De Hetaliana Geographia

di Oducchan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1: A Christmas Carol ***
Capitolo 2: *** 2] Divorce – {ma dicembre sa ancora di sangue } ***
Capitolo 3: *** 3] carnival, what a nightmare! ***



Capitolo 1
*** 1: A Christmas Carol ***


a christmas carol

Piccolissima introduzione.

all'inizio, doveva contare molti capitoli in più. Di idee ne avevo tante, tanti erano i personaggi che volevo introdurre, ma poi, vuoi per mancanza di tempo, vuoi per difetti di trama, ne ho scelti solo tre.

Tre capitoli per tre OC diversi. Giusto per farveli conoscere un po'

Ma prima, devo fare una piccola dedica e un ringraziamento speciale, alle tre persone che hanno pazientemente sopportato i miei scleri e che hanno contribuito alla nascita di questa mini-raccolta

A Gracy110, beta instancabile, costretta a sgobbare pure il giorno della Vigilia (ma non solo quello), e che mi sopporta pazientemente. San Marino, cherie, è per te <3

A Prof, nota anche come Danna, che si è appassionata al progetto tanto da dar volto a irlanda e irlanda del Nord, che ha già pure scritto una fic con loro dentro XD Niall, mon amour, è per te

A Knockwave, la mia adorata sempai, che si è sopportatat dubbi, questioni, domande, che si è dovuta sorbir la genesi di tutti i personaggi. Non sarà India - ma prima o poi arriverà anche lui, me lo sento XD - ma Brasile, che somiglia ad entrambe, è per te <3

Bene si comincia.

De Hetaliana Geographia

1] A Christmas Carol

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-Veneziano… per Natale, hai impegni?-.

La domanda, incerta e imbarazzata, borbottata a metà di una sessione di shopping natalizio per trovare i regali per tutti, giunse puntuale come ogni anno un paio di settimane prima della festività, anche dopo il termine della guerra. Germania poteva forse variare l’ordine delle parole da un inverno e l’altro, oppure chiederglielo nei momenti più disparati – alla fine di una riunione, mentre gli lasciava campo libero in cucina, mentre spalavano la neve- ma il senso implicito non cambiava: per quanto la risposta fosse ogni volta scontata, il tedesco aveva la necessità di sentirsene rassicurato.

La nazione italiana strabuzzò gli occhi, spalancando le labbra in una “O” di stupore, come era solito fare alla proposta di passare insieme la festa; ma poi, invece di illuminare la stanza con un sorriso smagliante iniziando a saltellargli intorto estasiato, si grattò pensoso la guancia alzando lo sguardo al soffitto come a scartabellare un’agenda misteriosa.

-Uhm, sì, in effetti ne avrei uno con Romano, dovrei andare da mio fratello…-

Raggelato, Ludwig deglutì a vuoto, nascondendo in fretta la delusione per essere stato scaricato dietro un colpo di tosse e un accennato rossore delle guance; pronto a far finta di nulla, aprì bocca per cambiare rapidamente discorso, ma Veneziano lo prese una seconda volta in contropiede, nel momento in cui gli saltò al collo ridendo solare.

-Chissà come sarà contento se porto anche qualcun altro! Devo telefonare immediatamente a Giappone, sì, e poi…-.

Poi Germania smise di ascoltare, il viso che andava a fuoco dall’imbarazzo.

 

L’ennesima macchina rombante passò rapida sulla strada che portava verso il centro del paese, sollevando appena il cumulo di foglie secche che giacevano abbandonate sotto la fila degli alberi ormai spogli. Fermi a lato della piccola piazza, Germania cercava in qualche modo di far fronte all’entusiasmo dirompente di Veneziano, talmente iperattivo per ritrovarsi, la Vigilia di Natale, in quella sperduta cittadina del centr’Italia con i suoi “Migliori Amici” da non essere in grado di stare fermo né zitto per un solo secondo. Dal canto suo, Giappone continuava a guardarsi attorno incuriosito, cercando di incamerare più informazioni possibili, ponendo solamente ad intervalli regolari qualche domanda imbarazzata che torturava la sua mente; domande alle quali la nazione di casa rispondeva con slancio, interrompendo i suoi monologhi su pasta e cibo per dilungarsi in spiegazioni approfondite.

Pensieroso, Ludwig si strinse maggiormente nel cappotto, alzando lo sguardo sui primi bastioni che si ergevano alle loro spalle a solo pochi metri di distanza, studiando le forme delle merlature che contrastavano contro il cielo ormai all’imbrunire.

-Veneziano… cos’è che stiamo aspettando?-.

Il giovane interruppe l’avventuriero racconto dell’introduzione della pasta nella cucina locale e sorrise, battendo tra loro le mani protette dai guanti.

-Romano nii-chan arriverà tra poco! Chissà se c’è anche Spagna!- trillò solare, iniziando a saltellare in giro cinguettando un “pasta” frenetico. Notando l’occhiata perplessa rivolta loro da un’anziana passante, Ludwig si affrettò ad acciuffarlo premendo con decisione le mani sulle sue spalle, mentre Giappone si eclissava in un angolo facendo finta di non conoscerli – navigata tecnica nipponica per le situazioni imbarazzanti.

-Ti vuoi dare una calmata?-.

-Ehi, mangiapatate! Tieni giù le mani da mio fratello, hai capito?-.

Il grido indignato di un assai irritato fratello giunse da dietro la fila di macchine parcheggiate dall’altro capo della strada: Kiku fece appena in tempo a scartare preventivamente di lato, prima che una sorta di belva feroce si lanciasse verso Germania per allontanarlo a viva forza; serafico e solare come sempre, Spagna li raggiunse attraversando con calma la strada, per nulla turbato del tentativo di omicidio in corso.

-Buonasera a tutti!- salutò cordiale, afferrando Romano per la collottola e allontanandolo quel tanto che bastava per lasciare la presa – alquanto dubbia- sul collo del tedesco. Veneziano, ignorando totalmente la furia omicida del ragazzo, colse l’occasione per stringerlo in un abbraccio soffocante ed iniziare a fargli le feste.

-Romanooooooo! Hai visto, hai visto? Ci sono anche Germania e Giappone, li ho convinti a venire!-.

-Come sono contento – borbottò l’interessato, annaspando da sopra la sua spalla e rifilando un’occhiataccia raggelante ad entrambi i convitati – Germania storse il naso, scettico; Kiku pose mano alla katana: non si poteva mai sapere, con questi europei.

-Che bello, c’è anche Spagna! Sarà una bellissima serata!- e di nuovo, sprizzando entusiasmo italiano da tutti i pori, improvvisò un balletto al grido di “pastapastapasta”, contornato dagli insulti più o meno eleganti del fratello maggiore mentre cercava di liberarsi, e dalle risate di Antonio. Prima che però Ludwig perdesse totalmente la pazienza, Kiku tossicchiò con estrema serietà attirando l’attenzione di tutti.

-Scusate… adesso che dovremmo aspettare?-

Veneziano si fermò immediatamente, colpito da una gomitata allo stomaco infertagli a tradimento dal fratello maggiore, e crollò miseramente a terra. Romano, liberatosi, iniziò ad inferire sul ferito, urlando e agitando un pugno all’aria, facendo allertare immediatamente le altre tre Nazioni.

-Razza di stupido, una cosa dovevi fare! Non dirmi che ti sei dimenticato di avvisare che arrivavamo oggi!-.

-Romano, per favore, potresti cortesemente lasciare stare tuo fratello? Scusate il ritardo, i preparativi del cenone mi hanno trattenuto-.

Con loro sommo stupore, sia Spagna che Germania che Giappone, voltandosi per scoprire chi avesse parlato, poterono constatare l’arrivo di una sesta persona. Un giovane alto, vestito con estrema eleganza, dai capelli castano scuro perfettamente pettinati e ordinati, un paio di occhiali squadrati inforcati sul naso e un sorriso dolce ed educato rivolto a tutti i presenti. L’Italia del Sud fece un passo indietro, abbassando lo sguardo imbarazzato; la parte settentrionale, invece, come risorta miracolosamente, scattò immediatamente in piedi, gettando le braccia al collo del nuovo arrivato.

-San Marino! Fratellone, come sono contento di vederti! Hai visto? Abbiamo portato ospiti!-

Con somma decisa educazione, il giovane riuscì a liberarsi dalla presa, sistemandosi gli abiti sgualciti e dando una rapida ravviata anche a quelli di Veneziano con fare particolarmente materno.

-Ho notato, ho notato… e tu ti sei scordato di avvisare, come tuo solito. Piuttosto, mi presenteresti questi poveri ragazzi?- aggiunse, con un sorriso più ampio rivolto alle tre Nazioni che, imbambolate, guardavano la scenetta con occhi spalancati di incredulità.

-Oh sì, certo! Questo qui è Spagna, sai, l’amico di Romano fissato con i pomodori! Quello lì che tenta di nascondersi invece è Giappone, ti ricordi che te ne avevo parlato, quello che non si capisce mai cosa pensa… e questo, questo è Germania!-

Rivolto un cenno del capo agli ospiti man mano che gli venivano presentati, e fatto intendere all’altro fratello di tacere con un movimento della mano, San Marino soffermò maggiormente la propria attenzione sull’ultimo menzionato, concedendosi qualche minuto in più per studiare la chioma bionda e gli occhi azzurri di un Ludwig che raggiungeva i limiti massimi del compassato imbarazzo.

-Oh, il tuo… come si dice…- parve rifletterci, sfilandosi appena gli occhiali per osservarlo più da vicino – ragazzo, no?-

Per la prima volta nella sua vita, Germania rischiò seriamente il collasso. Mentre Veneziano, rosso come un pomodoro, iniziava a strillare qualcosa per smentire, mentre Romano tentava di tornare alla carica per ammazzarlo, mentre Spagna si affrettava a trattenere il suo ex protetto con una serie di risolini nervosi, il povero Ludwig barcollò, asciugandosi il sudore che gli imperlava la fronte, venendo subito opportunamente soccorso da Giappone – che sfoderò uno dei ventagli sottratti a Taiwan, iniziando a fargli aria. San Marino fissò perplesso l’intera scenetta, prima di sospirare e rinfilarsi le lenti sul viso.

-Comunque sia, sono oltremodo lieto di fare la vostra conoscenza, io sono San Marino… la Repubblica vi dà il benvenuto. Forza, andiamo, ci aspettano alla Rocca- e, come un uomo navigato ed esperto di intrattenimento, batté le mani un paio di volte. Subito, come rispondendo al suo comando, le luminarie che decoravano la via si accesero all’unisono, donando alle file di piante e al profilo delle mura un magico bagliore dorato, risplendente nel buio della sera incombente. Con l’ennesimo sorriso, il giovane fece loro cenno di seguirlo mentre s’incamminava lungo la strada, dribblando abilmente le insidie della pavimentazione e salutando ogni singolo compaesano che incontrava. Immediatamente, le due Italie si affrettarono a sgusciare a suo fianco, uno a destra e uno a sinistra.

-San Marino, San Marino! – pigolò disperato Veneziano, tirandolo per la manica della giacca –Vero che hai fatto gli spaghetti? Vero?-

-No, Veneziano- rispose pacato quello, senza fermarsi, voltando appena il capo verso gli ospiti con un sorriso di scuse.

-Ti prego, dimmi che hai cucinato i maccheroni. Ti scongiuro!- implorò Romano, appendendosi a sua volta al cappotto ormai spiegazzato del fratello maggiore.

-Mi dispiace, nemmeno quelli-

Alle loro spalle, Germania iniziò a pregare nel miracolo di aver finalmente trovato un italiano con del sale in zucca, serio, responsabile, e che non fosse un mangiapasta a macchinetta. Romano e Veneziano, quasi sull’orlo delle lacrime, abbrancarono a peso morto il povero ragazzo.

-E allora cosa hai preparato?!?-

Con nonchalance, San Marino si allentò il nodo della cravatta, scoppiando in un’allegra risata.

-Stasera… gnocchi!-

E mentre le tre nazioni italiane iniziavano a correre all’impazzata ridendo e saltando, gridando all’unisono un “pastapastapastapasta” assordante, Ludwig trasse un profondo sospiro, confortando Giappone con delle pacche sulle spalle.

Sarebbe stato un luuuungo Natale.

 

 

 primo personaggio, San Marino. Fratello maggiore dei due italiani (la repubblica è nata nel 313 d.C., è considerata la più antica del mondo), ho scelto di rappresentarlo abbastanza elegante e raffinato in quanto Stato basato principalmente su turismo e terziario. Poi, beh...è pur sempre italiano, dentro XD

devo ammettere che ho voluto molto bene a Ludwig, in questo capitolo XD Un po' in ritardo coi tempi, forse, ma perdonatemi XD

Dunque, comunicazioni di servizio...questa raccolta ha partecipato al contest nazional-geografico di SillyHatter arrivando onorevolmente terza . ringrazio la giudice per il giudizio, complimenti anche alle altre partecipanti

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Capitolo 2
*** 2] Divorce – {ma dicembre sa ancora di sangue } ***


divorce

Ed ecco il secondo capitolo. Stavolta, ho scelto un ambientazione storica, ponendo la vicenda nel 1922. Tema che mi stava molto a cuore, con un OC altrettanto sentito, Irlanda (e di sfondo, menzionata ma non presente, Irlanda del Nord), per questo capitolo le immagini sono due. una, essendo una presa aerea, rende bene il paesaggio nel suo complesso; la seconda, scattata sul posto, ritrae lo spuntone di roccia su cui siedono le due nazioni **.

Apparato di note a fondo pagina XD

De Hetaliana Geographia

2] Divorce – {ma dicembre sa ancora di sangue }



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 Il vento soffia gelido, quella mattina. Dopotutto, dicembre è inclemente in qualunque parte delle Isole.

Riparandosi il viso dall’aria gelida e dal sole tiepido mattutino, oltrepassa la stretta apertura incuneata tra le due pareti di pietre erette a secco che costituiva il perimetro più interno dei resti dell’antico forte, barcollando poi sulla piana ricoperta di un sottile manto erboso. L’aria profuma di salsedine, di oceano e d’erba fresca; un odore che Inghilterra ha sempre adorato, sin dai tempi in cui Elisabetta gli aveva dato il permesso di salpare sul mare, sin dai tempi delle prime conquiste con Enrico II.

Si concede qualche minuto per riprendere fiato, dopo quella che gli pare sempre più una scalata più che una camminata,  prima di lasciar correre lo sguardo all’intorno con deferenza: sa bene cosa rappresenta quel luogo e cosa simboleggia, così come sa che non ha nulla da invidiare ai luoghi ricchi di ricordi e magia della sua isola. A dirla tutta, se non fosse lì per un motivo tanto angoscioso, si godrebbe maggiormente la visita.

 I suoi occhi ci mettono solo pochi secondi a percorrere febbrilmente il profilo frastagliato del pendio, là dove termina il piano e inizia lo strapiombo, prima di trovare ciò che cerca, ciò per cui ha fatto tanta strada col cuore in gola.

Seduto lì sul bordo, accoccolato sullo sperone di roccia che più degli altri si slancia verso il vuoto, le gambe tranquillamente penzoloni nell’aria e nel vento, incurante delle onde e dei mulinelli creati dalle correnti, c’è seduto un ragazzo. Un ragazzo che conosce perfettamente, in ogni suo piccolo dettaglio, da quei capelli rosso vivo che garriscono come uno stendardo nella brezza, a quegli occhi verde intenso persi nel nulla dell’orizzonte, dai lineamenti delicati e quasi efebici che gli ricordano tanto una delle sue fate, a quel sorriso malinconico che schiude le labbra pallide. Lo conosce da anni, da secoli, a volte crede pure siano millenni: e vorrebbe dimenticare che è pure il ragazzo che gli ha appena aperto un altro buco nel cuore, anche se non può, assunto nel suo ruolo di nazione come può esserlo in quella circostanza. Però, di arrabbiarsi, Arthur non ne ha la forza: è stanco, provato dall’intera faccenda, esausto dalla guerriglia, spossato dalle trattative, e vorrebbe soltanto chiudere in fretta le negoziazioni per tornare a seppellirsi a casa a leccarsi le ferite; dannato sia il prossimo che gli rinfaccia l’essere stato sempre da solo: ci sono momenti in cui vorrebbe davvero esserlo rimasto, e non aver iniziato a mettere in piedi un Impero tanto mal orchestrato. Sospira, ingoia il dolore, e si costringe a capitolare: avanza lentamente, lottando contro le folate che paiono volerlo ricacciare da dove è venuto; evita i massi più infidi, quelli che nelle ere sono stati ricoperti di licheni; poi si ferma, alle spalle del ragazzo –del suo ragazzo-, piantando larghe le gambe al suolo e incrociando le braccia al petto per cercare di darsi maggior sicurezza.

-Irlanda- esala, la voce appena più alta di un sussurro perché non si perda nel mugghiare dell’Atlantico.

-Eire, per te….fratello-.

La risposta, l’unica che ottiene, ha una voce meccanica, fredda, distante, quasi gelida, e combacia tremendamente poco con quella che, nella sua mente, apparteneva al fratello che conosceva. Non ha il tono allegro dei giorni di Beltaine, né quello solenne insegnatogli da Patrizio. Ma forse quello scambio di battute così ostico ha ormai raggiunto il limite, ormai se lo sono urlati addosso tante, troppe volte; si sono insultati in ogni modo possibile, si sono combattuti per secoli, nel fango, nelle strade, tra i ranghi e tra i campi, e per secoli hanno rimesso insieme una pace che sapeva soltanto di sangue. Non sono mai stati in grado di parlare, Inghilterra ed Irlanda, e forse il momento delle parole, delle recriminazioni e delle spiegazioni, non giungerà mai completamente: possono discutere un trattato, forse, ma riconciliarsi tra loro, quello mai.

Arthur indugia qualche secondo, lì impalato come uno stoccafisso; si riempie gli occhi del blu cupo del mare, del bianco della spuma della risacca, del grigio spento delle rocce adunche; rincorre le onde che s’infrangono tra le insenature, il fragore degli scrosci nelle orecchie. Poi, con un sospiro, compie l’ultimo passo e con estrema cautela, lui che è abituato solo a Dover e non a quegli scogli famelici e ingannevoli, si accovaccia sulla roccia sporgente, sedendosi malamente accanto all’altra nazione, cercando di mantenere un’aria noncurante.

Perché è davvero stanco, Inghilterra. Non ha dovuto solamente ricevere il Parlamento di due stati e sottoporsi a un’interminabile contrattazione cercando di valutare dove poteva concedere e dove invece doveva mantenere salda la presa. Non solo ha dovuto ritirare le truppe, cercando di placare in ogni sua forma la ribellione intestina che tanto sangue ha versato negli ultimi anni. Ha dovuto imbarcarsi in piena notte sulla prima nave in partenza per arrivare a Dublino, si è dovuto attraversare l’intera isola su un treno scalcinato per giungere a Galway e una volta lì è salito sul minuscolo traghetto turistico che l’ha portato, rollando sul braccio di mare che congiunge la città alla maggiore delle Aran, al porto di Inishmore. Poi si è dovuto armare di santa pazienza e camminare, infossandosi nel proprio cappotto per proteggersi dalle folate di vento, fermandosi talvolta a parlare con i pochi abitanti incontrati lungo il tragitto, rispolverando il suo gaelico arrugginito.

Sa dove va Irlanda, quando le cose vanno male. Non può biasimarlo, ma è stanco, di farsi tutta quella strada solo per ottenere una maledetta firma. È stanco, di arrivare ansante e sudato a implorare la sua approvazione, come se fosse lui quello che ha dichiarato guerra all’altro. È stanco, maledettamente stanco, di doverlo costantemente rincorrere, di dover inghiottire orgoglio e frustrazione per andare a concedergli quello che vuole sentendosi al contempo in colpa, passando per il fratello sfuggente e irritabile. Oddio, forse lo è anche, ma è più che sicuro che non ha mai dovuto correr dietro a nessuno, nell’arco della sua esistenza. Forse ha mal digerito l’indipendenza di America, e gli avrà anche tentato di fermarlo con le armi, ma non ha dovuto attraversarsi il continente dall’Arkansas all’Oregon per dargli il suo fottuto trattato.

-Irlanda- e lo ripete, cocciuto, perché sarà stanco ma di arrendersi non ne vuole comunque sapere. Anche se probabilmente ha sbagliato tutto fin dall’inizio, anche se a ben vedere loro nemmeno sono fratelli davvero, forse cugini o qualcosa di vagamente simile, anche se spesso quel suo modo di comportarsi gli ricorda quel citrullo di Francia – come adesso, i capelli sparsi nel vento ad incorniciare il cielo plumbeo- e la cosa lo fa innervosire e prudere le mani, Celti o non Celti. Anche se probabilmente sa di avergli fatto più male lui che qualunque altro stato sulla faccia del pianeta, di aver altrettanto sofferto per quella situazione di perpetuo scontro, non si abbasserà mai ad ammettere, in prima persona, l’esistenza di un qualcosa chiamato Eire.

 Irlanda è qualcosa di diverso da tutto il resto. Irlanda è sempre stato più di una colonia o di un dominio, è sempre stato tutto ed è stato niente. Se lo ricorda, quel giorno in cui l’ha visto la prima volta, si ricorda cos’ha provato nel guardare a fondo in quelle iridi di smeraldo prima che fuggissero via terrorizzati. Irlanda c’era, c’è sempre stato, a pochi passi da lui, al di là dello stretto. C’era quando si faceva sconfiggere da Francia, c’era quando iniziava a crescere, c’era quando America se n’è andato, c’era quando sono arrivati India, Canada, Australia, Sud Africa e tutti gli altri. Irlanda è quello coi capelli rossi del sangue dei suoi patrioti, e quello con gli occhi verdi dei prati incolti, è quello che è al suo fianco da più di sette secoli, è quello che è ancora vagamente scheletrico dall’ultima carestia, è quello che rende Regno Unito un regno che unito non lo è mai stato. Irlanda litiga con lui quasi ogni santo giorno, urla e magari piange anche; Irlanda si ubriaca al suo fianco quando nessuno vede; Irlanda giura di non scorgere nessuna fata da quando Patrizio gli ha detto che è blasfemia, anche se Inghilterra sa che ne vede quante lui, se non di più; Irlanda sa essere così schifosamente cristiano -e diavolo quanto gli manca l’allegria di Beltaine- e in quasi centovent’anni di matrimonio forzato avranno dormito sotto lo stesso tetto sì e no un paio di volte; in compenso, però, si sono pestati a sangue almeno un centinaio. Irlanda è quello che lo odia più di tutti, tra le varie nazioni, perché è quello che lo conosce meglio e gli somiglia di più.

Irlanda è stato tutto. Ed è stato niente.

Forse è anche giusto che le cose terminino così, con una guerra combattuta nelle strade e un trattato che riconosce l’ennesimo dominium – un divorzio in grande stile.

-Ho terminato di trattare con il Daìl Éireann, e siamo giunti a un accordo. Vi riconosciamo lo status di dominio all’interno del Commonwealth. Avrai un governatore generale, un parlamento bicamerale, un gabinetto esecutivo e un primo ministro, anche se dovrai continuare a riconoscere il Re-.

Irlanda apre la bocca, come se dovesse dire qualcosa. Pare deve sputargli addosso il suo livore in una sfilza inconsulta di insulti, ma scuote il capo e tace, con un sorriso amaro che fa più male di cento parole.

-Perfetto- dice soltanto, tornando a fissare il mare con sguardo spento e lontano.

Inghilterra si agita, a disagio. È sempre così, tra loro: lui parla, quel poco che lo fa, comunicandogli le decisioni prese, le alleanze, le guerre, i provvedimenti; Irlanda ascolta e tace, salvo poi scendere nelle strade a urlare e predicar guerra. E ad essere sinceri, in tutti quegli anni non ha mai capito perché diamine lo faccia: potrebbero intavolare delle discussioni civili, parlare dei problemi, cercare delle soluzioni assieme; magari lui non ascolterebbe, calato nel ruolo della madrepatria incompresa che deve provvedere a tutto e tutti e mantenere un certo status quo anche quando non dovrebbe, ma non comprende perché suo fratello non provi nemmeno, a parlargli. Cerca di rimanere concentrato sul discorso avviato, per non rischiare di mettersi ad urlare – di nuovo – cosa pensa in realtà.

-Perfetto, sì. A gennaio ci sarà una seconda ratificazione, vedi di esserci, stavolta. Per quanto riguarda l’Ulster…-

-Starà con te – lo zittisce immediatamente, tirando improvvisamente fuori le unghie all’argomento spinoso – Qualunque cosa abbiate deciso, starà con te: non ho alcuna intenzione di trascinarla via, se con me non vuole stare. Non ha senso parlarne-

Già, forse non ha davvero senso, perché Irlanda del Nord ha colto al volo l’opportunità e ha già deciso per entrambi, ma Inghilterra invece vorrebbe che ne continuassero a discutere, vorrebbero che arrivassero a un accordo vero, vorrebbe magari arrivare a fare a pugni per l’ennesima volta e continuare ad urlare fino allo sfinimento, ma poi essere finalmente in pace tra loro. Vorrebbe soltanto riuscire a dire scusa e sentirsi rispondere un grazie, ma è un desiderio che dura un istante. Il tempo che ci mette a ricordarsi di essere inglese e di non dover inginocchiarsi davanti a nessuno, il tempo che ci mette Irlanda a tornare a guardare il mare.

-Bene- sibila allora, irritato, e si ripromette di mandarlo definitivamente al diavolo il suo maledetto boss, che venga lui a farsi tutto il viaggio per scontrarsi con quello zuccone; si ripromette anche di parlare a sua sorella, per una volta, ma questo è un pensiero che la sua mente accarezza solo inconsciamente. Incrocia le dita tra loro, quelle dita che hanno perso i calli della spada e hanno assunto quelli dei fucili, e nasconde il tremito che gli attanaglia il cuore.

-Bene. Allora siamo d’accordo-

Al suo fianco, suo fratello sbuffa, sputando a terra.

-Dio, Arthur! Davvero, non cambierai mai. Non riesci proprio a vedere al di là del tuo naso, nemmeno se ti c’infilassi  su una pallottola -.

Inghilterra sussulta, a quelle parole, e si volta a fissare il profilo aggrottato di quel volto pallido e smunto come un lenzuolo liso.

-Cosa vorresti dire, Niall?-

-Credi davvero che sia finita?-

-Non lo è? Avete accettato le condizioni, avete firmato la pace, avete…-

-Siamo divorziati?-

La domanda coglie la Nazione impreparata. Definire “matrimonio” il legame che teneva in piedi il Regno Unito è ciò che ha sempre definito un controsenso. Insomma, nella sfera di significati umani che può assumere, la parola presuppone in ciascuno un affetto di fondo che, tra loro due, non c’è mai stato. Tuttavia, forse è quella che coglie meglio tutto quel che c’è dietro la facciata, anche se in quel modo particolare tipico della loro esistenza. Litigano ogni giorno, a volte si pestano anche a sangue, mal si sopportano a vicenda e fanno squadra solo nelle occasioni di pericolo estremo. Però sembra non essere ancora abbastanza.

-Non…non completamente. Tecnicamente…-

-Allora non è finita, Arthur. Collins sarà soddisfatto di quel che ha ottenuto, ma de Valera non s’accontenterà di un riconoscimento di dominio, credimi-.

Cala di nuovo il silenzio, tra i due. Kirkland alza appena lo sguardo, adocchiando i dispettosi ciuffi sanguigni che volteggiano scomposti, a metà strada tra la risposta rancorosa che gli è naturale e una minaccia isterica da madrepatria offesa, ma non ribatte. Dal canto suo, Niall continua ad osservare la distesa oceanica, mentre la sua mente si diletta – o si angoscia con chissà quali pensieri. Probabilmente ricordi, più o meno aspri, di quella vita a due che è sempre andata stretta ad entrambi. Ricordi di giorni passati insieme, nel lento scorrere dei decenni; giorni trascorsi a correre nei pascoli col tenue sole primaverile sul viso; giorni trascorsi chiusi in una stanza a migliorare la postura e a studiare per farsi una cultura; giorni trascorsi su navi odorose di resina a solcare i mari in cerca del nemico; giorni trascorsi far funzionare macchine e a far ripartire l’economia in crisi… giorni trascorsi a crescere in vista di un fine.

E improvvisamente, la consapevolezza di ritrovarsi, per l’ennesima volta, fianco a fianco lontani dal mondo, crolla sulle spalle inglesi con la furia di una valanga, tanto che avverte la necessità di colmare immediatamente quel vuoto carico soltanto di vento e salsedine.

-Niall… perché sei venuto qui? Perché vieni sempre qui?-

Il ragazzo non risponde subito. Non è nel suo carattere, non è nel suo modo di fare. Si prende il tempo di cercare le parole, trovare le emozioni che vuole esprimere, di costruire nella sua mente il discorso che vuole pronunciare: come quando compone una delle sue ballate, Irlanda non parla mai senza calibrare il tutto.

-Kilmainham Gaol è ancora sporca di sangue. Le strade, i porti, le case… in tutta Dublino, vi sono tracce di sangue. Ci sono stati più di mille morti, stavolta, l’intero paese è in subbuglio, la mia economia è praticamente in ginocchio e a stento riesco a restare in piedi. Ho…abbiamo dato tutto, l’IRA, la popolazione, io stesso, abbiamo dato tutto per arrivare fin qui. Sono stati gli anni più crudi e infernali della mia esistenza. Domani, forse, sarò pronto, inizierò la mia storia di dominium – e le sue labbra s’increspano in una smorfia di disgusto, mentre lo dice –Però oggi, solo oggi, voglio tornare ad essere quella sperduta isoletta in cui nemmeno Roma era arrivato, stare a guardare il mare come allora, senza sapere che al di là di esso ci fosse qualcosa, e immaginare che l’Atlantico fosse libertà e indipendenza. Quindi, Arthur, per favore… vattene. Vattene, perché altrimenti potrei cacciarti il tuo maledetto trattato su per la gola e fare qualcosa di cui potrei pentirmi-.

Inghilterra tace, annichilito, e lo guarda solamente, ricordandosi di quando in quando di respirare. Si ricorda di aver pensato più o meno le stesse cose, qualche secolo prima, e non riesce davvero a ribattere. Può solo restare a guardare mentre suo fratello si alza in uno scatto atletico e si allontana lungo la linea della scogliera, un piede dopo l’altro sul ciglio dell’abisso – un piede dopo l’altro lontano da lui- e ricordarsi che, dannazione, se quell’ingrato vuol fare di testa sua faccia pure, può anche farne a meno e, per la Corona, l’ha deciso lui, stavolta, che poteva farlo.

Guarda di nuovo il mare, avvertendo la struggente malinconia dell’abbraccio del Dún Aonghasa, e si ricorda perché, alla fin della fiera, arrivare fin lì non gli è mai dispiaciuto molto: anche lui adora quel posto.

Profuma di salsedine, di oceano e di erba fresca.

Profuma di casa.

 

 

Note:

Dicembre: il trattato Anglo-Irlandese che pose definitivamente fine alla Guerra d’Indipendenza  venne ratificato la prima volta nel dicembre del 1921 e successivamente nel gennaio del 1922.

Elisabetta, Enrico II: Elisabetta I, in linea con la politica contro la Spagna, incoraggiò e appoggiò le incursioni pirata  contro le navi spagnole condotte da corsari al servizio della corona (per esempio, Francis Drake); Enrico II guidò la spedizione del 1171 in Irlanda per impedire che Richard de Clare, suddito della corona ma sposato con la figlia dell’allora re di Leinster, divenisse sovrano dell’isola. La data segna il passaggio dell’Irlanda da stato indipendente a dominio britannico.

Eire: Nome gaelico dell’Irlanda. A causa della confusione derivata dalla divisione dell’isola, il nome ufficiale sarebbe Repubblica d’Irlanda (Poblacht na hÉireann in gaelico) per la parte sud e Irlanda del Nord per quella settentrionale. Ho optato per sottolineare il contrasto tra i due fratelli evidenziando la differenza: Eire è il nome che riconosce l’indipendenza della nazione, Irlanda come stato ancora suddito del Commonwealth (il nome dello stato, dopo il Trattato, sarebbe Stato libero d’Irlanda).

Beltaine: una delle tante feste celtiche, celebrata tutt’ora a maggio. Intende quindi il periodo pre-cristiano.

Patrizio: santo patrono d’Irlanda, primo grande predicatore dell’Isola.

Aran: isole della costa occidentale irlandese, composta da Inishmore, Inishmaan ed Inisheer (indicate con la dicitura inglese). Queste isole sono assai caratteristiche, in quanto, oltre a manifestare l’erosione delle correnti oceaniche con delle imponenti scogliere, ed essere abitate solo da pescatori e filatori di lana, sono uno degli ultimi baluardi della lingua gaelica. Attualmente, per percorrere le strade di Inishmore ci sono dei pulmini, delle carrozze a cavallo o un noleggio di biciclette, che però sono mezzi disponibili solo dagli ultimi cinquant’anni. Andare a piedi è possibile, credetemi XD.

Francia, Celti: le popolazioni celtiche sono originarie di una zona compresa tra la Germania meridionale e la Francia orientale. Da lì si diffusero nella regione francese, per poi raggiungere le isole britanniche tra il IV/III secolo a.C.

Regno Unito, matrimonio forzato: a partire dal 1 gennaio 1801, l’Irlanda entrò a far parte del cosiddetto Regno Unito per rafforzare il predominio inglese sui suoi territori (dove invece altrove si iniziavano a creare domini autonomi) in seguito all’ennesima ribellione; ne uscì ufficialmente con il Trattato del 1922. In ogni caso, è stata una delle prime colonie inglesi (ancora prima di Galles e Scozia).

Daìl Éireann: parlamento irlandese.

Ulster, Irlanda del nord : l’Ulster, la sesta provincia dell’Irlanda (oggi nota come Irlanda del Nord), era composta da una maggioranza protestante, e non prese parte alla guerra. Al momento del Trattato, al suo parlamento venne lasciata la libertà di decidere sulla sua sorte, e decise di restare a far parte del regno unito. Considerando la frase che ho trovato (“il Trattato consentiva all'Irlanda del Nord, di chiamarsi fuori dello Stato libero. Come tutti si aspettavano, il governo nordirlandese, a maggioranza protestante, approfittò senza indugio della possibilità che gli era stata offerta”- da Wiki XD), ho pensato di rappresentare a sua volta l’Irlanda del Nord nei panni di una ragazza.

Collins, De Valera: Micheal Collins ed Eamon de Valera furono due dei principali capi della Guerra d’indipendenza. Dopo il trattato, tuttavia, sorsero contrasti tra la fazione a favore del trattato (capeggiata da Collins) e una indipendentista (capeggiata da De Valera) che portò alla guerra civile del 1923.

Kilmainham Gaol: la più grande prigione di Dublino, dove vennero giustiziati i capi della Easter Rising del 1916 , e dove molti indipendentisti vennero tenuti prigionieri .

IRA: Irish Republican Army (anche nota come Old IRA), corpo paramilitare nata dai Volontari Irlandesi, riconosciuta in seguito come esercito della Repubblica. Si distingue tuttavia dall’IRA moderna

in cui nemmeno Roma era arrivato:  come si sa, il dominio dell'imprero Romano era giunto fino all'inghilterra, ma sembra che non riuscì ad estendersi fino alle coste irlandesi, considerate pericolose e "abitate da barbari". Alcuni resti testimoniano sì l'influenza dovuta alla cultura romana, ma si è propensi a credere che siano determinati solamente da rapporti commerciali.

Dún Aonghasa: uno dei forti celtici i cui resti sono visibili su Inishmore (quello visibile nella foto)

 

 Secondo personaggio, Irlanda (per il quale ho scelto il nome Niall, prendendolo da non mi ricordo quale capoclan celtico XD). va precisato ce il nostro ha un carattere particolare: qui ho messo in luce il lato melanconico e sofferente, altrove però risulterà più tendente al dandy XD

ah, e presto comparirà anche la sorella, Erin (aka Irlanda del Nord)

 

 Ringrazio sentitamente tutti coloro che hanno letto, e in particolare per le loro recensioni:

wolverina: certo che lo so, me too XD Sono contenta che Marino ti sia piaciuto, spero gusterai anche gli altri due XD sapessi che progettucci ho per Brasle...*_*

Sujaku Seiryu: il tuo commento mi ha reso oltremodo felice, perchè in fatto di caratterizzazione avevo una fifa blu XD insomma, sono ancora agli inizi, in questo fandom, e devo farci la mano. Però sono lieta che alla fine sia venuto bene. Aspetto con ansia anche il tuo, allora, ha l'aria di essere molto interessante **

Sokew86: sono contenta ce ti sia piaciuta ^^ oh, Vaticano, quanti ricordi ** Non vedo l'ora di leggere, sembra intrigante

Gracy110:  figurati, cherie, te lo dovevo. Ormai i tuoi mi detesteranno XD

Prof: purtroppo nel mio caso la casinara sono io, non hai la benchè minima idea di quante figuracce ho già fatto XD Da quel punto di vista, assomiglio anche troppo a Veneziano, tesoro lui XD comunque, sì, San marino sarà la mia comparsa ufficiale, quello che sta sempre sul fondo a fare le gag col telefonino (Ehi! come sarebbe a dire? n.d.SM). trattami bene Niall, che mi serve, neh XD va bene così com'è <3

see you next time ^^

wolvie

 

 

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Capitolo 3
*** 3] carnival, what a nightmare! ***


carnival, what a nightmare

*rullo di tamburi* ed ecco a voi...il terzo capitolo ! così ho finito di rompervi le scatole XD

No, vabbè, spero di avervi qantomeno divertito un po', e mi auguro che questa piccola storiella vi strappi un sorriso: Brasile pare più una comparsa, ma è un bel tipo. e sì, un po' ci somiglia, Sempai XD

De Hetaliana Geographia

3] Carnival, what a nightmare!

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Un incubo. Un vero proprio incubo.

Neppure il Congresso di Vienna si era rivelato altrettanto terribile: star dietro a Nazioni, regnanti, rappresentanti, delegati, balli, incontri, urla e farneticazioni senza senso per trovare compromessi adeguati a tutti era stato infinitamente più rilassante che partecipare a quella vacanza collettiva camuffata da summit istituzionale.

Con un sospiro, Austria sollevò lo sguardo dalle proprie scarpe, ormai irrimediabilmente infangate, e lo puntò sulla piccola porzione di cielo disponibile dal suo punto di osservazione, aguzzando lo sguardo tra i rami degli alberi alla ricerca della loro meta.

-Voi siete sicuri che siamo sulla strada giusta, vero? – chiese, cercando di suonare calmo e controllato.

Per sua sfortuna, nessuno gli prestò la minima attenzione: Inghilterra era impegnato in un’animata discussione con Francia a proposito di una stupidaggine che nessuno dei due ricordava più; America si divertiva a dar ragione ora all’uno ora all’altro, giusto per provocare l’ex madrepatria tentando di condurla a una crisi di nervi; da un altro lato, Spagna stava scongiurando Romano di perdonarlo per non averlo salvato da un pitone in agguato, mentre Veneziano giocherellava con il suddetto rettile, steso per puro caso mentre si voltava a parlare con il fratello; poco lontano, Germania, calato nel ruolo di nazione guerrigliera, tentava di organizzare un corpo di soldati in grado di sopravvivere alle difficoltà formato da Giappone, Cina, Hong Kong e Sealand, ma per sua sfortuna colui che avrebbe dovuto aiutarlo, Prussia, stava cospirando chissà cosa insieme a Corea. Ivan si era rifugiato in cima ad un albero, scappando dalle mire conquistatrici di Bielorussia, e ora le tre Nazioni Baltiche tentavano di tirarlo giù da lì e di tenere al contempo lontano da lui la tremenda sorellina. Svizzera, armato di schioppo caricato a pallettoni, continuava a girare in tondo alla sorellina, pronto a difenderla da qualunque pericolo: non di rado, però aveva rischiato di bruciacchiare qualcuna delle nazioni lì girovaganti. Per concludere in bellezza, dall’alto della sua esperienza in fatto di bricolage, Svezia stava coordinando il gruppo dei Nordici per la costruzione di un aereo in grado di portare tutti quanti in cima alla montagna, supportato dalla consulenza aviatoria di un Canada entusiasta per essere stato preso in considerazione.

Un incubo. Anzi, quasi peggio.

Ungheria, al suo fianco, tentò di fargli coraggio con un sorriso titubante, prima di eseguire un’elegante giravolta su se stessa per mettere al tappeto a suon d padellate un povero primate spuntato dal fondo della boscaglia; e a quel punto, stressato, perso nella foresta equatoriale con un branco di pazzi furiosi, senza un pianoforte a disposizione, Austria raggiunse il culmine.

-INSOMMA! QUALCUNO MI VUOLE DIRE DOVE DIAVOLO SIAMO?!?- 

Immediatamente, calò un silenzio tombale sull’intera zona, tanto che pure i volatili smisero di fare baccano e Grecia si svegliò di soprassalto dall’angolino in cui si era appisolato: tutte le nazioni rivolsero sconvolte lo sguardo alla sua persona, perplesse. E finalmente, il gruppetto di ragazzi che confabulavano da più di mezz’ora attorno a una cartina, parve ricordarsi di dover prendere una decisione e di smettere di temporeggiare: Australia si caricò lo zaino in spalla, Turchia si armò di un grosso coltellaccio per aprire la strada, Cuba si premurò di andare ad avvertire i distratti della partenza, mentre il padrone di casa, Brasile, si avvicinava al “fratello” irato.

-Tranquillo, Roderich! Altri cinque minuti di cammino verso Nord e siamo arrivati.-

Trattenendosi a stento dall’afferrarlo per il collo e strozzarlo, Austria s’impose di concentrarsi su Mozart e di calmarsi, almeno quel che bastava per restare sano di mente fino al ritorno a casa.

Tutti gli incubi finiscono, no?

 

No, non tutti gli incubi terminavano, a quanto sembrava.

-C’è una strada! C’è una comoda strada asfaltata che arriva fin davanti a questo coso, perché noi abbiamo dovuto affrontare giungla, bestie, liane e zanzare?-.

Giunti finalmente in cima al monte Corcovado, tra mille difficoltà e problemi – avevano rischiato di perdere Veneziano per strada un paio di volte, e Finlandia per poco non aveva mobilitato le renne da casa sua per venirli a riprendere- l’intero gruppo di Nazioni si stava godendo il panorama delle montagne ricoperte di vegetazioni lussureggiante e delle abitazioni disseminate a valle che componevano il nucleo di Rio, disponibile dalla piattaforma su cui si ergeva la gigantesca statua di Gesù Cristo, il tutto tra gridolini estasiati e borbottii nervosi. Dal canto suo, Austria lottava da parecchi minuti con una crisi di iperventilazione dovuta dal riconoscimento dell’inutile fatica compiuta, e a nulla serviva l’aiuto dell’ex-moglie, intenta a fargli aria con un grosso fazzoletto.

-Andiamo, fratellino, così vi sareste persi il meglio della flora del luogo!-

La Nazione fu molto, molto tentata d’infrangere il perfetto sorriso smagliante che Brasile sfoggiava sempre con un pugno o in alternativa utilizzando uno dei tegami di Ungheria, o di rasare a zero i perfetti riccioli che gli spuntavano in fronte; ma si trattenne solamente al pensiero di cosa avrebbe scatenato un incidente diplomatico di tali proporzioni. Approfittando della sua incertezza, il ragazzo salterellò via, correndo da un capo all’altro della piazzola, mobilitando i parenti più intraprendenti.

-Forza! Chi viene a scalare il Cristo Redentor con me?-.

Il grido entusiasta di Prussia e Corea mandò definitivamente in frantumi le sue speranze di concludere immediatamente la traumatica esperienza, ma non trovò minimamente la forza di provare ad impedire a chicchessia la nuova impresa: collassato a terra contro il basamento del colosso di pietra, si limitò ad invocare un intervento divino che lo riportasse a Vienna il più velocemente possibile.

 

-Voglio il mio pianoforte. Esigo il mio pianoforte!-

Ungheria sorrise incerta, occhieggiando preoccupata il nuvolone di malumore che aveva avvolto il capo di Austria e che minacciava di mandare lampi e fulmini da un momento all’altro. Ponderò un istante sul da farsi, provando a guardarsi attorno alla ricerca di un aiuto o di una via di fuga. Al termine della scampagnata, dopo aver recuperato anche gli avventurosi che si erano arrischiati, con corde e rampini, sulla statua simbolo della città, erano finalmente ritornati a valle, ma purtroppo per loro la vacanza non si era conclusa lì: perché malauguratamente, Brasile li aveva invitati a casa sua proprio nel periodo in cui impazzava il Carnevale.

Appollaiati su uno dei centinaia di carri che sfilavano per le strade di Rio, avvolti tra paillettes sfavillanti, strisce filanti e coriandoli che piovevano da ogni dove, il gruppo di nazioni in trasferta stava partecipando alle celebrazioni della festività, ognuno a modo suo.

Certo Elizaveta non poteva biasimare l’ex marito: da un lato, Brasile, Francia, Prussia e Spagna, inguainati in completini colorati da ballerine di samba, con lustrini, piume e costume a due pezzi, ancheggiavano al ritmo di “Brazil, Brazil”, tentando di coinvolgere anche qualcun altro nel trasandato trenino –Australia scappò urlando inorridito, Turchia parve rifletterci, salvo ripensarci immediatamente all’occhiataccia di Egitto. Dall’altro, un Cuba estremamente indignato ribatteva cantando “Cuba, quiero bailar la salsa” con tutta la voce che aveva, tentando d’insegnare il suddetto ballo a un imbarazzatissimo Canada e a un’entusiasta Veneziano. Inghilterra si era incollato a una bottiglia di liquore, e ormai era ubriaco fradicio, appeso ad un’estremità del complesso semovente; capeggiati da America, il gruppo asiatico e il gruppo slavo, con l’aggiunta di Danimarca, era sceso – chi più recalcitrante chi meno- all’inizio della parata e si era messo a gironzolare, con sommo sprezzo del pericolo, per le strade affollate e chiassose – di tanto in tanto spuntava in giro la sagoma di Russia, o la katana di Giappone. Germania e Romano, gli ultimi rimasti sani di mente, avevano decretato di comune accordo di sospendere le ostilità, impegnandosi anima e corpo in un’animata partita a poker con il gruppo nordico rimasto, seminascosti nella foresta di palme finte che costituiva il retro del carro allegorico.

E in tutta quella confusione, il povero Austria sembrava aver raggiunto il limite.

-Su, su, Roderich caro, resisti ancora un pochino- tentò di consolarlo, battendo amorevolmente una mano sulla sua spalla.

Per tutta risposta, l’uomo scoppiò a piangere a dirotto, attaccandosi alla sua gonna.

Mai più vacanze di gruppo durante il Carnevale!



Chiedo scusa a tutti per aver fatto venire una crisi isterica ad Austria. Però capitemi, mi serviva qualcuno di sostanzialmente serio XD

Inutile dire che non credo ci sia mai stata una riunione della NATO o dell'ONU o qualcosa di simile, a Rio. Esigenze di copione, fate conto che sia una seconda Copenhagen U_U'''

ringrazio per le loro recensioni:

Sokew86: grazie per averla letta, sono contenta ti sia piaciuta ^^

Gracy110: tu non sai quanto contenta mi fai con le tue recensioni ** Sapere che Niall ti piace, poi, mi manda al settimo cielo **  (chissà come mai, neh XDXDXD e per influenza di chi, soprattutto XD)

chi commenta si ritrova Francia, Spagna, Prussia e Brasile a ballare la samba a casa U_U

o in alternativa cuba a darvi lezioni di salsa XD

besitos

 

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