Love Game di _KyRa_ (/viewuser.php?uid=79577)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
capitolo 1
Capitolo
1
Era
passato un anno. Esatto, già un anno era trascorso dal giorno
in cui avevo conosciuto i Tokio Hotel. E quasi un anno era passato
dalla mia relazione con Tom che, magicamente, eravamo riusciti a
mantenere solida. Certo i problemi non mancavano, ma qual'era quella
coppia che non ne aveva? Per problemi si intendeva il disordine in
camera, la non-collaborazione in casa e “cazzate varie” come le
definiva lui. Io le definivo “regole essenziali per una convivenza
indolore”.
Il
mio adorabile paparino, chiuso in prigione, fortunatamente non
l'avevo più visto e non ci tenevo neanche ad andarlo a
trovare. Mi aveva semplicemente rovinato la vita e perchè
render conto a persone che ti rovinano la vita? Io optai per il no.
Non se lo meritava il mio interesse. E per questo avevo anche potuto
festeggiare i miei tanto attesi diciotto anni in santa pace. Cosa
ancora più fantastica ed assurda fu che Tom mi aveva regalato
la macchina. Una splendida BMW nera. Cosa potevo chiedere di più?
Ovviamente io ero rimasta esterrefatta da un gesto del genere e mi
sentivo anche in colpa, ma lui mi aveva sempre assicurato di non
preoccuparmi: i soldi non gli mancavano. Quello era poco ma sicuro.
Io
avevo finalmente trovato un lavoro. Un lavoretto molto semplice, come
un altro. Facevo la barista, solamente al mattino, perciò mi
era andata anche bene. Di lavorare una giornata intera non ne avevo
assolutamente voglia e Tom me l'aveva categoricamente proibito,
dicendo che quel fatto avrebbe intaccato la nostra relazione dato che
di lavoro ne aveva già troppo lui.
L'unica
cosa che non era cambiata, assieme alla mia storia con Tom, era la
convivenza con gli altri tre squinternati. Come avrei potuto
abbandonarli? Sinceramente non me l'ero sentita di cercare casa e
loro non erano neanche d'accordo. Mi avevano sempre fatto capire che
non ero un peso... anzi.
Me
ne stavo in salotto, seduta comodamente sul divano, a sfogliare un
giornale mentre la mia testa viaggiava altrove. Tra qualche giorno
Tom e Bill avrebbero compiuto vent'anni ed io avrei dovuto inventarmi
qualcosa di sensato e carino. Certo, non potevo arrivare ai livelli
della BMW di Tom, ma avrei cercato di arrivarci almeno vicina di
importanza. Quant'erano difficili i ragazzi! Avevo giusto tre giorni
di tempo. Il primo settembre sarebbe arrivato in fretta e io mi
dovevo muovere. Decisi di andare a chiedere consiglio al mio amico
rosso. Mi alzai saltellante dal divano e salii di corsa le scale fino
a che non arrivai davanti alla porta della stanza di Georg. Bussai un
paio di volte ed attesi una risposta.
-Avanti-
sentii dall'altra parte. Io aprii la porta e mi affacciai con la
testa. -Tesoro- mi sorrise. -Vieni, entra- disse poi. Io chiusi la
porta e mi avvicinai a lui fino a sedermi sul suo letto.
-Sono
in crisi- dissi. Il bassista scoppiò a ridere.
-E
quando mai tu non sei in crisi? Sentiamo... che ti rende perplessa?-
ridacchiò osservandomi attentamente.
-Riguarda
il compleanno di Tom e Bill. Non so che regalo fare- cantilenai. Sul
suo volto si estese un sorriso divertito ed intenerito allo stesso
tempo.
-Tesoro,
qualunque cosa tu faccia a loro, saranno contenti comunque. Non devi
farti mettere in soggezione dalla macchina che ti ha regalato Tom- mi
disse come se mi avesse letto nel pensiero. -Ti ha fatto quel regalo
perchè era nelle sue possibilità. Tu gli farai un
regalo che sarà nelle tue di possibilità invece-
concluse.
-Mi
sento così in imbarazzo- borbottai spalmandomi la mano sul
viso.
-Non
devi. Saranno contenti comunque. L'importante è il gesto- mi
sorrise rassicurante togliendomi la mano dal mio viso, evitando di
farmi rovinare la mia povera pelle.
-D'accordo,
lo spero, anche se non ne sono del tutto sicura- commentai di nuovo.
-Tom
ti ama lo stesso- ridacchiò Georg. Io sorrisi abbassando lo
sguardo. -Io ancora non ci credo- aggiunse. Alzai le sopracciglia
guardando il vuoto.
-A
chi lo dici- sussurrai. -Gli daremo il premio Nobel- aggiunsi
sarcastica. Georg ridacchiò. Decisi di togliere il disturbo
alzandomi dal letto.
-Bene,
io me ne vado, grazie per il consiglio- gli sorrisi schioccandogli un
grosso bacio sulla guancia.
-Non
c'è di che. Quando vuoi- mi rispose osservandomi alle mie
spalle mentre io uscivo dalla sua stanza. Una volta fuori sospirai e
mi voltai a guardare la porta della camera di Tom, dentro la quale
stava sonnecchiando. Scossi la testa confusa e scesi le scale
rimettendo in moto il cervello. Arrivai in cucina dove trovai Bill
che scribacchiava qualcosa su un foglio. Sicuramente doveva essere
una nuova canzone, come l'avevo visto fare un anno prima, i primi
tempi in cui mi ero stabilita in quello studio di registrazione. Si
erano presi un'altra pausa, dopo un anno di lavoro ininterrotto.
Questa pausa sarebbe durata un mesetto. Forse non bastava per farli
riposare ma era il massimo che si potesse pretendere.
-La
cucina ti da molta ispirazione devo dire- sorrisi osservando il mio
“cognatino”, come lo chiamavo, sulla porta. Il ragazzo alzò
lo sguardo su di me e si illuminò mostrando la sua dentatura
quasi perfetta, come quella del fratello. -Anche l'anno scorso ti ho
beccato a scrivere in cucina- continuai avvicinandomi e sedendomi
affianco a lui.
-Già,
la sera in cui Tom si è schiantato contro la porta come un
coglione- sorrise ripensando alla scena.
-Sì,
me n'ero quasi dimenticata- ridacchiai divertita. -Che scena-
commentai osservando Bill che rileggeva quello che aveva scritto.
Forse era arrivato il momento di indagare un po'. -Senti Bill...-
cominciai. -Stavo pensando, no...- lui alzò lo sguardo su di
me piuttosto incuriosito. -Ehm, in questo periodo... a te e Tom,
tipo, cosa vi piacerebbe fare? Insomma, è tanto che non
facciamo qualcosa insieme dato che siete stati impegnati un anno
intero. Oppure non so... sentite l'esigenza di qualcosa in
particolare?- lo guardavo attentamente mentre la mia mente continuava
a ripetermi “Ti sgama, ti sgama”. Lui guardò qualche
secondo il vuoto con un'espressione pensierosa. Poi alzò le
spalle.
-Mah,
sinceramente nulla in particolare, perchè?- mi chiese. Io
sussultai appena.
-No,
niente, così. Semplice curiosità- sorrisi cercando di
risultare con la coscienza pulita. Mi guardò ancora qualche
secondo interrogativo fino a che non sentimmo dei passi veloci
scendere per le scale. Mi voltai e sorrisi quando vidi entrare in
cucina Tom. Aveva ancora gli occhi leggermente socchiusi dato che si
era appena svegliato. Mi abbracciò da dietro e mi stampò
un bacio sul collo. Poi fece il giro del tavolo e si sedette di
fronte a me, con suo fratello a capotavola. -Dormito bene?- gli
chiesi dolcemente. Lui annuì entusiasta come un bambino
suscitando in me delle risate. Ad un tratto mi venne in mente una
cosa. Da parecchie settimane un pensiero mi balenava per la testa e
ne volevo parlare con Tom. -Amore- lo chiamai. Lui mi guardò
sorridendo.
-Che
c'è, piccola?- mi chiese dolcemente come sempre. Io mi feci
timida timida.
-Ti
volevo chiedere una cosa... non è che... insomma, non è
che, uno di questi giorni, potresti accompagnarmi in clinica da mia
madre?- gli chiesi timorosa di una sua risposta. Non sapevo neanche
perchè avessi paura di una risposta negativa. Tom era sempre
comprensivo con me. Lo vidi guardarmi per qualche secondo e poi
sorridermi con tenerezza infinita.
-Tesoro,
certo che ti accompagno. Sapevo che sarebbe arrivato il momento in
cui avresti voluto rivedere tua madre- disse prendendomi una mano tra
le sue, sul tavolo, e accarezzandomela. Bill spostava lo sguardo da
l'uno all'altra. Sembrava stesse per scoppiare a piangere. Tirò
rumorosamente su col naso. Noi ci voltammo a guardarlo.
-Continuate
pure, non badate a me- disse subito, tirando fuori dalla sua tasca un
fazzoletto ed asciugandosi gli occhi lucidi. Io e Tom ridacchiammo e
poi tornammo a guardarci.
-Grazie.
È da un po' che ci penso. Adesso dovrebbe essere già
migliorata. Insomma, è passato quasi un anno da quando l'hanno
messa in quella clinica. Forse adesso riuscirà a riconoscermi-
sussurrai abbassando lo sguardo sulle mani di Tom strette alla mia.
-Ma
certo che ti riconoscerà, piccola- mi sorrise Tom. -Così
posso finalmente conoscere la mamma della mia fidanzata... in
circostanze diverse- disse impacciato, portandosi una mano dietro
alla nuca. Sapevo che gli era rimasta ancora impressa la giornata
mostruosa a casa mia, quando mio padre l'aveva aggredito. Quel
giorno, Tom aveva realmente rischiato la vita e l'aveva rischiata per
me. Di quello gliene sarei stata per sempre grata.
-Penso
che sia la decisione più giusta, tesoro- intervenne Bill, una
volta ripresosi dal suo crollo. Io sorrisi leggermente. Non ero del
tutto convinta di quella mia decisione, ma prima o poi avrei dovuto
farlo. -Beh, io vi lascio da soli- disse poi alzandosi dalla sedia e
uscendo dalla cucina.
-Quando
vuoi andare?- mi chiese Tom.
-Non
lo so- risposi sinceramente.
-Te
la sentiresti domani?- continuò. Mi venne in mente che dovevo
andare in giro e trovare qualcosa per quel benedetto compleanno. Non
avrei potuto.
-Ehm,
no, domani no. Pensavo dopo il vostro compleanno. Per il momento
voglio stare tranquilla- dissi abbassando lo sguardo.
-D'accordo,
piccola. Quando vuoi andare me lo dici- mi disse avvicinandosi oltre
al tavolo per darmi un bacio sulla fronte, accarezzandomi i capelli.
-Grazie-
sussurrai ad occhi chiusi mentre mi godevo quella piacevole
sensazione delle sue labbra sulla mia pelle. Sì, le stesse
emozioni del primo giorno in cui ci eravamo messi insieme. Non
cessavano. Innamorata di lui sempre di più.
-Figurati,
ti amo- rispose staccandosi da me.
-Anch'io-.
*
Stavo
portando un pezzo di carne alla bocca, seduta affianco a Tom con
tutti gli altri attorno al tavolo, compreso Saki. Quella sera aveva
deciso di venire a farci compagnia. Seguivo divertita le risate e le
chiacchiere tra lui e David.
-Domani
volevo andare a fare un po' di shopping- mentii ad un tratto. Bill,
davanti a me, si illuminò in un sorriso radioso.
-Sì!
Ti accompagno, anche io devo fare un po' di shopping!- esclamò
entusiasta. Io sgranai gli occhi evitando di strozzarmi.
-No!-
urlai troppo in fretta. Tutti mi osservarono perplessi. -Ehm, no...
cioè, tu avrai da fare. Poi mi perderò in negozi da
donna e cose così, ti annoieresti- cercai di sorridere. Lui
scrollò le spalle tornando a sorridere.
-No,
non mi annoio, che problema c'è. Ti accompagno volentieri-
disse portandosi alla bocca un altro pezzo di carne. Mi diedi
mentalmente della cretina. Dovevo immaginarlo. Solitamente quando si
parlava di shopping lui scattava subito sull'attenti. Scambiai
un'occhiata con Georg che mi capì al volo.
-Bill,
che ne dici invece se domani non vieni con me a fare un giro?- gli
propose.
-No,
voglio andare a fare shopping con Sara- ribattè
tranquillamente il rasta.
-E
se ci mettessimo tutti qui a ideare altri testi?- si intromise anche
Gustav. Bill sbuffò posando poco gentilmente la forchetta sul
piatto.
-Posso
andare a fare shopping con Sara?!- esclamò scocciato.
-Sì,
certo- balbettò Georg. Io abbassai lo sguardo sul mio piatto.
Avrei dovuto sudare e non poco il giorno dopo.
-Fratellino,
vieni anche tu?- gli chiese Bill. Volevo andare a sbattere trecento
volte la testa contro il frigorifero. Di male in peggio.
-No,
lo sai che quando voi due fate shopping non riesco a starvi dietro.
Divertitevi da soli- borbottò il moro. Io feci un sospiro di
sollievo senza farmi notare. Finito di mangiare rimanemmo a
chiacchierare per una buona mezz'ora al tavolo, fino a che il sonno
non prese il sopravvento. -Cucciola, andiamo a nanna?- mi disse ad un
tratto Tom. Io annuii con gli occhi socchiusi lasciandomi prendere
per mano. Ci alzammo e, data la buona notte a tutti, salimmo le
scale. Ci lavammo i denti insieme dandoci ogni tanto delle fiancate
per gioco, fino a che non ci stringemmo sotto le coperte a
sonnecchiare come bimbi.
-----------
Note finali: ecco qua il sequel di Looking for happiness ^^ spero tanto che vi possa piacere.
Spero
anche di trovare tutte le lettrici che conosco e anche delle nuove, mi
farebbe davvero piacere trovare tanti commenti anche di gente nuova ^^
Baci
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
capitolo 2
Capitolo
2
Sapevo
che la sveglia stava già suonando per la terza volta ma i miei
muscoli e soprattutto i miei neuroni non erano pronti per farmi
scendere dal letto o, come minimo, disattivarla. Tom aveva la sua
testa appoggiata sulla mia spalla e il suo braccio mi circondava
pesantemente il ventre. Chi me lo faceva fare di alzarmi?
-Amore,
ti prego, disattivala- borbottò ad un tratto con la bocca
ancora impastata dal sonno e senza aprire gli occhi.
-Mmm-
mugolai senza muovere un muscolo. Di nuovo silenzio. Solo il pensiero
di una nuova mattinata di lavoro mi faceva sentire letteralmente
male. Mentre questi pensieri si facevano largo nella mia mente ancora
mezza addormentata, la sveglia riprese a suonare per la quarta volta.
Sentii Tom sospirare. -Non ce la faccio- commentai ad occhi chiusi.
Lo sentii muoversi leggermente fino ad oltrepassarmi col corpo per
disattivare la sveglia sul mio comodino. In pochi secondi tornò
nella posizione iniziale.
-Devi
alzarti- borbottò senza staccarsi da me. Io non mi mossi. Lo
sentii alzare leggermente la testa. Sentivo che mi stava guardando e
sussultai appena quando sentii le sue labbra posarsi sul mio collo e
stamparvi un bacio leggero e delicato. -Dai, piccola, arrivi in
ritardo al lavoro- continuò accarezzandomi quel lembo di pelle
con la bocca. Voltai il viso, sempre ad occhi chiusi, e cercai le sue
labbra con le mie. Le trovai e ci scambiammo un lungo e dolce bacio
stampo. Fu la volta buona che aprii gli occhi non appena mi staccai
da lui, contro la mia volontà. -Buon giorno- mi sorrise
divertito.
-Giorno-
borbottai voltandomi dall'altra parte.
-Grazie,
dammi le spalle- commentò facendo il finto offeso. Io sorrisi
e mi misi seduta sul letto. Mi strofinai gli occhi sbadigliando. Lo
stesso fece lui affianco a me e osservandomi dolcemente. -Su, forza e
coraggio- sorrise divertito.
-Certo,
tu non devi andare a lavorare a quest'ora- borbottai scendendo dal
letto. Lui si sdraiò di nuovo con le braccia dietro la testa.
-Io
l'ho fatto ventiquattro ore su ventiquattro per degli anni- rispose
tranquillamente. Io gli feci la linguaccia suscitando in lui lievi
risatine. Mi vestii poi mi avvicinai di nuovo al letto, mi abbassai e
gli stampai un bacio sulle labbra. -Buon lavoro- mi disse
rimettendosi a dormire. Io scossi la testa sorridendo ed uscii dalla
stanza.
*
Stavo
sciacquando un bicchiere al lavandino mentre infinità di
persone si aggiravano per il bar. Ancora mezz'ora e sarei tornata a
casa. Sospirai e misi apposto il bicchiere, quando sentii un vociare
proprio davanti a me. Alzai lo sguardo e trovai tre ragazze.
-Salve,
cosa desiderate?- chiesi gentilmente.
-Tu
sei la fidanzata di Tom Kaulitz, non è vero?- mi chiese una
bionda. Io rabbrividii.
-Ehm,
sì, perchè?- domandai vaga occupandomi di un altro
bicchiere.
-Ci
dai fastidio- intervenne un'altra.
-Cosa?-
chiesi sorridendo divertita. -E' comunque un problema vostro-
conclusi tranquillamente. Dovevano essere delle fans.
-Gli
hai rovinato la vita, lo sai vero questo?- mi chiese la terza.
-No,
non mi pare. Ora mi lasciate in pace? Devo lavorare e ho altri
clienti da servire- risposi dando loro le spalle e sistemando i
bicchieri che avevo pulito al loro posto.
-Da
quando sei arrivata tu nella sua vita, non è più lo
stesso Tom. Prima era libero. Adesso ha te alle calcagna e non può
fare tutto quello a cui era abituato e che gli piaceva- continuò.
Io sospirai.
-Sentite
ragazze. Lo so dove volete arrivare ma non è mia intenzione,
d'accordo? Io non l'ho costretto, ha fatto tutto lui, quindi vuol
dire che gli sta bene anche così. Adesso non ho più
voglia di starvi a sentire- commentai.
-Oh,
tu ci starai a sentire invece...-.
-Hey-.
Ci voltammo tutte quante in direzione di quella voce. Scorsi un
ragazzo biondo che avrà avuto più o meno la mia età.
-Avete finito di importunarla? Lasciatela stare se non volete che vi
tiro fuori da qui con la forza- continuò. Le ragazze lo
guardarono ancora qualche secondo deglutendo e poi, dopo avermi
rivolto un'occhiataccia, uscirono dal bar.
-Grazie-
dissi guardando il ragazzo.
-Figurati-
mi sorrise. -Io sono Lee- aggiunse porgendomi la mano oltre il
bancone. Io gliela strinsi.
-Sara,
piacere- sorrisi. Lo vidi annuire.
-Sì
sì, lo so chi sei. La tua faccia è su tutti i giornali,
assieme a quella di Tom- continuò. Restammo un attimo in
silenzio.
-Beh,
vuoi qualcosa da bere?- mi “svegliai” finalmente.
-Oh
no no, grazie, adesso devo andare. Beh, è stato un piacere
conoscerti- mi sorrise cominciando ad allontanarsi. -Ciao- mi salutò
poi uscendo dal bar. Era stato gentile. Scrollai le spalle per poi
occuparmi di un'altra cliente.
*
-Sara,
finalmente!- esclamò Bill vedendomi rientrare in casa.
-Allora, andiamo a fare shopping?- saltellò entusiasta
seguendomi in salotto dove io mi stravaccai pesantemente sul divano.
-Bill,
un secondo, sono appena arrivata- borbottai con gli occhi chiusi. Lui
si sedette sull'altro divano.
-Ma
stanotte non hai dormito? Colpa di Tom?- mi chiese malizioso. Io
sorrisi e scossi la testa.
-No,
strano ma vero, per una volta tuo fratello non c'entra. Sono solo un
po' stanca- risposi.
-Se
non te la senti di andare, fa niente-.
-No
no, devo andare-. Detto questo mi alzai dal divano facendo
quattro saltelli. -Andiamo?- chiesi. Bill mi guardò un attimo
sorpreso di come mi fossi ripresa velocemente. Semplice, l'idea di
dover comprare loro il regalo di compleanno mi aveva letteralmente
ridato le forze. -Andiamo con la mia macchina, ok?- gli dissi mentre
uscivamo di casa. Lo vidi annuire sorridendo. Entrammo nella mia
bambina e misi in moto per poi dirigermi verso il centro commerciale.
-Però,
ci stai facendo la mano- commentò il rasta osservandomi nella
guida. Io annuii soddisfatta.
-Beh,
è anche grazie a tuo fratello, è lui che mi ha
insegnato la parte pratica- dissi arrossendo al solo pensare a tutte
le pause che io e Tom avevamo fatto tra una manovra e l'altra, per
fiondarci sui sedili posteriori e fare l'amore. Una volta arrivati,
Bill si tirò il cappuccio sulla testa ed insieme scendemmo
dalla macchina. Dovevo trovare un modo per non far sì che si
accorgesse che stavo cercando qualcosa per lui e suo fratello.
Entrammo nel primo negozio e potei già vedere la faccia
estasiata di Bill che si guardava attorno.
-Io
non esco più di qua, me lo sento- mormorò. Io scossi la
testa e mi incamminai alla ricerca di qualcosa di decente. Conoscevo
i gusti di Tom. Conoscevo i gusti di Bill. Eppure in quel luogo
sentivo la disperazione salirmi dai piedi alla punta dei capelli. Non
vedevo nulla, nulla. In più avevo Bill alle calcagna e non
potevo ragionare con calma. -Questo come mi sta?- mi chiese facendomi
sobbalzare, uscendo tutto d'un tratto dal camerino. Mi portai una
mano al petto, lasciando in fretta la felpa XXL che stavo guardando
per Tom e mi voltai verso di lui sospirando. Portava una maglietta
rossa e nera, in stile gotico.
-Ehm,
ti sta benissimo, prendila- mi sforzai di sorridere. Lui si illuminò
e saltellò di nuovo dentro il camerino. Mi voltai velocemente
di nuovo verso la felpa e la osservai attentamente. Era molto bella,
nera, con dei temi hip hop e scritte sopra. Quella poteva andare.
Solo, mi sembrava troppo poco rispetto alla macchina che mi aveva
comprato Tom. Mi veniva da piangere.
-E
questo?!- stavolta saltai letteralmente. Non poteva sbucare tutto
d'un botto quel ragazzo! Mi voltai.
-Bellissima-
borbottai girandomi di nuovo. Non avevo neanche guardato cosa fosse.
-Bellissima?
È un giubbottino di pelle- commentò lui alzando un
sopracciglio. Lo guardai.
-Ehm,
sì, certo, bellissimo- balbettai.
-Tutto
bene?- mi chiese sospettoso. Io annuii a scatti. Lui scrollò
le spalle e tornò in camerino. Alla velocità della luce
presi quella felpa e mi catapultai verso la cassa. Proprio a qualche
metro da essa, scivolai e andai a sbattere contro il bancone, facendo
sobbalzare la commessa.
-Questa
la metta da parte!- esclamai ancora a terra, sventolandole la felpa
sotto il naso.
-Ehm,
sì- disse incerta prendendola e posandola da qualche parte. Io
intanto mi rialzai e corsi di nuovo dov'ero prima. Proprio in quel
momento uscì di nuovo Bill ed io feci finta di nulla,
rigirandomi i capelli tra le dita e cercando di riprendere aria.
-Questi
pantaloni?- mi chiese.
-Bellissimi-
sorrisi.
-E'
tutto quello che riesci a dire per ogni capo?- ridacchiò lui.
Io sorrisi di nuovo timidamente. -Come mai hai il fiatone?- mi chiese
lui perplesso. Io scossi la testa sventolando una mano con
nonchalance. -Vabbè- borbottò tornando in camerino. Io
alzai gli occhi al cielo e ricominciai a guardarmi intorno. Intanto
Bill uscì di nuovo e mi si affiancò. -Oddio! Guarda
questa giacca! È la fine del mondo!- esclamò ad un
tratto prendendola. Come al solito era in pelle nera, con il colletto
in pelliccia. Subito se la provò e gli stava davvero bene. Mi
venne un'idea. -Com'è?- mi chiese entusiasta. Io storsi il
naso.
-Naaah,
non mi piace. Ti fa una forma strana alle spalle- mi inventai. Lui mi
guardò abbassando gli angoli della bocca. Sembrava un cane
bastonato.
-Ma
veramente?- mi chiese quasi con i lucciconi. Io annuii sicura.
-Oh,
sì. Veramente, lo sai che non ti racconto palle- risposi. Lui
sbuffò sconsolato e se la tolse rimettendola apposto. Mi fece
troppa tenerezza in quel momento.
-Vabbè-
concluse ricominciando a camminare verso il reparto intimo. Io ne
approfittai per recuperare quella giacca e spiccare un'altra corsa
verso la cassa. Stavolta feci ben attenzione a non scivolare di
nuovo, facendo la figura della povera tonna, e la poggiai sul
bancone.
-Metta
da parte anche questa assieme alla felpa. Domani mattina passo a
ritirarle- dissi alla commessa. Lei annuì prendendola e
appoggiandola sopra alla felpa. -Non è che vi potrebbe fare
due pacchi regalo?- chiesi poi.
-Ma
certo- sorrise.
-Bene,
grazie mille-.
*
Rientrammo
a casa. Bill teneva tre sacchetti mentre io ne tenevo due. Dovevo
dire che si era dato alla pazza gioia come sempre, mentre io mi ero
accontentata di un nuovo completo intimo. Posammo tutto quanto sul
divano, dove Tom e Georg stavano giocando alla play station. Misero
in pausa.
-Ciao
amore- mi sorrise Tom. Io mi sedetti accanto a lui schioccandogli un
bacio sulle labbra. Mi accoccolai a lui chiudendo gli occhi. La
stanchezza che aveva cominciato a farsi sentire da quella mattina era
tornata improvvisamente. Sentii la mano di Tom che mi accarezzava il
fianco e le sue labbra posarsi a piccoli intervalli sulla mia
guancia. Quel regalo per lui sicuramente non sarebbe bastato. Senza
accorgermene, durante il sonno, la mia mente aveva elaborato tre
nuove e brillanti idee.
----------------------------
Note finali:
allora, questo è un capitolo di transizione, vi assicuro che i
prossimi capitoli saranno più movimentati e pieni di cosette ^^
Ringrazio little_illusion, layla the punkprincess, NickyPrincessThlOve e dark483 ^^
Baci
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
capitolo 3
Capitolo
3
Quel
giorno avrei dovuto organizzare un sacco di cose. Troppe idee mi
erano venute in mente improvvisamente, tre per la precisione, e
dovevo cercare di metterle in atto senza fare casini. Facevo aventi e
indietro per la casa pensando da dove cominciare. I regali ero già
andata a ritirarli in negozio quella mattina, essendo di strada dato
che stavo andando al lavoro. Alla fine mi decisi a prendere il
telefono e comporre il numero della mia migliore amica, Hellen.
-Pronto?-
rispose finalmente, dall'altra parte.
-Hellen,
ciao- sorrisi.
-Sara!
Ciao, come stai?- mi chiese entusiasta.
-Tutto
bene grazie. Senti, ti volevo chiedere una cosa. Come sai, domani è
il compleanno di Tom e Bill... hai voglia di venire a Berlino e
festeggiare insieme a noi?- le domandai speranzosa.
-Davvero?
Wow! Certo, grazie!- esclamò.
-Perfetto,
io ho già una mezza idea per la festa-.
-Dimmi
tutto-.
*
-Georg!-
esclamai facendolo sobbalzare. Era seduto al tavolo che sorseggiava
una tazza di the e per poco non se la versò addosso. -Ti devo
chiedere un favore- continuai mentre lui posava la tazza sul tavolo.
-Ce l'hai il numero di Andreas?- chiesi a bruciapelo. Lo vidi
strabuzzare gli occhi e sapevo anche il motivo.
-Che
vuoi farne?- mi domandò sospettoso.
-Voglio
invitarlo alla festa- risposi schietta. Lui cominciò a
scuotere freneticamente la testa.
-No,
Sara, non è il caso, lo sai che non si parlano da un anno e
mezzo-.
-Sì,
lo so. Per questo direi che è arrivato il momento di darci un
taglio. D'altronde sono motivi futili-.
-Futili
ok, ma se si vedono anche da lontano, si spaccano la faccia-.
-La
spacco io la faccia a tutti e tre se solo dovesse succedere, mi dai
il numero?-.
Mi
fulminò con lo sguardo e, sospirando, si infilò una
mano nella tasca dei pantaloni per poi tirarne fuori il cellulare.
Presi il mio ed attesi che mi dettasse il numero.
-Sara,
tu sei sicura..?-.
-Muoviti-.
Contro
la sua volontà mi dette il numero e io lo ringraziai per poi
uscire in giardino, in modo che nessuno mi potesse sentire,
soprattutto Tom e Bill. Feci partire la chiamata e, sospirando,
attesi una risposta.
-Pronto?-
sentii una voce maschile.
-Ehm,
ciao, non mi conosci, sono Sara la... fidanzata di Tom- risposi. Il
cuore mi batteva all'impazzata e non sapevo neanche io il motivo.
Forse tenevo veramente tanto al fatto che quei tre si
riappacificassero. Dopo tutto Tom mi aveva riportato, anche se
inconsapevolmente, Hellen. Io volevo riportargli Andreas. Il silenzio
non cessava, così decisi di andare avanti. -Senti, lo so che
ti sembrerà strano e stupido ma... sai che domani è il
compleanno dei gemelli... insomma mi chiedevo... so che non siete più
in buoni rapporti, però, sì insomma, sarebbe carino se
tu...-.
-No-
mi interruppe. Io chiusi gli occhi sospirando. -Senti, Lara, Sara,
come caspita ti chiami...- continuò.
-Sara-
commentai sarcastica.
-Sara.
Sono stati loro a voltarmi le spalle, solamente perchè non
avevano più tempo per il loro migliore amico dato che stavano
diventando sempre più famosi, occupati e con la puzza sotto il
naso...-.
-Ti
sbagli-.
-No,
non mi sbaglio. Quindi non vedo perchè dovrei venire al loro
compleanno, o semplicemente chiamarli per fargli gli auguri. Tanto
neanche loro lo vorrebbero-.
-Sei
sicuro di quello che dici, Andreas?-.
-Assolutamente
sì-. Io stessi un attimo in silenzio. Evidentemente non
c'era proprio nulla da fare. Aveva deciso così ed era
estremamente convinto della sua idea. Santo orgoglio, e io che stavo
provando a metterlo da parte.
-Bene,
come vuoi. Ti dico solo questo: abbiamo intenzione di organizzare per
loro una festa a sorpresa alle Caravelle, un parco acquatico in
Italia. Se cambi idea siamo lì- gli dissi come ultima
speranza. Non disse nulla di nuovo. -Ciao- conclusi riattaccando.
Sbuffai e andai a riaprire la porta di casa ma questa andò a
sbattere contro qualcosa, o meglio, qualcuno.
-E
che cazzo!- sentii esclamare. Vidi Georg che si massaggiava una
guancia. Mi venne spontaneo alzare un sopracciglio.
-Origliavi
di nuovo?- gli chiesi conoscendo già la risposta, mentre
richiudevo la porta.
-Senti,
qui la situazione è grave, fortunatamente ha detto di no-
borbottò. -Da quello che ho capito- aggiunse timidamente. Io
ridacchiai dandogli qualche pacca sulla spalla e sorpassandolo. Ad un
tratto sentii dei passi scendere velocemente per le scale. Alzai lo
sguardo davanti a me e vidi Tom correre con un sorriso smagliante sul
volto. Mi si fiondò davanti e mi diede un bacio sulle labbra.
-Amore,
corri di sopra a vestirti- mi sorrise. Io mi guardai e solo in quel
momento mi resi conto di girare per casa solo in magliettona XXL di
Tom, culottes e calze. Però non capivo come mai volesse che mi
andassi a vestire. Solitamente mi faceva stare così, anche se
gli davano fastidio le occhiate degli altri ragazzi, persino quello
dei muri che, per la cronaca, vedeva solo lui.
-Perchè?-
gli chiesi incuriosita.
-Stai
per conoscere una persona per me importantissima- disse emozionato.
Io strinsi leggermente gli occhi cercando di riflettere ma non mi
venne in mente nessun nome.
-Chi?-
domandai tranquillamente.
-La
mia mamma- sorrise a trentadue denti. Lo stomaco mi fece una
capovolta. Le gambe quasi mi cedettero e la spina dorsale fu percorsa
da mille, se non di più, brividi. Cominciai a boccheggiare
guardandolo con gli occhi spalancati ma lui continuò. -L'ho
appena sentita. Lei ti conosce per quello che le dico io al telefono
e quello che legge sulle riviste. Adesso viene a trovarci, come ogni
anno, viene sempre il giorno prima del nostro compleanno perchè
poi sa che il giorno stesso vogliamo stare con gli amici. Così
ne approfitta anche per conoscerti-. Aveva gli occhi che brillavano.
Si vedeva che era emozionato quanto me o anche di più.
-Oh
mio Dio- esclamai in un sussurro quando riacquistai il dono della
parola. -Io... io, non so che dire, non lo so, aiuto. Cioè...
se non dovessi piacerle? Io... Oddio, mi sento male- cominciai a
balbettare frasi disconnesse. Lui ridacchiò prendendomi il
viso tra le mani.
-Tesoro,
non puoi non piacerle. Lei poi è una donna molto semplice e le
piacciono le ragazze semplici. Tu ne sei un validissimo esempio.
Tranquilla, piccola, non hai nulla di cui preoccuparti- mi disse
dolcemente concludendo il tutto con un altro bacio. -Dai, vatti a
vestire che tra massimo mezz'ora sarà qui- mi disse poi. Il
mio cuore prese a battere più velocemente.
-Ok-
annuii catapultandomi verso le scale. Le salii a tre a tre. Non ci
potevo credere. Finalmente stavo per conoscere la mamma di Tom,
Simone. Era un'emozione indescrivibile per me. Forse poteva sembrare
quasi una stupidata, ma per me era importante. Era la conferma che la
nostra storia era veramente ufficiale. Non che ci servisse la
conferma, ma in quel momento mi resi davvero conto che Tom era
cambiato e per me, la più grande delle soddisfazioni. Frugai
freneticamente nell'armadio alla ricerca di qualcosa di decente. In
quel momento tutto mi sembrò inadatto o addirittura volgare.
Come ci si vestiva per conoscere la mamma del proprio ragazzo? Mi
sentii prendere per i fianchi da dietro e sobbalzai, dato che ero
sovrappensiero. Sentii le labbra calde di Tom posarsi dietro il mio
collo.
-Amore,
qualsiasi cosa tu ti metta va bene- sussurrò con le labbra
sulla mia pelle. Sapeva che l'inizio della mia colonna vertebrale
era, per me, un punto molto sensibile. Tirai lentamente indietro la
testa, contorcendomi un po' tra le sue braccia. Lo sentii
ridacchiare. -Non venire qui davanti all'armadio- rise. Io mi voltai
scandalizzata tirandogli delle pacche sulla testa, mentre lui si
riparava con le braccia, piuttosto divertito.
-Sei
schifoso quando fai così- sorrisi voltandomi di nuovo verso
l'armadio.
-E'
per questo che mi ami tanto- cantilenò. -Mettiti quello-
indicò ad un tratto un vestito molto semplice, celeste.
-No,
Tom, è troppo corto!- commentai quasi scandalizzata. Lui
borbottò qualche secondo qualcosa di incomprensibile e si
sporse per recuperarlo. Si voltò verso di me e afferrò
la sua maglia che portavo e me la tirò su sospirando. Io
ridacchiai una volta che me l'ebbe sfilata.
-Ok
ok, sono capace a vestirmi da sola- ridacchiai in reggiseno e slip,
sotto gli occhi quasi assatanati di Tom. Gli presi il vestito dalle
mani e lo guardai maliziosa. -Calma i bollenti spiriti, SexGott, a
tempo debito- gli dissi infilandomi quel capo celeste.
-Mmm-
mugolò andando a prendermi le scarpe per distrarsi. Tornò
con i sandali bianchi e bassi. -Ecco a lei- sorrise porgendomeli.
-Grazie-
risposi infilandomeli. -I capelli- dissi poi impacciata.
-Te
li posso fare io?- mi chiese con occhi speranzosi. Io li sgranai
letteralmente. -Ti prego!- continuò tirando in fuori il labbro
inferiore, cercando di adottare un'espressione abbastanza
convincente.
-No,
la prossima volta, quando ci sarà tempo, tra cinque minuti
arriva tua mamma- gli dissi correndo in bagno.
-Traditrice!-
mi urlò ancora dalla nostra stanza e io sorrisi guardandomi
allo specchio. Presi i miei capelli e cominciai a tirarli su, girarli
e rigirarli, cercando di trovare una soluzione per quell'ammasso
castano-rossiccio. Alla fine optai per un semplice cerchietto.
Proprio quando finii anche di lavarmi i denti, sentii suonare il
campanello. Cominciai a respirare velocemente facendomi aria.
Insomma, era solo sua mamma! Mi passai le mani sul viso, presi un bel
respiro ed uscii dal bagno. Scesi le scale e mi fermai a metà
dell'ultima rampa. Vidi Tom e Bill catapultarsi alla porta, con Georg
e Gustav dietro di loro. Appena la aprirono li sentii esclamare un
“Mamma!” entusiasta. Potei notare una donna bionda, bellissima e
piuttosto giovane, abbracciare entrambi i figli con un calore e un
affetto che per un attimo invidiai, in senso buono. Io rimasi ferma,
timida, sulle scale sorridendo a quella scena. Poi, quando si staccò
dai gemelli ed ebbe salutato anche Gustav e Georg, la vidi alzare lo
sguardo solare verso di me. Rabbrividii.
-Hey,
tu devi essere Sara- esclamò sorridente. Io arrossii ed annuii
guardando per un attimo Tom che mi fece dolcemente segno di
avvicinarmi. Io obbedii ed arrivai di fronte alla donna. Era
piuttosto alta. -Ciao- mi sorrise abbracciandomi. Io rimasi un attimo
spiazzata da tutta quella espansività ma mi fece piacere, così
ricambiai la stretta, anche se con timidezza. Aveva un buonissimo
profumo. Mi piaceva, mi infondeva sicurezza. Quando ci staccammo mi
osservò attentamente, senza abbandonare il sorriso, proprio
come i suoi figli. -Io sono Simone, piacere- mi disse.
-Oh,
il piacere è tutto mio- risposi sinceramente.
-Però,
sei davvero una bella ragazza. Bravo Tomi- sorrise poi guardando suo
figlio che ricambiò il sorriso guardandomi. Io ero diventata
bordeaux.
-Vieni
mamma, è pronto da mangiare- disse poi Bill incamminandosi
verso la cucina. La donna lo seguì dopo aver dato il suo
giubbotto a Tom che lo appese sull'appendiabiti. Erano tutti in
cucina e io mi avvicinai un attimo a lui.
-Mi
piace tua mamma- dissi con gli occhi che brillavano. Lui mi fece una
carezza sorridendomi.
-E
ti posso assicurare che tu piaci a lei. Vieni- rispose prendendomi
per mano e portandomi assieme a lui in cucina. David non era con noi
a cena quella sera. Da quanto avevo capito, finalmente, aveva
appuntamento con una donna. Ci sedemmo a tavola. Io e Tom vicini, di
fronte a noi Bill e Simone, e Georg e Gustav a capo tavola.
-Allora,
Sara, quanti anni hai?- mi chiese la donna sorridendomi mentre
metteva in bocca un po' di pasta.
-Ne
ho appena fatti diciotto- risposi.
-E
io le ho regalato una splendida BMW- sorrise soddisfatto Tom. Simone
alzò le sopracciglia sorpresa.
-Wow!
Che figlio generoso che ho!- esclamò contenta. Tutti
ridacchiammo compreso Tom. -Sai, il signorino qui presente mi parla
in continuazione di te al telefono. Così tanto che ovviamente
ero curiosa di conoscerti. Ti ha sempre descritto come una bella
ragazza, dolce, educata e tutto il resto. Posso tranquillamente dire
che confermo quello che mi ha detto, sono contenta che mio figlio
abbia trovato una ragazza come te, lo speravo-. In quel momento mi
venne da piangere. Erano le parole più belle che sua madre mi
potesse dire. Gli occhi mi si inumidirono e io abbassai lo sguardo
sorridendo lusingata. -Oh, tesoro, ti sei commossa?- mi chiese
dolcemente Simone. Io ridacchiai imbarazzata mentre Tom mi
accarezzava una gamba.
-Lei
è così, soffre di sovraccarichi di emozioni- ridacchiò
il moro.
*
La
serata era trascorsa in modo del tutto sereno. Con quella donna mi
sentivo ulteriormente in famiglia. Per tutta la sera non avevamo
fatto altro che ridere e scherzare. Era anche molto spiritosa, cosa
che non avrei mai detto, soprattutto con i suoi figli. Era una
persona davvero molto simpatica. Sfortunatamente arrivò il
momento dei saluti. Eravamo tutti davanti alla porta di casa ad
assistere all'abbraccio tra la madre e i suoi figli. Più
passava il tempo e più mi rendevo conto che mi mancava
l'affetto materno, e che volevo vedere a tutti i costi mia mamma
anche se ce l'avevo ancora con lei.
-Ciao,
tesori miei. Vi voglio bene- sussurrò Simone. “Vi voglio
bene”. Sentivo il tanto ormai conosciuto magone in gola. Mia madre
non me l'aveva mai detto “Ti voglio bene”. Quando Simone ebbe
salutato anche Georg e Gustav si avvicinò a me e mi abbracciò.
-Ciao, tesoro. Sei davvero una bravissima persona e mio figlio è
fortunato- sussurrò invece al mio orecchio ed io sorrisi.
-Grazie
Simone, e tu sei una splendida madre- risposi per poi staccarmi dalla
stretta. Mi sorrise ed uscì di casa.
-Ciao
mamma- dissero per l'ultima volta Bill e Tom chiudendo poi la porta.
Tom venne verso di me e mi strinse dandomi un bacio sui capelli. -Hai
visto? È andata bene- mi disse contento. Io annuii chiudendo
gli occhi. -Ti amo- aggiunse. Lo diceva poche volte, ma quelle poche
volte riusciva a riscuotere sempre lo stesso effetto su di me.
Avvampavo e il cuore cominciava a battere all'impazzata.
-Anch'io-
risposi.
*
Tom
dormiva già da un pezzo. Lo osservavo sorridendo. La bocca
leggermente socchiusa, le palpebre dolcemente calate, il cuscino tra
le braccia. Respirava in modo regolare. Presi la coperta e gliela
tirai su coprendo la sua schiena nuda, per poi sfiorargli una guancia
con le labbra, senza svegliarlo. Mi voltai verso il comodino e
recuperai il cellulare. Inviai un messaggio a Hellen.
“Fatto
tutto?”
La
risposta non tardò ad arrivare.
“Tutto
risolto. Ci si vede là domani alle tre e mezza. Notte”
Un
sorriso si estese dolcemente sulle mie labbra mentre i miei occhi
saettarono di nuovo inteneriti verso la figura dormiente accanto a
me.
--------------------------------
Note finali: ecco qua il terzo capitolo, dopo tanto tempo ^^ spero che vi sia piaciuto anche questo ^^
Alla prossima con il compleanno dei gemelli, vi assicuro che ne succederanno! xD
Ringraziamenti:
_samy: oh, grazie mille! Mi fa davvero piacere ^^
layla the punkprincess: hihi, danke! ^^
_Pulse_: grazie mille tesoro *-* sempre gentile ^^
Alcolizzata_VIP: o.O oddio, io
non so che dire, hai riletto LFH 4-5 volte? o.O ammazza che pazienza!
xD per il fatto che dovrei scrivere un libro... xD grazie ma non sono
assolutamente all'altezza xD, cmq grazie davvero x tutti i complimenti
che mi hai fatto ^^
dark483: grazie! ^^
NICEGIRL: wow, grazie mille veramente! ^^
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
capitolo 4
Capitolo
4
Lo
vidi storcere il naso ed io soffocai una risata. Posai di nuovo le
mie labbra sulla sua guancia lasciando una scia di baci lungo il
collo, fino ad arrivare alla spalla. Risalii lentamente e sorrisi non
appena sentii il suo braccio avvolgermi la vita. Me ne stavo
tranquillamente appoggiata a lui, aspettando che si svegliasse.
Quella mattina, ovviamente, non sarei andata al lavoro. Quella
giornata sarebbe stata completamente dedicata all'amore mio e al mio
“cognatino”. Inspirai a pieni polmoni il profumo di Tom, con il
viso nascosto tra la spalla e il collo. La sua mano invece mi
accarezzava dolcemente il fianco.
-Buon
compleanno- sussurrai. Mi abbracciò e mi portò sotto il
suo peso. Ci guardammo istanti infiniti negli occhi. Mi sorrideva e
io non capivo più un emerito nulla. Lo vidi avvicinarsi con il
viso, fino a che non poggiò le sue labbra sulle mie. Ci
scambiammo un lungo bacio, facendoci qualche coccola. Appena ci
staccammo riacquistai la ragione.
-Grazie-
mi sorrise di nuovo. Gli accarezzai il viso. Ne percorrevo ogni
millimetro, ogni millimetro della sua pelle, come a studiarlo. Lo
conoscevo alla perfezione ma non ne avevo mai abbastanza. Quei tratti
maschili che piano piano cambiavano e diventavano sempre più
da uomo. Erano una cosa spettacolare. -Andiamo a fare gli auguri alla
principessa?- mi chiese poi. Io gli diedi un buffetto sulla guancia.
-Dai,
poverino- borbottai divertita alzandomi dal letto. Lui mi seguì
ed uscimmo dalla stanza. Aprimmo lentamente la porta della stanza di
Bill ed entrammo. Potemmo scorgere solo un accumulo di qualcosa o
qualcuno sotto le coperte. La sua testa non si vedeva praticamente
più. Ci guardammo e scoppiammo a ridere in silenzio. Poi Tom
mi face segno con le dita “Uno due e tre”. Al suo tre spiccammo
una rincorsa e ci buttammo “a pesce” sopra a quel cumulo che
cominciò a dimenarsi per lo spavento. In pochi secondi la
testa di Bill uscì dalle coperte con occhi spalancati e i
rasta scompigliati.
-Auguri!-
urlammo io e Tom divertiti.
-Io
vi ammazzo!- esclamò questo alzandosi dal letto. Io e Tom
stavamo già correndo giù per le scale ridendo come dei
matti. Arrivammo in cucina dove trovammo David, Georg e Gustav che
sia erano alzati dal tavolo per vedere cosa stesse succedendo. Appena
ci videro entrare di corsa ci chiesero cosa fosse successo. Proprio
in quel momento fece il suo ingrasso anche Bill e tutti scoppiarono a
ridere. Era semplicemente in boxer. Decisamente troppo magro! -Mi
avete fatto venire un infarto!- esclamò di nuovo rivolto a me
e Tom con sguardo assatanato.
-Bill,
stai diventando blu, hai la carotide che adesso ti esplode,
rilassati- ridacchiò Georg.
-Me
la fanno esplodere loro- borbottò calmandosi. Georg, Gustav e
David si avvicinarono e lo abbracciarono facendogli gli auguri.
Subito dopo ripetettero la stessa cosa con Tom. Io tirai un'occhiata
all'orologio appeso e notai che erano le nove. Tra almeno mezz'ora
saremmo dovuti partire.
-Ehm,
ragazzi?- richiamai la loro attenzione. Tutti si voltarono verso di
me. -Comunicazione di servizio- ridacchiai. -Andate tutti di sopra a
mettervi un costume e a vestirvi- continuai. Tutti mi guardarono
alzando un sopracciglio. Forse solo Georg era quello che ne sapeva un
po' di più, dato che aveva origliato durante la mia
conversazione con Andreas. -Non fate domande. Fate solo quello che vi
ho detto, su- tagliai corto spingendoli tutti fuori dalla cucina,
compreso David, al quale dissi di chiamare Saki e dirgli di fare la
stessa cosa. Lui mi aveva guardato perplesso ma non aveva indagato
oltre. Salii le scale fino ad arrivare in camera dove trovai Tom
completamente nudo che si infilava il costume. Deglutii rumorosamente
chiudendo gli occhi continuando a ripetermi nella mente “Tu non gli
salterai addosso, tranquilla, non gli salterai addosso”. Lo sentii
ridacchiare ed io riaprii gli occhi.
-E
poi dici sempre a me di calmare i bollenti spiriti. Vogliamo parlare
di te?- mi disse sarcastico. Io gli feci la linguaccia.
-Io
almeno mi so trattenere- borbottai incamminandomi verso l'armadio.
Presi un costume nero, quello che piaceva tanto a Tom, e mi andai a
chiudere in bagno. Una volta pronta tornai in camera e finii di
vestirmi.
-Me
dove andiamo?- mi chiese dopo un po'. Io sorrisi.
-Tu
non ti preoccupare- risposi vaga. Infilai gli asciugamani nella borsa
da spiaggia e lo invitai a seguirmi al di fuori della stanza. Lui
obbedì e scese le scale assieme a me. Arrivammo davanti alla
porta dello studio ed attendemmo tutti gli altri che, uno ad uno,
arrivarono. -Ci siamo tutti quanti- osservai. -Possiamo andare- dissi
poi soddisfatta aprendo la porta ed uscendo. I ragazzi mi seguirono
verso la mia macchina. -Non ci stiamo tutti però- constatai.
-Io
e Saki veniamo con la mia, ti seguiamo- mi disse David.
-Perfetto-
sorrisi mentre loro andavano verso la sua macchina. Io salii sulla
mia, alla guida. Affianco a me Tom e sui sedili posteriori il resto
della band. -Allacciatevi le cinture, non voglio avervi sulla
coscienza, poi chi la sente l'intera popolazione femminile...- dissi
mentre mi accingevo ad allacciare la mia. Loro ridacchiarono e
seguirono il mio esempio. Misi in moto ed uscii dal cancello, seguita
dalla macchina di David. Accesi lo stereo e sintonizzai sul canale
che piaceva a Tom, che trasmetteva per lo più musica hip hop.
Anche io ne andavo pazza. Eccolo che cominciava a muoversi e a
“reppare” a modo suo. Non potei non ridere. Per lo meno quel
giorno era felice.
*
Durante
il viaggio, i Tokio Hotel non avevano fatto altro che domandarmi dove
stessimo andando. I dubbi crebbero quando notarono che eravamo
entrati in Italia. Io continuavo a rispondere “E state un po'
tranquilli”, “Volete fidarvi?”, “Non vi porto da dei
violentatori!”. Ma più dicevo così, più si
guardavano intorno incuriositi e spaesati. Finalmente parcheggiai
l'auto a destinazione e vidi, poco dopo, la macchina di David dietro
la mia.
-Giù
le chiappe- ridacchiai scendendo dalla macchina.
-Amo
quando fa la rozza- commentò Tom sorridendo e facendo come
avevo detto. Bill alzò gli occhi al cielo scuotendo la testa e
prese l'esempio di suo fratello, seguito da Gustav e Georg. Si
guardarono attorno.
-Ma
che posto è? È un parco acquatico?- domandò
sorpreso Bill. Io mi limitai a sorridere e camminai verso l'enorme
cancello, dove trovammo due guardie del corpo che subito lo aprirono.
-Non ci posso credere- sentii di nuovo Bill alle mie spalle.
-Eccovi
finalmente!- esclamò entusiasta Hellen correndoci in contro. I
Tokio Hotel la guardarono con gli occhi sgranati. Mi si buttò
addosso abbracciandomi.
-Grazie-
sussurrai al suo orecchio.
-Figurati-
rispose staccandosi ed andando a salutare gli altri. Poi fece gli
auguri a Tom e Bill che non ci credevano ancora di quello che stava
succedendo.
-Ma
fatemi capire... avete... avete affittato un parco acquatico?- mi
guardò stupito Tom. Io annuii soddisfatta. -Ma... ma, quanto
vi è costato?!- esclamò esterrefatto. Io gli posai un
dito sulle labbra.
-Non
è il momento di pensare a questo. Vedete solo di divertirvi e
di vivervi al meglio il vostro compleanno- sussurrai prima di
baciarlo. -Ti amo- gli sussurrai poi prima di staccarmi e cominciando
a correre verso i lettini. Una volta raggiunti, assieme agli altri,
sistemai gli asciugamani su di essi e ci spogliammo rimanendo in
costume. David aveva fatto lo stesso ma Saki non si era ancora mosso
di un muscolo.
-Dai,
Saki, vecchio mio, se mi spoglio io ti puoi spogliare anche tu, non
essere timido- lo stuzzicò il manager. Noi ridacchiammo e
iniziammo a correre verso una piscina enorme di quel posto. Ci
tuffammo tutti insieme ridendo contenti. Una volta riemersi Tom mi si
avvicinò e mi prese in braccio, mentre io rimanevo aggrappata
a lui a koala. Ci baciammo.
-Grazie,
piccolina. Non mi sarei mai aspettato una cosa del genere- sussurrò
sulle mie labbra.
-Oh,
e non pensare che sia finita qua. La giornata sarà molto
lunga- sorrisi.
-Bill!-
sentimmo urlare. Ci voltammo e sorridemmo vedendo che Bill aveva
preso in braccio Hellen cercando di “affogarla” nonostante le sue
dimenate. Io e Tom ci guardammo con malizia. Eh sì, stesso
pensiero su quei due.
*
L'intera
giornata era trascorsa meravigliosamente. Io ero davvero soddisfatta
del “lavoro” mio e di Hellen. Senza di lei non ce l'avrei mai
fatta. Andreas purtroppo non si era presentato... ma leggere la
contentezza negli occhi di Tom fu più che appagante per me. La
sua felicità era la mia. Per non parlare dell'emozione e della
gioia di Bill. Era qualcosa di inspiegabile. I regali erano piaciuti.
Tom sembrava un bambino. Il bambino più felice del mondo con
in mano la sua caramella preferita. Ed io che pensavo che sarebbe
stato troppo poco. Senza dubbio era contento con poco e la cosa era
piuttosto gratificante. Ma la festa non era ancora finita, almeno per
lui. Mi ero studiata tutto per bene. Ci avevo pensato e ripensato,
essendo consapevole del fatto che avrei dovuto mettere a dura prova
la mia timidezza e la mia... sensualità? Eravamo appena
rientrati in casa ed io fermai Tom appena dopo la porta.
-Amore,
aspettami qui. Tra un quarto d'ora sali in camera nostra- sussurrai
con malizia al suo orecchio. Lui deglutì rumorosamente
facendomi sorridere ed alla fine annuì incerto. Io salii di
corsa le scale e mi andai a chiudere in camera. Feci una doccia
veloce e poi stravolsi l'armadio. Ne tirai fuori un completo intimo
in pizzo nero e una vestaglietta trasparente che mi copriva a
malapena fino a metà gamba. Rimasi a piedi nudi e con i
capelli sciolti. Al centro della stanza vi posai la sedia, presa da
affianco al bagno. Inserii un CD nel lettore e tenni la traccia che
mi sarebbe servita pronta. Presi il mini-telecomando e lo portai con
me dietro alla porta. Avevo il cuore a mille. Lo stavo veramente per
fare? Una cosa del genere non me lo sarei mai aspettata di farla,
soprattutto da me. Feci un bel sospiro e chiusi gli occhi ascoltando
silenziosamente i miei battiti. Ad un tratto sentii dei passi dietro
la porta e trattenni il respiro. Questa si aprì ma Tom non mi
vide dato che me ne stavo dietro. Una volta dentro e chiusa la porta
io feci partire la musica. Vidi Tom guardarsi intorno ed io chiusi la
porta a chiave. Misi sul comò il telecomando e mi avvicinai a
lui. Posai due mani sulla sua schiena e lui si voltò verso di
me. Mi squadrò dalla testa ai piedi rimanendo estasiato.
-Nooo-
esclamò divertito. La situazione gli piaceva, lo sapevo, si
vedeva lontano un miglio. Cercai di tirare fuori la “pantera”,
come la chiamava lui, che era in me. Sfoderai uno sguardo malizioso e
lo feci indietreggiare fino a farlo sedere sulla sedia. Mi slacciai
la vestaglia buttandola a terra. Gli sorrisi sempre con malizia e gli
accarezzai le spalle, scendendo e percorrendo gli addominali da sopra
la maglia. Mi rialzai e cominciai a muovermi sensualmente, seguendo
il ritmo fluido della musica. I miei occhi non si staccavano dai
suoi, anche se facevano fatica a mantenere il contatto visivo. Il suo
sguardo malizioso mi mandava fuori di testa. Mi sentivo timida
nei suoi confronti... non mi era mai capitato con lui. Certo, non mi
era neanche mai capitato di fare qualcosa del genere. Mi scompigliai
i capelli e mi avvicinai di nuovo a lui, provocandolo. Lui mi sorrise
allungando le mani verso di me ma io gliele scostai. Lui sospirò
compiaciuto. Gli piaceva quel “giochetto”. Eccome se gli piaceva,
constatai abbassando per un attimo lo sguardo verso il cavallo dei
suoi jeans. Feci il giro della sedia, infilando le mani dal collo
della sua maglia XXL. Gli accarezzai i pettorali lisci fino a
scendere sugli addominali e, sempre da dietro, passai la punta della
lingua sul suo collo, sotto il lobo dell'orecchio. Lo vidi sussultare
appena e potei notare la pelle d'oca che già si faceva spazio
sulle sue braccia. Tirai fuori le mani e tornai davanti a lui. Presi
a mordicchiare il suo piercing al labbro mentre gli sfilavo
lentamente la maglia. La buttai a terra e mi sedetti a cavalcioni su
di lui. Mi guardava estasiato, con la voglia che saliva sempre di
più. Posò le sue mani sui miei fianchi ma io gliele
feci appoggiare di nuovo sulla sedia. Gli diedi dei baci sul collo
per poi scendere.. scendere.. scendere fino alla cintura dei
pantaloni. Lo sentii fremere quando gliela slacciai. Dovevo essere
bordeaux, ma cercai di non pensarci per risultare spavalda. Gli
slacciai anche i jeans e lui alzò lievemente il bacino per
farseli sfilare. Tornai su di lui strusciandomi un po'.
-Così
mi farai impazzire, lo sai, vero?- mi sussurrò all'orecchio
con voce roca e dannatamente eccitante. Io, in risposta gli morsi il
labbro, sedendomi di nuovo a cavalcioni su di lui e muovendomi un po'
sui suoi boxer. Una reazione da parte sua, senza dubbio, la sentii.
Sorrisi e lo baciai di nuovo con passione. In quel momento, proprio
quando sentii le sue mani salire sulla mia schiena nuda, la canzone
finì e ne partì un'altra, quasi più sexy e dolce
allo stesso tempo. A quel punto non potei non lasciarmi prendere
completamente dalle emozioni. Mi lasciai accarezzare con dolcezza. Mi
prese in braccio ed io lo strinsi a me mentre lui mi posava piano sul
materasso. Mi baciava il collo alternando piccoli morsi posando il
suo peso su di me. La sua bocca scese verso il reggiseno che venne
lanciato in una zona sconosciuta della stanza. Scese sul mio ventre
fino ad arrivare agli slip che mi sfilò con lentezza
disarmante. Tornò sul mio viso che accarezzò con cura,
come se lo volesse studiare. Posò di nuovo le sue labbra sulle
mie mentre si toglieva i boxer. Mi prese da sotto le ginocchia,
facendomele piegare ed insinuandosi tra esse. Sospirai estasiata. Mi
mancava quel contatto, nonostante fossero passati tre giorni.
Movimenti lenti e sinuosi, quasi seguendo il tempo della canzone.
Occhi negli occhi e tutti il resto svanì. Gradatamente,
cominciò ad accelerare le spinte, provocando in me dei gemiti
leggermente più forti. Gli accarezzai il viso con una mano,
mentre l'altra andò ad aggrapparsi alla sua spalla. -Ti amo,
piccolina- sussurrò prima di gemere più forte. Sapevo
che stava per arrivare, ma non eravamo protetti.
-Anch'io,
però attento, amore- balbettai prima di venire inarcando la
schiena fra le sue braccia. Lui si affrettò a staccarsi da me
per poi venire anche lui. Dove? Sul lenzuolo, giustamente.
Riprendemmo aria ed io sorrisi.
-A
chi tocca pulire, ovviamente? A me- ridacchiai ancora affannata. Lui
fece lo stesso accarezzandomi il viso e baciandomi.
-Questo
è stato senza dubbio il compleanno più bello- sussurrò
prima che gli tappassi di nuovo la bocca con un altro bacio.
-----------
Note finali:
premetto che non mi piace com'è venuto.. me lo immaginavo in
maniera completamente differente. Dico la verità, inizialmente,
quando vi ho detto che ne sarebbero successe, era perchè avevo
in mente di far arrivare Andreas... ma alla fine ho cambiato idea e me
n'è venuta un'altra xD
Mi sembrava troppo scontato che arrivasse subito... ho già
un'ideuzza per il prossimo capitolo. Parlando sia di David, che di
Hellen che di Andreas... e dei due piccioncini -.-'
Insomma... un pò tutti quanti ^^
Adesso devo solo riordinare queste idee ^^
Beh, spero vi sia piaciuto lo stesso... ah... adesso è tutto
rose e fiori.. ma si sa... le mie FF non sono mai sempre piatte e
tranquille U.U
xDxD
Lasciate commentini ^^
Bacioni *-*
Ringrazio: Rebbina (non so che dire! ^^ sono contenta che ti piaccia e che ti sia piaciuta anche LFH!) , dark483 , layla the punkprincess , Alcolizzata_VIP , _Pulse_ , streghettathebest , NICEGIRL , _samy.
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
capitolo 5
Capitolo
5
-Georg
Moritz Hagen Listing!-.
L'urlo
di Tom mi aveva fatto svegliare di scatto. Mi guardai intorno
cercando di focalizzare bene la situazione. Ero in salotto, mi ero
appisolata sul divano. Mi voltai e vidi Tom che stava inseguendo
Georg con la scopa puntata sulla sua schiena. Spalancai gli occhi e
corsi in cucina dove trovai Bill, seduto sulla sedia, intento a
massaggiarsi le tempie.
-Che
sta succedendo?!- esclamai seccata.
-Ma
lo sai tu? Che palle... Georg deve averne combinata un'altra delle
sue e Tom, come sempre, si comporta da bambino isterico- borbottò.
Io scossi la testa. Uscii dalla cucina e li inseguii fino a che non
mi fermai in mezzo a loro. Strappai la scopa dalle mani di Tom e
gliela puntai contro.
-Tu!
A cuccia!- ordinai. Fece una smorfia. Mi voltai verso Georg. -E tu!
Fuori a fumarti una sigaretta!- continuai. Lui sbuffò
fulminandomi ed andò a prendersi un pacchetto. -Eh che cazzo,
calmatevi ragazzi!- esclamai esasperata, guardando Georg uscire di
casa. Poi mi voltai verso Tom. Aveva il broncio e se ne stava a
braccia conserte. Involontariamente gli puntai ancora la scopa
contro. -Hai voglia di fare qualcosa di sensato per una volta?- gli
chiesi. Lui sorrise malizioso, prese il manico della scopa e la buttò
a terra avvicinandomisi.
-Oh
sì- sussurrò prendendomi per i fianchi. Io gli tirai
una pacca sul braccio.
-Cretino!-
esclamai indignata e lui mi guardò accigliato. -Sempre e solo
a quello pensi- continuai offesa. Lui fece finta di pensarci un
attimo.
-A
che altro dovrei pensare?- mi chiese. Io spalancai gli occhi e gli
diedi le spalle cominciando a salire velocemente e a passo pesante le
scale. Lo sentii ridacchiare e prendermi per il polso. -Oh scema,
guarda che scherzo- sorrise voltandomi verso di lui.
-Sarà
meglio- borbottai.
-Beh,
che cosa dovrei fare di sensato?- mi chiese poi. Io arrossii ed
abbassai lo sguardo.
-Mi...
mi accompagneresti da mia madre?- sussurrai. -Te l'avevo chiesto
qualche giorno fa- aggiunsi timidamente. Lo vidi sorridere intenerito
e la sua mano si posò sulla mia guancia per accarezzarla.
-Certo
che ti ci accompagno, piccola- mi disse. Io sorrisi ed abbassai di
nuovo lo sguardo. Non sapevo il motivo, ma mi sentivo imbarazzata per
quella mia volontà. Forse un'altra persona non avrebbe avuto
la minima intenzione di andare a trovare la madre che per anni ha
fatto finta di nulla mentre il padre la picchiava. Io sentivo però
il bisogno di vederla, anche solamente per dirle che la detestavo e
che, insieme a mio padre, anche se non per colpa sua, mi aveva
rovinato la vita.
*
Osservavo
quell'edificio completamente bianco e decisamente poco invitante, da
dietro il finestrino della macchina di Tom. Sospirai indecisa. Certo,
ero arrivata fin lì. Non potevo tirarmi indietro ma un sacco
di dubbi continuavano a vorticarmi per la testa. Sentii la mano di
Tom posarsi sulla mia e donarvi una lieve carezza.
-Coraggio.
Non puoi rimandare in eterno- sussurrò con lo sguardo puntato
su di me, mentre io non volevo staccare gli occhi da quella clinica.
Annuii impercettibilmente e, sospirando, scesi dalla macchina. Lui
fece lo stesso e mi raggiunse subito avvolgendomi le spalle con un
braccio. Assieme entrammo. Sentii mancarmi l'aria. Chiusi gli occhi
per un attimo ma, con l'aiuto di Tom, ci dirigemmo verso la
segretaria. -Salve, stiamo cercando la signora Smith- parlò
Tom per me.
-Secondo
piano, porta a destra- rispose la donna, smanettando sul suo
computer. Lui mi prese per mano e mi invitò a camminare
insieme a lui.
-Hey,
tranquilla- mi disse mentre salivamo le scale. -Stai tremando-
continuò stringendomi lievemente la mano. Arrivammo davanti
alla porta. No, non ce la facevo. Non ce l'avrei fatta a vedere mia
madre lì dentro e soprattutto cosciente. Ero sempre stata
abituata a dovermi occupare di lei come di una figlia. Lei non mi
riconosceva. Eppure, in quell'istante, mi avrebbe riconosciuto. Per
un attimo sperai che non fosse così. -Dai- disse Tom aprendo
lentamente la porta. Io non gli lasciai la mano, lo volevo accanto a
me. Avevo bisogno di sostegno, da sola non ce l'avrei fatta. Una
volta dentro i miei occhi saettarono per la stanza, fino a che non si
posarono sull'unico letto occupato. Eccola. Il cuore prese a battermi
all'impazzata in petto. Aveva gli occhi puntati nei miei. Non
riuscivo a sostenere quel contatto visivo, era troppo.
-Sara-
sussurrò incredula la donna. Io deglutii mentre Tom mi dava
una lieve spintarella sulla schiena, facendomi avvicinare. -Tesoro,
stai bene- mi sorrise con le lacrime agli occhi. Io la guardavo
impassibile, quasi con odio. Tom era accanto a me ma non sapeva come
comportarsi. Giustamente, per lui, era una situazione piuttosto
imbarazzante. -Tesoro...- mi chiamò di nuovo.
-Non...
chiamarmi “tesoro”- sussurrai tra i denti. Sì, ce l'avevo
con lei. Tanto. La vidi guardarmi impacciata.
-Sara,
perchè mi dici così?- mi chiese mentre una lacrima
scorreva lungo la sua guancia. Niente in confronto a tutte quelle che
avevo gettato io per il dispiacere. -Sono tua madre- aggiunse con
voce tremante.
-La
madre è la donna che cresce i propri figli con amore ed
attenzione. La madre è quella persona che sa tutto di loro,
che li capisce solo con uno sguardo, che non gli fa mancare nulla.
Che ripete loro “ti voglio bene” o semplicemente glielo dimostra-
la corressi. -Tu non sei stata niente di tutto questo- conclusi poi
sprezzante. Sentii Tom stringermi ancora la mano, come a volermi
fermare, ma non ci sarebbe riuscito. Finalmente potevo dire a mia
madre quanto ce l'avevo con lei, in condizioni “migliori”.
-Sara,
mi dispiace tanto- sussurrò abbassando lo sguardo. -E' vero,
non sono stata niente di tutto questo, ma ti ho voluto bene e ti
voglio bene tutt'ora- continuò ed io alzai gli occhi al
soffitto, con sarcasmo. -Lo sai perfettamente che se sono successe
determinate cose non è stato per colpa mia ma di quel mostro
di tuo padre-.
-Quel
mostro di mio padre intanto lo seguivi volentieri quando ti passava
droga e alcool-.
-Non
mi rendevo conto di quello che facevo-.
-Certo,
non ti rendevi conto-.
-Ti
prego, capiscimi-.
-Tu
mi hai mai capito?! Ti sei mai preoccupata di entrare qualche volta
in camera mia per vedere se stavo bene invece che startene nella tua,
a bucarti o a scopare con Roy?!-. Rimase in silenzio. Sentivo Tom
tremare lievemente, con la sua mano sempre stretta alla mia. Mia
madre abbassò lo sguardo sentendosi in colpa. Faceva bene.
-Mi
dispiace- sussurrò.
-Anche
a me- dissi sprezzante.
-Ma
sappi che non l'ho mai fatto per cattiveria, lo sai che papà
mi obbligava-.
-Oh
Dio, Sheila, non dire cazzate! Lo sappiamo benissimo entrambe che tu
eri innamorata persa di Roy e che facevi tutto quello che ti diceva
lui senza fare una piega, solo per far sì che non si stufasse
di te!-.
-Mi
hai chiamato Sheila...-.
-E'
il minimo-.
-Non
volevo arrivare a questo-.
-Neanche
io. Ma è inevitabile. Il vero motivo per cui sono venuta
qui... è per dirti che insieme a Roy mi hai rovinato la
vita... adesso stai bene. Appena uscirai non venire a cercarmi.
Rifatti una vita se vuoi... ma lontano da me-. Tom mi guardava senza
capire. Pochi giorni prima gli avevo detto che lei era pur sempre mia
madre e che avevo voglia di rivederla. Evidentemente si aspettava una
reazione diversa da parte mia. Ma un conto è immaginare quel
momento... un conto è viverlo e trovarselo davanti agli occhi.
A quel punto la rabbia riaffiora. Che sia giusto, che sia sbagliato,
poco importa. Mia madre mi guardò ancora qualche istante senza
sapere cosa dire. Tirai Tom per la mano e lo invitai a seguirmi fuori
dalla stanza, mentre il suo sguardo dispiaciuto non si staccava da
quello di mia madre. Richiusi la porta e camminai per il corridoio
ancora tremante.
-Piccola-
mi chiamò Tom ma io non lo ascoltai. Continuai a camminare.
-Sara- riprovò. Poi mi prese per il polso, facendomi voltare
verso di lui. -Insomma, fermati!- esclamò. Lo fissai negli
occhi, inespressiva. -Che ti è preso, si può sapere?-
mi chiese.
-Quello
che sarebbe preso a chiunque al posto mio- risposi semplicemente.
-Io
non ti capisco. Perchè le hai detto quelle cose se pochi
giorni prima me ne avevi dette di diverse?-.
-Tom.
Devi capirmi. Almeno tu. Non ce l'ho fatta- sussurrai abbassando lo
sguardo. Lo sentii sospirare per poi stringermi al suo petto e
baciarmi i capelli. Le lacrime ricominciarono a sgorgare dai miei
occhi.
-Spero
solo che tu non te ne penta in futuro-.
*
Stavo
asciugando con un panno un bicchiere, mentre fissavo il vuoto.
Continuavo a pensare al giorno prima. All'incontro con mia madre.
Alle cose che le avevo detto. Apparentemente ne ero convinta.. però
dei dubbi strani continuavano a perseguitarmi nella mente. Non volevo
pensarci più. Non volevo più stare male.
-Hey,
sei ancora nel mondo dei sogni?- sentii una voce maschile di fronte a
me. Alzai lo sguardo e vidi lo stesso ragazzo, Lee se non sbaglio,
che aveva mandato via le ragazze dal bar, quando mi avevano creato
problemi.
-Oh,
ciao- sorrisi. -Sì, sono ancora leggermente addormentata-
mentii abbassando lo sguardo e mettendo apposto quel bicchiere che
continuavo ad asciugare, nonostante fosse asciutto da dieci minuti
buoni.
-Come
stai?- mi chiese sorridendo e sedendosi sullo sgabello del bancone.
-Tutto
bene grazie- risposi.
-Non
sono più venute a darti fastidio quelle là, vero?-.
-No,
no. Ti ringrazio ancora-.
-Figurati-.
-Vuoi
qualcosa da bere?-.
-Una
coca cola può andare, grazie-. Io mi abbassai ed aprii il mini
frigo, tirandone fuori una lattina. Poi presi un bicchiere e gli
versai la bevanda frizzante all'interno, per poi porgerglielo.
-Grazie- ripetette cominciando a bere. -Quanti anni hai?- mi chiese
poi.
-Diciotto-
risposi. -Tu?-.
-Ventuno-
disse per poi posare il bicchiere vuoto sul bancone. -Sei molto
carina- mi sorrise poi. -Tom è fortunato- continuò
mentre io sorridevo rossa in viso, abbassando lo sguardo. -A che ora
stacchi di solito?- mi domandò di nuovo.
-Vero
mezzogiorno- risposi.
-Mezzogiorno...-
sussurrò riflettendo. -Ok! Allora ci vediamo domani- mi
sorrise posando i soldi sul bancone ed alzandosi dallo sgabello.
-D'accordo-
balbettai. Lo osservai uscire dal bar, sorridermi ancora dietro al
vetro, ed incamminarsi verso la sua macchina.
*
Appena
rientrai a casa, David mi venne subito in contro per abbracciarmi. Io
rimasi un attimo interdetta ma ricambiai la stretta dandogli qualche
pacca sulla schiena.
-Ehm...-
cominciai ma David mi interruppe.
-Tesoro,
Tom mi ha detto dell'incontro con tua madre, mi dispiace tantissimo-
mi disse tristemente. Sinceramente non capii quella reazione.
-Ehm,
no, non ti preoccupare, è stata una scelta mia. Tutto apposto-
cercai di tagliar corto. Non avevo più voglia di parlarne. Con
nessuno. Soprattutto se mi dovevo sentir dire “Hai sbagliato, è
sempre tua madre”. L'uomo si staccò e mi accarezzò
una guancia sorridendomi dispiaciuto.
-Beh,
spero che Isy ti piacerà- mi disse dolcemente. Io strinsi gli
occhi per qualche secondo.
-Chi
è Isy?- chiesi incuriosita. Lui semplicemente mi prese la
mano, continuando a sorridere, e mi portò in cucina. Lì
vi trovai la band al completo ma con una persona in più. In
particolare si trattava di una donna, sulla trentina, molto bella.
-Lei
è Isy, la mia fidanzata- la presentò David, orgoglioso.
La mia mandibola minacciò di sbattere a terra. Ero davvero
sorpresa. Allora era una cosa seria! L'appuntamento di David aveva
dato i suoi frutti. Sorrisi sorpresa mentre la donna si alzò
venendomi in contro.
-Ciao,
piacere di conoscerti, Sara- mi sorrise amabilmente stringendomi la
mano. Sembrava adorabile.
-Il
piacere è mio- balbettai gentilmente, non sapendo che dire.
-Isy
starà per un po' nello studio con noi- disse David entusiasta,
studiando le espressioni mie e dei quattro ragazzi ancora seduti al
tavolo. -Spero vi faccia piacere- aggiunse aspettandosi una risposta
affermativa.
-Ma
certo che ci fa piacere- disse Bill.
-Grazie
mille- sorrise Isy. Sì, mi piaceva. Aveva uno sguardo dolce.
Sicuramente saremmo andate d'amore e d'accordo dato che eravamo le
uniche donne della casa. -Avete fame? Se volete vi preparo qualcosa
da mangiare! Faccio delle lasagne che, non per vantarmi, sono la fine
del mondo!- esclamò entusiasta e come potemmo dire di no?
Avevo
la pancia estremamente, esageratamente, spropositatamente piena.
Senza dubbio Isy cucinava benissimo. Aveva preparato delle lasagne
che per davvero erano la fine del mondo! Ero stravaccata sul divano a
guardare la tv assieme a Gustav. Quando sentii un tonfo e dei passi
veloci scendere per le scale. Ci voltammo di scatto e vidimo Tom, con
espressione furiosa, avvicinarsi al divano. Mi prese malamente per la
mano e mi tirò su.
-Hey!-
esclamai infastidita. -Vedi di calmarti!- continuai mentre lui mi
tirava fuori dalla porta di casa. Chiuse la porta e mi guardò
ribollendo visibilmente di rabbia. -Cosa ti prende, si può
sapere?- chiesi massaggiandomi la mano.
-Che
cazzo hai fatto?!- mi chiese furioso. Io lo guardai accigliata. Non
avevo sinceramente capito a cose si riferisse.
-Che
cazzo ho fatto? Se non me lo dici tu!- ribattei cominciando ad
innervosirmi.
-Chi
ti ha dato il permesso di chiamare Andreas?!- urlò fuori di
sé. Spalancai gli occhi.
-Ma
perchè ti scaldi tanto?!-.
-Perchè
mi scaldo tanto?! Sara, tu lo sapevi che non ci parlavamo da anni! Tu
non avevi il diritto di fare di testa tua!-.
-Io
credevo di aver fatto una cosa carina!-.
-No!
Non hai fatto una cosa carina! Ti sei impicciata degli affari miei,
cazzo!-. Io rimasi in silenzio, offesa. -Le cose con Andreas me le
vedo io! Se abbiamo fatto passare tutti questi anni senza parlarci ci
sarà un fottuto motivo! Adesso perchè hai dovuto
prendere il telefono e chiamarlo? Non hai rispettato le mie idee e
nemmeno quelle di Bill!- continuò.
-Io
credevo che ti avrebbe fatto piacere! Dato che tu mi avevi fatto
ritrovare Hellen, volevo fare qualcosa anch'io per te!- urlai con le
lacrime agli occhi dal nervoso.
-Era
una situazione diversa! E poi non te l'ho fatta ritrovare io! È
lei che ha trovato me!-.
-Fa
lo stesso!-.
-Sara,
nelle mie rogne con i miei amici non ci devi entrare!-. Rimasi
interdetta.
-Cioè...
Tom, io sono la tua ragazza, fino a prova contraria!- esclamai mentre
il cuore sembrava volesse perforarmi prepotentemente il petto. -Mi
hai sempre detto che faccio parte della tua vita e che vuoi lo faccia
a pieno! Non me lo stai dimostrando dicendomi queste cose!- aggiunsi.
Lo vidi riflettere qualche secondo. -Evidentemente te ne sei
dimenticato- sussurrai tristemente. Scossi la testa facendo per
rientrare in casa ma lui mi prese per il braccio.
-Non
me ne sono dimenticato- sussurrò alle mie spalle.
-Semplicemente sono arrabbiato perchè sapevi che non volevo
risentirlo- continuò.
-Bene,
allora scusami. Prometto di non impicciarmi mai più negli
affari tuoi- dissi scrollando la mano per togliermi dalla sua presa e
rientrando in casa a testa bassa. Stavo per salire le scale quando
sentii la voce di Bill.
-Saretta,
quale ti piace di più tra questa e...-.
-Non
adesso Bill- lo interruppi mogia continuando a salire le scale,
ignorando il suo sguardo perplesso che mi seguì fino a quando
non svoltai l'angolo. Entrai in camera mia e di Tom chiudendomi a
chiave nel bagnetto. Mi sedetti per terra avvolgendomi le ginocchia
con le braccia e cominciando a piangere silenziosamente. Ero stata
una stupida. Ne avevo combinata un'altra delle mie. Non facevo altro
che sbagliare con Tom. Anche quello che facevo pensando a qualcosa di
bello e piacevole, alla fine risultava sempre un fiasco. E ci
soffrivo. Perchè volevo fare solo del bene per Tom, ma
evidentemente non ne ero capace.
------------
Ringrazio:
Tiky
NICEGIRL
Alcolizzata_VIP
dark483
_samy
_Pulse_
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
capitolo 6
Capitolo
6
-Sara,
te l'ho detto, non ti devi sentire in colpa. È una cosa che
hai voluto fare col cuore e presto lo capirà anche Tom-.
Le
parole di Hellen, per quanto gentili e rassicuranti, non riuscivano a
farmi sentire meglio. Ero seduta in giardino a guardare il cielo
stellato mentre parlavo al telefono con la mia migliore amica. Avevo
ancora gli occhi lucidi. Residui di lacrime versate fino a pochi
minuti prima, in quantità improponibili. Tom riusciva a farmi
sentire sempre una perfetta idiota con poche parole.
-Non
lo so Hellen, era veramente arrabbiato- sussurrai con voce tremante.
Era mezzanotte e mezza e il clima tedesco non era dei migliori. Mi
strinsi nel mio cappotto sospirando. -Vabbè dai, ti lascio
dormire, ti ho stressato abbastanza con i miei problemi esistenziali-
dissi poi.
-Scema,
lo sai che non mi stressi, anzi... mi fa piacere che mi chiami-
rispose. -A proposito, uno di questi giorni volevo venire a
trovarvi, è un problema?- mi chiese dopo un po'.
-Ma
che scherzi? No che non è un problema!-.
-Ah
perfetto-.
-Dì
un po'. Per caso c'entra un certo ragazzo di nome Bill Kaulitz?-.
-Buona
notte!-. La sentii ridacchiare per poi riattaccare. Io scossi la
testa sorridendo lievemente. Lo sapevo che tra quei due c'era
attrazione. Il problema era farli avvicinare e dichiarare l'uno
all'altra, impresa non del tutto semplice, conoscendo il pessimismo
di Bill e la timidezza di Hellen. Mi voltai e rientrai nello studio
richiudendo la porta. Sfregai le mani tra loro per cercare di
scaldarle mentre salivo le scale della casa buia. Arrivai in camera e
detti subito un'occhiata al letto. Tom dormiva, rannicchiato tutto
dalla mia parte del letto. Sorrisi impercettibilmente e mi avvicinai
togliendomi il giubbotto e posandolo sulla poltroncina affianco al
bagnetto. Mi spogliai mettendomi in pigiama e mi sedetti sul
materasso osservandolo tristemente mentre la mia mano gli accarezzava
lievemente i cornrows. Improvvisamente arrivò la stanchezza.
Abbassai la schiena e mi rannicchiai al suo fianco, dato che non
volevo svegliarlo per farlo spostare di qualche centimetro. Il suo
viso, piano piano, parve sempre più sfocato alla mia vista,
fino a che non scomparve definitivamente, lasciando il suo posto al
buio.
*
Non.
Era. Giornata.
Assolutamente
quel giorno la gente doveva tenersi ben alla larga da me. Quel fatto
comportava gravi problemi, dato che lavoravo in un bar e la
gentilezza verso i clienti era essenziale. Beh, poco mi importava. Ce
l'avevo col mondo intero. Mi ero addormentata triste, mi ero
svegliata incazzata. Sì, incazzata. Mi chiedevo perchè
Tom avesse dovuto fare l'egoista insensibile ed ingrato in quella
maniera. Al mattino non si era neanche degnato di salutarmi
decentemente. A malapena ero riuscita a comprendere un “Ciao”
prima che uscissi di casa. A quel punto era lui in torto, non io. E
al diavolo i sensi di colpa!
-Devi
avercela a morte con quel bicchiere- sentii una voce ormai
famigliare. Alzai lo sguardo e scorsi Lee che mi guardava sorridendo.
-Come?-
chiesi ignara di quello che volesse dire.
-Stai
asciugando quel bicchiere in modo così violento che sembra che
ti abbia fatto il torto più grande della tua vita- ridacchiò
di nuovo. Io arrossii e posai subito il bicchiere che per tutto il
tempo aveva assunto le sembianze della testa di Tom. -Qualcosa non
va?- mi chiese di nuovo, piuttosto interessato. Io sospirai.
-No,
non c'è niente che non va- borbottai abbassando di nuovo lo
sguardo.
-Sicura?
Magari c'entra Tom?- mi domandò imperterrito. Ragazzo alquanto
curioso. Solitamente l'eccessiva curiosità mi dava sui nervi,
ma Lee era quasi piacevole. Non mi infastidiva. Forse era quello
sguardo dolce a confondermi le idee.
-Già-
mi arresi.
-Che
ne dici di staccare? Oggi non ti fa bene lavorare- mi sorrise
improvvisamente. Io spalancai gli occhi iniziando a boccheggiare.
-No,
non posso- balbettai.
-Perchè?-
mi chiese innocentemente. Io pensai subito a Tom. Ai paparazzi. Se mi
avesse visto in foto con un ragazzo avrebbe dato di matto.
-Il
mio capo- inventai. -Non vuole che stacco prima- aggiunsi.
-Beh
chiediglielo-.
Insomma,
nessuna scusa ebbe la meglio sull'insistenza di Lee. Stavamo
passeggiando l'uno affianco all'altra per una via in mezzo al verde.
Era tutto così tranquillo. Effettivamente staccare dal lavoro
mi avrebbe fatto bene. Lo avrei dovuto ringraziare. Nel frattempo si
era fatto raccontare tutta la vicenda che era successa tra me e Tom
e, come previsto, trovò qualcosa da ridire su di lui.
-Beh,
scusami, ma è proprio uno scemo. Io, al posto suo sarei stato
contento di un gesto del genere da parte tua- mi disse sicuro di sé.
-No,
non è uno scemo. Forse alla fine ha le sue ragioni. Sarà
stata esagerata la reazione che ha avuto, ma magari sono stata io
quella indelicata- ribattei mogia.
-Io
fossi in te non mi farei tutti questi problemi- commentò con
un'alzata di spalle. Nel frattempo ci sedemmo su una panchina del
parco. Vedevo che mi osservava attentamente mentre un sorriso strano
era dipinto sul suo volto.
-Questa
mia situazione ti diverte?- chiesi abbassando lo sguardo sulle mie
mano raccolte in grembo. Lui scosse la testa senza abbandonare il
sorriso.
-No.
Semplicemente non è giusto che una bella ragazza e
intelligente come te soffra per un capriccio del suo ragazzo- ribattè
tranquillamente. Io scrollai le spalle sospirando.
-Alla
fine non si sa che cosa è giusto e cosa è sbagliato-
commentai pensierosa. Poi osservai l'orologio al polso. -Senti,
scusami, io torno a casa. Sono stanca e ho voglia di riposarmi un pò-
dissi poi alzandomi dalla panchina. Lee sembrava deluso e mi guardava
con sguardo rattristato.
-Beh,
mi lasceresti il tuo numero di telefono?- mi chiese senza timore.
-Lee...-
cominciai sapendo dove voleva andare a parare.
-Non
ti preoccupare, non ti creerò più problemi di quanti tu
già non abbia con Tom. Sarò innocuo- mi sorrise
rassicurante. Avevo il cuore che batteva all'impazzata. Stavo
pensando ad una possibile reazione di Tom. Sapevo che non l'avrebbe
presa bene se mai avesse scoperto che avevo passato qualche minuto
con quel ragazzo.
-Io
non lo so...- balbettai abbassando di nuovo lo sguardo.
-Voglio
solo essere tuo amico- mi interruppe. Io rimasi ancora qualche
secondo in silenzio e poi sospirai annuendo appena. Gli dettai il mio
numero mentre lui se lo segnava sul suo cellulare. -Grazie, ci
vediamo allora- mi disse poi alzandosi anche lui e stampandomi un
bacio sulla guancia. -Ciao- mi salutò andandosene. Ero ancora
ferma davanti a quella panchina ed un solo pensiero mi passava per la
testa: Tom. Cominciai a correre verso la macchina e una volta a bordo
partii diretta verso lo studio.
Pochi
minuti passarono e finalmente vi entrai. Corsi su per le scale ed
aprii la porta della nostra camera. Lo trovai lì, seduto sul
letto, con il mio peluche tra le mani. Quando mi sentì
entrare, alzò lentamente lo sguardo su di me. Non ci pensò
due volte. Appoggiò il peluche da una parte e si alzò
venendomi in contro e stringendomi a sé, quasi facendomi
mancare il respiro. Avvicinò le labbra al mio orecchio e mi
sussurrò poche parole che mi fecero sentire decisamente
meglio.
-Scusami
amore mio, sono stato un cafone. Non ho capito niente, l'hai fatto
per me e io sono stato una merda, perdonami per come ti ho trattata-.
Sorrisi e lo strinsi forte anche io mentre gli occhi mi si
inumidivano.
-E
tu scusami per non averti consultato prima di farlo...- risposi. Ci
staccammo e lui mi diede un bacio sulla fronte. Poi ridacchiò
appena asciugandomi le lacrime.
-Certo
che se noi due non litighiamo una volta non siamo contenti- commentò
divertito. Io sorrisi abbassando lo sguardo.
-Già,
ma che non diventi un'abitudine, io ci sto male- ribattei.
-Anche
io ci sto male, piccola, lo sai- mi accarezzò una guancia.
Senza dubbio ci potevamo definire una coppia un po' lunatica.
Litigavamo di brutto e massimo il giorno dopo eccoci a strapazzarci
di coccole. Ok, ci avevo fatto l'abitudine.
*
Forse,
a quanto pareva, Hellen e Bill prendevano me, Tom e tutti gli altri
per degli stupidi. Chiunque avrebbe potuto scorgere le occhiate
complici e i sorrisi. Hellen poteva dirmi quello che voleva... ma a
me non sfuggiva nulla. Eravamo seduti a tavola, solo tra noi ragazzi.
David ed Isy erano usciti da soli per un cenetta romantica. Chissà
quando sarebbero tornati. Hellen aveva accettato il mio invito di
venire a cena da noi, per la gioia di Bill. Appena l'aveva saputo
aveva spalancato gli occhi per poi spiccare una corsa verso il bagno
ed uscirne tre quarti d'ora dopo perfettamente vestito e profumato.
Anche Tom aveva notato gli atteggiamenti di suo fratello, e se non li
capiva lui non li capiva nessuno.
-Allora,
ti fermi a dormire da noi stasera?- chiese ad un tratto un Bill
alquanto imbarazzato e rosso in viso. Hellen si voltò verso di
me senza farsi notare ed io le sorrisi annuendo.
-Ehm,
sì, se non è un problema- rispose guardandolo.
-Un
problema? Assolutamente no!- esclamò forse un po' troppo ad
alta voce Bill. Io e Tom soffocammo una risata.
-Beh,
che ne dite se andiamo in salotto a fare un bel gioco?- propose Tom
malizioso. Noi lo guardammo accigliati.
-Hai
sbagliato!- esclamò Georg a Gustav che fu costretto a bersi un
altro bicchiere di Vodka lemon. La brillante trovata di Tom
consisteva nel rispondere a delle domande. Ad ogni errore
corrispondeva un bicchiere di Vodka. -Tocca a te!- disse poi il rosso
al biondino che aveva strizzato appena gli occhi. Poi prese un
foglietto dalla scatola e lesse la domanda ad alta voce. -A che anno
risale la scoperta dell'America?- chiese a Tom.
-Ma
dai, questa è facilissima! 1492- sorrise soddisfatto. Gustav
sbuffò e buttò il foglietto da una parte. Tom,
ridacchiando, ne recuperò un altro dalla scatola e,
ovviamente, si voltò furbescamente verso di me. -Qual'è
la capitale della Romania?- mi domandò. Io cominciai a
balbettare... ero indecisa tra due ma poi sparai la prima che mi
venne.
-Budapest!-
esclamai.
-Ma
sei una capra!- rise Tom. Io misi il broncio.
-Come
ti permetti? Non sono una capra!- borbottai incrociando le braccia al
petto. Lui continuò a ridere.
-E'
Bucharest, tonna!- ribattè divertito.
-E
capirai, ci sono andata vicinissimo!- commentai ridacchiando mentre
lui, con un sorriso furbo sul volto, mi versò la Vodka in un
bicchiere e me lo porse.
-Alla
tua salute- disse mentre io lo prendevo e, con sguardo di sfida, lo
ingoiavo in un sorso. Posai di nuovo a terra il bicchiere e pescai un
foglietto.
-La
capitale del Vietnam?- domandai a Hellen.
-E
la miseria!- esclamò spalancando gli occhi e tutti ci mettemmo
a ridere. -Che ne so! Mm... Khatmandu- improvvisò. Io scossi
energicamente la testa.
-No,
tesoro mio, mi spiace, è Hanoi- sorrisi mentre le porgevo un
bicchiere di Vodka. Lei lo prese.
-Non
vale però, era troppo difficile- borbottò prima di
mandare giù il liquido.
La
serata, o per meglio dire la nottata, continuò in quel modo,
tra risate e prese in giro. Verso le tre e mezza eravamo tutti un po'
brilli. Ci alzammo dal pavimento del salotto e per poco non perdemmo
l'equilibrio. Eravamo molto allegri, non del tutto sbronzi. O almeno,
si poteva dire così di tutti tranne che di Bill. Rideva da
solo come un cretino e noi lo seguivamo a ruota contagiati.
-Dai
fratellino, andiamo a fare la ninna- ridacchiò Tom
avvolgendogli la schiena con un braccio ed aiutandolo a salire le
scale. -A te l'alcool non fa bene- continuava divertito, osservando
il rasta che si sbilanciava con la testa all'indietro e rideva
guardando il soffitto. Georg e Gustav decisero di andare a dormire,
trascinandosi al piano di sopra, facendo attenzione a non rotolare
per le scale. Intanto io ed Hellen, con quel poco di lucidità
che ci era rimasta, riordinammo il salotto mettendo via scatola e
alcolici. In cucina sciacquammo i bicchieri per non far pensare male
a David ed Isy una volta rientrati.
-Guarda
che si vede lontano un miglio- esordii ad un tratto con un sorrisetto
furbo sul volto mentre rimettevo apposto il panno per asciugare. Lei
mi guardò un attimo sorpresa.
-Che
cosa?- mi chiese ingenuamente.
-Che
ti piace Bill- sorrisi osservandola teneramente. Vidi le sue guance
andare quasi a fuoco.
-Beh
è un bel ragazzo, nulla di più- balbettò
abbassando lo sguardo e cominciando a torturarsi la manica della
maglia.
-Guarda
che a me lo puoi dire... sei la mia migliore amica-.
-D'accordo,
ammetto che mi fa uno strano effetto-.
-Lo
sapevo! Come sono contenta!-.
-Beh,
io un po' meno-.
-Perchè?-.
-Perchè
non è la stessa cosa per lui-. A quel punto ricominciai a
ridere di gusto. -Lo trovi tanto divertente?- mi domandò
infastidita dalla mia reazione.
-Sì
perchè sei veramente cieca, tesoro mio- risposi cercando di
calmarmi.
-In
che senso?- indagò.
-Nel
senso che tu gli piaci... e anche tanto. Io e gli altri ce ne siamo
accorti. Solo uno stupido non se ne accorgerebbe. In questo caso tu
non te ne sei accorta perchè non sei obbiettiva dato che sei
“accecata dall'amore”- le sorrisi. -Secondo me glielo devi dire-
conclusi. La vidi riflette qualche istante e poi la invitai a
seguirmi su per le scale per andare a dormire. Le mostrai la stanza
che per molto tempo prima che mi fidanzassi con Tom era stata la mia.
Poi entrai nella nostra e chiusi la porta. Vidi Tom sdraiato sul
letto, voltato da una parte ad occhi chiusi. Pensai che stesse
dormendo ma appena mi sentì entrare in camera aprì gli
occhi e mi sorrise.
-Che
serata eh?- mi disse. Io annuii avvicinandomi a lui a quattro zampe,
fino a che non mi sdraiai accanto a lui. Lui mi abbracciò
baciandomi i capelli e sospirando.
-Ho
parlato con Hellen- cominciai. -Le ho detto che dovrebbe parlare con
Bill dato che si piacciono a vicenda, e io non voglio che ci mettano
tutto il tempo che ci abbiamo messo noi due- continuai. Sentii Tom
ridere lievemente.
-Noi
siamo stati degli imbranati- commentò. -Ma siamo un caso a
parte, lo siamo tutt'ora- sussurrò prima di baciarmi
dolcemente ed accarezzarmi la pelle sotto la maglia. Io chiusi gli
occhi sorridendo e rilassata da quel suo tocco dolce, fino a che il
suo sussurro diventò solo un'eco lontana.
Una
bambina correva verso di me con le lacrime agli occhi.
-Mamma!-
urlava piangendo. Io la guardavo spaventata. Non capivo. -Mamma!- mi
chiamò di nuovo disperata, fino a che non arrivò
davanti a me si aggrappò ai miei pantaloni. -Mamma, guardami!-
urlò di nuovo. Sì, la stavo guardando... ma era tutto
così assurdo. Rimasi in silenzio ad osservare quella bambina
dagli occhi nocciola, gonfi di lacrime. -Mamma, non mi vuoi bene?!-.
Mamma...
Mamma...
Mamma...
Io
non ero una mamma e non volevo esserlo!
Non
ne ero in grado.
Non
volevo commettere gli stessi errori di mia madre, Sheila.
Volevo
svegliarmi da quell'incubo.
--------------
Ringrazio: NICEGIRL Alcolizzata_VIP _Pulse_ e Tiky
Ragazze non mi sparite ç___ç
Baci <3
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
capitolo 7
Capitolo
7
Spalancai
improvvisamente gli occhi. Gocce di sudore scorrevano imperterrite
dalla mia fronte, percorrendo le mie guance e per poi morire sul
cuscino. Respirai velocemente cercando di riprendere aria. Mi voltai
qualche secondo verso Tom. Dormiva con un sorriso sereno sul volto e
con un braccio appoggiato alla mia vita. Ad un tratto un tremendo
senso di nausea mi pervase e mi alzai velocemente dal letto, senza
badare al fatto di aver dato automaticamente uno strattone a Tom
svegliandolo. Entrai nel bagnetto e mi inginocchiai con la testa nel
water. Strinsi gli occhi umidi cercando di reprimere quella
sgradevole sensazione. Una volta finito mi sedetti per terra dopo
aver tirato l'acqua. Tremavo ancora. Ripensavo a quello strano sogno
che avevo appena fatto. Chi era quella bambina?
-Amore?-
mi sentii chiamare da una voce assonnata. Alzai lo sguardo in lacrime
e lo posai sulla porta, dove trovai un Tom ancora addormentato e in
boxer, a guardarmi preoccupato. -Che hai?- mi chiese ancora
avvicinandosi. Io scossi la testa. Si inginocchiò davanti a me
accarezzandomi i capelli. -Non ti senti bene?- mi domandò di
nuovo.
-Ho
fatto un sogno strano- balbettai ancora con la fronte imperlata di
sudore. Mi alzai lievemente ed andai a sciacquarmi bocca e viso al
lavandino mentre Tom mi guardava, alle mie spalle, dal riflesso dello
specchio. Mi asciugai con l'asciugamano e poi appoggiai le mani al
lavandino, mentre Tom si avvicinava dietro di me per poi posare le
sue mani sui miei fianchi. Ci fissavamo attraverso quello specchio.
-Ho... ho sognato una bambina- sussurrai guardandolo di sottecchi. Lo
vidi incuriosito e rimanere in silenzio, forse aspettandosi che io
continuassi. -E questa bambina correva verso di me chiamandomi...-
deglutii a fatica. Una carezza di Tom riuscì a farmi
completare la frase. -... mamma- conclusi. Lo vidi aprire un po' di
più gli occhi. Quegli occhi così simili a quelli della
bambina...
-Beh...-
cominciò Tom incerto. -Era solo un sogno, no? Non ti
preoccupare- cercò di sorridermi rassicurante abbracciandomi e
poggiando il mento sulla mia spella, senza mai staccare i suoi occhi
dai miei. Io annuii insicura.
-Certo...
solo un sogno- mi auto convinsi. Mi baciò la spalla e si
staccò.
-Tranquilla-
mi disse ancora prima di uscire. Io rimasi a fissarmi allo specchio
ed automaticamente gli occhi si abbassarono sul mio ventre, così
come le mie mani. Deglutii.
*
-Sara?
Sei sulla Terra?-. Ero talmente persa nei miei pensieri che non mi
ero neanche accorta che Bill mi stava parlando da minuti
interminabili. Lo vidi sventolarmi una mano davanti agli occhi. -Hey,
tesoro, tutto bene?- mi chiese di nuovo preoccupato. Io annuii
freneticamente.
-Ehm,
sì, tutto... tutto bene- balbettai. -Dicevi?-.
-Nulla,
non ha importanza... piuttosto mi dici perchè è tutto
oggi che sei strana? Stai nel tuo mondo, sei assente, non parli- mi
analizzò. Il mio cuore batteva decisamente troppo forte e
veloce. Avevo quasi paura che Bill potesse sentirlo.
-Non
ho niente- conclusi sforzando un sorrisetto insicuro. Non potevo
certo confessargli la mia preoccupazione. Come minimo gli sarebbe
venuto un infarto ancora prima di accertarcene. Mi alzai dal letto
sapendo perfettamente quello che dovevo fare. -Io vado a trovare
Hellen, Bill. Vuoi che le dica qualcosa da parte tua?- gli chiesi
maliziosa. Lo vidi arrossire come un peperone.
-No,
ma va!- esclamò imbarazzato.
-Anche
tu le interessi- sorrisi ignorandolo. Lui mi osservò qualche
istante boccheggiando. -Ciao ciao cognatino!- aggiunsi contenta
uscendo di casa. Non potei fare a meno di ridacchiare. Sapevo che
l'avevo lasciato senza parole. Soddisfatta salii in macchina e misi
in moto. Presi il cellulare e lo portai all'orecchio dopo aver
composto il numero della mia migliore amica.
-Pronto?-
rispose.
-Hellen?
Sto venendo a casa tua, è urgente- le dissi subito con voce
tremante.
-Oddio,
è successo qualcosa di grave? Non mi far preoccupare-.
-Non
lo so... adesso arrivo e ti spiego tutto-.
-Ok,
sei con Tom?-.
-No,
Tom è fuori con Georg e David-.
-Oddio,
vi siete lasciati?!-.
-Che?!
Ma va! Senti, ti ho detto che arrivo e ti spiego tutto, ciao!-.
Finalmente
arrivai davanti a casa sua. L'ansia mi stava uccidendo. Certo era
strano tornare nella città della mia casa nativa. E
soprattutto nella casa dove io e Tom avevamo seriamente rischiato di
dirci addio. Scesi dalla macchina e corsi verso la porta dove suonai
in modo frenetico. Sentii dei passi affrettati dietro ad essa fino a
che non venne aperta. La prima cosa che mi venne spontanea fare fu
quella di abbracciare Hellen facendola sobbalzare.
-Hey!-
esclamò preoccupata. -Che succede, si può sapere?- mi
chiese chiudendo la porta. Entrammo in salotto per poi sederci sul
divano. Io sospirai e la osservai davanti a me.
-Devi
aiutarmi- sussurrai.
-Sono
qui, basta che mi dici che succede, sto diventando pazza!- esclamò
esasperata.
-Io...
insomma, non è sicuro...- balbettai torturandomi le mani.
-Sara!-
alzò la voce impaziente. Rimasi qualche secondo in silenzio e
poi mi decisi.
-Devo...
devo fare un test...- cominciai.
-Un
test? Ti iscrivi a qualche università e neanche me lo vieni a
dire?- esclamò sorridendo. Io scossi la testa.
-Non
un test universitario. Un test... di gravidanza- ammisi abbassando lo
sguardo. Sentivo troppo silenzio e la cosa mi spaventava. Alzai
lentamente gli occhi e li posai su quelli di Hellen. Era impassibile.
-Beh... dì qualcosa- dissi impacciata. Neanche mezzo secondo,
un urlo isterico mi fece saltare sul divano.
-Che
cosa?!- urlò di nuovo scandalizzata. -Oh mio Dio, oh mio Dio,
oh mio Dio- cominciò a blaterare alzandosi dal divano e
facendo avanti e indietro per il salotto massaggiandosi le tempie. Le
mie pupille, fissi su di lei, vagavano da destra a sinistra.
-Per
favore, ti calmi?! Se permetti quella più in ansia sono io
adesso!- esclamai improvvisamente facendola zittire. Sospirò e
si sedette di nuovo accanto a me.
-Hai
ragione, scusa. È solo che mi hai preso alla sprovvista-
sussurrò.
-A
me no?- borbottai fissando il vuoto.
-Facciamo
così, adesso ti vado a comprare un test di gravidanza. Magari
è tutto un falso allarme. Tu intanto stai tranquilla qui- mi
disse alzandosi per l'ennesima volta. Io annuii mentre lei usciva di
casa. Ero di nuovo sola. La mia mente era pervasa di pensieri diversi
tra loro, intrecciati, complessi e preoccupanti. Sembrava che la
testa volesse scoppiarmi da un momento all'altro.
Dovevo
solo stare calma, magari le mie supposizioni erano tutte sbagliate.
D'altronde mi stavo basando solamente su un sogno e un conato. Poteva
trattarsi di un nulla. Eppure la preoccupazione era tanta e il
presentimento che proprio quelle supposizioni fossero corrette mi
faceva sentire letteralmente male. Cos'avrei fatto se fossi stata
veramente incinta? Cos'avrebbe fatto Tom? Mi avrebbe lasciato? Lo
avrebbe accettato? Troppi interrogativi. Mi buttai con la schiena sul
divano ma me ne pentii subito. Mi rialzai velocemente e corsi al
bagno rimettendo per la seconda volta.
-Sara,
mi stai stritolando la mano-.
Continuavo
a fissare quel maledetto test di gravidanza sul tavolino di fronte a
me, mentre le mie mani quasi fermavano il sangue a quella di Hellen.
Muovevo freneticamente il ginocchio dall'alto verso il basso e
viceversa. Perchè ci doveva mettere tutto quel tempo? O sì
o no. Quello mi doveva dire. Sbuffai.
-Quanto
cazzo ci mette?!- esclamai impaziente.
-Sara,
l'hai appena fatto. Devi aspettare il tempo necessario- rispose
Hellen paziente.
-Lo
so! Ma è tutto così... insopportabile!- urlai con le
lacrime agli occhi. Lei si limitò ad accarezzarmi una mano con
quella libera. -Mi chiedo solo cosa ne penserebbe Tom- sussurrai
guardando il vuoto.
-Sara,
Tom ti ama. Penso che, certo ne rimarrebbe forse un po' scioccato
all'inizio, ma ti starebbe vicino. E poi non è ancora detta
l'ultima parola, può essere solo un falso allarme- mi
rassicurò. In quel momento però nulla poteva
rassicurarmi. Sbuffai per l'ennesima volta buttandomi con la schiena
sullo schienale del divano e con il viso rivolto verso il soffitto.
-Non
posso esserlo. Non devo esserlo e non voglio esserlo! Io odio i
bambini- mi lamentai.
-Secondo
me non li odi- ribattè Hellen sorridendo dolcemente.
-Cosa
te lo fa pensare?- borbottai.
-Secondo
me la tua è una presa di posizione. Non hai avuto tu una bella
infanzia e una bella famiglia, non vedi perchè dovrebbe averla
un altro bambino-.
-Non
è vero-.
-Può
essere il tuo subconscio. E poi hai paura di far passare al bambino o
alla bambina una brutta infanzia come la tua e commettere errori come
ha fatto tua madre. Ma sai benissimo che non lo faresti mai-.
-No,
Hellen. Io odio i bambini punto e basta, non ne voglio sentir
parlare. E io non avrò mai figli-. Sentii un silenzio fin
troppo pesante. La guardai con la coda dell'occhio e vedevo che il
suo sguardo era rivolto al tavolino. -Che c'è?- chiesi
sospettosa.
-Ehm,
ti devo contraddire sull'ultima frase- balbettò mentre io
notavo una gocciolina di sudore scendere dalla sua fronte. Io
spalancai gli occhi e mi alzai di scatto col busto.
-Che
cosa?!- urlai prendendo il test. Paralizzata. Deglutii non una, non
due, centinaia di volte mentre fissavo quelle lineette che mi avevano
rovinato la vita in pochi secondi. Cominciai a urlare lanciandolo
dall'altra parte del salotto. Presi il cuscino e me lo sbattei in
faccia dimenandomi sul divano. Una quantità non misurabile di
lacrime stava già scorrendo sul mio viso. Gli occhi strizzati.
Hellen cercava di fermarmi e di farmi calmare ma la rabbia e
l'isteria avevano preso il sopravvento su di me.
-Sara!
Ti prego, calmati!- cercò di sovrastare le mie urla. Non era
possibile...
*
Il
fumo della camomilla mi accarezzava il viso stanco. Gli occhi gonfi e
rossi fissavano il vuoto. Una delle mie mani sorreggeva la fronte,
mentre l'altra girava a fatica il cucchiaino nel liquido zuccherato.
Hellen era seduta a capotavola, affianco a me, che mi osservava
preoccupata e senza saper cosa dire. Effettivamente non c'era da dire
nulla. Ero incinta. Punto.
-Sara,
bevi la camomilla- mi incoraggiò lievemente.
-Non
mi va- sussurrai. Quasi avevo perso la voce a furia di urlare. Erano
le otto di sera e sicuramente allo studio di registrazione si stavano
chiedendo dov'ero finita. Non me la sentivo di tornare. Non me la
sentivo di affrontare gli occhi di Tom. Non me la sentivo di metterlo
di fronte alla realtà dei fatti, rovinando per sempre la sua
vita, come la mia. Per quello avevo deciso di rimanere a dormire a
casa di Hellen. Lei era l'unica a sapere, quindi l'unica a capire.
Il
mio cellulare prese a squillare e quando vidi che il mittente della
chiamata era Tom mi si raggelò il sangue nelle vene. Scossi la
testa allontanando il telefono.
-Sara,
non puoi non rispondergli- disse sorpresa Hellen.
-Rispondi
tu e digli che... che sono in bagno. Metti il viva voce però-
le dissi col cuore che viaggiava a trecento all'ora. Hellen sospirò
e aprì la conversazione.
-Pronto?-
rispose.
-Ehm...
sei Hellen?- chiese Tom dall'altro capo.
-Sì,
sono io-.
-Come
mai hai il cellulare di Sara e lei non risponde?-.
-Perchè
è venuta a trovarmi a casa mia. Adesso è in bagno e ho
preso io la chiamata-.
-Ah
ok. Beh allora aspetto che torna così me la passi-. Io
spalancai gli occhi e feci segno di no ad Hellen. La vedevo in
difficoltà ed era comprensibile.
-No...
penso ne abbia per un pò- balbettò.
-Ha
fatto indigestione di qualcosa?- lo sentii ridacchiare. Chiusi
gli occhi. Era sempre così solare... sempre così di
buon umore. Cosa c'entravo io con lui?
-No,
nessuna indigestione- rispose Hellen piuttosto mogia.
-Come
mai ti sento triste? Sara sta bene? È successo qualcosa?-.
-Ehm,
no no, nulla-.
-Hellen,
di la verità, sento che mi stai nascondendo qualcosa. Dov'è
Sara?-.
-Tom
insomma... è qui con me!-. Io sgranai le palpebre. -A dire il
vero ci sarebbe una cosa, è inutile che ti dico palle, tanto
prima o poi lo verresti a sapere-. Il mondo mi crollò addosso.
Cosa stava facendo?! Lei mi guardò come per dire “Fattene
una ragione, glielo devi dire”. Mi presi il viso tra le mani
disperata. Hellen mi fece segno di parlare.
-Tom-
sussurrai sospirando.
-Amore-
rispose lui. -Ma che succede, si può sapere?- mi chiese
cercando di stare tranquillo.
-Tom,
ti prego, non fare domande. Rimango a dormire da Hellen stanotte-
dissi con le lacrime agli occhi.
-Cosa?
Perchè?- mi chiese leggermente alterato.
-Non...
non mi sento molto bene ed ho bisogno di parlare con un'amica-.
-E
io che ruolo ho nella tua vita? Parlare col tuo fidanzato non ti fa
più bene?-.
-Tom,
non cominciare con questo tono, lo sai che ci sto male-.
-Io
no invece, venendo a sapere che al posto di parlare con me hai
bisogno di parlare con Hellen-.
-Se
sapessi il motivo capiresti il perchè-.
-Beh
spiegamelo sto cazzo di motivo perchè sono curioso!-.
-Non
posso-.
-Ma
stai scherzando?!-.
-Non
posso per telefono-.
-Bene,
vengo lì-.
-No,
Tom-.
Sentii
riattaccare...
...
merda.
---------------
Note finali: Ragazze, grazie mille per non essere sparite, anzi per essere addirittura aumentate ^^
Gemi_Black:
wow! Oddio è la prima volta che qualcuno mi dice che l'ha fatta
leggere alla madre! Oddio, mi vergogno! xD Hihihi, grazie 1000, mi fa
piacere che ti sia piaciuta LFH e che l'hai stampata, rileggendola
addirittura 3 volte, che pazienza! E grazie per seguire anche questa!
layla the punk princess: danke! ^^
Ice princess: uuh grazie tesoro *-*
NICEGIRL: hihi danke
_Pulse_: hihi, grazie mille! *-*
Tiky: grasshie ^^
little_illusion: ahahah xD grazie donnaH xD
Alcolizzata_VIP: ^^ mi fa piacere, grazie ^^
chia94th: danke *-*
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
capitolo 8
Capitolo
8
Sentirlo
per telefono mi aveva fatto salire l'ansia ma almeno avevo ancora un
barlume di speranza che non arrivasse. Nella mente ripetevo tante
frasi diverse che gli avrei potuto dire. Come gliel'avrei messa?
“Tom, sono incinta”? “Aspetto un bambino”? “Stai per
diventare papà”? L'avrei traumatizzato in qualunque modo e
io non volevo. Io ero giovane, è vero, però lui era
anche uno spirito libero. Non potevo arrivare io nella sua vita e
spezzargli le ali. Non potevo e non dovevo.
Il
cuore mi salì letteralmente in gola appena sentii suonare il
campanello della casa di Hellen. Riuscii solo a sussurrare un “Oddio”
mentre lei andava ad aprire.
-Ciao
Tom- disse impacciata.
-Ciao-
rispose lui scuro in volto, per poi posare gli occhi su di me. -Sono
qui, non siamo più al telefono. Ormai puoi parlare e darmi un
paio di spiegazioni- aggiunse freddamente. Io deglutii un pò
di volte torturandomi le mani.
-Se
volete vi lascio soli- disse timidamente Hellen ma io la bloccai per
un braccio.
-No!-
esclamai quasi terrorizzata.
-Cosa
c'è, adesso ti faccio anche paura?- mi chiese Tom. Io scossi
la testa mentre avevo una voglia tremenda di scoppiare a piangere.
-Allora? Parla, perchè non vuoi tornare allo studio?- mi
domandò ancora.
-Tom,
ti devo dire una cosa ma... ti prego... non urlare- sussurrai
tremante. Lo vidi rilassare un attimo l'espressione del viso ma
mantenendone una preoccupata. Rimase in silenzio aspettando le mie
parole. Io presi un bel respiro e cominciai a parlare lentamente.
-Non volevo accadesse. Mi dispiace se ti ho rovinato la vita,
scusami- dissi piangendo. Lui mi guardava senza capire. -Io... sono
incinta- conclusi abbassando lo sguardo e chiudendo gli occhi per
lasciar cadere a terra le lacrime. Non avevo il coraggio di
guardarlo. Nessuna risposta da parte sua. Non sapevo neanche che tipo
di espressione avesse sul volto. Mi feci coraggio ed alzai lo sguardo
su di lui. Rabbrividii quando notai i suoi occhi lucidi.
-Tu...-
cominciò a balbettare. -Quando l'hai scoperto?- riuscì
a formulare una domanda sensata.
-Oggi-
sussurrai. -Tom, mi dispiace- aggiunsi.
-Che
cazzo dici...- borbottò. -Io... oddio- cominciò a
balbettare di nuovo. -Non lo so- concluse infine sospirando.
-Cosa
non sai?- chiesi titubante.
-Sara,
io... ho solo vent'anni... non sarei in grado di crescere un bambino-
disse afflitto. Sentii Hellen, affianco a me, trattenere il respiro.
-Cosa...
ma... Tom, mi... mi stai dicendo che mi vuoi lasciare?- chiesi
piangendo.
-Sarei
un deficiente se lo facessi dopo tutto quello che ti ho detto-.
-Allora
mi stai chiedendo di abortire?! Io non capisco!-.
-Non
ti sto assolutamente chiedendo di abortire, cazzo! Credi che io sia
così insensibile?!-.
Rimasi
in silenzio a riflettere. Allora cosa volevano dire le sue parole?
Non riuscivo a capire.
-Tom,
sii un po' più chiaro- sospirai nervosamente. Mi guardò
ancora qualche secondo e poi si decise a parlare.
-Ho
detto che non sarei in grado di crescere un bambino, non che non
voglio provarci- sussurrò cominciando a sorridere lievemente.
Il cuore cominciò a battermi all'impazzata. -Io ti starò
vicino, piccola, e ti prometto che insieme ci riusciremo. Se tu vuoi
ovviamente...- continuò dolcemente. Io mi sciolsi in un
sorriso enorme e corsi verso di lui buttandogli le braccia al collo.
Hellen, contenta entrò in cucina lasciandoci soli. -Ti amo-
sussurrò al mio orecchio. -Credevi davvero che avrei avuto il
coraggio di lasciarti?- domandò teneramente.
-Per
un attimo sì- risposi.
-Scemotta...-.
-Però,
Tom... è una bella responsabilità... io non lo so...
non sono pronta. Ho sempre detto di odiare i bambini e adesso...-.
-Non
puoi odiare il nostro di bambino-.
-Ma
non voglio commettere gli stessi errori di mia madre-.
-Non
lo farai, amore mio. Non lo farai-.
*
Alla
fine Tom era riuscito a riportarmi allo studio. Aveva un'espressione
felice sul volto. Sembrava addirittura entusiasta della notizia che
gli avevo dato, ora che l'aveva assorbita per bene. Ma doveva ancora
arrivare la parte più difficile: comunicarlo alla band, a
Saki, ad Isy e... più difficile in assoluto, a David.
Eravamo
tutti seduti a tavola. Nessuno mancava all'appello eccetto Saki che,
come sempre, era a mangiare a casa sua con la famiglia. Io e Tom
spostavamo lo sguardo da un componente all'altro. Mi chiedevo come
l'avrebbero presa.
Ad
un tratto sentii Tom schiarirsi la gola attirando l'attenzione degli
altri.
-Ehm,
io e Sara avremmo una comunicazione da farvi- cominciò
imbarazzato, grattandosi come suo solito dietro la nuca.
-L'ultima
volta che hai detto così a tavola era per il fatto che vi
eravate messi insieme e Bill ne ha fatta una questione di Stato-
ridacchiò Georg.
-Smettila-
borbottò il rasta.
-E'
una cosa seria, ragazzi- li interruppe Tom. -Può essere bella
o meno bella, dipende dai vostri punti di vista. A mio parere è
una cosa stupenda e spero lo sia anche per voi... anche se questo
comporterà... maggior responsabilità e...-.
-Oh
mio Dio- sentimmo David. Ci voltammo verso di lui e potemmo notare
che, affianco ad Isy, aveva un'espressione alquanto preoccupata, a
giudicare dagli occhi sgranati. -Sara è incinta?- domandò
ansioso. Colpiti e affondati. Come aveva fatto ad arrivarci così
presto? Io e Tom sentimmo tutti gli sguardi puntati addosso a noi.
Per un attimo, forse ad entrambi, l'idea di rimangiarci tutto e
scappare da lì attraversò codardamente le nostre menti.
Ma poi ci ripensai.
-Sì,
sono incinta- dissi alla fine, guardandomi le mani in grembo. Neanche
mezzo secondo e sentimmo un colpo violento contro il tavolo che ci
fece alzare lo sguardo su David che vi aveva appena sferrato un
pugno.
-Tesoro-
sussurrò Isy posandogli una mano sul braccio.
-Ma
che cazzo vi dice la testa, eh? Soprattutto a te, Tom! Lo sai cosa
significa questo?! Lo sai?!- cominciò ad urlare il manager
mentre la sua fidanzata cercava imperterrita di farlo calmare.
-Sì,
lo so cosa vuol dire, David! Non sono più un bambino!- esclamò
di rimando Tom.
-Perchè
non siete stati attenti?!-.
-David,
è successo! Non possiamo farci nulla ormai! Il bambino si
tiene!-.
-Non
lo metto in dubbio che il bambino si tiene, Tom. Ma, Cristo santo, un
bambino non è un giocattolo! Va cresciuto! Va tenuto d'occhio
ventiquattro ore su ventiquattro! I giornalisti, se vengono a sapere
una cosa del genere, non daranno pace né a te, né a
Sara, né al bambino! E le vostre fans? Ti sei chiesto come
reagirebbero?-.
-David,
lo so. Ne sono consapevole. Ma perchè devo rinunciare ad una
cosa del genere, solo per l'ambiente intorno? Io ce la posso fare.
Noi due insieme ce la possiamo fare. Non me la sento di farla
abortire. E sinceramente non me ne frega niente del giudizio degli
altri. Non dipende da loro la mia felicità, ma dalle persone a
me care, a cui voglio davvero bene-.
A
quel punto tutta la tavolata era rimasta in silenzio. Le parole di
Tom mi avevano commosso e, dentro di me, sperai che avessero
suscitato la stessa sensazione a David. Quest'ultimo, dopo una lunga
pausa, sospirò abbassando lo sguardo.
-D'accordo,
Tom. È una tua scelta e la rispetto. Ma sappi che dovrai
dimostrare di essere responsabile d'ora in avanti- disse l'uomo,
tornando a guardarlo negli occhi.
-David,
lo sai. Mi conosci. Hai forse qualche dubbio che io, in una
situazione del genere, possa fare il contrario? Insomma, sono un tipo
per niente serio a volte, perennemente spiritoso e tutto quello che
vuoi. Ma quando le questioni si fanno serie ho la testa sulle spalle-
rispose Tom, sicuro di quello che diceva e la cosa mi rassicurò.
Riuscii a scorgere un piccolo sorriso sul volto di David mentre
annuiva. Finalmente i tre ragazzi si alzarono e ci vennero in contro
abbracciandoci e facendoci le congratulazioni. L'atmosfera stava
diventando troppo pesante e fortunatamente eravamo riusciti a
spezzarla. Anche Isy e David, poi, ci vennero ad abbracciare. David
sfregò amichevolmente il pugno sulle treccine di Tom che
ridacchiò togliendoselo di dosso.
-Diventerò
zio- piagnucolò Bill, asciugandosi una lacrimuccia che, come
sempre, si era fatta spazio sull sua guancia. -Bravo, Tomi, sono
orgoglioso di te- aggiunse. Tom mi guardò e sorrise dandomi un
bacio sulle labbra.
*
-Hey,
ma che fine hai fatto ieri? Non sei venuta al lavoro-.
Quando
sollevai lo sguardo notai un Lee sorridente affianco a me.
-Ciao,
ehm, no, ho avuto un paio di problemi- risposi prima di mettere in
moto la mia auto per tornare a casa. Lee si appoggiò con le
braccia al finestrino.
-Perchè
non ci andiamo a fare un giro?- mi propose senza abbandonare il
sorriso.
-No,
oggi non posso. Devo tornare a casa o gli altri mi danno per
dispersa- dissi scuotendo la testa. Lui posò una mano sul mio
braccio ed io lo guardai.
-Qualche
minuto- insistette. Io sospirai e poi sorrisi annuendo.
-D'accordo...
ma solo qualche minuto, davvero- misi in chiaro scendendo dalla
macchina. La chiusi e cominciai a camminare affianco a lui. -Allora?-
chiesi tranquillamente.
-Nulla,
avevo solo voglia di stare un po' con te... ti dispiace?-.
-No,
figurati-.
-Non
vorrei ti facessi ancora problemi per Tom-.
-Oh,
beh... lui c'è, è il mio fidanzato, non posso
ignorarlo-.
-Ci
mancherebbe, lo so-.
Improvvisamente
un attacco di fame incontenibile mi avvolse. Sbuffai.
-Che
hai?- mi chiese preoccupato.
-Ho
fame- borbottai come una bambina. Questo suscitò in lui delle
sane risate.
-Andiamo
a mangiare!- esclamò sorridendo, come se fosse ovvio.
-No,
devo andare a mangiare a casa, ti ringrazio-.
-Come
siete difficili voi donne-.
-Oh,
io sono molto più che difficile, te lo assicuro-.
-E'
un modo per spaventarmi e farmi allontanare indirettamente?-.
-Questa
frase è a libera interpretazione-.
-Mi
potrei offendere, lo sai?-.
-Non
lo farai-.
-Perchè?-.
-Perchè
sai che scherzo-.
Ci
sorridemmo. Passammo una buona mezz'ora a passeggiare e chiacchierare
come qualche giorno prima. Dovevo ammettere che stavo abbastanza bene
con lui. Era un tipo simpatico. Poi, per il momento, non mi sembrava
avesse intenzioni troppo cattive. Finchè non allungava le mani
andava bene. Ci ritrovammo davanti alla mia macchina.
-Grazie
per la compagnia- sorrisi.
-Figurati.
Grazie a te- rispose con la stessa espressione sul volto mentre io
salivo in auto.
*
-Finalmente
sei arrivata! Ma dov'eri?- mi chiese Tom allarmato non appena
rientrai in casa. -Qualche problema? Il bambino? Tu stai bene?-
continuò a tempestarmi di domande. Io sorrisi e lo fermai
posandogli due dita sulle labbra.
-Amore!
Calmati!- ridacchiai. -Io sto benissimo e anche lo scricciolino.
Però... ho fame!- esclamai correndo in cucina. Sentii le
risate di Tom che mi seguì alle mie spalle mentre io già
frugavo nei cassetti e aprivo le ante di tutti i mobili. -Ho voglia
di cioccolato! C'è un po' di cioccolato?- chiesi con gli occhi
da cucciolo, voltandomi verso di lui. Lui mi venne in contro e mi
diede un bacio.
-No,
se vuoi ti do un bel gambo di sedano- rispose. Io lo guardai zitta e
seria. Non resistette e scoppiò di nuovo a ridere.
-Non
sei per niente divertente. Ho fame!- brontolai ancora sbattendo un
piede per terra.
-Non
fare la bambina capricciosa, su. Prenditi un pezzo di formaggio dal
frigo prima che pranziamo- sorrise uscendo dalla cucina. Non me lo
feci ripetere due volte e mi fiondai sul frigorifero.
-Ma
guarda, parti già con la fame e le voglie- sentii ridacchiare
sulla porta. Mi voltai e vidi Isy appoggiata allo stipite. Ricambiai
il sorriso mentre portavo il formaggio sul tavolo.
-Mi
sento un lupo- dissi recuperando un coltello dal cassetto. Lei si
avvicinò e si sedette di fronte a me.
-Ah
la conosco bene questa sensazione- sospirò dolcemente con lo
sguardo sognante.
-Tu
hai figli?- le chiesi incuriosita mentre masticavo già il
primo pezzo di formaggio. La vidi annuire.
-Una
figlia di quattordici anni che ho avuto a ventun'anni... ero anche io
giovane come te e Tom-.
-E
adesso non la vedi mai?-.
-Beh,
la situazione è un po' complicata. Ha deciso di vivere con suo
padre, dato che sono stata io a lasciare lui. Lei ha sempre visto
questa cosa come un tradimento verso di lei. Purtroppo non capisce
che il mio bene per lei, anche se ho lasciato suo padre, non è
mai cessato. Era normale che finisse la nostra storia, eravamo troppo
giovani e troppo diversi-.
Io
mi irrigidii. Troppo giovani e troppo diversi. Io e Tom eravamo
giovani e diversi. Mi morsi nervosamente il labbro.
-Hey,
adesso non ti agitare. Non è detto che tutti questi tipi di
coppie debbano rompere. Il mio è stato un caso. Un caso
frequente, ma pur sempre uno- mi sorrise cercando di rassicurarmi. Io
annuii incerta portandomi alla bocca un altro pezzo di formaggio.
*
Quella
sera mi ero infilata abbastanza presto nel letto. Respiravo
nervosamente guardando il vuoto davanti a me. Non sapevo il motivo,
ma nella mia mente continuavano a vorticare le parole di Isy.
“Era
normale che finisse la nostra storia, eravamo troppo giovani e troppo
diversi...
Era
normale che finisse la nostra storia...
Troppo
giovani e troppo diversi...”
Chiusi
gli occhi scuotendo la testa e tirandomi uno schiaffo sulla tempia.
La dovevo smettere con quelle mie paranoie o non vivevo più.
Come aveva detto lei, non si trattava di una regola. Se noi eravamo
destinati ad andare avanti bene e per sempre, nulla sarebbe successo.
Ma se non fosse stato così?
Proprio
in quel momento entrò in camera Tom. Mi sorrise non appena lo
guardai, mentre richiudeva la porta.
-Hey,
piccola, che fai ancora sveglia? Pensavo stessi dormendo già
da un bel pezzo- mi chiese dolcemente sedendosi sul letto accanto a
me. Io non risposi. Semplicemente lo presi da dietro il collo e lo
avvicinai al mio viso, baciandolo passionalmente. Avevo le
sopracciglia leggermente aggrottate. Cercavo di scacciare i miei
pensieri. Lo sentii respirare con un leggero affanno. -Che hai?- mi
chiese mentre io facevo scendere la mano dal collo alla spalla, fino
al cavallo dei suoi pantaloni.
-Facciamo
l'amore, ti prego- sussurrai prima di baciarlo di nuovo. Forse aveva
capito che avevo qualcosa che non andava, perchè lo sentii per
qualche secondo come impacciato, ma preferì non indagare ed
accontentare la mia richiesta.
------------------------
Ringrazio di cuore:
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chia94th
layla the punkprincess
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
capitolo 9
Capitolo
9
Un
mese dopo...
«Tom,
calmati, è solamente un'ecografia» sorrisi intenerita.
Tom
sembrava addirittura più agitato di me.
Seduto
affianco a me, muoveva nervosamente la gamba su e giù, come
suo solito.
Ci
trovavamo in sala d'aspetto, solamente io e lui.
Avevamo
deciso così, almeno alla prima ecografia.
«Vabbè,
se permetti, sto per vedere un ammasso di roba ancora deforme che
dovrebbe essere il mio bambino» ribattè quasi offeso. A
me invece veniva da ridere.
«Ammasso
di roba ancora deforme» ridacchiai. «Non sembra una bella
cosa, detta così» continuai divertita.
«Dai
che mi hai capito» tagliò corto facendo un gesto
svogliato con la mano. Io gliela presi fra le mie e gliel'accarezzai.
«Ho
capito che sei un tenerone» sorrisi.
«Che
lo sono, lo sapevi già» borbottò mentre io notavo
un leggero rossore sulle sue guance.
Ma
un ragazzo così, dove me lo sarei più trovato?
Ad
un tratto, una dottoressa uscì dalla stanza assieme ad una
donna col suo fidanzato.
«Arrivederci»
sorrise alla coppia che sparì dietro l'angolo. «La
prossima?» chiese poi. Io e Tom ci alzammo dalle nostre sedie.
La dottoressa ci invitò ad entrare per poi richiudere la
porta. «Come siete giovani» osservò guardandoci.
Io e Tom sforzammo un sorrisetto. «Allora, tesoro, sdraiati su
quel lettino e tirati su la maglia» mi disse poi gentilmente.
Io ubbidii. Tom mi si mise affianco. «Quanti anni avete?»
ci chiese di nuovo.
«Io
venti, lei diciotto» rispose Tom.
Vedemmo
la dottoressa annuire pensierosa mentre prendeva uno strano strumento
ed un gel.
«Sai,
tu mi ricordi molto qualcuno» commentò rivolta a Tom
mentre mi spalmava quel gel particolarmente freddo.
Mi
venne la pelle d'oca al suo immediato contatto. Sentii Tom sospirare.
«Non
lo so» borbottò mentre la dottoressa passava lo
strumento su vari punti del mio ventre, tenendo gli occhi fissi sullo
schermo affianco a me.
Vidi
Tom allungare lievemente il collo per poter vedere incuriosito.
Io
sorrisi. Mi faceva tenerezza.
Anche
io cercai di guardare lo schermo ma ne vedevo solo il lato.
«Allora?»
chiesi alla donna.
«Beh,
direi che per adesso va tutto bene» sorrise lei.
«Non
dica “per adesso”, mi fa venire l'ansia» commentò
Tom facendo ridacchiare sia me che la dottoressa.
«Beh,
è un modo di dire» disse la donna. La vidi scrutare
attentamente il volto di Tom. «Forse ho capito dove ti ho già
visto» esortò facendolo letteralmente sobbalzare. «Sei
mica il chitarrista dei Tokio Hotel? Mia figlia va matta per loro»
chiese curiosa.
Mi
voltai verso Tom che aveva cambiato completamente espressione.
Odiava
essere riconosciuto.
Ma
d'altronde non si era neanche coperto come sempre.
Se
lo doveva immaginare che a qualcuno non sarebbe passato inosservato.
«Sì,
sono io» sospirò tornando a guardare lo schermo. Poi
posò di nuovo gli occhi sulla dottoressa. «La prego, può
evitare di sbandierarlo in giro?» la implorò.
La
donna lo guardò ancora qualche istante e poi fece un sorriso
che non mi piacque per niente.
«Tranquillo»
si limitò a dire mentre mi puliva la pancia dal gel con uno
scottex.
*
Osservavo
il panorama al di fuori del finestrino dell'auto di Tom.
Ripensavo
alla visita. Alla breve conversazione tra Tom e la dottoressa.
Non
sapevo il motivo, ma quella donna non mi piaceva.
«Amore,
che hai? Ti vedo pensierosa» mi riportò sulla Terra Tom.
Io
sorrisi scuotendo la testa.
«Niente,
tranquillo» dissi velocemente, tornando a guardare la strada.
«Sicura?»
mi domandò di nuovo.
«Insomma,
tu ti fidi di quella lì? Sei davvero sicuro che non andrà
a dire in giro che Tom Kaulitz sta per diventare papà? Sai
quanti soldi ci farebbe?» confessai.
In
presenza di Tom, nessun mio segreto sarebbe mai stato al sicuro.
«Ma
amore, dai, non penso sia così perfida. Le ho chiesto
chiaramente di non farlo. È una donna adulta, non una
ragazzina in cerca di scoop» ridacchiò lui senza mai
staccare gli occhi dalla strada davanti a sé.
Io
sollevai le spalle.
«Sarà,
ma a me non convince» borbottai.
Lui
sorrise e mi prese la mano appoggiata sulla mia gamba, per poi
accarezzarmela dolcemente.
«Secondo
me devi stare un po' più tranquilla. Hai altre cose a cui
pensare adesso» mi disse alludendo alla mia gravidanza.
Finalmente
arrivammo a casa.
Ci
saremmo dovuti sorbire tutti gli urletti striduli di Bill, alla vista
delle foto della prima ecografia.
Lui
era fatto così.
Non
riusciva a contenere le proprie emozioni e a volte sembrava una
“donnetta in calore” proprio come lo chiamavano ogni tanto Tom e
Georg.
Ma
come si poteva non voler bene alla nostra prima donna?
Entrammo
in casa e, detto fatto, Bill si precipitò da Tom,
strappandogli di mano la cartelletta con le foto.
Tom
scosse la testa sorridendo ed alzando gli occhi al cielo.
Seguimmo
Bill in salotto, dove si era seduto sul divano, in mezzo a Georg e
Gustav che sbirciavano insieme a lui nella cartelletta.
Io
e Tom ci sedemmo vicini, sul divano affianco, osservandoli divertiti.
«Oddio,
lo sapevo, ha il mio naso!» strillò Bill.
Io
e Tom ci scambiammo un'occhiata perplessa.
«Ehm,
Bill, alla prima ecografia non si vede quasi niente. Come caspita fai
a dire che il naso è uguale al tuo? E poi, non per rovinarti
l'entusiasmo... ma vorrebbe dire che è uguale al mio di naso,
dato che siamo gemelli e siamo identici, te lo devo ricordare?»
lo riprese Tom.
«Io
lo so, me lo sento, ha il naso uguale al mio!» ribattè
sorridente Bill.
«Bill,
chi ha fatto sesso con Sara, io o tu? Direi io... quindi il naso è
il mio!».
«Tecnicamente
è vero... però, voglio dire, è palese, si vede
che il naso è il mio!».
«Ma
come cazzo fai a vederlo?!».
Io,
Georg e Gustav cominciammo a ridere, mentre la discussione dei
gemelli andava avanti.
Decidemmo
di lasciarli da soli ed andare in cucina a prepararci una cioccolata
calda.
«Bill
è proprio tremendo» ridacchiò Georg sedendosi al
tavolo con Gustav.
«Sì,
ma Tom gli va decisamente dietro. Non so chi dei due sia più
scemo» sorrisi recuperando tre tazze vuote.
«Tu
come ti senti?» mi chiese Gustav.
«Io
benissimo, davvero. È strano, sono sempre stata contraria
all'idea di avere un bambino e invece adesso sono... serena»
sorrisi emozionata. Vidi i due ragazzi sorridere e poi mi dedicai
alla cioccolata.
«Siamo
veramente contenti per te. D'altronde un po' di serenità te la
meriti, dopo tutto quello che hai dovuto passare» sentii la
voce di Georg alle mie spalle.
Aveva
ragione. Era arrivato il momento di prendermi una rivincita su tutto.
«Grazie
Georg» risposi versando la cioccolata nelle tre tazze.
Poi
le poggiai sul tavolo, di fronte a Georg e Gustav. Io presi la mia e
mi sedetti davanti a loro.
«Sai,
Tom è davvero entusiasta» riprese Gustav, mentre io
soffiavo sul liquido bollente nella mia tazza. Sollevai lo sguardo su
di lui. «Non fa altro che parlare di te e del bambino. Noi
eravamo convinti che mai sarebbe potuto cambiare... sia con le
ragazze che per gli ideali di una sua famiglia ipotetica. Devo dire
che gli ha fatto veramente bene l'entrata della tua figura nella sua
vita».
Dovevo
avere sicuramente gli occhi lucidi, perchè quello che mi aveva
detto mi aveva lasciata veramente senza parole.
«Grazie
GusGus» sussurrai sorridendogli.
Quel
ragazzo parlava poco, ma quando lo faceva diceva delle cose stupende.
«E
di cosa... è la verità» rispose.
«E
poi lo sai che ti vogliamo bene, ma tanto tanto!» esclamò
Georg prima di bere ancora un po' di cioccolata e poggiare la tazza
con il risultato di una bella macchia al cioccolato sul naso.
Scoppiai a ridere. «Che c'è?» mi chiese ignaro di
tutto.
In
quel momento entrò in cucina Tom, seguito da Bill che ancora
esponeva le sue teorie sul naso del bambino.
«Ma
quanto sei pirla da uno a dieci?» chiese Tom con un sorriso
malizioso al rosso.
«Perchè?»
chiese Georg incuriosito.
Io,
ridacchiando, presi il tovagliolo e glielo spiaccicai sul naso.
Quello
rimase appeso e lui incrociò gli occhi verso il basso,
osservando lo scottex sul suo setto nasale.
Sentii
Tom ridere fino a quando non mi abbracciò da dietro,
appoggiando il mento sulla mia testa.
L'atmosfera
in casa era così serena, bella... perfetta.
*
«Shopping?»
chiesi incuriosita ad Isy, che stava davanti a me e mi guardava con
occhi imploranti.
«Sì,
sai... è da un po' che non ci vado. Da quando mi sono messa
con David. È difficile trascinarmelo dietro per negozi e, ora
che finalmente c'è un'altra figura femminile...»
cominciò a spiegare imbarazzata. Io sorrisi e la interruppi.
«Ok,
ok, ho capito. Mi cambio e scendo» dissi.
«Grazie,
sei un angelo» mi sorrise Isy, uscendo dalla stanza mia e di
Tom.
I
Tokio Hotel avevano ricominciato a lavorare.
Il
lungo periodo di pausa era terminato e, quel giorno, avrebbero dovuto
fare un servizio fotografico.
Ne
avrei sicuramente approfittato per un po' di shopping con Isy.
Già
che c'ero, avrei anche potuto vedere qualche cosa utile per il
bambino.
Tutta
quella situazione, più ci pensavo, più mi sembrava
strana.
In
pochissimo tempo ero stata costretta a saltare dall'adolescenza
all'età adulta.
Non
ero sicura di essere pronta. Anzi, non lo ero per niente.
Una
ragazza di diciotto anni non può fare il lavoro più
difficile in assoluto: la mamma.
Ancora
più difficile che fare il dottore, l'avvocato, l'astronauta.
Essere
madre vuol dire crescere un essere umano, essere responsabile della
sua vita, fare in modo che non gli manchi nulla.
Io
ne ero in grado? Assolutamente no.
Ma
Tom riponeva fiducia in me e in noi due insieme, così come gli
altri ragazzi.
Ce
l'avrei fatta. Ce l'avremmo fatta.
«Hey,
piccola, dove vai di bello? Esci senza dirmi niente?» mi chiese
un Tom sorridente, mentre usciva dal bagnetto di camera nostra.
«Vado
a fare un po' di shopping con Isy. È da tanto che non mi
compro qualcosa. Poi adesso dovrò andare a prendere tutta roba
larga tre volte me» borbottai scocciata, osservando allo
specchio il mio ventre piatto. Sentii Tom ridacchiare. «Tu
ridi, ma io mi dispero. Guarda bene questo» dissi dandogli le
spalle e indicando il mio fondoschiena. «Perchè tra un
po' prenderà il suo posto un grosso paio di cesoie»
piagnucolai.
Lui,
senza troppi complimenti, lo prese fra tutte e due le mani e mi baciò
il collo.
«A
me piacerà lo stesso perchè sarà sempre il tuo»
sussurrò all'orecchio.
Bella
consolazione. Beh, se non altro ci aveva provato.
*
«Mi
sento tanto ragazzina in questo momento. Mi sembra di tornare ai miei
sedici anni» disse entusiasta Isy, guardandosi intorno, in quel
negozio enorme. Non potei fare a meno di sorridere e dare anche io
un'occhiata in giro. Certo, non potevo perdere troppo tempo tra le
taglie 44, dato che presto la mia sarebbe vertiginosamente aumentata.
D'accodo, mi dava fastidio! «Hey,
cos'è quel faccino demoralizzato?»
mi chiese Isy che evidentemente aveva intuito i miei pensieri. «Sai,
anche io ai primi tempi della mia gravidanza pensavo a quanto mi
sarebbe mancato il mio fisico. Ma ti posso assicurare che dopo non te
ne fregherà più di tanto, quando comincerai a sentire
che il tuo bambino cresce dentro di te. E poi, tranquilla, un po' di
palestra e si torna in forma!»
disse sorridendomi e strizzando l'occhio.
Io
ricambiai il sorriso. Forse aveva ragione, anzi sicuramente.
Ma
era pur sempre difficile da accettare!
«Ma
guarda chi si vede!»
sentii esclamare alle mie spalle.
Vidi
Isy guardare nella direzione di quella voce ed alzare un sopracciglio
incuriosita.
Mi
voltai e trovai davanti a me un Lee sorridente.
«Lee!»
lo salutai sorpresa. «Tu
che fai shopping?»
chiesi divertita.
«Beh,
anche noi uomini abbiamo bisogno di vestiti, sai?»
rispose indispettito. Io ridacchiai leggermente.
«Lei
è Isy» la
presentai poi.
La
vidi fare un cenno con la testa e sforzare un sorrisetto. Mi chiesi
perchè quella reazione.
Lee
invece la salutò cordiale e solare come sempre.
«Sara,
dobbiamo tornare allo studio»
disse velocemente la mia compagna di compere.
«Cosa?
Ma siamo appena arrivate» constatai confusa.
«Ho
appena ricevuto un messaggio da David, forza» concluse senza
troppi giri di parole.
Mi
prese per mano cominciando a trascinarmi verso l'uscita.
«Beh,
allora ci vediamo» disse perplesso Lee, osservando prima me,
poi Isy.
«S-sì,
ci vediamo» balbettai. Uscimmo da quel negozio ed entrammo in
macchina. «Perchè te ne sei voluta andare?» le
chiesi dispiaciuta per come avevo piantato Lee.
«Sara,
quel tipo non mi piace. Come l'hai conosciuto?» indagò
Isy voltandosi verso di me, a macchina spenta.
«Beh,
al bar, perchè?».
«La
faccia non mi è nuova, ma devo capire da dove prenderlo. Nel
frattempo tu promettimi che non lo frequenterai».
«Ma
perchè?».
«Per
prima cosa... sa che sei fidanzata con Tom?».
«Certo
che lo sa».
«A
maggior ragione. Sara, non pensi che quello lì voglia
solamente fare un po' di soldi?».
«Ma
va! Non mi sembra il tipo!».
«Nessuno
sembra il tipo inizialmente. E poi credi che gli dispiacerebbe
racimolare qualche soldo apparendo in qualche foto con te in prima
pagina, intitolata “Una nuova fiamma per la fidanzata di Tom
Kaulitz?” oppure “Stufa del SexGott?”. Intanto Tom si
incazzerebbe come una bestia. Ma non per la figura che farebbe, ma
per il fatto che tu ti vedi con questo ragazzo e lui non ne sa
niente. Perchè immagino che tu non gliene abbia neanche
parlato di questo Lee, dico bene?».
Io
esitai qualche attimo. Mi aveva decisamente preso in contro piede.
Abbassai
lo sguardo imbarazzata.
«No,
non gliene ho parlato» sussurrai.
Mi
sentivo tremendamente in colpa.
Solo
in quel momento mi resi conto che non avevo assolutamente motivo di
nascondere l'esistenza di Lee a Tom perchè era solo un amico.
Ma
se avevo la coscienza pulita allora perchè gliel'avevo tenuto
nascosto?
«Non
è successo niente con quel ragazzo, vero?» chiese Isy
preoccupata.
Io
sgranai gli occhi e la guardai stupita.
«Che
cosa?! Assolutamente no! Come potrei? Sono innamorata di Tom! Sto con
lui, perchè lo dovrei tradire?!» alzai la voce quasi
scandalizzata.
Isy
poggiò una mano sulla mia spalla.
«D'accordo,
calmati, era solo semplice curiosità» cercò di
tranquillizzarmi. Io sospirai abbassando di nuovo lo sguardo.
«Comunque mi fai questa promessa? Smetti di frequentarlo, o
almeno di farti vedere in giro assieme a lui?» continuò.
Io
rialzai lo sguardo su di lei.
Quegli
occhi azzurri che mi fissavano così intensamente mi
destabilizzarono per un attimo e quindi fui costretta: «Sì».
Ora
i dubbi crescevano in me.
Non
mi sembrava possibile che Lee potesse essere quel tipo di persona, ma
se fosse veramente stato così?
Dovevo
cominciare a pensare a Lee come potenziale “pericolo”? Proprio
come la dottoressa?
--------------------
Ringrazio:
_tom
layla the punkprincess
_Reset
_Pulse_
Zucchelino
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
capitolo 10
Capitolo
10
“Ciao,
che fine hai fatto? Non ti ho più vista all'uscita dal lavoro.
Mi manchi”
Quel
messaggio mi aveva letteralmente preso in contro piede.
Dopo
il discorso di Isy, nonostante non mi avesse convinto
particolarmente, non mi era più capitato di pensare di vedere
Lee.
Non
avevo neanche avuto modo di spiegargli il motivo dell'assenza al mio
lavoro: la gravidanza.
Era
vergogna la mia?
Senza
dubbio non era una bella cosa, qualora fosse stato così.
Una
donna dovrebbe urlare al mondo intero e a testa alta di portare in
grembo il figlio della persona che ama.
Il
problema era che io non ero ancora pienamente una donna.
Ero
una ragazza cresciuta troppo velocemente.
Il
motivo non era solamente la gravidanza, ma anche i fatti avvenuti nel
mio passato che, senza dubbio, mi avevano segnato.
A
dieci anni avevo dovuto imparare a far da mangiare, a pulire casa, a
spostarmi con i mezzi pubblici.
A
tredici a curare mia madre e sfidare la violenza di mio padre.
Ero
sicuramente matura. Per forza di cose, dovevo esserlo.
Forse
l'unica cosa che rimpiangevo era il fatto di voler dedicare ancora
qualche anno della mia giovinezza al divertimento ed alla
spensieratezza, cose che mi erano state portate via con la forza e
che non avevo mai potuto fare.
Curioso
come un semplice messaggio possa far arrivare ad un ragionamento
simile.
Decisi
di rispondere.
“Ciao
Lee, scusami. In questo periodo non vado a lavorare, mi sono presa
una vacanza. Perdonami se non ti ho avvisato”
Nel
profondo sperai che non mi chiedesse il motivo di quella mia
improvvisa decisione.
D'accordo,
non volevo sapesse che fossi incinta. Il motivo non lo sapevo.
La
risposta, intanto, non tardò ad arrivare ed io visualizzai il
messaggio.
“Capisco.
Senti, ti andrebbe allora di farti un giro con me, oggi?”
Avete
presente quella sgradevole sensazione di vuoto improvviso nello
stomaco, come a buttarsi da un trampolino a svariati metri d'altezza?
Ecco, in quella frazione di secondo mi era successo questo.
Le
parole di Isy mi tornarono in mente quasi con violenza.
Più
le volevo scacciare, pensando a Lee come un semplice ed innocente
amico, più queste si facevano insistenti e fastidiose.
Forse
aveva ragione, forse no.
Ma
a me che caspita diceva la testa?
Sospirai
e presi la mia decisione.
“Volentieri.
Davanti al bar alle tre”
*
«Hey,
amore, dove vai?» sentii una voce alle mie spalle, proprio
mentre stavo per aprire la porta di casa.
Mi
voltai e trovai davanti a me Tom che mi sorrideva avvicinandosi.
Non
volevo dirgli bugie, ma in quel caso dovevo.
Perchè?
Perchè dovevo?! Cazzo, non facevo nulla di male!
«Ehm,
vado a trovare Hellen, ti dispiace?» risposi maledicendomi
mentalmente.
Lui
sorrise e mi diede un bacio.
«No
che non mi dispiace. Vai tranquilla» mi disse dolce come
sempre.
Più
il tempo passava e più mi rendevo conto di quanto fossi
fortunata ad avere un ragazzo del genere.
Forse
era per quello che non gli volevo parlare di Lee. Non lo volevo
perdere, per nessun motivo.
«Grazie,
ci vediamo stasera» sorrisi ricambiando il bacio.
«Non
ti stancare troppo» si raccomandò mentre io aprivo la
porta.
Mi
voltai, gli sorrisi e sparii.
Mi
sentivo una merda.
*
La
solita passeggiata al parco con Lee stava continuando da almeno
un'oretta.
Il
tempo passava ed io non me ne accorgevo.
Con
quel ragazzo potevo parlare di tutto, tranne della gravidanza. Ma
quella era stata una scelta mia.
Perchè
avrei dovuto smettere di vederlo solo per una semplice supposizione?
Era
così dolce, così premuroso nei miei riguardi.
Sentivo
di aver trovato un amico. Un amico vero.
Possibile
fosse tutta apparenza?
Ci
sedemmo alla panchina e continuammo a chiacchierare del più e
del meno, quando ad un tratto mi fece una domanda che mi incuriosì
leggermente.
«Come
va con Tom?».
Io
suoi occhi erano fissi sui miei.
Quasi
mi mettevano in soggezione.
«Ehm,
tutto bene, grazie. Perchè questa domanda?» risposi
mantenendo il sorriso sulle labbra.
Lo
vidi scuotere leggermente la testa.
«Nulla,
così. Semplice curiosità» borbottò
abbassando lo sguardo. «Lo ami tanto?» riprese dopo un
po', posando di nuovo lo sguardo su di me.
«Troppo.
Sono veramente persa di lui. Nella mia vita non mi era mai capitato
di perdere la testa in questo modo per una persona. Poi lui mi fa
sentire serena, protetta... in famiglia. È la famiglia che non
ho mai avuto, capisci? È una persona fantastica... non saprei
neanche come farei senza di lui, insomma...».
Le
parole mi stavano uscendo a raffica.
Non
riuscivo a controllarle.
Parlare
di Tom era più facile che parlare di me.
Era
l'amore della mia vita, che c'era da dire di più?
Persa
nei miei discorsi mi accorsi troppo tardi che Lee aveva poggiato le
labbra sulle mie.
Per
un attimo il mondo attorno a me svanì e mille immagini diverse
cominciarono a vorticare nella mia mente.
Degli
occhi nocciola. Il sorriso più bello del mondo. La persona che
amavo.
No,
era sbagliato. Fottutamente sbagliato.
Tom...
Portai
lentamente le mani al petto di Lee e lo allontanai dal mio viso
abbassando gli occhi.
Sentivo
che respirava in modo affannoso.
Isy
aveva ragione. Io mi ero sbagliata, come sempre.
«Lee»
cominciai in difficoltà. Cosa si poteva dire in certi momenti?
Cosa si può dire per non ferire la persona a cui piaci? «Io
non posso. Amo Tom. Ho lui» continuai.
Ero
certa che quello non fosse il migliore dei modi, ma era l'unico per
fargli capire determinate cose e in fretta.
«Tu
mi piaci» sussurrò.
«L'avevo
capito» annuii sospirando.
«Tanto»
aggiunse ed io non risposi. Semplicemente attesi che portasse avanti
un discorso, qualora l'avesse fatto. «Cos'ha lui che io non
ho?» domandò poi quasi implorante.
Io
lo osservai accigliata.
«Lee,
non ti posso rispondere. È insensato. Non è un paragone
tra te e lui. Per me c'è solo lui. Sono innamorata, tanto
basta per spiegarti cos'ha lui in più di te. Magari non ha
niente in più di te, ma il mio cuore appartiene a lui. Forse
la risposta è questa: il mio cuore. Lui ha in più di te
il mio cuore. Punto. È una cosa che non puoi scegliere»
risposi piuttosto determinata.
«Io
non mi arrenderò mai, lo sai vero?».
«Allora
mi vedo costretta a fermare tutto» mi alzai dalla panchina
mentre lui mi osservava non capendo. «Sarà meglio sia
per me che soprattutto per te che non ci vediamo più»
conclusi con una punta di tristezza nella mia voce.
Lo
vidi alzarsi con espressione incredula.
«No.
Non puoi chiedermi una cosa del genere» obiettò.
«Devo
per il tuo bene» dissi sorridendogli per poi dargli le spalle.
Se
solo avessi potuto vedere quel ghigno dipintosi improvvisamente sul
suo volto...
*
Quando
rientrai allo studio di registrazione uno sgradevole senso di colpa
mi attanagliava lo stomaco.
Nonostante
io non avessi potuto prevedere quel bacio, mi sentivo colpevole.
Ancora più di prima.
Ora
avevo ben due motivi per sentirmi in colpa.
Il
fatto di non aver parlato di Lee a Tom e quindi il conseguente
imprevisto di quel pomeriggio.
Come
potevo dirgli tutto in una volta?
Forse
avrei dovuto convivere con quella brutta sensazione fino alla fine.
Non avevo scelta.
Lee
non l'avrei più visto. Non sarebbe successo più nulla,
quindi dovevo stare tranquilla, no?
Solo
nel momento in cui alzai lo sguardo mi accorsi del via vai per il
salotto.
Bill,
Georg e Gustav facevano avanti e indietro, percorrendo lo spazio tra
il salotto e la cucina più e più volte.
«Che
succede?» mi venne spontaneo chiedere.
Tutti
e tre si voltarono incuriositi verso di me e mi vennero in contro.
«La
notizia della tua gravidanza è arrivata ai giornali. Non
chiedermi come, non ne ho idea» mi rispose Bill piuttosto
agitato.
Io
spalancai semplicemente gli occhi e raggiunsi Tom in salotto, seduto
sul divano, che teneva sulle ginocchia quella maledetta rivista.
Mi
sedetti affianco a lui, che si voltò verso di me.
«Avevi
ragione tu. Quella... troia!» esclamò sull'orlo di una
crisi di nervi passandomi il giornale, o meglio, lanciandolo
involontariamente sulle mie gambe.
Lo
presi e lo osservai.
“La
fidanzata di Tom Kaulitz in dolce attesa?
A
quanto pare, il nostro SexGott si è dato un gran bel da fare.
In poco tempo si è innamorato, rinunciando per sempre a quello
che più amava (le one night stand), e si è impegnato
per diventare papà! La notizia ci è arrivata da una
fonte molto attendibile: la dottoressa di questa felice coppietta.
Quest'ultima ha dichiarato di aver fatto di persona la prima
ecografia alla fidanzata di Tom kaulitz, di cui ancora ci è
sconosciuto il nome. «Era così entusiasta il signor
Kaulitz» ha dichiarato. «Entrambi sembravano davvero
contenti di diventare genitori». Certo si tratta di una notizia
sconvolgente. Pensare a Tom Kaulitz come padre potrebbe far strano a
molte persone. Chissà come la prenderanno le fans della
famosissima band tedesca, ora che hanno perso il loro “playboy”.
Non ci resta che sentire le parole del diretto interessato e di
venire in possesso di prime foto del pancione della... presto signora
Kaulitz?”
Le
mie mani, tremanti, stringevano quella rivista.
I
miei occhi fissi su quelle parole. Non poteva essere.
Presi
a stracciarlo con tutta la forza che avevo e lo buttai in parte al
divano, per poi alzarmi e cominciare a camminare freneticamente per
il salotto, sotto gli occhi di Tom, mentre mi massaggiavo le tempie.
«Era
come dicevo io. Era come dicevo io! Cazzo, Tom!»
alzai la voce guardandolo come se fosse lui il colpevole.
Lui
sgranò gli occhi.
«Ma
adesso è colpa mia?!»
ribattè indignato.
«Perchè
sei venuto con me?! Dovevi immaginarlo che ti avrebbero notato!»
continuai fuori di me.
Lo
vidi alzarsi dal divano e farsi leggermente più vicino.
Automaticamente
indietreggiai.
«Se
permetti, alla prima ecografia del mio bambino ci volevo e ci dovevo
essere! Giornalisti o no!»
urlò.
Io
mi ammutolii. Forse avevo esagerato. Effettivamente era un suo
diritto venire, era il padre!
Che
stupida, egoista.
Mi
avvicinai a lui e lo abbracciai affondando il viso nella sua maglia
oversize.
Le
sue braccia mi avvolsero in pochi secondi mentre le sue labbra si
posarono sui miei capelli.
«Scusami,
hai ragione. È che questa notizia mi mette... così
tanto nervoso!»
serrai gli occhi e sentii la mano di Ton muoversi sulla mia schiena,
donandomi delle carezze.
«Non
te lo puoi permettere adesso, lo sai»
sussurrò premuroso. «Vedrai
che troveremo una soluzione» continuò, ma il suo tono
non risultò del tutto sicuro.
Sospirai
rilassandomi tra le sue braccia.
Cos'altro
doveva succedere?
*
«Bill!
Fermati! Oddio, mi stai sporcando tutta!».
Mi
affacciai in cucina e sorrisi osservando la scena davanti a me:
Hellen e Bill che giocavano lanciandosi la farina.
Più
il tempo passava e più io mi convincevo che quei due erano una
coppia fantastica.
Il
problema principale e devastante era la loro timidezza. Non
riuscivano a parlarsi e a confessarsi i loro sentimenti.
Bill
era perso per lei. Lei era cotta di lui.
Non
mancava nulla.
Mi
schiarii la voce e i due si voltarono verso di me.
«Bill,
posso parlarti un minuto?» chiesi cordialmente.
«Ma
certo, tesoro» sorrise venendomi in contro mentre io facevo
l'occhiolino ad Hellen.
Uscimmo
dalla cucina e lo portai in bagno.
Inizialmente
sembrava perplesso, però mi guardò aspettando che io
gli parlassi.
«Quando
ti decidi a dirle che come ti guarda ti viene un mancamento?»
sussurrai furbescamente. Lo vidi aggrottare le sopracciglia. Sospirai
con disperazione. «Quando ti dichiari ad Hellen?»
ripetei.
A
quel punto sgranò gli occhi.
«Ma...
ma» cominciò a balbettare in evidente imbarazzo.
Le
sue guance avevano preso un bel colorito purpureo.
«Oh,
insomma, basta fingere e vedi di tirar fuori gli attributi»
conclusi dandogli un paio di pacche sulla spalla, per poi uscire dal
bagno come se niente fosse.
Proprio
in quel momento passò Tom che ci vide uscire insieme.
Inarcò
un sopracciglio lasciando intravedere un sorrisetto sarcastico.
«Mi
tradisci con mio fratello?» ridacchiò guardandomi.
«Oh,
sì, è il mio amore segreto, non lo sapevi?»
ribattei entrando in cucina. «Ma David e Isy?» domandai
poi perplessa.
«Cenetta
a lume di candela» cantilenò Tom sedendosi al tavolo,
affianco a me.
Sicuramente
avrebbe fatto bene ad entrambi.
Dopo
la sfuriata di David del giorno prima...
«Chi
è?! Dimmi come si chiama! La denuncio in quattro e
quattr'otto!» urlò il manager, vagando per il salotto
dello studio di registrazione.
Io
e gli altri ragazzi seguivamo i suoi spostamenti con lo sguardo.
Isy
era in piedi, a braccia conserte, che osservava il suo compagno in
silenzio e respirando nervosamente.
Sicuramente
avremmo dovuto immaginare una reazione del genere da parte di David.
Chi
non l'aveva avuta? Forse solo Gustav, ma si sapeva che lui era un
caso particolare.
«Ti
prego, David, già di casini ne sono successi così. Non
stiamo a complicare le cose. Semplicemente negheremo alle interviste
e non metteremo più piede da quella donna» asserì
Tom, stravaccato sul divano, stringendomi di più tra le sue
braccia.
Io
ero già nel mondo dei sogni, accucciata addosso a lui.
Il
mio orecchio appoggiato al suo petto, mentre il battito del suo cuore
mi faceva da ninna nanna.
Sospirai
e mi abbandonai con la testa sul tavolo.
Tom
nel frattempo giocherellava con i miei capelli, insinuando le dita
tra essi.
Sapeva
che mi rilassava da morire.
Mi
sentii come se stessi quasi per entrare nel mondo dei sogni quando...
«Sara,
che significa questo?» la voce di Georg penetrò fredda
nelle mie orecchie.
Alzai
lo sguardo e mi voltai fino ad incrociare i suoi occhi.
Era
in piedi, sulla porta della cucina che teneva in mano una rivista a
me sconosciuta, guardandomi minaccioso.
Solamente
quando la aprì a metà, facendomi vedere a cosa si
riferiva, mi sembrò di cominciare a cadere nel vuoto e di non
fermarmi mai.
Presi
a boccheggiare, non sapendo effettivamente cosa dire.
Non
c'era nulla da dire.
La
foto di quel bacio spiegava tutto da sé.
Sentii
Tom, affianco a me, trattenere il respiro, mentre gli occhi di Bill,
Gustav, Georg ed Hellen li sentivo puntati addosso a me.
Il
cuore prese a battermi rapidamente.
Le
palpitazioni accelerarono quando lo sguardo di Tom si posò su
di me.
Mi
faceva paura. Quello sguardo mi metteva letteralmente paura.
Rabbia,
delusione, disgusto, tristezza... in quegli occhi potevo leggere una
miriade di emozioni collegate.
«Tom,
non è come sembra» sussurrai. Classica frase fatta, ma
era la realtà.
«Non
è come sembra?!» urlò alzandosi di scatto
facendomi sobbalzare. Strappò dalle mani di Georg la rivista e
la sbattè sul tavolo. «Questo cosa ti sembra, Sara?!
Come lo devo interpretare?! Chi è questo?! Perchè cazzo
lo stai baciando?!» continuò pieno d'ira.
Cominciai
a sentire un groppo in gola che non mi permetteva neanche di
deglutire.
«Tom,
non lo stavo baciando io. Mi ha baciato lui, te lo giuro!» mi
difesi mentre le lacrime cominciarono a sgorgare dai miei occhi.
Lacrime piene di paura, di pentimento.
«Certo,
come no! Si vede come stai cercando di prenderlo a pugni per
allontanarlo da te! Da quanto lo conosci?! Da quanto va avanti sta
storia!!» alzò ancora di più la voce facendomi
rabbrividire.
«Tom,
è vero, l'ho conosciuto qualche mese fa, ma ti giuro che non
c'è mai stato niente tra di noi! Mi veniva sempre a trovare al
bar, ma a me sembrava volesse essere solo mio amico! Non te ne ho
parlato semplicemente perchè avevo paura che ti arrabbiassi!
E, ripeto, mi ha baciato lui! Mi ha preso in contro piede! La foto
mostra solo il momento in cui lui l'ha appena fatto, ma io l'ho
allontanato subito! Sapeva che sono fidanzata con te!».
«Cioè,
tu per tutto questo tempo non mi hai mai parlato dell'esistenza di
questo stronzo! Io per mesi coccolo la mia ragazza, le dico che
l'amo, ci faccio l'amore... mentre lei, alle mie spalle, si vede con
un altro!».
«Tom,
siamo usciti un paio di volte, ma da amici!».
«Tu
dovevi dirmelo, cazzo! Dovevi dirmelo!».
«Hai
pienamente ragione, ma ti ho spiegato perchè l'ho fatto».
«Per
non farmi incazzare? Perchè pensi che adesso sono di buon
umore invece, non è vero? Sprizzo di gioia nel vedere la mia
ragazza che si bacia con un altro!».
«Tom,
mi vuoi credere, sì o no?!».
«Come
pensi che possa credere ad una persona che mi ha tenuto nascosta una
cosa del genere? Cioè, se io non avessi visto questa rivista,
probabilmente non sarei mai venuto a saperlo e la cosa sarebbe
continuata tra di voi! Io avrei fatto la figura del mongoloide
cornuto! E chissà che non vi siate solo baciati!».
«Oh,
mio Dio, Tom! Non ti mettere in testa assurdità!».
«Per
quanto mi riguarda potrei anche cominciare a pensare che il bambino
non sia mio».
Ero
rimasta paralizzata. I miei occhi, sgranati, fissi su di lui.
Come
poteva anche solo pensare ad una cosa del genere?
Credeva
veramente che io sarei stata capace di mentirgli su una cosa del
genere?
«Ma
come ti vengono in mente certe cose, Tom?! Certo che il bambino è
tuo! Io e Lee non siamo mai stati insieme! Mi ha baciato lui ed oggi
gli ho detto che non lo volevo più vedere! Non si farà
più vivo, Tom! Lo sa che amo te! Fine!» esclamai in
preda alla disperazione.
«Esatto!
Fine! Ma fine sul serio!» ribattè.
Mi
ci vollero alcuni secondi per rendermi conto del vero significato di
quella frase.
«Aspetta
un momento... fine in che...» cominciai timorosa.
«Fine
nel senso che con me hai chiuso! Hai tradito me e la mia fiducia, che
è la cosa più importante!».
«Tom,
stai scherzando...».
«Non
sono mai stato più serio in vita mia! Ed ora sali in camera
mia,
prendi la tua
roba, e te ne vai via di qua!».
«Tom,
aspetta, non correre, non ti sembra di...» cominciò
Bill, piuttosto scioccato dalla decisione del fratello.
Scioccato,
ma mai quanto me.
«Bill,
non ti intromettere!» lo zittì Tom senza degnarlo di uno
sguardo.
«Tom
ma... ti rendi conto? Mi stai lasciando per un malinteso. Mi stai
cacciando di casa nelle mie condizioni. Non ci pensi al bambino?»
sussurrai incredula.
«Ci
penso al bambino. Quando nascerà mi occuperò di lui
come avrei comunque fatto. Ma ciò non vuol dire che io debba
avere ancora qualche legame con la madre. Mi hai deluso. Ti amo, ma
mi hai deluso» concluse abbassando lo sguardo.
Non
sapevo cosa fare.
Volevo
a tutti i costi fargli capire che non era come credeva.
Sentivo
un forte dolore allo stomaco, come se mi stessero squarciando a metà.
Non
poteva essere... Tom non poteva avermi lasciato.
Non
poteva essere finito il mio bellissimo sogno.
-------------------------------------
Ringrazio:
Alcolizzata_VIP
_Reset
_Pulse_
Zucchelino
_tom
Ice princess
layla the punkprincess
Grazie davvero ragazze *_______*
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
capitolo 11
Capitolo
11
Tirai
su col naso, buttando l'ultima maglietta nel borsone.
Non
mi sembrava ancora possibile che Tom avesse preso una decisione del
genere.
Tutte
le belle parole che mi aveva detto fino al giorno prima se ne
andavano a farsi fottere?
Io
avevo sbagliato, ma lui aveva avuto un bel coraggio a decidere di
sbattermi fuori di casa nelle mie condizioni.
Per
cosa poi? Per un nulla, per un fraintendimento.
Hellen
se ne stava appoggiata allo stipite della porta della camera, a
braccia conserte e con un'espressione mortificata in volto.
Mi
vedeva piangere silenziosamente mentre preparavo il borsone e non
diceva nulla, per paura di distruggere quella “quiete”.
«Sei
sicura che posso stare a casa tua?» chiesi freddamente, senza
guardarla, mentre richiudevo la cerniera della borsa.
«Sara,
certe domande non le dovresti neanche fare. Ti pare che ti lascio in
quelle condizioni?» rispose intimidita.
«L'ultima
persona che avrebbe dovuto farlo non si è posto molti problemi
a riguardo» commentai quasi schifata mentre mi caricavo il
borsone in spalla.
«Lascia,
lo prendo io» si offrì lei venendomi in contro.
«No,
faccio da sola» tagliai corto asciugandomi una lacrima ed
uscendo da quella stanza che forse mai più avrei rivisto.
In
corridoio trovai Bill che mi guardava con la tristezza negli occhi.
Restammo
minuti interminabili a guardarci negli occhi.
«Piccola,
io ti credo» sussurrò con voce tremante. «Ami
troppo Tom per fargli un torto simile» aggiunse.
Io
scrollai le spalle.
«Questo
devi farlo capire a tuo fratello» dissi cominciando a scendere
le scale.
«Sara,
ti prego, non andartene» lo sentii seguirmi alle mie spalle,
assieme ad Hellen.
«Non
l'ho deciso io Bill, non posso farci nulla» risposi con il
magone.
«Possiamo
provare a farlo ragionare, sono sicuro che è stato preso dalla
rabbia poco fa. Se riflette su quello che sta facendo, forse...».
«Bill,
è inutile, ok? Conosco tuo fratello, quando prende delle
decisioni è irremovibile. Basta».
Arrivammo
davanti alla porta di casa dove trovammo Georg e Gustav.
Probabilmente
fulminai Georg con lo sguardo perchè quando mi vide deglutì
quasi terrorizzato.
Forse
se non avesse fatto vedere il giornale, Tom l'avrebbe scoperto
comunque.
Non
riuscivo però a non essere arrabbiata con lui in quel momento.
Dopo
tutto era stato proprio lui a far scoppiare quel casino.
Andai
da Gustav che non esitò ad abbracciarmi.
«Io
la penso come Bill, tesoro» sussurrò al mio orecchio
mentre mi accarezzava la schiena.
Io
lo strinsi più forte a me chiudendo gli occhi mentre delle
lacrime solitarie non cessavano di scorrere lungo le mie guance.
«Grazie
GusGus, tu ci sei sempre stato per me. Ma in questo momento non ha
molta importanza purtroppo che tu mi creda o no. L'unica persona che
mi dovrebbe credere non lo fa» risposi staccandomi da lui e
sorridendogli tristemente. Quando mi voltai, trovai Tom che ci
guardava con un'espressione mista di rabbia, tristezza e delusione.
«Bene, andiamo Hellen» dissi abbassando lo sguardo e
dirigendomi verso la porta di casa.
Non
riuscivo a sostenere i suoi occhi. Non puntati in quel modo addosso a
me.
«Il
giorno del parto vorrei essere avvisato» sentii la sua voce
calda e gelida allo stesso tempo alle mie spalle.
Mi
voltai verso di lui.
«Ma
vattene a fanculo, Tom» conclusi uscendo poi di casa.
*
La
porta si era appena chiusa.
Presto
sentì tre paia di occhi puntati addosso a lui.
«Hai
esagerato» il primo a parlare fu suo fratello Bill. «Tom,
ma ti rendi conto? Non solo hai abbandonato lei ma anche tuo figlio!
Possibile che tu non ci abbia pensato minimamente? Con che coraggio
la sbatti fuori di casa? Domani potrebbe avere bisogno di te e tu non
ci sei!» continuò incredulo.
«Senti
Bill, l'errore l'ha fatto lei. Evidentemente si era stufata di me ed
io le ho fatto solo un favore!» rispose a tono Tom mentre la
rabbia continuava a ribollirgli nelle vene.
«Tu
sei un cretino! Non hai capito un cazzo di lei, Tom! Lei ti ama come
mai nessun'altra ha fatto! E tu sei stato un emerito coglione a
buttarla fuori di casa incinta!» urlò il rasta
avvicinandosi a suo fratello.
«Vedi
di andarci piano con le parole, Bill! E comunque se davvero mi amasse
come dici, non andrebbe in giro con un altro e non se lo bacerebbe in
pubblico!».
«Tom
ma possibile che non riesci a capire che non l'ha baciato lei?! È
stata baciata! Non ha potuto fare nulla! Perchè ti ostini a
non capire?! Vuoi fare l'ottuso a tutti i costi, cosa che non sei! Tu
lo sai di aver sbagliato ma sei troppo orgoglioso per ammetterlo!».
«Io
non ho assolutamente sbagliato! Adesso se ne può andare da
quel coglione! Mi ha tenuto tutto nascosto, Bill! Continuava a
vedersi con quello alle mie spalle!!».
Georg
e Gustav si sentivano in imbarazzo.
Le
urla di Tom erano fuori dal normale e quelle di Bill non erano da
meno.
«L'ha
fatto per salvare la vostra relazione, Tom! Non sarà stata la
cosa migliore da fare perchè tanto saresti venuto a saperlo
comunque... ma il pensiero era rivolto a te, cazzo! Aveva paura che
ti saresti incazzato! Aveva paura di perdere TE!» riprese Bill
gesticolando come un matto.
«Me
lo doveva dire! Punto!» ribattè imperterrito suo
fratello.
«Sei
una testa di cazzo quando fai così!».
«Bill,
attento, non mi provocare!».
«Perchè,
sennò che fai? Butti fuori di casa anche me? Stupido
minchione!».
«Bill!».
«E
Sara ha fatto bene a mandarti a fanculo!».
Successe
tutto in pochi secondi.
Georg
e Gustav rimasero a bocca aperta, precipitandosi da Bill.
Tom
aveva gli occhi sgranati. Il pugno ancora chiuso ma stavolta più
tremante.
Aveva
colpito suo fratello? Come aveva fatto?
Osservò
Bill fulminarlo con lo sguardo mentre si toccava il labbro
sanguinante.
«Bill,
io...» cominciò a balbettare me suo fratello gli fece
segno di stare zitto.
«Lascia
stare, Tom. Sono stufo di ascoltarti» sussurrò per poi
dargli le spalle e salire le scale, deciso ad andarsi a chiudere in
camera sua.
Lui
era rimasto fermo immobile al centro del salotto.
Non
riusciva ancora a credere di aver tirato un pugno a suo fratello.
Tutto
a causa del suo maledetto orgoglio.
Gustav
lo guardò di traverso e salì anche lui le scale.
Georg
invece gli si avvicinò lentamente per poi posargli una mano
sulla spalla.
Tom
cominciò a torturarsi il viso con le mani.
«Hey,
Tom, andiamo a fumarci una sigaretta, calmati adesso» gli disse
accompagnandolo fuori di casa.
*
Stavo
ancora piangendo come una stupida.
Seduta
sul letto di Hellen mi accarezzavo la lieve pancia che mi si era
formata da qualche giorno mentre le lacrime non si fermavano.
Avevo
una nausea assurda. Ovviamente per il nervoso.
Ad
un tratto la porta si aprì ed entrò Hellen con un
vassoio.
«Hey,
ti ho portato un po' di minestra. Devi mettere sotto i denti
qualcosa» sussurrò sedendosi affianco a me ed
accarezzandomi il viso, scostandomi i capelli. Io scossi la testa
senza guardarla. Inespressiva. Morta. La sentii sospirare. «Tesoro,
lo so che è difficile. È stato un duro colpo. Non ti ci
voleva, soprattutto ora. Però devi anche capire che non ti
puoi distruggere. Non puoi permettertelo, devi farlo per te e per il
bambino. Ti prego» mi disse implorante.
«Che
senso ha» dissi fissando il vuoto, senza un tono di voce
preciso. «Io vivevo per lui. Per lui perchè non avevo
nessun altro. Ora che non ce l'ho più... che senso ha per me
stare bene?» chiesi distrutta.
«Sara,
non dirlo neanche per scherzo. Devi stare bene, prima di tutto per te
stessa e per il bambino. E poi a me non pensi?» mi rimproverò.
Io
mi voltai a guardarla e la vidi sforzare un sorriso.
Mi
venne automatico abbracciarla.
Fortuna
che avevo lei.
«Ti
voglio bene, Hellen. Grazie» sussurrai.
*
«Buona
sera ragazzi!!» esclamò un David entusiasta, una volta
rientrato allo studio assieme ad Isy.
Georg
si precipitò da loro e fece segno di stare zitti.
«E'
successo un casino. Tom ha cacciato di casa Sara» sussurrò
il rosso per non farsi sentire dal chitarrista, seduto pesantemente
sul divano.
«Cosa?!
E perchè?!» domandò a bassa voce e con occhi
sgranati il manager.
Anche
Isy guardò Georg esterrefatta.
«Ha
trovato sul giornale una foto di Sara che si baciava con uno. Con
questo lei ci si vedeva da un po' ma non era mai successo nulla tra
loro due. Anche il bacio a quanto pare non era voluto da Sara ed è
stata presa alla sprovvista. David, ho sbagliato tutto, sono stato io
a tirare fuori quel giornale, non volevo. Se solo ci avessi
riflettuto qualche secondo in più! Solo che io non potevo
immaginare che fosse tutto un malinteso. In quel momento mi era
scattata la rabbia nei confronti di Sara per Tom!» continuava a
spiegare disperato.
«Georg,
adesso calmati. Dov'è andata Sara? Nelle sue condizioni poi?
Ma è matto?» domandò preoccupato David.
«Hellen
ha deciso di ospitarla» rispose Georg.
Il
manager sospirò nervosamente e poi si avviò verso il
salotto.
Osservò
il chitarrista che si rigirava tra le mani la collana con il cuore
diviso a metà, ancora appeso al collo.
Quella
era l'unica cosa che non riusciva a far sparire.
Quando
si accorse che David si era seduto sul divano affianco a quello dove
stava lui, tolse l'attenzione da quell'oggetto.
«Georg
mi ha spiegato tutto» cominciò e Tom distolse lo sguardo
per dedicarsi alla televisione spenta davanti a lui. «Tu sei
consapevole di quello che hai fatto, Tom?» chiese docilmente.
Il ragazzo, senza guardarlo, annuì più volte. «Da
quello che ho capito lei non ha fatto niente... ma adesso è
inutile che cerco di farti ragionare. Sei accecato dalla rabbia ed è
da una parte capibile. Però, quello che ti voglio dire è:
dormici su stanotte e rifletti. Rifletti sul fatto che l'hai cacciata
di casa per un malinteso, incinta ed innamorata pazzamente di te.
Pensaci» concluse alzandosi per lasciarlo di nuovo solo in
salotto.
Raggiunse
Isy e Georg e, assieme alla sua compagna, si andò a chiudere
in camera.
Georg
tornò da Tom sedendosi accanto a lui.
«Che
ne dici di andare a chiedere scusa a tuo fratello almeno? Eh?»
gli chiese. Tom lo guardò ed annuì scuro in volto.
«Dai» lo incoraggiò il rosso facendolo alzare dal
divano.
Il
chitarrista salì le scale trascinandosi pesantemente.
Nel
frattempo scese Gustav, incrociando il suo “cammino”.
Quando
arrivò davanti alla porta della stanza del suo gemello esitò
qualche secondo a bussare, ma poi prese coraggio e lo fece.
Come
previsto, non ricevette nessuna risposta, ma lui entrò lo
stesso.
Bill
se ne stava seduto a braccia conserte sul suo letto, con le lacrime
agli occhi.
Si
avvicinò timidamente, dopo aver richiuso la porta alle sue
spalle, fino a sedersi di fronte al gemello.
Quest'ultimo
lo guardava con il ghiaccio negli occhi e la cosa gli fece
estremamente male.
Non
l'aveva mai guardato così. Con delusione.
Se
c'era una cosa che odiava e che non avrebbe mai voluto accadesse, era
deludere suo fratello.
«Hai
ragione, sono un emerito coglione» cominciò dispiaciuto.
«Ho fatto una cosa imperdonabile. Non avrei dovuto colpirti,
sono inscusabile, non so neanche come abbia potuto farlo, mi sento
una merda» continuò con voce tremante.
«Non
me lo sarei mai aspettato da te, Tom» ribattè Bill con
una freddezza tale che fu come una coltellata al petto per Tom.
«Lo
so, Bill. Neanche io me lo sarei mai aspettato da me! Te l'ho detto,
non so cosa mi sia preso. Sarà il nervoso in generale per
quello che è successo ma, ripeto, non è una
giustificazione. Tu sei il mio gemello, la mia anima, la mia vita,
non devo sfiorarti minimamente con un dito!» esclamò Tom
cominciando a piangere come un bambino. Bill pochissime volte nella
vita lo aveva visto piangere... e quando succedeva era come un colpo
fortissimo alla testa. Odiava vederlo piangere, era una cosa che non
sopportava. Allungò una mano verso di lui asciugandogli le
lacrime. Tom chiuse gli occhi e si accoccolò addosso a Bill
che lo abbracciò calorosamente, dandogli un bacio sulle
treccine. «Bill, sta andando tutto a puttane!» pianse
disperatamente. «Non so più che pensare. Ce l'ho a morte
con Sara ma già mi manca un casino e mi sento in colpa per
averla buttata fuori di casa!» continuò.
«Sei
sempre in tempo a farla tornare, Tom» sussurrò Bill,
accarezzandogli la testa.
«No,
Bill, non ci riesco. Non adesso».
«E
quando allora? Quando sarà davvero troppo tardi? Non ti vuoi
godere la sua gravidanza? Vuoi arrivare a veder nascere il tuo
bambino con i sensi di colpa?».
«Lo
sai che non è questo che vorrei. Io amo Sara più della
mia stessa vita ed amo già nostro figlio... solo che non
riesco a perdonarla ora. Mi sento tradito. Ancora di più
perchè si tratta di lei».
«Non
ti ha tradito».
«L'ha
fatto non parlandomi di quel coglione e non dicendomi la verità
fin dall'inizio. Ha tradito la mia fiducia».
*
L'insonnia
non era mai stata uno dei miei maggiori problemi.
Com'è
che ultimamente ne soffrivo in continuazione?
Forse
perchè non riuscivo a chiudere gli occhi per quanto erano
gonfi di pianto?
Perchè
non riuscivo a respirare tranquillamente, dovendomi soffiare il naso
ogni cinque secondi?
Ero
ridotta ad uno straccio.
Hellen
si era addormentata sul letto affianco a me.
Io
invece contemplavo il buio, pensando e ripensando al momento in cui
Tom, guardandomi negli occhi con disprezzo, mi aveva ordinato di
andarmene.
Chiusi
gli occhi volendo cancellare dalla mente quelle immagini, ma non ci
riuscivo.
Una
rabbia crescente prendeva posto in me.
E
quella stessa rabbia mi diede l'impulso di prendere il cellulare sul
comodino affianco a me.
Erano
le tre di notte ma poco mi importava. Scrissi quel messaggio.
“Lee,
domani al parco alle tre e vedi di esserci”
----------------------
Capitolo di
transizione che mi serviva! Spero vi sia piaciuto lo stesso. Vi avviso
che il peggio però deve ancora arrivare xD
Ringrazio di cuore:
_Pulse_
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Zucchelino
Lion of darkness
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_tom
|
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Capitolo 12 *** Capitolo 12 ***
capitolo 12
Capitolo
12
«Tom,
è vero che stai per diventare papà?».
Il
mondo attorno a lui svanì.
Per
un attimo si sentì come se avesse smesso di respirare.
Quel
momento che si sarebbe aspettato arrivasse aveva decisamente
anticipato ogni sua previsione.
Strinse
il pugno poggiato sul tavolo osservando il microfono davanti a lui.
Gli
occhi degli intervistatori fastidiosamente puntatigli addosso.
Quella
conferenza stampa aveva preso la piega che meno aspettava.
Si
avvicinò al microfono, con lo sguardo basso, e si schiarì
la voce.
«No,
non è assolutamente vero. Trovo decisamente di cattivo gusto
ciò che quella dottoressa ha fatto. Inventarsi di sana pianta
una cosa del genere e di tale peso. È assurdo» rispose
cercando di risultare il più sicuro possibile.
«E
perchè la dottoressa avrebbe dovuto inventarsi una cosa
simile?» insistette uno degli intervistatori.
«Questo
lo dovreste chiedere a lei, non a me» concluse Tom con
un'alzata di spalle.
*
Spensi
il televisore.
Non
volevo sentire altro.
Certamente
aveva fatto semplicemente quello che avevano stabilito insieme, ma
sentirlo negare anche in quelle circostanze mi aveva fatto
stranamente male.
Forse
ero io quella incoerente alla fine.
Alzai
lo sguardo portandolo verso l'orologio appeso al muro del salotto di
Hellen.
Lei
non era in casa e all'appuntamento, se così si poteva
chiamare, con Lee mancava decisamente poco.
La
mia macchina l'avevo lasciata allo studio di registrazione.
Portarmela
dietro sarebbe stato per me come portarmi un pezzo di Tom.
Già
ne portavo uno importantissimo con me, il bambino. Non me ne serviva
un altro.
Mi
alzai dal divano sospirando, decisa ad arrivare a destinazione a
piedi.
Mi
infilai degli occhiali da sole, una mantella per non prendere freddo
ed uscii di casa.
*
«Tom,
sei sicuro che non si verrà a scoprire la verità su
Sara e il bambino?» chiese un Bill piuttosto pensieroso, una
volta che lui e i Tokio Hotel si furono seduti nella limousine,
pronti a tornare in studio.
«Tanto
io e Sara non stiamo più insieme. Possono sempre pensare che
il bambino sia di un altro» rispose Tom semplicemente,
osservando il paesaggio fuori dal finestrino.
«E
a te farebbe piacere una cosa del genere?» chiese sempre
tranquillamente suo fratello.
«Tanto
che importanza ha sapere cosa pensano le persone al di fuori? L'unica
cosa che conta è la verità che sappiamo noi. Ovvero che
il bambino è mio e che gli vorrò comunque bene, che mi
occuperò di lui come avrei fatto, anche se con sua madre non
voglio più avere niente a che fare».
«Non
è vero che non vuoi più avere niente a che fare con
Sara. Tu la ami, me l'hai detto ieri sera. Non la puoi cancellare
dalla tua vita da un giorno all'altro».
«La
amo, è vero. Ciò significa che me la dimenticherò
e che mi rifarò una vita».
Bill
scosse la testa, convinto che suo fratello stesse dicendo un mucchio
di fesserie anche a sé stesso.
*
Ero
arrivata già da un po' al parco e mi guardavo attorno
aspettando l'arrivo di Lee, seduta sulla panchina.
Doveva
assolutamente presentarsi.
Dovevo
dirgli in faccia quanto mi faceva schifo e trovare una soluzione per
rimettere apposto le cose con Tom.
Avrei
cercato di convincerlo ad andare a confessare tutto a lui di persona,
anche se mi pareva del tutto inutile.
Certo,
provare non guastava.
«Ciao»
sentii la sua voce affianco a me.
Mi
voltai e me lo trovai di fronte.
Solo
in quel momento mi accorsi di quanto mi dava fastidio il solo
guardarlo e mi chiesi per mezzo secondo come avessi potuto cascare
alle sue moine.
«Poche
parole, so che hai organizzato tutto quanto. Tu sapevi che sarebbero
arrivati i paparazzi e sono anche disposta a pensare che tu stesso li
abbia chiamati. Ma non fa nulla, ormai quello che è fatto è
fatto. Avrei dovuto capirlo prima che pezzo di merda sei. L'unica
cosa che ti chiedo adesso è di andare da Tom e dirgli come
stanno le cose. A me non crede e mi ha cacciata di casa solo per
colpa tua. Io non voglio che la nostra relazione vada a puttane per
uno come te. Quindi ti chiedo solo questo. Dopo di che... lasciami
stare per sempre».
Mi
resi conto di quanto le mie parole sarebbero state inutili.
Cosa
ci avrebbe guadagnato lui aiutandomi? Lui, che per fare soldi era
arrivato a fare un torto a me.
«Spiegami
perchè dovrei aiutarti?» mi domandò
tranquillamente, tenendosi le mani in tasca.
Io
rimasi a pensare. Effettivamente perchè avrebbe dovuto
aiutarmi?
«Perchè
mi hai fatto il torto più grande che avessi mai potuto farmi,
ma evidentemente la cosa non ti tocca minimamente, giusto?»
dissi.
«Giusto»
si limitò a rispondere.
«Mi
fai schifo».
«Non
sei l'unica che me l'ha detto fino ad oggi».
«E
tu ne vai fiero di questo?».
«Finchè
sto bene io, sì».
«Lee,
ascoltami, io sono incinta». Lo vidi cambiare leggermente
espressione e guardarmi con più attenzione. «Io non
posso credere, non voglio credere che tu sia così insensibile.
Anche tu hai un cuore, tutti ce l'abbiamo. Ti prego, ragiona... ti
chiedo solo questo favore, nient'altro!» continuai.
Lo
vidi riflettere qualche secondo e poi scuotere la testa.
«No,
non me ne viene in tasca nulla» concluse facendo per voltarsi.
Io
lo presi bruscamente per la maglia.
«Ma
possibile che sei così schifosamente insensibile da pensare
solamente ad un tuo guadagno?!» esclamai.
Lui
si voltò di scatto prendendomi per il braccio.
«Cazzo,
lasciami stare!» urlò strattonandomi e spingendomi via.
Quello
che forse non aveva calcolato era che a pochi centimetri di distanza
dalle mie spalle si trovava un albero.
Serrai
gli occhi quando sentii la mia pancia andare a sbattere violentemente
contro la corteccia dura.
Percepii
il mio fiato mozzarsi e cominciai a fare fatica a respirare.
Mi
portai una mano al ventre sentendo un dolore lancinante.
Le
gambe mi cedettero lentamente fino a che non mi trovai accasciata a
terra.
Lee
mi guardò spaventato e poi, osservandosi intorno, corse via
lasciandomi lì per terra.
In
quel momento solo un pensiero si faceva pericolosamente vivo nella
mia mente: il bambino.
Non
doveva essere successo assolutamente nulla a lui. Non poteva.
Il
dolore non cessava, anzi, aumentava a dismisura fino a farmi
contorcere.
Mentalmente
cominciai a pregare per lui.
«Hey,
tutto bene?» sentii una voce confusa alle mie spalle.
Mi
voltai appena e trovai davanti a me una ragazza con uno strano taglio
di capelli, molto corto, che portava gli occhiali, inginocchiarsi
affianco a me preoccupata.
«Il...
il bambino!» mi venne automatico dire.
La
ragazza mi guardò confusa.
«Il
bambino? Che bambino?» domandò.
«Il
mio bambino! Ho sbattuto il ventre contro l'albero... sono incinta...
il bambino!» continuai a balbettare e a mettere insieme delle
frasi disordinatamente.
«Oh
mio Dio, chiamo subito l'ambulanza, tranquilla» cercò di
rassicurarmi lei invano, prendendo il cellulare dalla tasca e
componendo il numero del pronto soccorso.
*
Bill
se stava svogliatamente stravaccato sul tavolo della cucina, con una
guancia poggiata alla mano e le unghie che picchiettavano
rumorosamente sul legno.
Suo
fratello e Georg erano in salotto a guardare la tv sul divano, mentre
Gustav se ne stava alle prese con i fornelli.
Più
volte l'aveva visto ritrarre velocemente la mano dalla pentola per
qualche ustione.
Se
ci fosse stata Sara, senza dubbio, sarebbe riuscita a fare tutto
senza difficoltà.
Eh
già. Tutti sentivano la sua mancanza.
Era
pronto a giurare che anche suo fratello la sentisse ma semplicemente
non lo voleva ammettere per semplice orgoglio.
Improvvisamente
sentì il suo cellulare vibrargli in tasca, facendolo
sobbalzare.
Lo
recuperò e visualizzò il mittente. Con un tuffo al
cuore vide che si trattava di Hellen.
«Pronto?»
rispose anche troppo velocemente.
«Bill»
sentì la voce tremante della ragazza.
«Hey
ciao. Ma... tutto bene?» chiese preoccupato mentre Gustav,
sentendo le sue parole, si era voltato incuriosito verso di lui.
«No,
per niente. Sono in ospedale» balbettò Hellen.
«In
ospedale? Che è successo??» esclamò spaventato,
facendo avvicinare velocemente Gustav.
«Vi
prego, venite qua... soprattutto Tom, c'entra Sara. Vi spiego quando
arrivate».
Riattaccò.
Bill era rimasto con il cellulare all'orecchio e lo sguardo fisso nel
vuoto.
Non
poteva essere successo qualcosa a Sara proprio in quel momento.
Si
affrettò a correre in salotto ignorando le domande di Gustav e
si postò di fronte a Tom e Georg.
Questi
lo guardarono perplessi.
«Sara
è in ospedale, mi ha chiamato Hellen ma non mi ha spiegato il
motivo. Mi ha detto solo di andare... soprattutto tu, Tom»
disse velocemente, cercando di mantenere la calma.
Tom
lo osservò ancora qualche secondo e poi si alzò di
scatto dal divano correndo verso la porta di casa.
In
quel momento nulla lo poteva fermare, neanche il suo orgoglio che se
ne poteva andare tranquillamente a farsi fottere.
Georg,
Gustav e Bill lo seguirono uscendo dallo studio.
Salirono
tutti quanti sulla sua Cadillac che mise in moto e fece partire a
massima velocità.
La
sua testa era pervasa di mille domande e paure. “Sara... il
bambino... Sara... il bambino”.
Quando
arrivarono davanti all'ospedale, trovarono un mucchio di paparazzi
appostati lì fuori.
A
Tom poco importò e li sorpassò tutti quanti fino ad
entrare. La stessa cosa fecero gli altri tre ragazzi.
Corsero
su per le scale, ignorando le lamentele dei dottori e delle
infermiere, fino a che non arrivarono al quarto piano, dove trovarono
seduta in sala d'attesa Hellen, con affianco una ragazza sconosciuta.
«Hellen!»
urlò Tom inginocchiandosi davanti a lei, per guardarla negli
occhi arrossati e gonfi di pianto. «Cos'è
successo?! Come sta Sara?!»
continuò a chiedere il ragazzo, in preda ad una crisi, mentre
gli altri gli si attorniavano.
Hellen
scosse la testa guardandolo preoccupata.
«Il
problema qui non è come sta Sara... di quello ci preoccuperemo
dopo» sussurrò
mentre le lacrime continuavano a rigarle in abbondanza il viso.
«Che
vuoi... che cazzo vuoi dire, Hellen!» esclamò Tom fuori
di sé. «E chi è lei?!» aggiunse irritato
nel notare che la ragazza sconosciuta continuava a fissarlo con
un'espressione cupa sul volto.
«Mi
chiamo Anna. Sono io che ho avvisato subito l'ambulanza quando ho
trovato Sara al parco» rispose la ragazza sentendosi accusata.
«L'hai
trovata al parco? Qualcuno mi vuole spiegare cos'è successo
per favore?!» sbottò il ragazzo mentre Georg gli posava
una mano sulla spalla, da dietro, cercando di farlo calmare.
«L'ho
trovata sdraiata a terra. Era preoccupata per il bambino. A quanto
pare è andata a sbattere contro un albero, ma non ha spiegato
il motivo» rispose Anna con la tranquillità necessaria.
Hellen
invece non la smetteva di piangere.
Tom
deglutì rumorosamente.
«Ha
sbattuto contro un albero...» sussurrò più a sé
stesso. «Il bambino...» aggiunse con lo stesso tono
mentre la paura aumentò a dismisura.
Proprio
in quel momento la stanza dietro di lui venne aperta e ne uscì
un dottore con un'espressione piuttosto scura in volto.
«Dottore,
allora?!» domandò Hellen alzandosi velocemente dalla
sedia ed avvicinandosi all'uomo.
«Chi
sono queste persone?» chiese prima per accertarsi.
«Io
sono il suo fidanzato, lui è mio fratello e tutti gli altri
sono la sua famiglia, la prego, parli!» intervenne Tom senza
pensarci due volte, cosa che sorprese per un momento Bill.
«Beh,
è una cosa molto delicata. Quindi deduco che lei sia il padre
del piccolo?». Tom annuì energicamente ed il dottore
sospirò scuotendo la testa. «Mi spiace dirglielo così
ma... la sua ragazza ha perso il bambino» comunicò
dispiaciuto.
Hellen
cominciò a piangere disperatamente stringendosi a Bill che
versava lacrime silenziosamente, con occhi sgranati.
Georg
e Gustav boccheggiavano increduli mentre Anna si lasciò cadere
sulla sedia osservando il vuoto.
Tom
era rimasto davanti al dottore, con occhi spalancati.
Una
sgradevole sensazione cominciava a farsi viva nel suo stomaco e un
groppone in gola gli bloccava il respiro.
Il
suo bambino? Il suo bambino non c'era più? Perso... come un
mazzo di chiavi?
Una
rabbia a lui sconosciuta cominciò a farsi largo in sé,
spingendolo a prendere a pugni e calci il muro a pochi passi da lui.
Gustav
si precipitò alle sue spalle e cercò di bloccarlo, ma
venne spinto via con violenza dal ragazzo.
Tom
continuava a colpire quel muro come se fosse stato lui la causa di
tutto ciò, mentre calde lacrime cominciarono a scorrere lungo
le sue guance.
Il
dottore fece segno ai ragazzi di lasciarlo stare e di farlo sfogare,
per poi allontanarsi.
«Tomi...»
sussurrò Bill con le guance bagnate mentre teneva Hellen
ancora stretta a sé, che fissava disperata la reazione
violenza del moro.
Tom
cominciò a singhiozzare ad alta voce, senza preoccuparsi
minimamente del fatto che i suoi compagni lo avrebbero sentito.
Al
diavolo l'orgoglio, al diavolo tutto.
Sentiva
le nocche dolergli ma questo di certo non lo fermò.
«Tomi,
basta, ti prego...» lo implorò di nuovo a bassa voce suo
fratello.
Tom
colpì un'ultima volta il muro rimanendovi appoggiato con i
pugni e la fronte, per poi scivolare lungo esso e sedersi a terra.
Bill
si staccò da Hellen ed andò ad inginocchiarsi affianco
a lui, abbracciandolo.
Tom
si strinse a suo fratello sfogandosi come la sera prima. Quella volta
per un motivo sicuramente più grave.
«Perchè,
Bill? Lo volevo quel bambino, lo volevo» pianse incazzato col
mondo.
Bill
versava lacrime silenziosamente accarezzandogli la testa.
«Lo
so, Tomi... lo so» balbettò con voce tremante.
«E'
colpa mia».
Appena
sentì quelle parole, Bill si allontanò il tanto che
bastava per guardarlo negli occhi rossi e gonfi.
«Non
dirlo neanche per scherzo! Non ti addossare colpe che non hai! Poteva
succedere in qualsiasi momento!» lo rimproverò.
Tom
scosse la testa.
«No,
Bill. Avevate ragione tutti e io lo sapevo. Sono stato un coglione,
uno stronzo, un insensibile. L'ho sbattuta fuori di casa senza
ritegno e se non l'avessi fatto, molto probabilmente non sarebbe
successo tutto questo. È colpa mia se il mio bambino non c'è
più, è colpa mia e mi odio!!» urlò Tom
prima di ricevere uno schiaffo da suo fratello che non lo fece
smettere di piangere, ma almeno lo fece zittire.
Rimase
ad osservarlo non sapendo che dire.
«Smettila...»
sussurrò Bill. «Smettila» ripetè
stringendolo di nuovo a sé.
Tom
chiuse gli occhi facendo scorrere altre lacrime sul suo viso che
morirono all'interno della sua felpa.
----------
Ringrazio:
_Reset
Aury_Kaulitz (mi hai lasciato senza parole *O*)
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Grazie davvero ragazze, sono contenta che non diminuite, anzi aumentate ^^
|
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Capitolo 13 *** Capitolo 13 ***
capitolo 13
Capitolo
13
I
suoi singhiozzi erano cessati, ma il dolore che provava sembrava
triplicato.
Più
pensava alla crudeltà che aveva adottato il destino nei suoi
confronti portandogli via forse l'unica cosa bella che aveva fatto
nella vita, più il suo cuore sembrava trafitto da una lamina
tagliente.
Si
trovava ancora tra le braccia di suo fratello che non smetteva di
accarezzare i suoi cornrows.
«Bill»
sussurrò improvvisamente.
«Dimmi»
rispose dolcemente il rasta.
«Dobbiamo
dirglielo» continuò Tom.
Bill
capì perfettamente che si riferiva a Sara.
Era
una cosa che bisognava affrontare con cautela.
Non
sarebbe stato facile comunicare quell'orribile notizia proprio a lei.
«Sì,
Tomi. Dobbiamo» sospirò infine Bill.
Il
cuore di Tom fece un ennesimo salto mortale.
Stupidamente
forse si aspettava da lui una risposta negativa.
Non
avrebbe mai voluto arrivare a quel punto.
Aveva
paura della reazione della ragazza, che sarebbe stata più che
comprensibile.
D'altronde
anche lui aveva quasi distrutto le mura di quell'ospedale, o meglio,
si era quasi distrutto le mani.
«Tom»
lo chiamò una Hellen con ancora le guance bagnate. Il ragazzo
alzò lo sguardo su di lei. «Secondo me dovresti andare a
parlarci tu da solo» continuò la biondina.
Tom
annuì lievemente, quasi impaurito, e dopo aver dato un ultimo
sguardo a suo fratello si alzò in piedi.
Bill
raggiunse di nuovo Hellen, stringendola a sé mentre entrambi,
Georg, Gustav ed Anna compresi, lo osservavano avvicinarsi a quella
porta.
Esitò
per qualche secondo ma poi prese un bel respiro ed abbassò la
maniglia.
*
Ero
stesa in quel letto e non ci stavo capendo più niente.
Dopo
un'ecografia, il dottore aveva acquisito un'espressione che non
prometteva nulla di buono ed era uscito dalla stanza senza dirmi
nulla.
Senza
dirmi se il mio bambino stava bene, se era tutto apposto, se le mie
preghiere erano servite almeno a qualcosa.
Come
si poteva essere così superficiali da non pensarci?
La
mia attenzione venne improvvisamente catturata dalla maniglia della
stanza che si abbassava lentamente.
Finalmente,
forse, il medico si era “ricordato” di dover darmi qualche
spiegazione.
Già
ero pronta a lamentarmi quando le parole mi morirono in gola.
Sulla
porta, con sguardo quasi impaurito, vi era Tom.
I
suoi occhi fissi nei miei mentre la richiudeva.
Sentii
il mio cuore prendere a battere troppo velocemente, talmente tanto
che per poco non ebbi timore di avere un infarto.
Una
marea di brividi attraversava incessantemente il mio corpo mentre un
senso di tristezza si impadroniva di me.
Il
suo sguardo, i suoi occhi... aveva qualcosa di strano.
Sembrava
avesse... pianto?
Occhi
gonfi e rossi, espressione stanca e triste. Cos'aveva?
Era
forse per me? O era per qualcos'altro?
«Ciao,
piccola» sussurrò quasi impaurito, forse da una mia
reazione improvvisa.
Io
non risposi.
Ma
non perchè non volessi, semplicemente perchè le parole
non riuscivano ad uscire dalle mie labbra.
Mi
sarei inutilmente ritrovata a boccheggiare e non volevo fare la
figura dell'idiota.
Quel
“piccola” riecheggiava nelle mie orecchie ed era stranamente
irritante.
Oh,
ecco che sapevo cosa dire!
«Piccola?»
domandai quasi disgustata. «Prima mi sbatti fuori di casa e poi
mi chiami “piccola” come se non fosse successo nulla?»
continuai.
Lo
vidi osservarmi con una tristezza tale da farmi quasi sentire in
colpa.
Se
lo poteva anche scordare.
«Ho
sbagliato. Sono stato... orribile. Il fatto è che... vedere
quel...» chiuse gli occhi come a voler scacciare quel pensiero.
Io mi voltai con lo sguardo verso la finestra. Sentii i suoi passi
farsi sempre più vicini e poi, con un tuffo al cuore, sentii
la sua mano posarsi sulla mia guancia. Subito mi irrigidii ma poi non
potei fare a meno di abbassare le palpebre e godermi quel tocco per
qualche secondo. «Devo dirti una cosa» esortò
improvvisamente con tono grave.
Io
posai di nuovo gli occhi su di lui.
I
suoi erano di nuovo lucidi e si lasciarono scappare qualche lacrima.
«Tom...»
sussurrai non capendo cosa stesse succedendo.
L'ansia
mi stava praticamente uccidendo.
Mi
prese la mano e la strinse fra le sue.
«Piccola...
il... il bambino... è... » balbettò con voce
tremante.
I
miei pochi neuroni ancora in grado di funzionare arrivarono ad una
conclusione.
No,
non volevo crederci.
Cominciai
ad urlare scostando malamente le mani di Tom dalle mie.
Mi
sentivo spezzata a metà. Mi sentivo come se mi avessero
strappato via una parte del corpo.
Una
parte di me non c'era più, era morta. In un modo atroce per di
più!
L'ultima
persona che in tutta quella storia si meritava una cosa del genere!
Che non c'entrava nulla!
Più
pensavo a queste cose, più urlavo e mi agitavo su quel letto.
Le
lacrime, le ennesime, ricominciarono a scorrere lungo le mie guance.
Percepii
la mano di Tom posarsi di nuovo impaurita sul mio braccio,
trattenendomelo delicatamente.
Cercai
di divincolarmi ma la sua stretta era più forte di me.
«Lasciami,
Tom! Vattene!» urlai ancora in preda ad una crisi isterica.
«Sara,
ti prego, calmati!» esclamò lui disperato.
«Come
faccio a calmarmi?! Come faccio, Tom?! È morto mio figlio! È
morto!!».
«Era
anche mio figlio!».
Mi
alzai dal letto e cominciai a colpire Tom alla cieca.
«Mi
hai rovinato la vita! Mi hai rovinato la vita!!» continuai ad
urlare piangendo.
Lui
cercava di fermare le mie braccia che continuavano ad agitarsi sul
suo petto, fino a che non mi sentii avvolgere dalle sue.
Singhiozzai
stringendo tra le mani la sua maglietta che si inumidiva velocemente
delle mie lacrime.
Eravamo
stretti l'uno all'altra come non succedeva da troppo tempo.
Quel
calore... quel calore che mi mancava più di ogni altra cosa.
Non
era vero che mi aveva rovinato la vita. L'aveva resa la cosa più
bella del mondo.
«Tom»
singhiozzai stringendomi di più a lui.
«Sono
qui, piccolina, sono qui» sussurrò dandomi una bacio sui
capelli. «E non ti lascio più. Non voglio più
perderti».
Come
illuminata, mi staccai lentamente dalla sua presa, tenendo lo sguardo
basso.
Sentivo
i suoi occhi preoccupati puntati su di me.
«Voglio
stare da sola» dissi.
«Sara...
ma...».
«Voglio
stare da sola, Tom».
Lo
dissi con un tono talmente fermo e distaccato che non poté
fare il contrario.
Stranito
abbassò lo sguardo indietreggiando con lentezza disarmante.
Non
lo guardavo. Fissavo semplicemente il vuoto davanti a me finchè
non sentii la porta chiudersi.
Le
lacrime non si erano fermate.
Volevo
stare da sola, vivere in pace il mio dolore.
E
così sarebbe stato per un po'.
Quella
era sicuramente la cosa peggiore che mi potesse capitare nella vita e
non la auguravo a nessuno.
*
Appena
i ragazzi seduti ancora in corridoio videro Tom uscire dalla stanza
si rizzarono per sapere cosa fosse successo.
«Tomi,
glielo hai detto? L'abbiamo sentita urlare ma abbiamo preferito
lasciarvi soli» commentò Bill delicatamente.
Tom,
con sguardo spento, annuì semplicemente.
«Mi
aspettavo una reazione del genere da parte sua» sussurrò
Hellen.
Aveva
un viso distrutto dal troppo pianto.
Le
lacrime avevano smesso di scorrere lungo le sue guance ma vi erano
rimasti i loro segni.
La
pelle irritata, gli occhi ancora rossi e gonfi.
Quando
Tom posò lo sguardo su Anna, seduta affianco a Georg, si rese
conto che non l'aveva ringraziata a dovere.
«Grazie»
esortò.
La
ragazza lo guardò incuriosita e poi sorrise leggermente.
«Di
nulla» rispose. «Adesso sarà meglio che vada»
aggiunse alzandosi dalla sedia.
«Ti
accompagno» intervenne Georg.
Anna
salutò i ragazzi e poi si incamminò assieme al bassista
verso le scale.
Bill
si sedette affianco ad Hellen prendendo il posto di Anna e le mise
una mano sulla schiena accarezzandogliela dolcemente.
«Mi
ha detto che vuole stare da sola... ho paura che non mi voglia più,
Bill» sussurrò Tom.
«Tomi
è normale che lei abbia avuto una reazione del genere. Ha
perso un bambino, è la cosa più brutta per una donna.
Devi solamente aspettare che si riprenda, non ti preoccupare»
lo incoraggiò il fratello mentre Hellen posava la testa sulla
sua spalla, beandosi di quelle carezze.
Tom
sospirò pesantemente.
«Lo
spero. Non può allontanarmi proprio ora che abbiamo bisogno
l'uno dell'altra più che mai» disse passandosi una mano
sul viso. «Voglio almeno che torni a casa. Voglio solo che
torni a casa con me».
*
Erano
passati solo un paio di giorni, ma rimettere piede in quello studio
di registrazione mi fece emettere un sospiro di sollievo.
Avevo
accettato di tornare solamente perchè Bill mi aveva implorato.
Diceva
che Tom stava male. Io invece non stavo male?
Tuttavia
decisi di accontentarlo ad una condizione: le cose tra me e Tom non
sarebbero tornate come prima, come se nulla fosse successo.
O
almeno non subito.
Lo
amavo, lo amavo troppo, più della mia stessa vita.
Però
ero anche ferita.
Mi
portavo dentro un taglio più grande di me.
Non
era stata decisamente sua la colpa della perdita del bambino.
Era
anche vero però che se lui non mi avesse sbattuto fuori di
casa tutto quel casino non sarebbe successo.
Stando
ai miei ragionamenti allora avrei dovuto dire che anche se io gli
avessi detto la verità sin dall'inizio quel casino non sarebbe
successo.
Scrollai
le spalle, non ci volevo più pensare.
Tutto
quello che sapevo e che era certo era che mi sentivo morta per metà.
Non
avevo più voglia di fare niente, volevo solamente starmene
chiusa in camera e non sentire nessuno.
Non
volevo mangiare, bevevo a fatica e sopratutto non volevo imbroccare
in nessun tipo di dialogo con nessuno.
Gli
altri avevano raccontato tutta la vicenda a David ed Isy.
Erano
rimasti sconvolti, non volevano crederci.
David,
inizialmente, se l'era presa con Tom accusandolo di irresponsabilità.
Poi
però si era calmato abbracciandolo per non buttarlo ancora più
giù di quanto già non fosse.
Avevo
ricevuto un paio di chiamate da parte di Hellen ma io mi ero ostinata
a non rispondere.
Evidentemente
aveva capito che volevo essere lasciata in pace perchè non ci
aveva più riprovato.
Tom
aveva ritenuto giusto che se ne andasse a dormire sul divano,
cedendomi la sua camera che fino a pochi giorni prima era ancora la
nostra.
Avevo
nostalgia di tutto. Troppa.
Sapevo
perfettamente che prima o poi avrei ceduto con lui, ma subito non
riuscivo ad avvicinarmici.
Avrei
voluto far passare un po' di tempo.
Non
sapevo quanto, giusto il tempo di smaltire il dolore recente.
Il
più grande.
Sentii
bussare alla porta.
Io
non risposi per l'ennesima volta ma questa venne aperta lo stesso
come succedeva sempre.
Vidi
Isy affacciare cautamente la testa.
«Hey,
posso?» sussurrò. Io abbassai lo sguardo ed annuii
rassegnata. Forse solo lei mi avrebbe realmente capito: era una
donna. Si avvicinò al letto finchè non si sedette a
lato, affianco a me. «D'altronde non potrai non vedere mai più
nessuno, giusto? Ci convivi» mi sorrise dolcemente. Io non
ricambiai lo sguardo. Era perennemente spento e non lasciava
trasudare nessun tipo di emozione. «Ti prego, parla, esci da
questa stanza. Non ti fa bene tutto questo. Non puoi chiuderti in te
stessa, peggiori solo le cose. Non vorrai entrare in depressione?»
mi domandò preoccupata. Io non risposi nuovamente. La sentii
sospirare. «Ascolta, Sara... posso immaginare cosa provi».
«No,
non puoi» risposi a bassa voce, senza guardarla.
Sentii
silenzio per un attimo.
«D'accordo,
forse non posso completamente. Però posso farmi un'idea no? So
per certo che perdere un bambino è la cosa più brutta
del mondo. Vuoi che non lo sappia? Te l'ho raccontata la mia storia.
Però... anche se soffro per mia figlia cerco di vivere lo
stesso. Questi sono ancora gli anni più belli della tua
giovinezza, non buttarli all'aria, te ne pentirai» continuò.
«Isy,
non riesco a fare finta di nulla... non riesco a fare finta di nulla
di fronte ad una cosa simile!» sbottai senza alzare troppo la
voce. Dava fastidio persino a me.
«Lo
so, tesoro, ma in questi casi bisogna reagire. Reagire per il nostro
bene. E poi Tom sta male a vederti così. Perchè non vi
state vicini? Lui lo vorrebbe ma rispetta la tua idea. Anche lui
soffre per la perdita del bambino e anche lui avrebbe voglia di
essere consolato in qualche modo, anche se non lo chiede. Si sente
molto solo, soprattutto senza di te».
«Non
riesco ad avvicinarmi a lui».
«Ma
perchè? Capisco che ha sbagliato a reagire in quel modo, ma
non è colpa sua se è successo quello che è
successo. A proposito... com'è successo?».
Il
sangue mi si raggelò nelle vene.
Riflettei
a lungo prima di dare una risposta.
Non
sapevo cosa sarebbe stato meglio.
Dire
la verità o inventarmi di essere caduta da vera maldestra?
Avevo
deciso. Basta con le menzogne, mi avevano portato solo guai.
«Sono...
sono stata strattonata e spinta contro l'albero. Non ci sono andata a
sbattere da sola» sussurrai reprimendo l'istinto di alzarmi da
quel letto ed andare a cercare Lee con un coltello.
Isy
era rimasta zitta, osservandomi con occhi sgranati.
«E...
e chi è stato?» mi domandò.
«E'
stato... è stato Lee» dissi con un tono disgustato. Isy
trattenne il respiro ed io scoppiai a piangere. «Sono stata una
stupida, sono andata a cercarlo sperando che potesse dire la verità
a Tom. Dovevo immaginarlo che lui non l'avrebbe mai fatto» mi
sfogai.
Isy
mi prese e mi strinse a sé cullandomi tra le sue braccia
protettive.
«Io
te l'avevo detto di stare lontana da lui, piccola» sussurrò
al mio orecchio come una brava mamma.
Per
un attimo la mia sensazione fu quella.
Mamma...
*
Neanche
quella notte c'era verso di dormire.
Mantenere
la tranquillità era diventato alquanto difficile recentemente.
Improvvisamente
sentii un particolare bisogno di bere, così mi alzai dal
letto, cosa che non facevo da almeno un paio di giorni.
Uscii
da quella stanza e sentii quasi freddo a contatto con l'esterno.
Ero
troppo abituata a rimaner chiusa in quella camera.
Scesi
silenziosamente le scale, per evitare di svegliare gli altri, dato
che erano le tre di notte.
Stavo
per entrare in cucina, quando la mia attenzione venne catturata dalla
luce bluastra del televisore proveniente dal salotto.
Vi
entrai e trovai Tom seduto sul divano, con la testa appoggiata allo
schienale, mentre il televisore trasmetteva le repliche di qualche
fiction, senza volume.
Probabilmente
mi notò con la coda dell'occhio perchè si voltò
di scatto verso di me, come spaventato.
«Piccola,
che fai in piedi?» mi chiese sorpreso di vedermi dopo tanto
tempo fuori da quella stanza.
«Ho
sete, stavo andando a bere qualcosa e ho visto la luce della tv.
Pensavo dormissi» risposi con lo stesso tono basso.
Rimase
un attimo in silenzio, osservandomi dolcemente.
«Vieni
un po' qui?» mi chiese timidamente indicandomi il posto
affianco a lui sul divano.
«Ho
sonno, Tom» mi inventai.
«Solo
qualche minuto» insistette.
Io
ci pensai un po', poi sospirai e mi avvicinai a lui.
Mi
sedetti dove mi aveva indicato, mantenendo la distanza per quanto
fosse possibile.
Mi
sentivo troppo vicina a lui, il divano non era molto ampio.
Sentivo
il suo calore arrivare a me, sentivo il suo profumo.
Non
avevo mai avuto occasione di annusare cosa più dolce e buona
di quella.
Sentii
la sua mano cercare timidamente la mia. La trovò e cominciò
ad accarezzarla.
Mille
brividi, ma nessuno di questi mi fece ricambiare il gesto.
Semplicemente lo lasciai fare.
«Rispetto
la tua scelta» esortò improvvisamente facendomi quasi
sobbalzare. «Però ciò non vuol dire che riuscirò
a starti lontano. Voglio solo che tu sappia che ti aspetto. Perchè
ti amo troppo per dimenticarti» continuò.
Quelle
parole mi avevano decisamente toccato nel profondo e mi fecero
sentire lontanamente in colpa.
“Anche
io... anche io, Tom!” continuava a ripetere la mia coscienza, ma
dalle mie labbra non usciva nulla.
Mi
limitai al silenzio, fissando la televisione di fronte a me e
godendomi il tocco delicato di Tom sulla mia mano.
-------------------
_Radio Hysteria: certo che mi ricordo di te! Sono contenta che commenti anche qui ^^ grazie mille
_cucciolotta_: grazie mille, sono contenta che ti piaccia e ti sia piaciuta anche LFH ^^
Lion of darkness: ahahah che sclero! xD Grazie ^^
_Pulse_: grasshie mille tesoro ^^ sono contenta *O*
babakaulitz: oddio che bello, grazie davvero
_tom: hihi, concordo xD grazie
Tiky: muahahah xD grazie
NICEGIRL: danke ^^
Zucchelino: dankeee ^^
_Reset: uuuu, meno male, grazie ^^
layla the punkprincess: hihi grazie *O*
Aury_Kaulitz: grasshie *O*
SISSUx_VANILLA:
ciao, sono contenta che ti piacciano tutte e due... per quella cosa che
mi hai detto, prima vorrei chiederti delle cose ^^ quindi se vuoi nella
recesione lasciami pure il tuo contatto msn così ne parliamo ^^
grazie ^^
|
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Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
capitolo 14
Capitolo
14
«In
piedi, signorina, andiamo a farci un giro!».
L'entrata
improvvisa di Hellen in camera mi fece letteralmente sobbalzare.
«Che?»
chiesi sbattendo più volte le palpebre a causa di quel fascio
di luce improvviso diffusosi nella stanza.
«Vieni
a farti un giro con me, non puoi startene chiusa qui dentro per
l'eternità» tagliò corto con un sorriso a
trentadue denti mentre alzava la tapparella.
«Hellen,
non ne ho voglia» borbottai voltandomi dall'altra parte nel
letto.
Le
lenzuola mi vennero subito strappate di dosso.
«Te
la fai venire. Forza, in piedi, ti aspetto di sotto. E vedi di
arrivare perchè ti vengo a prendere sennò»
esclamò uscendo dalla stanza.
Io
sbuffai sonoramente alzandomi dal letto.
*
«L'hai
convinta?» chiese mogio Tom, appoggiato al tavolo, con una
tazza di the fumante davanti agli occhi.
Hellen
annuì energicamente.
«L'ho
praticamente obbligata. Mi sono rotta le palle, sono due settimane
che non esce da quella stanza, è ora che lo faccia e che
riprenda in mano la sua vita» rispose Hellen.
Era
stata chiamata proprio da Tom quella mattina.
«Pronto?»
rispose la bionda al suo cellulare.
«Ciao,
Hellen, sono Tom» mormorò il ragazzo.
«Hey,
ciao, come stai?».
«Potrei
stare meglio».
«Ti
riferisci a Sara?».
«Già.
Sono due settimane che si ostina a rimaner chiusa in quella cazzo di
stanza, sono preoccupato».
«Ma
non esce neanche per mangiare o bere?».
«No.
Al massimo per andare in bagno. Isy ogni tanto le porta qualcosa da
mangiare e un po' d'acqua ma beve poco e non mangia niente».
«Dio...
perchè deve fare così...».
«Ti
prego, la puoi aiutare tu? Sei la sua migliore amica, a me non si
avvicina, con gli altri non parla neanche poi tanto. Non so più
che fare».
«Tranquillo,
Tom. Ci penso io».
«Grazie,
sei un angelo».
Tom
sospirò tristemente tenendo la testa appoggiata alla mano.
Hellen
lo osservò attentamente e poi gli si avvicinò
posandogli una mano sulla schiena e lasciandoci delle carezze.
«Hey,
Tom, stai su. Vedrai che riuscirà a riprendersi e... tornerà
da te» cercò di incoraggiarlo la ragazza.
Lui
scosse la testa tirando su col naso, in previsione di un crollo
emotivo.
«Non
sai quanto mi manca e quanto mi fa male vederla così»
sussurrò con voce tremante.
«Lo
so, lo so, ma devi stare su almeno tu. Devi farlo per lei»
rispose la biondina.
«Ieri
mi ha chiamato mia mamma. Ha saputo dell'accaduto dai giornali. I
paparazzi appostati fuori dall'ospedale quel brutto giorno sono
riusciti ad arrivare a tutto e non so come. Adesso anche le fans
stanno impazzendo. C'è chi è dispiaciuta per me e chi
addirittura è contenta, pensando di avere una rivale in meno.
È orribile».
«Tu
non ti devi preoccupare di loro».
«Infatti
non me ne curo poi tanto. Mi dispiace solo per tutta questa
cattiveria nei confronti di Sara e che mia madre sia venuta a sapere
tutta la storia in questo modo. Non le avevo detto neanche che Sara
era incinta. Avrei voluto dirglielo di persona, non per telefono».
Hellen
sospirò abbracciandolo.
«Non
ci puoi fare niente, Tom. Non è stata colpa tua. Poteva
succedere a chiunque» lo rassicurò dandogli un bacio sui
cornrows.
*
Avevo
appena finito di vestirmi.
L'idea
di scendere quelle scale e rivedere Tom mi faceva stare letteralmente
male.
Per
tutto quel tempo non lo avevo visto, apparte quando mi alzavo per
andare in bagno e capitava che lui stesse passando di lì
proprio in quel momento.
Subito
ne approfittava per chiedermi come stavo ma io non rispondevo e mi
chiudevo la porta alle spalle.
Che
domanda stupida era? Stavo male! Punto!
Uscii
dalla stanza e, sospirando, scesi lentamente le scale.
Sentivo
le voci di Tom ed Hellen provenire dalla cucina, dove arrivai dopo un
po'.
Tom
mi guardò come se non mi avesse mai visto in vita sua, mentre
Hellen sorrise.
«Bene,
sei uscita dalla camera, è già un record!»
esclamò sarcastica. Io alzai gli occhi al soffitto e mi voltai
dall'altra parte. «Forza, andiamo, oggi giornata di shopping
sfrenato!» disse di nuovo prendendomi a braccetto. «Saluta
Tom» mi sorrise di nuovo, come fosse una mamma che pretendeva
educazione da sua figlia.
«Ciao,
Tom» borbottai senza guardarlo.
«Ciao»
rispose lui tristemente.
Hellen
scosse la testa e mi trascinò fuori casa, dopo aver salutato
anche lei il ragazzo.
«Non
puoi fare così però! Che ti ha fatto?!» mi
rimproverò mentre salivamo nella sua macchina.
Io
la fulminai semplicemente con lo sguardo per poi spostarlo sulla
strada.
*
«Perfetto!
Ora fa anche fatica a salutarmi! Grandioso!» esclamò Tom
esasperato, allargando le braccia e guardando in alto.
«Ehm,
Tom, tutto bene?» domandò Gustav entrando in cucina.
«Non
che non va tutto bene! Sara non mi saluta neanche più!
Gliel'ha dovuto ricordare Hellen. Mi odia!» si lamentò
il moro, in presa ad una crisi nervosa.
«Ma
cosa dici, Tom, figurati se Sara ti odia!» ridacchiò
Gustav. «E' pazzamente innamorata di te. Mi chiedo anche come
possa esserlo» continuò scherzando.
Tom
fulminò il batterista.
«Grazie,
Gustav. Mi sento decisamente meglio» borbottò
sarcastico.
Gustav
gli diede una pacca sulla schiena.
«Dai,
Tomi, le devi solo dare tempo. Abbi pazienza. Adesso esco. Bill sta
dormendo in camera sua, Georg è uscito con Anna, pensi di
riuscire a non fare casini in casa per qualche ora?».
«Ma
per chi mi hai preso, per un bambino? E poi, aspetta, fermati, mi sta
sfuggendo qualcosa. Georg è uscito con Anna?».
«Oh
sì. Quel giorno all'ospedale, a quanto pare è rimasto
folgorato, così quando l'ha accompagnata fuori le ha chiesto
il numero e si stanno vedendo da un po'».
«E
come mai io non ne sapevo niente?».
«Sei
talmente preso dai tuoi problemi che non ha voluto interferire con le
sue cose».
«D'accordo,
ho i miei problemi, ma siamo sempre amici».
«Beh,
ci puoi chiarire quando torna a casa».
Tom
annuì a testa bassa.
Gustav
gli sorrise e, salutandolo, uscì dallo studio.
Il
ragazzo, rimasto solo, sospirò scuotendo la testa.
Neanche
più i suoi amici lo rendevano partecipe delle loro cose.
*
Sbuffai
per l'ennesima volta cercando di trascinarmi dietro quella marea di
buste pesanti.
Hellen
continuava a girare per il negozio tirando fuori un capo diverso
dall'altro da farmi provare.
Era
riuscita a farmi comprare due paia di jeans, quattro magliette, un
vestito da sera, dell'intimo fin troppo provocante, un paio di scarpe
da ginnastica e uno col tacco.
Ovviamente,
tutto questo contro il mio volere.
Il
suo entusiasmo mi mandava fuori di testa.
Avevo
voglia di tornare a casa, di chiudermi di nuovo in camera e starmene
tranquilla, per i fatti miei.
Era
stata una pessima idea quella di uscire a fare shopping.
Non
mi aiutava di certo, anzi, mi rendeva ancora più nervosa e
suscettibile.
«Hellen»
la chiamai ad un tratto scocciata, sbattendo un piede a terra. Lei
finalmente si fermò e mi guardò incuriosita. «Posa
quella camicetta» le dissi. Lei obbedì e poi tornò
ad osservarmi aspettando che le dicessi altro. «Voglio
tornate allo studio»
dissi schietta.
«Dai,
facciamo ancora un giro e poi andiamo»
insistette.
«No»
ribattei. «Voglio
tornare allo studio. Adesso»
ripetei con un tono che non ammetteva repliche.
Lei
sbuffò annuendo e si incamminò verso l'uscita.
Io
la seguii finchè non raggiungemmo la sua macchina.
«Ti
va di parlare?» mi
chiese appena mise in moto.
«Mi
pare che abbiamo parlato fino adesso»
risposi indifferente.
«Intendo
seriamente».
L'avevo
capito sin dall'inizio a cosa si riferisse, ma non avevo
assolutamente voglia di parlare di Tom, solo per sentirmi
rimproverare o sentirmi dire cosa dovevo o non dovevo fare.
«Se
vuoi parlare di Tom ti dico già che è inutile, io non
cambio idea, ho bisogno del mio tempo e se ti dico che in questo
momento non posso riavvicinarmi a lui come prima, vuol dire che non
mi smuovo» tagliai corto.
Evidentemente
funzionò perchè non mi chiese più nulla.
Una
volta arrivate davanti allo studio la salutai e scesi dalla macchina,
mentre lei ripartiva diretta ad Amburgo, a casa sua.
Aprii
la porta di casa e mi guardai intorno. Nessuna traccia di Tom.
Cercai
di mantenere le quattro buste pesanti senza ruzzolare per terra.
«Ti
serve una mano?».
Rabbrividii
ed alzai lo sguardo.
Tom
si trovava in salotto e, avendo sentito il rumore dei miei passi, si
era affacciato.
«No»
risposi.
Lui
ignorò la mia risposta e prese due buste.
In
quel nanosecondo la sua mano sfiorò la mia e sentii un brivido
percorrere la mia spina dorsale.
Sembrò
quasi che lui avesse provato la stessa cosa, dato che arrossì
abbassando subito lo sguardo con un sorriso imbarazzato.
Salimmo
le scale ed arrivammo in camera.
Posammo
le buste sul letto e rimanemmo in silenzio senza guardarci.
«Allora,
avete comprato tante cose» spezzò lui il silenzio,
alludendo ai sacchetti. Io annuii semplicemente, piuttosto
imbarazzata. «Immagino sia stata opera di Hellen, ecco perchè
secondo me starebbe benissimo assieme a Bill» sorrise lui
passandosi una mano dietro al collo, scostando i cornrows.
Sapevo
che stava cercando argomenti validi, ma era impacciato almeno quanto
me, se non di più.
«Sì,
lo... lo penso anche io» annuii incerta senza guardarlo.
«Sarebbero perfetti insieme» aggiunsi inespressiva.
«Anche
io e te lo saremmo...» sussurrò quel tanto che bastava
per farmi sentire.
Solo
in quel momento sembrò accorgersi di quello che aveva detto e
si ammutolì.
Io
mi ostinavo a non guardarlo, mentre sentivo continuamente i suoi
occhi puntati addosso a me.
«Non
so cosa vorresti che ti dicessi» alzai le spalle.
«Che
mi ami ancora... che se anche per ora non riesci a tornare con me,
sei ancora innamorata di me. Ho bisogno di questa certezza»
rispose con le lacrime agli occhi mentre tremava visibilmente.
Il
solito magone mi impedì quasi di respirare. D'accordo, mi
faceva male vederlo così per me.
Deglutii
e poi, dopo aver sospirato con fatica, annuii impercettibilmente.
«Di
certo un sentimento così grande non può cessare da un
giorno all'altro» dissi con grande sforzo.
Lo
vidi sorridere leggermente, rincuorato.
«Spero
non succeda mai» sussurrò.
Quello
fu il nostro primo contatto visivo di tutta la conversazione.
Ci
perdemmo per minuti interminabili l'uno negli occhi dell'altra, come
se non ci fossimo mai realmente guardati.
O
semplicemente come se ci dovessimo ricordare come fosse guardarci.
Lo
vidi avvicinarsi lentamente ed il cuore cominciò a battermi
all'impazzata.
Aprì
le braccia e le portò quasi con paura attorno al mio corpo.
Un
abbraccio. Un dolce e semplice abbraccio.
Chiusi
gli occhi per godermi quel calore che nel subconscio sicuramente
attendevo da troppo tempo.
Sì,
lo amavo tantissimo. Non c'erano dubbi.
Le
mie mani tremanti si aggrapparono leggermente alla sua felpa, sulla
sua schiena.
Respirai
a fondo il suo profumo impregnato nella maglia oversize.
Quanto
mi mancava.
E
provavo rabbia perchè lo volevo ma non riuscivo pensare di
dover tornare a stare con lui, almeno non in quel momento.
Cos'era
che mi fermava? La delusione? La paura? Ma la paura di cosa?
Cercai
di scacciare quei pensieri. Li avrei ripresi a mente più
lucida e con un cuore che si desse almeno una calmata.
Mi
staccai lentamente da lui e lo guardai con tenerezza.
Aveva
ancora gli occhi lucidi, si vedeva lontano un miglio che gli mancavo.
«Grazie
per rispettare la mia decisione, Tom» gli dissi.
Era
vero, avrebbe potuto baciarmi ma non l'aveva fatto.
Mi
aveva semplicemente stretto a sé in segno di affetto e
nostalgia.
Lui
sforzò un sorrisetto ed abbassò di nuovo lo sguardo.
«Anche
se è dura» rispose. Non seppi che dire. «Ti lascio
sola se vuoi. Se hai voglia di un po' di compagnia... o di parlare...
o... qualsiasi cosa... sono di sotto in salotto, ok?» balbettò
impacciato.
Io
annuii ringraziandolo, giusto per alleviare quella tensione.
Mi
diede le spalle ed uscì dalla stanza richiudendo la porta.
Mi
voltai anche io e cominciai a mettere apposto tutti i capi nuovi
nell'armadio.
*
Tom
stava scendendo le scale con sguardo spento e demoralizzato, quando
sentì suonare il campanello.
Incuriosito
andò ad aprire e gli si raggelò il sangue nelle vene.
Andreas.
«Che
cazzo ci fai qua?» chiese con gli occhi spalancati.
«Non
mi fai neanche entrare?» chiese il biondo piuttosto mogio.
«Da
quando sei il benvenuto qui dentro?».
«Tom,
vorrei parlare a te e Bill. Ma soprattutto a te».
«Ti
ripeto, non sei il benvenuto, sparisci».
Fece
per chiudere la porta ma Andreas vi infilò un piede
bloccandola.
«Ti
prego, Tom. Per quanto tempo deve andare avanti questa storia?»
chiese il biondo.
«Mi
sembra che neanche tu avessi tutta questa voglia di riconciliazioni»
disse Tom sprezzante. «Cos'è, hai avuto
un'illuminazione?» domandò ancora con sarcasmo.
Sarcasmo
ricco di rabbia.
«Sono
venuto a sapere tutto quello che ti è successo».
«E
cosa mi sarebbe successo?».
«Andiamo,
Tom, non c'è bisogno che te lo dica io che Sara ha perso un
bambino».
Tom
serrò gli occhi sentendo una fitta troppo dolorosa al petto.
«Non
ti permettere di nominarli!» urlò puntandogli il dito
contro.
«Hey,
non sto facendo nulla di male».
«Vattene,
non ho bisogno della tua compassione proprio ora».
«Non
sono qui per compatirti, ma per porre fine a questo silenzio del
cazzo».
«Perchè
ti è venuto in mente solo ora?! Dovevano essere i giornali a
ricordarti che esisto ancora? Che io e Bill esistiamo ancora?!».
«Lo
sai che non sono i giornali. Io vi ho sempre avuto in mente anche se
l'orgoglio era più forte della ragione, lo ammetto. È
stata anche Sara a farmi ragionare».
«Ti
ho detto che non devi nominarla».
«E
come la devo chiamare, “la tua ragazza”?».
Tom
si irrigidì.
«Non...
non è la mia ragazza in questo momento» disse.
«Mi
dispiace, non lo sapevo» rispose Andreas.
«No,
non è vero che ti dispiace. Potrebbe essere la tua rivincita».
«Tom,
non dire sciocchezze, lo sai che non vorrei mai il vostro male».
«Felice
di saperlo».
A
insaputa di Andreas, Tom gli colpì il piede con il suo,
riuscendo a chiudere la porta a chiave.
Si
passò le mani sul viso.
Quella
“visita” era stata decisamente inaspettata e non sapeva se
esserne contento o furioso.
*
Avevo
sentito tutto. Avevo sentito tutte le sue urla e tutte le loro
parole.
L'aveva
respinto. Scossi la testa.
«Sei
uno stupido, Tom».
----------------------
Ringrazio di cuore:
Lion of darkness
_Reset
babakaulitz
JuJy_TokieTTA_
Zucchelino
layla the punkprincess
SISSUx_VANILLA
Tiky
Ice princess
NICEGIRL
_Radio Hysteria
_Pulse_
Non potete capire quanto mi rende contenta il fatto che siete così tante ^^
Veramente, grazie mille.
|
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Capitolo 15 *** Capitolo 15 ***
Capitolo 15
Capitolo
15
Quella
mattina avevo deciso di svegliarmi presto per mettere un po' d'ordine
in casa.
Ovviamente,
se non lo facevo io nessuno ci pensava minimamente, apparte Isy.
I
Tokio Hotel erano fuori a tenere un'intervista ed un servizio
fotografico.
L'umore
di Tom non era dei migliori ma non avrebbe potuto rifiutarsi comunque
di farlo.
Sapevo
a cosa pensava: alla sera prima.
Alla
visita improvvisa di Andreas.
Era
stata decisamente inaspettata per lui.
Eppure
ero convinta che non l'avesse “disprezzata” del tutto, come
voleva far credere.
Aveva
deciso di raccontare tutta la vicenda a suo fratello.
Quest'ultimo
aveva avuto una reazione diversa e poco comprensibile.
Era
rimasto semplicemente impassibile alle parole del fratello.
Certo,
all'inizio ne era rimasto sorpreso, ma poi si era limitato a
sospirare tenendo lo sguardo basso e senza proferir parola.
A
tale comportamento Tom non aveva potuto fare a meno di innervosirsi
ancora più di quanto già non fosse.
Sperava
che almeno suo fratello lo sostenesse, che provasse lo stesso tipo di
sentimento.
Il
problema era che non lo sapeva neanche lui quello che provava ed io
l'avevo capito.
Era
confuso, come per la maggior parte delle cose che doveva affrontare.
Mi
faceva tanta tenerezza.
Sapevo
che voleva ritrovare il legame di un tempo con Andreas ma l'orgoglio
e la rabbia glielo impedivano.
Per
certi versi io e lui eravamo davvero molto simili.
Forse
era anche quello il motivo dei nostri litigi frequenti.
Forse
era giusto che ognuno seguisse la propria strada? Non saremmo potuti
stare assieme?
Erano
tutti quesiti che mi ponevo senza riuscire a darmi una risposta.
Probabilmente
non avevo voglia di farmi troppi problemi su quel fatto.
Volevo
solo vivere il secondo... carpe diem.
Natale
era alle porte.
Precisamente
era il 23 Dicembre e la cosa non mi entusiasmava più di tanto.
Ogni
anno, all'arrivo del Natale, era tradizione che il mio umore cadesse
a terra.
Il
motivo era semplice da capire: non ero abituata a festeggiare le
festività, a causa delle condizioni famigliari nelle quali mi
trovavo.
Certo,
avrei dovuto essere serena del fatto che adesso una “famiglia”,
bene o male, ce l'avevo.
Eppure
uno spiacevole senso di malinconia albergava nel mio cuore.
La
prima persona che mi veniva da associare a tale sensazione era Tom.
Avremmo
passato quel Natale ancora divisi? O sarei riuscita a mettere da
parte l'astio, la delusione e a perdonarlo?
Sarebbe
dipeso tutto da me.
Lui
non insisteva più con me per rispetto, anche se sapevo che
non riusciva a scollarmi i suoi pensieri di dosso.
Lo
vedevo da come mi guardava.
Da
come mi cercava.
Dalle
piccole e semplici cose che faceva per me, a partire dal caffè
al mattino.
E
io lo adoravo, lo amavo, me ne convincevo sempre di più.
Avrei
dovuto trovare una soluzione, quella situazione mi stava uccidendo.
Quando
entrai in salotto mi venne da sorridere notando che Bill era alle
prese con l'albero di Natale.
Stava
cercando di aprirlo ma faceva troppa fatica a causa del peso e delle
foglie appuntite.
«Ma
porca...» stava borbottando cercando di tenerlo almeno in
piedi. Io ridacchiai e mi avvicinai a lui velocemente, afferrando
saldamente quell'abete. «Grazie» mi sorrise rincuorato.
«Perchè
non hai chiamato qualcuno per farlo?» gli chiesi dolcemente
cominciando ad aprire le foglie assieme a lui, una volta che avemmo
fissato l'albero sul piedistallo.
«Non
mi andava di disturbare nessuno» scrollò le spalle.
«Sarebbe
carino che tu lo facessi anche con tuo fratello questo albero, non
credi?» gli sorrisi.
«E'
arrabbiato con me» tagliò corto.
«Nah,
non lo è».
«Oh
sì che lo è».
«D'accordo».
Sorridendo,
mi voltai e mi incamminai verso le scale, sotto lo sguardo confuso di
Bill.
Appena
arrivai davanti alla camera di Georg bussai un paio di volte e il
rosso mi venne subito ad aprire.
«Hey»
mi sorrise.
«C'è
Tom lì con te?» domandai. Georg annuì incerto e
si voltò all'interno della sua stanza, chiamando il
chitarrista. Il moro uscì osservandomi incuriosito.
Ultimamente non capitava tutti i giorni che fossi io a cercarlo. «Vai
ad aiutare tuo fratello di sotto a fare l'albero?» gli proposi.
Lui
sbattè un po' di volte le palpebre, come se cercasse di capire
quello che gli avevo appena detto.
«Ehm,
adesso sono occupato» rispose grattandosi il collo com'era
solito fare quando si trovava in difficoltà.
La
cosa mi fece sorridere.
Gli
presi delicatamente la mano e gliela accarezzai con dolcezza,
facendogli trattenere il respiro.
«Tuo
fratello ne sarebbe contento. Pensa che sei arrabbiato con lui»
sussurrai.
«Io
non sono arrabbiato con lui» borbottò voltandosi di lato
ma senza staccare la mano dalle mie che continuavano ad
accarezzargliela.
Era
caldissima a contatto con la mia e per un momento ebbi il lontano
pensiero di abbracciarlo, portarlo in camera e sentirmi di nuovo sua.
Mi
mancava il suo contatto.
Mi
mancavano i suoi baci, i suoi abbracci, le sue carezze, i suoi
respiri sulla mia pelle.
Mi
mancava tutto di lui e mi diedi della stupida per essermi rovinata
con le mie stesse mani.
«Allora
scendi con me... e fai l'albero insieme a noi. Può sembrare
una stupidata ma per Bill significherebbe tantissimo» riuscii a
rispondere non appena ripresi il controllo.
Lui
sospirò guardandomi attentamente negli occhi e poi abbassò
lo sguardo sforzando un sorrisetto.
«Tu
hai sempre fatto di tutto per farmi riappacificare con gli altri, qui
dentro. Penso che senza di te, a quest'ora...» cominciò
dolcemente ma io gli posai due dita sulle labbra, cosa che mi provocò
nuovi brividi lungo la schiena.
«Non
devi dire grazie a me. Devi dire grazie a te che sei capace di
mettere da parte l'orgoglio quando occorre. Ti confesso che ti
invidio» sussurrai distogliendo lo sguardo, logicamente
alludendo alla situazione attuale tra me e lui. Quando rialzai lo
sguardo vidi che mi stava sorridendo. «Dai, scendiamo» mi
salvai da quell'improvvisa situazione imbarazzante, tirandolo
delicatamente dalla mano giù per le scale.
Arrivammo
in salotto e mi schiarii la voce per catturare l'attenzione di Bill,
intento ad appendere alcune palline sull'albero.
«Hai
bisogno di una mano?» chiese Tom sorridendo.
Bill
ne rimase sorpreso ma ricambiò lo sguardo, posandolo per un
attimo su di me.
Io,
in risposta, gli feci l'occhiolino.
Bill
distese le sue labbra in un sorriso sereno ed annuì
lievemente.
Tom
gli si avvicinò e cominciò ad aiutarlo ad appendere le
palline sull'abete.
Improvvisamente
lo sguardo mi cadde sul suo collo e, con un tuffo al cuore, notai che
la collana con il ciondolo a forma di cuore spezzato, corrispondente
al mio, ce l'aveva ancora lì.
Nella
sua testa non riusciva ad accettare la cosa.
Io
l'avevo tolta e gettata nel cassetto come una stupida insensibile.
Chiusi
gli occhi respirando a fondo, trattenendo le lacrime.
Basta,
volevo di nuovo Tom.
«Tom,
dopo ti... ti posso parlare?» gli chiesi timidamente.
Lui
alzò lo sguardo su di me, piuttosto incuriosito.
Proprio
in quel momento il campanello suonò.
Sospirando
andai ad aprire e notai con piacere che era Hellen.
«Hellen!»
esclamò Bill appena la vide e le corse in contro, lasciando
l'albero nelle mani di suo fratello che sorrise scuotendo la testa.
Dopo
averla salutata mi avvicinai al moro.
Bill
ed Hellen avevano cominciato a parlare e nessuno li poteva più
staccare l'uno dall'altra.
«Mi
chiedo quando si deciderà mio fratello a saltarle addosso»
ridacchiò Tom tenendo lo sguardo basso e continuando ad
appendere le palline.
Cominciai
ad aiutarlo anch'io.
«Lo
sai meglio di me che non è il tipo» ribattei.
«Sì,
ma continuando così non avrà mai uno straccio di
ragazza».
«Dagli
il suo tempo».
«Non
pensi che vent'anni siano stati abbastanza?».
«Non
tutti vogliono andare dritti al sodo come te, Tom».
Lo
vidi arrossire, rifiutandosi di guardarmi.
Io
mi schiarii la gola imbarazzata e non dissi altro, facendo finta di
nulla.
Tra
noi era calato un silenzio decisamente preoccupante.
Odiavo
quei momenti.
«Ehm,
di che mi volevi parlare?» riprese lui dopo un po'.
Il
mio cuore fece un ennesima capovolta.
«Allora,
che fate qua?» esclamò Hellen facendo irruzione in
salotto, saltellante, assieme a Bill.
Io
e Tom ci guardammo ancora qualche secondo.
Dovevo
rimandare anche quella volta.
Quante
volte ancora avrei dovuto farlo?
Ci
sarebbe sempre stato per me?
Sbuffai
leggermente, attirando l'attenzione di tutti e tre.
«Niente,
vado un attimo di sopra» dissi alzandomi e salendo le scale.
Scossi
la testa, non potevo andare avanti così.
Dovevo
dirlo a Tom che lo volevo, ma sembrava che gli altri si mettessero in
mezzo a noi apposta!
Il
nervoso non faceva altro che salire, quando sentii una presenza alle
mie spalle.
Mi
voltai e trovai Tom davanti a me.
«Hey,
che hai? Ti ho visto strana» mi sorrise. Io abbassai lo sguardo
negando con un sorriso appena accennato. «Sicura? Mi volevi
dire qualcosa» continuò con una dolcezza disarmante.
«Sì,
effettivamente ti dovevo dire una cosa... però te ne vorrei
parlare in tranquillità e con più calma» risposi
tremante.
«Se
vuoi ne possiamo parlare ora in camera nostra... cioè mia...
cioè... vabbè, hai capito» balbettò
diventando di un colore decisamente troppo scuro per lui.
Io
deglutii ed annuii seguendolo fino alla porta.
Posò
la mano sulla maniglia e quando l'aprì entrambi sobbalzammo.
«Oddio!»
strillai coprendomi gli occhi dalla vergogna.
Tom
aveva spalancato gli occhi sbattendo di nuovo la porta con velocità.
Io
tenevo ancora le mani sul mio viso, sapendo perfettamente di essere
diventata bordeaux.
«Ma
che cazzo ci fanno lì?!» esclamò Tom respirando
con affanno.
«E
che ne so!» ribattei nuovamente.
Se
vi dicessi che all'interno di quella camera avevamo colto in
flagrante Georg ed Anna che...
«Facevano
sesso in camera mia! Sul mio letto!» si lamentò Tom
piuttosto disgustato mentre scendevamo di corsa le scale.
«Non
ne parlare adesso davanti agli altri» borbottai.
«Devo
riprendermi. Che schifo, l'hobbit che faceva sesso. Sul mio letto
poi! Vado a fumarmi una sigaretta che è meglio» continuò
fino ad uscire dallo studio con un pacchetto di sigarette in mano.
Effettivamente
quella visione era stata per me parecchio scioccante.
Entrai
in salotto dove trovai Hellen e Bill che chiacchieravano
animatamente.
L'albero
era finalmente terminato ed era venuto davvero bene.
«Come
mai quella faccia sconvolta?» mi domandò Hellen non
appena si voltò verso di me.
Io
scossi la testa facendo segno di lasciar perdere con la mano mentre
mi sedevo sul divano.
«Sembra
che hai visto Georg fare sesso» commentò Bill divertito.
Io
mi immobilizzai ad osservarlo con occhi sgranati.
«Ok,
vado a farmi una camomilla» borbottai alzandomi di nuovo ed
entrando in cucina.
Senza
neanche saperlo ci aveva preso.
Preparai
la camomilla e, mentre aspettavo che l'acqua bollisse, mi appoggiai
al davanzale della finestra, osservando Tom da dietro il vetro che si
appannava lentamente del mio respiro.
Fumava
con tranquillità ed... eleganza.
Riusciva
a rendere tutto quello che faceva meraviglioso, persino un semplice
aspirare del fumo.
Vidi
la pelle d'oca farsi spazio sulle mie braccia.
Non
avevo ancora avuto modo di parlargli.
Eravamo
stati interrotti per l'ennesima volta.
Che
fosse un segno?
Quello
che volevo fare, ovvero parlargli e tornare con lui, era uno sbaglio?
Tom
si voltò verso la finestra e, appena mi vide osservarlo, mi
sorrise dolcemente.
Un
sorriso così tenero, così privo di malizia, che mi fece
letteralmente sciogliere.
No,
non poteva essere uno sbaglio.
Tom
non era uno sbaglio.
Era
la persona più dolce, più importante per me.
Me
l'ero strappata via senza pensarci.
Ma
non potevo vivere senza di lui, non potevo starci lontana.
Gli
avrei parlato.
Prima
di Natale avrei dovuto sicuramente farlo e avevo solamente un giorno
di tempo.
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Ringrazio:
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NICEGIRL
_Reset
Zucchelino
layla the punkprincess
Lion of darkness
_Pulse_
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Capitolo 16 *** Capitolo 16 ***
capitolo 16
Capitolo
16
«Scusami,
hai ragione, non avrei dovuto. Però, insomma, lo sai meglio di
me che in quei momenti non ci si riesce a controllare e... non sono
stato molto ad assicurarmi che quella fosse la mia stanza».
Il
rossore di Georg aveva di gran lunga superato i suoi capelli.
Se
ne stava a testa china davanti a Tom, che lo guardava con aria di
rimprovero ma divertita allo stesso tempo.
Io
me ne stavo seduta sul divano affianco e stavo cercando di soffocare
delle risate decisamente fuori luogo.
«Sì,
lo so. Beh, però che non succeda più» concluse
Tom, stravaccato sull'altro divano.
Georg
annuì ripetutamente dispiaciuto. Mi faceva addirittura
tenerezza.
Poi
si voltò verso di me.
«Scusa
anche a te, Sara... insomma, in quel letto ci devi dormire tu»
balbettò imbarazzato.
Senza
accorgermene arrossii.
«Oh,
beh, tranquillo, cambiare le lenzuola non è un problema»
ridacchiai impacciata.
La
sua pelle, dal rosso, sfumò verso il bordeaux in pochissimi
secondi.
Decise
di togliere il disturbo salendo le scale.
Anna,
subito dopo quell'imprevisto era andata via velocemente, provando una
vergogna non quantificabile.
Io
forse avrei reagito anche peggio.
Rapita
dai miei pensieri, non mi accorsi che io e Tom eravamo rimasti
nuovamente soli in salotto.
Bill
era uscito. Voleva comprare un regalo ad Hellen, dato che era la
vigilia di Natale.
Il
motivo l'aveva tralasciato, ma non era difficile arrivarci.
Molto
probabilmente anche Hellen era in giro per Amburgo alla ricerca di
qualcosa di carino da regalargli.
Già
me la immaginavo in tutta la sua agitazione.
Io
intanto cercavo un modo per parlare con Tom.
Ogni
volta che ci provavo, puntualmente venivamo interrotti.
Ma
io mi ero ripromessa di chiarire prima di Natale ed avevo ancora solo
mezza giornata davanti.
Quella
poteva essere l'occasione.
«Tom,
ti posso parlare?» gli chiesi proprio nel momento in cui in
salotto fece irruzione Gustav.
«Tom,
ti vuole David» annunciò il biondino.
Io
mi morsi la lingua per non cominciare ad imprecare contro di lui che,
poverino, non c'entrava nulla.
Tom
mi guardò qualche secondo e poi si rivolse a Gustav.
«Ehm,
sì, arrivo subito. Tu mi dovevi dire qualcosa di importante o
possiamo rimandare?» chiese poi rivolto verso di me.
Io
scossi la testa reprimendo la volontà di prenderlo e baciarlo
una volta per tutte.
«No,
tranquillo. Nulla di importante» sussurrai cercando di
risultare convincente.
Lui
annuì sorridendo e poi si alzò dal divano, dirigendosi
in cucina dove si trovava David.
Io
sbuffai buttandomi a peso morto contro lo schienale del divano.
Sentivo
gli occhi di Gustav scrutarmi attentamente.
«Che
hai?» mi domandò sedendosi al posto di Tom.
«Nulla»
risposi mogia, senza guardarlo.
«Sono
arrivato al momento sbagliato?» indagò.
Molto
probabilmente aveva capito quali erano le mie intenzioni con Tom da
giorni ormai.
Se
ne erano accorti tutti tranne il diretto interessato.
Mi
sembrava di tornare ai primi tempi, quando nessuno dei due riusciva a
dichiararsi all'altro per l'eccessivo orgoglio.
«Mentirei
se ti dicessi di no» gli sorrisi imbarazzata.
«Scusami,
ma David doveva parlare a Tom di una cosa urgente».
«Hey,
non preoccuparti GusGus, non è colpa tua».
Gli
sorrisi alzandomi dal divano.
Gli
stampai un bacio sulla guancia e salii le scale.
Sbuffai
per l'ennesima volta mentre una lacrima solcava il mio viso.
*
Erano
le undici e mezza di sera, del 24 Dicembre e io me ne stavo
rannicchiata a piangere sotto le coperte, abbracciata al cuscino.
Tirai
su col naso e sospirai. Non ero riuscita a parlare a Tom, alla fine
ci avevo rinunciato a priori.
Mi
alzai dal letto asciugandomi le lacrime ed aprii il cassetto del mio
comodino.
Con
un tuffo al cuore notai che la mia collana col cuore spezzato non
c'era più.
Cominciai
a frugarvi meglio dentro mentre l'agitazione cresceva.
Dov'era
andata a finire? Chi poteva averla presa?
Non
poteva essere sparita, non poteva qualcuno avermi privato di
quell'oggetto così importante per me, nonostante tutto.
L'avevo
tolta, era vero, ma ci tenevo comunque tantissimo nel profondo.
Avevo
sbagliato tutto.
Possibile
che ero così maldestra? Così stupida?
Mi
odiavo, mi odiavo da morire e me lo sarei ripetuto fino alla fine.
Diedi
una manata al comodino ed uscii dalla stanza: sapevo che i ragazzi mi
stavano aspettando per festeggiare assieme il Natale. Sicuramente il
mio umore non era dei migliori per affrontare una festività
che teoricamente dovrebbe portare armonia.
Scesi
le scale ed arrivai in salotto dov'erano tutti seduti per terra, sul
tappeto, attorno all'albero di Natale: Bill, Tom, Georg, Gustav,
David e Isy.
Hellen
ed Anna, ovviamente avrebbero festeggiato con la loro famiglia.
La
cosa che più mi metteva tristezza era il fatto che il giorno
dopo Bill e Tom sarebbero andati a casa di Simone per festeggiare
anche con lei e Gordon.
Io
non sarei potuta andare. Non facevo più parte della loro
famiglia.
Anche
Georg e Gustav il giorno seguente sarebbero andati a casa loro.
Io
molto probabilmente sarei rimasta da sola allo studio di
registrazione.
O
magari Hellen avrebbe avuto la compassione di chiamarmi per andare a
passare una “bella” giornata a casa sua.
Non
appena varcai la soglia del salotto, tutti quanti si voltarono verso
di me sorridendomi.
Sapevo
di avere ancora la pelle irritata e rossa per le troppe lacrime e che
loro se ne sarebbero accorti molto presto, ma cercai lo stesso di
fare finta di nulla e ricambiai il sorriso.
«Possiamo
aprire i regali finalmente!» esclamò Bill battendo
freneticamente le mani come una bambina entusiasta della sua bambola.
«Tieni,
rompiscatole» sorrise Gustav porgendogli un pacchetto blu con
le stelle argento.
Bill
emise un urletto da prima donna e scartò con cura il regalo.
«Oddio,
che bella!» esclamò il vocalist alzando con le mani una
maglietta, tipicamente stretta e nera, con dei motivi gotici su di
essa in argento. «Grazie mille GusGus!» disse contento il
moro saltando addosso al batterista ed abbracciandolo calorosamente.
A
quel punto fu il turno di Georg e Gustav, poi Georg e Bill, Tom e
Gustav, Georg e Tom... insomma, nessuno più mancava.
Io
avevo ricevuto un bellissimo maglione viola di Armani da Bill, un
libro molto interessante da Gustav, un costosissimo giubbotto in
pelle nero da Georg, un'enorme trousse per i trucchi da Isy e una
cintura D&G da David.
Tutto
bellissimo... ne ero contenta. Ma Tom?
Mi
aveva guardato con un sorriso quasi imbarazzato, passandosi una mano
dietro al collo.
Non
aveva niente per me. Non che mi interessasse il regalo in sé.
Ma
almeno da un gesto si poteva capire che almeno un po' ci teneva
ancora a me.
I
miei regali erano stati graditi da tutti, persino da lui.
Gli
avevo comprato una maglia e una felpa da hip hop della Los Angeles,
come piacevano a lui.
Lui
per me niente. Dovevo aspettarmelo.
Forse
anche lui credeva che io non gli avrei regalato nulla.
Più
andavo avanti e più mi sentivo una stupida illusa.
Tutte
le mie speranze andavano a farsi fottere.
Basta,
Tom non era più cosa mia e dovevo accettarlo.
«Ragazzi,
vorremmo darvi un annuncio» esortò improvvisamente
David, risvegliandomi dai miei pensieri. «Io ed Isy... insomma
è già da un po' che ne parlavamo. Il discorso usciva
fuori sempre con battute e per scherzo, fino a che non lo abbiamo
preso seriamente» continuò.
Fece
una pausa mentre io e il resto del gruppo li osservavamo attendendo
il succo del discorso.
David
ed Isy si guardarono sorridendo e poi si voltarono di nuovo
esclamando due semplici parole dal significato enorme: «Ci
sposiamo!».
Bill
sputò l'acqua che stava momentaneamente sorseggiando,
prendendo a tossire convulsamente.
Tom
era rimasto a bocca aperta.
Gustav
dava delle pacche sulla schiena del vocalist cercando di farlo
riprendere.
Georg
fissava quasi impassibile la coppia davanti a sé, per poi dire
semplicemente: «Ma veramente?».
Isy
e David scoppiarono a ridere piuttosto divertiti dalla reazione di
tutti quanti.
«Sì!
Me l'ha chiesto questa mattina, appena mi sono svegliata!»
esclamò Isy con le lacrime agli occhi ed il sorriso più
solare e sincero che le avessi mai visto fare. «Figurati come
l'ho presa, ancora nel mondo dei sogni!» aggiunse entusiasta.
In
effetti era stata una cosa piuttosto bizzarra ma molto carina.
Ero
davvero contenta per loro due.
Per
Isy soprattutto. Lei, alla quale era sempre stato negato l'amore
della figlia.
Lei
che mi aveva aiutato in molte situazioni di difficoltà.
Io
che la ritenevo quasi come una mamma per me.
Decisamente
magnifico.
Mi
alzai automaticamente andando ad abbracciarla.
«Sono
davvero contenta per te» sussurrai stringendola ad occhi
chiusi.
«Grazie,
tesoro» rispose lei con lo stesso tono, ricambiando quel gesto
affettuoso.
Tutti
i ragazzi, me compresa, abbracciarono anche David nei quali occhi si
poteva leggere la più sincera felicità di questo mondo.
Se lo meritavano.
Avevano
il diritto di essere felici insieme.
Loro
lo avevano.
Sorrisi
amaramente abbassando lo sguardo verso il pavimento mentre
un'improvvisa sensazione di malinconia mi pervase.
Le
voci e i rumori attorno a me erano diventi un'eco lontana.
Le
immagini le vedevo più sfocate.
La
mia mente rifletteva solo lui, ma non il “lui” in salotto che
sorrideva della bella notizia.
Bensì
il “lui” che mi guardava intensamente negli occhi, trasmettendomi
una marea di emozioni troppo grandi e pericolose da recepire tutte
insieme.
Abbassai
le palpebre lentamente cercando di cancellare quell'immagine, ma
niente.
Riaprii
gli occhi.
«Direi
che dobbiamo festeggiare anche questo evento!» esclamò
Georg alzando un bicchiere pieno di champagne.
Tutti
quanti seguimmo il suo esempio facendo la stessa cosa, per poi
portare i bicchieri alle labbra e bevendone il contenuto frizzantino.
Posai
di nuovo il bicchiere sul tavolino e, mentre gli altri se la
chiacchieravano animatamente, decisi di uscire silenziosamente dallo
studio di registrazione.
Richiusi
la porta e mi appostai in giardino.
Le
mani nelle tasche dell'enorme cappotto bianco, la sciarpa attorno al
collo.
Il
fumo gelido che usciva dalle mie labbra ad ogni mio respiro.
La
temperatura doveva trovarsi di tanto sotto lo zero, ma in quel
momento non sentivo nulla.
Guardavo
la Luna sopra di me, chiedendole il perchè.
Il
perchè di tutte quelle mie sofferenze.
Il
perchè della mia stupidità.
Il
perchè non riuscivo a trovare la mia vera felicità.
O
se la trovavo, per quale motivo non riuscivo a tenermela stretta,
come la mia relazione con Tom.
Tutti
ci riuscivano, io no. Dovevo essere connaturata male, era l'unica
spiegazione.
Ero
destinata a vivere incompleta, non del tutto soddisfatta e felice.
Dovevo
sempre avere un vuoto nella mia vita, in aggiunta a tutti quelli che
avevo già: mamma e papà.
Potevo
crearmi una mia famiglia?
Non
ne avevo mai avuta una e quindi non potevo neanche crearla per me?
Dovevo
ritenermi una fallita?
Chiusi
gli occhi e sussurrai una sola parola, con le lacrime agli occhi:
«Aiutami...».
Attraverso
la brezza fredda che lentamente mi scompigliò i capelli,
sentii una presa leggera e dolce ai miei fianchi.
Un'improvviso
calore si diffuse lungo il mio corpo, proprio da quei due punti, su
cui le sue mani si erano posate.
Potevo
riconoscerle ovunque.
Spalancai
gli occhi umidi e mi voltai verso l'unica persona che per me
realmente contava più di chiunque altro.
Davanti
a me Tom.
I
suoi occhi, le sue labbra inclinate in un sorriso dolce e timido, la
sua espressione profonda e tenera.
Le
sue mani mi presero delicatamente il volto accarezzandomi la pelle
con i pollici.
«Che
fai qui tutta sola?» sussurrò quel tanto che bastò
per farmi rabbrividire, ma non per il freddo, mentre il suo respiro,
che sapeva ancora di champagne, mi solleticava il viso.
Boccheggiai
per qualche secondo e poi mi decisi a rispondere: «Niente,
avevo voglia di isolarmi un pò».
«In
questi giorni sei un po' strana» mi sorrise con dolcezza.
«I
miei soliti sbalzi d'umore» risposi come ipnotizzata dalle sue
labbra che si muovevano lentamente assieme al piercing ad ogni sua
parola, mentre il fumo freddo del suo respiro raggiungeva le mie.
«Sapevo
che mi avresti risposto così» rise lievemente.
Un
fiocco di neve improvvisamente si posò sulla sua spalla.
La
osservammo per poi alzare lo sguardo al cielo che ne stava
rilasciando una quantità infinita che cadeva leggera su di
noi.
Tornò
a guardarmi sorridendo.
«Sei
un libro aperto per me, piccola» sussurrò con voce roca
mentre le sue dita mi prendevano con delicatezza il mento. Il mio
cuore faceva infiniti salti mortali e temevo che prima o poi sarei
svenuta tra le sue braccia. «Ti osservo sempre. Sei
perennemente catturata dai miei occhi anche se sembra che sto
guardando altro» continuò mentre io non capivo dove
voleva arrivare. «Ti ho vista quando piangevi in camera»
rabbrividii. «Ti ho vista quando sei rimasta sorpresa della
collana che ancora porto al collo. Ti ho vista quando mi guardavi da
dietro la finestra. Come hai cercato in questi giorni di parlarmi ma
non ci sei mai riuscita». Ero rimasta piacevolmente sorpresa e
catturata dalle sue parole. «La mia attenzione è sempre
rivolta a te... come il mio cuore». A quel punto le gambe non
me le sentivo più. O meglio, me le sentivo di gelatina. «A
proposito di cuori...» disse improvvisamente frugando nella
tasca dei suoi jeans oversize. Notai che aveva tirato fuori la
collana che non riuscivo a trovare qualche ora prima. «Questa
credo sia tua» sussurrò.
«Tom...»
balbettai incredula.
«L'ho
presa io perchè... mi dispiaceva vederla in quel cassetto e...
credo che a te stia decisamente meglio» disse alzandomi i
capelli e spostandomi di poco la sciarpa per allacciarmela al collo.
Aveva
capito tutto.
Aveva
capito che intenzioni avevo da un po' di giorni.
Aveva
capito che senza di lui non potevo stare e che lo amavo troppo.
Una
volta allacciata, le lacrime cominciarono a scorrere sul mio viso.
Piccole
gocce che lui scacciò subito con delicatezza, avvicinando il
mio volto al suo.
Potevo
ancora guardarlo negli occhi ad una distanza minima, mentre sorrideva
sereno.
«Io
ti amo, piccolina mia» sussurrò sulle mie labbra.
Il
mio cuore prese a battere a massima velocità mentre mi
stringevo a lui e annullavo la distanza che ancora c'era tra di noi.
Sentii
le sue braccia avvolgermi completamente e le sue labbra calde di
nuovo a contatto con le mie, dopo tanto, troppo, tempo.
Ormai
le lacrime era impossibile frenarle.
Sentivo
una gioia crescente ed infinita dentro di me. Volevo urlare al mondo
intero la mia contentezza.
Le
sue labbra si erano dischiuse leggermente, catturando le mie che si
incastrarono alla perfezione con le sue.
Niente
di più. Solo un semplice e casto bacio.
Sembrava
avesse quasi paura di cercare un qualcosa di più profondo.
Si
era accontentato di quello.
Presi
io l'iniziativa inumidendogli leggermente le labbra.
Lo
sentii sorridere senza staccarsi da me ed accettare la richiesta
indiretta.
E
finalmente approfondimmo quel bacio tanto agognato, tanto aspettato
con impazienza.
Potevo
sentire di nuovo il gusto inconfondibile di lui. Il più buono
del mondo.
Sembrava
che ci stessimo baciando per la prima volta. Nessuno dei due dava
segno di volersi staccare dall'altro.
Troppe
cose avevamo da dirci, anche attraverso ad un semplice bacio.
Alla
fine fummo costretti a staccarci per riprendere aria.
Eravamo
entrambi rossi in faccia. Il freddo era diventato un ricordo lontano.
«Anche
io ti amo, Tom. Non ho mai smesso di farlo» sussurrai in
risposta alla sua affermazione di qualche minuto prima.
Lui
mi sorrise.
«Avrei
un paio di cose da darti. Non mi sono dimenticato dei tuoi regali di
Natale» disse frugando di nuovo nelle sue tasche.
Io
sgranai appena gli occhi.
«Addirittura
più di uno?» chiesi sorpresa semplicemente per il fatto
che in realtà al regalo per me ci aveva pensato.
Lui
annuì entusiasta tirando fuori due buste rettangolari.
Me
ne porse una e mi incoraggiò ad aprirla.
Io
obbedii e, con mia sorpresa, ne scoprii un biglietto aereo.
«Parigi?»
chiesi guardandolo incredula.
«Hai
voglia di venirci sola con me questo fine settimana?» mi chiese
con gli occhi lucidi, quasi timoroso di una mia risposta negativa.
Io
non ci pensai due volte e lo abbracciai ridendo contenta.
«Certo
che ci vengo, Tom. Certo» esclamai dandogli un bacio sul collo.
Lui
mi strinse ancora qualche secondo per poi allontanarsi leggermente.
«Ultima
cosa... importante» disse agitato.
Avevo
il fiato corto e mi chiesi cos'altro ci potesse essere di così
bello.
Tirò
fuori dalla felpa un qualcosa che non riuscii a vedere subito, che
teneva chiuso nel pugno della mano.
La
osservai mentre lentamente si apriva.
«Oddio...
Tom» sussurrai sorpresa ed emozionata.
Due
fedine in oro bianco, semplici, ma le più belle che avessi mai
visto.
«Ti
piacciono?» mi chiese Tom timidamente.
«Tom,
sono meravigliose!» esclamai incredula.
Mai
mi sarei aspettata una cosa del genere da parte sua.
Lui
non era tipo da cose troppo impegnative.
Un
anello avrebbe fatto capire a chiunque glielo avrebbe visto addosso
che era impegnato.
Segnava
un qualcosa di fisso, duraturo.
A
lui quelle parole il più delle volte spaventavano ma mi stava
dimostrando il contrario.
Ovviamente
me lo aveva già dimostrato nel momento in cui aveva accettato
il bambino.
Stava
in un certo senso maturando sotto quel tipo di aspetto.
Mi
prese la mano e mi infilò la fedina... con lentezza
disarmante, quasi volesse godersi secondo per secondo quel momento.
Le
mie dita tremavano nella sua presa e la cosa lo fece sorridere
accarezzandomi la mano.
Quando
toccò a me fui parecchio impacciata, quasi non riuscivo a
centrare il suo dito.
Ma
alla fine ce la feci, con l'aiuto di Tom.
«Ti
amo» sussurrammo di nuovo, contemporaneamente, sigillando tutto
quanto con un bacio sotto i fiocchi di neve che, incessanti cadevano
su di noi, mentre la Luna, alla quale avevo chiesto aiuto, sembrava
ci guardasse sorridendo.
-----------------------------
Ringrazio di cuore:
Aury_Kaulitz
layla the punkprincess
Zucchelino
Ice princess
NICEGIRL
_Reset
_Radio Hysteria
Lion of darkness
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Capitolo 17 *** Capitolo 17 ***
capitolo 17
Capitolo
17
Da
un bel po' di settimane a quella parte non sapevo più cosa
volesse dire svegliarsi col sorriso, accanto alla persona che si ama,
desiderando di rimanere ancora a letto, stretta ad essa, per ricevere
tutte le coccole di cui si ha bisogno.
Finalmente,
dopo tanto, avevo riscoperto tali emozioni. Semplici all'apparenza ma
più che gratificanti nel profondo.
Non
riuscivo a trovare cosa più bella che svegliarsi assieme alla
persona più importante della tua vita.
Nell'affrontare
assieme la nuova giornata, sin dalla sua nascita.
Nel
guardarsi negli occhi nel preciso momento in cui questi si aprono per
la prima volta nella giornata.
Il
sorridersi teneramente, complici. Sarei potuta rimanere così a
vita.
Gli
occhi di Tom, appena sveglio, erano ancora più dolci ed
indifesi.
Più
calorosi e bisognosi di affetto.
Affetto
che non richiedeva mai direttamente, ma indirettamente e che, come
sempre, gli veniva meritatamente dato.
Ricevere
affetto è bello, ma poterne dare e veder sorridere la persona
interessata è stupendo.
Passavo
delicatamente le mie dita sulla pelle liscia del volto di Tom,
tracciandone ogni contorno, ogni dettaglio.
Il
suo profumo mi inebriava i sensi mandandomi in estasi.
Le
mie capacità intellettive... ecco che venivano annientate.
Possibile
che mi facesse ancora quell'effetto?
Mi
avvicinai e gli baciai leggermente, senza svegliarlo, la tempia
calda.
Potei
notare la sua pelle rabbrividire a quel contatto e le sue labbra
piegarsi leggermente in un sorriso che, in quel momento, assomigliava
più a una smorfia dolce.
«Buon
giorno, piccola» sussurrò con voce roca e ancora rotta
dal sonno.
«Scusami,
non volevo svegliarti» mi scusai subito dispiaciuta.
Lo
vidi aprire gli occhi e piantarli sui miei, cosa che mi fece
ribaltare lo stomaco.
«Ero
in dormi veglia» mi sorrise rassicurante.
Io
ricambiai quell'espressione e gli accarezzai il viso.
Lui
mi prese delicatamente da dietro il collo e mi fece abbassare verso
di lui, per baciarmi sulle labbra.
«Buon
giorno» ridacchiai gradendo quel risveglio così
piacevole.
Si
voltò a pancia in su e si stiracchiò sbadigliando
lievemente, mentre io appoggiavo la testa sul cuscino e lo osservavo
rapita.
Troppo
bello, decisamente troppo bello.
«Sei
contenta che andiamo a casa di mia madre per il pranzo di Natale?»
mi domandò tornando a guardarmi, voltato su un fianco e
tenendo la testa appoggiata alla mano.
Io
trattenni il fiato.
«Vengo
anche io?» domandai sorpresa.
«Certo
che vieni anche tu, stiamo di nuovo insieme... e poi ci saresti
venuta comunque, in ogni caso» rispose tranquillizzandomi.
«Ma...
tua madre sa di noi due? Che, insomma, ci eravamo lasciati per un
certo periodo?» chiesi di nuovo timidamente.
«Che
tu mi hai lasciato» sottolineò divertito.
«Beh,
quello!» esclamai infastidita, facendolo ridere ancora di più.
Poi
scosse la testa.
«No,
sa solo del...» rispose ma si fermò. Non riusciva a
pronunciare la parola “bambino”.
«Gliel'hai
detto tu?» mi informai.
«No,
amore. È venuta a scoprirlo in un modo veramente squallido:
dai giornali».
Io
spalancai gli occhi e dischiusi leggermente le labbra.
«Non
ci posso credere...» commentai schifata.
«Lasciamo
perdere. Adesso non parliamo di questo, è Natale, ci amiamo e
dobbiamo essere di buon umore!» esclamò sorridendo. Io
annuii.
«Hai
ragione» risposi saltandogli addosso e baciandolo su tutti i
punti del viso che riuscissi a trovare, sotto le sue risate.
«Forza,
piccola, vestiti che andiamo da mamma e Gordon... così ti
faccio conoscere anche Scotty. Sono sicuro che gli piacerai».
*
Appena
scesi dalla macchina, un cane di media taglia, bianco e nero, mi
saltò addosso facendomi le feste.
Io
sorrisi sorpresa da quel tipo di accoglienza.
«Scotty!
Scendi che la sporchi tutta!» ridacchiò Tom, facendo
posare le zampe del cane a terra. Quest'ultimo fece la stessa cosa
con il padrone che accettò con entusiasmo le sue feste.
«Visto? L'avevo detto io che gli saresti subito piaciuta. Com'è
successo con il suo padrone» mi sorrise Tom teneramente.
Io
arrossii e poi mi lasciai prendere per mano da lui che mi guidò
fino alla porta di casa.
Era
un'enorme villa circondata dal verde, davvero molto bella vista da
fuori.
Alle
nostre spalle Bill borbottava cercando di tener fermo Scotty, mano a
mano che avanzava verso di noi.
Tom
suonò il campanello e la porta venne presto aperta, rivelando
dietro essa una Simone entusiasta e felice di rivederci.
«Tesori
miei!» esclamò la donna abbracciando Tom che la strinse
forte a sé, chiudendo gli occhi.
Era
come un senso di liberazione per lui.
Si
sentiva ancora mortificato per il fatto che sua madre fosse venuta a
sapere del bambino dai giornali, senza un minimo di riguardo da parte
di tali persone così superficiali e fredde.
«Buon
Natale, mamma» sorrise Bill abbracciandola a sua volta.
Infine
Simone posò lo sguardo su di me e si illuminò in un
sorriso che nascondeva una vena malinconica.
Senza
dubbio di dispiacere.
Si
avvicinò accogliendomi tra le sue braccia e baciandomi il
capo.
«Ciao,
tesoro» mi salutò.
«Ciao,
Simone» risposi sospirando.
Per
un attimo mi sentii bene e rincuorata.
Mi
mancavano il suo abbraccio e le sue dimostrazioni d'affetto.
Entrammo
in casa e, una volta posati i cappotti, Simone ci invitò ad
entrare in cucina dove trovammo seduto a tavola un uomo - dedussi
fosse Gordon - che guardava la televisione.
Appena
ci vide sorrise e si alzò venendoci in contro.
Salutò
i gemelli e poi strinse la mano a me, presentandosi.
«Finalmente
questo “stallone” mi porta a casa una fidanzata ufficiale»
commentò sorridendo soddisfatto.
Potei
notare che la pelle di Tom aveva preso una sfumatura bordeaux.
«Oh
mio Dio, anche le fedine» esclamò la madre con i
lucciconi ed un certo orgoglio per suo figlio che, finalmente,
sembrava aver messo la testa “apposto”. Io sorrisi raggiante
annuendo contenta. «Che figlio meraviglioso che ho fatto!»
si compiacque Simone.
«Hey,
esisto anche io» borbottò Bill, imbronciato, incrociando
le braccia al petto.
«Ma
certo, tesoro, scusa. Ero presa dall'euforia per tuo fratello e Sara»
si giustificò la donna, piuttosto imbarazzata. «Ah!»
esclamò poi correndo in salotto. Tornò qualche secondo
dopo con un sacchetto. Cominciò a frugarvi dentro e ne tirò
fuori tre pacchetti regalo. «Questo è per Bill. Questo
per Tom e questo per te, cara» sorrise consegnandoci uno ad uno
i rispettivi pensierini.
«Oh,
grazie Simone! Mi hai preso in contro piede, io non ho niente»
dissi in imbarazzo ed impacciata.
«Figurati,
tesoro, non mi devi niente. Mi basta il fatto che rendi felice mio
figlio» rispose con dolcezza infinita, cosa che mi fece
commuovere nello stesso istante in cui sentii la mano di Tom trovare
la mia ed accarezzarmela. «Buon Natale» augurò poi
a tutti e tre, invitandoci a scartare i regali.
Ci
impegnammo subito per farlo.
Il
pacchetto di Tom conteneva una bellissima sciarpa bianca e nera,
chiamata Kefiah, che era solito usare ultimamente, molto utilizzata
nella cultura hip hop.
Quello
di Bill conteneva un paio di boxer D&G, per il quale era sempre
andato pazzo.
Il
mio un bellissimo completino intimo, da notte, composto da canottiera
con le spalline sottili e degli slip con un piccolo pizzo.
Il
tutto di colore bianco, candido.
Tutti
e tre ringraziammo contenti, schioccando sonori baci sul viso di
Simone che ridacchiava divertita.
«Bene,
ora mangiamo?» chiese sorridente Gordon, massaggiandosi la
pancia.
*
«E
qui Tom si era appena fatto la pipì addosso!»
rise di gusto Simone, seduta affianco a me, sfogliando l'album delle
fotografie posato sulle sue gambe. La foto ritraeva un piccolo Tom
che piangeva, mentre era visibile una macchia molto grande sui suoi
pantaloni. «Si
vergognava talmente tanto che è rimasto un'intera giornata con
i pantaloni bagnati, senza dire niente a nessuno. E questa foto l'ha
scattata Bill, per quello si è messo a piangere»
sorrise ancora la donna, ricordando il vecchio episodio con
nostalgia.
«Sì,
e Bill era stato davvero crudele con me»
borbottò Tom, piuttosto in imbarazzo dato il suo rossore sulle
gote, seduto sul divano affianco a suo fratello.
«Mi
dovevo vendicare della padellata in testa che mi avevi dato quella
mattina, solamente perchè non ti avevo passato i Cereali»
rispose a tono Bill.
«Mi
avevi fatto innervosire. Tu mi mangiavi con quell'espressione
odiosamente soddisfatta in faccia!»
si difese Tom.
Simone
ridacchiò scuotendo la testa e continuò a sfogliare
l'album.
Tanti
episodi bellissimi. Erano tutti lì.
Doveva
essere una cosa stupenda possedere un album di fotografie, così
da poter ricordare tutti i momenti memorabili della tua vita.
Io
non ne avevo mai avuto uno. E non potevo neanche averne.
La
mia situazione non era mai stata così tranquilla e serena da
poterla immortalare con una fotografia.
Mi
avrebbe fatto male rivedere mio padre attaccato ad una bottiglia di
birra o, peggio, mia madre sdraiata a terra sotto l'effetto della
droga.
Non
avrei voluto ricordarle, anzi, avrei dovuto cancellarle completamente
dalla mia mente, anche se era piuttosto difficile.
«Comunque
sono tutti bellissimi ricordi»
concluse Simone chiudendo l'album e poggiandolo sul tavolino di
fronte a noi. «Devo
ammettere che se non avessi avuto questi due pazzoidi in casa, non mi
sarei divertita!»
ridacchiò poi.
«Ecco,
ringraziaci» si
vantò Bill ricevendo uno scappellotto dietro al collo, da
parte di suo fratello.
Tom
e Bill erano in giardino a giocare con Scotty.
Era
da tanto che non lo vedevano ed entrambi sentivano la sua mancanza.
Era
un animale davvero affettuoso e di compagnia.
Simone
era invece rimasta con me in cucina, mentre Gordon era sul divano a
guardare la tv, in salotto.
La
donna posò una tazzina con del caffè dentro, sul
tavolo, davanti a me.
«Grazie»
sorrisi prendendola e sorseggiando un po' del liquido caldo.
Simone
mi scrutò per qualche secondo con attenzione.
«Come
stai?» mi chiese
premurosa.
«Io?
Bene» risposi sorpresa da tale domanda.
«Mi
riferisco a ciò che ti è successo» chiarì
lei.
Io
mi incupii ed abbassai lo sguardo sul tavolo, deglutendo a fatica.
«Beh,
da quel lato lì... male. Perdere un bambino è la cosa
più brutta che possa capitare e non lo auguro a nessuno,
neanche al più cattivo» mi confidai.
«Io
non l'ho mai provato, ma lo immagino. D'altronde sono madre e posso
capire. Se hai bisogno di parlare con me, anche se so che non sono
nessuno, io ci sono, tesoro».
Quelle
parole, per quanto semplici, mi arrivarono dritte al cuore, come una
scarica elettrica.
«Grazie,
Simone. Non è vero che tu non sei nessuno. Tu sei
un'importante punto di riferimento per me. E poi sei la madre del
ragazzo che amo... mi sembra abbastanza» le sorrisi e lei
ricambiò.
«Sono
felice che mio figlio abbia trovato una ragazza come te, sul serio»
sussurrò venendomi ad abbracciare. Io chiusi gli occhi e la
strinsi a mia volta, godendomi quel tepore e quell'affetto che
raramente ricevevo da una donna che potesse essere mia madre. «Ti
voglio bene».
Il
mio stomaco fece una capovolta a quell'ultima affermazione.
Mi
aveva detto che mi voleva bene?
Davvero
o me l'ero sognato?
Mai
nessuno me l'aveva detto, apparte Tom.
Un
gran magone si fece di nuovo sentire nella mia gola e dovetti
combattere contro le mie stesse lacrime per non farle uscire.
Strinsi
più forte Simone a me e, con voce tremante ma convinta, le
risposi: «Anche io ti voglio bene».
*
Tom
guidava tranquillo verso lo studio di registrazione.
Avevo
sempre avuto un'adorazione per la sua guida, così calma e
sicura.
Quasi
non mi accorgevo di trovarmi in macchina, era davvero bravo.
Spostai
lo sguardo sullo specchietto affianco a me e notai che Bill, alle
nostre spalle, stava dormendo come un ghiro.
Era
più che comprensibile, d'altronde era mezzanotte passata.
Ci
eravamo trattenuti a lungo a casa dei gemelli.
Chiacchierando
con Simone e Gordon il tempo era volato in un baleno, senza che ce ne
accorgessimo.
Osservai
Tom, per controllare che fosse ancora sveglio. Il viaggio era
piuttosto lungo.
«Amore,
tutto apposto? Vuoi che guidi io?»
gli chiesi premurosa.
Lui
si voltò verso di me e mi sorrise con tenerezza.
«No,
piccola, tranquilla»
rispose con tono basso, per non svegliare suo fratello.
«E'
crollato»
sussurrai alludendo a Bill. Tom annuì dolcemente, guardandolo
attraverso lo specchietto retrovisore. «Sono
stata davvero bene oggi»
aggiunsi posando di nuovo gli occhi su di lui.
«Sono
contento che ti trovi bene con la mia famiglia».
«Beh,
è la famiglia che non ho mai avuto... come potrebbe non
piacermi? Ti confesso una cosa... a volte provo invidia. Ma non
invidia negativa. Semplicemente vorrei poter avere anch'io quello che
avete avuto tu e Bill e che avete tutt'ora».
«Lo
so, piccolina, e mi dispiace da morire... però ci siamo noi
adesso».
«Certo,
e lo sai che per me valete più di chiunque altro. Però,
insomma, è anche normale che a volte vorrei poter anch'io
prendere la macchina ed andare fuori città a trovare i miei. A
farteli conoscere... insomma... queste cose tradizionali e semplici
che però ti danno grande gioia».
Allungò
una mano verso la mia che strinse, posandovi delle dolci carezze.
«Perchè
non provi a riallacciare i rapporti con tua madre?»
mi domandò. «Io
credo che adesso tu ne abbia veramente bisogno... è Natale,
hai appena avuto un grosso dispiacere per il bambino. Secondo me lei
è la donna più adatta a te in questo momento»
continuò.
«Sembra
facile dirlo. Anche io da una parte vorrei farlo, ma dall'altra c'è
qualcosa che mi blocca... è la rabbia. È troppo grande
in questo momento. Quando la rabbia passerà e se passerà,
allora forse sarò pronta a dare un po' di spazio anche a mia
madre nella mia vita» risposi. Tom rimase in silenzio, ma
sapevo che mi aveva capito alla perfezione. Era l'unico che ci
riusciva davvero. Ecco perchè confidarsi con lui era sempre un
qualcosa di inevitabile per me. Mi sentivo subito meglio, più
leggera e soprattutto capita. «Domani dobbiamo preparare le
valige» dissi dopo un po' con entusiasmo. Tom mi sorrise.
«Già,
non vedo l'ora... partire insieme... io e te. Dopo tutto quello che è
successo ci vuole proprio. E poi... ho... ho un'infinita voglia di te
che neanche ti puoi immaginare» sussurrò con voce
sensuale e quasi imbarazzata allo stesso tempo. Io arrossii.
Era
da un po' che non me lo diceva così esplicitamente.
Se
avessi potuto, se non ci fosse stato Bill in macchina, sicuramente lo
avrei fatto accostare per poi farlo mio di nuovo, dopo tanto tempo.
Anche
a me mancava, era una cosa insopportabile.
Non
seppi cosa rispondere e quindi rimasi zitta.
Improvvisamente
cominciai a sentirlo sbadigliare regolarmente ed ogni tanto mi giravo
a dare una controllata, fino a che non notai che stava cominciando a
chiudere gli occhi.
«Hey,
Tom. Dai, accosta, guido io» gli dissi dolcemente.
«Ma
no, piccola, non preoccuparti, sono sveglio» biascicò
riscuotendo in me delle risatine.
«Sì,
come no, dai» lo incoraggiai e lui, sorridendo, fece come gli
avevo ordinato.
Scendemmo
dalla macchina e facemmo il giro, scambiandoci i posti.
Una
volta allacciati la cintura, misi in moto. Era strano guidare la
macchina di Tom.
«Trattala
bene la mia bambina, mi raccomando. È la prima volta che la
affido ad una donna» mi disse piuttosto preoccupato.
«Oh,
insomma, mica te la distruggo» sospirai.
«Sarà,
ma le donne alla guida sono pericolose» borbottò.
«Zitto
e dormi se sei stanco» ridacchiai.
Lui
sorrise e chiuse gli occhi. Quanto era dolce. In pochi secondi si era
già addormentato.
Ogni
tanto lo osservavo con la coda dell'occhio, continuando a ripetermi
nella mente quanto fossi innamorata di lui ogni giorno di più.
-------------------------
Ringrazio tutte le lettrici e le nuove ^^ :
S3cr3tS_Myr3
_Radio Hysteria
SkyIsSoBlue2
Lion of darkness
layla the punkprincess
_Reset
Zucchelino
Aury_Kaulitz
NICEGIRL
Grazie
veramente, sono contenta che continuiate a seguire questa storia e che
ogni tanto si presentino nuove lettrici, mi fa davvero molto piacere ^^
Bacioni <3
|
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Capitolo 18 *** Capitolo 18 ***
capitolo 18
Capitolo
18
«Questo
è il Paradiso» sussurrai estasiata.
Io
e Tom eravamo appena atterrati a Parigi, la bellissima città
dell'amore, o almeno così dicono.
Era
il periodo natalizio e le strade erano adornate di stupende luci e
addobbi.
Ne
eravamo circondati ed osservavamo tutto quanto con espressioni
estasiate.
Seduti
sul taxi che ci stava conducendo al nostro albergo, ci guardavamo
attorno, attraverso i finestrini oscurati.
Tom
doveva comunque stare attento a non farsi riconoscere, i Tokio Hotel
erano davvero famosi anche in Francia.
Mi
voltai verso di lui e gli sorrisi.
«Ti
ho già ringraziato, vero?» gli chiesi entusiasta.
«Almeno
trenta volte» ridacchiò lui in risposta.
«Credo
non sia mai abbastanza» commentai.
«Penso
che stasera mi ringrazierai come si deve» sussurrò
arrivando a sfiorare le mie labbra, mentre una scarica elettrica mi
attraversava la colonna vertebrale.
«Porcellino»
sorrisi.
«Uomo»
mi corresse.
Dopo
qualche minuto ancora, finalmente, arrivammo davanti ad un enorme
albergo a cinque stelle.
Tom
se lo poteva ovviamente permettere.
Indossò
gli occhiali da sole e scendemmo insieme dalla macchina.
Tom
recuperò il piccolo borsone che ci eravamo portati dietro,
contenente sia i miei che i suoi vestiti.
Poteva
bastare, d'altronde la nostra piccola vacanza avrebbe sfruttato solo
il fine settimana, poi saremmo dovuti tornare alla vita di tutti i
giorni. Per quel motivo ce la volevamo godere a pieno.
Entrammo
e ci avviammo alla reception.
Tom
sistemò alcune cose con la proprietaria, intimandole di non
riferire a nessuno della sua permanenza in quell'albergo.
Poi
si fece dare le chiavi della nostra camera e, prendendomi per mano,
mi guidò verso l'ascensore.
Salimmo
fino ad arrivare proprio all'ultimo piano. Più eravamo
appartati, meglio era.
Attraversammo
il corridoio trovandoci di fronte all'ultima porta che in pochi
secondi Tom aprì.
Non
mi era mai capitato di vedere una camera d'albergo così bella,
lussuosa ed appariscente.
Un
letto matrimoniale al centro di essa, molto alto e con i materassi
più comodi che io avessi mai provato; un'enorme armadio sulla
destra con un grosso specchio sulle ante; due comodini ai lati del
materasso; un lungo tavolo davanti ad esso, munito di televisione a
schermo piatto; alle spalle del letto una finestra che dava su un
terrazzino, dal quale si poteva ammirare la bellezza di Parigi,
specialmente se illuminata di notte.
Mi
voltai verso Tom e, avvolgendogli le braccia attorno al collo, lo
baciai con tenerezza.
Lui
buttò a terra il borsone senza troppi complimenti e mi
abbracciò accarezzandomi la schiena mentre ricambiava quel
bacio.
«Mi
mancava stare da sola con te» gli confessai chiudendo gli occhi
estasiata, a causa dei suoi continui baci sul collo.
«Non
sai quanto a me...» rispose passando le sue labbra sul mio
mento, fino ad arrivare di nuovo alla mia bocca.
Poi
sorrisi e lo allontanai delicatamente con una mano sul suo petto.
Mi
guardò tirando in fuori il labbro inferiore, regalandomi
un'espressione implorante e tenera allo stesso tempo.
«A
tempo debito» gli feci l'occhiolino. «Prima voglio farmi
una passeggiata con te per Parigi. È sempre stato il mio sogno
da quando ci siamo messi insieme poter semplicemente camminare per
mano come due veri fidanzati» aggiunsi diventando bordeaux per
quella confessione.
Lui
sorrise, comprendendo il mio imbarazzo, e mi diede un ultimo bacio
stampo.
«Non
ti devi vergognare, piccola. Hai ragione. Scusa se sono sempre così
orso» ridacchiò.
«Non
sei per niente orso e lo sai» risposi.
«Allora
andiamo?» mi domandò entusiasta.
Io
annuii e lo seguii fuori dalla stanza.
In
ascensore Tom mandò un messaggio a suo fratello per fargli
sapere che eravamo arrivati e che stavamo andando a farci un giro.
Nello stesso istante mi arrivò un messaggio di Hellen che
voleva sapere se era tutto apposto.
Io
la rassicurai, proponendole di approfittare della nostra assenza per
andare a fare un po' di compagnia a Bill che invece soffriva di
solitudine senza suo fratello.
In
risposta ricevetti prima un “Vaffanculo!” e, qualche secondo più
tardi, un “Se avrò tempo lo farò”.
Io
sorrisi scuotendo la testa. La conoscevo fin troppo bene.
Una
volta fuori dall'albergo Tom mi prese per mano, incrociando le nostre
dita, e prendemmo a camminare.
Le
strade erano davvero affollate e ciò ci trasmetteva calore e
serenità.
Il
cielo era già più scuro, dato che erano le sei di sera.
Ci
facemmo tante belle foto, davanti a vetrine, alberi di Natale,
fontane... forse avrei potuto cominciare un album fotografico anche
io, per la prima volta nella mia vita.
Tom
era pazzo. Forse quel fine settimana da soli ci avrebbe fatto bene.
Stavo
scoprendo piccole cose nuove di lui che, per assurdo, in un anno di
relazione ancora non avevo conosciuto.
Ad
esempio, la dolcezza nel tenermi per mano accarezzandomela ogni
tanto, senza neanche accorgersene.
L'entusiasmo
nel portarmi vicino a vetrine o monumenti di Parigi.
La
serenità nel chiacchierare animatamente e facendomi ridere
ogni due secondi.
Il
suo prendere in giro, di tanto in tanto, passanti bizzarri, senza
farsi notare.
Il
suo animo giocherellone nel nascondersi e farmi scherzi divertenti.
Il
volermi scattare foto in qualsiasi posto, o scattarle a tutti e due,
insieme.
Cose
semplici e normali che fino a quel momento non avevamo mai potuto
fare a causa del suo lavoro.
Anche
lui sembrava entusiasta di aver riscoperto un lato della sua vita che
gli mancava: il poter vivere normalmente.
«Oddio,
che bello quel vestito!» esclamai ad un tratto indicando una
vetrina che metteva in mostra un bellissimo abito nero, molto
semplice, con brillantini non troppo appariscenti lungo esso.
Tom
lo guardò qualche secondo e sorrise.
«Vieni»
mi disse tirandomi per mano, verso il negozio.
«Cosa?
No no!» esclamai impuntandomi e tirandolo dalla parte opposta.
«Non
fare la stupida, vieni!» ridacchiò riuscendo a
trascinarmi nel negozio. «Bonsoir» mise in pratica il suo
francese scolastico.
Una
commessa ci accolse sorridendo. «Do you speak english?»
domandò Tom arreso al fatto di non riuscire a spiccicare
parola in quella lingua, cosa che mi fece sorridere.
«Yes,
can I help you?» rispose gentilmente la donna.
Tom
annuì e si voltò ad indicare il vestito che mi piaceva.
«She
would like to try that black dress in the shop window» le
riferì.
La
commessa si avvicinò all'abito e, indicandolo, domandò:
«This one?». Tom annuì e lei lo prese per poi
porgermelo. «Here» mi sorrise.
Io,
ringraziandola imbarazzata e guardando per un attimo Tom, mi andai a
chiudere nel camerino.
Era
tremendo quel ragazzo. Dovevo imparare a starmene zitta o si sarebbe
messo a svuotare tutti i negozi di qualsiasi città.
Certo,
mi faceva piacere. Però mi metteva anche in imbarazzo.
Mi
spogliai ed indossai quel vestito stupendo.
Mi
ammirai qualche secondo allo specchio e poi decisi di uscire per
chiedere un parere a Tom.
Lo
guardai timidamente domandandogli: «Come ti sembra?».
Lui
mi osservò dalla testa ai piedi con la bocca leggermente
dischiusa.
Sembrava
mi stesse facendo la radiografia ed automaticamente arrossii.
«Sei
bellissima» sorrise.
Volevo
andarmi a nascondere dalla vergogna.
«Potresti
commentare l'abito e non me?» chiesi abbassando lo sguardo.
Lui
mi si avvicinò e mi sollevò il viso con le mani.
«Hey,
come mai oggi ti imbarazzi non appena ti faccio un complimento?»
mi domandò dolcemente.
«Sarà
che non ero più abituata» arrossii.
«Scemotta»
mi baciò sulle labbra. «Comunque ti sta benissimo»
continuò osservandomi nuovamente. «Te lo compro
volentieri» aggiunse soddisfatto.
«No,
Tom, dai, mi sento in colpa» borbottai.
«Perchè
dovresti? Non ti posso fare un regalo?».
«Fosse
solo uno...».
«Dai,
cambiati che lo vado a pagare».
«Giuro
che non farò più nessun commento su qualcosa che mi
piace, d'ora in avanti».
Sentii
Tom ridacchiare mentre mi richiudevo la tenda alle spalle.
Mi
tolsi il vestito e glielo passai tirando fuori solo un braccio.
Mi
rivestii e quando uscii lo trovai già col sacchetto in mano,
ad aspettarmi.
Lo
raggiunsi e mi prese di nuovo per mano.
«Merci»
ringraziò la commessa per poi uscire dal negozio.
«Grazie»
dissi intimidita, appoggiando la testa sulla sua spalla.
Lui
mi avvolse le mie con un braccio e mi strinse continuando a
camminare, mentre il mio braccio andava a finire intorno alla sua
vita.
«Di
niente. Te lo metti stasera» rispose.
Io
lo guardai incuriosita.
«Per
cosa?» domandai.
«Ti
porto al ristorante» mi sorrise baciandomi la fronte.
Quel
ragazzo era veramente una sorpresa ogni giorno di più.
«Ti
amo decisamente troppo» sussurrai stringendomi di più a
lui.
Decidemmo
di tornare in albergo dopo ancora una mezz'ora di chiacchiere e
tenerezze per la via della città.
Una
volta in camera io sparii in bagno assieme al vestito che mi aveva
regalato.
«Non
metterci troppo» mi aveva sorriso sdraiandosi sul letto ed
accendendo la tv.
Mi
infilai nella doccia e, dieci minuti dopo, ero già fuori dal
box ad asciugarmi e vestirmi.
Presi
il phon e mi sistemai i capelli, piastrandomeli.
Decisi
di truccarmi non troppo pesante: ombretto nero e sfumato, mascara e
fondotinta.
Mi
spruzzai al collo un po' di profumo, mi aggiustai la collana di Tom e
sorrisi guardandomi allo specchio.
Sembrava
fosse il mio primo appuntamento con lui.
A
pensarci bene forse poteva quasi essere considerato tale.
Non
eravamo mai andati effettivamente a cenare ad un ristorante da soli.
Sospirai
e, dopo essermi infilata i tacchi ai piedi, uscii dal bagno.
Trovai
Tom ancora spaparanzato sul letto, come lo avevo lasciato, che
cercava di capire qualche parola di un programma francese alla tv.
Sorrisi divertita.
«Ci
stai capendo qualcosa?» domandai.
Lui
si voltò sorpreso verso di me e rimase a fissarmi immobile.
«Oddio...
sei...» balbettò mentre io mi avvicinavo a lui. Lo
zittii abbassandomi e baciandolo sulle labbra. Quando mi staccai mi
guardava come ipnotizzato – forse dal mio profumo, che a lui
piaceva tanto – e si decise ad alzarsi. «A stasera potrei non
arrivarci» sorrise scuotendo la testa. Io ridacchiai
soddisfatta.
Lo
osservai e rabbrividii per quanto era bello.
Vestito
con una maglia bianca e dei jeans blu scuro, aveva indossato la felpa
che gli avevo regalato io per Natale.
Si
legò una bandana bianca, piegata a fascia, sulla fronte, per
poi aggiustarsi i cornrows sulle spalle.
I
miei occhi caddero sulla fedina che portava al dito ed
automaticamente andai a toccare la mia.
«Andiamo»
disse poi, una volta pronto.
Indossammo
le nostre giacche, recuperai la borsa, ed uscimmo dalla stanza.
*
Il
ristorante aveva delle luci molto calde, leggermente soffuse, che
donavano una bellissima intimità all'ambiente.
I
muri erano formati da pietre di ogni sfumatura del rosso.
Tom
aveva scelto un tavolo in un angolo, molto appartato, per sentirci
più a nostro agio.
Seduti
uno di fronte all'altra, aspettavamo le ordinazioni.
Il
mio sguardo era posato sul viso di Tom che, quando se ne accorse mi
sorrise dolcemente.
«Che
c'è, piccola?» mi domandò posando una mano sulla
mia ed accarezzandomela con delicatezza sul tavolo.
Io
scrollai le spalle scuotendo la testa.
«Niente...
sono contenta. Insomma... non mi sembra ancora vero che siamo qui io
e te, da soli» sorrisi.
«Anch'io
sono contento» rispose teneramente, mentre arrivava la
cameriera per prendere le ordinazioni.
Entrambi
chiedemmo una bistecca impanata – la nostra preferita – e una
birra.
Quando
la cameriera se ne fu andata tornammo a guardarci.
«Sai...
è da un po' che non parliamo io e te» riprese ad un
tratto.
«In
che senso?» domandai aggrottando le sopracciglia.
«Intendo...
da quando hai perso il bambino» sussurrò ed io sobbalzai
leggermente. «Non ti sei mai confidata con me e io non mi sono
mai confidato con te, per le ragioni che sappiamo» continuò.
Io
rimasi qualche secondo a riflettere in silenzio, poi decisi di
rispondere.
«Hai
ragione... beh... è difficile da spiegare...» cominciai.
«Provaci,
anche per me lo è. Ma è importante che ne parliamo noi
due, d'altronde siamo i diretti interessati» mi incoraggiò.
«Io
l'avevo sentito.... l'avevo già sentito che se n'era andato,
quando ho preso il colpo» sospirai chiudendo gli occhi qualche
secondo per poi continuare. «E' stranissimo, ma è
proprio vero che non appena diventi madre senti ogni cosa e capisci
tanto della vita. Quando mi hai detto che era morto io... non ero
sorpresa per il fatto che lo fosse, lo sapevo già. Più
che altro è stato difficile accettare la cruda realtà.
Fino all'ultimo volevo convincermi del fatto che le mie erano tutte
sensazioni sbagliate anche se sapevo che non era così. Mi sono
sentita divisa a metà. Mi sono sentita morta per metà».
Tom mi strinse la mano poggiata sul tavolo. «E' orribile»
conclusi.
«Anch'io
mi sono sentito morto per metà. Non è la stessa cosa,
ma la sensazione era quella. Mi sentivo in colpa... perchè era
successo tutto a causa mia. Probabilmente se non ti avessi sbattuta
fuori di casa, tutto questo non sarebbe accaduto. Sono stato uno
stupido. Quando mi hanno comunicato del bambino ho iniziato a
piangere, prendendo a pugni il muro davanti a me. Volevo
distruggerlo, così come avevano distrutto il mio cuore. Avevo
fatto una cosa buona finalmente nella mia vita e questa mi è
stata portata subito via, ancora prima di godermela» abbassò
lo sguardo e potei scorgere una lacrima cadere sulla tovaglia.
Allungai
una mano verso il suo viso e glielo asciugai.
I
suoi occhi lucidi si posarono di nuovo su di me, cercando conforto.
«Non
è stata colpa tua, Tom. Il destino non lo puoi cambiare, si
vede che doveva andare così» sussurrai.
Lo
vidi riprendersi leggermente e rimanere un attimo in silenzio a
pensare.
«Senti...»
riprese dopo un po'. «Tu... insomma, tu... lo... lo
rivorresti?» balbettò guardandomi impacciato.
Il
mio stomaco fece una capovolta e mi venne automaticamente da
sorridere.
Abbassai
lo sguardo commossa da quella sua incredibile dolcezza e poi tornai a
guardarlo.
«Sì...
forse sì» risposi facendolo sorridere. «Ma non
adesso» aggiunsi. «Ho paura. Vorrei riuscire a superare
per bene questa cosa e poi... poi se vuoi...».
Tom
annuì facendomi intendere che aveva capito.
«Tranquilla,
piccola» disse.
«E
tu lo vorresti?» gli domandai a mia volta, timida.
Mi
sorrise e si sporse verso di me baciandomi. Non c'era bisogno di
parole.
Lui
era così. Per certi argomenti si imbarazzava e rispondeva in
altri modi.
Ricambiai
il sorriso e l'argomentò finì lì, proprio nel
momento in cui tornò la cameriera con i nostri piatti.
Ad
un tratto mi arrivò un messaggio sul cellulare e anche a Tom
proprio qualche secondo dopo.
Dopo
aver letto ci guardammo e, contenti, dicemmo all'unisono: «Si
sono baciati».
Scoppiammo
a ridere e ci scambiammo i cellulari.
Lessi
il messaggio che Bill aveva mandato a suo fratello, contornato di
tremila cuori, che diceva “Ci siamo baciati!”.
Lo
stesso che Hellen aveva inviato a me.
*
Dopo
qualche spallata e un paio di calci, Tom riuscì ad aprire la
porta della nostra camera, senza mai staccare le labbra dalle mie.
Avevamo una foga mai provata prima.
Sbatté
di nuovo la porta con un piede mentre faceva vagare freneticamente le
sue mani sul mio corpo e la sua bocca mi lasciava diversi succhiotti
sul collo.
Avevamo
fretta entrambi di averci e sentirci di nuovo, era passato troppo
tempo.
Tom
mi attaccò al muro, continuando a baciarmi, e pressò il
suo bacino contro il mio, facendomi sentire quanto effettivamente
aveva bisogno di me.
Le
mie mani finirono sotto la sua maglia oversize, mentre con la lingua
mi divertivo a stuzzicarlo sul collo e sulle labbra.
Lo
sentivo sospirare pesantemente al mio orecchio, cosa che mi mandava
fuori di testa.
Buttai
a terra la sua maglia ma non feci in tempo a guardarlo in tutta la
sua perfezione che mi prese il viso tra le mani e mi baciò di
nuovo, quasi con violenza. Non potevo negare che mi piacesse.
Mi
lasciai scappare un gemito sulle sue labbra, facendolo impazzire.
Mi
prese in braccio e mi tenne ferma, contro il muro, mentre io gli
avvolgevo la vita con le gambe.
Mentre
mi sfilava il vestito, mi sorreggeva aiutandosi col bacino,
peggiorando le mie condizioni mentali.
Le
sue mani scorrevano sensualmente dall'orlo dell'abito, sulle mie
gambe, fino ad arrivare ai miei slip con i quali prese a
giocherellare, mentre mi mordeva una spalla.
Io
scesi e camminai verso il letto matrimoniale, tirandolo a me per il
collo e continuando a baciarlo.
Con
una leggera spinta mi fece cadere sul materasso e me lo ritrovai
subito sopra.
Quel
suo modo di fare un po' “rozzo” ma dolce allo stesso tempo mi
eccitava ancora di più.
Mi
tolse velocemente il vestito, lanciandolo in un angolo non definito
della stanza.
Con
la lingua “disegnava” dei cerchi immaginari sul mio petto,
superando il reggiseno che intanto cercava di slacciare, ed
attraversando il mio ventre.
Si
fermò una volta arrivato agli slip e tornò sul mio
viso, facendomi impazzire.
Sapeva
come farsi desiderare sempre di più, era decisamente bravo.
Le
mie mani scesero sulla sua cintura che slacciai in pochi secondi,
aiutata da lui.
Ben
presto anche il mio reggiseno andò a far compagnia agli altri
indumenti sul pavimento, così come gli slip.
Tom
si sistemò meglio addosso a me e si slacciò
frettolosamente i jeans.
Io
sorrisi sulle sue labbra e lui fece lo stesso guardandomi con gli
occhi socchiusi.
«Sai
cosa vuol dire per me averti aspettato tutto questo tempo?»
sussurrò togliendosi i pantaloni e i boxer contemporaneamente.
Io ridacchiai.
Recuperò
un preservativo ed eccoci di nuovo uniti.
A
quell'immediato contatto chiusi gli occhi sorridendo e sospirando
estasiata. Quanto mi era mancato... il suo odore, la sua pelle
liscia, i suoi sospiri...
Anche
lui gemette leggermente sul mio collo e, dopo avervi posato un tenero
bacio, cominciò a muoversi dolcemente.
Era
tutto il contrario di prima: la frenesia e la fretta erano cessate,
lasciando spazio alla delicatezza e alla dolcezza.
Mi
guardava dritto negli occhi, con espressione beata, accarezzandomi la
fronte ed i capelli mentre i suoi movimenti continuavano.
Lo
baciai sulle labbra, senza approfondire il contatto e richiusi gli
occhi cominciando ad avvertire una bellissima sensazione che partiva
dal basso ventre.
La
stessa cosa cominciò a provarla lui, gemendo al mio orecchio e
muovendosi più velocemente, fino a che non raggiungemmo
assieme, oserei dire, il Paradiso.
Si
abbandonò completamente sopra di me, riprendendo aria.
Stavamo
entrambi ad occhi chiusi, ancora piacevolmente scossi.
«Sì,
mi sei decisamente mancato...».
-----------------------------------------------
Ringrazio:
_Radio Hysteria
Aury_Kaulitz
Lena_93
S3cr3tS_Myr3
Zucchelino
Lion of darkness
|
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Capitolo 19 *** Capitolo 19 ***
Capitolo 19
Capitolo
19
La
fresca brezza mattutina mi accarezzava dolcemente le gote.
Il
panorama parigino era spettacolare.
Di
lì a pochi minuti saremmo dovuti tornare a Berlino.
Parigi
mi sarebbe davvero mancata.
Improvvisamente
potei godere di un profumo buonissimo, proveniente da dietro le mie
spalle.
Sorrisi
e mi voltai, rimanendo appoggiata alla ringhiera del terrazzino.
Tom
mi guardava dolcemente, con un semplice asciugamano in vita,
avvicinandosi a me.
Era
appena uscito dalla doccia e il suo odore mi mandava fuori di testa.
Mi
abbracciò ed io nascosi il viso nell'incavo del suo collo,
respirando quella fragranza di vaniglia a pieni polmoni.
«Non
hai freddo?» gli domandai premurosa.
Lui
mi baciò il collo e rispose: «Sì» e si mise
a ridere.
Io
feci lo stesso scuotendo la testa e lo invitai a rientrare in camera.
Una
volta richiusa la porta finestra, mi tirò da un laccio del mio
accappatoio e mi fece sdraiare sul letto assieme a lui.
Mi
accoccolai tra le sue braccia beandomi di quelle carezze così
delicate, chiudendo gli occhi.
«Hey,
piccolina, non ti addormentare che tra un po' dobbiamo ripartire»
mi avvertì Tom, piuttosto divertito.
Io
annuii borbottando qualcosa e sprofondando subito tra le braccia di
Morfeo-Tom.
*
«Siamo
a casa!» annunciò Tom, non appena varcammo la soglia.
Poggiò
a terra il borsone e subito potemmo udire i passi “leggeri” di
Bill che si precipitava giù per le scale.
Quando
ci vide saltò in braccio a suo fratello.
«Meno
male che sei tornato!» esclamò Bill.
Lo
guardai meglio e spalancai gli occhi.
«Bill,
ma che hai fatto ai capelli?» domandai sorpresa.
Lui
si staccò da suo fratello e mi guardò con un sorriso a
trentadue denti, sfoggiando la sua nuova cresta nera.
«Ti
piace? Avevo voglia di cambiare un po', mi ero stufato dei
dreadlocks» rispose soddisfatto.
Vidi
Tom sorridere e scuotere la testa.
Proprio
in quel momento scese Hellen per le scale ed io le corsi in contro
abbracciandola.
«Sono
davvero contenta per voi» fu la prima cosa che le sussurrai
all'orecchio.
Lei
ridacchiò intimidita e si staccò da me.
«Allora?
Avete fatto buon viaggio?» ci domandò non appena furono
arrivati anche Georg, Gustav, David ed Isy e ci fummo seduti sui
divani.
«Sì,
il viaggio in aereo è stato tranquillo» rispose Tom.
«Raccontateci
tutto quello che avete fatto!» esclamò Bill entusiasta.
Io e Tom ci guardammo ed automaticamente arrossimmo come due peperoni
maturi. «Sì, vabbè, senza i particolari sconci»
si affrettò ad aggiungere, notando le nostre espressioni.
«Siamo
andati in giro per Parigi, abbiamo fatto un mucchio di foto, poi Tom
mi ha comprato un bellissimo vestito e mi ha portata a cena in un
ristorante» dissi emozionata al solo ricordo.
«Oooh,
ma che romantico che sei diventato, Tomi» esclamò Georg,
rapito.
Tom
rise e gli lanciò addosso un cuscino.
«E'
il regalo più bello che mi potesse fare» aggiunsi poi
guardando sorridente il diretto interessato che abbassò lo
sguardo imbarazzato ma contento.
Sapevo
che davanti agli altri diventava sempre un po' più timido
quando si faceva sapere delle cose dolci che faceva per me.
«Io
tutte queste foto le voglio vedere e mettere in un album
fotografico!» esclamò Hellen battendo velocemente le
mani.
Si
vedeva che Bill la stava contagiando.
«Le
vedrai» ridacchiò Tom.
Proprio
in quell'istante il campanello suonò.
Ci
guardammo incuriositi e poi David si alzò andando ad aprire.
«E
tu chi sei?» domandò l'uomo.
«Lee,
signore».
Tutti
quanti spalancammo gli occhi – io e Tom in particolare – e io mi
alzai di scatto dal divano, seguita da lui.
«Che
cazzo ci fai tu qui?!» urlai fuori di me, mentre Hellen si era
affrettata a tenermi da dietro.
«Sono
venuto a chiederti scusa» disse mortificato.
«Sparisci,
prima che ti ammazzo con le mie mani!» urlò Tom con un
tono decisamente più alto del mio, anche lui tenuto da David.
«Tom,
stai calmo» lo ammonì il manager.
«Per
colpa tua abbiamo perso un figlio, brutto stronzo!» continuò
Tom, al quale si poteva già notare una vena pulsante sul
collo.
«Hai
ragione, ma non era previsto. Non l'ho fatto apposta» si difese
Lee.
«Te
l'avevo detto che ero incinta! Te lo avevo detto! E tu non ti sei
fatto problemi a prendermi e sbattermi contro un albero, quindi non
dire che non l'hai fatto apposta perchè ti potevi decisamente
controllare! Basta, non ti voglio più vedere, esci dalla mia
vita! Dalla nostra vita!» intervenni mentre le lacrime
si stavano accumulando sui miei occhi.
Lee
abbassò la testa ed annuì lentamente.
«D'accordo,
uscirò dalla vostra vita. Ero venuto qui solo per dirvi che mi
dispiace da morire per quello che ho fatto, non me lo perdonerò
mai. Non volevo andasse a finire così. Chiedo scusa a tutti
quanti. Addio» concluse voltandosi e sparendo dietro al
cancello automatico.
*
La
folla di ragazze urlava quasi istericamente.
Era
da un po' che non sentivo di nuovo quella “dolcissima melodia”.
Sbuffai
scuotendo la testa e tappandomi le orecchie, cercando di concentrarmi
esclusivamente sul volto di Tom che, in un mondo tutto suo, suonava
la sua chitarra elettrica, accompagnando la voce di Bill.
Erano
tornati al lavoro ed io avevo ricominciato a seguirli in giro per il
mondo.
Il
mio lavoro, per forza di cose, l'avevo lasciato.
Come
potevo andare avanti a farlo se saremmo dovuti stare sempre in
viaggio?
Erano
passati altri sei mesi ed io e Tom andavamo avanti sempre meglio.
Bill
ed Hellen erano felici e spensierati e Georg ed Anna non erano da
meno.
Finalmente
la loro storia era diventata ufficiale ed Anna si faceva vedere senza
problemi e soprattutto senza vergogna, ricordando l'ultimo episodio
piuttosto imbarazzante.
Tre
giorni dopo David ed Isy si sarebbero sposati ed eravamo tutti
elettrizzati.
L'unico
ancora single ma felice era Gustav.
Mi
aveva sempre detto che da solo stava più che bene e che non
sentiva il bisogno di cercare il grande amore.
Se
era destino si sarebbe presentato a lui e lui lo avrebbe accolto a
braccia aperte.
Mi
piaceva la sua filosofia, ero d'accordo praticamente con tutto quello
che diceva ogni volta.
Io,
Hellen ed Anna, eravamo abbracciate, dietro alle quinte, dondolando
da destra verso sinistra e viceversa, cantando orgogliose le canzoni
dei nostri amori, mentre David teneva Isy abbracciata da dietro,
accarezzandole di tanto in tanto il grosso pancione che le si era
venuto a formare.
Presto
sarebbe arrivato un piccolo Jost nella nostra famiglia.
*
«Sei
emozionata?» domandai ad Isy, aiutandola ad allacciare dietro
la schiena il suo bellissimo abito bianco.
«Sì,
eppure non è la prima volta che mi sposo» rispose con le
lacrime agli occhi ed un sorriso sereno sulle sue labbra. «Manca
solo mia figlia...» sussurrò abbassando lo sguardo.
«Hey,
se è destino che le cose devono arrivare, arrivano,
tranquilla» la rassicurai alzandole il viso. «La rivedrai
tua figlia» le sorrisi, riuscendo a metterla un po' più
di buon umore. «E non piangere che ti cola tutto il trucco,
devi arrivare bellissima da David!» ridacchiai, facendola
sciogliere in una risatina.
Ci
abbracciammo.
«Ti
voglio bene, Isy».
«Anche
io».
«Sta
bene?» mi domandò Tom non appena mi andai a sistemare
affianco a lui, nell'enorme chiesa gremita. Io annuii e lo baciai su
una guancia. «Guarda David» ridacchiò poi. «Tra
un po' sviene» aggiunse divertito, facendomi ridere
leggermente.
«Dai
non prenderlo in giro» sorrisi dandogli un colpetto sul
braccio.
Non
appena la marcia nuziale partì, tutti ci voltammo verso
l'entrata della chiesa, dove trovammo un'Isy bellissima - ed incinta-
, fare il suo ingresso emozionata.
Io
e Tom ci stringemmo la mano emozionati ed il mio sguardo,
automaticamente si spostò su David, che guardava la sua futura
sposa con amore... tanto tanto amore.
Ad
un tratto sentii Tom irrigidirsi.
Mi
voltai verso di lui e seguii il suo sguardo, fino a che non capii chi
stesse guardando.
In
piedi, come noi, Andreas lo guardava sorridendo.
Tornai
ad osservare Tom e sospirai rincuorata vedendo che sorrideva anche
lui.
Tutto
il rancore era riuscito a metterlo da parte e, senza farmi notare da
lui, feci l'occhiolino ad Andreas.
Sapevo
che sarebbe tornato tutto apposto.
«Grazie»
sussurrò Tom senza staccare gli occhi da David.
«Non
c'è di che» risposi con lo stesso tono basso e
sorridendo soddisfatta.
*
David
ed Isy erano partiti per il loro viaggio di nozze.
Bill
era a casa di Hellen a fare chissà quale zozzeria.
Georg
era a casa di Anna e Gustav era andato a farsi un giro in macchina,
giusto per lasciare me e Tom un po' da soli.
Avevamo
deciso di preparare una torta con cioccolato e panna.
Ogni
tre secondi, con Tom, era una risata.
Era
un impiastro ed io gli dovevo decisamente insegnare un bel po' di
cose.
«Tom!
Vacci piano con quella panna!» risi afferrandogli i polsi che
stavano continuando a versare la panna spray, ricoprendo quasi per
intero la torta.
«Il
cioccolato non si vede neanche più, è tutta bianca!»
continuai divertita.
Lui
mi sorrise, prendendo un po' di cioccolato e sporcandomi il naso.
Io
lo guardai fintamente indignata, con la bocca aperta, e ricambiai il
gesto.
In
pochi secondi la cucina era diventata un campo di battaglia.
Tra
farina, uova, cioccolato e panna, nessuno poteva essere più
imbrattato di noi.
Presi
ad inseguirlo con il tubetto di panna puntatogli sulla schiena,
mentre lui se la rideva con gusto.
Improvvisamente
scivolò su un punto del pavimento ricoperto di panna e cadde a
peso morto sul divano.
Nel
mentre mi aveva afferrato furbescamente per il polso e mi aveva fatto
cadere addosso a lui.
Scoppiammo
a ridere.
«Uomo
decisamente cattivo» soffiai sulle sue labbra, baciandolo.
Sapeva
di cioccolato e panna, ovunque le mie labbra passassero.
La
stessa cosa faceva lui, piuttosto divertito.
In
pochi secondi eravamo stesi uno sopra l'altra su quel divano,
completamente nudi.
Vidi
che fece per prendere un preservativo ma io lo fermai.
Mi
guardò incuriosito.
Io
gli sorrisi facendo segno di “no” con la testa e lui capì,
illuminandosi con gli occhi.
«Sicura?»
mi chiese dolcemente ed emozionato.
Io
annuii ed ecco che entrò in me lentamente e senza protezione.
Sicuramente
era una sensazione del tutto diversa, più bella.
Lo
sentivo più vicino e più mio.
Incrociammo
le nostre dita e, baciandoci, ci amammo come mai avevamo fatto prima.
*
David
vagava nervosamente avanti e indietro per quella sala d'aspetto.
Si
potevano leggere sul suo volto un'infinità di emozioni
differenti: preoccupazione, gioia, nervosismo, disperazione.
Tutti
eravamo quasi commossi da tale comportamento.
Sapevamo
quanto fosse felice ed emozionato che la sua Isy stesse per
partorire.
Sarebbe
diventato papà per la prima volta nella sua vita.
Chi
l'avrebbe mai detto?
Ormai
tutti ci avevamo perso le speranze.
Improvvisamente
la porta si aprì e ne uscì un'ostetrica in camice
verde.
«Sua
moglie è pronta per partorire. Se volete assistere dovete
indossare questi camici» annunciò mostrandoci altri
camici uguali al suo.
«Io
sì» si affrettò a dire David indossandone uno in
pochi secondi.
Entrò
velocemente, superando la dottoressa che rideva sotto i baffi.
Ci
guardò e ci chiese se anche noi volessimo entrare.
Tutti
quanti scuotemmo la testa.
Secondo
noi era un momento di Isy e David.
Un
momento di loro intimità e non dovevamo rovinarlo.
Quando
la porta si richiuse io sospirai stringendo la mano a Tom.
Lui
mi osservò sorridendo.
«Sei
nervosa?» mi chiese accarezzandomi il ventre leggermente
gonfio.
Eh
già. Da quella fatidica volta sul divano, io e Tom ci eravamo
riusciti di nuovo.
Mancavano
ancora cinque mesi e sarebbe toccata a me.
Avevo
paura.
Per
prima cosa, di perdere di nuovo il bambino.
Certe
esperienze ti segnano e ti rimangono a vita.
Per
seconda cosa, il dolore.
«Un
pochino» sussurrai. «Ma andrà tutto bene stavolta»
sorrisi poi incoraggiandomi da sola.
Un
nanosecondo dopo la mia affermazione, sentimmo un urlo acuto
dall'altra parte della porta, proveniente da Isy.
Tutti
eravamo rimasti con gli occhi sgranati ed a fissare il vuoto.
Deglutii
non appena sentii altre urla che si susseguivano regolarmente.
Sembrava
che la stessero scannando!
«Oddio»
sussurrai.
Tom
si voltò verso di me e mi accarezzò la mano.
«Dai,
stai tranquilla» cercò di incoraggiarmi, ma era
decisamente più agitato di me.
«Non
voglio partorire» cominciai a balbettare.
«Cosa?!
Ma non dirlo neanche per scherzo!» esclamò Tom
guardandomi con terrore negli occhi.
«Tom,
ti devo ricordare che ho una soglia del dolore molto ma molto bassa?»
lo fulminai con lo sguardo.
«Ti
devo ricordare che questo figlio lo vogliamo da molto ma molto
tempo?» ribattè a tono.
Io
rimasi un attimo in silenzio, mentre anche gli altri ragazzi mi
guardavano incuriositi.
Alla
fine sospirai.
«Hai
ragione, non so cosa mi sia preso, scusa» sussurrai appoggiando
la testa sulla sua spalla e ricevendo un bacio sulla tempia.
Un
altro urlo si levò da dentro quella stanza.
*
«Sei
uno spettacolo» sorrisi osservando un Tom intento a cambiare il
pannolino al piccolo Jost, chiamato Daniel.
«Devo
fare pratica, tra pochi giorni nascerà il nostro»
rispose continuando a pulire accuratamente il piccolino.
«O
la nostra» sorrisi accarezzandomi il ventre ormai grosso e
basso, avvicinandomi a lui.
Sentivo
che mancava veramente molto poco e la cosa mi eccitava e mi
spaventava allo stesso tempo.
Eravamo
pronti?
Troppo
tardi per porsi delle domande.
Domande
più che lecite ovviamente.
«Tu
come ti senti?» mi chiese dandomi un bacio stampo e tornando a
concentrarsi su Daniel.
«Direi
abbastanza be...» mi bloccai di colpo.
Avevo
sentito un forte dolore alla pancia, molto strano.
Poi,
improvvisamente, una spiacevolissima sensazione di bagnato.
Vidi
Tom abbassare lo sguardo per terra e spalancare gli occhi.
«Mi
si sono rotte le acque» balbettai fissando il vuoto.
«Oh
cazzo! David!!» Tom urlò quasi più agitato di me
che intanto cominciavo a respirare con affanno, mano a mano che il
dolore si faceva più forte. Al fasciatoio si precipitarono
David, Bill ed Hellen, immaginando cosa potesse essere successo. «Le
si sono rotte le acque!» esclamò di nuovo il moro.
«Portala
in ospedale, muoviti! Io intanto vado a chiamare gli altri»
disse David, agitato e correndo su per le scale.
Tom,
aiutato da Bill, mi sorresse scortandomi fuori di casa, verso la sua
macchina.
Hellen
intanto aveva velocemente recuperato Daniel per riportarlo da Isy.
Tom
mi aveva fatto salire sul sedile affianco al guidatore, Bill si era
appostato dietro e subito ci raggiunse Hellen che salì vicino
a lui.
Anche
Tom si affrettò a salire e mettere in moto, per poi sgommare a
tutta velocità fuori dalla villa.
«Sara,
respira tranquilla come hai imparato al corso» mi disse Hellen
con voce tremante dall'emozione.
Io
cercai di seguire i suoi consigli ma mi risultava piuttosto difficile
dato che il dolore che sentivo non l'avevo mai provato in vita mia.
Tom,
come uno stupido – ragionevolmente stupido – si mise a respirare
come me, per sostenermi, mentre guidava in modo decisamente
pericoloso.
«Stupido
minchione, non voglio morire, devo partorire!» urlai isterica.
«Tesoro,
rischi di farmelo in macchina!» esclamò Tom preoccupato.
«Chissene
frega della tua fottuta macchina! Voglio arrivare sana e salva,
demente!» urlai di nuovo.
Tom
si voltò verso di me con sguardo offeso.
«Tom,
non preoccuparti, è tutto normale! Solitamente in questi
momenti viene molto facile insultare il proprio compagno! Guida ed
ignorala!» lo rassicurò Hellen.
«Devo
mandarti a fanculo?» chiesi proprio a lei che alzò gli
occhi al tettuccio della macchina, scuotendo la testa.
In
pochi minuti arrivammo davanti all'ospedale ed io non ci capivo più
niente.
Continuavo
ad urlare e a respirare male.
Tom
riuscì – non chiedetemi come – a prendermi in braccio e a
posarmi sulla sedia a rotelle che gli avevano portato i medici,
chiamati da Bill.
«Non
lasciarmi da sola, sei scemo?!!» esclamai rivolta a Tom e
stritolandogli la mano.
«Ma
non mi sto neanche allontanando! Sto entrando con te! No che non ti
lascio da sola, stupida!» ribattè agitato e seguendomi
di corsa.
Quando
lo fermarono per fargli indossare il camice, io cominciai ad urlare
ancora di più con isteria, mentre i medici mi facevano
sdraiare su uno strano lettino.
Mi
spogliarono e mi fecero indossare una specie di pigiama bianco.
Sul
ventre e sulle gambe posarono un telo verde e la cosa, per quanto
minima, mi spaventò maggiormente.
«Tom!
Voglio Tom! Dove cazzo è?!» urlai guardandomi
freneticamente attorno.
«Sono
qua, piccola, sono qua, stai tranquilla» cercò di
rassicurarmi stringendomi una mano ed accarezzandomi la fronte già
umida con l'altra.
«Non
è abbastanza dilatata, dobbiamo tagliare» annunciò
il medico, guardandomi in mezzo alle gambe.
«Come
tagliare?!» domandò Tom con occhi sgranati.
«E'
necessario» rispose frettolosamente l'uomo, sparendo con la
testa sotto al telo.
«Ma
porca di quella miseria, voglio una donna! Mi da fastidio che sto
cafone mi smanetti in mezzo alle gambe!» esclamai
improvvisamente.
«Shh,
stai calma» mi ammonì Tom, senza staccare gli occhi
allarmati dal telo.
«Fatto»
disse il dottore tornando fuori. «Ora, signorina, mi segua.
Respiri e spinga!» mi ordinò l'uomo ed io obbedii
urlando come mai avevo fatto prima. «Spinga!» ripetè
ed io stritolai la mano a Tom che non si lamentava, anzi, continuava
ad incoraggiarmi accarezzandomi la fronte ormai completamente
fradicia. «Ci siamo quasi!». Spinsi ancora con tutte le
mie forze, stringendo gli occhi, fino a che non sentii un pianto
liberatorio diffondersi in tutta la stanza. «E' una femmina!»
esclamò il dottore, prendendo la bambina e portandola a
tagliarle il cordone ombelicale.
Le
lacrime cominciarono a scendere da sole e sorrisi riprendendo fiato.
Anche
Tom piangeva, attaccando la sua fronte alla mia tempia e senza
staccare la sua mano dalla mia.
«Sei
stata bravissima, amore. Sei stata bravissima» continuava a
ripetermi baciandomi la guancia a piccoli intervalli.
Mi
illuminai vedendo una bambina piccolissima che veniva poggiata
delicatamente sul mio cuore.
I
nostri sguardi – il mio e della piccola – si incrociarono ed
immediatamente in me scattò un qualcosa di automatico ed
incredibilmente materno.
Una
sensazione a me del tutto sconosciuta.
«Che
bella» sussurrò Tom, continuando a piangere ed
accarezzando delicatamente con un dito la manina della piccola che lo
osservava curiosa e con la minuscola bocca socchiusa. «Vi amo
immensamente» sussurrò poi abbracciandoci, facendo
attenzione a non farle male, mentre posava le sue labbra sulla mia
tempia.
Sentimmo
bussare al vetro della finestrella ed alzammo lo sguardo.
Dietro
ad essa David, Bill, Georg, Gustav, Hellen, Isy, Anna e Saki ci
salutavano commossi e sorridenti.
Questa
era la famiglia che avevo sempre desiderato.
Che
non avevo mai avuto e che pensavo non sarebbe mai arrivata.
Potevo
finalmente dire di aver trovato definitivamente la mia felicità,
di poter cominciare un album fotografico della mia vita.
Giorno
dopo giorno avrei vissuto con entusiasmo, con serenità e con
tanto tanto amore... per Tom e per la piccola Lisa.
...
The end!
Eccoci alla fine anche di questo sequel ^^
Spero davvero che vi sia piaciuto anche quest'ultimo capitolo ^^
Ringrazio
immensamente tutte le persone che sono state tanto carine a commentare
ogni volta, quelle che hanno solamente letto, quelle che hanno messo la
storia tra i preferiti e le seguite...
grazie infinitamente!
Siete state davvero tutte fantastiche!
L'unica cosa che mi farebbe piacere in questo momento è trovare gli ultimi commenti su questo capitolo ^^
E' importante per me sapere se vi è piaciuto com'è finita la storia ^^
Se era questo il finale che vi aspettavate in qualche modo, se vi ha deluso...
insomma, qualsiasi cosa ^^
Vi saluto e vi faccio gli auguri per questo nuovo anno ^^
Io ho già festeggiato come una pazza e non riesco ancora ad andare a dormire nonostante io sia tornata adesso, alle 4 xD
Baci&abbracci <3
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