Il destino di Elena

di Elanor89
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo V ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 10: *** Capitolo IX ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo X ***
Capitolo 13: *** Capitolo XII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 15: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XV ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 19: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 20: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 21: *** Epilogo ***
Capitolo 22: *** *Missing Moments* ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 

 

A Earendil,

senza la quale questa storia non sarebbe  mai stata scritta.

Sei e sarai sempre la mia migliore amica...

 

 

 

Prologo


Elena si guardò intorno con i sensi all’erta, i muscoli del corpo tesi nello sforzo di percepire anche il minimo movimento.

Annusò l’aria satura di odori: smog, polline, profumi… ogni cosa rimaneva distinta nella sua mente lucida. Poteva distinguere le sensazioni con precisione nonostante un odore ben più intenso le colpisse le narici. Dopo anni passati a mimetizzarsi tra le sue prede non si era ancora assuefatta al profumo del loro sangue. Si sentì bruciare la gola, mentre l'istinto di cacciatrice si faceva largo tra l'ostinazione e l'autocontrollo, imperioso come un comando.

Trattenne il respiro, privandosi della fonte di quel tormento. Era un bene che fosse tanto allenata a sopportare la sete... il bisogno di sangue la coglieva sempre impreparata… ma doveva resistere. Ce la poteva fare. Il rumore delle auto che correvano sull’asfalto bagnato la assordava, ogni singola goccia di pioggia risuonava come una cascata al suo orecchio. Passi, risa sguaiate… Strinse i pugni: era stata seguita. Se fosse stata una semplice umana sarebbe sopravvissuta, ma lei non poteva morire… non poteva sopravvivere… poteva solo tentare di sfuggire alla propria natura, cercare di dare alla propria esistenza un senso che non aveva, fingere la normalità… finché non avesse trovato una ragione per essere quello che era. Per smettere di negare se stessa, il suo passato. Imboccare quel vicolo per seminarli era stato un errore imperdonabile, ma adesso era tardi per cambiare idea o pentirsene. Si era lasciata spingere fuori dal proprio appartamento più dal desiderio di vedere qualche volto che dalla reale necessità di cacciare, ma il suo aspetto era troppo vistoso per gli umani. Tra i suoi simili non era altro che una ragazza qualsiasi, magari carina, ma tra gli umani diveniva l’essere più desiderabile a distanza di chilometri: persino il suo profumo li attraeva. Era uno strumento di morte confinato in una magnifica confezione.

Il suo riflesso era agitato e angosciato, non voleva essere costretta a fare loro del male… Ma il suo istinto era più forte… poteva tenere a bada la sete, ma non l'istinto di autoconservazione. Sapeva che per quanto potesse provarci il suo corpo avrebbe agito per proteggerla… nessuna mano avrebbe mai potuto sfiorarla senza che lei lo volesse. I tre le furono addosso in un attimo. Le loro risa aumentarono mentre bevevano le loro birre e si scambiavano battute volgari. La ragazza indietreggiò, pronta al peggio… sperava solo di non doverlo fare ancora…Era in forte svantaggio numerico, ma se solo lo avesse voluto avrebbe potuto liberarsi di loro in poco più di qualche istante. Avrebbe dovuto gridare, tentare di scappare… Invece rimase inchiodata sul lastricato, la schiena contro i mattoni del retro di un locale notturno. Chiuse gli occhi per un istante, cercando la forza per resistere. Poi li riaprì.

- Guardate, ragazzi… la nostra amica si è persa!- disse l’uomo più vicino a lei. Provò ribrezzo al primo sguardo: vestiva abiti malandati e il suo alito sapeva di alcol.

- Come ti chiami, dolcezza?- fece il secondo. Era più giovane, portava la fede alla mano sinistra. Elena lo guardò con intensità: era un uomo sposato, aveva una famiglia, dei figli forse…

- La ragazza è timida, Ben! Perché non le offriamo da bere?- chiese il primo all’unico che non aveva ancora parlato.

- Lasciatemi andare!- disse lei. La sua voce risuonò cristallina a confronto con il loro tono rauco.

- Allora sai parlare! Forza, bambolina, non fare storie…- il primo uomo le si avvicinò pericolosamente, stordendola con il suo respiro. Le sfiorò una guancia mentre lei rabbrividiva per il disgusto.

- Toglimi le mani di dosso…- ringhiò. Scoprì i denti, senza volerlo si preparò all’attacco.

- Non fare la schizzinosa, non vogliamo farti male… A meno che tu non ci costringa…-

- Andate via!- intimò lei, cercando di trattenersi. Uno dei tre le strinse il polso e glielo rivoltò dietro la schiena.

- Devi fare la carina con noi…- la minacciò, poi le scostò i capelli con una mano e tentò di baciarla. Elena gli assestò una gomitata, voltandosi appena in tempo per schivare uno schiaffo.

- Fai la difficile, eh??- la derise il più vicino, cercando di immobilizzarla.

- Non ti hanno insegnato che non è prudente vagare per i vicoli da sola a quest'ora della notte?- aggiunse l'altro. - Ti riportiamo noi a casa, bambolina. Subito dopo aver finito...-

Il suo corpo agì senza bisogno di alcun comando: le sue unghia curate divennero artigli pronti a graffiare, i suoi denti bianchi armi affilate capaci di ferire. Sentì il veleno invaderle la bocca, dolce come una lusinga. La superiorità numerica dei suoi aggressori era sostenuta dalla sua ostinata intenzione di non fare loro del male... Ma doveva anche salvarsi la pelle e quello era un bisogno primario, imprescindibile. L'istinto prese il controllo del suo corpo… dei suoi movimenti che si susseguivano precisi come passi di danza. Non c'era spazio per l'improvvisazione: doveva solo lasciarsi guidare dalla propria natura, spegnere la coscienza e non farsi sopraffare dalla mente. Ma si era negata quel lusso per troppo tempo e la sua mente sapeva come riemergere dal baratro di quella ferinità.

La nausea la colse improvvisa quando si ritrovò con i denti affondati nella carne di uno dei suoi assalitori. Non ci fu piacere per lei mentre l’uomo cessava di agitarsi e il suo cuore smetteva di battere. Si pulì le labbra con il dorso della mano, poi improvvisamente un dolore lancinante la invase. L’uomo di nome Ben l’aveva colpita alla testa con un vecchio specchio abbandonato dietro ai cassonetti, mentre indietreggiava orripilato e fuggiva via correndo. Lei barcollò per un istante, poi cadde sul lastricato tra le schegge d’argento e i frammenti di cornice sparsi intorno, intontita dall’alcol e dal dolore. Una luce colpì il suo viso, mentre attendeva la fine. Si strinse su se stessa mentre il suo sangue cominciava a ricoprire la pietra e a inzupparle i capelli. Dunque era quella la morte per quelli come lei… Nebbia, silenzio… Sarebbe stato un azzardo chiamarla pace, c’era troppo dolore… Eppure si stava lentamente riappropriando di se stessa, scossa dai brividi e dagli spasmi, ma nuovamente in grado di sentire passi sulla pietra affrettarsi verso di lei, di percepire ogni parte del suo corpo.

Il terzo uomo dunque era tornato per finire ciò che aveva iniziato. Cercò di sollevare le palpebre per guardarlo in viso, ma rimase sorpresa, confusa. Un viso nuovo e familiare invase il suo campo visivo, le ci volle tempo per metterlo a fuoco. Non era affatto chi si aspettava. Le sue labbra si muovevano, ma non capiva le sue parole, le sentiva sempre più lontane mentre un’espressione preoccupata si dipingeva nei suoi occhi. Rimanere vigile divenne un’impresa impossibile e mentre si sentiva improvvisamente sollevata da terra e inspiegabilmente sospesa per aria perse i sensi.


Ragazzi, che ne pensate? chi è il nostro uomo misterioso?

lo saprete prestissimo...


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Capitolo 2
*** Capitolo I ***


Carissima Lety Shine 92, ti annuncio con piacere che sei ufficialmente la prima lettrice che mi ha inserita tra i preferiti... ;) perciò ti ringrazio e ti dedico il primo capitolo della storia. Da questo momento la narratrice sarà Elèna, ma non escludo che nel corso della storia possano emergere altre "voci". Buona lettura e lasciami un commento tutte le volte che ti va!

 

 

*

Capitolo I


  La prima cosa che vidi fu un'intensa luce bianca. La prima cosa che ricordai fu il blu di due occhi agitati, in preda al panico.

Respirare era difficile, probabilmente mi ero rotta qualche costola, ma ancora più difficile era ricordare ciò che era successo o capire dove mi trovassi in quel momento. L'unica certezza che avevo era di essere viva e che non fosse merito mio.

Cercai di focalizzare gli oggetti intorno a me, ma fu tutto inutile: la luce bianca proveniente da una fessura tra i tendaggi mi impediva di mettere a fuoco alcunchè. Ero circondata da suoni e profumi sconosciuti: percepivo profumo di pulito provenire dalle lenzuola sotto di me e il suono di un respiro regolare da qualche parte accanto al letto, non avrei saputo localizzarlo meglio.

Mi voltai su un fianco mentre una fitta di dolore mi mozzava il fiato e allora lo vidi. Un viso ben definito, capelli scuri e ordinati, lunghi fino a sfiorargli la base del collo, elegante... Un blu intenso nei suoi occhi, un sorriso sulle sue labbra. Lo osservai per un lungo istante, più di quanto fosse lecito o educato, poi arrossii: il ricordo di quella notte e il senso di colpa mi assalirono di colpo, scuotendomi dal torpore causato dalla lunga dormita e dal dolore. Avevo ucciso ancora.

Una lacrima incandescente solcò la mia guancia, perdendosi inosservata sulla federa del cuscino...

- Sono felice che tu sia sveglia...- mi disse lui, osservandomi di rimando. Mi sorrise, rassicurante - Mi chiamo Christian...-

- Dove... dove mi trovo?- domandai confusa. Con mio disappunto la mia voce tremò, spezzandosi sul finire della domanda. Non avevo abbastanza fiato per sdegnarmi.

- Sei in casa mia in questo momento, ti ho trovata due giorni fa in un vicolo, eri in fin di vita...- Le sue parole colsero nel segno solo dopo qualche istante: erano già passati due giorni? Che ne era stato dei due uomini? E il terzo? Domande a cui la mia mente non trovava risposte, non in quel momento. Il suo sguardo mi seguiva in ogni minimo movimento.

- Come ti senti?- mi chiese. La preoccupazione era evidente nel suo tono di voce, me ne sentii scaldata.

- Sento dolore ovunque, ma sto bene...- risposi – Io non so come... Pensavo che sarei morta...-

- L'ho temuto anch'io... Pensavo di essere arrivato troppo tardi... Ho dovuto sedarti per poterti rimettere a posto... hai due costole incrinate, un brutto livido sul viso e un taglio sul cranio, ma tutto sommato sei in forma...- sorrise delicato mentre passava in rassegna i miei traumi. Mi guardava attentamente, ma non con curiosità.

- Non so davvero cosa dire, ma ti ringrazio...- dissi. Ero in imbarazzo, non ero affatto abituata a quel tipo di cure o di attenzioni.

- Non devi, te lo assicuro... - rispose lui, da gentiluomo. Mi sollevai piano, i muscoli contratti, sforzandomi di mascherare le fitte all'addome, cercando di mettermi a sedere. Avevo bisogno di pensare lucidamente, lasciando per un attimo da parte il senso di colpa.

- Dovresti rimanere immobile...- mi ammonì lui, alzandosi in piedi e avvicinandosi. Mi sostenne con cautela, aiutandomi a sollevarmi e a poggiare la testa al telaio in ferro battuto del letto. Non riuscivo a distogliere lo sguardo da lui mentre le sue mani mi sfioravano delicatamente, la familiarità dei suoi gesti era tale da indurmi a pensare che dovesse essersi abituato a quelle incombenze per tutto in cui ero rimasta incosciente. Mi sentii nuovamente imbarazzata. Un unico pensiero riusciva a sollevarmi: Chris non era umano. Non potevo fargli del male e sapeva esattamente con cosa aveva a che fare... Il suo odore era vellutato e inumano, esattamente come quello di tutti noi...

Erano anni che non entravo tanto in contatto con qualcuno: avevo imparato a non fidarmi dei miei simili e nei rapporti con gli umani ero sempre troppo cauta per lasciarmi coinvolgere. Avevo evitato qualsiasi errore con loro e mi ero sempre tenuta alla larga dai miei, ascoltando la voce del buon senso. Ma lui era tutto ciò che non avevo mai neanche intravisto in un vampiro... Chris era un'eccezione.

Avrebbe potuto farmi del male in qualsiasi momento, avrebbe potuto lasciarmi nel vicolo a morire alle prime luci dell'alba, ma mi aveva portata via, mi aveva curata... Senza un perché...

- Mi dispiace, forse avrei dovuto chiedertelo...- si scusò lui, amareggiato dalla mia reazione. Mi sentii in colpa immediatamente, quasi fosse una reazione chimica innescata dal suo sguardo. Non ero mai stata tanto sensibile all'umore altrui.

- No, scusami... Mi hai solo colta di sorpresa...- dissi, scuotendo la testa. Chris si rilassò e si sedette al mio fianco, mentre gli sorridevo per la prima volta. I muscoli del viso protestarono, allarmandomi: quanto male ero ridotta?! Mi guardai le braccia nude: erano ricoperte di lividi più o meno estesi e il busto, coperto solo da una leggera camicia da notte, era fasciato. Mi sfiorai piano il viso con le dita incerte. Sotto i polpastrelli sentivo le sbucciature e i tagli. Lui mi guardò un istante e si alzò dal letto, diretto ad un mobile alto con molti cassetti. Ne aprì uno e ne estrasse uno specchio, per poi porgermelo con cautela. Lo avvicinai piano al viso, trassi un respiro profondo e mi guardai: avevo la fronte coperta da una benda, ma si intavedeva chiaramente un livido esteso, un taglio campeggiava sullo zigomo pallido, esattamente dove lo avevo appena localizzato con le dita, e un altro vicino al mento. Avevo gli occhi pesti, cerchiati da ombre scure e i capelli legati in una coda alta, probabilmente da lui. Sbattei le palpebre per un attimo, sconcertata dalla mia immagine riflessa, e poggiai lo specchio sulle gambe.

- Sono impresentabile...- decretai, critica. Odiavo quella quasi mortalità che mi affliggeva durante il giorno. Solo la notte mi dava sicurezza, nulla poteva scalfirmi. Chris rise, facendo tremare il materasso sotto di noi.

- Ti preoccupi di questo?- chiese.

- Odio sentirmi così vulnerabile...- confessai. Le mie parole lo zittirono all'istante.

- Com'è potuto succedere? Non riesco a capire... il sole non era ancora sorto...- mi chiese, pensieroso.

- Cosa?- chiesi per temporeggiare. Sapevo esattamente a cosa si riferisse.

- Perché hai lasciato che accadesse, perché mettere a rischio la tua vita?- mi domandò costernato.

- Non ho potuto fare diversamente... Non volevo ucciderli...- risposi sincera.

- Ti ho trovata in un lago di sangue... sei fortunata ad essere qui...-

- Lo so... Se non fossi intervenuto... credo che sarei morta li...-

- Ho solo fatto ciò che ho creduto giusto...- rispose in tono duro. Non capivo il perchè di tanta severità.

- Mi hai salvato la vita...- risposi. Era la discordanza più grave tra noi due: lui salvava la gente, io la uccidevo... senso di colpa e sollievo si alternavano nella mia mente senza darmi modo di respirare. Mi sentivo mancare l'aria, ero in iperventilazione. Non potevo restare lì, non potevo gravare ancora su di lui. Ero un'assassina, probabilmente mi stavano già cercando. Non potevo metterlo in mezzo, aveva già rischiato molto portandomi a casa sua. Lui rimase in silenzio osservandomi pensieroso. Probabilmente intuiva il mio tormento.

- Non puoi andare via...- mi disse con una strana luce negli occhi - Ovviamente non posso impedirtelo, ma non penso sia una scelta saggia. Non sei fisicamente in grado di proteggerti e saranno già partite le indagini sul corpo nel vicolo... -

- Non credi che la mia presenza ti abbia creato fin troppi problemi? Non voglio che tu ti senta obbligato a tenermi qui... Hai fatto molto più di quanto abbia fatto io per me stessa...-

- Non basta salvare una vita, bisogna anche prendersene cura...- ribatté lui convinto – Non mi sento affatto obbligato...-

- Che intendi dire?- domandai, turbata da tanta sicurezza.

- Non sai quanto tempo è passato dall'ultima volta in cui sono stato in compagnia di qualcuno di cui non desiderassi la morte, il cui odore non significasse per me nient'altro che cibo... So che capisci...-

Mi sentii scuotere: era così vero, tutto così esatto... tutto aveva un senso... L'avevo pensato anch'io solo pochi istanti prima. Non potevo perdere tutto questo. Lo guardai negli occhi per un attimo, mentre lui sollevava una mano verso il mio viso. Le sue dita mi sfiorarono calde e gentili, evitando i miei traumi. Il mio stomaco si strinse nell'istante in cui il sangue mi salì alle guance.

- Non posso permetterti di andare via in queste condizioni...- mi disse, con un tono che non ammetteva discussioni. I suoi occhi non mi pemettevano di distogliere lo sguardo, intrappolandomi.

- Lo so...- risposi senza voce. Lui mi guardò a lungo senza parlare, posando la sua mano sulla mia, mentre la sua mente continuava a scorrere veloce.

- Sono in disaccordo anche su un'altra cosa...- iniziò - Non sei malridotta come pensi... Basterà qualche ora e le ferite saranno del tutto rimarginate. Il taglio alla testa è quasi del tutto guarito, le costole ti faranno male ancora, ma sei in salute, non dovrai rimanere ferma ancora per molto...- - E' una buona notizia...- confermai. E una volta guarita sarei potuta andare via.

- Sei un medico?- gli chiesi incuriosita. La professionalità nella sua voce era sorprendente.

- Lo sono stato...- rispose lui. Avrei dovuto capirlo fin dall'inizio... - Ci sono così tante cose da dire...- continuò – Ad esempio, potresti dirmi come ti chiami... Ho trovato diversi documenti falsi nella tua borsa...-

- Mi chiamo Elena...- risposi, nuovamente in imbarazzo – E vorrei davvero... fare una doccia...- aggiunsi. Lui mi sorrise.

- Pensi di poter stare in piedi?- Scostai le lenzuola e cercai di scendere dal letto. Una fitta acuta di dolore mi attraversò la colonna vertebrale, mentre un gemito che non ero riuscita a trattenere mi lasciava senza fiato.

- Lascia che ti aiuti...- intervenne lui. Mi prese tra le braccia prima ancora che potessi oppormi. Lo guardai sorpresa da quella nuova prospettiva: era molto alto e aveva le spalle ampie. Era muscoloso e sembrava che il mio peso non gli costasse alcuno sforzo. Le sue mani mi sostenevano la schiena e le gambe mentre mi conduceva attraverso la stanza fino ad una porta che indicò essere quella del bagno. Abbassò la maniglia con il gomito, continuando a percorrere la camera azzurra in cui eravamo entrati fino ad una rientranza che ospitava la doccia, protetta da vetri colorati delle tonalità del blu. Su una sedia di vimini intrecciato stavano un accappatoio candido e un asciugamano, su un mobile un pettine e una spazzola. Lo guardai intensamente mentre mi aiutava a rimettermi in piedi, sostenendomi con un braccio.

- Se dovesse servirti qualcosa sono nella stanza accanto... subito fuori dalla tua... Se mi chiamerai lo sentirò...- disse, con una mano ancora sul mio fianco.

- Grazie...- risposi. Lui mi sorrise e si allontanò cauto, mentre mi sfilavo la camicia da notte, toglievo le bende e con un passo incerto oltrepassavo i vetri colorati, azionando il getto d'acqua. E mentre l'acqua lavava il mio corpo cominciai a piangere.

Tutto diveniva improvvisamente trascurabile, la mia vita era un dettaglio sacrificabile di fronte all'unica verità che la mia mente scossa riuscisse a registrare in quel momento... Avevo ucciso ancora.

 

 

Che ne dite, ragazze? Vi piace il nostro Chris? 

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***


 

Ragazzi, che dire? sono molto contenta che seguiate così numerosi la mia storia... spero sempre in qualche commento, per sapere se la trama vi soddisfa o se avete qualche consiglio o critica da rivolgermi.

Nel frattempo vi lascio alla lettura,

vi abbraccio tutti

El <3

 

 

*

 

 

Capitolo II

 

 

 

Tornai in quella che era stata la mia camera ancora avvolta nel telo candido, lieta di notare i miei veloci progressi. Potevo già rimanere in piedi senza barcollare, riuscivo a sostenermi eretta senza sentire dolore ad ogni respiro... Avevo deciso di non lasciarmi prendere dal rimorso, di contenere il mio pessimismo. Erano passati anni ormai da quando avevo realizzato di non essere più umana e c'era voluto molto tempo per accettare di essere quello che ero, eppure non avevo fatto l'abitudine all'idea di essere un'assassina. Ma non potevo permettere a quel pensiero di condizionarmi. Ci avevo provato, cancellando la mia essenza, spingendomi ai limiti della sopravvivenza, ma mi ero ripromessa che non avrei più visto giorni simili. Così come mi ero ripromessa che non avrei mai più ucciso.

Nobili propositi, ma mantenerli era difficile ora che la prima regola era stata infranta e la seconda sembrava destinata a fare la stessa fine. Mi asciugai l'ultima lacrima con la mano, mentre il mio sguardo si concentrava su un paio di jeans scuri, piegati e poggiati sulla poltrona all'angolo della stanza, accanto ad un maglione, decisamente troppo grande per me. Mi avvicinai con passo un po' incerto, mentre nuovi dettagli si aggiungevano a quell'immagine. Sulla seduta c'era dell'intimo nero, sotto le mie scarpe. Dovevano essere state pulite...

Arrossii quando mi resi conto della cura e della gentilezza celate dietro quei piccoli gesti. Non ricordavo nemmeno l'ultima volta in cui qualcuno si era preso cura di me, in cui avevo permesso che qualcuno lo facesse...

Il maglione era enorme, dovetti svoltare le maniche un paio di volte, ma era morbido sulla pelle e aveva un buon odore. I jeans erano nuovi, della mia taglia e con le etichette ancora attaccate. Li indossai senza fare domande, per poi tornare nel bagno per darmi un'ultima occhiata: il livido sulla fronte era coperto da un boccolo umido e il taglio sul mento era appena visibile. Si, stavo decisamente meglio. L'assenza di sangue visibile e la scomparsa quasi totale delle ferite mi rendevano meno macabra e decadente. Trassi un respiro profondo e uscii dalla camera. Una leggera musica mi guidava per quella casa che non conoscevo. Mi ritrovai in un ampio corridoio illuminato da numerose lampade, con il tetto a volta e un pavimento chiaro e lucido. Lo percorsi lentamente guardando le opere disposte ordinatamente su entrambi i lati fino ad una porta socchiusa, la più vicina a quella da cui ero appena uscita.

Afferrai la maniglia e la spinsi in avanti, silenziosamente. Chris era seduto ad un piano a coda, nero... Era aperto, la musica che ne usciva fuori era qualcosa di delicato, un notturno, probabilmente.

Mi avvicinai lentamente ad una poltrona e presi posto, sprofondando nella pelle morbida. Le pareti erano coperte da libri disposti ordinatamente su mensole scure, gli spazi che ne erano privi accoglievano quadri che non conoscevo, impressionisti per la maggior parte. Un grande divano era collocato con le spalle al pianoforte, rivolto verso un vecchio giradischi e uno stereo di ultima generazione. Tutto era in ordine, non c'era traccia della minima trascuratezza... Il mio sguardo tornò a Chris, seduto elegantemente sullo sgabello, le lunghe dita sui tasti, gli occhi chiusi a leggere uno spartito immaginario. La musica si fece più lenta, più dolce, fino a fermarsi. Si voltò verso di me, trattenendo per un attimo il fiato.

- Sono... sono felice di vedere che stai meglio!- disse. Si portò nervosamente una mano ai capelli, spettinandoli all'indietro. Mi sentii in qualche modo in imbarazzo, come se quella improvvisa confusione fosse merito mio.

- Grazie per i vestiti... non avresti dovuto...- risposi, alzandomi in piedi. Mi avvicinai piano, con un sorriso.

- Ho dovuto dare fuoco ai tuoi, per evitare ulteriori tracce di sangue... Spero non fosse nulla a cui tu fossi particolarmente affezionata...- rispose, impacciato. Lui mi fissava ancora, in un misto tra apprensione e qualcosa che non riconobbi.

- Qualcosa non va?- chiesi, notando la sua espressione.

- Mi chiedevo se avessi ancora fretta di andartene...-

Mi guardò ancora, poi si avvicinò e mi prese una mano. Era pensieroso.

- Sarei molto più tranquillo se potessi accompagnarti... quando vorrai!-

- Non credo mi serva una guardia del corpo...- risposi, automaticamente. Non sapevo perchè gli avessi risposto così... forse in un misto di ribellione ed indipendenza avevo voluto inconsapevolmente combattere contro il piacere che il suo tocco mi provocava, ma non era servito a nulla, se non a rabbuiare il suo sguardo.

- Suppongo di no, ma mi renderebbe meno nervoso all'idea di lasciarti andare...-

Pronunciò quelle parole con naturalezza, e con altrettanta naturalezza una morsa mi strinse lo stomaco. Ero certa che non significasse quello che credevo, ma nell'istante in cui recepii quelle parole mi resi conto di quanto mi fosse difficile anche solo pensare di andare via in quel momento. Ero come inchiodata al mio posto, trattenuta da una forza simile alla gravità che mi ancorava lì.

E contro quella sensazione lottai con tutte le mie forze.

- Penso che riuscirei a tornare a casa sana e salva!-

- Sono certo che non passeresti inosservata...- rispose, serio.

Abbassai lo sguardo imbarazzata, certa di essere arrossita, mentre un ricordo mi tornava in mente indesiderato.

Lo avevo rivisto dopo mesi, Victor, il mio compagno ai tempi in cui vivevo ancora col suo branco... "Sei sempre la più bella!" aveva detto, non l'avevo preso sul serio. Il nostro rapporto era basato esclusivamente su quel genere di commenti, su una complicità a letto e null'altro. Le sue lusinghe non mi sfioravano.

I complimenti di Chris, a quanto pareva, si!

Lui mi sollevò il mento con un dito, delicatamente, evitando le cicatrici, e allargò la mano sino ad accarezzarmi il viso, guardandomi negli occhi. Esattamente come prima, il mio stomaco si chiuse, mentre mi sentivo mancare l'aria nei polmoni.

- Dovresti essere abituata ai complimenti...- disse con un sorriso.

- Non ai complimenti senza doppie finalità...- precisai.

- Cosa ti fa credere che i miei lo siano?- si schernì lui.

- So distinguere le parole dette per sedurmi da un vero apprezzamento...-

- Pensi che io non sia attratto da te?- mi domandò.

- E tu? Pensi che io lo sia?- domandai. Non so dove trovai il coraggio per una domanda del genere, ma mi uscì dalle labbra in un soffio, mentre cercavo io stessa una risposta.

Chris mi guardò sorpreso per un attimo, poi mi sorrise con una dolcezza che mi confuse.

- Vorrei che tu lo fossi...- rispose schietto. Incrociai il suo sguardo, non riuscii a farne a meno. Non lo conoscevo, non avevo la minima idea di chi fosse, di che intenzioni avesse, ma sentivo di volere ogni briciola di tutto quello che i suoi occhi mi promettevano, ero famelica come dopo mesi di astinenza, avevo la gola riarsa, ma non per la sete. Era qualcosa che non avevo mai provato prima. Il suo odore mi dava alla testa, mi rendeva difficile persino respirare.

Sollevai una mano fino al suo viso, sfiorai il suo mento liscio, spigoloso, il suo collo, le spalle, lo guardai ancora, un solo istante. Mi sollevai in punta di piedi e lo baciai sulle labbra.

Nonostante tutto, lo colsi di sorpresa, ma la sua reazione fu inaspettata quanto piacevole. Mi strinse tra le braccia fino a sollevarmi da terra, mentre io mi lasciavo abbracciare senza opporre la minima resistenza. Non sentivo il dolore alle costole, o alla schiena, non avvertivo il taglio alla nuca mentre mi accarezzava i capelli... Ero sospesa. Troppo presto mi liberò dalla sua stretta, lasciandomi respirare.

Probabilmente avrei dovuto semplicemente ringraziare e andare via fin dall'inizio, ma non volevo. Inspirai e tentai di acquietare i miei pensieri.

Chris mi prese nuovamente il viso tra le mani, vanificando ogni mio tentativo.

- L'altra notte nel vicolo ho agito d'istinto, ma non avrei mai creduto potesse andare in questo modo...- mi sussurrò, dolcemente.

Le sue parole risvegliarono il fantasma del mio rimorso.

- Non avresti dovuto portarmi qui, io ho ucciso un uomo...- risposi.

Chris mi strinse le mani nelle sue.

- Non sei una ragazza sadica, lo so, lo sento... Quegli uomini ti hanno aggredita, avresti potuto toglierli di mezzo in un solo colpo... Non l'hai fatto, hai solo cercato di difenderti... Questo non è un crimine...- disse infine.

- Perché ne sei così certo?-

- Perché ti ho vista... prima che tu svenissi... non c'era odio né soddisfazione nei tuoi occhi...-

- Chiunque altro mi avrebbe lasciata lì...-

- Avrei lasciato lì chiunque altro, forse...- confermò lui.

Sollevai il viso, guardandolo negli occhi. Ero dipendente da quello sguardo, non potevo farne a meno. Avevo vissuto diversi tipi di soggezione, ma mai una simile. Mio padre era sempre stato autorevole, la sua parola era legge non per le conseguenze che derivavano dalle trasgressioni, ma per la certezza che i suoi consigli fossero frutto dell'esperienza e dell'amore nei miei riguardi, perciò lo assecondavo.

Victor era stato né più né meno un despota: ero in suo potere e disponeva di me a suo piacimento. La più piccola trasgressione si traduceva in una vendetta da parte sua... in una punizione. Ubbidire era l'unico modo per sopravvivere.

Christian non mi incuteva soggezione in quel modo, no. Era qualcosa di più potente. Non avevo giustificazione nel sentirmi così, eccetto il fatto di essergli in debito della vita.

- Vorrei che rimanessi con me...- disse – E nulla di ciò che è successo potrà farmi cambiare idea...-

Sospirai, mentre tentavo di ossigenare il cervello.

La fredda razionalità che mi aveva salvato la vita nei lunghi anni trascorsi da sola stava cedendo il passo alla fiducia totalmente ingiustificata nei riguardi di un uomo che non conoscevo.

Lottavo contro quella sensazione, ma una parte di me voleva abbassare la guardia, abbandonare gli schemi e le tattiche e lasciarsi semplicemente andare. Assecondarla era troppo semplice e allo stesso tempo troppo controverso. Non avrei dovuto, eppure volevo farlo.

Stretta tra quelle braccia riuscivo solo a desiderare di più. Ogni preoccupazione per ciò che era successo crollava di fronte a quella consapevolezza.

Christian mi guardava riflettere, perso anche lui nei propri pensieri. Chissà quali domande gli frullavano per la testa. Avrebbe avuto milioni di ragioni per non fidarsi di me, per quel che ne sapeva potevo essere una serial killer di professione.

Invece si era fidato. Per salvarmi la vita.

- A cosa pensi?- chiesi.

- So che non è molto galante, ma mi chiedevo quanti anni avessi... -

- Quanti ne dimostro?- scherzai.

- Ventuno?- azzardò.

- Uhm... più o meno... Sono nata negli anni '20... Sono stata morsa intorno al '43... Allora avevo da poco cominciato a studiare legge... - confermai.

- Sei davvero giovanissima... Io sono nato circa un secolo prima di te... sono stato morso a 28 anni... Ero già medico, allora... fu terribile dover abbandonare la professione, ma ancora oggi i fondamenti di anatomia mi ritornano particolarmente utili...-

Il sorriso che mi rivolse mi fece venire voglia di arrossire: mi aveva salvata davvero, e non solo da quei balordi o dalla morte... probabilmente più di ogni altra cosa mi aveva salvata da una sorte peggiore della morte stessa: spegnermi ogni giorno fino a dimenticare tutto... il mio nome, me stessa... semplicemente per paura.

- Hai sempre vissuto qui?- chiesi, sollevando lo sguardo dalle nostre mani per fissarlo sul suo viso. Era più bello di qualsiasi altro della nostra specie che avessi mai incontrato, tutti troppo biondi e algidi per attrarmi. Il suo sguardo era misterioso, profondo, colmo di segreti che desideravo volesse svelarmi... Tra i suoi capelli scuri, proprio dietro le orecchie, un paio di capelli bianchi.

- Non sempre, ho viaggiato molto i primi tempi, ho visto il mondo cambiare sotto il mio sguardo mentre io rimanevo immutato... Ma alla fine sono tornato qui, nella casa di mio padre e dei miei nonni. Il loro ricordo è stato la chiave per il mio ritorno alla vita, se così possiamo chiamarla... Le parole di mio padre... mi hanno guidato sin qui!- rispose sereno – E tu?-

- Ho viaggiato per anni anch'io prima di stabilirmi qui... Più per spirito di aggregazione che per mia precisa volontà... Ho vissuto per lungo tempo ad est, al punto da aver accettato di buon grado le migliorie apportate al mio nome... In realtà ho origini francesi...-

Chris mi fece sedere. Potevo stare comodamente in piedi finché fosse rimasto al mio fianco, ma probabilmente ricordava meglio di me che non ero ancora del tutto in forma. Lo assecondai, accomodandomi al suo fianco sul divano.

- Facevi parte di un... branco?- mi chiese, prendendomi nuovamente una mano.

- Branco non è la parola giusta... Diciamo che rimasi con il mio creatore e il suo piccolo seguito finché non sentii il bisogno di cercare una strada solo mia...- risposi. Guardai le nostre dita intrecciarsi: era così naturale da risultare sconcertante. Era come se fossi sempre stata seduta al suo fianco, come se il passato e il presente si fossero confusi irrimediabilmente. Non c'erano più la solitudine, la sete... solo la mia mano sulla sua, i suoi occhi su di me...

- E tu? Sei sempre stato solo?- gli chiesi.

Chris esitò un attimo, mentre l'incertezza si dipingeva chiaramente sul suo viso, ma non lasciò la presa. Quando parlò il suo tono era calmo ma malinconico.

- Avevo una moglie quando ero ancora umano... Morì di parto un anno prima che io venissi morso da un paziente in corsia...- disse – E' passato moltissimo tempo da allora, ma per me è stato difficile lasciarmi avvicinare... -

Lo guardai, per la prima volta a disagio: la sua voce era serena, ma mi sentivo ugualmente fuori posto. COme se avessi sbirciato dalla serratura di una stanza chiusa a chiave. 

- Mi dispiace tanto...- dissi sincera, sfiorandogli un braccio con la mano per confortarlo.

- Fa parte del mio passato...- rispose lui, dolcemente - Doveva andare così, ormai l'ho accettato...-

Annuii, felice di non aver influenzato il suo umore, di non aver rovinato l'atmosfera. Avrei dovuto rimanere in silenzio, non avrei sopportato di vedere la tristezza nei suoi occhi pronta a travolgermi come se fosse mia. Ma la tristezza non arrivò. Quando la sua mano mi accarezzò la schiena mi strinsi al suo fianco e appoggiai la testa sulla sua spalla, una spanna più in alto della mia.

- E' come se fossi sempre stata qui...- mi disse, appoggiando la guancia ai miei capelli.

- So cosa intendi...-

Sembravano passati giorni se non settimane da quando ero lì. Ma erano passate soltanto delle ore e io non avrei dovuto stare abbracciata a quell'uomo in quel modo, non se avevo un briciolo di buon senso. Che ne era stato della mia razionalità?

- Stanotte... voglio portarti in un posto... ti va?- chiese lui.

- Usciamo?- domandai.

- Si... facciamo una passeggiata e parliamo ancora...-

Sorrisi: evidentemente anche lui sentiva quel bisogno come me... avrei dovuto prendere qualcosa da casa, ogni mio indumento era andato distrutto la notte precedente... A quel pensiero una strana ansia mi strinse lo stomaco, il rimorso mi bruciò gli occhi.

Chris mi abbracciò, quasi avesse intuito un cambiamento d'umore dalla mia postura rigida.

- Scommetto che vorrai andare a vestirti...- mi schernì, cercando di farmi sorridere.

- Non ci metterò molto...- risposi.

- Saresti la prima...-

- E come mi accompagnerai?-

- Sorpresa...-


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Capitolo 4
*** Capitolo III ***


Cari lettori, l'assenza di commenti comincia a  farmi preoccupare... Mi piacerebbe molto conoscere le vostre impressioni e gli eventuali suggerimenti sulla trama... ma solo pochi temerari mi hanno onorata delle proprie opinioni. Sappiate che da oggi la velocità degli aggiornamenti sarà proporzionale al numero dei commenti... Che ne dite? Vi sentite più motivati?? ;)

 

 

*

 

A Giulia, mia dolcissima lettrice,

un forte abbraccio e un grazie speciale,

El <3

 

*

 

Capitolo III 


 

Chris mi condusse ad un garage dietro la casa che con mia sorpresa scoprii essere una villa a tre piani con un giardino immenso. Mi allacciò un casco nero sotto al collo.

- Tieniti stretta...- mi disse , montando in sella ad una moto nera ed enorme. Lo guardai stupita per un attimo prima di salire dietro di lui, che indossò un casco nero identico al mio e mise in moto. Mi strinsi alla sua vita e mi appoggiai alla sua schiena.

Con un rombo fummo fuori dal garage. Il sole ormai scomparso dietro l'orizzonte accarezzava rosso le nubi più basse che contrastavano col nero dell'asfalto, mentre il vento mi faceva svolazzare i capelli. Mi sentivo bene in quel momento. Sapevo che era semplicemente prematuro, ma ero felice.

Gli indicai la strada per il mio appartamento mentre godevo di quella strana sensazione di sicurezza e pericolo...

Giungemmo in pochi minuti, smontai e attesi che lui spegnesse il motore per guidarlo nell'atrio di un edificio la cui facciata era composta per la maggior parte da vetri a specchio. Mentre Chris si guardava intorno lo presi per mano, conducendolo all'interno del palazzo.

Entrammo in ascensore, schiacciai il tasto “attico” e in pochi istanti le porte metalliche si aprirono. Un breve intermezzo e infine una porta scura blindata. Poggiai la mano sulla maniglia e la spinsi in avanti. La porta si aprì senza nemmeno cigolare.

- Ma cosa...?- chiese lui sbalordito.

- Riconoscimento automatico delle impronte digitali... Ho fatto inserire un sensore nella maniglia...- risposi con un sorriso – La apro solo io...-

Sorvolai sul perchè di tanta tecnologia. Non avevo chiuso occhio per mesi dopo l'ultima fuga... quel piccolo gioiello della tecnica mi aiutava a vivere più serenamente.

- Fantastico- rispose lui, sinceramente meravigliato. Oltrepassò la soglia, le luci si accesero automaticamente, illuminando il mio salotto. Lui si guardò intorno, incuriosito.

- Ti faccio fare il tour di casa mia, se ti va...-

Lui sorrise, poi mi seguì verso la cucina, immacolata, invasa dal ronzio del frigorifero in funzione. Aprii lo sportello e ne uscii una bottiglia di vodka gelata.

- Ne vuoi un po'?- gli chiesi, prendendo due bicchieri e appoggiandoli sul tavolo. Lui annuì e afferrò un bicchiere pieno a metà del liquido trasparente, mentre bevevo un sorso dal mio. Ripresi a camminare verso la camera da letto, mentre lui non mi schiodava gli occhi di dosso.

- Io mi cambio, fa come se fossi a casa tua...- dissi. Lui mi osservò bere dal mio bicchiere e poggiarlo sul mobile in camera da letto per poi sparire dietro la porta della cabina armadio.

Ripercorse il corridoio fino al salotto, sorseggiando ancora la vodka ghiacciata e guardandosi intorno. Scovò il telecomando dello stereo e lo accese. Avevo lasciato i notturni di Chopin già in riproduzione e sorrisi tra me: dovevo averlo stupito.

Non ci misi molto a prepararmi, avevo preso delle scarpe alte e mi ero anche truccata un po'. Col sopraggiungere della sera le mie ferite erano del tutto scomparse ed ero tornata ad essere la creatura sospesa nel tempo di sempre. Non potevo invecchiare, non potevo cambiare... ero per sempre congelata in quell'istante della mia vita. Me n'ero fatta una ragione. Ma quella sera ero particolarmente grata che il mio corpo non mostrasse i segni della mia disavventura nel vicolo: volevo essere carina, per lui.

- Sei pronto?- gli chiesi, sorridendo. Lo trovai sul divano, col giubbotto di pelle sotto braccio e il bicchiere vuoto in mano mentre ascoltava le note ad occhi chusi.

- Si... andiamo...- rispose lui, tossendo e alzandosi in piedi. Sembrava nervoso. Gli tolsi dalle mani il bicchiere e mi avvicinai a lui per sistemargli il colletto della camicia. Lui mi prese per la vita, sfiorandomi la schiena lasciata scoperta dalla seta della mia maglietta.

- Vado bene, vestita così?- chiesi, sollevando il viso a guardarlo.

Chris mi abbracciò con un sorriso.

- Sei perfetta!- rispose, deglutendo.

- Allora prendo il cappotto e andiamo...- dissi, allontanandomi.

Le nostre mani si trovarono nel buio, mentre uscivamo dall'attico e ci dirigevamo verso l'esterno. Salimmo nuovemente in sella alla moto, diretti verso un posto che non conoscevo.

Chris spense il motore di fronte all'insegna luminosa, sotto gli sguardi di un gruppo di ragazzi che stavano per entrare, attratti dalla moto.

Mi tolse casco delicatamente, chinandosi verso di me per un bacio sulle labbra. Fu esattamente come il nostro primo bacio: un crescendo di sensazioni e di desideri che trovavano appagamento sulle sue labbra. Gli accarezzai la nuca, sollevandomi sulle punte dei piedi per raggiungerlo, mentre lui mi guardava negli occhi.

- Sei bellissima...- mi disse serio. Io sorrisi, imbarazzata.

- Entriamo, dai...- lo invitai.

Chris mi prese la mano e mi condusse oltre l'entrata, oltre il chiasso della sala, fino al bancone del bar, collocato all'estremità della stanza e circondato da luci soffuse e sparse. Mi aiutò a togliere il cappotto, mentre io mi accomodavo su uno sgabello girevole.

- Torno prestissimo- mi promise con voce solenne, sfiorandomi una guancia mentre si allontanava verso il guardaroba.

Mi guardai intorno, osservando gli umani che affollavano la sala e sforzandomi di non pensare a loro come a del cibo. L'odore era delizioso, composto da fragranze diverse e simili allo stesso tempo, come le note di una melodia. Non avevo sete, ma il mio corpo rispondeva a quel richiamo. Sentivo l'aria bruciarmi nei polmoni, mentre reprimevo l'acquolina e tentavo di rimanere calma.

Ordinai da bere per scacciare quella sensazione e deglutii il contenuto del bicchiere in un solo sorso. L'annebbiamento mi permise di rilassarmi un pò, di distrarmi osservando i particolari più insignificanti del locale. Ogni angolo era invaso da divani e pouf di pelle nelle diverse tonalità del nero, del viola o del prugna, i tavoli erano bassi, occupati da bicchieri di diverse fogge e dimensioni, e le pareti erano scure, alcune composte da specchi o vetri colorati, altre decorate da tendaggi. Lo stile era gotico, non proprio essenziale, ma nel complesso mi piaceva.

- Le porto dell'altro?- fece il barman strabuzzando gli occhi verso di me. Ordinai qualcosa di meno forte: non volevo intontirmi con l'alcol. Volevo solo sentirmi più a mio agio, essere consapevole di non costituire una minaccia per tutti gli esseri umani della sala. Avevo diversi occhi puntati sulla schiena, mi sentivo osservata, ma non dovevo reagire.

Mi concentrai sulle etichette dei liquori del locale, giocherellando con la cannuccia del mio bicchiere per distrarmi, finché l'aria non fu invasa da un odore più familiare.

- Guarda un po' chi c'è!- il suono di una voce dal pesante accento dell'est europeo mi fece rabbrividire. Il tempo sembrò rallentare nell'istante in cui mi voltai verso Victor con un sorriso di circostanza sulle labbra. Regola numero uno: mai, mai mostrare la propria debolezza.

- Ciao, Vic!- dissi, guardandolo avvinghiato a due ragazze scialbe e insignificanti. Umane. Era esattamente lo stesso di cinquant'anni anni prima: alto, muscoloso, con i capelli biondi corti e la mascella squadrata contratta per la soddisfazione. Gli occhi castani erano illuminati dalla malizia della sua voce. Provai ribrezzo al primo sguardo. Un tempo lo avevo trovato affascinante... 

Lui lasciò le ragazze, troppo ubriache per accorgersene, liberandosi un braccio e avvicinandosi.

- Sei uno schianto... Ti stanno guardando tutti quanti...- mi disse, allungando una mano a sfiorarmi i capelli. Sorrise maliziosamente mentre il suo sguardo si fermava sulla mia schiena, illuminata da una luce proveniente dal bar. Mi allontanai impercettibilmente da lui, mordendomi il labbro inferiore per impedirmi di rispondere, mentre lui diceva alle ragazze di aspettarlo in auto e consegnava alla prima una chiave argentata. Il veleno mi riempì la bocca, dolce...

- Allora, cosa ci fai qui da sola? Sei a caccia di uomini?- domandò lui, ammiccando.

Le braccia di Chris mi avvolsero da dietro, facendomi sospirare di sollievo. Mi appoggiai a lui, sorridendo a Victor. Era un comportamento infantile, ma sapevo che non avrebbe osato torcermi un capello finchè rimanevo in superiorità numerica. Benedissi mentalmente l'arrivo così puntuale del vampiro alle mie spalle e mi rilassai un po'.

- Chi è il tuo amico, tesoro?- chiese innocentemente Chris, sottolineando l'ultima parola.

Victor represse un ghigno tra i denti, mentre sfoggiava un sorriso ammiccante.

- Lui è Victor, il mio... creatore...- risposi, imponendomi di non rabbrividire a quella verità. Chris mi strinse ancora più forte a sé, intuendo il mio turbamento, mentre allungava riluttante una mano al vampiro di fronte a lui.

- Molto piacere, Christian Grey!- disse con voce fredda e contenuta, mentre l'altro afferrava la mano e la stringeva per un attimo nella sua.

- Cosa ci fai da queste parti, dunque?- mi chiese Victor, nel tentativo evidente di ignorare Chris e le sue mani avvolte intorno a me.

- Mi sono stabilita qui da un po', tu invece?- risposi, riluttante.

- Ho ripreso a viaggiare e mi sono fermato qui per qualche giorno... Ma ho l'impressione che prolungherò la mia permanenza... E' un posto davvero pieno di sorprese...- disse, squadrandomi. Piegò la testa di lato, sorridendomi in modo volgarmente allusivo. Il ribrezzo che provai immediatamente fece scorrere il veleno ancora più veloce. Se lo avessi azzannato lì, in quel momento, sarebbe morto di sicuro...

- In tal caso saremo felici di averti come ospite una delle prossime sere, in casa nostra!- rispose calmo Chris, enfatizzando l'ultimo aggettivo. Annuii incerta, mentre Victor guardava Chris di rimando. Che diavolo gli saltava in mente?

- Ci sarò...- rispose in un tono tutt'altro che affabile. Poi tirò fuori un biglietto dalla tasca della giacca. Il suo numero di telefono – Sai come trovarmi!- sussurrò al mio orecchio, porgendomelo. Chris lo afferrò, infilandoselo nella tasca dei pantaloni.

- Ti contatterò a breve!- disse – E buona serata!- lo congedò. Vic inarcò un sopracciglio biondo mentre si sistemava il colletto della giacca.

- Ci vediamo presto, piccola!- rispose, guardandomi negli occhi, poi con un sorriso di sfida a Chris si voltò e guadagnò l'uscita.

Mi rilassai un po', mentre deglutivo il misto di veleno e bile. Ero ancora scossa da quell'incontro che pareva tutto fuorchè fortuito, ma tentai di non dare a vedere a Chris la mia preoccupazione. Si era dimostrato molto protettivo nei miei riguardi, aveva sottilmente marcato il territorio. Mi sentivo al sicuro... Nuovamente mi domandai che ne fosse stato della mia razionalità. Ovviamente da esseri istintivi la ricerca di un compagno era un fatto fisico più che mentale, ma chi di noi aveva scelto la vita tra gli umani aveva imparato a convivere con la parte più razionale a discapito di quella fisica. Rendeva le cose più semplici...

In un solo giorno avevo ribaltato quella verità.

Mi voltai verso di lui, facendo ruotare lo sgabello. Lo abbracciai.

- Mi spiace...- dissi, sincera. Lui si rabbuiò, mentre mi accarezzava il viso.

- Forse avrei dovuto chiedertelo, prima di invitarlo... Ma penso che tenerlo sott'occhio mentre è qui non sia una cattiva idea!- rispose amaro.

- Lo hai inquadrato subito, eh?- chiesi, sorpresa.

- Si...- rispose. Si concesse una risatina mentre mi abbracciava e mi sfiorava un orecchio con le labbra.

- Andrà tutto bene....- mi rassicurò.

- Spero che tu abbia ragione!- risposi, con un sospiro – Vuoi andare via?-

- Si, meglio cambiare aria... Non voglio mandare a monte la serata, anche perchè Victor ha ragione: non ti tolgono gli occhi di dosso e io... ho bisogno un po' di privacy! Non mi piace avere del pubblico...-

Allungò una banconota al barista, che ringraziò calorosamente per poi condurmi al guardaroba con una mano sul mio fianco: imparava presto dai suoi errori.

Pochi istanti e fummo di nuovo in strada, lanciati ad una velocità da ritiro patente verso il mare. Chris si fermò in spiaggia, tolse il casco e mi aiutò scendere. Mi tolsi le scarpe, rimanendo a piedi nudi sulla sabbia umida, mentre Chris mi prendeva le scarpe da una mano per porgermi la sua. Il mare era sereno, non c'era vento...

- Stavo pensando che non avresti dovuto essere tanto gentile con Vic: è un idiota, non lo merita!- dissi, sperando che non lo chiamasse. Non volevo rimanere nella stessa stanza con lui, volevo stargli lontana il più possibile. Al pensiero che potesse toccarmi ancora mi sentii rabbrividire.

- L'ho fatto per te, non per lui, non ti avrei mai messo in imbarazzo per trattarlo come meritava...- rispose – Cosa che per altro mi ricorda che ti devo le mie scuse...-

- Per cosa?- domandai. Ero perplessa.

- Speravo di potertelo chiedere diversamente, ma il tuo amico ha accelerato i tempi. Ho dato per scontato che accettassi la proposta, ma in quel momento ho pensato solo a coprirti le spalle, a non lasciarti indifesa... Vorrei che rimanessi a casa mia per un po'...-

- Da te?- chiesi, fermandomi e voltandomi a guardarlo.

- Si, da me!- rispose. Lo guardai negli occhi: non potevo arrossire, né piangere, né impallidire, ma se avessi potuto avrei reagito in tutti quei modi contemporaneamente. Trattenni il fiato e chiusi gli occhi per un tempo che mi parve interminabile. Come sempre, quando mi privavo dei miei sensi riuscivo a isolare la mente, ma in quel caso non si trattava di pensieri contraddittori. Erano tutti bene in linea tra loro: volevo stare con Chris tutto il tempo possibile... Ma andare a vivere da lui eraun'idea che mi metteva in agitazione.

Fino a quel momento mi ero spiegata la mia attrazione per lui come un istinto inevitabile: le sue doti fisiche e intellettive erano una spiegazione fin troppo evidente del perchè mi piacesse in modo così sfacciato. Dopo quella sera, però, dovevo ammettere che c'era qualcosa di predestinato nel nostro strano incontro... Nel fatto che mi avesse salvato la vita e che si fosse arrogato il compito di proteggermi.

- Elena, respira...- mi ammonì, prendendomi il viso tra le mani. Io inspirai lentamente, aprendo gli occhi. Lo trovai a un palmo dal mio viso, con gli occhi fissi su di me – Lo so che è una richiesta... come dire, affrettata, ma non credo sia saggio lasciarti sola e non protetta... almeno finchè il tuo amico sarà nei paraggi...-

- Non è mio amico...- risposi con un sorriso. Lui mi sollevò il mento con un dito.

- E' una prospettiva così terribile?- mi incalzò.

- No, affatto... E' che non vorrei farci l'abitudine...- risposi. Dare voce a quel pensiero mi fece sentire meglio. Sospirai: era difficile temporeggiare quando avrei voluto a tutti i costi dire di si.

- Dovresti, invece... - rispose serio. Lo vidi diventare pensieroso. Come sempre la sua mente correva. Non riuscivo a stare al suo passo. Sbattei le palpebre confusa.

- E' una proposta ragionevole...- dissi, abbassando gli occhi alle mie mani – Ti ringrazio...-

Non vidi la sua espressione, ma quando parlò la sua voce era spenta. Lo avevo ferito.

- Non mi aspettavo i salti di gioia, ma un po' di entusiasmo ammetto di si... Credo di avere frainteso: ero così preoccupato di farti capire che non mi sento in dovere verso di te da non accorgermi che è esattamente come ti senti tu nei miei confronti...- disse, amareggiato – Non devi fare nulla che tu non voglia, che tu non desideri. E se in qulche modo ti ho forzato la mano, ti chiedo scusa...-

Fu come una doccia d'acqua fredda. Oh, si, aveva frainteso. Il mio problema era esattamente il contrario: avrei accettato ad occhi chiusi, ma non sapevo se fosse la decisione migliore...

- Non dirlo nemmeno per scherzo... non ti devi scusare! Sono io... io dovrei scusarmi per tutto. Ti ho messo in guai che nemmeno immagini... Salvarmi è stata la cosa più insensata che potessi fare... Ma per quanto desideri il tuo bene non riesco ad andare via... Questa è la mia unica indecisione...- risposi, cercando di esprimere la confusione nella mia mente.

- So badare a me stesso... e non voglio che ti scusi. Ti preoccui troppo per le cose sbagliate... Non si parla di ciò che bene per me, anche perchè abbiamo pareri discordanti in merito... Non è andando via che risolverai il problema!- rispose, agitato – E salvarti è la cosa più sensata che io abbia mai fatto in vita mia...- aggiunse, prendendomi nuovamente il viso tra le mani – Non avere dubbi su questo!-

Non potevo dubitarne, non se me lo diceva in quel modo. Gli accarezzai le braccia, ancora allungate verso il mio viso. Se mi ero già sentita così era stato in un'altra vita e non ne serbavo il ricordo. L'ansia, la sorpresa, la voglia di stare con lui, il bisogno di appartenergli, la stima, la felicità, la preoccupazione... Sentivo tutto contemporaneamente, amplificato dal silenzio proveniente dal mio cuore: se avesse potuto, avrebbe galoppato.

- Non devi affrontare tutto questo da sola...- mi disse, con gli occhi ardenti. Lo abbracciai, con tutta la forza che avevo, mentre affondavo il viso nella sua camicia sbottonata, con la fronte sul suo petto. Lui mi baciò i capelli, stringendomi ancora.

- Come "si" è già molto meglio...- scherzò, lasciandosi andare ad una risata. Sorrisi, mentre mi allontanavo un po' da lui senza sciogliere l'abbraccio. Lo guardai in viso.

- Hai intenzione di invitarlo sul serio?- chiesi. Non c'era bisogno di specificare a chi mi riferissi.

- Non lo so, ma voglio fare due chiacchiere con lui... Voglio capire cosa fa qui... Non me l'ha data a bere con la storia del “passavo per caso”...- rispose.

- Nemmeno a me...- risposi – Anche se non capisco come abbia fatto a trovarmi qui... ho fatto in modo di non lasciare tracce, di non fare errori... ma evidentemente ho tralasciato qualcosa...-

Chris si rabbuiò. Non capivo il perchè del suo umore altalenante, ma lo percepivo e di riflesso ne venivo influenzata.

- Devi stare tranquilla...- mi disse. Mi prese nuovamente per una mano e riprese a camminare. Lo seguii senza esitare, mentre la mia mente ripercorreva le ultime ore e a ritroso procedeva verso un passato che non ero mai riuscita a cancellare.

Quando il mio professore aveva mostrato i primi cenni del suo interesse per me mi ero sentita onorata e lusingata dalle sue attenzioni. Avevo una grande opinione del suo operato ed ero rimasta affascinata dalla sua giovane età e dal suo successo. Era bello, era ricco e per quanto ne sapevo era un uomo rispettabile. Rifiutarlo non mi era passato neanche per la testa, la mia inesperienza, del resto, mi aveva impedito di cogliere le crepe dietro quella facciata perfetta. Gli inviti in ristoranti costosi, i regali... i fiori... erano strumenti per portare a termine un piano ben ideato.

Il corteggiamento era un modo molto ingegnoso per accrescere la sua harem... Le più dotate, le più belle, le più intelligenti o semplicemente le più compiacenti delle sue allieve venivano morse personalmente da lui. Un brivido mi percorse la schiena ripensando a quella sera, di ritorno da una passeggiata.

“Elena, sei la ragazza più promettente della mia classe... vedo un futuro lunghissimo per te...”

“La ringrazio, professor Romenek... Sto facendo del mio meglio”

“Pensavo avessimo deciso di darci del tu...”

“Si, scusami... è un po' difficile separare la mia idea di professore da quella di Victor”

“Lo capisco... Ma spero vorrai trattarmi in modo meno formale, in futuro... A proposito... ho qualcosa per te...”

Una scusa banale, un saggio da farmi esaminare. Rimanemmo a casa sua per un po', fino a notte fonda, poi fu il buio. 

I giorni della trasformazione furono i più lunghi e dolorosi della mia vita. Non riuscivo a ricordare molto, ma non avevo mai tentato veramente di farlo. Quando ero fuggita mi ero ripromessa di lasciare il passato alle mie spalle... Non avrei mai immaginato che il passato potesse decidere di bussare alla mia porta così insistentemente. E per ben due volte.

Ritrovarmi nel vicolo con tre assalitori alle spalle mi aveva richiamato alla mente i primi anni passati con il mio vecchio mentore: allora sceglievo bene le mie prede... ergastolani, evasi, uomini per i quali non volevo provare pietà. Ma le loro voci e i loro occhi tornavano a tormentarmi ogni notte, nella solitudine della mia stanza, quando non ero reclamata altrove. L'euforia per la mia condizione svanì presto, portando con sé anche la stima per l'uomo che ne era la causa. Mi imposi di non pensare a ciò che accadeva quando non ero abbastanza accondiscendente o rifiutavo di fare ciò che mi ordinava. Cominciai a maledire ciò che ero diventata. Smisi di nutrirmi e persi le forze, ma l'istinto di sopravvivenza fu più forte del mio disprezzo per me stessa, perciò riuscii a fuggire.

Quella sera, avevo visto con una chiarezza abbagliante quanto mi fossi sbagliata su Victor. Persino il suo nome ormai mi faceva rabbrividire, i suoi passi dietro la mia porta mi ossessionavano.

Un fremito mi percosse la schiena e Chris mi abbracciò nuovamente.

- Non preoccuparti, non avrà più modo di farti del male...- mi rassicurò.

Annuii, piano.

- Torniamo a casa...- aggiunse lui, sorridendomi cauto. Sapeva come rassicurarmi. Mi condusse alla moto con passo accelerato, facendomi indossare il casco e salendo in sella con una sola falcata. Lo imitai, stringendo le braccia intorno ai suoi fianchi. Mise in moto e accelerò. Fummo sotto il mio appartamento in pochissimo tempo: quando era preoccupato sfogava la tensione sull'acceleratore. Scesi dal veicolo e gli diedi il casco.

- Faccio in un attimo...- gli promisi. Avevo bisogno di qualche vestito per i giorni successivi. Dovevo anche andare in ospedale dalle mie bambine e volevo farmi perdonare la mia assenza di quei giorni, perciò mi serviva qualche idea. Riempii una borsa con un misto di indumenti e indossai un paio di scarpe più comode. Feci le scale alla velocità della luce e arrivai all'esterno in qualche secondo, giocherellando con le chiavi della mia auto.

- Prendo la macchina, se non ti dispiace! Ho diverse commissioni da fare nei prossimi giorni...- dissi a Chris, che mi guardava meravigliato. Con un click del telecomando disinserii l'allarme del veicolo più vicino – Fammi strada- aggiunsi, entrando nell'abitacolo.

Chris guardò la mia BMW nera uscire dal parcheggio con un sorriso sul volto. Accese il motore e mi superò, accelerando appena fuori dalla zona residenziale.

Il percorso fino alla villa mi parve brevissimo, forse per la velocità esagerata a cui andavamo, forse perchè ormai mi sembrava familiare. Chris aprì il cancello della villa, lasciandomi entrare per prima e parcheggiare sul vialetto. Lasciò la moto in garage, mentre io scendevo dall'auto e la chiudevo col telecomando.

- Bella macchina!- mi disse, togliendomi la borsa di mano. Sorrisi.

- Bella casa!- risposi, con un cenno della testa all'enorme villa dietro di me.

- Domani mattina ti faccio fare il giro turistico, lo prometto...- mi disse, sospingendomi per la schiena verso l'entrata.

Mi condusse per un corridoio fino ad una enorme stanza, arredata in modo elegante e funzionale. Era un bel salotto con divani di pelle bianca dalla forma morbida, mobili in stile liberty e quadri ovunque. Di fronte al divano più grande un televisore al plasma di ultima generazione faceva bella mostra di sè, attorniato da centinaia di DVD. Vecchio e nuovo erano mescolati in modo originale ma armonico.

Poggiò la mia borsa su una poltrona e mi aiutò a togliere il cappotto. Lo sentii trattenere il respiro mentre sfiorava con le dita la mia schiena scoperta. Il suo tocco mi diede i brividi. Si tolse il giubotto di pelle e lo poggiò sul mio.

- Va tutto bene?- mi chiese. Si sedette sul divano, con un braccio sulla spalliera, pronto a stringere le mie spalle. Mi sedetti al suo fianco, guardando verso il televisore.

- Si...- risposi, voltandomi verso di lui. Sorrideva, più rilassato che in spiaggia. Si sentiva al sicuro. Dietro quelle mura si sentiva a casa. Poggiai una mano sulla sua gamba – Sono felice di essere qui... anche se avrei preferito non coinvolgerti...- aggiunsi.

- Sono totalmente coinvolto in tutto ciò che ti riguarda...- rispose serio.

- Lo dici come se fosse inevitabile, ma hai sempre una scelta...- lo ammonii.

- E' inevitabile per me...- ribadì.

Il tono con cui parlò mi avrebbe fatta arrossire. Mi sistemai i capelli, in imbarazzo, cercando di non pensare al fatto che lo conoscevo da un giorno appena. In quello stato d'animo non sarei mai riuscita a dormire... Mi strinse le spalle, mentre mi raggomitolavo contro lo schienale.

- Ti piacciono i film?- mi chiese.

- Molto...- risposi, sorridendo – Cosa guardiamo?-

- Direi niente thriller, per stasera ne ho avuto abbastanza... Una bella commedia divertente, ti va?- propose.

- Si, sono d'accordo...-

Christian si alzò e accese la tv, scegliendo un dvd e inserendolo nell'apposito lettore. Poi si avvicinò al frigobar alloggiato accanto ai divani e preparò due drink, porgendomene uno e bevendo un sorso del proprio.

- E' buono...- commentai, sorridendogli e aspettando di essere raggiunta. Le luci nella stanza calarono, spegnendo la conversazione. Chris mi avvolse nel suo abbraccio, mentre mi liberavo delle scarpe e mi stringevo a lui. Non prestavo attenzione al film, non con la sua mano ad accarezzarmi la schiena. Avevo la pelle d'oca e la mente annebbiata, perciò bevevo per distrarmi.

Quando la vodka finì, Chris stappò una bottiglia di vino pregiato. Con la testa sulla sua spalla guardavo il suo profilo illuminato dallo schermo, respiravo il suo profumo. Ero fin troppo rilassata per ricordare altro che non fossero i particolari del suo viso o la consistenza del suo corpo sotto le mie dita. Chiusi gli occhi. Avevo sempre retto bene l'alcol, ma quella sera avevo esagerato un po' e ciò, unito alla stanchezza per quella lunga giornata, mi fece addormentare ancora prima che scorressero i titoli di coda.

Sbattei piano le palpebre, mentre mi accorgevo di essere nuovamente sospesa per aria, ma allo stesso tempo ancorata al sostegno più saldo: Chris mi stava portando in braccio fino alla camera da letto, il viso animato da un sorriso e gli occhi lucidi per i troppi drink. Camminava lentamente, era rilassato.

- Mi spiace, mi sono addormentata!- sussurrai a voce bassa.

- Avevo dimenticato che avevi già bevuto qualcosa al locale...- si scusò lui, colpevole.

- Anch'io...- confermai richiudendo gli occhi. Chris mi adagiò piano sul letto in cui mi ero svegliata quella mattina e mi porse una delle mie camice da notte.

- Era nella borsa, non avrei voluto sbirciare...- disse, poggiandola al mio fianco. Lo guardai con gli occhi vitrei per un attimo, mentre si avviava verso la porta.

- Dormirò di là, sul divano in salotto... Se dovessi avere bisogno di me...- aggiunse. Mi sentii confusa per un attimo. Di sicuro dovevano esserci altre camere da letto in quella grande casa, ma probabilmente mi aveva fatto accomodare nella sua...

- Puoi dormire qui, se vuoi...- dissi semplicemente. Lui si passò la mano tra i capelli, nel suo solito gesto di imbarazzo.

- Pensavo volessi un po' di privacy...- rispose, ma si stava avvicinando al letto.

- Resta, per favore...-

Lui trattenne il fiato per un istante, infine aprì un cassetto e ne estrasse il proprio pigiama. Aveva una strana espressione sul viso, ma ero troppo stanca per farmi ulteriori domande.

- Vado a cambiarmi...- disse, dirigendosi verso il bagno.

Scivolai fuori dai miei vestiti, infilandomi la camicia da notte in una frazione di secondo. Infine mi misi sotto le lenzuola e mi voltai su un fianco. Chiusi gli occhi, incapace di tenerli aperti un altro secondo, ascoltando il silenzio intorno a me. Lo sentii avvicinarsi al letto con la massima cautela, mentre si sdraiava alle mie spalle, attento a non disturbare il mio riposo. Ebbi un sussulto quando mi baciò una spalla, accarezzandomi il braccio con le dita calde e augurandomi buonanotte. Avrei voluto riuscire a parlare, ma mi limitai a rabbrividire e a sospirare. E in breve persi coscienza.

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Capitolo 5
*** Capitolo IV ***


 

*

Capitolo IV

 

Il mattino giunse soleggiato come previsto. Il sole oltrepassò i tendaggi, illuminando la stanza di una luce tenue e calda. Avvertii immediatamente il soffio leggero e costante sulla nuca, un braccio muscoloso a sostenermi il collo, una mano intrecciata alla mia. Sospirai, incerta. Non volevo svegliarlo, ma quella posizione mi metteva un po' a disagio: era la prima volta che dormivo veramente con un uomo. Certo, non mi erano mancate le notti passate come amante di Victor, ma al mattino mi ero sempre ritrovata sola e non potevo sperare diversamente. Quella era la routine per uno come lui.

Con Chris era diverso. Non c'era lussuria nelle sue carezze, nei suoi baci. Mi sentivo veramente al sicuro tra quelle braccia, forti abbastanza per proteggermi, ma gentili e delicate, come avevo bisogno che fossero. Ogni contatto con lui era quanto di più istintivo avessi mai provato: più della caccia, più dell'autodifesa. Lo volevo, ne avevo bisogno. Inspirai lentamente, imprimendomi il suo profumo nella mente. Non avrei mai più dimenticato la tonalità di quella fragranza. Era unica, esattamente come lui.

Chris si mosse piano, interrompendo i miei pensieri e mi posò automaticamente un bacio sulla spalla, poi si voltò a pancia un su. Seguii i suoi movimenti, riadattando la mia posizione alla sua quasi fosse un riflesso condizionato. Arrossii, adesso potevo, mentre accarezzavo il suo addome nudo, con la sua mano sul mio fianco, le nostre gambe intrecciate tra le lenzuola.

- Buongiorno!- disse lui, accarezzandomi i capelli con dolcezza. Era di buon umore, sollevai il viso per ricambiare il suo sorriso.

- Ciao!- risposi, guardandolo negli occhi. L'azzurro del cielo più sereno impallidiva di fronte alla tonalità del suo sguardo.

- Mi dispiace per ieri sera... Non avrei dovuto farti bere tanto...- mi disse con una risatina.

- Non è colpa tua... Non ho mai retto bene il binomio alcol e tensione... E poi avevo bisogno di un diversivo...- risposi.

- Ti lasci distrarre così facilmente?!- mi chiese, sfiorandomi una guancia con una mano, per poi tornare ai capelli.

- In realtà non lo so... Penso dipenda molto dalla compagnia...- ammisi. Le mie dita percorrevano incessanti i controrni della sua muscolatura affusolata. Avrei dovuto fermarmi, ma lui pareva non esserne disturbato.

- Cosa temi? Che ti faccia del male?- chiese, come se la sola idea fosse una bestemmia. Lo guardai incerta.

- Avresti potuto, in qualsiasi momento, quando mi hai portata qui... O anche ieri notte... penso che avrei capito se mi avessi lasciata ai miei guai con un semplice “ci vediamo”...-

Chris sorrise, amaro, mentre mi stringeva forte al petto.

- Non so con chi tu creda di avere a che fare, ma non riuscirai a liberarti di me con così poco...- rispose, la voce mesta,

Sospirai: dovevo aspettarmi che quel discorso sarebbe uscito fuori nuovamente. 

- Non sono qui solo per ringraziarti...- dissi, con tono fermo.

- Non c'è nulla per cui tu mi debba ringraziare, infatti...- rispose lui.

- I nostri pareri divergono in proposito...- lo citai, meno dura.

Lui affilò lo sguardo, mentre mi bloccava i polsi con una mano. Il mio istinto era sopito e tenuto a bada dalla luce del sole, ma ero certa che anche se fosse stata notte non avrei mai cercato di liberarmi da quella stretta.

- Forse con la coercizione riuscirò a farti cambiare idea...- disse serio, chinandosi su di me a baciarmi mentre mi lasciava andare lentamente le mani. Le sue labbra sulle mie furono caute e avide allo stesso tempo. Sentivo i brividi lungo la schiena, le sue mani stringermi, i suoi capelli sfiorarmi la fronte.

Era ovunque. Qualsiasi cosa percepissi lo riguardava. Rimpiva la mia mente, oltre che le mie braccia. Quando mi lasciò andare per riprendere fiato aveva gli occhi accesi dall'eccitazione. Avvicinò le labbra al mio orecchio, sfiorandomi il viso con la punta del naso.

- Di cosa stavamo parlando?- chiese, ironicamente.

- Pareri discordanti... gratitudine...- farfugliai, con la mente ancora annebbiata da quel bacio. Lui sbuffò, falsamente irritato, e mi baciò la gola, lento. Come una colata di lava, sentivo il desiderio scorrermi incandescente nelle vene. Gli accarezzai i capelli, mentre lui tornava alle mie labbra, serrandomi le braccia intorno alla vita.

- Dovrebbero dichiararlo illegale...- protestai, sorridendo, mentre si allontanava.

Spostò il suo peso di lato, dandomi modo di riprendere fiato.

- Si, dovrebbero dichiararlo illegale!- assentì guardando la mia camicia da notte leggera, bordata da pizzo sulla scollatura e sull'orlo. Sorrise del mio imbarazzo, sollevandomi il mento con un dito per guardarmi negli occhi.

- Ti ho promesso un giro della casa, o sbaglio?- disse, stiracchiandosi. Io annuii mentre lui si alzava dal letto e si materializzava dalla mia parte, pronto a offrirmi la sua mano.

- Avrei bisogno di un bagno, prima...- dissi – Mi aiuterebbe a rimettere a posto le idee... visto che me le hai confuse parecchio!- aggiunsi, lasciandomi aiutare ad alzarmi. Lo abbracciai, le labbra sulla sua spalla, il naso contro la sua pelle.

Lui rabbrividì, mentre mi percorreva i fianchi con le dita. Mi prese per mano e mi condusse lentamente per il corridoio di marmo fino ad una stanza situata di fronte a quella col pianoforte. Spinse in avanti la porta e mi cedette il passo.

Era tutto di un avorio tenue: le pareti, il marmo del pavimento, la vasca da bagno... Un enorme specchio illuminato rifletteva la stanza duplicandola. Mi guardai: avevo i capelli spettinati e in disordine, gli occhi arrossati... poi guardai lui, una spanna più alto di me, bello come un dio greco, il torace muscoloso, le mani lunghe e affusolate... Sorrisi quando mi resi conto di non riuscire ad evitare di guardarlo negli occhi direttamente, facendo a meno dello specchio. Riuscivano a rassicurarmi e a farmi sentire agitata allo stesso tempo: ardevano come fiamme, confondendomi le idee. Avevo rinunciato a provare quei sentimenti molti anni prima, tradita e mercificata. Quella mattina non sarei stata in grado di arginare quella consapevolezza. Non avrei saputo dire quando fosse cominciato tutto, ma il mio muro stava cominciando a sgretolarsi, lento e incessante... mentre io rimanevo inerme, incapace di impedirlo.

- Gli asciugamani sono sulla sedia, il phon è nell'armadio... se ti serve qualcosa, qualsiasi cosa, io farò una doccia veloce nell'altro bagno e poi sarò a disposizione...- disse Chris breve. Mi sfiorò una guancia con un ultimo veloce bacio, per poi uscire e chiudere piano la porta alle sue spalle.

Aprii le manopole dell'acqua e lasciai che la vasca si riempisse, mentre versavo un po' di bagnoschiuma e mi spogliavo. Annusai la pelle delle mie braccia: odorava di lui. Se non avessi saputo di rivederlo di lì a poco non avrei acconsentito a lavare via quell'odore. Ormai me ne sentivo impregnata, e non si trattava solo del suo odore...

 

Mi infilai nella vasca lentamente, lasciando che l'acqua mi avvolgesse ad ogni movimento. Chiusi gli occhi, tentando di liberare la mente, mentre riscoprivo la fragranza rassicurante dello sciampo e mi lasciavo coccolare dalla schiuma.

Sbattei le palpebre, confusa, quando cominciai a sentire distintamente le note del pianoforte giungere dall'altra stanza: quello era il modo di Chris di starmi vicino, senza soffocarmi, senza invadere i miei silenzi, senza violare la mia mente... Distinsi chiaramente la melodia del Claire de lune di Debussy scorrere leggera e carezzevole mentre sciacquavo via la schiuma e mi avvolgevo nell'asciugamano chiaro.

Asciugai i velocemente i capelli, notando con piacere che la ferita alla nuca non mi aveva lasciato altro che una sottile cicatrice. Avevo fretta di tornare a essere felice, ora che sapevo di poter esserlo. Lo desideravo a tutti i costi. Ancora avvolta nella tovaglia aprii la porta e mi diressi silenziosamente verso la camera da letto.

Mi vestii e riordinai la stanza, distratta dalla musica. Poi mi avviai verso la stanza col piano. Varcai la soglia in silenzio e andai a sedermi al fianco di Chris, poggiando la testa sulla sua spalla. Lui mi baciò la fronte senza smettere di suonare. Guardavo le sue mani ipnotizzata: sapevo di cosa era capace, era forte, massiccio, eppure riusciva ad essere tanto delicato da apparire umano. Sollevai il capo per guardarlo bene.

Portava vestiti informali: un paio di jeans scoloriti ad arte e un maglione grigio chiaro che gli metteva in risalto gli occhi. Aveva le scarpe da tennis ai piedi e i capelli umidi. Gli accarezzai la nuca, riappropriandomi con le dita di quella parte di lui. Con un complicato movimento di note concluse la melodia e si voltò a guardarmi. Non disse nulla, ma il suo sorriso faceva il paio con il suo aspetto sereno. Era felice, nonostante la malinconia che non lasciava mai il suo sguardo.

- Sei pronta per il giro turistico?- mi chiese, porgendomi una mano. La afferrai senza esitare, mentre mi faceva alzare per attirarmi in un abbraccio. Ero troppo euforica, un umore così anomalo per me che non riuscivo a concentrarmi su nulla. Perciò non prestai molta attenzione alle diverse camere che mi mostrò. Scoprii che c'erano una cucina ipertecnologica, numerose camere per gli ospiti e una nutrita biblioteca, ma la sospresa arrivò quando salimmo in terrazzo. La villa era circondata da un enorme giardino, ma sul retro era stato ricavato un piccolo stagno artificiale, ben visibile dalle finestre a nord e ovviamente dal terrazzo stesso che ospitava il necessario per prendere il sole oltre che un tavolo e diverse poltrone di vimini bianco. C'erano cespugli di rose selvatiche e fontane agli angoli e un piccolo sentiero conduceva tra gli alberi fioriti.

- E' bellissimo!- esclamai, estasiata. Sulla riva del lago due uccelli si bagnavano le zampe, pronti a riprendere il volo.

- Possiamo pranzare qui, se ti va...- mi rispose, sorridente. Mi sedetti sulla balaustra larga, mentre lui vi si appoggiava con entrambe le mani.

- Cosa mangiamo?- chiesi. Non avevo fame, ma non sapevo quando lui si fosse nutrito l'ultima volta.

Le sue labbra corsero alla mia gola, chiudendosi intorno alla mia pelle, morbide come una carezza, mentre una nota di panico mi annodava lo stomaco e scoppiavo a ridere. Risalì lungo il mio collo, fino a ritrovare il mio orecchio – Mangerei te, se non fossi così bella... Sarebbe proprio un peccato...- mi sussurrò.

Mi sorrise, dolce, mentre mi sfiorava le labbra con il pollice. Sentivo il suo profumo sulla lingua, mi dava l'aquolina. Ma non era fame quella che sentivo. Stavolta lo anticipai: le mie labbra trovarono le sue, ancora piegate in quel sorriso perfetto. Gli portai le braccia al collo, mentre lui mi stringeva per la vita, lentamente, senza alcuna urgenza. Incrociai le gambe dietro la sua schiena, mentre perdevo il controllo dei miei movimenti. Inspirai violentemente, mi mancava l'aria. Stavo andando a fuoco e non c'era niente che potesse impedirmi di bruciare, non se Chris mi baciava in quel modo. Mi allontanai piano da lui, mentre mi redevo conto che era lui a sorreggermi e non più le balaustra.

Gli accarezzai le spalle, la fronte contro la sua: per una volta ero più alta di lui.

- Non sono sul menù...- dissi, ancora col fiatone.

- Peccato...- ripetè, passandosi la lingua sui denti affilati come rasoi. Rise, allegro, rimettendomi a terra. Si mise le mani in tasca, facendo un passo indietro, continuando a guardarmi attentamente mentre mi riabbottonavo la camicia. Aveva uno sguardo a metà tra compiacimento e senso di colpa.

- Secondo te avrei dovuto accorgermene?- chiesi, imbarazzata. Lui rise di nuovo, prendendomi per la vita e riavvicinandomi a sé.

- Sei estremamente distratta, quando vuoi... Allora cosa vuoi mangiare?- mi domandò.

- Penso di essere ancora sazia, tu?-

- Non sento quel genere di fame...- rispose – Comunque il frigo è pieno di roba... Mi verrà in mente qualcosa...-

Distolsi lo sguardo, in imbarazzo. Ero palesemente cotta di lui, c'erano tutti i sintomi classici: il nodo allo stomaco, le difficoltà respiratorie, la totale incapacità di concentrarmi su qualsiasi altra cosa... Fossi stata umana avrei anche avuto un cuore martellante a dettare il ritmo della mia ossessione per lui. Per fortuna il mio corpo immortale mi difendeva da quell'imbarazzo.

- Pensavo di portarti in riva al lago... È un posto molto tranquillo...- propose, strappandomi a quel pensiero. Io annuii. Era un'idea ottima.

- Cosa facevi prima che sconvolgessi la tua vita?- chiesi.

- Nulla di importante. Cercavo di tenermi aggiornato sul mio lavoro... la medicina corre, cerco di starle dietro...-

- Non devi fermarti per me...- risposi, guardandolo negli occhi.

- Non lo faccio per te, infatti...- ribadì – Ma se ci tieni porterò con me qualcosa da leggere, contenta?- mi disse, falsamente spazientito.

- Molto, si- dissi, passandogli accanto e prendendolo per mano. Sorrisi, allegra.

- E tu che farai?- mi domandò.

- Ho adocchiato un paio di libri nella tua biblioteca... ma più tardi ho un paio di commissioni da sbrigare...-

- Posso chiedere di che si tratta?-

- Vado a trovare le bambine dell'ospedale pediatrico tutte le volte che mi è possibile... do una mano a tenerle su di morale, ma devo anche parlare con un mio cliente...- risposi sincera. Avevo trovato il messaggio in segreteria la sera prima.

Lui mi guardò sorpreso, per un attimo, ma non fece commenti. Rimase al mio fianco per tutto il percorso, adattando il suo passo al mio, mentre mi guidava verso il suo studio. Prese un libro lasciato aperto sulla scrivania e un paio di occhiali da lettura, poi mi condusse alla porta finestra che dava sul giardino, fermandosi davanti ad un armadio incassato nella parete per estrarre una coperta a quadri. Rimase in silenzio per tutto il tragitto, pensieroso. Probabilmente qualcosa nelle mie parole gli aveva dato molto su cui riflettere. Mi sistemai nervosamente una ciocca di capelli dietro le orecchie, stringendo tra le mani la copertina rigida del libro che avevo preso e cercando di dissimulare l'inquietudine simultanea che seguiva il suo prolungato silenzio.

Distese la coperta sull'erba ben tagliata, mentre io toglievo le scarpe e attese che mi sedessi per accomodarsi al mio fianco. Mi distesi a pancia in su, mentre lui indossava gli occhiali scuri e mi guardava con un sorriso obbliquo.

- Ti donano molto...- commentai. Era la verità: gli davano un aspetto ancora più poetico e rendevano il suo sguardo più profondo. Lui rise.

- Dici?- si schernì, sollevando le spalle. Si sdraiò al mio fanco, a pancia in giù, leggermente sollevato sui gomiti, con il libro aperto sotto al naso.

L'acqua delle fontane scrosciava sulla pietra e un leggero vento muoveva le chiome degli alberi in sincrono. Ascoltavo quei suoni, uniti al grattare lieve delle pagine del libro, mentre osservavo l'aqua del lago riflettere il cielo. Lo facevo spesso da bambina: cercavo di identificare nelle nuvole animali o cose. Ero stata una bambina molto fantasiosa, ma come per tutti gli altri dettagli della mia vita passata, non ne convervavo un ricordo preciso. Pensavo a come avrei fatto a farmi perdonare dalle mie bambine... Chris di tanto in tanto cambiava posizione, mentre io tentavo di concentrarmi sulla lettura. Alla fine della mattinata era disteso a pancia in su con la testa sul mio addome. Aveva tolto gli occhiali e li teneva in una mano, mentre le mie dita scorrevano distrattamente sui suoi capelli o sul suo viso. Era irresistibile, non riuscivo a farne a meno.

- Pausa...- sentenziò, poggiando il libro sulla coperta e voltandosi a guardarmi – Sono troppo distratto per studiare... e non posso permettere che la mia ospite si annoi...-

- Non mi sto annoiando...- risposi, subito, socchiudendo il mio libro Era la verità: non mi concedevo un po' di tempo per me stessa da troppo. Quella pausa da tutto mi stava facendo bene.

- Ne sono felice...- rispose, prendendomi una mano nella sua - Quando pensi di uscire?- mi chiese.

Ruotai le nostre mani intrecciate in modo da controllare l'ora sul suo orologio da polso. Erano già le 13 e 30.

Il tempo in sua compagnia trascorreva veloce e si era già fatto tardi. Speravo non sentisse nella mia voce l'angoscia al pensiero di stargli lontana anche solo per qualche ora. Ma mi sentivo realmente angosciata, non volevo andarmene.

- Tra un paio d'ore...- confermai. Lui si sollevò a sedere.

- Allora abbiamo ancora un po' di tempo...- disse meditabondo.

- Tempo per cosa?- mi formicolavano le dita, sentivo di voler rimanere insieme a lui più di ogni altra cosa. Non avrei accettato volentieri una risposta diversa.

Chris mi guardò negli occhi per un attimo, sollevandosi su un gomito, mentre io inclinavo il viso per guardarlo meglio. Un lampo di tristezza oscurò il suo sguardo e in una frazione di secondo, ancora prima di intuire ciò che stava per accadere, le sue labbra si infransero contro le mie. Opporre resistenza sarebbe stato un crimine, oltre che una violenza a me stessa, ma non mi limitai ad assecondarlo. Ero io a desiderarlo. Gli sfilai il maglione, mentre lui mi sbottonava nuovamente la camicia. La sua pelle bruciava sotto le mie dita, la mia smaniava di entrare in contatto con le sue mani. Presi fiato, tentando di dare un corso logico ai miei pensieri, mentre le sue labbra scorrevano lungo il mio collo, verso le spalle e tornavano indietro.

Lo sentii inspirare, per poi fermarsi. Le sue carezze si fecero più delicate, caute.

Piccole gocce di pioggia cominciarono a bagnarci, prima lente, poi sempre più frequenti, mentre un tuono squarciava l'aria. Chris scoppiò a ridere, mentre mi dava un ultimo bacio sulle labbra e si sollevava. Mi tese una mano e mi fece alzare, afferrando la coperta e i libri con un braccio e stringendomi al suo fianco con l'altro. Risi anch'io mentre correvamo al riparo, attraversando buona parte del giardino. Quando rientrammo in casa eravamo entrambi zuppi di pioggia dalla testa ai piedi, ma non sentivo freddo: ero troppo concentrata sul suo viso umido e sui suoi capelli gocciolanti, sul suo petto nudo, sulle sue mani sulla mia schiena per poter registrare un particolare così insignificante.

- Resta qui, vado a prenderti un asciugamano...- mi disse, con la fronte contro la mia.

Si allontanò in fretta, diretto verso il bagno, lasciandomi nell'ingresso posteriore che aveva molto di un salotto e di una biblioteca messi insieme. Mi strinsi tra le braccia, mentre un rivolo d'acqua gelida mi attraversava la schiena, scendendo lungo i miei capelli. Tornò in un attimo con un accappatoio color crema e un paio di pantofole di spugna. Mi avvolse nella spugna morbida, facendomi indossare il cappuccio, mentre io mi toglievo le scarpe e i pantaloni. Prima che mi rendessi conto di ciò che stava per fare mi prese tra le braccia e mi sollevò, con il viso a un palmo dal mio.

- Cambio?- mi domandò, sorridente. Io nascosi il viso nell'incavo del suo collo, sfiorando la sua pelle calda con la punta del mio naso. Profumava di buono, con la pioggia ancora di più. Annuii, lasciandomi condurre nel bagno della sua camera da letto e cercando di non manifestare i pensieri che si erano fatti largo nella mia mente all'idea di una doccia insieme. Mi sentivo rabbrividire mentre oltrepassava la soglia della stanza e mi rimetteva in piedi, ancora umido di pioggia.

- Va tutto bene?- mi chiese, ansioso, percependo un cambiamento nella mia espressione.

Annuii, seria, mentre il cappuccio mi scendeva sulle spalle e un boccolo si faceva avanti sul mio viso. Chris allungò una mano per scostarlo, guardandomi dritto negli occhi. Sembrava leggermi dentro con una tale facilità da sconcertarmi. Mi baciò sulle labbra con dolcezza, stringendomi tra le braccia.

- Vado a mettermi qualcosa di asciutto- mi sussurrò, poi mi lasciò da sola, frastornata.

Cercai di fare tutto in fretta: avevo il brutto presentimento di non avere molto tempo a disposizione da trascorrere in sua compagnia. Dopo pochi minuti avevo già asciugato i capelli ed ero ansiosa di tornare da lui. Il senso di appartenenza che sentivo crescere nei suoi confronti mi sconcertava. Era come una droga ad alto indice di assuefazione: più ne avevo a disposizione più ne desideravo. Non riuscivo a farne a meno. Ritornai in salotto, in cerca della mia borsa con i vestiti. Considerati gli impegni di quel pomeriggio avrei dovuto indossare qualcosa di formale. Presi un paio di pantaloni neri, la mia camicia color lavanda e li indossai, ancora struccata.

- E' già ora?- mi domandò Chris, dallo stipite della porta. Non so quanto tempo fosse rimasto li a guardare, ma la cosa non mi infastidiva. Al contrario, mi lusingava. Lo fissai per un attimo, cercando di qualificare la sua espressione. Non era esattamente ansiosa, ma anche lui doveva aver avuto quello strano presentimento.

- Dovrei essere in ospedale per le 15 e 30...- risposi, con voce spenta.

Mi fissò in silenzio a lungo, gli occhi nei miei.

- Fai attenzione, per favore...- mi disse serio. Era chiaro dove volesse andare a parare, ma in quella situazione io conoscevo il mio avversario meglio di lui. Gli anni a Mosca erano pur serviti a qualcosa.

- Vic non mi farà del male... - risposi, ma nell'esatto istante in cui pronunciai quelle parole seppi che le mie previsioni erano fin troppo ottimiste. Vic non mi avrebbe fatto del male fisico, non era nel suo interesse, ma il male emotivo, quello che solo lui sapeva infliggere, era inevitabile... Sapevo che in un modo o nell'altro avrebbe rovinato tutto.

- Non farmi stare in pensiero...- mi raccomandò.

Mi accarezzò il viso, le braccia, mi prese una mano e se la portò alle labbra.

- Tornerò presto...- promisi.

- Lo troveresti inaccettabile se ti proponessi si portare con te un cellulare?- mi chiese.

- Lo troverei un po' eccessivo, ma non inaccettabile...- risposi.

Mi guardò gironzolare per la stanza, mentre mi truccavo o pettinavo i capelli, immerso in un religioso silenzio. Era pensieroso, ma non mi perdeva di vista un attimo. Infine, quando fui pronta, mi sistemò il colletto dell'impermeabile e mi infilò un piccolo telefono cellulare nero in tasca.

- Per qualsiasi cosa, non esitare a chiamare...- mi supplicò. Io annuii, mentre mi allacciavo la cintura dell'impermeabile sui fianchi e mi avvolgevo una sciarpa intorno al collo.

Chris mi prese il viso tra le mani e mi diede un ultimo lungo bacio. Era come un addio: intenso, straziante, ma non ne capii il perchè. Fisicamente non ero in grado di lasciarlo, ma dovevo farlo. Ce la potevo fare. Mi concessi un altro bacio, mentre ogni mia buona intenzione si dileguava, lasciando spazio al bisogno innaturale che avevo di lui. Mi allontanai riluttante, mentre le sue mani ritardavano il distacco.

Gli sorrisi, mentre entravo in macchina. Ormai aveva smesso di piovere, ma l'aria era carica di umidità e il freddo cominciava a farsi sentire. Cercai sul sedile posteriore la mia valigetta e fui lieta di ritrovarla dove l'avevo lasciata la sera prima. Chris mi aprì il cancello. Accesi la radio e lo salutai con una mano, poi misi in moto e accelerai. Mi fiondai verso l'autostrada, cercando di non lasciarmi prendere dalla nostalgia né da altri pensieri. La velocità e la musica mi distraevano, canticchiavo a bassa voce mentre superavo le auto alla mia destra e procedevo spedita verso l'ospedale pediatrico. Il senso di vuoto mi pervadeva, colmando ogni mio pensiero. Il fatto che Chris mi attraesse a tal punto era un indizio chiaro per la mia mente analitica. Stavo cominciando a sciogliermi... Prendere consapevolezza di quella verità mi fece sentire peggio: non sapevo nulla di lui, ma non mi importava. Come vampiro ero una frana: non ero mai stata sufficientemente coraggiosa da seguire l'istinto e le mie scelte razionali mi avevano sempre condotta per strade solitarie. L'aver incontrato Chris nel momento in cui ne avevo avuto più bisogno era un fatto talmente fortunato che non riuscivo a ritenerlo una coincidenza. Non avevo fiducia nel destino, ma non avevo motivo di credere in qualche altra strana forza inumana. Parcheggiai fuori da un negozio di dolci per comprare le collane fatte di caramelle da portare alle mie piccole, per poi ripartire immediatamente.

Mi fermai nel mio solito posto, vicino agli alberi che circondavano l'ospedale. Presi con me il sacchetto con le caramelle e la borsa, poi chiusi la portiera e inserii l'allarme. Non vedevo l'ora di incontrare le mie bambine dopo una settimana di assenza. Dovevano aver pensato di essere state abbandonate a sé stesse.

Sapere che la possibilità di avere dei figli miei mi era negata per sempre mi aveva fatto passare molte notti insonni, in passato. Col tempo avevo accettato quel fatto come parte della mia natura, ma non avrei mai creduto che accudire i bambini altrui fosse altrettanto gratificante quanto essere madre io stessa. Conoscere Susan e Mel mi aveva fatto cambiare idea su tutta la linea. Mi ero subito innamorata di loro. Oltrepassai le porte scorrevoli dell'entrata.

- Buona sera, Elena!- mi salutò Charlotte. Era un'infermiera molto in gamba, sapeva fare bene il proprio lavoro ed era ben voluta dai piccoli pazienti.

- Come va, Charlie?- la salutai, sorridendo.

- Come al solito, sembra di stare all'asilo...- mi rispose, allegra. Mi accompagnò fino alle stanze. Era orario di visite e i corridoi erano sciamanti di genitori e parenti. Ero diretta ad una tra le prime camere. Sue e Mel erano sorelle, entrambe avevano avuto una brutta polmonite e stavano cominciando a riprendersi. I genitori erano morti un anno prima in un incidente d'auto ed erano finite in orfanotrofio.

- Elena!- urlarono, saltandomi al collo. Melanie, la più piccola, mi schioccò un sonoro bacio su una guancia, mentre Susan mi prendeva per mano.

Erano due bambine dolcissime, amarle era stato semplice come respirare.

- Cosa avete fatto di bello, ragazze?- domandai, certa che avessero ore di aneddoti da raccontarmi. Non mi sbagliavo. Mi accomodai su una poltrona, mentre entrambe mi raccontavano le loro giornate. Passò un'ora prima che esaurissero gli argomenti, ma non avevo ancora tirato fuori le collane e immaginavo che quel piccolo dono le avrebbe rese ancora più loquaci.

- Toc toc...- fece una voce sulla porta.

Mi voltai lentamente, gli occhi sbarrati, ma mi imposi un sorriso: non volevo spaventare le bambine, né mostrarmi sorpresa. Avrei dovuto immaginare che mi avrebbe seguita.

- Victor...- lo salutai – Ragazze, torno subito... Nel frattempo, godetevi le vostre sorprese...- sorrisi, passando loro i pacchetti. Mi allontanai dalla camera e chiusi la porta alle mie spalle. Non mi tolse gli occhi di dosso nemmeno un attimo. Mi sentii nuda sotto il suo sguardo. Odiavo quella sensazione.

- Ci sai fare con i bambini...- mi disse. Sorrise, non era sarcastico. Per quanto lo odiassi ricordai cosa mi avesse attratto di lui inizialmente: sapeva essere una persona gentile, quando voleva.

- Grazie...- risposi. Incrociai le braccia – Cosa ci fai qui?- gli domandai.

- Mi sentivo in dovere di chiarire un paio di cose...- rispose – La prima, la più importante, è che vorrei tornassi a Mosca con me...-

- Mi dispiace non poterti accontentare, Vic, ma sto bene qui...- dissi – Un trasloco non rientra nei miei piani...- lo interruppi.

- Forse dimentichi che hai una casa, con me...-

- Intendi dire una gabbia...- lo smentii. Cercavo di rimanere calma, ma il mio stomaco si era stretto in un nodo. La sola idea di tornare a Mosca con lui mi faceva stare male.

- Volevo solo proteggerti...-

Era la solita scusa. Non importava che mi stesse soffocando per i suoi piaceri. Voleva tenermi per sé, impedirmi di vivere e io non potevo dimenticarlo.

- Non ne avevo bisogno allora e non ne ho bisogno adesso...- ribattei.

- Sei sempre stata testarda... Anche allora portavi avanti le tue idee in modo vivace... Ammetto che ti avevo sottovalutata...- rispose. Si avvicinò mentre io indietreggiavo, ormai con le spalle al muro – Cosa posso offrire per convencerti? Cosa desideri?-

Gli passai sotto il braccio, liberandomi dalla sua vicinanza.

- Sono finiti quei tempi, Vic... Non c'è nulla che tu possa darmi che io non abbia già...- risposi. Lui sorrise, malizioso. Capii in un attimo il doppio senso che poteva aver colto nelle mie parole. Avevo dimenticato quanto fosse faticoso parlare con lui.

- Quindi è questo il nodo della questione... Non ho nulla da offrirti che tu non abbia già, dici! Il che mi ricorda del mio secondo motivo... Il tuo amico, Grey...-

- Cosa c'entra?- chiesi, astiosa, mentre gli mostravo i denti.

- Lavora per me... era sulle tue tracce da mesi. Non sapevo come trovarti e lui è il migliore sulla piazza. Un cacciatore di teste coi fiocchi come lui per ritrovare una donna coi fiocchi come te...- si passò la lingua tra i denti. Fu come ricevere un calcio nello stomaco. Mi appoggiai al muro dietro di me – Non te lo ha detto, vero?- mi stuzzicò.

- Io non ti credo...- lo sfidai. Chris non era un cacciatore di teste... era un medico. Lui... lui... mi aveva salvata da quei balordi... Non ci credevo, non poteva essere vero. Nella mia mente le nuove tessere si univano al mio puzzle ancora incompleto. Il fatto che fosse sulle mie tracce spiegava perchè si trovasse nel vicolo, perchè mi avesse presa con sé. Quelle parole davano al suo gesto una connotazione totalmente diversa e ai suoi silenzi dei significati che non avrei mai potuto immaginare. Ciò non spiegavano erano gli ultimi due giorni passati insieme. Era un bravo attore, non c'era dubbio, ma poteva aver mentito in quel modo? Desideravo con tutta me stessa che la risposta fosse no, che i baci, le carezze, fossero per me e non solo parte di un copione da recitare. Ma oltre la mia ostinazione, il dubbio stava scavando profondamente. Dietro l'orgoglio ferito sentivo la certezza nelle parole di Victor. Cercavo affannosamente di trovare una motivazione che spiegasse quel malinteso, che mi desse un solo motivo per continuare a credere in Chris, come desideravo, ma non trovavo nulla. Mi sentivo annaspare. Il ricordo di come mi fossi aperta con lui mi bruciava gli occhi: ero stata una stupida. Non sapevo nulla sul suo conto, ma non avrei mai immaginato... Mi sentivo tradita. Perchè a dispetto di quanto detestassi l'idea, Victor non mentiva: poteva essere un idiota, un bastardo, ma non sapeva mentire... La delusione e l'amarezza mi colsero immediate, lui mi accarezzò una guancia.

- Non ti avrei mai trovata senza il suo aiuto, sai? Gli devo moltissimo, ma ho motivo di credere che abbia avuto un compenso di molto superiore a quanto pattuito...- continuò – Mi siete sembrati molto... affiatati!-

- Cosa vuoi da me?- irruppi, acida – Le tue parole non cambiano nulla. Non tornerò con te a Mosca, non mi avrai mai più Victor, rassegnati. Sono passati anni da quando mi hai cambiata, da quando avevo stima per te... affetto... ma nemmeno allora ti amavo...-

- Fingevi bene...- mi provocò.

- Per rimanere viva... Pensi che non sappia cosa accadeva alle altre?-

I ricordi mi invasero la mente, mentre impedivo al dolore di mozzarmi il fiato. Erano stati anni difficili.

- Non ti avrei mai fatto del male... tu eri speciale...-

- Mi hai fatto molto male, invece... non sai quanto...-

Lui mi abbracciò, vincendo le mie opposizioni. Non mi importava nulla, non sentivo altro che un vuoto, il posto lasciato dalle mie aspettative tradite, dalla mia fiducia mal riposta.

- El, piccola, torna a casa...- mi disse. Non avevo la forza nemmeno per scuotere il capo. Mi strinse a sé, a lungo, mentre io rimanevo inerte, poi mi lasciò andare. Un brivido gelido mi percorse la schiena, mentre un rumore di passi veloci irrompeva nel corridoio, portando con sé il profumo del mio tormento.

Chris mi guardò negli occhi per un lungo istante, carico di tensione, e seppi che aveva capito. Sostenne il mio sguardo.

- Mi dispiace dover andare via così presto, ma ho degli affari da sistemare...- disse Vic sarcastico, ormai certo delle proprie ragioni – El, chiama quando sei pronta!- 

Mi baciò una guancia, indugiando per un attimo, mentre io rimanevo immobile, senza voce, senza fiato... 

E il dolore mi sopraffece...

 

*

 

Salve, ragazzi! spero che il nuovo capitolo sia stato di vostro gradimento. 

Che mi dite del nostro Chris? Ma soprattutto cosa pensate che farà Elena? 

COMMENTATE... 

alla prossima ;), 

El <3



 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo V ***


 

*

 

Capitolo V

 

 

Mi ci volle un attimo prima di realizzare ciò che stava accadendo. Prima di sentire con precisione chirurgica ogni brandello del mio cuore muto lacerarsi sotto gli artigli di una verità che faceva male. Troppo male.

Il tuo amico, Grey... Lavora per me... era sulle tue tracce da mesi. Non sapevo come trovarti e lui è il migliore sulla piazza. Un cacciatore di teste coi fiocchi come lui per ritrovare una donna coi fiocchi come te...

Le sentivo ancora, quelle parole, mentre trascinavano a fondo ogni briciolo di speranza che avessi mai riposto o pensato di riporre in Chris, cedendo il passo ad un passato che mi ero lasciata alle spalle a fatica.

- Ho cercato di chiamarti al cellulare...- mi disse, avvicinandosi – Non volevo che lo scoprissi da lui... Temevo che non capissi...-

Lo fissai sconvolta: cosa c'era da capire? Mi aveva mentito, mi aveva fatto credere di poter avere tutto ciò a cui avevo rinunciato da tempo per poi tradire la mia fiducia e rivelarsi peggiore di Victor stesso. Mi morsi il labbro fino a farlo sanguinare, non avrei parlato, non lì, almeno.

- El, non vieni a giocare?- chiese Melanie, con la testolina fuori dalla porta della sua camera. Non so cosa vide sul mio viso, ma uscì cauta e mi venne accanto. Mi prese per mano, la sollevai tra le braccia.

- Arrivo subito!- le dissi, paziente, rivolgendole un bravissimo sorriso – Ma adesso ritorna a letto... Ho bisogno di un paio di minuti...-

La feci scendere delicatamente, guardandola avviarsi verso la propria stanza e girarsi di tanto in tanto per poi sparire oltre la porta.

Guardai Chris per un attimo: ciò che sentivo era un misto di indecisione, frustrazione, delusione, incertezza... Lo vidi incupirsi e nonostante tutto mi sentii in colpa per quello che stavo per dire, per ciò che avrebbe significato.

- Passerò in serata a riprendere la mia roba!- dissi semplicemente.

- Andrai con lui?- chiese.

Non so perchè risposi, ma una parte di me non voleva che soffrisse, per quanto assurdo potesse sembrare in quel momento.

- No...- risposi.

Lui rimase a fissarmi, incapace di dare voce al tormento che leggevo nei suoi occhi. Distolsi lo sguardo.

Ero arrabbiata, con me stessa più che con lui. Io avevo permesso che ciò accadesse, io mi ero gettata tra le sue braccia quasi fosse stato possibile che il destino mi avesse riservato quell'istante di felicità, io avevo creduto alle sue menzogne... alle sue carezze, ai suoi baci. Ero io quella da biasimare...

- Bel lavoro, davvero ben fatto...- mormorai.

- Non lavoro per Victor, sono passate settimane dall'ultima volta che gli ho fatto rapporto su di te... avevo deciso che ti avrei lasciata perdere ancora prima che quei tre... balordi... cercassero di assalirti nel vicolo dietro il night...- rispose, amaro. Desideravo con tutto il cuore di potergli credere, di riuscire a fidarmi nuovamente di lui, ma non ci riuscivo...

- Non importa!- risposi, fredda.

- Importa, invece... Non voglio che tu pensi che io abbia finto per tutto questo tempo! Tutto ciò che è successo tra noi in questi giorni era reale... e sincero!- ribatté accalorandosi. Lo fissai incredula: pensava di potermi indurre a credere una cosa simile dopo aver smascherato le sue bugie?

- Non ha importanza- ripetei.

- Pensi che io sia quel genere di persona? Non avrei mai potuto fingere con te, non in quel modo... Lo sai che è così...-

- Dovrei saperlo?- risposi sarcastica – Chi sei, Christian Grey? Un medico? Un cacciatore di teste? Un bugiardo? Tra questi, chi sei veramente?- chiesi, velenosa – Ma forse questo non è neanche il tuo vero nome...-

- Se ho mentito è stato solo perché lo ritenevo necessario per tenerti al sicuro...- disse mesto, abbassando lo sguardo.

- Sono sopravvissuta senza di te per anni... Sono in grado di badare a me stessa!-

- Certo che lo sei, sono io a non essere capace di lasciartelo fare...- rispose lui.

Lo guardai ancora, il cuore a pezzi. Quelle parole mi dolevano come una ferita aperta. Con la stessa intensità con cui desideravo fossero vere, bruciavano contro il mio muro di ostinazione e rabbia, senza riuscire ad abbatterlo.

- Adesso, se vuoi scusarmi...- dissi. Mi rifugiai nella camera di Mel e Sue, chiudendo la porta dietro di me. Mi mancava l'aria. Mi accasciai sulla poltrona, scivolando contro lo schienale, il viso tra le mani. Una manina mi accarezzò la testa.

- Elena, tutto bene?-

Susan mi guardava con gli occhi verdi lucidi. Mel si era seduta al mio fianco, con la guacia sul mio ginocchio.

- Si, sto bene...- Ero solo disperata. Ma questo non potevo dirlo. Mi sforzai di sorridere – Che ne pensate delle collane?-

Mel guardò la propria, appesa al suo collo. Mancava già qualche caramella.

- Sono bellissime...- rispose Susan. Non sorrideva, era più seria che mai. Le sfiorai il viso.

- Non preoccuparti, tesoro... Non è successo nulla...- la rassicurai. Era una bambina troppo intelligente per i suoi sette anni, era sensibile, ma soprattutto l'avevo spaventata.

Annuì, ma rimase in silenzio, mentre tiravo fuori dalla mia valigetta un libro di favole.

- Avete ancora voglia di una storia?- chiesi. Mel si sedette sul letto più vicino a me, Susan la imitò.

- Cosa ci leggi?- chiese.

- Sorpresa...-

Cominciai a raccontare le avventure di una principessa indiana, che dopo varie disavventure era stata salvata da un giovane coraggioso, innamorato di lei.

Le bambine avevano gli occhi lucidi, Mel abbracciava il cuscino. Adoravano le storie d'amore, forse perchè si concludevano con un felici e contenti per tutti o forse perchè sognavano quelle avventure.

- Elena...-

- Cosa c'è, tesoro?- chiesi a Mel, quasi in lacrime. La bimba si venne a sedere sulla mia gamba, stringendomi con le sue piccole braccia.

- Non voglio guarire...- mi confessò.

- Perchè? Cosa c'è che non va?- le domandai, accarezzandole la testolina.

- Se torno in collegio non ti vedrò più...- singhiozzò.

- Non dire sciocchezze! Lo sai che verrò a trovarti spesso... Giocherò con te e Susan tutte le volte che vorrete...- guardai anche la sorella, seria e composta. Doveva averci pensato molto anche lei.

- Si, ma non sarebbe la stessa cosa...-

Le sfiorai una guancia con la mano, cercando di rassicurarla. Sapevo che il distacco sarebbe stato molto difficile, ma non avevo modo di evitarlo. Non mi avrebbero mai affidato due bambine finchè fossi rimasta da sola. Non avevo chance. Temevo anche io di non rivederle: c'era la possibilità che venissero adottate prima che riuscissi a trovare una soluzione. Sospirai, impotente.

- Dovete fidarvi di me...- dissi – Sto cercando una soluzione...-

- Saresti una brava mamma...- sussurrò Susan, con gli occhi bassi. Mi alzai, con Mel aggrappata al mio collo, per abbracciarla. Le posai un bacio sulla guancia.

- Tutto si sistemerà...- entrambe annuirono – Fatemi un sorriso...- le invitai. Mel si asciugò gli occhi e mi accontentò. Susan si rimise a letto e infine piegò gli angoli della bocca all'insù. Adagiai Melanie sul suo materasso e le rimboccai le coperte.

- Promettetemi di fare tutto ciò che vi dice Charlotte... starete benissimo...- dissi.

- Promesso...- risposero.

- E io vi prometto che ci rivedremo prestissimo...- aggiunsi. Sorrisi a entrambe. Mi misi il cappotto e guardai fuori dalla finestra. Dovevano essere le sette. Il mio appuntamento doveva aspettare. Presi il telefono dalla tasca e composi il numero del mio cliente.

- Drew, sono Elena- dissi, non appena sollevò la cornetta. Lui mi salutò, allegro.

- Devo rimandare il nostro appuntamento di stasera... Ho un impegno urgente...-

Non protestò, sapeva che non era una scusa: non gli avevo mai dato buca.

- Non preoccuparti... Ci risentiamo per fissare un nuovo appuntamento...- rispose.

- Grazie, sei un tesoro... Allora a presto...-

- Va tutto bene?- mi chiese. Dovevo avere un tono di voce spaventoso.

- Si, non preoccuparti...-

- Allora a presto...- rispose dubbioso. Chiusi la conversazione e riposi il telefono nella tasca. Le bambine parlavano tra loro. Lasciai a Susan il libro di favole e le salutai. Uscii dall'ospedale con passo veloce, salutando Charlotte con una mano. Mi infilai in macchina, mentre il sole calava dietro l'orizzonte.

Sentivo la forza rifluire nelle mie vene, la mia mente espandersi per percepire anche i dettagli minimi. Invulnerabile, spensi le luci dell'auto e spinsi il piede sull'acceleratore, diretta alla villa di Chris.

Volevo affrontare quella situazione prima possibile, volevo dirgli cosa pensavo dei suoi giochi e delle sue bugie. Volevo che mi dicesse che Victor mentiva, che lui era sincero... Volevo cancellare quel pomeriggio infernale.

Mi sentivo gli occhi gonfi e pesti, ma non potevo piangere. Trovai il cancello aperto: mi stava aspettando.

Suonava il piano, una melodia cupa e disperata, ma si interruppe quando mi sentì arrivare. Spensi il motore sul vialetto e salii le scale che conducevano all'entrata. Non feci in tempo a suonare: mi aprì la porta con sguardo agitato e la richiuse dietro di me. Mi fece accomodare in salotto, precedendomi nella stanza.

- Quel... quel bastardo....- cominciò, fuori di sé dalla furia.

- ...mi ha solo detto la verità...- lo accusai. Lui mi guardò ferito.

- Io ho cercato di proteggerti! Cosa avresti fatto se ti avessi detto che ti spiavo da mesi per conto dell'uomo il cui nome ti fa tremare di paura? Te lo dico io: saresti scappata via, urlandomi di lasciarti andare. Non potevo permetterlo, Elena, lo capisci?-

- Io capisco solo che mi fidavo di te, mentre tu giocavi alla coppia perfetta e complottavi con Victor alle mie spalle... E io, da stupida, ci sono cascata!-

- Io non stavo giocando... Ho cercato di dirtelo, ma non volevo rischiare, El... Non sapevo il motivo per cui Victor voleva che ti seguissi. Mi ha contattato per offrirmi un lavoro e io ho accettato, ma avevo smesso di rispondere alle sue chiamate... Temevo che volesse ucciderti!- rispose – Elena, tu devi credermi. So che è difficile...-

- Non è difficile, è impossibile. Tu mi hai mentito... sei stato bravo, davvero bravo...-

Mi tremava la voce, mentre il veleno mi riempiva la bocca. Ero furiosa. Ero a pezzi.

- Non sai cosa dici!- mi interruppe. Mi prese per le spalle e mi scosse – Cosa senti quando ti tocco? Su questo non si può mentire, Elena, e sai che è quello che provo anch'io! Avrei dovuto spiegarti come stavano le cose, ma non potevo rischiare...-

- Immagino che se fossi morta non avresti ricevuto il tuo compenso...- ribattei, con il cuore in gola. Volevo credergli, volevo che fosse tutto vero, ma non lo era.

- Cosa vorresti insinuare?- sbraitò – Credi che avrei potuto lasciarti lì, col sole che stava per sorgere, in preda a quei barbari? Non ho pensato alle conseguenze, ho solo pregato di non essere arrivato troppo tardi... Di poterti salvare perchè avrei preferito essere al tuo posto, piuttosto che lasciarti li a morire...-

- Non ti credo...- sussurrai, abbassando lo sguardo. Mi prese il viso tra le mani e mi fissò per un solo, ardente istante. Poi mi baciò sulle labbra. Fu una sensazione intensa quanto violenta. Mi sentivo spaccata in due metà distinte: una lo voleva più di ogni cosa al mondo, più dell'aria, del sangue umano; l'altra lo avrebbe ucciso a mani nude.

Assecondare la prima era fin troppo facile.

Le sue mani mi stringevano e contro la mia volontà rispondevo al loro tocco. Lo volevo con tutta me stessa, era ovunque intorno a me. Mi mandava il cervello in fibrillazione, mi confondeva, preveniva ogni desiderio del mio corpo. Come quella mattina, mi ritrovai aggrappata al suo collo, le gambe strette intono ai suoi fianchi, la schiena contro la parete, così vicina da confondermi con lui. L'urgenza si era trasformata in una passione senza fretta, che mi scorreva dentro senza ostacoli, inesorabile. Bruciava ogni brandello della mia determinazione, annullando la mia volontà.

Ma non potevo permetterlo, nonostante il mio corpo lo avesse già fatto. Non potevo desiderarlo, nonostante le mie mani cercassero il suo viso, le mie labbra i suoi baci. Dovevo impedirmi di soffrire ancora. Dovevo proteggermi dall'unica persona in grado di distruggermi, pezzo dopo pezzo. L'istinto di autoconservazione prevalse sulla passione, mentre la mia mente andava in black out.

La mia mano raggiunse la sua guancia, veloce come un proiettile. Il rumore mi risvegliò da quella confusione dei sensi, dai pensieri incoerenti, mentre lui si allontanava, sorpreso, con l'impronta delle mie dita sul viso. Fu come cercare arrestare un uragano a mani nude, ma dovevo fermarmi adesso, finchè potevo. Mi rimisi in piedi, badando a non mostrare alcun tentennamento.

- Non provare... mai più... ad avvicinarti a me!- lo minacciai, col fiatone. Presi la mia borsa dal divano e mi avvolsi veloce nel cappotto – Addio, Chris!-

Infilai la porta velocissima, mentre cercavo di non andare nel panico. Non volevo rivederlo, nonostante stargli lontana significasse sentire la sua mancanza. Dovevo combattere il mio insano bisogno di lui, mi dovevo rendere conto che mi aveva ingannata. Ma in quel momento, piuttosto che sentirmi indignata, sentivo solo le mie braccia vuote dolermi per la sua assenza, le dita strette intorno al volante bramose di accarezzare i suoi capelli, le mie labbra martoriate dai denti ansiose di sfiorare le sue. Mi sentivo un macigno sul petto, non riuscivo a respirare. Ero in agonia.

Mi fermai sotto casa, con la testa china sul volante, disperata come non lo ero mai stata nella mia vita.

Tremavo per i singhiozzi che mi mozzavano il fiato, ma non avevo lacrime da versare. Non potevo piangere, esattamente come ero stata certa, fino a quella mattina, di non poter provare una simile sofferenza. Ma la sentivo. Soffrivo in ogni singola cellula del mio corpo immortale, umana come non mai, straziata dal dolore.

Perchè avevo permesso che accadesse?

Desiderai di essere morta tre sere prima, nel vicolo. Sarei divenuta polvere, mi sarei persa nel vento. Invece ero lì, raggomitolata su me stessa, umiliata e sola. Cosa mi era passato per la testa? Il destino non cambiava, no... si divertiva a prendersi gioco di me, una pedina ribelle, un due di picche che si atteggiava a regina di cuori.

Un lampo annunciò il temporale, che si scatenò violento intorno a me. Le immagini di quella mattina mi sfrecciarono davanti agli occhi, infliggendomi un'altra crudele ferita. Non sapevo cosa fare, forse avrei dovuto scendere dalla macchina... tornare a casa...

Cercai di placare i singhiozzi, invano, e scesi dal veicolo, afferrando la mia borsa e sbattendo la portiera. Inserii l'allarme in automatico. Non mi importava di nulla in quel momento, avrei volentieri distrutto io stessa la mia auto se fosse servito a farmi stare meglio, ma non era così. Non aveva senso causare altri problemi. Rimasi sotto la pioggia battente per tutto il tragitto fino al portone d'entrata. Grondante d'acqua dalla testa ai piedi, salii le scale e aprii la porta di casa. Trovarmi lì mi fece sentire un po' meglio. La sua assenza era meno dolorosa lontana dai luoghi in cui avevamo trascorso più tempo insieme. Mi tolsi il cappotto e le scarpe, diretta verso il bagno. Aprii l'acqua della vasca da bagno e accesi le candele: avevo bisogno di non pensare a nulla. Mi avvolsi nella mia vestaglia, tornando in salotto per accendere lo stereo. Mi serviva qualcosa in grado di spegnere la mia voce mentale, fastidiosa come un pungolo in una ferita aperta.

Lo trovai sul tavolo: il suo bicchiere, l'impronta delle sue labbra sul vetro. Lo strinsi tra le mani, mandandolo in frantumi. Non dovevo permettere ad una inezia simile di turbarmi. Alzai il volume dello stereo, guardando oltre la vetrata di fronte a me la furia scatenata degli elementi. Il tempo rispecchiava il mio stato d'animo su scala ridotta. Noi vampiri non eravamo molto inclini ai cambiamenti, io più degli altri: eravamo immutabili anche nello spirito e questo ci permetteva di conservarci integri per tutti gli anni della nostra esistenza. Ma quando un cambiamento avveniva, era pressocchè permanente. Scavava a fondo dentro di noi, lasciando solchi profondi.

Il solco che portava il nome di Christian Grey era il più profondo in assoluto. Guardai le schegge di vetro nel palmo della mia mano, le strinsi tra le dita, ma non sentivo dolore, non lasciavano alcun segno... Le lasciai cadere sul pavimento con un tintinnio discordante, cercando di concentrarmi sulla musica intorno a me. Mi sarebbe toccato ripulire, ma in quel momento non mi importava...

Tornai in bagno e chiusi le manopole, togliendomi la vestaglia e infilandomi nell'acqua. Cercai di non pensare a nulla, appoggiai la testa alla vasca e chiusi gli occhi. Non avevo ancora smesso di tremare, ma mi sentivo meno indifesa, più al sicuro.

Quando li riaprii, le candele si erano spente, del tutto consumate, e nella stanza era calata l'oscurità. La mia vista non ne era scalfita, ma poteva significare solo una cosa: mi ero addormentata. Lo stereo era ancora acceso e il mio lume in camera da letto rifletteva la sua luce sul parquet lucido del corridoio.

Mi sollevai dall'acqua, avvolgendomi nel telo azzurro che avevo lasciato a portata di mano. Mi diressi nella mia stanza, scossa da brividi di freddo. Non ero abituata a percepire gli sbalzi di temperatura, ma dopo due giorni come quelli che avevo appena trascorso era comprensibile che sentissi l'assenza di qualcuno al mio fianco in grado di scaldarmi semplicemente standomi accanto. Indossai la camicia da notte e asciugai i capelli, sperando di attenuare quella sensazione. La mia sveglia segnava le tre del mattino, ma non avevo affatto voglia di dormire. Ero esausta, ma il sonno nella vasca mi aveva resa mentalmente più vigile. Afferrai una coperta dall'armadio e mi raggomitolai sul mio divano in salotto, spegnendo lo stereo e accendendo il televisore. Rimasi immobile per ore, cercando di ritrovare l'incoscienza, senza risultati. Fecevo zapping col telecomando, quando lo squillo del telefono mi fece sobbalzare.

Afferrai la cornetta con una mano, sperando con ogni cellula del mio corpo che non fosse lui. Dopo quella giornata avrei dovuto sapere che la realtà è la peggiore nemica di ogni speranza. La sua voce mi diede i brividi.

- Mi aspettavo di trovarti in casa...-

 

*

 


carissimi, spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento e che la suspence non vi uccida!! 

sono felice di annunciarvi che a breve la nostra storia assumerà un nuovo punto di vista, un narratore occasionale che spero otterrà commenti favorevoli. 

Ma apriamo un sondaggio: cosa credete farà Elena? Chi ci sarà dall'altro capo del telefono?


Attendo i vostri commenti ;)

 

El <3



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Capitolo 7
*** Capitolo VI ***


Carissimi, ecco a voi il nuovo capitolo. Come al solito non ci sono molte recensioni... ;)
grazie mille a Giulia per i suoi preziosi consigli e a i miei lettori affezionati,
un bacio a tutti,

El <3 

 

 

*

 

 

Capitolo VI

 


Mi riebbi non senza difficoltà: la voce di Victor era vellutata, sensuale. Viscida.

- Cosa vuoi?- risposi, ostile, stringendomi nella coperta.

- Sai cosa voglio, piccola... E so che lo vuoi anche tu... Noi ci apparteniamo!- rispose, serio. Non c'era ironia nella sua voce, ne era realmente convinto. Quella sicurezza mi mandò in panico.

- Io non appartengo a nessuno, a te meno che mai...- risposi, tagliente.

- Sono il tuo creatore, il mio veleno scorre nelle tue vene...-

Era vero e ovviamente lo sapevo già, ma mi sconcertava come se ne avessi preso consapevolezza solo in quel momento. La verità era che sentivo un'apartenenza che non aveva niente a che vedere con lui.

- Lasciami in pace...- lo implorai.

- Torna a casa...-

- Sono già a casa...- lo contraddissi. Ero stanca di ripeterlo: forse pensava di prendermi per sfinimento, ma non avevo intenzione di cedere. Non adesso che sapevo cosa volevo da un compagno. Non adesso che avevo conosciuto Chris. La sua semplice esistenza era un motivo per andare avanti con la mia determinazione.

- Puoi negarlo anche con te stessa, ma io sono l'unica certezza nella tua vita...-

- Quanto hai bevuto, Vic?- lo apostrofai. Lui rise.

- Mi conosci così bene...- rispose, languido. Mi alzai in piedi, tentando di recuperare il controllo, lo sguardo perso oltre la finestra. Era l'alba.

Non mi accorsi subito di quelo che stava accadendo, ma dopo una frazione di secondo sentii decine di schegge di vetro conficcarsi nella pelle scoperta del mio piede sinistro. Imprecai sotto voce, mentre Victor mi chiedeva spiegazioni, allarmato.

- Ho calpestato dei vetri rotti...- risposi, esasperata.

- Vuoi che dia un'occhiata alla ferita?- mi chiese, improvvisamente sveglio e lucido.

- Non penso sia così grave...- declinai.

- Pensi di riuscire a guidare da sola fino al Pronto Soccorso?- mi chiese, ansioso.

- No...-

- Sono sotto casa tua, sto arrivando...-

Riagganciò prima che potessi rispondere altro. Non so perchè si comportasse così, ma sapevo che non dovevo assolutamente cadere in quella trappola. Lo conoscevo: era un egocentrico, non faceva nulla se non per un preciso tornaconto e se sperava di cavarsela con quelle sue odiose piccole premure, si sbagliava di grosso.

Suonò alla porta e zampettai per aprirgli, gocciolante di sangue. Lui mi fissò trasognato per un attimo, guardando la mia camicia da notte con un sorrisino. Si riebbe subito, prendendomi per la vita e sostenendomi fino al divano.

- Che ci facevano dei vetri sul tuo pavimento?- mi chiese, togliendosi il giubotto.

- Sono ancora lì, fa attenzione...- risposi, indicando la mia destra. Lui mi guardò severo, prendendo il mio piede ferito tra le mani ed esaminandolo con attenzione.

- Hai una pinzetta, vero?- domandò.

- Si, nell'armadio bianco in bagno, sul primo ripiano a destra...- risposi, rassegnata. Abbandonai la testa sul bracciolo del divano e chiusi gli occhi mentre lui si dirigeva verso il mio bagno. Lo sentii ritornare dopo pochi secondi e sedersi accanto a me, riprendendo il mio piede in grembo.

- Ho trovato anche garze e disinfettante...- mi informò. Cominciò ad estrarre i primi frammenti, i più superficiali, mentre il dolore mi mozzava il fiato. Procedeva velocemente, ma con accuratezza, guardandomi spesso in viso con una strana espressione. Sapevo di dovergli essere grata per quella cortesia perchè non sarei mai riuscita a guidare in quel modo, ma non riuscivo a non pensare che avrei desiderato qualcuno di diverso al suo posto, qualcuno che mi avesse curata da ferite ben più gravi per infliggermene una quasi mortale.

Quando Vic posò le pinzette mi sentii sollevata, mentre osservavo le scheggie insanguinate luccicare come rubini nel mio posacenere di vetro, cercando di ignorare i brividi causati dal contatto con le sue mani.

Mi medicò con cura, infine mi sorrise.

- Finito...-

- Grazie...- risposi, sospresa dalla sua amorevolezza. C'erano stati anni in cui una simile attenzione non avrebbe suscitato in me alcun sospetto. In cui quelle mani mi sarebbero parse gentili...

- Offrimi una vodka, ti prego...- mi disse, con gli occhi lucidi. Era ancora sotto l'effetto degli alcolici, ma era troppo sveglio per i suoi standard.

- Non ti dispiace prenderla da solo?- domandai.

- No, certo...- mi rassicurò...

- In frigo in cucina... i bicchieri sono nello sportello accanto, in alto...- lo istruii.

- Tu vuoi qualcosa?-

Volevo una macchina del tempo, oltre che un piede nuovo...

- Porta un bicchiere anche per me... di plastica!- risposi.

Ritornò poco dopo con due bicchieri pieni a metà di vodka con ghiaccio e metà fragola. Era sempre stato un tipo creativo. Sorrisi e afferrai il bicchiere.

- Grazie, Vic...- dissi – Per il piede e la vodka...- precisai.

Lui si sedette al mio fianco e trangugiò il contenuto del suo bicchiere in un lampo.

- Sai cosa mi farebbe felice...- rispose. Allungò una mano per accarezzarmi il viso. Mi guardava in modo strano, ma forse mi sembrava così per via dell'alcol... Era sincero, senza quell'aria da duro a tutti i costi che me lo rendeva così odioso. Senza l'arroganza che lo seguiva sempre come un'ombra. Ricordai l'ammirazione che provavo per lui quando ero stata sua allieva, la stima, il rispetto... A suo modo si era preso cura di me... Ma era riuscito a cancellare tutto in una sola notte, quella della mia fuga.

- Elena...- mi richiamò, sfiorandomi una gamba nuda con una mano. Si chinò su di me – Ti metto a letto prima che ti addormenti qui...-

- Penso di poter saltellare su un piede fino alla mia stanza...- risposi.

- Ho detto metterti a letto, non portarti a letto...- aggiunse lui, sorridendo.

- Mi stai offrendo un passaggio, quindi...-

- Assolutamente si...- rispose lui, alzandosi in piedi – Me ne andrò subito dopo aver controllato che tu sia a posto...-

Mi misi a sedere, mentre lui si sporgeva su di me per reggermi di nuovo per la vita, mentre io mi aggrappavo al suo collo. Mi lasciai sostenere, mentre varcavamo la porta della mia stanza. Mi adagiò fra le coperte, mettendomi un cuscino sotto il piede bendato.

- Cerca di riposare...-

Mi posò un bacio sull'angolo della bocca, pronto ad andare oltre se io glielo avessi concesso. Ma non ero in vena... La mia memoria mi pugnalò con l'immagine nitida di Chris quella mattina, sul prato, disteso sopra di me, le labbra sulle mie. All'appagamento di quel momento faceva fronte la sensazione di disagio che provavo con Victor... Il contrasto era nitido.

- Grazie...- risposi. Lui indugiò al mio fianco.

- Vuoi che rimanga?- domandò, teso.

- Non è necessario, sto bene...- declinai, sforzandomi di sorridere.

- Chiama per qualsiasi cosa...- concluse, avviandosi verso la porta.

Lo sentii infilarsi il giubotto, spegnere la luce e chiudere la porta alle sue spalle, mentre con un brivido realizzavo di essere rimasta per più di 30 minuti con la fonte dei miei incubi in casa mia. Era come se nelle ultime ore le parti si fossero improvvisamente invertite: Chris, il mio salvatore, colui che mi aveva curato e tenuto con sé per giorni, era un bugiardo; Victor, l'uomo che mi aveva costretta alla fuga e che tormentava i miei sogni, era corso in mio aiuto...

I motivi di quel comportamento rimanevano ancora ignoti, per me... Il motivo per cui consideravo quello di Cris un tradimento, invece, era molto chiaro: ero irrimediabilmente innamorata di lui. Tanto da non aver intuito, a dispetto del mio sopravvalutato fiuto per le trappole, che c'era qualcosa di torbido... Tanto da essermi affidata a lui, da avergli concesso tutta la mia fiducia...

Le sue parole mi erano sembrate sincere, ma non mi fidavo più della mia capacità di giudizio, né potevo dare per scontato che lui provasse ciò che provavo io...

Mi raggomitolai su me stessa, lasciando vagare la mente tra i pensieri meno dolorosi e ripercorsi con cura ogni momento con Melanie e Susan. Era la questione più seria e urgente al momento. Volevo assolutamente assicurarmi che la loro permanenza in istituto fosse la più breve possibile e che il tribunale le affidasse alle mie cure, ma non potevo impedirmi di valutare la questione da un'ottica più severa ed obiettiva: ero in grado di occuparmi di loro? Ero la persona adatta a crescere due bambine? Io ero un'assassina a piede libero, mi nutrivo di sangue umano per vivere, non ero capace di invecchiare... sarei mai potuto essere una buona madre?

Quelle domande mi ricordarono la mia scarsa propensione al matrimonio nella mia vita da umana... quella mattina avrei dato tutto per essere ancora una donna normale, per poter generare dei figli, per meritare di crescerli e non costituire per loro una minaccia... ma la mia sola esistenza era contro natura, così come il desiderio di avere dei figli dall'uomo che mi aveva tradita...

Lo desideravo esattamente come desidervavo che fosse al mio fianco in quel momento. Ma non potevo avere nessuna delle due cose. La felicità in quel momento era quanto di più irraggiungibile mi si prospettasse davanti.

Mi strinsi tra le coperte mentre il mio cellulare squillava impaziente. Il numero di Chris campeggiava sullo schermo a caratteri cubitali. Ogni squillo era una fitta di dolore inflitto dritto al cuore, distillato di malinconia e tradimento. Come un veleno mi toglieva consapevolezza e rendeva rarefatto tutto ciò che avevo intorno, imprimendo ogni cifra a fuoco nella mia mente. Lui insistè per un paio di volte, lasciò un messaggio in segreteria. Combattei con l'istinto di cancellarlo senza nemmeno ascoltarlo, ma non riuscii a evitare di desiderare quella voce. Il solo fatto di non rispondere era una violenza per me stessa... mi concessi la debolezza di ascoltare le sue labbra sussurrare il mio nome, abbozzare delle scuse.

Mi manchi...” aveva sussurrato.

Sentii il mio stomaco contrarsi, il mio respiro farsi più corto. Non potevo fare finta di nulla. La mia mente si oscurava di fronte al dolore per la sua assenza, ma non potevo permettere al mio bisogno di averlo di annullare qualsiasi istinto di sopravvivenza... trattenni le lacrime, stringendo le gambe al petto e rimasi così, incosciente, a fissare un raggio di sole riflettere uno spicchio di luce sempre più ampio sulla parete di fronte a me. Inerme e indifesa, mi sentivo esposta alla furia di un uragano con la mia sola pelle a proteggermi. Ero umana come non mai...

Non riuscivo a chiudere occhio, non riuscivo a spegnere la mente. Avrei voluto fuggire da tutto, lasciando la città e i miei tormenti lì, rifugiarmi in un posto a me caro, sentirmi di nuovo viva.

L'idea mi colse come una folgorazione. Mi misi in piedi con cautela, cercando di non appesantire il piede ferito, e presi una valigia dall'armadio. Scelsi i vestiti pesanti, abbondai con le quantità... Poi mi vestii e mi sistemai il trucco e i capelli. Dovevo andare via.

Veloce quanto mi era consentito dalla mia andatura zoppicante mi diressi all'auto. Indossai gli occhiali da sole, spinsi il piede sano sull'acceleratore e imboccai l'autostrada in direzione dell'aeroporto, mentre la mia mente faceva un veloce riepilogo del necessario per lasciare il continente. Finalmente sarei tornata a casa.

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Capitolo 8
*** Capitolo VII ***


 

*

 

Capitolo VII

(Christian)


Sentii la sua voce dall'altro capo del telefono, calda e rassicurante, e per un attimo mi ero persino illuso che avesse realmente risposto alla chiamata. Mi accorsi solo dopo una frazione di secondo di essermi sbagliato...

 

"Questa è la segreteria di Elena Scarlett Dumont. In questo momento non posso rispondere, lasciate un messaggio e vi richiamerò appena possibile..."

 

Sapevo che non lo avrebbe mai fatto, non con me almeno. L'avevo ferita, le avevo mentito... e mi aveva chiesto di starle lontano, era ovvio che non rispondesse. Ma speravo che ascoltasse il messaggio.

Avevo lo strano presentimento che le fosse successo qualcosa, ma forse ero solo paranoico. A parte Victor, ed era improbabile che fossero insieme, io ero la persona che temeva di più in quel momento, perciò dubitavo che in ogni caso avrebbe chiesto il mio aiuto. Da parte mia, però, non riuscii a farne a meno. Sorvolai sulla ragione della sua chiamata, puntando a comunicarle l'essenziale.

 

"Mi manchi..."

 

Doveva saperlo. Più dell'aria, più del sangue, più di ogni altra cosa io avessi mai desiderato prima di allora, l'assenza di Elena mi distruggeva. Avevo ancora il suo profumo addosso, l'impronta della sua mano sul viso...

Lanciai il telefono sul divano, nervoso e ostile come non mai, ma sapevo che era solo colpa mia. Ero stato un idiota, aveva tutte le ragioni per essere furiosa con me, ma non avrebbe mai capito il motivo delle mie omissioni.

Non avrei mai potuto lasciarla a se stessa, non dopo averla osservata per settimane, aver impresso nella mia memoria l'esatta fragranza del suo profumo, il ritmo dei suoi passi, il suono del suo respiro. Non dopo aver conosciuto la sensazione di estasi che mi dava il semplice stringerla tra le mie braccia, sfiorare le sue labbra. Non dopo aver rischiato di perderla.

Avevo violato la regola numero uno del mio mestiere: mai, mai portarsi il lavoro a casa.

Come cacciatore, e l'idea di esserlo davvero mi ripugnava nel profondo, avevo cominciato a domandarmi i motivi del mio pedinarla, come se dovessi sforzarmi di trovare una ragione per portare a termine ciò per cui ero stato assunto o un suo lato oscuro che giustificasse ciò che stavo facendo. Non che ci fosse un'etica professionale in ciò che facevo, ma era ovvio che chiedermi cosa mai volesse Victor da quella donna era stato il primo dei tanti passi falsi che avevo compiuto in quella situazione. Nell'esatto momento in cui avevo scorto per la prima volta la luce del suo sguardo, in cui avevo sentito la sua voce con le mie orecchie, in cui avevo smesso di annusare la sua camicia da notte semplicemente per fiutare la sua scia... Nell'istante in cui avevo preso consapevolezza di guardarla con altri occhi... era stato allora che mi ero reso conto di aver perso ogni barlume del mio ordinario distacco, della mia ostentata freddezza. Stavo cambiando, senza potervi porre rimedio. Avevo persino lasciato a metà il mio lavoro... fino alla notte nel vicolo. Non volevo neanche pensare a quella notte.

Come medico l'avevo tenuta al sicuro, avevo curato il suo corpo ferito e contuso per cercare di strapparla alla morte... l'avevo accarezzata con lo sguardo, sotto l'effetto dei sedativi, pregando un dio in cui non credevo perchè rimanesse con me, perchè la lasciasse vivere.

Non mi pentivo di nulla, avrei mandato al diavolo ogni stupida regola che mi aveva imbrigliato per tutti quegli anni se fosse servito a qualcosa, ma avevo violato la più importante: mai abbassare la guardia. E tutto ciò che avevo miracolosamente ottenuto si era sgretolato tra le mie dita. Ero un idiota, un vero idiota. Di quello ero assolutamente certo.

 

Avevo chiamato Victor dopo averle strappato un altro bacio prima che salisse in auto, diretta all'ospedale. Ero ancora in piedi sulla soglia di casa. Mi aveva risposto al primo squillo, quasi non aspettasse altro.

"Che posso fare per te?" aveva detto, sarcastico.

"Lascia Elena in pace" avevo sussurrato a denti stretti. Lui aveva riso fragorosamente.

"Dimentichi chi di noi regge le sorti del gioco, Signor Hunter, o devo dire Grey?"

"Sei un bastardo! Cosa vuoi fare?" avevo sibilato. Il veleno mi aveva invaso la bocca a fiotti, caldo e letale.

"Sai esattamente cosa farò. Del resto mi sei stato di grande aiuto, sebbene non possa dire che tu sia esattamente il più economico sulla piazza..."

"Non oseresti torcerle un capello..."

"Su questo hai ragione... Non riuscirei mai a costringerla... ma posso sempre persuaderla, e ho molti argomenti... oltre a quello che tu mi hai appena servito su un piatto d'argento. Ieri sera, al locale, è stata un'illuminazione. Ero riuscito a fare due più due risalendo alle informazioni che avevo ricevuto da te... ma non avrei immaginato di ritrovarmela li... Ah, si, credo di doverti ringraziare anche per questo... Era ancora più sexy di come la ricordavo, spero tu l'abbia tenuta in caldo per me..."

Si era interrotto per godere della mia reazione. Ero scioccato! Volevo stringere le mie mani intorno al suo collo fino a impedirgli parlare ancora in quel modo della mia Elena...

"Non riuscirai ad avvicinarti..." lo minacciai.

"Il caso vuole che io sia già nel parcheggio dell'ospedale pediatrico, il che mi ricorda che devo lasciarti... ho da fare..."

Aveva riagganciato prima che potessi urlargli contro il mio disprezzo. E il panico si era impadronito di me. Avevo fatto il numero di Elena, una, due volte. Niente. Doveva avere lasciato il cellulare in macchina.

Non potevo permettere che lo sapesse da lui. No, no. Si sarebbe sentita tradita, avrebbe avuto paura...

Avevo inforcato la mia moto, l'avevo lanciata a velocità che per quanto inumane mi parvero sempre troppo limitate. Ero in ritardo, era troppo tardi. E quando avevo incociato lo sguardo di lei, ancora con il fiatone, avevo compreso che ciò che avevo costruito in quelle poche ore al suo fianco, nei mesi sulle sue tracce... era crollato, abbattuto dal peso di quella verità.

Ero un idiota.

 

 

Mi sentivo un idiota. La testa fra le mani, il sole a tormentare il mio viso, beffardo. Non ero molto più che un umano, di giorno. Potevo piangere... Volevo piangere.

Ma non l'avrei fatto. Mi alzai in piedi, caminando avanti e indietro in cerca di una soluzione.

Avevo passato la notte così, per inerzia, senza capacitarmi di ciò che era appena accaduto.

L'avevo persa, avevo tentato il tutto per tutto, ma l'avevo persa.

Eppure mi aveva baciato. Un bacio furente, che aveva fatto divampare un incendio dentro di me. Avevo creduto che sarei morto tra quelle fiamme prima che arrivasse la doccia fredda. Non credevo uno schiaffo potesse farmi tanto male. Male da morire.

Desiderai che non fosse mai andata in quel maledetto ospedale, che non fossimo mai stati in quello stupido pub la sera prima, che Victor non mi avesse mai offerto quell'impiego.

Avevo smesso di pensare a lei come ad un lavoro quasi immediatamente, avevo finto ancora per un pò prima di gettare il cellulare nella spazzatura, mandando a monte il mio contratto con Victor. Quell'uomo era un demonio. Sentivo l'odio per lui vibrare in ogni sigola fibra del mio corpo, attingendo al dolore e al disiderio di vendetta che avevo tenuto a bada fino a quel momento, mentre un ringhio mi riempiva il petto... per morire lì, ancora prima che gli dessi voce.

La verità era che ce l'avevo solo con me stesso: avrei dovuto dirle tutto, avrei dovuto trovare un modo. Adesso c'era ben poco che potessi fare.

Sicuramente non mi sarei dato per vinto, non così facilmente. Non potevo perderla, non potevo perdere anche lei, e finchè non si fosse lasciata avvicinare nuovamente avrei dovuto semplicemente vegliare su di lei, attendere un segnale, uno qualsiasi, che mi facesse sperare nel suo perdono.

E intanto avrei tenuto d'occhio Victor. Ormai persino il semplice pensare quel nome mi faceva tremare le mani. Indossai il mio giubotto, diretto a passo svelto verso il garage.

 

Il tragitto verso casa di Elena fu interminabile. Sapevo che avrei trovato entrambi li, in qualche modo. Quello che non mi aspettavo era di vedere lei uscire dal palazzo, zoppicante, con una valigia al seguito e gli occhiali da sole a nasconderle buona parte del viso.

Registrai Victor, appostato in un'auto russa poco distante. Bastardo! Avrei voluto rompergli una ad una le sue miserabili ossa asiatiche. Ma dovevo scoprire dove era diretta Elena, era la priorità.

Le diedi un pò di vantaggio, non volevo che mi vedesse dallo specchietto retrovisore.

La seguii fino all'entrata dell'ospedale. Si, zoppicava.

Non mi ero sbagliato, allora! Doveva aver avuto qualche incidente domestico... mi si chiuse lo stomaco al pensiero che si fosse fatta male... e che io non fossi lì con lei.

Ma non potevo seguirla, perciò attesi. I minuti scorrevano lenti e impietosi, riducendo al minimo la mia già scarsa attitudine alla pazienza. Tamburellavo con le dita sul cruscotto, il casco ancora indossato, con la sola visiera alzata. Era una lenta agonia. Ovviamente quella non era la sua meta, altrimenti non avrebbe portato una valigia. Voleva andarsene, allontanarsi da Victor e, temevo, allontanarsi da me. Sapere di essere la causa della sua partenza mi faceva sentire se possibile ancora più in colpa.

Cosa avevo fatto?

Cosa avevo messo in moto?

Avrei solo voluto proteggerla e il risultato era stato pessimo, catastrofico: l'avevo spinta a lasciare tutto, a scappare. Io, che tanto odiavo Victor Romenek per tutto ciò che le aveva causato, le avevo inferto una ferita che sapevo sarebbe stata difficile da guarire... che avrebbe riaperto con forza la porta di un passato che credeva dimenticato e che invece era tornato prepotentemente a sconvolgerle la vita.

In cosa ero tanto dissimile da lui? L'avevo ferita, esattamente come lui. L'avevo costretta a scappare, esattamente come lui. La volevo per me, esattamente come lui.

Ma io l'amavo e questo era sufficiente a rendermi per lei un compagno migliore di quanto lui non sarebbe mai stato. Anche se l'avevo ferita, anche se l'avevo costretta a scappare. Se solo mi avesse voluto ancora...

Pieno di segreti, pieno di difetti, ma se mi avesse accettato così, con i miei spigoli, sentivo che nulla mi avrebbe mai più potuto tenere lontano da lei. Perchè io la amavo.

Non ricordavo nemmeno più quella sensazioni di nodo allo stomaco, di respiro accelerato, di ansia che adesso sentivo distintamente dentro di me e che ricollegavo ad una sola spiegazione. Perchè ormai non avevo dubbi del fatto che mi fossi irrimediabilmente innamorato di lei.

Di lei che finalmente usciva dall'ospedale, ancora con passo incerto, e risaliva in auto, sferzando l'aria con i suoi lunghi capelli scuri catturati dal vento.

Di lei, che guidava veloce verso l'aeroporto internazionale e saliva sul primo aereo.

Di lei, che si allontanava da me, ferita.

Di lei, che dovevo proteggere, a tutti i costi. Con la mia stessa vita.

 

*

 

Carissime/i, spero il pov del nostro Chris sia stato di vostro gradimento!
A prestissimo,

Elanor

 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo VIII ***


 

*

Capitolo VIII

(Elena)

 

Guardai oltre la nuvola di vapore prodotta dall'acqua calda nella vasca da bagno che aleggiava nella piccola stanza d'albergo. Ne percepivo ogni singola molecola, ogni insignificante particella, ma attraverso di essa ero riuscita a cogliere anche l'ombra sfuggente che aveva attraversato il mio campo visivo per una frazione di secondo o poco più per poi sparire, inghiottita dalla notte.

Repressi un brivido, pensando a cosa potesse significare. Esattamente come tutti i miei simili ero circondata da un'aura perenne di pericolo e mistero che di solito mi rendeva facile da individuare ed evitare... certo, esistevano numerose eccezioni. Era successo nel vicolo, con i miei assalitori, troppo ubriachi per percepire quella strana morsa allo stomaco che di solito precede la consapevolezza di essere in pericolo...

Succedeva con gli uomini, spesso troppo interessati al mio aspetto per percepire la tensione che la mia semplice vicinanza avrebbe dovuto scatenare in loro.

Era successo anche con Sue e Mel, troppo piccole per subire il mio fascino, troppo pure per conoscere la vera paura.

Quella sera, però, avevo la certezza che solo uno come me avrebbe potuto desiderare di spiarmi. Un vampiro. Dopo anni ancora disprezzavo quella parola. Il pensiero irrigidì la mia posa. Non volevo pensarci.

Uscii dal bagno avvolta nell' accappatoio morbido, continuando a guardare oltre la finestra, e mi adagiai sulla sponda del letto a due piazze, tentando di mantenere la calma. Che si trattasse di Victor o Chris, di qualcuno posto sulle mie tracce da uno dei due o semplicemente di uno sconosciuto, l'importante era mantere la calma e la concentrazione. Chiusi gli occhi e trassi un respiro profondo, richiamando alla mente i fondamenti del training autogeno. Di solito mi aiutavo con quel sistema quando la sete mi coglieva impreparata, quando non trovavo il tempo per la caccia, quando ero troppo vicina a trasformarmi nella bestia che sapevo di essere e che tentavo in ogni modo di ricacciare indietro.

Istintivamente annusai l'aria scomponendone in fretta le diverse tonalità olfattive. La vetrata chiusa mi ostruiva i sensi e li arginava, negando le risposte alle domanda che, inevitabilmente, affollavano la mia mente. Cosa avrei fatto? Non avevo prove che mi stessero seguendo... forse stavo diventando paranoica, o forse desideravo che qualcuno mi avesse seguito fin lì.

La sensazione di perdita e di vuoto riempì i miei pensieri, come ogni notte da quella odiosa sera in ospedale, non riuscivo a fare a meno di soffrire. Non era solo rabbia per le bugie che avevo smascherato, né frustrazione per quel chiaro tradimento... né delusione per aver scoperto in Chris un lato oscuro che non avrei mai sospettato possedesse, celato da quei suoi occhi così gentili, da quel blu che era diventato in breve tempo il mio rifugio. No, a tormentarmi era la sua assenza e il bisogno che ne derivava, un bisogno fisico, dopo gli anni passati in solitudine, senza un compagno che potesse stare al mio fianco nei momenti di difficoltà. Ma era un bisogno soprattutto emotivo, dopo aver sentito risvegliarsi in me sentimenti che avrei giurato di non possedere più.

Mi ero sentita me stessa, per la prima volta dopo anni. Sua, ma me stessa. E avevo compreso che in qualche modo mi aveva restituito alla vita, prima di strapparmi la felicità cui mi ero aggrappata con tutte le mie forze.

Una piccola parte di me avrebbe voluto cancellare ogni istante trascorso con lui, nella speranza di alleviare quella sofferenza che mi mozzava il fiato di giorno e mi toglieva il sonno durante la notte. Un'altra parte di me, arroccata dietro spessi muri di rimpianto, rincorreva avida ogni ricordo legato a lui, ogni dettaglio dei pochi giorni passati insieme... dalla notte nel vicolo al pomeriggio in cui Victor aveva brutalmente cancellato tutto.

Ma cancellare non era come dimenticare. E io non avevo dimenticato.

Victor era il pungolo che mi dava la forza di non raggomitolarmi su me stessa, l'unica ragione per cui non mi lasciavo semplicemente andare alla deriva. Se mi avesse trovata lì in quello stato, ero certa che avrebbe saputo come approfittarsene. Debole e sola... il solo pensiero di tornare nelle sue mani mi tormentava.

Mi aveva curata, nel suo complicato tentativo di persuadermi, ma non c'era amore nei suoi gesti. Non c'era dolcezza, passione. Non c'era Chris dietro quelle mani, ad accarezzarmi, a mettermi a letto. Non era Chris... non lo sarebbe mai stato.

E io non potevo permettermi di continuare così: il mio corpo cominciava a tradire lo stress e la tensione. Non mangiavo da giorni, persino di notte non sentivo alcun bisogno di nutrirmi. Circondata da umani addormentati ero divenuta un predatore inoffensivo, annientata dal mio stesso dolore. Se anche fossi stata incline a seguire la mia natura assassina, e così non era, non avrei trovato ugualmente soddisfazione in quei corpi. Perchè la mia sete non si poteva placare col sangue umano.

Quella sera avevo deciso di cambiare strategia: avevo bisogno di distrarmi, di pensare ad altro, di vedere facce, luci.

Mi vestii accuratamente, scegliendo degli abiti che non destassero nel mio accompagnatore desideri che non avrei potuto soddisfare. Non potevo permettermi di perdere l'unico umano che avesse mostrato gentilezza nei miei riguardi per stupida vanità. Un tempo ero stata vittima di quel sentimento, plasmata dalla mente del mio creatore, col tempo e la libertà era divenuto mio alleato, ma quella sera non potevo permettermi di assecondarlo. Non volevo dare a Henry l'impressione sbagliata, né indurlo a fare proposte che non avrei potuto declinare senza indisporlo o come minimo offenderlo. C'era qualcosa di buono in lui, di estremamente puro, che non volevo turbare. Era un gentiluomo, non meritava un rifiuto.

Lo avevo conosciuto al bar dell'albergo, qualche sera prima. Ero seduta al bancone, con un martini in una mano e mille pensieri per la testa. Si era seduto al mio fianco, leggero, chiedendo al barista di portargli qualcosa di forte. Aveva un'aria stanca, ma i suoi occhi verdi erano vigili e non ci aveva messo molto a scorgermi. Si era presentato, aveva chiacchierato e mi aveva salutato, prima di tornare in camera.

Non aveva provato a portarmi a letto, non aveva tentato di avvicinarsi più del lecito.

Non so dove avesse trovato il coraggio di invitarmi a cena la sera prima.

 

La consapevolezza di essere un potenziale pericolo per lui risvegliò il senso di colpa... non era bastato ripetermi che non lo stavo usando, che era solo una cena, per metterlo a tacere. Sapevo di esporlo ad un rischio che non avrebbe mai potuto prevedere: la morte non era un pensiero fisso negli uomini della sua età, così come non rientrava tra le sue speculazioni l'idea che non fossi umana... Ero fin troppo allenata in quel ruolo. Per anni avevo desiderato che mi appartenesse fino in fondo. Poi avevo incontrato Chris... il suo pensiero non mi lasciava mai.

 

Mi lisciai le pieghe della gonna di sera che avevo indossato sotto il cappotto scuro, cercando di spianare con la stessa facilità i miei pensieri... Mi guardai allo specchio per uno sguardo d'insieme: ero elegante, ma non appariscente. Sobria, non troppo truccata.

Mi avvolsi in un'ampia sciarpa, chiudendomi la porta alle spalle e mi infilai nell'ascensore. Il ragazzo dell'albergo, lo stesso che mi aveva accompagnata in camera due sere prima, sgranò gli occhi per un attimo, mentre sentivo la sua gola chiudersi con un suono umido. Si passò la mano tra i capelli mentre premeva il pulsante che conduceva nella hall.

L'odore in quel piccolo vano era irresistibile, ma la tentazione era minima, quasi inesistente. La tenevo a bada con facilità, nonostante sentissi chiaramente il sangue scorrere nelle vene, il calore della sua pelle. Un fotogramma della notte nel vicolo mi fece reprimere con ribrezzo l'immagine di me con le labbra sul suo collo... Non lo avrei ucciso, non volevo essere un mostro. La bestia non sarebbe riemersa. Non quella sera.

Un tenue scampanellio annunciò il mio arrivo al piano terra. Lasciai il vano stretto e saturo di quell'odore delizioso, grata per la mia inappetenza. Se non altro, gli aveva salvato la vita.

Mi accomodai sul divano all'ingresso, con le spalle ad una vetrata che dava sulla strada illuminata. Potevo sentire le auto scorrere sull'asfalto umido della brezza serale, i dipendenti dell'albergo chiacchierare immersi nelle loro mansioni.

Guardai davanti a me solo per un istante, appena in tempo per vedere il mio gentile accompagnatore uscire dall'ascensore, il cappotto ancora sbottonato, i capelli biondi pettinati all'indietro. Era un bell'uomo, senza dubbio.

- Sono imperdonabile... spero che tu non sia qui da molto...- si scusò sorridendo.

- Sono appena arrivata...- risposi ricambiando il sorriso. Con lui era semplice dimenticare per un attimo le mie ossessioni. Gli fui silenziosamente grata per quella sua capacità.

- Sei davvero... elegante stasera...- disse imbarazzato.

- Grazie- risposi, lieta di essere riuscita a canalizzare in quella direzione le sue parole. Era un piccolo successo - Anche tu sei molto elegante...- ricambiai, osservandolo meglio. Quella sera aveva una camicia bianca sui pantaloni grigio fumo. Si chiuse il cappotto e mi offrì il braccio, che accettai.

- Spero non ti dispiaccia camminare un po'...- mi disse, premuroso.

- Affatto...- risposi, non vedevo l'ora... volevo rivedere la mia Parigi, dopo anni di assenza dall' Europa-

Non riuscii a fare a meno di voltarmi indietro, individuando la mia camera tra le file di finestre che davano sulla stessa strada. Non so se cercassi conferma ai miei sospetti o semplicemente rassicurazioni. Non vidi nulla di strano, la finestra era chiusa, la luce spenta... Eppure sentivo una strana sensazione. Era come avere un riflettore puntato addosso. Sentivo uno sguardo puntato su di me, il mio istinto pronto a rispondere a qualsiasi attacco. L'irrequietudine arrivò in fretta, mentre un nodo mi stringeva lo stomaco. Inspirai a fondo prima di guardarmi intorno, fingendomi interessata all'arredo urbano.

Henry non poteva stupirsi di quel gesto e io ne approfittavo per setacciare la strada, circospetta e allo stesso tempo attenta al suo educato monologo che scongiurava un imbarazzante silenzio.

La sorpresa sostituì l'irrequietudine colpendomi come una palla di cannone: un'auto presa a noleggio era parcheggiata in un vicolo dietro l'abergo, i vetri appannati, ma il guidatore ben riconoscibile, nonostante la barba incolta, i capelli spettinati.

Nella mia mente ogni dettaglio andò al suo posto. Sentivo il mio respiro accelerare senza poterlo evitare: lui era li. Mi ci volle un attimo prima che quella consapevolezza prendesse forma nella mia mente. E la mia reazione non tardò ad arrivare. Ero furiosa. Come osava? Chi gli dava il diritto...? Non riuscivo a credere che avesse avuto il coraggio di venire fin lì.

Non dopo quello che gli avevo detto, non dopo il mio schiaffo. Il sollievo si sostituì alla furia, che si dileguò veloce come era arrivata.

Perchè nonostante tutto ero sollevata di sapere che non gli era accaduto nulla, che stava bene... E che quell'ombra nella mia camera apparteneva a lui. Una parte di me sentiva di averlo sempre saputo, una parte di me agognava di raggiungerlo lì, in quell'auto, e stringerlo tra le mie braccia.

No, mi imposi. Non avrei mandato a monte la serata. In teoria avrei dovuto essere inconsapevole della sua presenza, ma soprattutto avrei dovuto essere ancora arrabbiata. No, non avrei disdetto quella cena. Henry non lo meritava.

Mi feci forza, quel veloce susseguirsi di emozioni era durato il tempo di una rapida occhiata.

Rivolsi lo sguardo all'uomo, che mi sorrise apprensivo per la mia aspressione turbata.

- Spero che la mia non sia una domanda indelicata...- aggiunse.

Quale domanda? Mi dovevo essere persa qualcosa... riesaminai la sua voce attraverso i miei ricordi più recenti... sorrisi, non era una domanda imbarazzante.

- Non poi così indelicata... - risposi, con calma - Ho ventitre anni... e tu?-

- Ho oltrepassato la soglia dei trenta...- rise, pacato - Sei molto più elegante e matura di ogni donna della tua età che io abbia conosciuto, ma devo supporre che abbia poco a che fare con l'età... no?-

Matura... se solo avesse immaginato che potevo essere la sua bisnonna sarebbe fuggito a gambe levate. Tenni quel pensiero per me.

- Sei molto giovane per essere un fisico aerospaziale che progetta velivoli top secret per il governo, non trovi?...- constatai.

- Diciamo che amo molto il mio lavoro e la mia età non mi ha impedito di lavorare al fianco delle persone giuste...- rispose, sfiorandosi il pizzetto curato in segno di nervosismo - Tu cosa fai nella vita?-

- Sono socia di uno studio legale... ho cominciato a lavorare lì come tirocinante quando ancora frequentavo l'università, dopo la laurea mi hanno chiesto di rimanere...-

- Harward?- domandò lui.

- Yale... deluso?- chiesi, in tono ironico. Quell'uomo mi metteva di buon umore.

- Affatto...-

Henry mi guidò fino ad un piccolo ristorante, in una viuzza secondaria, con l'insegna verde scuro e dorata che recitava in caratteri eleganti “Il leone d'argento”. Era un posto elegante, non esattamente da cena informale tra amici.

 

Mi ritrovai seduta al tavolo con il dolce nel piatto di fronte a me senza che me ne fossi resa conto. Avevamo chiacchierato per tutta la durata del pasto, ma quella cena non stava sortendo gli effetti che desideravo, non dopo ciò che avevo visto in strada...

- Elena... il tuo corpo è qui, ma la tua mente è altrove...- disse Henry, affondando il proprio cucchiaino nella coppetta di vetro della creme brulee. Sembrava dispiaciuto, ma non offeso.

Non so cosa avevo fatto per meritare tanta indulgenza. Sorrisi, colpevole, mentre cercavo di farmi perdonare la mia distrazione.

- Sai, ogni tanto vado a trovare i bambini dell'ospedale pediatrico e sono un po' in pensiero per alcuni di loro... E' tanto che non ho loro notizie...- risposi, era una mezza verità. Più che altro sentivo la mancanza di Mel e Susan e mi rammaricavo di non poter essere al loro fianco da tanti giorni. Ma era esattamente anche una mezza bugia.

- Devi essere molto legata a loro...-

- Si, lo sono....-

Chiamò con una mano il conto e infilò una banconota nel piccolo astuccio di pelle contenente la ricevuta di pagamento.

Si alzò in piedi e indossò il cappotto, aiutandomi a infilare il soprabito nero.

- Mi ha fatto molto piacere trascorrere la serata in tua compagnia...- dissi cauta.

- Davvero?- domandò lui aprendomi la porta del ristorante e conducendomi fuori.

- Si...-

La temperatura era scesa e piccoli fiocchi di neve vorticavano lenti nell'aria, sospinti dal lieve vento. Senza nemmeno premeditarlo allungai una mano verso i capelli di Henry e li liberai dai cristalli ghiacciati. Trattenni il fiato mentre lui mi afferrava la mano e se la avvicinava alle labbra.

- Sei una ragazza speciale, Elena...- disse con voce bassa. Abbassai lo sguardo, conscia di aver commesso un passo falso e arretrai. Lo vidi avvicinarsi, un passo dietro l'altro, prima che mi prendesse il viso tra le mani guatate di pelle e mi posasse un bacio sulla guancia. Sentii le sue labbra calde e morbide, il suo cuore accelerare i battiti, ma non andò oltre. Alzai gli occhi su di lui, grata ancora una volta di quella sua delicatezza.

- Mettiamoci al riparo...- suggerì poi, portandomi per mano verso l'albergo.

Accelerarammo il passo fino quasi a correre, mentre la neve continuava a scendere lenta e ritmica sulle nostre teste.

L'ingresso dell'albergo era assiepato di nuovi ospiti, asciutto e caldo. Henry chiamò l'ascensore.

- Posso offrirti qualcosa da bere nella mia stanza?- chiese lui, sorridente. Aveva gli occhi lucidi per il freddo e il cappotto umido per la neve.

- Accetto volentieri...- risposi di getto. Mi pentii quasi subito di aver accettato, ma l'idea dell'ignoto mi spaventava a morte, non volevo restare sola. Volevo vedere Chris, ne avevo bisogno, ma allo stesso tempo non volevo tornare nella mia stanza. Se il fatto che fosse a Parigi avesse significato che anche Victor lo era... allora era meglio che non rimanessi sola.

Una voce nella mia testa mi avvertì di non commettere sciocchezze, ma non potevo evitarlo.

L'ascensore si arrestò al terzo piano dell'albergo, aprendosi su una saletta arredata in modo semplice ed elegante. Henry mi porse nuovamente il braccio. Lo strinsi volentieri mentre mi conduceva fino alla camera. Strisciò la chiave elettronica nell'apposita fessura e abbassò la maniglia. La luce sia accesse automaticamente, illuminando gli arredi scuri e la tappezzeria color panna. La camera era accogliente, pulita... Il computer portatile era appoggiato sulla scrivania insieme a dei rotoli di carta, probabilmente dei progetti.

Mi aiutò a togliere il cappotto e lo appoggiò sulla poltrona, mentre io mi accomodavo sul letto a caviglie incrociate.

Henry aprì il frigobar e ne estrasse una bottiglia di Champagne e la stappò con un suono sordo. Lo versò in due bicchieri e me ne porse uno.

- A Parigi, la città più romantica del mondo!- disse. Io sollevai il bicchiere, cercando di non cogliere allusioni inesistenti dietro quel brindisi. Lo bevvi in un sorso, annaspando nel tentativo di sciogliere la mia agitazione. Lui me ne versò un altro.

- Cosa ti conduce qui, dolce Elena?- mi chiese, improvvisamente serio – Stai scappando da un ex marito che ti perseguita?- aggiunse ironico.

- Non proprio... ma ci sei andato vicino- ammisi. Dopo tre bicchieri di champagne stavo meglio.

- Qualsiasi cosa ti abbia costretta a fuggire... non permettere che ti dia la caccia, non lasciare che condizioni la tua vita. Hai sempre una scelta...- mi disse, serio.

Rimasi in silenzio. Quella sera mi aveva sorpresa già due volte, sotto la neve, prima, e adesso con quella delicatezza che lo faceva apparire un uomo d'altri tempi.

Lo guardai negli occhi verdi, ma non riuscii a prevedere quello che avrebbe fatto. Mi prese il viso con una mano e avvicinò le labbra alle mie. Immediatamente il veleno mi invase la bocca, mentre la gola mi bruciava come se l'avessero marchiata a fuoco. Ecco una reazione sensata, finalmente! Attesi che si allontanasse, cercando di non ricambiare il bacio, di non incoraggiarlo. Per prima cosa se avessi dischiuso le labbra lo avrei addentato... non volevo farlo. Seconda ragione, non erano sue le labbra che desideravo.

Quella certezza mi fece ragionare più lucidamente: dovevo tornare nella mia camera. Adesso, senza indugi. Mi alzai dal letto, prima di scoprire i denti come il predatore che era in me desiderava fare. Henry mi guardò, imbarazzato.

- Ti chiedo scusa, non avrei dovuto!- disse.

- Mi dispiace – risposi, tentando di mantenere la calma. Poi afferrai il cappotto e imboccai l'uscita. Non usai l'ascensore: adesso che sentivo la fame non era saggio trovarmi così vicino al ragazzo dell'albergo. Finii per fare le scale a piedi, veloce come una folata di vento, giungendo davanti alla mia camera in meno di un minuto. Avrei dovuto sentirmi compiaciuta di quel piccolo successo, ma mi sentii di nuovo inquieta. Annusai l'aria. Il mio odore impregnava la stanza, lo avvertivo anche dall'esterno, e misto ad esso la fragranza che non avrei potuto mai rimuovere dalla mia memoria, nemmeno dopo anni di lontananza.
Il momento della verità era arrivato, ed io ero pronta. 

 

*

 

Note dell'autrice: con qualche giorno di ritardo, ma eccomi qui! 

La storia riprende dal punto di vista di Elena che è sempre la narratrice principale ad eccezione di alcuni brevi brani narrati dal punto di vista di altri personaggi che saranno inseriti nel corso della storia e che ho ragione di ritenere che troverete molto interessanti...
Spero che il cambio di location non vi dispiaccia :) 

Lasciate qualche recensione, se vi va... 
Elanor <3

 

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Capitolo 10
*** Capitolo IX ***


*

 

Capitolo IX

 

 

Aprii la potra di scatto, mentre la mia mente registrava dettagli insignificanti e vitali allo stesso tempo: un giubotto di pelle sulla mia poltrona, la finestra aperta, la luce della lampada accesa.

Lo percepii prima ancora di vederlo, nell'istante in cui il suo odore si infrangeva su di me come le onde dell'oceano sugli scogli.

Lo guardai per una frazione di secondo, riempiendomi gli occhi di lui. Era in piedi, la camicia arrotolata fino ai gomiti, i capelli spettinati dal vento che soffiava dalla finestra, gli occhi seri e attenti. La barba incolta, come avevo notato prima. Era bellissimo, quasi mi mozzava il fiato.

Mi scrutò in cerca di qualcosa, mentre mi sentivo cedere.

- Vuoi farmi impazzire?- mi accusò, la voce dura e fredda.

Il suo tono spezzò l'incantesimo che mi aveva rapita quando avevo messo piede in quella stanza. Chiusi la porta alle mie spalle e gettai il cappotto sul suo giubbotto. Solo in quel momento ricordai che al di là del disperato bisogno che avevo di lui, ero ancora arrabbiata. Mi sforzai di ottenere quella reazione, per quanto insensata mi apparisse in quel momento.

- Cosa ci fai qui?- chiesi. Avrei voluto avere un tono acido, tutto ciò che ne uscì fu un sussurro.

Mi vidi mentre correvo ad abbracciarlo, ferma nella mia posa rigida e proiettata solo con la mente nel futuro... lui mi guardò, la lotta interiore ben visibile nei suoi occhi.

- Speravo di poterti impedire di fare qualcosa di molto stupido...- rispose. Sostenne il mio sguardo, arrabbiato. Così ero io a non dover fare cose stupide? Come osava?

- So controllare la mia sete...- risposi secca. Mi sentivo offesa.

Mi guardò come se delirassi. I suoi occhi interruppero il contatto con i miei, vagando intorno per la stanza. Era imbarazzato.

- Temevo che andassi a letto con lui...- chiarì, mentre la gelosia prendeva forma dietro quelle parole.

Nella mia mente l'idea di qualcuno diverso da lui mi ripugnava. Non avrei mai potuto farlo, non riuscivo nemmeno a immaginarmi in una situazione del genere con un altro. Una strana sensazione di euforia mi colse impreparata mentre Chris rivendicava a parole ciò che era già suo, ma dentro di me mi sentivo ferita. 

- Non so cosa mi ferisca di più... che tu mi abbia mentito o che mi reputi capace di farle una cosa simile...- lo attaccai, incapace di trattenermi – Ma se anche così fosse stato?- azzardai.

Il suo viso fu attraversato da mille espressioni diverse... astio, dolore, gelosia, furia, sofferenza. Quest'ultima lo sopraffece. Si voltò verso la finestra, osservando la neve che continuava a cadere lenta. Valutava l'idea di saltare giù.

Mi pentii subito di aver parlato in quel modo: vederlo soffrire, nonostante tutto, era peggio che soffrire io stessa... era insopportabile. Piuttosto che farmi sentire sollevata, mi gettava ancora più a fondo.

Gli andai incontro, fermandomi un passo dietro di lui.

- Non sarei dovuto venire qui...- disse, voltandosi lievemente verso di me – Hai ragione, non sono affari miei...-

- Chris...- sussurrai. L'idea di stargli lontana mi prostrava in uno stato in cui non volevo più ritrovarmi. Sentii lacrime invisibili arrossarmi gli occhi. Avrei voluto piangere, avrei voluto pregarlo di restare, ma non lo feci. Una irriverente voce nella mia mente mi diceva di stare attenta... Chi poteva assicurarmi che non mi stesse mentendo ancora o che non lo avrebbe fatto di nuovo? Lo guardai confusa, tentando di capire cosa fosse cambiato dalla settimana precedente, il perchè la mia rabbia si fosse dissolta e i miei propositi di rimanergli lontana vacillassero. Avevo capito... e non mi importava.

Sapevo, ma non m'interessava. Per una volta lasciai che l'istinto mettesse a tacere il cervello.

- Cosa?- chiese cupo.

- Perchè sei qui?- domandai. Stavolta non era un'accusa. No, ne andava della mia vita.

Lui esitò per un istante, affondando con il suo sguardo dentro di me, come solo lui era capace di fare. Sperai che vi leggesse il dolore che mi aveva causato stare lontana da lui, e il perdono, spontaneo e incondizionato... Non so cosa vi lesse.

Mi strinse al petto con entrambe le braccia, sentivo le sue labbra sui miei capelli... Lo strinsi anch'io, mentre sentivo ogni tassello tornare al suo posto. Ormai ero irrimediabilmente coinvolta. Era impossibile negarlo, non ero riuscita a evitare che accadesse, non ero riuscita a uscirne... ero in trappola. In una trappola da cui non volevo liberarmi.

- Io... ti devo delle scuse...- mormorò, la voce roca e malinconica – Non sarei dovuto venire qui. Dovevo rimanere a casa, starti lontano come mi hai chiesto, ma non ci riesco... Ci ho provato, ma non ce la faccio... Ho bisogno di te...- aggiunse. Sapevo cosa voleva dire. Non era una scelta, non si poteva nemmeno combattere. Lo avevo provato sulla mia pelle: il senso di vuoto, la paura, la malinconia...

Le sue mani mi sfioravano caute, tenere, riprendendo confidenza con il mio corpo.

- Pensavo di farcela...- sussurrai. Il mio orgoglio la diceva lunga in proposito, ma mi ero sbagliata.

- E io non credevo che lasciarti andare sarebbe stato così difficile...-

Mi accarezzò il viso, sentivo il suo tocco privo di esitazioni, mentre cercava i miei occhi con i suoi.

- Non sono andata a letto con Henry...- dissi, sincera.

Mi guardò per un attimo, indeciso, mentre un lampo di comprensione gli attraversava lo sguardo.

Mi sollevò per la vita e mi strinse ancora di più a sé, le labbra al mio orecchio destro.

- Ti amo!- mi sussurrò, la voce arrochita dall'emozione. Lo guardai attonita per una manciata di secondi: era la prima volta che me lo sentivo dire. Deglutii nervosamente, mentre la mia mente ritornava a mio padre, l'unica persona che mi avesse mai veramente amata. Quello era un sentimento diverso, ma lo percepivo in ogni fibra del mio corpo, come se fosse parte di me.

Avvicinai le labbra alle sue, fu un riflesso incondizionato, esattamente come respirare, mentre chiudevo gli occhi e lasciavo che la felicità che sentivo in quel momento scorresse libera dentro di me. Si, ero felice. Nonostante tutto mi sentivo bene.

Chris era lì, era con me, mi amava e non mi importava di Victor sulle mie tracce, né di nessun altro al mondo. Il mondo era quella stanza d'albergo, iniziava e finiva con noi.

Fisicamente eravamo fatti per combaciare, emotivamente eravamo legati a doppio filo... Sapevo di amarlo prima ancora che me ne rendessi conto razionalmente, quella notte ne presi solo piena consapevolezza.

Le nostre mani cercavano ogni singolo centimetro di pelle che riuscivano a raggiungere, le nostre labbra si rincorrevano senza sosta, con una passione che mi lasciava senza fiato.

Mi sbottonò la camicia, lentamente, mentre io gli toglievo la sua, indugiando con le dita sulla sua schiena morbida. Lo strinsi forte a me, allacciando le mie gambe alla sua vita, mentre mi metteva a sedere sullo scrittoio davanti a lui. Mi tolse le scarpe col tacco, lasciandole cadere sul pavimento con un piccolo tonfo, poi mi sollevò la sottoveste di seta, facendomi alzare le braccia per sfilarmela. Gli accarezzai i capelli scuri, il viso, scendendo lungo il suo collo fino alle spalle larghe, alle braccia.

Avvicinai il mio corpo al suo, mentre lasciavo cadere la sua cintura e mi lasciavo sollevare dallo scrittoio. La mia schiena toccò le lenzuola morbide, mentre le mie labbra ritrovavano le sue. Si allungò su di me per spegnere la luce, senza mai staccare i suoi occhi dai miei, senza mai smettere di accarezzare il mio corpo che bruciava sotto il suo tocco. Lo volevo con tutta me stessa.

Lo aiutai a sfilarmi gli ultimi vestiti che avevo ancora indosso. Feci lo stesso con i suoi, che finirono sul pavimento.

- Fermami adesso, o non ne sarò più in grado...- mi sussurrò. Le sue parole si spensero sulla mia bocca, nell'intreccio delle nostre gambe, nella vicinanza dei nostri corpi.

Il tempo si fermò per un attimo mentre dolce come una carezza si faceva largo dentro di me, con un unico, fluido movimento. E fui sua, in ogni modo possibile.

 

*

 

La luce dell'alba mi svegliò tenue, filtrata dalla neve sui vetri delle finestre. Sbattei le palpebre per un attimo, cercando di capire cosa fosse accaduto. Il dolore che solitamente mi aspettava al mio risveglio non arrivò, la sensazione di vuoto era un'eco lontana. Mi sentii disorientata. Ero fin troppo abituata a quelle sensazioni per riuscire a spiegarmene l'assenza. Tentai di ricostruire cosa fosse accaduto prima che andassi a dormire.

Cosa avevo combinato? Ricordavo di aver lasciato la camera di Henry prima di commettere qualche sciocchezza, di essermene andata subito dopo quel bacio... Qualcosa non quadrava...

Quella era la mia stanza, non quella del mio amico svizzero, e sotto il mio cappotto, sul bracciolo della poltrona stava un giubotto di pelle che conoscevo benissimo. Annusai l'aria intorno a me, persino di giorno, senza i miei sensi super sviluppati avrei riconosciuto quel profumo magnifico. Frammenti di immagini della notte appena passata mi invasero il campo visivo, mentre avvertivo due braccia stringermi con più forza.

Mi girai lentamente, cercando di non mostrare il mio disorientamento. Tutto stava prendendo forma nella mia coscienza, ogni tassello stava tornando al suo posto.

Lo vidi guardarmi con aria beata, come se non potesse chiedere nulla di meglio e mi sentii a mio agio.

- Buongiorno!- mi disse, con un sorriso. La sua mano mi accarezzava la schiena nuda, con un braccio mi faceva da cuscino.

- Ciao!- risposi, ricambiando il sorriso. Instintivamente gli accarezzai il viso, lasciando scorrere la barba ispida tra le dita.

- Hai dormito bene?- mi chiese. Annuii lievemente, mentre ripensavo alla notte precedente. Non ne avevo mai trascorso una simile, non in compagnia di qualcuno che amassi veramente. Con Victor si era trattato sempre di un dovere, qualcosa di fisico che nulla aveva a che vedere con l'emotività. Soddisfaceva gli istinti, ma mi lasciava vuota.

Con Chris era stato un bisogno, la voglia di sentirsi vicini, di ritrovarsi. Era istinto, certo, ma guidato dal sentimento. La soddisfazione era piena, totale, l'appagamento era tangibile, mi sentivo bene.

- A cosa pensi?- mi chiese lui, preoccupato.

- A questa notte...- risposi sincera mentre un lieve rossore mi colorava le guance.

Mi accarezzò il viso, rassicurante, mentre parlava con la sua voce calma e profonda.

- E' stata la notte più bella della mia vita...- disse. Mi concessi di aprire gli occhi, sospettosa.

- Davvero?- chiesi.

- Senza dubbio...-

Mi baciò a lungo, portandosi lentamente sopra di me, i nostri corpi a contatto, le nostre anime a nudo.

Sentivo il suo respiro farsi più corto, esattamente come il mio, mentre le nostre mani si aggrovigliavano ai lati della mia testa.

Allontanò piano le sue labbra da me, per riprendere fiato. Un sorriso gli illuninò lo sguardo, contagiandomi immediatamente.

- Ti amo, El..- mi disse.

Io catturai le sue labbra con le mie, mentre il mio cervello andava in black out e il mio corpo agiva da solo, come guidato da fili invisibili.

 

Mi ero allontanata solo un attimo da quel letto, schiava dei miei bisogni umani, e quando ero tornata in camera lo avevo ritrovato pensieroso, lo sguardo perso oltre la finestra, mentre il suo buonumore scemava, perdendo qualche tonalità.

- Cosa c'è che non va?- gli chiesi. Lui esitò, sicuramente indeciso se mettermi a parte o no delle sue preoccupazioni. Cercai di sostenere il suo sguardo, quando si voltò verso di me. Se i suoi pensieri erano in linea con i miei, sapevo esattamente cosa non andava... sperai di non tradire nessuna emozione.

- So che non è il momento più adatto per parlarne... ma è bene che tu sappia cosa è successo subito dopo la tua partenza. Victor ha lasciato la città appena due giorni dopo di te. E' per questo che sono qui. Volevo essere certo che non scoprisse dove ti trovi, che non ti desse fastidio qui...- disse, con tono professionale, appena macchiato dall'antagonismo verso il mio vecchio mentore.

- Non credo riuscirà a trovarmi qui...-

- Io non sarei tanto sicuro, per me non è stato troppo difficile...- contestò.

- Come hai fatto a capire?- domandai. Non ci avevo riflettuto prima, ma non gli avevo lasciato molti indizzi, anzi, nessuno. Aveva tirato a indovinare?

- Inizialmente non avevo idea di dove potessi esserti nascosta... Temevo che non ti avrei mai trovata, speravo che ti facessi viva in qualche modo... Ma non potevo aspettare con le mani in mano... ho cercato di ricordare se avessimo mai parlato di voler fare un viaggio o di una città che ti avesse colpita particolarmente, ma avevamo parlato di molti posti e di nessuno in particolare... Ieri mattina ero al pianoforte, stavo suonando Debussy... E' stato in quel momento che ho avuto un'illuminazione: Parigi, la tua città natale, come avevo fatto a non pensarci??- rispose. Lo fissai esterrefatta – Ovviamente era solo una supposizione, ma dovevo provare... Quelle dieci ore di volo sono state le più lunghe della mia vita, temevo di aver preso un granchio, di perdere tempo prezioso... Poi quando sono arrivato in aeroporto ho avvertito il tuo odore, dopo le settimane sulle tue tracce mi era fin troppo facile riconoscerlo... l'ho seguito fin qui, sperando di trovarti sana e salva... non è stato poi molto difficile!- concluse.

Continuavo a fissarlo sorpresa: il suo lavoro sapeva farlo bene, non c'era dubbio! Mi sentii rabbrividire. Mi guardò per un lungo istante, confuso.

- Ti ho spaventata?- mi domandò.

- Io... sono solo... sorpresa... Mi auguro solo che Vic non ci arrivi tanto presto...-

Le braccia di Chris mi avvolsero, le sue labbra mi sfiorarono i capelli.

- Non può toccarti se io sono con te, non oserà torcerti neanche un capello... Morirebbe nel tentativo, e lui lo sa!- mi disse, stringendomi più forte.

- Victor non mi toccherebbe mai, sa che in questo modo chiuderebbe per sempre la partita... Ma ha molti mezzi per estorcere consensi. È un manipolatore, sa quali sono i miei punti deboli e sa come usarli...-

Nella mia mente i volti delle pochissime persone a me care si sovrapponevano tra loro, mentre una morsa di terrore mi attanagliava lo stomaco. Avrebbe anche potuto denunciarmi alla polizia per l'omicidio del vicolo, per poi offrirsi di difendermi in tribunale in cambio della mia totale devozione nei suoi confronti. In ogni caso avrebbe ottenuto ciò che voleva: non avrei permesso che facesse del male a Charlotte, Sue, Melanie... Chris... Non mi sarei fatta mettere dietro le sbarre... rinunciando per sempre alla mia libertà. Ma non avrei neanche ceduto così facilmente. Avrei combattuto, come sempre.

Una piccola speranza rendeva le mie prospettive meno terribili: avevo Chris al mio fianco, non ero sola. E questo, lo sapevo, significava avere un sostegno solido e una compagnia piacevolissima sempre al mio fianco, oltre che una preoccupazione in meno.

Finchè fossimo rimasti insieme non avrei dovuto temere che gli accadesse qualcosa lontano da me, non avrei trascorso i minuti a tentare di prevenire le mosse di Victor per toglierlo di mezzo... e il mio cuore avrebbe avuto un po' di pace. Non conoscevo più quella sensazione.

Una lacrima mi solcò il viso, Chris l'asciugò con le sue labbra, mentre mi abbandonavo tra le sue braccia.

- Non accadrà nulla finchè rimaniamo insieme... Non sappiamo nemmeno se sia riuscito a indovinare la tua destinazione... Stai traquilla, ce la faremo...- Era una promessa, lo sapevo, ma non riuscivo a vedere la fine di quella storia.

- Cosa vuole ancora da me?- sbottai disperata. Mi aveva tolto la libertà, aveva inibito la mia volontà, mi aveva resa uno strumento per il suo piacere... Chris si irrigidì.

- Christian Benjamin Grey, tu lo sai?- lo accusai, sollevando il viso a guardarlo. Lui alzò le spalle. 

Sapeva. 

 

*


Buongiorno a tutti, ormai l'aggiornamento del sabato sta diventando una tradizione...

Cosa vorrà mai Victor da Elena? Supposizioni??

un abbraccio,

Elena ;)

 

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


Alla mia lettrice # 1,

Giulia.

Grazie per il supporto morale e per le tue osservazioni sempre acute e interessanti.

Spero di non deludere le tue aspettative ;) 


Elanor 

 

 

*

 

 

Capitolo XI

(Victor)

 


Abbassai leggermente gli occhiali da sole per osservare attentamente il tabellone delle partenze. Le diverse destinazioni lampeggiavano sullo schermo mentre la voce di una hostess chiamava per l'ultima volta un volo per la Francia.

Non c'era voluto molto a capire dove fosse diretto, dove fosse andato a cercarla... la conoscevo troppo bene.

Parigi era la sua casa... Era la città in cui aveva lasciato il cuore, quando io avevo fatto in modo che smettesse di battere... ero certo che sarebbe tornata lì. E lui l'aveva seguita.

L'avevo sorpresa con le mie premure, la mattina prima della partenza, spaventata forse. Insistere per dare un'occhiata al suo piede era stato un colpo da maestro... Ma probabilmente il più sospreso ero io: avevo dimenticato l'eccitazione che mi dava il semplice sfiorare la sua pelle... Sentirla sotto le mie dita, averla alla mia totale mercè, mi aveva fatto scorrere l'adrenalina veloce nelle vene. Se non avessi avuto un ego in grado di porre un freno ai miei istinti, l'avrei fatta mia appena entrato in casa, quando mi aveva aperto la porta con solo una leggera camicia da notte addosso e mi era quasi crollata tra le braccia.

Mi bastava ripensare a quella notte per rivederla davanti ai miei occhi, seminuda... Non che mi fossero mancati amanti o letti in cui infilarmi, dopo la sua fuga da Mosca, ma il solo sfiorare il suo corpo era un'esperienza mistica. Mi elettrizzava. Forse perchè sapevo di cosa era capace sotto le lenzuola, forse perchè era l'unica che valesse davvero la pena di rincorrere per mezzo mondo, ingaggiando anche un cacciatore di teste per ritrovarla.

Era l'unica che avessi mai seguito, la sola con cui avrei anche potuto desiderare di passare la mia esistenza, un grazioso cappio al collo che avrei volentieri indossato. Eppure continuava a sfuggirmi.

Doveva aver dimenticato la deferenza con cui la trattavo quando viveva ancora con me... non le avrei mai negato nulla, se solo mi avesse permesso di esaudire le sue richieste. Ma il punto era proprio quello: Elena non chiedeva mai.

In pubblico eravamo una coppia, mi faceva da accompagnatrice a tutte le serate di gala o alle feste... eravamo invidiati come due divinità. Non aveva mai un capello fuori posto, non mi metteva mai in imbarazzo. Era bella, forse la più bella che avessi mai stretto tra le mie braccia, era sveglia e sapevo che il potere non avrebbe mai corrotto la sua razionalità. Il denaro era un mezzo, non un fine, per lei. Poteva fare a meno di tutto, era questo a renderla forte.

Non mi soffocava di attenzioni, non mostrava gelosia per le altre compagnie con cui mi distraevo qualche volta, e non si negava mai. Era un'amante che avrebbe fatto divampare un'incendio con un solo sguardo.

 

L'avevo vista a lezione, la prima volta, con il corpo sottile fasciato da una leggera camicia bianca e un'ampia gonna di lino rosso lunga fino al ginocchio, i boccoli scuri elegantemente adagiati sulla schiena, la sua pelle colorata dal caldo sole di settembre. Era di una bellezza disarmante, con le labbra protese in una posa che la rendeva sensuale e inconsapevole allo stesso tempo.

Il suo profumo mi aveva sfiorato le narici dolce come nettare, mentre la Bestia che era in me ruggiva per la sete, attratta dal lieve pulsare del langue nelle sue vene.

Ma la sensazione che vinse ogni mio istinto fu uno strano calore, all'altezza del cuore, che inizialmente non compresi.

Capii di volerla prima ancora che potessi sfiorare le sue labbra. La portai a casa mia con una scusa banale e, al nostro primo bacio, le donai l'immortalità. Rimase con me, dopo che la trasformai. Il sapore del suo sangue mi rese bramoso del suo corpo e quella brama non era mai completamente soddisfatta. Silenziosa, strisciava oltre la mia maschera di freddezza e distacco, tornando a pungolarmi. Mi svegliava nel cuore della notte, conducendo i miei passi fino a lei, alla sua porta socchiusa.

Non mi sarei mai stancato di averla al mio fianco, ma più mi legavo a lei, più il mio bisogno di negare quel legame aumentava. Non mi sarei mai lasciato accalappiare in quel modo. Cercavo di evitarla di giorno, ma inevitabilmente mi svegliavo nel suo letto. Fuggivo via prima che potesse trovarmi ancora al suo fianco, prima che comprendesse l'enorme ascendente che aveva su di me...

Cominciai ad accompagnarmi a ragazze sempre nuove e sempre diverse, ma la cosa non la infastidì, nè mutò atteggiamento nei miei confronti.

Non mi rifiutava quando la svegliavo nel cuore della notte, nè quando la chiamavo nella mia stanza, troppo ubriaco persino per andare da lei.

Sapevo che non era una donna fredda, l'avevo osservata intrattenersi con gli altri che vivevano con noi, sempre gentile, sempre sobria. La sua non era assenza di sentimenti, era assenza di sentimenti verso di me...

Quella consapevolezza mi ferì nel profondo.

Non ero abituato a non essere desiderato, a non essere ammirato... Che la donna che io desideravo mi ignorasse, poi, era una cosa che non potevo sopportare!

Non la fermai quando scappò via. In cuor mio speravo che tornasse da me da me, presto o tardi, ma sapevo che correrle dietro sarebbe stato come dargliela vinta e il mio orgoglio non lo avrebbe permesso.

Mi aveva visto litigare animatamente con Heidi, una sera.

Quella sgualdrinella mi aveva fatto perdere la pazienza oltre che un affare troppo importante per essere mandato a monte dai suoi gusti schizzinosi. Si rifiutava di obbedirmi, dopo tutto ciò che avevo fatto per lei...

Elena mi vide schiaffeggiarla con violenza, mentre mi supplicava di prenderla per me.

L'orrore che si dipinse nei suoi occhi avrebbe dovuto farmi intuire le sue intenzioni, ma non fu così. Quando quella notte aprii la porta della sua camera non mancava nulla. Pensai che fosse uscita senza avvisare, ma neanche il mattino dopo la trovai in casa.

Ci volle una settimana prima che mi arrendessi al fatto che era sparita nel nulla, ci vollero anni prima che le perdonassi quel tradimento.

Solo qualche mese prima avevo deciso di cercarla. Per quella ragione avevo ingaggiato Grey... ma il bastardo mi aveva fregato.

Aveva gettato il telefono in un cassonetto dell'immondizia e si era messo in mezzo.

L'avrebbe pagata: per averle messo gli occhi addosso, per averle anche solo tenuto una mano... Lei era mia.

Ma non speravo più che tornasse da me, no. Spettava a me riprendermela e alla svelta, anche.

Avevo sperato che smascherare Grey avrebbe accelerato la questione, che mostrarle la verità mi avrebbe facilitato nella mia opera di persuasione, ma non l'aveva gettata tra le mie braccia come speravo.

Aveva fatto le valigie e mi aveva spinto nuovamente sulle sue tracce...

Che scappasse da me o da Grey, che lui la seguisse oppure no, non avrei fatto il suo gioco. Pensava che la seguissi? Si sbagliava.

 

Non mi sarebbe sfuggita, non poteva. Aveva troppo da perdere e sapevo che sarebbe tornata immediatamente quando avessi messo in atto il mio piano.

Dovevo solo agire con cura e non farmi scoprire da Grey.

Mi ero liberato di lui quasi subito e avrei gioito per quella sua provvidenziale uscita di scena se l'idea delle sue mani sulla mia donna non mi avesse reso furioso. Avevo via libera e quella sensazione di onnipotenza era impagabile. D'altraparte dubitavo che lei lo avrebbe perdonato molto in fretta.

Non era cambiata da quando l'avevo conosciuta: era sempre stata una donna testarda e orgogliosa. E quell'idiota le aveva mentito.

 

Tutto ciò che dovevo fare era agire nell'ombra...

Il mio piano si delineò nella mia mente, dispiegandosi in tutte le sue sfumature. L'idea mi aveva colto in quel momento, quasi per caso, ma era tanto geniale che mi meravigliai di non averci pensato prima.

Mi abbassai gli occhiali da sole sul naso e uscii dall'aeroporto, infilandomi in fretta nella mia auto.

Estrassi in fretta il telefono dalla mia tasca, composi il numero e attesi.

"Quali sono gli ordini?"

- Porta Heidi e Dimitrij con te, ho bisogno di due baby sitter... E manda Lexie a Parigi, dille che la chiamerò presto...-

"Siamo già in viaggio..."

Sorrisi, compiaciuto. Avevo scelto i miei collaboratori per la loro efficienza. Erano una squadra perfetta. Con loro al mio fianco non avrei avuto nessun problema. Spinsi il piede sull'acceleratore: presto sarei giunto a destinazione.

Risi al pensiero che tra pochissime ore avrei stretto Elena tra le mie braccia, che lei lo volesse oppure no. Perchè alla fine io vincevo sempre...

Nessuno poteva dire "no" a Victor Sergeij Romenek, nemmeno lei.

 

 

 

 

*

Ragazzi, so che il capitolo è breve, ma qualsiasi particolare in più sarebbe stato superfluo.
Finalmente il nostro Victor è uscito allo scoperto, che idea vi siete fatti di lui?
Sappiate solamente che non è detta l'ultima parola...

Dal prossimo capitolo ritorna il punto di vista di Elena e ne avremo per un pò prima che venga introdotto una voce del tutto nuova. Se vi ho incuriositi rimanete su questi schermi ;)
recensite, recensite e recensite.
Un abbraccio,
El ^^
 

 


 

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Capitolo 12
*** Capitolo X ***


 

*

 

Capitolo X

 

 

Chris mi guardò per un attimo, lo sguardo serio e attento.

- Anche tu lo sai... Pensaci bene!- esclamò– Sei l'unica donna che gli sia mai sfuggita, che lo abbia mai rifiutato... ti rivendica, El!-

Lo guardai scioccata, tutto aveva senso. Era esattamente in linea con ciò che sapevo di lui: era orgoglioso, era vendicativo, ed era un fanatico!

Sapevo che saremmo arrivati a quel punto, un giorno, anche se continuavo a ignorare le vere motivazioni di quella follia. Il fatto che lui mi avesse creata era di per sé un fatto di poco conto nel suo modo contorto di vedere le cose, un vampiro poteva trasformare molti umani nel corso della sua esistenza. Eppure poteva legarsi una volta soltanto. Questo ci manteneva integri e rendeva più semplice la convivenza nei clan più numerosi. Trovare il proprio compagno era qualcosa di molto istintivo, di forte, ma averne uno solo evitava lotte violente e spargimenti di sangue, traduceva l'istinto all'accoppiamento in unioni più razionali e stabili. Permetteva alla nostra specie di perdurare.

Certo, si poteva scegliere di non legarsi mai, continuando a intrattenere rapporti occasionali con l'altro sesso, ma una volta fatta la propria scelta, non si poteva più tornare indietro. Esisteva una sola regola, una e inappellabile: rimanere fedeli al proprio compagno. Non esisteva il tradimento, il divorzio non era contemplato. Solo la morte poteva spezzare quel legame di sangue.

Victor era un tradizionalista, ma avevo sempre ritenuto che fosse troppo affezionato alla sua vita da scapolo per legarsi in modo definitivo. Evidentemente lo avevo sottovalutato... Aveva bevuto il mio sangue più volte nel corso della nostra relazione, ma non era sufficiente perchè potesse considerarmi sua. Non nel modo in cui pretendeva di possedermi. Voleva l'esclusiva e c'era un solo modo per ottenerla: dovevo scambiare spontaneamente il mio sangue col suo... donargli la mia essenza... E lui aveva tutti i mezzi per farmi fare spontaneamente qualsiasi cosa. Ciò che ancora non mi riuscivo a spiegare era il perchè avesse scelto me. Dubitavo la questione avesse a che fare con i sentimenti: era un opportunista, doveva esserci qualche interesse superiore che ignoravo.

- Cosa facciamo?- chiesi nel panico.

- Apettiamo. Rimaniamo qui...- suggerì lui – Si farà vivo in qualche modo... E per allora ci troverà pronti!-

Annuii, incoraggiata del suo tono sicuro. E lui mi sorrise in quel modo in cui, sapeva, non sarei stata capace di resistergli. Concessi agli angoli delle mie labbra di sollevarsi all'insù anche se, in fondo, la paura mi opprimeva. Non potevo permettermi di legarmi per sempre a qualcuno, non se quel qualcuno era Victor.

Mi lasciai abbracciare, mentre la certezza di essere al sicuro faceva breccia dietro il mio ostinato pessimismo.

- Andiamo a fare colazione...- disse lui, leggendomi nel pensiero – E dopo... ti porto a fare due passi per i boulevards parigini... Hai bisogno di distrarti...-

Annuii ancora pensierosa, mentre mi dirigevo verso il bagno. La doccia calda mi aiutò a rilassarmi al punto da porre in secondo piano la questione Victor e farmi ripensare alla notte con Chris. Mi sentivo stranamente euforica... come se le divergenze si fossero appianate senza bisogno di parole...

- Tutto bene lì dentro?- mi chiese, alla porta. Io trasalii e mi riscossi da quel pensiero.

- Si, tutto ok...- risposi, mentre ricomparivo nella stanza, avvolta nell'accappatoio. Lui mi guardò, sereno e a suo agio, mentre mi sfiorava i capelli bagnati.

- Dovremo lasciare un tuo documento alla reception, altrimenti ti toccherà entrare ogni volta dalla finestra...- gli dissi.

- Quale nome falso hai dato?- mi rispose, ridendo.

- E tu, quale lascerai?- lo punzecchiai.

- Hunter... trovo che mi si addica!-

Ovvio. Quale miglior nome per un cacciatore di teste? Risi.

- Non ci sarei mai arrivata, dottor Grey!- lo schernii.

Mi fece l'occhiolino mentre si infilava in bagno per fare la doccia. Sperai che non tagliasse la barba. Gli donava troppo per i miei gusti. Gli dava un fascino più oscuro, che ben si accordava con la sua doppia identità.

Se ripensavo a due settimane prima, a quel pomeriggio d'inferno in cui avevo scoperto tutto, non riuscivo a non sentirmi ancora sorpresa. Chris era insospettabile nel ruolo di cacciatore, troppo di buona famiglia, troppo ricco e troppo “pulito” per suscitare domande.

Eppure aveva scelto quella via. In tutto quel trambusto non gli avevo chiesto il perchè. Mi riservai mentalmente di fargli quella domanda una volta che fossimo ritornati sull'argomento.

Tornai in bagno, ormai mezza vestita, per asciugarmi i capelli e truccarmi. Lui era già uscito dalla doccia, aveva un asciugamano avvolto intorno alla vita e si stava asciugando i capelli con un altro. Lo guardai divertita, lasciando scorrere lo sguardo sul suo corpo muscoloso, sui suoi lineamenti decisi. Era davvero bello, con una serie infinita di gocce d'acqua sulla pelle che luccicavano alla luce del sole. Mi appoggiai di schiena al lavandino, continuando ad osservarlo, mentre lui sollevava finalemente gli occhi su di me, con un sorriso.

- Se mi guardi così temo che mi farai arrossire...- disse, serio, mentre si avvicinava pericolosamente a me, inclinando la testa per baciarmi la gola.

- In realtà volevo solo finire di prepararmi, ma mi hai distratta...- risposi, rabbrividendo.

- Spero che lo spettacolo sia stato di tuo gradimento...- mi schernì, abbracciandomi.

Cercai le sue labbra, mentre incrociavo le braccia dietro la sua testa, portandomi più vicina a lui. Mi tenne stretta mentre la sua lingua si insinuava tra le mie labbra, senza fretta, sfiorando la mia.

Troppo presto si staccò da me, con gli occhi lucidi, il respiro corto.

- Dovrò fare una doccia fredda...- si lamentò, ironico.

- Basterà?- chiesi, accarezzandogli il torace con una mano. Lui la prese nella sua.

- Non credo...- rispose. Mi aiutò a rimettermi in piedi e mi baciò il naso.

- Ti aspetto nella hall, allora...- dissi, tornando nella stanza, per impedirmi di ridere. Non l'avevo mai visto in imbarazzo, non così tanto in imbarazzo. E poi, se fossi rimasta ancora per un secondo avrei avuto bisogno di una doccia fredda anch'io.

Lui mi lanciò l'asciugamano umido, chiudendosi la porta alle spalle. Lo sentivo ridere attraverso le pareti, mentre finivo di prepararmi. Lo sentivo canticchiare a bassa voce.

Bussai alla porta prima di uscire.

- Signor Hunter, non tagliarti la barba...- lo minacciai. Rise più forte, allegro.

Scesi le scale fino alla hall, sperando che la mia fame potesse essere placata con un paio di croissant appena sfornati.

Mi fermai all'entrata del bar, guardando attraverso il vetro la fila di cornetti caldi in bella mostra dietro il bancone. Si, avevo decisamente fame.

- Buongiorno...- mi salutò una voce imbarazzata.

Henry stava uscendo in quell'istante, avvolto nel suo impermeabile chiaro.

Sorrisi, anch'io in imbarazzo per ciò che era successo la sera prima, mentre si affrettava ad aggiungere qualcosa.

- Mi dispiace moltissimo per ieri sera. Non avrei mai dovuto...- disse.

Avrei voluto sprofondare, lì, in quel momento, mentre Chris si avvicinava verso di noi e mi prendeva per la vita con possesso.

Henry tossì, mentre porgeva la sua mano a Chris per presentarsi.

- Henry Monroe... molto piacere...- disse.

- Ben Hunter... piacere mio...- rispose lui in perfetto francese, serio. Era rigido, non disse altro mentre io cercavo di intrattenere una conversazione educata con il mio amico. Non meritava freddezza, era un brav'uomo e non lo avrei liquidato in due parole solo perchè lui era nervoso. Mi chiese dei miei programmi, risposi in modo vago. Guardava la mano di Chris intorno ai miei fianchi e i suoi pensieri erano perfettamente giustificabili. Si sentiva ingannato, glielo leggevo nello sguardo.

Mi disse che quella mattina aveva un appuntamento e che andava di fretta.

- Arrivederci...- lo salutò Chris.

Lo salutai con un sorriso. Chris mi guidò all'interno del bar, tenendomi stretta a sé.

- Cosa c'è che non va?- domandai, sperando che mi sorridesse.

Non riuscivo a leggere la sua espressione composta, né il suo sguardo puntato dritto verso il bancone.

- Non ne voglio parlare...- mi rispose.

- E' un amico...-

- E baci tutti i tuoi amici?- mi accusò. Come faceva a saperlo? Non riuscivo a capacitarmi di come avesse fatto a intuire ciò che era successo la sera prima, ma non conosceva la verità.

A dispetto di ciò che lui credeva fosse successo, io non avevo baciato Henry. Non avevo risposto al bacio.

- Non è come credi...-

- Il tuo profumo era ben impresso su di lui... spiegami cosa dovrei credere...-

Lo avevo sottovalutato, era un ottimo cacciatore. Se aveva fiutato il mio odore in pieno giorno su un umano... era decisamente fin troppo dotato! Ma in quel momento la questione passava di gran lunga in secondo piano di fronte alla sua espressione ferita e contrariata: mi faceva sentire in colpa, nonostante sapessi che non avrei dovuto...

- Dovresti credermi quando ti dico che non sono stata io a baciarlo...- dissi, secca.

- Quindi ti ha davvero baciata?- sibilo, con un tono assassino che mi fece gelare il sangue.

Si passò nervosamente la mano tra i capelli, mentre stringeva la sua presa su di me.

- Chris...- gli accarezzai il viso con dolcezza, mentre cercavo i suoi occhi. Mi sollevai sulle punte, lentamente, per baciare le sue labbra.

Inizialmente rimase impassibile, senza però allontanarmi o opporre resistenza. Non ci volle molto prima che si sciogliesse dalla sua posa rigida e si lasciasse coinvolgere da quel bacio sempre più intimo.

Mi ritrovai stretta tra le sue braccia, sollevata da terra, nel bel mezzo del bar. Gli occhi dei pochi clienti erano imbarazzati, cercavano di non posarsi su di noi, ma non mi importava. Non avrei nascosto quello che sentivo, non avrei ostentato una freddezza che non avevo.

- Questo è un bacio... quello di ieri non era nulla...- dissi, mentre mi rimetteva a terra.

- Questa è manipolazione...- ribattè, sorridendo.

Ordinò due cappuccini e due croissant, mentre mi accomodavo ad un tavolo e mi toglievo il cappotto. Quella mattina faceva freddissimo, avevo indossato il maglione più caldo che possedevo, con il collo ampio, lungo fin sotto i fianchi. Nascosi naso e bocca nel collo, mentre lasciavo che i capelli lunghi mi coprissero le orecchie.

Chris prese posto al mio fianco e mi scostò un ciuffo dal viso per guardarmi bene negli occhi.

- Mi dispiace...- disse, mortificato.

- Anche a me...- risposi, mentre mi prendeva la mano e la stringeva nella sua.

- Sono molto geloso, è bene che tu lo sappia...- mi redarguì.

- Non ne hai motivo. Io voglio solo te...- dissi, a bassa voce.

Mi accarezzò il viso, mentre addentavo il cornetto caldo. Il mio stomaco brontolò per un attimo, poi si acquietò.

Non potevo resistere molto senza sangue... quello era solo un modo per evitare che perdessi le mie forze, ma non mi saziava. Eppure, paradossalmente, in quel momento non desideravo sangue o cibo. Non avevo bisogno di nulla al di fuori di quella mano sulla mia, di quella gamba a sfiorare il mio ginocchio, di quegli occhi blu notte...

Il suo era l'unico odore che attirasse la mia attenzione. Caldo, dolce.

Mi dava sicurezza, protezione, mi ispirava sensualità. Non riuscivo a evitare che la mia mente tornasse alla notte appena trascorsa, indugiando sulla sensazione della sua pelle sotto le mie dita, del suo corpo sul mio, dei suoi baci.

Si pulì le labbra dallo zucchero a velo, mentre io lo guardavo attenta, la mano con la tazza sospesa a mezz'aria. Mi sorrise, malizioso. Evidentemente i nostri pensieri erano in sincrono.

Terminai di bere il mio cappuccino in silenzio e mi rivestii, continuando a seguire tutti i suoi movimenti con estrema attenzione. Era terribilmente sexy, ed era mio.

Indossò gli occhiali da sole, mentre mi prendeva per la vita e mi sospingeva verso l'uscita.

Indossai anche io i miei, scuotendo la testa per ravvivare i capelli e ci dirigemmo all'esterno.

L'aria fredda mi colpì il viso, facendomi svolazzare la sciarpa.

Mi sistemai la borsa sulla spalla destra, ringraziando di aver indossato gli stivali, quando mi ritrovai con la neve alle caviglie.

Chris rise, mentre guardavo afflitta il camoscio chiaro bagnarsi per poi alzare gli occhi al cielo. Almeno avevo i piedi al caldo.

- Hai freddo?- mi chiese.

- No... sto bene...- risposi. Lui aveva il giubotto aperto su un maglione di cachemere sottile e non sembrava toccato dalla temperatura polare. Il suo viso si beava del sole tiepido e le sue mani erano calde, almeno rispetto alle mie.

Passeggiava al mio fianco, sereno, ignaro degli sguardi ammirati che riceveva da parte del pubblico femminile.

- Credo di doverti avvisare che sono molto gelosa anch'io...- scherzai.

- Non mi dispiace affatto...- rispose, portandosi la mia mano alle labbra – Anche se non ne hai motivo... Io voglio solo te...- mi citò.

- Ah si?-

- Si...- rispose. Guardò la vetrina alle mie spalle, poi ancora me. Sul suo viso si dipinse un lampo di comprensione. Mi voltai: un vestito rosso scuro, lungo fino a metà gamba, con la scollatura a V era indosso ad un manichino senza volto, posto in una posa rigida. Era in stile impero, di seta plissettata, e un coprispalle nero era appoggiato sulle sue spalline.

Chris mi abbracciò da dietro, avvicinando le sue labbra al mio orecchio.

- Vorrei che lo provassi...- mi disse.

Io mi voltai verso di lui.

- Non mi dirai che ti intendi anche di moda...- scherzai.

- Vorrei che lo indossassi per me, stasera...-

Il suo tono era serio, deciso. Perciò annuii ed entrai nel negozio, allacciata al suo fianco, mentre lui si guardava intorno.

- Buongiorno- cinguettò la commessa, rivolgendosi a noi in francese.

- Salve, vorremmo vedere quel vestito in vetrina...- rispose Chris, nella stessa lingua. Era tremendamente sensuale quando parlava francese. Me lo appuntai mentalmente, mentre tornavo a guardare la commessa.

La ragazza sbatteva le ciglia come una forsennata mentre Chris si toglieva gli occhiali da sole investendola con i suoi occhi oltremare.

- Prego, da questa parte...- mi indicò, spostandosi verso i camerini, senza smettere di guardare l'uomo al mio fianco, che però guardava altrove.

Mi portò il vestito in un porta abiti di velluto nero, che poggiò su un divanetto di pelle per aprire la cerniera. Lo tirò fuori con deferenza, per poi porgermelo.

- Dovrebbe essere della sua taglia...- mi disse, con un sorriso.

Era una ragazza leziosa e terribilmente bionda, ma aveva indovinato.

Mi chiusi la tenda di spesso cotone color panna alle spalle e mi spogliai, mentre sentivo Chris sedersi sul divano e chiedere di altri vestiti che vedeva nel negozio.

Io intanto socchiusi la tenda per uscire fuori la testa.

- Tesoro, mi dai una mano?- chiesi. Chris si avvicinò, veloce, mentre gli indicavo la cerniera alle mie spalle e sollevavo i capelli per consentirgli di chiuderla.

Le sue mani mi sfioravano sicure, mentre poggiava leggermente le labbra sul mio collo scoperto. Raddrividii di piacere mentre uscivo dal camerino e mi guardavo nel grande specchio di fronte a me.

Mi stava bene, dovevo ammetterlo. Il contrasto con la mia pelle era netto, ma non mi dispiaceva. I miei capelli scuri risaltavano sulla seta, inflilandosi tra le pieghe perfette che dalle spalle scendevano fin sotto al seno, dove una fascia di velluto larga quasi come il palmo della mia mano le stringeva intorno al mio busto sottile, disegnando una profonda ma elegante scollatura anche dietro la schiena.

Chris mi guardò per un attimo, una mano alla bocca con fare pensieroso.

- Ti piace?- gli chiesi.

Il suo sguardo mi accarezzava lusinghiero, dal viso alle gambe, mentre un sorriso gli si dipingeva sul viso.

- Non sono molto convinto che sia una buona idea...- mi disse, in modo che solo io potessi sentirlo.

- Perchè?- chiesi, stupita.

- Causerai un arresto cardiaco ad ogni esemplare maschile che poserà lo sguardo su di te, stasera...- mi sussurrò - E' un bene che il mio cuore non batta più da secoli...- aggiunse.

Mi lasciai andare ad una risata mentre la commessa si avvicinava.

- Come va?- mi chiese, con un sorriso. Dietro la cortesia e i suoi modi affettati vedevo esattamente lo sguardo velenoso che mi rivolgeva, mentre Chris mi baciava la spalla nuda. Repressi un brivido, mentre tornavo a cambiarmi.

- Benissimo, lo prendiamo...-

 

*

 

Carissimi :) La permanenza a Parigi sta diventando una gita romantica in piena regola, ma tutto è destinato a cambiare...

Siamo giunti a metà della nostra storia e il prossimo capitolo avrà un altro narratore... *squilli di tromba* il nostro amatissimo Victor!

Spero che riusciate a farvi finalmente un'idea su questo personaggio un pò controverso.

Grazie a chi legge, a chi preferisce, a chi segue e un abbraccio particolare a Giulia, per i suoi commenti sempre graditissimi.

Un saluto e alla prossima,

Elanor <3

 

ps: pensavo di cambiare collocazione alla storia e di metterla sotto la categoria soprannaturale > vampiri, che ne dite?
nel caso decidessi di spostarla vi avviserò in modo da evitare che vi perdiate nei meandri di questo sito enorme che adoro!!


 

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Capitolo 13
*** Capitolo XII ***


 

*


Capitolo XII

(Elena)

 

 

 

Vagavo con lo sguardo ticchettando con le dita sul bracciolo della mia sedia a ritmo della melodia che riempiva la sala. Un quartetto jazz suonava su un leggero rialzo in fondo alla stanza, i membri del gruppo vestiti in modo elegante, pettinati all'indietro come gentiluomini d'altri tempi. Il cantante aveva una voce piacevole, il pianista aveva un tocco delicato e molto personale. Eppure cominciavo a spazientirmi.

Erano passati diversi minuti da quando Chris si era allontanato verso il bar e non aveva ancora fatto ritorno. La musica copriva ogni suono, impedendomi di cercare la sua voce, e non riuscivo neanche a vederlo tra la folla che si era radunata al centro della pista da ballo. L'atmosfera era accogliente, ma una strana irrequietudine mi aveva colto, lì, seduta al mio posto. Avevo come uno strano presentimento...

Mi alzai in piedi, sistemandomi il vestito che Chris mi aveva regalato e dirigendomi verso il bancone di legno lucido che costeggiava un lato della sala. Lo trovai quasi subito, nel suo vestito nero di Armani, chinato verso qualcuno al suo fianco che rimaneva coperto dai corpi che ostacolavano il mio sguardo.

Mi avvicinai a passo lento ma sicuro, guardando il suo sorriso un pò troppo tirato, mentre una morsa mi stringeva lo stomaco, facendomi serrare i pugni.

Una ragazza dai capelli lunghi e rossi, con un elegante vestito nero, guardava Chris con aria possessiva. Sembrava volesse condurlo in una camera d'albergo e saltargli al collo... Rallentai il passo per guardarla meglio.

I suoi occhi verdi erano intensi, profondi, contornati da un velo di trucco, e lo guardavano socchiusi, ammiccanti. Aveva le gambe sensualmente accavallate, il corpo proteso verso di lui, mettendo in mostra la generosa scollatura.

Ma non fu la sua bellezza a disturbarmi, nè il suo atteggiamento disinibito. Lei era una di noi, una cacciatrice. E in quel momento aveva scelto la preda sbagliata.

Mi avvicinai a Chris, seduto su uno sgabello, e gli accarezzai un braccio, mentre evitavo volutamente di rivolgermi all'altra.

- Eccoti...- dissi, guardandolo dritto negli occhi e sorridendogli amorevole. Sapevo che avrei catturato la sua attenzione. Il suo sguardo si incatenò al mio, luminoso, mentre mi circondava la vita con un braccio.

- El, ti presento Lexie... una mia vecchia conoscenza...- disse, senza smettere di guardarmi.

- Lexie, lei è Elena...- mi introdusse, poi. Io tesi la mano verso la donna di fronte a me, che la strinse veloce per poi scrutarmi con attenzione, soffermandosi sul viso, sui miei fianchi. Un'espressione soddisfatta si dipinse sul suo viso quando i suoi occhi caddero sul mio anulare sinistro, privo di qualsiasi ornamento. Sentivo l'ostilità crescere in misura esponenziale, mentre continuava a scrutarmi senza pudore in cerca di dettagli che le confermassero le sue supposizioni. Sorrisi al pesiero di essere esattamente dove lei avrebbe voluto, appoggiandomi al petto di Chris.

- Tesoro, sono anni che non ci vediamo... - cinguettò lei, tornando a rivolgersi all'uomo alle mie spalle - Non ricordo nemmeno quanto tempo è passato dell'ultima volta in cui abbiamo trascorso una serata delle nostre...- disse lei, allusiva, spostandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Odiavo il suo modo di parlare estremamente allusivo, il modo in cui lo spogliava con gli occhi.

- Sei qui per lavoro?- chiese lui, neutro.

- Si, ho un servizio fotografico tra qualche giorno...- rispose lei – Tu invece cosa ci fai in Europa? Dev'essere un cliente speciale...-

- Niente lavoro, per fortuna... Siamo qui in vacanza...- disse Chris, stringendomi più forte a sè.

- Devi essere molto stressato: il mio Christian Grey non ne ha mai presa una!- ribattè, sottolineando l'aggettivo. Mi rivolse uno sguardo di sfida, ma non mi scomposi, sebbene sapessi cosa stava cercando di fare. Le mie mani si intrecciarono a quelle di Chris, intorno alla mia vita.

- Parigi val bene un'eccezione!- rispose lui, calmo – Mi ha fatto piacere vederti, Lex...-

- Ti offro da bere, domani sera... Così chiacchieriamo un pò...- propose lei, usando volutamente il singolare.

L'avrei uccisa, prima o poi, ne ero certa. E avrei ucciso anche Chris se avesse osato accettare.

- Ti faccio sapere...-

- Il mio numero lo conosci...-

Si alzò in piedi per baciarlo, lasciando una scia del suo lucidalabbra all'angolo della bocca di Chris. Poi mi rivolse uno sguardo affilato. Il veleno mi invase la bocca.

- Arrivederci, Elena...-

Si allontanò ancheggiando lievemente, mentre metà degli uomini in sala le guardavano il fondoschiena. Chris mi sollevò il viso con una mano, facendomi voltare a guardarlo.

- El...- iniziò – Mi dispiace... Lexie sa essere davvero odiosa quando vuole...-

- Una vodka con ghiaccio!- ordinai secca al barista, voltando la testa. Lui annuì.

- El...- mi richiamò Chris.

- Che c'è?- risposi fredda.

- Non vedevo Alexandra da anni. Non arrabbiarti...- disse, con voce dolce.

- Siete stati insieme?- chiesi, diretta.

- Non siamo mai stati una coppia...- rispose lui, cercando le mie mani – Ci siamo solo frequentati per un pò...-

Chiusi gli occhi nel tentativo di calmare la furia omicida che mi incendiava le vene e mi faceva scorrere il veleno veloce sulla lingua.

Il pensiero delle sue mani su di lei, delle labbra di Lexie su di lui, mi faceva fremere di rabbia.

Immaginavo con chiarezza la scena nella mia mente: loro due insieme in un letto sfatto, i loro corpi intrecciati...

Il bicchiere che stringevo tra le mani andò in frantumi. Riaprii gli occhi, mentre il barista mi scrutava preoccupato.

- Mi dispiace...- disse – Glielo rifaccio subito...- aggiunse, asciugando la vodka ghiacciata dal bancone.

- Piccola, calmati...- disse Chris, accarezzandomi il viso.

- Perchè vi siete lasciati?- chiesi, incapace di trattenermi.

- La fedeltà non è mai stata il suo forte...- rispose, serio.

Lo guardai negli occhi, ferita, mentre mi allontanavo da lui, diretta verso il nostro tavolo, per recuperare il cappotto e andare via. Non so cosa avrei preferito mi dicesse: che l'aveva lasciata lui, magari, che aveva capito che non erano fatti per stare insieme... ma la sua espressione seria mi preoccupava. Lei lo aveva tradito e lui c'era stato male. Doveva averla amata. Quel pensiero mi fece ribollire il sangue.

Avevo bisogno di camminare, di sfogare quel folle bisogno di squartare, uccidere e smembrare quella dannatissima donna. Chris mi acchiappò prima che potessi fare un passo, stringendomi un polso nella sua presa ferrea.

- Dove vai?- mi chiese.

- Lasciami!- mormorai.

- No!- si oppose, prendendomi il viso tra le mani – Elena, calmati adesso! Non puoi scappare così per qualcosa che non è in mio potere di cambiare...-

- Non andrai da nessuna parte con lei... Non la chiamerai!- dissi, irremovibile.

- Certo che no!- rispose, serio.

Lo fissai per un attimo, confusa, mentre le sue parole facevano breccia nella mia furia.

- Stasera ti ho portata qui per un motivo... Prima che Lexie facesse la sua comparsa, rovinando terribilmente l'atmosfera, volevo chiederti qualcosa di importante...-

Sentivo la mia rabbia smontarsi, mentre le sue mani mi accarezzavano le braccia nude, scendendo fino a prendere le mie mani.

Si portò la sinistra alle labbra, incatenando il mio sguardo al suo.

- Non qui, però...- mi sussurrò.

Lasciò una banconota al barista, mentre mi conduceva al tavolo e mi faceva indossare il soprabito. Infilò il cappotto, e mi guidò verso l'uscita. C'era freddo, lo sentivo attraverso la seta leggera che mi copriva la pelle mentre camminavamo verso l'albergo, allacciati l'uno all'altra.

Ci vollero pochi minuti, ma mi sembrarono un'infinità.

La mia rabbia non si era dissolta del tutto e i miei pensieri mi tormentavano. In quel momento volevo solo cancellare l'immagine di lui e Lexie dalla mia mente.

Mi ero illusa di poter continuare ad ignorare il suo passato, di poter rimanere all'oscuro di tutto, ma la verità aveva sempre un modo strano di farsi avanti. Come sempre quando desideravo qualcosa di troppo ardito i miei timori trovavano sempre il modo di materializzarsi, rendendomi la vita impossibile.

Quella Lexie era il mio peggior incubo: bella, affascinante, e facile. Sapevo cosa l'aveva spinta tra le braccia di Chris, ciò che non capivo era come avesse fatto lui a lasciarsi abbindolare. Le sue allusioni risuonavano alle mie orecchie come una sfida aperta, mi avvelenavano la mente, togliendomi lucidità, ma non avrei permesso che mi rovinassero la serata.

Chris era mio, quella serata era solo per noi e lei non era altro che un incidente di percorso. Almeno era ciò che mi sforzavo di credere.

- Piccola, basta...- mi pregò lui, aprendomi i pugni. Eravamo arrivati alla porta della nostra camera, e non avevo ancora recuperato la calma.

Mi fece entrare in stanza, ancora al buio e mi fece togliere il cappotto. Stavo per allontanarmi da lui, diretta alla finestra, quando mi afferrò per un braccio e mi strinse a sè. Non lottai, ma rimasi rigida per un attimo prima di rispondere a quel contatto.

Le sensazioni che mi suscitava erano capaci di annullare la mia rabbia, di relegarla ad un angolino della mia mente tanto piccolo quanto lontano. Le sue labbra si posarono sulle mie mentre le sue mani percorrevano la mia schiena, lasciando scie di fuoco al loro passaggio.

Mi prese in braccio, appoggiandomi al muro alle mie spalle, il suo corpo contro il mio, mentre le sue mani mi sollevavano l'orlo del vestito per accarezzare le mie gambe. Le sue labbra si spostarono di lato, attraverso la mia gola, fino al mio orecchio.

- Voglio solo te, per sempre...- mi sussurrò, accarezzando la mia pelle con la punta del naso. Mi guardò dritta negli occhi, con lo sguardo velato dalla passione.

Rimase in silenzio per un attimo mentre reclinava indietro la testa, dandomi libero accesso alla sua gola. Il mio stomaco si aggrovigliò e la mia coscienza tornò lucida per un attimo mentre prendevo consapevolezza di ciò che stava accadendo.

Si stava donando a me...

Christian aveva scelto me. L'enormità di quello che stavo per fare mi fece tremare per un attimo, mentre lui mi stringeva più forte, sbottonandosi il colletto della camicia con una mano. Lo allontanai da me, mentre sul suo viso si dipingeva un'espressione incredula. Mi aiutò a rimettermi in piedi, ne approfittai per spostarmi da lui quanto bastava a chiarirmi le idee.

Cosa gli saltava in mente? A me? Legarsi a me?? Lo amavo, certo, ma ero disposta a negargli la sua libertà per sempre? Potevo assicurargli fedeltà eterna?

Sapevo perchè lo stava facendo: Chris era fatto così. Doveva proteggermi e sospettavo che quell'idea gli balenasse in mente già da diverso tempo. Sapeva che se mi fossi unita a lui Victor non avrebbe potuto reclamarmi. Dopo quella sera poi, voleva dimostrarmi di essersi lasciato il passato alle spalle. Ma io potevo chiedergli di rinunciare alla sua vita?

No, non lo avrei permesso. Lo amavo, lo volevo con tutta me stessa, ma non lo avrei permesso, non per quelle ragioni, non per paura...

- Cosa c'è che non va?- mi chiese. Lo cercai con lo sguardo. Si era appoggiato alla parete e mi guardava camminare nervosamente avanti e indietro, paziente.

- Non puoi farlo...- risposi, tormentandomi il vestito.

- El... io ti amo...- rispose semplicemente. Scossi la testa.

- Non puoi rinunciare a tutto...-

- Ti sto offrendo la mia vita... E' già tua, che tu lo renda ufficiale o no...-

- Non si torna indietro, Chris...-

- Di che hai paura?- mi chiese – Di stancarti di me?-

La sola idea era ridicola, ma il fatto che la stesse realmente considerando mi faceva andare nel panico.

- E' questo che pensi?- lo accusai. Era assurdo, non aveva senso.

- Cosa dovrei pensare?-

Provai a leggere la situazione della sua prospettiva. Lo avevo rifiutato, lo avevo allontanato da me... anche se per il suo bene. Al suo posto mi sarei sentita tradita e probabilmente non avrei avuto il coraggio di guardarlo in faccia. Lui invece era lì, immobile, con gli occhi nei miei.

- Chris...- mi avvicinai, prendendo il suo viso tra le mani – La mia sola preoccupazione è che tu lo faccia per le ragioni sbagliate...-

Lui mi prese le mani nelle sue, mesto.

- E quale sarebbero le ragioni giuste per compiere un passo del genere?-

- Sicuramente non la paura o la preoccupazione che Vic possa legarmi a lui contro la mia volontà...-

- Non ho pensato a Victor nemmeno per un istante... Attribuisco troppo valore a questo gesto per relegarlo ad uno scopo così contingente... E ho troppa fiducia in noi per credere che sia l'unica strada percorribile per tenerti lontana da lui...- mi rispose, duro – Ma se non sei pronta, se ho affrettato troppo le cose... ti chiedo scusa...-

Mi sentii crollare il mondo addosso: davvero si preoccupava per quello??

- Christian – usai volutamente il suo nome per intero, per dimostrere la sicurezza dietro la mia affermazione – Io... certo che sono pronta... Io ti amo...- sussurrai. Era la mia prima volta.

La prima volta in cui affermavo con assoluta convinzione di amare qualcuno. Anzi, no, la prima volta in assoluto in cui provavo quella sensazione distintamente dentro di me, al punto da riuscire ad identificarla in quelle parole che prima di incontrarlo mi erano parse prive di senso.

Lui mi guardò sorpreso, prima di stringermi tra le sue braccia.

Mi baciò con ardore, mentre mi raggomitolavo conto di lui, con il respiro sempre più corto.

Lo sentii togliersi la giacca, mentre mi guidava lentamente verso il grande letto al centro della stanza. Mi ritrovai tra le lenzuola, avvolta nel suo abbraccio, incapace di ricordare come ci fossi arrivata.

Chris mi guardava dritto negli occhi, l'emozione mal celata nello sguardo. Mi passai la lingua tra i denti affilati, mentre dalla sottile ferita cominciava a farsi largo una goccia di sangue.

Ne sentii il sapore prima che le sue labbra ritrovassero le mie, cancellando qualsiasi sensazione che esulasse da quel contatto semplice e intimo, che si approfondiva col passare dei secondi. Il mio gesto lo sosprese, ma non mosse alcuna obiezione. Sarei stata sua, solo sua per sempre. E, a dispetto di ogni dubbio che avesse mai sfiorato la mia mente nei giorni precedenti, seppi di voler appartenere all'uomo che mi teneva tra le braccia, di aver compiuto la mia scelta. Gli donavo me stessa, spontaneamente.

Le sue mani mi aiutarono a togliere il vestito, le mie sbottonarono la sua camicia, indugiando sulla sua pelle rovente a contatto con la mia.

Il resto perse consistenza, mentre i nostri corpi si ritrovavano. Non ci furono nessuna Lexie, nessun Victor, nessun amante senza volto, solo noi, le nostre anime nude. Le sue labbra assaporarono il sapore del mio sangue, il suo veleno lenì il taglio leggero che le sue labbra avevano accarezzato a lungo.

Non ebbi esitazioni quando al culmine del piacere mi offrì nuovamente il suo collo. Mi strinsi più forte a lui mentre con un bacio affondavo i denti nella sua pelle.

Non ci fu veleno, nè sete. Ogni suono si spense, ogni percezione venne annullata da quella sensazione di estasi paradisiaca che non avevo mai provato prima.

Immagini confuse si affollarono nella mia mente mentre, esausta, giacevo tra le braccia di Chris, con gli occhi fissi nei suoi. Non so per quanto rimasi in quella posizione, nel silenzio più assoluto, cullata dal suo profumo. Alla fine abbassai le palpebre e la notte mi prese con sè.

 

 

*
 

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Capitolo 14
*** Capitolo XIII ***


 

*


Capitolo XIII


 

Mi risvegliai con il sole sul viso, sul petto di Chris lasciato scoperto dalle lenzuola. La stanza era disseminata dei nostri indumenti, le mie gambe erano imprigionate tra le sue, le sue mani mi tenevano stretta. Sentivo un leggero formicolio alle labbra, quasi come se il mio bisogno di un bacio potesse riassumersi in quel fastidio.

Sul suo collo non c'era neanche la cicatrice dei miei denti, solo due piccolissimi puntini iridescenti disegnati all'altezza della sua giugulare, dove le mie labbra si erano chiuse in un bacio profondo.

Lo baciai, prima sul collo, poi sulle labbra, assaporando quel momento. Si aprì in un sorriso mentre mi metteva a fuoco.

- Buon giorno...- disse, allegro.

- Buon giorno...- risposi – Come ti senti?-

Lui stiracchiò le gambe, poi le braccia, ancora allacciate a me.

- Meravigliosamente...- si portò una mia mano alle labbra, baciando le mie dita una ad una.

- L'incontro con Lexie ieri mi ha fatto riflettere...- aggiunse, pensieroso.

Mi sentii colpire da una palla di cannone. Lexie? Cosa diavolo c'entrava?

- Ah si?- chiesi, tentando di non avere un tono deluso.

- Mi sono sentito un pò in difficoltà nel presentarti...-

Quelle parole mi lasciarono perplessa, perciò mi sedetti, il busto avvolto nella seta della mia camicia da notte, e attesi che continuasse. Lui si mise a sedere al mio fianco, prendendomi una mano e guardandomi negli occhi.

- Avrei potuto usare molti aggettivi per qualificarti... la parola compagna, magari, ma non ti avrebbe reso giustizia... Sei molto più che una compagna per me: sei la donna che amo, sei lo scopo della mia esistenza...-

Fece una pausa breve, ma che mi parve durare un'eternità. Avrei voluto sentire il mio cuore galoppare, come sicuramente avrebbe fatto se fossi stata ancora umana. Non c'erano molte parole da dire dopo il passo che avevamo compiuto la sera precedente, eppure riuscì a sorprendermi.

- Non sei semplicemente Elena... sei la mia Elena... la donna a cui ho donato me stesso, molto prima di ieri notte. E c'era solo una parola che potessi e volessi usare...-

Tremai, se ne accorse. Le sue mani mi accarezzarono, cercando di rassicurarmi. Sorrise, passandosi una mano tra i capelli, nel suo solito gesto imbarazzato, quasi a volersi scusare delle sue parole.

- Ieri sera avevo organizzato tutto... Avrei voluto portarti sulla Senna, dopo il ristorante, e inginocchiarmi davanti a te...- aggiunse.

- Per chiederti se vuoi essere mia, nell'unico modo umano che conosco...-

Lo vidi armeggiare con qualcosa sotto al suo cuscino, poi mi accarezzò il viso, scendendo lungo il mio braccio sinistro fino a prendermi la mano.

- Elena Dumont, vuoi diventare mia moglie?-

Lo guardai per un lungo istante, senza parlare, prima di stringergli la braccia al collo sussurrando un lieve si, con la voce resa sottile dall'emozione.

Mi strinse la mano sinistra e mi infilò un anello che alla luce del sole splendeva come una piccola stella. Una serie di rubini rettangolari, dello stesso colore del sangue, spiccava su una fascia di diamanti e oro bianco, stagliandosi contro la mia pelle cerea.

Lo guardai con gli occhi sgranati, mentre una lacrima mi bagnava le guance e le sue labbra si infrangevano contro le mie, mozzandomi il fiato.

- Elena Scarlett Grey, suona bene!- mi disse, sorridendo, guardando la mia mano.

- E' perfetto...- sussurrai, emozionata. Avrei voluto sentirmi sempre in quel modo: esaltata come dopo una corsa a tutta velocità, con l'adrenalina libera nel mio corpo, elettrizzata.

- Voglio portarti a pranzo fuori, ti va?-

Lo guardai adorante. Non sapevo se avessi fame oppure no, ma l'avrei seguito ovunque.

La consapevolezza di ciò che avevo promesso a lui e a me stessa mi travolse, ma per la prima volta piuttosto che lasciarmi abbattere da quella sensazione del tutto nuova, tentai di resisterle. L'ondata mi attraversò, lasciandomi ancorata al sostegno più saldo al quale avessi mai avuto modo di sostenermi.

Lo guardai a lungo negli occhi, incapace di fare altrimenti.

- Faccio una doccia e sono pronta...- dissi.

Sorrisi, come non facevo da tempo ormai. Cosa poteva oscurare la mia felicità?

Decisi che qualunque cosa fosse successa non le avrei permesso di rovinarmi l'umore. Ero in paradiso.

Mi alzai lentamente dal letto, gettando un'occhiata a Chris, sdraiato a pancia in su. Era bellissimo, nella sua posa completamente rilassata. Mi sorrise di rimando mentre entravo in bagno e aprivo l'acqua nella doccia.

Lasciai che l'acqua fresca lenisse quella sensazione elettrizzante che costringeva i miei occhi a cercare l'anulare sinitro a intervalli ravvicinati e canticchiai distrattamente mentre mi asciugavo i capelli, stranamente docili tra le mie dita.

Ero già vestita quando tornai nella camera. Chris era ancora sul letto e faceva zapping col telecomando, in attesa che liberassi il bagno.

Si alzò, io sentii vibrare il cellulare e lo presi in mano.

Il nome che campeggiò sullo schermo mi fece sorridere.

- Charlie, tesoro...- risposi. Avevo davvero voglia di sentire la mia amica. Lei tacque. Il suo silenzio non mi piaceva, era inquietante.

- El...-

La sua voce era terrorizzata. La sentii singhiozzare.

- Cos'è successo??- chiesi, allarmata. Chris si voltò dalla mia parte, ansioso.

- Mel e Susan... sono sparite!-

Il cellulare mi scivolò dalle mani. Le braccia di lui mi sostennero prima che potessi accasciarmi sul pavimento, stringendosi intorno alla mia vita.

Una fitta di dolore mi tolse il fiato, annientando ogni briciola della mia felicità di pochi istanti prima. Mi sentii mancare mentre annaspavo, cercando un filo logico nei miei pensieri. Chi poteva...?

Un solo nome si fece largo nella mia mente, un unico lurido responsabile.

Come avevo fatto a sottovalutarlo in quel modo? Ero una stupida.

Le avevo lasciate sole, in preda a quel bastardo senza scrupoli. Era tutta colpa mia... ero stata negligente e avevo messo le piccole in pericolo. Stupida, stupida, stupida!

La rabbia affiancò la disperazione mentre prendevo consapevolezza di quello che stava accadendo a miglia di distanza da me. Strinsi i pugni, le mani di Chris avvolsero le mie nel tentativo di sciogliere il nodo delle mie dita.

Lo guardai negli occhi senza parlare, mentre un lampo di consapevolezza si dipingeva nel suo sguardo.

- Torniamo a casa- disse.

Le sue parole sciolsero la tensione che mi attanagliava lo stomaco: eravamo insieme, tanto bastava a rassicurarmi un pò. Ma nessuno poteva posare un dito su Mel e Sue senza pagarne le conseguenze. Victor non l'avrebbe passata liscia...

 

 

*

 

 

 

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Capitolo 15
*** Capitolo XIV ***


 

Salve a tutti, è passato molto tempo dall'ultima volta in cui mi sono fermata per un saluto.

Volevo solo ricordarvi di recensire e dare il benvenuto a Mantovanina!!

Grazie per il commento e per i complimenti :) Sono davvero onorata!

Un abbraccio a tutti,

El ^^

 

*

 
Capitolo XIV 

 

 

 

 

 

Guardai il mio riflesso nello specchietto retrovisore della mia auto: avevo gli occhi segnati dalle lacrime, l'espressione malinconica, ma potevo riuscirci. Dovevo farcela.

Sarei entrata in quell'albergo, avrei sfilato fino al bancone della reception e avrei chiesto di lui. Persino pensare il suo nome mi faceva rabbrividire.

Victor. Il mio personale supplizio, l'essere più crudele e calcolatore che avessi mai conosciuto. Il mio carceriere, anche quando ero a miglia da lui. Sapeva come farmi uscire allo scoperto, come ferire la mia anima dove colpirmi per farmi più male... E aveva scelto di farlo. Di costringermi, di piegarmi a lui contro la mia volontà, di cancellare il mio orgoglio e la mia felicità. Perchè non mi lasciava scelta, e lui lo sapeva.

Sapeva che l'avrei pregato, avrei anche strisciato ai suoi piedi se questo fosse servito a riabbracciare le mie piccole.

Non riuscivo ancora a credere che fosse arrivato a tanto, ma sapevo che qualsiasi cosa avessi fatto non sarebbe bastato. Non potevo più dargli ciò che voleva da me, non potevo legarmi a lui, neanche se lo avessi desiderato.

Guardai la mia mano sinistra, dove l'anello di Chris faceva bella mostra di sè.

Il mio cuore, la mia anima, appartenevano a lui, a lui che mi amava e che io amavo con tutta me stessa. A lui, che teneva le sorti delle mie bambine nelle sue mani...

 

Mi aveva preso il viso tra le mani, lo sguardo lucido, la razionalità chiara nei suoi occhi.

"El, dobbiamo separarci..." mi aveva sussurrato. Le sue parole mi avevano lasciata senza fiato, mi avevano mozzato il respiro. Non potevo lasciarlo andare, non riuscivo a separarmi da lui... non adesso.

Ma il buon senso aveva preso il sopravvento: non si trattava di me, dovevamo mettere in salvo le piccole. Avevo deglutito sonoramente, ricacciando indietro le lacrime.

"Qual è il tuo piano?" avevo chiesto.

"Cercherò di scoprire dove le nasconde, quanti uomini ci sono di guardia... vedrò di trovare un modo per intrufolarmi e metterle in salvo..."

La paura mi aveva travolta in pieno, impedendomi di trattenere ancora le lacrime. Sarei mai riuscita a mandarlo da solo contro la guardia personale di Victor, sperando che tornasse sano e salvo da me? Li conoscevo tutti, uno per uno.

Demetrij, letale come una lama affilata, silenzioso e leggero, come la morte quando ti coglie nel tuo letto...

Heidi, servile e devota. Combatteva per l'uomo che amava e che non disdegnava di trattarla come una schiava.

Damon, feroce e massiccio, vigliacco al punto da colpirti alle spalle, il più fedele degli scagnozzi di Victor.

Li avrebbe trovati pronti, tutti all'erta... sarebbe stato da solo contro tre macchine dispensatrici di morte. Solo per me, solo per amore.

"Non preoccuparti, piccola, sono in grado di cavarmela..." mi aveva rassicurata, abbracciandomi stretta "Ma ti prego, fa come ti dico..."

Lo avevo guardato con espressione confusa, mentre distoglieva gli occhi dai miei. Cosa aveva in mente? Avevo sentito una morsa stringermi il cuore, togliendomi lucidità.

"Devi fare ciò che ti chiederà... Non metterti in pericolo. Devi pensare a Mel e Sue in queso momento..."

Sentivo il suo dolore dietro quelle parole, sapevo cosa significava per lui chiedermi di assecondare Victor dopo ciò che ci eravamo appena detti, appena promessi.

Lo avevo stretto a me, con tutta la forza che avevo, mentre le sue mani mi accarezzavano la schiena, tentando di rassicurarmi, scossa dai singhiozzi.

"Sei il mio destino, qualunque cosa succeda... ci ritroveremo, sempre..." mi aveva sussurrato sulle labbra, mentre una lacrima gli solcava il viso.

L'avevo asciugata con la mano, mentre appoggiavo la fronte alla sua e chiudevo gli occhi.

"Il mio cuore, i miei pensieri, questo corpo... ti appartengono. Niente di ciò che succederà potrà mai cambiarlo..." avevo risposto.

Eppure, nell'istante in cui avevo pronunciato quelle parole mi ero sentita sporca e vuota. Come avrei potuto permettere che Victor facesse di me quello che desiderava? Come avrei sopportato le sue mani, le sue labbra, quando il mio corpo reclamava Chris? Il suo dolore era specchio del mio, la sua rassegnazione mi lacerava l'anima...

Ma non si trattava di me, o di noi...

Si trattava di due bambine che non avevano altra colpa che di essere amate da me. Due piccole e dolcissime bambine che avevano avuto la terribile sfortuna di rappresentare per me la speranza e la vita, che mi avevano dato luce quando intorno a me vedevo solo dolore.

Per loro avrei subito ogni carezza, ogni sguardo, ogni bacio...

Per loro avrei dato la mia vita.

E per quanto potessi odiare me stessa per quello che avrei fatto di li a poche ore, non potevo comportarmi altrimenti.

Avevo posato le mie labbra su quelle di Chris, in un bacio carico di tensione e rammarico, tentando di comunicargli tutto l'amore che sentivo per lui. Non so per quanto mi aveva tenuto al suo fianco, stretta tra le sue braccia.

Durante il volo non ci eravamo detti altro. Eravamo rimasti stretti l'uno all'altra, in silenzio, con le dita intrecciate, occhi negli occhi.

Mi aveva accompagnata alla macchina, prima di prendermi il viso tra le mani e sfiorarmi la fronte con un bacio.

"Andrà tutto bene..." mi aveva sussurrato. Ed era sparito così, veloce, coperto dalle ombre della sera.

E mentre tornavo a casa per prepararmi a quella serata avevo asciugato la mia ultima lacrima di sale.

 

Scesi dall'auto, sistemandomi con cura il soprabito. Indossavo un leggero vestito nero di seta opaca, con la scollatura ampia a V e la gonna lunga fino al ginocchio, portavo scarpe alte ai piedi. Mi ero truccata, cercando di coprire i segni della stanchezza e del jet lag, e avevo lasciato i capelli mossi sciolti sulle spalle.

Mi ero conciata di proposito in quel modo: sapevo che Victor non avrebbe esitato a prendere da me ciò che voleva e non avrei prolungato quella agonia.

Avevo valutato ogni alternativa, tra le braccia di Chris, ma non esisteva un piano B. Avrei fatto quanto mi chiedeva, nonostante il pensiero mi gettasse nello sconforto e mi facesse rabbrividire dal disgusto.

Oltrepassai l'entrata elegante dell'hotel. Il receptionist mi guardò sorpreso, mentre gli chiedevo il numero di stanza di Victor e mi avviavo verso gli ascensori.

Le luci erano tutte accese, illuminando i corridoi ampi che attraversavo senza voltarmi indietro. Mi fermai davanti all'unica porta che si apriva su quel lato dell'edificio, all'ultimo piano. Bussai una volta, attesi solo un attimo.

Mi aprì a torso nudo, i capelli bagnati, con l'espressione compiaciuta sul viso.

- Sapevo che saresti arrivata...- mi salutò.

- In tal caso avresti anche potuto vestirti...- risposi, acida. Lo scansai, entrando nella camera.

Era una suite molto grande, composta da diverse stanze. Mi fece accomodare nel salottino, su un divano di pelle nera, mentre un rumore d'acqua proveniente da una stanza attigua coglieva i miei sensi.

Si sedette al mio fianco, poggiandomi una mano sullo schienale dietro di me. La sentivo come una tagliola, pronta a scattare quando meno me lo sarei aspettata.

- El, sei adorabile quando sei irritata, lo sai...-

Sorrisi sarcastica, fulminandolo con lo sguardo. Inevitabilmente fissai il suo corpo nudo, i suoi muscoli sviluppati sotto la pelle dorata e glabra. Era bello, di una bellezza fiera e orgogliosa che non conosce rifiuti. Mi disgustava.

Lui mi osservava, godendosi quell'attimo di ammirazione. Se mi conosceva bene, sapeva che non sarebbe durato ancora a lungo.

- Sei un bastardo...- dissi, con la voce gelida, rovinandogli il momento di gloria.

Lui mi prese il viso tra le mani, ma non mi ritrassi. Dovevo andare fino in fondo se volevo raggiungere il mio scopo. Mi accarezzò con la punta delle dita, lascivo come era sempre stato.

- Devi lasciarle andare, Vic... Ti prego...- dissi, guardandolo dritto negli occhi.

- Non so di cosa tu stia parlando...- negò. La sua espressione era una maschera impenetrabile, se non lo avessi conosciuto così bene avrei qusi potuto credergli. Ma non era così... anche se non ero più la sua Elena. Non lo ero mai stata fino in fondo.

- Credevi che la mia fosse una visita di cortesia??- lo schernii. Era chiaro che non avrei mai desiderato essere li. Eppure ero in quella camera d'albergo, eppure ero al suo fianco. La contraddizione era vivida sotto i miei occhi, ma non riuscivo a rassegnarmi.

- Dovrai essere molto più convincente, piccola, se vuoi che esaudisca le tue preghiere...-

Mi alzai dal divano, con un nodo stretto intorno alla bocca dello stomaco, e mi tolsi il cappotto con calcolata lentezza, scoprendo così la schiena nuda. Lo sentii trattenere il respiro.

Mi voltai a guardarlo, sforzandomi di sorridere.

- Sei bellissima...- mi disse. Si alzò e mi si avvicinò cauto, allungando lievemente le mani per cingermi la vita.

Sentii le sue dita calde poggiarsi sulla mia pelle, facendomi tremare. La sua carezza risalì verso l'altro, percorrendo la mia colonna vertebrale.

- Cosa vuoi che faccia?- gli chiesi.

- Lo sai...-

Reclinò piano la testa, scostandomi i capelli con una mano per posare le sue labbra sul mio collo. Mi baciò la gola, salendo fino al mio orecchio, per poi spostarsi alla guancia e arrivando piano alle labbra.

Strinsi i pugni mentre la sua lingua violava la mia bocca, in un bacio lento e rude allo stesso tempo. Dentro di me tutto combatteva contro quello che stavo per fare, eppure sollevai le braccia a cingergli il collo, lasciando che mi stringesse a sè.

Mi sollevò piano per portarmi più vicina al suo viso, mentre le immagini di un passato ormai remoto affioravano nella mia mente.

Conoscevo quelle mani, sapevo di cosa erano capaci, così come conoscevo quelle labbra e i piccoli morsi che lasciavano sulla mia pelle al loro passaggio.

Sentivo i suoi addominali tendersi per permettermi di avvicinarmi di più a lui, mentre le sue dita si ditricavano tra le onde dei miei capelli.

Non avrei mai creduto che insieme al disgusto razionale per quello che stavo per fare, potessi sentire il mio corpo fremere di repulsione.

Ma non mi sottrassi. Allontanai le labbra dalle sue solo per un attimo.

- Voglio che richiami i tuoi tirapiedi e dica loro di riportare le bambine in ospedale...- dissi, con il fiatone.

Lui aprì gli occhi, lo sguardo velato dall'eccitazione, cercando di capire le mie parole.

- Ti costerà più di un bacio, lo sai...-

- Ne sono consapevole...-risposi, algida.

Mi abbassò piano una spallina del vestito, mentre le sue labbra sfioravano la mia clavicola, lente. Chiusi gli occhi, trattenendo il bisogno di andarmene da li a gambe levate, e gli accarezzai i capelli.

Le sue mani cercarono le mie, ma lo sentii esitare un attimo. Si staccò da me, esterrefatto, mentre si portava la mia mano sinistra agli occhi.

Rise, sarcastico, mentre il suo volto si faceva di nuovo impassibile.

- E così ti sei fatta mettere il cappio al collo!- mi derise, sfiorando l'anello al mio anulare.

- Si chiama amore, ma non credo tu conosca questa parola...- risposi. Rise più forte, mentre lasciava andare la mia mano.

- Non sarà uno stupido gioiello a impedirmi di prenderti per me...-

- Ti ricordavo più attento, Vic...- lo insultai. Reclinai la mia testa, invitandolo a saggiare il mio profumo.

Mi riprese tra le braccia, mentre affondava il viso tra i miei capelli. Il mio odore era lievemente cambiato dopo aver bevuto il sangue di Chris... era una fragranza più intensa, come le note di una melodia suonata a quattro mani.

- Credevi che non me ne fossi accorto?-

Il nodo allo stomaco mi salì in gola. Sapeva e non gli importava. Avrei sofferto come se mi avesse strappato il cuore dal petto a mani nude, ma non gli importava. Quale essere meschino avrebbe mai potuto permettersi di distruggere l'anima di un suo simile in quel modo? Chi avrebbe mai rapito due bimbe per appagare la propria lussuria? La nausea mi colse al mio posto, ma la ricacciai indietro.

Ero già stata sua, prima di conoscere Chris. Quella notte non significava nulla. Non era più di quanto avessi già fatto in passato... Eppure sentivo la mia coscienza ribellarsi, il mio corpo irrigidirsi.

Riprese a baciarmi, vincendo le mie resistenze, mentre le sue mani tentavano di sciogliere la mia posa rigida. Mi condusse lentamente alla camera da letto, adagiandomi sulle lenzuola di seta sgualcite.

- Sai cosa hai promesso quando hai svenduto il tuo sangue in quel modo?- mi disse.

- Che sarò sua, per sempre...- risposi, la voce priva di qualsiasi emozione. Sua, sua e di nessun altro.

- Sbagliato...- mi sussurrò glaciale – Sua, finchè morte non vi separi...-

Il senso delle sue parole mi colse alla sprovvista. Cosa avevo fatto?!

Non avevo esitato a mandare Chris a prendere le bambine, credendo che avrei posto la parola fine a quell'incubo... ma di nuovo avevo sottovalutato Victor.

Loro erano solo un'esca. L'esca necessaria a liberarsi di Chris per sempre e rompere il mio legame con lui.

Rabbrividii sotto il suo sguardo, mentre un dolore sordo mi attraversava il petto. Mi portai una mano all'altezza dello sterno, sconvolta, mentre la consapevolezza mi faceva abbassare ogni difesa.

- Cosa vuoi che faccia?- ripetei di nuovo. Stavolta non avrei esitato. Avrei spento la mia coscienza e avrei lasciato che mi portasse via l'anima se fosse servito a salvare Chris.

Pezzo per pezzo, avrei rinunciato a tutta me stessa, donandomi al mio torturatore pur di saperlo vivo.

Mi guardò con aria di sfida.

- Nulla che non voglia anche tu... sono certo che da questa prospettiva sarai molto più ben disposta ad esaudire i miei desideri, sbaglio?- rispose. Mi accarezzò il viso.

Se mi avesse presa a calci mi avrebbe fatto molto meno male. Il dolore era insopportabile. Poteva anche abusare di me, estorcermi il consenso di violare il mio corpo, ma non avrei acconsentito al suo piano. Non avrei permesso che facesse del male a Chris. Il pensiero mi fece crollare tra le sue braccia, in preda all'angoscia e al terrore.

Sapevo di non essere in grado di piangere, eppure sentii una goccia calda scendere lungo le mie guance.

Lo vidi rimanere un attimo interdetto, lo stupore chiaro sul suo viso ingessato mentre spazzavo via col dorso della mano la piccola goccia di sangue. Il rumore d'acqua che aveva fatto da sottofondo a tutta la scena si interruppe.

Distolse lo sguardo da me, voltandosi verso la porta, mentre passi lenti e cadenzati annunciavano che non eravamo soli. La sopresa fu solo mia.

La bestia dormiente che era in me ebbe modo di sollevare il capo quando la vidi: avvolta nella spugna candida, i capelli umidi ondeggianti sulle sue spalle pallide.

Si accostò alla porta, sorridendomi maligna.

- Ci rincontriamo...-

 

 

*

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Capitolo 16
*** Capitolo XV ***


*

 

 

Capitolo XV

 


 

 

- Cosa ci fai qui?- la accusai, con l'ostilità chiara nella mia voce. Lexie rise.

- Sono rimasta davvero sorpresa quando ho scoperto il motivo per cui Vic si da tanto disturbo...- rispose. Scesi dal letto, andandole incontro. Lei rimase ferma al suo posto.

Mi era bastato un attimo per capire, una frazione di secondo.

- Cosa vuoi da me...?-

- Io sono il motivo per cui Chris è ancora vivo...- mi rispose – Fosse dipeso da me saresti già cenere nel vento... ma io e Victor abbiamo raggiunto un accordo...-

La presi per la gola sollevandola verso l'alto, mentre lei rimaneva a mezz'aria, sospesa.

- Non lo toccherai nemmeno con un dito...- ringhiai.

- Mi pregherà di concedermi a lui prima di quanto credi...-

Il gioco era fin troppo semplice, per quello sarebbe andato a buon fine: ci minacciavano entrambi e sapevo che anche lui avrebbe ceduto. Avrebbe persino implorato di avere quella... quella donna... purchè non mi fosse fatto del male. Il pensiero mi fece stringere più forte la presa, mentre il veleno mi invedeva la bocca e il mio campo visivo si screziava di rosso. Avrei voluto ucciderla in quel momento, beandomi della sensazione del suo corpo privo di vita tra le mie braccia, con i denti affondati nel suo collo. Ma non ero una bestia.

- Non ti amerà mai...- risposi in un sussurro, lasciandola andare di colpo.

Rise, mentre atterrava con grazia sul pavimento. Victor mi prese per un polso, stringendolo tra le sue dita.

- Adesso basta...- mi intimò.

Lexie sorrise maligna, mentre lasciava la stanza ondeggiando. Guardai Victor con astio, mentre la rabbia continuava a ribollirmi nelle vene.

- Tutto questo... tanto disturbo per cosa? Rapire due bambine, Vic! Come riesci a guardarti allo specchio?!- lo accusai.

- Sono andato vicinissimo a perderti per sempre... allora non avevo mosso un dito per riportarti a casa. Non farò di nuovo lo stesso errore...- rispose.

- Perchè?- sbottai – Non ti bastano le tue puttane? Devi per forza rovinarmi la vita?-

- Elena...-

Il modo in cui sussurrò il mio nome mi fece gelare, ferma al mio posto. Mi prese tra le braccia, stringendomi al suo petto nudo mentre le sue labbra mi sfioravano i capelli.

Era un manipolatore. Mi usava, non esitava ad allungare la mano su ciò che voleva senza curarsi del male che lasciava dietro di sè...

Tremai, mentre una nuova lacrima di sangue percorreva la mia guancia, lasciando dietro di se una scia di dolore e morte che mi tolse il respiro.

- Vuoi che rimanga con te? Perfetto, ma alle mie condizioni...- dissi, autoritaria.

- Non sei nella posizione per dettare legge...- mi ammonì.

- Vic... non puoi controllarmi a vista. Sai che non è quello che vuoi e sai che non esiterei a gesti estremi se dovessi costringermi...- lo minacciai – L'ho già fatto...-

Avevo già provato a lasciarmi morire di fame...

Lo sentii sospirare, prima di cedere. Ricordava anche lui.

- Quali sono le condizioni?- mi chiese con un sospiro rassegnato.

- Lascerai andare le bambine e voglio essere presente in ospedale al momento del loro arrivo...- dissi sicura – E voglio vedere Christian...-

- Le bambine stanno bene... e anche il tuo amico non avrà torto neanche un capello se collaborerai...-

- Non hai capito: farai in modo che le bambine tornino in ospedale questa notte stessa sotto i miei occhi, e mi metterai in contatto con Charlotte e Chris...- ribattei, secca.

Lui mi prese il capo tra le mani, guardandomi fisso. Non so cosa lesse nel mio sguardo, perchè mi lasciò andare e si diresse verso la cucina.

- Dormirai qui, stanotte...- affermò.

- Voglio la tua parola, Romenek...-

Mi lanciò un telefono cellulare.

- Chiama chi diavolo vuoi... ma ricorda la posta in gioco, Elena... Domattina torneremo a casa...-

Casa. Quella parola aveva un significato molto diverso per noi due. Per lui significava Mosca, il piccolo regno in cui spadroneggiava come un vanesio signore medievale. Tutti chiedevano il suo consiglio. Tutti lo veneravano, ambendo a condividere con lui il suo potere intriso di sangue.

Per me significava Chris. Ovunque fossi stata insieme a lui, quella sarebbe stata la dimora della mia anima, il luogo in cui avrei finalmente trovato riposo.

Lo guardai sprezzante per un attimo, mentre componevo il suo numero.

"Capo?" fece una voce.

- Dimitrij, voglio parlare con Christian...- dissi, fredda, riconoscendo quella voce.

Non rispose, ma lo sentii trattenere un gemito di sorpresa mentre passava il cellulare al mio unico compagno.

- Chris..- lo chiamai.

"El, stai bene? Sono un idiota, era una trappola... Non avremmo mai dovuto dividerci..."

- Sto bene, tu come stai? Hai visto le piccole??- chiesi, in ansia. Dal tono della sua voce doveva essere immobilizzato in qualche modo.

"Stiamo tutti bene, anche se Susan è un pò spaventata... Penso che rimarranno qui ancora per poco... anche se non è stato torto loro neanche un capello..."

- Chris...- sussurrai.

"Non ti azzardare a pensarlo neanche..." mi ammonì.

- E' solo colpa mia... Lexie, lei sta con Victor... era tutto un piano per separarci...- dissi. Ero in prenda al dolore. Lontana da lui, contro la mia volontà, legata a doppio filo a quella donna che odiavo.

"Ricorda cosa ti ho detto..." mi sussurrò "In un modo o nell'altro ci ritroveremo..."

Mi sentii attraversare da un brivido mentre cercavo di reprimere il terrore che l'idea di stargli lontana suscitava in me.

- Ti ricatteranno... ci ricatteranno...- lo misi in guardia.

"Non fare niente di stupido..." mi raccomandò. Sentii la sua voce rompersi "Non permettergli di farti del male..."

- Chris..- singhiozzai, mentre una terza lacrima di sangue mi segnava il viso. Il significato delle sue parole mi scavò dentro, abbattendo ogni mia volontà di combattere.

"Piccola..." rispose, mesto.

- Si...- dissi solamente.

Lui rimase in silenzio per un istante, prima di sospirare.

"Ti amo..." mi disse "Non dimenticarlo mai, qualsiasi cosa accada..."

- Stanotte riporteranno le bambine in ospedale...- mormorai, cambiando argomento.

"Farò in modo di esserci anch'io..."

- Di loro che presto torneranno a casa... e che le adoro...-

"Lo farò..."

- Devo avvisare Charlotte...- aggiunsi.

"Non pensare a nulla, El... non pensare a me..."

- Sai che sarà impossibile...-

"Sei forte... ce la puoi fare..."

Il dolore ormai mi mozzava il fiato. Non riuscivo neanche a respirare.

- Devo andare...-

Riattacai di malagrazia, componendo un nuovo numero.

- Charlie, ho trovato le piccole...- dissi, senza giri di parole.

"Dove? El, stai bene?" rispose lei.

- Si, farò in modo che ritornino in ospedale entro stanotte. Posso contare su di te?-

"Che significa?" domandò sospettosa.

- Non posso dirti molto, ma non devi fare domande...-

"Come... come vuoi..."

- Devo chiederti solo un favore...- sussurrai mesta. Andai fino in fondo, nonostante la consapevolezza del baratro che mi attendeva si faceva sempre più pressante. Stavo rinunciando per sempre a ciò che mi avrebbe reso felice, alla mia vita, alle persone che amavo... tutto in un solo giorno.

- Fa che non rimangano senza una casa ancora a lungo... Mi capisci??- dissi.

"Io... volevo parlartene... Si, io e Dan pensavamo di prenderle in affidamento già da tempo. Solo non sapevo come l'avresti presa..."

Sospirai sollevata: sapevo che Charlie si sarebbe presa cura di loro, che era una donna assennata, di cui potermi fidare.

- Mi manderanno all'estero per... aprire una nuova filiale dello studio legale...-

"Ti sei messa nei guai con qualche criminale? E' per questo che non puoi dirmi altro?"

Era troppo sveglia, come sempre, ma mi offriva quella bugia su un piatto d'argento.

- Volevano farmela pagare... per questo hanno preso Sue e Mel... Proteggile, per favore!- la implorai.

"Le amo quanto te..." rispose semplicemente.

- Ti avviserò quando saremo nei paraggi... Mi dispiace di non poterti dire altro, ma non posso...-

"El... buona fortuna!"

- Grazie...-

Riattaccai, accorgendomi solo allora dello sguardo di Victor su di me. Mi si avvicinò lentamente, prendendomi tra le sue braccia. Disgusto e rassegnazione mi invasero.

- Un giorno capirai che ho fatto la selta giusta per entrambi...- mi disse.

- Portami dalle bambine...- risposi semplicemente.

Mi pulii il viso e attesi che si vestisse, prima di seguirlo nella sua auto di lusso. Guidò fino ad un appartamento a due passi dall'ospedale. Era tutto fin troppo facile.

Parcheggiò nel grande spiazzale di ghiaia, mentre afferrava il cellulare.

- Accompagna le bambine...-

Lo guardai sprezzante.

- E Grey, per favore...-

Mi rivolse uno sguardo muto, tentando di leggere la mia espressione, ma non avrebbe mai potuto comprendere ciò che le sue parole avevano scatenato nella mia testa.

Quella sarebbe stata l'ultima volta in cui avrei guardato Chris negli occhi, in cui il suo amore avrebbe riempito la distanza tra noi, avvolgendomi completamente. L'ultima volta in cui avrei affondato la mia anima nella sua, sentendomi a casa. L'ultima, in cui avrei sorriso pur di tranquillizzarlo, con la morte nel cuore.

Scesi dall'auto, lasciando che il gelo della notte calasse anche sui miei pensieri. Victor mi imitò, rimanendo a debita distanza.

Le vidi prima ancora di sentire il loro profumo intorno a me: Susan e Melanie. Le mie stelline.

Mi strisero in un abbraccio mentre entrambe mi regalavano un sorriso.

- State bene?- chiesi.

- Si, non ci hanno trattate male... dicevano che saresti venuta a prenderci...- disse Melanie.

- Sapevo che saresti arrivata...- confermò Susan – Anche Christian lo diceva...-

- Ragazze, c'è una cosa che devo dirvi...-

Entrambe mi fissarono, con gli occhi lucidi per il freddo.

- Mi hanno offerto un lavoro all'estero...- dissi.

Melanie mi guardò ferita.

- Ci lasci di nuovo?-

- No, vi ho trovato una casa!-

Le parole di Susan mi travolsero come una valanga, spazzando via la mia sicurezza.

- Ci porti con te?-

Scossi la testa, tristemente, mentre davo voce al mio piano per tenerle al sicuro.

- Charlotte e suo marito Daniel vogliono adottarvi...-

Il silenzio accolse le mie parole, carico di risentimento. Le lacrime sul volto di Mel spezzarono l'immobilità di quell'istante.

- Non piangere, tesoro...- dissi, tentando di abbracciarla.

Lei si ritrasse, come non aveva mai fatto.

- Lasciami...- Susan la prese per mano.

- Faremo come vuoi...- disse. Poi guardò Victor che aveva aperto la portiera posteriore della sua auto e mi superò senza dire una parola. Le sue parole mi schiaffeggiarono, lasciandomi inerme al mio posto. Una lascrima di sangue bagnò i sassolini chiari ai miei piedi. Una mano mi sollevò in viso.

Non servivano parole. Chris mi baciò con un'intensità tale da scuotermi. Mi strinse a sè, mentre mi aggrappavo alle sue spalle. Dolore, assenza, confusione, dolore. Dolore.

Mi staccai da lui per guardarlo negli occhi.

- Anch'io ti amo... Ovunque andrai, per sempre- dissi.

Lui mi accarezzò il viso con una mano.

- Ti ritroverò- mi promise.

Un'altra lacrima, un'altra stilettata al cuore, colò lungo il mio zigomo gelido.

- Cercherò di mettermi in contatto con te tutte le volte che potrò...- aggiunse.

- Non fare nulla di avventato...- lo ammonii.

- Te lo prometto...- sussurrò.

Mi staccai da lui, facendo violenza al mio corpo e alla mia mente.

- Devo andare...- sussurrai, cercando le bambine con lo sguardo.

- Ti perdoneranno...- mi rassicurò.

- Vorrei che fosse così...-

Lo strinsi per l'ultima volta forte a me per poi voltargli le spalle di colpo e rientrare in macchina.

Sentii Melanie sussultare quando sbattei la portiera, mentre Victor metteva in moto e ripartiva diretto all'ospedale.

Chiamai Charlotte, avvertendola del nostro arrivo.

Ciò che accadde in seguito fu solo un incrocio di sguardi. Il mio, carico di rammarico. Il loro pieno di delusione. Quello di Charlie, colmo di sollievo e gratitudine.

Mi sorrise da lontano mentre abbracciava le mie bambine e le portava al riparo. Loro non si voltarono indietro, lasciandomi paralizzata sul sedile di pelle.

Victor mi prese una mano.

- Andiamo...- mi disse. Il suo falso tono rassicurante sfregò contro le mie ferite aperte. Mi lasciai sfuggire un gemito, ma non sottrassi la mano.

Se dovevo soffocare nel dolore tanto valeva respirarlo a pieni polmoni e rendere tutto più veloce.

Ripensai all'inizio di quella serata, a come avevo creduto che fosse tutto destinato a risolversi in fretta secondo i miei desideri... Mai ero stata tanto lontana dalla realtà. Mai, tanto lontana da me stessa...

Scesi dall'auto di Victor in trance e salii nuovamente nella suite con lui. Lexie aveva tolto il disturbo e io non potevo non sentire la gelosia afferrarmi e stringere la presa sul mio cuore fermo al pensiero che lei condividesse anche solo pochi attimi con Chris. Con il mio Chris.

Il veleno, la bile, il sangue, richiami concordi con la voglia che avevo di ucciderla, mi salirono alle labbra. Io che avevo condiviso con lui la mia anima, che lo amavo come fosse parte di me, che ero sua e di nessun altro, dovevo cedere di fronte all'unica realtà che la mia mente riuscisse a concepire in quel momento: il tradimento. Lo avrei tradito. La repulsione che sentivo per me stessa non era sufficiente... L'idea che lui giacesse tra le sue braccia mi faceva impazzire, torturando ogni frammento del mio essere.

Indossai una camicia da notte che Vic mi aveva passato attraverso la porta socchiusa del bagno, dove mi ero rifugiata per una doccia.

Non aveva detto nulla, aspettava che fossi io a parlare per prima. Ma non avevo voce.

Lo guardai prenotare due voli per Mosca, prima di dirigermi alla camera da letto e stendermi su un fianco sul lato destro del materasso.

Lui si tolse la camicia e si avvicinò a me, sedendosi accanto alle mie gambe.

- Dormirò sul divano... Non ti toccherò...- disse.

- Come vuoi...- risposi a fior di labbra.

I suoi occhi indugiarono su di me per un attimo, prima che lui si alzasse e si spogliasse completamente stendendosi al mio fianco.

Rimasi a contemplare la radio sveglia per interminabili istanti prima che il gelo mi avvolgesse e il sonno mi prendesse con sè.

E il baratro mi accolse.

 

*

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Capitolo 17
*** Capitolo XVI ***


 

*

 

 

Capitolo XVI

 

 

 

Aprii gli occhi di scatto, serrando i pugni immediatamente mentre tentavo di scacciare le immagini dell'incubo che mi tormentava tutte le notti da mesi, ormai.

Sognavo che Victor aveva trovato un modo di riprendermi con sé, che aveva rapito Susan e Melanie per ottenere ciò che voleva e che mi teneva lontana da Chris.

Sognavo che mi aveva condotta a Mosca contro la mia volontà e che mi aveva segregata in casa, permettendomi a mala pena di uscire dalla mia camera, teatro di infinite umiliazioni.

Sognavo di versare lacrime di sangue, costretta a tradire l'uomo che amavo e che era costretto a tradire me, pur di rimanere in vita entrambi.

Sognavo... erano solo incubi, o no?

Guardai la sveglia sul comodino al mio fianco: erano appena le quattro del mattino e come sempre il mio cuscino era umido. Avevo pianto, ancora.

Sentii una braccio stringermi la vita. Non c'era dolcezza in quel gesto, solo costrizione, possesso. Qualcosa dentro di me si agitò, annodandomi lo stomaco e facendomi sospirare. Mi voltai appena per guardare il vampiro al mio fianco, profondamente addormentato.

Come ogni notte, il gelo mi invase completamente, togliendomi lucidità e facendomi sprofondare nel baratro di angoscia che mi era ormai familiare. Non era un incubo: la realtà sapeva essere ben peggiore delle mie proiezioni oniriche.

Victor giaceva tra le lenzuola, completamente nudo, un sorriso lascivo sulle labbra. Godeva beato di un riposo che lui mi negava, invadendo anche i miei sogni...

Istintivamente mi scostai da lui quel tanto che mi consentiva quel braccio che mi faceva da guinzaglio. Erano le sue regole: la mia vita per la vita dell'uomo che amavo. Non sapeva che lontana da Chris mi avrebbe uccisa lentamente, giorno per giorno, e in modo definitivo, senza farmi mai realmente sua.

O forse ne era consapevole... ad ogni modo non pareva importargli.

Avevo abdicato al suo volere pur di rimanere viva, perché se avesse torto un capello a Chris ero certa che avrei patito le sue pene sulla mia pelle, quasi fossero inflitte a me.

Eravamo legati, sangue dello stesso sangue, le nostre vite si appartenevano.

Questo non poteva cambiare, nessuna Lexie e nessun Victor avrebbero potuto negarlo.

Eppure, ogni volta che mi costringeva a concedermi a lui sentivo la mia vita scivolarmi tra le dita, perdevo coscienza, avvolta dal torpore di un dolore acuto e continuo che mi toglieva anche il respiro. A volte quella sensazione mi coglieva da sola, immersa in attività del tutto insignificanti. Non avevo capito cosa significasse finchè non avevo realizzato la portata del legame.

Mi domandai quante volte si era sentito allo stesso modo mentre Victor mi prendeva contro la mia volontà, mentre mi baciava o accarezzava il mio corpo. Il tradimento bruciava i brandelli della mia anima come fuoco tra le pagine di una biblioteca. Non importava che fossi io o lui a commetterlo: mi devastava, mi annichiliva, schiacciandomi sotto il suo peso.

Solo l'istinto di sopravvivenza mi teneva in vita, impedendomi di scomparire tra le pieghe del mio dolore. Mi proteggeva dal commettere gesti estremi, dal soppesare più del lecito l'idea della morte, che ora più che mai mi tentava.

Avevo dovuto ricominciare a nutrirmi: quella era la condizione perché potessi chiamare Chris di tanto in tanto. Avevo negoziato quella soluzione con Victor quasi subito, ma il sollievo che avevo sperato di ricevere da quelle telefonate non era mai arrivato.

Era straziante sentire la sua voce carica di angoscia promettermi che tutto sarebbe andato bene, pronunciare il mio nome con un tono che mi faceva vibrare il sangue e patire sofferenze terribili ogni volta che lui e Lexie condividevano il letto.

Ma ancora più straziante era sapere di essere io la causa di tutto ciò che stava accadendo, del dolore che gli veniva inferto e dell'infelicità a cui avevo condannato entrambi.

Ero io il motivo per cui Victor aveva ingaggiato Chris per cercarmi, io che mi ero legata a lui come un'incosciente, io l'unica da biasimare.

L'odio verso il mio carceriere era nulla paragonato al rifiuto verso me stessa...

Il senso di nausea mi colse su quel letto, immobilizzata nella mia posa rigida dall'angoscia e dal sensazione di essere troppo lontana da casa per sentirmi me stessa.

Troppo diversa per sentirmi Elena.

Scostai la mano di Victor, alzandomi in piedi. Indossai la vestaglia che giaceva scompostamente ai piedi del letto e mi diressi in bagno, in cerca di qualche sollievo.

I miei piedi nudi sfioravano il freddo marmo del pavimento, facendomi riacquistare parte della lucidità che avevo perso, avvolta da quei pensieri.

Accesi la luce e chiusi la porta dietro di me, trovandomi immediatamente di fronte allo specchio che sovrastava il lavandino.

Avevo l'aria stravolta.

I soliti rivoli rossi segnavano asciutti le mie guance, dandomi un aspetto macabro, quasi tetro, a cui contribuivano le occhiaie e l'insana magrezza che mi denotava, accentuata dalla camicia da notte troppo leggera e scollata.

Avevo i boccoli scuri spettinati: li portavo corti, adesso, in un caschetto lievemente irregolare, più lungo sul davanti, che lasciava ben visibile la gola, spesso segnata dai morsi di Victor.

Avevo motivo di ritenere che il sapore del mio sangue non fosse per lui gradevole come un tempo, eppure non desisteva dall'imprimermi quel marchio. Sapeva di umiliarmi, di ferirmi.

Semplicemente non si faceva alcuno scrupolo a marcarmi come suo territorio.

Ma i cambiamenti fisici non erano altro che lo specchio della nuova Elena. Sottomessa, soffocata.

Distolsi lo sguardo dalla donna nello specchio e mi lavai il viso con l'acqua gelida. Sentivo la pelle bruciare per il freddo, i brividi risalire lungo la mia schiena. In quei brevi attimi mi sentivo viva, quasi me stessa. Non impiegavo molto a ripiombare nello stato di incoscienza che mi contraddistingueva di solito.

Una mano bussò alla porta in modo sicuro, ma non ostile. Trasalii, realizzando che Victor si era svegliato.

- El, stai male?- mi chiese.

Sapevo cosa voleva sentire. Non fu difficile pronunciare quelle parole.

- Va tutto bene, torna a letto!-

La mia voce mi sorprese: era spenta, atona, del tutto impersonale. Non che a lui importasse come mi sentissi veramente. Tutto ciò che non aveva a che fare con il mio corpo non sfiorava nemmeno il suo interesse, semplicemente non lo riguardava.

Lo sentii avvolgersi nuovamente tra le lenzuola e presi un respiro profondo prima di uscire dal bagno.

Volevo ritardare quel momento all'infinito, ma non volevo sfidare la sua pazienza.

Non ne avrei ricavato nulla di buono, se non la sua furia. Perciò mi feci forza e mi avviai verso il letto che condividevo con lui.

Il suo sguardo seguiva ogni mio movimento, indugiando sulle mie gambe nude. La sua espressione mi lasciava senza fiato: era compiaciuta, arrogante, un misto di bramosia e soddisfazione che aumentava in accordo al mio incedere.

Guardai altrove, nervosa, mentre mi toglievo la vestaglia e mi distendevo al suo fianco. Rimasi semplicemente supina, in attesa che le sue braccia mi stringessero di nuovo: sapevo che era inevitabile e che non dovevo oppormi a quel gesto. Avevo dovuto imparare a mie spese che non dovevo negargli nulla... eppure ogni volta faceva male come la prima. Faceva male, male da morire.

- Non ti nutri abbastanza...- commentò. Lo guardai, evitando di controbattere.

- Si contano le tue ossa, ormai...- aggiunse. Per sottolineare le sue parole fece scorrere le dita lungo la fila di vertebre evidenti sulla mia schiena.

Lo vidi socchiudere gli occhi, nonostante tutto eccitato dal contatto con la mia pelle.

Avvicinò le labbra alle mie e accolsi il suo bacio, remissiva. Se fossi rimasta immobile avrei provocato una sua reazione, quale che fosse, e non era mia intenzione scatenare la sua ira.

Non volevo scoprire quale pena mi avrebbe inflitto se mi fossi negata o semplicemente ritratta. Non sarei stata in grado di sopportare la rudezza delle sue mani, la prepotenza fisica che mi riservava quando non volevo assecondarlo. Perciò lo ricambiai, portandogli le braccia al collo, sconfitta.

Approfondì il bacio immediatamente, accarezzandomi i fianchi e le braccia protese verso di lui. Non ci misi molto a capire che non si sarebbe fermato al bacio.

Mi sollevò la camicia da notte, sfiorandomi le gambe nude e risalendo piano fino alla mia vita mentre le sue labbra lasciavano le mie per spostarsi prima sulla guancia, poi sulla gola scoperta.

Il nodo che sentivo allo stomaco si accentuò, mozzandomi il respiro ancora una volta.

Stavo per perdere la consapevolezza delle mie azioni, la mente annebbiata dal rimorso per qualcosa che non era in mio potere impedire.

Stavo per soffocare la mia coscienza, preda di un bisogno che nulla aveva a che fare con la mia volontà e che non mi apparteneva. Tremai sotto quelle dita che non conoscevano esitazione.

Non si sarebbe fermato di fronte a un mio rifiuto, non avrebbe desistito alla vista delle mie lacrime di sangue...

Avrebbe solo reso tutto più lento e doloroso. Cos'altro potevo fare?

In qualche modo la mia mente si proteggeva, arroccandosi dietro quel muro di incoscienza, così come il mio corpo si predisponeva a rendere tutto il più breve possibile.

Odiavo le sue dita imperiose su di me, le sue labbra avide sulle mie... Odiavo sentirlo dentro di me. Il ribrezzo per quell'invasione non si sarebbe mai alleviato: il mio corpo non lo respingeva, ma le conseguenze della sua soddisfazione mi dilaniavano.

Mi ritrovavo ad affondare le unghia nella sua pelle, cercando di trattenere il dolore che mi travolgeva a ondate, al ritmo dei suoi sospiri.

Appoggiai il viso alla sua spalla, mentre si stringeva a me, lascivo. Non era difficile che fraintendesse quel segno di resa come un gesto di tenerezza, ma avevo smesso di interessarmi a ciò che pensava.

Come ogni volta, la mia incoscienza non impediva che il senso di colpa e il disgusto per me stessa mi invadessero completamente.

Lo sentii gemere di soddisfazione mentre sbarravo gli occhi per impedirmi di piangere. Non potevo farlo di fronte a lui: mi aveva privata di tutto, non gli avrei concesso di prendersi anche il mio dolore. Era tutto ciò che mi era rimasto, l'unica cosa che sentivo appartenermi fino in fondo. Attesi che si distendesse al mio fianco per voltarmi di lato e permettere che una goccia di sangue solcasse il mio viso.

Mi sfregai le braccia gelate con le mani, mentre il mio sguardo tornava sulla sveglia.

Era quasi l'alba, ormai.

Una nuova giornata incombeva cupa su quella che era diventata la mia vita. Forse quella mattina avrei potuto chiedere di uscire.

Avevo bisogno di cambiare aria, avevo bisogno di aria... Sobbalzai quando sentii le mani di Victor avvolgermi tra le lenzuola, riparandomi dal freddo.

Quel gesto mi stupì profondamente: non immaginavo fosse capace di agire senza interesse, di fare qualcosa per me senza chiedere nulla in cambio. Ormai si era abituato al mio silenzio, non tentava neanche di fare conversazione, ma non aveva mai cercato di confortarmi in nessun modo.

Mi accarezzò lieve un braccio, prima di ritrarsi e voltarsi sul fianco, specchio della mia stessa posizione.

Se avessi avuto un cuore in grado di farlo, in quell'istante si sarebbe fermato. Avrebbe perso un battito, singhiozzando.

Che stava succedendo? Se quella era la fine del mondo, io la stavo subendo in silenzio, senza fiatare.

Mi raggomitolai su me stessa, tentando di prendere sonno. Sapevo che, ovunque lui fosse, Chris aveva condiviso con me la mia agonia, ma speravo con tutta me stessa che almeno quella volta fosse stato risparmiato.

Perchè se tradire faceva male, sentirsi traditi era come morire, pezzo dopo pezzo.

Non feci in tempo a vedere il sole sorgere, perchè le mie palpebre calarono lente, precludendomi la vista, e il sonno mi prese.

 

 

*

 


Aprii gli occhi baciata dal sole. Da mesi mi svegliavo tra le braccia di Victor, da mesi ormai mi voltavo a guardarlo in attesa che aprisse i suoi, che inevitabilmente mi ancoravano al suo fianco. Sapeva ricordarmi ogni giorno, al primo sguardo, che la mia vita era nelle sue mani e che ero totalmente in suo potere.

Era primavera a Mosca. La temperatura era di poco sopra lo zero, eppure il sole splendeva.

- Buongiorno, piccola...- mi salutò, baciandomi appena le labbra.

- Dormito bene?- chiesi. Il mio viso protestò nel mio tentativo di piegare le labbra all'insù. Chissà da quando non sorridevo realmente, solo perchè ero felice.

- Si, mi sento molto riposato... nonostante l'intermezzo di qualche ora fa...- rispose, allusivo.

- Ne sono felice...-

Mi lasciai stringere tra le braccia, sentendo il suo corpo nudo aderire al mio. Per la prima volta dopo mesi non rabbrividii, ma percepii le sue dita sfiorarmi con gentilezza, percorrendo le mie braccia.

Gli accarezzai i capelli biondi, cingendogli il collo con un braccio e chinandomi sulle sue labbra per un altro bacio. Non so cosa mi fosse saltato in mente: dovevo essere impazzita. Eppure in quel momento non ci trovai niente di più naturale. Sospirai, tirandomi indietro, mentre lui aumentava la sua stretta su di me.

- A cosa devo un risveglio simile? Potrei abituarmi...- sussurrò.

- Non so di cosa tu stia parlando...- mentii. La sua mano mi accarezzò una guancia, sfiorando il percorso tracciato dalle mie lacrime di quella notte.

- Non voglio che tu stia male...- disse. Quelle parole mi gelarono al mio posto. Sorpresa, stupita...

- Mangerò di più.- risposi, fredda.

- Sai che non intendo questo...-

- Che cosa intendi?- chiesi, titubante.

Non sapevo se fosse il caso o meno di porgli quella domanda, ma ero curiosa di conoscere i suoi pensieri. Victor non era mai stato uno di molte parole, anche se in quei mesi aveva dimostrato con i fatti ciò a cui mirava fin dall'inizio.

Ma era cambiato molto da quando lo avevo conosciuto e probabilmente avrei dovuto accorgermene la sera del mio incidente con il bicchiere...

- Elena, pensi che non lo sappia? So cosa senti quando ti tocco...-

Lo fissai sconcertata, incapace di credere alle mie orecchie.

- Ma ho bisogno di te... Non è una spiegazione valida per ciò che faccio, ma è così...- aggiunse.

- Cosa vuoi che dica?- risposi, perplessa.

- Nulla... Vorrei che non mi respingessi... Che riuscissi a lasciarti andare...-

Mi accarezzò il viso, lento, mentre l'altra mano mi stringeva la vita, avvicinandomi ancora di più al suo corpo.

- Non ti respingo...- ribattei.

- Hai ragione, forse non ho usato la parola giusta... Non mi respingi, ma non cerchi neanche le mie attenzioni... Non mi guardi, non mi ascolti... Non mi parli. Non avrei mai creduto di poter desiderare che una donna mi parlasse semplicemente o mi ascoltasse prima di andare a dormire.-

Lo vidi aggrottare le sopracciglia, scurendo ancora di più gli occhi castani.

- Non immaginavo che avrei mai potuto sentirmi in colpa nel prenderti per me, contro la tua volontà... Nonostante tu sia tutto ciò che io desideri in questo momento...-

 

Si dice che i prigionieri, dopo un lungo periodo nelle mani dei propri carcerieri, imparino ad amarli. La dipendenza dal proprio aguzzino suscita nel loro animo una sorta di attaccamento morboso, un bisogno patologico delle loro attenzioni che li spinge ad innamorarsene, a cercare la loro protezione.

 

Non so cosa mi fosse accaduto in quei mesi, ma sentire Victor pronunciare quelle parole mi fece sentire in colpa. Mi fece desiderare di consolarlo.

Io, Elena, volevo che stesse bene. Dopo tutto quello che mi aveva fatto, dopo tutto il dolore che mi aveva inferto. Si, il mio cervello era andato. Eppure non potei impedire alla mia mano di accarezzare il suo viso dolcemente, al mio corpo di stringersi al suo.

Le sue braccia mi avvolsero, la sua fronte si poggiò alla mia.

- Ci sono molte cose che non sono fiero di aver fatto... Ma se c'è una cosa che senz'altro non ripeterei, è costringerti a stare con me... Perchè averti con la forza non è ciò che voglio. Perchè vorrei che mi amassi come ami lui... e so che non è possibile...-

Trattenni il fiato per un tempo lunghissimo, mentre un barlume di speranza si faceva largo dentro di me.

- Ma averti con la forza è l'unico modo per tenerti al mio fianco, e io non posso farne a meno....-

Quelle parole spazzarono via ogni briciolo di buon senso che avesse mai albergato in me fino a quel momento. Mi aveva appena annunciato che non mi avrebbe mai lasciata andare, mi aveva appena stretto il cappio intorno al collo, eppure non riuscii ad evitarlo. Lo baciai di nuovo, mentre una lacrima di sale bagnava le mie guance.

Ero io a baciarlo. Io a desiderare le sue labbra sulle mie. Mi odiai con tutta me stessa.

 

Quanto dolore può sopportare un cuore prima che smetta di battere? Il mio non batteva più da anni... Quante lacrime possono versare gli occhi prima di chiudersi per sempre?

Non lo sapevo...

In quel maledetto istante, Elena Scarlett Grey baciava Victor Romenek.

 

 

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Capitolo 18
*** Capitolo XVII ***


 

*

 

 

Capitolo XVII 


(Alexandra)

 

Quando Victor mi aveva chiamata per darmi le informazioni sul nuovo affare non avrei mai creduto potesse risolversi in quel modo.

Conoscevo la vittima: Christian Grey, il dottor Christian Grey.

Lo avevo incontrato anni prima, ad una cena a casa di amici comuni ed ero subito stata folgorata dall'azzurro dei suoi occhi, dalle sue movenze eleganti nello smoking che vestiva perfettamente, dalla sua voce lievemente roca e terribilmente sensuale. Era un bell'uomo, non c'era altro da dire.

Niente fede al dito, niente accompagnatrice... non che mi fossi mai fatta scrupoli a sedurre uomini sposati.

Se c'era una cosa che adoravo dell'imortalità era la bellezza che me ne era venuta in dono, una chiave in grado di aprire qualsiasi porta. Ero sexy, ne ero consapevole, e non sarei mai passata inosservata. Non quella sera, con mio vestito verde smeraldo, i capelli legati a scoprirmi la sinuosa linea della gola e delle spalle.

Nessuno mi avrebbe mai rifiutato, mai, anni di statistiche ne erano la prova. Umano o vampiro che fosse, ogni uomo capitombolava ai miei piedi, prima o poi.

Eppure, quel vampiro non aveva molto a che fare con gli altri che avevo avuto modo di incrociare per una notte nel mio letto. In lui sopravviveva un misto di umanità e cavalleria che non trovai per nulla patetico. Al contrario di ogni altro nostro simile che ostentava la propria immortalità in modo volgare e osceno, Chris non esaltava il proprio essere divino, ma lo lasciava sotto gli occhi di tutti, incurante di essere la creatura più attraente della sala. Dopo di me.

Capii che non avrebbe fatto il primo passo dal modo in cui era lascivamente appoggiato alla colonna di marmo dietro di sè, troppo distratto per cogliere il mio interesse, perciò fui io ad avvicinarmi a lui con la scusa di prendere un bicchiere di champagne dal tavolo degli aperitivi. Lo vidi guardarmi con gli occhi lievemente socchiusi, accarezzando le mie curve con lo sguardo. Mi fermai al suo fianco, lasciando che fosse lui a parlare per primo.

Mi aveva offerto gentilmente la sua mano, sorridendomi.

"Sono Christian Grey, non penso di conoscerla..."

Sorrisi, mio malgrado. Eravamo gli unici vampiri in quel covo di umani.

"Il mio nome è Alexandra, ma gli amici mi chiamano Lexie..."

La mia mano era ancora stretta nella sua, mentre lasciavo ondeggiare la coda di cavallo scoprendo il tatuaggio sulla nuca. Una sola parola: Beauty.

La mia chiave, il mio dono, la mia ragione di esistere.

I suoi occhi si posarono sul mio collo, facendomi rabbrividire.

"Non mangi nulla?" gli chiesi, ironica.

"Se lo facessi non credo che sarei più il benvenuto..."

Da quella cena alla mia camera da letto fu solo un battito di ciglia. Non ero abituata a tante attenzioni, ma non ebbi motivo di lamentarmene fino a quando non tentò di stringermi il cappio intorno al collo.

Non mi interessava una relazione seria o qualunque cosa implicasse. Ma non mi aspettavo che mi lasciasse. Che lui lasciasse me. Alexandra Dazel Scott, la modella. La donna da copertina che gli uomini sognavano di portarsi a letto e che lui disprezzava solo perchè rifiutavo di farmi ingabbiare.

Ma non ero pronta per la fedeltà, così come non lo ero ai suoi rifiuti. Finì così com'era cominciata, in un letto. Stavolta non con lui.

 

Fu dopo qualche anno che incrociai Victor. Non ci furono promesse, nè domani a ostacolare le nostre serate. Stavamo insieme solo per darci piacere, reciproco e assoluto. Senza chiedere nulla in cambio, sensa complicazioni.

Non avrei chiesto niente di meglio se non di incontrarlo quando ne avessi avuto ancora l'occasione. Ben presto il nostro rapporto era diventato anche di lavoro.

Lui mi forniva vetrine in cui esporre la mia bellezza e io lo ricambiavo portandogli sempre sangue fresco alle nostre feste.

La nostra collaborazione era diventata intensa fonte di gloria e guadagno, uno scambio reciproco di favori, allietato da buon sesso occasionale.

Mi aveva chiamato un paio di settimane prima per affidarmi l'ultimo affare... Non avrei mai creduto che sarebbe andata in quel modo.

 

Ero seduta nella cucina di una enorme villa, a bere il caffè che Chris mi aveva preparato, mentre lui sfogliava distratto un giornale, gli occhiali sul naso e i piedi scalzi.

Non mi aveva sfiorato neanche con un dito. Io ero la sua spada di Damocle: potevo decretare la sua morte o quella della donna che sembrava avergli preso il cuore, eppure non mostrava alcun cenno di voler collaborare.

Perchè mi ero piegata a tanto?! Nessuno rifiutava Lexie...

Non aveva detto nemmeno una parola, chiuso nella sua roccaforte di silenzio, mi aveva fatta sistemare in una camera diversa dalla sua.

Non potevo invadere lo spazio che aveva condiviso con lei, lo avevo letto nel suo sguardo.

Non era una bellezza particolare, non capivo il perchè di tanto chiasso. Due uomini pronti ad azzannarsi come cuccioli per averla.

Istintivamente ne fui gelosa. Io venivo rifiutata per lei, una insignificante ragazzina.

Lasciai cadere una spallina della leggerissima camicia da notte, come un amo in attesa di un segno da parte di quel pesce che non voleva saperne di abboccare.

E come previsto non abboccò. Mi guardò mesto per un attimo prima di ritornare al suo giornale, bevendo un sorso del suo caffè.

- Pensi di ignorarmi per sempre?- lo incalzai.

- Non ho voluto io questa situazione...- rispose, portandosi una mano al collo. Sfiorò piano i due piccoli segni di un morso e sospirò.

C'era un solo motivo per cui un uomo potesse avere quel marchio sul corpo.

Era una cosa talmente fuori dai miei schemi che inorridii. Si era legato a quella stupida.

Ogni volta in cui avesse solo tentato di tradire quel legame si sarebbe perso nell'atrocità del tradimento. Si sarebbe sentito strappare l'anima. E avrebbe desiderato la morte.

Mi chiesi se non fosse tutto inutile: non lo avrei mai avuto, ma io volevo la mia rivincita.

Volevo sentirlo implorarmi di rimanere con lui. Sulle ragioni non mi sarei soffermata ad indagare: che lo facesse per lei non importava.

- Non dovresti essere tanto ostile verso di me... Come ho ricordato alla tua amabile sgualdrina, sono l'unica ragione per cui sei ancora vivo, Chris... Vedi di non tirarla per le lunghe...- dissi, freddamente.

- Se sono vivo è perchè ho ancora uno scopo, non perchè tu lo vuoi, Lexie... Questo è ciò che quel bastardo ti ha fatto credere... Sono l'arma che usa per minacciare Elena, gli servo...- mi rispose, calmo. La sua rassegnazione fu smorzata solo dal tono sensuale con il quale pronunciò il nome di lei.

Scossi la testa, lasciando ondeggiare i miei capelli rossi. Sapevo già che Chris era funzionale al piano di Victor, ciò che lui non conosceva, però, era la mia posizione.

- Cosa pensi di fare adesso??- gli chiesi – Di andare alla polizia? Di inseguirlo? Sai bene quali sono le condizioni per la tua libertà e per la vita di quella puttanella...-

Non si alzò sbraitando, nè mi prese per il collo, scuotendomi come aveva fatto lei. Non urlò, nè si scompose. Parlò con tono freddo e calcolato, con gli occhi animati da una luce che non avevo mai visto in lui. Mi si gelò il sangue e mi irrigidii immediatamente.

- Non osare mai più parlare di lei in questo modo... - scandì ogni parola lentamente, annichilendomi lì, seduta al mio posto.

Un fremito mi percorse la schiena mentre lo guardavo cambiare pagina e bere un altro sorso di caffè.

- Ricorda, Lex: sei in casa mia, Elena sarà presto mia moglie e sono un cacciatore... Attenta a ciò che dici se ci tieni alla tua vita...-

Mi alzai lentamente, passando al suo fianco, prima di uscire dalla cucina. Ero indignata. Come osava anche solo pensare di minacciarmi? Chi credeva di essere?

Lo fissai gelida, accarezzando involontariamente il suo profilo con lo sguardo. Non riuscivo a non apprezzare la sua immagine slanciata, il suo profilo elegante. Le sue mani stringevano la tazza quasi accarezzandola, l'ira non intaccava nulla della sua perfezione.

No, non ero gelosa di Elena. Per quanto lui desiderasse lei più di me, nonostante la amasse, ero io a reggere le sorti del gioco.

Victor mi aveva voluta al suo fianco per un unico motivo: sapevo estorcere consensi con un solo battito di ciglia. Ero amo e pescatrice. E prima o poi Chris avrebbe abboccato. Era la preda migliore che mi fosse mai capitata tra le mani e non desideravo altro che prenderlo per me...

Quelli erano i patti: l'unica donna che gli fosse mai sfuggita per l'unico uomo che mi avesse mai lasciata.

Rivolsi lo sguardo allo specchio di fronte a me e sorrisi, caparbia. La mia vendetta era vicina.

 

 

*

 

 

Fu qulche tempo dopo che l'occasione mi si presentò, servita su un piatto d'argento. Quella sera Chris aveva fatto una doccia e si era messo a leggere in salotto, mentre io guardavo la tv, svestita come al mio solito.

Avevo trovato un programma divertente che mi avrebbe distratta un pò, evitandomi la morte per noia. Da quando ero in quella casa di rado mi era capitato di conversare e ancora più di rado di conversare con Chris. Si comportava normalmente, ma non era affatto di compagnia.

Stavo facendo zapping per evitare la pubblicità quando lo sentii digrignare i denti, senza un apparente motivo. Mi voltai in tempo per vedere la sua espressione mutare in una marchera di dolore. Stringeva gli occhi, portandosi le mani all'altezza dello sterno. Sembrava stesse per soffocare...

Per un attimo mi lasciai pendere dal panico: non ero abituata a vedere la debolezza manifestarsi attraverso un immortale e non avevo la minima idea di cosa fare. Poi lo vidi riaprire gli occhi, un lampo di consapevolezza attraversargli lo sguardo...

Cosa mi ero persa?

A dire il vero mi importava molto poco, a meno che la cosa non mi risultasse utile in qualche modo...

Lo vidi alzarsi in piedi e dirigersi al mobiletto dei liquori. Si versò un bicchiere di scotch e lo bevve in un sorso. Rilassò i muscoli e si riempì nuovamente il bicchiere.

Sospirò, ancora voltato di spalle, poi bevve ancora.

Era già al suo quarto quando mi passò un bicchiere e lo riempì fino all'orlo. Non avevo mai disdegnato l'alcol, ma aveva la particolare capacità di annebbiarmi la coscienza, riducendo drasticamente il mio già scarso autocontrollo.

Quella sera fecemmo fuori l'intera scorta di alcolici, ma non avrei saputo dire se fosse ubriaco davvero.

Ricordo solo che quando tentai di baciarlo mi lasciò fare. Ero una manipolatrice? Si, lo ero. Un'opportunista? Forse. Ma niente al mondo mi avrebbe convinta a desistere dal porre in atto il mio piano. Neanche i fiumi di alcol che scorrevano nel mio sangue. Neanche la consapevolezza che sarebbe appartenuto per sempre ad un'altra donna.

Mi sorpresi quando non mi allontanò con la sua solita espressione disgustata nell'istante in cui cominciai a sbottonargli la camicia, lasciando una scia di baci sulla sua gola e sul suo petto. Le sue mani si posarono sui miei fianchi, aiutandomi a sistemarmi sulle sue gambe.

Non era il massimo della collaborazione, ma mi lasciava fare la mia parte.

Anche in quelle condizioni si rivelò un amante molto al di sopra della media.

Sentirmi in colpa fu impossibile, ma da quella sera fu tutto più semplice.

Almeno per me.

 

 

***

 

(Christian)

 


 

Che cosa avevo fatto? Ero un mostro.

Avevo compreso immediatamente cosa stava accadendo oltreoceano...

Se mi fossi strappato il cuore dal petto a mani nude avrei provato molto meno dolore. Sapere che quel bastardo aveva anche solo sfiorato la mia donna mi mandava in bestia, ma provarlo sulla mia pelle era un tormento... Avere Elena così vicina e così lontana allo stesso tempo mi aveva prostrato in uno stato che annullava del tutto la mia lucidità. Sentivo gli artigli della gelosia graffiare la mia anima, legata indissolubilmente a quella della mia donna, abusata a mille miglia da me. Perchè non c'era altra spiegazione: Victor la stava prendendo con la forza. Ma era il dolore del tradimento a infierire sulle mie ferite, lacerandole senza rimedio.

Mi sentivo impotente, disperato. Mi mancava l'aria, mi mancava la terra sotto ai piedi. Cominciai a versarmi da bere, cercando di lenire quella sensazione insopportabile, di annullare i miei sensi, ma non riuscii a fermarmi.

Passai un bicchiere alla donna seduta sul mio divano: un'estranea che assisteva alla mia distruzione. Non so perchè lo feci. Svuotai il frigobar in poco, pochissimo tempo. Annegavo in me stesso, ma non trovavo alcun appiglio. Per la prima volta da quando ero un vampiro desiderai di poter morire. Avrei accolto la morte sotti qualsiasi forma, purchè mi cogliesse in quel momento. Ero impreparato a ciò che accadde.

Lexie mi si strinse addosso, lasciva, non ebbi neanche la forza di cacciarla. Forse speravo di porre fine alla mia vita. Probabilmente ero troppo intontito dai liquori per rendermi consapevole delle mie azioni, ma non ho giustificazione per ciò che feci.

E mentre Victor prendeva la mia donna in un letto di Mosca, io la tradivo sul divano del mio salotto.

La metà della mia anima, la donna che avrei dovuto proteggere, tra le braccia di quel bastardo, ed io, da vigliacco, su quel maledetto divano con un'altra.

Mi disgustavo, mi detestavo.

Ma proprio per quello non riuscii ad evitarlo.

Nè quella volta, nè tutte le altre. Mi ripromettevo di non ricascarci, ma era difficile.

Cominciavo quasi a fare l'abitudine ai sensi di colpa, al disgusto, ai buoni propositi e alle infinite ricadute.

Era come cercare di disintossicarmi assumendo dosi sempre maggiori di quel veleno che mi uccideva sempre più lentamente, ma non mi ero reso conto di quanto male stessi seminando intorno a me finchè non mi fu concessa una diversaa prospettiva.

 

Era primavera quando mi resi conto di aver mandato la mia vita a puttane.

A Mosca doveva essere appena l'alba, suonavo il mio piano in modo talmente disperato da far tremare i tasti sotto le mie dita.

Fu a metà di un notturno di Chopin che mi sentii sbriciolare. Non avevo mai provato nulla di simile... Il dolore che avevo sentito fino a quella sera era uno scherzo in confronto a quella sensazione che mi annichiliva, annullando ogni altro pensiero.

Annaspai, cercando di mettermi in piedi. Lexie mi posò una mano sulla spalla in un gesto che voleva essere di conforto, ma che mi diede la nausea.

Non so quando avevo pianto l'ultima volta, ma le lacrime che versai non erano acqua salata.

Il sangue bagnava le mie guance, il dolore mi stordiva.

Cosa stava accadendo?

Realizzai in quel momento che esisteva una sola ragione per cui potessi sentirmi così... Non avrei mai creduto che quella consapevolezza potesse farmi stare peggio.

Elena aveva ceduto.

Ed era solo colpa mia. Tutta colpa mia. Come potevo aver ricambiato gli abusi che subiva con i miei tradimenti, insensati e ingiustificati? Non potevo nascondere a me stesso la mia idiozia. Non ero degno di lei, non ero degno neanche di camminare alla sua ombra.

Non riuscivo a biasimarla per aver perso la sua fiducia in noi, nè per l'aver desiderato Victor, anche solo per una frazione di secondo.

Sapevo come doveva essersi sentita tutte le volte che mi ero lasciato andare con Alexandra. Impotente, abbandonata... tutto a causa mia.

Sapevo come aveva sofferto. E non mi ero fatto scrupoli. Non mi ero posto il problema.

Il senso di colpa. La vergogna per le mie azioni prive di senso. La rabbia perso me stesso. Fui devastato dalla portata di quei sentimenti mentre la mia mente afferrava il bisogno di fare qualcosa, immediatamente.

Mi trovavo di fronte alla scelta più ardua della mia vita: potevo rimanere lì, rinunciare per sempre a lei. Sarei morto, probabilmente, ma sarebbe stata la giusta fine per un uomo come me. Un traditore, senza ragione alcuna. Non meritavo nemmeno la speranza di rivederla, di stringerla ancora tra le mie braccia. Le avevo promesso amore, protezione... e avevo tradito quelle promesse.

Oppure potevo andare da lei, implorandola di tornare a casa. Di tornare da me. Non ero degno, non lo meritavo, ma avrei tentato. Non aveva senso vivere in quel modo, anche perchè non c'era altra soluzione.

Non quando Vic giocava con la vita della donna che amavo, non quando dalla sua vita dipendeva la mia. Quanto ci avevo messo a capire una simile ovvietà?

Avrei rischiato la morte, ma sarei andato a riprendermela. Mi chiesi perchè ci avessi messo tanto. Chi ero diventato?

Cosa ero diventato?

Scattai in piedi, spaventando la donna al mio fianco, e afferrai il telefono.

- Due voli per Mosca, immediatamente...- dissi alla hostess.

- A nome di?-

- Christian Grey e Alexandra Scott...- sibilai. Persino scandire il suo nome dopo il mio era un insulto a lei.

- Il volo parte tra un'ora, chiudiamo il check in tra quindici minuti...- mi avvisò.

- Saremo lì.-

Afferrai una giacca e preparai un bagaglio alla svelta, mentre Lexie mi osservava indecisa sul da farsi.

- Cosa pensi di fare?- mi chiese.

- Quello che avrei dovuto fare molto tempo fa...-

Mi guardò come se mi vedesse per la prima volta.

- Ti ucciderà- disse, seria.

- Correrò il rischio...-

 

Perchè dopo settimane lontano da lei persino morire per rivederla avrebbe avuto un senso.

Elena.

E con il suono del suo nome ancora sulle labbra, corsi incontro al mio destino.

 

 

*

 

 


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Capitolo 19
*** Capitolo XVIII ***



*



Capitolo XVIII

 

(Elena)


 

Quella sera Victor era di buon umore.

Lo sentivo canticchiare sotto la doccia mentre mi preparavo ad uscire, le voce quasi coperta dallo scrosciare dall'acqua. Aveva da poco rilevato la gestione di un pub in centro, il Victoria, e aveva fatto arrivare una famosa band inglese da Londra perchè presenziasse l'inaugurazione. Si prospettava una serata piacevole: adoravo quel gruppo, avevo fatto ascoltare le loro canzoni anche a Mel e Sue qualche volta, in ospedale... Sospettavo che quella fosse la ragione principale del loro ingaggio, ma non potevo esserne sicura. Da un po' di tempo a quella parte Vic era diventato estremamente romantico, quasi tenero. Era più permissivo, meno rigido. Probabilmente si sentiva la vittoria in tasca, dopo il mio enorme colpo di testa di quella mattina.

Non so cosa mi fosse saltato in mente. Forse avevo solo bisogno di tenerezza o forse volevo sentirmi amata per un istante, dimenticando tutti i miei problemi. Forse desideravo così tanto avere Chris al mio fianco che non mi ero resa conto di cercare le sue labbra e non quelle di Vic. Ma molto più probabilmente mi ero semplicemente lasciata andare, cercando in tutti i modi di sentirmi meno sola, meno disperata. Negare l'intenzionalità di quel bacio era un insulto a me stessa e a Vic, che in quel momento mi aveva parlato in modo sincero. Ero confusa, ero sorpresa... ma ero cosciente di ciò che stavo facendo. Non so perchè le sue parole mi avessero toccata tanto, ma avevano risvegliato in me quel bisogno di legarmi, di amare, che lui stesso mi aveva negato portandomi via dal mio compagno. In qualche modo aveva riacquistato la mia stima, il mio affetto che anni di fughe e di terrore avevano cancellato bruscamente senza darmi il tempo di metabolizzare.

Era più facile per me vivere al suo fianco, ma paradossalmente mi sentivo più in colpa. Ogni volta che mi abbracciava e ricambiavo la sua stretta... era come se lo scegliessi davvero, come se rinnegassi me stessa. Come se negassi di appartenere all'unico uomo che avessi mai amato e al quale mi ero legata, come una stupida, ma con tutta me stessa.

Non so se Chris si fosse accorto della mia sbandata, ma temevo quella eventualità. Ne avrebbe sofferto e lo sapevo. Lo sentivo dentro di me, esattamente come sapevo che non aveva più sfiorato Lexie neanche con un dito.

Probabilmente si sentiva in colpa per aver ceduto alle sue avance, ma non riuscivo a fargliene una colpa. Mi sentivo dilaniata dalla gelosia e dal dolore al pensiero che lei avesse anche solo per un attimo avuto dal mio uomo le attenzioni di cui io sola ero l'unica destinataria, ma non potevo recriminare Chris per questo. Conoscevo le regole di quel gioco contorto al quale io stessa partecipavo. Non ero del tutto consenziente, eppure condividevo le mie giornate con un altro... lo avevo baciato persino... Come avrei potuto giudicarlo? Eppure mi sentivo tradita. Perchè non era lì? Perchè non era già venuto a prendermi? Pregavo con tutta me stessa che non avesse rinunciato a me, pregavo perchè mi desse ancora un motivo per esistere, ma non osavo condividere quel pensiero... Non potevo condividerlo con nessuno. Non con Victor, non con Chris... non con Heidi, che mi rendeva difficili anche le più semplici attività quotidiane. Mi ostacolava con ogni mezzo, non mancando di ricordarmi che ero solo una sciocca... perchè disprezzavo la fortuna che avevo e sisdegnavo la mia condizione quando molte avrebbero voluto trovarsi al mio posto. Non aveva mai avuto alcun riguardo verso di me, ma sottrarle le cure dell'uomo che amava non era servito ad ingraziarmela di certo. Mi disprezzava con tutta se stessa, lo leggevo nel suo sguardo. E di riflesso, disprezzavo me stessa. Per quel bacio... per tutto.

Con quel pensiero indossavo gli abiti che Victor aveva acquistato per me: un leggero bustino rosso, ricamato di nero e stringato sulla schiena, e un paio di pantaloni neri, non troppo stretti, ad accompagnare un paio di vertiginose scarpe col tacco.

Aveva acquistato anche una giacca nera, allacciata sotto al seno, che chiusi subito cercando di rendere meno evidente la scollatura. Probabilmente non mi sarei mai vestita in quel modo di mia spontanea volontà, ma non era il caso di fare questioni per inezie del genere. Del resto per quanta libertà mi avesse concesso ultimamente, mi negava l'unica cosa che mi potesse rendere felice. Non aveva alcun senso discutere per degli abiti.

Mi pettinai i capelli, lasciando che i boccoli più lunghi mi incorniciassero il viso, poi finii di truccarmi, nascondendo le occhiaie con il fondotinta.

Mi sforzai di sorridere al mio riflesso nello specchio mentre le braccia di Victor mi circondavano la vita.

- Sei davvero bella...- mi sussurrò, appoggiando il mento sulla mia spalla – Dovrò impegnarmi se voglio essere degno di stare al tuo fianco, stasera...- aggiunse.

Mi ruotò piano tra le sue braccia, cercando i miei occhi con i suoi. Mi baciò la punta del naso, poi le labbra, piano.

Rabbrividii. Forse per la sorpresa, forse per la delicatezza con cui mi sfiorò.

Mi lasciò andare prima di quanto mi aspettassi, dirigendosi verso l'armadio per estrarre i suoi vestiti. Scelse una camicia nera, a righe sottili di un nero lucido, e un paio di pantaloni scuri. Niente giacca, niente cravatta. Era proprio di buon umore.

Si spruzzò il solito profumo da centinaia di dollari al flacone e mi aiutò a indossare il cappotto.

- Ti divertirai- mi promise. E in cuor mio sentii che qualcosa stava per accadere.

 

 

Il nostro tavolo era affollato. C'erano i nostri amabili coinquilini, molti conoscenti e diverse ragazze pagate da Victor per divertire i suoi clienti affezionati.

Heidi mi lanciava occhiate assassine, come di consueto, e beveva drink di ogni genere, col suo solito atteggiamento disinibito. Ben presto si lanciò nelle danze e in breve la persi di vista. Di sicuro si stava dilettando con qualche nuovo amico di cui a mala pena avrebbe ricordato il nome. Ma lei era fatta così...

La band aveva da poco cominciato a suonare, non prima che Vic mi presentasse il cantante e mi facesse stringere la mano a tutti gli altri componenti.

Era stato davvero carino: mi ero quasi emozionata quando mi aveva dedicato la prima canzone, mentre infinite paia di occhi mi fissavano, alcune sorprese, altre invidiose. Ordinò da bere per due, facendomi arrivare una vodka ghiacciata.

Bevvi tutto in un sorso, lasciando che l'alcol sortisse il suo effetto e cancellasse i miei pensieri. Quella sera non volevo pensare. Non volevo sentirmi sola, abbandonata a me stessa. Non volevo sentirmi in colpa per la mano di Vic sulla mia gamba, per i suoi occhi su di me.

Non dovetti aspettare molto per sentirmi meno lucida, ma ciò che accadde dopo non fu solo merito dell'alcol. Mi alzai e invitai Victor a ballare.

Lo condussi al centro della pista, dove già da tempo molti ragazzi si stavano agitando a tempo di musica, e gli cinsi il collo con entrambe le braccia.

Mi strinse per la vita mentre la musica rallentava per trasformarsi in un lento. Le luci erano basse, i nostri occhi erano vicinissimi.

- El...- sussurrò.

- Si...- risposi.

Non so cosa stesse per dire, perchè qualcosa attirò il mio sguardo in fondo alla sala. Un lampo di capelli rosso fiamma...

Un colore unico, intenso. Inumano.

Seguii quel guizzo tra la folla e lo vidi arrestarsi davanti all'entrata del bagno delle signore.

Mi strinsi nell'abbraccio di Vic, veloce, per potermi guardare intorno senza che lui se ne accorgesse. Se avessi potuto, avrei avuto il cuore al galoppo. Cercavo, setacciavo la sala palmo a palmo. Fu un pugno in pieno petto: mi mozzò il respiro e mi tolse le parole. Lo vidi appoggiato al bancone del bar, con un bicchiere colmo in mano. I suoi occhi trovarono i miei, lo vidi deglutire, guardarmi fisso, poi farmi un cenno con la testa.

- Ho bisogno di aria...- dissi, cercando di essere credibile. Ma avevo la gola secca, mi sentivo mancare, e non servirono particolari doti recitative.

- Vuoi che venga con te?- mi chiese. Scossi la testa. Vic mi sciolse dal suo abbraccio, mentre io mi allontanavo, diretta verso l'uscita.

 

Non so come percorsi quei pochi metri, non ero in grado di intendere o di volere. Mi lanciai fuori dalla porta di vetro e quasi gli rimbalzai addosso.

Il suo odore mi invase immediatamente, riempiendomi i polmoni. I suoi occhi entrarono nel mio campo visivo mentre le sue mani mi stringevano i polsi, tentando di reggermi in piedi.

Mi abbracciò, veloce, afferrandomi per la vita, mentre le mie mani correvano al suo viso, vicinissimo al mio. I nostri nasi si sfioravano, i nostri occhi legati a doppio filo.

Lo vidi osservare i miei capelli, il mio viso, il mio corpo.

- Cosa ti ha fatto!?- mi chiese, secco.

- Perdonami...- dissi solamente. Lui sapeva. Lo leggevo nei suoi occhi. Aveva sentito, aveva sofferto e io ne ero la causa. Avrei dovuto allontanarmi da lui, vergognandomi troppo per poterlo guardare negli occhi... per essere degna di lui. Ma rimasi al mio posto mentre mi stringeva più forte a sé e realizzavo che era davvero lì.

Io ero tra le sue braccia e lui era lì.

Christian.

Gli gettai le braccia al collo, mentre lui mi sollevava, stringendomi ancora di più.

Non so se meritassi quel bacio, io che avevo baciato un altro uomo. Io che lo avevo tradito, col corpo e, per un istante, anche con il cuore.

Non so se avessi diritto a sentirmi felice dopo tutte le torture che avevo inflitto a entrambi, dopo il dolore di cui ero unica causa e artefice.

Non lo sapevo allora, non credo che lo saprò mai.

Avrei dovuto ritrarmi, invece ricambiai quel bacio. Era l'uomo che amavo, era il compagno della mia vita. Mi aveva scelta, lo avevo scelto.

E mi sentii di nuovo intera, di nuovo Elena. Di nuovo io, dopo tanto, troppo tempo.

- Avrei dovuto arrivare prima...- mi sussurrò, asciugando le mie guance.

Non mi ero resa conto che stessi piangendo, non avevo realizzato che la sua camicia bianca era ormai macchiata di rosso.

- Non hai nulla di cui scusarti...- risposi senza fiato.

Mi prese la mano sinistra, cercando l'anello con cui mi aveva chiesto di sposarlo. Lo avevo tolto subito, temendo che Vic se ne ricordasse e lo nascondesse, o peggio lo distruggesse. Lo portavo al collo da mesi, come un ciondolo.

Lo tirai fuori dal corpetto, e glielo mostrai. Lui mi accarezzò una guancia.

- Cosa ti ha fatto?- ripetè, mesto.

- Come hai fatto a trovarmi?- chiesi.

- Lo avevo promesso...- rispose semplicemente. Lo strinsi di nuovo a me, forte. Non avrei mai lasciato le sue braccia, mai più.

Avevo bisogno di lui, di sentire le sue labbra sulle mie, di saperlo al mio fianco sempre. Ma solo in quel momento realizzai che non sapevo come avremmo fatto ad andare via da li.

Sentii qualcosa infrangersi dentro di me, consapevole che non avremmo avuto affatto vita facile. Non sarei mai riuscita a scappare. Non avevo un piano, non sapevo cosa fare...

- El... Cosa c'è?- mi chiese, accorgendosi del mio repentino cambio di umore.

- Come andremo via?- sussurrai. Temevo la sua risposta come non avevo mai temuto nulla nella mia vita. Temevo che mi dicesse di non avere un piano, o peggio, che non mi avrebbe portata con sé... 

 - Un mio vecchio conoscente mi deve un favore. Il suo autista ci aspetta in auto, dietro l'angolo... Ci accompagnerà in un albergo fuori da Mosca e domani mattina ripartiremo per gli Stati Uniti... Ho già i biglietti aerei...- rispose.

- Perchè siamo qui fuori, allora?- chiesi, sorridendo.

- Perchè voglio che tu scelga liberamente se rimanere o venire con me...- rispose, abbassando lo sguardo.

Cosa avevo combinato? Ero un mostro, non c'erano altre definizioni. Come avevo potuto farlo soffrire in quel modo? Avrei dovuto morire piuttosto che farmi mettere le mani a dosso da Victor, invece mi ero lasciata prendere... e lo avevo baciato...

Mi meravigliavo che Chris fosse lì e non mi avesse ancora mandata al diavolo. Le lacrime cominciarono a scorrere copiose, macchiandomi il corpetto. Avevo sbagliato tutto, tutto.

Le sue braccia mi avvolsero nuovamente, mentre il mio viso affondava nella sua camicia. Non riuscii a fare a meno di stringerlo a me.

- Come puoi volermi ancora dopo quello che ho fatto?- chiesi, con voce rotta.

- El... Non pensarlo neanche per scherzo...- mi ammonì, sollevandomi il mento con un dito.

Il suo sguardo era luminoso, la sua voce era sicura. Ma c'era tensione dietro quelle parole, le sentivo abbattere lentamente il mio muro di sensi di colpa e disperazione, annegate nella loro stessa amarezza.

Cosa fossi prima di conosce Chris non lo ricordavo, ma in quel momento mi sentii umana come non mai.

- Portami a casa...- dissi, la voce finalmente ferma.

Mi guardò felice mentre mi prendeva per mano e cominciava a correre.

 

Non avrei mai più pensato a Victor, a Lexie... a Heidi, a tutti i tirapiedi di Victor. Non avrei rimesso piede a Mosca per nessun motivo al mondo...

Eppure non riuscii a fare a meno di guardare alle mie spalle, oltre il vetro, la figura di un uomo biondo, ferma davanti all'entrata del pub, guardarsi intorno con aria disorientata.

Non so se avrei mai scritto la parola fine a quella storia, ma in quell'istante non mi feci altre domande.

Ero seduta sul sedile posteriore di un'auto di lusso, con Chris al mio fianco.

Il tragitto fino all'hotel mi parve brevissimo: Chris mi strinse a sé mentre ringraziava l'autista e chiedeva la chiave della nostra camera al receptionist.

Salimmo in ascensore silenziosi, incapaci di dare voce ai nostri sentimenti. Non lo vidi avvolgermi in un suo maglione per placare il mio tremore, né mi accorsi di essere distesa al suo fianco sul grande letto, la testa sulla sua spalla, mentre le sue mani mi accarezzavano i capelli.

Stare con lui era come respirare: semplice, automatico. Eravamo fatti per stare insieme, nonostante tutto.

Sollevai il viso verso di lui, cercando le sue labbra. Lui si ritrasse.

- Sono un idiota...- mi disse, mesto.

- Di cosa stai parlando?- chiesi, mentre l'angoscia si impadroniva di me.

- Del fatto che ho tradito la tua fiducia... con Lexie...-

Chiusi gli occhi, cercando di respirare normalmente. Sapevo ciò che era successo, ma sentirlo dalla sua bocca era un colpo troppo difficile da attutire, almeno in quel momento.

Ripresi a tremare, temendo che ciò che era accaduto ci separasse per sempre.

Ma come potevo avercela con lui quando la causa di tutto ero io?

Il tradimento implicava una certa dose di premeditazione e di volontarietà. Dubitavo che lui avrebbe deliberatamente commesso un'azione del genere se la situazione fosse stata diversa.

Ma era solo una supposizione. Perchè nonostante il nostro legame avevo paura. Paura che non mi amasse, che non mi volesse più... paura di lui, di come avrebbe potuto distruggermi se mi avesse lasciata, di come mi avrebbe fatto del male se si fosse allontanato da me.

Sollevai i miei occhi nei suoi, sentendomi improvvisamente esausta.

Non riuscivo a esprimere i miei pensieri, non riuscivo a sentire nulla. Persa in quel blu, pensavo, mi arrovellavo in cerca di qualcosa che potesse farmi stare meglio, che lo sollevasse da quell'angoscia. Ma non avevo la forza per lottare contro il mio sgomento, né per abbattere il muro dei suoi sensi di colpa.

Troppo stanca, mi addormentai al suo fianco, tra le sue braccia.

Troppo presto spalancai gli occhi, assordata da quella voce, distorta in un ringhio bestiale.



*

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Capitolo 20
*** Capitolo XIX ***


*


E' con immenso piacere che do il benvenuto nella nostra piccola famiglia di lettrici a GiulyRedRose :)
Grazie per le recensioni così puntuali e gradite, spero di poterti rispondere via mail al più presto.
Un grande, enorme abbraccio,
Elanor 

 



*

 




Capitolo XIX

 


 

 

Sentii il sibilo che precede il colpo ancora prima di vedere il pugno di Victor colpire il viso di Christian, ormai in piedi.

Digrignavano entrambi i denti, fronteggiandosi come sue fiere sul punto di azzannarsi. Chris si frappose tra me e Vic, impedendomi di guardarlo in viso, in posizione di difesa.

Istintivamente mi misi a sedere, pronta a scattare se la situazione fosse degenerata. Mi sentivo una stupida... Avrei dovuto immaginare che non sarebbe andato tutto liscio, che non saremmo mai arrivati all'aeroporto, ma il panico mi assalì ugualmente, privandomi della mia lucidità. L'assurdità di quella situazione mi raggelava. Potevamo fingere di essere umani con tutte le nostre forze, potevamo vivere di solo cibo, ma la nostra vera natura sarebbe riemersa, prima o poi. E quella ne era la prova. Eravamo bestie, pronte ad azzannarci alla prima occasione, eravamo demoni, inclini alla vendetta più che a qualunque altro sentimento. Eravamo vampiri, stupidi, orgogliosi vampiri.

Non avrei immaginato ciò che sarebbe accaduto quella notte.

Vidi Victor mirare al viso di Chris, sistemandosi in posizione di attacco, prima di sferrare un pugno. Lo mancò di una manciata di millimetri, troppo fuori di sé per prevenire il suo spostamento.

- Smettetela- urlai. Entrambi mi ignorarono, continuando a fronteggiarsi con i pugni sollevati. Chris alzò la guardia giusto in tempo per evitare che un colpo raggiungesse la sua mascella, frantumandogliela.

- Adesso basta...- insistei. Mi ritrovai in posizione di attacco prima ancora di rendermene conto, Victor ringhiò, mostrandomi i denti.

- Vai via...- sibilai.

- Solo se verrai con me...- mi rispose.

- No.- ringhiò Chris.

- Cosa ti fa credere di poter decidere per me? Cosa ti fa pensare che assisterò alla vostra lotta senza battere ciglio?- lo provocai – Io tornerò a casa, non mi importa che tu sia d'accordo o meno...-

- Tu sei una mia creatura...- mi urlò – Sei sangue del mio sangue...-

- Io sono una donna libera...- risposi. Riacquistai la posizione eretta, cercando di riportare tra noi una parvenza di umanità – E sono libera di andare dove desidero...-

- Tu non andrai da nessuna parte con lui...- disse, guardandolo con disprezzo.

- Come pensi di impedirmelo?- lo sfidai.

Lui si mise in piedi, cambiando espressione del volto con una rapidità tale da sconcertarmi.

Lo vidi guardarci per un attimo, sconcertato dalla mano di Chris sul mio fianco, dal suo atteggiamento protettivo nei miei riguardi. Trattenne a stento un sibilo di dissenso, indietreggiando disgustato.

- Non posso più trattenerti con la forza, El..-

Mi diede le spalle, rivolgendosi alla finestra della camera. Appoggiò la fronte al vetro.

- Pensavo che avrei avuto la determinazione necessaria per tenerti al mio fianco a tutti i costi, che ciò che provo per te sarebbe stato abbastanza per entrambi... ma non ce la faccio!-

Lo ascoltavo, sorpresa, mentre sentivo il respiro di Chris rilassarsi. Mi accarezzò un braccio, scendendo lentamente a prendermi la mano. Aveva bisogno di sentirmi, così come io avevo bisogno di averlo al mio fianco, ma non sopportavo di vedere Vic in quello stato.

- Non si può scegliere chi amare... non si può decidere di non amare più... Non c'è niente da decidere, niente da scegliere...- dissi, mesta.

- Lo so...- mi rispose, voltandosi a guardarmi. Vidi una lacrima scorrergli lungo il viso.

Mi avvicinai a lui, lasciando che mi abbracciasse e interrompendo per un attimo il contatto con Chris. Vederlo in quello stato mi rendeva difficile anche respirare. Quanto dolore avevo causato? Quanto ancora ne avrei causato?

Non potevo fare a meno di pensare che fosse tutta colpa mia. Chris aveva sofferto, Vic stava soffrendo... Non riuscivo a muovere un passo senza causare dolore a qualcuno. Ero diventata un mostro... lo ero sempre stata.

- Perdonami, ti prego...- mi sussurrò lui. Mi strinse più saldamente, guardandomi negli occhi per un attimo. Poi tese i muscoli. Lo percepii chiaramente sotto le mie dita, al di là della stoffa della sua camicia.

Compresi troppo tardi ciò che aveva intenzione di fare.

Sentii le schegge di vetro rimbalzare sul mio corpo e tintinnare nell'aria come piccoli campanelli mentre sfondavamo la finestra, ancora stretti in quell'abbraccio.

Planavamo a tutta velocità verso l'asfalto, compiendo un volo dall'undicesimo piano e tagliando l'aria come due proiettili impazziti.

Per quel poco che ricordavo della fisica studiata al college, sapevo che non sarei rimasta in aria per molto più di un paio di secondi, eppure ebbi il tempo di vedere gli occhi di Chris, sbarrati dall'orrore, rivolgermi un ultimo intenso sguardo, il viso illuminato dal sole appena sorto. Era divino, accarezzato da un vento leggero che gli scompigliava i capelli...

Non sentii nessuno schianto, nessun dolore.

Non vidi la mia vita passarmi davanti agli occhi in una sequenza di immagini a rallentatore. Non vidi tunnel, né luci bianche da seguire.

Ebbi solo la consapevolezza che tutto finiva esattamente come era cominciato.

Con il mio corpo disteso sull'asfalto in un vicolo scarsamente illuminato, con i primi raggi del sole che sorge a baciare i palazzi più alti.

E con gli occhi di Chris nei miei, un piccolo angolo di paradiso in quel luogo che sapeva di morte.

Se fossi riuscita a parlare, ero certa di cosa avrei detto.

Mi sarebbero bastate poche parole, sapevo che mi avrebbe sentita sin da lassù.

Ma non avevo fiato. Non potevo parlare.

Sperai che sentisse con chiarezza dentro di sé quanto lo amavo, nonostante tutto ciò che era accaduto negli ultimi mesi. Che sapesse che lo avevo perdonato per tutto. Per Lexie, per essersi fatto attendere...

Sperai di poter sentire le sue mani su di me ancora. Di poterlo baciare ancora. Di poterlo avere ancora...

Sperai di non morire lì, tra le braccia dell'uomo sbagliato.

E mentre i miei pensieri ricorrevano quelle speranze sentii le forze prosciugarsi, costringendo le mie palpebre ad abbassarsi lentamente, precludendomi quelle ultime immagini di vita. In quel momento realizzai che il mio destino si era finalmente compiuto.

Elena Scarlett Grey moriva per l'ultima volta.

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Capitolo 21
*** Epilogo ***


 

Care ragazze, volevo dire due parole prima di lasciarvi all'epilogo.


Spero di non deludere nessuna di voi, di avervi fatto sognare insieme ad Elena, 
ma soprattutto di aver saputo comunicarvi che

"ognuno è artefice del proprio destino",

che nulla è scritto e che una scelta, per quanto piccola e insignificante possa apparire, può sempre fare la differenza...

 

Devo un doveroso ringraziamento a chi mi ha seguita da vicino,

alla mia lettrice #1, Giulia,

e a chi è stato membro di questa famiglia anche in modo silenzioso, ma costante...  

Dedico questo capitolo a tutte voi... 


Un abbraccio e un grazie di cuore,

 

Elanor <3 

 

PS: volevo darvi due comunicazioni di servizio: la prima è che ci saranno due MISSING MOMENTS del Destino. Saranno pubblicati a breve e spero colmino le lacune che per motivi di trama ho lasciato qua e là.

La seconda è che sto lavorando ad una nuova fiction, prossimamente su questi schermi. 
Spero di ritrovarmi tutte ^^

 

Buona lettura e a prestissimo =)
 

 

 

*

 

 

Epilogo

 


 

- Dimmi che sei già per strada, la cerimonia sta per cominciare!-

Così mi ero svegliata quella mattina, scattando a sedere al centro del mio letto e svegliando l'uomo che dormiva al mio fianco per afferrare il telefono sul comodino.

Mi annotai mentalmente di uccidere Charlie una volta arrivata al campus, mentre chiudevo quella conversazione telefonica che mi aveva a dir poco traumatizzata. Doveva essere impazzita ad urlare in quel modo, immersa in un caos di auto strombazzanti, interrompendo bruscamente il mio sonno.

- El, che succede?- mi chiese Chris, sfiorandomi una mano.

- Credi che Charlie abbia un buon sapore?- sbuffai. Lui scoppiò a ridere.

- Bisognerebbe chiedere a Daniel...- si sedette al mio fianco, chinandosi a baciarmi una spalla. Repressi un brivido – Che ora è?- domandò.

Guardai la sveglia sul mio comodino, mentre una smorfia di terrore mi cancellava il sorriso.

- Siamo in ritardo...- risposi, scattando fuori dal letto per infilarmi direttamente nella doccia.

Non so come riuscii a lavarmi, vestirmi, pettinarmi e truccarmi in così poco tempo, ma alle undici in punto ero già in auto, seduta al mio posto, quello del passeggero.

Mi sistemai le pieghe della gonna e sorrisi al mio compagno.

- Sei emozionata?- mi chiese.

Lo guardai, perdendomi in quegli occhi color cielo che amavo. L'aria che entrava dal finestrino gli scompigliava i capelli, facendoglieli svolazzare in tutte le direzioni. Era l'immagine della serenità... Non mi sarei mai abituata alla sua elegante bellezza, né alle colleghe che lo corteggiavano spudoratamente, suscitando la mia gelosia...

Ricordavo ancora bene la prima volta in cui ero andata a trovare Chris a lavoro per pranzare insieme.

 

 


Avevo posticipato gli appuntamenti del primo pomeriggio e avevo preparato qualche tramezzino da portare in ospedale. Quella mattina Chris era uscito di casa prestissimo e lo avevo appena incrociato sotto la doccia prima che scappasse per un'urgenza. Era un ottimo medico e spesso rimaneva a lavoro più tempo del dovuto, ma non riuscivo a fargliene una colpa. Amava ciò che faceva, lo faceva sentire utile... Felice. Ero entrata nella hall e mi ero diretta verso la porta a vetri che separava la sala d'aspetto dal reparto di chirurgia generale. L'aria condizionata mi spettinava i capelli e la gonna mentre camminavo spedita per il corridoio verde chiaro in cerca di lui. Lo vidi quasi subito, con un paio di colleghe e un altro medico sulla trentina, fermo davanti alla macchinetta del caffè. Il ragazzo disse qualcosa che non sentii, allargandosi il colletto della camicia e facendo voltare le ragazze a guardarmi, mentre Chris rimaneva di spalle, scosso da una leggera risata.

Ormai sentivo il suo profumo invadermi completamente, distraendomi dalle occhiate delle due che mi squadravano dalla testa ai piedi con aria critica. Sollevai gli occhiali da sole, lasciandoli sulla testa e salutai.

- Dottor Grey...- dissi. Mio marito si voltò verso di me, con un sorriso compiaciuto che non compresi e mi avvolse la vita con un braccio, stringendomi al suo fianco.

- Signora Grey...- mi rispose, per nulla sorpreso. Non staccava gli occhi dai miei. Doveva aver sentito il mio profumo appena avevo varcato l'ingresso della hall, ne ero certa, così come doveva aver riconosciuto il mio incedere prima ancora che parlassi. Vidi le due donne sbarrare gli occhi, il ragazzo tossicchiare in imbarazzo.

- Lasciate che vi presenti mia moglie...- disse poi, rivolto a loro. Tesi la mano.

- Elena, molto piacere...-

Le due, scoprii, erano le famose ammiratrici di mio marito, due oche starnazzanti e bionde che lo vezzeggiavano senza alcun pudore nonostante avesse la fede al dito. Il ragazzo era un tirocinante di pediatria che trovai subito simpatico.

- Nessun appuntamento?- mi chiese il mio compagno.

- Troppi, a dir la verità... ma avevo voglia di vederti...- risposi semplicemente. Mi sorrise, con quel sorriso che adoravo e che gli illuminava lo sguardo.

Mi baciò la mano che teneva stretta nella sua, mentre mi conduceva nel suo studio lasciando i tre a commentare quell'incontro.

Seppi solo dopo cosa avesse sussurrato il dottor Collins e la ragione delle occhiate assassine di Jen e Sara. E quando mi riaccompagnò alla mia auto tre quarti d'ora più tardi molte paia di occhi assistettero al nostro saluto. Mi aveva stretta a sé con un braccio prima di poggiare le sue labbra sulle mie per un intenso lungo bacio. Mi aveva sussurrato dolci promesse per la serata, con la fronte contro la mia e mi aveva aperto la portiera, augurandomi buon lavoro. Così avevo fatto il mio esordo al Saint Claire, suscitando voci e indiscrezioni sul conto del dottor Stranamore, come scoprii chiamavano mio marito.

 


 

Solo quando vidi Chris aggrottare le sopracciglia qualche manciata di secondi dopo capii di non aver risposto alla sua domanda. Mi ero persa tra i miei pensieri, come al solito.

Ero emozionata? Si, lo ero. Non come quando avevo riaperto gli occhi dopo due giorni di incoscienza e avevo visto il suo viso... o come quando avevo riabbracciato le mie bambine dopo il mio ritorno da Mosca... né come quando mi aveva portata a casa e avevamo fatto l'amore per la prima volta dopo mesi di lontananza. E neanche come quando mi aveva guardata negli occhi e mi aveva messo la fede al dito di fronte a tutti i nostri amici.

Ma lo ero. Ero emozionata come una bimba il giorno di Natale. Avevo lo stomaco aggrovigliato per l'ansia.

Non ero cambiata molto da allora, da quando ero tornata negli Stati Uniti dopo la mia ultima disavventura oltre oceano. Eppure intorno a me molte cose erano cambiate.

Le persone che amavo erano andate avanti, erano cresciute, invecchiate... alcuni avevano lasciato questo mondo ed erano passati oltre.

Ma quel giorno non c'era posto per i pensieri tristi.

Quel giorno c'era posto solo per i sorrisi e gli applausi... E non avrei pianto, tentai di convincermene.

Osservai Chris parcheggiare non lontano dall'edificio in cui si sarebbe tenuta la proclamazione e attesi che mi aprisse lo sportello dell'auto prima di scendere.

 

Erano passati quindici anni, ma non si era mai stancato di prendersi cura di me con tutte quelle piccole attenzioni che mi ricordavano quanto antica fosse la sua anima. Quanto lo spaventasse l'idea di perdermi di nuovo.

Ci eravamo guardati le spalle per anni, temendo di veder comparire Lexie o uno dei compari Victor sul pianerottolo di casa, per vendicare la nostra fuga, ma non era mai accaduto e a dispetto delle mie preoccupazioni non li avevo più rivisti. Perciò eravamo tornati nella villa che era appartenuta alla sua famiglia, riprendendo tutto da dove lo avevamo lasciato. La mia riabilitazione era stata rapida: avevo riportato danni molto gravi, ma ero stata accudita da un medico d'eccezione e non avevo dovuto aspettare molto per avere i primi segni di miglioramento. Non ricordavo molto del periodo immediatamente successivo al mio incidente, ma non avevo indagato più del necessario, a dire il vero.

Vedevo il volto di Chris cambiare espressione, i suoi occhi scurirsi tutte le volte che veniva fuori l'argomento, perciò non avevo più chiesto nulla... Non mi piaceva vederlo in quello stato ed entrambi eravamo tacitamente concordi nel non pensare mai più a quel periodo della nostra vita.

Così andavamo avanti, stanchi di scappare, di nuovo insieme. E mi ero adagiata nella mia dolcissima routine familiare, divisa tra Chris, il lavoro e le mie piccole... che nel frattempo erano diventate due donne.

Non c'era voluto molto a ricucire il mio rapporto con loro. La serenità che avevano ricevuto da Dan e Charlie le aveva rese inclini a perdonare anche il mio abbandono.

Daniel le aveva conquistate subito regalando loro un cucciolo, Charlie le aveva amate incondizionatamente fin dal primo istante. Erano una famiglia felice, la nostra famiglia in qualche modo.

Mio marito mi prese per mano e mi condusse per il viottolo acciottolato, guardandosi intorno per ammirare i giardini che avevano ospitato il suo studio quasi un secolo prima.

Doveva essere strano per lui rimettere piede alla Brown dopo così tanto tempo. Strinsi le sue dita tra le mie, mentre lui si portava la mia mano alle labbra, e lo condussi verso la zona riservata alle lauree, dove era stato allestito un palco sul quale già cominciavano a sistemarsi le autorità accademiche.

Vidi Charlie sbracciarsi verso di noi dalla sesta fila e mi avvicinai a lei prima che cominciasse a sbraitare. Osservai Melanie rivolgerle uno sguardo comprensivo, mentre Dan le poggiava una mano sulla spalla per invitarla a sedersi. Non riuscii a trattenere un sorriso.

Era una bella donna, nonostante qualche ruga le increspasse il viso. I capelli erano ancora del suo colore naturale, ma li portava in un elegante caschetto adesso. Aveva da poco festeggiato i suoi 45 anni, eppure era sempre la solita ragazzina allegra. Le sue figlie erano l'elisir della sua giovinezza e i bambini dell'ospedale tenevano vivo in lei quel lato un po' buffo che la rendeva cara a tutti, animali domestici inclusi.

- El, pensavo non arrivaste più...- mi salutò, con una nota di rimprovero appena accennata nella voce. Mi fece posto mentre mi sporgevo sopra di lei per salutare Dan.

- Scusami, ma non sono riuscita a trattenerla...- mi disse, ridendo.

Io baciai Mel sulle guance mentre lei mi abbracciava. Aveva appena cominciato a studiare legge, probabilmente influenzata dai miei aneddoti sui miei ultimi decenni in tribunale, e me la ritrovavo spesso allo studio con i suoi libri sottobraccio. Era un piacere passare del tempo con lei. Baciò Chris su una guancia e si sedette al mio fianco.

- Per fortuna siete arrivati, mamma stava andando in iperventilazione...- mi sussurrò all'orecchio.

Risi, mentre osservavo Charlie mordicchiarsi le unghia. Mi chiesi cosa avrebbe fatto quando Susan si fosse sposata o avesse dato alla luce il suo primo nipotino. Era una mamma ansiosa e sapevo che avrebbe provato a dare le sue direttive, come sempre, nel tentativo di tenere tutto sotto controllo.

Sorrisi di me stessa a quel pensiero, mentre osservavo la mia migliore amica e suo marito, con lo sguardo adorante verso la nostra Sue seduta in prima fila.

Il rettore cominciò a parlare, catturando la mia attenzione. Chris continuava a tenermi la mano, disegnando segni immaginari sul dorso.

Lo vidi passarsi una mano tra i capelli e mi incantai a guardarlo: la barba incolta, la camicia di lino a righine un po' sbottonata. Non so cosa avessi fatto nella mia vita per meritare di avere al mio fianco un uomo così meraviglioso. Guardai le nostre dita intrecciate, le fedi d'oro segnate dallo scorrere del tempo mentre noi continuavamo a esistere per sempre imprigionati in quell'istante di vita. Anche se non avremmo mai potuto dare un senso a tutto quell'amore, anche se non potevo dargli ciò che entrambi desideravamo di più al mondo lo avrei sposato ancora. Sapevo quanto avrebbe desiderato poter avere dei figli, condividere il nostro amore, ma sapevo anche quanto amasse Mel e Sue, quasi fossero figlie nostre. Le adorava, le viziava terribilmente e non a caso Susan aveva scelto di studiare medicina. Si somigliavano molto caratterialmente, entrambi intraprendenti e curiosi, due piccoli geni a loro modo. Si erano legati immediatamente, tanto affini da spaventarmi.

Sorrisi al pensiero che la felicità aveva strani modi di manifestarsi e che il caso univa le vite di tutti noi in modo strano, eppure indissolubile.

Con quel pensiero tornai a guardare verso il palco giusto in tempo per sentire il vicario chiamare i primi studenti del corso per stringere loro la mano e consegnare le pergamene.

- Susan Marie Thompson-

- E' la nostra Sue- sbraitò Charlie, eccitata.

Sorrisi, mentre una piccola lacrima mi solcava il viso. Ero felice, mentre guardavo la mia bimba rivolgersi alla platea con lo sguardo fiero e sorriderci di rimando. I suoi lunghi capelli castani svolazzarono sulle sue spalle, poi si avviò verso le scale e tornò al suo posto.

L'applauso che seguì mi fece vibrare l'anima. Ero una inguaribile romantica. Non potevo farne a meno.

In quel momento nulla avrebbe potuto rovinare la mia felicità. Niente avrebbe potuto cancellare il sorriso sul viso di mio marito, né l'orgoglio di Daniel, che nascondeva l'emozione tra uno scatto fotografico e l'altro.

Susan si voltò verso di noi, con gli occhi lucidi, e ci guardò tutti per un attimo, soffermandosi su ognuno per un istante.

La vidi mimare la parola grazie prima di voltarsi nuovamente verso il palco.

 

- Voglio anch'io una foto con la dottoressa Tomphson...- strillò Anna, la migliore amica, nonché collega di Susan, correndo verso di noi.

- Mettetevi vicine....- disse Dan, scattando per l'ennesima volta.

- Agli ordini, signor Thompson...- rispose la ragazza, prendendolo in giro.

- Non fare la spiritosa, signorinella... Il signor Thompson era mio padre...- precisò lui.

- Agli ordini, Daniel...-

 

Un paio di braccia mi cinsero da dietro, mentre il mento di Chris trovava spazio nell'incavo del mio collo, le sue labbra a sfiorare il mio orecchio sinistro.

- Sei pensierosa, signora Grey?- mi domandò.

- Sono solo felice...- risposi, voltandomi verso di lui.

Gli cinsi il collo con le braccia, mentre una folata di vento ci investiva, facendo turbinare intorno a noi le foglie rosse e gialle appena cadute.

Mi strinse a sé, chinando le sue labbra sulle mie. Per sempre immortale, per sempre intrappolata in quell'attimo di vita.

E lo baciai con tutta me stessa, con il corpo, con la mente, con l'anima. Le sue mani mi stringevano i fianchi. Le mie gli accarezzavano la nuca. Eravamo tanto vicini da fonderci, tanto felici da esplodere.

Sentii il mio bisogno di lui crescere in maniera esponenziale, mentre dimenticavo il luogo in cui mi trovavo. Accadeva sempre così: quelle labbra, quelle mani erano in grado di darmi l'oblio.

Mi riebbi solo quando rimasi abbagliata da un flash fotografico che mi costrinse a strizzare gli occhi prima di riaprirli controvoglia.

Vidi Daniel guardarci, sorridente, con un'espressione indecifrabile sul volto.

- Se non vi conoscessi da più di quindici anni direi che siete due ragazzini succubi dei vostri ormoni...- disse, rassegnato.

- Non so di cosa tu stia parlando...- risposi, ridendo.

- Esattamente...- rispose.

Chris rise, stringendomi ancora di più le braccia intorno alla vita.

- Voglio quelle foto, assolutamente...- disse.

- Come sempre, dottor Grey!- esclamò Dan, mimando un saluto militare.

Anche lui era rimasto un bell'uomo, con i suoi capelli brizzolati e gli occhi attenti. Nulla sfuggiva a lui o alla sua macchina fotografica. Nulla passava inosservato.

- Sono cresciute...- dissi, senza bisogno di specificare a chi mi riferissi.

Ci voltammo tutti e tre verso il palco, ai piedi del quale uno sciame di persone si era accalcato per scambiarsi saluti e congratulazioni. Fu in quel momento che lo vidi.

 

Quando Chris mi aveva portata via da quel vicolo aveva dovuto vincere le resistenze di una Lexie furiosa, che aveva seguito Vic fino all'albergo e che non aveva mostrato intenzioni per nulla pacifiche. Non seppi mai se avessero lottato, ma alla fine Chris mi aveva portata a casa, ed entrambi ci eravamo salvati. Io e Vic. Lo avevo scoperto per caso, guardando un notiziario. Il Victoria era stato posto sotto sequestro per via dei traffici di droga che Vic vi intratteneva. La notizia era finita sui giornali, data la fama di molti dei clienti del pub, tra cui la stessa Lexie che si fingeva in un centro di cure contro la tossicodipendenza. Quella storia stava solamente alimentando la sua fama e aveva portato il nome di Vic nuovamente alla ribalta. Era sfuggito a tutte le accuse, dichiarandosi all'oscuro della faccenda e corrompendo giudici e magistrati con i suoi soliti mezzi.

Non mi stupivo. Né mi sconvolgeva il fatto di saperlo ancora vivo. Avevo compreso subito che quel salto non sarebbe stata la sua fine.

In qualche modo eravamo destinati a coesistere in quel mondo.

 

Non so perchè mi fossi voltata esattamente verso quell'albero, soffermandomi a guardare le due sagome abbracciarsi alla sua ombra e scambiarsi un bacio lento e appassionato.

La mia espressione mutò quando riconobbi la mia Sue. Sorrideva, i capelli al vento, bellissima anche nella sua toga di raso. Ma non riuscii a trattenere un tremito quando vidi chi era lui.

Chris seguì il mio sguardo, stringendomi impercettibilmente al suo petto. Non era una mia allucinazione, evidentemente.

Lo sentii irrigidirsi mentre lui si voltava verso di noi, rivolgendoci un sorriso compiaciuto per poi riprendere a baciare la mia bambina con più trasporto.

Dan si era allontanato, cercando di trascinare via Charlie dallo sciame di amiche che si congratulavano con lei, perciò feci un passo verso Susan, cercando di mantenere la calma.

- Dove stai andando?- mi chiese Chris.

- A capirci qualcosa...- risposi, riprendendo a camminare. Chris mi trattenne per un polso.

- Non da sola, Elle- mi ammonì. Vidi il suo sguardo farsi scuro, i suoi pugni stringersi. Gli presi una mano, tentando di rassicurarlo.

- Non spaventare Sue, ti prego...-

Mi lanciò uno sguardo obliquo.

- Io lo ammazzo, te lo giuro... Quel figlio di..-

 

 

*


 

(Susan)

 

Victor si era avvicinato a me, allontanandomi dai nostri colleghi e portandomi per mano sotto il nostro albero. Non passava di certo inosservato nella sua camicia scura con la toga sottobraccio, il vento gli spettinava i capelli biondi mentre il sole quasi al tramonto gli faceva brillare gli occhi.

- Sei la studentessa migliore del corso, piccola, sono fiero di te...- mi disse, accarezzandomi il viso. Sentivo le farfalle nello stomaco mentre il mio battito cardiaco accelerava.

Lo conoscevo da pochi mesi, eppure mi aveva completamente stregata. Era bello, con il suo profilo austero e quell'aria da straniero che lo circondava come un'aura mistica.

Mi faceva sentire viva, mi dava la scossa, faceva salire la mia adrenalina alle stelle. Non so cosa facesse esattamente per causare in me quelle reazioni. Io, la studentessa modello, sempre troppo concentrata sui libri per innamorarmi, mi ero lasciata rapire il cuore da uno studente straniero di cui conoscevo poco o nulla.

Era un'assurdità alla quale stentavo a credere anche io, ma non ero riuscita a rimanere impassibile alle sue attenzioni. Ancora mi stupivo che si fosse avvicinato proprio a me, per nulla eccezionale, un topolino da biblioteca, nonostante uno stuolo di cheerleader a fargli la corte...

Lo vidi chinarsi su di me, prendendomi il viso tra le mani per baciarmi con passione mentre mi stringevo a lui.

Dovevo ricordare a me stessa che ero in presenza dei miei genitori, tutti e quattro, e che non potevo dare spettacolo mettendoli in imbarazzo. Ma era difficile pensare a qualcosa quando Vic mi baciava in quel modo. Mi suscitava pensieri poco casti che avrei dovuto tenere a bada finchè non fossimo rimasti soli. Rabbrividii di piacere al solo pensiero.

- Susan...- mi sussurrò sulle labbra – Vorrei che venissi con me a Mosca per qualche giorno... Ho degli affari da sistemare, mi piacerebbe averti al mio fianco...-

Mi sentii mancare un attimo: cosa?? Victor, il bellissimo e dolcissimo Victor Romanoff mi voleva con lui in Russia?

Caspita.

Non riuscivo a dire nulla. Ero basita, non mi aspettavo nulla di tutto ciò. Temevo di parlare e dire qualche sciocchezza che mi avrebbe resa ridicola ai suoi occhi. Ma più di ogni altra cosa temevo i miei sentimenti. Mi ero mai sentita così felice, così appagata? No...

Perciò sorrisi, imbarazzata mentre lo vedevo volgere lo sguardo dietro di sé, distratto da qualcosa che a me era sfuggito. Solo allora li vidi.

El e Chris guardavano nella nostra direzione. Che cosa avrei detto?

A vederli così, abbracciati come due studenti qualsiasi, nessuno avrebbe mai creduto che fossero già sposati, laureati da anni... Il tempo sembrava non scalfirli, passava oltre segnando tutto intorno a loro, lasciandoli immutati. Erano l'immagine della serenità, della bellezza elegante di chi ha un animo nobile. Dell'amore, quello vero, che ti sconvolge la vita. Ma in quel momento avevano gli sguardi perplessi, preoccupati forse.

Vic mi strinse per la vita, avvicinandomi al suo petto.

- Allora?- mi incalzò.

Mi sorrise, poi avvicinò nuovamente le labbra alle mie, facendo cambiare del tutto il filo dei miei pensieri.

Pensai a poche sere prima, quando avevamo passato la notte insieme. Ricordai le sue attenzioni, le sue carezze...

- Si...- risposi semplicemente.

 

E nel pronunciare quella piccola, minuscola parola non avrei mai creduto che avrei cambiato le sorti di tutti noi. Di mia madre, di mio padre... Di Melanie, la persona che amavo di più al mondo. Di Elena, di Chris....

Perchè anche se ancora non ne ero a conoscenza, anche se mai la mia fantasia avrebbe potuto suggerirmi nulla di ciò che sarebbe accaduto di li a poco, con quel si avevo segnato l'inizio della mia fine.

Della fine di tutto.

 

 

***

 

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Capitolo 22
*** *Missing Moments* ***


 

*

 


Mie carissime, non potevo andare in vacanza senza lasciarvi questi due missing moments.

Spero soddisfino il lato romantico di tutte.

Vi auguro buona estate :)

Un abbraccio a tutte,

Elanor <3

 

 

*

 


Mi svegliai gelata, con un braccio a stringermi la vita.
Cercai di voltarmi verso Victor, ma una fitta di dolore alla schiena mi impedì di muovermi. Non riuscii a trattenere un gemito.
Il braccio mi strinse più forte mentre cercavo di concentrarmi su dettagli insignificanti per non pensare al dolore. Facevo sempre così quando mi svegliavo in preda al panico e realizzavo di essere in gabbia, di non avere via d'uscita... ma quella volta il dolore non era nella mia mente. Lo percepivo con chiarezza dentro di me mentre mi sforzavo di respirare lentamente, di non agitarmi.

Di non sentirmi sola e vulnerabile.
Osservai il baldacchino sulla mia testa, la cassettiera al mio fianco... la porta del bagno. Le lenzuola bianche, quel profumo di paradiso. Non ero nella mia camera a Mosca.
Conoscevo quel posto, ma non potevo essere lì. Avrei voluto, ma non era possibile...
La mia mente mi stava facendo uno scherzo niente male, cercando di darmi un'illusione di felicità. Probabilmente stavo sognando, non c'erano molte altre spiegazioni, oppure avevo bevuto parecchio. Non ricordavo nulla della serata e avevo anche le allucinazioni, a quanto pareva. Sbuffai, tentando di girarmi nuovamente.
Se avessi visto Vic sicuramente mi sarei convinta che non potevo essere a casa. Il cinismo di quel pensiero mi annebbiò la mente, togliendomi quel poco di lucidità che avevo riacquistato con non pochi sforzi. Davvero volevo cancellare tanto in fretta quell'illusione? Sapevo che abbandonarmi a quell'istante di felicità non avrebbe giovato alla mia situazione: non se mi fossi ritrovata a Mosca, ancora prigioniera. Ma del resto, continuare a domandarmi come dovessi comportarmi non mi aiutava a mantenere la calma nè ad affrontare la realtà, qualunque essa fosse.
Trattenni il fiato mentre raccoglievo ogni briciolo delle mie forze per compiere quel piccolo movimento. Non capivo il motivo di quel dolore... Cosa era successo?
Sbattei le palpebre, dieci, venti volte.
Un paio di occhi di cobalto mi guardavano fisso, incorniciati da tratti eleganti, da capelli scuri in disordine. Le sue braccia nude mi tenevano vicina.
Non parlava, non sorrideva.
- Svegliati, Elena- mi dissi, sottovoce.
Battei le palpebre ancora una volta. Chris non poteva essere lì. Anzi,
io non potevo essere li...
Vidi la mia allucinazione chiudere gli occhi, avvicinarsi a me, poggiando la sua fronte alla mia.
- Ho avuto paura...- mi sussurrò piano. La voce roca per il prolungato silenzio.
Sollevai una mano ad accarezzargli il viso, i capelli. Repressi un brivido di dolore, mentre mi stringevo a lui. Se davvero era un sogno volevo godermelo fino in fondo.
- Sono qui adesso...- risposi. Tutto, pur di vederlo sorridere. Tutto. Anche il mio dolore quando mi sarei risvegliata accanto a Victor, di nuovo sola.
Aprì gli occhi, sfiorando piano il mio viso con la punta del naso, prima di coprirmi con il lenzuolo immacolato.
- Senti molto dolore?- mi chiese.
- No.- risposi.
- Non farmi più una cosa simile...- mi ammonì con dolcezza.
Senza sapere di cosa stesse parlando annuii, ammutolita dal dolore che quel semplice movimento mi causava.
Lui mi sfiorò il viso con il dorso della mano.
- Se non avessi riaperto gli occhi... non so cosa... cosa avrei fatto...- aggiunse, mesto – Non posso lasciarti andare, El...-

Fu come se le sue parole accendessero un grande faro nella mia mente, illuminando i pezzi di quel quadro che erano rimasti oscuri fino a quel momento. E ricordai, tutto. L'incontro al Victoria, la fuga, il volo dall'undicesimo piano, il vicolo. Tutto, eccetto quelle ore in cui, in qualche modo, lui era riuscito a portarmi a casa...
Quanto ero rimasta incosciente? Quanto male ero conciata?

Ma oltre la cortina di domande che mi affollavano la mente si affacciò una verità che non avrei mai creduto di poter ritenere tale: io ero
davvero a casa.
E Chris era davvero con me. Nulla aveva importanza se potevamo stare insieme.
La felicità ruppe gli argini, sgorgando attraverso le mie lacrime.
- Sono qui...- dissi solo, con la voce rotta dall'emozione.
- Si...- mi rassicurò lui, asciugandomi gli occhi.
- Abbracciami, ti prego...- sussurrai. Lui accentuò la stretta su di me, cercando di non farmi male.
- Non ti lascio...-
Le sue labbra trovarono le mie in un bacio di una dolcezza estenuante, mentre intrecciavo le dita tra i suoi capelli, avvicinandolo ancora di più al mio viso.
Sentii il mio sangue scorrere veloce, ribollirmi nelle vene come lava incandescente. Non avvertivo neanche il dolore alla schiena, del tutto distratta da quella sensazione di appagamento e allo stesso tempo di insoddisfazione che mi straziava.

Tutte le notti al fianco di Victor mi scorsero nella memoria veloci, come fotogrammi di un film dell'orrore. Il dolore, la paura, la sensazione di panico e di angoscia che avevo provato non esistevano più. Erano svanite, senza lasciare nessuna traccia, come se Chris fosse l'antidoto, come se la sua vicinanza fosse la cura di ogni mio malessere, di ogni mio turbamento. La sua presenza diluiva ogni mia sofferenza, risvegliando sensazioni che avrei giurato di non poter più provare. D'istinto emisii un sospiro, in cerca di quell'appagamento che solo il contatto con la sua pelle avrebbe potuto darmi. La sua risposta fu un roco gemito di piacere che mi fece perdere il controllo delle mie azioni, mettendo la mia razionalità definitivamente fuori uso.
Approfondii il bacio mentre le mie mani scendevano ad accarezzargli le spalle, poi le braccia, il torace. Aveva il respiro accelerato, lo sentivo sulla pelle del mio viso, sul mio fianco, sfiorato dal suo addome al ritmo del suo affanno.
Lo strinsi per i fianchi mentre lui si portava piano sopra di me, cercando di non gravarmi col suo peso. Una mano tra i miei capelli, una accanto al mio viso. Mi strinsi a lui, inarcando la schiena indolenzita, facendo aderire i nostri corpi. Non riuscii ad evitare che un gemito sfuggisse dalle mie labbra.
- Vuoi... vuoi che mi sposti?- mi chiese, senza staccare gli occhi dai miei. Erano lucidi, lievemente arrossati, preda di un desiderio pari al mio, ma mi guardava con preoccupazione. Sapeva meglio di me quali danni avevo riportato e l'ansia tingeva di una nota più grave la sua voce. Ma non avrei permesso che si muovesse da lì neanche se da quel movimento fosse dipesa la mia vita.
La mia risposta trovò le sue labbra prima che potesse dire altro. La mia lingua tracciò i contorni del suo palato, riprendendo possesso della sua bocca, mentre le sue mani lasciavano scie roventi sulle mie gambe, portandole a cingergli la vita. Sentivo il suo corpo sul mio muoversi prima con cautela, poi con maggiore disinvoltura... Sapevo a cosa stava pensando. Conoscevo l'espressione che assumeva quando qualcosa suscitava i suoi sensi di colpa, ma non doveva.
Tutto ciò che desideravo in quel momento era cancellare le sue ansie e ricordare a entrambi quanto forte fosse il nostro legame. Gli appartenevo, mi apparteneva. Nulla di ciò che era accaduto avrebbe potuto cambiarlo.
Ovunque fossi stata insieme a lui, quella sarebbe stato il mio posto.
Lo guardai negli occhi, privandomi per in istante dell'estasi delle sue labbra, mentre lo accoglievo in me con desiderio. E mi sentii veramente completa, come se le sue braccia potessero tenere insieme tutti i pezzi del mio corpo e della mia anima che in quei mesi si erano irreparabilmente sbriciolati.
Le sue labbra accarezzavano la mia pelle con una devozione che mi toglieva il fiato, le mie mani lo stringevano con un'urgenza che faceva male. Non so dopo quante ore l'alba ci trovò lì, ancora abbracciati, al centro del nostro letto.
Baciato dai primi raggi del sole, Chris mi offrì la gola, guardandomi dritto negli occhi privo di qualsiasi esitazione. Senza fiato, senza più incertezze, avvicinai la mia bocca e sfiorai con lentezza là dove il suo sangue scorreva veloce, preda della nostra eccitazione. Affondai i denti con lentezza, sentendo il suo sapore bagnarmi la lingua, spegnendo ogni altra percezione.
La forza fluì lungo i miei arti, riscaldandomi dall'interno, mentre una sensazione di totale appagamento mi costringeva a reclinare la testa, persa nel piacere di quell'istante. Il mio e il suo.
Lo strinsi a me, raccogliendo con la lingua una goccia del suo sangue adagiata sulla sua pelle ambrata, là dove il mio veleno aveva richiuso il taglio disegnato dai miei denti affilati.
E desiderai di potermi sentire sempre in quel modo: viva, felice, appagata. Completa.
Mi lasciai avvolgere dalle sue braccia, mentre malvolentieri lo lasciavo stendere al mio fianco. Ero vicinissima a lui, le sue labbra mi fioravano il viso, il collo, con una dolcezza ed una lentezza estreme. Ma non era abbastanza. Nulla sarebbe stato più abbastanza.
Lo baciai ancora prima che trovassi la forza di parlare, la fronte contro la sua, annegando in quello sguardo che mi metteva a nudo.
- Ti amo, Christian Grey...-
E con i suoi occhi ad incendiarmi l'anima mi addormentai esausta, finalmente al suo fianco, finalmente a casa.

 

 

 

 

*

 


 

Non so come riuscii a rimettermi in sesto tanto in fretta, nè come Chris avesse trovato quel posto meraviglioso.
Per tradizione non avrebbe dovuto vedere il mio vistito fino alla cerimonia, ma aveva barato, ne ero certa, mentre Charlotte mi aiutava a sollevare la cerniera sotto al braccio destro.
La mia migliore amica mi sistemò il velo, facendo attenzione a non sgualcire i fiori della mia acconciatura. Avevo i capelli sciolti, lievemente fermati sul retro da alcune forcine invisibili. I boccoli erano ricresciuti velocemente, ormai superavano le clavicole.
Si adagiavano morbidi sulla seta opaca del vestito, scollato a V sia sul davanti che sul dietro e fermato sotto al seno da una fascia di un dorato chiarissimo, ornata di perline.
La gonna scendeva a piegoline lunga fino ai piedi, coprendo i sandali col tacco e terminando con una leggera decorazione sull'orlo.
Mi ero innamorata di quel vestito così come di quelli delle damigelle. Sue e Mel erano a dir poco deliziose nei loro vestitini beige. Erano due damine, eleganti e sorridenti come due piccole spose. Daniel le aveva portate in braccio fuori dalla stanza, per evitare che mi deconcentrassi, aveva detto.
- Come ti senti?- mi chiese Charlie.
La guardai attraverso lo specchio che avevo di fronte a me. Da quando sapeva tutto di me e Chris mi ero legata tanto a lei da sentirla come una sorella. Amavo lei e le bambine come fossero sangue del mio sangue, consideravo la sua famiglia la mia e sapevo che era un affetto reciproco.
Le sorrisi.
- Sono stata peggio...- risposi. Molto più che peggio.
Attraversai la passerella di legno sulla sabbia bianca sulle note della marcia nuziale suonata da un quartetto di archi, subito dietro le mie piccole che spargevano petali di rosa, e non potei fare a meno di pensare che l'uomo che mi aspettava sotto un gazebo bianco ornato di calle era esattamente tutto ciò che avessi mai desiderato nella mia vita.
Era di una bellezza mozzafiato nel suo smocking scuro, elegante ed impeccabile come un divo del cinema degli anni venti. Era sinuoso anche da fermo, rassicurante nella sua posa spontanea, sorridente nonostante l'emozione evidente sul suo viso. Se non lo avessi amato già con tutta me stessa me ne sarei innamorata in quel momento, rapita dal suo sguardo azzurro come l'oceano alle sue spalle, concentrato sul mio incedere cadenzato come se da quello dipendesse la sua esistenza.
Solo noi sapevamo quanto intenso fosse il nostro legame, quanto fosse necessario. Solo io sapevo quanto fosse impossibile per me vivere senza di lui. Senza le sue braccia a tenermi intera, senza la vua voce a risvegliarmi al mattino, senza il suo coraggio, la sua devozione. Capii di avere vissuto tutta la mia esistenza per quel momento.
E con quella consapevolezza lo raggiunsi sotto al gazebo, prendendo la mano che lui mi offriva e voltandomi verso il giudice White. Anche lei aveva avuto un ruolo nella nostra vita. Prima mia collega, poi giudice nell'affidamento di Mel e Sue, adesso ministro di quella cerimonia.
Il suo discorso fu breve e informale, accompagnato dal lieve infrangersi delle onde e da un leggero vento che mi soffiava i capelli e che mi accarezzava le braccia. Era il tramonto, le ultime ore di quell'ultimo giorno come Elena Dumont. Le prime della nostra vita da marito e moglie.
Pronunciai la mia promessa con una commozione che mi rendeva difficile persino parlare, ascoltai Chris con le lacrime agli occhi mentre giurava di amarmi per sempre, davanti a tutti i nostri amici.
Mel ci porse le fedi, e le mie lacrime strariparono mentre ne infilavo una all'anulare di mio marito.
Il bacio che seguì durò un'eternità, sovrastato dal suono degli applausi e dal brusio dei presenti. Quando mi allontanai da lui, vidi una lacrima scivolargli oltre il confine del suo viso, nascondendosi lungo il suo collo fino a perdersi nello smocking.

E in quell'istante seppi che in qualche modo sarebbe stato mio per sempre. Mio marito, l'amore della mia vita. E se lo avessi avuto accanto il mio destino avrebbe avuto un lieto fine.

 

 

 

***

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