La Mummia - La morte è soltanto il principio.

di StillAnotherBrokenDream
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sempre lo stesso sogno. ***
Capitolo 2: *** Quella strana sensazione. ***
Capitolo 3: *** L'oggetto misterioso ***
Capitolo 4: *** Il primo giorno ***
Capitolo 5: *** Cosa diavolo può essere? ***



Capitolo 1
*** Sempre lo stesso sogno. ***


Ancora una volta

N.d.A. :Come già detto nell’intro, ff scritta quasi 10 anni fa dopo aver visto il film con Brendan Fraser La Mummia. Non è completata e spero di farlo presto, questo è il primo capitolo.. spero piaccia a qualcuno! È una di quelle ff che mi vergognavo a pubblicare, ma stasera ho visto di nuovo il film (per la 100ima volta) e m’è venuta voglia di rispolverarla! A presto!

 

 

 

Sempre lo stesso sogno.

 

 

 

Ancora una volta. Ancora una volta la storia si ripeteva, nei suoi sogni. Era diventato quasi normale per lui, rivivere quei momenti, ma qualcosa non quadrava, era tutto troppo reale, e vicino. Si svegliò urlando e ansimando, si guardò intorno e si rese conto di essere nel suo letto, nella sua casa, nella sua vita. Il suo cuore batteva all'impazzata, il sudore gli scendeva lungo le guance, e un senso di nausea gli attanagliava la bocca dello stomaco. Si alzò dal letto barcollando, e andò in bagno, spinto dalla nausea sempre più forte. Rimettere lo fece sentire meglio, come se quel peso che gli comprimeva il petto fosse andato via insieme alla cena della sera prima. Aprì il rubinetto e si sciacquò la bocca e il viso, il contatto con l'acqua fredda lo svegliò del tutto. Si guardò nello specchio appeso sul lavandino, aveva il viso stravolto e contratto in un'espressione d'orrore e dolore. Una fitta alle tempie lo fece gemere mentre si portava le mani alla testa.

- Merda....-  imprecò quando vide un rivolo di sangue scendergli dal naso.

Asciugò il sangue con un asciugamano e constatò che la piccola emorragia si era già arrestata. Si accorse di tremare, si guardò le mani e le vide in preda ad un tremore anomalo, non gli era mai capitato, non così almeno. E poi gli dolevano, come se avesse davvero lottato fino alla fine per liberarsi da quella prigione di morte e follia. Si sentiva stanco e spossato, come se davvero si fosse dimenato forsennatamente agognando la libertà. Tornò in camera e guardò la radio sveglia sul comodino. Il display al quarzo segnava le due e trentacinque, non aveva dormito neanche tre ore. Aprì la finestra e uscì sul balcone, respirando a pieni polmoni la fresca aria notturna, solo dopo aver inspirato ed espirato aria un paio di volte, si liberò dal senso di soffocamento che aveva provato nel sogno. Era una notte così placida, quasi romantica, in una Londra addormentata e buia, illuminata qua e là da lampioni e da qualche sporadico bagliore di fari di auto. Era stupenda quell'immagine, sembrava un ritratto del diciannovesimo secolo, nel quale spiccava una splendida luna perfettamente rotonda e pallida, e il maestoso e silente Big Ben, e da lontano poteva intravedere le sponde del Tamigi. Sorrise, nonostante il senso di paura e rabbia e il tremore che ancora lo scuoteva. Restò sul balcone a guardare la città addormentata sotto la luna, mentre la sua mente turbinava di pensieri e ricordi, di domande senza risposte. Trasalì al suono forte e marziale del Big Ben, girò la testa verso sinistra, dove si trovava la torre. Il grande orologio segnava le tre di mattina, tra un paio d'ore o anche meno, la città avrebbe cominciato a svegliarsi, e a riprendere la sua inarrestabile vita. Amava la sua Londra, amava la sua Inghilterra, con  le sue contraddizioni, la sua grande e leggendaria storia, ma sentiva che presto l'avrebbe lasciata, e c'era la seria possibilità che non la rivedesse mai più. Una folata di vento più robusta soffiò sulla sua pelle, facendolo rabbrividire. Indossava solo i pantaloni del pigiama, mentre il torace e le spalle erano scoperte, in balia dell'aria fredda di una notte di primavera. Decise di rientrare in camera, afferrò il telecomando e tentò di accendere il televisore. Il telecomando, come faceva spesso, si rifiutò di ubbidire.

- Maledetto aggeggio!-  sbuffò l'uomo sbattendo leggermente il telecomando sul comodino. Solo dopo due incontri ravvicinati con legno, l'infernale attrezzo ubbidì al comando, strappando al suo padrone una risatina.

- Brutto bastardo, sei un pervertito, solo se ti picchiano funzioni.-  La Tv ventuno pollici si accese in un bagliore bluastro, mostrando immediatamente immagini in bianco e nero di un vecchio film degli anni quaranta, non riuscì a capire che film fosse, non riconosceva nessuno dei due attori che si fronteggiavano. Uno di loro alla fine estrasse una pistola dall'interno della giacca, e freddò l'uomo che gli stava di fronte. Al suono dello sparo, accorse una donna bionda che quando vide l'uomo accasciato a terra gettò un urlo e si mise le mani nei capelli. L'assassino allora le intimò di tacere, se non voleva fare la stessa fine del suo - amico- . Lucas accennò un mezzo sorriso.

 - Storia di corna... -  disse tra i denti mentre si accendeva una sigaretta e assaporava una lunga boccata. Il fumo che uscì dalle sua labbra formò una spirale grigia che salì verso il soffitto. Guardò per un po’ il film distrattamente, se dopo gli avessero chiesto di riassumerlo non ne sarebbe stato capace. Stava ripensando al sogno, mentre lentamente fumava la sua sigaretta.

 - E' impossibile...-  disse ad un certo punto Lucas. Si alzò dal letto dove era seduto e spense la sigaretta nel portacenere sul comodino. Diede un'occhiata alla radio sveglia, mancavano venti minuti alle quattro.

 - Al diavolo.-  sibilò l'uomo. Ormai era tardi per rimettersi a letto, doveva essere al lavoro per le otto, tanto valeva restare alzato. Si ricordò che la sera prima non aveva finito di tradurre alcuni frammenti di papiro, poiché aveva quasi quattro ore a disposizione, pensò bene che era il momento giusto per finire il lavoro. Spense la Tv e lanciò il telecomando sul letto. Andò nel piccolo studio che si trovava proprio accanto alla camera da letto. Lucas era un egittologo, ma in tutta la casa non si poteva trovarne nessun segno. Niente statuette, niente papiri appesi, niente mezzi busti di vari faraoni o regine. Era strano, visto che anche, e a volte sopratutto, la gente comune riempie la sua casa di reliquie in parte vere (sicuramente sono in prevalenze meno vere) e lui, che poteva accaparrarsi qualche oggetto autentico, non lo aveva mai voluto. Il suo rapporto con l'Egitto era conflittuale, nel suo cuore sentiva di amarlo fino all'impossibile, ma la parte più razione di lui gli diceva di odiarlo e di distaccarsene. Gli aveva procurato solo dolore, in tutti i sensi. Ma aveva finito lo stesso col lavorare con lui, e per lui. Si sedette al tavolo di lavoro e prese una cartella bianca, dove erano riposti alcuni pezzi di un vecchio papiro. Era stato ritrovato in uno scavo a Tebe, nell'antica Tebe. Era assurdo, ma Lucas la conosceva molto bene, molto meglio di chiunque altro, era nato a Tebe, era vissuto lì. Pensò alle sue 'lontane' origini, e concluse che l'avrebbero preso per pazzo, se avesse raccontato a qualcuno la sua storia. Scosse la testa e distolse la mente da quei pensieri, concentrandosi ora su quel vecchio papiro ingiallito che lo stava guardando da sotto le sue mani. Purtroppo era molto rovinato, molte parti non c'erano, e dubitava che le parole tradotte, una volta messe insieme, avrebbero avuto un senso compiuto. Per tradurre i geroglifici non aveva mai avuto bisogno di libri, neppure quando li studiava. Nel medioevo per una cosa del genere, lo avrebbero accusato di stregoneria e mandato al rogo, pensava di tanto in tanto Lucas. Adesso invece era uno dei più stimati egittologi europei. Qualche anno prima, avevano ritrovato alcune iscrizioni con segni ieratici ancora sconosciuti agli studiosi, e lui dovette fingere di non capirli, proprio come gli altri, mentre in realtà li aveva tradotti alla prima occhiata.

- Quando il Dio sorgerà e spanderà i suoi raggi sugli uomini, nessuno più sentirà freddo o paura e tutto sarà gioia...-  disse a voce alta traducendo una fila di geroglifici.

-Sembra una canzone- pensò sorridendo. Non sapeva perché, ma ripensò al film che aveva visto poco prima. Aveva capito poco della trama, ma quello che era subito stato chiaro, era che l'uomo ucciso doveva essere l'amante della donna bionda, e che quindi era stato un omicidio a sfondo passionale. Prese un'altra sigaretta e l'accese.

 - Chissà se anche loro sono stati scoperti a causa di una carezza...- pensò Lucas amaramente. Una carezza. Tutto era cominciato per una carezza più marcata delle altre. Le aveva stretto un braccio con una mano, che fece scivolare verso il polso. La sua carezza era rimasta impressa in quella dannata vernice nera con la quale quelle maledette serve le decoravano tutto il corpo, per ordine di quel maledetto faraone. Diede un pugno sul tavolo involontariamente, quei ricordi erano così vividi così vicini a lui che sembravano storia di ieri, e non di molti secoli prima.

- Finirò con l'impazzire.-  disse a se stesso, tentando di riconcentrarsi sul papiro. Ma ormai era impossibile, aveva riaperto quel pozzo di ricordi, e fin quando non li avrebbe ripassati uno ad uno non sarebbe tornati nell'inferno da cui venivano. Si alzò dalla sedia e andò alla piccola finestra della studio. Stava albeggiando, il cielo aveva sfumature biancastre, mentre ricacciava l'oscurità a ovest, da dove era venuta. Si appoggiò con una spalla al muro, e cominciò a ricordare.....

 

/-------------/

 

Tebe si estendeva davanti i suoi occhi, il grande fiume Nilo scorreva tranquillo nel suo letto, il sole era al crepuscolo e la notte avanzava lentamente. Sentì dei passi felpati alle sue spalle, sapeva chi era. Si voltò piano... era lei, che gli si mostrava come una visione. I suoi sacerdoti corsero a richiudere la grande porta, e si preparavano a fare la guardia, mentre i due amanti di ritrovavano. Quando furono uno di fronte all'altra, lei gli passò una mano sugli occhi, era il suo gesto. Le mani dell'uomo si spostarono sul viso di lei, ma senza toccarla, doveva stare attento. La baciò. Ma mentre la baciava, dimenticò tutto e le strinse il braccio accarezzandola. I suoi sacerdoti stavano ancora chiudendo la porta, quando qualcuno da fuori lo impedì spingendola in dentro. Era il faraone. I sacerdoti si impaurirono e cominciarono a prostrarsi. Il re li guardò corrugando la fronte.

- Cosa ci fate voi qui?-  tuonò, e avanzò senza attendere risposta.

I sacerdoti chiusero finalmente la porta. I due amanti sentirono la sua voce.

- Il faraone! -  disse l'uomo sottovoce.

- Nasconditi presto.-  gli disse la donna. Lui si nascose dietro i tendaggi, mentre lei prendeva posto accanto alla grande statua della dea gatta Bastet. Picchiettava le dita sulla testa della gatta, quando il faraone la raggiunse. Aveva il terrore che il suo amante, e lei stessa, venissero scoperto. Il faraone la scrutò attentamente, come se volesse scovare la traccia del tradimento. Quelli che aveva trovato davanti alla porta, erano i sacerdoti di Imhotep, il suo sacerdote. Trovò quella traccia sul braccio sinistro della sua favorita, Anck su namun. - Chi ti ha toccata?-  gridò il re indicando il suo braccio. Allora anche lei si guardò il braccio, e vide la striscia nera della vernice che la mano di Imhotep le aveva lasciato. Guardò il faraone negli occhi, mentre con la mano destra cercava il pugnale nascosto dietro Bastet. Poi gli occhi della donna si spostarono sulla figura che si stagliava alle spalle di Seti. Il faraone allora si voltò, non riusciva a credere ai suoi occhi. Imhotep gli sfilò la spada dal fodero, senza che il faraone facesse qualcosa, tanto era lo sgomento.

 - Imhotep! Il mio sacerdote!-  Mentre il re diceva questo, Anck su namun sferrava il primo fendente alle sue spalle. Gettò un urlo lancinante, i due amanti si guardarono, allora anche Imhotep colpì con tutta la forza che aveva. Colpirono tre quattro cinque sei volte.... i sacerdoti da più lontano assistevano a tutto, consci di quello che stava succedendo. Nonostante tutto, Imhotep era lucido, sapeva perfettamente che quell'assassinio proclamava a gran voce la sua condanna a morte, ma almeno si era vendicato, per colpa di quel despota non poteva amare la sua donna come qualsiasi altro uomo. Purtroppo per loro, qualcuno aveva visto tutto, poiché le guardie reali piombarono sul luogo del delitto con una tempestività incredibile. I due amanti erano ancora occupati a finire l'ormai deposto regnante, quando si accorsero degli ordini furiosi degli uomini del faraone che ordinavano agli spaventati sacerdoti di aprire immediatamente la porta.

 - Scappa, salvati!-  gli disse la donna. Lui rispose che mai l'avrebbe lasciata.

-  Solo tu puoi resuscitarmi!-  Alcuni sacerdoti li raggiunsero, ed afferrarono Imhotep per portarlo via.

- Lasciatemi, allontanatevi da me! -  comandò l'uomo. Ma i suoi sacerdoti non obbedirono, e lo trascinarono via.

- Tu vivrai ancora! Tu vivrai ancora!-  le urlò Imhotep mentre lo portavano via. Le guardie riuscirono ad entrare, e trovarono il faraone morto, ai piedi di Anck su namun. Lei li guardò sprezzante.

- Il mio corpo non è più il suo tempio!-  urlò contro i soldati, prima di pugnalarsi al ventre.

Imhotep vide il suo amore morire da dietro i tendaggi che lo nascondevano dalla vista delle guardie. Riuscì a scappare protetto dai suoi sacerdoti, pensando solo a come doveva agire. La notte seguente, con i suoi fedeli sacerdoti, si intrufolò nella cripta dove era stato deposto il corpo della sua amata, e correndo come un pazzo, frustando selvaggiamente i suoi cavalli, attraversò quella parte di deserto che lo separava da Hamunaptra, la terribile Hamunaptra. Distese il povero corpo del suo amore sull'altare, i suoi seguaci si disposero in cerchio attorno ad esso, ed iniziarono a cantilenare una sommessa e sinistra litania, un incomprensibile vortice di formule e sortilegi, mentre Imhotep apriva il temibile Libro dei Morti. Un'ombra nera si levò allora dalla pozza d'acqua dietro le spalle dei suoi seguaci, e planando sulle loro teste, riprese posto nel giovane corpo di Anck su namun. Era la sua anima, richiamata dal suo amante tramite arcaiche formule magiche. Il corpo della donna venne preso da forti convulsioni, spalancò gli occhi e cercò di respirare, ma ciò non era possibile, non prima di avergli sacrificato una vita, affinché lei potesse prenderne gli organi vitali. Imhotep sapeva che era una crudeltà, strappare la vita ad un creatura per ridarla ad un altra, ma era folle di dolore, e avrebbe fatto qualunque cosa per riavere la sua donna, qualunque cosa. Dopo sarebbero fuggiti lontani, non sapeva dove, forse avrebbero lasciato il loro Egitto. Certamente non potevano restare a Tebe, e in nessun'altra città del regno, ma questo poco importava all'innamorato Imhotep, l'unica cosa che gli premeva, era di far rivivere la sua amata, tutti la credevano morta e nessuno si sarebbe preoccupato più di tanto quando avrebbero scoperto che il suo corpo era stato trafugato, sarebbe stata libera. LIBERA. Il faraone era morto, e suo figlio non aveva mai avuto tanta simpatia per Imhotep, non l'avrebbero  cercato se non si fosse presentato davanti al nuovo faraone, era libero da ogni vincolo. LIBERO. Ma tutti i suoi progetti andarono in fumo, quando inaspettatamente le guardie reali irruppero all'interno della cripta, dove Imhotep e i suoi erano ancora occupati nel rituale. Era stato seguito, a palazzo sapevano che era stato lui ad uccidere il faraone, insieme alla sua amata. Se prima pensava che le guardie, a palazzo, erano state attirate dalle urla del re, ora era certo che qualcuno li aveva visti, e che quindi la sua morte era stata solo rimandata. L'anima di Anck su namun uscì dal suo corpo e si rituffò in quell'acqua nera e spessa, sotto gli occhi costernati di Imhotep. Ci fu un processo sommario, lì ad Hamunaptra, i suoi sacerdoti furono condannati ad essere mummificati vivi, vale a dire dovettero subire i vari processi mentre erano ancora in vita. Mentre a lui, al Gran Sacerdote Imhotep, rispettato e temuto, il mago il medico il consigliere per eccellenza del faraone, venne condannato ad una punizione simile a quella dei suoi seguaci, ma molto più spietata. Non solo su condannato ad essere sepolto vivo, ma fu maledetto,  in vita e in morte. Gli fu tagliata la lingua, bendato come una mummia, ma senza togliergli gli organi come avevano fatto per i suoi fedelissimi. Mentre lo bendavano, Imhotep non riusciva più a pensare, tra il dolore fisico e quello mentale. Sentiva il sangue che si raccoglieva in bocca, mentre i suoi aguzzini continuavano ad avvolgerlo in strettissime bende. Pianse. Bagnò con le lacrime della disperazione le bende che gli coprirono gli occhi. Si sentì sollevare di peso e deposto in quel sarcofago che sarebbe stata la sua tomba eterna. Insieme a lui, gettarono nel sarcofago una miriade di scarabei carnivori, che lo avrebbero torturato all'infinito, protraendo la sua agonia fino all'impensabile. Richiusero il sarcofago e lo calarono sotto terra, ai piedi della grande statua del dio Anubi, e lo ricoprirono di terra, mentre lui dall'interno del suo sepolcro continuava a dimenarsi nel vano tentativo di liberarsi. La sua fu una lenta e orrenda agonia, tra i morsi di quei maledetti insetti e l'aria che pian piano iniziava a mancare, ma che sinistramente continua ad alimentare la sua vita. Faceva parte della punizione, quell'aria che non finiva mai, in assenza di ossigeno sarebbe morto nel giro di pochi minuti, ma non era questo lo scopo. Doveva morire sì, ma lentamente. Gli dei gli erano contro, lo avevano abbandonato al suo destino, quei dei che per tutta la vita aveva amato e servito. Riuscì a liberarsi dalle bende e iniziò a spingere e prendere a pugni il coperchio del sarcofago, ma non si sollevava. Graffiò rabbiosamente quella maledetta prigione, lasciando dei segni profondissimi, come se le sue dita fossero di fuoco, e forse lo erano, era pur sempre un DANNATO. Sentì la fine avvicinarsi, il battito del cuore diminuì, non sentiva neanche più i morsi dei famelici compagni di morte, la sua agonia era alla fine, dopo chissà quanti giorni. Ma prima di spirare, lasciò un messaggio: - La morte è soltanto il principio- , un messaggio terribilmente profetico, e nessuno, di quelli che lo lessero in tempi molto più recenti, immaginavano fino a che punto. Il suo cuore cessò di battere, i suoi polmoni non si riempirono più, morì nel più atroce dei modi, giurando di vendicarsi, se mai fosse tornato in vita. Gli scarabei continuarono a nutrirsi del suo corpo per molto tempo, fino a quando anche essi non perirono, prime vittime forse della sua vendetta.

/-------------/

 

Tutta questa immane tragedia, Lucas la riviveva nei suoi incubi, la sentiva adosso, sentiva i morsi degli scarabei, la difficoltà nel respirare, la follia di sentirsi in trappola senza via d'uscita, il dolore per la fine della sua amata, la rabbia e la sete di vendetta, quale uomo, avendo un'altra possibilià, non si sarebbe vendicato? Nessuno. Quando i ricordi si dissolsero nella nebbia mattutina, l'orologio segnava le sette. Aveva trascorso oltre due ore a pensare, a ricordare a soffrire. La sigaretta che aveva tra le dita si era consumata fino al filtro, e la cenere era caduta per terra. Si odiava in quel momento, non doveva permettere a quel passato così lontano di prendere il sopravvento, perchè non sapeva che conseguenze avrebbe avuto su di lui, e su gli altri. Perchè ogni volta sentiva il desiderio di vendetta assalirlo, e questo lo preoccupava. Sopratutto perchè quella notte, il sogno era troppo reale.

- Non può essere.. ti prego Dio no...-  mormorò continuando a fissare un punto indefinito oltre la finestra. Il telefono squillò all'improvviso, facendolo sobbalzare tanto da fargli sbattere i denti.

- Al diavolo chiunque sia!-  urlò indispettito.

- Pronto.-  rispose senza interrogazione. Sentì un fruscio, e una voce lontana che mormorava qualcosa di incomprensibile.

- Chi è? Rispondete!-  ma per risposta ricevette un altro fruscio anomalo. Spazientito, riattaccò mormorando come poco lusinghiere all'autore dello scherzo. Poi riflettè, magari era qualcuno che tentava di chiamare da lontano, forse era Andrew dal Cairo, pensò. Dopo qualche minuto, il telefono squillò di nuovo, ma questa volta lasciò che rispondesse la segreteria per lui. -Risponde la segreteria telefonica di Lucas Barrymore, in questo momento non sono in casa, lasciate un messaggio e sarete richiamati a più presto, grazie.- e seguì il classico segnale acustico.

- Ehi Lucas, sono Andrew, sei già uscito? Strano, da te sono ancora le sette del mattino, dovevo parlarti di una questione abbastanza importante, ho impiegato mezz'ora per prendere la linea. Ok, appena trovi questo messaggio chiamami, mi trovi tutto il giorno qui in studio, oppure stasera a casa, i numeri li hai...-  Lucas si precipitò ad alzare la cornetta.

- Andrew sono in casa, non riattaccare.- 

- Finalmente! Avevo perso le speranze, vecchio delinquente!-  Lucas ridacchiò, Andrew aveva il potere di divertirlo sempre, forse per il suo modo impertinente di parlare, o per il suo accento anglo-arabo che aveva acquisito dopo vent'anni vissuti al Cairo.

-  Scusami, ero di là e non ho sentito il telefono squillare...-  Era falso.

- Ok, non preoccuparti. Volevo dirti che tra breve avrai un bel grattacapo.-  sentenziò Andrew in tono drammatico.

Lucas corrugò la fronte. - E sarebbe?-  chiese dubbioso.

Andrew si schiarì la voce. - Lucas, per telefono non credo sia la soluzione migliore. Avrei pensato che magari tu potessi raggiungermi qui, tra qualche giorno.- 

Lucas rifletté per un po’. - Andrew mi spiace, ma sono pieno di lavoro qui, sarebbe più facile se fossi tu a tornare a Londra.- 

- Va bene, vorrà dire che sarò lì tra una settimana al massimo.-  concluse Andrew, come se non aspettasse altro che un invito.

Si salutarono e riattaccarono. Solo dopo aver riattaccato, Lucas si ricordò di non avergli chiesto se prima era lui al telefono, poi pensò che era lui certamente, aveva detto che era più di mezz'ora che tentava di prendere la linea. Guardò l'orologio appeso alla parete, segnava le sette e venti. Sgranò gli occhi, era tardissimo. Mise a bollire l'acqua per il caffé e andò a fare una doccia. Non pensava più al sogno, sopratutto perchè non era un evento isolato, ultimamente gli era capitato più volte di sognare quella storia. Prese un caffé, si vestì e uscì correndo, mancavano dieci minuti alle otto, odiava arrivare in ritardo, era segno di indolenza, pensava. Salì in macchina, mise in moto e partì velocemente, il museo non era troppo lontano da casa sua, stava per cominciare un'altra giornata come tante, un'altra giornata da passare tra scartoffie e papiri, una giornata normale e abituale, o almeno così credeva.

 

/---------/

 

- La morte... è soltanto il principio...-  sussurrò al telefono.

-  Chi è? Rispondete!-  inveì l'altro interlocutore.

Allora lui ripeté la frase, consapevole che non lo avrebbe capito. Il suo interlocutore riattaccò con veemenza, mentre lui ripose la cornetta lentamente, come se fosse un rituale. Rise, e il suono cupo della sua risata riecheggiò nell'ampia stanza buia.

- Ci incontreremo presto, non dubitare, abbiamo qualcosa in comune. Siamo uniti anche se divisi.- 

Si voltò e vi avviò verso la porta, prese l'impermeabile nero dalla sedia e aprì la porta...senza toccarla.

 

 

 

 N.d.A: Ovviamente ero e sono pazza dell’attore che fa Imhotep XD!! Che omo O__o!!!

 

 

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Capitolo 2
*** Quella strana sensazione. ***


Ancora una volta

 

Quella strana sensazione.

 

 

 

Arrivò al museo alle otto e dieci, giusto in tempo per sorbirsi l'antipatica prosopopea del responsabile generale del museo, George Milton. Appena lo vide, Lucas si fermò storcendo le labbra. Era lì, davanti una grande vetrina, a parlare pomposamente gesticolando come un mimo con due persone, un uomo e una donna. Sperava di allontanarsi senza farsi vedere, ma fallì nell'intento. Milton lo vide e, scusandosi con i suoi visitatori, lo fermò chiamandolo a voce alta.

 − Dottor Barrymore, aspetti. −

 − Oh buongiorno Professor Milton. −  proruppe Lucas con un finto sorriso.

− Buongiorno a lei. Prima che cominci il suo lavoro, vorrei presentarle due persone... −  e indicò le persone con cui parlava poco prima. In quell'istante, la donna si voltò. Per un attimo, gli sembrò di conoscerla.

Venga, gliele presento. −  Lucas lo seguì senza dire nulla.

− Questo è il Dottor Lucas Barrymore. −  presentò Milton.

Il primo ad allungare la mano fu lo sconosciuto, un ragazzotto sui trent'anni o poco meno, dai capelli rossicci e gli occhi di un azzurro spettrale.

− Piacere di conoscerla Dottor Barrymore. Io mi chiamo Simon Wilde. − 

Lucas gli strinse la mano senza molto entusiasmo, al contrario del ragazzo.

− Piacere mio... −  poi il suo sguardo si spostò sulla donna, anzi, sulla ragazza. Era molto giovane, non più di ventitre, ventiquattro anni. E anche in quel caso, fu l'altra parte a fare il primo passo nelle presentazioni.

− Sono lieta di conoscerla Dottor Barrymore. Mi chiamo Daphne O' Connell... −  mentre le stringeva la mano, Lucas si bloccò.

O' Connell? La sua mente impiegò qualche secondo per dare un volto a quel nome. E quando avvenne, impallidì tanto da farle corrugare la fronte in un'espressione preoccupata.

 − Sta bene? −  gli chiese la giovane.

− Certo.. è solo che il suo cognome non mi è nuovo... −  Daphne gli sorrise.

− Forse avra' sentito parlare di mio padre, Alexander O' Connell. −  Nella mente di Lucas, si susseguirono una serie di immagini sbiadite, poi la chiara visione di un bambino. Biondo, occhi chiari, un bambino molto sveglio.

 -Alex!- pensò Lucas con meraviglia e terrore. Quella ragazza era la figlia di Alex O'Connell, figlio a sua volta di Evelyn e Rick, coloro che firmarono la prima disfatta di quell'essere infernale, tornato dagli inferi per consumare la sua vendetta, e ci sarebbe riuscito se sul suo cammino non avesse trovato loro due.

− Oh.... ecco perché. Si, ho sentito parlare di suo padre, è un'illustre esperto di antichità.... − 

Era vero, Lucas ne aveva sentito parlare sul serio, e aveva sempre sperato di non incontrarlo mai, da quello che poteva dedurre, doveva essere l'unico superstite della sua famiglia, e quindi l'unico che in lui potesse scorgere i tratti del vecchio antagonista.

Nella conversazione si intromise Milton. − Bene, ora che ci siamo presentati, direi che è il momento di metterci al lavoro, non vi pare? −

Metterci al lavoro? Perché aveva usato il plurale? Lucas pregava di non doversi ritrovare a lavorare affianco della giovane, lei non c'entrava nulla, probabilmente neanche sapeva  di tutta l'assurda e inquietante storia, ma sentiva che era pericolosa. Milton si accorse dell'espressione perplessa di Lucas, e con un mezzo sorrisetto spiegò cosa intendeva dire.

 − Dottor Barrymore, questi giovani sono qui per apprendere in prima persona quello che significa questo lavoro. Il signor Wilde ha da poco conseguito la laurea in storia antica, mentre alla signorina O'Connell mancano alcuni esami per laurearsi in egittologia. Sono entrambi due autentiche promesse. Il signor Wilde affiancherà il professor Schumman, mentre la signorina O'Connell affiancherà lei, dato che la ritengo il miglior esperto in egittologia del nostro centro. − 

Lucas e Daphne si guardarono, lei gli sorrise senza essere ricambiata.

− Non credo sia una buona idea, professor Milton. Lei sa che quando lavoro, non voglio distrazioni, e seguire la signorina O'Connell mi procurerebbe certamente difficoltà. Non dubito che la signorina sia un ottimo elemento, ma mi creda, sarebbe meglio se affiancasse qualcun altro. − disse Lucas guardandola negli occhi.

Aveva degli occhi stupendi, un verde cristallino tempestato da piccole pagliuzze dorate, avevano un taglio obliquo, molto allungati verso le tempie. Aveva già visto quegli occhi, non riusciva a ricordare dove, e quando, ma ne era quasi certo, non erano occhi che si potevano dimenticare facilmente.

Quegli occhi ora lo fissavano indispettiti e perplessi, Daphne si domanda cos'aveva che non andava per lui, tanto da giudicarla e rifiutarla senza neanche conoscerla. Milton tossì in difficoltà.

− Dottor Barrymore, capisco benissimo la sua.....chiamiamola misantropia  professionale, ma insisto perché lei segua la signorina O'Connell, sono sicurissimo che andrete d'accordo. −

 Lucas serrò le labbra. − Professor Milton, lei non può darmi del misantropo solo perché non vorrei essere affiancato dalla signorina. La mia contrarietà va sopratutto a suo beneficio, visto che con la mia propensione a lavorare da solo non potrei seguirla come si deve, e la laurea è una cosa importante... −

Daphne che fino a quel momento era stata in silenzio, sbottò stizzita.

− La ringrazio molto per il suo interesse al mio.. bene, dottor Barrymore, ma credo di sapermela cavare anche se lei non mi presta il cento per cento della sua attenzione.  Ho sentito molto parlare di lei, e mi sarebbe piaciuto lavorare accanto a lei sperando di imparare sempre qualcosa in più. Quello che le chiedevo era solo di poter stare a contatto con questo lavoro, che per me è sopratutto passione. Ma vedo che lei mi è fortemente contro, anche se non ne conosco il motivo. −

Lucas era sorpreso, gli era sembrata una ragazza calma e piuttosto remissiva, si era sbagliato.

− Signorina, mi perdoni se le ho dato l'impressione di esserle contro, mi creda non ho nulla contro di lei, ma... −

 Daphne non gli diede modo di finire. − Bene, se non ha nulla contro di me, mi faccia lavorare insieme a lei. −

 Milton diede un altro colpo di tosse per richiamare l'attenzione.

− Signor Wilde, credo sia meglio lasciare che i signori si mettano d'accordo, che ne dice se l'accompagno dal professor Schumman? −  Simon era a disagio quanto Milton, Daphne e Lucas si fronteggiavano a denti stretti in un duello alla pari, uno più determinato dell'altra. − Credo.. credo sia meglio si... −  rispose Simon avviandosi con Milton. Nessuno dei due guardò i due uomini allontanarsi, erano troppo impegnati a fissarsi negli occhi, Daphne ci teneva a fargli capire che non era il tipo di persona che abbassava lo sguardo per prima. Infatti fu Lucas a farlo, cedendo alla fine davanti alla caparbietà di quella ragazza.

E va bene, signorina O'Connell, ha vinto lei. Ma si ricordi che io l'ho avvertita per tempo.... 

Il volto di Daphne si distese, e tornò dolce e solare come prima.

− Non si preoccupi, credo di sapere il fatto mio. − 

− Vedremo... −  disse Lucas accennando un sorriso ironico, continuando a fissare i suoi occhi, quegli occhi che aveva già visto altrove, ma non ricordava dove.....o quando.

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Capitolo 3
*** L'oggetto misterioso ***


L’oggetto misterioso

L’oggetto misterioso.

 

 

 

 

 

 

 

Il suo lungo impermeabile dava l'idea di un grande mantello nero agitato dal vento, che gli scendeva quasi fino ai piedi. Camminava lentamente guardando sempre davanti a sé, le persone che gli passavano accanto non lo interessavano minimamente. Incuteva soggezione e sospetto, forse anche paura. Paura di qualcosa che andava oltre il suo aspetto senz'altro misterioso e superbo, qualcosa che era dentro di lui. Qualcosa che nessuno sarebbe riuscito a spiegare, ma inconsciamente tutti quelli che lo incontravano sentivano di cosa si trattava. Il Male. Sapeva di incutere paura, e ne era più che compiaciuto, solo con il timore si possono tenere sotto il proprio controllo le persone, ma sapeva anche che molti uomini erano naturalmente attratti dal male, e a lui servivano seguaci. Arrivò nei pressi di una vecchia casa decadente, l'insegna di legno era sbiadita e per metà marcia, ma ancora la scritta era ben visibile.

 

Antiquariato.

 

Sorrise leggendo l'insegna: dovrebbe far scrivere traffico illegale, pensò aprendo la piccola porta cigolante, così piccola da doversi abbassare per oltrepassarla. Il piccolo omino all'interno del negozio rabbrividì quando lo vide avvicinarsi, anche lui come gli altri lo temeva, nonostante lui non avesse mai rivelato la sua vera natura. Quando il campanello sulla porta trillò, si fece sfuggire un gridolino terrorizzato. Malcom gestiva da oltre trent'anni una piccola bottega di antiquariato, dove ufficialmente rivendeva vecchi mobili di alquanto discutibile valore, ma nella quale passavano in realtà le più svariate mercanzie; statuette, gioielli, amuleti,papiri, pergamene, di tutte le civiltà e paesi, greci, romani, bizantini, egizi, qualsiasi cosa fosse di antico, e illegale.

Aveva pensato che l'insignificante Malcom sarebbe stato in grado di fargli avere quello che cercava, ed era andato lì proprio per questo. Si avvicinò all'uomo lentamente, dando un'occhiata in giro, si meravigliava sempre davanti alla bizzarra e grossolana moda occidentale.

Bu..buongiorno signore...che piacere rivederla. −  farfugliò Malcom guardandolo attraverso i suoi piccoli occhiali tondi.

L'uomo lo guardò senza interesse.

− Buongiorno a lei. Sono venuto qui per sapere se ci sono novità su quella faccenda che le avevo commissionato. −  gli disse con voce atona mentre gli si avvicinava.

Quando l'ometto se lo trovò di fronte, abbassò la testa di scatto, tanto bruscamente da fargli scivolare a terra gli occhialini che aveva sul naso. L'uomo di fronte a lui li guardò e si abbassò a raccoglierli.

− La vedo nervoso... Malcom. Posso chiamarla Malcom vero? −  gli domandò porgendogli gli occhiali che aveva raccolto da terra. L'ometto tremante li prese guardandosi bene dal sfiorargli la mano, era più forte lui, una sensazione di terrore lo spingeva a stargli lontano.

− C..certo che può chiamarmi Malcom.. −  fu la risposta. L'uomo abbozzò un sorriso poco amichevole.

− Bene. Tornando a  noi, Malcom, cosa mi dice di... quel lavoro? −  Malcom cominciò a tormentarsi le mani guardandosi attorno.

− Beh...ecco io...dovrebbero arrivarmi alcune consegne per la settimana prossima, o forse tra dieci giorni..sa come vanno queste cose... −  Il sorriso poco amichevole diventò un sogghigno minaccioso.

− Oh certamente.... ma vede.....sono ormai quasi due settimane che le avevo chiesto di cercarmi quell'oggetto, e credevo che con la sua fitta rete di trafficanti e prestanome, non avrebbe impiegato più del dovuto.... −  

L'antiquario indietreggiò guardandosi alle spalle, il retrobottega era troppo lontano da lì, e solo raggiungendolo poteva dirsi al sicuro, lì custodiva il suo bel fucile da caccia sempre carico, con due belle cartucce in canna pronte per essere usate. Purtroppo per lui, neanche il suo grosso fucile lo avrebbe potuto salvare, se solo il suo particolare cliente avesse avuto davvero intenzioni violente contro di lui.

Si... lo so, ma vede, le indicazioni che mi ha dato solo alquanto.. scarne, e prima di portarle qualche pezzo inutile, voglio essere sicuro che si tratti di ciò che lei desidera... −  

L'uomo lo guardò fisso negli occhi, uno sguardo che ghiacciava il sangue e fermava il respiro. L'antiquario portò una mano alla gola, si sentiva soffocare da una mano invisibile, mentre il suo cliente lo guardava imperturbabile.

Aiut... − sibilò Malcom. Allora, come per incanto, la mano invisibile cessò di soffocarlo.

Malcom cadde in ginocchio ansimando, sotto lo sguardo compiaciuto del suo cliente.

− Bene. Le darò altre due settimane di tempo.. proruppe l'uomo distogliendo lo sguardo dal piccolo ometto intento a raddrizzarsi.

− Crede che le saranno sufficienti altri quindici giorni? −  gli chiese con finta cortesia.

Malcom era terrorizzato. − C..certo signore, farò del mio meglio per... servirla. −  

Gli avrebbe risposto la stessa cosa anche se gli avesse detto di avere un giorno di tempo per trovargli quello che cercava.

Malcom voleva solo che quell'uomo malefico se ne andasse, e già pensava a come svignarsela senza farsi più trovare da lui, forse avrebbe chiuso bottega e sarebbe sparito la Londra, ma sentiva che l'uomo l'avrebbe ritrovarlo.

− Lei non deve fare del suo meglio - disse il suo cliente con un mezzo sorriso - deve semplicemente trovare quello che cerco. Se ci riuscirà saprò ripagarla.... del disturbo. Se invece non ci riuscirà..... temo già sappia cosa posso fare se rimango... deluso. −  puntualizzò l'uomo.

Malcom si toccò la gola. − Sì .. capisco signore.. le prometto che cercherò.... no.. che troverò quello che lei cerca, ne sia certo. −  gli rispose l'antiquario con un gran sorriso. Gli tremavano le labbra e sudava freddo.

− Bene. Allora tornerò qui tra quindici giorni esatti. Buona giornata, Malcom. −  E si avviò verso la porta.

Poi si voltò di nuovo. − Ah dimenticavo, Malcom. Non cerchi di contattare qualche suo tirapiedi per.. farmi fuori, mi creda sarebbe inutile, e inoltre quello che cercheranno di fare a me, le verrà restituito cento volte. −  

Malcom inghiottì a vuoto e non rispose nulla. Non appena l'uomo se ne fu andato, si riprese da quello stato di immobilità e di terrore che aveva provato fino a pochi istanti prima. Doveva pensare a come agire, quell'uomo era pericoloso, non sapeva come aveva fatto, ma stava per strangolarlo soltanto fissandolo negli occhi.

− Per la miseria, quello è un diavolo! − esclamò finalmente Malcom con un senso di liberazione.

Corse dietro al piccolo bancone e alzò la cornetta del telefono. Compose velocemente un numero ed attese ansimando che qualcuno rispondesse.

− Pronto? −  risposero dall'altro capo.

Pronto dannazione, sei tu Fred? −  La voce di Malcom era stridula e tremante.

− Ehi amico, che modi sono questi? − sbottò l'interlocutore.

Era Fred Dinner, il suo vero nome era Frederick Dynitchov, piccolo trafficante di antichità di origine russa, finito un paio di volte in galera e con una fedina penale lunga un paio di metri.

 − Non ho tempo per le gentilezze, Fred. Credo di essere nei guai. −  borbottò Malcom asciugandosi la fronte.

Sentì una risata dall'altra parte.

Ma davvero? Che strano, è la prima volta che ti metti nei guai!  

Anche se Malcom ancora non era finito mai in galera, aveva avuto una sfilza di denuncie per reati come truffa o traffico illegale, ma era sempre riuscito a cavarsela, fino ad allora.

Fred, smettila, questa volta è una cosa seria. Non rischio di andarmene in gabbia, rischio di andarmene all'altro mondo! −  urlò l'antiquario.

Che stai farneticando? Che hai combinato? −  rispose Fred urlando a sua volta.

Malcom chiuse gli occhi e respirò profondamente per calmarsi.

 − Non ho fatto nulla, maledizione. Ricordi quell'uomo strano che era venuto da me un paio di settimane fa? Oggi è tornato, e quando ha saputo che non ero riuscito a ritrovargli quello stupido medaglione, mi ha quasi strangolato. −  

Fred saltò sulla sedia. − Strangolato? Cazzo, ti ha messo le mani addosso? −  

Erano amici di lunga data, si erano sempre aiutati l'un l'altro.

− E' questo il punto, Fred. Quel tipo mi stava strangolando con gli occhi, non so forse mi ha ipnotizzato o cose simili. −  disse in tono disperato.

− Dio santo, Malcom. Non posso crederci.. è assurdo. −  mormorò Fred.

Malcom si premeva una mano un petto, temeva gli venisse un infarto.

− Lo so Fred, ma ti giuro che è andata così, sentivo una mano che mi stringeva la gola ma non la vedevo, forse mi ha suggestionato, ma io stavo per soffocare davvero. Comunque, ti ho chiamato per chiederti aiuto.... −   

− Certo, amico. Vuoi che mandi qualche mio.... amico per stendere Houdini? −

  Malcom spalancò gli occhi. Ripensò alle ultime parole dell'uomo prima che se ne andasse.

“ Quello che cercheranno di fare a me, le verrà restituito cento volte ” aveva minacciato.

− No per amor di Dio! Quello è un diavolo, Fred, come minimo avrà sette vite come i gatti, e ha minacciato di farmi fuori se avessi mandato qualcuno a stenderlo. No, volevo chiederti di darmi una mano a trovargli quel maledetto gingillo che vuole prima che mi faccia la pelle. −  

Fred si schiarì la voce. − E dove dovrebbe essere questo gingillo? −  Malcom rifletté per un istante.

−Quel maniaco non lo sapeva con certezza, ma ha detto tra il basso Egitto e la Grecia. Dice che si tratta di un gioiello greco-egizio, del periodo Tolemaico, e che può trovarsi sia in Egitto che in Grecia, e bisogna cercare in entrambi i paesi. −  

 − Ma.. amico, non hai già fatto cercare in quelle zone? −  chiese Fred.

 − No, ho solo fatto qualche telefonata a qualche mio contatto ad Atene e al Cairo, per vedere se qualcuno per caso avesse trovato quel coso. Sia Dimitri che Sayd non ne sapevano nulla, e dopo un paio di giorni non ci pensai più. Pensavo di trovare una scusa e dirgli che non ero riuscito a trovarlo.... ma ora che ci penso è meglio applicarsi un po’ di più per ritrovare quel gingillo. −  

Fred mugugnò. − E quanto tempo abbiamo a disposizione? −   

− Altri quindici giorni. −  rispose con un sospiro Malcom.

− Oh merda, quindici giorni per rovistare tra Grecia ed Egitto? Malcom è impossibile, noi dobbiamo andarci piano, e ci vogliono giorni e giorni solo per trovare i contatti giusti. Quel tempo ci sarà appena sufficiente per corrompere qualche archeologo per farci aiutare. Dio santo, Mal, mi chiedi quasi l'impossibile. −  

Malcom strinse la cornetta. − Lo so Fred, ma ti prego, provaci almeno. Credimi, sono terrorizzato, tu lo sai che mi spavento difficilmente, ma avresti dovuto vederlo.... ho pensato che da un momento all'altro avrei sentito odore di zolfo e gli avrei visto spuntare coda e corna. −

Non aveva pensato proprio questo, non ne aveva avuto il tempo, ma gli serviva un'immagine forte per convincere Fred.

E va bene, Mal. Cercherò di fare tutto il possibile, ma avrei bisogno di una descrizione del gioiello. Tu guarda un po' che ci tocca fare, pure Indiana Jones. −  disse Fred per sdrammatizzare. Malcom cercò di sorridere, ma non ci riuscì.

− Grazie, Fred. Sapevo di poter contare su di te. Se andrà tutto bene, faremo a metà del compenso, te lo devo, amico.   

− Non c'è di che, Mal. Dopotutto, se non ci si aiuta tra di noi... −

                                              

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Capitolo 4
*** Il primo giorno ***


Il primo giorno

 

Il primo giorno

 

 

 

 

 

Lucas precedeva la sua nuova assistente lungo il corridoio che portava agli uffici. Daphne lo seguiva in silenzio, guardando qua e là.

Cercava di imitare il suo passo, ma Lucas camminava troppo svelto per stargli dietro.

“Le dispiacerebbe rallentare, dottor Barrymore?” Lucas si arrestò e si voltò verso di lei.

“Mi perdoni, signorina.” si scusò, ma Daphne sospettava che lo facesse di proposito.

Camminavano fianco a fianco, Daphne ogni tanto gli lanciava un'occhiata, era molto alto, lei gli arrivava più o meno all'altezza della spalla, e questo la metteva un po' in soggezione.

“Ecco, siamo arrivati al mio studio, entri, prego. le disse aprendo la porta.

Era una grande stanza con poco arredamento, solo due scrivanie e un lungo tavolo. Alla parete c'era un grande armadio a cassetti, nei quali si conservavano i reperti di piccola dimensione. Le scrivanie erano poste in modo che chiunque si fosse seduto ad entrambe, si sarebbero voltati le spalle a vicenda.

Molto espansivo, pensò divertita Daphne.

“Lei si sistemi pure a questa scrivania, mi rincresce darle quella più piccola, ma io sono disordinato e mi occorre più spazio per stendere tutte le mie carte. spiegò con un sorrisetto un po' imbarazzato.

Daphne pensò che fosse sincero, in effetti aveva l'aria di chi non dava troppa importanza alla forma delle cose.

“Non si preoccupi, credo di avere abbastanza spirito d'adattamento. gli rispose lei, nascondendo la sua emozione nell'avere, per la prima volta, una scrivania tutta sua.

Il resto della mattinata passò velocemente, mentre Lucas, con malcelata impazienza, spiegava quello che c'era da fare alla ragazza. Nella pausa pranzo, Daphne uscì con Simon, mentre Lucas restò nello studio. La ragazza tornò dopo circa un'ora, e lo ritrovò esattamente dove l'aveva lasciato, chino sui frammenti logorati di un antico papiro.

Daphne rimase allibita. In un'altra vita dev'essere stato un certosino. pensò tra sé tornando alla sua scrivania.

E la prima giornata di lavoro insieme alla sua nuova assistente, volse al termine.

Mentre tornava a casa, Lucas pensava alla ragazza.

Daphne O'Connell.

La prima volta che gli venne in mente questo cognome, aveva circa dodici anni, ma pensò che semplicemente l'aveva sentito nominare dai suoi genitori o da qualcun altro della sua famiglia.

Poi questo O'Connell  iniziò a venirgli in sogno, e gli incubi che lo avevano ossessionato fin dalla culla, tornarono.

Lucas scosse la testa.

“La devo smettere.... quella ragazza non sa nulla, non è venuta per me. I suoi nonni saranno morti, altrimenti sarebbero degli ultracentenari, e non credo che suo padre gli abbia raccontato quella storia, e se lo avesse fatto lo avrebbe preso per pazzo.” Considerò a voce alta svoltando a destra e fermando la macchina nel vialetto di casa sua.

Scese e si avviò verso la porta, inserì la chiave nella serratura ed aprì.

Una volta dentro, trasse un profondo sospiro di sollievo: la verità era che casa sua, era l’unico posto in cui si sentiva davvero al sicuro. Per tutta la vita si era sempre sentito braccato, spiato, inseguito, anche se non c’era nessuno a fare tutto ciò. Solo una volta chiusa la porta, si sentiva tranquillo. Beh, più o meno tranquillo, poiché il tormento era dentro di lui e non fuori dalla porta.

Si tolse la giacca e la buttò su una poltrona, si diresse verso il bagno e si sciacquò il viso. Fissò la propria immagine riflessa nello specchio.

“Daphne O’Connel, sussurrò.

Perché il suo volto gli era così familiare?

 

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Capitolo 5
*** Cosa diavolo può essere? ***


N

N.d.A.: Grazie a tutti coloro che leggono, e in particolar modo ad  alice brendon cullen per le sue recensioni, grazie gioia ^_^!!

 

 

 

Cosa diavolo può essere?

 

 

 

 

Fred. Ehi Fred, c'è un fax per te.” urlò Tony dal corridoio.

Fred digrignò i denti, quante volte gli aveva detto di non urlare ai quattro venti quando arrivava qualcosa per lui? Tutto quello che Fred faceva era illegale, compreso lavorare lì, al piccolo museo di storia naturale nella periferia di Londra.

La storia naturale c'entrava ben poco con la sua ‘specializzazione’, ma era l'unico posto che aveva trovato, l'unico che poteva offrirgli una copertura e dove, in caso di pericolo, scaricare tutte le responsabilità, e oltretutto aveva dovuto passare una bustarella di duemila sterline al direttore per restarci.

“Grazie Tony, ma la prossima volta grida più forte, forse a Dublino non sono riusciti a sentirti.” disse a denti stretti mentre gli strappava di mano il foglio.

Era un fax di Malcom, Fred si era quasi dimenticato della sua conversazione con lui. Si appartò in un angolo e lesse mentalmente il fax scritto in russo, lingua che anche Malcom conosceva grazie alla sua ex moglie moscovita.

Ciao Fred, come d'accordo ti spedisco la descrizione dell'oggetto. Quel pazzo mi ha detto che dovrebbe essere di forma ovale, con un grossa pietra preziosa al centro, non sapeva di che pietra si trattasse ma ha detto che è di colore blu, quindi un lapislazzuli o un opale o roba simile. La montatura è d'oro e rappresenta due serpenti che si mordono la coda l'un l'altro. Ai lati, attaccate ai serpenti, ci sono due ali simili a quelle di un uccello. Avrei potuto mandarti uno schizzo fatto a mano giusto per renderti l'idea, ma ho preferito non rischiare. Spero che con la tua esperienza riesca a rintracciare questo aggeggio. Ti prego di farmi sapere al più presto ogni sviluppo, in bene o in male. Se tu non riuscissi a ritrovarlo, credo che mi farò un viaggietto a Detroit, è da un bel po’ che non vedo mia figlia.....Stammi bene, Mal.

 Quando finì di leggerla, Fred scosse la testa.  Il vecchio ladrone vuole svignarsela in tempo,  pensò ridacchiando.

Poi ripensò a quello che gli aveva detto la mattina, 'sentivo una mano che mi stringeva la gola ma non la vedevo' e allora smise di ridacchiare. Fred era un uomo molto superstizioso, anche se non lo avrebbe mai ammesso, e le parole di Malcom lo facevano rabbrividire.

“Meglio mettersi all'opera” si disse. Si chiuse nel piccolo ufficio che divideva con Tony e iniziò a cercare sull'agenda. Compose un numero e attese.

“Pronto, mi scusi, vorrei parlare con Ahmed Faiz, sono Fred Dinner. chiese alla donna che rispose.

“Certo, resto in linea, grazie.”  Dopo qualche istante, Ahmed arrivò al telefono.

“Salve Ahmed. Come ti va la vita?”  Rise alla risposta dell'egiziano.

“Si tira avanti, amico. Ascolta, mi spiace disturbarti di nuovo, ma avrei bisogno di un aiuto serio...” 

Ahmed gli disse che poteva disturbarlo quando voleva.

“Grazie Ahmed, sapevo di poter contare su di te. Allora, stavo dicendo, dovresti darmi una mano a cercare un gingillo importante... si certo sempre legato all'Antico Egitto... è una specie di amuleto o un medaglione, non so di preciso, lo sai che non ne capisco molto...”

Rise di nuovo. “In effetti l'anatomia femminile mi è più familiare...”

Col cavolo, pensò, dato che erano ormai tre mesi che non usciva con una donna.

“Ti mando un fax appena riattacco, li trovi una descrizione più o meno completa... no non serve a me, è un favore che devo fare ad un amico..... si sta’ tranquillo, lo sai che non faccio mai i nomi dei miei amici....grazie Ahmed... si okay, appena sai qualcosa mi fai un colpo di telefono... grazie ancora.... salutami Stuard e digli che gli devo una birra....certo.... a presto, amico.”

E riagganciò il telefono.

E questa è fatta, ora spedisco il fax all'arabo e poi mi conviene fare una telefonata a Hector e a Sharuk, dopodichè non resta che aspettarepensò Fred accendendosi uno dei suoi piccoli e maleodoranti sigari.

Riprese in mano il fax mandato dal suo amico, e rilesse la descrizione dell’oggetto in questione. Sembrava un gioiello insolito ma di un certo valore, forse il tizio mezzo matto che lo cercava così disperatamente, lo voleva per rivenderlo. E allora perché non andava a prenderselo da solo?

Magari era un tizio importante, un pesce grosso di qualcosa e non voleva sporcarsi le mani. Certo era che l’uomo del monile doveva essere un tipo abbastanza pericoloso. Avrebbero fatto meglio a tentare di assecondarlo, e se non ci fossero riusciti beh.. Malcom si sarebbe fatto una vacanza negli Stati Uniti, e magari avrebbe ospitato anche lui per po’.

 

‘La montatura è d'oro e rappresenta due serpenti che si mordono la coda l'un l'altro.

 Ai lati, attaccate ai serpenti, ci sono due ali simili a quelle di un uccello.

 

Fred piegò la testa di lato corrugando la fronte. “Che strano coso. Cosa diavolo può essere?”

In quel momento, un colpo di vento spalancò la finestra, mandando all’aria le varie carte accatastate sulla scrivania. L’uomo rabbrividì più per lo spavento che per il freddo. E una spiacevole sensazione di essere osservato lo costrinse a voltarsi in direzione della porta.

Ma non c’era nessuno dietro di lui.

“Sono un idiota superstizioso..si rimproverò seccato.

Tuttavia, pensò che era meglio sbrigarsi con la ricerca del gioiello, riprese l’agenda e cerco un altro numero. Una volta trovato, lo compose rapidamente e attese di ricevere risposta.

 

 

 

 

Note: Iniziata a scrivere nel 2001, questa ff non è stata ancora completata. Da qui dovrò scrivere di sana pianta tutti i capitoli, tuttavia la storia è già completa nella mia testa, ma ovviamente ci vorrà del tempo. Vi assicuro che la trama è più avvincente di questi pochi e piccoli capitoli.

O è l’occhio del padrone che ingrassa il cavallo??? XD XD XD

 

A presto e grazie a chi ha avuto la pazienza di leggere *___*!!!

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