Love Game

di _KyRa_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


capitolo 1

Capitolo 1


Era passato un anno. Esatto, già un anno era trascorso dal giorno in cui avevo conosciuto i Tokio Hotel. E quasi un anno era passato dalla mia relazione con Tom che, magicamente, eravamo riusciti a mantenere solida. Certo i problemi non mancavano, ma qual'era quella coppia che non ne aveva? Per problemi si intendeva il disordine in camera, la non-collaborazione in casa e “cazzate varie” come le definiva lui. Io le definivo “regole essenziali per una convivenza indolore”.

Il mio adorabile paparino, chiuso in prigione, fortunatamente non l'avevo più visto e non ci tenevo neanche ad andarlo a trovare. Mi aveva semplicemente rovinato la vita e perchè render conto a persone che ti rovinano la vita? Io optai per il no. Non se lo meritava il mio interesse. E per questo avevo anche potuto festeggiare i miei tanto attesi diciotto anni in santa pace. Cosa ancora più fantastica ed assurda fu che Tom mi aveva regalato la macchina. Una splendida BMW nera. Cosa potevo chiedere di più? Ovviamente io ero rimasta esterrefatta da un gesto del genere e mi sentivo anche in colpa, ma lui mi aveva sempre assicurato di non preoccuparmi: i soldi non gli mancavano. Quello era poco ma sicuro.

Io avevo finalmente trovato un lavoro. Un lavoretto molto semplice, come un altro. Facevo la barista, solamente al mattino, perciò mi era andata anche bene. Di lavorare una giornata intera non ne avevo assolutamente voglia e Tom me l'aveva categoricamente proibito, dicendo che quel fatto avrebbe intaccato la nostra relazione dato che di lavoro ne aveva già troppo lui.

L'unica cosa che non era cambiata, assieme alla mia storia con Tom, era la convivenza con gli altri tre squinternati. Come avrei potuto abbandonarli? Sinceramente non me l'ero sentita di cercare casa e loro non erano neanche d'accordo. Mi avevano sempre fatto capire che non ero un peso... anzi.

Me ne stavo in salotto, seduta comodamente sul divano, a sfogliare un giornale mentre la mia testa viaggiava altrove. Tra qualche giorno Tom e Bill avrebbero compiuto vent'anni ed io avrei dovuto inventarmi qualcosa di sensato e carino. Certo, non potevo arrivare ai livelli della BMW di Tom, ma avrei cercato di arrivarci almeno vicina di importanza. Quant'erano difficili i ragazzi! Avevo giusto tre giorni di tempo. Il primo settembre sarebbe arrivato in fretta e io mi dovevo muovere. Decisi di andare a chiedere consiglio al mio amico rosso. Mi alzai saltellante dal divano e salii di corsa le scale fino a che non arrivai davanti alla porta della stanza di Georg. Bussai un paio di volte ed attesi una risposta.

-Avanti- sentii dall'altra parte. Io aprii la porta e mi affacciai con la testa. -Tesoro- mi sorrise. -Vieni, entra- disse poi. Io chiusi la porta e mi avvicinai a lui fino a sedermi sul suo letto.

-Sono in crisi- dissi. Il bassista scoppiò a ridere.

-E quando mai tu non sei in crisi? Sentiamo... che ti rende perplessa?- ridacchiò osservandomi attentamente.

-Riguarda il compleanno di Tom e Bill. Non so che regalo fare- cantilenai. Sul suo volto si estese un sorriso divertito ed intenerito allo stesso tempo.

-Tesoro, qualunque cosa tu faccia a loro, saranno contenti comunque. Non devi farti mettere in soggezione dalla macchina che ti ha regalato Tom- mi disse come se mi avesse letto nel pensiero. -Ti ha fatto quel regalo perchè era nelle sue possibilità. Tu gli farai un regalo che sarà nelle tue di possibilità invece- concluse.

-Mi sento così in imbarazzo- borbottai spalmandomi la mano sul viso.

-Non devi. Saranno contenti comunque. L'importante è il gesto- mi sorrise rassicurante togliendomi la mano dal mio viso, evitando di farmi rovinare la mia povera pelle.

-D'accordo, lo spero, anche se non ne sono del tutto sicura- commentai di nuovo.

-Tom ti ama lo stesso- ridacchiò Georg. Io sorrisi abbassando lo sguardo. -Io ancora non ci credo- aggiunse. Alzai le sopracciglia guardando il vuoto.

-A chi lo dici- sussurrai. -Gli daremo il premio Nobel- aggiunsi sarcastica. Georg ridacchiò. Decisi di togliere il disturbo alzandomi dal letto.

-Bene, io me ne vado, grazie per il consiglio- gli sorrisi schioccandogli un grosso bacio sulla guancia.

-Non c'è di che. Quando vuoi- mi rispose osservandomi alle mie spalle mentre io uscivo dalla sua stanza. Una volta fuori sospirai e mi voltai a guardare la porta della camera di Tom, dentro la quale stava sonnecchiando. Scossi la testa confusa e scesi le scale rimettendo in moto il cervello. Arrivai in cucina dove trovai Bill che scribacchiava qualcosa su un foglio. Sicuramente doveva essere una nuova canzone, come l'avevo visto fare un anno prima, i primi tempi in cui mi ero stabilita in quello studio di registrazione. Si erano presi un'altra pausa, dopo un anno di lavoro ininterrotto. Questa pausa sarebbe durata un mesetto. Forse non bastava per farli riposare ma era il massimo che si potesse pretendere.

-La cucina ti da molta ispirazione devo dire- sorrisi osservando il mio “cognatino”, come lo chiamavo, sulla porta. Il ragazzo alzò lo sguardo su di me e si illuminò mostrando la sua dentatura quasi perfetta, come quella del fratello. -Anche l'anno scorso ti ho beccato a scrivere in cucina- continuai avvicinandomi e sedendomi affianco a lui.

-Già, la sera in cui Tom si è schiantato contro la porta come un coglione- sorrise ripensando alla scena.

-Sì, me n'ero quasi dimenticata- ridacchiai divertita. -Che scena- commentai osservando Bill che rileggeva quello che aveva scritto. Forse era arrivato il momento di indagare un po'. -Senti Bill...- cominciai. -Stavo pensando, no...- lui alzò lo sguardo su di me piuttosto incuriosito. -Ehm, in questo periodo... a te e Tom, tipo, cosa vi piacerebbe fare? Insomma, è tanto che non facciamo qualcosa insieme dato che siete stati impegnati un anno intero. Oppure non so... sentite l'esigenza di qualcosa in particolare?- lo guardavo attentamente mentre la mia mente continuava a ripetermi “Ti sgama, ti sgama”. Lui guardò qualche secondo il vuoto con un'espressione pensierosa. Poi alzò le spalle.

-Mah, sinceramente nulla in particolare, perchè?- mi chiese. Io sussultai appena.

-No, niente, così. Semplice curiosità- sorrisi cercando di risultare con la coscienza pulita. Mi guardò ancora qualche secondo interrogativo fino a che non sentimmo dei passi veloci scendere per le scale. Mi voltai e sorrisi quando vidi entrare in cucina Tom. Aveva ancora gli occhi leggermente socchiusi dato che si era appena svegliato. Mi abbracciò da dietro e mi stampò un bacio sul collo. Poi fece il giro del tavolo e si sedette di fronte a me, con suo fratello a capotavola. -Dormito bene?- gli chiesi dolcemente. Lui annuì entusiasta come un bambino suscitando in me delle risate. Ad un tratto mi venne in mente una cosa. Da parecchie settimane un pensiero mi balenava per la testa e ne volevo parlare con Tom. -Amore- lo chiamai. Lui mi guardò sorridendo.

-Che c'è, piccola?- mi chiese dolcemente come sempre. Io mi feci timida timida.

-Ti volevo chiedere una cosa... non è che... insomma, non è che, uno di questi giorni, potresti accompagnarmi in clinica da mia madre?- gli chiesi timorosa di una sua risposta. Non sapevo neanche perchè avessi paura di una risposta negativa. Tom era sempre comprensivo con me. Lo vidi guardarmi per qualche secondo e poi sorridermi con tenerezza infinita.

-Tesoro, certo che ti accompagno. Sapevo che sarebbe arrivato il momento in cui avresti voluto rivedere tua madre- disse prendendomi una mano tra le sue, sul tavolo, e accarezzandomela. Bill spostava lo sguardo da l'uno all'altra. Sembrava stesse per scoppiare a piangere. Tirò rumorosamente su col naso. Noi ci voltammo a guardarlo.

-Continuate pure, non badate a me- disse subito, tirando fuori dalla sua tasca un fazzoletto ed asciugandosi gli occhi lucidi. Io e Tom ridacchiammo e poi tornammo a guardarci.

-Grazie. È da un po' che ci penso. Adesso dovrebbe essere già migliorata. Insomma, è passato quasi un anno da quando l'hanno messa in quella clinica. Forse adesso riuscirà a riconoscermi- sussurrai abbassando lo sguardo sulle mani di Tom strette alla mia.

-Ma certo che ti riconoscerà, piccola- mi sorrise Tom. -Così posso finalmente conoscere la mamma della mia fidanzata... in circostanze diverse- disse impacciato, portandosi una mano dietro alla nuca. Sapevo che gli era rimasta ancora impressa la giornata mostruosa a casa mia, quando mio padre l'aveva aggredito. Quel giorno, Tom aveva realmente rischiato la vita e l'aveva rischiata per me. Di quello gliene sarei stata per sempre grata.

-Penso che sia la decisione più giusta, tesoro- intervenne Bill, una volta ripresosi dal suo crollo. Io sorrisi leggermente. Non ero del tutto convinta di quella mia decisione, ma prima o poi avrei dovuto farlo. -Beh, io vi lascio da soli- disse poi alzandosi dalla sedia e uscendo dalla cucina.

-Quando vuoi andare?- mi chiese Tom.

-Non lo so- risposi sinceramente.

-Te la sentiresti domani?- continuò. Mi venne in mente che dovevo andare in giro e trovare qualcosa per quel benedetto compleanno. Non avrei potuto.

-Ehm, no, domani no. Pensavo dopo il vostro compleanno. Per il momento voglio stare tranquilla- dissi abbassando lo sguardo.

-D'accordo, piccola. Quando vuoi andare me lo dici- mi disse avvicinandosi oltre al tavolo per darmi un bacio sulla fronte, accarezzandomi i capelli.

-Grazie- sussurrai ad occhi chiusi mentre mi godevo quella piacevole sensazione delle sue labbra sulla mia pelle. Sì, le stesse emozioni del primo giorno in cui ci eravamo messi insieme. Non cessavano. Innamorata di lui sempre di più.

-Figurati, ti amo- rispose staccandosi da me.

-Anch'io-.


*


Stavo portando un pezzo di carne alla bocca, seduta affianco a Tom con tutti gli altri attorno al tavolo, compreso Saki. Quella sera aveva deciso di venire a farci compagnia. Seguivo divertita le risate e le chiacchiere tra lui e David.

-Domani volevo andare a fare un po' di shopping- mentii ad un tratto. Bill, davanti a me, si illuminò in un sorriso radioso.

-Sì! Ti accompagno, anche io devo fare un po' di shopping!- esclamò entusiasta. Io sgranai gli occhi evitando di strozzarmi.

-No!- urlai troppo in fretta. Tutti mi osservarono perplessi. -Ehm, no... cioè, tu avrai da fare. Poi mi perderò in negozi da donna e cose così, ti annoieresti- cercai di sorridere. Lui scrollò le spalle tornando a sorridere.

-No, non mi annoio, che problema c'è. Ti accompagno volentieri- disse portandosi alla bocca un altro pezzo di carne. Mi diedi mentalmente della cretina. Dovevo immaginarlo. Solitamente quando si parlava di shopping lui scattava subito sull'attenti. Scambiai un'occhiata con Georg che mi capì al volo.

-Bill, che ne dici invece se domani non vieni con me a fare un giro?- gli propose.

-No, voglio andare a fare shopping con Sara- ribattè tranquillamente il rasta.

-E se ci mettessimo tutti qui a ideare altri testi?- si intromise anche Gustav. Bill sbuffò posando poco gentilmente la forchetta sul piatto.

-Posso andare a fare shopping con Sara?!- esclamò scocciato.

-Sì, certo- balbettò Georg. Io abbassai lo sguardo sul mio piatto. Avrei dovuto sudare e non poco il giorno dopo.

-Fratellino, vieni anche tu?- gli chiese Bill. Volevo andare a sbattere trecento volte la testa contro il frigorifero. Di male in peggio.

-No, lo sai che quando voi due fate shopping non riesco a starvi dietro. Divertitevi da soli- borbottò il moro. Io feci un sospiro di sollievo senza farmi notare. Finito di mangiare rimanemmo a chiacchierare per una buona mezz'ora al tavolo, fino a che il sonno non prese il sopravvento. -Cucciola, andiamo a nanna?- mi disse ad un tratto Tom. Io annuii con gli occhi socchiusi lasciandomi prendere per mano. Ci alzammo e, data la buona notte a tutti, salimmo le scale. Ci lavammo i denti insieme dandoci ogni tanto delle fiancate per gioco, fino a che non ci stringemmo sotto le coperte a sonnecchiare come bimbi.

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Note finali: ecco qua il sequel di Looking for happiness ^^ spero tanto che vi possa piacere.

Spero anche di trovare tutte le lettrici che conosco e anche delle nuove, mi farebbe davvero piacere trovare tanti commenti anche di gente nuova ^^

Baci

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


capitolo 2

Capitolo 2


Sapevo che la sveglia stava già suonando per la terza volta ma i miei muscoli e soprattutto i miei neuroni non erano pronti per farmi scendere dal letto o, come minimo, disattivarla. Tom aveva la sua testa appoggiata sulla mia spalla e il suo braccio mi circondava pesantemente il ventre. Chi me lo faceva fare di alzarmi?

-Amore, ti prego, disattivala- borbottò ad un tratto con la bocca ancora impastata dal sonno e senza aprire gli occhi.

-Mmm- mugolai senza muovere un muscolo. Di nuovo silenzio. Solo il pensiero di una nuova mattinata di lavoro mi faceva sentire letteralmente male. Mentre questi pensieri si facevano largo nella mia mente ancora mezza addormentata, la sveglia riprese a suonare per la quarta volta. Sentii Tom sospirare. -Non ce la faccio- commentai ad occhi chiusi. Lo sentii muoversi leggermente fino ad oltrepassarmi col corpo per disattivare la sveglia sul mio comodino. In pochi secondi tornò nella posizione iniziale.

-Devi alzarti- borbottò senza staccarsi da me. Io non mi mossi. Lo sentii alzare leggermente la testa. Sentivo che mi stava guardando e sussultai appena quando sentii le sue labbra posarsi sul mio collo e stamparvi un bacio leggero e delicato. -Dai, piccola, arrivi in ritardo al lavoro- continuò accarezzandomi quel lembo di pelle con la bocca. Voltai il viso, sempre ad occhi chiusi, e cercai le sue labbra con le mie. Le trovai e ci scambiammo un lungo e dolce bacio stampo. Fu la volta buona che aprii gli occhi non appena mi staccai da lui, contro la mia volontà. -Buon giorno- mi sorrise divertito.

-Giorno- borbottai voltandomi dall'altra parte.

-Grazie, dammi le spalle- commentò facendo il finto offeso. Io sorrisi e mi misi seduta sul letto. Mi strofinai gli occhi sbadigliando. Lo stesso fece lui affianco a me e osservandomi dolcemente. -Su, forza e coraggio- sorrise divertito.

-Certo, tu non devi andare a lavorare a quest'ora- borbottai scendendo dal letto. Lui si sdraiò di nuovo con le braccia dietro la testa.

-Io l'ho fatto ventiquattro ore su ventiquattro per degli anni- rispose tranquillamente. Io gli feci la linguaccia suscitando in lui lievi risatine. Mi vestii poi mi avvicinai di nuovo al letto, mi abbassai e gli stampai un bacio sulle labbra. -Buon lavoro- mi disse rimettendosi a dormire. Io scossi la testa sorridendo ed uscii dalla stanza.


*


Stavo sciacquando un bicchiere al lavandino mentre infinità di persone si aggiravano per il bar. Ancora mezz'ora e sarei tornata a casa. Sospirai e misi apposto il bicchiere, quando sentii un vociare proprio davanti a me. Alzai lo sguardo e trovai tre ragazze.

-Salve, cosa desiderate?- chiesi gentilmente.

-Tu sei la fidanzata di Tom Kaulitz, non è vero?- mi chiese una bionda. Io rabbrividii.

-Ehm, sì, perchè?- domandai vaga occupandomi di un altro bicchiere.

-Ci dai fastidio- intervenne un'altra.

-Cosa?- chiesi sorridendo divertita. -E' comunque un problema vostro- conclusi tranquillamente. Dovevano essere delle fans.

-Gli hai rovinato la vita, lo sai vero questo?- mi chiese la terza.

-No, non mi pare. Ora mi lasciate in pace? Devo lavorare e ho altri clienti da servire- risposi dando loro le spalle e sistemando i bicchieri che avevo pulito al loro posto.

-Da quando sei arrivata tu nella sua vita, non è più lo stesso Tom. Prima era libero. Adesso ha te alle calcagna e non può fare tutto quello a cui era abituato e che gli piaceva- continuò. Io sospirai.

-Sentite ragazze. Lo so dove volete arrivare ma non è mia intenzione, d'accordo? Io non l'ho costretto, ha fatto tutto lui, quindi vuol dire che gli sta bene anche così. Adesso non ho più voglia di starvi a sentire- commentai.

-Oh, tu ci starai a sentire invece...-.

-Hey-. Ci voltammo tutte quante in direzione di quella voce. Scorsi un ragazzo biondo che avrà avuto più o meno la mia età. -Avete finito di importunarla? Lasciatela stare se non volete che vi tiro fuori da qui con la forza- continuò. Le ragazze lo guardarono ancora qualche secondo deglutendo e poi, dopo avermi rivolto un'occhiataccia, uscirono dal bar.

-Grazie- dissi guardando il ragazzo.

-Figurati- mi sorrise. -Io sono Lee- aggiunse porgendomi la mano oltre il bancone. Io gliela strinsi.

-Sara, piacere- sorrisi. Lo vidi annuire.

-Sì sì, lo so chi sei. La tua faccia è su tutti i giornali, assieme a quella di Tom- continuò. Restammo un attimo in silenzio.

-Beh, vuoi qualcosa da bere?- mi “svegliai” finalmente.

-Oh no no, grazie, adesso devo andare. Beh, è stato un piacere conoscerti- mi sorrise cominciando ad allontanarsi. -Ciao- mi salutò poi uscendo dal bar. Era stato gentile. Scrollai le spalle per poi occuparmi di un'altra cliente.


*


-Sara, finalmente!- esclamò Bill vedendomi rientrare in casa. -Allora, andiamo a fare shopping?- saltellò entusiasta seguendomi in salotto dove io mi stravaccai pesantemente sul divano.

-Bill, un secondo, sono appena arrivata- borbottai con gli occhi chiusi. Lui si sedette sull'altro divano.

-Ma stanotte non hai dormito? Colpa di Tom?- mi chiese malizioso. Io sorrisi e scossi la testa.

-No, strano ma vero, per una volta tuo fratello non c'entra. Sono solo un po' stanca- risposi.

-Se non te la senti di andare, fa niente-.

-No no, devo andare-. Detto questo mi alzai dal divano facendo quattro saltelli. -Andiamo?- chiesi. Bill mi guardò un attimo sorpreso di come mi fossi ripresa velocemente. Semplice, l'idea di dover comprare loro il regalo di compleanno mi aveva letteralmente ridato le forze. -Andiamo con la mia macchina, ok?- gli dissi mentre uscivamo di casa. Lo vidi annuire sorridendo. Entrammo nella mia bambina e misi in moto per poi dirigermi verso il centro commerciale.

-Però, ci stai facendo la mano- commentò il rasta osservandomi nella guida. Io annuii soddisfatta.

-Beh, è anche grazie a tuo fratello, è lui che mi ha insegnato la parte pratica- dissi arrossendo al solo pensare a tutte le pause che io e Tom avevamo fatto tra una manovra e l'altra, per fiondarci sui sedili posteriori e fare l'amore. Una volta arrivati, Bill si tirò il cappuccio sulla testa ed insieme scendemmo dalla macchina. Dovevo trovare un modo per non far sì che si accorgesse che stavo cercando qualcosa per lui e suo fratello. Entrammo nel primo negozio e potei già vedere la faccia estasiata di Bill che si guardava attorno.

-Io non esco più di qua, me lo sento- mormorò. Io scossi la testa e mi incamminai alla ricerca di qualcosa di decente. Conoscevo i gusti di Tom. Conoscevo i gusti di Bill. Eppure in quel luogo sentivo la disperazione salirmi dai piedi alla punta dei capelli. Non vedevo nulla, nulla. In più avevo Bill alle calcagna e non potevo ragionare con calma. -Questo come mi sta?- mi chiese facendomi sobbalzare, uscendo tutto d'un tratto dal camerino. Mi portai una mano al petto, lasciando in fretta la felpa XXL che stavo guardando per Tom e mi voltai verso di lui sospirando. Portava una maglietta rossa e nera, in stile gotico.

-Ehm, ti sta benissimo, prendila- mi sforzai di sorridere. Lui si illuminò e saltellò di nuovo dentro il camerino. Mi voltai velocemente di nuovo verso la felpa e la osservai attentamente. Era molto bella, nera, con dei temi hip hop e scritte sopra. Quella poteva andare. Solo, mi sembrava troppo poco rispetto alla macchina che mi aveva comprato Tom. Mi veniva da piangere.

-E questo?!- stavolta saltai letteralmente. Non poteva sbucare tutto d'un botto quel ragazzo! Mi voltai.

-Bellissima- borbottai girandomi di nuovo. Non avevo neanche guardato cosa fosse.

-Bellissima? È un giubbottino di pelle- commentò lui alzando un sopracciglio. Lo guardai.

-Ehm, sì, certo, bellissimo- balbettai.

-Tutto bene?- mi chiese sospettoso. Io annuii a scatti. Lui scrollò le spalle e tornò in camerino. Alla velocità della luce presi quella felpa e mi catapultai verso la cassa. Proprio a qualche metro da essa, scivolai e andai a sbattere contro il bancone, facendo sobbalzare la commessa.

-Questa la metta da parte!- esclamai ancora a terra, sventolandole la felpa sotto il naso.

-Ehm, sì- disse incerta prendendola e posandola da qualche parte. Io intanto mi rialzai e corsi di nuovo dov'ero prima. Proprio in quel momento uscì di nuovo Bill ed io feci finta di nulla, rigirandomi i capelli tra le dita e cercando di riprendere aria.

-Questi pantaloni?- mi chiese.

-Bellissimi- sorrisi.

-E' tutto quello che riesci a dire per ogni capo?- ridacchiò lui. Io sorrisi di nuovo timidamente. -Come mai hai il fiatone?- mi chiese lui perplesso. Io scossi la testa sventolando una mano con nonchalance. -Vabbè- borbottò tornando in camerino. Io alzai gli occhi al cielo e ricominciai a guardarmi intorno. Intanto Bill uscì di nuovo e mi si affiancò. -Oddio! Guarda questa giacca! È la fine del mondo!- esclamò ad un tratto prendendola. Come al solito era in pelle nera, con il colletto in pelliccia. Subito se la provò e gli stava davvero bene. Mi venne un'idea. -Com'è?- mi chiese entusiasta. Io storsi il naso.

-Naaah, non mi piace. Ti fa una forma strana alle spalle- mi inventai. Lui mi guardò abbassando gli angoli della bocca. Sembrava un cane bastonato.

-Ma veramente?- mi chiese quasi con i lucciconi. Io annuii sicura.

-Oh, sì. Veramente, lo sai che non ti racconto palle- risposi. Lui sbuffò sconsolato e se la tolse rimettendola apposto. Mi fece troppa tenerezza in quel momento.

-Vabbè- concluse ricominciando a camminare verso il reparto intimo. Io ne approfittai per recuperare quella giacca e spiccare un'altra corsa verso la cassa. Stavolta feci ben attenzione a non scivolare di nuovo, facendo la figura della povera tonna, e la poggiai sul bancone.

-Metta da parte anche questa assieme alla felpa. Domani mattina passo a ritirarle- dissi alla commessa. Lei annuì prendendola e appoggiandola sopra alla felpa. -Non è che vi potrebbe fare due pacchi regalo?- chiesi poi.

-Ma certo- sorrise.

-Bene, grazie mille-.


*


Rientrammo a casa. Bill teneva tre sacchetti mentre io ne tenevo due. Dovevo dire che si era dato alla pazza gioia come sempre, mentre io mi ero accontentata di un nuovo completo intimo. Posammo tutto quanto sul divano, dove Tom e Georg stavano giocando alla play station. Misero in pausa.

-Ciao amore- mi sorrise Tom. Io mi sedetti accanto a lui schioccandogli un bacio sulle labbra. Mi accoccolai a lui chiudendo gli occhi. La stanchezza che aveva cominciato a farsi sentire da quella mattina era tornata improvvisamente. Sentii la mano di Tom che mi accarezzava il fianco e le sue labbra posarsi a piccoli intervalli sulla mia guancia. Quel regalo per lui sicuramente non sarebbe bastato. Senza accorgermene, durante il sonno, la mia mente aveva elaborato tre nuove e brillanti idee.

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Note finali: allora, questo è un capitolo di transizione, vi assicuro che i prossimi capitoli saranno più movimentati e pieni di cosette ^^

Ringrazio  little_illusion, layla the punkprincess, NickyPrincessThlOve e dark483 ^^

Baci

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


capitolo 3

Capitolo 3


Quel giorno avrei dovuto organizzare un sacco di cose. Troppe idee mi erano venute in mente improvvisamente, tre per la precisione, e dovevo cercare di metterle in atto senza fare casini. Facevo aventi e indietro per la casa pensando da dove cominciare. I regali ero già andata a ritirarli in negozio quella mattina, essendo di strada dato che stavo andando al lavoro. Alla fine mi decisi a prendere il telefono e comporre il numero della mia migliore amica, Hellen.

-Pronto?- rispose finalmente, dall'altra parte.

-Hellen, ciao- sorrisi.

-Sara! Ciao, come stai?- mi chiese entusiasta.

-Tutto bene grazie. Senti, ti volevo chiedere una cosa. Come sai, domani è il compleanno di Tom e Bill... hai voglia di venire a Berlino e festeggiare insieme a noi?- le domandai speranzosa.

-Davvero? Wow! Certo, grazie!- esclamò.

-Perfetto, io ho già una mezza idea per la festa-.

-Dimmi tutto-.


*


-Georg!- esclamai facendolo sobbalzare. Era seduto al tavolo che sorseggiava una tazza di the e per poco non se la versò addosso. -Ti devo chiedere un favore- continuai mentre lui posava la tazza sul tavolo. -Ce l'hai il numero di Andreas?- chiesi a bruciapelo. Lo vidi strabuzzare gli occhi e sapevo anche il motivo.

-Che vuoi farne?- mi domandò sospettoso.

-Voglio invitarlo alla festa- risposi schietta. Lui cominciò a scuotere freneticamente la testa.

-No, Sara, non è il caso, lo sai che non si parlano da un anno e mezzo-.

-Sì, lo so. Per questo direi che è arrivato il momento di darci un taglio. D'altronde sono motivi futili-.

-Futili ok, ma se si vedono anche da lontano, si spaccano la faccia-.

-La spacco io la faccia a tutti e tre se solo dovesse succedere, mi dai il numero?-.

Mi fulminò con lo sguardo e, sospirando, si infilò una mano nella tasca dei pantaloni per poi tirarne fuori il cellulare. Presi il mio ed attesi che mi dettasse il numero.

-Sara, tu sei sicura..?-.

-Muoviti-.

Contro la sua volontà mi dette il numero e io lo ringraziai per poi uscire in giardino, in modo che nessuno mi potesse sentire, soprattutto Tom e Bill. Feci partire la chiamata e, sospirando, attesi una risposta.

-Pronto?- sentii una voce maschile.

-Ehm, ciao, non mi conosci, sono Sara la... fidanzata di Tom- risposi. Il cuore mi batteva all'impazzata e non sapevo neanche io il motivo. Forse tenevo veramente tanto al fatto che quei tre si riappacificassero. Dopo tutto Tom mi aveva riportato, anche se inconsapevolmente, Hellen. Io volevo riportargli Andreas. Il silenzio non cessava, così decisi di andare avanti. -Senti, lo so che ti sembrerà strano e stupido ma... sai che domani è il compleanno dei gemelli... insomma mi chiedevo... so che non siete più in buoni rapporti, però, sì insomma, sarebbe carino se tu...-.

-No- mi interruppe. Io chiusi gli occhi sospirando. -Senti, Lara, Sara, come caspita ti chiami...- continuò.

-Sara- commentai sarcastica.

-Sara. Sono stati loro a voltarmi le spalle, solamente perchè non avevano più tempo per il loro migliore amico dato che stavano diventando sempre più famosi, occupati e con la puzza sotto il naso...-.

-Ti sbagli-.

-No, non mi sbaglio. Quindi non vedo perchè dovrei venire al loro compleanno, o semplicemente chiamarli per fargli gli auguri. Tanto neanche loro lo vorrebbero-.

-Sei sicuro di quello che dici, Andreas?-.

-Assolutamente sì-. Io stessi un attimo in silenzio. Evidentemente non c'era proprio nulla da fare. Aveva deciso così ed era estremamente convinto della sua idea. Santo orgoglio, e io che stavo provando a metterlo da parte.

-Bene, come vuoi. Ti dico solo questo: abbiamo intenzione di organizzare per loro una festa a sorpresa alle Caravelle, un parco acquatico in Italia. Se cambi idea siamo lì- gli dissi come ultima speranza. Non disse nulla di nuovo. -Ciao- conclusi riattaccando. Sbuffai e andai a riaprire la porta di casa ma questa andò a sbattere contro qualcosa, o meglio, qualcuno.

-E che cazzo!- sentii esclamare. Vidi Georg che si massaggiava una guancia. Mi venne spontaneo alzare un sopracciglio.

-Origliavi di nuovo?- gli chiesi conoscendo già la risposta, mentre richiudevo la porta.

-Senti, qui la situazione è grave, fortunatamente ha detto di no- borbottò. -Da quello che ho capito- aggiunse timidamente. Io ridacchiai dandogli qualche pacca sulla spalla e sorpassandolo. Ad un tratto sentii dei passi scendere velocemente per le scale. Alzai lo sguardo davanti a me e vidi Tom correre con un sorriso smagliante sul volto. Mi si fiondò davanti e mi diede un bacio sulle labbra.

-Amore, corri di sopra a vestirti- mi sorrise. Io mi guardai e solo in quel momento mi resi conto di girare per casa solo in magliettona XXL di Tom, culottes e calze. Però non capivo come mai volesse che mi andassi a vestire. Solitamente mi faceva stare così, anche se gli davano fastidio le occhiate degli altri ragazzi, persino quello dei muri che, per la cronaca, vedeva solo lui.

-Perchè?- gli chiesi incuriosita.

-Stai per conoscere una persona per me importantissima- disse emozionato. Io strinsi leggermente gli occhi cercando di riflettere ma non mi venne in mente nessun nome.

-Chi?- domandai tranquillamente.

-La mia mamma- sorrise a trentadue denti. Lo stomaco mi fece una capovolta. Le gambe quasi mi cedettero e la spina dorsale fu percorsa da mille, se non di più, brividi. Cominciai a boccheggiare guardandolo con gli occhi spalancati ma lui continuò. -L'ho appena sentita. Lei ti conosce per quello che le dico io al telefono e quello che legge sulle riviste. Adesso viene a trovarci, come ogni anno, viene sempre il giorno prima del nostro compleanno perchè poi sa che il giorno stesso vogliamo stare con gli amici. Così ne approfitta anche per conoscerti-. Aveva gli occhi che brillavano. Si vedeva che era emozionato quanto me o anche di più.

-Oh mio Dio- esclamai in un sussurro quando riacquistai il dono della parola. -Io... io, non so che dire, non lo so, aiuto. Cioè... se non dovessi piacerle? Io... Oddio, mi sento male- cominciai a balbettare frasi disconnesse. Lui ridacchiò prendendomi il viso tra le mani.

-Tesoro, non puoi non piacerle. Lei poi è una donna molto semplice e le piacciono le ragazze semplici. Tu ne sei un validissimo esempio. Tranquilla, piccola, non hai nulla di cui preoccuparti- mi disse dolcemente concludendo il tutto con un altro bacio. -Dai, vatti a vestire che tra massimo mezz'ora sarà qui- mi disse poi. Il mio cuore prese a battere più velocemente.

-Ok- annuii catapultandomi verso le scale. Le salii a tre a tre. Non ci potevo credere. Finalmente stavo per conoscere la mamma di Tom, Simone. Era un'emozione indescrivibile per me. Forse poteva sembrare quasi una stupidata, ma per me era importante. Era la conferma che la nostra storia era veramente ufficiale. Non che ci servisse la conferma, ma in quel momento mi resi davvero conto che Tom era cambiato e per me, la più grande delle soddisfazioni. Frugai freneticamente nell'armadio alla ricerca di qualcosa di decente. In quel momento tutto mi sembrò inadatto o addirittura volgare. Come ci si vestiva per conoscere la mamma del proprio ragazzo? Mi sentii prendere per i fianchi da dietro e sobbalzai, dato che ero sovrappensiero. Sentii le labbra calde di Tom posarsi dietro il mio collo.

-Amore, qualsiasi cosa tu ti metta va bene- sussurrò con le labbra sulla mia pelle. Sapeva che l'inizio della mia colonna vertebrale era, per me, un punto molto sensibile. Tirai lentamente indietro la testa, contorcendomi un po' tra le sue braccia. Lo sentii ridacchiare. -Non venire qui davanti all'armadio- rise. Io mi voltai scandalizzata tirandogli delle pacche sulla testa, mentre lui si riparava con le braccia, piuttosto divertito.

-Sei schifoso quando fai così- sorrisi voltandomi di nuovo verso l'armadio.

-E' per questo che mi ami tanto- cantilenò. -Mettiti quello- indicò ad un tratto un vestito molto semplice, celeste.

-No, Tom, è troppo corto!- commentai quasi scandalizzata. Lui borbottò qualche secondo qualcosa di incomprensibile e si sporse per recuperarlo. Si voltò verso di me e afferrò la sua maglia che portavo e me la tirò su sospirando. Io ridacchiai una volta che me l'ebbe sfilata.

-Ok ok, sono capace a vestirmi da sola- ridacchiai in reggiseno e slip, sotto gli occhi quasi assatanati di Tom. Gli presi il vestito dalle mani e lo guardai maliziosa. -Calma i bollenti spiriti, SexGott, a tempo debito- gli dissi infilandomi quel capo celeste.

-Mmm- mugolò andando a prendermi le scarpe per distrarsi. Tornò con i sandali bianchi e bassi. -Ecco a lei- sorrise porgendomeli.

-Grazie- risposi infilandomeli. -I capelli- dissi poi impacciata.

-Te li posso fare io?- mi chiese con occhi speranzosi. Io li sgranai letteralmente. -Ti prego!- continuò tirando in fuori il labbro inferiore, cercando di adottare un'espressione abbastanza convincente.

-No, la prossima volta, quando ci sarà tempo, tra cinque minuti arriva tua mamma- gli dissi correndo in bagno.

-Traditrice!- mi urlò ancora dalla nostra stanza e io sorrisi guardandomi allo specchio. Presi i miei capelli e cominciai a tirarli su, girarli e rigirarli, cercando di trovare una soluzione per quell'ammasso castano-rossiccio. Alla fine optai per un semplice cerchietto. Proprio quando finii anche di lavarmi i denti, sentii suonare il campanello. Cominciai a respirare velocemente facendomi aria. Insomma, era solo sua mamma! Mi passai le mani sul viso, presi un bel respiro ed uscii dal bagno. Scesi le scale e mi fermai a metà dell'ultima rampa. Vidi Tom e Bill catapultarsi alla porta, con Georg e Gustav dietro di loro. Appena la aprirono li sentii esclamare un “Mamma!” entusiasta. Potei notare una donna bionda, bellissima e piuttosto giovane, abbracciare entrambi i figli con un calore e un affetto che per un attimo invidiai, in senso buono. Io rimasi ferma, timida, sulle scale sorridendo a quella scena. Poi, quando si staccò dai gemelli ed ebbe salutato anche Gustav e Georg, la vidi alzare lo sguardo solare verso di me. Rabbrividii.

-Hey, tu devi essere Sara- esclamò sorridente. Io arrossii ed annuii guardando per un attimo Tom che mi fece dolcemente segno di avvicinarmi. Io obbedii ed arrivai di fronte alla donna. Era piuttosto alta. -Ciao- mi sorrise abbracciandomi. Io rimasi un attimo spiazzata da tutta quella espansività ma mi fece piacere, così ricambiai la stretta, anche se con timidezza. Aveva un buonissimo profumo. Mi piaceva, mi infondeva sicurezza. Quando ci staccammo mi osservò attentamente, senza abbandonare il sorriso, proprio come i suoi figli. -Io sono Simone, piacere- mi disse.

-Oh, il piacere è tutto mio- risposi sinceramente.

-Però, sei davvero una bella ragazza. Bravo Tomi- sorrise poi guardando suo figlio che ricambiò il sorriso guardandomi. Io ero diventata bordeaux.

-Vieni mamma, è pronto da mangiare- disse poi Bill incamminandosi verso la cucina. La donna lo seguì dopo aver dato il suo giubbotto a Tom che lo appese sull'appendiabiti. Erano tutti in cucina e io mi avvicinai un attimo a lui.

-Mi piace tua mamma- dissi con gli occhi che brillavano. Lui mi fece una carezza sorridendomi.

-E ti posso assicurare che tu piaci a lei. Vieni- rispose prendendomi per mano e portandomi assieme a lui in cucina. David non era con noi a cena quella sera. Da quanto avevo capito, finalmente, aveva appuntamento con una donna. Ci sedemmo a tavola. Io e Tom vicini, di fronte a noi Bill e Simone, e Georg e Gustav a capo tavola.

-Allora, Sara, quanti anni hai?- mi chiese la donna sorridendomi mentre metteva in bocca un po' di pasta.

-Ne ho appena fatti diciotto- risposi.

-E io le ho regalato una splendida BMW- sorrise soddisfatto Tom. Simone alzò le sopracciglia sorpresa.

-Wow! Che figlio generoso che ho!- esclamò contenta. Tutti ridacchiammo compreso Tom. -Sai, il signorino qui presente mi parla in continuazione di te al telefono. Così tanto che ovviamente ero curiosa di conoscerti. Ti ha sempre descritto come una bella ragazza, dolce, educata e tutto il resto. Posso tranquillamente dire che confermo quello che mi ha detto, sono contenta che mio figlio abbia trovato una ragazza come te, lo speravo-. In quel momento mi venne da piangere. Erano le parole più belle che sua madre mi potesse dire. Gli occhi mi si inumidirono e io abbassai lo sguardo sorridendo lusingata. -Oh, tesoro, ti sei commossa?- mi chiese dolcemente Simone. Io ridacchiai imbarazzata mentre Tom mi accarezzava una gamba.

-Lei è così, soffre di sovraccarichi di emozioni- ridacchiò il moro.


*


La serata era trascorsa in modo del tutto sereno. Con quella donna mi sentivo ulteriormente in famiglia. Per tutta la sera non avevamo fatto altro che ridere e scherzare. Era anche molto spiritosa, cosa che non avrei mai detto, soprattutto con i suoi figli. Era una persona davvero molto simpatica. Sfortunatamente arrivò il momento dei saluti. Eravamo tutti davanti alla porta di casa ad assistere all'abbraccio tra la madre e i suoi figli. Più passava il tempo e più mi rendevo conto che mi mancava l'affetto materno, e che volevo vedere a tutti i costi mia mamma anche se ce l'avevo ancora con lei.

-Ciao, tesori miei. Vi voglio bene- sussurrò Simone. “Vi voglio bene”. Sentivo il tanto ormai conosciuto magone in gola. Mia madre non me l'aveva mai detto “Ti voglio bene”. Quando Simone ebbe salutato anche Georg e Gustav si avvicinò a me e mi abbracciò. -Ciao, tesoro. Sei davvero una bravissima persona e mio figlio è fortunato- sussurrò invece al mio orecchio ed io sorrisi.

-Grazie Simone, e tu sei una splendida madre- risposi per poi staccarmi dalla stretta. Mi sorrise ed uscì di casa.

-Ciao mamma- dissero per l'ultima volta Bill e Tom chiudendo poi la porta. Tom venne verso di me e mi strinse dandomi un bacio sui capelli. -Hai visto? È andata bene- mi disse contento. Io annuii chiudendo gli occhi. -Ti amo- aggiunse. Lo diceva poche volte, ma quelle poche volte riusciva a riscuotere sempre lo stesso effetto su di me. Avvampavo e il cuore cominciava a battere all'impazzata.

-Anch'io- risposi.


*


Tom dormiva già da un pezzo. Lo osservavo sorridendo. La bocca leggermente socchiusa, le palpebre dolcemente calate, il cuscino tra le braccia. Respirava in modo regolare. Presi la coperta e gliela tirai su coprendo la sua schiena nuda, per poi sfiorargli una guancia con le labbra, senza svegliarlo. Mi voltai verso il comodino e recuperai il cellulare. Inviai un messaggio a Hellen.


Fatto tutto?”


La risposta non tardò ad arrivare.


Tutto risolto. Ci si vede là domani alle tre e mezza. Notte”


Un sorriso si estese dolcemente sulle mie labbra mentre i miei occhi saettarono di nuovo inteneriti verso la figura dormiente accanto a me.

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Note finali: ecco qua il terzo capitolo, dopo tanto tempo ^^ spero che vi sia piaciuto anche questo ^^
Alla prossima con il compleanno dei gemelli, vi assicuro che ne succederanno! xD

Ringraziamenti:

_samy: oh, grazie mille! Mi fa davvero piacere ^^

layla the punkprincess: hihi, danke! ^^

_Pulse_: grazie mille tesoro *-* sempre gentile ^^

Alcolizzata_VIP: o.O oddio, io non so che dire, hai riletto LFH 4-5 volte? o.O ammazza che pazienza! xD per il fatto che dovrei scrivere un libro... xD grazie ma non sono assolutamente all'altezza xD, cmq grazie davvero x tutti i complimenti che mi hai fatto ^^

dark483: grazie! ^^

NICEGIRL: wow, grazie mille veramente! ^^


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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


capitolo 4

Capitolo 4


Lo vidi storcere il naso ed io soffocai una risata. Posai di nuovo le mie labbra sulla sua guancia lasciando una scia di baci lungo il collo, fino ad arrivare alla spalla. Risalii lentamente e sorrisi non appena sentii il suo braccio avvolgermi la vita. Me ne stavo tranquillamente appoggiata a lui, aspettando che si svegliasse. Quella mattina, ovviamente, non sarei andata al lavoro. Quella giornata sarebbe stata completamente dedicata all'amore mio e al mio “cognatino”. Inspirai a pieni polmoni il profumo di Tom, con il viso nascosto tra la spalla e il collo. La sua mano invece mi accarezzava dolcemente il fianco.

-Buon compleanno- sussurrai. Mi abbracciò e mi portò sotto il suo peso. Ci guardammo istanti infiniti negli occhi. Mi sorrideva e io non capivo più un emerito nulla. Lo vidi avvicinarsi con il viso, fino a che non poggiò le sue labbra sulle mie. Ci scambiammo un lungo bacio, facendoci qualche coccola. Appena ci staccammo riacquistai la ragione.

-Grazie- mi sorrise di nuovo. Gli accarezzai il viso. Ne percorrevo ogni millimetro, ogni millimetro della sua pelle, come a studiarlo. Lo conoscevo alla perfezione ma non ne avevo mai abbastanza. Quei tratti maschili che piano piano cambiavano e diventavano sempre più da uomo. Erano una cosa spettacolare. -Andiamo a fare gli auguri alla principessa?- mi chiese poi. Io gli diedi un buffetto sulla guancia.

-Dai, poverino- borbottai divertita alzandomi dal letto. Lui mi seguì ed uscimmo dalla stanza. Aprimmo lentamente la porta della stanza di Bill ed entrammo. Potemmo scorgere solo un accumulo di qualcosa o qualcuno sotto le coperte. La sua testa non si vedeva praticamente più. Ci guardammo e scoppiammo a ridere in silenzio. Poi Tom mi face segno con le dita “Uno due e tre”. Al suo tre spiccammo una rincorsa e ci buttammo “a pesce” sopra a quel cumulo che cominciò a dimenarsi per lo spavento. In pochi secondi la testa di Bill uscì dalle coperte con occhi spalancati e i rasta scompigliati.

-Auguri!- urlammo io e Tom divertiti.

-Io vi ammazzo!- esclamò questo alzandosi dal letto. Io e Tom stavamo già correndo giù per le scale ridendo come dei matti. Arrivammo in cucina dove trovammo David, Georg e Gustav che sia erano alzati dal tavolo per vedere cosa stesse succedendo. Appena ci videro entrare di corsa ci chiesero cosa fosse successo. Proprio in quel momento fece il suo ingrasso anche Bill e tutti scoppiarono a ridere. Era semplicemente in boxer. Decisamente troppo magro! -Mi avete fatto venire un infarto!- esclamò di nuovo rivolto a me e Tom con sguardo assatanato.

-Bill, stai diventando blu, hai la carotide che adesso ti esplode, rilassati- ridacchiò Georg.

-Me la fanno esplodere loro- borbottò calmandosi. Georg, Gustav e David si avvicinarono e lo abbracciarono facendogli gli auguri. Subito dopo ripetettero la stessa cosa con Tom. Io tirai un'occhiata all'orologio appeso e notai che erano le nove. Tra almeno mezz'ora saremmo dovuti partire.

-Ehm, ragazzi?- richiamai la loro attenzione. Tutti si voltarono verso di me. -Comunicazione di servizio- ridacchiai. -Andate tutti di sopra a mettervi un costume e a vestirvi- continuai. Tutti mi guardarono alzando un sopracciglio. Forse solo Georg era quello che ne sapeva un po' di più, dato che aveva origliato durante la mia conversazione con Andreas. -Non fate domande. Fate solo quello che vi ho detto, su- tagliai corto spingendoli tutti fuori dalla cucina, compreso David, al quale dissi di chiamare Saki e dirgli di fare la stessa cosa. Lui mi aveva guardato perplesso ma non aveva indagato oltre. Salii le scale fino ad arrivare in camera dove trovai Tom completamente nudo che si infilava il costume. Deglutii rumorosamente chiudendo gli occhi continuando a ripetermi nella mente “Tu non gli salterai addosso, tranquilla, non gli salterai addosso”. Lo sentii ridacchiare ed io riaprii gli occhi.

-E poi dici sempre a me di calmare i bollenti spiriti. Vogliamo parlare di te?- mi disse sarcastico. Io gli feci la linguaccia.

-Io almeno mi so trattenere- borbottai incamminandomi verso l'armadio. Presi un costume nero, quello che piaceva tanto a Tom, e mi andai a chiudere in bagno. Una volta pronta tornai in camera e finii di vestirmi.

-Me dove andiamo?- mi chiese dopo un po'. Io sorrisi.

-Tu non ti preoccupare- risposi vaga. Infilai gli asciugamani nella borsa da spiaggia e lo invitai a seguirmi al di fuori della stanza. Lui obbedì e scese le scale assieme a me. Arrivammo davanti alla porta dello studio ed attendemmo tutti gli altri che, uno ad uno, arrivarono. -Ci siamo tutti quanti- osservai. -Possiamo andare- dissi poi soddisfatta aprendo la porta ed uscendo. I ragazzi mi seguirono verso la mia macchina. -Non ci stiamo tutti però- constatai.

-Io e Saki veniamo con la mia, ti seguiamo- mi disse David.

-Perfetto- sorrisi mentre loro andavano verso la sua macchina. Io salii sulla mia, alla guida. Affianco a me Tom e sui sedili posteriori il resto della band. -Allacciatevi le cinture, non voglio avervi sulla coscienza, poi chi la sente l'intera popolazione femminile...- dissi mentre mi accingevo ad allacciare la mia. Loro ridacchiarono e seguirono il mio esempio. Misi in moto ed uscii dal cancello, seguita dalla macchina di David. Accesi lo stereo e sintonizzai sul canale che piaceva a Tom, che trasmetteva per lo più musica hip hop. Anche io ne andavo pazza. Eccolo che cominciava a muoversi e a “reppare” a modo suo. Non potei non ridere. Per lo meno quel giorno era felice.


*


Durante il viaggio, i Tokio Hotel non avevano fatto altro che domandarmi dove stessimo andando. I dubbi crebbero quando notarono che eravamo entrati in Italia. Io continuavo a rispondere “E state un po' tranquilli”, “Volete fidarvi?”, “Non vi porto da dei violentatori!”. Ma più dicevo così, più si guardavano intorno incuriositi e spaesati. Finalmente parcheggiai l'auto a destinazione e vidi, poco dopo, la macchina di David dietro la mia.

-Giù le chiappe- ridacchiai scendendo dalla macchina.

-Amo quando fa la rozza- commentò Tom sorridendo e facendo come avevo detto. Bill alzò gli occhi al cielo scuotendo la testa e prese l'esempio di suo fratello, seguito da Gustav e Georg. Si guardarono attorno.

-Ma che posto è? È un parco acquatico?- domandò sorpreso Bill. Io mi limitai a sorridere e camminai verso l'enorme cancello, dove trovammo due guardie del corpo che subito lo aprirono. -Non ci posso credere- sentii di nuovo Bill alle mie spalle.

-Eccovi finalmente!- esclamò entusiasta Hellen correndoci in contro. I Tokio Hotel la guardarono con gli occhi sgranati. Mi si buttò addosso abbracciandomi.

-Grazie- sussurrai al suo orecchio.

-Figurati- rispose staccandosi ed andando a salutare gli altri. Poi fece gli auguri a Tom e Bill che non ci credevano ancora di quello che stava succedendo.

-Ma fatemi capire... avete... avete affittato un parco acquatico?- mi guardò stupito Tom. Io annuii soddisfatta. -Ma... ma, quanto vi è costato?!- esclamò esterrefatto. Io gli posai un dito sulle labbra.

-Non è il momento di pensare a questo. Vedete solo di divertirvi e di vivervi al meglio il vostro compleanno- sussurrai prima di baciarlo. -Ti amo- gli sussurrai poi prima di staccarmi e cominciando a correre verso i lettini. Una volta raggiunti, assieme agli altri, sistemai gli asciugamani su di essi e ci spogliammo rimanendo in costume. David aveva fatto lo stesso ma Saki non si era ancora mosso di un muscolo.

-Dai, Saki, vecchio mio, se mi spoglio io ti puoi spogliare anche tu, non essere timido- lo stuzzicò il manager. Noi ridacchiammo e iniziammo a correre verso una piscina enorme di quel posto. Ci tuffammo tutti insieme ridendo contenti. Una volta riemersi Tom mi si avvicinò e mi prese in braccio, mentre io rimanevo aggrappata a lui a koala. Ci baciammo.

-Grazie, piccolina. Non mi sarei mai aspettato una cosa del genere- sussurrò sulle mie labbra.

-Oh, e non pensare che sia finita qua. La giornata sarà molto lunga- sorrisi.

-Bill!- sentimmo urlare. Ci voltammo e sorridemmo vedendo che Bill aveva preso in braccio Hellen cercando di “affogarla” nonostante le sue dimenate. Io e Tom ci guardammo con malizia. Eh sì, stesso pensiero su quei due.


*


L'intera giornata era trascorsa meravigliosamente. Io ero davvero soddisfatta del “lavoro” mio e di Hellen. Senza di lei non ce l'avrei mai fatta. Andreas purtroppo non si era presentato... ma leggere la contentezza negli occhi di Tom fu più che appagante per me. La sua felicità era la mia. Per non parlare dell'emozione e della gioia di Bill. Era qualcosa di inspiegabile. I regali erano piaciuti. Tom sembrava un bambino. Il bambino più felice del mondo con in mano la sua caramella preferita. Ed io che pensavo che sarebbe stato troppo poco. Senza dubbio era contento con poco e la cosa era piuttosto gratificante. Ma la festa non era ancora finita, almeno per lui. Mi ero studiata tutto per bene. Ci avevo pensato e ripensato, essendo consapevole del fatto che avrei dovuto mettere a dura prova la mia timidezza e la mia... sensualità? Eravamo appena rientrati in casa ed io fermai Tom appena dopo la porta.

-Amore, aspettami qui. Tra un quarto d'ora sali in camera nostra- sussurrai con malizia al suo orecchio. Lui deglutì rumorosamente facendomi sorridere ed alla fine annuì incerto. Io salii di corsa le scale e mi andai a chiudere in camera. Feci una doccia veloce e poi stravolsi l'armadio. Ne tirai fuori un completo intimo in pizzo nero e una vestaglietta trasparente che mi copriva a malapena fino a metà gamba. Rimasi a piedi nudi e con i capelli sciolti. Al centro della stanza vi posai la sedia, presa da affianco al bagno. Inserii un CD nel lettore e tenni la traccia che mi sarebbe servita pronta. Presi il mini-telecomando e lo portai con me dietro alla porta. Avevo il cuore a mille. Lo stavo veramente per fare? Una cosa del genere non me lo sarei mai aspettata di farla, soprattutto da me. Feci un bel sospiro e chiusi gli occhi ascoltando silenziosamente i miei battiti. Ad un tratto sentii dei passi dietro la porta e trattenni il respiro. Questa si aprì ma Tom non mi vide dato che me ne stavo dietro. Una volta dentro e chiusa la porta io feci partire la musica. Vidi Tom guardarsi intorno ed io chiusi la porta a chiave. Misi sul comò il telecomando e mi avvicinai a lui. Posai due mani sulla sua schiena e lui si voltò verso di me. Mi squadrò dalla testa ai piedi rimanendo estasiato.

-Nooo- esclamò divertito. La situazione gli piaceva, lo sapevo, si vedeva lontano un miglio. Cercai di tirare fuori la “pantera”, come la chiamava lui, che era in me. Sfoderai uno sguardo malizioso e lo feci indietreggiare fino a farlo sedere sulla sedia. Mi slacciai la vestaglia buttandola a terra. Gli sorrisi sempre con malizia e gli accarezzai le spalle, scendendo e percorrendo gli addominali da sopra la maglia. Mi rialzai e cominciai a muovermi sensualmente, seguendo il ritmo fluido della musica. I miei occhi non si staccavano dai suoi, anche se facevano fatica a mantenere il contatto visivo. Il suo sguardo malizioso mi mandava fuori di testa. Mi sentivo timida nei suoi confronti... non mi era mai capitato con lui. Certo, non mi era neanche mai capitato di fare qualcosa del genere. Mi scompigliai i capelli e mi avvicinai di nuovo a lui, provocandolo. Lui mi sorrise allungando le mani verso di me ma io gliele scostai. Lui sospirò compiaciuto. Gli piaceva quel “giochetto”. Eccome se gli piaceva, constatai abbassando per un attimo lo sguardo verso il cavallo dei suoi jeans. Feci il giro della sedia, infilando le mani dal collo della sua maglia XXL. Gli accarezzai i pettorali lisci fino a scendere sugli addominali e, sempre da dietro, passai la punta della lingua sul suo collo, sotto il lobo dell'orecchio. Lo vidi sussultare appena e potei notare la pelle d'oca che già si faceva spazio sulle sue braccia. Tirai fuori le mani e tornai davanti a lui. Presi a mordicchiare il suo piercing al labbro mentre gli sfilavo lentamente la maglia. La buttai a terra e mi sedetti a cavalcioni su di lui. Mi guardava estasiato, con la voglia che saliva sempre di più. Posò le sue mani sui miei fianchi ma io gliele feci appoggiare di nuovo sulla sedia. Gli diedi dei baci sul collo per poi scendere.. scendere.. scendere fino alla cintura dei pantaloni. Lo sentii fremere quando gliela slacciai. Dovevo essere bordeaux, ma cercai di non pensarci per risultare spavalda. Gli slacciai anche i jeans e lui alzò lievemente il bacino per farseli sfilare. Tornai su di lui strusciandomi un po'.

-Così mi farai impazzire, lo sai, vero?- mi sussurrò all'orecchio con voce roca e dannatamente eccitante. Io, in risposta gli morsi il labbro, sedendomi di nuovo a cavalcioni su di lui e muovendomi un po' sui suoi boxer. Una reazione da parte sua, senza dubbio, la sentii. Sorrisi e lo baciai di nuovo con passione. In quel momento, proprio quando sentii le sue mani salire sulla mia schiena nuda, la canzone finì e ne partì un'altra, quasi più sexy e dolce allo stesso tempo. A quel punto non potei non lasciarmi prendere completamente dalle emozioni. Mi lasciai accarezzare con dolcezza. Mi prese in braccio ed io lo strinsi a me mentre lui mi posava piano sul materasso. Mi baciava il collo alternando piccoli morsi posando il suo peso su di me. La sua bocca scese verso il reggiseno che venne lanciato in una zona sconosciuta della stanza. Scese sul mio ventre fino ad arrivare agli slip che mi sfilò con lentezza disarmante. Tornò sul mio viso che accarezzò con cura, come se lo volesse studiare. Posò di nuovo le sue labbra sulle mie mentre si toglieva i boxer. Mi prese da sotto le ginocchia, facendomele piegare ed insinuandosi tra esse. Sospirai estasiata. Mi mancava quel contatto, nonostante fossero passati tre giorni. Movimenti lenti e sinuosi, quasi seguendo il tempo della canzone. Occhi negli occhi e tutti il resto svanì. Gradatamente, cominciò ad accelerare le spinte, provocando in me dei gemiti leggermente più forti. Gli accarezzai il viso con una mano, mentre l'altra andò ad aggrapparsi alla sua spalla. -Ti amo, piccolina- sussurrò prima di gemere più forte. Sapevo che stava per arrivare, ma non eravamo protetti.

-Anch'io, però attento, amore- balbettai prima di venire inarcando la schiena fra le sue braccia. Lui si affrettò a staccarsi da me per poi venire anche lui. Dove? Sul lenzuolo, giustamente. Riprendemmo aria ed io sorrisi.

-A chi tocca pulire, ovviamente? A me- ridacchiai ancora affannata. Lui fece lo stesso accarezzandomi il viso e baciandomi.

-Questo è stato senza dubbio il compleanno più bello- sussurrò prima che gli tappassi di nuovo la bocca con un altro bacio.

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Note finali: premetto che non mi piace com'è venuto.. me lo immaginavo in maniera completamente differente. Dico la verità, inizialmente, quando vi ho detto che ne sarebbero successe, era perchè avevo in mente di far arrivare Andreas... ma alla fine ho cambiato idea e me n'è venuta un'altra xD
Mi sembrava troppo scontato che arrivasse subito... ho già un'ideuzza per il prossimo capitolo. Parlando sia di David, che di Hellen che di Andreas... e dei due piccioncini -.-'
Insomma... un pò tutti quanti ^^
Adesso devo solo riordinare queste idee ^^
Beh, spero vi sia piaciuto lo stesso... ah... adesso è tutto rose e fiori.. ma si sa... le mie FF non sono mai sempre piatte e tranquille U.U
xDxD
Lasciate commentini ^^
Bacioni *-*

Ringrazio: Rebbina (non so che dire! ^^ sono contenta che ti piaccia e che ti sia piaciuta anche LFH!) , dark483 ,  layla the punkprincess ,  Alcolizzata_VIP ,  _Pulse_ ,  streghettathebest ,  NICEGIRL ,  _samy.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


capitolo 5

Capitolo 5


-Georg Moritz Hagen Listing!-.

L'urlo di Tom mi aveva fatto svegliare di scatto. Mi guardai intorno cercando di focalizzare bene la situazione. Ero in salotto, mi ero appisolata sul divano. Mi voltai e vidi Tom che stava inseguendo Georg con la scopa puntata sulla sua schiena. Spalancai gli occhi e corsi in cucina dove trovai Bill, seduto sulla sedia, intento a massaggiarsi le tempie.

-Che sta succedendo?!- esclamai seccata.

-Ma lo sai tu? Che palle... Georg deve averne combinata un'altra delle sue e Tom, come sempre, si comporta da bambino isterico- borbottò. Io scossi la testa. Uscii dalla cucina e li inseguii fino a che non mi fermai in mezzo a loro. Strappai la scopa dalle mani di Tom e gliela puntai contro.

-Tu! A cuccia!- ordinai. Fece una smorfia. Mi voltai verso Georg. -E tu! Fuori a fumarti una sigaretta!- continuai. Lui sbuffò fulminandomi ed andò a prendersi un pacchetto. -Eh che cazzo, calmatevi ragazzi!- esclamai esasperata, guardando Georg uscire di casa. Poi mi voltai verso Tom. Aveva il broncio e se ne stava a braccia conserte. Involontariamente gli puntai ancora la scopa contro. -Hai voglia di fare qualcosa di sensato per una volta?- gli chiesi. Lui sorrise malizioso, prese il manico della scopa e la buttò a terra avvicinandomisi.

-Oh sì- sussurrò prendendomi per i fianchi. Io gli tirai una pacca sul braccio.

-Cretino!- esclamai indignata e lui mi guardò accigliato. -Sempre e solo a quello pensi- continuai offesa. Lui fece finta di pensarci un attimo.

-A che altro dovrei pensare?- mi chiese. Io spalancai gli occhi e gli diedi le spalle cominciando a salire velocemente e a passo pesante le scale. Lo sentii ridacchiare e prendermi per il polso. -Oh scema, guarda che scherzo- sorrise voltandomi verso di lui.

-Sarà meglio- borbottai.

-Beh, che cosa dovrei fare di sensato?- mi chiese poi. Io arrossii ed abbassai lo sguardo.

-Mi... mi accompagneresti da mia madre?- sussurrai. -Te l'avevo chiesto qualche giorno fa- aggiunsi timidamente. Lo vidi sorridere intenerito e la sua mano si posò sulla mia guancia per accarezzarla.

-Certo che ti ci accompagno, piccola- mi disse. Io sorrisi ed abbassai di nuovo lo sguardo. Non sapevo il motivo, ma mi sentivo imbarazzata per quella mia volontà. Forse un'altra persona non avrebbe avuto la minima intenzione di andare a trovare la madre che per anni ha fatto finta di nulla mentre il padre la picchiava. Io sentivo però il bisogno di vederla, anche solamente per dirle che la detestavo e che, insieme a mio padre, anche se non per colpa sua, mi aveva rovinato la vita.


*


Osservavo quell'edificio completamente bianco e decisamente poco invitante, da dietro il finestrino della macchina di Tom. Sospirai indecisa. Certo, ero arrivata fin lì. Non potevo tirarmi indietro ma un sacco di dubbi continuavano a vorticarmi per la testa. Sentii la mano di Tom posarsi sulla mia e donarvi una lieve carezza.

-Coraggio. Non puoi rimandare in eterno- sussurrò con lo sguardo puntato su di me, mentre io non volevo staccare gli occhi da quella clinica. Annuii impercettibilmente e, sospirando, scesi dalla macchina. Lui fece lo stesso e mi raggiunse subito avvolgendomi le spalle con un braccio. Assieme entrammo. Sentii mancarmi l'aria. Chiusi gli occhi per un attimo ma, con l'aiuto di Tom, ci dirigemmo verso la segretaria. -Salve, stiamo cercando la signora Smith- parlò Tom per me.

-Secondo piano, porta a destra- rispose la donna, smanettando sul suo computer. Lui mi prese per mano e mi invitò a camminare insieme a lui.

-Hey, tranquilla- mi disse mentre salivamo le scale. -Stai tremando- continuò stringendomi lievemente la mano. Arrivammo davanti alla porta. No, non ce la facevo. Non ce l'avrei fatta a vedere mia madre lì dentro e soprattutto cosciente. Ero sempre stata abituata a dovermi occupare di lei come di una figlia. Lei non mi riconosceva. Eppure, in quell'istante, mi avrebbe riconosciuto. Per un attimo sperai che non fosse così. -Dai- disse Tom aprendo lentamente la porta. Io non gli lasciai la mano, lo volevo accanto a me. Avevo bisogno di sostegno, da sola non ce l'avrei fatta. Una volta dentro i miei occhi saettarono per la stanza, fino a che non si posarono sull'unico letto occupato. Eccola. Il cuore prese a battermi all'impazzata in petto. Aveva gli occhi puntati nei miei. Non riuscivo a sostenere quel contatto visivo, era troppo.

-Sara- sussurrò incredula la donna. Io deglutii mentre Tom mi dava una lieve spintarella sulla schiena, facendomi avvicinare. -Tesoro, stai bene- mi sorrise con le lacrime agli occhi. Io la guardavo impassibile, quasi con odio. Tom era accanto a me ma non sapeva come comportarsi. Giustamente, per lui, era una situazione piuttosto imbarazzante. -Tesoro...- mi chiamò di nuovo.

-Non... chiamarmi “tesoro”- sussurrai tra i denti. Sì, ce l'avevo con lei. Tanto. La vidi guardarmi impacciata.

-Sara, perchè mi dici così?- mi chiese mentre una lacrima scorreva lungo la sua guancia. Niente in confronto a tutte quelle che avevo gettato io per il dispiacere. -Sono tua madre- aggiunse con voce tremante.

-La madre è la donna che cresce i propri figli con amore ed attenzione. La madre è quella persona che sa tutto di loro, che li capisce solo con uno sguardo, che non gli fa mancare nulla. Che ripete loro “ti voglio bene” o semplicemente glielo dimostra- la corressi. -Tu non sei stata niente di tutto questo- conclusi poi sprezzante. Sentii Tom stringermi ancora la mano, come a volermi fermare, ma non ci sarebbe riuscito. Finalmente potevo dire a mia madre quanto ce l'avevo con lei, in condizioni “migliori”.

-Sara, mi dispiace tanto- sussurrò abbassando lo sguardo. -E' vero, non sono stata niente di tutto questo, ma ti ho voluto bene e ti voglio bene tutt'ora- continuò ed io alzai gli occhi al soffitto, con sarcasmo. -Lo sai perfettamente che se sono successe determinate cose non è stato per colpa mia ma di quel mostro di tuo padre-.

-Quel mostro di mio padre intanto lo seguivi volentieri quando ti passava droga e alcool-.

-Non mi rendevo conto di quello che facevo-.

-Certo, non ti rendevi conto-.

-Ti prego, capiscimi-.

-Tu mi hai mai capito?! Ti sei mai preoccupata di entrare qualche volta in camera mia per vedere se stavo bene invece che startene nella tua, a bucarti o a scopare con Roy?!-. Rimase in silenzio. Sentivo Tom tremare lievemente, con la sua mano sempre stretta alla mia. Mia madre abbassò lo sguardo sentendosi in colpa. Faceva bene.

-Mi dispiace- sussurrò.

-Anche a me- dissi sprezzante.

-Ma sappi che non l'ho mai fatto per cattiveria, lo sai che papà mi obbligava-.

-Oh Dio, Sheila, non dire cazzate! Lo sappiamo benissimo entrambe che tu eri innamorata persa di Roy e che facevi tutto quello che ti diceva lui senza fare una piega, solo per far sì che non si stufasse di te!-.

-Mi hai chiamato Sheila...-.

-E' il minimo-.

-Non volevo arrivare a questo-.

-Neanche io. Ma è inevitabile. Il vero motivo per cui sono venuta qui... è per dirti che insieme a Roy mi hai rovinato la vita... adesso stai bene. Appena uscirai non venire a cercarmi. Rifatti una vita se vuoi... ma lontano da me-. Tom mi guardava senza capire. Pochi giorni prima gli avevo detto che lei era pur sempre mia madre e che avevo voglia di rivederla. Evidentemente si aspettava una reazione diversa da parte mia. Ma un conto è immaginare quel momento... un conto è viverlo e trovarselo davanti agli occhi. A quel punto la rabbia riaffiora. Che sia giusto, che sia sbagliato, poco importa. Mia madre mi guardò ancora qualche istante senza sapere cosa dire. Tirai Tom per la mano e lo invitai a seguirmi fuori dalla stanza, mentre il suo sguardo dispiaciuto non si staccava da quello di mia madre. Richiusi la porta e camminai per il corridoio ancora tremante.

-Piccola- mi chiamò Tom ma io non lo ascoltai. Continuai a camminare. -Sara- riprovò. Poi mi prese per il polso, facendomi voltare verso di lui. -Insomma, fermati!- esclamò. Lo fissai negli occhi, inespressiva. -Che ti è preso, si può sapere?- mi chiese.

-Quello che sarebbe preso a chiunque al posto mio- risposi semplicemente.

-Io non ti capisco. Perchè le hai detto quelle cose se pochi giorni prima me ne avevi dette di diverse?-.

-Tom. Devi capirmi. Almeno tu. Non ce l'ho fatta- sussurrai abbassando lo sguardo. Lo sentii sospirare per poi stringermi al suo petto e baciarmi i capelli. Le lacrime ricominciarono a sgorgare dai miei occhi.

-Spero solo che tu non te ne penta in futuro-.


*


Stavo asciugando con un panno un bicchiere, mentre fissavo il vuoto. Continuavo a pensare al giorno prima. All'incontro con mia madre. Alle cose che le avevo detto. Apparentemente ne ero convinta.. però dei dubbi strani continuavano a perseguitarmi nella mente. Non volevo pensarci più. Non volevo più stare male.

-Hey, sei ancora nel mondo dei sogni?- sentii una voce maschile di fronte a me. Alzai lo sguardo e vidi lo stesso ragazzo, Lee se non sbaglio, che aveva mandato via le ragazze dal bar, quando mi avevano creato problemi.

-Oh, ciao- sorrisi. -Sì, sono ancora leggermente addormentata- mentii abbassando lo sguardo e mettendo apposto quel bicchiere che continuavo ad asciugare, nonostante fosse asciutto da dieci minuti buoni.

-Come stai?- mi chiese sorridendo e sedendosi sullo sgabello del bancone.

-Tutto bene grazie- risposi.

-Non sono più venute a darti fastidio quelle là, vero?-.

-No, no. Ti ringrazio ancora-.

-Figurati-.

-Vuoi qualcosa da bere?-.

-Una coca cola può andare, grazie-. Io mi abbassai ed aprii il mini frigo, tirandone fuori una lattina. Poi presi un bicchiere e gli versai la bevanda frizzante all'interno, per poi porgerglielo. -Grazie- ripetette cominciando a bere. -Quanti anni hai?- mi chiese poi.

-Diciotto- risposi. -Tu?-.

-Ventuno- disse per poi posare il bicchiere vuoto sul bancone. -Sei molto carina- mi sorrise poi. -Tom è fortunato- continuò mentre io sorridevo rossa in viso, abbassando lo sguardo. -A che ora stacchi di solito?- mi domandò di nuovo.

-Vero mezzogiorno- risposi.

-Mezzogiorno...- sussurrò riflettendo. -Ok! Allora ci vediamo domani- mi sorrise posando i soldi sul bancone ed alzandosi dallo sgabello.

-D'accordo- balbettai. Lo osservai uscire dal bar, sorridermi ancora dietro al vetro, ed incamminarsi verso la sua macchina.


*


Appena rientrai a casa, David mi venne subito in contro per abbracciarmi. Io rimasi un attimo interdetta ma ricambiai la stretta dandogli qualche pacca sulla schiena.

-Ehm...- cominciai ma David mi interruppe.

-Tesoro, Tom mi ha detto dell'incontro con tua madre, mi dispiace tantissimo- mi disse tristemente. Sinceramente non capii quella reazione.

-Ehm, no, non ti preoccupare, è stata una scelta mia. Tutto apposto- cercai di tagliar corto. Non avevo più voglia di parlarne. Con nessuno. Soprattutto se mi dovevo sentir dire “Hai sbagliato, è sempre tua madre”. L'uomo si staccò e mi accarezzò una guancia sorridendomi dispiaciuto.

-Beh, spero che Isy ti piacerà- mi disse dolcemente. Io strinsi gli occhi per qualche secondo.

-Chi è Isy?- chiesi incuriosita. Lui semplicemente mi prese la mano, continuando a sorridere, e mi portò in cucina. Lì vi trovai la band al completo ma con una persona in più. In particolare si trattava di una donna, sulla trentina, molto bella.

-Lei è Isy, la mia fidanzata- la presentò David, orgoglioso. La mia mandibola minacciò di sbattere a terra. Ero davvero sorpresa. Allora era una cosa seria! L'appuntamento di David aveva dato i suoi frutti. Sorrisi sorpresa mentre la donna si alzò venendomi in contro.

-Ciao, piacere di conoscerti, Sara- mi sorrise amabilmente stringendomi la mano. Sembrava adorabile.

-Il piacere è mio- balbettai gentilmente, non sapendo che dire.

-Isy starà per un po' nello studio con noi- disse David entusiasta, studiando le espressioni mie e dei quattro ragazzi ancora seduti al tavolo. -Spero vi faccia piacere- aggiunse aspettandosi una risposta affermativa.

-Ma certo che ci fa piacere- disse Bill.

-Grazie mille- sorrise Isy. Sì, mi piaceva. Aveva uno sguardo dolce. Sicuramente saremmo andate d'amore e d'accordo dato che eravamo le uniche donne della casa. -Avete fame? Se volete vi preparo qualcosa da mangiare! Faccio delle lasagne che, non per vantarmi, sono la fine del mondo!- esclamò entusiasta e come potemmo dire di no?


Avevo la pancia estremamente, esageratamente, spropositatamente piena. Senza dubbio Isy cucinava benissimo. Aveva preparato delle lasagne che per davvero erano la fine del mondo! Ero stravaccata sul divano a guardare la tv assieme a Gustav. Quando sentii un tonfo e dei passi veloci scendere per le scale. Ci voltammo di scatto e vidimo Tom, con espressione furiosa, avvicinarsi al divano. Mi prese malamente per la mano e mi tirò su.

-Hey!- esclamai infastidita. -Vedi di calmarti!- continuai mentre lui mi tirava fuori dalla porta di casa. Chiuse la porta e mi guardò ribollendo visibilmente di rabbia. -Cosa ti prende, si può sapere?- chiesi massaggiandomi la mano.

-Che cazzo hai fatto?!- mi chiese furioso. Io lo guardai accigliata. Non avevo sinceramente capito a cose si riferisse.

-Che cazzo ho fatto? Se non me lo dici tu!- ribattei cominciando ad innervosirmi.

-Chi ti ha dato il permesso di chiamare Andreas?!- urlò fuori di sé. Spalancai gli occhi.

-Ma perchè ti scaldi tanto?!-.

-Perchè mi scaldo tanto?! Sara, tu lo sapevi che non ci parlavamo da anni! Tu non avevi il diritto di fare di testa tua!-.

-Io credevo di aver fatto una cosa carina!-.

-No! Non hai fatto una cosa carina! Ti sei impicciata degli affari miei, cazzo!-. Io rimasi in silenzio, offesa. -Le cose con Andreas me le vedo io! Se abbiamo fatto passare tutti questi anni senza parlarci ci sarà un fottuto motivo! Adesso perchè hai dovuto prendere il telefono e chiamarlo? Non hai rispettato le mie idee e nemmeno quelle di Bill!- continuò.

-Io credevo che ti avrebbe fatto piacere! Dato che tu mi avevi fatto ritrovare Hellen, volevo fare qualcosa anch'io per te!- urlai con le lacrime agli occhi dal nervoso.

-Era una situazione diversa! E poi non te l'ho fatta ritrovare io! È lei che ha trovato me!-.

-Fa lo stesso!-.

-Sara, nelle mie rogne con i miei amici non ci devi entrare!-. Rimasi interdetta.

-Cioè... Tom, io sono la tua ragazza, fino a prova contraria!- esclamai mentre il cuore sembrava volesse perforarmi prepotentemente il petto. -Mi hai sempre detto che faccio parte della tua vita e che vuoi lo faccia a pieno! Non me lo stai dimostrando dicendomi queste cose!- aggiunsi. Lo vidi riflettere qualche secondo. -Evidentemente te ne sei dimenticato- sussurrai tristemente. Scossi la testa facendo per rientrare in casa ma lui mi prese per il braccio.

-Non me ne sono dimenticato- sussurrò alle mie spalle. -Semplicemente sono arrabbiato perchè sapevi che non volevo risentirlo- continuò.

-Bene, allora scusami. Prometto di non impicciarmi mai più negli affari tuoi- dissi scrollando la mano per togliermi dalla sua presa e rientrando in casa a testa bassa. Stavo per salire le scale quando sentii la voce di Bill.

-Saretta, quale ti piace di più tra questa e...-.

-Non adesso Bill- lo interruppi mogia continuando a salire le scale, ignorando il suo sguardo perplesso che mi seguì fino a quando non svoltai l'angolo. Entrai in camera mia e di Tom chiudendomi a chiave nel bagnetto. Mi sedetti per terra avvolgendomi le ginocchia con le braccia e cominciando a piangere silenziosamente. Ero stata una stupida. Ne avevo combinata un'altra delle mie. Non facevo altro che sbagliare con Tom. Anche quello che facevo pensando a qualcosa di bello e piacevole, alla fine risultava sempre un fiasco. E ci soffrivo. Perchè volevo fare solo del bene per Tom, ma evidentemente non ne ero capace.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


capitolo 6

Capitolo 6


-Sara, te l'ho detto, non ti devi sentire in colpa. È una cosa che hai voluto fare col cuore e presto lo capirà anche Tom-.

Le parole di Hellen, per quanto gentili e rassicuranti, non riuscivano a farmi sentire meglio. Ero seduta in giardino a guardare il cielo stellato mentre parlavo al telefono con la mia migliore amica. Avevo ancora gli occhi lucidi. Residui di lacrime versate fino a pochi minuti prima, in quantità improponibili. Tom riusciva a farmi sentire sempre una perfetta idiota con poche parole.

-Non lo so Hellen, era veramente arrabbiato- sussurrai con voce tremante. Era mezzanotte e mezza e il clima tedesco non era dei migliori. Mi strinsi nel mio cappotto sospirando. -Vabbè dai, ti lascio dormire, ti ho stressato abbastanza con i miei problemi esistenziali- dissi poi.

-Scema, lo sai che non mi stressi, anzi... mi fa piacere che mi chiami- rispose. -A proposito, uno di questi giorni volevo venire a trovarvi, è un problema?- mi chiese dopo un po'.

-Ma che scherzi? No che non è un problema!-.

-Ah perfetto-.

-Dì un po'. Per caso c'entra un certo ragazzo di nome Bill Kaulitz?-.

-Buona notte!-. La sentii ridacchiare per poi riattaccare. Io scossi la testa sorridendo lievemente. Lo sapevo che tra quei due c'era attrazione. Il problema era farli avvicinare e dichiarare l'uno all'altra, impresa non del tutto semplice, conoscendo il pessimismo di Bill e la timidezza di Hellen. Mi voltai e rientrai nello studio richiudendo la porta. Sfregai le mani tra loro per cercare di scaldarle mentre salivo le scale della casa buia. Arrivai in camera e detti subito un'occhiata al letto. Tom dormiva, rannicchiato tutto dalla mia parte del letto. Sorrisi impercettibilmente e mi avvicinai togliendomi il giubbotto e posandolo sulla poltroncina affianco al bagnetto. Mi spogliai mettendomi in pigiama e mi sedetti sul materasso osservandolo tristemente mentre la mia mano gli accarezzava lievemente i cornrows. Improvvisamente arrivò la stanchezza. Abbassai la schiena e mi rannicchiai al suo fianco, dato che non volevo svegliarlo per farlo spostare di qualche centimetro. Il suo viso, piano piano, parve sempre più sfocato alla mia vista, fino a che non scomparve definitivamente, lasciando il suo posto al buio.


*


Non. Era. Giornata.

Assolutamente quel giorno la gente doveva tenersi ben alla larga da me. Quel fatto comportava gravi problemi, dato che lavoravo in un bar e la gentilezza verso i clienti era essenziale. Beh, poco mi importava. Ce l'avevo col mondo intero. Mi ero addormentata triste, mi ero svegliata incazzata. Sì, incazzata. Mi chiedevo perchè Tom avesse dovuto fare l'egoista insensibile ed ingrato in quella maniera. Al mattino non si era neanche degnato di salutarmi decentemente. A malapena ero riuscita a comprendere un “Ciao” prima che uscissi di casa. A quel punto era lui in torto, non io. E al diavolo i sensi di colpa!

-Devi avercela a morte con quel bicchiere- sentii una voce ormai famigliare. Alzai lo sguardo e scorsi Lee che mi guardava sorridendo.

-Come?- chiesi ignara di quello che volesse dire.

-Stai asciugando quel bicchiere in modo così violento che sembra che ti abbia fatto il torto più grande della tua vita- ridacchiò di nuovo. Io arrossii e posai subito il bicchiere che per tutto il tempo aveva assunto le sembianze della testa di Tom. -Qualcosa non va?- mi chiese di nuovo, piuttosto interessato. Io sospirai.

-No, non c'è niente che non va- borbottai abbassando di nuovo lo sguardo.

-Sicura? Magari c'entra Tom?- mi domandò imperterrito. Ragazzo alquanto curioso. Solitamente l'eccessiva curiosità mi dava sui nervi, ma Lee era quasi piacevole. Non mi infastidiva. Forse era quello sguardo dolce a confondermi le idee.

-Già- mi arresi.

-Che ne dici di staccare? Oggi non ti fa bene lavorare- mi sorrise improvvisamente. Io spalancai gli occhi iniziando a boccheggiare.

-No, non posso- balbettai.

-Perchè?- mi chiese innocentemente. Io pensai subito a Tom. Ai paparazzi. Se mi avesse visto in foto con un ragazzo avrebbe dato di matto.

-Il mio capo- inventai. -Non vuole che stacco prima- aggiunsi.

-Beh chiediglielo-.


Insomma, nessuna scusa ebbe la meglio sull'insistenza di Lee. Stavamo passeggiando l'uno affianco all'altra per una via in mezzo al verde. Era tutto così tranquillo. Effettivamente staccare dal lavoro mi avrebbe fatto bene. Lo avrei dovuto ringraziare. Nel frattempo si era fatto raccontare tutta la vicenda che era successa tra me e Tom e, come previsto, trovò qualcosa da ridire su di lui.

-Beh, scusami, ma è proprio uno scemo. Io, al posto suo sarei stato contento di un gesto del genere da parte tua- mi disse sicuro di sé.

-No, non è uno scemo. Forse alla fine ha le sue ragioni. Sarà stata esagerata la reazione che ha avuto, ma magari sono stata io quella indelicata- ribattei mogia.

-Io fossi in te non mi farei tutti questi problemi- commentò con un'alzata di spalle. Nel frattempo ci sedemmo su una panchina del parco. Vedevo che mi osservava attentamente mentre un sorriso strano era dipinto sul suo volto.

-Questa mia situazione ti diverte?- chiesi abbassando lo sguardo sulle mie mano raccolte in grembo. Lui scosse la testa senza abbandonare il sorriso.

-No. Semplicemente non è giusto che una bella ragazza e intelligente come te soffra per un capriccio del suo ragazzo- ribattè tranquillamente. Io scrollai le spalle sospirando.

-Alla fine non si sa che cosa è giusto e cosa è sbagliato- commentai pensierosa. Poi osservai l'orologio al polso. -Senti, scusami, io torno a casa. Sono stanca e ho voglia di riposarmi un pò- dissi poi alzandomi dalla panchina. Lee sembrava deluso e mi guardava con sguardo rattristato.

-Beh, mi lasceresti il tuo numero di telefono?- mi chiese senza timore.

-Lee...- cominciai sapendo dove voleva andare a parare.

-Non ti preoccupare, non ti creerò più problemi di quanti tu già non abbia con Tom. Sarò innocuo- mi sorrise rassicurante. Avevo il cuore che batteva all'impazzata. Stavo pensando ad una possibile reazione di Tom. Sapevo che non l'avrebbe presa bene se mai avesse scoperto che avevo passato qualche minuto con quel ragazzo.

-Io non lo so...- balbettai abbassando di nuovo lo sguardo.

-Voglio solo essere tuo amico- mi interruppe. Io rimasi ancora qualche secondo in silenzio e poi sospirai annuendo appena. Gli dettai il mio numero mentre lui se lo segnava sul suo cellulare. -Grazie, ci vediamo allora- mi disse poi alzandosi anche lui e stampandomi un bacio sulla guancia. -Ciao- mi salutò andandosene. Ero ancora ferma davanti a quella panchina ed un solo pensiero mi passava per la testa: Tom. Cominciai a correre verso la macchina e una volta a bordo partii diretta verso lo studio.

Pochi minuti passarono e finalmente vi entrai. Corsi su per le scale ed aprii la porta della nostra camera. Lo trovai lì, seduto sul letto, con il mio peluche tra le mani. Quando mi sentì entrare, alzò lentamente lo sguardo su di me. Non ci pensò due volte. Appoggiò il peluche da una parte e si alzò venendomi in contro e stringendomi a sé, quasi facendomi mancare il respiro. Avvicinò le labbra al mio orecchio e mi sussurrò poche parole che mi fecero sentire decisamente meglio.

-Scusami amore mio, sono stato un cafone. Non ho capito niente, l'hai fatto per me e io sono stato una merda, perdonami per come ti ho trattata-. Sorrisi e lo strinsi forte anche io mentre gli occhi mi si inumidivano.

-E tu scusami per non averti consultato prima di farlo...- risposi. Ci staccammo e lui mi diede un bacio sulla fronte. Poi ridacchiò appena asciugandomi le lacrime.

-Certo che se noi due non litighiamo una volta non siamo contenti- commentò divertito. Io sorrisi abbassando lo sguardo.

-Già, ma che non diventi un'abitudine, io ci sto male- ribattei.

-Anche io ci sto male, piccola, lo sai- mi accarezzò una guancia. Senza dubbio ci potevamo definire una coppia un po' lunatica. Litigavamo di brutto e massimo il giorno dopo eccoci a strapazzarci di coccole. Ok, ci avevo fatto l'abitudine.


*


Forse, a quanto pareva, Hellen e Bill prendevano me, Tom e tutti gli altri per degli stupidi. Chiunque avrebbe potuto scorgere le occhiate complici e i sorrisi. Hellen poteva dirmi quello che voleva... ma a me non sfuggiva nulla. Eravamo seduti a tavola, solo tra noi ragazzi. David ed Isy erano usciti da soli per un cenetta romantica. Chissà quando sarebbero tornati. Hellen aveva accettato il mio invito di venire a cena da noi, per la gioia di Bill. Appena l'aveva saputo aveva spalancato gli occhi per poi spiccare una corsa verso il bagno ed uscirne tre quarti d'ora dopo perfettamente vestito e profumato. Anche Tom aveva notato gli atteggiamenti di suo fratello, e se non li capiva lui non li capiva nessuno.

-Allora, ti fermi a dormire da noi stasera?- chiese ad un tratto un Bill alquanto imbarazzato e rosso in viso. Hellen si voltò verso di me senza farsi notare ed io le sorrisi annuendo.

-Ehm, sì, se non è un problema- rispose guardandolo.

-Un problema? Assolutamente no!- esclamò forse un po' troppo ad alta voce Bill. Io e Tom soffocammo una risata.

-Beh, che ne dite se andiamo in salotto a fare un bel gioco?- propose Tom malizioso. Noi lo guardammo accigliati.


-Hai sbagliato!- esclamò Georg a Gustav che fu costretto a bersi un altro bicchiere di Vodka lemon. La brillante trovata di Tom consisteva nel rispondere a delle domande. Ad ogni errore corrispondeva un bicchiere di Vodka. -Tocca a te!- disse poi il rosso al biondino che aveva strizzato appena gli occhi. Poi prese un foglietto dalla scatola e lesse la domanda ad alta voce. -A che anno risale la scoperta dell'America?- chiese a Tom.

-Ma dai, questa è facilissima! 1492- sorrise soddisfatto. Gustav sbuffò e buttò il foglietto da una parte. Tom, ridacchiando, ne recuperò un altro dalla scatola e, ovviamente, si voltò furbescamente verso di me. -Qual'è la capitale della Romania?- mi domandò. Io cominciai a balbettare... ero indecisa tra due ma poi sparai la prima che mi venne.

-Budapest!- esclamai.

-Ma sei una capra!- rise Tom. Io misi il broncio.

-Come ti permetti? Non sono una capra!- borbottai incrociando le braccia al petto. Lui continuò a ridere.

-E' Bucharest, tonna!- ribattè divertito.

-E capirai, ci sono andata vicinissimo!- commentai ridacchiando mentre lui, con un sorriso furbo sul volto, mi versò la Vodka in un bicchiere e me lo porse.

-Alla tua salute- disse mentre io lo prendevo e, con sguardo di sfida, lo ingoiavo in un sorso. Posai di nuovo a terra il bicchiere e pescai un foglietto.

-La capitale del Vietnam?- domandai a Hellen.

-E la miseria!- esclamò spalancando gli occhi e tutti ci mettemmo a ridere. -Che ne so! Mm... Khatmandu- improvvisò. Io scossi energicamente la testa.

-No, tesoro mio, mi spiace, è Hanoi- sorrisi mentre le porgevo un bicchiere di Vodka. Lei lo prese.

-Non vale però, era troppo difficile- borbottò prima di mandare giù il liquido.

La serata, o per meglio dire la nottata, continuò in quel modo, tra risate e prese in giro. Verso le tre e mezza eravamo tutti un po' brilli. Ci alzammo dal pavimento del salotto e per poco non perdemmo l'equilibrio. Eravamo molto allegri, non del tutto sbronzi. O almeno, si poteva dire così di tutti tranne che di Bill. Rideva da solo come un cretino e noi lo seguivamo a ruota contagiati.

-Dai fratellino, andiamo a fare la ninna- ridacchiò Tom avvolgendogli la schiena con un braccio ed aiutandolo a salire le scale. -A te l'alcool non fa bene- continuava divertito, osservando il rasta che si sbilanciava con la testa all'indietro e rideva guardando il soffitto. Georg e Gustav decisero di andare a dormire, trascinandosi al piano di sopra, facendo attenzione a non rotolare per le scale. Intanto io ed Hellen, con quel poco di lucidità che ci era rimasta, riordinammo il salotto mettendo via scatola e alcolici. In cucina sciacquammo i bicchieri per non far pensare male a David ed Isy una volta rientrati.

-Guarda che si vede lontano un miglio- esordii ad un tratto con un sorrisetto furbo sul volto mentre rimettevo apposto il panno per asciugare. Lei mi guardò un attimo sorpresa.

-Che cosa?- mi chiese ingenuamente.

-Che ti piace Bill- sorrisi osservandola teneramente. Vidi le sue guance andare quasi a fuoco.

-Beh è un bel ragazzo, nulla di più- balbettò abbassando lo sguardo e cominciando a torturarsi la manica della maglia.

-Guarda che a me lo puoi dire... sei la mia migliore amica-.

-D'accordo, ammetto che mi fa uno strano effetto-.

-Lo sapevo! Come sono contenta!-.

-Beh, io un po' meno-.

-Perchè?-.

-Perchè non è la stessa cosa per lui-. A quel punto ricominciai a ridere di gusto. -Lo trovi tanto divertente?- mi domandò infastidita dalla mia reazione.

-Sì perchè sei veramente cieca, tesoro mio- risposi cercando di calmarmi.

-In che senso?- indagò.

-Nel senso che tu gli piaci... e anche tanto. Io e gli altri ce ne siamo accorti. Solo uno stupido non se ne accorgerebbe. In questo caso tu non te ne sei accorta perchè non sei obbiettiva dato che sei “accecata dall'amore”- le sorrisi. -Secondo me glielo devi dire- conclusi. La vidi riflette qualche istante e poi la invitai a seguirmi su per le scale per andare a dormire. Le mostrai la stanza che per molto tempo prima che mi fidanzassi con Tom era stata la mia. Poi entrai nella nostra e chiusi la porta. Vidi Tom sdraiato sul letto, voltato da una parte ad occhi chiusi. Pensai che stesse dormendo ma appena mi sentì entrare in camera aprì gli occhi e mi sorrise.

-Che serata eh?- mi disse. Io annuii avvicinandomi a lui a quattro zampe, fino a che non mi sdraiai accanto a lui. Lui mi abbracciò baciandomi i capelli e sospirando.

-Ho parlato con Hellen- cominciai. -Le ho detto che dovrebbe parlare con Bill dato che si piacciono a vicenda, e io non voglio che ci mettano tutto il tempo che ci abbiamo messo noi due- continuai. Sentii Tom ridere lievemente.

-Noi siamo stati degli imbranati- commentò. -Ma siamo un caso a parte, lo siamo tutt'ora- sussurrò prima di baciarmi dolcemente ed accarezzarmi la pelle sotto la maglia. Io chiusi gli occhi sorridendo e rilassata da quel suo tocco dolce, fino a che il suo sussurro diventò solo un'eco lontana.


Una bambina correva verso di me con le lacrime agli occhi.

-Mamma!- urlava piangendo. Io la guardavo spaventata. Non capivo. -Mamma!- mi chiamò di nuovo disperata, fino a che non arrivò davanti a me si aggrappò ai miei pantaloni. -Mamma, guardami!- urlò di nuovo. Sì, la stavo guardando... ma era tutto così assurdo. Rimasi in silenzio ad osservare quella bambina dagli occhi nocciola, gonfi di lacrime. -Mamma, non mi vuoi bene?!-.

Mamma...

Mamma...

Mamma...

Io non ero una mamma e non volevo esserlo!

Non ne ero in grado.

Non volevo commettere gli stessi errori di mia madre, Sheila.

Volevo svegliarmi da quell'incubo.

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Ringrazio:   NICEGIRL    Alcolizzata_VIP       _Pulse_      e       Tiky

Ragazze non mi sparite ç___ç

Baci <3

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


capitolo 7

Capitolo 7


Spalancai improvvisamente gli occhi. Gocce di sudore scorrevano imperterrite dalla mia fronte, percorrendo le mie guance e per poi morire sul cuscino. Respirai velocemente cercando di riprendere aria. Mi voltai qualche secondo verso Tom. Dormiva con un sorriso sereno sul volto e con un braccio appoggiato alla mia vita. Ad un tratto un tremendo senso di nausea mi pervase e mi alzai velocemente dal letto, senza badare al fatto di aver dato automaticamente uno strattone a Tom svegliandolo. Entrai nel bagnetto e mi inginocchiai con la testa nel water. Strinsi gli occhi umidi cercando di reprimere quella sgradevole sensazione. Una volta finito mi sedetti per terra dopo aver tirato l'acqua. Tremavo ancora. Ripensavo a quello strano sogno che avevo appena fatto. Chi era quella bambina?

-Amore?- mi sentii chiamare da una voce assonnata. Alzai lo sguardo in lacrime e lo posai sulla porta, dove trovai un Tom ancora addormentato e in boxer, a guardarmi preoccupato. -Che hai?- mi chiese ancora avvicinandosi. Io scossi la testa. Si inginocchiò davanti a me accarezzandomi i capelli. -Non ti senti bene?- mi domandò di nuovo.

-Ho fatto un sogno strano- balbettai ancora con la fronte imperlata di sudore. Mi alzai lievemente ed andai a sciacquarmi bocca e viso al lavandino mentre Tom mi guardava, alle mie spalle, dal riflesso dello specchio. Mi asciugai con l'asciugamano e poi appoggiai le mani al lavandino, mentre Tom si avvicinava dietro di me per poi posare le sue mani sui miei fianchi. Ci fissavamo attraverso quello specchio. -Ho... ho sognato una bambina- sussurrai guardandolo di sottecchi. Lo vidi incuriosito e rimanere in silenzio, forse aspettandosi che io continuassi. -E questa bambina correva verso di me chiamandomi...- deglutii a fatica. Una carezza di Tom riuscì a farmi completare la frase. -... mamma- conclusi. Lo vidi aprire un po' di più gli occhi. Quegli occhi così simili a quelli della bambina...

-Beh...- cominciò Tom incerto. -Era solo un sogno, no? Non ti preoccupare- cercò di sorridermi rassicurante abbracciandomi e poggiando il mento sulla mia spella, senza mai staccare i suoi occhi dai miei. Io annuii insicura.

-Certo... solo un sogno- mi auto convinsi. Mi baciò la spalla e si staccò.

-Tranquilla- mi disse ancora prima di uscire. Io rimasi a fissarmi allo specchio ed automaticamente gli occhi si abbassarono sul mio ventre, così come le mie mani. Deglutii.


*


-Sara? Sei sulla Terra?-. Ero talmente persa nei miei pensieri che non mi ero neanche accorta che Bill mi stava parlando da minuti interminabili. Lo vidi sventolarmi una mano davanti agli occhi. -Hey, tesoro, tutto bene?- mi chiese di nuovo preoccupato. Io annuii freneticamente.

-Ehm, sì, tutto... tutto bene- balbettai. -Dicevi?-.

-Nulla, non ha importanza... piuttosto mi dici perchè è tutto oggi che sei strana? Stai nel tuo mondo, sei assente, non parli- mi analizzò. Il mio cuore batteva decisamente troppo forte e veloce. Avevo quasi paura che Bill potesse sentirlo.

-Non ho niente- conclusi sforzando un sorrisetto insicuro. Non potevo certo confessargli la mia preoccupazione. Come minimo gli sarebbe venuto un infarto ancora prima di accertarcene. Mi alzai dal letto sapendo perfettamente quello che dovevo fare. -Io vado a trovare Hellen, Bill. Vuoi che le dica qualcosa da parte tua?- gli chiesi maliziosa. Lo vidi arrossire come un peperone.

-No, ma va!- esclamò imbarazzato.

-Anche tu le interessi- sorrisi ignorandolo. Lui mi osservò qualche istante boccheggiando. -Ciao ciao cognatino!- aggiunsi contenta uscendo di casa. Non potei fare a meno di ridacchiare. Sapevo che l'avevo lasciato senza parole. Soddisfatta salii in macchina e misi in moto. Presi il cellulare e lo portai all'orecchio dopo aver composto il numero della mia migliore amica.

-Pronto?- rispose.

-Hellen? Sto venendo a casa tua, è urgente- le dissi subito con voce tremante.

-Oddio, è successo qualcosa di grave? Non mi far preoccupare-.

-Non lo so... adesso arrivo e ti spiego tutto-.

-Ok, sei con Tom?-.

-No, Tom è fuori con Georg e David-.

-Oddio, vi siete lasciati?!-.

-Che?! Ma va! Senti, ti ho detto che arrivo e ti spiego tutto, ciao!-.


Finalmente arrivai davanti a casa sua. L'ansia mi stava uccidendo. Certo era strano tornare nella città della mia casa nativa. E soprattutto nella casa dove io e Tom avevamo seriamente rischiato di dirci addio. Scesi dalla macchina e corsi verso la porta dove suonai in modo frenetico. Sentii dei passi affrettati dietro ad essa fino a che non venne aperta. La prima cosa che mi venne spontanea fare fu quella di abbracciare Hellen facendola sobbalzare.

-Hey!- esclamò preoccupata. -Che succede, si può sapere?- mi chiese chiudendo la porta. Entrammo in salotto per poi sederci sul divano. Io sospirai e la osservai davanti a me.

-Devi aiutarmi- sussurrai.

-Sono qui, basta che mi dici che succede, sto diventando pazza!- esclamò esasperata.

-Io... insomma, non è sicuro...- balbettai torturandomi le mani.

-Sara!- alzò la voce impaziente. Rimasi qualche secondo in silenzio e poi mi decisi.

-Devo... devo fare un test...- cominciai.

-Un test? Ti iscrivi a qualche università e neanche me lo vieni a dire?- esclamò sorridendo. Io scossi la testa.

-Non un test universitario. Un test... di gravidanza- ammisi abbassando lo sguardo. Sentivo troppo silenzio e la cosa mi spaventava. Alzai lentamente gli occhi e li posai su quelli di Hellen. Era impassibile. -Beh... dì qualcosa- dissi impacciata. Neanche mezzo secondo, un urlo isterico mi fece saltare sul divano.

-Che cosa?!- urlò di nuovo scandalizzata. -Oh mio Dio, oh mio Dio, oh mio Dio- cominciò a blaterare alzandosi dal divano e facendo avanti e indietro per il salotto massaggiandosi le tempie. Le mie pupille, fissi su di lei, vagavano da destra a sinistra.

-Per favore, ti calmi?! Se permetti quella più in ansia sono io adesso!- esclamai improvvisamente facendola zittire. Sospirò e si sedette di nuovo accanto a me.

-Hai ragione, scusa. È solo che mi hai preso alla sprovvista- sussurrò.

-A me no?- borbottai fissando il vuoto.

-Facciamo così, adesso ti vado a comprare un test di gravidanza. Magari è tutto un falso allarme. Tu intanto stai tranquilla qui- mi disse alzandosi per l'ennesima volta. Io annuii mentre lei usciva di casa. Ero di nuovo sola. La mia mente era pervasa di pensieri diversi tra loro, intrecciati, complessi e preoccupanti. Sembrava che la testa volesse scoppiarmi da un momento all'altro.

Dovevo solo stare calma, magari le mie supposizioni erano tutte sbagliate. D'altronde mi stavo basando solamente su un sogno e un conato. Poteva trattarsi di un nulla. Eppure la preoccupazione era tanta e il presentimento che proprio quelle supposizioni fossero corrette mi faceva sentire letteralmente male. Cos'avrei fatto se fossi stata veramente incinta? Cos'avrebbe fatto Tom? Mi avrebbe lasciato? Lo avrebbe accettato? Troppi interrogativi. Mi buttai con la schiena sul divano ma me ne pentii subito. Mi rialzai velocemente e corsi al bagno rimettendo per la seconda volta.


-Sara, mi stai stritolando la mano-.

Continuavo a fissare quel maledetto test di gravidanza sul tavolino di fronte a me, mentre le mie mani quasi fermavano il sangue a quella di Hellen. Muovevo freneticamente il ginocchio dall'alto verso il basso e viceversa. Perchè ci doveva mettere tutto quel tempo? O sì o no. Quello mi doveva dire. Sbuffai.

-Quanto cazzo ci mette?!- esclamai impaziente.

-Sara, l'hai appena fatto. Devi aspettare il tempo necessario- rispose Hellen paziente.

-Lo so! Ma è tutto così... insopportabile!- urlai con le lacrime agli occhi. Lei si limitò ad accarezzarmi una mano con quella libera. -Mi chiedo solo cosa ne penserebbe Tom- sussurrai guardando il vuoto.

-Sara, Tom ti ama. Penso che, certo ne rimarrebbe forse un po' scioccato all'inizio, ma ti starebbe vicino. E poi non è ancora detta l'ultima parola, può essere solo un falso allarme- mi rassicurò. In quel momento però nulla poteva rassicurarmi. Sbuffai per l'ennesima volta buttandomi con la schiena sullo schienale del divano e con il viso rivolto verso il soffitto.

-Non posso esserlo. Non devo esserlo e non voglio esserlo! Io odio i bambini- mi lamentai.

-Secondo me non li odi- ribattè Hellen sorridendo dolcemente.

-Cosa te lo fa pensare?- borbottai.

-Secondo me la tua è una presa di posizione. Non hai avuto tu una bella infanzia e una bella famiglia, non vedi perchè dovrebbe averla un altro bambino-.

-Non è vero-.

-Può essere il tuo subconscio. E poi hai paura di far passare al bambino o alla bambina una brutta infanzia come la tua e commettere errori come ha fatto tua madre. Ma sai benissimo che non lo faresti mai-.

-No, Hellen. Io odio i bambini punto e basta, non ne voglio sentir parlare. E io non avrò mai figli-. Sentii un silenzio fin troppo pesante. La guardai con la coda dell'occhio e vedevo che il suo sguardo era rivolto al tavolino. -Che c'è?- chiesi sospettosa.

-Ehm, ti devo contraddire sull'ultima frase- balbettò mentre io notavo una gocciolina di sudore scendere dalla sua fronte. Io spalancai gli occhi e mi alzai di scatto col busto.

-Che cosa?!- urlai prendendo il test. Paralizzata. Deglutii non una, non due, centinaia di volte mentre fissavo quelle lineette che mi avevano rovinato la vita in pochi secondi. Cominciai a urlare lanciandolo dall'altra parte del salotto. Presi il cuscino e me lo sbattei in faccia dimenandomi sul divano. Una quantità non misurabile di lacrime stava già scorrendo sul mio viso. Gli occhi strizzati. Hellen cercava di fermarmi e di farmi calmare ma la rabbia e l'isteria avevano preso il sopravvento su di me.

-Sara! Ti prego, calmati!- cercò di sovrastare le mie urla. Non era possibile...


*


Il fumo della camomilla mi accarezzava il viso stanco. Gli occhi gonfi e rossi fissavano il vuoto. Una delle mie mani sorreggeva la fronte, mentre l'altra girava a fatica il cucchiaino nel liquido zuccherato. Hellen era seduta a capotavola, affianco a me, che mi osservava preoccupata e senza saper cosa dire. Effettivamente non c'era da dire nulla. Ero incinta. Punto.

-Sara, bevi la camomilla- mi incoraggiò lievemente.

-Non mi va- sussurrai. Quasi avevo perso la voce a furia di urlare. Erano le otto di sera e sicuramente allo studio di registrazione si stavano chiedendo dov'ero finita. Non me la sentivo di tornare. Non me la sentivo di affrontare gli occhi di Tom. Non me la sentivo di metterlo di fronte alla realtà dei fatti, rovinando per sempre la sua vita, come la mia. Per quello avevo deciso di rimanere a dormire a casa di Hellen. Lei era l'unica a sapere, quindi l'unica a capire.

Il mio cellulare prese a squillare e quando vidi che il mittente della chiamata era Tom mi si raggelò il sangue nelle vene. Scossi la testa allontanando il telefono.

-Sara, non puoi non rispondergli- disse sorpresa Hellen.

-Rispondi tu e digli che... che sono in bagno. Metti il viva voce però- le dissi col cuore che viaggiava a trecento all'ora. Hellen sospirò e aprì la conversazione.

-Pronto?- rispose.

-Ehm... sei Hellen?- chiese Tom dall'altro capo.

-Sì, sono io-.

-Come mai hai il cellulare di Sara e lei non risponde?-.

-Perchè è venuta a trovarmi a casa mia. Adesso è in bagno e ho preso io la chiamata-.

-Ah ok. Beh allora aspetto che torna così me la passi-. Io spalancai gli occhi e feci segno di no ad Hellen. La vedevo in difficoltà ed era comprensibile.

-No... penso ne abbia per un pò- balbettò.

-Ha fatto indigestione di qualcosa?- lo sentii ridacchiare. Chiusi gli occhi. Era sempre così solare... sempre così di buon umore. Cosa c'entravo io con lui?

-No, nessuna indigestione- rispose Hellen piuttosto mogia.

-Come mai ti sento triste? Sara sta bene? È successo qualcosa?-.

-Ehm, no no, nulla-.

-Hellen, di la verità, sento che mi stai nascondendo qualcosa. Dov'è Sara?-.

-Tom insomma... è qui con me!-. Io sgranai le palpebre. -A dire il vero ci sarebbe una cosa, è inutile che ti dico palle, tanto prima o poi lo verresti a sapere-. Il mondo mi crollò addosso. Cosa stava facendo?! Lei mi guardò come per dire “Fattene una ragione, glielo devi dire”. Mi presi il viso tra le mani disperata. Hellen mi fece segno di parlare.

-Tom- sussurrai sospirando.

-Amore- rispose lui. -Ma che succede, si può sapere?- mi chiese cercando di stare tranquillo.

-Tom, ti prego, non fare domande. Rimango a dormire da Hellen stanotte- dissi con le lacrime agli occhi.

-Cosa? Perchè?- mi chiese leggermente alterato.

-Non... non mi sento molto bene ed ho bisogno di parlare con un'amica-.

-E io che ruolo ho nella tua vita? Parlare col tuo fidanzato non ti fa più bene?-.

-Tom, non cominciare con questo tono, lo sai che ci sto male-.

-Io no invece, venendo a sapere che al posto di parlare con me hai bisogno di parlare con Hellen-.

-Se sapessi il motivo capiresti il perchè-.

-Beh spiegamelo sto cazzo di motivo perchè sono curioso!-.

-Non posso-.

-Ma stai scherzando?!-.

-Non posso per telefono-.

-Bene, vengo lì-.

-No, Tom-.

Sentii riattaccare...

... merda.

---------------

Note finali:  Ragazze, grazie mille per non essere sparite, anzi per essere addirittura aumentate ^^

Gemi_Black: wow! Oddio è la prima volta che qualcuno mi dice che l'ha fatta leggere alla madre! Oddio, mi vergogno! xD Hihihi, grazie 1000, mi fa piacere che ti sia piaciuta LFH e che l'hai stampata, rileggendola addirittura 3 volte, che pazienza! E grazie per seguire anche questa!

layla the punk princess:  danke! ^^

Ice princess: uuh grazie tesoro *-*

NICEGIRL: hihi danke

_Pulse_: hihi, grazie mille! *-*

Tiky: grasshie ^^

little_illusion: ahahah xD grazie donnaH xD

Alcolizzata_VIP: ^^ mi fa piacere, grazie ^^

chia94th: danke *-*

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


capitolo 8

Capitolo 8


Sentirlo per telefono mi aveva fatto salire l'ansia ma almeno avevo ancora un barlume di speranza che non arrivasse. Nella mente ripetevo tante frasi diverse che gli avrei potuto dire. Come gliel'avrei messa? “Tom, sono incinta”? “Aspetto un bambino”? “Stai per diventare papà”? L'avrei traumatizzato in qualunque modo e io non volevo. Io ero giovane, è vero, però lui era anche uno spirito libero. Non potevo arrivare io nella sua vita e spezzargli le ali. Non potevo e non dovevo.

Il cuore mi salì letteralmente in gola appena sentii suonare il campanello della casa di Hellen. Riuscii solo a sussurrare un “Oddio” mentre lei andava ad aprire.

-Ciao Tom- disse impacciata.

-Ciao- rispose lui scuro in volto, per poi posare gli occhi su di me. -Sono qui, non siamo più al telefono. Ormai puoi parlare e darmi un paio di spiegazioni- aggiunse freddamente. Io deglutii un pò di volte torturandomi le mani.

-Se volete vi lascio soli- disse timidamente Hellen ma io la bloccai per un braccio.

-No!- esclamai quasi terrorizzata.

-Cosa c'è, adesso ti faccio anche paura?- mi chiese Tom. Io scossi la testa mentre avevo una voglia tremenda di scoppiare a piangere. -Allora? Parla, perchè non vuoi tornare allo studio?- mi domandò ancora.

-Tom, ti devo dire una cosa ma... ti prego... non urlare- sussurrai tremante. Lo vidi rilassare un attimo l'espressione del viso ma mantenendone una preoccupata. Rimase in silenzio aspettando le mie parole. Io presi un bel respiro e cominciai a parlare lentamente. -Non volevo accadesse. Mi dispiace se ti ho rovinato la vita, scusami- dissi piangendo. Lui mi guardava senza capire. -Io... sono incinta- conclusi abbassando lo sguardo e chiudendo gli occhi per lasciar cadere a terra le lacrime. Non avevo il coraggio di guardarlo. Nessuna risposta da parte sua. Non sapevo neanche che tipo di espressione avesse sul volto. Mi feci coraggio ed alzai lo sguardo su di lui. Rabbrividii quando notai i suoi occhi lucidi.

-Tu...- cominciò a balbettare. -Quando l'hai scoperto?- riuscì a formulare una domanda sensata.

-Oggi- sussurrai. -Tom, mi dispiace- aggiunsi.

-Che cazzo dici...- borbottò. -Io... oddio- cominciò a balbettare di nuovo. -Non lo so- concluse infine sospirando.

-Cosa non sai?- chiesi titubante.

-Sara, io... ho solo vent'anni... non sarei in grado di crescere un bambino- disse afflitto. Sentii Hellen, affianco a me, trattenere il respiro.

-Cosa... ma... Tom, mi... mi stai dicendo che mi vuoi lasciare?- chiesi piangendo.

-Sarei un deficiente se lo facessi dopo tutto quello che ti ho detto-.

-Allora mi stai chiedendo di abortire?! Io non capisco!-.

-Non ti sto assolutamente chiedendo di abortire, cazzo! Credi che io sia così insensibile?!-.

Rimasi in silenzio a riflettere. Allora cosa volevano dire le sue parole? Non riuscivo a capire.

-Tom, sii un po' più chiaro- sospirai nervosamente. Mi guardò ancora qualche secondo e poi si decise a parlare.

-Ho detto che non sarei in grado di crescere un bambino, non che non voglio provarci- sussurrò cominciando a sorridere lievemente. Il cuore cominciò a battermi all'impazzata. -Io ti starò vicino, piccola, e ti prometto che insieme ci riusciremo. Se tu vuoi ovviamente...- continuò dolcemente. Io mi sciolsi in un sorriso enorme e corsi verso di lui buttandogli le braccia al collo. Hellen, contenta entrò in cucina lasciandoci soli. -Ti amo- sussurrò al mio orecchio. -Credevi davvero che avrei avuto il coraggio di lasciarti?- domandò teneramente.

-Per un attimo sì- risposi.

-Scemotta...-.

-Però, Tom... è una bella responsabilità... io non lo so... non sono pronta. Ho sempre detto di odiare i bambini e adesso...-.

-Non puoi odiare il nostro di bambino-.

-Ma non voglio commettere gli stessi errori di mia madre-.

-Non lo farai, amore mio. Non lo farai-.


*


Alla fine Tom era riuscito a riportarmi allo studio. Aveva un'espressione felice sul volto. Sembrava addirittura entusiasta della notizia che gli avevo dato, ora che l'aveva assorbita per bene. Ma doveva ancora arrivare la parte più difficile: comunicarlo alla band, a Saki, ad Isy e... più difficile in assoluto, a David.

Eravamo tutti seduti a tavola. Nessuno mancava all'appello eccetto Saki che, come sempre, era a mangiare a casa sua con la famiglia. Io e Tom spostavamo lo sguardo da un componente all'altro. Mi chiedevo come l'avrebbero presa.

Ad un tratto sentii Tom schiarirsi la gola attirando l'attenzione degli altri.

-Ehm, io e Sara avremmo una comunicazione da farvi- cominciò imbarazzato, grattandosi come suo solito dietro la nuca.

-L'ultima volta che hai detto così a tavola era per il fatto che vi eravate messi insieme e Bill ne ha fatta una questione di Stato- ridacchiò Georg.

-Smettila- borbottò il rasta.

-E' una cosa seria, ragazzi- li interruppe Tom. -Può essere bella o meno bella, dipende dai vostri punti di vista. A mio parere è una cosa stupenda e spero lo sia anche per voi... anche se questo comporterà... maggior responsabilità e...-.

-Oh mio Dio- sentimmo David. Ci voltammo verso di lui e potemmo notare che, affianco ad Isy, aveva un'espressione alquanto preoccupata, a giudicare dagli occhi sgranati. -Sara è incinta?- domandò ansioso. Colpiti e affondati. Come aveva fatto ad arrivarci così presto? Io e Tom sentimmo tutti gli sguardi puntati addosso a noi. Per un attimo, forse ad entrambi, l'idea di rimangiarci tutto e scappare da lì attraversò codardamente le nostre menti. Ma poi ci ripensai.

-Sì, sono incinta- dissi alla fine, guardandomi le mani in grembo. Neanche mezzo secondo e sentimmo un colpo violento contro il tavolo che ci fece alzare lo sguardo su David che vi aveva appena sferrato un pugno.

-Tesoro- sussurrò Isy posandogli una mano sul braccio.

-Ma che cazzo vi dice la testa, eh? Soprattutto a te, Tom! Lo sai cosa significa questo?! Lo sai?!- cominciò ad urlare il manager mentre la sua fidanzata cercava imperterrita di farlo calmare.

-Sì, lo so cosa vuol dire, David! Non sono più un bambino!- esclamò di rimando Tom.

-Perchè non siete stati attenti?!-.

-David, è successo! Non possiamo farci nulla ormai! Il bambino si tiene!-.

-Non lo metto in dubbio che il bambino si tiene, Tom. Ma, Cristo santo, un bambino non è un giocattolo! Va cresciuto! Va tenuto d'occhio ventiquattro ore su ventiquattro! I giornalisti, se vengono a sapere una cosa del genere, non daranno pace né a te, né a Sara, né al bambino! E le vostre fans? Ti sei chiesto come reagirebbero?-.

-David, lo so. Ne sono consapevole. Ma perchè devo rinunciare ad una cosa del genere, solo per l'ambiente intorno? Io ce la posso fare. Noi due insieme ce la possiamo fare. Non me la sento di farla abortire. E sinceramente non me ne frega niente del giudizio degli altri. Non dipende da loro la mia felicità, ma dalle persone a me care, a cui voglio davvero bene-.

A quel punto tutta la tavolata era rimasta in silenzio. Le parole di Tom mi avevano commosso e, dentro di me, sperai che avessero suscitato la stessa sensazione a David. Quest'ultimo, dopo una lunga pausa, sospirò abbassando lo sguardo.

-D'accordo, Tom. È una tua scelta e la rispetto. Ma sappi che dovrai dimostrare di essere responsabile d'ora in avanti- disse l'uomo, tornando a guardarlo negli occhi.

-David, lo sai. Mi conosci. Hai forse qualche dubbio che io, in una situazione del genere, possa fare il contrario? Insomma, sono un tipo per niente serio a volte, perennemente spiritoso e tutto quello che vuoi. Ma quando le questioni si fanno serie ho la testa sulle spalle- rispose Tom, sicuro di quello che diceva e la cosa mi rassicurò. Riuscii a scorgere un piccolo sorriso sul volto di David mentre annuiva. Finalmente i tre ragazzi si alzarono e ci vennero in contro abbracciandoci e facendoci le congratulazioni. L'atmosfera stava diventando troppo pesante e fortunatamente eravamo riusciti a spezzarla. Anche Isy e David, poi, ci vennero ad abbracciare. David sfregò amichevolmente il pugno sulle treccine di Tom che ridacchiò togliendoselo di dosso.

-Diventerò zio- piagnucolò Bill, asciugandosi una lacrimuccia che, come sempre, si era fatta spazio sull sua guancia. -Bravo, Tomi, sono orgoglioso di te- aggiunse. Tom mi guardò e sorrise dandomi un bacio sulle labbra.


*


-Hey, ma che fine hai fatto ieri? Non sei venuta al lavoro-.

Quando sollevai lo sguardo notai un Lee sorridente affianco a me.

-Ciao, ehm, no, ho avuto un paio di problemi- risposi prima di mettere in moto la mia auto per tornare a casa. Lee si appoggiò con le braccia al finestrino.

-Perchè non ci andiamo a fare un giro?- mi propose senza abbandonare il sorriso.

-No, oggi non posso. Devo tornare a casa o gli altri mi danno per dispersa- dissi scuotendo la testa. Lui posò una mano sul mio braccio ed io lo guardai.

-Qualche minuto- insistette. Io sospirai e poi sorrisi annuendo.

-D'accordo... ma solo qualche minuto, davvero- misi in chiaro scendendo dalla macchina. La chiusi e cominciai a camminare affianco a lui. -Allora?- chiesi tranquillamente.

-Nulla, avevo solo voglia di stare un po' con te... ti dispiace?-.

-No, figurati-.

-Non vorrei ti facessi ancora problemi per Tom-.

-Oh, beh... lui c'è, è il mio fidanzato, non posso ignorarlo-.

-Ci mancherebbe, lo so-.

Improvvisamente un attacco di fame incontenibile mi avvolse. Sbuffai.

-Che hai?- mi chiese preoccupato.

-Ho fame- borbottai come una bambina. Questo suscitò in lui delle sane risate.

-Andiamo a mangiare!- esclamò sorridendo, come se fosse ovvio.

-No, devo andare a mangiare a casa, ti ringrazio-.

-Come siete difficili voi donne-.

-Oh, io sono molto più che difficile, te lo assicuro-.

-E' un modo per spaventarmi e farmi allontanare indirettamente?-.

-Questa frase è a libera interpretazione-.

-Mi potrei offendere, lo sai?-.

-Non lo farai-.

-Perchè?-.

-Perchè sai che scherzo-.

Ci sorridemmo. Passammo una buona mezz'ora a passeggiare e chiacchierare come qualche giorno prima. Dovevo ammettere che stavo abbastanza bene con lui. Era un tipo simpatico. Poi, per il momento, non mi sembrava avesse intenzioni troppo cattive. Finchè non allungava le mani andava bene. Ci ritrovammo davanti alla mia macchina.

-Grazie per la compagnia- sorrisi.

-Figurati. Grazie a te- rispose con la stessa espressione sul volto mentre io salivo in auto.


*


-Finalmente sei arrivata! Ma dov'eri?- mi chiese Tom allarmato non appena rientrai in casa. -Qualche problema? Il bambino? Tu stai bene?- continuò a tempestarmi di domande. Io sorrisi e lo fermai posandogli due dita sulle labbra.

-Amore! Calmati!- ridacchiai. -Io sto benissimo e anche lo scricciolino. Però... ho fame!- esclamai correndo in cucina. Sentii le risate di Tom che mi seguì alle mie spalle mentre io già frugavo nei cassetti e aprivo le ante di tutti i mobili. -Ho voglia di cioccolato! C'è un po' di cioccolato?- chiesi con gli occhi da cucciolo, voltandomi verso di lui. Lui mi venne in contro e mi diede un bacio.

-No, se vuoi ti do un bel gambo di sedano- rispose. Io lo guardai zitta e seria. Non resistette e scoppiò di nuovo a ridere.

-Non sei per niente divertente. Ho fame!- brontolai ancora sbattendo un piede per terra.

-Non fare la bambina capricciosa, su. Prenditi un pezzo di formaggio dal frigo prima che pranziamo- sorrise uscendo dalla cucina. Non me lo feci ripetere due volte e mi fiondai sul frigorifero.

-Ma guarda, parti già con la fame e le voglie- sentii ridacchiare sulla porta. Mi voltai e vidi Isy appoggiata allo stipite. Ricambiai il sorriso mentre portavo il formaggio sul tavolo.

-Mi sento un lupo- dissi recuperando un coltello dal cassetto. Lei si avvicinò e si sedette di fronte a me.

-Ah la conosco bene questa sensazione- sospirò dolcemente con lo sguardo sognante.

-Tu hai figli?- le chiesi incuriosita mentre masticavo già il primo pezzo di formaggio. La vidi annuire.

-Una figlia di quattordici anni che ho avuto a ventun'anni... ero anche io giovane come te e Tom-.

-E adesso non la vedi mai?-.

-Beh, la situazione è un po' complicata. Ha deciso di vivere con suo padre, dato che sono stata io a lasciare lui. Lei ha sempre visto questa cosa come un tradimento verso di lei. Purtroppo non capisce che il mio bene per lei, anche se ho lasciato suo padre, non è mai cessato. Era normale che finisse la nostra storia, eravamo troppo giovani e troppo diversi-.

Io mi irrigidii. Troppo giovani e troppo diversi. Io e Tom eravamo giovani e diversi. Mi morsi nervosamente il labbro.

-Hey, adesso non ti agitare. Non è detto che tutti questi tipi di coppie debbano rompere. Il mio è stato un caso. Un caso frequente, ma pur sempre uno- mi sorrise cercando di rassicurarmi. Io annuii incerta portandomi alla bocca un altro pezzo di formaggio.


*


Quella sera mi ero infilata abbastanza presto nel letto. Respiravo nervosamente guardando il vuoto davanti a me. Non sapevo il motivo, ma nella mia mente continuavano a vorticare le parole di Isy.


Era normale che finisse la nostra storia, eravamo troppo giovani e troppo diversi...

Era normale che finisse la nostra storia...

Troppo giovani e troppo diversi...”


Chiusi gli occhi scuotendo la testa e tirandomi uno schiaffo sulla tempia. La dovevo smettere con quelle mie paranoie o non vivevo più. Come aveva detto lei, non si trattava di una regola. Se noi eravamo destinati ad andare avanti bene e per sempre, nulla sarebbe successo. Ma se non fosse stato così?

Proprio in quel momento entrò in camera Tom. Mi sorrise non appena lo guardai, mentre richiudeva la porta.

-Hey, piccola, che fai ancora sveglia? Pensavo stessi dormendo già da un bel pezzo- mi chiese dolcemente sedendosi sul letto accanto a me. Io non risposi. Semplicemente lo presi da dietro il collo e lo avvicinai al mio viso, baciandolo passionalmente. Avevo le sopracciglia leggermente aggrottate. Cercavo di scacciare i miei pensieri. Lo sentii respirare con un leggero affanno. -Che hai?- mi chiese mentre io facevo scendere la mano dal collo alla spalla, fino al cavallo dei suoi pantaloni.

-Facciamo l'amore, ti prego- sussurrai prima di baciarlo di nuovo. Forse aveva capito che avevo qualcosa che non andava, perchè lo sentii per qualche secondo come impacciato, ma preferì non indagare ed accontentare la mia richiesta.

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Ringrazio di cuore:

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little_illusion

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chia94th

layla the punkprincess

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


capitolo 9

Capitolo 9


Un mese dopo...


«Tom, calmati, è solamente un'ecografia» sorrisi intenerita.

Tom sembrava addirittura più agitato di me.

Seduto affianco a me, muoveva nervosamente la gamba su e giù, come suo solito.

Ci trovavamo in sala d'aspetto, solamente io e lui.

Avevamo deciso così, almeno alla prima ecografia.

«Vabbè, se permetti, sto per vedere un ammasso di roba ancora deforme che dovrebbe essere il mio bambino» ribattè quasi offeso. A me invece veniva da ridere.

«Ammasso di roba ancora deforme» ridacchiai. «Non sembra una bella cosa, detta così» continuai divertita.

«Dai che mi hai capito» tagliò corto facendo un gesto svogliato con la mano. Io gliela presi fra le mie e gliel'accarezzai.

«Ho capito che sei un tenerone» sorrisi.

«Che lo sono, lo sapevi già» borbottò mentre io notavo un leggero rossore sulle sue guance.

Ma un ragazzo così, dove me lo sarei più trovato?

Ad un tratto, una dottoressa uscì dalla stanza assieme ad una donna col suo fidanzato.

«Arrivederci» sorrise alla coppia che sparì dietro l'angolo. «La prossima?» chiese poi. Io e Tom ci alzammo dalle nostre sedie. La dottoressa ci invitò ad entrare per poi richiudere la porta. «Come siete giovani» osservò guardandoci. Io e Tom sforzammo un sorrisetto. «Allora, tesoro, sdraiati su quel lettino e tirati su la maglia» mi disse poi gentilmente. Io ubbidii. Tom mi si mise affianco. «Quanti anni avete?» ci chiese di nuovo.

«Io venti, lei diciotto» rispose Tom.

Vedemmo la dottoressa annuire pensierosa mentre prendeva uno strano strumento ed un gel.

«Sai, tu mi ricordi molto qualcuno» commentò rivolta a Tom mentre mi spalmava quel gel particolarmente freddo.

Mi venne la pelle d'oca al suo immediato contatto. Sentii Tom sospirare.

«Non lo so» borbottò mentre la dottoressa passava lo strumento su vari punti del mio ventre, tenendo gli occhi fissi sullo schermo affianco a me.

Vidi Tom allungare lievemente il collo per poter vedere incuriosito.

Io sorrisi. Mi faceva tenerezza.

Anche io cercai di guardare lo schermo ma ne vedevo solo il lato.

«Allora?» chiesi alla donna.

«Beh, direi che per adesso va tutto bene» sorrise lei.

«Non dica “per adesso”, mi fa venire l'ansia» commentò Tom facendo ridacchiare sia me che la dottoressa.

«Beh, è un modo di dire» disse la donna. La vidi scrutare attentamente il volto di Tom. «Forse ho capito dove ti ho già visto» esortò facendolo letteralmente sobbalzare. «Sei mica il chitarrista dei Tokio Hotel? Mia figlia va matta per loro» chiese curiosa.

Mi voltai verso Tom che aveva cambiato completamente espressione.

Odiava essere riconosciuto.

Ma d'altronde non si era neanche coperto come sempre.

Se lo doveva immaginare che a qualcuno non sarebbe passato inosservato.

«Sì, sono io» sospirò tornando a guardare lo schermo. Poi posò di nuovo gli occhi sulla dottoressa. «La prego, può evitare di sbandierarlo in giro?» la implorò.

La donna lo guardò ancora qualche istante e poi fece un sorriso che non mi piacque per niente.

«Tranquillo» si limitò a dire mentre mi puliva la pancia dal gel con uno scottex.


*


Osservavo il panorama al di fuori del finestrino dell'auto di Tom.

Ripensavo alla visita. Alla breve conversazione tra Tom e la dottoressa.

Non sapevo il motivo, ma quella donna non mi piaceva.

«Amore, che hai? Ti vedo pensierosa» mi riportò sulla Terra Tom.

Io sorrisi scuotendo la testa.

«Niente, tranquillo» dissi velocemente, tornando a guardare la strada.

«Sicura?» mi domandò di nuovo.

«Insomma, tu ti fidi di quella lì? Sei davvero sicuro che non andrà a dire in giro che Tom Kaulitz sta per diventare papà? Sai quanti soldi ci farebbe?» confessai.

In presenza di Tom, nessun mio segreto sarebbe mai stato al sicuro.

«Ma amore, dai, non penso sia così perfida. Le ho chiesto chiaramente di non farlo. È una donna adulta, non una ragazzina in cerca di scoop» ridacchiò lui senza mai staccare gli occhi dalla strada davanti a sé.

Io sollevai le spalle.

«Sarà, ma a me non convince» borbottai.

Lui sorrise e mi prese la mano appoggiata sulla mia gamba, per poi accarezzarmela dolcemente.

«Secondo me devi stare un po' più tranquilla. Hai altre cose a cui pensare adesso» mi disse alludendo alla mia gravidanza.

Finalmente arrivammo a casa.

Ci saremmo dovuti sorbire tutti gli urletti striduli di Bill, alla vista delle foto della prima ecografia.

Lui era fatto così.

Non riusciva a contenere le proprie emozioni e a volte sembrava una “donnetta in calore” proprio come lo chiamavano ogni tanto Tom e Georg.

Ma come si poteva non voler bene alla nostra prima donna?

Entrammo in casa e, detto fatto, Bill si precipitò da Tom, strappandogli di mano la cartelletta con le foto.

Tom scosse la testa sorridendo ed alzando gli occhi al cielo.

Seguimmo Bill in salotto, dove si era seduto sul divano, in mezzo a Georg e Gustav che sbirciavano insieme a lui nella cartelletta.

Io e Tom ci sedemmo vicini, sul divano affianco, osservandoli divertiti.

«Oddio, lo sapevo, ha il mio naso!» strillò Bill.

Io e Tom ci scambiammo un'occhiata perplessa.

«Ehm, Bill, alla prima ecografia non si vede quasi niente. Come caspita fai a dire che il naso è uguale al tuo? E poi, non per rovinarti l'entusiasmo... ma vorrebbe dire che è uguale al mio di naso, dato che siamo gemelli e siamo identici, te lo devo ricordare?» lo riprese Tom.

«Io lo so, me lo sento, ha il naso uguale al mio!» ribattè sorridente Bill.

«Bill, chi ha fatto sesso con Sara, io o tu? Direi io... quindi il naso è il mio!».

«Tecnicamente è vero... però, voglio dire, è palese, si vede che il naso è il mio!».

«Ma come cazzo fai a vederlo?!».

Io, Georg e Gustav cominciammo a ridere, mentre la discussione dei gemelli andava avanti.

Decidemmo di lasciarli da soli ed andare in cucina a prepararci una cioccolata calda.

«Bill è proprio tremendo» ridacchiò Georg sedendosi al tavolo con Gustav.

«Sì, ma Tom gli va decisamente dietro. Non so chi dei due sia più scemo» sorrisi recuperando tre tazze vuote.

«Tu come ti senti?» mi chiese Gustav.

«Io benissimo, davvero. È strano, sono sempre stata contraria all'idea di avere un bambino e invece adesso sono... serena» sorrisi emozionata. Vidi i due ragazzi sorridere e poi mi dedicai alla cioccolata.

«Siamo veramente contenti per te. D'altronde un po' di serenità te la meriti, dopo tutto quello che hai dovuto passare» sentii la voce di Georg alle mie spalle.

Aveva ragione. Era arrivato il momento di prendermi una rivincita su tutto.

«Grazie Georg» risposi versando la cioccolata nelle tre tazze.

Poi le poggiai sul tavolo, di fronte a Georg e Gustav. Io presi la mia e mi sedetti davanti a loro.

«Sai, Tom è davvero entusiasta» riprese Gustav, mentre io soffiavo sul liquido bollente nella mia tazza. Sollevai lo sguardo su di lui. «Non fa altro che parlare di te e del bambino. Noi eravamo convinti che mai sarebbe potuto cambiare... sia con le ragazze che per gli ideali di una sua famiglia ipotetica. Devo dire che gli ha fatto veramente bene l'entrata della tua figura nella sua vita».

Dovevo avere sicuramente gli occhi lucidi, perchè quello che mi aveva detto mi aveva lasciata veramente senza parole.

«Grazie GusGus» sussurrai sorridendogli.

Quel ragazzo parlava poco, ma quando lo faceva diceva delle cose stupende.

«E di cosa... è la verità» rispose.

«E poi lo sai che ti vogliamo bene, ma tanto tanto!» esclamò Georg prima di bere ancora un po' di cioccolata e poggiare la tazza con il risultato di una bella macchia al cioccolato sul naso. Scoppiai a ridere. «Che c'è?» mi chiese ignaro di tutto.

In quel momento entrò in cucina Tom, seguito da Bill che ancora esponeva le sue teorie sul naso del bambino.

«Ma quanto sei pirla da uno a dieci?» chiese Tom con un sorriso malizioso al rosso.

«Perchè?» chiese Georg incuriosito.

Io, ridacchiando, presi il tovagliolo e glielo spiaccicai sul naso.

Quello rimase appeso e lui incrociò gli occhi verso il basso, osservando lo scottex sul suo setto nasale.

Sentii Tom ridere fino a quando non mi abbracciò da dietro, appoggiando il mento sulla mia testa.

L'atmosfera in casa era così serena, bella... perfetta.


*


«Shopping?» chiesi incuriosita ad Isy, che stava davanti a me e mi guardava con occhi imploranti.

«Sì, sai... è da un po' che non ci vado. Da quando mi sono messa con David. È difficile trascinarmelo dietro per negozi e, ora che finalmente c'è un'altra figura femminile...» cominciò a spiegare imbarazzata. Io sorrisi e la interruppi.

«Ok, ok, ho capito. Mi cambio e scendo» dissi.

«Grazie, sei un angelo» mi sorrise Isy, uscendo dalla stanza mia e di Tom.


I Tokio Hotel avevano ricominciato a lavorare.

Il lungo periodo di pausa era terminato e, quel giorno, avrebbero dovuto fare un servizio fotografico.

Ne avrei sicuramente approfittato per un po' di shopping con Isy.

Già che c'ero, avrei anche potuto vedere qualche cosa utile per il bambino.

Tutta quella situazione, più ci pensavo, più mi sembrava strana.

In pochissimo tempo ero stata costretta a saltare dall'adolescenza all'età adulta.

Non ero sicura di essere pronta. Anzi, non lo ero per niente.

Una ragazza di diciotto anni non può fare il lavoro più difficile in assoluto: la mamma.

Ancora più difficile che fare il dottore, l'avvocato, l'astronauta.

Essere madre vuol dire crescere un essere umano, essere responsabile della sua vita, fare in modo che non gli manchi nulla.

Io ne ero in grado? Assolutamente no.

Ma Tom riponeva fiducia in me e in noi due insieme, così come gli altri ragazzi.

Ce l'avrei fatta. Ce l'avremmo fatta.

«Hey, piccola, dove vai di bello? Esci senza dirmi niente?» mi chiese un Tom sorridente, mentre usciva dal bagnetto di camera nostra.

«Vado a fare un po' di shopping con Isy. È da tanto che non mi compro qualcosa. Poi adesso dovrò andare a prendere tutta roba larga tre volte me» borbottai scocciata, osservando allo specchio il mio ventre piatto. Sentii Tom ridacchiare. «Tu ridi, ma io mi dispero. Guarda bene questo» dissi dandogli le spalle e indicando il mio fondoschiena. «Perchè tra un po' prenderà il suo posto un grosso paio di cesoie» piagnucolai.

Lui, senza troppi complimenti, lo prese fra tutte e due le mani e mi baciò il collo.

«A me piacerà lo stesso perchè sarà sempre il tuo» sussurrò all'orecchio.

Bella consolazione. Beh, se non altro ci aveva provato.


*


«Mi sento tanto ragazzina in questo momento. Mi sembra di tornare ai miei sedici anni» disse entusiasta Isy, guardandosi intorno, in quel negozio enorme. Non potei fare a meno di sorridere e dare anche io un'occhiata in giro. Certo, non potevo perdere troppo tempo tra le taglie 44, dato che presto la mia sarebbe vertiginosamente aumentata. D'accodo, mi dava fastidio! «Hey, cos'è quel faccino demoralizzato?» mi chiese Isy che evidentemente aveva intuito i miei pensieri. «Sai, anche io ai primi tempi della mia gravidanza pensavo a quanto mi sarebbe mancato il mio fisico. Ma ti posso assicurare che dopo non te ne fregherà più di tanto, quando comincerai a sentire che il tuo bambino cresce dentro di te. E poi, tranquilla, un po' di palestra e si torna in forma!» disse sorridendomi e strizzando l'occhio.

Io ricambiai il sorriso. Forse aveva ragione, anzi sicuramente.

Ma era pur sempre difficile da accettare!

«Ma guarda chi si vede!» sentii esclamare alle mie spalle.

Vidi Isy guardare nella direzione di quella voce ed alzare un sopracciglio incuriosita.

Mi voltai e trovai davanti a me un Lee sorridente.

«Lee!» lo salutai sorpresa. «Tu che fai shopping?» chiesi divertita.

«Beh, anche noi uomini abbiamo bisogno di vestiti, sai?» rispose indispettito. Io ridacchiai leggermente.

«Lei è Isy» la presentai poi.

La vidi fare un cenno con la testa e sforzare un sorrisetto. Mi chiesi perchè quella reazione.

Lee invece la salutò cordiale e solare come sempre.

«Sara, dobbiamo tornare allo studio» disse velocemente la mia compagna di compere.

«Cosa? Ma siamo appena arrivate» constatai confusa.

«Ho appena ricevuto un messaggio da David, forza» concluse senza troppi giri di parole.

Mi prese per mano cominciando a trascinarmi verso l'uscita.

«Beh, allora ci vediamo» disse perplesso Lee, osservando prima me, poi Isy.

«S-sì, ci vediamo» balbettai. Uscimmo da quel negozio ed entrammo in macchina. «Perchè te ne sei voluta andare?» le chiesi dispiaciuta per come avevo piantato Lee.

«Sara, quel tipo non mi piace. Come l'hai conosciuto?» indagò Isy voltandosi verso di me, a macchina spenta.

«Beh, al bar, perchè?».

«La faccia non mi è nuova, ma devo capire da dove prenderlo. Nel frattempo tu promettimi che non lo frequenterai».

«Ma perchè?».

«Per prima cosa... sa che sei fidanzata con Tom?».

«Certo che lo sa».

«A maggior ragione. Sara, non pensi che quello lì voglia solamente fare un po' di soldi?».

«Ma va! Non mi sembra il tipo!».

«Nessuno sembra il tipo inizialmente. E poi credi che gli dispiacerebbe racimolare qualche soldo apparendo in qualche foto con te in prima pagina, intitolata “Una nuova fiamma per la fidanzata di Tom Kaulitz?” oppure “Stufa del SexGott?”. Intanto Tom si incazzerebbe come una bestia. Ma non per la figura che farebbe, ma per il fatto che tu ti vedi con questo ragazzo e lui non ne sa niente. Perchè immagino che tu non gliene abbia neanche parlato di questo Lee, dico bene?».

Io esitai qualche attimo. Mi aveva decisamente preso in contro piede.

Abbassai lo sguardo imbarazzata.

«No, non gliene ho parlato» sussurrai.

Mi sentivo tremendamente in colpa.

Solo in quel momento mi resi conto che non avevo assolutamente motivo di nascondere l'esistenza di Lee a Tom perchè era solo un amico.

Ma se avevo la coscienza pulita allora perchè gliel'avevo tenuto nascosto?

«Non è successo niente con quel ragazzo, vero?» chiese Isy preoccupata.

Io sgranai gli occhi e la guardai stupita.

«Che cosa?! Assolutamente no! Come potrei? Sono innamorata di Tom! Sto con lui, perchè lo dovrei tradire?!» alzai la voce quasi scandalizzata.

Isy poggiò una mano sulla mia spalla.

«D'accordo, calmati, era solo semplice curiosità» cercò di tranquillizzarmi. Io sospirai abbassando di nuovo lo sguardo. «Comunque mi fai questa promessa? Smetti di frequentarlo, o almeno di farti vedere in giro assieme a lui?» continuò.

Io rialzai lo sguardo su di lei.

Quegli occhi azzurri che mi fissavano così intensamente mi destabilizzarono per un attimo e quindi fui costretta: «Sì».

Ora i dubbi crescevano in me.

Non mi sembrava possibile che Lee potesse essere quel tipo di persona, ma se fosse veramente stato così?

Dovevo cominciare a pensare a Lee come potenziale “pericolo”? Proprio come la dottoressa?

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Zucchelino

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


capitolo 10

Capitolo 10


Ciao, che fine hai fatto? Non ti ho più vista all'uscita dal lavoro. Mi manchi”


Quel messaggio mi aveva letteralmente preso in contro piede.

Dopo il discorso di Isy, nonostante non mi avesse convinto particolarmente, non mi era più capitato di pensare di vedere Lee.

Non avevo neanche avuto modo di spiegargli il motivo dell'assenza al mio lavoro: la gravidanza.

Era vergogna la mia?

Senza dubbio non era una bella cosa, qualora fosse stato così.

Una donna dovrebbe urlare al mondo intero e a testa alta di portare in grembo il figlio della persona che ama.

Il problema era che io non ero ancora pienamente una donna.

Ero una ragazza cresciuta troppo velocemente.

Il motivo non era solamente la gravidanza, ma anche i fatti avvenuti nel mio passato che, senza dubbio, mi avevano segnato.

A dieci anni avevo dovuto imparare a far da mangiare, a pulire casa, a spostarmi con i mezzi pubblici.

A tredici a curare mia madre e sfidare la violenza di mio padre.

Ero sicuramente matura. Per forza di cose, dovevo esserlo.

Forse l'unica cosa che rimpiangevo era il fatto di voler dedicare ancora qualche anno della mia giovinezza al divertimento ed alla spensieratezza, cose che mi erano state portate via con la forza e che non avevo mai potuto fare.

Curioso come un semplice messaggio possa far arrivare ad un ragionamento simile.

Decisi di rispondere.


Ciao Lee, scusami. In questo periodo non vado a lavorare, mi sono presa una vacanza. Perdonami se non ti ho avvisato”


Nel profondo sperai che non mi chiedesse il motivo di quella mia improvvisa decisione.

D'accordo, non volevo sapesse che fossi incinta. Il motivo non lo sapevo.

La risposta, intanto, non tardò ad arrivare ed io visualizzai il messaggio.


Capisco. Senti, ti andrebbe allora di farti un giro con me, oggi?”


Avete presente quella sgradevole sensazione di vuoto improvviso nello stomaco, come a buttarsi da un trampolino a svariati metri d'altezza? Ecco, in quella frazione di secondo mi era successo questo.

Le parole di Isy mi tornarono in mente quasi con violenza.

Più le volevo scacciare, pensando a Lee come un semplice ed innocente amico, più queste si facevano insistenti e fastidiose.

Forse aveva ragione, forse no.

Ma a me che caspita diceva la testa?

Sospirai e presi la mia decisione.


Volentieri. Davanti al bar alle tre”


*


«Hey, amore, dove vai?» sentii una voce alle mie spalle, proprio mentre stavo per aprire la porta di casa.

Mi voltai e trovai davanti a me Tom che mi sorrideva avvicinandosi.

Non volevo dirgli bugie, ma in quel caso dovevo.

Perchè? Perchè dovevo?! Cazzo, non facevo nulla di male!

«Ehm, vado a trovare Hellen, ti dispiace?» risposi maledicendomi mentalmente.

Lui sorrise e mi diede un bacio.

«No che non mi dispiace. Vai tranquilla» mi disse dolce come sempre.

Più il tempo passava e più mi rendevo conto di quanto fossi fortunata ad avere un ragazzo del genere.

Forse era per quello che non gli volevo parlare di Lee. Non lo volevo perdere, per nessun motivo.

«Grazie, ci vediamo stasera» sorrisi ricambiando il bacio.

«Non ti stancare troppo» si raccomandò mentre io aprivo la porta.

Mi voltai, gli sorrisi e sparii.

Mi sentivo una merda.


*


La solita passeggiata al parco con Lee stava continuando da almeno un'oretta.

Il tempo passava ed io non me ne accorgevo.

Con quel ragazzo potevo parlare di tutto, tranne della gravidanza. Ma quella era stata una scelta mia.

Perchè avrei dovuto smettere di vederlo solo per una semplice supposizione?

Era così dolce, così premuroso nei miei riguardi.

Sentivo di aver trovato un amico. Un amico vero.

Possibile fosse tutta apparenza?

Ci sedemmo alla panchina e continuammo a chiacchierare del più e del meno, quando ad un tratto mi fece una domanda che mi incuriosì leggermente.

«Come va con Tom?».

Io suoi occhi erano fissi sui miei.

Quasi mi mettevano in soggezione.

«Ehm, tutto bene, grazie. Perchè questa domanda?» risposi mantenendo il sorriso sulle labbra.

Lo vidi scuotere leggermente la testa.

«Nulla, così. Semplice curiosità» borbottò abbassando lo sguardo. «Lo ami tanto?» riprese dopo un po', posando di nuovo lo sguardo su di me.

«Troppo. Sono veramente persa di lui. Nella mia vita non mi era mai capitato di perdere la testa in questo modo per una persona. Poi lui mi fa sentire serena, protetta... in famiglia. È la famiglia che non ho mai avuto, capisci? È una persona fantastica... non saprei neanche come farei senza di lui, insomma...».

Le parole mi stavano uscendo a raffica.

Non riuscivo a controllarle.

Parlare di Tom era più facile che parlare di me.

Era l'amore della mia vita, che c'era da dire di più?

Persa nei miei discorsi mi accorsi troppo tardi che Lee aveva poggiato le labbra sulle mie.

Per un attimo il mondo attorno a me svanì e mille immagini diverse cominciarono a vorticare nella mia mente.

Degli occhi nocciola. Il sorriso più bello del mondo. La persona che amavo.

No, era sbagliato. Fottutamente sbagliato.

Tom...

Portai lentamente le mani al petto di Lee e lo allontanai dal mio viso abbassando gli occhi.

Sentivo che respirava in modo affannoso.

Isy aveva ragione. Io mi ero sbagliata, come sempre.

«Lee» cominciai in difficoltà. Cosa si poteva dire in certi momenti? Cosa si può dire per non ferire la persona a cui piaci? «Io non posso. Amo Tom. Ho lui» continuai.

Ero certa che quello non fosse il migliore dei modi, ma era l'unico per fargli capire determinate cose e in fretta.

«Tu mi piaci» sussurrò.

«L'avevo capito» annuii sospirando.

«Tanto» aggiunse ed io non risposi. Semplicemente attesi che portasse avanti un discorso, qualora l'avesse fatto. «Cos'ha lui che io non ho?» domandò poi quasi implorante.

Io lo osservai accigliata.

«Lee, non ti posso rispondere. È insensato. Non è un paragone tra te e lui. Per me c'è solo lui. Sono innamorata, tanto basta per spiegarti cos'ha lui in più di te. Magari non ha niente in più di te, ma il mio cuore appartiene a lui. Forse la risposta è questa: il mio cuore. Lui ha in più di te il mio cuore. Punto. È una cosa che non puoi scegliere» risposi piuttosto determinata.

«Io non mi arrenderò mai, lo sai vero?».

«Allora mi vedo costretta a fermare tutto» mi alzai dalla panchina mentre lui mi osservava non capendo. «Sarà meglio sia per me che soprattutto per te che non ci vediamo più» conclusi con una punta di tristezza nella mia voce.

Lo vidi alzarsi con espressione incredula.

«No. Non puoi chiedermi una cosa del genere» obiettò.

«Devo per il tuo bene» dissi sorridendogli per poi dargli le spalle.

Se solo avessi potuto vedere quel ghigno dipintosi improvvisamente sul suo volto...


*


Quando rientrai allo studio di registrazione uno sgradevole senso di colpa mi attanagliava lo stomaco.

Nonostante io non avessi potuto prevedere quel bacio, mi sentivo colpevole. Ancora più di prima.

Ora avevo ben due motivi per sentirmi in colpa.

Il fatto di non aver parlato di Lee a Tom e quindi il conseguente imprevisto di quel pomeriggio.

Come potevo dirgli tutto in una volta?

Forse avrei dovuto convivere con quella brutta sensazione fino alla fine. Non avevo scelta.

Lee non l'avrei più visto. Non sarebbe successo più nulla, quindi dovevo stare tranquilla, no?

Solo nel momento in cui alzai lo sguardo mi accorsi del via vai per il salotto.

Bill, Georg e Gustav facevano avanti e indietro, percorrendo lo spazio tra il salotto e la cucina più e più volte.

«Che succede?» mi venne spontaneo chiedere.

Tutti e tre si voltarono incuriositi verso di me e mi vennero in contro.

«La notizia della tua gravidanza è arrivata ai giornali. Non chiedermi come, non ne ho idea» mi rispose Bill piuttosto agitato.

Io spalancai semplicemente gli occhi e raggiunsi Tom in salotto, seduto sul divano, che teneva sulle ginocchia quella maledetta rivista.

Mi sedetti affianco a lui, che si voltò verso di me.

«Avevi ragione tu. Quella... troia!» esclamò sull'orlo di una crisi di nervi passandomi il giornale, o meglio, lanciandolo involontariamente sulle mie gambe.

Lo presi e lo osservai.


La fidanzata di Tom Kaulitz in dolce attesa?

A quanto pare, il nostro SexGott si è dato un gran bel da fare. In poco tempo si è innamorato, rinunciando per sempre a quello che più amava (le one night stand), e si è impegnato per diventare papà! La notizia ci è arrivata da una fonte molto attendibile: la dottoressa di questa felice coppietta. Quest'ultima ha dichiarato di aver fatto di persona la prima ecografia alla fidanzata di Tom kaulitz, di cui ancora ci è sconosciuto il nome. «Era così entusiasta il signor Kaulitz» ha dichiarato. «Entrambi sembravano davvero contenti di diventare genitori». Certo si tratta di una notizia sconvolgente. Pensare a Tom Kaulitz come padre potrebbe far strano a molte persone. Chissà come la prenderanno le fans della famosissima band tedesca, ora che hanno perso il loro “playboy”. Non ci resta che sentire le parole del diretto interessato e di venire in possesso di prime foto del pancione della... presto signora Kaulitz?”


Le mie mani, tremanti, stringevano quella rivista.

I miei occhi fissi su quelle parole. Non poteva essere.

Presi a stracciarlo con tutta la forza che avevo e lo buttai in parte al divano, per poi alzarmi e cominciare a camminare freneticamente per il salotto, sotto gli occhi di Tom, mentre mi massaggiavo le tempie.

«Era come dicevo io. Era come dicevo io! Cazzo, Tom!» alzai la voce guardandolo come se fosse lui il colpevole.

Lui sgranò gli occhi.

«Ma adesso è colpa mia?!» ribattè indignato.

«Perchè sei venuto con me?! Dovevi immaginarlo che ti avrebbero notato!» continuai fuori di me.

Lo vidi alzarsi dal divano e farsi leggermente più vicino.

Automaticamente indietreggiai.

«Se permetti, alla prima ecografia del mio bambino ci volevo e ci dovevo essere! Giornalisti o no!» urlò.

Io mi ammutolii. Forse avevo esagerato. Effettivamente era un suo diritto venire, era il padre!

Che stupida, egoista.

Mi avvicinai a lui e lo abbracciai affondando il viso nella sua maglia oversize.

Le sue braccia mi avvolsero in pochi secondi mentre le sue labbra si posarono sui miei capelli.

«Scusami, hai ragione. È che questa notizia mi mette... così tanto nervoso!» serrai gli occhi e sentii la mano di Ton muoversi sulla mia schiena, donandomi delle carezze.

«Non te lo puoi permettere adesso, lo sai» sussurrò premuroso. «Vedrai che troveremo una soluzione» continuò, ma il suo tono non risultò del tutto sicuro.

Sospirai rilassandomi tra le sue braccia.

Cos'altro doveva succedere?


*


«Bill! Fermati! Oddio, mi stai sporcando tutta!».

Mi affacciai in cucina e sorrisi osservando la scena davanti a me: Hellen e Bill che giocavano lanciandosi la farina.

Più il tempo passava e più io mi convincevo che quei due erano una coppia fantastica.

Il problema principale e devastante era la loro timidezza. Non riuscivano a parlarsi e a confessarsi i loro sentimenti.

Bill era perso per lei. Lei era cotta di lui.

Non mancava nulla.

Mi schiarii la voce e i due si voltarono verso di me.

«Bill, posso parlarti un minuto?» chiesi cordialmente.

«Ma certo, tesoro» sorrise venendomi in contro mentre io facevo l'occhiolino ad Hellen.

Uscimmo dalla cucina e lo portai in bagno.

Inizialmente sembrava perplesso, però mi guardò aspettando che io gli parlassi.

«Quando ti decidi a dirle che come ti guarda ti viene un mancamento?» sussurrai furbescamente. Lo vidi aggrottare le sopracciglia. Sospirai con disperazione. «Quando ti dichiari ad Hellen?» ripetei.

A quel punto sgranò gli occhi.

«Ma... ma» cominciò a balbettare in evidente imbarazzo.

Le sue guance avevano preso un bel colorito purpureo.

«Oh, insomma, basta fingere e vedi di tirar fuori gli attributi» conclusi dandogli un paio di pacche sulla spalla, per poi uscire dal bagno come se niente fosse.

Proprio in quel momento passò Tom che ci vide uscire insieme.

Inarcò un sopracciglio lasciando intravedere un sorrisetto sarcastico.

«Mi tradisci con mio fratello?» ridacchiò guardandomi.

«Oh, sì, è il mio amore segreto, non lo sapevi?» ribattei entrando in cucina. «Ma David e Isy?» domandai poi perplessa.

«Cenetta a lume di candela» cantilenò Tom sedendosi al tavolo, affianco a me.

Sicuramente avrebbe fatto bene ad entrambi.

Dopo la sfuriata di David del giorno prima...


«Chi è?! Dimmi come si chiama! La denuncio in quattro e quattr'otto!» urlò il manager, vagando per il salotto dello studio di registrazione.

Io e gli altri ragazzi seguivamo i suoi spostamenti con lo sguardo.

Isy era in piedi, a braccia conserte, che osservava il suo compagno in silenzio e respirando nervosamente.

Sicuramente avremmo dovuto immaginare una reazione del genere da parte di David.

Chi non l'aveva avuta? Forse solo Gustav, ma si sapeva che lui era un caso particolare.

«Ti prego, David, già di casini ne sono successi così. Non stiamo a complicare le cose. Semplicemente negheremo alle interviste e non metteremo più piede da quella donna» asserì Tom, stravaccato sul divano, stringendomi di più tra le sue braccia.

Io ero già nel mondo dei sogni, accucciata addosso a lui.

Il mio orecchio appoggiato al suo petto, mentre il battito del suo cuore mi faceva da ninna nanna.


Sospirai e mi abbandonai con la testa sul tavolo.

Tom nel frattempo giocherellava con i miei capelli, insinuando le dita tra essi.

Sapeva che mi rilassava da morire.

Mi sentii come se stessi quasi per entrare nel mondo dei sogni quando...

«Sara, che significa questo?» la voce di Georg penetrò fredda nelle mie orecchie.

Alzai lo sguardo e mi voltai fino ad incrociare i suoi occhi.

Era in piedi, sulla porta della cucina che teneva in mano una rivista a me sconosciuta, guardandomi minaccioso.

Solamente quando la aprì a metà, facendomi vedere a cosa si riferiva, mi sembrò di cominciare a cadere nel vuoto e di non fermarmi mai.

Presi a boccheggiare, non sapendo effettivamente cosa dire.

Non c'era nulla da dire.

La foto di quel bacio spiegava tutto da sé.

Sentii Tom, affianco a me, trattenere il respiro, mentre gli occhi di Bill, Gustav, Georg ed Hellen li sentivo puntati addosso a me.

Il cuore prese a battermi rapidamente.

Le palpitazioni accelerarono quando lo sguardo di Tom si posò su di me.

Mi faceva paura. Quello sguardo mi metteva letteralmente paura.

Rabbia, delusione, disgusto, tristezza... in quegli occhi potevo leggere una miriade di emozioni collegate.

«Tom, non è come sembra» sussurrai. Classica frase fatta, ma era la realtà.

«Non è come sembra?!» urlò alzandosi di scatto facendomi sobbalzare. Strappò dalle mani di Georg la rivista e la sbattè sul tavolo. «Questo cosa ti sembra, Sara?! Come lo devo interpretare?! Chi è questo?! Perchè cazzo lo stai baciando?!» continuò pieno d'ira.

Cominciai a sentire un groppo in gola che non mi permetteva neanche di deglutire.

«Tom, non lo stavo baciando io. Mi ha baciato lui, te lo giuro!» mi difesi mentre le lacrime cominciarono a sgorgare dai miei occhi. Lacrime piene di paura, di pentimento.

«Certo, come no! Si vede come stai cercando di prenderlo a pugni per allontanarlo da te! Da quanto lo conosci?! Da quanto va avanti sta storia!!» alzò ancora di più la voce facendomi rabbrividire.

«Tom, è vero, l'ho conosciuto qualche mese fa, ma ti giuro che non c'è mai stato niente tra di noi! Mi veniva sempre a trovare al bar, ma a me sembrava volesse essere solo mio amico! Non te ne ho parlato semplicemente perchè avevo paura che ti arrabbiassi! E, ripeto, mi ha baciato lui! Mi ha preso in contro piede! La foto mostra solo il momento in cui lui l'ha appena fatto, ma io l'ho allontanato subito! Sapeva che sono fidanzata con te!».

«Cioè, tu per tutto questo tempo non mi hai mai parlato dell'esistenza di questo stronzo! Io per mesi coccolo la mia ragazza, le dico che l'amo, ci faccio l'amore... mentre lei, alle mie spalle, si vede con un altro!».

«Tom, siamo usciti un paio di volte, ma da amici!».

«Tu dovevi dirmelo, cazzo! Dovevi dirmelo!».

«Hai pienamente ragione, ma ti ho spiegato perchè l'ho fatto».

«Per non farmi incazzare? Perchè pensi che adesso sono di buon umore invece, non è vero? Sprizzo di gioia nel vedere la mia ragazza che si bacia con un altro!».

«Tom, mi vuoi credere, sì o no?!».

«Come pensi che possa credere ad una persona che mi ha tenuto nascosta una cosa del genere? Cioè, se io non avessi visto questa rivista, probabilmente non sarei mai venuto a saperlo e la cosa sarebbe continuata tra di voi! Io avrei fatto la figura del mongoloide cornuto! E chissà che non vi siate solo baciati!».

«Oh, mio Dio, Tom! Non ti mettere in testa assurdità!».

«Per quanto mi riguarda potrei anche cominciare a pensare che il bambino non sia mio».

Ero rimasta paralizzata. I miei occhi, sgranati, fissi su di lui.

Come poteva anche solo pensare ad una cosa del genere?

Credeva veramente che io sarei stata capace di mentirgli su una cosa del genere?

«Ma come ti vengono in mente certe cose, Tom?! Certo che il bambino è tuo! Io e Lee non siamo mai stati insieme! Mi ha baciato lui ed oggi gli ho detto che non lo volevo più vedere! Non si farà più vivo, Tom! Lo sa che amo te! Fine!» esclamai in preda alla disperazione.

«Esatto! Fine! Ma fine sul serio!» ribattè.

Mi ci vollero alcuni secondi per rendermi conto del vero significato di quella frase.

«Aspetta un momento... fine in che...» cominciai timorosa.

«Fine nel senso che con me hai chiuso! Hai tradito me e la mia fiducia, che è la cosa più importante!».

«Tom, stai scherzando...».

«Non sono mai stato più serio in vita mia! Ed ora sali in camera mia, prendi la tua roba, e te ne vai via di qua!».

«Tom, aspetta, non correre, non ti sembra di...» cominciò Bill, piuttosto scioccato dalla decisione del fratello.

Scioccato, ma mai quanto me.

«Bill, non ti intromettere!» lo zittì Tom senza degnarlo di uno sguardo.

«Tom ma... ti rendi conto? Mi stai lasciando per un malinteso. Mi stai cacciando di casa nelle mie condizioni. Non ci pensi al bambino?» sussurrai incredula.

«Ci penso al bambino. Quando nascerà mi occuperò di lui come avrei comunque fatto. Ma ciò non vuol dire che io debba avere ancora qualche legame con la madre. Mi hai deluso. Ti amo, ma mi hai deluso» concluse abbassando lo sguardo.

Non sapevo cosa fare.

Volevo a tutti i costi fargli capire che non era come credeva.

Sentivo un forte dolore allo stomaco, come se mi stessero squarciando a metà.

Non poteva essere... Tom non poteva avermi lasciato.

Non poteva essere finito il mio bellissimo sogno.

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Grazie davvero ragazze *_______*

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


capitolo 11

Capitolo 11


Tirai su col naso, buttando l'ultima maglietta nel borsone.

Non mi sembrava ancora possibile che Tom avesse preso una decisione del genere.

Tutte le belle parole che mi aveva detto fino al giorno prima se ne andavano a farsi fottere?

Io avevo sbagliato, ma lui aveva avuto un bel coraggio a decidere di sbattermi fuori di casa nelle mie condizioni.

Per cosa poi? Per un nulla, per un fraintendimento.

Hellen se ne stava appoggiata allo stipite della porta della camera, a braccia conserte e con un'espressione mortificata in volto.

Mi vedeva piangere silenziosamente mentre preparavo il borsone e non diceva nulla, per paura di distruggere quella “quiete”.

«Sei sicura che posso stare a casa tua?» chiesi freddamente, senza guardarla, mentre richiudevo la cerniera della borsa.

«Sara, certe domande non le dovresti neanche fare. Ti pare che ti lascio in quelle condizioni?» rispose intimidita.

«L'ultima persona che avrebbe dovuto farlo non si è posto molti problemi a riguardo» commentai quasi schifata mentre mi caricavo il borsone in spalla.

«Lascia, lo prendo io» si offrì lei venendomi in contro.

«No, faccio da sola» tagliai corto asciugandomi una lacrima ed uscendo da quella stanza che forse mai più avrei rivisto.

In corridoio trovai Bill che mi guardava con la tristezza negli occhi.

Restammo minuti interminabili a guardarci negli occhi.

«Piccola, io ti credo» sussurrò con voce tremante. «Ami troppo Tom per fargli un torto simile» aggiunse.

Io scrollai le spalle.

«Questo devi farlo capire a tuo fratello» dissi cominciando a scendere le scale.

«Sara, ti prego, non andartene» lo sentii seguirmi alle mie spalle, assieme ad Hellen.

«Non l'ho deciso io Bill, non posso farci nulla» risposi con il magone.

«Possiamo provare a farlo ragionare, sono sicuro che è stato preso dalla rabbia poco fa. Se riflette su quello che sta facendo, forse...».

«Bill, è inutile, ok? Conosco tuo fratello, quando prende delle decisioni è irremovibile. Basta».

Arrivammo davanti alla porta di casa dove trovammo Georg e Gustav.

Probabilmente fulminai Georg con lo sguardo perchè quando mi vide deglutì quasi terrorizzato.

Forse se non avesse fatto vedere il giornale, Tom l'avrebbe scoperto comunque.

Non riuscivo però a non essere arrabbiata con lui in quel momento.

Dopo tutto era stato proprio lui a far scoppiare quel casino.

Andai da Gustav che non esitò ad abbracciarmi.

«Io la penso come Bill, tesoro» sussurrò al mio orecchio mentre mi accarezzava la schiena.

Io lo strinsi più forte a me chiudendo gli occhi mentre delle lacrime solitarie non cessavano di scorrere lungo le mie guance.

«Grazie GusGus, tu ci sei sempre stato per me. Ma in questo momento non ha molta importanza purtroppo che tu mi creda o no. L'unica persona che mi dovrebbe credere non lo fa» risposi staccandomi da lui e sorridendogli tristemente. Quando mi voltai, trovai Tom che ci guardava con un'espressione mista di rabbia, tristezza e delusione. «Bene, andiamo Hellen» dissi abbassando lo sguardo e dirigendomi verso la porta di casa.

Non riuscivo a sostenere i suoi occhi. Non puntati in quel modo addosso a me.

«Il giorno del parto vorrei essere avvisato» sentii la sua voce calda e gelida allo stesso tempo alle mie spalle.

Mi voltai verso di lui.

«Ma vattene a fanculo, Tom» conclusi uscendo poi di casa.


*


La porta si era appena chiusa.

Presto sentì tre paia di occhi puntati addosso a lui.

«Hai esagerato» il primo a parlare fu suo fratello Bill. «Tom, ma ti rendi conto? Non solo hai abbandonato lei ma anche tuo figlio! Possibile che tu non ci abbia pensato minimamente? Con che coraggio la sbatti fuori di casa? Domani potrebbe avere bisogno di te e tu non ci sei!» continuò incredulo.

«Senti Bill, l'errore l'ha fatto lei. Evidentemente si era stufata di me ed io le ho fatto solo un favore!» rispose a tono Tom mentre la rabbia continuava a ribollirgli nelle vene.

«Tu sei un cretino! Non hai capito un cazzo di lei, Tom! Lei ti ama come mai nessun'altra ha fatto! E tu sei stato un emerito coglione a buttarla fuori di casa incinta!» urlò il rasta avvicinandosi a suo fratello.

«Vedi di andarci piano con le parole, Bill! E comunque se davvero mi amasse come dici, non andrebbe in giro con un altro e non se lo bacerebbe in pubblico!».

«Tom ma possibile che non riesci a capire che non l'ha baciato lei?! È stata baciata! Non ha potuto fare nulla! Perchè ti ostini a non capire?! Vuoi fare l'ottuso a tutti i costi, cosa che non sei! Tu lo sai di aver sbagliato ma sei troppo orgoglioso per ammetterlo!».

«Io non ho assolutamente sbagliato! Adesso se ne può andare da quel coglione! Mi ha tenuto tutto nascosto, Bill! Continuava a vedersi con quello alle mie spalle!!».

Georg e Gustav si sentivano in imbarazzo.

Le urla di Tom erano fuori dal normale e quelle di Bill non erano da meno.

«L'ha fatto per salvare la vostra relazione, Tom! Non sarà stata la cosa migliore da fare perchè tanto saresti venuto a saperlo comunque... ma il pensiero era rivolto a te, cazzo! Aveva paura che ti saresti incazzato! Aveva paura di perdere TE!» riprese Bill gesticolando come un matto.

«Me lo doveva dire! Punto!» ribattè imperterrito suo fratello.

«Sei una testa di cazzo quando fai così!».

«Bill, attento, non mi provocare!».

«Perchè, sennò che fai? Butti fuori di casa anche me? Stupido minchione!».

«Bill!».

«E Sara ha fatto bene a mandarti a fanculo!».

Successe tutto in pochi secondi.

Georg e Gustav rimasero a bocca aperta, precipitandosi da Bill.

Tom aveva gli occhi sgranati. Il pugno ancora chiuso ma stavolta più tremante.

Aveva colpito suo fratello? Come aveva fatto?

Osservò Bill fulminarlo con lo sguardo mentre si toccava il labbro sanguinante.

«Bill, io...» cominciò a balbettare me suo fratello gli fece segno di stare zitto.

«Lascia stare, Tom. Sono stufo di ascoltarti» sussurrò per poi dargli le spalle e salire le scale, deciso ad andarsi a chiudere in camera sua.

Lui era rimasto fermo immobile al centro del salotto.

Non riusciva ancora a credere di aver tirato un pugno a suo fratello.

Tutto a causa del suo maledetto orgoglio.

Gustav lo guardò di traverso e salì anche lui le scale.

Georg invece gli si avvicinò lentamente per poi posargli una mano sulla spalla.

Tom cominciò a torturarsi il viso con le mani.

«Hey, Tom, andiamo a fumarci una sigaretta, calmati adesso» gli disse accompagnandolo fuori di casa.


*


Stavo ancora piangendo come una stupida.

Seduta sul letto di Hellen mi accarezzavo la lieve pancia che mi si era formata da qualche giorno mentre le lacrime non si fermavano.

Avevo una nausea assurda. Ovviamente per il nervoso.

Ad un tratto la porta si aprì ed entrò Hellen con un vassoio.

«Hey, ti ho portato un po' di minestra. Devi mettere sotto i denti qualcosa» sussurrò sedendosi affianco a me ed accarezzandomi il viso, scostandomi i capelli. Io scossi la testa senza guardarla. Inespressiva. Morta. La sentii sospirare. «Tesoro, lo so che è difficile. È stato un duro colpo. Non ti ci voleva, soprattutto ora. Però devi anche capire che non ti puoi distruggere. Non puoi permettertelo, devi farlo per te e per il bambino. Ti prego» mi disse implorante.

«Che senso ha» dissi fissando il vuoto, senza un tono di voce preciso. «Io vivevo per lui. Per lui perchè non avevo nessun altro. Ora che non ce l'ho più... che senso ha per me stare bene?» chiesi distrutta.

«Sara, non dirlo neanche per scherzo. Devi stare bene, prima di tutto per te stessa e per il bambino. E poi a me non pensi?» mi rimproverò.

Io mi voltai a guardarla e la vidi sforzare un sorriso.

Mi venne automatico abbracciarla.

Fortuna che avevo lei.

«Ti voglio bene, Hellen. Grazie» sussurrai.


*


«Buona sera ragazzi!!» esclamò un David entusiasta, una volta rientrato allo studio assieme ad Isy.

Georg si precipitò da loro e fece segno di stare zitti.

«E' successo un casino. Tom ha cacciato di casa Sara» sussurrò il rosso per non farsi sentire dal chitarrista, seduto pesantemente sul divano.

«Cosa?! E perchè?!» domandò a bassa voce e con occhi sgranati il manager.

Anche Isy guardò Georg esterrefatta.

«Ha trovato sul giornale una foto di Sara che si baciava con uno. Con questo lei ci si vedeva da un po' ma non era mai successo nulla tra loro due. Anche il bacio a quanto pare non era voluto da Sara ed è stata presa alla sprovvista. David, ho sbagliato tutto, sono stato io a tirare fuori quel giornale, non volevo. Se solo ci avessi riflettuto qualche secondo in più! Solo che io non potevo immaginare che fosse tutto un malinteso. In quel momento mi era scattata la rabbia nei confronti di Sara per Tom!» continuava a spiegare disperato.

«Georg, adesso calmati. Dov'è andata Sara? Nelle sue condizioni poi? Ma è matto?» domandò preoccupato David.

«Hellen ha deciso di ospitarla» rispose Georg.

Il manager sospirò nervosamente e poi si avviò verso il salotto.

Osservò il chitarrista che si rigirava tra le mani la collana con il cuore diviso a metà, ancora appeso al collo.

Quella era l'unica cosa che non riusciva a far sparire.

Quando si accorse che David si era seduto sul divano affianco a quello dove stava lui, tolse l'attenzione da quell'oggetto.

«Georg mi ha spiegato tutto» cominciò e Tom distolse lo sguardo per dedicarsi alla televisione spenta davanti a lui. «Tu sei consapevole di quello che hai fatto, Tom?» chiese docilmente. Il ragazzo, senza guardarlo, annuì più volte. «Da quello che ho capito lei non ha fatto niente... ma adesso è inutile che cerco di farti ragionare. Sei accecato dalla rabbia ed è da una parte capibile. Però, quello che ti voglio dire è: dormici su stanotte e rifletti. Rifletti sul fatto che l'hai cacciata di casa per un malinteso, incinta ed innamorata pazzamente di te. Pensaci» concluse alzandosi per lasciarlo di nuovo solo in salotto.

Raggiunse Isy e Georg e, assieme alla sua compagna, si andò a chiudere in camera.

Georg tornò da Tom sedendosi accanto a lui.

«Che ne dici di andare a chiedere scusa a tuo fratello almeno? Eh?» gli chiese. Tom lo guardò ed annuì scuro in volto. «Dai» lo incoraggiò il rosso facendolo alzare dal divano.

Il chitarrista salì le scale trascinandosi pesantemente.

Nel frattempo scese Gustav, incrociando il suo “cammino”.

Quando arrivò davanti alla porta della stanza del suo gemello esitò qualche secondo a bussare, ma poi prese coraggio e lo fece.

Come previsto, non ricevette nessuna risposta, ma lui entrò lo stesso.

Bill se ne stava seduto a braccia conserte sul suo letto, con le lacrime agli occhi.

Si avvicinò timidamente, dopo aver richiuso la porta alle sue spalle, fino a sedersi di fronte al gemello.

Quest'ultimo lo guardava con il ghiaccio negli occhi e la cosa gli fece estremamente male.

Non l'aveva mai guardato così. Con delusione.

Se c'era una cosa che odiava e che non avrebbe mai voluto accadesse, era deludere suo fratello.

«Hai ragione, sono un emerito coglione» cominciò dispiaciuto. «Ho fatto una cosa imperdonabile. Non avrei dovuto colpirti, sono inscusabile, non so neanche come abbia potuto farlo, mi sento una merda» continuò con voce tremante.

«Non me lo sarei mai aspettato da te, Tom» ribattè Bill con una freddezza tale che fu come una coltellata al petto per Tom.

«Lo so, Bill. Neanche io me lo sarei mai aspettato da me! Te l'ho detto, non so cosa mi sia preso. Sarà il nervoso in generale per quello che è successo ma, ripeto, non è una giustificazione. Tu sei il mio gemello, la mia anima, la mia vita, non devo sfiorarti minimamente con un dito!» esclamò Tom cominciando a piangere come un bambino. Bill pochissime volte nella vita lo aveva visto piangere... e quando succedeva era come un colpo fortissimo alla testa. Odiava vederlo piangere, era una cosa che non sopportava. Allungò una mano verso di lui asciugandogli le lacrime. Tom chiuse gli occhi e si accoccolò addosso a Bill che lo abbracciò calorosamente, dandogli un bacio sulle treccine. «Bill, sta andando tutto a puttane!» pianse disperatamente. «Non so più che pensare. Ce l'ho a morte con Sara ma già mi manca un casino e mi sento in colpa per averla buttata fuori di casa!» continuò.

«Sei sempre in tempo a farla tornare, Tom» sussurrò Bill, accarezzandogli la testa.

«No, Bill, non ci riesco. Non adesso».

«E quando allora? Quando sarà davvero troppo tardi? Non ti vuoi godere la sua gravidanza? Vuoi arrivare a veder nascere il tuo bambino con i sensi di colpa?».

«Lo sai che non è questo che vorrei. Io amo Sara più della mia stessa vita ed amo già nostro figlio... solo che non riesco a perdonarla ora. Mi sento tradito. Ancora di più perchè si tratta di lei».

«Non ti ha tradito».

«L'ha fatto non parlandomi di quel coglione e non dicendomi la verità fin dall'inizio. Ha tradito la mia fiducia».


*


L'insonnia non era mai stata uno dei miei maggiori problemi.

Com'è che ultimamente ne soffrivo in continuazione?

Forse perchè non riuscivo a chiudere gli occhi per quanto erano gonfi di pianto?

Perchè non riuscivo a respirare tranquillamente, dovendomi soffiare il naso ogni cinque secondi?

Ero ridotta ad uno straccio.

Hellen si era addormentata sul letto affianco a me.

Io invece contemplavo il buio, pensando e ripensando al momento in cui Tom, guardandomi negli occhi con disprezzo, mi aveva ordinato di andarmene.

Chiusi gli occhi volendo cancellare dalla mente quelle immagini, ma non ci riuscivo.

Una rabbia crescente prendeva posto in me.

E quella stessa rabbia mi diede l'impulso di prendere il cellulare sul comodino affianco a me.

Erano le tre di notte ma poco mi importava. Scrissi quel messaggio.


Lee, domani al parco alle tre e vedi di esserci”

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Capitolo di transizione che mi serviva! Spero vi sia piaciuto lo stesso. Vi avviso che il peggio però deve ancora arrivare xD

Ringrazio di cuore: 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


capitolo 12

Capitolo 12


«Tom, è vero che stai per diventare papà?».

Il mondo attorno a lui svanì.

Per un attimo si sentì come se avesse smesso di respirare.

Quel momento che si sarebbe aspettato arrivasse aveva decisamente anticipato ogni sua previsione.

Strinse il pugno poggiato sul tavolo osservando il microfono davanti a lui.

Gli occhi degli intervistatori fastidiosamente puntatigli addosso.

Quella conferenza stampa aveva preso la piega che meno aspettava.

Si avvicinò al microfono, con lo sguardo basso, e si schiarì la voce.

«No, non è assolutamente vero. Trovo decisamente di cattivo gusto ciò che quella dottoressa ha fatto. Inventarsi di sana pianta una cosa del genere e di tale peso. È assurdo» rispose cercando di risultare il più sicuro possibile.

«E perchè la dottoressa avrebbe dovuto inventarsi una cosa simile?» insistette uno degli intervistatori.

«Questo lo dovreste chiedere a lei, non a me» concluse Tom con un'alzata di spalle.


*


Spensi il televisore.

Non volevo sentire altro.

Certamente aveva fatto semplicemente quello che avevano stabilito insieme, ma sentirlo negare anche in quelle circostanze mi aveva fatto stranamente male.

Forse ero io quella incoerente alla fine.

Alzai lo sguardo portandolo verso l'orologio appeso al muro del salotto di Hellen.

Lei non era in casa e all'appuntamento, se così si poteva chiamare, con Lee mancava decisamente poco.

La mia macchina l'avevo lasciata allo studio di registrazione.

Portarmela dietro sarebbe stato per me come portarmi un pezzo di Tom.

Già ne portavo uno importantissimo con me, il bambino. Non me ne serviva un altro.

Mi alzai dal divano sospirando, decisa ad arrivare a destinazione a piedi.

Mi infilai degli occhiali da sole, una mantella per non prendere freddo ed uscii di casa.


*


«Tom, sei sicuro che non si verrà a scoprire la verità su Sara e il bambino?» chiese un Bill piuttosto pensieroso, una volta che lui e i Tokio Hotel si furono seduti nella limousine, pronti a tornare in studio.

«Tanto io e Sara non stiamo più insieme. Possono sempre pensare che il bambino sia di un altro» rispose Tom semplicemente, osservando il paesaggio fuori dal finestrino.

«E a te farebbe piacere una cosa del genere?» chiese sempre tranquillamente suo fratello.

«Tanto che importanza ha sapere cosa pensano le persone al di fuori? L'unica cosa che conta è la verità che sappiamo noi. Ovvero che il bambino è mio e che gli vorrò comunque bene, che mi occuperò di lui come avrei fatto, anche se con sua madre non voglio più avere niente a che fare».

«Non è vero che non vuoi più avere niente a che fare con Sara. Tu la ami, me l'hai detto ieri sera. Non la puoi cancellare dalla tua vita da un giorno all'altro».

«La amo, è vero. Ciò significa che me la dimenticherò e che mi rifarò una vita».

Bill scosse la testa, convinto che suo fratello stesse dicendo un mucchio di fesserie anche a sé stesso.


*


Ero arrivata già da un po' al parco e mi guardavo attorno aspettando l'arrivo di Lee, seduta sulla panchina.

Doveva assolutamente presentarsi.

Dovevo dirgli in faccia quanto mi faceva schifo e trovare una soluzione per rimettere apposto le cose con Tom.

Avrei cercato di convincerlo ad andare a confessare tutto a lui di persona, anche se mi pareva del tutto inutile.

Certo, provare non guastava.

«Ciao» sentii la sua voce affianco a me.

Mi voltai e me lo trovai di fronte.

Solo in quel momento mi accorsi di quanto mi dava fastidio il solo guardarlo e mi chiesi per mezzo secondo come avessi potuto cascare alle sue moine.

«Poche parole, so che hai organizzato tutto quanto. Tu sapevi che sarebbero arrivati i paparazzi e sono anche disposta a pensare che tu stesso li abbia chiamati. Ma non fa nulla, ormai quello che è fatto è fatto. Avrei dovuto capirlo prima che pezzo di merda sei. L'unica cosa che ti chiedo adesso è di andare da Tom e dirgli come stanno le cose. A me non crede e mi ha cacciata di casa solo per colpa tua. Io non voglio che la nostra relazione vada a puttane per uno come te. Quindi ti chiedo solo questo. Dopo di che... lasciami stare per sempre».

Mi resi conto di quanto le mie parole sarebbero state inutili.

Cosa ci avrebbe guadagnato lui aiutandomi? Lui, che per fare soldi era arrivato a fare un torto a me.

«Spiegami perchè dovrei aiutarti?» mi domandò tranquillamente, tenendosi le mani in tasca.

Io rimasi a pensare. Effettivamente perchè avrebbe dovuto aiutarmi?

«Perchè mi hai fatto il torto più grande che avessi mai potuto farmi, ma evidentemente la cosa non ti tocca minimamente, giusto?» dissi.

«Giusto» si limitò a rispondere.

«Mi fai schifo».

«Non sei l'unica che me l'ha detto fino ad oggi».

«E tu ne vai fiero di questo?».

«Finchè sto bene io, sì».

«Lee, ascoltami, io sono incinta». Lo vidi cambiare leggermente espressione e guardarmi con più attenzione. «Io non posso credere, non voglio credere che tu sia così insensibile. Anche tu hai un cuore, tutti ce l'abbiamo. Ti prego, ragiona... ti chiedo solo questo favore, nient'altro!» continuai.

Lo vidi riflettere qualche secondo e poi scuotere la testa.

«No, non me ne viene in tasca nulla» concluse facendo per voltarsi.

Io lo presi bruscamente per la maglia.

«Ma possibile che sei così schifosamente insensibile da pensare solamente ad un tuo guadagno?!» esclamai.

Lui si voltò di scatto prendendomi per il braccio.

«Cazzo, lasciami stare!» urlò strattonandomi e spingendomi via.

Quello che forse non aveva calcolato era che a pochi centimetri di distanza dalle mie spalle si trovava un albero.

Serrai gli occhi quando sentii la mia pancia andare a sbattere violentemente contro la corteccia dura.

Percepii il mio fiato mozzarsi e cominciai a fare fatica a respirare.

Mi portai una mano al ventre sentendo un dolore lancinante.

Le gambe mi cedettero lentamente fino a che non mi trovai accasciata a terra.

Lee mi guardò spaventato e poi, osservandosi intorno, corse via lasciandomi lì per terra.

In quel momento solo un pensiero si faceva pericolosamente vivo nella mia mente: il bambino.

Non doveva essere successo assolutamente nulla a lui. Non poteva.

Il dolore non cessava, anzi, aumentava a dismisura fino a farmi contorcere.

Mentalmente cominciai a pregare per lui.

«Hey, tutto bene?» sentii una voce confusa alle mie spalle.

Mi voltai appena e trovai davanti a me una ragazza con uno strano taglio di capelli, molto corto, che portava gli occhiali, inginocchiarsi affianco a me preoccupata.

«Il... il bambino!» mi venne automatico dire.

La ragazza mi guardò confusa.

«Il bambino? Che bambino?» domandò.

«Il mio bambino! Ho sbattuto il ventre contro l'albero... sono incinta... il bambino!» continuai a balbettare e a mettere insieme delle frasi disordinatamente.

«Oh mio Dio, chiamo subito l'ambulanza, tranquilla» cercò di rassicurarmi lei invano, prendendo il cellulare dalla tasca e componendo il numero del pronto soccorso.


*


Bill se stava svogliatamente stravaccato sul tavolo della cucina, con una guancia poggiata alla mano e le unghie che picchiettavano rumorosamente sul legno.

Suo fratello e Georg erano in salotto a guardare la tv sul divano, mentre Gustav se ne stava alle prese con i fornelli.

Più volte l'aveva visto ritrarre velocemente la mano dalla pentola per qualche ustione.

Se ci fosse stata Sara, senza dubbio, sarebbe riuscita a fare tutto senza difficoltà.

Eh già. Tutti sentivano la sua mancanza.

Era pronto a giurare che anche suo fratello la sentisse ma semplicemente non lo voleva ammettere per semplice orgoglio.

Improvvisamente sentì il suo cellulare vibrargli in tasca, facendolo sobbalzare.

Lo recuperò e visualizzò il mittente. Con un tuffo al cuore vide che si trattava di Hellen.

«Pronto?» rispose anche troppo velocemente.

«Bill» sentì la voce tremante della ragazza.

«Hey ciao. Ma... tutto bene?» chiese preoccupato mentre Gustav, sentendo le sue parole, si era voltato incuriosito verso di lui.

«No, per niente. Sono in ospedale» balbettò Hellen.

«In ospedale? Che è successo??» esclamò spaventato, facendo avvicinare velocemente Gustav.

«Vi prego, venite qua... soprattutto Tom, c'entra Sara. Vi spiego quando arrivate».

Riattaccò. Bill era rimasto con il cellulare all'orecchio e lo sguardo fisso nel vuoto.

Non poteva essere successo qualcosa a Sara proprio in quel momento.

Si affrettò a correre in salotto ignorando le domande di Gustav e si postò di fronte a Tom e Georg.

Questi lo guardarono perplessi.

«Sara è in ospedale, mi ha chiamato Hellen ma non mi ha spiegato il motivo. Mi ha detto solo di andare... soprattutto tu, Tom» disse velocemente, cercando di mantenere la calma.

Tom lo osservò ancora qualche secondo e poi si alzò di scatto dal divano correndo verso la porta di casa.

In quel momento nulla lo poteva fermare, neanche il suo orgoglio che se ne poteva andare tranquillamente a farsi fottere.

Georg, Gustav e Bill lo seguirono uscendo dallo studio.

Salirono tutti quanti sulla sua Cadillac che mise in moto e fece partire a massima velocità.

La sua testa era pervasa di mille domande e paure. “Sara... il bambino... Sara... il bambino”.

Quando arrivarono davanti all'ospedale, trovarono un mucchio di paparazzi appostati lì fuori.

A Tom poco importò e li sorpassò tutti quanti fino ad entrare. La stessa cosa fecero gli altri tre ragazzi.

Corsero su per le scale, ignorando le lamentele dei dottori e delle infermiere, fino a che non arrivarono al quarto piano, dove trovarono seduta in sala d'attesa Hellen, con affianco una ragazza sconosciuta.

«Hellen!» urlò Tom inginocchiandosi davanti a lei, per guardarla negli occhi arrossati e gonfi di pianto. «Cos'è successo?! Come sta Sara?!» continuò a chiedere il ragazzo, in preda ad una crisi, mentre gli altri gli si attorniavano.

Hellen scosse la testa guardandolo preoccupata.

«Il problema qui non è come sta Sara... di quello ci preoccuperemo dopo» sussurrò mentre le lacrime continuavano a rigarle in abbondanza il viso.

«Che vuoi... che cazzo vuoi dire, Hellen!» esclamò Tom fuori di sé. «E chi è lei?!» aggiunse irritato nel notare che la ragazza sconosciuta continuava a fissarlo con un'espressione cupa sul volto.

«Mi chiamo Anna. Sono io che ho avvisato subito l'ambulanza quando ho trovato Sara al parco» rispose la ragazza sentendosi accusata.

«L'hai trovata al parco? Qualcuno mi vuole spiegare cos'è successo per favore?!» sbottò il ragazzo mentre Georg gli posava una mano sulla spalla, da dietro, cercando di farlo calmare.

«L'ho trovata sdraiata a terra. Era preoccupata per il bambino. A quanto pare è andata a sbattere contro un albero, ma non ha spiegato il motivo» rispose Anna con la tranquillità necessaria.

Hellen invece non la smetteva di piangere.

Tom deglutì rumorosamente.

«Ha sbattuto contro un albero...» sussurrò più a sé stesso. «Il bambino...» aggiunse con lo stesso tono mentre la paura aumentò a dismisura.

Proprio in quel momento la stanza dietro di lui venne aperta e ne uscì un dottore con un'espressione piuttosto scura in volto.

«Dottore, allora?!» domandò Hellen alzandosi velocemente dalla sedia ed avvicinandosi all'uomo.

«Chi sono queste persone?» chiese prima per accertarsi.

«Io sono il suo fidanzato, lui è mio fratello e tutti gli altri sono la sua famiglia, la prego, parli!» intervenne Tom senza pensarci due volte, cosa che sorprese per un momento Bill.

«Beh, è una cosa molto delicata. Quindi deduco che lei sia il padre del piccolo?». Tom annuì energicamente ed il dottore sospirò scuotendo la testa. «Mi spiace dirglielo così ma... la sua ragazza ha perso il bambino» comunicò dispiaciuto.

Hellen cominciò a piangere disperatamente stringendosi a Bill che versava lacrime silenziosamente, con occhi sgranati.

Georg e Gustav boccheggiavano increduli mentre Anna si lasciò cadere sulla sedia osservando il vuoto.

Tom era rimasto davanti al dottore, con occhi spalancati.

Una sgradevole sensazione cominciava a farsi viva nel suo stomaco e un groppone in gola gli bloccava il respiro.

Il suo bambino? Il suo bambino non c'era più? Perso... come un mazzo di chiavi?

Una rabbia a lui sconosciuta cominciò a farsi largo in sé, spingendolo a prendere a pugni e calci il muro a pochi passi da lui.

Gustav si precipitò alle sue spalle e cercò di bloccarlo, ma venne spinto via con violenza dal ragazzo.

Tom continuava a colpire quel muro come se fosse stato lui la causa di tutto ciò, mentre calde lacrime cominciarono a scorrere lungo le sue guance.

Il dottore fece segno ai ragazzi di lasciarlo stare e di farlo sfogare, per poi allontanarsi.

«Tomi...» sussurrò Bill con le guance bagnate mentre teneva Hellen ancora stretta a sé, che fissava disperata la reazione violenza del moro.

Tom cominciò a singhiozzare ad alta voce, senza preoccuparsi minimamente del fatto che i suoi compagni lo avrebbero sentito.

Al diavolo l'orgoglio, al diavolo tutto.

Sentiva le nocche dolergli ma questo di certo non lo fermò.

«Tomi, basta, ti prego...» lo implorò di nuovo a bassa voce suo fratello.

Tom colpì un'ultima volta il muro rimanendovi appoggiato con i pugni e la fronte, per poi scivolare lungo esso e sedersi a terra.

Bill si staccò da Hellen ed andò ad inginocchiarsi affianco a lui, abbracciandolo.

Tom si strinse a suo fratello sfogandosi come la sera prima. Quella volta per un motivo sicuramente più grave.

«Perchè, Bill? Lo volevo quel bambino, lo volevo» pianse incazzato col mondo.

Bill versava lacrime silenziosamente accarezzandogli la testa.

«Lo so, Tomi... lo so» balbettò con voce tremante.

«E' colpa mia».

Appena sentì quelle parole, Bill si allontanò il tanto che bastava per guardarlo negli occhi rossi e gonfi.

«Non dirlo neanche per scherzo! Non ti addossare colpe che non hai! Poteva succedere in qualsiasi momento!» lo rimproverò.

Tom scosse la testa.

«No, Bill. Avevate ragione tutti e io lo sapevo. Sono stato un coglione, uno stronzo, un insensibile. L'ho sbattuta fuori di casa senza ritegno e se non l'avessi fatto, molto probabilmente non sarebbe successo tutto questo. È colpa mia se il mio bambino non c'è più, è colpa mia e mi odio!!» urlò Tom prima di ricevere uno schiaffo da suo fratello che non lo fece smettere di piangere, ma almeno lo fece zittire.

Rimase ad osservarlo non sapendo che dire.

«Smettila...» sussurrò Bill. «Smettila» ripetè stringendolo di nuovo a sé.

Tom chiuse gli occhi facendo scorrere altre lacrime sul suo viso che morirono all'interno della sua felpa.

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Ringrazio:

_Reset

Aury_Kaulitz  (mi hai lasciato senza parole *O*)

_Pulse_

babakaulitz

Tiky

Lion of darkness

_tom

Ice princess

layla the punkprincess

Alcolizzata_VIP

Grazie davvero ragazze, sono contenta che non diminuite, anzi aumentate ^^

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


capitolo 13

Capitolo 13


I suoi singhiozzi erano cessati, ma il dolore che provava sembrava triplicato.

Più pensava alla crudeltà che aveva adottato il destino nei suoi confronti portandogli via forse l'unica cosa bella che aveva fatto nella vita, più il suo cuore sembrava trafitto da una lamina tagliente.

Si trovava ancora tra le braccia di suo fratello che non smetteva di accarezzare i suoi cornrows.

«Bill» sussurrò improvvisamente.

«Dimmi» rispose dolcemente il rasta.

«Dobbiamo dirglielo» continuò Tom.

Bill capì perfettamente che si riferiva a Sara.

Era una cosa che bisognava affrontare con cautela.

Non sarebbe stato facile comunicare quell'orribile notizia proprio a lei.

«Sì, Tomi. Dobbiamo» sospirò infine Bill.

Il cuore di Tom fece un ennesimo salto mortale.

Stupidamente forse si aspettava da lui una risposta negativa.

Non avrebbe mai voluto arrivare a quel punto.

Aveva paura della reazione della ragazza, che sarebbe stata più che comprensibile.

D'altronde anche lui aveva quasi distrutto le mura di quell'ospedale, o meglio, si era quasi distrutto le mani.

«Tom» lo chiamò una Hellen con ancora le guance bagnate. Il ragazzo alzò lo sguardo su di lei. «Secondo me dovresti andare a parlarci tu da solo» continuò la biondina.

Tom annuì lievemente, quasi impaurito, e dopo aver dato un ultimo sguardo a suo fratello si alzò in piedi.

Bill raggiunse di nuovo Hellen, stringendola a sé mentre entrambi, Georg, Gustav ed Anna compresi, lo osservavano avvicinarsi a quella porta.

Esitò per qualche secondo ma poi prese un bel respiro ed abbassò la maniglia.


*


Ero stesa in quel letto e non ci stavo capendo più niente.

Dopo un'ecografia, il dottore aveva acquisito un'espressione che non prometteva nulla di buono ed era uscito dalla stanza senza dirmi nulla.

Senza dirmi se il mio bambino stava bene, se era tutto apposto, se le mie preghiere erano servite almeno a qualcosa.

Come si poteva essere così superficiali da non pensarci?

La mia attenzione venne improvvisamente catturata dalla maniglia della stanza che si abbassava lentamente.

Finalmente, forse, il medico si era “ricordato” di dover darmi qualche spiegazione.

Già ero pronta a lamentarmi quando le parole mi morirono in gola.

Sulla porta, con sguardo quasi impaurito, vi era Tom.

I suoi occhi fissi nei miei mentre la richiudeva.

Sentii il mio cuore prendere a battere troppo velocemente, talmente tanto che per poco non ebbi timore di avere un infarto.

Una marea di brividi attraversava incessantemente il mio corpo mentre un senso di tristezza si impadroniva di me.

Il suo sguardo, i suoi occhi... aveva qualcosa di strano.

Sembrava avesse... pianto?

Occhi gonfi e rossi, espressione stanca e triste. Cos'aveva?

Era forse per me? O era per qualcos'altro?

«Ciao, piccola» sussurrò quasi impaurito, forse da una mia reazione improvvisa.

Io non risposi.

Ma non perchè non volessi, semplicemente perchè le parole non riuscivano ad uscire dalle mie labbra.

Mi sarei inutilmente ritrovata a boccheggiare e non volevo fare la figura dell'idiota.

Quel “piccola” riecheggiava nelle mie orecchie ed era stranamente irritante.

Oh, ecco che sapevo cosa dire!

«Piccola?» domandai quasi disgustata. «Prima mi sbatti fuori di casa e poi mi chiami “piccola” come se non fosse successo nulla?» continuai.

Lo vidi osservarmi con una tristezza tale da farmi quasi sentire in colpa.

Se lo poteva anche scordare.

«Ho sbagliato. Sono stato... orribile. Il fatto è che... vedere quel...» chiuse gli occhi come a voler scacciare quel pensiero. Io mi voltai con lo sguardo verso la finestra. Sentii i suoi passi farsi sempre più vicini e poi, con un tuffo al cuore, sentii la sua mano posarsi sulla mia guancia. Subito mi irrigidii ma poi non potei fare a meno di abbassare le palpebre e godermi quel tocco per qualche secondo. «Devo dirti una cosa» esortò improvvisamente con tono grave.

Io posai di nuovo gli occhi su di lui.

I suoi erano di nuovo lucidi e si lasciarono scappare qualche lacrima.

«Tom...» sussurrai non capendo cosa stesse succedendo.

L'ansia mi stava praticamente uccidendo.

Mi prese la mano e la strinse fra le sue.

«Piccola... il... il bambino... è... » balbettò con voce tremante.

I miei pochi neuroni ancora in grado di funzionare arrivarono ad una conclusione.

No, non volevo crederci.

Cominciai ad urlare scostando malamente le mani di Tom dalle mie.

Mi sentivo spezzata a metà. Mi sentivo come se mi avessero strappato via una parte del corpo.

Una parte di me non c'era più, era morta. In un modo atroce per di più!

L'ultima persona che in tutta quella storia si meritava una cosa del genere! Che non c'entrava nulla!

Più pensavo a queste cose, più urlavo e mi agitavo su quel letto.

Le lacrime, le ennesime, ricominciarono a scorrere lungo le mie guance.

Percepii la mano di Tom posarsi di nuovo impaurita sul mio braccio, trattenendomelo delicatamente.

Cercai di divincolarmi ma la sua stretta era più forte di me.

«Lasciami, Tom! Vattene!» urlai ancora in preda ad una crisi isterica.

«Sara, ti prego, calmati!» esclamò lui disperato.

«Come faccio a calmarmi?! Come faccio, Tom?! È morto mio figlio! È morto!!».

«Era anche mio figlio!».

Mi alzai dal letto e cominciai a colpire Tom alla cieca.

«Mi hai rovinato la vita! Mi hai rovinato la vita!!» continuai ad urlare piangendo.

Lui cercava di fermare le mie braccia che continuavano ad agitarsi sul suo petto, fino a che non mi sentii avvolgere dalle sue.

Singhiozzai stringendo tra le mani la sua maglietta che si inumidiva velocemente delle mie lacrime.

Eravamo stretti l'uno all'altra come non succedeva da troppo tempo.

Quel calore... quel calore che mi mancava più di ogni altra cosa.

Non era vero che mi aveva rovinato la vita. L'aveva resa la cosa più bella del mondo.

«Tom» singhiozzai stringendomi di più a lui.

«Sono qui, piccolina, sono qui» sussurrò dandomi una bacio sui capelli. «E non ti lascio più. Non voglio più perderti».

Come illuminata, mi staccai lentamente dalla sua presa, tenendo lo sguardo basso.

Sentivo i suoi occhi preoccupati puntati su di me.

«Voglio stare da sola» dissi.

«Sara... ma...».

«Voglio stare da sola, Tom».

Lo dissi con un tono talmente fermo e distaccato che non poté fare il contrario.

Stranito abbassò lo sguardo indietreggiando con lentezza disarmante.

Non lo guardavo. Fissavo semplicemente il vuoto davanti a me finchè non sentii la porta chiudersi.

Le lacrime non si erano fermate.

Volevo stare da sola, vivere in pace il mio dolore.

E così sarebbe stato per un po'.

Quella era sicuramente la cosa peggiore che mi potesse capitare nella vita e non la auguravo a nessuno.


*


Appena i ragazzi seduti ancora in corridoio videro Tom uscire dalla stanza si rizzarono per sapere cosa fosse successo.

«Tomi, glielo hai detto? L'abbiamo sentita urlare ma abbiamo preferito lasciarvi soli» commentò Bill delicatamente.

Tom, con sguardo spento, annuì semplicemente.

«Mi aspettavo una reazione del genere da parte sua» sussurrò Hellen.

Aveva un viso distrutto dal troppo pianto.

Le lacrime avevano smesso di scorrere lungo le sue guance ma vi erano rimasti i loro segni.

La pelle irritata, gli occhi ancora rossi e gonfi.

Quando Tom posò lo sguardo su Anna, seduta affianco a Georg, si rese conto che non l'aveva ringraziata a dovere.

«Grazie» esortò.

La ragazza lo guardò incuriosita e poi sorrise leggermente.

«Di nulla» rispose. «Adesso sarà meglio che vada» aggiunse alzandosi dalla sedia.

«Ti accompagno» intervenne Georg.

Anna salutò i ragazzi e poi si incamminò assieme al bassista verso le scale.

Bill si sedette affianco ad Hellen prendendo il posto di Anna e le mise una mano sulla schiena accarezzandogliela dolcemente.

«Mi ha detto che vuole stare da sola... ho paura che non mi voglia più, Bill» sussurrò Tom.

«Tomi è normale che lei abbia avuto una reazione del genere. Ha perso un bambino, è la cosa più brutta per una donna. Devi solamente aspettare che si riprenda, non ti preoccupare» lo incoraggiò il fratello mentre Hellen posava la testa sulla sua spalla, beandosi di quelle carezze.

Tom sospirò pesantemente.

«Lo spero. Non può allontanarmi proprio ora che abbiamo bisogno l'uno dell'altra più che mai» disse passandosi una mano sul viso. «Voglio almeno che torni a casa. Voglio solo che torni a casa con me».


*


Erano passati solo un paio di giorni, ma rimettere piede in quello studio di registrazione mi fece emettere un sospiro di sollievo.

Avevo accettato di tornare solamente perchè Bill mi aveva implorato.

Diceva che Tom stava male. Io invece non stavo male?

Tuttavia decisi di accontentarlo ad una condizione: le cose tra me e Tom non sarebbero tornate come prima, come se nulla fosse successo.

O almeno non subito.

Lo amavo, lo amavo troppo, più della mia stessa vita.

Però ero anche ferita.

Mi portavo dentro un taglio più grande di me.

Non era stata decisamente sua la colpa della perdita del bambino.

Era anche vero però che se lui non mi avesse sbattuto fuori di casa tutto quel casino non sarebbe successo.

Stando ai miei ragionamenti allora avrei dovuto dire che anche se io gli avessi detto la verità sin dall'inizio quel casino non sarebbe successo.

Scrollai le spalle, non ci volevo più pensare.

Tutto quello che sapevo e che era certo era che mi sentivo morta per metà.

Non avevo più voglia di fare niente, volevo solamente starmene chiusa in camera e non sentire nessuno.

Non volevo mangiare, bevevo a fatica e sopratutto non volevo imbroccare in nessun tipo di dialogo con nessuno.

Gli altri avevano raccontato tutta la vicenda a David ed Isy.

Erano rimasti sconvolti, non volevano crederci.

David, inizialmente, se l'era presa con Tom accusandolo di irresponsabilità.

Poi però si era calmato abbracciandolo per non buttarlo ancora più giù di quanto già non fosse.

Avevo ricevuto un paio di chiamate da parte di Hellen ma io mi ero ostinata a non rispondere.

Evidentemente aveva capito che volevo essere lasciata in pace perchè non ci aveva più riprovato.

Tom aveva ritenuto giusto che se ne andasse a dormire sul divano, cedendomi la sua camera che fino a pochi giorni prima era ancora la nostra.

Avevo nostalgia di tutto. Troppa.

Sapevo perfettamente che prima o poi avrei ceduto con lui, ma subito non riuscivo ad avvicinarmici.

Avrei voluto far passare un po' di tempo.

Non sapevo quanto, giusto il tempo di smaltire il dolore recente.

Il più grande.


Sentii bussare alla porta.

Io non risposi per l'ennesima volta ma questa venne aperta lo stesso come succedeva sempre.

Vidi Isy affacciare cautamente la testa.

«Hey, posso?» sussurrò. Io abbassai lo sguardo ed annuii rassegnata. Forse solo lei mi avrebbe realmente capito: era una donna. Si avvicinò al letto finchè non si sedette a lato, affianco a me. «D'altronde non potrai non vedere mai più nessuno, giusto? Ci convivi» mi sorrise dolcemente. Io non ricambiai lo sguardo. Era perennemente spento e non lasciava trasudare nessun tipo di emozione. «Ti prego, parla, esci da questa stanza. Non ti fa bene tutto questo. Non puoi chiuderti in te stessa, peggiori solo le cose. Non vorrai entrare in depressione?» mi domandò preoccupata. Io non risposi nuovamente. La sentii sospirare. «Ascolta, Sara... posso immaginare cosa provi».

«No, non puoi» risposi a bassa voce, senza guardarla.

Sentii silenzio per un attimo.

«D'accordo, forse non posso completamente. Però posso farmi un'idea no? So per certo che perdere un bambino è la cosa più brutta del mondo. Vuoi che non lo sappia? Te l'ho raccontata la mia storia. Però... anche se soffro per mia figlia cerco di vivere lo stesso. Questi sono ancora gli anni più belli della tua giovinezza, non buttarli all'aria, te ne pentirai» continuò.

«Isy, non riesco a fare finta di nulla... non riesco a fare finta di nulla di fronte ad una cosa simile!» sbottai senza alzare troppo la voce. Dava fastidio persino a me.

«Lo so, tesoro, ma in questi casi bisogna reagire. Reagire per il nostro bene. E poi Tom sta male a vederti così. Perchè non vi state vicini? Lui lo vorrebbe ma rispetta la tua idea. Anche lui soffre per la perdita del bambino e anche lui avrebbe voglia di essere consolato in qualche modo, anche se non lo chiede. Si sente molto solo, soprattutto senza di te».

«Non riesco ad avvicinarmi a lui».

«Ma perchè? Capisco che ha sbagliato a reagire in quel modo, ma non è colpa sua se è successo quello che è successo. A proposito... com'è successo?».

Il sangue mi si raggelò nelle vene.

Riflettei a lungo prima di dare una risposta.

Non sapevo cosa sarebbe stato meglio.

Dire la verità o inventarmi di essere caduta da vera maldestra?

Avevo deciso. Basta con le menzogne, mi avevano portato solo guai.

«Sono... sono stata strattonata e spinta contro l'albero. Non ci sono andata a sbattere da sola» sussurrai reprimendo l'istinto di alzarmi da quel letto ed andare a cercare Lee con un coltello.

Isy era rimasta zitta, osservandomi con occhi sgranati.

«E... e chi è stato?» mi domandò.

«E' stato... è stato Lee» dissi con un tono disgustato. Isy trattenne il respiro ed io scoppiai a piangere. «Sono stata una stupida, sono andata a cercarlo sperando che potesse dire la verità a Tom. Dovevo immaginarlo che lui non l'avrebbe mai fatto» mi sfogai.

Isy mi prese e mi strinse a sé cullandomi tra le sue braccia protettive.

«Io te l'avevo detto di stare lontana da lui, piccola» sussurrò al mio orecchio come una brava mamma.

Per un attimo la mia sensazione fu quella.

Mamma...


*


Neanche quella notte c'era verso di dormire.

Mantenere la tranquillità era diventato alquanto difficile recentemente.

Improvvisamente sentii un particolare bisogno di bere, così mi alzai dal letto, cosa che non facevo da almeno un paio di giorni.

Uscii da quella stanza e sentii quasi freddo a contatto con l'esterno.

Ero troppo abituata a rimaner chiusa in quella camera.

Scesi silenziosamente le scale, per evitare di svegliare gli altri, dato che erano le tre di notte.

Stavo per entrare in cucina, quando la mia attenzione venne catturata dalla luce bluastra del televisore proveniente dal salotto.

Vi entrai e trovai Tom seduto sul divano, con la testa appoggiata allo schienale, mentre il televisore trasmetteva le repliche di qualche fiction, senza volume.

Probabilmente mi notò con la coda dell'occhio perchè si voltò di scatto verso di me, come spaventato.

«Piccola, che fai in piedi?» mi chiese sorpreso di vedermi dopo tanto tempo fuori da quella stanza.

«Ho sete, stavo andando a bere qualcosa e ho visto la luce della tv. Pensavo dormissi» risposi con lo stesso tono basso.

Rimase un attimo in silenzio, osservandomi dolcemente.

«Vieni un po' qui?» mi chiese timidamente indicandomi il posto affianco a lui sul divano.

«Ho sonno, Tom» mi inventai.

«Solo qualche minuto» insistette.

Io ci pensai un po', poi sospirai e mi avvicinai a lui.

Mi sedetti dove mi aveva indicato, mantenendo la distanza per quanto fosse possibile.

Mi sentivo troppo vicina a lui, il divano non era molto ampio.

Sentivo il suo calore arrivare a me, sentivo il suo profumo.

Non avevo mai avuto occasione di annusare cosa più dolce e buona di quella.

Sentii la sua mano cercare timidamente la mia. La trovò e cominciò ad accarezzarla.

Mille brividi, ma nessuno di questi mi fece ricambiare il gesto. Semplicemente lo lasciai fare.

«Rispetto la tua scelta» esortò improvvisamente facendomi quasi sobbalzare. «Però ciò non vuol dire che riuscirò a starti lontano. Voglio solo che tu sappia che ti aspetto. Perchè ti amo troppo per dimenticarti» continuò.

Quelle parole mi avevano decisamente toccato nel profondo e mi fecero sentire lontanamente in colpa.

Anche io... anche io, Tom!” continuava a ripetere la mia coscienza, ma dalle mie labbra non usciva nulla.

Mi limitai al silenzio, fissando la televisione di fronte a me e godendomi il tocco delicato di Tom sulla mia mano.

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_Radio Hysteria: certo che mi ricordo di te! Sono contenta che commenti anche qui ^^ grazie mille

_cucciolotta_: grazie mille, sono contenta che ti piaccia e ti sia piaciuta anche LFH ^^

Lion of darkness: ahahah che sclero! xD Grazie ^^

_Pulse_: grasshie mille tesoro ^^ sono contenta *O*

babakaulitz: oddio che bello, grazie davvero

_tom: hihi, concordo xD grazie

Tiky: muahahah xD grazie

NICEGIRL: danke ^^

Zucchelino: dankeee ^^

_Reset: uuuu, meno male, grazie ^^

layla the punkprincess:  hihi grazie *O*

Aury_Kaulitz: grasshie *O*

SISSUx_VANILLA: ciao, sono contenta che ti piacciano tutte e due... per quella cosa che mi hai detto, prima vorrei chiederti delle cose ^^ quindi se vuoi nella recesione lasciami pure il tuo contatto msn così ne parliamo ^^ grazie ^^

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


capitolo 14

Capitolo 14


«In piedi, signorina, andiamo a farci un giro!».

L'entrata improvvisa di Hellen in camera mi fece letteralmente sobbalzare.

«Che?» chiesi sbattendo più volte le palpebre a causa di quel fascio di luce improvviso diffusosi nella stanza.

«Vieni a farti un giro con me, non puoi startene chiusa qui dentro per l'eternità» tagliò corto con un sorriso a trentadue denti mentre alzava la tapparella.

«Hellen, non ne ho voglia» borbottai voltandomi dall'altra parte nel letto.

Le lenzuola mi vennero subito strappate di dosso.

«Te la fai venire. Forza, in piedi, ti aspetto di sotto. E vedi di arrivare perchè ti vengo a prendere sennò» esclamò uscendo dalla stanza.

Io sbuffai sonoramente alzandomi dal letto.


*


«L'hai convinta?» chiese mogio Tom, appoggiato al tavolo, con una tazza di the fumante davanti agli occhi.

Hellen annuì energicamente.

«L'ho praticamente obbligata. Mi sono rotta le palle, sono due settimane che non esce da quella stanza, è ora che lo faccia e che riprenda in mano la sua vita» rispose Hellen.

Era stata chiamata proprio da Tom quella mattina.


«Pronto?» rispose la bionda al suo cellulare.

«Ciao, Hellen, sono Tom» mormorò il ragazzo.

«Hey, ciao, come stai?».

«Potrei stare meglio».

«Ti riferisci a Sara?».

«Già. Sono due settimane che si ostina a rimaner chiusa in quella cazzo di stanza, sono preoccupato».

«Ma non esce neanche per mangiare o bere?».

«No. Al massimo per andare in bagno. Isy ogni tanto le porta qualcosa da mangiare e un po' d'acqua ma beve poco e non mangia niente».

«Dio... perchè deve fare così...».

«Ti prego, la puoi aiutare tu? Sei la sua migliore amica, a me non si avvicina, con gli altri non parla neanche poi tanto. Non so più che fare».

«Tranquillo, Tom. Ci penso io».

«Grazie, sei un angelo».


Tom sospirò tristemente tenendo la testa appoggiata alla mano.

Hellen lo osservò attentamente e poi gli si avvicinò posandogli una mano sulla schiena e lasciandoci delle carezze.

«Hey, Tom, stai su. Vedrai che riuscirà a riprendersi e... tornerà da te» cercò di incoraggiarlo la ragazza.

Lui scosse la testa tirando su col naso, in previsione di un crollo emotivo.

«Non sai quanto mi manca e quanto mi fa male vederla così» sussurrò con voce tremante.

«Lo so, lo so, ma devi stare su almeno tu. Devi farlo per lei» rispose la biondina.

«Ieri mi ha chiamato mia mamma. Ha saputo dell'accaduto dai giornali. I paparazzi appostati fuori dall'ospedale quel brutto giorno sono riusciti ad arrivare a tutto e non so come. Adesso anche le fans stanno impazzendo. C'è chi è dispiaciuta per me e chi addirittura è contenta, pensando di avere una rivale in meno. È orribile».

«Tu non ti devi preoccupare di loro».

«Infatti non me ne curo poi tanto. Mi dispiace solo per tutta questa cattiveria nei confronti di Sara e che mia madre sia venuta a sapere tutta la storia in questo modo. Non le avevo detto neanche che Sara era incinta. Avrei voluto dirglielo di persona, non per telefono».

Hellen sospirò abbracciandolo.

«Non ci puoi fare niente, Tom. Non è stata colpa tua. Poteva succedere a chiunque» lo rassicurò dandogli un bacio sui cornrows.


*


Avevo appena finito di vestirmi.

L'idea di scendere quelle scale e rivedere Tom mi faceva stare letteralmente male.

Per tutto quel tempo non lo avevo visto, apparte quando mi alzavo per andare in bagno e capitava che lui stesse passando di lì proprio in quel momento.

Subito ne approfittava per chiedermi come stavo ma io non rispondevo e mi chiudevo la porta alle spalle.

Che domanda stupida era? Stavo male! Punto!

Uscii dalla stanza e, sospirando, scesi lentamente le scale.

Sentivo le voci di Tom ed Hellen provenire dalla cucina, dove arrivai dopo un po'.

Tom mi guardò come se non mi avesse mai visto in vita sua, mentre Hellen sorrise.

«Bene, sei uscita dalla camera, è già un record!» esclamò sarcastica. Io alzai gli occhi al soffitto e mi voltai dall'altra parte. «Forza, andiamo, oggi giornata di shopping sfrenato!» disse di nuovo prendendomi a braccetto. «Saluta Tom» mi sorrise di nuovo, come fosse una mamma che pretendeva educazione da sua figlia.

«Ciao, Tom» borbottai senza guardarlo.

«Ciao» rispose lui tristemente.

Hellen scosse la testa e mi trascinò fuori casa, dopo aver salutato anche lei il ragazzo.

«Non puoi fare così però! Che ti ha fatto?!» mi rimproverò mentre salivamo nella sua macchina.

Io la fulminai semplicemente con lo sguardo per poi spostarlo sulla strada.


*


«Perfetto! Ora fa anche fatica a salutarmi! Grandioso!» esclamò Tom esasperato, allargando le braccia e guardando in alto.

«Ehm, Tom, tutto bene?» domandò Gustav entrando in cucina.

«Non che non va tutto bene! Sara non mi saluta neanche più! Gliel'ha dovuto ricordare Hellen. Mi odia!» si lamentò il moro, in presa ad una crisi nervosa.

«Ma cosa dici, Tom, figurati se Sara ti odia!» ridacchiò Gustav. «E' pazzamente innamorata di te. Mi chiedo anche come possa esserlo» continuò scherzando.

Tom fulminò il batterista.

«Grazie, Gustav. Mi sento decisamente meglio» borbottò sarcastico.

Gustav gli diede una pacca sulla schiena.

«Dai, Tomi, le devi solo dare tempo. Abbi pazienza. Adesso esco. Bill sta dormendo in camera sua, Georg è uscito con Anna, pensi di riuscire a non fare casini in casa per qualche ora?».

«Ma per chi mi hai preso, per un bambino? E poi, aspetta, fermati, mi sta sfuggendo qualcosa. Georg è uscito con Anna?».

«Oh sì. Quel giorno all'ospedale, a quanto pare è rimasto folgorato, così quando l'ha accompagnata fuori le ha chiesto il numero e si stanno vedendo da un po'».

«E come mai io non ne sapevo niente?».

«Sei talmente preso dai tuoi problemi che non ha voluto interferire con le sue cose».

«D'accordo, ho i miei problemi, ma siamo sempre amici».

«Beh, ci puoi chiarire quando torna a casa».

Tom annuì a testa bassa.

Gustav gli sorrise e, salutandolo, uscì dallo studio.

Il ragazzo, rimasto solo, sospirò scuotendo la testa.

Neanche più i suoi amici lo rendevano partecipe delle loro cose.


*


Sbuffai per l'ennesima volta cercando di trascinarmi dietro quella marea di buste pesanti.

Hellen continuava a girare per il negozio tirando fuori un capo diverso dall'altro da farmi provare.

Era riuscita a farmi comprare due paia di jeans, quattro magliette, un vestito da sera, dell'intimo fin troppo provocante, un paio di scarpe da ginnastica e uno col tacco.

Ovviamente, tutto questo contro il mio volere.

Il suo entusiasmo mi mandava fuori di testa.

Avevo voglia di tornare a casa, di chiudermi di nuovo in camera e starmene tranquilla, per i fatti miei.

Era stata una pessima idea quella di uscire a fare shopping.

Non mi aiutava di certo, anzi, mi rendeva ancora più nervosa e suscettibile.

«Hellen» la chiamai ad un tratto scocciata, sbattendo un piede a terra. Lei finalmente si fermò e mi guardò incuriosita. «Posa quella camicetta» le dissi. Lei obbedì e poi tornò ad osservarmi aspettando che le dicessi altro. «Voglio tornate allo studio» dissi schietta.

«Dai, facciamo ancora un giro e poi andiamo» insistette.

«No» ribattei. «Voglio tornare allo studio. Adesso» ripetei con un tono che non ammetteva repliche.

Lei sbuffò annuendo e si incamminò verso l'uscita.

Io la seguii finchè non raggiungemmo la sua macchina.

«Ti va di parlare?» mi chiese appena mise in moto.

«Mi pare che abbiamo parlato fino adesso» risposi indifferente.

«Intendo seriamente».

L'avevo capito sin dall'inizio a cosa si riferisse, ma non avevo assolutamente voglia di parlare di Tom, solo per sentirmi rimproverare o sentirmi dire cosa dovevo o non dovevo fare.

«Se vuoi parlare di Tom ti dico già che è inutile, io non cambio idea, ho bisogno del mio tempo e se ti dico che in questo momento non posso riavvicinarmi a lui come prima, vuol dire che non mi smuovo» tagliai corto.

Evidentemente funzionò perchè non mi chiese più nulla.

Una volta arrivate davanti allo studio la salutai e scesi dalla macchina, mentre lei ripartiva diretta ad Amburgo, a casa sua.

Aprii la porta di casa e mi guardai intorno. Nessuna traccia di Tom.

Cercai di mantenere le quattro buste pesanti senza ruzzolare per terra.

«Ti serve una mano?».

Rabbrividii ed alzai lo sguardo.

Tom si trovava in salotto e, avendo sentito il rumore dei miei passi, si era affacciato.

«No» risposi.

Lui ignorò la mia risposta e prese due buste.

In quel nanosecondo la sua mano sfiorò la mia e sentii un brivido percorrere la mia spina dorsale.

Sembrò quasi che lui avesse provato la stessa cosa, dato che arrossì abbassando subito lo sguardo con un sorriso imbarazzato.

Salimmo le scale ed arrivammo in camera.

Posammo le buste sul letto e rimanemmo in silenzio senza guardarci.

«Allora, avete comprato tante cose» spezzò lui il silenzio, alludendo ai sacchetti. Io annuii semplicemente, piuttosto imbarazzata. «Immagino sia stata opera di Hellen, ecco perchè secondo me starebbe benissimo assieme a Bill» sorrise lui passandosi una mano dietro al collo, scostando i cornrows.

Sapevo che stava cercando argomenti validi, ma era impacciato almeno quanto me, se non di più.

«Sì, lo... lo penso anche io» annuii incerta senza guardarlo. «Sarebbero perfetti insieme» aggiunsi inespressiva.

«Anche io e te lo saremmo...» sussurrò quel tanto che bastava per farmi sentire.

Solo in quel momento sembrò accorgersi di quello che aveva detto e si ammutolì.

Io mi ostinavo a non guardarlo, mentre sentivo continuamente i suoi occhi puntati addosso a me.

«Non so cosa vorresti che ti dicessi» alzai le spalle.

«Che mi ami ancora... che se anche per ora non riesci a tornare con me, sei ancora innamorata di me. Ho bisogno di questa certezza» rispose con le lacrime agli occhi mentre tremava visibilmente.

Il solito magone mi impedì quasi di respirare. D'accordo, mi faceva male vederlo così per me.

Deglutii e poi, dopo aver sospirato con fatica, annuii impercettibilmente.

«Di certo un sentimento così grande non può cessare da un giorno all'altro» dissi con grande sforzo.

Lo vidi sorridere leggermente, rincuorato.

«Spero non succeda mai» sussurrò.

Quello fu il nostro primo contatto visivo di tutta la conversazione.

Ci perdemmo per minuti interminabili l'uno negli occhi dell'altra, come se non ci fossimo mai realmente guardati.

O semplicemente come se ci dovessimo ricordare come fosse guardarci.

Lo vidi avvicinarsi lentamente ed il cuore cominciò a battermi all'impazzata.

Aprì le braccia e le portò quasi con paura attorno al mio corpo.

Un abbraccio. Un dolce e semplice abbraccio.

Chiusi gli occhi per godermi quel calore che nel subconscio sicuramente attendevo da troppo tempo.

Sì, lo amavo tantissimo. Non c'erano dubbi.

Le mie mani tremanti si aggrapparono leggermente alla sua felpa, sulla sua schiena.

Respirai a fondo il suo profumo impregnato nella maglia oversize.

Quanto mi mancava.

E provavo rabbia perchè lo volevo ma non riuscivo pensare di dover tornare a stare con lui, almeno non in quel momento.

Cos'era che mi fermava? La delusione? La paura? Ma la paura di cosa?

Cercai di scacciare quei pensieri. Li avrei ripresi a mente più lucida e con un cuore che si desse almeno una calmata.

Mi staccai lentamente da lui e lo guardai con tenerezza.

Aveva ancora gli occhi lucidi, si vedeva lontano un miglio che gli mancavo.

«Grazie per rispettare la mia decisione, Tom» gli dissi.

Era vero, avrebbe potuto baciarmi ma non l'aveva fatto.

Mi aveva semplicemente stretto a sé in segno di affetto e nostalgia.

Lui sforzò un sorrisetto ed abbassò di nuovo lo sguardo.

«Anche se è dura» rispose. Non seppi che dire. «Ti lascio sola se vuoi. Se hai voglia di un po' di compagnia... o di parlare... o... qualsiasi cosa... sono di sotto in salotto, ok?» balbettò impacciato.

Io annuii ringraziandolo, giusto per alleviare quella tensione.

Mi diede le spalle ed uscì dalla stanza richiudendo la porta.

Mi voltai anche io e cominciai a mettere apposto tutti i capi nuovi nell'armadio.


*


Tom stava scendendo le scale con sguardo spento e demoralizzato, quando sentì suonare il campanello.

Incuriosito andò ad aprire e gli si raggelò il sangue nelle vene.

Andreas.

«Che cazzo ci fai qua?» chiese con gli occhi spalancati.

«Non mi fai neanche entrare?» chiese il biondo piuttosto mogio.

«Da quando sei il benvenuto qui dentro?».

«Tom, vorrei parlare a te e Bill. Ma soprattutto a te».

«Ti ripeto, non sei il benvenuto, sparisci».

Fece per chiudere la porta ma Andreas vi infilò un piede bloccandola.

«Ti prego, Tom. Per quanto tempo deve andare avanti questa storia?» chiese il biondo.

«Mi sembra che neanche tu avessi tutta questa voglia di riconciliazioni» disse Tom sprezzante. «Cos'è, hai avuto un'illuminazione?» domandò ancora con sarcasmo.

Sarcasmo ricco di rabbia.

«Sono venuto a sapere tutto quello che ti è successo».

«E cosa mi sarebbe successo?».

«Andiamo, Tom, non c'è bisogno che te lo dica io che Sara ha perso un bambino».

Tom serrò gli occhi sentendo una fitta troppo dolorosa al petto.

«Non ti permettere di nominarli!» urlò puntandogli il dito contro.

«Hey, non sto facendo nulla di male».

«Vattene, non ho bisogno della tua compassione proprio ora».

«Non sono qui per compatirti, ma per porre fine a questo silenzio del cazzo».

«Perchè ti è venuto in mente solo ora?! Dovevano essere i giornali a ricordarti che esisto ancora? Che io e Bill esistiamo ancora?!».

«Lo sai che non sono i giornali. Io vi ho sempre avuto in mente anche se l'orgoglio era più forte della ragione, lo ammetto. È stata anche Sara a farmi ragionare».

«Ti ho detto che non devi nominarla».

«E come la devo chiamare, “la tua ragazza”?».

Tom si irrigidì.

«Non... non è la mia ragazza in questo momento» disse.

«Mi dispiace, non lo sapevo» rispose Andreas.

«No, non è vero che ti dispiace. Potrebbe essere la tua rivincita».

«Tom, non dire sciocchezze, lo sai che non vorrei mai il vostro male».

«Felice di saperlo».

A insaputa di Andreas, Tom gli colpì il piede con il suo, riuscendo a chiudere la porta a chiave.

Si passò le mani sul viso.

Quella “visita” era stata decisamente inaspettata e non sapeva se esserne contento o furioso.


*


Avevo sentito tutto. Avevo sentito tutte le sue urla e tutte le loro parole.

L'aveva respinto. Scossi la testa.

«Sei uno stupido, Tom».

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Ringrazio di cuore:

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Non potete capire quanto mi rende contenta il fatto che siete così tante ^^
Veramente, grazie mille.


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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15

Capitolo 15


Quella mattina avevo deciso di svegliarmi presto per mettere un po' d'ordine in casa.

Ovviamente, se non lo facevo io nessuno ci pensava minimamente, apparte Isy.

I Tokio Hotel erano fuori a tenere un'intervista ed un servizio fotografico.

L'umore di Tom non era dei migliori ma non avrebbe potuto rifiutarsi comunque di farlo.

Sapevo a cosa pensava: alla sera prima.

Alla visita improvvisa di Andreas.

Era stata decisamente inaspettata per lui.

Eppure ero convinta che non l'avesse “disprezzata” del tutto, come voleva far credere.

Aveva deciso di raccontare tutta la vicenda a suo fratello.

Quest'ultimo aveva avuto una reazione diversa e poco comprensibile.

Era rimasto semplicemente impassibile alle parole del fratello.

Certo, all'inizio ne era rimasto sorpreso, ma poi si era limitato a sospirare tenendo lo sguardo basso e senza proferir parola.

A tale comportamento Tom non aveva potuto fare a meno di innervosirsi ancora più di quanto già non fosse.

Sperava che almeno suo fratello lo sostenesse, che provasse lo stesso tipo di sentimento.

Il problema era che non lo sapeva neanche lui quello che provava ed io l'avevo capito.

Era confuso, come per la maggior parte delle cose che doveva affrontare.

Mi faceva tanta tenerezza.

Sapevo che voleva ritrovare il legame di un tempo con Andreas ma l'orgoglio e la rabbia glielo impedivano.

Per certi versi io e lui eravamo davvero molto simili.

Forse era anche quello il motivo dei nostri litigi frequenti.

Forse era giusto che ognuno seguisse la propria strada? Non saremmo potuti stare assieme?

Erano tutti quesiti che mi ponevo senza riuscire a darmi una risposta.

Probabilmente non avevo voglia di farmi troppi problemi su quel fatto.

Volevo solo vivere il secondo... carpe diem.


Natale era alle porte.

Precisamente era il 23 Dicembre e la cosa non mi entusiasmava più di tanto.

Ogni anno, all'arrivo del Natale, era tradizione che il mio umore cadesse a terra.

Il motivo era semplice da capire: non ero abituata a festeggiare le festività, a causa delle condizioni famigliari nelle quali mi trovavo.

Certo, avrei dovuto essere serena del fatto che adesso una “famiglia”, bene o male, ce l'avevo.

Eppure uno spiacevole senso di malinconia albergava nel mio cuore.

La prima persona che mi veniva da associare a tale sensazione era Tom.

Avremmo passato quel Natale ancora divisi? O sarei riuscita a mettere da parte l'astio, la delusione e a perdonarlo?

Sarebbe dipeso tutto da me.

Lui non insisteva più con me per rispetto, anche se sapevo che non riusciva a scollarmi i suoi pensieri di dosso.

Lo vedevo da come mi guardava.

Da come mi cercava.

Dalle piccole e semplici cose che faceva per me, a partire dal caffè al mattino.

E io lo adoravo, lo amavo, me ne convincevo sempre di più.

Avrei dovuto trovare una soluzione, quella situazione mi stava uccidendo.


Quando entrai in salotto mi venne da sorridere notando che Bill era alle prese con l'albero di Natale.

Stava cercando di aprirlo ma faceva troppa fatica a causa del peso e delle foglie appuntite.

«Ma porca...» stava borbottando cercando di tenerlo almeno in piedi. Io ridacchiai e mi avvicinai a lui velocemente, afferrando saldamente quell'abete. «Grazie» mi sorrise rincuorato.

«Perchè non hai chiamato qualcuno per farlo?» gli chiesi dolcemente cominciando ad aprire le foglie assieme a lui, una volta che avemmo fissato l'albero sul piedistallo.

«Non mi andava di disturbare nessuno» scrollò le spalle.

«Sarebbe carino che tu lo facessi anche con tuo fratello questo albero, non credi?» gli sorrisi.

«E' arrabbiato con me» tagliò corto.

«Nah, non lo è».

«Oh sì che lo è».

«D'accordo».

Sorridendo, mi voltai e mi incamminai verso le scale, sotto lo sguardo confuso di Bill.

Appena arrivai davanti alla camera di Georg bussai un paio di volte e il rosso mi venne subito ad aprire.

«Hey» mi sorrise.

«C'è Tom lì con te?» domandai. Georg annuì incerto e si voltò all'interno della sua stanza, chiamando il chitarrista. Il moro uscì osservandomi incuriosito. Ultimamente non capitava tutti i giorni che fossi io a cercarlo. «Vai ad aiutare tuo fratello di sotto a fare l'albero?» gli proposi.

Lui sbattè un po' di volte le palpebre, come se cercasse di capire quello che gli avevo appena detto.

«Ehm, adesso sono occupato» rispose grattandosi il collo com'era solito fare quando si trovava in difficoltà.

La cosa mi fece sorridere.

Gli presi delicatamente la mano e gliela accarezzai con dolcezza, facendogli trattenere il respiro.

«Tuo fratello ne sarebbe contento. Pensa che sei arrabbiato con lui» sussurrai.

«Io non sono arrabbiato con lui» borbottò voltandosi di lato ma senza staccare la mano dalle mie che continuavano ad accarezzargliela.

Era caldissima a contatto con la mia e per un momento ebbi il lontano pensiero di abbracciarlo, portarlo in camera e sentirmi di nuovo sua.

Mi mancava il suo contatto.

Mi mancavano i suoi baci, i suoi abbracci, le sue carezze, i suoi respiri sulla mia pelle.

Mi mancava tutto di lui e mi diedi della stupida per essermi rovinata con le mie stesse mani.

«Allora scendi con me... e fai l'albero insieme a noi. Può sembrare una stupidata ma per Bill significherebbe tantissimo» riuscii a rispondere non appena ripresi il controllo.

Lui sospirò guardandomi attentamente negli occhi e poi abbassò lo sguardo sforzando un sorrisetto.

«Tu hai sempre fatto di tutto per farmi riappacificare con gli altri, qui dentro. Penso che senza di te, a quest'ora...» cominciò dolcemente ma io gli posai due dita sulle labbra, cosa che mi provocò nuovi brividi lungo la schiena.

«Non devi dire grazie a me. Devi dire grazie a te che sei capace di mettere da parte l'orgoglio quando occorre. Ti confesso che ti invidio» sussurrai distogliendo lo sguardo, logicamente alludendo alla situazione attuale tra me e lui. Quando rialzai lo sguardo vidi che mi stava sorridendo. «Dai, scendiamo» mi salvai da quell'improvvisa situazione imbarazzante, tirandolo delicatamente dalla mano giù per le scale.

Arrivammo in salotto e mi schiarii la voce per catturare l'attenzione di Bill, intento ad appendere alcune palline sull'albero.

«Hai bisogno di una mano?» chiese Tom sorridendo.

Bill ne rimase sorpreso ma ricambiò lo sguardo, posandolo per un attimo su di me.

Io, in risposta, gli feci l'occhiolino.

Bill distese le sue labbra in un sorriso sereno ed annuì lievemente.

Tom gli si avvicinò e cominciò ad aiutarlo ad appendere le palline sull'abete.

Improvvisamente lo sguardo mi cadde sul suo collo e, con un tuffo al cuore, notai che la collana con il ciondolo a forma di cuore spezzato, corrispondente al mio, ce l'aveva ancora lì.

Nella sua testa non riusciva ad accettare la cosa.

Io l'avevo tolta e gettata nel cassetto come una stupida insensibile.

Chiusi gli occhi respirando a fondo, trattenendo le lacrime.

Basta, volevo di nuovo Tom.

«Tom, dopo ti... ti posso parlare?» gli chiesi timidamente.

Lui alzò lo sguardo su di me, piuttosto incuriosito.

Proprio in quel momento il campanello suonò.

Sospirando andai ad aprire e notai con piacere che era Hellen.

«Hellen!» esclamò Bill appena la vide e le corse in contro, lasciando l'albero nelle mani di suo fratello che sorrise scuotendo la testa.

Dopo averla salutata mi avvicinai al moro.

Bill ed Hellen avevano cominciato a parlare e nessuno li poteva più staccare l'uno dall'altra.

«Mi chiedo quando si deciderà mio fratello a saltarle addosso» ridacchiò Tom tenendo lo sguardo basso e continuando ad appendere le palline.

Cominciai ad aiutarlo anch'io.

«Lo sai meglio di me che non è il tipo» ribattei.

«Sì, ma continuando così non avrà mai uno straccio di ragazza».

«Dagli il suo tempo».

«Non pensi che vent'anni siano stati abbastanza?».

«Non tutti vogliono andare dritti al sodo come te, Tom».

Lo vidi arrossire, rifiutandosi di guardarmi.

Io mi schiarii la gola imbarazzata e non dissi altro, facendo finta di nulla.

Tra noi era calato un silenzio decisamente preoccupante.

Odiavo quei momenti.

«Ehm, di che mi volevi parlare?» riprese lui dopo un po'.

Il mio cuore fece un ennesima capovolta.

«Allora, che fate qua?» esclamò Hellen facendo irruzione in salotto, saltellante, assieme a Bill.

Io e Tom ci guardammo ancora qualche secondo.

Dovevo rimandare anche quella volta.

Quante volte ancora avrei dovuto farlo?

Ci sarebbe sempre stato per me?

Sbuffai leggermente, attirando l'attenzione di tutti e tre.

«Niente, vado un attimo di sopra» dissi alzandomi e salendo le scale.

Scossi la testa, non potevo andare avanti così.

Dovevo dirlo a Tom che lo volevo, ma sembrava che gli altri si mettessero in mezzo a noi apposta!

Il nervoso non faceva altro che salire, quando sentii una presenza alle mie spalle.

Mi voltai e trovai Tom davanti a me.

«Hey, che hai? Ti ho visto strana» mi sorrise. Io abbassai lo sguardo negando con un sorriso appena accennato. «Sicura? Mi volevi dire qualcosa» continuò con una dolcezza disarmante.

«Sì, effettivamente ti dovevo dire una cosa... però te ne vorrei parlare in tranquillità e con più calma» risposi tremante.

«Se vuoi ne possiamo parlare ora in camera nostra... cioè mia... cioè... vabbè, hai capito» balbettò diventando di un colore decisamente troppo scuro per lui.

Io deglutii ed annuii seguendolo fino alla porta.

Posò la mano sulla maniglia e quando l'aprì entrambi sobbalzammo.

«Oddio!» strillai coprendomi gli occhi dalla vergogna.

Tom aveva spalancato gli occhi sbattendo di nuovo la porta con velocità.

Io tenevo ancora le mani sul mio viso, sapendo perfettamente di essere diventata bordeaux.

«Ma che cazzo ci fanno lì?!» esclamò Tom respirando con affanno.

«E che ne so!» ribattei nuovamente.

Se vi dicessi che all'interno di quella camera avevamo colto in flagrante Georg ed Anna che...

«Facevano sesso in camera mia! Sul mio letto!» si lamentò Tom piuttosto disgustato mentre scendevamo di corsa le scale.

«Non ne parlare adesso davanti agli altri» borbottai.

«Devo riprendermi. Che schifo, l'hobbit che faceva sesso. Sul mio letto poi! Vado a fumarmi una sigaretta che è meglio» continuò fino ad uscire dallo studio con un pacchetto di sigarette in mano.

Effettivamente quella visione era stata per me parecchio scioccante.

Entrai in salotto dove trovai Hellen e Bill che chiacchieravano animatamente.

L'albero era finalmente terminato ed era venuto davvero bene.

«Come mai quella faccia sconvolta?» mi domandò Hellen non appena si voltò verso di me.

Io scossi la testa facendo segno di lasciar perdere con la mano mentre mi sedevo sul divano.

«Sembra che hai visto Georg fare sesso» commentò Bill divertito.

Io mi immobilizzai ad osservarlo con occhi sgranati.

«Ok, vado a farmi una camomilla» borbottai alzandomi di nuovo ed entrando in cucina.

Senza neanche saperlo ci aveva preso.

Preparai la camomilla e, mentre aspettavo che l'acqua bollisse, mi appoggiai al davanzale della finestra, osservando Tom da dietro il vetro che si appannava lentamente del mio respiro.

Fumava con tranquillità ed... eleganza.

Riusciva a rendere tutto quello che faceva meraviglioso, persino un semplice aspirare del fumo.

Vidi la pelle d'oca farsi spazio sulle mie braccia.

Non avevo ancora avuto modo di parlargli.

Eravamo stati interrotti per l'ennesima volta.

Che fosse un segno?

Quello che volevo fare, ovvero parlargli e tornare con lui, era uno sbaglio?

Tom si voltò verso la finestra e, appena mi vide osservarlo, mi sorrise dolcemente.

Un sorriso così tenero, così privo di malizia, che mi fece letteralmente sciogliere.

No, non poteva essere uno sbaglio.

Tom non era uno sbaglio.

Era la persona più dolce, più importante per me.

Me l'ero strappata via senza pensarci.

Ma non potevo vivere senza di lui, non potevo starci lontana.

Gli avrei parlato.

Prima di Natale avrei dovuto sicuramente farlo e avevo solamente un giorno di tempo.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


capitolo 16

Capitolo 16


«Scusami, hai ragione, non avrei dovuto. Però, insomma, lo sai meglio di me che in quei momenti non ci si riesce a controllare e... non sono stato molto ad assicurarmi che quella fosse la mia stanza».

Il rossore di Georg aveva di gran lunga superato i suoi capelli.

Se ne stava a testa china davanti a Tom, che lo guardava con aria di rimprovero ma divertita allo stesso tempo.

Io me ne stavo seduta sul divano affianco e stavo cercando di soffocare delle risate decisamente fuori luogo.

«Sì, lo so. Beh, però che non succeda più» concluse Tom, stravaccato sull'altro divano.

Georg annuì ripetutamente dispiaciuto. Mi faceva addirittura tenerezza.

Poi si voltò verso di me.

«Scusa anche a te, Sara... insomma, in quel letto ci devi dormire tu» balbettò imbarazzato.

Senza accorgermene arrossii.

«Oh, beh, tranquillo, cambiare le lenzuola non è un problema» ridacchiai impacciata.

La sua pelle, dal rosso, sfumò verso il bordeaux in pochissimi secondi.

Decise di togliere il disturbo salendo le scale.

Anna, subito dopo quell'imprevisto era andata via velocemente, provando una vergogna non quantificabile.

Io forse avrei reagito anche peggio.

Rapita dai miei pensieri, non mi accorsi che io e Tom eravamo rimasti nuovamente soli in salotto.

Bill era uscito. Voleva comprare un regalo ad Hellen, dato che era la vigilia di Natale.

Il motivo l'aveva tralasciato, ma non era difficile arrivarci.

Molto probabilmente anche Hellen era in giro per Amburgo alla ricerca di qualcosa di carino da regalargli.

Già me la immaginavo in tutta la sua agitazione.

Io intanto cercavo un modo per parlare con Tom.

Ogni volta che ci provavo, puntualmente venivamo interrotti.

Ma io mi ero ripromessa di chiarire prima di Natale ed avevo ancora solo mezza giornata davanti.

Quella poteva essere l'occasione.

«Tom, ti posso parlare?» gli chiesi proprio nel momento in cui in salotto fece irruzione Gustav.

«Tom, ti vuole David» annunciò il biondino.

Io mi morsi la lingua per non cominciare ad imprecare contro di lui che, poverino, non c'entrava nulla.

Tom mi guardò qualche secondo e poi si rivolse a Gustav.

«Ehm, sì, arrivo subito. Tu mi dovevi dire qualcosa di importante o possiamo rimandare?» chiese poi rivolto verso di me.

Io scossi la testa reprimendo la volontà di prenderlo e baciarlo una volta per tutte.

«No, tranquillo. Nulla di importante» sussurrai cercando di risultare convincente.

Lui annuì sorridendo e poi si alzò dal divano, dirigendosi in cucina dove si trovava David.

Io sbuffai buttandomi a peso morto contro lo schienale del divano.

Sentivo gli occhi di Gustav scrutarmi attentamente.

«Che hai?» mi domandò sedendosi al posto di Tom.

«Nulla» risposi mogia, senza guardarlo.

«Sono arrivato al momento sbagliato?» indagò.

Molto probabilmente aveva capito quali erano le mie intenzioni con Tom da giorni ormai.

Se ne erano accorti tutti tranne il diretto interessato.

Mi sembrava di tornare ai primi tempi, quando nessuno dei due riusciva a dichiararsi all'altro per l'eccessivo orgoglio.

«Mentirei se ti dicessi di no» gli sorrisi imbarazzata.

«Scusami, ma David doveva parlare a Tom di una cosa urgente».

«Hey, non preoccuparti GusGus, non è colpa tua».

Gli sorrisi alzandomi dal divano.

Gli stampai un bacio sulla guancia e salii le scale.

Sbuffai per l'ennesima volta mentre una lacrima solcava il mio viso.


*


Erano le undici e mezza di sera, del 24 Dicembre e io me ne stavo rannicchiata a piangere sotto le coperte, abbracciata al cuscino.

Tirai su col naso e sospirai. Non ero riuscita a parlare a Tom, alla fine ci avevo rinunciato a priori.

Mi alzai dal letto asciugandomi le lacrime ed aprii il cassetto del mio comodino.

Con un tuffo al cuore notai che la mia collana col cuore spezzato non c'era più.

Cominciai a frugarvi meglio dentro mentre l'agitazione cresceva.

Dov'era andata a finire? Chi poteva averla presa?

Non poteva essere sparita, non poteva qualcuno avermi privato di quell'oggetto così importante per me, nonostante tutto.

L'avevo tolta, era vero, ma ci tenevo comunque tantissimo nel profondo.

Avevo sbagliato tutto.

Possibile che ero così maldestra? Così stupida?

Mi odiavo, mi odiavo da morire e me lo sarei ripetuto fino alla fine.

Diedi una manata al comodino ed uscii dalla stanza: sapevo che i ragazzi mi stavano aspettando per festeggiare assieme il Natale. Sicuramente il mio umore non era dei migliori per affrontare una festività che teoricamente dovrebbe portare armonia.

Scesi le scale ed arrivai in salotto dov'erano tutti seduti per terra, sul tappeto, attorno all'albero di Natale: Bill, Tom, Georg, Gustav, David e Isy.

Hellen ed Anna, ovviamente avrebbero festeggiato con la loro famiglia.

La cosa che più mi metteva tristezza era il fatto che il giorno dopo Bill e Tom sarebbero andati a casa di Simone per festeggiare anche con lei e Gordon.

Io non sarei potuta andare. Non facevo più parte della loro famiglia.

Anche Georg e Gustav il giorno seguente sarebbero andati a casa loro.

Io molto probabilmente sarei rimasta da sola allo studio di registrazione.

O magari Hellen avrebbe avuto la compassione di chiamarmi per andare a passare una “bella” giornata a casa sua.

Non appena varcai la soglia del salotto, tutti quanti si voltarono verso di me sorridendomi.

Sapevo di avere ancora la pelle irritata e rossa per le troppe lacrime e che loro se ne sarebbero accorti molto presto, ma cercai lo stesso di fare finta di nulla e ricambiai il sorriso.

«Possiamo aprire i regali finalmente!» esclamò Bill battendo freneticamente le mani come una bambina entusiasta della sua bambola.

«Tieni, rompiscatole» sorrise Gustav porgendogli un pacchetto blu con le stelle argento.

Bill emise un urletto da prima donna e scartò con cura il regalo.

«Oddio, che bella!» esclamò il vocalist alzando con le mani una maglietta, tipicamente stretta e nera, con dei motivi gotici su di essa in argento. «Grazie mille GusGus!» disse contento il moro saltando addosso al batterista ed abbracciandolo calorosamente.

A quel punto fu il turno di Georg e Gustav, poi Georg e Bill, Tom e Gustav, Georg e Tom... insomma, nessuno più mancava.

Io avevo ricevuto un bellissimo maglione viola di Armani da Bill, un libro molto interessante da Gustav, un costosissimo giubbotto in pelle nero da Georg, un'enorme trousse per i trucchi da Isy e una cintura D&G da David.

Tutto bellissimo... ne ero contenta. Ma Tom?

Mi aveva guardato con un sorriso quasi imbarazzato, passandosi una mano dietro al collo.

Non aveva niente per me. Non che mi interessasse il regalo in sé.

Ma almeno da un gesto si poteva capire che almeno un po' ci teneva ancora a me.

I miei regali erano stati graditi da tutti, persino da lui.

Gli avevo comprato una maglia e una felpa da hip hop della Los Angeles, come piacevano a lui.

Lui per me niente. Dovevo aspettarmelo.

Forse anche lui credeva che io non gli avrei regalato nulla.

Più andavo avanti e più mi sentivo una stupida illusa.

Tutte le mie speranze andavano a farsi fottere.

Basta, Tom non era più cosa mia e dovevo accettarlo.

«Ragazzi, vorremmo darvi un annuncio» esortò improvvisamente David, risvegliandomi dai miei pensieri. «Io ed Isy... insomma è già da un po' che ne parlavamo. Il discorso usciva fuori sempre con battute e per scherzo, fino a che non lo abbiamo preso seriamente» continuò.

Fece una pausa mentre io e il resto del gruppo li osservavamo attendendo il succo del discorso.

David ed Isy si guardarono sorridendo e poi si voltarono di nuovo esclamando due semplici parole dal significato enorme: «Ci sposiamo!».

Bill sputò l'acqua che stava momentaneamente sorseggiando, prendendo a tossire convulsamente.

Tom era rimasto a bocca aperta.

Gustav dava delle pacche sulla schiena del vocalist cercando di farlo riprendere.

Georg fissava quasi impassibile la coppia davanti a sé, per poi dire semplicemente: «Ma veramente?».

Isy e David scoppiarono a ridere piuttosto divertiti dalla reazione di tutti quanti.

«Sì! Me l'ha chiesto questa mattina, appena mi sono svegliata!» esclamò Isy con le lacrime agli occhi ed il sorriso più solare e sincero che le avessi mai visto fare. «Figurati come l'ho presa, ancora nel mondo dei sogni!» aggiunse entusiasta.

In effetti era stata una cosa piuttosto bizzarra ma molto carina.

Ero davvero contenta per loro due.

Per Isy soprattutto. Lei, alla quale era sempre stato negato l'amore della figlia.

Lei che mi aveva aiutato in molte situazioni di difficoltà.

Io che la ritenevo quasi come una mamma per me.

Decisamente magnifico.

Mi alzai automaticamente andando ad abbracciarla.

«Sono davvero contenta per te» sussurrai stringendola ad occhi chiusi.

«Grazie, tesoro» rispose lei con lo stesso tono, ricambiando quel gesto affettuoso.

Tutti i ragazzi, me compresa, abbracciarono anche David nei quali occhi si poteva leggere la più sincera felicità di questo mondo. Se lo meritavano.

Avevano il diritto di essere felici insieme.

Loro lo avevano.

Sorrisi amaramente abbassando lo sguardo verso il pavimento mentre un'improvvisa sensazione di malinconia mi pervase.

Le voci e i rumori attorno a me erano diventi un'eco lontana.

Le immagini le vedevo più sfocate.

La mia mente rifletteva solo lui, ma non il “lui” in salotto che sorrideva della bella notizia.

Bensì il “lui” che mi guardava intensamente negli occhi, trasmettendomi una marea di emozioni troppo grandi e pericolose da recepire tutte insieme.

Abbassai le palpebre lentamente cercando di cancellare quell'immagine, ma niente.

Riaprii gli occhi.

«Direi che dobbiamo festeggiare anche questo evento!» esclamò Georg alzando un bicchiere pieno di champagne.

Tutti quanti seguimmo il suo esempio facendo la stessa cosa, per poi portare i bicchieri alle labbra e bevendone il contenuto frizzantino.

Posai di nuovo il bicchiere sul tavolino e, mentre gli altri se la chiacchieravano animatamente, decisi di uscire silenziosamente dallo studio di registrazione.

Richiusi la porta e mi appostai in giardino.

Le mani nelle tasche dell'enorme cappotto bianco, la sciarpa attorno al collo.

Il fumo gelido che usciva dalle mie labbra ad ogni mio respiro.

La temperatura doveva trovarsi di tanto sotto lo zero, ma in quel momento non sentivo nulla.

Guardavo la Luna sopra di me, chiedendole il perchè.

Il perchè di tutte quelle mie sofferenze.

Il perchè della mia stupidità.

Il perchè non riuscivo a trovare la mia vera felicità.

O se la trovavo, per quale motivo non riuscivo a tenermela stretta, come la mia relazione con Tom.

Tutti ci riuscivano, io no. Dovevo essere connaturata male, era l'unica spiegazione.

Ero destinata a vivere incompleta, non del tutto soddisfatta e felice.

Dovevo sempre avere un vuoto nella mia vita, in aggiunta a tutti quelli che avevo già: mamma e papà.

Potevo crearmi una mia famiglia?

Non ne avevo mai avuta una e quindi non potevo neanche crearla per me?

Dovevo ritenermi una fallita?

Chiusi gli occhi e sussurrai una sola parola, con le lacrime agli occhi: «Aiutami...».

Attraverso la brezza fredda che lentamente mi scompigliò i capelli, sentii una presa leggera e dolce ai miei fianchi.

Un'improvviso calore si diffuse lungo il mio corpo, proprio da quei due punti, su cui le sue mani si erano posate.

Potevo riconoscerle ovunque.

Spalancai gli occhi umidi e mi voltai verso l'unica persona che per me realmente contava più di chiunque altro.

Davanti a me Tom.

I suoi occhi, le sue labbra inclinate in un sorriso dolce e timido, la sua espressione profonda e tenera.

Le sue mani mi presero delicatamente il volto accarezzandomi la pelle con i pollici.

«Che fai qui tutta sola?» sussurrò quel tanto che bastò per farmi rabbrividire, ma non per il freddo, mentre il suo respiro, che sapeva ancora di champagne, mi solleticava il viso.

Boccheggiai per qualche secondo e poi mi decisi a rispondere: «Niente, avevo voglia di isolarmi un pò».

«In questi giorni sei un po' strana» mi sorrise con dolcezza.

«I miei soliti sbalzi d'umore» risposi come ipnotizzata dalle sue labbra che si muovevano lentamente assieme al piercing ad ogni sua parola, mentre il fumo freddo del suo respiro raggiungeva le mie.

«Sapevo che mi avresti risposto così» rise lievemente.

Un fiocco di neve improvvisamente si posò sulla sua spalla.

La osservammo per poi alzare lo sguardo al cielo che ne stava rilasciando una quantità infinita che cadeva leggera su di noi.

Tornò a guardarmi sorridendo.

«Sei un libro aperto per me, piccola» sussurrò con voce roca mentre le sue dita mi prendevano con delicatezza il mento. Il mio cuore faceva infiniti salti mortali e temevo che prima o poi sarei svenuta tra le sue braccia. «Ti osservo sempre. Sei perennemente catturata dai miei occhi anche se sembra che sto guardando altro» continuò mentre io non capivo dove voleva arrivare. «Ti ho vista quando piangevi in camera» rabbrividii. «Ti ho vista quando sei rimasta sorpresa della collana che ancora porto al collo. Ti ho vista quando mi guardavi da dietro la finestra. Come hai cercato in questi giorni di parlarmi ma non ci sei mai riuscita». Ero rimasta piacevolmente sorpresa e catturata dalle sue parole. «La mia attenzione è sempre rivolta a te... come il mio cuore». A quel punto le gambe non me le sentivo più. O meglio, me le sentivo di gelatina. «A proposito di cuori...» disse improvvisamente frugando nella tasca dei suoi jeans oversize. Notai che aveva tirato fuori la collana che non riuscivo a trovare qualche ora prima. «Questa credo sia tua» sussurrò.

«Tom...» balbettai incredula.

«L'ho presa io perchè... mi dispiaceva vederla in quel cassetto e... credo che a te stia decisamente meglio» disse alzandomi i capelli e spostandomi di poco la sciarpa per allacciarmela al collo.

Aveva capito tutto.

Aveva capito che intenzioni avevo da un po' di giorni.

Aveva capito che senza di lui non potevo stare e che lo amavo troppo.

Una volta allacciata, le lacrime cominciarono a scorrere sul mio viso.

Piccole gocce che lui scacciò subito con delicatezza, avvicinando il mio volto al suo.

Potevo ancora guardarlo negli occhi ad una distanza minima, mentre sorrideva sereno.

«Io ti amo, piccolina mia» sussurrò sulle mie labbra.

Il mio cuore prese a battere a massima velocità mentre mi stringevo a lui e annullavo la distanza che ancora c'era tra di noi.

Sentii le sue braccia avvolgermi completamente e le sue labbra calde di nuovo a contatto con le mie, dopo tanto, troppo, tempo.

Ormai le lacrime era impossibile frenarle.

Sentivo una gioia crescente ed infinita dentro di me. Volevo urlare al mondo intero la mia contentezza.

Le sue labbra si erano dischiuse leggermente, catturando le mie che si incastrarono alla perfezione con le sue.

Niente di più. Solo un semplice e casto bacio.

Sembrava avesse quasi paura di cercare un qualcosa di più profondo.

Si era accontentato di quello.

Presi io l'iniziativa inumidendogli leggermente le labbra.

Lo sentii sorridere senza staccarsi da me ed accettare la richiesta indiretta.

E finalmente approfondimmo quel bacio tanto agognato, tanto aspettato con impazienza.

Potevo sentire di nuovo il gusto inconfondibile di lui. Il più buono del mondo.

Sembrava che ci stessimo baciando per la prima volta. Nessuno dei due dava segno di volersi staccare dall'altro.

Troppe cose avevamo da dirci, anche attraverso ad un semplice bacio.

Alla fine fummo costretti a staccarci per riprendere aria.

Eravamo entrambi rossi in faccia. Il freddo era diventato un ricordo lontano.

«Anche io ti amo, Tom. Non ho mai smesso di farlo» sussurrai in risposta alla sua affermazione di qualche minuto prima.

Lui mi sorrise.

«Avrei un paio di cose da darti. Non mi sono dimenticato dei tuoi regali di Natale» disse frugando di nuovo nelle sue tasche.

Io sgranai appena gli occhi.

«Addirittura più di uno?» chiesi sorpresa semplicemente per il fatto che in realtà al regalo per me ci aveva pensato.

Lui annuì entusiasta tirando fuori due buste rettangolari.

Me ne porse una e mi incoraggiò ad aprirla.

Io obbedii e, con mia sorpresa, ne scoprii un biglietto aereo.

«Parigi?» chiesi guardandolo incredula.

«Hai voglia di venirci sola con me questo fine settimana?» mi chiese con gli occhi lucidi, quasi timoroso di una mia risposta negativa.

Io non ci pensai due volte e lo abbracciai ridendo contenta.

«Certo che ci vengo, Tom. Certo» esclamai dandogli un bacio sul collo.

Lui mi strinse ancora qualche secondo per poi allontanarsi leggermente.

«Ultima cosa... importante» disse agitato.

Avevo il fiato corto e mi chiesi cos'altro ci potesse essere di così bello.

Tirò fuori dalla felpa un qualcosa che non riuscii a vedere subito, che teneva chiuso nel pugno della mano.

La osservai mentre lentamente si apriva.

«Oddio... Tom» sussurrai sorpresa ed emozionata.

Due fedine in oro bianco, semplici, ma le più belle che avessi mai visto.

«Ti piacciono?» mi chiese Tom timidamente.

«Tom, sono meravigliose!» esclamai incredula.

Mai mi sarei aspettata una cosa del genere da parte sua.

Lui non era tipo da cose troppo impegnative.

Un anello avrebbe fatto capire a chiunque glielo avrebbe visto addosso che era impegnato.

Segnava un qualcosa di fisso, duraturo.

A lui quelle parole il più delle volte spaventavano ma mi stava dimostrando il contrario.

Ovviamente me lo aveva già dimostrato nel momento in cui aveva accettato il bambino.

Stava in un certo senso maturando sotto quel tipo di aspetto.

Mi prese la mano e mi infilò la fedina... con lentezza disarmante, quasi volesse godersi secondo per secondo quel momento.

Le mie dita tremavano nella sua presa e la cosa lo fece sorridere accarezzandomi la mano.

Quando toccò a me fui parecchio impacciata, quasi non riuscivo a centrare il suo dito.

Ma alla fine ce la feci, con l'aiuto di Tom.

«Ti amo» sussurrammo di nuovo, contemporaneamente, sigillando tutto quanto con un bacio sotto i fiocchi di neve che, incessanti cadevano su di noi, mentre la Luna, alla quale avevo chiesto aiuto, sembrava ci guardasse sorridendo.

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Ringrazio di cuore:

Aury_Kaulitz

layla the punkprincess

Zucchelino

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


capitolo 17

Capitolo 17


Da un bel po' di settimane a quella parte non sapevo più cosa volesse dire svegliarsi col sorriso, accanto alla persona che si ama, desiderando di rimanere ancora a letto, stretta ad essa, per ricevere tutte le coccole di cui si ha bisogno.

Finalmente, dopo tanto, avevo riscoperto tali emozioni. Semplici all'apparenza ma più che gratificanti nel profondo.

Non riuscivo a trovare cosa più bella che svegliarsi assieme alla persona più importante della tua vita.

Nell'affrontare assieme la nuova giornata, sin dalla sua nascita.

Nel guardarsi negli occhi nel preciso momento in cui questi si aprono per la prima volta nella giornata.

Il sorridersi teneramente, complici. Sarei potuta rimanere così a vita.

Gli occhi di Tom, appena sveglio, erano ancora più dolci ed indifesi.

Più calorosi e bisognosi di affetto.

Affetto che non richiedeva mai direttamente, ma indirettamente e che, come sempre, gli veniva meritatamente dato.

Ricevere affetto è bello, ma poterne dare e veder sorridere la persona interessata è stupendo.

Passavo delicatamente le mie dita sulla pelle liscia del volto di Tom, tracciandone ogni contorno, ogni dettaglio.

Il suo profumo mi inebriava i sensi mandandomi in estasi.

Le mie capacità intellettive... ecco che venivano annientate.

Possibile che mi facesse ancora quell'effetto?

Mi avvicinai e gli baciai leggermente, senza svegliarlo, la tempia calda.

Potei notare la sua pelle rabbrividire a quel contatto e le sue labbra piegarsi leggermente in un sorriso che, in quel momento, assomigliava più a una smorfia dolce.

«Buon giorno, piccola» sussurrò con voce roca e ancora rotta dal sonno.

«Scusami, non volevo svegliarti» mi scusai subito dispiaciuta.

Lo vidi aprire gli occhi e piantarli sui miei, cosa che mi fece ribaltare lo stomaco.

«Ero in dormi veglia» mi sorrise rassicurante.

Io ricambiai quell'espressione e gli accarezzai il viso.

Lui mi prese delicatamente da dietro il collo e mi fece abbassare verso di lui, per baciarmi sulle labbra.

«Buon giorno» ridacchiai gradendo quel risveglio così piacevole.

Si voltò a pancia in su e si stiracchiò sbadigliando lievemente, mentre io appoggiavo la testa sul cuscino e lo osservavo rapita.

Troppo bello, decisamente troppo bello.

«Sei contenta che andiamo a casa di mia madre per il pranzo di Natale?» mi domandò tornando a guardarmi, voltato su un fianco e tenendo la testa appoggiata alla mano.

Io trattenni il fiato.

«Vengo anche io?» domandai sorpresa.

«Certo che vieni anche tu, stiamo di nuovo insieme... e poi ci saresti venuta comunque, in ogni caso» rispose tranquillizzandomi.

«Ma... tua madre sa di noi due? Che, insomma, ci eravamo lasciati per un certo periodo?» chiesi di nuovo timidamente.

«Che tu mi hai lasciato» sottolineò divertito.

«Beh, quello!» esclamai infastidita, facendolo ridere ancora di più.

Poi scosse la testa.

«No, sa solo del...» rispose ma si fermò. Non riusciva a pronunciare la parola “bambino”.

«Gliel'hai detto tu?» mi informai.

«No, amore. È venuta a scoprirlo in un modo veramente squallido: dai giornali».

Io spalancai gli occhi e dischiusi leggermente le labbra.

«Non ci posso credere...» commentai schifata.

«Lasciamo perdere. Adesso non parliamo di questo, è Natale, ci amiamo e dobbiamo essere di buon umore!» esclamò sorridendo. Io annuii.

«Hai ragione» risposi saltandogli addosso e baciandolo su tutti i punti del viso che riuscissi a trovare, sotto le sue risate.

«Forza, piccola, vestiti che andiamo da mamma e Gordon... così ti faccio conoscere anche Scotty. Sono sicuro che gli piacerai».


*


Appena scesi dalla macchina, un cane di media taglia, bianco e nero, mi saltò addosso facendomi le feste.

Io sorrisi sorpresa da quel tipo di accoglienza.

«Scotty! Scendi che la sporchi tutta!» ridacchiò Tom, facendo posare le zampe del cane a terra. Quest'ultimo fece la stessa cosa con il padrone che accettò con entusiasmo le sue feste. «Visto? L'avevo detto io che gli saresti subito piaciuta. Com'è successo con il suo padrone» mi sorrise Tom teneramente.

Io arrossii e poi mi lasciai prendere per mano da lui che mi guidò fino alla porta di casa.

Era un'enorme villa circondata dal verde, davvero molto bella vista da fuori.

Alle nostre spalle Bill borbottava cercando di tener fermo Scotty, mano a mano che avanzava verso di noi.

Tom suonò il campanello e la porta venne presto aperta, rivelando dietro essa una Simone entusiasta e felice di rivederci.

«Tesori miei!» esclamò la donna abbracciando Tom che la strinse forte a sé, chiudendo gli occhi.

Era come un senso di liberazione per lui.

Si sentiva ancora mortificato per il fatto che sua madre fosse venuta a sapere del bambino dai giornali, senza un minimo di riguardo da parte di tali persone così superficiali e fredde.

«Buon Natale, mamma» sorrise Bill abbracciandola a sua volta.

Infine Simone posò lo sguardo su di me e si illuminò in un sorriso che nascondeva una vena malinconica.

Senza dubbio di dispiacere.

Si avvicinò accogliendomi tra le sue braccia e baciandomi il capo.

«Ciao, tesoro» mi salutò.

«Ciao, Simone» risposi sospirando.

Per un attimo mi sentii bene e rincuorata.

Mi mancavano il suo abbraccio e le sue dimostrazioni d'affetto.

Entrammo in casa e, una volta posati i cappotti, Simone ci invitò ad entrare in cucina dove trovammo seduto a tavola un uomo - dedussi fosse Gordon - che guardava la televisione.

Appena ci vide sorrise e si alzò venendoci in contro.

Salutò i gemelli e poi strinse la mano a me, presentandosi.

«Finalmente questo “stallone” mi porta a casa una fidanzata ufficiale» commentò sorridendo soddisfatto.

Potei notare che la pelle di Tom aveva preso una sfumatura bordeaux.

«Oh mio Dio, anche le fedine» esclamò la madre con i lucciconi ed un certo orgoglio per suo figlio che, finalmente, sembrava aver messo la testa “apposto”. Io sorrisi raggiante annuendo contenta. «Che figlio meraviglioso che ho fatto!» si compiacque Simone.

«Hey, esisto anche io» borbottò Bill, imbronciato, incrociando le braccia al petto.

«Ma certo, tesoro, scusa. Ero presa dall'euforia per tuo fratello e Sara» si giustificò la donna, piuttosto imbarazzata. «Ah!» esclamò poi correndo in salotto. Tornò qualche secondo dopo con un sacchetto. Cominciò a frugarvi dentro e ne tirò fuori tre pacchetti regalo. «Questo è per Bill. Questo per Tom e questo per te, cara» sorrise consegnandoci uno ad uno i rispettivi pensierini.

«Oh, grazie Simone! Mi hai preso in contro piede, io non ho niente» dissi in imbarazzo ed impacciata.

«Figurati, tesoro, non mi devi niente. Mi basta il fatto che rendi felice mio figlio» rispose con dolcezza infinita, cosa che mi fece commuovere nello stesso istante in cui sentii la mano di Tom trovare la mia ed accarezzarmela. «Buon Natale» augurò poi a tutti e tre, invitandoci a scartare i regali.

Ci impegnammo subito per farlo.

Il pacchetto di Tom conteneva una bellissima sciarpa bianca e nera, chiamata Kefiah, che era solito usare ultimamente, molto utilizzata nella cultura hip hop.

Quello di Bill conteneva un paio di boxer D&G, per il quale era sempre andato pazzo.

Il mio un bellissimo completino intimo, da notte, composto da canottiera con le spalline sottili e degli slip con un piccolo pizzo.

Il tutto di colore bianco, candido.

Tutti e tre ringraziammo contenti, schioccando sonori baci sul viso di Simone che ridacchiava divertita.

«Bene, ora mangiamo?» chiese sorridente Gordon, massaggiandosi la pancia.


*


«E qui Tom si era appena fatto la pipì addosso!» rise di gusto Simone, seduta affianco a me, sfogliando l'album delle fotografie posato sulle sue gambe. La foto ritraeva un piccolo Tom che piangeva, mentre era visibile una macchia molto grande sui suoi pantaloni. «Si vergognava talmente tanto che è rimasto un'intera giornata con i pantaloni bagnati, senza dire niente a nessuno. E questa foto l'ha scattata Bill, per quello si è messo a piangere» sorrise ancora la donna, ricordando il vecchio episodio con nostalgia.

«Sì, e Bill era stato davvero crudele con me» borbottò Tom, piuttosto in imbarazzo dato il suo rossore sulle gote, seduto sul divano affianco a suo fratello.

«Mi dovevo vendicare della padellata in testa che mi avevi dato quella mattina, solamente perchè non ti avevo passato i Cereali» rispose a tono Bill.

«Mi avevi fatto innervosire. Tu mi mangiavi con quell'espressione odiosamente soddisfatta in faccia!» si difese Tom.

Simone ridacchiò scuotendo la testa e continuò a sfogliare l'album.

Tanti episodi bellissimi. Erano tutti lì.

Doveva essere una cosa stupenda possedere un album di fotografie, così da poter ricordare tutti i momenti memorabili della tua vita.

Io non ne avevo mai avuto uno. E non potevo neanche averne.

La mia situazione non era mai stata così tranquilla e serena da poterla immortalare con una fotografia.

Mi avrebbe fatto male rivedere mio padre attaccato ad una bottiglia di birra o, peggio, mia madre sdraiata a terra sotto l'effetto della droga.

Non avrei voluto ricordarle, anzi, avrei dovuto cancellarle completamente dalla mia mente, anche se era piuttosto difficile.

«Comunque sono tutti bellissimi ricordi» concluse Simone chiudendo l'album e poggiandolo sul tavolino di fronte a noi. «Devo ammettere che se non avessi avuto questi due pazzoidi in casa, non mi sarei divertita!» ridacchiò poi.

«Ecco, ringraziaci» si vantò Bill ricevendo uno scappellotto dietro al collo, da parte di suo fratello.


Tom e Bill erano in giardino a giocare con Scotty.

Era da tanto che non lo vedevano ed entrambi sentivano la sua mancanza.

Era un animale davvero affettuoso e di compagnia.

Simone era invece rimasta con me in cucina, mentre Gordon era sul divano a guardare la tv, in salotto.

La donna posò una tazzina con del caffè dentro, sul tavolo, davanti a me.

«Grazie» sorrisi prendendola e sorseggiando un po' del liquido caldo.

Simone mi scrutò per qualche secondo con attenzione.

«Come stai?» mi chiese premurosa.

«Io? Bene» risposi sorpresa da tale domanda.

«Mi riferisco a ciò che ti è successo» chiarì lei.

Io mi incupii ed abbassai lo sguardo sul tavolo, deglutendo a fatica.

«Beh, da quel lato lì... male. Perdere un bambino è la cosa più brutta che possa capitare e non lo auguro a nessuno, neanche al più cattivo» mi confidai.

«Io non l'ho mai provato, ma lo immagino. D'altronde sono madre e posso capire. Se hai bisogno di parlare con me, anche se so che non sono nessuno, io ci sono, tesoro».

Quelle parole, per quanto semplici, mi arrivarono dritte al cuore, come una scarica elettrica.

«Grazie, Simone. Non è vero che tu non sei nessuno. Tu sei un'importante punto di riferimento per me. E poi sei la madre del ragazzo che amo... mi sembra abbastanza» le sorrisi e lei ricambiò.

«Sono felice che mio figlio abbia trovato una ragazza come te, sul serio» sussurrò venendomi ad abbracciare. Io chiusi gli occhi e la strinsi a mia volta, godendomi quel tepore e quell'affetto che raramente ricevevo da una donna che potesse essere mia madre. «Ti voglio bene».

Il mio stomaco fece una capovolta a quell'ultima affermazione.

Mi aveva detto che mi voleva bene?

Davvero o me l'ero sognato?

Mai nessuno me l'aveva detto, apparte Tom.

Un gran magone si fece di nuovo sentire nella mia gola e dovetti combattere contro le mie stesse lacrime per non farle uscire.

Strinsi più forte Simone a me e, con voce tremante ma convinta, le risposi: «Anche io ti voglio bene».


*


Tom guidava tranquillo verso lo studio di registrazione.

Avevo sempre avuto un'adorazione per la sua guida, così calma e sicura.

Quasi non mi accorgevo di trovarmi in macchina, era davvero bravo.

Spostai lo sguardo sullo specchietto affianco a me e notai che Bill, alle nostre spalle, stava dormendo come un ghiro.

Era più che comprensibile, d'altronde era mezzanotte passata.

Ci eravamo trattenuti a lungo a casa dei gemelli.

Chiacchierando con Simone e Gordon il tempo era volato in un baleno, senza che ce ne accorgessimo.

Osservai Tom, per controllare che fosse ancora sveglio. Il viaggio era piuttosto lungo.

«Amore, tutto apposto? Vuoi che guidi io?» gli chiesi premurosa.

Lui si voltò verso di me e mi sorrise con tenerezza.

«No, piccola, tranquilla» rispose con tono basso, per non svegliare suo fratello.

«E' crollato» sussurrai alludendo a Bill. Tom annuì dolcemente, guardandolo attraverso lo specchietto retrovisore. «Sono stata davvero bene oggi» aggiunsi posando di nuovo gli occhi su di lui.

«Sono contento che ti trovi bene con la mia famiglia».

«Beh, è la famiglia che non ho mai avuto... come potrebbe non piacermi? Ti confesso una cosa... a volte provo invidia. Ma non invidia negativa. Semplicemente vorrei poter avere anch'io quello che avete avuto tu e Bill e che avete tutt'ora».

«Lo so, piccolina, e mi dispiace da morire... però ci siamo noi adesso».

«Certo, e lo sai che per me valete più di chiunque altro. Però, insomma, è anche normale che a volte vorrei poter anch'io prendere la macchina ed andare fuori città a trovare i miei. A farteli conoscere... insomma... queste cose tradizionali e semplici che però ti danno grande gioia».

Allungò una mano verso la mia che strinse, posandovi delle dolci carezze.

«Perchè non provi a riallacciare i rapporti con tua madre?» mi domandò. «Io credo che adesso tu ne abbia veramente bisogno... è Natale, hai appena avuto un grosso dispiacere per il bambino. Secondo me lei è la donna più adatta a te in questo momento» continuò.

«Sembra facile dirlo. Anche io da una parte vorrei farlo, ma dall'altra c'è qualcosa che mi blocca... è la rabbia. È troppo grande in questo momento. Quando la rabbia passerà e se passerà, allora forse sarò pronta a dare un po' di spazio anche a mia madre nella mia vita» risposi. Tom rimase in silenzio, ma sapevo che mi aveva capito alla perfezione. Era l'unico che ci riusciva davvero. Ecco perchè confidarsi con lui era sempre un qualcosa di inevitabile per me. Mi sentivo subito meglio, più leggera e soprattutto capita. «Domani dobbiamo preparare le valige» dissi dopo un po' con entusiasmo. Tom mi sorrise.

«Già, non vedo l'ora... partire insieme... io e te. Dopo tutto quello che è successo ci vuole proprio. E poi... ho... ho un'infinita voglia di te che neanche ti puoi immaginare» sussurrò con voce sensuale e quasi imbarazzata allo stesso tempo. Io arrossii.

Era da un po' che non me lo diceva così esplicitamente.

Se avessi potuto, se non ci fosse stato Bill in macchina, sicuramente lo avrei fatto accostare per poi farlo mio di nuovo, dopo tanto tempo.

Anche a me mancava, era una cosa insopportabile.

Non seppi cosa rispondere e quindi rimasi zitta.


Improvvisamente cominciai a sentirlo sbadigliare regolarmente ed ogni tanto mi giravo a dare una controllata, fino a che non notai che stava cominciando a chiudere gli occhi.

«Hey, Tom. Dai, accosta, guido io» gli dissi dolcemente.

«Ma no, piccola, non preoccuparti, sono sveglio» biascicò riscuotendo in me delle risatine.

«Sì, come no, dai» lo incoraggiai e lui, sorridendo, fece come gli avevo ordinato.

Scendemmo dalla macchina e facemmo il giro, scambiandoci i posti.

Una volta allacciati la cintura, misi in moto. Era strano guidare la macchina di Tom.

«Trattala bene la mia bambina, mi raccomando. È la prima volta che la affido ad una donna» mi disse piuttosto preoccupato.

«Oh, insomma, mica te la distruggo» sospirai.

«Sarà, ma le donne alla guida sono pericolose» borbottò.

«Zitto e dormi se sei stanco» ridacchiai.

Lui sorrise e chiuse gli occhi. Quanto era dolce. In pochi secondi si era già addormentato.

Ogni tanto lo osservavo con la coda dell'occhio, continuando a ripetermi nella mente quanto fossi innamorata di lui ogni giorno di più.

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Ringrazio tutte le lettrici e le nuove ^^ :

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NICEGIRL

Grazie veramente, sono contenta che continuiate a seguire questa storia e che ogni tanto si presentino nuove lettrici, mi fa davvero molto piacere ^^

Bacioni <3

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


capitolo 18

Capitolo 18


«Questo è il Paradiso» sussurrai estasiata.

Io e Tom eravamo appena atterrati a Parigi, la bellissima città dell'amore, o almeno così dicono.

Era il periodo natalizio e le strade erano adornate di stupende luci e addobbi.

Ne eravamo circondati ed osservavamo tutto quanto con espressioni estasiate.

Seduti sul taxi che ci stava conducendo al nostro albergo, ci guardavamo attorno, attraverso i finestrini oscurati.

Tom doveva comunque stare attento a non farsi riconoscere, i Tokio Hotel erano davvero famosi anche in Francia.

Mi voltai verso di lui e gli sorrisi.

«Ti ho già ringraziato, vero?» gli chiesi entusiasta.

«Almeno trenta volte» ridacchiò lui in risposta.

«Credo non sia mai abbastanza» commentai.

«Penso che stasera mi ringrazierai come si deve» sussurrò arrivando a sfiorare le mie labbra, mentre una scarica elettrica mi attraversava la colonna vertebrale.

«Porcellino» sorrisi.

«Uomo» mi corresse.

Dopo qualche minuto ancora, finalmente, arrivammo davanti ad un enorme albergo a cinque stelle.

Tom se lo poteva ovviamente permettere.

Indossò gli occhiali da sole e scendemmo insieme dalla macchina.

Tom recuperò il piccolo borsone che ci eravamo portati dietro, contenente sia i miei che i suoi vestiti.

Poteva bastare, d'altronde la nostra piccola vacanza avrebbe sfruttato solo il fine settimana, poi saremmo dovuti tornare alla vita di tutti i giorni. Per quel motivo ce la volevamo godere a pieno.

Entrammo e ci avviammo alla reception.

Tom sistemò alcune cose con la proprietaria, intimandole di non riferire a nessuno della sua permanenza in quell'albergo.

Poi si fece dare le chiavi della nostra camera e, prendendomi per mano, mi guidò verso l'ascensore.

Salimmo fino ad arrivare proprio all'ultimo piano. Più eravamo appartati, meglio era.

Attraversammo il corridoio trovandoci di fronte all'ultima porta che in pochi secondi Tom aprì.

Non mi era mai capitato di vedere una camera d'albergo così bella, lussuosa ed appariscente.

Un letto matrimoniale al centro di essa, molto alto e con i materassi più comodi che io avessi mai provato; un'enorme armadio sulla destra con un grosso specchio sulle ante; due comodini ai lati del materasso; un lungo tavolo davanti ad esso, munito di televisione a schermo piatto; alle spalle del letto una finestra che dava su un terrazzino, dal quale si poteva ammirare la bellezza di Parigi, specialmente se illuminata di notte.

Mi voltai verso Tom e, avvolgendogli le braccia attorno al collo, lo baciai con tenerezza.

Lui buttò a terra il borsone senza troppi complimenti e mi abbracciò accarezzandomi la schiena mentre ricambiava quel bacio.

«Mi mancava stare da sola con te» gli confessai chiudendo gli occhi estasiata, a causa dei suoi continui baci sul collo.

«Non sai quanto a me...» rispose passando le sue labbra sul mio mento, fino ad arrivare di nuovo alla mia bocca.

Poi sorrisi e lo allontanai delicatamente con una mano sul suo petto.

Mi guardò tirando in fuori il labbro inferiore, regalandomi un'espressione implorante e tenera allo stesso tempo.

«A tempo debito» gli feci l'occhiolino. «Prima voglio farmi una passeggiata con te per Parigi. È sempre stato il mio sogno da quando ci siamo messi insieme poter semplicemente camminare per mano come due veri fidanzati» aggiunsi diventando bordeaux per quella confessione.

Lui sorrise, comprendendo il mio imbarazzo, e mi diede un ultimo bacio stampo.

«Non ti devi vergognare, piccola. Hai ragione. Scusa se sono sempre così orso» ridacchiò.

«Non sei per niente orso e lo sai» risposi.

«Allora andiamo?» mi domandò entusiasta.

Io annuii e lo seguii fuori dalla stanza.

In ascensore Tom mandò un messaggio a suo fratello per fargli sapere che eravamo arrivati e che stavamo andando a farci un giro. Nello stesso istante mi arrivò un messaggio di Hellen che voleva sapere se era tutto apposto.

Io la rassicurai, proponendole di approfittare della nostra assenza per andare a fare un po' di compagnia a Bill che invece soffriva di solitudine senza suo fratello.

In risposta ricevetti prima un “Vaffanculo!” e, qualche secondo più tardi, un “Se avrò tempo lo farò”.

Io sorrisi scuotendo la testa. La conoscevo fin troppo bene.

Una volta fuori dall'albergo Tom mi prese per mano, incrociando le nostre dita, e prendemmo a camminare.

Le strade erano davvero affollate e ciò ci trasmetteva calore e serenità.

Il cielo era già più scuro, dato che erano le sei di sera.

Ci facemmo tante belle foto, davanti a vetrine, alberi di Natale, fontane... forse avrei potuto cominciare un album fotografico anche io, per la prima volta nella mia vita.

Tom era pazzo. Forse quel fine settimana da soli ci avrebbe fatto bene.

Stavo scoprendo piccole cose nuove di lui che, per assurdo, in un anno di relazione ancora non avevo conosciuto.

Ad esempio, la dolcezza nel tenermi per mano accarezzandomela ogni tanto, senza neanche accorgersene.

L'entusiasmo nel portarmi vicino a vetrine o monumenti di Parigi.

La serenità nel chiacchierare animatamente e facendomi ridere ogni due secondi.

Il suo prendere in giro, di tanto in tanto, passanti bizzarri, senza farsi notare.

Il suo animo giocherellone nel nascondersi e farmi scherzi divertenti.

Il volermi scattare foto in qualsiasi posto, o scattarle a tutti e due, insieme.

Cose semplici e normali che fino a quel momento non avevamo mai potuto fare a causa del suo lavoro.

Anche lui sembrava entusiasta di aver riscoperto un lato della sua vita che gli mancava: il poter vivere normalmente.

«Oddio, che bello quel vestito!» esclamai ad un tratto indicando una vetrina che metteva in mostra un bellissimo abito nero, molto semplice, con brillantini non troppo appariscenti lungo esso.

Tom lo guardò qualche secondo e sorrise.

«Vieni» mi disse tirandomi per mano, verso il negozio.

«Cosa? No no!» esclamai impuntandomi e tirandolo dalla parte opposta.

«Non fare la stupida, vieni!» ridacchiò riuscendo a trascinarmi nel negozio. «Bonsoir» mise in pratica il suo francese scolastico.

Una commessa ci accolse sorridendo. «Do you speak english?» domandò Tom arreso al fatto di non riuscire a spiccicare parola in quella lingua, cosa che mi fece sorridere.

«Yes, can I help you?» rispose gentilmente la donna.

Tom annuì e si voltò ad indicare il vestito che mi piaceva.

«She would like to try that black dress in the shop window» le riferì.

La commessa si avvicinò all'abito e, indicandolo, domandò: «This one?». Tom annuì e lei lo prese per poi porgermelo. «Here» mi sorrise.

Io, ringraziandola imbarazzata e guardando per un attimo Tom, mi andai a chiudere nel camerino.

Era tremendo quel ragazzo. Dovevo imparare a starmene zitta o si sarebbe messo a svuotare tutti i negozi di qualsiasi città.

Certo, mi faceva piacere. Però mi metteva anche in imbarazzo.

Mi spogliai ed indossai quel vestito stupendo.

Mi ammirai qualche secondo allo specchio e poi decisi di uscire per chiedere un parere a Tom.

Lo guardai timidamente domandandogli: «Come ti sembra?».

Lui mi osservò dalla testa ai piedi con la bocca leggermente dischiusa.

Sembrava mi stesse facendo la radiografia ed automaticamente arrossii.

«Sei bellissima» sorrise.

Volevo andarmi a nascondere dalla vergogna.

«Potresti commentare l'abito e non me?» chiesi abbassando lo sguardo.

Lui mi si avvicinò e mi sollevò il viso con le mani.

«Hey, come mai oggi ti imbarazzi non appena ti faccio un complimento?» mi domandò dolcemente.

«Sarà che non ero più abituata» arrossii.

«Scemotta» mi baciò sulle labbra. «Comunque ti sta benissimo» continuò osservandomi nuovamente. «Te lo compro volentieri» aggiunse soddisfatto.

«No, Tom, dai, mi sento in colpa» borbottai.

«Perchè dovresti? Non ti posso fare un regalo?».

«Fosse solo uno...».

«Dai, cambiati che lo vado a pagare».

«Giuro che non farò più nessun commento su qualcosa che mi piace, d'ora in avanti».

Sentii Tom ridacchiare mentre mi richiudevo la tenda alle spalle.

Mi tolsi il vestito e glielo passai tirando fuori solo un braccio.

Mi rivestii e quando uscii lo trovai già col sacchetto in mano, ad aspettarmi.

Lo raggiunsi e mi prese di nuovo per mano.

«Merci» ringraziò la commessa per poi uscire dal negozio.

«Grazie» dissi intimidita, appoggiando la testa sulla sua spalla.

Lui mi avvolse le mie con un braccio e mi strinse continuando a camminare, mentre il mio braccio andava a finire intorno alla sua vita.

«Di niente. Te lo metti stasera» rispose.

Io lo guardai incuriosita.

«Per cosa?» domandai.

«Ti porto al ristorante» mi sorrise baciandomi la fronte.

Quel ragazzo era veramente una sorpresa ogni giorno di più.

«Ti amo decisamente troppo» sussurrai stringendomi di più a lui.

Decidemmo di tornare in albergo dopo ancora una mezz'ora di chiacchiere e tenerezze per la via della città.

Una volta in camera io sparii in bagno assieme al vestito che mi aveva regalato.

«Non metterci troppo» mi aveva sorriso sdraiandosi sul letto ed accendendo la tv.

Mi infilai nella doccia e, dieci minuti dopo, ero già fuori dal box ad asciugarmi e vestirmi.

Presi il phon e mi sistemai i capelli, piastrandomeli.

Decisi di truccarmi non troppo pesante: ombretto nero e sfumato, mascara e fondotinta.

Mi spruzzai al collo un po' di profumo, mi aggiustai la collana di Tom e sorrisi guardandomi allo specchio.

Sembrava fosse il mio primo appuntamento con lui.

A pensarci bene forse poteva quasi essere considerato tale.

Non eravamo mai andati effettivamente a cenare ad un ristorante da soli.

Sospirai e, dopo essermi infilata i tacchi ai piedi, uscii dal bagno.

Trovai Tom ancora spaparanzato sul letto, come lo avevo lasciato, che cercava di capire qualche parola di un programma francese alla tv. Sorrisi divertita.

«Ci stai capendo qualcosa?» domandai.

Lui si voltò sorpreso verso di me e rimase a fissarmi immobile.

«Oddio... sei...» balbettò mentre io mi avvicinavo a lui. Lo zittii abbassandomi e baciandolo sulle labbra. Quando mi staccai mi guardava come ipnotizzato – forse dal mio profumo, che a lui piaceva tanto – e si decise ad alzarsi. «A stasera potrei non arrivarci» sorrise scuotendo la testa. Io ridacchiai soddisfatta.

Lo osservai e rabbrividii per quanto era bello.

Vestito con una maglia bianca e dei jeans blu scuro, aveva indossato la felpa che gli avevo regalato io per Natale.

Si legò una bandana bianca, piegata a fascia, sulla fronte, per poi aggiustarsi i cornrows sulle spalle.

I miei occhi caddero sulla fedina che portava al dito ed automaticamente andai a toccare la mia.

«Andiamo» disse poi, una volta pronto.

Indossammo le nostre giacche, recuperai la borsa, ed uscimmo dalla stanza.


*


Il ristorante aveva delle luci molto calde, leggermente soffuse, che donavano una bellissima intimità all'ambiente.

I muri erano formati da pietre di ogni sfumatura del rosso.

Tom aveva scelto un tavolo in un angolo, molto appartato, per sentirci più a nostro agio.

Seduti uno di fronte all'altra, aspettavamo le ordinazioni.

Il mio sguardo era posato sul viso di Tom che, quando se ne accorse mi sorrise dolcemente.

«Che c'è, piccola?» mi domandò posando una mano sulla mia ed accarezzandomela con delicatezza sul tavolo.

Io scrollai le spalle scuotendo la testa.

«Niente... sono contenta. Insomma... non mi sembra ancora vero che siamo qui io e te, da soli» sorrisi.

«Anch'io sono contento» rispose teneramente, mentre arrivava la cameriera per prendere le ordinazioni.

Entrambi chiedemmo una bistecca impanata – la nostra preferita – e una birra.

Quando la cameriera se ne fu andata tornammo a guardarci.

«Sai... è da un po' che non parliamo io e te» riprese ad un tratto.

«In che senso?» domandai aggrottando le sopracciglia.

«Intendo... da quando hai perso il bambino» sussurrò ed io sobbalzai leggermente. «Non ti sei mai confidata con me e io non mi sono mai confidato con te, per le ragioni che sappiamo» continuò.

Io rimasi qualche secondo a riflettere in silenzio, poi decisi di rispondere.

«Hai ragione... beh... è difficile da spiegare...» cominciai.

«Provaci, anche per me lo è. Ma è importante che ne parliamo noi due, d'altronde siamo i diretti interessati» mi incoraggiò.

«Io l'avevo sentito.... l'avevo già sentito che se n'era andato, quando ho preso il colpo» sospirai chiudendo gli occhi qualche secondo per poi continuare. «E' stranissimo, ma è proprio vero che non appena diventi madre senti ogni cosa e capisci tanto della vita. Quando mi hai detto che era morto io... non ero sorpresa per il fatto che lo fosse, lo sapevo già. Più che altro è stato difficile accettare la cruda realtà. Fino all'ultimo volevo convincermi del fatto che le mie erano tutte sensazioni sbagliate anche se sapevo che non era così. Mi sono sentita divisa a metà. Mi sono sentita morta per metà». Tom mi strinse la mano poggiata sul tavolo. «E' orribile» conclusi.

«Anch'io mi sono sentito morto per metà. Non è la stessa cosa, ma la sensazione era quella. Mi sentivo in colpa... perchè era successo tutto a causa mia. Probabilmente se non ti avessi sbattuta fuori di casa, tutto questo non sarebbe accaduto. Sono stato uno stupido. Quando mi hanno comunicato del bambino ho iniziato a piangere, prendendo a pugni il muro davanti a me. Volevo distruggerlo, così come avevano distrutto il mio cuore. Avevo fatto una cosa buona finalmente nella mia vita e questa mi è stata portata subito via, ancora prima di godermela» abbassò lo sguardo e potei scorgere una lacrima cadere sulla tovaglia.

Allungai una mano verso il suo viso e glielo asciugai.

I suoi occhi lucidi si posarono di nuovo su di me, cercando conforto.

«Non è stata colpa tua, Tom. Il destino non lo puoi cambiare, si vede che doveva andare così» sussurrai.

Lo vidi riprendersi leggermente e rimanere un attimo in silenzio a pensare.

«Senti...» riprese dopo un po'. «Tu... insomma, tu... lo... lo rivorresti?» balbettò guardandomi impacciato.

Il mio stomaco fece una capovolta e mi venne automaticamente da sorridere.

Abbassai lo sguardo commossa da quella sua incredibile dolcezza e poi tornai a guardarlo.

«Sì... forse sì» risposi facendolo sorridere. «Ma non adesso» aggiunsi. «Ho paura. Vorrei riuscire a superare per bene questa cosa e poi... poi se vuoi...».

Tom annuì facendomi intendere che aveva capito.

«Tranquilla, piccola» disse.

«E tu lo vorresti?» gli domandai a mia volta, timida.

Mi sorrise e si sporse verso di me baciandomi. Non c'era bisogno di parole.

Lui era così. Per certi argomenti si imbarazzava e rispondeva in altri modi.

Ricambiai il sorriso e l'argomentò finì lì, proprio nel momento in cui tornò la cameriera con i nostri piatti.

Ad un tratto mi arrivò un messaggio sul cellulare e anche a Tom proprio qualche secondo dopo.

Dopo aver letto ci guardammo e, contenti, dicemmo all'unisono: «Si sono baciati».

Scoppiammo a ridere e ci scambiammo i cellulari.

Lessi il messaggio che Bill aveva mandato a suo fratello, contornato di tremila cuori, che diceva “Ci siamo baciati!”.

Lo stesso che Hellen aveva inviato a me.


*


Dopo qualche spallata e un paio di calci, Tom riuscì ad aprire la porta della nostra camera, senza mai staccare le labbra dalle mie. Avevamo una foga mai provata prima.

Sbatté di nuovo la porta con un piede mentre faceva vagare freneticamente le sue mani sul mio corpo e la sua bocca mi lasciava diversi succhiotti sul collo.

Avevamo fretta entrambi di averci e sentirci di nuovo, era passato troppo tempo.

Tom mi attaccò al muro, continuando a baciarmi, e pressò il suo bacino contro il mio, facendomi sentire quanto effettivamente aveva bisogno di me.

Le mie mani finirono sotto la sua maglia oversize, mentre con la lingua mi divertivo a stuzzicarlo sul collo e sulle labbra.

Lo sentivo sospirare pesantemente al mio orecchio, cosa che mi mandava fuori di testa.

Buttai a terra la sua maglia ma non feci in tempo a guardarlo in tutta la sua perfezione che mi prese il viso tra le mani e mi baciò di nuovo, quasi con violenza. Non potevo negare che mi piacesse.

Mi lasciai scappare un gemito sulle sue labbra, facendolo impazzire.

Mi prese in braccio e mi tenne ferma, contro il muro, mentre io gli avvolgevo la vita con le gambe.

Mentre mi sfilava il vestito, mi sorreggeva aiutandosi col bacino, peggiorando le mie condizioni mentali.

Le sue mani scorrevano sensualmente dall'orlo dell'abito, sulle mie gambe, fino ad arrivare ai miei slip con i quali prese a giocherellare, mentre mi mordeva una spalla.

Io scesi e camminai verso il letto matrimoniale, tirandolo a me per il collo e continuando a baciarlo.

Con una leggera spinta mi fece cadere sul materasso e me lo ritrovai subito sopra.

Quel suo modo di fare un po' “rozzo” ma dolce allo stesso tempo mi eccitava ancora di più.

Mi tolse velocemente il vestito, lanciandolo in un angolo non definito della stanza.

Con la lingua “disegnava” dei cerchi immaginari sul mio petto, superando il reggiseno che intanto cercava di slacciare, ed attraversando il mio ventre.

Si fermò una volta arrivato agli slip e tornò sul mio viso, facendomi impazzire.

Sapeva come farsi desiderare sempre di più, era decisamente bravo.

Le mie mani scesero sulla sua cintura che slacciai in pochi secondi, aiutata da lui.

Ben presto anche il mio reggiseno andò a far compagnia agli altri indumenti sul pavimento, così come gli slip.

Tom si sistemò meglio addosso a me e si slacciò frettolosamente i jeans.

Io sorrisi sulle sue labbra e lui fece lo stesso guardandomi con gli occhi socchiusi.

«Sai cosa vuol dire per me averti aspettato tutto questo tempo?» sussurrò togliendosi i pantaloni e i boxer contemporaneamente. Io ridacchiai.

Recuperò un preservativo ed eccoci di nuovo uniti.

A quell'immediato contatto chiusi gli occhi sorridendo e sospirando estasiata. Quanto mi era mancato... il suo odore, la sua pelle liscia, i suoi sospiri...

Anche lui gemette leggermente sul mio collo e, dopo avervi posato un tenero bacio, cominciò a muoversi dolcemente.

Era tutto il contrario di prima: la frenesia e la fretta erano cessate, lasciando spazio alla delicatezza e alla dolcezza.

Mi guardava dritto negli occhi, con espressione beata, accarezzandomi la fronte ed i capelli mentre i suoi movimenti continuavano.

Lo baciai sulle labbra, senza approfondire il contatto e richiusi gli occhi cominciando ad avvertire una bellissima sensazione che partiva dal basso ventre.

La stessa cosa cominciò a provarla lui, gemendo al mio orecchio e muovendosi più velocemente, fino a che non raggiungemmo assieme, oserei dire, il Paradiso.

Si abbandonò completamente sopra di me, riprendendo aria.

Stavamo entrambi ad occhi chiusi, ancora piacevolmente scossi.

«Sì, mi sei decisamente mancato...».

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Ringrazio:

_Radio Hysteria

Aury_Kaulitz

Lena_93

S3cr3tS_Myr3

Zucchelino

Lion of darkness


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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Capitolo 19

Capitolo 19


La fresca brezza mattutina mi accarezzava dolcemente le gote.

Il panorama parigino era spettacolare.

Di lì a pochi minuti saremmo dovuti tornare a Berlino.

Parigi mi sarebbe davvero mancata.

Improvvisamente potei godere di un profumo buonissimo, proveniente da dietro le mie spalle.

Sorrisi e mi voltai, rimanendo appoggiata alla ringhiera del terrazzino.

Tom mi guardava dolcemente, con un semplice asciugamano in vita, avvicinandosi a me.

Era appena uscito dalla doccia e il suo odore mi mandava fuori di testa.

Mi abbracciò ed io nascosi il viso nell'incavo del suo collo, respirando quella fragranza di vaniglia a pieni polmoni.

«Non hai freddo?» gli domandai premurosa.

Lui mi baciò il collo e rispose: «Sì» e si mise a ridere.

Io feci lo stesso scuotendo la testa e lo invitai a rientrare in camera.

Una volta richiusa la porta finestra, mi tirò da un laccio del mio accappatoio e mi fece sdraiare sul letto assieme a lui.

Mi accoccolai tra le sue braccia beandomi di quelle carezze così delicate, chiudendo gli occhi.

«Hey, piccolina, non ti addormentare che tra un po' dobbiamo ripartire» mi avvertì Tom, piuttosto divertito.

Io annuii borbottando qualcosa e sprofondando subito tra le braccia di Morfeo-Tom.


*


«Siamo a casa!» annunciò Tom, non appena varcammo la soglia.

Poggiò a terra il borsone e subito potemmo udire i passi “leggeri” di Bill che si precipitava giù per le scale.

Quando ci vide saltò in braccio a suo fratello.

«Meno male che sei tornato!» esclamò Bill.

Lo guardai meglio e spalancai gli occhi.

«Bill, ma che hai fatto ai capelli?» domandai sorpresa.

Lui si staccò da suo fratello e mi guardò con un sorriso a trentadue denti, sfoggiando la sua nuova cresta nera.

«Ti piace? Avevo voglia di cambiare un po', mi ero stufato dei dreadlocks» rispose soddisfatto.

Vidi Tom sorridere e scuotere la testa.

Proprio in quel momento scese Hellen per le scale ed io le corsi in contro abbracciandola.

«Sono davvero contenta per voi» fu la prima cosa che le sussurrai all'orecchio.

Lei ridacchiò intimidita e si staccò da me.

«Allora? Avete fatto buon viaggio?» ci domandò non appena furono arrivati anche Georg, Gustav, David ed Isy e ci fummo seduti sui divani.

«Sì, il viaggio in aereo è stato tranquillo» rispose Tom.

«Raccontateci tutto quello che avete fatto!» esclamò Bill entusiasta. Io e Tom ci guardammo ed automaticamente arrossimmo come due peperoni maturi. «Sì, vabbè, senza i particolari sconci» si affrettò ad aggiungere, notando le nostre espressioni.

«Siamo andati in giro per Parigi, abbiamo fatto un mucchio di foto, poi Tom mi ha comprato un bellissimo vestito e mi ha portata a cena in un ristorante» dissi emozionata al solo ricordo.

«Oooh, ma che romantico che sei diventato, Tomi» esclamò Georg, rapito.

Tom rise e gli lanciò addosso un cuscino.

«E' il regalo più bello che mi potesse fare» aggiunsi poi guardando sorridente il diretto interessato che abbassò lo sguardo imbarazzato ma contento.

Sapevo che davanti agli altri diventava sempre un po' più timido quando si faceva sapere delle cose dolci che faceva per me.

«Io tutte queste foto le voglio vedere e mettere in un album fotografico!» esclamò Hellen battendo velocemente le mani.

Si vedeva che Bill la stava contagiando.

«Le vedrai» ridacchiò Tom.

Proprio in quell'istante il campanello suonò.

Ci guardammo incuriositi e poi David si alzò andando ad aprire.

«E tu chi sei?» domandò l'uomo.

«Lee, signore».

Tutti quanti spalancammo gli occhi – io e Tom in particolare – e io mi alzai di scatto dal divano, seguita da lui.

«Che cazzo ci fai tu qui?!» urlai fuori di me, mentre Hellen si era affrettata a tenermi da dietro.

«Sono venuto a chiederti scusa» disse mortificato.

«Sparisci, prima che ti ammazzo con le mie mani!» urlò Tom con un tono decisamente più alto del mio, anche lui tenuto da David.

«Tom, stai calmo» lo ammonì il manager.

«Per colpa tua abbiamo perso un figlio, brutto stronzo!» continuò Tom, al quale si poteva già notare una vena pulsante sul collo.

«Hai ragione, ma non era previsto. Non l'ho fatto apposta» si difese Lee.

«Te l'avevo detto che ero incinta! Te lo avevo detto! E tu non ti sei fatto problemi a prendermi e sbattermi contro un albero, quindi non dire che non l'hai fatto apposta perchè ti potevi decisamente controllare! Basta, non ti voglio più vedere, esci dalla mia vita! Dalla nostra vita!» intervenni mentre le lacrime si stavano accumulando sui miei occhi.

Lee abbassò la testa ed annuì lentamente.

«D'accordo, uscirò dalla vostra vita. Ero venuto qui solo per dirvi che mi dispiace da morire per quello che ho fatto, non me lo perdonerò mai. Non volevo andasse a finire così. Chiedo scusa a tutti quanti. Addio» concluse voltandosi e sparendo dietro al cancello automatico.


*


La folla di ragazze urlava quasi istericamente.

Era da un po' che non sentivo di nuovo quella “dolcissima melodia”.

Sbuffai scuotendo la testa e tappandomi le orecchie, cercando di concentrarmi esclusivamente sul volto di Tom che, in un mondo tutto suo, suonava la sua chitarra elettrica, accompagnando la voce di Bill.

Erano tornati al lavoro ed io avevo ricominciato a seguirli in giro per il mondo.

Il mio lavoro, per forza di cose, l'avevo lasciato.

Come potevo andare avanti a farlo se saremmo dovuti stare sempre in viaggio?

Erano passati altri sei mesi ed io e Tom andavamo avanti sempre meglio.

Bill ed Hellen erano felici e spensierati e Georg ed Anna non erano da meno.

Finalmente la loro storia era diventata ufficiale ed Anna si faceva vedere senza problemi e soprattutto senza vergogna, ricordando l'ultimo episodio piuttosto imbarazzante.

Tre giorni dopo David ed Isy si sarebbero sposati ed eravamo tutti elettrizzati.

L'unico ancora single ma felice era Gustav.

Mi aveva sempre detto che da solo stava più che bene e che non sentiva il bisogno di cercare il grande amore.

Se era destino si sarebbe presentato a lui e lui lo avrebbe accolto a braccia aperte.

Mi piaceva la sua filosofia, ero d'accordo praticamente con tutto quello che diceva ogni volta.

Io, Hellen ed Anna, eravamo abbracciate, dietro alle quinte, dondolando da destra verso sinistra e viceversa, cantando orgogliose le canzoni dei nostri amori, mentre David teneva Isy abbracciata da dietro, accarezzandole di tanto in tanto il grosso pancione che le si era venuto a formare.

Presto sarebbe arrivato un piccolo Jost nella nostra famiglia.


*


«Sei emozionata?» domandai ad Isy, aiutandola ad allacciare dietro la schiena il suo bellissimo abito bianco.

«Sì, eppure non è la prima volta che mi sposo» rispose con le lacrime agli occhi ed un sorriso sereno sulle sue labbra. «Manca solo mia figlia...» sussurrò abbassando lo sguardo.

«Hey, se è destino che le cose devono arrivare, arrivano, tranquilla» la rassicurai alzandole il viso. «La rivedrai tua figlia» le sorrisi, riuscendo a metterla un po' più di buon umore. «E non piangere che ti cola tutto il trucco, devi arrivare bellissima da David!» ridacchiai, facendola sciogliere in una risatina.

Ci abbracciammo.

«Ti voglio bene, Isy».

«Anche io».


«Sta bene?» mi domandò Tom non appena mi andai a sistemare affianco a lui, nell'enorme chiesa gremita. Io annuii e lo baciai su una guancia. «Guarda David» ridacchiò poi. «Tra un po' sviene» aggiunse divertito, facendomi ridere leggermente.

«Dai non prenderlo in giro» sorrisi dandogli un colpetto sul braccio.

Non appena la marcia nuziale partì, tutti ci voltammo verso l'entrata della chiesa, dove trovammo un'Isy bellissima - ed incinta- , fare il suo ingresso emozionata.

Io e Tom ci stringemmo la mano emozionati ed il mio sguardo, automaticamente si spostò su David, che guardava la sua futura sposa con amore... tanto tanto amore.

Ad un tratto sentii Tom irrigidirsi.

Mi voltai verso di lui e seguii il suo sguardo, fino a che non capii chi stesse guardando.

In piedi, come noi, Andreas lo guardava sorridendo.

Tornai ad osservare Tom e sospirai rincuorata vedendo che sorrideva anche lui.

Tutto il rancore era riuscito a metterlo da parte e, senza farmi notare da lui, feci l'occhiolino ad Andreas.

Sapevo che sarebbe tornato tutto apposto.

«Grazie» sussurrò Tom senza staccare gli occhi da David.

«Non c'è di che» risposi con lo stesso tono basso e sorridendo soddisfatta.


*


David ed Isy erano partiti per il loro viaggio di nozze.

Bill era a casa di Hellen a fare chissà quale zozzeria.

Georg era a casa di Anna e Gustav era andato a farsi un giro in macchina, giusto per lasciare me e Tom un po' da soli.

Avevamo deciso di preparare una torta con cioccolato e panna.

Ogni tre secondi, con Tom, era una risata.

Era un impiastro ed io gli dovevo decisamente insegnare un bel po' di cose.

«Tom! Vacci piano con quella panna!» risi afferrandogli i polsi che stavano continuando a versare la panna spray, ricoprendo quasi per intero la torta.

«Il cioccolato non si vede neanche più, è tutta bianca!» continuai divertita.

Lui mi sorrise, prendendo un po' di cioccolato e sporcandomi il naso.

Io lo guardai fintamente indignata, con la bocca aperta, e ricambiai il gesto.

In pochi secondi la cucina era diventata un campo di battaglia.

Tra farina, uova, cioccolato e panna, nessuno poteva essere più imbrattato di noi.

Presi ad inseguirlo con il tubetto di panna puntatogli sulla schiena, mentre lui se la rideva con gusto.

Improvvisamente scivolò su un punto del pavimento ricoperto di panna e cadde a peso morto sul divano.

Nel mentre mi aveva afferrato furbescamente per il polso e mi aveva fatto cadere addosso a lui.

Scoppiammo a ridere.

«Uomo decisamente cattivo» soffiai sulle sue labbra, baciandolo.

Sapeva di cioccolato e panna, ovunque le mie labbra passassero.

La stessa cosa faceva lui, piuttosto divertito.

In pochi secondi eravamo stesi uno sopra l'altra su quel divano, completamente nudi.

Vidi che fece per prendere un preservativo ma io lo fermai.

Mi guardò incuriosito.

Io gli sorrisi facendo segno di “no” con la testa e lui capì, illuminandosi con gli occhi.

«Sicura?» mi chiese dolcemente ed emozionato.

Io annuii ed ecco che entrò in me lentamente e senza protezione.

Sicuramente era una sensazione del tutto diversa, più bella.

Lo sentivo più vicino e più mio.

Incrociammo le nostre dita e, baciandoci, ci amammo come mai avevamo fatto prima.


*


David vagava nervosamente avanti e indietro per quella sala d'aspetto.

Si potevano leggere sul suo volto un'infinità di emozioni differenti: preoccupazione, gioia, nervosismo, disperazione.

Tutti eravamo quasi commossi da tale comportamento.

Sapevamo quanto fosse felice ed emozionato che la sua Isy stesse per partorire.

Sarebbe diventato papà per la prima volta nella sua vita.

Chi l'avrebbe mai detto?

Ormai tutti ci avevamo perso le speranze.

Improvvisamente la porta si aprì e ne uscì un'ostetrica in camice verde.

«Sua moglie è pronta per partorire. Se volete assistere dovete indossare questi camici» annunciò mostrandoci altri camici uguali al suo.

«Io sì» si affrettò a dire David indossandone uno in pochi secondi.

Entrò velocemente, superando la dottoressa che rideva sotto i baffi.

Ci guardò e ci chiese se anche noi volessimo entrare.

Tutti quanti scuotemmo la testa.

Secondo noi era un momento di Isy e David.

Un momento di loro intimità e non dovevamo rovinarlo.

Quando la porta si richiuse io sospirai stringendo la mano a Tom.

Lui mi osservò sorridendo.

«Sei nervosa?» mi chiese accarezzandomi il ventre leggermente gonfio.

Eh già. Da quella fatidica volta sul divano, io e Tom ci eravamo riusciti di nuovo.

Mancavano ancora cinque mesi e sarebbe toccata a me.

Avevo paura.

Per prima cosa, di perdere di nuovo il bambino.

Certe esperienze ti segnano e ti rimangono a vita.

Per seconda cosa, il dolore.

«Un pochino» sussurrai. «Ma andrà tutto bene stavolta» sorrisi poi incoraggiandomi da sola.

Un nanosecondo dopo la mia affermazione, sentimmo un urlo acuto dall'altra parte della porta, proveniente da Isy.

Tutti eravamo rimasti con gli occhi sgranati ed a fissare il vuoto.

Deglutii non appena sentii altre urla che si susseguivano regolarmente.

Sembrava che la stessero scannando!

«Oddio» sussurrai.

Tom si voltò verso di me e mi accarezzò la mano.

«Dai, stai tranquilla» cercò di incoraggiarmi, ma era decisamente più agitato di me.

«Non voglio partorire» cominciai a balbettare.

«Cosa?! Ma non dirlo neanche per scherzo!» esclamò Tom guardandomi con terrore negli occhi.

«Tom, ti devo ricordare che ho una soglia del dolore molto ma molto bassa?» lo fulminai con lo sguardo.

«Ti devo ricordare che questo figlio lo vogliamo da molto ma molto tempo?» ribattè a tono.

Io rimasi un attimo in silenzio, mentre anche gli altri ragazzi mi guardavano incuriositi.

Alla fine sospirai.

«Hai ragione, non so cosa mi sia preso, scusa» sussurrai appoggiando la testa sulla sua spalla e ricevendo un bacio sulla tempia.

Un altro urlo si levò da dentro quella stanza.


*


«Sei uno spettacolo» sorrisi osservando un Tom intento a cambiare il pannolino al piccolo Jost, chiamato Daniel.

«Devo fare pratica, tra pochi giorni nascerà il nostro» rispose continuando a pulire accuratamente il piccolino.

«O la nostra» sorrisi accarezzandomi il ventre ormai grosso e basso, avvicinandomi a lui.

Sentivo che mancava veramente molto poco e la cosa mi eccitava e mi spaventava allo stesso tempo.

Eravamo pronti?

Troppo tardi per porsi delle domande.

Domande più che lecite ovviamente.

«Tu come ti senti?» mi chiese dandomi un bacio stampo e tornando a concentrarsi su Daniel.

«Direi abbastanza be...» mi bloccai di colpo.

Avevo sentito un forte dolore alla pancia, molto strano.

Poi, improvvisamente, una spiacevolissima sensazione di bagnato.

Vidi Tom abbassare lo sguardo per terra e spalancare gli occhi.

«Mi si sono rotte le acque» balbettai fissando il vuoto.

«Oh cazzo! David!!» Tom urlò quasi più agitato di me che intanto cominciavo a respirare con affanno, mano a mano che il dolore si faceva più forte. Al fasciatoio si precipitarono David, Bill ed Hellen, immaginando cosa potesse essere successo. «Le si sono rotte le acque!» esclamò di nuovo il moro.

«Portala in ospedale, muoviti! Io intanto vado a chiamare gli altri» disse David, agitato e correndo su per le scale.

Tom, aiutato da Bill, mi sorresse scortandomi fuori di casa, verso la sua macchina.

Hellen intanto aveva velocemente recuperato Daniel per riportarlo da Isy.

Tom mi aveva fatto salire sul sedile affianco al guidatore, Bill si era appostato dietro e subito ci raggiunse Hellen che salì vicino a lui.

Anche Tom si affrettò a salire e mettere in moto, per poi sgommare a tutta velocità fuori dalla villa.

«Sara, respira tranquilla come hai imparato al corso» mi disse Hellen con voce tremante dall'emozione.

Io cercai di seguire i suoi consigli ma mi risultava piuttosto difficile dato che il dolore che sentivo non l'avevo mai provato in vita mia.

Tom, come uno stupido – ragionevolmente stupido – si mise a respirare come me, per sostenermi, mentre guidava in modo decisamente pericoloso.

«Stupido minchione, non voglio morire, devo partorire!» urlai isterica.

«Tesoro, rischi di farmelo in macchina!» esclamò Tom preoccupato.

«Chissene frega della tua fottuta macchina! Voglio arrivare sana e salva, demente!» urlai di nuovo.

Tom si voltò verso di me con sguardo offeso.

«Tom, non preoccuparti, è tutto normale! Solitamente in questi momenti viene molto facile insultare il proprio compagno! Guida ed ignorala!» lo rassicurò Hellen.

«Devo mandarti a fanculo?» chiesi proprio a lei che alzò gli occhi al tettuccio della macchina, scuotendo la testa.

In pochi minuti arrivammo davanti all'ospedale ed io non ci capivo più niente.

Continuavo ad urlare e a respirare male.

Tom riuscì – non chiedetemi come – a prendermi in braccio e a posarmi sulla sedia a rotelle che gli avevano portato i medici, chiamati da Bill.

«Non lasciarmi da sola, sei scemo?!!» esclamai rivolta a Tom e stritolandogli la mano.

«Ma non mi sto neanche allontanando! Sto entrando con te! No che non ti lascio da sola, stupida!» ribattè agitato e seguendomi di corsa.

Quando lo fermarono per fargli indossare il camice, io cominciai ad urlare ancora di più con isteria, mentre i medici mi facevano sdraiare su uno strano lettino.

Mi spogliarono e mi fecero indossare una specie di pigiama bianco.

Sul ventre e sulle gambe posarono un telo verde e la cosa, per quanto minima, mi spaventò maggiormente.

«Tom! Voglio Tom! Dove cazzo è?!» urlai guardandomi freneticamente attorno.

«Sono qua, piccola, sono qua, stai tranquilla» cercò di rassicurarmi stringendomi una mano ed accarezzandomi la fronte già umida con l'altra.

«Non è abbastanza dilatata, dobbiamo tagliare» annunciò il medico, guardandomi in mezzo alle gambe.

«Come tagliare?!» domandò Tom con occhi sgranati.

«E' necessario» rispose frettolosamente l'uomo, sparendo con la testa sotto al telo.

«Ma porca di quella miseria, voglio una donna! Mi da fastidio che sto cafone mi smanetti in mezzo alle gambe!» esclamai improvvisamente.

«Shh, stai calma» mi ammonì Tom, senza staccare gli occhi allarmati dal telo.

«Fatto» disse il dottore tornando fuori. «Ora, signorina, mi segua. Respiri e spinga!» mi ordinò l'uomo ed io obbedii urlando come mai avevo fatto prima. «Spinga!» ripetè ed io stritolai la mano a Tom che non si lamentava, anzi, continuava ad incoraggiarmi accarezzandomi la fronte ormai completamente fradicia. «Ci siamo quasi!». Spinsi ancora con tutte le mie forze, stringendo gli occhi, fino a che non sentii un pianto liberatorio diffondersi in tutta la stanza. «E' una femmina!» esclamò il dottore, prendendo la bambina e portandola a tagliarle il cordone ombelicale.

Le lacrime cominciarono a scendere da sole e sorrisi riprendendo fiato.

Anche Tom piangeva, attaccando la sua fronte alla mia tempia e senza staccare la sua mano dalla mia.

«Sei stata bravissima, amore. Sei stata bravissima» continuava a ripetermi baciandomi la guancia a piccoli intervalli.

Mi illuminai vedendo una bambina piccolissima che veniva poggiata delicatamente sul mio cuore.

I nostri sguardi – il mio e della piccola – si incrociarono ed immediatamente in me scattò un qualcosa di automatico ed incredibilmente materno.

Una sensazione a me del tutto sconosciuta.

«Che bella» sussurrò Tom, continuando a piangere ed accarezzando delicatamente con un dito la manina della piccola che lo osservava curiosa e con la minuscola bocca socchiusa. «Vi amo immensamente» sussurrò poi abbracciandoci, facendo attenzione a non farle male, mentre posava le sue labbra sulla mia tempia.

Sentimmo bussare al vetro della finestrella ed alzammo lo sguardo.

Dietro ad essa David, Bill, Georg, Gustav, Hellen, Isy, Anna e Saki ci salutavano commossi e sorridenti.


Questa era la famiglia che avevo sempre desiderato.

Che non avevo mai avuto e che pensavo non sarebbe mai arrivata.

Potevo finalmente dire di aver trovato definitivamente la mia felicità, di poter cominciare un album fotografico della mia vita.

Giorno dopo giorno avrei vissuto con entusiasmo, con serenità e con tanto tanto amore... per Tom e per la piccola Lisa.


... The end!

Eccoci alla fine anche di questo sequel ^^

Spero davvero che vi sia piaciuto anche quest'ultimo capitolo ^^

Ringrazio immensamente tutte le persone che sono state tanto carine a commentare ogni volta, quelle che hanno solamente letto, quelle che hanno messo la storia tra i preferiti e le seguite...

grazie infinitamente!

Siete state davvero tutte fantastiche!

L'unica cosa che mi farebbe piacere in questo momento è trovare gli ultimi commenti su questo capitolo ^^

E' importante per me sapere se vi è piaciuto com'è finita la storia ^^

Se era questo il finale che vi aspettavate in qualche modo, se vi ha deluso...

insomma, qualsiasi cosa ^^

Vi saluto e vi faccio gli auguri per questo nuovo anno ^^

Io ho già festeggiato come una pazza e non riesco ancora ad andare a dormire nonostante io sia tornata adesso, alle 4 xD

Baci&abbracci <3

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