You Belong With Me

di Elepinkina
(/viewuser.php?uid=1366)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2. ***



Capitolo 1
*** 1 ***


[ATTENZIONE: la lettura di Bubblewrap prima di questa è altamente consigliata ma non indispensabile. Si potrebbe leggere anche durante questa come uno dei tanti flashback presenti.]
Protagonista di questa storia è ancora Liz (la ragazza nell'altra mia fanfic  Bubblewrap)che in qualche modo è il mio alter ego visto che lei ha ed è tutto quello che vorrei io. E' inglese, è una giovane organizzatrice di eventi ed è stata insieme a Dougie Poynter.

Questo è un mio personaggio di cui ho tutti i diritti perchè frutto della mia fantasia. Mentre tutte le altre persone non mi appartengono e non voglio con questo mio scritto insinuare loro azioni o altro.
E'
tutto frutto della mia fervida immaginazione.

I personaggi in questo capitolo sono:

Dougie
Frankie (Francesca Sandford)
Giovanna Falcone
Danny

Novembre 2009.

Erano passati più o meno 2 anni ormai da quando io e Dougie avevamo litigato e non ci eravamo più visti. Erano stati due anni difficili e allo stesso tempo pieni di cambiamenti nella mia vita e nella sua. Io ero finalmente riuscita a completare il mio master per diventare un’organizzatrice di eventi ed ora ero impegnata professionalmente. Lui aveva rilasciato l’album RADIO: Active con i McFly a fine 2008 e aveva finalmente conquistato colei che riempiva i muri di camera sua: Francesca Sandford.
Penserete che sia gelosa. Fatto sta che Francesca, o Frankie come si fa chiamare, non mi è mai piaciuta particolarmente. Avete presente quelle cose a pelle? Ecco, così. Anche se io personalmente non l’avevo mai incontrata. Facevo parte di un gruppo su Twitter che mi faceva sorridere ogni volta: le Anti-Frankie, così si facevano chiamare. Alcune di loro erano come me, ma la maggior parte erano di quelle convinte che lei avesse rovinato Dougie, che lui fosse più magro a causa sua ecc. Io no. Io ero semplicemente gelosa e basta. Lei poteva essere la migliore ragazza sulla terra ma io ero gelosa e per di più così, come ho già detto, non mi stava particolarmente simpatica.
Non era possibile comunque che un gruppo chiamato “LoveFrankie” mi aggiungesse. Per quale motivo? Non si capiva abbastanza che ero contro? Il profilo diceva che loro la amavano e che lei si meritava tutto quello che era riuscita a conquistare. Ma che cosa sono queste? Serpi? Io Francesca Sandford la odio. Sia chiaro.
Ogni tanto mi chiedo se abbiano fatto lo stesso con me. Probabilmente non sapevano esattamente il mio nome. Magari c’era l’Anti-tipa-che-sta-con-Dougie. Al pensiero rido di gusto.
In ogni caso me ne stavo in metropolitana a leggere su Twitter e rispondere a qualcuno. Il messaggio di Frankie apparve immediatamente:
“Ho appena ricevuto questi per l’anniversario!” e allegata una foto. Era un mazzo di fiori gialli.
Che schifo il giallo!. Pensai d’istinto. E poi fiori? Non aveva abbastanza fantasia per qualcosa di più?

***
«Dougie, dove mi stai portando?» risi mentre cercavo di sbirciare al di sotto della benda che avevo sugli occhi.
«Dai, non sbirciare, Liz!» mi prese le mani e mi stampò un bacio sulle labbra prima di tirarmi nuovamente in avanti.
«Lo sai che sono nata curiosa!» protestai, arricciando le labbra.
«Smettila di lamentarti che ci guardano tutti!» bisbigliò al mio orecchio. Ebbi un brivido giù per la schiena per quella sua vicinanza. Stavo insieme a questo ragazzo da ormai 4 anni e ancora mi faceva questo effetto.
«Ma come? Dove siamo?»
Lo sentii ridere ancora, ignorando la mia domanda. Un signore disse “Aventi, prego” e la mia curiosità crebbe ancora. Feci lentamente uno scalino non troppo alto e poco dopo il rumore di fuori si era leggermente attutito. Dougie abbandonò le mie mani e io mi sentii ancora più spaesata.
«Posso togliermi la benda ora?» feci per scostarla ma lui mi bloccò le mani.
«Aspetta ancora un attimo» mi fece sedere e lo sentii di fianco a me che affondava il viso nell’incavo del mio collo procurandomi brividi per tutto il corpo.
«Signor Douglas, non starai facendo atti osceni in luoghi pubblici, vero? Perché sai come la penso al riguardo.» risi. Lui rispose con una piccola risata. Lo conoscevo troppo bene.
«Ok. Ora la puoi togliere.»
Ci misi un po’ a rendermi conto di dov’ero. Non sulla terra ferma di certo, non con i miei piedi almeno. Eravamo in una delle cabine della London Eye, deserta. Probabilmente aveva pagato per questo trattamento, dovevo ricordarmi di ringraziarlo in seguito. Al momento però, l’unica cosa che mi importava era l’altezza. Io soffrivo tremendamente di vertigini.
«Douglas Lee Poynter, come ti è saltato in mente di portarmi quassù?» esclamai guardandolo. Lui mi sfoggiò uno di quei sorrisi dolci e mi fece alzare verso il vetro. Io continuavo a guardare in basso come ad assicurarmi che niente si sarebbe rotto e mi accorsi di tenergli stretto stretto il braccio per la manica.
«Liz, guarda davanti a te, non giù.» sussurrò al mio orecchio.
Bisogna dire che aveva ragione. Non che non lo sapessi, ma mi serviva sempre qualcuno che mi ricordasse come dovevo fare per sopravvivere in situazioni del genere. Davanti agli occhi mi si presentò Londra illuminata dal sole del tramonto.
«E’ splendida» dissi. Lo sentii mugolare contro il mio collo. Mi voltai verso di lui e lo baciai.
«E oltre al panorama che ho richiesto personalmente,» sorrise «C’è anche questo per te.» e sfilò dalla tasca dei pantaloni un astuccio nero lucido. Osservai quella scatola tra le sue mani e piano la presi, poi la sollevai e ci trovai un braccialetto d’oro rosato con 4 piccole gemme.
«4 anni insieme.» commentò, sfiorando le gemme con un dito. Alzai lo sguardo verso di lui con tutto il viso che sorrideva, lo sentivo.
«Grazie.» fu quasi un sussurro il mio. E osservai il suo viso allargarsi in un sorriso dolce prima di prendere il mio fra le sue mani e baciarmi. Quasi mi commossi.
«Ti amo, Liz.» mi disse guardandomi negli occhi «Sei la mia vita e non ti cambierei per nulla al mondo.»
***

Mi guardai il polso dove quel braccialetto stava da sempre. Quando ci eravamo consegnati le rispettive cose, me n’ero quasi dimenticata e poi avevo deciso di tenerlo per me. Dougie, in ogni caso, non aveva più chiesto niente.
Appena scesi cominciai a digitare numeri e a chiamare i vari agenti. Da un periodo ero spesso al telefono, dal Lunedì al Venerdì costantemente. Stavo organizzando una parte di Children In Need che è un’organizzazione no-profit che per chi fa questo lavoro è un sogno avere. Ovviamente non mi occupavo dell’intera manifestazione perché sarebbe stato impossibile. Avevo alcuni concerti nei dintorni di Londra. Uno fra questi purtroppo era presieduto proprio dalle The Saturdays.
Parlai con il loro agente per telefono proprio salendo le scale mobili. Il tipo era difficile, voleva le cose messe in un certo modo, che le sue ragazze disponessero del loro staff e quindi di più posto per cambiarsi e truccarsi. Che spirito di carità che aveva quest’uomo!.
Sbuffai e infilai l’iPhone nella borsa mentre mi dirigevo nello Starbucks di Picadilly Circus. Mi guardai intorno, ordinai un milkshake al cioccolato e mi sedetti ad uno dei pochi tavolini liberi. Poco dopo entrò Giovanna Falcone con un sorriso stampato in faccia.
«Oh, eccoti! Scusa per il ritardo!» mi disse subito e prima di sedersi mi diede due baci sulle guance.
Le sorrisi di rimando «Figurati, credevo di essere io quella in ritardo»
Ci incontravamo ogni Venerdì mattina per fare il punto delle nostre settimane. Io non avevo più sentito Dougie, ma con lei ero rimasta in contatto. Ci raccontavamo ogni problema, quanto il nostro lavoro ci facesse bene ma anche stancare. Adoravo sentirla parlare di Tom, delle cose che lui le faceva. Mi faceva venire in mente il periodo in cui potevo frequentarli tutti liberamente. Ed eravamo come una grande famiglia. Non più comunque.
«Ma dimmi di te!» esplose «Come sta andando il tuo miglior evento?»
«Il più importante vorrai dire!» risi «E’ dura ma mi piace stare al telefono, convincere, essere chiamata.»
Sorrise: «Beh, e come sono articolati? Si può sapere qualcosa?»
Annuii, sorseggiando il milkshake: «Abbiamo le Saturdays.» commentai cercando di rimanere il più impassibile possibile. Giovanna era diventata amica di Frankie, ovviamente. Ma conosceva me fin troppo bene.
«Ehm.. a stretto contatto, eh?» ridacchiò. E io la fulminai con uno sguardo.
«Dai!» Giovanna si lasciò andare ad una fragorosa risata «Comunque, sabato prossimo c’è un concerto dei McFly e ho un pass anche per te se vuoi.»
Scossi la testa.
«Oh, Liz non farti pregare come tutte le altre volte.»
«Non vado a vedere la coppia migliore del mondo.»
«Ehy nessuno li ha mai definiti la coppia migliore del mondo, questo lo pensi solo tu. E se proprio vuoi saperlo, lei non ci sarà.» mi fece l’occhiolino.
«Non centra niente.» scossi nuovamente la testa e guardai da un’altra parte.
Ora la voce di Gi si fece più dolce: «Senti, lo so che è difficile, ma anche Tom e Danny sarebbero contenti di vederti lì, e lo sai.»
Sbuffai «Va bene, dammi quel pass e ci penserò su.» allungai una mano a prenderlo, già decisa di darmi malata. Giovanna me lo porse, contenta.
«Ora scappo cara, Le Saturdays mi stanno facendo impazzire.» mi alzai e la salutai con due baci sulle guancie, dopo di che uscii da Starbucks.

«Pronto, Liz?»
«Mmm..» Era domenica e me ne stavo ancora a letto. Non sapevo nemmeno che ore fossero esattamente, ma stavo così bene che non avevo neppure la forza per formulare una parola né tantomeno capire chi c’era dall’altra parte del telefono.
«Liz.. ma ci sei?»
«Mmmm... chi sei?» riuscii a chiedere.
Ci fu una risata sguaiata dall’altra parte: «Come chi sono?! Danny! Chi vuoi che sia?»
Spalancai gli occhi di botto e mi tirai a sedere. Il sole entrava nella stanza dalle serrande poco abbassate.
«Danny! Che c’è? Che è successo? Perché mi chiami così presto?»
Altra risata. «Presto? E’ mezzogiorno, dormigliona. Non è che lavori troppo ultimamente?»
Mi strofinai gli occhi con una mano. «No... No.»
«Hai già fatto qualcosa per Natale?» chiese inaspettatamente.
«Che intendi dire?»
«Preparato L’albero, comprato le decorazioni... quelle cose lì.»
«Ah... no.» dissi distrattamente mentre osservavo gli scatoloni lasciati davanti ad un vaso in terra cotta dove la sera prima avevo cercato di mettere un piccolo alberello di plastica prima di lasciarmi andare ad un pianto nostalgico.
«Non so se hai letto su Twitter, ma Tom e Gi l’hanno decorato ieri notte e Frankie e Dougie sono della stessa idea.»
Certo che sentire il nome di Frankie appena sveglia non era il massimo.
«E quindi?» cercai di farlo stringere.
«Ti va di accompagnarmi a prenderne uno? Non mi va di andarci da solo e nemmeno di chiederlo a quelle coppiette così esaltate per questa festa.»
Stavo cercando una scusa plausibile per non andare ma lui aveva riattaccato dopo avermi avvertito che sarebbe arrivato a casa mia entro un’ora.
Mi girai ancora un paio di volte nel letto prima di decidere di alzarmi. Infilai i piedi nelle ciabatte vicino al letto e mi coprii velocemente con la vestaglia. Per me non era mai abbastanza caldo in quella casa.
Passai vicino allo scatolone con le palline di natale e gli diedi un calcio quasi come se mi avesse fatto un torto personale a starsene lì.
Mi infilai in doccia e ci rimasi per 15 minuti buoni per svegliarmi al meglio.

Girai la sciarpa intorno al collo un’altra volta e mi strinsi nel cappotto mentre uscivo da casa. Danny mi aspettava dentro la sua Mini. Dio, quanto adoravo quella macchina! Mi sarei sposata Danny all’istante solo per quella! Dentro ovviamente il riscaldamento andava al massimo, alla mia temperatura ideale.
Mi salutò tutto esultante da dietro gli occhiali da sole. Era sempre di quell’umore. Doveva essere successo proprio qualcosa di tremendamente triste o che lo avesse toccato nel profondo per vederlo giù. Come quando era finita con Olivia. Non sapevo chi dei due avesse mollato chi, ma lui era rimasto un po’ con il muso per due giorni. Non era un bello spettacolo, ve lo assicuro.
Io e Danny eravamo rimasti in contatto nonostante tutto quello che era successo con Dougie. Nonostante lui fosse un grande amico di Dougie. Ma come lui diceva di solito, alla fine io a lui non avevo fatto niente personalmente e io e lui ci divertivamo sempre. Spesso ero stata tentata di chiedergli se Dougie sapesse di queste nostre uscite, poi quando si era messo con Frankie, non ci avevo nemmeno più pensato.
«Sto organizzando Children In Need!» esclamai ad un certo punto per sovrastarlo mentre cantava a squarciagola una canzone di Bruce Springsteen.
Sobbalzò e poi spalanco gli occhi: «Ma è fantastico!! Gestisci tutta la manifestazione?» si mise a ridere e tamburellò il ritmo della canzone sul volante.
«No, solo alcuni concerti qui attorno.» risposi. «Ma sono entusiasta!!»
Danny annuì poco convinto per il puro divertimento di non darmi alcuna soddisfazione. Incrociai le braccia, imbronciata: «Beh, grande musicista mi scuso se la mia vita è così insignificante ai tuoi occhi.»
Lui rise di gusto ancora: «Siamo arrivati.»
Conoscevo bene quel posto. Ci andavano tutti quelli che volevano un albero vero in casa, e a Londra erano in molti. Forse era una moda incarnata dentro tutti noi e non lo sapevamo nemmeno.
Girovagammo fra i vari abeti, chiedendoci quale fosse il più adatto e soprattutto come lo avremo portato a casa di Danny. Di sicuro ci serviva una mano, se non un’altra macchina. Anche perché Danny era talmente geloso della sua mini che gli dispiaceva sporcarla di aghi. Ne scegliemmo uno molto alto e magro e che a me sinceramente non piaceva. Il gestore della serra offrì a Danny la possibilità di portarglielo direttamente a casa in due giorni e lui non se lo fece ripetere due volte. Firmò una carta e versò metà dei soldi.
Ce ne stavamo per andare quando fra gli abeti intravidi il viso di Frankie e il mio stomaco si chiuse violentemente ancora prima di incontrare lo sguardo di Dougie fisso su di me e completamente immobile.
Indossava dei jeans chiari e un piumino nero a quadri grigi e in testa un berretto verde, com’era solito fare da sempre. I capelli erano corti, anche se il ciuffo biondo gli cadeva fuori dal berretto quasi sopra agli occhi. I suoi occhi azzurri mi guardarono per quella che sembrò un’eternità e io dovetti distogliere lo sguardo e intrufolarmi fra gli alberi vari mentre Danny si avvicinava alla coppia per salutarli.

***
Mi piace questa uscita. Pensai mentre Dougie mi prendeva la mano inguantata e mi portava verso quella serra di Corringham. Andavamo lì ogni anno, anche se ora entrambi abitavamo separatamente a Londra. Lo compravamo per i miei e suoi genitori.
Dougie mi strinse in un abbraccio caldo vedendomi tremare: quell’inverno era il più gelido che avessi mai vissuto. Poi sorrise e ricominciammo a camminare.
Ad un certo punto mollai la sua mano e mi nascosi fra gli alberi esposti. E mentre lui urlava il mio nome io risi divertita, lui rispose con la sua risata cristallina correndo nella direzione della mia voce. Appena uscì dagli alberi, dove ero io, gli lanciai addosso una palla di neve e risi di gusto ancora.
«Non cantar vittoria troppo presto!» ghignò correndomi incontro. Io gli lanciai un’altra palla di neve, ma lui fu più veloce e mi si buttò contro, ritrovandoci in quel modo per terra. Lui se ne stava sopra di me che rideva con le nuvolette di fumo che gli uscivano dalla bocca semichiusa. Prese un po’ di neve e tenendomi ferma con il suo corpo me la mise su tutto il giubbotto e sul mio berretto di lana.
«Che stupido!» sospirai tra una risata e l’altra. Lui di risposta si piegò in avanti e depose un bacio leggero sul mio collo, facendo poi una scia fino alla bocca dove si fermò più a lungo. Mi accarezzava i capelli riempiendoli probabilmente di neve, ma io non potevo essere più felice di così. O almeno credevo.
Una volta che ci fummo alzati cercammo inutilmente di fare i seri e andammo a scegliere i due alberi per le nostre famiglie.
«Bene.» proclamai «Anche per quest’anno ce l’abbiamo fatta.» Dougie mi riportò verso di lui mentre stavo per andare alla cassa a pagare.
«Non abbiamo finito, in realtà» sussurrò al mio orecchio. Mi voltai a guardarlo ed alzai un sopracciglio.
«Vorrei che mi aiutassi a scegliere un albero anche per il mio povero appartamento.»
Sentii una stretta al cuore. Non lo so, come se avesse tradito la nostra intimità in quel modo. Come se farsi un albero tutto suo nel suo appartamento l’avrebbe portato via da me. Io non volevo dividere la mia relazione con un albero. Cercai comunque di non fargli capire il mio stato d’animo e feci un sorriso accondiscendente, dirigendomi per trovarne uno decente. Non bello, come se quell’albero avesse rappresentato una ragazza di cui essere gelosa. Mi sentivo come se lui in quel modo si stesse facendo una vita tutta sua, lontana da me, come era successo quando era andato a vivere con Tom Fletcher a Londra.
Mi fermai davanti a quello che mi parve il più brutto e scarno, senza veramente accorgermene.
«Questo!» esclamai indicandoglielo.
«Questo?» chiese lui incredulo alzando un angolo della bocca.
Osservai l’albero. «Sì, è perfetto.»
«Ma...» si spostò più in là davanti ad un abete più “ciccione” «Io pensavo avessi preferito una cosa così.»
Stetti a guardare quell’albero a lungo, capendo che effettivamente su quello sarebbe caduta la mia scelta in un altro momento, e dall’altro maledicendolo con lo sguardo. Speravo prendesse fuoco.
«Liz.» Dougie mi stava accarezzando una guancia con un dito. Mi voltai verso di lui ed incontrai i suoi occhi azzurri.
«Come regalo di Natale... Solo per me, ti andrebbe di trasferirti a casa mia?»
Ci misi un attimo a capire di cosa stava parlando. Ero troppo presa da quell’albero e dalla sua presenza ingombrante. Poi capii. Non era solo quell’albero ad entrare nella sua casa, nella sua vita, anch’io sarei stata lì.
Piano un sorriso pieno di gioia si fece largo sul mio viso. Gli saltai al collo.
«Certo. Certo. Certo.» gli stampai un bacio sulla guancia e tornai a guardarlo: «Ma dici sul serio?»
Ero ancora incredula.
«Sì.» mi prese per mano «Nel pomeriggio è meglio se andiamo a comprare le decorazioni.»
«Sarà divertente» ero entusiasta ora.
«E poi ti aiuterò a portare tutta la tua roba da me. Dovrebbe starci.» catturò le mie labbra fra le sue, poi sorridendo andammo alla macchina.
***

Ero riuscita ad evitarli ed aspettai Danny vicino alla sua macchina. Squillò il cellulare in quel momento.
«Ciao Gi!» risposi felice di sentire una voce amica.
«Ehy, sono davanti a casa tua, dove sei?» chiese lei. Le spiegai che ero andata a prendere l’abete con Danny e che ora sarei tornata a casa.
«Ok. Senti, ti va una seratina fra donne stasera?»
Ci pensai un po’ su. «Ok. A casa mia, va bene?»
«Come preferisci! Allora a dopo. Io porto qualcosa da KFC.» e riattaccò.
Danny mi raggiunse pochi secondi dopo.
«Ehy, sei scomparsa.» commentò salendo in macchina.
Ignorai palesemente la sua frase e solo al pensiero di quegli occhi azzurri così vicini a me mi fece stringere lo stomaco di nuovo.
«Mi sa che non vengo ad aiutarti con le decorazioni natalizie.» arricciai le labbra. «Devo andare a casa perché arrivano le ragazze.»
Passammo il resto del viaggio a parlare dei progetti dei McFly e dei miei. A quanto capivo, avevano intenzione di andare in Spagna per il periodo del compleanno di Dougie. Per me quel giorno era sempre stato un momento pieno di sorprese. Era il giorno dell’anno in cui niente era sicuro che accadesse e tutto poteva succedere. Ricordo che partivamo alla mattina con la sua macchina (una volta ottenuta) e andavamo dove ci portava quel giorno. Vivevamo avventure spiritose e selvagge. Per due anni di seguito questo non era accaduto, dato che ci eravamo mollati proprio prima del suo compleanno.
Arrivata finalmente dentro casa cercai di sistemare alla ben in meglio tutto. Il mio appartamento non era molto grande. Avevo un piccolo salottino unito alla cucina, un bagno e la mia camera da letto con il letto ad una piazza e mezza.
Presi in mano lo scatolone delle decorazioni e lo fissai. Non avevo mai capito perché l’avesse rispedito a me. Le avevamo comprate insieme dopotutto. Perché tutte a me? Si poteva fare metà. Di certo non mi sarei lamentata: non le avevo più usate. In realtà, non avevo più festeggiato il Natale come si deve. Il primo Natale senza di lui ero uscita con un paio amici dell’Università e avevo bevuto tutta la sera, vergognandomi di dire ai miei genitori che ero single di nuovo. Sapevo quanto a loro piacesse Dougie, quanto fossero felici perché io lo ero. Così glielo dissi solo ad inizio Febbraio quando la verità mi stava opprimendo e anche perché si erano chiesti come mai non gli avessi avvertiti che Dougie doveva partire per l’Australia. Natale scorso, comunque, l’avevo passato tra l’affetto della mia famiglia. Avevamo trascorso la vigilia tra giochi da tavolo e un cenone in cui era venuto anche mio fratello con sua moglie. La quale aveva dato la notizia di essere incinta. Quindi ora ero anche zia. E improvvisamente mi resi conto che forse avrei dovuto fare un regalino se non al bimbo, quantomeno alla madre di mio nipote per Natale.
Mentre aspettavo Giovanna, Olivia e Izzy, accesi il computer e controllai la posta nonché Twitter. Frankie non aveva aggiornato il suo stato. Niente di niente. Scrollai le spalle cercando di non pensare a dove fosse e con chi fosse e il campanello di entrata mi salvò.

Entrarono Giovanna con una terriera ricoperta in mano, Olivia con una bottiglia di vino rosso (il nostro preferito) e Izzy con un dolcetto. Si misero a trafficare in cucina senza nemmeno chiedermi il permesso. Era bello avere un po’ di vita lì dentro. Adoravo le serate come questa.


Eccomi qui! Sono tornata!

Ho praticamente DOVUTO scrivere questa storiella. Che all'inizio non pensavo nemmeno di pubblicare. Poi ho pensato di farne una One- Shot ma la cosa mi ha preso la mano ed è diventata un po' più lunga. Saranno massimo 4 capitoli, comunque.

Da dove nasce quindi?

Nasce innanzitutto da Twitter, dove io sono iscritta e dove seguo i McFly più Giovanna per vedere che fanno ecc. Poi dal fatto di Francesca Sandford che per chi non lo sappia è la nuova ragazza di Dougie. Così mi è parso doveroso far sapere dov'era finita la mia Liz.
Questa mia storia si basa su fatti reali accaduti ai McFly, ho solo cambiato un po' di cose a favore di Liz. Le ho ritagliato un posto nelle loro vite che ovviamente nella realtà non esiste. La storia in ogni caso si svolge alla fine del 2009 da Novembre a Dicembre. Quindi proprio appena passato. Spero vi piaccia. :)

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2. ***


In questo capitolo:

Aaron Renfree, The Saturdays , Giovanna , Vicky Jones , Carrie Fletcher , Izzy , McFly and....Dougie
Tutti gli altri personaggi sono di mia creazione. :D




«Cosa???» chiesi, quasi isterica. La presentatrice del mio unico evento di Children In Need mi aveva dato buca. E me l’aveva detto solo tre giorni prima. Fantastico! La mia carriera era rovinata. Nemmeno iniziata, in realtà. Per di più, quella donna aveva avvertito direttamente l’agenzia per la quale lavoravo, nemmeno un messaggio a me. Battei i piedi per terra.
«Se vuoi ho trovato chi potrebbe sostituirla.» mi informò Trevor, uno dei miei neo colleghi.
«Chi?» forse la giornata non andava poi così male.
«Aaron Renfree.» rispose, spostando alcune carte e porgendomi un numero di telefono «Il suo agente ci aveva contattato per vedere se c’era posto per lui»
«Aaron Renfree?» non ci potevo credere: tutte a me? «Ma non è il tipo di S Club che balla?»
Trevor mi lanciò un’occhiata torva. «Mi pare che tu non abbia altra scelta, no?»
«Presentarla io?» proposi sarcastica «Di sicuro sarei meglio di Renfree.»
Trevor sbuffò e alzò le spalle. La risposta la sapevo bene: o accettavo così o mi saltava tutto. Completamente.
 

                Fortunatamente l’agente di Renfree era disponibile a trattare e non ebbe alcun problema per il poco preavviso che gli avevo dato. Mi diede quasi l’impressione di aspettarla con ansia un’occasione del genere. Sospirai, scoraggiata. Speravo che comunque quello fosse l’unico problema di quell’evento.
 

                Quel sabato mi recai a Butlins a mezzogiorno mangiando al volo un panino. Non avevo mai molta fame a metà giornata, in compenso durante il pomeriggio ero solita tirare avanti con caffè di Starbucks.
In ogni caso, dovevo essere lì presto per sistemare tutto. Dopotutto ero colei che doveva dirigere tutta l’azione. Sul luogo c’erano già gli addetti all’audio, gli addetti al palco, i truccatori e i buttafuori. In più ci trovai altre mie due assistenti che erano sotto di me solo perché stavano ancora facendo il loro tirocinio e non avevano ancora conseguito una laurea. Era utile, perché in questo modo avrei potuto controllare vari aspetti. Erano i miei occhi e le mie orecchie.
Grazie al cielo tutte le mie preghiere sul tempo si erano avverate e dopo un grande acquazzone, il cielo si stava rasserenando. Alcune persone già prendevano posto sotto il palco mentre io sbirciavo di tanto in tanto. Dipendeva tutto da me. Tutto sarebbe dovuto andare per il meglio o questo lavoro potevo anche scordarmelo per sempre. Forse ero anche un po’ troppo pretenziosa verso i poveri lavoratori intorno a me, me ne rendevo conto, ma doveva essere tutto perfetto.
Il tutto sarebbe iniziato per le 5 del pomeriggio e la TV sarebbe stata presente. Per questo le Saturdays e Renfree dovevano arrivare per lo meno alle 4. Potrete capire quindi come mi sentivo quando alle 4 e mezza Aaron Renfree ancora non si vedeva.
«Dov’è?» Chiesi, quasi isterica sorseggiando un altro po’ di caffè e battendo il piede destro.
«Chiamo il suo agente» si propose Maggie allontanandosi con il telefonino.
Proprio in quel momento si avvicinarono le Saturdays. Quattro bamboline con shorts bianchi e giubbotto pesante in pelle, completate da stivali neri alti fino al ginocchio con tacchi a spillo. Mi trattenni dal fare una smorfia con la bocca e le guardai chiedendomi sinceramente cosa ci facessero lì quando avevo ben altri problemi.
«Allora? Quando si inizia?» chiese Rochelle, quasi insistente.
Alzai le spalle ed indicai Maggie alle mie spalle: «Stiamo cercando di contattare Aaron Renfree che doveva presentare.»
«Lo chiamo io.» si propose Frankie, impeccabile con i suoi capelli scuri e corti. Mi imposi di non tastare i miei per controllarli.
La lasciai fare, se poteva aiutare ben venga.
Ed ecco che dall’entrata apparve un ragazzo alto con pelle abbronzata e capelli neri.
«Scusate il ritardo, ragazze.» urlò per il corridoio mentre apriva le braccia in aria benevola.
Io sbuffai con la sola voglia di prenderlo a schiaffi. Feci tre respiri profondi, mandai le Saturdays da un’altra parte e mi avvicinai con fare minaccioso a Renfree.
«L’appuntamento era mezzora fa!» gli feci notare. Lui di risposta si tolse gli occhiali, mi osservò con i suoi occhi azzurri come il ghiaccio e rispose: «Non sapevo avessimo un appuntamento, bocconcino.»
Chiusi gli occhi, perché allora sì che l’avrei strozzato.
«Sono Elisabeth Knight.» allungai una mano «Sono colei che ti permette di presentare stasera.»
 
 
                A parte questo primo problema con Renfree, l’evento andò a gonfie vele ed in seguito seppi anche che avevamo raccolto parecchio per il fondo di Children In Need. Giovanna mi chiamò per farmi le congratulazioni, dato che aveva seguito l’evento da casa: Mi ricordò anche il concerto dei McFly il giorno dopo.
Una volta riattaccato il telefono, salutai tutti e mi diressi verso l’uscita: se la potevano cavare senza di me, ora. Mentre camminavo a passo spedito per il campo, guardando il mio iPhone andai a sbattere contro qualcuno e fui costretta ad alzare la testa. Mi prese un colpo.
«Scusa» dissi ad Aaron Renfree. E feci per andarmene.
«Non ti scusare, bocconcino.» rispose lui trattenendomi per un polso. Lo fissai dritto negli occhi:
«Per l’amor del cielo, ho un nome. E senza di me, diciamocelo, questa opportunità potevi sognartela.»
«Appunto.» sorrise lui «Volevo invitarti fuori a cena come ringraziamento.»
«No grazie.» e riuscii a divincolarmi dalla sua presa.
«A mai più rivederci, Mr Renfree.» bofonchiai andandomene senza voltarmi.
 
***
                Giovanna rise di gusto mentre guidava. «Renfree ti ha chiesto di uscire?»
«Sì! A me, hai capito?!?» ero anch’io ancora incredula e quasi offesa.
«Beh, potevi anche accettare..» mi punzecchiò lei.
«Renfree è tutto quello che odio. Non potrei mai stare con uno come lui, e lo sai.»
«Sì sì.» annuii e dopo un attimo di silenzio scoppiamo entrambe in una risata fragorosa.
«In ogni caso sono stata soddisfatta del lavoro che ho fatto» commentai osservando fuori dal finestrino.
«Anche Tom è stato molto entusiasta. Ha detto di andare dietro al backstage appena arriviamo.»
Sospirai, guardandomi le mani «Anche Danny me l’ha chiesto.»
Giovanna non disse niente, sapeva che alla fine l’avrei seguita nel backstage. E fu così, anche perché le ragazzine si accalcavano perché avevano riconosciuto la ragazza di Tom e urlavano come matte probabilmente chiedendosi che diritto avessi io a stare lì con un PASS. Eppure ne avevo visti così tanti in quegli anni, ero stata a molti backstage dei McFly quando incontravano alcune fans sfegatate. Sempre in disparte.
Incontrammo Tom per lo stretto corridoio. Giovanna lo abbracciò e gli stampò un bacio casto sulle labbra.
«Ehy, Liz!» Tom mi fu addosso con uno dei suoi soliti abbracci affettuosi.
«Tom, è bellissimo rivederti» ricambiai l’abbraccio e incrociai il suo sguardo attento e dolce quanto quello di Giovanna. Erano una coppia perfetta anche se non glielo avevo mai detto perché non sono tipa che fa tante smancerie. Ma li adoravo e non potevo non essere felice per loro.
«Complimenti per l’evento di ieri!» mi disse sorridendo. «Magari la prossima volta organizzerai qualcosa per i McFly!» e mi fece l’occhiolino.
Io evitai di rispondere.
«Vado a cercare Danny.» dissi, volendoli lasciare appositamente soli, come prima di un qualsiasi concerto. Era un rito, non so cosa si dicessero o cosa facessero, ma in quei pochi minuti era il loro momento e io non volevo di certo guastarglielo.
Fra i lunghi corridoi finii per incontrare anche Harry che mi oltrepassò dopo pochi convenevoli. Harry era da sempre il più legato a Dougie e il meno incline ad affezionarsi tanto alla gente facilmente. Per questo la cosa era alquanto imbarazzante. Era come se io e lui ci conoscessimo solo di vista ora. Come se non fossi mai stata a casa sua a mangiare, come se non avessi passato alcune vacanze estive anche con lui e Izzy. La cosa mi lasciava sempre un po’ stupita. Ma proprio per quanto bene l’avevo conosciuto, potevo anche capire la sua sensazione nel vedermi lì in giro.
 E infine finii contro Dougie. Mi imbattei in lui più che altro. Non ci toccammo, ma indietreggiammo proprio come se ci fossimo appena scontrati. Indossava dei jeans skinny e una camicia a T-shirt nera con dei disegni. I capelli corti con il ciuffo biondo davanti. Gli occhi suoi fissi nei miei.
«Liz.» disse solo, sottovoce, come una cosa che esce per caso.
«Ciao.» bofonchiai. Nessuno dei due distoglieva gli occhi dall’altro, come... incatenati? E nessuno riusciva a muoversi di lì. Io personalmente non sentivo più le gambe. I secondi scorrevano veloci come se fossero stati giorni, intorno a noi sembrava ci fosse il nulla ed io sentivo solo il battito del mio cuore amplificato dentro la mia testa. Quando lui poi mi oltrepassò e io lo guardai allontanarsi nel corridoio, mi accorsi della morsa allo stomaco che provavo.
                Non che tutto di lui non mi fosse mancato, solo non avevo mai realizzato quanto ancora la sua sola presenza mi rendesse agitata, impaziente e mi facesse venire i brividi lungo la schiena. Sicuramente non me n’ero mai accorta perché non c’era più stata un’occasione per incontrarci così da vicino.
Mi lasciai cadere con la schiena appoggiata al muro del corridoio, mettendomi una mano sugli occhi, imponendo alle lacrime prepotenti di non uscire. Non so nemmeno io perché mi sentivo così. Distrutta come quella sera in cui tutto era finito.


                Entrammo in casa ed io andai in cucina a versarmi un bicchiere d’acqua, pretendendo di non vedere il suo viso corrucciato. Non volevo affrontare la discussione ancora.  Fu lui a far precipitare le mie forze.
«Non hai detto una parola tornando.» un affermazione che sembrava più un’accusa.
Alzai le spalle e sbattei il bicchiere sul tavolo. «Nemmeno tu se è per questo.»
«Che c’è adesso? Perché sei arrabbiata?» con il suo solito tono permaloso, quando crede che sia suo diritto essere arrabbiato e di nessun altro.
«No, dimmelo tu.» sbraitai perdendo la pazienza. «Dimmi cosa c’è. Non sarà ancora per Michael vero?»
Dougie spalancò gli occhi quasi ferito. «Vedi che ce l’hai sempre in mente?»
Scossi la testa «Guarda che sei tu quello che lo tira fuori in ogni discussione che abbiamo. Questa volta ti ho solo aiutato.»
«Ah, mi hai aiutato?»
«Sì, stupido!»
«Stupido? Senti, lo stupido qui non sono io. Hai visto come ti sei comportata stasera?»
Rimasi perplessa. «Come mi sono comportata, in che senso?» e socchiusi gli occhi indagatori.
«Preferisci la compagnia di Danny e Tom alla mia?»
«Non fare il geloso su cavolate adesso, Doug.» mi passai una mano sulla fronte, scostando i capelli.
Lui si avvicinò a me e mi guardò dritta negli occhi. «Mi stai evitando.»
«Non è vero!» esplosi.
Cominciò ad urlare anche lui. «E’ per Michael, eh?» scosse la testa «Non ci posso credere che ti piaccia uno come lui.»
«Ma che dici? Non mi piace affatto.» ormai erano cose dette e ridette.
«Te ne freghi di tutto. Di tutto quello che riguarda me.»
«Scusami se per una volta ogni tanto vorrei pensare un po’ alla mia vita, invece di starti sempre appresso!»
Dougie boccheggiò «Sempre... appresso?»
«Esatto!» urlai «Guarda, questa ne è la prova. Non ti guardo un po’ una sera e già fai le sfuriate di gelosia!»
«Non è questa sera, è Michael che..»
Gli puntai un dito contro. «Dillo, dillo e basta.»
Dougie abbassò lo sguardo un attimo, riprendendo fiato, poi mi guardò con occhi stanchi, distrutti e sofferenti «Io.. non mi fido di te, Liz.» scosse ancora una volta la testa «E’ finita.»
Con le poche forze che mi rimanevano, presi il cappotto ed uscii dalla porta. Arrivata poi in un taxi piansi.
Diedi il primo indirizzo che mi venne in mente e mi ritrovai davanti alla piccola villetta di Tom e Giovanna.
Suonai il campanello più volte con il mascara che mi colava sulle guancie pregando che fossero già tornati a casa dalla festa.
Venne ad aprire un Tom con una T-Shirt di Star Wars e rimase alquanto sorpreso di trovarmi lì e in quello stato.
«Liz, che è successo?» chiese solo. Io singhiozzai un po’ più forte cercando di prendere fiato, inutilmente. Mi fece entrare e Gi mi fu subito accanto mentre Tom ci lasciava da sole.
«E’.. è finita.» riuscii a dire fra i singhiozzi che mi scuotevano tutta. Giovanna mi passò un fazzoletto e poi mi abbracciò forte.
«L’ha detto...ha.. ha detto che non si fida più.» cercai di spiegare. Mi sentivo come crollare il mondo addosso. Non era questa litigata e basta, erano tutte le litigate dell’ultimo periodo ad averci portato fino a lì, e le cattiverie l’uno alle spalle dell’altro. Perché di cattiverie si trattava. E non ricordavo nemmeno per cosa e come era iniziata tutta quella situazione. Era tutto totalmente assurdo e mi sembrava persino di non riuscire a respirare. Cinque anni in cui lui era stato il centro di tutto, e sapevo che quello che era successo era veramente ciò che metteva la parola fine. Non era una cosa affrettata, non era una cosa istintiva. L’idea era fra di noi da troppo tempo ormai. Aleggiava facendoci scontrare anche nelle più piccole cose. Ed ora ero rimasta senza di lui, o meglio, sola.
 
 
«Che ci fai lì per terra?»
Alzai di scatto la testa, presa alla sprovvista. Una ragazza con i lunghi capelli biondi e ricci mi stava fissando con sguardo superiore.
Carrie Fletcher.
 Non eravamo mai veramente andate d’accordo. Era lei quella ostile nei miei confronti dall’inizio. Tom sosteneva che le stessi antipatica a pelle, ma questo non aveva aiutato a costruire nessun tipo di rapporto. Certo, non mi era poi capitato di vederla spesso, se non a qualche rara festa.
Mi alzai in fretta e le sorrisi. «Ciao Carrie, come va?»
«Ciao.» rispose piatta, alzando un sopracciglio. «Tutto bene.» mi osservò ancora. «Dove sono finiti i tuoi capelli fucsia?»
Risi, sorpresa di quella domanda proprio da lei.
Avevo avuto un periodo in cui mi ero colorata i capelli di un rosa shock, per provare ma anche per far arrabbiare Dougie che come risposta si era lasciato crescere i capelli in maniera oscena.
«Sai dove posso trovare Danny?» chiesi poi.
Carrie annuì. «Sì, vieni, ti accompagno.»
Camminammo in silenzio per i corridoi finché lei chiese ancora:
«Dico sul serio, eri forte con quel caschetto sbarazzino e i capelli fucsia.»
Era la prima volta che mi faceva una sorta di complimento.
«Grazie. In ogni caso ho deciso che era ora di tornare al mio colore e di farli crescere.» Osservai i leggeri boccoli sulla mia spalla.
«E’ perché ti sei mollata con Dougie?»
Mi si gelò il sangue nelle vene, come sempre non aveva perso l’abitudine di essere senza tatto alcuno.
«Anche per quel motivo, avevo bisogno di cambiamenti.» spiegai.
Grazie al cielo eravamo arrivate davanti alla porta dei camerini con su scritto McFly. Carrie mi salutò ed io entrai.
Immediatamente mi fu addosso un cespuglio di capelli neri e fucsia che urlava di gioia e mi stringeva stretta il collo.
«Ma quanto tempo è passato?!?» Vicky Jones era isterica praticamente. «E dove sono finiti i capelli fucsia??» chiese questa volta come ferita. In effetti, dopo che li avevo fatti io, anche lei c’aveva provato e a quanto pareva le erano talmente piaciuti da continuare per due anni a rifarseli.
Scossi la testa ridendo.
«Come stai, mattacchiona?» mi chiese ancora mentre mi portava verso gli specchi dove si ripassò la pesante matita nera intorno agli occhi.
«Stupendamente.» sorrisi, dimenticando completamente il mio precedente incontro con Dougie.
«L’hai vista alla TV ieri sera?» Danny uscì dal bagno lì di fianco e mi stampò un bacio sulla fronte passando un braccio attorno al mio collo.
Vicky spalancò gli occhi «Eri in TV? E che ci facevi lì? Non dirmi che hanno finalmente scoperto quella sciocchezza del centro commerciale!»
Risi mentre anche Danny ricordava un po’ di anni prima quando ero maldestramente andata addosso ad un paio di profumi e poi nell’intento di scappare via dal negozio ero piombata addosso al Babbo Natale pieno di caramelle. Tutto questo con i due Jones al seguito.
«Aveva il suo primo evento con Children In Need.» spiegò Danny dopo una sana risata.
«Oh, quello con quel tipo, Renfree?» domandò sua sorella «Non mi sembra il tuo tipo, L.»
Roteai gli occhi. «Non me ne parlare. Non l’ho scelto di mia iniziativa.»
Una suoneria di cellulare ci fece zittire e Danny rispose andandosene dalla stanza.
«Si sta vedendo con Georgia Horsley.» commentò Vicky seguendo il mio sguardo.
«E’ un nome che ho già sentito...» cercai di scavare nella mia mente, ma non riuscivo a ricordare.
Vicky con una mossa veloce sfilò un giornale da una pila di magliette e me lo aprì ad una pagina dove una bionda molto carina stava in piedi in bikini.
«Miss England 2007??» ero ufficialmente incredula. «E come ha fatto a conoscerla?»
Lei alzò le spalle. «Questo non me l’ha ancora detto, ma non ti sorprendere tanto eh! Mio fratello è una star quanto lei.»
E’ vero. Delle volte proprio scordavo che loro fossero così famosi. Rimanevo tutte le volte basita quando entrando in casa di Danny mi capitava di vedere biglietti di auguri di natale scritti a mano personalmente da Elton John. Era.. straordinario.
                Poco dopo il loro agente ci buttò praticamente fuori dal camerino perché i ragazzi dovevano prepararsi. Io, Giovanna, Izzy, Carrie e Vicky andammo nella zona riservata a noi, nell’angolo destro del palco, luogo dove non vedevamo molto, ma potevamo ascoltare bene.
Mi accorsi che delle ragazze ci avevano puntate. Prima indicarono nella nostra direzione, poi si avvicinarono, facendosi forza una sull’altra a quanto sembrava. Si piombarono tutte su Giovanna e Carrie a chiedere autografi e foto. Gi non sembrava nemmeno troppo sorpresa, mentre Carrie era abituata avendo a che fare con sue fans personali durante le giornate. Quello che mi sorprese più di tutto fu che vennero anche da me, più titubanti di prima. Una ragazza di 17 anni più o meno mi si avvicinò con un taccuino e una penna e mi chiese di firmare.
La guardai completamente disorientata.
«Sei Elisabeth Knight, giusto? Non è che ho fatto una figura assurda, no?» chiese lei preoccupata.
«No..» cercai di sorridere «E’ solo che non pensavo volessi proprio me.»
La ragazza sorrise raggiante. «In qualche modo sono una tua fan. Mi potresti fare un autografo?»
Presi la penna e firmai, ma la cosa mi faceva sentire troppo strana.
«Grazie» disse riprendendosele. «Ti seguo anche su Twitter.»
«Ah.» io non sapevo cosa dire, mentre altre due mi porgevano altri fogli con penne. Firmai perché non c’era altro che potessi fare e poi le salutai, trovandole molto gentili. Avrebbero meritato di incontrare i McFly...
«Ehy, come vi chiamate?» Vicky aveva avuto la mia stessa idea. Le ragazze tornarono indietro e diedero i loro nomi. Io non avevo più molta voce in capitolo, ma la sorella del chitarrista poteva fare ancora ciò che voleva.
«A fine concerto, tornate qua da noi che vi facciamo passare.»
 
    Il concerto andò alla grande, ma prima della canzone finale, Dougie interruppe Tom e disse alla folla che ci sarebbe stata una sua canzone. La canzone che non avevano mai suonato ai concerti: Ignorance. Vicky mi guardò in quell’istante cercando una mia reazione, ma io ero come pietrificata e quasi mi mancava l’aria. La canzone era splendida, ma le parole erano crudeli e sofferenti. Ed erano per me. O comunque erano state scritte a causa mia. Lui la cantava perché sapeva che io ero lì e che avrei ascoltato, ne ero certa.

I'm too far gone it's all over now
and you can't bring me down...
 
Love is won over by ignorance
Do not get won over by ignorance
These pills weren't meant to hurt you
But today and ever more if fools were meant to fuck you,
Then why do fools fall in love??
 
    Stetti ad ascoltare attenta, come se quella canzone non l’avessi già ascoltata cinquanta volte. Come mi sentivo? Triste, offesa, ma allo stesso tempo incuriosita da questo suo comportamento. Dopo due anni senza vederci poteva darmi un’accoglienza migliore direi.

Has blown up your walls again again
Your lies are all part of your intellect,
These pills weren't meant to hurt you
But today and ever more if fools were meant to fuck you.
Then why do fools fall in love
 
In the story I was told well this was never mentioned,
Must have missed the chapter,
When I was 17 years old,
And there's nothing left but love
 
    «Stai bene?» mi chiese Giovanna e io sorrisi in risposta annuendo. Non stavo male. E quasi mi dava fastidio vederle lì pronte ad un mio pianto disperato. Non sarebbe arrivato, lo assicuro. Non avevo intenzione di piangere. Forse solo di andare da lui e dirgliene quattro. Questo sì, ma nient’altro.

An unfortunate consequence,
And you'll burn in hell when you fall against,
These pills weren't meant to hurt you
But today and ever more if fools were meant to fuck you.
then why do fools fall in love
 
In the story I was told well this was never mentioned,
Must have missed the chapter,
when I was 17 years old,
And there's nothing left but
 
They won’t let go
when you see her coming
please let me know
 
I'm too far gone
it's all over
and you can't bring me down...
 

    Subito dopo il concerto, salutai tutti e me ne andai fuori. Vicky si propose di accompagnarmi a casa e alla fine finimmo in un ristorante cinese a raccontarci le nostre ultime avventure. Al contrario delle altre non si assicurò per la millesima volta se stavo bene oppure no. Ne era convinta e basta.
Ritornai a casa esausta e trovai un mazzo di margherite davanti alla porta del mio appartamento. Li raccolsi e li portai dentro. Sfilai le scarpe con un paio di calci ed andai in cucina a prendermi un bicchiere d’acqua.
Riguardai i fiori e cercai attorno.
L’unico biglietto presente era firmato Aaron Renfree.





Come va??? Sono finalmente tornata qui, eh? Ok solo un commentino è poco, eh! :/ io intanto posto anche questo capitolo. Ah, mi sono dimenticata di Georgia Horsley :D

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=450180