De Hetaliana Geographia di Oducchan (/viewuser.php?uid=6095)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1: A Christmas Carol ***
Capitolo 2: *** 2] Divorce – {ma dicembre sa ancora di sangue } ***
Capitolo 3: *** 3] carnival, what a nightmare! ***
Capitolo 1 *** 1: A Christmas Carol ***
a christmas carol
Piccolissima introduzione.
all'inizio,
doveva contare molti capitoli in più. Di idee ne avevo tante,
tanti erano i personaggi che volevo introdurre, ma poi, vuoi per
mancanza di tempo, vuoi per difetti di trama, ne ho scelti solo tre.
Tre capitoli per tre OC diversi. Giusto per farveli conoscere un po'
Ma
prima, devo fare una piccola dedica e un ringraziamento speciale, alle
tre persone che hanno pazientemente sopportato i miei scleri e che
hanno contribuito alla nascita di questa mini-raccolta
A
Gracy110, beta instancabile, costretta a sgobbare pure il giorno della
Vigilia (ma non solo quello), e che mi sopporta pazientemente. San
Marino, cherie, è per te <3
A
Prof, nota anche come Danna, che si è appassionata al progetto
tanto da dar volto a irlanda e irlanda del Nord, che ha già pure
scritto una fic con loro dentro XD Niall, mon amour, è per te
A
Knockwave, la mia adorata sempai, che si è sopportatat dubbi,
questioni, domande, che si è dovuta sorbir la genesi di tutti i
personaggi. Non sarà India - ma prima o poi arriverà
anche lui, me lo sento XD - ma Brasile, che somiglia ad entrambe,
è per te <3
Bene si comincia.
De Hetaliana Geographia
1] A Christmas Carol
-Veneziano… per Natale, hai
impegni?-.
La domanda, incerta e
imbarazzata, borbottata a metà di una sessione di shopping natalizio per
trovare i regali per tutti, giunse puntuale come ogni anno un paio di settimane
prima della festività, anche dopo il termine della guerra. Germania poteva
forse variare l’ordine delle parole da un inverno e l’altro, oppure
chiederglielo nei momenti più disparati – alla fine di una riunione, mentre gli
lasciava campo libero in cucina, mentre spalavano la neve- ma il senso
implicito non cambiava: per quanto la risposta fosse ogni volta scontata, il
tedesco aveva la necessità di sentirsene rassicurato.
La nazione italiana strabuzzò gli
occhi, spalancando le labbra in una “O” di stupore, come era solito fare alla
proposta di passare insieme la festa; ma poi, invece di illuminare la stanza
con un sorriso smagliante iniziando a saltellargli intorto estasiato, si grattò
pensoso la guancia alzando lo sguardo al soffitto come a scartabellare
un’agenda misteriosa.
-Uhm, sì, in effetti ne avrei uno
con Romano, dovrei andare da mio fratello…-
Raggelato, Ludwig deglutì a
vuoto, nascondendo in fretta la delusione per essere stato scaricato dietro un
colpo di tosse e un accennato rossore delle guance; pronto a far finta di
nulla, aprì bocca per cambiare rapidamente discorso, ma Veneziano lo prese una
seconda volta in contropiede, nel momento in cui gli saltò al collo ridendo
solare.
-Chissà come sarà contento se
porto anche qualcun altro! Devo telefonare immediatamente a Giappone, sì, e
poi…-.
Poi Germania smise di ascoltare,
il viso che andava a fuoco dall’imbarazzo.
L’ennesima macchina rombante
passò rapida sulla strada che portava verso il centro del paese, sollevando
appena il cumulo di foglie secche che giacevano abbandonate sotto la fila degli
alberi ormai spogli. Fermi a lato della piccola piazza, Germania cercava in
qualche modo di far fronte all’entusiasmo dirompente di Veneziano, talmente
iperattivo per ritrovarsi, la
Vigilia di Natale, in quella sperduta cittadina del
centr’Italia con i suoi “Migliori Amici” da non essere in grado di stare fermo
né zitto per un solo secondo. Dal canto suo, Giappone continuava a guardarsi
attorno incuriosito, cercando di incamerare più informazioni possibili, ponendo
solamente ad intervalli regolari qualche domanda imbarazzata che torturava la
sua mente; domande alle quali la nazione di casa rispondeva con slancio, interrompendo
i suoi monologhi su pasta e cibo per dilungarsi in spiegazioni approfondite.
Pensieroso, Ludwig si strinse
maggiormente nel cappotto, alzando lo sguardo sui primi bastioni che si
ergevano alle loro spalle a solo pochi metri di distanza, studiando le forme
delle merlature che contrastavano contro il cielo ormai all’imbrunire.
-Veneziano… cos’è che stiamo
aspettando?-.
Il giovane interruppe l’avventuriero
racconto dell’introduzione della pasta nella cucina locale e sorrise, battendo
tra loro le mani protette dai guanti.
-Romano nii-chan arriverà tra poco!
Chissà se c’è anche Spagna!- trillò solare, iniziando a saltellare in giro
cinguettando un “pasta” frenetico.
Notando l’occhiata perplessa rivolta loro da un’anziana passante, Ludwig si
affrettò ad acciuffarlo premendo con decisione le mani sulle sue spalle, mentre
Giappone si eclissava in un angolo facendo finta di non conoscerli – navigata
tecnica nipponica per le situazioni imbarazzanti.
-Ti vuoi dare una calmata?-.
-Ehi, mangiapatate! Tieni giù le
mani da mio fratello, hai capito?-.
Il grido indignato di un assai
irritato fratello giunse da dietro la fila di macchine parcheggiate dall’altro
capo della strada: Kiku fece appena in tempo a scartare preventivamente di
lato, prima che una sorta di belva feroce si lanciasse verso Germania per
allontanarlo a viva forza; serafico e solare come sempre, Spagna li raggiunse
attraversando con calma la strada, per nulla turbato del tentativo di omicidio
in corso.
-Buonasera a tutti!- salutò
cordiale, afferrando Romano per la collottola e allontanandolo quel tanto che
bastava per lasciare la presa – alquanto dubbia- sul collo del tedesco.
Veneziano, ignorando totalmente la furia omicida del ragazzo, colse l’occasione
per stringerlo in un abbraccio soffocante ed iniziare a fargli le feste.
-Romanooooooo! Hai visto, hai
visto? Ci sono anche Germania e Giappone, li ho convinti a venire!-.
-Come sono contento – borbottò
l’interessato, annaspando da sopra la sua spalla e rifilando un’occhiataccia
raggelante ad entrambi i convitati – Germania storse il naso, scettico; Kiku
pose mano alla katana: non si poteva mai sapere, con questi europei.
-Che bello, c’è anche Spagna! Sarà
una bellissima serata!- e di nuovo, sprizzando entusiasmo italiano da tutti i
pori, improvvisò un balletto al grido di “pastapastapasta”,
contornato dagli insulti più o meno eleganti del fratello maggiore mentre
cercava di liberarsi, e dalle risate di Antonio. Prima che però Ludwig perdesse
totalmente la pazienza, Kiku tossicchiò con estrema serietà attirando
l’attenzione di tutti.
-Scusate… adesso che dovremmo aspettare?-
Veneziano si fermò
immediatamente, colpito da una gomitata allo stomaco infertagli a tradimento
dal fratello maggiore, e crollò miseramente a terra. Romano, liberatosi, iniziò
ad inferire sul ferito, urlando e agitando un pugno all’aria, facendo allertare
immediatamente le altre tre Nazioni.
-Razza di stupido, una cosa
dovevi fare! Non dirmi che ti sei dimenticato di avvisare che arrivavamo oggi!-.
-Romano, per favore, potresti cortesemente
lasciare stare tuo fratello? Scusate il ritardo, i preparativi del cenone mi
hanno trattenuto-.
Con loro sommo stupore, sia Spagna
che Germania che Giappone, voltandosi per scoprire chi avesse parlato, poterono
constatare l’arrivo di una sesta persona. Un giovane alto, vestito con estrema
eleganza, dai capelli castano scuro perfettamente pettinati e ordinati, un paio
di occhiali squadrati inforcati sul naso e un sorriso dolce ed educato rivolto
a tutti i presenti. L’Italia del Sud fece un passo indietro, abbassando lo
sguardo imbarazzato; la parte settentrionale, invece, come risorta
miracolosamente, scattò immediatamente in piedi, gettando le braccia al collo
del nuovo arrivato.
-San Marino! Fratellone, come
sono contento di vederti! Hai visto? Abbiamo portato ospiti!-
Con somma decisa educazione, il
giovane riuscì a liberarsi dalla presa, sistemandosi gli abiti sgualciti e
dando una rapida ravviata anche a quelli di Veneziano con fare particolarmente materno.
-Ho notato, ho notato… e tu ti
sei scordato di avvisare, come tuo solito. Piuttosto, mi presenteresti questi
poveri ragazzi?- aggiunse, con un sorriso più ampio rivolto alle tre Nazioni
che, imbambolate, guardavano la scenetta con occhi spalancati di incredulità.
-Oh sì, certo! Questo qui è Spagna,
sai, l’amico di Romano fissato con i pomodori! Quello lì che tenta di
nascondersi invece è Giappone, ti ricordi che te ne avevo parlato, quello che
non si capisce mai cosa pensa… e questo, questo è Germania!-
Rivolto un cenno del capo agli
ospiti man mano che gli venivano presentati, e fatto intendere all’altro
fratello di tacere con un movimento della mano, San Marino soffermò
maggiormente la propria attenzione sull’ultimo menzionato, concedendosi qualche
minuto in più per studiare la chioma bionda e gli occhi azzurri di un Ludwig
che raggiungeva i limiti massimi del compassato imbarazzo.
-Oh, il tuo… come si dice…- parve
rifletterci, sfilandosi appena gli occhiali per osservarlo più da vicino –
ragazzo, no?-
Per la prima volta nella sua
vita, Germania rischiò seriamente il collasso. Mentre Veneziano, rosso come un
pomodoro, iniziava a strillare qualcosa per smentire, mentre Romano tentava di
tornare alla carica per ammazzarlo, mentre Spagna si affrettava a trattenere il
suo ex protetto con una serie di risolini nervosi, il povero Ludwig barcollò,
asciugandosi il sudore che gli imperlava la fronte, venendo subito
opportunamente soccorso da Giappone – che sfoderò uno dei ventagli sottratti a
Taiwan, iniziando a fargli aria. San Marino fissò perplesso l’intera scenetta,
prima di sospirare e rinfilarsi le lenti sul viso.
-Comunque sia, sono oltremodo
lieto di fare la vostra conoscenza, io sono San Marino… la Repubblica vi dà il
benvenuto. Forza, andiamo, ci aspettano alla Rocca- e, come un uomo navigato ed
esperto di intrattenimento, batté le mani un paio di volte. Subito, come
rispondendo al suo comando, le luminarie che decoravano la via si accesero
all’unisono, donando alle file di piante e al profilo delle mura un magico
bagliore dorato, risplendente nel buio della sera incombente. Con l’ennesimo
sorriso, il giovane fece loro cenno di seguirlo mentre s’incamminava lungo la
strada, dribblando abilmente le insidie della pavimentazione e salutando ogni
singolo compaesano che incontrava. Immediatamente, le due Italie si
affrettarono a sgusciare a suo fianco, uno a destra e uno a sinistra.
-San Marino, San Marino! – pigolò disperato Veneziano,
tirandolo per la manica della giacca –Vero che hai fatto gli spaghetti? Vero?-
-No, Veneziano- rispose pacato
quello, senza fermarsi, voltando appena il capo verso gli ospiti con un sorriso
di scuse.
-Ti prego, dimmi che hai cucinato
i maccheroni. Ti scongiuro!- implorò Romano, appendendosi a sua volta al
cappotto ormai spiegazzato del fratello maggiore.
-Mi dispiace, nemmeno quelli-
Alle loro spalle, Germania iniziò
a pregare nel miracolo di aver finalmente trovato un italiano con del sale in
zucca, serio, responsabile, e che non fosse un mangiapasta a macchinetta.
Romano e Veneziano, quasi sull’orlo delle lacrime, abbrancarono a peso morto il
povero ragazzo.
-E allora cosa hai preparato?!?-
Con nonchalance, San Marino si allentò il nodo della cravatta,
scoppiando in un’allegra risata.
-Stasera… gnocchi!-
E mentre le tre nazioni italiane
iniziavano a correre all’impazzata ridendo e saltando, gridando all’unisono un
“pastapastapastapasta” assordante,
Ludwig trasse un profondo sospiro, confortando Giappone con delle pacche sulle spalle.
Sarebbe stato un luuuungo Natale.
primo personaggio, San
Marino. Fratello maggiore dei due italiani (la repubblica è nata
nel 313 d.C., è considerata la più antica del mondo), ho
scelto di rappresentarlo abbastanza elegante e raffinato in quanto
Stato basato principalmente su turismo e terziario. Poi, beh...è
pur sempre italiano, dentro XD
devo ammettere che ho voluto molto bene a Ludwig, in questo capitolo XD Un po' in ritardo coi tempi, forse, ma perdonatemi XD
Dunque, comunicazioni di servizio...questa raccolta ha partecipato al contest nazional-geografico di SillyHatter arrivando onorevolmente terza . ringrazio la giudice per il giudizio, complimenti anche alle altre partecipanti
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Capitolo 2 *** 2] Divorce – {ma dicembre sa ancora di sangue } ***
divorce
Ed
ecco il secondo capitolo. Stavolta, ho scelto un ambientazione storica,
ponendo la vicenda nel 1922. Tema che mi stava molto a cuore, con un OC
altrettanto sentito, Irlanda (e di sfondo, menzionata ma non presente,
Irlanda del Nord), per questo capitolo le immagini sono due. una, essendo una presa aerea, rende
bene il
paesaggio nel suo complesso; la seconda, scattata sul posto, ritrae lo
spuntone di roccia su cui siedono le due nazioni **.
Apparato di note a fondo pagina XD
De Hetaliana
Geographia
2] Divorce
– {ma dicembre sa ancora di sangue }
-
Il
vento soffia gelido, quella
mattina. Dopotutto, dicembre è inclemente in qualunque parte
delle Isole.
Riparandosi
il viso dall’aria
gelida e dal sole tiepido mattutino, oltrepassa la stretta apertura
incuneata
tra le due pareti di pietre erette a secco che costituiva il perimetro
più
interno dei resti dell’antico forte, barcollando poi sulla
piana ricoperta di
un sottile manto erboso. L’aria profuma di salsedine, di
oceano e d’erba fresca;
un odore che Inghilterra ha sempre adorato, sin dai tempi in cui
Elisabetta gli
aveva dato il permesso di salpare sul mare, sin dai tempi delle prime
conquiste
con Enrico II.
Si
concede qualche minuto per
riprendere fiato, dopo quella che gli pare sempre più una
scalata più che una
camminata, prima di
lasciar correre lo
sguardo all’intorno con deferenza: sa bene cosa rappresenta
quel luogo e cosa
simboleggia, così come sa che non ha nulla da invidiare ai
luoghi ricchi di
ricordi e magia della sua isola. A dirla tutta, se non fosse
lì per un motivo
tanto angoscioso, si godrebbe maggiormente la visita.
I suoi occhi ci mettono solo
pochi secondi a
percorrere febbrilmente il profilo frastagliato del pendio,
là dove termina il
piano e inizia lo strapiombo, prima di trovare ciò che
cerca, ciò per cui ha
fatto tanta strada col cuore in gola.
Seduto
lì sul bordo, accoccolato
sullo sperone di roccia che più degli altri si slancia verso
il vuoto, le gambe
tranquillamente penzoloni nell’aria e nel vento, incurante
delle onde e dei
mulinelli creati dalle correnti, c’è seduto un
ragazzo. Un ragazzo che conosce
perfettamente, in ogni suo piccolo dettaglio, da quei capelli rosso
vivo che
garriscono come uno stendardo nella brezza, a quegli occhi verde
intenso persi
nel nulla dell’orizzonte, dai lineamenti delicati e quasi
efebici che gli
ricordano tanto una delle sue fate, a quel sorriso malinconico che
schiude le
labbra pallide. Lo conosce da anni, da secoli, a volte crede pure siano
millenni: e vorrebbe dimenticare che è pure il ragazzo che
gli ha appena aperto
un altro buco nel cuore, anche se non può, assunto nel suo
ruolo di nazione
come può esserlo in quella circostanza. Però, di
arrabbiarsi, Arthur non ne ha
la forza: è stanco, provato dall’intera faccenda,
esausto dalla guerriglia,
spossato dalle trattative, e vorrebbe soltanto chiudere in fretta le
negoziazioni
per tornare a seppellirsi a casa a leccarsi le ferite; dannato sia il
prossimo
che gli rinfaccia l’essere stato sempre da solo: ci sono
momenti in cui
vorrebbe davvero esserlo rimasto, e non aver iniziato a mettere in
piedi un Impero
tanto mal orchestrato. Sospira, ingoia il dolore, e si costringe a
capitolare:
avanza lentamente, lottando contro le folate che paiono volerlo
ricacciare da
dove è venuto; evita i massi più infidi, quelli
che nelle ere sono stati
ricoperti di licheni; poi si ferma, alle spalle del ragazzo
–del suo ragazzo-,
piantando larghe le gambe
al suolo e incrociando le braccia al petto per cercare di darsi maggior
sicurezza.
-Irlanda-
esala, la voce appena
più alta di un sussurro perché non si perda nel
mugghiare dell’Atlantico.
-Eire,
per te….fratello-.
La
risposta, l’unica che ottiene,
ha una voce meccanica, fredda, distante, quasi gelida, e combacia
tremendamente
poco con quella che, nella sua mente, apparteneva al fratello che
conosceva.
Non ha il tono allegro dei giorni di Beltaine, né quello
solenne insegnatogli
da Patrizio. Ma forse quello scambio di battute così ostico
ha ormai raggiunto
il limite, ormai se lo sono urlati addosso tante, troppe volte; si sono
insultati in ogni modo possibile, si sono combattuti per secoli, nel
fango,
nelle strade, tra i ranghi e tra i campi, e per secoli hanno rimesso
insieme
una pace che sapeva soltanto di sangue. Non sono mai stati in grado di
parlare,
Inghilterra ed Irlanda, e forse il momento delle parole, delle
recriminazioni e
delle spiegazioni, non giungerà mai completamente: possono
discutere un
trattato, forse, ma riconciliarsi tra loro, quello mai.
Arthur
indugia qualche secondo,
lì impalato come uno stoccafisso; si riempie gli occhi del
blu cupo del mare,
del bianco della spuma della risacca, del grigio spento delle rocce
adunche;
rincorre le onde che s’infrangono tra le insenature, il
fragore degli scrosci
nelle orecchie. Poi, con un sospiro, compie l’ultimo passo e
con estrema
cautela, lui che è abituato solo a Dover e non a quegli
scogli famelici e
ingannevoli, si accovaccia sulla roccia sporgente, sedendosi malamente
accanto
all’altra nazione, cercando di mantenere un’aria
noncurante.
Perché
è davvero stanco,
Inghilterra. Non ha dovuto solamente ricevere il Parlamento di due
stati e
sottoporsi a un’interminabile contrattazione cercando di
valutare dove poteva
concedere e dove invece doveva mantenere salda la presa. Non solo ha
dovuto
ritirare le truppe, cercando di placare in ogni sua forma la ribellione
intestina che tanto sangue ha versato negli ultimi anni. Ha dovuto
imbarcarsi
in piena notte sulla prima nave in partenza per arrivare a Dublino, si
è dovuto
attraversare l’intera isola su un treno scalcinato per
giungere a Galway e una
volta lì è salito sul minuscolo traghetto
turistico che l’ha portato, rollando
sul braccio di mare che congiunge la città alla maggiore
delle Aran, al porto
di Inishmore. Poi si è dovuto armare di santa pazienza e
camminare,
infossandosi nel proprio cappotto per proteggersi dalle folate di
vento, fermandosi
talvolta a parlare con i pochi abitanti incontrati lungo il tragitto,
rispolverando il suo gaelico arrugginito.
Sa
dove va Irlanda, quando le
cose vanno male. Non può biasimarlo, ma è stanco,
di farsi tutta quella strada
solo per ottenere una maledetta firma. È stanco, di arrivare
ansante e sudato a
implorare la sua approvazione, come se fosse lui quello che ha
dichiarato
guerra all’altro. È stanco, maledettamente stanco,
di doverlo costantemente
rincorrere, di dover inghiottire orgoglio e frustrazione per andare a
concedergli quello che vuole sentendosi al contempo in colpa, passando
per il
fratello sfuggente e irritabile. Oddio, forse lo è anche, ma
è più che sicuro
che non ha mai dovuto correr dietro a nessuno, nell’arco
della sua esistenza.
Forse ha mal digerito l’indipendenza di America, e gli
avrà anche tentato di
fermarlo con le armi, ma non ha dovuto attraversarsi il continente
dall’Arkansas all’Oregon per dargli il suo fottuto
trattato.
-Irlanda-
e lo ripete, cocciuto,
perché sarà stanco ma di arrendersi non ne vuole
comunque sapere. Anche se
probabilmente ha sbagliato tutto fin dall’inizio, anche se a
ben vedere loro nemmeno
sono fratelli davvero, forse cugini o qualcosa di vagamente simile,
anche se
spesso quel suo modo di comportarsi gli ricorda quel citrullo di
Francia – come
adesso, i capelli sparsi nel vento ad incorniciare il cielo plumbeo- e
la cosa
lo fa innervosire e prudere le mani, Celti o non Celti. Anche se
probabilmente
sa di avergli fatto più male lui che qualunque altro stato
sulla faccia del
pianeta, di aver altrettanto sofferto per quella situazione di perpetuo
scontro, non si abbasserà mai ad
ammettere, in prima persona, l’esistenza di un qualcosa
chiamato Eire.
Irlanda è
qualcosa di diverso da tutto il
resto. Irlanda è sempre stato più di una colonia
o di un dominio, è sempre
stato tutto ed è stato niente. Se lo ricorda, quel giorno in
cui l’ha visto la
prima volta, si ricorda cos’ha provato nel guardare a fondo
in quelle iridi di
smeraldo prima che fuggissero via terrorizzati. Irlanda
c’era, c’è sempre
stato, a pochi passi da lui, al di là dello stretto.
C’era quando si faceva
sconfiggere da Francia, c’era quando iniziava a crescere,
c’era quando America
se n’è andato, c’era quando sono
arrivati India, Canada, Australia, Sud Africa
e tutti gli altri. Irlanda è quello coi capelli rossi del
sangue dei suoi
patrioti, e quello con gli occhi verdi dei prati incolti, è
quello che è al suo
fianco da più di sette secoli, è quello che
è ancora vagamente scheletrico
dall’ultima carestia, è quello che rende Regno
Unito un regno che unito non lo
è mai stato. Irlanda litiga con lui quasi ogni santo giorno,
urla e magari
piange anche; Irlanda si ubriaca al suo fianco quando nessuno vede;
Irlanda
giura di non scorgere nessuna fata da quando Patrizio gli ha detto che
è
blasfemia, anche se Inghilterra sa che ne vede quante lui, se non di
più;
Irlanda sa essere così schifosamente cristiano -e diavolo
quanto gli manca
l’allegria di Beltaine- e in quasi centovent’anni
di matrimonio forzato avranno
dormito sotto lo stesso tetto sì e no un paio di volte; in
compenso, però, si
sono pestati a sangue almeno un centinaio. Irlanda è quello
che lo odia più di
tutti, tra le varie nazioni, perché è quello che
lo conosce meglio e gli
somiglia di più.
Irlanda
è stato tutto. Ed è stato
niente.
Forse
è anche giusto che le cose
terminino così, con una guerra combattuta nelle strade e un
trattato che
riconosce l’ennesimo dominium – un divorzio in
grande stile.
-Ho
terminato di trattare con il
Daìl Éireann, e siamo giunti a un accordo. Vi
riconosciamo lo status di dominio
all’interno del Commonwealth. Avrai un governatore generale,
un parlamento
bicamerale, un gabinetto esecutivo e un primo ministro, anche se dovrai
continuare a riconoscere il Re-.
Irlanda
apre la bocca, come se
dovesse dire qualcosa. Pare deve sputargli addosso il suo livore in una
sfilza
inconsulta di insulti, ma scuote il capo e tace, con un sorriso amaro
che fa
più male di cento parole.
-Perfetto-
dice soltanto, tornando
a fissare il mare con sguardo spento e lontano.
Inghilterra
si agita, a disagio.
È sempre così, tra loro: lui parla, quel poco che
lo fa, comunicandogli le
decisioni prese, le alleanze, le guerre, i provvedimenti; Irlanda
ascolta e
tace, salvo poi scendere nelle strade a urlare e predicar guerra. E ad
essere
sinceri, in tutti quegli anni non ha mai capito perché
diamine lo faccia:
potrebbero intavolare delle discussioni civili, parlare dei problemi,
cercare
delle soluzioni assieme; magari lui non ascolterebbe, calato nel ruolo
della
madrepatria incompresa che deve provvedere a tutto e tutti e mantenere
un certo
status quo anche quando non dovrebbe, ma non comprende
perché suo fratello non
provi nemmeno, a parlargli. Cerca di rimanere concentrato sul discorso
avviato,
per non rischiare di mettersi ad urlare – di nuovo
– cosa pensa in realtà.
-Perfetto,
sì. A gennaio ci sarà
una seconda ratificazione, vedi di esserci, stavolta. Per quanto
riguarda
l’Ulster…-
-Starà
con te – lo zittisce
immediatamente, tirando improvvisamente fuori le unghie
all’argomento spinoso –
Qualunque cosa abbiate deciso, starà con te: non ho alcuna
intenzione di
trascinarla via, se con me non vuole stare. Non ha senso parlarne-
Già,
forse non ha davvero senso,
perché Irlanda del Nord ha colto al volo
l’opportunità e ha già deciso per
entrambi, ma Inghilterra invece vorrebbe che ne continuassero a
discutere,
vorrebbero che arrivassero a un accordo vero,
vorrebbe magari arrivare a fare a pugni per
l’ennesima volta e continuare
ad urlare fino allo sfinimento, ma poi essere finalmente in pace tra
loro.
Vorrebbe soltanto riuscire a dire scusa e
sentirsi rispondere un grazie, ma
è
un desiderio che dura un istante. Il tempo che ci mette a ricordarsi di
essere
inglese e di non dover inginocchiarsi davanti a nessuno, il tempo che
ci mette
Irlanda a tornare a guardare il mare.
-Bene-
sibila allora, irritato, e
si ripromette di mandarlo definitivamente al diavolo il suo maledetto
boss, che
venga lui a farsi tutto il viaggio per scontrarsi con quello zuccone;
si
ripromette anche di parlare a sua sorella, per una volta, ma questo
è un
pensiero che la sua mente accarezza solo inconsciamente. Incrocia le
dita tra
loro, quelle dita che hanno perso i calli della spada e hanno assunto
quelli
dei fucili, e nasconde il tremito che gli attanaglia il cuore.
-Bene.
Allora siamo d’accordo-
Al
suo fianco, suo fratello
sbuffa, sputando a terra.
-Dio,
Arthur! Davvero, non
cambierai mai. Non riesci proprio a vedere al di là del tuo
naso, nemmeno se ti
c’infilassi su
una pallottola -.
Inghilterra
sussulta, a quelle
parole, e si volta a fissare il profilo aggrottato di quel volto
pallido e
smunto come un lenzuolo liso.
-Cosa
vorresti dire, Niall?-
-Credi
davvero che sia finita?-
-Non
lo è? Avete accettato le
condizioni, avete firmato la pace, avete…-
-Siamo divorziati?-
La domanda coglie la Nazione
impreparata. Definire “matrimonio” il
legame che teneva in piedi il Regno Unito è ciò
che ha sempre definito un
controsenso. Insomma, nella sfera di significati umani che
può assumere, la
parola presuppone in ciascuno un affetto di fondo che, tra loro due,
non c’è
mai stato. Tuttavia, forse è quella che coglie meglio tutto
quel che c’è dietro
la facciata, anche se in quel modo particolare tipico della loro
esistenza.
Litigano ogni giorno, a volte si pestano anche a sangue, mal si
sopportano a
vicenda e fanno squadra solo nelle occasioni di pericolo estremo.
Però sembra
non essere ancora abbastanza.
-Non…non completamente.
Tecnicamente…-
-Allora non è finita,
Arthur. Collins sarà soddisfatto di
quel che ha ottenuto, ma de Valera non
s’accontenterà di un riconoscimento di
dominio, credimi-.
Cala
di nuovo il silenzio, tra i
due. Kirkland alza appena lo sguardo, adocchiando i dispettosi ciuffi
sanguigni
che volteggiano scomposti, a metà strada tra la risposta
rancorosa che gli è
naturale e una minaccia isterica da madrepatria offesa, ma non ribatte.
Dal
canto suo, Niall continua ad osservare la distesa oceanica, mentre la
sua mente
si diletta – o si angoscia con chissà quali
pensieri. Probabilmente ricordi,
più o meno aspri, di quella vita a due che è
sempre andata stretta ad entrambi.
Ricordi di giorni passati insieme, nel lento scorrere dei decenni;
giorni
trascorsi a correre nei pascoli col tenue sole primaverile sul viso;
giorni trascorsi
chiusi in una stanza a migliorare la postura e a studiare per farsi una
cultura; giorni trascorsi su navi odorose di resina a solcare i mari in
cerca
del nemico; giorni trascorsi far funzionare macchine e a far ripartire
l’economia in crisi… giorni trascorsi a crescere
in vista di un fine.
E
improvvisamente, la
consapevolezza di ritrovarsi, per l’ennesima volta, fianco a
fianco lontani dal
mondo, crolla sulle spalle inglesi con la furia di una valanga, tanto
che
avverte la necessità di colmare immediatamente quel vuoto
carico soltanto di
vento e salsedine.
-Niall…
perché sei venuto qui?
Perché vieni sempre qui?-
Il
ragazzo non risponde subito.
Non è nel suo carattere, non è nel suo modo di
fare. Si prende il tempo di
cercare le parole, trovare le emozioni che vuole esprimere, di
costruire nella
sua mente il discorso che vuole pronunciare: come quando compone una
delle sue
ballate, Irlanda non parla mai senza calibrare il tutto.
-Kilmainham
Gaol è ancora sporca
di sangue. Le strade, i porti, le case… in tutta Dublino, vi
sono tracce di
sangue. Ci sono stati più di mille morti, stavolta,
l’intero paese è in
subbuglio, la mia economia è praticamente in ginocchio e a
stento riesco a
restare in piedi. Ho…abbiamo dato tutto, l’IRA, la
popolazione, io stesso,
abbiamo dato tutto per arrivare fin qui. Sono stati gli anni
più crudi e
infernali della mia esistenza. Domani, forse, sarò pronto,
inizierò la mia
storia di dominium – e le sue labbra s’increspano
in una smorfia di disgusto,
mentre lo dice –Però oggi, solo oggi, voglio
tornare ad essere quella sperduta
isoletta in cui nemmeno Roma era arrivato, stare a guardare il mare
come
allora, senza sapere che al di là di esso ci fosse qualcosa,
e immaginare che
l’Atlantico fosse libertà e indipendenza. Quindi,
Arthur, per favore… vattene.
Vattene, perché altrimenti potrei cacciarti il tuo maledetto
trattato su per la
gola e fare qualcosa di cui potrei pentirmi-.
Inghilterra
tace, annichilito, e
lo guarda solamente, ricordandosi di quando in quando di respirare. Si
ricorda
di aver pensato più o meno le stesse cose, qualche secolo
prima, e non riesce
davvero a ribattere. Può solo restare a guardare mentre suo
fratello si alza in
uno scatto atletico e si allontana lungo la linea della scogliera, un
piede
dopo l’altro sul ciglio dell’abisso – un
piede dopo l’altro lontano da lui- e ricordarsi
che, dannazione, se
quell’ingrato vuol fare di testa sua faccia pure,
può anche farne a meno e, per
la
Corona,
l’ha deciso lui, stavolta, che poteva farlo.
Guarda
di nuovo il mare, avvertendo
la struggente malinconia dell’abbraccio del Dún
Aonghasa, e si ricorda perché, alla fin della fiera,
arrivare fin
lì non gli è mai dispiaciuto molto: anche lui
adora quel posto.
Profuma di salsedine, di oceano e di erba fresca.
Profuma di casa.
Note:
Dicembre: il
trattato Anglo-Irlandese che pose definitivamente fine alla Guerra
d’Indipendenza venne
ratificato la prima volta nel dicembre
del 1921 e successivamente nel gennaio del 1922.
Elisabetta,
Enrico II: Elisabetta
I, in linea con la politica contro la Spagna,
incoraggiò e appoggiò le incursioni pirata contro
le
navi spagnole condotte da corsari al servizio della corona (per
esempio,
Francis Drake); Enrico II guidò la spedizione del 1171 in
Irlanda per
impedire che Richard de Clare, suddito della corona ma sposato con la
figlia
dell’allora re di Leinster, divenisse sovrano
dell’isola. La data segna il
passaggio dell’Irlanda da stato indipendente a dominio
britannico.
Eire: Nome
gaelico dell’Irlanda. A causa della confusione derivata dalla
divisione
dell’isola, il nome ufficiale sarebbe Repubblica
d’Irlanda (Poblacht na
hÉireann in gaelico) per la parte sud e Irlanda
del Nord per quella
settentrionale. Ho optato per sottolineare il contrasto tra i due
fratelli
evidenziando la differenza: Eire è il nome che riconosce
l’indipendenza della
nazione, Irlanda come stato ancora suddito del Commonwealth (il nome
dello
stato, dopo il Trattato, sarebbe Stato libero d’Irlanda).
Beltaine: una
delle
tante feste celtiche, celebrata tutt’ora a maggio. Intende
quindi il periodo
pre-cristiano.
Patrizio: santo
patrono d’Irlanda, primo grande predicatore
dell’Isola.
Aran: isole
della costa occidentale irlandese, composta da Inishmore, Inishmaan ed
Inisheer
(indicate con la dicitura inglese). Queste isole sono assai
caratteristiche, in
quanto, oltre a manifestare l’erosione delle correnti
oceaniche con delle
imponenti scogliere, ed essere abitate solo da pescatori e filatori di
lana,
sono uno degli ultimi baluardi della lingua gaelica. Attualmente, per
percorrere
le strade di Inishmore ci sono dei pulmini, delle carrozze a cavallo o
un
noleggio di biciclette, che però sono mezzi disponibili solo
dagli ultimi
cinquant’anni. Andare a piedi è possibile,
credetemi XD.
Francia,
Celti: le
popolazioni celtiche sono originarie di una zona compresa tra la Germania
meridionale e la Francia orientale. Da
lì
si diffusero nella regione francese, per poi raggiungere le isole
britanniche
tra il IV/III secolo a.C.
Regno
Unito, matrimonio forzato: a partire
dal 1 gennaio 1801, l’Irlanda entrò a far parte
del cosiddetto Regno Unito per
rafforzare il predominio inglese sui suoi territori (dove invece
altrove si
iniziavano a creare domini autonomi) in seguito all’ennesima
ribellione; ne
uscì ufficialmente con il Trattato del 1922. In
ogni caso, è stata una delle prime
colonie inglesi (ancora prima di Galles e Scozia).
Daìl
Éireann: parlamento
irlandese.
Ulster,
Irlanda del nord : l’Ulster,
la sesta provincia dell’Irlanda (oggi nota come Irlanda del
Nord), era composta
da una maggioranza protestante, e non prese parte alla guerra. Al
momento del Trattato,
al suo parlamento venne lasciata la libertà di decidere
sulla sua sorte, e
decise di restare a far parte del regno unito. Considerando la frase
che ho
trovato (“il Trattato consentiva all'Irlanda del Nord, di
chiamarsi fuori dello
Stato libero. Come tutti si aspettavano, il governo nordirlandese, a
maggioranza protestante, approfittò senza indugio della
possibilità che gli era
stata offerta”- da Wiki XD), ho pensato di rappresentare a
sua volta l’Irlanda
del Nord nei panni di una ragazza.
Collins,
De Valera: Micheal
Collins ed Eamon de Valera furono due dei principali capi della Guerra
d’indipendenza. Dopo il trattato, tuttavia, sorsero contrasti
tra la fazione a
favore del trattato (capeggiata da Collins) e una indipendentista
(capeggiata
da De Valera) che portò alla guerra civile del 1923.
Kilmainham
Gaol: la più
grande prigione di Dublino, dove vennero giustiziati i capi della
Easter Rising
del 1916 , e dove molti indipendentisti vennero tenuti prigionieri .
IRA: Irish
Republican
Army (anche nota come Old IRA), corpo paramilitare nata dai Volontari
Irlandesi, riconosciuta in seguito come esercito della Repubblica. Si
distingue
tuttavia dall’IRA moderna
in
cui nemmeno Roma era arrivato: come
si sa, il dominio dell'imprero Romano era giunto fino all'inghilterra,
ma sembra che non riuscì ad estendersi fino alle coste
irlandesi, considerate pericolose e "abitate da barbari". Alcuni resti
testimoniano sì l'influenza dovuta alla cultura romana, ma
si
è propensi a credere che siano determinati solamente da
rapporti
commerciali.
Dún Aonghasa: uno
dei forti celtici i cui resti sono visibili su Inishmore (quello
visibile nella foto)
Secondo
personaggio,
Irlanda (per il quale ho scelto il nome Niall, prendendolo da non mi
ricordo quale capoclan celtico XD). va precisato ce il nostro ha un
carattere particolare: qui ho messo in luce il lato melanconico e
sofferente, altrove però risulterà più
tendente al
dandy XD
ah,
e presto comparirà anche la sorella, Erin (aka Irlanda del
Nord)
Ringrazio
sentitamente tutti coloro che hanno letto, e in particolare per le loro
recensioni:
wolverina: certo
che lo so, me too XD Sono contenta che Marino ti sia piaciuto, spero
gusterai anche gli altri due XD sapessi che progettucci ho per
Brasle...*_*
Sujaku
Seiryu:
il tuo commento mi ha reso oltremodo felice, perchè in fatto
di
caratterizzazione avevo una fifa blu XD insomma, sono ancora agli
inizi, in questo fandom, e devo farci la mano. Però sono
lieta
che alla fine sia venuto bene. Aspetto con ansia anche il tuo, allora,
ha l'aria di essere molto interessante **
Sokew86: sono contenta ce ti sia piaciuta ^^ oh, Vaticano, quanti ricordi ** Non vedo l'ora di leggere, sembra intrigante
Gracy110: figurati,
cherie, te lo dovevo. Ormai i tuoi mi detesteranno XD
Prof:
purtroppo nel
mio caso la casinara sono io, non hai la benchè minima idea
di
quante figuracce ho già fatto XD Da quel punto di vista,
assomiglio anche troppo a Veneziano, tesoro lui XD comunque,
sì,
San marino sarà la mia comparsa ufficiale, quello che sta
sempre
sul fondo a fare le gag col telefonino (Ehi! come sarebbe a dire?
n.d.SM). trattami bene Niall, che mi serve, neh XD va bene
così
com'è <3
see
you next time ^^
wolvie
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Capitolo 3 *** 3] carnival, what a nightmare! ***
carnival, what a nightmare
*rullo di tamburi* ed ecco a voi...il terzo capitolo ! così ho finito di rompervi le scatole XD
No,
vabbè, spero di avervi qantomeno divertito un po', e mi auguro
che questa piccola storiella vi strappi un sorriso: Brasile pare
più una comparsa, ma è un bel tipo. e sì, un po'
ci somiglia, Sempai XD
De Hetaliana Geographia
3] Carnival, what a
nightmare!
Un incubo. Un vero proprio incubo.
Neppure il Congresso di Vienna si
era rivelato altrettanto terribile: star dietro a Nazioni, regnanti,
rappresentanti, delegati, balli, incontri, urla e farneticazioni senza senso
per trovare compromessi adeguati a tutti era stato infinitamente più rilassante
che partecipare a quella vacanza collettiva camuffata da summit istituzionale.
Con un sospiro, Austria sollevò
lo sguardo dalle proprie scarpe, ormai irrimediabilmente infangate, e lo puntò
sulla piccola porzione di cielo disponibile dal suo punto di osservazione,
aguzzando lo sguardo tra i rami degli alberi alla ricerca della loro meta.
-Voi siete sicuri che siamo sulla strada giusta, vero? – chiese, cercando di
suonare calmo e controllato.
Per sua sfortuna, nessuno gli
prestò la minima attenzione: Inghilterra era impegnato in un’animata
discussione con Francia a proposito di una stupidaggine che nessuno dei due
ricordava più; America si divertiva a dar ragione ora all’uno ora all’altro,
giusto per provocare l’ex madrepatria tentando di condurla a una crisi di
nervi; da un altro lato, Spagna stava scongiurando Romano di perdonarlo per non
averlo salvato da un pitone in agguato, mentre Veneziano giocherellava con il
suddetto rettile, steso per puro caso mentre si voltava a parlare con il
fratello; poco lontano, Germania, calato nel ruolo di nazione guerrigliera,
tentava di organizzare un corpo di soldati in grado di sopravvivere alle
difficoltà formato da Giappone, Cina, Hong Kong e Sealand, ma per sua sfortuna
colui che avrebbe dovuto aiutarlo, Prussia, stava cospirando chissà cosa
insieme a Corea. Ivan si era rifugiato in cima ad un albero, scappando dalle
mire conquistatrici di Bielorussia, e ora le tre Nazioni Baltiche tentavano di
tirarlo giù da lì e di tenere al contempo lontano da lui la tremenda sorellina.
Svizzera, armato di schioppo caricato a pallettoni, continuava a girare in
tondo alla sorellina, pronto a difenderla da qualunque pericolo: non di rado,
però aveva rischiato di bruciacchiare qualcuna delle nazioni lì girovaganti. Per
concludere in bellezza, dall’alto della sua esperienza in fatto di bricolage,
Svezia stava coordinando il gruppo dei Nordici per la costruzione di un aereo
in grado di portare tutti quanti in cima alla montagna, supportato dalla
consulenza aviatoria di un Canada entusiasta per essere stato preso in
considerazione.
Un incubo. Anzi, quasi peggio.
Ungheria, al suo fianco, tentò di
fargli coraggio con un sorriso titubante, prima di eseguire un’elegante
giravolta su se stessa per mettere al tappeto a suon d padellate un povero
primate spuntato dal fondo della boscaglia; e a quel punto, stressato, perso
nella foresta equatoriale con un branco di pazzi furiosi, senza un pianoforte a
disposizione, Austria raggiunse il culmine.
-INSOMMA! QUALCUNO MI VUOLE DIRE
DOVE DIAVOLO SIAMO?!?-
Immediatamente, calò un silenzio
tombale sull’intera zona, tanto che pure i volatili smisero di fare baccano e
Grecia si svegliò di soprassalto dall’angolino in cui si era appisolato: tutte
le nazioni rivolsero sconvolte lo sguardo alla sua persona, perplesse. E
finalmente, il gruppetto di ragazzi che confabulavano da più di mezz’ora attorno
a una cartina, parve ricordarsi di dover prendere una decisione e di smettere
di temporeggiare: Australia si caricò lo zaino in spalla, Turchia si armò di un
grosso coltellaccio per aprire la strada, Cuba si premurò di andare ad
avvertire i distratti della partenza, mentre il padrone di casa, Brasile, si
avvicinava al “fratello” irato.
-Tranquillo, Roderich! Altri
cinque minuti di cammino verso Nord e siamo arrivati.-
Trattenendosi a stento
dall’afferrarlo per il collo e strozzarlo, Austria s’impose di concentrarsi su
Mozart e di calmarsi, almeno quel che bastava per restare sano di mente fino al
ritorno a casa.
Tutti gli incubi finiscono, no?
No, non tutti gli incubi
terminavano, a quanto sembrava.
-C’è una strada! C’è una comoda
strada asfaltata che arriva fin davanti a questo coso, perché noi abbiamo dovuto affrontare giungla, bestie, liane e
zanzare?-.
Giunti finalmente in cima al
monte Corcovado, tra mille difficoltà e problemi – avevano rischiato di perdere
Veneziano per strada un paio di volte, e Finlandia per poco non aveva
mobilitato le renne da casa sua per venirli a riprendere- l’intero gruppo di Nazioni
si stava godendo il panorama delle montagne ricoperte di vegetazioni
lussureggiante e delle abitazioni disseminate a valle che componevano il nucleo
di Rio, disponibile dalla piattaforma su cui si ergeva la gigantesca statua di
Gesù Cristo, il tutto tra gridolini estasiati e borbottii nervosi. Dal canto
suo, Austria lottava da parecchi minuti con una crisi di iperventilazione dovuta
dal riconoscimento dell’inutile fatica compiuta, e a nulla serviva l’aiuto
dell’ex-moglie, intenta a fargli aria con un grosso fazzoletto.
-Andiamo, fratellino, così vi
sareste persi il meglio della flora del luogo!-
La Nazione fu molto, molto
tentata d’infrangere il perfetto sorriso smagliante che Brasile sfoggiava
sempre con un pugno o in alternativa utilizzando uno dei tegami di Ungheria, o
di rasare a zero i perfetti riccioli che gli spuntavano in fronte; ma si
trattenne solamente al pensiero di cosa avrebbe scatenato un incidente
diplomatico di tali proporzioni. Approfittando della sua incertezza, il ragazzo
salterellò via, correndo da un capo all’altro della piazzola, mobilitando i
parenti più intraprendenti.
-Forza! Chi viene a scalare il Cristo
Redentor con me?-.
Il grido entusiasta di Prussia e
Corea mandò definitivamente in frantumi le sue speranze di concludere
immediatamente la traumatica esperienza, ma non trovò minimamente la forza di
provare ad impedire a chicchessia la nuova impresa: collassato a terra contro
il basamento del colosso di pietra, si limitò ad invocare un intervento divino
che lo riportasse a Vienna il più velocemente possibile.
-Voglio il mio pianoforte. Esigo
il mio pianoforte!-
Ungheria sorrise incerta,
occhieggiando preoccupata il nuvolone di malumore che aveva avvolto il capo di
Austria e che minacciava di mandare lampi e fulmini da un momento all’altro.
Ponderò un istante sul da farsi, provando a guardarsi attorno alla ricerca di un
aiuto o di una via di fuga. Al termine della scampagnata, dopo aver recuperato
anche gli avventurosi che si erano arrischiati, con corde e rampini, sulla
statua simbolo della città, erano finalmente ritornati a valle, ma purtroppo
per loro la vacanza non si era conclusa lì: perché malauguratamente, Brasile li
aveva invitati a casa sua proprio nel periodo in cui impazzava il Carnevale.
Appollaiati su uno dei centinaia
di carri che sfilavano per le strade di Rio, avvolti tra paillettes
sfavillanti, strisce filanti e coriandoli che piovevano da ogni dove, il gruppo
di nazioni in trasferta stava partecipando alle celebrazioni della festività,
ognuno a modo suo.
Certo Elizaveta non poteva
biasimare l’ex marito: da un lato, Brasile, Francia, Prussia e Spagna,
inguainati in completini colorati da ballerine di samba, con lustrini, piume e
costume a due pezzi, ancheggiavano al ritmo di “Brazil, Brazil”, tentando di coinvolgere anche qualcun altro nel
trasandato trenino –Australia scappò urlando inorridito, Turchia parve
rifletterci, salvo ripensarci immediatamente all’occhiataccia di Egitto.
Dall’altro, un Cuba estremamente indignato ribatteva cantando “Cuba, quiero bailar la salsa” con tutta
la voce che aveva, tentando d’insegnare il suddetto ballo a un imbarazzatissimo
Canada e a un’entusiasta Veneziano. Inghilterra si era incollato a una
bottiglia di liquore, e ormai era ubriaco fradicio, appeso ad un’estremità del
complesso semovente; capeggiati da America, il gruppo asiatico e il gruppo
slavo, con l’aggiunta di Danimarca, era sceso – chi più recalcitrante chi meno-
all’inizio della parata e si era messo a gironzolare, con sommo sprezzo del
pericolo, per le strade affollate e chiassose – di tanto in tanto spuntava in
giro la sagoma di Russia, o la katana di Giappone. Germania e Romano, gli
ultimi rimasti sani di mente, avevano decretato di comune accordo di sospendere
le ostilità, impegnandosi anima e corpo in un’animata partita a poker con il
gruppo nordico rimasto, seminascosti nella foresta di palme finte che
costituiva il retro del carro allegorico.
E in tutta quella confusione, il
povero Austria sembrava aver raggiunto il limite.
-Su, su, Roderich caro, resisti
ancora un pochino- tentò di consolarlo, battendo amorevolmente una mano sulla
sua spalla.
Per tutta risposta, l’uomo
scoppiò a piangere a dirotto, attaccandosi alla sua gonna.
Mai più vacanze di gruppo durante
il Carnevale!
Chiedo
scusa a tutti per aver fatto venire una crisi isterica ad Austria.
Però capitemi, mi serviva qualcuno di sostanzialmente serio XD
Inutile
dire che non credo ci sia mai stata una riunione della NATO o dell'ONU
o qualcosa di simile, a Rio. Esigenze di copione, fate conto che sia
una seconda Copenhagen U_U'''
ringrazio per le loro recensioni:
Sokew86: grazie per averla letta, sono contenta ti sia piaciuta ^^
Gracy110: tu non sai quanto contenta mi fai con le tue recensioni ** Sapere che Niall ti piace, poi, mi manda al settimo cielo ** (chissà come mai, neh XDXDXD e per influenza di chi, soprattutto XD)
chi commenta si ritrova Francia, Spagna, Prussia e Brasile a ballare la samba a casa U_U
o in alternativa cuba a darvi lezioni di salsa XD
besitos
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