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Sperduta nella vastità del Mare avanzava una nave dai contorni incerti,
grigia nella fredda luce che precede l’alba
Sperduta nella vastità del Mare
avanzava una nave dai contorni incerti, grigia nella fredda luce che precede
l’alba. Per miglia intorno, l’unico rumore era lo sciabordio delle onde contro
la prua affusolata, e il lieve sibilo del vento, che gonfiava le pesanti vele.
Immobile sul ponte una figura
avvolta in un lungo mantello, intenta a scrutare con occhi penetranti il
lontano orizzonte. Oltre la linea frastagliata della costa che lentamente si
faceva più vicina, si intravedevano fra le nebbie del mattino gli alti picchi
delle montagne, dietro ai quali si faceva strada a fatica il nuovo sole.
Sulla levigata pietra del molo un
Elfo dai lunghi capelli argentei attendeva l’arrivo della nave. Quando si mosse
per accogliere lo straniero il suo passo silenzioso era tradito solo da un impercettibile
frusciare della sua veste bianca, che ondeggiava nella brezza leggera.
Lo straniero scese dalla nave con
agilità inaspettata, poi avanzò appoggiandosi al suo lungo bastone. Il suo
aspetto era quello di un uomo molto avanti negli anni, la lunga barba grigia
che gli scendeva fino alla cintura; ma il suo passo era rapido, e nel suo
sguardo brillava un fuoco nascosto, che non sarebbe stato prudente destare.
L’Elfo si inchinò. “Benvenuto
nella Terra di Mezzo, saggio Olorin. Io sono Ciridan, guardiano dei Porti
Grigi”. Il vecchio fece un cenno di saluto con il capo, mentre il suo sguardo
attento si soffermava sugli imponenti edifici del Mithlond, e sul sentiero che
di lì si dipartiva.
Fece per incamminarsi, ma l’Elfo
lo trattenne. “Aspetta”, disse, e sfilò dal dito un piccolo anello, su cui era
incastonata una pietra rossa dai riflessi cangianti. “Prendi questo anello,
perché i tuoi compiti saranno gravosi; ma questo ti sosterrà nelle fatiche che
hai deciso di prendere su di te”.
Un sorriso scintillò negli occhi dell’altro,
che portò la mano prima alla fronte e poi al petto, in un gesto di
ringraziamento e di stima. Poi infilò l’anello, e lentamente si mise in
cammino, appoggiandosi al suo bastone.
Nell’aria tiepida dell’estate il vento portava con sé il delicato
profumo di fiori lontani
Nell’aria tiepida dell’estate il
vento portava con sé il delicato profumo di fiori lontani. Il mormorio delle
foglie degli alberi si confondeva con il rumore dell’acqua corrente; in quel
punto il sentiero, compiendo un’ampia curva, si avvicinava di parecchio al
fiume, che pure rimaneva nascosto alla vista dietro una macchia di noccioli.
Eppure la quiete del Bosco d’Oro
non era che una maschera, e non riusciva a celare del tutto il senso di inquieta
vigilanza che gravava in quel luogo, come in ogni altro della Terra di Mezzo.
Si sussurrava di una nuova Ombra ad Est, e il timore del ritorno di Sauron
cresceva nella mente di coloro che detenevano i Tre Anelli.
A guardia dei cancelli di Lothlorien
vi erano due figure immobili, dai lunghi capelli biondi; indossavano abiti di
un’indefinibile sfumatura grigio-verde, e solo un occhio particolarmente
attento avrebbe potuto scorgerli nella penombra della foresta. Un terzo Elfo,
vestito alla stessa maniera ma con una leggera cotta di maglia in mithril, che
indicava il suo rango di Capitano, si fece avanti per salutare il nuovo venuto.
“Mithrandir! L’ora del tuo arrivo è una gioia per noi. Vieni, la Dama attendeva
da lungo tempo la tua venuta”.
“Conducimi subito da lei,
Haldir”, replicò il vecchio stregone.
Haldir lo scortò ad una conca
erbosa, dall’altra parte della collina. Lì si trovava lo Specchio di Galadriel,
e la Signora del Bosco era intenta a scrutarne la liscia superficie. I lunghi
capelli ondulati le ricadevano sciolti sulle spalle, coperte da un leggero
abito bianco; le mani fini ed affusolate erano posate sull’orlo del bacile in
metallo lucido.
Haldir annunciò il visitatore:
“Mithrandir è giunto, mia signora”.
Galadriel si volse lentamente, e
congedò con un cenno Haldir, il quale inchinatosi profondamente si allontanò
silenzioso com’era venuto. La signora dei Galadhrim si avvicinò, e il perfetto
controllo dei suoi movimenti era in contrasto con l’inusata serietà dello
sguardo. “Gandalf, il mio cuore è turbato. Dobbiamo agire in fretta, se
vogliamo impedire a Sauron di riappropriarsi della fortezza di Mordor”.
“Ho parlato con Saruman, il capo
del mio ordine. Egli ritiene che non ci sia un pericolo imminente”, rispose
Gandalf.
Lei scosse il capo: “Sai bene che
a questo merito non nutro la stessa fiducia di Saruman. E c’è un pericolo molto
più grave; tu lo conosci quanto me, perché vedo che occupa costantemente anche
i tuoi pensieri”.
Gandalf sospirò stancamente. “Sì,
se Sauron recuperasse l’Unico Anello… sarebbe la fine per tutti i popoli liberi
della Terra di Mezzo. Ma nessuno, neppure lo stesso Sauron, conosce quale sia
stato il destino dell’Anello, dopo la morte di Isildur”.
Galadriel aggiunse con voce
ferma: “Per questo ho convocato il Bianco Consiglio. Occorre scoprire qual è
stata la sorte dell’Unico, e provvedere con ogni mezzo a che Sauron non possa
mai riappropriarsene”.
“Saggia idea, Dama Galadriel. Ed
ora permetti che vada un poco a riposarmi, perché lungo e faticoso è stato il
mio cammino”.
Galadriel sorrise. “Le stanze
della mia casa sono sempre a disposizione di Gandalf il Grigio. Riprenderemo i
nostri discorsi domani”.
Si incamminarono fianco a fianco,
la bianca dama alta e sottile, e il vecchio curvo per gli anni che si appoggiava
al suo bastone, compagno di molti viaggi.
Gli ultimi raggi del tramonto scendevano rossi dietro alla scura mole
del monte Mindolluin
Gli ultimi raggi del tramonto
scendevano rossi dietro alla scura mole del monte Mindolluin. Il vento si era
fatto più tagliente, e la notte si preannunciava gelida e tersa. Un grigio
cavaliere percorreva le vaste pianure che si stendevano ai piedi della città di
Minas Tirith, ancora umide di pioggia dopo i temporali che ad intervalli si
erano susseguiti per tutta la giornata.
Scorgendo una figura coricata fra
l’erba alta, non molto distante dal punto in cui la strada proveniente da
Osgiliath incontrava la via del Sud, fece fermare il cavallo. Scese di sella e
si avvicinò senza far rumore; d’improvviso la figura si alzò di scatto, portando
la mano all’elsa della spada.
“Non vorrai infilzarmi, spero!”,
rise il vecchio stregone, calando il cappuccio del suo mantello. L’altro
sorrise, sollevato. “Gandalf! Sei riuscito a cogliermi di sorpresa, come tua
abitudine. Stavo dormendo, lo ammetto: speravo di giungere a Minas Tirith prima
del buio, ma la stanchezza delle lunghe miglia percorse me lo ha impedito”.
Si sedettero insieme sull’erba
umida. Gandalf scrutò l’amico; gli abiti erano fradici, e i lunghi capelli neri
gli ricadevano umidi sulla fronte e sulle spalle. Nella debole luce del
crepuscolo poteva vedere la stanchezza in quegli occhi grigi e severi.
“La tua missione dev’essere
davvero urgente, se un Ramingo come te si lascia sorprendere dalla stanchezza a
pochi passi dalla strada”. Forse vi era appena una punta di benevola ironia
nella voce di Gandalf, nel pronunciare queste parole.
L’altro rispose: “I Corsari di
Umbar si stanno organizzando, e rappresentano una minaccia sempre più grave per
Gondor. Devo avvertire Ecthelion, e persuaderlo ad inviare una flotta a sud;
occorre colpire al più presto, prima che sia troppo tardi per farlo”.
Gandalf annuì. “Penso che tu
abbia ragione, Aragorn”. Guardò le prime stelle che si accendevano ad oriente. “Ormai
i Cancelli della città saranno chiusi. Conviene rimanere qui per la notte;
domattina all’alba cavalcherai con me, e ti accompagnerò personalmente dal
Sovrintendente”.
“Ti ringrazio, mio buon amico”,
replicò il Ramingo, distendendosi nuovamente a terra.
Il sole del mattino giocava con
gli spruzzi della fontana, ornando di effimeri arcobaleni i rami avvizziti
dell’Albero Bianco. Gandalf sedeva in attesa, appoggiandosi al suo bastone, e
fissava il lontano orizzonte, ad est. La sua fronte pareva rannuvolata da molti
pensieri e preoccupazioni.
Un uomo uscì dalla Bianca Torre e
gli passò rapidamente a fianco. Poi, come rendendosi conto della sua presenza,
ritornò sui suoi passi.
“Mithrandir! Dunque il tuo amico
Thorongil non era solo. Sei venuto anche tu a dare consigli a mio padre?”. La sua
voce era sprezzante, e negli occhi scuri covava un malcelato rancore,
pericoloso in un uomo del suo carattere.
Gandalf scosse la testa,
stancamente. “Denethor, io non sono tuo nemico, e nemmeno Thorongil lo è; come
posso fartelo capire?” Comprendeva bene l’orgoglio ferito di un uomo che aveva
visto uno straniero prendere il proprio posto nel cuore del padre; ma sapeva
anche che Aragorn non desiderava questo, né l’aveva mai cercato.
In quel momento Aragorn,
abbigliato ora in una maniera più confacente al suo ruolo di Capitano, uscì dal
palazzo e si diresse verso la fontana. Salutò rispettosamente il figlio del
Sovrintendente, il quale rispose con un rigido inchino e si volse per
andarsene. Gandalf notò lo sguardo che Denethor aveva rivolto al suo rivale:
uno sguardo in cui si mescolavano rabbia, invidia, ma anche un’involontaria ammirazione.
Sospirò.
Aragorn rimase in silenzio per
qualche istante. “Ecthelion mi ha dato il comando della sua flotta. Partiamo
oggi stesso”.
“Buona fortuna”, disse Gandalf,
stringendogli il braccio.
Quando Aragorn si fu allontanato,
Gandalf sedette nuovamente sul bordo della fontana, immergendosi ancora una
volta nei suoi pensieri.
Il pomeriggio scorreva pigramente sui verdi prati della Contea
Il pomeriggio scorreva pigramente
sui verdi prati della Contea. Dall’alto della Collina si godeva una splendida
vista dei campi coltivati oltre il fiume, biondi di grano ormai maturo, bordati
da siepi ben curate e filari di alberi da frutto. Seduti sulla soglia di casa
Baggins, Bilbo in persona e il suo vecchio amico Gandalf stavano fumando in
silenzio, osservando distrattamente le volute di fumo che si levavano in alto
nell’aria tiepida.
La visita di Gandalf era stata del
tutto inaspettata, ma Bilbo ne era rimasto piacevolmente sorpreso. “Immagino
che da parte tua non ci si possano aspettare due righe per annunciare il tuo
arrivo, vero?”, aveva scherzato. Gandalf di rimando gli aveva lanciato
un’occhiata di rimprovero, ma non era riuscito a rimanere serio per molto.
Scoppiando a ridere, aveva detto: “No, suppongo di no, mio caro Bilbo!”
Avevano parlato a lungo, finché
Gandalf, tirando fuori la sua lunga pipa, aveva chiesto a Bilbo se per caso
avesse un po’ di foglia di Pianilungone. Allora era sceso il silenzio fra di
loro, un silenzio confortevole, carico di lontani ricordi.
“Devono essere già le cinque”,
fece Bilbo alzandosi. “Sarà meglio che vada a preparare il tè. No, rimani
pure”, disse vedendo Gandalf muoversi per seguirlo, “lo servirò qui
all’aperto”.
Quando la porta rotonda si fu
richiusa alle spalle di Bilbo, Gandalf allungò appena le gambe e sistemandosi
più comodamente lasciò vagare il suo sguardo sul paesaggio dalle morbide linee
che si stendeva attorno a lui. Aveva per la Contea e per i suoi abitanti una
particolare predilezione; e di tanto in tanto, di ritorno dai suoi lunghi e
pericolosi viaggi, era solito fermarsi lì per riposare un poco l’animo
affaticato, e per rivedere il suo antico compagno di avventure.
Assorto nei propri pensieri, non
notò un giovane hobbit risalire correndo la strada che portava alla Collina, e
poi fermarsi appena entrato nel giardino di casa Baggins. Scorgendolo dopo
qualche istante, incontrò il suo sguardo curioso che lo fissava con grande
interesse.
Doveva essere piuttosto giovane;
aveva una massa di riccioli bruni e ribelli, e negli occhi chiari, piuttosto
insoliti per un hobbit, brillava uno sguardo vivace e divertito. Avanzò di
qualche passo, continuando a fissare il cappello a punta dello stregone e il
suo bastone appoggiato al muro, poi chiese: “Tu… sei Gandalf il Grigio?”
“Sì, sono io”, rispose. “E tu
devi essere il nipote di Bilbo, se non sbaglio”.
Il ragazzo annuì, e andò a
sedersi sull’erba ai piedi di Gandalf. “Bilbo mi ha raccontato tante cose su di
te, e sulle avventure che avete affrontato insieme. Non vedevo l’ora di
conoscerti”.
In capo a pochi minuti, quando
Bilbo uscì portando il vassoio del tè, Gandalf era già immerso in un lungo
racconto, popolato di Elfi, Nani e Uomini, e di altre strane creature che
vivono negli angoli più remoti della Terra di Mezzo. Il giovane hobbit
ascoltava con attenzione, gli occhi scintillanti di meraviglia e di gioia.
“Frodo! Non mi dire che sei
riuscito a convincere perfino Gandalf a raccontarti una storia!”, esclamò
Bilbo, posando il vassoio. “Gandalf, ti avverto che quando avrai finito ti
tempesterà di domande, fino a farti crollare per la stanchezza…”
Frodo rise e si alzò in piedi.
“Andiamo, zio Bilbo, lo sanno tutti che a te piace narrare le tue imprese,
almeno quanto scrivere poesie; nessuno riuscirebbe a farti stancare, nemmeno
io. Ma ho promesso al tuo amico Gandalf di non interromperlo finché la sua
storia non sarà finita, e di non fargli domande. Siediti qui con noi e
ascolta”, disse versando il tè nelle tazze e porgendole ai due compagni.
E
Gandalf proseguì a riferire dei suoi numerosi viaggi, sorseggiando la sua tazza
di tè, e godendosi la fresca brezza della sera.
Il sole era ormai alto nel cielo del mattino; ma nonostante la parvenza
di estate, di tanto in tanto una folata di vento più f
Il sole era ormai alto nel cielo
del mattino; ma nonostante la parvenza di estate, di
tanto in tanto una folata di vento più fredda, che scuoteva le foglie dorate
sugli alberi, ricordava l’avanzare dell’autunno.
Gli abitanti di Minas Tirith, intenti
alle loro faccende quotidiane, si fermavano stupiti nel vedere un viandante
avvolto in un grigio mantello, che risaliva lentamente la strada tortuosa che
conduce alla Cittadella.
Nella piazza di fronte alla
fontana, due giovani si esercitavano con la spada. La somiglianza dei loro
volti li indicava senza possibili dubbi come fratelli; sui loro abiti era
ricamato lo stemma del Sovrintendente di Gondor. Si muovevano con una
disinvoltura e una sicurezza che denotavano un lungo addestramento nell’uso delle
armi; la pari abilità di entrambi i contendenti
rendeva difficile indovinare l’esito del duello.
Gandalf, entrando dalla Porta
della Cittadella, si fermò ad osservare il combattimento con uno sguardo
divertito nei suoi occhi grigi. Le spade lucenti risuonavano brevemente l’una
contro l’altra, per poi separarsi di nuovo, guidate
dalla destrezza delle mani che le impugnavano.
D’improvviso quello che pareva il
più giovane dei due saltò agilmente sul bordo in
pietra della fontana, e con una mossa fulminea riuscì a penetrare la difesa
dell’avversario, puntandogli la spada alla gola. Rise, abbassando il braccio:
“Per una volta sono riuscito a coglierti di sorpresa, fratello!”
L’altro,
asciugandosi la fronte con la manica della sua tunica di velluto, sorrise.
“Non sperare che si ripeta di nuovo! Ed ora scendi di
lì, se ne hai il coraggio”. Si interruppe un attimo,
notando la presenza di Gandalf. “A quanto pare abbiamo
visite, fratellino. Non vai ad accogliere il tuo amico stregone?”
Il giovane si volse, esclamando:
“Mithrandir!”, e gli corse incontro, seguito con maggior calma dal fratello.
Gandalf sorrise bonariamente: “Faramir, Boromir, sono lieto di rivedervi. Ho
avuto notizia del vostro valore di soldati, e di come vostro padre sia orgoglioso di voi”.
Faramir scosse la testa, ridendo.
“Boromir è molto più abile di me. Non è vero, mio Capitano?”, disse
rivolgendosi scherzosamente al fratello. Quello rispose con
un’amichevole pacca sulla spalla, poi si rivolse a Gandalf: “Come mai da
queste parti, Mithrandir? Sbaglio, o è la biblioteca della città a condurti
ancora una volta fra queste mura?”
“Non sbagli, mio caro Boromir. Ho
urgente bisogno di consultare alcuni antichi testi, e la biblioteca di tuo
padre è l’unico luogo in cui possa trovarli. Faramir,
vorresti darmi una mano nella mia ricerca?”
Boromir rise. “Sono certo che non
desidera altro. E immagino che troverà anche il tempo
di farsi raccontare una delle sue amate storie elfiche. Non è vero,
fratellino?”.
“Tu mi conosci fin troppo bene,
Boromir. Mithrandir, posso accompagnarti da mio padre?” Si allontanò
insieme allo stregone, mentre Boromir scuoteva la testa, e sembrava divertito.
La sera già sfumava indistinta
verso la notte, quando Gandalf lasciò la città di Minas Tirith. Ancora molte
peregrinazioni e molte fatiche lo attendevano, prima che il suo compito
giungesse a termine. Curiosamente, gli ritornò alla mente una delle canzoni del
suo vecchio amico Bilbo, e iniziò a canticchiarla sottovoce: