. Visto che l'ansia non mi faceva dormire
ne ho approfittato! XD Ottimizzazione dei tempi, è questo il
mio
motto! XD
Detto
ciò... Sai che cominciavo a
preoccuparmi?? Per te intendo! Ho avuto paura che ti fosse capitato
qualcosa, sai un'influenza, un piccolo incidente (tocca ferro \m/ ),
qualcosa!! Poi alla preoccupazione è subentrata la paranoia,
e ho
cominciato a chiedermi, “oddio, ma avrò scritto un
capitolo così
penoso che pure quella santa donna di Lea si è ben guardata
dal
recensire??”
Invece
fiuu... *sollievo* Eccoti qui!
Sono felicissima di sapere che sei viva, vegeta e spero in buona
salute. :-)
Ehehehe
ma Jace è tenerosissimo e non si vergogna ad ammetterlo e
dimostrarlo *_*. Ancora una volta mi sono ispirata a una
persona per me importante, il mio fidanzato, che ha passato tutta la
settimana scorsa, e passerà pure le feste chiuso in casa con
la
febbre. T_T Ho pensato che Jace potesse fargli compagnia e
condividere la sua stessa sorte, anche perché anche lui ora
sta
leggendo questa storia! (che vergogna ma chi me l'ha fatto fare a
dirgli che stavo scrivendo =_=). Anche se penso che sotto sotto lui
abbia
una cotta per Greta... U.U” Mica scemo!
Grazie ancora per i
complimenti, ogni
volta non riesco a capacitarmene, e spero che la tua opinione sulla
trama non cambi neppure in futuro, quando ci saranno degli eventi che
rivoluzioneranno completamente la storia di Jace e Hannie.
Che dire, stavolta
sono stata velocissima, mi sorprendo da sola! XD Ma è
capitato solo perchè avevo già ben chiaro cosa
scrivere, non facciamoci illusioni! Spero di riuscire a postare un
altro capitolo entro metà aprile, perchè la
seconda metà del mese per me sarà di fuoco e
fiamme. Volevo lasciarvi un regalo di Pasqua,ecco.
Buone feste a tutte,
scartate uova, mangiate cioccolato, colomba, e qualsiasi leccornia,
alla faccia della linea e delle modelle anoressiche! E se ve lo dice
una che pesa 43 kg e che mangerà come una morta di fame!
Ya-uuuuuuh! XD
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Capitolo 10 *** Capitolo 10. Dieci giorni per conoscerci. ***
Hopelessly devoted to you
Hopelessly Devoted To You
<3
Capitolo
10. Dieci giorni per conoscerci.
Lui.
L’aveva sognata.
Forse era colpa della febbre, forse di quella complicata situazione,
oppure era solo il fatto che gli mancava più di quanto
avesse
creduto e voluto, ma l’aveva sognata e non riusciva a
capacitarsi
di quanto nei suoi deliri onirici lei potesse apparire così
dannatamente sexy. Gli aveva sorriso per tutto il tempo, le labbra
gonfie e rosse come ciliegie, gli occhi azzurri vispi e pieni di
malizia, i lunghi capelli scuri sparpagliati sul suo cuscino, un
braccio pigramente piegato dietro il capo in una posa addirittura
lasciva, a lasciargli intendere come fosse disponibile ad essere
avvicinata, toccata, amata. Jace provò ad allungare una mano
a
sfiorarla, ma quella sensuale visione si dissolse al primo tocco. Il
ragazzo tornò ad aprire gli occhi e si scontrò
con la dura realtà:
non c’era Hannah, eccitante e sprizzante desiderio, accanto a
se,
ma sua madre, che tentava invano di sistemargli un termometro sotto
un braccio senza disturbarne il sonno.
-Oh no, accidenti ti
ho svegliato. Mi dispiace tesoro. Ti misuro la febbre e ti lascio
tornare a dormire, okay?- Mormorò Greta, con una mano gelida
ancora
sotto la felpa del ragazzo, intenta a sistemare il termometro, o
perlomeno a tentarci.
-Non voglio
riaddormentarmi…- brontolò lui, allontanandone la
mano con uno
scatto nervoso e sistemandosi da se il termometro prima di voltarsi
su un fianco, dandole le spalle. – Ho fatto un sogno
orribile.-
Mentì. Non era stato affatto orribile, ma lo faceva sentire
orribilmente. Si coprì con le coperte fin sopra le orecchie,
cercando di scomparire sotto il copriletto dai disegni geometrici, un
ipnotico motivo a zig zag dai colori vivaci.
La visione di
Hannah, così donna e così sensuale, era svanita
lasciando dietro se
solo una grande eccitazione, tanta confusione e una salutare dose di
vergogna. Jace si sentiva colpevole come se avesse profanato qualcosa
di immacolato, non poteva credere d’averla tirata dentro ad
uno dei
suoi sogni sbomballati dagli ormoni. Ma la cosa che non riusciva
proprio a perdonarsi era che una parte di lui desiderava che quel
sogno fosse reale, o che perlomeno che potesse avere anche una sola
opportunità di farlo diventare realtà.
-Non credevo avessi
ancora bisogno della tua mamma dopo un brutto sogno, non alla tua
età!- Greta rise canzonandolo, ma gli si sdraiò
accanto
carezzandogli la testa con fare dolce e consolatorio. Jace a quel
gesto sembrò voler sprofondare ancor di più sotto
le coperte.
Quelle carezze sapevano di punizione, poiché non
c'è nulla di
peggio della dolcezza quando ci si sente guasti dentro.
-Beh...Non era
esattamente un brutto sogno. Non chiedere altro. - Non poteva
parlargliene, anche se fino a quel momento le aveva sempre confidato
ogni pensiero e ogni dubbio che l'avesse sfiorato. Fino a quel
momento niente era mai stato troppo imbarazzante perché non
potesse
raccontarglielo. Non era solo l'imbarazzo a farlo tacere, era il
sentire quelle immagini come qualcosa di intimo, troppo personale
anche per riuscire a parlarne con lei. Non credeva che qualcuno
potesse comprendere con quale intensità queste si erano
andate a
fissare nella sua testa. Sperava si affievolissero, diventando
reminiscenza vaghe e evanescenti ma quelle, testarde, erano ancora
li. Ogni volta che chiudeva gli occhi la rivedeva, la sua figura
nitida e invitante come se fosse davvero davanti a lui.
-Oh! Abbiamo fatto
un sogno molto interessante allora! Sai tesoro, i sogni sono solo...
Sogni! Non è che debbano sempre avere un significato
nascosto.
Quindi di qualsiasi cosa si tratti non dovresti dargli troppa
importanza. Freud non può avere sempre ragione no?- la donna
si mise
a sedere, senza smettere di accarezzarlo. Jace ebbe la sensazione che
volesse in qualche modo cullarlo.- Dì, che ne dici di darti
una
rinfrescata? Ho la sensazione che riceverai visite. - Il ragazzo si
voltò a fissarla, corrugando la fronte, palesemente irritato
dal
solo pensiero di dover abbandonare il suo bel letto comodo. Le tese
in malo modo il termometro. Greta lo prese delicatamente tra pollice
e indice, storcendo il naso. - Ahi! Trentanove gradi tondi tondi. Non
ci facciamo mancare niente, vedo. Beh...- sospirò. -
Potresti almeno
lavarti la faccia!-
-Perché dovrei
farlo? Sto male, ho il sacrosanto diritto di puzzare come una capra!-
Replicò lui, scocciato. - E perchè dovrei farlo
per Seth e Jem?
Sono gli unici che verrebbero a trovarmi.- Chiese ancora, tornando a
voltarsi. Non aveva voglia di vedere i ragazzi. In realtà
non aveva
voglia di vedere nessuno che non fosse Hannah, nonostante le immagini
di quel sogno lo facessero impazzire.
-Non parlo di loro!
Okay, non volevo dirtelo, volevo che fosse una sorpresa ma... Non
riesco a trattenermi: non indovinerai mai chi è passata in
infermeria stamane! No dico, non lo indovinerai mai! É
stata... - Ma
fu bruscamente interrotta sul più bello, un attimo prima che
potesse
arrivare al dunque.
-Mamma, non mi
importa. Per favore, voglio solo riposare. Da solo! -
Sbottò,
interrompendola bruscamente. La febbre lo rendeva oltremodo
indisponente.
-Va bene, va bene!
Me ne vado! Dio, che caratteraccio! Quando arriverà, non
dire che
non ho cercato di avvertirti! Ragazzino impertinente!- Greta se ne
andò, sbattendosi la porta alle spalle, imbufalita. Jace non
se ne
diede pensiero, probabilmente, pensò, la cosa che davvero
doveva
averla irritata era il non aver avuto la possibilità di
raccontargli
le sue piccole grandi novità.
Ritrovandosi
nuovamente immerso nel silenzio, la sua mente riprese a macinare un
pensiero dopo l'altro, risvegliandosi dal torpore. Cercò
mille e una
motivazioni che potessero spiegare il perché l'avesse
sognata.
Riuscì quasi a convincersi che era stato solo un caso, che
doveva
essere un disturbo passeggero che se ne sarebbe andato con la febbre,
che era tutta colpa delle insinuazioni di sua madre, di Jem e di
Daphne che gli riempivano la testa di stupidaggini. Ma Jace era
troppo sincero con se stesso per riuscire a imbrogliarsi a quel modo.
Decise che avrebbe dato tempo al tempo. Di certo Hannah non
si
starà precipitando qui per qualche linea di febbre,
pensò con
una punta d'amarezza, sempre che lo sappia. Avrebbe
avuto
tutto il tempo di metabolizzare l'accaduto, si disse ancora, e il
problema sarebbe scomparso da se. Mai parole furono
meno profetiche di queste!
Lei.
-Spero facciamo
aggiustare presto l'ascensore...- Ansimò Hannah, mentre si
accingeva
a salire l'ultima rampa di scale. In cima ad esse, illuminata dalla
luce giallognola di una lampadina, vedeva già la sua meta:
l'appartamento degli Stein. La madre di Jace, l'incredibilmente
giovane e avvenente Signora Stein, doveva credere che le avessero
giocato un brutto scherzo, perché erano passati
più di venti minuti
da quando l'avevano salutata al citofono, all'ingresso del palazzo.
Di certo non avevano preventivato di dover arrivare fino al
tredicesimo piano a piedi. Per Eleanor era stata una scoperta
sconvolgente.
-Non credo succederà
a breve. Dubito che possano permettersi una spesa simile, anche se
fosse divisa fra tutti gli affittuari del palazzo.- Replicò
la
governante, che mai avrebbe permesso alla sua pupilla di far visita
ad “un uomo”, che oltretutto abitava in un
quartiere a suo dire
malfamato, senza la sua supervisione. Purtroppo per lei l'ascensore
non funzionava da parecchio, come aveva potuto notare dallo spesso
strato di polvere che ne ricopriva le portine. Qualcuno ci aveva
addirittura scritto sopra qualche vlgarità rimuovendo
semplicemente
parte della polvere con un dito.
La donna, che non
era stata mai particolarmente atletica ed ora era appesantita dagli
anni e dalla grossa mole, aveva cominciato a mostrare segni di
affaticamento dopo la prima rampa di scale. Sollevando lo sguardo era
impallidita alla vista della spirale di scalini che dal basso del
primo piano sembrava prolungarsi all'infinito. Dopo un attimo di
smarrimento, ripresa in mano la situazione e prendendo a braccetto
la ragazza, molto stoicamente aveva ripreso la scalata con andatura
lenta, ma così lenta che Hannah si chiese se sarebbero
riuscite ad
arrivare in cima entro l'ora di cena. Ma finalmente erano là.
La porta di casa
Stein era davvero in pessimo stato. Una volta doveva essere stata
bianca, ma ora buona parte della vernice si era staccata mostrando le
venature del legno sottostante, e quella rimasta era diventata d'un
grigio che le faceva pensare al colore dello scarico di alcune
vecchie automobili.
-Aspetta a bussare,
Hannah.- La tata si poggiò ad una parete. Cercava, con
affannosi e
profondi respiri, di riprendere fiato e intanto rovistava nella sua
grossa borsa nera. Hannah sapeva di non dover ribattere. Non avrebbe
avuto senso, poiché Eleanor avrebbe preferito farsi
scorticare viva
che presentarsi con un solo capello fuori posto. Niente e nessuno
avrebbe mai potuto cambiare questo, tanto meno Hannah che sapeva bene
di non poter far altro se non aspettare che la donna si fosse ripresa
e resa nuovamente presentabile.
Dopo tanto cercare
tirò fuori dalla borsa uno specchietto, che Hannah fin da
piccola le
aveva sempre invidiato. Era un ovale di cui un lato era decorato con
intarsi in madre perla e smalto colorato che formavano un motivo
floreale. Un lavoro certosino dal risultato davvero elegante e di
classe. Anche in quell'occasione non potè impedirsi di
osservare
l'oggetto con ammirazione. Eleanor perse qualche secondo a rimirare
la proprio immagine nel piccolo specchio, sistemò con cura i
capelli, raccolti in un classico e austero chignon, e infine dopo
aver annuito soddisfatta alla propria immagine, lo infilò
nuovamente
nella borsa.
-Bene, ora puoi
bussare. - Si parò davanti alla porta, congiungendo le mani
e
contraendo il volto dai lineamenti rotondeggianti e morbidi in
un'espressione severa e rigida. Hannah si trattenne dallo sbuffare.
Non capiva perché la donna in situazioni simili preferisse
fare la
parte della governante arcigna e antipatica. Sapeva bene che nulla
era più lontano dall'essere vero e capiva che era il suo
modo di
proteggerla, allontanando chiunque potesse essere dannoso per lei,
anche se nel far ciò rischiava di rendersi antipatica e
Hannah
desiderava che tra la donna e Jace nascesse istintivamente una
simpatia reciproca.
Preso un profondo
sospirò, bussò alla porta. Immediatamente dopo
sentirono attraverso
il legno, che doveva essere più sottile di quel che
sembrasse, uno
scalpiccio e passi pesanti avvicinarsi alla porta. La maniglia si
mosse girando a vuoto, perché la porta non si
aprì. Continuava a
muoversi come una serpe ma sempre inutilmente.
-Accidenti!-
sentirono esclamare. - Hannah, sei tu? La serratura si è
bloccata,
abbi pazienza!- disse ancora la voce squillante e femminile di Greta.
-é la madre di
Jace.- Si affrettò a precisare Hannah, come se fosse
assolutamente
necessario. Un colpo secco e finalmente la porta si aprì.
***
L'appartamento degli
Stein sembrava essere piuttosto ben tenuto. Certo, grandi macchie
d'umidità davano un effetto maculato al soffitto, e la
tintura alle
pareti doveva essere passata da un bianco brillante ad un bianco
sporco nel corso degli anni, ma era comunque uno spazio ordinato e
pulito. Hannah osservò la tata guardarsi intorno, pronta a
cogliere
qualsiasi difetto o particolare: dello sporco accumulato in un angolo
magari, o ancora peggio qualche scarafaggio a testimonianza di quanto
fosse insalubre quel luogo. Ma non ne trovò.
Accanto alla porta
d'ingresso, cui lato interno era decisamente meglio tenuto e meno
rovinato di quello esterno, c'era una piccola cucina, dai mobili
bianchi e verdi, semplici e di scarsa qualità nonostante
anche
quelli fossero tenuti al meglio delle loro possibilità.
Davanti a
loro un piccolo salotto: un divano dal cuoio scuro nascosto sotto una
vecchia coperta in lana, una poltrona con poggia piedi, in un
tessuto sdrucito e scolorito, che forse tanti anni prima era stato di
un bel blu notte, e un televisore. In fondo alla stanza c'era una
porta chiusa.
Hannah vide le
spalle di Eleanor rilassarsi sotto il cappotto scuro. Con tutta
probabilità si era aspettata una vera e propria topaia.
Ritrovarsi
invece in un appartamentino quantomeno pulito, era un grande passo
avanti. Provò anche lei sollievo, se non maggiore, e per ben
altre
motivazioni.
Greta le fece
accomodare sul divano tutto bozzi, che di certo aveva visto tempi
migliori, ma tanto tanto tempo prima. Lei prese posto sulla poltrona,
sedendo proprio sul bordo della seduta, come fosse pronta a scattare
in piedi all'occorrenza.
-é un piacere
averti qui Hannah!- disse allungandosi a stringerle una mano come se
le fosse cara più di chiunque altro al mondo. - E lei deve
essere la
signora MacFie. Hannah mi ha detto che l'avrebbe accompagnata. Posso
offrirvi una tazza di caffè?- fece scorrere lo sguardo tra
le due.
Hannah si sentiva come pietrificata. Continuava a guardarsi intorno,
temendo di vedere spuntare Jace da un momento all'altro, e temendo il
giudizio che la tata se ne sarebbe fatta. Si limitò scuotere
il
capo, rifiutando il caffè. Anche la tata rifiutò,
e seppure lo fece
con gelida e calcolata gentilezza Hannah ne fu sollevata. Desiderava
disperatamente che la donna prendesse a benvolere Jace, ma capiva che
perché succedesse anche il contrario, la tata doveva essere
gentile
con sua madre, a cui lui teneva probabilmente più di
qualsiasi cosa.
-Mi dispiace non
potervi offrire qualcosa di meglio, ma non ho avuto il tempo di fare
la spesa. Non me la sentivo di lasciare Jace da solo. A proposito...-
Aggiunse, prima di alzarsi e raggiungere l'unica porta in fondo alla
stanza. Quando l'aprì Hannah potè vedere alle sue
spalle un
corridoio stretto e in penombra, e un'altra porta chiusa. -
…
vieni, ti porto da lui. É di pessimo umore, spero che
vederti gli
illumini la giornata.- Hannah fece per alzarsi, ma quando Eleanor si
schiarì la voce con un lievissimo colpo di tosse
ripiombò a sedere
con tale velocità da lasciare Greta interdetta.
-Sarebbe meglio se
il ragazzo ci raggiungesse qui in salotto, non crede? Sarebbe
più
conveniente.- Cominciò la governante, con serafica calma,
sebbene
Hannah sapesse dove voleva andare a parare. Greta si limitò
a
lanciarle un occhiata interrogativa.
-Forse, ma non
sarebbe meglio per Jace. Vorrei evitare che si stanchi e che la
febbre continui a salire.- le due donne si fissarono per qualche
istante, in assoluto silenzio, senza smettere mai di sorridersi a
vicenda con ipocrita cortesia. - Non si preoccupi.. -
Continuò poi
Greta -... Jace non avrebbe la forza di torcere un solo capello ad
Hannah, se è questo che teme. Non lo farebbe neppure se
potesse.-
Eleanor si alzò,
prima che potesse aggiungere altro. -Sarà bene che venga con
voi.
Dopo tutto, non ho ancora avuto il piacere di conoscere il
signorino,e se la montagna non va da Maometto...- Hannah la
fissò
interdetta, ma nascose bene la sua sorpresa. Non era più
sicura che
la tata volesse solo proteggerla. Sembrava piuttosto essersi
intestardita a fare di testa propria al rifiuto della Signora Stein.
-Sarà bene che lei
rimanga seduta qui.- replicò prontamente l'altra. - Jace ha
bisogno
di vedere Hannah, e solo lei. Conoscerà Jace un'altra volta.
Vieni
dolcezza. - Greta cinse le spalle della ragazza con un braccio,
spingendola oltre la porta, fino a quella alle sue spalle. Al solo
pensiero di trovarsi tanto vicino a lui, le parve che
inspiegabilmente il suo cuore perdesse un battito, oppure era solo la
consapevolezza di sapere che tra pochi istanti l'avrebbe rivisto, ad
elettrizzarla in quella maniera tanto inconsueta. Si sentiva strana:
era stupidamente felice, ma sentiva una sorta d'angoscia
attanagliarla insieme a paura e nervosismo.
-Mi dispiace, ma non
permetto ad Hannah di vedere un uomo nella sua stanza e per giunta da
sola. Cosa direbbe il Signor Barnes?- La tata non era donna che si
lasciasse intimorire o gettasse la spugna tanto facilmente,e
ribatté
alle parole di Greta alzando il tono della voce e gonfiando il petto.
Non solo non era tornata a sedere, ma le aveva seguite in corridoio.
Greta per tutta risposta la ignorò, come ignorò
le sue lamentele,
fu come se Eleanor non avesse pronunciato una sola sillaba. Hannah
sapeva che la situazione sarebbe degenerata velocemente. La Signora
Stein non era fintamente cortese, non si mostrava gentile solo per
salvare le apparenze, in poche parole non corrispondeva all'ideale di
persona educata che Eleanor aveva le aveva sempre inculcato,
nonostante fosse conscia che non si trattava di vera buona
educazione, ma più di far buon viso a cattivo gioco.
Qualcosa che
Hannah detestava con tutta se stessa, non le era consentito provare
antipatia per chicchessia e poterla esternare.
- Signora Stein! Lei
è incredibilmente maleducata!- Riprese Eleanor.
-Io? Non credo. Lei
semmai dovrebbe stare attenta a come parla. - Greta bussò
alla porta
della camera di Jace, ma dalla stanza non arrivò alcuna
risposta. -
Deve essersi addormentato. Entra comunque e sveglialo. Se non lo
facessi non me lo perdonerebbe mai, Hannie. Vieni.- Aprì la
porta e
la spinse dentro tanto velocemente che la tata non ebbe il tempo di
impedirglielo e la ragazza quasi non si rese conto di cosa era
accaduto. Si voltò di scatto, nel vano tentativo di
impedirle di
chiudere la porta quando ormai, avendo compreso le sue intenzioni,
era troppo tardi. Si trovò davanti soltanto la porta chiusa.
-Le ricordo che lei
si trova in casa mia, ho tutto il diritto di impedirle di mettere
piede in camera di mio figlio, se lo desidero. E per inciso, Jace ha
diciassette anni. É più vicino ad essere ancora
un bambino che già
un uomo. Si rende conto che le sue insinuazioni sono offensive?- La
porta chiusa se le impediva di uscire, non impediva certo alle voci
delle due donne di raggiungerla. Hannah sentiva chiaramente le parole
di Greta, che parlando con voce alta sembrava voler essere sicura che
lei potesse sentirla. Fu sorpresa nel sentir tardare le repliche di
Eleanor, che era ammutolita forse per la prima volta da quando la
conosceva. Sapeva che nessuno mai le aveva parlato con una
così
brutale sincerità. Forse nessuno intorno a loro era mai
stato
davvero sincero, spesso il confine tra la vera gentilezza e
l'ipocrisia era labile, difficile da individuare.
-Ma... Come osa?
Cosa le è saltato in mente? Hannah è una
signorina di buona
famiglia e rispettabile, non di certo una...- Eleanor sembrò
riprendersi, ma ebbe solo il tempo di farfugliare poche parole, prima
che Greta l'interrompesse irruentemente ancora una volta..
-Una cosa?- Hannah
quasi poteva figurarsela con le mani sui fianchi e il volto arrossato
per la collera. - Un'adolescente nel pieno di una crisi ormonale che
pensa solo al sesso proprio come mio figlio? Oh si! L'ho detto! E lo
ripeto!Sesso sesso sesso! Gesù! Non faccia quella faccia
sconvolta!
Hannah è un adolescente, non una cherubino asessuato!
Signora MacFie,
lei può venire qui, giudicarmi e giudicare casa mia con
quella sua
aria da snob con la puzza sotto il naso, e ci può insultare
entrambe e
nello stesso momento se vuole, ma non le permetto di insultare Jace.
É un bravo ragazzo, ed è rispettoso, al contrario
di qualcun altro.
Mi aspettavo più educazione dalla persona che ha cresciuto
un tesoro come
Hannah. E ora se permette preferirei tornasse in salotto, non le
permetto di immischiarsi in faccende che riguardano mio figlio.-
Eleanor ribattè qualcosa, ma Hannah non riuscì a
capire cosa,
poiché le voci delle due donne sembravano essersi
affievolite. Non
potè non pensare che Greta apparisse come una gattina del
tutto
indifesa, ma dentro avesse l'animo di una leonessa. Jace era
incredibilmente fortunato ad avere una madre così, non
potè fare a
meno di invidiarlo.
Tutto tornò
silenzioso, quello stesso silenzio era rotto però dal
respiro
affannoso di Jace, che ancora dormiva, neppure minimamente disturbato
dal fracasso che proveniva dal corridoio. Il suo sonno però
non
pareva dei più riposanti: era agitato. La ragazza
realizzò
improvvisamente di trovarsi davvero nella sua stanza, da soli. La
ragione le diceva di uscire immediatamente, inventare una scusa, una
piccola bugia non avrebbe fatto del male a nessuno. Ma sapeva che
Greta non si sarebbe fatta ingannare, e avrebbe finito per svegliare
comunque il ragazzo,e a quel punto si sarebbe sentita ancor
più in
imbarazzo, senza contare che se fosse uscita dalla stanza
probabilmente Eleanor l'avrebbe trascinata via senza darle la
possibilità di parlare con Jace.
Si voltò piano:
Jace stava rannicchiato in posizione fetale al centro del letto, che
essendo piuttosto grande, occupava una buona parte della piccola
stanza facendola sembrare ancor più piccola. Sembrava stare
rannicchiato su se stesso per riscaldarsi, e in effetti una delle
coperte era scivolata a terra. Gli si avvicinò camminando in
punta
di piedi, sperando di non trovare nulla sulla sua strada che se
calpestato producesse rumore. Il pavimento era ricoperto da una
moquette scura, e nella penombra del crepuscolo probabilmente non
sarebbe riuscita a distinguere nulla o quasi. Raccolse la coperta,
che era ancora morbida nonostante fosse piuttosto infeltrita, e la
distese su Jace, che si rilassò istantaneamente, distendendo
le
gambe e voltandosi sul lato opposto. Sul comodino accanto al letto,
si stagliava la sagoma di una lampada. Ne cercò a tentoni
l'interruttore e l'accese.
Quando la luce
elettrica gli illuminò il volto, il cuore di Hannah perse un
altro
battito. Per qualche motivo ai suoi occhi appariva più bello
di
quanto non fosse mai stato. Il sonno ne rilassava i lineamenti dando
loro maggior maturità e fascino. Hannah aveva sempre pensato
che
Jace fosse un bel ragazzo, quindi le era incomprensibile il
perché
il suo cuore battesse con tale forza da sembrare volesse scoppiare.
Era come se lo stesse guardando per la prima volta.
Provò il bisogno di
sfiorarlo,e preda di questo istinto sedette sul bordo del letto,
facendo bene attenzione a evitare movimenti bruschi che potessero
disturbarlo o peggio svegliarlo. Allungò una mano, ma quando
fu
abbastanza vicina ad una guancia, la ritirò con uno scatto e
si
guardò alle spalle. Quasi si aspettava che la tata
irrompesse nella
stanza, ma ovviamente non successe nulla di tutto ciò.
Prendendo un
profondo respiro, allungò nuovamente la mano, fino a
sfiorarlo
appena con la punta delle dita. Al tatto bruciava per la febbre e le
gote erano ispide. Se ne sorprese, e un attimo dopo si diede
dell'ingenua. Era ovvio che Jace dovesse avere la barba come
qualsiasi altro uomo. La sensazione pungente della sua barba corta e
dura contro la pelle della mano era lievemente fastidiosa, ma non
abbastanza da farle ritirare la mano e smettere di accarezzarne il
volto, sempre delicata, sempre sfiorandolo appena appena con il
dorso delle dita.
Non voleva più
svegliarlo. L'unica cosa che avrebbe voluto era poter rimanere
così
per sempre, potersi lasciare andare e concedersi un momento di
tenerezza quando nessuno, neppure l'interessato, avrebbe potuto
vederla.
Lui
Jace continuò a
tenere gli occhi serrati anche quando sorridendo appena le disse
–
é proprio bello svegliarsi così.- Sapeva
a chi apparteneva la mano che continuava ad accarezzarlo ancor prima
di aprire gli occhi. La consapevolezza di trovarla al suo capezzale
lo riempiva di gioia, se ne sentiva rinvigorito. Il suo tocco
sembrava spazzare via anche la febbre. Poteva essere solo Hannah: sua
madre non l'avrebbe mai svegliato in quel modo, così nessuna
delle
ragazze. I gemelli gli avrebbero giocato un tiro meschino di quel
genere se avessero potuto, ma non avevano mani così morbide
e
neppure così piccole. Quando aprì gli occhi, in
un frullare di
ciglia, fu felice di scoprire che la sua intuizione era esatta.
Nonostante tutto fu felice che la prima cosa che vide al suo
risveglio fosse il suo volto.
-Ciao.- Aggiunse
poi, tirandosi su a fatica, tossendo con tale violenza da togliergli
il respiro. La ragazza aveva ritirato la mano e lo fissava con occhi
sbarrati. - é bello vederti. Allora, sei venuta a fare
visita al
moribondo? Giuro che non sono messo così male!-
-Ciao.- replicò lei
con un fil di voce, e la camera ripiombò nel silenzio dal
quale era
appena riemersa. Jace sapeva che doveva provare a comportarsi come se
nulla fosse successo per non metterla ancor più in
difficoltà, e
aveva cominciato bene per poi accorgersi che trovarsi faccia a faccia
non rendeva il compito facile. Le sorrise il più
sinceramente che
potè. Lei non aprì bocca però. Teneva
lo sguardo basso, come al
solito, le braccia incrociate strette strette al petto, rigida e
impettita, stoicamente pronta a fronteggiare qualsiasi cosa fosse
venuta. Jace cominciò a pensare che si vergognasse di essere
stata
scoperta nel prodigare carezze. In effetti sembrava stesse cercando
di nascondere le proprie mani, come un bambino le nasconderebbe dopo
aver rubato il vasetto della marmellata. Aveva rubato al tempo degli
istanti di tenerezza, e lo viveva come se avesse infranto un divieto.
Il ragazzo allungò
le mani,e quando fu vicino a sfiorarle il volto, lei scattò
in piedi
come punta da un ago.
-Mi dispiace di
averti svegliato.- disse, chinando ancor più il capo. Poi,
nuovamente silenzio. Jace rise.
-Beh, come ho detto
è stato un bel modo di svegliarsi. Non mi è
dispiaciuto, credimi. E
se non mi fossi svegliato mi sarei perso ciò che sei venuta
a dirmi,
no?- si sforzava di mantenersi allegro come al solito, ma si sentiva
da schifo, al pari di uno straccio vecchio, e l'incertezza di lei
consumava goccia dopo goccia tutta la sua pazienza già
ridotta ai
minimi termini. Dimmelo! Pensava, e tanto era
assoluto il
silenzio nella stanza che gli pareva che i suoi pensieri
riecheggiassero nella sua testa fino a propagarsi per l'intera
stanza. Dimmelo e facciamola finita!
Non osava forzare la
mano e scoprire cosa avesse deciso di fare. Continuò a
fissarla, le
braccia conserte, il capo chino, le labbra serrate, che si schiusero
e tornarono a chiudersi celermente, come se avesse provato a dire
qualcosa ma senza riuscirci. Lei boccheggiava e lui aveva voglia di
urlare.
-Hannie... Perchè
non ti siedi?- Annuì, e tornò a sedersi. Dopo un
lungo sospiro
finalmente parlò.
-Io... Io sono
andata a trovare tua madre in infermeria, stamane. - A quelle parole,
Jace provò l'impellente desiderio di prendersi a pugni. Ecco
cosa
cercava di dirgli sua madre,e lui da emerito idiota non solo l'aveva
interrotta, ma l'aveva anche cacciata via. - E le ho chiesto se non
potessi avere la possibilità venire a farti visita. Jaquie
mi ha
detto che non stavi bene. Quindi... Ho pensato che...-
sembrò aver
perso il filo del discorso – che... Si, beh, che fosse il
caso di
venire a chiarire questa spiacevole situazione. Non che il fatto che
ti sia ammalato abbia qualche influenza. Cioè, si ne ha, ma
non nel
modo che credi.- si affrettò ad aggiungere. - Sono
così
dispiaciuta. Mi dispiace di aver aspettato tanto prima di sincerarmi
delle tue condizioni e mi dispiace di aver messo in dubbio le tue
intenzioni dopo che ti sei dimostrato tanto sincero. Volevo dirti
solo questo. - così concluse, aspettando una risposta con il
capo
incassato tra le spalle, cercando di rannicchiarsi su se stessa per
l'ennesima volta.
-Pensavo non mi
avresti parlato per mesi. - fu la sola risposta che ottenne.
-Non posso
nasconderti che ci ho pensato. Ma poi mi sono chiesta se non peccassi
di presunzione. Come posso pensare di giudicarti? Non posso dire con
certezza che sei completamente buono o completamente cattivo. Ora che
ci penso, non ti conosco abbastanza.- concluse, accigliandosi. Jace
allungò una mano verso il suo volto, sollevandoglielo
affinché
potesse guardarla dritta negli occhi.
-Hai ragione, non mi
conosci. E io non conosco te, ma sono sicuro che ti sia sentita in
obbligo di venire fin qui. Non ti sei mai sentita pronta, non di
certo dopo appena quattro giorni. - Hannah negò con un cenno
del
capo, ma non gli parve molto convinta.- Facciamo un patto: prima di
decidere se davvero vale la pena di fidarsi di me, dammi dieci giorni
a partire da oggi. Dieci giorni per conoscermi. Non sono tanti,e
probabilmente la febbre mi farà straparlare per la maggior
parte del
tempo... Beh, diciamo straparlare più del solito! Ma
così avrai
dell'altro tempo per pensarci, per capire se stai facendo la cosa
giusta. - Allontanò la mano dal suo volto e gliela tese. Per
un
istante temette che potesse andarsene senza dargli una risposta,
rifiutandolo senza possibilità d'appello. Si chiese se fosse
capace
di sopportarlo. Quella ragazza era entrata nella sua vita
così
lentamente e silenziosamente da non accorgersene quasi e ora gli
pareva di non poter più fare a meno della sua presenza.
Hannah fissò la sua
mano tesa, e dopo un istante che parve lungo come un anno intero, la
strinse con la sua. - Io... Accetto. Voglio darti dieci giorni per
conoscermi.-
L'angolo
dell'autrice.
Sono
davvero dispiaciuta di essere
sparita in questo modo.
Non
è una giustificazione ma ho avuto
un periodaccio, e tra esami della patente, esami universitari,
lezioni, studio, problemi familiari, malanni di stagione vari e altri
collegati all'ansia che per quanto mi sforzi di trovare la pace
interiore non mi abbandonano mai, non ho scritto una sola parola per
più di un mese. Alcune sere ho provato ad aprire il file di
questa
storia, ma mi ritrovavo a fissare la pagina bianca, senza alcuna
ispirazione, senza voglia di fare, con addosso solo tanta tanta
stanchezza e il morale sotto le scarpe.
Ma
questo non è tutto. Nel corso dei
mesi avevo scritto, anche se molto molto lentamente, 8 OTTO O-T-T-O
pagine. Che andavano solo revisionate e che sono andate perdute.
Perché da un giorno all'altro il file si è
danneggiato senza motivo
apparente, e non avevo aggiornato la copia di backup. Ho perso un
intero capitolo e buona parte della storia (che stavo revisionando),
in realtà avrei perso tutta la storia se non avessi fatto
una copia
del file nel mio hard disk esterno.
Mi
sento davvero afflitta, non so se è
una serie di sfortunate coincidenze o se è proprio sfiga
nella sua
forma più grandiosa. In ogni caso sono davvero stanca, non
ne posso
più, non passa giorno senza che non succeda qualcosa, che
non ci sia
un qualche problema o intoppo. E porca pupazza, la fortuna
sarà pure
cieca, ma la sfiga ci vede benissimo,e credetemi mi sta puntando!
Dopo
la prima settimana di Giugno
pensavo sarei riuscita ad organizzare il mio tempo in modo da avere
energie sufficienti per mettermi a scrivere la sera, possibilmente
con risultati soddisfacenti. Così speravo! Invece dopo una
settimana di paradisiaca calma, c'è stato un nuovo tsunami
di sfiga.
E te pareva! =_=” A parte il fatto che ho dovuto ricominciare
da
capo un intero capitolo, e io sono piuttosto lenta nello scrivere,
sono sbucati fuori una miriade di guai e imprevisti, e riuscire a
riprendere a scrivere BENE e COERENTEMENTE rispetto alla storia e ai
personaggi mi sembra davvero un miraggio. Infatti siamo già
a Luglio
e fino ad ora ho combinato davvero poco.
E
ora annunci ufficiali:
A
KELLINA:
sono più che mortificata
per non aver votato la tua storia (bellissima andate a leggerla qui!)
al concorso sulle storie originali. Ammetto con vergogna che me ne
sono proprio dimenticata, con tante cose per la testa in quel
periodo. Quando ho visto che “Quel che conta” non
ha passato la
prima fase ci sono rimasta malissimo, ma proprio tanto. Mi sono
sentita colpevole, perché forse il mio voto poteva fare la
differenza. Non so davvero come scusarmi, e spero non ti
dispiacerà
se faccio pubblica ammenda.
A
cece: prima
o poi risponderò alla
mail, anche se con mesi di ritardo, giuro che lo farò...
ç____ç
Non prenderla a male se su msn non rispondo... Ho il pessimo vizio di
dimenticare messenger connesso anche quando non sto al pc...
Praticamente sempre!
prettyvitto : Cerco
di fare il
possibile,ma prometto che presto o tardi nonostante tutto
finirò
questa storia. Grazie per aver recensito. :-) Ho visto che hai
cancellato il tuo commento, suppongo sia perché la storia
è stata
ferma per vari mesi. Mi dispiace davvero tanto, ma come spero avrai
letto sopra, non è dipeso da me. Beh, non completamente!
Lea__91 : Come al
solito parto dai
ringraziamenti per i complimenti con cui mi inondi ad ogni capitolo.
Sempre troppo buona. :-) Spero questo ultimo capitolo per te non sia
stato una delusione, almeno non quanto lo è stato per me
scriverlo.
Ammetto che, vuoi per i motivi che ho elencato sopra e che mi hanno
tenuta lontana dalla scrittura per tutto questo tempo, ho perso un
poco di ispirazione,ed è stato difficile e un vero sforzo
portare a
termine questo capitolo, che io per prima trovo poco curato e per
nulla soddisfacente. Spero di riuscire a rimettermi in carreggiata,
anche se per me questo continua ad essere un periodo particolarmente
duro, per tante piccole brutte cose.
Dayan18 : Cara
Dayan, a te doppi
ringraziamenti. Per aver recensito qui (non farti alcun problema a
criticare o dare consigli, qui sono sempre ben accetti, anzi hai ben
ragione a farmi presente il problema della punteggiatura, tra me e le
virgole c'è un rapporto di amore e odio XD ) e per aver
recensito la
mia one-shot “Frammenti di te”, anche se l'ho
recentemente
cancellata. Spero che questo capitolo sia stato soddisfacente per te.
Certo non c'è stato ancora nulla di
“magico”, ma un ulteriore
avvicinamento tra i protagonisti è sempre meglio di niente,
giusto?
:-)
|
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Capitolo 11 *** Capitolo 11. Primi passi. ***
Hopelessly devoted to you
Hopelessly
Devoted To You <3
Capitolo
11: Primi passi.
Lei.
-Signor Barnes, non
è salutare che Hannah frequenti quella casa. La Signora
Stein
potrebbe essere un pessimo esempio per lei. La prego, per il suo
bene, le proibisca di frequentarla, lei e quel suo figlio.- George
fissò Eleanor al di sopra di una copia del New York Times.
Paese
diverso, stesse abitudini.
-Sta ingigantendo la
cosa Eleanor. Ho avuto modo di scambiare qualche parola con la
Signora Stein, e non ho notato nulla di tutto ciò di cui lei
si
lamenta. Certo, con me non è stata neppure lontanamente
cortese, ma
Bert dice che è una donna esemplare seppure piuttosto
eccentrica e
devo ammettere che talvolta è divertente pur essendo
totalmente
prima di humor inglese. Ammetto che sia fin troppo schietta, ma sono
sicuro che c'è stato solo un fraintendimento tra voi. Non
vedo
proprio come potrebbe nuocere ad Hannah. Anche se volesse farlo poi,
non ne trarrebbe alcun beneficio. - Eleanor si mosse le labbra con
forza, l'unico modo che conoscesse per sfogare tutto il suo
disappunto alla reazione del padrone di casa. - Sono felice che lei
continui a tenere ad Hannah come se fosse figlia sua e a prendersene
cura, ma dobbiamo lasciarle un po' di respiro. Mi sono accorto che
è
molto più felice da quando siamo qui.- Hannah
squittì dalla
sorpresa da dietro la porta dello studio di suo padre, dove si era
fermata ad origliare la loro conversazione e a spiarli attraverso la
porta socchiusa. Sapeva benissimo di non aver alcun diritto di stare
li, e che ascoltare i discorsi altrui era certamente quanto di meno
educato potesse fare, ma quando passando per il corridoio aveva
sentito pronunciare il suo nome, per qualche motivo non era riuscita
a proseguire fino alla propria stanza. I suoi piedi si erano
rifiutati di muoversi e andare oltre quella soglia e così si
era
fermata ad ascoltare, convinta che se si fosse mossa il meno
possibile e se non avesse fatto alcun rumore non si sarebbero accorti
della sua presenza. Si fece scoprire alla prima occasione.
La tata non voleva
che lei vedesse Jace... Questo la rese terribilmente triste. Non le
avevano mai proibito di frequentare nessuno, forse perché
non aveva
mai avuto nessuno da frequentare. La cosa più sorprendente
era però
che suo padre insistesse perché lei fosse libera di
frequentarlo.
Era un evento che aveva del sovrannaturale. Forse era il segnale che
la fine del mondo era vicina. Al 2012 mancava poco più di un
anno in
fondo.
-Hannah, non sta
bene origliare, entra.- La ragazza, maledicendosi per essersi fatta
scoprire così facilmente, fece come ordinato:
aprì la porta e
scivolò all'interno della stanza, richiudendosela alle
spalle. - La
tua tata insiste nel dire che non dovresti più vedere gli
Stein. Pur
trovando il ragazzo privo di particolari doti, mi pare che da quando
lo frequenti ti sia fatta molte nuove amicizie. Ti vedo spesso girare
per i corridoi con la figlia di Bud Salenti e la figliastra di...
Come si chiama... Ah, ecco, di Simmons.-
-Già... Jaquie e
Rose.- mormorò mentre avanzava fino alla scrivania del
padre. - Sono
simpatiche... Anche Daphne lo è.- Aggiunse, e intanto si
chiedeva
come non vedere tutte le qualità di Jace, che erano
così lampanti
per lei. - Papà... Non proibirmi di vedere Jace...- disse in
un
sussurro. Non ricordava d'aver mai osato tanto. In effetti non aveva
mai fatto una richiesta del genere prima di allora. Non ne aveva mai
avuto bisogno. Non aveva mai tenuto tanto a qualcuno.
-Non te lo
proibirò,
non preoccuparti. Anzi, visti i risultati dovresti continuare a stare
a contatto con il ragazzo, e ancor di più con sua madre. -
sorrise.
Aveva abbassato il giornale e aveva sorriso. Hannah non ricordava
d'averlo mai visto sorridere in quella maniera. - Eleanor mi ha fatto
notare quanto sia impulsiva. Non posso darle completamente
torto, ma nonostante ciò è di sicuro un ottima
persona. - Non
riusciva a credere alle proprie orecchie. George, che non si era mai
interessato a ciò che lei faceva, delegando ogni decisione a
Eleanor, ora si dimostrava interessato alle sue amicizie e a quanto
potessero essere proficue per lei. Era un paradosso, un vero
paradosso. Aprì bocca per chiedere spiegazioni, ma si disse
che non
era saggio forzare il fato: fino a quel momento era stata fin troppo
fortunata.
Era tornata da poco
dalla visita a Jace, che aveva avuto esito relativamente positivo:
non solo non l'aveva respinta ma voleva vederla ogni giorno se
possibile, finchè era costretto a letto dalla febbre. E
voleva
conoscerla meglio. A lei pareva si fossero detti l'un l'altro tutto
l'indispensabile, anche se riconosceva che non erano mai entrati nei
particolari di alcuna questione. Coltivare delle amicizie si stava
rivelando molto più complicato ed impegnativo di quanto
avesse mai
creduto. Era felice di avere l'opportunità di fare tutta
quella
fatica.
-Io... Papà...
Grazie.- cominciò ad indietreggiare verso la porta. - Vado a
finire
i compiti prima della cena. - Prima di uscire dallo studio
lanciò un
occhiata alla tata. La fissava con un misto di rancore e tristezza.
Hannah si chiese se non si sentisse scavalcata o messa da parte a
favore di una semi sconosciuta che oltretutto aveva avuto l'ardire di
comportarsi in maniera così maleducata, mettendo in dubbio
le sue
capacità di educatrice. Le si spezzava il cuore, ma non
riusciva a
rinunciare neppure all'idea di poter godere della compagnia di Jace
per non fare un torto alla sua tata. É questo che
si prova quando
si vuole davvero bene ad un amico? É normare diventare tanto
egoisti? Si domandò, mentre lanciava un ultimo
sguardo alla
donna prima di chiudersi la porta alle spalle. Non riuscì a
darsi
una risposta. Si disse che avrebbe dovuto chiedere alle ragazze
l'indomani, alla pausa pranzo.
In ogni caso, era
felice. Felice che suo padre le permettesse contro ogni previsione e
contro l'opinione di Eleanor di vedere ancora Jace, il che equivaleva
ad averle dato ufficialmente il suo consenso perché lo
frequentasse
anche al di fuori della scuola, proprio come faceva con le ragazze,
proprio come fanno i veri amici. Era troppo euforica per chiedersi a
cosa fosse dovuto quel cambiamento radicale. Aveva sempre creduto che
George provasse una certa antipatia per il ragazzo. Il sabato
precedente non si era mostrato troppo felice quando aveva saputo che
tra i presenti ci sarebbe stato anche Jace. Ma anche il comportamento
contraddittorio di suo padre passava in secondo piano in quel
momento, insieme a tutto il resto. Ora che aveva l'approvazione
paterna si sentiva libera da un peso che non si era accorta di
portare. Pensava a quanto il ragazzo sarebbe stato felice nel vederla
tornare il giorno dopo, proprio come le aveva chiesto quando sulla
porta di casa l'aveva stretta forte. Al solo pensiero delle sue
braccia che la stringevano si sentì andare a fuoco, il suo
cuore
cominciò una corsa folle, lo sentiva scender giù
nello stomaco e un
istante dopo risalire fino in gola, a mozzarle il fiato, come se
fosse finito su un'altalena. Era una sensazione esaltante.
Lui.
Jace aveva dormito
malissimo quella notte. Continuò a rigirarsi sotto il peso
delle
coperte senza riuscire a trovare pace. Si disse che forse aveva
dormito troppo durante il giorno e poi la tosse, il naso che
continuava a colare la febbre e... No! Sapeva benissimo che la sua
insonnia era dovuta perlopiù all'impazienza. Continuava a
pensare a
cosa chiederle: di Hannah voleva sapere tutto, e non riusciva ad
aspettare fino a quel pomeriggio. Ma soprattutto provava una morbosa
curiosità riguardo a ciò che era stata in passato
la sua vita
sentimentale. Lei era così timida che non si sarebbe
sorpreso nello
scoprire che aveva un ragazzo a Londra di cui non aveva parlato a
nessuno. Magari un matrimonio combinato? No, troppo romanzesco. Ma se
fosse sbucato per davvero un ipotetico fidanzato, ne sarebbe stato
infastidito. Per qualche motivo trovava irritante l'idea che Hannah
potesse davvero avere o aver avuto qualcuno di
“speciale”.
Accolse con sollievo
il sorgere del sole, cui raggi, penetrando attraverso le avvolgibili
alla finestra, illuminarono la stanza di un bagliore rosato.
Perlomeno era già giorno. La casa era tremendamente
silenziosa a
quell'ora del mattino. Dopo un po' sentì i passi di sua
madre nella
stanza accanto. Per un po' tornò a regnare il silenzio, poi
nuovamente i suoi passi lungo tutto il corridoio fino alla sua
camera. La porta di aprì piano, e Jace volle sorprenderla
tirandosi
su a sedere. - Se sei venuta a controllarmi sappi che sono sveglio.-
Greta entrò nella stanza. Indossava un vecchio pigiama di
flanella
verde di almeno due taglie più grande del dovuto. A lei
piaceva
dormire comoda, ma non era raro che dovesse tenersi su i calzoni con
una mano mentre camminava. I capelli corti erano schiacciati su un
lato, mentre dall'altro erano arruffati come se avesse passato a
notte a tormentarli.
-Come mai già
sveglio? La febbre? La tosse? I quintali di muco che continui ad
espellere da quella proboscide che ti ostini a chiamare naso? -
Ironia mattutina. Jace sapeva che Greta sarebbe rimasta Miss Sarcasmo
fino a che non si fosse fatta la sua dose di caffeina. Meglio
assecondarla.
-Probabile...-
replicò lui, facendo spallucce. - Mamma anche se la mattina
sei
sempre adorabile, cosa ci fai già sveglia? Non hai chiesto
un giorno
di permesso?-
-L'abitudine. Io, al
contrario di qualcun altro, non passo la vita a dormire.- disse
lanciandogli un'occhiataccia. - Visto che quel qualcuno è
sveglio, è
meglio che prepari qualcosa per colazione.- Jace fece per aprir
bocca. - No, niente caffè per te!-
Lei.
-Hannie!Ciao!-
Hannah fu raggiunta da Rose mentre frugava con foga all'interno del
proprio armadietto.
-Ciao Rosie.-
salutò
senza sollevare il capo. Tra Hannah e Rosalie si era andato a creare
un legame del tutto particolare. Era molto diverso da quello che
aveva con Jaquie e Daphne. Si era affezionata a tutte loro nel
medesimo modo, e anche se del tutto inesperta in quel genere di
faccende, aveva capito che loro tre ormai erano diventate le sue
migliori amiche. Quando aveva bisogno di un consiglio pensava di
domandare a loro, se aveva un problema era a loro che si rivolgeva
per prime. E tra le tre, la prima tra tutte era senz'altro Rose.
C'erano tratti del loro carattere che le accomunavano e le avevano
avvicinate sempre più. Nella dolcezza di Rose Hannah aveva
trovato
affettuoso conforto, nella pazienza e nell'attitudine ad ascoltare
senza mai giudicare di Hannah Rose aveva trovato la confidente
ideale. Jaquie era troppo irruenta e impicciona, e spesso lei e
Daphne erano troppo prese dalla loro storia per concentrarsi davvero
su di lei, e Rose talvolta si era sentita il terzo incomodo,
nascondendo però con maestria quella brutta sensazione. Con
Hannah
aveva trovato un'amicizia sincera basata sul dare e ricevere.
Così
le aveva aperto il suo cuore senza riserve, e piano piano Hannah
aveva cominciato ad aprirle il suo. Ed erano cominciate le telefonate
giornaliere, ogni sera dopo cena si chiamavano a turno. Un enorme
divertimento per Hannah, che aveva sempre associato il telefono alle
lunghe e tediose telefonate dei nonni o quelle di lavoro di suo
padre.
Anche la sera prima
le aveva telefonato per raccontarle che era stata da Jace e come
erano andate le cose. Era strano per lei parlare così
apertamente
con qualcuno. Avrebbe voluto comportarsi nello stesso modo con Jace,
ma non le riusciva. Questo l'aveva aiutata a capire che Jace non era
solo un amico, ma ancora non sapeva come doverlo classificare.
-Non è possibile!
Non riesco a trovare l'album per schizzi. Eppure ieri l'ho riposto
proprio qui, esattamente tra il libro di storia e quello di
spagnolo.- asserì convinta, chiudendo lo sportello
dell'armadietto
con insolita stizza. - Credi che me l'abbiano rubato? Sarebbe
tremendo!-
-Dovresti andare a
reclamare in direzione. Sai che non è la prima volta che
capita?
Pare che alcuni lucchetti siano difettosi e che qualcuno si diverta a
svuotare gli armadietti per gioco.- replicò Rose, mentre si
incamminavano con calma verso l'aula di Inglese. - Lo scorso anno ad
una ragazza hanno rubato la tuta dall'armadietto della palestra e
l'hanno appesa all'asta della bandiera.- lo raccontò con
voce
sommessa e tono allarmato, come se il solo parlarne avrebbe portato
ad un'altra catastrofe simile.
-Sul serio?
Terribile!- sospirò l'altra. Quell'album era come un diario
segreto
per Hannah. Ogni disegno, che fosse frutto della propria
immaginazione o meno, aveva un significato e celava tutti i suoi
pensieri più nascosti. Inoltre vi aveva abbozzato giusto il
giorno
precedente degli schizzi molto importanti, a suo dire fondamentali.
Era un enorme perdita per lei, in tutti i sensi. - Rosie... Posso
farti una domanda... Ahm... personale?- La ragazza annuì
corrugando
la fronte. - é da ieri che ho questa continua tachicardia, e
a
momenti sento caldo, davvero tanto caldo. Credi sia normale?- Rose
scoppiò a ridere.
-E questa sarebbe
una domanda personale?- Hannah sospirò, prima di risponderle.
-Mi preoccupa sai
Rose. Capita che io pensi a... Qualcuno... Ed ecco che il cuore
comincia a battere fortissimo. Volevo sapere se tu... Seth... Voglio
dire, se provi lo stesso per Seth.- disse tutto d'un fiato, prima che
potesse mancarle del tutto il coraggio. Rose arrossì al solo
sentire
quel nome. Oh si, aveva confidato ad Hannah persino della sua
infatuazione per il timido e sensibile Seth, spinta dal fatto che, al
contrario di Jaquie e Daphne, la ragazza non si sarebbe mai messa in
mezzo in una faccenda che non la riguardava. Certo l'aveva sorpresa
chiedendole perché non gli avesse confessato i suoi
sentimenti. A
rigor di logica, diceva Hannah, se ci si innamora di un ragazzo, lui
dovrebbe esserne messo al corrente. Ma Rose le aveva spiegato che
amore e logica non vanno mai di pari passo, e che in realtà
l'amore
è più complicato di quanto lei non credesse. -Quando
capiterà
allora capirai!- aveva aggiunto. Hannah forse cominciava a
capire.
-Beh... Si, in un
certo senso. Quando penso a lui sento un nodo in gola, e il cuore
quasi scoppia. Ma non è un batticuore continuo e duraturo,
se è
quello che intendi.- Hannah annuì.
-é proprio quello
che intendevo. - mentì -Forse dovrei fare una visita
medica.-
soggiunse, sospirando mestamente per l'ennesima volta.
Perchè il suo
corpo continuava con quelle reazioni inconsulte e incontrollabili?
Cosa stava cercando di dirle? La sua mente e il suo corpo sembrava
stessero complottando contro di lei. Volevano farla diventare
matta. Non era pronta ad ammettere che qualcosa la stava cambiando,
non con gli altri e tanto meno con se stessa.
-Perchè non provi
a
chiedere a Daphne? Sua madre è un cardiochirurgo. Sono
sicura che ti
consiglierà un bravo dottore o se sei fortunata
troverà il tempo
per riceverti. É un medico molto capace, e soprattutto
è sempre
molto disponibile.-
-Credo tu abbia
ragione. Chiederò oggi stesso. A proposito, come mai
né lei né
Jaquie sono con te?- Domandò guardandosi intorno. Non si era
ancora
accorta della loro assenza.
-Oh, mi hanno
chiamato stamattina, hanno deciso di partire, di allungare il week
end insomma. Ogni tanto capita che decidano di fare una vacanza fuori
programma.- Sorrise trasognata e Hannah le sorrise di rimando.
-Deve essere
bello...- Mormorò sorridendo dolcemente.
-Bello cosa?- fece
l'altra.
-Avere un rapporto
come il loro. Ammetto che non credo gradirei romanticherie come fughe
d'amore, cene al lume di candela o simili. Però mi sembra
che avere
accanto qualcuno e sapere che non ha intenzione di abbandonarti sia
bellissimo.- Rose le sorrise, allungando una mano ad accarezzarle il
volto.
-L'avevo detto alle
ragazze che avresti capito da sola.- Hannah sollevò lo
sguardo,
incrociando il suo. Non capiva cosa volesse dire. - L'hai capito
sabato? Le ragazze non vogliono che si sappia, per tanti motivi che
sono sicura capirai da sola. Ma a te volevano dirlo, sul serio. Ho
detto loro che secondo me avresti capito da sola, proprio come ha
fatto Jace. Ed infatti eccone la conferma.- Prima che Hannah potesse
risponderle si infilarono all'interno dell'aula ancora deserta.
Presero posto e Hannah perse del tempo a si sistemare con metodica
precisione una penna e un quaderno sul banco, poi finalmente le
rispose.
-Non è stato
sabato. Sabato è stato... Potrei dire che è stata
una conferma. Ho
solo notato dei piccoli particolari e poi li ho collegati insieme.-
Scrollò appena le spalle. Non le pareva di aver fatto
chissà quale
strabiliante scoperta. Jaquie non faceva poi molto per nascondere i
suoi sentimenti, o se ci provava non le riusciva affatto bene.
-Ad essere sincera,
credevamo saresti stata sconvolta.- Ammise candidamente la ragazza, a
cui Hannah rispose ancor più candidamente.
-Perchè mai?
Suppongo ci si innamori a prescindere da tutto, compreso il genere. -
Sorrise dolcemente e abbassò il tono della voce, tanto che
Rose si
dovette chinare appena per poterla sentire meglio. Sembrava stesse
per confidarle un grande segreto. - Sai, una persona molto vicina
alla mia famiglia è omosessuale. Siamo stati persino al suo
matrimonio, qualche anno fa. Beh, al corrispettivo di un matrimonio
civile tra persone dello stesso sesso o quel che è... In
ogni caso,
non ho mai visto due persone più felici ed innamorate.
Purtroppo è
finita male, ma in ogni caso è quello che ho rivisto in
Jaquie e
Daphne. La stessa devozione. - Rose non potè che sorriderle
raggiante, non riuscì a dirle quanto le desse piacere
scoprire che
era immune da quella orribile forma di razzismo che è
l'omofobia. La
classe cominciò a riempirsi velocemente. Nel giro di pochi
minuti,
con l'arrivo del professore, cominciò anche la lezione.
***
Le lezioni del
mattino erano volate vie. Si era concentrata al massimo su ogni
materia per impedirsi di avvertire il tempo scorrere troppo
lentamente, altrimenti le sarebbe parso che la fine delle lezioni non
sarebbe arrivata mai. Così facendo invece pareva avesse
premuto
sull'acceleratore, e in men che non si dica si era ritrovata seduta
al solito tavolo della mensa accanto a Rose. Aveva addirittura un
insolito appetito.
-Hannie, visto che
ora siamo sole... Come mai ieri hai saltato la pausa pranzo? Abbiamo
sentito dire che hai saltato anche l'ora successiva e che ti hanno
visto uscire dall'infermeria. É vero? É successo
qualcosa?- Chiese
con tanta premura che Hannah non ebbe nessun imbarazzo nel
risponderle sinceramente. In effetti la sera prima era stata
così
impegnata a raccontarle di Jace che si era completamente dimenticata
di dirglielo.
-In realtà si, ci
sono stata. La Signora Stein è davvero... Come
dire...Particolare.
Sono andata a chiedere di Jace, e a chiederle se non fosse possibile
fargli visita.- La sua voce era andata assottigliandosi pian piano,
tanto che alla fine Rose ebbe qualche difficoltà a
comprenderla. Era
imbarazzante raccontarlo, e ancor più imbarazzante
comprendere che
in realtà non aveva fatto nulla di vergognoso. Nessuna delle
ragazze
si sarebbe mai creata alcun problema al suo posto.
-Ecco perché sei
andata a trovare Jace! Mi sembrava strano che gli avessi fatto
un'improvvisata, non è da te.- Commentò l'altra
felicemente. Fu
allora che Hannah sentì il bisogno insopprimibile di farle
una
confessione.
-Mi dispiace di non
avervelo detto. Ma avevo il timore che Jaquie... Non fraintendermi,
mi sono affezionata e le voglio un gran bene, e anche a Daphne e a te
di certo, ma era qualcosa che dovevo fare da sola. Non volevo si
intromettesse, anche se sono certa l'avrebbe fatto a fin di bene.- Si
affretto a specificare, imbarazzata al dover esternare uno dei
difetti più evidenti dell'amica. Rose rise.
-Invece hai
perfettamente ragione, è un'impicciona della peggior specie!
Ma come
dici tu è convinta di fare del bene.- sospirò. -
Come tra Seth e
me.- Concluse. Il suo tono era un misto di noia e rassegnazione, il
che non le impedì di arrossire violentemente.
- Scusami Rosie, ho
detto forse qualcosa fuori luogo, io mi...-
-No no, non
scusarti. Hai proprio colto nel segno. É che si diverte un
mondo a
intromettersi negli affari amorosi degli altri, visto che lei
è già
bella che sistemata. Crede che io sia troppo timida e che non possa
farmi avanti senza una spintarella da parte sua.- Si zittì
per un
istante prima di sollevare gli occhi dal proprio piatto e piantarli
dritti in quelli di Hannah. - Secondo te, davvero sono troppo timida?
A volte sono così vicina a fare il primo passo che ne sono
terrorizzata. Ma Seth mi piace davvero. Ormai è un anno che
ci giro
intorno, forse dovrei darmi una mossa. Per una volta Jaquie potrebbe
avere ragione.- Storse le labbra in una smorfia. - Sarebbe
terrificante, continuerebbe a rinfacciarmelo per anni!- Rise,
tornando a fissare il proprio piatto.
Hannah non seppe
cosa risponderle in un primo momento. Dovette pensarci mentre
addentava una mela e masticava piano il boccone, cercando di
guadagnare tempo. - Non sono la persona adatta a cui porre una
domanda simile. Sono poco espansiva per natura e più timida
di te,
mi pare. Quel che per voi tutte è semplice e naturale come
respirare
a me costa un enorme fatica, quindi dal mio punto di vista, che
è
del tutto anormale, no non sei troppo timida. Io... Credo di capire
qualcosa che a Jaquie sfugge, mi sembra. Forse hai solo bisogno di
tempo. Tutti abbiamo tempi diversi nel fare qualcosa. Jaquie
è
impaziente e istintiva, tu invece sei disposta ad attendere per avere
occasioni migliori. - Rose annuì, fissandola con ancor
più
intensità di prima. Non l'aveva mai vista così
seria, ne l'avrebbe
più vista così in futuro. Pensò di
aver detto qualcosa che
l'avesse offesa.
-Come fai a
sembrare... No, ad essere tanto ingenua eppure tanto attenta a chi ti
sta intorno? Noti dei piccoli, infinitesimali particolari che nessun
altro riesce a notare. Come è possibile? Se non ti
conoscessi, direi
che sei un'attrice da Oscar e fino ad ora ci hai preso tutti per il
naso.-
Hannah scrollò le
spalle, imbarazzata. Non aveva una risposta da darle. - Non lo so.
Potrei elencarti tanti luoghi comuni come “gli artisti sono
capaci
di vedere ciò che gli altri ignorano” oppure
“ quando si cresce
da soli si ha tanto tempo per studiare gli altri”. Potrebbero
essere veri entrambi per me. Ma in realtà non ne ho idea.-
-Però non sembra
tu
sia molto interessata a quel che capita a te.- Replicò
l'altra.
Quell'affermazione sarebbe parsa accusatoria se fosse uscita da
un'altra bocca, mentre se era Rose a pronunciarla con il suo tono
tono gentile non era altro che un'innocente constatazione. Seppure
rabbonita dalle maniere dell'amica, la ragazza ne fu colpita.
-Ma no... Non mi
pare. É che non mi capita niente di interessante. - Rose
scoppiò a
ridere.
-Ah certo, perché
trasferirsi all'altro capo del mondo, e per giunta a New York
nell'Upper East Side, essere letteralmente accerchiata da tre pazze
che non ti danno tregua, ed essere la preferita di uno dei ragazzi
più popolari della scuola, non è per niente
interessante! Vedi, ho
ragione. Gli artisti sono sempre troppo impegnati a guardarsi intorno
per guardarsi dentro.- le disse infine, con un tono allusivo che la
ragazza, pur essendo totalmente priva di malizia, riuscì a
cogliere
all'istante.
La campanella
suonò,
togliendola dall'impiccio di rispondere. Mentre si alzavano,
arrossendo mormorò alla compagna – Rosie, stasera
io torno da
Jace. E voglio andare da lui finché ne avrò la
possibilità. Forse
sarò indiscreta, ma lo devo fare. Secondo te, questo
è un primo
passo?-
-Dipende da cosa o
chi vuoi raggiungere, Hannie. -
Lui.
Continuò a
guardare
la sveglia sul comodino per un bel pezzo. Mancavano esattamente due
minuti alle diciotto e di Hannah neppure l'ombra. La giornata l'aveva
trascorsa facendo la spola tra letto e divano, prendendo medicine,
soffiandosi il naso, cercando di guardare un film o di leggere un
libro, e poi di schiacciare un pisolino, il tutto intervallato da due
pasti e uno spuntino, preparati amorevolmente dalle mani di sua
madre, che aveva preso un giorno di permesso dal lavoro per accudirlo
e darsi alla cucina salutista: nel suo caso equivaleva a preparare
verdure lesse ed insipide in grandi quantità. Niente di
tutto questo
era riuscito a dargli sollievo. Specialmente non le verdure.
L'impazienza non
solo era rimasta ma si era intensificata. Alla fine, vinto dalle
medicine e dalla fatica, dato che quel costante stato d'agitazione
gli prosciugava le già scarse energie, si era addormentato
verso le
tre del pomeriggio, risvegliandosi solo due ore e mezza più
tardi,
minuto più minuto meno.
Dalla cucina
proveniva un silenzio tombale, segno che sua madre doveva essere
uscita, quindi Hannah non poteva essere in casa. Moriva di sete, la
gola era così arsa che ogni respiro gli raschiava la gola,
quindi
seppur riluttante, si alzò abbandonando il suo letto comodo
e caldo.
Infilò le pantofole e si mise una coperta sulle spalle,
l'avrebbe
coperto dal freddo e dagli spifferi del corridoio, che
attraversò il
più velocemente possibile.
Quando entrò nella
sala principale, rimase di sasso: Hannah non solo era in casa, ma se
ne stava seduta al tavolo della cucina, a sfogliare vecchi album di
fotografie. Ci impiegò meno di un istante a realizzare che
l'album
che la ragazza sfogliava al momento era quello che conteneva tutte
quelle foto imbarazzanti e prive di senso che i genitori, per una
sorta di perverso feticismo, si ostinano a scattare ai propri
pargoli, mostrare a chicchessia e conservare gelosamente come se
fossero un tesoro. Quelle foto lo mettevano a nudo, nel vero senso
della parola: sua madre, quando era un povero bimbetto incapace di
ribellarsi a quell'atroce tradizione, adorava fotografarlo con le
chiappette all'aria... e non solo quelle. Bagnetto, cambio del
pannolino, sbrodolamenti di pappette e pioggie di spaghetti sulla
testa al tempo spelacchiata: tutto veniva immortalato per essere
tramandato ai posteri. Al solo pensiero rabbrividì: doveva
assolutamente toglierle quell'album dalle mani, prima che il danno
fosse irreparabile e posasse gli occhi su quelle immagini
raccapriccianti. Poi avrebbe provveduto a bruciarle, o perlomeno a
nasconderle dove sua madre non avrebbe mai potuto trovarle: il suo
armadio. Non l'avrebbe mai aperto, era rimasta traumatizzata quella
volta che aprendolo era stata letteralmente sommersa da uno tsunami
di vestiti, tutti sporchi.
Sembrava non aver
visto ancora nulla di troppo imbarazzante, in ogni caso. Appariva
tranquilla e stranamente a proprio agio nella loro cucina. Come se
quello fosse il suo posto e facesse parte di quella scena da sempre.
Non si era neppure accorta di lui,che nel vederla così
concentrata
non mosse un solo muscolo. Era sempre interessante osservarla nei
momenti in cui era più assorta. Era se stessa come non mai
quando si
tormentava una ciocca di capelli o come quella sera la punta della
treccia laterale con cui a volte raccoglieva i capelli, quando posava
il capo contro una mano, o le due dita sottili giocherellavano con
qualcosa. In più era strano vederla con addosso degli abiti
che non
fossero la divisa scolastica. Sopra il maglione portava una lunga
catenella d'oro che non le aveva mai visto portare prima.
-Hannie?- si decise
ad attirare la sua attenzione. Lei alzò gli occhi dall'album
al
volto di lui, arrossendo. Scattò in piedi come se le fosse
stato
ordinato di stare sull'attenti. - Non sapevo fossi qui.
Perchè non
mi hai svegliato?-
-Ciao Jace.-
mormorò
– Sono arrivata un ora fa. Tua madre mi ha chiesto di non
svegliarti, perché non hai passato bene la notte. - Si
voltò a
lanciare un occhiata alla pila di grossi album sul tavolo. - Quelli
credo me li abbia lasciati apposta, mi ha detto che mi aveva trovato
un passatempo mentre lei era via e tu dormivi. Suppongo fossero
quelli.- Precisò, a mò di giustificazione.
-Certo che li ha
lasciati di proposito!- Esclamò con voce roca, prima di
cominciare a
tossire violentemente. La tosse gli mozzava il respiro, gli occhi gli
si riempirono di lacrime, a momenti gli pareva di soffocare. Hannah
gli corse accanto, spaventata nel vederlo sforzarsi così per
riuscire a respirare. Si aspettava che lei gli battesse inutilmente
una mano sulla schiena, invece gli poso una mano sulla spalla e con
l'altra cominciò a massaggiargli la schiena con un movimento
circolare. Non alleviava di certo la tosse, ma era rilassante.
-Cerca di respirare
lentamente e a labbra socchiuse. Inspira ed espira Jace, inspira ed
espira...- Il ragazzo fece come detto, e lentamente cominciò
a
respirare più facilmente, mentre la tosse si faceva
più leggera. Il
naso era completamente tappato, e la gola gli doleva da impazzire, ma
perlomeno respirare ancora possibile.
-Okay... Okay...
Sono ancora vivo...Grazie...- Hannah lo prese per un braccio e
lentamente lo accompagnò fino al divano, mormorando : - La
tata lo
faceva sempre quando prendevo una brutta tosse. Non avresti dovuto
alzarti, comunque.-
-Ma avevo sete...-
Borbottò lui di rimando,imbronciandosi un po' avvilito e un
po'
infastidito.
-Ti porto dell'acqua
se mi dici dove trovare dei bicchieri.- si diresse verso la cucina
senza attendere risposta. Intanto Jace si sistemò la coperta
sulle
gambe. Stare sdraiato gli rendeva difficile respirare con quella
tosse, quindi si mise seduto.
-Sportello centrale.
Ci dovrebbe essere anche un pacco di fazzoletti, se fossi
così
gentile... Ah, l'acqua è nel frigorifero. - Si
voltò, riprendendo a
tossicchiare: vederla muoversi per la cucina era come avere visioni
di un improbabile futuro.
-Bevi piano, è
fredda.- gli raccomandò, porgendogli un bicchiere colmo
d'acqua poco
dopo. Jace lo prese con entrambe le mani, si sentiva così
debole che
anche un bicchiere d'acqua sembrava un peso insostenibile per una
sola mano.
-Grazie.- bevvè un
sorso d'acqua, godendo della piacevole sensazione del liquido fresco
che gli scorreva in gola. - Allora, visto qualche foto imbarazzante
in quegli album?- le chiese, riprendendo a bere. Fingeva noncuranza,
ma temeva d'essere arrivato troppo tardi.
-No, niente di
imbarazzante. Eri un bambino molto carino. - gli sorrise, porgendogli
i fazzoletti e sedendogli accanto, ad una ragionevole distanza.- In
una foto eri ricoperto di passato di verdura e avevi un piatto in
testa.- lo disse come se fosse la cosa più naturale del
mondo.
-E questo non ti
sembra imbarazzante?- chiese lui perplesso.
-No, mi sembra
adorabile. Io non ho foto del genere. In genere i miei genitori
pagavano un fotografo professionista perché una volta
l'hanno mi
facesse un book fotografico. Mia madre era uno storico come suo
padre, e in particolare studiava il periodo vittoriano. In breve, in
tutte le foto della mia infanzia indosso questi abitini d'epoca che
mi fanno sembrare una bambola. Questo è imbarazzante.-
sorrise
sarcastica, quasi a burlarsi di se stessa. - Ah! Tua madre e io
abbiamo avuto la stessa idea, sai? Purtroppo mio padre non ha voluto
portare con se nessuna di quelle foto, quindi ho solo questa.- alla
fine della catenella, Jace non l'aveva affatto notato, stava uno di
quei ciondoli in cui si possono inserire delle fotografie. Hannah lo
prese tra indice e pollice destro e con l'altra mano l'aprì.
Gli si
avvicinò, mostrando le due piccole foto: la prima ritraeva
una donna
d'una bellezza incredibile, ne fu talmente colpito che degnò
solo
d'un fugace sguardo la foto di una piccola e cicciottella Hannah
infagottata in un abitino tutto pizzi con tanto di cuffietta di pizzo
in testa. Non c'erano dubbi, era la madre della ragazza: avevano gli
stessi enormi occhi azzurri, pieni di sentimento e malinconica
rassegnazione. Le labbra erano simili, ma quelle di Hannah non erano
così carnose, così come i capelli, scuri come
l'ebano. Anche quella
foto sembrava essere stata scattata da un fotografo di professione,
perché la posa della donna ne metteva in luce i lineamenti
fini, il
fisico asciutto, il profilo perfetto, ma era palesemente innaturale.
La faceva sembrare in attesa di qualcuno che potesse trarla dal
grigiore e dalla malinconia della sua esistenza, con il capo sorretto
da una mano e il busto proteso in avanti. Forse nella foto originale
si poggiava ad un tavolino, ma non avrebbe saputo dirlo con certezza.
-Accidenti. Tua
madre era... Non ho parole, è una delle donne più
belle che io
abbia mai visto. Anche più di mia madre. Ma questo non
diciamoglielo! - le strizzò un occhio sorridendole
brevemente. -
Come si chiamava?- Per vedere meglio la foto si era chinato verso il
basso, ma essendo la posizione scomoda, aveva istintivamente posato
il capo sulla sua spalla. Non si era affatto accorto di come la
ragazza si fosse irrigidita a quel semplice gesto, finché
non
sollevò lo sguardo dal ritratto di Zara per guardarla in
volto. Era
arrossita, e se ne stava a fissare un punto davanti a se per paura di
abbassare lo sguardo e incrociare quello di lui.
-Zara... Si chiamava
Zara.- Rispose brevemente.
-Ti somiglia. Mio
padre si chiamava Jonathan. Per fortuna non gli somiglio per niente.
Abbiamo qualcosa in comune. Portiamo entrambi i nomi dei genitori che
ci hanno abbandonato.- Jace allungò una mano e prese il
ciondolo,
fissò ancora per qualche istante la splendida e triste Zara,
e poi
lo richiuse, posandolo nella mano di Hannah. - Come è morta
tua
madre? Mi hai detto che tuo padre è vedovo da anni.-
-Si è uccisa.-
Ciò
che più lo colpì fu il modo in cui lo disse, con
totale freddezza.
Si aspettava perlomeno della tristezza, o di notare un certo tremolio
o commozione nella voce, qualcosa che lasciasse trapelare i suoi
sentimenti, la sofferenza, o persino la rabbia.
-Lo dici con
un'indifferenza che mette i brividi.- Non poté trattenersi
dal farle
notare.
-Non me la ricordo
quasi, e subito dopo mi hanno affidato alla tata. Ricordo a malapena
il suo profumo e il fatto che non la vedevo sorridere quasi mai.
É
come parlare della morte di un'estranea.-
-Non sei arrabbiata?
Ti ha abbandonata. Non ti viene voglia di urlare quando pensi a quel
che potrebbe essere la tua vita se avesse avuto il coraggio di
continuare a vivere?- prese un fazzoletto dal pacco che aveva posato
sul grembo e si soffiò il naso rumorosamente, facendola
sussultare.
- Io lo sono stato per anni, e a volte lo sono ancora. Arrabbiato con
mio padre intendo.- aggiunse, osservandola dal basso. La ragazza
sospirò. Continuava ostinatamente a fissare il muro.
-No. La rabbia non
la riporterà in vita quindi che senso ha crogiolarsi nel
rancore?
Tuo padre e mia madre hanno deciso di andarsene in maniera
differente. Probabilmente sono solo diverse dimostrazioni di egoismo,
ma se tuo padre forse l'ha fatto per codardia, forse mia madre l'ha
fatto perché era infelice. E tuo padre probabilmente
è vivo da
qualche parte, la tua rabbia è quantomeno giustificabile. La
mia non
potrebbe esserlo.- Strinse le spalle. Forse cominciava ad abituarsi a
quell'imbarazzante posizione, perché si poggiò
piano allo schienale
del divano. - Ma a volte sento come un fastidio nei suoi confronti.
Mio padre si è rifugiato nel lavoro ignorandomi per la
maggior parte
della mia vita da quando lei è morta. Non ricordo come fosse
prima,
ma probabilmente sarebbe stato più presente se lei fosse
stata in
vita. Forse sarei stata più felice.-
-Ognuno reagisce al
dolore in modo diverso. Mia madre per esempio ha sviluppato un odio
feroce verso gli uomini che le ricordano mio padre. Se é
maturo,
riccho e affascinante non c'è storia, scarica sul
malcapitato di
turno tutto l'odio represso in questi anni. É strano che
abbia preso
così in simpatia Miller in effetti. Credo lo faccia
perché ha paura
di ricascarci, comunque.- commentò, soffiandosi nuovamente
il naso.
- E ci ricascherebbe! Ha un debole per gli uomini alla Richard Gere
in Pretty Woman.- le disse, ridendo.
-Certo che abbiamo
cominciato la nostra reciproca conoscenza partendo dai risvolti
più
dolorosi delle nostre storie personali.- Commentò lei,
chinando
finalmente lo sguardo verso il suo volto. Per un momento Jace
dimenticò cosa volesse dirle.
-Eh... - aggrottò
la fronte – é...Meglio così. - distolse
velocemente lo sguardo.
Cos'èra stato quell'attimo di tensione? Perché si
era come sarebbe
stato baciarne le labbra? Non poteva e non doveva pensarci. Mai
più.
- É un sollievo averne parlato subito, perché ora
possiamo passare
ad altro, concentrarci sugli aneddoti divertenti e imbarazzanti,
sulle figuracce... Soprattutto sulle figuracce! E sappi che ho
tantissimi aneddoti da raccontare. Come quella volta che chiesi alla
madre di Seth e Jem se i suoi figli erano dei cloni alieni!Questo
è
il meno ridicolo!- Hannah scoppiò a ridere, e l'atmosfera,
che da
triste e malinconica era diventata tesa e vibrante come la corda di
un violino, sembrò rilassarsi al suono della sua risata. -
Però se
un giorno vorrai parlarmene ancora, sai dove trovarmi.-
La ragazza annuì.-
Lo so, grazie. - Gli sorrise. - L'hai fatto davvero? Certo che ne
avevi di fantasia.-
-Certo che l'ho
fatto! A che pro mentirti? Se proprio dovessi montare i fatti lo
farei per apparire migliore non certo fare la figura dello scemo.- Si
lasciò scivolare verso il basso, all'altezza della spalla di
lei,
per maggior comodità. Improvvisamente si sentì
rilassato e
assonnato, ed era sul punto di crollare, quando lei gli chiese: -
Possiamo continuare a guardare le foto per favore? Vorrei continuare
a curiosare tra i vostri ricordi. Volevi che conoscessi tutto di
te...-
Come poteva dirle di
no? Era una logica schiacciante.
Greta.
Quando Greta
rincasò
fu accolta sul pianerottolo di casa dal silenzio più
assoluto. Al di
là della porta non proveniva un solo sibilo.
Pensò che Jace non si
fosse svegliato e alla fine Hannah, stanca di aspettare, se ne fosse
andata. Sbuffando di fatica, posò una delle pesanti buste
della
spesa che aveva trascinato per tredici piani, per infilare una mano
in borsa e estrarre le chiavi di casa. Aprì la porta, e la
socchiuse
soltanto, per avere il tempo di infilare nuovamente le chiavi in
borsa e caricarsi nuovamente della spesa. Spinse piano la porta.
Stava entrando in casa propria furtivamente, come una ladra,
perché
l'aveva sfiorata l'idea che quel silenzio forse era dovuto al fatto
che i ragazzi potevano essere impegnati in qualcosa di più
interessante delle chiacchiere. Si ritrovò invece a spiare
una
scenetta quanto mai tenera. Gli album erano stati spostati dal tavolo
della cucina ai piedi del divano, dove i ragazzi stavano seduti. In
realtà non si poteva dire che Jace fosse proprio seduto:
all'apparenza le dormiva addosso, con il capo comodamente poggiato
sulla spalla di lei, e si era raggomitolato contro il suo fianco,
come se anche nell'incoscienza del sonno continuasse a cercarla.
Hannah stava terminando di sfogliare uno dei raccoglitori, tutta
concentrata a non perdere neppure uno dei momenti che nel corso degli
anni lei era riuscita ad immortalare. Il suo cuore di mamma fremette
di gelosia: il giorno in cui il suo bambino avrebbe preferito
addormentarsi sulla spalla di un'altra persona, di un'altra donna,
era finalmente arrivato. Lo attendeva già da un po' e
improvvisamente era là, senza neppure darle il tempo di dare
l'addio
ai giorni in cui era l'unica donna della sua vita.
La gelosia e
l'angoscia però svanirono in un attimo. Era giusto che Jace
dovesse
scegliersi la propria strada e una compagna con cui percorrerla:
questo li avrebbe resi più distanti e al contempo
più vicini di
quanto non fossero mai stati. Il nido si sarebbe svuotato del suo
unico piccolo, ma lei non sarebbe stata sola, non più. Non
avrebbe
sofferto di solitudine. Sentì lo stomaco rivoltarsi
piacevolmente,
come se migliaia di farfalle l'avessero scelto come dimora. Le
farfalle nello stomaco. Dio, Greta! Sei alla frutta!
Pensò,
scuotendo il capo. Non riuscì a distogliere il pensiero da
quell'uomo in alcun modo.
Lei.
-Salve piccioncini!-
All'eclatante entrata di Greta, Hannah sussultò. Si rese
conto di
quanto potesse apparire compromettente quella posizione. Non era
scattata in piedi solo perché Jace dormiva così
bene che si sarebbe
sentita in colpa a svegliarlo.
-Sa-salve...Io...
Jace do-dormiva...e...Insomma...- farfugliò nel vano
tentativo di
formare una frase di senso compiuto. Da quando frequentava Jace le
capitava sempre più spesso.
-Oh... Ti si è
addormentato addosso. Aspetta...- Greta posò le buste
davanti
all'ingresso, chiudendo la porta a chiave. - Ora ti aiuto a liberarti
dal pachiderma.- le sussurrò facendole un occhiolino.
Lasciò che
Greta ne sollevasse piano il capo e lo facesse scivolare verso il
capo opposto del divano. Quando si alzò, sollevò
anche le gambe e
lo coprì per bene con la coperta.
-Credo gli si sia
alzata la febbre.- si preoccupò di riferirle immediatamente,
un po'
per reale premura nei confronti di Jace un po' per non dover
affrontare discorsi imbarazzanti. Greta posò una mano sulla
fronte
del figlio, annuendo.
-Hai ragione. Ora
preparo qualcosa per cena, lo imbottisco di medicine e lo spedisco a
letto.- disse, dirigendosi poi spedita verso la cucina. Prese il
telefono, posato sul tavolo, e lo portò ad Hannah. - Chiama
tuo
padre. Tuo padre, non la bambinaia, capito? Digli che rimarrai qui a
cena, e che dovrà mandare qualcuno a prenderti.- Hannah
prese il
telefono del tutto inconsciamente, per poi ritrovarsi a fissarlo come
se non sapesse cosa farsene.
-No... Non credo sia
una buona idea... Voglio dire, sono di troppo, lei deve già
pensare
a Jace...-
-Ti avevo detto di
chiamarmi Greta o mi sbaglio? Proprio perché Jace
è K.O., ho
bisogno di una mano per sistemare la spesa. Il minimo che possa fare
in cambio è offrirti la cena!-
-Va bene, se davvero
le serve una mano...- mormorò, sorridendole felice.- Se
posso essere
sincera, ho sempre desiderato farlo. Nei film sembra divertente, e in
casa non ho mai visto entrare un solo barattolo. A sei anni credevo
che il nostro forno fosse magico e i piatti uscissero da li
già
pronti.- ammise, facendo ridere Greta di tutto cuore.
-Okay, okay, allora
oggi faremo avverare il tuo sogno! Di solito le bambine sognano di
diventare principesse, tu invece preferisci fare la Cenerentola!-
disse, passandole uno dei sacchetti – Le verdure nel
frigorifero,
al resto ci penso io.- La ragazza annuì, infilando una mano
nella
busta per tirarne fuori una confezione di spinaci.
La verità era che
mai, in nessun film, neppure per un secondo sistemare cartoni di
latte e scatolette le era parso anche solo vagamente divertente. Era
affascinata dal gesto in se, anche se noioso e banale,
perché
implicava una grande familiarità con la casa e i suoi
abitanti. Il
semplice fatto di poter poi scambiare qualche parola nel mentre, la
faceva sentire serena. Tutto sapeva di casa, in quel posto, di
famiglia, e non avrebbe impedito a niente e nessuno di impedirle di
illudersi che per qualche ora poteva essere parte. Ad Hannah mancava
una famiglia, una vera famiglia. Ora che aveva dato uno sguardo
attraverso le sbarre del cancello dorato che l'aveva protetta dal
mondo esterno per tutta una vita, si era accorta di quante cose le
fossero mancate. Quel cancello un giorno l'avrebbe scardinato pur di
fuggire via, nel mondo vero.
Poteva avere tutto
ciò che il denaro avrebbe potuto comprarle, ma non poteva
ridarle
indietro sua madre, non poteva comprare il senso d'intimità
e
sicurezza che le persone normali provano entrando in casa, non poteva
godere dell'affetto di una vera famiglia staccando un assegno. Stare in quel
piccolo appartamento, godere della compagnia di Greta e Jace, trarre
beneficio dall'atmosfera rilassata che regnava in casa, era una
momentanea ma impagabile panacea. Si sentiva vuota al solo pensare di
dover tornare a casa sua, da un padre che a mala pena si sarebbe
accorto della sua presenza e da una governante che l'aveva cresciuta
e che adorava ma che non le bastava più. Comprendeva meglio
il
discorso che Eleanor le aveva ripetuto per l'ennesima volta qualche
giorno prima. Quello che davvero intendeva dirle era che il momento
in cui giocare a “facciamo finta che la tata sia la
mamma”non le
sarebbe più bastato era spaventosamente vicino.
Lui.
Jace adorava sua
madre, era risaputo. Quel che provava per lei andava ben oltre
l'adorazione dopo che aveva avuto la meravigliosa idea di invitare
Hannah a cena. Aveva sentito tutto, perché in
realtà non si era mai
addormentato. Aveva rischiato di farlo, ma come poteva addormentarsi
quando si trovava in una posizione così interessante? Dato
che non
era affatto sicuro che Hannah si sarebbe lasciata avvicinare ancora a
quel modo in futuro, aveva deciso di approfittarne finché
poteva.
Era stato difficile fingere tanto a lungo, con quella tosse a
tormentarlo e il naso che gocciolava come un rubinetto lasciato
aperto.
Odiava il silenzio,
era per questo che era diventato logorroico, ma stare in silenzio in
due era ben diverso: in quel contesto era diverso, con il volto
affondato nell'incavo del suo collo era diverso, respirando il suo
profumo era diverso. E quando lei aveva poggiato il capo contro il
suo aveva rischiato l'infarto. Era stato duro trattenersi ancora dal
baciarla. É troppo presto! É troppo
presto! Si era detto,
facendo uno sforzo sovrumano. Se l'avesse fatto, lei sarebbe scappata
via, avrebbe rovinato tutto quanto. Poi era arrivata sua madre e
l'idillio era terminato.
Greta non doveva
aver creduto neanche per un secondo che lui fosse davvero
addormentato: era stata troppo delicata e attenta a non svegliarlo.
Hannah non lo sapeva ma sua madre non era nota per la sua
delicatezza. Se l'avesse creduto davvero addormentato si sarebbe
limitata a svegliarlo in malo modo e dirgli di spostarsi. In ogni
caso, la ragazza se l'era bevuta e tutto andava così
tremendamente
bene da fargli sospettare di essersi addormentato per davvero e di
stare sognando. Quando il fracasso prodotto da lattine che venivano
riposte e dall'apri e chiudi dello sportello del frigorifero
cessò,
e le chiacchiere tra Hannah e Greta cominciarono a languire, decise
che era il momento giusto per svegliarsi.
Aprì gli occhi e
si
voltò di lato, sbadigliando il più
convincentemente possibile. Poi
si stiracchiò senza alcuna grazia, allungando le gambe e poi
mettendosi a sedere. Si guardò intorno con aria fintamente
spaesata,
e quando vide Hannah, le sorrise. - Hei... Ciao... Sei ancora qui.-
biascicò con voce più assonnata possibile.
-E rimarrà per
cena, visto che è stata così gentile da aiutarmi
con la spesa.-
Greta ammiccò, alle spalle della ragazza che si era voltata
verso
lui non appena si era sollevato. - A proposito, stasera c'è
il tuo
piatto preferito!-
-Messicano? Ti prego
dimmi che hai preso qualcosa al messicano dietro l'angolo!-
esclamò
entusiasta. Già pregustava un buon burrito, ma qualcosa
nell'aria,
forse un certo olezzo che si spandeva ad ondate dalla cucina per
tutta la sala, gli fece capire che di un burrito non avrebbe visto
neppure l'ombra.
-Ma no! Broccoli
bolliti! Non è fantastico?- Come volevasi dimostrare. Jace
si alzò
sbuffando. Tra tutte le verdure, i broccoli erano quelli che
più
odiava. Lo disgustava soltanto l'odore, per non parlare della loro
consistenza molliccia. E poi quel colore
così...Così... Verde! -
Non preoccuparti, ti ho preparato anche un bello ed insipido petto di
pollo, solo cibi sani per il mio bambino.- Gli andò
incontro,
abbracciandolo e pizzicandogli le guance. Odiava quando si metteva si
intestardiva a volerlo mettere in imbarazzo a qualsiasi costo. - La
prossima volta cerca di fingere meglio. Si vedeva lontano un miglio
che non dormivi.- Gli sussurrò prima di trotterellare
nuovamente in
cucina.
-Disse la regina del
take away... Mi hai tirato su a involtini primavera e pizza a portar
via!- disse tirando su con il naso, mostrandosi imperturbabile.
Lanciò un'occhiata fugace ad Hannah, sembrava l'avessero
messa a
disagio. Si disse che si sarebbe presto abituata alle loro esagerate
dimostrazioni d'affetto. Non aveva altra scelta, perché
nessuno
avrebbe impedito a Greta di continuare a strapazzarlo di coccole.
-Non mettermi in
imbarazzo. Anzi, fila a letto, intanto che io finisco di preparare la
cena.- Si voltò verso Hannah. - Te lo affido, mi raccomando.
Conducilo sano e salvo oltre il corridoio.- disse con tono solenne.
Lei.
Tornare nella stanza
di Jace le faceva uno strano effetto. Le appariva ancora come un
luogo sconosciuto e misterioso. Trovarsi nella camera di un ragazzo
era come essere stata catapultata su un pianeta alieno.
-Come ti senti?- gli
chiese non appena si fu sistemato, tendendogli il pacco di
fazzolettini che aveva avuto l'accortezza di prendere dalla sala.
-Uno straccio. E mia
madre vuole avvelenarmi con i broccoli. Sono un povero malato in
balia di una pazza.- Hannah ridacchio. Cominciava ad abituarsi al suo
essere così melodrammatico. - Ti faccio ridere? Tu dovresti
stare
dalla mia parte!-
-Scusa, ma sei
così
drammatico talvolta da risultare comico.- disse in tutta
sincerità.
-Devo prenderlo come
un complimento o come un insulto?- Le fece segno di sedere accanto a
lui, spostandosi di lato per farle spazio.
-Mi fai ridere... Il
che dovrebbe essere positivo... Quindi, si, direi un complimento.-
Stava per sedere quando la sua attenzione fu attirata da una piccola
libreria che aveva già notato il giorno prima. Un libro in
particolare la colpì. - Posso vedere i tuoi libri?- Chiese
prima di
fare un passo verso il mobile.
-Sicuro!- replicò
lui,scrollando le spalle. Quando si avvicinò vide che non si
era
sbagliata. Sfiorò un grosso tomo con la punta delle dita e
delicatamente lo estrasse dalla pila. Era un libro di fiabe e favole.
-Non mi sbagliavo.
Ho un libro identico. La tata me lo leggeva ogni sera quando tornavo
a casa dal collegio.- Corse a sedersi accanto a lui, aprendo il tomo
ad una pagina a caso. Strabuzzò gli occhi quando si accorse
che non
era stampato in inglese.
-Scherzi? A me l'ha
regalato mia nonna. Me lo portò dalla Germania l'ultima
volta che
venne a trovarci. In realtà fu la prima e l'ultima volta che
la
vidi. Avevo circa otto anni, non me la ricordo bene.-
-Dalla Germania?-
Non le risultava che Jace avesse parenti in Europa, o per meglio dire
ne lui ne le ragazze avevano mai accennato alla cose.
-Mamma è tedesca,
è
venuta in America per seguire mio padre.- le si avvicinò e
allungò
una mano a voltar pagina. Una splendida illustrazione, anche se dai
colori leggermente ingialliti dagli tempo, fece capolino dall'altro
lato della pagina.
-Non ne avevo
idea... Oh! Ora ricordo perché amavo questo libro. Che
splendide
illustrazioni. É cercando di imitarle che ho cominciato a
disegnare.- disse sfiorando il volto di una bella principessa che
teneva sollevato all'altezza del volto un rospo bitorzoluto ma
dall'espressione vagamente umana.
-E io cercando di
leggerlo ho imparato il tedesco. Alla faccia di chi dice che le
favole sono inutili! Quale era la tua preferita?- chiese, prendendole
delicatamente il libro dalle mani e riprendendo a sfogliarlo.- Dio,
non lo aprivo da anni...- sussurrò tra se e se.
-Raperonzolo.- Non
ci fu alcuna esitazione nel suo rispondere. Raperonzolo era sempre
stata la sua fiaba preferita, ricordava di aver persino avuto una
bambola con dei capelli lunghissimi che aveva chiamato proprio a quel
modo.
-Ti sentivi
intrappolata in un'altissima torre e aspettavi di essere salvata da
un cavaliere dall'armatura splendente?-
-Probabilmente la
prima cosa che hai detto. I principi azzurri e i cavalieri non sono
mai così onorevoli e senza macchia come si pensa. Noi lo
sappiamo
bene, non trovi?- gli rivolse un sorrisetto triste.
-Non siamo tutti
così noi uomini... Ci sono alcune eccezioni.- Jace le parve
quasi
offeso dalla sua affermazione.
-Tu sei
l'eccezione.- Quando si voltò a guardarlo, si rese conto di
cosa
potessero voler dire quelle parole. In qualsiasi altra occasione,
dette a chiunque altro, sarebbero state un complimento, ma non se
dette a lui. Incrociandone lo sguardo sentì di nuovo ogni
muscolo
del suo corpo irrigidirsi. Era la stessa sensazione, la stessa
tensione che aveva provato poco più d'un ora prima, quando
seduti
nel salotto aveva abbassato lo sguardo sul suo volto e aveva sentito
una forza invisibile spingerli l'uno verso l'altro, proprio come
accadeva in quell'istante.
-Hannie... Il
tuo
primo bacio... L'hai già dato a qualcuno?-
L'angolo
dell'autrice:
Rieccomi
qui, nuovo giro nuova corsa...
e nuovo capitolo! Che ho cominciato al mare in clandestinità
( i
miei parenti già mi prendono per pazza perché amo
leggere più di
ogni altra cosa, se poi sapessero che scrivo pure diventerei la
stramboide ufficiale della famiglia... o meglio mia madre sa, l'ha
scoperto praticamente... ieri, e spero che se lo tenga per se
=_=”
) su pezzi di carta trovati qua e la (come Antonacci insegna).
Ho
voluto approfondire le storie dei
personaggi, o meglio entrare un poco nelle loro menti per sapere cosa
ne pensano di quei genitori che li hanno abbandonati. Ho esagerato o
lesinato in qualcosa? Avendo per fortuna due genitori affettuosi e
presenti, non so se ho toccato i punti giusti in questo capitolo. In
caso fatemi sapere cosa ne pensate, o dove secondo voi ho sbagliato
(perchè lo so devo aver toppato alla grande da qualche
parte!)
Che
idiota, la scorsa volta ho
dimenticato di linkare la storia di KELLINA! Eccola qui --->XXX
Mi
sono sforzata di pubblicare il
capitolo 10, perché sono arrivata alla conclusione che se
non
l'avessi fatto avrei lasciato la storia incompiuta. Quindi ve l'ho
presentato così, anche se pieno di errori, con una trama
secondo me
assolutamente inconsistente e incoerente e qualsiasi altro aggettivo
dalla valenza negativa che possa venirvi in mente. Eppure a poche ore
dalla pubblicazione ho ricevuto una recensione che mi ha veramente
commosso.
Mie
poche commentatrici fedeli, ci
tengo a precisare che per me ogni vostra recensione, anche un
“mi
piace continua” è fonte di grande gioia e
commozione. Anche la
persona più modesta non può non andare in brodo
di giuggiole quando
vede che il proprio lavoro viene riconosciuto apprezzato e lodato.
La
recensione di Melikes
però mi ha
davvero colpito.
In
un primo momento mi son guardata
intorno alla ricerca di una telecamera nascosta, perché era
inconcepibile che tu avessi capito tutto: tutto quello che cercavo di
trasmettere, tutto quello che cercavo di dire, tutto ciò che
volevo
il lettore si figurasse. Ho il sospetto che tu sia un genio,
perché
per capire tutto questo ci vuole un Q.I. alto... no altissimo! Sono
conscia che spesso ciò che scrivo risulta incomprensibile, e
mi
perdo in mille giri di parole (sono prolissa... molto prolissa!) che
probabilmente annoiano o fanno perdere il filo del discorso al
lettore.
Il
complimento più bello è stato
quando mi hai scritto che la mia inventiva ti spiazza, con colpi di
scena imprevisti. Io considero banale ciò che scrivo, non
riesco a
vedere poi tutta questa originalità e i colpi di scena...
Eh?Bo! Non
so dove siano! XD Devo averli scritti in uno stato di trance
meditativa... U.U Ovviamente scherzo. Ma sono molto realista riguardo
le mie capacità di “scrittrice”, non mi
sembra mai di aver dato
un input abbastanza evidente o particolare perché il lettore
si
chieda alla fine del capitolo “ Eh mò che
succede??”. Ho cercato
di evitare però i soliti clichè tipo un ipotetico
ritorno del padre
di Jace nel momento meno opportuno, oppure svelare i motivi che hanno
spinto la madre di Hannah ad uccidersi, tipo scoprire di essere
incinta di un altro uomo, per fare un esempio tra i tanti.
I
miei personaggi sono portati
all'estremo è vero, ma neppure tanto, perché sono
quel genere di
personaggi di cui mi piace leggere. Li trovo esilaranti
perchè sono
eccessivi, spesso strani, e soprattutto imperfetti. Ovviamente non
devono essere troppo strani, altrimenti risultano campati per aria e
allora hanno l'effetto opposto: fanno venire voglia di smettere di
leggere. Sono felice di aver fatto un buon lavoro almeno in quel
senso. Proprio per questo ho creato per Jace un piccolo scheletro
nell'armadio. Era troppo...tutto: troppo bello, troppo gentile,
troppo simpatico, troppo intelligente, troppo troppo troppo! Doveva
avere una piccola macchietta e mi serviva qualcosa di abbastanza
originale e sensato che giustificasse la rivalità tra lui e
Thomas.
Probabilmente
non si nota, perché ho
un senso dell'umorismo davvero pessimo ç_ç ,
però cerco sempre di
sdrammatizzare senza ricadere nel sarcasmo, a meno che non lo
richieda la situazione, il che per ora non è accaduto.
Sarebbe
inutile e controproducente criticare il consumismo, la corruzione, e
tutti i difetti dell'alta società dell'East Side. Non
avrebbe avuto
alcun senso, non in un racconto romantico. Anche se ammetto che la
scrittrice ogni santo rosica! XD Un bel Valentino lo vorrebbe anche
lei! ç___ç
Direi
che DOLCEAMARO riassume nel
complesso tutta la situazione dei due protagonisti principali,
durante tutto il dipanarsi delle loro vicende.
Il
fatto che tu abbia messo questa
storia tra i preferiti, insieme a storie come quelle di fallsofarc,
che io personalmente adoro, mi fa toccare il cielo con un dito,
proprio perché non mi considero assolutamente a quel
livello. Non so
neppure come ringraziarti per tutti i complimenti, e queste
bellissime parole che mi hanno davvero dato la spinta per riprendere
a scrivere nonostante tutta la sfiga e i guai che ultimamente mi
perseguitano, ultimo tra tutto la morte del pc, resuscitato dal
tecnico di fiducia e tornato a casa giusto lunedì. Ah si, ho
pure
rotto uno specchio di un metro e mezzo... Tanto per non farmi mancare
quel pizzico di sfiga in più!
Un
altro enorme grazie a Dayan,
che è
stata un vero tesoro a contattarmi in privato. :-) A volte una parola
gentile ti risolleva davvero l'animo, e proprio come mi hai scritto
tu l'unica via d'uscita è mettere tutto nero su bianco.
Spero che le
cose vadano meglio anche per te e che tu riprenda a scrivere te lo
auguro con tutto il cuore. :-)
Spero
questo capitolo scritto in tempo
record (non credo di aver mai scritto così tanto in un
così breve
tempo. Ma le botte d'ispirazione ovviamente capitano sempre quando il
mio computer decide di fare le bizze) non faccia troppa pena (secondo
me è il peggiore che io abbia mai scritto). Non so quando
potrò
pubblicare ancora, perché ho deciso di fare una scelta
importante e
avrò bisogno di tempo per prepararmi, qualunque siano le
conseguenze.
|
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Capitolo 12 *** Capitolo 12. In frantumi. ***
Hopelessly devoted to you
Hopelessly Devoted To You
<3
Capitolo
12. In frantumi
Lui.
Le sue labbra
sembravano più vicine di quanto non fossero in
realtà. Quando lei
scosse il capo, negando alla sua domanda, gli parvero invitanti come
non mai, come se lo stessero chiamando.
E se fossi io il
primo? Si chiese, provando ad immaginare l'esatta sensazione
che
avrebbe provato nel momento in cui le loro labbra si fossero
sfiorate. In un certo senso sarebbero state sue per sempre,
perché
sarebbe stato il primo a baciarle. Nessuno altro avrebbe avuto
più
importanza nei ricordi di lei. Sarebbe stato indimenticabile,
comunque fossero andate le cose.
Un pensiero però
bloccò ogni suo slancio. C'era una vocina nella sua testa
che
continuava a borbottare senza sosta.
Bravo idiota!
Gli diceva. E dopo che l'avrai baciata che farai?La guarderai
fuggire via senza fare niente, ecco cosa farai! La perderai per
sempre!
Che stesse
impazzendo, o che quella fosse solo la voce della sua coscienza, non
aveva torto. Non poteva permettersi di mandare tutto a rotoli con
Hannah. Quello non era il momento giusto, e aveva paura che non
sarebbe mai arrivato. Aveva il sentore, del tutto giustificato, che
lei sarebbe sempre scappata, perché era questo che faceva:
fuggiva
da ciò che le era estraneo, e l'amore lo era molto
più di tante
altre cose, non sapeva proprio cosa fosse. Certo lui non aveva la
presunzione di dichiararsi onnisciente sull'argomento, ma era di
certo un passo o due avanti a lei.
-No...? Ah...
Allora... Promettimi che mai, e dico mai, per nessuna ragione al
mondo, lo sprecherai per uno come Thomas Rushmore!- Le sorrise
arricciando il naso come era solito fare. L'ironia era sempre la sua
ancora di salvezza e maschera migliore. Per Jace era sempre stato
facile nascondersi dietro una battuta e qualche risata. Non si
rischia di esporsi inutilmente, di venire feriti e Jace non c'era mai
andato tanto vicino prima che arrivasse Hannah. Cosa gli stesse
capitando non riusciva proprio a capirlo. Captò come un
lampo di
delusione nello sguardo di lei, ma lasciò correre.
-No... No di certo.
Non bacerei mai uno sconosciuto. Lo prometto, se ti fa sentire
meglio.- gli rispose scuotendo il capo con convinzione, seppure
apparisse piuttosto confusa. Una promessa del genere probabilmente
per lei non aveva alcun senso logico, forse non aveva senso per
nessun altro che non fosse Jace. Per lui non solo ne aveva, ma era
importante che lei lo promettesse, perché una volta fatto
questo era
sicuro lei non l'avrebbe infranta. Hannah era leale e sincera, non
avrebbe mai mancato alla parola data.
-Allora non vi siete
visti al maneggio? Non avete cavalcato verso il tramonto in sella a
Charlotte? - Non riuscì a controllarsi. L'ironia cominciava
a
trasformarsi nel peggior tipo di sarcasmo: quello dettato dalla
gelosia. Il tipo più subdolo, perché difficile da
controllare. Una
parola di troppo e ogni velo cade, scoprendo tutto quello che si
vorrebbe celare agli altri. Per sua fortuna Hannah era troppo ingenua
anche per riconoscere la gelosia, che le era sconosciuta quanto il
sentimento che l'aveva generata.
-Certo che no. A dir
la verità mi ha spaventata. Ha un modo davvero bizzarro e
spaventevole di avvicinare le persone. Perché mai dovrei
avvicinarmi
a qualcuno che mi fa spiare? E poi a scuola non l'ho mai incrociato
in questi giorni, quindi immagino il suo non fosse reale
interessamento. Jaquie dice che vuol farti dispetto, che crede... -
arrossì violentemente - ...che... Io e te... Siamo... Come
posso
dire...- improvvisamente sembrò avesse inghiottito un enorme
viscido
rospo, perché la sua voce si era ridotta quasi ad un
rantolo. Aveva
abbassato lo sguardo, a fissare il copriletto, mentre con un dito ne
seguiva le zigzaganti righe colorate.
-Che stiamo insieme.
Non è una cosa così imbarazzante da dire.- le
sorrise, posandole
una mano sul capo, a scompigliarle i capelli, per quanto potesse. Il
fatto che lei non riuscisse neppure a pensare a loro due come una
coppia senza entrare in crisi passò del tutto in secondo
piano.
L'attenzione del ragazzo si era fissata tutta sulle parole
“mai”
e “incrociato”. Quindi aveva ragione, l'aveva avuta
fin
dall'inizio. Thomas voleva usarla per fargli dispetto, ed era stato
lungimirante e accorto come suo solito nel comprendere ancor prima di
lui stesso quanto sarebbe diventata importante per lui quella
ragazzina che cercava di starsene nascosta dietro le quinte e che era
stata tirata sotto le luci della ribalta contro la sua
volontà. Lui
l'aveva capito subito che sarebbe diventata la protagonista, e non
una semplice comparsa presto dimenticata, dello spettacolo della vita
di Jace.
Era sorpreso però
dalla sua onestà, se così poteva definirsi. Jace
si era detto
sicuro che il ragazzo avrebbe approfittato della sua assenza per
cercare di entrare nelle grazie di lei, e la cosa lo faceva
impazzire. Invece Tom lo stava aspettando. Niente pugnalate alle
spalle né sotterfugi, una volta fatta la prima mossa doveva
aver
preferito tutt'altra condotta. E certamente doveva essere sicuro di
vincere.
-Non ti preoccupare.
Appena torno a scuola risolvo io le cose con lui. Non ti
farà più
seguire, te lo posso assicurare.- le disse. Peccato non poterle
assicurare che si sarebbe liberato di lui definitivamente. Era
iniziare una vera e propria guerra, senza sapere bene per cosa
combattere. C'era della generosità nel suo agire? Per
davvero voleva
soltanto trarre l'amica dall'antipatica situazione in cui si era, suo
malgrado, trovata invischiata? Oppure il suo unico egoistico scopo
era quello di impedire alla ragazza di allontanarsi da sé?
Quando in
seguito, trovatosi da solo, tornò a rifletterci su, non
seppe darsi
una risposta.
-Lo so. É che sono
certa ci sia stato un fraintendimento, e vorrei avere il coraggio di
fare qualcosa anche io.- replicò, tornando a tormentare la
punta
della treccia, con lo sguardo basso.
-Invece non devi
fare nulla, è che ti ci sei trovata dentro per sbaglio.- il
ragazzo
scosse appena le spalle, come se fosse una cosa di poco conto. - Sono
io che me ne devo occupare.- sospirò cambiando poi discorso
frettolosamente. - Okay, basta, cambiamo argomento vuoi? Dicevamo,
quindi nessun primo bacio? Neppure nessun fidanzato? Non avrai mica
un promesso sposo nascosto da qualche parte?- chiese con una smorfia
di totale disapprovazione.
-No, nessuno.
Frequentavo un collegio femminile, ricordi? Gli unici ragazzi che
avevo modo di frequentare non erano affatto interessanti. Non per me,
perlomeno.- soggiunse, arrossendo appena.
-E chi sarebbe
interessante per te?- si ritrovò a chiederle d'istinto e con
una
punta di ansietà.
-Ragazzi! É
pronto!- La voce squillante di Greta, che li chiamava dalla cucina,
interruppe la loro conversazione.
-Dio mio...- il
ragazzo fece roteare gli occhi al cielo. - Andiamo, prima che creda
io sia scappato dalla finestra. I broccoli ci attendono!-
esclamò
con aria sofferta e battendosi una mano sul petto, facendo scoppiare
a ridere Hannah.
***
La cena si svolse
quanto meno tradizionalmente possibile. Nessuno di loro sedeva a
tavola: Jace era stato sistemato in poltrona ben coperto ed
infagottato sotto più di una coperta, e per non farlo
sentire in
esilio Greta e Hannah si erano trasferite sul divano. Certo non era
affatto una sistemazione comoda, ma Jace vide che Hannah gradiva la
bizzarra sistemazione. Sembrava divertirsi e addirittura rideva del
loro continuo battibeccare come non l'aveva mai sentita fare. Era
così bello vederla comportarsi con quell'insolita
naturalezza,
sembrava illuminarsi sempre di più ad ogni risata.
Quando cominciò a
sperare che il tempo scorresse lentamente, questo sembrò
accelerare,
sfuggente come non mai, e quando sentirono bussare alla porta
capì
che il loro, per quella sera, era giunto al termine. Improvvisamente
calò il silenzio, e gli occhi di tutti e tre volarono verso
la porta
d'ingresso. Hannah si spense come una lampadina fulminata: l'ultima
ora era stata come la scintilla che precede piombare improvviso del
buio. Jace lanciò uno sguardo all'orologio appeso al muro
della
cucina, giusto accanto alla porta d'ingresso: sapeva chi era e questi
era più che puntuale, spaccava letteralmente il minuto.
Com'era sua
abitudine, del resto.
Greta si alzò piano
e con circospezione, camminando lentamente e il più
silenziosamente
possibile come se non sapesse chi poteva trovare aldilà
della porta,
mentre invece intuiva chiaramente chi potesse essere. Posò
il
proprio piatto sul tavolo e si avvicinò alla porta,
guardando dallo
spioncino. Un sommesso brontolio confermò ciò che
Jace aveva solo
immaginato.
-é arrivato tuo
padre, Hannie.- borbottò, aprendo la porta con stizza. - In
America
si usa suonare al citofono, sa? É quella scatolina con tanti
pulsanti giù all'ingresso. E pensi un po', accanto ad ognuno
di
questi tecnologici pulsantini c'è una cosa fantastica: una
targhetta
illuminata, con su scritti tutti i nomi di chi abita qui. Ce
n'è uno
per ogni famiglia, sa! Che tecnologia fantastica, non trova?- fu il
suo saluto, grondante sarcasmo e accompagnato da un antipatico
sorrisetto di circostanza. Hannah scattò in piedi alla vista
del
padre, rischiando di far cadere a terra il piatto che teneva poggiato
sulle ginocchia. Si affrettò a raggiungerlo con sorprendente
solerzia. Era bastata solo la sua presenza a raggelare l'atmosfera.
Jace non poté fare a meno di chiedersi cosa mai sarebbe
successo se
avesse pure aperto bocca. Padre e figlia non si erano neppure
salutati, era bastata una sola occhiata.
-Ahm... Le mie cose
sono in camera sua...- mormorò, tenendo ancora il piatto tra
le
mani, rivolgendosi a Greta. Fino a pochi minuti prima le dava del tu,
ora era tornata ad un Lei molto più formale. La
verità era che non
osava rivolgersi alla donna in un qualsiasi altro modo, davanti a suo
padre.
-Vai pure tesoro,
non ti preoccupare, sono sul letto.- Le posò una mano, su
una spalla
e prese il piatto con l'altra, spingendola appena verso la porta.
Quando la ragazza ebbe svoltato l'angolo, Greta si voltò
verso
Barnes. - L'ha addestrata proprio bene, sua figlia. Come un cagnetto
da salotto. - commentò caustica, sparì dal suo
volto ogni accenno
di sorriso- C'è un malato qui... - Jace, sentendosi
sollevò una
mano, sorridendo all'uomo. - Entri e mi faccia chiudere la porta, non
voglio certo che mio figlio prenda una polmonite perché lei
ha
fretta di levare le tende. - sbottò ancora. Non appena
l'uomo si fu
allontanato dalla porta, questa venne sbattuta con forza producendo
un botto fragoroso.
-Buonasera Greta.-
Tutto nel Signor Barnes sembrava irradiare gentilezza e cortesia.
Sembrava non avesse sentito una sola parola di quanto Greta gli aveva
detto, ed era rimasto indifferente al suo sarcasmo. Era entrato in
casa con un raro sorriso sulle labbra, e ora si guardava intorno con
una certa curiosità. - Signor Stein, lieto di vederla.-
quando i
suoi occhi di ghiaccio si posarono su Jace, il suo sorriso
svanì nel
nulla, quello del ragazzo invece sembrava scolpito sul suo volto,
incancellabile nonostante la debolezza derivata dalla febbre. Non gli
rivolse altra attenzione, tornò subito a rivolgersi a sua
madre.
-Mi dispiace, ho
suonato parecchie volte ma pare che il vostro campanello abbia
qualche problema. Piuttosto, mi sorprende che ci fosse il portone
aperto, in un quartiere come questo dovreste...-
-Dica, dopo aver
fatto tredici piani a piedi, crede veramente che un qualsiasi
delinquente, per quanto disperato possa essere, farebbe tutta quella
fatica per qualche dollaro?- lo interruppe la donna, zittendolo. In
realtà sarebbe bastato il suo sguardo a metterlo a tacere
tanto era
carico d'astio.
-Non posso darle
torto.- commentò solamente senza perdere una briciola del
suo
contegno.
Jace prese ad
osservarlo con maggiore attenzione, come se lo stesse studiando
attraverso le lenti di un microscopio. Sembrava, quasi per uno
scherzo del destino, che i ruoli si fossero invertiti: sua madre era
diventata scortese fino a rasentare la maleducazione, l'uomo invece
si era trasformato in un mite e cortese agnellino.
Era così che faceva
Greta quando si trovava davanti un uomo che le ricordava il suo ex
marito o per il quale provava anche la più vaga e
inconsistente
attrazione: era un semplice e banale meccanismo di difesa. A Jace
diceva sempre che non rimpiangeva d'essersi innamorata, ma che
ciò
non voleva dire che dovesse ricascarci alla prima occasione E
così
davanti a uomini affascinanti e maturi, per non dire attempati, si
trasformava in un mostro d'antipatia. Si poteva ben dire che
sprizzasse scortesia da ogni poro.
George Barnes
incarnava tutto ciò che Greta aveva trovato attraente nel
suo ex
marito. Era un uomo a cui i cinquant'anni calzavano a pennello, come
un abito cucito su misura. Era alto tanto quanto Jace, e possedeva un
fisico asciutto e atletico, nonostante sembrasse condurre uno stile
di vita piuttosto sedentario. Gli pareva, tutto sommato, d'una
bellezza nella media: il volto era scavato, sembrava stare
riprendendosi da una lunga malattia, e qualche ruga d'espressione
cominciava a farsi più marcata intorno agli occhi e sulla
fronte. I
capelli, d'un castano chiaro screziato qui e là di grigio,
invece
cominciavano a diradarsi e ritirarsi sulle tempie e l'attaccatura
della fronte, facendola sembrare più ampia di quanto non
fosse.
Eppure tutti i segni lasciati dal tempo, o dalla sofferenza, non
riuscivano ad intaccarne il fascino. C'era qualcosa nei suoi gesti,
nella sua voce o anche solo nel suo stare immobile davanti a loro,
che doveva essere estremamente attraente per una donna. Hannah non se
ne rendeva conto, ma era questo il tratto più marcato che
suo padre
le aveva trasmesso: fascino ed eleganza innati.
Per il resto, non si
somigliavano affatto, sarebbero potuti passare per sconosciuti. A lui
di certo non sembrava granché, e se le reazioni delle sue
compagne
di classe, tutte moine e sorrisini quando Barnes metteva piede in
classe lo divertivano e al contempo lo lasciavano perplesso, quella
di sua madre lo preoccupava.
-Sono pronta.- fece
Hannah con una vocina flebile, sbucando dal corridoio per poi correre
ad affiancarsi al padre, interrompendo il flusso dei pensieri di
Jace.
-Perfetto, andiamo
allora.- replicò l'uomo, degnandola appena di uno sguardo,
prima di
tornare a rivolgersi a Jace. - Signor Stein, i mie auguri... Ah, e
aspetto quella sua relazione di cui abbiamo parlato per
lunedì.
Trovi lei il modo di farmela avere, ma lunedì mattina deve
essere
sulla mia cattedra.- Jace vide Greta strabuzzare gli occhi e aprire
bocca per replicare, ma riuscì a precederla.
-é pronta, in
realtà. Posso mandargliela via email questa sera stessa.-
replicò
con voce roca ma carica di soddisfazione. Greta borbottò
qualcosa ma
poi si zittì, preferendo tenere per se i propri pensieri per
quella
volta.
-Sarebbe perfetto.-
acconsentì l'uomo. - Dobbiamo proprio andare ora...-
-Era ora...-
borbottò Greta con voce troppo alta, interrompendolo.
Probabilmente
sia Jace che George sospettarono fosse stato del tutto volontario.
Andò ad aprir loro la porta, mentre Jace, posando il piatto
sul
divano accanto a se e liberandosi dalle coperte li raggiungeva
all'ingresso. Hannah lo guardava con aria afflitta. Era tornata ad
essere la riservata, ermetica, triste ragazza che era sempre stata.
-Signor Stein,
Greta... Grazie di tutto. Buona serata.- Varcò la soglia,
dando loro
le spalle, per poi voltarsi non appena si accorse che Hannah era
rimasta indietro. Fissava entrambi gli Stein, come indecisa sul modo
migliore con cui accomiatarsi. Fu Greta a rompere gli indugi,
abbracciandola forte e stampandole un bacio su una guancia.
-Pretendo che tu
torni anche domani! É un invito ufficiale, sia chiaro!
Perché
sabato non porti anche Rose? Jace potrebbe chiamare i ragazzi e...-
Sembrava non voler che se ne andasse. Continuava a tenerle le mani
sulle spalle e solo il lieve tossicchiare di Barnes sembrò
riscuoterla. - Beh, ne riparleremo domani di certo. Ciao, dolcezza.-
disse infine lasciandola andare tutta sorridente.
Anche Jace avrebbe
voluto abbracciarla, e dirle di tornare, dirle che l'avrebbe
aspettata con ansia e che senza di lei si sarebbe annoiato a morte.
Ma sentiva lo sguardo del padre di lei su di se, e comprese che
nessuna di quelle cose avrebbe giovato a nessuno di loro.
Così le
posò una mano sul capo come sua abitudine e le sorrise
dicendole - Se domani non verrai mi riterrò offeso
mortalmente!- con tutta
l'ironia e la leggerezza di cui era capace. - E dì a Rose
che mi
mancano i suoi pasticcini!-
La ragazza annuì. -
Va bene.- mormorò solamente, prima di sollevare una mano,
già
guantata, in segno di saluto e seguire suo padre fuori dalla porta.
Non appena questa fu chiusa Jace agguantò il telefono e
andò a
chiudersi nella propria camera dicendo – é meglio
che mandi
immediatamente la relazione a Barnes... - In realtà non
aveva
intenzione di fare nulla del genere. L'avrebbe fatto dopo
un'importantissima telefonata. Digitò in fretta il numero e
poi
attese. - Hei, ciao Seth! Cercavo proprio te!-
Lei.
-é stato davvero
bizzarro.- Concluse Hannah, dopo aver riferito a Rose della sera
precedente.
-é stato bizzarro
che Greta sia stata intrattabile mentre tuo padre sembrava volerle
piacere a tutti i costi, o è stato bizzarro quello che
è successo
tra te e Jace?-Chiese l'altra, conscia d'aver centrato il nocciolo
della questione.
-Tra me e Jace? Ma
non è successo nulla.- si affrettò a replicare.
Il suo arrossire
però vanificava qualsiasi tentativo di nascondere all'amica
che in
effetti si era interrogata parecchio su cosa sarebbe potuto accadere
quando, soli nella sua camera, lui l'aveva guardata in maniera
completamente diversa dal solito. Aveva creduto sarebbe successo
qualcosa di importante, addirittura fondamentale. Invece non era
accaduto nulla. Quella sensazione però non era riuscita a
scrollarsela di dosso.
-Secondo me è
successo molto più di quel che credi. Ma se sei convinta che
mi
sbagli...- Concluse con tono vago, accostandosi ad una porta su cui
targa stava scritto “Sala Musica”. - Io sono
arrivata. Per poco
non mancavo la porta.- aggiunse sorridendo della propria
sbadataggine. Rose faceva parte della banda della scuola, suonava il
flauto traverso. La dolcezza del suono di questo strumento si
accostava perfettamente a quella della ragazza. - Ci vediamo
lunedì,
Hannie. Fa la brava, divertiti e salutami Jace.- le fece un
occhiolino e fece per aprire la porta.
-Sì, io... Aspetta!
Ho dimenticato di dirti che Greta ti invita ad andare da loro
domani.- disse Hannah battendosi una mano in fronte. - Sono davvero
desolata.- mormorò arrossendo a causa della terribile
dimenticanza.
- Jace dice che gli mancano i tuoi pasticcini.- aggiunse, come
volesse impietosire la ragazza. Come se ce ne fosse poi bisogno. -
Però devo dirti, in tutta sincerità, che credo ti
stiano tendendo
un'imboscata.- ammise annuendo seriamente.
Rose posò una mano
sulla maniglia della porta e la schiuse appena. Dava le spalle
all'amica, che non avrebbe saputo dire, non vedendo la sua
espressione, se fosse felice o infastidita. - Ci potrebbe essere
anche Seth, quindi.- mormorò voltandosi, rossa in viso ma
con un
sorriso che esprimeva tutta la sua felicità al solo pensiero
di una
simile eventualità. - Dì a Jace che ci
sarò. Ciao, Hannie! Oh,
stasera ti chiamo, quindi fatti trovare!- Esclamò prima di
entrare
frettolosamente nell'aula, senza darle il tempo di rispondere al suo
saluto. Quando la porta si richiuse, sentì un allegro brusio
provenire dall'altra parte. Come le sarebbe piaciuto, ricevere
un'accoglienza come quella! Ma comprendeva bene che probabilmente non
le sarebbe capitato mai. Non aveva lo stesso carattere dell'amica, e
soprattutto non ispirava istintivamente benevolenza o simpatia come
lei faceva.
Si guardò intorno,
sospirando. Il corridoio era vuoto e, fatta eccezione per il vociare
che proveniva dalla sala musica che seppur andava scemando era ancora
udibile, immerso nel silenzio. Si incamminò verso le scale
che
l'avrebbero portata al secondo piano dell'edificio. Aveva tutta
l'intenzione di recarsi nell'ufficio di Bert per denunciare
l'ignobile furto del suo album da disegno. Ma prima voleva lasciare
alcuni libri nell'armadietto.
Il corridoio del
secondo piano era deserto quanto quello che aveva appena percorso, ma
stranamente molto meno silenzioso. Passando davanti alla porta della
presidenza fu sollevata nel sentire la voce grave di Bert e quella
della sua segretaria, i due chiacchieravano amabilmente
chissà di
quale argomento. Bene, se si fosse sbrigata avrebbe fatto in tempo a
parlargli. Accelerò il passo, passando velocemente davanti
ad un
altra porta, dalla quale proveniva chiaramente della musica. Le note
di un pianoforte attirarono la sua attenzione e quasi la costrinsero,
ammalianti com'erano, a fermarsi ad ascoltare, se non fosse che il
pensiero del suo prezioso album nelle grinfie di chissà
quale
intenzionato premeva e reclamava tutta la sua attenzione. Anche se
attratta da quel suono, continuò a camminare fino al suo
armadietto,
voltandosi però di tanto in tanto in direzione dell'anonima
porta.
Jace le aveva detto che li c'era stata una volta una seconda sala
musica, ma che era stata declassata a sgabuzzino dato che era stata
scarsamente utilizzata. Trovava strano quindi, che potesse contenere
un pianoforte e che nessuno si preoccupasse di chiudere la porta a
chiave.
Ah, come le sarebbe
piaciuto saper suonare in modo tanto sublime! Purtroppo non aveva mai
dimostrato una spiccata attitudine alla musica, e le sue lezioni di
pianoforte erano finite presto e presto erano state dimenticate.
Però
ancora ammirava chi possedeva un eccezionale talento musicale, non
poteva farne a meno. Tanto era presa da questi pensieri, e tanto era
concentrata nel cercare di percepire ancora la musica nonostante la
distanza, che quando fu davanti al suo armadietto non si accorse dei
vari frammenti di carta che spuntavano da sotto lo sportello. Quando
lo aprì venne sommersa da una quantità infinita
di pezzi di carta,
che svolazzarono sul pavimento spargendosi tutto intorno nelle
immediate vicinanze. Hannah sbatté le palpebre, allibita. Si
guardò
intorno e poi abbassò lo sguardo: i suoi piedi erano
completamente
nascosti sotto un mucchio di carta di vario tipo. Li scosse appena,
liberandosene e spargendoli ancor di più sul pavimento.
Qualcuno
doveva essersi divertito a svuotare il cestino della carta nel suo
armadietto. Lei non lo trovava affatto divertente, ma non aveva
intenzione di farsi rovinare la giornata da una simile inezia,
soprattutto se questa non poteva nuocere a nessuno.
-Che cretinata...-
borbottò tra sé e sé, mentre cercava
di scrollarseli dai vestiti e
dai capelli, per poi passare a ripulire l'armadietto, assicurandosi
che quei grossi coriandoli non fossero pagine strappate dai suoi
libri.
A nessuno di questi
mancava neppure mezza pagina, notò con sollievo. Chiuse lo
sportello
e tornò a posare lo sguardo sulla montagnetta di carta ai
suoi
piedi. Cosa doveva fare? Andarsene e lasciare che se ne occupasse il
bidello? Questo sarebbe successo solo lunedì,
però. Non le andava
di lasciare l'andito in quelle condizioni per l'intero week end, e si
disse che sarebbe stato gentile da parte sua raccoglierli, se non
tutti almeno la maggior parte. Si inginocchiò sul pavimento,
cominciando a raccogliere manciate di carta che si posò in
grembo.
Di certo chiunque le avesse fatto questo doveva essersi impegnato. I
pezzi appartenevano, era evidente, a diversi tipi di carta, anche se
per la maggior parte era semplice carta per fotocopie, il cui bianco
brillante spiccava tra altri frammenti color avorio. Proprio uno di
questi attirò la sua attenzione.
Curioso! Pensò
Questa carta somiglia a quella del mio album...
Non appena ebbe
formulato quel pensiero il dubbio la colse: e se fosse...? In preda
ad un panico crescente cominciò a rovistare nel mucchietto
alla
ricerca di quei pezzi che per colore, spessore e trama potessero
somigliare ai fogli del suo album. Gli occhi le si riempirono di
lacrime, si diede mentalmente della stupida per questo,
perché non
era affatto dignitoso piangere per qualcosa di poco conto come dei
fogli da disegno, ma non riusciva a impedirselo. La sola idea che
qualcuno avesse potuto farle una cosa simile la riempiva di rabbia e
la faceva soffrire. Non solo le aveva sottratto qualcosa di suo,
qualcosa di importante, ma l'aveva anche distrutto senza alcun
riguardo per i suoi sentimenti. Se le avessero strappato l'anima in
tanti piccoli pezzetti si disse che non avrebbe sofferto tanto quanto
soffriva in quel momento. Non poteva fingere di credere che fosse
solo un caso, o che il colpevole non intendesse nuocere a lei e
soltanto a lei.
Fu così che lui la
trovò. Inginocchiata sul pavimento, singhiozzante mentre con
le mani
tremanti cercava di rimettere insieme brandelli di carta come fossero
tessere di un puzzle.
L'angolo
dell'autrice:
Ebbene si, dopo
tre mesi sono finalmente
riuscita a pubblicare, anche se si tratta di un capitoletto poco
interessante e piuttosto stiracchiato. Prometto che mi
rimetterò in
carreggiata, d'ora in poi. :-)
Basta! Melikes,
devi assolutamente
smettere di dare nutrimento al mio ego (che in poche settimane ha
raggiunto dimensioni spropositate) o diventerò la persona
più
immodesta al mondo. Cominciò già ad assumere
comportamenti strani,
tipo: portare penna e blocchetto sempre in borsa (io che dimentico di
prenderli anche quando vado a lezione) e scribacchiare sempre e
dovunque. Il mio ragazzo mi prende in giro perché io mi
sento molto
scrittrice professionista, di quelle che traggono ispirazione pure da
una gomma da masticare spiaccicata sul marciapiede, invece sospetto
di sembrare un invasata e la cosa non è buona! XD Mi sa che
le
Lil'Noony (sì i miei neuroni hanno anche un nome!) stanno
cercando
di seguire l'esempio dei tuoi neuroni e progettano un colpo di stato.
Capisco perfettamente il tuo discorso.
Una delle cose che più amo fare è leggere, ma non
riesco ad
analizzare ciò che ho davanti alla prima lettura,
perché se la
trama mi cattura, vengo presa da una curiosità morbosa: devo
sapere
come va a finire, subito, immediatamente, a costo di non dormire
(cosa che prima, quando avevo la possibilità di dormire fino
a
tardi, facevo spesso e volentieri). Dopo che la curiosità
è stata
appagata, allora mi prendo un po' di tempo per rielaborare quel che
il libro mi ha lasciato, e poi lo rileggo. Se leggo un libro solo una
volta, vuol dire che non mi ha lasciato niente, e quello per me non
è
un buon libro. Va beh qui si sconfina nel soggettivo, pensa che io
sono una delle poche persone a cui Il Signore Degli Anelli non solo
non ha lasciato nulla, ma che si è annoiata terribilmente
nel
leggerlo (eresia diranno in tanti). Così è stato
anche per Il
ritratto di Dorian Gray (altra eresia?). Io e Wilde non ci piacciamo,
proprio no.
Mi conforta sapere che il fatto che
fosse un capitolo lungo è un punto a favore. In effetti
inizialmente
doveva comprendere anche il capitolo 12, ma non mi piace scrivere
capitoli troppo lunghi perché penso che qualche lettore
potrebbe
essere ciecato come la sottoscritta e avere problemi a leggere al pc
qualcosa di lungo. Mi rendo conto però che non posso neppure
scrivere quattro righe per volta. Devo trovare la giusta via.
Grazie anche a Dayan18,
che ancora ha
la pazienza di recensire! <3 Oddio, sti errori di
distrazione/battitura mi perseguitano! Grazie per avermelo fatto
notare! :-) Mi fa piacere l'averti strappato un sorriso. Si in
effetti la scena non voleva essere comica ma rileggendola da poco ho
avuto la stessa reazione! XD
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Capitolo 13 *** Capitolo 13. Pazzi d'amore. ***
Hopelessly devoted to you
Hopelessly Devoted To You
<3
Capitolo
13. Pazzi d'amore.
Lui.
Venerdì sera Hannah
non si era fatta vedere, né aveva dato sue notizie.
Jace l'aveva
aspettata invano, sempre più nervoso e irritabile, fino a
sera
tardi, quando si era dovuto arrendere all'evidenza: non sarebbe
andata da lui, non quel giorno.
Aveva continuato a
chiedersi quale disgrazia l'avesse tenuta lontano da lui,
perché non
poteva credere che avesse scelto volontariamente di mancare al loro
“appuntamento”, e ancor più grande era
stata la preoccupazione
quando era arrivato alla conclusione che probabilmente nulla di
allarmante era successo in realtà, ma che semplicemente lei
doveva
aver trovato qualcosa di più interessante da fare che
passare il
venerdì sera chiusa in casa al capezzale di un fabbrica muco
portatore ambulante di virus influenzale come lui. Forse aveva
trovato qualcuno di più interessante con
cui l'aveva
prontamente sostituito.
Il solo pensiero lo
incendiava di rabbia e gelosia. Non riusciva a smettere di farsi
male, immaginandola passeggiare accanto ad uno sconosciuto senza
volto, che l'avrebbe guardata, sfiorata, forse avrebbe persino
tentato di baciarla. Tutto ciò rischiava di mandarlo al
manicomio,
non avrebbe mai creduto di essere così geloso e nonostante
ciò
continuava a negare di provare nei suoi confronti qualcosa di
più di
un caloroso affetto. Non poteva permettersi certe implicazioni
sentimentali, continuava a ripetersi, doveva pensare allo studio, a
realizzarsi professionalmente, lui non aveva tempo per correre dietro
alle ragazze, e in quel momento uscire con qualcuna sarebbe stata una
costante perdita di quel tempo per lui così prezioso, oltre
che una
costante distrazione. Non che non sentisse il bisogno di compagnia
femminile, ma l'aveva sempre declassato a necessità
esclusivamente
fisica, e avendo già assaggiato di quella pietanza e non
avendola
trovata di suo gusto, tentare un altro assaggio sarebbe stato
inutile. Non intendeva di certo cambiare idea per due occhioni
azzurri! Nossignore, avrebbe tenuto duro, lui!
Tutta
la sua forza di volontà andò letteralmente in
frantumi al suono del
campanello, il sabato mattina. D'improvviso incontrare quegli occhi
limpidi, contro cui poco prima si era impegnato a resistere
strenuamente, diventò vitale come respirare, e altrettanto
improvvisamente provò vergogna per il caos che regnava nella
sua
stanza, così disordinata, e provò il desiderio,
fino ad allora
sconosciuto, di apparire al meglio e far apparire al meglio anche il
luogo in cui passava la maggior parte del suo tempo. Una rapida
occhiata fu abbastanza per stilare mentalmente una lista delle
priorità: nascondere calzini sporchi, svuotare cestino dei
rifiuti,
raccogliere cartacce, sistemare libri, varie ed eventuali. Grazie
all'ascensore rotto avrebbe avuto al peggio dieci minuti di tempo.
Sì, poteva farcela, con un piano così ben
congegnato non poteva
fallire! Anche la febbre, che nonostante fosse scesa non gli dava
ancora tregua, non sembrava essere più un problema: si
sentiva
rinvigorito, impaziente, e francamente esageratamente ottimista.
Quando
sentì sua madre salutare qualcuno alla porta, si rese conto
di
essere ancora circondato dal caos. Dieci minuti non solo non erano
bastati, ma non erano stati neppure sufficienti a nascondere l'immane
quantità di vestiti sporchi sparsi per la stanza, tanto che
facendosi prendere dal panico, cominciò a calciare tutto il
calciabile sotto il letto, a nascondere quanto poteva nell'armadio,
tuffandosi infine a pesce sul letto, con gran lamento delle molle del
materasso e della rete. Si schiacciò i capelli sulla fronte
nel vano
tentativo di pettinarli, maledicendosi per non aver mai voluto
mettere uno specchio nella sua camera. Quando bussò alla
porta, si
costrinse ad assumere un'espressione sofferente, ma non gli riusciva
di smettere di sorridere. Pensava a quanto sarebbe stato bello
passare l'intera giornata insieme, cancellare così
definitivamente
il ricordo di quanto successo il sabato precedente. Sembrava
incredibile a pensarci, quante cose fossero successe in una sola
settimana. Quella che era stata la sua vita prima di quel giorno
sembrava qualcosa di remoto e lontanissimo nel tempo, ora gli
sembrava piuttosto di essere stato catapultato in una stupida
commedia romantica, ma senza il solito lieto fine. Aveva quasi perso
Hannah, e anche se l'aveva ritrovata appena dopo non poteva essere
certo di non poter più correre quel rischio.
Questo,
con la consapevolezza di averla riscoperta, comprendendo quanto
potesse essere splendidamente complessa sotto la semplice e un po'
banale facciata di ragazza per bene, la rendevano ancora più
interessante e attraente ai suoi occhi. Dovevano esserci lati
nascosti di Hannah che neppure lei stessa sembrava aver mai visto, e
lui aveva una voglia matta di scoprirli, sfogliarli come un libro e
leggerci tutte le cose meravigliose che rendevano Hannah speciale.
Quando
bussò ancora alla porta lo riscosse dai suoi pensieri.
Cercò ancora
di fingersi il più malconcio possibile, e
sussurrò con voce roca e
stanca un “avanti” appena udibile. Ma quando la
porta si aprì
non poté nascondere tutta la sua delusione. Occhi color
cioccolato
lo osservavano stupiti. Nessuna traccia dell'azzurro che desiderava
vedere. In tutta la sua vita non fu mai così infelice di
vedere
Rose, e neppure tutti i pasticcini del mondo avrebbero potuto
consolarlo da una simile delusione.
***
In
effetti dei pasticcini furono proprio ciò che Rose estrasse
dalla
sua borsa delle meraviglie: un delizioso premio di consolazione che
Jace divorò voracemente senza dire una sola parola, ma
assicurando a
sé stesso che neppure mille di quei deliziosi dolcetti
avrebbero
potuto lenire il suo dolore. Non assaggiarne neppure uno
però
sarebbe stato un vero spreco e un'intollerabile offesa nei confronti
della cuoca.
-Quindi...-
cominciò Rose, quando gli parve che il ragazzo si fosse
rasserenato
dopo l'ingente rifornimento di zuccheri - ...É
possibile... Non so... Che venga qualcun altro a trovarti oggi?-
chiese con discrezione.
-Che
ti fa credere che io stessi aspettando qualcuno?- ribatté
l'altro
sulla difensiva, mentre ripuliva dai rimasugli di panna la scatola
dei pasticcini.
-Io
non ho detto che stai aspettando qualcuno.- la ragazza rise,
divertita dal suo essersi scoperto così facilmente - Sembra
che
qualcuno si sia fregato con le sue stesse mani. Lo sapevo! Quando
sono entrata mi hai guardato in modo strano. Come se ti stessi
chiedendo "che accidenti ci fa lei qui?". Non cercare di
negare, finiresti per dirmi una bugia e sai che non ci riusciresti.-
Jace si voltò a guardarla: gli sorrideva con quella sua
particolare
aria materna, così dolce che si sentì male solo
all'idea di doverle
mentire. Sbuffò. Stupida aria materna che non riusciva ad
ignorare,
e stupida, inopportuna empatia che gli impediva di nasconderle
qualsiasi cosa!
-
Beh... Non è che...- Rose lo fissò corrugando
appena la fronte, in
attesa - Speravo fossi Hannah, okay? Smettila di guardarmi in quel
modo!- sbottò voltandosi dalla parte opposta. Se avesse
continuato a
guardarla avrebbe finito per confessarle qualsiasi cosa.
-In
quale modo?- chiese lei ingenuamente, fingendo di non essere conscia
di quali fossero le armi migliori in suo possesso.
-Lo
sai quale! Come se ti avessi appena pugnalato alle spalle. Non riesco
a negarti nulla se fai così, e tu lo sai!- si
lamentò, lanciandole
un'occhiataccia prima di distogliere nuovamente lo sguardo.
-Jace,
non so di cosa tu stia parlando, credimi.- gli sfiorò una
mano,
prima di prenderla tra le sue. - Perciò smetterò
di parlarne in
questo preciso istante, ma se tu volessi dirmi qualcosa
qualcosa
io ti ascolterò di certo.-
-Quando
fai così sono davvero tentato di odiarti... Ma fai dei dolci
troppo
buoni!- borbottò, prima di prendere un profondo respiro,
preparandosi a sputare il rospo più grande che gli si fosse
mai
bloccato in gola - é che... Ieri Hannah non si è
fatta vedere e nessuno al mondo si è degnato di dirmi
perché! Sono un povero
malato confinato a letto, ho il diritto di essere informato di quel
che succede nel mondo, no?- esclamò con risentimento,
incrociando le
braccia al petto. Rimase in silenzio, attendendo una risposta che
però non arrivava.
-Non
lo sai...- mormorò soltanto l'amica, portandosi una mano
alla bocca.
-Ma
l'ho appena detto! Nessuno ascolta un povero malato in questo mo...-
ma venne interrotto.
-Hannah
ha ritrovato il suo album...- cominciò la ragazza, ma Jace
non
sembrava intenzionato a farla continuare, nè a smettere di
recitare
la parte del malato terminale in lotta contro il mondo intero e
contro un destino avverso.
-Ah
fantastico! Sostituito da un album da disegno! O peggio!
Sarà andata
a festeggiare con qualcuno, dimenticandosi del povero, inutile Jace!-
non aveva intenzione di dire una cosa così cattiva, ma quel
pensiero
molesto si era tramutato in una accozzaglia di parole, il cui solo
suono lo faceva rabbrividire, ancor prima si rendesse conto di averlo
formulato.
Rose
gli prese il volto tra le mani dolcemente ma in maniera ferma. Lo
fissò dritto negli occhi. - Lo so che non credi ad una sola
parola
di quel che hai appena detto. Non potresti mai pensare davvero questo
di Hannah, perché sei pazzo di lei...- Jace cercò
di replicare ma
lei non glielo permise -... quindi fermati prima di dire qualcosa di
davvero offensivo... Qualcosa per cui non riusciresti mai a
perdonarti.- Lasciò il suo volto e gli diede il tempo per
replicare
ma lui si limitò ad annuire. - Hannah ha trovato il suo
album in
pezzi. Ha aperto l'armadietto e le è letteralmente piovuto
addosso.-
Jace sgranò gli occhi per lo sconcerto. Non disse nulla
perché il
suo unico pensiero era quello di infilarsi un paio di jeans al posto
della tuta e correre da lei senza attendere un solo attimo. Non
sarebbe stata qualche linea di febbre a fermarlo. Non fece nulla di
tutto ciò. Si limitò ad alzarsi lentamente e
prendere a camminare
su e giù per la stanza, trovando impossibile stare fermo in
quel
momento.
-é
stata lei a dirtelo?- chiese, incrociando le braccia al petto e
seguitando a misurare la stanza con passi larghi.
-No,
la governante. Quando ieri sera ho chiamato Hannah non ha voluto
parlare con me. Ho richiamato stamane, ma è stato lo stesso.
Così
ho chiesto se Hannah stesse bene, e la Signora MacFie mi ha spiegato
ciò che è successo. L'hanno trovata che piangeva
e cercava di raccogliere
tutta quella carta. Poi l'hanno accompagnata a casa e da quel momento
non ha voluto rivolgere la parola a nessuno.- Spiegò, con
aria
seriamente afflitta.
-Chi
l'ha accompagnata?- chiese il ragazzo con un tremito nella voce,
mentre mentalmente continuava a ripetere mentalmente come un mantra "non
Tom, non Tom, non Tom".
-Ted
Shelby.- Jace tirò un sospiro di sollievo. Ted era un bravo
ragazzo,
troppo narcisista per i suoi gusti, ma in fondo un tipo a posto.
Tornò
a sedersi sul bordo del letto, prendendosi la testa tra le mani. -
Dio... Sono proprio un idiota.- mormorò, scuotendo il capo.
Rose si
sporse a dargli una leggera pacca su una spalla.
-Solo
quando ti rifiuti di vedere più in là del tuo
naso.- disse ridendo
- Credo che ora andrò da lei. Potresti telefonarla
più tardi, che
dici? Tu sei l'unico che lei vorrebbe avere vicino in questo momento,
ne sono certa. Ho paura si senta in colpa per non essere venuta
ieri.-
-Che...? Dopo
quel che è successo non dovrebbe proprio pensare a me.-
borbottò, sospirando gravemente. L'ultima cosa che mancava
ad Hannah
erano i sensi di colpa.- Okay, facciamo che tu vai da lei, poi appena
esci da casa sua mi chiami e io chiamo lei.-
-Non
è quello che ho appena detto? Ora chi è che non
ascolta?- Jace le
rivolse un occhiataccia.
-Ti
sto affidando una missione d'estrema importanza soldato. Non
deludermi.- si alzò, preda di un rinnovato entusiasmo. - Non
c'è
tempo per le battute.- scatto in un saluto militare.
-Sissignore!-
la ragazza rispose al saluto con un altro, ridacchiando.- Tu
però
rimettiti a letto, e non fare sciocchezze, d'accordo?- Jace
annuì,
attese che l'amica prendesse le sue cose, e quindi le aprì
la porta.
Dietro questa, senza che ne avessero avvertito la presenza, c'era
Seth, con un pugno ancora alzato, colto proprio nell'atto del bussare
ad una porta che invece si era aperta rivelandogli un mondo di
meraviglie.
Jace prese dolorosamente coscienza della grave perdita: il suo fidato
soldato era da dare per disperso ancor prima di partire per la sua
missione.
-Ahm...-
mugugnò Seth, lo sguardo fisso su un'imbarazzatissima Rose,
che
rispose a quel verso con un timido sorriso. Ecco, le comunicazioni
con il campo base erano state interrotte, e Jace fece un ultimo,
vano, tentativo per ristabilirle.
-Hei!
Ciao Seth, che piacere vederti. Ma ora Rose sta andando via. Tante
care cose eh!- prese la ragazza per le spalle e la spinse fino
all'ingresso.- Bene, ciao Rose, vai e non deludermi!- Aprì
la porta
e la spinse fuori. Non aveva tempo per la cortesia, ma più
tardi, si
disse, si sarebbe scusato per averla cacciata via di casa in
quel
modo. - Corri Rose, corri come se ne andasse della tua vita!- le
urlò dietro. Gli spiaceva sinceramente di essere stato rude
con la
sua “mammina”, ma conoscendo i due sapeva avrebbero
continuato a
fissarsi come ipnotizzati per ore, senza dire una sola parola,
dimentichi del mondo intero. Non
appena ebbe chiuso la porta alle spalle della ragazza, Seth
sembrò
riprendere un minimo di lucidità. Era capace di una rapida
ripresa.
-Perchè
l'hai mandata via? Non ti vergogni? Sei senza cuore!- lo prese per le
spalle,scuotendolo con forza.- Dove sta andando? Ma prima, di cosa
parlavate? No perché se ha parlato di me, tu me lo diresti
vero? Non
c'è un altro, dimmi di no, ti prego!- sembrava sull'orlo di
una
crisi isterica, e intanto continuava a scuoterlo e a fissarlo con
occhi pieni di disperazione. - Dove l'hai mandata?Sei un essere
spregevole, mandare la mia Rose a sfacchinare per te!-
-Seth,
finiscila!- gli afferrò le mani, così strette
attorno alle sue
spalle da cominciare a fargli male.- Gesù! Smettila di fare
la
regina del dramma!E smettila di scuotermi, mi fai venire da
vomitare!- stacco le mani dell'amico dalle sue spalle – Tu mi
preoccupi! Seriamente! Non puoi venire qui e accusarmi di qualcosa
che non farei mai! Ho già i miei problemi, io!-
aprì nuovamente la
porta, facendogli cenno d'andarsene - Sta andando da Hannah. Se non
fossi rimasto qui a strillare avresti potuto raggiungerla.- il
ragazzo avvertì chiaramente il rumore delle rotelle che
giravano
nella testa dell'amico. Fissava lui, poi la porta, poi nuovamente
lui, poi ancora la porta. Jace, porta, porta, Jace.
-Oh,
io non... Stavolta... Poi ho da... Sì, sì, non
è il caso e... No,
non lo posso fare Jace, non posso io... Sì, sì
invece che posso!
Ciao Jace!- poco mancò che si lanciasse giù per
la rampa di scale,
nel tentativo di raggiungerla prima che gli mancasse nuovamente il
coraggio. Jace si affacciò dall'ingresso, fissandolo
allibito.
-Sono
finito in una gabbia di matti...- sospirò massaggiandosi la
tempia
mentre richiudeva la porta. - Devo trovarmi degli amici normali!-
***
Jace
tornò a letto come Rose gli aveva raccomandato. Acceso il
televisore
aveva cercato inutilmente di rintronarsi facendo zapping da un canale
all'altro, senza trovare niente di abbastanza interessante da
assorbire completamente la sua attenzione. Intanto aspettava
ansiosamente una telefonata che tardava ad arrivare. La testa gli
scoppiava, ma non era la febbre, erano i pensieri che si agitavano
instancabili e incontrollabili. Aveva ancora voglia di andare da
Hannah, era un bisogno così pressante che lo rendeva
indolente. E se
si fosse innamorato per davvero? Era possibile innamorarsi un pochi
giorni? Gli pareva assurdo, ma non più impossibile.
Alle
sette della sera non aveva ancora avuto nessuna notizia da Rose,
tanto meno da Hannah stessa. Fissare intensamente il telefono come
stava facendo, non l'avrebbe fatto uscire dal suo ostinato silenzio,
lo sapeva bene ma non riusciva a smettere di farlo, certo che nel
momento in cui l'avesse fatto questo avrebbe cominciato a squillare e
lui avrebbe rischiato di perdere la chiamata. Non riusciva neppure a
smettere di pensare ad Hannah. E se in quel momento stesse piangendo?
Se avesse un disperato bisogno del suo conforto? Ovvio che aveva
bisogno di lui, ma era chiuso lì, in esilio forzato, e non
poteva
aiutarla. Telefonare non era un'alternativa, lei avrebbe potuto
rifiutarsi di rispondere. Ma lui doveva assicurarsi che stesse
meglio, che avesse chi si prendeva cura di lei, e Rose... Beh, non
era più tanto sicuro che avesse portato a termine la sua
missione.
"Secondo
me da Hannah non è neppure arrivata..." si disse.
Basta!
Doveva vederla, era assolutamente necessario, o sarebbe diventato
pazzo, e se questo significava scappare di casa, beh, l'avrebbe
fatto. Doveva solo mettere a punto la giusta strategia, e con un po'
di fortuna la sua fuga sarebbe riuscita. Ma sì, avrebbe solo
dovuto
aspettare che sua madre si spostasse dalla cucina ad un'altra delle
stanza della casa. Sarebbe stato facile, lei non riusciva a stare
ferma per più di cinque minuti! Dopo sarebbe sgattaiolato
fino alla
porta e sarebbe uscito senza fare il minimo rumore. Poteva... No,
doveva riuscirci.
Si
vestì con cura, indossando strati su strati di vestiti,
tanto che
dopo pochi minuti già cominciava a sudare. In quel modo
però, il
freddo dicembrino sarebbe stato di certo più sopportabile e
forse
meno dannoso. Era conscio dei rischi che la sua evasione comportava,
e il suo corpo stanco e malaticcio glielo ricordava ad ogni
movimento. Ma lui ignorò ogni segnale. Infilò il
portafoglio nella
tasca posteriore dei jeans, quindi si acquattò accanto alla
porta,
attento ad ogni rumore. Gli parve di attendere per un secolo o
più,
ma finalmente sentì sua madre muoversi dalla sala fino al
bagno. Era
il momento: si mosse il più silenziosamente
possibile,camminando velocemente. Attraversò il soggiorno e
strisciò
fuori dalla porta. Scese quatto quatto e guardingo la prima rampa di
scale per poi lanciarsi giù per le restanti, correndo il
più
velocemente possibile. Tutto quel moto era tremendo per la sua tosse
e sudare a quel modo non era certo un toccasana. Arrivato
all'ingresso ansimava e le gambe gli tremavano, tanto che temette
fossero sul punto di cedere. Stava male, fuggire di casa non gli
pareva più una brillante idea. I polmoni gli facevano
così male che
gli pareva di aver respirato del vapore bollente e che gli stessero
strizzando lo stomaco.
Il
pensiero di essere ancora in tempo a tornare a casa, dove lo
attendeva il suo letto caldo e soffice lo sfiorò, invitante,
ma lui
lo scacciò prontamente. Ormai si era messo in testa di fare
quella
pazzia e non si sarebbe fermato, non a quel punto! Non aveva fatto
tredici piani a piedi per tornare da mammina alla prima
difficoltà.
Sarebbe andato avanti, a costo di stramazzare a terra nel bel mezzo
della strada. Prese un profondo respiro, si strinse nel suo cappotto
e attraversò l'ingresso del palazzo, dirigendosi con passo
deciso
verso la più vicina stazione della metro.
Fu
il viaggiò peggiore, e in apparenza anche il più
lungo, della sua
esistenza. Il treno sembrava troppo caldo, troppo affollato e
rumoroso. Il suo dondolio gli dava la nausea. Quando ne
uscì,
barcollante e sudaticcio, fu un sollievo. Forse per tornare a casa
avrebbe fatto meglio a chiamare un taxi. Il freddo intenso fuori fu
quasi un sollievo dopo il tepore della stazione che gli era sembrato
fosse sul punto di soffocarlo. Subito dopo però
sentì il sudore
alla base della nuca ghiacciarsi. No, questo non avrebbe giovato
affatto alla sua salute!
Lei.
Continuava
ad osservare i disegni così faticosamente ricomposti. Jace,
Jace,
Jace... Era ovunque. Come era arrivata a considerarlo tanto
importante, a pensarlo tanto intensamente da finire per ritrarlo
costantemente e quasi del tutto inconsciamente? Era bizzarro notare
come il suo stile, e i suoi stessi gusti si fossero evoluti a seconda
dell'influenza che lui esercitava su di lei. Era passata da paesaggi,
mondi immaginari sempre desolatamente deserti, pieni di vegetazione ma
ugualmente privi di vita, a scene cariche di vivacità: una
strada
affollata e la folla stessa possono essere il soggetto più
banale se
il ritrarli non è altro che uno sterile esercizio. Diventa
tremendamente significativo se ci si accorge di aver ritratto tanti
volti differenti solo per il piacere di poter scorgerci almeno l'ombra
di una vitalità che non si riesce quasi più a
trattenere. Ad un
occhio distratto i suoi schizzi potevano apparire innovativi o
interessanti quanto una natura morta, ma un osservatore attento
avrebbe sicuramente notato i piccoli ma costanti cambiamenti, e che
in ogni disegno c'era un particolare che riportava a Jace. Era
umiliante che qualcuno le avesse guardato dentro a quel modo, era una
malignità che non avrebbe mai potuto perdonare,
perché oltre alla
sofferenza nel vedere il suo lavoro distrutto, le metteva davanti
agli occhi cose che aveva volutamente ignorato fino ad
allora.
Non che avesse più
importanza oramai: aveva promesso di andare a trovarlo ogni giorno,
ma non era stata capace di mantenere la parola data. Mentre si diceva
che avrebbe capito Jace se avesse deciso di non rivolgerle
più la
parola, la porta della sua stanza si aprì.
-Hannah, dovresti
scendere di sotto. Hai visite.- disse la tata, in un tono che non
ammetteva repliche.
-Non ho voglia di
vedere nessuno, tata. Non potrebbero tornare domani?-
domandò,
sospirando. Perché non volevano proprio lasciarla in pace?
-No, non può, non
dovrebbe neppure essere qui. Anzi, non riesco a credere che abbia
fatto una simile follia. É meglio che io vada a telefonare a
sua
madre, e anche a tuo padre. Tu intanto scendi di sotto.- disse mentre
si chiudeva la porta alle spalle. Svogliatamente allontanò
la sedia
dalla scrivania e si alzò. La tata aveva detto che avrebbe
chiamato
sua madre... Chissà che intendeva... E lo aveva detto come
se lei
conoscesse questa “madre”, ma lei conosceva solo la
madre di...
Corse fuori dalla sua stanza e giù per le scale.
L'irrazionale
pensiero che potesse trattarsi davvero di Jace le fece balzare il
cuore in petto. Poteva essere avesse compiuto un gesto così
sconsiderato solo per lei? E perché ne era così
felice?
Quando vide dalle
scale la sua testa bionda e arruffata e seppe di non essersi
sbagliata fu presa da una gioia inesprimibile. Al sentire il rumore
dei suoi passi Jace si alzò dalla poltrona su cui sedeva.
Hannah lo
apprezzò ancora di più per quella galanteria che,
date le sue
condizioni di salute, avrebbe potuto risparmiarsi. Era pallido ed era
evidente quanto sforzo gli fosse costato arrivare fin lì.
-Jace?...- mormorò,
raggiungendolo. Lui si fece avanti di qualche passo. - è
successo
qualcosa...? Di grave, intendo.- chiese con un fil di voce. Jace
fissò lo sguardo su di lei, aveva gli occhi lucidi e il
volto
arrossato per la febbre, e sembrava cercare qualcosa nel volto di
lei. Quando lo trovò, corrugò la fronte
contrariato.
-Ma tu hai pianto...
Guarda che occhi...- le disse con voce così roca da non
somigliare
affatto alla sua solita, così squillante. Tese una mano,
accarezzandole il volto. Hannah avvertì il calore intenso di
quel
tocco.
-Hai la febbre...-
mormorò lei di rimando, constatando la triste
realtà.
-Solo un poco... - il ragazzo
ritirò velocemente la mano. - Mi dispiace così
tanto
Hannie. Per il tuo album, dico. Ti ho portato questo.- le tese una
busta in carta che ad una prima occhiata sembrava contenesse un
quaderno, o un libro
piuttosto grande. Riconobbe il logo stampato sulla busta. Era del
negozio di belle arti dove era solita comprare il suo
materiale.
-Jace hai fatto
tutta questa strada con la febbre per portarmi un... Per portarmi
questo?- chiese prendendo la busta tra le mani e soppesandola,
incuriosita e al contempo preoccupata. Possibile la febbre l'avesse
fatto impazzire del tutto?
-Non dire nulla fino
a che non l'avrai aperto.- la ragazza non ribatté, e mentre
apriva
la busta si chiese quale emozione sarebbe stata più
appropriato
mostrare all'occorrenza: soddisfazione? Gioia contenuta? Timida
sorpresa? Ma quando estrasse il contenuto della busta le sue mani
tremarono. Era andato a comprarle un nuovo album.
Se fosse stata
padrona di sé, l'avrebbe ringraziato con
sincerità, sottolineando
la sua gentilezza e generosità, quindi gli avrebbe
consigliato di
tornare a casa. Ma non aveva parole. In realtà non ne
avevano
bisogno. Hannah sapeva cosa Jace cercava di dirle, in quel suo modo
speciale e unico: qualsiasi cosa avvenga, ovunque tu sia, io
sarò lì
con te. Le stava dicendo che per quanto tremendo potesse essere quel
che le avevano fatto, non doveva farsi dominare dal dolore. Non
sarebbero mai riusciti a buttarla giù, perché lui
sarebbe stato al
suo fianco a sostenerla. Insieme avrebbero avrebbero superato ogni
ostacolo. Continuava a fissare
la copertina verde di dell'album con le lacrime agli occhi. Non
poteva dare un valore al gesto, perché era inestimabile. Il
plico di
fogli bianchi era costato qualche dollaro, ma il loro valore
simbolico era tangibile tanto quanto quello materiale.
-Mi spiace, non l'ho
trovato uguale. Ma la commessa mi ha detto che è molto
simile a
quello che avevi tu. E poi i fogli sono spessi e ruvidi, ottimi per
gli acquarelli. - disse il ragazzo interrompendo il lungo silenzio,
ripetendo le parole della commessa. Hannah annuì solamente.
Si
strinse al petto l'album come fosse quanto di più caro
avesse al
mondo, vinta dall'emozione, perché realizzava in quel
momento di
avere davanti tutto ciò che avrebbe mai potuto desiderare.
Scoprire
di amare Jace era come scoprire che le favole sono storie vere, era
sorpresa e meraviglia, e la felicità di sapere di avere
incrociato
un principe senza titolo ma dall'armatura scintillante, la
personificazione di tutto ciò che un uomo dovrebbe essere.
Lui ancora non lo sapeva, ma
quel giorno aveva fatto suo il cuore di lei, quello stesso cuore che
le batteva in petto assordante come una grancassa. Desiderava
abbracciarlo, e quando lo fece, lasciando cadere anche l'ultima
barriera tra loro, si rese conto di quanto avesse desiderato quel
contatto. Piangeva contro il suo petto, sentendone il battito del
cuore, non avrebbe saputo più dire se piangeva di dolore,
sollievo o
di gioia. Non c'era più modo di tornare indietro, non voleva
tornare
indietro. E se anche il suo fosse rimasto solo un amore non
corrisposto in quel momento non le importava: era innamorata e
provare quei sentimenti per Jace la colmava di una felicità
così
grande che le sarebbe bastata a confortarla per tutta una vita di
solitudine.
L'angolo
dell'autrice:
Rieccomi
qui! Per questo capitolo si
prega di ringraziare l'influenza, che mi ha tenuto in casa per una
settimana (compreso il mio compleanno, bella sfiga) e mi ha dato
tutto il tempo di unire e rivedere i miei tanti appunti sparsi e di
riscrivere completamente il finale, che inizialmente era stano
pensato per essere, diciamo, meno “incisivo” di
questo. :-)
Spero sia gradito! :-)
Un grazie immenso a chi ha messo la
storia tra i preferiti, tra le seguite e le storie da ricordare. :-)
E un grazie ancora più immenso alle
mie fedeli commentatrici Dayan18
e Melikes.
Soprattutto quest'ultima
mi lusinga con delle recensioni lunghissime e minuziose che fanno
gonfiare il mio ego in maniera spropositata! Nel prossimo capitolo
cercherò di trovare davvero il tempo per rispondere
adeguatamente
alle vostre recensioni, lo prometto, questa volta non ho proprio il
tempo materiale, lo studio mi chiama. :-S Dico solo che no, non
è
Tom che ha trovato Hannah, né è lui che suona il
pianoforte, né è
stato lui a prendere l'album. A lui importa di ferire Jace, Hannah
è
solo il mezzo attraverso il quale vendicarsi... Per ora! E come
avrete letto Jace è sempre presente quando si ha bisogno di
lui. :-)
|
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Capitolo 14 *** Capitolo 14. Brutte giornate. ***
Hopelessly devoted to you
Hopelessly Devoted To You
<3
Capitolo
14. Brutte giornate.
Lui.
-Stupido
incosciente! Potrebbe venirti una polmonite! Come hai potuto solo
pensare di fare una cosa del genere? E come credi mi sia sentita
quando mi sono accorta che non solo non eri in camera tua, ma che tu
non eri neppure in casa? Mi è quasi venuto un infarto, ecco
come mi
sono sentita! Mi sono sempre fidata di te Jace, ma tu hai tradito
questa fiducia! Come posso fare affidamento su di te se ti comporti
in modo così immaturo? Mi hai deluso Jace, molto deluso!
Mai, e dico
mai, neppure se cascasse il mondo, avrei mai creduto possibile tu
potessi comportarti in modo così... Così...
Idiota!-
Eccole,
le tre tremende parole che non avrebbe mai voluto sentirle
pronunciare: mi hai deluso. Jace non sopportava di deluderla. Tutto
ciò che faceva e che aveva fatto, era stato fatto
perché lei non
dovesse mai pronunciarle, ma aveva fallito in pieno. Probabilmente
aveva compiuto l'unica azione che, a ragion veduta, sua madre non
avrebbe mai potuto perdonargli. Come darle torto? Nel suo brillante
piano non aveva messo in conto le conseguenze del suo gesto folle, ma
ora doveva affrontarle. Sapeva d'aver sbagliato, e si vergognava
tanto da non avere il coraggio di sollevare lo sguardo dal lucido
parquet del salotto dei Barnes mentre Greta sbraitava e camminava
avanti e indietro per la stanza come una leonessa in gabbia. Hannah
si era ritirata non appena Greta aveva messo piede in casa. Li aveva
lasciati soli per dar loro una parvenza di privacy, inutilmente dato
che Jace era ormai certo che l'avessero sentita urlargli contro fino
in Cina.
-Mi
dispiace mamma...- mormorò solamente, pensando che forse
quelle
erano le uniche parole che non l'avrebbero messo ancor di
più nei
guai. Che altro poteva dirle, comunque? "Mamma sono scappato di
casa per comprare dei fogli alla ragazza che credo di amare come
pegno d'eterno amore, visto che i suoi li hanno fatto a brandelli!"?
Oppure "Sai mamma, le fughe per amore oggi giorno sono
ampiamente sottovalutate!". In entrambi i casi, avrebbe finito
per strangolarlo con le sue stesse mani. Non l'aveva mai vista tanto
fuori di sé. Non aveva mai combinato nulla che giustificasse
un'ira
di tale portata. Ne era addirittura trasfigurata, e Jace credeva che
dipendesse per una certa parte dal trovarsi proprio nell'ultimo posto
in cui sarebbe voluta essere.
-No,
a te non dispiace affatto!- replicò astiosa, voltandosi di
scatto
verso il ragazzo e puntandogli contro l'indice. - Ti
dispiacerà
quando ti ritroverai chiuso a chiave in camera tua! Da questo momento
sei in punizione bello mio, fino a data da destinarsi. Niente
uscite...- Jace pensò tra sé e sé che
dato che non poteva uscire,
non era una grande punizione. -... e niente visite! Non voglio vedere
nessuno dei tuoi amici o delle tue amiche, sbatterò la porta
in
faccia a chiunque si presenti, fosse pure la regina Elisabetta in
persona!- Si era rallegrato troppo presto. E l'accenno alla monarchia
britannica sicuramente non era casuale.
-Da
oggi la musica cambia, in questa casa...- sbatte le palpebre, come se
si fosse ricordata solo in quell'istante di non trovarsi tra le
quattro mura del loro appartamento, e scosse il capo. -... voglio
dire, a casa nostra! Uscirai con me quando andrò a lavoro e
con me
tornerai a casa. Mi aspetterai in infermeria alla fine delle lezioni,
dove potrò tenerti sotto stretta sorveglianza! E ringrazia
che ti
consenta ancora di pranzare in mensa!-
Jace
cominciava seriamente a preoccuparsi per lo stato mentale di sua
madre. Vederla passare da una forse eccessiva permissività
ad una
severità in parte giustificata ma anche questa eccessiva,
era
preoccupante. Forse lo spavento era stato davvero troppo eccessivo.
Greta si zittì, infine. Aveva il fiato corto per l'avergli
urlato
contro per l'ultima mezz'ora. La sentì muoversi attraverso
la
stanza, giacché ancora non aveva sollevato lo sguardo dal
pavimento
e con la coda dell'occhio la vide avvicinarsi alla finestra della
sala. Fin da lì poteva vedere le scintillanti luci di
Manhattan
illuminare la sera e di riflesso il volto di sua madre, con bagliori
colorati che ne rendevano il volto più bello, ma che
sembravano
sottolineare le piccole rughe d'espressione intorno agli occhi e
sulla fronte corrugata.
-Ho
cercato di essere amica oltre che madre, per te. Ma se questo
è il
risultato, se credi di poter fare tutto ciò che ti passa per
la
testa e di passarla liscia mi costringi a diventare il tuo
carceriere. Non portarmi a questo, nessuno di noi lo sopporterebbe.-
L'esplosione di rabbia aveva lasciato dietro se un'insolita
malinconia. Sua madre era triste e stanca, le sue forza erano state
prosciugate completamente dallo scoppio di rabbia. - Non so se essere
più arrabbiata con te per aver fatto quel che hai fatto o
con me
stessa per avertelo permesso.- aggiunse, voltandosi verso di lui. Al
ragazzo mancava sempre più il coraggio si guardarla in
volto:
avrebbe reso tangibile tutto il dolore e la delusione che percepiva
nella sua voce. Gli si avvicinò, fermandosi e
inginocchiandosi
davanti a lui. -Spero sia per la vergogna che continui a fissare il
pavimento, ma vorrei che mi guardassi quando ti parlo.- gli strinse
il mento tra pollice e indice, costringendolo a sollevare il capo. -
Ora va meglio, almeno sono sicura di parlare con mio figlio non con
un manico di scopa.- che cercasse di fare dell'ironia, era un buon
segno, ma Jace non riusciva ad apprezzarlo. - Io so che tu capisci
perché devo punirti. Io non vorrei, non so neppure se
riuscirò a
essere coerente, ma lo devo fare. Non puoi e non devi minare la mia
autorità. Sono sempre tua madre, non devi scavalcarmi.- Gli
disse
tentando un approccio più morbido, già pentita
d'averlo aggredito a
quel modo.
-Lo
capisco.- Jace trovava insopportabile specchiarsi negli occhi di
Greta ricolmi com'erano di tristezza e delusione.
-Bene.-
si alzò, guardandosi intorno alla ricerca della borsa che
doveva
aver abbandonato da qualche parte senza ricordarsi dove esattamente.
La furia era stata troppo grande per focalizzare la propria
attenzione su particolari senza alcuna importanza come quelli. Alla
fine l'individuò accanto al divano. - Ora chiamo un taxi e
andiamo a
casa. Meglio tornare subito, prima che ti venga davvero una
polmonite.- Jace l'osservò raccogliere la borsa e preso il
cellulare
e digitato un certo numero di telefono la sentì discutere
con
un'anonima quanto incolpevole centralista cui unica colpa era, a
giudicare dal tono di sua madre e dalla sua espressione, quella di
averle dato una cattiva notizia.
-Come
scusi? No, forse lei non ha capito cosa ho appena detto...
Sì,
capisco, è sabato sera, ma è un'emergenza e...
Sì, certo, però...
Va bene, aspetteremo. Arrivederci.- Infilò nuovamente il
telefono in
borsa, con notevole stizza. - Ci vorrà almeno un ora. -
disse
lasciandosi cadere accanto al figlio sul divano dei Barnes. - Certo
che questo divano è proprio comodo! - esclamò in
tono scherzoso. -
Quasi giustifica una fuga da casa! É molto più
comodo del tuo
letto!- Jace annuì, e prima che potesse replicare con
altrettanta
ironia la porta della sala si aprì e con passo lento George
Barnes
fece la sua entrata. Sembrava, con tutta quella lentezza, che volesse
dare un che di drammatico al suo ingresso.
Non
appena Greta lo vide quel poco di buon umore riacquistato
scemò del
tutto. Tornò a corrugare la fronte e il suo sorriso si
spense.
Stringeva le labbra con tale forza da farle apparire esangui.
-Quale
gradita sorpresa...- mormorò l'uomo, avanzando verso di loro
con le
braccia incrociate dietro la schiena e, a differenza di sua madre, un
largo sorriso in volto. Jace si sentì improvvisamente a
disagio e si
rizzò a sedere con la schiena ben dritta, come sull'attenti,
in una
posizione rigida quanto scomoda.
-Signor
Barnes...- replicò Greta, e tutto ciò che
riuscì a concedergli fu
un cenno del capo. - Non si preoccupi, ho già chiamato un
taxi,
arriverà il prima possibile.-
-Non
si preoccupi lei Greta, è sempre la benvenuta in questa
casa...- il
modo in cui lo disse sembrò sottolineare che sebbene lei
fosse una
compagnia più che gradita lo stesso non poteva dirsi di suo
figlio.
- … e speravo volesse fermarsi qui a cena. Ormai
è tardi e noi
stiamo per sederci a tavola.- Jace si trattenne dal ridere. Noi? Da
quando non si sedeva a tavola con sua figlia? Hannah gli aveva
accennato al fatto che suo padre fosse spesso tanto impegnato da non
riuscire a consumare alcun pasto, se non la colazione, con lei. Lo
disgustava che nel tentativo di apparire migliore agli occhi di sua
madre mentisse così spudoratamente.
-No
significa no. Quante volte te lo devo ripetere?- Jace si
voltò verso
la madre, afferrando immediatamente il senso delle sue parole.
C'erano stati altri inviti quindi, qualcosa che la donna gli aveva
tenuto nascosto.
-Suvvia
non sia testarda, è solo un invito a cena, una cortesia
che...-
cercò di insistere prima che Jace, alzandosi, lo
interrompesse.
-Credo
sia meglio lasciarvi soli... Ehm... Mamma quando hai fatto io... Ti
aspetto di là...-
Qualunque
cose stesse succedendo tra di loro, Jace non voleva averci niente a
che fare. Voleva solo far finta di non aver capito che a Barnes sua
madre piaceva più di quanto tollerasse e che a lei, visto
l'evidente
sdegno che mostrava in sua presenza, l'uomo non era indifferente.
Meglio non pensare a quali sarebbero potuti essere i danni
collaterali del loro agire, perché gli erano ancor meno
tollerabili
dell'idea di sua madre felicemente accoppiata con un uomo del genere.
Uscì
dalla stessa porta da cui Barnes era appena entrato, ritrovandosi in
quella che doveva essere la sala da pranzo. Uno enorme tavolo dai
meravigliosi intarsi dominava la stanza, e il ragazzo non
poté fare
a meno di chiedersi a cosa servisse mai una cosa così bella
se
nessuno ne godeva. Si avvicinò, per osservarne i decori
chiari sul
legno scuro e rossastro. Tanto era lustro che non osava toccarlo per
paura di lasciarci delle impronte. In quella casa tutto era splendido
e curato nel minimo dettaglio proprio come quel pezzo di mobilio,
eppure pur essendo piena di tanto splendore avvertiva un senso di
vuoto. Si chiedeva quante volte Hannah fosse stata costretta a sedere
a quel tavolo da sola, a consumare un pasto solitario. Quanto era
fortunato lui a suo confronto, che non era ricco, ma ricco d'affetti
sì.
Lo
sorprese un pensiero che non riuscì a scacciar via dalla
mente:
quanto Hannah e Tom fossero simili. Come lei, anche Tom era cresciuto
da solo o con la sola presenza dei domestici, che erano per lui
più
ombre che presenze tangibili. I suoi genitori si curavano ben poco di
lui e dei suoi fratelli, e dopo il loro divorzio le cose erano
peggiorate sempre più: la madre era la tipica donna ormai
non più
giovane ma ossessionata dall'aspetto fisico. Non c'era mese in cui
non facesse visita al chirurgo plastico di fiducia per eliminare
questa o quella rughetta appena visibile. Il medico aveva provato a
dirle che erano rughe d'espressione, normali a cinquantacinque anni,
ma lei non lo stava neppure a sentire. Suo padre, invece, era sempre
stato troppo preso dal lavoro o dalla nuova e giovane mogliettina,
una a caso, ormai era arrivato alla quarta. La seconda era stata
tanto giovane che poi dopo il divorzio aveva sposato uno dei figli
maggiori dell'ex marito.
Le
volte che era stato a casa sua poi, l'aveva trovata sempre vuota,
tanto che cominciava a chiedersi se non fosse costretto a invitarlo
in casa solo quando i genitori non erano presenti perché non
approvavano la loro amicizia, come ne L'amico ritrovato,
o se
al contrario non importava loro cosa facesse, purché non li
disturbasse. Ora sapeva che era sicuramente la seconda ipotesi quella
corretta. Allora però aveva visto l'opulenza di quella casa,
i
vantaggi dell'avere le tasche sempre piene di biglietti da cinquanta,
e null'altro. E aveva continuato a farsi accecare dallo splendore, a
vedere solo ciò che Tom poteva avere e lui no e non
ciò che lui
aveva la fortuna di possedere e che neppure tutti i soldi di suo
padre avrebbero potuto comprare, finché non era arrivata
Hannah. Lei
levigava le asperità del suo carattere, e ci riusciva con la
sua
sola presenza. Bastava questo a migliorarne i tratti e la ragazza non
se ne rendeva neppure conto.
Tale
profondo pensiero lasciò spazio ad un dubbio: se Tom fosse
riuscito
a guardare oltre la maschera che Hannah indossava, se fosse riuscito
a vedere quanto in fondo le loro vite fossero simili e se avesse
usato questo per far breccia nel suo cuore, come avrebbe mai potuto
competere? Lui non capiva la solitudine e forse per questo la scelta
della ragazza sarebbe potuta ricadere su qualcuno che lei potesse
considerare un suo simile. Qualcuno che potesse trovare rassicurante.
Se fosse successo non sapeva se l'avrebbe potuto sopportare, e non
perché avrebbe significato che Tom avrebbe vinto una guerra
che era
stato lui a cominciare ma che non aveva mai voluto, ma bensì
perché
avrebbe perso Hannah. Lei gli stava a cuore molto più di
qualsiasi
altra cosa, compreso il proprio orgoglio. Continuò a
pensarci anche
quando poco dopo sua madre uscì dal salotto e lo raggiunse e
anche
mentre la governante li accompagnava alla porta seguita a ruota da
Hannah. Si ridestò il tempo necessario per notare quanto la
ragazza
sembrasse felice nel vedere la sua adoratissima tata sforzarsi di
essere gentile con loro mentre consegnava a sua madre un enorme
thermos con sguardo tanto intenso e carico di significato che poteva
essere considerato l'equivalente metallico del biblico rametto
d'ulivo.
Riprese
a pensarci mentre salivano in taxi e durante tutto il tragitto fino a
casa. Ma tutto quel pensare lo portò all'unica conclusione
che non
poteva fasciarsi la testa prima d'essersela rotta. In quel momento
doveva pensare solo a guarire, e il più il fretta possibile.
Il
resto l'avrebbe affrontato al momento opportuno. Non poteva fare
altro, al momento, confinato com'era tra le quattro mura di casa.
La
domenica la passò davvero male. Come ci si aspettava la
bronchite
tornò a tormentarlo, e con essa anche la tosse e il dolore
alla
gola. Il giorno successivo fu chiamato il dottore, che
decretò che
la bronchite era sì peggiorata ma non tanto da far temere
l'insorgere di complicanze potenzialmente pericolose. Fu comunicata
all'ammalato l'infausta novella: il suo esilio si sarebbe protratto
per almeno una settimana di più di quanto preventivato ed
era stata
aggiunto alla terapia antibiotica anche un mucolitico per aerosol.
-Tornerai
a scuola in tempo per le vacanze di Natale!- gli disse il medico
ridendo non appena finì di visitarlo. Jace non lo
trovò affatto
divertente.
Le
due settimane successive scivolarono via più in fretta di
quanto non
avesse sperato, forse perché ogni sua giornata era scandita
da una
rigida routine data la mole di medicine da prendere a orari diversi.
Il ragazzo non sgarrò mai, neppure di un minuto, sulla
tabella di
marcia. Voleva guarire in fretta e bene, e tornare da Hannah il
più
presto possibile e voleva che sua madre capisse che ce la stava
mettendo tutta per rimediare al suo sbaglio. Guarire era, seppure
piccolo, un passo avanti. Greta dal canto suo, vedendolo tanto
convinto, decise di aiutarlo come poteva e un pomeriggio
tornò a
casa con un umidificatore per ambienti, che fu piazzato in camera del
ragazzo e che gli fu di grande aiuto per quella tosse che pareva non
volersene proprio andare. Tutti i suoi sforzi non furono vani: due
venerdì dopo il medico lo autorizzò a tornare a
scuola il lunedì
successivo, a patto che stesse attento a non prendere troppo freddo,
dato che la tosse non era ancora guarita del tutto.
Non
ci fu mai al mondo adolescente più felice di tornare a
scuola di
quanto fosse Jace. E quando furono tornati a casa, come ciliegina
sulla torta...
-Sai
che ti dico, Jace? Ti sei comportato da vero ometto in queste ultime
settimane.- cominciò Greta, prendendolo in giro, mentre
posava sul
tavolo due enormi buste: take away cinese, la loro cena. - Hai preso
tutte le medicine senza capricci, hai mandato giù tutto il
brodo che
ha preparato la governante di Hannah e tutte le verdure bollite che
ti ho propinato. Sì, sono profondamente colpita!- si
portò una mano
al petto, annuendo con aria commossa. Jace si limitò a
lanciarle un
occhiataccia e un sorriso divertito. - Soprattutto ti sei limitato
molto nell'uso del telefono. Ero certa saresti stato attaccato alla
cornetta notte e giorno, invece...- In realtà era stato
sempre
attaccato al proprio cellulare, ma forse era meglio non
ricordarglielo.
-Okay,
sono un bravo bambino, appurato ciò arriva al dunque!-
L'interruppe
bruscamente mentre disponeva sul tavolo i vari cartoni pieni di cibo
fumante. Greta prese dallo scolapiatti due piatti e le posate e le
dispose sul tavolo mentre riprendeva a parlare.
-La
tua punizione è revocata per buona condotta. Consideralo un
regalo
di Natale anticipato. Così potrai portare fuori una certa
ragazza...
Una che ha chiamato molto spesso negli ultimi tempi e di cui
attendevi con ansia i messaggi...-
Jace
decise che era meglio ignorare certe allusioni. -Davvero non sono
più
in punizione?- Chiese concedendole uno sguardo adorante e un sorriso
sornione. - Lo sai che sei la mia mamma preferita?-
-Tsk...
Adulatore spudorato!-
Lei.
Le
ultime due settimane erano state dure. L'assenza di Jace a scuola, e
il non poterlo andare a trovare, il doversi accontentare delle
telefonate e dei messaggi, era stato duro. Dopo aver finalmente
aperto gli occhi e ammesso di provare certi sentimenti nei suoi
riguardi sentiva di aver ancor più bisogno della sua
costante
presenza, come se temesse di disinnamorarsene pian piano se non lo
avesse avuto sempre sotto gli occhi. Era troppo presto
perché
comprendesse che la distanza talvolta amplifica i sentimenti d'amore.
Non
si era sentita sola, in ogni caso, anzi la presenza del Trio e di Ted
Shelby, che per qualche motivo che Hannah non riusciva proprio a
comprendere si era auto-proclamato suo protettore fino al ritorno di
Jace, era stata a momenti asfissiante. Tali momenti però
venivano
sopportati e superati con pazienza, perché la ragazza capiva
bene
quanto fosse fortunata ad avere attorno delle amiche tanto care.
Quando aveva trovato il suo album in pezzetti aveva creduto il suo
mondo fosse lì lì per crollare, invece aveva
fornito un ulteriore
motivo di gioia: la dimostrazione della sincera devozione delle
ragazze nei suoi confronti. Se avesse avuto ancora qualche dubbio sul
loro affetto, questo li avrebbe fugati tutti.
Chi
si infuriò di più fu Jaquie. La ragazza sembrava
pronta ad
incolpare e aggredire chiunque posasse il suo sguardo sull'amica. Mal
tollerava tutti i gesti che potessero danneggiare le
proprietà
altrui, perché fin da piccola le era stato trasmesso il
rispetto per
il denaro. Non è cosa che cresce sugli alberi, le diceva
spesso suo
padre, quindi non va sprecato inutilmente. C'è da dire
però, che
quando si trattava dei propri soldi, era sempre pronta a sprecarne
tanti quanti le andasse di spenderne.
-Secondo
me è stata Amanda!- esordì una mattina, mentre si
avviava verso
l'aula di letteratura in compagnia delle altre. - Me lo sento! Devo
solo trovare qualche prova!-
-Jaquie,
non fai Grissom di cognome! Pensi che sia stata lei solo
perché la
detesti.- la rimproverò Daphne, prendendo sottogamba
l'intuizione
della compagna. Così fecero anche Rose e Hannah, che dal
canto suo
poteva ben dire di non aver neppure mai visto l'ormai celeberrima
Amanda in vita sua. Perché mai doveva avercela con lei una
persona
che non aveva neppure mai incontrato?
Hannah
ricevette la bella notizia il venerdì stesso, non appena
Jace era
uscito dall'ambulatorio. In quel momento si trovava seduta al
tavolino di un bar in compagnia di Rose e Ted. Quella mattina aveva
chiesto all'amica se non potesse accompagnarla a cercare dei regali
di Natale, visto che ne aveva presi solo alcuni, e non aveva molte
idee né sapeva dove poter cercare gli altri.
All'appuntamento però
si era presentata in compagnia.
-Jace
lunedì torna a scuola!- aveva esclamato entusiasta non
appena letto
il suo sms. Quale gioia! Se fino a quel momento si era sentita
sfinita per l'intensa seduta di shopping appena conclusasi,
improvvisamente si sentì ringalluzzire tutta.
Cominciò a mandar giù
rapide sorsate della sua cioccolata calda (che non si dica che gli
inglesi bevono solo tè!), tanto che Rose si sentì
in dovere di
rimproverarla.
-Hannie,
ti andrà di traverso, cos'è tutta questa fretta?-
chiese mentre
allungava una mano per afferrare la sua tazza e fargliela posare sul
tavolino.
-Rosie,
credi ci sia qualche negozio ancora aperto?- chiese, presa da una
frenesia inusuale.- Devo sbrigarmi o chiuderanno, e io non ho ancora
preso nulla!-
-Ma
hai già comprato tutto ciò di cui hai bisogno!-
le fece notare
l'altra, accennando con il capo ai numerosi e variopinti sacchetti
posati sul pavimento del piccolo locale, accanto al tavolo. Era vero:
aveva scelto e comperato, seppure con enorme fatica, un piccolo
pensiero per tutti, esclusi i presenti, ovviamente, e Jace. Lui era
un'incognita. Ci aveva riflettuto l'intero pomeriggio, scandagliando
i propri ricordi alla ricerca di un qualche accenno che potesse
indirizzarla nella giusta direzione, ma si era resa conto che si era
sempre parlato di lei, di quello che era il suo passato, presente e
di quello che avrebbe voluto fosse il suo futuro, delle sue passioni,
eccetera. Poche volte si era parlato di Jace. Era un'imperdonabile
sgarro quello che gli aveva fatto, e voleva rimediare al più
presto
cominciando da un regalo di Natale più che azzeccato, ma non
sapeva
proprio da che parte cominciare.
-Ma
non ho trovato il regalo giusto per Jace!- le ricordò con
tono
petulante, emettendo un profondo sospiro.
-Io
so cosa potresti regalargli. - intervenne Ted, che fino a quel
momento, contravvenendo a quello che la sua indole gli suggeriva, era
rimasto zitto zitto a godersi la scena. – Ma non si compra in
un
negozio. Non c'è niente che un ragazzo gradirebbe di
più del bacio
di una bella ragazza!- le suggerì, ammiccando
maliziosamente. Hannah
lo fissò perplessa.
-Devo
pagare una modella perché lo baci?- chiese ingenuamente,
senza
neppure sospettare ciò che il ragazzo intendeva dirle in
realtà.
Guardò poi Rose come se si aspettasse da lei una traduzione
simultanea, perché pareva evidente dall'espressione di lui
che
doveva averne frainteso le parole. In certi momenti le pareva
parlasse una lingua a lei sconosciuta. Ted la fissò
stranito, tra il
sorpreso e il perplesso, per qualche secondo prima di scoppiare a
ridere fragorosamente, tanto di gusto da fargli venire le lacrime
agli occhi.
-Ma
no! Lo devi baciare tu!- esclamò, puntandole contro
l'indice.
Qualcuno dei clienti del locale si voltò nella loro
direzione,
incuriositi da tanto schiamazzare. Hannah impallidì e
arrossì in
rapida successione, tremendamente imbarazzata. Il ragazzo era andato
a toccare un argomento delicato per Hannah, qualcosa di cui non aveva
ancora avuto il coraggio di parlare con nessuno, neppure con la
fidatissima Rose. Aveva paura che a condividere i suoi pensieri con
qualcun altro li avrebbe sentiti meno suoi.
-Che
assurdità...- si limitò a mormorare con sguardo
basso e
malinconico. Lei baciare Jace, questa poi! Non sarebbe mai potuto
accadere. Era qualcosa di troppo bello perché potesse
realizzarsi.
Era, per lei, un avvenimento che sarebbe potuto accadere solo nei
suoi sogni più arditi. Perché mai Jace avrebbe
dovuto baciare lei,
in fondo? Non aveva neppure mai osato immaginare come sarebbe stato
un bacio tra loro. A quel pensiero non poté impedire a se
stessa di
chiedersi come fossero le labbra di un ragazzo, che sensazione si
dovesse provare nello sfiorarle. Erano morbide? Avevano un sapore in
particolare come spesso stava scritto nei romanzetti rosa? Quelle di
Jace sembravano soffici, quasi di velluto. Lui non sembrava
rendersene conto ma talvolta, quando era assorto o concentrato su
qualcosa, prendeva a mordicchiarsele o a succhiarsi il labbro
inferiore, facendole arrossare e rendendole inconsapevolmente ancora
più appetibili. L'aveva ritratto in quella posa tanto ne era
rimasta
affascinata, tanto le era parso bello come mai prima, ma non riusciva
a ritrovare quello schizzo in particolare. Non era nell'album che le
avevano distrutto, altrimenti sarebbe l'avrebbe di certo ritrovato in
pezzi come tutto il resto. Non ricordava però dove l'aveva
riposto.
-Io...
Non... Non vorrebbe essere baciato da me.- farfugliò ancora
con una
vocetta strozzata. Sentiva come un nodo in gola che le rendeva
difficile parlare.
-Sì,
come no! Hannah, sei proprio ingenua!- borbottò Ted
irritato.
Probabilmente, non conoscendo bene la ragazza, si doveva essere
aspettato una diversa reazione e maggiore ironia e malizia da parte
sua.
-Ted,
non sono affari nostri. Smettila di impicciarti. - lo
rimproverò
Rose, prima di rivolgersi ad Hannah, decisa, per il bene dell'amica,
a cambiare argomento. - So che Jaquie e Daphne gli regaleranno una
maglia firmata da un certo Koga...Koba...Koda....-
-Vorrai
dire Kobe! Kobe Bryant, il giocatore dei Lakers!- la interruppe il
ragazzo con un certo tono saccente. Evidente era l'intento di farle
un dispetto e vendicarsi di come lei l'aveva zittito appena un minuto
prima. Hannah li avrebbe trovati divertenti se non fosse stata
concentrati su ben altri pensieri e preoccupazioni.
-A
Jace piace il basket?- Se così era, Hannah non ne aveva mai
avuto
neppure il sentore. Le aveva detto che giocava nella squadra di
football quindi aveva presunto che quello fosse il suo sport
preferito, non aveva mai pensato ci fosse la possibilità che
si
sbagliasse. - Non lo sapevo. Non ne abbiamo mai parlato in
verità.-
Non ne avevano mai parlato perché lei non aveva mai chiesto
nulla a
riguardo. Mentre Jace sembrava lottare strenuamente per riportare
alla luce quanti più ricordi possibili dell'amica e farli
suoi, lei
si era limitata ad aspettare, o sperare, le piovessero addosso quelli
di lui. - In ogni caso, visto che le ragazze gli regalano qualcosa,
non potrò prendergli qualcos'altro anche io.-
sentenziò infine,
sospirando profondamente. Poco dopo la cameriera portò loro
il conto
e usciti dal locale si divisero. Le ragazze procedettero nella stessa
direzione. Per un po' stettero in silenzio. Hannah aveva bisogno di
parlarne con Rose per essere rassicurata, per sentirsi dire che
quello che sentiva per Jace non era frutto di false aspettative che
lei si era costruita negli ultimi mesi, ma che davvero amava Jace,
anche se ancora tante erano le cose che non sapeva di lui. Al
contempo aveva paura di scoprirsi troppo, quindi, dopo un lungo
silenzio, cercando di apparire piuttosto indifferente, le chiese:
-Rosie... Come fai ad essere sicura che Seth ti piaccia davvero?
Voglio dire, tu stessa hai ammesso che vi siete parlati molto poco.-
-Ho
chiesto a Jace di parlarmi di lui.- rispose la ragazza con
semplicità.- Con molta nonchalance ovviamente! Non sono
andata da
lui a dirgli “Hei Jace trovo il tuo amico bellissimo,
potresti
spiattellarmi tutto ciò che sai di lui?”.- la
ragazza ridacchio
delle sue stesse parole. - E lui l'ha fatto. Ha capito e mi ha detto
tutto ciò che avrei voluto sapere. Ora vorrei solo poter
vedere con
i miei occhi ciò che ho solo sentito da altri.- ammise con
rimpianto.
-Ho
capito...- Hannah se ne stette zitta zitta finché non
arrivarono
davanti al portone d'ingresso del suo palazzo. L'usciere la riconobbe
e si avvicinò all'ingresso, aprendole la porta con fare
servizievole. Rose a quel punto sollevò una mano, in un
accenno di
commiato che però Hannah non le permise di terminare.
-Rosie,
ti va di salire? Io vorrei... Vorrei che tu... Potresti parlarmi di
Jace?-
Il
lunedì successivo Hannah aveva ancora in testa tutte le cose
meravigliose che Rose le aveva riferito durante il week end appena
trascorso. Avevano finito per vedersi anche il sabato e la domenica,
per fare gli ultimi acquisti o per una semplice chiacchierata. Hannah
si era resa conto di essersi convinta di conoscere piuttosto bene
Jace, mentre invece sembrava non conoscere nulla di lui, neppure la
data del suo compleanno, cosa che scoprì con orrore sarebbe
stato
poco dopo Capodanno. In realtà aveva solo fatto il pieno di
aneddoti
e particolari insignificanti, anche se per la ragazza erano grandi e
importanti novità.
L'amica
aveva cercato di rassicurarla, dicendole che lei in realtà
lo
conosceva molto meglio di quanto non lo conoscesse l'intero Trio
messo insieme, ed era vero, perché con lei il ragazzo si era
aperto
più che con qualsiasi altra persona. Hannah però
non ne era affatto
convinta, abituata com'era a focalizzarsi sui particolari quasi
insignificanti in maniera maniacale quando dipingeva, supponeva di
doverlo fare anche in questo caso, senza notare la fondamentale
differenza: Jace non era un disegno. Lui era vivo, reale, non poteva
cambiarlo con un colpo di gomma, non poteva prevedere quale sarebbe
stato il risultato finale dell'opera nel suo complesso.
Una
volta arrivata a scuola, mentre si levava il cappellino di lana e i
guanti per riporli nell'armadietto ed era sempre presa dalle sue
elucubrazioni, intravide con la coda dell'occhio un'ombra, qualcuno
che le si avvicinava. Immaginò fosse Jace. Al solo pensiero
il
battito cardiaco accelerò e fu scossa da un piacevole
fremito quando
infine impose a se stessa di voltarsi. Davanti a lei però,
con suo
grande dispiacere, scoprì che non c'era Jace.
-Ciao
Hannah. Come stai?- era Thomas Rushmore, con il suo sorriso gentile
ma insieme altezzoso, con i begli occhi verdi e i capelli neri ben
pettinati che ne incorniciavano il volto dai lineamenti delicati. -
Sono felice di vederti in salute.- I soliti convenevoli a cui Hannah
rispose con un cenno del capo.
-Grazie.
Spero sia lo stesso per te.- Fu educata ma gelida. Infilò i
libri
necessari per le lezioni della mattina nella borsa e chiuse
l'armadietto. - Mi dispiace ma ora devo proprio andare, buona
giornata.- Attese qualche istante per dargli la possibilità
al
ragazzo di accomiatarsi, ma lui senza smettere di sorriderle le
chiese a brucia pelo : - Posso accompagnarti in classe?-
Ne
fu talmente sorpresa che si limitò ad annuire. Si avviarono
insieme
per il corridoio. Tom parlava, di tutto e di niente in
verità,
Hannah si limitava ad ascoltare. Non era interessata ai suoi piani
per le vacanza, che sarebbero cominciate di lì a qualche
giorno,
nulla di ciò che lui diceva poteva attirarne l'attenzione
perché,
in fondo al corridoio lei aveva già visto Jace.
Lui.
Jace
fissava con gli occhi sbarrati l'avviso affisso all'ingresso della
palazzina in cui ricordava di aver sempre vissuto. Lui e sua madre, e
un nutrito gruppo di vicini si erano fermati ad osservare un uomo in
giacca e cravatta, dallo splendido completo di alta sartoria che
appendeva al portone un foglio di carta stampato fitto fitto. Quando
l'uomo se ne fu andato (molto in fretta in realtà, come se
temesse
di venire aggredito da un momento all'altro) tutti, chi con
più
interesse di altri, chi per semplice curiosità, si erano
avvicinati
a controllare cosa fosse. I vecchio Scrooge aveva venduto il palazzo.
Il
vecchio Scrooge era il soprannome che i suoi
affittuari
avevano dato al padrone della palazzina, un certo Harvey Perry, che
nessuno di loro aveva mai visto, dato che preferiva mandare i suoi
legali a fare il lavoro sporco per lui. Era opinione comune che fosse
un uomo avaro, che faceva pagare un affitto mensile mediamente alto
se rapportato al pessimo stato in cui versavano i singoli
appartamenti e la palazzina nel suo complesso, e che pretendeva che
qualsiasi miglioria, fosse anche pitturare la facciata, dovesse
essere a carico degli affittuari. Contava sul fatto che la maggior
parte di loro avesse vissuto fin dall'infanzia in case popolari, in
delle catapecchie ben peggiori di quella o peggio per la strada e che
quindi nessuno di loro avrebbe osato mai tirar fuori la voce.
Purtroppo era vero, per non parlar del fatto che la maggior parte
degli abitanti del palazzo non si sarebbero potuti permettere un
avvocato, e anche se così non fosse stato, sicuramente non
avrebbero
potuto pagarne uno bravo al pari dei suoi.
Jace
sentì il terreno mancargli da sotto i piedi, per un instante
pensò
di stare per svenire. Certo, lui e sua madre avrebbero trovato una
soluzione, avrebbero trovato facilmente un altro appartamento,
probabilmente niente di meglio di quanto non avessero ora. Ma gli
altri? Per alcuni era difficile già tirare avanti, pagare
quell'affitto che piano piano negli anni era cominciato a lievitare
mentre l'edificio diventava sempre più vecchio, logoro e
malmesso.
-Jace...-
Greta lo tirò per un braccio. - Andiamo, faremo tardi.- Jace
non si
mosse. Fissava ancora quell'inutile, stupido foglio di carta, su cui
stava scritto che il futuro di tutti loro era nelle mani di tale
compagnia, la Gamble & Harclay Co. Potevano
buttarli fuori
di casa quel giorno stesso se solo avessero voluto, e loro non
potevano farci niente. Dovevano subire, subire e ancora subire. Ne
aveva le tasche piene di chinare la testa e sopportare i tiri mancini
della sorte.
Greta
lo strattonò tanto forte da farlo voltare. - Jace muoviti. -
gli
intimò fissandolo negli occhi. - Andiamo.- Nonostante
l'apparente
calma poteva leggerle dentro, poteva percepirne la paura e quanto
fosse sconvolta, molto più di quanto lui non fosse. Trovarsi
senza
un tetto sotto il quale vivere era il suo peggiore incubo, un tuffo
nel passato, e Jace ne era dolorosamente consapevole. Ma stavolta lui
non era un bambino, non sarebbe rimasto a guardare sua madre
spezzarsi la schiena nel tentativo perlomeno di sopravvivere. C'erano
tante cose che poteva fare, e gli era chiaro da quale dovesse
cominciare.
Aveva
atteso con ansia il ritorno a scuola, ma in quel momento desiderava
solo stare da solo, tornarsene a casa e dormire, e perdere il
completamente i contatti con la deludente realtà. Provava
l'intenso
desiderio di mandare a quel paese chiunque lo salutasse, e siccome lo
facevano in tanti, la sua pazienza veniva messa a dura prova.
Arrivato
al suo armadietto, lo fissò per qualche istante: aveva
voglia di
sbatterci contro la testa fino a perdere conoscenza. Si sentiva pieno
di rabbia, tanta da riuscire a malapena a controllarla. Aveva voglia
di urlare, di prendere a pugni qualcuno. Lui non era come Hannah, che
si teneva tutto dentro lasciando sfogare i suoi sentimenti nel
silenzio, lui aveva bisogno di esternarli o sarebbe esploso.
Aprì
l'armadietto con uno scatto rabbioso.
-Nervosetto
oggi?- chiese una vocina melliflua alle sue spalle.
-Amanda,
oggi non è giornata.- sbottò lui, senza degnarsi
di voltarsi a
guardarla. Lei era senza dubbio l'ultima persona che avrebbe voluto
incontrare. Sembrava essere venuta al mondo solo per irritarlo.
-Povero
bambino... E io che ero venuta a farti le mie congratulazioni.- gli
si avvicinò, allungando una mano verso i suoi capelli. Jace
se ne
allontanò con uno scatto, afferrandole il polso.
-Dimmi
cosa vuoi e lasciami in pace.- Amanda lo guardò con quei
suoi occhi
di ghiaccio, inespressivi tanto da fargli venire i brividi. Se gli
occhi erano lo specchio dell'anima allora quella di Amanda era vuota.
Aveva lo stesso fascino di una tigre mentre si prepara ad attaccare
la sua preda. Le lasciò andare il polso con uno scatto
repentino,
come se gli avesse dato la scossa, distogliendo lo sguardo dal suo
volto.
-Te
l'ho detto, volevo solo farti le mie congratulazioni. Ora che ti sei
liberato della principessina puoi dedicarti a qualcuno che ti merita
veramente... Qualcuno come me, per esempio.- Si appoggiò
all'armadietto accanto a quello del ragazzo, incrociando le braccia
sotto il seno prosperoso, messo in evidenza dall'aderente divisa da
cheerleader.
-Mandy,
vedi di essere più chiara, non ho tempo da perdere con i
tuoi
giochetti.- sbuffò lui, cominciando ad infilare in fretta i
libri
nello zaino.
La
ragazza tirò fuori dalla tasca del cappotto un foglio
piegato. -
Forse ti interesserà sapere cosa disegna... Scusa,
disegnava...
L'inglesina.- Jace le strappò di mano il foglio, aprendolo:
era lui.
Fissò incredulo la bozza che aveva tra le mani. Hannah
disegnava
lui. E questo, conoscendo Hannah, doveva essere qualcosa di
importante, di fondamentale. Se lo disegnava allora doveva
significare che lei lo considerava parte della sua vita. Lui era
importante per lei, tanto da meritare di essere oggetto di una sua
opera.
-Dove
l'hai trovato?- chiese solamente, nascondendo quanta gioia invece che
fastidio gli avesse donato facendogli vedere quel disegno. - Potrebbe
anche non essere stata Hannah a farlo.-
-C'è
la sua firma sul retro... Firma i suoi disegni, si crede un'artista!-
rise, con quella sua irritante risatina colma di sarcasmo. -
é una
pazza Jace! É una che ti ritrae di nascosto!-
-Non
mi importa. E ancora non capisco perché ti dovresti
complimentare
con me.- sentenziò il ragazzo, infilando il disegno in una
tasca del
cappotto.
-Non
ti importa se è ossessionata da te? Voglio dire, si
può essere più
anormali di così? Ma te l'ho detto! Finalmente ti sei
liberato di
lei, ora che esce con Tom. Li ho visti passeggiare per il corridoio
mano nella mano. Erano tremendamente carini. Due schizzati che si
sono trovati. Dolci, non credi?- Amanda finse grande commozione, e si
compiacque nel vedere la mano di Jace tremare a quella notizia, ma
non ebbe la soddisfazione di vederlo crollare per cadere dritto tra
le sue braccia.
-Se
esce con Tom...- cominciò, e quale sforzo gli
costò mantenersi
indifferente. - Vuol dire che non è poi tanto ossessionata
da me,
non credi?- Jace, al contrario di lei, poté godersi a pieno
la
soddisfazione di vedere la sua espressione cambiare e passare da un
sorrisetto compiaciuto ad una smorfia scontenta.
-Sei
un idiota.- disse prima di andarsene sbuffando e pestando i piedi
perché non era riuscita a rovinargli la giornata. Non si
voltò
neppure per osservarla andar via. Gli bastò sentire i suoi
passi che
si allontanavano per sentirsi sollevato. Prese a respirare
profondamente, un pensiero gli martellava nella mente impedendogli di
formulare qualsiasi altro pensiero: Hannah e Tom. Ma come era
successo, quando? E lui come aveva potuto permetterlo? Cercò
di
convincersi fosse una bugia, un parto della mente contorta di Mandy,
ma non ci riusciva.
Si
sentì toccare una spalla. Eccola di nuovo, pensò.
Decise di
ignorarla. Ma gli picchiettò nuovamente sulla spalla. Si
voltò di
scatto, afferrando la mano che tanto lo infastidiva, e urlò,
senza
neppure sincerarsi che fosse davvero Amanda.
-Lasciami
in pace!- Hannah lo fissò con occhi sbarrati. Il dolore che
lei
provava lo colpì come una scossa elettrica e prima che
potesse dire
qualcosa lei se n'era già andata.
-Avanti
Jace...- disse Tom, e solo allora si rese conto della sua presenza e
che doveva essere arrivato con Hannah, rendendo la bugia di Amanda
verità. - Così rendi le cose troppo facili. Non
c'è gusto a
vincere così.-
Angolo
dell'autrice:
Ebbene rieccomi qui! Purtroppo
non sono riuscita a completare anche il capitolo "Natalizio"
in tempo per questa pubblicazione, ma spero di riuscire a pubblicarlo
entro la fine delle vacanze (sarà un capitoletto piccino
picciò, praticamente un'appendice di questo'ultimo). Grazie
a chi mi legge, e a chi mi segue, chi ha questa storia tra i preferiti,
e chi continua a recensire! :-) Mi illuminate tutti la giornata! Mi sono accorta ora che la mia storia ha compiuto già un anno... Ma quanto sono lenta a pubblicare??? ç___ç Avrei voluto fare qualcosa di speciale per questa importante occasione, ma credo che la cosa migliore che io possa fare è continuare a scrivere. é stato un lunghissimo anno, con alti e bassi (forse più bassi che altro =_=), ma la mia piccola è ancora qui, e cresce e promette di venir su bene. Grazie ai compagni d viaggio che sono ancora qui, a quelli che ci hanno accompagnato solo per poco e a chiunque abbia compiuto anche un solo passo in compagnia di Hannah e Jace. :-)
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Capitolo 15 *** Capitolo 15. Unsaid. ***
Hopelessly devoted to you
Hopelessly
Devoted To You <3
Capitolo
15. Unsaid.
Lei.
Hannah
tratteneva le lacrime da tutta la mattina. In un insolito moto di
auto-preservazione aveva saltato deliberatamente il pranzo, per non
dover affrontare il Trio, ma soprattutto perché per la prima
volta
non voleva vedere Jace. L'aveva spaventata terribilmente. La sua
voce, il suo sguardo, persino la forza con cui le aveva stretto il
polso, l'avevano terrorizzata, ma se al posto di Jace ci fosse stato
un altro, chiunque altro, avrebbe provato la stessa paura.
Ciò che
veramente la turbava era essere consapevole di quanto lui fosse
riuscito a ferirla, era bastato così poco per farle male,
lei stessa
se ne rendeva conto.
Perse
tempo al suo armadietto, aspettando che i corridoi si svuotassero.
Dallo stanzino lì accanto proveniva ancora quella musica
struggente
che aveva udito settimane prima. Poteva immaginare le dita affusolate
di Ted posarsi sui tasti bianchi e neri per produrre quel qualcosa di
celestiale, perché era ormai convinta che di Ted si
trattasse, proprio lui
le aveva detto in precedenza di saper suonare quello
strumento.
"Forse
potrei entrare anche io..." si disse, prendendo i libri per
le lezioni successive più uno da leggere a tempo perso.
Chiuse
l'armadietto e si accostò alla porta. "Ma
sì, è l'unico
posto dove non mi verrebbero a cercare, e poi non gli sarei di alcun
disturbo." si disse ancora. Allungò una mano verso
la
maniglia e la girò, quasi si sorprese di non trovare la
porta
chiusa. L'aprì piano e si infilò nello
stanzino, che in
verità aveva tutta l'aria di un'aula polverosa adibita a magazzino,
piena
com'era di cianfrusaglie di ogni genere. Tanti erano gli scatoloni
ammassati accanto all'ingresso che non riusciva a vedere né
il
pianoforte né il pianista.
Avanzò
ancora, facendo capolino dietro una pila di scatoloni da cui
fuoriuscivano vecchi palloni, sgonfi e logori. Fu sorpresa di vedere
spuntare dietro un pianoforte verticale, relegato in un angolo non
troppo ingombro, invece dei riccioli scuri di Ted, una folta
capigliatura corvina. Imbarazzatissima per il proprio errore
cercò
di indietreggiare silenziosamente prima che il misterioso pianista si
accorgesse della sua presenza. Ma indietreggiando sfiorò uno
scatolone che prima traballò, poi sembrò voler
stare fermo al suo
posto, ma che infine e senza alcun preavviso, proprio quando Hannah stava per tirare un sospiro di sollievo rovinò a terra
portandosi dietro anche il resto dei suoi polverosi compagni. Il
pianista si alzò di scatto, puntandole lo sguardo addosso.
La
sorpresa fu ancor più grande quando Hannah riconobbe in lui
niente meno che
Thomas Rushmore.
-Io...
Io...- cercò di balbettare, chinandosi a raccogliere la
robaccia ora
sparsa per il pavimento, cosa che le permetteva di nascondere almeno
in parte l'imbarazzo, ben evidente sul suo volto arrossato. - Mi dispiace, io credevo ci fosse Ted qui...-
cercò di giustificarsi.
-Aspetta,
ti aiuto!- esclamò l'altro di rimando, precipitandosi ad
aiutarla. -
Non c'è problema. è bello avere del pubblico, per
una volta.-
Hannah osò sollevare lo sguardo. Sembrava sorpreso ed
imbarazzato
quanto lei, e per questo le parve una persona completamente diversa
da come l'aveva sempre considerato, meno sicuro di sé e meno
gelido
di quanto lui stesso non desse a vedere.
"Certo
che proprio tutti cerchiamo di nasconderci dietro una maschera
convenientemente costruita giorno dopo giorno." si
ritrovò a pensare d'un tratto. Finirono di sistemare il
salvabile in
silenzio, e quando si alzarono lui raccolse i libri che lei teneva
tra le braccia e aveva poi precipitosamente posato a terra poco
prima. Soffiò via la polvere che avevano raccolto dal
pavimento e
glieli porse.
-Arte
eh? Ti interessi a questo genere cose?- le chiese con un sorriso incerto.
Sembrava non sapesse cosa dirle.
-Si...Disegno,
pure.- rispose lei, senza riuscire a guardarlo. Puntò lo
sguardo sul
pianoforte. - Quindi tu... Tu suoni, invece. Supponevo fosse Ted a
suonare ma, a quanto pare, supponevo male. é meglio che vada
ora.
Scusa ancora, non volevo interromperti.- gli rivolse un tiepido sorriso di
scuse.
Trovava
molto più facile sorridere ed essere gentile con Tom quando
non
portava maschere. Era meno spaventevole per lei, e più
umano. Era
questo che doveva aver visto Jace, quando erano stati amici, lui che
sapeva sempre come levarti la maschera dal volto e scoprire lati di te stesso che neppure tu potevi dire di conoscere.
-Rimani,
se vuoi. Mi sembra tu abbia bisogno di nasconderti, altrimenti non ti
saresti intrufolata qui.- "Touché!"
pensò la
ragazza, annuendo però al dire di lui. - Sei giù
per come Jace si è
comportato, vero? Se io avessi una ragazza carina come te la
tratterei molto meglio.- Hannah non rispose, si limitò a
seguirlo
quando tornò a sedere al pianoforte. Lei prese posto su una
traballante seggiola, tenuta dritta da un vecchio annuario infilato
tra una delle gambe e il pavimento. Tom aveva indossato nuovamente la
sua maschera e quello scorcio di sensibilità che aveva visto
era
stato nuovamente nascosto. Si sentì improvvisamente a
disagio in sua
compagnia.
-Non
sono la sua ragazza.- mormorò infine, preferendo evitare
qualsiasi
fraintendimento o equivoco.
-Vorrei
vedere qualche tuo disegno.- disse invece l'altro, evitando di
ritornare sull'argomento precedente. Probabile volesse solo una
conferma, e ora che l'aveva avuta non gli era più utile
parlare di
Jace. Riprese a suonare, preferendo stavolta una filastrocca alla
musica sublime che le sue dita erano riuscite a riprodurre con la
semplice pressione dei tasti dello strumento. - Invidio chi ha questa
dote. Io sono completamente negato!- esclamò divertito.
-Io
invidio chi riesce a suonare uno strumento, esprimendone tutta la
magnificenza. é molto più lodevole dello saper
fare qualche
scarabocchio.- fece lei, timidamente.
-é così che consideri le tue opere? Scarabocchi? Secondo me pecchi in modestia, ma non avendo avuto la possibilità di valutare da me...- lasciò in sospeso la frase, cambiando ancora una volta argomento. - Pare
che ognuno di noi invidi qualcosa dell'altro. Tutti e due, in fondo,
siamo simili perché desideriamo cose che non ci
apparterranno mai. -
Hannah si voltò verso Tom. In quelle sue parole c'era molto
più di
quanto il loro significato letterale lasciasse intuire, anche se non
riusciva ancora a cogliere il messaggio tra le righe nella sua interezza.
-Come
mai vieni qui a suonare? C'è uno splendido pianoforte a coda
nella
sala musica, al piano di sotto.- chiese, volendo evitare il silenzio
che in quell'aula sembrava farsi pesantissimo, quasi insostenibile.
-Lo
so, ma preferisco isolarmi quando devo suonare. So che tu capisci, se ti chiedessero se preferisci disegnare in una stanza
affollata, sotto lo sguardo di tutti, oppure da sola, in un luogo
silenzioso e isolato, cosa rispoderesti?.- Hannah afferrò immediatamente il senso del suo
dire, e
annuì con vigore. Continuarono a farsi reciprocamente delle
domande,
da allora alla fine della pausa pranzo, pur di non dover restare in
silenzio.
Quando
la campanella suonò, scattarono in piedi quasi in sincrono.
Hannah
raccolse le proprie cose, Tom le sue, e entrambi si diressero verso
la porta. Il ragazzo la precedette, tenendogliela aperta. Lo
ringraziò con un cenno del capo e poi in silenzio, come per
un
tacito accordo si avviarono lungo il corridoio l'uno affianco
all'altro, come quella mattina, anche se l'atmosfera era ben diversa.
Quando dovettero dividersi Hannah fece per salutarlo ma lui la prese
in contropiede dicendo: - Dovresti parlare con Stein. A volte si
comporta da schizzato, ma non è male. E poi se dovessi
perdere il
mio avversario proprio all'inizio dei giochi, non ci sarebbe nessun
divertimento.- Le dedicò una strizzatina d'occhio prima di
allontanarsi e lasciarla lì, senza parole.
Lui.
Jace
continuava a guardarsi intorno come un disperato. Sperava di vedere
Hannah e chiederle scusa per essersi comportato da perfetto idiota,
ma la pausa pranzo era ormai a metà e lei ancora non si era
vista.
-Ma
complimenti Jace! Devi averla ferita a morte! Magari ora è
in bagno
che piange, una specie di Mirtilla Malcontenta! Complimenti
vivissimi!- fece Jaquie, con un'irritazione che non si sforzava di
nascondere.
-E
quel che è peggio è che credo di sapere chi ha preso il suo
album.-
Jace incrociò le braccia sul tavolo e vi posò il
capo, che sentiva
pesante e cominciava a dolergli per la rabbia e la tensione di quella
giornata pessima ma che era appena agli inizi. - Per la cronaca,
Jaquie aveva ragione, probabilmente.-
-Ah!
Avete visto? - disse allargando le braccia, in un gesto plateale.- Io
lo sapevo! Lo sapevo che era stata lei! Ma se mi capita tra le mani
io...-
-Vorrei
sapere su cosa si basano le vostre supposizioni.- l'interruppe
Daphne, che non gradiva tutte quelle accuse impossibili da provare.
-Mi
ha dato un disegno che era nell'album. Non credo che casualmente
l'abbia trovato proprio lei tra tutti gli studenti di questa scuola.-
sbottò il ragazzo sollevando appena il capo. - Sarebbe una
coincidenza troppo azzeccata, visto che con quello ha cercato di
convincermi che Hannah è una pazza, ossessionata dalla mia
immagine.-
-Jace,
ancora al tavolo delle perdenti?- Jace l'avrebbe voluta strangolare.
La sua vocetta gli perforava i timpani. Fastidiosa una zanzara che ti
ronza in un orecchio quando sei lì lì per
addormentarti.
-Ma
guarda, parli del diavolo...- mormorò Jaquie, prima di
alzarsi. - Mi
è passato l'appetito. Ci vediamo a fine lezioni. - Daphne e
Rose si
alzarono subito dopo, e la seguirono fuori dai locali della mensa.
-Finalmente
le lesbicone e l'immigrata clandestina, hanno epurato l'ambiente
dalla loro presenza.- disse, ma solo quando Jaquie fu ben lontana da lei,
con perfidia che disgustò Jace a tal punto che si
alzò e fece per
andarsene anche lui, troppo nauseato per dire anche una parola di
più. Amanda gli afferrò una manica e lui la
ritirò con uno scatto
nervoso.
-Amanda,
ti ho avvertito prima: lasciami in pace. Lo sai perché non
ti voglio
tra i piedi? Perché per quanto tu sia bella fuori, dentro
sei
orrenda. Io con una come te non voglio avere niente a che fare,
lascia in pace me, Hannah, e le ragazze.-
-Non
dopo quello che ho fatto alla tua Hannah, giusto? Non hai prove, e
comunque io non difenderei una che va a imboscarsi nello stanzino
delle scope con il mio ex migliore amico per vendicarsi.- detto
ciò,
troppo arrabbiata e ferita dalla pubblica umiliazione davanti
all'intera scuola, girò i tacchi e tornò al suo
tavolo, sbuffando e
scalciando tutte le sedie che si trovavano sul suo cammino.
La
verità fondamentale che Amanda non riusciva a comprendere
era che
non tutte le ragazze erano, per fortuna, come lei o le sue cosiddette
amiche. Hannah non si sarebbe mai buttata tra le braccia di un altro
solo per uno sterile bisogno di vendetta.
Quando
uscì dalla mensa la pausa pranzo era praticamente finita. La
campanella dilaniò il silenzio dei corridoi e il ragazzo si
diresse
lentamente verso l'aula di storia americana, la sua prossima lezione.
Si sentiva stanco, il suo corpo gli pareva pesante come non mai.
Tutto ciò che avrebbe voluto era buttarsi a letto e dormire
per una
settimana intera.
Ma
la giornataccia era appena cominciata: per la seconda volta da quella
mattina sentì mancargli il terreno da sotto i piedi, che
sembrava
stare sgretolandosi insieme alle sue certezze. Hannah e Tom, di nuovo
insieme, camminavano per i corridoi fianco a fianco. Tom non
sembrò
accorgersi di lui, ma Hannah sì. Quando lo vide lo
fissò con
sguardo spaurito, gli voltò le spalle e corse via.
Lei.
Alla
fine Hannah decise di seguire il consiglio di Tom, anche se
per nulla dettato dal generosità o simili sentimenti. Nei giorni seguenti alla
loro
conversazione Jace e lei si erano evitati, e aveva evitato anche Tom,
nei limiti del possibile dato che sembrava starle sempre dietro, come
un'ombra, cosa che reputava piuttosto inquietante.
Così
era arrivata la vigilia di Natale e ancora non avevano chiarito la
situazione. Hannah poteva dal canto suo dire che era la paura a
frenarla, e quanto sforzo le costava recarsi a casa del ragazzo come
stava facendo. Non sapeva dire cosa frenasse lui dall'andare a
parlarle, invece. Non poteva pensare che Jace avesse paura proprio come lei. Forse reputava toccasse a lei fare la prima mossa.
L'autista
fermò l'auto proprio davanti al portone d'ingresso del
palazzo.
Hannah scese celermente e fece per entrare nell'edificio quando un
foglio appeso al portone ne attirò l'attenzione. Non
poté fare a
meno di fermarsi a leggere. Non la colpì la notizia della
vendita
del palazzo, ma il nome della compagnia che l'aveva comprata. Gamble
& Harclay... Due nomi noti, troppo a dire il vero ma poteva
sempre essere una banale coincidenza. D'istinto strappò il
foglio e
lo infilò in tasca. Si precipitò su per le scale,
che mai gli
parvero tanto lunghe. Arrivò trafelata
al
tredicesimo piano solo per scoprire che Jace non era in casa.
-Dovresti
salire sul tetto.- le suggerì Greta, indicandole la rampa di
scale
in metallo che partiva proprio dal loro pianerottolo. Così
aveva
fatto, ma ora non aveva il coraggio di uscire dall'ombra e
raggiungere Jace, che vedeva attraverso la finestrella della porta
che, se fosse stata chiusa a chiave, avrebbe impedito l'accesso
all'ampio tetto del palazzo, tanto grande da poterci fare un giardino
o persino un orto.
Il
ragazzo era illuminato dalle luci dei faretti che illuminavano il tetto stesso, fumava una sigaretta appoggiato conto la rete di
protezione che circondava tutto il cornicione su cui sedeva. Si rese
improvvisamente conto di non sapere cosa dirgli. Non si era preparata
un discorso vero e proprio, sperava le parole venissero da sole, ma
queste latitavano. Intanto la sigaretta di Jace stava per finire, e
presto si sarebbe alzato per tornare a casa. Doveva muoversi o
avrebbe perso anche quell'occasione. Aprì piano la porta e
sgattaiolò all'esterno. Una sferzata di vento gelido
l'investì in
pieno. Non era certo il posto più salutare per un
convalescente, ancor meno salutare era il fatto che si trovasse li a fumare dopo essersi appena rimesso da una brutta bronchite. Il
ragazzo comunque non sembrò accorgersi della sua presenza,
finché
lei non gli rivolse la parola.
-C'è
una bella vista da qui...- mormorò, tenendosi a qualche
metro di
distanza da lui. Quando Jace si voltò, Hannah
pensò che con quella
sigaretta tra le labbra e l'aria stanca sembrava molto più
adulto di
quanto non fosse, addirittura, e la imbarazzava solo pensarlo,
più
sensuale. Il ragazzo buttò via la sigaretta con uno scatto,
come se
si vergognasse di essersi fatto sorprendere a fumare. Hannah gli si
avvicinò titubante ma inesorabile, anche se lui ancora non
aveva
detto una parola.
-Jace,
perché non mi hai detto della vendita del palazzo?- estrasse
dalla
tasca il foglio, che essendo stato infilato in una tasca senza troppo
riguardo si era tutto spiegazzato, e lo dispiegò prima di
tenderglielo. Lui lo prese, l'osservò per un tempo che alla
ragazza
parve protrarsi in eterno.
-Volevo
dirtelo...- cominciò, senza sollevare lo sguardo da foglio
che si
rigirava tra le mani, come se cambiarne il senso avrebbe potuto
cambiare anche il senso del messaggio che recava. - La prima a cui
ho pensato di dirlo sei stata tu. Poi però è successo
quel che è
successo e... Avevo paura che saresti scappata. é la mia
più grande
paura vederti scappare via da me.- disse con un sorriso pieno di
triste ironia, con cui sembrava prendersi un po' in giro per la sua
debolezza. Le tese nuovamente il foglio,e quando lei allungò
la mano
per riprenderlo, le afferrò un polso con la mano libera e la
tirò
verso sè, stringendosi a lei, le braccia incrociate intorno
alla sua
vita e il volto premuto contro il suo stomaco.
Lui.
-Mi
dispiace, non volevo trattarti così, sul serio. Se io avessi
immaginato che eri tu mai mi sarei permesso di... E poi volevo
chiederti scusa, lo volevo con tutto il cuore ma ti ho visto con Tom
e poi sei scappata via e io per la prima volta non sapevo proprio
come comportarmi. Sono un imbecille. - disse alla fine di quel breve
e sconclusionato discorso. Jace sembrava più che mai un
bambino, in
quel momento. Spaventato almeno quanto lei dall'intensità
dei
proprio sentimenti, si era trovato a non sapere cosa dirle, ma al
contempo ad avere un bisogno incontrollabile di lei, della sua
vicinanza. L'aveva stretta senza riflettere, preda di un impulso
momentaneo, ma non riusciva a pentirsi di quell'avventatezza, non se
lei gli posava una mano sul capo e lo carezzava così
dolcemente come
stava facendo.
-Ho
creduto di averti ferito, in qualche modo ma senza sapere come. Anche
io avevo paura. Paura che non volessi avere più niente a che
fare
con me. Ed ero spaventata perché non sembravi neppure tu. Mi
hai
guardata con tanto odio quella volta che non potevo trovare nulla di
te in quell'espressione.- Jace sollevò il capo, osando
finalmente
fissarla in volto.
-Non
potrei mai odiarti, neppure se mi pugnalassi alle spalle. Saresti
sempre importante per me perché io...- smise improvvisamente
di
parlare, conscio di stare per lasciarsi scappare qualcosa di molto,
troppo simile ad una confessione. Scattò in piedi, posando
le mani
sulle spalle della ragazza, come a mettere distanza tra loro. -... io
ti voglio molto bene.- concluse, titubante. Hannah ancora una volta
fu troppo ingenua per porsi delle domande, anche se gli parve di
scorgere nuovamente un lampo di delusione nei suoi occhi.
-Anche
io ti voglio bene.- rispose, abbracciandolo a sua volta, sebbene con
molta meno passione di quanto non avesse fatto lui in precedenza.
Jace doveva mettere fine al supplizio: la voleva vicina e tutta per
se, sentirne il calore e sentirlo fondersi con il suo era quanto
più
vicino ci fosse al suo paradiso ideale. Eppure quella stessa
vicinanza lo distruggeva pian piano, perché continuava a
reprimere i
propri sentimenti in un cantuccio, senza dargli la
possibilità di
esprimersi. Era solo per paura che non tentava neppure di dirle
quanto l'avesse fatto innamorare, una paura stavolta imputabile solo
a se stesso. Lei non aveva colpa se lui era troppo codardo.
-é
meglio entrare, che dici?- tentò di smorzare la tensione
allontanandola da sé ancora una volta. Le mise un braccio
intorno le
spalle, conducendola fino alla porta. - Ti offro qualcosa di caldo,
vuoi?Tu non lo sai, ma mia madre fa una cioccolata calda addirittura
libidinosa!-
Lei.
Hannah
si lasciò condurre giù per le scalette fino
all'ingresso di casa
Stein. Ancora una volta avvertiva un'amara sensazione, come di una
speranza disillusa, una speranza che non sapeva neppure d'avere
coltivato. Era come se avesse saltato un passaggio importante della loro conversazione. Nella loro
relazione mancavano dei tasselli fondamentali, ma non capiva proprio
cosa mancasse. Jace sembrava essere stato sul punto di dirle qualcosa
di importante, ma poi si era bloccato. Quando poi le aveva detto di
volerle molto bene era stata tanto felice da offuscare qualsiasi
altro pensiero molesto. Poteva accontentarsi di questo. Poteva vivere
una vita intera solo con il suo “bene”,
accontentandosi di quello
senza chiedere mai che si tramutasse in “amore”.
Gli
altri.
Hannah
rimase tutta la sera a casa loro. Guardarono dei film natalizi alla
T.V., mangiarono cinese e bevvero una tazza della cioccolata speciale
di Greta. Tutto sembrava perfetto, e quando Jace si appisolò
con la
testa sul grembo di Hannah, già addormentata, Greta fu
colpita
dalla scenetta casalinga, tanto tenera e dolce, come si viene colpiti da uno
schiaffo in pieno volto. Rimase ad osservarli per un po', indecisa se
svegliarli o meno, ma non ne ebbe il coraggio, neppure quando George
venne a prendere Hannah. Lo fece entrare, e senza dire una parola lo
afferrò per un braccio e lo trascinò fino al
sofà.
-Guardali
e dimmi una cosa: come possiamo far loro una cosa del genere?- disse
in un sussurro disperato.
-Greta
sono ragazzi.- disse lui, facendola sentire come una bambina a cui
cercano di inculcare che l'uomo nero non abita sotto il suo letto.
George negava quella che per lei era l'evidenza, facendola sentire
stupida. - Tra un mese si saranno già invaghiti di qualcun
altro.-
sentenziò, dando scarsa importanza alla faccenda.
-Non
siamo stati giovani anche noi forse? Non ci siamo sentiti almeno una
volta come loro, innamorati persi, fino a credere di impazzire senza
l'altro? Non hanno anche loro il diritto di stare insieme? Dammi una
ragione per cui dovrei togliere al mio stesso figlio la
possibilità
di vivere l'amore. é quello che mi stai chiedendo anche tu
George,
vivere quello che proviamo, o crediamo di provare, eppure vuoi
negarlo ai nostri figli. Io non voglio frequentare un uomo che
toglierebbe una delle più grandi gioie della vita alla
propria
creatura.- sentenziò decisa, allontanandosi di qualche passo
da lui.
George
non rispose. Tornò ad osservare Hannah, con il capo
pigramente
reclinato di lato, contro lo schienale del divano. Per la prima volta
fu capace di mettere in dubbio il proprio valore come uomo e come
genitore. Non era stato un buon padre, doveva riconoscerlo. Non
sarebbe mai stato neppure appassionato e affettuoso come Greta, che
non smetteva mai di raccontargli aneddoti sul suo Jace, e di
vantarlo, mentre lui si era reso conto solo allora di non sapere
nulla di Hannah. Non riusciva ad accettare però l'idea di
dover
rinunciare a Greta per amor suo. Era troppo egoista per farlo.
-Non
abbiamo dei diritti anche noi?- mormorò infine, distogliendo
lo
sguardo dai due adolescenti per posarlo sulla donna di cui si era
invaghito a prima vista, ma che sembrava non poter far sua in nessun
modo.
-Abbiamo
anche delle responsabilità come genitori, e queste vengono
prima di
tutto. Io, in tutta coscienza, non posso fargli questo.- Ancora una
volta, George non replicò, anche se, dopo aver riflettuto
aggiunse
qualcosa. Una proposta, l'avrebbe definita lui. Una condanna,
l'avrebbe definita Greta più in là.
-Jace
la settimana prossima sarà legalmente un adulto, e Hannah lo
sarà
l'anno prossimo. A quel punto saremo liberi da ogni
responsabilità
genitoriale, almeno agli occhi della legge. E i nostri figli saranno
liberi di andarsene di casa se non dovessero gradire la nostra
relazione. Facciamo un patto: continuiamo a frequentarci, vediamo
come va. Se quando loro due saranno entrambi maggiorenni tu mi vorrai
ancora, perché io ti aspetterò, allora
farò tutto ciò che vuoi, e
sarà fatto alla luce del sole, come tu desideri.- Le prese
una mano
e la baciò dolcemente, tentando di rabbonirla con un poco di
galanteria.
-Mi
stai proponendo di continuare la nostra relazione in segreto. Mi stai
proponendo ancora una volta una cosa che non voglio fare, cerchi di
prendermi in giro
o cosa? Non ho intenzione di avere un segreto con Jace, e solo per
vedere "come vanno le cose"? Non voglio fare niente del
genere.- Ritirò la mano, incrociando le braccia al petto.
-Io
ti ho dato un'alternativa Greta, più di questo non posso
fare. -
mormorò stancamente l'uomo. - Non abbiano molte altre
possibilità.
Almeno pensaci.-
L'angolo
dell'autrice:
Ebbene si, ce l'ho
fatta a pubblicare ache questo capitolo! Olè! Giubilo!!
Grazie a tutti voi miei adorati lettori, grazie davvero.
P.s: ho aperto un blog per le mie storielle, per ora c'è
ancora poco, ma presto pubblicherò spoiler, out takes e
altre curiosità sulle mie storie e sulla storia che ho in
cantiere. Dateci un'occhiata se vi avanza del tempo. ^_^
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Capitolo 16 *** Capitolo 16. New Year in New York ***
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Capitolo
16. New Year in New York.
.
Lei.
Hannah
non aveva programmato di raccontare alle ragazze tutto quello che era
successo tra lei e Jace la sera della vigilia di Natale. Difatti,
aveva raccontato loro lo stretto indispensabile, come era nella sua
indole riservata. O almeno ci aveva provato. Quando però,
qualche
giorno dopo il venticinque Dicembre, si erano trovate tutte riunite a
casa sua, per un tradizionale, per Hannah, e inusuale, per il Trio,
tè delle cinque, l'avevano costretta a vuotare il sacco,
minacciandola di tirarle fuori le parole di bocca con la tortura, se
le avesse costrette.
-Aspetta,
aspetta!- l'interruppe Daphne improvvisamente, mentre Hannah, piena
d'imbarazzo, cercava di raccontare loro cosa lei e Jace si erano
detti sul tetto, e come si era sentita stranamente a suo agio e al
contempo agitata quando lui l'aveva stretta a sé
così forte da
mozzarle il fiato, il tutto senza che sembrassero parole e gesti
equivocabili. Non cercò neppure di spiegare come il suo
cuore
sembrasse impazzire ogni volta che lui la sfiorava o avrebbero
compreso più di quanto la ragazza non desiderasse.
Sollevò
lo sguardo sull'amica, perplessa dalla sua interruzione. - Ci stai
dicendo che si è... No anzi, vi siete dichiarati l'un
l'altro?-
Improvvisamente
una luce malsana si accese negli occhi di Jaquie.-Aspetta... Daphne,
hai ragione! Lui ti ha detto che ha avuto paura di perderti... E tu
gli hai detto lo stesso... - cominciò con tono tutto malizia
- E poi
lui ti ha detto che ti vuole bene ma se permetti, secondo me, voleva
dire ben altro! Oh! Queste si che sono informazioni calienti!- la
ragazza ammiccò maliziosamente sotto lo sguardo sconvolto di
Hannah,
che come c'era d'aspettarsi vedeva la faccenda sotto tutt'altra luce.
-Vi
sbagliate, non somigliava affatto ad una dichiarazione... - ma
lì
finì per tradirsi. - Cioè, non era.. . Non era
assolutamente una
dichiarazione. - si affrettò a correggersi, ma ormai il
danno era
fatto. Daphne e Jaquie sogghignavano soddisfatte. - Siamo amici, voi
mi ripetete continuamente che è normale esprimere affetto
nei
confronti degli amici, non vedo cosa ci sia di diverso stavolta.-
-Aspetta,
qui c'è una differenza sostanziale. - riprese Daphne - Noi
siamo
amiche, giusto. Siamo tue amiche, e siamo anche amiche di Jace ma,
lasciamelo dire, per te ha sempre avuto un occhio di riguardo. E tu
per lui. - e che quella fosse una verità inconfutabile,
almeno da
parte sua, non poteva negarlo. Jace era speciale per lei, come nessun
altro avrebbe potuto essere: era il suo primo amore.
-Quindi
non provare a dire che non c'è niente di diverso questa
volta,
perché è tutta un'altra storia, ragazza mia.-
concluse Jaquie per
lei.
-Concordo.-
disse Rose, che si era tenuta in disparte fino a quel momento,
godendosi in silenzio l'esperienza del "tè delle cinque".
Hannah le lanciò un occhiata che sembrava accusarla di non
darle
nessun conforto in quel momento di intenso imbarazzo.
-E
non dimentichiamo che hai passato lì l'intera serata...-
riprese la
rossa, prima di ficcarsi un biscotto in bocca e assaporarlo con un
sospiro di piacere.
-Sì,
ma è stato solo un caso. Mio padre mi ha chiamato per dirmi
che non
sarebbe stato in casa, la tata era in libera uscita e a Greta
spiaceva sapermi sola a casa. Non ho portato loro neppure un regalo
perché alla fine non ho trovato nulla di adatto in tempo.-
replicò
Hannah, scuotendo mestamente il capo.
-Sì
sì, non ti preoccupare, a quello potrei prevedere io. Anche
se
l'idea di Ted era sublime.- tagliò corso Jaquie, che si
sporse verso
Hannah dalla poltrona su cui si era accomodata. La ragazza comprese
subito che l'amica sembrava aspettarsi qualcosa da lei, ma non capiva
cosa. Quando si voltò verso le altre, in cerca di aiuto, si
rese
conto che la fissavano con la medesima espressione sul volto. Prima
di porsi un qualsiasi quesito a proposito di questa improvvisa
curiosità da parte delle tre, si voltò verso
Rose, e le disse –
Hai detto loro anche questo?- per uno sgarro del genere avrebbe
potuto addirittura irritarsi.
-Scusa
Hannie, ma è stato più forte di me. La tua faccia
quella volta era
tutta un programma.- replicò l'amica con un sorriso
innocente.
Hannah sospirò. No, non sarebbe riuscita ad arrabbiarsi con
nessuna
di loro.
-Va
bene, scuse accettate.- le sorrise. Improvvisamente un brivido la
scosse, come fosse un dito gelido che le sfiorasse la spina dorsale.
Si guardò intorno: le ragazze la fissavano ancora con aria
tanto
interessata e curiosa da farle paura. -Che c'è?- chiese con
un
tremito nella voce.
-Aspettiamo
i particolari piccanti.- rispose Jaquie. Hannah prese il colorito di
un bel pomodoro maturo.
-Pi...Piccanti?-
balbettò, chinando il capo e incassandolo tra le spalle. -
Ma... Non
è successo niente più di quello che vi ho
raccontato. - mormorò
piano, la voce le moriva in gola. - Ci siamo addormentati guardando
"Miracolo sulla 34° strada", e basta.-
-Oh,
addormentati...- ripeté Jaquie - … Magari
avvinghiati in un
abbraccio passionale?- Hannah ebbe appena la forza si scuotere il
capo. Avrebbe voluto sparire tra i cuscini del divano. - Abbracciati
affettuosamente?- chiese ancora speranzosa, ma Hannah scosse
nuovamente il capo. - Con il capo sulla sua spalla?- ancora un buco
nell'acqua. Jaquie cominciava a spazientirsi. - Con il suo capo
sulla tua spalla?- nisba. - Mio Dio, ti prego, non dirmi che eravate
lontani anni luce! C'erano per caso delle transenne a dividervi o
avete costruito una miniatura del muro di Berlino nel bel mezzo del
divano? - sbottò levando gli occhi al cielo. - Okay... -
prese un
profondo respiro. - Ultimo tentativo: il suo capo sul tuo grembo e le
vostre mani teneramente intrecciate.- disse sospirando di
soddisfazione al solo immaginare una scena tanto zuccherosa. E
finalmente Hannah annuì, facendo esultare il Trio, anche se
si
affrettò ad aggiungere - Non le mani, però...-
Cosa che smorzò
decisamente l'entusiasmo generale.
-Beh,
ci sono stati grandi miglioramenti, in ogni caso. - Daphne era
però
decisa a tenere alto il morale della comitiva. - Vuol dire che avete
risolto tutto, e ne siamo tutte felicissime, così potremmo
pure
organizzare qualcosa per la notte di Capodanno, no?- si
sfregò le
mani, e finalmente Hannah poté sospirare di sollievo, non
essendo
più l'oggetto delle bramose attenzioni delle amiche.
-Vi
prego, niente locali come quello in cui mi avete trascinato lo scorso
anno.- esordì Rose. - Era talmente affollato che sembrava di
stare
in una scatola di sardine. Una scatola di sardine con della musica
orrenda e assordante. Non riuscivo a capire una sola parola di quel
che mi dicevate, e quel cocktail che mi ha fatto provare Jaquie
è
bastato da solo a farmi stare male per una giornata intera. - La
ragazza rabbrividì al solo pensiero.
-Non
è colpa mia se non reggi l'alcol!- ribatté Jaquie
ridendo.
-Io
non lo trovo affatto divertente. Siamo minorenni, non dovremmo essere
ammesse in locali del genere e non dovrebbero servirci alcolici.-
Rose non sembrava gradire tale ilarità. Mentre le ragazze
battibeccavano tra loro Hannah non poté fare a meno di
pensare che
gli ultimi mesi erano passati veloci come un lampo. Un attimo prima
era Settembre e lei era impegnata a spacchettare tutte le sue cose e
sistemarle nel loro nuovo appartamento, e ora il Natale era andato,
portandosi via il suo carico di gioie e delusioni, e la fine
dell'anno era a un battito di ciglia.
Hannah
era certa che ognuna di loro fosse impaziente di salutare il vecchio
2010 e dare un caldo benvenuto al 2011, con la speranza di veder
compiere tutti i cambiamenti che si auspicavano e di riuscire a
realizzare tutti i loro buoni propositi. C'erano però tante
cose che
sperava non dovessero cambiare, né nell'anno a venire
né finché
avesse avuto vita. Ammettere che la sua vita cominciava a piacerle
davvero, che sentiva di stare cominciando a gustare appieno ogni
giornata, le dava una strana ma piacevole sensazione. Era
soddisfazione.
-Ti
prego, non vale la pena di festeggiare l'ultimo dell'anno se non ti
sbronzi.- il tono lamentoso di Jaquie riportò Hannah alla
realtà.
Pareva che una di loro fosse impaziente di buttarsi dietro le spalle
quell'ultimo anno più di quanto non fossero le altre.
Più che altro
pareva voler dimenticare cose di cui Hannah non era a conoscenza
bevendo fino a perdere conoscenza, come fosse l'unico rimedio a tutti
i suoi problemi.
La
ragazza non approvava, e cominciò a chiedersi cosa spinge
una
persona che come Jaquie sembra aver avuto tutto dalla vita e anche di
più, a cercare, sperava occasionalmente, consolazione
nell'alcol
invece che nelle persone a lei più vicine. Per fortuna
Hannah non
era l'unica a essere contraria all'idea che Jaquie aveva sul modo
migliore di festeggiare.
-Ti
prego Jaquie. Lo scorso anno non solo mi hai propinato un mix
disgustoso di tutti i super alcolici in commercio, ma ero
così
stordita che un tizio ha pure provato a mettermi le mani addosso.
Ringrazio il cielo che qualcuno ancora in sé me l'abbia
levato di
dosso. Ero così confusa che non mi ricordo neppure chi
fosse, non
l'ho neppure potuto ringraziare. Non ho nessuna intenzione di ridurmi
ancora in quello stato.- Rose rincarò la dose, mostrandosi
comprensibilmente molto decisa a costringere l'amica a propendere per
un tranquillo Capodanno in compagnia e senza alcolici.
-E
tu avresti dovuto lasciarlo fare! Sandy, non crederai ancora nella
favola del principe azzurro sul suo bianco destriero?-
ribatté
l'altra con sarcasmo.
-Sì,
Rizzo, e non ci vedo nulla di male in questo. Divertirsi non vuol
dire lasciarsi fare certe cose.- aggiunse Rose con inconsueto ardore.
L'esperienza doveva essere un vero trauma per lei. Hannah
annuì con
vigore, mostrandosi completamente d'accordo con lei.
-Questa
è una gran cazzata! Ti perdi tutto il divertimento
così! Siamo
giovani, belle e ricche, dovremmo pensare solo a divertirci, non a
cretinate come il vero amore e robaccia simile. L'amore è
per la
gente ingenua che preferisce sognare invece di affrontare la
realtà.-
Jaquie
sembrò non essersi accorta di ciò che le sue
parole significavano e
quando potessero ferire chi l'amava profondamente. Hannah invece, che
con il suo perenne tenersi in disparte stava diventando ormai
un'acuta osservatrice, aveva notato subito l'espressione sofferente
sul volto di Daphne.
I
suoi occhi si spalancavano come una finestra, a mostrare una ferita
aperta su cui la persona che amava spargeva sale a volontà.
Il suo
dolore doveva essere lancinante, eppure riusciva a mantenere il
controllo di sé. Continuò a sorseggiare il suo
caffè, che aveva
preferito al tè preso dalle amiche, in silenzio. Solo di
tanto in
tanto sembrava lasciare riemergere il suo dolore, in un rapido
storcere le labbra o nel deglutire nervosamente. Quando si accorse
che Hannah la stava fissando, le accennò un sorriso a cui la
ragazza
rispose calorosamente. Tutto l'affetto che un sorriso poteva
trasmetterle però non avrebbe potuto lavare via il sale
dalla sua
ferita né aiutare a risanarla.
Se
poco prima aveva creduto possibile che Jaquie non fosse felice come
dava a vedere, era ora certa che qualsiasi cosa affliggesse la
ragazza si ripercuotesse su Daphne con effetti ancora peggiori.
Ai
suoi occhi ingenui, gli occhi di una ragazza che aveva appena
cominciato a conoscersi e a riscoprire sé stessa come una
persona
dall'indole piuttosto romantica e talvolta sognatrice, la loro storia
non sembrò più la bella favola che aveva creduto
in principio. Si
sentì a quel punto in dovere di interrompere Jaquie prima
che
potesse dire qualcosa d'altro che potesse ferire ancor di
più
Daphne.
Si
schiarì la voce e dopo aver preso un profondo respiro disse:
- Io
avrei una proposta veramente. Quando ancora frequentavo il collegio,
molte delle ragazze che alloggiavano nel mio stesso dormitorio
passavano il Capodanno proprio qui a Manhattan. Vorrei provare anche
io questa esperienza. Sapete, vedere la New Year's Eve Ball scendere
su Time Square, lo spettacolo pirotecnico... - strinse le spalle -
...questo genere di cose. Mi hanno sempre detto che se mai avessi
avuto l'opportunità di passare qui il periodo delle feste
queste
sarebbero state le cose che avrei dovuto assolutamente fare, e io in
effetti ancora non ho visto granché di New York, solo
Central Park e
la 5th avenue, in realtà.- disse
tutto d'un fiato. Rose
le sorrise raggiante, aveva un'alleata.
-é
un ottima idea! Così potremmo unirci ai ragazzi e
festeggiare tutti
insieme!- esclamò entusiasta.
-Avremmo
potuto farlo anche al caldo in un locale alla moda! Andare a Time
Square è roba da turisti.- borbottò Jaquie che
continuava a tenersi
aggrappata con le unghie e con i denti alla sua idea iniziale solo
per testardaggine.
-Nè
Jace, nè Seth e Jem verrebbero in uno dei locali che
frequenti tu.
Ogni tanto dimentichi che non hanno le nostre possibilità.-
la
rimproverò Daphne - L'idea di Hannie è ottima
invece, e accontenta
tutti. Rose, potresti concederle dello champagne, almeno? Okay, forse
sarebbe meglio quello analcolico, almeno in pubblico! - Jaquie
grugnì
scontenta. - Ne potremmo berne un sorso allo scoccare della
mezzanotte, non sarebbe bello? E nessuno finirebbe per ubriacarsi. -
Rose dovette cedere su quel punto e anche Jaquie annuì,
nonostante
continuasse a mostrarsi affatto felice di quella scelta.
-
Così festeggeremo anche il compleanno di Jace, anche se in
anticipo
di qualche giorno.- Aggiunse Hannah.
E
così fu deciso, nonostante le lamentele di Jaquie. Il Trio
incaricò
Hannah di avvertire Jace, che a sua volta avrebbe dovuto avvertire i
gemelli. Rose propose di invitare anche Ted, e così fece.
Deciso
qualche altro piccolo particolare le ragazze decisero di andarsene, e
quando Hannah le accompagnò alla porta, Jaquie
sembrò cambiare
repentinamente umore, passando dalla delusione all'euforia pura.
-Oh,
stavo per dimenticarmene! Indovina cosa sono riuscita a trovarti? Una
cosa che renderà molto felice una persona di nostra
conoscenza...-
dalla borsa estrasse una anonima busta bianca, agitandogliela davanti
al volto. - é stata una faticaccia anche per mio padre
trovarli, ma
quando hai le conoscenze giuste voli lontano!- esclamò
agitando
veloce le braccia in aria come fossero le ali di un colibrì.
-Non
ci credo... Sono proprio...?- mormorò Hannah, allungando la
mano
verso la busta. La prese delicatamente tra le dita come se contenesse
un tesoro inestimabile. - Grazie, grazie e ancora grazie! Non so
davvero come ringraziarti come meriti.-
-Particolari
piccanti mia cara, tanti particolari piccanti. Voglio essere sommersa
da rivelazioni scioccanti su te e Jace. E promettimi di darci dentro
con lui.- le mise una mano sulla spalla, e strizzandole un occhio
aggiunse. - Con la lingua, mi raccomando.- annuendo con aria
significativa.
Hannah
scosse il capo, sforzandosi di riderci sopra, ma non si
azzardò a
prometterle nulla.
Quando
più tardi Hannah chiamò Jace e gli
riferì dei loro progetti per
l'ultimo dell'anno, il ragazzo sembrò entusiasta.
-é
una grande idea, e anche Jem e Seth ne saranno felicissimi! Di solito
passiamo il Capodanno a giocare con i videogiochi! Nessuno di noi
è
mai stato a Time Square la notte di capodanno, ci crederesti?-
-Ci
credo! Jaquie dice che voi newyorchesi non fate cose del genere.-
replicò Hannah, che seduta alla scrivania fu presa
dall'inspiegabile
bisogno di avere davanti a sé un foglio bianco e una matita
in mano.
Aprì l'album che Jace le aveva donato, prese una matita dal
porta
penne lì accanto e cominciò ad abbozzare qualcosa
di ancora
indefinibile.
-Per
una volta Jaquie ha ragione! Ma sarà forte far finta di
essere dei
turisti nella propria città! Magari Jem si
annoierà, ma Seth farà
i salti di gioia. Credo che tra lui e Rose le acque abbiano
cominciato a smuoversi.- disse il ragazzo con tono allusivo.
-Tu
dici? Rosie non mi ha mai accennato nulla, non davanti a me. Inoltre
ha invitato anche Ted. Non so, non capisco. Lei mi ha...
Cioè,
credevo a lei piacesse Seth. - Hannah si sentì confusa e
messa in
disparte, ma voleva bene a Rose, e se lei aveva deciso di tenere per
sé qualunque cosa fosse successa tra loro o qualunque cosa
avesse
intenzione di fare, doveva avere le sue buone ragioni.
-Ahi...
No buono...- mormorò Jace. - Per una volta non capisco
neppure io,
ma Rose è una con la testa sulle spalle, non farà
nulla di male. Ne
sono sicuro. E non preoccuparti, Rosie è assurdamente
riservata,
quindi non te la prendere se non te ne ha parlato. Neppure Seth l'ha
fatto con me, ma siccome parla di lei molto più del solito,
e
credimi è diventato insopportabile, deve essere successo
qualcosa
per forza. - la rassicurò, come se riuscisse a intuirne i
pensieri.
Lo sentì ridere all'altro capo del telefono, e la sua risata
riuscì
come sempre a risollevarla.
-Non
sono preoccupata, stai sereno. - replicò, seguitando a
tracciare
sul foglio il profilo di quelli che cominciavano a somigliare a dei
grattacieli.
-Lo
sono, lo sono!- Hannah intuì dal tono che il ragazzo le
sorrideva,
anche se lei non poteva vederlo, e fu istintivo sorridere di rimando,
anche se lui allo stesso modo non poteva vedere lei. Improvvisamente
si fece silenzioso, tanto che Hannah temette fosse caduta la linea.
Poi Jace si schiarì la voce e riprese a parlare come nulla
fosse,
come se quel breve silenzio non fosse stato in qualche modo carico di
nervosismo.
-Sai
una cosa buffa? Quando mi hanno detto che avrei dovuto farti da
tutor, ho cominciato a buttar giù un bel programmino che
avrebbe
dovuto aiutarti nello studio. Fatica sprecata, Lei non ha bisogno di
aiuto, mi dicono che i Suoi voti sono eccellenti, signorina! In
effetti non capisco perché tu risulti ancora iscritta al
programma
di tutoraggio. Ecco, sto perdendo il filo del discorso!- e Hannah con
lui. Era arrossita ai suoi complimenti, compiaciuta da quella punta
di orgoglio che aveva sentito nella sua voce. - Comunque sia, avevo
incluso nel mio fantastico programma di studio anche parecchie visite
a musei e mostre. è un vero peccato che non si sia riusciti
a
visitarne neppure uno, non credi?- c'era qualcosa in sospeso
nell'aria, ma Hannah non sapeva cosa. C'erano vibrazioni che non
riusciva a captare.
-Hai
ragione, sai?- ammise, un po' confusa dalla parlantina di lui, che
pareva volerla convincere a fare qualcosa, e ancora non aveva chiaro
cosa, stordendola di parole così che non riuscisse a
rifiutare. - è
strano, era una delle prime cose che mi sono ripromessa di fare una
volta arrivata a New York, ma poi non c'è stata mai
l'occasione.-
asserì la ragazza. Grattacieli appena abbozzati sul foglio
sembravano fare da sfondo, ma a cosa? C'era un vuoto al centro del
foglio che chiedeva d'essere riempito. Cominciò a tracciare
una
sagoma. Alta, spalle larghe, collo non troppo muscoloso,
così come
le braccia. Capelli arruffati... Perché lo stava disegnando
ancora?
-L'occasione,
dici? Potrebbe essere il prossimo week end, che ne pensi? Potremmo
prenderci un intera giornata per visitare il MET, pranzare a Central
Park e poi riprendere la visita del museo. O Saltare il pranzo. O
pranzare e non visitare il MET. Insomma, come preferisci!
Cioè, io
non ho niente da fare, e se anche tu non hai niente da fare potremmo
fare qualcosa insieme! O non fare niente insieme! - la voce di Jace
cominciò a tradire una certa tensione che Hannah non
poté
spiegarsi.
-Il
MET? Mi sembra un ottima idea. Domenica prossima, pranzo a Central
Park, fare qualcosa insieme, va bene?- chiese, indugiando sulla
figura appena tracciata sul foglio. Anche se di spalle era sempre
lui.
-Perfetto!-
sentì un certo vociare indistinto e Jace rispondere -
Sì, sì,
arrivo! Scusa Hannie, mamma è appena tornata e ha bisogno di
una
mano con la spesa. Ti mando un messaggio, o una email, o un fax...
Magari un piccione viaggiatore... Insomma, ci sentiamo presto! Ti
voglio bene! Ciao!- e terminò la chiamata, lasciandole
appena il
tempo di salutarlo.
Lui.
-Finalmente
le hai chiesto un appuntamento! Era ora!- esclamò Jem, era
la sua
voce quella che Hannah aveva sentito, non appena Jace
terminò la
chiamata. Invitò poco garbatamente l'amico a tagliare corto
e a
tornare a giocare con lui con l'ultimo picchiaduro che i suoi
genitori gli avevano regalato per il Natale. A Jace era dispiaciuto
di dover mentire ad Hannah, ma non gli andava che sapesse che mentre
loro parlavano Jem gli stava alle costole, concentratissimo a carpire
ogni minima sfumatura del tono della voce o della sua espressione e
ad analizzare ogni sua parola. Poi se le avesse detto che non si
trovava in casa avrebbe di certo insistito perché si
sentissero in
un altro momento, e lui non voleva interrompere la telefonata, non
prima di averle detto ciò che doveva.
-Non
è un appuntamento!- ribatté Jace, tornando a
sdraiarsi sul letto di
Jem e afferrando il joypad che aveva abbandonato senza rimpianto non
appena il suo cellulare aveva cominciato a vibrare nella sua tasca.
Era conscio di stare mentendo spudoratamente, ma non poteva farci
nulla.
-Sarete
soli?- chiese l'altro, riprendendo a riempire virtualmente di botte
il ragazzo.
-Sì.-
replicò Jace,cercando di non farsi strapazzare troppo. Non
riusciva
a concentrarsi su quel dannato gioco e Jem se ne approfittava senza
alcun rimorso. - Ma che c'entra? Due persone non possono vedersi da
soli senza che diventi un appuntamento?-
-Andrai
a prenderla a casa?- Jem rispose con un altra domanda, ignorando le
sue obbiezioni.
-Sì.-
rispose nuovamente il ragazzo.- Si chiama galanteria. So che per te
è
un concetto astratto.-
-La
porterai in un posto che le piacerà sicuramente ma dove tu
ti
annoierai di sicuro?- proseguì Jem, ignorando i suoi
commenti.
-Vogliamo
giocare seriamente o mi stai sottoponendo a un sondaggio? Comunque
sì, cioè no, il MET è un museo
fantastico, non è che avrò
l'occasione di annoiarmi, e poi con Hannah non mi annoierei
comunque.- sorrise senza rendersene conto.
-Ma
ti senti? " E poi con Hannah non mi annoierei comunque!" E
quel sorriso! É il sorriso che Seth si stampa in faccia ogni
volta
che nomina Rose. Fai paura!- gli fece il verso e gli rivolse
un'occhiata sconvolta e vagamente preoccupata. - Il MET non
è
proprio il tuo genere, quindi la risposta è sì a
prescindere.-
sentenziò il ragazzo prima di dare, sempre virtualmente, il
colpo di
grazia a Jace.
-Dannazione!-
esclamò il ragazzo, sospirando e abbandonando sul pavimento
il
joypad. Si girò di schiena, le braccia incrociate sotto il
capo a
sostenerlo mentre fissava il soffitto candido della camera di Jem.
-Lo
sai che sono un genio con questi cosi!- disse il vincitore mentre
agitava il controller come fosse un trofeo.- E visto che hai perso,
devi rispondere all'ultima terribile domanda.-
-Okay
spara.- Jace ormai si era arreso ed era pronto a sopportare qualsiasi
cosa fosse uscita dalla bocca di Jem, e di solito non era mai nulla
di buono.
-Hai
intenzione di prenderla per mano? E soprattutto, hai intenzione di
baciarla durante il vostro "non appuntamento"? E intendo
baciarla sul serio, non quei bacetti da femminuccia che le dai tu!
Dico un bacio vero, con la lingua! Metri di lingua!- chiese a brucia
pelo. Jace non apprezzo affatto la dovizia di particolari.
-Non
ho intenzione di fare niente del genere!- saltò su a sedere,
punto
sul vivo.
-Però
vorresti, ed è questo che fa la differenza. Lei ti piace, e
quindi è
un appuntamento. - Jace non poté negare che avrebbe voluto
davvero
smettere di consumare la fronte di Hannah a furia di posarvici dei
dolci e casti bacetti e passare a qualcosa di più fisico.
-La
tua logica è davvero contorta ma... Cazzo, le ho davvero
chiesto un
appuntamento.- sbottò, preso da un momento di disperazione,
portandosi entrambe le mani al volto. - Ma come mi è saltato
in
mente?- poi rivolgendosi all'amico - Credi se ne sia accorta?- Fu
colto da puro terrore.
-No,
figurati penserà sia un'innocente scampagnata!-
replicò sarcastico.
- Jace a volte fai proprio delle domande cretine! Di certo ci
sarà
arrivata da sola e se così non fosse, ci penserà
il Trio a
illuminarla.-
Jace
vide concretizzarsi i suoi timori, tutti, uno per uno li vide
passagli davanti agli occhi come una sorta di premonizione. Certo che
il Trio l'avrebbe illuminata, e tanto da accecarla. Avrebbe dovuto
dire addio a quella che sperava fosse una bella giornata priva della
tensione che negli ultimi giorni aveva caratterizzato la loro
relazione-non-relazione. Dopo la vigilia di Natale non sapeva
più
come definirla.
L'unica
cosa che desiderava era stare con Hannah e grazie a lei scacciare via
persino il ricordo di tutti i pensieri che nell'ultimo periodo gli
avevano addirittura tolto il sonno. Il ragazzo si alzò di
scatto. -
Vado a parlare con Seth.- disse uscendo dalla stanza celermente, non
abbastanza perché non potesse sentisse Jem ridergli dietro
dicendo:
- Va bene, sentimentalone, vai a chiedere consiglio al Dottor
Stranamore! Poi non lamentarti se sarà un fiasco totale!-
Lei.
I
pochi giorni che li separavano dal capodanno passarono in fretta per
le quattro ragazze, prese com'erano dai preparativi. Ognuna di loro
propose delle idee e si adoperò in ogni modo possibile, e
allo
stesso modo ognuna di loro fu chiamata ad esprimere la propria
opinione su ogni più piccolo dettaglio.
Infine
la serata fu programmata in tutti i dettagli, neppure il più
piccolo, insignificante particolare fu lasciato al caso. Il Trio
cercò soprattutto di creare la serata perfetta per Hannah:
volevano
si sentisse a suo agio, che si godesse l'aria festosa del Capodanno
senza prenderla troppo sul serio. Desideravano per lei una serata
allegra ma piuttosto rilassante, in cui si sarebbe potuta divertire a
fare la turista, quel che avrebbe dovuto fare al suo arrivo nella
Grande Mela, ma che non aveva fatto.
Daphne
non l'avrebbe mai ammesso davanti a Jaquie, ma la proposta di Hannah
era stata per lei come manna dal cielo. Detestava l'idea di dover
passare l'intera serata in un locale “alternativo”
ad ascoltare
musica orrenda e a vedere la sua ragazza scolarsi un drink dopo
l'altro. Rose non era l'unica a essere rimasta segnata dal precedente
Capodanno.
Poche
cose rimangono impresse nella mente come l'immagine della tua ragazza
che vomita sulle tue scarpe nuove.
Il
programma, in breve, era questo: uscire nel tardo pomeriggio, fare un
giro alla pista di pattinaggio davanti al Rockfeller Center, mettere
qualcosa nello stomaco e poi correre a Time Square.
Hannah
e Rose si incontrarono davanti al grattacielo in cui abitava Jaquie.
Con un tale tempismo che, se si fossero date appuntamento, non
sarebbero potute essere più precise e puntuali.
Avevano
convenuto di comune accordi di partire da casa di Jaquie,
più vicina
al Rockfeller Center.
Il
portiere, riconoscendo Rose, aprì loro la porta in vetro
intarsiato
in stile Art Nouveau, che strideva terribilmente con l'architettura
moderna e alquanto impersonale dell'edificio. Ritrovarono lo stesso
stile all'interno, nelle porte dell'ascensore e in quelle degli
appartamenti. Quello in cui Jaquie abitava si trovava al
trentaseiesimo piano. Era un loft, o così sembrò
ad Hannah, per gli
spazi ampi di cui disponeva e che dovevano essere molto luminosi alla
luce del giorno.
Quando
la rossa andò ad aprirgli la porta, era ancora in
accappatoio, e
indossava degli enormi bigodini.
-Ciao!
Certo che siete proprio puntuali!- disse, in tono di rimprovero. -
Così sembrerò in ritardo!- esclamò
imbronciandosi, mentre si
scostava dall'ingresso e faceva cenno alle amiche di entrare.
-Ma
tu sei in ritardo!- esclamò Daphne, che le raggiungeva
scendendo
velocemente una breve rampa di scale che pareva portasse a un
soppalco dove probabilmente era situata la zona notte. - Quindi torna
di sopra e finisci di prepararti, di corsa!- il suo tono non
ammetteva repliche. Borbottando la ragazza obbedì. -Fate
come se
foste a casa vostra! Rose sai dove si trova il frigorifero e i
bicchieri, fai gli onori di casa.- disse loro l'altra, prima di
raggiungerla.
Hannah
prese a guardarsi intorno con grande interesse. Era incuriosita dal
bizzarro arredamento: il mobilio era di colori sgargianti e forme
asimmetriche, tanto che non avrebbe saputo dire con certezza se si
trattassero davvero di mobili o se non fossero invece pezzi d'arte
moderna di qualità scadente.
-Dammi
pure in cappotto.- disse Rose. Fu ancora più stupita quando
si voltò
e vide dove l'amica aveva appeso le sue cose. Accanto all'ingresso
una fila di rastrelli colorati faceva mostra di sé.
-Quelli
sono appendiabiti?- chiese incredula.
-Sì.
E a dire il vero sono l'unica cosa davvero carina in questo posto.
É
pieno di cianfrusaglie!- commentò accompagnando le parole
con un
ampio gesto della mano come a mostrarle l'intera sala e uno scuotere
del capo. Hannah non poté far altro che annuire. Si sbottono
il
cappotto, sfilò la sciarpa e appese tutto a uno dei
rastrelli,
insieme alla propria borsa.
Non
poteva fare a meno però di continuare a guardarsi intorno.
Per
quanto tutto l'insieme potesse essere pacchiano e privo di armonia,
era per lei intrigante. Riusciva a catturarne l'attenzione, non solo
con le forme bizzarre e i colori accesi, ma piuttosto si chiedeva
quale fosse il loro significato intrinseco per chi aveva disegnato e
creato quegli oggetti, il cui valore, in termini artistici, era
ridicolo.
Notando
il suo interesse Rose si offrì di farle fare un giro per
l'enorme
open space che doveva avere funzione di salotto, cucina, e studio
tutto in uno, anche se dubitava la proprietaria avesse mai utilizzato
la lustra cucina sul lato opposto dell'appartamento.
-Sembra
davvero di trovarsi da un rigattiere.- commentò Hannah con
un fil di
voce, fermandosi al centro della parte di spazio adibita a salotto,
ingombro di sculture composte perlopiù da rifiuti assemblati
in modo
che sarebbe dovuto essere in qualche modo artistico e poi colorati
con vernice spray di scarsa qualità. Opere astratte appese
alle
pareti, insieme a riproduzioni di Opere di Warhol, completavano
l'arredamento quanto mai sconclusionato.
-
Jaquie ha tante qualità, ma non ha alcun gusto per l'arte.-
replicò
Rose, fermandosi davanti ad una riproduzione di “Barattolo di
Zuppa
Campbell”. - Compra queste... Cose indescrivibili per altri
motivi.- sospirò, facendole segno di sedersi su quella che
le era
sembrata inizialmente una scultura mentre invece era una strana e
scomoda poltroncina a forma di tronco di cono rovesciato, con una
piccola spalliera quadrata. Sedette anche lei, e dopo aver preso un
profondo respiro, come se stesse per comunicarle una verità
inconfessabile, riprese. - Forse ti sei accorta che questo non
è
esattamente il luogo dove vivrebbe una famiglia. In
realtà...- esitò
per un momento. - Jaquie vive da sola, da un anno ormai. Lei e suo
padre non sono stati molto in sintonia di recente. Sai per...-
esitò
ancora, roteando gli occhi e le mani, come avesse una parola sulla
punta della lingua che proprio non voleva venir fuori.
-Perché
sono lesbica. Non è una bestemmia, Rose. E poi Hannie prima
o poi
avrebbe dovuto scoprire che papino caro mi paga per stargli fuori dai
piedi.- Hannah si voltò e arrossì. Si
sentì colpevole nonostante
non avesse fatto nulla perché quell'argomento in particolare
trapelasse.
Tra
tutte, Jaquie era quella che più sentiva distante e diversa
da sè.
Era una sorpresa scoprire di avere qualcosa che in qualche modo le
accomunasse. Purtroppo non era nulla di cui potevano vantarsi o
almeno rallegrarsi.
-Rose
ha fatto bene a dirtelo. Sta tranquilla.- le fece un occhiolino,
cercando di stemperarne l'imbarazzo, ma Hannah non si sentì
affatto
sollevata. Ma quando la guardò con più
attenzione, dimenticò
repentinamente l'imbarazzo: Jaquie era bellissima. I suoi capelli
rossi splendevano ed erano acconciati in grossi boccoli che le
ricadevano sulle spalle. Il trucco poi, era perfetto: risaltava il
suo sguardo fiero e le rendeva le labbra carnose come non mai.
-Oh...
Stai benissimo.- riuscì a dire solamente. Si
sentì terribilmente
sciatta. Nessuna di loro indossava nulla di particolare. Avevano
deciso di comune accordo di scegliere un abbigliamento comodo, ma
Jaquie sembrava risplendere e risaltare tra loro anche se indossava
solo dei jeans e un lupetto nero a collo alto. Tra lei e Daphne non
avrebbe saputo dire chi era più bella quella sera.
I
ragazzi arrivarono poco dopo, tradizionalmente in ritardo, per
rendere onore alla festività e non perdere l'abitudine.
Avevano
incontrato Ted un paio di isolati prima di arrivare lì, e
dall'espressione infelice di Seth, non tutti erano entusiasti si
fosse unito al gruppo.
Non
appena arrivato, Jace si precipitò a salutare Hannah,
stringendola
in un forte abbraccio.
-Scusa
il ritardo... Ormai mi conosci!- le disse, regalandole uno dei suoi
sorrisi speciali.
-E
dubito di volerti cambiare.- gli rispose timidamente. Jace la
lasciò
libera il tempo necessario perché Hannah salutasse i gemelli
e Ted,
prima di magnetizzare tutta la sua attenzione su di sé
soltanto. E
fu tanto bravo nel farlo che la ragazza non si accorse che alle
davanti a lei Ted e Seth si lanciavano sguardi carichi di tensione.
Mentre
si incamminavano lungo la 5th Avenue Hannah si chiese se gruppo
più
eterogeneo e chiassoso avesse mai calcato quel marciapiede. C'era
però chi ancora si ostinava a farsi scudo con il proprio
silenzio.
Hannah e Jace guidavano la comitiva, e quando la ragazza si
voltò
indietro, ad assicurarsi che fossero ancora tutti insieme, vide che
Rose, incastrata tra Seth, taciturno più del solito, e Ted,
che non
smetteva di parlare neppure per riprendere fiato, era appena dietro
loro, e Jaquie e Daphne erano alle loro spalle con Jem tra di loro,
che teneva un braccio sulla spalla di ognuna delle ragazze e si
proclamava l'uomo più fortunato della terra.
In
effetti, non erano pochi gli uomini che si voltavano al loro
passaggio, fissando il bel biondino con cocente invidia. Le ragazze
portavano ognuna una grossa busta, cosa ci fosse dentro, ai ragazzi
non era dato saperlo.
Quando
raggiunsero il Rockfeller Center, la pista era affollata di gente, ma
questo non bastò certo a scoraggiarli, anche se qualcuno
diede
forfait e preferì restare a bordo pista ad osservare gli
altri
scivolare sul ghiaccio con grazia o concedersi scivolate epocali che
facevano scoppiare a ridere l'intera comitiva. Anche Hannah fu sul
punto di fare un bel capitombolo. Aveva un buon equilibrio, ma
essendo la sua prima volta su una pista era molto goffa.
Lui.
Fu
con estremo piacere che Jace si prese il compito di assicurarsi che
Hannah tornasse a casa senza neppure un graffio. Ed
era un compito molto piacevole, e una valida scusa per continuare a
tenerle la mano, e stringerla quando sembrava stesse per piombare a
terra.- Oggi sono il tuo bodyguard!- le disse ridendo.
-Speriamo
finisca come nel film, allora! Peccato tu non abbia il fascino di
Kevin Costner!- gli urlò dietro Daphne, facendo ridere
parecchi
sconosciuti, che si voltarono in loro direzione al sentire il loro
schiamazzare. Jace le fece una boccaccia e cercò di
dimenticare le
sue parole. Lui l'aveva visto quel film. Sapeva dove voleva andare a
parare, anche se doveva ammettere che replicarne la scena madre
sarebbe stato dannatamente scenografico.
Daphne
era davvero brava, ma pattinava da sola. Jaquie aveva deciso di
starsene in disparte, seguita a ruota da Jem, con cui sembrava aver
cominciato una interessante conversazione, dato che i due avevano
perso alcun interesse nei confronti degli aspiranti pattinatori.
Pian
piano Jace cercò di far allontanare Hannah dal bordo pista,
e quando
la ragazza se ne accorse, si aggrappò al suo braccio,
terrorizzata.
-Tranquilla,
ci sono io. E poi non vedi? Sono tutti accalcati qui, non riusciremmo
a pattinare in pace se non ci allontanassimo.- rispose, voltandosi a
guardarla. Si fermarono qualche metro più in là.
- Visto? Non siano
così lontani. Ora, prova a far scivolare i piedi l'uno
dietro
l'altro, non provare a camminare. Mi raccomando.- la ragazza
annuì e
cercò di staccarsi dal braccio di lui, che seguitava a
stringerle
una mano. Fece qualche piccolo passo incerto, ma per lei dovettero
essere una grande soddisfazione, perché si voltò
a sorridergli
raggiante.
-Visto?
Non è difficile!- Jace la tirò un poco facendola
spostare ancora un
poco verso il centro della pista.
-Questo
lo dici tu, che sei molto più bravo di me!-
esclamò lei, con il
fiatone. - Vieni qui spesso?- gli chiese. Il suo stesso respiro si
condensava in una nuvoletta di vapore appena fuori dalle sue labbra.
Le sue labbra. Per un momento Jace si perse nella contemplazione di
quel particolare del volto che tra tutti riteneva il più
bello e
interessante.
-No.
Mia madre mi ci portava spesso quando ero piccolo. Non potevamo
permetterci grandi festeggiamenti e non c'erano soldi per
attività
extra-scolastiche, e così venivamo qui. Poi ho cominciato a
venirci
con gli amici, sempre più di rado, fino a smettere
completamente.-
-é
un vero peccato.- Hannah si fermò improvvisamente.
Arrossendo lo
fissò in volto. - Visto che è imbarazzantemente
ovvio quanto io
abbia bisogno di fare pratica...- abbassò lo sguardo. Jace
la trovò
adorabile, con le sue belle guance e il nasino arrossati.-...
potremmo tornarci insieme, di tanto in tanto. - sembrò voler
dare un
tono quasi indifferente alle sue parole, anche se lui sapeva quanto
sforzo dovevano costarle. Era, comunque, un occasione troppo ghiotta
perché se la lasciasse sfuggire.
-Sicuro!
Ogni volta che vorrai!- rispose. Nonostante il rumore la
sentì
sospirare di sollievo.
Perse
il conto del tempo in cui tutti loro stettero lì a
pattinare, a
ridere insieme in perfetta armonia, dimentico di tutto ciò
che fuori
dai confini di quella pista lo attanagliava. Fu solo un ora, ma per
uno strano paradosso gli parve fosse durata insieme un solo attimo e
un eternità intera. Quando dovettero allontanarsene fu come
lasciare
un luogo sicuro per avventurarsi nella selva oscura che era il resto
del mondo. Per avere il coraggio di fare questo, aveva bisogno di un
sostegno: non lasciò più la mano di Hannah
finché non furono
arrivati davanti al piccolo ristorantino italiano doveva avevano
prenotato un tavolo. Perché Hannah era un porto sicuro nel
suo mondo
in tempesta, senza sapere quanto agitato fosse anche il mare in cui
lei navigava.
La
cena fu consumata celermente, ma fu molto gradita. Il locale era di
poche pretese, ma il cibo era ottimo e l'atmosfera quasi casalinga.
Non c'erano molti altri clienti oltre loro, quindi vennero serviti
con alacrità e più cortesia di quanto
aspettassero. Quando chiesero
il conto la proprietaria, vedendo tanti ragazzi giovani, fece loro un
grande sconto, senza immaginare che alcuni di loro avrebbero potuto
comprare l'intero locale senza batter ciglio. Il gesto però
fu molto
apprezzato, soprattutto i ragazzi non riuscivano a smettere di
ringraziarla. Quando finalmente furono fuori dal locale, Jace si
ancorò alla mano di Hannah e si disse che, per quella sera,
non se
ne sarebbe più staccato. E non lo fece neppure quando
presero un
taxi insieme a Jem, diretti nei dintorni di Time Square. Camminare
fin lì a stomaco pieno non era neppure immaginabile.
Lei.
La
zona era totalmente transennata e vietata al traffico, quindi il
tassista li fece scendere parecchi isolati prima. Attesero l'arrivo
degli altri, divisi in altri due taxi, che li scaricarono a poca
distanza da loro, e una volta riuniti ripresero a camminare verso
Time Square.
Quando
furono là, Hannah sbarrò gli occhi dallo stupore.
Nessuna foto
poteva rendere lo splendore folgorante delle insegne sui grattacieli,
l'effetto policromatico di tutte quelle lucine, né
l'atmosfera
caotica che sentiva di poter letteralmente respirare. Aprì
la bocca
ma non riuscì a produrre alcun suono. Tutto era
così mastodontico
da lasciarla senza fiato.
-Sì,
è sempre così la prima volta!- disse Jem, dandole
una piccola pacca
sulla spalla, ridendo della sua espressione stupita.
Il
luogo era già gremito di gente, più di quanta
Hannah ne avesse mai
vista tutta insieme, quindi si dovettero accontentare di osservare lo
spettacolo allestito da un gruppo di acrobati da lontano, e neppure i
maxi schermi poterono aiutarli. Capirono molto poco delle loro
mirabolanti e complesse acrobazie. In compenso poterono godere dello
spettacolo pirotecnico senza alcuno eccessivo sforzo, se non un
debole torcicollo per l'aver passato troppo tempo con il naso per
aria, a osservare quelle splendide esplosioni di colore così
artisticamente coreografate. Ma il clou della serata fu il conto alla
rovescia.
Quando
le luci della New Year's Eve Ball si accesero, le ragazze tirarono
fuori dalle loro buste una quantità di cappellini, trombette
e buste
di coriandoli da far pensare fossero stati catapultati direttamente
nel pieno del carnevale. Hannah trovava estremamente imbarazzante
dover indossare un cappellino di carta con in cima un pon pon di fili
argentei, invece i ragazzi furono entusiasti della sorpresa e ridendo
e prendendosi in giro a vicenda indossarono i loro cappellini, uno
più ridicolo dell'altro e suonarono le trombette con tanto
vigore
che cominciò a crearsi il vuoto intorno a loro.
All'inizio
del conto alla rovescia poi, cominciò il finimondo: i
coriandoli
parevano arrivare da ogni direzione, il rumore delle trombette
sembrava stare per perforarle un timpano ma non avrebbe scambiato il
suo posto con quello di nessun altro al mondo. Jace la strinse forte
a sé quando contarono ad alta voce quattro...
3...
2...
1...
La
folla esplose in un boato quasi assordante. Era impossibile capire
cosa i ragazzi stessero urlandosi l'un l'altro mentre si
abbracciavano e si davano delle forti spallate, che la ragazza
interpretò come un gesto di grande affetto, almeno per Jem e
Seth.
Hannah non fu mai certa di aver riconosciuto chi continuava ad
abbracciarla, a baciarle le gote e a farla saltellare sul posto come
una pazza: era Daphne o Rose? O forse erano entrambe! L'euforia era
tale che parevano tutti ugualmente ubriachi, anche se non avevano
bevuto un solo goccio d'alcol. Improvvisamente si sentì
tirare via
dalle braccia delle ragazze e stringere da due robuste braccia che la
sollevarono da terra e le fecero compiere un'ampia piroetta in aria,
e questa volta fu sicura di chi si trattasse. Si strinse a Jace,
mentre le diceva:- Buon anno, tesoro! Esprimi un desiderio!-
-Ma
non è il mio compleanno!- fu costretta a urlare di rimando,
mentre
ridendo posava nuovamente i piedi a terra.
-E
tu esprimilo lo stesso!- rispose Jace, stringendosela ancora al petto
e ondeggiando al ritmo della musica che riuscivano a stento a
sentire. Improvvisamente un grido sembrò rompere l'idillio.
-Oh.Mio.Dio!-
Urlò Jaquie, una bottiglia di champagne analcolico in una
mano e una
pila di bicchieri di plastica nell'altra. I due si voltarono di
scatto e ciò che videro fu la cosa più
sconvolgente e incredibile
che entrambi avessero visto in tutta la serata: Seth teneva Rose per
le spalle e premeva le sue labbra su quelle della ragazza, che
ricambiava il suo bacio. Ci fu un momento di silenzio, e quando i due
si separarono l'intero gruppo (o quasi) esplose in urla di gioia.
Quella notte fu come se la mezzanotte fosse scoccata due volte.
Hannah
si strinse a Jace. Le aveva detto di esprimere un desiderio, ma lei
non l'avrebbe fatto. Sentì di possedere già tutto
ciò di cui aveva
bisogno, ed era tutto lì, accanto e intorno a lei.
Improvvisamente
però si ricordò di qualcosa di importante. Si
staccò da Jace così
improvvisamente che il ragazzo si voltò a guardarla
preoccupato.
Hannah cominciò a frugare nella sua borsa. Non riusciva a
trovarlo.
Non poteva averlo dimenticato, perché era sicura di averlo
messo in
borsa prima di uscire. E se nell'euforia del momento l'avesse perso?
Fu presa dal panico. Prese a frugare con ancor più energia
all'interno della borsa finché non sentì tra tra
le dita la
rassicurante ruvidità di un lembo di carta.
-Tieni!
Il mio regalo di Natale, in ritardo, e di compleanno, in anticipo!-
esclamò, tendendogli la busta bianca e anonima. Jace
corrugò la
fronte. Prese la busta ma non sembrò capire
granché. La sua
espressione poi mutò.
-Ma
no... Non dovevi... Neppure io ti ho preso nulla...- parve
così
mortificato che Hannah si pentì quasi del suo gesto. Forse
era stata
troppo avventata?
-La
cioccolata speciale di tua madre è stato il regalo
più bello che mi
abbiano mai fatto.- lo rassicurò. Il ragazzo le sorrise di
rimando,
anche se mestamente. Quando aprì la busta improvvisamente il
suo
volto divenne pallido e inespressivo. La mano gli tremò
quando ne
estrasse tre biglietti.
-Oh.Mio.Dio!-
urlò con tanta forza che Jaquie quasi si strozzò
con il suo
champagne analcolico e si voltò verso Rose e Seth, credendo
si
stesse perdendo un altro bacio. - Oh.Mio.Dio! Mi hai regalato i
biglietti per l'NBA All-Stars? Ma sono veri?- se li rigirò
tra le
mani, come se non riuscisse a credere di stare stringendoli davvero
tra le dita. - Oh...Mio...Dio... Ma tu non ti rendi conto!- si passo
una mano tra i capelli. Era sconvolto. - Tu non hai idea di cosa
siano questi! Ma sai quanto valgono? Sono introvabili! Ma come hai
fatto? E sono tre! Tre! Capisci?- continuava ad agitare i biglietti
davanti al suo volto.
-Ehm...
Sono... Biglietti per delle partite di basket, sì?- chiese
frastornata da un entusiasmo tanto esplosivo. Jace cominciava a
spaventarla. - Sì, ma... Beh, ho pensato che avresti
preferito
andarci in compagnia, così ho preso dei biglietti anche per
Jem e
Se...- Jace la strinse con tale forza che rischiò di
incrinarle
qualche costola.
-
Queste non sono partite di basket! Queste sono LE partite di basket!-
poi corse verso i gemelli, saltando alle spalle di Seth e urlando a
squarciagola – Andiamo a vedere l'NBA All-Stars! Oh mio Dio!
Ci
andiamo! Ci andiamo! -
Seguirono
scene di delirante giubilo in cui quelli che dovevano essere degli
uomini duri e virili cominciarono ad abbracciarsi con crescente
commozione e Hannah fu quasi cerca di vedere Jem asciugarsi una
lacrima di felicità. Jaquie non perse mai occasione di
ricordargli
di quell'unica lacrimuccia, e il ragazzo continuò sempre a
negare
d'aver mai pianto in vita sua.
L'angolo
dell'autrice:
Salve a tutti!
Rieccomi con un nuovo capitolo! :-)
Spero sia di vostro gradimento.
Anyway, forse non molti sanno che ho cominciato a pubblicare un altra
storia, SummerLoving
.
Mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate.
Vi prego inoltre di andare a leggere il mio blog (banner qui sotto),
visto che ho deciso di ringraziare voi lettori li, di volta in volta,
vista l'impossibilità di ringraziarvi uno ad uno come
vorrei.
Grazie a tutti voi, davvero, mi date una grandissima gioia. :-)
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