Hopelessly Devoted To You

di Noony
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. Da cieli differenti. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. Good morning New York. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. Non tutto è come sembra. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. Big Blue Wall (there's a chance outside this isolation). ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. Amici. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. Girls. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. Boys. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. Il cambiamento. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. Al bivio. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. Dieci giorni per conoscerci. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11. Primi passi. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12. In frantumi. ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13. Pazzi d'amore. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14. Brutte giornate. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15. Unsaid. ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16. New Year in New York ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. Da cieli differenti. ***










Hopelessly Devoted To You
<3

Capitolo 1. Da cieli differenti.


Lei.
-... E per tutti questi motivi, sono sicuro che trasferirci a New York sia la scelta migliore per la tua crescita. Necessiti di un salutare cambiamento, di conoscere altri modi di vivere, vedere nuovi luoghi, e l'offerta di cominciare ad insegnare seriamente, fattami da Bert, data cade proprio a fagiolo, come direbbe la tua cara tata. Non deve spaventarti la lontananza dall'Inghilterra, sono certo vorrai fare ritorno tra due anni, per frequentare il college. Oxford è per te la scelta migliore, come lo è stata per me, per mio padre, per il padre di mio padre e via dicendo.- E concluse così, con un leggero roteare una mano in aria, il  monologo così ben preparato, durante il quale non aveva sollevato mai il naso dal suo giornale del mattino, che detto per inciso, veniva eretto spesso e volentieri a mò di barriera, a difenderlo dalle insidie dell'adolescenza.
Non la propria, ovvio, ma quella di sua figlia, Hannah, una sedicenne seria e assennata, ma ahimè, soggetta a tutti quei fastidiosi cambiamenti che davanti agli occhi di George, la stavano trasformando velocemente in una donna.
La sua copia del Daily Mail era di certo più facile da comprendere, non chiedeva consigli, non aveva problemi, riportava semplicemente i fatti salienti accaduti il giorno precedente, senza pretendere però che cercasse una soluzione per uno qualsiasi di quei fattacci.
In effetti, neppure Hannah lo faceva, ma d'altronde aveva assunto tata Eleanor proprio per questo.
Durante il suo bel discorso, George le aveva elencato tutti gli innumerevoli vantaggi del loro imminente trasferimento negli Stati Uniti, che sarebbe avvenuto di lì a un mese, e Hannah l'aveva ascoltato senza fiatare, annuendo di tanto in tanto, e mostrandosi totalmente d'accordo con ognuna delle giustificazioni fornitele. Non che avesse molta scelta, e in fondo non le importava. Se poteva portare con se la sua adorata tata, sarebbe andata volentieri ovunque.
C'era però un pizzico di tristezza che la prendeva, al pensare a quegli ultimi giorni della sua vecchia vita prima di immergersi in una completamente nuova. Amava la sua patria, ma non era il pensiero di doverla lasciare a renderla triste. Era il cambiamento in se, a tramortirla. Ne era terrorizzata, perché i pochi cambiamenti che c'erano stati nel corso dei suoi sedici anni, avevano avuto conseguenze catastrofiche sul suo piccolo mondo dorato. Ma questo a suo padre non poteva dirlo, certa com'era che non avrebbe capito.
Il massiccio orologio a pendolo dell'ingresso suonò l'ora, le otto in punto. Hannah bevve un altro sorso di tè, e fece per alzarsi.
- Aspetta, Hannah.- Riprese George, prima che la ragazza avesse il tempo di lasciare la sala da pranzo. - Da oggi non avrai più lezione, ho già preso accordi con la signorina Burton. Voglio che tu utilizzi il tempo che ti rimane per prepararti alla partenza. Ti ho già iscritta alla St. John E. Rivers, dove insegnerò, quindi non hai più bisogno di seguire delle lezioni private per i tuoi A-Levels. Ti diplomerai all'estero. Frequenterai la scuola gestita da Bert, quindi ti viene assicurata una preparazione di prima qualità.- Detto ciò torno a chiudersi nel suo ostinato silenzio, sollevando ancor di più il quotidiano, finché le sue pagine grigiastre non ne nascosero completamente il volto, e Hannah comprese che la loro conversazione finiva lì.
- Va bene, papà.- Rispose solamente, e emettendo un flebile sospiro, abbandonò la sala, ponendo fine al loro rituale mattutino.
Padre e figlia si vedevano solo per la colazione e raramente per la cena,e ogni mattina era identica alla precedente. Stessa colazione, stesso tè al latte, nelle stesse tazze di pregiata porcellana, stesso pane imburrato posato sugli stessi eleganti piattini, stessa brocca di spremuta d'arancia al centro del lungo tavolo che sembrava dividerli più di chilometri interi,e che nessuno dei due toccava, quasi avesse paura di avvicinarsi troppo all'altro, ma che doveva esserci, come fosse anch'essa un commensale. Identici erano anche i discorsi, che si limitavano a essere i soliti formali convenevoli: Hai dormito bene? Si grazie, e tu? Stupendamente, o a seconda del tempo orrendamente. Hannah voglio tu faccia questo e quest'altro oggi. Certo papà, come vuoi tu... E via dicendo.
La loro non era una famiglia appassionata, ne felice. Apparentemente serena forse, ma felice mai. George e Hannah erano a tutti gli effetti due estranei, legati solo da un'elica di DNA. Non avevano altro in comune se non un inscindibile vincolo genetico. Da quando di sua moglie Zara si era uccisa, undici anni prima, egli aveva smesso di interessarsi a sua figlia, aveva smesso di interessarsi a tutto, tranne che al suo lavoro. Paradossalmente i suoi studi sul genoma umano in quegli anni bui, erano sempre venuti prima dell'unica persona con cui condivideva il proprio corredo genetico. La ricerca veniva prima dei suoi successi scolastici, della sua condotta irreprensibile, della sua buona educazione, e di qualsiasi altra cosa la riguardasse. Il lavoro lo liberava da tristi e dolorosi ricordi, e a lui andava bene così, isolarsi per andare avanti era necessario.


Lui.
- “Gentilissimo Signor Stein, La informo con gioia che, dati i Suoi successi scolastici, Le viene data l'opportunità di entrare a far parte del nostro esclusivo programma di tutoraggio. So che sarà lieto di aiutare ad ambientarsi e mettersi in pari con i suoi futuri compagni la signorina Hannah Zara Georgia Barnes, figlia di un mio caro e stimatissimo amico.
Le Sue doti innate, la Sua vivace intelligenza, e il Suo carattere naturalmente espansivo, aiuteranno la signorina Barnes ad adattarsi al meglio ad un sistema scolastico tanto differente da quello britannico. Le ricordo, che simili attività sono molto apprezzate dalla commissione esaminatrice di un certo prestigioso college, e non potranno che agevolarla riguardo a quella sostanziosa borsa di studio di cui abbiamo tanto discusso Sua madre ed io. Spero non vorrà deludere le mie anzi, le nostre aspettative. Distinti saluti, il preside Albert Miller.”
-
Il silenzio calò nella piccola e disordinata cucina del loro piccolo e disordinato appartamento ad Harlem, quando Greta, con le lacrime agli occhi per l'emozione e l'orgoglio, terminò di leggere la lettera che stringeva ancora tra le mani.
-Tesoro, è un'occasione stupenda!- Cinguettò, mentre Jace, affacciato all'unica finestra della loro minuscola cucina all'ultimo piano di un grigio e vecchio palazzone, osservava il via vai di persone per la strada, piccole come formiche, dall'alto del tredicesimo piano.
Il ragazzo sbuffò, voltandosi poi verso la madre. - Non voglio farlo, lo sai vero?-
Greta lo fissò corrugando la fronte. -Certo, ma tu lo farai. Hai lavorato tanto per arrivare a questo punto per buttare tutto al vento.- Il tono era implorante, o quasi. Oh, non sarebbe arrivata certo al punto ad implorarlo, sapeva bene come convincere il suo ragazzo a darle ascolto, e commuoverlo era il modo più sicuro per indurlo (o meglio costringerlo) a seguire i suoi consigli. Si avvicinò ad un cassettino,lo aprì e vi rovistò per un minuto buono, prima di tirare fuori trionfalmente un pacchetto di sigarette schiacciato e ammaccato. - Ecco qua. Ti sei meritato una sigaretta. Sali sul tetto, prendi un po' d'aria, ci pensi un po' su e quando torno dal lavoro ne riparliamo, va bene?- Si chinò a poggiare il pacchetto sul davanzale della finestra e a scoccare un bacio sulla guancia al suo bambino ormai troppo cresciuto. - Sono molto fiera di te. Ti voglio bene.- Gli sorrise amorevolmente, e Jace specchiandosi in quegli occhi grigi così simili ai suoi, comprese di non avere scelta.
- Mamma, sei malefica. Un vero demonio!Chissà quanti uomini avrai circuito con le tue arti seduttive!- Bofonchiò, rivolgendole però un largo sorriso, seguendola con lo sguardo nel suo muoversi attraverso la stanzetta.
-Meno di quel che credi, insolente! A stasera!- Rispose Greta, ridendo. Afferrò la borsa e usci senza aggiungere niente altro.
L'appartamento si fece silenzioso. Jace continuava a guardarsi intorno, e tutto gli parve meno luminoso, addirittura monotono senza la sua presenza.
Amava profondamente sua madre, una donna in gamba e forte che per suo figlio aveva sacrificato tutto, che aveva assunto anche il ruolo di padre quando quello vero era scappato, lasciando dietro di se solo innumerevoli debiti e un bimbo da crescere. Lei era la sua migliore amica, la persona che più amava al mondo, e dubitava di poter provare mai affetto di tale intensità per un altro essere umano.
-Credo dovrò farlo...- Mormorò infine tra se e se, storcendo le labbra in una smorfia di fastidio. Prese le sigarette, le chiavi di casa, e uscì.
Al tetto del palazzo si accedeva attraverso una scala in ferro piuttosto malferma, vecchia come tutto il resto dell'edificio e arrugginita in qualche punto. A Jace piaceva stare li, guardare il quartiere e la città dall'alto, lo aiutava a riflettere sulle cose, a prendere decisioni importanti. Ancor meglio se poteva portare con se una sigaretta.
Quando aveva tredici anni, Jace fu beccato da sua madre a fumare. Lo faceva da qualche mesi, ma non era stato abbastanza furbo da non farsi beccare. In realtà, fumare gli piaceva ma non tanto da farlo diventare un vizio. Era solo un ragazzino che voleva sentirsi uomo prima del tempo. Greta comprese che se si fosse impuntata non avrebbe ottenuto nulla, così madre e figlio fecero un patto: ogni volta che Jace se lo fosse meritato, avrebbe avuto in premio una sigaretta.
Per i quattro anni successivi il ragazzo non fumò una sola sigaretta, anche quando gli sarebbe spettata di diritto. Sapeva di aver deluso sua madre, e credeva con tutto il cuore che se avesse superato quella prova, rifiutando quel premio tanto ambito, avrebbe potuto riparare al torto fatto. Ma ormai aveva quasi diciotto anni, e più maturo e ormai adulto, sentiva di poter godere di quel premio in tutta tranquillità.

Per tutto quel pomeriggio rimase nel suo pensatoio, a rimuginare e rimuginare ancora.
Fregato. Jace era stato fregato. Sembrava che ci fosse una cospirazione contro di lui.
Lui neppure aveva presentato domanda di partecipazione a quel tanto ostentato programma di tutoraggio.
Le viene data l'opportunità”  aveva scritto il preside Miller. La realtà era ben diversa: era obbligato a star dietro a questa Hannah.
La fervida fantasia del ragazzo viaggiava a tutto vapore. Immaginava già di vedersi appioppare quella che quasi certamente sarebbe stata una ragazzina con la puzza sotto il naso, magari un'ochetta del primo anno, oppure una specie di Hermione Granger, ma più brutta, più stupida e certamente molto più svenevole...E ovviamente con dei denti orribili... Si, proprio come quelli del principe Carlo, per intenderci. D'altronde Barnes era un cognome inglese, e il preside stesso lo era da parte di madre (e ne andava parecchio fiero), quindi sentiva di avere il diritto di aspettarsi un'inglesuccia scialba.
Non poteva immaginare sacrificio più arduo, e gli costava parecchio dover sottostare a quello che sentiva essere un ricatto bell'e buono, ma doveva troppo a sua madre per poter rifiutare quell'offerta a cuor leggero. Sentiva di avere nei suoi confronti un enorme debito, qualcosa che la sua coscienza non gli permetteva d'ignorare, perché costantemente e totalmente conscio dei sacrifici che lei compiva per lui.
Greta non gli rinfacciava mai nulla, com'è ovvio, non faceva mai pesare nulla al suo ragazzo, cercava di nascondergli le sue preoccupazioni quando ne aveva qualcuna e la stanchezza, ma lui era più che empatico verso la madre, e riusciva a capire con un solo sguardo se qualcosa non andava per il verso giusto. E quando accadeva, Jace ne soffriva terribilmente.
Sentiva su di se il peso di enormi responsabilità, un peso che egli stesso aveva deciso di addossarsi. Loro non erano ricchi, vivevano in un appartamento malandato in uno dei quartieri peggiori della città, sua madre lavorava come infermiera ma non era raro che svolgesse qualche altro lavoretto per arrotondare. Jace era intenzionato a ribaltare quella situazione, a lavorare sodo, a ripagare sua madre di tutti i sacrifici. L'affetto che provava per lei, era ciò che lo spingeva più di tutto, ad andare avanti, nonostante gli ostacoli, per quanto la strada potesse essere lunga e tortuosa.





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Capitolo 2
*** Capitolo 2. Good morning New York. ***


Hopelessly devoted to you







Hopelessly Devoted To You <3

Capitolo 2. Good morning New York.

Lei.

Avevano alloggiato in un lussuoso hotel sulla Park Avenue nell'ultima settimana, mentre attendevano che arrivassero dall'Inghilterra gli ultimi effetti personali. Le camere degli hotel la stranivano, le trasmettevano un senso di instabilità. Ad Hannah piaceva avere nuovamente uno spazio da poter chiamare “casa”, se casa poteva definirsi.
A Manhattan non si trovano delle unifamiliari con giardino annesso come a Londra, quindi suo padre si era dovuto accontentare di un lussuosissimo ed enorme appartamento all'ultimo piano di un imponente palazzo di nuova costruzione. Il che le piaceva tutto sommato, e poteva essere considerato a tutti gli effetti un successo. Non era tipo da entusiasmarsi e lasciarsi andare in eclatanti dimostrazioni di felicità. Tutt'altro.
La zona in cui sorgeva l'edificio era una delle più rinomate della città, l'Upper East Side. La cosa non impressionava per nulla Hannah, semmai l'impensieriva. La scuola che avrebbe frequentato si trovava a breve distanza da casa, poteva quindi facilmente immaginare quali individui vi avrebbe incontrato. Sarebbe stata a stretto contatto con i pupilli dell'alta società newyorchese, ragazzi ricchi e viziati, per nulla diversi dai coetanei inglesi che durante tutta la sua vita, privata e scolastica, aveva sempre evitato.
Fin da piccola era stata timida, piuttosto introversa, un misto tra diffidenza e quell'ingenua bontà tipica di chi il mondo non lo conosce affatto. Avendo sempre vissuto in una bolla, evitando ogni contatto con il resto della popolazione mondiale, non aveva il desiderio di farsi degli amici ne l'attitudine a socializzare. Gli unici amici che lasciava in patria erano i cavalli e i cani da caccia dei nonni.
Era una ragazza sola, e così stava bene. Non si era mia chiesta se ci fosse qualcosa di meglio, al di là del confine del suo piccolo mondo. Non voleva chiederselo. Avrebbe significato fare dei cambiamenti. E lei non li voleva. Così andava avanti, dicendosi che in fondo non si può desiderare qualcosa che non si conosce.
Trovava normale e scontato vivere come aveva sempre vissuto, con la consapevolezza che il suo nome avrebbe potuto aprirle qualsiasi porta, ma non vi trovava nulla di cui vantarsi non avendone alcun merito se non una fortuna sfacciata. Non comprendeva il bisogno ossessivo mostrato dalla maggior parte dei figli della nobiltà inglese di far sfoggio di antenati illustri o delle grandi somme di denaro: io erediterò questo e quello, io prenderò tale cifra, io quella famosa società, io tale titolo nobiliare.
Non sentiva dire altro. Una simile cultura era tanto radicata in alcuni suoi coetanei che, mentre lei si preoccupava solo di giocare con le bambole, loro già calcolavano la loro futura fortuna, consapevoli senza sapere bene il perché, che un titolo e una grossa somma di denaro chiusa nel caveau di una banca li avrebbero resi migliori degli altri.
Hannah trovava noiose quelle chiacchiere profonde quanto una pozzanghera, ed era refrattaria alle attenzioni di chi era interessato solo ai soldi di suo padre, o a quanto sangue blu ci fosse nelle sue vene.
Non voleva essere inglobata da quel mondo di falsità, fatto di sorrisi vuoti e vanità. Se proprio fosse stata costretta a socializzare, avrebbe dovuto piacere per quel che era, non per chi sarebbe stata un giorno.
Il suo essere schiva, l'aveva sempre protetta da tutto questo, ma pian piano l'aveva anche irrimediabilmente allontanata da tutti. Non aveva amici della sua età, ed era sicura di non desiderarne. Non si illudeva che cambiare stato potesse cambiare la situazione.
L'unica persona di cui si fidava, era la sua tata. L'aveva cresciuta da quando aveva cinque anni, ed era ciò di più vicino ad una madre che conoscesse. A lei e solo a lei, confidava le preoccupazioni e gli affanni di quell'età così difficile, e poteva ben dire che la corpulenta cinquantenne scozzese, con i capelli rossi e il volto lentigginoso segnato da qualche ruga fosse la sua unica amica.

***
- Hannie, svegliati!- La tata la scosse appena, destandola dal suo sonno leggero. Si affrettò a scostare le tende dalla finestra ed aprire le imposte, così che il sole in tutto il suo splendore settembrino inondasse la stanza, spazzando via anche le ultime tracce di sonno. Hannah si alzò senza fare storie, stiracchiandosi appena. Sbadigliò, coprendosi educatamente la bocca con una mano, prima di biascicare un buongiorno con voce impastata.
Con un sorriso, la donna le porse una pila di vestiti ben piegati, e la spinse verso il bagno. - Avanti, cara. Siamo perfettamente in orario ma la colazione è già pronta, tuo padre ha già terminato. Ti aspetta di sotto. Pensa, ha deciso di guidare fino alla scuola! Lo conosco, arriverete sicuramente in ritardo! Buon Dio! Quell'uomo è incorreggibile!- Cinguettò, mentre canticchiando riordinava la stanza. Nonostante l'aspetto burbero, era una donna dolce e affabile, dalla voce morbida e vellutata, di quelle che ti cullano dolcemente ad ogni sillaba.
La ragazza annuì, e presi gli abiti che le venivano porti, si diresse verso il bagno. Non era solita indugiare davanti allo specchio, non amava truccarsi, ne acconciava i capelli in modo particolare, quindi fu pronta in breve tempo.
Quando scese di sotto, indossava la divisa della nuova scuola perfettamente stirata e in ordine, i lunghi capelli castani erano legati in una coda alta, che le dava un aria ordinata, da studentessa diligente quale era. Portava con se già la tracolla, colma dei libri da riporre nell'armadietto che le avrebbero destinato. La poggiò su una seggiola libera, prima di sedere ad un capo del tavolo e sbocconcellare la propria colazione.
La solita vecchia colazione, la solita brocca di spremuta a dividerli, il solito tram tram mattutino, il solito silenzio snervante.
Non appena ebbe finito, la tata le porse la borsa e si affrettò a portare via i resti del pasto dal tavolo.
George aspettava sua figlia alla porta, senza nascondere un moto d'impazienza che la sorprese. Neppure quando doveva tenere delle lezioni in un college mostrava segni così evidenti di nervosismo.
In macchina non parlarono. Hannah fissava edifici sconosciuti sfilare l'uno accanto all'altro, eleganti e lussuosi, tutti simili in qualche modo, tutti privi di anima. Bellissimi esempi di architettura contemporanea senza significato. La St. John non era da meno.
Quando vi arrivarono il cortile antistante all'entrata era già deserto. La prima lezione doveva essere già iniziata, e il preside Miller li attendeva all'ingresso, con un sorriso divertito sul volto.
- Sapevo che saresti arrivato in ritardo! Certe cose non cambiano mai, amico mio! Ti avevo detto di assumere un autista!- Scoppiò in una fragorosa risata, allegra e contagiosa.- Ne sono certo, tu hai sbagliato strada!-
Ed era proprio così.

Lui.

Il primo giorno di scuola arrivò in un lampo. Jace ne era poco entusiasta. Detestava il solo pensiero di dover passare i prossimi mesi con una ragazzina perennemente alle costole.
Non poteva essere altrimenti. Aveva bisogno di quella borsa di studio: aveva presentato domanda in vari college, partecipato agli esami di ammissione, compresi quelli per la NYU e la Columbia, ed era a quest'ultima che lui ambiva. Non c'era neppure da discuterne, se era necessario fare anche questo, beh, lui l'avrebbe fatto.
La sveglia suonava chissà da quanto, quando si decise ad aprire gli occhi. Cercò di spegnerla buttandola a terra, con un grugnito di disapprovazione, perché quella invece di zittirsi, cominciò a trillare con ancor più foga.
-Va bene, va bene! Mi alzo! Stupido aggeggio!- Brontolò, puntando i gomiti contro il materasso, per tirarsi su. I capelli biondi erano un groviglio informe, più criniera che altro. Gli occhi grigi e profondi erano assonnati e stanchi, come se nove ore di sonno profondo e ininterrotto non fossero state abbastanza per loro. Jace faticava a tenerli aperti, ma quando si posarono su quelle lancette, si spalancarono.
- Le 7.30?! Oh santissima merda!- Sbottò, scaraventandosi giù dal letto. Afferrò la divisa, sparpagliata per la stanza e si infilò nell'unico bagno di tutta la casa. -Ma dai! Il tappeto è bagnato!- Urlò, quando vi mise sopra i piedi scalzi. -Zuppo! Ma dico io... Come diavolo fa quella donna a ridurre il bagno in un lago ogni maledetta mattina!-
Continuò a borbottare come una locomotiva, anche mentre si pettinava (il che equivaleva a passarsi una mano tra i capelli nel vano tentativo di renderli meno simili a qualcosa di animalesco) e si lavava i denti. Scalciò via il tappetino fradicio e si vestì. Corse in cucina saltellando su un piede solo, mentre cercava di infilarsi una scarpa. Attaccata alla macchina del caffè, sua prima e più grande passione, stava attaccato un post-it:
Scommetto che sei in ritardo!Ricordati lo zaino... E le chiavi di casa! Buona fortuna per il tuo primo giorno di scuola!Ci vediamo li! XXX Mamma <3”
Il ragazzo lesse il biglietto, e lo voltò
P.S. Non ti lamentare se il caffè è tiepido! Sei tu quello in ritardo!
Ridacchiò e lo infilò in tasca. Si versò una tazza di caffè -Bleah! É freddo! Altro che tiepido!- che venne subito abbandonata sul tavolo. Raccattò chiavi e uscì di corsa, chiudendosi la porta alle spalle. Scese le scale di fretta, come se ne andasse della sua stessa vita e quando finalmente raggiunse la porta d'ingresso della palazzina...
-Oh santissima merda! Lo zaino!-










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Capitolo 3
*** Capitolo 3. Non tutto è come sembra. ***


Hopelessly devoted to you







Hopelessly Devoted To You <3

Capitolo  3. Non tutto è come sembra.

Lui.

La prima lezione della giornata era agli sgoccioli, e la sua “protetta” non si era fatta ancora vedere. Jace aveva passato l'ultimo mese delle sue vacanze a ideare un dettagliato e meticoloso programma di studi per la ragazza, che prevedeva anche qualche visita ai più importanti musei della città.
La sua assenza lo rendeva nervoso, si sentiva offeso, percepiva il suo comportamento come un affronto personale perché, anche se a malavoglia, si era assunto quell'impegno facendo appello a tutto il suo senso di responsabilità e si era ingenuamente convinto che l'avrebbe fatto anche lei.
-Signor Stein? Signor Stein? Se volesse tornare tra noi le saremmo tutti molto grati.- La monotona voce del professore di francese, con quella sua irritante erre moscia, irruppe tra i suoi pensieri, riportandolo con i piedi per terra. Era tanto preso in riflessioni senza capo ne coda da non essersi accorto dell'ingresso della segretaria nell'aula, ne di essere stato più volte richiamato dall'insegnante che ora gli tendeva un foglietto. Le risatine sommesse si sprecavano e gli pareva rimbombassero nell'aula silenziosa, mentre imbarazzato sollevava lo sguardo sul professor Pelletier.
-Eh? Cioè...Scusi... Ero sovrappensiero.- Si scusò con uno dei suoi miglior sorrisi, che nascondeva splendidamente tutto l'imbarazzo del momento.
-Abbiamo notato. Il preside Miller richiede la sua presenza nel suo ufficio.- Replicò svogliatamente l'uomo, con voce ancor più atona del solito.
-Ahm... Va bene.- Il ragazzo infilò i libri nello zaino, afferrò il foglietto e tra il chiacchiericcio e qualche altra risatina lasciò l'aula.
Sapeva dove si trovava l'ufficio di Miller. C'era stato spesso, ma non per la sua cattiva condotta. Nonostante a casa fosse disordinato, pigro, distratto, talvolta egoista e indisponente e fosse capace di addormentarsi all'istante non appena si trovasse su una superficie sufficientemente confortevole, a scuola era uno studente modello, probabilmente uno dei migliori della scuola.
Ordinato, responsabile, rispettoso ed educato, ottimi voti, intraprendente, generoso e sempre pronto ad aiutare il prossimo. Faceva parte del consiglio studentesco e fino all'anno precedente della squadra di football. Era il pupillo della maggior parte dei professori, non c'era da meravigliarsi se si rivolgevano quasi esclusivamente a lui se costretti ad affidare ad uno degli alunni un compito di una certa importanza.
In definitiva non aveva nulla da temere, eppure si sentiva agitato. Intuiva chiaramente perché era necessaria la sua presenza. Non poteva esserci altro motivo, se non lei. Era finalmente arrivata.
Mentre bussava alla massiccia porta dello studio, prese un profondo respiro. Si preparava a fronteggiare il peggio che riuscisse ad immaginare.
-Avanti.- Tuonò la profonda voce del preside, e quando Jace aprì la porta, si trovò davanti quella che sembrava essere solo una ragazzina, e che cercava disperatamente di scomparire tra i cuscini della poltroncina che occupava. Sedeva ben dritta e composta, rigida, evidentemente a disagio.
Compita, l'esatta parola che Jace avrebbe utilizzato per descriverla in quell'istante, con le mani intrecciate sul grembo, il capo appena chino e lo sguardo basso.
Nell'insieme era decisamente bella. Aveva lunghi capelli scuri, grandi occhi azzurri da cerbiatto, profondi, che a Jace parvero vuoti, come se quella ragazza non avesse nulla che le desse vera gioia. Il volto era ancora infantile nel complesso, leggermente allungato ma con le gote piene e un'adorabile fossetta sul mento, labbra carnose e un naso piccolo e perfettamente diritto, puntellato qui e la da qualche lentiggine. Pareva più simile ad una bambola di porcellana, con quella candida pelle perfetta, che ad un adolescente, con tutto ciò che questo comporta.
Quando al suo ingresso lei si alzò, sotto tacito ordine dell'uomo che le sedeva accanto, vide che era piuttosto alta e le forme che non erano completamente nascoste dall'uniforme la resero meno bambina ai suoi occhi.
Tutto in lei urlava “Attenzione! Fragile! Maneggiare con cautela!”.
Si aspettava una snob, non credeva si sarebbe ritrovato tra le mani una coppa di cristallo scheggiata. Provò la netta sensazione di doverla proteggere, senza sapere da cosa e perché.
***
Per tutto il tempo in cui stette in quell'ufficio, lei non lo guardò mai in volto. In realtà, non sollevò mai lo sguardo verso nessuno dei presenti, seguitò semplicemente a fissare un punto indefinito del pavimento, silenziosa e lontana. Jace continuava ad osservarla di sottecchi, cercando nel contempo di afferrare la conversazione tra i due uomini, quando quello che aveva scoperto essere il padre della ragazza, lo interpellò.
- Quindi, Signor Stein, lei sarà...-
Jace lo interruppe, sollevando una mano. Lo fissava sorridente ma sicuro.-Mi chiami pure Jonathan, signor Barnes, e preferirei mi desse del tu, se non le spiace.- Asserì, educato ma deciso.
Quelle poche parole bastarono a risvegliare Hannah, riportandola tra loro. Per la prima volta sollevò lo sguardo sul giovane, osservandolo con un misto di sorpresa e ammirazione. Jace non se ne accorse, ma George si. E la cosa non gli piacque affatto.
- Vorrei, ma il regolamento interno dell'istituto me lo vieta, da domani sarò il suo insegnante di biologia, come avrà ormai capito. - Gli sorrise, e il sorriso dell'uomo era gentile ma tagliente. Il ragazzo non seppe se fidarsene. - Bert si è tanto sprecato in lodi nei Suoi riguardi, e devo dire che ha faticato notevolmente a convincermi a imporre a mia figlia un tutor, nonostante non ci sia nulla in lei che lo renda necessario.- Con un lieve cenno del capo indicò Hannah, che al sentirsi tirata in ballo sembrò voler sprofondare ancor di più, e si chinò ad aprire la ventiquattrore che fino ad allora se n'era stata buona ai suoi piedi.
-Questo perché ti conosco, mio caro George, e se la tua Hannah ti somiglia quel che basta, ho i miei buoni motivi per credere che questo ragazzo le sarà di grande aiuto.- Lo interruppe il preside, ricevendo in risposta solo un'occhiataccia, prima che l'uomo riprendesse a rivolgersi al ragazzo.
- Per ora, ad una prima occhiata, nonostante l'aspetto trasandato tipico di voi americani...- Il suo tono si fece, per un attimo solo nel pronunciare quell'ultima parola, tagliente più del suo sorriso. - ...sembra un ragazzo educato quando basta, intelligente e abbastanza sveglio da capire che quale è il suo compito e che dovrà compierlo senza alcuna deviazione.-
Non lo guardava mentre gli rivolgeva parola, ma frugava con calma l'interno della valigetta, totalmente assorto dai proprio lenti gesti.- Evidentemente è sicuro di se, ma senza apparire presuntuoso. Ottimi voti, comportamento encomiabile, ben inserito e popolare tra i compagni... Non mi guardi così, sono piuttosto bravo nel leggere le persone. - Disse nel notare lo sguardo stranito del ragazzo.- E avere il suo curriculum scolastico è stato di grande aiuto, di certo.- Concluse, tendendogli una cartellina in carta giallognola.
Dubbioso e vagamente preoccupato, il ragazzo l'aprì, trovandovi una copia della sua ultima pagella e un sunto di tutta la sua carriera scolastica. Come era stato possibile che quell'uomo ottenesse quei documenti?
- Credevo esistessero delle leggi sulla tutela della privacy...- Borbottò con un mezzo sorriso, sporgendosi verso la scrivania di Miller, dove adagiò piano la cartella, spingendola verso l'uomo.
- Ovvio, per tale motivo ho convocato Sua madre qualche settimana fa. Lei non è ancora maggiorenne, e anche se lo fosse, non credo sarebbe stato ben disposto.- Replicò l'uomo, e con l'indice spinse nuovamente la cartella verso il ragazzo. - Questi sono suoi. Sua madre è una donna in gamba, capisce al volo quando ha il coltello dalla parte del manico. E devo dire che ci ha dato parecchio filo da torcere. - Sorrise. - Era parte del nostro accordo, in ogni caso.-
Jace si limitò ad annuire, riprendendo la cartella tra le mani. Il suo volto era illuminato da un sorriso radioso, come ogni qualvolta venivano rivolti dei complimenti a sua madre. Inoltre, aveva sempre pensato che sotto sotto Miller avesse un debole per lei, e quelle parole appena pronunciate, non poterono che convincerlo ancor di più.
-Bene, Signor Stein, Signorina Barnes...- Il preside si alzò, e Hannah scatto in piedi insieme a lui. Suo padre la fissava compiaciuto, e al ragazzo sembrò fosse soddisfatto d'aver reso sua figlia una specie di cagnolino perfettamente ammaestrato. -Potete andare. Il professor Barnes ed io abbiamo alcune cose di cui discutere. Giustificherò personalmente la vostra assenza dalle lezioni, quindi prendetevi tutto il tempo di cui avrete bisogno per visitare l'edificio e...Ah dimenticavo!- Si chinò, aprì un cassetto e ne estrasse una busta gialla, piuttosto rigonfia. La tese verso Hannah, che si affrettò a prenderla e infilarla nella tracolla.- Sono gli strumenti del mestiere, non li perda, signorina. Si accorgerà presto che questo è un istituto totalmente diverso dal collegio che ha frequentato fino ora.- E con l'ennesimo sorriso, li cacciò gentilmente dal suo ufficio.

Lei.
Hannah camminava in silenzio al fianco del ragazzo, attraverso un ampio corridoio dalle pareti totalmente nascoste da armadietti metallici, ognuno con il suo bel lucchetto lustro e pesante. La maggior parte era coperta da una marea di adesivi e decorazioni varie, alcuni ne erano talmente ricoperti che se non fosse stato per il lucchetto in bella vista, non ci si sarebbe accorti che si trattava di uno stipetto. Questo le bastò per farsi un idea, carica di pregiudizi, di quell'ambiente scolastico. Tutto sembrava stravagante e colorato, così diverso dalla scuola che aveva frequentato fino ad allora. Grazie alle migliaia di dollari versati dalle famiglie degli alunni, a questi, era evidente, veniva permesso di deturpare impunemente la proprietà scolastica. Anzi, poster e manifesti appesi alle pareti sembravano inneggiare al vandalismo, spacciandolo sotto il nome di “creatività”.
Lei non era fatta per quel caos, quell'accozzaglia di colori e forme che non sembravano seguire un ordine logico. Provava un certo timore, poiché non sapeva cosa doversi aspettare, era come se l'avessero rinchiusa in un manicomio. Il collegio non le piaceva di certo, ma il quel momento lo rimpianse. Li almeno non c'erano sorprese: aveva una routine scandita da regole ferree che non osava infrangere.
Represse l'impulso di scappar via senza guardarsi indietro, deglutì, e senza emettere fiato, estrasse dalla borsa la busta consegnatale poco prima. L'aprì sollevando la linguetta superiore e ne tirò fuori una risma di fogli: il regolamento scolastico (che aveva già letto), una cartina dell'edificio, l'orario, nominativi dei professori e rispettivi recapiti, e il numero e la combinazione dei suoi armadietti personali. Tutti i suoi gesti erano lenti e meticolosi, non c'era mai nulla di affrettato in lei, nulla che potesse tradire impazienza o il nervosismo le stava rivoltando lo stomaco.
- Allora, che numero?- Hannah si voltò di scatto. Jace le sorrideva arricciando appena il naso, ma con una naturalezza e un'allegria che la mettevano a disagio, aspettando una risposta a quella semplice e banale domanda. Arrossì, perché era totalmente dimenticata delle sua presenza.
Il ragazzo le aveva lasciato tutto il tempo di guardarsi intorno, senza importunarla con chiacchiere inutili e senza invadere il suo spazio. Ne fu sorpresa. Non si era mai sentita così indifferente di fronte ad un ragazzo. Si solito si sforzava a evitarli, l'imbarazzava avere a che fare con loro. Ma questo Jonathan sembrava diverso. Forse. - E non ci siamo neppure presentati ufficialmente. - Le tese una mano.- Jonathan Alexander Stein, come probabilmente sai, ma io preferisco essere chiamato Jace.-
Avrebbe evitato volentieri di toccarlo, ma non poteva fargli uno sgarro simile, seppure non lo conoscesse affatto. La stretta fu debole e rapida, riluttante.- Hannah Zara Georgia Barnes.- E non aggiunse altro.
Aveva appreso la notizia di dover essere affiancata da uno studente dell'ultimo anno con una certa apprensione. Non ne era entusiasta, e proprio come Jace, si era preparata al peggio.
Certo il ragazzo aveva l'aspetto trasandato tipico di tutti gli adolescenti americani, o perlomeno di tutti quelli che aveva visto in tv. Indossava la divisa come se fosse qualcosa di insignificante: la camicia era spiegazzata, con le maniche arrotolate fino al gomito e il colletto sbilenco, la cravatta era larga, e per giunta non portava il blazer. Ma aveva un bel viso, nonostante i capelli che sembrava non vedessero un pettine da mesi o peggio da anni, e un sorriso solare, il sorriso che ci si aspetterebbe da una persona estremamente sicura di se ma al contempo premurosa. Ciò che la colpì furono gli occhi. Non ne aveva mai visti di così espressivi,e la loro luce era per lei qualcosa di mai visto prima, addirittura vibrante.
Sembrava un bravo ragazzo, e il fatto che non tentasse di attaccare bottone ad ogni costo gli fece guadagnare parecchio valore agli occhi della ragazza. Forse, con un pizzico di fortuna e tanta buona volontà, la faccenda si sarebbe risolta in maniera rapida ed indolore per entrambe le parti.
- Ahm...- Mugugnò, dopo un breve silenzio, lanciando un occhiata ad uno dei fogli. Li fissava con intensità, come se dovesse interpretare una scrittura antica e sconosciuta. Semplicemente cercava una scusa per evitare di doverlo guardare ancora in volto. - 146, suppongo. L'armadietto numero 37... Uhm... Si riferisce a cosa di preciso?- Domandò poi, infilando il resto dei fogli nella busta, che tornò nella borsa e vi rimase. Parlava con voce piuttosto bassa, e con la coda dell'occhio lo vide chinarsi appena per poterla sentire meglio.
- Bene, sei fortunata, è dietro l'angolo. Il 37 é l'armadietto della palestra! Ci troverai dentro la tua divisa, se non te l'hanno già spedita a casa e...- Ma la ragazza non sentì il resto. La campanella trillò, dilaniando il silenzio, e un fiume di studenti si riversò nel corridoio.
Con orrore notò che Jace non era l'unico a trattare la sua divisa come uno straccio, o peggio come un accessorio da coordinare alla borsetta. Alcune ragazze dell'intero completo indossavano solo il cravattino.
Una miriade di occhi di ogni colore si fissò su di loro, mentre si facevano strada fino all'unico armadietto intonso. Hannah camminava con la schiena eretta ma lo sguardo basso, intorno a se la folla mormorava, senza neppure darsi pena di cercare di nasconderlo.
E quella chi sarebbe?” Sentì una ragazza mormorare con viva curiosità.
Come non lo sai?é la ragazza nuova! Dicono che sia la figlia del nuovo professore di biologia dell'ultimo anno!”Rispose un'altra.
Pare siano dei nobili! Addirittura dei conti...” Aggiunse un'altra ancora, con un tono che la fece sentire come un pezzo di carne sul bancone del macellaio. Stavano calcolando il suo valore in dollari, o si sbagliava?
Ma guardala... Sta già cercando di accalappiare Stein. Ma chi si crede di essere?” Riprese la prima, con voce aspra, carica di invidia.
Hannah si sforzò d'ignorarle, ma non fu capace d'impedirsi d'arrossire a quelle parole. Lei che provava a “accalappiare” qualcuno era già di per se qualcosa di poco probabile, se poi quel qualcuno era il suo tutor, diventava assolutamente impossibile.
Fu un sollievo quando raggiunse l'armadietto e poté nascondersi dietro lo sportello. Prese a svuotare la tracolla dei propri libri, con più lentezza del necessario, sperando il luogo si svuotasse prima che lei avesse finito. Di tanto in tanto ne spostava uno, sistemandolo in ordine alfabetico.
-Non credo ci sia bisogno di dirtelo, ma te lo dico lo stesso: ignorale. Probabilmente tra ventiquattro ore saranno le tue migliori amiche, o cercheranno di diventarlo.- Jace scrollò le spalle, e quando la ragazza lo osservò con la coda dell'occhio, notò che lui continuava a sorriderle. Mentre lei si sentiva imbarazzata e afflitta da quelle parole, lui non ne era stato minimamente sfiorato.
-Non lo saranno.- Rispose, senza sollevare lo sguardo dall'interno dello stipetto. - Non mi piacciono le persone come...Come me. Non volevo degli amici a Londra e non li vorrò neppure qui. Non mi interessa. - Non aveva mai parlato tanto a lungo davanti ad un ragazzo. E Jace l'osservava stranito, come se si stesse trasformando in qualcosa di sconosciuto davanti ai suoi occhi increduli.
- Qualcosa non va?- Gli chiese più per cortesia che per reale interessamento, notando quell'espressione confusa sul suo volto quando sollevò lo sguardo, incuriosita dal rumore di sportelli che venivano aperti e da un certo vociare intorno a loro. Alle spalle del ragazzo vedeva spuntare tre teste che si agitavano vivacemente, accompagnate da concitate voci femminili.
-No... Io... Sono sorpreso, e se devo essere sincero, preoccupato. Perché le possibilità sono due: o sei più snob delle altre, oppure sei davvero strana per essere una ricca contessina inglese!- Scrollò le spalle. Era il turno di Hannah di fissarlo allibita. - A proposito, è vero?- Aggiunse, ridacchiando. Per lui tutto sembrava senza rilevanza, come se fosse un gioco. Non sembrava riuscire a prenderla e a prendersi sul serio.
- Voi americani... Non sapete proprio cosa sia il riserbo.- Replicò lei infastidita, continuando ad arrossire. Spostò ancora un libro, quindi richiuse lo sportello bloccandolo con il lucchetto. - E l'educazione.- Sospirò.- E si, è vero, anche se preferirei non lo fosse. Ma non credo che uno nella mia stessa situazione possa capire.-
-Siamo solo molto schietti, non per questo manchiamo di educazione. - Precisò, mantenendo la calma.
La ragazza ebbe la sensazione di trovarsi davanti ad un muro di gomma. Tutto gli rimbalzava contro senza dargli alcun pensiero. - Dato che non ti interessa fare amicizia, perché dovrei fare finta di essere qualcosa che non sono? Non devo piacerti per forza, anche se siamo costretti a frequentarci.- Si passò una mano tra i capelli arruffati, alcune ciocche gli ricadevano disordinate sulla fronte. - Ma mi piacerebbe. Gli esseri umani sono animali sociali. Siamo fatti per vivere in gruppo. E poi, chi ti dice che io non sia un poveraccio? Non tutto è come sembra.-
Hannah non poté non fissarlo dritto in volto a quelle parole, quando rispose: - Se tu lo fossi, ti invidierei.-










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Capitolo 4
*** Capitolo 4. Big Blue Wall (there's a chance outside this isolation). ***


Hopelessly devoted to you







Hopelessly Devoted To You <3

Capitolo 4. Big Blue Wall (there's a chance outside this isolation).

Lei.

Sedeva ad uno dei tavoli della sala mensa, in completa solitudine, scarabocchiando annoiata su un blocco per schizzi. Accanto a se il vassoio del pranzo, cui contenuto era intatto. Non aveva affatto fame, ma non era certo una novità. Preferiva dare uno sguardo agli appunti o leggere durante la pausa pranzo, anziché mangiare. Sentiva continuamente addosso gli sguardi, chi acceso dalla curiosità, chi dall'invidia, degli altri studenti. Le si chiudeva la stomaco al pensiero di trovarsi sotto i riflettori, lei così timida... Anche se preferiva definirsi discreta. I giorni passavano, e ancora non riusciva a farci l'abitudine.
Nessuno l'avvicinava. Essere la figlia di uno dei docenti, la rendeva insopportabile a priori, e il suo essere riservata e schiva, agli occhi dei compagni sembrava esserne la conferma.
Nessuno le rivolgeva la parola. Nessuno tranne Jace. E tre strane ragazze che dovevano essere delle sue amiche. O così le pareva.
La matita nera che rigirava di tanto in tanto tra le dita, con un movimento nervoso e ritmico, era lucida e fine, elegante ma anche frivola con un luminoso strass in cima. Ad Hannah piaceva, perché era nei piccoli particolari che ritrovava se stessa, o perlomeno la se stessa che avrebbe voluto essere. Una ragazza qualunque, ma lo stesso elegante e raffinata, la figlia del Signor Nessuno, con quel pizzico di coraggio che le avrebbe forse permesso di diventare la persona che desiderava essere e brillare di luce propria. Intanto osava nel suo piccolo e si concedeva un insignificante vezzo.
La sua mente vagava, libera di volare verso luoghi sconosciuti, mondi fantastici frutto della sua vivace immaginazione, attraverso oceani viola e cieli verdi, lasciandosi trasportare dal vento come saprebbe fare solo un gabbiano. E come un gabbiano provare l'ebbrezza della picchiata, del rischio, e il sollievo della dolce risalita, verso l'alto e ancor più su. E scoprire quanto sia piacevole non avere una meta da raggiungere, essere ignari della propria posizione nel mondo, perché il cielo è lo stesso ovunque ci si trovi, e il mare è senza confini.
Esistevano anche per lei, anche se rari, quei momenti in cui si desidera ardentemente essere liberi dall'apparenza.
Sul foglio tracciava linee precise ma leggere, senza prestare attenzione a ciò che esse andavano a formare. E senza sapere come, si ritrovò a disegnare un paesaggio alieno. Un mondo che sarebbe esistito sempre e solo nella sua mente, dove sarebbe rimasto puro e incontaminato, protetto come il più caro dei tesori.
Sospirò, sostenendosi il capo con una mano. La noia la riportò con i piedi per terra. Non le capitava mai di sentirsi annoiata. Chi è abituato a essere solo, trova sempre un modo per ingannare il tempo. Ma questo sembrava essersi dilatato, un istante era lungo un ora, e non c'era verso d'accelerare la sua corsa.
Qualcosa mancava. Non riusciva a comprendere di cosa sentisse il bisogno. Non era nell'aria, era qualcosa di assolutamente materiale. Neppure tutte le fantasticherie del mondo intero, poterono allontanare la sensazione, che era chiara, ma che non sapeva spiegarsi.
Mancava un suono in particolare, ma non riusciva ad afferrare quale fosse.
Era il silenzio, nonostante fosse circondata da voci e rumori, a darle il tormento. Da lungo suo compagno di vita, l'accompagnava sempre, anche nei luoghi più rumorosi, la divideva dal resto della gente come un grande e triste muro, ovattando ogni suono, a volte inghiottendoli del tutto, divorando anche il più lieve sussurro. Nessuno aveva mai tentato di oltrepassarlo, nessuno aveva mai osato fronteggiare quel suo subdolo amico. Nessuno tranne Jace, con il suo inarrestabile chiacchiericcio, con quel suo parlare di tutto e di niente. Lui era l'unico ad aver cercato una breccia, il punto debole di quell'invalicabile barriera.
Hannah non aveva mai mostrato interesse per le sue chiacchiere, ma seguiva il suo ciarlare, qualsiasi cosa dicesse, con tutta l'attenzione e insieme la discrezione di cui era capace, sedendo all'altro capo del tavolo. Ma il posto davanti a sé quella mattina era vuoto.
Ecco cosa mancava.
Sollevò lo sguardo dal foglio. Jace non era venuto a pranzo. Non sapeva spiegarsi come non se ne fosse accorta, e ancor meno perché desiderasse la sua compagnia. Era una nuova sensazione l'assenza, la nostalgia. Non riusciva a darle un senso. Tutto il suo raziocinio le si rivoltava contro, non c'era niente di logico in tutto ciò.
Cominciò a guardarsi intorno, in attesa. Poteva trattarsi di un semplice ritardo, poteva esser stato trattenuto da un professore, o aver dimenticato qualcosa in aula. Ma non lo vedeva, ne seduto ad uno dei tavoli, ne arrivare dal corridoio.
Cominciava a chiedersi se la sua assenza non dipendesse da lei, da come si era posta nei suoi confronti. Ripercorse mentalmente le ultime settimane: non era stata maleducata, non gli si era rivolta in maniera sgarbata, ma neppure era stata un esempio di affabilità, proprio perché non aveva mai aperto bocca. Era stata silenziosa ai limiti dell'assurdo, e cercando di entrare nelle sue scarpe, si chiese come il ragazzo poteva aver interpretato tutto ciò. La discrezione poteva diventare sdegno e alterigia ad occhi estranei. Non aveva mai pensato che il suo comportamento potesse essere sgarbato per qualcuno.
Dovrei chiedergli scusa. Si disse senza troppa convinzione. Era riluttante. Non era sicura di riuscire a rivolgergli la parola senza peggiorare la situazione. Continuò a pensarci e ripensarci, ma non osava andare a cercarlo. D'improvviso, un'ombra enorme si stagliò su di se togliendole la luce. Sollevò lo sguardo timidamente, trovandosi davanti tre ragazze.
-Ciao Hannah! Possiamo sedere?- Domandò la biondina. Inutile rispondere, il Trio aveva già preso posto, circondandola. Ma Hannah lo fece lo stesso. Si chiese se non dovesse chiedere scusa anche a loro. Come Jace avevano cercato un contatto e lei le aveva inesorabilmente respinte.
-Certo...- Mormorò, sforzandosi di tenere lo sguardo altro, mentre gli si rivolgeva. - Sedete pure.-
La consapevolezza la colse: forse valeva davvero la pena, impegnarsi. C'era una possibilità al di là dell'isolamento in cui si era esiliata.

Lui.

-E così le cose non vanno bene...-
Dire che non andavano bene era usare un eufemismo, e Jace non era mai stato granché bravo nel minimizzare. Erano passate ben due settimane dall'inizio dell'anno scolastico, e gli pareva di trovarsi impantanato in un problema senza soluzione.
-Beh, speravo con il tempo sarebbero migliorate. Ma ormai sono passate due settimane, e quasi non mi rivolge la parola. Tutto quello che ho ottenuto è un “ciao” a inizio lezioni e un “arrivederci” alla fine. E durante la pausa pranzo... Dio santo!Studia durante la pausa pranzo!Ti rendi conto? Va contro natura! Deve detestarmi a morte, se preferisce studiare! - Esclamò, gesticolando furiosamente e tirandosi su sui gomiti, sotto lo sguardo attento e al contempo divertito di Greta.- Jaquie, Daphne e Rose si siedono di continuo al nostro tavolo ma lei non sembra neppure vederle, a malapena le saluta. - Si grattò il capo, tirando indietro i capelli, mentre sdraiato sul lettino dell'infermeria, dava sfogo alla frustrazione degli ultimi giorni. -Non capisco, mamma! Non ho problemi a fare amicizia!Mai avuti! Ricordi come era timida Rose? Eppure siamo diventati amici così facilmente! Perché con lei non riesco?- Sbuffò sonoramente lasciandosi ricadere contro il materassino. Fissava il soffitto candido, indispetitto dalla propria incapacità di darsi per vinto.
Aveva detto ad Hannah che non dovevano essere amici per forza, allora perché lui non riusciva a lasciar perdere? - Credimi mamma, ho tentato! Ho provato a farle delle domande, e ho scoperto solo che abita sulla Columbus Avenue! Ho provato a parlare io, ma non ha mai sollevato lo sguardo dai suoi appunti!Credo non mi stesse neppure ascoltando!- Era scoraggiato. Non si era mai scontrato contro qualcosa del genere: un invisibile muro che Hannah aveva eretto a sua difesa, e lui non riusciva a trovare una breccia, un piccolo punto debole che gli permettesse di superarlo.
- Mi sorprende che tu non ci sia arrivato prima, tesoro. Di solito sei fin troppo perspicace!- La donna sospirò scuotendo il capo e levando gli occhi al cielo. - Devi avere un po' di pazienza con lei!Mi sembra evidente che Hannah non è una ragazza come le altre, non puoi approcciarti a lei come hai sempre fatto. Devi trovare la giusta strategia. Oramai credo tu abbia capito che non è certo nello studio che ha bisogno di aiuto.- Si allungò ad accarezzargli la fronte, delicata come una brezza, e la sua voce si fece più dolce. Era il suo modo tutto speciale di rassicurarlo, come solo una madre sa fare.
-Certo che no...- Borbottò Jace, sospirando profondamente e socchiudendo gli occhi al tocco materno. - é al penultimo anno, e riesce a studiare il doppio di quanto non facessi io lo scorso anno. E io che la credevo al massimo al terzo anno, sembra una bambina! Mi fa quasi paura!- Continuò ridacchiando, più rilassato di quando all'inizio della pausa pranzo aveva fatto irruzione nell'infermeria della St. John dove sua madre Greta lavorava ormai da anni. - Miller mi ha scelto per questo vero? Voglio dire, perchè è una ragazza sola. È così chiusa in se stessa. - Si tirò su mettendosi seduto, con le lunghe gambe che penzolando sfioravano il pavimento. - Miller ha detto che... Ma certo...- Mormorò tra se e se, immobile per pochi istanti, prima di saltare in piedi e afferrare lo zaino. - Ho capito cosa devo fare! Grazie mamma!- Le scoccò un bacio su una guancia e la strinse in un abbraccio stritolatore. - Sei una forza, ancora mi chiedo perché non hai studiato psicologia!- Scherzò, facendole un occhiolino. Si diresse verso la porta, indietreggiando, e voltandosi solo per afferrare la maniglia.
-Uhm...- Si portò una mano al volto, storcendo le labbra.- Fammi pensare... Esattamente diciassette anni fa... Ero incinta...Di te!- Replicò lei, scoppiando a ridere. Non aveva mai nascosto a suo figlio di come la gravidanza fosse stata un imprevisto, ne che lo considerasse il suo errore più bello e caro.
-Eri solo all'ottavo mese, che vuoi che sia!- Replicò lui, ridendo e aprendo la porta. - Ci vediamo stasera!- Ed uscì, lasciandosi alla spalle una madre sorpresa e divertita al contempo. Probabilmente non avrebbe capito mai fino in fondo i mille e più pensieri che si aggrovigliavano nella mente del suo ragazzo.

L'angolo dell'autrice:

Grazie grazie grazie a chi ha inserito questa storia tra le sue preferite o tra le storie seguite. E grazie a chi ha commentato. é la seconda storia che scrivo, e la prima originale in assoluto. Non so proprio che dire, se non che spero continuate a seguirla, e magari a lasciare una piccola recensione. Fareste felice l'autrice. :-P










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Capitolo 5
*** Capitolo 5. Amici. ***


Hopelessly devoted to you







Hopelessly Devoted To You <3

Capitolo  5. Amici.


Lui.

I ruoli sembrarono essersi invertiti, con grande divertimento di Jaquie, Daphne e Rose, che seguivano lo scorrere degli eventi come se si trattasse di una soap-opera di successo, con tanto di scommesse e fantasticherie su improbabili capovolgimenti degli eventi.
Le tre, che Jace chiamava affettuosamente “il Trio” (e loro altrettanto affettuosamente avevano accettato il nomignolo, tanto da essere così conosciute in tutto l'istituto) , da quando avevano preso posto al tavolo di Hannah per la prima volta, avevano deciso all'unanimità che sarebbe diventata un'abitudine. Un po' per morbosa curiosità, un po' perché erano decise a conquistarsi l'amicizia della ragazza. Jace sapeva e lasciava correre, curioso anche lui di sapere quando ci avrebbero messo a conquistarla.
Hannah cercava, ogni giorno con più convinzione, di intavolare un discorso, uno qualsiasi, per quanto banale potesse suonare, e Jace se ne stava zitto zitto, ad ascoltarla, nonostante cercasse di ostentare un certo disinteresse. In realtà registrava mentalmente qualsiasi cosa dicesse.
Scoprì così qualcosa di più del suo indirizzo. Per esempio, di come le sembrasse strano tornare a casa dopo le lezioni, che anche lei aveva fatto da “tutor” in collegio, di come fosse diversa la vita lì e a Londra in generale, ma che per certi versi quella grande e lontana città le mancava. Scoprì anche che amava dipingere, che aveva preso lezioni di pianoforte, e che sempre in collegio praticava l'hockey su erba, a quanto pare sport piuttosto popolare nei collegi femminili inglesi. Non ascoltava molta musica, se non la classica, forse perché non aveva tempo di documentarsi.
Certo erano informazioni piuttosto futili, ma lo aiutarono a capire che dietro la facciata così ben costruita, c'era un'adolescente insieme diversa e uguale a tutte le altre: tanto riservata e timida da essere asociale, tremendamente e tristemente sola, con uno spiccato senso artistico, gentile e educata e felice di potersi adoperare per gli altri ma con un carattere piuttosto rigido e rigoroso, totalmente disinteressata alle mode del momento, troppo inesperta delle cose del mondo.
La ragazza gli piaceva, ma non si trattava di mera attrazione fisica. Più lei parlava, più ne era incuriosito, e inoltre lei lo trattava diversamente dalle altre. Eccetto il Trio, tutte le ragazze della St. John avevano tentato di conquistarlo, di uscire con lui, o semplicemente gli avevano lasciato una lettera d'amore o un regalo nell'armadietto. Qualcuna era arrivata a importunare sua madre mentre lavorava, pur di avere una chance.
Hannah non lo guardava sognante, non cercava di irretirlo facendo la svenevole ne fingeva di essere la ragazza perfetta per lui. Non si curava affatto del suo aspetto o di quanto potesse essere popolare. Di tanto in tanto arrossiva mentre parlava, ma Jace era certo si trattasse di timidezza, e per il resto lo trattava come una qualsiasi altra persona.
Talvolta, quando stavano in silenzio in biblioteca, dove si recavano a studiare (poiché il regolamento dell'istituto proibiva che le lezioni dei tutor si tenessero in altro luogo se non l'edificio scolastico), ognuno chino sui propri compiti, sollevava lo sguardo e l'osservava di sottecchi, scoprendo lei a fissare assorta il cortile attraverso una delle ampie vetrate, per poi con uno sbattere di ciglia ridestarsi e tornare sui libri, e se stesso a immaginare quali pensieri ne affollassero la mente.

***

Per un po' le cose andarono così, e se Hannah diventava piano piano sempre più comunicativa, arrivando persino a rivolgere spontaneamente la parola al Trio, Jace diventava sempre più silenzioso... E nervoso.
Era un chiacchierone per natura, sempre al centro qualche animata discussione, faceva ridere gli altri, e gli altri ridevano con lui spesso e volentieri. Quando lui e Hannah camminavano per i corridoi, si voltava a salutare qualcuno ogni trenta secondi. Sempre sorridente, con lo sguardo acceso da un'inesauribile allegria. Ma quel suo costringersi al silenzio, gli era insopportabile. Lo faceva sentire solo,e gli lasciava troppo tempo per pensare a cose che avrebbe voluto cancellare persino dai proprio ricordi. Quando si ha tanto tempo per riflettere, tornano a galla i pensieri relegati in un cantuccio oscuro della propria anima.
Cominciava ad essere insofferente e tutte quelle inezie che prima non aveva mai notato cominciarono ad ingigantirsi davanti ai suoi occhi: i banchi erano sempre stati di quell'orribile grigiastro, le sedie scomode, e i maccheroni al formaggio della mensa erano improvvisamente diventati mollicci e insapore o era solo una sua impressione? Essendo oltremodo ostinato non intendeva infrangere il voto di silenzio fatto (perché di questo si trattava) finché le cose non fossero andate come voleva, anche se lui stesso ancora non era sicuro di cosa volesse ottenere. Hannah ormai aveva imparato a rivolgersi a lui senza timore anche se non si spingeva mai oltre ciò che richiedevano le circostanze,e ciò non gli sembrava ancora sufficiente.
Il Trio intanto si divertiva immensamente. Gli ponevano continue e imbarazzanti domande, lo sommergevano di battutine maliziose, lo prendevano in giro e lo stuzzicavano, insomma approfittarono di quell'occasione più unica che rara. Vederlo arrossire per la rabbia, era un divertimento a cui non seppero proprio rinunciare. Sapevano che il ragazzo non se la sarebbe presa per davvero, e che al posto loro, avendo un'indole goliardica, avrebbe fatto la stessa cosa.
Grazie al cielo Hannah, che cominciava a sentir montare il rimorso, prese coraggio e si decise ad affrontare la questione prima che il ragazzo cominciasse a dare segni di squilibrio.

***

I due studiarono in biblioteca come loro solito. Sembrava essere un pomeriggio come i precedenti, monotono, all'insegna dello studio, senza che i due scambiassero più di una o due parole.
Hannah posò la penna e chiuse con un piccolo tonfo il libro di aritmetica. Jace continuava a stare chino sulla sua relazione di inglese, tanto concentrato su ciò che scriveva che non notò il rumore, ne quando lei con un piccolo colpo di tosse, si schiarì la voce.
-Jonathan?- Lo chiamò, in un sussurro che sembrò perdersi nel silenzio. Lui non lo percepì neppure. - Jonathan...- Chiamò nuovamente, alzando appena la voce e al contempo guardandosi intorno con ansia, come se si aspettasse di veder apparire da un momento all'altro un inferocita bibliotecaria pronta a bandirli vita natural durante dal posto. Jace sollevò piano il capo, come se non fosse sicuro di averla sentita chiamarlo, con aria dubbiosa. La ragazza boccheggiò per qualche secondo, prima di chinare il capo, e mormorare: - Io avrei terminato...Ti...Ti va di fare due passi?- Chiese tutto d'un fiato, prima che potesse mancarle il coraggio.
Il ragazzo annui, intuendo forse di essere riuscito a ottenere ciò che si era prefissato, e raccattate le loro cose, i due uscirono dalla biblioteca.
Vagarono per un po' nel cortile della scuola, ognuno trincerandosi dietro il proprio silenzio , gli unici rumori erano i loro passi sul selciato e il rombare delle automobili al di là della recinzione. Jace adocchiò una panca in pietra, dove di solito sedeva dopo le lezioni se aspettava sua madre e se il tempo era clemente. Sfiorandole il braccio accennò con il capo in quella direzione. Era il suo modo di dirle “ok, sediamoci e parliamo”. Aspettò che lei si sedesse, prima di prendere posto. Notò come sedesse rigidamente, stringendo convulsamente un libro tra le braccia, agitata si, ma con uno sguardo deciso che non ammetteva ripensamenti, non a quel punto. Dopo aver preso un profondo respiro, si voltò verso di lui.
- Jonathan, credo... No, sono certa di doverti delle scuse. - Cominciò. Continuava a tenere lo sguardo basso, ma il tono che usava non lasciava dubbi. Era sinceramente dispiaciuta, al punto che Jace si chiese se non stesse esagerando l'accaduto. - Ammetto di essere stata addirittura indisponente, oltre che per nulla educata e... E rispettosa nei vostri riguardi... Tuoi e delle tue amiche, intendo.- Aggiunse in fretta, proseguendo poi più pacata. -Non ti chiedo di scusare o giustificare i miei modi, ne di prendere in considerazione la possibilità di rivolgermi la parola, solo riprendi a parlare con Jaqueline, Daphne, Rosalie, e tutti gli altri. Non si meritano un trattamento simile, solo io ho delle colpe. Ho capito quanto deve essere stato fastidioso e snervante dovermi frequentare, essendo così...Così... Riservata...Se così si può dire. - disse dopo un attimo di esitazione in cui aveva cercato il termine più adatto a descriversi correttamente pur conservando un minimo di dignità. - é nella mia natura. Non sono in grado di socializzare come fanno gli altri. Non avevo mai valutato la cosa da un'altra prospettiva. Ora mi rendo conto che non è accettabile un simile comportamento. Grazie di avermi fatto provare sulla pelle che significa.- Concluse, sollevando i suoi enormi occhi azzurri sul ragazzo, che la guardava senza emettere fiato. Non aveva parole. Era esterrefatto.
Si era scusata con lui, ma per cosa poi? Nulla di cui avesse realmente colpa, non poteva andare contro la sua stessa indole, non più di quanto lui non potesse andare contro la propria, e le ultime settimane ne erano la lampante dimostrazione. E lo ringraziava, per aver fatto una cosa tanto stupida come un voto di silenzio. Lo faceva con tanto garbo, con quella timida gentilezza che lo faceva sentire in colpa. I suoi modi erano come una pugnalata in pieno stomaco. Si sentì un idiota patentato per aver avuto un'idea che in un primo momento gli era parsa un illuminazione, ma ora gli appariva solo estremamente infantile. Se ne vergognò come gli era capitato poche altre volte, si diede mentalmente del cretino per averci solo pensato.
Non riemerse dai propri pensieri che quando Hannah, che aveva aspettato una risposta mai giunta, mormorò un saluto sorridendogli malinconicamente. - A domani Jonathan. Grazie per avermi ascoltato.- Fece per voltargli le spalle, ma lui la bloccò, scattando in piedi e afferrandole debolmente un braccio.
- Resta Hannah, vuoi?- Domandò, ritrasse la mano non appena lei si voltò, sicuro di avere la sua attenzione. Le sorrise, di nuovo spensierato, di nuovo euforico. - Mi sono comportato come un idiota, dovrei essere io a scusarmi. Non mi sto giustificando ma... Non avevo proprio idea di come fare a rompere il ghiaccio con te. Ho pensato che probabilmente ti stavo forzando ad aprirti con un estraneo, perché so di essere solo questo per te. - La invitò a sedere con un ampio cenno di una mano, e aspettò in piedi, come un vero gentiluomo, che lei si fosse nuovamente seduta, prima di accomodarsi al suo fianco. - Così mi sono detto che probabilmente dovevo darti tempo, ma tu sembravi sempre più chiusa in te stessa, ho pensato fosse una buona idea assecondarti, e rispondere al silenzio con il silenzio, lasciare che tu ti abituassi alla mia presenza. Ho parlato con Miller, e mi ha detto che quando ha conosciuto tuo padre, ha avuto la stessa idea. Se funzionò per loro, perchè non per noi?- Esclamò scrollando le spalle,e poi passandosi una mano tra i capelli arruffati. - E quando hai cominciato a parlare mi sono detto “touchdown per Jace”. - Rise, sollevando entrambi i pollici. - Ma ora capisco che è stata una cosa molto stupida, hai creduto volessi punirti non so neppure per cosa. - Sospirò, sorridendole malinconicamente, e dopo qualche istante di assoluto silenzio, riprese. - Ti ricordi quando il primo giorno di scuola, ti ho detto che non dovevamo essere amici per forza? Mi sono reso conto che non riesco a tener fede a quelle parole. Io voglio esserti amico, come lo vogliono le ragazze, e non ci arrenderemo, perché abbiamo visto qualcosa in te che non ce lo permette. Probabilmente ci consideri davvero strambi, e in effetti siamo un perfetto esempio di ordinaria follia, ma siamo innocui, te lo giuro!- Portò la destra sul cuore e sollevò la sinistra. - Parola di scout! - Esclamò sghignazzando, prima di allontanare la mano dal petto e tenderla verso lei. - Che ne dici, ricominciamo da zero? Amici?-

Lei.

Jace la fissava speranzoso, la mano tesa, attendendo che lei ricambiasse quel gesto. La ragazza non era sicura di volerlo fare. Quella scelta implicava troppi cambiamenti, avrebbe voluto rifletterci con attenzione. Al contempo, una piccola parte di lei per la prima volta desiderava ardentemente ciò che aveva ignorato per tutta la vita: voleva degli amici.
Aveva assaggiato il suo frutto proibito, e non era più certa di poterne fare a meno. Aveva visto i sorrisi sul volto delle ragazze, le risate, le chiacchiere sulla moda, sui ragazzi e su tutto ciò che lei classificava come una frivola perdita di tempo. Eppure smaniava di farne parte, perché negli occhi di Rose e delle altre aveva visto una sicurezza che le era estranea: la sicurezza di avere accanto qualcuno in cui riporre la propria fiducia. Quelle ragazze avevano messo i loro cuori l'una nelle mani delle altre, senza riserve, confidandosi ogni segreto, e facevano di questa sincerità la loro forza. D'improvviso si sentì commossa e lusingata dal loro tentativo di fare amicizia. Jace aveva ragione, era un estranea tra gli estranei, ma poteva cambiare le cose, se solo avesse voluto.
La sua mano sembrò muoversi senza controllo alcuno, come se avesse vita propria sfiorò quella del ragazzo, e si serrò intorno alle sue dita lunghe. - Va bene, amici.- Mormorò, lasciando che un sorriso imbarazzato le illuminasse il volto e che lui le scuotesse energicamente la mano, prima di lasciarla andare.
-Grande! Vedrai, ti troverai bene con noi!Siamo l'anima della scuola!- Rise ancora, con quella sua risata vivace e contagiosa. - E ora che ne dici di festeggiare con un gelato? O un frullato? O quello che preferisci!- Disse, alzandosi e porgendole galantemente un braccio. Hannah si mise in piedi, ma ignorò il braccio. Non era ancora pronta per un contatto così ravvicinato, e Jace sembrò comprendere.
-Vada per il gelato.- Replicò, sforzandosi di comportarsi con naturalezza, sebbene fosse per lei una vera impresa. Sollevò il capo e cercò di sorridergli. Il ragazzo apprezzò lo sforzo, e con una mano le spettinò i capelli, quel giorno sciolti sulle spalle. Era un gesto che gli aveva visto compiere spesso con il Trio. Era come se le dicesse “benvenuta in famiglia.”
-Perfetto! Qui vicino c'è un posto dove fanno dei gelati strepitosi!- Cominciò ad avviarsi al suo fianco verso il cancello d'uscita. -E Hannah...Chiamami Jace.-

Gli altri.

La ragazza fissava attraverso una finestra aperta, i due che si allontanavano. Una lieve brezza ne smuoveva i lunghi e riccioluti capelli neri, imprigionati in una coda di cavallo che sembrava accentuare la loro lucentezza. Il loro nero intenso strideva con l'azzurro chiarissimo dei suoi gelidi occhi, ora puntati sulle due figurine che attraversavano la strada e si perdevano tra la folla. In quelle iridi di ghiaccio non c'era posto per i buoni sentimenti. Li fissava con malcontento e una certa irritazione. Incrociò le braccia, sbuffò, e quando volse le spalle alla finestra, si accorse di non essere sola.
-Cosa vuoi, Tom?- Sbottò, superando il ragazzo per andare a poggiarsi al muro di fronte. Anche lui aveva i capelli neri, ma di un nero meno intenso, che si accordava alla perfezione agli occhi verdi, che seguivano fedeli i movimenti della ragazza soffermandosi sulle forme evidenziate dalla divisa da cheerleader, rendendone il volto ancora più piacente.
Era bello, di una bellezza delicata e solenne che riusciva ad affascinare senza sforzo alcuno, ma ad Amanda non interessava, perché era proprio come tutti gli altri. Pronto a cadere ai suoi piedi in qualsiasi momento, a correre da lei non appena avesse schioccato le dita.
Certo, lui a differenza di tanti l'amava dalla prima elementare e non si era mai arreso, per quanto lei lo rifiutasse e talvolta umiliasse, tornava sempre alla carica, per quanto non avesse mai riportato alcuna vittoria. E sapeva che Amanda voleva sempre e solo ciò che non poteva avere, desiderava vincere una sfida lasciata in sospeso. Voleva Jace Stein, e lo voleva per se soltanto, finché non se ne fosse stancata, come con tutti gli altri.
Thomas rispose alla sua domanda con un altra. -Gli corri ancora dietro, eh Mandy? Non hai già avuto quello che volevi da lui? Non ti è bastato esserci andata a letto? - Domandò con rabbia, serrando i pugni.
-No, ovvio!- Ammise lei senza alcuna vergogna, scoccandogli un'occhiata maliziosa. - Di lui non se ne ha mai abbastanza, credimi... E poi dovresti saperlo, più mi sfugge, più mi eccita. - Aggiunse con tono lascivo, fin troppo per una diciottenne dalle fattezze d'angelo. - Non mi lascerò certo battere dalla nuova arrivata. Quella non sa con chi ha a che fare, se pensa di riuscire a farmi le scarpe.- Sbottò, indispettita.
-Non ti è mai passato per la testa che forse è lui che ci sta provando con lei? Ammettilo Mandy, hai visto come le stringeva la mano e...- Il tono prima tagliente, si affievolì insieme alla sua voce, troncando a metà il suo dire. Si voltò nuovamente verso la finestra. Le labbra fini si arricciarono in un sorriso cattivo che non lasciava presagire nulla di buono. - Sai che ti dico? Quella Hannah non è affatto male. Jace ha sempre avuto buon occhio. Tra poco non dovrai più preoccuparti di lei. - E ridacchiando tra se e se, le voltò le spalle, lasciandola sola nel corridoio deserto.
Hopelessly devoted to you

L'angolo dell'autrice:

Grazie a Lea_91 per la sua recensione, sono felicissima che ti sia appassionata alla mia storia tanto da leggerla tutta d'un fiato.  Spero continuerai a leggere, anche senza recensire, se non ti va. L'hai fatto già una volta, e sapere che hai precato un po' del tuo tempo per farmi dei complimenti mi riempie di gioia... Grazie.









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Capitolo 6
*** Capitolo 6. Girls. ***


Hopelessly devoted to you







Hopelessly Devoted To You <3

Capitolo 6. Girls.

Lei.

-Bene, signore mie, oggi è venerdi!- Esordì Daphne sedendo al loro solito tavolo, già occupato da Hannah e Rose tutte intente a discutere del test di spagnolo che avevano appena svolto, era uno dei tanti corsi che le due avevano in comune.
Ogni settimana si ripeteva la stessa identica scena. Il Trio passava la pausa pranzo ad organizzare il week end, e Hannah le ascoltava assorta, senza dir nulla o quasi. Non perché avesse deciso di darsi nuovamente al mutismo, ma perché le mancava quel po' di sicurezza in più che l'avrebbe fatta sentire parte integrante del gruppo. Non si sentiva mai totalmente coinvolta nei loro progetti, e anche se gli inviti fioccavano numerosi, si rifiutava di accettarli. La paura di potersi sentire di troppo, e ridicola, le impediva di dar loro la possibilità di mostrarle che fare amicizia è la cosa più naturale al mondo.
Daphne posò il vassoio e aprì la sua confezione di insalata. Jaquie la seguiva, prese posto accanto a lei, avvicinando un poco la propria sedia a quella della splendida bionda.
La ragazza era, secondo l'opinione di Hannah, la più bella ragazza della scuola, non aveva dubbi in proposito. Aveva capelli lunghi e folti, morbide onde dorate fatte di pura perfezione: per quanto la ragazza li toccasse, li spettinasse, li maltrattasse avviticchiandoli in code, chignon e quant'altro, quelli tornavano sempre ad essere una setosa cascata d'oro. Gli occhi erano azzurri, e la pelle chiara e delicata, particolare di cui andava molto fiera.
Alta e statuaria, aveva gambe lunghe che amava mostrare portando minigonne e shorts. Era conscia della sua bellezza e le piaceva enfatizzarla senza dar peso a battutacce e pettegolezzi che puntualmente facevano da eco ai suoi passi quando la si poteva osservare camminare serafica per i corridoi della scuola. Erano tanti i ragazzi che avevano provato a conquistarla, ma lei sembrava essere infastidita dalle loro attenzioni e li rifiutava tutti, l'uno dopo l'altro, senza alcun ripensamento.
Ad un occhio poco attento poteva sembrare incarnasse lo stereotipo della tipica ragazza popolare, dotata di molta bellezza e poco intelletto, ma ciò non significa che fosse vero. Era invece, una ragazza molto in gamba. Era intelligente, carismatica, spigliata, e allo stesso tempo gentile e una persona di spirito. Aveva presentato domanda d'iscrizione ad alcuni dei più facoltosi college americani. Desiderava diventare un medico come suo fratello e sua madre.
Il suo credo era “mai vergognarsi di ciò che si è”. Lei era nata bella, lo considerava un dono, e a suo dire i doni andavano mostrati e non nascosti. Possedeva una sicurezza in se stessa e una determinazione che Hannah le invidiava.
-Salve ragazze.- Hannah le salutò entrambe con un sorriso. Cominciò a sbocconcellare la crema giallognola e molliccia che le riempiva il piatto: c'erano alte probabilità che si trattasse di purè di patate, ma non ne era troppo sicura, non ne aveva l'aspetto e tanto meno il sapore. La St.John era una splendida scuola. Dotata di tutte le attrezzature più avanzate e di ottimi insegnanti, offriva una preparazione scolastica superiore alla norma, ma la cucina lasciava grandemente a desiderare.
Dopo aver smangiucchiato qualche foglia d'insalata e un pomodorino, Daphne sollevò lo sguardo sulle amiche, fissandole interrogativa. - Allora? Sto aspettando d'essere travolta dalle vostre proposte! Qualche idea per il week end?- Infilzò con la forchetta dell'altra foglia di lattuga.
Jaquie e Rose si scambiarono un'occhiata complice. Non avevano bisogno di parole, se non una : -Shopping!- Risposero all'unisono, scoppiando a ridere fragorosamente.
Hannah le osservava entusiasmarsi per poco con un certo rimpianto. Non riusciva ad inserirsi in una delle loro conversazioni senza che le si rivolgessero direttamente, e desiderava sempre più acquisire quella spontaneità che per loro era naturale, forti della profonda amicizia che le legava da anni.
-Hannie, tu che dici?- Sollevò lo sguardo su Rose, corrugando appena la fronte. Non si sarebbe mai abituata a sentirsi chiamare Hannie. In realtà, non apprezzava granché quel nomignolo, un po' se ne vergognava, e doveva a malincuore sforzarsi di accettarlo da chiunque non fosse la sua tata.
-Non saprei proprio.- Rispose, mentre annoiata rimescolava il cibo con la forchetta. - Suppongo che... Si, potreste andare per negozi e...- Jaquie l'interruppe prima che potesse terminare.
-Potreste?Eh no, bellezza! Così non va proprio bene!- Esclamò, agitando l'indice destro in aria con foga. Hannah impallidì e arrossì in rapida successione. -Non è potreste, è potremmo! Noi potremmo andare per negozi. Noi quattro! Bah, questa ragazza è davvero incorreggibile!- Sbottò, incrociando le braccia al petto, scontenta e forse... Delusa? Ad Hannah parve proprio così.
La rossa tutto pepe aveva dei modi sempre molto diretti, non mandava a dire nulla, e se voleva qualcosa cascasse il mondo l'avrebbe ottenuta, o perlomeno avrebbe tentato fino allo sfinimento, suo e delle amiche che riusciva, senza che loro sapessero come, a trascinare nelle sue crociate. Da quando Hannah era apparsa all'orizzonte, si era messa in testa che l'idea del Trio ormai era superata, roba vecchia a sentir lei. E così voleva che lei diventasse parte integrante della combriccola. Adorava essere circondata da belle ragazze, era questa l'unica motivazione che l'aveva spinta a ricercare la compagnia della ragazza. Si era accorta poi, non senza una certa soddisfazione, che Hannah oltre il visino da bambola poteva possedere una personalità particolarmente interessante.
I suoi modi erano spesso rudi e mascolini, stridevano con i bei lineamenti femminili. Certo non era bella come Daphne. Era più bassa di dieci centimetri buoni, meno formosa e in lieve sovrappeso, ma era comunque piacente. Le labbra carnose erano sempre arricciate in un sorriso sicuro, gli occhi verdi e limpidi erano lo specchio del suo spirito: critici si posavano su ogni cosa, scrutando tutto e tutti con attenzione, alla ricerca di gesti e sguardi rivelatori di inconfessabili segreti. Rivelavano una forza di volontà inaudita, e talvolta del cinismo neppure troppo velato.
Con occhi così sinceri, non le era possibile nascondersi dietro le bugie che tutti prima o poi raccontano e si raccontano. Non c'era modo di camuffare la dolcezza che da essi traspariva non appena si soffermavano su Daphne. Neppure ad Hannah, per nulla empatica, sfuggiva la totale devozione e amore che la ragazza provava nei confronti dell'amica. Sentimenti che trascendono tutto ciò che non è fine ad essi, quelli che si provano una volta nella vita, dolci e amari insieme.
-Jaquie perchè sei così melodrammatica? Lasciala in pace! Ha lezione con Jace oggi, oltretutto. Non pretenderai che la salti.- L'ammonì Rose, che la timidezza rendeva la più saggia e riflessiva del gruppo.
Jaquie si divertiva a prenderla in giro chiamandola “mammina”, e quel nomignolo le calzava a pennello. Aveva sempre un che di materno e dolce nei modi. Tutto in lei faceva pensare fosse nata solo per accudire e consolare ogni essere del creato. Vedeva del buono in tutti e tutto, specialmente nelle sue migliori amiche, che adorava e a cui perdonava qualsiasi azione. Era lei il collante che teneva insieme il Trio, con la pazienza di cui sembrava avere una scorta infinita. Si prodigava per le altre, faceva da paciere nelle loro discussioni, forniva una spalla su cui piangere nei momenti di sconforto.
Amava la vita anche se questa non era stata magnanima con lei. Con alle spalle una storia triste che non amava rivangare, era stata costretta a crescere da sola con quattro fratelli, uno maggiore e tre minori, mentre sua madre lavorava come domestica dell'uomo che poi aveva sposato sei anni prima, catapultando tutta la famiglia nel favoloso mondo dei ricchi e famosi. L'inaspettata fortuna non ne modificò il carattere e le abitudini, rimase sempre una giovane modesta e di modeste pretese, e generosa.
Compensava in bontà ciò che le mancava in bellezza. Era molto carina nel complesso, non bella quanto Jaquie e neppure lontanamente paragonabile a Daphne. Era alta ma piuttosto robusta, sebbene le sue forme fossero rotonde e morbide. Il volto dai tratti latini e la pelle olivastra si armonizzavano alla perfezione con i lunghi capelli scuri e gli occhi neri. Era il sorriso il suo punto forte, di certo il più bello che Hannah avesse mai visto. Questo bastava a renderla bellissima ai suoi occhi.
Non ricordava il sorriso di sua madre, ma quando vide il sorriso di Rose per la prima volta, desiderò ardentemente di poter ricordare che fosse proprio così, come il suo, radioso e materno, che potesse parlarle di coccole e carezze che non ricordava d'aver ricevuto, di ninna nanne e storie della buonanotte lette da una voce diversa da quella della tata.
-Ci sono sempre sabato e domenica, stavolta non puoi scamparla Hannie. Devi venire con noi! É la quarta volta che passi!- Riprese Jaquie, facendo roteare nervosamente una mano in aria.
-Se non vuoi o non puoi venire con noi non devi preoccuparti, sarà per la prossima volta.- Rose l'ignorò completamente, e tornò a rivolgersi ad Hannah, che non aveva creduto fosse inclusa nei loro programmi.
-Io...Veramente io non pensavo di... Insomma...- Voleva essere sincera senza perdere la propria dignità, ma non c'era modo di esserlo senza rendersi ridicola. Evidentemente negli Stati Uniti la dignità di una ragazza inglese di buona famiglia è un articolo ampiamente sottovalutato.- Non avevo capito fossi inclusa anche io.- Mormorò, chinando lo sguardo. Jaquie scoppiò in una risata che la fece arrossire, zittita rapidamente da una gomitata ben piantata tra le costole.
-Jaquie finiscila!- Sbottò Daphne scuotendo il capo con disappunto, mentre la compagna si massaggiava un fianco. -Tu il tatto non sai proprio cosa sia! Hannie, quel che Jaquie voleva dire, con i suoi modi da neanderthaliana... -Scoccò un'occhiataccia alla ragazza che sollevò le spalle, come a chiedere che mai avesse detto di male. - … è che ci farebbe davvero piacere se ti sentissi parte del gruppo. Insomma, non siamo tanto male, no?- Concluse, continuando a smangiucchiare la sua verdura. Sulle labbra aveva il sorriso di chi sa di avere la vittoria in pugno, convinta com'era che loro non solo non fossero tanto male, ma il massimo in assoluto.
-No.. No, affatto.- Replicò la ragazza, prendendo a giocare con una ciocca di capelli. Daphne aveva ragione. Non poteva fingere che negarsi fosse la migliore delle strategie per tenersi strette delle amiche. Ma tutto era tanto nuovo e bello da spaventarla terribilmente. E se frequentandola le tre avessero scoperto un qualsiasi lato del suo carattere che non potevano tollerare? Qualcosa che le allontanasse irrimediabilmente? Non voleva più essere sola, era sicura di non poter tollerare più le ore di solitudine, il silenzio rotto solo dal frusciare delle pagine di un libro consunto dal troppo leggere, il tornare a chiudersi in se stessa e crearsi un mondo immaginario, dove però non poteva più trovare sollievo. Non avrebbe ottenuto nulla continuando a fuggire. Non voleva più fuggire.
- Va bene, verrò, se possiamo rimandare a domani.- Disse infine, sollevando lo sguardo e sorridendo, insicura ma sollevata nonostante fosse conscia che ciò che faceva, andava contro alla filosofia di tutta una vita. Lei non aveva mai aperto i cancelli del suo piccolo mondo agli estranei. In realtà, non permetteva neppure di avvicinarsi abbastanza da poter intravedere quali meraviglie si celassero dietro le sbarre dorate.
-Fantastico!- Esclamò Jaquie, strizzandole un occhio. - Visto? Non era così difficile dopo tutto!-
-Cos'è fantastico e non così difficile?- Chiese una voce alle sue spalle. Prima che potesse voltarsi Jace afferrò una sedia da un tavolo accanto e sedette tra Hannah e Rose, cingendo le spalle di entrambe con un braccio. Se quel gesto innocente non sembrava avere alcun peso per l'amica, che anzi sorrideva al ragazzo come se si trovasse davanti un bambino birichino a cui era capace di perdonare tutto o quasi, per Hannah era più che imbarazzante, ma era troppo arrendevole per lamentarsene.
-Abbiamo appena convinto Hannie a fare una seduta di sano shopping, domani. Perché non ti aggiungi a noi? Potresti portare tu sai chi...- Rispose Daphne, ammiccando furiosamente. Il su e giù delle sue sopracciglia era quasi ipnotico. - Sono sicura ci serviranno tre paia di braccia forti e muscolose a fine giornata...- Concluse con un sorriso malizioso.
-Oh...- Jace sorrise con altrettanta malizia, arricciando appena il naso. - Tu sai chi non mancherebbe per nulla al mondo, quindi ci saremo, a patto che voi offriate il pranzo! Non vi aspetterete che ci lasciamo sfruttare senza avere nulla in cambio!-
-Mi sembra più che giusto.- S'intromise Jaquie, annuendo energicamente. - Anche se qualcuno forse otterrà di più di un pranzo... Chissà...- Lanciò un'occhiata a Rose, che arrossì improvvisamente.
Hannah li fissava e non capiva. Di chi parlavano? E perché Rose sembrava essere arrossita senza alcun motivo?
-Se il tempo lo permette... Potremmo...Potremmo mangiare a Central Park.- Cominciò la ragazza, senza che il rossore delle gote scemasse. - Posso chiedere alla cuoca di preparare qualcosa, e una delle domestiche potrebbe portarcelo, non credo dispiacerà loro.- Sentenziò, sperando di poter cambiare argomento di conversazione. Le ragazze si divertivano a giocare al Dottor Stranamore con lei. Lo sopportava ma non significa che dovesse piacerle.
-Dici fare un pic-nic? Non è una cattiva idea! Così Hannie potrebbe vedere Central Park...- Le rivolse uno sguardo implorante. - ...sempre se ti va, s'intende. Ma a te va, vero? Vero?-
-Ci sono già stata.- Rispose lei, incassando la testa tra le spalle e aspettandosi una brusca reazione.- Vado al maneggio ogni sabato e domenica mattina. Visto che ho sempre molto tempo libero durante i week end ho pensato di trovare un passatempo e...- Il ragazzo non le permise di continuare.
-Hannie rilassati!- Rise lui, posandole una mano sul capo e scompigliandole i capelli. - Possibile che rischi l'infarto ogni volta che fai qualcosa di testa tua? - La ragazza fece per aprire bocca, ma lui la zittì posandole un dito sulle labbra. - E non chiedere scusa! So che stavi per farlo. - La fissò negli occhi con sguardo serio, che sostenne finché la ragazza non annuì. - Okay, deciso, shopping, pic-nic, e se poi avremo la forza di reggerci in piedi, ancora shopping!- Batté con una mano sul tavolo. -La seduta è tolta! E io sono in ritardo! Il punto di raccolta è davanti a Sundaes and Cones sulla 5th Avenue, alle dieci, non scordate i viveri.- Si chinò su Hannah, a darle un bacio sulla gota. - A dopo Hannie!- E corse via, senza badare allo sguardo sorpreso della ragazza e alle risatine del Trio.

L'angolo dell'autrice:

Tre... Tre...TRE...T-R-E... 3...

Non ci posso credere... Tre recensioni per un solo capitolo... é il mio record personale! Yuppyduuuuhhh!!! *____*
Vi adoro, vi adoro, vi adoro, e prometto che se troverò un lavoro, entro il prossimo Natale (sognare non costa niente XD) vi manderò panettone e spumante! U.U
Io ho scritto una sola storia prima di questa, e sinceramente non avendo ricevuto molte recensioni in quel fandom (Twilight, fin troppo popoloso e zeppo di storie ampiamente sopravvalutate) non credevo di riceverne più di due per l'intera storia in questa categoria.
Ci sono così tante storie originali meravigliose che vengono ampiamente sottovalutate, figurarsi se mi aspettavo di venire recensita da qualcun altro se non l'anima pia di turno, impietosita dal mio pietoso (scusate il gioco di parole) lavoro.
Ragazze (perchè dai nick credo siate tutte donnine) non ho parole per ringraziarvi dei complimenti, del tempo perso a recensire, di aver messo la storia tra seguite o preferiti. Mi sento così lusingata da sentirmi un po' stupida e pure infantile.
Piccola anticipazione: il capitolo 7 sarà completamente dal pov di Jace, che ci racconterà la prima uscita di gruppo di Hannah e ci presenterà i suoi migliori amici. Ho deciso di dividere questo capitolo in due perché sarebbe venuto un davvero troppo lungo (solo questa parte sono quattro pagine di word belle piene), sarebbe stato tedioso da leggere, quindi portate un altro poco di pazienza.

Lea__91: XD ecco un altro buon motivo per recensire le storie altrui: farsi pubblicità!

Ovviamente scherzo, lunghi da me fare qualcosa di simile!
Se tu gradisci recensire io non posso non gradire e non voler leggere i tuoi commenti e risponderti. :-) Ammetto che avere una “fan” che abbia la forza d'animo di recensire ogni capitolo mi fa montare un po' la testa! XD Che dire di Amanda, un elemento di disturbo ci vuole, altrimenti se tutto andasse bene, non avrebbe senso scrivere una storia. Il suo momento però non è ancora arrivato. I colpi di scena sono necessari per mantenere vivi l'attenzione e l'interesse del lettore! E in questa storia ce ne sarà ancora qualcuno spero sfizioso per chi legge...

_KykyBlonde_: Mi piacerebbe approfondire quel che mi hai scritto! Vorrei sapere che intendi per forzata, o meglio, se intendi dire che lei si comporta in maniera forzata, per tutta una serie di cose (educazione, classe sociale eccecc) oppure se io ho sbagliato nel descriverla dandoti l'impressione di avere davanti un personaggio non coerente, “finto” ecco. Ovviamente sono pronta ad accettare qualsiasi consiglio, critica, correzione o simili. :-) Anzi grazie per avermelo fatto notare. :-)

legolina77: eheh povero George! Danno tutti la colpa a lui! XD Su su...Sii clemente, non è solo colpa sua... Se dicessi altro svelerei troppo, quindi non ti rimane che leggere! =P Come ho scritto a Lea, Amanda è un elemento di disturbo, e ce ne saranno altri durante la storia. Probabilmente sarà l'unica rivale in amore che Hannah incontrerà sulla sua strada, ma a conti fatti credo che lei sia a tutti gli effetti il male minore e... Non dico altro! =P









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Capitolo 7
*** Capitolo 7. Boys. ***


Hopelessly devoted to you







Hopelessly Devoted To You <3

Capitolo  7. Boys.

Lui.
-Ah-ah... Si... Si, ci sarà anche Rose domani! Certo che sono sicuro, che domanda cretina Seth! Si è mai visto che Jaquie e Daphne organizzino qualcosa senza di lei?- Jace addentò una fetta di pizza unta e fredda, mentre teneva la cornetta del telefono stretta tra capo e spalla. Mangiava quella che probabilmente era la pizza peggiore di tutta New York. La pizza di Yonkers, un minuscolo locale a qualche isolato da casa loro, una volta fredda diventava così gommosa che andava masticata per parecchio tempo prima di poter deglutire senza correre il rischio di strozzarsi. Il loro ragazzo delle consegne era però l'unico disposto a farsi tredici piani a piedi per due dollari in più di mancia e Jace e Greta, quando la pigrizia aveva la meglio, dovevano accontentarsi di buon grado.
Fece roteare gli occhi mentre a fatica mandava giù il boccone: Seth, dall'altra parte della cornetta, aveva cominciato uno dei suoi soliti sproloqui senza fine su quanto Rose fosse perfetta-in-tutto-e-per-tutto. Ormai conosceva ogni parola di quei suoi discorsi senza fine, tanto da sapere con precisione quando si sarebbe fermato per dargli la possibilità di mugugnare qualcosa di incomprensibile, giusto per fargli capire che no, non era scomparso nel nulla, e si, lo ascoltava ancora, o almeno faceva finta. E anche se si fosse dileguato, Jace dubitava che Seth se ne sarebbe accorto, preso com'era a lodare la sua bella. - Ah-ah... Certo che ti sto ascoltando! Come ti viene in mente il contrario! - Disse con troppa enfasi, ma trattenendo una risata.- Si, ci vediamo qui alle nove, un caffè da Barney e per le dieci siamo da Sundaes and Cones sulla 5th Avenue. Si...Si, proprio quello dove fanno il gelato al gelsomino che piace tanto a Rose... – Scosse il capo, ormai rassegnato.
Dall'altra parte del tavolo sua madre non poté trattenere una risata, che lui tentò di zittire lanciandole contro una pezzo di crosta che Greta schivò agilmente chinandosi di lato. - Ridere? Nessuno sta ridendo, Seth cominci a sentire le voci, mi preoccupi! L'emozione gioca dei brutti scherzi eh... - Greta si portò entrambe le mani a coprire la bocca, zittendosi. - Di a Jem che l'ho sentito, il pranzo lo portano loro! Si... No...E io che ne so? Si si, a domani!- Chiuse la chiamata e sbuffando posò il telefono sul tavolo.
-Scommetto l'ultima fetta che a Seth piace ancora Rose. É così, vero?- La donna rise, allungandosi ad afferrare l'ultima fetta di pizza, che oramai era tanto gommosa che, se l'avessero lanciata contro un muro, probabilmente avrebbe cominciato a rimbalzare per tutta la stanza come una pallina impazzita.
-Dire che gli piace è riduttivo! É ossessionato! Giuro, se gli sento dire un'altra volta quanto sono belli i suoi capelli, do di matto! Avrei dovuto parlare con Jem!- Sbottò, incrociando le mani dietro la nuca mentre si dondolava sulla sedia.
-Non credo sia meglio l'adolescente in piena crisi ormonale, io preferirei l'innamorato cronico e ossessivo! É tenero, in fondo! - Replicò lei, sghignazzando ancora. Trovava assurdamente divertenti gli amici di Jace, i gemelli Jeremy e Seth Sanders, volti identici che come maschere nascondevano personalità opposte come fuoco e ghiaccio. Sollevò la pizza e l'addentò, masticandola con vigore.
Da quando più di un anno prima Seth aveva conosciuto Rose, non aveva avuto più pace. Il ragazzo era d'animo romantico e sensibile, incline alle infatuazioni, che erano spesso flebili fiammelle già spente al primo soffio di vento. Con Rose era diverso, così lui diceva, e ad un anno di distanza cominciava a crederci anche Jace. Si era innamorato fin dal primo istante dello splendido sorriso della ragazza, e dei suoi modi gentili, e così non faceva che parlare di lei, scriverle lettere che non sarebbero state mai consegnate, strimpellare alla chitarra improbabili canzoni cui testo si riduceva immancabilmente a “Mia Rose, mia dolce Rose”, ripetuto ad intervalli regolari. Il ragazzo, quando si professava innamorato, era pronto a donarsi anima e corpo alla bella di turno, senza riserve.
Ma la cosa più incredibile è che Rose sembrava ricambiare quei sentimenti. O così era arrivato a credere Jace, che vedeva nel suo evidente imbarazzo e negli splendidi occhi scuri persi in sogni ad occhi aperti ogni qualvolta capitava che nominasse l'amico, i segni dell'innamoramento, o almeno di una bella cotta. Nel suo tenero cuoricino Seth si era ritagliato un angolino tutto speciale senza neppure sapere come. Jace non riusciva a spiegarselo, giacché erano entrambi talmente timidi che ogni volta che si incontravano, non riuscivano a far altro se non balbettare una parola o due, abbassare lo sguardo e ignorarsi per il resto del tempo. Certo l'amore è cosa ben strana.
Continuò a dondolarsi e sembrò riflettere sulle parole della madre per qualche istante, mordicchiandosi le labbra. - Non so proprio chi sia meglio! No, forse hai ragione, Seth è più sopportabile! - Esclamò storcendo le labbra. Al contrario di Seth, Jem non era certo famoso per essere un romanticone. Anzi, sembrava i suoi ormoni avessero perennemente il turbo inserito. Suo fratello Seth lo chiamava poco simpaticamente “animale da monta”, e scherzava sul fatto che in compenso non aveva poi tante pretese in fatto di donne: gli bastava che respirassero. Jem non era profondo ed emotivo come il gemello, anzi, era piuttosto superficiale nelle faccende sentimentali. A lui non importava l'amore o la ricerca di esso, era troppo attratto dal sesso fine a se stesso per desiderare di farsi accalappiare da qualcuna.
Greta rise ancora, quasi strozzandosi con l'ultimo boccone. Jace pensò che sua madre avesse la risata più bella del mondo. - Ho sempre ragione, non scordarlo mai tesoro!- Bevve un sorso di cola, e afferrato un tovagliolo accartocciato si ripulì le mani.- Hai pensato al fatto che potrebbe provarci con Hannah?- Domandò a bruciapelo mentre si alzava e sbarazzava il tavolo dai resti della cena. - Nonostante tutto è davvero un bel ragazzo, e lei non lo conosce al contrario delle altre, che sanno come tenerlo a bada.- Aggiunse, buttando nel cestino dei rifiuti il cartone unto, e cominciando a raccattare i piatti e le posate sporche sparsi qui e la, che andarono a far compagnia a due padelle incrostate in una delle vasche del lavello.
Il ragazzo smise di dondolare, e dopo un lungo e pesante silenzio, si voltò verso la madre, indaffarata a sbottare contro il rubinetto che si rifiutava di sputare dell'acqua perlomeno tiepida. - Oggi i piatti toccano a me.- Si alzò e prendendola per le spalle la spinse fino alla sedia più vicina.
-Ma non è vero! - Cercò di ribellarsi, ma Jace era irremovibile. La costrinse a sedere, accese il televisore davanti a lei.
-Siediti, guarda la TV e niente storie! Ieri ho saltato il turno per studiare inglese, quindi stasera tocca a me. - Le schioccò un bacio su una guancia e le voltò le spalle, prima che potesse aggiungere altro. Ammassati all'interno della vasca c'erano infatti anche i piatti della della sera prima e della colazione. Aprì uno sportello sotto il lavello e prese una spugnetta e il flacone di detersivo. Sollevò le maniche della felpa, ricoprì abbondantemente le stoviglie di sapone e fatta scorrere un po' d'acqua gelida cominciò a fregare energicamente la prima padella. - Ci avevo pensato, in ogni caso, ma Hannie è troppo riservata per dargli corda. Mi basterà tenerla d'occhio e la timidezza farà il resto. É anche vero che ci sarà Daphne, quindi dubito le rivolgerà più di un'occhiata, sai per “valutare la merce”, come direbbe lui. - Disse con una punta di soddisfazione nella voce.
-Mi sembri fin troppo contento. O sbaglio?- Incalzò Greta, che di suo figlio conosceva ogni inclinazione, talvolta ben prima che egli stesso ne prendesse coscienza. Negli ultimi mesi l'aveva visto cambiare, ma erano quel genere di piccoli mutamenti che solo una madre attenta avrebbe potuto notare. Era certa che tra le pieghe del suo animo si fosse annidato qualcosa di fragile, un germoglio tardivo bisognoso di cure e protezione, tanto piccolo che sarebbero bastate poche gocce di pioggia ad annegarlo o un raggio di sole più luminoso degli altri a farlo rinsecchire. Se l'avesse ignorato, lasciandolo morire, avrebbe perso l'unica cosa davvero importante, quel qualcosa capace di dare un senso ad una vita intera e renderla degna di essere vissuta. Lei aveva amato con tutta la veemenza della gioventù ed era stata amata, non portava più rancore verso chi l'aveva abbandonata senza alcun rimorso, perché comprendeva che neppure le ferite più profonde avrebbero potuto mai cancellare il ricordo della felicità che l'amore le aveva donato. Era stato l'amore a donarle Jace.
-Sbagli. É che non mi va che Jem l'importuni, tutto qua.- Replicò scuotendo le spalle con noncuranza. - Hannah mi piace... Ma non come intendi tu.- Si affrettò a precisare. - Come potrebbe non piacermi? é una persona fantastica. É così intelligente, ed è diversa dalle altre. É interessante ecco. A volte mi sembra... Non so come spiegarti... Ecco mi sembra possa capirmi meglio chiunque altro, con lei è sorprendentemente facile parlare di tutto, anche delle cose più stupide. Mi ha dato fiducia mamma, e tu sai che non è stato affatto semplice, e non voglio che quel maniaco faccia qualcosa che possa segnarla a vita. - Concluse con un sospiro.
-Quindi non vuoi che ti faccia sfigurare davanti a lei, giusto?- Domandò maliziosamente. - Ti ha colpito davvero questa ragazza, se ti vergogni di Jem, e dire che negli anni di motivi per vergognartene te ne ha dati parecchi.- Disse divertita. Jem non era un cattivo ragazzo, ma la sua totale mancanza di tatto lo ficcava di frequente in situazioni imbarazzanti. - Sei sicuro che sia solo un'amica?- Greta sapeva essere davvero testarda, quasi quanto suo figlio, ma anche estremamente più tenace e paziente, e sapeva quali corde andare a toccare per far si che le dicesse esattamente ciò che lei voleva sentire.- Sai, avrei detto ci fosse qualcosa di più sotto. Certe voci di corridoio arrivano dritte dritte in infermeria... - Mormorò con finta indifferenza, mentre andava in onda la pubblicità di una nota marca di cereali per la colazione, e lei fissava fin troppo interessata un gruppo di api ballerine esprimersi per irritanti onomatopee. - Un uccellino... Okay, diciamo uno stormo di uccellini disperati, mi ha detto che amoreggiate senza pudore durante la pausa pranzo. Ah... Il mio bambino si è fatto grande... - Si posò una mano sul cuore e finse di asciugarsi una lacrima di commozione.- Forse dovrei farti un certo discorso sulle api e i fiori... - Aggiunse scuotendo un indice in aria, ispirata dallo spot appena andato in onda.
-Me l'hai già fatto quando avevo undici anni, e alla fine ero così confuso che ti chiesi se mio padre era un ape o un fiore! E poi da quando un bacio sulla guancia è amoreggiare? E da quando credi più ai pettegolezzi che a tuo figlio?- Chiese di rimando, senza lasciarle però il tempo di rispondere. - Non capisco perché la gente non si fa gli affaracci suoi. Non mi sembra di aver fatto nulla di strano. É solo che con Hannie è facile essere affettuosi. Lei non fraintenderebbe mai le mie intenzioni, come fanno certi uccellini che non sanno tenere il becco chiuso.- Borbottò contrariato. Era abituato ai pettegolezzi più o meno infondati che circolavano a scuola, lui c'era già passato, ma questa volta era diverso. C'era di mezzo anche Hannah, ed era certo che suo padre non avrebbe fatto i salti di gioia se quelle voci fossero giunte fino a lui.
-Uh, vedo che ti scaldi!Sarà... Però non ti ho mai visto dare un solo bacio a Daphne e Jaquie, ne a Rose. Anche con loro è facile essere affettuosi, sono ragazze adorabili! E non parliamo di Amanda! Quando la frequentavi tenevi addirittura le distanze. Ti infastidiva solo l'idea di poter essere visto con lei.- Si voltò verso il ragazzo che ancora le dava le spalle. - Jace puoi mentire a te stesso quanto vuoi, ma non puoi mentire a me. Hannah ti ha colpito, lei ti piace come ad un ragazzo piace una ragazza, che è molto più di quanto tu sia disposto ad ammettere. - Concluse, con l'aria di chi la sa lunga.
Il ragazzo ignorò quell'ultima affermazione e continuò a lavare e strofinare. - Se ci provassi Jaquie mi ucciderebbe, e se baciassi Rose ad uccidermi sarebbe Seth. Ed è meglio che non dica nulla a proposito di Mandy... - Sbottò, prendendo a strofinare con ancor più foga, come preda di una grande rabbia.. - é molto più sicuro per la mia salute fisica e mentale essere affettuoso con Hannie, credimi!- Scherzò, ma Greta ebbe l'impressione cercasse di arrampicarsi sugli specchi.
-Io continuo a pensare che t'inganni. Ricordati che la tua mamma c'è passata prima di te. E certe cose le percepisce a pelle.- E dopo quest'enigmatica frase, si alzò e si stiracchiò. Afferrò il telecomando e spense il televisore. - Io vado a dormire, domani devo sostituire Cynthia giù al supermarket. Timmy ha di nuovo la febbre e lei non ha abbastanza soldi per pagare una baby sitter. - mormorò stancamente. Gli si avvicinò e gli scompigliò i capelli con una mano. - Mi raccomando, non stare alzato fino a tardi o come al solito non sentirai la sveglia. Divertiti domani, tesoro.- Gli diede un bacio e gli augurò buona notte.
-Notte, mamma.- Sentì i suoi passi pesanti attraverso la sala, poi lungo il corridoio e infine una porta aprirsi e immediatamente dopo chiudersi. E poi, il silenzio. Non gli dispiaceva, non in quel momento. Sentiva la testa pesante, carica di pensieri. Ma il cuore era leggero, felice.

***

-Volete muovervi?- Chiese Seth per l'ennesima volta, camminando un metro avanti agli altri, impaziente d'incontrare nuovamente la sua Rose. Al ragazzo era sempre piaciuta la puntualità, ma le chance di arrivare in un qualsiasi luogo ad un orario prestabilito si riducono drasticamente quando si ha a che fare con due ritardatari cronici come Jace e Jem. Erano in ritardo di dieci minuti appena, il che per i loro standard erano davvero poca cosa.
-Seth, vuoi piantarla? È solo una ragazza!- Sbottò il fratello scuotendo il capo e sistemando con un gesto nervoso la visiera sbilenca del proprio cappellino.
Jem sembrava essere uscito dritto dritto dal video di un rapper, quel giorno come sempre. Indossava esclusivamente abiti baggy: jeans cadenti e maglie esageratamente larghe, oltre a cappelli, catene vistose e tutto ciò che solo un vero rapper indosserebbe. Cultore della cultura hip-hop e appassionato di musica rap, faceva parte di un piccolo gruppo di breaker, che con affetto misto ad orgoglio chiamava “la mia crew”. Nonostante ciò, non era la breakdance la sua più grande passione: erano i graffiti. Quello che per alcuni è solo imbrattare i muri di vernice, per lui era arte moderna nella sua forma più primitiva e al contempo passionale, perché per Jem la passione era una componente fondamentale nel dar sfogo a tutta la sua creatività. Creare una nuova opera per lui era del tutto simile al fare l'amore, allo stesso modo coinvolgente ed estenuante, e talvolta, doveva ammetterlo, ben più soddisfacente.
Così la bomboletta di vernice poteva essere più di uno strumento, ma un'estensione del proprio corpo, e il muro non più un ammasso di mattoni tenuti su da intonaco e cemento. Le pareti davanti ai suoi occhi si tramutavano in avvenenti donne, esotiche e sconosciute, tutte da esplorare, o in tante orfane cenerentola, da reinventare a proprio piacimento. Così nacquero Diana, Missy, Brittany e le altre... poiché con tali premesse, le sue opere non potevano non avere dei nomi di donna.
-Non è solo una ragazza! É Rose! La mia Rose!- Replicò Seth con stizza, ma senza perder tempo a voltarsi verso il fratello. - Ma cosa puoi capirne tu... Animale da monta...-
-Ma se non vi parlate neppure! Non hai neppure il coraggio di chiederle il suo numero! - Lo rimbeccò lui, provocatore. L'altro fece per voltarsi, però non poté rispondere alla provocazione. Jace si impose come paciere prima che potesse aprire bocca.
-Okay, okay, finitela!- Sbottò ponendosi tra i due.- Possibile che sia sempre la stessa storia? Dateci un taglio!- Alternò lo sguardo tra l'uno e l'altro. Parlava seriamente, e non ammetteva repliche. - Almeno per una volta cerchiamo di cominciare bene la giornata e non farci riconoscere! - I due non risposero. Seth voltò loro le spalle e riprese a camminare spedito finché non scomparve dietro il primo angolo. Jace buffò, passandosi una mano tra i capelli.- Certo che potevi evitare. Santissima merda, lo sai! Mai, e dico mai, per nessuna regione, neanche se cascasse il mondo, devi parlare di Rose in questo modo. E poi...- Gli afferrò un orecchio e lo torse con forza. Incamminandosi si trascinò dietro il proprietario, insensibile alle sue proteste, lamentele, insulti e preghiere accorate. -... é una delle mie migliori amiche! Quindi finiscila, pezzo d'idiota...- Aggiunse, dando un ultimo strattone, prima di liberarlo dalla sua presa.
-Va bene... Va bene... Come siete permalosi voi due, accidenti!- Replicò Jem, massaggiandosi l'orecchio, dolorante e arrossato. Fecero anch'essi per svoltare l'angolo, e quasi si scontrarono contro Seth, che sbucò da dietro esso, camminando a passo di gambero.
-Hei Jace, vieni a vedere.- Gli rivolse un'occhiata veloce e gli fece segno d'avanzare. Seth, più di chiunque altro, era un libro aperto per Jace. E ciò che vi leggeva in quel momento, non gli piaceva affatto. Sembrava aver visto qualcosa, o qualcuno, che si sarebbe augurato di non rivedere mai. Due passi, e fu oltre l'amico. Davanti a se si estendeva la 5th Avenue in tutto il suo lusso sfrenato. Ma lo sguardo, come attirato da un singolare magnetismo, cadde subito su di lei.
Hannah stava davanti all'ingresso di Sundaes and Cones, infagottata nel suo caldo (e sicuramente costoso) cappotto nero, a pochi metri da lui. Il collo fine era avvolto in una bella sciarpa grigia a quadri, con la quale giocherellava nervosamente. Lei, con le gote arrossate dal freddo, i capelli lunghi che posandosi sulle sue spalle sembravano venire inghiottiti dal nero intenso del cappotto, gli occhi limpidi come il cielo che li sovrastava, per un istante fu l'unica cosa che vide. Si sentì scaldare il cuore, e non seppe dare un nome a ciò che provava. Più tardi provò a convincersi che fosse semplice sollievo o soddisfazione, perché in fondo non era mai stato del tutto certo che la ragazza non avrebbe dato loro buca. Quella giustificazione non lo convinse mai del tutto.
Fu solo in un secondo momento, solo quando lui le prese una mano e si esibì in un baciamano esemplare, che ne notò la presenza. Quando lasciò la sua mano le rivolse qualche parola, standosene li, con le mani affondate dentro le tasche del suo giubbino in pelle da quattrocento dollari e un sorriso affabile ed innocente stampato sul bel volto. Era perfetto, in tutto, tanto da risultargli irritante: perfetto l'abbigliamento, casual ma senza nulla perdere in stile ed eleganza, perfetti i suoi modi, perfetta la distanza a cui teneva da lei, non troppo vicino perché potesse invadere i suoi spazi ma neppure così lontano da poter sembrare dei perfetti sconosciuti, perfetti i toni e le parole che le rivolgeva, anche se non poteva sentirli, ne era certo, erano perfettamente consoni alle circostanze. Lui sapeva essere ammaliante senza alcuno sforzo. Era una dote naturale la sua, ce l'aveva nel sangue, e Jace lo sapeva bene. Gli sembrava fosse passata un'eternità intera da quando era stato il suo migliore amico.
Durante la loro breve ma profonda amicizia, si era sentito spesso intimorito dai suoi modi così seducenti e dalle reazioni che questi suscitavano negli altri. L'aveva spesso invidiato con tutto l'ardore di cui un adolescente amareggiato dalla vita può essere capace, perché era tutto ciò che avrebbe voluto essere e temeva non sarebbe stato mai: ammirato, rispettato, piacente e soprattutto ricco. Sentì montare una rabbia irragionevole e ingiustificata. Non lo voleva accanto ad Hannah. Strinse i pugni con forza, e scattò come una molla quando Jem gli posò una mano sulla spalla.
-Jace, amico, tutto okay?- Gli chiese, sollevando un sopracciglio in un'espressione dubbiosa. Jace prese un respiro profondo e annuì, poi fece ad entrambi cenno di seguirlo. Colmò il più celermente possibile la distanza che lo separava da Hannah. Si stampò in volto il suo miglior sorriso. Non dovevano capire quanto trovasse irritante la visione di loro due insieme, quanto fosse terrorizzato dall'idea che lui avrebbe potuto prendere il suo posto, dopo essersi scavato una nicchia nella vita di lei con tanta fatica. Nelle sua mente risuonarono parole lontane nel tempo, e rivide con gli occhi della mente il volto del ragazzo trasfigurato dall'odio. Aveva un occhio nero e gonfio e un livido su una guancia che Jace gli aveva fatto.
-Prima o poi la pagherai... La pagherai! Un giorno, Stein , troverai una disposta a perdere il suo tempo dietro un pezzente come te, e allora io me la prenderò, come tu ti sei preso Amanda! Come potrebbe mai preferire un povero perdente come te a uno come me?-
Rabbrividì. Allora non aveva dato peso a quelle minacce, gli erano parse infantili e dettate dal rancore. Prese un altro profondo respiro e scosse il capo, come ad allontanare certi ricordi molesti. Ormai si era avvicinato tanto ai due che questi si voltarono al rumore dei suoi passi. - Hei, Hannie! Scusa il ritardo!- Disse, cercando di tenere un tono allegro e gioviale, mentre allungava una mano a scompigliarle i capelli, come era solito fare. Hannah gli sorrise,e quanta stupida soddisfazione gli diede quel piccolo gesto! Poiché all'altro, lei non aveva rivolto nulla più della solita garbata indifferenza. Il ragazzo si sentì improvvisamente intaccabile. E proprio sull'altro, portò infine lo sguardo. Si fissarono reciprocamente per qualche istante, prima che Jace gli sorridesse sarcastico. – Ciao Tom. É bello vederti.-




L'angolo dell'autrice:

Lo so, sono perfida ad interrompere il capitolo a questo punto, ma anche questo stava diventando una roba lunghissima, quindi dopo averci riflettuto un po', ho deciso di dividere anche questa parte dal resto. Non volevo annoiarvi con un capitolo eccessivamente lungo, ecco.

Wow... Cinque recensioni... *Risatina isterica* O.O Non so neppure io che dire...
Sono sempre più commossa e lusingata. Quante splendide recensioni, e quasi tutte belle lunghe e corpose, non so proprio come ringraziarvi, tutti quanti, chi recensisce, chi legge, chi ha la mia storia tra le seguite e i preferiti.

sonietta : Scusa, non ho capito se ti piace! XD Scherzi a parte, grazie mille per i complimenti.
Hehehe Jace è un rubacuori a quanto vedo, miete vittime ovunque vada! È un moderno gentiluomo, evidentemente la cosa piace! =P E lo ammetto, Jace è il mio grande amore e sogno proibito (ma non diciamolo in giro u.u”), e mi diverte tantissimo scrivere di lui, anche se avevo paura di averlo reso un poco frivolo. Invece vedo che piace parecchio! Anvedi! XD Ed è anche sorprendentemente facile scrivere di lui , molto più facile che scrivere di Hannah.
Il Trio è stata una sfida per me, perché dover scrivere i dialoghi tra loro è davvero difficile, ho dovuto rivedere il capitolo 6 decine di volte perché ogni tanto dimenticavo qualche battuta. =P
Spero di poter aggiornare il prima possibile purtroppo tra lo studio e la vita al di fuori del sito, impiego sempre quelle due settimane per scrivere un capitolo, porta pazienza, ok? ^.*

Lea__91 : Sono contenta che il Trio ti piaccia! XD Dovevo trovare delle amiche adatte ad Hannah, che fossero il suo esatto opposto altrimenti non avrebbero mai avuto l'energia per convincerla ad aprirsi, e non ci sarebbe stata nessuna storia! Non potevo caricare tutto sulle spalle del povero Jace, perché nella parte finale della storia avrà il suo bel daffare. =P Tranquilla, non è ancora arrivato il momento di Amanda, ma come avrai letto, non è di lei che devi preoccuparti per il momento, lei se ne starà buona buona in un angolo ancora per un poco prima di partire all'attacco.

_KykyBlonde _ : (mi sa che nello scorso capitolo ho scritto male il tuo nome, in caso chiedo venia!) Ho capito, e devo dirti che tiro un sospiro di sollievo. Avevo davvero paura che Hannah sembrasse uno di quei personaggi che già dalla prima battuta fa storcere il naso e pensare “è irreale, nessuno parlerebbe o si comporterebbe così”. Ammetto che Hannah è strana, soprattutto se vista attraverso gli occhi dei coetanei (non a caso diventa amica del Trio, che alla fin fine normale normale non è XD), e io stessa non vedo l'ora di proseguire nella storia per far si che si sciolga e smetta di essere Miss Perfezione, perché è davvero difficile gestirla essendo così rigida e composta ( e se lo dico io che l'ho creata...). Posso dire con sicurezza che cambierà, e sarà un cambiamento che spero di rendere al meglio, perché sarà piuttosto graduale.
Bisogna ricordare che non sto a descrivere tutto ciò che fanno i miei personaggi nel corso della giornata, quindi se Hannie è ancora piuttosto chiusa con il Trio, non lo è nei confronti di Jace, con cui passa molto più tempo.

S chan : XD Ma dai! Anche io sono davvero molto molto prolissa! Ma davvero tanto (e si vede nelle risposte alle recensioni =_=), se avessi seguito la mia prima idea avreste dovuto leggere un capitolo chilometrico... O.O” Forse è un poco esagerato, o almeno per me lo è, perché ho davvero paura che un capitolo eccessivamente lungo possa annoiare, e quindi ottenere l'effetto opposto a quello desiderato: i miei affezionati lettori scapperebbero a gambe levate, altro che attirarne altri! XD Sperò però che questo capitolo non sia una delusione...
Un piccolo OT: ho letto la tua originale “La solita vecchia storia” e l'ho adorata! *___* é da parecchio che cerco il tempo di recensirla, prometto che rimedierò il prima possibile. É incredibile ma se non l'avessi letta avrei corso il rischio di plagiarti! Anzi no, ti avrei proprio plagiata, anche se involontariamente. O.O” Anche io volevo inserire il musical “Grease”, (sarà che mia madre me l'ha fatto riscoprire questo Natale e me ne sono innamorata) e il mio epilogo sarebbe stato davvero troppo simile al tuo, con un bimbo che parla alla maestra della sua famiglia “particolare”, ma attraverso un disegno anziché un tema. Il pupattolo però non sarebbe stato figlio dei protagonisti, ma di... Lo leggerai poi...Forse! =P

irisdoll : grazie mille, sono felicissima che la storia ti sia piaciuta. La tua recensione però risulta doppia, credo dovresti cancellarne una! ^_^





















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Capitolo 8
*** Capitolo 8. Il cambiamento. ***


Hopelessly devoted to you







Hopelessly Devoted To You <3

Capitolo  8. Il Cambiamento.


Lei.
Quando Jace le fu accanto, Hannah si sentì rinfrancata. Non era più sola davanti ad uno sconosciuto che, prima di quel momento, aveva incrociato solo qualche volta nei corridoi della scuola tra una lezione e l'altra, e che a malapena aveva degnato di uno sguardo. Uno sconosciuto che, questo lo capiva bene, come tanti altri cercava di far colpo su di lei mostrandosi garbato e galante, cercando di passare per un vero aristocratico, senza sapere neppure di che si tratta. Di certo sapeva bene chi ella fosse e chi fosse suo padre, Hannah non poté che attribuire il suo interesse a questo. Ancora una volta veniva considerata come un vantaggio materiale, e non come una persona, con tutto ciò che questo comporta. Ancora una volta qualcuno cercava di accattivarsene le simpatie facendo sfoggio di un'ottima educazione, come se potesse bastare. Fino a qualche mese prima avrebbe considerato tutto ciò come una fastidiosa necessità, ma dopo aver conosciuto Jace, dopo essere stata conquistata dalla sua spontaneità, lo trovava superfluo e irritante.
Alzò gli occhi sul ragazzo e gli sorrise grata. Avvertì chiaramente la tensione tra lui e l'altro, però. Sebbene si sorridessero a vicenda, in realtà era lampante come si studiassero attenti, pronti a scattare l'uno contro l'altro, come leoni che si contendono un pezzo di carne.
-Non posso dire lo stesso. - Rispose Thomas serafico. La tata l'avrebbe sicuramente definito “un buon partito”, perché era certamente bello, dotato di fascino, e apparentemente di tutte le qualità che lei riteneva indispensabili in un uomo. Inoltre era, con tutta probabilità, convenientemente ricco. Per Hannah però rimaneva uno tra i tanti, uno che non era Jace, non si avvicinava minimamente all'ideale del ragazzo perfetto che grazie a lui s'era fatta. Quel pensiero la colse alla sprovvista, facendola arrossire e vergognare al contempo. Non aveva mai avuto occasione di paragonarlo ad altri, ne avrebbe mai voluto farlo, ma il paragone era sorto spontaneo. Thomas era probabilmente più bello di Jace. Avevi sì eleganza e disinvoltura, ma mancava in carattere e naturalezza, e lo aveva ben dimostrato, con quel perfetto baciamano, così freddo, e le abusate, seppure gentili, parole di circostanza che le aveva rivolto.
-Non credo di essere gradito, per cui... - Thomas si rivolse ad Hannah, ignorando volutamente Jace. -é stato un piacere conoscerti ufficialmente. Ci rivedremo sicuramente a scuola e... Domani al maneggio, magari? - Sorrise, mostrando la dritta e bianchissima dentatura, degna dello spot di un dentifricio, fin troppo perfetta.- So che vai li ogni week-end, a cavalcare Celian. Te la farò trovare pronta...Hannie.- La chiamò come non gli era permesso fare, e guardò Jace nel mentre, i suoi occhi verdi fissi su quelli grigi dell'altro. Sembrò volesse sfidarlo a fare di più, a provare ad accattivarsi il favore della ragazza in altra maniera, se gli fosse riuscito di trovare qualcosa di più efficace del mostrare interesse per ciò che più l'appassionava.
Hannah sgranò gli occhi alle sue parole, e da rossa che era, impallidì. Trovava strano, spaventoso, per non dire inquietante che quel ragazzo, con cui non aveva mai avuto nessun tipo di contatto, fosse a conoscenza di cosa lei faceva durante il suo tempo libero in maniera tanto dettagliata. E poi, aveva osato chiamarla Hannie.
Indietreggiò di un passo, istintivamente, cercando riparo dietro le larghe spalle di Jace, che sorrise di soddisfazione, quando poi le posò un braccio sulle spalle spingendola ad avanzare nuovamente.
-Hannah.- Infine rispose lei incoraggiata dalla sua vicinanza e facendo appello a tutta la sua forza, perché sollevasse lo sguardo e lo mantenesse fisso sul volto di Thomas. - Preferisco che mi chiami Hannah.- Aggiunse titubante, a voler precisare che ciò che a Jace era permesso fare, non lo era a lui.
Il ragazzo peccava in sicurezza, poiché non sembrò rendersi conto che con quel suo comportamento aveva ottenuto l'opposto di ciò che voleva ottenere. L'aveva colpita di certo, ma non positivamente. Hannah si sarebbe ricordata di lui come della persona spaventosa che la faceva seguire, non di certo come un bel ragazzo dai modi accattivanti.
Thomas non la conosceva affatto, non si era soffermato ad osservarla e studiarne il carattere e i modi, ma solo le abitudini. Aspetti superficiali della sua vita, senza importanza. Se si fosse soffermato su ciò che lei era piuttosto che su ciò che faceva, si sarebbe accorto che Hannah era una persona piuttosto complessa, con tante paure e sue poche certezze erano però profondamente radicate in lei. Profonda e riflessiva, chiusa in se stessa e gelosa dei suoi spazi, come piccole isole inaccessibili a chiunque, talvolta persino alla tata, e si sentiva violata dalla sua mancanza di riserbo, e dal modo in cui sembrava farsene un vanto.
Il sorriso vacillò per un singolo istante sul volto del ragazzo a quelle parole e infine distolse lo sguardo. Volgendo gli occhi verdi sui gemelli, disse - Jem, Seth, è bello rivedervi, mi fa davvero piacere. - E stavolta, parve sincero. Un cenno del capo, e fece per andarsene. Nel farlo passò vicino a Jace, mormorandogli con un irritante sorrisetto stampato in volto qualcosa che nonostante il tono basso Hannah non ebbe nessuna difficoltà a udire. - Non sarai mai al suo livello. Scordatela.- I gemelli gli fecero spazio, e lui se ne andò, passando tra loro senza aggiungere altro, non uno sguardo, non una sola parola.
Quando la ragazza sollevò lo sguardo su Jace vide che teneva le palpebre serrate e inspirava e espirava profondamente. Quando li riaprì, non vide la collera che si sarebbe aspettata, ma della malinconia e forse del rimpianto. Per la prima volta in vita sua provò il desiderio di abbracciare qualcuno che non fosse la sua tata. Ma troppo riservata per lasciarsi andare in simili dimostrazioni d'affetti, si limitò a sfiorargli velocemente la mano posata sulla propria spalla. Lui le sorrise teneramente, e la strinse a se. Fu un gesto inaspettato, e Hannah non ebbe il tempo di reagire in alcun modo. - Grazie. - Mormorò Jace, con il volto affondato tra i capelli di lei.
Ne rimase spiazzata. Non l'aveva previsto, come non aveva previsto e mai avrebbe potuto prevedere la propria reazione. Tra quelle braccia stava racchiuso il tutto più assoluto, forse il mondo intero e per la prima volta in vita sua sentì di farne parte. E si sentì forte, addirittura possente, come se quell'unico braccio che la stringeva al suo petto, fosse uno scudo indistruttibile, una barriera invalicabile. Allo stesso tempo, le tremavano le gambe, per un'emozione che non riusciva a riconoscere ed era lungi dal comprendere. Si sentiva a disagio, e l'avvertiva nel silenzio attorno a loro l'imbarazzo chi li stava a guardare, ma sarebbe stata felice di godere di quello stato di beatitudine per un tempo lunghissimo, forse infinito. Qualcuno tossicchiò, un altro rise, ma Jace non accennava a volerla lasciare andare. Seppure non l'avesse mai lasciata andare, lei non se ne sarebbe lamentata. Stretta contro il suo petto, sentiva l'appena percettibile battito del suo cuore attraverso i pesanti vestiti e il suo buon odore: sapeva di sapone, di pulito e di panni stesi ad asciugare al sole. Provò l'impellente desiderio di stringerlo a sua volta e nascondere il volto contro il suo petto, per non pensare più e far finta, anche se per poco, che il mondo intorno a loro, con tutte le sue regole, non esistesse più. Ma le sue braccia sembravano essersi incollate al busto e non ne volevano sapere di staccarsene.
-Vieni, ti presento i ragazzi!- Le disse dopo un tempo che le parve lunghissimo, quando infine si staccò da lei e l'allontanò in maniera fin troppo sbrigativa. Con il cuore in gola, venne scaraventata di nuovo nella realtà. E libera dal suo abbraccio, lontana da lui, si sentì vuota.

Lui.
Jace non era mai stato avaro nel distribuire abbracci. Abbracciava almeno una volta al giorno sua madre, da quando ne aveva memoria, abbracciava gli amici, il Trio conosceva bene i suoi abbracci stritolatori. Quando era piccolo abbracciava gli sconosciuti per la strada, sperando di ritrovare in ognuno di loro quel padre di cui non ricordava nulla, neppure il volto, e aveva abbracciato persino la preside della sua vecchia scuola, quando gli aveva comunicato di aver ottenuto la borsa di studio. Abbracci, abbracci, e ancora abbracci, per Jace non c'era modo migliore per dimostrare il proprio affetto. Ma stringere Hannah tra le braccia, non era paragonabile a null'altro.
Gli tornarono in mente le parole di sua madre “- Jace puoi mentire a te stesso quanto vuoi, ma non puoi mentire a me. Hannah ti ha colpito, lei ti piace come ad un ragazzo piace una ragazza, che è molto più di quanto tu sia disposto ad ammettere. -” .
Allontanò Hannah piuttosto bruscamente, non poteva dar adito a quelle parole e ammettere che Greta aveva centrato il bersaglio, come sempre. Si sforzò di riuscire a trovare qualcosa di sbagliato nella sensazione del corpo di lei contro il suo, e non ne trovò. La paura di ammettere che sua madre aveva ragione aveva comunque la meglio. Non poteva permettersi di farsi piacere Hannah. Era fuori discussione.
Non riuscì però ad interrompere il contatto altrettanto bruscamente. Continuò a tenerle una mano sulla schiena, mentre la spingeva ad avanzare verso i gemelli. - Loro sono Jem e Seth.- Disse, felice di occupare la mente con qualcosa che non fosse il ricordo del profumo dei suoi capelli. - I miei migliori amici.-
Hannah sorrise, sollevando una mano in segno di saluto. Gli parve piuttosto disorientata in verità, ma incredibilmente adorabile con le belle guance colorite per l'imbarazzo. Non immaginava fosse proprio lui la causa dello smarrimento che le leggeva in volto, e nel tentativo di trovare una spiegazione, l'attribuì alla sorpresa di trovarsi davanti i due ragazzi. I loro volti erano identici, e lui stesso la prima volta che li aveva visti ne era rimasto colpito, e anche inorridito. Stessi lineamenti spigolosi, mento pronunciato e naso lievemente sproporzionato rispetto al resto, stessa bocca larga dalle labbra fini e gli stessi occhi blu, intensi, vivi, specchio delle rispettive personalità. L'unico tratto distintivo erano i capelli, d'un biondo chiarissimo, che portavano in maniera differente l'uno dall'altro. Se quelli di Jem erano cortissimi e nascosti dal cappellino, quelli di Seth erano piuttosto lunghi, ricadevano fini, lisci e ordinati sul volto, coprendone interamente la fronte.
Jem intanto li osservava entrambi con un sorriso malizioso sulla bocca larga dalle labbra sottili. I suoi occhi gli parve indugiassero troppo sul corpo di Hannah, coperto dal cappotto, alla ricerca di cosa non dovette neppure chiederselo, era più che lampante. Istintivamente la ragazza incrociò le braccia sul seno, chinando lo sguardo. - Ciao!Jeremy... - Disse, con quell'aria strafottente che sembrava piacere tanto alle ragazze, sistemandosi la visiera del cappellino con il solito scatto nervoso della mano. - ...Ma gli amici e le belle ragazze come te possono chiamarmi Jem!- Le fece un occhiolino che la fece arrossire, facendo irritare terribilmente Jace, con grande divertimento del ragazzo che lo fissava con un'ironia che non gli era abituale e negli occhi un particolare scintillio che non lasciava presagire nulla di buono.
-Jem, non cominciare! Piuttosto prendi esempio da tuo fratello che...- Si voltò verso Seth, che ancora non aveva aperto bocca, per trovarlo imbambolato a fissare un punto indefinito davanti a se. - … ha una faccia da ebete...?- Corrugò la fronte, e gli si avvicinò agitandogli una mano dinanzi al volto. Quello non si mosse, continuò a fissare sognante il nulla. - Uhm... Già, ci sono tutti i sintomi...Deve averla vista...- Concluse infine, annuendo profondamente e incrociando le braccia al petto.
-é alle tue spalle, amico, non poteva non vederla. - Aggiunse Jem, facendogli cenno con il capo nella direzione da cui arrivavano proprio in quel momento tre ragazze dall'aria decisamente familiare. Due si tenevano per mano, e una di loro trasportava una grossa borsa, e la terza si teneva un passo dietro loro, seminascosta ma comunque visibile anche ad una certa distanza. Quando Jace le vide, si sbracciò nel salutarle e le tre risposero con medesimo entusiasmo, affrettando il passo.
-é normale?- Chiese Hannah, che non aveva smesso di osservare Seth con una certa perplessità.
-Oh, si, più che normale. É solo che il Rose-Radar è entrato in funzione!- Disse il fratello, ridendo. - Devi sapere che Seth ha un debole per Rosalie. Purtroppo ha la pessima abitudine di diventare catatonico in sua presenza, vero fratellino?- Gli diede una forte pacca su una spalla, tanto da farlo vacillare, ma Seth continuò a fissare Rose con sguardo vacuo e ad ignorare il resto del mondo.

***

I saluti di rito furono cosa breve, ridotti ai minimi termini. Probabilmente Hannah li aveva considerati eccessivamente sbrigativi, ma in quel momento il galateo non rientrava tra le priorità del Trio, che arrivato con mezz'ora di ritardo, era impaziente di darsi allo shopping. Dopo aver concordato l'orario del pranzo (di fondamentale importanza per i ragazzi) per le due, si incamminarono lungo la lussuosa Madison Avenue, costellata qui e là di boutique di famosi marchi e negozietti piccoli quanto esclusivi.
Daphne e Jaquie, presa a braccetto Hannah una per braccio, guidavano la truppa, cui obbiettivo era niente meno che il paradiso di ogni fanatica dello shopping: Barneys, otto piani di vestiti, scarpe, borse, e accessori di qualsiasi stile. Avevano tutta l'intenzione di convertire la ragazza al loro credo: comprare è cosa buona, molto buona. Non ci sarebbe stata mai occasione migliore per convincerla a spendere i soldi di papà in un mucchio di abiti che loro molto gentilmente avrebbero provveduto a consigliarle, ergo costringerla a provare e a comprare.
Alle loro spalle, Seth e Rose camminavano fianco a fianco, senza avere il coraggio neppure di guardarsi, figurarsi rivolgersi la parola. Rose tentò in verità d'intavolare un discorso, uno qualsiasi, partendo da una delle frasi più banali al mondo: “oggi è una splendida giornata...”. Le risposte monosillabiche del ragazzo avrebbero scoraggiato persone ben più loquaci di lei.
Jace e Jem chiudevano la fila, tenendosi abbastanza lontani dagli altri per poter parlare senza essere sentiti e senza rischiare di perderli.
-Allora, per quanto avevi intenzione di tenermela nascosta? Cos'è tipo la tua ragazza o che?- Chiese Jem, che non sembrava intenzionato a smettere di fissare il fondo schiena di Hannah, finché ne aveva la possibilità. E più lo faceva, più Jace si sentiva irritato, e più lui si irritava, più Jem provava gusto nel farlo.
-Almeno fino a quando gli ormoni non smetteranno di intasarti il cervello, come minimo. Voglio credere che siano quelli a farti pensare certe cose, perché so cosa stai pensando e no, no, e ancora no. Ti proibisco di provarci con lei, chiaro? E smettila di guardarle il sedere!- Cercò di nascondere l'irritazione dietro il tono ironico delle sue parole, ma servì a ben poco. - E non è la mia ragazza. Questo però non significa che puoi provarci con lei. Mi hai capito Jem? Lasciala in pace. Lei non è una da una botta e via.-
-E perché non dovrei provarci? É un bel bocconcino e ha un bel...Beh, non che si veda granché, con quel cappotto...- Borbottò piegando il capo di lato, alla ricerca di una migliore visuale della parte in esame.- Sembra carino... Si. Comunque, se lei non ha un ragazzo e tu non hai intenzione di farti avanti, lo farò io. Lo sai come si dice, ogni lasciata è persa!- Jem scrollò le spalle, incurante di ciò che l'amico gli aveva appena detto. Non perché fosse particolarmente interessato ad Hannah, ma perché voleva capire cosa lei era per Jace, e quale metodo migliore per scoprirlo se non stuzzicarlo un po'? Negli ultimi tempi aveva spesso parlato loro di questa strana ragazzina. Era stato subito colpito dal modo in cui lui pronunciava il suo nome, quasi in un sussurro, come se il solo nominarla potesse farla svanire nel nulla. Doveva essere una persona importante per lui, e la sua reazione quando l'aveva vista parlare con Thomas ne era probabilmente la dimostrazione.- Se pensi che siccome tu hai deciso di rispettarla perché emotivamente fragile..- disse, sarcastico. -... qualsiasi altro sia costretto a fare lo stesso, sei diventato completamente idiota. Se non sono io, sarà qualcun altro, tipo...Vediamo, un nome a caso? Thomas?- Nonostante la mente di Jem fosse spesso annebbiata dalla sovrapproduzione di testosterone, c'erano dei momenti di lucidità in cui era fin troppo perspicace e attento, e troppo tardi Jace si accorse che quello era uno di quei momenti. Per la prima volta in vita sua, Jace trovò Jem irritante. Aveva sempre riso dei suoi modi da playboy incallito e strafottente, ma quella volta li trovò fuori luogo e dannatamente fastidiosi. Preferì non replicare anziché dover mentire spudoratamente, poiché non poteva fingere, non con lui, che immaginare Thomas e Hannah insieme come una coppia non gli procurasse seri problemi nel controllo della rabbia.
-Quindi secondo te cosa dovrei fare, sentiamo!- Rispose, aspettandosi una risposta ironica delle sue, quasi sperandoci poiché l'avrebbe autorizzato a non dar alcun peso a tutto quel discorso.
-Ammettere che ti piace, è così evidente! Avrei voluto avessi visto la tua faccia quando li hai visti insieme, era tutto un programma! Ma lo vedi che non tenti neppure di fingere che non te ne frega niente se fa il gallo nel pollaio con Hannah?-
-Mi fa rabbia che lui abbia intenzione di usarla, tutto qui. Sarebbe diverso se ci fosse la possibilità che lei gli piacesse veramente. Non c'è nulla sotto, e non è così strano voler protegger un amica. Ma tu che ne sai? Tu sei quello che non ha amiche perché finisce per andare a letto con tutte quante.- Replicò con insolito astio, infilando le mani nelle tasche del piumino, incassando la testa tra le spalle, mentre accelerava il passo, del tutto intenzionato a mettere fine a quella conversazione. Jem non sembrava essere della stessa idea.
-Uno: non far passare me per il cattivo, Jace. - Tenne il conto sulle dita, distendendo l'indice e toccandolo con l'opposto. - Io ho sempre messo le cose in chiaro con tutte, e se c'è stata qualcuna che si è illusa di poter fare la differenza non è certo colpa mia. Due: non cercare di cambiare argomento, non attacca. E tre: non mi pare tu abbia mai voluto proteggere Daphne da me, non è una tua amica, lei?- Domandò infine, fissandolo seriamente, con la fronte corrugata.
-Daphne è lesbica, Jem! Convinta e suppongo molto felice di esserlo, in caso non te ne fossi accorto. Mi dici da cosa avrei dovuto proteggerla? Dalle tue avance, quando è chiaro che non ti degnerà mai di uno sguardo? Lei si sa difendere da sola, è Hannah che non...-
-Non cosa?- Qualcuno lo interruppe, e quel qualcuno era proprio Daphne. Erano arrivati da Barneys e loro non ci avevano fatto caso. Avrebbero superato il grande magazzino se la ragazza, che li attendeva con cipiglio divertito e mani sui fianchi davanti al lustro portone d'ingresso, non li avesse interrotti attirando la loro attenzione.
-Non è sexy quanto te, bellezza!- Jem colse al volo l'occasione, cercò di stringerla per la vita, ma la ragazza si divincolò con grazia e lo respinse.
-Ma grazie, tesoro! Nella mia prossima vita farò di tutto per rinascere etero, lo prometto! Per ora tieni la mano morta a posto.- Disse, dandogli un buffetto sul volto, scherzoso quanto leggero schiaffetto.
-Beh, tentar non nuoce!- L'altro fece spallucce, ed entrò, raggiungendo gli altri che, raggruppati davanti alla cartina dell'edificio, intenti a scegliere da quale piano sarebbe stato meglio cominciare: reparto jeans o top e t-shirt? Che dilemma!
Nessuno sembrò essersi accorto della loro assenza, tranne Hannah. La vide, attraverso i vetri della porta girevole, guardarsi intorno con una certa ansia e rilassarsi poi, dopo averlo visto. Gli sorrise e tornò ad interessarsi al dibattito in corso tra il resto del gruppo.
-Allora, che succede? Oggi sei strano, l'ho capito alla prima occhiata che qualcosa non va. Sputa il rospo.- Daphne era una maestra nel fare domande scomode nei momenti peggiori e pretendere risposte ancor più scomode. Ma Jace non aveva idea di cosa dirle.
-Io... Non lo so Daphy. Non lo so proprio. Mi sento... Incasinato.- Seguitò a fissare Hannah attraverso i vetri, registrando ogni suo movimento e il mutare dell'espressione del suo viso: ora attenta, ora seria, ora divertita da qualcosa che Jaquie doveva aver detto. - Ho visto Tom parlare con Hannah, poco prima che arrivaste. Avrei voluto prenderlo a pugni, e se non ci fosse stata lei, Cristo, l'avrei fatto. L'ho odiato con tutto me stesso, e so che tutto questonnon ha senso.- Mormorò, con la mandibola contratta. Daphne avrebbe potuto vederne i muscoli contratti pulsare sotto la sua pelle.
-Si chiama gelosia, Jace. Sapevi che prima o poi sarebbe capitato.-
-Che cosa intendi?- Chiese, voltandosi a guardarla. Ma lei fissava Jaquie, e Jace si chiese per la prima volta se quando guardava Hannah, anche lui avesse quella stessa espressione in volto, quel sorriso e quello sguardo che urlavano di totale devozione verso l'altro. Ne fu spaventato, non era così che voleva apparire, non era così che doveva guardare Hannah.
-Che doveva capitare che ti piacesse tanto una ragazza da esserne geloso. E conoscendoti, non poteva essere una ragazza comune. Se fossi romantica come Rose, ti direi che eravate predestinati, ma siccome non lo sono affatto, posso solo dirti quel che vedo. Tu hai un debole per lei, e da quel che ho sentito poco fa, non sono l'unica a pensarla così. Mi sa che devi rifletterci sopra e fare chiarezza, o finirai per fare qualcosa di cui potresti pentirti. Hannah prima o poi si sveglierà, aprirà gli occhi e si guarderà intorno, e si accorgerà che non può o non vuole aspettarti in eterno.- Concluse, guardandolo dritto negli occhi. - Cosa hai intenzione di fare? Vuoi scappare? Il Jace che conosco io non scappa. - Aggiunse, con grande serietà
-Credimi, in questo momento non credo di essere completamente me stesso.- Si lasciò andare in una breve e debole risata. Non gli restava che tentare di mostrarsi ironico, non conosceva altro modo in cui reagire. Daphne non era la prima a fargli notare quanto fosse palese che fosse attratto da Hannah, tanto che cominciò a chiedersi se non fosse solo condizionato da quello che gli altri continuavano a ripetergli. Non sapeva cosa pensare, anzi, avrebbe preferito riuscire a non pensarci del tutto, ma non gli era possibile.

***

Tre ore dopo uscivano da Barneys carichi di buste, bustine e pacchettini, tutti galantemente trasportati dai ragazzi (non che avessero scelta), e si dirigevano a passo spedito verso uno degli ingressi Ovest di Central Park, dove li attendevano due delle domestiche di Rose. Le due donne furono ben felice di consegnare i due grandi cestini da pic-nic che portavano e tornare alle proprie faccende. Jace non credeva si potessero trovare ancora degli oggetti simili, ne che potesse esistere qualcosa di più retrò di un cestino da pic-nic vecchio stile, di pallido vimine intrecciato. Questo finché consegnate le buste alle legittime proprietarie, non si fece carico di uno di essi. Il cestino era pesante e certamente pieno fino al colmo, ma il ragazzo non osò lamentarsene, non dopo essersi quasi offerto come uomo di fatica per l'intera giornata. Sapeva benissimo che a fine serata avrebbe ricordato solo i divertimenti e non la fatica. Inoltre Hannah gli camminava accanto, rifiutandosi di unirsi agli altri, che li precedevano di qualche metro. La cosa lo rendeva felice, in quel momento si accorse di gradire la sua compagnia più di quella degli altri, che gli parve avessero accelerato repentinamente e ingiustificatamente il passo, anche se una parte di se continuò a cercare di convincerlo d'essersi sbagliato.

Lei.
Hannah dal canto suo ci teneva a fargli compagnia. Voleva stargli accanto, sentiva pressante il bisogno di parlargli e condividere con lui anche il più stupido pensiero. La sua compagnia le era più gradita di quella di chiunque altro, pensiero che la fece sentire un'ingrata nei confronti del Trio e i gemelli, che per tutta la mattinata si erano mostrati gentili nei suoi riguardi e ben felici di consigliarla in qualunque scelta. Certo aveva il sospetto che le ragazze l'avessero presa per una bambola con cui giocare alle fashion stylist, ma cercò di scacciare quel pensiero dalla mente il prima possibile. Aveva un'opinione troppo buona delle tre per credere una cosa simile. E peccava decisamente d'ingenuità.
-Credi abbia esagerato?- Chiese a Jace, mentre osservava pensosa le tre enormi buste che teneva infilate su per un braccio e le altre due stringeva nella mano opposta.
-Naah!Figurati! Se avessi dato retta al Trio, allora si avresti dato fondo alla tua carta di credito, credimi! Non conoscono limiti quando si tratta di spendere!- Disse lui. Sembrava più sereno di quella mattina. Più lucido, più attivo, più felice. A guardarlo pareva che il ricordo di ciò che era accaduto solo poche ore prima fosse svanito, e che durante il tour de force appena terminato si fosse addirittura divertito nel vederla prestarsi con tanta pazienza a fare da manchino per le ragazze, che l'aveva vestita e svestita a loro piacimento, e nel farsi trascinare da un piano all'altro dell'immenso negozio, sempre più carico di abiti, borse firmate e quant'altro. - Oserei dire che te la sei cavata davvero bene! Sei sopravvissuta, e guarda, non hai neppure un graffio!- Anche in quel momento sembrava pimpante come suo solito, nonostante camminasse da una ventina di minuti con un cesto carico di cibarie in una mano che tremolando cominciava a dare segni di cedimento.
Hannah invece non riusciva a levarsi dalla mente i suoi occhi tristi, e quell'abbraccio. Il ricordo di quelle sensazioni bastava a emozionarla, e al contempo si chiedeva se non ne fosse influenzata, se non dovesse provare a stargli lontano invece di ricercare costantemente la sua compagnia, almeno il tempo necessario per disintossicarsi dal suo profumo. Ma voltandosi a guardalo mentre le camminava al fianco si chiese se ce l'avrebbe mai fatta, e come la prima volta che si era trovata da sola con lui provò l'impellente desiderio di tracciarne il profilo sul suo album da disegno, rendendo eterno ciò che lei vedeva in quell'istante.
Le ragazze li chiamarono, agitando le mani in aria e facendo loro segno di seguirle. Fu loro grata d'averla distolta da certi pensieri.
Jace sospirò di sollievo. Le ragazze avevano scelto un angolo di paradiso nel mezzo di Central Park, una zona poco affollata in cui fermarsi, dove solo qualche coppietta sostava, e non troppo a lungo. Era un grande prato d'erba indurita dal freddo, d'un verde un poco spento ma non per questo meno piacevole alla vista, davanti ad uno dei laghetti del parco, abbastanza soleggiato perché durante il pasto non sentissero freddo, nonostante la temperatura non fosse delle più miti.
-Che bel posto! Non sono mai stata in questa parte del parco. Non credevo si potessero trovare dei posticini appartati a Central Park.- Disse Hannah, incantata dai riflessi luccicanti del sole sulle chete acque del laghetto. - Mi piacerebbe poterlo disegnare, vorrei avere un foglio proprio qui, ora...- Disse ancora, stavolta in un sussurro, come se involontariamente avesse dato voce a pensieri che avrebbe preferito tenere per se.
-Certo che si! Non è tutto come mostrano nei film, Hannie. A Manhattan ci sono anche degli angolini nascosti in cui potersi rifugiare. Anche noi frenetici newyorchesi abbiamo bisogno di fermarci a riposare, di tanto in tanto.- Le rispose Jace, a cui non dovevano essere sfuggite le sue parole. D'altronde pareva che poche cose che la riguardassero potessero sfuggirgli. - Ti prometto che ti ci porterò ancora, e fornita di carta a volontà e matite di ogni genere!- Esclamò ancora, posando finalmente a terra il pesante cestino. Davanti a loro Rose e Daphne, tra una risata e l'altra, erano indaffarate a stendere sull'erba un ampio telo, e fatto questo aiutarono Jem a svuotare il secondo cesto, da cui estrassero ben tre termos, vettovaglie varie e alcuni recipienti.
-Uhm! La tua cuoca ci ha fatto i brownies Rose! Ne sono sicura!- Daphne si lasciò andare in un gridolino di piacere. - E forse anche una torta, guarda quante ciotole!-
Anche Jaquie dava il suo contributo limitandosi a dar ordini a destra e a manca, seduta a terra con gambe e braccia incrociate come un capo indiano, perché troppo stanca per muovere un solo dito, diceva. Teneva ben stretta a se la sua borsa, come se contenesse un milione di dollari e non una reflex professionale, con cui continuava a scattare delle foto fin da quando avevano messo piede da Barneys. Al contempo urlava contro Jem, che secondo lei avrebbe dovuto poggiare il cesto, ora svuotato del suo contenuto, dalla parte opposta a dove l'aveva letteralmente abbandonato, e a Seth di fare attenzione alle sue buste. - Hei! C'è un De La Renta da mille dollari li dentro! Seth! Non oserai posare quella busta sull'erba spero!- Sbraitava contro il povero ragazzo che non osava più muovere un muscolo senza il suo consenso, conscio di tenere tra le mani un vero e proprio patrimonio. Se avesse rovinato i costosissimi abiti della ragazza ci avrebbe messo anni, se non decenni, per poterli ripagare. Il terrore gli si leggeva chiaramente in volto.
-Ehm... Non credevo Jaquie fosse così autoritaria.- Commentò Hannah impressionata, mentre Jace avvicinatosi e sedutosi sul telo svuotava il suo cesto, riversando sullo stesso una miriade di sandwich ben impacchettati, vaschette d'insalata di vario genere e quelli che probabilmente erano chili di macedonia ben chiusa in coppette di plastica.
-Te ne accorgi solo ora?- Rise lui. - Jaquie è una dittatrice nata!-

***

Avevano mangiato, riso, qualcuno di loro aveva ingaggiato una guerra all'ultimo cucchiaio di macedonia, e la maglia di Jace era una delle vittime della succosa battaglia. Jaquie aveva continuato a scattar loro delle foto, tra un morso di sandwich al tacchino e un sorso di limonata, con la scusante che se voleva diventare un'affermata fotografa, come sognava fin da quando era bambina, doveva sfruttare ogni occasione per far pratica. Era stato uno dei pomeriggi più divertenti che Hannah potesse ricordare, ed era felice come non mai. Finalmente si sentiva parte di quel gruppo assolutamente eterogeneo, non più un estranea, non più l'ultima arrivata, solo Hannie, un'amica e una compagna d'avventure.
Quando anche l'ultima briciola di torta al limone fu divorata, ormai erano quasi le sei del pomeriggio. Il sole aveva cominciato la sua quotidiana discesa, quasi al termine del suo cammino, per lasciar spazio alla notte. Non prima d'unirsi in quello che Hannah chiamava “il bacio degli amanti divisi”, quando al crepuscolo notte e giorno si univano per pochissimo in un unico bacio passionale, dando vita ai viola, ai rosa, agli arancioni, ai rossi e a tutte le sfumature che rendevano ogni tramonto diverso dall'altro. Sotto quella luce rosata, ai suoi occhi tutto sembrava un poco più romantico, e le ricordava tanto una vecchia canzone d'amore francese, la preferita della tata, la vie en rose.
Seduta accanto a Jace, che sdraiato sull'erba con le mani incrociate dietro la nuca fissava il cielo tingersi di rosa, cercava di godersi quell'attimo di pura poesia, ma non ci riusciva del tutto. Ora che gli animi si erano quietati, solo perché tutti erano troppo sazi per darsi a qualsiasi attività che non fosse oziare, una domanda le martellava le meningi ma non era sicura di poter chiedere a Jace ciò che desiderava sapere.
-Jace...- Infine si fece coraggio, e con voce tremula lo chiamò. Il ragazzo si sollevò di scatto, puntando i gomiti contro il terreno.
- Che succede? Jem ti sta dando fastidio?- Domandò nervosamente, guardandosi intorno alla ricerca del ragazzo che per una volta era lungi dall'interessarsi ad una ragazza e parlava con il gemello a poca distanza da loro. Jace gli rivolse uno sguardo truce che fece scoppiare a ridere Hannah.
-No, no! Cielo, no! Povero Jeremy, se avessi potuto l'avresti fulminato con lo sguardo. Ti assicuro che non mi si è mai avvicinato.- Lo rassicurò, posandogli una mano sulla spalla, ritirandola velocemente. - Io... Piuttosto... Non voglio essere invadente ma... Mi chiedevo...- Cominciò, torcendosi le mani, piuttosto indecisa se continuare o lasciar perdere e far finta di non aver mai cominciato quel balbettante discorso. - Mi chiedevo cosa è capitato tra te e Thomas. Mi pareva ci fosse molta tensione tra voi, e il tono con cui si è rivolto a te poi, è stato estremamente maleducato. - Disse infine, assolutamente parziale. Ai suoi occhi Jace era buono e caro, e non poteva certo avere alcuna colpa. Ahimè, ciò che i suoi occhi vedevano non sempre corrispondeva alla realtà.
-Te lo dirò. Prima o poi l'avresti saputo comunque Hannie. Credo che lui te lo dirà alla prima occasione se tu gli darai corda. Tom te lo dirà. - Ripeté mestamente.- E preferisco che tu lo sappia da me.- Jace divenne improvvisamente serio. Dai suoi occhi traspariva tutta la tristezza e il rammarico che la giovane vi aveva visto quella stessa mattina. Si sedette, e incrociò le gambe.
-Thomas era il mio migliore amico. Veniva prima del Trio, e detesto ammetterlo, anche prima di di Jem e Seth. Lo siamo stati fin dal primo anno, quando io arrivai alla St. John. Con lui non c'era bisogno di parole, eravamo in perfetta sintonia. Tom non è cattivo in fondo Hannie, è stato l'unico che non ha visto in me solo un poveraccio con una fortuna sfacciata. Se a scuola sono popolare, se tutti hanno un occhi di riguardo per me lo devo in gran parte a lui, e all'influenza che lui ha e ha sempre avuto sugli altri. Sono pienamente consapevole che per tutti loro, una volta uscito da quelle quattro mura con il mio bel diploma in mano, tornerò ad essere un pezzente, un perdente, una cosa senza valore. -
Hannah lo ascoltava quasi trattenendo il fiato. Sembrava avesse bisogno di confidarsi con qualcuno, di liberarsi anche se per poco, di un enorme peso. La sua voce vibrò di rabbia e rancore per pochi istanti. - Non sono stato capace di ricambiare la sua amicizia come avrei dovuto. Anzi, l'ho sommerso di merda. Ero geloso Hannie, geloso marcio, perché credevo che fosse tutto ciò che sarei dovuto essere ma che Dio mi aveva tolto senza pietà. A volte lo penso ancora. Allora ero arrabbiato, amareggiato perché circondato da tutte quelle belle e ricche persone che sprecavano i loro soldi per delle autentiche idiozie, mentre mia madre sgobbava come una schiava per arrivare alla fine del mese. Ce l'avevo con il mondo intero a momenti, e con Tom, che sembrava essere sempre un gradino sopra di me.- Prese fiato, e dopo essersi inumidito le labbra, riprese.
- Era la fine del secondo anno, quando successe. Per la prima volta mia madre mi aveva permesso di partecipare ad una delle feste organizzare dai ragazzi della squadra di football. Quello che non le avevo detto è che la festa si teneva nell'appartamento del fratello di uno di loro, uno che non conoscevo neppure, e ti lascio immaginare come potesse essere una festa di studenti universitari agli occhi un sedicenne: inferno e paradiso insieme, credimi.- Le sorrise amaramente. - Avevo bevuto più del dovuto, ma questa non è e non sarai mai una giustificazione ne una scusante per quel che ho fatto. Non ero abbastanza ubriaco da non rendermi conto di quel che facevo. Quel che ho fatto lo feci in piena coscienza. - Si affrettò a spiegare, scuotendo il capo. La fissava in volto mentre parlava.
-Ad un certo punto c'era talmente tanta gente che avevo perso di vista Tom, e quando lo trovai parlava con dei ragazzi che non avevo mai visto, ma che lui sembrava conoscere bene. Di certo non eravamo gli unici minorenni quella sera, ma ero talmente ingenuo d'averlo pensato fino a quel momento. Uno di loro gli disse che gli avevano raccontato che si era dato alle opere di bene, e gli chiese perché si tirava dietro un miserabile come me. Lui se ne vergognò, lo vidi arrossire e volli credere che fosse l'effetto della bottiglia di birra che si era appena scolato o del caldo, ma era ovvio che non era così. Tom rispose che lo faceva solo perché gli facevo pena. Forse tu non puoi capire, e spero non potrai mai capire cosa ho provato in quel momento. Mi sentii come un sacco di spazzatura: uno schifo, una cosa immonda, inutile, un intralcio. L'invidia divenne rabbia, così grande che volli vendicarmi, volli ferirlo, volevo toglierli anche la dignità se mi fosse stato possibile, e ci provai, nell'unico modo in cui ero sicuro di poter riuscire: andare letto con la ragazza a cui faceva il filo.- Distolse lo sguardo da Hannah, sembrava non riuscire più a sopportare la sua vista, non mentre le confessava quella che considerava essere la sua azione più vergognosa e riprovevole.
-Dire che le faceva il filo è riduttivo, é innamorato di lei dall'asilo, non c'è nessuno che non lo sappia a scuola. E lei era a quella festa, e io ero ubriaco quel tanto che mi bastava per avere il coraggio di fargli uno sgarro simile. Non fraintendermi, lei é bella per davvero, ma è anche una persona insignificante, che negli anni si è sempre divertita ad umiliarlo in ogni modo possibile. Non sono mai riuscito a capire cosa ci sia in lei che lo attrae tanto. La disprezzavo, e continuo a farlo, mi ricorda quante cose stupide fa fare il rancore. Comunque sia, lei è una a cui piace mettere zizzania e sapevo che aveva un debole per me. Allora non ci pensai due volte a portarmela a letto, lei che non mi è mai piaciuta, e mai mi piacerà, lei che trovo insopportabile, e infantile, lei che è l'unica persona con cui non avrei mai voluto avere a che fare. E l'avevo fatto solo per fare un dispetto a quello che era il mio migliore amico, lo volevo vedere a pezzi, ferito, distrutto. Lui lo venne a sapere subito dopo. Ci evitammo per tutto quel week end. Io in qualche modo sentivo che lui sapeva, e quando il lunedì ci incontrammo a scuola volarono parole grosse e qualche pugno. Lui mi ruppe un dente, io gli feci un occhi nero, e da allora non ci siamo più rivolti una sola parola. Fino a stamane, ovviamente. - Sospirò, voltandosi a fissare il lago, tinto di rosso.
-Ti sto raccontando questo perché non voglio che lui ti ferisca Hannah. Voglio che tu mi prometta che starai in guardia. Lo so, ho detto che non è cattivo, ma il suo interessamento nei tuoi confronti non è sincero, ne sono certo. Come io ho usato quella ragazza per vendicarmi, lui potrebbe fare lo stesso con te, e io tengo troppo a te per lasciare che lui ti faccia questo. Volevo solo essere il primo a raccontartelo,e spero apprezzerai almeno la mia sincerità. Non avrei mai voluto che tu lo venissi a sapere, men che meno che lo venissi a sapere da altri. Ora puoi giudicarmi, puoi provare pena per me, puoi esserne disgustata... Puoi essere ciò che preferisci, credimi, io lo accetterei. Hai tutto il diritto di pensare che io stia mentendo a te ora o che potrei farti una cosa simile,e credimi, da te accetterei anche questo.- Lui continuò a fissare il lago, e Hannah, ammutolita, non aveva la forza di pronunciare una sola parola. Non avrebbe mai immaginato che sotto quella che pareva essere solo una superficiale antipatia reciproca, si agitassero tempestosa rabbia, gelosia, menzogna, tradimento. Non poteva credere che la bellissima persona che credeva fosse Jace si fosse abbassata a tanto, compiendo un'azione così misera solo per ripicca. Cosa doveva pensare di lui ora? Come doveva comportarsi? Doveva compatirlo, o peggio doveva allontanarlo? Queste e mille altre domande le facevano scoppiare la testa. Si sentiva confusa, e doveva ammettere delusa, perché Jace si era mostrano capace di sbagliare e provare i peggiori sentimenti, come qualsiasi altro umano. Aveva perso la sua patina di assoluta perfezione.

Lui.
Hannah non aveva emesso fiato. Non aveva detto una sola parola da quando più di dieci minuti prima, aveva terminato il suo racconto. Le aveva detto tutto ciò che doveva, di più non poteva fare. In silenzio si alzò, e si diresse lentamente verso la riva del laghetto, con le mai infilate nelle tasche dei jeans. Rimase così, in silenzio, a scalciare qualche sassetto di tanto in tanto, a chiedersi se lei l'avrebbe accettato ora che sapeva. La cosa che più lo faceva stare male era proprio il pensiero di non poter più far parte della sua vita. E sapeva che non pensava di perdere un'amica, pensava di perdere Hannah. Hannah era Hannah, un mondo a se stante nel suo universo. Non era un'amica, forse non lo era mai stata. La paura in lui portava alla consapevolezza che forse per davvero lei era qualcosa di più. Ma tutto era ancora così confuso, che si rifiutava di pensarci per un istante di più.
Quando sentì dei passi alle sue spalle, senza neppure voltarsi disse sgarbatamente – Seth, Jem, Daphne o chiunque altro tu sia, smamma.-
-Oh... Scusa... Volevo solo dirti che gli altri hanno deciso di andare via. Ma se tu hai deciso di restare ancora, non importa.- La voce di Hannah gli era parsa ancora più lieve del solito. - Lo dirò agli altri.- Quando Jace si voltò, lei stava correndo verso gli altri, intenti a raccogliere le loro cose. Nessuno di loro gli si avvicinò, lo conoscevano abbastanza bene da sapere che in quel suo mettere delle distanze tra se e il resto della comitiva c'era il bisogno di riflettere in solitudine. Lo salutarono da lontano, e poi ognuno prese la sua strada, lasciandolo li, in riva a quelle acque che ora, passato il crepuscolo, erano nere quanto il suo umore.

L'angolo dell'autrice:

Non so proprio come scusarmi per il terribile ritardo di questo aggiornamento. L'unica giustificazione è che tornando dalle lezioni la sera tardi, e avendo avuto alcuni problemini di salute, la sera non riuscivo proprio a mettermi al pc a scrivere. C'è stato un momento in cui ero così stanca e nervosa che ero decisa a mollare totalmente la storia, e ancora non sono sicurissima di riuscire a portarla a termine nelle condizioni in cui mi trovo. Prego le mie fedeli lettrici di portare un poco di pazienza quindi, se gli aggiornamenti dovessero tardare parecchio.

Detto ciò, passiamo ad argomenti più leggeri.

Signori e signore, ho finalmente dato un volto a quasi tutti i personaggi della storia. Ebbene si, dopo tanto penare ho trovato dei volti che mi soddisfacessero, finalmente! Diciamocelo, forse mi sono data troppo da fare! Sono tutti troppo belli per essere reali... =_=”

Ed eccoli qui.




Jace e Hannah sono rispettivamente Jeremy Sumpter (ma quanto sei belllloooooooo *çççççççççççççç*) e Alexis Bledel, che nonostante sia più vicina ai trenta che ai venti ha sempre sto faccino da bambolina.


George è quello che mi ha fatto penare di più! Sono passata da Colin Firth a Ralph Fiennes circa un centinaio di volte, e alla fine ha vinto Ralphuccio mio! *3* é perfetto, ha pure la stessa età del mio personaggio. E non ditemi che non è fascinosissimo (anche se poraccio, la calvizia incombe ç_ç)! É l'unico che pelato, pallido, e senza naso, è ancora più che affascinante. É per colpa sua se io mi sono innamorata di Voldemort. u.u” 
George ha quarantasette anni, è un genetista piuttosto famoso in quell'ambiente nonostante sia piuttosto giovane rispetto alla maggior parte dei colleghi, ed e vedovo da undici anni. Come avrete già letto sua moglie si è uccisa, e per ora non credo approfondirò la questione. Credo sia fuori dalle mie capacità parlare di un tema così delicato, finirei per offendere chi purtroppo, ha vissuto un'esperienza di questo genere, inoltre per ora non è pertinente con la storia. 

Anche Greta mi ha dato il mio bel daffare. Inizialmente non avevo proprio pensato a Sienna Miller, poi mi è capitata tra le mani una sua foto e boom! Una folgorazione! Volevo una biondina tutto pepe con i capelli corti e sbarazzini e...Eccola qua! La Miller però è piuttosto giovane, ha 29 anni e Greta 36, ma credo possa andare, che dite? :-) Anche Greta ha già un matrimonio alle spalle. é nata e cresciuta in Germania, dove ha conosciuto il suo ex marito, ricco uomo d'affari americato, molto più vecchio di lei, che al tempo era appena diciottenne. Rimase incinta poco dopo, e l'uomo si decise a sposarla, per riparare al "danno" e salvare le apparenze più che per amore. Sarebbe stata una cosa quasi lodevole se lui neanche due anni dopo non l'avesse abbandonata con un bimbo piccolo e una marea di debiti, fuggendo dalle sue responsabilità.


Quando ho cominciato a scrivere la storia, solo di tre personaggi avevo chiara in mente la fisionomia: Jace, Hannah e Daphne. Ed è proprio da lei che ho cominciato a costruire il Trio. Ero certa di volere Blake Lively ( Serena di Gossip Girl), è perfetta per essere Daphne. Alla fine, cercando delle sue foto, ho trovato dei photoshoot promozionali del film “ The  sisterhood of traveling pants”(credo che in Italia sia stato tradotto con “Quattro amiche e un paio di jeans”), e chi ci trovo? Alexis Bledel, la mia Hannie!
Quando ho dato uno sguardo anche alle altre due attrici (America Ferrera e Amber Tamblyn) ho visto che erano perfette per "interpretare" le altre componenti del Trio! Sono eterogenee al punto giusto! Ho avuto una fortuna pazzesca, lo riconosco!

Per il resto dei personaggi è stato piuttosto facile trovare dei prestavolto adatti. Thomas è stato da sempre Tom Sturridge, un po' perchè per me è un volto noto (l'ho utilizzato anche in un'altra storia) e mi ci sono affezionata, e un altro po' perché dai, diciamocelo, ce l'ha la faccia da snob arrogante! =P Allo stesso modo i gemelli Sanders sono sempre stati Lucas Till, perché volevo avessero un aspetto molto... “americano” e perbene, soprattutto per quanto riguarda Seth.

Non so ancora se Amanda avrà il volto di Megan Fox (sarà che ho proprio una certa antipatia per l'attrice in questione =P) o di Kaya  Scodelario, è difficile scegliere perchè sono entrambe belle ma in modo completamente differente. Vedremo chi la spunterà. 
Per la tata Eleanor e per il preside Miller invece, non ho proprio alcuna idea! Lettori miei, se vi viene in mente una attrice sui 60, bella robusta e con i capelli rossi, non esitate a contattarmi! :-P

S chan : XD ahahaha! Dai lasciami essere cattivella! Solo un pochettino!! =P Ora come ora il bimbo non so più se ci sarà, perché mi addentrerei su per un terreno impervio. Sconfinerei in un argomento particolarmente delicato. Io vorrei dare un lieto fine alla mia storia, e non so se la nascita di questo bimbo lo renderebbe possibile. Hannah non credo sopravvivrebbe alla cosa. (muhahahah questa è vera cattiveria, comincia a far congetture! XP)

Io adoro Greta, perché una mamma-non-mamma. Se hai letto gli scorsi capitoli avrai notato un certo accenno all'età in cui ha avuto Jace. Se fai due calcoli, a questo punto della storia ha... 36 anni!! é giovanissima!! Quindi mi è parso più coerente renderla una mamma molto moderna, anche troppo “amica” in alcuni momenti, tanto che spesso sembra essere Jace il più maturo tra i due.
37 pagine?? O.O” Oki, forse non sarei capace di arrivare a quel livello! Non ancora almeno! XD
Per quanto riguarda Tom, tranquilla, l'ho nominato solo alla fine del quarto capitolo, è comprensibile che non lo ricordi! Anche se rileggendo l'ultima parte del capitolo 7 mi sono accorta di aver fatto un casotto. É davvero confusionario! Prometto di rimetterlo a posto il prima possibile! :-( Arriveranno tutti gli approfondimenti del caso. Ho preferito dare la precedenza al rapporto tra i due protagonisti, e tra i protagonisti e i rispettivi amici, ma piano piano arriverò a parlare anche del padre di Hannah e della tata, e credo (ma non ne sono ancora sicura) anche del preside Miller e di qualche altro personaggio (ma ancora non ho ben chiaro in che termini).
Grazie ancora per i complimenti (secondo me immeritati =P). Finirò per montarmi la testa, lo so! T_T

Lea__91 : Il tizio che importuna Hannah l'ho gia nominato nel capitolo 4! =P Mi sa che Amanda ha monopolizzato l'attenzione! Come sempre! XD Povero Thomas! Puoi farmi tutte le domande che vuoi, a me fa piacere rispondere... Se posso senza fare spoiler, ovvio! =P
Seth è un personaggio a cui tengo particolarmente, è praticamente la trasposizione
al maschile
della mia migliore amica . Lo so è strano che una ragazza dia l'ispirazione per un personaggio maschile... =_=" Proprio come lei, Seth è una persona estremamente dolce, e ingenua. Forse per la sua estrema sensibilità, è sempre bisognoso d'affetto, per questo basta un gesto gentile per farlo innamorare. C'è stata anche chi ha approfittato di lui per arrivare a Jem, povero cuore (con grande sdegno di Jem stesso, bisogna dirlo)! Ma nonostante le batoste e le delusioni, lui non riesce a smettere di innamorarsi!
XD Non preoccuparti, so di essere banale ma a me piacciono i lieto fine, solo che mi diverto a strapazzare un po' i miei personaggi prima di arrivarci. Jace e Hannah dovranno passarne ancora parecchie, e come ho già detto non è Thomas il peggio che capiterà loro! Anzi, vedrete tra vari capitoli che non è male come sembra. é un ragazzo viziato, certo, e ferito nell'orgoglio, ma non è cattivo in se.  
I pensieri di Jace... Eh, credo di aver chiarito in parte proprio in questo capitolo! ^.*

Dayan18 : Grazie per i complimenti, è sempre stupendo sapere che ciò che scrivo riesce ad appassionare dalla prima all'ultima riga, spero continuerai a seguire la storia. :-)









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Capitolo 9
*** Capitolo 9. Al bivio. ***


Hopelessly devoted to you







Hopelessly Devoted To You <3

Capitolo  9. Al bivio.


Lei.
-E questo è tutto...- Disse Hannah, sospirando. Aveva appena terminato di riferire alle ragazze tutto quello che Jace le aveva raccontato il sabato precedente, ma su nessuno dei loro volti leggeva lo sgomento, la sorpresa, l' ira o l'incredulità che si sarebbe aspettata. - Ho l'impressione che voi foste al corrente di tutto.- Le fissò una ad una vagamente indispettita. L'avevano fatta parlare per venti minuti interi, mentre erano già a conoscenza di ogni particolare. Cominciava a pensare si divertissero a prenderla in giro a quel modo.
-Certo che si, visto che in questa storia siamo state coinvolte anche noi!- Esclamò Jaquie, come se fosse cosa ovvia che avessero parte in qualsiasi vicenda riguardasse Jace.
-Che significa?- Chiese lei di rimando, ritrovandosi a fissarla con aria perplessa.
-Significa che prima che succedesse tutto questo casino tra quei due, eravamo amici. Ed eravamo una bella crew, come direbbe Jem.- Rispose quella, ammiccando.- Daphne ed io conosciamo Tom dall'asilo. Sai come va in questo ambiente Hannie. Ci si conosce tutti tra rampolli dell'alta società! Sarà lo stesso anche in Inghilterra, no?- Aggiunse sarcastica. Hannah annuì, era vero, che volesse o no conosceva quasi tutti gli eredi delle migliori e più ricche famiglie del suo ambiente, in patria. - Per farla breve, quando hanno smesso di parlarsi dopo essersele date di santa ragione, abbiamo cercato di dividerci tra loro. Sai, è stato come se avessero divorziato e avessero ottenuto l'affidamento congiunto su di noi. Metà settimana con uno, metà con l'altro, e week end alternati. Ma la scuola era terreno neutro, non si parlava con loro due neppure sotto tortura. Non volevamo fare un torto a nessuno. Jace ha capito subito la situazione, e non si è lamentato...Beh, non che ne avesse motivo, era colpa sua! Ma Tom non la pensava allo stesso modo, siccome eravamo amici fin da bambini ha ben pensato avessimo l'obbligo di stare dalla sua parte. Lo stronzetto ha pensato che la nostra imparzialità significasse che davano ragione a Jace, ci ha accusato di aver sempre preferito lui e da allora non ci ha più rivolto la parola, preferendo quei cretini senza cervello della squadra di football, quelle teste vuote che lo seguono come cagnolini scodinzolanti e lo adorano incondizionatamente! Come se fosse un Dio! Un Dio? Altro che Dio! Lo prendere volentieri a calci in quel suo culo ossuto!- Jaquie si stava scaldando. Gesticolava furiosamente, e una volta o due rischiò di colpire accidentalmente Rose in pieno volto. Ma la ragazza schivava agilmente ogni colpo, ormai abituata ad avere a che fare con Jaquie e le sue mani, che come il corpo a cui stavano saldamente attaccate di stare ferme non volevano mai saperne.
-Jaquie calmati! Possibile che dopo due anni non ti sia ancora passata? Tom ha fatto la sua scelta, per quanto ci abbia fatto male, non è di certo insultandolo che cambierai le cose. - Molto calma, Daphne intervenne nel tentativo di arginare le reazioni sempre spropositate della compagna, e evitare che davvero Rose si beccasse un pugno in pieno volto.
-Beh di certo mi fa sentire meglio!- Sbottò l'altra, incrociando finalmente le braccia al petto. Erano così Daphne e Jaquie, una cheta come l'acqua, l'altra scoppiettante come il fuoco, la dimostrazione che gli opposti si attraggono.- Se Jace non ne vuole parlare con noi c'è un motivo, così come c'è un motivo se l'ha voluto raccontare ad Hannah. Un buonissimo motivo, direi. Vuole proteggerla, mi sembra evidente.- Riprese, stringendosi ancora un poco nel suo cappotto e rivolgendosi poi ad Hannah. - Sono certa che Jace non te l'abbia detto, ma è giusto che tu lo sappia, quanto meno perché tu possa capire cosa l'ha spinto a parlare di un argomento molto doloroso per lui. Quando fece a botte con Tom, lui gli promise che si sarebbe vendicato ripagandolo con la stessa moneta. Fino ad ora Jace non ha mai mostrato un interesse più... Marcato ecco, più marcato del normale per nessuna ragazza... Finchè non sei arrivata tu.- La fissò intensamente, i suoi occhi azzurri dicevano tutto senza che lei avesse bisogno di pronunciare una parola di più.
-Intendi dire che Thomas crede che Jace...? Suvvia è assurdo! Ci deve essere stato per forza un malinteso. Jace non è e non sarà mai interessato a me nel modo che lui intende. Questo è certo.- Disse con totale convinzione. Nel suo immaginario nessun ragazzo che fosse al livello di Jace, avrebbe mai potuto provare per lei sentimenti che andassero ben oltre l'amicizia. Era conscia di avere poche buone qualità, ma a parte un cospicuo patrimonio, non aveva nulla di più di qualsiasi altra ragazza al mondo. Anzi, alcune sue compagne, erano ben più ricche di lei. Si, si era convinta, c'era sicuramente stato un fraintendimento. - Dovrò parlargli, anche se non ne sono felice. Quel ragazzo mi terrorizza. Giusto Cielo, mi ha fatta seguire! Non c'è nulla di più spaventevole!- Esclamò rabbrividendo, e non per il freddo. - Ma ne varrà la pena. Sicuramente comprenderà, lascerà Jace in pace e smetterà di farmi seguire, ne sono certa.- Aggiunse poi, con insolita decisione.
Le ragazze si guardarono l'un l'altra sospirando e scuotendo il capo. L'ingenuità di Hannah a volte aveva davvero dell'incredibile.
Era un martedì pomeriggio freddo e nuvoloso. Un vento freddo si divertiva a colpire con violente sferzate i volti delle quattro adolescenti che per la prima volta tornavano a casa tutte insieme, camminando strette le une alle altre per proteggersi dal tempo inclemente. Jace era assente da scuola da due giorni, e Hannah ancora non aveva ancora trovato il coraggio di bussare alla porta dell'infermeria e chiedere alla madre del ragazzo che gli fosse capitato. La mattina prima era passata davanti a quella porta almeno una decina di volte, ma al momento di sollevare il pugno e bussare le mancava il coraggio e correva via trovando ogni volta una diversa scusante. Jaquie aveva parlato di un brutto raffreddore, o un'influenza, e lei s'era fatta bastare quella misera e vaga notizia, non senza domandarsi se fosse la cosa giusta da fare. Era preoccupata per Jace, sentiva la sua mancanza, e l'idea di lui solo soletto, magari rannicchiato a letto con un febbrone da cavallo e in preda ai deliri, mentre lei non aveva neppure il coraggio di andare ad informarsi sulle sue condizioni, le era appena sopportabile. Ma poi le tornavano in mente le sue parole, ciò che le aveva raccontato, ciò che aveva fatto a Thomas. Non riusciva a crederci, non poteva credere che il ragazzo ,sempre così gentile e attento ai sentimenti altrui, avesse potuto fare una cosa del genere, e non ad una persona qualsiasi, ma al suo migliore amico.
Si chiedeva se non fosse capace di fare anche a lei un simile sgarbo, se non fosse capace di tradirla e umiliarla, e magari fingere poi rimorso e pentimento davanti alla sua prossima vittima. Aveva paura di Jace e di quel che di lui non poteva prevedere: le sue scelte future. Non era l'essere pubblicamente umiliata a sembrarle tanto grave, poteva passarci sopra se l'alternativa era esserne ferita. Per tutta la considerazione che nutriva nei suoi confronti, per l'affetto e quella strana sensazione che provava vicino a lui e a cui aveva dato il nome di devozione, lei non se ne sarebbe più ripresa. Non l'avrebbe sopportato, e lo capiva benissimo, anche senza le maliziose battutine delle ragazze e le loro illazioni senza fondamento.

A casa, la tata l'aspettava in salotto, già pronta per il tradizionale tè delle cinque.
-Non perché siamo finite in un luogo privo di tradizioni civili, dobbiamo rinunciare alle nostre più sacre usanze.- Le diceva sempre, anche se sapeva benissimo non essere assolutamente vero. Il patriottismo la rendeva cieca. Ciò non piaceva ad Hannah, che cominciava ad apprezzare gli Stati Uniti per la libertà di cui li godeva, per le diverse culture e ambienti sociali con cui poteva venire a contatto e per tutto ciò che di positivo una metropoli come New York poteva offrirle, amiche come il Trio, e soprattutto Jace. Ma l'affetto che provava per la domestica era grande quanto basta per poter passare sopra qualsiasi suo difetto.
Eleanor non amava l'America, sarebbe stato palese anche per un cieco. Nonostante dopo il loro trasloco potesse stare più vicina alla sua unica parente in vita, una sorella minore, che abitava a Brooklyn dove possedeva una boutique di moda o qualcosa di simile, non poteva darsi pace. Era stata educata a vedere in tutto ciò che viene dagli Stati Uniti una mera imitazione dello splendore e dalla potenza dell'amata patria, e questo principio aveva cercato d'inculcare anche in Hannah, ma con scarsi risultati. Non riuscendo a muovere alcuna critica contro la sua pupilla, sempre così buona, obbediente, educata, e affettuosa, aveva decretato che era tutta colpa di una qualsiasi cosa a caso, non certo di Hannie, il suo caro angioletto, se lei non nutriva la sua stessa devozione per la Gran Bretagna. I giovani d'oggi hanno il mondo per patria, soleva dire con un certo rammarico.
Quando Hannah la raggiunse, dopo essersi levata l'uniforme, averla riposta con cura e aver indossato degli abiti più comodi e consoni ad un pomeriggio in casa ad oziare, Eleanor si stava versando la sua seconda tazza di tè. Sul tavolino del salottino stava posato un bel vassoio in argento, su cui spiccava un piattino in ceramica bianca cosparso di briciole.
-Tata...- Mormorò la ragazza, sollevando il piattino con tono ammonitore. - Il medico ti ha proibito i biscotti, soprattutto quelli al burro. Scommetto che erano quelli con le gocce di cioccolato. Ne va della tua salute. Devi moderarti.- Si diresse in cucina, e prese qualche altro biscotto che posò sul piattino che non tornò però sul vassoio. Lo tenne sulle ginocchia per tutto il tempo, proteggendo il gustoso tesoro dalle grinfie della golosa scozzese.
-Suvvia cara, ne ho mangiato giusto uno... O cinque...- Borbottò a mò di giustificazione, mentre le porgeva una tazza colma della fumante bevanda. - Con un goccio di latte e due zollette di zucchero, come piace a te.- Disse con un sorriso.
-Grazie. Non cercare di cambiare argomento però. Devi stare attenta, il dottor Hamilton te lo diceva sempre, il colesterolo non va sottovalutato.- Aggiunse seriamente, prendendo la tazza che le veniva porta dal suo piattino. Prima di assaggiare il suo té, cominciò a smangiucchiare uno dei biscotti. - Se ti dovesse succedere qualcosa... No, non voglio affatto pensarci.- Sbottò infine, scuotendo con forza il capo.
-Avresti sempre tuo padre. Ne abbiamo parlato spesso, Hannie. Io sono solo la governante in casa Barnes, anche se ti ho cresciuto, ti ho amato e ancora ti amo come se fossi figlia mia. Ma sono sempre una dipendente,e non è bene che la figlia del padrone si mostri così affettuosa nei miei riguardi.- Era un discorso che riproponeva spesso, durante le loro chiacchierate, forse solo per esorcizzare la realtà e le convenzioni che le volevano divise, mentre loro erano più unite che mai. Eleanor per Hannah era a volte madre, a volte vecchia zia zitella e pure un poco acida, a volte saggia nonna, però sempre amica e confidente. Quella era l'unica regola che amava trasgredire, la sua tata non sarebbe mai stata soltanto una dipendente, non per lei. Quando non avesse avuto più bisogno delle sue cure, sarebbe stato il suo turno di prendersi cura della donna, fino all'ultimo istante della sua vita, che Hannah si augurava giungesse il più tardi possibile.
-Proprio per questo non ti posso permettere di mettere a rischio la tua salute. Sai benissimo che per mio padre non sono proprio tra le priorità, nella sua vita.- Replicò Hannah, con totale indifferenza. Eleanor non replicò affatto. Non poteva darle torto. George Barnes non era mai stato un esempio di padre attento e premuroso nei confronti della propria prole.
-Allora, come è andata la giornata? Hai parlato con quel tuo amico?- Chiese dopo un breve silenzio, cambiando argomento. Ovviamente le aveva raccontato tutto di quel sabato pomeriggio
-Jace? No, era assente anche oggi. Jaquie gli ha telefonato, dice di aver preso freddo durante il week end e d'aver preso un'influenza.- Disse, prima di dare un piccolo morso ad un biscotto.
-Quindi non hai parlato neppure con sua madre? Sarebbe cortese da parte tua se t'informassi sulla sua salute.- Asserì la donna, posando la sua tazza vuota sul bel vassoio, lucido come uno specchio.
-Io... Veramente mi piacerebbe potere andarlo a trovare.- Hannah arrossì. Aveva paura la tata l'avrebbe per quell'assurda idea e trovato sconveniente una simile eventualità. Per la corpulenta sessantenne l'idea della sua dolce bambina sola nella stanza di un “uomo” sfiorava l'indecenza. Certo ai suoi tempi era diverso, ma anche lei tanto tempo prima aveva avuto sedici anni, e con orrore immaginava cosa sarebbe potuto succedere. Esattamente ciò che era successo a lei.
-Se sua madre ti invitasse, ti accompagnerei volentieri, e potrei portargli del brodo di pollo, fatto seguendo la ricetta della nonna Josephine, pace all'anima sua. - Da fervente cattolica quale era, si fece il segno della croce e volse gli occhi al cielo. - é una manna per il raffreddore.-
-E se non lo facesse? E se...- Deglutì nervosamente. - E se le chiedessi io di poterlo vedere? Credi che sarebbe offensivo?- Chiese titubante. Aveva visto solo di sfuggita la madre di Jace, e le pareva un tipino particolare. Non riusciva ad immaginare quale sarebbe stata la sua reazione ad una simile richiesta.
-Oh cielo, offensivo no di certo! Ma preferirei se non imponessi la tua presenza se non richiesta o ancor peggio non gradita. Sai come la penso a riguardo. Mio padre diceva che gli ospiti sono come il pesce, dopo due giorni cominciano a puzzare. Non voglio che qualcuno possa pensare questo di una Barnes. Non è decoroso.- Replicò Eleanor, volendo rassicurarla ma allo stesso tempo ammonirla.
-Già.- La giovane sospirò. Terminò la sua tazza di té e mangiò i biscotti rimasti. La tata le prese dalle mani tazza e piattino, posandoli sul vassoio che poi in silenzio portò in cucina, lasciando Hannah sola nel grande salotto. Nel seguirla con lo sguardo, notò qualcosa di diverso nella stanza. Su un tavolino, su cui faceva bella mostra di se una splendida lampada, mancava qualcosa. Una antica cornice in argento che conteneva la foto di sua madre. Era una delle poche immagini della defunta Signora Barnes che si potessero trovare in casa.
-Tata... Dov'è finita la foto della mamma?- Le chiese, raggiungendola in cucina.
-Quella sul tavolinetto intendi? Oh, tuo padre l'ha spostata, borbottando qualcosa sul fatto che quello non fosse il posto adatto. Credo l'abbia messa nel suo studio.-
-Capisco...- No, in realtà non capiva, non del tutto. L'unica cosa che vedeva chiaramente era che suo padre pareva vergognarsi di quella giovane moglie persa così tragicamente e volesse farle scordare sua madre levandole pure quei pochi ricordi che di lei possedeva. Sarebbe andata a cercare quella foto, e l'avrebbe riposta al suo posto, alla vista di tutti, dove meritava di essere, nonostante il modo in cui Zara aveva deciso di lasciare questo mondo.


***

Con molto imbarazzo aveva detto alle ragazze di non aspettarla per la pausa pranzo quella mattina, perché aveva “qualcosa di importante da fare”. Jaquie l'aveva tempestata di domande, curiosa com'era, ma Daphne aveva ben pensato di trascinarla via prima che costringesse Hannah ad aprire bocca con un paio di tenaglie, tacciandola d'essere una pettegola e suggerendole caldamente di farsi i fatti suoi, una volta tanto. Ed ora eccola là Hannah, impalata davanti alla porta dell'infermeria, troppo vigliacca per sollevare una delle sue delicate manine, chiuderla in un pugno e bussare, quasi avesse paura che ognuno di quei gesti insignificanti potesse potesse prosciugarle tutte le forze o portare a conseguenze catastrofiche.
Giusto Cielo Hannah! Sei una Barnes! E i Barnes non si fanno intimorire da niente! Si disse annuendo a se stessa con convinzione, cercando di infondersi un po' di coraggio. Prese un profondo sospiro, e gonfiando il petto come se si preparasse a fronteggiare la propria personale nemesi bussò alla porta, cui vetro coperto da una squallida avvolgibile vibrò sotto i suoi deboli colpi.
Quando la maniglia si mosse fece un salto indietro. L'intenzione era quella di scappare a gambe levate, alla faccia del buon nome e dell'orgoglio dei Barnes. Per sua fortuna, non fu abbastanza veloce.
-Si? Oh, salve tesoro, qualcosa non va?- Sollevò lo sguardo, posandolo sulla donna che le aveva aperto e che ora le stava davanti. La madre di Jace le parve bellissima, vista così da vicino. Avevano gli stessi occhi grigi screziati d'oro loro due, sebbene il taglio fosse diverso e le ciglia di lei fossero più lunghe e folte, e lo stesso sorriso allegro, capace di conquistare e rallegrare anche l'individuo più cupo e triste. Eppure le sue labbra, rese lucide da uno strato di lucidalabbra, erano più piccole e carnose di quelle del figlio. Era alta quanto Hannah, con corti capelli d'un biondo così chiaro da avere dei riflessi argentei alla luce del sole. Il taglio poi era davvero particolare, così stravagante con quella lunga frangia a coprire tutto il lato destro del volto e piccole ciocche sfilacciate sparate qui e li sulla nuca. Una capigliatura che non ci si aspetterebbe di veder portare da una madre. Sotto il lungo camice bianco bianco spuntavano jeans skinny e allstar d'un accesissimo verde smeraldo. Viste da lontano, le avrebbero sicuramente scambiate per coetanee.
Osservandola nell'insieme, si chiese se non ci fosse stato un fraintendimento di fondo. Forse si era sempre sbagliata, e quella donna che ora fissava inebetita, la stessa che spesso aveva visto chiacchierare con Jace nei corridoi, non fosse che un'assistente dell'infermiera, o un'infermiera più giovane e notevolmente attraente. Forse aveva aver frainteso i discorsi del Trio, doveva essere così, perché non poteva credere che Greta, così giovane e bella, potesse essere davvero la madre di un diciassettenne. Con quel fisico così asciutto poi, era difficile credere addirittura che fosse mai stata incinta.
-Ahm...- Hannah deglutì rumorosamente, prima di riuscire ad aggiungere qualche parola a quel verso inarticolato. - La... La... Signora Stein?- Chiese, quasi balbettando.
-Sono io cara, vieni entra pure.- La fissò senza vergogna, con le labbra spalancate a formare una piccola O. La donna le posò dolcemente una mano sulla spalla, ridendo ed insieme spingendola ad entrare. - Lo so, faccio sempre questo effetto!- Aggiunse, facendole un occhiolino.

La ragazza si guardo intorno. Tutto era immerso in un silenzioso ovattato ora che la porta chiusa le separava dal frastuono del corridoio. Non c'erano finestre, ma solo una lampada al neon ad illuminare il luogo, che eppure era luminosissimo grazie all'arredamento rigorosamente bianco brillante, che rifletteva il più pallido raggio di luce, amplificandolo. Inoltre rendeva l'infermeria un luogo apparentemente asettico e freddo, molto impersonale, reso più accogliente solo da alcuni tocchi di colore qui e la. In quei particolari si poteva notare il tocco della donna, tracce del suo particolare ed esuberante carattere. La scrivania, relegata in un angolo, era piena di foto, post-it colorati, penne bizzarre raccolte in un una specie di tazza in terracotta mal riuscita e tutta sbilenca da un lato, ancor più bizzarra. Non ne fu sorpresa come sarebbe stata di solito, in fondo era della donna che aveva cresciuto Jace che si trattava, e non l'aveva mai immaginata come il prototipo di madre perfetta, tutta intenta a preparare biscotti con un grembiule a quadri legato in vita e i capelli sempre in piega. Magari con qualche anno in più e qualche ruga a segnarle il volto, questi si.
Quelle macchie di colore sgargiante venivano nascoste al resto dell'infermeria da una tenda, anch'essa bianca, che all'occorrenza copriva completamente la metà della stanza occupata da due lettini, un armadio in metallo e un altro mobiletto che poteva vedere, attraverso i vetri degli sportelli, fosse ricolmo di garze, cerotti, bende e due grossi cofanetti verdi, probabilmente due kit di pronto soccorso. Alcune confezioni di cerotti erano coloratissime, e spiccavano tra i bendaggi bianchi
Cerotti per bambini? Si chiese, corrugando la fronte.
-Allora Hannah, sdraiati su uno dei lettini e dimmi cosa c'è che non va. Non devi stare bene,vero? Sei piuttosto pallida.- Disse, prima di voltarsi a chiudere la porta a chiave.
La ragazza non si era affatto accorta, distratta com'era a guardarsi intorno, che la donna l'aveva chiamata per nome, e siccome non le aveva affatto risposto, Greta la chiamò ancora.
-Hannah?- La ragazza rabbrividì e si voltò. Il silenzio rendeva ogni rumore suadente, anche la vocetta un poco stridula della donna, provocandole quei brividi lievi di piacere che partono dalla nuca fin giù, lungo tutta la schiena.
-Come...Fa a conoscere il mio nome?- Chiese sorpresa, rimanendo impalata nel bel mezzo dell'infermeria, con le braccia pendenti lungo i fianchi, immobili.
-Tesoro, sono l'infermiera. E un'infermiera piuttosto pettegola, se devo essere sincera!- Rise, incrociando le braccia al petto. Si avvicinò alla scrivania e si sedette con le gambe a penzoloni. - E ancor prima sono la madre di Jace, come potrei non conoscerti, quando lui mi parla tanto spesso di te?- Aggiunse, e il suo sorriso si fece appena malizioso, solo per pochi istanti, tanto che Hannah non se ne rese conto. - A proposito, dammi del tu, ti prego!-
-Oh.- Fu tutto ciò che la ragazza riuscì a replicare, prima che Greta riprendesse a parlare. Erano proprio madre e figlio lei e Jace, lo si notava se non per l'incredibile somiglianza, per l'impareggiabile loquacità.
-Già, comprendo l'imbarazzo, ma vedi, sono comunque l'infermiera, quindi se c'è qualcosa di cui mi devi parlare, se non ti senti bene... - La fissò sgranando gli occhi.- Oh, ho capito! - Si batté una mano un fronte, e agile saltò giù.- Sei in quel periodo “particolare” del mese! Ma certo, che stupida come ho fatto a non capirlo subito. Non sai quante ragazze vengono da me con questo piccolo problema.- Corse dietro alla scrivania, cominciando a rovistare sul piano, tra fogli, foglietti, cartelle e cianfrusaglie varie.- Il ciclo mestruale per alcune è una vera maledizione! Ti cerco subito qualcosa per alleviare il dolore... Oppure ti serve un assorbente? Sempre se trovo le chiavi... Maledette...- Borbottò irritata, poi si chinò e aprì un cassetto da cui tirò fuori il mazzo di chiavi tanto cercato. - Oh, eccole le fuggitive!- Rise, tenendole sollevate tra indice e pollice. Hannah la fissò esterrefatta. Quella donna, una totale sconosciuta che per giunta era la madre di Jace, le stava parlando di ciclo mestruale? Per davvero aveva pronunciato quelle due imbarazzanti parole? Era vero,e non riusciva a capacitarsene. Hannah ne fu sconvolta. Forse se avesse avuto una madre con cui poter fare certi delicati discorsi, non avrebbe avuto una simile reazione, purtroppo aveva solo la tata che evitava tali argomenti come i gatti evitano l'acqua. Cominciò a sentire un gran caldo, come se qualcuno le avesse dato fuoco al volto, tanto era l'imbarazzo.
-N-no... No..I-io...Io volevo...- Trovò la forza di balbettare, prima che la situazione potesse degenerare e diventare ancor più imbarazzante di quanto già non fosse. - Io volevo solo... So-solo sapere come sta Jace...-
Greta si fermò di colpo a fissarla con tanta intensità che Hannah incassò istintivamente il capo tra le spalle, aspettandosi una ramanzina per essersi interessata della salute del ragazzo solo dopo la bellezza di tre giorni. Greta invece le venne incontro e l'abbracciò di slancio, lanciando via le chiavi che caddero con un tonfo sulla scrivania.
Ha il suo stesso profumo... Fu la prima cosa che Hannah pensò, ancor prima del rendersi conto che era la stessa donna che un minuto prima le parlava senza vergogna di assorbenti ad abbracciarla. Una cosa decisamente bizzarra.
-Oh, finalmente! Sono così felice che sia venuta a chiedermi di lui!Era ora! Mi domandavo quando l'avresti fatto!- La lasciò andare e le prese il volto tra le mani. - Mio Dio Hannah, sei hai un volto così bello, e che occhioni! Tutte le amiche di Jace sono così belle che finirò per sfigurare!- Borbottò mettendo su un broncio infantile ma divertente. Impiegò meno di mezzo secondo a cambiare espressione e farsi seria. Tutti questi repentini cambi d'umore stordivano la ragazza, che non aveva mai incontrato nessuno di tanto lunatico ed instabile. -Il nostro baldo giovane sta peggio di quel che temevo, stamattina il medico l'ha visitato, e a quanto pare ha preso una bronchite. Nulla di grave, ma dovrà stare a casa per almeno una decina di giorni ancora, se tutto va bene.- Strinse le spalle, sospirando. - Negli ultimi giorni è stato intrattabile, così nervoso, il che è strano, di solito smania per ammalarsi e poter stare a casa a poltrire! Sono certa gli farebbe molto bene se tu lo chiamassi. Da quando ti frequenta, mi sembra sia più sereno. - Disse infine, simulando totale ingenuità. Dovette essere parecchio convincente perché Hannah non intuì affatto che ella sapeva benissimo cosa era successo tra loro il sabato precedente. In quel momento la campanella suono, e Hannah scatto immediatamente verso la porta, afferrando la maniglia e tirando. Una volta... Due volte... Tentativo di fuga fallito. La porta era ancora chiusa a chiave.
-Io... Devo andare... La campanella...- Borbottò, senza voltarsi. Intanto la sua mente lavorava freneticamente. Telefonargli, aveva proprio detto che gli avrebbe fatto piacere se avesse chiamato. Cercò di non focalizzarsi sul sollievo che quelle parole le avevano dato, perché lei non voleva telefonargli, doveva vederlo. Anzi non doveva, non era un obbligo, lei voleva vederlo. Ma l'invito da parte della donna non era arrivato, anzi le si era avvicinata e facendo scattare piano la serratura, le aveva aperto la porta.
-Calmati tesoro, nessuno ti condannerà a morte se per una volta farai cinque minuti di ritardo. In caso, mandali da me, intesi? Questioni tra donne, sono le tre paroline magiche che risolvono ogni problema. - Le sorrise, afferrandole delicatamente il mento con una mano e costringendola a voltarsi. La fissava dritto negli occhi, con i suoi così simili a quelli di Jace che Hannah ne fu inspiegabilmente scossa da capo a piedi. - Mi farebbe piacere chiacchierare con te, Hannah. Mi piace poter conoscere le amiche e gli amici di mio figlio, sono sempre persone molto particolari e fuori dalla norma. Persone da cui imparare qualcosa. Ma in te c'è qualcosa di più, lo sento. - La lasciò andare ritraendo piano la mano, e Hannah si precipitò fuori dall'infermeria. - Buona giornata, spero di rivederti presto, e non in infermeria!- Aggiunse, sorridendole ancora, per nulla offesa dal modo in chi la ragazza stava letteralmente scappando da lei, senza neppure un saluto di commiato. Hannah vide la porta chiudersi,e rimase li, a fissarla, nel corridoio deserto e silenzioso come lo era la stanza che aveva appena lasciato. Cominciò ad incamminarsi verso l'aula di biologia, senza smettere un attimo di pensare e ripensare.
Amica. Lei per Jace era un'amica, o perlomeno suo madre la credeva tale. Era ciò che le sarebbe bastato essere per lui. Un'amica tra le tante sarebbe stato perfetto, né più né meno importante di nessuna delle altre, non pretendeva null'altro. Ma non si stava comportando come tale. Si rese improvvisamente conto che desiderava con tutta l'anima potersi fidare di lui, dimenticare ciò che lui le aveva raccontato, ciò che aveva fatto e i dubbi su ciò che avrebbe potuto fare ancora in futuro. Cominciò a chiedersi se il passato in fondo non fosse che passato, se è vero che si impara dagli sbagli e se Jace aveva imparato dai propri, se non dovesse prendere il racconto di lui per quel che era: una sincera confessione, lusinghiera per giunta, perché significava che per lui era in qualche modo importante, che teneva a lei tanto da voler essere sincero fino allo spasimo, che per esserle amico era disposto a scoprirsi totalmente, mostrandole pregi e difetti, raccontandole di vittorie e sconfitte passate.
E poi si parlava di Jace, di quello stesso Jace che aveva fatto voto di silenzio affinché lei gli parlasse, quello stesso Jace che l'aveva spinta ad aprirsi verso il prossimo, quello stesso Jace che l'aveva coinvolta nella sua vita, accolta tra i suoi più cari amici, che si fidava di lei e per lei aveva sempre un sorriso. Una persona così, non meritava forse la sua fiducia più di tutti gli altri? Non meritava la possibilità di dimostrarle che aveva commesso solo un grosso errore di percorso? Si chiese chi altro potesse meritare una seconda occasione, se non Jace.
Si fermò nel bel mezzo del corridoio, e si voltò piano. Vedeva ancora la porta dell'infermeria, ancora chiusa, e con essa un'opportunità, quella di sbagliare per amore di un amico, sbagliare ed essere felice. Dall'altra parte, l'aula di biologia, la sua lezione, il dovere, la regola da non infrangere, il rifiutarsi di seguire ciò che il cuore le urlava a gran voce di fare. Hannah non amava il rischio, e l'errore nella sua esistenza non doveva essere neppure contemplabile, ma quella volta, davanti ad un bivio, scelse la strada più tortuosa, la strada sbagliata, paradossalmente la più giusta per lei. Non sapeva dove quel cammino l'avrebbe portata, ma voleva percorrerlo fino in fondo. Qualcosa in lei era scattato e aveva preso il sopravvento, prima che la ragione potesse porre un freno a quella scintilla di istintività, tornò sui suoi passi, veloce, quasi in una corsetta. Di nuovo davanti alla porta dell'infermeria, bussò. Quando Greta aprì la porta, sforzandosi di sostenerne lo sguardo disse, ansante per la tensione che le serrava la gola. - La prego, lo faccia, la scongiuro! Mi inviti ad andare a fare visita a Jace!- Per la prima volta in vita sua non le importò di essere additata come maleducata e invadente. Se per Jace, l'avrebbe sopportato.


L'angolo dell'autrice: 

S chan : Innanzi tutto, ci tengo a fare qualche precisazione sulla questione dei volti. Li ho inseriti 1) perché mi intriga un sacco photoshoppare XD e non ho resistito alla tentazione di fare dei piccoli lavoretti. 2) per dare ai lettori un'idea di come io immagino i miei personaggi, o quali volti mi hanno ispirato in alcuni aspetti. Non ho scelto questi attori e attrici perché “fa figo” (altrimenti avrei usato solo gli attori di Twilight che ormai sono in ogni dove =_=) o perché sono fan di uno o dell'altro e dovevo infilarcelo a forza da ogni parte. Trovo giusto (e personalmente molto stimolante e piacevole per me come autrice) che ogni lettore immagini a modo suo Hannie, Jace, e tutto il resto della combriccola. É come se facendo questo il lettore lodasse me e il mio lavoro, perché la Noony lettrice se non viene coinvolta dai personaggi e dalla loro storia, non si sforza neppure di immaginarseli. :-)

Detto questo... Eeeeeh! Jace stava diventando un Gary Stu a tutti gli effetti, dovevo creargli degli imbarazzanti precedenti e dei difetti. E a dirla tutta lo preferisco così, imperfetto come ogni altro diciassettenne! Non preoccuparti, Hannah non si rende conto di essere un'anima pura e ingenua rispetto ai suoi coetanei, non giudica ma si sorprende alquanto quando qualcuno compie delle azioni che ha sempre ritenuto sbagliate e che si vergognerebbe di compiere (e lei si vergogna decisamente di troppe cose). E poi è di Jace che si sta parlando, probabilmente non riuscirebbe a giudicarlo neppure se fosse colpevole di omicidio.

Mia madre mi ha avuto che aveva appena ventitré anni... ed è sempre stata una pazza(in senso buono eh XD)! O.O” Certo quando c'è bisogno che faccia il genitore lo fa, ed è pure piuttosto severa, ma per il resto, a volte sembra più un'amica. É lei che il sabato sera esce e io che l'aspetto alzata, solo per avere il gusto di dirle “beh? Ti sembra questa l'ora di rientrare??” XD Si compra una marea di vestiti e non sa mai che mettersi, spenderebbe milioni in scarpe che poi metterà solo una volta, va ai concerti con le amiche e appena può si fa i week end fuori con mio padre. Insomma fa quel che alla mia età non ha potuto fare perché era già madre e moglie, come era la norma allora. Come hai detto tu, si tratta di situazioni diverse, di contesti diversi e in gran parte di carattere e educazione diversa. D'altronde il mondo è bello perché è vario no? ^.*
Grazie grazie grazie per i complimenti, che mi emozionano sempre (quando vedo un nuovo commentino mi gaso sempre tantissimo *_*), non posso prometterti di accorciare i tempi di aggiornamento, ma cercherò di finire questa storia, perché mi spiacerebbe lasciare a metà qualcosa a cui tengo e deludere i miei pochi fedeli lettori. :-)

irisdools : Grazie! Sono felice ti sia piaciuta quella scena, perché è forse il pezzo che mi ha coinvolto di più mentre lo scrivevo e ci tenevo che venisse bene. :-)

Lea__91 : Recensire non è un obbligo (anche se all'autrice fa piacere ricevere le vostre recensioni XD) quindi non scusarti mai di non aver recensito subito o affatto. É giusto e normale che ci siano delle priorità, e tra queste non ci deve essere il recensire ad ogni costo. :-) Io per prima è molto raro che recensisca più di una volta la stessa storia e prima che questa sia terminata (anche perché le volte che l'ho fatto le storie, escluse alcune, hanno perso in qualità e sono diventate magari pure squallide, facendomi pentire dei complimenti fatti all'autrice/tore e alla storia in se... Ma questa è un'altra storia). Comunque capisco, io a parte la salute che va e viene (l'ansia è una brutta bestia credetemi), sto studiando per la patente, per due esami, e sto partecipando a due laboratori, quindi posso capire quando dici che hai pochissimo tempo. Il capitolo 8 l'ho scritto tutto la notte, ogni notte dopo l'una mi mettevo a scribacchiare qualche riga. Visto che l'ansia non mi faceva dormire ne ho approfittato! XD Ottimizzazione dei tempi, è questo il mio motto! XD
Detto ciò... Sai che cominciavo a preoccuparmi?? Per te intendo! Ho avuto paura che ti fosse capitato qualcosa, sai un'influenza, un piccolo incidente (tocca ferro \m/ ), qualcosa!! Poi alla preoccupazione è subentrata la paranoia, e ho cominciato a chiedermi, “oddio, ma avrò scritto un capitolo così penoso che pure quella santa donna di Lea si è ben guardata dal recensire??”
Invece fiuu... *sollievo* Eccoti qui! Sono felicissima di sapere che sei viva, vegeta e spero in buona salute. :-)
Ehehehe ma Jace è tenerosissimo e non si vergogna ad ammetterlo e dimostrarlo *_*.  Ancora una volta mi sono ispirata a una persona per me importante, il mio fidanzato, che ha passato tutta la settimana scorsa, e passerà pure le feste chiuso in casa con la febbre. T_T Ho pensato che Jace potesse fargli compagnia e condividere la sua stessa sorte, anche perché anche lui ora sta leggendo questa storia! (che vergogna ma chi me l'ha fatto fare a dirgli che stavo scrivendo =_=). Anche se penso che sotto sotto lui abbia una cotta per Greta... U.U” Mica scemo!
Grazie ancora per i complimenti, ogni volta non riesco a capacitarmene, e spero che la tua opinione sulla trama non cambi neppure in futuro, quando ci saranno degli eventi che rivoluzioneranno completamente la storia di Jace e Hannie.


Che dire, stavolta sono stata velocissima, mi sorprendo da sola! XD Ma è capitato solo perchè avevo già ben chiaro cosa scrivere, non facciamoci illusioni! Spero di riuscire a postare un altro capitolo entro metà aprile, perchè la seconda metà del mese per me sarà di fuoco e fiamme. Volevo lasciarvi un regalo di Pasqua,ecco.
Buone feste a tutte, scartate uova, mangiate cioccolato, colomba, e qualsiasi leccornia, alla faccia della linea e delle modelle anoressiche! E se ve lo dice una che pesa 43 kg e che mangerà come una morta di fame! Ya-uuuuuuh! XD








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Capitolo 10
*** Capitolo 10. Dieci giorni per conoscerci. ***


Hopelessly devoted to you







Hopelessly Devoted To You <3

Capitolo  10. Dieci giorni per conoscerci.


Lui.

L’aveva sognata. Forse era colpa della febbre, forse di quella complicata situazione, oppure era solo il fatto che gli mancava più di quanto avesse creduto e voluto, ma l’aveva sognata e non riusciva a capacitarsi di quanto nei suoi deliri onirici lei potesse apparire così dannatamente sexy. Gli aveva sorriso per tutto il tempo, le labbra gonfie e rosse come ciliegie, gli occhi azzurri vispi e pieni di malizia, i lunghi capelli scuri sparpagliati sul suo cuscino, un braccio pigramente piegato dietro il capo in una posa addirittura lasciva, a lasciargli intendere come fosse disponibile ad essere avvicinata, toccata, amata. Jace provò ad allungare una mano a sfiorarla, ma quella sensuale visione si dissolse al primo tocco. Il ragazzo tornò ad aprire gli occhi e si scontrò con la dura realtà: non c’era Hannah, eccitante e sprizzante desiderio, accanto a se, ma sua madre, che tentava invano di sistemargli un termometro sotto un braccio senza disturbarne il sonno.
-Oh no, accidenti ti ho svegliato. Mi dispiace tesoro. Ti misuro la febbre e ti lascio tornare a dormire, okay?- Mormorò Greta, con una mano gelida ancora sotto la felpa del ragazzo, intenta a sistemare il termometro, o perlomeno a tentarci.
-Non voglio riaddormentarmi…- brontolò lui, allontanandone la mano con uno scatto nervoso e sistemandosi da se il termometro prima di voltarsi su un fianco, dandole le spalle. – Ho fatto un sogno orribile.- Mentì. Non era stato affatto orribile, ma lo faceva sentire orribilmente. Si coprì con le coperte fin sopra le orecchie, cercando di scomparire sotto il copriletto dai disegni geometrici, un ipnotico motivo a zig zag dai colori vivaci.
La visione di Hannah, così donna e così sensuale, era svanita lasciando dietro se solo una grande eccitazione, tanta confusione e una salutare dose di vergogna. Jace si sentiva colpevole come se avesse profanato qualcosa di immacolato, non poteva credere d’averla tirata dentro ad uno dei suoi sogni sbomballati dagli ormoni. Ma la cosa che non riusciva proprio a perdonarsi era che una parte di lui desiderava che quel sogno fosse reale, o che perlomeno che potesse avere anche una sola opportunità di farlo diventare realtà.
-Non credevo avessi ancora bisogno della tua mamma dopo un brutto sogno, non alla tua età!- Greta rise canzonandolo, ma gli si sdraiò accanto carezzandogli la testa con fare dolce e consolatorio. Jace a quel gesto sembrò voler sprofondare ancor di più sotto le coperte. Quelle carezze sapevano di punizione, poiché non c'è nulla di peggio della dolcezza quando ci si sente guasti dentro.
-Beh...Non era esattamente un brutto sogno. Non chiedere altro. - Non poteva parlargliene, anche se fino a quel momento le aveva sempre confidato ogni pensiero e ogni dubbio che l'avesse sfiorato. Fino a quel momento niente era mai stato troppo imbarazzante perché non potesse raccontarglielo. Non era solo l'imbarazzo a farlo tacere, era il sentire quelle immagini come qualcosa di intimo, troppo personale anche per riuscire a parlarne con lei. Non credeva che qualcuno potesse comprendere con quale intensità queste si erano andate a fissare nella sua testa. Sperava si affievolissero, diventando reminiscenza vaghe e evanescenti ma quelle, testarde, erano ancora li. Ogni volta che chiudeva gli occhi la rivedeva, la sua figura nitida e invitante come se fosse davvero davanti a lui.
-Oh! Abbiamo fatto un sogno molto interessante allora! Sai tesoro, i sogni sono solo... Sogni! Non è che debbano sempre avere un significato nascosto. Quindi di qualsiasi cosa si tratti non dovresti dargli troppa importanza. Freud non può avere sempre ragione no?- la donna si mise a sedere, senza smettere di accarezzarlo. Jace ebbe la sensazione che volesse in qualche modo cullarlo.- Dì, che ne dici di darti una rinfrescata? Ho la sensazione che riceverai visite. - Il ragazzo si voltò a fissarla, corrugando la fronte, palesemente irritato dal solo pensiero di dover abbandonare il suo bel letto comodo. Le tese in malo modo il termometro. Greta lo prese delicatamente tra pollice e indice, storcendo il naso. - Ahi! Trentanove gradi tondi tondi. Non ci facciamo mancare niente, vedo. Beh...- sospirò. - Potresti almeno lavarti la faccia!-
-Perché dovrei farlo? Sto male, ho il sacrosanto diritto di puzzare come una capra!- Replicò lui, scocciato. - E perchè dovrei farlo per Seth e Jem? Sono gli unici che verrebbero a trovarmi.- Chiese ancora, tornando a voltarsi. Non aveva voglia di vedere i ragazzi. In realtà non aveva voglia di vedere nessuno che non fosse Hannah, nonostante le immagini di quel sogno lo facessero impazzire.
-Non parlo di loro! Okay, non volevo dirtelo, volevo che fosse una sorpresa ma... Non riesco a trattenermi: non indovinerai mai chi è passata in infermeria stamane! No dico, non lo indovinerai mai! É stata... - Ma fu bruscamente interrotta sul più bello, un attimo prima che potesse arrivare al dunque.
-Mamma, non mi importa. Per favore, voglio solo riposare. Da solo! - Sbottò, interrompendola bruscamente. La febbre lo rendeva oltremodo indisponente.
-Va bene, va bene! Me ne vado! Dio, che caratteraccio! Quando arriverà, non dire che non ho cercato di avvertirti! Ragazzino impertinente!- Greta se ne andò, sbattendosi la porta alle spalle, imbufalita. Jace non se ne diede pensiero, probabilmente, pensò, la cosa che davvero doveva averla irritata era il non aver avuto la possibilità di raccontargli le sue piccole grandi novità.
Ritrovandosi nuovamente immerso nel silenzio, la sua mente riprese a macinare un pensiero dopo l'altro, risvegliandosi dal torpore. Cercò mille e una motivazioni che potessero spiegare il perché l'avesse sognata. Riuscì quasi a convincersi che era stato solo un caso, che doveva essere un disturbo passeggero che se ne sarebbe andato con la febbre, che era tutta colpa delle insinuazioni di sua madre, di Jem e di Daphne che gli riempivano la testa di stupidaggini. Ma Jace era troppo sincero con se stesso per riuscire a imbrogliarsi a quel modo. Decise che avrebbe dato tempo al tempo. Di certo Hannah non si starà precipitando qui per qualche linea di febbre, pensò con una punta d'amarezza, sempre che lo sappia. Avrebbe avuto tutto il tempo di metabolizzare l'accaduto, si disse ancora, e il problema sarebbe scomparso da se.
Mai parole furono meno profetiche di queste!

Lei.

-Spero facciamo aggiustare presto l'ascensore...- Ansimò Hannah, mentre si accingeva a salire l'ultima rampa di scale. In cima ad esse, illuminata dalla luce giallognola di una lampadina, vedeva già la sua meta: l'appartamento degli Stein. La madre di Jace, l'incredibilmente giovane e avvenente Signora Stein, doveva credere che le avessero giocato un brutto scherzo, perché erano passati più di venti minuti da quando l'avevano salutata al citofono, all'ingresso del palazzo. Di certo non avevano preventivato di dover arrivare fino al tredicesimo piano a piedi. Per Eleanor era stata una scoperta sconvolgente.
-Non credo succederà a breve. Dubito che possano permettersi una spesa simile, anche se fosse divisa fra tutti gli affittuari del palazzo.- Replicò la governante, che mai avrebbe permesso alla sua pupilla di far visita ad “un uomo”, che oltretutto abitava in un quartiere a suo dire malfamato, senza la sua supervisione. Purtroppo per lei l'ascensore non funzionava da parecchio, come aveva potuto notare dallo spesso strato di polvere che ne ricopriva le portine. Qualcuno ci aveva addirittura scritto sopra qualche vlgarità rimuovendo semplicemente parte della polvere con un dito.
La donna, che non era stata mai particolarmente atletica ed ora era appesantita dagli anni e dalla grossa mole, aveva cominciato a mostrare segni di affaticamento dopo la prima rampa di scale. Sollevando lo sguardo era impallidita alla vista della spirale di scalini che dal basso del primo piano sembrava prolungarsi all'infinito. Dopo un attimo di smarrimento, ripresa in mano la situazione e prendendo a braccetto la ragazza, molto stoicamente aveva ripreso la scalata con andatura lenta, ma così lenta che Hannah si chiese se sarebbero riuscite ad arrivare in cima entro l'ora di cena. Ma finalmente erano là.

La porta di casa Stein era davvero in pessimo stato. Una volta doveva essere stata bianca, ma ora buona parte della vernice si era staccata mostrando le venature del legno sottostante, e quella rimasta era diventata d'un grigio che le faceva pensare al colore dello scarico di alcune vecchie automobili.

-Aspetta a bussare, Hannah.- La tata si poggiò ad una parete. Cercava, con affannosi e profondi respiri, di riprendere fiato e intanto rovistava nella sua grossa borsa nera. Hannah sapeva di non dover ribattere. Non avrebbe avuto senso, poiché Eleanor avrebbe preferito farsi scorticare viva che presentarsi con un solo capello fuori posto. Niente e nessuno avrebbe mai potuto cambiare questo, tanto meno Hannah che sapeva bene di non poter far altro se non aspettare che la donna si fosse ripresa e resa nuovamente presentabile.

Dopo tanto cercare tirò fuori dalla borsa uno specchietto, che Hannah fin da piccola le aveva sempre invidiato. Era un ovale di cui un lato era decorato con intarsi in madre perla e smalto colorato che formavano un motivo floreale. Un lavoro certosino dal risultato davvero elegante e di classe. Anche in quell'occasione non potè impedirsi di osservare l'oggetto con ammirazione. Eleanor perse qualche secondo a rimirare la proprio immagine nel piccolo specchio, sistemò con cura i capelli, raccolti in un classico e austero chignon, e infine dopo aver annuito soddisfatta alla propria immagine, lo infilò nuovamente nella borsa.

-Bene, ora puoi bussare. - Si parò davanti alla porta, congiungendo le mani e contraendo il volto dai lineamenti rotondeggianti e morbidi in un'espressione severa e rigida. Hannah si trattenne dallo sbuffare. Non capiva perché la donna in situazioni simili preferisse fare la parte della governante arcigna e antipatica. Sapeva bene che nulla era più lontano dall'essere vero e capiva che era il suo modo di proteggerla, allontanando chiunque potesse essere dannoso per lei, anche se nel far ciò rischiava di rendersi antipatica e Hannah desiderava che tra la donna e Jace nascesse istintivamente una simpatia reciproca.

Preso un profondo sospirò, bussò alla porta. Immediatamente dopo sentirono attraverso il legno, che doveva essere più sottile di quel che sembrasse, uno scalpiccio e passi pesanti avvicinarsi alla porta. La maniglia si mosse girando a vuoto, perché la porta non si aprì. Continuava a muoversi come una serpe ma sempre inutilmente.
-Accidenti!- sentirono esclamare. - Hannah, sei tu? La serratura si è bloccata, abbi pazienza!- disse ancora la voce squillante e femminile di Greta.
-é la madre di Jace.- Si affrettò a precisare Hannah, come se fosse assolutamente necessario. Un colpo secco e finalmente la porta si aprì.

***

L'appartamento degli Stein sembrava essere piuttosto ben tenuto. Certo, grandi macchie d'umidità davano un effetto maculato al soffitto, e la tintura alle pareti doveva essere passata da un bianco brillante ad un bianco sporco nel corso degli anni, ma era comunque uno spazio ordinato e pulito. Hannah osservò la tata guardarsi intorno, pronta a cogliere qualsiasi difetto o particolare: dello sporco accumulato in un angolo magari, o ancora peggio qualche scarafaggio a testimonianza di quanto fosse insalubre quel luogo. Ma non ne trovò.
Accanto alla porta d'ingresso, cui lato interno era decisamente meglio tenuto e meno rovinato di quello esterno, c'era una piccola cucina, dai mobili bianchi e verdi, semplici e di scarsa qualità nonostante anche quelli fossero tenuti al meglio delle loro possibilità. Davanti a loro un piccolo salotto: un divano dal cuoio scuro nascosto sotto una vecchia coperta in lana, una poltrona con poggia piedi, in un tessuto sdrucito e scolorito, che forse tanti anni prima era stato di un bel blu notte, e un televisore. In fondo alla stanza c'era una porta chiusa.
Hannah vide le spalle di Eleanor rilassarsi sotto il cappotto scuro. Con tutta probabilità si era aspettata una vera e propria topaia. Ritrovarsi invece in un appartamentino quantomeno pulito, era un grande passo avanti. Provò anche lei sollievo, se non maggiore, e per ben altre motivazioni.
Greta le fece accomodare sul divano tutto bozzi, che di certo aveva visto tempi migliori, ma tanto tanto tempo prima. Lei prese posto sulla poltrona, sedendo proprio sul bordo della seduta, come fosse pronta a scattare in piedi all'occorrenza.
-é un piacere averti qui Hannah!- disse allungandosi a stringerle una mano come se le fosse cara più di chiunque altro al mondo. - E lei deve essere la signora MacFie. Hannah mi ha detto che l'avrebbe accompagnata. Posso offrirvi una tazza di caffè?- fece scorrere lo sguardo tra le due. Hannah si sentiva come pietrificata. Continuava a guardarsi intorno, temendo di vedere spuntare Jace da un momento all'altro, e temendo il giudizio che la tata se ne sarebbe fatta. Si limitò scuotere il capo, rifiutando il caffè. Anche la tata rifiutò, e seppure lo fece con gelida e calcolata gentilezza Hannah ne fu sollevata. Desiderava disperatamente che la donna prendesse a benvolere Jace, ma capiva che perché succedesse anche il contrario, la tata doveva essere gentile con sua madre, a cui lui teneva probabilmente più di qualsiasi cosa.
-Mi dispiace non potervi offrire qualcosa di meglio, ma non ho avuto il tempo di fare la spesa. Non me la sentivo di lasciare Jace da solo. A proposito...- Aggiunse, prima di alzarsi e raggiungere l'unica porta in fondo alla stanza. Quando l'aprì Hannah potè vedere alle sue spalle un corridoio stretto e in penombra, e un'altra porta chiusa. - … vieni, ti porto da lui. É di pessimo umore, spero che vederti gli illumini la giornata.- Hannah fece per alzarsi, ma quando Eleanor si schiarì la voce con un lievissimo colpo di tosse ripiombò a sedere con tale velocità da lasciare Greta interdetta.
-Sarebbe meglio se il ragazzo ci raggiungesse qui in salotto, non crede? Sarebbe più conveniente.- Cominciò la governante, con serafica calma, sebbene Hannah sapesse dove voleva andare a parare. Greta si limitò a lanciarle un occhiata interrogativa.
-Forse, ma non sarebbe meglio per Jace. Vorrei evitare che si stanchi e che la febbre continui a salire.- le due donne si fissarono per qualche istante, in assoluto silenzio, senza smettere mai di sorridersi a vicenda con ipocrita cortesia. - Non si preoccupi.. - Continuò poi Greta -... Jace non avrebbe la forza di torcere un solo capello ad Hannah, se è questo che teme. Non lo farebbe neppure se potesse.-
Eleanor si alzò, prima che potesse aggiungere altro. -Sarà bene che venga con voi. Dopo tutto, non ho ancora avuto il piacere di conoscere il signorino,e se la montagna non va da Maometto...- Hannah la fissò interdetta, ma nascose bene la sua sorpresa. Non era più sicura che la tata volesse solo proteggerla. Sembrava piuttosto essersi intestardita a fare di testa propria al rifiuto della Signora Stein.
-Sarà bene che lei rimanga seduta qui.- replicò prontamente l'altra. - Jace ha bisogno di vedere Hannah, e solo lei. Conoscerà Jace un'altra volta. Vieni dolcezza. - Greta cinse le spalle della ragazza con un braccio, spingendola oltre la porta, fino a quella alle sue spalle. Al solo pensiero di trovarsi tanto vicino a lui, le parve che inspiegabilmente il suo cuore perdesse un battito, oppure era solo la consapevolezza di sapere che tra pochi istanti l'avrebbe rivisto, ad elettrizzarla in quella maniera tanto inconsueta. Si sentiva strana: era stupidamente felice, ma sentiva una sorta d'angoscia attanagliarla insieme a paura e nervosismo.
-Mi dispiace, ma non permetto ad Hannah di vedere un uomo nella sua stanza e per giunta da sola. Cosa direbbe il Signor Barnes?- La tata non era donna che si lasciasse intimorire o gettasse la spugna tanto facilmente,e ribatté alle parole di Greta alzando il tono della voce e gonfiando il petto. Non solo non era tornata a sedere, ma le aveva seguite in corridoio. Greta per tutta risposta la ignorò, come ignorò le sue lamentele, fu come se Eleanor non avesse pronunciato una sola sillaba. Hannah sapeva che la situazione sarebbe degenerata velocemente. La Signora Stein non era fintamente cortese, non si mostrava gentile solo per salvare le apparenze, in poche parole non corrispondeva all'ideale di persona educata che Eleanor aveva le aveva sempre inculcato, nonostante fosse conscia che non si trattava di vera buona educazione, ma più di far buon viso a cattivo gioco. Qualcosa che Hannah detestava con tutta se stessa, non le era consentito provare antipatia per chicchessia e poterla esternare.
- Signora Stein! Lei è incredibilmente maleducata!- Riprese Eleanor.
-Io? Non credo. Lei semmai dovrebbe stare attenta a come parla. - Greta bussò alla porta della camera di Jace, ma dalla stanza non arrivò alcuna risposta. - Deve essersi addormentato. Entra comunque e sveglialo. Se non lo facessi non me lo perdonerebbe mai, Hannie. Vieni.- Aprì la porta e la spinse dentro tanto velocemente che la tata non ebbe il tempo di impedirglielo e la ragazza quasi non si rese conto di cosa era accaduto. Si voltò di scatto, nel vano tentativo di impedirle di chiudere la porta quando ormai, avendo compreso le sue intenzioni, era troppo tardi. Si trovò davanti soltanto la porta chiusa.
-Le ricordo che lei si trova in casa mia, ho tutto il diritto di impedirle di mettere piede in camera di mio figlio, se lo desidero. E per inciso, Jace ha diciassette anni. É più vicino ad essere ancora un bambino che già un uomo. Si rende conto che le sue insinuazioni sono offensive?- La porta chiusa se le impediva di uscire, non impediva certo alle voci delle due donne di raggiungerla. Hannah sentiva chiaramente le parole di Greta, che parlando con voce alta sembrava voler essere sicura che lei potesse sentirla. Fu sorpresa nel sentir tardare le repliche di Eleanor, che era ammutolita forse per la prima volta da quando la conosceva. Sapeva che nessuno mai le aveva parlato con una così brutale sincerità. Forse nessuno intorno a loro era mai stato davvero sincero, spesso il confine tra la vera gentilezza e l'ipocrisia era labile, difficile da individuare.
-Ma... Come osa? Cosa le è saltato in mente? Hannah è una signorina di buona famiglia e rispettabile, non di certo una...- Eleanor sembrò riprendersi, ma ebbe solo il tempo di farfugliare poche parole, prima che Greta l'interrompesse irruentemente ancora una volta..
-Una cosa?- Hannah quasi poteva figurarsela con le mani sui fianchi e il volto arrossato per la collera. - Un'adolescente nel pieno di una crisi ormonale che pensa solo al sesso proprio come mio figlio? Oh si! L'ho detto! E lo ripeto!Sesso sesso sesso! Gesù! Non faccia quella faccia sconvolta! Hannah è un adolescente, non una cherubino asessuato! Signora MacFie, lei può venire qui, giudicarmi e giudicare casa mia con quella sua aria da snob con la puzza sotto il naso, e ci può insultare entrambe e nello stesso momento se vuole, ma non le permetto di insultare Jace. É un bravo ragazzo, ed è rispettoso, al contrario di qualcun altro. Mi aspettavo più educazione dalla persona che ha cresciuto un tesoro come Hannah. E ora se permette preferirei tornasse in salotto, non le permetto di immischiarsi in faccende che riguardano mio figlio.- Eleanor ribattè qualcosa, ma Hannah non riuscì a capire cosa, poiché le voci delle due donne sembravano essersi affievolite. Non potè non pensare che Greta apparisse come una gattina del tutto indifesa, ma dentro avesse l'animo di una leonessa. Jace era incredibilmente fortunato ad avere una madre così, non potè fare a meno di invidiarlo.
Tutto tornò silenzioso, quello stesso silenzio era rotto però dal respiro affannoso di Jace, che ancora dormiva, neppure minimamente disturbato dal fracasso che proveniva dal corridoio. Il suo sonno però non pareva dei più riposanti: era agitato. La ragazza realizzò improvvisamente di trovarsi davvero nella sua stanza, da soli. La ragione le diceva di uscire immediatamente, inventare una scusa, una piccola bugia non avrebbe fatto del male a nessuno. Ma sapeva che Greta non si sarebbe fatta ingannare, e avrebbe finito per svegliare comunque il ragazzo,e a quel punto si sarebbe sentita ancor più in imbarazzo, senza contare che se fosse uscita dalla stanza probabilmente Eleanor l'avrebbe trascinata via senza darle la possibilità di parlare con Jace.
Si voltò piano: Jace stava rannicchiato in posizione fetale al centro del letto, che essendo piuttosto grande, occupava una buona parte della piccola stanza facendola sembrare ancor più piccola. Sembrava stare rannicchiato su se stesso per riscaldarsi, e in effetti una delle coperte era scivolata a terra. Gli si avvicinò camminando in punta di piedi, sperando di non trovare nulla sulla sua strada che se calpestato producesse rumore. Il pavimento era ricoperto da una moquette scura, e nella penombra del crepuscolo probabilmente non sarebbe riuscita a distinguere nulla o quasi. Raccolse la coperta, che era ancora morbida nonostante fosse piuttosto infeltrita, e la distese su Jace, che si rilassò istantaneamente, distendendo le gambe e voltandosi sul lato opposto. Sul comodino accanto al letto, si stagliava la sagoma di una lampada. Ne cercò a tentoni l'interruttore e l'accese.
Quando la luce elettrica gli illuminò il volto, il cuore di Hannah perse un altro battito. Per qualche motivo ai suoi occhi appariva più bello di quanto non fosse mai stato. Il sonno ne rilassava i lineamenti dando loro maggior maturità e fascino. Hannah aveva sempre pensato che Jace fosse un bel ragazzo, quindi le era incomprensibile il perché il suo cuore battesse con tale forza da sembrare volesse scoppiare. Era come se lo stesse guardando per la prima volta.

Provò il bisogno di sfiorarlo,e preda di questo istinto sedette sul bordo del letto, facendo bene attenzione a evitare movimenti bruschi che potessero disturbarlo o peggio svegliarlo. Allungò una mano, ma quando fu abbastanza vicina ad una guancia, la ritirò con uno scatto e si guardò alle spalle. Quasi si aspettava che la tata irrompesse nella stanza, ma ovviamente non successe nulla di tutto ciò. Prendendo un profondo respiro, allungò nuovamente la mano, fino a sfiorarlo appena con la punta delle dita. Al tatto bruciava per la febbre e le gote erano ispide. Se ne sorprese, e un attimo dopo si diede dell'ingenua. Era ovvio che Jace dovesse avere la barba come qualsiasi altro uomo. La sensazione pungente della sua barba corta e dura contro la pelle della mano era lievemente fastidiosa, ma non abbastanza da farle ritirare la mano e smettere di accarezzarne il volto, sempre delicata, sempre sfiorandolo appena appena con il dorso delle dita.
Non voleva più svegliarlo. L'unica cosa che avrebbe voluto era poter rimanere così per sempre, potersi lasciare andare e concedersi un momento di tenerezza quando nessuno, neppure l'interessato, avrebbe potuto vederla.

Lui

Jace continuò a tenere gli occhi serrati anche quando sorridendo appena le disse – é proprio bello svegliarsi così.- Sapeva a chi apparteneva la mano che continuava ad accarezzarlo ancor prima di aprire gli occhi. La consapevolezza di trovarla al suo capezzale lo riempiva di gioia, se ne sentiva rinvigorito. Il suo tocco sembrava spazzare via anche la febbre. Poteva essere solo Hannah: sua madre non l'avrebbe mai svegliato in quel modo, così nessuna delle ragazze. I gemelli gli avrebbero giocato un tiro meschino di quel genere se avessero potuto, ma non avevano mani così morbide e neppure così piccole. Quando aprì gli occhi, in un frullare di ciglia, fu felice di scoprire che la sua intuizione era esatta. Nonostante tutto fu felice che la prima cosa che vide al suo risveglio fosse il suo volto.
-Ciao.- Aggiunse poi, tirandosi su a fatica, tossendo con tale violenza da togliergli il respiro. La ragazza aveva ritirato la mano e lo fissava con occhi sbarrati. - é bello vederti. Allora, sei venuta a fare visita al moribondo? Giuro che non sono messo così male!-
-Ciao.- replicò lei con un fil di voce, e la camera ripiombò nel silenzio dal quale era appena riemersa. Jace sapeva che doveva provare a comportarsi come se nulla fosse successo per non metterla ancor più in difficoltà, e aveva cominciato bene per poi accorgersi che trovarsi faccia a faccia non rendeva il compito facile. Le sorrise il più sinceramente che potè. Lei non aprì bocca però. Teneva lo sguardo basso, come al solito, le braccia incrociate strette strette al petto, rigida e impettita, stoicamente pronta a fronteggiare qualsiasi cosa fosse venuta. Jace cominciò a pensare che si vergognasse di essere stata scoperta nel prodigare carezze. In effetti sembrava stesse cercando di nascondere le proprie mani, come un bambino le nasconderebbe dopo aver rubato il vasetto della marmellata. Aveva rubato al tempo degli istanti di tenerezza, e lo viveva come se avesse infranto un divieto.
Il ragazzo allungò le mani,e quando fu vicino a sfiorarle il volto, lei scattò in piedi come punta da un ago.
-Mi dispiace di averti svegliato.- disse, chinando ancor più il capo. Poi, nuovamente silenzio. Jace rise.
-Beh, come ho detto è stato un bel modo di svegliarsi. Non mi è dispiaciuto, credimi. E se non mi fossi svegliato mi sarei perso ciò che sei venuta a dirmi, no?- si sforzava di mantenersi allegro come al solito, ma si sentiva da schifo, al pari di uno straccio vecchio, e l'incertezza di lei consumava goccia dopo goccia tutta la sua pazienza già ridotta ai minimi termini. Dimmelo! Pensava, e tanto era assoluto il silenzio nella stanza che gli pareva che i suoi pensieri riecheggiassero nella sua testa fino a propagarsi per l'intera stanza. Dimmelo e facciamola finita!
Non osava forzare la mano e scoprire cosa avesse deciso di fare. Continuò a fissarla, le braccia conserte, il capo chino, le labbra serrate, che si schiusero e tornarono a chiudersi celermente, come se avesse provato a dire qualcosa ma senza riuscirci. Lei boccheggiava e lui aveva voglia di urlare.
-Hannie... Perchè non ti siedi?- Annuì, e tornò a sedersi. Dopo un lungo sospiro finalmente parlò.
-Io... Io sono andata a trovare tua madre in infermeria, stamane. - A quelle parole, Jace provò l'impellente desiderio di prendersi a pugni. Ecco cosa cercava di dirgli sua madre,e lui da emerito idiota non solo l'aveva interrotta, ma l'aveva anche cacciata via. - E le ho chiesto se non potessi avere la possibilità venire a farti visita. Jaquie mi ha detto che non stavi bene. Quindi... Ho pensato che...- sembrò aver perso il filo del discorso – che... Si, beh, che fosse il caso di venire a chiarire questa spiacevole situazione. Non che il fatto che ti sia ammalato abbia qualche influenza. Cioè, si ne ha, ma non nel modo che credi.- si affrettò ad aggiungere. - Sono così dispiaciuta. Mi dispiace di aver aspettato tanto prima di sincerarmi delle tue condizioni e mi dispiace di aver messo in dubbio le tue intenzioni dopo che ti sei dimostrato tanto sincero. Volevo dirti solo questo. - così concluse, aspettando una risposta con il capo incassato tra le spalle, cercando di rannicchiarsi su se stessa per l'ennesima volta.
-Pensavo non mi avresti parlato per mesi. - fu la sola risposta che ottenne.
-Non posso nasconderti che ci ho pensato. Ma poi mi sono chiesta se non peccassi di presunzione. Come posso pensare di giudicarti? Non posso dire con certezza che sei completamente buono o completamente cattivo. Ora che ci penso, non ti conosco abbastanza.- concluse, accigliandosi. Jace allungò una mano verso il suo volto, sollevandoglielo affinché potesse guardarla dritta negli occhi.
-Hai ragione, non mi conosci. E io non conosco te, ma sono sicuro che ti sia sentita in obbligo di venire fin qui. Non ti sei mai sentita pronta, non di certo dopo appena quattro giorni. - Hannah negò con un cenno del capo, ma non gli parve molto convinta.- Facciamo un patto: prima di decidere se davvero vale la pena di fidarsi di me, dammi dieci giorni a partire da oggi. Dieci giorni per conoscermi. Non sono tanti,e probabilmente la febbre mi farà straparlare per la maggior parte del tempo... Beh, diciamo straparlare più del solito! Ma così avrai dell'altro tempo per pensarci, per capire se stai facendo la cosa giusta. - Allontanò la mano dal suo volto e gliela tese. Per un istante temette che potesse andarsene senza dargli una risposta, rifiutandolo senza possibilità d'appello. Si chiese se fosse capace di sopportarlo. Quella ragazza era entrata nella sua vita così lentamente e silenziosamente da non accorgersene quasi e ora gli pareva di non poter più fare a meno della sua presenza.
Hannah fissò la sua mano tesa, e dopo un istante che parve lungo come un anno intero, la strinse con la sua. - Io... Accetto. Voglio darti dieci giorni per conoscermi.-


L'angolo dell'autrice.

Sono davvero dispiaciuta di essere sparita in questo modo.

Non è una giustificazione ma ho avuto un periodaccio, e tra esami della patente, esami universitari, lezioni, studio, problemi familiari, malanni di stagione vari e altri collegati all'ansia che per quanto mi sforzi di trovare la pace interiore non mi abbandonano mai, non ho scritto una sola parola per più di un mese. Alcune sere ho provato ad aprire il file di questa storia, ma mi ritrovavo a fissare la pagina bianca, senza alcuna ispirazione, senza voglia di fare, con addosso solo tanta tanta stanchezza e il morale sotto le scarpe.
Ma questo non è tutto. Nel corso dei mesi avevo scritto, anche se molto molto lentamente, 8 OTTO O-T-T-O pagine. Che andavano solo revisionate e che sono andate perdute. Perché da un giorno all'altro il file si è danneggiato senza motivo apparente, e non avevo aggiornato la copia di backup. Ho perso un intero capitolo e buona parte della storia (che stavo revisionando), in realtà avrei perso tutta la storia se non avessi fatto una copia del file nel mio hard disk esterno.
Mi sento davvero afflitta, non so se è una serie di sfortunate coincidenze o se è proprio sfiga nella sua forma più grandiosa. In ogni caso sono davvero stanca, non ne posso più, non passa giorno senza che non succeda qualcosa, che non ci sia un qualche problema o intoppo. E porca pupazza, la fortuna sarà pure cieca, ma la sfiga ci vede benissimo,e credetemi mi sta puntando!
Dopo la prima settimana di Giugno pensavo sarei riuscita ad organizzare il mio tempo in modo da avere energie sufficienti per mettermi a scrivere la sera, possibilmente con risultati soddisfacenti. Così speravo! Invece dopo una settimana di paradisiaca calma, c'è stato un nuovo tsunami di sfiga. E te pareva! =_=” A parte il fatto che ho dovuto ricominciare da capo un intero capitolo, e io sono piuttosto lenta nello scrivere, sono sbucati fuori una miriade di guai e imprevisti, e riuscire a riprendere a scrivere BENE e COERENTEMENTE rispetto alla storia e ai personaggi mi sembra davvero un miraggio. Infatti siamo già a Luglio e fino ad ora ho combinato davvero poco.

E ora annunci ufficiali:

A KELLINA: sono più che mortificata per non aver votato la tua storia (bellissima andate a leggerla qui!) al concorso sulle storie originali. Ammetto con vergogna che me ne sono proprio dimenticata, con tante cose per la testa in quel periodo. Quando ho visto che “Quel che conta” non ha passato la prima fase ci sono rimasta malissimo, ma proprio tanto. Mi sono sentita colpevole, perché forse il mio voto poteva fare la differenza. Non so davvero come scusarmi, e spero non ti dispiacerà se faccio pubblica ammenda.
A cece: prima o poi risponderò alla mail, anche se con mesi di ritardo, giuro che lo farò... ç____ç Non prenderla a male se su msn non rispondo... Ho il pessimo vizio di dimenticare messenger connesso anche quando non sto al pc... Praticamente sempre!

prettyvitto : Cerco di fare il possibile,ma prometto che presto o tardi nonostante tutto finirò questa storia. Grazie per aver recensito. :-) Ho visto che hai cancellato il tuo commento, suppongo sia perché la storia è stata ferma per vari mesi. Mi dispiace davvero tanto, ma come spero avrai letto sopra, non è dipeso da me. Beh, non completamente!

Lea__91 : Come al solito parto dai ringraziamenti per i complimenti con cui mi inondi ad ogni capitolo. Sempre troppo buona. :-) Spero questo ultimo capitolo per te non sia stato una delusione, almeno non quanto lo è stato per me scriverlo. Ammetto che, vuoi per i motivi che ho elencato sopra e che mi hanno tenuta lontana dalla scrittura per tutto questo tempo, ho perso un poco di ispirazione,ed è stato difficile e un vero sforzo portare a termine questo capitolo, che io per prima trovo poco curato e per nulla soddisfacente. Spero di riuscire a rimettermi in carreggiata, anche se per me questo continua ad essere un periodo particolarmente duro, per tante piccole brutte cose.
Dayan18 : Cara Dayan, a te doppi ringraziamenti. Per aver recensito qui (non farti alcun problema a criticare o dare consigli, qui sono sempre ben accetti, anzi hai ben ragione a farmi presente il problema della punteggiatura, tra me e le virgole c'è un rapporto di amore e odio XD ) e per aver recensito la mia one-shot “Frammenti di te”, anche se l'ho recentemente cancellata. Spero che questo capitolo sia stato soddisfacente per te. Certo non c'è stato ancora nulla di “magico”, ma un ulteriore avvicinamento tra i protagonisti è sempre meglio di niente, giusto? :-)












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Capitolo 11
*** Capitolo 11. Primi passi. ***


Hopelessly devoted to you







Hopelessly Devoted To You <3

Capitolo  11: Primi passi.

Lei.

-Signor Barnes, non è salutare che Hannah frequenti quella casa. La Signora Stein potrebbe essere un pessimo esempio per lei. La prego, per il suo bene, le proibisca di frequentarla, lei e quel suo figlio.- George fissò Eleanor al di sopra di una copia del New York Times. Paese diverso, stesse abitudini.
-Sta ingigantendo la cosa Eleanor. Ho avuto modo di scambiare qualche parola con la Signora Stein, e non ho notato nulla di tutto ciò di cui lei si lamenta. Certo, con me non è stata neppure lontanamente cortese, ma Bert dice che è una donna esemplare seppure piuttosto eccentrica e devo ammettere che talvolta è divertente pur essendo totalmente prima di humor inglese. Ammetto che sia fin troppo schietta, ma sono sicuro che c'è stato solo un fraintendimento tra voi. Non vedo proprio come potrebbe nuocere ad Hannah. Anche se volesse farlo poi, non ne trarrebbe alcun beneficio. - Eleanor si mosse le labbra con forza, l'unico modo che conoscesse per sfogare tutto il suo disappunto alla reazione del padrone di casa. - Sono felice che lei continui a tenere ad Hannah come se fosse figlia sua e a prendersene cura, ma dobbiamo lasciarle un po' di respiro. Mi sono accorto che è molto più felice da quando siamo qui.- Hannah squittì dalla sorpresa da dietro la porta dello studio di suo padre, dove si era fermata ad origliare la loro conversazione e a spiarli attraverso la porta socchiusa. Sapeva benissimo di non aver alcun diritto di stare li, e che ascoltare i discorsi altrui era certamente quanto di meno educato potesse fare, ma quando passando per il corridoio aveva sentito pronunciare il suo nome, per qualche motivo non era riuscita a proseguire fino alla propria stanza. I suoi piedi si erano rifiutati di muoversi e andare oltre quella soglia e così si era fermata ad ascoltare, convinta che se si fosse mossa il meno possibile e se non avesse fatto alcun rumore non si sarebbero accorti della sua presenza. Si fece scoprire alla prima occasione.
La tata non voleva che lei vedesse Jace... Questo la rese terribilmente triste. Non le avevano mai proibito di frequentare nessuno, forse perché non aveva mai avuto nessuno da frequentare. La cosa più sorprendente era però che suo padre insistesse perché lei fosse libera di frequentarlo. Era un evento che aveva del sovrannaturale. Forse era il segnale che la fine del mondo era vicina. Al 2012 mancava poco più di un anno in fondo.
-Hannah, non sta bene origliare, entra.- La ragazza, maledicendosi per essersi fatta scoprire così facilmente, fece come ordinato: aprì la porta e scivolò all'interno della stanza, richiudendosela alle spalle. - La tua tata insiste nel dire che non dovresti più vedere gli Stein. Pur trovando il ragazzo privo di particolari doti, mi pare che da quando lo frequenti ti sia fatta molte nuove amicizie. Ti vedo spesso girare per i corridoi con la figlia di Bud Salenti e la figliastra di... Come si chiama... Ah, ecco, di Simmons.-
-Già... Jaquie e Rose.- mormorò mentre avanzava fino alla scrivania del padre. - Sono simpatiche... Anche Daphne lo è.- Aggiunse, e intanto si chiedeva come non vedere tutte le qualità di Jace, che erano così lampanti per lei. - Papà... Non proibirmi di vedere Jace...- disse in un sussurro. Non ricordava d'aver mai osato tanto. In effetti non aveva mai fatto una richiesta del genere prima di allora. Non ne aveva mai avuto bisogno. Non aveva mai tenuto tanto a qualcuno.
-Non te lo proibirò, non preoccuparti. Anzi, visti i risultati dovresti continuare a stare a contatto con il ragazzo, e ancor di più con sua madre. - sorrise. Aveva abbassato il giornale e aveva sorriso. Hannah non ricordava d'averlo mai visto sorridere in quella maniera. - Eleanor mi ha fatto notare quanto sia impulsiva. Non posso darle completamente torto, ma nonostante ciò è di sicuro un ottima persona. - Non riusciva a credere alle proprie orecchie. George, che non si era mai interessato a ciò che lei faceva, delegando ogni decisione a Eleanor, ora si dimostrava interessato alle sue amicizie e a quanto potessero essere proficue per lei. Era un paradosso, un vero paradosso. Aprì bocca per chiedere spiegazioni, ma si disse che non era saggio forzare il fato: fino a quel momento era stata fin troppo fortunata.
Era tornata da poco dalla visita a Jace, che aveva avuto esito relativamente positivo: non solo non l'aveva respinta ma voleva vederla ogni giorno se possibile, finchè era costretto a letto dalla febbre. E voleva conoscerla meglio. A lei pareva si fossero detti l'un l'altro tutto l'indispensabile, anche se riconosceva che non erano mai entrati nei particolari di alcuna questione. Coltivare delle amicizie si stava rivelando molto più complicato ed impegnativo di quanto avesse mai creduto. Era felice di avere l'opportunità di fare tutta quella fatica.
-Io... Papà... Grazie.- cominciò ad indietreggiare verso la porta. - Vado a finire i compiti prima della cena. - Prima di uscire dallo studio lanciò un occhiata alla tata. La fissava con un misto di rancore e tristezza. Hannah si chiese se non si sentisse scavalcata o messa da parte a favore di una semi sconosciuta che oltretutto aveva avuto l'ardire di comportarsi in maniera così maleducata, mettendo in dubbio le sue capacità di educatrice. Le si spezzava il cuore, ma non riusciva a rinunciare neppure all'idea di poter godere della compagnia di Jace per non fare un torto alla sua tata. É questo che si prova quando si vuole davvero bene ad un amico? É normare diventare tanto egoisti? Si domandò, mentre lanciava un ultimo sguardo alla donna prima di chiudersi la porta alle spalle. Non riuscì a darsi una risposta. Si disse che avrebbe dovuto chiedere alle ragazze l'indomani, alla pausa pranzo.
In ogni caso, era felice. Felice che suo padre le permettesse contro ogni previsione e contro l'opinione di Eleanor di vedere ancora Jace, il che equivaleva ad averle dato ufficialmente il suo consenso perché lo frequentasse anche al di fuori della scuola, proprio come faceva con le ragazze, proprio come fanno i veri amici. Era troppo euforica per chiedersi a cosa fosse dovuto quel cambiamento radicale. Aveva sempre creduto che George provasse una certa antipatia per il ragazzo. Il sabato precedente non si era mostrato troppo felice quando aveva saputo che tra i presenti ci sarebbe stato anche Jace. Ma anche il comportamento contraddittorio di suo padre passava in secondo piano in quel momento, insieme a tutto il resto. Ora che aveva l'approvazione paterna si sentiva libera da un peso che non si era accorta di portare. Pensava a quanto il ragazzo sarebbe stato felice nel vederla tornare il giorno dopo, proprio come le aveva chiesto quando sulla porta di casa l'aveva stretta forte. Al solo pensiero delle sue braccia che la stringevano si sentì andare a fuoco, il suo cuore cominciò una corsa folle, lo sentiva scender giù nello stomaco e un istante dopo risalire fino in gola, a mozzarle il fiato, come se fosse finito su un'altalena. Era una sensazione esaltante.

Lui.

Jace aveva dormito malissimo quella notte. Continuò a rigirarsi sotto il peso delle coperte senza riuscire a trovare pace. Si disse che forse aveva dormito troppo durante il giorno e poi la tosse, il naso che continuava a colare la febbre e... No! Sapeva benissimo che la sua insonnia era dovuta perlopiù all'impazienza. Continuava a pensare a cosa chiederle: di Hannah voleva sapere tutto, e non riusciva ad aspettare fino a quel pomeriggio. Ma soprattutto provava una morbosa curiosità riguardo a ciò che era stata in passato la sua vita sentimentale. Lei era così timida che non si sarebbe sorpreso nello scoprire che aveva un ragazzo a Londra di cui non aveva parlato a nessuno. Magari un matrimonio combinato? No, troppo romanzesco. Ma se fosse sbucato per davvero un ipotetico fidanzato, ne sarebbe stato infastidito. Per qualche motivo trovava irritante l'idea che Hannah potesse davvero avere o aver avuto qualcuno di “speciale”.
Accolse con sollievo il sorgere del sole, cui raggi, penetrando attraverso le avvolgibili alla finestra, illuminarono la stanza di un bagliore rosato. Perlomeno era già giorno. La casa era tremendamente silenziosa a quell'ora del mattino. Dopo un po' sentì i passi di sua madre nella stanza accanto. Per un po' tornò a regnare il silenzio, poi nuovamente i suoi passi lungo tutto il corridoio fino alla sua camera. La porta di aprì piano, e Jace volle sorprenderla tirandosi su a sedere. - Se sei venuta a controllarmi sappi che sono sveglio.- Greta entrò nella stanza. Indossava un vecchio pigiama di flanella verde di almeno due taglie più grande del dovuto. A lei piaceva dormire comoda, ma non era raro che dovesse tenersi su i calzoni con una mano mentre camminava. I capelli corti erano schiacciati su un lato, mentre dall'altro erano arruffati come se avesse passato a notte a tormentarli.
-Come mai già sveglio? La febbre? La tosse? I quintali di muco che continui ad espellere da quella proboscide che ti ostini a chiamare naso? - Ironia mattutina. Jace sapeva che Greta sarebbe rimasta Miss Sarcasmo fino a che non si fosse fatta la sua dose di caffeina. Meglio assecondarla.
-Probabile...- replicò lui, facendo spallucce. - Mamma anche se la mattina sei sempre adorabile, cosa ci fai già sveglia? Non hai chiesto un giorno di permesso?-
-L'abitudine. Io, al contrario di qualcun altro, non passo la vita a dormire.- disse lanciandogli un'occhiataccia. - Visto che quel qualcuno è sveglio, è meglio che prepari qualcosa per colazione.- Jace fece per aprir bocca. - No, niente caffè per te!-

Lei.

-Hannie!Ciao!- Hannah fu raggiunta da Rose mentre frugava con foga all'interno del proprio armadietto.
-Ciao Rosie.- salutò senza sollevare il capo. Tra Hannah e Rosalie si era andato a creare un legame del tutto particolare. Era molto diverso da quello che aveva con Jaquie e Daphne. Si era affezionata a tutte loro nel medesimo modo, e anche se del tutto inesperta in quel genere di faccende, aveva capito che loro tre ormai erano diventate le sue migliori amiche. Quando aveva bisogno di un consiglio pensava di domandare a loro, se aveva un problema era a loro che si rivolgeva per prime. E tra le tre, la prima tra tutte era senz'altro Rose. C'erano tratti del loro carattere che le accomunavano e le avevano avvicinate sempre più. Nella dolcezza di Rose Hannah aveva trovato affettuoso conforto, nella pazienza e nell'attitudine ad ascoltare senza mai giudicare di Hannah Rose aveva trovato la confidente ideale. Jaquie era troppo irruenta e impicciona, e spesso lei e Daphne erano troppo prese dalla loro storia per concentrarsi davvero su di lei, e Rose talvolta si era sentita il terzo incomodo, nascondendo però con maestria quella brutta sensazione. Con Hannah aveva trovato un'amicizia sincera basata sul dare e ricevere. Così le aveva aperto il suo cuore senza riserve, e piano piano Hannah aveva cominciato ad aprirle il suo. Ed erano cominciate le telefonate giornaliere, ogni sera dopo cena si chiamavano a turno. Un enorme divertimento per Hannah, che aveva sempre associato il telefono alle lunghe e tediose telefonate dei nonni o quelle di lavoro di suo padre.
Anche la sera prima le aveva telefonato per raccontarle che era stata da Jace e come erano andate le cose. Era strano per lei parlare così apertamente con qualcuno. Avrebbe voluto comportarsi nello stesso modo con Jace, ma non le riusciva. Questo l'aveva aiutata a capire che Jace non era solo un amico, ma ancora non sapeva come doverlo classificare.
-Non è possibile! Non riesco a trovare l'album per schizzi. Eppure ieri l'ho riposto proprio qui, esattamente tra il libro di storia e quello di spagnolo.- asserì convinta, chiudendo lo sportello dell'armadietto con insolita stizza. - Credi che me l'abbiano rubato? Sarebbe tremendo!-
-Dovresti andare a reclamare in direzione. Sai che non è la prima volta che capita? Pare che alcuni lucchetti siano difettosi e che qualcuno si diverta a svuotare gli armadietti per gioco.- replicò Rose, mentre si incamminavano con calma verso l'aula di Inglese. - Lo scorso anno ad una ragazza hanno rubato la tuta dall'armadietto della palestra e l'hanno appesa all'asta della bandiera.- lo raccontò con voce sommessa e tono allarmato, come se il solo parlarne avrebbe portato ad un'altra catastrofe simile.
-Sul serio? Terribile!- sospirò l'altra. Quell'album era come un diario segreto per Hannah. Ogni disegno, che fosse frutto della propria immaginazione o meno, aveva un significato e celava tutti i suoi pensieri più nascosti. Inoltre vi aveva abbozzato giusto il giorno precedente degli schizzi molto importanti, a suo dire fondamentali. Era un enorme perdita per lei, in tutti i sensi. - Rosie... Posso farti una domanda... Ahm... personale?- La ragazza annuì corrugando la fronte. - é da ieri che ho questa continua tachicardia, e a momenti sento caldo, davvero tanto caldo. Credi sia normale?- Rose scoppiò a ridere.
-E questa sarebbe una domanda personale?- Hannah sospirò, prima di risponderle.
-Mi preoccupa sai Rose. Capita che io pensi a... Qualcuno... Ed ecco che il cuore comincia a battere fortissimo. Volevo sapere se tu... Seth... Voglio dire, se provi lo stesso per Seth.- disse tutto d'un fiato, prima che potesse mancarle del tutto il coraggio. Rose arrossì al solo sentire quel nome. Oh si, aveva confidato ad Hannah persino della sua infatuazione per il timido e sensibile Seth, spinta dal fatto che, al contrario di Jaquie e Daphne, la ragazza non si sarebbe mai messa in mezzo in una faccenda che non la riguardava. Certo l'aveva sorpresa chiedendole perché non gli avesse confessato i suoi sentimenti. A rigor di logica, diceva Hannah, se ci si innamora di un ragazzo, lui dovrebbe esserne messo al corrente. Ma Rose le aveva spiegato che amore e logica non vanno mai di pari passo, e che in realtà l'amore è più complicato di quanto lei non credesse. -Quando capiterà allora capirai!- aveva aggiunto. Hannah forse cominciava a capire.
-Beh... Si, in un certo senso. Quando penso a lui sento un nodo in gola, e il cuore quasi scoppia. Ma non è un batticuore continuo e duraturo, se è quello che intendi.- Hannah annuì.
-é proprio quello che intendevo. - mentì -Forse dovrei fare una visita medica.- soggiunse, sospirando mestamente per l'ennesima volta. Perchè il suo corpo continuava con quelle reazioni inconsulte e incontrollabili? Cosa stava cercando di dirle? La sua mente e il suo corpo sembrava stessero complottando contro di lei. Volevano farla diventare matta. Non era pronta ad ammettere che qualcosa la stava cambiando, non con gli altri e tanto meno con se stessa.
-Perchè non provi a chiedere a Daphne? Sua madre è un cardiochirurgo. Sono sicura che ti consiglierà un bravo dottore o se sei fortunata troverà il tempo per riceverti. É un medico molto capace, e soprattutto è sempre molto disponibile.-
-Credo tu abbia ragione. Chiederò oggi stesso. A proposito, come mai né lei né Jaquie sono con te?- Domandò guardandosi intorno. Non si era ancora accorta della loro assenza.
-Oh, mi hanno chiamato stamattina, hanno deciso di partire, di allungare il week end insomma. Ogni tanto capita che decidano di fare una vacanza fuori programma.- Sorrise trasognata e Hannah le sorrise di rimando.
-Deve essere bello...- Mormorò sorridendo dolcemente.
-Bello cosa?- fece l'altra.
-Avere un rapporto come il loro. Ammetto che non credo gradirei romanticherie come fughe d'amore, cene al lume di candela o simili. Però mi sembra che avere accanto qualcuno e sapere che non ha intenzione di abbandonarti sia bellissimo.- Rose le sorrise, allungando una mano ad accarezzarle il volto.
-L'avevo detto alle ragazze che avresti capito da sola.- Hannah sollevò lo sguardo, incrociando il suo. Non capiva cosa volesse dire. - L'hai capito sabato? Le ragazze non vogliono che si sappia, per tanti motivi che sono sicura capirai da sola. Ma a te volevano dirlo, sul serio. Ho detto loro che secondo me avresti capito da sola, proprio come ha fatto Jace. Ed infatti eccone la conferma.- Prima che Hannah potesse risponderle si infilarono all'interno dell'aula ancora deserta. Presero posto e Hannah perse del tempo a si sistemare con metodica precisione una penna e un quaderno sul banco, poi finalmente le rispose.
-Non è stato sabato. Sabato è stato... Potrei dire che è stata una conferma. Ho solo notato dei piccoli particolari e poi li ho collegati insieme.- Scrollò appena le spalle. Non le pareva di aver fatto chissà quale strabiliante scoperta. Jaquie non faceva poi molto per nascondere i suoi sentimenti, o se ci provava non le riusciva affatto bene.
-Ad essere sincera, credevamo saresti stata sconvolta.- Ammise candidamente la ragazza, a cui Hannah rispose ancor più candidamente.
-Perchè mai? Suppongo ci si innamori a prescindere da tutto, compreso il genere. - Sorrise dolcemente e abbassò il tono della voce, tanto che Rose si dovette chinare appena per poterla sentire meglio. Sembrava stesse per confidarle un grande segreto. - Sai, una persona molto vicina alla mia famiglia è omosessuale. Siamo stati persino al suo matrimonio, qualche anno fa. Beh, al corrispettivo di un matrimonio civile tra persone dello stesso sesso o quel che è... In ogni caso, non ho mai visto due persone più felici ed innamorate. Purtroppo è finita male, ma in ogni caso è quello che ho rivisto in Jaquie e Daphne. La stessa devozione. - Rose non potè che sorriderle raggiante, non riuscì a dirle quanto le desse piacere scoprire che era immune da quella orribile forma di razzismo che è l'omofobia. La classe cominciò a riempirsi velocemente. Nel giro di pochi minuti, con l'arrivo del professore, cominciò anche la lezione.

***


Le lezioni del mattino erano volate vie. Si era concentrata al massimo su ogni materia per impedirsi di avvertire il tempo scorrere troppo lentamente, altrimenti le sarebbe parso che la fine delle lezioni non sarebbe arrivata mai. Così facendo invece pareva avesse premuto sull'acceleratore, e in men che non si dica si era ritrovata seduta al solito tavolo della mensa accanto a Rose. Aveva addirittura un insolito appetito.

-Hannie, visto che ora siamo sole... Come mai ieri hai saltato la pausa pranzo? Abbiamo sentito dire che hai saltato anche l'ora successiva e che ti hanno visto uscire dall'infermeria. É vero? É successo qualcosa?- Chiese con tanta premura che Hannah non ebbe nessun imbarazzo nel risponderle sinceramente. In effetti la sera prima era stata così impegnata a raccontarle di Jace che si era completamente dimenticata di dirglielo.
-In realtà si, ci sono stata. La Signora Stein è davvero... Come dire...Particolare. Sono andata a chiedere di Jace, e a chiederle se non fosse possibile fargli visita.- La sua voce era andata assottigliandosi pian piano, tanto che alla fine Rose ebbe qualche difficoltà a comprenderla. Era imbarazzante raccontarlo, e ancor più imbarazzante comprendere che in realtà non aveva fatto nulla di vergognoso. Nessuna delle ragazze si sarebbe mai creata alcun problema al suo posto.
-Ecco perché sei andata a trovare Jace! Mi sembrava strano che gli avessi fatto un'improvvisata, non è da te.- Commentò l'altra felicemente. Fu allora che Hannah sentì il bisogno insopprimibile di farle una confessione.
-Mi dispiace di non avervelo detto. Ma avevo il timore che Jaquie... Non fraintendermi, mi sono affezionata e le voglio un gran bene, e anche a Daphne e a te di certo, ma era qualcosa che dovevo fare da sola. Non volevo si intromettesse, anche se sono certa l'avrebbe fatto a fin di bene.- Si affretto a specificare, imbarazzata al dover esternare uno dei difetti più evidenti dell'amica. Rose rise.
-Invece hai perfettamente ragione, è un'impicciona della peggior specie! Ma come dici tu è convinta di fare del bene.- sospirò. - Come tra Seth e me.- Concluse. Il suo tono era un misto di noia e rassegnazione, il che non le impedì di arrossire violentemente.
- Scusami Rosie, ho detto forse qualcosa fuori luogo, io mi...-
-No no, non scusarti. Hai proprio colto nel segno. É che si diverte un mondo a intromettersi negli affari amorosi degli altri, visto che lei è già bella che sistemata. Crede che io sia troppo timida e che non possa farmi avanti senza una spintarella da parte sua.- Si zittì per un istante prima di sollevare gli occhi dal proprio piatto e piantarli dritti in quelli di Hannah. - Secondo te, davvero sono troppo timida? A volte sono così vicina a fare il primo passo che ne sono terrorizzata. Ma Seth mi piace davvero. Ormai è un anno che ci giro intorno, forse dovrei darmi una mossa. Per una volta Jaquie potrebbe avere ragione.- Storse le labbra in una smorfia. - Sarebbe terrificante, continuerebbe a rinfacciarmelo per anni!- Rise, tornando a fissare il proprio piatto.
Hannah non seppe cosa risponderle in un primo momento. Dovette pensarci mentre addentava una mela e masticava piano il boccone, cercando di guadagnare tempo. - Non sono la persona adatta a cui porre una domanda simile. Sono poco espansiva per natura e più timida di te, mi pare. Quel che per voi tutte è semplice e naturale come respirare a me costa un enorme fatica, quindi dal mio punto di vista, che è del tutto anormale, no non sei troppo timida. Io... Credo di capire qualcosa che a Jaquie sfugge, mi sembra. Forse hai solo bisogno di tempo. Tutti abbiamo tempi diversi nel fare qualcosa. Jaquie è impaziente e istintiva, tu invece sei disposta ad attendere per avere occasioni migliori. - Rose annuì, fissandola con ancor più intensità di prima. Non l'aveva mai vista così seria, ne l'avrebbe più vista così in futuro. Pensò di aver detto qualcosa che l'avesse offesa.
-Come fai a sembrare... No, ad essere tanto ingenua eppure tanto attenta a chi ti sta intorno? Noti dei piccoli, infinitesimali particolari che nessun altro riesce a notare. Come è possibile? Se non ti conoscessi, direi che sei un'attrice da Oscar e fino ad ora ci hai preso tutti per il naso.-
Hannah scrollò le spalle, imbarazzata. Non aveva una risposta da darle. - Non lo so. Potrei elencarti tanti luoghi comuni come “gli artisti sono capaci di vedere ciò che gli altri ignorano” oppure “ quando si cresce da soli si ha tanto tempo per studiare gli altri”. Potrebbero essere veri entrambi per me. Ma in realtà non ne ho idea.-
-Però non sembra tu sia molto interessata a quel che capita a te.- Replicò l'altra. Quell'affermazione sarebbe parsa accusatoria se fosse uscita da un'altra bocca, mentre se era Rose a pronunciarla con il suo tono tono gentile non era altro che un'innocente constatazione. Seppure rabbonita dalle maniere dell'amica, la ragazza ne fu colpita.
-Ma no... Non mi pare. É che non mi capita niente di interessante. - Rose scoppiò a ridere.
-Ah certo, perché trasferirsi all'altro capo del mondo, e per giunta a New York nell'Upper East Side, essere letteralmente accerchiata da tre pazze che non ti danno tregua, ed essere la preferita di uno dei ragazzi più popolari della scuola, non è per niente interessante! Vedi, ho ragione. Gli artisti sono sempre troppo impegnati a guardarsi intorno per guardarsi dentro.- le disse infine, con un tono allusivo che la ragazza, pur essendo totalmente priva di malizia, riuscì a cogliere all'istante.
La campanella suonò, togliendola dall'impiccio di rispondere. Mentre si alzavano, arrossendo mormorò alla compagna – Rosie, stasera io torno da Jace. E voglio andare da lui finché ne avrò la possibilità. Forse sarò indiscreta, ma lo devo fare. Secondo te, questo è un primo passo?-
-Dipende da cosa o chi vuoi raggiungere, Hannie. -

Lui.

Continuò a guardare la sveglia sul comodino per un bel pezzo. Mancavano esattamente due minuti alle diciotto e di Hannah neppure l'ombra. La giornata l'aveva trascorsa facendo la spola tra letto e divano, prendendo medicine, soffiandosi il naso, cercando di guardare un film o di leggere un libro, e poi di schiacciare un pisolino, il tutto intervallato da due pasti e uno spuntino, preparati amorevolmente dalle mani di sua madre, che aveva preso un giorno di permesso dal lavoro per accudirlo e darsi alla cucina salutista: nel suo caso equivaleva a preparare verdure lesse ed insipide in grandi quantità. Niente di tutto questo era riuscito a dargli sollievo. Specialmente non le verdure.
L'impazienza non solo era rimasta ma si era intensificata. Alla fine, vinto dalle medicine e dalla fatica, dato che quel costante stato d'agitazione gli prosciugava le già scarse energie, si era addormentato verso le tre del pomeriggio, risvegliandosi solo due ore e mezza più tardi, minuto più minuto meno.
Dalla cucina proveniva un silenzio tombale, segno che sua madre doveva essere uscita, quindi Hannah non poteva essere in casa. Moriva di sete, la gola era così arsa che ogni respiro gli raschiava la gola, quindi seppur riluttante, si alzò abbandonando il suo letto comodo e caldo. Infilò le pantofole e si mise una coperta sulle spalle, l'avrebbe coperto dal freddo e dagli spifferi del corridoio, che attraversò il più velocemente possibile.
Quando entrò nella sala principale, rimase di sasso: Hannah non solo era in casa, ma se ne stava seduta al tavolo della cucina, a sfogliare vecchi album di fotografie. Ci impiegò meno di un istante a realizzare che l'album che la ragazza sfogliava al momento era quello che conteneva tutte quelle foto imbarazzanti e prive di senso che i genitori, per una sorta di perverso feticismo, si ostinano a scattare ai propri pargoli, mostrare a chicchessia e conservare gelosamente come se fossero un tesoro. Quelle foto lo mettevano a nudo, nel vero senso della parola: sua madre, quando era un povero bimbetto incapace di ribellarsi a quell'atroce tradizione, adorava fotografarlo con le chiappette all'aria... e non solo quelle. Bagnetto, cambio del pannolino, sbrodolamenti di pappette e pioggie di spaghetti sulla testa al tempo spelacchiata: tutto veniva immortalato per essere tramandato ai posteri. Al solo pensiero rabbrividì: doveva assolutamente toglierle quell'album dalle mani, prima che il danno fosse irreparabile e posasse gli occhi su quelle immagini raccapriccianti. Poi avrebbe provveduto a bruciarle, o perlomeno a nasconderle dove sua madre non avrebbe mai potuto trovarle: il suo armadio. Non l'avrebbe mai aperto, era rimasta traumatizzata quella volta che aprendolo era stata letteralmente sommersa da uno tsunami di vestiti, tutti sporchi.
Sembrava non aver visto ancora nulla di troppo imbarazzante, in ogni caso. Appariva tranquilla e stranamente a proprio agio nella loro cucina. Come se quello fosse il suo posto e facesse parte di quella scena da sempre. Non si era neppure accorta di lui,che nel vederla così concentrata non mosse un solo muscolo. Era sempre interessante osservarla nei momenti in cui era più assorta. Era se stessa come non mai quando si tormentava una ciocca di capelli o come quella sera la punta della treccia laterale con cui a volte raccoglieva i capelli, quando posava il capo contro una mano, o le due dita sottili giocherellavano con qualcosa. In più era strano vederla con addosso degli abiti che non fossero la divisa scolastica. Sopra il maglione portava una lunga catenella d'oro che non le aveva mai visto portare prima.
-Hannie?- si decise ad attirare la sua attenzione. Lei alzò gli occhi dall'album al volto di lui, arrossendo. Scattò in piedi come se le fosse stato ordinato di stare sull'attenti. - Non sapevo fossi qui. Perchè non mi hai svegliato?-
-Ciao Jace.- mormorò – Sono arrivata un ora fa. Tua madre mi ha chiesto di non svegliarti, perché non hai passato bene la notte. - Si voltò a lanciare un occhiata alla pila di grossi album sul tavolo. - Quelli credo me li abbia lasciati apposta, mi ha detto che mi aveva trovato un passatempo mentre lei era via e tu dormivi. Suppongo fossero quelli.- Precisò, a mò di giustificazione.
-Certo che li ha lasciati di proposito!- Esclamò con voce roca, prima di cominciare a tossire violentemente. La tosse gli mozzava il respiro, gli occhi gli si riempirono di lacrime, a momenti gli pareva di soffocare. Hannah gli corse accanto, spaventata nel vederlo sforzarsi così per riuscire a respirare. Si aspettava che lei gli battesse inutilmente una mano sulla schiena, invece gli poso una mano sulla spalla e con l'altra cominciò a massaggiargli la schiena con un movimento circolare. Non alleviava di certo la tosse, ma era rilassante.
-Cerca di respirare lentamente e a labbra socchiuse. Inspira ed espira Jace, inspira ed espira...- Il ragazzo fece come detto, e lentamente cominciò a respirare più facilmente, mentre la tosse si faceva più leggera. Il naso era completamente tappato, e la gola gli doleva da impazzire, ma perlomeno respirare ancora possibile.

-Okay... Okay... Sono ancora vivo...Grazie...- Hannah lo prese per un braccio e lentamente lo accompagnò fino al divano, mormorando : - La tata lo faceva sempre quando prendevo una brutta tosse. Non avresti dovuto alzarti, comunque.-
-Ma avevo sete...- Borbottò lui di rimando,imbronciandosi un po' avvilito e un po' infastidito.
-Ti porto dell'acqua se mi dici dove trovare dei bicchieri.- si diresse verso la cucina senza attendere risposta. Intanto Jace si sistemò la coperta sulle gambe. Stare sdraiato gli rendeva difficile respirare con quella tosse, quindi si mise seduto.
-Sportello centrale. Ci dovrebbe essere anche un pacco di fazzoletti, se fossi così gentile... Ah, l'acqua è nel frigorifero. - Si voltò, riprendendo a tossicchiare: vederla muoversi per la cucina era come avere visioni di un improbabile futuro.
-Bevi piano, è fredda.- gli raccomandò, porgendogli un bicchiere colmo d'acqua poco dopo. Jace lo prese con entrambe le mani, si sentiva così debole che anche un bicchiere d'acqua sembrava un peso insostenibile per una sola mano.

-Grazie.- bevvè un sorso d'acqua, godendo della piacevole sensazione del liquido fresco che gli scorreva in gola. - Allora, visto qualche foto imbarazzante in quegli album?- le chiese, riprendendo a bere. Fingeva noncuranza, ma temeva d'essere arrivato troppo tardi.
-No, niente di imbarazzante. Eri un bambino molto carino. - gli sorrise, porgendogli i fazzoletti e sedendogli accanto, ad una ragionevole distanza.- In una foto eri ricoperto di passato di verdura e avevi un piatto in testa.- lo disse come se fosse la cosa più naturale del mondo.
-E questo non ti sembra imbarazzante?- chiese lui perplesso.
-No, mi sembra adorabile. Io non ho foto del genere. In genere i miei genitori pagavano un fotografo professionista perché una volta l'hanno mi facesse un book fotografico. Mia madre era uno storico come suo padre, e in particolare studiava il periodo vittoriano. In breve, in tutte le foto della mia infanzia indosso questi abitini d'epoca che mi fanno sembrare una bambola. Questo è imbarazzante.- sorrise sarcastica, quasi a burlarsi di se stessa. - Ah! Tua madre e io abbiamo avuto la stessa idea, sai? Purtroppo mio padre non ha voluto portare con se nessuna di quelle foto, quindi ho solo questa.- alla fine della catenella, Jace non l'aveva affatto notato, stava uno di quei ciondoli in cui si possono inserire delle fotografie. Hannah lo prese tra indice e pollice destro e con l'altra mano l'aprì. Gli si avvicinò, mostrando le due piccole foto: la prima ritraeva una donna d'una bellezza incredibile, ne fu talmente colpito che degnò solo d'un fugace sguardo la foto di una piccola e cicciottella Hannah infagottata in un abitino tutto pizzi con tanto di cuffietta di pizzo in testa. Non c'erano dubbi, era la madre della ragazza: avevano gli stessi enormi occhi azzurri, pieni di sentimento e malinconica rassegnazione. Le labbra erano simili, ma quelle di Hannah non erano così carnose, così come i capelli, scuri come l'ebano. Anche quella foto sembrava essere stata scattata da un fotografo di professione, perché la posa della donna ne metteva in luce i lineamenti fini, il fisico asciutto, il profilo perfetto, ma era palesemente innaturale. La faceva sembrare in attesa di qualcuno che potesse trarla dal grigiore e dalla malinconia della sua esistenza, con il capo sorretto da una mano e il busto proteso in avanti. Forse nella foto originale si poggiava ad un tavolino, ma non avrebbe saputo dirlo con certezza.
-Accidenti. Tua madre era... Non ho parole, è una delle donne più belle che io abbia mai visto. Anche più di mia madre. Ma questo non diciamoglielo! - le strizzò un occhio sorridendole brevemente. - Come si chiamava?- Per vedere meglio la foto si era chinato verso il basso, ma essendo la posizione scomoda, aveva istintivamente posato il capo sulla sua spalla. Non si era affatto accorto di come la ragazza si fosse irrigidita a quel semplice gesto, finché non sollevò lo sguardo dal ritratto di Zara per guardarla in volto. Era arrossita, e se ne stava a fissare un punto davanti a se per paura di abbassare lo sguardo e incrociare quello di lui.
-Zara... Si chiamava Zara.- Rispose brevemente.
-Ti somiglia. Mio padre si chiamava Jonathan. Per fortuna non gli somiglio per niente. Abbiamo qualcosa in comune. Portiamo entrambi i nomi dei genitori che ci hanno abbandonato.- Jace allungò una mano e prese il ciondolo, fissò ancora per qualche istante la splendida e triste Zara, e poi lo richiuse, posandolo nella mano di Hannah. - Come è morta tua madre? Mi hai detto che tuo padre è vedovo da anni.-
-Si è uccisa.- Ciò che più lo colpì fu il modo in cui lo disse, con totale freddezza. Si aspettava perlomeno della tristezza, o di notare un certo tremolio o commozione nella voce, qualcosa che lasciasse trapelare i suoi sentimenti, la sofferenza, o persino la rabbia.
-Lo dici con un'indifferenza che mette i brividi.- Non poté trattenersi dal farle notare.
-Non me la ricordo quasi, e subito dopo mi hanno affidato alla tata. Ricordo a malapena il suo profumo e il fatto che non la vedevo sorridere quasi mai. É come parlare della morte di un'estranea.-
-Non sei arrabbiata? Ti ha abbandonata. Non ti viene voglia di urlare quando pensi a quel che potrebbe essere la tua vita se avesse avuto il coraggio di continuare a vivere?- prese un fazzoletto dal pacco che aveva posato sul grembo e si soffiò il naso rumorosamente, facendola sussultare. - Io lo sono stato per anni, e a volte lo sono ancora. Arrabbiato con mio padre intendo.- aggiunse, osservandola dal basso. La ragazza sospirò. Continuava ostinatamente a fissare il muro.
-No. La rabbia non la riporterà in vita quindi che senso ha crogiolarsi nel rancore? Tuo padre e mia madre hanno deciso di andarsene in maniera differente. Probabilmente sono solo diverse dimostrazioni di egoismo, ma se tuo padre forse l'ha fatto per codardia, forse mia madre l'ha fatto perché era infelice. E tuo padre probabilmente è vivo da qualche parte, la tua rabbia è quantomeno giustificabile. La mia non potrebbe esserlo.- Strinse le spalle. Forse cominciava ad abituarsi a quell'imbarazzante posizione, perché si poggiò piano allo schienale del divano. - Ma a volte sento come un fastidio nei suoi confronti. Mio padre si è rifugiato nel lavoro ignorandomi per la maggior parte della mia vita da quando lei è morta. Non ricordo come fosse prima, ma probabilmente sarebbe stato più presente se lei fosse stata in vita. Forse sarei stata più felice.-
-Ognuno reagisce al dolore in modo diverso. Mia madre per esempio ha sviluppato un odio feroce verso gli uomini che le ricordano mio padre. Se é maturo, riccho e affascinante non c'è storia, scarica sul malcapitato di turno tutto l'odio represso in questi anni. É strano che abbia preso così in simpatia Miller in effetti. Credo lo faccia perché ha paura di ricascarci, comunque.- commentò, soffiandosi nuovamente il naso. - E ci ricascherebbe! Ha un debole per gli uomini alla Richard Gere in Pretty Woman.- le disse, ridendo.
-Certo che abbiamo cominciato la nostra reciproca conoscenza partendo dai risvolti più dolorosi delle nostre storie personali.- Commentò lei, chinando finalmente lo sguardo verso il suo volto. Per un momento Jace dimenticò cosa volesse dirle.
-Eh... - aggrottò la fronte – é...Meglio così. - distolse velocemente lo sguardo. Cos'èra stato quell'attimo di tensione? Perché si era come sarebbe stato baciarne le labbra? Non poteva e non doveva pensarci. Mai più. - É un sollievo averne parlato subito, perché ora possiamo passare ad altro, concentrarci sugli aneddoti divertenti e imbarazzanti, sulle figuracce... Soprattutto sulle figuracce! E sappi che ho tantissimi aneddoti da raccontare. Come quella volta che chiesi alla madre di Seth e Jem se i suoi figli erano dei cloni alieni!Questo è il meno ridicolo!- Hannah scoppiò a ridere, e l'atmosfera, che da triste e malinconica era diventata tesa e vibrante come la corda di un violino, sembrò rilassarsi al suono della sua risata. - Però se un giorno vorrai parlarmene ancora, sai dove trovarmi.-
La ragazza annuì.- Lo so, grazie. - Gli sorrise. - L'hai fatto davvero? Certo che ne avevi di fantasia.-
-Certo che l'ho fatto! A che pro mentirti? Se proprio dovessi montare i fatti lo farei per apparire migliore non certo fare la figura dello scemo.- Si lasciò scivolare verso il basso, all'altezza della spalla di lei, per maggior comodità. Improvvisamente si sentì rilassato e assonnato, ed era sul punto di crollare, quando lei gli chiese: - Possiamo continuare a guardare le foto per favore? Vorrei continuare a curiosare tra i vostri ricordi. Volevi che conoscessi tutto di te...-
Come poteva dirle di no? Era una logica schiacciante.


Greta.

Quando Greta rincasò fu accolta sul pianerottolo di casa dal silenzio più assoluto. Al di là della porta non proveniva un solo sibilo. Pensò che Jace non si fosse svegliato e alla fine Hannah, stanca di aspettare, se ne fosse andata. Sbuffando di fatica, posò una delle pesanti buste della spesa che aveva trascinato per tredici piani, per infilare una mano in borsa e estrarre le chiavi di casa. Aprì la porta, e la socchiuse soltanto, per avere il tempo di infilare nuovamente le chiavi in borsa e caricarsi nuovamente della spesa. Spinse piano la porta. Stava entrando in casa propria furtivamente, come una ladra, perché l'aveva sfiorata l'idea che quel silenzio forse era dovuto al fatto che i ragazzi potevano essere impegnati in qualcosa di più interessante delle chiacchiere. Si ritrovò invece a spiare una scenetta quanto mai tenera. Gli album erano stati spostati dal tavolo della cucina ai piedi del divano, dove i ragazzi stavano seduti. In realtà non si poteva dire che Jace fosse proprio seduto: all'apparenza le dormiva addosso, con il capo comodamente poggiato sulla spalla di lei, e si era raggomitolato contro il suo fianco, come se anche nell'incoscienza del sonno continuasse a cercarla. Hannah stava terminando di sfogliare uno dei raccoglitori, tutta concentrata a non perdere neppure uno dei momenti che nel corso degli anni lei era riuscita ad immortalare. Il suo cuore di mamma fremette di gelosia: il giorno in cui il suo bambino avrebbe preferito addormentarsi sulla spalla di un'altra persona, di un'altra donna, era finalmente arrivato. Lo attendeva già da un po' e improvvisamente era là, senza neppure darle il tempo di dare l'addio ai giorni in cui era l'unica donna della sua vita.
La gelosia e l'angoscia però svanirono in un attimo. Era giusto che Jace dovesse scegliersi la propria strada e una compagna con cui percorrerla: questo li avrebbe resi più distanti e al contempo più vicini di quanto non fossero mai stati. Il nido si sarebbe svuotato del suo unico piccolo, ma lei non sarebbe stata sola, non più. Non avrebbe sofferto di solitudine. Sentì lo stomaco rivoltarsi piacevolmente, come se migliaia di farfalle l'avessero scelto come dimora. Le farfalle nello stomaco. Dio, Greta! Sei alla frutta! Pensò, scuotendo il capo. Non riuscì a distogliere il pensiero da quell'uomo in alcun modo.

Lei.

-Salve piccioncini!- All'eclatante entrata di Greta, Hannah sussultò. Si rese conto di quanto potesse apparire compromettente quella posizione. Non era scattata in piedi solo perché Jace dormiva così bene che si sarebbe sentita in colpa a svegliarlo.
-Sa-salve...Io... Jace do-dormiva...e...Insomma...- farfugliò nel vano tentativo di formare una frase di senso compiuto. Da quando frequentava Jace le capitava sempre più spesso.
-Oh... Ti si è addormentato addosso. Aspetta...- Greta posò le buste davanti all'ingresso, chiudendo la porta a chiave. - Ora ti aiuto a liberarti dal pachiderma.- le sussurrò facendole un occhiolino. Lasciò che Greta ne sollevasse piano il capo e lo facesse scivolare verso il capo opposto del divano. Quando si alzò, sollevò anche le gambe e lo coprì per bene con la coperta.
-Credo gli si sia alzata la febbre.- si preoccupò di riferirle immediatamente, un po' per reale premura nei confronti di Jace un po' per non dover affrontare discorsi imbarazzanti. Greta posò una mano sulla fronte del figlio, annuendo.
-Hai ragione. Ora preparo qualcosa per cena, lo imbottisco di medicine e lo spedisco a letto.- disse, dirigendosi poi spedita verso la cucina. Prese il telefono, posato sul tavolo, e lo portò ad Hannah. - Chiama tuo padre. Tuo padre, non la bambinaia, capito? Digli che rimarrai qui a cena, e che dovrà mandare qualcuno a prenderti.- Hannah prese il telefono del tutto inconsciamente, per poi ritrovarsi a fissarlo come se non sapesse cosa farsene.
-No... Non credo sia una buona idea... Voglio dire, sono di troppo, lei deve già pensare a Jace...-
-Ti avevo detto di chiamarmi Greta o mi sbaglio? Proprio perché Jace è K.O., ho bisogno di una mano per sistemare la spesa. Il minimo che possa fare in cambio è offrirti la cena!-
-Va bene, se davvero le serve una mano...- mormorò, sorridendole felice.- Se posso essere sincera, ho sempre desiderato farlo. Nei film sembra divertente, e in casa non ho mai visto entrare un solo barattolo. A sei anni credevo che il nostro forno fosse magico e i piatti uscissero da li già pronti.- ammise, facendo ridere Greta di tutto cuore.
-Okay, okay, allora oggi faremo avverare il tuo sogno! Di solito le bambine sognano di diventare principesse, tu invece preferisci fare la Cenerentola!- disse, passandole uno dei sacchetti – Le verdure nel frigorifero, al resto ci penso io.- La ragazza annuì, infilando una mano nella busta per tirarne fuori una confezione di spinaci.
La verità era che mai, in nessun film, neppure per un secondo sistemare cartoni di latte e scatolette le era parso anche solo vagamente divertente. Era affascinata dal gesto in se, anche se noioso e banale, perché implicava una grande familiarità con la casa e i suoi abitanti. Il semplice fatto di poter poi scambiare qualche parola nel mentre, la faceva sentire serena. Tutto sapeva di casa, in quel posto, di famiglia, e non avrebbe impedito a niente e nessuno di impedirle di illudersi che per qualche ora poteva essere parte. Ad Hannah mancava una famiglia, una vera famiglia. Ora che aveva dato uno sguardo attraverso le sbarre del cancello dorato che l'aveva protetta dal mondo esterno per tutta una vita, si era accorta di quante cose le fossero mancate. Quel cancello un giorno l'avrebbe scardinato pur di fuggire via, nel mondo vero.
Poteva avere tutto ciò che il denaro avrebbe potuto comprarle, ma non poteva ridarle indietro sua madre, non poteva comprare il senso d'intimità e sicurezza che le persone normali provano entrando in casa, non poteva godere dell'affetto di una vera famiglia staccando un assegno. Stare in quel piccolo appartamento, godere della compagnia di Greta e Jace, trarre beneficio dall'atmosfera rilassata che regnava in casa, era una momentanea ma impagabile panacea. Si sentiva vuota al solo pensare di dover tornare a casa sua, da un padre che a mala pena si sarebbe accorto della sua presenza e da una governante che l'aveva cresciuta e che adorava ma che non le bastava più. Comprendeva meglio il discorso che Eleanor le aveva ripetuto per l'ennesima volta qualche giorno prima. Quello che davvero intendeva dirle era che il momento in cui giocare a “facciamo finta che la tata sia la mamma”non le sarebbe più bastato era spaventosamente vicino.

Lui.

Jace adorava sua madre, era risaputo. Quel che provava per lei andava ben oltre l'adorazione dopo che aveva avuto la meravigliosa idea di invitare Hannah a cena. Aveva sentito tutto, perché in realtà non si era mai addormentato. Aveva rischiato di farlo, ma come poteva addormentarsi quando si trovava in una posizione così interessante? Dato che non era affatto sicuro che Hannah si sarebbe lasciata avvicinare ancora a quel modo in futuro, aveva deciso di approfittarne finché poteva. Era stato difficile fingere tanto a lungo, con quella tosse a tormentarlo e il naso che gocciolava come un rubinetto lasciato aperto.
Odiava il silenzio, era per questo che era diventato logorroico, ma stare in silenzio in due era ben diverso: in quel contesto era diverso, con il volto affondato nell'incavo del suo collo era diverso, respirando il suo profumo era diverso. E quando lei aveva poggiato il capo contro il suo aveva rischiato l'infarto. Era stato duro trattenersi ancora dal baciarla. É troppo presto! É troppo presto! Si era detto, facendo uno sforzo sovrumano. Se l'avesse fatto, lei sarebbe scappata via, avrebbe rovinato tutto quanto. Poi era arrivata sua madre e l'idillio era terminato.
Greta non doveva aver creduto neanche per un secondo che lui fosse davvero addormentato: era stata troppo delicata e attenta a non svegliarlo. Hannah non lo sapeva ma sua madre non era nota per la sua delicatezza. Se l'avesse creduto davvero addormentato si sarebbe limitata a svegliarlo in malo modo e dirgli di spostarsi. In ogni caso, la ragazza se l'era bevuta e tutto andava così tremendamente bene da fargli sospettare di essersi addormentato per davvero e di stare sognando. Quando il fracasso prodotto da lattine che venivano riposte e dall'apri e chiudi dello sportello del frigorifero cessò, e le chiacchiere tra Hannah e Greta cominciarono a languire, decise che era il momento giusto per svegliarsi.
Aprì gli occhi e si voltò di lato, sbadigliando il più convincentemente possibile. Poi si stiracchiò senza alcuna grazia, allungando le gambe e poi mettendosi a sedere. Si guardò intorno con aria fintamente spaesata, e quando vide Hannah, le sorrise. - Hei... Ciao... Sei ancora qui.- biascicò con voce più assonnata possibile.
-E rimarrà per cena, visto che è stata così gentile da aiutarmi con la spesa.- Greta ammiccò, alle spalle della ragazza che si era voltata verso lui non appena si era sollevato. - A proposito, stasera c'è il tuo piatto preferito!-
-Messicano? Ti prego dimmi che hai preso qualcosa al messicano dietro l'angolo!- esclamò entusiasta. Già pregustava un buon burrito, ma qualcosa nell'aria, forse un certo olezzo che si spandeva ad ondate dalla cucina per tutta la sala, gli fece capire che di un burrito non avrebbe visto neppure l'ombra.
-Ma no! Broccoli bolliti! Non è fantastico?- Come volevasi dimostrare. Jace si alzò sbuffando. Tra tutte le verdure, i broccoli erano quelli che più odiava. Lo disgustava soltanto l'odore, per non parlare della loro consistenza molliccia. E poi quel colore così...Così... Verde! - Non preoccuparti, ti ho preparato anche un bello ed insipido petto di pollo, solo cibi sani per il mio bambino.- Gli andò incontro, abbracciandolo e pizzicandogli le guance. Odiava quando si metteva si intestardiva a volerlo mettere in imbarazzo a qualsiasi costo. - La prossima volta cerca di fingere meglio. Si vedeva lontano un miglio che non dormivi.- Gli sussurrò prima di trotterellare nuovamente in cucina.
-Disse la regina del take away... Mi hai tirato su a involtini primavera e pizza a portar via!- disse tirando su con il naso, mostrandosi imperturbabile. Lanciò un'occhiata fugace ad Hannah, sembrava l'avessero messa a disagio. Si disse che si sarebbe presto abituata alle loro esagerate dimostrazioni d'affetto. Non aveva altra scelta, perché nessuno avrebbe impedito a Greta di continuare a strapazzarlo di coccole.
-Non mettermi in imbarazzo. Anzi, fila a letto, intanto che io finisco di preparare la cena.- Si voltò verso Hannah. - Te lo affido, mi raccomando. Conducilo sano e salvo oltre il corridoio.- disse con tono solenne.


Lei.
Tornare nella stanza di Jace le faceva uno strano effetto. Le appariva ancora come un luogo sconosciuto e misterioso. Trovarsi nella camera di un ragazzo era come essere stata catapultata su un pianeta alieno.
-Come ti senti?- gli chiese non appena si fu sistemato, tendendogli il pacco di fazzolettini che aveva avuto l'accortezza di prendere dalla sala.
-Uno straccio. E mia madre vuole avvelenarmi con i broccoli. Sono un povero malato in balia di una pazza.- Hannah ridacchio. Cominciava ad abituarsi al suo essere così melodrammatico. - Ti faccio ridere? Tu dovresti stare dalla mia parte!-
-Scusa, ma sei così drammatico talvolta da risultare comico.- disse in tutta sincerità.
-Devo prenderlo come un complimento o come un insulto?- Le fece segno di sedere accanto a lui, spostandosi di lato per farle spazio.
-Mi fai ridere... Il che dovrebbe essere positivo... Quindi, si, direi un complimento.- Stava per sedere quando la sua attenzione fu attirata da una piccola libreria che aveva già notato il giorno prima. Un libro in particolare la colpì. - Posso vedere i tuoi libri?- Chiese prima di fare un passo verso il mobile.
-Sicuro!- replicò lui,scrollando le spalle. Quando si avvicinò vide che non si era sbagliata. Sfiorò un grosso tomo con la punta delle dita e delicatamente lo estrasse dalla pila. Era un libro di fiabe e favole.
-Non mi sbagliavo. Ho un libro identico. La tata me lo leggeva ogni sera quando tornavo a casa dal collegio.- Corse a sedersi accanto a lui, aprendo il tomo ad una pagina a caso. Strabuzzò gli occhi quando si accorse che non era stampato in inglese.
-Scherzi? A me l'ha regalato mia nonna. Me lo portò dalla Germania l'ultima volta che venne a trovarci. In realtà fu la prima e l'ultima volta che la vidi. Avevo circa otto anni, non me la ricordo bene.-
-Dalla Germania?- Non le risultava che Jace avesse parenti in Europa, o per meglio dire ne lui ne le ragazze avevano mai accennato alla cose.
-Mamma è tedesca, è venuta in America per seguire mio padre.- le si avvicinò e allungò una mano a voltar pagina. Una splendida illustrazione, anche se dai colori leggermente ingialliti dagli tempo, fece capolino dall'altro lato della pagina.
-Non ne avevo idea... Oh! Ora ricordo perché amavo questo libro. Che splendide illustrazioni. É cercando di imitarle che ho cominciato a disegnare.- disse sfiorando il volto di una bella principessa che teneva sollevato all'altezza del volto un rospo bitorzoluto ma dall'espressione vagamente umana.
-E io cercando di leggerlo ho imparato il tedesco. Alla faccia di chi dice che le favole sono inutili! Quale era la tua preferita?- chiese, prendendole delicatamente il libro dalle mani e riprendendo a sfogliarlo.- Dio, non lo aprivo da anni...- sussurrò tra se e se.
-Raperonzolo.- Non ci fu alcuna esitazione nel suo rispondere. Raperonzolo era sempre stata la sua fiaba preferita, ricordava di aver persino avuto una bambola con dei capelli lunghissimi che aveva chiamato proprio a quel modo.
-Ti sentivi intrappolata in un'altissima torre e aspettavi di essere salvata da un cavaliere dall'armatura splendente?-
-Probabilmente la prima cosa che hai detto. I principi azzurri e i cavalieri non sono mai così onorevoli e senza macchia come si pensa. Noi lo sappiamo bene, non trovi?- gli rivolse un sorrisetto triste.
-Non siamo tutti così noi uomini... Ci sono alcune eccezioni.- Jace le parve quasi offeso dalla sua affermazione.
-Tu sei l'eccezione.- Quando si voltò a guardarlo, si rese conto di cosa potessero voler dire quelle parole. In qualsiasi altra occasione, dette a chiunque altro, sarebbero state un complimento, ma non se dette a lui. Incrociandone lo sguardo sentì di nuovo ogni muscolo del suo corpo irrigidirsi. Era la stessa sensazione, la stessa tensione che aveva provato poco più d'un ora prima, quando seduti nel salotto aveva abbassato lo sguardo sul suo volto e aveva sentito una forza invisibile spingerli l'uno verso l'altro, proprio come accadeva in quell'istante.
-Hannie... Il tuo primo bacio... L'hai già dato a qualcuno?-


L'angolo dell'autrice: 

Rieccomi qui, nuovo giro nuova corsa... e nuovo capitolo! Che ho cominciato al mare in clandestinità ( i miei parenti già mi prendono per pazza perché amo leggere più di ogni altra cosa, se poi sapessero che scrivo pure diventerei la stramboide ufficiale della famiglia... o meglio mia madre sa, l'ha scoperto praticamente... ieri, e spero che se lo tenga per se =_=” ) su pezzi di carta trovati qua e la (come Antonacci insegna).

Ho voluto approfondire le storie dei personaggi, o meglio entrare un poco nelle loro menti per sapere cosa ne pensano di quei genitori che li hanno abbandonati. Ho esagerato o lesinato in qualcosa? Avendo per fortuna due genitori affettuosi e presenti, non so se ho toccato i punti giusti in questo capitolo. In caso fatemi sapere cosa ne pensate, o dove secondo voi ho sbagliato (perchè lo so devo aver toppato alla grande da qualche parte!)
Che idiota, la scorsa volta ho dimenticato di linkare la storia di KELLINA! Eccola qui --->XXX
Mi sono sforzata di pubblicare il capitolo 10, perché sono arrivata alla conclusione che se non l'avessi fatto avrei lasciato la storia incompiuta. Quindi ve l'ho presentato così, anche se pieno di errori, con una trama secondo me assolutamente inconsistente e incoerente e qualsiasi altro aggettivo dalla valenza negativa che possa venirvi in mente. Eppure a poche ore dalla pubblicazione ho ricevuto una recensione che mi ha veramente commosso.
Mie poche commentatrici fedeli, ci tengo a precisare che per me ogni vostra recensione, anche un “mi piace continua” è fonte di grande gioia e commozione. Anche la persona più modesta non può non andare in brodo di giuggiole quando vede che il proprio lavoro viene riconosciuto apprezzato e lodato.
La recensione di Melikes però mi ha davvero colpito.
In un primo momento mi son guardata intorno alla ricerca di una telecamera nascosta, perché era inconcepibile che tu avessi capito tutto: tutto quello che cercavo di trasmettere, tutto quello che cercavo di dire, tutto ciò che volevo il lettore si figurasse. Ho il sospetto che tu sia un genio, perché per capire tutto questo ci vuole un Q.I. alto... no altissimo! Sono conscia che spesso ciò che scrivo risulta incomprensibile, e mi perdo in mille giri di parole (sono prolissa... molto prolissa!) che probabilmente annoiano o fanno perdere il filo del discorso al lettore.
Il complimento più bello è stato quando mi hai scritto che la mia inventiva ti spiazza, con colpi di scena imprevisti. Io considero banale ciò che scrivo, non riesco a vedere poi tutta questa originalità e i colpi di scena... Eh?Bo! Non so dove siano! XD Devo averli scritti in uno stato di trance meditativa... U.U Ovviamente scherzo. Ma sono molto realista riguardo le mie capacità di “scrittrice”, non mi sembra mai di aver dato un input abbastanza evidente o particolare perché il lettore si chieda alla fine del capitolo “ Eh mò che succede??”. Ho cercato di evitare però i soliti clichè tipo un ipotetico ritorno del padre di Jace nel momento meno opportuno, oppure svelare i motivi che hanno spinto la madre di Hannah ad uccidersi, tipo scoprire di essere incinta di un altro uomo, per fare un esempio tra i tanti.
I miei personaggi sono portati all'estremo è vero, ma neppure tanto, perché sono quel genere di personaggi di cui mi piace leggere. Li trovo esilaranti perchè sono eccessivi, spesso strani, e soprattutto imperfetti. Ovviamente non devono essere troppo strani, altrimenti risultano campati per aria e allora hanno l'effetto opposto: fanno venire voglia di smettere di leggere. Sono felice di aver fatto un buon lavoro almeno in quel senso. Proprio per questo ho creato per Jace un piccolo scheletro nell'armadio. Era troppo...tutto: troppo bello, troppo gentile, troppo simpatico, troppo intelligente, troppo troppo troppo! Doveva avere una piccola macchietta e mi serviva qualcosa di abbastanza originale e sensato che giustificasse la rivalità tra lui e Thomas.
Probabilmente non si nota, perché ho un senso dell'umorismo davvero pessimo ç_ç , però cerco sempre di sdrammatizzare senza ricadere nel sarcasmo, a meno che non lo richieda la situazione, il che per ora non è accaduto. Sarebbe inutile e controproducente criticare il consumismo, la corruzione, e tutti i difetti dell'alta società dell'East Side. Non avrebbe avuto alcun senso, non in un racconto romantico. Anche se ammetto che la scrittrice ogni santo rosica! XD Un bel Valentino lo vorrebbe anche lei! ç___ç
Direi che DOLCEAMARO riassume nel complesso tutta la situazione dei due protagonisti principali, durante tutto il dipanarsi delle loro vicende.
Il fatto che tu abbia messo questa storia tra i preferiti, insieme a storie come quelle di fallsofarc, che io personalmente adoro, mi fa toccare il cielo con un dito, proprio perché non mi considero assolutamente a quel livello. Non so neppure come ringraziarti per tutti i complimenti, e queste bellissime parole che mi hanno davvero dato la spinta per riprendere a scrivere nonostante tutta la sfiga e i guai che ultimamente mi perseguitano, ultimo tra tutto la morte del pc, resuscitato dal tecnico di fiducia e tornato a casa giusto lunedì. Ah si, ho pure rotto uno specchio di un metro e mezzo... Tanto per non farmi mancare quel pizzico di sfiga in più!
Un altro enorme grazie a Dayan, che è stata un vero tesoro a contattarmi in privato. :-) A volte una parola gentile ti risolleva davvero l'animo, e proprio come mi hai scritto tu l'unica via d'uscita è mettere tutto nero su bianco. Spero che le cose vadano meglio anche per te e che tu riprenda a scrivere te lo auguro con tutto il cuore. :-)

Spero questo capitolo scritto in tempo record (non credo di aver mai scritto così tanto in un così breve tempo. Ma le botte d'ispirazione ovviamente capitano sempre quando il mio computer decide di fare le bizze) non faccia troppa pena (secondo me è il peggiore che io abbia mai scritto). Non so quando potrò pubblicare ancora, perché ho deciso di fare una scelta importante e avrò bisogno di tempo per prepararmi, qualunque siano le conseguenze.











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Capitolo 12
*** Capitolo 12. In frantumi. ***


Hopelessly devoted to you







Hopelessly Devoted To You <3

Capitolo  12. In frantumi

Lui.

Le sue labbra sembravano più vicine di quanto non fossero in realtà. Quando lei scosse il capo, negando alla sua domanda, gli parvero invitanti come non mai, come se lo stessero chiamando.
E se fossi io il primo?
Si chiese, provando ad immaginare l'esatta sensazione che avrebbe provato nel momento in cui le loro labbra si fossero sfiorate. In un certo senso sarebbero state sue per sempre, perché sarebbe stato il primo a baciarle. Nessuno altro avrebbe avuto più importanza nei ricordi di lei. Sarebbe stato indimenticabile, comunque fossero andate le cose.
Un pensiero però bloccò ogni suo slancio. C'era una vocina nella sua testa che continuava a borbottare senza sosta.
Bravo idiota!
Gli diceva. E dopo che l'avrai baciata che farai?La guarderai fuggire via senza fare niente, ecco cosa farai! La perderai per sempre!

Che stesse impazzendo, o che quella fosse solo la voce della sua coscienza, non aveva torto. Non poteva permettersi di mandare tutto a rotoli con Hannah. Quello non era il momento giusto, e aveva paura che non sarebbe mai arrivato. Aveva il sentore, del tutto giustificato, che lei sarebbe sempre scappata, perché era questo che faceva: fuggiva da ciò che le era estraneo, e l'amore lo era molto più di tante altre cose, non sapeva proprio cosa fosse. Certo lui non aveva la presunzione di dichiararsi onnisciente sull'argomento, ma era di certo un passo o due avanti a lei.

-No...? Ah... Allora... Promettimi che mai, e dico mai, per nessuna ragione al mondo, lo sprecherai per uno come Thomas Rushmore!- Le sorrise arricciando il naso come era solito fare. L'ironia era sempre la sua ancora di salvezza e maschera migliore. Per Jace era sempre stato facile nascondersi dietro una battuta e qualche risata. Non si rischia di esporsi inutilmente, di venire feriti e Jace non c'era mai andato tanto vicino prima che arrivasse Hannah. Cosa gli stesse capitando non riusciva proprio a capirlo. Captò come un lampo di delusione nello sguardo di lei, ma lasciò correre.
-No... No di certo. Non bacerei mai uno sconosciuto. Lo prometto, se ti fa sentire meglio.- gli rispose scuotendo il capo con convinzione, seppure apparisse piuttosto confusa. Una promessa del genere probabilmente per lei non aveva alcun senso logico, forse non aveva senso per nessun altro che non fosse Jace. Per lui non solo ne aveva, ma era importante che lei lo promettesse, perché una volta fatto questo era sicuro lei non l'avrebbe infranta. Hannah era leale e sincera, non avrebbe mai mancato alla parola data.
-Allora non vi siete visti al maneggio? Non avete cavalcato verso il tramonto in sella a Charlotte? - Non riuscì a controllarsi. L'ironia cominciava a trasformarsi nel peggior tipo di sarcasmo: quello dettato dalla gelosia. Il tipo più subdolo, perché difficile da controllare. Una parola di troppo e ogni velo cade, scoprendo tutto quello che si vorrebbe celare agli altri. Per sua fortuna Hannah era troppo ingenua anche per riconoscere la gelosia, che le era sconosciuta quanto il sentimento che l'aveva generata.
-Certo che no. A dir la verità mi ha spaventata. Ha un modo davvero bizzarro e spaventevole di avvicinare le persone. Perché mai dovrei avvicinarmi a qualcuno che mi fa spiare? E poi a scuola non l'ho mai incrociato in questi giorni, quindi immagino il suo non fosse reale interessamento. Jaquie dice che vuol farti dispetto, che crede... - arrossì violentemente - ...che... Io e te... Siamo... Come posso dire...- improvvisamente sembrò avesse inghiottito un enorme viscido rospo, perché la sua voce si era ridotta quasi ad un rantolo. Aveva abbassato lo sguardo, a fissare il copriletto, mentre con un dito ne seguiva le zigzaganti righe colorate.
-Che stiamo insieme. Non è una cosa così imbarazzante da dire.- le sorrise, posandole una mano sul capo, a scompigliarle i capelli, per quanto potesse. Il fatto che lei non riuscisse neppure a pensare a loro due come una coppia senza entrare in crisi passò del tutto in secondo piano. L'attenzione del ragazzo si era fissata tutta sulle parole “mai” e “incrociato”. Quindi aveva ragione, l'aveva avuta fin dall'inizio. Thomas voleva usarla per fargli dispetto, ed era stato lungimirante e accorto come suo solito nel comprendere ancor prima di lui stesso quanto sarebbe diventata importante per lui quella ragazzina che cercava di starsene nascosta dietro le quinte e che era stata tirata sotto le luci della ribalta contro la sua volontà. Lui l'aveva capito subito che sarebbe diventata la protagonista, e non una semplice comparsa presto dimenticata, dello spettacolo della vita di Jace.
Era sorpreso però dalla sua onestà, se così poteva definirsi. Jace si era detto sicuro che il ragazzo avrebbe approfittato della sua assenza per cercare di entrare nelle grazie di lei, e la cosa lo faceva impazzire. Invece Tom lo stava aspettando. Niente pugnalate alle spalle né sotterfugi, una volta fatta la prima mossa doveva aver preferito tutt'altra condotta. E certamente doveva essere sicuro di vincere.
-Non ti preoccupare. Appena torno a scuola risolvo io le cose con lui. Non ti farà più seguire, te lo posso assicurare.- le disse. Peccato non poterle assicurare che si sarebbe liberato di lui definitivamente. Era iniziare una vera e propria guerra, senza sapere bene per cosa combattere. C'era della generosità nel suo agire? Per davvero voleva soltanto trarre l'amica dall'antipatica situazione in cui si era, suo malgrado, trovata invischiata? Oppure il suo unico egoistico scopo era quello di impedire alla ragazza di allontanarsi da sé? Quando in seguito, trovatosi da solo, tornò a rifletterci su, non seppe darsi una risposta.
-Lo so. É che sono certa ci sia stato un fraintendimento, e vorrei avere il coraggio di fare qualcosa anche io.- replicò, tornando a tormentare la punta della treccia, con lo sguardo basso.
-Invece non devi fare nulla, è che ti ci sei trovata dentro per sbaglio.- il ragazzo scosse appena le spalle, come se fosse una cosa di poco conto. - Sono io che me ne devo occupare.- sospirò cambiando poi discorso frettolosamente. - Okay, basta, cambiamo argomento vuoi? Dicevamo, quindi nessun primo bacio? Neppure nessun fidanzato? Non avrai mica un promesso sposo nascosto da qualche parte?- chiese con una smorfia di totale disapprovazione.
-No, nessuno. Frequentavo un collegio femminile, ricordi? Gli unici ragazzi che avevo modo di frequentare non erano affatto interessanti. Non per me, perlomeno.- soggiunse, arrossendo appena.
-E chi sarebbe interessante per te?- si ritrovò a chiederle d'istinto e con una punta di ansietà.
-Ragazzi! É pronto!- La voce squillante di Greta, che li chiamava dalla cucina, interruppe la loro conversazione.
-Dio mio...- il ragazzo fece roteare gli occhi al cielo. - Andiamo, prima che creda io sia scappato dalla finestra. I broccoli ci attendono!- esclamò con aria sofferta e battendosi una mano sul petto, facendo scoppiare a ridere Hannah.

***

La cena si svolse quanto meno tradizionalmente possibile. Nessuno di loro sedeva a tavola: Jace era stato sistemato in poltrona ben coperto ed infagottato sotto più di una coperta, e per non farlo sentire in esilio Greta e Hannah si erano trasferite sul divano. Certo non era affatto una sistemazione comoda, ma Jace vide che Hannah gradiva la bizzarra sistemazione. Sembrava divertirsi e addirittura rideva del loro continuo battibeccare come non l'aveva mai sentita fare. Era così bello vederla comportarsi con quell'insolita naturalezza, sembrava illuminarsi sempre di più ad ogni risata.
Quando cominciò a sperare che il tempo scorresse lentamente, questo sembrò accelerare, sfuggente come non mai, e quando sentirono bussare alla porta capì che il loro, per quella sera, era giunto al termine. Improvvisamente calò il silenzio, e gli occhi di tutti e tre volarono verso la porta d'ingresso. Hannah si spense come una lampadina fulminata: l'ultima ora era stata come la scintilla che precede piombare improvviso del buio. Jace lanciò uno sguardo all'orologio appeso al muro della cucina, giusto accanto alla porta d'ingresso: sapeva chi era e questi era più che puntuale, spaccava letteralmente il minuto. Com'era sua abitudine, del resto.
Greta si alzò piano e con circospezione, camminando lentamente e il più silenziosamente possibile come se non sapesse chi poteva trovare aldilà della porta, mentre invece intuiva chiaramente chi potesse essere. Posò il proprio piatto sul tavolo e si avvicinò alla porta, guardando dallo spioncino. Un sommesso brontolio confermò ciò che Jace aveva solo immaginato.
-é arrivato tuo padre, Hannie.- borbottò, aprendo la porta con stizza. - In America si usa suonare al citofono, sa? É quella scatolina con tanti pulsanti giù all'ingresso. E pensi un po', accanto ad ognuno di questi tecnologici pulsantini c'è una cosa fantastica: una targhetta illuminata, con su scritti tutti i nomi di chi abita qui. Ce n'è uno per ogni famiglia, sa! Che tecnologia fantastica, non trova?- fu il suo saluto, grondante sarcasmo e accompagnato da un antipatico sorrisetto di circostanza. Hannah scattò in piedi alla vista del padre, rischiando di far cadere a terra il piatto che teneva poggiato sulle ginocchia. Si affrettò a raggiungerlo con sorprendente solerzia. Era bastata solo la sua presenza a raggelare l'atmosfera. Jace non poté fare a meno di chiedersi cosa mai sarebbe successo se avesse pure aperto bocca. Padre e figlia non si erano neppure salutati, era bastata una sola occhiata.
-Ahm... Le mie cose sono in camera sua...- mormorò, tenendo ancora il piatto tra le mani, rivolgendosi a Greta. Fino a pochi minuti prima le dava del tu, ora era tornata ad un Lei molto più formale. La verità era che non osava rivolgersi alla donna in un qualsiasi altro modo, davanti a suo padre.
-Vai pure tesoro, non ti preoccupare, sono sul letto.- Le posò una mano, su una spalla e prese il piatto con l'altra, spingendola appena verso la porta. Quando la ragazza ebbe svoltato l'angolo, Greta si voltò verso Barnes. - L'ha addestrata proprio bene, sua figlia. Come un cagnetto da salotto. - commentò caustica, sparì dal suo volto ogni accenno di sorriso- C'è un malato qui... - Jace, sentendosi sollevò una mano, sorridendo all'uomo. - Entri e mi faccia chiudere la porta, non voglio certo che mio figlio prenda una polmonite perché lei ha fretta di levare le tende. - sbottò ancora. Non appena l'uomo si fu allontanato dalla porta, questa venne sbattuta con forza producendo un botto fragoroso.
-Buonasera Greta.- Tutto nel Signor Barnes sembrava irradiare gentilezza e cortesia. Sembrava non avesse sentito una sola parola di quanto Greta gli aveva detto, ed era rimasto indifferente al suo sarcasmo. Era entrato in casa con un raro sorriso sulle labbra, e ora si guardava intorno con una certa curiosità. - Signor Stein, lieto di vederla.- quando i suoi occhi di ghiaccio si posarono su Jace, il suo sorriso svanì nel nulla, quello del ragazzo invece sembrava scolpito sul suo volto, incancellabile nonostante la debolezza derivata dalla febbre. Non gli rivolse altra attenzione, tornò subito a rivolgersi a sua madre.
-Mi dispiace, ho suonato parecchie volte ma pare che il vostro campanello abbia qualche problema. Piuttosto, mi sorprende che ci fosse il portone aperto, in un quartiere come questo dovreste...-
-Dica, dopo aver fatto tredici piani a piedi, crede veramente che un qualsiasi delinquente, per quanto disperato possa essere, farebbe tutta quella fatica per qualche dollaro?- lo interruppe la donna, zittendolo. In realtà sarebbe bastato il suo sguardo a metterlo a tacere tanto era carico d'astio.
-Non posso darle torto.- commentò solamente senza perdere una briciola del suo contegno. Jace prese ad osservarlo con maggiore attenzione, come se lo stesse studiando attraverso le lenti di un microscopio. Sembrava, quasi per uno scherzo del destino, che i ruoli si fossero invertiti: sua madre era diventata scortese fino a rasentare la maleducazione, l'uomo invece si era trasformato in un mite e cortese agnellino.
Era così che faceva Greta quando si trovava davanti un uomo che le ricordava il suo ex marito o per il quale provava anche la più vaga e inconsistente attrazione: era un semplice e banale meccanismo di difesa. A Jace diceva sempre che non rimpiangeva d'essersi innamorata, ma che ciò non voleva dire che dovesse ricascarci alla prima occasione E così davanti a uomini affascinanti e maturi, per non dire attempati, si trasformava in un mostro d'antipatia. Si poteva ben dire che sprizzasse scortesia da ogni poro.

George Barnes incarnava tutto ciò che Greta aveva trovato attraente nel suo ex marito. Era un uomo a cui i cinquant'anni calzavano a pennello, come un abito cucito su misura. Era alto tanto quanto Jace, e possedeva un fisico asciutto e atletico, nonostante sembrasse condurre uno stile di vita piuttosto sedentario. Gli pareva, tutto sommato, d'una bellezza nella media: il volto era scavato, sembrava stare riprendendosi da una lunga malattia, e qualche ruga d'espressione cominciava a farsi più marcata intorno agli occhi e sulla fronte. I capelli, d'un castano chiaro screziato qui e là di grigio, invece cominciavano a diradarsi e ritirarsi sulle tempie e l'attaccatura della fronte, facendola sembrare più ampia di quanto non fosse. Eppure tutti i segni lasciati dal tempo, o dalla sofferenza, non riuscivano ad intaccarne il fascino. C'era qualcosa nei suoi gesti, nella sua voce o anche solo nel suo stare immobile davanti a loro, che doveva essere estremamente attraente per una donna. Hannah non se ne rendeva conto, ma era questo il tratto più marcato che suo padre le aveva trasmesso: fascino ed eleganza innati.

Per il resto, non si somigliavano affatto, sarebbero potuti passare per sconosciuti. A lui di certo non sembrava granché, e se le reazioni delle sue compagne di classe, tutte moine e sorrisini quando Barnes metteva piede in classe lo divertivano e al contempo lo lasciavano perplesso, quella di sua madre lo preoccupava.

-Sono pronta.- fece Hannah con una vocina flebile, sbucando dal corridoio per poi correre ad affiancarsi al padre, interrompendo il flusso dei pensieri di Jace.

-Perfetto, andiamo allora.- replicò l'uomo, degnandola appena di uno sguardo, prima di tornare a rivolgersi a Jace. - Signor Stein, i mie auguri... Ah, e aspetto quella sua relazione di cui abbiamo parlato per lunedì. Trovi lei il modo di farmela avere, ma lunedì mattina deve essere sulla mia cattedra.- Jace vide Greta strabuzzare gli occhi e aprire bocca per replicare, ma riuscì a precederla.

-é pronta, in realtà. Posso mandargliela via email questa sera stessa.- replicò con voce roca ma carica di soddisfazione. Greta borbottò qualcosa ma poi si zittì, preferendo tenere per se i propri pensieri per quella volta.
-Sarebbe perfetto.- acconsentì l'uomo. - Dobbiamo proprio andare ora...-
-Era ora...- borbottò Greta con voce troppo alta, interrompendolo. Probabilmente sia Jace che George sospettarono fosse stato del tutto volontario. Andò ad aprir loro la porta, mentre Jace, posando il piatto sul divano accanto a se e liberandosi dalle coperte li raggiungeva all'ingresso. Hannah lo guardava con aria afflitta. Era tornata ad essere la riservata, ermetica, triste ragazza che era sempre stata.

-Signor Stein, Greta... Grazie di tutto. Buona serata.- Varcò la soglia, dando loro le spalle, per poi voltarsi non appena si accorse che Hannah era rimasta indietro. Fissava entrambi gli Stein, come indecisa sul modo migliore con cui accomiatarsi. Fu Greta a rompere gli indugi, abbracciandola forte e stampandole un bacio su una guancia.
-Pretendo che tu torni anche domani! É un invito ufficiale, sia chiaro! Perché sabato non porti anche Rose? Jace potrebbe chiamare i ragazzi e...- Sembrava non voler che se ne andasse. Continuava a tenerle le mani sulle spalle e solo il lieve tossicchiare di Barnes sembrò riscuoterla. - Beh, ne riparleremo domani di certo. Ciao, dolcezza.- disse infine lasciandola andare tutta sorridente.
Anche Jace avrebbe voluto abbracciarla, e dirle di tornare, dirle che l'avrebbe aspettata con ansia e che senza di lei si sarebbe annoiato a morte. Ma sentiva lo sguardo del padre di lei su di se, e comprese che nessuna di quelle cose avrebbe giovato a nessuno di loro. Così le posò una mano sul capo come sua abitudine e le sorrise dicendole - Se domani non verrai mi riterrò offeso mortalmente!- con tutta l'ironia e la leggerezza di cui era capace. - E dì a Rose che mi mancano i suoi pasticcini!-
La ragazza annuì. - Va bene.- mormorò solamente, prima di sollevare una mano, già guantata, in segno di saluto e seguire suo padre fuori dalla porta. Non appena questa fu chiusa Jace agguantò il telefono e andò a chiudersi nella propria camera dicendo – é meglio che mandi immediatamente la relazione a Barnes... - In realtà non aveva intenzione di fare nulla del genere. L'avrebbe fatto dopo un'importantissima telefonata. Digitò in fretta il numero e poi attese. - Hei, ciao Seth! Cercavo proprio te!-

Lei.
-é stato davvero bizzarro.- Concluse Hannah, dopo aver riferito a Rose della sera precedente.
-é stato bizzarro che Greta sia stata intrattabile mentre tuo padre sembrava volerle piacere a tutti i costi, o è stato bizzarro quello che è successo tra te e Jace?-Chiese l'altra, conscia d'aver centrato il nocciolo della questione.
-Tra me e Jace? Ma non è successo nulla.- si affrettò a replicare. Il suo arrossire però vanificava qualsiasi tentativo di nascondere all'amica che in effetti si era interrogata parecchio su cosa sarebbe potuto accadere quando, soli nella sua camera, lui l'aveva guardata in maniera completamente diversa dal solito. Aveva creduto sarebbe successo qualcosa di importante, addirittura fondamentale. Invece non era accaduto nulla. Quella sensazione però non era riuscita a scrollarsela di dosso.
-Secondo me è successo molto più di quel che credi. Ma se sei convinta che mi sbagli...- Concluse con tono vago, accostandosi ad una porta su cui targa stava scritto “Sala Musica”. - Io sono arrivata. Per poco non mancavo la porta.- aggiunse sorridendo della propria sbadataggine. Rose faceva parte della banda della scuola, suonava il flauto traverso. La dolcezza del suono di questo strumento si accostava perfettamente a quella della ragazza. - Ci vediamo lunedì, Hannie. Fa la brava, divertiti e salutami Jace.- le fece un occhiolino e fece per aprire la porta.
-Sì, io... Aspetta! Ho dimenticato di dirti che Greta ti invita ad andare da loro domani.- disse Hannah battendosi una mano in fronte. - Sono davvero desolata.- mormorò arrossendo a causa della terribile dimenticanza. - Jace dice che gli mancano i tuoi pasticcini.- aggiunse, come volesse impietosire la ragazza. Come se ce ne fosse poi bisogno. - Però devo dirti, in tutta sincerità, che credo ti stiano tendendo un'imboscata.- ammise annuendo seriamente.
Rose posò una mano sulla maniglia della porta e la schiuse appena. Dava le spalle all'amica, che non avrebbe saputo dire, non vedendo la sua espressione, se fosse felice o infastidita. - Ci potrebbe essere anche Seth, quindi.- mormorò voltandosi, rossa in viso ma con un sorriso che esprimeva tutta la sua felicità al solo pensiero di una simile eventualità. - Dì a Jace che ci sarò. Ciao, Hannie! Oh, stasera ti chiamo, quindi fatti trovare!- Esclamò prima di entrare frettolosamente nell'aula, senza darle il tempo di rispondere al suo saluto. Quando la porta si richiuse, sentì un allegro brusio provenire dall'altra parte. Come le sarebbe piaciuto, ricevere un'accoglienza come quella! Ma comprendeva bene che probabilmente non le sarebbe capitato mai. Non aveva lo stesso carattere dell'amica, e soprattutto non ispirava istintivamente benevolenza o simpatia come lei faceva.
Si guardò intorno, sospirando. Il corridoio era vuoto e, fatta eccezione per il vociare che proveniva dalla sala musica che seppur andava scemando era ancora udibile, immerso nel silenzio. Si incamminò verso le scale che l'avrebbero portata al secondo piano dell'edificio. Aveva tutta l'intenzione di recarsi nell'ufficio di Bert per denunciare l'ignobile furto del suo album da disegno. Ma prima voleva lasciare alcuni libri nell'armadietto.
Il corridoio del secondo piano era deserto quanto quello che aveva appena percorso, ma stranamente molto meno silenzioso. Passando davanti alla porta della presidenza fu sollevata nel sentire la voce grave di Bert e quella della sua segretaria, i due chiacchieravano amabilmente chissà di quale argomento. Bene, se si fosse sbrigata avrebbe fatto in tempo a parlargli. Accelerò il passo, passando velocemente davanti ad un altra porta, dalla quale proveniva chiaramente della musica. Le note di un pianoforte attirarono la sua attenzione e quasi la costrinsero, ammalianti com'erano, a fermarsi ad ascoltare, se non fosse che il pensiero del suo prezioso album nelle grinfie di chissà quale intenzionato premeva e reclamava tutta la sua attenzione. Anche se attratta da quel suono, continuò a camminare fino al suo armadietto, voltandosi però di tanto in tanto in direzione dell'anonima porta. Jace le aveva detto che li c'era stata una volta una seconda sala musica, ma che era stata declassata a sgabuzzino dato che era stata scarsamente utilizzata. Trovava strano quindi, che potesse contenere un pianoforte e che nessuno si preoccupasse di chiudere la porta a chiave.
Ah, come le sarebbe piaciuto saper suonare in modo tanto sublime! Purtroppo non aveva mai dimostrato una spiccata attitudine alla musica, e le sue lezioni di pianoforte erano finite presto e presto erano state dimenticate. Però ancora ammirava chi possedeva un eccezionale talento musicale, non poteva farne a meno. Tanto era presa da questi pensieri, e tanto era concentrata nel cercare di percepire ancora la musica nonostante la distanza, che quando fu davanti al suo armadietto non si accorse dei vari frammenti di carta che spuntavano da sotto lo sportello. Quando lo aprì venne sommersa da una quantità infinita di pezzi di carta, che svolazzarono sul pavimento spargendosi tutto intorno nelle immediate vicinanze. Hannah sbatté le palpebre, allibita. Si guardò intorno e poi abbassò lo sguardo: i suoi piedi erano completamente nascosti sotto un mucchio di carta di vario tipo. Li scosse appena, liberandosene e spargendoli ancor di più sul pavimento. Qualcuno doveva essersi divertito a svuotare il cestino della carta nel suo armadietto. Lei non lo trovava affatto divertente, ma non aveva intenzione di farsi rovinare la giornata da una simile inezia, soprattutto se questa non poteva nuocere a nessuno.
-Che cretinata...- borbottò tra sé e sé, mentre cercava di scrollarseli dai vestiti e dai capelli, per poi passare a ripulire l'armadietto, assicurandosi che quei grossi coriandoli non fossero pagine strappate dai suoi libri.
A nessuno di questi mancava neppure mezza pagina, notò con sollievo. Chiuse lo sportello e tornò a posare lo sguardo sulla montagnetta di carta ai suoi piedi. Cosa doveva fare? Andarsene e lasciare che se ne occupasse il bidello? Questo sarebbe successo solo lunedì, però. Non le andava di lasciare l'andito in quelle condizioni per l'intero week end, e si disse che sarebbe stato gentile da parte sua raccoglierli, se non tutti almeno la maggior parte. Si inginocchiò sul pavimento, cominciando a raccogliere manciate di carta che si posò in grembo. Di certo chiunque le avesse fatto questo doveva essersi impegnato. I pezzi appartenevano, era evidente, a diversi tipi di carta, anche se per la maggior parte era semplice carta per fotocopie, il cui bianco brillante spiccava tra altri frammenti color avorio. Proprio uno di questi attirò la sua attenzione.
Curioso! Pensò Questa carta somiglia a quella del mio album...
Non appena ebbe formulato quel pensiero il dubbio la colse: e se fosse...? In preda ad un panico crescente cominciò a rovistare nel mucchietto alla ricerca di quei pezzi che per colore, spessore e trama potessero somigliare ai fogli del suo album. Gli occhi le si riempirono di lacrime, si diede mentalmente della stupida per questo, perché non era affatto dignitoso piangere per qualcosa di poco conto come dei fogli da disegno, ma non riusciva a impedirselo. La sola idea che qualcuno avesse potuto farle una cosa simile la riempiva di rabbia e la faceva soffrire. Non solo le aveva sottratto qualcosa di suo, qualcosa di importante, ma l'aveva anche distrutto senza alcun riguardo per i suoi sentimenti. Se le avessero strappato l'anima in tanti piccoli pezzetti si disse che non avrebbe sofferto tanto quanto soffriva in quel momento. Non poteva fingere di credere che fosse solo un caso, o che il colpevole non intendesse nuocere a lei e soltanto a lei.
Fu così che lui la trovò. Inginocchiata sul pavimento, singhiozzante mentre con le mani tremanti cercava di rimettere insieme brandelli di carta come fossero tessere di un puzzle.







L'angolo dell'autrice:

Ebbene si, dopo tre mesi sono finalmente riuscita a pubblicare, anche se si tratta di un capitoletto poco interessante e piuttosto stiracchiato. Prometto che mi rimetterò in carreggiata, d'ora in poi. :-)

Basta! Melikes, devi assolutamente smettere di dare nutrimento al mio ego (che in poche settimane ha raggiunto dimensioni spropositate) o diventerò la persona più immodesta al mondo. Cominciò già ad assumere comportamenti strani, tipo: portare penna e blocchetto sempre in borsa (io che dimentico di prenderli anche quando vado a lezione) e scribacchiare sempre e dovunque. Il mio ragazzo mi prende in giro perché io mi sento molto scrittrice professionista, di quelle che traggono ispirazione pure da una gomma da masticare spiaccicata sul marciapiede, invece sospetto di sembrare un invasata e la cosa non è buona! XD Mi sa che le Lil'Noony (sì i miei neuroni hanno anche un nome!) stanno cercando di seguire l'esempio dei tuoi neuroni e progettano un colpo di stato.
Capisco perfettamente il tuo discorso. Una delle cose che più amo fare è leggere, ma non riesco ad analizzare ciò che ho davanti alla prima lettura, perché se la trama mi cattura, vengo presa da una curiosità morbosa: devo sapere come va a finire, subito, immediatamente, a costo di non dormire (cosa che prima, quando avevo la possibilità di dormire fino a tardi, facevo spesso e volentieri). Dopo che la curiosità è stata appagata, allora mi prendo un po' di tempo per rielaborare quel che il libro mi ha lasciato, e poi lo rileggo. Se leggo un libro solo una volta, vuol dire che non mi ha lasciato niente, e quello per me non è un buon libro. Va beh qui si sconfina nel soggettivo, pensa che io sono una delle poche persone a cui Il Signore Degli Anelli non solo non ha lasciato nulla, ma che si è annoiata terribilmente nel leggerlo (eresia diranno in tanti). Così è stato anche per Il ritratto di Dorian Gray (altra eresia?). Io e Wilde non ci piacciamo, proprio no.
Mi conforta sapere che il fatto che fosse un capitolo lungo è un punto a favore. In effetti inizialmente doveva comprendere anche il capitolo 12, ma non mi piace scrivere capitoli troppo lunghi perché penso che qualche lettore potrebbe essere ciecato come la sottoscritta e avere problemi a leggere al pc qualcosa di lungo. Mi rendo conto però che non posso neppure scrivere quattro righe per volta. Devo trovare la giusta via.

Grazie anche a Dayan18, che ancora ha la pazienza di recensire! <3 Oddio, sti errori di distrazione/battitura mi perseguitano! Grazie per avermelo fatto notare! :-) Mi fa piacere l'averti strappato un sorriso. Si in effetti la scena non voleva essere comica ma rileggendola da poco ho avuto la stessa reazione! XD










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Capitolo 13
*** Capitolo 13. Pazzi d'amore. ***


Hopelessly devoted to you







Hopelessly Devoted To You <3

Capitolo  13. Pazzi d'amore.

Lui.

Venerdì sera Hannah non si era fatta vedere, né aveva dato sue notizie.
Jace l'aveva aspettata invano, sempre più nervoso e irritabile, fino a sera tardi, quando si era dovuto arrendere all'evidenza: non sarebbe andata da lui, non quel giorno.
Aveva continuato a chiedersi quale disgrazia l'avesse tenuta lontano da lui, perché non poteva credere che avesse scelto volontariamente di mancare al loro “appuntamento”, e ancor più grande era stata la preoccupazione quando era arrivato alla conclusione che probabilmente nulla di allarmante era successo in realtà, ma che semplicemente lei doveva aver trovato qualcosa di più interessante da fare che passare il venerdì sera chiusa in casa al capezzale di un fabbrica muco portatore ambulante di virus influenzale come lui. Forse aveva trovato qualcuno di più interessante con cui l'aveva prontamente sostituito.

Il solo pensiero lo incendiava di rabbia e gelosia. Non riusciva a smettere di farsi male, immaginandola passeggiare accanto ad uno sconosciuto senza volto, che l'avrebbe guardata, sfiorata, forse avrebbe persino tentato di baciarla. Tutto ciò rischiava di mandarlo al manicomio, non avrebbe mai creduto di essere così geloso e nonostante ciò continuava a negare di provare nei suoi confronti qualcosa di più di un caloroso affetto. Non poteva permettersi certe implicazioni sentimentali, continuava a ripetersi, doveva pensare allo studio, a realizzarsi professionalmente, lui non aveva tempo per correre dietro alle ragazze, e in quel momento uscire con qualcuna sarebbe stata una costante perdita di quel tempo per lui così prezioso, oltre che una costante distrazione. Non che non sentisse il bisogno di compagnia femminile, ma l'aveva sempre declassato a necessità esclusivamente fisica, e avendo già assaggiato di quella pietanza e non avendola trovata di suo gusto, tentare un altro assaggio sarebbe stato inutile. Non intendeva di certo cambiare idea per due occhioni azzurri! Nossignore, avrebbe tenuto duro, lui!
Tutta la sua forza di volontà andò letteralmente in frantumi al suono del campanello, il sabato mattina. D'improvviso incontrare quegli occhi limpidi, contro cui poco prima si era impegnato a resistere strenuamente, diventò vitale come respirare, e altrettanto improvvisamente provò vergogna per il caos che regnava nella sua stanza, così disordinata, e provò il desiderio, fino ad allora sconosciuto, di apparire al meglio e far apparire al meglio anche il luogo in cui passava la maggior parte del suo tempo. Una rapida occhiata fu abbastanza per stilare mentalmente una lista delle priorità: nascondere calzini sporchi, svuotare cestino dei rifiuti, raccogliere cartacce, sistemare libri, varie ed eventuali. Grazie all'ascensore rotto avrebbe avuto al peggio dieci minuti di tempo. Sì, poteva farcela, con un piano così ben congegnato non poteva fallire! Anche la febbre, che nonostante fosse scesa non gli dava ancora tregua, non sembrava essere più un problema: si sentiva rinvigorito, impaziente, e francamente esageratamente ottimista.
Quando sentì sua madre salutare qualcuno alla porta, si rese conto di essere ancora circondato dal caos. Dieci minuti non solo non erano bastati, ma non erano stati neppure sufficienti a nascondere l'immane quantità di vestiti sporchi sparsi per la stanza, tanto che facendosi prendere dal panico, cominciò a calciare tutto il calciabile sotto il letto, a nascondere quanto poteva nell'armadio, tuffandosi infine a pesce sul letto, con gran lamento delle molle del materasso e della rete. Si schiacciò i capelli sulla fronte nel vano tentativo di pettinarli, maledicendosi per non aver mai voluto mettere uno specchio nella sua camera. Quando bussò alla porta, si costrinse ad assumere un'espressione sofferente, ma non gli riusciva di smettere di sorridere. Pensava a quanto sarebbe stato bello passare l'intera giornata insieme, cancellare così definitivamente il ricordo di quanto successo il sabato precedente. Sembrava incredibile a pensarci, quante cose fossero successe in una sola settimana. Quella che era stata la sua vita prima di quel giorno sembrava qualcosa di remoto e lontanissimo nel tempo, ora gli sembrava piuttosto di essere stato catapultato in una stupida commedia romantica, ma senza il solito lieto fine. Aveva quasi perso Hannah, e anche se l'aveva ritrovata appena dopo non poteva essere certo di non poter più correre quel rischio.
Questo, con la consapevolezza di averla riscoperta, comprendendo quanto potesse essere splendidamente complessa sotto la semplice e un po' banale facciata di ragazza per bene, la rendevano ancora più interessante e attraente ai suoi occhi. Dovevano esserci lati nascosti di Hannah che neppure lei stessa sembrava aver mai visto, e lui aveva una voglia matta di scoprirli, sfogliarli come un libro e leggerci tutte le cose meravigliose che rendevano Hannah speciale.
Quando bussò ancora alla porta lo riscosse dai suoi pensieri. Cercò ancora di fingersi il più malconcio possibile, e sussurrò con voce roca e stanca un “avanti” appena udibile. Ma quando la porta si aprì non poté nascondere tutta la sua delusione. Occhi color cioccolato lo osservavano stupiti. Nessuna traccia dell'azzurro che desiderava vedere. In tutta la sua vita non fu mai così infelice di vedere Rose, e neppure tutti i pasticcini del mondo avrebbero potuto consolarlo da una simile delusione.

***
In effetti dei pasticcini furono proprio ciò che Rose estrasse dalla sua borsa delle meraviglie: un delizioso premio di consolazione che Jace divorò voracemente senza dire una sola parola, ma assicurando a sé stesso che neppure mille di quei deliziosi dolcetti avrebbero potuto lenire il suo dolore. Non assaggiarne neppure uno però sarebbe stato un vero spreco e un'intollerabile offesa nei confronti della cuoca.
-Quindi...- cominciò Rose, quando gli parve che il ragazzo si fosse rasserenato dopo l'ingente rifornimento di zuccheri - ...É possibile... Non so... Che venga qualcun altro a trovarti oggi?- chiese con discrezione.
-Che ti fa credere che io stessi aspettando qualcuno?- ribatté l'altro sulla difensiva, mentre ripuliva dai rimasugli di panna la scatola dei pasticcini.
-Io non ho detto che stai aspettando qualcuno.- la ragazza rise, divertita dal suo essersi scoperto così facilmente - Sembra che qualcuno si sia fregato con le sue stesse mani. Lo sapevo! Quando sono entrata mi hai guardato in modo strano. Come se ti stessi chiedendo "che accidenti ci fa lei qui?". Non cercare di negare, finiresti per dirmi una bugia e sai che non ci riusciresti.- Jace si voltò a guardarla: gli sorrideva con quella sua particolare aria materna, così dolce che si sentì male solo all'idea di doverle mentire. Sbuffò. Stupida aria materna che non riusciva ad ignorare, e stupida, inopportuna empatia che gli impediva di nasconderle qualsiasi cosa!
- Beh... Non è che...- Rose lo fissò corrugando appena la fronte, in attesa - Speravo fossi Hannah, okay? Smettila di guardarmi in quel modo!- sbottò voltandosi dalla parte opposta. Se avesse continuato a guardarla avrebbe finito per confessarle qualsiasi cosa.
-In quale modo?- chiese lei ingenuamente, fingendo di non essere conscia di quali fossero le armi migliori in suo possesso.
-Lo sai quale! Come se ti avessi appena pugnalato alle spalle. Non riesco a negarti nulla se fai così, e tu lo sai!- si lamentò, lanciandole un'occhiataccia prima di distogliere nuovamente lo sguardo.
-Jace, non so di cosa tu stia parlando, credimi.- gli sfiorò una mano, prima di prenderla tra le sue. - Perciò smetterò di parlarne in questo preciso istante, ma se tu volessi dirmi qualcosa qualcosa  io ti ascolterò di certo.-
-Quando fai così sono davvero tentato di odiarti... Ma fai dei dolci troppo buoni!- borbottò, prima di prendere un profondo respiro, preparandosi a sputare il rospo più grande che gli si fosse mai bloccato in gola - é che... Ieri Hannah non si è fatta vedere e nessuno al mondo si è degnato di dirmi perché! Sono un povero malato confinato a letto, ho il diritto di essere informato di quel che succede nel mondo, no?- esclamò con risentimento, incrociando le braccia al petto. Rimase in silenzio, attendendo una risposta che però non arrivava.
-Non lo sai...- mormorò soltanto l'amica, portandosi una mano alla bocca.
-Ma l'ho appena detto! Nessuno ascolta un povero malato in questo mo...- ma venne interrotto.
-Hannah ha ritrovato il suo album...- cominciò la ragazza, ma Jace non sembrava intenzionato a farla continuare, nè a smettere di recitare la parte del malato terminale in lotta contro il mondo intero e contro un destino avverso.
-Ah fantastico! Sostituito da un album da disegno! O peggio! Sarà andata a festeggiare con qualcuno, dimenticandosi del povero, inutile Jace!- non aveva intenzione di dire una cosa così cattiva, ma quel pensiero molesto si era tramutato in una accozzaglia di parole, il cui solo suono lo faceva rabbrividire, ancor prima si rendesse conto di averlo formulato.
Rose gli prese il volto tra le mani dolcemente ma in maniera ferma. Lo fissò dritto negli occhi. - Lo so che non credi ad una sola parola di quel che hai appena detto. Non potresti mai pensare davvero questo di Hannah, perché sei pazzo di lei...- Jace cercò di replicare ma lei non glielo permise -... quindi fermati prima di dire qualcosa di davvero offensivo... Qualcosa per cui non riusciresti mai a perdonarti.- Lasciò il suo volto e gli diede il tempo per replicare ma lui si limitò ad annuire. - Hannah ha trovato il suo album in pezzi. Ha aperto l'armadietto e le è letteralmente piovuto addosso.- Jace sgranò gli occhi per lo sconcerto. Non disse nulla perché il suo unico pensiero era quello di infilarsi un paio di jeans al posto della tuta e correre da lei senza attendere un solo attimo. Non sarebbe stata qualche linea di febbre a fermarlo. Non fece nulla di tutto ciò. Si limitò ad alzarsi lentamente e prendere a camminare su e giù per la stanza, trovando impossibile stare fermo in quel momento.
-é stata lei a dirtelo?- chiese, incrociando le braccia al petto e seguitando a misurare la stanza con passi larghi.
-No, la governante. Quando ieri sera ho chiamato Hannah non ha voluto parlare con me. Ho richiamato stamane, ma è stato lo stesso. Così ho chiesto se Hannah stesse bene, e la Signora MacFie mi ha spiegato ciò che è successo. L'hanno trovata che piangeva e cercava di raccogliere tutta quella carta. Poi l'hanno accompagnata a casa e da quel momento non ha voluto rivolgere la parola a nessuno.- Spiegò, con aria seriamente afflitta.
-Chi l'ha accompagnata?- chiese il ragazzo con un tremito nella voce, mentre mentalmente continuava a ripetere mentalmente come un mantra "non Tom, non Tom, non Tom".
-Ted Shelby.- Jace tirò un sospiro di sollievo. Ted era un bravo ragazzo, troppo narcisista per i suoi gusti, ma in fondo un tipo a posto.
Tornò a sedersi sul bordo del letto, prendendosi la testa tra le mani. - Dio... Sono proprio un idiota.- mormorò, scuotendo il capo. Rose si sporse a dargli una leggera pacca su una spalla.

-Solo quando ti rifiuti di vedere più in là del tuo naso.- disse ridendo - Credo che ora andrò da lei. Potresti telefonarla più tardi, che dici? Tu sei l'unico che lei vorrebbe avere vicino in questo momento, ne sono certa. Ho paura si senta in colpa per non essere venuta ieri.-
-Che...? Dopo quel che è successo non dovrebbe proprio pensare a me.- borbottò, sospirando gravemente. L'ultima cosa che mancava ad Hannah erano i sensi di colpa.- Okay, facciamo che tu vai da lei, poi appena esci da casa sua mi chiami e io chiamo lei.-
-Non è quello che ho appena detto? Ora chi è che non ascolta?- Jace le rivolse un occhiataccia.
-Ti sto affidando una missione d'estrema importanza soldato. Non deludermi.- si alzò, preda di un rinnovato entusiasmo. - Non c'è tempo per le battute.- scatto in un saluto militare.
-Sissignore!- la ragazza rispose al saluto con un altro, ridacchiando.- Tu però rimettiti a letto, e non fare sciocchezze, d'accordo?- Jace annuì, attese che l'amica prendesse le sue cose, e quindi le aprì la porta. Dietro questa, senza che ne avessero avvertito la presenza, c'era Seth, con un pugno ancora alzato, colto proprio nell'atto del bussare ad una porta che invece si era aperta rivelandogli un mondo di meraviglie. Jace prese dolorosamente coscienza della grave perdita: il suo fidato soldato era da dare per disperso ancor prima di partire per la sua missione.
-Ahm...- mugugnò Seth, lo sguardo fisso su un'imbarazzatissima Rose, che rispose a quel verso con un timido sorriso. Ecco, le comunicazioni con il campo base erano state interrotte, e Jace fece un ultimo, vano, tentativo per ristabilirle.
-Hei! Ciao Seth, che piacere vederti. Ma ora Rose sta andando via. Tante care cose eh!- prese la ragazza per le spalle e la spinse fino all'ingresso.- Bene, ciao Rose, vai e non deludermi!- Aprì la porta e la spinse fuori. Non aveva tempo per la cortesia, ma più tardi, si disse, si sarebbe scusato per averla cacciata via di casa in quel modo. - Corri Rose, corri come se ne andasse della tua vita!- le urlò dietro. Gli spiaceva sinceramente di essere stato rude con la sua “mammina”, ma conoscendo i due sapeva avrebbero continuato a fissarsi come ipnotizzati per ore, senza dire una sola parola, dimentichi del mondo intero. Non appena ebbe chiuso la porta alle spalle della ragazza, Seth sembrò riprendere un minimo di lucidità. Era capace di una rapida ripresa.
-Perchè l'hai mandata via? Non ti vergogni? Sei senza cuore!- lo prese per le spalle,scuotendolo con forza.- Dove sta andando? Ma prima, di cosa parlavate? No perché se ha parlato di me, tu me lo diresti vero? Non c'è un altro, dimmi di no, ti prego!- sembrava sull'orlo di una crisi isterica, e intanto continuava a scuoterlo e a fissarlo con occhi pieni di disperazione. - Dove l'hai mandata?Sei un essere spregevole, mandare la mia Rose a sfacchinare per te!-
-Seth, finiscila!- gli afferrò le mani, così strette attorno alle sue spalle da cominciare a fargli male.- Gesù! Smettila di fare la regina del dramma!E smettila di scuotermi, mi fai venire da vomitare!- stacco le mani dell'amico dalle sue spalle – Tu mi preoccupi! Seriamente! Non puoi venire qui e accusarmi di qualcosa che non farei mai! Ho già i miei problemi, io!- aprì nuovamente la porta, facendogli cenno d'andarsene - Sta andando da Hannah. Se non fossi rimasto qui a strillare avresti potuto raggiungerla.- il ragazzo avvertì chiaramente il rumore delle rotelle che giravano nella testa dell'amico. Fissava lui, poi la porta, poi nuovamente lui, poi ancora la porta. Jace, porta, porta, Jace.
-Oh, io non... Stavolta... Poi ho da... Sì, sì, non è il caso e... No, non lo posso fare Jace, non posso io... Sì, sì invece che posso! Ciao Jace!- poco mancò che si lanciasse giù per la rampa di scale, nel tentativo di raggiungerla prima che gli mancasse nuovamente il coraggio. Jace si affacciò dall'ingresso, fissandolo allibito.
-Sono finito in una gabbia di matti...- sospirò massaggiandosi la tempia mentre richiudeva la porta. - Devo trovarmi degli amici normali!-

***

Jace tornò a letto come Rose gli aveva raccomandato. Acceso il televisore aveva cercato inutilmente di rintronarsi facendo zapping da un canale all'altro, senza trovare niente di abbastanza interessante da assorbire completamente la sua attenzione. Intanto aspettava ansiosamente una telefonata che tardava ad arrivare. La testa gli scoppiava, ma non era la febbre, erano i pensieri che si agitavano instancabili e incontrollabili. Aveva ancora voglia di andare da Hannah, era un bisogno così pressante che lo rendeva indolente. E se si fosse innamorato per davvero? Era possibile innamorarsi un pochi giorni? Gli pareva assurdo, ma non più impossibile.
Alle sette della sera non aveva ancora avuto nessuna notizia da Rose, tanto meno da Hannah stessa. Fissare intensamente il telefono come stava facendo, non l'avrebbe fatto uscire dal suo ostinato silenzio, lo sapeva bene ma non riusciva a smettere di farlo, certo che nel momento in cui l'avesse fatto questo avrebbe cominciato a squillare e lui avrebbe rischiato di perdere la chiamata. Non riusciva neppure a smettere di pensare ad Hannah. E se in quel momento stesse piangendo? Se avesse un disperato bisogno del suo conforto? Ovvio che aveva bisogno di lui, ma era chiuso lì, in esilio forzato, e non poteva aiutarla. Telefonare non era un'alternativa, lei avrebbe potuto rifiutarsi di rispondere. Ma lui doveva assicurarsi che stesse meglio, che avesse chi si prendeva cura di lei, e Rose... Beh, non era più tanto sicuro che avesse portato a termine la sua missione.

"Secondo me da Hannah non è neppure arrivata..."
si disse. Basta! Doveva vederla, era assolutamente necessario, o sarebbe diventato pazzo, e se questo significava scappare di casa, beh, l'avrebbe fatto. Doveva solo mettere a punto la giusta strategia, e con un po' di fortuna la sua fuga sarebbe riuscita. Ma sì, avrebbe solo dovuto aspettare che sua madre si spostasse dalla cucina ad un'altra delle stanza della casa. Sarebbe stato facile, lei non riusciva a stare ferma per più di cinque minuti! Dopo sarebbe sgattaiolato fino alla porta e sarebbe uscito senza fare il minimo rumore. Poteva... No, doveva riuscirci.
Si vestì con cura, indossando strati su strati di vestiti, tanto che dopo pochi minuti già cominciava a sudare. In quel modo però, il freddo dicembrino sarebbe stato di certo più sopportabile e forse meno dannoso. Era conscio dei rischi che la sua evasione comportava, e il suo corpo stanco e malaticcio glielo ricordava ad ogni movimento. Ma lui ignorò ogni segnale. Infilò il portafoglio nella tasca posteriore dei jeans, quindi si acquattò accanto alla porta, attento ad ogni rumore. Gli parve di attendere per un secolo o più, ma finalmente sentì sua madre muoversi dalla sala fino al bagno. Era il momento: si mosse il più silenziosamente possibile,camminando velocemente. Attraversò il soggiorno e strisciò fuori dalla porta. Scese quatto quatto e guardingo la prima rampa di scale per poi lanciarsi giù per le restanti, correndo il più velocemente possibile. Tutto quel moto era tremendo per la sua tosse e sudare a quel modo non era certo un toccasana. Arrivato all'ingresso ansimava e le gambe gli tremavano, tanto che temette fossero sul punto di cedere. Stava male, fuggire di casa non gli pareva più una brillante idea. I polmoni gli facevano così male che gli pareva di aver respirato del vapore bollente e che gli stessero strizzando lo stomaco.
Il pensiero di essere ancora in tempo a tornare a casa, dove lo attendeva il suo letto caldo e soffice lo sfiorò, invitante, ma lui lo scacciò prontamente. Ormai si era messo in testa di fare quella pazzia e non si sarebbe fermato, non a quel punto! Non aveva fatto tredici piani a piedi per tornare da mammina alla prima difficoltà. Sarebbe andato avanti, a costo di stramazzare a terra nel bel mezzo della strada. Prese un profondo respiro, si strinse nel suo cappotto e attraversò l'ingresso del palazzo, dirigendosi con passo deciso verso la più vicina stazione della metro.
Fu il viaggiò peggiore, e in apparenza anche il più lungo, della sua esistenza. Il treno sembrava troppo caldo, troppo affollato e rumoroso. Il suo dondolio gli dava la nausea. Quando ne uscì, barcollante e sudaticcio, fu un sollievo. Forse per tornare a casa avrebbe fatto meglio a chiamare un taxi. Il freddo intenso fuori fu quasi un sollievo dopo il tepore della stazione che gli era sembrato fosse sul punto di soffocarlo. Subito dopo però sentì il sudore alla base della nuca ghiacciarsi. No, questo non avrebbe giovato affatto alla sua salute!


Lei.
Continuava ad osservare i disegni così faticosamente ricomposti. Jace, Jace, Jace... Era ovunque. Come era arrivata a considerarlo tanto importante, a pensarlo tanto intensamente da finire per ritrarlo costantemente e quasi del tutto inconsciamente? Era bizzarro notare come il suo stile, e i suoi stessi gusti si fossero evoluti a seconda dell'influenza che lui esercitava su di lei. Era passata da paesaggi, mondi immaginari sempre desolatamente deserti, pieni di vegetazione ma ugualmente privi di vita, a scene cariche di vivacità: una strada affollata e la folla stessa possono essere il soggetto più banale se il ritrarli non è altro che uno sterile esercizio. Diventa tremendamente significativo se ci si accorge di aver ritratto tanti volti differenti solo per il piacere di poter scorgerci almeno l'ombra di una vitalità che non si riesce quasi più a trattenere. Ad un occhio distratto i suoi schizzi potevano apparire innovativi o interessanti quanto una natura morta, ma un osservatore attento avrebbe sicuramente notato i piccoli ma costanti cambiamenti, e che in ogni disegno c'era un particolare che riportava a Jace. Era umiliante che qualcuno le avesse guardato dentro a quel modo, era una malignità che non avrebbe mai potuto perdonare, perché oltre alla sofferenza nel vedere il suo lavoro distrutto, le metteva davanti agli occhi cose che aveva volutamente ignorato fino ad allora. Non che avesse più importanza oramai: aveva promesso di andare a trovarlo ogni giorno, ma non era stata capace di mantenere la parola data. Mentre si diceva che avrebbe capito Jace se avesse deciso di non rivolgerle più la parola, la porta della sua stanza si aprì.
-Hannah, dovresti scendere di sotto. Hai visite.- disse la tata, in un tono che non ammetteva repliche.
-Non ho voglia di vedere nessuno, tata. Non potrebbero tornare domani?- domandò, sospirando. Perché non volevano proprio lasciarla in pace?
-No, non può, non dovrebbe neppure essere qui. Anzi, non riesco a credere che abbia fatto una simile follia. É meglio che io vada a telefonare a sua madre, e anche a tuo padre. Tu intanto scendi di sotto.- disse mentre si chiudeva la porta alle spalle. Svogliatamente allontanò la sedia dalla scrivania e si alzò. La tata aveva detto che avrebbe chiamato sua madre... Chissà che intendeva... E lo aveva detto come se lei conoscesse questa “madre”, ma lei conosceva solo la madre di... Corse fuori dalla sua stanza e giù per le scale. L'irrazionale pensiero che potesse trattarsi davvero di Jace le fece balzare il cuore in petto. Poteva essere avesse compiuto un gesto così sconsiderato solo per lei? E perché ne era così felice?
Quando vide dalle scale la sua testa bionda e arruffata e seppe di non essersi sbagliata fu presa da una gioia inesprimibile. Al sentire il rumore dei suoi passi Jace si alzò dalla poltrona su cui sedeva. Hannah lo apprezzò ancora di più per quella galanteria che, date le sue condizioni di salute, avrebbe potuto risparmiarsi. Era pallido ed era evidente quanto sforzo gli fosse costato arrivare fin lì.
-Jace?...- mormorò, raggiungendolo. Lui si fece avanti di qualche passo. - è successo qualcosa...? Di grave, intendo.- chiese con un fil di voce. Jace fissò lo sguardo su di lei, aveva gli occhi lucidi e il volto arrossato per la febbre, e sembrava cercare qualcosa nel volto di lei. Quando lo trovò, corrugò la fronte contrariato.
-Ma tu hai pianto... Guarda che occhi...- le disse con voce così roca da non somigliare affatto alla sua solita, così squillante. Tese una mano, accarezzandole il volto. Hannah avvertì il calore intenso di quel tocco.
-Hai la febbre...- mormorò lei di rimando, constatando la triste realtà.
-Solo un poco... - il ragazzo ritirò velocemente la mano. - Mi dispiace così tanto Hannie. Per il tuo album, dico. Ti ho portato questo.- le tese una busta in carta che ad una prima occhiata sembrava contenesse un quaderno, o un libro piuttosto grande. Riconobbe il logo stampato sulla busta. Era del negozio di belle arti dove era solita comprare il suo materiale. 
-Jace hai fatto tutta questa strada con la febbre per portarmi un... Per portarmi questo?- chiese prendendo la busta tra le mani e soppesandola, incuriosita e al contempo preoccupata. Possibile la febbre l'avesse fatto impazzire del tutto?
-Non dire nulla fino a che non l'avrai aperto.- la ragazza non ribatté, e mentre apriva la busta si chiese quale emozione sarebbe stata più appropriato mostrare all'occorrenza: soddisfazione? Gioia contenuta? Timida sorpresa? Ma quando estrasse il contenuto della busta le sue mani tremarono. Era andato a comprarle un nuovo album.
Se fosse stata padrona di sé, l'avrebbe ringraziato con sincerità, sottolineando la sua gentilezza e generosità, quindi gli avrebbe consigliato di tornare a casa. Ma non aveva parole. In realtà non ne avevano bisogno. Hannah sapeva cosa Jace cercava di dirle, in quel suo modo speciale e unico: qualsiasi cosa avvenga, ovunque tu sia, io sarò lì con te. Le stava dicendo che per quanto tremendo potesse essere quel che le avevano fatto, non doveva farsi dominare dal dolore. Non sarebbero mai riusciti a buttarla giù, perché lui sarebbe stato al suo fianco a sostenerla. Insieme avrebbero avrebbero superato ogni ostacolo. Continuava a fissare la copertina verde di dell'album con le lacrime agli occhi. Non poteva dare un valore al gesto, perché era inestimabile. Il plico di fogli bianchi era costato qualche dollaro, ma il loro valore simbolico era tangibile tanto quanto quello materiale.
-Mi spiace, non l'ho trovato uguale. Ma la commessa mi ha detto che è molto simile a quello che avevi tu. E poi i fogli sono spessi e ruvidi, ottimi per gli acquarelli. - disse il ragazzo interrompendo il lungo silenzio, ripetendo le parole della commessa. Hannah annuì solamente. Si strinse al petto l'album come fosse quanto di più caro avesse al mondo, vinta dall'emozione, perché realizzava in quel momento di avere davanti tutto ciò che avrebbe mai potuto desiderare. Scoprire di amare Jace era come scoprire che le favole sono storie vere, era sorpresa e meraviglia, e la felicità di sapere di avere incrociato un principe senza titolo ma dall'armatura scintillante, la personificazione di tutto ciò che un uomo dovrebbe essere. Lui ancora non lo sapeva, ma quel giorno aveva fatto suo il cuore di lei, quello stesso cuore che le batteva in petto assordante come una grancassa. Desiderava abbracciarlo, e quando lo fece, lasciando cadere anche l'ultima barriera tra loro, si rese conto di quanto avesse desiderato quel contatto. Piangeva contro il suo petto, sentendone il battito del cuore, non avrebbe saputo più dire se piangeva di dolore, sollievo o di gioia. Non c'era più modo di tornare indietro, non voleva tornare indietro. E se anche il suo fosse rimasto solo un amore non corrisposto in quel momento non le importava: era innamorata e provare quei sentimenti per Jace la colmava di una felicità così grande che le sarebbe bastata a confortarla per tutta una vita di solitudine.


L'angolo dell'autrice:

Rieccomi qui! Per questo capitolo si prega di ringraziare l'influenza, che mi ha tenuto in casa per una settimana (compreso il mio compleanno, bella sfiga) e mi ha dato tutto il tempo di unire e rivedere i miei tanti appunti sparsi e di riscrivere completamente il finale, che inizialmente era stano pensato per essere, diciamo, meno “incisivo” di questo. :-)
Spero sia gradito! :-)
Un grazie immenso a chi ha messo la storia tra i preferiti, tra le seguite e le storie da ricordare. :-)
E un grazie ancora più immenso alle mie fedeli commentatrici Dayan18 e Melikes. Soprattutto quest'ultima mi lusinga con delle recensioni lunghissime e minuziose che fanno gonfiare il mio ego in maniera spropositata! Nel prossimo capitolo cercherò di trovare davvero il tempo per rispondere adeguatamente alle vostre recensioni, lo prometto, questa volta non ho proprio il tempo materiale, lo studio mi chiama. :-S Dico solo che no, non è Tom che ha trovato Hannah, né è lui che suona il pianoforte, né è stato lui a prendere l'album. A lui importa di ferire Jace, Hannah è solo il mezzo attraverso il quale vendicarsi... Per ora! E come avrete letto Jace è sempre presente quando si ha bisogno di lui. :-)











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Capitolo 14
*** Capitolo 14. Brutte giornate. ***


Hopelessly devoted to you







Hopelessly Devoted To You <3

Capitolo  14. Brutte giornate.

Lui.

-Stupido incosciente! Potrebbe venirti una polmonite! Come hai potuto solo pensare di fare una cosa del genere? E come credi mi sia sentita quando mi sono accorta che non solo non eri in camera tua, ma che tu non eri neppure in casa? Mi è quasi venuto un infarto, ecco come mi sono sentita! Mi sono sempre fidata di te Jace, ma tu hai tradito questa fiducia! Come posso fare affidamento su di te se ti comporti in modo così immaturo? Mi hai deluso Jace, molto deluso! Mai, e dico mai, neppure se cascasse il mondo, avrei mai creduto possibile tu potessi comportarti in modo così... Così... Idiota!-
Eccole, le tre tremende parole che non avrebbe mai voluto sentirle pronunciare: mi hai deluso. Jace non sopportava di deluderla. Tutto ciò che faceva e che aveva fatto, era stato fatto perché lei non dovesse mai pronunciarle, ma aveva fallito in pieno. Probabilmente aveva compiuto l'unica azione che, a ragion veduta, sua madre non avrebbe mai potuto perdonargli. Come darle torto? Nel suo brillante piano non aveva messo in conto le conseguenze del suo gesto folle, ma ora doveva affrontarle. Sapeva d'aver sbagliato, e si vergognava tanto da non avere il coraggio di sollevare lo sguardo dal lucido parquet del salotto dei Barnes mentre Greta sbraitava e camminava avanti e indietro per la stanza come una leonessa in gabbia. Hannah si era ritirata non appena Greta aveva messo piede in casa. Li aveva lasciati soli per dar loro una parvenza di privacy, inutilmente dato che Jace era ormai certo che l'avessero sentita urlargli contro fino in Cina.

-Mi dispiace mamma...- mormorò solamente, pensando che forse quelle erano le uniche parole che non l'avrebbero messo ancor di più nei guai. Che altro poteva dirle, comunque? "Mamma sono scappato di casa per comprare dei fogli alla ragazza che credo di amare come pegno d'eterno amore, visto che i suoi li hanno fatto a brandelli!"? Oppure "Sai mamma, le fughe per amore oggi giorno sono ampiamente sottovalutate!". In entrambi i casi, avrebbe finito per strangolarlo con le sue stesse mani. Non l'aveva mai vista tanto fuori di sé. Non aveva mai combinato nulla che giustificasse un'ira di tale portata. Ne era addirittura trasfigurata, e Jace credeva che dipendesse per una certa parte dal trovarsi proprio nell'ultimo posto in cui sarebbe voluta essere.
-No, a te non dispiace affatto!- replicò astiosa, voltandosi di scatto verso il ragazzo e puntandogli contro l'indice. - Ti dispiacerà quando ti ritroverai chiuso a chiave in camera tua! Da questo momento sei in punizione bello mio, fino a data da destinarsi. Niente uscite...- Jace pensò tra sé e sé che dato che non poteva uscire, non era una grande punizione. -... e niente visite! Non voglio vedere nessuno dei tuoi amici o delle tue amiche, sbatterò la porta in faccia a chiunque si presenti, fosse pure la regina Elisabetta in persona!- Si era rallegrato troppo presto. E l'accenno alla monarchia britannica sicuramente non era casuale.
-Da oggi la musica cambia, in questa casa...- sbatte le palpebre, come se si fosse ricordata solo in quell'istante di non trovarsi tra le quattro mura del loro appartamento, e scosse il capo. -... voglio dire, a casa nostra! Uscirai con me quando andrò a lavoro e con me tornerai a casa. Mi aspetterai in infermeria alla fine delle lezioni, dove potrò tenerti sotto stretta sorveglianza! E ringrazia che ti consenta ancora di pranzare in mensa!-
Jace cominciava seriamente a preoccuparsi per lo stato mentale di sua madre. Vederla passare da una forse eccessiva permissività ad una severità in parte giustificata ma anche questa eccessiva, era preoccupante. Forse lo spavento era stato davvero troppo eccessivo. Greta si zittì, infine. Aveva il fiato corto per l'avergli urlato contro per l'ultima mezz'ora. La sentì muoversi attraverso la stanza, giacché ancora non aveva sollevato lo sguardo dal pavimento e con la coda dell'occhio la vide avvicinarsi alla finestra della sala. Fin da lì poteva vedere le scintillanti luci di Manhattan illuminare la sera e di riflesso il volto di sua madre, con bagliori colorati che ne rendevano il volto più bello, ma che sembravano sottolineare le piccole rughe d'espressione intorno agli occhi e sulla fronte corrugata.
-Ho cercato di essere amica oltre che madre, per te. Ma se questo è il risultato, se credi di poter fare tutto ciò che ti passa per la testa e di passarla liscia mi costringi a diventare il tuo carceriere. Non portarmi a questo, nessuno di noi lo sopporterebbe.- L'esplosione di rabbia aveva lasciato dietro se un'insolita malinconia. Sua madre era triste e stanca, le sue forza erano state prosciugate completamente dallo scoppio di rabbia. - Non so se essere più arrabbiata con te per aver fatto quel che hai fatto o con me stessa per avertelo permesso.- aggiunse, voltandosi verso di lui. Al ragazzo mancava sempre più il coraggio si guardarla in volto: avrebbe reso tangibile tutto il dolore e la delusione che percepiva nella sua voce. Gli si avvicinò, fermandosi e inginocchiandosi davanti a lui. -Spero sia per la vergogna che continui a fissare il pavimento, ma vorrei che mi guardassi quando ti parlo.- gli strinse il mento tra pollice e indice, costringendolo a sollevare il capo. - Ora va meglio, almeno sono sicura di parlare con mio figlio non con un manico di scopa.- che cercasse di fare dell'ironia, era un buon segno, ma Jace non riusciva ad apprezzarlo. - Io so che tu capisci perché devo punirti. Io non vorrei, non so neppure se riuscirò a essere coerente, ma lo devo fare. Non puoi e non devi minare la mia autorità. Sono sempre tua madre, non devi scavalcarmi.- Gli disse tentando un approccio più morbido, già pentita d'averlo aggredito a quel modo.
-Lo capisco.- Jace trovava insopportabile specchiarsi negli occhi di Greta ricolmi com'erano di tristezza e delusione.
-Bene.- si alzò, guardandosi intorno alla ricerca della borsa che doveva aver abbandonato da qualche parte senza ricordarsi dove esattamente. La furia era stata troppo grande per focalizzare la propria attenzione su particolari senza alcuna importanza come quelli. Alla fine l'individuò accanto al divano. - Ora chiamo un taxi e andiamo a casa. Meglio tornare subito, prima che ti venga davvero una polmonite.- Jace l'osservò raccogliere la borsa e preso il cellulare e digitato un certo numero di telefono la sentì discutere con un'anonima quanto incolpevole centralista cui unica colpa era, a giudicare dal tono di sua madre e dalla sua espressione, quella di averle dato una cattiva notizia.
-Come scusi? No, forse lei non ha capito cosa ho appena detto... Sì, capisco, è sabato sera, ma è un'emergenza e... Sì, certo, però... Va bene, aspetteremo. Arrivederci.- Infilò nuovamente il telefono in borsa, con notevole stizza. - Ci vorrà almeno un ora. - disse lasciandosi cadere accanto al figlio sul divano dei Barnes. - Certo che questo divano è proprio comodo! - esclamò in tono scherzoso. - Quasi giustifica una fuga da casa! É molto più comodo del tuo letto!- Jace annuì, e prima che potesse replicare con altrettanta ironia la porta della sala si aprì e con passo lento George Barnes fece la sua entrata. Sembrava, con tutta quella lentezza, che volesse dare un che di drammatico al suo ingresso.
Non appena Greta lo vide quel poco di buon umore riacquistato scemò del tutto. Tornò a corrugare la fronte e il suo sorriso si spense. Stringeva le labbra con tale forza da farle apparire esangui.
-Quale gradita sorpresa...- mormorò l'uomo, avanzando verso di loro con le braccia incrociate dietro la schiena e, a differenza di sua madre, un largo sorriso in volto. Jace si sentì improvvisamente a disagio e si rizzò a sedere con la schiena ben dritta, come sull'attenti, in una posizione rigida quanto scomoda.
-Signor Barnes...- replicò Greta, e tutto ciò che riuscì a concedergli fu un cenno del capo. - Non si preoccupi, ho già chiamato un taxi, arriverà il prima possibile.-
-Non si preoccupi lei Greta, è sempre la benvenuta in questa casa...- il modo in cui lo disse sembrò sottolineare che sebbene lei fosse una compagnia più che gradita lo stesso non poteva dirsi di suo figlio. - … e speravo volesse fermarsi qui a cena. Ormai è tardi e noi stiamo per sederci a tavola.- Jace si trattenne dal ridere. Noi? Da quando non si sedeva a tavola con sua figlia? Hannah gli aveva accennato al fatto che suo padre fosse spesso tanto impegnato da non riuscire a consumare alcun pasto, se non la colazione, con lei. Lo disgustava che nel tentativo di apparire migliore agli occhi di sua madre mentisse così spudoratamente.
-No significa no. Quante volte te lo devo ripetere?- Jace si voltò verso la madre, afferrando immediatamente il senso delle sue parole. C'erano stati altri inviti quindi, qualcosa che la donna gli aveva tenuto nascosto.
-Suvvia non sia testarda, è solo un invito a cena, una cortesia che...- cercò di insistere prima che Jace, alzandosi, lo interrompesse.
-Credo sia meglio lasciarvi soli... Ehm... Mamma quando hai fatto io... Ti aspetto di là...-
Qualunque cose stesse succedendo tra di loro, Jace non voleva averci niente a che fare. Voleva solo far finta di non aver capito che a Barnes sua madre piaceva più di quanto tollerasse e che a lei, visto l'evidente sdegno che mostrava in sua presenza, l'uomo non era indifferente. Meglio non pensare a quali sarebbero potuti essere i danni collaterali del loro agire, perché gli erano ancor meno tollerabili dell'idea di sua madre felicemente accoppiata con un uomo del genere.
Uscì dalla stessa porta da cui Barnes era appena entrato, ritrovandosi in quella che doveva essere la sala da pranzo. Uno enorme tavolo dai meravigliosi intarsi dominava la stanza, e il ragazzo non poté fare a meno di chiedersi a cosa servisse mai una cosa così bella se nessuno ne godeva. Si avvicinò, per osservarne i decori chiari sul legno scuro e rossastro. Tanto era lustro che non osava toccarlo per paura di lasciarci delle impronte. In quella casa tutto era splendido e curato nel minimo dettaglio proprio come quel pezzo di mobilio, eppure pur essendo piena di tanto splendore avvertiva un senso di vuoto. Si chiedeva quante volte Hannah fosse stata costretta a sedere a quel tavolo da sola, a consumare un pasto solitario. Quanto era fortunato lui a suo confronto, che non era ricco, ma ricco d'affetti sì.
Lo sorprese un pensiero che non riuscì a scacciar via dalla mente: quanto Hannah e Tom fossero simili. Come lei, anche Tom era cresciuto da solo o con la sola presenza dei domestici, che erano per lui più ombre che presenze tangibili. I suoi genitori si curavano ben poco di lui e dei suoi fratelli, e dopo il loro divorzio le cose erano peggiorate sempre più: la madre era la tipica donna ormai non più giovane ma ossessionata dall'aspetto fisico. Non c'era mese in cui non facesse visita al chirurgo plastico di fiducia per eliminare questa o quella rughetta appena visibile. Il medico aveva provato a dirle che erano rughe d'espressione, normali a cinquantacinque anni, ma lei non lo stava neppure a sentire. Suo padre, invece, era sempre stato troppo preso dal lavoro o dalla nuova e giovane mogliettina, una a caso, ormai era arrivato alla quarta. La seconda era stata tanto giovane che poi dopo il divorzio aveva sposato uno dei figli maggiori dell'ex marito.
Le volte che era stato a casa sua poi, l'aveva trovata sempre vuota, tanto che cominciava a chiedersi se non fosse costretto a invitarlo in casa solo quando i genitori non erano presenti perché non approvavano la loro amicizia, come ne L'amico ritrovato, o se al contrario non importava loro cosa facesse, purché non li disturbasse. Ora sapeva che era sicuramente la seconda ipotesi quella corretta. Allora però aveva visto l'opulenza di quella casa, i vantaggi dell'avere le tasche sempre piene di biglietti da cinquanta, e null'altro. E aveva continuato a farsi accecare dallo splendore, a vedere solo ciò che Tom poteva avere e lui no e non ciò che lui aveva la fortuna di possedere e che neppure tutti i soldi di suo padre avrebbero potuto comprare, finché non era arrivata Hannah. Lei levigava le asperità del suo carattere, e ci riusciva con la sua sola presenza. Bastava questo a migliorarne i tratti e la ragazza non se ne rendeva neppure conto.
Tale profondo pensiero lasciò spazio ad un dubbio: se Tom fosse riuscito a guardare oltre la maschera che Hannah indossava, se fosse riuscito a vedere quanto in fondo le loro vite fossero simili e se avesse usato questo per far breccia nel suo cuore, come avrebbe mai potuto competere? Lui non capiva la solitudine e forse per questo la scelta della ragazza sarebbe potuta ricadere su qualcuno che lei potesse considerare un suo simile. Qualcuno che potesse trovare rassicurante. Se fosse successo non sapeva se l'avrebbe potuto sopportare, e non perché avrebbe significato che Tom avrebbe vinto una guerra che era stato lui a cominciare ma che non aveva mai voluto, ma bensì perché avrebbe perso Hannah. Lei gli stava a cuore molto più di qualsiasi altra cosa, compreso il proprio orgoglio. Continuò a pensarci anche quando poco dopo sua madre uscì dal salotto e lo raggiunse e anche mentre la governante li accompagnava alla porta seguita a ruota da Hannah. Si ridestò il tempo necessario per notare quanto la ragazza sembrasse felice nel vedere la sua adoratissima tata sforzarsi di essere gentile con loro mentre consegnava a sua madre un enorme thermos con sguardo tanto intenso e carico di significato che poteva essere considerato l'equivalente metallico del biblico rametto d'ulivo.
Riprese a pensarci mentre salivano in taxi e durante tutto il tragitto fino a casa. Ma tutto quel pensare lo portò all'unica conclusione che non poteva fasciarsi la testa prima d'essersela rotta. In quel momento doveva pensare solo a guarire, e il più il fretta possibile. Il resto l'avrebbe affrontato al momento opportuno. Non poteva fare altro, al momento, confinato com'era tra le quattro mura di casa.

***
La domenica la passò davvero male. Come ci si aspettava la bronchite tornò a tormentarlo, e con essa anche la tosse e il dolore alla gola. Il giorno successivo fu chiamato il dottore, che decretò che la bronchite era sì peggiorata ma non tanto da far temere l'insorgere di complicanze potenzialmente pericolose. Fu comunicata all'ammalato l'infausta novella: il suo esilio si sarebbe protratto per almeno una settimana di più di quanto preventivato ed era stata aggiunto alla terapia antibiotica anche un mucolitico per aerosol.
-Tornerai a scuola in tempo per le vacanze di Natale!- gli disse il medico ridendo non appena finì di visitarlo. Jace non lo trovò affatto divertente.
Le due settimane successive scivolarono via più in fretta di quanto non avesse sperato, forse perché ogni sua giornata era scandita da una rigida routine data la mole di medicine da prendere a orari diversi. Il ragazzo non sgarrò mai, neppure di un minuto, sulla tabella di marcia. Voleva guarire in fretta e bene, e tornare da Hannah il più presto possibile e voleva che sua madre capisse che ce la stava mettendo tutta per rimediare al suo sbaglio. Guarire era, seppure piccolo, un passo avanti. Greta dal canto suo, vedendolo tanto convinto, decise di aiutarlo come poteva e un pomeriggio tornò a casa con un umidificatore per ambienti, che fu piazzato in camera del ragazzo e che gli fu di grande aiuto per quella tosse che pareva non volersene proprio andare. Tutti i suoi sforzi non furono vani: due venerdì dopo il medico lo autorizzò a tornare a scuola il lunedì successivo, a patto che stesse attento a non prendere troppo freddo, dato che la tosse non era ancora guarita del tutto.
Non ci fu mai al mondo adolescente più felice di tornare a scuola di quanto fosse Jace. E quando furono tornati a casa, come ciliegina sulla torta...
-Sai che ti dico, Jace? Ti sei comportato da vero ometto in queste ultime settimane.- cominciò Greta, prendendolo in giro, mentre posava sul tavolo due enormi buste: take away cinese, la loro cena. - Hai preso tutte le medicine senza capricci, hai mandato giù tutto il brodo che ha preparato la governante di Hannah e tutte le verdure bollite che ti ho propinato. Sì, sono profondamente colpita!- si portò una mano al petto, annuendo con aria commossa. Jace si limitò a lanciarle un occhiataccia e un sorriso divertito. - Soprattutto ti sei limitato molto nell'uso del telefono. Ero certa saresti stato attaccato alla cornetta notte e giorno, invece...- In realtà era stato sempre attaccato al proprio cellulare, ma forse era meglio non ricordarglielo.
-Okay, sono un bravo bambino, appurato ciò arriva al dunque!- L'interruppe bruscamente mentre disponeva sul tavolo i vari cartoni pieni di cibo fumante. Greta prese dallo scolapiatti due piatti e le posate e le dispose sul tavolo mentre riprendeva a parlare.
-La tua punizione è revocata per buona condotta. Consideralo un regalo di Natale anticipato. Così potrai portare fuori una certa ragazza... Una che ha chiamato molto spesso negli ultimi tempi e di cui attendevi con ansia i messaggi...-
Jace decise che era meglio ignorare certe allusioni. -Davvero non sono più in punizione?- Chiese concedendole uno sguardo adorante e un sorriso sornione. - Lo sai che sei la mia mamma preferita?-
-Tsk... Adulatore spudorato!-


Lei.
Le ultime due settimane erano state dure. L'assenza di Jace a scuola, e il non poterlo andare a trovare, il doversi accontentare delle telefonate e dei messaggi, era stato duro. Dopo aver finalmente aperto gli occhi e ammesso di provare certi sentimenti nei suoi riguardi sentiva di aver ancor più bisogno della sua costante presenza, come se temesse di disinnamorarsene pian piano se non lo avesse avuto sempre sotto gli occhi. Era troppo presto perché comprendesse che la distanza talvolta amplifica i sentimenti d'amore.
Non si era sentita sola, in ogni caso, anzi la presenza del Trio e di Ted Shelby, che per qualche motivo che Hannah non riusciva proprio a comprendere si era auto-proclamato suo protettore fino al ritorno di Jace, era stata a momenti asfissiante. Tali momenti però venivano sopportati e superati con pazienza, perché la ragazza capiva bene quanto fosse fortunata ad avere attorno delle amiche tanto care. Quando aveva trovato il suo album in pezzetti aveva creduto il suo mondo fosse lì lì per crollare, invece aveva fornito un ulteriore motivo di gioia: la dimostrazione della sincera devozione delle ragazze nei suoi confronti. Se avesse avuto ancora qualche dubbio sul loro affetto, questo li avrebbe fugati tutti.
Chi si infuriò di più fu Jaquie. La ragazza sembrava pronta ad incolpare e aggredire chiunque posasse il suo sguardo sull'amica. Mal tollerava tutti i gesti che potessero danneggiare le proprietà altrui, perché fin da piccola le era stato trasmesso il rispetto per il denaro. Non è cosa che cresce sugli alberi, le diceva spesso suo padre, quindi non va sprecato inutilmente. C'è da dire però, che quando si trattava dei propri soldi, era sempre pronta a sprecarne tanti quanti le andasse di spenderne.
-Secondo me è stata Amanda!- esordì una mattina, mentre si avviava verso l'aula di letteratura in compagnia delle altre. - Me lo sento! Devo solo trovare qualche prova!-
-Jaquie, non fai Grissom di cognome! Pensi che sia stata lei solo perché la detesti.- la rimproverò Daphne, prendendo sottogamba l'intuizione della compagna. Così fecero anche Rose e Hannah, che dal canto suo poteva ben dire di non aver neppure mai visto l'ormai celeberrima Amanda in vita sua. Perché mai doveva avercela con lei una persona che non aveva neppure mai incontrato?

***
Hannah ricevette la bella notizia il venerdì stesso, non appena Jace era uscito dall'ambulatorio. In quel momento si trovava seduta al tavolino di un bar in compagnia di Rose e Ted. Quella mattina aveva chiesto all'amica se non potesse accompagnarla a cercare dei regali di Natale, visto che ne aveva presi solo alcuni, e non aveva molte idee né sapeva dove poter cercare gli altri. All'appuntamento però si era presentata in compagnia.
-Jace lunedì torna a scuola!- aveva esclamato entusiasta non appena letto il suo sms. Quale gioia! Se fino a quel momento si era sentita sfinita per l'intensa seduta di shopping appena conclusasi, improvvisamente si sentì ringalluzzire tutta. Cominciò a mandar giù rapide sorsate della sua cioccolata calda (che non si dica che gli inglesi bevono solo tè!), tanto che Rose si sentì in dovere di rimproverarla.
-Hannie, ti andrà di traverso, cos'è tutta questa fretta?- chiese mentre allungava una mano per afferrare la sua tazza e fargliela posare sul tavolino.
-Rosie, credi ci sia qualche negozio ancora aperto?- chiese, presa da una frenesia inusuale.- Devo sbrigarmi o chiuderanno, e io non ho ancora preso nulla!-
-Ma hai già comprato tutto ciò di cui hai bisogno!- le fece notare l'altra, accennando con il capo ai numerosi e variopinti sacchetti posati sul pavimento del piccolo locale, accanto al tavolo. Era vero: aveva scelto e comperato, seppure con enorme fatica, un piccolo pensiero per tutti, esclusi i presenti, ovviamente, e Jace. Lui era un'incognita. Ci aveva riflettuto l'intero pomeriggio, scandagliando i propri ricordi alla ricerca di un qualche accenno che potesse indirizzarla nella giusta direzione, ma si era resa conto che si era sempre parlato di lei, di quello che era il suo passato, presente e di quello che avrebbe voluto fosse il suo futuro, delle sue passioni, eccetera. Poche volte si era parlato di Jace. Era un'imperdonabile sgarro quello che gli aveva fatto, e voleva rimediare al più presto cominciando da un regalo di Natale più che azzeccato, ma non sapeva proprio da che parte cominciare.
-Ma non ho trovato il regalo giusto per Jace!- le ricordò con tono petulante, emettendo un profondo sospiro.
-Io so cosa potresti regalargli. - intervenne Ted, che fino a quel momento, contravvenendo a quello che la sua indole gli suggeriva, era rimasto zitto zitto a godersi la scena. – Ma non si compra in un negozio. Non c'è niente che un ragazzo gradirebbe di più del bacio di una bella ragazza!- le suggerì, ammiccando maliziosamente. Hannah lo fissò perplessa.
-Devo pagare una modella perché lo baci?- chiese ingenuamente, senza neppure sospettare ciò che il ragazzo intendeva dirle in realtà. Guardò poi Rose come se si aspettasse da lei una traduzione simultanea, perché pareva evidente dall'espressione di lui che doveva averne frainteso le parole. In certi momenti le pareva parlasse una lingua a lei sconosciuta. Ted la fissò stranito, tra il sorpreso e il perplesso, per qualche secondo prima di scoppiare a ridere fragorosamente, tanto di gusto da fargli venire le lacrime agli occhi.
-Ma no! Lo devi baciare tu!- esclamò, puntandole contro l'indice. Qualcuno dei clienti del locale si voltò nella loro direzione, incuriositi da tanto schiamazzare. Hannah impallidì e arrossì in rapida successione, tremendamente imbarazzata. Il ragazzo era andato a toccare un argomento delicato per Hannah, qualcosa di cui non aveva ancora avuto il coraggio di parlare con nessuno, neppure con la fidatissima Rose. Aveva paura che a condividere i suoi pensieri con qualcun altro li avrebbe sentiti meno suoi.
-Che assurdità...- si limitò a mormorare con sguardo basso e malinconico. Lei baciare Jace, questa poi! Non sarebbe mai potuto accadere. Era qualcosa di troppo bello perché potesse realizzarsi. Era, per lei, un avvenimento che sarebbe potuto accadere solo nei suoi sogni più arditi. Perché mai Jace avrebbe dovuto baciare lei, in fondo? Non aveva neppure mai osato immaginare come sarebbe stato un bacio tra loro. A quel pensiero non poté impedire a se stessa di chiedersi come fossero le labbra di un ragazzo, che sensazione si dovesse provare nello sfiorarle. Erano morbide? Avevano un sapore in particolare come spesso stava scritto nei romanzetti rosa? Quelle di Jace sembravano soffici, quasi di velluto. Lui non sembrava rendersene conto ma talvolta, quando era assorto o concentrato su qualcosa, prendeva a mordicchiarsele o a succhiarsi il labbro inferiore, facendole arrossare e rendendole inconsapevolmente ancora più appetibili. L'aveva ritratto in quella posa tanto ne era rimasta affascinata, tanto le era parso bello come mai prima, ma non riusciva a ritrovare quello schizzo in particolare. Non era nell'album che le avevano distrutto, altrimenti sarebbe l'avrebbe di certo ritrovato in pezzi come tutto il resto. Non ricordava però dove l'aveva riposto.
-Io... Non... Non vorrebbe essere baciato da me.- farfugliò ancora con una vocetta strozzata. Sentiva come un nodo in gola che le rendeva difficile parlare.
-Sì, come no! Hannah, sei proprio ingenua!- borbottò Ted irritato. Probabilmente, non conoscendo bene la ragazza, si doveva essere aspettato una diversa reazione e maggiore ironia e malizia da parte sua.
-Ted, non sono affari nostri. Smettila di impicciarti. - lo rimproverò Rose, prima di rivolgersi ad Hannah, decisa, per il bene dell'amica, a cambiare argomento. - So che Jaquie e Daphne gli regaleranno una maglia firmata da un certo Koga...Koba...Koda....-
-Vorrai dire Kobe! Kobe Bryant, il giocatore dei Lakers!- la interruppe il ragazzo con un certo tono saccente. Evidente era l'intento di farle un dispetto e vendicarsi di come lei l'aveva zittito appena un minuto prima. Hannah li avrebbe trovati divertenti se non fosse stata concentrati su ben altri pensieri e preoccupazioni.
-A Jace piace il basket?- Se così era, Hannah non ne aveva mai avuto neppure il sentore. Le aveva detto che giocava nella squadra di football quindi aveva presunto che quello fosse il suo sport preferito, non aveva mai pensato ci fosse la possibilità che si sbagliasse. - Non lo sapevo. Non ne abbiamo mai parlato in verità.- Non ne avevano mai parlato perché lei non aveva mai chiesto nulla a riguardo. Mentre Jace sembrava lottare strenuamente per riportare alla luce quanti più ricordi possibili dell'amica e farli suoi, lei si era limitata ad aspettare, o sperare, le piovessero addosso quelli di lui. - In ogni caso, visto che le ragazze gli regalano qualcosa, non potrò prendergli qualcos'altro anche io.- sentenziò infine, sospirando profondamente. Poco dopo la cameriera portò loro il conto e usciti dal locale si divisero. Le ragazze procedettero nella stessa direzione. Per un po' stettero in silenzio. Hannah aveva bisogno di parlarne con Rose per essere rassicurata, per sentirsi dire che quello che sentiva per Jace non era frutto di false aspettative che lei si era costruita negli ultimi mesi, ma che davvero amava Jace, anche se ancora tante erano le cose che non sapeva di lui. Al contempo aveva paura di scoprirsi troppo, quindi, dopo un lungo silenzio, cercando di apparire piuttosto indifferente, le chiese: -Rosie... Come fai ad essere sicura che Seth ti piaccia davvero? Voglio dire, tu stessa hai ammesso che vi siete parlati molto poco.-
-Ho chiesto a Jace di parlarmi di lui.- rispose la ragazza con semplicità.- Con molta nonchalance ovviamente! Non sono andata da lui a dirgli “Hei Jace trovo il tuo amico bellissimo, potresti spiattellarmi tutto ciò che sai di lui?”.- la ragazza ridacchio delle sue stesse parole. - E lui l'ha fatto. Ha capito e mi ha detto tutto ciò che avrei voluto sapere. Ora vorrei solo poter vedere con i miei occhi ciò che ho solo sentito da altri.- ammise con rimpianto.
-Ho capito...- Hannah se ne stette zitta zitta finché non arrivarono davanti al portone d'ingresso del suo palazzo. L'usciere la riconobbe e si avvicinò all'ingresso, aprendole la porta con fare servizievole. Rose a quel punto sollevò una mano, in un accenno di commiato che però Hannah non le permise di terminare.
-Rosie, ti va di salire? Io vorrei... Vorrei che tu... Potresti parlarmi di Jace?-

***
Il lunedì successivo Hannah aveva ancora in testa tutte le cose meravigliose che Rose le aveva riferito durante il week end appena trascorso. Avevano finito per vedersi anche il sabato e la domenica, per fare gli ultimi acquisti o per una semplice chiacchierata. Hannah si era resa conto di essersi convinta di conoscere piuttosto bene Jace, mentre invece sembrava non conoscere nulla di lui, neppure la data del suo compleanno, cosa che scoprì con orrore sarebbe stato poco dopo Capodanno. In realtà aveva solo fatto il pieno di aneddoti e particolari insignificanti, anche se per la ragazza erano grandi e importanti novità.
L'amica aveva cercato di rassicurarla, dicendole che lei in realtà lo conosceva molto meglio di quanto non lo conoscesse l'intero Trio messo insieme, ed era vero, perché con lei il ragazzo si era aperto più che con qualsiasi altra persona. Hannah però non ne era affatto convinta, abituata com'era a focalizzarsi sui particolari quasi insignificanti in maniera maniacale quando dipingeva, supponeva di doverlo fare anche in questo caso, senza notare la fondamentale differenza: Jace non era un disegno. Lui era vivo, reale, non poteva cambiarlo con un colpo di gomma, non poteva prevedere quale sarebbe stato il risultato finale dell'opera nel suo complesso.
Una volta arrivata a scuola, mentre si levava il cappellino di lana e i guanti per riporli nell'armadietto ed era sempre presa dalle sue elucubrazioni, intravide con la coda dell'occhio un'ombra, qualcuno che le si avvicinava. Immaginò fosse Jace. Al solo pensiero il battito cardiaco accelerò e fu scossa da un piacevole fremito quando infine impose a se stessa di voltarsi. Davanti a lei però, con suo grande dispiacere, scoprì che non c'era Jace.
-Ciao Hannah. Come stai?- era Thomas Rushmore, con il suo sorriso gentile ma insieme altezzoso, con i begli occhi verdi e i capelli neri ben pettinati che ne incorniciavano il volto dai lineamenti delicati. - Sono felice di vederti in salute.- I soliti convenevoli a cui Hannah rispose con un cenno del capo.
-Grazie. Spero sia lo stesso per te.- Fu educata ma gelida. Infilò i libri necessari per le lezioni della mattina nella borsa e chiuse l'armadietto. - Mi dispiace ma ora devo proprio andare, buona giornata.- Attese qualche istante per dargli la possibilità al ragazzo di accomiatarsi, ma lui senza smettere di sorriderle le chiese a brucia pelo : - Posso accompagnarti in classe?-
Ne fu talmente sorpresa che si limitò ad annuire. Si avviarono insieme per il corridoio. Tom parlava, di tutto e di niente in verità, Hannah si limitava ad ascoltare. Non era interessata ai suoi piani per le vacanza, che sarebbero cominciate di lì a qualche giorno, nulla di ciò che lui diceva poteva attirarne l'attenzione perché, in fondo al corridoio lei aveva già visto Jace.

Lui.

Jace fissava con gli occhi sbarrati l'avviso affisso all'ingresso della palazzina in cui ricordava di aver sempre vissuto. Lui e sua madre, e un nutrito gruppo di vicini si erano fermati ad osservare un uomo in giacca e cravatta, dallo splendido completo di alta sartoria che appendeva al portone un foglio di carta stampato fitto fitto. Quando l'uomo se ne fu andato (molto in fretta in realtà, come se temesse di venire aggredito da un momento all'altro) tutti, chi con più interesse di altri, chi per semplice curiosità, si erano avvicinati a controllare cosa fosse. I vecchio Scrooge aveva venduto il palazzo.
Il vecchio Scrooge era il soprannome che i suoi affittuari avevano dato al padrone della palazzina, un certo Harvey Perry, che nessuno di loro aveva mai visto, dato che preferiva mandare i suoi legali a fare il lavoro sporco per lui. Era opinione comune che fosse un uomo avaro, che faceva pagare un affitto mensile mediamente alto se rapportato al pessimo stato in cui versavano i singoli appartamenti e la palazzina nel suo complesso, e che pretendeva che qualsiasi miglioria, fosse anche pitturare la facciata, dovesse essere a carico degli affittuari. Contava sul fatto che la maggior parte di loro avesse vissuto fin dall'infanzia in case popolari, in delle catapecchie ben peggiori di quella o peggio per la strada e che quindi nessuno di loro avrebbe osato mai tirar fuori la voce. Purtroppo era vero, per non parlar del fatto che la maggior parte degli abitanti del palazzo non si sarebbero potuti permettere un avvocato, e anche se così non fosse stato, sicuramente non avrebbero potuto pagarne uno bravo al pari dei suoi.
Jace sentì il terreno mancargli da sotto i piedi, per un instante pensò di stare per svenire. Certo, lui e sua madre avrebbero trovato una soluzione, avrebbero trovato facilmente un altro appartamento, probabilmente niente di meglio di quanto non avessero ora. Ma gli altri? Per alcuni era difficile già tirare avanti, pagare quell'affitto che piano piano negli anni era cominciato a lievitare mentre l'edificio diventava sempre più vecchio, logoro e malmesso.
-Jace...- Greta lo tirò per un braccio. - Andiamo, faremo tardi.- Jace non si mosse. Fissava ancora quell'inutile, stupido foglio di carta, su cui stava scritto che il futuro di tutti loro era nelle mani di tale compagnia, la Gamble & Harclay Co. Potevano buttarli fuori di casa quel giorno stesso se solo avessero voluto, e loro non potevano farci niente. Dovevano subire, subire e ancora subire. Ne aveva le tasche piene di chinare la testa e sopportare i tiri mancini della sorte.
Greta lo strattonò tanto forte da farlo voltare. - Jace muoviti. - gli intimò fissandolo negli occhi. - Andiamo.- Nonostante l'apparente calma poteva leggerle dentro, poteva percepirne la paura e quanto fosse sconvolta, molto più di quanto lui non fosse. Trovarsi senza un tetto sotto il quale vivere era il suo peggiore incubo, un tuffo nel passato, e Jace ne era dolorosamente consapevole. Ma stavolta lui non era un bambino, non sarebbe rimasto a guardare sua madre spezzarsi la schiena nel tentativo perlomeno di sopravvivere. C'erano tante cose che poteva fare, e gli era chiaro da quale dovesse cominciare.

***
Aveva atteso con ansia il ritorno a scuola, ma in quel momento desiderava solo stare da solo, tornarsene a casa e dormire, e perdere il completamente i contatti con la deludente realtà. Provava l'intenso desiderio di mandare a quel paese chiunque lo salutasse, e siccome lo facevano in tanti, la sua pazienza veniva messa a dura prova.
Arrivato al suo armadietto, lo fissò per qualche istante: aveva voglia di sbatterci contro la testa fino a perdere conoscenza. Si sentiva pieno di rabbia, tanta da riuscire a malapena a controllarla. Aveva voglia di urlare, di prendere a pugni qualcuno. Lui non era come Hannah, che si teneva tutto dentro lasciando sfogare i suoi sentimenti nel silenzio, lui aveva bisogno di esternarli o sarebbe esploso. Aprì l'armadietto con uno scatto rabbioso.
-Nervosetto oggi?- chiese una vocina melliflua alle sue spalle.
-Amanda, oggi non è giornata.- sbottò lui, senza degnarsi di voltarsi a guardarla. Lei era senza dubbio l'ultima persona che avrebbe voluto incontrare. Sembrava essere venuta al mondo solo per irritarlo.
-Povero bambino... E io che ero venuta a farti le mie congratulazioni.- gli si avvicinò, allungando una mano verso i suoi capelli. Jace se ne allontanò con uno scatto, afferrandole il polso.
-Dimmi cosa vuoi e lasciami in pace.- Amanda lo guardò con quei suoi occhi di ghiaccio, inespressivi tanto da fargli venire i brividi. Se gli occhi erano lo specchio dell'anima allora quella di Amanda era vuota. Aveva lo stesso fascino di una tigre mentre si prepara ad attaccare la sua preda. Le lasciò andare il polso con uno scatto repentino, come se gli avesse dato la scossa, distogliendo lo sguardo dal suo volto.
-Te l'ho detto, volevo solo farti le mie congratulazioni. Ora che ti sei liberato della principessina puoi dedicarti a qualcuno che ti merita veramente... Qualcuno come me, per esempio.- Si appoggiò all'armadietto accanto a quello del ragazzo, incrociando le braccia sotto il seno prosperoso, messo in evidenza dall'aderente divisa da cheerleader.
-Mandy, vedi di essere più chiara, non ho tempo da perdere con i tuoi giochetti.- sbuffò lui, cominciando ad infilare in fretta i libri nello zaino.
La ragazza tirò fuori dalla tasca del cappotto un foglio piegato. - Forse ti interesserà sapere cosa disegna... Scusa, disegnava... L'inglesina.- Jace le strappò di mano il foglio, aprendolo: era lui. Fissò incredulo la bozza che aveva tra le mani. Hannah disegnava lui. E questo, conoscendo Hannah, doveva essere qualcosa di importante, di fondamentale. Se lo disegnava allora doveva significare che lei lo considerava parte della sua vita. Lui era importante per lei, tanto da meritare di essere oggetto di una sua opera.
-Dove l'hai trovato?- chiese solamente, nascondendo quanta gioia invece che fastidio gli avesse donato facendogli vedere quel disegno. - Potrebbe anche non essere stata Hannah a farlo.-
-C'è la sua firma sul retro... Firma i suoi disegni, si crede un'artista!- rise, con quella sua irritante risatina colma di sarcasmo. - é una pazza Jace! É una che ti ritrae di nascosto!-
-Non mi importa. E ancora non capisco perché ti dovresti complimentare con me.- sentenziò il ragazzo, infilando il disegno in una tasca del cappotto.
-Non ti importa se è ossessionata da te? Voglio dire, si può essere più anormali di così? Ma te l'ho detto! Finalmente ti sei liberato di lei, ora che esce con Tom. Li ho visti passeggiare per il corridoio mano nella mano. Erano tremendamente carini. Due schizzati che si sono trovati. Dolci, non credi?- Amanda finse grande commozione, e si compiacque nel vedere la mano di Jace tremare a quella notizia, ma non ebbe la soddisfazione di vederlo crollare per cadere dritto tra le sue braccia.
-Se esce con Tom...- cominciò, e quale sforzo gli costò mantenersi indifferente. - Vuol dire che non è poi tanto ossessionata da me, non credi?- Jace, al contrario di lei, poté godersi a pieno la soddisfazione di vedere la sua espressione cambiare e passare da un sorrisetto compiaciuto ad una smorfia scontenta.
-Sei un idiota.- disse prima di andarsene sbuffando e pestando i piedi perché non era riuscita a rovinargli la giornata. Non si voltò neppure per osservarla andar via. Gli bastò sentire i suoi passi che si allontanavano per sentirsi sollevato. Prese a respirare profondamente, un pensiero gli martellava nella mente impedendogli di formulare qualsiasi altro pensiero: Hannah e Tom. Ma come era successo, quando? E lui come aveva potuto permetterlo? Cercò di convincersi fosse una bugia, un parto della mente contorta di Mandy, ma non ci riusciva.
Si sentì toccare una spalla. Eccola di nuovo, pensò. Decise di ignorarla. Ma gli picchiettò nuovamente sulla spalla. Si voltò di scatto, afferrando la mano che tanto lo infastidiva, e urlò, senza neppure sincerarsi che fosse davvero Amanda.
-Lasciami in pace!- Hannah lo fissò con occhi sbarrati. Il dolore che lei provava lo colpì come una scossa elettrica e prima che potesse dire qualcosa lei se n'era già andata.
-Avanti Jace...- disse Tom, e solo allora si rese conto della sua presenza e che doveva essere arrivato con Hannah, rendendo la bugia di Amanda verità. - Così rendi le cose troppo facili. Non c'è gusto a vincere così.-








Angolo dell'autrice:
Ebbene rieccomi qui! Purtroppo non sono riuscita a  completare anche il capitolo "Natalizio" in tempo per questa pubblicazione, ma spero di riuscire a pubblicarlo entro la fine delle vacanze (sarà un capitoletto piccino picciò, praticamente un'appendice di questo'ultimo). Grazie a chi mi legge, e a chi mi segue, chi ha questa storia tra i preferiti, e chi continua a recensire! :-) Mi illuminate tutti la giornata! Mi sono accorta ora che la mia storia ha compiuto già un anno... Ma quanto sono lenta a pubblicare??? ç___ç Avrei voluto fare qualcosa di speciale per questa importante occasione, ma credo che la cosa migliore che io possa fare è continuare a scrivere. é stato un lunghissimo anno, con alti e bassi (forse più bassi che altro =_=), ma la mia piccola è ancora qui, e cresce e promette di venir su bene. Grazie ai compagni d viaggio che sono ancora qui, a quelli che ci hanno accompagnato solo per poco e a chiunque abbia compiuto anche un solo passo in compagnia di Hannah e Jace. :-)








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Capitolo 15
*** Capitolo 15. Unsaid. ***


Hopelessly devoted to you







Hopelessly Devoted To You <3

Capitolo  15. Unsaid.


Lei.

Hannah tratteneva le lacrime da tutta la mattina. In un insolito moto di auto-preservazione aveva saltato deliberatamente il pranzo, per non dover affrontare il Trio, ma soprattutto perché per la prima volta non voleva vedere Jace. L'aveva spaventata terribilmente. La sua voce, il suo sguardo, persino la forza con cui le aveva stretto il polso, l'avevano terrorizzata, ma se al posto di Jace ci fosse stato un altro, chiunque altro, avrebbe provato la stessa paura. Ciò che veramente la turbava era essere consapevole di quanto lui fosse riuscito a ferirla, era bastato così poco per farle male, lei stessa se ne rendeva conto.
Perse tempo al suo armadietto, aspettando che i corridoi si svuotassero. Dallo stanzino lì accanto proveniva ancora quella musica struggente che aveva udito settimane prima. Poteva immaginare le dita affusolate di Ted posarsi sui tasti bianchi e neri per produrre quel qualcosa di celestiale, perché era ormai convinta che di Ted si trattasse, proprio lui le aveva detto in precedenza di saper suonare quello strumento.
"Forse potrei entrare anche io..." si disse, prendendo i libri per le lezioni successive più uno da leggere a tempo perso. Chiuse l'armadietto e si accostò alla porta. "Ma sì, è l'unico posto dove non mi verrebbero a cercare, e poi non gli sarei di alcun disturbo." si disse ancora. Allungò una mano verso la maniglia e la girò, quasi si sorprese di non trovare la porta chiusa. L'aprì piano e si infilò nello stanzino, che in verità aveva tutta l'aria di un'aula polverosa adibita a magazzino, piena com'era di cianfrusaglie di ogni genere. Tanti erano gli scatoloni ammassati accanto all'ingresso che non riusciva a vedere né il pianoforte né il pianista.
Avanzò ancora, facendo capolino dietro una pila di scatoloni da cui fuoriuscivano vecchi palloni, sgonfi e logori. Fu sorpresa di vedere spuntare dietro un pianoforte verticale, relegato in un angolo non troppo ingombro, invece dei riccioli scuri di Ted, una folta capigliatura corvina. Imbarazzatissima per il proprio errore cercò di indietreggiare silenziosamente prima che il misterioso pianista si accorgesse della sua presenza. Ma indietreggiando sfiorò uno scatolone che prima traballò, poi sembrò voler stare fermo al suo posto, ma che infine e senza alcun preavviso, proprio quando Hannah stava per tirare un sospiro di sollievo rovinò a terra portandosi dietro anche il resto dei suoi polverosi compagni. Il pianista si alzò di scatto, puntandole lo sguardo addosso. La sorpresa fu ancor più grande quando Hannah riconobbe in lui niente meno che Thomas Rushmore.

-Io... Io...- cercò di balbettare, chinandosi a raccogliere la robaccia ora sparsa per il pavimento, cosa che le permetteva di nascondere almeno in parte l'imbarazzo, ben evidente sul suo volto arrossato. - Mi dispiace, io credevo ci fosse Ted qui...- cercò di giustificarsi.
-Aspetta, ti aiuto!- esclamò l'altro di rimando, precipitandosi ad aiutarla. - Non c'è problema. è bello avere del pubblico, per una volta.- Hannah osò sollevare lo sguardo. Sembrava sorpreso ed imbarazzato quanto lei, e per questo le parve una persona completamente diversa da come l'aveva sempre considerato, meno sicuro di sé e meno gelido di quanto lui stesso non desse a vedere.
"Certo che proprio tutti cerchiamo di nasconderci dietro una maschera convenientemente costruita giorno dopo giorno." si ritrovò a pensare d'un tratto. Finirono di sistemare il salvabile in silenzio, e quando si alzarono lui raccolse i libri che lei teneva tra le braccia e aveva poi precipitosamente posato a terra poco prima. Soffiò via la polvere che avevano raccolto dal pavimento e glieli porse.
-Arte eh? Ti interessi a questo genere cose?- le chiese con un sorriso incerto. Sembrava non sapesse cosa dirle.
-Si...Disegno, pure.- rispose lei, senza riuscire a guardarlo. Puntò lo sguardo sul pianoforte. - Quindi tu... Tu suoni, invece. Supponevo fosse Ted a suonare ma, a quanto pare, supponevo male. é meglio che vada ora. Scusa ancora, non volevo interromperti.- gli rivolse un tiepido sorriso di scuse.
Trovava molto più facile sorridere ed essere gentile con Tom quando non portava maschere. Era meno spaventevole per lei, e più umano. Era questo che doveva aver visto Jace, quando erano stati amici, lui che sapeva sempre come levarti la maschera dal volto e scoprire lati di te stesso che neppure tu potevi dire di conoscere.
-Rimani, se vuoi. Mi sembra tu abbia bisogno di nasconderti, altrimenti non ti saresti intrufolata qui.- "Touché!" pensò la ragazza, annuendo però al dire di lui. - Sei giù per come Jace si è comportato, vero? Se io avessi una ragazza carina come te la tratterei molto meglio.- Hannah non rispose, si limitò a seguirlo quando tornò a sedere al pianoforte. Lei prese posto su una traballante seggiola, tenuta dritta da un vecchio annuario infilato tra una delle gambe e il pavimento. Tom aveva indossato nuovamente la sua maschera e quello scorcio di sensibilità che aveva visto era stato nuovamente nascosto. Si sentì improvvisamente a disagio in sua compagnia.
-Non sono la sua ragazza.- mormorò infine, preferendo evitare qualsiasi fraintendimento o equivoco.
-Vorrei vedere qualche tuo disegno.- disse invece l'altro, evitando di ritornare sull'argomento precedente. Probabile volesse solo una conferma, e ora che l'aveva avuta non gli era più utile parlare di Jace. Riprese a suonare, preferendo stavolta una filastrocca alla musica sublime che le sue dita erano riuscite a riprodurre con la semplice pressione dei tasti dello strumento. - Invidio chi ha questa dote. Io sono completamente negato!- esclamò divertito.
-Io invidio chi riesce a suonare uno strumento, esprimendone tutta la magnificenza. é molto più lodevole dello saper fare qualche scarabocchio.- fece lei, timidamente.
-é così che consideri le tue opere? Scarabocchi? Secondo me pecchi in modestia, ma non avendo avuto la possibilità di valutare da me...- lasciò in sospeso la frase, cambiando ancora una volta argomento. - Pare che ognuno di noi invidi qualcosa dell'altro. Tutti e due, in fondo, siamo simili perché desideriamo cose che non ci apparterranno mai. - Hannah si voltò verso Tom. In quelle sue parole c'era molto più di quanto il loro significato letterale lasciasse intuire, anche se non riusciva ancora a cogliere il messaggio tra le righe nella sua interezza.
-Come mai vieni qui a suonare? C'è uno splendido pianoforte a coda nella sala musica, al piano di sotto.- chiese, volendo evitare il silenzio che in quell'aula sembrava farsi pesantissimo, quasi insostenibile.
-Lo so, ma preferisco isolarmi quando devo suonare. So che tu capisci, se ti chiedessero se preferisci disegnare in una stanza affollata, sotto lo sguardo di tutti, oppure da sola, in un luogo silenzioso e isolato, cosa rispoderesti?.- Hannah afferrò immediatamente il senso del suo dire, e annuì con vigore. Continuarono a farsi reciprocamente delle domande, da allora alla fine della pausa pranzo, pur di non dover restare in silenzio.
Quando la campanella suonò, scattarono in piedi quasi in sincrono. Hannah raccolse le proprie cose, Tom le sue, e entrambi si diressero verso la porta. Il ragazzo la precedette, tenendogliela aperta. Lo ringraziò con un cenno del capo e poi in silenzio, come per un tacito accordo si avviarono lungo il corridoio l'uno affianco all'altro, come quella mattina, anche se l'atmosfera era ben diversa. Quando dovettero dividersi Hannah fece per salutarlo ma lui la prese in contropiede dicendo: - Dovresti parlare con Stein. A volte si comporta da schizzato, ma non è male. E poi se dovessi perdere il mio avversario proprio all'inizio dei giochi, non ci sarebbe nessun divertimento.- Le dedicò una strizzatina d'occhio prima di allontanarsi e lasciarla lì, senza parole.

Lui.

Jace continuava a guardarsi intorno come un disperato. Sperava di vedere Hannah e chiederle scusa per essersi comportato da perfetto idiota, ma la pausa pranzo era ormai a metà e lei ancora non si era vista.
-Ma complimenti Jace! Devi averla ferita a morte! Magari ora è in bagno che piange, una specie di Mirtilla Malcontenta! Complimenti vivissimi!- fece Jaquie, con un'irritazione che non si sforzava di nascondere.
-E quel che è peggio è che credo di sapere chi ha preso il suo album.- Jace incrociò le braccia sul tavolo e vi posò il capo, che sentiva pesante e cominciava a dolergli per la rabbia e la tensione di quella giornata pessima ma che era appena agli inizi. - Per la cronaca, Jaquie aveva ragione, probabilmente.-
-Ah! Avete visto? - disse allargando le braccia, in un gesto plateale.- Io lo sapevo! Lo sapevo che era stata lei! Ma se mi capita tra le mani io...-
-Vorrei sapere su cosa si basano le vostre supposizioni.- l'interruppe Daphne, che non gradiva tutte quelle accuse impossibili da provare.
-Mi ha dato un disegno che era nell'album. Non credo che casualmente l'abbia trovato proprio lei tra tutti gli studenti di questa scuola.- sbottò il ragazzo sollevando appena il capo. - Sarebbe una coincidenza troppo azzeccata, visto che con quello ha cercato di convincermi che Hannah è una pazza, ossessionata dalla mia immagine.-
-Jace, ancora al tavolo delle perdenti?- Jace l'avrebbe voluta strangolare. La sua vocetta gli perforava i timpani. Fastidiosa una zanzara che ti ronza in un orecchio quando sei lì lì per addormentarti.
-Ma guarda, parli del diavolo...- mormorò Jaquie, prima di alzarsi. - Mi è passato l'appetito. Ci vediamo a fine lezioni. - Daphne e Rose si alzarono subito dopo, e la seguirono fuori dai locali della mensa.
-Finalmente le lesbicone e l'immigrata clandestina, hanno epurato l'ambiente dalla loro presenza.- disse, ma solo quando Jaquie fu ben lontana da lei, con perfidia che disgustò Jace a tal punto che si alzò e fece per andarsene anche lui, troppo nauseato per dire anche una parola di più. Amanda gli afferrò una manica e lui la ritirò con uno scatto nervoso.
-Amanda, ti ho avvertito prima: lasciami in pace. Lo sai perché non ti voglio tra i piedi? Perché per quanto tu sia bella fuori, dentro sei orrenda. Io con una come te non voglio avere niente a che fare, lascia in pace me, Hannah, e le ragazze.-
-Non dopo quello che ho fatto alla tua Hannah, giusto? Non hai prove, e comunque io non difenderei una che va a imboscarsi nello stanzino delle scope con il mio ex migliore amico per vendicarsi.- detto ciò, troppo arrabbiata e ferita dalla pubblica umiliazione davanti all'intera scuola, girò i tacchi e tornò al suo tavolo, sbuffando e scalciando tutte le sedie che si trovavano sul suo cammino.
La verità fondamentale che Amanda non riusciva a comprendere era che non tutte le ragazze erano, per fortuna, come lei o le sue cosiddette amiche. Hannah non si sarebbe mai buttata tra le braccia di un altro solo per uno sterile bisogno di vendetta.
Quando uscì dalla mensa la pausa pranzo era praticamente finita. La campanella dilaniò il silenzio dei corridoi e il ragazzo si diresse lentamente verso l'aula di storia americana, la sua prossima lezione. Si sentiva stanco, il suo corpo gli pareva pesante come non mai. Tutto ciò che avrebbe voluto era buttarsi a letto e dormire per una settimana intera.
Ma la giornataccia era appena cominciata: per la seconda volta da quella mattina sentì mancargli il terreno da sotto i piedi, che sembrava stare sgretolandosi insieme alle sue certezze. Hannah e Tom, di nuovo insieme, camminavano per i corridoi fianco a fianco. Tom non sembrò accorgersi di lui, ma Hannah sì. Quando lo vide lo fissò con sguardo spaurito, gli voltò le spalle e corse via.

Lei.
Alla fine Hannah decise di seguire il consiglio di Tom, anche se per nulla dettato dal generosità o simili sentimenti. Nei giorni seguenti alla loro conversazione Jace e lei si erano evitati, e aveva evitato anche Tom, nei limiti del possibile dato che sembrava starle sempre dietro, come un'ombra, cosa che reputava piuttosto inquietante.
Così era arrivata la vigilia di Natale e ancora non avevano chiarito la situazione. Hannah poteva dal canto suo dire che era la paura a frenarla, e quanto sforzo le costava recarsi a casa del ragazzo come stava facendo. Non sapeva dire cosa frenasse lui dall'andare a parlarle, invece. Non poteva pensare che Jace avesse paura proprio come lei. Forse reputava toccasse a lei fare la prima mossa.

L'autista fermò l'auto proprio davanti al portone d'ingresso del palazzo. Hannah scese celermente e fece per entrare nell'edificio quando un foglio appeso al portone ne attirò l'attenzione. Non poté fare a meno di fermarsi a leggere. Non la colpì la notizia della vendita del palazzo, ma il nome della compagnia che l'aveva comprata. Gamble & Harclay... Due nomi noti, troppo a dire il vero ma poteva sempre essere una banale coincidenza. D'istinto strappò il foglio e lo infilò in tasca. Si precipitò su per le scale, che mai gli parvero tanto lunghe. Arrivò trafelata al tredicesimo piano solo per scoprire che Jace non era in casa.
-Dovresti salire sul tetto.- le suggerì Greta, indicandole la rampa di scale in metallo che partiva proprio dal loro pianerottolo. Così aveva fatto, ma ora non aveva il coraggio di uscire dall'ombra e raggiungere Jace, che vedeva attraverso la finestrella della porta che, se fosse stata chiusa a chiave, avrebbe impedito l'accesso all'ampio tetto del palazzo, tanto grande da poterci fare un giardino o persino un orto.
Il ragazzo era illuminato dalle luci dei faretti che illuminavano il tetto stesso, fumava una sigaretta appoggiato conto la rete di protezione che circondava tutto il cornicione su cui sedeva. Si rese improvvisamente conto di non sapere cosa dirgli. Non si era preparata un discorso vero e proprio, sperava le parole venissero da sole, ma queste latitavano. Intanto la sigaretta di Jace stava per finire, e presto si sarebbe alzato per tornare a casa. Doveva muoversi o avrebbe perso anche quell'occasione. Aprì piano la porta e sgattaiolò all'esterno. Una sferzata di vento gelido l'investì in pieno. Non era certo il posto più salutare per un convalescente, ancor meno salutare era il fatto che si trovasse li a fumare dopo essersi appena rimesso da una brutta bronchite. Il ragazzo comunque non sembrò accorgersi della sua presenza, finché lei non gli rivolse la parola.

-C'è una bella vista da qui...- mormorò, tenendosi a qualche metro di distanza da lui. Quando Jace si voltò, Hannah pensò che con quella sigaretta tra le labbra e l'aria stanca sembrava molto più adulto di quanto non fosse, addirittura, e la imbarazzava solo pensarlo, più sensuale. Il ragazzo buttò via la sigaretta con uno scatto, come se si vergognasse di essersi fatto sorprendere a fumare. Hannah gli si avvicinò titubante ma inesorabile, anche se lui ancora non aveva detto una parola.
-Jace, perché non mi hai detto della vendita del palazzo?- estrasse dalla tasca il foglio, che essendo stato infilato in una tasca senza troppo riguardo si era tutto spiegazzato, e lo dispiegò prima di tenderglielo. Lui lo prese, l'osservò per un tempo che alla ragazza parve protrarsi in eterno.
-Volevo dirtelo...- cominciò, senza sollevare lo sguardo da foglio che si rigirava tra le mani, come se cambiarne il senso avrebbe potuto cambiare anche il senso del messaggio che recava. - La prima a cui ho pensato di dirlo sei stata tu. Poi però è successo quel che è successo e... Avevo paura che saresti scappata. é la mia più grande paura vederti scappare via da me.- disse con un sorriso pieno di triste ironia, con cui sembrava prendersi un po' in giro per la sua debolezza. Le tese nuovamente il foglio,e quando lei allungò la mano per riprenderlo, le afferrò un polso con la mano libera e la tirò verso sè, stringendosi a lei, le braccia incrociate intorno alla sua vita e il volto premuto contro il suo stomaco.

Lui.

-Mi dispiace, non volevo trattarti così, sul serio. Se io avessi immaginato che eri tu mai mi sarei permesso di... E poi volevo chiederti scusa, lo volevo con tutto il cuore ma ti ho visto con Tom e poi sei scappata via e io per la prima volta non sapevo proprio come comportarmi. Sono un imbecille. - disse alla fine di quel breve e sconclusionato discorso. Jace sembrava più che mai un bambino, in quel momento. Spaventato almeno quanto lei dall'intensità dei proprio sentimenti, si era trovato a non sapere cosa dirle, ma al contempo ad avere un bisogno incontrollabile di lei, della sua vicinanza. L'aveva stretta senza riflettere, preda di un impulso momentaneo, ma non riusciva a pentirsi di quell'avventatezza, non se lei gli posava una mano sul capo e lo carezzava così dolcemente come stava facendo.
-Ho creduto di averti ferito, in qualche modo ma senza sapere come. Anche io avevo paura. Paura che non volessi avere più niente a che fare con me. Ed ero spaventata perché non sembravi neppure tu. Mi hai guardata con tanto odio quella volta che non potevo trovare nulla di te in quell'espressione.- Jace sollevò il capo, osando finalmente fissarla in volto.
-Non potrei mai odiarti, neppure se mi pugnalassi alle spalle. Saresti sempre importante per me perché io...- smise improvvisamente di parlare, conscio di stare per lasciarsi scappare qualcosa di molto, troppo simile ad una confessione. Scattò in piedi, posando le mani sulle spalle della ragazza, come a mettere distanza tra loro. -... io ti voglio molto bene.- concluse, titubante. Hannah ancora una volta fu troppo ingenua per porsi delle domande, anche se gli parve di scorgere nuovamente un lampo di delusione nei suoi occhi.
-Anche io ti voglio bene.- rispose, abbracciandolo a sua volta, sebbene con molta meno passione di quanto non avesse fatto lui in precedenza. Jace doveva mettere fine al supplizio: la voleva vicina e tutta per se, sentirne il calore e sentirlo fondersi con il suo era quanto più vicino ci fosse al suo paradiso ideale. Eppure quella stessa vicinanza lo distruggeva pian piano, perché continuava a reprimere i propri sentimenti in un cantuccio, senza dargli la possibilità di esprimersi. Era solo per paura che non tentava neppure di dirle quanto l'avesse fatto innamorare, una paura stavolta imputabile solo a se stesso. Lei non aveva colpa se lui era troppo codardo.
-é meglio entrare, che dici?- tentò di smorzare la tensione allontanandola da sé ancora una volta. Le mise un braccio intorno le spalle, conducendola fino alla porta. - Ti offro qualcosa di caldo, vuoi?Tu non lo sai, ma mia madre fa una cioccolata calda addirittura libidinosa!-

Lei.

Hannah si lasciò condurre giù per le scalette fino all'ingresso di casa Stein. Ancora una volta avvertiva un'amara sensazione, come di una speranza disillusa, una speranza che non sapeva neppure d'avere coltivato. Era come se avesse saltato un passaggio importante della loro conversazione. Nella loro relazione mancavano dei tasselli fondamentali, ma non capiva proprio cosa mancasse. Jace sembrava essere stato sul punto di dirle qualcosa di importante, ma poi si era bloccato. Quando poi le aveva detto di volerle molto bene era stata tanto felice da offuscare qualsiasi altro pensiero molesto. Poteva accontentarsi di questo. Poteva vivere una vita intera solo con il suo “bene”, accontentandosi di quello senza chiedere mai che si tramutasse in “amore”.


Gli altri.
Hannah rimase tutta la sera a casa loro. Guardarono dei film natalizi alla T.V., mangiarono cinese e bevvero una tazza della cioccolata speciale di Greta. Tutto sembrava perfetto, e quando Jace si appisolò con la testa sul grembo di Hannah, già addormentata, Greta fu colpita dalla scenetta casalinga, tanto tenera e dolce, come si viene colpiti da uno schiaffo in pieno volto. Rimase ad osservarli per un po', indecisa se svegliarli o meno, ma non ne ebbe il coraggio, neppure quando George venne a prendere Hannah. Lo fece entrare, e senza dire una parola lo afferrò per un braccio e lo trascinò fino al sofà.
-Guardali e dimmi una cosa: come possiamo far loro una cosa del genere?- disse in un sussurro disperato.
-Greta sono ragazzi.- disse lui, facendola sentire come una bambina a cui cercano di inculcare che l'uomo nero non abita sotto il suo letto. George negava quella che per lei era l'evidenza, facendola sentire stupida. - Tra un mese si saranno già invaghiti di qualcun altro.- sentenziò, dando scarsa importanza alla faccenda.
-Non siamo stati giovani anche noi forse? Non ci siamo sentiti almeno una volta come loro, innamorati persi, fino a credere di impazzire senza l'altro? Non hanno anche loro il diritto di stare insieme? Dammi una ragione per cui dovrei togliere al mio stesso figlio la possibilità di vivere l'amore. é quello che mi stai chiedendo anche tu George, vivere quello che proviamo, o crediamo di provare, eppure vuoi negarlo ai nostri figli. Io non voglio frequentare un uomo che toglierebbe una delle più grandi gioie della vita alla propria creatura.- sentenziò decisa, allontanandosi di qualche passo da lui.
George non rispose. Tornò ad osservare Hannah, con il capo pigramente reclinato di lato, contro lo schienale del divano. Per la prima volta fu capace di mettere in dubbio il proprio valore come uomo e come genitore. Non era stato un buon padre, doveva riconoscerlo. Non sarebbe mai stato neppure appassionato e affettuoso come Greta, che non smetteva mai di raccontargli aneddoti sul suo Jace, e di vantarlo, mentre lui si era reso conto solo allora di non sapere nulla di Hannah. Non riusciva ad accettare però l'idea di dover rinunciare a Greta per amor suo. Era troppo egoista per farlo.
-Non abbiamo dei diritti anche noi?- mormorò infine, distogliendo lo sguardo dai due adolescenti per posarlo sulla donna di cui si era invaghito a prima vista, ma che sembrava non poter far sua in nessun modo.
-Abbiamo anche delle responsabilità come genitori, e queste vengono prima di tutto. Io, in tutta coscienza, non posso fargli questo.- Ancora una volta, George non replicò, anche se, dopo aver riflettuto aggiunse qualcosa. Una proposta, l'avrebbe definita lui. Una condanna, l'avrebbe definita Greta più in là.

-Jace la settimana prossima sarà legalmente un adulto, e Hannah lo sarà l'anno prossimo. A quel punto saremo liberi da ogni responsabilità genitoriale, almeno agli occhi della legge. E i nostri figli saranno liberi di andarsene di casa se non dovessero gradire la nostra relazione. Facciamo un patto: continuiamo a frequentarci, vediamo come va. Se quando loro due saranno entrambi maggiorenni tu mi vorrai ancora, perché io ti aspetterò, allora farò tutto ciò che vuoi, e sarà fatto alla luce del sole, come tu desideri.- Le prese una mano e la baciò dolcemente, tentando di rabbonirla con un poco di galanteria.
-Mi stai proponendo di continuare la nostra relazione in segreto. Mi stai proponendo ancora una volta una cosa che non voglio fare, cerchi di prendermi in giro o cosa? Non ho intenzione di avere un segreto con Jace, e solo per vedere "come vanno le cose"? Non voglio fare niente del genere.- Ritirò la mano, incrociando le braccia al petto.
-Io ti ho dato un'alternativa Greta, più di questo non posso fare. - mormorò stancamente l'uomo. - Non abbiano molte altre possibilità. Almeno pensaci.-




L'angolo dell'autrice: 

Ebbene si, ce l'ho fatta a pubblicare ache questo capitolo! Olè! Giubilo!!
Grazie a tutti voi miei adorati lettori, grazie davvero.
P.s: ho aperto un blog per le mie storielle, per ora c'è ancora poco, ma presto pubblicherò spoiler, out takes e altre curiosità sulle mie storie e sulla storia che ho in cantiere. Dateci un'occhiata se vi avanza del tempo. ^_^




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Capitolo 16
*** Capitolo 16. New Year in New York ***


Hopelessly devoted to you







Hopelessly Devoted To You <3

Capitolo  16. New Year in New York.

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Lei.

Hannah non aveva programmato di raccontare alle ragazze tutto quello che era successo tra lei e Jace la sera della vigilia di Natale. Difatti, aveva raccontato loro lo stretto indispensabile, come era nella sua indole riservata. O almeno ci aveva provato. Quando però, qualche giorno dopo il venticinque Dicembre, si erano trovate tutte riunite a casa sua, per un tradizionale, per Hannah, e inusuale, per il Trio, tè delle cinque, l'avevano costretta a vuotare il sacco, minacciandola di tirarle fuori le parole di bocca con la tortura, se le avesse costrette.
-Aspetta, aspetta!- l'interruppe Daphne improvvisamente, mentre Hannah, piena d'imbarazzo, cercava di raccontare loro cosa lei e Jace si erano detti sul tetto, e come si era sentita stranamente a suo agio e al contempo agitata quando lui l'aveva stretta a sé così forte da mozzarle il fiato, il tutto senza che sembrassero parole e gesti equivocabili. Non cercò neppure di spiegare come il suo cuore sembrasse impazzire ogni volta che lui la sfiorava o avrebbero compreso più di quanto la ragazza non desiderasse.
Sollevò lo sguardo sull'amica, perplessa dalla sua interruzione. - Ci stai dicendo che si è... No anzi, vi siete dichiarati l'un l'altro?-
Improvvisamente una luce malsana si accese negli occhi di Jaquie.-Aspetta... Daphne, hai ragione! Lui ti ha detto che ha avuto paura di perderti... E tu gli hai detto lo stesso... - cominciò con tono tutto malizia - E poi lui ti ha detto che ti vuole bene ma se permetti, secondo me, voleva dire ben altro! Oh! Queste si che sono informazioni calienti!- la ragazza ammiccò maliziosamente sotto lo sguardo sconvolto di Hannah, che come c'era d'aspettarsi vedeva la faccenda sotto tutt'altra luce.
-Vi sbagliate, non somigliava affatto ad una dichiarazione... - ma lì finì per tradirsi. - Cioè, non era.. . Non era assolutamente una dichiarazione. - si affrettò a correggersi, ma ormai il danno era fatto. Daphne e Jaquie sogghignavano soddisfatte. - Siamo amici, voi mi ripetete continuamente che è normale esprimere affetto nei confronti degli amici, non vedo cosa ci sia di diverso stavolta.-
-Aspetta, qui c'è una differenza sostanziale. - riprese Daphne - Noi siamo amiche, giusto. Siamo tue amiche, e siamo anche amiche di Jace ma, lasciamelo dire, per te ha sempre avuto un occhio di riguardo. E tu per lui. - e che quella fosse una verità inconfutabile, almeno da parte sua, non poteva negarlo. Jace era speciale per lei, come nessun altro avrebbe potuto essere: era il suo primo amore.
-Quindi non provare a dire che non c'è niente di diverso questa volta, perché è tutta un'altra storia, ragazza mia.- concluse Jaquie per lei.
-Concordo.- disse Rose, che si era tenuta in disparte fino a quel momento, godendosi in silenzio l'esperienza del "tè delle cinque". Hannah le lanciò un occhiata che sembrava accusarla di non darle nessun conforto in quel momento di intenso imbarazzo.
-E non dimentichiamo che hai passato lì l'intera serata...- riprese la rossa, prima di ficcarsi un biscotto in bocca e assaporarlo con un sospiro di piacere.
-Sì, ma è stato solo un caso. Mio padre mi ha chiamato per dirmi che non sarebbe stato in casa, la tata era in libera uscita e a Greta spiaceva sapermi sola a casa. Non ho portato loro neppure un regalo perché alla fine non ho trovato nulla di adatto in tempo.- replicò Hannah, scuotendo mestamente il capo.
-Sì sì, non ti preoccupare, a quello potrei prevedere io. Anche se l'idea di Ted era sublime.- tagliò corso Jaquie, che si sporse verso Hannah dalla poltrona su cui si era accomodata. La ragazza comprese subito che l'amica sembrava aspettarsi qualcosa da lei, ma non capiva cosa. Quando si voltò verso le altre, in cerca di aiuto, si rese conto che la fissavano con la medesima espressione sul volto. Prima di porsi un qualsiasi quesito a proposito di questa improvvisa curiosità da parte delle tre, si voltò verso Rose, e le disse – Hai detto loro anche questo?- per uno sgarro del genere avrebbe potuto addirittura irritarsi.
-Scusa Hannie, ma è stato più forte di me. La tua faccia quella volta era tutta un programma.- replicò l'amica con un sorriso innocente. Hannah sospirò. No, non sarebbe riuscita ad arrabbiarsi con nessuna di loro.
-Va bene, scuse accettate.- le sorrise. Improvvisamente un brivido la scosse, come fosse un dito gelido che le sfiorasse la spina dorsale. Si guardò intorno: le ragazze la fissavano ancora con aria tanto interessata e curiosa da farle paura. -Che c'è?- chiese con un tremito nella voce.
-Aspettiamo i particolari piccanti.- rispose Jaquie. Hannah prese il colorito di un bel pomodoro maturo.
-Pi...Piccanti?- balbettò, chinando il capo e incassandolo tra le spalle. - Ma... Non è successo niente più di quello che vi ho raccontato. - mormorò piano, la voce le moriva in gola. - Ci siamo addormentati guardando "Miracolo sulla 34° strada", e basta.-
-Oh, addormentati...- ripeté Jaquie - … Magari avvinghiati in un abbraccio passionale?- Hannah ebbe appena la forza si scuotere il capo. Avrebbe voluto sparire tra i cuscini del divano. - Abbracciati affettuosamente?- chiese ancora speranzosa, ma Hannah scosse nuovamente il capo. - Con il capo sulla sua spalla?- ancora un buco nell'acqua. Jaquie cominciava a spazientirsi. - Con il suo capo sulla tua spalla?- nisba. - Mio Dio, ti prego, non dirmi che eravate lontani anni luce! C'erano per caso delle transenne a dividervi o avete costruito una miniatura del muro di Berlino nel bel mezzo del divano? - sbottò levando gli occhi al cielo. - Okay... - prese un profondo respiro. - Ultimo tentativo: il suo capo sul tuo grembo e le vostre mani teneramente intrecciate.- disse sospirando di soddisfazione al solo immaginare una scena tanto zuccherosa. E finalmente Hannah annuì, facendo esultare il Trio, anche se si affrettò ad aggiungere - Non le mani, però...- Cosa che smorzò decisamente l'entusiasmo generale.
-Beh, ci sono stati grandi miglioramenti, in ogni caso. - Daphne era però decisa a tenere alto il morale della comitiva. - Vuol dire che avete risolto tutto, e ne siamo tutte felicissime, così potremmo pure organizzare qualcosa per la notte di Capodanno, no?- si sfregò le mani, e finalmente Hannah poté sospirare di sollievo, non essendo più l'oggetto delle bramose attenzioni delle amiche.
-Vi prego, niente locali come quello in cui mi avete trascinato lo scorso anno.- esordì Rose. - Era talmente affollato che sembrava di stare in una scatola di sardine. Una scatola di sardine con della musica orrenda e assordante. Non riuscivo a capire una sola parola di quel che mi dicevate, e quel cocktail che mi ha fatto provare Jaquie è bastato da solo a farmi stare male per una giornata intera. - La ragazza rabbrividì al solo pensiero.
-Non è colpa mia se non reggi l'alcol!- ribatté Jaquie ridendo.
-Io non lo trovo affatto divertente. Siamo minorenni, non dovremmo essere ammesse in locali del genere e non dovrebbero servirci alcolici.- Rose non sembrava gradire tale ilarità. Mentre le ragazze battibeccavano tra loro Hannah non poté fare a meno di pensare che gli ultimi mesi erano passati veloci come un lampo. Un attimo prima era Settembre e lei era impegnata a spacchettare tutte le sue cose e sistemarle nel loro nuovo appartamento, e ora il Natale era andato, portandosi via il suo carico di gioie e delusioni, e la fine dell'anno era a un battito di ciglia.
Hannah era certa che ognuna di loro fosse impaziente di salutare il vecchio 2010 e dare un caldo benvenuto al 2011, con la speranza di veder compiere tutti i cambiamenti che si auspicavano e di riuscire a realizzare tutti i loro buoni propositi. C'erano però tante cose che sperava non dovessero cambiare, né nell'anno a venire né finché avesse avuto vita. Ammettere che la sua vita cominciava a piacerle davvero, che sentiva di stare cominciando a gustare appieno ogni giornata, le dava una strana ma piacevole sensazione. Era soddisfazione.
-Ti prego, non vale la pena di festeggiare l'ultimo dell'anno se non ti sbronzi.- il tono lamentoso di Jaquie riportò Hannah alla realtà. Pareva che una di loro fosse impaziente di buttarsi dietro le spalle quell'ultimo anno più di quanto non fossero le altre. Più che altro pareva voler dimenticare cose di cui Hannah non era a conoscenza bevendo fino a perdere conoscenza, come fosse l'unico rimedio a tutti i suoi problemi.
La ragazza non approvava, e cominciò a chiedersi cosa spinge una persona che come Jaquie sembra aver avuto tutto dalla vita e anche di più, a cercare, sperava occasionalmente, consolazione nell'alcol invece che nelle persone a lei più vicine. Per fortuna Hannah non era l'unica a essere contraria all'idea che Jaquie aveva sul modo migliore di festeggiare.
-Ti prego Jaquie. Lo scorso anno non solo mi hai propinato un mix disgustoso di tutti i super alcolici in commercio, ma ero così stordita che un tizio ha pure provato a mettermi le mani addosso. Ringrazio il cielo che qualcuno ancora in sé me l'abbia levato di dosso. Ero così confusa che non mi ricordo neppure chi fosse, non l'ho neppure potuto ringraziare. Non ho nessuna intenzione di ridurmi ancora in quello stato.- Rose rincarò la dose, mostrandosi comprensibilmente molto decisa a costringere l'amica a propendere per un tranquillo Capodanno in compagnia e senza alcolici.
-E tu avresti dovuto lasciarlo fare! Sandy, non crederai ancora nella favola del principe azzurro sul suo bianco destriero?- ribatté l'altra con sarcasmo.
-Sì, Rizzo, e non ci vedo nulla di male in questo. Divertirsi non vuol dire lasciarsi fare certe cose.- aggiunse Rose con inconsueto ardore. L'esperienza doveva essere un vero trauma per lei. Hannah annuì con vigore, mostrandosi completamente d'accordo con lei.
-Questa è una gran cazzata! Ti perdi tutto il divertimento così! Siamo giovani, belle e ricche, dovremmo pensare solo a divertirci, non a cretinate come il vero amore e robaccia simile. L'amore è per la gente ingenua che preferisce sognare invece di affrontare la realtà.-
Jaquie sembrò non essersi accorta di ciò che le sue parole significavano e quando potessero ferire chi l'amava profondamente. Hannah invece, che con il suo perenne tenersi in disparte stava diventando ormai un'acuta osservatrice, aveva notato subito l'espressione sofferente sul volto di Daphne.
I suoi occhi si spalancavano come una finestra, a mostrare una ferita aperta su cui la persona che amava spargeva sale a volontà. Il suo dolore doveva essere lancinante, eppure riusciva a mantenere il controllo di sé. Continuò a sorseggiare il suo caffè, che aveva preferito al tè preso dalle amiche, in silenzio. Solo di tanto in tanto sembrava lasciare riemergere il suo dolore, in un rapido storcere le labbra o nel deglutire nervosamente. Quando si accorse che Hannah la stava fissando, le accennò un sorriso a cui la ragazza rispose calorosamente. Tutto l'affetto che un sorriso poteva trasmetterle però non avrebbe potuto lavare via il sale dalla sua ferita né aiutare a risanarla.
Se poco prima aveva creduto possibile che Jaquie non fosse felice come dava a vedere, era ora certa che qualsiasi cosa affliggesse la ragazza si ripercuotesse su Daphne con effetti ancora peggiori.
Ai suoi occhi ingenui, gli occhi di una ragazza che aveva appena cominciato a conoscersi e a riscoprire sé stessa come una persona dall'indole piuttosto romantica e talvolta sognatrice, la loro storia non sembrò più la bella favola che aveva creduto in principio. Si sentì a quel punto in dovere di interrompere Jaquie prima che potesse dire qualcosa d'altro che potesse ferire ancor di più Daphne.
Si schiarì la voce e dopo aver preso un profondo respiro disse: - Io avrei una proposta veramente. Quando ancora frequentavo il collegio, molte delle ragazze che alloggiavano nel mio stesso dormitorio passavano il Capodanno proprio qui a Manhattan. Vorrei provare anche io questa esperienza. Sapete, vedere la New Year's Eve Ball scendere su Time Square, lo spettacolo pirotecnico... - strinse le spalle - ...questo genere di cose. Mi hanno sempre detto che se mai avessi avuto l'opportunità di passare qui il periodo delle feste queste sarebbero state le cose che avrei dovuto assolutamente fare, e io in effetti ancora non ho visto granché di New York, solo Central Park e la 5th avenue, in realtà.- disse tutto d'un fiato. Rose le sorrise raggiante, aveva un'alleata.
-é un ottima idea! Così potremmo unirci ai ragazzi e festeggiare tutti insieme!- esclamò entusiasta.
-Avremmo potuto farlo anche al caldo in un locale alla moda! Andare a Time Square è roba da turisti.- borbottò Jaquie che continuava a tenersi aggrappata con le unghie e con i denti alla sua idea iniziale solo per testardaggine.
-Nè Jace, nè Seth e Jem verrebbero in uno dei locali che frequenti tu. Ogni tanto dimentichi che non hanno le nostre possibilità.- la rimproverò Daphne - L'idea di Hannie è ottima invece, e accontenta tutti. Rose, potresti concederle dello champagne, almeno? Okay, forse sarebbe meglio quello analcolico, almeno in pubblico! - Jaquie grugnì scontenta. - Ne potremmo berne un sorso allo scoccare della mezzanotte, non sarebbe bello? E nessuno finirebbe per ubriacarsi. - Rose dovette cedere su quel punto e anche Jaquie annuì, nonostante continuasse a mostrarsi affatto felice di quella scelta.
- Così festeggeremo anche il compleanno di Jace, anche se in anticipo di qualche giorno.- Aggiunse Hannah.
E così fu deciso, nonostante le lamentele di Jaquie. Il Trio incaricò Hannah di avvertire Jace, che a sua volta avrebbe dovuto avvertire i gemelli. Rose propose di invitare anche Ted, e così fece. Deciso qualche altro piccolo particolare le ragazze decisero di andarsene, e quando Hannah le accompagnò alla porta, Jaquie sembrò cambiare repentinamente umore, passando dalla delusione all'euforia pura.
-Oh, stavo per dimenticarmene! Indovina cosa sono riuscita a trovarti? Una cosa che renderà molto felice una persona di nostra conoscenza...- dalla borsa estrasse una anonima busta bianca, agitandogliela davanti al volto. - é stata una faticaccia anche per mio padre trovarli, ma quando hai le conoscenze giuste voli lontano!- esclamò agitando veloce le braccia in aria come fossero le ali di un colibrì.
-Non ci credo... Sono proprio...?- mormorò Hannah, allungando la mano verso la busta. La prese delicatamente tra le dita come se contenesse un tesoro inestimabile. - Grazie, grazie e ancora grazie! Non so davvero come ringraziarti come meriti.-
-Particolari piccanti mia cara, tanti particolari piccanti. Voglio essere sommersa da rivelazioni scioccanti su te e Jace. E promettimi di darci dentro con lui.- le mise una mano sulla spalla, e strizzandole un occhio aggiunse. - Con la lingua, mi raccomando.- annuendo con aria significativa.
Hannah scosse il capo, sforzandosi di riderci sopra, ma non si azzardò a prometterle nulla.
Quando più tardi Hannah chiamò Jace e gli riferì dei loro progetti per l'ultimo dell'anno, il ragazzo sembrò entusiasta.
-é una grande idea, e anche Jem e Seth ne saranno felicissimi! Di solito passiamo il Capodanno a giocare con i videogiochi! Nessuno di noi è mai stato a Time Square la notte di capodanno, ci crederesti?-
-Ci credo! Jaquie dice che voi newyorchesi non fate cose del genere.- replicò Hannah, che seduta alla scrivania fu presa dall'inspiegabile bisogno di avere davanti a sé un foglio bianco e una matita in mano. Aprì l'album che Jace le aveva donato, prese una matita dal porta penne lì accanto e cominciò ad abbozzare qualcosa di ancora indefinibile.
-Per una volta Jaquie ha ragione! Ma sarà forte far finta di essere dei turisti nella propria città! Magari Jem si annoierà, ma Seth farà i salti di gioia. Credo che tra lui e Rose le acque abbiano cominciato a smuoversi.- disse il ragazzo con tono allusivo.
-Tu dici? Rosie non mi ha mai accennato nulla, non davanti a me. Inoltre ha invitato anche Ted. Non so, non capisco. Lei mi ha... Cioè, credevo a lei piacesse Seth. - Hannah si sentì confusa e messa in disparte, ma voleva bene a Rose, e se lei aveva deciso di tenere per sé qualunque cosa fosse successa tra loro o qualunque cosa avesse intenzione di fare, doveva avere le sue buone ragioni.
-Ahi... No buono...- mormorò Jace. - Per una volta non capisco neppure io, ma Rose è una con la testa sulle spalle, non farà nulla di male. Ne sono sicuro. E non preoccuparti, Rosie è assurdamente riservata, quindi non te la prendere se non te ne ha parlato. Neppure Seth l'ha fatto con me, ma siccome parla di lei molto più del solito, e credimi è diventato insopportabile, deve essere successo qualcosa per forza. - la rassicurò, come se riuscisse a intuirne i pensieri. Lo sentì ridere all'altro capo del telefono, e la sua risata riuscì come sempre a risollevarla.
-Non sono preoccupata, stai sereno. - replicò, seguitando a tracciare sul foglio il profilo di quelli che cominciavano a somigliare a dei grattacieli.
-Lo sono, lo sono!- Hannah intuì dal tono che il ragazzo le sorrideva, anche se lei non poteva vederlo, e fu istintivo sorridere di rimando, anche se lui allo stesso modo non poteva vedere lei. Improvvisamente si fece silenzioso, tanto che Hannah temette fosse caduta la linea. Poi Jace si schiarì la voce e riprese a parlare come nulla fosse, come se quel breve silenzio non fosse stato in qualche modo carico di nervosismo.
-Sai una cosa buffa? Quando mi hanno detto che avrei dovuto farti da tutor, ho cominciato a buttar giù un bel programmino che avrebbe dovuto aiutarti nello studio. Fatica sprecata, Lei non ha bisogno di aiuto, mi dicono che i Suoi voti sono eccellenti, signorina! In effetti non capisco perché tu risulti ancora iscritta al programma di tutoraggio. Ecco, sto perdendo il filo del discorso!- e Hannah con lui. Era arrossita ai suoi complimenti, compiaciuta da quella punta di orgoglio che aveva sentito nella sua voce. - Comunque sia, avevo incluso nel mio fantastico programma di studio anche parecchie visite a musei e mostre. è un vero peccato che non si sia riusciti a visitarne neppure uno, non credi?- c'era qualcosa in sospeso nell'aria, ma Hannah non sapeva cosa. C'erano vibrazioni che non riusciva a captare.
-Hai ragione, sai?- ammise, un po' confusa dalla parlantina di lui, che pareva volerla convincere a fare qualcosa, e ancora non aveva chiaro cosa, stordendola di parole così che non riuscisse a rifiutare. - è strano, era una delle prime cose che mi sono ripromessa di fare una volta arrivata a New York, ma poi non c'è stata mai l'occasione.- asserì la ragazza. Grattacieli appena abbozzati sul foglio sembravano fare da sfondo, ma a cosa? C'era un vuoto al centro del foglio che chiedeva d'essere riempito. Cominciò a tracciare una sagoma. Alta, spalle larghe, collo non troppo muscoloso, così come le braccia. Capelli arruffati... Perché lo stava disegnando ancora?
-L'occasione, dici? Potrebbe essere il prossimo week end, che ne pensi? Potremmo prenderci un intera giornata per visitare il MET, pranzare a Central Park e poi riprendere la visita del museo. O Saltare il pranzo. O pranzare e non visitare il MET. Insomma, come preferisci! Cioè, io non ho niente da fare, e se anche tu non hai niente da fare potremmo fare qualcosa insieme! O non fare niente insieme! - la voce di Jace cominciò a tradire una certa tensione che Hannah non poté spiegarsi.
-Il MET? Mi sembra un ottima idea. Domenica prossima, pranzo a Central Park, fare qualcosa insieme, va bene?- chiese, indugiando sulla figura appena tracciata sul foglio. Anche se di spalle era sempre lui.
-Perfetto!- sentì un certo vociare indistinto e Jace rispondere - Sì, sì, arrivo! Scusa Hannie, mamma è appena tornata e ha bisogno di una mano con la spesa. Ti mando un messaggio, o una email, o un fax... Magari un piccione viaggiatore... Insomma, ci sentiamo presto! Ti voglio bene! Ciao!- e terminò la chiamata, lasciandole appena il tempo di salutarlo.


Lui.
-Finalmente le hai chiesto un appuntamento! Era ora!- esclamò Jem, era la sua voce quella che Hannah aveva sentito, non appena Jace terminò la chiamata. Invitò poco garbatamente l'amico a tagliare corto e a tornare a giocare con lui con l'ultimo picchiaduro che i suoi genitori gli avevano regalato per il Natale. A Jace era dispiaciuto di dover mentire ad Hannah, ma non gli andava che sapesse che mentre loro parlavano Jem gli stava alle costole, concentratissimo a carpire ogni minima sfumatura del tono della voce o della sua espressione e ad analizzare ogni sua parola. Poi se le avesse detto che non si trovava in casa avrebbe di certo insistito perché si sentissero in un altro momento, e lui non voleva interrompere la telefonata, non prima di averle detto ciò che doveva.
-Non è un appuntamento!- ribatté Jace, tornando a sdraiarsi sul letto di Jem e afferrando il joypad che aveva abbandonato senza rimpianto non appena il suo cellulare aveva cominciato a vibrare nella sua tasca. Era conscio di stare mentendo spudoratamente, ma non poteva farci nulla.
-Sarete soli?- chiese l'altro, riprendendo a riempire virtualmente di botte il ragazzo.
-Sì.- replicò Jace,cercando di non farsi strapazzare troppo. Non riusciva a concentrarsi su quel dannato gioco e Jem se ne approfittava senza alcun rimorso. - Ma che c'entra? Due persone non possono vedersi da soli senza che diventi un appuntamento?-
-Andrai a prenderla a casa?- Jem rispose con un altra domanda, ignorando le sue obbiezioni.
-Sì.- rispose nuovamente il ragazzo.- Si chiama galanteria. So che per te è un concetto astratto.-
-La porterai in un posto che le piacerà sicuramente ma dove tu ti annoierai di sicuro?- proseguì Jem, ignorando i suoi commenti.
-Vogliamo giocare seriamente o mi stai sottoponendo a un sondaggio? Comunque sì, cioè no, il MET è un museo fantastico, non è che avrò l'occasione di annoiarmi, e poi con Hannah non mi annoierei comunque.- sorrise senza rendersene conto.
-Ma ti senti? " E poi con Hannah non mi annoierei comunque!" E quel sorriso! É il sorriso che Seth si stampa in faccia ogni volta che nomina Rose. Fai paura!- gli fece il verso e gli rivolse un'occhiata sconvolta e vagamente preoccupata. - Il MET non è proprio il tuo genere, quindi la risposta è sì a prescindere.- sentenziò il ragazzo prima di dare, sempre virtualmente, il colpo di grazia a Jace.
-Dannazione!- esclamò il ragazzo, sospirando e abbandonando sul pavimento il joypad. Si girò di schiena, le braccia incrociate sotto il capo a sostenerlo mentre fissava il soffitto candido della camera di Jem.
-Lo sai che sono un genio con questi cosi!- disse il vincitore mentre agitava il controller come fosse un trofeo.- E visto che hai perso, devi rispondere all'ultima terribile domanda.-
-Okay spara.- Jace ormai si era arreso ed era pronto a sopportare qualsiasi cosa fosse uscita dalla bocca di Jem, e di solito non era mai nulla di buono.
-Hai intenzione di prenderla per mano? E soprattutto, hai intenzione di baciarla durante il vostro "non appuntamento"? E intendo baciarla sul serio, non quei bacetti da femminuccia che le dai tu! Dico un bacio vero, con la lingua! Metri di lingua!- chiese a brucia pelo. Jace non apprezzo affatto la dovizia di particolari.
-Non ho intenzione di fare niente del genere!- saltò su a sedere, punto sul vivo.
-Però vorresti, ed è questo che fa la differenza. Lei ti piace, e quindi è un appuntamento. - Jace non poté negare che avrebbe voluto davvero smettere di consumare la fronte di Hannah a furia di posarvici dei dolci e casti bacetti e passare a qualcosa di più fisico.
-La tua logica è davvero contorta ma... Cazzo, le ho davvero chiesto un appuntamento.- sbottò, preso da un momento di disperazione, portandosi entrambe le mani al volto. - Ma come mi è saltato in mente?- poi rivolgendosi all'amico - Credi se ne sia accorta?- Fu colto da puro terrore.
-No, figurati penserà sia un'innocente scampagnata!- replicò sarcastico. - Jace a volte fai proprio delle domande cretine! Di certo ci sarà arrivata da sola e se così non fosse, ci penserà il Trio a illuminarla.-
Jace vide concretizzarsi i suoi timori, tutti, uno per uno li vide passagli davanti agli occhi come una sorta di premonizione. Certo che il Trio l'avrebbe illuminata, e tanto da accecarla. Avrebbe dovuto dire addio a quella che sperava fosse una bella giornata priva della tensione che negli ultimi giorni aveva caratterizzato la loro relazione-non-relazione. Dopo la vigilia di Natale non sapeva più come definirla.
L'unica cosa che desiderava era stare con Hannah e grazie a lei scacciare via persino il ricordo di tutti i pensieri che nell'ultimo periodo gli avevano addirittura tolto il sonno. Il ragazzo si alzò di scatto. - Vado a parlare con Seth.- disse uscendo dalla stanza celermente, non abbastanza perché non potesse sentisse Jem ridergli dietro dicendo: - Va bene, sentimentalone, vai a chiedere consiglio al Dottor Stranamore! Poi non lamentarti se sarà un fiasco totale!-


Lei.
I pochi giorni che li separavano dal capodanno passarono in fretta per le quattro ragazze, prese com'erano dai preparativi. Ognuna di loro propose delle idee e si adoperò in ogni modo possibile, e allo stesso modo ognuna di loro fu chiamata ad esprimere la propria opinione su ogni più piccolo dettaglio.
Infine la serata fu programmata in tutti i dettagli, neppure il più piccolo, insignificante particolare fu lasciato al caso. Il Trio cercò soprattutto di creare la serata perfetta per Hannah: volevano si sentisse a suo agio, che si godesse l'aria festosa del Capodanno senza prenderla troppo sul serio. Desideravano per lei una serata allegra ma piuttosto rilassante, in cui si sarebbe potuta divertire a fare la turista, quel che avrebbe dovuto fare al suo arrivo nella Grande Mela, ma che non aveva fatto.
Daphne non l'avrebbe mai ammesso davanti a Jaquie, ma la proposta di Hannah era stata per lei come manna dal cielo. Detestava l'idea di dover passare l'intera serata in un locale “alternativo” ad ascoltare musica orrenda e a vedere la sua ragazza scolarsi un drink dopo l'altro. Rose non era l'unica a essere rimasta segnata dal precedente Capodanno.
Poche cose rimangono impresse nella mente come l'immagine della tua ragazza che vomita sulle tue scarpe nuove.
Il programma, in breve, era questo: uscire nel tardo pomeriggio, fare un giro alla pista di pattinaggio davanti al Rockfeller Center, mettere qualcosa nello stomaco e poi correre a Time Square.
Hannah e Rose si incontrarono davanti al grattacielo in cui abitava Jaquie. Con un tale tempismo che, se si fossero date appuntamento, non sarebbero potute essere più precise e puntuali.
Avevano convenuto di comune accordi di partire da casa di Jaquie, più vicina al Rockfeller Center.
Il portiere, riconoscendo Rose, aprì loro la porta in vetro intarsiato in stile Art Nouveau, che strideva terribilmente con l'architettura moderna e alquanto impersonale dell'edificio. Ritrovarono lo stesso stile all'interno, nelle porte dell'ascensore e in quelle degli appartamenti. Quello in cui Jaquie abitava si trovava al trentaseiesimo piano. Era un loft, o così sembrò ad Hannah, per gli spazi ampi di cui disponeva e che dovevano essere molto luminosi alla luce del giorno.
Quando la rossa andò ad aprirgli la porta, era ancora in accappatoio, e indossava degli enormi bigodini.
-Ciao! Certo che siete proprio puntuali!- disse, in tono di rimprovero. - Così sembrerò in ritardo!- esclamò imbronciandosi, mentre si scostava dall'ingresso e faceva cenno alle amiche di entrare.
-Ma tu sei in ritardo!- esclamò Daphne, che le raggiungeva scendendo velocemente una breve rampa di scale che pareva portasse a un soppalco dove probabilmente era situata la zona notte. - Quindi torna di sopra e finisci di prepararti, di corsa!- il suo tono non ammetteva repliche. Borbottando la ragazza obbedì. -Fate come se foste a casa vostra! Rose sai dove si trova il frigorifero e i bicchieri, fai gli onori di casa.- disse loro l'altra, prima di raggiungerla.
Hannah prese a guardarsi intorno con grande interesse. Era incuriosita dal bizzarro arredamento: il mobilio era di colori sgargianti e forme asimmetriche, tanto che non avrebbe saputo dire con certezza se si trattassero davvero di mobili o se non fossero invece pezzi d'arte moderna di qualità scadente.
-Dammi pure in cappotto.- disse Rose. Fu ancora più stupita quando si voltò e vide dove l'amica aveva appeso le sue cose. Accanto all'ingresso una fila di rastrelli colorati faceva mostra di sé.
-Quelli sono appendiabiti?- chiese incredula.
-Sì. E a dire il vero sono l'unica cosa davvero carina in questo posto. É pieno di cianfrusaglie!- commentò accompagnando le parole con un ampio gesto della mano come a mostrarle l'intera sala e uno scuotere del capo. Hannah non poté far altro che annuire. Si sbottono il cappotto, sfilò la sciarpa e appese tutto a uno dei rastrelli, insieme alla propria borsa.
Non poteva fare a meno però di continuare a guardarsi intorno. Per quanto tutto l'insieme potesse essere pacchiano e privo di armonia, era per lei intrigante. Riusciva a catturarne l'attenzione, non solo con le forme bizzarre e i colori accesi, ma piuttosto si chiedeva quale fosse il loro significato intrinseco per chi aveva disegnato e creato quegli oggetti, il cui valore, in termini artistici, era ridicolo.
Notando il suo interesse Rose si offrì di farle fare un giro per l'enorme open space che doveva avere funzione di salotto, cucina, e studio tutto in uno, anche se dubitava la proprietaria avesse mai utilizzato la lustra cucina sul lato opposto dell'appartamento.
-Sembra davvero di trovarsi da un rigattiere.- commentò Hannah con un fil di voce, fermandosi al centro della parte di spazio adibita a salotto, ingombro di sculture composte perlopiù da rifiuti assemblati in modo che sarebbe dovuto essere in qualche modo artistico e poi colorati con vernice spray di scarsa qualità. Opere astratte appese alle pareti, insieme a riproduzioni di Opere di Warhol, completavano l'arredamento quanto mai sconclusionato.
- Jaquie ha tante qualità, ma non ha alcun gusto per l'arte.- replicò Rose, fermandosi davanti ad una riproduzione di “Barattolo di Zuppa Campbell”. - Compra queste... Cose indescrivibili per altri motivi.- sospirò, facendole segno di sedersi su quella che le era sembrata inizialmente una scultura mentre invece era una strana e scomoda poltroncina a forma di tronco di cono rovesciato, con una piccola spalliera quadrata. Sedette anche lei, e dopo aver preso un profondo respiro, come se stesse per comunicarle una verità inconfessabile, riprese. - Forse ti sei accorta che questo non è esattamente il luogo dove vivrebbe una famiglia. In realtà...- esitò per un momento. - Jaquie vive da sola, da un anno ormai. Lei e suo padre non sono stati molto in sintonia di recente. Sai per...- esitò ancora, roteando gli occhi e le mani, come avesse una parola sulla punta della lingua che proprio non voleva venir fuori.
-Perché sono lesbica. Non è una bestemmia, Rose. E poi Hannie prima o poi avrebbe dovuto scoprire che papino caro mi paga per stargli fuori dai piedi.- Hannah si voltò e arrossì. Si sentì colpevole nonostante non avesse fatto nulla perché quell'argomento in particolare trapelasse.
Tra tutte, Jaquie era quella che più sentiva distante e diversa da sè. Era una sorpresa scoprire di avere qualcosa che in qualche modo le accomunasse. Purtroppo non era nulla di cui potevano vantarsi o almeno rallegrarsi.
-Rose ha fatto bene a dirtelo. Sta tranquilla.- le fece un occhiolino, cercando di stemperarne l'imbarazzo, ma Hannah non si sentì affatto sollevata. Ma quando la guardò con più attenzione, dimenticò repentinamente l'imbarazzo: Jaquie era bellissima. I suoi capelli rossi splendevano ed erano acconciati in grossi boccoli che le ricadevano sulle spalle. Il trucco poi, era perfetto: risaltava il suo sguardo fiero e le rendeva le labbra carnose come non mai.
-Oh... Stai benissimo.- riuscì a dire solamente. Si sentì terribilmente sciatta. Nessuna di loro indossava nulla di particolare. Avevano deciso di comune accordo di scegliere un abbigliamento comodo, ma Jaquie sembrava risplendere e risaltare tra loro anche se indossava solo dei jeans e un lupetto nero a collo alto. Tra lei e Daphne non avrebbe saputo dire chi era più bella quella sera.
I ragazzi arrivarono poco dopo, tradizionalmente in ritardo, per rendere onore alla festività e non perdere l'abitudine. Avevano incontrato Ted un paio di isolati prima di arrivare lì, e dall'espressione infelice di Seth, non tutti erano entusiasti si fosse unito al gruppo.
Non appena arrivato, Jace si precipitò a salutare Hannah, stringendola in un forte abbraccio.
-Scusa il ritardo... Ormai mi conosci!- le disse, regalandole uno dei suoi sorrisi speciali.
-E dubito di volerti cambiare.- gli rispose timidamente. Jace la lasciò libera il tempo necessario perché Hannah salutasse i gemelli e Ted, prima di magnetizzare tutta la sua attenzione su di sé soltanto. E fu tanto bravo nel farlo che la ragazza non si accorse che alle davanti a lei Ted e Seth si lanciavano sguardi carichi di tensione.
Mentre si incamminavano lungo la 5th Avenue Hannah si chiese se gruppo più eterogeneo e chiassoso avesse mai calcato quel marciapiede. C'era però chi ancora si ostinava a farsi scudo con il proprio silenzio. Hannah e Jace guidavano la comitiva, e quando la ragazza si voltò indietro, ad assicurarsi che fossero ancora tutti insieme, vide che Rose, incastrata tra Seth, taciturno più del solito, e Ted, che non smetteva di parlare neppure per riprendere fiato, era appena dietro loro, e Jaquie e Daphne erano alle loro spalle con Jem tra di loro, che teneva un braccio sulla spalla di ognuna delle ragazze e si proclamava l'uomo più fortunato della terra.
In effetti, non erano pochi gli uomini che si voltavano al loro passaggio, fissando il bel biondino con cocente invidia. Le ragazze portavano ognuna una grossa busta, cosa ci fosse dentro, ai ragazzi non era dato saperlo.
Quando raggiunsero il Rockfeller Center, la pista era affollata di gente, ma questo non bastò certo a scoraggiarli, anche se qualcuno diede forfait e preferì restare a bordo pista ad osservare gli altri scivolare sul ghiaccio con grazia o concedersi scivolate epocali che facevano scoppiare a ridere l'intera comitiva. Anche Hannah fu sul punto di fare un bel capitombolo. Aveva un buon equilibrio, ma essendo la sua prima volta su una pista era molto goffa.


Lui.
Fu con estremo piacere che Jace si prese il compito di assicurarsi che Hannah tornasse a casa senza neppure un graffio. Ed era un compito molto piacevole, e una valida scusa per continuare a tenerle la mano, e stringerla quando sembrava stesse per piombare a terra.- Oggi sono il tuo bodyguard!- le disse ridendo.
-Speriamo finisca come nel film, allora! Peccato tu non abbia il fascino di Kevin Costner!- gli urlò dietro Daphne, facendo ridere parecchi sconosciuti, che si voltarono in loro direzione al sentire il loro schiamazzare. Jace le fece una boccaccia e cercò di dimenticare le sue parole. Lui l'aveva visto quel film. Sapeva dove voleva andare a parare, anche se doveva ammettere che replicarne la scena madre sarebbe stato dannatamente scenografico.
Daphne era davvero brava, ma pattinava da sola. Jaquie aveva deciso di starsene in disparte, seguita a ruota da Jem, con cui sembrava aver cominciato una interessante conversazione, dato che i due avevano perso alcun interesse nei confronti degli aspiranti pattinatori.
Pian piano Jace cercò di far allontanare Hannah dal bordo pista, e quando la ragazza se ne accorse, si aggrappò al suo braccio, terrorizzata.
-Tranquilla, ci sono io. E poi non vedi? Sono tutti accalcati qui, non riusciremmo a pattinare in pace se non ci allontanassimo.- rispose, voltandosi a guardarla. Si fermarono qualche metro più in là. - Visto? Non siano così lontani. Ora, prova a far scivolare i piedi l'uno dietro l'altro, non provare a camminare. Mi raccomando.- la ragazza annuì e cercò di staccarsi dal braccio di lui, che seguitava a stringerle una mano. Fece qualche piccolo passo incerto, ma per lei dovettero essere una grande soddisfazione, perché si voltò a sorridergli raggiante.
-Visto? Non è difficile!- Jace la tirò un poco facendola spostare ancora un poco verso il centro della pista.
-Questo lo dici tu, che sei molto più bravo di me!- esclamò lei, con il fiatone. - Vieni qui spesso?- gli chiese. Il suo stesso respiro si condensava in una nuvoletta di vapore appena fuori dalle sue labbra. Le sue labbra. Per un momento Jace si perse nella contemplazione di quel particolare del volto che tra tutti riteneva il più bello e interessante.
-No. Mia madre mi ci portava spesso quando ero piccolo. Non potevamo permetterci grandi festeggiamenti e non c'erano soldi per attività extra-scolastiche, e così venivamo qui. Poi ho cominciato a venirci con gli amici, sempre più di rado, fino a smettere completamente.-
-é un vero peccato.- Hannah si fermò improvvisamente. Arrossendo lo fissò in volto. - Visto che è imbarazzantemente ovvio quanto io abbia bisogno di fare pratica...- abbassò lo sguardo. Jace la trovò adorabile, con le sue belle guance e il nasino arrossati.-... potremmo tornarci insieme, di tanto in tanto. - sembrò voler dare un tono quasi indifferente alle sue parole, anche se lui sapeva quanto sforzo dovevano costarle. Era, comunque, un occasione troppo ghiotta perché se la lasciasse sfuggire.
-Sicuro! Ogni volta che vorrai!- rispose. Nonostante il rumore la sentì sospirare di sollievo.
Perse il conto del tempo in cui tutti loro stettero lì a pattinare, a ridere insieme in perfetta armonia, dimentico di tutto ciò che fuori dai confini di quella pista lo attanagliava. Fu solo un ora, ma per uno strano paradosso gli parve fosse durata insieme un solo attimo e un eternità intera. Quando dovettero allontanarsene fu come lasciare un luogo sicuro per avventurarsi nella selva oscura che era il resto del mondo. Per avere il coraggio di fare questo, aveva bisogno di un sostegno: non lasciò più la mano di Hannah finché non furono arrivati davanti al piccolo ristorantino italiano doveva avevano prenotato un tavolo. Perché Hannah era un porto sicuro nel suo mondo in tempesta, senza sapere quanto agitato fosse anche il mare in cui lei navigava.
La cena fu consumata celermente, ma fu molto gradita. Il locale era di poche pretese, ma il cibo era ottimo e l'atmosfera quasi casalinga. Non c'erano molti altri clienti oltre loro, quindi vennero serviti con alacrità e più cortesia di quanto aspettassero. Quando chiesero il conto la proprietaria, vedendo tanti ragazzi giovani, fece loro un grande sconto, senza immaginare che alcuni di loro avrebbero potuto comprare l'intero locale senza batter ciglio. Il gesto però fu molto apprezzato, soprattutto i ragazzi non riuscivano a smettere di ringraziarla. Quando finalmente furono fuori dal locale, Jace si ancorò alla mano di Hannah e si disse che, per quella sera, non se ne sarebbe più staccato. E non lo fece neppure quando presero un taxi insieme a Jem, diretti nei dintorni di Time Square. Camminare fin lì a stomaco pieno non era neppure immaginabile.


Lei.
La zona era totalmente transennata e vietata al traffico, quindi il tassista li fece scendere parecchi isolati prima. Attesero l'arrivo degli altri, divisi in altri due taxi, che li scaricarono a poca distanza da loro, e una volta riuniti ripresero a camminare verso Time Square.
Quando furono là, Hannah sbarrò gli occhi dallo stupore. Nessuna foto poteva rendere lo splendore folgorante delle insegne sui grattacieli, l'effetto policromatico di tutte quelle lucine, né l'atmosfera caotica che sentiva di poter letteralmente respirare. Aprì la bocca ma non riuscì a produrre alcun suono. Tutto era così mastodontico da lasciarla senza fiato.
-Sì, è sempre così la prima volta!- disse Jem, dandole una piccola pacca sulla spalla, ridendo della sua espressione stupita.
Il luogo era già gremito di gente, più di quanta Hannah ne avesse mai vista tutta insieme, quindi si dovettero accontentare di osservare lo spettacolo allestito da un gruppo di acrobati da lontano, e neppure i maxi schermi poterono aiutarli. Capirono molto poco delle loro mirabolanti e complesse acrobazie. In compenso poterono godere dello spettacolo pirotecnico senza alcuno eccessivo sforzo, se non un debole torcicollo per l'aver passato troppo tempo con il naso per aria, a osservare quelle splendide esplosioni di colore così artisticamente coreografate. Ma il clou della serata fu il conto alla rovescia.
Quando le luci della New Year's Eve Ball si accesero, le ragazze tirarono fuori dalle loro buste una quantità di cappellini, trombette e buste di coriandoli da far pensare fossero stati catapultati direttamente nel pieno del carnevale. Hannah trovava estremamente imbarazzante dover indossare un cappellino di carta con in cima un pon pon di fili argentei, invece i ragazzi furono entusiasti della sorpresa e ridendo e prendendosi in giro a vicenda indossarono i loro cappellini, uno più ridicolo dell'altro e suonarono le trombette con tanto vigore che cominciò a crearsi il vuoto intorno a loro.
All'inizio del conto alla rovescia poi, cominciò il finimondo: i coriandoli parevano arrivare da ogni direzione, il rumore delle trombette sembrava stare per perforarle un timpano ma non avrebbe scambiato il suo posto con quello di nessun altro al mondo. Jace la strinse forte a sé quando contarono ad alta voce quattro...
3...
2...
1...
La folla esplose in un boato quasi assordante. Era impossibile capire cosa i ragazzi stessero urlandosi l'un l'altro mentre si abbracciavano e si davano delle forti spallate, che la ragazza interpretò come un gesto di grande affetto, almeno per Jem e Seth. Hannah non fu mai certa di aver riconosciuto chi continuava ad abbracciarla, a baciarle le gote e a farla saltellare sul posto come una pazza: era Daphne o Rose? O forse erano entrambe! L'euforia era tale che parevano tutti ugualmente ubriachi, anche se non avevano bevuto un solo goccio d'alcol. Improvvisamente si sentì tirare via dalle braccia delle ragazze e stringere da due robuste braccia che la sollevarono da terra e le fecero compiere un'ampia piroetta in aria, e questa volta fu sicura di chi si trattasse. Si strinse a Jace, mentre le diceva:- Buon anno, tesoro! Esprimi un desiderio!-
-Ma non è il mio compleanno!- fu costretta a urlare di rimando, mentre ridendo posava nuovamente i piedi a terra.
-E tu esprimilo lo stesso!- rispose Jace, stringendosela ancora al petto e ondeggiando al ritmo della musica che riuscivano a stento a sentire. Improvvisamente un grido sembrò rompere l'idillio.
-Oh.Mio.Dio!- Urlò Jaquie, una bottiglia di champagne analcolico in una mano e una pila di bicchieri di plastica nell'altra. I due si voltarono di scatto e ciò che videro fu la cosa più sconvolgente e incredibile che entrambi avessero visto in tutta la serata: Seth teneva Rose per le spalle e premeva le sue labbra su quelle della ragazza, che ricambiava il suo bacio. Ci fu un momento di silenzio, e quando i due si separarono l'intero gruppo (o quasi) esplose in urla di gioia. Quella notte fu come se la mezzanotte fosse scoccata due volte.
Hannah si strinse a Jace. Le aveva detto di esprimere un desiderio, ma lei non l'avrebbe fatto. Sentì di possedere già tutto ciò di cui aveva bisogno, ed era tutto lì, accanto e intorno a lei.
Improvvisamente però si ricordò di qualcosa di importante. Si staccò da Jace così improvvisamente che il ragazzo si voltò a guardarla preoccupato. Hannah cominciò a frugare nella sua borsa. Non riusciva a trovarlo. Non poteva averlo dimenticato, perché era sicura di averlo messo in borsa prima di uscire. E se nell'euforia del momento l'avesse perso? Fu presa dal panico. Prese a frugare con ancor più energia all'interno della borsa finché non sentì tra tra le dita la rassicurante ruvidità di un lembo di carta.
-Tieni! Il mio regalo di Natale, in ritardo, e di compleanno, in anticipo!- esclamò, tendendogli la busta bianca e anonima. Jace corrugò la fronte. Prese la busta ma non sembrò capire granché. La sua espressione poi mutò.
-Ma no... Non dovevi... Neppure io ti ho preso nulla...- parve così mortificato che Hannah si pentì quasi del suo gesto. Forse era stata troppo avventata?
-La cioccolata speciale di tua madre è stato il regalo più bello che mi abbiano mai fatto.- lo rassicurò. Il ragazzo le sorrise di rimando, anche se mestamente. Quando aprì la busta improvvisamente il suo volto divenne pallido e inespressivo. La mano gli tremò quando ne estrasse tre biglietti.
-Oh.Mio.Dio!- urlò con tanta forza che Jaquie quasi si strozzò con il suo champagne analcolico e si voltò verso Rose e Seth, credendo si stesse perdendo un altro bacio. - Oh.Mio.Dio! Mi hai regalato i biglietti per l'NBA All-Stars? Ma sono veri?- se li rigirò tra le mani, come se non riuscisse a credere di stare stringendoli davvero tra le dita. - Oh...Mio...Dio... Ma tu non ti rendi conto!- si passo una mano tra i capelli. Era sconvolto. - Tu non hai idea di cosa siano questi! Ma sai quanto valgono? Sono introvabili! Ma come hai fatto? E sono tre! Tre! Capisci?- continuava ad agitare i biglietti davanti al suo volto.
-Ehm... Sono... Biglietti per delle partite di basket, sì?- chiese frastornata da un entusiasmo tanto esplosivo. Jace cominciava a spaventarla. - Sì, ma... Beh, ho pensato che avresti preferito andarci in compagnia, così ho preso dei biglietti anche per Jem e Se...- Jace la strinse con tale forza che rischiò di incrinarle qualche costola.
- Queste non sono partite di basket! Queste sono LE partite di basket!- poi corse verso i gemelli, saltando alle spalle di Seth e urlando a squarciagola – Andiamo a vedere l'NBA All-Stars! Oh mio Dio! Ci andiamo! Ci andiamo! -
Seguirono scene di delirante giubilo in cui quelli che dovevano essere degli uomini duri e virili cominciarono ad abbracciarsi con crescente commozione e Hannah fu quasi cerca di vedere Jem asciugarsi una lacrima di felicità. Jaquie non perse mai occasione di ricordargli di quell'unica lacrimuccia, e il ragazzo continuò sempre a negare d'aver mai pianto in vita sua.




L'angolo dell'autrice: 

Salve a tutti! Rieccomi con un nuovo capitolo! :-)
Spero sia di vostro gradimento.
Anyway, forse non molti sanno che ho cominciato a pubblicare un altra storia, SummerLoving .
Mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate.
Vi prego inoltre di andare a leggere il mio blog (banner qui sotto), visto che ho deciso di ringraziare voi lettori li, di volta in volta, vista l'impossibilità di ringraziarvi uno ad uno come vorrei. 
Grazie a tutti voi, davvero, mi date una grandissima gioia. :-)






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