Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Non
credevo di essere così masochista. Ma... questo pomeriggio
non ho saputo resistere alla tentazione. Ho detto... ma
sìììì. In fondo
può essere divertente... emhh... sì
forse. Postare il prologo di new moon dal punto di vista di Edward
è un po' avventato da parte mia viste le mille cose che ho
da fare. Ma non importa. Avrò tempo per scrivere, voglio
trovarlo e impegnarmi in questo senso, per voi e per me, che amo tanto
la scrittura. Spero mi seguiate anche in quest'altra pazza avventura.
Lo spero tanto, ho bisogno di voi per creare Edward. E qui le cose si
fanno più difficili, qui sapete benissimo spesso Bella non
ci sarà, o meglio ci sarà, ma in modo diverso,
perciò dovrò diventare Edward. Mettermi nei suoi
panni e vivere della sua sofferenza, direi che il brutto tempo
invernale è ottimo. Fa piangere. Ebbene... ecco la
prefazione. Si ricomincia. Ma pensavate veramente che vi avrei lasciato
senza Edward? Il titolo del libro è Nadir, il contrario di
Zenith. Mi sembrava il più contrastante, il più
adatto. Forse non è propriamente qualcosa che ha a che fare
con Sole, Luna e momenti atmosferici vari, ma è comunque un
punto geografico all'opposto di quello più alto
dell'orizzonte, il più basso quindi. L'ho trovato molto
rappresentativo. Si ricomincia!!!! Malia.
Amore
è un fumo levato col fiato dei sospiri; purgato,
è fuoco scintillante negli occhi degli amanti; turbato, un
mare alimentato dalle loro lacrime. Che altro è esso? Una
follia discreta quanto mai, fiele che strangola e dolcezza che sana.
(Romeo: atto I, scena I)
Prefazione.
Ricordi… troppe volte avevo sperato di sentire ancora il suo
profumo nell’aria, chiamarmi e torturami,
affliggermi ed eccitarmi. E ora, ora ne ero certo, la verità
mi aveva ferito lasciando un vuoto incolmabile nel mio cuore ormai
morto. Lei non c’era più. E io… un
mostro, un animale senza respiro, non avevo più alcun motivo
per vivere, nulla aveva più senso, niente sembrava
più avere una direzione. Guardai la luce del sole
abbracciare le figure rosse che affollavano la piazza e sorrisi appena.
Morte, unica compagnia, unica speranza. Ah quanto dolore, quanta
sofferenza in un sentimento eterno e senza tempo come
l’amore. Non potevo sopportare oltre il peso della mia
mostruosità, non potevo perché non riuscivo
più a cancellare la sua voce dalla mia mente, la sua
sofferenza dal mio spirito… a cosa serviva sentire il mio
cuore se non potevo più donarlo a lei? A cosa era servito il
mio sacrificio se non aveva potuto donarle la felicità?
Tortura. Giorno e notte, incessante e perenne, la sensazione di
mancanza mi aveva tormentato senza lasciarmi tregua. Incubi,
sensazioni, vaneggiamenti, vedevo il viso disperato del mio amore, i
suoi sogni inquieti, la sua anima annientata da quello che le avevo
fatto, ed era stato insopportabile. Non meritavo né vita
né morte. Ma adesso che lei non esisteva più, io
non riuscivo più a concepire la mia realtà, non
volevo tornare ad essere nulla, non volevo tornare ad essere il mostro
che ero sempre stato. Il peso delle mie colpe mi distruggeva, ma il
pensiero di non poter più godere di lei mi annullava. Feci
un passo avanti cercando quella luce, agognando il tepore che avrebbe
dato alla mia pelle, desiderando sentire per l’ultima volta
il dolce calore di qualcosa scaldarmi un poco. Ecco l’unica
amica che mi avrebbe consolato, la mia vera sorella… la
morte.
Devo studiare...
Devo studiare... Devo studiare... non faccio altro che ripeterlo. E
infatti ho studiato... la mente di Edward però. -.- Non sono
molto diligente come studentessa lo devo ammettere. Come la mettiamo?
Verrò picchiata a sangue per questo? Spero di no.
Allorraaaa... eccomi ad aggiornare Nadir con il primo capitolo.
Perdonatemi se non inizio esattamente come la Meyer, ma volevo
sottolineare un po' il rapporto tra Edward e Bella. In fondo
è passato del tempo, perciò volevo far vedere
quanto fosse cresciuto il loro amore. Pensavo fosse carina come idea,
ditemi voi. Poi tranquille riprenderò esattamente
dall'inizio di New Moon e sarà una tragedia, preparate i
fazzoletti, niente cipolle altrimenti facciamo il diluvio.
Alloraaaaa... devo dire che non mi aspettavo tanta partecipazione. O_O
Okay va bene non mi tirate i pomodori, ma New Moon è triste,
quindi pensavo... "non lo seguirà nessuno" e invece... oh
cavolo che bello!!! Perfetto... questo vuol dire che mi
impegnerò ancora di più. Ho altro da dire...?
Vediamo... mhhh... no. Niente. Allora buona lettura e benvenuti nel
mondo di Nadir. Edward vi fa cenno di salire a bordo... eheheh (sono
scema). E come sempre... c'è una cosa importante che non
posso dimenticare. Un grazie enorme alle persone che mi seguono sempre
e che mi sostengono ogni volta, non so come potervi ripagare, spero di
poter scrivere sempre per voi(sto diventando da carie proprio). Malia.
Prima di
ricominciare.
-L’amore
è non volere mai che la persona oggetto
del proprio sentimento possa morire-. Sussurrai appoggiando il capo al
davanzale della sua finestra. Al solito… Forks era grigia,
scura e presto avrebbe messo di nuovo a piovere, ma quel giorno ero al
sicuro dalla minaccia del temporale. Bella mi aveva invitato a
trascorrere un pomeriggio di studio a casa sua. Insolito dovevo dire,
ma piacevole, molto piacevole. Continuai ad
osservarla china sui libri fino a che non si
girò, sbuffando esasperata. -Edward, non sei
divertente-. Borbottò appoggiandosi la
penna sulla guancia e lanciandomi un’occhiata omicida.
Ridacchiai, contento della sua attenzione, ma continuai ad osservare
gli alberi intorno alla villa degli Swan. – A che serve un
vampiro plurilaureato se non puoi sfruttarlo per studiare?-.
Terminò poi lanciandomi il libro di letteratura inglese, che
ripresi immediatamente al volo. Era proprio pigra, non
l’avevo mai notato, soprattutto per quello che riguardava lo
studio. - Hai mai sentito dire
che la conoscenza rende liberi?-. Bofonchiai
tentando di trattenere una risatina divertita. La mia piccola
cerbiattina si era rilassata tutta l’estate e ora accusava i
sensi di colpa per non aver fatto i compiti delle vacanze. Non potevo
intromettermi in questi aspetti tipicamente umani della sua vita,
volevo che vivesse a pieno quelle esperienze, come tutte le
adolescenti. - L’unica
cosa che so è che sei senza cuore-.
Bisbigliò lei guardando in aria esasperata. Risi di gusto
lanciandole indietro il testo e non riuscii a contenermi quando lo vidi
cadere inevitabilmente a terra senza che lei riuscisse a riprenderlo.
Sempre la solita maldestra, non mi sarei mai annoiato di guardarla.
Rimasi in silenzio tornando serio e osservandola china verso il
pavimento per riprendere il libro. Ogni giorno trascorso con Bella era
essenziale per il mio spirito, ogni minuto che mi donava della sua
preziosa esistenza mi dava la vita. E sempre più mi
accorgevo di quanto le mie emozioni fossero intense, ormai sentimenti
vivi, intensi, radicati nella mia memoria e in me. Non ero
più semplicemente una creatura demoniaca, un vampiro, ero un
uomo follemente innamorato della sua donna. - Non sono io quello
sprezzante del pericolo-. Commentai
punzecchiandola. Non credevo possibile un’intimità
simile tra noi, era cresciuta a poco a poco, solidificandosi, andando a
creare il nostro mondo, diverso da quello che avevo sempre immaginato
per me, non meritato, ma perfetto. Riuscivo a controllare il mio
istinto di morderla, ora era più semplice, e godevo del suo
profumo quando potevo, anche di nascosto, per non spaventarla. Ma
dubitavo che qualcosa avrebbe mai potuto terrorizzarla, io stesso
facevo fatica a comprendere da dove prendesse tutto quel coraggio. - Vedo che la tua vena
ironica si sta perfezionando-. Disse facendo
sfoggio di una bellissima lingua con cui dimostrò tutta la
sua antipatia nei miei confronti. Mi avvicinai osservando il libro, di
nuovo aperto sul tavolo, e sospirando stancamente le indicai gli
esercizi da fare. Ero sicuro che mi avrebbero santificato a causa sua. - Sei sempre
più testarda, lo sai?-. Mi chinai su di lei
spiegandole in che modo doveva fare la traduzione
dall’inglese e poi mi voltai ad osservarla incuriosito. Si
mordeva le labbra come era solita fare nei momenti di confusione e le
sue dita giocherellavano nervosamente con la penna, segno che stava
cercando veramente di impegnarsi pur non riuscendoci. Era uno
spettacolo per gli occhi… mi accostai maggiormente al mio
cerbiattino annusandole i capelli e facendola sussultare stupita dal
mio gesto. Era la prima volta che mi avvicinavo così tanto a
lei dalla sera del ballo, non volevo metterla in pericolo e mi ero
autoimposto un controllo che non credevo di poter avere. E invece avevo
stupito persino me stesso. Ma il desiderio di accarezzarla rimaneva
dominante e a volte mi concedevo momenti come quello, dove il piacere
di annusare il suo profumo di donna mi facevano fantasticare con la
mente verso cose che era meglio per nessuno dei due immaginare. Almeno
per ora. - Edward…-.
Arrossì quando il mio viso si
chinò sulla sua spalla in un gesto geloso di possesso.
Dentro di me strepitava da sempre un puma represso che ogni tanto
faceva capolino per gustare la sua preda, affamato, ma non era
più un problema controllarlo, il mio amore per Bella aveva
il sopravvento. - Scusami-. Mormorai
scostandole i capelli dietro l’orecchio
e passandole il naso sulla pelle profumata. Avrei dovuto lasciarla
studiare da sola senza avvicinarmi in quel modo, ma ormai avevo
commesso quello sbaglio, perciò mi sarei preso la mia
ricompensa. - No…-.
Sussurrò con il cuore in gola, il battito
impazzito. – Non fa niente-. Tornò paonazza con lo
sguardo fisso sul libro e si irrigidì. Aveva notato che non
gradivo più avvicinamenti avventati e aveva imparato a
starmi lontano. Ma non volevo questo, non era ciò che
desideravo, tuttavia era meglio per entrambi. Era difficile una volta
cominciata ad annusare la sua pelle smettere e concentrarmi su
qualcos’altro, ma con uno sforzo notevole potevo riuscirci.
Perciò invasi la mia mente di pensieri negativi e in un
attimo fui di nuovo lontano da lei. Perfetto, un perfetto gentiluomo. -Non…
potresti avvertire…la prossima volta che lo
fai? Non sono… più… abituata-.
Bisbigliò sconvolta sbattendo più volte le
palpebre. Mi portai una mano tra i capelli arruffandoli e storsi la
bocca in una smorfia consapevole. Mi piaceva troppo vederla sconvolta
da me e questo era pericoloso. L’imperativo era proteggerla e
non provocare la passione tra noi. A volte però era
impossibile controllare quel desiderio, ero comunque un uomo e
ricordarmene stava diventando sempre più facile viste le
reazioni del mio corpo. - La prossima volta
che faccio cosa?-. Mormorai provocandola e
riaccostandomi a lei velocemente. - Questo?-. Le passai le mani tra i
capelli arrivando fino alle tempie e sentendo la sua pelle calda
pulsare sotto le mie dita. Respirai piano tentando di controllare la
violenza del mio istinto e mi imposi di tenere gli occhi aperti per non
cadere in tentazione. Il corpo di Bella si contrasse e il suo cuore
perse di vigore rallentando fino a fermarsi. Adoravo la sensazione di
avere potere su di lei, potevo ogni cosa, era mia e saperlo mi rendeva
dannatamente orgoglioso di me. - Edward!-.
Gridò strozzata non appena la mia guancia
sfiorò la sua e si strofinò con delicatezza sulla
vena di quella gola morbida godendo del suo ansito incontrollato.
Sì, ero imprudente e azzardato, ma era troppo tempo che mi
negavo quella vicinanza ed ero in astinenza di lei. Passai le labbra
schiudendole appena sul suo collo e il ricordo del sapore del suo
sangue mi colpì la memoria lasciandomi senza
fiato. Quel sapore denso e zuccherino che incendiava la mia
gola.. solo il pensiero mi faceva perdere la testa. Ma c’era
dell’altro, molto altro. - Shhh…-.
Sussurrai cercando di calmare i suoi battiti, ora
impazziti. – Una piccola ricompensa. Poi si studia,
promesso-. Cercai di convincere me stesso di quello che stavo facendo e
mi intossicai con la sua fragranza lasciandola scorrere dentro di me.
Inspirai quel dolce profumo e poi poggiai le labbra
sull’incavo della sua spalla simulando un piccolo morso.
Sentii i brividi del suo corpo farsi tremori e il suo odore
intensificarsi fino a riempirmi i polmoni. Ero assuefatto da lei, la
droga era di nuovo andata in circolo nelle mie vene nonostante le mie
intenzioni. Il mio sangue era Bella, l’ energia vitale
scorreva in me solo grazie alla sua esistenza. Ma non
l’avrebbe mai capito, non poteva comprendere quanto fosse
vitale per me il solo fatto che esistesse. Mi ritirai poco prima
di sentire la porta aprirsi e vidi Charlie Swan
entrare in camera della figlia senza farsi alcun problema. A pensarci
bene l’intruso ero io. Avevo intuito di non piacere molto al
“capo” visti gli ultimi avvenimenti. Si dimostrava
comunque sempre gentile nei miei confronti, ma in ogni caso sarebbe
stato meglio non farmi trovare nella stanza della sua bambina.
Perciò mi nascosi immediatamente aspettando che se ne
andasse. -Bels…?-.
Fece accostandosi a lei e fissando la sua
scrivania attento. – Finalmente a studiare e non in
giro… miracolo!-. Borbottò raddrizzandosi e
guardandosi intorno. – Stai troppo tempo con i Cullen. Non
avrai abbandonato la scuola vero?-. Concluse incrociando le braccia al
petto con atteggiamento paterno. Aggrottai la fronte
incredulo e sghignazzai. Volevo proprio assistere
al vispo quadretto famigliare. Come avrebbe reagito Bella? Lei
sospirò indignata e si alzò in piedi, dirigendosi
proprio verso la finestra dov’ero nascosto. Mi aggrappai al
davanzale in modo da sporgermi e strizzarle l’occhio. Lei si
sedette di fronte a me e fissò seccata suo padre. -La scuola inizia tra
tre giorni-. Commentò parandosi
davanti a me e dondolandosi sulle gambe. – Non sto
abbandonando niente-. Sbuffò sporgendo la mano verso
l’esterno. – E non sto troppo con i Cullen. Sai
bene che esco con Edward…-. Disse in tono di rimprovero
mentre le afferravo le dita e le stringevo tra le mie. La pioggia
cominciò a cadere fitta proprio in quel momento e io maledii
il tempismo della natura. Un bel bagno assicurato. - Va bene, va
bene… posso dire a tua madre che ti stai
impegnando allora?-. Riprese Charlie sicuro che io mi trovassi nei
paraggi. Continuava a guardarsi intorno cercando delle prove che io
fossi lì, qualsiasi prova, e controllò persino
sotto il letto. Era ridicolo, non mi avrebbe mai trovato. - Sì,
Charlie-. Tagliò corto Bella facendogli
segno di uscire – Se vuoi Edward prova a chiamare dai
Cullen…-. Mentì in qualche modo sembrando quasi
convincente. Stava migliorando in quanto a bugie e anche quello era
colpa mia. Come ogni cosa successa nella sua vita da un anno a quella
parte, ovviamente. Quando il padre sbatté la porta alle sue
spalle bofonchiando parole sconnesse io mi sollevai verso di lei che si
voltò guardandomi irritata. - Assurdo…
ha paura che mi rapisci per caso?-.
Mormorò chinandosi verso di me e prendendomi il volto tra le
mani. Sì, era un desiderio che più volte avevo
tacitamente espresso: andare via con lei, sparire e vivere solamente
del mio amore, ma non potevo farlo, non quando Bella aveva tutta una
vita di fronte a sé da vivere. Sarebbe stato egoistico da
parte mia pretendere che lei vivesse solamente per me. - Mhh…-.
Bofonchiai godendo del contatto della sua pelle
calda sulla mia. Sarei rimasto così per
l’eternità nonostante la pioggia e probabilmente
anche lei. Nessuno dei due accennava a muoversi… alla fine
dovetti far leva sulla mia volontà ed entrare dentro.
– Dovresti tranquillizzarlo-. Dissi poi, la voce roca e
bagnato d’acqua, per fortuna non troppo. Si voltò di
scatto stupita dal mio repentino fuggire e
così ci trovammo di nuovo faccia a faccia, l’aria
pregna di un’elettricità che non desideravo
affatto si creasse tra noi. Ecco perché avevo evitato luoghi
chiusi per tutta l’estate, ecco perché avevo
fuggito ogni momento solo con lei. Era un richiamo irresistibile per
me. La fissai muto abbassando lo sguardo al pavimento e poi mi riscossi
sorridendo come se nulla fosse. -Sì,
certo-. Rispose freddamente chiudendo la finestra e
andando a rovistare nei suoi cassetti. Trovò un asciugamano
stropicciato e me lo lanciò perché mi asciugassi.
Lo afferrai, portandomelo al viso, e continuai a guardarla mentre
indecisa si puntellava sulle gambe. -Non capisco
perché tu non gli sia più
così simpatico-. Commentò sovrappensiero
portandosi le braccia dietro la testa. Non che mi interessassi della
simpatia o meno di Charlie Swan, ma sospettavo una leggera invidia nei
miei confronti, nonché possibile gelosia paterna e
convenzionalmente umana, ovvia. Mi trattenni dal dirle il mio pensiero
e le porsi l’asciugamano sperando che la situazione tra noi
non peggiorasse. -Non
saprei… stesso territorio di caccia?-. Me ne uscii
mordendomi la lingua subito dopo. Ma che stavo dicendo? Bella
sghignazzò e poi scoppiò a ridere di cuore con
quell’aria sbarazzina che tanto mi sapeva stregare. Era bello
vederla felice e spensierata, talmente gratificante che dimenticai ogni
mio buon proposito. -Sei pazzo-.
Mormorò allungandosi verso di me. Afferrai la
sua mano lasciando cadere ciò che trattenevo e presi la sua
rigirandole il palmo verso l’alto. Nessuno a parte me poteva
sentire la vita, le pulsazioni calde del suo cuore, la morbidezza della
sua carne così tenera… passai il polpastrello
sulle linee che solcavano la sua pelle e sentii il suo corpo fremere.
Iniziai a sfiorare ogni curva, ogni centimetro fino a quando un gemito
sommesso non le uscì dalla gola. Tremava e il suo battito
cardiaco rimbombava nel suo corpo e nel mio. Chiusi gli occhi sentendo
la sua vita scorrere in me e piano persi consapevolezza di quello che
stava succedendo. Il mio dito raggiunse il suo polso, massaggiandolo e
sentendone l’essenza pulsante. Era viva, non avrei mai osato
toglierle io quello che era suo, mai… - Bella, torniamo a
studiare-. Bisbigliai cercando di convincere me
stesso a non fare cose di cui poi mi sarei sicuramente pentito. Dovevo
smetterla di giocare al gatto e al topo, Bella non era una preda, non
era una proprietà, era un essere umano. Tentai di far leva
ancora una volta sul mio autocontrollo che mi venne come sempre in
aiuto e sospirai. - Forza-. Continuai
aprendo gli occhi e incrociando i suoi, sgranati e
poco propensi a darmi ascolto. Forse avevo esagerato. Le presi la mano
con gentilezza avvicinandola a me e le baciai le nocche sperando mi
potesse perdonare. Io non volevo farla stare male, o metterla in
imbarazzo, cercavo solamente… cosa cercavo? Non lo sapevo
nemmeno io. - Edward…
hai deciso di uccidermi oggi…-. Esplose
col fiato corto, come se non avesse più avuto ossigeno da
respirare. – E’ un attentato alla mia
lucidità mentale-. Terminò tossicchiando e
guardandomi storto. Aveva ragione, prima le facevo capire di volerle
stare lontano, poi la provocavo ancora e ancora fino a quando non
vedevo chiari segni di cedimento, solo allora mi fermavo. Non era
giusto, né corretto, ma amavo vederla in
difficoltà a causa mia. Ero io che la facevo impazzire e
questo mi faceva sentire il più felice tra gli uomini, o tra
i mostri, dovendo fare le dovute differenze. - So a cosa stai
pensando-. Iniziò lei lasciandomi le dita e
fissandomi tristemente – Che sei un mostro-.
Terminò con aria stanca voltandomi le spalle e mettendosi
seduta sulla scrivania. La osservai stupito con occhi innamorati. Era
strano, ma ogni volta che riusciva a leggere dentro di me sentivo forte
la tentazione di abbracciarla, di stringerla forte e non lasciarla
più andare. Era l’unica donna in grado di
stupirmi, l’unica in grado di far sussultare il mio cuore
ormai morto. Mi tolsi senza pensare
la maglietta e la accostai al termosifone per
farla asciugare. Tra noi due quello che si sarebbe preso un malanno a
causa dell’umidità dei miei vestiti era proprio
lei, non io. Le diedi le spalle senza risponderle, pensando che troppe
volte mi ero sentito un mostro, troppe un essere eterno rinato
solamente per uccidere e non per provare simili sentimenti come
l’amore. Un amore puro, totale, verso un’umana che
mi aveva destabilizzato, facendomi credere di avere speranza. -Non importa-. Feci
dopo qualche minuto, lasciando cadere
l’argomento e tornai ad osservare le gocce di pioggia che si
dibattevano sulla finestra per sgattaiolare all’interno. Si
era fatto buio nella stanza, forse sarebbe stato meglio accendere la
luce. Ma Bella non accennava a muoversi, fissava la mia schiena
nell’oscurità e io non sentivo altro che il suo
respiro veloce e ansante alle mie spalle. Decisi che fosse il caso di
rimettermi la t-shirt solo quando la sentii asciutta e poi allungai la
mano per accendere la luce. - Non
importa…-. Sussurrò quando mi girai, aveva
gli occhi fissi su di me – Già, come sempre-. Era
triste, il suo sguardo si perse nel nulla in pensieri che io non potevo
afferrare. Nonostante fossi in grado di leggere la mente di chiunque,
solo quella di Bella mi era preclusa totalmente. E questo da un lato mi
incuriosiva, ma dall’altro mi portava ad impazzire. Ogni
secondo, ogni istante avrei voluto sapere quello che si celava nella
sua mente, ed era assurdo che proprio io che l’amavo sopra
ogni cosa non potessi ascoltare i suoi pensieri. - Cosa vuoi per il tuo
compleanno?-. Le domandai improvvisamente
sperando si spostare la conversazione su qualcosa di più
positivo che non me stesso. La vidi storcere il suo musetto in una
smorfia piuttosto infastidita e non capii. Evidentemente mi stava
ancora sfuggendo qualcosa. Mi avvicinai a lei sperando di avere un
chiarimento, ma rimase in silenzio, e io le alzai il mento con le dita
per guardarla negli occhi. Volevo capire perché avesse avuto
una simile reazione, il giorno della sua nascita era assolutamente da
festeggiare. - Niente regali, ti
prego Edward-. Sussurrò facendomi
sgranare gli occhi stupito. Cosa? Scossi la testa incredulo. Il primo
essere umano, da che avevo memoria, che odiava i regali di compleanno.
Avrei potuto capire la festa o gli auguri di fronte a tutti, ma non
l’assenza di un dono, quello era un modo unico per scambiarsi
emozioni. Era importante per me poterle dimostrare in qualsiasi modo
quanto la amassi. - Non capisco, questo
mi sfugge. Lo ammetto-. Continuai confuso
mettendomi al suo fianco. Volevo sapere perché…
non mi piacevano i momenti in cui la sentivo respingermi, in cui un
muro si alzava tra noi. Mi spaventavano perché ogni
incomprensione tra noi faceva nascere dentro di me una ferita che
rimaneva nel mio spirito come una cicatrice per
l’eternità. I miei ricordi da creatura maligna
vivevano nel passato, nel presente e sarebbero esistiti anche nel
futuro, corrodendo ciò che di me sarebbe rimasto. La mia
unica e sola essenza era lei, Bella. E non volevo pesarle, non volevo
assolutamente farle del male. - Edward…
dai. Cerca di capire. Per favore-.
Iniziò portandosi le mani sul petto e sospirando
stancamente. – Tu sei… e io sono…
così…-. Fece spallucce indicandoci e io trattenni
il respiro sbalordito. Non volevo ascoltare altro, mi stava forse
prendendo in giro? Ne avevamo parlato tante di quelle volte e tutte
quante io l’avevo rassicurata sperando che potesse cambiare
idea, che mettesse nella sua testolina un po’ di buon senso. - Mi sembra di averti
detto come la penso-. Le sussurrai arrabbiato, il
volto contratto dall’ira. Mi guardò mortificata.
Per me lei era bellissima, non c’era nessun’altra
donna nel mio cuore che fosse al suo livello. Non mi piaceva sentirle
dire cose simili, mi faceva soffrire. – Bella… ti
prego…-. Conclusi portandomi una mano sulla fronte
e massaggiandola controvoglia. Non volevo ancora affrontare
quell’argomento, avremmo finito per litigare e ultimamente
era difficile contenere tutta la mia passione e la mia
impulsività. - Allora intesi. Non
ne parliamo più, niente regalo, niente
discussione-. Finì col dire, le labbra irrigidite e le mani
strette a pugno. Non resistetti e mi sporsi verso di lei abbracciandola
teneramente. Sarei stato alle sue regole, ma volevo che sapesse quanto
fossi innamorato, che lo percepisse. Avrei dato la mia vita per lei
senza nemmeno pensarci, per quanto valore potesse mai avere
l’esistenza di una creatura come me. - Ti amo-. Bisbigliai
avvolgendola in un abbraccio e sperando non mi
rifiutasse. Non volevo che si arrabbiasse con me, odiavo litigare con
lei, lo detestavo con tutto me stesso. Mi sentivo un vampiro idiota
ogni volta che succedeva, un bambino, non un essere centenario, ma uno
scemo di prima categoria. Io… che avrei dovuto rimanere
calmo e imperturbabile di fronte ad ogni cosa, proprio io mi ero fatto
sconvolgere da un esserino così fragile che aveva nome Bella
Swan. Ormai dovevo averci fatto l’abitudine, ma non era
così. - Non sai quanto ti
amo-. Sussurrò afferrandomi la maglia e
sprofondando il viso contro di me. – Non puoi nemmeno
immaginare quanto… non lasciarmi mai-. Le sue dita mi
strinsero forte e io capii. Lo sentivo, percepivo chiaramente quanto
fossero forti i suoi sentimenti nei miei confronti, quanta emozione
dentro di lei, era il suo corpo a parlarmi, la sua anima a vibrare per
me. E non mi sembrava mai di darle abbastanza. - Allora lascia che ti
dimostri quanto ti amo, Bella…-.
Bisbigliai illudendomi che cogliesse il significato delle mie parole.
Era solo un regalo in fondo. Se avessi potuto le avrei regalato il
mondo intero. Qualsiasi cosa lei mi avesse chiesto io l’avrei
fatta, ogni cosa, solamente per dimostrarle che i miei sentimenti erano
veri e che lei doveva crederci. Per me non c’era niente oltre
lei, il resto era solo vacuità, era nulla assoluto. - Edward, no. Tu mi
dai già tanto, non voglio. Evitiamo di
discutere-. Concluse lasciandomi l’amaro in bocca. Non avrei
aperto bocca se questo era quello che lei desiderava, ma certo avrei
continuato a chiedermi perché. Sapere quello che pensava il
mio piccolo Bambi cominciava ad essere una vera ossessione
quando ero solo e aspettavo solamente di rivederla. - Ora signor Cullen,
non è che potrebbe farmi i compiti?-.
Sogghignò con aria furba e io tornai subito alla
realtà con un’espressione a dir poco collerica. Ma
che svogliata! Non sarebbe mai riuscita a farmi cedere, né
con le buone né con le cattive. L’avrei fatta
studiare tutta la notte. - No, signorina Swan.
Neanche per sogno-. Le risposi atono indicandole
il libro e ordinandole muto di rimettersi sui libri.
Ridacchiò sollevandosi e accostando le labbra alla mia
guancia. Immediatamente mi irrigidii sentendo il suo profumo entrarmi
nelle vene e di nuovo maledii la mia natura impulsiva. Non mi
allontanai, sperando che continuass,e e quando la sua bocca si
posò sulla mia guancia chiusi gli occhi estasiato. Bastava
molto poco per farmi perdere completamente la testa, era preoccupante,
non osavo immaginare se ci fossimo spinti oltre cosa sarebbe successo.
Un piccolo oltre c’era stato, ma non volevo ripetere, visto
quello che la sera del ballo di fine anno aveva scatenato in me. - Grazie di esserci sempre
per me-. Sussurrò aderendo alla
mia pelle di marmo e facendo scorrere piano la bocca in una carezza
dolce. Ecco come far andare in tilt il mio cervello e questo non era
affatto giusto. Sapeva che avrebbe vinto, non c’era partita.
Presi un respiro profondo tentando di non far entrare il suo odore nel
mio sistema nervoso facendolo bruciare come una miccia, ma alla fine
ottenni solamente di eccitarmi e lasciare alla natura il resto.
Maledetto corpo. - Bella, torna a fare
i compiti, adesso!-. Strepitai incredulo.
Tornammo a sederci, questa volta entrambi, e il pomeriggio trascorse
sui libri di letteratura. Ottenni impegno, ma dovetti cedere. Qualche
esercizio lo completai interamente io, compreso il riassunto dei testi
da leggere per casa. A fine serata tornai a casa felice, era come
nascere ogni giorno una seconda volta, da un anno a questa parte la mia
vita era totalmente cambiata. Ero sereno, me stesso, completamente
appagato. Questo perché avevo finalmente trovato il mio
posto nel cuore della persona di cui ero
innamorato.
Bene,
bene, bene… a esami finiti
mi posso dedicare meglio alla scrittura, che è sempre un
grande piacere. Della
serie “ma invece di uscire ti chiudi in casa a scrivere? Sei
pazza”. Ormai lo
sapevamo tutti, per chi ancora non lo sapesse. Beh… male!
Vabbè che non vi
cambia la vita. Allora… io ancora non ho ufficialmente
cominciato con il
seguire la Meyer… sarà perché non
sopporto la loro divisione? Diciamocelo fra
noi. Forse è così. In realtà dovrei
rileggermi New Moon, ma non mi va! Non mi
lanciate qualcosa, ma l’unico che rileggo con piacere
è proprio Twilight. Tutto
il resto anche se stilisticamente migliore, mi fa solo male. -.-
Perciò evito
con grazia. Ma devo farlo… affrontare il nemico!!! -.- Visto
che questa mattina
ho un’oretta libera da dedicare alle risposte, mi metto a
rispondere ai
commenti. E’ da tanto tempo che non lo faccio e la cosa mi va
proprio. Sìsì.
Quindi inizio:
harley1958:
Ci
conosciamo? Ehehehe… gioco tesoro. Allora… io un
esempio per tutte? Non lo dire
che qualcuno ci crede poi. Ma lo sai faccio del mio meglio, amo tanto
ciò che
scrivo. Credo che ormai ti ho fatto una capa tanta e sari stufa di
sentirmi
parlare. Sempre bla bla bla. Questa storia è per te, spero
vivamente che possa
piacerti ed emozionarti. Un bacio cucciolo ci sentiamo su msn, o via
sms.
Potterina1993:
vuoi
studiare con Eddy? Mhh… si può fare. Chiamalo e
vedi se è disponibile. Certo
che figata avere uno con due lauree vicino e poi di quel **** censura
momentanea. Cioè… a parte che secondo me distrae
parecchio. Però sarebbe da
sperimentare. Credo che non passerà ancora molto per quando
si lasceranno, ma
certo è da decidere. Odio quel momento con tutta me stessa.
Uff… grazie di
esserci tesoro dolce. Ci sentiamo su msn, fratellone permettendo. ^^
aliceundralandi:
Sono felice che il capitolo ti sia piaciuto. Ottimo. E’ una
soddisfazione
rientrare nei panni di Edward, un Edward un po’ cambiato,
forse più maturo di
quello di Mid Sun, più consapevole di questa storia
d’amore che sta vivendo. E
in fondo è giusto così, tutti crescono
nell’amore, anche il nostro vampiro. Ti
ringrazio dei complimenti e spero che possa continuare a piacerti
questa fic.
Non so quando riprenderò le fila della Meyer, presto
sicuramente, ma volevo
dare anche un senso al momento in cui si lasciano, senza fare tutto e
subito.
Insomma far scoppiare subito il pandemonio. Mi chiedi perché
Nadir… In senso
astronomico il Nadir è il contrario dello Zenit, rispetto
all’osservatore il
polo più alto dell’orizzonte, quello
perpendicolare, il Nadir è l’opposto,
l’estremo
sud, il punto più basso. Non so perché, ma
è proprio così che ho visto il mondo
di Edward, è come se tutto fosse crollato,
dall’estremo alto, all’estremo
basso, in un baratro. Forse non è proprio il termine che
avrebbe scelto la
meyer, forse lei avrebbe scelto qualche cosa tipo rugiada, non so, o
qualcos’altro
in merito ai pianeti, o a momenti atmosferici, ma io me ne sono
innamorata e ho
detto “Ci sta”. Spero di essermi spiegata, mamma
mia!!! Che confusione.
Comunque grazie, grazie ancora di quello che mi hai scritto. Un
bacione! Malia
violacciocca:
Eillà!!! Come va??? -.- Che domande sceme. Allora ti piace
l’idea di far
cominciare new moon dal “prima new moon”? Sono
molto contenta. Anche io pensavo
che fosse meglio, per dare un senso a tutto quello che succede tra
loro, senza
spezzare troppo. Anche se forse più doloroso? Non saprei,
vederli in
atteggiamenti così dolci sapendo che poi si divideranno fa
malino, forse.
Tornando al tuo commento… direi che siamo
d’accordo. Io in questa vita, l’unica
che ho, la sola, voglio fare esattamente quello che mi va di fare,
sarò
egoista, ma ho la possibilità di farlo e per nulla al mondo
mi farò sfuggire
questa occasione. E sono due le cose che voglio fare, scrivere e
conoscere.
Conoscere mi dà la possibilità di approfondire i
miei personaggi quando scrivo,
mi fa crescere, e questo voglio fare fino alla mia morte. Poco ma
sicuro. Non
sei contorta, anzi sono molto molto molto molto d’accordo con
te. Ti stimo
molto per quello che hai detto, non è da tutti. ^^ In gamba,
sei un tipo in
gamba. Un bacione! Malia
_Storm_91_:
Ciao a te… faccio del mio meglio. Sono felice che tu abbia
trovato lo scorso
capitolo ben scritto. Diciamo che miro sempre a perfezionarmi, forse
troppo a
pensarci bene. Comunque ancora non ho portato la storia
all’inizio di New Moon,
credo che lo farò a breve, anzi forse il prossimo capitolo
inizierà la scuola e
vedremo un pochino come cambieranno le giornate di Bella ed Edward.
Forse… perché
poi sul momento cambia tutto e io devo stare a inseguire i personaggi e
non il
contrario. Siamo alle solite. Comunque mi fa molto piacere che tu abbia
trovato
interessante il capitolo. Grazie. Un bacione grande! Malia
Sognatrice85:
Bella
bimba!! Ciccina paciocchina! Anche tu qui… tu sei
l’unica che mi commenta
sempre a pensarci bene sai? Hai il primato mondiale penso, sempre
presente e
costante. Come nella mia vita, non ti smentisci mai, caro il mio dolce
piccolo
fiore. Grazie per esserci sempre. Un bacione enorme e unico!!! Smack!!
annalie:
Ma guarda
chi c’èèèè anche
qui!!! Tesoro mi mancherai tanto^^. Beh, pronta? Spero di
sì.
Allora sono contenta di trovarti anche qui in Nadir, molto. Edward
soffrirà,
sì, molto, troppo. E noi con lui, mamma mia non voglio
nemmeno immaginare!!
Però non abbandonerò mid eclipse non ti
preoccupare. Non lo farò mai!!! Sei
sempre un tesoro con me, ti preoccupi sempre e ci sei. Ti conosco da
poco, ma
sei già nel mio cuore. Ciao Yami, sono con te! Malia
julietta__:
Lo so,
lo so, faccio mea culpa. Mi inginocchio sui ceci. Puoi punirmi se vuoi.
Di cosa
parlo? E’ vero che ho modificato un pochino i due caratteri.
E’ che non ci
credo che Edward sia impassibile e tonto quanto non credo che Bella a
volte sia
così superficiale e sciocca. Per favore, no, mi rifiuto, no.
Tutto ma io provo
allergia per questa cosa. Perciò ho leggermente modificato
la cosa e sono
contenta che in fondo un pochino tu abbia gradito. Bene.
Così almeno siamo in
due. Bene bene sono contentissima che il capitolo ti sia piaciuto e ti
ringrazio per i complimenti. ^^ spero continuerai a leggere anche se
poi sarà
una valle di lacrime. Oh my dog! Un bacione. Malia
crows79:
Nooooooooooo, anche tu qui! Cioè tu, tu, tu. Ho visto che mi
hai mandato un mp.
Non so che mi sta succedendo sti giorni, ma sento la stanchezza degli
esami e
rimango in panciolle senza fare assolutamente nulla di nulla a parte
scrivere.
Perdonami ti risponderò appena posso. Sono imperdonabile.
Spero che tutto a te
vada bene a parte gli impegni, vedo che sei combattiva e la cosa mi fa
piacere.
Questo significa che sei tornata in te. Abbasso i cattivi! ^^
Eheheh… un
bacione e grazie per esserti fermata qui a commentare con tutto quello
che hai
da fare. Sei speciale tu! Bacio!
pastrella:
Grazie!
Molte grazie… tutto nel mio segno lo scorso capitolo dici?
Spero un segno
positivo che non mi lascerà andare durante tutta questa fic.
La vedo difficile
questa avventura, ma le sfide mi piacciono. Almeno quelle con me
stessa, con
gli altri non molto. Sono felice che leggerai la storia con piacere. O
almeno
lo spero. Continuerò a mettercela tutta, promesso. Un
bacione e grazie! Malia
Qualcosa da proteggere.
Aspettai di sentire i suoi
passi lungo il corridoio prima di chiudere il mio diario e abbandonarmi
di peso sulla sedia. Due giorni prima dell’inizio della
scuola e la mia piccola umana aveva passato quelle quarantotto ore
immersa nello studio, ma che bimba responsabile... Per non disturbarla
ulteriormente avevo allontanato la sua principale fonte di distrazione,
cioè me stesso, da casa Swan sia di giorno che di notte.
Avevo dedicato quei due giorni alla caccia in modo da poter tornare a
scuola in forze e sicuro, insomma normale routine. -Piccola
ribelle…-. Ridacchiai quando la sentii bussare
insistentemente alla mia porta. Sospirai scuotendo il capo divertito e
mi alzai per andarle ad aprire. Sarebbe stato divertente farla rimanere
un po’ sulle spine, ma mi era mancata e sentivo il bisogno di
stringerla tra le braccia. -Chi
è?-. Domandai tentando di dare alla mia voce un tono
incuriosito. Mi appoggiai allo stipite aspettando che rispondesse e
percepii un suo sospiro innervosito. -Quella
a cui non riesci a leggere nella mente. Smettila di giocare, non
è divertente Edward-. Mormorò appoggiando la mano
sul legno e battendola ripetutamente. Abbassai la maniglia e spalancai
la porta contento, quando di fronte agli occhi mi apparve il suo
musetto triste e sperduto. Rimasi immobile con la fronte aggrottata e
lei entrò senza dire nulla, ma continuando a
guardarsi intorno. -Devo
ancora abituarmi a questa stanza…-. Confessò
voltandosi verso di me e deglutendo. Rimase imbarazzata in silenzio e
si torturò le mani per qualche secondo. Non capii cosa
avesse fino a quando non notai il suo sguardo angosciato e
interrogativo. -Bella…-.
Sussurrai avvicinandomi a lei con attenzione. Mi fece segno di rimanere
fermo e io mi bloccai terrorizzato. Sospettai che fosse a causa mia, in
qualche modo ero riuscito a farla stare male e non ne avevo avuto
la benché minima intenzione. -Dimmi
che hai mangiato, che i tuoi occhi sono dorati perché in
questi giorni sei andato a caccia e che sei stato lontano da me solo
per questo. Perché… perché ho creduto
di impazzire-. Mormorò flebilmente abbassando la testa e
fissandosi tesa le punte delle scarpe. Sospirai scuotendo il capo e
andandole vicino per circondarle le spalle con un braccio. Ma che
idiota, almeno avrei potuto avvertirla. -Perdonami,
non volevo farti preoccupare-. Sussurrai stupito. Ormai avrebbe dovuto
sapere che almeno una volta ogni mese preferivo stare lontano da lei
qualche giorno per nutrirmi e saziarmi. Non volevo che corresse inutili
pericoli a causa mia. -Lo
fai sempre, sparisci e non ti fai sentire-. Disse, il cuore al galoppo,
la paura nella voce. Mi maledii… non ero cambiato, per non
farla preoccupare non le dicevo nulla e invece ottenevo esattamente
l’esatto contrario. Ed era normale, come io mi impensierivo
per lei anche Bella si tormentava per me. Ma a volte lo scordavo,
dimenticavo che il mio piccolo cerbiattino potesse arrivare a
preoccuparsi per un vampiro e pensavo di essere io l’unico ad
avere il diritto di proteggerla e riflettere su cosa fosse giusto o
meno per entrambi. -
Perdonami-. Conclusi solamente non sapendo che altro dire. La guardai
attento e mi abbandonai al profumo di lavanda che emanavano i suoi
capelli appena lavati. Lo shampoo mi infastidiva un po’, ma
non era così forte da cancellare il suo dolce profumo.
Respirai piano sentendo la sua fragranza avvolgermi ed entrarmi dentro
le vene come un fiume in piena. Con calma sarei riuscito a mantenere
una certa lucidità, ora non era più
così difficile. -
Sì, perdonami… perdonami-. Mormorò
divincolandosi e osservando il perfetto ordine della mia camera.
Abbassò le braccia lungo i fianchi e io continuai a
guardarla fino a quando lei non si voltò verso di me e non
mi fissò come svuotata di ogni forza. -
C’è… c’è solo
qualche piccolissima cosa in te che non sia perfetta?-.
Commentò lasciando ancora vagare gli occhi sulle pareti e
sul mio divano. Il suo sguardo si soffermò sulla mia
scrivania dove era abbandonata una delle mie tante agende che tenevo
con cura e poi tornò su di me. -Tante
cose Bella, e mi sembra di averti dimostrato che non sono perfetto,
altrimenti non starei con te, mi terrei ben lontano e non ti metterei
sempre così in pericolo. Questo vuol dire che sono un pazzo,
un incosciente-. Continuai elencando poi tutti i miei possibili
difetti, quando vidi Bella accostarsi al mio diario e prenderlo tra le
mani. Mi sentii improvvisamente inerme e debole, stava tenendo i miei
pensieri tra le dita e avrebbe potuto leggere le ultime pagine senza
che avessi la forza di impedirle nulla. Bella poteva avere accesso ad
ogni cosa di me se avesse voluto, non l’avrei fermata. -
Evidentemente non ne ricordo nemmeno una di quelle cose-.
Mormorò sovrappensiero sfogliando le pagine e soffermandosi
su una precisa. Voleva realmente leggere quello che pensavo di lei?
Rimasi immobile aspettando che terminasse e in un attimo vidi i suoi
occhi diventare lucidi e il suo viso impallidire. Odiavo il pallore
sulle sue guance, che adoravo veder arrossire a causa mia, emozionate
ed eccitate dalle emozioni che le davo. Il suo sangue pulsante e vivo
mi dava enorme piacere, raramente riuscivo a resistere al suo cuore
gonfio di sentimenti nei miei confronti, impazzivo e perdevo la
ragione. Richiuse l’agenda e mi guardò stupita. -Scusami,
non dovevo-. Rimise a posto quello che aveva preso e mi
guardò imbarazzata. Non volevo si sentisse fuori luogo,
ciò che era mio era suo e anche se avrei preferito che
alcune di quelle pagine rimanessero nei recessi più profondi
della mia mente non avrei osato nasconderle nulla. -No,
fai pure se vuoi-. Dissi sottovoce cercando i suoi occhi che sfuggirono
subito i miei. Sperai che ciò che aveva letto non
l’avesse impressionata o infastidita, ma erano i miei veri
pensieri. Se in qualche modo l’avessero disturbata non me lo
sarei mai perdonato. -
Non ne avevo il diritto, scusami-. Fece ancora facendomi innervosire.
Quell’aria scostante tra noi non mi piaceva affatto, era un
abisso tra le nostre due nature, quando mi sentivo un estraneo per lei,
quando sapevo che si sentiva maledettamente a disagio in mia presenza.
E non volevo… non avrei mai voluto che questo accadesse. -
Non scusarti, Bella… per favore. Non ce
n’è bisogno. Puoi leggerli tutti se vuoi-.
Mormorai portandomi una mano tra i capelli e scompigliandoli agitato.
Non sapevo come fare ora per tranquillizzarla, ero solo un uomo in
fondo, un ragazzo, e non avevo idea di come riuscire a calmare la sua
ansia. Ero solo in grado di farla stare male, che bravo, proprio un
asso di perfezione. -
Mh…-. Mi voltò le spalle e si avvicinò
alla grande vetrata che dava all’esterno, fissando silenziosa
gli alberi che enormi si stagliavano intorno alla mia casa. Si
soffermò sul pick-up, parcheggiato davanti la villa, e poi
appoggiò la testa sul vetro freddo aspettando di
tranquillizzarsi. -Davvero-.
Bisbigliai andandole vicino e tentando di incrociare il suo sguardo
– Non ti sto dicendo una bugia…-. Continuai
alzando una mano e accostandola alla sua guancia che immediatamente
riprese colore. Ecco, così, ora andava molto meglio. Divenne
rossa e si fece coccolare dalle mie dita dimentica di ogni pensiero.
Era così che volevo vederla, felice di ogni piccolo gesto,
di quella minima intimità che avrebbe dovuto soddisfare
entrambi, anche se accendeva una miccia folle di desiderio e passione. -Non
mi mentiresti mai vero, Edward?-. Continuò facendomi
inorridire. Non le avrei mai voluto mentire, non l’avevo mai
fatto, le avevo aperto il mio cuore nonostante fosse pericoloso, avevo
cercato di starle lontano, ma non ci ero riuscito, avevo fallito ogni
tentativo di resisterle tentando di nascondere a me stesso
quell’amore. Dirle bugie sarebbe stato mentire a me stesso,
lei era parte di me, era me e io non potevo dimenticare quello che mi
univa a lei. -Lo
sai, lo sai che non lo farei-. Terminai scostandole i capelli dietro
l’orecchio e carezzandoli piano come seta preziosa, pregiata.
Bella per me era unica, un piccolo cerbiatto indifeso da proteggere dal
mostro cattivo che ero, ma anche la più bella delle
creature, la più desiderabile ai miei occhi, e questo era
spaventoso, ma normale. Se normale poteva dirsi il desiderio fisico per
un’umana da parte di un diciassettenne centenario per giunta
vampiro. -
Mai?-. Insisté voltandosi verso di me e pregandomi con gli
occhi di dirle la verità. Fissai il mio sguardo sulle sue
labbra e la voglia di baciarla tornò prepotente. No, non
potevo farlo, anche se ero sazio. Voleva essere rassicurata e io avrei
cercato di farlo. Le sorrisi e la portai contro di me, abbracciandola e
cullandola contro il mio petto. Quale piacevole tortura sentire il mio
corpo reagire istintivamente alla mio piccolo Bambi, i miei sensi
divennero così acuti che riuscii a percepire il profumo del
suo desiderio per me. Come un animale chiusi gli occhi per goderne
segretamente e mi illusi di riuscire a mantenere quel poco di controllo
che mi era rimasto. Un vampiro, un uomo… un semplice idiota.
Poteva essere la descrizione che evidenziava le mie perfette
qualità da creatura insensata e assetata di sangue qual ero. -
Non vorrei mai, Bella, preferirei farmi del male che farne a
te…-. Le confidai scostandola lentamente e fissando i miei
occhi nei suoi. Il suo viso si rabbuiò immediatamente, non
era quella la risposta che avrebbe voluto sentirmi dire. Ma non potevo
fare altrimenti, dovevo essere onesto con lei e con me stesso. La
amavo, più di me stesso e cercavo di dimostrarglielo ogni
giorno senza pensare al domani, perché di quello non potevo
esserne sicuro nemmeno io. La sua vita era costantemente in bilico, la
vedevo oscillare, una piccola preda sperduta nel bosco e sempre di
più mi angosciavo pensando che avrebbe potuto correre
chissà quali pericoli se non l’avessi difesa, se
non l’avessi protetta ad ogni costo. Ero diventato paranoico,
averla lasciata da sola per due giorni aveva fatto più male
a me che a lei, questo però non l’avrei mai
ammesso di fronte a Bella. La caccia era stata comunque un buon
diversivo, Emmett sapeva come farmi divertire. -
Ma mi mentirai… o forse già l’hai fatto
inconsapevolmente. Magari dicendo di amarmi per esempio-.
Parlò con noncuranza, come se la leggerezza del suo tono
potesse farmi realmente credere che stesse dicendo quelle fesserie non
pensandole veramente. Avevo imparato a conoscerla, pur non potendo
leggere nella mente e improvvisamente capii che quei giorni senza di me
le avevano provocato più dolore di quanto non mi aspettassi. -
Immagino che tu stia scherzando, voglio crederlo perché non
voglio ricominciare a discutere-. Cominciai sentendo la
volontà di stare calmo venire meno. Ancora una volta il
fatto che Bella si sentisse così inferiore a me ci stava
dividendo, era chiaro che qualcosa non andava e quel qualcosa invece di
diminuire stava crescendo e formando un baratro tra noi. -
Sì…-. Fece pensierosa abbassando gli occhi sulla
mia maglietta – E immagino di non dovere affatto
preoccuparmi, penserai a tutto tu… a tutto quanto, senza
dirmi mai nulla-. Iniziò prima che potessi fermare il flusso
impazzito ed impaurito dei suoi pensieri. -
E tu dicevi che ero perfetto eh?-. La interruppi finalmente posandole
un leggero bacio sulla fronte e facendola fremere – Non lo
sono, se riesco a far preoccupare la persona che amo. Non devi sentirti
così, sei la mia vita, tutto per me. Lo sai-. Conclusi
afferrandole una mano e portandola con me verso il divano accogliente
che arredava la mia stanza. Ci mettemmo seduti e ricordai quando appena
qualche mese prima l’avevo lì stretta tra le mie
braccia, il desiderio accecante, la passione incontrollabile. Ora era
diverso. Dopo averla vista morente, aver assaggiato il suo sangue, ero
molto più attento al mio comportamento. Carlisle mi aveva
avvertito che dentro di me stava maturando un amore più
cauto, più maturo, insomma stavo crescendo, dopo cento anni
di vita, io stavo crescendo. Incredibile che anche un vampiro potesse
mutare, anche se solo a causa di emozioni molto forti. -Sei
perfetto. Tu non ti vedi come ti vedo io-. Sussurrò
scontrosa avvalendosi del suo infallibile sguardo lungimirante da
essere umano. Mi lasciai sfuggire un piccolo sorriso accarezzando con i
polpastrelli le fossette delle sue guance indispettite. Mister
perfezione… reclinai il viso da un lato e mi ritrovai a
ridacchiare della sua espressione assolutamente irreprensibile.
Già, Bella non poteva vedere quello che riusciva a scatenare
in me, non poteva vedere quello che ero veramente. -
Se leggessi più approfonditamente qualcuna di quelle pagine
del diario credo capiresti-. Le confessai nonostante tutto sperando che
non fraintendesse. Si portò le ginocchia al petto, poggiando
il mento e lasciando che le mie dita continuassero il loro percorso sul
profilo del suo naso. -
Se leggessi il tuo diario vedrei ti amo scritti ovunque…
come nella pagina che ho aperto. Nessuno ti ha mai detto che scrivi
divinamente? Sembra poesia Edward, ma è così che
mi vedi? Tu non sei normale-. Concluse sbuffando. Non trattenni una
risata e le passai le mani tra i capelli lunghi. Ma come diavolo
riusciva a pensarle quelle cose? E poi dubitava del mio affetto. -
Sono meno poeta di quanto tu non possa immaginare, Bella…-.
Ammisi con un sospiro, ricordando quanto mi piacesse il suo sangue e
quanto mi sentissi ancora forte di quello che avevo rubato da lei
qualche mese prima. Era come se fossi rinato, le mie energie vitali si
erano sintonizzate con una forza disumana. Non riuscivo a credere che
del sangue umano potesse fare quell’effetto, ma Bella per me
non era come gli altri. Lei era la mia eterna dannazione e il mio amore
immortale. -
Sei molto più testardo di quanto io non potessi immaginare,
Edward-. Imitò la mia voce seria e impassibile con un tono
che non riuscì a farmi trattenere una risata. Che bambina, a
volte dimenticavo che tra noi due ci fosse quella grande differenza di
età. Mi ero sentito un bimbo con lei, un ragazzo, un uomo, e
ora a volte sentivo di essere il suo carnefice. E questo…
questo mi terrorizzava sopra ogni altra cosa. -
Dimostramelo-. Conclusi sarcasticamente facendole roteare gli occhi in
aria. Ero anche un esagerato, a dirla tutta, o tutto bianco o tutto
nero, nessuna via di mezzo e questo non era positivo per una
cerbiattina tenera come lei. -Terra
chiama Edward, Edward rispondi… vedi? Stai di nuovo
viaggiando in quella massa neuronale spaventosa che ti ritrovi, Mister
Perfezione-. Si alzò stiracchiandosi e chinando il capo per
guardarmi. La osservai con un vago senso di inquietudine e poi le presi
le dita. Non sapevo più come dirle che non ero affatto
perfetto, non capivo come mai avesse quell’idea assurda. Gli
umani tendevano evidentemente a dimenticare, perché se
avessi ripercorso la nostra storia passata non avrei visto nemmeno una
traccia di elementi così impeccabili nel sottoscritto.
Tutt’altro… -
Anche nel mio desiderio nei tuoi confronti vedi questo?-. Le domandai
rischiando un discorso che avrebbe scatenato la litigata del secolo.
Dovevo stare attento a quell’argomento, camminavo su un
terreno franabile. Bella scosse la testa esasperata e si
inginocchiò al mio fianco appoggiando distrattamente la
testa su una mia coscia. La lasciai fare sbalordito da quel gesto.
Possibile che sapesse sempre come stupirmi? Era incredibile. Il
mio respiro accelerò in modo naturale e quando le sue dita
giocarono a sfiorare la mia pelle e a tracciare le linee indelebili sul
palmo della mia mano, capii di dovermi rilassare prima che il mio corpo
si irrigidisse e io mi potessi sentire troppo a disagio. -Trovi
questo innaturale?-. Mi domandò facendomi rabbrividire. No,
lo trovavo estremamente naturale, forse più del dovuto. Tra
un vampiro e un’umana non avrebbe dovuto esserci una simile
sintonia di anime, una così profonda condivisione di
desiderio fisico. Ma fino ad un anno prima non avrei creduto possibile
neanche un sentimento d’amore così profondo verso
un essere umano. -No-.
Risposi semplicemente, aspettando che continuasse a torturarmi. E lei
lo fece… Tracciò con i polpastrelli dei disegni
immaginari sul dorso della mia mano e io trattenni il respiro,
vagamente sconvolto dalla scarica elettrica che mi percorse. -Vedo
che neanche tu hai una buona memoria. Strano per un vampiro-.
Bisbigliò risalendo lungo il mio polso e massaggiandolo
gentilmente. Era come se mi stesse passando una piuma sulla pelle per
fare in modo che venissi percorso da mille brividi contemporaneamente. -
A volte… mi impongo di non ricordare-. Confessai, gli occhi
ora chiusi e la testa abbandonata sul divano. Era vero, ricordare
quanto mi piacesse essere toccato da lei, accarezzato dalle sue mani o
anche quanto godessi nel toccarla non era positivo per me, trattenere
gli istinti di un vampiro non era come frenare quello di un umano. Non
era razionale l’impulso che sentivo nascere dentro di me, era
automatico, mi spingeva verso la possessione di ogni cosa che la
riguardasse, per egoismo puro, per piacere, per qualsiasi cosa fosse
sentirla gridare il mio nome con voce roca e ansimante. Ciò
che doveva assolutamente essere evitato era il contatto fisico, ecco la
regola che mi stavo auto imponendo e su cui mi stavo allenando con
rigidità. -
Edward, rilassati-. Mi intimò sfiorandomi piano il braccio e
giocando a torturare con le unghie il marmo della mia pelle. Non sapevo
cosa le diceva la testa, ma la mia rischiava di smettere di parlarmi. E
questo era terribilmente frustrante. Ogni volta che tentavo di
controllarmi tutto si perdeva e la mia ragione andava a farsi benedire
in qualche posto lontano, molto lontano. -
Per favore, Bella…-. Cominciai cercando di farla allontanare
da me. Mi alzai appena consapevole che la visione dei suoi capelli
scivolare sulle mie gambe e cadere nel vuoto mi piacque troppo. Mi fece
pensare a cose da respingere assolutamente e non erano pensieri da uomo
quelli che volevo fare in sua presenza, preferivo riflettere su cose
più edificanti. Ad esempio come avrebbe trascorso il suo
compleanno, cosa avrei potuto regalarle. -
Per favore, Edward… solo qualche minuto-. Replicò
lei volgendo la testa verso di me. Quel movimento mi fece sussultare
perché in nessun modo avrei potuto prevedere quel tipo di
intimità. La fissai inorridito e mi sollevai tentando di
allontanarla da me. Perché continuava a credere che io avrei
potuto sopportare un simile tormento? Mi afferrò di nuovo la
mano stringendo le mie dita e io tornai a sedermi agitato. La guardai
attentamente e ricambiai la sua stretta con delicatezza. -Altro
esempio di chiara non perfezione-. Sottolineai tentando di fare ironia
su me stesso. Bella mi guardò sbalordita e portò
il suo corpo tra le mie gambe facendo iniziare la mia preghiera verso
il cielo. Forse non si rendeva conto, forse non aveva la minima idea di
cosa stava cercando di risvegliare. Qui non si trattava di un semplice
e blando desiderio controllabile, era in gioco la sua vita e anche la
mia. -
Dove? Dimostralo… come dici tu-. Mormorò dubbiosa
rilassandosi ancora sull’altra gamba portando
l’altra mano a strofinarsi sui miei jeans. Nella mia
testa… ecco dove. Era come se fosse entrato un virus che
stava sbaragliando senza pietà i miei neuroni, a cui avevo
lavorato per ben cento anni. Mi sentivo ridicolo, questa era la
sensazione, assolutamente ridicolo. E non mi piaceva avere la
sensazione di stare facendo qualcosa di sbagliato. -
Vieni qui Bella, vieni da me. Per favore-. Le intimai allungando le
braccia. Preferivo tenerla tra le braccia, stringerla contro il mio
corpo, che immaginare cose di cui poi mi sarebbe rimasto un chiaro e
indelebile desiderio dentro di me. Lei si alzò, attratta
dalla mia voce, dalle mie parole e io la sollevai abbracciandola come
fosse stata una bambina. Molto, molto meglio. -Voglio
solo proteggerti, lo capisci?-. Sussurrai sulle sue tempie baciandole
ripetutamente e cullandola avanti e indietro. Era così bello
prendersi cura di lei, l’avrei tenuta così per
sempre. -
Sì, sì. Lo so. E io voglio proteggere te-. Disse
sottovoce toccando con il naso la mia gola e strofinando le sua labbra
sul mio collo. Lei proteggere me…. Interessante, ma
impossibile. Lasciai che mi coccolasse per non farle ulteriormente male
allontanandola e per qualche minuto mi abbandonai al suo calore. Era
più sopportabile senza la tensione che faceva nascere
un’aspettativa di piacere nel mio corpo, era più
accettabile. Dovevo comunque astenermi dal respirare intensamente,
altrimenti sarebbe stata la mia fine. -Piccola,
pensa a te per una volta-. Le dissi abbassando lo sguardo sulla sua
bocca e desiderando nutrirmi di quelle labbra gustose. Le fissai
tentato di cedere, annaspando e tentando di convincermi che quel bacio
mi avrebbe fatto perdere definitivamente il senno. Non potevo farlo, se
l’avessi fatto avrei voluto sempre di più, lo
sapevo, preteso cose che ogni notte segretamente mi trovavo ad
immaginare steso con lei nel suo letto, oppure da solo nella mia
stanza. E nemmeno la lettura riusciva a distogliere la mia mente. Avevo
la sensazione di non aver fatto passi avanti, ma mille indietro. Era
come se fossi tornato a smaniare per lei, torturandomi per quella
passione inverosimile. -
E tu… quando penserai a te? Sempre il solito. Ti va di
uscire e andare a fare due passi?-. Mi domandò stringendosi
ancora di più contro di me. La sfiorai con il mio respiro e
sentii il suo insinuarsi dentro di me e tentarmi sempre di
più. Solo un bacio, uno e poi avrei smesso di desiderare, mi
sarei imposto qualsiasi dolore, ma non quello di volerla, di
immaginarmi con lei come un semplice ragazzo, in grado di abbandonarmi
all’amore. -
Con il tuo pick-up mi rifiuto, amore-. Le risposi sincero
assottigliando le palpebre e scostandomi di scatto. No, niente
libertà per quel giorno, non avrei fatto niente che avesse
potuto metterla in pericolo. Era assolutamente inammissibile quel mio
atteggiamento. Rischiavo di arrivare a detestarmi. Il mio cerbiattino
tornò a poggiare la mia testa contro la mia spalla,
sbuffando e io ridacchiai furbescamente. -
Cattivo, sei cattivo. Vampiro cattivo…-. Ripeté
più volte stringendo la mia mano ancora più
forte. Non la lasciai andare e la portai al mio petto spingendola
contro il mio cuore ormai morto. Sapevo che se non fossimo usciti,
avremmo finito per baciarci su quel divano e accarezzarci fino a sera.
Ne avevo un bisogno cronico e potente, quasi una necessità.
Ringraziai che l’avesse capito. -
Non ho mai detto di essere buono. Io ti ho sempre avvertita del
contrario…-. Borbottai e le permisi di lanciarmi
un’occhiataccia omicida. La sollevai tra le braccia facendola
mugolare sorpresa e mi diressi verso la porta con lei in braccio. -
Lasciami andare Edward!!-. Urlò lei ridendo e aggrappandosi
alla mia t-shirt. Avrei tanto voluto, ma se fosse caduta a terra si
sarebbe fatta male e non potevo permettermelo. Mi piegai sulle gambe
fingendo di perdere l’equilibrio e la vidi spaventarsi e
urlare lamentosa. -
Se insisti…-. Commentai tornando ad afferrarla fermamente e
poi a lasciarla ancora. Rideva, rideva come una bimba e questo non
faceva che dimostrarmi quanto si fidasse di me. Non avrei voluto che lo
facesse, ma mi rendeva felice. Risi con lei sollevandola con
facilità e Bella si aggrappò alle mie spalle
scuotendo la testa e liberando la massa di capelli castani che tanto mi
faceva impazzire con il loro odore. -
Sei terribile, insopportabile a volte…-. Mormorò
Bella stringendomi forte e mordendomi il collo come per succhiare il
mio sangue. Che peste, quel cerbiattino era una peste, non sapevo come
altro definirla. Ma che amore, che dolce amore, mio, tutto mio e
solamente mio.
Scusate il ritardo, ma
trovare il tempo di scrivere le fic sta diventando impossibile in
questo periodo. Cercate di perdonarmi se potete, non vi dimentico, ma
quello che voglio di più al mondo è diventare
scrittrice e sto cercando di impegnarmi in questo senso. Devo dare
tutta me stessa in questo progetto... volevo ringraziare tre persone in
particolare: Marghe, Paola e la piccola Malù, che mi stanno
molto molto vicine in questo periodo e che mi sostengono con tutta
la loro forza. Grazie veramente per quello che fate per me, questo
capitolo è dedicato a voi. ^^ Sappiate che
apprezzo il vostro affetto, tantissimo e non lo dimentico. Ma volevo
ringraziare anche tutte le persone che mi leggono e che credono in me,
tutte... tutto Oblivion, le lettrici silenziose che mi seguono
segretamente e nel cuore, chi commenta, chi mi manda e-mail, chi mi
minaccia, chi vuole da me il massimo e lo pretende, chi mi ha fatto
crescere e chi mi sta facendo ancora crescere. GRAZIE MILLE,
perchè voi non avete la minima idea, la più
piccola e sola idea di quanto io vi debba. Mi avete regalato un sogno,
avete dato senso alla mia vita, mi avete dato tanto. E' più
di anno che scrivo su efp, un anno di cose belle e brutte, di
dimenticanze, errori, problemi e conoscenze. E non è
finita... non finirà. Quello che sono ora lo devo solo a
voi, solo e unicamente a voi, perciò non potete capire il
valore che avete per me. Grazie per aver creduto in me tutto questo
tempo. Malia
Verità
nascoste.
-Dì un
po’… abbiamo preso il pick-up perché
non c’era altra scelta, vero? Dimmi che è
così-. Sospirai disperato fissando dritto davanti a me. Ogni
volta era un’agonia salire su quel catorcio e guidarlo, quasi
peggiore che starle vicino e desiderare costantemente il suo sangue.
Era già tanto che riuscissi ad accelerare oltre i cento
chilometri orari, mi sembrava di vedere tartarughe indiane correre
più veloci di noi. Il mio piede sull’acceleratore
tremava di impazienza ogni minuto di più. -Mhh…
finiscila di lamentarti, vampiro-. Borbottò lei rilassandosi
sul sedile e continuando a leggere uno dei miei tanti diari. Era
proprio immersa nella lettura, non mi aveva degnato nemmeno di
un’occhiata da quando eravamo partiti da casa. La fissai, la
fronte corrucciata e il cipiglio pensieroso… era tenera la
mia cerbiattina umana. -Non pensarci troppo-.
Mormorai girando a destra e percorrendo la solita strada che ci avrebbe
portato alla nostra radura. Spesso andavamo lì per stare un
po’ insieme, parlare e confidarci, per me era come un tempio
dello spirito quel luogo, dove potevo liberare la mia anima con lei. -Sei tu che pensi
troppo tra noi due-. Ribatté facendomi involontariamente
sorridere. Aveva sempre la risposta pronta eh? Ridacchiai divertito
facendola finalmente voltare, lo sguardo assente, ma gli occhi pieni di
domande. Immaginai che sarebbe arrivata una cascata inevitabile di
perché da un momento all’altro, così la
ignorai e continuai a guidare, improvvisamente troppo concentrato. -Edward quando hai
scritto queste cose?-. Domandò alla fine. Come prima domanda
non era affatto difficile, in ogni pagina avevo accuratamente
evidenziato la data. Scoppiai a ridere della sua sbadataggine e Bella
assottigliò le palpebre sorpresa dalla mia reazione. -C’è
scritto-. Terminai tagliando corto e fermando di scatto il pick-up. Da
lì come sempre avremmo dovuto continuare a piedi il nostro
percorso. Mi guardò tornando a fissare le pagine e
si portò un dito sulle labbra sospirando interdetta. Scossi la testa
incredulo e aprii lo sportello facendole segno di uscire, ma lei non si
mosse continuando a scorrere con gli occhi i fogli, apparentemente
molto scossa. -Hai pensato veramente
queste cose?-. Chiese poi chiudendo il diario e sporgendosi verso di me
perché la prendessi. Sorrisi di quel gesto fiducioso e le
circondai la vita con un braccio, attirandola contro di me.
Sì, ma non capii perché fosse così
sconvolta. Quale dei tanti aveva preso? -Ti sembra assurdo?-.
Ribattei accarezzando i suoi capelli e scostandoglieli
all’indietro, godendo come sempre del loro profumo floreale.
Lei arrossì dolcemente annuendo ingenua e mordendosi con i
denti il labbro inferiore, segno che si stava preoccupando o che era
nervosa. -Bella, la mia vita
accanto a te…-. Iniziai tentando di spiegarle cosa provassi
ogni volta, cosa percepissi in modo violento quando le ero accanto. Ma
lei mi precedette sigillando la mia bocca con la sua mano e scostandosi
da me per iniziare la salita che ci avrebbe portato alla radura. La
guardai sorpreso da quella reazione impulsiva e la seguii lentamente
chiedendomi che cosa l’avesse portata ad allontanarsi
così. Se soltanto avessi potuto leggerle nella
mente… -E’
così strano leggerti in quelle pagine, sembri
così diverso eppure così Edward-.
Continuò spostando una felce maldestramente e puntando i
piedi per non farsi gettare a terra. Fui io, tempestivo, a sorreggerla
per non farle perdere l’equilibrio e come sempre quando i
nostri corpi venivano a contatto provai un formicolio fastidioso al
basso ventre. -Sono io, Bella. Anche
se può sembrarti impossibile-. Sussurrai spingendola in
avanti e maledicendo la mia debolezza. In fondo sapevo che non
c’era nulla di male nel desiderare la propria ragazza, ma
certo essere ossessionato dalla voglia di fare l’amore con
lei e non poterlo nemmeno pensare era dannatamente frustrante. Bella si
voltò guardandomi per qualche secondo in viso e io mi fermai
per permetterle di fissarmi senza farle correre il pericolo di
ruzzolare a terra. Non commentò le mie parole un
po’ dure, ma continuò la sua scalata aggrappandosi
ai tronchi degli alberi. -Anche i vampiri
quindi possono deprimersi?-. Domandò come se fosse stata la
cosa più normale del mondo. Solitamente no, ma evidentemente
io potevo. Dalla mia nascita come vampiro avevo dimostrato una
sensibilità fuori dal comune, nonostante fossi un neonato
assetato di sangue umano, e questo mi aveva portato a guarire
dall’ossessione della linfa vitale molto presto. Leggere
dentro l’anima delle persone, tutti i loro pensieri, era
stata una prova per me, la prova della mia umanità. -Non ero depresso, ero
semplicemente me stesso-. Commentai ragionandoci su. Su quelle pagine
avevo sfogato tutto il mio essere, tutti i miei perché senza
risposta e non avevo mai trovato nulla che potesse farmi sentire
pienamente me stesso. Almeno fino a quel momento. -Te
stesso…-. Continuò lei facendomi sorridere
ancora. Non avrei dovuto permetterle di prendere i miei diari, ormai
avrei dovuto sapere che in questo modo si sarebbe preoccupata
eccessivamente per me, quando non ce n’era affatto bisogno.
Ero bravo a cavarmela, ero sopravvissuto più di cento anni
in fondo. -Me stesso e basta
Bella. Si può sapere cosa c’è?-. Le
risposi afferrandole delicatamente un braccio e portandola lontano da
una radice sporgente. Forse sarebbe stato meglio prenderla in braccio e
correre, ma Bella odiava la mia corsa, la spaventava, perciò
preferivo andare lentamente. E la mia ansia faceva capolino ogni volta
che la vedevo muovere un passo davanti all’altro. La solita
iperprotettività cronica. -Davvero? Non stai
scherzando? Cosa pensi di me…-. Bisbigliò
insicura facendomi roteare gli occhi verso l’alto. Prima mi
chiudeva la bocca per evitare che le ricordassi il mio amore e poi mi
domandava cosa pensassi di lei… quella donna era una
contraddizione in essere. Mi aggrappai ad un ramo basso sollevandomi
con le braccia e saltando sulla conifera enorme poco sopra di noi.
“Pronti…via”. Bella si
voltò di scatto rischiando di cadere a terra e io mi
abbassai tenendomi con le gambe e afferrandola per lo zaino. Si
sbilanciò all’indietro risollevandosi con le
braccia e io scoppiai a ridere vedendola indispettita dal mio
comportamento. -Manca solo
l’urlo e poi ti chiamerò definitivamente Tarzan-.
Borbottò facendomi digrignare i denti e ringhiare sommesso.
Alzò il viso per guardarmi, meravigliata dal mio
comportamento, e io continuai a ringhiare minaccioso contro di lei.
Volevo vedere come avrebbe reagito, raramente mi permettevo di farle
paura, ma ero curioso. Ma Bella non battè ciglio, si
inginocchiò pensierosa prendendo un ramo e stuzzicandomi il
petto con la punta del bastone. -Fa il bravo micio,
micio mao-. Rispose lei alzandomi il mento con quel tronchetto. Lo
scostai di malavoglia e continuai la mia opera spaventosa. Assottigliai
le palpebre abbassandomi con le braccia fino ad arrivare
all’altezza del suo volto. Annusai la sua spalla e spezzai il
bastone strusciando con lentezza il naso sul suo maglione scarlatto. -Edward, a che gioco
stai giocando?-. Mormorò improvvisamente rigida. Il suo
corpo immobile aveva reagito con normalità al pericolo che
aveva percepito, ma non sentivo timore venire da lei, che tentava di
comprendere perché ora mi comportassi in quel modo. Non parlai abbassando
le braccia e afferrandola sotto le spalle per portarla sul ramo con
me. Si lasciò sollevare e si aggrappò
alla mia schiena per non cadere giù, mentre il suo odore mi
eccitava le narici e mi faceva brancolare dalla voglia di gettarmi in
quel piacere profumato. -Ti dimostro che sono
molto, molto arrabbiato a causa delle tue parole-. Sussurrai
riprendendo il mio ringhio basso che fece vibrare entrambi su
quell’albero. Ma il mio piccolo Bambi non aveva ancora finito
di stupirmi, si chinò sul mio collo annusando la mia pelle e
sospirando beata. Tremai convulsamente e mi resi conto di stare quasi
facendo le fusa. -Micio mao-.
Ridacchiò ancora quando tremai imbarazzato. Ci mancava solo
il gatto ora… la strinsi a me facendole scivolare lo zaino a
terra e la sentii ridacchiare contenta di starmi così
vicino. Quella ragazza non si rendeva minimamente conto del pericolo,
oppure era talmente cieca e innamorata da non vedere il mostro che ero. -Non sono un gatto,
sono un vampiro-. La ripresi fingendomi indignato. Bella
affondò le mani tra i miei capelli bronzei e mi
mordicchiò il naso dolcemente mettendosi comodamente seduta
sul ramo. Inutile dire che mi sarei fatto torturare da lei tutto il
giorno e non avremmo mai raggiunto la radura. -Edward…-.
Disse sottovoce facendomi correre un brivido lungo la schiena. Inspirai
forte poggiandole la testa sul petto in modo che lei mi avvolgesse nel
suo abbraccio e chiusi gli occhi abbandonandomi al battito del suo
cuore che sentivo martellare irregolarmente, veloce, poi lento, ora
veloce. La adoravo… -Scema-. Conclusi
sospirando e sentendo il suo mento tra i miei capelli dondolarsi
pensieroso. Pregai che quel momento non finisse mai, perché
Bella era diventata veramente tutta la mia vita, la
necessità di lei mi portava ad impazzire ogni volta che
sentivo il suono della sua voce, la sua vicinanza, il suo affetto nei
miei confronti. Era più forte di me stesso
quell’amore. -Scemo tu-. Riprese
lei quando mi alzai e mi portai in piedi guardandola
dall’alto. Mi aggrappai al ramo superiore e mi spinsi con le
gambe per saltare. Avevo voglia di libertà e non ne capivo
il motivo, sentivo il profondo bisogno di respirare a pieni polmoni
quell’aria gelida e sentirmi uomo, sentirmi vivo. Bella mi
fissò aggrottando la fronte e allungando la mano. Senza
pensare la afferrai e la sollevai con me, facendola salire sul mio
stesso ramo. -Signorina Swan, non
è un bene arrampicarsi sugli alberi-. La sgridai poi
accucciandomi sul tronco e fissandola divertito. Lei si resse al mio
braccio tentando di rimanere in equilibrio e quando guardò
in basso si tese agitata. Non sarebbe caduta, ci sarei stato io a
tenerla se fosse successo qualcosa. -Colpa di un vampiro
tentatore-. Mi rispose lei facendomi ghignare. Le circondai la vita
sostenendola con le mie braccia e le feci segno di aggrapparsi a me con
tutte le sue forze e non guardare in basso. Lo fece senza fiatare e io
allungai una mano verso il tronco facendo leva su una sporgenza solida.
Volevo salire ancora più su, volevo stupirla, sentivo il
bisogno di emozionarla e la trascinai con me in quella scalata
impossibile. Salimmo molto in alto fino a quando non avemmo la visione
del paesaggio circostante. -Dio mio…-.
Mormorò Bella reggendosi al tronco, instabile sulle gambe.
La guardai spaziare con gli occhi per tutto il bosco circostante e per
l’ennesima volta mi innamorai di lei. Era bellissima,
qualcosa di etereo e assolutamente innocente, piccolo e da proteggere. -Sì, sono
d’accordo-. Sussurrai sporgendomi verso di lei e guardandola
negli occhi. Ci fissammo intensamente per qualche secondo e poi Bella
abbassò lo sguardo arrossendo. -Quando mi guardi
così il cuore parte per luoghi lontani. Non riesco mai a
controllarlo… uff-. Commentò a disagio. Potevo
sentirlo, ma non mi importava. Era stupendo stare lì con
lei, non avrei mai pensato che sarebbe successo. Quella fiducia
così incondizionata nei miei confronti mi faceva sentire il
re del mondo. Che stupido, che uomo idiota, ma innamorato. - Ti va di salirmi
sulle spalle?-. Le domandai allora sovrappensiero. La vidi sgranare gli
occhi spaventata e passai sul suo stesso ramo portandomi più
avanti rispetto a lei. Il mio cerbiattino si strinse a me
abbandonandosi di peso e circondò le mie spalle con le
braccia. Volevo salire ancora più alto, fino in cima, volevo
portarla dove avrebbe potuto superare con lo sguardo ogni cosa. Salii
ancora senza fatica con lei su di me e arrivai in cima. Fissai tutta la
montagna e gli alberi, osservando i laghi in lontananza. Era
meraviglioso, la vita lo era, la stessa esistenza era perfetta e
assolutamente preziosa. -E’
fantastico Edward-. Mormorò Bella in modo strozzato. Si
strinse alla mia schiena provocandomi un brivido e io distolsi lo
sguardo sperando che non si accorgesse del mio disagio. Avevo voglia di
sentire il suo odore penetrarmi dentro, desideravo prenderne
consapevolezza, mi piaceva il profumo della sua pelle. -Ti piace?-. Le chiesi
sottovoce. Era stupido emozionarsi per una cosa così
sciocca, ma mi sentii tremare e l’aria frizzante mi rese
stranamente felice. Era bello avere un mondo tutto nostro da
condividere. La afferrai ancora portandola di fronte a me e tenendola
stretta. Mi abbracciò poggiando il capo sul mio torace e
chiudendo gli occhi serena. Così… avrei voluto
guardarla per sempre, allegra, appagata e innamorata. Avrei dato la mia
vita per saperla felice. -Non quanto te, ma
posso accontentarmi di questa meraviglia-. Rispose sussultando e
ridacchiando. -Come sono smielata-. Aggiunse poi tornando ad
osservarmi. Aveva ragione stava esagerando, ma mi faceva stare bene.
Provai un piacere sottile nel sapere che le piacevo, che mi trovava
bello in qualche modo, per lei avrei fatto ogni cosa. -Si può
sempre recuperare con qualcosa di profondamente… non
so… cattivo volendo-. Proposi scoppiando a ridere e
vedendola storcere il muso. –Sì, lo so. Sono
romantico-. Terminai quando mi prese il viso tra le mani. Se si fosse
avvicinata ancora un po’ l’avrei baciata e non
volevo farlo, il fuoco che avrebbe acceso nelle mie vene mi avrebbe
fatto delirare. -Tipo? Tu sai essere
molto cattivo a volte-. Fece sollevandosi verso di me. Oh
sì, sì, troppo cattivo. Soprattutto i miei
pensieri in quel momento che non volevano smettere di fissarsi su unica
cosa: le sue bellissime labbra, disponibili e molto invitanti. -Scendiamo, Bella.
È meglio-. Dissi, improvvisamente freddo, afferrandola
malamente e costringendola ad arrampicarsi ancora su di me. Non potevo
permettermi più simili debolezze e non dovevo, preferivo di
gran lunga che leggesse i miei diari e fantasticasse piuttosto che mi
tentasse. Non fiatò, rimase in silenzio per tutta la discesa
e io mi limitai ad immergermi nei pensieri cercando di non sentirmi
propriamente un ebete. Saltai a terra sentendo un suo respiro profondo
alle spalle e la feci subito scendere, comprendendo subito il suo
bisogno di toccare terra. -Credo che dovremmo
sbrigarci, il tempo non promette affatto bene. Credo che
pioverà-. Azzardai fissando il terreno e avanzando
lentamente senza guardarla. Non avevo voglia di vedere la sofferenza
nei suoi occhi, perché sapevo di averla delusa, ma non
potevo rischiare di farle correre rischi. Doveva perdonarmi e cercare
di capirmi. Sperai che lo facesse. -Va bene-. Disse
indifferente facendomi voltare. Non resistetti alla tentazione di
guardarla e notai il suo sguardo perso in chissà quali
pensieri. Le porsi la mano sperando che la prendesse e lei lo fece, ma
questo non mi rassicurò affatto. Avrei voluto non farle male
in quel modo, ma se avesse saputo quanto fosse difficile per me starle
lontano, quanta sofferenza nel cercare di controllare me stesso forse
le avrebbe fatto piacere. Anche se non sapevo fino a che
punto… Verso il primo
pomeriggio arrivammo alla radura, che con il clima autunnale aveva
completamente cambiato aspetto. Ma il rumore dell’acqua era
lì e le piante sempreverdi ci facevano da cornice. Come
avevo previsto non c’era il sole, ma l’aria fredda
che ci accolse mi fece capire che non sarebbe piovuto immediatamente.
Così la portai vicino alla cascata e ci sedemmo
lì a fissare l’acqua cadere nel piccolo lago
adiacente a quello che era il nostro paradiso. -Vorrei che il tempo
si fermasse, la sola idea di perderti mi fa stare male-. Riprese Bella
sottovoce dopo avermi accarezzato il palmo della mano. Non mi voltai,
continuando a guardare l’acqua. Non che non ci avessi mai
pensato, ero consapevole che se mi fossi intestardito sulla sua
non-trasformazione lei sarebbe invecchiata e l’avrei persa.
Era inevitabile che ne fossi ossessionato, ma non ero pronto,
né preparato a vederla morire, non per causa mia almeno. La
volevo sentire viva, desideravo che respirasse e che vivesse in modo
normale. -Non mi perderai,
mai… mai…-. Sussurrai stringendole le dita nelle
mie e sentendola rabbrividire dal freddo. Mi soffermai sullo zaino che
aveva ripreso e che evidentemente le scaldava un po’ le
spalle, ma non bastava. E mi sentii profondamente in colpa
perché io non potevo fare nulla per tenerla al caldo, se
l’avessi abbracciata avrei finito solo per congelarla. Tentai
di togliere la mano dalle sue, con molta delicatezza, ma non me lo
permise, forse intuendo il mio disagio. -Bella…
cosa c’è…-. Mormorai avvicinandomi e
poggiandole appena le labbra sulla guancia. –Sai che con me
puoi parlare. Lo sai-. Continuai baciandole piano la pelle profumata.
Lei chiuse gli occhi e si lasciò andare a quella mia carezza
dolce. Tutto, ma non il mio cerbiattino triste. -Voglio
leggerti…-. Disse fermandosi e portandosi lo zaino sulle
gambe. Lasciò la presa sulla mie dita e aprì le
cinghie prendendo uno dei miei diari. Non poteva essere
vero… l’aveva portato anche lì. Mi
portai una mano tra i capelli e la fissai preoccupato. Le stavano
facendo male quei miei pensieri, avevo combinato un altro danno,
maledizione a me e quando le avevo detto che poteva dare
un’occhiata ai miei ricordi. Non aveva fatto che leggere
quelle maledette pagine per tutto il viaggio in macchina e ora scoprivo
che aveva portato con sé il diario dentro lo zaino. -Ti prego, per
favore-. Iniziai tentando di farla desistere dalla sua decisione, ma
invano. Lei aprì la prima pagina e io maledii me stesso e le
mie perfette idee da gentiluomo. La prossima volta avrei fatto meglio a
tenere la mia bocca chiusa e rimangiarmi le parole.
–Bella…-. Sospirai quando la vidi cercare
qualcosa. Intuii subito dove volesse arrivare e questo non mi piacque
affatto. Non sapevo come comportarmi di fronte a
quell’invasione della mia intimità, ma soprattutto
non sapevo se avrei avuto il coraggio di guardarla ancora negli occhi
dopo quella lettura. - Non mi
sono mai sentito uomo come in questo momento, mi sento fragile, i miei
pensieri stanno annegando nel bisogno di amarla. Ho paura di farle del
male, ma ne ho bisogno, ho il terrore di non riuscire a controllare il
desiderio che mi dilania dal profondo. Ogni notte non posso dormire,
ogni notte non faccio che pensare a lei e la voglia di averla mi logora
dentro. Non è il suo sangue, non solo e sto impazzendo.
È troppo forte questa necessità, il suo profumo
è un ricordo indelebile. Non posso toccarla, non devo farlo,
devo impormi di non far entrare in me
quest’oscurità, preferisco distruggermi. Sto male,
sento il mio corpo irrigidirsi, tendersi e i miei muscoli sfuggono al
mio controllo, come la mia mente. Non mi era mai capitato prima
d’ora. Non posso dire che non mi piaccia, mi piace, mi fa
sentire dannatamente vivo, pensare a lei, al suo corpo, al suo odore
forte, di donna, non credo di averne mai percepito di più
buono. A volte mi domando se anche lei senta lo stesso bisogno, vorrei
leggere nella sua mente quel desiderio, ma ai miei occhi è
innocente e tenera, questo non fa che farmi sentire un mostro cattivo
che la desidera ad ogni costo. Quando la osservo stringersi le mani al
seno, quando guardo le sue gambe nude muoversi nel sonno e toccarmi,
quando sento qualcosa muoversi dentro di me perdo la ragione e perdo
coscienza. Non posso arrendermi… se lo facessi non riuscirei
più a sopportare il peso di quello che sono. Eppure passo
intere nottate ad immaginarlo, fantasticare di cose che non dovrei mai
nemmeno sfiorare. E mi sfogo, suono il pianoforte e urlo, grido con la
mia voce quell’ urgenza. Non c’è bisogno
che lo dica con parole poetiche, non a me stesso. Voglio fare
l’amore con te e ogni giorno diventa un’agonia
dimenticare questa passione, quando ti tocco mi rendo conto di essere
più ragazzo che vampiro e lo sento, percepisco qualcosa nel
tuo essere che si muove, mi chiama e io non posso non risponderti. Lo
vuoi? Mi vuoi? Farei di tutto per farti stare bene, ma non puoi
chiedermi di farti mia, non così. Mi piacerebbe poter
appagare entrambi, ma conosco quali sono i limiti oltre i quali non mi
è concesso andare. E il primo è quello della
passione, cerca di comprendere… ti amo. Ti amo sopra ogni
altra cosa al mondo, sopra me stesso e solo l’idea di farti
correre inutili pericoli mi fa sentire dolore. Ma
qualcos’altro mi dilania da quando mi sono avvicinato a te la
prima volta e ti ho toccata, ed è cresciuto, aumentando
sempre di più la consapevolezza che dentro di me il ragazzo
non è scomparso realmente. Si è solo assopito.
Vuoi ridere di me? Sono un uomo, un maschio che desidera del sesso, ma
se fosse solo questo… se fosse solo questo… non
dannerei la mia anima in questo modo. Perché io lo so,
dentro, nel profondo, io voglio la tua anima. Voglio prenderla e farla
mia, voglio entrare dentro di te e sentirti gridare il mio nome,
percepire il sapore delle tue labbra che mi chiamano e poter…-. Prima che potesse
finire le tolsi il diario tra le mani, sentendo l’imbarazzo
saturare l’aria tra noi. Non credevo avrebbe mai avuto il
coraggio di leggere i miei pensieri ad alta voce e nemmeno io mi sarei
creduto mai così idiota da poterle permettere di entrare
così in profondità dentro di me. Era stata una
follia. -Fammi
finire…-. Mormorò con un filo di voce, i battiti
del cuore al galoppo, ansante. No, perché sapevo esattamente
quello che avevo scritto e sarebbe stato sempre peggio. Il silenzio
cadde tra noi e io lo sentii carico di elettricità. Dovevo
in qualche modo risolvere quella situazione prima che facesse male ad
entrambi. -Bella, basta.
Torniamo a casa. Ti accompagno-. Feci freddamente. Mi sentii colpevole
per averle permesso di arrivare ai miei pensieri più
profondi. Ma cosa diavolo mi era saltato in mente? Afferrai il suo
zaino mettendomelo sulle spalle e le voltai le spalle senza guardarla.
Faceva più male a me che a lei, sentivo un groppo in gola e
non riuscivo a dire nulla. -Edward…-.
Cominciò Bella allungando la mano verso di me e tentando di
fermarmi. Strinsi i denti e sperai di non farmi prendere dal panico.
Assurdo… io che avevo paura di me stesso. Ma non potevo
accettare quello che stava succedendo. -Edward…-.
Continuò fissandomi disperata. Mi voltai di scatto cercando
di controllarmi, ma non ci riuscii e inevitabilmente finii per ferirla
ancora. Ignorai il suo sguardo e mi girai. -Anche io…
provo… quello…-. Iniziò facendomi
capitolare –che…tu…-.
Tossicchiò, la voce strozzata. Mi bloccai sentendo un
brivido freddo corrermi lungo la schiena e capii che il mio
comportamento era come quello di un bambino terrorizzato che si era
fatto scoprire con le mani nella marmellata. Ero solo un uomo in fondo,
solo un uomo… -Ti prego, non
finire-. Sussurrai spaventato. Ma qualcosa scivolò contro il
mio torace… era lei, che avevo appoggiato il suo capo contro
di me e che mi stava circondando con le sue piccole braccia. -Non lo
farò. Ma è bello sapere cosa pensi realmente.
Anche tu mi piaci… molto, troppo-. Bisbigliò
alzando la testa e immergendo i suoi occhi nei miei. Mi calmai,
ricambiando il suo abbraccio e sentendo un leggero sorriso increspargli
le labbra. E finalmente riacquistai la lucidità necessaria
per tranquillizzarmi. -Non dovrebbe essere
così… difficile-. Mormorai cullandola tra le
braccia. Non mi rispose, lasciando che la tenerezza parlasse per lei e
quando la pioggia cominciò a cadere fitta, rimanemmo
entrambi lì, in quel tempio silenzioso creato da noi, in
quella comunione di anime che piano, lentamente ci stava legando in
modo indissolubile, incancellabile. C’era un filo rosso a
tenerci uniti, più resistente di una catena, io lo vedevo,
più forte del sangue, più intenso della forza,
più insidioso della volontà… ed era
l’amore.
Buonaseraaaaaaaaaaaaaa!!!
Come la va? La va? Ma sì che la va. Allora vi sono mancata?
Io lo spero, lo dico sempre, ma nessuno mai che mi dice sì
(Malia si mette in un angolino tipo cipollino deluso). Bene... siamo
pronti per iniziare con le pagine della Meyer? Siete carichi, ve la
sentite? Io non ancora, prendo qualche respiro poi vi faccio sapere,
ripescatemi quando mi vedete lì lì per cedere. Ci
inoltriamo ora verso la tragedia. Non dico altro... mi limito a
ringraziare per i commenti e per le persone che mi hanno aggiunto tra i
preferiti, seguiti, ricordati, maldicenti e via seguendo. Questo
è un avviso, Nadir si blocca qui... ehehe -.- noooooooo, che
scherzo. Non ci credeteee... bene, vi lascio alla lettura. Perdonate se
c'è qualche errore. Se me li fate notare poi li correggo va
bene? Xiexie (Grazie). Bacini. (No dai Malia, non bacini... -.- okay,
distinti saluti -.-). Malia.
Compleanno.
La
guardai venirmi incontro nel corridoio con un’ Alice
saltellante e felice accanto. Era il giorno del suo compleanno e
sembrava appena uscita da uno di quei film horror dove la protagonista
era l’unica sopravvissuta alla tragedia che aveva coinvolto
gli altri, uccidendoli e tormentandoli. Non aveva lasciato che io le
facessi alcun regalo, insistendo sul fatto che non ce ne fosse affatto
bisogno. E io non riuscivo a capacitarmi di una cosa simile, per tutto
il tempo mi ero torturato cercando di comprendere perché non
le potessi esprimere in qualche modo il mio amore, dimostrarle quanto
la amassi. In fondo era solamente un piccolo dono. Ma avevo accettato
le sue rimostranze ed ero rimasto in silenzio. E ora la scuola era
ricominciata… e l’attrazione per Bella non
accennava a diminuire, più le stavo vicino più
facevo fatica a controllare i miei istinti. Ed era diventato un doppio
combattimento, non bastava la mia natura di vampiro, ma anche quella di
uomo a darmi noia. E lei sapeva, ora sapeva quanto la desiderassi. Alzò
depressa lo sguardo verso di me e non appena mi riconobbe i suoi occhi
si illuminarono, le sue guance arrossirono e il battito del suo cuore
prese il volo. La fissai serio e non smisi di guardarla fino a quando
lei e mia sorella non mi raggiunsero. Le sorrisi dolcemente e il mio
cerbiattino avvampò di calore stringendosi la mano al petto.
Chinai il capo in segno di saluto, molto cavallerescamente, e mi passai
una mano tra i capelli prima di porgerle l’altra
perché la prendesse. Sembravamo
due ragazzini innamorati alla prima cotta… Bella
abbassò lo sguardo smettendo di respirare e strinse le mie
dita con forza, lasciando che le nostre mani si unissero. Respirai
profondamente tentando di contenere il desiderio che il contatto con la
sua pelle morbida e liscia aveva scatenato dentro di me, ma non riuscii
ad evitare che il mio corpo fosse scosso da un tremito che non
passò inosservato. Ci
fissammo imbarazzati e quasi senza accorgermene sollevai la mano libera
portandola vicino al suo viso. Bella rimase immobile e
aspettò che i miei polpastrelli disegnassero i contorni
delle sue labbra, avida di desiderio. I nostri occhi non smisero di
guardarsi ed entrambi trattenemmo il respiro. In quel momento avrei
volentieri spaccato qualcosa, ma non potevo assolutamente permettermi
di farlo in un edificio pubblico. Così gustai la morbidezza
e delicatezza della pelle del mio piccolo Bambi, riuscendo a
dimenticare i limiti che mi ero imposto… come sempre quando
lei mi era così vicina. Deglutii veleno cercando nella mia
mente qualcosa di sensato da dirle e lo afferrai aggrappandomi a
quell’unica speranza di salvezza. -Quindi,
come stabilito, ho il divieto di augurarti buon compleanno, ho inteso
bene-. Le dissi, la voce bassa e roca, vedendola annuire velocemente e
mordersi le labbra a sangue. Sorrisi di quella reazione, tentando di
nascondere il mio impaccio, e lentamente divincolai la mano portandola
lungo il fianco. -Hai
inteso benissimo-. Disse senza respiro, sussultando agitata. Rimasi a
guardarla per qualche secondo, poi tornai a spettinarmi i capelli,
sentendo la stessa angoscia invadermi. -Grazie
per la conferma-. Continuai scontroso sorprendendola non poco. Non
riuscivo più a sostenere quella sorta di imbarazzo tra noi.
Era da qualche giorno ormai che non faceva che essere nervosa, mi
rispondeva in modo sfuggente e distaccato, soprattutto
sull’argomento compleanno. -Speravo
che avessi cambiato idea. Di solito la gente adora compleanni, regali e
cose del genere-. Terminai distogliendo lo sguardo e fissandolo nel
nulla. -Vedrai
che sarà un divertimento. Oggi tutti saranno gentili e
faranno quello che dirai tu, Bella. Cosa potrebbe succedere di tanto
brutto?-. Ridacchiò Alice saltellando come se fosse stata la
cosa più divertente del mondo. Alzai sorpreso lo sguardo
verso mia sorella… mi ero dimenticato di lei. Ma il mio
Bambi non era della stessa opinione del folletto, storse infatti la
bocca come se si fosse trattato di sopportare
un’insostenibile tortura. -Che
sto invecchiando-. Ammise Bella facendomi ammutolire. Oh no, ecco il
problema. Il sorriso mi morì sulla bocca e mi irrigidii,
sperando di aver frainteso le sue parole. Ma sarebbe stato impossibile.
-Diciotto
anni non sono tanti- Le rispose Alice. -Sbaglio, o di solito le donne
aspettano di averne ventinove, prima di farsi rovinare l'umore da un
compleanno?-. Domandò beccandosi una diretta occhiataccia da
entrambi. Forse sarebbe stato il caso che Alice non rovinasse
ulteriormente la giornata con battute indiscrete. -Sono
più vecchia di Edward-. Mormorò Bella, abbassando
la testa e fissando insistentemente il pavimento. Sospirai scuotendo il
capo e maledicendo quella stupida questione
dell’età. Sospettavo che la stesse ossessionando e
mi sentivo in colpa, non volevo che lei soffrisse per quelle
stupidaggini, volevo che fosse felice di crescere. Io sarei sempre
rimasto al suo fianco, comunque, nessuno mi avrebbe allontanato da lei.
-Tecnicamente,
sì. Ma di un annetto soltanto-. Continuò Alice
sperando di riuscire a farsi perdonare. Guardai mia sorella facendole
segno di tacere e lei fece spallucce. Così avrebbe solo
peggiorato la situazione. Ma il mio folletto era fatto così,
non c’era modo di farle perdere il buon umore. -A
che ora vieni a trovarci?-. Insisté Alice facendomi guardare
in aria esasperato. Non voleva proprio capire che non era il
momento… fissai Bella sperando che avesse una crisi di
rabbia, ma lei si limitò ad alzare le sopracciglia e a
soffocare un gemito sorpreso. -Non
sapevo di avere una visita in programma-. Cominciò il mio
cerbiattino fissando prima me poi Alice, con lo sguardo di chi non
credeva alle proprie orecchie. Ancora una volta incenerii mia sorella
con lo sguardo, ma lei mi fece segno di rimanere zitto, avrebbe pensato
lei a convincere Bella. -Oh,
sii buona!-, si lamentò. -Non vorrai rovinarci il
divertimento, vero?-. Fece Alice congiungendo le mani e supplicandola
con sguardo tenero, corrucciato. Mia sorella mi lanciò
un’occhiata furba strizzandomi l’occhio e io
abbassai lo sguardo verso Bella che ora ci guardava insicura. Dovevo
stare al gioco… -Pensavo
che al mio compleanno si parlasse dei miei desideri-.
Borbottò il mio piccolo Bambi sbuffando e cercando di
tirarsi fuori da quella situazione, ma non avrebbe mai voluto deludere
Alice, lo sapevo. Perciò ne approfittai cogliendo la palla
al balzo. -Vado
a prenderla da Charlie subito dopo la scuola-. Sorrisi guardando il mio
folletto, ormai suo complice. Bella capì il nostro piano e
scrollò le spalle sospirando, non ancora sconfitta. Non
avrebbe mai ceduto, avrebbe trovato ogni scusa pur di non venire, ma
Alice era convinta di ciò che stava facendo
perciò mi affidai a lei, sicuro. Volevo vedere fin dove si
sarebbe spinta. Bella
cercò balbettando di dire che sarebbe dovuta andare a
lavoro, ma mia sorella la precedette dicendo che si era già
impegnata lei facendola sostituire da un’amica.
Così al mio cerbiattino non rimase altro che difendersi con
la scusa dei compiti. -Io,
be', non ho ancora guardato Romeo e Giulietta, per la lezione di
inglese-. Iniziò insicura credendo di aver trovato
un’ottima scusa, ma evidentemente la mia piccola umana ancora
non conosceva la proverbiale e famosa insistenza dei Cullen. Dopo le
lamentele di Alice, che la rimproverò di conoscere quella
storia a memoria, il mio Bambi si era fatta ancora più scura
e sofferente. Dovetti intervenire io a salvare la situazione. -Tranquilla,
Alice. Se Bella desidera vedere un film, lascia che lo faccia.
È il suo compleanno-. Commentai tranquillo aspettando il
momento giusto per sferrare il mio colpo basso. Bella mi
osservò confusa, aspettandosi una trappola da un momento
all’altro. Ma io non parlai. -Appunto-.
Sussurrò allora sperando di essere scampata alla sua festa. -Arriveremo
entro le sette. Così avrai un po' di tempo in più
per prepararti-. Conclusi osservando il suo viso cambiare espressione e
rabbuiarsi. Ridacchiai, vedendo Alice sorridermi contenta ed iniziare
di nuovo a saltellare. Tu
sì che sei un mito! Pensò
il mio folletto strizzandomi l’occhio e scoppiando a ridere
felice. Abbracciò Bella contenta e puntò i piedi
per terra, alzandosi sulle punte e volteggiando. -
Così va meglio. Allora ci vediamo stasera, Bella! Vedrai che
ci divertiremo-. Commentò alla fine facendole una carezza
sulla guancia e allontanandosi a passo di danza verso la classe. Bella
scosse la testa disperata e si rivolse a me aggrappandosi al mio
braccio. -Ti
prego, Edward…-. Sussurrò lei supplicandomi di
non farle questo, ma mi avvicinai con il viso al suo posandole un
leggero bacio sulla guancia e poi le poggiai il dito sulla bocca,
facendola ammutolire definitivamente. Volevo godermi il suo compleanno
e farla stare bene, doveva concedermi almeno questo, non avrei fatto
altro che starle vicino. -
Ne parliamo dopo. Rischiamo di fare tardi-. Le dissi io ignorando la
sua preghiera. La spinsi in classe con una leggera pressione sulla
schiena e lei mi precedette con musetto lungo ed adorabile. Ci
mettemmo seduti in fondo all’aula, all’ultimo
banco. Quell’anno avevo fatto in modo di avere le sue stesse
lezioni. Non era stato affatto difficile, qualche sorriso malizioso e
occhiatina dolce… le donne erano estremamente volubili e
malleabili, soprattutto le segretarie vogliose. Aspettai che il
professore entrasse in aula e poi mi sedetti composto sotto lo sguardo
divertito di Bella, che non smise un attimo di guardarmi. Non avevo
voglia di fare letteratura inglese, avrei preferito tenerle la mano per
tutto il tempo. Così storsi la bocca lanciandole
un’occhiata annoiata e lei allungò la mano sul
banco afferrando la mia. Le strinsi le dita, godendo di quel contatto,
e non la lasciai nemmeno quando il prof iniziò a spiegare.
Non volevo privarmi di quella morbidezza. -Edward
forse non è il caso…-. Mormorò lei
ridacchiando divertita. Ogni tanto qualche occhiata indiscreta si
indirizzò verso di noi, ma io non ci feci caso e continuai a
fare finta di ascoltare la lezione. -E’
sempre il caso di toccarti-. Le risposi sottovoce facendola avvampare.
Nascose il viso dietro i capelli e abbassò lo sguardo
fingendo di prendere appunti. Probabilmente mi ero un po’
lasciato prendere dalla situazione. -Ma
siamo a lezione-. Bofonchiò la mia piccola cerbiattina
vergognosa sfidandomi con lo sguardo a continuare. Aggrottai le
sopracciglia guardando il professore girare tra i banchi e continuare a
parlare di Shakespeare. Perfetto… mi portai le dita di Bella
alle labbra ed iniziai a baciarle le nocche una per una passandole la
lingua leggera sul polpastrello, dove chiudevo i miei denti e le
solleticavo la pelle. Chiusi le palpebre per assaporarla meglio e
quando tremò d’eccitazione sghignazzai contento. -Edward!-.
Scostò la mano velocemente spostandola verso il grembo. Era
talmente rossa che avrebbe potuto essere scambiata per un pomodoro
maturo. Adoravo vederla così presa da me e a volte mi
piaceva approfittarne, quando potevo. La
giornata passò fin troppo in fretta e le lezioni terminarono
subito. Mi astenni dal ricordare a Bella il suo compleanno per tutto il
giorno e lo stesso fece Alice, ma non lo dimenticai neanche un attimo.
Ogni secondo avevo pensato ad un regalo da farle, ma sicuramente non mi
avrebbe permesso di donarle nulla se non… forse…
me tolsi dalla testa quel pensiero e continuai a fissare la strada
mentre il suo pick-up camminava lento. -La
ricezione è davvero pessima-. Commentai giocherellando con
la sua radio. Non avevo nient’altro da fare se non guardarla
muoversi agitata sul sedile e mi stavo annoiando a morte. Bella odiava
quando le facevo notare che quel catorcio non aveva nemmeno una
speranza di essere rottamato. Ma era veramente troppo lento… -Vuoi
un impianto migliore? Guida la tua macchina-. Mi rispose acidamente
facendomi aggrottare la fronte perplesso. Il giorno del suo compleanno
continuava ad innervosirla da giorni, ma non mi aveva mai risposto in
quel modo violento. Continuai a fissarla interdetto e allontanai le
mani dalla radio rimanendo in silenzio. -Scusa.
Sono solo nervosa-. Bisbigliò passandosi una mano tra i
capelli e inspirando per tentare di calmarsi. Non volevo farla
irritare, non quel giorno, così me ne rimasi buono buono ad
aspettare che fosse lei a rivolgermi la parola. -Non
fare così, per favore-. Disse poi facendomi voltare verso di
lei confuso. Sollevai le sopracciglia stupito e Bella sbuffò
infastidita. - So come fai, ora ti chiudi nel tuo mutismo
finché non mi calmerò, cercando di non peggiorare
la situazione-. Tirò
il freno a mano spegnendo il motore e si girò verso di me,
guardandomi speranzosa. Non ero arrabbiato, ma solo preoccupato di
poterla far agitare. Era sempre mia la colpa del suo nervosismo in
fondo, l’influenza che avevo su di lei cresceva a dismisura e
avevo paura che non fosse una cosa positiva. -Mi
perdoni?-. Mormorò facendo gli occhi da cerbiattina a cui io
non seppi resistere. Mi avvicinai a lei prendendole il volto tra le
dita e guardandola fisso. Le accarezzai la fronte, le tempie, le
palpebre socchiuse e scesi a toccarle gentilmente le guance, per
arrivare fino a sfiorarle le labbra. Bella sospirò
estasiata e io mi accostai al suo corpo il più possibile
sentendo il suo cuore accelerare i battiti e il suo viso arrossire di
piacere. -Dovresti
essere di buonumore. Se non oggi, quando?-. Sussurrai respirando sul
suo viso e sentendola tremare tra le mie mani. Si aggrappò
alle mie braccia stringendomi forte e mi avvicinai ancora di
più, attratto dalla sua bocca. Avevo troppa voglia di
baciarla, da molto tempo mi negavo quel contatto per paura di farle
male, ma in fondo era il suo compleanno, e quello era l’unico
regalo che mi era permesso farle… -E
se non volessi essere di buonumore?-. Chiese col fiato corto, tentando
di riprendere il controllo di sé, ma non le avrei mai
concesso quell’ onore, mai- Volevo sentire il battito furioso
del suo cuore sul mio torace, spingere per chiamarmi e avvolgermi con
il suo desiderio. -Peccato-.
Mormorai chinando il capo sulle sue labbra e sospirando sulla sua
bocca. Bella gemette e sgranò gli occhi tremante.
Abbandonò la testa tra le mie dita con un mugolio
d’attesa e io appoggiai le labbra sulle sue, attento alle mie
emozioni, tentando a tutti i costi di controllarle. La sua bocca era
bollente e dolce, dovevo concentrarmi… ma non
servì a niente ammonirmi. In un attimo l’abitacolo
divenne fuoco e le braccia di Bella mi circondarono il collo
stringendomi forte a lei. Le nostre labbra si schiusero e il suo
profumo, lo scorrere violento del suo sangue mi fecero perdere la
testa. Desideravo viverla con tutto me stesso perciò le
assaggiai la lingua lentamente gustandola tra i denti per non farle
male, ma lei non mi lasciò fare e mi succhiò con
foga il labbro inferiore portandomi a gemere di frustrazione e a
scostarmi ansimante. Mi avrebbe ucciso se avesse continuato
così. Respirai piano tentando di far entrare a piccole
ondate il suo odore di donna che mi travolse ugualmente eccitandomi i
sensi, e non riuscii a starle lontano. Poggiai il viso sul suo collo
strusciando piano il mio naso e drogandomi della fragranza eterea del
suo profumo. -Fai
la brava, per favore-. Bisbigliai con la voce roca, a malapena udibile.
Sentii la mia gola corrosa dal veleno, ma continuai. Le portai le mani
sullo stomaco, poco sotto il seno e sfiorai quelle rotondità
sentendo il desiderio pulsare tra le mie gambe. Dovevo cercare di
tranquillizzarmi e soffocare la fantasia di stenderla sul sedile del
pick-up e abbandonarmi a quelle sensazioni. Posai di nuovo le labbra
sulle sue, questa volta con delicatezza estrema, sentendo il suo cuore
singhiozzare di desiderio. Non potevo spingermi oltre, sapevo di
dovermi allontanare, ma rimasi così, immobile per qualche
secondo, solo per sentirla mia, vibrare sulle mie mani, in mio potere,
per godere di quell’attimo interminabile e imprimerlo nella
mia mente. Quando
mi allontanai vidi Bella portarsi una mano sul cuore e respirare
malamente. -Pensi
che migliorerò mai? Che un giorno il mio cuore la
smetterà di cercare di uscirmi dal petto ogni volta che mi
sfiori?-. Mi domandò a bassa voce stringendo con la mano il
suo maglioncino di lana. Tornai a guardarla ansimante e aprii il
finestrino prima di poter fare qualche stupidaggine di cui poi mi sarei
pentito. Il suo odore, la sua eccitazione, la sentivo pulsante e umida.
A volte non avrei voluto essere un vampiro, maledizione… ma
sentivo persino il suo desiderio divampare per me in quel momento e
ignorarlo era come pugnalarmi da solo l’anima. Ero ormai
convinto di essere entrato in una sorta di tunnel masochista senza via
d’uscita. -Spero
proprio di no-. Le risposi tuttavia con un sorriso malizioso, facendola
arrossire. In verità mi piaceva sentirla mia in quel modo,
così viva quando la toccavo. Era bello sapere che la mia
donna fosse talmente invaghita da non controllarsi nei momenti in cui
la accarezzavo. Peccato che il mio essere uomo ci stava prendendo
gusto, troppo gusto. -Adesso
andiamo a vedere i Capuleti e i Montecchi che si fanno a pezzi,
d'accordo?-. Disse Bella deglutendo visibilmente e guardando in aria,
esasperata dal mio comportamento. Chinai
la testa portandomi una mano alla fronte, in segno di sottomissione, e
la vidi sgranare gli occhi e arrossire ancora. Era dolcissima con
quello sguardo da cerbiattino spaventato. -Ogni
tuo desiderio è un ordine-. Mormorai roco passando piano la
lingua sulle mie labbra. Lei fremette e mi diede un leggero colpo sulla
spalla per farmela pagare di quell’evidente affronto
scherzoso. Ridacchiai contento. Adoravo quei momenti così
intimi tra noi e la afferrai per la vita portandola contro di me. Dio,
il suo odore era così buono da farmi girare la testa. Si
mise a cavalcioni sulle mie gambe, appoggiando la fronte contro la mia
e chiudendo gli occhi rapita. -Ti
amo…-. Sussurrò dolcemente facendomi tremare. Le
accarezzai una guancia sentendola avvampare e decisi che non
l’avrei mai a poi mai lasciata, le sarei sempre stato vicino,
proteggendola con tutto me stesso. Ci
ritrovammo presto sul divano di casa sua, davanti al videoregistratore
e Bella si accoccolò contro di me appoggiando la testa sul
mio torace. Io le cinsi il bacino avvicinandola maggiormente, e lei
mise un ginocchio sulla mia gamba aderendo completamente a me. Dolore e
piacere, sofferenza ed estasi, quelle erano le sensazioni che il mio
corpo percepiva, mi sentivo ardere d’Inferno, ma
l’avrei fatto per l’eternità solamente
per averla contro di me. Afferrai
il vecchio plaid per avvolgerla e farla stare al caldo, non volevo si
congelasse, e insieme iniziammo a guardare Romeo e Giulietta. Non
sopportavo Romeo, era un uomo volubile, pronto a seguire solo il suo
desiderio: prima Rosalina, poi Giulietta, andava dal miglior offerente.
Quando lo feci notare a Bella lei mi guardò stupita e ci
pensò su per qualche secondo. -Vuoi
che lo guardi da sola?-. Bisbigliò delusa fissando prima me
poi lo schermo. Scherzava? Sarei rimasto così a fissarla per
l’eternità, non poteva togliermi il piacere di
guardarla. Ai miei occhi non ci sarebbe stato niente di
più bello, più etereo e mistico di quel viso. -No,
non preoccuparti, tanto io resto qui a guardare te-. Mormorai
scostandole i capelli dal viso e baciandole piano il lobo
dell’orecchio. Sospirò roca e lasciò
che io la coccolassi. Per tutto il tempo non feci che sfiorarle il
braccio, facendole continui grattini che le fecero venire la pelle
d’oca. -Pensi
che piangerai?-. Sussurrai sul suo collo sentendola fremere. Lei si
voltò verso di me, satura del mio profumo e le nostre labbra
si sfiorarono nell’ombra. -Probabilmente
sì, se seguo la trama-. Mi rispose convinta. -Allora
cercherò di non distrarti-. Bisbigliai facendo subito
silenzio. Non vedevo l’ora di consolarla e di poter
assaggiare le sue lacrime. Ma il profumo dei suoi capelli
continuò ad essere una vera tentazione per me,
così non smisi di annusarla per tutto il film e di
accarezzarle le guance, la gola, sentendola fremere, rabbrividire e
tremare di desiderio. -Edward…
non riesco a stare attenta-. Mormorò voltando il capo e
guardandomi severa. Non le risposi, sfiorandole appena le labbra. A
nulla erano valsi i miei propositi di lasciarla stare. Alzai il viso
per morderle il naso e una scarica di desiderio ci
attraversò lasciandoci senza fiato. -Mh…
dobbiamo rimediare-. Borbottai roco, sollevandola contro di me e
pensando ad un modo per farle ripassare il film. Bella si
aggrappò al mio collo nascondendo il viso
nell’incavo della mia gola e cominciando a lasciarmi una scia
di baci sulla pelle gelida. Mugolai frastornato sentendo la ragione
volare via per lidi lontani e mi concentrai sulle battute di Romeo. -Oh,
qui, io fisserò il mio sempiterno riposo- Iniziai mentre la
sua bocca saliva a baciare i miei zigomi. Gemetti confuso, ma non mi
fermai. – E scoterò da questa carne stanca del
mondo il giogo delle avverse stelle-. La mia voce divenne roca e bassa,
quasi impercettibile, ed eccitata. Bella poggiò entrambe le
mani sul mio torace facendo cadere la coperta che la copriva e
respirò sui miei occhi facendomi gemere ancora. - Occhi
guardatela per un'ultima volta…-. Continuai sgranando le
palpebre e alzando le dita per circondarle il volto. Le nostre iridi si
immersero le une nelle altre ed entrambi ci perdemmo nella passione che
rischiava di bruciarci. - Braccia prendete il vostro ultimo abbraccio-.
Mormorai stringendola improvvisamente a me e desiderando con tutto me
stesso che quel momento non finisse mai. – e voi labbra, voi
che siete la porta del respiro, suggellate con un leale bacio un
contratto con la morte che tutto rapisce-. Conclusi cercando le bocca,
avido di sentire nuovamente il gusto dei suoi baci, il desiderio del
suo cuore a contatto col mio. E ci baciammo, ancora una volta, sentendo
il bisogno di suggellare quel momento con un’unione fisica.
Stavo impazzendo dalla voglia di fare l’amore con
lei…e non c’era nient’altro di coerente
nella mia mente che non fosse toccarla, sentirla calda e bagnata sotto
le mie dita. Desideravo ascoltare la sua voce bisbigliare il suo
piacere contro di me e sentire il suo sangue come un fiume in piena
impazzire nelle sue vene solo per me. -Bella…-.
Mormorai ancora quando le nostre labbra approfondirono quel bacio. I
nostri corpi non avevano più alcun segreto da nascondere.
Ero eccitato e lei seduta su di me non poteva non sentirlo, ma lo
ignorava continuando a desiderare i miei baci, che brevi ed inesorabili
le torturavano la bocca. Non potevo, non dovevo seguire il mio istinto,
avevo già perso fin troppo il contatto con la
realtà. Mi imposi così di reagire e scostarla,
cercando in me un motivo valido che mi inducesse a farlo e
fortunatamente lo trovai prima che fosse tardi. La allontanai da me,
strappandomi una parte d’anima, ma sapevo che sarebbe stata
la cosa giusta per entrambi, lo sapevo…
Buon
pomeriggio^^ Ho un sonno pazzesco. Ci credete? Mamma mia. Credo che ora
andrò a riposare qualche minuto. Non sono propriamente come
Edward...
I'm sorry. Si sente che sono a pezzi, sarà che ho finito le
red bull?
Non lo so. Comunque il tempo primaverile concilia la siesta
pomeridiana. Tornando a noi... siamo arrivati ad un capitolo di
passaggio, ho fatto fatica a seguire i ritmi della Meyer, ma sono stata
piuttosto fedele fino alla fine, dove ho preso il volo. Come al
solito... dovete perdonarmi, mi sono presa una piccola licenza.
Perdono^^ Oggi sono a terra, mamma mia, mi hanno travolto... O_O
astinenza potente da dolci, mi sono attaccata al miele. Vi lascio alla
lettura che sarà più divertente e vi ringrazio
come sempre della vostra
costanza e lettura. Un abbraccio. Malia
P.S. Non mi chiedete che c'entra la foto, mi piaceva troppo :-P
Compleanno (2)
La
strinsi forte a me non appena i sussulti del suo corpo si fecero
singhiozzi. Al risveglio di Giulietta Bella non era riuscita a
trattenere le lacrime, che erano aumentate drasticamente con la
scoperta della morte di Romeo. Uomo fortunato. Sentii il suo corpo
stringersi al mio e aggrapparsi a me con tale fiducia che tremai.
Piccolo amore mio…
-Ti
confesso che qui lo invidio un po’-. Ammisi sussurrando sulla
sua guancia e asciugandole il pianto con un ciocca dei suoi capelli. Le
solleticai la pelle e la vidi sorridere appena, interrogativa. Tentava
di trattenere le lacrime il mio piccolo cerbiattino. Mi
guardò negli occhi, cercando di essere rassicurata, e io la
fissai con tale trasporto da rimanere senza respiro.
-In
effetti…. Lei è molto carina-. Disse con una
punta di invidia. Sorrisi involontariamente della sua incertezza.
Nessuna donna avrebbe mai potuto attrarmi, nessuna, solo lei. Possibile
che non avesse ancora capito? Scossi la testa con
un’espressione disgustata sul viso. Non sarei riuscito a
sopportare un odore, un sapore diverso dal suo.
-Non
gli invidio la ragazza…-. Mormorai, sfiorandole appena il
collo con il naso. Sentii il fremito del suo corpo e me ne beai,
cosciente del suo profumo forte. –Ma la facilità
con cui si è suicidato-. Confessai sottovoce, maledicendomi
immediatamente per quell’ammissione. Percepii Bella
irrigidirsi e immobilizzarsi come se l’avessi appena
pugnalata e subito scostarsi da me, cercando ancora i miei occhi.
-Per
voi umani è così facile! Vi basta buttare
giù una fialetta di estratto vegetale-. Scherzai facendo
spallucce e cercando di buttarla sul gioco. Ma lei non era
così sciocca da credere che io potessi prendere alla leggera
le mie parole e strinse le palpebre attenta.
-Cosa?-.
Esclamò portandomi una mano sul petto e scostandomi,
spaventata. Perfetto, ora i suoi occhi si sarebbero colorati di una
sfumatura scura e buia. Si stava agitando.
-Una
volta ci ho dovuto pensare e grazie all'esperienza di Carlisle sapevo
che non sarebbe stato semplice. Non so neanche a quanti tentativi di
suicidio sia sopravvissuto lui, all'inizio... dopo essersi reso conto
di ciò che era diventato...-. Ammisi schietto. La vidi
sgranare gli occhi e afferrare la mia t-shirt con tutta la forza di cui
era capace, atterrita. Una lacrima solitaria le scese sulla guancia e
io rimasi affascinato dalla tensione e dalla paura tremante del suo
corpo. Sembrava terrorizzata dalle mie parole, incredula e
profondamente colpita. Mi fermai, sperando scioccamente che cambiasse
argomento, ma non fece nulla. -Oltretutto, è ancora in forma
smagliante-. Conclusi sarcastico sentendola fremere contro di me.
Distolsi lo sguardo, non riuscendo più a sostenere oltre i
suoi occhi apprensivi e terrorizzati. A volte mi comportavo in modo
decisamente poco sensibile. Il solito idiota.
Ma
il mio piccolo Bambi si mise in ginocchio sul divano, sistemando di
nuovo le coperte intorno a sé, e mi tirò
ripetutamente la maglia per fare in modo che io mi girassi.
-Cosa
stai dicendo? Cosa vuol dire che una volta ci hai dovuto pensare?-. Mi
cercò con gli occhi e si immerse nel mio sguardo dorato
sperando di avere subito risposte. Il suo cuore, ora lento, e i suoi
battiti singhiozzanti mi ricordarono quanto fosse fragile. Avrei potuto
distruggerla anche solo con una parola.
-La
primavera scorsa, quando hai rischiato di... morire...-. Bisbigliai
impercettibilmente, avvicinando la mia fronte alla sua. Lei strinse
più forte la mia maglia fino a toccarmi il torace con le
nocche e io portai una mano sulle sue, tentando di rassicurarla.
-Ovviamente
cercavo di concentrarmi per ritrovarti ancora viva, ma una parte di me
valutava tutte le alternative. Come ho detto, per me non è
facile come per gli esseri umani-. Sussurrai intrecciando le mie dita
alle sue e poggiandole la fronte fredda contro la sua, calda, quasi
bollente. Mi guardava come se non credesse alle proprie orecchie, come
se le mie parole non avessero avuto alcun senso, perché
assurde. E forse lo erano, assurde, ma la mia vita senza di lei non
avrebbe avuto più significato. Perciò
perché continuare a viverla? Questo sì, questo
sarebbe stato assolutamente illogico…
-Di
che… di che alternative parli?-. Mormorò
strozzata continuando a fissarmi, il respiro veloce e ansante. La
spinsi contro di me e le sfiorai piano le labbra, sperando
così di riuscire a calmarla, ma il suo respiro
continuò a rimanere affannoso.
-Be',
non sarei mai riuscito a vivere senza di te-. Riconobbi mentre una
smorfia di incredulità si imprimeva sul suo volto. Tutto, ma
non un mondo dove Bella non fosse esistita. Non avrei potuto sopportare
il peso della vita, non la mia, così inutile senza luce.
-Ma
non sapevo come avrei fatto... sapevo di non poter contare su Emmett e
Jasper... perciò avevo pensato di andare in Italia, a
scatenare l'ira dei Volturi-. Le dissi spostandola più
vicina e poggiandole il mento sul capo chino. Respirai piano sui suoi
capelli aspettando la sua domanda.
-Chi
sono i Volturi?-. Bisbigliò incuriosita, appoggiando il viso
contro il mio torace. Mi preparai per darle una risposta, anche se non
sarebbe stato affatto semplice spiegarle.
-Una
famiglia-. Le rivelai, incapace ancora di incontrare i suoi occhi.
Lasciai che il mio sguardo vagasse per la stanza, senza meta. -Una
famiglia di nostri simili, molto antica e potente. Quanto di
più vicino abbiamo a una casata reale, più o
meno. Da giovane, prima di trasferirsi in America, Carlisle ha vissuto
per un po' con loro in Italia... ricordi la storia?-. Ricordai di
averle raccontato, tempo fa, a casa mia, proprio nello studio di mio
padre tutta la storia, senza tralasciare alcun particolare, ma non ero
sicuro che la ricordasse. Eravamo entrambi presi nelle nostre emozioni
quel giorno, innamorati e felici.
Annuì
immediatamente. –Certo che sì-. Sentii la sua
mente lontana, come persa nella memoria del nostro passato. Quanto
tempo era trascorso? Mesi, eppure era come se fosse passato appena un
giorno. E tutto era cambiato, ogni cosa continuava a cambiare e a
mutare sotto i miei occhi, quando per più di cento anni
nulla aveva avuto senso. Un miracolo.
-Comunque
sia, i Volturi non vanno fatti arrabbiare-. Continuai, la voce roca e
bassa ad interrompere i suoi ricordi. Bella trattenne il respiro e
rimase rigida tra le mie braccia, immboile. Sentii il suo cuore
fermarsi e aspettare che io proseguissi. -A meno che non si cerchi la
morte, o qualunque altra cosa ci tocchi-. Conclusi facendo cadere il
silenzio tra noi. Il suo corpo, immobile e intirizzito,
iniziò a tremare, a singhiozzare, e in un attimo mi pentii
delle mie parole. Proprio io che cercavo sempre di non darle pensiero
ero il primo a farle male. Ma che imbecille…
-Non
devi mai, mai, mai più pensare a una cosa del genere!-.
Mormorò risoluta, riscuotendosi e allungando le mani verso
il mio viso. Mi accarezzò le guance, alzandosi contro di me
e cercando disperatamente i miei occhi. Mi strinse il volto tra le dita
e si incupì terribilmente. -Non importa ciò che
potrebbe accadere a me, non ti permetterò di fare del male a
te stesso!-. Quasi gridò, con la paura nella voce,
il terrore che potesse succedermi qualcosa. E quegli occhi, iridi
nocciola che tanto amavo, si erano striati di timore, quasi a volermi
ricordare quanta sofferenza le avevo causato, quanti pericoli le avessi
fatto vivere in passato.
-È
un discorso inutile... non ti metterò mai più in
pericolo-. Commentai, calmo, tentando di rassicurarla con la mia
tranquillità. Non avevo la benché minima
intenzione di farle correre inutili pericoli, sarei stato disposto a
tutto perché Bella fosse al sicuro, persino a fare male a me
stesso.
-Come
se fosse colpa tua! Mi sembrava che avessimo deciso che sono io ad
attirare le disgrazie-. Urlò arrabbiata, senza lasciarmi, e
cercando di farmi capire che non avrebbe tollerato altre parole simili
da parte mia. Sorrisi tristemente, lasciando che sfogasse la sua
rabbia. -Come ti passa per la testa una cosa del genere?-. Scosse la
testa sconvolta, percorsa da brividi che le invasero il corpo in modo
esagerato. Era come se la sola idea della mia scomparsa le facesse
provare un dolore intenso, quasi fisico, e capii che una separazione
non avrebbe ucciso solo me, ma anche lei.
-E
tu, cosa faresti se i ruoli fossero invertiti?-. Le domandai, cercando
di farle capire come mi sentissi, come la sola idea che potesse
succederle qualcosa mi gettasse in una stato di sofferenza che non
avrei potuto sopportare, né tollerare.
-Non
è la stessa cosa-. Tagliò corto facendomi
scoppiare a ridere. Il dolore del suo sguardo mi colpì e le
alzai il mento portandola vicino a me. La sua preoccupazione nei miei
confronti mi scaldava il cuore, ma in nessun modo lei avrebbe dovuto
preoccuparsi per me, meglio farlo per se stessa.
-Se
succedesse qualcosa a te?- Mi domandò alzando il capo e
circondandomi il collo con le braccia. Storsi la bocca intuendo subito
dove volesse arrivare. -Preferiresti che anch'io mi togliessi di
mezzo?-. Terminò facendomi gemere di dolore. Mi
fissò curiosa e tentai di soffocare l’ondata di
sofferenza che mi attraversò al solo pensiero che, senza di
me, lei potesse anche solo pensare di commettere stupidaggini. Bella
avrebbe dovuto vivere comunque.
-Adesso,
penso di capirti... un po'-. Confessai con un groppo a chiudermi la
gola e sentendola tremare. -Ma cosa farei io senza di te?-. Le domandai
conscio che la mia esistenza avrebbe perso il suo sole. Sarei caduto
nel baratro più profondo, nel buio che rappresentava il
punto più basso dell’orizzonte, senza speranza.
Sarebbe stato peggio di un Inferno, non ci sarebbe stata più
vita.
-Quello
che facevi prima che arrivassi a complicarti l'esistenza-. Disse sicura
cercando nei miei occhi la certezza che l’avrei fatto. Ma
sapevo bene che non avrebbe trovato nulla di simile, perché
senza di lei io non era nulla, non lo ero mai stato, non avrebbe potuto
capire il niente che aveva avvolto la mia vita fino al suo arrivo.
Tutto esisteva intorno a me, insoddisfacente e vuoto, privo di
qualunque carisma, fino a quando non era entrata lei nel mio mondo e
aveva spalancato la porta per far entrare tutta la realtà
dentro di me.
-Per
te è tutto così facile-. Borbottai sentendola
sorridere appena. Sapevo che l’ultima parola sarebbe stata
comunque sua perciò mi trovai indeciso se risponderle o
meno. Ma Bella scosse la testa e mi rimproverò con gli
occhi, facendomi segno di tacere.
-Lo
è. In fondo non sono così interessante-.
Continuò sicura. Avrei voluto controbattere e farle una
lavata di capo, quando sentii l’auto di Charlie avvicinarsi
alla casa. Sarebbe stato impossibile continuare quel discorso, a
malincuore dovetti chiudere quella discussione.
-Discorso
inutile-. Ribadii guardandola allontanarsi leggermente e fissarmi
sospettosa. Ma poi comprese e io la feci scivolare sul divano, seduta
accanto a me, mentre il suo corpo tornava a rilassarsi, nonostante le
forti emozioni.
-E’
Charlie?-. Disse a bassa voce, intuendo i motivi della mia rinnovata
calma. Le sorrisi, ammirando la sua capacità di leggere i
miei comportamenti. In effetti suo padre non sopportava che
sfiorassi la sua bambina, il massimo che riusciva a concepire erano le
nostre mani unite. Pena sarebbe stata il suo bel fucile contro di me. E
certo non per gioco. Charlie Swan era molto geloso delle sue cose.
Però averlo in casa mi permetteva di controllarmi meglio,
perciò la sua presenza non mi disturbava.
Il
capo Swan entrò con una scatola di pizza tra le mani e
richiuse la porta con un tonfo sordo, come a voler far sentire la sua
presenza. Sorrisi di quel tentativo di farsi notare. Sicuramente sapeva
che sarei stato lì con Bella e voleva essere certo di non
trovarci in posizioni imbarazzanti.
-Ciao,
ragazzi-. Salutò, fingendosi sorpreso di vedermi. Soffocai
una risata, mentre lui ci guardava con un gran sorrisone. -Pensavo che
almeno il giorno del tuo compleanno ti facesse piacere non dover
cucinare né lavare i piatti. Fame?-. Ridacchiò
appoggiando la pizza sul tavolo e togliendosi la giacca pesante.
Non
risposi, aspettando che fosse Bella a parlare, ma non mi
sfuggì l’occhiata paterna e omicida che mi
lanciò.
Non
l’avrai mica toccata vero?
Feci
il finto tonto assumendo il viso più innocente e stupido che
potesse esistere, proprio di un ragazzo follemente innamorato e
rispettoso delle regole genitoriali. Ero bravo in questo.
-Eccome.
Grazie, papà-. Saltò in piedi Bella, togliendomi
da una situazione imbarazzante. Mi alzai dietro di lei e tutti e tre ci
sedemmo intorno al tavolo.
Sentii
per tutta la durata della cena gli occhi di Charlie puntati su di me.
Era abituato a non vedermi mangiare per ormai, ma ogni volta trovava da
ridire sulla mia mancanza di appetito.
Sto
ragazzo dovrebbe mangiare di più… è
pallido…
Non
commentai, cercando di intrattenerlo con le ultime notizie sul baseball
e sul rugby, che sapevo non lo avrebbero annoiato. Era anche un modo
per entrare nelle sue grazie in fondo, era pur sempre il padre della
mia ragazza.
-È
un problema se prendo in prestito Bella, per stasera?-. Me ne uscii a
fine serata, fissando Charlie con allegria. Bella aggrottò
la fronte, iniziando a torturarsi le labbra, ma io non mi feci
intenerire, l’avrei portata alla festa che le aveva preparato
la mia famiglia con o senza il suo permesso. Erano giorni che nessuno
pensava ad altro.
-Va
bene... stasera i Mariners giocano contro i Sox. perciò non
sarò molto di compagnia... qui-. Disse distratto, facendomi
sorridere vittorioso. Il mio piccolo Bambi sospirò
esasperata e io le lanciai un’occhiata soddisfatta,
ricevendone in cambio una palesemente omicida. Che paura! Ridacchiai
contento.
Improvvisamente
vidi Charlie prendere la macchina fotografica e lanciarla a Bella senza
riflettere sulle possibili conseguenze disastrose del suo gesto. Pregai
che il mio cerbiattino non si facesse male o che non rompesse nulla.
Lei guardò terrorizzata suo padre e cercò di
afferrare l’oggetto al volo, ma non riuscì
nell’impresa, sbattendo con il gomito sul tavolo. Fui io ad
avvicinarmi veloce e ad afferrare la fotocamera al volo prima che
potesse cadere a terra. Charlie mi guardò impressionato,
lanciando un fischio d’ammirazione.
-Bella
presa-. Commentò ammirato. -Se stasera dai Cullen ci
sarà da divertirsi, Bella, è meglio che scatti
qualche foto. Sai com'è tua madre... vorrà
vederle ancora prima che tu le faccia-. Concluse spostandosi in salone
e sistemando la televisione ancora accesa.
Bella
mi ringraziò con lo sguardo quando le porsi la macchina, ma
fece una smorfia infastidita.
-Buona
idea, Charlie-. Dissi facendo scivolare la fotocamera nelle sue mani
morbide con cura. Avrebbe potuto farla cadere ancora se non avessi
prestato attenzione. La mia solita sbadata. La afferrò e poi
la portò subito di fronte agli occhi scattando a me la prima
foto.
-Funziona-.
Sorrise mentre io mi pentii di avergliela data. Ora non avrebbe fatto
altro che farmi foto a raffica. Ne ero sicuro. E infatti
continuò a scattare fino a quando non la fissai esasperato.
Charlie
si congedò con qualche frettolosa parola, chiedendoci di
salutare Alice, già immerso nella partita, e io mi spostai
trionfante verso Bella, allungando una mano verso di lei.
-Andiamo?-.
La provocai sentendola sbuffare al mio fianco. Mi strinse le dita che
io portai lentamente alla bocca e mi fissò arrossendo quando
posai un leggero bacio sulle sue nocche.
-Sarà
bello vedrai-. Le dissi dolcemente facendole mancare qualche battito.
Annuì senza dire nulla e si lasciò condurre verso
il pick-up, che questa volta avrei guidato io. Con
l’orientamento di Bella ci saremmo sicuramente persi, di
notte poi avremmo rischiato di fare qualche incidente, quindi era fuori
discussione che lei si mettesse alla guida. Rimase in silenzio e io le
chiusi lo sportello, aiutandola a salire. Mi accorsi di essere
tremendamente eccitato, volevo che tutto fosse perfetto quella sera,
che il mio piccolo Bambi si sentisse a proprio agio.
-Vacci
piano-. Sentii Bella dire non appena superai gli ottanta chilometri
orari. L’unica cosa che avrei cambiato di quella serata era
proprio quel rottame mascherato da auto. Avrei preferito piuttosto un
cavallo, sarebbe sicuramente andato più veloce. Cominciavo a
non sopportare i singhiozzi di quel motore, mi rendevano nervoso.
-Sai
cosa farebbe per te? Una bella Audi coupé. Silenziosa e
potentissima...-. Azzardai, lanciandole un’occhiata
incuriosita. Lei non si fece pregare, mi schiaffeggiò la
mano sul cambio facendomi intuire che la battuta non era stata gradita.
Almeno avevo tentato.
-Il
mio pick-up è perfetto. A proposito di oggetti costosi e
superflui, se avessi un po' di buonsenso non spenderesti un soldo in
regali di compleanno-. Mormorò a bassa voce, minacciosa.
Scoppiai a ridere e le solleticai il fianco per infastidirla. Bella mi
guardò, subito nervosa, facendomi una bella linguaccia.
Avevo capito che non voleva regali, non c’era bisogno di
ripeterlo.
-Nemmeno
un centesimo-. Sottolineai orgoglioso vedendola ridere di gusto, non
appena la disturbai per farle un po’ di solletico. Mi
allontanò in malo modo e mi fissò dolcemente.
-Bene-.
Sorrise soddisfatta e incrociò le braccia al petto. Mi
sembrò una maestrina pronta a sgridarmi. Improvvisamente
però tornai serio e la guardai sperando non facesse altre
scenate come quella mattina, altrimenti avrebbe gettato nello sconforto
tutta la famiglia.
-Mi
fai almeno un favore?-. Le chiesi mellifluo, ricevendo uno sguardo
sospettoso come risposta.
-Dipende
dal favore-. Disse subito sulla difensiva. Sorrisi. Cosa pensava avrei
potuto chiederle di così terribile? Assottigliò
le palpebre e io fui tentato di inventarmi qualcosa solo per il gusto
di scandalizzarla, ma risparmiai gli scandali almeno il giorno del suo
compleanno, così sospirai.
-Bella,
l'ultimo di noi a festeggiare un vero compleanno è stato
Emmett, nel 1935. Cerca di capirci, e questa sera non fare troppo la
difficile. Sono tutti su di giri-. Ammisi tornando a guardare la
strada. Bella rimase in silenzio per qualche secondo, ma poi non
riuscii a non dirle che ci sarebbero stati tutti alla sua festa, i
Cullen al completo. E che erano tutti entusiasti di vederla, a parte
Rosalie, ma insomma, avrebbe fatto del suo meglio per non rovinare la
serata. Mia sorella ancora non riusciva a fidarsi, era restia. Credeva
che prima o poi sarebbe successo qualcosa che avrebbe portato solo guai
alla famiglia. Il mio piccolo cerbiattino storse la bocca, incredula
dopo quella rivelazione, ma accettò, anche se non proprio
felice.
-Allora,
se non ti va bene l'Audi, che altro regalo vuoi?-. Scherzai ancora
cercando di farle tornare il buon umore. Ma la mia battuta non venne
recepita come tale, e infatti Bella mi fissò infastidita.
-Sai
bene cosa voglio-. Alzò il mento con aria di sfida e io
aggrottai la fronte perplesso. No, non era un argomento che avrei
voluto discutere il giorno della sua festa. Non volevo assolutamente
parlarne. Non aveva alcuna possibilità di convincermi a
trasformarla in un vampiro, a farle perdere la sua anima per causa mia.
-Non
stasera, Bella, ti prego-. Mormorai reclinando il capo di lato e
pregando che lasciasse cadere l’argomento. Non volevo
combattere contro di lei, né litigare ancora. Non sopportavo
i momenti in cui discutevamo, perché mi faceva male sentirla
lontana da me. Era un continuo tormento. Possibile che non riuscisse a
capirne il significato? Essere vampiri non era solo
immortalità. Era una tragedia. Non le avrei mai fatto
questo, mai.
-Be',
allora magari sarà Alice a darmi ciò che voglio-.
Commentò guardando fuori dal finestrino e irrigidendosi.
Cosa? Poggiai troppo forte il piede sull’acceleratore facendo
fare a quel catorcio un balzo in avanti. Non avrebbe osato
farlo.
Ringhiai,
un suono basso, minaccioso e la fissai con uno sguardo di fuoco. Bella
si voltò stupita verso di me, ma sostenne i miei occhi senza
paura.
-Questo
non sarà il tuo ultimo compleanno, Bella-. Digrignai furioso
tra i denti, vedendola tremare. Si voltò completamente verso
di me e mi sfidò con sicurezza. No, non l’avrebbe
fatto. L’avrei legata piuttosto. Non riuscivo ad immaginarla
morta, priva di vita, la sola idea di privare la sua anima di
quell’essenza così pura e dolce mi torturava. Non
volevo che morisse.
-Non
è giusto!-. Sbraitò nell’abitacolo
alzando le braccia in aria. Giusto o non giusto aveva poca importanza.
Non aveva il diritto di scegliere su questo, e Alice non avrebbe mosso
un dito senza il mio permesso. Non avrebbe osato.
Ringhiai
ancora gutturalmente, cercando di frenare l’ira che mi stava
travolgendo ad ondate.
-Non
mi interessa…-. Risposi tagliente tornando con entrambe le
mani sul volante e fissando la strada, con le mascelle contratte. Se
avesse continuato avrei come minimo distrutto il pedale
dell’acceleratore.
Ma
Bella come sempre non aveva alcuna intenzione di darmela vinta.
-Non
sei nessuno per decidere ciò che mi riguarda-.
Sussurrò facendomi sussultare. Ah non ero nessuno? Con una
brusca frenata feci fermare il pick-up e mi voltai verso di lei
incatenandola ai miei occhi. Ora le avrei fatto vedere di cosa sarebbe
stato capace un vampiro, così si sarebbe finalmente convinta
di non sapere affatto quello a cui andava incontro.
-
L’hai voluto tu-. Ghignai roco spegnendo l’auto e
sentendo il respiro di Bella improvvisamente veloce. Mi girai
concentrandomi sul suo profumo e in un attimo il mio corpo
cominciò ad eccitarsi. Sentii la fame crescere e le mie
membra tendersi, contrarsi dalla voglia di nutrirsi di quella
tenerezza. Annusai l’aria e il suo odore di donna mi travolse
facendomi tremare. Dio, il ricordo del suo sangue cominciò
ad aumentare la mia salivazione e in un attimo ansimai lasciando che il
piacere prendesse possesso di tutto il mio corpo.
-Edward…-.
Mormorò facendomi sorridere. Era molto piacevole la sua
voce, ma sapevo che il suo sapore lo sarebbe stato ancora di
più. Mi alzai sul sedile allungando una mano verso di lei,
tremante e morbida, una dolce tentazione, e mi abbandonai al desiderio
di assaporarla.
Bella
indietreggiò fino allo sportello e si lasciò
sfuggire un mugolio spaventato, che fu musica per le mie orecchie. E
così aveva paura… ora poteva vedere cosa sarebbe
diventata, cosa c’era in me che poteva metterle paura.
-Edwar…-.
Non la lasciai finire e mi avventai su di lei inchiodandola contro la
portiera metallica. Il mio viso a pochi centimetri dal suo, i miei
denti scoperti e velenosi a poca distanza dalla sua pelle profumata.
Perché avrei dovuto fermarmi?
-Bella…-.
Mormorai leccandomi le labbra e avvicinandomi pericolosamente alla vena
pulsante del suo collo. Chiusi gli occhi, lasciandomi travolgere da
quella fragranza afrodisiaca e assolutamente destabilizzante per me,
quando sentii la sua bocca sulla mia e le sue braccia circondarmi le
spalle. Era… era impazzita? Sgranai le palpebre e la
guardai. Le sue mani tra i miei capelli, il suo corpo contro il mio e
le labbra schiuse per accogliere ogni mio bacio. La strinsi spasmodico,
improvvisamente desideroso di sentirla contro di me, e la schiacciai
contro il sedile cominciando a baciarla con una foga che io non
conoscevo. Ero al limite, dimentico di tutto, anche della
possibilità di farle male.
Lo so
ragazzi miei, questi sono capitoli terribili. Ehhh... scriverli non fa
piacere nemmeno a me, ma bisogna farlo. Ed eccoci giunti ad una scena
che tutti conosciamo, quella del compleanno. Bella si ferisce il dito e
da qui succede il finimondo. Vediamolo un po' dal punto di vista di
Edward. So che probabilmente sarà difficile leggere questa
storia, soprattutto la disperazione di Edward durante e dopo aver
lasciato Bella. Ma chi me lo ha fatto fare ad iniziarlo?
Sarò masochista che vi devo dire, pure a me piace il sangue.
Sono vampirella come il signor Edward Cullen, peccato che io non sono
vegetariana. Ahahah... ATTENTI A VOI. No, scherzo.
Continuerò a scrivere comunque e dovrò anche
farmi tutta una storia mentale perchè sappiamo bene che
Bella scomparirà e qui non abbiamo Jacob Black da infilarci
in mezzo. Altra
cosa molto bella: Efp ha inserito Nadir tra le storie scelte. Sono
molto contenta di questo e ringrazio Paola per la segnalazione. E'
stato un bel gesto, veramente grazie, un bacione! Non
dimentico di ringraziare, come sempre, chi ha messo questa storia tra
le seguite, preferite, ricordate, lette e non lette, chi la recensisce,
chi non lo fa, ma la segue, e chi ogni tanto si ferma a pensare sui
miei
capitoli. Insomma ringrazio tutti augurando un felice dopo Pasqua e
rientro vacanze e lavoro. Un bacione!!! Malia.
Ferita
profonda.
La
strinsi spasmodicamente a me, contro il mio corpo, desiderandola,
dimentico di ogni cosa tranne che del profumo della sua pelle.
Quell’odore che mi faceva impazzire, quel sapore il cui
ricordo mi confondeva, non volevano abbandonarmi mai, scatenando dentro
di me un diavolo che l’avrebbe posseduta fino allo stremo.
Approfondii quel bacio senza rendermi conto di quello che stava
succedendo e del pericolo che avrebbe corso se le avessi graffiato la
pelle con i miei canini. Ero impazzito di desiderio. Non mi era mai
capitato prima. Le strinsi la nuca contro la mia, addossandola al
sedile con maggior forza, e Bella non si divincolò,
tutt’altro, aderì a me con maggiore foga volevo
sempre di più, suggerendomi molto altro. E io…
io… volevo darle ciò che voleva con tutto me
stesso. Era incredibile come quella passione divampasse dentro di me
più del desiderio per il suo sangue, non riuscivo a
controllare la smania di possedere il suo corpo, per quanto facessi
leva sul mio buon senso. Tentai, tentai e ancora tentai di riprendere
lucidità, ma le dita di Bella tra i miei capelli, sul mio
viso, non mi aiutavano a riprendere contatto con il mondo reale. E
più la baciavo, più desideravo molto di
più. -Edward…-.
Mormorò lei gemendo sulle mie labbra e tornando ad
accarezzarle con le sue. Stavo per dimenticare perfino il mio nome. Non
potevo scordare che il mio piccolo Bambi era solo un’umana,
non potevo farlo, eppure nella mia mente non c’era
più nulla, solo la sensazione del mio corpo contro il suo.
Risposi con un ringhio basso e lei tremò sotto le mie mani,
non sapevo se di paura o di desiderio. Mi scostai un poco, ansimante,
guardandola negli occhi nocciola e immergendomi in quelle iridi
innocenti ed innamorate. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per me, anche
morire, e quella consapevolezza mi gettò in uno stato di
dolore ed eccitazione che si mescolarono fino ad ottenere un mix
letale. Il veleno continuò a inondarmi copioso la gola, ma
nonostante tutto non me ne curai, e lasciai una scia di baci letali
lungo la vena pulsante del suo collo. Le strofinai il naso contro
l’incavo della spalla, godendo del suo profumo e annaspando
alla ricerca di aria. Mi stavo uccidendo con le mie stesse mani, ed era
una tortura meravigliosa. Ero talmente eccitato da non riuscire a
scostarmi da lei, che, come una droga, mi stava dando il colpo di
grazia. -Mhh…-.
Sentii un sospiro roco venire dalla sua bocca e sollevai le dita per
toccarle quella linea morbida e definita. Continuai a baciare le sue
labbra, toccandole e sentendole calde sotto i miei polpastrelli. Era
rischioso, troppo rischioso, ma i suoi occhi scuri e pieni di passione
mi stregarono. -Bella,
allontanati-. Mormorai come uno sciocco, dandomi dell’idiota.
Ero incollato a lei, dentro il suo pick-up, a sole ormai calato e
l’unica cosa che riuscivo a fare era desiderarla su quel
sedile, fare l’amore con lei. Bella non mi diede ascolto e
scivolò contro di me, strappandomi un gemito di piacere. Era
ormai chiaro quanto la volessi. -No,
nemmeno se tentassi ora di uccidermi-. Replicò, decisa
scuotendo il capo. Assottigliai le palpebre, drogato del suo odore, e
mi avventai ancora sulla sua gola, strusciando con forza la testa
contro la vena pulsante sotto la sua pelle. Inutile sperare di
resisterle, il suo profumo mi tentava troppo e mi gettava in uno stato
di idiozia impossibile da controllare. La mia erezione nei jeans
premeva evidente e io rimasi quasi attonito nel provare tanto
trasporto, tanto desiderio per un essere umano. Sentivo dolore, per la
prima volta la mia eccitazione mi doleva, e darle sollievo era il mio
primo pensiero. Mi sentii umano, terribilmente umano. E
uomo… ancora una volta solo un uomo. -Bella,
per favore. Aiutami-. Mormorai continuando a baciarle la pelle calda.
Lei annuì abbandonandosi sul sedile, accarezzandomi il
petto, e io strinsi i pugni. Così non avrebbe fatto che
peggiorare la situazione, perché il mio desiderio per lei
sarebbe ulteriormente aumentato. Fu
un rumore a scuotermi, abbastanza forte da farmi alzare la testa.
Sentii odore di cervo e tesi l’orecchio sentendolo vicino al
pick-up. Ringraziai quell’animale che mi aveva distolto dai
miei propositi e a fatica tornai al posto di guida, stringendo le mani
sul volante. Meglio tenerle occupate. Non guardai Bella, ma sentii il
suo respiro affannato penetrarmi dentro e il suo odore eccitato
inorgoglirmi eccessivamente. Che diavolo avevo avuto intenzione di
fare? Rimisi in moto quel catorcio, aprendo il finestrino e facendo
entrare dell’aria pura, che servì per farmi stare
meglio. -Sei…
arrabbiato?-. Iniziò il mio cerbiattino, la voce roca.
Arrabbiato? Ero furioso con me stesso, c’era qualcosa che non
doveva andare nel mio cervello se l’unico regalo per il suo
compleanno era quello di farle correre un inutile pericolo.
Complimenti… che campione! -No-.
Risposi solamente e mi irrigidii quando sentii la sua mano scivolare
contro la mia sul volante. Le strinsi le dita istintivamente e le
portai contro il mio torace, all’altezza del mio cuore ormai
morto. -Mi
piaci quando fai così-. Ammise, il battito accelerato. Era
imbarazzata e in quel momento lo ero anche io. Ma cosa le saltava in
mente di dire? Non mi voltai, digrignando i denti e maledicendo me
stesso per la mia disattenzione. La sua festa non iniziava affatto per
il meglio, sperai almeno di non commettere altri disastri per tutta la
serata. -Non
dire…-. Mi bloccai prima di poter dire qualcosa che
l’avrebbe ulteriormente ferita e strinsi le mascelle con
forza. Era meglio stare in silenzio. Rimisi in moto il pick-up e non
parlai fino a quando non arrivammo a destinazione. Girai le chiavi e
spensi quel catorcio, rimpiangendo la mia auto. Se avessi guidato la
mia Volvo non sarebbe successo nulla di male, ne ero convinto. Feci
qualche respiro profondo per calmarmi e poi mi girai verso di lei, che
mi fissava tranquilla, come se nulla fosse accaduto. Ma possibile che
non avesse mai sentore di pericolo? La osservai girarsi verso le
lanterne giapponesi e gli enormi vasi di fiori rosa fatti mettere
appositamente per lei. Scosse la testa incredula e io mi ritrovai a
sospirare, nervoso, quando sentii un gemito sommesso sfuggirle dalle
labbra. -E’
una festa-. Ribadii convinto. –Cerca di fare la brava
ragazza-. La rimproverai scendendo dalla macchina e andandole ad aprire
lo sportello. -Certo-.
Mormorò poco convinta quando fui davanti a lei. Non volevo
che si lasciasse travolgere da crisi isteriche, da pre-compleanno non
voluto. Sapevo che le sarebbe costato fatica sopportare e io stesso non
ero dell’umore adatto per avere pazienza, visto quello che
era appena successo. -Ho
una domanda-. Fece mentre la aiutavo a scendere. Mi puntellai
irrequieto sulle gambe e aspettai che parlasse portandomi una mano tra
i capelli. Avevo paura delle sue domande. Cadde in equilibrio sul
sedile e poi tornò a guardarmi con la macchina fotografica
tra le mani. -Se
sviluppo questo rullino, vi si vedrà nelle foto?-.
Bisbigliò intimorita dalla mia reazione. Mi ero allontanato
di scatto, credendo chissà cosa, e improvvisamente scoppiai
a ridere della mia idiozia. Sorrise timidamente quando la guardai. Era
incredibile il modo in cui riusciva a farmi stare meglio. La tensione
si alleggerì immediatamente e io allungai la mano per
aiutarla a scendere. La afferrò gentilmente, arrossendo, e
si fidò ciecamente lasciandosi cadere a terra. La sollevai
contro di me prima che potesse ruzzolare e ancora una volta una fitta
di desiderio minacciò di farmi cedere. Lì sotto,
nelle mie parti basse, nulla era ancora tornato alla
normalità e forse prima di iniziare la festa avrei dovuto
farmi una bella doccia fredda. Ma che adolescente stupido. La
condussi verso l’entrata e aprii la porta consapevole che
dietro l’uscio ci fosse tutta la famiglia al completo, tutti
eccitati al pensiero di quella sorpresa. Il viso di Bella invece era
pallido e spaventato come se avesse dovuto affrontare la gogna. Mi
venne da ridere, ma soffocai la risata con la tosse. Bella mi
fissò stranita per poi guardare all’interno con
uno sguardo disperato. C’erano rose ovunque, tra vasi di
cristallo e petali, e sul mio pianoforte faceva bella mostra di
sé una torta gigante con dietro una montagna di pacchi.
Notai gli occhi del mio cerbiattino farsi scuri e la sostenni per un
braccio, baciandole subito la fronte. Mi fissò con sguardo
atterrito e io la spinsi ad entrare. Non sarebbe stato così
terribile. La
prima ad andarle incontro fu Esme, seguita da Carlisle. La
abbracciò delicatamente, con dolcezza materna. -Mi
dispiace, Bella- sussurrò -Ma non siamo riusciti a
trattenere Alice-. Sì, aveva detto la verità, il
mio folletto quando ci si metteva d’impegno sapeva essere
veramente impossibile. Fissai
Rosalie ed Emmett dietro di me e lanciai uno sguardo stupito a mia
sorella, che sembrava piuttosto calma e accondiscendente. Che Emm le
avesse fatto il lavaggio del cervello? Rose non parlò,
lasciò che a farlo fosse l’orso, che come sempre
trovò qualcosa di simpatico da dire. -Non
sei cambiata per niente- disse fingendosi deluso. -Mi aspettavo di
trovarti cambiata e invece eccoti qui, con le guance rosse di sempre-.
Sghignazzò facendola arrossire visibilmente. Lo guardai
divertito e scossi la testa. Perfetto, aveva appena messo Bella k.o.
per quella sera. Conoscendo la timidezza del mio Bambi avrebbe
balbettato tutta la notte. -Grazie
mille, Emmett-. Mormorò avvampando fino alla radice dei
capelli. Emm uscì, scusandosi, e lasciò il posto
ad Alice che si gettò allegra su Bella. La
afferrò per un braccio, trascinandola dietro di lei e
portandola davanti ai pacchi. -È
ora di aprire i regali-. Gridò contenta mia sorella,
guardando luccicante la mia ragazza, prendendola sottobraccio, e io
vidi Bella fare una smorfia contrita, da martire. Voleva sembrare
felice forse? Soffocai un’altra risata divertita. -Alice,
ti avevo detto che non volevo nulla...-. Balbettò tentando
di assumere un’espressione contenta. L’avevo sempre
detto che era una pessima attrice. Continuai a guardarla mentre apriva
il primo regalo. Sapevo benissimo cosa le avevano regalato Jasper,
Rosalie ed Emmett. Una radio per quel pick-up sgangherato e senza
senso. Io avrei buttato volentieri quel catorcio, non ci avrei certo
messo un’autoradio. Bella
aprì la scatola, trovandola vuota, e si sentì in
evidente imbarazzo sotto lo sguardo divertito di Jazz e Rose. -Emh,
grazie-. Fece educatamente, riuscendo perfino a strappare un sorriso
sincero dalle labbra di Rosalie. Fu Jasper a prendere la parola. -È
un'autoradio per il tuo pick-up- spiegò sorridente - Emmett
è andato subito a installarla, così non la potrai
rifiutare-. Fissai
lo sguardo esterrefatto di Bella e sorrisi a mia volta. Era uno
spettacolo vedere le sue guance rosse d’emozione e anche un
sottile piacere. Scossi la testa e tornai a concentrarmi sui pacchi.
Non dovevo pensare a quelle cose in quel momento… -Adesso
apri quello mio e di Edward-. Mormorò Alice eccitata.
Osservai il viso di Bella farsi rigido e volgersi verso di me
meravigliato. -Avevi
promesso-. Bisbigliò mordendosi le labbra e avanzando di un
passo verso di me. Prima che potessi dire o fare nulla per
giustificarmi però, Emmett mi passò di fronte con
un sorriso a trentadue denti, soddisfatto per il suo lavoro di
meccanico. -Appena
in tempo!-. Esclamò contento di poter assistere alla nuova
apertura. Rimasi immobile, aspettando che Bella si facesse coraggio, ma
lei non aveva alcuna intenzione di aprire il pacco. Così
intervenni avvicinandomi a lei e scostandole una ciocca di capelli dal
viso corrucciato. Non poteva farmene una colpa, mi ero lasciato
contagiare dall’entusiasmo di Alice. -Non
ho speso nemmeno un centesimo-. Sussurrai passandole i polpastrelli
sulla pelle della guancia e vedendola tremare. Sorrisi e lei fece
altrettanto, voltandosi verso mia sorella e afferrando il pacchetto. -Dammi-.
Disse sottovoce, il cuore in gola. Se il mio avesse potuto battere in
quell’istante sarebbe volato via ne ero certo. Prese tra le
mani il regalo, slacciando il nastro con cura e in un attimo un odore
pungente di dolcezza mi colpì le narici facendomi ansimare
di dolore e piacere. -Oh
cavolo-. Sentii Bella mormorare e tremai. Il richiamo del suo sangue mi
fece girare la testa e mi voltai consapevole di quello che stava
succedendo. Si era tagliata. Dovevo riuscire a resistere, ma il veleno
aveva già inondato la mia bocca e la mia mente
reagì istantaneamente come quella di un predatore troppo
vicino alla sua preda. Fissai la goccia rossa e invitante, tentato
dall’arsura e dal bruciore della mia gola che si fece
insostenibile. Il ricordo del sapore di Bella tornò
prepotente e i miei occhi si assottigliarono riconoscendo
immediatamente quel gusto che mi aveva già fatto impazzire.
I miei sensi di animale si acuirono e io provai il desiderio di
saltarle addosso e nutrirmi di quell’ambrosia. Ma qualcosa
riuscì a distogliermi dal mio proposito. Erano i pensieri di
Jasper, che, preda della più profonda animalità,
era deciso a scagliarsi su Bella. Mi
girai verso di lui proprio nel momento in cui scattò per
saltarle contro e riconobbi un rantolo inconsulto uscire dalla mia
gola. -No!-.
Ruggii disperato guardando subito il mio cerbiattino e cercando di
scostarla. Ma nemmeno io fui in grado di controllarmi e la mia forza
scaraventò Bella sopra il mio pianoforte, in una pioggia di
frammenti di cristallo. L’odore del suo sangue continuava a
farmi pulsare le tempie, a cercarmi, chiamarmi fino a quando la mia
forza di volontà non ebbe la meglio e non mi gettai su
Jasper cozzando contro il suo corpo. Dovevo riuscire a spingerlo via
prima che si avventasse su di lei. Non potevo permetterle che le
facesse del male, mi ero ripromesso di proteggerla e lo avrei fatto a
qualunque costo. Non compresi più nulla fino a quando la mia
stessa mente non mi impose di riprendere il controllo sulle mie
facoltà, ma fu maledettamente difficile. Il sangue di Bella
era una tentazione troppo forte e avrei potuto cedere da un momento
all’altro. Avevo bisogno di aiuto. Vidi il volto di Jasper
contratto in una smorfia di furore e feci leva su me stesso, su tutto
ciò che Bella rappresentava per me. Ma sapevo che se avesse
continuato ad insistere non ce l’avrei fatta,
l’avrei attaccata anche io. Troppo sangue….
c’era troppo sangue ormai. Fortunatamente
Emmett corse dietro Jazz e lo bloccò con le sue braccia
facendolo fermare. Trattenni il respiro per non rischiare di commettere
l’irreparabile e sentii la voce di Carlisle intimare ad Emm e
Rose di portare via Jasper. Dovevo fare qualcosa, qualsiasi cosa per
non fargli capire che avrei lasciato Bella indifesa. Così mi
rannicchiai di fronte a lei, in posizione di difesa, ringhiando in modo
irriconoscibile. Fissai mio fratello negli occhi, ancora affamati, e
lui capì che non avrei lasciato Bella da sola.
Così si calmò e si lasciò trascinare
via dagli altri. Ma
quando mi voltai per guardarla, vidi lo sguardo spaurito e terrorizzato
del mio piccolo Bambi. Mi sentii profondamente in colpa e feci per
parlare, quando la paura di riprendere aria mi travolse. Se avessi
respirato avrei sentito di nuovo il suo profumo. Ma vederla
lì, sanguinante, gli occhi speranzosi e increduli, mi fece
dimenticare anche il motivo della mia esistenza. -Mi
dispiace davvero, Bella-. Iniziai tentando di non farmi sommergere
ancora una volta dall’eccitazione. Ma fu Carlisle a salvarmi
da me stesso e mi fece subito segno di non muovermi, né
respirare. -Lascia
fare, Edward-. Mi disse serio e perentorio. Annuii sentendomi impotente
e lasciai che fosse lui ad inginocchiarsi di fronte a lei. Subito mi
rilassai, ma ormai la mia mente aveva cominciato a correre veloce. Era
l’ennesimo pericolo che le avevo fatto vivere quel giorno.
Ogni essere umano avrebbe potuto tagliarsi con la carta. Era normale.
Quello che invece non era affatto normale, era stata
quell’orda impazzita di vampiri desiderosi di uccidere
l’unica donna di cui ero perdutamente innamorato. Seguii a
malapena i movimenti di Carlisle su Bella, ormai chiuso in me stesso e
nei miei pensieri. Non sentii più nulla, fino a quando mio
padre non mi strattonò un braccio e non mi disse di portarla
sul tavolo della cucina. Guardai Bella, i suoi occhi stanchi,
dolcemente atterriti e mi sentii uno schifo. Sempre colpa mia, da
quando mi aveva conosciuto non aveva fatto altro che rischiare la sua
vita a causa del mostro troppo egoista che ero. La sollevai contro di
me, il braccio fasciato da un lembo di tovaglia, e lei si strinse
fiduciosa contro il mio petto. Che aveva da essere così
sicura, tranquilla? Anche io l’avrei attaccata se non mi
fossi reso conto in tempo, l’avrei uccisa se non mi fossi
controllato. -Se
vuoi, vai, Edward-. Mi sussurrò con gentilezza quando la
lasciai sul tavolo. La fissai deciso a rimanere al suo fianco. -Posso
farcela-. Le dissi senza prendere ossigeno. La fissai. appoggiando le
mani sul legno duro, e lei mi fissò silenziosa. I nostri
occhi si incatenarono e io percepii i miei muscoli tendersi e
desiderarla. Strinsi le mascelle, forzandomi. Non dovevo respirare, non
l’avrei fatto. -Non
occorre che ti comporti da eroe-. Continuò il mio piccolo
Bambi, allungando la mano sana e alzandola per sfiorarmi una guancia.
Ma io mi allontanai, sentendo la disperazione crescere dentro di me.
Vibrai quando le sue dita riuscirono comunque a toccarmi la pelle, ero
stordito. Avevo bisogno di sentire il suo profumo, era il mio corpo che
me lo imponeva, avevo voglia di lei in modo che solo un assetato nel
deserto più arido avrebbe potuto capire. Stavo male. -Carlisle
può curarmi anche senza il tuo aiuto. Esci a prendere un po'
d'aria- Mi intimò vedendomi sofferente. Non volevo andarmene
e quando mio padre le fece una puntura rimasi a guardare in silenzio il
suo dolore. Mi avrebbe dovuto costringere a farlo, volevo rimanere
lì. -Io
resto-. Continuai tra i denti, sicuro e deciso. Carl mi
lanciò un’occhiata d’ammonimento, ma io
non me ne sarei andato comunque. Volevo rimanerle vicino, come avrebbe
fatto un ragazzo normale. I nostri occhi non volevano lasciarsi andare
e io strinsi le nocche sul tavolo rischiando di spezzarlo. Sentivo
l’atroce bisogno di respirare, desideravo che il suo profumo
mi travolgesse, ma sapevo le conseguenze di quel gesto. Non potevo
mettermi alla prova così, avrei perso. -Ma
perché… perché sei così
masochista?-. Mormorò lei mentre Carlisle preparava i punti
di sutura. Perchè l’amavo e avrei sopportato
qualsiasi tortura per vederla stare bene. Qualsiasi
tormento… pur di non lasciarle correre inutili rischi. -
Edward, forse è meglio che tu vada a cercare Jasper, prima
che ne faccia una tragedia. Ce l'avrà a morte con se stesso
e immagino che al momento non voglia parlare con nessuno tranne te-.
Sentii in lontananza la voce di Carlisle scuotermi e mi voltai verso di
lui. Anche mio padre voleva mandarmi via? Nel suo sguardo lessi
apprensione. Aveva paura che potessi fare del male a Bella, ma
io…io… -Sì,
vai a cercare Jasper-. Continuò il mio cerbiattino
fissandomi supplicante. Non potevo lasciarla sola. Ma i suoi occhi mi
intimarono di andare, troppo spaventati per me. Dannazione, continuava
a preoccuparsi per me e poco per se stessa. Notai quanta fatica facesse
Carl nel farla rimanere ferma senza farle sentire dolore, questo
perché voleva avvicinarsi a me con entrambe le braccia.
Aveva il terrore che io potessi farmi del male anche solo con i
pensieri. Aveva imparato a conoscermi. Avanti,
Edward. Va via! I
pensieri di Alice mi colpirono come uno schiaffo e io la guardai
attonito. Sapevo che anche lei si stava preoccupando troppo per me. -Potresti
anche renderti utile-. Terminò ad alta voce il mio folletto.
Annuii sconfitto, lanciando un’occhiataccia a mio padre e a
mia sorella, che sospirarono tristemente. Voltai loro le spalle e mi
diressi verso il giardino dove Jasper, disperato, non aspettava altro
che vedermi. Alzò lo sguardo afflitto verso il mio e io mi
accorsi di non riuscire affatto a biasimarlo. Se avessi avuto meno
esperienza e controllo, avrei perso la testa anche io.
Perciò mi diressi verso di lui e allungai la mano sperando
che la afferrasse. -L’avrei
uccisa-. Mormorò più sconvolto di quanto non lo
fossi io. Anche io l’avrei uccisa se non avessi avuto
abbastanza forza di volontà. Non era sua a colpa, ma mia,
solo e soltanto mia. -Anche
io…-. Confessai di getto di fronte allo sguardo stupito di
Rose ed Emmett. Forse non avevano previsto che potessi essere
così comprensivo, ma non avevo nulla da perdonare a Jazz.
Avevo molte cose invece da perdonare a me stesso e non
l’avrei mai fatto… basta. Basta credere che la
parte del suo protettore avrebbe funzionato, perché sapevo
che non era così. Dovevo fare qualcosa di concreto per
mettere al sicuro Bella, per darle tutto ciò che aveva
sempre desiderato. Una vita normale, fatta di persone normali, che
potessero amarla in modo normale. E io non ero stato creato per amare,
ma per uccidere. La mia stessa anima dannata non faceva che ricordarmi
quanto disgusto provassi per me stesso. Me n’ero dimenticato,
accecato dall’amore e dal desiderio verso Bella, sentendomi
finalmente migliore con lei al mio fianco. Ma era stata solo una bugia,
una menzogna. Ero pur sempre un mostro. -Edward,
non devi incolparti. Se vuoi puoi picchiarmi-. Continuò Jazz
con un sorriso sarcastico. Sorrisi appena e scossi il capo. Non sarebbe
servito a nulla colpirlo, non avevo alcuna ragione per farlo. Mi
rabbuiai cercando di non dare a vedere quanto dolore mi causasse la mia
nuova consapevolezza. Probabilmente se io non fossi mai esistito Bella
avrebbe vissuto tranquillamente la sua vita e ancora, se fossi
scomparso, forse avrebbe potuto ricominciare a vivere come un qualsiasi
essere umano. -Io
sapevo che prima o poi sarebbe successo, ti avevo avvertito-.
Commentò Rose facendomi tremare. Aveva ragione. Avevo messo
in pericolo non solo Bella, ma anche tutta la mia famiglia
comportandomi in quel modo. -Ma
sono d’accordo con Jasper. Non puoi fartene una colpa-.
Terminò stupendomi non poco. Tutti mi guardarono con il
volto corrucciato, impensieriti dalla mia reazione piuttosto
tranquilla. Non avevo da dire nulla, ormai non c’era
più nulla che potessi fare se non prendere la decisione che
più di tutte mi avrebbe distrutto, ma che avrebbe dato alla
donna di cui ero innamorato la speranza di poter crescere e tornare ad
una vita gioiosa e normale… senza di me. -Ho
bisogno di rimanere da solo-. Mormorai allontanandomi verso il bosco.
Ancora una volta avevo sbagliato, in cento anni di vita non mi ero mai
sentito così male, forse perché non avevo mai
scelto. Mai… e l’unica volta che l’avevo
fatto era stato per amore. Lo stesso amore che ora minacciava
la mia donna di morte. La amavo e avrei fatto qualsiasi cosa
per saperla al sicuro. Perciò…
perciò… avrei strappato il mio cuore dal petto e
l’avrei lasciata. Era questo il giusto destino per entrambi.
Dividerci per l’eternità. Non avevo altra scelta.
E' sera tardi ormai e tutto va bene. Non vi preoccupate, questo
capitolo non mette ancora la parola "fine", sapete che intendo. Anzi...
vi allieteraà (parlo come Edward). Sarà un po'
triste, ma alla fine sorriderete in attesa del grande momento. Manca
ancora un po', credo all'incirca... 3 capitoli. Che volete farci, sono
più prolissa della Meyer. E' un danno. Ma volevo
approfondire questa parte. Mi piace vederli insieme i piccioncini. E'
ora di andare a nanna, ma io sto ancora scrivendo e ho deciso comunque
di postare Nadir. Diventerà sempre più difficile
anche per me, ma non mi arrendo. YEAH! Dovrò fare capitoli
di sofferenza immane, la cosa non mi fa piacere, ma sarà
interessante. So che alcuni non ce la faranno a leggere. Vi capisco. Vi
lascio alla lettura, quando scrivo Nadir non mi viene nessuna battuta
da dire, non mi viene per niente da ridere, mi influenza negativamente.
Vi ringrazio però, perchè mi seguite, mi
commentate e mi leggete soprattutto. GRAZIE. Malia
Decisione.
Dovevo tornare. Dovevo farlo… farmi forza e rientrare in
casa, tornare da lei che mi stava aspettando. Ma avevo bisogno di
solitudine, sentivo gravare su di me tutti quei maledetti anni, sentivo
la mia dannazione, quella maledizione che non mi avrebbe mai permesso
di amarla come avrebbe meritato. Che sciocco…
l’avevo creduto, ma non era stato così. Ingenuo e
stupido, avevo ragionato come un adolescente immaturo invaghito
dell’amore. Quando non lo ero, ero solo e soltanto un mostro.
Un diavolo. Mi feci forza e tornai verso casa, lento, entrando e
lasciando accostata la porta. Sentii l’odore pungente del
sangue di Bella ancora vivo e per un attimo ebbi la tentazione di
correre da lei e assalirla. Eccitazione, voglia, desiderio, fame, avrei
dovuto combattere con quelle emozioni fino alla sua morte. Ero solo un
assassino, un carnefice che non avrebbe saputo proteggerla. Un giorno
ero convinto che le avrei fatto del male. Tentai di resistere, me lo
imposi, e mi avvicinai alla cucina dove Carlisle e Bella stavano
chiacchierando animatamente. E ansimai… Un groppo di veleno
mi chiuse la gola e sentii i miei sensi acuirsi, potenti. Percepii ogni
più piccola sfumatura del suo profumo e me ne beai. Prima la
fragranza dei suoi capelli, dolce e speziata, poi quella della sua
pelle, gentile e golosa, quella della sua femminilità acre e
attraente e infine il suo sangue… dovetti aggrapparmi allo
stipite per non rischiare di commettere sciocchezze. Appoggiai il capo
sulla porta di legno e sentii la rabbia travolgermi. Idiota! Era solo
una ferita, solo una stradannatissima ferita e io non riuscivo a
controllarmi. Mi odiai, non potevo fare altro che detestarmi, e se
avessi potuto mi sarei fatto del male per non sentire quel desiderio di
nutrirmi di lei così prepotente.
-Forse è meglio che ti riporti a casa-. Sentii Carl
sussurrare a Bella e scostarle gentilmente i capelli dal viso. Respirai
ansimando e feci sentire loro la mia presenza. Nascosi il mio
turbamento e entrai a passi svelti, lasciando che il dolore mi
travolgesse. Non sarebbe stato nemmeno la metà di quello che
avevo già inferto al mio cerbiattino. L’avevo
già fatta soffrire abbastanza, meritavo tutto il dolore del
mondo per questo.
-Ci penso io-. Feci a denti stretti avvicinandomi a lei. Gli occhi mi
caddero istintivamente sulla camicia macchiata di sangue e
disinfettante. La reazione del mio corpo fu immediata e mi fece sentire
ancora di più una bestia. Avrei leccato quella stoffa fino a
strappargliela di dosso, solo per il gusto di farlo, per una
goccia di quell’ambrosia.
-Posso andare con Carlisle-. Rispose lei a bassa voce, senza guardarmi.
Lo sguardo le sfuggì sul sangue e io capii immediatamente i
suoi pensieri. La gelosia mi soffocò. Sapevo che sarebbe
stato meglio lasciarla con mio padre, ma… non riuscii a
sopprimere il mio istinto egoista. E la mia decisione di lasciarla?
Combattei contro me stesso.
-Sto bene-. Continuai sicuro, avvicinandomi maggiormente. Altro che
bene. Sentivo una fiamma dentro di me, mi accendeva un desiderio acuto
del suo sangue che mi faceva venire l’acquolina in bocca solo
al pensiero di quel sapore. Quel liquido scarlatto tra le mie labbra,
quella dolce tentazione…
-Però devi cambiarti. Se Charlie ti vede così,
gli verrà un infarto. Chiedo ad Alice di procurarti
qualcosa-. Conclusi a fatica. Senza nemmeno aspettare una sua risposta
mi fiondai fuori dalla cucina, sotto lo sguardo attonito di mio padre e
mia sorella. Non ce la facevo più, ero allo stremo. Non
riuscivo nemmeno a guardarla negli occhi che si scatenava in me un
maremoto di desiderio. Merda… merda… sbattei il
pugno contro il muro del salone rischiando di frantumarlo e notai gli
occhi di Esme fissi su di me. Non volevo anche la sua pietà,
non mi serviva a nulla quel suo sguardo pieno di compassione. Non
meritavo altro che dolore. Nient’altro.
-Edward…-. Iniziò mia madre, la voce piena di
dolore. No, niente Edward, niente parole di conforto. Mi diressi ai
piedi della scala, ignorando mia madre, e aspettando Bella che
scendesse. Come mi sarei comportato? Dovevo lasciarla, quella sera
stessa. Lasciarla, sì. Ma come? Feci una smorfia di
sofferenza solo al pensiero. Dovevo farlo per lei, non avevo altra
scelta. Anzi forse l’avevo, ma sapevo che sarebbe stata la
direzione sbagliata. Non avrei mai potuto toccarla come un uomo
normale, amarla come un essere umano, fare l’amore con lei,
unire il mio corpo al suo senza rischiare di romperle l’osso
del collo. E quello che era successo nel pick-up non faceva che
ricordarmi quanto fossi un uomo oltre che un vampiro. Un dannatissimo
maschio con gli ormoni ancora troppo in circolo. Cento anni di
astinenza e improvvisamente una voglia continua di fare
l’amore con lei. Stavo per diventare pazzo. Il mio desiderio
aveva superato la voglia di morderla. E se avessi perso totalmente me
stesso? Ansimai, gemendo appena.
Quando Bella scese non la guardai, non le parlai. Dovevo abituarmi
all’idea di lasciarla, non dovevo assolutamente…
mi voltai di scatto sentendo il suo profumo penetrarmi nelle ossa e
uscii all’aria aperta respirando affannosamente. Mi chiusi in
me stesso pensando ad un modo per non intromettermi più
nella sua vita e salii sul pick-up con la morte nel cuore. Era per il
suo bene, era così. Lo sapevo. Anche se sarebbe stata la
fine di tutto per me, non ci sarebbe stato più sole, ma non
potevo pensare solo a me stesso. Ero già stato abbastanza
egoista da volerla per me.
-Dì qualcosa…-. La sua voce mi riportò
bruscamente alla realtà e mi accorsi di non stare
respirando. Il finestrino aperto mi permise di non soffocare di veleno.
-Che vuoi che ti dica?-. Mormorai distaccato. Sapevo di farle male, ma
forse era meglio così. Sarebbe stata meno dolorosa la
separazione. Dovevo prepararla, con la mia indifferenza. Mi feci forza.
Dovevo pensare solo alla sua vita, alla sua felicità.
-Che mi perdoni?-. Sentii la sua voce singhiozzare e il suo cuore
mancare un battito. Chiusi gli occhi per un attimo, sommerso dal dolore
e mi convinsi che stavo per prendere la decisione giusta. Mi arrabbiai,
non doveva nemmeno pensarle certe cose. Non era affatto colpa sua, le
responsabilità di quello che era successo era mia, solamente
mia.
-Perdonarti? Di cosa?-. Sbottai furioso, la voce roca, quasi
ringhiando. Non doveva dire assurdità. Ma io dovevo
controllarmi. Sospirai e strinsi i denti, concentrandomi sulla guida.
Stavo respirando a fatica, ma non riuscivo a concepire che lei potesse
credersi responsabile di qualcosa di così ridicolo. Era
umana, era logico che si ferisse.
-Se fossi stata più attenta non sarebbe successo niente-.
Mormorò facendomi strozzare. Stronzate, tutte cazzate. Mi
morsi il labbro dando un colpo al volante e la feci voltare di scatto,
stupita. Dovevo calmarmi, altrimenti avrei solo peggiorato la
situazione.
-Bella, ti sei tagliata un dito con della carta... non credo che sarai
condannata a morte-. Sbraitai reclinando il capo di lato e sorridendo
amaramente. Sospirai tentando ancora di tranquillizzarmi, ma non ci
riuscii. Ero furioso con me stesso.
- Comunque è colpa mia-. Tagliò corto facendomi
sbottare in un ringhio arrabbiato. Non sembrò farci caso, il
viso basso, gli occhi mortificati. Sentivo il suo corpo tremare
addolorato. Non potevo sopportare più quella vista. Mi tesi
sofferente.
-Colpa tua?-. Iniziai sentendo la rabbia bollire dentro di me. Non ci
riuscivo, non riuscivo a fare l’indifferente. -Se ti fossi
tagliata a casa di Mike Newton, assieme a Jessica, Angela e agli altri
tuoi amici normali, cosa avresti rischiato di tanto disastroso? Di non
trovare le bende? Se fossi inciampata e crollata su una pila di piatti
di vetro da sola, senza che qualcuno ti ci avesse scaraventato, anche
in quel caso, cosa avresti rischiato? Di sporcare i sedili dell'auto
mentre ti portavano al pronto soccorso?-. Mi fermai per un attimo,
pensando che Newton sicuramente sarebbe stato un ragazzo migliore di
me. -Magari Mike Newton ti avrebbe tenuta per mano mentre ti
ricucivano, e sarebbe rimasto là senza essere costretto a
combattere contro l'istinto di ucciderti. Non pensare che sia colpa
tua, Bella. Non faresti altro che rendermi ancora più
nauseato da me stesso-. Bisbigliai alla fine, sentendo la gelosia farsi
pungente. L’avrei strozzato se si fosse solo avvicinato a lei
quel ragazzino. Ma le mie parole corrispondevano a verità.
Ero schifato da ciò che ero, profondamente, e i miei
pensieri non facevano che correre verso un’unica direzione.
Abbandonarla. Perché non mi sentivo all’altezza,
perché non potevo rischiare di farle ancora male. Piuttosto
mi sarei ucciso.
-Che diavolo c'entra Mike Newton con questo discorso?-. Esplose il mio
cerbiattino, slacciandosi la cintura e voltandosi verso di me, agitata.
Le lanciai un’occhiata furiosa. Stavamo litigando e di brutto
anche. Scossi la testa divertito e alzai le braccia. Avanti, il
damerino biondo che faceva gola a tutte la ragazzine della Forks High
school. L’uomo idiota che aveva cercato di competere con me
per la sua conquista.
-Mike Newton c'entra perché sarebbe molto più
salutare, per te, stare con uno come lui-. Ruggii, invidioso che anche
solo un suo pensiero potesse dirigersi verso un altro. Bella scosse la
testa, incredula, e sentii un mugolio strozzato venire dalla sua gola.
Altro dolore… le stavo causando solo altro dolore.
-Preferirei morire piuttosto che stare con Mike Newton-.
Gridò, quasi piangendo. Ma si morse le labbra, rimanendo in
silenzio. Non ci credevo, ogni raganno… ogni uomo sarebbe
stato migliore di me. Non riuscivo nemmeno a sfiorarla senza provare la
tentazione di morderla. Ero un disastro completo. E le facevo
continuamente male pur non volendo.
-Preferirei…-. La sentii sussurrare. Mi voltai e sentii il
suo profumo avvolgermi. Gemetti e sentii le sue braccia circondarmi il
collo. – morire…-. Continuò sottovoce
annusandomi la gola e sfiorando con il suo naso la mia pelle. Tutti i
miei buoni propositi erano già andati a farsi benedire.
Tutti… compreso il pensiero di lasciarla. –
piuttosto che stare con chiunque non fossi tu-. Confessò a
bassa voce, il suo cuore al galoppo. Schiusi le labbra sentendo la
felicità travolgermi come una marea. Bastava un gesto, un
semplice suo gesto a farmi capitolare e desiderare le sue labbra, la
sua vicinanza, il suo odore. Non c’era più niente
in quel momento, solo io e lei. Noi.
-Non fare la melodrammatica, per favore-. Tentai di mantenermi freddo,
ma ormai il suo calore stava scaldando anche me. Troppo. Il mio cuore
si stava sciogliendo sotto il suo sguardo supplicante. Non avrei potuto
negarle nulla, non quando me lo chiedeva con quegli occhi nocciola.
- E allora… non essere ridicolo-. Bisbigliò
sfiorandomi la guancia con un bacio che mi fece venire i brividi. Ecco
fatto, sedotto come uno scemo. E poi davo del ragazzino a Newton.
Più di cento anni di vita e mi lasciavo sedurre
così dalla morbidezza e tenerezza di una donna. Stavo
evidentemente peggiorando, diventando una sorta di animale domestico.
Finsi di essere ancora arrabbiato e fissai il buio di fronte a me senza
riuscire ad irrigidirmi. Ero in suo potere.
Lanciai un’occhiata ai sedili posteriori, dove erano stipati
tutti i regali e sospirai. C’era anche il mio. E…
scossi la testa. Non volevo che fosse così, avrei desiderato
che i suoi occhi sorridessero del mio dono e invece…
Spensi il motore e aspettai che Bella scendesse. Sarei tornato
immediatamente a casa e avrei pensato ad un modo per mettere in atto il
mio piano.
-Resti con me stanotte?-. Mi chiese sottovoce, ancora troppo vicina.
Sì, oddio sì. Ma che animale… Mi
portai una mano tra i capelli, sospirando stancamente e trovando nella
mia mente tante buone ragioni per scappare via da lei.
Tante… tante…
- È meglio che torni a casa-. Mormorai scontroso tentando di
frenare la voglia di stringerla a me per tutta la notte, coccolarla e
annusare il suo profumo. Non era il mio, ma il suo compleanno.
- È il mio compleanno-. Disse mettendo il broncio e
allontanandosi. Ah sì? Trattenni a stento un sorriso
divertito e incrociai le braccia al petto, aggrottando la fronte.
-Non puoi fare i capricci... vuoi o no che tutti fingano di non
saperlo? Delle due l'una-. Feci serio, sperando di essere credibile. Ma
lei mi sorrise maliziosa. Aveva capito, maledizione, e
involontariamente piegai la bocca all’insù.
Riusciva sempre a farmi stare bene, a scaldarmi il cuore quando
diventava freddo e gelido. Sentivo di avere un’anima solo
accanto a lei. La vidi sospirare in silenzio, finse di essere
combattuta, e poi mi guardò con lo sguardo tenero e furbo.
-Okay. Ho deciso che non voglio che tu faccia finta di niente. Ci
vediamo di sopra-. Sussurrò, scendendo al volo e afferrando
tutti i pacchi. La guardai incredulo. Mi aveva incastrato. E ora? Non
avrei potuto dirle di no proprio quel giorno.
-Non sei obbligata a prenderli-. Biascicai immaginando quanto le
costasse. Mi lanciò un’occhiataccia e
guardò il pacchetto del mio regalo. Ne rimasi stupito e la
vidi arrossire.
-Li voglio-. Bisbigliò avvampando e io capii che desiderava
capire cosa le avessi regalato. Non l’avrebbe mai immaginato.
Erano mesi che non facevo altro che comporre musica.
-Invece no. Carlisle ed Esme hanno speso dei soldi per i tuoi regali-.
Insistei incuriosito. Ma lei si strinse i pacchi al petto con il
braccio sano e non ne volle saperne.
-Sopravviverò-. Rispose facendosi ancora più
rossa. Non pensavo che un mio regalo potesse farle piacere. Ero stato
geloso della mia famiglia che aveva potuto regalarle di tutto, ma non
avrei mai immaginato che lei potesse volere qualcosa da me.
Scesi dal pick-up, avvicinandomi a lei e facendo per prendere i pacchi,
ma il mio cerbiattino si scostò, sospettosa.
-Almeno lasciameli portare-. Insistei addolcendo immediatamente la mia
voce e il mio sguardo. -Ci vediamo in camera tua-. Mi arresi, vedendola
sorridere raggiante e vittoriosa. Sapeva che non le avrei rifiutato
nulla, che peste.
-Grazie-. Mormorò passandomi i pacchetti felice. Era tornata
contenta come una bambina. E solo perché avrei passato la
notte in camera sua. Sospirai sperando di non commettere sciocchezze e
mi imposi di non farlo.
-Buon compleanno-. Le sussurrai abbassandomi e sfiorandole appena le
labbra con un bacio. Come non detto. Ma che avevo nel cervello?
Sicuramente segatura.
Si alzò sulle punte dei piedi, cercando di approfondire quel
bacio, ma io non lo permisi e mi allontanai di scatto, evitando di
soffermarmi a guardarla. Sapevo di averla delusa. Mi girai,
sorridendole con gli occhi supplicanti e lei arrossì di
nuovo. Rimanemmo in imbarazzo per qualche secondo e poi io sparii
nell’ombra, aspettando di poter tornare da lei.
L’attesa era sempre snervante e mi permetteva di pensare. E i
miei pensieri facevano male, la consapevolezza che avevo nel cuore mi
faceva soffrire. Ero tormentato. Il pensiero che sarebbe stato meglio
lasciarla libera di vivere la sua vita mi stava torturando e le
immagini dell’attacco di Jasper si susseguivano nella mia
testa come un film horror.
Entrai nella sua stanza non appena aprì la finestra e mi
sedetti sul letto iniziando a giocare con i pacchi. Non dovevo
pensarci, volevo godermi quella notte con lei, forse
l’ultima. Solo quella notte, per ricordarla, e poi basta. Poi
basta… mi crogiolai nel mio dolore, conscio che dentro di me
la decisione era già presa, anche se stavo soffrendo e la
rifiutavo con tutto me stesso.
Bella entrò in camera e io la guardai perplesso. Un
completino intimo. No, no… porca miseria. Di nuovo
dimenticai tutti i miei pensieri e feci finta di nulla, dondolandomi
sulle gambe e giocando con il nastrino del regalo. Mi sentivo in
trappola.
-Ciao-. Mi disse avvicinandosi a me, vergognosa. Mi tolse i pacchi
dalle gambe e scivolò sulle mie cosce facendomi deglutire.
Okay, okay, dovevo solo ripassare il copione. Regola numero uno. Niente
sesso. Regola numero due. Niente sesso. Regola numero tre. Niente
sesso. Regola numero quattro. Sesso. Regola numero cinque…
sesso, sesso, sesso.
-Ciao-. Risposi scuotendo la testa e maledicendomi per quella
debolezza. Si rannicchiò contro di me, poggiando la testa
sul mio petto e io inspirai il suo odore di donna sentendomi morire.
Non potevo farne a meno, il desiderio per lei era costante e intenso.
Inutile negarlo. Le circondai la vita, tenendola stretta e Bella
sorrise. - Adesso posso aprire i regali?-. Mi domandò
teneramente, spostando il capo sulla mia spalla. Le baciai la fronte e
annuii.
“Scarta prima me…”. Guardai in aria
esasperato dai miei stessi pensieri. Che bambino. Quella sera non
riuscivo proprio a controllarmi. Ma che mi stava succedendo? Sospirai,
guardandola allungarsi verso i pacchi come una bimba desiderosa di
ricevere sorprese. Sorrisi e mi godetti tutta la scena. Era bellissima.
Glieli scartai io, per precauzione, e rimase senza parole di fronte al
regalo di Carlisle ed Esme. Due biglietti per noi due, destinazione
Jacksonville. Si mise a urlare felice e io non credetti ai miei occhi.
Perché? Avevo tanto temuto che lei potesse arrabbiarsi e
invece sprizzava gioia da tutti i pori.
- Be', certo, è troppo. Ma tu verrai con me!-.
Sussurrò ridacchiando e portandosi i biglietti sul cuore. Mi
sentii a disagio. Ecco il motivo per cui aveva accettato contenta. Me.
Io riuscivo a renderla davvero così felice?
Aspettò che le aprissi il mio regalo con il fiato sospeso,
il cuore in gola e l’adrenalina a mille. Gli passai la
custodia del mio stupido dono e il mio cerbiattino lo guardò
interrogativa.
-Cos’è?-. Mormorò curiosa.
All’improvviso non mi sembrò abbastanza. Volevo
toglierle di mano quel coso e gettarlo via fuori dalla finestra. Non
era degno del mio amore per lei, dei miei sentimenti. Lo presi, ma
invece di attuare il mio piano, lo infilai nel suo stereo. Aspettai che
iniziasse la musica del mio piano e guardai fisso il pavimento. Era
orribile. Ero sicuro che non le sarebbe piaciuto come gli altri.
Idiota, stupido romantico e idiota di un vampiro.
Sentii subito i singhiozzi del suo corpo e mi spaventai. Alzai la testa
sconvolto e la guardai altrettanto inorridito. Aveva gli occhi lucidi,
si mordeva le labbra e stava per mettersi a piangere. Feci un passo
avanti, credendo che stesse male, e mi maledii per la mia indelicatezza.
-Ti fa male il braccio?-. Ero ansioso, avevo paura per lei. Ma Bella
scosse la testa e le lacrime cominciarono inevitabilmente a scendere
sul quel viso dolce e sbadato.
-No, non è il braccio-. Mormorò tremante venendo
verso di me. Mi abbracciò di slancio, stringendomi forte, e
io la sollevai contro di me, ricambiando gentilmente la sua stretta.
Non volevo che piangesse a causa mia. -È bellissimo, Edward.
Non avresti potuto regalarmi niente di più prezioso. Non
posso crederci-. Bisbigliò rabbrividendo contro di me. La
cullai un po’, ballando su quelle note, e insieme ascoltammo
la ninna nanna che avevo composto per lei. Sospirava e gemeva in
continuazione, sfiorandomi il torace con le labbra
all’altezza del cuore. Ero impietrito, una valanga di
emozioni mi stavano travolgendo e tutte incontrollabili. Non ero
abituato a sentirmi così fragile, inerme. Così me
stesso.
Ci sedemmo sul letto, lei di nuovo sulle mie ginocchia, e non facemmo
altro che guardarci per la durata di tutto il cd. Mi sentivo stupido,
ma Bella non perdeva occasione per accarezzarmi il viso, ringraziarmi e
sussurrarmi qualcosa di dolce e gentile. Riusciva sempre a farmi
dimenticare quei pungenti sensi di colpa. Tutto…
Le chiesi come andava il braccio e lei non rispose subito. Capii
immediatamente che doveva darle fastidio, perciò scesi per
cercarle una pomata antidolorifica. Charlie non si sarebbe nemmeno
accorto della mia presenza. Quando tornai su, la vidi con la custodia
del mio cd in mano. La guardava come se si fosse trattato del suo
più grande tesoro. Per un attimo mi sentii in colpa. Avevo
pensato di lasciarla, di abbandonarla, e ora le davo quel regalo,
fingendo di aver dimenticato quanto dolore le avesse causato quella
serata. Quanta paura, quanta sofferenza.
Rimise la sua ninna nanna, ascoltandola più volte, mentre io
le mettevo la pomata sul braccio.
-Sarebbero bastate le tue mani-. Mi confessò balbettando.
Sapevo anche questo, ma il problema era che a me non sarebbe bastato
toccare solo la sua spalla. La pomata almeno mi impediva di scendere.
-A cosa pensi?-. Mi chiese timorosa, mentre, leggero, cercavo di non
farle pesare il mio tocco sulla sua pelle. La guardai, indeciso se
mentirle o meno.
-Ecco, pensavo a cosa è giusto e cosa sbagliato-. Dissi
alzando lo sguardo per vedere la sua reazione. Si irrigidì
immediatamente, spaventata, e si sedette in ginocchio sul letto
piegandosi verso di me.
-Ricordi che ho deciso di non volere che ignorassi il mio compleanno?-.
Mormorò, spingendomi accanto a lei sul letto. Aveva
appositamente ignorato la mia affermazione. Cosa aveva in mente quella
furbetta?
-Sì-. Risposi solamente, aspettando che mi parlasse. Bella
attese qualche secondo, guardandomi negli occhi con una muta richiesta,
quasi una supplica.
-Be', pensavo che, visto che è ancora il mio compleanno, mi
piacerebbe ricevere un altro bacio-. Mormorò rigida. Rimasi
fermo per alcuni minuti, indeciso. Cosa stavo aspettando?
-Sei avida stasera-. Sussurrai salendo sul letto come lei. La vidi
avvampare di rossore e annuire imbarazzata. Un intenso piacere mi
percorse. Era piacevole scoprire il suo desiderio per me. Tipico
dell’orgoglio maschile.
-Sì, lo sono - Bisbigliò tremando. Ci
guardammo e io le sfiorai le labbra con un bacio. - ma per favore, non
farlo se non lo desideri davvero-. Concluse la mia cerbiattina
facendomi scoppiare a ridere. Come poteva credere che non la
desiderassi? Non c’era cosa che volevo di più.
-Non sia mai detto che io faccia qualcosa controvoglia-. Ridacchiai
accarezzandole piano i capelli. Presi un respiro profondo, guardando le
sue labbra e mi persi nella voglia di baciarle, morderle e accarezzare
come avrebbe fatto un ragazzo normale. Decisi dentro di me di fare
quell’errore, di lasciarmi trascinare da un vero bacio come
se non ci fosse stato quel maledetto muro a dividerci. In fondo non
avevo ceduto al suo sangue, non l’avevo uccisa nei pochi baci
appassionati. Perché non permettermi quella sera di
spingermi oltre? Ancora una volta mi accorsi di essere un
egoista. Le alzai il mento, immergendomi in quello sguardo
nocciola, e piano mi avvicinai alla sua bocca. Senza
accorgermene… ero già perduto.
Bene,
bene, bene... non
vi preoccupate, avverto prima, questo non è il capitolo in
cui Ed e Bella si lasciano. L'avevate capito no? Ehehehe... Buona parte
del capitolo è inventata da me, al solito. Mi scuso a chi
darà fastidio. Veramente. Mi discosto un po' dall'originale
per rendere forse il carattere di Edward più reale, vero,
sofferente, uomo. Insomma non lo so nemmeno io. Spero che graditerete i
miei interventi sul testo. Io ce la metto tutta, credetemi. Per il
resto volevo dirvi che manca un intero capitolo prima dell'abbandono e
che verrà diviso in più parti, forse in due,
massimo tre. Successivamente scriverò all'incirca 25
capitoli creando una storia di Edward totalmente inventata.
Avverto già tutti i lettori che sarà molto
"forte", non so infatti se cambiare rating a rosso (non ci saranno
altre donne, ma scene forti). Sarà più
doloroso di quello che fortunatamente "non" abbiamo visto scritto
nelle pagine vuote di Bella, perchè io scriverò
tutto, ogni mese, come una pagina di diario a volte, portandovi la sua
anima e la sua situazione. Mi dispiace se questo vi porterà
sofferenza, ma non posso fare altrimenti, non posso saltare alla fine.
Si accettano consigli e suggerimenti, lo sapete, scrivo per voi.
Perciò...
Volevo
ringriaziare una persona. Sono stata veramente poco carina e gentile e
me ne dispiace, perchè non si fa così e spero che
lei possa perdonarmi. Me lo auguro col cuore. Theangelsee69 aveva
votato questa fic per un concorso su efp, che riguardava
però solo le fic originali, voto che è stato
perciò annullato. Volevo dirle che per me è come
se avessi vinto e solo perchè lei mi ha fatto capire che
quello che scrivo le piace, facendomi complimenti che ho guardato
per mezz'ora come un'allocca davanti al pc. Vuol dire che quello che
faccio
è utile e che entra dentro. Per me è contato
tantissimo, credimi, e mi sono quasi commossa nel vedere il motivo per
cui hai votato questa fic. Perciò volevo dirti grazie e
ancora volevo scusarmi con te per non aver avuto il tatto di farlo
subito. Questo perchè io gioco e scherzo sempre, ma non mi
ricordo mai le cose veramente importanti e non va bene.
Perchè sono cose che mi colpiscono nel profondo e mi danno
tanto coraggio per continuare a scrivere. Perciò
grazie Theangelsee69, davvero. (Non sono brava a esprimere
sentimenti miei... scusami)
E
un grazie anche a chi ha il coraggio di leggere questa fic e recensirla
nonostante tutto. GRAZIE MILLE che ci siete sempre al mio fianco. Un
bacio grande! Malia.
Ultima notte.
Poggiai lento la mia
bocca sulla sua e un fremito di piacere e dolore mi percorse. Come ogni
volta, non cambiava mai nulla. La sensazione era sempre la stessa,
quella di stare per cadere giù, nel buio profondo dei miei
desideri più perversi, quella di lasciarmi andare e nutrirmi
di lei, perché era ciò che la bestia in me
gridava. La desideravo e non sapevo come uscire dal laccio che mi
stringeva la gola e mi faceva fremere di sofferenza. Non
c’era altro che lei, il suo sapore, il gusto delle sue labbra
e la voglia… quella voglia smisurata di fare
l’amore con lei, di donarle tutto me stesso. Avrei voluto
farle sentire tutto quello che il mio cuore gridava ogni volta che le
sue labbra mi sfioravano e i suoi capelli mi toccavano il viso in un
richiamo di dolcezza e perdizione. Non potevo dirle di no, ma se le
avessi detto di sì avrei perso me stesso, il mio essere
mostro per darlo a lei. E questo non lo volevo, non potevo condannarla
a ciò che ero, non potevo perché non ne avevo
alcun diritto. Io ero solo una creatura mitica, mentre lei era
l’angelo che mi aveva salvato dalla morte certa. Come potevo
condannarla a un destino di nulla? Con me, per
l’eternità. No, non l’avrei mai fatto.
Eppure il nettare di quelle labbra mi faceva dimenticare di essere un
vampiro e mi diceva di comportarmi da uomo, mi imponeva di eccitarla e
di sentirla mia. E non riuscivo a tirarmi indietro. Il bacio
iniziò lento, un battito d’ali, ma come ogni
volta, sentii un dolore intenso al petto stringermi e rivoltarsi contro
le mie stesse decisioni. La desideravo, troppo. Non volevo darle
errori, donarle momenti di dispiacere, ma solo attimi che avrebbe
potuto ricordare. Ricordare… La spinsi sulle coperte senza
rendermene conto e feci aderire il mio corpo al suo con una foga
innaturale. Bella gemette, sorpresa, ma non si tirò
indietro, e le sue dita affondarono tra i miei capelli tirandomeli fino
allo spasimo. Volevo che si sentisse male, che tutto cominciasse a
girare nella sua testa e che il piacere la soffocasse. Sentii il suo
cuore accelerare i battiti e per una volta mi lasciai andare. Le avrei
dato un bacio vero, un bacio da umano, non da vampiro assetato di lei.
Le avrei lasciato una parte di me da custodire, le avrei dimostrato
quello che mi bruciava dentro e che troppo spesso avevo soffocato
commettendo errori, accarezzandola e baciandola come non avrei dovuto.
Le strusciai la bocca sulla sua e allungai una mano tra i suoi capelli
spingendola contro le mie labbra. Non volevo allontanarmi e solo
facendomi male avrei potuto continuare quella tortura. Sentii il
desiderio farsi intenso e distruggere le mie ultime resistente. Chiusi
gli occhi e schiusi la sua bocca, sentendo un mugolio di piacere venire
da lei. Sì, questo volevo. Sentire il suo cuore impazzito,
le sue gambe stringersi, l’odore della sua eccitazione
aumentare e farle desiderare di avermi come mai era successo. E solo
con un bacio. Feci scivolare la mia lingua tra i suoi denti, cercando
la sua, tentandola con il mio sapore e un pugno di piacere
svegliò la mia eccitazione per nulla assopita. Percepii
l’adrenalina strozzare entrambi e il veleno mi impose di
andarci piano. Bella schiuse le gambe in un chiaro invito e io non mi
feci pregare, addossai il mio corpo al suo, intimità contro
intimità, e decisi per un attimo di soffocare qualunque
paura. Adesso, basta. Volevo un ricordo, un momento autentico a cui
aggrapparmi. Ancora una volta mi stavo comportando da egoista, ma era
difficile controllare i miei pensieri in quel momento. Così
li cancellai e mi concentrai sulle sue labbra dolci e tentatrici. Mi
permisi di morderle, piano, e le leccai subito, sentendo quel gusto
eccitante sulla mia bocca. Continuai, ancora e ancora, fino a che il
suo corpo non si strusciò istintivamente contro il mio in
una muta richiesta di essere posseduto. Sapevo cosa significava e mi
fece impazzire. Lei mi voleva, mi desiderava, nonostante fossi un
autentica bestia per quello che le stavo facendo e le avrei fatto. La
sollevai contro di me e le baciai il collo, imponendole di reclinarlo
di lato. Bella gemette, incredula, e io soffiai sulla sua giugulare
cercando di controllare la mia erezione impazzita e la mia salivazione
folle. Stavo decisamente esagerando. Scesi sulla sua spalla passando la
mia mano fredda sulla ferita e sentii un urlo basso venire dalla sua
gola. Mi piaceva, troppo, volevo sentire la sua voce farsi
più profonda e soffocata. Solo per me. Salii sul suo collo,
cercando la carne calda e morbida, la parte che preferivo in una donna,
pulsante di vita e calore. Appena dietro l’orecchio lasciai
un bacio appena sfiorato e abbandonai il mio alito freddo sulla sua
pelle. Un brivido la percorse e sentii un grido soffocato misto a
sorpresa. Era eccitata, stringeva le cosce contro di me in modo quasi
spasmodico. Il suo dolore era il mio, ma la mia sofferenza non era solo
profonda. Era agghiacciante. Se solo avessi potuto avere una goccia del
suo sangue… solo una. Tornai a sfiorarle la guancia e Bella
si aggrappò al colletto della mia t-shirt guardandomi negli
occhi. I giochi erano finiti. Ci fissammo fino a quando le nostre
labbra non furono a pochi centimetri dall’impazzire e io
socchiusi le mie palpebre. -Ti desidero-.
Mormorai facendola sussultare. Sentii il suo stomaco stringersi in una
morsa e la sua femminilità pulsare di piacere. La mia voce
calda le entrò nelle vene circondando tutto il suo corpo.
Come un forsennato la alzai bloccandola contro di me e la spinsi contro
la testiera del letto. Il mio piccolo cerbiattino si
aggrappò alle mie spalle spostando le coperte e insieme ci
infilammo sotto. Stavo perdendo il contatto con la realtà e
anche lei. E adesso? Volevo toccarla, accarezzarla, non mi sarei
fermato ad un solo bacio. La volevo tutta, questo era il problema. -Edward…-.
Mormorò la sua bocca contro la mia, forse stupita, forse
incredula. Il mio comportamento la faceva impazzire. Le promettevo
sicurezza e poi… l’avevo sedotta in tutti i modi.
Dalla sera della festa di fine anno, toccandole i seni, al giorno del
suo compleanno, dentro il suo pick-up, fregandomene di tutto, di tutti,
tranne che del desiderio che ci avrebbe reso una cosa sola. Ma non
potevo permettermelo e sapevo perché. Sarebbe finita. -Edward…-.
Continuò lei richiamando la mia attenzione. Mi ero fermato,
avevo ancora gli occhi chiusi e respiravo a fatica. Il mio corpo era
scosso da brividi di dolore e desiderio, ero a pezzi. Sentivo ogni
più piccola parte di me chiedere pietà,
misericordia per qualcosa che non avrei dovuto commettere. Metterla in
pericolo così, farle sentire tutto quel desiderio. Non era
da me, o forse lo era… ero così confuso. Da
quando Bella era entrata nella mia vita l’unica certezza che
avevo avuto era stata quella di non volerla perdere. Eppure…
ora sceglievo anche questo. Che stupido masochista. Maledizione! Non
volevo più sentirmi così con lei. La baciai con
una violenza al limite del fattibile e mi lasciai andare ancora una
volta. Non fece nulla per impedirmi di averla e mi donò
tutto quello che aveva, senza domande, solo con la consapevolezza che
per me avrebbe fatto qualsiasi cosa. Non era giusto questo, non lo
meritavo affatto, ma sentii un ringhio di esultanza sciogliere ogni mio
freno. Le passai le mani fredde sulle cosce passando a giocare con la
mutandina che aveva comprato apposta per me. Perché sapevo
che era così. Le accarezzai il bacino e salii sul suo busto,
sfiorandole i seni pieni e perfetti. Era calda e vibrava sotto ogni mia
carezza. Continuai a chiederle baci fino a quando non sentii le sue
mani reagire e accarezzarmi il collo. I miei sensi si acuirono e provai
uno strano piacere. Le chiesi ancora la lingua, e non gentilmente,
facendola inarcare sottomessa. Ma le sue dita non si fermarono, scesero
sulla mia schiena fino ai miei jeans e Bella mi attirò a
sé con una foga eccessiva che mi fece impazzire. Si
strusciò sulla mia erezione senza paura e io sentii un
brivido fermarsi a livello della mia pancia per indurire maggiormente
la mia eccitazione. Non pensavo fosse possibile desiderare una donna in
quel modo. Non ce la facevo più e quando le sue mani,
bollenti, si insinuarono sotto la mia maglia scendendo nei miei
pantaloni capii che dovevo fermarla, prima di perdere totalmente la
testa e rischiare di farle male. Interruppi bruscamente il contatto tra
noi e la afferrai prima che potesse perdere l’equilibrio,
sentendo il suo cuore decelerare fino allo spasmo finale. Dio, avevo
rischiato di farle venire un infarto. Bella
crollò sul cuscino e si portò la mano sulla
fronte, respirando a fatica. Tenne gli occhi chiusi senza guardarmi e
io mi sentii in colpa. Terribilmente in colpa. -Scusa. Ho esagerato-.
Bofonchiai nell’oscurità. Non sapevo nemmeno come
fosse possibile che i miei pensieri riuscissero a essere ancora
così coerenti. I miei sensi erano totalmente alterati.
Sentivo il suo, il mio odore, il nostro desiderio ancora forte. E poi
il suo battito, lo scorrere del suo sangue come un fiume in piena, mi
sembrava di vederlo. Eppure il vampiro in me sembrava esserne
affascinato quanto l’uomo… oddio, tutto si stava
confondendo. -Non importa-. Disse
atona facendomi aggrottare la fronte. Non era vero che non importava.
Steso a fianco a lei, potevo guardare il suo viso, una maschera di
sofferenza. Volevo maledirmi e farmi male, molto male. Ma come mi era
saltato in mente di fare una cosa simile? -Cerca di dormire,
Bella-. Dissi atono. Aggrottai le sopracciglia e mi rilassai al suo
fianco, sotto le coperte, tentando di mantenere un minimo di controllo
sulla mia mente e non solo. -No, voglio che mi
baci ancora-. Disse decisa, sottovoce. Mi voltai sconvolto verso il suo
viso. Ci guardammo per un breve attimo e io rabbrividii. Era ancora il
suo compleanno? Sperai fosse passata la mezzanotte. -Sopravvaluti il mio
autocontrollo-. Commentai, distogliendo lo sguardo dal suo e cercando
un buon motivo per non continuare quella discussione. Ero consapevole
di cosa sarebbe successo e non sapevo se ce l’avrei mai fatta
a baciarla ancora senza morderla. Era troppo tenera e accondiscendente,
gustosa… Ma lei non aveva
alcuna intenzione di lasciarmi vincere la sfida e si accostò
a me, più vicina, facendo ancora aderire i nostri corpi.
L’Inferno mi avrebbe fatto meno male, mio dio! Non sapeva
cosa stava facendo. Non sapevo cosa mi facesse più paura, se
risvegliare l’uomo in me o il vampiro. -Cosa ti tenta di
più: il mio sangue o il mio corpo?-. Mormorò
curiosa contro il mio collo. Non lo sapevo, ma in quel momento avrei
dato qualunque cosa per entrambi. Anche la mia eternità, il
mio cuore, tutto… non c’era nulla che non avrei
gettavo via per averla. Nulla che valesse la pena di trattenere.
Perché lei era l’unico mio desiderio, il
più profondo, il più bestiale e carnale. -L’uno e
l’altro-. Ammisi senza pensare, sfiorandole la guancia con un
bacio. Ma a nessuno dei due bastò, quella serata non sarebbe
ancora finita. Sospirai sulle sue labbra, sperando di avere abbastanza
controllo su di me per un secondo bacio. Mi ero sottovalutato,
perché la sua bocca questa volta mi diede molto piacere. Il
dolore si era assopito, mi sentivo anestetizzato da lei, succube. Ero
saturo del suo profumo ed ero sulla soglia della pazzia.
Perciò lasciai che Bella mi seducesse con le labbra. Mi
rilassai sul cuscino e abbandonai la bocca alla sua. Il mio piccolo
Bambi afferrò il mio mento con una mano e mi
succhiò le labbra con avidità,
curiosità e dolcezza. Trattenni il respiro quando le sue
dita scesero sul mio torace e si fermarono all’altezza del
cuore. -E se ti dicessi che
io lo sento vibrare?-. Sussurrò Bella sulla mia bocca,
facendomi ammutolire. Avrei voluto gridare. A volte anche io sentivo un
singhiozzo di vita stringere quell’organo esanime, ma non mi
illudevo, ormai ero solo un morto. -Senti…
Edward?-. Mormorò scivolando con la mano sotto la t-shirt e
risalendo sul mio torace, provocandomi brividi d’emozione.
No, non sentivo nulla, perché non c’era nulla da
ascoltare. Da più di cento anni non c’era nulla
che avrebbe fatto la differenza e non ci sarebbe mai stato. Dentro di
me era tutto privo di vita, ero solo una macchina distruttrice e
lei… lei doveva rendersene conto. Scossi la testa,
improvvisamente disgustato da me stesso, e lei mi alzò la
maglietta, pregandomi con lo sguardo di aiutarla. Dove voleva arrivare?
La sollevò fino all’altezza del collo e
accarezzò la mia pelle dura come il marmo sotto il mio
sguardo attento. -Ho bisogno di un
altro regalo-. Bisbigliò insicura, la voce tremante.
Assottigliai le palpebre, uno strano presentimento a farmi da padrone.
Si chinò sul mio orecchio. –Ti prego, chiudi gli
occhi e non guardare. Fidati di me-. Concluse lasciandomi senza parole.
No, non potevo farlo. Il problema non era lei, ma io. Non mi fidavo di
me stesso, non mi ero mai fidato. I suoi occhi mi guardarono,
supplicanti e io non me la sentii di rifiutarle quel favore. Dovevo
solamente stringere i denti per quella notte, solo una notte,
l’ultima… per l’eternità. Non
avrei fatto altro che tenere nel mio cuore quell’ennesimo
ricordo, quella dolcezza. Decisi di accettare quella richiesta e chiusi
le palpebre, aspettando di capire cosa volesse da me. Era frustrante
non poterlo leggere nella sua mente. Poi sentii il suo
profumo, intenso, farsi più forte. Al mio orecchio non
sfuggì il rumore della stoffa e per un attimo un brivido di
apprensione mi fece fremere. Scacciai dalla mia mente quei pensieri e
continuai a mantenere la mia promessa. Non avrebbe fatto nulla di
così incosciente… lo sperai almeno. Sentii il
materasso piegarsi e Bella muoversi su di me. Non volevo capire, ma
dentro di me sapevo. La sua pelle venne a contatto con la mia, i suoi
seni si schiacciarono sul mio torace e io sentii la voglia di spaccare
qualcosa farsi insostenibile. Pazza, dolce e terribile folle. Percepii
la sua bocca sfiorarmi la guancia, il suo stomaco sul mio, le sue
costole morbide contro le mie, il suo sangue a disposizione del mio
corpo morto. -Non fare niente, sta
solo zitto-. Mormorò il mio cerbiattino, sistemandosi meglio
e iniziando ad accarezzarmi i capelli con la mano. Rimasi in silenzio,
il dolore acuto mi attraversava la pelle dura e deglutii veleno.
Strinsi le coperte aspettando che quel momento di infinita sofferenza
passasse, ma quel seno morbido e invitante mi stava facendo
correre la mente verso pensieri impossibili. Sentivo i suoi capezzoli
turgidi ed eccitati contro di me. Aveva forse freddo? O ero io a fare
questo effetto? -Stai bene?-.
Bisbigliò ancora. Non le risposi. Non stavo affatto bene, ma
come potevo dirglielo? Soffocai un gemito sul cuscino, non sapevo se di
piacere o di dolore, e mi imposi controllo. Dovevo farlo almeno il
giorno del suo compleanno, almeno quella notte. -Starei meglio
se… non l’avessi fatto-. Ringhiai deciso
appoggiando le mani sulle sue spalle. Ma i suoi occhi mi pregarono di
aspettare e io la lasciai, abbandonando le dita sul lenzuolo. Ma
perché ero così maledettamente idiota da darle
retta? -Edward smettila di
pensare-. Mi intimò dolcemente accarezzandomi il viso. Forse
lei non si rendeva minimamente conto di quello che stava scatenando
dentro di me. Non era divertente. La rabbia, l’istinto, i
miei sensi impazziti… Rischiavo di diventare violento, privo
di freni, un animale da caccia. E i suoi seni non mi aiutavano certo a
ricordare quanto fossi tenero e gentile. Sentivo una bestia corrodermi
le viscere, avrei voluto mangiarle quelle rotondità a morsi.
Non poteva nemmeno capire l’effetto che avevano su di me i
suoi capezzoli. Sentivo il suo sangue scendere su quelle piccole vene
morbide e tentarmi. Un piccolo morso su quelle punte rosee e avrei
mandato all’Inferno entrambi. Bella era un’
incosciente, assolutamente priva di qualsiasi freno e paura...
dannazione! Sapevo che mi desiderava, sapevo come mi guardava, ma
doveva stare attenta… doveva… -Frena, ti prego.
Smettila-. Continuò appoggiando la guancia sulla mia. Di
nuovo il suo profumo. Aveva deciso di far finire il mio mondo
così, di farmi sentire un vero schifo. Volevo gridarle di
togliersi, sgridarla, ma non riuscivo a farlo. Ero imbambolato, come
impietrito. Una parte di me esultava felice e voleva di più,
desiderava lei. -Bella, dammi una
buona ragione per…-. Iniziai a dire, la voce alterata, roca.
Ma lei mi baciò, le labbra sulle mie, la bocca stretta sulla
mia lingua, e la voglia di non farmi pensare a niente così
forte che non avrei più sentito nessun neurone nel mio
cervello. Ero completamente suo ed estasiato dal piacere che mi stava
dando, ma terrorizzato. -Rilassati, non
farò nient’altro-. Mi rispose scostandosi di
scatto. Ci provai. Per lei, per me, perché potesse avere una
fine. Tremai e mi abbandonai alle coperte, cercando di concentrare la
mente su tutt’altro. -Non ci provare-.
Sussurrò contro il mio orecchio. –So che puoi
farlo. Senti me. Non portare la tua testolina lontana da me-. Concluse
baciandomi leggera una guancia. Sospirai chiudendo gli
occhi e concentrandomi sulla pelle dei nostri corpi unita. Sentii le
sue vene, la sua pelle, il suo seno, ma anche i miei muscoli tesi,
l’attrazione dura e implacabile, la morbidezza della sua
carne e per ultimo il battere forsennato del suo cuore. Bella si
rilassò contro di me, completamente, e io ascoltai quel
pulsare feroce e singhiozzante fino a quando la mia cassa toracica non
rispose a quel battito. Sentii il mio petto contrarsi e rilassarsi
sotto quel boato continuo e incessante. -Tum-tum-.
Bisbigliò ancora il mio piccolo Bambi vicino al mio
orecchio. Le afferrai la nuca portandola contro di me, stringendola
spasmodicamente e ignorai tutto il resto, percependo solamente il suo
cuore battere dentro di me. Roccia contro morbidezza… -Tum-tum-.
Mormorò sul mio zigomo, bloccata dalla mia mano. Rilasciai
la stretta, sperando di non averle fatto male. Ero affascinato da quel
suono, forse troppo. Sentivo il suo respiro dentro di me, il suo cuore
dentro il mio, diventare il mio e per un attimo ebbi la sensazione di
essere tornato in vita. Era ridicolo, totalmente illogico e
assurdo. Ma forse, forse era solo amore. -Bella…-.
Sussurrai rapito. Aveva saputo incantarmi e stupirmi ancora una volta.
Sorrise sulla mia bocca. Aveva capito cosa volevo dirle. Solitamente
ero io a leggere dentro le persone, ma lei riusciva a farlo dentro di
me con una chiarezza che mi faceva paura. Le accarezzai una guancia
dolcemente con un dito. -Ora, perché non smetti di sfidare
la sorte e ti metti a dormire?-. Le dissi sperando di ricevere una
risposta affermativa. Non avrei resistito ancora a lungo. Deglutii,
sentendo ancora il suo cuore farmi stringere il petto, e
un’intensa voglia di lei mi fece gemere piano. -Va bene-.
Mormorò in fretta, alzandosi col busto e afferrando la sua
maglietta. Sospirai ringraziando il cielo per quella grazia. Si
infilò quella sorta di top attillato e si
rannicchiò accanto a me, poggiando la testa sul mio petto.
Nessuno dei due sembrava aver voglia di parlare. Mi rilassai
finalmente, consapevole della sua dolcezza che riuscì a
commuovermi. Il suo amore per me era immenso. La sentii scivolare
lentamente nel sonno, nonostante non avesse affatto voglia di dormire.
Era molto stanca. Mi ritrovai ancora solo a pensare e guardai il
soffitto con la mente affollata di perchè. Cosa sarebbe
successo? Ero confuso, ma dentro di me sapevo di non potermi
più tirare indietro. Lei mi amava, non avrebbe mai scelto da
sola. Ma io conoscevo bene la risposta. Sarebbe stato meglio per Bella
che non mi avesse mai conosciuto. Rischiava troppo per me, ogni singolo
secondo, e quel giorno ne era una definitiva e chiara dimostrazione.
Dovevo andarmene via, permetterle di vivere una vita felice, al sicuro
dai guai. Perché, anche se non volevo ammetterlo, il peggior
pericolo per lei ero io. Solo io. Se non fossi esistito il mio piccolo
cerbiattino avrebbe continuato a vivere una vita normale. Avrebbe
dimenticato, prima o poi mi avrebbe dimenticato. Ne ero certo. Il cuore
umano era fatto per ricucire ogni ferita. Avrebbe trovato un nuovo
ragazzo che l’avrebbe amata come io non potevo fare. Per un
attimo dubitai che ci fosse qualcuno in grado di amarla con la mia
stessa intensità, ma ammisi a me stesso, per
l’ennesima volta, che le mie erano solo scuse. Avevo paura.
Paura di lasciarla… ero terrorizzato. -Devo
farlo…-. Mormorai baciandole candidamente la fronte. Provai
una profonda pena. Solo il pensiero di allontanarmi da lei mi strappava
il cuore dal petto e mi gettava in uno stato di dolore inimmaginabile.
Avrei sofferto per l’eternità, ma per lei avrei
fatto questo e altro. Non avrei mai potuto dimenticare, mai, Bella era
tutto per me, ma dovevo darle la possibilità di amare un
essere umano, perché era nata per questo, non era mia. -Ti amo, amore mio.
Con tutto il cuore-. Le confessai ancora, ben sapendo che non poteva
rispondere. La strinsi a me e la sentii rabbrividire contro il mio
torace. Avrebbe iniziato a parlare come sempre? Sì, forse
sì. -Edward…-.
Il mio nome sulla sua bocca riusciva sempre a farmi sorridere. Non
volevo perdermi, non volevo. Senza di lei non avrei visto
più i colori, non ci sarebbe stato più nulla. Non
volevo morire ancora. No… se solo fossi stato un essere
umano! Sentivo solo una grande angoscia dentro di me. Le afferrai un
polso accarezzandolo gentilmente. -Dimmi-. Le dissi
sperando che non continuasse a parlare. Ma ormai la conoscevo troppo
bene. -Non è
stata colpa tua. Non è mai stata colpa tua… io ti
ho voluto fin dall’inizio. Tu sei tutto per me, la mia vita,
la mia anima. Ogni cosa-. Mormorò tutt’ad un fiato
facendomi tremare. La abbracciai come un tesoro prezioso e le baciai le
labbra tumide di baci, sperando di non svegliarla. Come potevo essere
ancora così egoista? Dopo quelle parole mi decisi. Le avrei
donato la libertà. Era giusto, lei doveva scegliere. Pregai
il cielo, una qualsiasi divinità, di non farmi mai conoscere
l’uomo che l’avrebbe avuta al mio posto,
perché sentivo che l’avrei ucciso, dimentico del
mio buon senso. -Da domani tutto
cambierà. Perdonami-. Bisbigliai scostandole i capelli dalla
fronte. – E grazie, piccolo Bambi-. Sorrisi nel sentire quel
nomignolo sulla mia bocca. Non mi ero mai permesso di chiamarla
così. Per tutta la notte non feci che guardarla,
imprimendomi nella mente ogni sua espressione, ogni più
piccolo movimento. Non avrei lasciato nulla di quel momento. La mattina
arrivò troppo presto e io mi feci trovare già in
piedi. Bella mi sorrise, cercandomi con le mani, ma io mi scostai. Una
maschera di pietra. Dovevo chiudere il mio cuore in una gabbia di
indifferenza, tornare al nulla che mi aveva sempre avvolto. Per lei,
per lei, per lei, solo per lei. -Buongiorno-. Mi
sorrise, radiosa, ma io non le sorrisi. Mi permisi un cenno veloce con
il capo e la salutai. Volevo andarmene, dovevo farlo, e parlare con la
mia famiglia. Ormai avevo deciso. -Edward…-.
Mi disse, lo sguardo preoccupato e morente. Le sfiorai la fronte con le
labbra, mentendole spudoratamente, e scappai via, lasciandole
l’amaro in bocca. Dovevo solo prendere
coraggio e parlarne con gli altri e dovevo farlo al più
presto. Sapevo che nessuno di loro l’avrebbe presa bene,
tantomeno Rosalie. E Alice poi… con lei avrei dovuto
combattere. Adorava Bella e si sarebbe opposta con tutte le sue forze,
ma sapevo di poter contare sull’aiuto di Jasper e
l’avrei fatto. Lui sentiva di essere in debito con me, avrei
sfruttato questo. Con Carlisle ed Esme forse sarebbe stato
più semplice. Per mio padre diventava difficile dimostrare
la sua età e, anche se non voleva darlo a vedere, per lui
era una continua preoccupazione, potevo sentirlo. Avrei fatto leva
sulle sue paure… Per un attimo dovetti
appoggiarmi ad un tronco, sofferente, e farmi forza. Se non
l’avessi lasciata tutto prima o poi si sarebbe distrutto,
compresa la vita di Bella. Le avrei solo rovinato
l’esistenza. Ogni cosa doveva cambiare e avrei portato a
termine il mio piano con le buone o con le cattive. Non mi importava
più di nulla ormai.
E'
mezzanotte. Ma come mai Nadir lo scrivo la sera tardi? Strano. Si vede
che il buio mi ispira per le cose tristi e avverto... questo capitolo
sarà un po' triste. Iniziamo il terzo capitolo di New Moon,
proprio quanto Bella avverte Edward distante e non capisce cosa sta
succedendo. Ho vissuto quei momenti con lui, veramente, e, anche se mi
sembra irrazionale, l'ho amato tanto. Un uomo innamorato è
capace di qualsiasi cosa, un vampiro innamorato è capace di
uccidere tutto per amore, se stesso, i suoi ricordi, la sua anima. E'
triste, ma spero di aver reso la sua sofferenza reale e palpabile.
Ragazze... il prossimo capitolo non so dove arriverà, ma
quello dopo ancora prendete i fazzoletti, perchè
è il momento dell'abbandono. E poi sarà una
tragedia. Non so come la prenderà Edward, non posso dirlo,
lui vive da solo nelle mie parole. Non posso assicurare che non
esagererò, lui in fondo è un vampiro un po'
esagerato, ma non credo che avrà un'altra donna, come ho
anche già detto. Qui si parla di reazioni del suo corpo, di
desiderio, di solitudine e di voglia di stare con Bella. Andremo avanti
insieme in quest'avventura spero. Mamma mia! Piangeremo lacrime amare!!
Posso
ringraziare chi ha commentato? Come sempre molto gentilisissimissime. E
grazie anche a chi ha messo Nadir tra preferite, seguite, ricordate. Un
bacione grande e buona lettura!!! Malia
Famiglia
Aprii lento la porta
di casa e immediatamente un urlo squarciò il silenzio.
Troppo irreale quella calma per essere vera. Sapevo cosa sarebbe
successo di lì a poco, i pensieri furiosi di Alice si
riversarono su di me e io non feci nulla per fermarli. -No, no, no!-.
Urlò ancora saltando dalle scale giù in salone.
Non l’avevo mai vista in quello stato. Ovviamente
già sapeva, non c’era alcun bisogno che
intervenissi io per dirle quello che sarebbe successo. Presa la
decisione, lei avrebbe visto. Avrei dovuto sospettarlo. Rimasi in silenzio,
chiudendo lentamente la porta e chinando la testa, colpevole. -Ti prego, Edward. Non
farlo!-. La sua voce piccola e acuta, musicale, mi supplicò
con un tono che non le avevo mai sentito prima. Non risposi, ormai
certo, e lei si accostò a me, afferrandomi per un braccio. -Non lo capisci?
Così la ucciderai…-. Mormorò cercando
i miei occhi. Lessi nei suoi pensieri un’angoscia profonda,
ma non me ne curai. Non poteva immaginare come mi sentissi io, come il
mio cuore si struggesse alla sola idea di allontanarmi da lei. -Non ha senso-.
Continuò stringendomi forte e abbracciandomi di slancio.
–Lo avrebbe se lei non ti amasse, ma tu sei la cosa
più preziosa che ha. Edward…-.
Sussurrò ancora vicino al mio orecchio, baciandomi una
guancia con dolcezza. Fu una carezza per il mio spirito, ma certo non
sarebbe bastato per farmi tornare sui miei passi. Se lei aveva visto
qualcosa allora sapeva già che sarei stato irremovibile. -No, Alice-. Le dissi
perentorio sciogliendomi dalla sua stretta gentile. Il mio dolce
folletto… mi aveva appoggiato in quella pazzia solo per
vedermi innamorato, felice finalmente, e ora mi vedeva di nuovo
soffrire. Quanto dolore avrei causato alla mia famiglia? Era colpa mia,
solo colpa mia, ma mi sarei preso quella responsabilità. Era
una promessa. -Sei un fratello per
me, lo sai… sei la persona che amo di più dopo
Jasper. Sei entrato nel mio cuore e mi hai compreso. Ricordi quanti
giochi, quanti bei momenti insieme?-. Iniziò lei facendomi
scuotere la testa. Conoscevo la risposta, sapevo dove voleva arrivare,
lo leggevo nella sua mente. Non sarebbe cambiato nulla, ero deciso a
lasciare Bella, a darle la possibilità di vivere
normalmente. Possibile che fosse così difficile da capire? -Edward, non ti ho mai
visto così. Il tuo sorriso, la tua voglia di vivere, la tua
umanità… sei sbocciato come un fiore. Il ragazzo
che eri ora vive in te… non lasciare che muoia ancora ti
prego, ti supplico. Non so come scongiurarti…-. Concluse
congiungendo le mani in una preghiera buffa e un po’ fuori
luogo. Sorrisi della sua dolcezza e inevitabilmente mi avvicinai ad
accarezzarle la testolina arruffata. Quanti giochi davvero e quante
risate insieme… ma questo non avrebbe cambiato la
realtà dell’unica ragazza di cui mi ero
innamorato. Bella doveva vivere serenamente, era una vita normale che
meritava. E io mi sarei ucciso per darle la possibilità di
amare ed essere riamata da essere umano qual era. -Il mio cuore
sarà sempre suo…-. Sussurrai quando i suoi
occhioni dorati da veggente si puntarono commossi su di me. Per Alice
stavo facendo una cosa illogica, senza senso, ma per me quel non senso
avrebbe dato significato alla vita di Bella. Perciò non
sarebbe esistito altro proposito fino al momento in cui il mio cuore
avrebbe di nuovo smesso di sentire tutto, di esistere. -Anche il suo ti
appartiene, e lo sai. Lo sai!-. Gracchiò con voce stridula,
stringendomi una mano tra le sue. La guardai sospirando e scuotendo la
testa. Certo, quello era il presente, ma entrambi sapevamo bene che non
sarebbe sempre stato così. Gli umani erano soliti cancellare
in fretta il dolore, erano creature affascinanti, nonostante cercassero
le sofferenze a volte se ne dimenticavano perché
intolleranti. Da un lato ne ero sempre rimasto affascinato e capivo
perché la mia famiglia non accettava di nutrirsi di
loro… -Non lo
sarà per sempre. Si innamorerà di un altro
e…-. Prima che potessi terminare la frase uno schiaffo mi
arrivò in pieno viso e sentii la sua mano vibrare e fermarsi
sulla mia guancia. -Non lo fare, ti
scongiuro!-. Gridò mia sorella sfiorandomi lentamente e
abbassandomi il mento verso il suo viso. –Se tu le sarai
vicino, non sentirà mai il bisogno di un altro uomo. Tu le
dai tutto te stesso…-. Continuò Alice dolcemente,
disegnando sulla mia pelle delle carezze gentili di comprensione. Non
era abbastanza “tutto me stesso” per metterla al
sicuro dai pericoli, da me, dal mostro che ero. -Sai bene che presto
rischierà la vita a causa mia-. Le dissi sincero senza
troppi giri di parole. Prima o poi quel desiderio mi avrebbe portato a
fare cose di cui mi sarei pentito. Perché non era abbastanza
il mio autocontrollo. Io la volevo proprio come un ragazzino immaturo e
scemo che non vedeva l’ora di fare l’amore con la
sua ragazza. Mi sentivo idiota e ridicolo, fuori luogo e costantemente
sotto pressione. Insomma… umano. -Ti senti umano vero?
Ti senti come se da un momento all’altro dovessi perdere una
parte di te stesso e hai paura. Edward è l’amore.
Quando fai l’amore con una persona è
inevitabile… tu hai sempre avuto un grande controllo su te
stesso, ma ora hai trovato qualcuno con cui poter essere quello che
sei-. Mormorò convinta e sincera. Era dolce, le sue parole
lo erano, ma non poteva capire come mi sentivo ogni volta che le stavo
vicino. Jasper non era umano, lei non doveva vivere quel costante
terrore di poter perdere il controllo, ferire, far del male alla cosa
più preziosa che aveva. Per me Bella era semplicemente tutto
il mio mondo, era me, le avrei affidato il mio cuore per sempre, con o
senza me stesso presente. Non mi importava altro, solo che lei fosse
felice. -Amerà un
altro-. Tagliai corto passandole davanti e raggiungendo velocemente le
scale. Non volevo discutere con lei, non avevo argomenti. Avrebbe
cercato di convincermi che l’amore poteva vincere su tutto,
che avrebbe sempre trionfato… ma non era così per
un vampiro ed un’umana, lo sapevamo entrambi. -Io non me ne
andrò-. Affermò decisa puntando i piedi in
salone. Sorrisi e la guardai con gli occhi di chi la sapeva
più lunga. Non avrei convinto lei, perché non
avrebbe mai lasciato Forks. La mia risposta era un’altra. -Jasper…-.
Mormorò Alice correndo verso le scale e afferrandomi
saldamente per la maglia. –Non farmi questo!-.
Urlò di nuovo, ma io non la ascoltai e iniziai a salire le
scale. Sarebbe bastato parlare con mio fratello e poi non ci sarebbe
stato più nessun problema. Semplice. Alice non avrebbe mai
lasciato da solo Jasper, per quanto io fossi importante per lei non lo
ero quanto lui. Jazz era l’amore della sua vita,
l’unico uomo che l’aveva compresa e amata come
Alice non aveva mai accettato nemmeno lei stessa di fare. E se lui
avesse accettato di andarsene, lei lo avrebbe certamente seguito. -Jazz, no!-.
Urlò ancora mia sorella. La trascinai con me fino alla loro
stanza e aprii di scatto la porta, trovando Jasper immerso nei propri
pensieri e ritto di fronte alla finestra. Era tutto
così ridicolo. Non avrei mai pensato che potesse succedere
una cosa simile. Vedevo la mia famiglia distruggersi e crollare senza
poter fare niente per fermare tutto. Ero stato io a volerlo,
io e il mio amore impossibile e ora non facevo che peggiorare ogni
cosa. Jasper si voltò, guardandomi complice, e io lo pregai
con gli occhi e con il cuore di aiutarmi. Silenzio… nessuno
dei due parlò, non c’era bisogno di farlo, lui
poteva sentire il mio dolore, il mio trasporto, e io potevo percepire i
suoi pensieri. Aveva sofferto nel fare del male a Bella, aveva
desiderato di poter scomparire e allontanarsi per diventare forte
abbastanza da non fare più soffrire un essere umano. -Sono in debito con
te, fratello-. Disse appena. E io capii che mi aveva capito. Non
pensavo che l’avrebbe fatto, ma l’aveva fatto e
quello contava. Ero distrutto, mi sentivo stanco e spossato come un
semplice umano. Mi appoggiai con la schiena allo stipite e sentii Alice
avvicinarsi al suo amore e guardarlo incredula. -Non capisci. Non ha
senso…-. Disse appena, la voce debole e lontana. Aveva
già visto cosa sarebbe successo, i suoi pensieri erano
entrati dentro di me non appena Jazz aveva parlato. Sarebbero andati a
Denali e lì avrebbero vissuto insieme al clan
dell’Alaska fino a tempo indeterminato. -Per Edward lo ha-.
Sussurrò Jasper semplicemente abbozzando un sorriso
comprensivo. –Sarà quello che deve
essere… lo sai…-. Terminò poi,
enigmatico. I miei sentimenti si sgretolarono come frammenti di uno
specchio e uno andò inevitabilmente a cadere su quel
momento. Avevo perso mia sorella, lontana con il cuore da me,
ma dovevo ignorare anche quella sofferenza. Lei non mi capiva,
né voleva capirmi, ma avrebbe seguito Jasper e questa era
stata la mia arma vincente. In quanto a lui i sentimenti che provava
erano sensi di colpa vivi e pungenti. Facevo leva su
quell’emozione. Non l’avrebbe fatto se non avesse
prima commesso un errore, in questo modo lui pensava che fossimo pari. -Grazie-. Mormorai
passandomi una mano tra i capelli. Alice scivolò in
ginocchio al centro della stanza e il suo dolore lacerò sia
il mio cuore che quello di Jasper. Sentii i suoi pensieri incoerenti
come un fiume in piena, parole piene di rancore e di odio nei miei
confronti per aver rovinato tutto. Lei amava Bella, amava la mia
felicità, amava Forks… Alzai lo sguardo verso
Jazz, il suo viso era una maschera impassibile, ma i suoi pensieri
erano puro dolore. Soffriva per quello che sentiva dentro. La forte
sofferenza di Alice lo stava portando a impazzire di dispiacere. Li
avrei lasciati soli, dovevano pensare, parlarsi e stare insieme. -Partiremo oggi per
Denali-. Bisbigliò Alice fissando sconvolta il pavimento. Mi
voltai senza dire nulla. Ora avrei dovuto affrontare il resto della
famiglia. Rosalie ed Emmett evidentemente non c’erano, forse
erano andati a caccia, mentre Carlisle era di turno quella notte. Ed
Esme? Probabilmente era a caccia anche lei. Decisi di cambiarmi
velocemente ed andare a scuola. Lì avrei cominciato a
recitare la mia parte. Ora sapevo cosa fare, non potevo più
tirarmi indietro. Non l’avrei fatto per niente al mondo. Mi
sedetti sul divano della mia camera e guardai il vuoto fino a quando
non sentii la mia mente chiedere al mio corpo di muoversi.
L’avrei lasciata, avrei abbandonato l’unica ragione
della mia vita… folle, pazzo… masochista. Scesi le scale in modo
automatico, perdendomi per la strada che mi avrebbe condotto a scuola.
Vedevo i lampioni scorrere e passare, le mie mani appoggiarsi come
sempre al volante, ma non sentivo più mia quella
realtà. Non c’era più posto per me, non
c’era più. Parcheggiai sentendomi fuori luogo e
inspirai chiudendo gli occhi. Una strana sensazione di disagio mi colse
e io capii di stare provando paura. Era la stessa identica emozione che
mi aveva colto quando James aveva morso Bella. Angoscia, ansia, paura
di perdere tutto ciò per cui vivevo. E ora… ora
io stesso mi sarei strappato dal petto il mio cuore. Scesi guardando il suo
pick-up scivolare sull’asfalto bagnato e mi diressi verso di
lei. Dovevo dimenticare quei sentimenti, accantonarli per sempre. La
aiutai a scendere dal suo furgone malconcio e mi sentii lontano mille
miglia nel tempo e nello spazio. Mi sembrava tutto distorto, come se la
stessa realtà mi stesse imponendo di rigettare la mia vita
per lei. -Come ti senti questa
mattina?-. Azzardai, il tono spento e assente. Dio mio,
dov’ero? Non c’ero più. Ero
già scomparso. Dove stavo piangendo le mie impossibili lacrime? In
quale parte del mio cuore mi ero nascosto per poter dare sfogo al mio
dolore? Non sentivo più nulla. -Splendidamente-. Mi
rispose a disagio. Ignorai il suo scombussolamento, dovuto al mio
palese cambiamento, e insieme ci dirigemmo verso le aule. La giornata
passò e io mi sentii lo stesso ragazzo che un anno prima
aveva smarrito la sua strada. Non la degnai mai di uno sguardo, attento
alla natura circostante, alla pioggia che batteva lenta sul vetro della
finestra. Appena qualche tempo prima mi ero domandato che ne sarebbe
stato della mia esistenza eterna, senza scopo e ora la stessa identica
domanda. Che ne sarebbe stato di me senza di lei? Prima un sole di
mezzanotte, ora solo… Nadir. Il punto più basso
dell’orizzonte, più sconosciuto e buio, infimo e
assolutamente scuro. Non c’era niente che potesse sollevarmi
da quella condizione di oscurità, ormai sentivo un vuoto
profondo divorarmi l’anima e gettarmi in uno stato di
semi-incoscienza. Eppure non ero morto e Bella era ancora
lì, al mio fianco. La guardai e insieme ci dirigemmo verso
la mensa. Era bella, il mio cerbiattino, il sui viso dolce era
attraversato da paura e incredulità. Cosa stava
succedendo? Avrei voluto allungare la mano e accarezzarla, dirle che io
stavo soffrendo, ma che la sua vita non avrebbe più dovuto
sopportare il peso di una diversità tanto palese. Lei aveva
diritto di vivere ogni felicità in modo normale. Ci sedemmo e io
continuai a fissarla con la coda dell’occhio. Quanto
amore… dentro di me per lei. Non riuscivo a contenerlo, non
c’era possibilità che potesse assopirsi o essere
dimenticato. Improvvisamente i nostri corpi si sfiorarono e io la
sentii rabbrividire. Alzò lo sguardo, intimidita, e mi
chiese di Alice e Jasper. Le dissi una mezza verità. Erano a
Denali in fondo, ma non per quello che pensava lei. Aspettai che
finisse di mangiare, rimanendo nel mio mutismo e continuando a guardare
da tutt’altra parte per non permetterle di afferrare il mio
spirito. Dovevo dimenticare di appartenerle, altrimenti non sarei mai
riuscito a lasciarla. Le sfiorai il braccio ferito, dandole sollievo, e
percepii un lieve tremito nella sua pelle morbida. Che buon profumo,
che dolcezza… per un attimo ancora mi volli permettere un
momento, un solo momento di lussuria gentile e le toccai il polso
gioendo di quel contatto. Ma fu un solo istante, poi ci alzammo e
dirigemmo di nuovo in classe. E il tempo passò, inesorabile
e ricordarmi quello che dovevo fare… Scoprii presto di
essere avvantaggiato, Bella avrebbe dovuto lavorare quel pomeriggio. Le
promisi di raggiungerla la sera a casa, non senza una smorfia di
dolore, e mi resi conto che il mio cerbiattino aveva notato il mio
palese cambiamento. Probabilmente si stava dando la colpa di questo,
forse si stava chiedendo cosa avesse fatto di male, ma non
c’era alcuna risposta a quella domanda. Non aveva fatto
niente, ero io che avevo preso la mia decisione irremovibile. Comunque
fossero andate le cose, le avrei permesso di vivere una vita senza un
animale, un mostro alle calcagna. Tornai a casa, non
sapevo se sconsolato o forte delle mie scelte. Salii le scale che mi
dividevano dalla porta, ma questa volta non fui io ad aprirla, ma
Rosalie. Era arrivato il momento di affrontare anche lei. Chiusi gli
occhi ed entrai, guardando mia sorella incrociare le braccia al petto e
fissarmi sconvolta. Ero stanco, terribilmente stanco, non avevo voglia
di combattere contro di lei. -Scordatelo, io per i
tuoi errori non ci rimetto-. Parlò dura e spietata, con uno
sguardo che non ammetteva repliche. Alice pensava forse di riuscire a
convincermi tramite lei? Sorrisi incredulo. Rose non sarebbe riuscita a
fermarmi, per quanto mi riguardava poteva rimanere da sola in quella
casa a Forks. -Fai come vuoi-. Le
dissi ridacchiando e vedendola ammutolire sconvolta. –Rimani
pure. Io me ne vado-. Continuai imperterrito. Si sbagliavano di grosso
se pensavano di riuscire a far cambiare i miei propositi. Era
praticamente impossibile. Mi stiracchiai sotto lo sguardo attonito e
scandalizzato di mia sorella, che a malapena riusciva a riconoscermi. -Tu sei pazzo. Prima
te la prendi, mettendo a rischio tutta la famiglia, e ora decidi di
lasciarla e rovinarci così? Tu sei malato-.
Continuò lei facendomi sbottare a ridere. La mia cara e
dolce Rosalie, lei sì che sapeva come farmi sentire meglio.
Amato più che altro. Ero precisamente d’accordo
con lei. Avevo commesso una pazzia e ne avrei pagato le conseguenze, ma
non avrei trascinato la famiglia con me, se non era questo che loro
volevano. -Ti ripeto. Rimani-.
Le dissi passandole di fronte e salendo le scale, calmo e tranquillo. Rose mi
seguì con lo sguardo assorto. -E’
incredibile come sei diventato idiota da quando quella ragazzina
è entrata nella tua vita. Se non fossi mio fratello ti avrei
già strozzato-. Concluse esasperata guardandomi e
mordicchiandosi le labbra. Mi fermai e mi girai verso di lei, colpito. -Rosalie…-.
La chiamai, ma non era tipo da mostrare così chiaramente il
suo dispiacere. -Eppure mi sembravi
così felice-. Sussurrò portandosi una mano a
sistemare i suoi capelli perfetti. Sorrise amaramente e mi
voltò le spalle, in modo che non potessi guardarla in viso.
Avrei potuto comunque leggerle nella mente, ma non lo feci, sapevo
quanto le dava fastidio. -Sono cresciuta con
te. Conosci ogni cosa di me. E ancora mi chiedo perché tu lo
stia facendo…-. Commentò atona togliendosi un
pelo immaginario che le era caduto sulla gonna. Mi appoggiai alla
balaustra e sospirai, chiedendo a me stesso la stessa cosa. La risposta
non era così difficile. Per amore a volte si facevano le
cose più sciocche, anche le più assurde, e solo
per la persona che si “credeva” di amare. Rose
sapeva questo. -Dovresti
immaginarlo…-. Le dissi semplicemente. La vidi annuire, ma
non disse altro per alcuni secondi. Per un attimo pensai che sarebbe
rimasta in silenzio, ma poi sentii un piccolo rumore venire dalle sue
labbra. -Non stai facendo la
cosa giusta. Non la posso soffrire molto, lo sai, è un
po’ imbranata, ma… ti rende felice-.
Terminò voltandosi e guardandomi negli occhi. Anche Rose mi
voleva bene e si preoccupava per me. A volte dimenticavo che era stata
la prima persona con cui avevo condiviso le mie sofferenze da vampiro.
A lei avevo confidato cose di me che non avevo osato dire ad Esme e
Carlisle. -Rose, lei potrebbe
essere più felice senza di me-. Commentai sperando che
capisse. Lei mi guardò allibita, scuotendo il capo, e
sogghignò amaramente. -Nessuna donna
potrebbe essere felice senza di te. Idiota-. Concluse sincera facendomi
imbarazzare. Dimenticavo ogni volta quanto fosse schietta e immediata.
Respirai appena, scendendo uno scalino, ma la ritrovai subito al mio
fianco, le braccia intorno al mio collo e il corpo addossato al mio. -Va bene. Sei mio
fratello… ma non farti vedere soffrire da me. Chiaro? Se lo
farai non ti ascolterò mai più, non ti voglio
vedere con lo sguardo afflitto e distrutto-. Terminò
stringendomi forte. Ricambiai quell’abbraccio permettendomi
di affondare il viso tra i suoi capelli biondi e profumati. Per un
attimo mi sentii sollevato. Non ero solo. La mia famiglia sarebbe stata
al mio fianco fino alla fine. Saremmo stati insieme. -Ne parlerò
con Em. A lui piace… emh… Bella. Non gli
piacerà questa faccenda, ma non sarà un
problema-. Disse a bassa voce. Un
piccolo singhiozzo le sfuggì dalle labbra e io percepii il
dolore nei suoi pensieri. Le costava fatica allontanarsi dalle sue
abitudini, da tutto ciò che considerava famiglia, ma
l’avrebbe fatto per me, l’avrebbe fatto
perché sapeva che cosa l’amore portava un vampiro
a compiere. Lei si era innamorata di un umano e aveva fatto di tutto
per salvarlo… un secondo che gli sarebbe valso la vita
eterna, ma Emmett era lì con lei e lui aveva cambiato tutto
il suo mondo. -Spero solo che ne
valga la pena campione. Anche se secondo me te ne pentirai-.
Mormorò facendomi ricordare i passati momenti in cui
andavamo insieme alle partite di baseball. La strinsi forte,
spasmodicamente, e sentii un vago senso di malessere invadermi. La mia
famiglia… lo avrebbero fatto solo per me. -Grazie, bambola-.
L’apostrofai divertito, riportando alla mente il nomignolo
che una volta aveva scatenato una rissa tra me e lei, vampira neonata e
strafottente. Mi spinse le dita sul naso, guardandomi con il musetto da
bambina ferita. -Non ti azzardare,
Edward Anthony. Chiaro?-. Sussurrò, riuscendo a strapparmi
un sorriso divertito. Si sciolse dal nostro abbraccio e mi
guardò indecisa. Sospirò, scuotendo la testa, e
io seppi che non avrebbe più detto nulla. Avrebbe accettato
e basta, perché ero io volerlo. Preso da un moto di
gratitudine verso di lei le afferrai una mano e mi portai il dorso alla
bocca soffiandovi piano. Sapevo quanto Rosalie impazzisse per i
baciamano, in passato gli uomini facevano a gara per farglieli. Lei mi
aveva detto che la facevano emozionare e che in un certo senso da
questo riusciva a capire lo stato d’animo dell’uomo
di fronte a lei. -Tu starai male. Molto
male. E io ti ho avvertito… non farti vedere da me in quello
stato Edward. Altrimenti ti ammazzo-. Continuò minacciosa.
Annuii, mi sarei isolato piuttosto che darle ulteriore dolore. Si
divincolò dalla mia stretta e salì le scale senza
voltarsi indietro. La seguii con lo sguardo fino a quando non la vidi
sparire e una morsa mi strinse il cuore. Stavo facendo andare via tutti
per puro egoismo e, ancora una volta, mi avrebbero seguito in quella
pazzia. Davvero non mi ero mai reso conto di quanto la mia famiglia mi
amasse. -E’ ora di
raggiungere Bella-. Mormorai tra me e me, sentendo un nodo di dolore
stringermi il petto. Ma come faceva il
tempo a passare così in fretta senza che potessi
accorgermene? Era merito di Bella se ora i minuti non mi sembravano
più così interminabili. Sorrisi afferrando al
volo una giacca in camera mia e correndo subito ad accendere la mia
Volvo. Cosa le avrei detto quella sera? Che scusa avrei trovato per non
rimanere? Dovevo ancora parlare con Esme e Carlisle della cosa. Mi
diressi sovrappensiero verso casa Swan. Vedere Bella in un certo senso
mi metteva una sorta di pace dentro. Davvero non l’avrei
più vista… il suo viso imbronciato, i suoi occhi
nocciola e sinceri, le sue labbra piene, il suo corpo morbido e caldo.
Il solo pensiero di non averla più mi faceva stare male. -Ahhhh…
Edward tu sei matto-. Mormorai a me stesso scoppiando improvvisamente a
ridere. Solo un folle avrebbe potuto prendere una decisione simile. Un
folle innamorato, ma pur sempre un folle. Fermai l’auto
proprio di fronte alla villa e notai subito l’assenza di
Bella. L’avrei aspettata dentro, con Charlie, calandomi
perfettamente nel ruolo di uomo freddo e indifferente. Ci stavo
prendendo gusto a fare quella parte, forse mi calzava meglio del
principe senza macchia e senza paura. Scesi e suonai il
campanello, aspettando che l’ispettore Swan mi venisse ad
aprire. -Ah, sei tu Edward.
Vieni ragazzo-. Mi disse non appena aprì il gancio della
porta. Sorrisi amabilmente e accettai volentieri l’invito. Mi
fece segno di sedermi sulla poltrona per aspettare Bella e io sospirai.
L’ennesima tortura, il suo profumo era ovunque in casa sua.
Era come fare un’immersione di lei prima del momento
dell’abbandono. -C’è
la partita stasera-. Commentò Charlie di fronte alla tv. Mi
sedetti e non fiatai, fingendo di essere immerso nella partita. Lui
sembrò soddisfatto e insieme ci mettemmo a fare il tifo come
due tifosi sfegatati. In fondo non era così diverso quando a
casa ci mettevamo a guardare partite di baseball davanti alla tv. Anzi
Emm era più animale dell’ispettore Swan.
Ridacchiai di quel pensiero. -Bella è in
ritardo-. Osservò poi mettendomi in pensiero. Sperai
arrivasse subito altrimenti la sarei andato a cercare in capo al mondo.
Possibile che dovesse sempre cacciarsi in qualche guaio? Maledizione.
E ci siamo anche qui... per oggi
ho aggiornato tutto. Questa fic mi costa più fatica,
perchè per quanto mi riguarda è la più
difficile. Immedesimarsi in Edward non è così
impossibile, ma inventare un mondo in cui farlo interagire, che non
è quello di Bella ovviamente, è più
complesso. E' normale che sia così. Allora... ci siamo
quasi, interromperò il capitolo poco prima del momento
dell'abbandono, anzi "mentre", oserei dire. Perciò dal
prossimo capitolo ci saranno vari cambiamenti tra cui la solitudine di
Edward e il suo dolore. Quello che volevo fare era mostrare la sua vita
ad ottobre, novembre e dicembre, senza rimanere in assoluto silenzio.
Vedremo se sarà così. Non so. Ringrazio le persone che hanno
commentato, sono felice che il capitolo vi sia "piaciuto",, e anche
Annamaria (red apple) che ha commentato positivamente Mid Sun, mi ha
fatto piacere. Capisco che da ora in poi la storia sarà
più dura, io comunque andrò avanti.
Sarà una vera avventura. Spero che ci sarete, anche in
silenzio, chissà... Malia
La mia parte.
Quando la sentii entrare in
casa un fremito mi percorse. Era difficile controllare le mie emozioni
quando il suo profumo mi avvolgeva così dolcemente, mi
tentava. Impossibile rimanere impassibile, ero pazzo di lei. -Papà?
Edward?-. Disse cercandoci. Al suono del mio nome il primo istinto fu
quello di girarmi e correre da lei, ma irrigidii il mio corpo e mi
imposi di guardare la partita. -Siamo qui!-. Rispose
Chiarlie dal salotto. Continuai imperterrito nella mia farsa,
stringendo le labbra e non dando segni di vita. Finsi di essere
così interessato alla partita da non essermi accorto di lei.
Che assurdità… La sentii dietro di
me, la sua fragranza era così dolce che la sola idea di non
goderne più mi uccideva, mi faceva sentire vuoto. Ero niente
senza di lei, niente. -Ciao-. La udii
sussurrare, la voce tremante. Era per me lo sapevo, quel mormorio
intenso e disperato era solo per me. Lo ignorai, continuando a fissare
lo schermo, e trovai la forza in me stesso per non girarmi e
accarezzarle una guancia, darle il bentornato a casa. -Ciao, Bella. Ci sono
degli avanzi di pizza. Dovrebbero essere ancora sul tavolo-. Fece
Charlie ridendo e continuando a guardare la tv proprio come me. Bella
sussultò, sorpresa dalla mia freddezza, e io mi maledii.
Dovevo essere freddo, senza cuore, doveva capire che le cose sarebbero
cambiate. -Grazie-.
Bisbigliò ancora, lanciandomi un’ultima occhiata
sorpresa e dirigendosi verso la cucina. Dio mio, che dolore! Abbassai
la testa guardando il maglioncino blu cobalto che indossava sopra un
paio di jeans chiari. Si era cambiata, mi piaceva da impazzire. Volevo
abbracciarla. -Ti raggiungo subito-.
Le dissi atono, mordendomi la lingua per non rischiare di cedere. Ma
come avrei fatto? Come… sospirai alzandomi in piedi e
guardando l’ispettore Swan con sguardo complice. -Le
donne…-. Borbottò lui facendo spallucce e
mettendosi in bocca dei salatini. Già… le
donne… sua figlia soprattutto. Mi portai le mani nelle
tasche e aggrottai la fronte. -Più dai
loro tempo, più ti prendono tempo-. Risposi scuotendo la
testa esasperato e osservando ancora lo schermo. Charlie
alzò la lattina di birra alla mia salute e ingoiò
annuendo convinto. -Hai detto bene
ragazzo-. Commentò, facendomi ghignare divertito. Sbottai a
ridere, nascondendo il mio dolore, e poi mi decisi a raggiungerla.
Sapevo che aveva sentito tutto. Mi voltai, dirigendomi, in cucina e la
vidi seduta, le ginocchia al petto, gli occhi vuoti e le lacrime a
rigarle le guance. Portai una mano sullo
stipite e mi sentii soffocare. Dovevo andarmene prima di cadere in
ginocchio di fronte a lei e implorare il suo perdono. Tornai in fretta
in salone, rimettendomi seduto sulla poltrona, e Charlie mi porse i
salatini senza fare domande. Al diavolo… quella sera decisi
di essere masochista fino in fondo. Ne presi una manciata e inghiottii,
sentendo quella mondezza farmi rivoltare lo stomaco. Era la giusta
punizione per aver fatto soffrire il mio cerbiattino, meritavo questo e
altro. -Buoni eh?-.
Commentò Charlie facendomi sorridere. Una
prelibatezza… sentii la mia pancia rigettare quelle
schifezze e la nausea invadermi ad ondate. -Squisiti-. Risposi
tranquillo continuando a fissare la tv. Bella salì le scale
barcollante, la sentii chiaramente, e riscese per fermarsi appena
dietro la porta a guardare me. E io ero lì, a pochi
centimetri da lei, ma lontano ormai. Troppo lontano perché
potesse afferrarmi… La ignorai, facendo
finta di non averla vista, e i suoi occhi si inumidirono ancora. Quando
mi scattò una foto rimasi impassibile e mi sembrò
quasi di sentire il suo cuore infrangersi, cozzare e farsi in mille
pezzi. Era giusto così… doveva prepararsi al
peggio. Mi voltai insieme a
suo padre ed entrambi la guardammo con la fronte aggrottata. -Cosa fai Bella?-. Si
lamentò l’ispettore fissandola stupito. Lei, il
suo volto, i suoi occhi, la sua tristezza… rideva, ma stava
piangendo. E io lo sentivo così chiaramente, lo percepivo.
Mi chiamava e mi chiedeva il perché le stessi facendo
questo. Ma Bella non avrebbe potuto capire, lei era troppo indifesa,
troppo innocente. Ci fu uno scambio di
battute divertito tra padre e figlia, ma io… io
dov’ero? Guardavo solo lei che evitava di incontrare i miei
occhi, che evitava di mostrarmi chiaramente quanto le stessi facendo
male. -Dai, Edward-. Mi
chiamò improvvisamente, la voce leggera e indifferente.
–Fanne una a me e a papà-. L’avevo
sempre detto, era un pessima attrice. Ancora non mi guardava, non
riusciva a farlo. Mi lanciò la macchina fotografica,
inginocchiandosi vicino a suo padre e tentando di sorridere. Il silenzio
calò improvvisamente, scendendo su di me e stringendo il mio
cuore in una morsa feroce. Il viso di Bella era sofferente, era morta
qualsiasi traccia di vitalità su quel volto che io amavo. -Devi sorridere,
Bella-. Le intimai cercando di non sentirmi un idiota. Era colpa mia,
era a causa mia che lei stava soffrendo così. Chiusi gli
occhi scattando la foto e mi sentii un verme. -Okay, adesso tocca a
voi-. Sentii Charlie dire, tranquillo. Gli passai la macchinetta,
fingendo un’indifferenza che non provavo affatto. Ero
felice… stupidamente e scioccamente felice perché
avrei avuto un momento per sfiorarla ancora, per averla ancora vicina.
Bella si spostò al mio fianco e i nostri corpi si
sfiorarono. La vidi arrossire, ma si ostinava a non incontrare i miei
occhi. Le circondai gentilmente le spalle con un braccio, attirandola a
me, e mi sconvolse il modo in cui mi strinse la vita. Sembrava
supplicarmi di rimanerle vicino. Appoggiò la testa contro il
mio torace come se si fosse trattato di vita o di morte e io nascosi il
mio profondo turbamento. -Sorridi, Bella-.
Ribadì Charlie scattando quella maledetta foto. I nostri
corpi si cercarono ancora, vicini, e io sentii il mio gridare di
tenerezza. Volevo un abbraccio, anche solo una carezza, ma ignorai quel
bisogno e mi feci da parte risedendomi sulla poltrona. La mia mente era ormai
chiusa in se stessa. Ero certo di aver sentito delle parole, forse una
conversazione, ma tutto rimbombava nella mia mente senza senso. Fissai
il mio sguardo sulla televisione nonostante non fossi affatto
lì e sentii chiaramente lo sguardo di Bella posarsi su di me
e rimanervi per tutto il tempo. Fingevo un interesse meschino per un
programma idiota quando in realtà avrei voluto solo cullarla
tra le mie braccia. Strinsi le mani a pugno fino a farmi male. Finalmente mi alzai,
deciso ad andarmene, e salutai in modo cordiale. Dovevo affrontare
ancora Carlisle ed Esme… era il momento. -E’ ora di
rientrare-. Dissi tranquillo facendo un segno di saluto educato a
Charlie. -Ciao, ciao-.
Balbettò lui troppo preso per curarsi di me. Mi diressi verso
l’uscita, ignorando lo sguardo distrutto di Bella, e aprii la
porta senza nemmeno guardarla. Uscii, dritto verso la mia auto, e lei
mi inseguì per un breve tratto, ansimante. -Non rimani?-.
Mormorò col fiato corto. Avrei voluto dirle che non
desideravo altro che stare con lei, perchè vederla
così mi distruggeva, ma tenni tutto sigillato nel mio cuore
e nemmeno mi girai. -Stasera no-. Dissi
freddo e indifferente, aprendo lo sportello e chiudendomi dentro. Misi
in moto e sgommai senza neanche salutarla.
Inequivocabilmente… perfetto. Vidi dallo specchietto
retrovisore il suo viso addolorato, la sua mano all’altezza
del petto e la pioggia cadere sui suoi vestiti senza che lei se ne
accorgesse. E il colpo di grazia per entrambi non era ancora arrivato. Parcheggiai davanti
casa, sospirando e sapendo che cosa mi avrebbe atteso. Alice non poteva
non aver avvertito Carlisle ed Esme della faccenda. Entrai con un
magone nello stomaco e non trovai nessuno ad attendermi. Sentii i
pensieri di entrambi nello studio di mio padre e mi diressi verso
quella stanza. Era arrivato il momento di parlare. -Ciao-. Dissi sulla
porta facendo alzare lo sguardo ad entrambi. Erano preoccupati per me,
era chiaro. Non avevo bisogno di leggere nelle loro menti per capirlo. -Edward…-.
Iniziò Esme sospirando e avvicinandosi a me.
–Edward…-. Ripetè ancora, scuotendo la
testa. Era mia madre, la donna che consideravo mia madre,
perciò le parole non sarebbero servite a nulla con lei. -Vieni qui-.
Mormorò dolcemente. Mi lasciai scivolare tra le sue braccia
come un bambino e mi accorsi di quanto fossi ridicolo. Quella forza che
credevo di avere era soltanto una maschera. Stavo soffrendo come non
avevo mai creduto di poter fare nel corso di tutta la mia esistenza.
Ricordavo il dolore dei morsi di Carlisle, lo ricordavo perfettamente,
e non era niente, nulla in confronto a quello che mi dava la coscienza
che avrei dovuto vivere un’eternità senza Bella.
Se avessi potuto piangere lo avrei fatto tra le braccia di Esme, ma mi
limitai a scuotere la testa singhiozzando e dimenare i miei pensieri,
che confusi, mi stavano torturando. -Noi ti seguiremo
sempre lo sai-. Sussurrò mia madre stringendomi forte.
– Ma adesso mi domando se questa decisione sia giusta per
te-. Continuò baciandomi teneramente il capo. Far vedere
così la mia debolezza era nuovo per me, non
l’avevo mai fatto, ma adesso le mie stesse scelte mi stavano
schiacciando, ero disperato e senza il conforto di qualcuno non ce
l’avrei mai fatta. -Ti prego, scegli
bene-. Terminò Esme accarezzandomi ancora. –Non
posso vederti soffrire così. Sei il figlio che non ho mai
avuto. Sei nostro figlio… Edward, per favore-.
Bisbigliò avvolgendomi con le sue parole.
–Possiamo tornare indietro-. Sospirò cullandomi
dolcemente. Aprii gli occhi di scatto, stringendo i denti, e sentii nel
mio cuore la consapevolezza che non mi sarei tirato indietro.
Perché la amavo, perché lei era tutto il mio
mondo, perché era giusto che fosse felice. Mi divincolai dalla
stretta di mia mamma, gentilmente, e guardai l’uomo che mi
aveva fatto da padre e da amico per tanto tempo. -Dirti che sei mio
figlio è inutile, Edward. Lo sai. Dirti che mi fido di te
sarebbe una bestemmia, perché lo sai. Scegli…
saremo con te-. Concluse Carl breve, ma efficace come sempre. Annuii
sentendo il braccio di Esme circondarmi e la sua testa abbandonarsi sul
mio petto. La abbracciai ancora, ma questa volta con meno calore. -Partiremo domani,
verso sera-. Sentenziai vedendo negli occhi di mio padre un guizzo di
dolore. Mi dispiaceva dare quella sofferenza alla mia famiglia, ero
solo un egoista in fondo, solo un bambino, ma non potevo lasciare che
Bella fosse triste a causa mia per tutta la vita. Era ingiusto, per noi
vampiri non sarebbe cambiato nulla, per lei invece tutto. -Vai pure, immagino
che avrai da pensare-. Disse Carl semplicemente, seduto sulla sua
scrivania. Non si era alzato, impassibile, ma io sapevo quali pensieri
gli affollavano la mente, li conoscevo e mi sentii terribilmente in
colpa per dargli anche altre preoccupazioni. Ma lui l’avrebbe
fatto, per me l’avrebbe fatto. Mi voltai, sentendo la
morte nel cuore, e mi diressi verso la mia stanza. Mi accorsi di
provare un vago senso di dolcezza nel ricordare i momenti in cui Bella
era stata lì e mi faceva male pensare che avrei abbandonato
tutto questo. Non l’avrei mai dimenticata, l’avrei
sempre amata, ogni momento, ogni istante. Mi alzai, andando
verso la finestra, ma mi bloccai. Cosa stavo facendo? Non dovevo andare
da lei, non dovevo. Passeggiai per la mia stanza, lacerato, diviso tra
la voglia di guardarla dormire e rimanere a casa. -Va da lei, vacci-. Mi
dissi portandomi le mani tra i capelli. –Ne hai bisogno-. Bella…
Bella! Non c’era nient’altro che mi facesse sentire
vivo. E ora? Ringhiai gettando la mia scrivania a terra come se si
fosse trattato di bruscolini. Dio… Volevo rompere qualcosa,
sentivo il bisogno di spaccare tutto. Dovevo calmarmi. Respirai piano e
tentai di soffocare la mia furia. -Non posso continuare
così!-. Gridai afferrando uno dei miei diari e strappandolo
con rabbia. Ansimai stracciando tutti quei pensieri, pensieri che mi
avevano aiutato a sopravvivere. E adesso? Mi gettai con il corpo sul
legno duro già a terra e lo staccai con le braccia sentendo
il piacere di distruggere entrarmi nelle vene. -Senza di te
io… non ce la faccio-. Mormorai fermandomi a pensare un
momento. E ancora la tentazione di andare da lei si fece pressante,
potente. Volevo stare tra le sue braccia, volevo guardarla ridere e
sentirla sbuffare perché la facevo arrabbiare. Gemetti e mi
abbandonai a terra. Che differenza avrei fatto io nella sua vita, Bella
non era destinata a me, ma ad un altro, umano come lei, che avrebbe
saputo darle figli, felicità, amore. Completamente, come io
non ero capace di fare. -Hai solo paura di
farlo, solo paura-. Mi dissi alzandomi in piedi e staccando con le dita
la federa del divano. Divertente… era divertente veder
cadere tutto, ma tanto ormai che senso aveva la mia vita.
L’ordinario e controllato Edward Cullen, il bambino prodigio
con due lauree, sempre calmo, pacato, il mostro che aveva ucciso,
assassinato, massacrato… si era anche innamorato. Ero
innamorato. E non ne ero mai stato più consapevole.
Distrussi i cuscini del divano senza pensare, solo per il gusto di
sentire qualcosa disintegrarsi, lacerarsi… oltre a me. Non ero lucido, stava
succedendo qualcosa dentro di me, non ero più lucido. Mi
portai una mano sulla fronte, tentando di mantenere il controllo, ma
ormai non c’era più nulla da controllare. Come una
bestia feroce sfondai la vetrata della mia stanza, ridendo, impazzito
completamente, e sentii il bisogno di sangue farsi insistente. Magari
ci sarebbe stato qualche essere umano in giro, forse qualche misera
carogna umana che girava nei paraggi con la sua puzza e i suoi bollori
da demente vivente… perché no. Faceva sempre gola
un idiota che non sapeva che cosa fare la sera. Mi gettai nel vuoto,
iniziando a correre, sentendo l’adrenalina scorrere dentro di
me. Bene, era il momento di andare a caccia. Cosa avrei cacciato di
buono quella sera? Ero su di giri, dannatamente fuori di testa, e non
appena me ne resi conto mi fermai di scatto, accecato dalla voglia di
sangue, dalla mia disperazione. Mio Dio, ma che pensavo di fare? Ritornai bruscamente
alla realtà, consapevole della mia pazzia e mi accasciai su
un tronco, malato d’amore. Ero proprio malato, un vampiro con
una sofferenza cronica. Non ci voleva un medico per capire che amavo
Isabella Swan e che mi costava la vita renderle la sua. Ecco il prezzo
dunque… la mia esistenza per la sua. Mi domandai se avesse o
meno un senso, quando ogni più piccola cosa che la
riguardava dipendeva da me. I suoi sorrisi, le sue lacrime, il suo
desiderio, io ero il centro di tutto. E lei per me era lo stesso. -Sto davvero facendo
la cosa giusta?-. Mormorai abbandonando la testa sull’albero,
vagamente stordito. Forse sì, forse no, non capivo
più nulla. Ormai avevo scelto, ero sicuro che lasciarla
andare fosse la scelta migliore per lei, ma l’amore mi
divorava. La desideravo solo per me, volevo che lei vivesse solo per
me. Il mio piccolo dolce Bambi, il mio amore… -Ormai sono pazzo-.
Bisbigliai scoppiando a ridere e chiudendo gli occhi. Sentii
l’aria fredda scuotermi i capelli e iniziai a pensare ad un
modo per lasciarla. Dovevo sembrare credibile, dovevo recitare la mia
parte in modo perfetto senza farle sospettare nulla. Pensai che non
sarebbe stato facile, che Bella non era così sciocca da
credere che da un giorno all’altro potessi non amarla
più. Ma non potevo esserne certo. Così rimuginai
per ore, pensando e ripensando fino a quando non si fece
l’alba. Dovevo andare a scuola. Mi guardai i vestiti sporchi
e tornai indietro, deciso a farla finita. Mi accorsi immediatamente
dell’assenza di Carlisle ed Esme a casa. Entrai e presi il
biglietto che mi avevano lasciato in salone. Erano già
andati. Ti
siamo vicini col cuore. Loro stavano
rispettando le mie scelte nonostante tutto. Li ammiravo e apprezzavo
per questo. Salii di nuovo nel caos della mia stanza e afferrai
qualcosa da mettermi. L’avrei rivista, l’ ultima
volta, ma l’avrei rivista almeno. Quel giorno fui del tutto
assente, cercai più volte l’occasione per prendere
il coraggio di lasciarla, ma non riuscii a farlo. Il silenzio si faceva
sempre più opprimente e la sensazione che quel momento
stesse per arrivare schiacciante per entrambi. Trascorsi la notte
lontano da lei, cacciando, e imponendo alla mia mente pensieri
tranquilli, pensieri che avrebbero potuto rendermi un po’ di
serenità. Ma solo ripensare allo sguardo vacuo e
terrorizzato di Bella mi angustiava. Anche lei sentiva ciò
che sarebbe successo, non era sciocca. Ma non parlava, non diceva
nulla. E l’ennesimo giorno passò spalla contro
spalla… nessuno dei due ebbe il coraggio di parlare con
l’altro. Uscimmo a fine lezione, andando verso il parcheggio
della scuola, sempre in silenzio e io la fissai, deciso a dirle
qualcosa. Bella fece lo stesso, tremante, si torturava le mani, ma fui
io a precederla. -Ti dispiace se vengo
da te, oggi?-. Le dissi atono, senza espressione. Lei scosse la testa,
portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Sembravamo due perfetti sconosciuti. -Certo che no-.
Rispose nervosa. La guardai attento, notando il suo palese tremore. Era
arrivato il momento, lo sentivo. -Adesso?-. Continuai
sapendo cosa mi avrebbe risposto. Le aprii lo sportello gentilmente e
lei si infilò dentro, maldestra come sempre. -Certo-. Concluse con
voce flebile e timorosa. -Prima però passo a spedire una
lettera a Renée. Ci vediamo a casa-. Mormorò,
tornando sui suoi passi. Presi il pacchetto che
stava guardando e prima che potesse pensare o dire qualcosa mi offrii
di farlo io al suo posto. Mi sorrise in modo tirato. –Ci penso
io. E vedrai che arriverò per primo-. Tentai di sorridere,
ma non ci riuscii. Ormai non avevo nulla per cui ridere ancora. Dentro
di me ero già morto. -D’accordo-.
Rispose senza guardarmi. Chiuse la portiera e mise in moto. Guardai il
suo pick-up uscire dal parcheggio della scuola e lo sentii forte dentro
di me: era l’ultima volta che la vedevo in quella piazza, di
fronte all’edificio che ci aveva fatti incontrare. Rimasi
fermo con il pacchetto in mano, soppesandolo a lungo, e poi mi decisi.
Dovevo anche andare a casa di Bella, nella sua stanza, per toglierle
tutto quello che mi riguardava. Tutto, ogni cosa, non doveva rimanere
traccia della mia esistenza. Doveva essere come se fossi stato
solamente un incubo per lei. Mi affrettai, spedendo
il pacco e parcheggiando di fronte casa Swan. Il mio cerbiattino non
era ancora arrivata per fortuna. Perfetto, avevo altro tempo a
disposizione. Mi arrampicai nella sua stanza e trovai immediatamente
tutto ciò che mi riguardava. Le tolsi ogni cosa. Il
cd che le avevo regalato per il suo compleanno, ogni foto dove anche io
ero presente, persino il peluche a cui lei aveva dato il mio stesso
nome. Guardai per un attimo le fotografie e rimasi immobile di fronte a
quella che avevamo fatto insieme. Era tagliata. C’ero
solamente io, mentre lei no. Perché? Non capii. Mi voltai non appena
sentii il rumore del pick-up e misi in fretta tutto in ordine. Scesi
velocemente nascondendo tutto nella mia volvo e la aspettai seduto
nell’auto, come se fossi appena arrivato, con
un’espressione imperscrutabile sul viso. La raggiunsi non
appena scese da quel rottame e le afferrai la cartella. Un gesto che
facevo sempre, un gesto molto dolce. Le portavo lo zaino dentro casa,
ma questa volta sarebbe stato diverso. Lo gettai sul sedile e lei mi
guardò come se avessi osato stracciarglielo davanti agli
occhi. -Facciamo una
passeggiata-. Le proposi, agitato, afferrandole la mano. Sentii
immediatamente il calore della sua pelle e un brivido mi percorse. Non
avrei dovuto toccarla. Chiusi gli occhi inspirando, percependo il
profumo dei suoi capelli, del suo corpo, e me li impressi nella mia
mente. Strinsi maggiormente le sue dita e godetti di quella sensazione.
L’avrei marchiata dentro di me per sempre. Camminai, sperando
che lei mi seguisse. Inizialmente fece un po’ di resistenza,
ma poi mi seguì, il capo chino, come un animale ferito. Era
arrivato il momento in cui l’avrei distrutta e avrei ucciso
me stesso. Mi sentivo soffocare dall’angoscia. Passo dopo
passo mi accorsi di non volere fermarmi, ma dovevo, e così
strinsi ancora una volta la sua mano, dolcemente, per farmi forza, e
poi la lasciai. Eravamo appena sotto gli alberi. Mi voltai verso di
lei, guardandola negli occhi, amandola segretamente come non avevo mai
fatto e presi quel coraggio che mi mancava dall’unica fonte
che mi avrebbe dato la forza per abbandonarla: me stesso. -Bene, parliamo-. Fece
portando le braccia lungo i fianchi. La sua voce era sicura, forse
nervosa, ma decisa. E io la ammirai. Dentro di lei sapeva la risposta,
dentro di lei tutto era già chiaro. E così era
anche per me. Ma affrontarlo sarebbe stato diverso. Tutto
diverso…
Eccomi... oggi
è una giornata triste per me e ho detto: "Perchè
non scrivere Nadir?" Da domani inizia la mia agonia pre-esame
perciò... chiudiamo in bellezza. Respiro profondo. Vi
dirò... è stato terribile. Io non so se voi
proverete quello che ho provato io, ma diventando Edward ho capito
molte cose di me. E' strano, ma forse non siamo poi così
diversi io e lui. Soprattutto in questo capitolo che racchiude anche
qualcosa di me. Sono felice dei commenti, vi dirò,
è bello sapere che qualche "leone pazzo e masochista"
c'è ancora a voler affrontare la sofferenza di new moon con
Edward. Stringiamoci vicine, vicine... mh? Mi sono commossa a
leggere quello che mi avete scritto, sono riuscita a emozionarvi, a
farvi stare male con Edward e io spero di riuscire a trasmettervi
ancora qualcosa. Veramente... prendete i fazzolettini. non me ne
vogliate se ho aggiornato così presto per favore. Per nik81: ti
rispondo personalmente perchè mi hai fatto una domanda. Ho
promesso, e manterrò la mia promessa, se voi vorrete
ovviamente, che io scriverò tutta la serie dal punto di
vista di Edward. Ho scritto Midnight Sun, ora Nadir, e poi gli ultimi
due, di cui ancora non so il titolo, ma che saranno rispettivamente
Eclipse e BD (accorcio). Perciò... dovrete sorbirvi tante
cose... tante tante... ancora. E per adesso questo dolore. Mi dispiace
tantissimo. Volevo
ringraziare anche chi legge in silenzio, come sempre so che comunque
segue la fic con interesse. GRAZIE! Malia
Fine.
Una
foglia morente, cade lenta e si posa sul terreno. Non
c’è nessuno schianto, nessun rumore. Non
c’è niente che possa farne sentire il dolore acuto
che la attraversa poco prima di spirare. Mi domando se la morte sia
così. La bella morte… guardo il paesaggio
circostante e mi ricordo il giorno in cui ho perso la mia anima. Era
una giornata fredda e guardavo il paesaggio affascinato come un
bambino. I miei occhi… la mia pelle… il mio
dolore. Sapevo di dover morire e non provavo nulla. E ora…
morte, amica mia, mia dolce amante, amami. Con te faccio
l’amore ogni notte, per cento anni non ho fatto altro che
unirmi a te nel desiderio di non vedere più tutto questo
nulla… e adesso che i miei occhi vedono la luce, adesso, che
i miei occhi la possono guardare, che le mie mani la possono toccare,
ora… adesso… tu mi togli e strappi dal petto
l’unico ricordo che mi rende ancora umano, l’unica
meraviglia che mi rende quello che sono. L’amore.
-Bella, stiamo per
andarcene-. Mormorai tranquillo, lo sguardo perso nel vuoto. Il suo
mento si alzò lentamente, il suo viso incontrò
docilmente il mio, vuoto, spento. Respirò e un guizzo di
consapevolezza attraversò il suo sguardo sperduto e vacuo. -Perché
proprio adesso?-. Fece confusa. Le labbra iniziarono a tremarle e io
vidi i suoi occhi nocciola scurirsi e inondarsi di tristezza.
–Ancora un anno…-. Sussurrò alzando una
mano come per trovare un senso alle mie parole. Distese il palmo in
alto, come a voler iniziare una discussione, e io sorrisi nella mia
mente. Non c’era nulla da discutere, era già stato
tutto deciso. -Bella, è
il momento giusto. Per quanto tempo credi che potremmo restare ancora a
Forks? Carlisle dimostra a malapena trent'anni e già ne deve
dichiarare trentatré. Comunque vada, non passerà
molto tempo prima che ci tocchi ricominciare da capo-. Mi stupii di me
stesso, o forse no, la mia calma, la mia tranquillità. In
fondo ero sempre stato bravo in questo, un fuoriclasse a nascondere
ciò che mi faceva male, ciò che mi schiacciava e
mi lasciava senza respiro. La guardai, deciso a
farle capire che era finita, che non mi avrebbe più rivisto,
che era ora di terminare tutto, di chiudere. Bella non capì.
Mi guardò confusa, i suoi occhi vagavano sul terreno e su di
me, agitati, inquieti come quelli di un animale ferito. E
io… io dov’ero? -Hai detto
stiamo…-. Mormorò Bella, finalmente consapevole.
Tornò a guardarmi e deglutì a vuoto, tentando di
contenere il fremito del suo corpo e delle sue parole. Sì, amore
mio. -Intendo…
la mia famiglia… e me-. Conclusi scandendo bene ogni parola.
Non lasciai il suo sguardo, scandii il movimento delle mie labbra in
modo che la sua anima venisse distrutta, in modo da non poter tornare
indietro. Scosse la testa, la ciondolò avanti e indietro,
cercando forse di scacciare quella consapevolezza, tentando, ma invano.
E io rimasi, lì, immobile, senza dare segni di vita. Ed era
giusto così, perché così doveva
essere. -Okay-. Fece
all’improvviso, avvicinandosi di un passo.
–Verrò con te-. Terminò decisa. La guardai attonito,
nascondendo il mio stupore. I suoi occhi nocciola non diedero segni di
cedimento. Lei voleva me, mi voleva più di ogni altra cosa.
Non c’era altro per lei… lo lessi nel suo cuore,
non c’era bisogno di leggerle nella mente per percepirlo. Chiusi per un attimo
le palpebre, mantenendo un fermo controllo su me stesso. Dovevo
dimenticare… dimenticare… dimenticare…
come se fosse stato possibile. -Non puoi, Bella. Dove
stiamo andando... non è il posto adatto a te-. Le risposi,
freddo, senza ammettere repliche. Mi portai le mani nelle tasche,
ignorando il sentimento di dolore che mi colse. Lo stavo attendendo con
ansia e ora era arrivato. Mi avrebbe trascinato via, nella sofferenza,
ma ormai avevo scelto. E non potevo tornare indietro. -Il mio posto
è dove sei tu!-. Urlò istintivamente portando una
mano sul mio braccio. Vidi i suoi occhi disperarsi, le sue iridi cadere
e infrangersi come cristalli. Mi sembrò di sentire il suo
cuore tra le mie mani, batteva in modo sempre più flebile,
sempre di più. Stava morendo. -Non sono…
la persona giusta per te Bella-. Stentai. Per un momento le parole si
rifiutarono di uscire dalle mie labbra, ma furono i miei sentimenti a
venirmi in aiuto. La amavo, la amavo sopra ogni cosa e le donavo la
libertà. La guardai, sì, la guardai, non come una
persona qualunque, ma come l’amore che avrei sempre
rimpianto, come l’emozione che mai più avrei
afferrato. Ma dovevo cancellare per un attimo dalla mia mente il mio
egoismo, la mia brama e il mio feroce desiderio. -Non essere ridicolo-.
Mi strattonò la manica, cercando di attirarmi verso di
sè, ma rimasi immobile, rigido ed irremovibile. -Sei la cosa
migliore che mi sia capitata, davvero-. La sua rabbia divenne la mia.
Non doveva farlo, non doveva insistere, ma capire e ascoltarmi. Non la
volevo più… -Il mio mondo non
è fatto per te-. Bisbigliai trattenendo il respiro. Ora un
dolore più intenso aveva iniziato ad invadermi il torace,
era come se qualcuno mi stesse colpendo ripetutamente al cuore con una
lama affilata. Mi sentivo lacerare la carne e tormentare
l’anima con tizzoni ardenti. Eppure io avrei dovuto essere
solo ghiaccio, solo un corpo morto, non avrei dovuto sentire nulla. -Ma ciò che
è successo con Jasper... non conta niente, Edward...
niente!-. Gridò ancora afferrandomi nuovamente la mano.
Socchiusi le palpebre e un ghigno sarcastico si impresse sul mio viso.
Era arrivato il momento di disilluderla completamente. Ero stanco,
esausto… dovevo fare qualcosa per mettere fine a quella
sofferenza prima di cedere definitivamente, prima di crollare di fronte
a lei. -Hai ragione-. Feci
sarcastico, divincolandomi dalla sua stretta e riportando la mia mano
nella tasca. Quel tocco mi aveva fatto fremere e mi aveva scaldato il
cuore. Non dovevo permetterle di toccarmi. -Semplicemente…
un gesto prevedibile-. Conclusi ironico, scuotendo leggermente la
testa. La guardai di nuovo, immergendomi nei suoi occhi, e questa volta
fui tagliente, gelido e privo di umanità. -L'hai promesso! A
Phoenix hai promesso di rimanere...-. Gridò ancora cercando
le mie mani, cercando un contatto con il mio corpo. Feci appena un
passo indietro, fulminandola con gli occhi. Non dovevo lasciarmi
avvolgere da lei… -Fino a quando fosse
stata la cosa migliore per te-. Sussurrai cercando di nascondere la mia
disperazione, ma stava diventando sempre più difficile. Era
impossibile ignorare le sue grida, il suo amore. Ansimai, scuotendo la
testa e digrignando i denti di fronte a lei. -NO! Non dirmi che il
problema è la mia anima!-. Urlò, e la sua voce
rimbombò nel silenzio della foresta. –No!-. Sentii
l’eco infrangersi dentro di me e la parola anima macchiarmi
di un marchio indelebile che non se ne sarebbe mai andato. Mi
afferrò per un gomito e si alzò in punta di piedi
guardandomi negli occhi. -Carlisle mi ha detto
tutto, ma non m'interessa, Edward. Non m'interessa!-. Ancora un grido,
angosciante, straziante, che distrusse il mio cuore e lo fece esplodere
in mille pezzi. A lei forse no, ma a me sì. Per me la sua
anima era tutto e non sarei stato io a condannarla, non sarei stato io
a uccidere quello che era. Non sarei riuscito a perdonarmelo. Un groppo
mi chiuse la gola quando lei si allontanò furiosamente da
me. Era arrabbiata, perché io non avevo reagito, continuavo
a guardarla a malapena, i miei occhi erano lontani, privi di qualsiasi
espressione. Ormai non ero più lì, ormai non
c’era modo per farmi tornare indietro. Per lei, solo per lei.
-Prenditi pure la mia
di anima. Senza te non mi serve: è già tua!-.
Ansimò senza ossigeno, allungando le mani verso di me e
porgendomi il suo spirito. Le sua dita morbide, tenere, il suo sangue
bollente come un fiume in piena… era solo un piccolo
cerbiattino che non aveva coscienza di ciò che stava
facendo. Non potevo farlo, non avevo diritto di prendere ciò
che non era mio. Non l’avrei fatto. Fissai le sue dita,
immobili, ma tremanti, sporgersi verso di me e pregarmi, supplicare il
mio amore. E ancora una volta calpestai
quell’affetto… Abbassai gli occhi,
prendendo la forza per ucciderla e ricordai a me stesso che gli esseri
umani erano creature in grado di dimenticare qualsiasi sofferenza.
Bella mi avrebbe dimenticato e sarebbe stata felice. -Bella, non voglio che
tu venga con me-. Dissi finalmente, puntando gli occhi nei suoi. Dio,
basta… non potevo vederla in quello stato. Sgranò
le palpebre, colpita da una pugnalata, e si portò una mano
al petto, stringendosi il giacchetto all’altezza del cuore.
Sentii i suoi battiti accelerare e la tachicardia farle girare la
testa. Per un attimo fui scosso dal timore che sarebbe svenuta, ma
incredibilmente mantenne la calma e ricambiò il mio sguardo
con un tale amore che mi sentii un verme. Amore… solo
amore… -Tu…
non… mi… vuoi?-. Balbettò ingoiando la
saliva e fremendo di coscienza. Era ora… finalmente. -No…-. Feci
imperscrutabile, sentendo l’aria tra noi cadere e
sbriciolarsi nella polvere, la stessa che ci avrebbe soffocato entrambi
se non avessimo fatto qualcosa. Stavo morendo… forse stavo
morendo…
Che
cos’è la morte, se non un sonno perenne, se non un
momento in cui poter dire “pace”. Io a volte ci
penso, mamma, a volte penso al tuo viso e guardo il tuo volto morire
stanco e lasciarmi da solo. A volte… sai… vorrei
che questo paesaggio, questo mondo, questo posto così grande
riuscisse a sopprimere questo senso di solitudine che sento dentro.
Questo dolore accecante che non vuole lasciarmi andare… e
ora è più forte… sempre più
forte… mi trascina già, fino alla fine. Una fine
senza fine.
-Bè, questo
cambia le cose-. Mormorò, gli occhi lucidi, le braccia lungo
i fianchi. La fissai, maligno e predatore. Non c’era
più niente nel mio sguardo a cui lei potesse aggrapparsi.
Niente più dolcezza, niente più tenerezza, niente
più amore. Vuoto, niente, buio, oscurità e
mostruosità. -Ovviamente, a modo
mio, ti amerò sempre. Ma quel che è successo
l'altra sera mi ha fatto capire che è ora di cambiare. Vedi,
sono... stanco di fingere un'identità che non è
mia, Bella. Non sono un essere umano-. Sussurrai fingendo
sincerità. L’avrei sempre amata,
sempre… nulla sarebbe cambiato nella mia anima. Mi stavo
dimostrando veramente per quello che ero: un mostro. E io pretendevo
davvero il suo amore? Io… la sua dolcezza? Io… ma
chi ero io? Non ero nessuno e mai lo sarei stato, perché
essere un vampiro faceva di me l’essere più
infimo, un assassino, che non poteva amare, non poteva…
perché sarebbe stato sciocco credere che qualcuno potesse
scegliere di togliere la vita, togliere l’anima per amore.
No, quello sarebbe stato insulso egoismo. Ma io l’amavo, io
l’amavo veramente. L’amavo. -Ho aspettato troppo,
e ti chiedo scusa-. Conclusi la mia arringa con una sorta di dolcezza,
mista a tenerezza. Come se l’avessi sempre considerata una
stupida, come se mi fossi sempre sentito superiore a lei. -No…
no… non farlo-. Iniziò lei portando un braccio a
mezz’aria e aggrappandosi all’umidità
fredda e pungente. –Non farlo…-.
Ripetè, respirando a fatica. Tentò di afferrarmi,
ma io mi scostai, lasciando che le sue gambe fremessero e che il suo
cuore si fermasse per alcuni istanti. La fine… -Tu non sei la persona
giusta per me, Bella-. Decisi, dandole il colpo di grazia. La sua
schiena si appoggiò al tronco appena dietro di lei e il suo
petto sussultò senza fiato. Il mio piccolo Bambi chiuse gli
occhi, e scivolò con le mani lungo l’albero,
inerme, troppo stanca, sconvolta, per dire o fare qualsiasi cosa che
non fosse piangere. Pregai, pregai il cielo che non lo facesse di
fronte a me, perché altrimenti non avrei più
risposto di me stesso. La sofferenza mi stava gettando in uno sconforto
mortale che non avrei mai immaginato di possedere e mi stringeva la
gola in una morsa d’amore e sensi di colpa. Ma
perché… ? Perché non potevo amarla
come un essere umano? -Se… se ne
sei certo-. Balbettò a fatica, guardando in basso, cercando
forse di trarre forza dal terreno duro che poteva sostenerla. Dolce
amore della mia vita… se fosse esistita una soluzione
migliore di quella per farla vivere, per farla sorridere, io
l’avrei sicuramente trovata, ma non c’era,
perché il problema ero io. Ero io che non ero nato per
poterla amare, che non ero degno di quell’amore. Annuii lento, senza
rispondere. Non avevo più voce. Rimasi in silenzio,
trascinando quei momenti dentro di me. Gli ultimi… per
l’eternità. Dovevo fare un ultimo sforzo, non
potevo lasciarla così, senza strapparle almeno una promessa.
Sarebbe stata sola, indifesa, non ci sarebbe stato nessuno vicino a lei
e io volevo assolutamente che fosse al sicuro. -Vorrei chiederti un
favore, però, se non è troppo-. Le chiesi
sottovoce, avvicinandomi improvvisamente di un passo. Il suo
profumo… che dolce. Inspirai forte, sentendo la sua
fragranza forte scorrere dentro di me e torturarmi di piacere. -Tutto quello che
vuoi-. Rispose flebilmente, forse cercando di capacitarsi di quello che
stava succedendo. Il suo odore mi stordì e per un attimo
dovetti stringere la mascella per non darle a vedere la sensazione che
mi aveva dato quella delicatezza. Sapere che avrei sentito per
l’ultima volta il suo profumo non mi aiutava,
anzi… mi faceva desiderare di più, molto di
più. E non ci riuscii, la maschera fredda ed indifferente
crollò, lasciando il posto al ragazzo innamorato, lasciando
spazio all’amore potente ed intenso che provavo dentro di me
e che mi stava accecando. -Non fare niente di
insensato o stupido-. La pregai, la voce di nuovo calda e avvolgente.
No! No! Non potevo fare così, non potevo cedere e fare in
modo che lei capisse. Che stupido… - Capisci cosa intendo?-.
Mormorai alzando leggermente il braccio, come a volerla abbracciare. Mi
fermai, rendendomi conto di quello che stavo facendo, e mi maledii. Chiusi gli occhi
tentando ancora di riprendere il controllo su di me, cercando ancora
quella forza che mi aveva spinto a volerla lasciare. E i miei pensieri
tornarono alla sua libertà, alla sua anima che, candida e
innocente, meritava una vita migliore di quella che io potevo offrirle.
-Ovviamente penso a
Charlie. Ha bisogno di te. Stai attenta a ciò che combini...
fallo per lui-. Continuai tornando freddo ed indifferente. Quando
riaprii le palpebre non ero più io. Ormai non avrei
più ceduto, ormai non sarei mai più tornato
indietro. -Lo farò-.
Rispose lei, atona. Non aveva notato nulla per fortuna. La fissai,
consapevole che le sue parole fossero ormai solo sussurri increduli e
che la sua mente ancora faticava a prendere consapevolezza di
ciò che stava succedendo. Eppure era così, per
quanto potesse e volesse rifiutarlo, non mi avrebbe mai più
visto. Ma la sua promessa mi rincuorò e mi rilassai. Era il
momento… -In cambio, ti faccio
anch'io una promessa. Prometto che è l'ultima volta che mi
vedi. Non tornerò. Non ti costringerò mai
più ad affrontare una situazione come questa. Proseguirai la
tua vita senza nessuna interferenza da parte mia. Sarà come
se non fossi mai esistito-. Terminai, osservando il suo viso alzarsi di
nuovo verso il mio, e i suoi occhi ancora pieni di amore, di speranza,
cercare un senso alle mie parole. Un senso che probabilmente non
avrebbero trovato… ma ero certo, sicuro che presto o tardi
me ne sarebbe stata grata. Forse ora era difficile per lei capire, ma
quando sarebbe tornata alla vita tutto avrebbe avuto un nuovo
significato. -Non preoccuparti. Sei
un essere umano... la tua memoria è poco più che
un colino. Il tempo guarisce tutte le vostre ferite-. Continuai,
sentendo la terra crollare sotto i miei piedi. Mi avrebbe dimenticato,
avrebbe amato un altro, io non sarei mai stato il suo amore, ma solo un
vago ricordo di un incubo, un essere demoniaco e crudele, morto. E
qualcuno l’avrebbe avuta al posto mio… -E i… tuoi
ricordi?-. Ansimò, immergendo i suoi occhi nei miei. Rimasi
in silenzio, guardandola barcollare e alzarsi con le sue ultime forze. -Bè, non
dimenticherò. Ma a quelli come me... basta poco per trovare
una distrazione-. Sorrisi divertito, vedendo il suo sguardo rabbuiarsi
e i suoi denti mordere le sue labbra dolci con dolore. Sì,
ero un vampiro in fondo, se avessi voluto avrei potuto avere qualunque
donna, qualunque diversivo. Ma… in ogni gesto, in ogni
respiro, in ogni donna io avrei visto solo lei, non sarei mai riuscito
a cancellarla. Bella mi aveva segnato e io sarei stato solo suo,
perché lei era la mia anima e io sarei rimasto
lì, dentro quel piccolo corpo da umana, a dormire come un
bambino sperando in una carezza. -Tutto qui, credo. Non
ti daremo più fastidio-. Dissi infine, imprimendomi nella
mente i particolari del suo viso. Volevo ricordare, anche quella
sofferenza, anche quel momento, tutto quello che poteva farmi ripensare
ad ogni istante, ogni più piccolo secondo che avevo
trascorso con lei, perché per me, solo per me, sarebbe valso
la sopravvivenza eterna. Bella aprì
la bocca, come per dire qualcosa, ma io la precedetti. -Alice non
tornerà-. Sottolineai ancora, dandole l’ennesimo
dispiacere. - No. Se ne sono andati tutti. Io sono rimasto soltanto per
poterti salutare-. Bisbigliai sentendo il nostro legame affievolirsi.
Ero lontano, troppo lontano… avrei voluto dirle ti amo, solo
una volta ancora, ma sapevo di non potere e mi limitai ad uno sguardo
d’amore, che lei non notò, concentrata sul proprio
respiro. -Alice se
n'è andata?-. Mormorò stringendo i denti e
soffocando un gemito incredulo. Non c’era veramente
più nessuno, qualunque cosa avesse cercato non avrebbe
trovato più nulla, niente. -Voleva salutarti
anche lei, ma l'ho convinta che un taglio netto sarebbe stato per te
meno doloroso-. Conclusi atono. Bravo, perfetto… e bugiardo.
Un attore nato. In fondo non avevo difetti, no? Un maestro anche nel
fare del male all’unica creatura che mi aveva mai fatto
battere il cuore. Che ironia della sorte… -Addio, Bella-.
Sussurrai con la voce tranquilla e pacifica di chi avrebbe vissuto una
vita serena e senza problemi. Non potevo più sperare, non
potevo più vivere. Ero veramente morto, lo sentivo dentro.
Stava tornando quel vuoto a inghiottirmi, a non farmi provare
più nulla. Ricordavo bene quei giorni di assenza, li
ricordavo con un tale dolore che mi ritrovai oppresso dalle mie stesse
emozioni. Schiacciato da me stesso e dal peso
dell’eternità che sarei stato costretto a vivere
senza il mio amore… ma lo meritavo, io meritavo di stare
male, o peggio, di non provare nulla. -Aspetta!-.
Gridò. Alzai la testa di scatto, non credendo che avesse
ancora la forza per dire qualcosa. Ma il suo corpo si mosse e le sue
braccia si allungarono verso di me in un chiaro gesto
d’amore. No! Avevo fatto così tanto per evitare
che accadesse, non poteva accogliermi, non poteva perdonarmi. Mi
abbracciò stretto e io sentii il suo profumo consolarmi, il
suo corpo dolce modellarsi al mio con troppa facilità e il
suo cuore battere impazzito solo per me. Urlai di dolore, di piacere,
di emozione, ma le afferrai i polsi con gentilezza e la portai lontano
da me, scostandola gentilmente. Riavvicinai con attenzione le sue
braccia lungo i fianchi, guardandola negli occhi, trasmettendole tutto
quello che avrei voluto dirle in quel momento. Quanto amore, dedizione,
passione c’era dentro di me, e quanta adorazione verso di
lei, la mia anima, il mio mondo… nessuno, nessuno avrebbe
potuto amarla più di me. Mi chinai come un pazzo. Volevo
toccare il suo viso solo un’ultima volta, sfiorarlo con le
labbra come avevo già fatto in passato e mi permisi di
toccare la sua fronte con le labbra gelide.
Il
sapore di un bacio… labbra contro labbra.
C’è un gusto particolare nel baciare la bocca
della donna che ami. Un gusto dolce ed amaro. A volte mi domando che
cosa voglia dire un bacio e non trovo risposta. Un bacio
è… cos’è un bacio?
È… fermati! È…amami!
È… straziami l’anima perché
io mi doni completamente a te e non ci sia nessun’ altra che
possa capirmi, che possa affermarmi come te. Un bacio… amore
mio, un bacio.
-Fai attenzione-.
Respirai sulla sua pelle e scesi a sfiorare una guancia, sperando di
non tradirmi. E le sue labbra, quella bocca, in una fugace e lenta
carezza capace di mordermi per sempre il cuore e lasciarlo stritolato
da morsi di desiderio bruciante per lei. E il vento si
alzò in modo naturale, coprendo la mia corsa, coprendo il
mio dolore acuto. Coprendo…
Chi
sono? I miei occhi mi guardano affascinati, il mio volto mi
è famigliare, ma chi sono? Nessuno. Io sono Edward. No, io
non sono nessuno. Guardami! Non c’è niente in me
che possa cambiare, non c’è mutamento in un essere
fermo per l’eternità. Non c’è
musica e poesia per un assassino, non c’è dolcezza
e amore per chi come me ha ucciso. Non c’è
volontà…
Continuai a correre,
sentendo la fredda brezza sferzarmi il viso e le foglie degli alberi
cicatrizzarsi sui miei zigomi. Dove stavo andando? Dove? Mi portai le
mani di fronte al corpo, cercando di farmi scudo contro quella
sofferenza, ma non riuscii a frenare la tempesta e il maremoto che si
scatenarono dentro di me, disarmandomi. -No, no, fermati.
Fermati…-. Implorai quella sofferenza di non invadere tutto
il mio corpo, di non versarsi completamente dentro di me,
perché allora non avrei potuto farcela. Ero solo una
marionetta nelle mani del tempo e questo non avrebbe fatto che
peggiorare quell’eterna agonia. Oddio, eterna…
senza di lei. -Ti prego-. Urlai
ancora al vento, sperando che la mia preghiera venisse ascoltata. Ma
niente… non sentii niente. Solo quella maledetta
umanità che mi ossessionava con il peso delle sue passioni.
Bella… Bella…Bella… non
c’era nient’altro. Non potevo cancellarla, non
potevo dimenticarla, non potevo amarla. Dio, basta! Perché
continuare a torturarmi così, ero io ad averlo voluto, io ad
aver scelto. Maledizione! E allora perché? Perché
così tanta sofferenza dentro di me? Stupido idiota. -Edward!-. Mi alzai,
cadendo a terra come un ragazzino inerme. La sua voce. No, non poteva
essere così vicina. -Edward!-. Ancora. Era
lei, Bella. Strusciai le mie gambe cercando di allontanarmi. Che cosa
avevo fatto? Cosa? Non potevo sentire il suo dolore, non
l’avrei sopportato. -Edward, ti
supplico!-. Continuò il mio amore pregandomi di tornare.
Dovevo andarmene, dovevo scappare via prima che tutto scivolasse via,
prima che le mie scelte mi rinfacciassero brutalmente quando avessi
sbagliato. Cercai di non sentire
l’eco della sua voce, tentai di non ascoltare gli alberi
urlare il mio nome, e corsi verso casa Swan. Non era così
lontano… ero sicuro che non lo fosse. E allora
perché ero ancora fermo? Perché le mie gambe non
riuscivano a muoversi? Raggiunsi la mia Volvo
arrancando e mi aggrappai allo sportello come se avesse potuto
salvarmi. Mi gettai all’interno mettendo in modo e
accelerando fino allo sfinimento. Volevo velocità, volevo
adrenalina, ma non sentivo niente, più nulla. Non
c’era niente che avrebbe potuto darmi sollievo, nemmeno la
mia auto, nemmeno la mia musica. “Edward”.
E ancora la voce di Bella rimbombò nella mia mente,
sofferente, supplicante. Strinsi i denti, desiderando dolore. Fermai la
macchina davanti a casa e mi gettai fuori dallo sportello correndo
malamente all’interno. Respirai con calma, cercando di
riprendere il controllo su di me. Dovevo farcela, il segreto era
respirare allo stesso ritmo per alcuni minuti. “Edward, ti
prego!”. No, no, no… ancora la sua voce. Mi gettai
sul pavimento, in ginocchio, scuotendo la testa e sbattendo le
palpebre. Ringhiai con tutta la forza che avevo in corpo, un puma in
gabbia, un animale ferito e tenuto in trappola da se stesso. -Edward-. Mi sentii
chiamare e alzai la testa, sconvolto. E vidi me stesso, lì,
di fronte a me. Un me stesso diverso, un ragazzo debole con una veste
lacera. I suoi occhi verdi sembravano guardarmi con una
fragilità e una sicurezza che io non riconobbi
più come mie. -Io…-.
Respirai a fatica allungando la mano e cercandomi. Ma lui scosse la
testa e io vidi chiaramente le sue lacrime scendere su quelle guance
scavate, le sue mani stringersi il petto con una smorfia dolorante. E
lo sentii… sentii il battito del suo cuore, del mio,
spegnersi e morire, spegnersi e non tornare mai più. E scomparve, quella
visione scomparve, lasciandomi solo un vuoto incolmabile dentro, un
vuoto che non sarei più riuscito a cancellare. Prima che
Bella entrasse nella mia vita non ricordavo cosa volesse dire esistere,
ma ora lo sapevo, ora ne avevo coscienza, e mi piaceva… la
vita mi piaceva… ma ora avrei dovuto sopravvivere con la
consapevolezza che per me non ci sarebbe stato altro che quel nulla
assoluto. Per sempre, eternamente, conscio della mia mutilazione. -Bella…-
Singhiozzai pronunciando il suo nome. L’unica cosa che mi era
rimasta di lei. Appoggiai i gomiti sul pavimento, battendo i pugni sul
parquet duro. Non c’era più niente, non
c’era motivo per farlo, ormai non sentivo più
nulla. Ero solo un essere privo di vita… -Addio, amore mio-.
Mormorai alzando lentamente la testa e ricordando a me stesso il
prossimo passo. Andarmene da lì. Sapevo che lei mi avrebbe
cercato, sapevo che non mi avrebbe mai lasciato andare. Dovevo trovare
il coraggio di scappare lontano dal mio cerbiattino. Prima
l’avrei fatto, prima sarei riuscito a isolare la sofferenza
nel mio cuore.
Una
foglia morente, cade lenta e si posa sul terreno. Non
c’è nessuno schianto, nessun rumore. Non
c’è niente che possa fermarla. È dolce
il suo indolente stendersi. Un movimento etereo e silenzioso, che si
contrae in un attimo di eterna solitudine. È semplice il suo
spirare, puro e innocente. Si posa sul terreno e… muore.
Questa sua desiderabile inconsapevolezza, questa sua invidiabile
cedevolezza, quanta bellezza. La bella morte… sottile il
significato di queste parole per me, non esiste né morte,
né bellezza in questo nulla profondo che mi assale. Guardo
ora il vuoto che mi circonda e non vedo niente, non
c’è niente, o forse sono i miei occhi incapaci di
vedere, il mio corpo di sentire, il mio io di capire… La
bella morte non è forse questo? Non lo so, non lo posso
capire e soffro. Perché in questo tempo eterno di assoluta
incertezza vedo i contorni sfocati di un adesso, ora, qui, che si
impone in un momento di infinito mare di solitudine. Aiuto.
GRAZIE. Beh,
questa volta devo proprio iniziare così. I
vostri commenti mi hanno commosso davvero, mi si è stretto
il cuore. Ci metto tanto impegno quando scrivo Nadir, veramente quando
scrivo tutto, ma Nadir per la sua difficoltà certamente
richiede di più. E io... cioè quando li ho letti
ho pensato "parlano di me, sono io". Okay è ridicolo lo so,
ma... bo mi sono emozionata. E ora ho l'ansia da prestazione...
perfetto. Era quello che ci mancava, perchè iniziare
l'avventura con Edward non sarà affatto semplice. Spero che
la seguirete con me però... è veramente bello
avere persone così calorose al mio fianco, così
dolci. Io bo... grazie! Davvero, lo prometto, farò del mio
meglio per non deludervi ed emozionarvi. Le vostre parole mi hanno
veramente dato moltissimo. Come sempre mi dispiace non potervi
rispondere una ad una, vorrei farlo, ma trovare il tempo per scrivere
è difficile con gli esami e io voglio accontentare tutti con
le mie fic. Chiedo scusa! Davvero... però sappiate che leggo
e rileggo. A volte imparo persino a memoria. Grazie. Vi lascio a
Edward... Buona lettura!
10 Ottobre.
Se
mi avessero giurato, spergiurato che un cuore avrebbe potuto avere
la possibilità di venire strappato dal petto e gettato in
pasto al nulla avrei risposto che non credevo affatto ad una pazzia
simile. Stupido. La sofferenza mi stava soffocando,
uccidendo, stavo morendo per la seconda volta e non avevo mai
desiderato farla finita come in quel momento. Non volevo sentire
quell’atroce dolore invadermi il petto, no, basta, ma ormai
si era insinuato come una malattia, aveva invaso il mio cuore
stringendolo e facendolo sanguinare. Mi ero illuso… solo
illuso di poter vivere ugualmente sapendola lontana da me. Strinsi i
denti e chiusi gli occhi per cercare di resistere alla tentazione di
correre ancora da lei. Non c’era più nulla ormai,
solo quel vuoto, quel buio di fronte ai miei occhi, dentro di me, che
non mi permetteva di vedere più nulla. Serrai le palpebre
cercando di cancellare i ricordi, forse così sarei riuscito
a dimenticare, forse così per qualche attimo avrei avuto
ancora voglia di respirare. Ma niente.
Non potevo dimenticare. Non avrei mai potuto farlo. Solo un vampiro,
ero solo un vampiro in fondo, avevo creduto di poter far leva sul mio
autocontrollo, su me stesso. E invece mi mancava, il mio cerbiattino mi
mancava terribilmente. Stavo impazzendo. Gridai, soffocando il mio urlo
in gola e stringendo i denti per non far sentire al mio corpo e al mio
spirito l’astinenza di lei. Avevo sempre creduto di non avere
un’anima, l’avevo sempre creduta lontana, ma averla
avuta tra le mani, averla accarezzata, sentita, averla fatta vibrare
dentro di me e poi essermene privato, lacerando il mio cuore, mi stava
portando alla pazzia. Stavo diventando matto. Sentivo la mia testa
pulsare giorno e notte, ogni singola parte del mio corpo urlare e
tremare. Era come dover disintossicarsi, come dover affrontare una
lunga tortura, lenta e inesorabile, che invece di portarmi alla morte,
mi avrebbe fatto morire d’eternità vissuta.
-Perché…-. Mormorai portandomi le mani alla
fronte e mordendomi le labbra. Volevo farmi male, ma non esisteva
nulla, niente che avrebbe potuto farmi sentire più dolore di
quanto non ne sentisse il mio spirito in quell’istante. Avevo
paura, paura di non riuscire ad andare avanti come avevo previsto.
-Sono stato solo un idiota-. Dissi a me stesso, scuotendo la testa
lentamente e portandomi le braccia sopra la testa. Avevo fame, tanta
fame, ma non avevo voglia di mangiare. Non avevo voglia di uccidere. Mi
ricordava quanto fossi bestia e io odiavo la sensazione di non riuscire
a controllare me stesso, di non riuscire a controllare quella sete che
mi portava a tremare. Ma era solo una menzogna… scoppiai a
ridere. Nemmeno la gola secca e bruciante, nè il corpo
debole e inerte riuscivano a farmi superare quel bisogno di lei.
Bella…
Ero stato io stesso a cercare la fine della mia anima e ora non potevo
lamentarmi, non potevo più tornare indietro. Ero unicamente
in grado di rivivere quel momento più e più volte
nella mia mente, guardare il suo viso contratto in una smorfia di
incredulità e sofferenza, sentire il suo corpo cercarmi
disperato e la sua voce urlare il mio nome nel bosco. Ero a dir poco
ridicolo.
Mi alzai, sentendo le mie gambe vacillare, e mi portai contro la
finestra della mia stanza. Dovevo andarmene da lì, eppure
non avevo voglia di farlo. Lei non era venuta, sapevo che non sarebbe
venuta, si era fidata ciecamente di me e delle mie parole. Appoggiai la
testa sull’anta distrutta della vetrata e chiusi gli occhi.
Orribile coscienza di sé, continua consapevolezza di essere.
Avrei almeno voluto dormire, rinchiudere la mente in qualcosa che mi
distogliesse da quella maledetta lucidità, ma non mi era
possibile farlo, e il dolore anziché diminuire rimbombava
nel mio petto fino a farlo scoppiare.
-Pensavo davvero che sarebbe venuta?-. Mormorai a me stesso con una
smorfia tra l’ironico e il distrutto. Lei aveva altro a cui
pensare nella sua vita ora e non ero certo io il centro dei suoi
pensieri. In fondo sarei stato solo uno dei suoi tanti amori
adolescenziali e niente più, una semplice cotta, sbandata
per il ragazzo bellissimo della scuola.
-Idiota-. Continuai ridendo di me. Ero solo un ragazzino…
prima insistevo nel lasciarla e ora speravo che lei mi cercasse. Mi
girai dando un calcio a ciò che era rimasto della mia
scrivania. Avevo intenzione di distruggere tutta la casa? Non lo
sapevo, ma dovevo andarmene da Forks il prima possibile.
Mi portai una mano tra i capelli, afflitto, e pensai di raggiungere la
mia famiglia a Denali. Non avevo voglia di vederli, le parole di
Rosalie erano state chiare, e non ero nelle condizioni di fingere una
felicità falsa e costruita. Avrei fatto solo soffrire le
persone che mi volevano bene, per l’ennesima volta. Ora ero
solo con me stesso.
Mi mossi, arrancando verso la porta. Dovevo andare a caccia se volevo
riprendere un po’ di energie. Sospirai, consapevole come ogni
cosa lì dentro mi ricordasse lei, il suo viso, il suo
sorriso, i suoi gesti. Scesi le scale, domandandomi se fosse stato
realmente sensato abbandonarla. Mi sentivo incredibilmente vuoto, e
sciocco… stupidamente sciocco.
Corsi nella foresta, chiedendo a me stesso perché,
continuando a rimuginare su ciò che avevo fatto, ma
inevitabilmente non ottenevo nessuna risposta coerente. Avevo commesso
un errore? Sentivo forte il desiderio di vedere il suo viso, di sentire
la sua pelle morbida sotto le dita e guardarla dormire, o sorridere,
spalancare gli occhi sorpresa e farmi vivere. Mi mossi senza ricordare
cosa dovevo fare e improvvisamente mi domandai il motivo per cui ero
uscito. Ah sì, la caccia… Mi fermai, sconvolto,
consapevole di stare girando a vuoto. Cos’era successo ai
miei sensi? Mi accasciai, seduto, e guardai i vestiti che avevo
addosso. Era da molto che non mi cambiavo, dall’ultima volta
che l’avevo vista. Quella camicia profumava di lei, tutto di
me profumava di lei…
-Se continuo così finirò per impazzire
veramente-. Mormorai a me stesso, portandomi le ginocchia al petto e
sospirando distrutto. Avrei fatto qualsiasi cosa per rivederla, anche
di nascosto, accertarmi che ci fosse ancora, che mi amasse come prima.
Ero terrorizzato. E se mi avesse già dimenticato? Non potevo
pensarci, mi faceva male solo l’idea. Dovevo vederla, sapere
che stava bene, che la sua vita avesse continuato in qualche modo senza
di me. Mi alzai, dimentico della mia sete, e corsi verso casa Swan,
deciso a vederla, deciso a guardarla ancora una volta.
L’ultima e poi sarei scappato, sarei andato via.
Appoggiai la mano sul tronco, rilassandomi, e fissai il suo pick-up
parcheggiato all’esterno. Era a casa. Sospirai emozionato,
non sapendo se farmi coraggio o andarmene, quando improvvisamente la
vidi. Era seduta sulle scale fuori dalla porta e fissava il vuoto,
abbattuta. Strinsi le palpebre… indossava gli stessi vestiti
di quel giorno. Non volevo credere che non si fosse cambiata
eppure… Continuai a fissarla e una strana consapevolezza
prese possesso di me: lei non era più la stessa persona.
Dondolava avanti e indietro, come distrutta da un dolore troppo forte
da poter controllare, e il suo improvviso scoppiare a piangere mi fece
ansimare di dolore. Guardai le lacrime scendere su quel viso che tanto
amavo, impotente, e capii di averle fatto male. Troppo male…
una sofferenza soffocante che ormai avrebbe schiacciato entrambi. Ma
mentre Bella avrebbe dimenticato quel dolore, io non avrei potuto
farlo. Mai…
Ancora una volta la fissai e guardai le sue mani tremanti stringersi
tra i capelli, i suoi gemiti sommessi e incoerenti. Sentii il mio nome,
di nuovo il mio nome, e sempre il mio nome, nient’altro sulle
sue labbra. Strinsi la mano intorno alla maglietta, sentendo il mio
cuore frantumarsi per l’eternità. Ma se fossi
tornato avrei negato per sempre al mio piccolo Bambi la
possibilità di amare davvero chi avesse voluto, senza essere
condizionata da me. Non potevo farlo, nonostante lo volessi con tutto
me stesso.
-Edward…-. Mormorò, poggiando la testa sulle sue
ginocchia e guardando il terreno. –Edward…-.
Sembrava annientata, no lo era, lo era come lo ero io. Avevo
sbriciolato la sua fiducia, il suo amore senza pietà, e lei
era ancora lì, a pensare a me. A me… sorrisi per
un attimo, felice che non riuscisse a togliermi dal cuore e dalla
mente, ma poi mi riscossi. Stava soffrendo a causa mia.
Cosa pensavo di fare ora? Non lo sapevo nemmeno io. Ero totalmente
inerme di fronte a quella scena, di fronte alla mia stessa scelta, non
capivo più niente ed ero terrorizzato perché
tentato dalla voglia di tornare da lei, di stringerla di nuovo, di
chiederle perdono. Io non avevo altro, non c’era
nient’altro che Bella nella mia vita, il resto era nulla, era
vuoto assoluto che mi spaventata e mi inghiottiva in
un’eternità senza senso. E senza un verso
l’esistenza non poteva andare avanti.
Semplicemente
perché quando devi vivere per sempre, non sai per cosa vivi
davvero e le scelte perdono di significato, la morale perde il suo
perché e il tuo essere traballa di fronte al tempo. Non hai
scampo. Non c’è una fine che possa dare uno
spiraglio di luce alla tua anima, che possa dare valore alla tua vita
di creatura che partecipa all’infinito divino. Tu non sei
niente e rimarrai sempre niente. Un uomo senza nome, un mostro senza
nome, consapevole minuto per minuto di ogni istante che sta passando,
identico all’altro, mancante di qualsiasi anelito di
speranza, di passione. Quanto vorrei morire, poter essere umano e
morire.
Vidi Charlie uscire di casa e prendere Bella tra le braccia,
stringendola forte. Lei si lasciò sollevare come morta e la
sua testa si abbandonò nel vuoto. I suoi capelli morbidi,
castani, scivolarono giù come le sue braccia e per la prima
volta mi resi conto di quanto potere avesse l’amore. Uccidere
qualcuno nel corpo e nell’anima… era una forza che
non avevo mai avuto, ma che avevo esercitato cieco e tranquillo con la
donna che amavo, strappandole il cuore e schiacciandolo senza
pietà. E ora come potevo tornare da lei? Come? I suoi occhi
nocciola, un tempo pieni di vita, si rivoltarono nel nulla e si
chiusero sofferenti. Non aveva ancora smesso di piangere. E io ero
lì, vuoto, completamente vuoto. Avrei voluto avere
l’energia necessaria per fare qualunque cosa, ma non
l’avevo. Ero perso nei meandri dei miei pensieri, dei miei
sentimenti, e forse non volevo credere a ciò che i miei
occhi stavano guardando. Mi rifiutavo di pensare che potessi averle
fatto questo. Proprio io che l’amavo sopra me stesso, proprio
io che avevo giurato di proteggerla… l’avevo
uccisa.
-Dimenticherà-. Mi dissi convinto, tirandomi indietro
spaventato, distogliendo subito lo sguardo da lei. Per sempre.
Sarebbero bastate altre due settimane e il richiamo della vita sarebbe
stato troppo forte per Bella. Avrebbe ripreso ad esistere anche senza
di me, ero certo di non essere così importante da valere
tutto quel dolore. Non lo meritavo, semplicemente, non lo meritavo.
Ma quel vuoto insopportabile mi devastava, mi faceva credere di non
riuscire a provare più nulla. E
chissà… forse era proprio così.
Probabilmente ero rimasto lì, dentro di lei, non ero
più tornato in me, rinchiuso in quelle iridi nocciola piene
di lacrime. Vederla piangere era qualcosa a cui non mi ero preparato.
Mi portai le mani nelle tasche e sospirai, iniziando a camminare senza
meta. E ora che ne avrei fatto della mia vita? Non sapevo nemmeno da
che parte ricominciare a costruire, ma dovevo farlo, in qualche modo,
forse. Dovevo riuscire anche io a superare tutto quel caos nel mio
cuore e nella mia mente, altrimenti sarei stato spacciato.
Camminai di nuovo verso casa, dimentico di dover cacciare, e mi
ritrovai di fronte alla mia villa solo a sera. Ma dove ero stato? Mi
avvicinai alla mia auto, abbandonata lì davanti, ed entrai
chiudendo lo sportello dietro di me. L’abitacolo in qualche
modo mi protesse e io riuscii a trovare un po’ di silenzio.
Guardai i regali sul sedile accanto al mio e sorrisi nel vedere il
peluche a cui Bella aveva dato il mio nome. Lo afferrai, portandomelo
al naso, e inspirai il profumo del mio cerbiattino sentendomi felice.
Fin dove mi sarei spinto per poter percepire ancora il suo odore?
Dovevo andarmene da lì, prima che fosse troppo tardi e
potessi rischiare io stesso di farle del male. Mi portai
quell’orsacchiotto sulle ginocchia e ricordai il momento in
cui l’avevo visto per la prima volta. Scoppiai a ridere
divertito e il dolore tornò cocente nel mio petto. Mi piegai
fino al volante e mille immagini mi affollarono la mente. Non importava
che le fossi lontano o vicino, mi mancava terribilmente ed era quasi
soffocante la sensazione che non avrei più stretto la sua
mano, giocato con lei e riso delle sue buffe cadute.
-Sono un romantico-. Sghignazzai deridendomi e poggiando di nuovo la
schiena sul sedile. Ma quanto ero patetico, sì, ero
decisamente patetico. Io che avevo gridato il mio amore, io che avevo
detto di non poter vivere senza, l’avevo distrutto in un
attimo, pentendomene poi subito dopo. Imperdonabile.
Guardai i regali di Bella e decisi di portarli con me, di conservarli.
Non ne capii il motivo, ma sentii il bisogno di farlo. Non volevo
privarmi di quella presenza, mi faceva stare bene in qualche modo.
Sospirai. Era ora di cambiarsi e decidere dove andare. Avrei davvero
fatto il vagabondo?
Scesi, camminando verso casa, e tenendo le chiavi strette nelle mani.
Erano due settimane che erano attaccate allo sportello e non me ne ero
accorto. Ghignai, nemmeno la mia passione per le auto avrebbe potuto
alleviare quella sofferenza. Non avevo distrazioni, le avevo mentito,
per me non era facile trovare qualcosa con cui distogliere la mia
mente. Ero ossessionato dal pensiero di lei e niente sarebbe riuscito a
cancellarlo dalla mia testa. Nemmeno un’altra donna. Sarebbe
stato perfettamente inutile. Solo l’odore, il sapore di
un’altra su di me, mi avrebbero disgustato profondamente. Non
riuscivo a concepirlo. Entrai e salii di corsa afferrando nei cassetti
qualcosa di decente da mettermi. Non mi importava cosa fosse, ma che ci
fosse. Nudo non potevo andarmene in giro.
Il telefono di casa squillò, facendomi sussultare, e io
maledii la mia solita fortuna. Sapevo benissimo chi poteva chiamare in
quel momento. Certo non Bella… alzai la cornetta e sentii la
voce di Alice gracchiare dall’altra parte.
-Vuoi farmi morire? Hai deciso di farmi stare male? Siamo preoccupati
per te!-. Continuò ansimante facendomi involontariamente
sorridere. E perché… io mi stavo godendo una
meritata vacanza all’Inferno, non doveva affatto
preoccuparsi.
-Ciao sorellina-. Replicai divertito sentendo la sua rabbia scoppiare
all’istante. Non sapevo cos’altro dire, mi sembrava
tutto così assurdo, persino che la mia famiglia mi avesse
appoggiato in quel progetto illogico.
-Edward, vieni qui-. Mi supplicò improvvisamente, la voce
angelica e il tono disperato. Per che cosa? Per sentirmi dire di aver
sbagliato, per continuare a esistere come facevo esattamente prima che
tutto cambiasse. Non ce l’avrei fatta, non ne ero
più capace. Ero un debole in fondo, non ero così
forte come avevo pensato.
-Per favore, non fare lo stupido-. Sussurrò il mio folletto
con voce tenera. –Ti aspettiamo-. Concluse trattenendo il
respiro. Sapeva meglio di me che non sarei andato. E conosceva la
ragione. Volevo stare solo con il mio dolore. Per quanto la mia
famiglia fosse in grado di capirmi, loro non sarebbero riusciti a
comprendere a pieno ciò che mi tormentava e io non volevo
che loro vedessero come mi ero ridotto. Un vegetale sarebbe stato
sicuramente più interessante da studiare.
-Alice, ho bisogno di stare solo-. Le dissi sincero, sperando che non
si offendesse. Tra noi c’era sempre stato un legame speciale,
non poteva non capire cosa mi stesse divorando dentro. Rimase in
silenzio, senza dire nulla, e attaccò senza nemmeno
salutarmi. Sapevo di averle fatto male, di averla costretta ad
allontanarsi da Bella e mi domandai se mi avesse perdonato o meno.
Probabilmente ancora no.
Tornai sui miei passi e mi infilai sotto la doccia, sentendo
l’acqua scivolare sul mio corpo e lavare via i miei pensieri.
Ma a cosa sarebbe servito? Sarebbero tornati in fretta a tormentarmi,
come incubi, e io non avrei potuto fare nulla per combatterli,
perché ogni più piccolo ricordo di Bella oltre a
farmi male mi donava serenità.
Qualcuno pensa di te che
tu sia diverso, qualcuno pensa di te che tu sia speciale, ma
inevitabilmente arranchi nella tua solitudine. È
perché tu sei sensibile, sei diverso. Credi solo al buio che
ti circonda e ti affanni per farlo diventare luce, quando in
realtà non sai di essere tu a dover brillare.
Edward… rimani sempre te stesso, io sarò qui a
vegliare su di te, non mi perderai mai.
Le parole di mia madre rimbombarono nella mia mente. Era strano come
anche la memoria più lontana potesse riaffiorare e far
ricordare un momento così passato, così remoto.
Avrei voluto parlare con lei, dirle che, nonostante fossero passati
cento anni, nulla era cambiato e io ero sempre il solito ragazzino
spaventato e debole. Eppure… uscii dalla doccia, sedendomi
nudo di fronte allo specchio. Forse non ero davvero più io.
Che ne era stato di Edward Anthony Masen? Il richiamo della mia
umanità… l’avevo sentito forte dentro
di me, lo stesso giorno in cui mi ero reso conto di essermi innamorato
follemente. E ora mi ero di nuovo perso. Sospirai, accarezzandomi una
spalla. Dovevo vestirmi, ma non ne avevo voglia. Ripensai
alle parole di Bella, alla sua tenerezza nei miei confronti. Anche lei
aveva sempre pensato che in me ci fosse qualcosa di profondamente
buono, da salvare, ma io non ero così sicuro. Chi ero?
Perché proprio a me quel destino? Combattevo tra mille
interrogativi che non avrebbero mai avuto fine e stavo male
perché l’unica donna che mi aveva fatto sentire
completo non era più con me. Mi mancava una parte
fondamentale di me stesso, lo sentivo, ne ero così
consapevole che i soli movimenti mi costavano fatica, come se ormai non
fossi più realmente io a muovermi.
-Elisabeth…- Pronunciai il nome di mia madre, sorridendo.
Era da tanto tempo, forse troppo che non andavo più a farle
visita. Mi ero imposto di non legarmi ai mortali, al mondo,
perché in questo modo avrei solo rischiato di farmi male, ma
ora non potevo più scappare da me stesso. Dovevo
affrontarmi. Sarei andato da lei, le avrei parlato.
Io ci sarò
sempre per te, figlio mio…
Erano state queste le sue parole prima di spirare. Mi alzai,
infilandomi la t-shirt, e decisi di andare sulla tomba della mia
famiglia a Chicago. Forse lì avrei trovato delle risposte, o
forse solo altre domande, ma dovevo assolutamente allontanarmi da
Bella. Ogni promessa era debito e io avrei lasciato che il mio grande
amore avesse la possibilità di scegliere per la sua vita.
Questo potevo fare per lei, solo questo.
Scesi le scale, poggiando le dita sul corrimano, e sentendo una strana
emozione invadermi. Tornare a casa… sorrisi tristemente.
Casa mia, il luogo in cui avevo vissuto i primi diciassette anni della
mia vita, così lontani, così sfocati. Pensai che
riprendere contatto con il ragazzo che ero forse avrebbe potuto
aiutarmi a capire cosa fare di me, perché rifiutavo il
pensiero di poter tornare come prima, non volevo gettarmi di nuovo in
quel vuoto senza via d’uscita. E forse… forse mi
sarei dato una possibilità. Appoggiai la mano sulla maniglia
della porta, abbassandola, ma improvvisamente mi fermai.
L’immagine di Bella travolta dal dolore tornò
davanti ai miei occhi e io dovetti chiuderli per evitare che quel
ricordo mi accecasse. Fu subitaneo, come un colpo sulla cornea, e io
trattenni il fiato sentendo un dolore acuto al centro del petto.
Bella… appoggiai la fronte sul legno e ansimai ripetutamente
cercando di controllare la sofferenza che mi stava invadendo. La mia
memoria fu invasa da una miriade di immagini nitide,
presenti… il mio piccolo Bambi che gridava il mio nome
cadendo nella foresta, i suoi occhi vuoti mentre Charlie la prendeva in
braccio, le sue lacrime innocenti che le scivolavano sulle guance senza
sosta. Mi inginocchiai, raschiando la porta con le dita, e serrando le
mascelle. Di nuovo il suo viso, ancora la sua incredulità di
fronte alle mie parole fredde, gelide di morte, e poi il buio, nella
mia mente solo e assoluto buio. Rimasi immobile, stravolto da
ciò che avevo visto e chiusi gli occhi per riprendermi.
Sapevo che non era normale, ma qualcosa in me stava cambiando, sentivo
che le cose non sarebbero state più come prima, Bella aveva
alterato completamente il mio essere vampiro e anche la sua assenza
avrebbe fatto altrettanto, anche se non sapevo ancora come. Respirai
piano, tentando di riprendere controllo sulla mia mente e sentii una
sensazione pungente insinuarsi pericolosamente dentro di me. Era
lei… era così forte. Non potevo dimenticare
quell’amore, sarebbe stato impossibile. Sorrisi amaramente.
Quanti altri ricordi avrei dovuto sopportare? Tanti minuti con Bella,
tanti istanti che avrei ripercorso con chiarezza estrema e che sapevo
sarebbero arrivati per tormentare i miei sensi di colpa, per ferirmi e
riportare alla mia mente ogni più piccolo piacere, dolore,
emozioni provate insieme alla donna di cui ero innamorato. Mi chinai,
guardando il pavimento, e i capelli mi scesero ribelli sulla fronte. Mi
mancava. Riconobbi quel sentimento dalla forza angosciante che stava
trascinando il mio cuore verso il baratro. Dovevo allontanarmi il
più presto possibile da Forks, era l’unica
soluzione.
Mi portai una mano sulla fronte e mi sentii fremere.
Quell’amore l’avrei portato sempre con me, come una
gioia, come una croce, non potevo fare di più. Non ero
nient’altro che il risultato delle mie scelte, non potevo
lamentarmi di ciò che avevo fatto. Sarebbe stato illogico da
parte mia, eppure… solo per un attimo, un solo attimo avrei
voluto gridare, lasciare che il mio corpo si abbandonasse a quella
sofferenza per sempre. Per tutta l’eternità.
-Non posso…-. Mormorai tentando di riprendermi. Se avessi
ceduto avrei solo ammesso il mio sbaglio sciocco e cieco. Avevo
lasciato Bella senza fare prima i conti con le conseguenze che ci
avrebbero travolti. Dovevo reagire, lo avrei imposto a me
stesso a qualsiasi costo.
-Bella…-. Sussurrai ancora, perso con lo sguardo nel vuoto.
Piccoli brividi cominciarono a scuotermi e io sentii improvvisamente un
conato di veleno salirmi in gola. Fame… avevo fame e non me
ne ero accorto. Sospirai sconfitto. Prima di partire sarebbe stato
meglio cacciare qualcosa, prima che il mio corpo reagisse da solo a
quella richiesta e acuisse il mio istinto di sopravvivenza. Mi alzai di
scatto, deciso, e tornai verso la mia auto. Non sarei più
entrato in quella casa, era l’ultima volta che
l’avrei vista, per sempre. Io non sarei più
tornato, mai, per nessuna ragione. Avrei fatto qualunque cosa
perché Bella si dimenticasse per sempre di me,
perché non soffrisse più a causa mia, ma
riuscisse a trovare l’uomo che avrebbe saputo amarla e
rispettarla per tutta la sua vita. E non un mostro… non un
mostro come me.
Eccomi qui, finalmente ad
aggiornare anche Nadir. Credetemi non è affatto facile
proseguire, ho delle idee in testa che cercherò di mettere
per iscritto piano piano e senza fretta. Tanto abbiamo taaaaaaaantiiii
capitoli a disposizione. Sono felice che seguiate la storia di Edward
con me, mi fa veramente piacere, perciò mi impegno
particolarmente in ogni capitolo, ci metto davvero il cuore. Beh, mi
impegno sempre veramente :-P. Cercherò di rendere il dolore
di Edward palpabile senza Bella e spero di riuscirci davvero, se
strapperò qualche lacrimuccia capirò di aver
raggiunto il mio scopo (anche se non voglio vedervi piangere O_O).
Io vi ringrazio, a volte i vostri commenti sono veramente
delle opere d'arte, commoventi e intensi e io rimando a bocca aperta.
Sono tanto tanto contenta che abbiate deciso di fare questo viaggio con
me. ^^ Mi sento proprio scema a dirvi queste cose però :-P.
Un bacio grande e buona lettura con il nostro Edward!
Malia.
19
ottobre.
Erano
trascorsi altri giorni, ma alla fine non ero riuscito ad allontanarmi
da quella casa. Codardo. Ero ancora lì, a soffrire come un
cane per qualcosa che io stesso avevo fatto e di cui avevo cominciato a
pentirmi amaramente. Avevo iniziato a parlare da solo, spesso ad alta
voce, con me stesso, ripetendo la stessa litania per ore ed ore.
L’avevo fatto per il suo bene, l’avevo fatto per
amore, per lei. Stavo diventando patetico, anzi… ero
patetico. Non potevo far altro che trascorrere i minuti immerso nei
ricordi e stava diventando nauseante confrontarmi con quello che ero
stato. Ricordare ogni più piccola emozione sul viso di
Bella, aver memorizzato ogni cosa di lei, mi stava facendo impazzire,
mi stava portando alla follia. Non era sollievo, era solamente tortura.
E più cercavo di convincermi che sarebbe passata,
più sapevo che la mia memoria avrebbe trattenuto tutto fin
nei minimi dettagli e non mi avrebbe lasciato tregua. Era vivere
l’Inferno. Ora sapevo cosa fosse morire ed ero anche conscio
di non poter più rivedere la luce.
-Avanti… sei ridicolo-. Borbottai alzandomi in piedi e
percorrendo la navata del salone. A chi volevo mentire? Stavo
dannatamente male e non riuscivo a riprendermi. Essere un vampiro non
aveva affatto cambiato le cose, la mia sofferenza era amplificata,
rimbombava dentro il mio corpo vuoto e mi faceva desiderare di non
essere mai nato. Non era un dolore fisico, ma lo stava diventando, e
questo riusciva a sconvolgermi ogni giorno di più.
-Ho fatto quello che andava fatto-. Mi risposi, convinto, il mio
sguardo di nuovo sicuro. Oh, certo… qualunque stupido
l’avrebbe fatto, lasciare la propria donna per farla amare da
un altro. Era proprio un gesto cavalleresco.
-Idiota!-. Mi insultai camminando avanti e indietro. Non era quello il
motivo, o forse sì. Ma qual era la vera causa? Non ricordavo
più quale fosse. Eppure i vampiri avrebbero dovuto ricordare
tutto no? Mi sentii confuso e percepii la mia testa schiacciarsi in una
morsa di sensazioni mai provate.
-L’ho fatto perché…
perché… avevo paura di farle male…-.
Ammisi annuendo e mettendomi seduto sul divano. L’orlo della
pazzia, non era forse quello? Tutti i matti si comportavano allo stesso
modo, i folli poi perdevano totalmente il contatto con la
realtà. Scoppiai a ridere, allargando le gambe e poggiando
la schiena sui cuscini.
-Che gentiluomo. Tu hai paura persino della tua ombra-. Dissi a me
stesso. Un ghigno dispotico e insofferente si impresse sul mio viso e
alzai le braccia in aria, come per difendermi da
quell’emozione che mi stava travolgendo: disgusto di me
stesso. Mi sentivo un vigliacco, un verme, perché sapevo
benissimo di averle già fatto più male del
dovuto.
-No, io volevo che vivesse una vita normale-. Continuai, portandomi le
mani tra i capelli e scuotendoli indietro. Guardai il soffitto,
consapevole di quanto ne fossi innamorato. Bella… se solo
avessi avuto il coraggio di tornare da lei, di chiederle scusa, io
l’avrei fatto, ma come avrei potuto chiederle di perdonarmi?
-Vedi…? Lo sapevo. Hai paura-. Conclusi sentendo la mia voce
rimbombare per la stanza. No, non era quello il problema. O
probabilmente sì, ero terrorizzato all’idea che
non riuscisse a dimenticare. I suoi occhi vuoti, le sue lacrime spente
e quell’anima mutilata della sua parte più
profonda… non avrei mai potuto cancellarlo.
L’avevo uccisa.
-Non posso affrontarla-. Mi lamentai, portando le ginocchia al petto, e
nascosi il viso allo sguardo di un me stesso che non avrebbe potuto
capire.
-Andiamo… tu non riesci ad affrontare nemmeno
l’uomo che sei. Ecco dov’è il problema.
Sei tu…-. Ancora quella voce, la mia voce, il mio tormento e
il mio demonio personale. Non avevo voglia di ascoltarmi, mi avrebbe
fatto solo ulteriore male. Eppure avevo ragione, il vuoto che avevo nel
cuore ne era la prova. Il problema non era mai stata Bella, il problema
ero sempre stato io. Io e solo io.
-Chi sei tu?-. Domandai ad alta voce, spaventato. Inconsapevolmente in
me c’era qualcosa di diverso, potevo percepire la presenza di
qualcosa, di qualcuno che mi stava divorando e gettando in uno stato di
depressione totale.
-Chi sei tu?-. Ripetè la voce a pappagallo, facendomi
sorridere, era solo un’eco. Stavo davvero diventando pazzo.
Risi ancora, scuotendo il viso sui miei jeans logori e sentii la
disperazione avvolgermi. Cosa mi era rimasto se non sapevo nemmeno
più riconoscere me stesso?
-Pazzo, folle…-. Bisbigliai, cercando il pavimento con i
piedi scalzi. Lo sentii sotto le piante, duro, morto e mi domandai che
differenza ci fosse tra me e un oggetto. Probabilmente nessuna, se non
che qualcuno a me aveva dato un’esistenza consapevole.
-Bestia…-. Mi sentii ancora sussurrare. –Sei solo
una bestia…-. La risata che seguì mi
spaventò e fui tentato di nascondermi di nuovo. Ma cosa
c’era in me che non andava? Perché continuavo ad
avere paura di uscire da lì? Non aveva senso.
Guardai la porta di ingresso e mi avvicinai lentamente. Pensavo che
fosse vicina, ma più camminavo più sembrava che
si allontanasse da me. Allungai una mano per afferrarla, speranzoso
questa volta, ma non riuscii nel mio scopo, e rimasi un momento fermo a
fissare l’ingresso.
-Oddio-. Mormorai senza capire. Tutto era distorto, non riuscivo a
capire quello che stava succedendo, ma la mia realtà non era
più quella di prima, ogni cosa sembrava inevitabilmente
compromessa. Io stesso ero… diverso.
-La porta è lì, io sono qui-. Sussurrai,
aggrottando la fronte. Che cosa ridicola, ero solo a qualche passo,
sarebbe bastato davvero poco per uscire fuori. Ma qualcosa dentro di me
mi immobilizzava e mi faceva credere di stare per afferrare la
maniglia. Okay, dovevo assolutamente calmarmi.
-Basta poco-. Continuai facendo una lieve smorfia con la bocca.
–Pochissimo-. Terminai, impressionato dal fatto che il mio
corpo non avesse intenzione di muoversi. Mi arresi con un sospiro e
tornai sui miei passi, salendo le scale verso il piano di sopra.
Era incredibile, trovai assurdo che la mia volontà non
decidesse per me stesso. Non era mai successo prima. Non volevo
lasciare il mio ultimo legame con Bella, questo era chiaro.
-Questo perché sei un debole…-.
Cominciò di nuovo la mia voce facendomi ammutolire. Era
questo che pensavo realmente di me stesso? Forse sì. Ero
troppo vigliacco per tornare da lei e troppo consapevole di
ciò che avevo fatto per voler scappare. Era giusto che
soffrissi, che il mio cuore fosse dilaniato dallo stesso dolore, se non
più forte, che adesso accecava anche lei. Perché
ne ero certo… sentivo le sue grida nella mia testa. Le
sentivo dentro. Percepivo con chiarezza il mio nome sussurrato ogni
giorno, ogni ora e minuto che ero lontano da lei. E mi domandai se
anche Bella sentisse il mio io urlare il mio amore, non poteva non
udirlo, perché era talmente forte da aver circondato quella
villa… che per me era diventata una prigione.
Tornai in camera e mi sedetti sul mio divano, fissando ancora il vuoto.
Noia. Tanto spesso avevo pensato che la noia fosse solamente un vuoto
incolmabile dovuto alla piattezza della vita, ora invece ero conscio di
come potesse uccidere anche chi aveva voglia di reagire, ma non
riusciva a trovare la volontà dentro di sé per
raggiungere il suo scopo. Io desideravo ribellarmi, ma non sapevo da
dove iniziare. E perché poi farlo? La mia stessa esistenza
non esisteva più. Bella non c’era più.
-Ma se l’hai voluto tu!-. Sentii un mio ringhio far vibrare
le pareti e mi accorsi di aver voglia di piangere. Era da tanto tempo
che non sentivo dentro me quel desiderio, così umano. E la
gola si strozzò ricevendo in cambio solo veleno. Io non
potevo lacrimare, non più. E adesso? Cosa ne avrei fatto di
quel dolore? Come lo avrei sfogato? Ero solo, di fronte a me stesso, di
fronte a tutta la mia vita mortale e immortale.
Da allora i tuoi occhi
non hanno più brillato, da quel momento hai cessato per
sempre di farti domande. Ogni giorno fluisce lento e inesorabile come
lo scorrere dei minuti… e ciò che potevi fare
oggi, tu l’hai rimandato al tuo domani. Quando si
è eterni non importa il quando, importa solo il
perché. E se scopri il motivo per cui tu stesso hai
continuato ad arrancare attraverso i secoli, potrai davvero costruire
un ordine interiore.
Era il mio diario. Scorsi tra le righe notando come la pagine
ingiallite curate e perfette sottolineavano il mio carattere
puntiglioso e curato. Invece ora mi ero trasformato in una specie di
animale da appartamento. Continuai a leggere, incuriosito dai miei
antichi pensieri. Maggio del 1938.
Guarda, osserva tutto
ciò che circonda te stesso, Edward. Fallo et impara da
ciò che i tuoi occhi possono cogliere vividamente. Sappi che
ogni più piccola cosa può ingannarti, sopra di
tutto l’animo umano. Tante e tante volte hai bramato di
capire i pensieri degli uomini e altrettante quelle piccole creature ti
sono sfuggite amaramente. Nessuna di loro crede di poter valere per se
stessa qualcosa davvero… e ad uno sguardo attento, loro
sbagliano. Non sanno quanto ciò che sono condizioni
l’essenza di ogni cosa. Non sanno quanto la loro anima sia
preziosa e quanto i loro sorrisi per natura siano di dignità
profonda. Ma loro camminano a testa bassa, incoerenti, avanzando nella
loro cecità, morendo a loro stessi senza nessun apparente
motivo valido. Chi ha di loro la vita sembra voler negarla ogni giorno,
mentre chi l’ha persa, come te, Edward, tenta di rimanere
aggrappato al briciolo di speranza che si crea nello spirito del mondo.
Sorrisi del mio spirito romantico. Quanto ero cambiato da allora. Avevo
odiato profondamente la fortuna dell’essere umano, ed ero
appena tornato a casa dopo quel periodo di ribellione che mi aveva
portato ad uccidere con consapevolezza. Una volta riuscivo ancora a
stupirmi delle profondità dell’anima
umana… ma ora non c’era rimasto negli uomini
più nulla da tollerare. Sciocchi, superficiali e privi di
spessore. Eppure lei non era così, Bella era diversa. Lei
aveva un animo sensibile, sognatore, pieno di colori e di vita. Bella
amava vivere, amava ogni più piccola cosa e ne conosceva il
valore e il significato. Per questo me ne ero innamorato. Nella
quotidianità quel piccolo cerbiattino cercava sempre
qualcosa di nuovo e i suoi occhi si fermavano circospetti e attenti
persino di fronte ad un’aula, come fosse stata il suo peggior
nemico. Sorrisi di quel ricordo e mi venne in mente il giorno in cui
l’avevo vista sbattere contro la porta chiusa. Quanto avevo
riso… l’unica donna sulla faccia della terra che
si dimenticava di abbassare una maniglia per entrare. Scossi la testa e
continuai a leggere. Giugno 1938.
Nulla cambia, sono
sempre solo. Io, i miei pensieri.
Ottimismo allo stato puro. Lanciai il diario per terra e sospirai
amaramente. Ma dove avevo trovato la voglia di scrivere pagine e pagine
inutili che nessuno avrebbe mai letto? Che idiozia, davvero non ne
vedevo più il senso. Mi stesi sul divano, chiudendo i miei
occhi e desiderando addormentarmi. In questo Bella aveva un vantaggio,
poteva sperare di addormentarsi fra le lacrime senza sentire
più dolore, io invece non potevo. Ancora una voltai pensai
che gli uomini fossero davvero molto fortunati e nascosi il viso sulla
stoffa del divano. Io non potevo nemmeno soffocare. Proprio non avevo
via di scampo, nemmeno se avessi voluto.
-Merda!-. Gridai con il solo e unico desiderio di cancellare tutto.
Stava diventando insopportabile quella situazione,
decisamente… non volevo più sentire quel vuoto
dentro.
-Non sei un uomo…-. Mi sentii sussurrare con un sussulto
sorpreso. E cos’era essere uomini? Avrei tanto voluto
chiederlo ad uno di quegli esseri insignificanti che avrebbero
scodinzolato dietro a Bella, cercando di conquistarla. Non mi sentivo
meno uomo di loro.
-Ti sbagli-. Sfidai me stesso con un tono basso e arrabbiato. Mi
ritrovai a ringhiare contro i miei stessi pensieri e mi sentii
più umano di quanto non avessi mai pensato di poter essere.
Indifeso, debole, alla mercé dei sentimenti.
-Se lo fossi stato ti saresti preso le tue responsabilità-.
Mi sentii dire, una volta seduto. Avevo ragione. Se avessi realmente
avuto coraggio, non l’avrei abbandonata, ma avrei
continuato a starle vicino, tentando di trovare una soluzione, tentando
di trattenerla vicino a me. Perché senza Bella io non ero
niente, assolutamente niente.
-Io la amo…-. Dissi solo, cercando di giustificarmi e
portando il busto in avanti. Mi chinai totalmente, piegandomi verso il
pavimento e sentii la nausea invadermi. Era raro per un vampiro stare
così male, non avevo bisogno di una laurea per capirlo.
Dannazione… sperai di non aver alterato eccessivamente i
miei sensi. In qualche modo dovevo sopravvivere e non volevo cibarmi di
esseri umani. Dio mio. Pregai di riuscire a controllare i miei istinti.
-Non puoi amarla davvero. Non sai cosa è l’amore.
Sei una creatura d’odio-. Sputai con rabbia, sentendo il
veleno invadermi la bocca e sciogliersi sulla lingua per la troppa
fame. Alla fine non ero che un vampiro, inutile dimenticarlo. Ero un
essere nato per uccidere.
Ma ero stanco, terribilmente stanco di tutti i quei pensieri. Volevo
smettere di pensare, ma non conoscevo il modo in cui poter farlo. O
forse c’era, ma non potevo concepirlo. Sospirai ancora una
volta, dirigendomi in corridoio come un’anima in pena.
Davvero non facevo che vagare per quella casa vuota, non
c’era molta differenza fra me e quella villa. Bella
all’esterno, apparentemente perfetta, ma dentro completamente
vuota e priva di calore.
Sentii il telefono squillare per l’ennesima volta a vuoto.
Non sapevo chi fosse, se Bella, oppure la mia famiglia, ma non avevo
voglia di ascoltare la voce di nessuno. Faticavo a sentire la mia, che
iniziavo a disprezzare profondamente, e non volevo peggiorare il mio
umore sentendo i rimproveri di Alice oppure di Rosalie. Non avrei
potuto sopportarlo. Perciò era meglio che rimanessi da solo
nel mio dolore. Lo trovavo in qualche modo confortante.
Quel suono riuscì ad infastidirmi, profondamente, e mi prese
forte la voglia di rompere quell’ apparecchio e gettarlo via.
Lo sapevo… sapevo cosa stava succedendo, non c’era
bisogno che qualcuno me lo ricordasse. Basta. Mi portai le mani alle
orecchie, iniziando a ringhiare, mentre quel frastuono mi entrava
dentro e mi scuoteva la testa, lacerando il mio cervello.
-No, basta!-. Gridai cercando di controllare il dolore nella
testa. Ma la sofferenza non era nella mia mente, era nel mio cuore, e
quel rumore proveniva da una parte del mio corpo che credevo morta per
sempre. Mi appoggiai con la schiena contro il muro e fu allora che
sentii un rumore venire dalla porta. Mi portai velocemente dietro la
rampa di scale e mi acquattai sul muro, attento. Ero sicuro che fossero
umani, potevo sentirne l’odore. E capii subito di chi si
trattasse… odore inconfondibile, era Chiarlie. Aveva
scassinato la porta, ma che bravo poliziotto.
-E’ vero… non c’è nessuno-.
Mormorò stupito, guardandosi intorno. –Ma la casa
sembra stata presa d’assalto…-. Commento
meravigliato. Sorrisi involontariamente…
-Andiamocene, questo posto mi mette i brividi-. Commentò il
suo collega stringendosi nelle spalle. L’ispettore Swan si
girò perplesso e gli fece segno di chiudere la bocca
scuotendo la testa.
-Sei un idiota, Jack-. Lo rimproverò facendosi
più avanti in salone. E così il padre di Bella
era venuto ad accertarsi della nostra partenza. Potevo leggere nei suoi
pensieri chiaramente: mi detestava. Aveva iniziando ad odiarmi,
perché avevo osato lasciare sua figlia, perché
l’avevo distrutta e non le avevo lasciato niente a cui
aggrapparsi.
-Cosa ti aspettavi di trovare? Eh?-. Gli chiese l’amico,
esterrefatto. Charlie sbuffò e il suo viso si fece triste.
Me… voleva vedere me, parlare con me di quello che stava
vivendo Bella. Era pur sempre un padre e non sopportava che sua figlia
fosse ridotta in quello stato pietoso. Mi portai più vicino,
dietro il divano, e girai intorno per guardarli meglio.
-Questa casa è spettrale-. Aggiunse il tipo, Jack,
sghignazzando terrorizzato. Già, ero d’accordo con
lui, non poteva sapere chi ci aveva abitato, altrimenti non si sarebbe
mai avvicinato. Ghignai nell’ombra e aspettai che se ne
andassero.
-Bella non si merita questo-. Sentii l’ispettore Swan
mormorare nel vuoto. –Non se lo meritava, Edward-.
Continuò come se fossi stato presente. Sapevo benissimo cosa
meritava il mio cerbiattino ed era una vita normale, vicino a chi
l’avrebbe saputa amare. Anche Charlie non avrebbe mai
accettato che sua figlia si fidanzasse con un assassino, ne ero
convinto.
-Tu sei pazzo. Esattamente come tua figlia in questo periodo-.
Brontolò l’altro facendomi correre un brivido
lungo la schiena. Amico o non amico, per quanto mi riguardava era
già morto. Poggiai le mani a terra, calmo, e mi irrigidii in
posizione d’attacco. Veloce gli passai vicino e lui
sentì immediatamente la mia presenza. Perfetto.
-Ch… ch… arlie, per favore, usciamo.
C’è qualcuno qui dentro-. Balbettò
vergognosamente come un bambino spaurito. Sorrisi. Povero
diavolo… odiavo le fecce come lui. Lo conoscevo, era sempre
ubriaco, e non mi piaceva affatto che pensasse quelle cose di Bella.
-Sì? Ci sono i vampiri!-. Proruppe Charlie accendendo una
torcia e puntandogliela sul viso. Decisi di divertirmi un po’
ed intervenire. Mi portai alle sue spalle e lo toccai leggermente
facendogli perdere l’equilibrio. Cadde a terra terrorizzato
sotto lo sguardo attonito dell’amico.
-Jack, smettila di scherzare-. Commentò
l’ispettore sbuffando, mentre io tornavo lesto dietro il
divano. Il tipo tremava come una foglia, non aveva nemmeno la forza di
muoversi tanto era impaurito da quello che era successo.
-C’è qualcuno… c’è
qualcuno-. Disse di nuovo, tremante, le braccia molli come gelatine.
Che goduria, mi stavo divertendo tantissimo a vederlo in quello stato
pietoso. Almeno gli era passata la sbornia.
-Non dire scemenze. È tutto abbandonato-. Tagliò
corto Charlie, guardandosi ancora intorno, ma Jack non era dello stesso
parere e non riuscì nemmeno a tirarsi in piedi.
L’ispettore lo aiutò, afferrandolo per un braccio,
e lo scaraventò fuori dalla porta in malo modo, fissandolo
esasperato. Ridacchiai. Era da un po’ che non mi divertivo
così.
Charlie si voltò verso l’interno, ancora una
volta, non sembrava affatto aver voglia di andarsene. Non capii il
motivo… la sua mente era confusa, i suoi pensieri si
intrecciarono, sconnessi.
-Di una cosa prego solo Dio, se esiste, Edward… Che tu possa
marcire all’Inferno per quello che hai fatto.
Perché non riconosco più Bella… e ho
paura-. Concluse impugnando ancora il fucile sulla spalla e facendo per
spostarsi. Aveva ragione in fondo e io lo sapevo.
-Addio-. Disse ancora prima di spostarsi verso la porta e chiudersela
alle spalle con un tonfo che fece addirittura cadere polvere. Rimasi
immobile per qualche secondo, riflettendo su ciò che Charlie
aveva detto. Io meritavo davvero l’Inferno e lo stavo
vivendo, l’avrei sperimentato fino allo stremo,
perché il mio destino senza Bella non poteva essere che
quello.
-Addio-. Mormorai per tutta risposta, alzandomi in piedi e
avvicinandomi alla finestra. Osservai i due dentro l’auto e
ringraziai il cielo di aver rimesso la mia Volvo in garage. Se non
l’avessi fatto a quest’ora l’ispettore
Swan mi avrebbe fatto cercare per tutta Forks e non si sarebbe fermato
fino a quando non avrebbe avuto il mio sangue. Che ironia…
scoppiai a ridere aspettando di veder sparire la volante e poi tornai
serio.
-Che avrò tanto da ridere…-. Borbottai a me
stesso, sospirando e scostandomi i capelli dalla fronte. E
così qualcuno era venuto a cercarmi. Non Bella, ma suo
padre. Sperai che lei stesse bene, ma a giudicare dei pensieri di
Charlie non era affatto così. Mi illudevo solamente che
tutto si sarebbe risolto per il meglio, ma quell’odio
sottile, quella rabbia che avevo sentito verso la mia famiglia era
nuova in lui.
-Bella, dimmi che stai bene-. Sussurrai preoccupato. Non potevo cedere
e andare da lei ancora una volta, perché sarebbe stato
difficile poi staccarmi dal mio amore. Erano giorni che salivo in auto
e scendevo, senza avere il coraggio di andare via.
-Bella…-. Ripetei ancora il suo nome per sentirlo vibrare
sulle mie labbra e per un attimo mi sembrò di sentire il mio
nell’aria. Stavo davvero impazzendo, eppure udii di nuovo il
mio nome, sussurrato tra le lacrime, nell’angoscia di un
minuto che non aveva mai fine. Follia, la mia era pura follia, ormai lo
sapevo, non poteva essere definita in altro modo.
- Amore mio cerca di riprenderti, ti supplico-. Bisbigliai sorridendo
appena e poggiando la testa sul vetro. Avevo voglia di sentire il suo
profumo, di stringerla a me, di accarezzarla… girai il capo
verso il giardino e l’immagine di Bella mi fece sussultare.
Fu un attimo, ma i miei occhi la videro di fronte alla sua finestra,
abbandonata sulla sedia, osservare l’esterno alla ricerca
della mia macchina, guardando la strada sperando di vedermi apparire.
-Non tornerò-. Sussurrai sicuro. Non potevo farlo, non
avrebbe dovuto aspettarmi. Era inutile. La mia mente ormai era
totalmente immersa nella pazzia, tanto da farmi vedere ciò
che non era. Forse illusioni, forse bugie, ma mi gettavano ugualmente
in uno stato d’ansia e di paura profonda.
-Non tornerò-. Mormorai ancora, sperando che
quell’immagine di lei tornasse a farmi compagnia solo per
qualche minuto. Ma non vidi nulla se non la pioggia che lenta
cominciò a battere sul vetro. E anche il cielo poteva
piangere… anche la natura poteva sfogare la sua rabbia, la
sua tristezza con le lacrime. Davvero ero una creatura abbietta e
condannata. Camminai verso il divano, deciso ad affogare i miei
pensieri nel nulla, quando qualcosa attirò la mia
attenzione. Era un pezzo di carta, doveva essere caduto
all’ispettore. Lo raccolsi e lo allargai, incuriosito.
I giorni senza di te scorrono
lenti e inesorabili. Ho voglia di morire, Edward. Ti sei portato via
tutto. Volevi salvare la mia anima? Ma la mia anima è con
te, è dentro di te, e tu te la sei portata via, strappandola
dal mio cuore. Ti prego, amore mio, non farmi ancora male. Non dormo
più ormai, sono notti che non riesco a chiudere occhio. Ti
vedo, rivedo quel momento, i tuoi occhi freddi e duri, spietati che mi
cacciano via. Dimmelo Edward? Guardami ancora e dimmelo. Non mi ami
più? Io questo non lo sento. Che stupida. So che tu mi ami.
È ridicolo ma… sento la tua presenza vicina a me,
in ogni momento. Come vorrei vederti, anche solo per un attimo, darei
ogni cosa per rivedere il tuo viso, il tuo sorriso. Ti supplico, amore,
qualunque errore io abbia commesso, qualsiasi sbaglio o torto possa
averti fatto, ricorda… io sono solo un miserabile essere
umano, ma i miei sentimenti sono sinceri. Quelli sì. Darei
la mia vita per te. Edward… Edward ti prego. Darei la mia
vita per te… eccola è tua. Non mi ami, allora
uccidimi, ma fallo in fretta amore mio. Voglio morire, tutta
l’esistenza da quando non ci sei ha smesso di avere senso.
Voglio morire, fammi morire lentamente, ormai i giorni e i colori non
hanno più importanza, nemmeno il tempo. Sei solo tu nei miei
pensieri, il mio sogno e il mio incubo. Ti amo. Non so come dirlo, non
so come gridarlo. Ti amo. Ti amo. Ti amo.
E
finalmente riesco ad aggiornare anche Nadir!!! Dopo tanto tempo...
questa fic è più impegnativa. Mi rimangono lei e
Mid Eclipse e dovrete scusarmi se non aggiornerò spesso
questa estate, ma avrò molto da fare. Chiedo scusa
già da adesso, ma ho intenzione di mettermi a scrivere i
miei romanzi. Per questo ho terminato alcune fic. E' ora di fare le
cose seriamente e di cimentarmi in qualcosa di mio davvero. Non voglio
continuare a scrivere soltanto fanfic, spero possiate comprendere. Per
quanta passione e impegno possa metterci non saranno mai personaggi
miei, non potrò mai esserne davvero orgogliosa,
perciò è arrivato il momento di impegnare davvero
me stessa. Grazie perchè continuate a seguirmi, per i
commenti, per la vostra gentilezza. GRAZIE ANCORA. Malia.
Voglia di te.
Strinsi
tra le mani quel foglio, portandomelo al viso, cercando il suo profumo,
dimenticando ogni buono proposito. Le avevo fatto del male…
e ora continuavo a farla soffrire con la mia assenza. Ma
cos’altro avrei potuto fare? Io volevo soltanto vederla
felice. Era forse un delitto? Poggiai leggermente le labbra su quel
foglio e sussurrai parole d’amore. Ormai ero impazzito del
tutto e quella follia consapevole mi gettava in uno stato di estrema
lucidità. Sapevo cosa sarebbe
stato corretto fare. Tornare da lei, stringerla a me, baciarla e dirle
che era tutta la mia vita. -Certo che tu sei
proprio malato…-. La mia voce risuonò ancora per
la stanza, ma questa volta non la riconobbi. Sembrava uno schiamazzo
stridulo ed isterico. Non risposi,
continuando ad accarezzare quel foglio con le dita, come se avesse
potuto donarmi la vita. Era inutile credere che avrei avuto il coraggio
di tornare da lei, perché ero un vigliacco e soprattutto ero
troppo debole per farlo, ma certo quelle parole le avrei imparate a
memoria e marchiate dentro di me. -Fai pace con te
stesso-. Continuò quello sconosciuto, che non avevo mai
sentito parlare prima. Rimasi ancora in silenzio, perché non
sarebbe valso a nulla rispondere. Era tutto perfettamente inutile.
Provocarmi non avrebbe risolto nulla. Il problema fondamentale ora era
riuscire a scappare via, fuggire dai miei ricordi e dalla mia stessa
sofferenza. Quella
lettera… mi parlava di amore, mi parlava di colpa, e urlava,
urlava urlava… -Ho bisogno di
vederti-. Sussurrai stringendo la carta nel mio pugno e stropicciandola
fino a farla diventare niente. Tanto ormai tutto ciò che
c’era scritto era impresso nella mia memoria come un sigillo
indelebile, sarebbe stato praticamente impossibile non ricordarlo. -Vuoi andare da lei? E
che farai…-. Di nuovo sentii me stesso interrogarmi e rimasi
fermo ed immobile a pensare. L’avrei guardata, avrei chiesto
perdono a Dio e poi sarei fuggito via. -Ah… vuoi
fare il vigliacco-. Continuò il mio demone in modo
cavernoso. Da quando avevo una coscienza? Io non ero che un mostro, un
animale assetato di sangue e sesso. Quello era un vampiro.
Eppure… -Io, voglio solo
vederla-. Replicai debolmente, gli occhi chiusi e la bocca impastata di
veleno. Bella… la tentazione di spiarla come facevo
all’inizio, di stare con lei, di far parte della sua vita era
troppo forte e non riuscivo a controllare il mio desiderio. -Certo. E lei merita
altro dolore, ovviamente. Sei solo un egoista-. Sputai tentando di
convincermi che tornare sui miei passi non fosse la cosa giusta da
fare. Ma era così difficile capire perché avessi
lasciato la ragione della mia vita quando mi mancava così
tanto ogni cosa di lei. Il mio piccolo Bambi, il mio amore. -Io non mi
farò vedere. Non le farò male…-. Mi
giustificai prendendo un respiro e sgranando le palpebre. Mi sarei
nascosto nell’ombra, l’avrei soltanto guardata, non
mi sarei nemmeno permesso di toccarla. Non potevo continuare a stare
lontano da lei nemmeno un minuto. -Ovviamente! Ma che
cavaliere… Un uomo d’altri tempi-. Impazzii di
dolore quando capii di avere ragione. Non era corretto nei confronti di
Bella, perché lei stava soffrendo e io non avrei rispettato
la sua sofferenza in quel modo. Chiusi le palpebre,
decidendo cosa fare e il mio corpo si mosse da solo verso
l’uscita. Non potevo, non sarei riuscito a rimanerle ancora
lontano. Ero uno stupido, troppo innamorato, ma avevo bisogno di
sentire il suo profumo, avevo bisogno di viverla ancora. -Non puoi-. Mi fermai
in tempo vicino alla porta e mi maledii. Non potevo farlo, non sarei
riuscito più ad allontanarmi più da lei e avevo
deciso di lasciarla libera. -Posso-. Mormorai a me
stesso abbassando la maniglia e sentendo l’aria sferzarmi il
viso. Stava per nevicare, sentivo nell’aria un freddo
pungente. -Se lo farai, non
potrai più perdonarti-. Bisbigliai sul pianerottolo
guardando verso il garage dove sapevo che la mia auto era parcheggiata.
Andare con la Volvo? Scesi le scale lentamente, ponderando bene la
scelta e mi sentii perso. Non sapevo cosa fare. Ero totalmente in balia
di me stesso. Perché tornare indietro? Che significato
poteva mai avere. Tutta quella sofferenza, quella scelta solamente per
non riuscire a lasciare che Bella vivesse la sua vita. Era totalmente
illogico e incoerente, ma il mio bisogno di lei era troppo forte e in
fondo ero soltanto un uomo innamorato, prima di essere un completo
idiota. Mi avvicinai al garage
e mi forzai a continuare nel mio proposito, fino a quando non mi trovai
dentro la mia macchina. -Che cosa farai ora?-.
Domandai ad alta voce, guardando le chiavi già infilate e
mettendo in moto. Uscii, percependo il volante sotto le dita e godendo
di quella sensazione. La Volvo mi era mancata. Spinsi
l’acceleratore cambiando marcia e afferrai il volante con una
mano, mentre con l’altra abbassavo il finestrino per sentire
l’aria scompigliarmi i capelli. -Non importa cosa
farò. Voglio vederla-. Replicai, infilandomi nella strada
principale e accorgendomi di stare andando troppo veloce. Ma non volevo
fermarmi, era un bisogno troppo forte quello della velocità.
Ne sentivo prepotente la necessità. Svoltai nel lungo
viale che mi avrebbe portato a casa Swan, ma mi fermai molto prima,
parcheggiando in modo che la mia auto passasse inosservata.
Fortunatamente l’aria era così gelida che nessuno
quel giorno si sarebbe mosso da casa per fare un’eventuale
passeggiata. Camminai lentamente, guardandomi intorno, e cercai di
riportare alla memoria quei posti. I miei occhi li avevano visti tante
volte, ma era come se li stessi guardando per la prima volta. Era
strano tornare alla vita, sentire l’aria invadermi i polmoni
ormai morti, percepire la realtà in modo così
intenso. Arrivai nelle
vicinanze della casa e sbirciai lì intorno. Non dovevo
assolutamente farmi vedere. L’ispettore Swan non
c’era, la sua auto non era parcheggiata al lato della strada,
quindi era di turno. Ma sua figlia? Fui preso dalla smania di vederla
e, dimentico di ogni accortezza, mi arrampicai su per la finestra.
Avrebbero potuto vedermi, ma dentro di me la disperazione, la
frustrazione e il totale stordimento avevano preso il sopravvento. Fu così che
mi aggrappai con una mano al davanzale della finestra…
aperta. Ad ottobre. Aggrottai la fronte insospettito e sbirciai
all’interno decisamente allarmato. L’avevo fatto
tante volte in passato, ma questa volta di Bella neanche
l’ombra. Non sapevo se fosse un bene o un male, ma non ebbi
nemmeno il tempo di riflettere perché l’odore del
mio piccolo Bambi mi entrò nelle narici saturandomi le vene.
Il dolore divenne insopportabile e dovetti scuotere più
volte la testa per evitare che il desiderio ci cercarla e morderla si
facesse pressante. Ma qualcosa non andava, c’era qualcosa di
diverso in quel profumo, di disperato… Mi ritrovai
ansimante, appiattito al muro e il naso all’aria: la stavo
bramando, il mio corpo era assetato del suo sangue. Era troppo tempo
che non sentivo quella sensazione attraversarmi le viscere e fui felice
di sentire ancora Bella così prepotentemente dentro di me.
Meritavo quella sofferenza. Mi accostai alla porta del bagno e sentii
un rumore all’interno.. qualcuno stava tossendo. Assottigliai le
palpebre, stupito, e afferrai piano la maniglia, tirandola verso il
basso. Il gesto fu talmente istintivo che non ebbi il tempo di
pentirmene. Volevo sapere. Rimasi per qualche
secondo immobile ed incredulo, sentendo un odore acre e pungente
avvolgermi. Lasciai la maniglia e la mia bocca si storse in una smorfia
infastidita. Misi a fuoco un corpo esile rivolto su se stesso scosso da
conati e febbricitante di sudore. Bella… -Edward…-.
La sentii mormorare prima che un nuovo tremore la scuotesse. Mi sentii morire. Era
dimagrita, troppo. La fissai attentamente e rimasi attonito di fronte a
quel piccolo scricciolo, a quella vita delicata che stava lentamente
scivolando via. -Che cosa ho fatto-.
Bisbigliai portandomi una mano sul viso, non sapendo cosa fare. Tornai
a posare lo sguardo su di lei e osservai il suo corpo esile coperto
solo di una maglietta lunga scosso da profondi brividi. Il primo
istinto fu quello di entrare e prenderla tra le braccia, ma qualcosa mi
impose di rimanere immobile. Non riuscivo a distogliere gli occhi da
quella visione. Il suo viso pallido era ceruleo e i suoi occhi spenti
sembravano proprio quelli di una preda agonizzante. Bella stava morendo
ed ero stato io la causa di tutto. -Io…-.
Mormorai a me stesso. La tentazione di scappare divenne così
urgente che mi vergognai di me stesso. Avevo cercato solamente di
proteggerla, non avrei mai voluto farle del male, né mai
desiderato nuocerle in quel modo. -Bella!-. Percepii un
urlo dalle scale e mi dileguai immediatamente. Perché non
avevo sentito prima la presenza dell’ispettore Swan? Tutto
avvenne in pochi minuti. La porta della camera
si aprì e il padre del mio piccolo Bambi si
fiondò direttamente in bagno. Lo vidi tornare nella stanza
con Bella in braccio e posarla sul letto con estrema delicatezza. Mi
sentii in colpa… era mia la responsabilità di
quello che stava succedendo. Avrei dovuto prevederlo, avrei dovuto
leggerlo nei suoi occhi quando mi supplicava di non lasciarla, quando
tutto poteva ancora tornare indietro. -Edward!-.
Urlò Bella stringendo con le mani il copriletto, ora umido.
Era distrutta, sembrava che le avessero strappato il cuore dal petto e
l’avessero gettato all’Inferno. Vedevo in lei me
stesso, il mio stesso dolore, ma meno lucido. -Sono qui-. Mormorai a
bassa voce, guardandola soffrire per me. Il suo profumo così
forte mi stordiva e mi faceva desiderare di strusciarmi su quelle
coperte per lenire anche solo un poco quel desiderio di morderla, di
possederla. Dovevo sopportare, non avevo altra scelta. -Bells, piccola, sono
qui. Sono papà…-. Mormorò Charlie
passandole una mano sulla guancia, ma i singhiozzi del mio cerbiattino
aumentarono e si trasformarono in un pianto senza fine. L’ispettore
sospirò e cercò di infilarla sotto le coperte,
perché non prendesse freddo, poi si voltò verso
la finestra aperta. -L’hai
ancora lasciata aperta. Ma perché…-. Fece
alzandosi e avvicinandosi per chiuderla. -Noo!!…-.
Urlò Bella facendomi fremere. I suoi occhi spalancati nel
vuoto sembravano aver ripreso un po’ di lucidità.
–Lascia…-. Ingoiò la saliva e si
gettò sul cuscino, senza forze, troppo spossata per fare
qualsiasi cosa. Non volevo crederci. -Fa freddo Bells. Vuoi
ucciderti?-. Gridò Charlie fuori di sé. Aveva
ragione, Bella aveva la febbre ed era dovuta sicuramente al freddo
intenso in quella camera. E ormai era tempo di neve. Le avevo detto che
non sarei tornato, le avevo detto che non mi importava nulla di
lei… perché continuare ad aspettarmi? -Sì-.
Rispose tranquillamente lei, sfidando suo padre a chiudere
l’anta. Beh, se non voleva farlo lui, l’avrei fatto
io. Passai veloce di fronte alla finestra, fingendo una folata violenta
di vento, e feci sbattere il vetro verso il basso per chiuderlo
definitivamente. Perfetto. Entrambi si voltarono
di scatto e Bella urlò. Un grido disumano che mi
spezzò il cuore morto che avevo in petto. -Aprila!-.
Mormorò cercando di alzarsi in piedi. Non l’avevo
mai vista così, mai. Si sollevò, tremante, e
sospirò senza energie arrancato sul bordo del letto. -Devi mangiare
qualcosa…- Sussurrò Charlie preoccupato. Ero
d’accordo con lui, ero sicuro che Bella avesse perso almeno
cinque chili. Ero impressionato dalla sua magrezza, avevo paura per
lei, ero angosciato. Il mio sguardo si perse sulle sue cosce esili e
capii che doveva essere molto debole dal modo in cui tremava. -Non ho fame-.
Commentò fermamente aggrappandosi al davanzale della
finestra. Charlie la prese per le spalle, cercando di impedirle di
aprire, ma uno scossone di sua figlia lo fece desistere dal fare
qualsiasi cosa che potesse peggiorare la situazione. Ora capivo
perché tutto quel rancore nei miei confronti. -Non
tornerà. Lo sai anche tu-. Disse lui sbattendole in faccia
la verità che anche io le avevo detto con tanta freddezza. E
invece ero lì, vicino a lei, perché la amavo ed
era impossibile per una creatura come me, egoista e senza scrupoli,
lasciare ciò che più desideravo. Ero un vampiro,
un mostro dannato, non un santo. -No, lui
tornerà-. Riprese sicura Bella abbassando la testa e
guardando la strada. La fissai soffermandomi sulla sua bellezza eterea
e su quanto mi fosse mancata la sensazione di appartenerle. Ero
lì, solamente per lei, perché non potevo
sopportare l’idea di starle ancora lontano. Stavo impazzendo. -No, perché
tu non sei così importante per lui. Non ti avrebbe lasciata
qui-. Continuò suo padre senza pietà. Vidi il
volto di Bella rigarsi di lacrime e “piansi”
silenziosamente lo stesso dolore. Ero con lei, dentro di lei, non
l’avrei più lasciata sola. -Lui mi ama-.
Commentò il mio cerbiattino sottovoce, lasciando scivolare
una mano sul vetro e appoggiando la fronte bollente sulla finestra. -Se
veramente…-. Cercò di iniziare
l’ispettore, ma un gesto di Bella lo fece desistere dal
parlare. -Voglio dormire-.
Disse lei gentilmente, senza espressione. Charlie fu costretto ad
annuire, stringendo la bocca, e le voltò le spalle
dirigendosi verso la porta. Lo capivo. Era difficile per lui gestire
tutta quella situazione. Vedere sua figlia in quelle condizioni non
poteva che farlo soffrire. -Edward-.
Sussurrò ancora il mio piccolo Bambi prima di lasciarsi
cadere a terra. Inizialmente pensai che fosse solo esausta, ma poi la
consapevolezza che avesse perso i sensi mi fece spaventare. Ero
terrorizzato da ciò a cui stavo assistendo, non avrei mai
pensato che Bella potesse arrivare a tanto per me. Tornai alla luce e
mi inginocchiai al suo fianco prendendola tra le mie braccia. La
strinsi a me, con delicatezza, forse più di quanta non ne
avessi mai usata e le baciai la fronte, sentendo la febbre entrare
dentro il mio corpo e farmi male. -Perdonami-.
Bisbigliai accarezzandole con la bocca i capelli. Quanto desiderio,
quanto dolore, quanta dolcezza in quella sofferenza che mi stava
dilaniando le ossa. Era come trovarsi in mezzo ad un fuoco e sentirsi
completamente ardere. Ogni più piccola parte di me si stava
tendendo verso di lei per la voglia di ucciderla, di bere il suo
sangue, ma sapevo che non le avrei mai fatto del male. Gliene avevo
già fatto abbastanza. Ma ora basta. La sollevai di peso e
la portai sul suo letto, cercando di non farla svegliare. -Che devo
fare…-. Mormorai a me stesso continuando ad osservarla. Ero
stregato da lei nonostante tutto. Non vederla per tutto quel tempo mi
aveva distrutto e ora averla tra le mie braccia, così
vicina, mi faceva respirare di sollievo, mi aveva fatto tornare la
voglia di vivere. -Vuoi sacrificare
tutto quello che hai fatto fino ad ora?-. Risposi accarezzando
lievemente la guancia di Bella. Un lieve dolore mi
attraversò il braccio, che bloccai di scatto. Dovevo andarci
piano, non ero più abituato a quelle sensazioni. -No,
voglio…-. Iniziai tentando di capire quale fosse il mio vero
scopo. La volevo? Non la volevo? Non ne avevo più idea. Ero
confuso. La amavo, ma forse troppo per avere il coraggio di
allontanarmi da lei. Bella era la mia droga, il sentimento che provavo
per lei superava di gran lunga qualsiasi tipo di dipendenza. Inutile
cercare di fuggire da me stesso. -Voglio solo rimanerle
vicino finchè non starà bene. L’ho
fatto in passato, posso farlo ora-. Mi giustificai sentendomi subito
meglio. Sì, sarei rimasto al suo fianco fino a quando
avrebbe avuto bisogno di me. Non potevo vanificare quel sacrificio, non
potevo toglierle la libertà che le avevo dato con tanto
dolore. -Ti prego, perdonami-.
Mormorai ancora chinandomi su di lei e baciandole lievemente la fronte.
Una scarica elettrica mi attraversò la gola chiamando veleno
e venne assorbita dal mio cuore che divenne brace, voglioso del suo
sangue. Ma non feci nulla, rimasi solamente ad ascoltare il suo respiro
irregolare soffiarmi nelle orecchie. -Edward…-.
Sussurrò nuovamente inarcandosi in avanti. Mi scostai,
alzandomi in piedi, e tornai vicino alle tende. Dovevo pensare,
riflettere. Se mi fossi fatto vedere da lei, davvero non avrebbe avuto
più senso quello che era successo. E poi… mi
avrebbe perdonato? O meglio, mi sarei perdonato per quella mia
vigliaccheria? -Edward…
Edward!-. Gridò Bella scossa ancora dai singhiozzi. Alzai
lentamente la testa fissando il corpo di Bella sollevarsi e rigirarsi
da una parte all’altra, come se un demone la stesse
possedendo nell’anima. E quel demone… ero sicuro
di essere io. Mi avvicinai sollevando un ginocchio sul letto. Era
troppo pericoloso avvicinarmi ancora, ma dovevo fare qualcosa per
calmarla altrimenti avrebbe continuato a urlare il mio nome, ne ero
certo. Mi inginocchiai e mi allungai, sfiorandole una mano e
sussurrandole qualcosa di dolce, in modo che mi sentisse. Si calmò,
come un bambino capriccioso al suono della voce della mamma. -Complimenti capo. E
ora?-. Chiusi gli occhi sentendo ancora quel tono così
famigliare punzecchiarmi. Sogghignai, consapevole di ciò che
mi sarei rimproverato. -Non avevi detto che
era meglio starle lontano? Non avevi paura di farle male?-. Commentai
gettandomi in uno stato di profonda confusione. Sì, era
così. Non volevo che Bella corresse inutili pericoli, ma non
desideravo nemmeno che stesse male a causa mia. Avevo sempre cercato di
proteggerla, di non fare cose che avrebbero potuto spaventarla, eppure
non ero riuscito ad amarla come avrei voluto fare. Una persona
innamorata si sarebbe comportata diversamente. -Insomma non riesci a
fare pace con il tuo cervello-. Mormorò la mia voce,
facendomi sghignazzare. Non aveva tutti i torti, mi sembrava di stare
per scoppiare. Se l’avessi lasciata sola cosa sarebbe
successo? Non avevo sacrificato il nostro amore perché Bella
morisse. -Ero convinto che
sarebbe stato più facile dimenticare per lei-. Mi
giustificai sfiorendole ancora una mano e chinando il capo per tornare
a fissarla. -E’ un
controsenso-. Borbottai osservando la sua pelle bianca e morbida
scomparire sotto la maglietta. Le vene pulsanti e violacee erano
scoperte alla mia vista e alla mia voglia. -L’amore in
fondo lo è-. Sospirai, consapevole della verità
delle mie parole. Avevo cercato di evitare di innamorarmi di lei e
invece l’avevo trascinata nel mio mondo… adesso
l’avevo lasciata, ma tornavo, deciso a proteggerla. Davvero
era diventato difficile riconoscermi. Mi alzai, decidendo
che sarei rimasto lì con Bella finché avesse
avuto bisogno di qualcuno che la proteggesse e mi sedetti sulla
poltrona, riflettendo su una strategia di difesa. Sentii i pensieri
preoccupati di Charlie quando uscì di casa per riprendere il
turno e decisi di fare qualcosa per farla mangiare. Dovevo almeno
provare. Ma come avrei fatto? Scesi in cucina,
aprendo il frigorifero. Non sapevo nemmeno riconoscere se ci fosse
ancora qualcosa di commestibile. Velocemente riempii un piatto,
convinto che la fame avrebbe comunque spinto Bella a nutrirsi. Salii di
nuovo, non senza portare con me anche un bicchiere di acqua fresca, e
appoggiai tutto sopra il letto, sapendo che si sarebbe svegliata di
lì a poco. E infatti fu così. Si alzò di
scatto, fissando il piatto incredula e bevendo avidamente
l’acqua. -Gli avevo detto che
non volevo nulla-. Bisbigliò stupita continuando a
guardare il cibo. Sperai che la mia idea funzionasse. Vidi il mio
piccolo Bambi allungarsi verso il formaggio e annusare l’aria
con l’acquolina in bocca. Sorrisi intenerito nel vederla
guardarsi intorno come una bambina sorpresa. Prese una fetta di pane
dal piatto e se la portò alle labbra, annusandola e
chiudendo gli occhi. Addentò il
pane e io esultai. Per fortuna… la osservai masticare con
attenzione, ma mi accorsi subito che qualcosa non andava
perchè sputò tutto per terra tornando
visibilmente pallida. -Non ha
senso… lui non c’è-.
Bisbigliò poggiando a terra il piatto e pulendosi con la
manica le labbra. Ero sconvolto, visibilmente esterrefatto da quella
reazione. Aveva fame, perché non mangiare? -Ma senti da che
pulpito…-. Mormorai muovendomi agitato. Sì, anche
io non ero riuscito a cacciare. Il solo pensiero mi metteva la nausea. Guardai Bella tornare
a stendersi sul letto e i singhiozzi scuoterla come poco prima. Le
lacrime le inumidirono gli occhi e io mi accorsi di non poter fare
niente per farla stare meglio. Mi ero ripromesso di non venir meno alla
mia decisione. Il mio piccolo cerbiattino sarebbe stata libera di avere
una vita normale, una vita come meritava davvero. -Era questa la vita
normale che volevi darle?-. Sussurrò ancora la parte
più profonda di me. No, non avevo desiderato questo per lei,
tutt’altro. Pensavo ad una vita felice, piena di cose belle,
non certo pianti e disperazione. Avevo creduto che il
suo amore fosse più superficiale, avevo pensato che in un
mese Bella sarebbe riuscita a riprendersi. E invece stava morendo, si
stava lasciando morire per me. -Non lo merito,
Bella-. Bisbigliai allungando una mano sul fianco e stringendo il
pugno, arrabbiato con me stesso. Ma cosa stavo facendo? Da una parte
sentivo il bisogno di rimanerle accanto, ma dall’altra sapevo
che la cosa più giusta sarebbe stata fuggire via e lasciarla
al suo destino. Ma come avrei potuto? Non sarei riuscito a sopportare
un mondo senza Bella, un mondo dove lei non c’era. Mi sarei
odiato, detestato e avrei preferito morire. Tutto, ma non
quello… -Ti amo.
Credimi… ti amo…-. Tornò a sussurrare
il mio cerbiattino. Le credevo e lo sapevo, ormai ero sicuro che i suoi
sentimenti per me fossero molto più forti di quanto che non
avessi immaginato. Ed era tutta colpa
mia, solo colpa mia se lei era ridotta così.
Buonasera...!!! State sgranando gli occhiucci increduli? Io pure. No,
scherzo. Beh, prima o poi si doveva pur tornare, no? Ogni promessa che
Malia fa solitamente è debito. E Nadir deve essere portato a
termine, non lasciato certo a metà. Spero di non aver fatto
arrabbiare nessuno per la mia assenza prolungata, ma ho avuto un po' di
impegni che mi hanno trattenuta. Ho visto perplessità,
però alla fine sono qui e spero che vi farà
piacere continuare a seguire questa fic, che io adoro. Mi dispiace,
cercherò di non assentarmi più così a
lungo, anche se dovrò sparire ogni tanto. Ebbene
sì ho una doppia identità segreta. Non ci credete
(e infatti non ci ha creduto nessuno), l'unica identità
parallela che potrei avere è quella di un porcospino che si
rotola sul prato sotto i raggi del sole (Ma come mi vengono in mente
queste cose? Sarà l'ora tarda e la giornata pesante). Fi
lascio a Nadir, sperando che il capitolo vi piaccia. Al prossimo! Un
bacio grande, Malia.
Ripresa o danno?
Profondità…
chiamami amore mio, chiamami. Io sono qui, ti ho trovata. Ti sto
cercando, ma tu non riesci a vedermi. Stai morendo ed è
colpa mia, vivi nel tuo limbo, o forse nel tuo Inferno. Ti ho lasciata,
ma non volevo, sai? Te lo giuro non volevo. È che io pensavo
davvero di poterti far vivere una vita normale, io realmente credevo
che senza di me tutto sarebbe stato più facile. Ma ora che
ti guardo, ora che ti vedo, mi accorgo di aver sbagliato tutto. Che ho
fatto? Sono solo un vampiro, solo un vampiro. Ti prego, ti supplico,
perdonami. Io realmente non volevo questo, ma tu non lo sai e non lo
saprai mai. Riprenditi, vivi senza di me, non merito di averti mia, non
merito che la morte per ciò che ho fatto. Non sono degno di
amore.
Disperato. Era questa
la parola giusta, mi trovavo in uno stato di disperazione pietoso. Non
avevo mai provato quella sensazione prima d’ora. Forse era
ciò che un essere umano avrebbe chiamato
“soffocare”, forse, ma non ero convinto che non
fosse qualcosa di peggiore. Non avevo un cuore, o meglio, non batteva
più, ma lo sentivo vivo dentro di me, come se sanguinasse.
Era ridicolo anche solo pensarlo, mi rendevo ridicolo ai miei stessi
occhi e mal sopportavo quella sensazione. Avevo voglia di nascondermi,
di dormire, anzi di finire la mia esistenza nella consapevolezza che
tanto non avrei più fatto nulla di sensato. Avevo distrutto
il mondo della donna che amavo, il mio, tutto quello che ci aveva
legati, solamente per stupidità, per paura che un giorno
avrei potuto farle del male. Tornai sui miei passi,
dirigendomi verso casa Swan. Erano dieci giorni che continuavo a
vederla vomitare cibo, che sentivo la sua bocca chiamarmi la notte, il
respiro veloce rotto solamente da parole come “ti
amo”, “non lasciarmi”. La amavo. Era
semplice, era chiaro, ma non era mai stato così intenso.
Avevo paura. Mi sentivo intimorito dal sentimento che Bella sembrava
provare nei miei confronti, perché il mio era altrettanto
forte. Vederla da un lato mi dava sollievo, ma d’altra parte
non potevo dimenticare di essere stato io a farle del male. Arrancai,
il passo pesante sul terreno. Dovevo nutrirmi, eppure il sapore del
sangue non era più così invitante. E neppure
quello di Bella riusciva più a tentarmi come in passato. Ero diventato immune.
Non provavo più né eccitazione, né
emozione, solo tormento. Uno strano vuoto che cercava di stringermi lo
stomaco e mi soffocava la gola senza lasciarmi andare e mi ripeteva
solamente “Sei un animale, un animale. Non sei
niente”. -Dimmi cosa devo
fare…-. Guardai il cielo, come uno stupido, alla ricerca di
un segno. Nemmeno fosse un film romantico, non c’era nessun
cavaliere dal cavallo bianco, c’ero solo io. Ma avevo perso
me stesso nel momento in cui avevo scelto di fare a meno di Bella. Quanti pensieri
assurdi… quanta sofferenza inutile. Dovevo starle lontano e
lasciarla al suo destino, come mi ero ripromesso, ma come avrei fatto
allora a guardarmi allo specchio? Come? Era già abbastanza
vederla in quello stato pietoso senza poter far niente per lei. E non
ero l’unico a stare così. Chiarlie. Mi
detestava, aveva cominciato pian piano a provare rancore nei miei
confronti. Bella aveva perso già cinque kg e le occhiaie
erano evidenti sul suo volto. Ripeteva il mio nome ossessivamente,
dondolandosi sul letto, e raramente andava a scuola.
L’ispettore aveva avvertito la preside che Bella non si
sentiva affatto bene e che avrebbe studiato a casa. In quelle
condizioni non sarebbe riuscita ad alzarsi in piedi. Non ci credevo. Non
poteva essere vero. Come poteva un uomo, come potevo io, avere un tale
potere su di lei? Era solo un’adolescente, non ero che il suo
amore impossibile, il suo desiderio proibito. Insomma, ero convinto che
sarebbe riuscita in fretta a cancellarmi. Avevo sottovalutato il suo
amore, l’avevo sempre considerato inferiore al mio, ma
adesso… Salii sulla finestra,
appena dopo il tramonto, e aspettai. I suoi occhi fissavano il vetro
aperto, nonostante il freddo, e non volevano smettere di sperare in un
mio ritorno. Avrei voluto urlarle di smettere, di convincersi che non
mi importava nulla di lei, ma non sarebbe stato possibile. Era solo un
modo per alleviare le mie pene, un modo per dimenticare momentaneamente
il dolore che mi stava affliggendo, pensare in quel modo mi permetteva
di fare leva sul mio autocontrollo. Aspettai che il suo
viso ciondolasse addormentato e in un attimo mi infilai sotto il vetro.
Facile, veloce, ma idiota. Certamente non avrei potuto far altro che
vivere con lei quella agonia, ma non volevo più farle pesare
la mia presenza-assenza. -Torna…
torna ti prego, torna ti scongiuro, torna-. Continuava a ripetere
nonostante il sonno. Avrei voluto avvicinarmi e coprirla, avrei voluto
prendermi cura di lei sul serio, ma inevitabilmente non sarei riuscito
che a peggiorare le cose. Ero impotente. -Non posso-. Mormorai
fissandola e aspettando che l’ennesimo incubo la facesse
svegliare di soprassalto. E come avevo previsto avvenne. Urlò e i
suoi occhi si spalancarono di scatto, lucidi. Scoppiò a
piangere rumorosamente e i passi rumorosi di Charlie rimbombarono sulle
scale. Entrò in camera con il viso contorto da una smorfia
dolorosa e si accostò alla figlia inginocchiandosi accanto a
lei. -Bella, stai bene?-.
La sua dolcezza mi commosse. Era impacciato, le sue guance erano
scavate e i suoi occhi rossi, troppo preoccupati evidentemente per la
figlia, erano giorni che non riuscivano a trovare riposo. -Edward…
Edward…-. Era l’unica cosa che Bella continuava a
ripetere. Suo padre sospirò e la aiutò a
stendersi. Non potevo continuare a rimanere lì, era
praticamente inutile stare a guardare. -Smettila. Non
tornerà, non c’è niente che lo
riporterà qui. È solo un egoista-. Furono le
parole dell’ispettore. Fui d’accordo con lui. La
mia Bella doveva riprendersi e vivere, volevo vedere il
sorriso su quelle labbra rosse. Lei non rispose, si
limitò ad annuire e a rannicchiarsi tra le coperte come una
bimba indifesa. Era troppo vulnerabile, così debole che una
minima folata di vento avrebbe potuto ferirla. Charlie uscì
senza parlare, anche lui non sapeva cos’altro fare oltre a
portarle da mangiare e farle compagnia quanto poteva. Sapevo quanto si
sentisse impotente, esattamente come me. Osai avvicinarmi,
facendo un passo in avanti, alla luce della lampada tenue. Il suo
respiro sembrava profondo anche se da un momento all’altro
avrebbe potuto svegliarsi di soprassalto. Mi sedetti sul copriletto,
che odorava in modo quasi violento di lei, ma soffocai facilmente il
desiderio e mi domandai come avessi fatto a ridurla in quello stato. Era come se la mia
mente non facesse che girare e rigirare sullo stesso argomento,
logorandosi fino a non lasciare spazio per altro. Mi chinai sulle
braccia e tornai a provare quella strana sensazione di inquietudine.
Dovevo andarmene e lo sapevo. Dovevo lasciare che la mia immagine
sbiadisse nella sua mente, perché sarebbe
successo… lo sapevo. -Edward-.
Mormorò ancora Bella e io sussultai. Abbassai lo sguardo
verso di lei, convinto che stesse ancora dormendo, ma le sue palpebre
erano semiaperte. Non mi ero accorto del lieve cambiamento del battito
del suo cuore, così concentrato nei miei pensieri. -Fa male-.
Sussurrò allungando le dita sul letto, piano, verso le mie.
Non mi ritrassi, gli occhi nei suoi. Mi abbassai ulteriormente e mi
bloccai quando mi resi conto di volerle sfiorare la fronte con un
bacio. Ma cosa stavo facendo? -Sei
l’ennesimo sogno, lo so-. La sentii bisbigliare e sospirai
sollevato. Non mi ero reso nemmeno conto della gravità di
quello che stava succedendo. In fondo dentro di me sapevo di volermi
far vedere da lei. -Sì-.
Risposi solamente chinandomi per darle un bacio sulla fronte. -Però
solitamente non mi baci mai-. Sorrise tristemente. -Forse questa volta
non sarà un incubo-. Tornò a chiudere le
palpebre, probabilmente troppo stanca per dire altro, e io le strinsi
più forte la mano. Avevo bisogno di chiederle scusa, ma
sapevo di non potere. -Di solito…
tu mi dici che non mi ami più, che non mi vuoi e che andrai
via per sempre-. Continuò a bassa voce. Il suo dolore aveva
sapore di incredulità. Possibile che ancora non riuscisse a
capacitarsi di ciò che era successo? -Sono crudele, devi
dimenticarmi-. Le dissi, cercando di convincerla. Forse se avessi fatto
la mia apparizione ogni notte e le avessi ripetuto quella frase lei
alla fine mi avrebbe ascoltato. -No, sono io, sono io
a non essere abbastanza per te. Sono io che sono solo
un’umana buona a nulla-. Era convinta delle sue parole, tanto
che tremò sotto il mio tocco leggero. -Non sai cosa dici, tu
non lo sai-. Sbottai rabbioso, forse aumentando un po’ troppo
il livello della mia voce. Mi morsi le labbra tornando in silenzio e di
nuovo Bella si addormentò pesantemente. Era troppo stanca,
viveva un incubo personale che non le permetteva di riprendere forza. Mi alzai e decisi di
andare a prendere un po’ d’aria. Raggiunsi la
finestra, ma la sua voce mi richiamò di nuovo e io non
riuscii a non voltarmi. -Io lo so che mi ami.
Lo so. Perciò non capisco-. Stava vaneggiando come suo
solito, ma questa volta sembrava sveglia e consapevole. -Bella, io non ti amo.
Io non amo nessuno, dimenticami-. Continuai cercando di controllare il
fremito del mio corpo. Ero distrutto, non potevo credere di averlo
detto una seconda volta. -Bugiardo. Sei solo un
bugiardo-. Mormorò scuotendo la testa e voltandomi le
spalle. Sì, ero un bugiardo e mi stupiva che lei riuscisse a
leggermi dentro in quel modo. -Non riesco ad
odiarti-. Sussurrò ancora. -Ti amo e non so come fartelo
capire-. Non c’era
bisogno. Io lo sapevo, ma non sarebbe servito a nulla. -Non potresti darmi
almeno un bacio? Uno solo. Questo sogno è così
diverso…-. Bisbigliò reclinando il capo di lato,
sul cuscino, e i suoi occhi nocciola furono ancora nei miei. Baciarla
sarebbe stato un errore, in ogni caso, ma fui tentato. -Non è
diverso. È tutto uguale-. Le risposi sicuro, forse
arrabbiato. Perché quel desiderio improvviso di toccare le
sue labbra? Di stendermi sotto le coperte con lei? Ero
l’unico a poter fare qualcosa per Bella, ma…
ma… Mi accostai e la guardai intensamente. -Voglio qualcosa in
cambio di questo bacio-. Le chiesi, ben sapendo che avevo una sola
possibilità per far cambiare tutto quanto. Bella fece per
sollevare la testa, ma io non le permisi di muoverla. -Hai la mia anima con
te-. Ribatté subito. Non riuscii a non chinarmi e baciarla
con ardore. Le mie labbra toccarono le sue, si premettero avidamente
sulla sua bocca dolce, e mi pentii immediatamente di quel gesto,
perché la vita sembrò scorrere di nuovo dentro di
me. Il mio sangue si gonfiò e il suo profumo
tornò a torturarmi come se non l’avessi mai
sentito prima. Invece erano giorni che non facevo che torturarmi con
quella fragranza. -Dimmi che mangerai-.
Per ora mi interessava questo. Volevo che riprendesse le forze, il
resto sarebbe venuto col tempo. -Promettimelo, Bella.
Ricorda la tua promessa quando ti ho lasciata-. Continuai deciso e
sperai che mi rispondesse di sì, senza arrabbiarsi o
reagire. Se si fosse resa conto che non ero una visione le cose
sarebbero solo peggiorate. Ma valeva la pena rischiare. -Sei sempre il solito.
Ti preoccupi per me, ma mi hai lasciata da sola-. La risposta tagliente
arrivò finalmente e io non potei che rimanere in silenzio,
cercando di trattenere il respiro per non perdere il
controllo. Non le risposi. Era
vero ciò che aveva detto, perciò mi limitai a
darle ciò che le avevo promesso. Un bacio vero, ma lieve. Mi
abbassai e mi accorsi di guardare le sue labbra con troppa attenzione.
La linea della sua bocca era pallida e tremante, come se non credesse
affatto a ciò che stava avvenendo e probabilmente anche io
ero incredulo. La sfiorai, timidamente dapprima, cercando di resistere
all’improvvisa attrazione per lei. Era naturale come bere del
sangue, tanto che riuscivo a confondere il mio desiderio con la fame.
Le mie labbra la fecero gemere, forse perché fredde, e io
provai uno strano senso d’eccitazione che per un attimo mi
fece perdere la testa. Era come essere tornati al passato, quando la
passione divampava non appena i nostri corpi si sfioravano. Un bacio,
solo un bacio… per me e per lei poteva significare la morte,
ma in quel preciso momento diete di nuovo vita ad entrambi. Una vita
che avevamo perso a causa del mio orgoglio e della mia cocciutaggine.
Era strano per me tornare a prendere da lei tutto quello che avevo
rifiutato, ma di cui avevo bisogno. -Se fosse stato vero,
penso che sarei già morta d’infarto-.
Sussurrò il mio cerbiattino con un leggero sorriso sulle
labbra. Gli occhi chiusi, distesa, non l’aveva mai vista
così rilassata. -Ricordati la
promessa-. Le dissi immediatamente sentendomi già in colpa. Annuì
solamente, poi tornò a stendersi sotto le coperte e si
coprì completamente la testa. Dovevo andarmene, respirare
aria prima di poter commettere sciocchezze. Avevo un disperato bisogno
di dirle che non ero solo una visione, che ero pentito, e che volevo
stare con lei. Ma non lo feci e mi
alzai dirigendomi verso la finestra. Uscii nella notte scura e mi
inoltrai nel bosco, pensieroso. La prima cosa da fare era cacciare
qualche bestia per rimettermi in forze e non sarebbe stato difficile.
Mi sentivo davvero meglio. Azzannai il primo
cerbiatto che trovai, troppo distratto per poter sentire il rumore dei
miei passi alle spalle, e fu una preda facile, ma necessaria. Tornai a
casa Swan soddisfatto e mi domandai quanto ancora avrei dovuto
aspettare la ripresa di Bella. Salii sulla finestra e subito notai la
sua assenza nella stanza. Dove diavolo si era andata a cacciare? Sentii
i suoi passi barcollanti sulle scale e mi accostai alla porta appena
accostata. Avrei tanto voluto scendere con lei. Intuii la sua meta ed
esultai: la cucina. Scivolai allora lungo le scale, nascondendomi
subito nell’oscurità non appena ne ebbi occasione.
Fortunatamente non aveva acceso la luce dell’ingresso. -Bels, cosa fai?-.
Charlie le parlò dal salotto non appena si accorse della sua
presenza e io mi schiacciai ancora di più sulla parete. -Mangio-. Rispose
solamente, facendola breve. Il silenzio cadde
immediatamente nel salone e mi ritrovai a sorridere quanto percepii il
rumore di passi increduli dell’ispettore dirigersi verso la
porta. -Stai scherzando?-. La
sua espressione assolutamente incredula mi strappò una
risatina silenziosa. Ero felice. -No, lui vuole che lo
faccia-. Replicò semplicemente il mio cerbiattino e io
tremai di piacere. Non avrei dovuto sentirmi così bene, ma
la sola idea di avere un tale potere su Bella mi rendeva geloso e
possessivo. Non dovevo lasciarmi travolgere da quei sentimenti. -Lui?-. Il capo Swan
aggrottò le sopracciglia e si appoggiò allo
stipite con sguardo sconsolato. -Vuoi dire Edward?-. Ero convinto che ormai
mi odiasse e lo capivo. Io anche mi odiavo per ciò che le
avevo fatto, ma ero l’unico che poteva in qualche modo
rimediare. Io solo ne ero in grado… ormai me ne rendevo
perfettamente conto. -Sì-.
Sentii Bella dire e poi la vidi sbucare dalla cucina con un coltello in
mano. Oh oh, guai in vista. Persino Charlie sbiancò di
fronte a quella scena. Sembrava il preludio di un film horror e
conoscendo il mio piccolo Bambi sarebbe potuto diventarlo. -Senti… io
non credo che… sì, insomma, sia una buona idea.
Andare a letto a digiuno concilia il sonno-. Se ne uscì il
capo Swan indeciso, la paura negli occhi. Fissavo la lama come
se da un momento all’altro avesse potuto prendere vita e
ridurre la donna che amavo a pezzettini. Sentivo odore di pericolo,
qualcosa mi diceva che se non fossi stato attento sarebbe successo
qualcosa. -Ma cosa dici? Sono
giorni che vuoi farmi mangiare-. Sbottò lei stupita. Non aveva tutti i
torti, ma ero convinto che sarebbe stato meglio prendere una pizza o
qualcosa di pronto dal frigo. Ed ero assolutamente certo che suo padre
fosse della mia stessa idea. -Ti voglio viva, non a
fette-. Precisò l’ispettore avvicinandosi
cautamente a sua figlia. Pregai che prendesse il manico prima che Bella
potesse farselo scivolare sui piedi. -Sei ridicolo-.
Bofonchiò lei per tutta risposta e si voltò per
tornare in cucina. Charlie rimase
immobile, come in trance, e io sperai che si sbrigasse a seguirla.
Altrimenti avrei dovuto controllare che Bella non si facesse male.
Improvvisamente lo vidi sospirare e tornare sui suoi passi. -E va bene, crepaci
per quel damerino tutto muscoli e niente cervello. Sculetta come
Marylin Monroe sulla passerella…-. Sbuffò
tornando a sedersi sul divano. Percepii il tonfo e poi più
nulla. La mia solita fortuna.
Sgattaiolai in cucina e mi ritrovai ad essere accecato dalla luce.
Maledizione, ero totalmente scoperto. Bella avrebbe potuto facilmente
accorgersi di me se si fosse girata. Aveva delle verdure
nella mano sinistra e si apprestava ad affettarle sul tagliere con quel
coltello. Per la prima volta sudai davvero freddo. -Se vuoi che io mangi,
io mangerò…-. Sussurrò Bella sicura di
sé, iniziando a tagliuzzare le rape. Avrei tanto desiderato
che avesse preferito patatine fritte o mortadella, invece che quel cibo
sano. Come avevo previsto dopo due o tre colpetti il coltello le
scivolò di mano e cadde a terra. Ero pietrificato dal
terrore per due motivi: non potevo rimanere lì e non potevo
lasciare che Bella si tagliuzzasse le mani. -Fermati…-.
Le sussurrai a bassa voce, improvvisamente, maledicendo la mia lingua
lunga. Lei si voltò di scatto, con le dita a
mezz’aria e mi guardò fissa. E ora? Che stupido.
Non potevo più nascondermi. Le sue guance arrossirono e il
suo respiro accelerò di colpo. -Ed…
Edward…-. Bisbigliò deglutendo. Ormai era inutile
nascondermi, ero lì, proprio dietro al tavolo e la
guardavo con occhi preoccupati. Chinò il capo come se non mi
avesse affatto riconosciuto e io sussultai dalla sorpresa. Il suo viso
si distese in un sorriso dolcissimo e io non capii fino a quando non si
chinò a riprendere il coltello. Non pensava affatto che io
fossi vero, credeva che fossi un miraggio. -Appari solo per
salvarmi-. Balbettò tornando in piedi. -Non sei affatto
giusto con me-. Mi voltò le spalle e io sentii ancora
Charlie raggiungerci in cucina. Tornai in salone appena in tempo e lo
vidi entrare per controllare cosa stesse facendo sua figlia. -Adesso parli anche da
sola?-. Le chiese con la fronte aggrottata. -Edward…-.
Iniziò subito il mio piccolo cerbiattino, ma il capo Swan la
interruppe. -Edward, Edward,
Edward, Edward, ma lo sai quanti ragazzi esistono là fuori
che farebbero carte false per averti?-. Era furioso e aveva voglia di
farle una bella predica come non succedeva da tempo. Eppure era
contento anche lui perché Bella sembrava aver voglia
finalmente di reagire. Lei non rispose e si
concentrò ancora sulla verdura. Guardai il cielo cominciando
a dire le mie preghiere. -Edward per caso ti ha
detto anche di tornare a scuola?-. Azzardò
l’ispettore e io mi morsi la lingua. Non ci avevo pensato, ma
che scemo. -No, ma vorrei che me
lo dicesse-. Mormorò facendomi correre un brivido lungo la
schiena. Reclinai il capo sul muro e sentii il suo cuore ancora agitato
per ciò che era successo solo un momento prima. Io non avevo
avuto nemmeno il tempo di emozionarmi. Forse anche io mi sentivo
soltanto una visione, un sogno vicino a lei. -Visto il modo in cui
gridi il suo nome… non passa una notte che lui non ti dica
qualcosa nei tuoi incubi-. Questa volta Charlie fu più duro
del solito. Da padre non sapeva più cosa fare ormai, ma
quello non era affatto l’atteggiamento giusto. Un attacco di
quel tipo avrebbe potuto far rattristare ancora di più Bella. -Scusami non dovevo-.
Fece subito imbarazzato e io sospirai di sollievo. Anche lui stava
soffrendo molto per quella situazione ed era normale una sua reazione
spropositata. -Niente-. Rispose la
mia piccola ciondolando verso il frigo. Prese qualcosa che non
riuscii a vedere e si diresse verso di me, uscendo dalla cucina e
tornando a salire le scale. -Ti rubo una birra e
le patatine. Poi se ho ancora fame scendo-. Sparì fino al
piano superiore e io trattenni il respiro. Birra… la cosa
non mi piaceva per niente. Bella non era abituata a bere. E le
patatine? Provai un moto di disgusto. Quell’odoraccio di
paprika mi faceva seccare la gola dallo schifo. -Ehi, da quando bevi
tu? Non ti ho mai visto bere alcol…-. Urlò
Charlie a vuoto. La porta sbatté e io lo vidi ammutolire
come uno stoccafisso. -Non sono per niente
un buon padre, ma se becco Edward lo ammazzo con le mie stesse mani. Lo
giuro-. Borbottò ritornando nel salotto a godersi la tv. Sarebbe stato
difficile uccidermi, ma ora non era quello che mi faceva pensare. Bella
era sola in camera sua con una bottiglia di birra in mano. Decisamente
molto pericoloso. Tornai immediatamente di sopra, ma sbattei la mano
sulla parete non appena mi resi conto di non poter entrare in camera. -Merda…-.
Bofonchiai fuori di me. E adesso?
Buongiorno!!! Vi sono
mancata? Da un po' non aggiorno Nadir... dovete perdonarmi. Non
è che mi sono dimenticata. Sono partita per un matrimonio,
tornata con l'influenza, e poi ho aggiornato le altre fic. Questa
è certamente la più complessa che sto scrivendo e
non è affatto facile, credo per me come per voi. In fondo
siamo solo all'inizio... 15esimo capitolo. Ci pensate? Ne
farò 50... chissà Malia che si
inventerà? Non chiedetemelo perchè ho delle idee,
ma ora come ora penso che questa sia la parte più difficile
di tutto il libro. Io vi devo ringraziare, perchè questa
storia non ha molti seguiti e preferiti, e io lo capisco. Chi
è così masochista da riviversi new moon?
Insomma... però veramente a me piace e spero anche a voi che
comunque mi seguite sempre. Cercherò di essere
più costante nei miei aggiornamenti e non farvi aspettare a
lungo. Se non sarà così cercate di essere
pazienti, non voglio scrivere questa fic tanto per scriverla,
perchè ci tengo molto. Ancora ancora e ancora grazie. Un
abbraccio, Malia.
Schiavo di sentimenti.
Rimasi
immobile dietro alla porta finché non sentii la maniglia
abbassarsi. Sospirai di sollievo quando Bella uscì di nuovo
dalla sua stanza. Evidentemente aveva dimenticato qualcosa di
importante. -Inutile che pensi che
mi voglia ubriacare…-. Urlò per le scale, rivolta
a Charlie. Ridacchiai di quel
grido e sgattaiolai dentro la camera sospirando di sollievo. -E che dovrei
pensare?-. Rispose suo padre accigliato. Quasi sentii rimbombare le
pareti. Stavano discutendo. Sghignazzai contento: Bella si stava
riprendendo in fretta. -Che sono
un’adolescente e che tu non riuscirai mai a capirmi-. A
quell’ennesimo strillo non riuscii a trattenere una risata. Stava forse tornando
il mio cerbiattino di sempre? Lo speravo, perché vederla
così mi straziava l’anima. -Oh, ma
guarda…. se ti vuoi distruggere la vita ci stai riuscendo
benissimo anche senza l’aiuto di un padre che non ti
capisce!-. Sputò Charlie dal piano di sotto. La scena aveva del
comico, anzi forse più del tragico, ma riusciva comunque a
farmi stare bene. Bella sbatté la porta della stanza proprio
mentre io riprendevo il mio nascondiglio dietro la sua poltrona
attorniata di peluche. Si portò le mani sui fianchi
sbuffando e si buttò sul letto con aria stanca. -Ora… ti
vedo anche se non ci sei. Ahhhh-. Gridò furiosa
lanciando il cuscino sul muro. Il riferimento era
chiaro, come le lacrime che in quel momento le scendevano sulle guance.
Sospirai ed evitai di guardarla negli occhi per non essere soffocato
ancora dai miei sensi di colpa. -Ti amo, Edward-.
Mormorò arrossendo e abbandonandosi all’indietro.
-Ti amo, mi senti?-. Afferrò il
pacchetto di patatine e lo aprì con foga innaturale.
Guardò il contenuto per qualche secondo e poi prese un
piccolo cerchio al formaggio portandoselo alla bocca. Fissai quel
movimento come se si fosse trattato di un fatto miracoloso e non appena
ingoiò la prima patatina sentii un brivido percorrermi la
schiena. -Lo faccio solo per
te-. Bisbigliò ancora continuando a mangiare. Chiusi gli occhi e
appoggiai la testa alla poltrona abbandonandomi ad un pensiero
proibito. Avrei tanto voluto accarezzarla dolcemente e stringerla a me
per rassicurarla. Sospirai piano e rinunciai. Dovevo assolutamente
soffocare quel desiderio prima che potesse travolgermi. -Maledizione…-.
Bofonchiò attirando la mia attenzione. -L’apri
bottiglie-. Si alzò in
piedi di scatto, barcollando, e la mia prima tentazione fu quella di
prendere la birra e scaraventarla giù dalla finestra. Mi
morsi il labbro inferiore e aspettai che Bella tornasse. Il tempo
sembrò non passare mai, ma quando la vidi richiudersi la
porta alle spalle le cose peggiorarono. Tolse il tappo e
fissò la bottiglia come se si fosse trattata di una medicina
da prendere. Ero convinto che di lì ad un’ora il
mio piccolo cerbiattino si sarebbe ubriacata. Non era abituata a bere
alcol. Reclinò la
testa all’indietro e si portò la birra alle
labbra. Vidi il liquido scivolare nella sua bocca e alcune gocce cadere
sulle sue guance: quella scena riuscì a stregarmi nonostante
tutto. -Bella…-.
Sussurrai roco, sentendo il mio corpo reagire. Era talmente seducente
che non riuscii ad evitare ai miei pensieri di prendere il sopravvento:
mi sarebbe piaciuto raccogliere quelle gocce che le scivolavano sul
collo sinuose. Per quanto quel liquido mi disgustasse sapevo che il
sapore della sua pelle mi avrebbe fatto impazzire. -Ahhh…-.
Fece contenta allontanando la bottiglia da sé. Si
inginocchiò sul letto e chiuse gli occhi tornando a bere. -Basta amore-. Le
imposi a bassa voce come se avesse potuto sentirmi. Continuò a
bere senza nemmeno riprendere fiato. Dannazione. Non mi piaceva quello
che stava succedendo, ma se fossi intervenuto ancora avrebbe capito che
non ero solo una banale illusione. Eppure…
tremavo dalla preoccupazione. -Edward-. La sentii
mormorare. Un rivolo di birra le scese sotto il maglioncino e io
rabbrividii. Basta, basta. Che tentazione… Il mio piccolo Bambi
finì tutta la bottiglia, velocemente, come a volersi
togliere ogni pensiero e ricadde sul letto con un gemito straziato. -Credo di non essere
abituata a bere-. Ridacchiò lasciando cadere la birra, ormai
vuota, a terra, che rotolò subito verso la porta. -Che
caldo…-. Fece poi sollevandosi con le spalle. Non
riuscì a mettersi seduta e chiuse le palpebre per rilassarsi
meglio. Sperai vivamente che
non fosse già ubriaca, ma dallo sguardo vacuo capii che non
doveva essere totalmente sobria. -Almeno
così riuscirò a dormire-. Borbottò
girandosi su un fianco e portandosi il gomito sotto la testa. Si
sistemò meglio, come a voler riposare i pensieri.
Sospirò e distese bene le gambe. Avevo la sensazione che le
girasse la testa e che sentisse un po’ di nausea. I miei
sospetti divennero certezza non appena la sentii lamentarsi del dolore
alla testa. Era raro che potessi
sbagliarmi su di lei. -Ho voglia di vomitare
le patatine che ho mangiato-. Bofonchiò ad alta voce
girandosi sull’altro fianco. Sollevai un sopracciglio e
scossi la testa. Era sempre la solita sbadata che non pensava mai alle
conseguenze di ciò che faceva. Non osai immaginare a cosa
sarebbe potuto succedere se l’avessi realmente lasciata sola.
Uscii dal mio
nascondiglio e mi avvicinai velocemente al letto, senza far rumore,
mentre Bella continuava a mormorare parole indistinte, incomprensibili.
Sgranò le palpebre improvvisamente e io mi appiattii sul
pavimento. Bellissima idea quella di farmi scoprire come un idiota. Si sollevò
seduta guardando fissa davanti a sé e io rotolai sotto il
suo letto, sbattendo la testa contro la rete. Da perfetto scemo qual
ero avevo perso il mio buon senso. Sentii Bella correre
in bagno e non mi stupii affatto di quel conato di nausea. Non era mai
stata amante del’alcol e il suo corpo l’avrebbe
immediatamente rifiutato. E ora? Che fare?
Tornare vicino alla poltrona o rimanere lì sotto? Non feci
in tempo a decidere, perché il mio cerbiattino
tornò in camera e si buttò con un tonfo pesante
sul letto. -Odio la birra,
proprio non sopporto il sapore-. Sbuffò inginocchiandosi sul
pavimento e scivolando verso la porta della sua stanza. -Meglio mangiare
qualcosa di più consistente-. Continuò lamentosa,
sollevandosi con l’aiuto della maniglia. Ero allibito. Bella
era diversa. Parlava da sola, ma sembrava essersi ripresa.
Sembrava… più forte. Più la guardavo e
più mi rendevo conto di un’energia che prima non
c’era. Scese le scale
stancamente e percepii dei rumori strani provenire dalla cucina. Non
sentivo più i pensieri di Charlie, pensai perciò
che si fosse addormentato. Aspettai agitato. Speravo vivamente che
Bella non si riavvicinasse ai coltelli e, non vedendola tornare, entrai
nel più totale panico. Possibile che doveva cacciarsi sempre
in stupidi guai? Mi sentivo una guardia del corpo in incognito. Sgattaiolai di nuovo
sulle scale, nascondendomi al buio dell’ingresso, e aspettai
di vedere apparire Bella. Niente. Solo in quel momento notai la porta
accostata. Era uscita di casa. Ancora una volta il terrore
riuscì ad immobilizzarmi. Non mi ero mai sentito
così prima d’ora. Percepivo l’odore di
freddo entrare, gelido e pungente, odore di neve, e non mi piaceva
affatto saperla fuori vestita così leggera. Ma non potevo certo
farmi vedere. Mi avvicinai e sbirciai per vedere dove fosse. Non era
sul pianerottolo. Panico. Mi accostai alla
finestra, pensando di poter avere maggiore visuale, e la vidi sul
ciglio della strada. Guardava attentamente il buio alla sua sinistra,
come se stesse aspettando qualcosa. Non capivo cosa. Ora più
che mai avrei voluto leggerle nella mente per capire. -Maledizione, amore
mio, ma cosa stai combinando?-. Mormorai a bassa voce facendo qualche
passo indietro. Dovevo trovare un modo
per farla rientrare, così si sarebbe presa un malanno. Ero
certo che l’indomani avrebbe avuto la febbre alta se non
fosse entrata in casa. Ormai conoscevo bene il suo corpo. -Fa
qualcosa…-. Mi imposi e finalmente mi venne
un’idea. Controllai che Charlie
stesse realmente dormendo e poi accesi la luce d’ingresso. Mi
misi di fronte alla finestra, aspettando che lei si voltasse e
così fu. Quando il suo sguardo si posò su di me
mi sembrò che il tempo non fosse mai trascorso e, come
qualche attimo prima, sentii la tentazione fortissima di farle capire
che sarei sempre stato vicino a lei, nonostante il dolore. Che
l’amavo. Però non
feci nulla. Mi appoggiai al davanzale mentre i suoi occhi nocciola mi
scrutavano attenti per capire se fossi solo un’illusione. Fu
in quel momento che Bella perse l’equilibrio e cadde
malamente sul ghiaccio freddo. Spensi la luce e
continuai a guardare il suo corpo che malamente tentava di riprendere
l’equilibrio. L’avevo temuto ed era successo.
Sospirai e aspettai che rientrasse. Sapevo che lo avrebbe fatto ormai e
sperai che sarebbe tornata tutta intera. Quando
entrò in casa, guardandosi intorno, io non ero
più dietro al vetro, ma ben nascosto, e la fissavo con
sguardo di rimprovero: aveva dei tagli sulle mani. -Non ci
credo… ho le allucinazioni davvero. No, sono solo ubriaca-.
Mormorò tra sé e sé, appoggiandosi
allo stipite della porta del salone. -Forse Charlie ha
ragione, forse… lui non tornerà più-.
Il suo respiro si mozzò nel petto e poi scosse la testa come
a voler cancellare quel pensiero. Già, io non
sarei più tornato, mai più, eppure avrei sempre
vissuto per lei, l’avrei sempre amata, come vampiro e come
uomo. I giorni trascorsero e
più il tempo passava più Bella sembrava
ristabilirsi. Aveva ripreso a mangiare e i suoi occhi brillavano di una
luce differente, nonostante fossero ancora spenti. Un pomeriggio, mentre,
come solitamente faceva, si sedeva di fronte alla finestra per guardare
il paesaggio, la vidi prendere il suo pc ed iniziare a scrivere
qualcosa. Ero curioso, non avevo
idea di cosa potesse essere, ma se solo avessi potuto avvicinarmi ero
sicuro che avrei sbirciato dimenticando di dovermi nascondere ai suoi
occhi. Passarono i minuti e il suo viso triste mi fece capire la sua
sofferenza. Ne approfittai solo
quando, dopo mezz’ora, scappò in bagno. Mi
avvicinai al computer e mi chinai per leggere.
Cara
Alice, so
che non riceverai mai questa e-mail. Sei scomparsa proprio come lui.
Volevo solo parlarti dei miei sentimenti per Edward. Lo amo e non so
più a chi dirlo, non c’è più
nessuno con cui valga la pena parlare. A scuola vado raramente e ogni
volta mi sento lontana, immersa in un mondo che non sento
più mio. Sai… lo sento. È con me. Ci
credi? È come se lo fosse. Il suo ricordo, la sua voce
è qui. E poi ti devo confidare un’altra cosa: a
volte mi sembra quasi di sentire il suo profumo. Soprattutto la notte,
quando dormo. È come se sentissi il suo respiro sul mio viso
e riesce a calmare i miei terribili incubi. Sogno, sogno di lui, del
momento in cui mi ha detto di non amarmi. Oh, Alice, non ci credo, sono
sicura che non sia così. Lo sento. Io lo amo e lui mi ama.
Lo so.
Rimasi attonito nel
leggere quelle parole e, sentendo rumori nel bagno, mi nascosi di
nuovo, questa volta turbato. Lei mi sentiva, sapeva in qualche modo che
ero lì. Ero felice. Mio Dio, stupidamente e scioccamente
felice per una cosa così sciocca. Ridacchiai e mi portai la
testa tra le ginocchia mentre Bella si sedeva ancora e riprendeva il
computer tra le mani. Avrei voluto sfiorarle
i capelli e dirle “ti amo”, ma non lo feci. Ero
convinto che presto il mio piccolo Bambi non avrebbe più
avuto bisogno di me. Ormai sarebbe stata solo questione di tempo. La sera la osservavo
spogliarsi e mettersi sotto le coperte. Ogni notte facevo in modo che
gli incubi non la travolgessero. Le accarezzavo la fronte, le cantavo
la nostra ninna nanna, la amavo con la voce e con i miei pensieri. A volte
però non riuscivo a starle accanto, io stesso sopraffatto da
sentimenti da cui mi sentivo schiacciato. Sensi di colpa. Rivivevo
nella mia mente il momento in cui l’avevo abbandonata e
tradita perciò non mi riuscivo a perdonare. E le urla dei
suoi incubi mi straziavano l’anima purificandomi. Perché?
Perché non potevo amarla? Perché la mia mente si
rifiutava di starle vicino nonostante lei fosse tutta la mia vita? -Edward…
non andare. Ti prego!-. Urlava e io soffrivo vicino al mio amore. Gridava, strillava, si
dimenava e in quei momenti io riuscivo a capire il male che le avevo
fatto, ma, vedendola sudare e soffrire in quel modo, mi rifiutavo di
lasciarla da sola. Riprendevo a tenerle la mano ogni notte fino a
quando il desiderio di risentire quelle grida mi straziava. Ne ero
diventato dipendente. -Edward…
Edward-. Il mio nome sulle sue labbra era costantemente presente e
questo non poteva che darmi piacere, però non era
ciò che volevo. Dicembre
arrivò in fretta, troppo in fretta, ma le cose non erano
affatto cambiate come io avevo pensato. Bella aveva preso
l’abitudine di scrivere ad Alice e salvare le lettere sul pc
anche senza inviarle. Ora mangiava, ma non abbastanza. E le sue
presenze a scuola non erano per nulla aumentate. Tutti i miei sforzi di
starle in qualche modo vicino erano stati vani. Bella soffriva la mia
assenza, com’era ovvio che fosse. Sentii bussare alla
porta e mi riscossi dai quei pensieri. Era l’ispettore Swan. -Ciao-.
Entrò salutando sua figlia con un cenno della mano e lei si
girò di scatto, guardandolo tranquillamente. -Ciao. Andata bene a
lavoro?-. Gli domandò interessata. Lui annuì e
si avvicinò, poggiandole una mano sulla testa in un gesto
affettuoso. -Come stai oggi?
Niente scuola?-. Lei scosse il capo e Charlie sospirò
sedendosi sul letto. -Hai intenzione di
farti bocciare?-. Le domandò semplicemente con un sospiro
sconsolato. -No, solo…
non me la sento-. Gli spiegò brevemente lei ritornando a
stare in silenzio. Avevo capito che quel
giorno Bella non aveva molta voglia di parlare, perciò
sarebbe stato inutile ogni tentativo di farle dire qualcosa di
più. -Ancora pensi ad
Edward?-. Le chiese come se fosse illogico il solo pensiero che potesse
ancora ricordarsi di me. In effetti io stesso avevo pensato che Bella
mi avrebbe dimenticato in fretta. Non era stato così, avevo
sottovalutato il suo amore per me, l’avevo sottovalutata. -Ti dispiace?-. Gli
rispose ridacchiando. Suo padre
sollevò gli occhi e li roteò in aria, esasperato
dal comportamento di sua figlia. -Sai… che
Jacob Black ogni tanto si fa vedere qui a Forks?-. Le disse
improvvisamente, ammiccando divertito. Bella
sbatté le palpebre più volte, confusa, e io
soffocai a stento un ringhio. Quileute… odiavo solo sentirne
parlare. -Jacob?-.
Mormorò dubbiosa grattandosi la testa e reclinandola di
lato. -Il figlio di Billy.
Possibile che non ricordi?-. Charlie era allibito, io felice. Bella rimase in
silenzio per un attimo e aggrottò la fronte, poi
sembrò illuminarsi e guardò suo padre con
consapevolezza. -Ah sì! Mi
ricordo, che sciocca. Sì, va bene. Salutamelo-. Gli rispose
gentilmente e si girò ancora verso la finestra, continuando
a scrivere sul pc. -No, io
intendevo… incontrarlo, magari uscire con lui. È
un bravo ragazzo-. Insisté cercando di spingerla a capire
ciò che aveva inteso. Bella lo
guardò fisso, senza parlare, e poi fece spallucce. -In futuro-.
Sussurrò poco convinta e io ridacchiai. Inutile continuare
il discorso, il mio piccolo cerbiattino non aveva alcuna intenzione di
uscire con un altro. Charlie si
alzò e storse la bocca in un’espressione triste e
preoccupata. Dovevo ammettere a me stesso che mi faceva piacere. Ero
immensamente contento e soffocai una risatina vittoriosa. -Smettila, sei
ridicolo…-. Bisbigliai poi a me stesso passandomi le dita
tra i capelli. L’ispettore
Swan guardò un’ultima volta sua figlia e poi
annusò l’aria stranito. Si spostò verso
la porta, guardandosi intorno, e io mi appiattii meglio dietro la
poltrona, all’angolo della stanza. Maledizione, solitamente
preferivo rimanere maggiormente nascosto. -In questa stanza
c’è uno strano profumo-. Proruppe Charlie
improvvisamente, grattandosi il capo. Bella lo
fissò e poi prese un profondo respiro frustrato. -Non sono
l’unica ad avere allucinazioni-. Sussurrò
sghignazzando e guardandolo scettica. Lui non rispose,
brontolò solamente qualcosa di incomprensibile, e poi
uscì socchiudendosi la porta alle spalle. Il mio cerbiattino si
alzò, spostandosi davanti alla finestra, e guardò
in basso, fissando il vialetto di fronte a casa. La osservai, cercando
di non farmi notare e mi appiattii velocemente al muro mentre il suo
sguardo, distratto da qualcosa, si faceva vuoto e distrutto. -Mi manchi ancora, ti
amo ancora, ti aspetto ancora. Sarò diventata pazza?-.
Concluse facendomi fremere d’emozione. Mi bastavano quelle
parole per rinascere. Non era giusto, ne ero consapevole, ma
non potevo fare a meno di godere di quei momenti. La amavo e desideravo
quell’amore puro e totale. Non ero affatto la creatura
altruista che lasciava il suo più grande tesoro per farlo
vivere, in realtà l’avevo portata alla morte, e
ora cercavo in tutti i modi di farla riprendere. Incoerente, ma felice.
Ero pieno di quell’amore, saturo del sacrificio che Bella
stava facendo per me. -Non potrei mai amare
nessun altro che non sia lui, Alice-. Parlò tra
sé e sé e io provai un piacere talmente forte da
farmi eccitare. Alla fine ero solo un
vampiro, non potevo chiedere a me stesso di andare in ogni modo contro
la mia natura. Non appena Bella si distrasse io uscii. Dovevo pensare,
riflettere, rimanere in qualche maniera lontano dalla mia droga prima
di commettere qualche errore. Era semplicemente assurdo. Ogni giorno
sempre la stessa storia. Mi allontanavano, cercando di dire a me stesso
di farmi forza, di prendere la mia Volvo e correre via. Puntualmente
tornavo, puntualmente stavo con lei. Debole e innamorato, ma non
giustificato per quello che avevo fatto. -Non posso lasciarla
sola. Non adesso-. Mi ripetevo, colpevole. E così mi
ritrovavo la notte a guardarla e mi permettevo di accarezzarla. Come
negare il mio bisogno di lei? Era tutta la mia vita, tutto
ciò per cui valeva la pena esistere. Entrai dalla finestra,
come sempre, sicuro che lei dormisse, o almeno sonnecchiasse, e mi
fermai ad osservarla, persa nel suo sonno. Ricordai le prime volte che
ero entrato nella sua camera, segretamente già ossessionato
da quell’amore, e avevo pregato che lei potesse accettarmi,
l’avevo desiderata tanto da permettermi carezze profonde.
Sì, la volevo nonostante tutto, volevo fare
l’amore con lei e mi ritrovavo a pensarlo ogni volta che si
spogliava di fronte ai miei occhi. Ignara di quanto fosse bella per me.
Mi avvicinai, notando
immediatamente le goccioline di sudore che le imperniavano la fronte e
le mani strette a pugno sulle coperte. Ancora incubi? Forse. Ormai era
un’abitudine. Mi inginocchiai,
fissandola dolcemente, e allungai la mano verso le sue labbra.
Sì, era proprio come tornare al passato, e sarebbe stato
così facile svegliarla e dirle che ero vero, che ero
lì per lei. -Bella… ti
amo-. Le dissi inaspettatamente, soffocando il mio viso nel suo odore,
impregnato nel cuscino in cui soffocai il mio volto, vicino al suo. Lei sorrise e si
spostò istintivamente verso di me stringendomi il braccio.
Le poggiai la mano sulla sua e la presi come fosse stata di cristallo.
La portai alle labbra e chiusi gli occhi, posandovi un bacio struggente. -Credimi, io vivo per
te-. Bisbigliai dolorante. Ero sicuro che se avessi potuto piangere
sarei scoppiato il lacrime come uno stupido. “Gli uomini non
piangono”, mi aveva spesso ripetuto mia madre in passato,
quando ero bambino, ancora umano. Forse, ma possibile che mia mamma non
avesse avuto idea della sofferenza che riusciva a dare
l’amore? -Non dimenticarmi. Ti
supplico, amami-. La pregai egoisticamente. Non sapevo nemmeno
ciò che stavo dicendo. Mi chinai e le baciai avidamente le
labbra, sentendo la voglia di stringerla a me mordermi
l’anima. Il suo sangue era niente, niente in confronto a quel
profondo desiderio di averla. -Ama solo me. Solo
me-. Le ripetei, come tentando di convincerla. -Solo te…-.
Bisbigliò lei nel sonno. -Solo te…-. Le soffocai
il respiro con un altro bacio e Bella mi strinse a sé. Il suo cuore batteva
regolarmente, segno che stava dormendo, perciò ne
approfittai e la abbracciai godendo della sua fragranza dolce e
avvolgente. Se soltanto avessi
potuto dormire o morire, o qualsiasi cosa che mi avesse aiutato a
dimenticare tutto, a non sentire più niente…
io… io… -Rimani con me.
Sempre, rimani con me-. Mormorò ancora Bella e io mi piegai
al suo volere. Sarei stato suo schiavo se necessario, il suo burattino,
ma non l’avrei mai lasciata sola.
Buonasera! Finalmente qui
per voi ad aggiornare Nadir. Mi spiace se ho tardato, ma dovevo
peggiorare la situazione di Edward in qualche modo e mi domandavo come:
alla fine ho trovato il modo. Spero apprezzerete, anche se
potrà sembrare divertente a lungo andare non lo
sarà. Di che sto parlando? :-P Segreto professionale.
Scherzo. Non ho molto da dire, spero solo che vi piacerà il
capitolo. Come sempre io vi ringrazio perchè seguite questa
fic, starò anche diventando monotona, ma apprezzo il vostro
appoggio e ancora di più la vostra stima, che per me
è fondamentale. Davvero GRAZIE! Nadir sarà una
fic molto "originale", e anche se potrà sembrare che non sto
seguendo la trama di new moon non è così. Ho
già pensato a tutto. Lo dico perchè questo
capitolo penso lascerà un po' perplessi. Penso... alla
prossima!
Le prime
allucinazioni.
Davvero capire cosa mi stava
succedendo cominciava ad essere difficile. Invece di rimanere
lì con lei avrei dovuto ricostruire i pezzi della mia vita
con la mia famiglia. Tuttavia mi ostinavo come un malato
d’amore a rimanerle vicino e soffrire con lei. Cominciavo a
credere di avere seri problemi di coerenza. Passavo dal riso alla
tristezza in pochi secondi, dalla felicità di vederla
sorridere alla disperazione di non poterla amare. Ero schiavo di
qualcosa di molto più forte di me. Lanciai un sasso nel
folto sottobosco, godendo del suo rumore sulla neve. Avevo appena
mangiato. Sorrisi di quel pensiero… il sangue sembrava
attirarmi meno di quanto non avesse fatto in passato. Avevo perso il
gusto di bere quel liquido scarlatto. Carlisle si sarebbe
eccessivamente preoccupato e sarebbe arrivato persino a farmi la
predica, lo sapevo, ma io non avevo voglia di sentire nessuno. Ero sicuro che Alice
sapesse, perciò non mi avrebbero cercato, non si sarebbero
preoccupati di me. O probabilmente sì, ma non aveva
importanza. In quel momento avevo soltanto bisogno di rimanere con
Bella, oppure da solo, e vivere quel dolore. -Io credo di essere
diventato pazzo. Non so se i vampiri possano impazzire o meno, ma io
sono diventato matto-. Mormorai a bassa voce, prendendo un altro sasso
e lanciandolo lontano. Avevo trovato il modo
di lavarmi e così spesso cercavo dei posti dove poterlo
fare, non troppo lontani da casa Swan: usavo vasche da bagno lasciate
per gli animali nel bosco. Mi sentivo sporco, non mi cambiavo da
più di due mesi. Era ovvio che il mio odore cominciasse a
farsi sentire. In realtà cominciava a
disgustarmi… o forse ero semplicemente io che non riuscivo
più a sopportare la mia esistenza. -Almeno non parlo
più con me stesso…-. Commentai ad alta voce, ma
mi morsi le labbra subito dopo. Le cose erano peggiorate. Il mio
silenzio era diventato così profondo che sentivo sempre di
più l’esigenza di parlare con qualcuno. -Forse potrei scrivere
qualcosa proprio come fa lei-. Scartai immediatamente la soluzione e
ridacchiai. Io scrittore… da quando l’avevo
lasciata non avevo avuto nemmeno più voglia di suonare. In
realtà l’unico desiderio che avevo era sentirmi
vuoto, sentirmi niente per smettere di soffrire in quel modo. Tornai indietro,
scalzo, in mezzo alla neve e completamente sovrappensiero. Non ero
vivo, non ero morto, non ero un mostro, insomma non ero. Continuai a
camminare verso casa di Bella, cercando di ricordarmi come fosse stata
la mia vita senza di lei. Come avevo fatto a sopravvivere tutto quel
tempo? Mi sembrava impossibile aver sopportato quel nulla. Anche
sentire dolore mi sarebbe bastato per sentirmi qualcuno, ma la noia
dell’esistenza, la perdita di me stesso no, no. Bella era
tutto per me, tutto per me. -Sono a pezzi-.
Mormorai senza voce. Che melodramma.
Semplicemente ridicolo. Che attore perfetto. Mi accasciai a terra,
poggiando la schiena su un tronco e guardai il cielo scuro annebbiato
dal freddo. Dovevo tornare da lei, fare a meno della mia droga per
troppo tempo mi portava in uno stato catatonico che non riuscivo a
sopportare. -Signore?-. Alzai la
testa di scatto, sbalordito. Era una voce quella che avevo sentito? Focalizzai una bambina
davanti a me e rimasi attonito. Non avevo sentito i suoi pensieri e
stranamente nemmeno il suo odore. -Signore, ciao-.
Riprese ancora facendo un passo in avanti. La guardai senza sapere cosa
fare. Mi stupii che non avesse affatto paura di me. Che si fosse persa? -Non parli?-. Mi disse
avvicinandosi ancora. Cercai di leggere nella sua mente, ma nulla, il
niente. La disperazione mi stava giocando brutti scherzi. -Ahh… ahh-.
Aprii bocca malamente solo per far uscire quei suoni buffi e
decisamente di poco senso. Quella bimba
però era davvero bella. I capelli corti a caschetto le
ricadevano intorno a un visino leggermente paffuto e i suoi occhi
nocciola mi ricordarono immediatamente quelli del mio cerbiattino. -Secondo me stai
morendo dal freddo. Sei così pallido, mamma mia-. Disse lei
inginocchiandosi così vicino che potei finalmente sentire il
suo profumo. Dolce, proprio come l’odore di Bella. -Mi vuoi sposare?-.
Sbottò all’improvviso la piccola e io sgranai le
palpebre fissandola sbalordito. Cosa? Mi spostai leggermente in avanti,
scivolando sulla neve, e lei indietreggiò un poco, forse
spaventata dalla mia reazione. -Scusa, signore muto.
È che sei così bello-. Bisbigliò
tremante. Mi ritrovai a
ridacchiare senza motivo. Quella bambina sapeva essere davvero
impudente. -Sono bello?-.
Finalmente parlai e la vidi spalancare la bocca e arrossire. -Wow, hai una
bellissima voce. Allora non sei muto-. Replicò lei
avvicinandosi di nuovo e allungando la manina verso di me. Impossibile
spostarmi e resisterle, in qualche modo mi stupiva il suo coraggio. -No, posso parlare-.
Le dissi sincero e scoppiai a ridere di cuore. Lei mise il broncio e
io rimasi affascinato dal modo in cui le sue guance paffute terminavo
in due fossette vicino alle sue labbra. Provai tenerezza dopo tanto
tempo. -Ti sei persa?-. Le
domandai subito, preoccupato. Probabilmente sì. Una bimba
nel bosco da sola non poteva che essersi persa. -Credi che mi sia
persa?-. Mi rispose con un sorriso e io aggrottai la fronte. Non era la
risposta che mi sarei aspettato. -Sì-.
Replicai sincero e lei si sporse ancora per accarezzarmi la guancia. -Sei buffo con questi
capelli strani, ma che colore è?-. Mi domandò
passandoci la manina pienotta. La lasciai fare e provai una strana
sensazione di benessere e dolcezza. -Non so, ramato,
rosso, castano-. Le descrissi un po’ di colori con cui spesso
avevano definito la mia capigliatura, ma lei storse il naso, schifata,
e ci pensò su. -Secondo me sembri
più un leone, hai i capelli alla leone…
sì-. Bofonchiò pensierosa, come se
definire i miei capelli fosse stata una questione di vita o di morte. -Ma mi muovo come un
puma-. Scherzai facendo per afferrarla e prenderla in braccio. Lei
ridacchiò trotterellando via e girandomi intorno. -Posso chiamarti leone
o hai un nome… ex signore muto?-. Parlottò decisa
e io scoppiai a ridere, talmente divertito da non riuscire a fermarmi.
Ma chi era quello scricciolo d’uomo? -Edward, mi chiamo
Edward-. Mormorai dolcemente e mi alzai in piedi, guardandomi intorno
perplesso. Non riuscivo a capire come avesse fatto quella bimba ad
arrivare fino a quel punto del bosco, e tutta sola poi. -E tu
signorina?-. Le domandai con un inchino ghignando del suo stupore. -Io fossi in te mi
comprerei un vestito nuovo-. Esordì sincera indicando i miei
vestiti, ora completamente bagnati. -Credo che tu abbia
ragione-. Dovetti risponderle infilando le mani nelle mie tasche zuppe.
-Io sempre, Edward-.
Mi sorrise e poi mi tese la mano, come a volere che fossi io a
prenderla. La osservai per qualche minuto poi decisi di darle
ciò che voleva. Allungai le dita senza pensare che avrei
potuto spaventarla con la mia temperatura gelida e quando lei le prese
la fissai sbalordito: non si era scostata. -Te l’ho
detto, tu hai freddo. Ora ti scaldo io-. Sussurrò spaventata
e mi prese la mano tra le sue, minute, che non riuscivano a
racchiuderla tutta. Continuavo a non
capire, ero molto confuso, ma il piacere della sua compagnia mi faceva
stare bene, perciò non parlai. Sfregò le piccole
dita per darmi calore, forse inutilmente, poi decisa alitò
sulla mia mano per scaldarla. Ancora una volta mi
ritrovai a sorridere. Sarebbe stato impossibile donare calore a
qualcosa di morto, perciò il suo sarebbe stato un tentativo
inutile. -Perché
ridi?-. Mi chiese allora. Non le era sfuggito il mio sorriso. -Perché non
posso scaldarmi-. Le confidai apertamente. Avevo la netta sensazione
che non si sarebbe stupita. -Ah, beh, allora hai
bisogno anche di un medico-. Mi sgridò e io non riuscii
più a trattenermi. Risi, risi e risi. Ma da dove veniva quel
cuccioletto? -Mio padre
è medico-. Dissi allora e lei alzò un
sopracciglio, perplessa. -E tuo padre ti fa
morire qui da solo nella neve al freddo?-. Mi rispose scettica
scuotendo il capo. Non sapevo che
risponderle. Come fare a spiegarle ciò che stavo provando?
In fondo era solo una bambina. Però ne sentivo forte il
bisogno, quella solitudine mi stava divorando. -Sono io che lo
voglio-. Le parlai sinceramente, senza accorgermi di aver cominciato a
camminare. Lei mi teneva la mano e rimaneva tranquillamente al mio
fianco, trotterellando come se nulla fosse. -C’è
una persona che amo e che sta molto male a causa mia-. Le confessai,
chiedendomi se avrebbe potuto capire ciò che le stavo
dicendo. -La tua ragazza?-. Mi
rispose subito e io sentii una fitta all’altezza del torace.
La mia… no, non era più mia, ma la sola idea di
lasciarla andare mi faceva male. -Lo vorrei-. Mormorai
sincero. Volevo Bella con tutto me stesso. -E allora cosa ti
impedisce di stare con lei? Non ti ama più?-. La sua domanda
era a dir poco sbalorditiva. -Sai…-.
Continuò. -Anche i miei genitori non si amano
più, ma tu non avrai problemi a trovarne un’altra.
Sei stupendo-. Mi fece presente guardandomi insistentemente e io
trattenni a stento un’altra risata. -No, credo che lei mi
ami-. La contraddissi e la bimba si fermò di colpo,
parandosi di fronte a me e fissandomi con due occhioni meravigliati. -E cosa stai
aspettando? Non capisco-. Nella sua ingenuità non avrebbe
potuto comprendere. -Che mi dimentichi-.
Sbottai allora, dolorosamente, ricominciando il nostro cammino
apparentemente senza meta. -Tu sei matto-.
Borbottò indecisa per poi lasciarmi andare. Si
allontanò di poco da me e poi girò su se stessa
come una ballerina traballante. Continuai ad
osservarla incerto, chiedendomi cosa ci facesse nel bosco e
perché fosse così sicura di sé.
Avrebbe dovuto piangere e cercare i suoi genitori, non ballare sulla
neve. -Mia mamma vuole che
io faccia danza-. Mi confidò poi poco elettrizzata. -Ma a me
l’idea non va tanto-. Terminò correndomi di nuovo
incontro. -La danza è
un’arte, sai?-. Le feci notare subito, ma lei storse le
labbra e mise il broncio. -Non quando non sai
nemmeno camminare senza perdere l’equilibrio-.
Ribatté convinta sospirando triste. Perché mi
ricordava così tanto Bella? Non mi aveva forse anche lei
raccontato le sue disavventure con la danza? La coincidenza mi
sorprese. -Però lo
faccio per lei, so che la renderebbe felice-. Mormorò poi,
vergognosa, guardandosi da una parte all’altra come se ci
fosse stato il rischio che qualcuno ci stesse ascoltando.
-Però non dirlo a nessuno-. Mi supplicò
con i suoi occhioni color cioccolato. -E per te? Cosa ti
piacerebbe fare?-. Le domandai incuriosito dal suo modo sincero e
fiducioso di porsi. La piccola fece spallucce e allungò la
mano verso la mia prendendola con noncuranza. -Io voglio amare-.
Arrossì balbettando. -Non un uomo qualunque, ma una persona
speciale. Proprio come te… un matto-. Sottolineò
facendomi inevitabilmente esplodere in una risata genuina. Oddio, non potevo
credere che al mondo ci fosse una bimba così sveglia. Era
una boccata d’aria fresca per me, anche se non mi capacitavo
di quella serenità accanto a lei. -Io non sono matto-.
Le spiegai allora, cercando di rimanere serio. -Edward, non
è per dirti nulla, ma… i tuoi vestiti sono
strappati, eri seduto sulla neve, sei scalzo e non vuoi stare con una
ragazza che ami e che ti ama. Questo per me significa che sei pazzo-.
Affermò continuando a saltellare sul sentiero con me al suo
fianco. Non voleva proprio lasciarmi andare. -Sono solo innamorato,
piccolina-. Sussurrai sentendo forte dentro di me quel sentimento che
mi legava inesorabilmente alla donna che amavo con tutto me stesso. -E hai detto che anche
lei lo è-. Mi fece notare e io mi passai la mano libera tra
i capelli. Che bimba impossibile! -Siamo diversi-.
Tagliai corto ancora sperando che non mi chiedesse altre spiegazioni.
Non avrei saputo cosa risponderle. Non poteva neanche immaginare quanto
io desiderassi Bella nella mia vita, quanto avessi fame e sete di lei e
quanto la consapevolezza di doverle stare lontano mi stesse uccidendo. -Scusa…
è una scusa. E lo sai anche tu-. Sbottò
arrabbiata. -Non è una
scusa. Avrei finito solo per farla stare male se avessi continuato a
desiderarla come faccio-. Esplosi innervosito. Mi resi conto solo in
quel momento di non aver controllato la mia ira e di aver urlato. Mi
capitava raramente e non con gli esseri umani poi, soprattutto bambini.
-E ora lei come sta?
Sta bene?-. Riprese lei per nulla spaventata dalla mia reazione
imprevedibile, anzi sfidandomi con gli occhi a dirle il contrario di
ciò che pensava. -No-. Terminai, lo
sguardo basso e la consapevolezza di aver distrutto la persona
più importante della mia vita con la mia
immaturità. -Mamma dice che se due
persone sono unite da qualcosa di molto forte possono avvenire
miracoli-. Ridacchiò lo scricciolo stringendomi
più forte la mano come per consolarmi. -Nessun miracolo-.
Mormorai indurendo il mio cuore. Mi sembrava quasi di sentire delle
spine conficcate nel petto, ma che idiota. -Sei proprio stupido-.
Azzardò lei e io mi scoprii davvero innervosito dalle sue
parole. Forse perché sapevo che aveva ragione. Ero stato uno
stupido e lo ero ancora. -Che dovrei fare? Non
posso tornare, non potrei mai guardarla negli occhi come prima. Con
quale coraggio?-. Ammisi, mostrando tutta la mia debolezza. -Mamma dice che
c’è un tempo per ogni cosa, ma se siete destinati
a stare insieme, allora è inutile che tu provi a
rifiutarla-. I suoi consigli, così ingenui e puri, mi
diedero comunque speranza e sollievo. Forse in un’altra vita,
meno maledetta, forse in un altro cielo, mi sarebbe stato permesso di
amare Bella. -Quindi secondo te che
cosa dovrei fare?-. Le domandai senza farmi alcuno scrupolo. Mio Dio,
era solo una bambina, cosa poteva capire lei di pene amore? -Sposarla, mi sembra
tanto semplice-. Disse dandomi un colpetto con il gomito poco sopra il
ginocchio. Io… sposare Bella? Quell’idea mi
avrebbe accompagnato nelle notti di solitudine, sarebbe stato come un
sogno ad occhi aperti, ma non altro. Non potevo farle questo, lei aveva
bisogno di un uomo vero a fianco, non un mostro che solo nel toccarla
soffriva le pene dell’Inferno. -Non
succederà mai-. Diedi voce ai miei pensieri con un tale
dolore che la bimba dovette strattonarmi la mano per farmi tornare alla
realtà. -Succederà,
che tu lo voglia o no. Non sei tu a deciderlo, per voi ha
già deciso il destino quando vi siete incontrati-.
Ribatté sorridendo e io trattenni il fiato chiedendomi come
facesse una bimba così piccola a dire cose così
vere senza sapere nulla di me. -Siamo arrivati-.
Mormorò e io osservai lo spiazzo di fronte a me. Quel luogo
io lo ricordavo bene. Abbassai lo sguardo
verso la mia mano e rimasi attonito quando vicino a me non vidi
più nessuno. Ma che cosa stava succedendo? Forse stavo
realmente diventando pazzo. Mi strinsi nelle spalle, aspettando di
capire cosa fosse successo, quando sentii dei rumori venire dal bosco. Rimasi immobile e mi
nascosi, protetto dagli alberi, e vidi apparire Bella, coperta dalla
testa ai piedi. Mi irrigidii e la fissai incredulo. -Qui…-.
Bisbigliò portandosi la mano sul petto e sospirando
stancamente. -È stato qui-. Concluse chiudendo appena le
palpebre. Era lì che
l’avevo abbandonata, lì che avevo deciso cosa ne
sarebbe stato del nostro futuro. Sentii un groppo chiudermi la gola e
ripensai alla bambina con cui avevo parlato. I suoi occhi, il colore
dei capelli, il suo sorriso… mi sporsi per osservare meglio
il mio cerbiattino e sovrapposi le due immagini. Non poteva essere,
sarebbe stato impossibile. -Sono davvero
diventato matto-. Dissi tra me e me, strofinandomi gli occhi. -Ti prego, amore, ti
prego. Dimmi che tornerai e che staremo sempre insieme-. La voce di
Bella, supplicante, mi graffiò l’anima. Miracoli.
Probabilmente solo un miracolo avrebbe potuto risolvere tutto e farmi
tornare da lei, con lei. -Non posso-.
Bisbigliai dolorante, accasciandomi di nuovo sulla neve. Volevo
piangere, con tutto me stesso desideravo piangere. Non mi importava di
essere un uomo, né un vampiro, volevo solo dare sfogo a quel
dolore e a quella confusione che mi stava accecando. -Attento-. La voce
della bambina misteriosa attirò la mia attenzione e io
sollevai lo sguardo verso Bella che perse l’equilibrio e
cadde miseramente a terra tra le lacrime. Cercai con lo sguardo
la mia apparizione, ma non la trovai, mentre angosciato fissavo di
nuovo Bella che sembrava non avere alcuna intenzione di rialzarsi in
piedi. -Avanti, amore mio,
forza-. La incoraggiai sotto voce, ma il pianto e i singhiozzi che la
scuotevano non le permettevano di riprendere energia. Dovevo fare qualcosa,
qualunque cosa, ma avevo bisogno di una strada, di un segnale,
perché da solo non avrei saputo come far smettere tutto quel
dolore. Entrambi stavamo morendo. -Cercati, cerca te
stesso. Ti sei perso e non puoi amare nessuno adesso. Ricomincia a
vivere come Edward e non come un vampiro-. Mormorò
la stessa voce infantile che mi aveva accompagnato fin lì.
Sentii la sua piccola mano posarsi sul mio braccio e sollevai lo
sguardo tentando di raggiungere i suoi occhi. Mi sentivo perso. -E dove…-.
Sussurrai con una smorfia sarcastica. Dove sarei potuto scappare? Dove
avrei potuto lenire quella sofferenza? -Tu lo sai-. Mi
rispose, accovacciandosi accanto a me. Ancora il mio sguardo
andò verso Bella che, accasciata sulla neve, sembrava aver
perso i sensi. -Ma si può
sapere chi diavolo sei?-. Ringhiai mostrandole i canini e avvicinandomi
a lei come un animale in gabbia. -Un miracolo forse? Ma
non il tuo perdono. Dovrai prima perdonare te stesso. Io ti posso
aiutare-. Mi propose prendendomi il viso tra le mani. Doveva essere
tutto un sogno, presto mi sarei svegliato e mi sarei scoperto nel letto
di mia mamma, abbracciato a lei, ne ero convinto. -Ma chi sei? Come ti
chiami?-. Continuai a chiedere incessantemente, come se stessi
ripetendo una continua litania a me stesso. -È
così importante?-. Mi rispose tristemente. Importante? Io
stavo diventando pazzo e lei mi parlava di importanza. Vivevo di
illusioni continue, di sogni ad occhi aperti che riguardavano Bella e
ora anche questo, persino questo a farmi capire come mi ero ridotto,
fino a che punto la mia mente aveva ceduto. Ero ridicolo, la mia
immaginazione lo era. -Hai ragione, sono
matto-. Sbottai allarmato e la bimba mi sorrise dolcemente poggiandomi
le dita sulla guancia. -Mi piacciono i matti,
te l’ho detto-. Sparì proprio davanti al mio
sguardo e io pensai davvero di dovermi far visitare da Carslisle. Mi alzai, barcollante,
e senza pensare presi Bella tra le braccia stringendola forte a me e
annusando il suo profumo. Mi era mancata, tanto. Continuai ad affondare
il viso tra i suoi capelli, certo che stesse dormendo, troppo stanca
per il freddo e la fatica fatta. Ormai erano rari i momenti di riposo
per entrambi. -Andiamo a casa,
piccolo Bambi-. Mormorai e le baciai la fronte dolcemente, cullandola
come un dono prezioso. Mi voltai verso il
punto in cui era scomparsa la mia visione e decisi che ne avrei parlato
alla mia famiglia non appena li avessi rincontrati. Forse davvero ormai
stavo crollando. -Alice…-.
Sussurrai ripensando al mio adorato folletto. Chissà cosa
ne avrebbe pensato lei. Probabilmente avrebbe riso con la sua solita
risata sbarazzina e mi avrebbe sussurrato: “Edward a te manca
vita sociale”. La mia famiglia… mi mancava. Ma non
era l’unica cosa a scavare un vuoto profondo dentro di me.
C’era dell’altro. Mi incamminai verso
casa Swan e rimuginai su ciò che avevo vissuto. Era indubbio
che le mie capacità razionali fossero diminuite, ma il fatto
che avessi visto quella bimba doveva per forza voler dire qualcosa. C’era un
legame profondo tra me e Bella, in grado di superare anche la barriera
della separazione. Probabilmente era quello il motivo per cui
l’avevo immaginata da bambina. Ora era tutto più
chiaro, ero io stesso ad essermi parlato per convincermi di
ciò che dovevo fare. -Oddio…-.
Pensai ad alta voce e mi augurai di non avere più altre
allucinazioni. Non avevo idea che potessero esistere vampiri
schizofrenici. -Meno male che ho
preso due lauree in medicina-. Sussurrai ripensando a ciò
che avevo vissuto. Controllai che nessuno
fosse nelle vicinanze della casa ed entrai dalla finestra con Bella in
braccio. Ero sicuro che non si sarebbe nemmeno ricordata di non essere
tornata a casa da sola. Ne ero certo. Ma io ora…
io ora dovevo assolutamente parlare con Carlisle di quello che mi era
accaduto.
Come avevo promesso, eccomi qui ad aggiornare anche Nadir. Mi dispiace
del ritardo. Qualcuno mi ha fatto notare che tendo un po' troppo a
dimenticare questa fic... ha ragione. Ehhh, perdo colpi. Comunque
volevo dirvi, come sto facendo per ogni fic, da questo capitolo
risponderò direttamente alle recensioni. Così
evito di correre per postare con i sensi di colpa che non rispondo mai
a nessuno. Problema risolto, questo cambiamento mi piace. Cos'altro ho
da dire? Sì, capisco che ci siano perplessità
sulle allucinazioni di Edward, però ho ritenuto opportuno
far vivere anche lui qualcosa di simile a ciò che vive Bella
(apparizioni di Edward) solo moltiplicato, quintuplicato. Non
risparmiamo dolore ai vampiri... purtroppo (Malia è sadica).
Mi sto inoltrano su un terreno pericoloso e voglio proprio vedere dove
arriverò. Speriamo bene (O_o non dovrei dirlo).
Non solo devo ringraziarvi per i commenti e le letture questa volta, ma
anche per la pazienza che avete nell'aspettare gli aggiornamenti. Fa
bene ogni tanto sentirsi dire "datti una mossa", dico sul serio,
perciò ringrazio tanto Silvia. Un bacione a tutti!!!
P.S. Il disegno qui sotto è di Emdigin, mi sembra corretto
dirlo.
Ancora
allucinazioni.
Il
problema per me ora era riuscire a contattare Carlisle. Non potevo
nemmeno concepire il pensiero di allontanarmi da Bella, non ero ancora
pronto per farlo, però ero cosciente che qualcosa dentro di
me stava inesorabilmente cambiando. Dicembre ormai era inoltrato,
Natale si avvicinava, ed io ero in un continuo inesorabile confronto
con me stesso. La mia mente,
inevitabilmente spossata dalle mie continue lotte, chiedeva riposo. Il
pensiero di Bella, la sua costante presenza dentro di me, mi rendevano
succube dell’amore che provavo. E più lei sembrava
rimettersi più io cadevo in un baratro di nulla senza fine. Mi sedetti sul
pavimento, passandomi una mano tra i capelli ormai completamente
spettinati. Dentro di me una fame ardente minacciava le mie viscere, ma
non volevo allontanarmi dal mio cerbiattino per nulla al mondo. La
verità era che avevo paura, paura che si ripresentassero
delle allucinazioni. Sentii qualcuno salire
le scale e immaginai che fosse lei con il suo pranzo. Non sentivo
pensieri. Mi nascosi dietro la poltrona, facendo ben attenzione ad
appiattirmi contro il muro, e, quando Bella entrò, chiusi
gli occhi e li riaprii come per accertarmi che fosse reale. Ormai stavo
diventando paranoico. -Jingle bells, Jingle
bells-. Canticchiò serena e io istintivamente sorrisi. Forse il Natale
l’avrebbe aiutata a superare quella tensione e quella
tristezza che ancora non le permettevano di dormire tranquilla la
notte. Seppur a fatica aveva da poco ripreso ad andare a scuola e io
ero felice di questo. La controllavo a distanza, ovviamente senza farmi
vedere, e nonostante la solitudine di cui si era circondata, non
c’era più pericolo per lei di non superare
l’anno scolastico. Per me era un sollievo e non solo per me,
anche per Charlie. Però quello
sguardo spento e quell’atteggiamento svuotato di forze
sembravano non volerla abbandonare mai. Non avevo altra scelta che
rimanere fino a quando non si sarebbe ripresa del tutto. Appoggiai la
nuca contro la parete e sbirciai nel suo piatto. C’erano un
bicchiere di succo d’arancia rossa, ketchup e una fetta di
carne che a me sembrava cruda, di colore rosso, per
l’appunto. Scossi la testa con un ghigno divertito. Forse in
quel modo riusciva a sopportare meglio la mia mancanza,
forse… Si portò il
bicchiere alle labbra e si sedette sul letto con il suo portatile. A
parte il suo diario giornaliero per Alice, c’era
qualcos’altro che aveva iniziato a dilettarla: scrivere
lettere d’amore per me. E questo non faceva che peggiorare la
mia condizione di innamorato cronico, perché sentirla
piangere ogni volta mi uccideva psicologicamente. Cominciai a
convincermi davvero che la morte fosse meno dolorosa della vita. La guardai sospirare
sconsolata e abbandonarsi sul letto con il bicchiere in mano. -Chissà
dove sei e cosa stai facendo-. Bisbigliò osservando il succo
rosso muoversi lentamente. -Mi mancano i tuoi
baci-. Continuò abbassando il braccio e poggiando il
bicchiere sul comodino. In quel momento se mi
fossi avvicinato di un solo passo l’avrei divorata,
perciò mi imposi calma e controllo. In fondo ero sempre
stato bravo in quello, no? Perciò nessun problema. Si
stiracchiò e si rannicchiò su un lato del letto
chiudendo le palpebre. Non aveva ancora toccato la sua carne e io,
apprensivo, me ne stavo lì seduto come un cucciolo in attesa
vederla mangiare. Le squillò
così improvvisamente il cellulare che io mi riscossi dal mio
leggero torpore. Ero sicuro che fosse sua madre. Ormai la chiamava a
giorni alterni per sapere come si sentisse. L’eco di
ciò che era successo tra noi era arrivato fino a lei. -Mamma?-. Rispose
sonnacchiosa e io sentii chiaramente la voce di Renée
dall’altra parte. -Come stai, tesoro mio
dolce?-. Le chiese apprensiva e io sorrisi. -Potrei stare meglio-.
Riprese Bella un po’ accigliata per il tono tenero di sua
madre. -Pensi ancora ad
Edward, vero? Io te l’avevo detto…-.
Continuò sicura con uno sbuffo che io sentii chiaramente. Inizialmente pensai
che Bella non avrebbe risposto e si sarebbe limitata a cambiare
argomento. Ero diventato una sorta di tabù sulle sue labbra.
Questa volta però non si scompose. -Sì, penso
sempre a lui-. Disse decisa e io inorridii. Quella forza non
significava certamente qualcosa di positivo. Le dava speranza ed era
quello che avrei voluto evitare. -Se lo ha detto, non
tornerà. Non ho avuto l’impressione che fosse un
ragazzo poco sincero-. Riprese Renée e io vidi il viso di
Bella rabbuiarsi. -Io avevo la
sensazione che mi amasse-. Borbottò il mio piccolo Bambi e
io mi strinsi le ginocchia al petto. Sensazione più che
esatta, peccato che la parola amore fosse qualcosa di limitativo per
ciò che provavo per lei. -A dir la
verità, anche io-. Confessò sua madre e io mi
sentii scoperto. -Era palese dal modo in cui ti guardava. E non ti ha
mai lasciato sola all’ospedale-. Bella prese un
profondo respiro, come a volersi fare forza e io mi ritrovai a
sospirare con lei. Non pensavo di essere così trasparente
nei miei sentimenti, evidentemente però il mio amore per
Bella riusciva a superare persino il mio buon senso. -Ma quale buon senso?
Ormai non so più nemmeno cosa sia-. Borbottai tra me e me.
Mi sentivo solamente uno stupido indeciso, l’eterno stupido
indeciso. -Alla vostra
età, l’amore va e viene, tesoro. Non devi
preoccuparti-. Riprese Renèe cercando in qualche modo di
consolare sua figlia, che fece una smorfia di disaccordo, ma
preferì non parlare. Intuii che non le
interessava affatto l’opinione di sua madre, era convinta che
mi avrebbe sempre amato comunque fossero andate le cose. Trascorse una
settimana più tranquilla del solito. Charlie riempiva Bella
di regali non appena poteva e cercava di non lasciarla mai sola. Mi
accorsi che il loro legame si stava approfondendo sempre di
più e di questo ero felice. Volevo evitare che il mio
piccolo Bambi si sentisse sola. Era arrivato
però il momento per me di andare a caccia. Non potevo
continuare a soffrire in quel modo la fame e per quanto il dolore fosse
benvenuto rischiavo in quel modo di mettere Bella in pericolo. Sospirai
e mi allontanai da casa Swan, di notte, sentendo dentro una tale
sofferenza da strapparmi l’anima. Ero ridotto a uno zombie, o
forse peggio, ma l’idea di starle lontano anche solo per
un’ora mi gettava in uno stato di panico. Il suo profumo per
me era diventato ormai una sorta di calmante tentatore. Sorrisi e corsi via,
cercando nel vento un’alternativa ai miei pensieri: tanti,
confusi, ma innamorati fino allo sfinimento. Mi fermai solo quando
sentii odore di cerbiatto nell’aria e l’acquolina
mi fece fremere. Mi voltai, pensando di vedere al mio fianco la forma
elegante di quell’animale, ma trattenni il fiato non appena
focalizzai un volto fanciullesco. No, no, no… Indietreggiai di un
passo e lei mi sorrise dolcemente. -Ciao, Edward-. Mi
disse alzando la sua piccola manina per salutarmi. Ancora quella
bambina. Per la prima volta in
vita mia provai terrore. Una paura cieca che non mi permise di
riprendere fiato. -Sei di nuovo
ammutolito?-. Mi domandò con un sorrisetto divertito. Sembrava una semplice
bimba dagli occhi profondi e molto sveglia, ma io sapevo che non era
che il frutto di una mia allucinazione. -Sei Bella non
è vero?-. Le chiesi come se si trattasse di una nemica. Lei
mise il broncio e si offese del mio tono scontroso. La osservai
singhiozzare, sorpreso, e mi passai una mano sulla fronte. Era reale,
troppo reale. Non riuscivo a capire come la mia mente potesse aver
formato quell’esistenza. -Perché sei
così cattivo con me-. Mormorò innocente e io mi
sentii invadere da una strana sensazione di tristezza. Non volevo essere
scontroso, in verità stavo solo cercando di comprendere me
stesso. Mi avvicinai lentamente, poggiandole una mano sulla nuca e
chinandomi, quando i suoi occhi incrociarono i miei. -Tu pensi che io non
esista-. Sussurrò afflitta e io trattenni il fiato. La mia pazzia stava
oltrepassando i limiti fino ad arrivare all’assurdo, eppure
c’era qualcosa di estremamente lucido nelle mie visioni. Che
fosse un segnale? -Mi spieghi
perché sei qui?-. Le domandai incuriosito, addolcendo il
tono della mia voce per non spaventarla. Mi fissò
sorpresa, come se non si fosse affatto aspettata una simile domanda, e
ci pensò su per qualche secondo. -Quando lei non
c’è, posso farti compagnia io. Non vuoi?-. Mi
chiese, intimorita, e io intuii immediatamente il senso di quella frase. Mi sedetti vicino a
lei che mi poggiò una mano sulla spalla, comprensiva. -Quindi tu sei nata
per rimpiazzare la sua assenza-. Bisbigliai portandomi di nuovo le dita
tra i capelli in un gesto nervoso. Questo poteva significare solo che
la mia mente e il mio corpo si rifiutavano categoricamente di
allontanarsi da Bella. E come poteva non essere così se il
mio cuore si scaldava solo al suono della sua voce? -Ho fame-. Sussurrai
sofferente e la sentii sedersi accanto a me. -Puoi cacciare-.
Bisbigliò paziente, ma il solo pensiero di farlo davanti ai
suoi occhi mi disgustava. -No, non davanti a te.
Non ce la farei mai-. Le confessai e sentii le sue piccole braccia
circondarmi il collo dolcemente. -Io ti capisco, non
devi avere paura di me-. Disse sottovoce. Le sue manine arrivarono a
sfiorarmi le guance. -Se lei non c’è, ci sono io.
Io lo so che sei qui-. Le sue parole
riuscirono a consolarmi. Non capii come fosse possibile che una
proiezione potesse darmi tutto quel conforto, ma cacciai quel pensiero
dalla mia mente maledicendo i miei dubbi. Avevo bisogno, estremo
bisogno di non sentirmi solo, ma solo Bella poteva lenire quella
sofferenza solitaria. Perciò ero felice di averla in qualche
modo vicina, anche se in miniatura. -Resisterò-.
Mormorai stringendo i denti. -Vuoi che sparisca?-.
Mi chiese allora e io scossi la testa. Improvvisamente l’idea
della sua assenza non era più così allettante e
capii di aver bisogno che lei mi parlasse. -No, non sparire-.
Ammisi un po’ reticente e aspettai in silenzio che mi dicesse
qualcosa. Qualsiasi cosa, non importava poi molto che avesse un senso o
meno. Era l’inizio
della mia distruzione? O semplicemente la fine di me stesso? Capire
sarebbe soltanto servito a farmi ancora più male. Cercai di alzarmi in
piedi e lei mi seguì aggrappandosi al mio braccio. La
guardai e il suo sorriso mi riportò alla mente quello del
mio cerbiattino. I suoi occhi erano gli stessi e il suo sguardo
riusciva a sciogliere quel blocco di dolore e sensi di colpa che mi
schiacciavano il petto. -Sai cosa devi fare,
io te l’ho detto-. Mi disse allora e io la fissai confuso. -Ti sei solamente
perso. È umano-. Continuò convinta e
trotterellò intorno a me proprio come una bimba bisognosa di
attenzioni. -Io non sono umano-.
Ribattei sarcastico e la vidi ridacchiare. Scosse il piccolo capo
facendo ondeggiare i capelli castani e mi fissò severa. -Il tuo cuore lo
è. Sei buono e sacrifichi te stesso per chi ami. Molti
esseri umani non lo fanno-. La sua voce decisa non si
incrinò, e io mi resi conto di quanto il mio cuore agognasse
quelle parole. Mi sentii immensamente più leggero. -Anche io ho fatto del
male, persino alla donna che amo-. Bofonchiai cercando un modo per
sentirmi ancora in colpa. -No, tu vuoi fare solo
male a te stesso. Possibile che tu non ti conosca nonostante sia
passato tanto tempo? Chi sei Edward?-. La sua domanda mi
spiazzò. Non ne avevo idea.
Prima di conoscere Bella la mia vita non aveva senso, dopo di lei tutto
si era colorato, ma adesso mi sentivo di nuovo vuoto e privo di
ciò che mi aveva reso vivo grazie al mio amore. -Niente senza di lei-.
Risposi convinto e mi sentii debole. -E cosa puoi darle di
te stesso se sei solamente un guscio vuoto?-. Mi rinfacciò
con fastidio. Sorrisi, non aveva
tutti torti il mio grillo parlante. Probabilmente era davvero la mia
coscienza quella che ora mi stava parlando, non una banale
allucinazione. -Quindi cosa dovrei
fare-. Le chiesi incuriosito. Mi fissò e
scosse la testa esasperata. Quel visetto innocente, così
premuroso nei miei confronti e inflessibile, mi strappò un
sorriso. Sì, era proprio così che avevo
immaginato la mia Bella da bambina: ribelle, birichina e vivace. -Sei tu che devi dirlo
a te stesso. Lo sai!-. Mi rimproverò puntandomi il dito
contro e io cercai di capire cosa intendesse dire. Non ero ancora
pronto per ammettere a me stesso ciò che il mio cuore
vagamente mi consigliava di fare. Allontanarmi da Bella,
tornare dalla mia famiglia, lenire il mio dolore cercando di vivere al
meglio la mia vita eterna. Al solo pensarci il desiderio della morte si
faceva ancora più intenso e pregnante. -Non è
ancora destino che torniate insieme-. Mormorò con un sospiro
e io mi voltai per guardarla. Io non volevo affatto tornare con Bella,
come poteva pensarlo? Sparita. Non
c’era più. Osservai con attenzione il punto in cui
era apparsa, ma non vidi più nulla. Insistere sarebbe
servito a poco, ne ero consapevole. Cacciai finalmente,
ripensando con insistenza alle sue parole, e mi saziai abbastanza, ma
il bisogno di tornare indietro mi opprimeva. Senza Bella facevo persino
fatica a respirare. L’aria non aveva il suo odore e in me
cominciava a bruciare la mancanza di averla accanto. Ancora una volta mi
ritrovai sulla strada di casa Swan, pensieroso e solo, e ripensai a
ciò che mi stava succedendo con una certa
apprensione. Mi sembrava tutto così illogico. Entrai dalla finestra
e vidi il mio cerbiattino rigirarsi tra le coperte come sempre. Sonno
agitato ancora una volta… Mi avvicinai a passi veloci. Non
sopportavo l’idea di vederla muoversi in modo così
convulso e riuscii a prenderla prima che cadesse dal letto. -Edward, Edward-.
Ancora il mio nome. Basta. Doveva capire che non sarei più
tornato! La rabbia mi
accecò per un breve attimo, ma poi le sfiorai la fronte con
la mia e le baciai leggero le palpebre. Non era colpa sua, ma solo mia
se quell’amore stava distruggendo entrambi nella
più completa disperazione. Le rimboccai le
coperte con cura, cercando di non svegliarla, e poi tornai a sedermi
sulla poltrona. Non riuscivo ad annoiarmi. Trascorrevo ogni notte in
contemplazione della sua immagine, ma non riuscivo affatto a stancarmi
di guardarla. Ogni suo piccolo particolare riusciva ancora a stupirmi. -Ti amo-. Mormorai
appoggiando la testa contro lo schienale e chiusi gli occhi annusando
l’aria intorno a me. -Edward-. Mi sentii
chiamare ancora e il lieve battito diverso del suo cuore mi indusse a
nascondermi velocemente. Feci appena in tempo a
nascondermi che la vidi svegliarsi e fissare la finestra delusa. Per fortuna non era
stato un incubo, ma le lacrime sulle sue guance riuscirono ugualmente a
farmi sentire uno schifo. -Non piangere per me,
piuttosto odiami, ma non piangere. Per favore. Rendi tutto
più difficile-. Bisbigliai battendo la testa ripetutamente
contro la poltrona. Ogni volta la stessa scena. Era una fortuna per me
che ci fosse quel facile nascondiglio. Sentii Bella prendere
un profondo respiro e poi smettere. Quasi ne fui sollevato. La guardai
di sfuggita e non appena mi accorsi delle sue mani congiunte e dei suoi
sussurri non potei fare a meno di provare un dolore intenso dentro di
me. Che fosse il cuore? Non ne ero certo, ma vedere il mio cerbiattino
pregare mi fece provare un intenso senso di sconforto. Io non avrei mai
saputo la verità su Dio, ma se fosse realmente esistito in
quel momento gli avrei chiesto solo una cosa: far star bene
l’unica donna che avessi mai amato. Non importava come,
solo… avevo bisogno di sapere che lei stava bene per poter
andare avanti. Così non ce l’avrai mai fatta, non
così. -Agli esseri dannati
non è concesso l’amore?-. Sussurrò
Bella e io sorrisi. Sì,
sì, anche a noi era concesso amare, ma non un essere umano.
Non un umano. O probabilmente ero io a volermi convincere di questo.
Non riuscivo a capire cosa fosse giusto o no. Davvero tutte le mie idee
cominciavano a confondersi. Bella tornò
tra le coperte e io percepii ancora i suoi singhiozzi, il battito del
suo cuore irregolare. Involontariamente mi portai più vicino
a lei e la sentii addormentarsi inevitabilmente non appena la
spossatezza tornò ad invaderla. Le accarezzai una
mano, dolcemente, come facevo in passato, e cominciai ad intonare una
canzone che ben conoscevo e che avevo composto io per lei. La mia ninna
nanna. Appoggiai la fronte sul suo letto e continuai ad cantarla fino a
quando le sue braccia non si rilassarono e la sua bocca si schiuse in
respiri profondi. Adesso avrei potuto
riposare la mia mente tranquillo. Ultimamente avevo imparato a
svuotarla e a lasciarla libera, a non angustiarmi e rimuginare su me
stesso, così decisi di tornare seduto e di osservarla senza
pensieri fino a quando il giorno non mi avesse scoperto. La mattina
arrivò fin troppo presto e non appena sentii Charlie uscire
per andare a lavoro un’idea malsana prese possesso di me. E
se… se avessi usato il telefono di casa Swan per chiamare
Carlisle? Chi se ne sarebbe accorto in fondo? Nessuno... Bella si
stiracchiò nel letto, sonnacchiosa. Mancava circa un quarto
d’ora al suono della sua sveglia. Scesi in fretta, agitato, e
alzai la cornetta componendo il numero del cellulare di Carl senza
quasi rendermene conto. Mi rispose al primo
squillo. -Edward, mio dio,
grazie al cielo-. La sua voce sollevata e la sua risposta veloce mi
fecero pensare ad Alice. Sicuramente c’era il suo zampino. -Aveva previsto la mia
telefonata, vero?-. Chiesi immediatamente e lo sentii ridere. Stavo facendo
preoccupare la mia famiglia con il mio comportamento, ma nonostante
questo li sentivo sempre vicino a me. -Sì, Alice
mi ha detto ogni cosa-. Mi informò subito e io sospirai
sollevato. Perfetto, così non avrei dovuto nemmeno spiegare
tutto ciò che stava succedendo. -Cosa ne pensi?-. Gli
chiesi allora, allarmato. Cercai di non leggere
nella sua mente, rispettando la sua intimità come sempre, ma
fu difficile. -Non ho mai sentito di
vampiri con allucinazioni, ma è evidente che tu le abbia-.
Mi rispose piuttosto schietto e io ridacchiai. Non mi stava aiutando. -A cosa credi siano
dovute?-. Non era affatto una conversazione sensata, ma forse il mio
era soltanto un bisogno, quello di sentire la sua voce rassicurarmi.
Lui lo sapeva, Carlisle l’aveva intuito. -Penso che solo tu
possa saperlo-. La sua risposta mi fece capire che era proprio come
pensavo. Mio padre voleva soltanto farmi sapere che sarebbe stato
sempre e comunque con me se ne avessi avuto bisogno. Le risposte avrei
dovuto trovarle da solo. -Edward, Edward,
tesoro mio, come stai?-. La voce di Esme nella cornetta mi
riempì d’affetto. Mi mancava anche lei,
la mia mamma vampira. -Si tira avanti-.
Ridacchiai e lei mi sgridò bonariamente, chiedendomi se
riuscivo a nutrirmi abbastanza, se pensavo a me stesso e alla mia
salute... insomma proprio come una vera mamma. -Sta tranquilla,
davvero-. Cercai di tranquillizzarla, ma sapevo già che
quando Esme si comportava in modo così apprensivo era
impossibile farla demordere. -Per favore-.
Continuai quando mi chiese se avevo bisogno di vestiti puliti. L’avrei
abbracciata. Era tanto tempo che qualcuno non si preoccupava per me in
quel modo. -Edward, per favore,
non farci preoccupare. Non passa giorno che non pensiamo a te-.
Mormorò lei e io mi sentii avvolto dal suo candore. Non
esisteva un’altra persona come lei, Esme aveva sempre una
parola buona per tutti. -Non vuoi che io torni
però-. Lessi nella sua mente e la sentii ridacchiare
imbarazzata. -No, io voglio vederti
con Bella. Siete così carini insieme-. La sua ammissione
riuscì a farmi salire un groppo in gola. La mia famiglia aveva
fatto ciò che io volevo senza chiedere nulla, ma in
verità io sapevo quanta fatica era costata a tutti
allontanarsi da Forks. -Ehi, tu, moccioso-.
Riconobbi immediatamente Rose e scoppiai a ridere. -Ridi,
ridi… Edward, ma ti strozzerei con le mie stesse mani-. Fu
l’unica cosa che mi disse e io intuii di mancarle molto. Anche lei mi mancava.
Le sue gelosie e i suoi scoppi d’ira con Emmett erano sempre
fantastici e molto fantasiosi. -Non ti sei
dimenticato di me, vero?-. Eccola lei, la mia preferita. -Folletto-. Sogghignai
contento. -Questa riunione di famiglia è causa tua, vero?-.
Borbottai divertito. -Mi manchi tanto. Lo
sai, lo sai, mannaggia-. Mi spiazzò con
quell’ammissione. Ah, piccola Alice… -Anche voi mi
mancate-. Ammisi stanco. -C’è
ancora molta strada da fare, ma non scoraggiarti, siamo tutti con te-.
Mi parlò dolcemente e io la ringraziai dentro di me per
quelle parole. Sentii
d’improvviso dei rumori venire dal piano di sopra e capii che
Bella si stava svegliando. -Vai pure se devi, ti
saluto Jazz ed Emm. Sapevo già che non avresti fatto in
tempo a parlare con loro. Sono dispiaciuti, ma va bene così.
Vedi di richiamarci e non sparire-. Mi rimproverò il mio
folletto e io attaccai velocemente, tornando a nascondermi dietro la
scalinata. La mia famiglia
sarebbe stata sempre lì per aiutarmi. Mi accorsi per la
prima volta di essere davvero amato.
Finalmente
sono tornata. Mi dispiace essermi assentata per così tanto
tempo, ma la settimana scorsa (che avrei dovuto aggiornare), il mio
ragazzo mi ha fatto la sorpresona dell'Immacolata e, ovviamente, se mi
metto a scrivere, lui ci rimane male. Povero caro. Ah, l'amore
l'amore!!!!! Comunque eccomi qui. Siamo a dicembre, no? (Sì,
Malia) Guarda caso anche per Edward e Bella è dicembre,
anzi, per loro siamo già alla vigilia. Il 24 dicembre...
quale regalo augurereste a Bella? Suggerimenti? Io un'ideuzza alla
Malia ce l'avrei. Qualcosa di romantico... voi che dite? Mi date il
permesso di fare qualcosa di assolutamente folle? (Scherzo)
Passando
ai ringraziamenti: ringrazio chi segue Nadir, per la pazienza e l'amore
che dimostrate a questa storia. Anche se non sembra, ve lo devo proprio
dire, è la mia fanfic preferita. Forse perchè la
sento un po' più mia rispetto alle altre fanfic su Twilight.
Un bacione grande, grande. E mi raccomando fate l'albero! Malia.
La Vigilia.
Confuso. Confuso era il
termine adatto per definire me stesso. Anzi, forse qualcosa di molto
peggio: lucidamente confuso. Un bel gioco di parole considerando quanto
mi fossi distrutto in quest’ultimo periodo e quanto avessi
capito di non conoscermi affatto dopo più di cento anni.
Eppure ero così sicuro di essere me stesso. Insomma, tutti
mi avevano sempre chiamato Edward, ma adesso non ero che un ammasso di
carne piatta e assolutamente priva di senso. L’unica cosa
ancora a distinguermi dalle piante era realmente il mio essere vampiro.
E il resto? Forse sarebbe stato meglio ammettere che non ero
più, o che, semplicemente, che ero stanco di essere. Ormai
i miei pensieri potevano dirsi al limite. Non potevo lasciare la mia
mente navigare vuota in quel limbo tra piacere e dolore, ma non sapevo
più nemmeno su cosa rimuginare. Su me stesso? Che cosa era
rimasto? Persino io stentavo a credere a ciò che mi era
successo e che continuava ad accadere. Bastava
la lontananza momentanea di Bella per scatenare in me allucinazioni
talmente vive da sembrare vere. Quella bambina, Bella, mi guardava con
gli occhi della consapevolezza, come avrebbe fatto il mio piccolo Bambi
se mi avesse scoperto accanto a lei. L’ennesimo
giorno stava per cominciare e io mi sentivo esattamente come un anno
prima: vuoto. Nonostante la presenza di Bella nel letto di fronte a me,
io percepivo me stesso come una bolla di sapone in procinto di cadere a
terra e scoppiare. Il pensiero di volatilizzarmi era quasi piacevole,
ma la sensazione era piuttosto sgradevole. Sapevo in realtà
che non sarebbe mai potuta avvenire la mia scomparsa. Amavo troppo
Bella per concepire di allontanarmi da lei. -Buongiorno,
Edward-. Sentii Bella mormorare. Mi voltai per osservarla alzarsi dal
letto e guardare fuori dalla finestra. Ogni
giorno, appena alzata, ultimamente non faceva che salutarmi.
Probabilmente era una routine che le permetteva di stare meglio. -Buongiorno,
amore mio-. Sussurrai affascinato, continuando a guardarla.
Fortunatamente aveva trascorso una notte tranquilla, senza incubi. Un
sollievo per me. -Oddio,
ma oggi è la vigilia di Natale!-. Gridò
improvvisamente perdendo malamente l’equilibrio. La vidi
andare a sbattere contro il suo comodino e lanciare un urlo disperato
quando le sue gambe cedettero e ruzzolarono a terra. Ridacchiai.
La mia solita sbadata. Stava finalmente tornando in sé. -Cavolo…
devo chiamare Renèe e comprare il regalo per Charlie-.
Borbottò sovrappensiero aggrappandosi al letto e io mi
ritrovai a sorriderle teneramente. Ero felice che lei sentisse il
desiderio di fare dei regali alla sua famiglia. -E…
anche ad Edward naturalmente-. La sentii bofonchiare. Come non detto.
Uno dei suoi pensieri fissi continuavo ad essere sempre io:
inevitabile. La
guardai tornare in piedi e massaggiarsi una coscia con gli occhi
socchiusi per il dolore. Avrei volentieri preso il posto delle sue dita
se avessi potuto farlo. Sapevo che sarebbe comparso un livido sulla sua
pelle e l’idea che si fosse fatta male così
facilmente accrebbe improvvisamente la mia preoccupazione. Quel
giorno le sarei stato particolarmente addosso. La
seguii in cucina, veloce come un’ombra, e, dallo stipite
della porta, la osservai fare colazione. Il solito succo
d’arancia rossa e, questa volta, anche una rapa dello stesso
colore. Rape a colazione… cosa disgustosa persino per un
essere umano. Bleah! -E
scende giù dal ciel, lento, un dolce canto ammaliator. Che
ti dice, spera anche tu! È Natale non si soffre
più-. Bella quella mattina sembrava decisamente di buon
umore. Canticchiò canzoni di Natale per una buona
mezz’ora e riuscì perfino a mangiare qualcosa di
più sostanzioso: ciliegie alternate a pomodori pachino. A
pensarci bene forse qualcosa ancora non andava per il verso giusto. -Non
so cosa comprare ad Edward. Lui ha tutto-. La sentii borbottare e io
sospirai inquieto. Perché continuava ad ostinarsi a credere
che sarei tornato? Maledizione. -Forse
dovrei semplicemente pregare per lui. Spero che stia bene-.
Continuò con voce tenera e dolce. Il mio
cerbiattino… La
guardai chiudere gli occhi per un secondo e riaprirli a fatica. Ora il
suo sguardo era pregno di tristezza e le sue iridi gonfie di un dolore
che io conoscevo bene. Ero sicuro di sapere a cosa stesse pensando. Se
solo non l’avessi lasciata in quel modo, così
bruscamente, forse adesso il suo cuore avrebbe già smesso di
sanguinare per me. Involontariamente
urtai con il piede la pianta vicino all’entrata, disattento,
e soffocai un’imprecazione. Possibile che ultimamente fossi
così sbadato? Vidi
Bella avvicinarsi incuriosita alla porta e subito mi dileguai. -Strano,
mi era sembrato di sentire un rumore-. Fece piuttosto perplessa,
mettendo una mano sulla palma e facendo spallucce. Non
potevo credere di aver commesso un errore così grave. Ma
cosa avevo nella testa nel momento in cui mi ero distratto? Scivolai
contro il muro verso le scale e ignorai i passi di Bella fino al
salone. Tornai
in camera sua e mi rilassai subito, sedendomi sul letto. Cominciavo
realmente a stare male. Non era mai successo prima. Non avevo mai
rischiato di farmi scoprire con tanta facilità. Mi accorsi
di essere allo stremo delle forze. Qualcosa mi diceva di amare Bella,
perciò inconsapevolmente la chiamavo, la volevo tutta per
me. Ora non potevo più fidarmi di me stesso, le
allucinazioni erano state un segnale. Sapevo che sarebbe stato un
errore sottovalutare questo sbaglio, anche se minimo. O
probabilmente la mia mente, portata all’esasperazione, stava
esagerando tutto. In fondo avevo solo urtato una palma. Mi alzai in
piedi e mi stiracchiai, inconsapevole di uno sguardo fisso su di me.
Dovevo rilassarmi, smettere di essere così apprensivo. Avevo
commesso errori peggiori, no? -Edward-.
Mi sentii chiamare e mi voltai verso la poltrona dove ero solito
nascondermi. Non
mi stupii di vedere la mia piccola coscienza, seduta, dondolare le sue
gambette. Ormai ero succube della mia stessa malattia. Un attimo,
bastava solo un attimo di lontananza che la mia pazzia tornava a
trovarmi. -Ciao-.
La salutai con tranquillità e la vidi sorridere divertita. -Vuoi
fare un regalo a Bella per Natale?-. Mi chiese inaspettatamente e io
sgranai gli occhi, sorpreso. -Impossibile-.
Commentai con un sospiro. Sarebbe stato un ulteriore sbaglio, sarebbe
stato come mostrarle la mia presenza. -Però
è quello che vorresti no? Io penso di sì-.
Continuò ancora, tentatrice. Sbuffai
e tornai a sedermi sul letto, fissandola con curiosità. -A
te cosa piacerebbe ricevere-. Le domandai cauto e la vidi scendere
dalla poltrona per venirmi incontro. I suoi occhi nocciola mi
guardarono con sincerità profonda e scrutarono dentro di me
con tanto interesse che mi ritrovai a dimenticare i miei pensieri
confusi. -Ci
sono tante cose che vorrei, ma probabilmente sei tu che riusciresti a
cambiare realmente il mio Natale-. Ridacchiò arrossendo e io
la fissai attonito. Un’immaginazione
piuttosto reale, me n’ero quasi dimenticato. Mi portai una
mano sulla fronte, continuando a pensare ad un modo per realizzare
qualcosa di speciale per il mio cerbiattino. -Allora
ci stai pensando-. Continuò lei facendomi riscuotere. -Emh…-.
Bisbigliai dubbioso. Sentii
la sua piccola mano afferrare la mia e provai un tuffo al cuore.
Così piccola e così dolce. Mi chinai,
accosciandomi, e la guardai ancora. Un piacere per gli occhi
soffermarmi sul suo sorriso, sulle sue guance rosate e sui suoi capelli
castano scuri. -Tu
lo sai, Edward, sai cosa potrebbe piacerle-. Bisbigliò
innocentemente appoggiandosi a me. Ci pensai per qualche secondo e mi
irrigidii non appena una folle idea mi attraversò la mente. -No,
non posso farlo-. Commentai ad alta voce girandomi verso la piccola
Bella al mio fianco. La
vidi ridacchiare e sventolarmi la mano pienotta sotto il mento. -Tu
puoi fare tutto. E non pensi che un po’ di
felicità sia dovuta ad entrambi?-. Mi domandò con
un’espressione speranzosa. Sinceramente
cominciavo davvero a dubitare che quella bambina fosse solamente il
frutto della mia coscienza. Sin dall’inizio aveva dimostrato
di avere una personalità troppo reale. Eppure non potevo
esserne certo. -Penso
di averla già fatta soffrire abbastanza-. Confessai deciso. La
piccola sbuffò e mi lasciò la mano dandomi un
colpo secco sul ginocchio. La fissai sorpreso e notai immediatamente il
broncio esasperato sul suo visino pulito. -Che
noioso. Perché non provi per un attimo ad utilizzare la tua
intelligenza per qualcosa di costruttivo? Solo una volta-.
Esordì disperata sollevando lo sguardo verso il soffitto e
scuotendo la testa, proprio come se avesse avuto a che fare con un
inguaribile testardo. In fondo lo ero: pesante ed esasperante. -Vediamo
allora. Proponi-. Bisbigliai, convinto di stare per fare una pazzia. -Falle
vivere un sogno-. Continuò divertita, facendomi aggrottare
la fronte, perplesso. Un sogno? La
porta si aprì di scatto e io feci appena in tempo a gettarmi
sotto il letto prima che Bella potesse vedermi. Per fortuna. -Sì,
sì. No, no!-. La sentii gridare e capii immediatamente che
il mio cerbiattino stava parlando con qualcuno al telefono. -No,
non voglio venire da te. Non adesso. Per favore. Non voglio che Charlie
trascorra il Natale da solo-. Disse a sua madre e io sorrisi. Bugiarda.
Non era quello il vero motivo e lo sapevamo bene entrambi. -Ho
già deciso il regalo da fargli. Mi toglierò dai
piedi per due giorni-. Iniziò inaspettatamente e io
spalancai le palpebre, sorpreso dalla sua confessione. Cosa…
E dove aveva intenzione di andare? Non aveva detto che non voleva
lasciarlo solo? -Sì,
andrò a casa di Angela. Un’amica. Sì,
una compagna di classe-. Specificò subito, ma io non le
credei. Ero convinto che stesse mentendo. Era troppo facile per me
capire quando Bella raccontava una bugia. La sua voce si incrinava
naturalmente e tendeva a sparire. Ora era uno di quei momenti. Non
capii però il motivo per cui Bella avesse sentito il bisogno
di mentire. Non era già abbastanza dire a sua madre che
sarebbe rimasta a casa con Charlie? Qualcosa non andava e
immediatamente sentii odore di guai. Quando
chiuse la chiamata la mia mente stava già elaborando tutte
le possibili soluzioni, ma non ne trovai neanche una che avesse una
ragione sufficientemente valida. -Credo
proprio che questa volta Edward sarebbe stupito di me. Solo
che… anche io voglio il mio regalo di Natale-.
Sussurrò tristemente. Terrorizzato.
Mi ritrovai a desiderare ardentemente di poter leggere la mente di
Bella. Non
l’avrei lasciata sola, qualunque cosa fosse successa. -Ora
devo solo mentire a Charlie. Speriamo che mi creda-.
Balbettò Bella stendendosi sul letto. Avrei tanto voluto
sapere come era arrivata alla folle conclusione di passare la notte di
Natale fuori casa e soprattutto avrei tanto desiderato sapere dove. La
osservai alzarsi dal letto e scendere in tutta fretta. Ero indeciso sul
da farsi. Avevo paura delle conseguenze di ciò che Bella
stava per fare, ma ancora di più delle mie, che avrebbero
volentieri impedito al mio piccolo Bambi di correre qualsiasi pericolo. -Ehi!-.
La voce della mia allucinazione mi riscosse ancora. Sollevò
la coperta chinandosi sotto il letto e mi fissò con aria
divertita. In effetti la mia posizione era tutt’altro che
comoda. -Allora
che fai? Non la segui?-. Mi rimproverò immediatamente con il
suo cipiglio sicuro. -Bella
ha il diritto di trascorrere il Natale con chi vuole-. Sbottai
arrabbiato e battei un pugno sulla rete bucandola immediatamente. Oh,
cavolo! -Stupido,
sta mentendo. L’hai capito anche tu. Sai benissimo dove
andrà-. Riprese ancora con tono piuttosto irritato. Questa
bambina prima o poi mi farà impazzire. Non posso continuare
a creare la sua personalità inesistente, rischio di non
farcela psicologicamente. -E
che dovrei fare? Eh?-. Gridai inconsapevolmente. Cominciai
a perdere la pazienza. Possibile che non riuscisse a capire? Stavo
male, soffrivo, e non potevo assolutamente continuare a provare quella
sensazione di vuoto, di angoscia. Ero pur sempre un uomo, in fondo, o
no? -Sì,
Edward. Sei un uomo-. La sentii dire e mi voltai di scatto. I suoi
occhi mi guardarono con tenerezza mentre la sua piccola mano si
allungava verso di me. Avevo
parlato ad alta voce senza accorgermene? Impossibile. Le presi le
piccole dita e le tenni strette nelle mie fino a quando la
consapevolezza di quello che sarebbe successo mi colpì. Ora
sapevo dove sarebbe andata Bella. Ed era così scontato che
mi domandai come avevo fatto a non averci pensato prima. Era logico che
l’unico posto dove avrebbe voluto trascorrere la notte di
Natale sarebbe stata la mia stanza. Quindi
il mio cerbiattino si sarebbe diretta a casa Cullen. Oddio. -Esatto…-.
Sentii la mia allucinazione mormorare e la vidi sparire veloce
com’era apparsa. Ora
sì che la mia mente era sommersa dalla confusione
più profonda. Bella stava andando a casa mia, stava andando
a cercare qualcosa di noi in un certo senso. Avrei
dovuto immaginare che prima o poi sarebbe successo. Ma come avrebbe
fatto con il suo senso dell’orientamento a trovare la villa?
Dovevo assolutamente andare con lei per evitarle brutte sorprese. Rotolai
fuori dal letto e uscii dalla finestra, sorreggendomi sul davanzale e
saltando a terra. Perfetto. Sapevo
dov’ ero diretto, ma dovevo prima trovare Bella e seguirla
per evitare che le succedesse qualcosa, o, peggio, che si perdesse. -Charlie!-.
Sentii la sua voce di fronte alla porta e mi irrigidii. Anche
il mio naso doveva avere qualche problema ultimamente. Ormai ero saturo
del suo profumo e mi sembrava di sentirlo ovunque. -Non
sono sicuro di potermi fidare-. Le rispose sincero suo padre. Sinceramente
anche io non avrei mai dato fiducia a Bella e sperai vivamente che
almeno il capo Swan avesse più buon senso di sua figlia. -Solo
per questa volta. Vado a casa di Angela a dormire-. Lo pregò
lei. Certo, non era più uscita con nessuna amica da quando
l’avevo lasciata e ora improvvisamente voleva trascorrere il
Natale con una sua compagna di classe. Avanti, non ci avrebbe creduto
nessuno… -Davvero?
A casa di un’amica, quindi?-. Le domandò suo
padre, speranzoso. Mi portai una mano sul viso. Possibile che
quell’uomo non avesse un briciolo di sospetto? -Sì,
per favore-. Lo supplicò Bella con voce tenera. Non pensavo
che sapesse sfoderare simili armi. Stavo cominciando a ricredermi su di
lei. -Va
bene, ma domani mattina ti voglio qui a casa-. La risposta di Charlie
provocò nel mio cerbiattino un gridolino di gioia e un mio
gemito frustrato. Dannazione.
Il mio lavoro per salvarla dai guai, per evitare che si facesse del
male, stava per fallire miseramente. -Ti
adoro-. La ascoltai dire e sbirciai il viso dell’ispettore
che era diventato paonazzo. Il mio piccolo Bambi aveva colpito ancora. -Ti
senti meglio?-. Le domandò allora, preoccupato. Finalmente
la domanda giusta. Non
lasciai che il mio sguardo si allontanasse da Bella. Aveva aperto lo
sportello del pick-up per sistemare alcune cose. Notai immediatamente
il suo corpo irrigidirsi. -Credo
di non saperlo esattamente-. Mormorò sincera con un sorriso
tirato. -Ah,
okay-. Riprese Charlie senza sapere cos’altro dire. Che
famiglia. Fossi stato suo padre l’avrei chiusa in camera e
avrai buttato via la chiave. Aspettai immobile che Bella finisse di
preparare le sue cose. La osservai fare avanti e indietro senza sosta.
Portò il suo zaino nel furgoncino, forse per mascherare la
verità, un piede di porco, che mi fece inevitabilmente
scoppiare a ridere, e vari altri attrezzi che immaginai le sarebbero
serviti per scassinare la porta di casa. Decisi
di seguirla di corsa. -Che
ore sono?-. Borbottai guardando il cielo. Impossibile capire
l’ora. Era tutto grigio, non prometteva nulla di buono, se
non una bella nevicata a tarda notte che avrebbe tinto il Natale di
un’aria ancora più evocativa. -Le
tre di pomeriggio-. Commentò una voce accanto a me. Abbassai
lo sguardo e notai subito due iridi nocciola guardarmi con ammirazione. -Oddio-.
Mormorai esasperato e appoggiai la testa contro il muro. Ancora. Dovevo
assolutamente mettermi l’anima in pace, smettere di
tormentarmi, altrimenti le mie allucinazioni non sarebbero mai e poi
mai scomparse. -Guarda
che lei è già andata via-. Mi fece notare la
piccola e io mi riscossi, guardando il viale, sorpreso. Immerso nei
miei pensieri non me n’ero accorto. -Beh,
grazie-. Borbottai insicuro e tornai a guardarla. Di nuovo sparita. Ecco
un bel modo per impazzire. Avevo trovato realmente la giusta strada
verso la follia. Un tira e molla tra due Bella: quella dei miei sogni,
irraggiungibile e vera, e quella bambina, frutto della mia fantasia e
della mia sofferenza. Cominciai
a correre, veloce, e sentii l’aria gelida farsi ancora
più fredda. Il mio piccolo Bambi non avrebbe resistito a
tutto quel gelo. Ne ero più che convinto. Stupito
continuai a seguirla. Non aveva ancora sbagliato strada.
Girò sulla destra, proprio in mezzo alla foresta,
ricordandosi perfettamente la via che l’avrebbe condotta a
casa mia. Un brivido mi percorse. -Quante
volte nella tua mente hai percorso questa strada?-. Le domandai
sovrappensiero, ma ovviamente non potevo ottenere risposta. Non ero che
al suo fianco e lei non l’avrebbe mai saputo. Avrei potuto
voltarmi e guardare il suo volto concentrato nella guida senza che
Bella riuscisse a scorgermi, avrei potuto anche vivere e trascorrere
tutta la sua vita vicino a lei senza smettere mai di proteggerla. Ma
quando un altro uomo l’avrebbe fatta innamorare avrei ancora
avuto il coraggio di rimanerle accanto? La risposta era piuttosto
ovvia: no. Mi
fermai dietro un albero non appena Bella raggiunse casa Cullen.
Impossibile impedirle di entrare, certamente avrebbe trovato il modo
per farlo. E avrebbe guardato con i suoi occhi la confusione che aveva
dominato il mio animo senza di lei. Sospirai
rumorosamente e aspettai il momento in cui avrebbe sfondato la porta
con il piede di porco. Mi sembrava una situazione così
ridicola. Passarono le ore, senza che Bella riuscisse a combinare
nulla. Era troppo sbadata e poco abituata alla manualità.
Quel freddo poi non la aiutava, gelandole le dita. Mi
avvicinai veloce e mi nascosi vicino a lei, appena dietro
l’angolo, aderendo al muro esterno. Subito
guardai le sue mani rosse, quasi violacee, e la preoccupazione per lei
mi soffocò. Quella pazzia le sarebbe costata molto. Ero
convinto che avrebbe passato il giorno di Natale con la febbre alta.
Dovevo fare qualcosa per lei. -Merda-.
La sentii sussurrare mentre gli attrezzi le cadevano dalle mani che
sfregò l’una contro l’altra provando
sicuramente dolore. Corsi
verso il pick-up e diedi un colpo sul cruscotto per farla voltarla
verso di me. Lei lo fece, attirata dal rumore improvviso, e io le andai
vicino spingendo la porta ed entrando dentro. Ero certo che i suoi
occhi non avrebbero mai potuto vedermi, ma non ero così
sicuro che Bella non riuscisse a percepire la mia presenza. Mi accorsi
di avere terribilmente paura di questo. -Come?-.
Borbottò stupita e si alzò dal pianerottolo,
grattandosi la testa perplessa ed entrando. Il
salotto raggiungeva quasi la temperatura esterna. Aveva praticamente
gelato all’interno. Non potevo pensare che Bella avrebbe
trascorso la notte qui. La
vidi accendere una torcia e chiudersi la porta alle spalle sobbalzando
timorosa. -Dove
lo trovi questo coraggio, amore mio?-. Sussurrai teneramente,
guardandola venire verso di me. Mi puntò la torcia contro,
ma per fortuna avevo pensato bene di nascondermi dietro la tenda.
Ringraziai mentalmente Esme che aveva sempre amato usare tende molto
ampie e pesanti. -Ma
che avevo pensato? Di trovarlo ancora qui, forse? Fa freddo, credo
persino che abbia nevicato qui dentro. È ovvio che se ne
siano andati-. Ridacchiò Bella e io provai subito un tuffo
al cuore. No,
io non l’avrei mai lasciata sola, perché
l’amavo con tutto me stesso. Sorrisi dello scherzo che mi
aveva giocato il destino, anzi, che mi ero giocato io stesso, e la
seguii non appena raggiunse le scale per salire al piano superiore. -Sembra
che qualcuno sia entrato e abbia distrutto tutto-. Bofonchiò
meravigliata. Chissà
cosa avrebbe pensato se avesse saputo che ero stato io a distruggere la
casa nei miei scatti d’ira. Edward, sempre calmo e
tranquillo, pacato, che si lasciava sopraffare dal dolore per il suo
amore. A pensarci bene avrei dovuto compatire me stesso. Sapevo
dove il mio cerbiattino si stava dirigendo e non appena
entrò nella mia stanza la vidi trattenere il respiro. Il
caos che regnava lì dentro era quasi peggiore di
ciò che c’era nelle altre camere. -Proprio
non volevi più stare qui-. Mormorò sofferente
portandosi una mano alla gola e la vidi mettersi seduta su quelli che
erano i resti del mio divano. Quanti
ricordi…
Buon
15 dicembre... il Natale si avvicina! Non vi aspettavate un
aggiornamento così presto vero? Nemmeno io, ma ho avuto
tempo e mi sono dedicata a Nadir. Spero tanto che questo
capitolo vi piacerà, se non sarà così
si può sempre riscrivere, eh? Non vi preoccupate. Mi
sono permessa di inserire una poesia all'interno del testo, sono le
parti in corsivo. E' di Pablo Neruda e si intitola "Ho fame della tua
bocca". Metterò il link alla fine del capitolo. Io so che di
solito questi link si saltano, si ignorano... però
ascoltatela, è davvero bella. Io quando l'ho sentita ho
detto "E' Edward... è lui!!" E infatti ci tenevo molto ad
inserirla in Nadir. La
foto invece, o dovrei dire il disegno, è di "noeling", preso
da Deviantart. Buona
Lettura. Malia. P.S.
Grazie per i vostri commenti!!!
Notte
di Natale.
Quanti
ricordi… Non
appena la vidi scoppiare a piangere qualcosa nel mio petto
sembrò spezzarsi. Lacrime, quante lacrime avrebbe ancora
versato per me? Deglutii e sentii la saliva, mista a veleno, corrodermi
la gola e scendere giù rovente fino al mio stomaco. Anche
io, sì, anche io forse avrei pianto se fossi stato umano. I
suoi singhiozzi non si fermarono, ma continuarono a straziare
ciò che era rimasto di me per alcuni minuti. Mi sentii di
nuovo in colpa. Se solo non fossi entrato nella sua vita a
quest’ora lei sarebbe stata felice. La
guardai rannicchiarsi sul mio divano e vidi la torcia rotolare a terra
e spegnersi. Ora solo il rumore del suo pianto spezzava
l’aria, non c’era più luce. Dannatissimo
dolore. -Edward…-.
La sentii mormorare e mi avvicinai maggiormente, forse senza
accorgermene. -Perché
sei andato via. Davvero non ero abbastanza per te?-.
Continuò sofferente, scoppiando in un singhiozzo isterico. -Edward!-
Gridò ancora e questa volta più forte.
Angoscia… -Edward!-.
Di nuovo, come se la sua voce volesse arrivare a me, profondamente, per
riportarmi indietro. Ribellione… Le
sue urla erano graffi profondi e spaccature nel mio corpo morto di
marmo. Se solo avessi potuto fare qualcosa per lei. -Ti
odio-. Ascoltai quelle due parole con la consapevolezza che era solo la
sua rabbia a farla parlare. Sì,
la stessa rabbia che io provavo nei confronti di me stesso per averle
fatto del male. -Ridammi
la mia anima, ridammi la mia vita-. Bisbigliò, tirando su
col naso. Era
ciò che stavo cercando di fare a sua insaputa e non mi sarei
arreso fino a quando non avrei visto un sorriso sul suo volto.
Dopodiché sarei andato definitivamente via. Forse. Non
sentii più alcun rumore e mi preoccupai. Il respiro di Bella
era appena flebile, il suo battito cardiaco molto lento. Mi accostai al
suo corpo e mi chinai per ascoltare meglio. -Amore
mio…-. Pronunciarono le sue labbra. Mi
morsi il labbro inferiore. Bella rischiava
l’ipotermia… Dovevo trovare il modo per scaldarla
a tutti i costi. Nella mia stanza la temperatura era troppo bassa. -Voglio
morire-. Borbottò stancamente e si tolse il giacchetto come
se si fosse trattato solamente di un peso. No!
Non le avrei permesso di distruggermi. Non avrei accettato la sua vita
in cambio del nostro amore finito. Tutto, ma non quello. Un mondo senza
Bella sarebbe stato impossibile per me da sopportare. No! No! Respirai
affannosamente e mi guardai intorno. Dovevo trovare una soluzione. E in
fretta, anche. -Così
non sentirò più male-. Ridacchiò il
mio piccolo Bambi e io fui tentato di urlarle contro qualcosa. Mi
sentii cadere in un baratro di terrore. Decisi
di aspettare che perdesse i sensi per fare qualcosa. Non ci volle
molto. Dopo cinque minuti ormai il suo corpo era allo stremo delle
forze e il mio era mutilato di dolore. Mi
costrinsi a muovermi e cominciai a spaccare la mia libreria. Per
fortuna Bella non si era soffermata a guardare le mie cose. Presi
i miei libri e buttai tutto al centro della stanza. Un fuoco sarebbe
stata l’unica soluzione. Non sapevo cos’altro fare
e la paura di perderla accecava ogni mio pensiero. Le
andai vicino e mi chinai per rimetterle il giacchetto sul corpo. Dio
mio, Dio mio… dovevo sbrigarmi. Cercai qualcosa per la casa,
nel camino del salone e trovai un accendino, dei fiammiferi. Tornai su
di corsa, tutto in pochi secondi, e accesi il fuoco, sperando di
riuscire a scaldare la stanza. Guardai
verso i vetri delle finestre. Li avevo distrutti io e l’aria
fredda sarebbe entrata comunque. La mia mente vagliò
velocemente tutte le possibili soluzioni e alla fine decisi di spostare
il divano più vicino al fuoco per far scaldare meglio Bella.
Era
pericoloso, ma ci sarei stato io a controllarla. -Fa
freddo, mamma-. La sentii mormorare e attuai il mio piano. La
fiamma sarebbe aumentata e presto avrebbe sparso calore. Aspettai con
ansia e fortunatamente riuscii nel mio intento. Bella sembrava aver
ripreso un po’ di colore e ora il suo battito era accelerato.
Mi
misi seduto sul pavimento, guardandola dormire, e provai un moto di
tenerezza profondo. Doveva amarmi davvero tanto per fare un gesto
così sconsiderato. Mi
accostai maggiormente, sicuro del suo sonno, e mi appoggiai al divano
con la schiena, proprio vicino al suo corpo. Così,
però, le avrei tolto solo del calore. O forse no. -Fa
caldo-. Borbottò, facendosi scivolare di dosso il
giacchetto. La
guardai attento, divertito dalla sua espressione corrucciata, e le
portai una mano sulla guancia. Incredibile il modo in cui ora riuscivo
a resistere al suo sangue. Le passai le dita tra i capelli e la vidi
muoversi istintivamente verso di me. Mi chinai maggiormente e la saliva
invase prepotentemente la mia bocca evocando ricordi che non avrei
voluto che scorressero dentro di me. Bella
mugolò quando il mio polpastrello freddo seguì
una piccola goccia di sudore. -Ci
sono qui io per te-. Sussurrai appoggiando il viso vicino al suo. Chiusi
gli occhi, chiedendomi cosa provassero gli umani nel dormire vicini,
insieme, e invidiai le coppie che potevano farlo. Avrei voluto
stringerla a me in quel momento, ma così avrei soltanto
aumentato il gelo delle sue ossa, facendola svegliare. -Lo
so-. La sentii rispondere e aprii di scatto le palpebre. La vidi
accoccolarsi meglio sul divano e sorridere come una bambina indifesa. Continuai
a guardarla, affascinato dal gioco di luci sul suo volto.
Così fragile, così terribilmente morbida e
dolce… -Mi
ami?-. Le domandai ansioso e mi diedi subito dello stupido. Era
così ovvio quanto amore provasse per me, ma il bisogno di
sentirle mormorare un sì in quel momento mi rapì
completamente l’anima. -No-.
Rispose dolcemente cercando con il viso le mie dita. Rimasi
in silenzio, stupito dalla sua risposta, e sentii un certo timore
invadermi. Che stesse realmente cominciando a dimenticarmi? Percepii
un dolore sottile farmi rabbrividire. In fondo era ciò avevo
io stesso voluto. Non avrei dovuto sentirmi abbandonato e solo. -Edward,
io…-. Continuò sonnacchiosa e mi
sfiorò il mento con un bacio. Tremai e sentii un dolore
forte all’altezza dello stomaco. -Ti
voglio-. Bisbigliò appassionata e si avvicinò
pericolosamente alle mie labbra. Si
sporse e annusò l’aria, come se riuscisse a
sentire il mio profumo, e la vidi sospirare rilassata dopo aver
sfiorato la mia bocca. Come
uno sciocco, innamorato, continuai a fissarla con una strana sensazione
nel cuore. E se non mi avesse più amato? Se non fossi stato
più importante per lei come prima? Afferrai
il suo giacchetto, piegandolo e mettendolo da parte. Non dovevo
pensarci, in fondo non sarebbe stato poi così grave. Cercai
di sorridere, ma non ci riuscii. -Bella…-.
Mormorai d’un tratto, scutendola. -Bella…-. La
chiamai, piano, e la osservai aprire piano le palpebre. Ora, adesso,
avevo bisogno di lei. Non potevo più resistere. -Ed…
Edward?-. Sussurrò lei e io annuii. Ero lì, solo
perché la amavo, lì perché non potevo
fare a meno di quell’amore. Le
lacrime cominciarono subito a scorrere sul suo viso, lente, e io mi
chinai per darle un piccolo bacio. -Sto
sognando?-. Mi domandò roca e io mi rifiutai di rispondere. -Baciami-.
La supplicai a bassa voce e il desiderio intenso di stringerla si
impossessò di me. -Io…
io non posso-. La sentii mormorare e le sfiorai il naso con le labbra,
assetato del suo sapore. Mi
misi in ginocchio sul pavimento e la fissai con amore, accarezzandole
piano la bocca con il pollice. Che
strano sogno… mi sembrava così reale.
L’aria tra noi, ormai irrespirabile, cercò di
soffocarci e il suo odore mi entrò nelle narici come una
dolce tortura. Ormai amavo sentire il dolore che il profumo di Bella
riusciva a regalarmi. Mi ero abituato al suo candore, al suo sangue, al
mio desiderio. -Se
ti baciassi, domani piangerei di nuovo-. Confessò timorosa e
io capii. Ma
quale sogno… Così le avrei solo regalato solo un
altro incubo. -Dormi-.
Le dissi allora e alzai la mano per scostarle una ciocca di capelli
dietro l’orecchio. Bella
scosse la testa, stupendomi, e si sollevò sui gomiti,
venendomi più vicina. Ci guardammo e io mi persi in
quell’emozione. L’Inferno sarebbe stato
più gradito, ma forse meno bollente, meno intenso dei suoi
occhi che mi facevano tremare ad ogni più piccolo sguardo
che sprofondava dentro di me con ardore. -È
Natale. Voglio sognarti ancora un po’-. Mi confidò
con voce sofferente e io deglutii. -Chiedimi
qualunque cosa-. Mormorai allora, appoggiando la fronte sulla sua.
-Sarà tua-. La mia promessa era segno di un legame
fin troppo forte e il cuore di Bella accelerò i suoi battiti
all’impazzata. -Amami,
amami sempre. Anche se non sono degna di te-. Mi rispose,
singhiozzando. Mi
alzai in piedi, conscio del mio sbaglio, ma felice, e la vidi
accasciarsi senza forze sul divano. Mi voltai, osservando la sua
espressione stanca, prossima alle lacrime. Come fare per regalarle un
sogno? Non sembravo affatto un principe azzurro in quello stato. Mi
gettai di nuovo ai suoi piedi e gattonai verso di lei che mi
fissò con un sorriso radioso. -Sei
sempre bellissimo-. Mormorò voltandosi meglio verso di me.
-Molto più di come ricordavo-. Terminò
flebilmente. Le
presi la mano e la portai alle mie labbra, baciandola avidamente, e
sentendo il suo sapore sulla mia lingua. Non riuscii a resistere e la
tirai verso di me guardandola negli occhi. Bella si lasciò
scivolare tra le mie braccia e io la strinsi contro di me, forse con
troppa forza. -Ti
amo così tanto-. La sentii dire e tornai a guardarla. -Non
posso dimenticarti. Ormai dipendo da te, non c’è
altro. Non capisci?-. Il suo petto si alzò e
abbassò affannosamente e io la fissai estasiato. -Sì,
capisco-. Mormorai solo, con un groppo di veleno a chiudermi la gola. -No,
non capisci-. Si ribellò lei e si mise in ginocchio contro
di me, abbandonandosi tra le mie braccia. -Credo
di essere morta-. Continuò poi e io sorrisi. Se la morte
fosse stata così dolce avrei volentieri sofferto tutta
l’eternità per morire ogni giorno. -E
io? Potrei essere morto anche io-. Bisbigliai con amore. Lei
sollevò il capo e mi fissò sconvolta. -Non
dirlo. Tu devi essere vivo, vivo, perché io ti amo,
perché non mi importa se non mi vuoi. Io…-. Non
le feci finire la frase. Non
avevo nessun regalo di Natale, nulla da darle, nulla per poterle far
vivere un sogno, tranne me stesso. La
baciai. Come non avrei mai osato fare in precedenza, come avevo sempre
desiderato di poter fare: chiedendole l’anima. Tutta
l’anima. Quell’anima che mi ero sempre rifiutato di
voler possedere, ma di cui ora adesso sentivo l’assoluta
necessità. -Sei
mia-. Mormorai follemente e la mia bocca scivolo sulla sua con smania
di possesso. La
mia natura di vampiro esultò finalmente, la mia fame
aumentò quando il suo abbandono si fece realmente totale. Il
modo in cui le nostre labbra si unirono suggellò un patto
eterno, più forte di qualsiasi lontananza e promessa. Avrei
lasciato un marchio su quella bocca, lo avrei fatto adesso, per non
permetterle di dimenticarmi. Il
respiro si mozzò nel suo petto, il suo cuore smise di
battere ritmicamente e il suo corpo gridò la smania di
avermi. Mi
scostai un attimo, per permetterle di respirare, ma lei me lo
impedì. Mi mise una mano sulla nuca spingendomi contro di
lei e pretendendo di approfondire quel bacio che ci avrebbe accesi di
passione. Avrei
resistito? Ero sicuro di esserne in grado, ma non totalmente.
Confondevo desiderio, brama e fame. La
sua lingua mi impose una resistenza forzata alla voglia di stringerla
contro il divano e chiederle la vita. Il
gusto della mia piccola umana, solo mio. Da quanto tempo non lo
assaporavo così profondamente? La strinsi per la vita contro
di me e mi accorsi di stare per perdere il controllo della mia mente.
Mi imposi cautela e riuscii a rimanere a galla mentre le dita di Bella
si insinuavano sotto la mia camicia. -Che
fai?-. Sussurrai senza respiro. -Se
è un sogno, voglio goderne fino in fondo. Non sai quanto ti
desidero-. Mi confessò con voce roca e io sbattei le
palpebre più volte, cercando di capacitarmi. Tentai
di fermare il mio corpo, la mia voglia di lasciarle un segno, ma
qualcosa di profondamente animale mi imponeva di farle capire quanto io
e solo io potessi darle. -Sono
un vampiro-. Le ricordai rauco. La
vidi aggrottare la fronte e ridacchiare. -Non
a Natale-. Mi rispose dolcemente. -Ti prego-. Mi chiese supplicante e
io fissai per un attimo le fiamme che brillavano nel suo sguardo. Tremai
e imposi al mio respiro di continuare gradualmente ad inspirare
ossigeno. Inutile forzarmi. L’odore di Bella mi faceva
davvero impazzire, perciò sarebbe stato meglio prevenire
qualsiasi possibile reazione incontrollata. Le
mani del mio piccolo Bambi iniziarono a sbottonarmi i bottoni della
camicia logora e io sentii le sue dita all’altezza del petto.
-Bella,
amore…-. La chiamai e lei mi sorrise. Io non avrei potuto
fare l’amore con lei, non ci sarei riuscito. Allungai
una mano verso la sua e la fermai sul mio petto, ormai scoperto. -Te
ne sei andato e ora io sto male. Lo sai? Ti vedo ovunque-.
Scoppiò a piangere ancora. -Edward, io mi fidavo di te. Ti
avrei affidato la mia anima, ma ora me l’hai strappata via
con la forza-. Continuò tra le lacrime e io mi sentii un
mostro. Soffocai
un gemito di impotenza e mi resi conto solo in quel momento di
ciò che la mia allucinazione aveva voluto dirmi. Regalare ad
entrambi un sogno, un attimo di pace. -Ti
avevo detto di tenerti lontano dai guai. Perché sei venuta
qui?-. Le domandai, proprio come se ci fossimo trovati in un sogno
reale. -Perché
ormai sono diventata pazza. La tua mancanza mi soffoca. Aiutami-.
Confessò singhiozzando. La
cullai sul mio torace e mi saturai del suo odore forte, facendomi male.
Strusciai piano il naso sulla sua pelle. Dovevo prendere una decisione
in fretta. Maledizione. -Solo
per questa notte, poi mi dovrai dimenticare-. Mormorai sulla sua
mandibola e le posai le labbra sulla guancia. Così sarei
riuscito a giustificare me stesso. -No,
non ti permetto di andartene-. Mi rispose decisa. -Non andrai mai via.
Io ti sognerò sempre-. Bisbigliò, più
a se stessa che a me. e la sua convinzione riuscì a farmi
rabbrividire di felicità. La
verità era che saremmo rimasti sempre legati da qualcosa di
forte e invisibile, nonostante la lontananza. Quell’amore
sembrava destinato da qualcosa. Persino io, che non avevo mai creduto
in un destino, in una provvidenza, ora avevo paura che Bella mi fosse
stata realmente donata da qualcuno. E
io avevo rifiutato un dono. Mi
alzai in piedi e mi spostai dietro al fuoco, sperando che lei non mi
seguisse. Non lo fece, ma i suoi occhi nocciola, fissi nei miei, mi
parlarono di una passione profonda, un ricordo indelebile,
un’anima ormai segnata da un’eternità
morente. Nel
silenzio non smisi di guardarla e notai con quanta venerazione i suoi
occhi mi fissassero. Perché… nonostante tutto
quel tempo, nonostante il dolore e l’odio che avevo cercato
di suscitare in lei, quel piccolo essere umano, insignificante e
mortale in fondo, non smetteva di provare qualcosa di assoluto nei miei
confronti. Bella… non meritavo niente di ciò che
poteva darmi, ma volevo tutto. -Questo
è il più bel Natale che io abbia mai trascorso-.
Mormorò dolcemente e continuò ad osservarmi,
estasiata. Probabilmente
il mio profumo l’aveva irretita al punto tale da stordirla.
Era positivo per me, perché le sarebbe sembrato tutto un
semplice sogno, niente di più. -Vorrei
che tu mi tenessi la mano finché non mi sveglio-. Mi disse
sofferente e io annuii, accettando almeno quel compromesso. Sarei
rimasto con lei per l’eternità, anche nudo, anche
denutrito, anche se questo avrebbe significato soffrire dilaniato dalla
gelosia e da mille pensieri. Io sarei rimasto per lei. -Sì-.
Risposi solamente, avvicinandomi e fissando le fiamme ancora abbastanza
alte. Mi
inginocchiai e le presi con cura la mano, stringendola nella mia. Non
parlammo. Ascoltai il battito regolare del suo cuore fino a quando i
suoi occhi non si chiusero per la stanchezza. Per fortuna non aveva
insistito sull’idea di fare l’amore. Mi
chinai su di lei, per sfiorarle ancora la pelle con un bacio, e la
sentii sussultare. Le sue palpebre si riaprirono di scatto e un sospiro
di sollievo le vibrò nel petto. -Meno
male che non mi sono svegliata. Avevo paura che te ne fossi
già andato-. Bisbigliò teneramente e con il
braccio libero mi circondò il collo. -Vorrei
che tu potessi leggere nella mia mente in questo momento-. Mi
confidò toccandomi le labbra con le sue. -Perché
per tante notti ti ho sognato, ma solo ora ti sento reale-.
Continuò, finalmente serena, e io mi chinai per darle un
altro bacio. Avere
fame, avere sete, bere sangue… tutto questo non mi dava
piacere tanto quanto baciare le labbra di Bella. Abbassai la testa e mi
strinsi al suo seno. Lei gemette e io sentii battere il suo cuore che
rimbombò sul mio viso. -Toccami-.
La sentii dire e le mie mani la afferrarono stringendola avidamente
contro di me. Toccarla…
-Ho fame
della tua bocca, della tua voce, del tuoi capelli-. Bisbigliai possessivo e le
passai le dita tra i capelli tirandoli leggermente per bearmi del loro
odore. Mi
impossessai delle sue labbra, mordendole fin quasi a ferirla, per
avvelenarla con tutto ciò che ero, che non potevo negare di
essere. -E vado per
le strade senza nutrirmi, silenzioso-. Continuai disperato,
strusciandole con foga il naso sulla gola, percependo il pulsare
impazzito della sua vena. Il
mio dito percorse con follia quella traccia di sangue sottopelle e
sentii Bella gemere, mugolare per ribellarsi, ma non per allontanarsi. -Non mi
sostiene il pane, l'alba mi sconvolge, cerco il suono liquido dei tuoi
piedi nel giorno-.
Mormorai facendo scorrere le mani sul suo corpo con
possessività. Mi soffermai sui suoi seni, coperti dal
maglione blu, e trascinai il mio desiderio fin sul suo stomaco, che
immaginai liscio e piatto, e sulle sue cosce, morbide di calore. -Sono
affamato del tuo riso che scorre, delle tue mani color di furioso
granaio, ho fame della pallida pietra delle tue unghie, voglio mangiare
la tua pelle come mandorla intatta-. Non mi fermai e le mie
dista scesero ad accarezzarle le natiche, coperte dai jeans pesanti. Una
spirale di passione mi fece ribollire il veleno nelle vene e il cuore
di Bella sobbalzò correndo impazzito. Il suo respiro sul mio
collo non era più controllabile e i miei baci freddi sulla
pelle della sua spalla non la aiutavano a riprendere consapevolezza di
ciò che stava succedendo. Il suo profumo dolce mi
tentò e assaporai con la lingua lo zucchero della sua bocca
ancora una volta. -Edward-.
La sentii mugolare, languidamente stupita dalle mie carezze. -Voglio
mangiare il fulmine bruciato nella tua bellezza, il naso sovrano
dell'aitante
volto, voglio mangiare l'ombra fugace delle tue ciglia-. Confessai preso dalla
smania di fare l’amore con lei. Solo
una volta, un ricordo, e poi mai più. La mia bocca si
posò sul suo naso, sfiorò le sue ciglia, si
avventò di nuovo sulle sue labbra. E poi ancora…
tornò a torturare il suo collo, la sua pelle, il suo
desiderio acceso di passione. La
fame di lei, che mi aveva ossessionato in passato, ora si era
trasformata in qualcosa di più vorace, più
profondo. E il mio corpo reagiva come se solo la violenza di quel
momento potesse farle capire quanto la volessi, quanto bramassi ogni
suo più piccolo gemito, mugolio di piacere. -E affamato
vado e vengo annusando il crepuscolo, cercandoti,cercando
il tuo cuore caldo come un puma nella solitudine-. Fremetti a contatto con il
suo corpo e mi sentii impazzire di un piacere che mi travolse le ossa e
mi spezzò il fiato. Le
sollevai piano il maglione, bramando di sentire la sua pelle calda
sotto le mie dita, e, non appena sfiorai il suo stomaco nudo, lei
sobbalzò a causa delle mie mani gelide. Dov’era la
mia bocca? Ancora sulla sua, inebriata da quello che le stavo facendo
provare, da ciò che mi schiacciava. Strinsi
il suo labbro superiore tra i denti e lo succhiai, affamato, mentre le
mie dita risalivano fino al suo reggiseno. Lo scostai, avido di sentire
il suo seno, avido di percepire i suoi capezzoli inturgidirsi sotto i
miei polpastrelli. Il
punto di non ritorno era proprio lì, a portata della mia
bocca. Cosa avrei scelto di fare? E se tutto si fosse trasformato
improvvisamente in un incubo?
Ciao
sono Malia, qualcuno si ricorda di me? :P Scusate tanto l'enorme
ritardo. Mi sono presa un lungo periodo di pausa riflessione e
purtroppo dovrò ancora prendermelo fino al 15 febbraio.
Abbiate pazienza con la povera Malia. I miei impegni da quest'anno
triplicheranno e farò molta fatica a fare tutto. Ammetto di
aver dato precedenza ad una mia originale queste vacanze, ma
perchè mi sono follemente innamorata del suo protagonista. A
volte a noi scrittori capita. Spero riusciate a capire. Non voglio
abbandonare Nadir, non se ne parla, vi chiedo solo di avere ancora un
pochino di pazienza fino alla fine dei miei esami. GRAZIE davvero a chi
segue questa fic. Malia.
Notte di Natale (2)
La
strinsi tra le mie braccia. Sentivo di dover fare qualcosa. Dovevo
fermarmi, non potevo assolutamente farmi travolgere da quel desiderio,
perché non sapevo a cosa mi avrebbe portato.
-Bella…-. Mormorai spingendola più forte contro
di me. Avrei voluto annegare in quel dolore fino a quando non mi
avrebbe portato ad urlare.
Mi sentii vivo, ancora una volta vivo.
-Chiamami ancora, di nuovo-. Bisbigliò lei portandomi le
dita sulle labbra e disegnandone i contorni.
Avevo caldo, non mi ero mai sentito così bollente prima
d’ora.
-Bella, non pos…-. Cercai di dire, ma la sua bocca si
sollevò sulla mia e pretese un mio bacio.
Non si era mai comportata così con me, consapevole che mi
avrebbe soltanto fatto soffrire e che avrebbe potuto mettere in
pericoloso anche se stessa, ma ora era diverso, in quel momento tutto
non era che un sogno.
-Per favore, solo questa volta. Non voglio che anche questo sogno si
trasformi in un incubo-. Sospirò continuando a baciarmi.
Non potevo farle questo, non quando avevo cercato di proteggerla sopra
ogni cosa, anche a costo di perdermi. E adesso? Mi stavo comportando
come un animale, non come una creatura pensante.
La scostai da me, sollevandola e riportandola sul divano. Il fuoco si
era quasi spento nel frattempo.
Le lacrime che rigavano il viso di Bella erano come una pugnalata al
cuore, ma io non potevo, non potevo davvero fare nulla per alleviare
quella sofferenza. Mettere in gioco il mio desiderio, così,
avrebbe soltanto significato metterla in serio pericolo.
-Non mi desideri? Nemmeno in sogno…-. La sentii bisbigliare
e i suoi singhiozzi riuscirono a strapparmi un gemito di dolore.
Come poteva chiedermi di farle una cosa simile? Mi inginocchiai accanto
a lei e le accarezzai il dorso della mano in silenzio. Osservai le sue
palpebre serrate e mi domandai se fosse giusto rifiutarle me stesso
persino nei suoi sogni. Mi riscossi immediatamente, dandomi del pazzo.
Quello non era un sogno, quella era la verità, e nella
realtà io ero un vampiro assetato del suo sangue.
-Non te ne andare di nuovo, come sempre-. Bisbigliò
disperata, aggrappandosi alle mie mani come se ne fosse andato della
sua stessa vita.
-Io devo…-. Sussurrai desiderando ardentemente dirle che ero
lì con lei veramente, che avrebbe potuto avermi in ogni
momento accanto.
-No, no, per favore. Torna da me!-. Gridò spalancando gli
occhi e tornando a fissarmi, sconsolata. -Io mi ucciderò se
non tornerai. Hai capito? Mi ucciderò-. Mi
ricattò stringendomi a sé e tentando di tenermi
vicino.
Quella minaccia mi terrorizzò, accecando la mia
razionalità.
-Smettila, mi hai promesso che avresti vissuto-. Le ricordai, la voce
dura e impaurita.
-Allora fa l’amore con me-. Bisbigliò,
sollevandosi sui gomiti e supplicandomi con le sue iridi nocciola.
Deglutii. Dio, perché a me? Perché proprio io?
Non sarei dovuto rimanere nell’oscurità per
l’eternità? Perché, perché?
-Ti prego-. La supplicai, stringendole le dita. -Io ti desidero,
davvero. Tantissimo-. Mormorai sfiorandole le labbra. -Ma non puoi
chiedere questo ad un sogno-. Continuai, baciandole ripetutamente le
labbra, assetato della sua bocca.
-Posso, io… posso, perché l’ho
già fatto tante volte-. Mi confessò dolcemente e
io le accarezzai una guancia domandandomi cosa mi avesse chiesto nei
suoi sogni.
-E cosa mi chiedevi-. Le chiesi sottovoce, sentendo
l’intimità crescere tra noi, timida, quando poco
prima era così prorompente da farci bruciare.
-Ti chiedevo di starmi sempre vicino, ma sai… nei miei sogni
io ti vedo vicino a me, nei miei sogni io sono una bambina e tu
continui ad amarmi, a starmi accanto. Oh, vorrei che fosse davvero
così-. La sua confessione mi colpì come uno
schiaffo.
-Cosa?-. Sussurrai e la guardai scoppiare di nuovo in lacrime.
-Ti amo-. Mormorò e la sua bocca si avvicinò
lentamente alla mia con tutta l’intenzione di trasmettermi
un’emozione che non avrei mai più dimenticato.
Lasciai che le sue labbra si unissero piano alle mie e percepii un
brivido lungo tutta la schiena. Provai a non ricambiare quel bacio,
provai davvero ad usare violenza su me stesso, ma riuscii solo ad
ottenere l’effetto contrario. Troppa la voglia di stringerla,
baciarla, toccarla, proprio come avevo fatto qualche minuto prima.
-Bella, amore, vieni qui-. Non riuscii a resisterle e approfondii quel
bacio con audacia.
Sapevo come sarebbe andata a finire. Avremmo di sicuro iniziato ad
accarezzarci, a toccarci fino al momento in cui io non avrei preso
consapevolezza di starmi spingendo oltre il limite consentito.
Le mie mani risalirono lungo le sue spalle e affondarono tra i suoi
capelli castani. Mi chinai per approfondire quel bacio e sentii una
scarica di dolore misto a fame attraversarmi le viscere e fermarsi
all’altezza della gola che cominciò ad ardere di
veleno.
Nemmeno il sangue sarebbe riuscito a farmi provare una simile
sofferenza, così intensa da poter essere chiamata
eccitazione, perdizione… desiderio. La mia bocca si
avvinghiò al sapore della sua, dipendendone, e il battito
forsennato del suo cuore, ora quasi tachicardico, riuscì ad
avvelenare il mio animo di una voglia nuova, più profonda,
forse più pregnante.
-Non respiro-. Mormorai tentando di far sollevare il mio petto.
Dovevo respirare. Provai ancora e un sussulto nel mio petto mi fece
cadere ai suoi piedi. Bella mi strinse contro il suo seno e io sospirai
finalmente, annusando il suo profumo. Percepii il suo odore,
così femminile, così tenero, e inevitabilmente la
portai sotto di me, con facilità, stendendola sul pavimento.
I miei occhi incrociarono i suoi e per la prima volta mi accorsi di
aver provato una sensazione umana: l’aria per me era divenuta
necessaria, solo un secondo, ma soltanto perché era il suo
profumo ad impregnarla. I suoi occhi nocciola mi fissarono, sognanti,
quasi adoranti, e la mia bocca si avvicinò alla sua con un
nuovo desiderio: quello di sentirmi parte di lei.
-Edward-. La sentii mormorare e la costrinsi a rimanere con le spalle
contro il pavimento.
Il suo sguardo rimase fisso nel mio e io mi avventai sulle sue labbra,
famelico, privo di quel limite che mi aveva spinto a scostarmi da lei.
Sentii il bisogno di stringere e toccare, di sentire carne viva contro
di me, pulsante e calda.
Mi abbandonai all’istinto e l’odore forte della sua
femminilità mi salì alle narici stordendo quel
briciolo di lucidità che mi era rimasto. Ingoiai la saliva,
ormai piena di veleno, ma non riuscii a trattenerla nella mia gola e si
sciolse tra i miei denti mentre inconsapevolmente i miei canini le
regalavano brividi sul collo.
Tentai di parlare con me stesso, di frenare la bestia che ora aveva
deciso di irretirla, ma non fui capace in alcun modo di frenarmi quando
percepii un mugolio venire dalle sue labbra.
-Bella-. Bisbigliai fuori di me. Le mie dita le sollevarono i fianchi
che si unirono ai miei in modo così naturale che ne rimasi
scioccato.
Paura. Mi accorsi di avere paura del potere che lei sembrava avere su
di me: travolgente e senza freni.
-Non andare più via-. Percepii il suo mormorio pronto alle
lacrime e la portai a mettersi seduta di fronte a me.
Era arrivato il momento di dimostrarle quanto la mia devozione fosse
forte, quando fossi schiavo dei sentimenti che mi legavano a lei e non
mi permettevano di allontanarla nonostante l’avessi giurato e
spergiurato.
-Bells-. Sentii improvvisamente la voce di Charlie, inaspettata, e un
impulso naturale mi fece scappare via.
Mi portai dietro il divano, soffocato dalle mie stesse voglie, che ora
non riuscivo più a fermare.
-Bells… merda-. L’ispettore Swan si
avvicinò con un torcia e solo in quel momento mi resi conto
che, una volta spento il fuoco, tutto sarebbe diventato buio per lei.
-Charlie-. La sentii mormorare e chiusi gli occhi, lasciandomi
scivolare a terra.
Pregai che il padre di Bella non puntasse la torcia su di me,
perché dubitavo di avere la forza di alzarmi. Mi sentivo
completamente svuotato di ogni forza e ogni pensiero. Percepivo
solamente freddo dentro, tanto freddo.
-Lo sapevo, dannazione-. Soffocò Charlie e lo guardai
prendere di peso Bella. -Sei gelida. Ma sei impazzita?-.
Borbottò fuori di sé dalla rabbia.
Percepii il mio cerbiattino singhiozzare tra le lacrime e ansimai
terrorizzato. Non avrei dovuto… non avrei dovuto.
-Lasciami qui-. Mormorò lei, ma l’ispettore Swan
la trascinò verso la porta di peso.
Avevo sbagliato ancora una volta.
-Lasciarti qui? Tu non uscirai più per almeno un mese o fino
a quando non ti darò io il permesso di farlo-. Le
urlò lui, irreprensibile.
Non percepii più alcun rumore, ma i pensieri di Charlie,
furiosi, mi rimbombarono nelle orecchie fino a quando non
portò Bella fuori di casa mia. Non avevo mai sentito una
persona urlare come se le stessero strappando via la sua stessa anima,
ma in quel momento capii cosa significasse perdere se stessi: Bella non
faceva che gridare il mio nome. Come una dannata posseduta da un demone
invisibile. E in fondo io non ero che questo per lei.
Mi avvicinai alle vetrate rotte e aspettai di vedere il mio piccolo
Bambi salire in macchina con suo padre.
-Tu non capisci. Lui c’era. Era con me-. I suoi sussurri mi
straziarono e dilaniarono quel poco di coscienza che mi era rimasta
rigettandomi ancora nel nulla dei sensi di colpa.
-Lui se n’è andato. Non ti ama, non sei niente per
lui!-. Gridò l’ispettore Swan facendomi aggrappare
ai vetri rotti. No, non era vero, non era vero, io avevo solo mentito
per lei.
-No, non è così. È con me, sempre con
me-. Mormorò ancora Bella e io mi accasciai sul pavimento
sentendo il mio cuore morire per la terza volta.
Quante volta ancora avrei dovuto provare quella sensazione? Non ne
potevo più. Semplicemente la morte avrebbe alleviato le mie
sofferenze e io mi ostinavo, imperterrito, a credere che il nostro
amore potesse creare il mio futuro come essere umano, come persona.
Stupido idiota. Io non ero e non sarei mai stato un essere umano. Mai.
-Bells, ascoltami-. Charlie la lasciò improvvisamente andare
vicino alla sua volante di servizio. Lei lo guardò con gli
occhi colpevoli e sgranati.
-Qui è tutto vuoto e tu stavi per morire assiderata-.
Continuò a dire, lentamente, come se stesse avendo a che
fare con una pazza.
-Non posso più fidarmi di te-. Bofonchiò poi e
tornò a prenderla tra le braccia.
Vidi Bella cadere di peso, senza fare resistenza, e voltarsi verso il
punto in cui mi trovavo. Trattenni il fiato. Non c’era luce,
non poteva vedermi, eppure quegli occhi nocciola così
profondi, così intensi, riuscirono per un attimo a farmi
credere che potesse farlo.
Sorrisi e chinai la testa.
-Non hai niente da dire?-. Gridò Charlie abbandonandola sul
sedile del passeggero come un sacco di patate.
-Ti amo-. Bisbigliò lei, in modo talmente impercettibile che
ero sicuro suo padre non avrebbe potuto sentire.
Sollevai lentamente lo sguardo e mi immersi nei suoi occhi che si
soffermarono proprio su di me.
-Ti amo anche io-. Mormorai con un lieve sorriso che lei mi
restituì inaspettatamente.
-Va bene, allora… se non vuoi dire niente. Sta zitta-.
Concluse l’ispettore Swan sedendosi al volante e mettendo in
moto. -Domani verrò a prendere il pick-up-.
Commentò mettendo la retromarcia.
Tornai ad alzarmi in piedi e camminai per la mia camera inspirando
forte il suo odore. Bella… che fare? Seguirla oppure
andarmene via? Mi passai le dita tra i capelli pensando e ripensando
come un folle. Avrei soltanto continuato a rovinarle la vita se fossi
rimasto. E poi… le sue parole: aveva detto di vedermi
accanto a lei come una bambina, ma era impossibile. Questi erano i suoi
sogni? No, la mia realtà malata.
Mi voltai spaesato, sentendo ancora il desiderio di fare
l’amore con lei, e urlai. Senza motivo, urlai tutta la mia
rabbia, ringhiai e, ancora una volta, mi sfogai con tutto
ciò che di solido aveva fatto parte del mio mondo.
Dovevo farlo, per sentire di essere ancora lì, per sentire
che quello che avevo fatto non era del tutto vano. Cominciai ad odiare
il silenzio, persino le mie urla erano migliori di quel frastuono di
niente che mi riempiva le orecchie con la sua sofferenza.
Basta, Edward, basta. La litania che stavo ripetendo a me stesso non mi
aiutò a smettere di gridare la mia rabbia. E piansi, per la
prima volta piansi, perché le mie grida assomigliavano molto
al pianto di un animale: di un cane abbandonato, di un gatto picchiato,
di un leone ferito. E per quanto avessi sempre odiato sentirmi un
animale, per Bella avrei fatto qualunque cosa, anche regredire allo
stato larvale.
-Non ce la faccio più-. Bisbigliai lasciando che il mio
corpo si accasciasse a terra.
Mi ripromisi di non muovermi almeno fino alla mattina, poi sarei
tornato da lei… poi… ora avevo assoluto bisogno
di riposare la mia mente.
L’alba mi colse troppo presto e io sospettai che non fosse
passata che qualche ora. Fissai il Sole sorgere e sorrisi ironicamente
alla luce. Cominciavo seriamente a detestare il chiarore del giorno, un
po’ come i vampiri delle favole.
Mi alzai e camminai verso il bagno. Che ci fosse stata ancora acqua?
Dovevo darmi una lavata. Cercai di aprire, ma non uscì
nulla. Come pensavo… avrei dovuto cercare una fonte in giro,
qualche vasca per l’abbeveraggio degli animali. Sempre se non
l’avessi trovata gelata.
Mugolai frustrato e aprii il cassetto dei miei vestiti. Era arrivato il
momento di cambiarmi.
Dopo aver fatto ciò che dovevo, come un automa, il mio corpo
si diresse ancora verso Casa Swan. Natale… mai trascorso un
Natale più terribile. Che ironia della sorte: non mi ero mai
sentito così vivo da più di cento anni a quella
parte.
Cercai tracce di Bella e capii dal suo profumo che doveva trovarsi in
camera. L’ispettore Swan non era a casa. Mi arrampicai sulla
finestra e, come previsto, fissai lo sguardo sul mio cerbiattino. Stava
dormendo vestita, con un copriletto improvvisato sopra di lei.
-Come ti permetti di farle questo?-. Chiesi a me stesso, ma ormai non
avevo più voglia di farmi domande, la mia mente era stanca,
così come il mio cuore. L’unica parola che il mio
vocabolario poteva ammettere senza improvvisamente cadere nella follia
dell’incomprensione era solo uno: Bella.
Sorrisi quando notai che la finestra non era stata chiusa. Ero sicuro
che lei si sarebbe rifiutata di chiuderla e che Charlie dalla rabbia
avrebbe chiuso la pota di schiatto e se ne sarebbe andato.
-Sai bene che non merito questo amore-. Balbettai portandomi le
ginocchia al petto e continuando ad osservarla.
Avrei saputo disegnare ogni piccolo particolare del suo viso anche dopo
secoli. Che assurdità l’amore… che
illogicità.
-Avrei fatto l’amore con te-. Le confessai sorridendo
amaramente e poggiai la fronte sulle cosce, rannicchiandomi su me
stesso.
Non mi sentivo più così perfetto. Che strano.
Dentro di me avevo sempre pensato che la perfezione di un vampiro lo
rendesse differente da un umano, ma ora che le mie certezze erano
venute meno ero sicuro che un vampiro non fosse poi così
diverso da un essere umano. No, forse no, per quanto ci avvicinassimo a
delle creature perfette qualcosa ci sarebbe sempre mancato
profondamente: la dignità di combattere contro la nostra
perfezione. Perché ad essere macchine da sopravvivenza non
c’era alcun gusto se non si poteva morire, se non si poteva
sbagliare, se non si poteva vivere.
Mi alzai, tornandole vicino, e mi sentii subito meglio.
-Uccidimi-. Sussurrai senza comprendere le mie parole. -Guardami Bella
sono qui. Sono qui, vicino a te. Io ci sono. Non ti ho lasciato-.
Continuai, ma mi resi subito conto di aver solo bisbigliato flebilmente.
Non avrei mai avuto il coraggio di dirle una cosa simile. Con che
faccia, con che cuore…
-Non so se riuscirai mai a perdonarmi-. Sussurrai con la mano sul
petto. -Ma io non lo farò mai con me stesso-. Borbottai
convinto, rifugiandomi dietro la solita poltrona e aspettando nel
silenzio, quel silenzio che ormai avevo tanto imparato a disprezzare.
Sentii il cellulare di Bella squillare improvvisamente e per un attimo
pensai che non avrebbe risposto.
-Mamma-. Bofonchiò lei e io sentii urlare sua madre.
-Sei per caso impazzita?-. Reneé era fuori di sé
dalla rabbia. La capivo, come qualunque genitore.
-Per favore, sono stanchissima-. Rispose lei e io sospirai, travolto
ancora dai sensi di colpa.
-E lo credo. Non credi sarebbe meglio venire a stare con noi?-. Le
chiese sua mamma e io trattenni il respiro.
Il silenzio cadde subito nella stanza e io mi spostai per sbirciare.
Bella fissava il vuoto e il cellulare era miseramente caduto a terra.
La sua mano, ancora a mezz’aria, sembrava averlo lasciato
appositamente. La osservai, incredulo, e la guardai tornare a
rilassarsi sui cuscini.
-Lasciatemi sognare ancora un po’. Sono stanca di questa
realtà. Lasciatemi sola con lui-. Mormorò
lamentosa e io appoggiai la fronte sulla poltrona.
C’era qualcosa di profondamente sbagliato nel nostro amore,
ne ero consapevole. Forse valicava i confini del tempo, della razza,
forse quello, ma forse era semplicemente amore vero. Non lo
sapevo. Bella sapeva regalarmi sensazioni uniche solamente
con una frase. E quello? Quello poteva definirsi amore? Emozioni in
cambio di parole. Forse, sì forse.
Bella dormì l’intera mattina: un sonno senza
sogni. A malapena la sentii respirare. Doveva essere davvero molto
stanca.
Le ore trascorsero e io cominciai a preoccuparmi: sembrava non avere
alcuna intenzione di svegliarsi.
Per fortuna entrò Charlie e io sospirai di sollievo.
-Ehi, Bells?-. La chiamò e lei non rispose.
-Sei ancora arrabbiata?-. Bofonchiò suo padre e Bella
borbottò qualcosa che non capii.
-Saresti morta lì al freddo-. Commentò e io
dovetti ammettere che aveva ragione.
-Allora? La vita è mia-. Sbottò lei, innervosita.
-Sei mia figlia. Mi preoccupo per te-. Continuò Charlie
chiudendosi la porta alle spalle e facendo per avvicinarsi.
-No, questa volta no. Volevo stare lì-. Obiettò
il mio cerbiattino, voltandosi di spalle tra le coperte.
L’ispettore Swan sospirò, ma non disse altro.
Lo capivo. Si era comportato come un padre preoccupato e quando aveva
visto il pick-up era impazzito dalla preoccupazione. Io non mi ero
accorto di nulla, troppo coinvolto da Bella, perso nel suo profumo,
nelle carezze. C’era mancato davvero poco che mi scoprisse.
-Non ti preoccupare, non fa niente-. Riprese alla fine lei e io capii
che non era arrabbiata con Charlie, ma era un altro il motivo della sua
tristezza.
-Non tornerà. Ormai non so più come dirtelo-.
Charlie parlò seriamente, battendo il pugno ripetutamente
sullo stipite, questa volta imbarazzato.
-Non lo sai, non puoi saperlo-. Bofonchiò Bella e si
tirò le coperte sulla testa.
Lui sospirò e uscì indeciso, continuando ad
lanciare occhiate preoccupate a sua figlia. Lessi chiaramente i suoi
pensieri: non credeva affatto di essere un buon padre, deluso da se
stesso, ma soprattutto intenzionato a fare qualcosa perché
Bella non soffrisse ancora.
Sperai anche io che riuscisse a fare qualcosa per lei.
-Non riesco a sognarti…-. La sentii bofonchiare non appena
Charlie la lasciò sola.
La guardai e mi resi conto che il mio piccolo Bambi sperava di vedermi
ancora. Sorrisi inconsapevolmente. Sì, anche io volevo
rivederla in qualche modo: forse ancora nei sogni. Fantasticare in
fondo non mi costava nulla. Ne avevo bisogno anche io a volte per
credere che qualcosa di noi avrebbe potuto salvarsi.
-Eppure sembrava così reale. Sto diventando pazza-.
Sospirò ad alta voce e io rabbrividii.
Pensandoci bene stavamo diventando pazzi tutti e due.
Non
mi sono dimenticata di Nadir, non vi preoccupate, solo che sono stata
molto impegnata con gli esami questo mese. Li ho terminati ieri e
infatti questa mattina sono già all'opera a scrivere. Mi
mancava davvero tanto, non me n'ero resa conto. Spero che mi
perdonerete per l'assenza prolungata. Ho intenzione di aggiornare Nadir
un sabato sì e uno no, mi sono fatta una tabella di marcia
per ogni fanfiction. Di più non posso, almeno per adesso,
però è sempre meglio di una volta al mese,
credo.
Dalla
prossima volta vi risponderò tranquillamente ai commenti.
Ora perdonate questa mia mancanza però non aggiorno da
troppo tempo e mi sento un tantino il colpa (che esagerata che sono).
Un bacione e un grazie a chi ha commentato, un grazie
speciale.
P.S.
Ora torniamo a seguire la linea di New Moon, esattamente il capitolo
che ha titolo "Risveglio". Se date un'occhiata al libro vedrete che
seguo passo passo i dialoghi che ha scritto anche la Meyer.
Buona lettura, Malia. E buon
fine settimana!!!
Risveglio.
Il tempo passò, forse troppo in fretta o troppo lentamente,
non avrei saputo dire. Confuso. Era come corrodersi dentro,
sì, in modo lento, ma estremamente efficace nei minuti
trascorsi vicino a lei. Istanti che non avrei rifiutato neanche in
cambio di mille vite, di mille sofferenze. Ma prima o poi tutte le cose
avrebbero dovuto necessariamente avere una fine, brutte o belle. Per il
destino non aveva mai avuto molta importanza. E non aveva a che fare
con i miei sentimenti, eterni e maledetti quanto il peccato umano, no,
ma ciò che prima o poi Bella avrebbe dovuto affrontare: la
rinascita, il suo risveglio. Quante volte avevo
rifiutato l’idea che potesse riprendersi, quante volte avevo
sperato che mi amasse per l’infinito tempo di tutta la sua
vita anche dopo la morte. Poeta dannato. Ecco come mi sentivo, un
inguaribile e stupido romantico. Già. L’inizio della
fine o la fine dell’inizio? Tanti giochi di parole, ma
nessuna certezza, tranne quella di essermi perso, ma quello non era una
novità per la mia mente malata d’amore.
Charlie
sbatté il pugno sul tavolo della cucina, adirato.
-Basta, Bella! Ti rispedisco a casa-.
Sbraitò tentando invano di controllare il tono della sua
voce. Era chiaramente preoccupato, ma c’era anche tanta
rabbia a lungo repressa dentro di lui.
Bella sembrava non volerne sapere di riprendersi. Dopo la notte di
Natale la sua vita aveva continuato a scorrere in solitudine: non un
sorriso, non un segno di ripresa. Il suo pianto straziante durante le
notti aveva avuto come effetto quello di farmi fuggire via. Persino io
non avevo potuto sopportarlo, persino io che mi ero ripromesso di
starle sempre vicino. Ero ormai allo stremo, come lei. Forse eravamo
entrambi morti senza accorgercene.
-Sono già a casa-. Riprese lei, confusa, alzando lo sguardo
dal piatto di cereali.
Almeno mangiava quel tanto che le permetteva di vivere. Per fortuna non
dovevo più forzarla.
-Ti mando da Renée, a Jacksonville-. Precisò poi,
dopo aver notato l’assoluta tranquillità della
figlia di fronte alla sua sfuriata.
Il mio piccolo Bambi si portò la mano sotto il mento,
massaggiandoselo come per cercare di capire, e poi sospirò,
tornando a mangiare come se nulla fosse successo.
Charlie aggrottò la fronte, incredulo, e per un attimo
pensai che si sarebbe messo ad urlare sull’orlo di una crisi
isterica.
-Cosa ho fatto?-. Mormorò allora lei e io presi un profondo
sospiro di sollievo.
Aveva risposto prima che potesse scatenarsi l’Inferno. In
effetti, a pensarci bene, tutto sembrava essere tornato alla
normalità. Bella non aveva più perso un giorno di
scuola, i suoi voti erano molti alti, non aveva più infranto
un coprifuoco e aveva persino cominciato a lavorare. Quindi non
c’era niente in lei che apparentemente non andasse, ma io
sapevo la verità, perché trascorrevo ogni momento
da solo con il mio cerbiattino.
Charlie, però, non la pensava allo stesso modo. Era
evidentemente fuori di sé, forse a causa dello stress.
-Non hai fatto niente. Questo è il problema. Non fai niente,
mai-.
Si impuntò, sbattendo più volte le palpebre e
incrociando le braccia al petto. Allargò le narici come un
toro impazzito. La scena aveva qualcosa di vagamente divertente, ma
decisi di non scoppiare a ridere per rispetto verso il capo Swan. Non
aveva proprio la stoffa del padre severo, eppure tentava di essere
irremovibile.
-Preferisci che mi cacci nei guai?-. Riprese Bella, un po’
irritata dall’atteggiamento di suo padre.
Il ricordo di quello che era successo a Natale sembrava aleggiare
nell’aria, ma nessuno dei due osò ricordarlo
all’altro e così il silenzio si fece insistente,
quasi opprimente tra loro. Charlie era in evidente imbarazzo.
-Un guaio sarebbe meglio di questa situazione... tieni sempre il
muso!-. Scoppiò definitivamente, facendo innervosire sua
figlia.
Perfetto. Era in arrivo burrasca. Non avevo voglia di vedere Bella
soffrire ulteriormente anche a causa del rapporto con lui,
perciò sperai che la finissero di comportarsi
così.
-Non tengo nessun muso-. Tagliò corto lei, controllando il
suo fastidio.
Evidentemente la pensava come me. Non era il caso di alzare la voce.
-Ho sbagliato parola-. Tentò di dire Charlie, vagamente in
imbarazzo.
Ridacchiai e mi appiattii maggiormente alla parete per poter vedere
meglio.
-Tenere il muso significherebbe comunque che fai qualcosa. Sei... come
spenta. Ecco cosa volevo dire-. Precisò alla fine,
picchiettando le dita sul tavolo della cucina.
Aveva fatto centro. Bella si era calmata e non aveva dato
più motivo di preoccupazioni, ma quello non voleva affatto
significare un miglioramento. Dovevo ammettere che a volte il capo Swan
sapeva essere perspicace. Ogni tanto, non sempre. Per il resto era un
completo disastro.
-Mi dispiace, papà-. Bofonchiò lei, abbassando
gli occhi e mettendosi il cucchiaio di latte e cereali in bocca.
Masticò lentamente, quasi che le costasse fatica, e
deglutì senza alzare lo sguardo verso suo padre, che
continuava a fissarla in attesa di altre parole.
-Non voglio che ti scusi-. Aprì le braccia lui, facendole
capire che non aveva affatto voglia di discutere.
-Allora dimmi cosa vuoi che faccia-. Rispose il mio piccolo Bambi,
stancamente.
-Bella-. Cominciò allora, il viso pallido di un genitore
preoccupato. -Tesoro, non sei la prima a vivere una situazione del
genere, lo sai anche tu-. Concluse così, in
difficoltà.
Ottima mossa. Così non avrebbe fatto che peggiorare le cose.
L’avevo detto io che non sapeva proprio come comportarsi.
-Certo-. Fece Bella, per nulla colpita dalla costatazione.
Sapeva anche lei che molte persone vivevano pene d’amore, ma
non perché lasciate da un vampiro egoista e privo di
sentimenti. In quel caso io.
-Senti, piccola. Penso che... forse hai bisogno d'aiuto-. Le propose e
vidi il mio piccolo Bambi sgranare gli occhi, stupita.
Aiuto… quella parola l’avevo sentita fin troppo
spesso nella mia testa nei momenti in cui avevo pensato di non farcela
a sopportare quel dolore. E anche Bella l’aveva spesso
sussurrata nel sonno, chiamandomi, disperandosi per la mia assenza, ma
adesso il significato era diverso. Più crudo, più
reale e probabilmente più vero di qualsiasi cosa. Il mio
cerbiattino non poteva rimanere in quelle condizioni, ma era difficile
per lei aprirsi e chiedere di poter essere consolata.
-In che senso?-. Chiese così, ora più timorosa.
Non si aspettava un simile discorso da parte di suo padre, non
così diretto.
-Quando tua madre se ne andò-. Inizio Chiarlie, deglutendo e
tentando di affrontare quello che per lui era un argomento spinoso.
Sentii i suoi pensieri farsi cupi, tristi e mi rammaricai. Era un
brav’uomo tutto sommato. -e ti prese con sé...-.
Respirò profondamente come a volersi fare forza. -Be',
quello fu un brutto periodo, per me-. Riuscì a terminare la
frase a fatica, gli occhi persi nei ricordi terribili di un momento che
avrebbe voluto cancellare.
Mi dispiacque per lui.
-Lo so, papà-. Si limitò a rispondere Bella per
non metterlo ulteriormente in imbarazzo e la sua espressione si
addolcì.
-Ma riuscii a cavarmela-. Precisò poi, evidentemente non
disposto ad ammettere la reale disperazione che l’aveva
distrutto e lungo. -Tesoro, tu non te la stai cavando. Ho aspettato, ho
sperato che migliorasse-. Le fece notare, angosciato. -Penso che
sappiamo entrambi che non è migliorato per nulla-.
Sospirò poi passandosi una mano tra i capelli ed evitando
qualsiasi riferimento al passato.
Mi sentii ancora una volta in colpa per tutti i miei desideri assurdi e
le mie mancanze nei confronti della persona che più amavo.
-Sto bene-. Si innervosì lei, distogliendo lo sguardo e
fissando insistentemente il cucchiaio nella scodella.
Non la pensavo affatto allo stesso modo.
-Forse, be'... forse dovresti parlarne con qualcuno. Un
professionista-. Le propose Charlie e io inorridii.
Non era quello il metodo giusto, non avrebbe risolto nulla facendola
andare da uno psicologo, se non farla soffrire ulteriormente.
-Vuoi che vada da uno strizzacervelli?-. Terminò lei,
sconvolta.
La sua bocca si schiuse in una smorfia meravigliata e io immaginai la
scena per un attimo. Il mio cerbiattino di fronte ad una persona che
l’avrebbe interrogata sul mio conto. Sapevamo entrambi che
non sarebbe stata possibile una cosa simile. Non poteva rivelargli di
essersi innamorata di un vampiro, di aver rischiato la vita a causa
sua, di non sapere come fare a cacciare quella sensazione di malessere
profondo dovuto ad una dipendenza da creatura demoniaca.
Insomma… sarebbe stato un completo disastro.
-Forse ti aiuterebbe-. Provò ancora Charlie, ma Bella non
sembrava essere della stessa idea.
Lo fissò, torva, e non rispose, lanciandogli
un’occhiata più che eloquente.
-O forse no, anzi, per niente-. Si schernì suo padre non
appena lo sguardo amareggiato e tenace della figlia si posò
su di lui. Bella non avrebbe mai ceduto a quella richiesta, lo sapevo,
perciò non mi preoccupai.
Quel tipo di aiuto non era quello più adatto a superare il
momento di crisi. Aveva bisogno di ben altro: amici e amore, per quanto
mi costasse fatica ammetterlo.
Charlie, però, non volle demordere. Lessi nei suoi pensieri
una chiara intenzione e sospirai. Non voleva proprio capire che sua
figlia non si sarebbe allontanata da Forks. La speranza che io un
giorno potessi tornare era ancora viva dentro di lei.
-Io non ce la faccio, Bella. Forse tua madre...-. Cambiò
strategia e io dovetti ammettere che quando si ostinava sapeva
esattamente come fare male.
-Ascolta-. Lo interruppe il mio cerbiattino, la voce alterata dalla
rabbia. -Se vuoi, esco anche stasera. Chiamo Jess o Angela-. Gli
propose nel vano tentativo di convincerlo che non era cambiato nulla,
che lei stava bene.
Purtroppo padre e figlia non erano poi così differenti,
erano testardi entrambi e il capo Swan non avrebbe mollato.
Tornò all’attacco.
-Non è ciò che voglio-. Ribatté
frustrato. -Non credo di poter resistere, se continui a sforzarti in
quel modo. Non ho mai visto nessuno sforzarsi quanto te. E ci sto
male-. Confessò poi e sperò vivamente che Bella
lo ascoltasse e che, presa dai sensi di colpa, decidesse di andarsene
da sua madre per non pesargli ulteriormente.
Mi domandai se avrebbe raggiunto il suo intento oppure no. Forse
sarebbe stato meglio anche per me. A quel punto non l’avrei
seguita, non avrei potuto più attardare il mio definitivo
abbandono.
Avevo dimenticato, tuttavia, che anche Bella quando voleva sapeva come
cavarsela nelle situazioni più difficili.
-Non capisco, papà. Prima perdi la pazienza
perché non faccio niente, poi dici che non vuoi che esca-.
Parlò innocentemente, come se tutto quello che Charlie aveva
detto fin’ora l’avesse colpita perché
non vero, con un’ingenuità che aveva palesemente
del falso e del costruito.
-Voglio che tu sia felice... anzi, no, nemmeno. Voglio soltanto che tu
non sia triste. Credo che te la passeresti meglio se te ne andassi da
Forks-. Ammise finalmente l’ispettore Swan e io sorrisi
amaramente. Tutta quella storia solo per farla andare via da
lì.
Bella si risvegliò dal suo torpore e alzò il
mento, ormai fuori di sé dalla rabbia.
-Non me ne vado-. Sentenziò convinta.
Se avessi avuto un cuore avrebbe fatto le capriole di contentezza nel
mio petto. Che vampiro ridicolo.
-Perché no?-. Le chiese suo padre.
Domanda stupida. Bella sarebbe stata sincera? La vidi scuotere la testa
con decisione ferma.
-È l'ultimo semestre di scuola, manderei tutto a monte-. Gli
fece presente e non si mosse, puntando i suoi occhi su di lui con una
tale furia che mi ritrovai a tremare.
-Sei una brava studentessa, te la caverai-. Sbottò Charlie,
tranquillamente, ma non era quello il vero motivo e ne erano entrambi
consapevoli.
Inutile fingere.
-Non voglio dare fastidio a mamma e a Phil-. Si inventò
ancora lei e io capii che non avrebbe ammesso tanto facilmente il
perché del suo voler rimanere.
-Tua madre muore dalla voglia di riaverti-. La corresse suo padre, ora
più convinto che sua figlia avrebbe ceduto.
Come sarebbe andata a finire?
-In Florida fa troppo caldo-. Ribatté ancora e io mi
ritrovai inevitabilmente a sghignazzare.
Che bugiarda, il mio piccolo Bambi amava il caldo ed odiava la
temperatura fredda e umida di Forks.
Charlie non era così sciocco da non capire e infatti nella
sua mente si formulò subito la risposta esatta. Era chiaro
che Bella sperasse nel mio ritorno.
-Sappiamo entrambi, e molto bene, cosa sta succedendo, Bella, e non
è affatto positivo per te-. Cominciò di nuovo,
ancora più furioso, e lo vidi sbattere di nuovo la mano sul
tavolo, con fare perentorio.
-Sono passati mesi. Niente telefonate, niente lettere, nessun contatto.
Non puoi continuare ad aspettarlo-. Finalmente la verità. Io
non c’ero più, Bella avrebbe dovuto accettare la
mia assenza, avrebbe dovuto superarla, e invece ancora credeva in me.
Suo padre proprio non riusciva a capire quell’ostinazione e
probabilmente nemmeno io mi ero aspettato tanto amore da parte di una
piccola umana.
Bella arrossì visibilmente e la sua carnagione da bianco
pallido divenne di un rosa acceso di nervosismo e dolore. Quelli erano
argomenti tabù, da non affrontare, di cui non si doveva mai
parlare. La ferita era troppo viva dentro di lei ed era difficile
persino per me parlarne con me stesso.
-Non sto aspettando niente. Non mi aspetto niente-. Digrignò
tra i denti, i pugni stretti sul tavolo, le nocche bianche dallo sforzo
di controllare il pianto che minacciava di travolgerla.
Piccolo Bambi, piccolo amore. In fondo lei non aveva nessuna
responsabilità. Il motivo della sua sofferenza ero io, io e
la mia superficialità, il mio odio verso me stesso.
-Bella...-. Continuò Charlie, vagamente emozionato e, anche
lui, ormai prossimo al pianto.
Avrei voluto piangere anche io insieme a loro.
-Devo andare a scuola-. Si alzò il mio cerbiattino, senza
guardarlo, e ricacciò le lacrime indietro.
Gettò la tazza nel lavandino senza nemmeno sciacquarla e
afferrò la cartella sistemandola sulle sue spalle con
evidente desiderio di scappare via prima che la situazione potesse
ancora degenerare.
-Mi organizzo con Jessica-. Gli fece sapere e io aggrottai la fronte,
sorpreso dalla sua decisione. Probabilmente voleva convincere suo padre
della sua sincerità nel voler recuperare il tempo perso a
stare male per me. -Può darsi che non torni a cena. Andiamo
a Port Angeles a vedere un film-.
Forse le avrebbe fatto bene prendere un po’ d’aria.
Dai pensieri di suo padre notai che anche lui aveva pensato la stessa
cosa. Mi rallegrai di quella scelta. Uscire con un’amica
finalmente, magari confidandole qualcosa, magari cercando di stare
bene, le avrebbe fatto sicuramente meglio che stare a piangere chiusa
nella stanza senza dormire.
Uscì da casa e io, indeciso se seguirla o meno a scuola,
riposai un attimo la mia mente.
Alla fine mi costrinsi a non farlo. Non potevo più
continuamente starle alle calcagna: a scuola, a lavoro, in camera,
ovunque pur di sentire il suo profumo.
Non avevo paura che potesse combinare qualche guaio, per mesi non aveva
fatto che sopravvivere, quasi vegetare nella sua
antisocialità. Dovevo trovare il modo per ingannare il
tempo, dovevo farlo per me stesso, ma anche per lei.
Una volta solo, però, qualcuno tornò a farmi
compagnia.
-Ciao, Edward-. La sua vocina così famigliare per un attimo
riuscì a riempirmi il cuore di un sentimento di affetto.
-Ciao-. Risposi solamente, seduto sul pavimento sotto il davanzale
della finestra in camera di Bella.
-Che fai?-. Mi domandò, guardandomi attentamente.
Le sorrisi in modo tirato e appoggiai il viso sulle ginocchia piegate.
-Penso-. Le confidai, ben sapendo che ormai era l’unica cosa
rimastami a farmi sentire “vivo”, se
così potevo ancora definirmi dopo anni e anni di assoluto
nulla.
-Ho detto che fai-. Ripeté indispettita e io sollevai lo
sguardo, osservando il broncio sulle sue labbra. Mi fece
inevitabilmente ridacchiare.
-Nulla-. Sottolineai allora e lei sembrò soddisfatta della
mia risposta.
-Non va bene-. Mi fece notare e io capii che la mia coscienza era
pronta a farmi un’altra predica. Sempre se la bambina di
fronte a me fosse stata soltanto quello… ormai non mi facevo
più domande.
-Lo so-. Commentai, sperando di sentire ancora la sua vocina consolarmi
in qualche modo. Avevo un disperato bisogno di essere amato e solo
Bella avrebbe potuto riempire quel vuoto. La piccola non era che lei, o
forse me, ma era anche lei, perciò mi rincuorava
l’idea che non mi lasciasse solo.
-Se lei da oggi ti dimenticherà sarà solo colpa
tua. Sei tu che non sei tornato-. Affondò il dito nella
piaga e io strinsi i denti per evitare di sentire altra sofferenza.
Aveva ragione, non potevo darle torto, perciò evitai
qualsiasi considerazione sull’argomento.
-Sembra che tu abbia sempre la risposta giusta-. Le feci notare con un
sorrisetto triste.
-Anche tu hai la risposta giusta-. Ribatté impettita di
fronte a me.
-Vorrei tanto fosse vero-. Bofonchiai stringendomi le cosce al petto e
dandomi dello stupido. Sì, le soluzioni a quella situazione
erano sempre state piuttosto ovvie. Solo che io non ero in grado di
vivere, non lo ero più, e mi sentivo completamente perso.
-Cercati, Edward, cercati. Sai anche tu che devi trovarti-.
Bisbigliò la piccola e mi portò una manina sulla
testa, accarezzandomi i capelli.
-Dimmi come, per favore, dimmi tu cosa devo fare-. La supplicai quasi.
Dovevo sapere, assolutamente. Io non riuscivo a darmi nessuna
motivazione per continuare a fare un passo dopo l’altro,
qualcuno avrebbe dovuto farlo per me.
-Va via di qui. Non succederanno cose belle e rischierai di stare male,
di soffrire. Va via, vattene. È arrivato il momento. Poi
tornerai-. La sua voce divenne improvvisamente tagliente, tanto che non
la riconobbi e, non appena alzai la testa, vidi un lupo enorme dal pelo
rossicci guardarmi con odio.
Rimasi attonito e sbattei le palpebre più volte, pensando di
essere definitivamente impazzito.
-Cosa potrebbe succedere?-. Chiesi ancora e l’immagine della
bambina tornò a farmi compagnia.
-Devi trovare te stesso, altrimenti non sarà vero amore.
Stai sbagliando-. Continuò a dirmi e la sua
sembrò quasi una sentenza di morte.
Cominciai a temere me stesso sopra ogni cosa.
Sentii improvvisamente la porta d’ingresso sbattere e capii
che era pomeriggio inoltrato. A volte la mia mente si oscurava per ore,
nell’oblio del tempo, e quello era l’unico metodo
per aspettare Bella, per non subire eccessivamente la sua assenza.
Mi nascosi, ben sapendo che lei sarebbe entrata in camera sua, e
infatti fu così. Non una parola, né un sospiro
sollevato, il mio piccolo Bambi si diresse verso l’armadio,
aprendolo senza alcuna espressione sul viso.
Era pieno di spazzatura che non aveva avuto voglia di buttare. La
teneva lì, tra i vestiti smessi, come a ricordarle che in
fondo non era poi così diversa da quelle cose gettate dentro
l’armadio e nascoste al mondo.
Si cambiò veloce e io capii che probabilmente sarebbe uscita
davvero quella sera, forse per andare al cinema come aveva detto a
Charlie.
Mi voltai di scatto quando si tolse la maglietta e i jeans. Non volevo
guardarla in modo troppo sfacciato, non così,
perché non sapevo come avrei potuto reagire.
Dopo poco sentii i pensieri di Jessica sotto casa. Ecco con chi sarebbe
uscita. Sorrisi, sperando che si sarebbe divertita, ma dal suo sguardo
spento intuii che non aveva affatto voglia di uscire. Il clacson
suonò e Bella afferrò la sua borsetta appesa al
chiodo, cominciando a scendere le scale di fretta.
Che fare? Seguirla? Ancora indecisione.
Certo non potevo lasciarla sola la notte.
-Grazie per essere venuta con me, stasera-. La sentii dire alla sua
amica non appena salì in macchina.
Mi decisi e mi alzai dal mio nascondiglio. Avevo come la sensazione che
sarebbe successo qualcosa, perciò le avrei seguite.
-Sei un testardo-. Sentii la voce della piccola Bella rimproverarmi.
Mi voltai e la fissai con un sorriso sulle labbra.
-No, sono solo innamorato-. Borbottai per tutta risposta.
-E pagherai ogni tua scelta sbagliata-. Mi rispose, enigmaticamente.
Ormai pensavo di non poter sentire più dolore di quello che
già stavo provando, ma era evidente che mi sbagliavo. Solo
che ancora non potevo saperlo.
Buonasera!! Come promesso ecco l'aggiornamento del sabato. Ho
fatto la brava, risposto a tutti i vostri commentini e ora passo ad
aggiornare altro. Come sempre sono di fretta, è tardissimo.
Grazie a tutti quelli che seguono questa fic, non smetterò
mai di ripeterlo. BUONA LETTURAAAA!! Malia.
P.S. Questa foto è di Remember me, però, bo,
aveva un visino così triste Rob che ho detto "sì,
è proprio il visino giusto". Ma che scema.
P.P.S. Rob volevo dirti che Edward non ha la barba, tagliatela!
(Poveretto, su, scherzo...)
Incontro strano.
Non le persi di vista neanche
per un attimo e ascoltai la loro conversazione fino a quando non ne
ebbi davvero abbastanza. Jessica non faceva che parlare di
sé, dei suoi amori adolescenziali e della sua vita monotona,
senza stimoli. Ammirai la pazienza e l’attenzione con cui
Bella riusciva ad ascoltarla. Io davvero non potevo più
sopportarne la cantilena. Mi portai una mano alla tempia,
massaggiandola, e abbozzai un piccolo sorriso. -Basta-. Borbottai a
me stesso. Un flusso di pensieri estenuante. Dopo aver parcheggiato
l’auto decisero di andare al cinema e poi a mangiare. Tirai
un sospiro di sollievo. Non ero più abituato a simili menti
confuse, dovevo ammetterlo. La forzata solitudine
che mi ero imposto aveva avuto come effetto quello di farmi chiudere in
me stesso lasciando fuori il resto del mondo, ma ora il mio desiderio
di sentire la loro conversazione mi aveva spinto ad aprirmi. Non avrei
più commesso un simile errore: Jessica era un pericolo per
la mia salute mentale. Mi domandai se fosse
il caso di seguirle anche al cinema e scoprii di non averne nessuna
voglia. Guardai Bella attraversare la strada e ne intuii il profondo
disagio. Desiderava solo scappare di casa per una sera, dimostrare a
Charlie che stava bene, ma era perfettamente inutile mentire. La vedevo
insofferente e svogliata, quasi che le pesasse persino respirare. -Devo seguirla-.
Mormorai e decisi di entrare insieme a loro. Subito però
mi guardai i vestiti e sospirai. Ero in condizioni a dir poco pietose.
Entrare di soppiatto? Non se ne parlava. Avrei dovuto comunque fermarmi
nel buio della sala, quantomeno sedermi per non essere linciato vivo da
qualcuno. E non avevo neanche un soldo con me, altro piccolo problema
non facilmente risolvibile. Come fare? Non potevo
certo rubare della moneta a qualcuno o, peggio, un paio di jeans
decenti e una t-shirt da un povero malcapitato. Probabilmente avrei
potuto prenderle in prestito da qualche sconosciuto, ma avevo come
l’impressione che il concetto non era poi così
diverso dal rubare. -Ehi, amico-. Una voce
assonnata improvvisamente mi chiamò e io mi voltai verso
quella direzione. -Lo sai che ti trovi
vicino ad un cassone della spazzatura?-. Mi fece candidamente notare il
tipo accanto a me. Era un senzatetto. Gli
sorrisi cercando di sembrare amabile. Non eravamo poi così
tanto diversi in quella situazione. Più o meno i miei
vestiti erano ridotti come i suoi, anche se forse più
puliti: avevo la fortuna di non sudare. -Grazie,
dell’informazione-. Tagliai corto e lo vidi scuotere la testa. -Che roba hai preso?
Deve essere forte. Mi sembri un po’ palliduccio-.
Commentò, annusandomi con insistenza e facendo un gesto
infastidito con la mano davanti al naso. Non ero io a puzzare
tra noi. -Non prendo il sole-.
Risposi insofferente e lo vidi scoppiare a ridere. -Lo credo, amico,
è sera. Il sole non c’è-.
Sghignazzò come se fossi io il pazzo. Preferii lasciar
cadere la discussione, non era il caso di aggravare ulteriormente la
mia situazione precaria. -Ma perché
guardi fisso il cinema? Vuoi vedere un film?-. Mi chiese allora
intercettando il mio sguardo. Maledii il lampione
sopra di noi, ma decisi comunque di rispondergli. -Sì, mi
piacerebbe-. Tornai a chiudermi nel
mio mutismo, sperando che non facesse ancora considerazioni su di me,
ma la sua mente incuriosita cominciò a farsi domande
sconclusionate sul mio conto. Pensava fossi un folle, un maniaco. Trovarmi in situazioni
strane non era mai stato il mio forte, ma quella superava ogni mia
aspettativa. -Mi servono dei
vestiti puliti-. Gli confidai alla fine, senza comprenderne pienamente
il motivo. -Anche a me-.
Sospirò con un’espressione nostalgica stampata sul
viso. Ma come mi era venuto
in mente di dire una cosa simile? Mi complimentai per la mia fine
stupidità e ignorai la sensazione di disagio che mi
colpì. Non avevo alcuna
speranza di entrare al cinema in quelle condizioni. Persi le speranze. -Mi sono sempre
piaciuti i film, quando ero bambino guardavo quelli in bianco e nero-.
Mi confessò l’uomo e io tornai a dargli la mia
attenzione. -Come ti chiami?-.
Domandai allora, distratto. -David-.
Farfugliò portandosi un pezzo di pane stantio alla bocca.
-Barbone di professione-. Sorrise divertito e io rimasi attonito a
guardarlo. Contento
lui… -Edward-. Commentai
tendendogli la mano, che non strinse. -Anche tu eh? La vita
è dura-. Mi informò e io aggrottai la fronte,
senza capire. Meglio non dire
più nulla. -Ma sembri un nobile
di quelli antichi-. Considerò masticando con gusto quella
che probabilmente era la sua cena. -Perché,
come sono quelli moderni?-. Chiesi flebilmente controllando
ossessivamente l’uscita del cinema. Non volevo perdere di
vista Bella. Nonostante i pensieri di Jessica starnazzassero anche a
quella distanza, non ero affatto sicuro che il mio piccolo Bambi fosse
ancora dentro. Non stavano parlando, probabilmente il film era
già cominciato, però ero comunque in ansia.
Dovevo darmi una calmata. Dove altro poteva essere? Certo non sarebbe
fuggita via a piedi. -I nobili moderni sono
milionari-. Sentenziò con aria solenne. Sembrava aver
scoperto una verità di importanza capitale. -Capisco-. Tagliai
corto. Non riuscivo a
distogliere l’attenzione dalla biglietteria. -Sei ubriaco?-. Mi
chiese dopo qualche minuto di silenzio. La sua mente si stava
domandando chi diavolo fossi e perché mi
comportassi in modo così strano. -No-. Risposi ancora,
con pazienza. -Sì,
vabbè-. Ghignò, per nulla convinto. Forse sarebbe stato
meglio spostarmi da lì. Non sarei stato una buona compagnia
per David che sembrava aver assolutamente bisogno di parlare con
qualcuno. -Qui non viene mai
nessuno-. Continuò sincero. Si stava aggrappando a quella
possibilità di comunicare, non potevo biasimarlo. -Come sei finito per
strada?-. La mia domanda fu più sincera questa volta. I pensieri di Jessica
mi avevano appena confermato la presenza di Bella: era andata a
prendere dei pop-corn, perciò ero più tranquillo. -E chi se lo ricorda-.
Borbottò sedendosi stancamente. Mi offrì il
suo pane, che rifiutai con gentilezza, e per un attimo pensai che avrei
potuto aiutarlo. Una telefonata e tutto si sarebbe sistemato. -Cocaina-.
Confessò poi e io capii. -Senza soldi, senza casa,
senza… e basta, sì, insomma-. Tentò di
spiegarsi. -E ora come va?-.
Domanda sciocca. -Come va…
come va-. Ripeté cantilenante. -Va-. Annuì
abbandonando la testa contro il muro. Cos’altro
avrei potuto chiedere? -Non hai un soldo. Si
vede dalla faccia-. Mi informò innocentemente e
abbandonò entrambe le braccia sulle sue ginocchia, facendole
dondolare avanti e indietro. Non sapevo esattamente
cosa dire. Cosa avrei potuto rispondere? La sua mente era stanca di
pensare, avevo ormai intuito che avrebbe preferito morire.
C’era qualcosa che lo tormentava: il suo fallimento, la sua
solitudine. -Non hai nessuno che
ti potrebbe aiutare?-. Mi appoggiai anche io contro il muro e per un
attimo fui tentato di ascoltare la sua storia. Sempre che avesse avuto
qualcosa da dirmi. -Aiutare? Sei
ubriaco-. Confermò con una risatina sarcastica. -Non so, in un centro
di recupero, qualcosa di simile-. Commentai tentando di trovare qualche
soluzione. -Eh? Ma sei pazzo? Tu
stai fuori-. Sbottò, seccato dal mio consiglio. Probabilmente avrei
fatto meglio a rinunciare nel mio proposito, non aveva voglia di
cambiare nulla di sé e della sua vita. Non sarei mai
riuscito a convincerlo, i suoi pensieri erano fin troppo chiari:
credeva di non avere alcuna scelta. -Scusa, era una
possibilità-. Feci spallucce e tornai ad inginocchiarmi
guardando tra i secchioni. Ancora nulla, era
troppo presto per la fine del film. -Stai seguendo una
donna-. Affermò con sicurezza, dandomi una pacca sulla
spalla. -Probabile-. Risposi,
questa volta innervosito. Cominciavo a non
tollerare più quel tipo. -Vuoi andare in
galera? Posto caldo quello, ottima idea-. Confabulò
alzandosi in piedi stancamente e pulendosi le mani sui pantaloni
sporchi. Storsi il naso, ma non
feci nulla per scansarmi. -Era la mia ragazza-.
Sbottai sulla difensiva. Oh, ecco fatto, adesso
sentivo anche il bisogno di giustificarmi con un perfetto sconosciuto,
per giunta con qualche problema di troppo. -Sì? Vedo.
Deve averti lasciato lei, non sei proprio ridotto benissimo-. Il suo sguardo si fece
scettico. Ma chi volevo convincere e perché? -Nemmeno tu-. Ribattei
sarcastico. -Oh, cerchi rogna?-.
Disse tra i denti in modo piuttosto minaccioso. Non avevo proprio
voglia di uccidere un malcapitato che non sapeva che farsene di tutta
la sua esistenza, troppo confuso anche per sapere se sarebbe rimasto
vivo il giorno seguente. -Fatti curare-. Lo
insultai e lo fissai senza paura. -È arrivato
Gesù Cristo!-. Imprecò guardando il cielo e
scoppiando a ridere. Per nulla divertente,
stavo iniziando a perdere la pazienza. Mi spostai, deciso ad
andarmene senza dirgli nulla, ma sentii la sua mano sul braccio e per
un attimo la rabbia mi accecò. Mi voltai, fulminandolo con
lo sguardo, e lui deglutì, ora intimorito dalla mia
espressione furiosa. -Dammeli tu i soldi
per curarmi-. Mi sfidò balbettando e io sorrisi. -Dio-. Mi
canzonò poi. Lessi nella sua mente
la paura che io volessi attaccar briga sul serio. In fondo non era
cattivo, solamente disilluso e per nulla in sé. Ero stato
molto più feroce io in passato. -Ascolta-. Cominciai,
lanciando ancora un’occhiata all’uscita del cinema. -Tu fai un favore a me
e io lo faccio a te-. Gli proposi non sapendo che altro fare. Non voleva liberarsi
di me, nonostante fosse terrorizzato. Doveva averlo impietrito la mia
occhiata raggelante. -O… okay-.
Rispose, stranamente docile. Il potere di un
vampiro aveva sempre e comunque la meglio. Istintivamente aveva capito
che ero io il più forte. Fu in quel momento che
vidi Bella uscire di fretta dal cinema e trattenni il respiro. Dovevo
seguirla. Ma dov’era Jessika? Panico. Era notte, avrebbe
potuto incontrare qualche malintenzionato ed era già
successo in passato. Conoscendo la sua fortuna avrebbe attirato qualche
guaio. -Ehi, amico, ehi-. Mi
chiamò David, ma io ero completamente concentrato
nell’osservare i movimenti di Bella. Si sedette sulla
panchina, vicino alla biglietteria, e reclinò la testa
all’indietro, guardando il cielo. Sembrava piuttosto stanca. -Uh…
è lei?-. Mi venne vicino e la fissò con
interesse. -Carina, sembra normale-. Concluse con aria assorta. Bella scoperta, ovvio.
-Ed è per
lei che devo farti un favore?-. Chiese contento. -Non ti azzardare-.
Ringhiai arrabbiato. Si irrigidì
e fece subito un passo indietro. -Scusa eh, volevo solo
darti una mano-. Si offese e incrociò le braccia al petto,
stizzito. -Ma se vuoi conquistarla, seguirla non è la cosa
giusta, di solito si spaventano-. Mi consigliò e io
socchiusi le palpebre, esasperato. -Senti…
devo andare-. Nonostante desiderassi avvicinarmi a lei sentivo strani
sensi di colpa, come se lasciarlo lì da solo non fosse la
cosa più giusta da fare. -Ma certo. Ci si vede,
eh?-. Mi salutò alzando la mano e io sospirai. -Vedi di farti trovare
qui tra qualche giorno-. Lo ammonii e intercettai il suo sguardo
perplesso. -Verrà mia
sorella ad aiutarti-. Conclusi e lo vidi strabuzzare gli occhi. Sperai che Alice
vedesse in qualche modo la mia decisione di aiutare quel ragazzo. -Che?
Senti…-. Iniziò, ora incredulo. Non credeva alle
mie parole. -Mio padre
è un medico, saprà come aiutarti. Sta qui e non
ti muovere-. Lo intimai ancora e lo minacciai con la mano. -Tanto
questo è territorio tuo-. Conclusi lanciando
un’altra occhiata sopra il secchione. Jessica aveva
raggiunto Bella e ora stavano parlando del film. Il mio cerbiattino era
semplicemente stufa di continuare quella farsa, lo diceva il suo
sguardo, ma non poteva fare altro che sopportare. -Come fai a dirlo?-.
Continuò David e io mi voltai verso di lui. L’avevo
letto nella sua mente. -Ho tirato a
indovinare. Sta qui, va bene?-. Ripetei ancora una volta, sperando che
gli fosse chiaro il concetto. Mi sforzai di pensare intensamente alla
mia decisione, confidando ancora in mia sorella. Alice non avrebbe
potuto ignorare la mia richiesta, da sempre lei vedeva tutto
ciò che io provavo. David era ancora incredulo, ma non avevo
tempo per spiegargli. Non appena vidi Bella alzarsi e cominciare a
camminare mi mossi per seguirla. -Ehi-. Mi
chiamò d’un tratto David e io mi voltai. -Stanno andando verso
una zona non molto okay-. Mi informò e io annuii. -Pete il
Guercio, il bar. Sono fecce, sta attento alla tua tipa-. Gli sorrisi e lo
ringraziai. Ricevetti come risposta un gesto stizzito, ma non ci feci
molto caso. Mi acquattai sul muro dell’edificio e mi
avvicinai lentamente al mio cerbiattino facendomi scudo con il buio.
Fortuna che era notte, tutto andava a mio favore. Stavano andando a
mangiare qualcosa. Jessika continuò a blaterare le sue
considerazioni sul protagonista del film fino a quando i suoi occhi non
incrociarono quelli di quattro ragazzi proprio vicino al posto che mi
aveva indicato il mio nuovo amico. Subito mi irrigidii e
mi immersi nei loro pensieri. Non le avevano ancora viste, per fortuna. -Tornate indietro-.
Bofonchiai come se avessero potuto sentirmi. Avevo uno strano
presentimento, era come un déjà-vu. La mia mente
tornò al passato, alla sera in cui avevo salvato Bella da
ragazzi che volevano… meglio non ricordare. L’angoscia
mi fece respirare appena. -Tornate indietro-.
Ripetei. Vidi Jessica fermarsi
e ammutolire, spaventata, mentre Bella, ignara del suo timore,
continuava a camminare. Sperai che si bloccasse e tornasse sui suoi
passi. Ma non andò
come io avevo sperato. Gli occhi del mio piccolo Bambi si spostarono su
Jessica e si rivolsero nella direzione del suo sguardo. Maledizione, non
sarebbe dovuto succedere. Trattenni il respiro in preda ad una strana
sensazione. Perché avevo l’impressione che Bella
si sarebbe cacciata in qualche guaio? Ormai la conoscevo bene. Si voltò
verso quella banda non troppo lontana che finalmente la
notò. Impossibile non far caso a due ragazze sole, per
giunta carine. Fu un attimo. Il mio
cerbiattino si mosse nella direzione dei quattro e io sgranai le
palpebre, terrorizzato. No, non doveva farlo. Che stava facendo?
Stavolta non potevo salvarla, non potevo più fare la parte
del cavaliere nobile che salvava la damigella in pericolo. Non avrei
dovuto essere lì, anzi io non c’ero. Pregai che tornasse
indietro, ma le mie suppliche non vennero esaudite. -Bella, ma che fai?-.
La voce di Jessica, strozzata dalla paura, mi riscosse. Respirai sollevato.
Per un attimo avevo temuto il peggio. -Mi sembra di
conoscerli…-. Rispose Bella e io tremai. Lo sapevo. Sapevo che
lo avrebbe detto. La sua speranza era di ripetere il passato, di
tornare indietro. Era pura follia la sua. I pensieri dei ragazzi
si fecero fin troppo espliciti e la rabbia mi travolse. Certamente non
avrei lasciato che le facessero del male, a costo di farmi vedere da
lei. Il mio piccolo Bambi
avanzò verso di loro sulle gambe tremanti e io mi tesi,
pronto all’attacco nel caso fosse successo qualcosa. Non
l’avrei lasciata sola. Un passo lento dopo l’altro
segnò anche gli attimi della mia agonia; il tempo si
fermò improvvisamente e io trattenni il respiro. Quei quattro non erano
gli stessi dell’anno prima, ma le loro intenzioni non erano
delle migliori. Strinsi i denti cercando di sopportare le loro fantasie. -Bella, andiamo via!-.
Gridò Jessika e io fui d’accordo con lei. Sperai che la
ascoltasse e invece Bella non reagì. Si fermò un
attimo, come se l’avesse sentita, ma poi continuò
a camminare nella direzione opposta all’amica. Mi sembrava tutto
assurdo. Erano questi gli incubi degli esseri umani? Per fortuna, prima che
io potessi gettarmi come un folle in mezzo alla strada, fu Jessica a
farlo al mio posto. -Bella! Non puoi
entrare in un bar!-. Gridò presa dallo spavento. Bella non voleva
affatto entrare dentro, ma certo lei non avrebbe potuto immaginarlo. -Non sto entrando-.
Disse, assente, scrollandosi dalla sua presa. -Volevo soltanto vedere
una cosa...-No, non poteva vedere nulla, io volevo che si allontanasse
da lì, lei doveva farlo. -Sei pazza? Vuoi
suicidarti?-. Urlò Jessika fuori controllo. Io avrei fatto
lo stesso, non l’avrei lasciata andare, non le avrei permesso
di fare un altro passo avanti. -No, certo che no-. Il
viso di Bella si storse in un’espressione confusa.
C’era qualcosa che la bloccava, ma qualcos’altro
che la invogliava. Era questo a sconvolgermi. Mi aveva promesso che si
sarebbe tenuta lontana dai guai, sperai che lo ricordasse, ma con tutto
quello che era già successo, dubitai del suo giudizio. -Vai a mangiare-.
Mormorò il mio piccolo Bambi, indicandole il fast food. -Ti
raggiungo tra un minuto-. Non riuscii a rimanere
fermo. Mi avvicinai nel buio e mi portai all’angolo della
strada, guardandomi intorno e sondando i pensieri di quei ragazzi. Non
riuscivano a capire il motivo di tanto interesse nei loro confronti, ma
sembravano piuttosto interessati a ciò che stava accadendo. Male. Il teatrino stava li
divertendo molto. Non potevo ucciderli, non potevo torturarli e mi
maledii per la promessa fatta a me stesso di non fare mai del male a
degli essere umani. Con Bella
più volte avevo rischiato di mandare in fumo i miei buoni
propositi. Tuttavia non potevo
assolutamente permettere che le facessero del male. Finalmente mi decisi.
Mi portai lontano dal muro che mi celava ai suoi occhi e mi fermai
appena dietro Jessica. Avevo ancora il favore delle tenebre, ma un
lampione illuminava appena il mio corpo. -Bella, piantala
immediatamente-. Sibilai tra i denti, quasi senza parlare. Avrebbe letto le mie
labbra senza alcun bisogno che io parlassi ad alta voce, ne ero
convinto. Dannazione. Mi ero
scoperto e non avrei dovuto farlo. Gli occhi di Bella si sgranarono,
sconvolti, e il suo respiro si fece veloce. Ero sicuro che avrebbe
pianto se non ci fosse stato nessuno a vederla. Avevo sbagliato. Tornai a nascondermi
nell’oscurità, mimetizzando la mia presenza.
L’emozione mi stringeva lo stomaco, ma era più
forte la paura che potesse succederle qualcosa. Si guardò
attorno, sbattendo le palpebre, cercandomi. Voltò la testa
da una parte all’altra, insicura. Che fare? Agii
d’impulso e tornai alla luce, questa volta più
distante dalla sua amica. -Torna da Jessica-.
ordinai, fuori di me dalla rabbia. -L'hai promesso, niente di insensato
o stupido-. Non avevo idea di cosa
sarebbe successo, ma i miei occhi la supplicavano, la amavano. Ero
così felice che lei mi stesse guardando. Tuttavia non era
quello il mio primo pensiero. Scosse la testa,
chiudendo gli occhi. Quando li riaprì io non mi feci
più trovare. Ero indeciso. Tornare da lei oppure
farle credere come avevo già fatto che ero solo una sorta di
illusione? Non appena
barcollò verso il bar io non resistetti. No! Alzai la voce,
che si perse immediatamente non appena parlai. -Mantieni la
promessa-. La scongiurai. Jessica continuava a
stare lì, impietrita dalla paura che la sua amica potesse
fare qualcosa di sciocco o sbagliato. Non mi aveva nemmeno sentito. Bella rimase immobile
per alcuni minuti. Un’eternità. Il suo sguardo si
incupì e il suo cuore aumentò la
velocità dei suoi battiti. Non sapeva se credere o meno a
ciò che aveva appena visto e sentito. A me non importava
quello, in realtà, volevo solo che si allontanasse da
lì. Avrei fatto qualsiasi cosa.
Non
ci credoooo, sono qui per aggiornare Nadir. Dopo mesi e mesi che non
aggiornavo più, non avevo il tempo per impegnarmi in questa
fanfic. Ora ho più tempo per fortuna e posso ricominciare a
scrivere. Spero che qualcuno nonostante tutto la seguirà
ancora... dal prossimo capitolo mi dedicherò solamente a
Edward, alla sua storia... Devo riuscire a creare una storia senza che
Bella intervenga direttamente e per quanto sia estenuante sia per me
che per voi cercherò in ogni modo di renderlo "piacevole".
Scusate ancora per il ritardo, vi ringrazio per la pazienza e per i
commenti.
Al prossimo aggiornamento, spero
prima di tre mesi!! Malia.
Secondo, veloce
addio.
Inorridii
non appena la vidi voltarsi e darmi le spalle con noncuranza. Avevo la
netta sensazione che non si sarebbe allontanata, ma al contrario
avrebbe scelto di abbandonarsi al pericolo, e non ne capivo la ragione.
Pregai, scongiurai che si togliesse dalla mente quell’idea
assurda di poter affrontare dei tipi simili. E perché poi?
Perché commettere quella pazzia illogica? Avrei voluto
urlare, ringhiare tutto il mio sconforto, la paura che mi attanagliava
e non mi lasciava pensare lucidamente. Dovevo muovermi. “Edward
muoviti”, pensai. “Forza”. Strinsi i
denti per non permettere alle sensazioni di sconforto e paura di
travolgermi. Come la prima volta che l’avevo vista in
pericolo, proprio come quel giorno che l’avevo salvata dai
quei ragazzi dai pensieri ingordi e privi di morale. “Bella,
amore, no”, continuavo a urlare nella mia testa. La sua amica era
impietrita mentre Bella, un passo dopo l’altro, si avvicinava
all’abisso. Tentai con tutte le
forze di non ascoltare i pensieri di quei ragazzi, allontanandomi dalle
loro menti, ma i loro occhi puntati avidamente su Bella non facevano
che darmi la nausea. Mancava poco per perdere il controllo su di me,
poco per ucciderli, per divorarli e farli a pezzi senza
pietà. Non importava più, loro meritavano la
morte, la più atroce e lenta. Deglutii, portandomi
una mano alla gola, sentendo scivolare via da me il controllo che tanto
mi ero imposto. “Avanti,
dille che ci sei, dille tutto. Non vedi come sta soffrendo?
È colpa tua, tutta colpa tua”. Ero tentato, spinto
a fare qualcosa per lei, per noi, non potevo dimenticarmi di
ciò che avevamo condiviso insieme, non era possibile. Bella
era tutto per me, tutto di me. -Bella, girati!-.
Gridai ancora, una supplica, una dannata supplica che avrebbe dovuto
sentire solo lei. E così fu. Le mie labbra avevano solo
sussurrato, ormai nell’ombra, ma né Jessica
né quegli idioti si erano accorti di me, della mia presenza,
solo la mia piccola umana sembrava esserne perfettamente consapevole. Ovvio, non
l’avevo mai lasciata e ormai eravamo indissolubilmente legati
nell’animo. Fece un sospiro di
sollievo, lanciando appena un’occhiata alle sue spalle,
fugace e felice. Era… felice per aver sentito la mia voce
ancora una volta. “Ripetilo,
dille quanto l’ami”. “Non
posso” “Forza” “No” Era una lotta, contro
me stesso, la stessa lotta che mi aveva fatto impazzire per amore. Non
potevo guardarla camminare verso il dolore e la morte, ma dovevo
difenderla anche da me stesso. Sentii un dolore lancinante al petto e
mi piegai. Cuore… il mio cuore stava forse cercando di
battere? Ero terrorizzato come mai prima. “Bella, ti
prego”, gridai ancora nella mia mente. -Ciao-. La voce dello
sconosciuto mi fece gelare il veleno nelle vene. Raddrizzai le spalle
e, privo di qualsiasi sentimento, mi acquattai al muro, accostandomi a
loro. Se si fossero azzardati anche solo a toccarla avrebbero
assaggiato i miei artigli. E non ci sarebbe stata che la morte ad
aspettarli, non avrei avuto nessun rimpianto. Ringhiai, basso e
pericoloso. Bella sobbalzò al mio ringhio, ma il ragazzo non
se ne accorse, anzi, imbambolato a guardare il sorriso del mio
cerbiattino non si sarebbe accorto nemmeno di una palla di cannone
lanciata all’altezza del suo petto. Feccia. -Serve aiuto? Ti sei
persa?-. Le sorrise e si permise di farle l’occhiolino. Strinsi i pugni per
non saltargli addosso seduta stante. Respirai profondamente
l’aria che sapeva di smog e sudore, il loro puzzo era
pregnante, ma per fortuna il dolce profumo di Bella superava di gran
lunga quella sozzura insopportabile. -No, non mi sono
persa-. Rispose lei vagamente e la sua attenzione si spostò
verso un tipo più basso dalla carnagione scura. Lo osservò
per qualche minuto, mentre un brivido mi correva lungo la schiena. Mai
come in quel momento avrei voluto entrarle dentro, nei pensieri,
nell’anima, per capire cosa le stesse accadendo e
perché stesse rischiando in quel modo. Non aveva senso. Il mio sguardo non
riuscì ad allontanarsi dal viso etereo del mio piccolo
Bambi, che ora, indifesa, guardava l’altro ragazzo sperando
probabilmente di riconoscere in lui qualcuno. La smorfia della sua
bocca mi comunicò delusione e, confuso, non compresi il
motivo di tanta tristezza. -Posso offrirti
qualcosa?-. Chiese allora lui, consapevole della strana attenzione
riservatagli. “Tu provaci
e poi ti offro io all’altare dei vampiri. E sarà
divertente”, mi sorpresi a pensare. Non avrei mai creduto di
poter risvegliare così la mia parte oscura e violenta, ma
quando si trattava di Bella era impossibile riuscire a prevedere le mie
reazioni. -Sono troppo giovane-.
Ribatté lei, la voce flebile, ma sicura. Ottima risposta, ma
forse sarebbe stato meglio pensarci prima di avvicinarsi a loro.
Sospirai, domandandomi cosa fare. Nel mio cervello martellavano
differenti risposte e non certo onorevoli: deturpare, uccidere,
squartare erano le varie opzioni. La più interessante
sarebbe stata farli morire di paura per poi gettarli giù da
qualche burrone; almeno mi sarei divertito. Scossi la testa,
tentando di riprendere lucidità. Dovevo farlo,
dovevo… -Da lontano
somigliavate a dei miei conoscenti. Scusate, mi sono confusa-. Sussurrò il
mio piccolo Bambi, abbassando la testa e socchiudendo le palpebre. Vidi
gli occhi del ragazzo più grosso sgranarsi e per un attimo
incontrarsi con quelli dell’amico. La credevano un
po’ suonata: per fortuna. Non sapevano come
comportarsi. Da lontano avevano pensato che fosse più
grande, invece ora sotto la penombra Bella dimostrava più o
meno quindici anni. -Non c'è
problema-. Disse il biondo, amichevole. -Resta pure con noi, se ti va-. Certo, come no, magari
il giorno del mai. Soffiai, come un puma arrabbiato, e mi accovacciai
dietro l’energumeno. Se avesse osato insistere lo avrei
strozzato, pochi minuti e sarebbe stramazzato morto al suolo. Un
belvedere non indifferente dal mio punto di vista. -Grazie, ma non
posso-. Il bisbiglìo di Bella mi riportò alla
realtà e io la fissai, sollevato. Ora sì che
potevo riconoscere in lei la ragazza con un minimo di giudizio che
avevo conosciuto; scoprii le labbra ridacchiando. Giusto un pochino,
perché il mio cerbiattino era solito cacciarsi nei guai fin
troppo spesso e senza volerlo. -E dai, solo qualche
minuto-. Insisté il più basso, ma io lo zittii
subito dandogli un colpo secco sulla gamba. Si voltò, ma non
vide nulla nell’oscurità e la sua espressione si
fece perplessa. L’altro
seguì la direzione del suo sguardo e la loro disattenzione
permise a Bella di allontanarsi, con grande sollievo per me. I due si guardarono
allarmati più volte e cercarono di mettere a fuoco nel buio
intorno a loro. Nemmeno se fossi stato in bella vista mi avrebbero
messo a fuoco. Per divertirmi li
toccai ancora e, mentre i loro sguardi si facevano spaventati, mi
permisi di ringhiare in modo che potessero sentirmi. Scapparono non
appena Jessica e Bella sparirono dietro l’angolo. Non potevo
certo dirmi soddisfatto, avrei dovuto ucciderli, ma avevo promesso a me
stesso che non sarei più stato un assassino…
però il desiderio di seguirli per fargliela pagare era
davvero soffocante. Feci leva sulla bontà e i valori con cui
Carlisle mi aveva educato e riuscii in qualche modo a rientrare in
possesso di me. Mi tenni a poca
distanza dalle due amiche, agognando a uno sguardo di Bella come un
povero e stupido innamorato. Era stata lì, a pochi metri da
me, le avevo parlato e… e ora se ne stava pensierosa seduta
a un tavolo di un locale e fissava l’amica sovrappensiero,
mangiucchiando qualcosa di malavoglia. Portava alla bocca pezzi di
pizza di cui probabilmente non avrebbe sentito il sapore. Ormai avevo
imparato a riconoscere le sue espressioni ed ero convinto che
l’unico pensiero che le rimbombava nella mente fosse quello
di tornare a casa e infilarsi sotto le coperte che
l’avrebbero protetta dagli incubi. Non passò
molto tempo che mi ritrovai a seguire l’auto della Stanley
che l’accompagnava a casa. Non parlarono nel viaggio di
ritorno, ma tante parole si affollavano in me ed erano i pensieri
disperati dell’amica di Bella che non voleva assolutamente
più avere a che fare con lei finché si sarebbe
comportata in modo così strano. Non potevo darle torto, era
stata un incosciente ad andare incontro a sconosciuti, per giunta non
proprio benintenzionati. L’auto si
fermò di fronte a casa Swan; sentii Bella parlottare e
scusarsi, ma la mia attenzione si era spostata ai pensieri di Charlie
che stava aspettando sua figlia dietro la porta d’ingresso.
Sbirciava all’esterno pensieroso e preoccupato. Come dargli
torto, fino a poco tempo prima Bella sfuggiva al suo controllo, mentre
ora sembrava stranamente tranquilla e disposta a tornare a vivere.
Anche io ne ero felice, ma sospettavo con il mio intervento della
serata di aver solo peggiorato le cose. Mi arrampicai sulla
finestra della sua camera, ignorando la mia coscienza che insisteva nel
farmi spiare la conversazione tra padre e figlia, ma alla fine mi
imposi di dare al mio cerbiattino un minimo di riservatezza. Le dovevo
questo e altro dopo averle fatto vivere l’inferno. I sensi di colpa mi
colsero una volta entrato nella sua stanza. “Ma cosa ti
è saltato in mente di fare, eroe?”, iniziai a dare
segni di cedimento mentale proprio come in passato. -Davvero
io… io non lo so-. Bisbigliai atterrito a me stesso. “Se avesse
scoperto tutto ti avrebbe odiato, perché sei stato accanto a
lei senza dirle nulla”. Alzai lo sguardo verso
il soffitto, terrorizzato da quella consapevolezza. Come avrebbe
reagito nel venire a conoscenza del mio inganno? Io non avrei dovuto
essere lì, non… oddio. Caddi in ginocchio, come
preso da un raptus di follia, e mi presi la testa tra le mani, sentendo
un dolore lancinante entrarmi dentro e costringermi a ringhiare. Basta,
non ne potevo più di quelle agonie altalenanti. Percepii in lontananza
dei passi che salivano le scale, ma non riuscii a controllare la
sofferenza che era scoppiata nella mia testa e non mi permetteva di
respirare. Tra poco, ancora un poco, sì, poco, e Bella
sarebbe entrata dalla porta. Non poteva essere che lei. E mi avrebbe
visto, in ginocchio sul pavimento, angosciato per un’emozione
invisibile. -Nasconditi-.
Digrignai i denti, cercando di imporre al mio corpo un movimento che si
rifiutava di eseguire. Avanti, sarebbe
bastato così poco, ma ero immobile, e non desideravo affatto
spostarmi. Volevo che mi guardasse negli occhi, che ritrovasse
l’amore che avevamo condiviso. La fissai, mentre
ignara, si chiudeva la porta alle spalle e bofonchiava qualcosa tra
sé e sé. -Non posso andare via
da qui, scusa Charlie. Non ci riesco-. Non guardò
dalla mia parte, ma si gettò sul letto sconsolata,
stringendo il cuscino e tentando di rilassarsi. Si tolse le scarpe da
ginnastica con un movimento veloce, ma non guardò mai in
direzione del pavimento accanto alla poltrona. Probabilmente era troppo
stanca, o forse pensierosa; mi diede le spalle, stesa su un fianco e si
rivolse verso la finestra aperta, fissandola come se si aspettasse
ancora di vedermi entrare da un momento all’altro. -Alice, dimmi che la
sua voce oggi non è stata solo un sogno-.
Bisbigliò e io sospirai. -Ed era come se fosse
lì, di fronte a me-. Continuò portandosi le
braccia sopra la testa per rannicchiarle ancora contro di
sé. Mosse nervosamente le gambe, fasciate dai jeans, e si
sollevò di scatto, mettendosi seduta. Gli occhi bassi, le
spalle curve, chissà se avrebbe alzato il mento e voltato lo
sguardo verso di me. Sarebbe stato così semplice. Si
abbandonò di nuovo sul copriletto e i sorrisi della sua
distrazione. Ero proprio lì, raggomitolato ai piedi del suo
letto, accanto alla poltrona, e nonostante bramasse la mia presenza,
non era riuscita a vedermi. O almeno, non aveva lasciato scorrere lo
sguardo per la camera. Era notte inoltrata,
di certo non si sarebbe aspettata di trovare un vampiro disteso sul
pavimento della sua stanza. La guardai con dolcezza e mi alzai in piedi
solo quando il suo respiro si fece pesante e regolare. Non si era
nemmeno svestita per indossare il pigiama. I capelli scompigliati
e sulle ciglia l’ombra delle lacrime, Bella ai miei occhi
sembrava un angelo, intoccabile, perfetto e irraggiungibile. -È venuto
il momento di andare via-. Mi irrigidii e mi voltai per incontrare lo
sguardo della bambina che ormai mi era così famigliare. -Credi?-. Le risposi,
atono. Mi sorrise e corse
verso il letto, sedendosi sulla sponda e dondolando le gambe. -Io non voglio che tu
stia male-. Mi rivelò quando allungai la mano verso di lei
per scompigliarle i capelli. Quel gesto d’affetto fu
spontaneo; l’espressione della bimba era talmente sofferente
da non permettermi di pensare ad altro che a consolarla in qualche modo. La fissai mentre le
sue manine mi prendevano le dita e se le portavano alla guancia con
tenerezza. -Ti devo avvertire,
è giusto che lo faccia, lo sai. Vai via prima di vedere
quello che succederà. Il suo cuore ha bisogno che tu vada
via…-. Sussurrò, un mormorio appena udibile. Le ciocche scomposte
di color cioccolato le ricadevano lungo il visetto rubicondo. La mia
piccola Bella… mi accucciai accanto a lei che non smise di
guardarmi e portò la sua dita paffute all’altezza
del mio naso. -Arriverà
un uomo. È necessario che lui ci sia-. Mi confidò
e io rimasi immobile, impietrito da quella notizia. -No-. Bisbigliai. La bimba
annuì e mi rivolse un sorriso sdentato. Le era caduto un
dentino! Provai una piacevole sensazione di tenerezza che
riuscì a scaldarmi il cuore nonostante la notizia terribile. -Si
innamorerà di un altro?-. Diedi voce ai miei pensieri, a
ciò che avevo sempre temuto. -Ne avrà
bisogno e anche tu-. Disse e io mi sedetti sul pavimento, il cuore
incredulo. Non potevo credere che, dopo aver sofferto così
tanto, per Bella sarebbe stato così semplice dimenticare. E
proprio per merito di un altro. -Avevi detto che
niente ci avrebbe separati, avevi detto che saremmo sempre stati
insieme-. Non riuscii a contenere il mio scatto d’ira, ma
immediatamente mi pentii. Lei non aveva colpa, era solo il frutto delle
mie paure e delle mie speranze. -Infatti…
ma tu devi ancora affrontare te stesso e anche lei-.
Continuò con dolcezza, scivolando vicino a me e sedendosi
poco distante dalle mie gambe. Si appoggiò con il piccolo
corpo alla mia coscia e si stese, come se fossi stato un morbido
cuscino e non invece granito indistruttibile. -Io so chi sono,
ormai-. Mormorai, appoggiando la schiena contro il letto di Bella,
dimentico che il mio cerbiattino avrebbe potuto svegliarsi e vedermi. -Certo, come sai chi
sono io-. Rifletté, la manina sul mento. Aggrottai la fronte e
riflettei sulle sue parole. Non sapevo quasi nulla di quello
scricciolo: era un’illusione? La mia coscienza? Non ne avevo
certezza. Oppure… I nostri sguardi si
incontrarono e lei mi sorrise ancora. -In un modo o
nell’altro io sono con te-. Sussurrò e io
rabbrividii. Non poteva essere. Mi voltai verso Bella, che dormiva
profondamente e chiusi gli occhi. “Sono con
te”. -Non mi
lascerà mai, vero?-. Dissi più a me stesso e la
piccola scoppiò a ridere. -Quello che prova per
te non è semplicemente amore, se lo fosse ti avrebbe
già dimenticato. L’amore si alimenta quando sono
due persone a volerlo tenere vivo-. Proruppe saggiamente. Troppo
saggiamente per essere una semplice bambina, troppo consapevolmente per
essere solo la mia coscienza. -Non posso crederci-.
Continuai e aprii di scatto le palpebre. Bella… lei
non voleva lasciarmi solo. -Perché no,
io sarò sempre un legame tra voi due, anche quando tu sarai
lontano. Te lo prometto-. Sentenziò e si alzò in
piedi sulle gambe minute. Il suo sguardo si fece birichino, infantile,
e il mio cuore si sciolse di dolcezza. -Andrò
via-. Le promisi, nonostante il dolore che mi causava anche il solo
pensiero. -Promesso?-. Mi
chiese, sospettosa. -Se non lo facessi?-.
Domandai ansioso. Non volevo perderla. -Faresti soffrire
entrambi, devi rischiare-. Disse con un sospiro e mi voltò
le spalle. La guardai mentre si avvicinava alle assi del pavimento al
centro della camera e mi avvicinai a lei d’istinto, uno
strano presentimento nel cuore. Si sedette di nuovo e
mi indicò un punto preciso. Io seguii il suo dito, ma ancora
non riuscii a comprendere. -Devi vivere la tua
avventura e quando tornerai i vostri ricordi saranno lì
sotto, c’è un buco abbastanza grande per contenere
tutto-. La ascoltai e scoprii
che aveva ragione. Avrei potuto nascondere sotto le assi del pavimento
tutti i nostri ricordi, che avevo lasciato nella mia auto, per andare
via. Sì, ma verso dove? Io non avevo alcuna strada da
seguire. Mi sedetti e,
girandomi verso Bella, ricordai con chiarezza la sofferenza vissuta
qualche mese prima, quando il dolore sembrava accecante. Non potevo
vivere senza di lei, la sua lontananza aveva rischiato di farmi
impazzire. Un vampiro pazzo e masochista, d’altronde non
avevo avuto altra scelta dal momento in cui mi ero innamorato di quella
fragile umana. -Devo tornare
indietro-. Mormorai e tornai a guardare la bambina seduta al mio fianco. L’espressione
contenta non era scomparsa dal suo visetto e in un certo senso la
fiducia che lessi nel suo sguardo sincero mi convinse: sarei tornato,
un giorno, forse, e lei sarebbe stata mia nonostante l’amore
che avrebbe provato per un altro. Ero pronto. -Farà
male-. Affermai battendomi una mano sul ginocchio. -Meno male di
un’eternità di felicità-. Rispose con
un risatina divertita. -Sto parlando come un
essere umano, eh?-. Le feci notare e lei annuì. -Nel cuore lo sei
ancora, ma devi ancora capire-. Immaginai di non avere
altra scelta, se volevo andare incontro al mio destino. E non mi sarei
tirato indietro: l’avrei fatto per me stesso e per Bella. -Un
giorno…-. Iniziai, la voce tremante. -Un giorno avrete modo
di rincontrarvi, e sentirai i rintocchi del fato-. I rintocchi del fato,
che sciocchezza. Mi voltai ancora per guardare il mio piccolo Bambi
dormire spensierata, ma mi irrigidii: il suo corpo stava iniziando a
muoversi nervosamente. Cercai con gli occhi
la bimba che fino a un attimo prima aveva avuto per me parole
rassicuranti, ma era scomparsa. -Bella…-.
Mormorai non appena un urlo agghiacciante squarciò la notte. Incubi. Stava ancora
sognando; e io che pensavo che il peggio fosse passato. Le andai
vicino, controllando prima i pensieri di Charlie; non sentii nulla,
stava dormendo e non si era accorto del grido. Doveva essere stanco. Bella
mugolò rigirandosi nel letto su un fianco e poi
sull’altro, muovendo le gambe come se stesse cercando di
liberarsi da una trappola invisibile. “Devi andare
via”, gridava la mia coscienza. -Non ce la faccio-.
Era una lotta impari, amore e morte si contorcevano dentro di me.
-Ancora un attimo-. Supplicai me stesso. “Un
attimo…”, ripetei cercando di convincere me stesso. Fissai la donna che
amavo, disperata, mentre le lacrime cominciavano a scorrerle sulle
guance. Non potevo lasciarla sola, sarebbe stato come un secondo addio,
sarebbe stato come ferire i nostri cuori per ucciderli definitivamente.
Senza di me lei non si sarebbe mai tranquillizzata, ero io ad averle
dato la forza di reagire, io e solo io. Come avrebbe potuto mai amare
qualcun altro? -Bella…-.
Feci un passo verso di lei, un altro, ancora un altro fino a quando non
coprii la distanza che ci separava e non capii il motivo per cui sarei
dovuto fuggire: il futuro del nostro rapporto era nelle mie mani. Mi chinai su di lei e
le presi la mano tra le mie. Si calmò immediatamente e un
leggero sorriso aleggiò sulle sue labbra. Che sentisse
dentro di sé la mia presenza? L’avevo sempre
sospettato. -Amore-. La chiamai
abbassandomi sulle sue labbra. -Non è un addio, o almeno
spero. Spero di non ingannarmi. Ci rivedremo. Tieni il mio cuore con
te, proteggilo, e ogni volta che hai bisogno di me, chiamami, io ci
sarò, io ti sentirò-. Patetico. Un film romantico
non avrebbe raggiunto quei livelli di demenzialità, ma mi
stavo realmente strappando il cuore dal petto per lei. “Vai…
ora, o non andrai più via”. Mancava poco al suo
risveglio, così poco, presto avrebbe incontrato il ragazzo
che l’avrebbe aiutata, che l’avrebbe amata in mia
assenza. Destino. Io non avevo
mai creduto nel destino, ma avrei lasciato che si compisse se era
ciò che la piccola Bella voleva. Le sfiorai le labbra
un’ultima volta, emozionandomi per quel tiepido contatto e la
fissai per imprimermi i suoi lineamenti nella mente. Come se avessi
potuto scordare… impossibile. Con un respiro profondo mi
diressi verso la finestra, deciso a uscire definitivamente dal mondo
che mi aveva dato una possibilità di salvezza. Sarei tornato
nella mia macchina, avrei preso i regali, i ricordi, e li avrei
nascosti dove la mia coscienza o forse la pazzia, chissà, mi
aveva indicato.
Buongiorno!!! Come state
trascorrendo l'estate? Mi sono ritagliata un
pochino di tempo per scrivere questa mattina anche se dovrei lavorare,
uff. Sto perdendo tempo, però, non ho saputo resistere alla
tentazione di scrivere. Mi spiace se ogni volta sembro eludere i vostri
commenti che sono sempre molto preziosi per me e per la mia austima che
spesso fugge sotto le scarpe, ma vi assicuro che li leggo e che mi
raggiungono dritti dritti al cuore (ma che romanticona).
Perciò, credetemi, vi ringrazio di cuore e spero che
apprezzerete questo capitolo. Buona lettura e buona domenica!! Malia.
P.S. Il disegno
non è mio, ovviamente, ma è di un
certo o certa hildesen. Mi sembrava così dolce e ho deciso
di utilizzarlo...
L’avventura
ha inizio.
Mi sentii
stranamente distante da me stesso: ero altrove, ancora con Bella,
proprio lì, con lei, dopo aver nascosto tutto ciò
che avrebbe potuto ricordarmi il nostro amore. Non sarebbe bastato per
dimenticare il suo viso sofferente, né le sue lacrime,
né tantomeno i miei sentimenti per lei, ma avrei dato
ascolto al mio cuore per una volta; in fondo sapevo di stare facendo la
cosa giusta, anche se ormai non riconoscevo più
l’uomo che ero da molto tempo.
-L’hai
abbandonata-. Sussurrai a bassa voce accarezzando il volante della
Volvo.
Sospirai e
spinsi il piede sull’acceleratore. In passato mi avrebbe dato
piacere sentire il vento scompigliarmi i capelli, adoravo la
velocità, ma ora acuiva solo il mio senso di solitudine.
“So
dove devo andare”.
Sì,
conoscevo la mia meta, ma non sapevo come avrei affrontato il mio
passato e in che modo. Tentai di rilassarmi e guardai la strada
scorrere di fronte a me, chiedendomi come avrei reagito nel vedere la
tomba di mia madre.
In
realtà l’avevo visitata solo una volta e non del
tutto consapevole di ciò che ero diventato: un vampiro. A
che prezzo avevo continuato a vivere… E tutto per una
promessa: quella che mia madre aveva strappato a Carlisle.
“Salvalo”.
Ma con quali
conseguenze; non ero più stato lo stesso ragazzo
spensierato, con i suoi sogni di gloria, le sue aspettative. Avevo
semplicemente continuato a esistere. Potevo dire di essere ancora lo
stesso Edward? Forse no, non ero più quel ragazzino sbarbato
dai capelli ramati, dagli occhi verdi, che se ne stava solo e
pensieroso a guardare ogni giorno l’alba, affascinato. Ero
diventato un mostro capace di seminare morte e non ero stato
più in grado di godere del sorgere del sole, dimentico
dell’importanza stessa del dono che mi era stato fatto,
quello dell’amore umano.
Guardai
verso il sedile del passeggero, ricordando il modo in cui Bella si
irrigidiva ogni volta che si sedeva vicino a me, attratta dal mio
aspetto e dall’irresistibile voglia di cedere al profumo del
vampiro che le stava a fianco e che guidava come un pirata della strada.
Sorrisi.
Beh, aveva scioccato anche me il desiderio provato fin
dall’inizio per lei, che si mescolava alla fame, ma non era
solo quello: avevo seriamente dimenticato cosa significasse vivere fino
a quando non avevo incontrato Bella, che aveva fatto rinascere in me il
desiderio di sentirmi solo un uomo come tanti altri, ma più
bello degli altri, in grado di poterle far battere il cuore, capace di
farla arrossire ed eccitare.
-Non
dimenticarmi-. La supplicai, come se fosse stata lì, ancora
vicina a me.
Patetico,
non facevo che ripeterlo. Dovevo smetterla di pensare al passato,
dovevo invece riflettere sul futuro, se di futuro potevo ancora
parlare. La mia speranza? Poter tornare con Bella. Perché
mentire a me stesso… aveva ragione la piccola bambina
dall’ignota identità: mancava qualcosa nel nostro
rapporto, qualcosa che lo avrebbe rafforzato e fatto vivere in eterno.
Quel qualcosa, o meglio qualcuno, era Edward. Era il me ragazzo che
Bella tanto desiderava e che io avevo paura a far tornare, io non lo
conoscevo, in realtà non mi conoscevo.
Mi fermai in
una piazzola di sosta, per godere dell’aria fresca, e mi
appoggiai con la schiena contro la mia auto. Il cielo era scuro e non
prometteva niente di buono, un po’ come il mio animo, ma non
riuscivo a lasciarmi andare alla disperazione per aver lasciato Bella,
non ancora almeno.
Volevo
combattere per noi e per lei, dovevo provare.
-Ehi, ciao-.
Qualcuno si
avvicinò a me e io aggrottai la fronte, sorpreso
dell’improvvisa vicinanza di un essere umano: avevo
dimenticato di stare al mondo.
-Ciao-.
Risposi educatamente.
Era un
ragazzino, emh… più o meno della mia
età: circa diciassette anni.
-Vai da
qualche parte per caso?-. Mi chiese con un sorrisetto a metà
tra lo speranzoso e l’indisponente.
Lessi subito
i suoi pensieri; aveva un disperato bisogno di un passaggio. Ma cosa ci
faceva un ragazzino in giro da solo?
-Per caso,
sì-. Risposi cauto e lui mi rivolse un’occhiata
supplicante.
-Senti,
avrei bisogno di uno strappo fin dove puoi-.
Fece
spallucce, come se la cosa non fosse stata realmente importante, ma non
gli credetti. Potevo leggere la sua preoccupazione nello sguardo e
nella mente, ma non voleva darmi a vedere quanto fosse indispensabile
per lui.
-Non ho
soldi da darti-. Continuò poi rivolgendo lo sguardo altrove,
come se avesse fretta di andarsene.
Seguii la
direzione dei suoi occhi e mi persi nell’osservare alcune
persone all’interno dell’autogrill. Mhh,
chissà chi lo stava accompagnando e perché.
-Non credi
che qualcuno potrebbe preoccuparsi per te?-. Gli domandai allora, senza
perdere la calma.
-Parli come
mio nonno-. Ribatté con una smorfia.
Probabilmente
più come suo il suo bisnonno. Guardai ancora il ragazzo che
aspettava con ansia il mio assenso. In fondo avere compagnia per il
viaggio non mi sarebbe dispiaciuto, avrebbe distolto la mia attenzione
su ciò che mi ero lasciato alle spalle, troppo grande per
non schiacciare il mio animo ossessionato dai pensieri.
Con un
sospiro gli indicai lo sportello del passeggero, pentendomi
immediatamente dopo. Forse aveva dei genitori che lo stavano aspettando
da qualche parte; stavo rischiando nel portarlo con me.
-Grazie!-.
Era entusiasta.
Si
abbandonò sul sedile con un’espressione sollevata
e io misi in moto senza aspettare. Aveva tutta l’aria di
essere una fuga e la cosa non mi piaceva affatto. Non volevo ritrovarmi
con un seguito alle calcagna per un possibile rapimento.
-Sono Ansel,
piacere-. Cominciò sistemandosi meglio sul sedile,
sprofondò quasi.
Si trovava
curiosamente a suo agio con me. Sbirciai tra i suoi pensieri, una
mescolanza di confusione e paura che mi fecero venire voglia di
riportarlo subito indietro. Sentii odore di guai.
-Dove sei
diretto?-. Gli chiesi, senza rispondere alla sua richiesta di amicizia
e confidenza.
Sollevò
un sopracciglio e tossicchiò imbarazzato.
-Lontano-.
Tagliò corto e sembrò aver perso improvvisamente
la lingua.
Non avevo il
minimo dubbio. Mi imposi di non frugare ulteriormente nella sua mente
per cogliere quale fosse il problema; non volevo ritrovarmi con un
altro peso sulla coscienza. Mi stupii di avergli offerto un passaggio:
da quando davo ascolto al mio istinto?
-Edward-.
Tossicchiai poi, maledicendomi subito dopo.
Annuì
senza dire altro e allungò una mano verso il cruscotto,
accendendo la radio. La musica si diffuse nell’abitacolo e io
mi rilassai, o almeno cercai di farlo, ma il pensiero di aver preso una
decisione stupida iniziò a infastidirmi.
-Ed, come
vai a donne?-. Mi domandò e io aggrottai la fronte,
perplesso.
Deglutii
saliva velenosa e cominciai a credere di aver fatto davvero la scelta
peggiore della mia vita ad aver lasciato Bella da sola. Ora avrei
dovuto affrontare altri pensieri, altri problemi, come
quell’adolescente impossibile seduto accanto a me e
intenzionato a chiacchierare.
-Non ho una
ragazza-. Mentii. In verità l’avevo abbandonata,
ma preferii non rivelarglielo.
-No? Non ci
credo-. Rise. -Sei un tipo strano, uno di quelli che piace alle donne-.
Pregai da
ragazzo di non essere stato così idiota.
-Forse-.
Trattenni uno sbuffo irrequieto e strinsi ancora più forte
il volante tra le dita.
Ancora
qualche secondo e l’avrei sgretolato tra le mani. Mi
controllai e sperai che Ansel non si fosse accorto del mio nervosismo.
-Ma dai, non
dirmi stronzate-. Commentò portandosi una mano nella tasca e
tirando fuori un pacchetto di sigarette. Questa volta non riuscii a
trattenere una smorfia disgustata: tutto, ma non quell’odore,
era nauseabondo e marcio.
Decisi di
trattenere il respiro, e non appena si accorse della mia reazione,
immobilizzò la mano a mezz’aria e mi
fissò con uno sguardo tra l’allibito e il
divertito.
-Salutista?-.
Chiese frugandosi nella tasca per cercare l’accendino.
-Non
più di quanto tu creda. Detesto l’odore-. Ammisi,
e la sua espressione si impietosì.
-Sei gay?-.
Rimasi
esterrefatto a quella domanda e mi voltai per guardarlo, dimentico
della strada davanti a noi. Impallidì all’istante
vedendomi guidare con sicurezza senza fare alcuna attenzione e
indicò con mano tremante di fronte a sé.
-Sono quello
che sono-. Gli risposi poi, pentito di averlo fatto salire in macchina.
Non
sopportavo le nuove generazioni, avevano nell’animo una tale
superficialità che avrebbe invidiato persino
l’intelligenza acuta di un verme purché si
attenesse ai loro stupidi parametri di categorizzazione mentale. Era
aberrante.
Scoppiò
a ridere e avvicinò l’accendino alle labbra
accendendosi la sigaretta.
-Io dico che
sei gay-. Insistette con un sorrisetto strafottente.
Meglio
ignorarlo. Non volevo certo cedere alla tentazione di ucciderlo, no,
non volevo. Però forse una tiratina a quel collo…
Mi imposi
calma e tornai a guardare la strada in silenzio, pregando che la
sigaretta gli andasse di traverso. Un vampiro costretto a sorbirsi la
presenza di un essere umano… Dio, ero diventato proprio uno
scemo, purosangue idiota, che si faceva controllare come una marionetta
dagli umani. Non tutti erano degni di rispetto, forse di vita
sì, ma non di rispetto. Carlisle era fin troppo buono e
magnanimo, ma lui in fondo aveva un’esperienza religiosa
più profonda della mia.
-Avevo una
donna, ma l’ho abbondata-.
Ecco, e
adesso perché gli confidavo i miei problemi personali?
-Ti eri
rotto il cazzo?-. Continuò inspirando una boccata.
Evitai di
respirare per non agire d’istinto. Gli avrei tolto quella
robaccia dalle mani e l’avrei scaraventata fuori dal
finestrino. Quel ragazzino sembrava inconsapevole della vita e della
morte, quando gli esseri umani erano così dannatamente
delicati. Bella… lei era un fuscello pronto a piegarsi a
ogni mio desiderio… Bella…
-Huston,
abbiamo un problema. Ma lo sai che mi sembri davvero mio nonno?-.
Ridacchiò e gettò la sigaretta fuori. - Ecco,
contento? Stavi per morire dallo schifo-.
“Ti
assicuro che non ero io che stavo per morire ragazzino, non
io”, riflettei e cambiai marcia aumentando la
velocità.
Non mi curai
della sua reazione, avevo bisogno di un po’ di movimento: una
compagnia come quella rischiava di farmi spazientire.
-Torno da
lei-. Urlò al di sopra del rumore del vento che entrava
nell’auto scompigliandogli i capelli.
Sospirai.
Ecco spiegata una parte dell’arcano mistero: il ragazzo
innamorato stava fuggendo per tornare dalla sua bella dama. Un
po’ troppo romantico come pensiero per via dei tempi, ma
immaginai non fosse tanto differente l’amore del mio tempo da
quello odierno: ecco sì, solo un po’
più… più esplicito.
-Ah, e
perché?-. Alzai il tono e abbassai di scatto la radio. Ora
il discorso cominciava a farsi interessante.
-Perché
mi sono innamorato, ecco perché. Cazzo, non mi va di
trasferirmi-. Sbuffò e frugò di nuovo nelle
tasche alla ricerca della seconda sigaretta. Deviai di scatto per farlo
sbattere contro lo sportello ed evitare che aprisse il pacchetto.
Così fu; gli scivolò dalle mani, mentre io
riprendevo facilmente il controllo della macchina, e
fatalità volle che se lo lasciò scappare fuori
dal finestrino.
Mi
complimentai per la mia classe.
-Una bella
ragazza?-. Chiesi noncurante della sua occhiata omicida. Gli sorrisi
mellifluo. -Volevo evitare un tasso che attraversava-.
Ma quale
tasso e tasso in autostrada… lo sapevamo bene entrambi.
-Stupenda. E
porca puttana, il sesso con lei è…-. Si
bloccò, come per cercare la parola giusta.
Tossicchiai
e per l’ennesima volta mi sentii vecchio. Un tempo non si
parlava mai di sesso in modo così esplicito, non mi sarei
mai abituato ai pensieri lascivi e perversi della gioventù
del ventunesimo secolo. Sì, ero decisamente vecchio.
-Ma dico,
sei proprio come mio nonno-. Mi insultò.
-Fino a
prova contraria, Ansel, sei tu quello innamorato cotto-. Ribattei
canzonandolo e iniziando a fischiettare allegramente
nell’abitacolo.
Lo trovai
simpatico, almeno sincero. Non avrebbe fatto del male a nessuno, era
solo un immaturo alla ricerca di qualcosa di vero che mancava alla
maggior parte degli adolescenti.
-Che cosa ci
facevi in un autogrill?-. Mi ritrovai a chiedere, sempre più
curioso.
-Mio padre
ha lasciato mia madre per un’altra donna, un mostro con il
naso a patata, e vuole trasferirsi a Phoenix-.
Un mostro
con il naso a patata… immaginai la figura della donna e
inevitabilmente scoppiai a ridere. Una risata così sincera
che diradò le nuvole oscure nel mio animo. Una ventata
d’aria fresca e schietta che riuscì a liberarmi da
catene invisibili, quelle del mio perbenismo.
-Okay,
abbiamo appurato che lei non ti piace. Ma quanti anni ha?-. Ormai ero
davvero curioso di capire.
-Non ci
crederai, ma ne ha appena tre più di me. Ha
vent’anni!-. Sbottò tutto d’un fiato e
io provai compassione verso quel ragazzino che era fuggito per non
dover sopportare una situazione simile.
Lo avrei
fatto anche io se mio padre fosse scappato con una donna più
giovane.
-Lei
com’è?-. Continuai a chiedere.
-Mi stai
facendo l’interrogatorio, cazzo. Sarai mica uno sbirro-.
Non rise, la
voce falsamente allegra. Compresi invece la sua disperazione di
ragazzo; in passato era stata anche la mia quando avevo scoperto che
ogni cosa sarebbe stata più grande di me, impossibile da
controllare: eppure per lui non c’era ancora nulla di
inevitabile e perduto.
-Ricordo
bene mio padre-. Gli confidai, preso da un moto di compassione.
-Morì quando avevo diciassette anni-.
Ritornai con
la mente in quel maledetto ospedale in cui si giocò il mio
destino. Ricordai la sofferenza del volto di mio padre e mia madre, la
certezza che saremmo morti tutti a causa dell’influenza
spagnola. Il tocco di papà sulla mia mano e la speranza che
in qualche modo io potessi salvarmi dalla morte e
dall’orrore…
-Emh, quindi
da poco-. Intuì.
Non proprio.
Mi lasciai sfuggire una risatina: mi ero dimenticato di sembrare un suo
coetaneo, mi sentivo decisamente una mummia rispetto a lui.
-Sì-.
Mentii.
-Mi
dispiace. A volte penso che vorrei vedere mio padre morto, ma non ho
realmente mai pensato alla morte-.
Non risposi
a quella considerazione. Anche io, come Ansel, avevo desiderato la
morte di mio padre. La smania di renderlo orgoglioso di me, di fare
onore al nome della famiglia Masen, mi aveva spinto a combattere una
stupida guerra, per diventare un eroe: un eroe, sì, ma sulla
mia tomba c’era scritto soltanto un nome che nessuno avrebbe
ricordato insieme a quello dei miei genitori, ma io a differenza di
loro non ero e non sarei mai stato sepolto con loro.
L’avevo odiato.
-Pensi che
tornare da lei sia la soluzione?-. Domandai e lo sentii sospirare
rumorosamente.
-Lei non mi
fa sentire inutile, non mi sento un mostro-. Mormorò appena
e io mi immobilizzai, colpito dalle sue parole.
Un
mostro…
-Parli come
mio nonno-. Bofonchiai con sorrisetto che voleva tirarlo su di morale e
ci riuscii.
Scoppiò
a ridere e io lo imitai, sinceramente rallegrato dalla piega che avevo
dato alla conversazione. Trovai curioso che Ansel non avesse timore di
me nonostante fosse ormai chiara a entrambi la diversità che
ci distingueva: io sembravo proprio un buffo signore di altri tempi.
-Già,
ma tornando alla questione sesso, rimane sempre la migliore-. Rise
ancora e io capii che aveva bisogno di tutta quella
superficialità per sentirsi al meglio, per distinguersi. In
fondo al suo cuore non era poi tanto differente da un eroe romantico,
con il bagaglio culturale di uno scaricatore di porto, ma pur sempre un
romantico.
-E la tua
lei, l’hai lasciata perché non te la dava?-. Mi
chiese alzando di poco il vetro del finestrino.
Emh, Bella
sarebbe stata entusiasta di avere rapporti sessuali con me, io invece
non proprio. Solo all’idea non riuscivo a controllare il mio
corpo e questo non poteva che voler dire una cosa: la sensazione di
trovarmi dentro di lei mi avrebbe fatto impazzire.
-No, lei era
ben disposta, diciamo che sono un tipo all’antica-. Gli
confidai.
Ecco
l’ennesima dimostrazione che non sapevo proprio adeguarmi ai
tempi.
Ansel era a
dir poco sconvolto, il suo viso esprimeva tutta
l’incredulità possibile: sembrava avesse appena
visto un fantasma. Si schiarì la voce e soffocò
una risata.
-Okay,
ammettiamo pure che tu sia completamente pazzo, e lo sei, devi essere
proprio innamorato…-. Constatò e io annuii.
Disperato e
succube dell’amore per Bella, avrei osato dire, tanto da
resistere persino ai suoi desideri e ai miei, tanto da soffocare la
fame, la sete, la brama e urlare di dolore ogni qualvolta le ero
vicino. Anche all’inferno avrei resistito per lei.
-Nemmeno…
palpate? Sai esiste il sesso orale, è grandioso-. Mi
istruì e io inevitabilmente sorrisi.
I primi
tempi avevo creduto di non resistere leggendo nella mente di ogni uomo
i desideri profondi, perversi e carnali. Sapevo ogni cosa sulle voglie
umane, pur non avendole mai sperimentate.
-Non mi
sembra così allettante per una donna-.
Era la prima
volta che parlavo così schiettamente con un ragazzo della
mia età e in modo così semplice, senza pensarci
troppo.
-Scusa se te
lo dico, ma penso che la tua tipa non avrebbe problemi con te.
Ma… dovresti prendere un po’ di sole, hai le
occhiaie scavate per quanto sei pallido-.
La sua
sincerità disarmante mi divertiva e intimoriva al tempo
stesso. Non mi ero mai sentito libero di parlare di qualunque cosa con
la mia famiglia e fino a quel momento non mi ero reso conto del fatto
che ero stato in passato fin troppo perfetto per essere vero. Bella
aveva sconvolto quella tranquilla placidità del mio animo,
facendomi tornare a essere il ragazzo che non avevo mai conosciuto.
-E comunque
ti fai troppi problemi, lasciati andare-. Mi consigliò
sporgendosi dal finestrino. -Porca puttana, ho bisogno di sigarette-.
Se lo avessi
fatto, lasciarmi andare, avrei messo seriamente in pericolo la vita di
Bella: non potevo permettermelo, ma forse… il ricordo dei
nostri momenti di intimità mi spinse a credere di poter
osare di più.
-Ormai ci
siamo lasciati-. Sospirai sconsolato.
Sollevò
le sopracciglia e mi squadrò.
-Se la vuoi
ancora, riprenditela-.
Troppo
semplice, non ero ancora pronto.
-Pensi che
io possa essere capace di… sì, di lasciarmi
andare? È difficile perché mi sembra di perdere
il controllo-. Gli confidai e lui rise di cuore.
-Capisco la
sensazione, è fantastica-. Bisbigliò sognante.
Non tanto
per me, ma avrei dovuto imparare. Il fatto che mi fossi rifiutato di
comprendere le relazioni umane non mi aveva aiutato in
cent’anni e adesso non era semplice per me capire quel
ragazzino, nonostante potessi leggergli nella mente non avevo accesso
al suo cuore.
-Dove vai?-.
Mi chiese d’un tratto.
-Chicago, la
mia famiglia è lì-. E anche una parte di me,
avrei voluto aggiungere.
-Rimani un
po’ a casa mia, mia madre sarà felice di avere un
damerino come te dentro casa. Potresti piacerle e tirarle su il morale.
Io non sono capace-.
Si
rattristò a quell’affermazione. Lo guardai
rabbuiarsi e sollevare le ginocchia al petto. In realtà
evidente la nostra differenza d’età nonostante io
apparissi così giovane. Il mio cuore aveva dimenticato ogni
spensieratezza, persino il significato di quella sofferenza
così umana, la stessa che avevo visto distruggere Bella
lentamente a causa mia.
-Se mi dici
dove sei diretto, potrei pensare di farmi ospitare da te qualche
giorno. Tanto non ho fretta-. Mi autoinvitai.
Da quando in
qua desideravo aiutare gli esseri umani?
“Devi
trovare te stesso”, non era più o meno quello che
aveva inteso dirmi quella misteriosa bambina? Non avrei lasciato nulla
al caso, il viaggio che avevo davanti a me sarebbe pur servito in
qualche modo a farmi capire.
-Dici sul
serio, Ed? Fantastico. Sei un romantico, vero? Mi aiuterai con Lucy-.
La sua
soddisfazione era talmente palese che non riuscii a soffocare il
sorriso spontaneo che mi venne alle labbra.
-Ho un
amico-. Lo sentii sussurrare entusiasta e la mia opinione su di lui si
fece nettamente positiva. E così gli esseri umani non erano
fragili solo nel corpo, ma anche nella mente. Tutte le loro voci che
avevano affollato la mia testa, così insistenti, che io
avevo rifiutato vomitando me stesso e decidendo per la mia
non-vita… avevo sbagliato a sopprimere la mia
umanità? E il mio essere vampiro? Carlisle mi aveva dato una
via, ma io mi ero ribellato. Ero tornato da lui dopo il disgusto
provato nell’uccidere gente, ma il vuoto era rimasto a
dilaniarmi. Che cosa fare? Come colmarlo?
-Il viaggio
è appena iniziato-. Proruppe Ansel e io mi trovai
d’accordo.
Un’avventura
lontano dal mondo di cui avevo memoria. Sarei riuscito a nascondere la
mia identità tra gli umani? Dovevo provarci,
perché avevo un disperato bisogno di trovare Edward.
“Bella…”,
pensai preoccupato e socchiusi le palpebre, pregando che qualcuno la
proteggesse al posto mio da se stessa e dal mondo che la circondava.
Buon fine agosto. Sono
tornata. Da un po' che mancavo con le fanfiction... un secolo. Ed
eccomi qui a riesumare Nadir. Storiella mia prediletta. Sempre
più difficile. Pian pianino dai Malia riusciamo a finirla
(mi incoraggio da sola). Ho pianificato 52 capitoli per questa storia e
fino al 38esimo almeno vedremo Edward lontano da Bella. Lo so, leggo la
disperazione nei vostri occhi. Non mi uccidete... ma se voglio fare le
cose fatte bene, come se fosse davvero il romanzo speculare della Meyer
devo fare così. Poi riprenderò il corso di New
Moon. Più o meno, se avete qualche scena in mente che
vorreste approfondire o che vi ha colpito e volete, non so, pensato a
qualcosa in particolare fatemi sapere. Sono tutta orecchi. Va bene? Al
solito vi ringrazio per i commenti e vi lascio alla lettura. Buon
Nadir!!!
Per chi vuole
seguirmi ormai lo sto dicendo ovunque questa è la mia pagina
su facebook: Malia85
Sofferenza e stati d’animo.
Fermai la Volvo di fronte alla
piccola villetta di periferia che Ansel mi aveva indicato. Spensi il motore,
voltandomi per chiedergli dove poter parcheggiare l’auto
perché non causasse troppo fastidio, ma lui era
già saltato giù dalla macchina e si stava
approssimando all’entrata, correndo contento. Fu sua madre ad
aprirgli la porta. Solitamente ero ben
felice di trascorrere ore e ore in macchina, ma la parlantina di Ansel
mi aveva portato all’esasperazione: era un bravo ragazzo, ma
alla lunga avrebbe messo a dura prova i nervi di chiunque. Scesi e
chiusi lo sportello, cercando di non disturbare il momento felice che
vedeva mamma e figlio abbracciarsi. Li guardai: io non
ricordavo l’abbraccio di mia madre ed Esme era sempre stata
molto rispettosa dei miei spazi, comprendendo il mio bisogno di
solitudine. Eppure adesso mi pentii di essere sempre stato restio a
qualsiasi tipo di dimostrazione d’affetto. Camminai sul selciato
e mi avvicinai lentamente all’entrata. Entrambi si accorsero
della mia presenza vicina, e Ansel mi fece segno di entrare; sembrava
felice di potermi presentare a sua madre. «Ma’,
questo è Edward, un mio nuovo amico. Dovremmo ospitarlo per
un po’, lui è in viaggio per “non so
dove”» disse tranquillo, facendo le presentazioni. La signora Jill mi
strinse la mano e mi squadrò da capo a piedi, evidentemente
imbarazzata. Ignorai il vago desiderio che lessi nei suoi occhi ed
evitai di guardarle nella mente. Sospirai. Beh, avrei dovuto stare alla
larga da lei, meglio. «Ciao
Edward», mi accolse con candore, fin troppo. Era stupita di vedere
un uomo così bello, non c’era bisogno di leggerle
nel pensiero per saperlo. Mi fecero entrare in
un salone poco illuminato e io ringraziai il cielo. «In questa
casa non c’è mai troppa luce», si
scusò Jill. «Colpa del
tempo, è sempre uno schifo in questo periodo»
borbottò Ansel gettandosi sul divano. Batté la
mano sul cuscino e io mi sedetti a fianco a lui. Non ero abituato a
stare in mezzo agli esseri umani, mi sentivo a disagio. «Edward,
sarete affamati, posso offrirti qualcosa?». Jill aveva uno sguardo
gentile, doveva essere una brava persona. Forse l’avevo
giudicata precipitosamente. «Sìììì,
adoro la torta che prepara la mamma, devi assolutamente
assaggiarla». Ansel mi
batté una mano sulla spalla e io tentai di sorridere: o mio
dio, ora sì che mi trovavo nei guai. Mi ero dimenticato di
un piccolo particolare: mi nutrivo di sangue e non di cibo. Tossicchiai
e Jill lo interpretò come un assenso vergognoso. Infatti dopo pochi
minuti mi ritrovai a mangiare una fetta di torta al cioccolato. Ora, per quanto mi
sforzassi, quel sapore proprio non voleva piacermi, ma finsi di stare
mangiando la cosa più squisita del mondo. Non volevo
offendere due persone che mi guardavano come se fossi la loro unica
speranza sulla faccia della Terra. «Allora?».
Ansel mi diede una
gomitata. «Davvero…
ottima», mentii. “Con una
bella spruzzata di sangue, sarebbe molto meglio”, riflettei. Il sorriso sul mio
viso però era sincero. Era divertente stare con loro, per
quanto dovessi impormi di fingere. Mi domandai se quella fosse la
tipica sensazione umana di vergogna nel trovarsi di fronte a una
persona sconosciuta con il quale si sarebbe dovuto convivere per un
po’ di tempo. Mi sentivo un ragazzino. «Ti preparo
la stanza, Edward, ma quanto ti fermerai esattamente?»
domandò lei tagliandosi una fetta di dolce. «Non vorrei
disturbare» cominciai, imbarazzato, tentando di evadere da
quella situazione. «Ma quale
disturbo, ti ringrazio di aver accompagnato mio figlio». La signora mi diede
una pacca sulla spalla, poi piegò il gomito e mi trasse a
sé, stampandomi un bel bacio sulla guancia. Rimasi senza parole.
Solitamente gli esseri umani non mi davano tanta confidenza. «Rimani
quanto vuoi, Ed, c’è da divertirsi. Ma a proposito
dove sei diretto?» mi chiese Ans, la bocca piena di dolce. «A trovare
mia madre» sussurrai, finendo a fatica il mio boccone. «Uh, e dove
abita?», si interessò Jill sedendosi di fronte a
me, i gomiti appoggiati sul tavolo. «Lei
è morta», bisbigliai. Il silenzio scese
immediatamente nella stanza; entrambi mi guardavano con
un’espressione addolorata negli occhi. Jill si stava
chiedendo come avessi fatto a cavarmela da solo, così
giovane, e Ansel invece cominciava ad ammirarmi e a voler essere come
me. «Mi
dispiace», si affrettò a dire lei e mi
sfiorò la guancia in un gesto di conforto. «Se hai
bisogno di qualsiasi cosa, chiedi pure». La sua gentilezza
riuscì a commuovermi. Annuii e guardai fuori
dalla finestra la pioggia che cominciava a battere sui vetri. La donna
ci lasciò soli e io pensai di dovermene andare al
più presto. Mi avrebbe fatto piacere stare in loro
compagnia, ma la mia diversità sarebbe uscita presto allo
scoperto. Solo pensare di dover fare tre pasti umani al giorno mi dava
la nausea. No, decisamente impossibile. «Devo
conquistarla» sbottò Ansel e io tornai a
guardarlo. Che? «La tua
amica?», chiesi. «Sì!
Ma io non sono mica come te. Hai visto che faccia ha fatto mia madre
quando ti ha visto? Effettivamente sei un tipo strano, te
l’ho detto». Afferrò un
bicchiere e si versò dell’acqua, bevendo tutto
d’un fiato come se si fosse trattato di liquore. «Lei
è troppo per me. Dai… consigliami qualcosa. Sono
convinto che tu ci sappia fare». Il suo sguardo
speranzoso mi fece deglutire veleno. Io? Con le donne non avevo alcun
tipo di sperienza. «Fiori?»
azzardai. «No,
è vecchia! Solo gli sfigati mandano fiori», mi
rimproverò. «Cioccolatini?»,
ci riprovai. «Ma dai,
così mi dice che la faccio ingrassare»
sospirò scuotendo la testa e stringendo gli occhi,
esasperato. «Non c’è modo, sono
spacciato». A quanto sembrava, pur
leggendo nella mente delle donne, non riuscivo a capirle. Che vergogna. «Una notte
di sesso?». Inorridii a quelle
parole, Ansel aveva pronunciato proprio ciò ritenevo
inconcepibile per conquistare una donna. «No,
decisamente». Stavo per scoppiare a ridere però.
Era proprio un adolescente in piena crisi ormonale. «Cosa ci
può essere di più divertente? Se poi ci sai fare
il gioco è fatto», si lamentò iniziando
a dondolarsi sulla sedia. Non era quello il
problema, prima di portare una donna nel proprio letto si doveva
conquistarla, e non il contrario. Effettivamente però i
tempi erano cambiati. «Scusa, ma
tu come hai fatto con la tua?», mi chiese
all’improvviso, tornando a mettersi comodo. «Improvvisazione»,
affermai, portandomi una mano sulla nuca e iniziando a grattarmi per
far scemare la sensazione di disagio. «Cioè?
Sembra interessante», commentò, e si
avvicinò a me, attento. «Sono tutto
orecchi». “Semplice,
dille che sei un vampiro”, pensai. Pensai, riflettei, ci
doveva essere un modo giusto. In fondo non era così
difficile capire la mente femminile. Forse conoscendo la ragazza avrei
potuto leggerle nella mente e capire cosa le piacesse. Pensai che
l’idea fosse buona; almeno così non avrei
rischiato di fare figure terribili. «Allora?»
insisté dandomi una gomitata. «Potrei
conoscerla?», insinuai. «Eh? Ma tu
sei matto. Quella si innamora di te al primo sguardo». Non aveva tutti i
torti. Incrociai le braccia e mi distesi, riflettendo. «Dovresti
invitarla a uscire, non so, fuori a cena per esempio. Chiederle
ciò che le piace, dimostrarti interessato. E non pensare
solo al sesso», lo ammonii. Pendeva dalle mie
labbra. «Se la
vedessi non penseresti ad altro nemmeno tu»,
ridacchiò. Non osavo immaginare
il tipo di ragazza che aveva attirato la sua attenzione, ma non ero
affari che mi riguardavano. Pensai a Bella, alla sua bellezza poco
appariscente, al suo sguardo da cerbiattino spaurito. Il suo corpo era
morbido, al contrario del mio, delicato come un bocciolo di rosa.
Sì, aveva ragione Ansel, ero un tipo fin troppo romantico.
Ma famelico. «Se posso
fare qualcosa, dimmelo». Ero sincero. Lui mi
strinse il braccio e poi annuì. «Sei tu il
capo, farò tutto ciò che mi dirai». Ah, allora si sarebbe
trovato certamente nei guai, ma evitai di farglielo notare. Si
affrettò a prepararsi e uscire di casa. Voleva invitarla
portandole un mazzo di rose. Ma non aveva detto che i fiori erano cose
da sfigati? Ancora una volta non commentai. «Dammi
l’imbocca al lupo» disse, sistemandosi la cravatta
sul collo. Persino a me sembrava
ridicolo vestito così elegante. Sospirai esasperato. «Non amo
molto i lupi». Mi lanciò
un’occhiata stranita e io sorrisi. Si strinse nella spalle
sistemandosi la giacca e io lo aiutai, poi prese un profondo respiro e
si apprestò verso l’uscita. «Sei un
amico» mormorò. Non avevo fatto nulla, ma
ugualmente gli diedi coraggio, felice di potermi rendere utile. Forse
non ero poi così terribile. Chiusi la porta alle
sue spalle e mi appoggiai allo stipite. Il pensiero corse di nuovo a
Bella. Guardai sull’orologio a muro: chissà cosa
stava facendo in quel momento. Un brivido mi percorse il corpo;
invidiavo Ansel per quella sua freschezza, quella sicurezza,
spavalderia giovanile. Io avevo perso tanto tempo prima
quell’innocenza. Bella… appoggiai la testa al
muro. Quanto aveva sofferto lei con me? Forse un tipo come quel ragazzo
sarebbe stato più adatto. No, nessuno poteva essere
più adatto di me. Immaginai che nessuno le sarebbe stato
vicino durante i suoi incubi, che si sarebbe sentita sola. Ma no,
probabilmente mi avrebbe dimenticato e non avrebbe più
sognato, si sarebbe circondata di amici. Osservai il corridoio
privo di mobili, sovrappensiero, e la vidi. «Cosa…»
bisbigliai. La bimba. Feci per seguirla, ma
lei mi sorrise e scomparve velocemente. Camminai fino a che non
raggiunsi il punto dell’apparizione, una camera in fondo al
corridoio. Allora sentii dei singhiozzi. «Perché…». Era Jill. I suoi pensieri mi
colpirono, così sofferenti, intimi. Era disperata
perché suo marito se n’era andato lasciandola
sola. E aveva cercato di portarle via anche suo figlio. Quella donna
stava soffrendo molto per ciò che era accaduto, ma non
voleva mostrarlo. Voleva dimostrare di essere forte. Ascoltai il suo dolore
e lo feci mio. Pensai alla stupidità degli uomini. Io che mi
pensavo un mostro a volte lo ero meno di tante persone che non avevano
mai ucciso nessuno nel corpo, ma l’avevano fatto nello
spirito. Bussai e lei si
asciugò velocemente le lacrime sulle guance. «Entra,
Edward» mormorò con un sorriso tirato non appena
mi vide. Perché
l’apparizione mi aveva indicato quella stanza? Forse la mia
coscienza voleva aiutare quella donna, o forse… non capii,
ma non appena fissai Jill in viso, così triste e sconsolato,
dimenticai i miei problemi. «Qualcosa
non va?», le domandai, rimanendo in piedi per rispetto. «Oh no, sai.
Ti ringrazio davvero molto per averlo riportato da me. È
tutto quello che ho». Naturalmente si
riferiva a Ansel. «Non ho
davvero nessun altro». E scoppiò a piangere. Così
fragili gli esseri umani, così difficili. Di mia iniziativa
mi sedetti sul letto accanto a lei. Se le avessi toccato una mano
avrebbe capito che qualcosa in me non andava, perciò rimasi
immobile e la fissai cercando di mostrarle la mia comprensione. «A volte gli
uomini si comportano in modo stupido», tentai di consolarla. Lei sgranò
gli occhi, sorpresa che io sapessi, ma poi annuì. «Ammetto che
sia stata anche colpa mia, forse non gli davo amore a sufficienza. Non
so. Ormai sono vecchia» rise, ma il suo riso aveva un che di
amaro. Avrei voluto darle un
diverso tipo di conforto, ma un abbraccio, una carezza, erano fuori
discussione. Sorprendentemente fu lei a cercare il contatto, le mie
dita, e le strinse senza sussultare o sobbalzare dallo stupore. «Dovresti
trovare una ragazza che scaldi il tuo cuore, sei un bravo
ragazzo», commentò solamente. Come se la mia
temperatura corporea dipendesse da quello, pensai. «L’avevo»,
le confidai. Sollevò lo
sguardo e mi osservò. Il sorriso ora era materno, dolcissimo
e io invidiai Ansel. Lui aveva una madre che si preoccupava per lui e
lo amava in modo incondizionato. «Vuoi
parlarmene?». L’invito non
voleva essere intrusivo, né voleva costringermi a parlare. E
io pensai che le avrebbe fatto bene pensare a tutt’altro che
non fosse l’uomo che l’aveva abbandonata. «Si chiama
Bella» iniziai. «L’ho conosciuta a
scuola». Parlare così mi rendeva più
ragazzo. «Edward»
disse «mi sembri così maturo, dubito quasi che tu
abbia l’età di mio figlio». Ancora un sorriso
materno e benevolo. Avrei voluto farmi abbracciare. «Ero molto
solo, lo sono sempre stato, ma ormai non pensavo che qualcosa avrebbe
risvegliato emozioni e sentimenti» confessai, lo sguardo
basso. «Davvero non lo avrei creduto». Jill annuì
e mi strinse più forte la mano. «Capita,
l’amore è così». Sì,
l’amore era così, ma sapeva anche fare molto male.
«Ma eravamo
diversi e questa diversità ha distrutto il nostro
rapporto» terminai così, freddamente, tentando di
controllare il dolore e il senso di colpa. «No,
assolutamente. Perché non le spieghi semplicemente cosa
provi nel sentirti differente? Cosa ti dice che lei non
capirebbe?». Non aveva mai capito.
Si era messa più volte in pericolo a causa mia. E quel
desiderio fisico, Dio, così fastidioso che non mi permetteva
di rimanerle lontano. La voglia di stringerla, baciarla, accarezzarla. «E se le
facessi male? Un giorno… se la facessi soffrire? Non me lo
perdonerei», bisbigliai. Le aveva
già fatto male. «Ma te ne
sei andato a causa sua vero? Lei ora starà soffrendo la tua
mancanza se ti ama veramente. Questo è il male
più grande per una donna innamorata. Se ha il tuo amore,
cosa potrà farle più male della tua
assenza?». Era una maledizione,
ovunque andavo mi veniva rinfacciato il mio errore. «E
ora?», chiesi titubante. «Ora
percorri la tua strada, supera il tuo disagio, perché
è tuo Edward, non suo, e poi torna da lei». Il suo abbraccio mi
commosse. Mi baciò una guancia e poi mi
scompigliò i capelli, come se fossi anche io un adolescente
da proteggere. «E
ricordati… vale sempre la pena affrontare momenti difficili
se tutto può migliorare». Era ciò che
credeva? Lo leggevo chiaramente nel suo sguardo. Era una donna disposta
ad affrontare le difficoltà e se possibile imparare a fare
meglio. Era una persona da cui
prendere esempio. La abbracciai ancora e lei annusò il mio
profumo estasiata: forse stavo esagerando con l’avvicinamento
fisico. Dovevo ricordarmi di essere pur sempre un vampiro e non un
semplice ragazzino adolescente. Avevo più di
cent’anni e mi facevo consigliare da un essere umano di
appena quaranta. Mi voltai, osservando
la foto di famiglia sul comodino, e riconobbi Ansel bambino in braccio
a suo padre. Anche a me un tempo sarebbe piaciuto avere una famiglia,
ma ora… «Non pensare
alle cose negative, pensa a quelle belle che potresti costruire. Non
abbiamo scelto noi ciò che siamo», mi
ricordò Jill a bassa voce, notando il mio interesse per la
foto. Mi alzai e la aiutai a
fare lo stesso. Le sorrisi e pensai di portarla da qualche parte per
farla divertire. Ero sicuro che non si svagasse mai e che fosse
difficile per lei lasciarsi andare. «Andiamo»,
le dissi. «Dove?»,
rise quando io la forzai. Non oppose resistenza
e insieme corremmo per il corridoio. «In riva al
mare», le risposi. «Edward, ma
qui non c’è mare». Rideva come una
bambina. «Ci
arriveremo prima o poi», le feci notare e la sua risata si
alzò di tono, incredula. La feci salire in
macchina, e la Volvo partì veloce. Volevo sentire dentro
di me quella sensazione di speranza, come quando ero ragazzo, quando
pensavo che la vita mi avrebbe riservato sorprese emozionanti. Ed ero
ancora lì, vivo, finalmente vivo, proprio io, che mi ero
rifiutato di vivere solo per odio verso me stesso. Era in questo modo
che avevo apprezzato il dono che mi era stato fatto? Jill
abbassò il finestrino e l’aria le
scompigliò i capelli. Era una bella donna, avrebbe presto
trovato una persona da amare che l’avrebbe ricambiata. «Grazie»
dicemmo all’unisono e l’ennesima risata felice si
diffuse nell’abitacolo. Il mondo era pieno di
sorprese. E non tutto era perduto. Nemmeno io lo ero ancora, e se
l’avevo pensato avevo commesso un grave errore. Per un’ora
buona corsi come un folle sulla strada, ma poi sentii odore di lago.
Non era il mare, ma era pur sempre uno spettacolo della natura.
Svoltai, cercando di raggiungere quella fonte, e di fronte a noi si
aprì d’improvviso una distesa cristallina immensa,
in cui si specchiava la luce pomeridiana. «Per questo
mi piace vivere» sussurrò Jill e io capii che da
un essere umano si poteva realmente imparare molto. Parcheggiai e insieme
scendemmo per ammirare il paesaggio. Jill mi prese sotto braccio e
insieme camminammo sulla riva del lago. Fortunatamente la luce era
leggera e non fastidiosa, perciò la mia pelle sembrava
più dorata che pallida. «Penso che
tu sia un ragazzo fantastico, chi ti sta aspettando,
Edward?», domandò dopo alcuni minuti di silenzio. «Non lo so,
voglio soltanto andare alla tomba di mia madre, e capire
perché sento di dover andare nel posto in cui sono
nato» le spiegai, pur non sapendo il motivo che mi spingeva a
raccontarle ogni cosa di me. «Le porterai
dei fiori?», mi chiese semplicemente, guardando lontano. «Non
so», riflettei. «La morte
è naturale, così come la vita. Finché
c’è». Il suo sospiro si
mescolò al vento che ci colse alle spalle. Formò
delle piccole onde e fece saltare alcune rane nell’acqua. Avevo perso molto
nella mia vita, anche il contatto con gli altri, dimenticandomi quanto
fosse importante. «Chissà
se potrà mai perdonarmi», pensai, dando voce le
mie paure più profonde. «Di cosa ti
preoccupi? Se lei è destinata a te, ti perdonerà
e starete insieme. Se non lo è, non avrai perso nulla, ma
imparerai a conoscerti e ad apprezzarti. Non tentare di essere diverso
da come sei. Guarda me, è stato inutile». Si riferiva al
rapporto finito con suo marito. Io non avrei mai abbandonato una donna
simile, che tipo quell’uomo, un pazzo. «Rimarrai
per un po’? Ansel ha bisogno di un amico come te, sai, sembri
uscito da un altro tempo, da un altro mondo», mi
confidò guardandomi negli occhi. «Non ho mai visto
un colore di occhi simile al tuo. Dorato». Mi osservata, attenta,
e io mi lasciai guardare. Non avevo paura che lei capisse, stranamente
ero affascinato dalla possibilità che un essere umano
potesse comprendere la natura di un vampiro. Bella mi aveva stupito con
la sua forza, avevo imparato a non sottovalutare gli umani. «Spero che
mi parlerai di più di lei» furono invece le sue
parole. Le appoggiai una mano
sulla spalla, stringendola a mo’ di conforto:
«Quando ti vedrò felice». Smettemmo di parlare e
adorammo quella distesa d’acqua con lo sguardo
finché non si fece troppo tardi. Avevo trovato una persona
diversa da me, in grado però di capire la mia sofferenza e
il mio stato d’animo.
Buongiorno!! Scusate il
ritardo dell'aggiornamento, ma ieri veramente ho vissuto un'avventura
per Roma e non sono riuscita in alcun modo ad aggiornare. Vi ringrazio
moltissimo per i commenti, ho visto nuove persone che stanno leggendo
questa storia e spero che piacerà e non deluderà.
Continuiamo... con i pensieri di Edward. Buona lettura!! Malia.
P.S.:
Lascio sempre il link alla mia pagina di facebook, nel caso vogliate
passare: Malia85
Problemi di gioventù.
Ansel tornò a casa
a sera inoltrata, gongolante. «Non lo
sai». Saltellò felice strattonandomi il braccio. No, non lo sapevo,
né volevo in alcun modo scoprirlo. «Dio, come
bacia bene, non hai idea, ha quelle labbra da stupro che ti fa venire
una voglia…». Quasi mi strozzai con
il veleno. Mi appoggiai alla parete e lo fissai con un certo
rimprovero. Erano cose da dirsi? Mi guardò e
poi abbassò la testa. «Ehi, manco
fossi mio padre, che sguardo», tossicchiò. «Non sono
tuo padre, ma evita, per favore. È una ragazza»
gli feci notare e lui mi venne vicino, guardandomi dritto negli occhi. «Secondo me
tu hai qualche problema» sussurrò e
continuò a osservarmi. «Ma dici di non essere gay.
Scusa che c’è di male a dire che ti vorresti fare
una donna?». Solo che non era nel
mio stile, non avevo mai pensato a una persona in quei termini. Non si
fermò: «Prendi la tua ragazza ad esempio, quella
di cui mi parlavi. Insomma non hai mai desiderato
sbattertela?». Potevo diventare
più pallido di quanto già non fossi? Per fortuna
mi venne in aiuto Jill che entrò in salone con una scopa in
mano, pronta per fare pulizia. «Ma dove sei
andato così conciato?», chiese al figlio e io
pensai di battere in ritirata. «Me
l’ha consigliato Edward, e ha fatto bene. Era così
stupita la mia cucciola, e poi mi ha baciato». Jill mi
guardò sospettosa e io distolsi lo sguardo. «Edward non
avrebbe bisogno di questo genere di espedienti»,
mormorò lei e io tossicchiai. Strano, Jill mi
piaceva. Era una persona rara. «Ma io
sì, non sono come lui», farfugliò e sua
madre andò a stampargli un bacio sulla guancia. «No
dai», si lamentò lui. «Dai ti
prego», ma lei non lo lasciò andare e
cominciò a stringerlo e abbracciarlo. Li guardai e provai un
senso di profonda mancanza. «Chi sarebbe
questa lei? Devo preoccuparmi?», disse stropicciandogli la
maglietta e scompigliando poi i suoi capelli. Rideva e il suo sorriso
illuminava la stanza. «Non
dirò niente», si lamentò Ansel e si
divincolò dalla stretta ferrea della mamma. «Mi
tratti come un bambino, con Edward non fai certo
così». Scossi la testa. Avrei
voluto avere io la fortuna di avere una madre, dolce e comprensiva come
Jill, sempre vicino. Sentii
all’improvviso una mano intorno al mio torace e sussultai.
Jill mi passò la mano tra i capelli, scompigliandoli e mi
fece abbassare la testa. Lasciai che mi torturasse come aveva fatto con
Ansel e la sensazione felice che provai mi fece ridere. «Ecco, sei
contento adesso?», lo rimproverò dopo avermi
scompigliato ben bene. Ansel rideva. «Edward devi
vedere che faccia che hai». Continuò a
ridere e si gettò sul divano. Jill riprese la scopa e
ridacchiò, dandomi una pacca sulla spalla, poi
uscì, e io rimasi ancora solo con lui. Non voleva proprio
smetterla di ridere. Ammisi di essermi sentito imbarazzato. Non avevo
mai scherzato in quel modo con nessuno, tantomeno con una donna, e
dell’età di una madre poi. Avevo sempre costretto
Bella a una sorta di lontananza che non aveva mai rispettato, e spesso
nemmeno io. «Allora, la
tua ragazza, parlamene», sbottò e
incrociò le braccia al petto. «No, ormai
è finita, te l’ho detto». Non avevo voglia di
pensare a lei. Era troppo forte la mancanza, il dolore, e avevo paura
di me stesso: avrei potuto salire in macchina e tornare da lei, preso
dall’impulso. Vedere Jill e Ansel mi aveva fatto desiderare
una famiglia, e Bella era la mia famiglia, aveva risvegliato in me
sentimenti umani che pensavo perduti per sempre. Ancora una volta fui
consapevole di quanto le fossi legato, quanto le dovessi. «Finita? Ma
smettila, si vede che sei cotto», sbuffò. «Ah,
sì, e da cosa lo noti?», domandai curioso e
contrariato. «Dal fatto
che non ci stai con la testa, sei innamorato». Io
“c’ero sempre stato con la testa”. Lo
fissai, la fronte aggrottata, e il suo sorrisetto di scuse mi fece
pensare di stare parlando con un muro. Perfetto, si era messo in testa
di farmi un bell’interrogatorio. «Tette?». Lo sapevo. «Senti, ma
si può sapere perché ti interessa?».
Stavo per perdere la calma. Lui non si scompose,
anzi, continuò a sorridere. «Sei troppo
chiuso, non capisci. A me non interessa, ma ti sei mai chiesto cosa ti
piace di lei? Andiamo… su… che qualche pensiero
l’hai fatto. E te la volevi scopare». Io? Non avevo mai
fatto simili pensieri. Mi corressi, qualche volta avevo desiderato
poter essere libero di accarezzarla, di lasciarmi andare con lei, ma
non avrei potuto farlo. «Dai Edward,
siamo tra maschi, dimmi qualcosa di, cazzo, qualcosa che pensi di
lei» borbottò portandosi le mani dietro la testa a
appoggiandosi ai cuscini. «Allora…
è carina, gentile, e mi ama», riflettei ad alta
voce. «E io sto
per vomitare», commentò. Non potevo essere
diverso, io ero così. Avevo desiderato Bella, molte volte,
ma mi sarei sentito in colpa a parlarne in termini animaleschi.
Sì, perché animalesco era il termine con cui
avrei definito il modo di parlare di Ansel. «Culo? Come
ce l’ha? Mandolino?». E mi fece con le mani dei
segni che immaginai fossero una forma. «Ma che ne
so come ce l’ha», esplosi. Mi fissò
allibito: «Tu non sei normale, devi sapere come è
fatta la tua donna. Devi apprezzare ogni forma». “Ma
sentilo”, pensai. Lui che insegnava a un ultracentenario cosa
fare con una donna. «Senti sono
vergine, va bene» continuò «ma ho fatto
del sesso orale, e altro, ho anche inc…» lo fermai
con un ringhio basso che gli fece venire la pelle d’oca. «Ehi, sai
imitare bene i cani» bisbigliò, ancora intimorito. «Anche io
sono vergine» ammisi. «Ma non voglio sapere cosa
hai fatto con una donna, né ti dirò cosa ho fatto
io. Sono cose personali». Mi guardò
come se fossi appartenuto a un mondo parallelo, una sorta di alieno
sceso dallo spazio per fargli conoscere una nuova civiltà.
Era ridicolo. Anche se un po’ mi sentivo anche io
così, dovevo ammetterlo. «Tu, sei
vergine?». Trattenne
l’ennesima risata e io socchiusi le palpebre. «Mh?»
borbottai. «No, scusa,
ma posso capire se lo sono io. Ma tu, dai, non scherzare. Avrai
centinaia di donne che ti corrono dietro».
Accavallò le gambe e mi fissò in attesa di una
risposta. «Io ne
volevo solo una», gli risposi. «Lei, Bella, era la
mia unica ragione di vita. E ora potrei dire lo stesso». Non credetti ai miei
occhi; Ansel prese un foglietto e cominciò a scrivere le mie
parole. «No, per
favore, non scrivere quello che dico», borbottai incredulo. «Come no, tu
hai proprio la stoffa del conquistatore».
Scribacchiò qualcosa e poi tornò a prestarmi
attenzione. «Allora?». «Non
c’è niente da sapere», tagliai corto e
mi abbandonai tra i cuscini, reclinando la testa di lato. «A
parte che sono un vampiro e mi nutro di sangue animale
perché non amo uccidere esseri umani». Il viso di Ansel non
cambiò espressione, concentrato, continuò a
scrivere. «Fico!»
gridò «questo la farà
impazzire». Non potevo crederci,
pensava fosse un espediente erotico. Risi, scoppiai a ridere come uno
sciocco ragazzino, aggrappandomi al divano. Ansel era simpatico,
davvero, mi stavo affezionando a lui, un Emmett in miniatura. «E parlami
di questa Bella, ti piace fisicamente?». La sua
curiosità era alle stelle, decisi di accontentarlo. «Lei
è minuta. Ma è carina, ha i capelli lunghi
castani e degli occhi nocciola spauriti che mi piacciono molto. Ed
è una sbadata». Il ricordo di lei mi fece
sorridere tristemente. «Quanto la amo» sospirai,
lasciando cadere la testa all’indietro. «Sei proprio
un matusa» replicò. Un cosa? Non avevo
capito: «Scusa?», chiesi. «Un matusa,
un vecchio. Conosci Matusalemme no, quello decrepito della
Bibbia». Sì, non lo
conoscevo di persona per fortuna, ma avrei di gran lunga superato la
sua età col tempo. «Io non sono
come te» bofonchiai. Era esasperante. «Ma cosa
c’entra? Non lo vorrei nemmeno io», mi
rassicurò, «sto solo cercando di farti pensare in
modo normale». Che gentile. E io che
pensavo che volesse farmi arrabbiare. Invece no, stava cercando di
farmi parlare per scrivere tutto ciò che dicevo. «Io sono
normale», gli feci presente. «Sì,
e io sono un vampiro», concluse. Inutile continuare. Mi
alzai, guardando l’ora. Potevo far finta di andare a letto e
dormire, era più o meno l’orario in cui Bella si
chiudeva nella sua stanza per stare con me. «Non ci
credo che hai sonno» sbottò. «E poi devi
parlarmi». Ancora, ma proprio non
voleva desistere dalla sua assurda intenzione. «Bella per
me non è un oggetto», digrignai tra i denti. «Ma lo sai
che sei noioso? Desiderare di farlo con una donna non significa
necessariamente per forza considerarla un oggetto. Secondo me hai avuto
problemi da piccolo», giustificò il suo
pensiero con un’alzata di spalle. «Non ho
nulla da dirti», feci per andarmene ma lui mi
afferrò per un braccio. Mi voltai e lo vidi scuotere la
testa e farmi segno di mettermi seduto. Fu piuttosto
insistente, perché non abbassò lo sguardo nemmeno
quando lo avvertii con un’espressione eloquente: ero stanco. «Non mi
freghi». E così mi
ritrovai di nuovo seduto. «Parlami di
lei» insisté. L’avrei
fatto se non avessi saputo che avrebbe scritto ogni parola per
rivendersela al momento opportuno. No, dovevo cercare di
uscire da quella situazione il prima possibile, ma non vedevo vie di
scampo, se non quella di accontentarlo almeno un minimo. «Cosa vuoi
sapere», accettai alla fine. «La
desideravi?», cominciò. La tortura era appena
iniziata. Annuii senza parlare e lui parve comunque soddisfatto della
mia risposta. «Ammetterlo
è così terribile?» chiese ancora. «No»,
bofonchiai. Subire una predica da
parte di un ragazzino era veramente umiliante. Proprio io poi che
potevo leggere nella mente, interpretare i pensieri e capirli. Avrei
dovuto prevedere un simile attacco. «E fin dove
ti sei spinto?», insinuò prendendo il suo bel
foglietto e la penna. In quel momento un
essere umano stava sconfiggendo un vampiro, e io non potevo fare nulla
per impedire di vergognarmi. Come se fossi io il più piccolo
tra noi due, quando in realtà conoscevo bene la
realtà della vita, le sue sofferenze. Eppure Ansel mi stava
mettendo in difficoltà. «Niente di
particolare», mormorai e lo guardai, sperando che la risposta
fosse sufficiente. Sollevò le sopracciglia e io capii:
«Solo accarezzati». «Vuoi dire
che non ti ha mai visto nudo?». Lo sapevo che saremmo
arrivati a questo punto. «No,
no». Feci una pausa non appena capii che stava per dire
qualcosa, forse voleva fare una delle sue battute infelici.
«Ed evita di commentare. Te ne sarei grato», lo
avvertii. Si mosse sul divano e
imitò la mia voce con sarcasmo: «Te ne sarei
grato!». E rise accasciandosi sui cuscini e fissandomi
divertito. «Sei troppo fuori tempo». Ero nato in un altro
secolo, quindi sì, aveva proprio fatto
un’osservazione esatta, una delle poche però. «Immagino
che stavate insieme da poco tempo», disse. «Un
anno». Questa era semplice. Ansel si
alzò di scatto e raddrizzò le spalle. «E tu in un
anno non hai mai cercato di vederla nuda?». Si
batté la mano sulla fronte in un gesto melodrammatico e
cadde a terra, fingendosi svenuto. Ma che idiota. «Non
è divertente» farfugliai. «No,
sono d’accordo. Ma dai non è
possibile!» sentenziò sollevandosi a fatica, in
modo decisamente teatrale. Sembrava ubriaco. «Possibilissimo.
Sono un ragazzo all’antica», tentai di spiegargli,
come se fosse stato possibile. «No, tu non
sei all’antica, tu sei pazzo! E pensi che questo faccia
piacere a una donna? Non essere desiderata, accarezzata, guardata? Non
ha senso» gridò quasi e io sperai che Jill non
fosse lì nei dintorni pronta ad ascoltare. Davvero non sarei
riuscito più a guardarla negli occhi se avesse saputo che
discorsi affrontavo con suo figlio. «Secondo me
dovresti essere un po’ più accondiscendente. Se
lei è normale, sono sicuro, ti desidera, rischi di perderla
se non farai qualcosa», mi consigliò e io feci una
smorfia. Non riuscivo ancora ad
accettare che provasse a fare la parte del fratello maggiore. «Non ho
avuto problemi fino a che non me ne sono andato», borbottai
incrociando le braccia al petto e rabbuiandomi. «Perché
lei è una santa! Non le hai mai detto quanto la vuoi, che
ogni giorno faresti l’amore con lei? Che ti piace
così tanto da perdere la testa quando è con
te?». Ogni tanto mi sembrava
di averle detto qualcosa, insomma più volte le avevo
ripetuto che era la mia ragione di vita, che la adoravo, più
volte avevo ceduto all’istinto di baciarla, accarezzarla. Il
profumo di Bella mi faceva perdere la ragione e mi ritrovavo in uno
stato di eccitazione quasi bestiale, ma non le avevo mai detto che
vicino a lei il mio corpo desiderava tanto… ecco,
sì, insomma, la desiderava tanto in quel senso. E
soprattutto non con quelle parole. «Non posso
farlo, le farei male» bisbigliai. «Ma quale
male! Lei ti ama, tu la ami, no? Secondo i tuoi canoni questo dovrebbe
almeno voler dire qualcosa», rifletté e io
ansimai, come se avessi avuto realmente bisogno d’aria. Cercai le parole
più giuste per spiegare, ma alla fine rinunciai:
«Certo, che significa qualcosa», sospirai
incurvando le spalle. «Allora
amala, non pensare sempre a ciò che è giusto,
pensa a ciò che farebbe impazzire entrambi. E sono sicura
che a lei tu piaci». Annuì, vicino alla scoperta
dell’America. Bella non aveva mai
fatto segreto di desiderarmi. Il modo in cui si muoveva, in cui mi
cercava, guardava, abbracciava, baciava, ogni cosa di lei mi diceva:
“ti voglio”. E anche io, anche io avevo spesso
giocato con le mie voglie e l’avevo stretta, leccata,
baciata, ma mi sembrava un tempo lontano. E quando l’avevo
vista spogliarsi nella sua stanza, inconsapevole della mia presenza,
stringere a sé il mio peluche e sussurrare parole di una
tale passione che mi avevano gettato nel desiderio più
puro… scacciai quei pensieri. «Ti sei mai
masturbato pensando a lei? Dai io l’ho fatto un sacco di
volte», ammise orgoglioso. Io un po’
meno. Eppure l’avevo fatto pensando a Bella. Mio dio,
l’avevo fatto veramente e mi era piaciuta la sensazione. «Beccato.
Sei così rosso che potresti accendere un fuoco».
Ammiccò e mi diede una gomitata su un fianco. Rosso! Ma io ero morto
e pallido. Impossibile. E non avevo sangue nelle vene. Evitai qualsiasi
tipo di risposta, proprio per non peggiorare la mia situazione.
Sembrava comunque soddisfatto. «Chissà
lei, mh? Te lo sei mai chiesto che effetto le fai?». Deglutii. Non dovevo
pensarci, mi avrebbe fatto sperare di poter un giorno capire sul serio
quale effetto le facevo, che tipo di sensazioni le davo e con quale
intensità. L’avevo vista stare male fino a morire
per me, mi domandavo come sarebbe stato darle piacere fino a morire per
il godimento. Oddio. «No,
mai» mentii. «Dovresti
farlo, ti fa sentire uomo». Sperai che fosse
l’ultima considerazione e che la smettesse di farmi domande
inopportune. Avevo l’impressione che volesse trascorrere
tutta la notte a parlare e a curiosare nella mia vita. Evitai di
leggere nella sua mente per saperlo. «Voi due,
ancora svegli? Ansel, non pensi che Edward abbia bisogno di
riposare?». Jill fece capolino in
salotto e io le lanciai un’occhiata grata, che mi
restituì con dolcezza. Mi alzai e mi stiracchiai sotto i
loro occhi, con fare affaticato, e poi mi scusai. «Ma…
non avete mangiato niente» disse all’improvviso. «Non
c’è problema, la sera non ho mai molta
fame». Come scusa poteva anche essere credibile,
perciò non avevo di che preoccuparmi. «Non fa
molto bene saltare i pasti, ma, come vuoi», mi sorrise
dolcemente. Sì, Jill
era proprio il mio ideale di madre. Dai miei ricordi non emergeva nulla
sulla mia vita passata, o quasi, ormai lontana, ma lei mi faceva
ricordare proprio una bella mamma. Ero certo che una madre avesse
persino il suo stesso odore. Era un profumo delicato e semplice. Pensai
a Esme e al suo tentativo di essere una madre per me: non
l’avevo mai capita. «Vado,
allora», mi accomiatai con una sorta di mezzo inchino. Jill mi
guardò e arrossì, Ansel mi fissò con
due occhi sbarrati, meravigliato da un gesto simile. «Sulla
destra, la seconda porta», disse, la voce flebile. Le sorrisi, grato, e
il suo rossore aumentò. Ma poi si riscosse e la sua mente
continuò a martellarsi col pensiero che io fossi solo un
ragazzo. E giovane per giunta. Mi incamminai verso la
mia nuova camera e pensai che le giornate non sarebbero più
state monotone. Ansel certo avrebbe fatto di tutto per scavare nella
mia vita, mentre Jill mi ispirava fiducia. Aprii la porta della stanza
ed entrai, certo che il nuovo giorno mi avrebbe riservato
novità. «Tutto
cambia quando trovi amici vero?». La bambina. Mi voltai
nella direzione del letto e la vidi seduta, dondolava le gambe. «Non sono
amici», puntualizzai. «Gli amici
non devono essere uguali, gli amici sono semplicemente
amici», mi spiegò e io mi avvicinai a lei
sedendomi sul letto. «Difficile
convivere con degli esseri umani» bofonchiai e la bimba
sorrise. «Non
è vero, tu sei molto umano» replicò e
poggiò la sua manina sulla mia coscia. «E sei
buono» continuò elogiandomi. «Tu mi
sopravvaluti» commentai senza espressione. «Sei tu che
non ti conosci. Ti ostini. Quel ragazzo e quella donna ti vogliono
bene», mormorò allungando la piccola mano verso il
mio viso. La presi e la strinsi.
Avevo la sensazione di sentire il profumo di Bella nell’aria,
così dolce, suo. «Loro non mi
conoscono affatto», le feci notare, stringendo le dita
paffute. Ridacchiò:
«Perché non hanno bisogno di conoscerti a fondo
per capire come sei realmente». La guardai negli occhi
nocciola e un brivido di emozione mi strinse lo stomaco. La mia piccola
Bella: il suo sguardo spaurito, le gote rosse e i lunghi capelli
castani. «Devo andare
a letto ora» borbottò sbadigliando. Le scompigliai la
massa di capelli nocciola e la osservai sparire sotto i miei occhi. E
adesso? Adesso finalmente avrei potuto pensare a Bella, tutta la notte,
con calma, pensare a quanto la amassi, a quanto mi mancasse e a quanto
la desiderassi. Già, a quanto la desiderassi.
Buongiorno! E buon fine
settimana! :) Lo so, è tanto tempo che non aggiorno, ma sono
stata davvero impegnata, nel cuore e nella vita diciamo
così. Ora sono in fase di ripresa e sono arrivata per
torturarvi nuovamente con i miei capitoli. Ed eccomi ad aggiornare
Nadir, finalmente. Continuiamo con questa storia che sta prendendo
strane pieghe, ormai Edward sta proprio vivendo una vita diversa e
parallela. Chissà che succederà... vi lascio alla
lettura, ringraziandovi come sempre per il sostegno e per i commenti.
GRAZIE! Malia.
Ordinaria follia.
Un’intera interminabile notte di agonia. Pensare…
da quanto tempo non facevo uso del pensiero in modo così
intenso? Bella stava diventando un’ossessione dolorosa. Non
era più un pensiero felice, ma una sofferenza che bruciava
la mia anima e non lasciava spazio alla coerenza. Lei, i nostri
ricordi, i nostri momenti, erano diventati fuoco, non c’era
più alcuna bellezza nell’evocare noi, no,
c’era solo un cumulo di macerie che ricadeva pesantemente su
di me. E i tentativi di
nascondere, di soffocare questa nuova realtà mi portavano
solo altro dolore, mi facevano sentire estraneo nel mondo, solo,
più solo di come mi ero sentito in passato. «Cosa non
va?». Quel giorno la pioggia
cadeva fitta, questo non mi aiutava a superare l’angoscia che
avevo nel cuore. «Tanti
pensieri», proruppi sincero. «Pensieri su
di lei?» domandò Jill sedendosi accanto a me. Quella donna era una
buona lettrice di anime, sapeva ascoltare senza giudicare e spingeva le
persone alla confidenza. «Nessun
pensiero, solo… non so spiegare», farfugliai, le
braccia piegate sul tavolo e lo sguardo basso. «Si chiama
mancanza», suggerì. Alzai la testa e la
guardai negli occhi. «La mancanza
è dura da sopportare, è un fuoco che brucia
dentro e distorce spesso la realtà che vivi». Mi
portò una mano alla guancia con un sospiro e mi rivolse
un’occhiata comprensiva. «Abitudini,
attimi, parole, momenti, sono lì, pronti per rimbombare
nella tua mente, e tu non puoi farci nulla, non hai la forza per fare
nulla», continuò, la voce bassa, avvilita. Lei aveva provato lo
stesso per suo marito. Rimasi in silenzio, il suono della pioggia a
cullare quel momento e il ricordo delle volte che avevo tenuto Bella
stretta a me nelle notti di pioggia mi provocò una forte
fitta allo stomaco. Non c’era niente che potesse distogliermi
dal pensiero di lei. «Come si fa
a distogliere la mente» le domandai. «Sei sicuro
di volerlo fare? Ammettilo, tu non lo vuoi fare», mi disse.
«Se lo facessi il suo ricordo così vivo dentro di
te, morirebbe, e tu stesso non vuoi che lei abbia una fine, nonostante
vi siate lasciati». Nessuna spiegazione
sarebbe stata più vera. Bella era dentro di me, nel mio
cuore, e nonostante tutto io non volevo che andasse via e non sarei mai
riuscito a sradicarla. Il mio amore per lei era immutabile come le
stagioni della mia vita: costanti. «Se vuoi
invece distogliere per un attimo il pensiero, ma non il cuore, prova a
trovare qualcosa che stimoli il tuo interesse»,
commentò. «Ti hai
fatto così?», la interruppi. Ci pensò
su, la mano sul mento. «Credo di aver pianto tutte le mie
lacrime prima di raggiungere questo tipo di consapevolezza.
Evidentemente tu sei più forte, ma anche più
giovane». Sulla mia giovinezza
non ci avrei scommesso molto, né sulla mia forza di
volontà che aveva solo peggiorato le cose: aveva infatti
insistito per stare accanto a Bella a tutti i costi. E ora? Ora sarei
tornato indietro, lo ammisi, sarei tornato da lei. Il suo profumo, la
sua voce, le sue labbra, il suo amore per me: mi mancava, e non era una
mancanza normale, soltanto un bisogno come tanti, era una
necessità vitale. Bella in fondo era la mia droga. «Non
c’è modo di far tornare quello che è
stato per me», ricordò a se stessa, «ma
per te è diverso. Non devi forzarti a dimenticare. Ho la
sensazione che il destino vi voglia insieme». Sorrise strizzandomi
l’occhio e io sentii il bisogno di consolarla, di prenderle
la mano e ripeterle all’infinito quanto stupido fosse stato
suo marito a scappare con un’altra. Jill non era solo una
brava donna, era una persona fantastica. E persino io, vampiro con
qualche anno di esperienza in più, stentavo a credere
all’esistenza di una persona così disponibile con
gli altri, così buona. «Jill, ma tu
cosa desideri per te stessa?» le domandai allora, incuriosito. «Non lo
so» rispose. «Se mi stai chiedendo cosa voglio
farne della mia vita, be’, ora sto andando avanti giorno per
giorno senza farmi alcuna domanda». Non mi riuscii
difficile capirla: anche io avevo preso in passato la stessa decisione,
quando i giorni si erano susseguiti tutti uguali, noiosi, privi di
colore e luce. Pensavo che non ci fosse aclun modo per colorare e dare
senso alla mia esistenza, ma poi… «L’amore
è forte, ma distruttivo». Sorrise. «Troverai
qualcuno che lo renderà solo forte» le dissi, e
non stavo affatto parlando per convenevoli. Ne ero certo. Qualsiasi
uomo al fianco di Jill si sarebbe sentito se stesso, avrebbe potuto
amarla facilmente. «E tu? Tu
eviterai di distruggerti prima di tornare insieme a lei?» mi
chiese. «Non so se
tornerò…» mi bloccai quando la sua mano
si portò di fronte alla mia bocca per farmi tacere. «Vedo i tuoi
occhi quando me ne parli, vedo una consapevolezza profonda»
parlò «e vedo tanto ardore, tanto desiderio. Tu
tornerai da lei, Edward, e non perché lo vuoi. Semplicemente
perché non puoi farne a meno». “Semplicemente
perché non puoi farne a meno”. Questa era la
realtà? Io sarei comunque tornato da lei? Ripensai alla
sofferenza che le avevo causato, all’angoscia, alle notti
insonni, a quell’amore dimostratomi: così folle,
pazzo, assoluto. «Anche lei
dice lo stesso» bofonchiai sovrappensiero. «Lei
chi?», ribatté. «Oh».
Mi accorsi solo allora di aver parlato ad alta voce. «La persona
con cui parlavi nella tua stanza la prima notte che sei
arrivato?» insinuò e io sgranai gli occhi,
voltandomi completamente verso di lei. «Ti ho
sentito attraversando il corridoio». Fece spallucce. Non potevo crederlo. I
suoi occhi non esprimevano nulla, mi fissavano tranquilli in attesa di
risposta. Sembravano calmi. Qualsiasi altro essere umano mi avrebbe
creduto pazzo, privo di ragione, eppure lei no, Jill continuava a
guardarmi, seduta accanto a me, lo sguardo fiducioso. «È
lei. Mi parla credo sotto forma di una bambina», le confidai,
lentamente, soppesando le parole. «Sei sicuro
che invece non sia tu a proiettarti la sua immagine quando ne hai
bisogno?» constatò. Ci avevo pensato,
avevo pensato che lei fosse solo la mia coscienza in realtà.
Ma a volte la sentivo come una presenza estranea, a volte invece come
intimamente legata a me. Non era così semplice capire chi
fosse, e non era affatto semplice comprendere le sue parole. «Comunque, a
prescindere da chi sia, perché tu stesso non lo sai, lei ti
ha detto che tornerete insieme» continuò Jill,
alzandosi per versarsi un bicchiere d’acqua. Anche la cucina, come
il salone era uno spazio accogliente in quella casa. Annuii, ma non
risposi nient’altro. «Saggia, la
tua coscienza, oppure la tua ragazza, che ti rivuole
indietro». Ridacchiò e io sorrisi con lei. Un sorriso nostalgico,
pieno d’affetto, ma anche di disagio. Probabilmente quello di
tornare da Bella era solo un mio desiderio intimo, non la
realtà dei fatti, un impulso istintivo che mi portava a
credere che saremo tornati insieme. «Tornerete
insieme», bofonchiò con esasperazione e prese un
cucchiaio di legno dal cassetto delle posate puntandomelo contro. «Non, non lo
so» ammisi. «Sì,
Edward, evidentemente manca qualcosa in te, qualcosa di importante.
Altrimenti non ti saresti mai allontanato da lei». Si
chinò per afferrare una pentola e la riempì
d’acqua, mentre il mio sguardo la seguiva esterrefatto. Aveva
capito ciò che io avevo impiegato mesi per comprendere. «Lei, la
bambina, dice che devo cercare me stesso». Ero sicuro che non
mi avrebbe preso per folle. Jill si
voltò pensierosa, appoggiandosi al lavello, dopo aver acceso
il fornello. «A me sembri
uno che si conosce abbastanza, soprattutto per
l’età che hai, ma forse c’è
una profonda mancanza dentro di te, un nodo che devi scegliere. A volte
il fato è un po’ oscuro» riprese e mise
il coperchio sulla pentola, voltandomi di nuovo le spalle. Un nodo da
sciogliere… tornai col pensiero a mia madre. Era
lì che sentivo di dover andare, ero sicuro di trovarla nel
mausoleo di famiglia, dov’era anche sepolto mio padre. Erano
lì, ormai da troppo tempo, in un cimitero storico alle porte
della città. E forse la chiave di quel viaggio era proprio
la mia famiglia. «Ho la
sensazione che tu mi nasconda qualcosa, ma non ti chiederò
nulla» bisbigliò, sollevandosi sulle punte dei
piedi per prendere un pacco di pasta troppo in alto. Non avrei saputo cosa
risponderle, perché non volevo mentirle, ma non potevo dirle
la verità. Probabilmente avrebbe potuto capire ogni cosa di
me, ma non che io fossi un vampiro, un assassino, una creatura oscura.
Preferii non dire nulla e continuare a rimuginare su me stesso e su
ciò che mi avrebbe atteso nel prossimo futuro. Senza Bella
davvero stentavo a vedere qualcosa per me. «Ho capito.
Non vuoi dirmi nulla, ma forse non rimarrai qui ancora a lungo. Dico
bene? Ad Ansel dispiacerà» constatò
tristemente. Anche io mi ero
affezionato a lui. Nonostante il suo squilibrio da adolescente, potevo
dire che lui era senza dubbio il mio primo amico: amico umano. «Gli
piaci» disse. «Mi
considera un vecchio» le risposi. Dopo
l’ultimo discorso sulle donne ero convinto delle mie parole.
Jill scosse la testa e mi lanciò contro uno straccio da
cucina. «Non
è vero, ti stima. Non ha mai trovato qualcuno come te, con i
tuoi pensieri, le tue idee in merito alle donne. Credo voglia solo
insegnarti a lasciarti un po’ andare», mi
lanciò un’occhiata divertita. « E forse
non ha tutti i torti, sei sempre sulla difensiva». Io? Sulla difensiva?
Di solito erano gli esseri umani a volermi stare lontano, mentre Ansel
e Jill sembravano trovarsi bene accanto a me. Questo mi stupiva. «Forse
esagera». Mi passai una mano tra i capelli, sistemandoli
imbarazzato e Jill rise. «Io sono un tipo molto
all’antica», ammisi. Non c’era
affatto bisogno di dirlo, lei aveva intuito dal mio modo di fare e di
pormi che ero un ragazzo d’altri tempi. Tornò a
sedersi accanto a me e questa volta mi prese la mano tenendola tra le
sue. Mi irrigidii. Ero freddo, maledizione, non volevo che si facesse
domande o che mi trovasse strano. Strofinò le sue dita
contro le mie, senza dire nulla, e poi cercò i miei occhi;
sempre così, anche al lago, lei non mi faceva domande. «Questo mi
piace di te, ma ricordati che si può essere
all’antica in molti modi al giorno
d’oggi». Aggrottai la fronte,
senza capire cosa volesse dirmi. Allungò di scatto una mano
per scompigliarmi i capelli e sfiorarmi la fronte; non mi ritrassi e
godetti di quella manifestazione chiara d’affetto. «Secondo me
lo sai Edward, non fare quella faccia perplessa». Scoppiai a ridere di
fronte al broncio che aveva imposto alle sue labbra. Per nulla
credibile. Tornò verso i fornelli e alzò il
coperchio aggiungendo del sale nell’acqua. Sentii la porta
accostarsi e qualcuno entrare, mentre Jill, distratta dalla cucina, non
aveva fatto caso a quel rumore, o non l’aveva sentito. Mi
sporsi e riconobbi la voce di Ansel, bassa, flebile. «Ho voglia
di te». Guardai verso il
soffitto e chiusi la mente, e le orecchie soprattutto: era al cellulare
con quella ragazza e non volevo certo ficcanasare nei suoi affari. Aprì la
porta della cucina e sbirciò all’interno,
muovendosi verso di me con il telefonino in mano. “Guai in
arrivo”, pensai non appena mi porse l’apparecchio. «Vuole
salutarti», disse con innocenza. «Eh?»
sbottai. Jill si mise a ridere,
ma non fiatò, continuò invece a cucinare,
preparando del sugo per gli spaghetti. La vedevo sogghignare e cercare
di trattenersi per non fare rumore, ma le sue spalle scosse dalle risa
non mi sfuggirono. «Pronto?»
bofonchiai allora, aspettando risposta. «Ciao, tu
sei il famoso amico cavaliere?». Tentai di non guardare Ansel
con un’espressione omicida, non volevo fargli accapponare la
pelle, ma in quel momento l’avrei volentieri ammazzato con le
mie stesse mani. «Cavaliere?»,
borbottai stringendo con la mano libera il bordo del tavolo. Ansel mi
fissò speranzoso e mi spinse a dire qualcosa. Riflettei un
momento e poi continuai: «Diciamo di sì, hai
bisogno di qualcosa?». Proprio una bella
situazione, tra amori adolescenziali. Aspettai una risposta e percepii
il suo interesse nei miei confronti: «Strano, ragazzi
così non ne esistono più». Davvero, senza dubbio
di ultracentenari in giro come me non ne avrebbe trovati molti. Strinsi
le labbra e sperai che non facesse altre considerazioni sul mio conto.
Quanto le aveva rivelato Ansel? «Come si
chiama la tua ragazza?» mi domandò poi. Oh no, non anche lei.
Che Ansel volesse farmi dare consigli da una donna? Scostai il
cellulare dall’orecchio, deciso a chiudere la comunicazione,
ma una gomitata mi arrivò in pieno stomaco e io riportai
l’attenzione alla ragazza. Altro che cavaliere, volevo
scappare. «Isabella»,
bofonchiai di malavoglia. «E come va
tra voi?», curiosò senza alcuna remora. Mi sistemai meglio
contro la sedia e pensai che fosse tutto un brutto scherzo. Io non ero
più il ragazzo di Bella, lei non era più mia.
Certo, non era più mia. «Io…»
replicai. Non era più
mia, ma io la sentivo ancora legata a me. Ed io ero suo e lo sarei
sempre stato. «Non
bene», farfugliai. «Colpa tua,
sei troppo cavaliere, ti sei fatto da parte per farla stare bene, vero?
Sei uno stupido, perché lei ti ama e tu le hai spezzato il
cuore. A volte a noi donne non importa nulla di soffrire,
l’importante è avere vicino chi amiamo».
L’ennesima predica, e questa volta da parte di una ragazzina. Non potevo crederlo:
esseri umani che non facevano che mettermi di fronte a uno sbaglio. Il
mio. Secondo loro era più importante l’amore che
la sicurezza di Bella; ma non sapevano nulla su di me, né su
chi fossi in realtà. Ero pericoloso per lei; la mia scelta
era stata dettata dalla voglia che avevo avuto di ucciderla il giorno
del suo compleanno, dopo che Jasper l’aveva attaccata. Io mi
sarei comportato esattamente come lui se non avessi avuto
più autocontrollo: la tentazione mi aveva accecato. Io ero un pericolo. La mia famiglia era un
pericolo per lei. «Non mi stai
ascoltando» si lamentò la ragazza e io tornai
improvvisamente a prestarle attenzione. «Ci sono
cose che non si possono cambiare» le feci notare e la sentii
sbuffare. «Solo alla
morte non c’è rimedio. Inutile che fai tanto il
sapientone, siamo capaci tutti» ribatté e io
sorrisi. Anche all’eternità non c’era
alcun rimedio, forse avrei preferito di gran lunga la morte,
soprattutto al pensiero di dover vivere la mia vita infinita senza
Bella: no, non ne sarei mai stato capace. «Sì,
ci siamo lasciati», azzardai così sperando di
farla desistere. «No, tu
l’hai lasciata» replicò «Lei a
quest’ora starà soffrendo per colpa
tua». Non più.
L’avevo vista stare male a causa mia, avevo guardato negli
occhi la sofferenza della mancanza che aveva di me, fino a morirne,
fino ad annullarsi. Ma ora ero convinto che le cose sarebbero cambiate:
Bella avrebbe trovato il suo sole e si sarebbe dimenticata di me. Una fitta al petto mi
fece istintivamente piegare in avanti: il mio cuore. «Se non
farai qualcosa lei si aggrapperà a un altro,
troverà qualcuno che possa prendere il tuo posto.
È quello che vuoi?». Non la smetteva di
parlare. Anche quella bambina, la mia coscienza o forse no, mi aveva
avvertito: Bella avrebbe trovato una persona in grado di proteggerla,
in grado di riempire quel vuoto. E la scelta sarebbe spettata a me, se
lasciare che lei appartenesse a un altro, oppure tornare e riprenderla
«No, non
voglio questo», sussurrai e sentii la mano di Ansel sulla mia
spalla. Inconsapevolmente avevo già fatto una scelta. «Per questo
dobbiamo educarlo e farlo svegliare dal sonno in cui si
trova» urlò, in modo da farsi sentire da lei. Sussultai,
ammutolendo. Cosa stavano pensando di fare? «Concordo.
Ora devo proprio andare, è stato un piacere parlare con te.
Ciao», e chiuse la conversazione. Un semplice click per
finire un discorso. Peccato che invece io avrei riflettuto per ore
sulle sue parole. Ogni cosa aveva deciso di parlarmi e indirizzarmi
verso un cambiamento: ammesso che i vampiri potessero in qualche modo
mutare. «Tu hai
bisogno di emozioni forti, te l’ho detto. E anche lei lo
pensa. Non è fantastica?», commentò
sognante. Senza dubbio aveva un
bel caratterino e non così facile. Appoggiai il gomito sul
tavolo guardando Jill di sottecchi: ci voltava ancora le spalle, e
sembrava indaffarata, ma aveva ascoltato ogni cosa ed ero sicuro che
stesse sorridendo, divertita dalla situazione. «Io sono
sveglio, sveglissimo», feci notare ad Ansel, porgendogli il
suo cellulare. «No, tu hai
paura di vivere le emozioni fino in fondo» mi
rimproverò «e io ho intenzione di dimostrartelo.
Dopo il discorso dell’altra sera ti farò conoscere
alcune ragazze e tu dovrai semplicemente…». Lo fermai prima che
potesse concludere il suo folle discorso. «Io non
farò assolutamente niente con nessuna di loro». «Ma si
tratta di sesso non di amore! Almeno così potrai far felice
la ragazza che hai lasciato». Ansel era deluso dalla mia
risposta e io non ne capii la ragione. Non mi sembrava di
essere così lontano dall’epoca attuale, eppure il
suo sguardo incredulo mi diceva il contrario. Era come se non credesse
alle proprie orecchie. «Amore e
sesso sono due cose diverse, e tu non avrai certo problemi
a…» si fermò facendomi segno con la
mano di capire. Non voleva dirlo di
fronte a sua madre, che stava ascoltando tutto con molta attenzione, ma
faceva finta di non esserci. «No, Ansel,
grazie, ma non è così che mi è stato
insegnato quando ero ragazzo». Ecco un modo per sentirmi
vecchio: ammettere di esserlo. «Sì,
nella tua era prima di Cristo. Ehi, abbiamo la stessa età!
Solo che tu sei messo proprio male e io ti
aiuterò», disse con assoluta e ferma convinzione. «Ansel…»
lo rimproverò Jill finalmente. «Mamma non
dirmi che non ho ragione. Edward è spento» si
giustificò alzando le braccia e incrociandole al petto. «Smettila.
Se a lui non piace il sesso, non puoi costringerlo»
tagliò corto lei. Sgranai gli occhi e li
guardai entrambi, confuso. Io non avevo mai detto una cosa simile. A me
il sesso piaceva: forse. Non l’avevo mai provato ma questo
non significava nulla. Ero un ragazzo normale con istinti e desideri
normali. «State
esagerando» bofonchiai, molto infastidito. Jill mi
osservò, un sorrisetto strafottente sulle labbra. E
così anche lei stava cercando di urtare la mia
sensibilità per farmi uscire allo scoperto. Soffocai il moto
di rabbia e chiusi la mia mente alla sua: meglio non leggerle nel
pensiero. «Noi? Guarda
che sei tu quello represso» ribatté Ansel. «Non sono
represso, ma innamorato. E nella mia mente c’è
posto solo per lei» sbottai, ora fuori di me. «E allora
perché l’hai mollata…
idiota!», gridò, spostandosi verso il frigorifero
e prendendo una lattina di Fanta. «Te
l’ho spiegato», borbottai. «Hai detto
solo che volevi proteggerla da te stesso e stronzate varie. Nemmeno nel
Medioevo facevano queste cose» commentò aprendo la
linguetta e bevendo un sorso. «Non voglio
discutere», ringhiai quasi e Jill mi fissò
sorpresa. «Ah, certo,
nasconditi. Quello lo sai fare benissimo. Io cercavo solo di
aiutarti!», sbraitò e uscì veloce dalla
cucina sbattendosi la porta alle spalle. Percepii i suoi passi
nel corridoio e poi il rumore della porta della sua stanza, sbattere e
chiudersi. «Forse
dovrei andarmene» mormorai tristemente. «O forse
solamente capire che Ansel ti vuole bene e che si preoccupa per
te» sussurrò Jill dietro di me. A volte gli esseri
umani, nonostante la loro mente mi fosse completamente aperta,
riuscivano a sconvolgermi. Non era così facile leggere nei
loro cuori, tanto quanto invece era semplice per me leggere nella loro
mente. Era più di un secolo che consideravo gli umani con
semplicità, ora mi rendevo conto di non dover affatto
sottovalutare l’anima umana.
Questa
fanfiction non viene aggiornata da ottobre dello scorso anno, mi scuso
tantissimo. La mia idea era di finire prima le altre per dedicarmi a
questa, ma siccome è infattibile un proposito del genere non
ci sono riuscita. Quindi ho deciso di riprendere e in qualche modo
dedicarmi a tutte le mie storie in successione. Mi dispiace per chi ha
trovato interessante Nadir e ha dovuto aspettare così a
lungo, ma sono tornata, spero tanto possiate perdonarmi per l'assenza
prolungata. Detto questo vi lascio al capitolo... si stanno aprendo
nuovi orizzonti. :P Non vi svelo nulla.
Grazie
a chi ha commentato, a chi mi ha dato coraggio per continuare. GRAZIE
di cuore. Non mi sono dimenticata di voi.
Malia.
Partenza
Il problema principale ora non
era tanto dimenticare Bella, quello era impossibile, ma convincere
Ansel che non ero interessato ai suoi consigli su ragazze e sesso. Aveva iniziato a
presentarmi delle sue amiche, con la speranza che ne venissi in qualche
modo attratto. Purtroppo non era stato così. Per quanto le
donne mi piacessero, la mia mente tornava continuamente a Bella e mi
faceva soffrire anche solo notare lo sguardo deluso di una ragazza,
oppure sentire sofferenza nei suoi pensieri a causa mia. Quella sera mi ero
lasciato convincere ad andare al pub: Ansel, la sua ragazza, io e una
sua amica. Facevo fatica a
rimanere attento sulla conversazione; i pensieri di Leana,
così mi era stata presentata, erano inequivocabilmente
interessati a ben altro che non fosse un discorso tra amici. “Lo vorrei
spogliare”, ripeteva la sua mente. “Non ho mai
visto un ragazzo così bello” continuava
cantilenante. Ero al limite di una
crisi di nervi e mi domandavo quante volte Bella aveva fatto
apprezzamenti su di me nella sua testa. Solo il pensiero che il mio
piccolo Bambi avesse in qualche modo desiderato me, sì,
proprio me, che l’avevo rifiutata mi faceva correre brividi
di desiderio per tutta la schiena. «Allora,
Edward» mi domandò lei, lo sguardo fintamente
innocente. «Cosa hai detto che fai nella vita?». «Sono uno
studente. Sto, ecco, sto viaggiano per schiarirmi le idee»
risposi. “E per stare lontano dall’unica persona
che mi fa sentire vivo”, aggiunsi segretamente nel mio cuore. «Fantastico,
amo gli uomini a cui piace viaggiare» continuò
appoggiandosi alla mia spalla con noncuranza. Avrei voluto lanciare
qualcosa contro Ansel, che era intento e concentrato a baciare la
ragazza di cui era innamorato. «Sì?»
proruppi senza sapere cos’altro dire. «Mi fa
piacere» mentii. Non ero in grado di
intrattenere una conversazione con esseri umani di sesso femminile che
non facevano che desiderarmi. Nel suo cervello c’era solo un
desiderio: me nudo sopra di lei. Ma mentre Leana immaginava se stessa
in quelle posizioni che avrebbe voluto sperimentare, io mi sentivo
terribilmente in imbarazzo, perché pensavo a Bella, alla mia
Bella, e il mio corpo reagiva a quel fuoco per lei. «Allora
Ed» si svegliò finalmente Ansel. «Ti
piace Leana?». La ragazza accanto a
me non accolse di buon grado il mio prolungato silenzio e mi
portò una mano tra le cosce per dimostrare che faceva sul
serio. Sobbalzai e maledii il momento in cui mi ero lasciato convincere
da Ansel. Dovevo immaginarlo che aveva in mente qualcosa che non mi
sarebbe affatto piaciuto. Rimasi immobile,
scioccato dal fatto che Leana accarezzava come un’esperta la
mia erezione. Il mio amico umano, invece, sghignazzava, nello sguardo
una luce maliziosa. «Scommetto»
sussurrò. «Che vorreste stare da soli». «Scommetti
bene» fece le fusa Leana. No, non aveva capito.
Per educazione non risposi, tentando di fargli capire con uno sguardo
d’acciaio che non gradivo le insistenza a cui mi stava
sottoponendo. Non volevo una donna qualsiasi, ma Bella. E se non potevo
avere lei, nessun’altra mi avrebbe toccato. «Senti,
Leana» mormorai, afferrandole la mano, ma lei non aveva
alcuna intenzione di interrompersi e schiuse le labbra alla ricerca di
un bacio. Deglutii e cercai
nella mia mente una buona scusa per non baciarla. «Sono
omosessuale». Fu l’unica
cosa che mi venne in mente e che riuscì a frenare i bollori
della giovane. Ansel sputò la birra che stava bevendo che
bagnò la sua amica interamente. Leana iniziò a
lamentarsi guardandosi mortificata il vestito bagnato, mentre io
osservavo lui alzarsi in piedi e farmi cenno di seguirlo. Non avevo scampo. Mi spinse verso il
bancone e io mi lasciai condurre; non volevo reagire, il rischio era
quello di fargli davvero male. «Che ti
salta in testa?» mi chiese, furioso. «Ti ho detto
che non voglio una donna. Io amo già una persona e non
è quella ragazza» sbottai, incrociando le braccia
al petto. «Certe volte
sembri un bambino capriccioso. Per te andrebbe bene mia
madre» sussurrò ma io capii ugualmente le sue
parole, il mio udito non si lasciava ingannare dai rumori. «Ansel»
cercai di spiegare. «Senti, io
ti sto aiutando, in tutti i modi. Sei mio amico, mi hai aiutato,
insomma… mi sono affezionato a te, ti voglio bene. Per quale
motivo devi essere sempre così scostante con le
ragazze?» sbottò esasperato. «Io…»
bisbigliai, sapendo di averlo deluso. «Senti, per quanto ti
possa sembrare assurdo, anche io mi sono legato a te. Ma smettila di
farmi da agenzia matrimoniale, non sto cercando una moglie»
urlai per farmi sentire meglio nel vociare lì
intorno a noi. «Che cazzo
dici eh? Te la devi scopare, non amare. Pensa pure a quella che ami,
come si chiama? Lei insomma. Si fa così sai, quando si sente
dolore. Sto cercando di farti stare meglio. Hai sempre la faccia di uno
che sta per attraversare l’inferno. Non voglio vederti
così e nemmeno mia madre». Rimasi in silenzio. Lo
guardai e vidi il suo viso rosso di rabbia, le guance paonazze e
gonfie, gli occhi pieni di sensi di colpa. “Mi
dispiace” mi diceva la sua mente. Scossi la testa e mi
avvicinai, dandogli una pacca sulla spalla. «Bevici su
qualche birra, tanto guido io. Non fa niente, lo so che lo hai fatto
per me». Detto questo tornai
indietro e sperai che mi raggiungesse. Come aveva fatto quel ragazzino
umano a diventare così importante? Non avevo mai legato con
gli umani, eppure con Jill e Ansel era successo. Loro non avevano paura
delle mie stranezze. Jill non faceva domande sulle mie bizzarrie e io
scendevo a patti con una vita tanto diversa dalla mia per lei. A volte
mangiavo con loro e mi ero quasi abituato al sapore di quel cibo
vomitevole. Poi uscivo e andavo a caccia di qualche lepre o cinghiale,
che mi faceva più gola. Ma Ansel non mi aveva mai domandato
il motivo delle mie passeggiate notturne. «Ehi,
bentornato» disse Leana imbarazzata quando mi risedetti al
suo fianco. «Scusami»
bofonchiai, vergognoso. «No, io,
perdonami tu, non lo sapevo» balbettava. «Se lo
avessi saputo non avrei mai…» si bloccò
arrossendo e io mi sentii uno sciocco per averle mentito. “Lo sapevo,
quelli così belli di solito non sono mai
disponibili” continuava a pensare. Non ricordavo di aver
mai vissuto un momento tanto imbarazzante in più di cento
anni di vita, né da umano, né da vampiro. «Ti offro
una birra» disse poi alzando una mano per fare cenno di
portare altre birre. «Ecco
io…». Dovevo dirle anche che ero astemio? Ansel tornò
al tavolo e mi diede un calcio sugli stinchi non appena mi vide scuro
in volto. «Lui deve
guidare Leana» mi salvò. «Lascia stare,
berrà un’altra volta». La serata si concluse
in modo pietoso. La ragazza di Ansel si era fatta un’idea
completamente sbagliata di me. Pensava che avessi avuto paura di
confessare la mia omosessualità e tentava di consolarmi,
mentre Leana era scappata via, si era fatta venire a prendere da suo
padre. Una ragazzina in
confronto a me, pluricentenario. “Già, ma a Bella
ti sei interessato ugualmente”. Salii nella Volvo e aspettai
che gli altri facessero altrettanto. Chiusi gli sportelli partii e
tornammo a casa in silenzio, perfetto e consolante silenzio, anche di
pensieri. Lasciammo prima la
ragazza e poi con un’inversione di marcia riprendemmo la
strada di casa. «Non voglio
che te ne vai» esplose d’improvviso Ansel. Mi voltai di scatto,
stupito, e socchiusi gli occhi: «Devo farlo. Io ti ringrazio
per la tua ospitalità, ma io ho una famiglia
e…». Ma non mi fece terminare. «Lo so. Ma
sei l’unico vero amico che ho. Persino mio padre mi ha
abbandonato, e la mamma è contenta che ci sei e stai con
me» rispose torturandosi le mani. «E potresti far
venire la tua ragazza qui, a stare da noi». Scoppiai a ridere.
Bella lontana da Forks, per me. Forse in passato lo avrebbe fatto, mi
avrebbe seguito ovunque avessi voluto, per quell’amore che
diceva essere totale. Ma ora? Mi odiava? Si era ripresa? Si era
innamorata? Le domande che mi ossessionarono mi resero triste e tornai
a rabbuiarmi. «No,
eh?» farfugliò Ansel battendo un pugno sul sedile. «Purtroppo
devo andare. Tornare dove sono nato per capire tante cose»
gli confidai. «Ci
mancherai. Molto». Ma non disse altro fino a quando non fummo
sul viale di casa sua, quando Jill uscì in piena notte e
corse verso di noi con il fiatone. Aggrottai la fronte e
parcheggiai in tutta fretta. «Cosa
è successo?» le domandai allora. «Qualcuno ti
ha cercato. Era la voce di una donna» mi disse. «Mi
ha detto di essere tua sorella». Alice, pensai subito. «Cos’ha
detto?» continuai, in pensiero per loro. Avevo lasciato la
mia famiglia a vagare alla ricerca di una sistemazione. Ero uno
sconsiderato ed egoista. «Ha chiesto
se stessi bene, perché è preoccupata per te. Dice
che sta per accadere qualcosa, lo sente, ma non sa esattamente cosa.
Non le è mai capitato di non capire». Niente di positivo. Ma
come aveva fatto Alice a rintracciarmi? Una visione, indovinai, non
poteva essere altrimenti. «Devo
partire domani» sentii il bisogno di dire e Jill
annuì, senza dire nulla. La ringraziai per
avermi aspettato alzata, ma lei mi fece segno di non preoccuparmi. «No,
davvero, Edward, non devi affatto sentirti in colpa perché
devi partire. Promettimi che tornerai un giorno o l’altro. E
invitaci al tuo matrimonio» ridacchiò. Le promisi che
l’avrei fatto e mi rifugiai in camera sotto lo sguardo
desolato di Ansel. Con quella famiglia mi sentivo a mio agio, ma a
lungo andare avrei certo sentito la differenza e anche a loro sarebbe
pesata. Non potevo dimenticare chi ero, ciò che ero,
nonostante il mio affetto. Pensai tutta la notte
al viso di Ansel, triste e deluso. Mi aveva chiesto di non andarmene,
di rimanere, ma io dovevo, sentivo più che mai il bisogno di
ritornare alle mie radici. E dopo la telefonata di Alice avevo la netta
impressione che dovessi affrettarmi, perché avrei presto
trovato delle risposte. Mia sorella non aveva mai avuto problemi nelle
sue visioni, cosa stava succedendo? E perché? L’idea di
andare via ora mi metteva una strana eccitazione in corpo. La mattina giunse in
fretta; il sole sorse all’orizzonte e io uscii dalla stanza,
pronto per salutare tutti. Diedi un’ultima occhiata
all’interno e sorrisi. Nell’armadio
c’erano i vestiti che mi aveva prestato Ansel, le sue cose,
tutt’intorno c’era la cura e l’affetto di
Jill, che aveva cercato di farmi sentire accettato e amato. Poco tempo,
ma tanta simpatia nei loro confronti. Chiusi la porta ed
entrai in cucina, dove Jill e Ansel mi aspettavano di fronte alla
colazione. «Buongiorno!»
urlò lui, ostentando una felicità che non provava. Mi sedetti e lo
guardai: «Smettila, so che sei arrabbiato con me». A quel punto
intervenne Jill: «Non ha diritto di chiederti di restare, eri
solo di passaggio, e lui lo sapeva». Comunque lo capivo.
Nemmeno io avevo mai avuto tanti amici, e mi dispiaceva lasciarlo solo,
quando sapevo che lui contava su di me. «Ascolta
Ansel» tentai di spiegargli. «Devo assolutamente
tornare indietro per capire cose su di me che mi sono sempre chiesto
senza mai avere risposta». «Non mi devi
spiegare nulla, lo so, non riesco a fare a meno di credere
però che staresti meglio con noi. Sei come un fratello per
me». Mi avvicinai e gli
diedi una gomitata nelle costole: «Ti inviterò a
casa mia quando mi sarò sistemato». Probabilmente era una
menzogna, ma non potevo lasciarlo senza fargli credere che ci saremmo
rivisti. Le possibilità erano poche, ma mi sarebbe piaciuto
un giorno tornare da loro e raccontare una storia a lieto fine, quella
che Jill tanto sperava per me. Ma ormai avevo perso le speranze quando
avevo perso Bella, anche se Jill non ci credeva. «Ti preparo
dei panini per il viaggio Edward?». Era così
gentile, una vera mamma. Non provai nemmeno a negarle quel piccolo
gesto di commiato. «Con
piacere» le risposi, alzandomi per andarle a baciare la
fronte. Mi
abbracciò, stringendomi forte, e io ricambiai
l’abbraccio. Il mio cuore fermo si era sciolto per quei due
umani, così onesti e sinceri. «Te ne vai
troppo presto, e all’improvviso. Lo fai perché
ieri notte ti ho fatto quella richiesta, vero? O perché ti
sei offeso per quell’ennesimo incontro con una ragazza? Non
te li combino più, lo giuro» borbottò
Ansel prendendo una fetta di torta alla frutta appena sfornata. «Non
è quello, credimi. Anche se non ti ho mai chiesto di
presentarmi nessuna. Ma sì, mi hai fatto riflettere.
Rimanere da voi è un piacere e diventa sempre più
difficile andarmene via, perciò devo». Terribile spiegazione,
ma cos’altro potevo dire. Devo capire il vampiro che sono?
Prima o poi vi accorgerete che mangio pochissimo e ho bisogno di
sangue? La mia vita era comunque diversa, anche se avrei tanto
desiderato essere umano. E quello che più mi mancava era
poter donare alla ragazza che amavo una vita normale. E così
presi la via per Chicago; dovevo infatti assolutamente raggiungere al
più presto la città dei miei natali. E questa
volta, pensai, senza alcuna distrazione. Mi fermai ad una
stazione di sosta sull’autostrada solo per chiamare Alice. «Edward!»
urlò al telefono non appena sentii il primo squillo.
Già sapeva che l’avrei contattata. «Alice»
la chiamai, felice e sollevato di sentire la voce di mia sorella. «Stai
meglio, vero?» affermò, più serena.
«Lo sento, quegli umani ti hanno fatto bene». Risi. Sapeva sempre
tutto, inutile cercare di nasconderle qualcosa:
«Sì, è vero. Ma dimmi cosa
succede». «Succede che
non riesco più a vedere il futuro di Bella. È
successo a un tratto, le visioni su di lei sono diventate sempre
più scure, fino a che ora penso mi sia impossibile vedere
qualcosa che la riguardi» mi spiegò, la voce
perplessa. Sollevai le
sopracciglia, sorpreso. Il potere di Alice di solito non aveva limiti
alcuni, perciò era stupefacente una cosa simile. A meno
che… «Alice stai
cercando di dirmi che Bella potrebbe morire?» ansimai,
tornando a sentire quel peso insistente che mi schiacciava il cuore nei
momenti di solitudine e dolore. «No…
no» balbettò lei, insicura. «Non volevo
dire questo. È solo che è strano, come se ci
fosse qualcuno a bloccare la visione su di lei. Una sorta di
muro». Il respiro non voleva
saperne di tornare a ossigenarmi i polmoni, anche se non ce
n’era alcun bisogno, ma ugualmente percepivo
l’ansia e l’angoscia di non sapere cosa stesse
succedendo a Bella. «Alice,
è dura e fa male» le confidai, di nuovo stanco.
Stanco di stare lontano da quell’amore che sarebbe durato
l’eternità, almeno per me. Dov’era la
serenità passeggera condivisa con Ansel? «Perché
non torni con noi, Edward, starai meglio. Ah, ma so che è
inutile, stai andando a Chicago, dai tuoi genitori. Fa quello che devi,
io ti voglio bene» bisbigliò comprensiva.
«E ogni volta che avrai bisogno, ricordati della tua
famiglia». Si bloccò e poi riprese lamentandosi:
«E comprati un cellulare rintracciabile». «Grazie»
le risposi sorridendo, ben sapendo quanto fosse preoccupata per me. «Ma
smettila» sbottò soffiando nella cornetta.
«Piuttosto non ti lasciare morire di fame. Se soltanto vedo
che non ti stai nutrendo verrò a cercarti,
intesi?». «Intesi»
conclusi con una leggera smorfia sulle labbra. Parlare con Alice
faceva sempre riemergere vecchi ricordi dolorosi: Bella che conosceva
la mia famiglia, Bella che non aveva paura, Bella… e solo
Bella. Agganciai la cornetta
con un senso di strazio nell’anima. Forse il mio piccolo
Bambi si stava semplicemente allontanando da me, per questo Alice non
riusciva a vederla, non provava più nulla per me e mi aveva
dimenticato. Deglutii, percependo
la sofferenza insinuarsi sotto pelle e scorrere nelle vene. «L’ho
voluto io» borbottai poi. «Sono io il responsabile.
Di cosa mi lamento?». Tornai verso la Volvo
e ripresi il mio viaggio verso Chicago. Avrei ancora trovato il
cimitero storico dove erano stati sepolti i miei genitori? Pensai a
lungo al luogo dove potevano essere sepolti, cercando nella mia mente
ricordi che avrebbero potuto darmi indicazioni. Una cripta. Una cripta
di famiglia. La famiglia Masen era stata sepolta lì.
Certamente quindi avrei trovato il posto con un po’ di
impegno e fortuna. Rivedere mia madre e
mio padre. Non proprio rivedere, ma comunque tornare in qualche modo ad
avere a che fare con una vita lontana, quasi sconosciuta, quasi non
più mia. Chi era Edward Masen? Era così diverso
da Edward Cullen? Forse no. Il volante stretto tra
le dita cambiai marcia per aumentare la velocità quando un
flash mi accecò la mente e io chiusi gli occhi come per
proteggermi. «Edward»
sentii Bella mormorare nella mia mente. «Edward, sei tutto
per me, Edward». Scossi la testa con
foga pensando di essere impazzito, ma un’ondata
d’amore mi travolse e continuai ad ascoltare. Poi
l’oscurità divenne visione e io mi ritrovai a
guardare Bella nella sua stanza. Stava bene, sembrava
essersi ripresa e questo mi causò dolore. Ma
perché, maledizione, perché non ero felice per
lei? «Jake mi sta
aspettando, devo sbrigarmi» la guardai urlare a suo padre. Mi irrigidii e poi
tutto svanì in un lampo, com’era venuto. Per un
attimo credetti di avere le allucinazioni, ma poi mi convinsi che
ciò che avevo visto fosse vero. Bella pensava ancora a
me, in fondo non mi aveva dimenticato ancora. Frenai non appena mi resi
conto di non prestare attenzione alla strada. L’idea di un
altro uomo con Bella mi faceva sentire uno schifo: se non
l’avessi lasciata sarebbe rimasta sempre con me, se non
l’avessi lasciata non sarebbe corsa da lui. Da Jacob Black. Portai la testa in
avanti e la sbattei più e più volte, cercando di
farmi male. L’air bag, se avessi continuato,
l’avrei fatto esplodere, ma non riuscivo a calmarmi. «Lei
è mia» bofonchiai, stringendo le nocche fino a
farle diventare ancora più pallide. «Mia mia
mia» ripetevo sofferente, stringendo i denti, sentendo il
veleno nella bocca. Mi gettai fuori
dall’auto, guardandomi intorno. C’era autostrada e
desolazione, nient’altro. Fortuna che mi trovavo sulla corsia
di emergenza. Avevo bisogno di
sangue. La caccia e la velocità mi avrebbero aiutato ancora
una volta a dimenticare quella follia. Avrei tanto voluto
uccidere Jacob Black, ma se Bella si stava innamorando di lui che
possibilità avevo contro un essere umano che poteva darle
tutto? Dei figli, una vita felice? «Mi viene da
vomitare» borbottai arrancando verso il guardrail. La luce esplose
nuovamente nella mia mente e di nuovo mi trovai a Forks. Bella
sorrideva, salendo sul suo pick-up, finalmente sorrideva felice. Era
tanto tempo che aveva smesso di farlo, tranne a volte quando mi
pensava. «Allora esci
con Jacob?» chiese il capo Swan e io sentii una fitta di
gelosia. «Stiamo da
lui, ci vediamo un film, mangiamo qualcosa. Sì, insomma, ci
facciamo compagnia» rispose lei, serena. «Sono molto
contento» rispose suo padre. «Hai proprio bisogno
di svago». «Già»
commentò Bella, iniziando la retromarcia. Di nuovo
l’immagine ebbe fine e io mi ritrovai ansante. Ora anche
visioni su di lei. Ma perché? Che significava? Era un legame troppo
forte, non sarei mai riuscito a spezzarlo, riflettei disperato. A Chicago non mancava
ancora molto. Percepii una presenza
mentale con me, un pensiero silenzioso, e mi voltai, cercando da una
parte all’altra. C’era qualcuno, qualcuno intorno a
me, dentro di me, ma chi? Non capivo. «Sei tu che
mi mandi queste visioni?» farfugliai stancamente. Nessuna risposta. “Vai a
Chicago” mi imponeva l’istinto.
“Lì saprai".
Grazie mille per non avermi uccisa!
Grazie per l'accoglienza calorosa di chi ha commentato e ha sperato
fino all'ultimo che riprendessi la storia. Devo ammettere che
è bello vedere dopo tanto tempo che qualcuno è
disposto a seguirti ancora nonostante tutto. Non so come ringraziarvi,
grazie grazie grazie. Un bacione e abbraccione enorme. Vi lascio al
capitolo... sperando che i nuovi avvenimenti vi stupiscano in meglio.
Buona letturaa! Malia.
Grazie per essere qui.
Chicago. Il mio
passato. E ora… il mio presente. Qualcuno mi stavo
chiamando, sentivo un pensiero costante su di me, una forza
indefinibile, ma non sconosciuta. Spinsi
l’acceleratore, ansioso di raggiungere il luogo dove sapevo
erano stati sepolti i miei genitori. Era un semplice cimitero, ormai
contemporaneo, ai limiti della zona abitata, in un quartiere piuttosto
malfamato. Ma io sapevo che lì avrei trovato risposte. E
poi… c’era un piccolo mausoleo appartenuto alla
mia famiglia. In quella parte antica ormai dimenticata, credevo di
poter trovare delle risposte. Mi diedi dello
stupido. Stupido perché i morti certamente non avrebbero
potuto parlare. Non avrei sentito la voce di mia madre consolarmi,
né quella di mio padre affermare di essere orgoglioso di me.
E poi perché avrebbe dovuto esserlo. Ero un vampiro, un
non-morto, e non sempre mi ero comportato in modo irreprensibile. Trovai il posto e
scesi dall’auto. Chicago, ormai modernissima, sarebbe stata
irriconoscibile ai miei occhi se soltanto l’avessi visitata.
Ma a me interessava un cimitero dimenticato di periferia, che stonava
con l’aspetto tecnologico di grattacieli e lunghe distese
d’erba dei parchi. Parcheggiai
l’auto non troppo lontano e scesi con l’agitazione
di un bambino di fronte a qualcosa che sa non avrà mai. Un
passo dopo l’altro mi avvicinai ed entrai dal grande cancello
in ferro battuto. Non era più
come un tempo. Ovviamente. Ma cosa dovevo aspettarmi. La mia memoria si
fermava a tanti anni prima, quando era un semplice cimitero di
campagna. Avevo usato tutti i miei risparmi per dare degna sepoltura
alla mia famiglia. In qualche modo non riuscivo a dimenticare e pensavo
di non poter riuscire. Invece avevo
accantonato quella parte di me stesso. Edward Masen era rimasto
lì, tra quelle lapidi, ora differenti da quelle passate.
Camminai tra i loculi e mi domandai che effetto dovesse fare la morte.
Un momento prima di morire, come ci si doveva sentire, un attimo prima
dell’ultimo respiro, nella consapevolezza che si sarebbe per
sempre abbandonata la vita. Un brivido mi
percorse. Cosa aveva provato mia madre? E mio padre? E Bella, cosa
avrebbe provato Bella? Solo il pensiero della sua morte mi provocava
dolore. Non volevo perderla, non potevo pensare a
un’eternità senza il suo amore. “Smettila di
torturarti”, mi imposi. “Ormai l’hai
lasciata andare, non ti appartiene più”. Ma era il mio cuore a
non voler accettare la verità. Continuai a camminare,
guardando i nomi delle persone morte di recente. Chissà cosa
era successo loro. Una malattia, forse un incidente, chissà
cosa poteva strappare via la vita da un corpo. Io invece… io
invece ero uno squallido immortale che doveva nutrirsi delle vite
altrui per poter sopravvivere. Ero una creatura del male che loro
avrebbero volentieri ucciso se avessero saputo. “Per Bella
tu non sei un mostro”. E io però
l’avevo fatta soffrire. Scrollai la testa,
più e più volte, fino a quando non arrivai al
luogo dove sapevo venivano una volta sepolti i bambini. Ora era
diverso, ma ricordavo le piccole tombe in marmo. Non ricordavo
più la mia infanzia. Probabilmente io non l’avevo
mai avuta un’infanzia. Il passato si
intrecciava al futuro, il presente a entrambi. Ed eccomi qui. Edward
Masen ed Edward Cullen. Continuai a dirigermi
verso quella che sapevo essere l’area storica dei mausolei.
In che condizioni l’avrei trovata? Ma soprattutto,
c’era ancora? Dopo tutto quel tempo, l’ipotesi
più probabile è che l’avessero
distrutta, oppure che fosse crollata la struttura. Eppure qualcosa mi
diceva che avrei trovato la mia famiglia. La mia mente non era sola,
percepivo qualcuno a farmi compagnia, percepivo una presenza che non mi
aveva lasciato da quando mi ero allontanato da Ansel. «Forse
è solo una mia sensazione» mi giustificai. Ma sapevo che i miei
poteri non avevano niente di causale. C’era qualcosa che
stava tentando di comunicare con me, e da molto tempo, ora
però era potente e sempre più vicino. O meglio,
ero io quello che si stava avvicinando alla fonte. E poi svoltai
l’angolo e lo vidi. Il piccolo mausoleo dove era stata
sepolta la famiglia Masen: Edward Masen Sr., mio padre, Elizabeth
Masen, mia madre, e infine io: Edward Anthony Masen. Io, che
però in realtà non ero mai morto. Mi avvicinai e feci
per toccare il marmo che custodiva una parte di me stesso. Mi sentii
come se non riconoscessi più in alcun modo quel posto,
quella famiglia. Ormai non era più parte di me. Ma era vero?
Oppure in realtà Edward Anthony era ancora qui, impaurito,
che cercava di liberarsi da ciò che il suo passato gli aveva
imposto di diventare? «Madre?»
mormorai, ben sapendo che non poteva sentirmi. Guardai la grata che
mi separava dalla parte interna. Là, con loro, avrei dovuto
esserci anche io. Perché anche io ero stato in fin di vita,
anche io avevo meritato la morte. Ero così ansioso di vivere
la guerra, eppure la spagnola aveva stroncato prima la mia fragile
vita. Ero un ragazzo comune, forse Bella se mi avesse conosciuto allora
non si sarebbe innamorata di me. «Padre…
cosa penseresti di me adesso?» sussurrai. Mio padre da che ne
avevo memoria era stato Carlisle Cullen. Mi aveva insegnato lui a
essere umano, pur nella mia natura vampira. Che ironia. Da ragazzo non
avevo mai capito il valore della vita, mi ero sempre sentito padrone di
me stesso e del mondo circostante. Ma poi, quando la mia
esistenza si era trasformata in un inferno di sangue, avevo compreso
quanto difficile fosse trascinarsi per andare avanti. E desiderare di
morire. Quale creatura poteva
mai desiderare la morte per se stessa? Nemmeno un vampiro. Anche i
vampiri erano strenuamente attaccati alla vita, per questo si
rifiutavano di cambiare le loro abitudini. Mi guardai intorno,
per accettarmi che non ci fosse nessuno. Volevo entrare, ma non avevo
la chiave. Profanare quel luogo
non mi avrebbe fatto sentire meglio, ma volevo sentirmi vicino alla mia
famiglia ancora una volta. Feci forza sulla grata che si
aprì, rompendosi sotto le mie dita. Riuscii
perciò ad aprire quella sorta di inferriata senza problemi. L’odore di
morte mi colpì, ma non quanto vedere dei fiori freschi su
ogni tomba. Fiori freschi… come se qualcuno avesse la chiave
di quel posto, come se qualcuno fosse venuto a rendere omaggio a me e
alla mia famiglia. Ma io non ricordavo di avere nessun altro parente
che potesse prendersi cura di ciò che restava del mio
passato. Chiusi gli occhi,
quasi commosso, e sentii una forza umana interiore avvolgermi tutto. «Mamma?»
sussurrai spaesato. «Mamma sei tu?». Socchiusi le palpebre
e toccai i gigli sopra la sua tomba, sentendone il profumo intenso. «Mamma?»
ripetei. Avrei voluto farle
tante domande. Ad esempio come aveva fatto a capire la natura
differente di Carlisle. Sospettavo che mia madre avesse delle
facoltà particolari, come me, che sentisse dentro di lei
sensazioni ben più che umane. Elizabeth era stata
estremamente sensibile agli stimoli esterni. Così invece non
era stato per mio padre, che aveva sempre dimostrato di essere un uomo
dall’incredibile tempra, fisica e morale. Uomini come lui
oggi non ne esistevano più I tempi moderni avevano lasciato
spazio a umani codardi che non capivano il significato della parola
“sopravvivenza” o “guerra”. «Vorrei
tanto poterti parlare, dirti cosa sta succedendo. Sei sicura di aver
fatto la scelta giusta per me?» le domandai, sapendo di non
poter sperare in una risposta. «La mia
vita, tutto questo. Credi ne sia valsa la pena?». Avrei voluto urlare.
Non ce l’avevo contro di lei per avermi fatto salvare da
Carlisle. Avrei fatto lo stesso al suo posto, ma forse se solo avesse
visto l’orrore che si celava dietro la vita di un vampiro
avrebbe preferito darmi la morte. Non osai abbassare gli
occhi alla tomba sottostante, ma quando lo feci sussultai, spaesato.
Che cosa? C’era un altro nome, un nome femminile che non
conoscevo. Eppure aveva lo stesso cognome: Masen. Jewel Masen. Mai sentito. Mi avvicinai, per
vedere se ci fosse qualche epigrafe che potesse aiutarmi a capire come
mai ci fosse il nome di una donna che non ricordavo affatto. E
così lessi: sorella minore devota di Edward Masen Sr, morta
all’età di settanta anni. Riposa in pace. Portai la mano sulla
scritta del suo nome e poggiai la fronte sulla lapide, sconvolto. Mio
padre aveva una sorella di cui io non sapevo l’esistenza. Oppure semplicemente
non la ricordavo? «Jewel
Masen» borbottai. Quindi io avevo avuto una zia. Ma quindi questo
voleva dire che c’erano altri Masen, che forse mia zia si era
sposata, aveva avuto dei figli e… che c’era ancora
qualcuno che poteva dirmi qualcosa sulla mia famiglia! Lo scombussolamento
che provai si acuì non appena scorsi un altro nome vicino a
quello di mia zia, un nome maschile. Quello di suo marito. Lo shock mi fece
immobilizzare. C’erano dei figli? Sentii un rumore alle
mie spalle, di cocci che si frantumavano a terra e mi voltai di scatto.
Merda, non avevo sentito alcuna presenza. I miei occhi
incontrarono quelli di una ragazza stupenda, dai lunghi boccoli rossi e
dagli occhi verdi. Cazzo, era così simile a me. Si
portò una mano sul volto, gli occhi sgranati, e io capii che
non l’avevo sentita prima perché lei era
già nella mia mente. Era lei quel qualcuno
che mi aveva attirato lì. «Sei
venuto» bisbigliò. «Lo sapevo che non
potevi essere morto. Lo sapevo». Non mi
lasciò il tempo di parlare, la sua mente si unì
alla mia e io provai una gioia immensa. Era carne della mia carne,
sangue del mio sangue, e i miei pensieri la riconoscevano. Capii che
non c’era alcun bisogno di parlare con lei, perché
mi avrebbe capito. «Ti ho
aspettato così tanto» bisbigliò.
«Tua madre sperava che prima o poi tu ritornassi». Si ostinava a parlare,
mentre i suoi pensieri mi arrivavano chiari nella mente ancor prima
delle parole. Era davvero bellissima, così candida e pura
con quel vestito color corallo che le arrivava sopra la cosce. «Chi, chi
sei? Come fai a sapere il mio nome?» le domando, dopo essermi
ricordato di avere il dono della parola. «Sono io.
Elizabeth, sono una Masen. O almeno, sono imparentata con i
Masen» mi rispose e fece per saltare il vaso ormai a pezzi. “Fermati, ti
prego, non mi toccare”, le imposi. Lei si
bloccò. Aveva percepito i miei pensieri. Mi doleva la testa.
Immagini si susseguivano nella mia mente: immagini di Bella e Jacob
Black, immagini che non volevo vedere. «No, sta
calmo. La mia mente fa da catalizzatore alla tua. Non farti soffrire
inutilmente. So che vuoi vedere Bella e capire cosa sta facendo, ma
rischi solo di farti male». Sapeva di Bella,
sapeva di me. E diceva di chiamarsi come mia madre. Lanciai un grido di
dolore e mi accasciai sul pavimento in cotto del mausoleo, tenendomi la
testa tra le mani. Che male, che male. Non riuscivo a resistere, la mia
testa sembrava scoppiare. “Shhh”
disse poi lei, come una mamma che culla il suo bambino. “Fate
silenzio”. E d’improvviso tutto cessò. Alzai la testa di
scatto e la guardai. “Edward, sta
tranquillo. Non voglio farti del male”. Lei del male a me.
Semmai il contrario, pensai ghignando. Era così fragile,
aveva la pelle così bianca che potevo vedere la linea delle
sue vene sulle braccia nude. Ero stregato dalla sua
presenza. “Sei
tornato”. Singhiozzava e senza che io potessi fare nulla per
fermarla scoppiò a piangere. Si gettò ai
miei piedi, abbracciandomi, e io sentii odore di casa. Ero a casa. Lei
profumava come mia madre. La mia mente ricordò
nell’immediato il profumo della mamma, che quando ero bambino
mi teneva stretta al seno. D’istinto la
abbracciai, cullandola perché smettesse di piangere. «Non
piangere» le dissi sottovoce, stupito dal fatto di non essere
per nulla attratto dal suo sangue. Erano due settimane e
mezzo che non mi nutrivo a dovere, eppure non avevo alcuna fame di lei.
L’unione tra noi era così solida che non mi
permetteva di considerarla come un’estranea. Era parte della
mia vita. «Ti stavo
aspettando» ripeté. Lei mi aspettava. «Perché»
le domandai sottovoce. Dovevamo andarcene dal
cimitero. Sarebbe potuto arrivare qualcuno e avrebbe sicuramente
frainteso la scena. Cocci rotti, fiori sparsi, un mausoleo che sembrava
essere stato profanato. Provai ad alzarmi,
inducendola a fare altrettanto, ma non volle staccarsi da me. Le sue
braccia mi circondarono: era felice di vedermi. E stranamente io ero
felice di vedere lei. «Siamo
parenti?» le chiesi ad alta voce. Elizabeth
annuì. «Sono la figlia della figlia di tua
zia». Oddio. Non ero solo,
c’era ancora qualcuno della mia famiglia al mondo. “Qualcuno
che può capirti” aggiunse lei. “Puoi
sentire i pensieri degli altri?” le domandai nella mente. Annuì,
sorridendomi raggiante tra le lacrime. Avevamo lo stesso potere, ma lei
era umana. «Era latente
in te, si sarebbe sviluppato a diciotto anni. Tutti i Masen
più sensibili lo sviluppano all’età di
diciotto anni» mi spiegò. «E tu?
Quanti anni hai tu?». Volevo chiederle tante
cose, ma sapevo di dovermi allontanare necessariamente da quel luogo.
Così la sollevai da terra, facendole sgranare gli occhi
dalla sorpresa e la portai fuori da quel posto. Richiusi la grata
dietro di me, anche se ormai l’avevo scardinata, e guardai i
fiori sparsi. «Qualcuno
penserà a un ladro di tombe» mi ritrovai a dire. Lei rise, stupendomi. «Non ti
preoccupare, sistemeremo tutto. Basta pulire». Si
divincolò e io la lasciai andare, seguendo i suoi movimenti
con attenzione. Raccolse i cocci con una scopa, li buttò in
un secchione e poi prese i fiori, annusandoli con amore. Io non
riuscivo a staccarle gli occhi di dosso. Percepivo un legame
d’affetto profondo e avrei voluto piangere: lei era la mia
famiglia, la mia vera famiglia. Mi porse un giglio
bianco e io la fissai, imbarazzato. “Prendilo,
è come te”. Come me? Non sapevo se
ridere. “Io sono un vampiro”. Perché non
avevo paura di dirle una cosa simile? “Lo so, so
ogni cosa di te. So che non fai più parte del nostro mondo.
Elizabeth prima di morire lo disse a mia nonna. Diceva che saresti
tornato”. Le sorrisi, sentendo
il cuore alleggerirsi da un peso gravoso. Ero più leggero. «Perché
sarei un giglio?». Elizabeth, bella come
un fiore, si scostò una ciocca di capelli che le ricadeva
sulla guancia e arrossì: «Perché hai un
cuore puro». «Non
direi» le risposi francamente, ma quel complimento mi fece
piacere. “Ero tanto
sola”, mi disse. “Rimarrai qui con me, vero? Per
favore”. La sua richiesta
gridava nella mia anima. Capivo cosa significasse essere soli, ancora
di più avere un potere da non poter rivelare a nessuno. In
tempi moderni ancora più difficili. «Non ho
fretta» ammisi. Non avevo nessuno da
cui tornare. Certo i Cullen, ma dovevo ammettere che mi sentivo in
colpa nei loro confronti per quello che era successo. «Starai qui
per un po’. Lo so. Fino a che non la inseguirai»
mormorò e io aggrottai la fronte, senza capire cosa
intendesse. Cercai di leggerle la
mente, ma niente. Strano. Ero curioso:
«Cosa intendi?» «Dico che lo
scoprirai». Ridacchiò. Anche criptica. Il
cuore esplose nel mio petto e io iniziai a ridere, a ridere come un
bambino felice. Era tanto tempo che non provavo quella sensazione di
pace. Come se le cose si fossero risolte, anche se non lo erano affatto. «Si
risolveranno» mi tranquillizzò lei. Io le
credetti. «Tua madre sapeva». «No,
Bella…» bofonchiai, ma Elizabeth mi
poggiò una mano sul petto e si sporse per baciarmi piano le
labbra. «L’amore
vero può morire se viene distrutto, ma l’amore
ultraterreno non può morire mai. È come una
dipendenza, una forte ossessione che ti mangia dentro». Rimasi affascinato
dalle sue parole e la seguii mentre si incamminava verso
l’uscita. Che tipo di donna era quella di fronte a me? Non
aveva risposto alla domanda sull’età. «Ho
venticinque anni» ribatté. Mi ero dimenticato che
poteva leggermi nella mente esattamente come riuscivo a fare io. Dovevo
stare attento. «Scusa,
è che mi sembra così assurdo
che…» tentai di spiegarle. Elizabeth si
girò e mi guardò comprensiva. «Sei
così bello. Se non fossimo simili, se non fossimo parenti,
potrei innamorarmi di te». Deglutii. «Non mi
conosci nemmeno» articolai con difficoltà. «Ti conosco
da una vita invece» replicò. «Da
sempre». «E non hai
paura di dire quello che pensi» le faccio notare. «Sarebbe
inutile non trovi? Ci leggiamo nella mente a vicenda». Aveva ragione.
Scoppiammo a ridere entrambi e io le porsi la mano, che lei
afferrò e strinse. Camminammo fianco a fianco in silenzio.
Lei era venuta con l’autobus, mentre io avevo la volvo. Capii
dove andare grazie alle sue indicazioni mentali. Nemmeno con Alice era
mai stato così semplice comunicare. Bastava aprire la mente,
anche senza parlare, che Elizabeth afferrava tutto ciò che
ero. Avevamo un carattere molto simile io e quella ragazza, e mi stupii
del fatto che non avesse avuto alcun ragazzo. Era così bella. «Edward,
smettila di leggere nella mia mente cose personali». Mi vergognai:
«Tu sai di Bella» «Tu gridi il
tuo amore per lei, non sai nasconderlo. Stai morendo di
dolore» mi fece notare e io dovetti ammettere che, nonostante
l’immagine colorita e romantica, non era così
lontana dalla verità. «Hai
vinto». Alzai le braccia e insieme ci dirigemmo verso la
volvo. «Ho una
sorpresa per te» disse eccitata non appena entrò e
si sistemò sul sedile del passeggiero. «Sì?»
indagai. «Non leggere
i miei pensieri, per favore, perché vorrei fosse una
sorpresa» mi supplicò con fervore. Rimasi in silenzio e
cercai di non farmi tentare dal desiderio di entrarle nella testa per
curiosare. «Sei proprio
come ti pensavo» confessò poi e divenne di nuovo
rossa. «Invidio Bella». «Non
invidiarla. Mi sono comportato in modo terribile con lei». Elizabeth non rispose,
ma nei suoi occhi passò una luce divertita. «Non
mi ringrazi di avertela fatta vedere in compagnia di Jacob
Black?». La guardai e non le
risposi. «La gelosia
ti farà capire l’errore che hai commesso
lasciandola. Tua madre non avrebbe approvato il tuo comportamento. E
nemmeno io approvo» «Quando
vorrò dei consigli te li chiederò» la
interruppi. «Grazie». «Testardo»
mi accusò quindi. «Forse non
sei così simile a me, forse somigli più a mia
sorella Alice» bisbigliai, ingranando la retromarcia e
uscendo dal parcheggio. «Faccio
soltanto la voce della tua coscienza» borbottò
mortificata. L’avevo
ferita. Le chiesi perdono,
sperando che accettasse le mie scuse. Lo fece, e mi rivolse un altro
sorriso candido e tenero facendomi subito dimenticare la discussione. «Edward».
Pronunciò il mio nome con speranza. «Grazie per
essere qui».
Mamma
mia se è tardi. Mezzanotte! Non ci sarà nessuno
sveglio per leggere, ma io aggiorno. Vi avverto che partirò
il 21 luglio per una settimana, vado a Lisbona, perciò non
potrò aggiornare. Grazie mille per i vostri commenti, sono
simpatici. Grazie! Arigrazie! L'ho detto. Ora vi lascio alla lettura e
mi fiondo sotto le coperte. Che sonno!
Pensai a quante coincidenze ci
portavano a vivere cose insolite nella vita, e mi domandai se la mia
vita fosse solo il frutto di una banale coincidenza,
casualità. A ben pensare era assurdo credere che
fosse dovuta al caso. Soltanto al caso. Mi
rilassai sullo sedile, provando una strana sensazione mentre, alla
guida, mi chiedevo come fosse possibile provare un legame intenso con
una persona che apparentemente non avevo mai conosciuto, ma che aveva
un rapporto con la mia famiglia. Era la mia famiglia. «Non
ti stupire, non hai ancora visto niente». Ridacchiai
e per la prima volta capii cosa dovevano provare i miei famigliari
quando leggevo loro nella mente. Era un fastidio, i pensieri non si
potevano in alcun modo controllare. Era buffo che ora fossi io quello
“studiato” adesso. «Ma
quanto pensi» sussurrò scoppiando a ridere.
«La tua mente è sempre in fermento» «Come
riesci a stare in silenzio?» le domandai quindi. La
sua mente era un luogo calmo e placido in quell’istante, come
se non stesse pensando a nulla in particolare: assoluta calma piatta. «Allenamento.
Tu non riesci?» indagò. «Ultimamente
sono pieno di pensieri» borbottai in risposta. Ero
un vampiro con poteri speciali superato da un’umana?
Elizabeth sogghignò e poi mi coprì la mano sul
cambio con la sua, stringendola. «Oh
Edward, sono così felice che tu sia qui»
ripeté contenta. «Appena in tempo»
concluse poi misteriosamente. Provai
a leggerle la mente per riuscire a capire cosa avesse inteso dire, ma
trovai un muro. Borbottai un “impossibile” e lei mi
diede un colpetto sul dorso della mano, come per rassicurarmi. «Uno
deve anche imparare a difendersi» si giustificò.
«Ma se un altro vampiro dovesse avere il tuo stesso potere
come lo affronteresti?». Ci
pensai: «Non avevo mai riflettuto su questo». Ed
era vero. «Ottimista»
confermò. Fu
il mio turno di ridere. Mi soffermai sui suoi capelli, così
simili nel colore ai miei. Poteva essere considerata davvero mia
sorella, persino i nostri visi avevano qualcosa in comune. Ma la
trovavo più bella di me, nonostante la sua
umanità, anzi forse proprio per la sua umanità. «Vuoi
farmi domande?» iniziò arrossendo. «Smettila
di leggermi nella mente» mi lamentai. «Mi
consideri davvero bella?» bisbigliò timidamente e
io le rivolsi un veloce sguardo, stupito della sua meraviglia. Lo
era davvero, uno splendore di ragazza. Un candore innaturale per una
giovane di venticinque anni. «Vorrei
non doverti lasciar andare» disse allora con un sospiro. Perplesso
mi voltai a guardarla lasciando scorrere la strada. Ero un vampiro, no?
E lei lo sapeva, inutile tenere gli occhi incollati
all’asfalto, non sarebbe servito a farla stare più
tranquilla. «Non
so cosa ne sarà del mio futuro» farfugliai. Era
troppo sicura di sé, mi capiva in un modo che mi spaventava. «Tornerai
da Bella» rispose. «Ne dubiti? Hai intrapreso una
strada che ti porterà a capire quanto Bella conta per te. Mi
sembra così ovvio». Sollevai
un angolo della bocca in una smorfia che aveva del ridicolo. Io con
Bella? Un sogno che tenevo custodito nel mio cuore. Mi
mancava. Eppure la sentivo sempre con me; il mio cuore era ancora colmo
del suo amore. E poi io non avrei mai dimenticato, per gli esseri umani
invece era ben diverso. Perciò
non reagii, le lasciai credere ciò che voleva. Non avrei mai
distrutto i sogni di una ragazza romantica. «Ragazza
romantica?» esplose. «Ah questa poi» «Smettila
di leggermi nella mente» la interruppi irritato. Ancora. «Sei
tu che non sai come schermare i tuoi pensieri. Dai la colpa a te
stesso» mi rimproverò, ma un velo divertito
aleggiava sulla sua espressione. Si
stava prendendo gioco di me Elizabeth. Elizabeth… cercai di
ricordare il volto di mia madre. Le somigliava? Mi sforzai ma i
contorni del mio passato erano sfocati. Certamente la ragazza seduta al
mio fianco era in boccio, mia madre a quel tempo era più
vecchia, anche se non di molto. «Svolta
a sinistra» mi avvertì e io seguii le sue
istruzioni, rinchiudendomi nel mio silenzio. Tentai
di far tabula rasa nella mia mente, ma non riuscii a capire come si
facesse a sgombrarla da ogni pensiero. Era faticoso cercare di non far
trapelare nulla. “Quanto
è frustrante. Al mio ritorno chiederò scusa agli
altri per tutte le volte che ho letto i loro pensieri pur non
volendo”. L’avevo
sempre trovato un potere utile, ma anche scomodo. Sentire continuamente
pensieri mi portava a conoscere umani e vampiri meglio di come loro
conoscessero loro stessi. E perciò avevo sempre faticato
nelle relazioni sociali di qualsiasi tipo. E ora mi trovavo io vittima
degli stessi poteri, e peggio, consapevole di questo. Mi
diede altre indicazioni stradali e quando entrammo a Chicago io rimasi
a bocca aperta. Non tanto per i grattaceli e la modernità,
che conoscevo bene, tanto perché nei miei ricordi era
completamente diversa, e vederne il cambiamento mi provocava una
sensazione di perdita, un vuoto nel petto. La
mia casa, la mia città, il mio mondo, non esisteva
più. «Non
disperare» si intromise Elizabeth. «Stai
leggendo» le feci notare. «Scusa,
deformazione professionale». Sghignazzò e si
appoggiò contro lo sportello, scossa da singhiozzi ilari.
Dovevo sembrarle buffo. «Grazie»
tagliai corto, percependo un lieve fastidio. Il
silenzio scese, ma questa volta teso. Non riuscivo ad accettare con
facilità che i miei pensieri potessero essere letti con
tanta facilità. Ero irritato, infastidito da lei; e non
aveva alcuna colpa di questo. Il suo potere era il mio, capivo quanto
fosse difficile limitarsi e non ascoltare. «Non…»
iniziò, ma io la interruppi. «Zitta»
borbottai. Sapevo
che mi stava ancora leggendo nella mente e che mi avrebbe detto
qualcosa di spiacevole. Ci guardammo entrambi e lei mi trasmise un
pensiero. “Scusami,
non volevo essere fastidiosa”. Scossi
la testa. Ora stavo anche facendo la figura dello stupido insensibile;
in realtà quella ragazza mi affascinava, il legame con lei
era forte. Elizabeth era un richiamo del passato ed era legata al mio
futuro. «Oh
Edward» cominciò. «Sapevo che eri un
tipo complicato». Alzai
gli occhi al cielo e tornai a concentrami sulla guida. Finalmente
arrivammo, dopo qualche indicazione data all’ultimo momento
per mettermi in difficoltà. Mi fermai di fronte a un
grattacielo e lo guardai confrontandolo con lei. Sembrava una donna da
casa di campagna, una di quelle che si vestiva con colori pastello e
attendeva di poter cucinare per le persone che amava. Perciò
mi stupiva sapere che abitasse in un edificio tecnologico
dell’ultima epoca. Anche se in fondo ormai tutta la
città si riduceva a questo. «Vieni,
andiamo. Non vedo l’ora di farti vedere la
sorpresa». E
una sorpresa lo fu veramente. Non appena aprì la porta di
casa io rimasi impalato di fronte allo spettacolo che mi si prospettava
davanti. Era arredata in stile inizio Novecento. Tale e quale
alla… mia casa. Scrollai le spalle, sentendomi un
po’ stupido, e lei mi fece segno di entrare. Emozionata. «Dai
vieni!». Saltellò. Io
misi un piede dopo la soglia, sentendomi catapultato nel XX secolo. Incredibile. «Quando
si ha qualche soldo si può fare tutto» mi
spiegò orgogliosa, chiudendo la porta dietro di me. Ne
ero consapevole, visto che ai Cullen non mancavano certo soldi. Questo
grazie all’impegno di tutta la famiglia, ma Alice era la
migliore di noi in quanto a dare la caccia ai soldi. Era lei ad avere
visioni. Ma una donna che voleva vestirsi all’ultima moda, se
lo doveva anche poter permettere. Invece
Elizabeth non sembrava quel tipo di donna. «Questo
è per te» mi informò. «Tutto
questo è stato conservato, restaurato. Casa Masen non era
molto lontana da qui. Non ricordi?». Non
ricordavo neanche di aver avuto una zia, perciò no. «Qui
ci sono cose che ti sono appartenute, Edward». Incuriosito
vagai con lo sguardo per il salone. Non riconobbi nulla, niente che mi
fosse familiare. «Ma
qualcosa di tecnologico c’è». Fissai
la televisione a schermo piatto accostata alla parete candida, di color
bianco. «Vuoi
che non mi diverta in qualche modo?» si lamentò.
«Devo pur vivere» «Leggendo?»
la canzonai. «Ascoltando musica?». Mi
afferrò per la manica e mi trascinò in fondo alla
stanza dove c’era una porta aperta che dava in quello che
sembrava un piccolo studio vuoto. Avanzai e mi guardai intorno. Le
tende, persino quelle sembravano antiche, forse per il colore rosa
pallido, ma ero chiaro che il gusto fosse tutto femminile. Poi
però mi bloccai e vidi qualcosa che riconobbi immediatamente. «Il
mio pianoforte». Rimasi scioccato. Mia
madre, Elizabeth, mi aveva voluto dare un’istruzione fuori
dal comune. Sin da subito la mia intelligenza era stata superiore a
quella degli altri bambini. Avevo imparato a leggere a quattro anni ed
ero stato sensibile a qualsiasi contatto umano. I miei genitori lo
avevano notato. Mia madre amava l’arte, ogni espressione
artistica, e aveva preso la decisione di farmi imparare a suonare il
pianoforte da un maestro da lei conosciuto. Mio padre, innamorato di
lei, le aveva dato carta bianca, a patto che io però
dimostrassi interesse anche per attività prettamente
maschili. E quella non era stata una difficoltà: mi piaceva
la strategia, la guerra, ma anche la musica. Ero un animo tormentato
sin da ragazzino. Mi
avvicinai e passai le dita sulla cassa armonica e lo ammirai. La sua
bellezza era la stessa, sembrava come nuovo. Un groppo mi chiuse la
gola. C’era una parte di me in quello strumento, una parte
della mia infanzia. Ero stato bambino, e quel bambino ora era
lì, in quel pianoforte, unico ricordo piacevole di quei
giorni senza memoria. «Edward…»
mi chiamò Elizabeth vedendomi scosso. «Forse non
dovevo». La
rassicurai con uno sguardo e lei si rassicurò, rilassando le
braccia e lasciandole cadere lungo i fianchi. Mi
misi seduto, pronto per suonare quella meraviglia, e non appena lo
feci, il ricordo della mia vera famiglia ritornò prepotente.
Mia
madre Elizabeth nella sua veste semplice, profumava di gelsomino. Un
fiore gentile, una mano calda pronta a consolarmi; mio padre Edward, un
uomo duro, dai tratti regolari, mai dolce, mai comprensivo verso i miei
errori, ma che mi aveva insegnato cosa significava essere uomo. Suonai
Chopin, le mie mani scorrevano sui tasti: una melodia malinconica,
forse triste, complessa, proprio come mi sentivo io. Una melodia in
cammino, in continua crescita. Era possibile per un vampiro crescere
ancora dopo un secolo? Carlisle mi avrebbe potuto rispondere. Sentii
due braccia appoggiarsi sulle mie spalle e capii si trattava di
Elizabeth. I suoi pensieri si intrecciavano ai miei e io la sentii
nella mia testa. “Suoni
divinamente”. Rimasi
concentrato sulla musica. Quanto mi era mancata la musica? Da tempo non
ascoltavo più nulla. Bella era la fonte della mia vita, da
cui sgorgava il mio desiderio di vivere. E mi sembrava così
strano riuscire finalmente a suonare, a sentire la musica nel cuore. A
causa di quel bambino forse, quel piccolo Edward che si arrampicava per
suonare il pianoforte che gli sembrava enorme, mentre sua mamma gli
diceva di stare attento e di impegnarsi durante la lezione. Ma il
piccolo Edward avrebbe anche tanto voluto rendere orgoglioso suo padre
e così aveva desiderato diventare un militare. “Continua,
non smettere”, mi incoraggiò Elizabeth quando la
melodia giunse al termine. E
io ricominciai, facendo vivere la musica; la creai con le dita, una mia
musica improvvisata. Ma piano si trasformò e io riconobbi la
ninna nanna che avevo creato per il mio piccolo Bambi, il mio dolce
amore, la mia bimba lontana, distante, che avevo fatto soffrire. Quanto
la amavo. L’avrei
suonata ogni sera, decisi, per lei, sperando che la mia musica le
arrivasse alle orecchie, che ogni sera prima di andare a letto mi
pensasse almeno un po’. Che pensasse a quell’amore
così pazzesco vissuto con un vampiro crudele che
l’aveva lasciata quando invece le aveva promesso amore eterno. Il
mio amore, mi consolai, per Bella, quello sì che sarebbe
stato eterno. Non ci sarebbe stata nessun’altra, mai. Non
avevo bisogno di perdere la mia verginità con una donna che
non era l’amore della mia vita. Io volevo lei. Con
chi avrebbe fatto l’amore? Si sarebbe ricordata dei miei
baci? Delle mie carezze? Ovviamente
no. Le mie mani erano così fredde sulla sua pelle. Per lei
un uomo caldo, bollente, sarebbe stato perfetto. Non
avrei mai potuto scaldarla, né mai tenerla al sicuro. “Non
è così, smettila di pensarla così. Hai
sbagliato a lasciarla, ma era scritto che dovessi farlo.
Perché dovevi venire qui”. Mi
alzai di scatto a quelle parole, smettendo di suonare. «Tu
non sai nulla» gridai fuori di me, provando il desiderio di
distruggere il pianoforte che aveva fatto tornare in me la voglia di
suonare. «Invece
lo so, so cosa provi. Lo sento, ma dovevi realmente venire qui. Non
puoi tornare da Bella senza aver capito chi sei veramente e soprattutto
senza credere di essere un mostro». Mi
voltai e la scrutai. I suoi occhi verdi mi guardavano con tenerezza e
preoccupazione. Perché nessun uomo si è mai
innamorato di lei? Come era possibile? «Edward»
mi lanciò uno sguardo dubbioso. «Non stiamo
parlando di me, ma di te». Ancora,
mi aveva letto ancora nel pensiero. “Smettila”
le intimai. «Non
puoi colpevolizzarti! Bella è importante per te»
ribatté, fronteggiandomi. «Smettila».
Questa volta ringhiai. «Perché
mai! Tua madre Elizabeth immaginava che ti saresti innamorato. Ma il
tuo cuore aveva bisogno di una persona che potesse capirti,
apprezzarti». Quante
fantasticherie. Io ero un vampiro, Bella una semplice umana che aveva
ogni diritto di vivere una vita normale come tutte le sue coetanee.
Avevo fatto la scelta giusta, dopo aver visto la reazione di Jasper poi
ne ero ancora più sicuro. «Presto
cambierai idea» mi minacciò. «Ci
sarò io a fartela cambiare». Non
la ascoltai e tornai verso il salone. Dovevo prendere distanza dallo
strumento, prima di cedere alla tentazione di distruggerlo.
Così mi parai di fronte alla televisione, fingendo
indifferenza. Vidi Elizabeth andare verso il frigorifero e aprirlo con
noncuranza. Riuscì
a farmi sbarrare gli occhi per l’ennesima volta. Aveva
riserve di sangue dentro quel coso. «Hai
fame?» mi chiese. «Immagino di
sì». Prese
una delle confezioni e me la lanciò, sicura che
l’avrei presa, invece la lasciai cadere a terra senza neanche
provare a prenderla, esterrefatto. «Tu
sapevi che io sarei venuto». Lei
fece spallucce: «Non sapevo quando. Avevo solo delle
sensazioni. Sai, avere poteri ha comunque i suoi lati
positivi». Mi
chinai a raccogliere il sangue e aprii la confezione che lo proteggeva
e lo teneva sottovuoto. Lo annusai e mi sentii affamato: non era sangue
animale, ma sangue umano. Da quanto tempo non bevevo sangue umano? I
miei occhi si sgranarono, le pupille si dilatarono. Oddio, dovevo
resistere. Non era giusto bere sangue umano, non potevo tornare a farlo
dopo anni e anni. Ero
sempre stato deciso a non ricadere nel tunnel di quella droga umana.
Una sola dose e poi ne avrei voluto ancora, perché mi
avrebbe dato sempre più forza. «Ti
servirà la forza» mi venne in aiuto Elizabeth. Io
la guardai molto male. «Scusa».
Mi aveva ancora letto deliberatamente nella mente. «Vorrei
poter fare lo stesso» le confessai. «Devo
insegnarti a schermare i pensieri. Potrebbe essere utile». Pensai
a Bella, a quel potere naturale che aveva di tenermi fuori da lei, da
ogni suo pensiero. Non era mai successo, con nessuno, lei era stata il
primo caso. E ora anche Elizabeth. “Bevi?
Stai facendo il bambino”. Bevvi
avidamente, morto di fame, almeno metaforicamente, e sentii il sapore
dolce farsi largo sulla lingua per scendere nella mia gola. Era
semplicemente divino il sangue umano. Niente di paragonabile a quello
animale. Una nuova energia mi scoreva nelle vene e io inspirai quella
potenza, dandole la benvenuta. Era
pericoloso. «Non
te ne darò ancora» bisbigliò.
«So l’effetto che fa». Ma
come faceva a sapere tutte quelle cose? «Semplice.
Mi sono informata su di te e la tua famiglia». Come? «Entrando
in contatto con la tua mente». Non
sapevo cosa pensare. Non avevo mai avvertito una presenza estranea. Se
non conoscevo la persona a lunga di stanza non potevo sentire i suoi
pensieri. Forse per lei era diverso. «Io
ti conosco, mia madre mi parlava della tua. Sono cresciuta desiderando
di conoscerti. Non stupirti se ho cercato di capire la
verità su di te» mi rivelò. «Io
non sono più un Masen». Non capivo come avesse
fatto a informarsi. «Il
dottore che tempo fa curò tua madre si chiamava Cullen di
cognome. Non è stato difficile intuire le conseguenze.
È anche un famoso medico, molto conosciuto e stimato. Edward
non è impossibile raggiungerti». Volevo
ancora altro sangue, ma non avevo il coraggio di chiederle una
confezione. Questo perché sapevo che ne avrei voluto sempre
di più fino a quando non avessi sentito dentro di me una
sensazione di invincibilità. Era così che
funzionava: si acuivano i sensi, si diventava più forti, si
intensificavano le potenzialità paranormali. Il Paradiso di
un vampiro. «Vorrei
mostrarti la tua stanza, ti va?» mi chiese e io mi lasciai
distrarre. La
seguii per il lungo corridoio, dove notai quadri attaccati alle pareti.
Erano perlopiù paesaggi, ma anche persone. C’era
un unico uomo tra loro e io fissai quel viso domandandomi chi fosse.
Sembrava un quadro recente, dipinto in olio su tela, un quadro che
parlava molto più degli altri. Parlava di un sentimento
chiaro: amore. «Non
farti strane idee» bofonchiò indicandomi la strada. «Quella
è la tua stanza, questa invece è la mia e questo
è il bagno». Annuii
e continuai, nonostante il suo avvertimento, a guardare quel quadro.
Chi era il ragazzo ritratto? Lo conosceva? «Edward,
non mi stai ascoltando» si indispettì e io mi
imposi di fare un’espressione contrita di scuse. «L’ho
fatto io. È un ritratto». Si
chiarì finalmente e io mi domandai dove avesse visto quel
giovane. Era di bell’aspetto. “Non
sei venuto qui per farmi da cupido” mi sgridò
nella mente. “E
tu invece puoi fare considerazioni su Bella e il mio amore per
lei?” replicai, sentendomi un bambino colto in fallo. Lei
stava solo cercando di aiutarmi. Solo cercando di farmi vedere le cose
in modo differente, non potevo farle una colpa se sentiva il desiderio
di consolarmi. “Perdonami”
le dissi infine. “Quel
ragazzo viene al cimitero ogni tanto. Mi ha colpito la sua espressione
triste, niente di più. Ora vorrei che insieme guardassimo la
tua stanza”. Non
ribattei, conscio di averle aperto una ferita non prevista. “Per
aspettare me non hai vissuto realmente mai?”. Era quella la
forte impressione che avevo. Lei
non mi rispose, ed entrammo nella mia camera.
Buona
domenica!! Scusate l'assenza prolungata, ma i primi dieci giorni di
agosto ho avuto molto da fare. Come state? Come prosegue questa estate?
Qui fa caldo, ma meno degli scorsi giorni. Si sopporta. Vi ringrazio
come sempre per i vostri commenti e le vostre letture, Nadir
è abbastanza seguita e questo mi soddisfa molto, anche se
immagino che New Moon non sia proprio il libro preferito dalle
Twilighters, almeno credo. Qualcuno preferisce New Moon agli altri
libri della saga? Sarei curiosa di capire perché. Ora vi
saluto lasciandovi al capitolo. Un bacione enorme e ancora grazie.
Malia.
La vita
“normale”
Cacciare, non avrei
più sentito a lungo il bisogno di farlo. La padrona di casa
accontentava i miei desideri, mi nutriva di sangue umano e io mi
sentivo forte da giorni. Invincibile. Guardai la stanza dove mi aveva
gentilmente ospitato, Elizabeth, e io non potei ignorare la somiglianza
con la mia vecchia camera. Da ragazzo, avevo avuto uno spazio personale
semplice e sobrio, ma molto simile a quello che ora mi circondava. Mi sembrava di essere
stato catapultato nel mio passato. Quando ancora ero un ragazzino
immaturo, con dei sogni. E il pensiero di aver perso i miei genitori
divenne insostenibile e doloroso. Mi stesi sul letto,
pur non potendo dormire, e ascoltai Elizabeth suonare il piano con
grazia. Lei era molto brava, dovetti ammetterlo, e nascondeva qualcosa,
anche questo sapevo. Impossibile per me fare breccia con
facilità nella sua mente. Era diventata simile a
una lotta. Il nostro rapporto apparentemente pareva quello di due
fratelli affettuosi, ma io cercavo di trovare una breccia nella sua
mente, e mi esercitavo a fare scudo dei miei pensieri. Era un esercizio
costante nuovo per me, non ero mai stato sotto attacco in quel modo
prima d’ora. Sentii bussare alla
porta e mi affrettai a mettermi in una posizione più consona. «Edward?»
mi chiamò lei. «Hai smesso
di suonare? Ti stavo ascoltando con piacere» le confessai. Girò la
maniglia ed entrò con un gran sorriso. Dovevo ancora
abituarmi a dividere la casa da solo con una donna. Solitamente i
Cullen erano chiassosi e non avevo alcun problema a sentirmi a casa
mia. Ora, con Elizabeth, nonostante il luogo molto famigliare, mi
sentivo un uomo in balia di una donna da proteggere, consolare, capire.
«Edward, non
ti senti a tuo agio qui con me?» mi domandò, il
broncio su quelle belle labbra. «Non
è questo… è che, mi sembra tutto
così assurdo» le confidai, facendole segno di
sedersi sul bordo del letto. «Lo so, ma
io e te siamo legati. Forse questo ti imbarazza»
affermò accettando di sedersi al mio fianco. Mi curvai in avanti,
guardando il comodino di legno accanto al letto. Era proprio come lo
ricordavo. Quel letto in ferro battuto con accanto un semplice comodino
di legno. «Mi sembra
di essere catapultato nel mio passato». Sospirai
così e Elizabeth si sporse per toccare la mia mano con la
sua. «Chi ti dice
che non era questo quello che dovevi affrontare?»
mormorò lei enigmatica. «Ho la
strana sensazione che tu mi nasconda qualcosa». E l’avevo
sin dal primo momento che le avevo parlato. Ridacchiò e io
mi trovai a farlo con lei. Sapeva come contagiarmi con la sua
ilarità. «Ti ho detto
che ti aspettavo, no? Evidentemente un motivo
c’è» mi spiegò e io la
fissai, interrogativo, sperando che continuasse, che non mi tenesse
sulle spine. Ma Elizabeth non
parlò più e io borbottai un “non mi
piace per niente” esasperato. «Non
potresti cercare di rilassarti?» mi chiese allora,
dondolandosi sul letto. «Anche se non puoi dormire». «E come
faccio quando la donna che amo…» mi bloccai,
conscio di quello che avevo appena detto. Maledizione, pensare a
Bella non sarebbe servito certo a farmi tornare il buon umore. «Torna da
lei» mi rimproverò Elizabeth. «Di certo
nessuno ti costringe a starle lontano». Immaginai di tornare a
Forks e presentarmi alla sua porta dopo averla vista soffrire
così tanto a causa mia. Guardai la scena con orrore. Bella
sarebbe scesa ad aprire la porta, domandandosi chi potesse essere a
quell’ora della mattina, e mi avrebbe guardato inorridita. “Edward”
avrebbe sussurrato. “Emh…
ciao”. Sarebbe stata l’unica cosa coerente che mi
sarebbe venuta in mente in quel momento. “Cosa ci fai
qui?”. Ecco, il momento della
verità. Sarei ammutolito di fronte a quella dimostrazione di
palese disprezzo e odio, quando invece io sarei tornato da lei solo per
dirle quanto l’amavo. Avrei visto
l’ombra di un ragazzo alle sue spalle, un ragazzo di cui lei
si sarebbe innamorata durante la mia assenza. Magari proprio una
persona che io avrei detestato, qualcuno che non avrei sopportato di
vederle a fianco. Come lui. Jacob Black.
Che avevo visto vicino a lei in una delle mie assurde visioni lanciate
da Elizabeth. Era di lui che si sarebbe innamorata Bella? I
Black… c’era qualcosa in loro che mi convinceva
poco. Qualcosa che mi sfuggiva attualmente ma che presto sarebbe
tornato a perseguitarmi. «Edward! Mi
stai ascoltando?». La voce di Elizabeth
mi richiamò e per fortuna quella breve immagine scomparve
dalla mia testa, lasciando il posto a un grande vuoto nel cuore. «Non posso
tornare» mormorai. «Non ora
certo» borbottò. «Ma Bella non
è fuori pericolo come credi. Volente o nolente tu
l’aiuterai». Mi sollevai di scatto,
voltandomi verso di lei e fronteggiandola. Non ebbi bisogno di leggerle
nella mente per capire a cosa si stesse riferendo. «Victoria?»
sbottai spaventato. «E non stai
dimenticando qualcun altro?» sottolineò con il
tono mellifluo di chi la sapeva lunga. «Laurent»
farfugliai portandomi una mano sulla fronte e massaggiandola come se
provassi dolore. «Complimenti»
urlò allegra e batté le mani. Di nuovo la sensazione
che Elizabeth somigliasse in modo impressionante a mia sorella Alice. «Sono
lontani da Forks». Tentai di convincermi.
«Perché poi dovrebbero interessarsi a
lei» continuai iniziando a girare avanti e indietro per la
stanza. «Vendetta?
In fondo non sei stato tu a uccidere James? Ti ricordo che era il
compagno di Victoria» mi ricordò e io mi ritrovai
con le braccia lungo i fianchi, a maledire me stesso per aver lasciato
la mia Bella in balia dei pericoli. «Se solo
fossi rimasto con lei a proteggerla…» bofonchiai
battendomi un pugno sulla coscia. «Sapevo che avrei dovuto
rimanerle accanto nonostante tutto». «Non fartene
una colpa. Non era destino» mi rassicurò. Non era destino? Io
non credevo affatto al destino, se non a quello che mi aveva fatto
incontrare Bella. Ma ironia della sorte, l’avevo lasciata
pensando di aver fatto la cosa giusta. Non sapevo ancora bene per chi o
cosa. Forse per lei, sì, certamente per poterle dare una
vita normale, senza vampiri intorno. Non avevo fatto i conti con
Victoria però. «Cosa
succederà?» le domandai. «E come diavolo
fai a sapere queste cose?». Elizabeth si strinse
nelle spalle: «Io so tutto di te. Te l’ho detto,
sono i miei poteri» «Puoi
vedere, come Alice allora? Sei in grado di…». Ma
poi mi resi conto che Alice era in grado di vedere il futuro, e nemmeno
certo. «Io posso
soltanto sondare la vita delle persone a cui sono spiritualmente unita.
E una di queste sei tu. Tutto qui». Fece spallucce e io mi
domandai a chi altro fosse legata. Forse a quel ragazzo
che avevo visto ritratto nel dipinto? Chissà. «L’attaccheranno?»
insistei, ma lei scosse la testa mostrandomi la sua confusione. «Non lo so,
questo dovresti chiederlo a tua sorella Alice. Non sono in grado di
leggere il futuro, anche se qualcosa posso immaginarlo». Già, e quel
qualcosa era proprio il fatto che Victoria e Laurent si sarebbero
nuovamente fatti vivi. Come avevo potuto abbandonare Bella sperando che
venisse difesa dal suo nuovo amore? Io ero l’unico in grado
di poter distruggere quei vampiri. E la voglia di
ammazzare Victoria con le mie stesse mani mi fece salire il veleno alla
bocca. «Quel sangue
umano mi ha resto violento» bisbigliai, tornando verso il
letto. Dovevo sedermi,
calmarmi, rilassare i muscoli, ma il pensiero che quei vampiri
potessero cercare di far del male a Bella non mi avrebbe più
lasciato in pace. «Hai
sbagliato. Lei ha bisogno di te» rincarò la dose
Elizabeth. «Sono io che
ho bisogno di lei. Gli umani dimenticano in fretta, probabilmente lei
mi avrà già dimenticato. Anche tu sei una di
loro… dovresti capire cosa intendo». Ero furioso,
arrabbiato per quella scoperta pericolosa, ma ancora di più
sentivo le mie mani prudere; il bisogno di essere vampiro mi scorreva
dentro. «Edward.
Bella ti vuole ancora» tagliò corto. «E
non solo ti vuole, ma aspetta che tu torni». «Non
è vero! L’ho vista, l’ho vista sorridere
per un altro!» gridai, fuori di me dalla rabbia. Lei si sarebbe presto
dimenticata, e io non avrei sentito quei sensi di colpa lancinanti al
petto, al cuore. “Oh Bella,
perdonami”. «Perché
tu non ci sei! In qualche modo deve pur soffocare la mancanza che ha di
te!». Anche Elizabeth aveva alzato la voce, ora
strillava per farsi ascoltare. «Io non
avrò mai un’altra donna» ringhiai. «Ma
Edward… sei ingiusto. Tu sei un vampiro, per te è
diverso. E sei anche vergine, non hai idea di cosa significhi avere una
donna, non ti manca. Non hai mai fatto l’amore. Sei ancora un
ragazzino». Le sue parole mi
fecero male, mi ferirono. Non ero affatto un ragazzino, mi ero
comportato come… «Un eroe non
è certo quello che per paura lascia la sua donna, ma che
combatte per tenersela a fianco». Dannata. Odiai
Elizabeth e la verità delle sue parole. «Non puoi
capire» bofonchiai. Ma lei
sbuffò e mi diede un colpo sulla spalla: «Io sono
qui soltanto per aiutarti». La abbracciai di
scatto, stupito dal bisogno che percepivo in me di sentire addosso il
calore di una persona. Elizabeth mi strinse e mi baciò una
guancia. Poi mi accarezzò le spalle e io provai un moto di
tenerezza. «Oh
Edward!». Mi strinse ancora più forte, ma io non
lo feci per evitare di farle male. La tirai verso di me,
facendola stendere al mio fianco sul letto, e chiusi gli occhi, mentre
le sue carezze sul viso mi facevano rilassare. Quanto mi piaceva
essere toccato da lei, le sue dita avevano il potere di calmarmi. Il
mio cuore fermo trovava conforto. Come una mamma Elizabeth mi consolava. «Colpa del
sangue umano» le balbettai all’orecchio. «Sei un uomo
passionale. Non c’entra nulla il sangue» mi disse,
passando le mani tra i capelli rossicci e scompigliati. Se solo avessi avuto
Bella tra le mie braccia, a consolarmi così. Se solo il mio
piccolo Bambi, il mio dolce cerbiattino fosse stato con me in
quell’istante… quante parole d’amore le
avrei detto. E quante volte scusa le avrei chiesto per essere stato
così stupido da lasciarla sola nonostante il nostro amore. Stavo soffrendo. «Che ne dici
di uscire? Andiamo a fare una passeggiata» mi propose, ma il
mio umore non era adatto a fare una passeggiata in città. Volevo rimanere solo e
riflettere sulle possibilità di ciò che avevo
combinato. «Sei legato
a Bella, quando sarà in pericolo lo saprai» mi
consolò Elizabeth continuando ad accarezzarmi il collo con
dolcezza. «Ma se le
succederà qualcosa? Io non posso fare niente per
lei» piagnucolai, come un bambino bisognoso di rassicurazione. «Non
è vero. Saprai come proteggerla. Mi dispiace, non volevo
farti pensare a Victoria e Laurent» si scusò, ma
io l’avrei dovuta ringraziare per avermi fatto riflettere sui
miei errori. «Bella non
ha certo bisogno di uno come me» digrignai tra i denti. «Smettila
Edward, oppure troverò il modo di farti molto male. E non
sarà piacevole. Comincia a stancarmi questo tuo modo di
colpevolizzarti e sottovalutarti. Agli occhi di quella ragazza sei la
cosa migliore che potesse capitarle. E lei ti ama. Ma non te lo
dirò ancora, sono stanca». Elizabeth si
alzò e si diresse verso la porta, spalancandola. Mi
guardò con occhi colmi di tristezza e rimprovero. L’amore era
davvero una grande sofferenza. E io non riuscivo a sostenere sempre con
calma la lontananza di Bella. Desideravo baciarla, fare
l’amore con lei. Quel dolore sordo al centro del petto mi
faceva infuriare, arrabbiare con me stesso. E sperai che passasse in
fretta, perché rischiavo di impazzire. «Hai voglia
di un bel drink?». Elizabeth
rientrò senza bussare e mi porse un bicchiere colmo di
liquido rosso con una bella cannuccia colorata. Bevvi avidamente, pur
non avendo fame e mi sentii forte come raramente mi ero sentito in quei
cento anni. Il sangue umano acuiva
i miei sensi, la mia forza, e io rischiavo di diventare pericoloso per
la mia dolce coinquilina che non faceva che pensare a me e ai miei
bisogni. «Il sangue
umano mi rende…» iniziai, tentando di non farle
paura. «Irascibile e fuori controllo». «Ma almeno
ti fa avere desideri sani e ti fa ragionare meglio» mi
corresse Elizabeth. «Rischio di
impazzire chiuso qui dentro» le confessai finalmente. E lei
ribatté: «Speravo tanto che lo dicessi. Forza,
usciamo, andiamo a divertirci un po’. Anche io ogni tanto ho
bisogno di aria fresca». Cercai di leggerle
nella mente, giusto per curiosità, ma lei aveva alzato
ancora quello scudo. Si accorse del mio tentativo e tentò di
fare lo stesso con me, ma ora anche io sapevo come difendermi. Mi
fissò, compiaciuta del muro che ero riuscito ad alzare per
proteggere i miei pensieri e si complimentò: «Stai
facendo grandi progressi». Altroché.
Ma sospettai che le mie capacità fossero aumentate
soprattutto grazie al sangue umano. Prendemmo la mia Volvo
e prima di tutto passai a mettere un po’ di benzina. Guidare
la mia auto mi dava sempre un senso di sollievo. Elizabeth lo sapeva,
perciò facemmo un lungo giro, in silenzio, a goderci
soltanto il paesaggio cittadino dal finestrino. «Chi
è il ragazzo del ritratto?» tornai a domandare. Dovevo distrarmi. «Perché
ti interessa?» ribatté lei. «Potrei
leggerlo nella tua mente mentre dormi» la minacciai, alzando
una mano per avvertirla della mia serietà. «Certo,
provaci, sarebbe molto divertente» mi provocò,
senza però rispondere alla mia domanda. Dovevo in qualche
maniera scoprire chi si celasse dietro quel viso. Che fosse il ragazzo
di cui era innamorata? In fondo Elizabeth era carina, giovane e piena
di talenti. Perciò non trovai nulla di male nel pensarla
legata a un uomo. «Lui ti
piace?» le chiesi. A questo avrebbe
potuto anche rispondere. Non era un terreno pericoloso. «Non
saprei» rispose lasciandomi interdetto. «Sì
o no?» insistei. «Ma come sei
insistente. Oggi sei insopportabile!» mi accusò e
io dovetti ammettere che non aveva tutti i torti. Ero nervoso, e i
motivi si potevano riassumere in un nome solo: Bella. «Comunque
non lo conosco affatto, quindi puoi farmi tutte le domande che vuoi.
Non ti so rispondere. E questa è la
verità». Non lo conosceva? E
allora come era possibile che l’avesse ritratto in un quadro
nella sua casa che sembrava più un mausoleo di inizio
Novecento? «Ho voglia
di strozzare qualcuno» le confidai stringendo il volante tra
le mani. «Potresti
provare col tuo collo» replicò facendomi scoppiare
a ridere. Parcheggiai e mi
rilassai sul sedile, aspettando di finire il mio attacco di risa.
Elizabeth incrociò le braccia al petto, stizzita e io le
lanciai un’occhiata divertita. Solo lei aveva il potere di
farmi ridere nonostante la disperazione di sentirmi impotente e lontano
da Bella. «Avrei
voglia di un gelato» borbottò con un certo
fastidio di fronte al mio sguardo canzonatorio. «Andiamo a
comprarlo» le dissi, ben contento di poterla accontentare in
un suo desiderio, anche se dei più semplici. Elizabeth stava
facendo molto per me, e io ero consapevole che aver ritrovato la mia
famiglia era un dono. Ero ancora esterrefatto dalle sue
capacità. Non avevo bisogno di nasconderle nulla di me, lei
avrebbe capito. Era così che funzionava tra parenti? Non
sempre, a giudicare dai pensieri umani che spesso mi facevano
accapponare la pelle dalla crudeltà. Ero avvezzo a sentire
ogni tipo di pensiero umano, anche adesso, mentre camminavo con lei sul
marciapiede, sentivo la mente di ogni ragazzo apprezzare con pensieri
poco galanti Elizabeth, che pareva ignara vicina a me. Non sopportavo i
pensieri lascivi degli uomini. Come quelli delle donne verso di me. «Non ti
preoccupare, sono abituata». Io invece non mi sarei
mai abituato a questo. «Lo
detesto» ammisi. «Per questo
non hai mai avuto una ragazza prima di Bella?» mi chiese,
entrando in un locale areato. La seguii, vagamente
in imbarazzo. «Non
penserai anche tu che sono una sorta di vampiro asessuato,
vero?» mormorai per non farmi sentire dalla gente che ci
circondava. «Edward, io
non penso niente» rispose. «Ma ti
sembra strano, dico bene?» continuai imperterrito. Perché
sembrava così assurdo e illogico che io non avessi mai avuto
una donna prima di Bella? «Non mi
sembra strano. Tu sei strano» disse, sottolineando la cosa
con una stretta alla mia maglietta. «Sei diverso dagli altri
uomini, ma sei anche nato in un’epoca dove le donne non erano
considerati oggetti sessuali. Non ancora almeno». Abbassai la testa per
ringraziarla in modo “antiquato” e lei mi
abbracciò velocemente, tornando a guardare
all’interno della gelateria. Una bella pasticceria, molto
accogliente. «Vorrei una
torta, ho cambiato idea» sussurrò. «Scegli, te
la compro io». Desideravo vederla felice. I suoi occhi
brillarono e si avvicinò al banco delle torte, indicandole
con la mano a una a una. «Mi piace la
mimosa, ma anche quella con la frutta. E ora quale scelgo?». Mi piacque vederla
intenta e concentrata a scegliere. «Perché
non entrambe?» le proposi. «Tu mi vuoi
viziare». Sorrise e il mio cuore si sentì
più caldo. «Tu lo stai
facendo con me» le feci notare. Decise di prenderle
entrambe e io fui felice dei miei cinquanta dollari ben spesi. Ero
convinto che vederla sorridere felice mi avrebbe ridato un
po’ di serenità e infatti fu così. Mi
ricordava un fiore di primavera pronto a sbocciare, ma con qualche
difficoltà segreta che teneva ben custodita nel suo cuore. Tornammo subito a
casa, per poter mettere le torte nel frigorifero. «Avrò
torta da mangiare per più di una settimana.
Diventerò enorme». Mi sedetti in cucina,
osservando il suo viso eccitato e sconsolato. La sensazione che
Elizabeth fosse una parte importante di me, si fece molto molto forte e
per un attimo desiderai farla conoscere ai Cullen. Le sarebbero
piaciuti, soprattutto Emmett e Alice. E poi Esme sarebbe stata
entusiasta di avere un’altra donna umana in casa,
così avrebbe potuto cucinare ancora uno dei suoi piatti
speciali per umani. «Piaceresti
a mia madre Esme» bisbigliai sovrappensiero, guardandola
infilare un dito nella morbidezza della torta mimosa. «Credi?»
mi rispose vaga. «Non credo che la conoscerò
mai». «Perché?».
Ero sorpreso dalla sua risposta. «Potresti invece». Scosse la testa e non
resistette, affondò ancora il dito nella panna:
«Non ne avrò mai
l’opportunità». Sinceramente non capii
cosa stesse cercando di dirmi. Forse era timida. La sua mente era
ancora chiusa e io aprii la mia, sapendo che lei avrebbe sentito i miei
pensieri perplessi e stupiti. Non fiatò comunque e io mi
avvicinai, stringendola in un abbraccio possessivo. «Ora sono
qui. E ti proteggerò». Non sapevo il motivo per
cui mi ero lasciato sfuggire quella frase, ma Elizabeth capì
e scoppiò a piangere, ricambiando il mio affetto.
Buonpomeriggio!!
Questa è una calda giornata estiva, si muore di caldo dalle
mie parti. Ma prima di andarmi a fare un bel bagno con ghiaccio ho
pensato di aggiornare Nadir. Spero che vi faccia piacere questo
aggiornamento... Ovviamente io come sempre vi ringrazio,
perché continuate a seguire questa storia. E nonostante non
siate in molti io ne sono felicissima. Grazie di cuore a quelli che
seguono questa fanfic. Un ringraziamento anche da Edward, ahahah!
Un bacione e al prossimo aggiornamento! Malia.
Victoria e Laurent
Osservavo il pianoforte a coda
con l’aria di chi pensava che non l’avrebbe mai
più suonato. Troppi ricordi, e soprattutto faceva male
pensare a quanto spesso l’avevo suonato per Bella, unicamente
per lei. Più Elizabeth mi spingeva a suonare più
io mi rifiutavo di farlo. Una delle sue passioni
era il giardinaggio; in terrazza non faceva che piantare piccole
piante, anche da frutto, pur sapendo che avrebbero avuto poco spazio
per crescere. Ma a lei piaceva tentare e quindi ci riprovava ogni volta. Io però non
smisi di guardare quel pianoforte, con l’immagine di Bella
davanti agli occhi. Avrei tanto voluto
risentire la sua voce, parlarle. Il mio cuore innamorato non voleva
saperne di accettare la sua assenza, anche se la mia mente
l’aveva già fatto. «Sai che sei
patetico quando ti piangi addosso» intervenne Elizabeth
entrando dalla terrazza. Non le risposi, mi
limitai a lanciarle un’occhiata omicida. «Scusami
tanto» borbottai incrociando le braccia al petto. Lei sorrise e si
diresse verso il bagno a prendere della terra da giardino. La metteva
sulla lavatrice. Anche il bagno era una sorta di serra dove mettere le
piccole piante che avevano bisogno di maggior calore. Avevo appena
fatto la doccia nella foresta amazzonica. Non che mi
dispiacesse, quel suo aspetto mi metteva allegria. «Dovresti
calmarti, prendere un respiro profondo e concentrarti su di
lei» mi consigliò, pulendo la paletta sotto il
getto d’acqua del lavandino. «Così
appare?» la canzonai, ben sapendo che non avrebbe funzionato. «Ne
dubiti?» rispose, sollevando le sopracciglia. «Ovviamente»
ribattei. Fece spallucce e si
limitò a sbuffare, come se fossi io il pazzo che non capiva
nulla. Mi infastidiva pensare che a lei riusciva ciò che a
me era precluso. Va bene, ognuno aveva i suoi poteri, ma io e lei
facevamo parte della stessa famiglia, nelle nostre vene scorreva lo
stesso sangue. Ma io non riuscivo in
alcun modo a vedere Bella, anche se mi sforzavo e lo desideravo con
tutto me stesso. «Suona un
po’» mi consigliò e io scossi la testa. «Siamo alle
solite. Sei cocciuto» si lamentò e andò
a prendersi una fetta di torta dal frigorifero. Anche quello mi faceva
ridere: la sua golosità. Elizabeth era una splendida
persona, dall’animo sensibile. L’avevo capito
immediatamente. Ed era molto femminile. Indossava spesso ampie gonne e
camicie di ogni colore che rallegravano i colori tetri della giornata. «Sai che
potresti fare?» proruppe d’un tratto, orgogliosa
della sua trovata. «Cosa?».
Dovevo stare attento alle sue domande. «Disegnarla.
Potresti dipingerla, io adoro dipingere mi rilassa. Ti andrebbe di
provare a disegnare Bella?» mi incoraggiò. E io mi indignai:
«No!». L’urlo uscì
involontario. Elizabeth mi
voltò le spalle e tornò al suo giardinaggio, non
senza aver sbattuto le porte finestre che davano al terrazzo. L’avevo
offesa. “Mi
dispiace”, cercai di raggiungere la sua mente. “Sto solo
cercando di aiutarti” rispose lei. “Voglio
vederla. Non puoi aiutarmi, vorrei vederla” le confessai. I miei occhi erano
ancora rivolti al pianoforte, ma adesso questo non c’era
più. C’era Bella, sdraiata sul letto, nuda,
invitante, che mi chiamava. E io sgranai le palpebre, perché
raramente mi succedeva di avere visioni così esplicite di
lei. «Edward»
mormorava e io accaldato mi portai una mano sulla fronte. «Bella»
bisbigliai, andandole vicino. Percepivo il profumo
del sapone che usava per farsi la doccia. Toccai il letto, ma in
realtà sentii una superficie ruvida sotto la mano. Era
quella del pianoforte. Eppure sembrava così reale. «Edward, mi
manchi» mi disse, la bocca contrita in una smorfia di
sofferenza. «Anche tu mi
manchi» le risposi, sincero. «Non so dove
trovarti. Non ti vedo più. Non ci sei più. Ho
paura, aiutami. Ho bisogno di risentirti con me. Prima ti sentivo, sai?
Ora sono sola» confessò allungando le braccia. Non osai abbassare lo
sguardo sui suoi seni, anche se provai l’insano istinto di
approfittarmi di quella immagine. Non avrei
più potuto vederla, più sentirla, mai
più sposarla. Perciò non avrei fatto nulla di
male. Seguii con le dita la linea perfetta del suo viso. Bella urlò
e io percepii il mio cuore lacerarsi. «Non basta
capisci, lui non basta» bisbigliò e io sentii
forte il bisogno di stringerla al mio petto. «Gli voglio
bene, ma… non è te. Ti prego, torna. Farei
qualsiasi cosa per farti tornare». «Bella…»
la chiamai, pregandola. «Non posso farlo. Non
credi?». Volevo baciarla.
Abbassai il capo, pronto a sfiorarle le labbra con le mie e la sentii
mormorare. «Ma certo! Come ho fatto a non pensarci.
Andrò alla radura, alla nostra radura». Alla nostra radura. «Non
farlo!» gridai allarmato. La sensazione che lì
sarebbe successo qualcosa di terribile mi attraversò come
una scossa. “Victoria”,
mi parlò nella mente Elizabeth e la visione scomparve. Mi voltai e lei era
dietro di me, le mani contratte in pugni piccoli, sporchi di terra. «Laurent
è a Forks, ne sono convinta» mormorò. «Hai detto
di non saper leggere nel futuro» ribattei sperando con tutto
il cuore che si sbagliasse. «No,
infatti. L’ho letto dentro di te, sei tu ad averne avuto
consapevolezza Edward, non io» borbottò.
«Non venirmi a dire che è uno sbaglio». “Perdonami”,
pensai, amareggiato per ciò che avevo appena visto. «Bella non
ti ha affatto dimenticato» mi fece notare, ma io sbottai,
allarmato. «Era solo
una visione!». Non lo era, lo sguardo
di Elizabeth era chiaro in proposito. Si sedette sulla sedia del
salone, guardandomi attentamente, il vestito sporco, il bel viso
imbrattato. «Bella
deciderà di andare alla radura» mi disse. «Lo so e
allora?» sbottai scontroso. «Ferma,
Victoria, inseguila. È lei che non deve arrivare a Bella.
Segui le sue tracce, fa che abbia paura di te, allontanala prima che
sia tardi». Il suo viso era una
maschera di serietà. Deglutii. Dovevo fidarmi di lei, mi
aveva sempre dimostrato di essere dalla mia parte, e io avrei fatto
qualsiasi cosa per proteggere Bella. «E
Laurent?» le domandai. «Ferma
Victoria. Sento che è lei il vero pericolo per Bella. Non
Laurent. Ma non so dirti il motivo» mi spiegò e io
annuii. Le credevo. «Sei forte.
Hai bevuto sangue umano. Non dovresti avere alcuna
difficoltà» commentò sovrappensiero.
«Ma devi sbrigarti. Victoria dovrebbe essere sulle tracce di
Bella, vicino Forks». Inorridii al pensiero
di quella vampira che avrebbe cercato di nuocere a Bella e mi sentii
morire dentro. «Dannazione»
urlai e Elizabeth si alzò, venendo verso di me. «Inutile
farsene ora una colpa, cerca invece di risolvere il problema. E poi
vorrei che tu tornassi qui da me» mi pregò. «Cosa?»
farfugliai, senza capire. «C’è
ancora una cosa importante che devo dirti. Una cosa che sicuramente ti
farà bene al cuore, ma questo non è il momento
giusto. Devi tornare indietro» «Ci vorranno
comunque ore prima che raggiunga Forks». Terrorizzato non
riuscii a muovere un muscolo. Anche in quel momento
il mio piccolo Bambi rischiava di morire, era in pericolo. E ancora una
volta la causa di questo era il sottoscritto. «Sveglia,
Edward!» strillò Elizabeth. Si diresse in cucina e
prese del sangue dal frigorifero: «Nutriti e poi corri, corri
veloce». Sorrise. Quanto tempo? Sapevo
di poter andare veloce; prendere l’auto mi avrebbe
rallentato. Avevo comunque paura di non arrivare in tempo. «Arriverai,
forza» mi incoraggiò lei. Ci dirigemmo verso
l’uscita e io presi un respiro profondo. D’un tratto
squillò il telefono in corridoio e fu Elizabeth a rispondere. «Ciao»
disse semplicemente guardandomi. “Alice”.
«Victoria?
Sì, lo sappiamo. Sì, ti faccio parlare con
lui». Allungò la
cornetta e io la afferrai portandomela all’orecchio. «Non pensavo
avessi ancora parenti in giro» disse stupita Alice. «Ciao anche
a te» bofonchiai irritato. Scoppiò a
ridere e poi continuò: «Edward ho visto Laurent e
Victoria a Forks. Vogliono uccidere Bella. È stato difficile
però, non riesco a capire dove effettivamente
siano». «Andrò
io» le confidai a quel punto. «Vuoi che
venga con te? Siamo una famiglia, non so se te lo ricordi» mi
canzonò il mio folletto. «E non te lo dico
più Edward. Comprati un cellulare per essere
rintracciabile!». La sua furia mi fece
sorridere. La mia sorellina si preoccupava costantemente. «Salutami
tutti, io sto bene» la rassicurai, ma la sentii sbuffare
nell’altro capo della cornetta. «Prendi in
giro qualcun altro. Capito?» urlò prima di
ridacchiare ancora. Riattaccai dopo averla
salutata. La fretta di correre da Bella si stava trasformando in ansia
e angoscia. Mi chinai per baciare Elizabet e lei mi strinse forte a
sé, prima di chiudere la porta alle mie spalle. E
così iniziai a correre. Senza fermarmi avrei corso fino a
Forks. Era una pazzia, non sapevo dove esattamente andare. Non avrei
potuto seguire l’autostrada, né tantomeno vie
trafficate col pericolo di essere visto. Ma non mi importava,
come un folle innamorato mi sarei frantumato ossa e muscoli pur di
arrivare in tempo e strozzare Victoria prima che riuscisse a sfiorare
la mia Bella. Nessun vampiro avrebbe dovuto toccarla. Correre…
correre… non vidi altro che alberi, larghe distese. Mi
orientai, sentendo la mente delle persone, utilizzando i pensieri della
gente per attraversare ponti, città, luoghi sconosciuti. I
miei sensi erano talmente acuti, la mia forza talmente incredibile che
non ebbi più dubbi: il sangue umano mi aveva reso
incredibilmente potente. Mi chinai per evitare
un ramo, poi saltai un masso, mi scontrai con l’acqua di un
fiume, ma non mi fermai mai. Mai… e soltanto per lei. Sarei
morto per lei. Non l’avrei
mai e poi mai abbandonata. Bella. Eppure avevo preferito farle correre
questo rischio piuttosto che proteggerla io stesso, accanto a lei. «Bella,
perdonami» bisbigliai come se fosse stata lì con
me. E poi a un tratto la
sentii. Il mio naso percepii l’odore di vampiro e io capii
che si trattava di Victoria e Laurent. Mi bloccai e controllai lo
spazio deserto intorno a me. Mi abbassai, tastando
il terreno e annusai. Sì, erano loro. Mi guardai intorno
cercando di capire quanto vantaggio avevano su di me. Anche loro si stavano
spostando a piedi. Era quasi sera. A
tarda notte avrei raggiunto Forks, mentre loro sarebbero giunti di
sera. Per quanto cercassi di correre veloce anche io avevo dei limiti,
ma soprattutto tentavo di passare inosservato e questo mi rallentava
molto. Era incredibile
però con quale energia avessi affrontato la traversata. «Victoria…»
ringhiai. «Ti avevo avvertita». E poi continuai a
correre nella direzione in cui mi indicavano le loro tracce. Mi accorsi
in ritardo che i due si erano divisi. Che si fossero accorti di me? Ripensai alle parole
di Elizabeth che mi aveva consigliato si seguire Victoria e non Laurent
e feci quello che mi aveva consigliato. Così corsi
deciso dietro alla vampira, sperando davvero che Elizabeth non avesse
sbagliato i suoi pronostici, altrimenti Bella avrebbe corso un grave
pericolo. Mi fermai poco prima
di Forks, sentendo nell’aria la presenza di Victoria. Era
vicina. «Sapevo che
ci avresti seguito». La sua voce mi giunse chiara alle
orecchie. Mi voltai e non
accennai a muovermi. «E
quindi?» risposi soltanto, le mascelle contratte. Si scostò i
lunghi capelli rossi dal viso, l’espressione divertita. «Quindi ti
aspetti forse che mi fermerò?». Rise e io
aggrottai la fronte. «Laurent
arriverà da Bella, mentre io ti ho deviato. Sapevo che
avresti seguito me». Cercai di rimanere
calmo. Era soltanto un modo per provocarmi, solo un modo per farmi
credere che Laurent avrebbe colpito Bella. «Che cosa
farai Edward?» mi domandò, il viso rilassato, le
braccia lungo i fianchi. «Ti
ucciderò» risposi con semplicità. «Prego,
fatti avanti». Sorrise e aspettò che io
l’attaccassi. Rimasi immobile, in
attesa, squadrandola con attenzione. I muscoli tesi, lo sguardo fisso.
Avevo la sua stessa forza ora. Avevo sangue umano nelle vene e quindi
non sarebbe stato così semplice battermi. «I tuoi
occhi sono rossi» notò finalmente. Sghignazzai. Victoria
indietreggiò e si piegò in avanti. Non mi feci
condizionare e mi irrigidii in posizione di battaglia. Ma quando avanzai
velocemente, la vampira iniziò a correre, sfuggendomi.
Maledetta, voleva farmi perdere tempo, così non avrei mai
raggiunto Bella la mattina seguente. Continuai a
inseguirla, mentre la sua risata mi entrava nelle orecchie e mi faceva
infuriare. Perciò iniziai la mia corsa per afferrarla.
Riuscivo a starle dietro, riuscii persino ad afferrarla e trascinarla
per un lungo tratto, fino a che non fu in grado di liberarsi. Non potevo togliermi
dalla testa il fatto che era un modo per distrarmi, per tenermi
occupato. Divenni più
violento. Tentai di fermarla in ogni modo, ma non faceva che saltellare
e ridere, ridere e saltellare, tanto che persi la pazienza e la
inseguii fino a che l’alba non ci raggiunse. Maledizione, mi aveva
portato lontano da Forks. «Ti
inseguirò, te lo giuro. E non ti lascerò in
vita» le promisi. «Molto
interessante la tua minaccia» rispose, ma non sembrava
affatto colpita dalle mie parole. Scappò,
proprio mentre il sole faceva capolino all’orizzonte e io le
lasciai un margine di vantaggio. Dovevo trovare Bella, poi avrei
pensato a Elizabeth. Le avevo promesso di tornare da lei, anche se il
desiderio di uccidere Victoria stava facendo vacillare la mia promessa. «Ti
troverò, non temere» bofonchiai, tornando indietro. Era realmente troppo
tardi per raggiungere Bella, ma avrei tentato ugualmente. Laurent
avrebbe cercato di farle del male e io non me lo sarei mai e poi mai
perdonato. Così
ricominciai a correre verso Forks, il cielo azzurro con sfumature
violacee mi accolse, ma la mia ansia riusciva a non notare la bellezza
del paesaggio. «Bella!»
mormorai. «Bella per
favore» continuai esasperato. E mentre il sole si
alzava io continuai a correre, fino a che finalmente non arrivai a
Forks. Non appena
però misi piede in città capii immediatamente
dove si trovava Laurent e cosa stava facendo. Sentii forte il suo odore
e anche quello di Bella. Il terrore mi
immobilizzò. «Bella,
Bella per favore» la supplicavo sottovoce. Per favore. Ma non
sapevo chi stavo pregando se lei oppure qualcuno che la aiutasse. Ma qualcosa
cambiò nell’aria e io mi accorsi immediatamente
del cambiamento. Odore di lupo, odore di licantropo. Scoprii i canini e mi
tesi. Cosa voleva dire questo? Un flash mi
riportò al passato, e io ricordai il patto con i lupi. Ma
pensavo non ci fossero più ormai, pensavo… ma
evidentemente avevo sbagliato i miei calcoli.
Buonaseraaaaa!!
Disse il tipo che aspettava quella lì fuori dalla porta in
non ricordo che pubblicità passata. Sì, ho le
idee chiare, lo so. :) Bene dai, sono allegra questa sera
perché sono riuscita a scrivere molto oggi. Come va? Che mi
raccontate? Sapete che state aumentando? Sono molto contenta. Vedo che
questa storia sta appassionando e io sono proprio felice di questo.
GRAZIEEEEE!! Bene, spero di non deludervi e continuare ad appassionarvi
con questi capitoli Pov Edward.
Non
mi scordo di ringraziarvi per i vostri commenti. Grazie
perché spendete il vostro tempo per scriverli e io questo lo
so. Vi mando un bacione enormissimo.
Malia.
Rivederti
è… vita
Non sentii più la presenza di Laurent e capii che qualcuno
doveva averlo ucciso. E quel qualcuno era un branco di lupi. Doveva
aver invaso il loro territorio, ma a me non sembrava in tutta
sincerità. Forse però
lui si era spinto troppo oltre. Jacob Black, quel nome
martellò il mio cervello a lungo. Era stato lui? E
perché? Non volevo che la risposta giungesse ovvia,
né che il mio cuore soffrisse a causa di quello che avrei
potuto dire a me stesso. Perciò continuai a rimuginare
fingendo di non sapere. Eppure Laurent era
morto, e solo quello doveva importare. E cioè che Bella
fosse salva, che fosse al sicuro. Corsi per la foresta e
percepii odore di branco. Sì, dovevano essere stati loro. Mi soffermai non
appena l’odore nauseante di resti di vampiro mi venne al naso. Ed eccola
lì la carcassa distrutta di Laurent, ormai senza testa,
braccia e gambe. Avevano fatto un ottimo lavoro, non avrei saputo come
farlo meglio. Eppure quella violenza mi spaventò. Non pensavo che
potessero tornare branchi di lupi mannari a difendere il territorio,
non quando c’era stato un patto anni e anni prima. Certo,
perché eravamo venuti a Forks, e a quel tempo gli antenati
Quileute non ci avevano accolto con benevolenza. Ma da lì a
tornare… pensavo che fosse ormai solo tempo di leggenda. Invece di fronte ai
miei occhi avevo la prova che i lupi erano tornati. Avrei dovuto dirlo
ad Alice. Tornai indietro e
pensai, ripensai, ai pericoli che Bella avrebbe corso stando accanto ai
lupi. Non solo vampiri a Forks, ma anche creature violente che potevano
anche perdere la testa una volta trasformate. E la violenza su Laurent
ne era la prova. Davvero Bella sarebbe
stata al sicuro? Pensai di tornare, anche solo per un attimo, a casa
Swan, per guardarla, solo una volta. Era così
vicina, ero così vicino. E perché no, poterla di
nuovo sfiorare per una notte, accarezzarle la bocca, cullarla contro di
me. Ma se ci fosse stato
un altro? Dovevo temere questo adesso, che Bella non fosse
più mia. Anche se Elizabeth mi aveva ripetuto più
e più volte quanto lei mi amasse. E la dimostrazione
c’era: il mio piccolo Bambi si era avventurata nella foresta
per raggiungere la nostra radura. Pur sapendo dei
pericoli che avrebbe corso. Non le era importato, l’aveva
fatto per me. Ci fu un combattimento
arduo dentro di me, un combattimento che però persi. Vinse
l’amore. E quindi mi sottomisi al bisogno di rivederla. Avrei
aspettato la notte e poi sarei entrato di soppiatto nella sua stanza,
sperando che avesse ancora l’abitudine di lasciare la
finestra socchiusa per me. Forse lo faceva. Il giorno non
trascorse mai. Avevo avuto spesso nel corso della mia esistenza la
sensazione che il tempo non passasse, e inesorabili quei minuti mi
logorarono perché mi tenevano lontano dalla persona di cui
ero innamorato. L’avrei
baciata? Le avrei confidato ancora una volta quanto l’amavo?
Questi erano i miei pensieri e per quanto provassi a cacciarli, la mia
testa non voleva sapere di debellarli, non voleva saperne di cancellare
quell’ansia. Forse
perché mi teneva occupato. Ritornai, per non
rimuginare troppo su Bella, al momento in cui avevo lasciato sola
Elizabeth. Lei era stata una vera sorpresa per me, e la sensazione che
mi stesse nascondendo qualcosa era realmente più che una
sensazione. Il fatto che mi avesse chiesto di tornare ne era la prova.
Ma non avevo idea di cosa dovesse dirmi e perché il mio
passato si era fatto così presente nella mia vita dopo la
morte. Insomma non capivo… e non avrei capito fino a che lei
non avesse fatto luce su questo. Il tramonto venne
proprio quando la mia pazienza si trasformò in aspettativa.
Non mi rimaneva che correre verso la villa. Mi alzai, le gambe
tremanti, ma non per la fatica, per l’emozione. Presto
l’avrei rivista, lì, nel suo letto, come un
angelo, ad attendermi senza saperlo. La mia Bella. Non dovevo farmi
vedere, no, ma almeno un bacio. Solo un bacio. Arrivato di fronte
alla casa mi sentii rinascere. Ero morto, ma ora Bella mi avrebbe
ridonato la vita. Mi arrampicai come facevo sempre, cercando dentro di
me la forza non tanto per guardarla, quanto per lasciarla di nuovo
andare. La luce era accesa,
Bella non dormiva ancora. Stava parlando al
telefono con sua madre. «Sì,
mamma sto meglio. Certo. No, per ora. No, è solo un amico.
Ti farò sapere». La guardai
interrompere la chiamata e sedersi sul letto, sconsolata. «Sì,
è solo un amico. Mi domando se qualcuno potrà mai
prendere il suo posto nel mio cuore» bofonchiò, e
si stese sul letto guardando il soffitto. Rimase in quella
posizione per un po’, poi si sporse per spegnere la luce e
accendere l’abatjour. Oh, se era bella! Non era un sogno, lei
era proprio lì, di fronte a me, e sembrava piuttosto
tranquilla. Era viva e stava bene. Aveva preso peso, il suo seno era
aumentato e la trovai più sensuale che mai. Il desiderio sopito si
risvegliò in me, in modo violento, ma io lo soffocai. Cosa
avrei provato se mi fossi avvicinato tanto da essere circondato dal suo
dolce profumo? Volevo immergermi in quella fragranza che mi drogava e
mi faceva perdere completamente la testa. «Edward»
bisbigliò e strinse il cuscino a sé.
«Oggi sei stato con me ancora una volta. Ti ho sentito,
c’eri. Non ce la faccio più senza di te». Amore mio. La guardai
irrigidirsi e iniziare a singhiozzare. Avrei voluto stringerla, aprire
la finestra e stendermi accanto a lei, rassicurarla che ci sarei sempre
stato per proteggerla. Che non potevo smettere di amarla come le avevo
fatto credere, perché io ero suo. «Edward…»
ripeté. «Per favore torna. Il tuo silenzio fa
male». “Sono
qui” dissi. “Bella, sono qui”. Ma non mi mossi,
consapevole che se l’avessi fatto avrei rovinato tutto. Non
potevo, né dovevo rovinarle la vita, ma sempre di
più non capivo le mie motivazioni. Starle lontano era una
tortura; la volevo, desideravo sposarla, fare di lei la mia donna per
sempre. E invece? Invece non avevo il coraggio. Che vigliacco. Bella non smise di
piangere e io non riuscii a sostenere le sue lacrime. Stare fuori dalla
sua finestra e vederla soffrire non mi avrebbe giovato. Ma era
così… desiderabile ai miei occhi. Poter rivedere
finalmente le sue labbra, la sua fronte e la sua pelle,
morbida… «Bella»
mormorai solo per il gusto di sentire il suo nome sulle labbra. Lei si
voltò verso la finestra e io mi abbassai di scatto Non
poteva avermi sentito, era fuori discussione. Venne verso il vetro
chiuso e lo alzò affacciandosi al balcone. Feci appena in
tempo ad allontanarmi. La guardai dal basso, ben nascosto
nell’oscurità. «Ti
amo» sussurrò. «Ti amo e ti
amerò sempre, non riuscirai a fare sì che io ti
dimentichi. Mi hai capito? Tu sei tutto per me». “Tu sei
tutto per me”. Le avevo detto io tempo prima quella frase e
ora lei la ripeteva senza paura. Amore mio. Amore mio.
Ripeteva il mio cuore fermo, senza sosta. Non volevo che
quell’amore, quell’amore per
l’eternità, ma non avevo la forza di uscire allo
scoperto per dirle: “Sono tornato. Mi perdoni?”. Si sarebbe arrabbiata?
Mi avrebbe odiato? Forse. Non potevo sapere con certezza cosa le
passava per la mente. Sentii bussare alla
porta e ridacchiai. Il capo Swan. Anche lui mi era mancato. Non appena Bella si
allontanò dalla finestra risalii, arrampicandomi con
agilità. Sbirciai all’interno e assistetti alla
conversazione tra padre e figlia. «Ti andrebbe
di vedere la partita con me?» le chiese lui, il viso
preoccupato. «Ah, no,
sono esausta». Finse di sbadigliare, il mio piccolo Bambi, e
si dondolò sulle gambe. «Va bene.
Tua madre ha chiamato?» si informò. «Sì,
sta bene. Tutto ok» lo rassicurò Bella. Suo padre
annuì e si allontanò. Il mio cerbiattino si
richiuse la porta alle spalle con un grande sospiro. Doveva essere
realmente stanca e dopo l’attacco di Laurent non stentavo a
credere che si sarebbe addormentata come un sasso. Tutto a mio vantaggio
ovviamente, perché così sarei riuscito a godermi
la sua bellezza più a lungo. Sarei rimasto fino
alla mattina e poi sarei ripartito alla volta di Chicago.
L’avevo promesso a Elizabeth, non potevo infrangere quella
promessa. Ma ero certo che se
fossi rimasto una notte con Bella lei non se la sarebbe presa. In fondo
voleva che noi due tornassimo insieme, no? Bella
iniziò a spogliarsi e io attaccai il muso al vetro, come un
animale bisognoso di sfogare la sua frustrazione sessuale. Si tolse il
maglione, e poi la t-shirt. Deglutii quando le sue spalle rosee si
mostrarono a me. Tracce del suo profumo nell’aria mi fecero
salivare veleno. Merda se era bella. E così poi
si tolse i jeans e non staccai gli occhi da lei nemmeno un secondo. Le
sue mutandine rosa mi stupirono e tremai di desiderio. Che follia. In
passato mi sarei voltato, rispettando la sua privacy, ma da quando
l’avevo lasciata non riuscivo più a contenere
quell’irrefrenabile desiderio d’amore nei suoi
confronti. Perché era
di questo che si trattava. Non di semplice sesso, ma di amore. Ed era
l’amore che mi spingeva a desiderarla così
intensamente. Uccisi il pensiero che Bella non sarebbe mai
più stata mia, lo relegai in un angolo del mio cuore, e mi
illusi che presto o tardi il destino ci avrebbe rivoluti insieme
perché il nostro era un amore voluto dal fato. Continuai a guardarla
e la osservai indossare il pigiama. Andò in bagno per
lavarsi i denti e darsi un’ultima rinfrescata poi
tornò. E ad attenderla c’erano i miei occhi avidi. «Mi sento
osservata» bofonchiò lanciando uno sguardo alla
finestra. «Questa storia di Laurent mi ha fatto male al
cervello». Con un gesto stizzito
si mise sotto le coperte e si girò su un fianco, spalancando
le palpebre. «In effetti
Victoria potrebbe essere nei paraggi». No, l’avevo
cacciata io, e non l’avrei fatta avvicinare a lei per nulla
al mondo. Non più almeno. Si era già avvicinata
abbastanza a Bella. Non avrei ricommesso lo stesso errore una seconda
volta. Avrei avuto la testa di Victoria molto presto. L’avrei
inseguita in capo al mondo, pur di ucciderla. Soffocai un ringhio
furioso, ma poi tornai alla calma. Bella socchiuse gli
occhi, a causa della stanchezza non riusciva a tenerli aperti, ma di
tanto in tanto si svegliava per controllare che nella stanza non ci
fosse nessuno. Era spaventata.
Sentivo comunque che presto si sarebbe addormentata e infatti non
trascorse un’altra mezz’ora che il mio piccolo
Bambi crollò in un sonno profondo. Fremetti al pensiero
di poter entrare nella sua camera. Aprii piano la finestra, che lei
comunque aveva dimenticato di chiudere totalmente e sgattaiolai
all’interno. Caddi a terra non
appena il suo profumo tornò dentro di me. Quella reazione,
perfettamente normale e assetata, fu la benvenuta. Avrei pianto se
avessi avuto ancora lacrime. Il desiderio per Bella mi faceva dolere lo
stomaco, la pancia in subbuglio mi faceva bramare il suo dolce sangue,
per me irresistibile. Chiusi gli occhi,
godendo a fondo di quella sofferenza. Ero ormai diventato pazzo, ma non
me ne importava niente. La amavo e avrei sopportato qualsiasi dolore
pur di poterla rivedere almeno una volta. Strisciai fino a lei e
la guardai respirare. Appoggiai il mento sul letto e sentii dentro me
la voglia di gridare, urlare, uccidere, ma non la mia piccola Bella,
non lei, me stesso, per averla abbandonata. Ero furioso con me stesso
per aver perso quel tesoro prezioso. «Amore»
le dissi piano. «Lo sai che ti amo, vero?». Sperai che si
svegliasse, che spalancasse gli occhi e mi guardasse. Non avrei avuto
vie di fuga, ero troppo attratto dal suo sangue per riuscire a scappare
in tempo. Ma lei era anche molto stanca, la giornata l’aveva
vista rischiare la vita. Ovvio che aveva bisogno di riposo. «Bella,
amore» sussurrai. «Edward»
rispose, la bocca impastata dal sonno. Non aprì
gli occhi, ma non mi importò. Avevo mormorato ancora il mio
nome, anche nel sonno. Ero l’uomo più felice della
Terra. Nessuno poteva dirsi felice quanto me. «Edward,
Edward, Edward» ripeté muovendo la testa da una
parte all’altra. Il suo sonno era
agitato, ma non sembrava sul punto di urlare come era successo in
passato. Ero contento di questo, forse il mio cuore non lo era, ma non
sopportavo le sue grida. Erano soltanto colpa mia per questo mi sentivo
colpevole. Ma il fatto che avesse smesso di gridare voleva forse dire
che si stava allontanando da me? «Bella, tu
lo sai che ti amerò per sempre vero?» bisbigliai,
carezzandole una guancia. «Sì,
oggi c’eri. Eri vicino a me. Ti ho sentito». Mi aveva risposto nel
sonno. Dolce. Continuai ad accarezzarla, scostandole i capelli dal
volto. «C’ero.
Non ti avrei mai lasciata da sola» la rassicurai. «Lo
sapevo» bofonchiò. «Perché io
ti sento quando sono in pericolo. Questo perché tu mi hai
detto di non cacciarmi nei guai, ma non mi lasceresti mai
sola». Sospirò e
si sistemò, girandosi sull’altro fianco. Presi un
profondo respiro, eccitato come non mai, e tornai vicino a lei,
seguendola dall’altra parte. Mi sporsi per darle un
bacio sulla fronte. Dovevo farlo perché se non
l’avessi sfiorata avrei soltanto aumentato la mia sofferenza. Le poggiai le labbra
sulla pelle e una scarica di desiderio mi fece ringhiare. «Sono
felice. Mi fai sempre lo stesso effetto» scherzai. Non era cambiato
niente, era come se fossimo sempre stati insieme, legati eppure
distanti. Mi sarebbe piaciuto baciarle le labbra, assaggiarle. In fondo
Bella era ancora mia, non ci sarebbe stato nulla di male nel prendere
ciò che mi spettava. Abbassai il capo e
trattenni il fiato. «No»
borbottò lei voltandosi. Sbattei le palpebre e
mi sorpresi. Non aveva voluto un mio bacio. «Non
è giusto. Tu mi hai lasciata». La sua frase mi
spezzò il cuore. Appoggiai la fronte sul copriletto e
respirai, percependo nuovo dolore. Aveva ragione lei, non avevo il
diritto di pensare di baciarla, non quando le avevo fatto quello. Ero
un egoista, uno stupido. «Edward»
ripeté. «Io ti amo, torna da me». Non voleva un mio
bacio però. Non lo voleva più e forse questo era
dovuto al nuovo ragazzo che le stava a fianco, forse era a causa sua se
Bella ora era confusa. «Non vuoi
più baciarmi?» le domandai alzando di un tono la
voce. Bella non rispose,
tornò a dormire e bofonchiò qualcosa che non
riuscii a decifrare nonostante il mio udito. Ero rimasto ferito dal
suo rifiuto, ma dovevo aspettarmelo. L’avevo lasciata sola. Le sfiorai il braccio
e lo sentii freddo. Così pensai bene di metterlo sotto le
coperte per evitare che sentisse freddo. Lo presi, sollevandolo con
cura, contento di poterla toccare, come un bimbo felice di aver
ricevuto il suo premio per essersi comportato bene, e la coprii meglio. «Ecco
così». Le rimboccai meglio le coperte e mi sentii
vagamente ridicolo. Una brava mamma, ecco
cosa sembravo. Io invece volevo baciarla, stringerla, e infilarmi con
lei sotto le coperte. Dovevo decidermi
però. E così
presi la mia decisione. Mi tolsi le scarpe e mi stesi sul letto. Evitai
le coperte, perché Bella si sarebbe potuta svegliare.
Così la abbracciai, cercando di non toglierle spazio, per
quanto possibile. «Che
profumo» sussurrò Bella estasiata. «Il
tuo profumo. Mi sembra che tu sia qui». La strinsi forte a me
e le risposi: «Sono qui, e sto aspettando un tuo
bacio». Bella
ridacchiò e mi circondò con le braccia il collo.
Quello sì che era il Paradiso e io avevo deciso di lasciarlo
andare via. «Bella…
io ho bisogno di te» le confessai, sussurrandole
nell’orecchio parole d’amore. «E io di
te» replicò. Socchiuse le palpebre
e mi sorrise: «Devo aver bevuto». Evitai di scoppiare a
ridere e le strusciai il naso sulla guancia. «Solo un bacio e
poi sparirò» le dissi con dolcezza. «E
perché dovrei baciarti allora?» ribatté
accarezzandomi i capelli. Amavo quando passava
le dita tra i miei capelli, sentivo il suo amore quando mi toccava
così. «Perché
se non lo farai, io morirò» mi ritrovai a dirle. «Io non
voglio che tu muoia. Voglio che tu possa tornare da me, Edward, ti
prego» bisbigliò. «Qui
c’è Jake, ma non può essere te.
Capisci?» mi spiegò, lagnandosi. Si stava comportando
come una bimba, ma era normale, lei credeva di stare sognando, come
spesso avveniva quando trascorrevo la notte con lei. Bella aveva un
sonno pesante, per mia fortuna, ma era una chiacchierona. «Tieni molto
a Jake?» le domandai, curioso. «Non quanto
amo te. No, io ti amo. Tu sei tutto» mi rassicurò
e poi mi baciò. E quel bacio davvero
fu la mia salvezza. La mia anima iniziò a cantare per la
felicità, si librò e desiderò non
scostarsi mai da quella posizione. Bella, Bella, Bella. «Ti sto
baciando e sembra così vero» bisbigliò
tornando a poggiare le labbra sulle mie. «Io sono nel
tuo sogno; puoi fare di me ciò che vuoi qui»
farfugliai ben sapendo quanto mi costasse resistere al richiamo del suo
sangue. «Possiamo
fare l’amore?» mi domandò e io ingoiai
il veleno, sentendo il mio corpo reagire alle sue parole. «Non
so» risposi. «Tu… lo vuoi?». Non potevo
approfittarmi di lei in quel modo. “Non
l’avrai più, non si ricorderà
più di te. Non saprà mai di aver trascorso la
notte con te”. Ma era vergine, non
potevo rubarle ciò che aveva di più prezioso. «Sì,
lo desidero tanto, l’ho sempre desiderato. Sei
bellissimo». Io bellissimo. Detto
da lei quel complimento mi faceva ardere di desiderio. «E se lo
facessimo domani notte? Quando sarai meno stanca?» le
proposi, sperando cadesse nella mia rete. «Sì,
ma devi promettermi che tornerai». Non potevo farlo,
perché non sarei tornato, perciò rimasi in
silenzio. Non l’avrei
mai ferita intenzionalmente. Per quanto il mio desiderio fosse grande
mai e poi mai mi sarei azzardato a farle provare
un’esperienza come l’amore quando non potevo
permettermi di stare con lei. Avrei provato disgusto
per me stesso. «Ti
amo» le sussurrai, prima di allontanarmi da lei. Dovevo andarmene. Un
bacio doveva essere abbastanza. Anche se non era stato un bacio vero,
dovevo ringraziare la buona stella per avermi fatto tornare da lei, per
averla potuta vedere anche soltanto un’altra volta. «Nessuno ti
amerà mai più di quanto ti amo io»
sussurrai sicuro. Io avrei dato la mia
vita per salvare la sua in qualsiasi momento, senza pensare,
perché l’amavo, perché non mi
interessava affatto la mia vita se non potevo avere lei. Però…
non avevo ancora smesso di combattere, anche se non sapevo il motivo. Mi avvicinai alla
finestra; mi voltai per guardare un’ultima volta il mio
dolcissimo cerbiattino addormentato e poi mi gettai nel buio. Ancora sentii vuoto
dentro, il mio cuore era sempre lì con lei. I miei piedi toccarono
terra e il mio sguardo salì verso il cielo: «Tu
che puoi, proteggila» mormorai e poi ricominciai a correre
verso Chicago. C’era
qualcosa ad aspettarmi, qualcosa di importante, ma che mi avrebbe dato
speranza. La chiave di tutto era
Elizabeth.
Buongiorno!!!
Come state? Vi ringrazio tanto per i vostri commenti affettuosi, siete
tanto carine. :) Sono contenta quando vi posso rispondere, e infatti ho
scoperto tante cose belle che pensate e che mi fa piacere sapere.
Soprattutto cosa pensate sulla saga e su certe situazioni. Allora,
spero che questo lunedì sia cominciato bene. Io aggiorno e
lascio a voi la lettura.
Un
grandissimo bacione a tutti i lettori di Nadir.
P.S.
Qui fa ancora molto caldo, meglio scrivere la mattina presto.
Lettere dal passato
Bussai alla porta e ad
aprirmi fu un’Elizabeth preoccupata. Non appena mi vide mi
abbracciò stretto. Dondolammo sul pianerottolo, felici di
rivederci, e io le feci fare una piroetta. “Scusa il
ritardo”, le dissi col pensiero. “No, non fa
niente” rispose, circondandomi il torace con le sue braccia. Appoggiò il
capo contro il mio petto e io la strinsi a me con forza, cercando di
non farle male. «Scusami»
parlò questa volta. «Ma è bello avere
compagnia. Io sono sempre stata molto sola». Entrai e Elizabeth mi
offrì un bicchiere di sangue. Lo preparò con cura
in un bel bicchiere, persino decorandolo. «Su
racconta» mi intimò. «Victoria
è fuggita, Laurent è morto» tagliai
corto, per farla breve. «Direi che
hai ottenuto una buona vittoria» commentò. Mi portò il
bicchiere, poggiandolo sul tavolo, e si mise seduta accanto a me con
una porzione di torta tra le mani. Iniziò a mangiare in
silenzio e io cominciai a sorseggiare il mio drink. «Non sono
stato io a uccidere Laurent» le confidai. «Sono
stati dei lupi. Un branco poi. Sono tornati». Le spiegai la storia,
che pensavo ormai conclusa, di quando per la prima volta ci eravamo
stanziati a Forks. «Certo…
e Victoria? La inseguirai». Non era una domanda
perciò mi limitai a farle un cenno con il capo. «Vieni,
vorrei darti una cosa» mi disse e mi prese per mano.
«Vieni, è giusto che io te la dia ora.
Così poi potrai andare via. Anche se…»
confessò poi «anche se mi mancherai». Mi trascinò
per il corridoio. Provai a leggerle nel pensiero, nella mente, ma non
ci fu verso di capire cosa fosse di così vitale importanza
da meritare la mia attenzione. Ingoiai la saliva, nervoso, e quando
aprì la porta della sua stanza mi imbarazzai. Mi
portò verso l’armadio dove probabilmente teneva
vestiti e gioielli e mi lasciò andare. Aprì il
primo cassetto e tirò fuori una lettera, che a giudicare
dall’aspetto doveva essere molto vecchia. «Di tua
madre» bisbigliò. Poi prese a frugare
tra i suoi panni e ne tirò fuori un’altra. «Di tuo
padre» concluse. Le guardai e smisi di
respirare, portandole al cuore. «Ma
perché le hai tu?» farfugliai confuso. Perché non
Carlisle? Era lui ad aver recuperato tutte le cose dei miei genitori
dopo la loro morte. O così mi aveva detto. Eppure quelle due
lettere erano in mano di Elizabeth. «Tua madre
sospettava cosa saresti diventato. Voleva che tu continuassi ad avere
contatti con la tua famiglia. Che non la dimenticassi. Carlisle sapeva
poco di noi» mi spiegò. «Io credo che
tua madre abbia voluto farti tornare. Lo sento» «Perché?»
le chiesi e lei fece spallucce. «Leggi la
lettera, io non l’ho fatto. Me l’ha data mia madre.
Era per te, non per me» replicò. Mi sorrise,
tristemente, e io capii che il suo compito era terminato. Lei mi aveva
aspettato per darmi quelle lettere. Una volta lette ero libero di
andarmene, libero di andare a caccia di Victoria. Ed Elizabeth doveva
sapere che l’avrei fatto, che sarei andato in cerca di quella
vampira. Non avrei mai lasciato
a un vampiro l’occasione di potersi avvicinare a Bella. «Vai,
leggile, io ti aspetto qui» mi disse e si sedette sul letto. Il suo pallore mi
parve anomale, ma evitai di chiederle se si sentisse bene. Mi pareva
calma, quindi tornai in salone, da solo, ma preferii comunque andare
vicino al pianoforte. Mi misi seduto e
poggiai le lettere sui tasti. Quale leggere prima delle due? Quella di
mio padre o quella di mia madre? Optai per quella di
mio padre, che ricordavo di meno. La aprii, attento a
non strappare la carta, ormai decadente e delicata, ma questa comunque
non aveva più molta colla, quindi riuscii ad aprirla con
facilità. Edward, figlio mio, iniziava
la lettera. Quando
leggerai questa missiva non so dove sarò, ma sono certo non
accanto a te. Non ci sarò, e con me forse i miei ricordi, la
mia vita. So di essere stato severo con te. Ero orgoglioso di vederti
crescere e soprattutto di sentirti parlare di eroismo, di
patria… perdonami se uso questo tono confidenziale con te,
ma sei mio figlio. Sono stato severo, ho dimenticato prima di tutto di
essere un buon padre, ma tu non ti sei mai dimenticato di me. Prego che
non mi dimenticherai mai. Tua madre si preoccupa, sente che tu non
avrai un futuro. Ma io non ci credo… la spagnola sta
decimando la nostra città. Volevo parlarti di una cosa di
cui non mi sono mai azzardato a parlare con te. Volevo innanzitutto
parlarti dell’amore. Sai,
figlio mio, esistono vari tipi di amore, ma quello vero, quello accade
una sola volta nella vita. E se lo perdi, se ti permetti di lasciarlo
scappare, forse non avrai un’altra occasione per viverlo. Io
e tua madre abbiamo avuto la fortuna di sposarci per amore. Io e lei
eravamo solo due ragazzini quando ci siamo conosciuti, ma questo non ha
mai cambiato il valore di quello che provavamo l’uno per
l’altra. Quando
l’amore è reciproco Edward, si condivide ogni
cosa, si condividono anche i pericoli. Avevo paura che tua madre
potesse un giorno uscire di casa e ritrovarsi in
difficoltà… ma non potevo assolutamente
prevederlo. L’unica cosa che potevo fare era renderla felice,
vederla sorridere, e sapevo che questo potevo farlo soltanto io. E
quando hai questa consapevolezza, sappilo, quello è il vero
amore. Smisi di leggere e
appoggiai la testa sulle mai, scuotendola un attimo. Perché
proprio ora? Perché proprio quando avevo abbandonato
l’amore della mia vita? Faceva male leggere quella parole,
perché erano vere. Nonostante il dolore
al petto continuai a leggere. Dovevo a mio padre quella sofferenza,
perché lui si era comportato in modo onesto con me. Glielo
dovevo. Se avessi potuto
parlargli gli avrei detto di non averlo mai dimenticato, mai, ma non
sarebbe mai stato possibile rincontrarlo. Carlisle aveva preso il suo
posto, era un ottimo padre per me, ma dovevo ammettere che avrei voluto
conoscere meglio l’uomo che mi aveva messo al mondo, prima
della sua prematura morte. Continuai a leggere. Vorrei
darti un consiglio se me lo permetti. Non crogiolarti troppo nei tuoi
errori, nei tuoi sbagli, vivi con coscienza e guarda avanti, per
migliorare l’uomo che sei. So che lo farai, perché
sei mio figlio. Non sono stato un buon padre per te, vero? Non
ricordo che le tue parole rispettose e la tua rigidezza ogni volta che
entravo nella stanza. Ma io credo che in fondo tu sapevi che desideravo
solo il meglio per te. Tua madre diceva che invece non capivo quanto
fossi sensibile. Ma è giusto che le donne pensino
così, Edward, è giusto che loro si preoccupino
per il cuore dei loro figli, mentre noi uomini del loro futuro come
uomini. Volevo
dirti un’ultima cosa… sono molto orgoglioso di te.
Anche ora. Non so cosa tu stia facendo, non so chi sarai diventato, ma
sono certo di essere orgoglioso di mio figlio. Mi auguro che quando
leggerai questa lettera tu sarai già sposato e che amerai
tua moglie, la tua compagna, come ho fatto anche io con tua madre. Sei
un Masen. Sempre tuo. Edward
Masen. Quella lettera aveva
sapore di passato, ma in un certo senso anche di futuro. Vedere la
spessa calligrafia di mio padre sul foglio mi fece tornare a quando ero
bambino, a quando lo cercavo e vedevo in lui un esempio da seguire. Un
Masen. Mi guardai il polsino che mi voleva un Cullen e un po’
mi dispiacque per mio padre. Chissà se mi avrebbe mai
considerato ancora suo figlio se avesse previsto che sarei diventato un
vampiro. Non ero sicuro che ne sarebbe stato tanto orgoglioso. Ma io
ero rimasto sempre me stesso, bene o male, con qualche tipica caduta
vampiresca, non ero mai cambiato, c’era sempre Edward Masen
dentro di me. “Edward,
come stai? Sento il tuo dolore” mi chiese Elizabeth dalla sua
stanza. “Pensi che
mio padre sarebbe stato orgoglioso di me anche sapendo che sono un
vampiro?” le domandai, richiudendo con cura la lettera di mio
padre e riponendola nella busta. Era sempre stato un
uomo forte. “Non lo so.
Forse no. Non è una cosa semplice da capire per gli esseri
umani. Però sono convinta che sarebbe orgoglioso della
persona, dell’uomo che è in te” concluse. Già, non
era certo semplice venire a conoscenza dell’esistenza dei
vampiri. Chissà come l’aveva vissuta mia madre.
Adocchiai la sua lettera, ma decisi che l’avrei letta
più tardi. Volevo pensare alle
parole di mio padre. “Sembra che
si riferisca a Bella, eh?” commentò nella mia
mente. “Non avevi
detto di non averle lette?” la interrogai così. “L’hai
letta ad alta voce nella tua mente, ne ho solo approfittato, scusami.
Non è sempre facile evitare di leggere nei pensieri di chi
urla” si giustificò. “Non fa
niente” replicai, pur sentendo una punta di fastidio. “Mi
dispiace”. Era davvero dispiaciuta. “No, non fa
niente” la rassicurai. Era parte della mia
famiglia anche lei, ed era stata sola ad aspettarmi tutto quel tempo.
Le dovevo un minimo di gratitudine per ciò che aveva fatto
per me. Quando però
il silenzio mi riempì la testa mi preoccupai. Non percepii
più la presenza di Elizabeth. Che mi avesse tagliato fuori
dai suoi pensieri? Accadeva spesso, ma quel vuoto mentale mi
spaventò. Perciò mi
alzai, riposi la lettera di mio padre sopra quella di mia madre, e
andai verso la camera. Bussai, ma non ottenni risposta. Bussai ancora, non
volevo disturbarla. Probabilmente si era addormentata. Non ci avevo
riflettuto, dimenticavo spesso che non era un vampiro, ma un essere
umano. Rilassai le spalle e
feci per andarmene, quando il timore mi spinse ugualmente a controllare
che lei stesse bene. L’avrei vista comunque sotto le coperte
addormentata, no? Non c’era nulla di male in questo,
desideravo solo controllare che stesse bene. Aprii la porta ed
entrai. «Eliabeth?»
mormorai. La vidi accovacciata
ai piedi del letto. «Arrivo,
scusami» faticò ad articolare. L’odore di
sangue umano mi inondò le narici e io capii che stava
perdendo sangue. Che cosa stava succedendo? Mi affrettai verso di
lei. Stava tossendo, le spalle scosse dai singulti, e dalla sua bocca
usciva sangue. Mi chinai e le passai
una mano intorno alle spalle. “Edward”
pensò, ma poi ricominciò a tossire. Le sostenni la testa e
pensai di rinfrescarla in qualche modo, ma non volevo lasciarla sola. «Respira,
prendi profondi respiri» mormorai preoccupato. Cosa aveva?
Tubercolosi? Ma la tubercolosi ormai nel XXI secolo non era
più una malattia molto comune in Occidente. Dovevo tornare
al presente, non rimanere agli inizi del 1900. Non mi ero ancora
svegliato dal torpore dopo aver letto quella lettera. I conati non
diminuirono e così la presi tra le braccia, spaventato,
spostandola sul letto. Non potevo farla distendere, avevo paura che si
sarebbe strozzata, perciò le imposi di sedersi sul morbido
copriletto. Smise di tossire e cercò di respirare. Le presi un fazzoletto
dal comodino e glielo premetti sulla bocca, in attesa che il suo cuore
tornasse a battere normalmente. Quando successe lei si stese e mi
ringraziò senza parlare. Abbracciò
il cuscino e si rannicchiò sul letto. “Scusa, non
volevo spaventarti” commentò con dolcezza. “Cos’hai?”
mi permisi di chiederle. “Polmonite,
passerà” rispose, prendendo un profondo respiro. “Devi stare
a riposo. Da quando sei in queste condizioni?” le domandai. Doveva essere una
forma virale di polmonite, comunque grave, se sputava sangue. Non
doveva prenderla così alla leggera. Sarebbe stato meglio
somministrarle qualche cura, come quella antibiotica, e poi
consigliarle assoluto riposo. “Non sono
andata da un medico”. Arrossì a
quell’ammissione e io mi infuriai. «Non sei
andata da un medico?» urlai accanto a lei. «Ma sei
impazzita? Cosa ti è venuto in mente?». Si
rannicchiò di più sul letto e
sprofondò il viso nel cuscino, senza rispondere. Ero stato
molto violento con lei. Mi sedetti accanto a Elizabeth, al suo corpo
abbandonato sul letto, e le portai una mano tra i capelli,
accarezzandola gentilmente. “Scusa, mi
hai fatto spaventare” le confessai. “Tu mi vuoi
un po’ di bene, Edward?” mi chiese e la sua domanda
mi spiazzò. Sentii tanta
solitudine dentro di lei, la stessa che aveva corroso me i primi tempi,
quando ero diventato vampiro. Pensavo che sarei rimasto solo, senza
famiglia, per l’eternità. Solo con quel perenne
bisogno di sangue, come un mostro. “Io ti
voglio bene, piccolina” le assicurai. “Sei una
parte di me. La mia famiglia”. Elizabeth
scoppiò a piangere e io mi stesi accanto a lei, prendendola
tra le braccia. Non mi piaceva saperla sola, non dopo aver visto
l’attacco di tosse. Speravo che mi stesse dicendo la
verità, che fosse soltanto polmonite, che non fosse tumore o
altro. “Dormi”
le dissi. “Ci sono, non me ne vado. Sto qui con te”
cercai di tranquillizzarla. “Ma un
giorno andrai via” bofonchiò lei. Sì,
necessariamente dovevo. La mia vita non era lì con
Elizabeth, era con i Cullen. Per quanto fossi un Masen ero anche un
Cullen adesso, e stavo trascurando la mia famiglia. Ma non volevo dire
a Elizabeth una cosa simile, non volevo deluderla. “Rimarrò
qui, adesso. Dormi”. Le accarezzai i capelli e la cullai
contro di me. A Bella piaceva quando
le canticchiavo la sua ninna nanna per farla addormentare.
Così feci lo stesso con Elizabeth e funzionò. La
ninna nanna di Bella la portò a chiudere gli occhi e ad
addormentarsi pesantemente. Il suo corpo doveva essere esausto. Lasciarla
lì, a dormire senza nessuno che la controllasse, era fuori
discussione, perciò mi rilassai e mi apprestai a fare una
cosa che avevo sempre fatto. Aspettare. Soprattutto con Bella avevo
trascorso intere notti ad aspettare che lei si svegliasse, solo per
parlarmi, anche solo per sentire il mio nome sussurrato nel sonno. Mi
piaceva stringerla tra le braccia, perciò non era un peso,
né un problema. Continuai a
canticchiare fino a che non spalancò gli occhi, riposata, e
mi guardò sorpresa. «Sei rimasto
qui tutto il tempo?» mi domandò. «Certo, non
ti lascio da sola» borbottai, sfiorandole una guancia con le
dita. «Grazie»
rispose sorpresa. Elisabeth aveva
proprio bisogno di qualcuno che si prendesse cura di lei. Non era
possibile che una ragazza così dolce e fragile dovesse
affrontare la vita in solitudine. Aveva probabilmente abbastanza
lasciti dai Masen per non lavorare a vita. Il suo pallore, le
vene così visibili, non lasciavano presagire nulla
di buono: era una persona eccessivamente delicata e sensibile. «Se vuoi
dormire ancora, non ci sono problemi» affermai
«rimarrò qui». Scosse la testa e
tentò di alzarsi, ma lo scatto fu troppo veloce e
così dovette nuovamente distendersi. Le poggiai una mano
sulla fronte e la sentii calda. Non potevo esserne sicuro visto che la
temperatura del mio corpo era quella di un morto, ma avevo la
sensazione che Elizabeth avesse la febbre. «Vado a
prepararti qualcosa di caldo. Tu mettiti un pigiama e infilati sotto le
coperte». Questa volta non
protestò. Doveva stare realmente male. Evitai di farle la
predica perché non mi aveva detto nulla. Mi limitai ad
uscire dalla stanza e ad andare in cucina, intenzionato a prepararle un
brodo, oppure una bella minestra calda. Mi fermai solo per
guardare il viso del ragazzo ritratto. Chissà chi era quel
giovane e perché Elizabeth non voleva sapere niente di lui.
Nel tempo che mi rimaneva lo avrei scoperto, poi sarei andato via. Lei
stava realmente bene come voleva far credere? Questo mi preoccupava di
più. Forse stava sminuendo un serio problema di salute pur
di non trattenermi. “Stai
bene?” le chiesi non appena mi misi ai fornelli. Non ero certo bravo
come Esme, però qualcosa avevo imparato a farla. Erano
secoli che non mettevo piede in una cucina umana per cucinare. Insomma
avrei anche potuto mandare a fuoco qualcosa, ma confidavo sui riflessi
pronti da vampiro. “Abbastanza,
ho freddo” mi rivelò. Sì, doveva
avere la febbre. “Hai un
termometro qui in giro?” le chiesi e lei mi indicò
dove. Lo cercai e poi lo
portai nella sua stanza, affinché si misurasse la febbre.
Volevo rimanere lì fin quando non si fosse misurata la
temperatura, per evitare che barasse o mi dicesse una cosa per
un’altra. Ormai la conoscevo e potevo dire con una buona
sicurezza che pur di non farmi preoccupare e partire avrebbe detto di
stare bene e di essere guarita. Aspettai cinque minuti
e poi le sfilai io il termometro dal braccio, nonostante le sue
proteste. 38.7. «Dovrei
sopportarmi sai? Hai la febbre» bofonchiai dispiaciuto. Le sue guance rosse
sotto le coperte erano indicative. Doveva sentirsi molto stanca. «Ti porto da
mangiare» le dissi. «Poi puoi dormire. Non ti
preoccupare, io ho la lettera da leggere e molto a cui
pensare» «Ma tu devi
andare a cercare Victoria» si lamentò. Per quello ci sarebbe
stato tempo, ora dovevo occuparmi di lei. Aveva bisogno di me e certo
non le avrei chiuso la porta in faccia quando lei era stata
così gentile ad accogliermi. «Non
devi» insisté, ma io non la ascoltai. Le portai la minestra,
che non doveva essere un granché vista e considerata la mia
incapacità in cucina. Ma lei non si lamentò,
mangiò quel tanto che poteva e poi mi ridiede il piatto. Lo
riportai indietro e mi domandai ancora una volta il motivo per cui mi
aveva nascosto di non stare bene. “Hai bisogno
di altro?” le domandai. “Acqua”
rispose. Ah certo acqua.
Incredibile dimenticarsi di una cosa simile. Le portai una bottiglia e
un bicchiere, che appoggiai accanto a lei. «Edward»
cominciò «io non voglio che tu ti senta obbligato
a rimanere». La guardai per pochi
secondi, aspettando che dicesse altro, ma lei tossì e io la
aiutai a mettersi seduta per meglio confrontarsi con
quell’attacco di tosse. «Terribile»
borbottò. «Non ero mai stata così
male». Una tachipirina le
sarebbe servita per far abbassare la febbre. Mi ripromisi di uscire a
comprarla. E poi mi sarei occupato degli antibiotici. Ero un medico,
perciò certamente mi sarei orientato tra il marasma di nuovi
antibiotici messi in commercio nell’ultimo periodo.
Probabilmente Carlisle mi avrebbe saputo consigliare meglio. «Posso fare
qualcos’altro per te?» mi limitai a dirle. Sollevò la
testa e mi fece segno di sedermi di nuovo al suo fianco. «Vorrei un
abbraccio» sussurrò imbarazzata. E io la abbracciai.
Percepivo un legame forte con lei, sentivo scorrere lo stesso sangue
nelle nostre vene. Per modo di dire, perché io non ne avevo
più, però sì, era questo che sentivo,
il legame famigliare, di parentela, che mi imponeva di non
abbandonarla, perché era diventata importante. «Grazie di
essere qui» bisbigliò e io capii la sua voglia di
piangere. Non dissi nulla,
aspettai che la crisi fosse trascorsa. Elizabeth. Quale mistero si
nascondeva in lei, quali capacità! «È
un piacere per me averti conosciuta» le confessai.
«Non pensavo dopo tanti anni di poter assistere a questo
miracolo». Mi sorrise, raggiante,
e io compresi di dover fare qualcosa per quella ragazza. Non avrei mai
avuto la forza di andar via, sapendo quanto fosse sola, e quanta
sofferenza ci fosse nella sua vita. Forse lei non voleva
dimostrarlo, ma io l’avevo visto. Ormai, lo sapevo.
Buonasera!!! Aggiorno veloce
veloce perché devo uscire, volevo dirvi grazie grazie grazie
che mi seguite (oggi sono ripetitiva). E poi be', naturalmente anche
buona lettura. *Attenzione perché è un pochino
triste* Malia.
Non voglio perderti
Mi stesi al suo fianco e la abbracciai, mente Elizabeth sospirava nel
sonno. Il suo pallore non era diminuito, nonostante questo diceva di
stare bene e di non preoccuparmi. Non le credevo. Temevo che la sua
situazione stesse peggiorando, ma che non volesse dirmelo. Il fatto che
poi chiudesse la sua mente e la barricasse ne era una prova.
«Elizabeth» la chiamai. Era mattina inoltrata e non
si era ancor svegliata.
Si destò di soprassalto e si aggrappò a me.
Strinse la mia maglietta tra le dita e iniziò ad ansimare.
La tenni stretta cullandola contro il mio petto. Non avevo ancora letto
la lettera di mia madre. Non volevo lasciare Elizabeth, non potevo
lasciarla da sola. Abbandonarla sarebbe stato rigettare una parte di me.
«Edward» mormorò finalmente e io la
guardai. «Buongiorno».
Era così stanca, percepivo il suo cuore battere lentamente.
«Buongiorno».
Lei mi sorrise e mi prese la mano tra le sue. «Non puoi
continuare a rimanere qui. Sai anche tu che devi andare via».
Non le risposi, e la sistemai al mio fianco. Le baciai la fronte sudata
e mi accorsi di volerle davvero bene. Non volevo perderla.
«Non farti idee strane in quella testa»
borbottò. «Il mio compito con te è
finito. Solo non mi aspettavo di affezionarmi così
tanto».
Quella confessione doveva esserle costata fatica. «Io non
voglio abbandonarti da sola».
Tuttavia Elizabeth non mi credette, perché mi
scostò con la mano e scrollò le spalle.
«Tu sceglierai Bella. E lei è in pericolo.
Più ti attardi più lei corre rischi. Non puoi
permettertelo, nemmeno per me».
Ma che stava dicendo? Io non avrei abbandonato Bella al suo destino di
morte, né l’avrei fatto con il sangue del mio
sangue. Non potevo abbandonare ciò che rimaneva della mia
famiglia.
«Edward» mi chiamò ancora. Basta! Scossi
la testa. «Edward sto morendo. Lo sappiamo entrambi. Il mio
compito è finito».
La presi per le spalle e la fissai negli splendidi occhi verdi che
conoscevo così bene. «Tu non stai morendo, hai
solo una leggera polmonite».
Lei rise e mi abbracciò stretto. «Per favore,
fammi morire così» mi chiese. «Non mi
sono mai sentita più sola».
Non l’avrei lasciata morire. Si sbagliava di grosso se
pensava che avrei rinunciato a combattere. Piuttosto se considerava il
suo compito finito avrei bruciato la lettera di mia madre. Non aveva
più importanza il resto quando Elizabeth stava male.
«Non voglio che tu mi lasci. Sei ciò che mi
rimane» farfugliai.
«Non ti lascio. Io veglierò su te e Bella
sempre» commentò e chiuse gli occhi,
abbandonandosi sul letto.
La paura mi attanagliò e le poggiai una mano sulla guancia.
Il suo cuore batteva ancora ma ero ugualmente terrorizzato. Non volevo
perderla, non potevo.
«Bella è la mia vita, Elizabeth» le
dissi. «Voglio un uomo per te, che dia la vita per te, come
farei io per lei ogni giorno».
Mugugnò qualche parola, poi si addormentò di
nuovo. Che dovevo fare? Ero un medico, ma non capivo i motivi per cui
Elizabeth era improvvisamente diventata così debole.
Sì, forse la polmonite l’aveva indebolita, ma
credevo che… non pensavo che… ero disperato.
«Devo capire come farti stare meglio. Se pensi che io ti
lasci morire così hai sbagliato a fare i tuoi
calcoli» borbottai furioso.
Mi alzai e tornai in corridoio, trovandomi ancora di fronte la foto del
ragazzo sconosciuto. Avrei tanto voluto capire che valore avesse per
lei quel quadro e perché non volesse parlare di quel
ragazzo. Mi diressi verso la cucina, deciso a prepararle da mangiare, e
riuscii a farle un’omelette con prosciutto e formaggio. Stavo
imparando in fretta. Le cucinai anche un po’ di carote e
fagiolini saltati.
«Che buon odore» disse poi alle mie spalle.
Mi voltai di scatto e la vidi barcollante. Andai a sostenerla e lei si
appoggiò con tutto il suo peso contro di me. Era un tenero
fuscello. Le scostai i capelli dal viso e il mio cuore si strinse di
tenerezza e pena per lei.
«Ti ho preparato il pranzo» mormorai orgoglioso.
«Che privilegio. Un vampiro che mi prepara da mangiare. Se lo
dicessi in giro non mi crederebbe nessuno».
Ridacchiò, e quella sua risatina dopo giorni mi fece tornare
la speranza.
«Cucino anche a ogni ora se prometti di regalarmi questo
sorriso» le confessai ed Elizabeth arrossì,
chinando la testa, mentre io apparecchiavo il tavolo e la servivo.
«Ecco, per te». Mi sedetti accanto a lei e aspettai
che mangiasse tutto ciò che aveva nel piatto.
«Non durerà ancora molto. Va’ via per
favore» affermò d’un tratto, mettendo la
forchetta nel piatto e pulendosi la bocca. «Per
favore».
Ma io non l’avrei fatto nemmeno sotto tortura, quindi lei
poteva continuare a insistere, ma non le avrei dato alcuna
soddisfazione. Sparecchiai, portando i piatti vuoti nel lavandino.
«Chi è quel ragazzo» tentai ancora.
«Smettila Edward» tagliò corto.
«Ti ho detto che la mia malattia è grave. Come
puoi farmi questo?».
Mi voltai. Ero certo che mi aveva mentito.
«Hai un tumore?» le domandai così.
Non ci fu bisogno di rispondere. Se non era una polmonite virale,
allora doveva trattarsi di qualcosa di incurabile.
«Voglio sapere chi è» insistei.
Sospirò e si portò una mano sulla fronte,
stancamente. Era sempre più debole, evidentemente le costava
fatica anche un gesto così semplice.
«Si chiama Joshua. È un ragazzo che vedo spesso al
cimitero, ogni volta che vado. Mi guarda e mi sorride. Non lo
conosco, Edward. Quindi non farmi nessun tipo di predica sul
perché non… oh, non lo so. Voglio tornare a
letto».
Detto questo si alzò e cercò di reggersi in
piedi. Ma le gambe le cedettero e scivolò sul pavimento. Mi
lanciai verso di lei e la presi in braccio in tempo. Un
tumore…
«Potrei farti diventare come me» le suggerii
portandola nella sua stanza.
«Un vampiro? No, Edward, grazie. Meglio morire. Non voglio
vivere da sola un’eternità» mormorai.
E io mi resi conto che anche io avevo fatto lo stesso pensiero per
secoli, senza però mai avere il coraggio di cercare
realmente la morte. E poi era arrivata Bella, le cose erano cambiate da
quando lei era entrata nella mia vita. Era tornata la voglia di vivere
per sempre, e solo per lei.
«Non saresti sola». Mi inginocchiai vicino al
letto. «Ci sarebbe il ragazzo del cimitero. Lo vado a
prendere e te lo porto qui».
Lei provò di nuovo a ridere, ma un conato di tosse la
scosse. La strinsi forte a me, cullandola, per non farla sentire sola.
E quando finì non ci fu bisogno di guardarmi la maglietta
per sapere che aveva perso sangue. Lo sentivo, ne sentivo
l’odore forte.
«Pensi che vorrebbe stare con una vampira?».
Stava giocando a fantasticare. Mi venne voglia di spaccare qualcosa. Di
rompere tutti i mobili della casa. Non era giusto che una creatura
così buona, eterea, dovesse morire. Non potevo accettarlo.
«Se c’è riuscita Bella a stare con me,
ci riuscirebbe anche lui» le risposi tristemente.
Le rimboccai le coperte e notai le occhiai profonde che le
incorniciavano il bel viso. Joshua, chissà che tipo era e
che cosa faceva nella vita. Mi sarebbe piaciuto scoprire di
più su di lui.
«Smettila di alimentare i miei sogni»
sussurrò Elizabeth. «Edward, tu sei una persona
speciale, ma io non ho bisogno che qualcuno mi faccia
sperare».
Mi sedetti sul letto e le presi la mano tra le mie. La portai alla
bocca e la baciai. E così era davvero finita? La sua vita,
la mia permanenza in quel luogo che mi aveva ricordato la mia casa.
Guardandomi intorno potevo tornare indietro, rivivere i momenti con i
miei genitori, avevo persino le lettere della mia famiglia, ma certo
nessuna di quelle cose valeva la vita della mia Elizabeth.
«Non voglio perderti» bisbigliai. «Non
voglio proprio». E le baciai di nuovo la fronte, lasciandola
sola.
Dovevo comprarmi un cellulare, mettermi in contatto con Carlisle e
chiedergli di venire a visitarla. Poi sperare che potesse fare
qualcosa. E dovevo pensare a Joshua. Forse era egoistico da parte mia,
ma desideravo che Elizabeth conoscesse l’amore.
Perciò scesi le scale velocemente, presi la macchina, la mia
Volvo, e guidai fino a un negozio dove vendevano cellulari. Ne comprai
uno, che mi sarebbe servito in caso di necessità. Guardavo
continuamente l’ora, nervoso e inquieto. Se Elizabeth si
fosse svegliata e non mi avesse trovato accanto al suo letto sarebbe
stata male. E io non volevo questo.
Veloce tornai a casa. Entrai nel suo appartamento e andai a controllare
che tutto fosse nella normalità. Quando però mi
parve di non sentire il battito del cuore di lei, entrai davvero nel
panico. Spalancai la porta della stanza e la vidi stesa sul letto, i
bei capelli sparsi sul cuscino. Respirava, piano, ma respirava. Era
stata la suggestione che mi aveva fatto credere che fosse morta.
Mi accasciai a terra provando sollievo. Non osai pensare a Bella. Se le
fosse successo qualcosa di simile io sarei davvero morto. Avrei trovato
il modo di uccidermi, perché la vita senza lei non avrebbe
avuto davvero senso. Era impossibile pensare o anche solo immaginare
un’eternità senza l’amore della mia vita.
«Elizabeth» la chiamai per chiederle come si
sentisse.
Socchiuse gli occhi: «Dove sei andato? Non ti sentivo
più. Pensavo fossi partito».
«Ti ho detto che non ti lascio» ribadii esasperato.
«Sono andato a comprarmi un cellulare. Vorrei che Carlisle
venisse qui per visitarti. Sei d’accordo?».
Sperai che mi dicesse di sì, perché
così ci sarebbe stata qualche speranza. Carl era bravo a
salvare la vita alle persone, lui non era solo un ottimo medico, era
un’anima pura e giusta.
«Non ci provare, te l’ho detto»
ribatté. «Inutile che mi fai sperare».
Non rimasi in silenzio questa volta: «Ma almeno vediamo,
vediamo se ci sono delle possibilità» urlai.
Le richiuse gli occhi e si addormentò, muovendosi piano e
lamentandosi per il mio modo di fare. Non potevo più vederla
in quello stato. E se non l’avessi salvata con metodi
naturali, allora l’avrei trasformata in vampiro. Non
l’avrei detto a nessuno, ovviamente, per non mettermi i
Volturi alle calcagna, ma certo con i poteri di Elizabeth nessuno
l’avrebbe mai scoperta.
Forse. Le risorse dei Volturi erano infinite. E invece di dare la vita,
avrei dato la morte.
Decisi di uscire ancora e di scoprire se mi avesse detto la
verità su Joshua. Sarei andato ogni giorno al cimitero
finché non avessi visto la faccia di quel ragazzo. E allora
avrei deciso cosa fare.
Guidai fino a quel luogo e poi entrai, tornando verso la tomba dei miei
genitori. Era enorme il posto, c’erano tante tombe e io mi
stupivo della quantità di morti. Camminai lentamente
guardando con attenzione le poche persone che incrociavo, silenziose,
mute, che avanzavano col volto spento, e col dolore nello sguardo.
Mi rifiutai di ascoltare i loro pensieri per rispetto,
perché sapevo che stavano soffrendo, perciò non
volevo violare la loro intimità.
Una volta arrivato alla tomba di famiglia, mi domandai dove poter
trovare quel ragazzo. Aprii la mente ai pensieri, per vedere se
qualcuno per caso pensasse a Elizabeth, ma il dolore mi sopraffece e
dovetti fare a meno di sondare le menti lì attorno.
«Che devo fare per lei» chiesi alla tomba dei miei
genitori.
Pensai alla forza di mio padre, che mai mi aveva mostrato debolezza. Si
era comportato come un perfetto soldato, responsabile e austero anche
con suo figlio, nascondendo la sua tenerezza e rivelandomi poi le sue
preoccupazioni in quella lettera.
“Padre” lo chiamai. “Che devo fare. Io
non voglio che Elizabeth muoia”.
Ma il silenzio e il leggero vento non mi diedero alcuna risposta. Ero
sconsolato e veramente a pezzi. Sperai che Alice mi chiamasse entro
sera, così avrei potuto parlare con Carl, ma per ora
l’attesa mi stava distruggendo.
Mi scusai con mia madre per non aver ancora letto la sua lettera, lo
avrei fatto al più presto, ma prima volevo stare il
più possibile con Elizabeth. Lei avrebbe capito.
«Scusi?» mi disse una voce alle spalle.
Mi voltai e riconobbi immediatamente Joshua. E così veniva
spesso al cimitero.
Sondai subito la sua mente, i suoi pensieri e sospirai sollevato. Era
un bravo ragazzo. Ma non potevo non aspettarmi niente di meglio da
Elizabeth, anche lei sapeva leggere i pensieri.
«Volevo… ecco. La disturbo?» mi chiese
impacciato.
Sembrava più grande di me e mi trattava come se fossi un
vecchio. La cosa mi fece ridere. Però in effetti ero molto
più vecchio di lui, quindi non aveva sbagliato.
«No, no, qualcosa non va? Dammi del tu» gli dissi e
mi avvicinai a lui.
Indietreggiò e mi parve strano. Aveva paura di me?
«Scusi, è che non so cosa mi prende».
Certo che aveva paura. I suoi sensi umani percepivano che ero un
vampiro, e quindi sentiva la paura e il bisogno di allontanarsi, ma
anche qualcosa che lo portava verso di me.
A volte essere vampiri era una vera maledizione.
«Dammi del tu. Ci conosciamo?» gli domandai
allungando la mano.
Gli sorrisi sperando che rispondesse con calore a quel gesto di
amicizia.
«No, ma io ti ho visto qui e ho pensato che forse potevi
conoscere una persona che non vedo da un po’».
E così mi stava chiedendo di Elizabeth. Perfetto. Ero felice
che la fortuna fosse dalla mia parte, anche perché
incontrarlo così, il primo giorno… quasi non ci
avevo sperato.
«Parli di Elizabeth?» chiesi con cautela.
Lui mi fissò confuso.
«Sì, la conosci». Parve sollevato e io
capii dai suoi pensieri che era stato realmente preoccupato per lei.
«Mia cugina» specificai prima che si facesse strane
idee e quando sospirò di sollievo capii che
l’interesse di lui era tanto quanto quello di lei.
«Sai dov’è?» mi
domandò e io gli feci cenno di seguirmi.
Lui parve titubante all’inizio, ma poi non si fece
scoraggiare dalle sue brutte sensazioni e mi seguì. Doveva
tenere tanto a Elizabeth se accettava di seguire un vampiro.
«Sta male e non si può muovere da casa. Ci sono io
a farle compagnia» gli rivelai e lui si asciugò il
sudore dalla fronte, continuando a guardare in basso.
Era un tipo molto timido, gli costava fatica parlare con me. Aveva un
animo delicato come quello di Elizabeth.
«Che cos’ha? È tanto malata? Quando
tornerà?». La sua ansia era indice che nonostante
la conoscesse poco, teneva molto a lei.
«Ha un tumore» gli confidai quindi e lui si
bloccò nel viale, guardandomi con gli occhi sgranati.
Incredulo.
La sua reazione non era stata tanto dissimile dalla mia, quindi anche
lui non si aspettava affatto che Elizabeth potesse avere un tumore.
L’aveva nascosto per tanto tempo e bene. Divenne ancora
più pallido e le sue labbra iniziarono a tremare.
«Io… posso sapere dove abita?» mi chiese
di filato, senza respirare.
«Vieni con me. Se ti fidi. Ti porterò da lei. Le
farà certo piacere ricevere una tua visita».
O forse no, ma non mi importava nulla. Ero deciso almeno una volta a
farle capire il senso di ciò che stava perdendo.
L’amore non era qualcosa che nella vita si poteva
semplicemente scartare come secondario. Era invece necessario per ogni
essere umano. E persino per un vampiro senza speranze come me.
Condussi il ragazzo verso la Volvo. Salimmo e lui non parlò
per tutto il tragitto, ma io sentii chiaramente i pensieri nella sua
testa.
Aveva paura per Elizabeth. Le aveva parlato poche volte ma era rimasto
colpito dalla sua gentilezza e dalla dolcezza che aveva nel trattarlo.
Era solo, un orfano che veniva a portare fiori ai suoi genitori e aveva
incontrato lei. E anche per lei era stato lo stesso. Non si
erano mai scambiati più di qualche parola o qualche sguardo,
sorrisi anche, ma lui non vedeva l’ora di poter andare al
cimitero per sentire quel calore.
Spinsi il piede sull’acceleratore e sperai che Elizabeth non
mi uccidesse per ciò che stavo facendo. Parcheggiai sotto la
palazzina e dissi: «Siamo arrivati».
Lui scese, guardando in alto, e poi in fretta tornò a
seguirmi. Prendemmo le scale e lui mi stette dietro senza fiatare,
senza dire una sola parola senza significato. Lo apprezzai. Era un uomo
che conosceva il valore del silenzio.
Lo trovai molto adatto per Elizabeth.
Aprii la porta dell’appartamento e lo lasciai entrare prima
di me. Si guardò attorno, affascinato, e nei suoi occhi
lessi una tenerezza profonda, e anche commozione. Andai in corridoio e
passai davanti al quadro con la sua immagine dipinta.
«Che cosa?».
Per la seconda volta si fermò di scatto e si mise a
osservare il quadro. Incrociai le braccia al petto e mi appoggiai
contro il muro, godendomi lo spettacolo.
«Ha davvero un tumore?» mormorò lui,
sollevando la mano per toccare la cornice.
«Sì, sta morendo» gli parlai, senza
nascondergli quello che lei mi aveva detto.
«Questo sono io» farfugliò e io capii la
sua confusione.
Erano entrati nei rispettivi cuori senza saperlo. Era normale che si
stupissero.
«Aspetta, vedo se Elizabeth è sveglia e le dico
che sei qui».
Lui annuì continuando a fissare se stesso, sconcertato.
Considerano che non aveva una sua foto, Elizabeth doveva aver
memorizzato i tratti e i lineamenti. Era stupefacente davvero una cosa
simile, un sentimento come quello.
Non volevo che si perdesse.
Entrai nella camera di Elizabeth e lei si voltò verso di me.
Era sveglia.
«Che cosa hai fatto» mormorò non appena
mi richiusi la porta alle spalle.
«Senti i suoi pensieri?». Era una domanda, ma in
fondo conoscevo già la risposta.
«Tu sei pazzo. Portalo via, non voglio vederlo» si
lamentò e si coprì. «Non in questo
stato».
Afferrai le coperte, le strattonai, scoprendola, e le sistemai i
cuscini. Tentò di ribellarsi, ma era troppo debole e
comunque non sarebbe mai riuscita a competere con la mia forza.
«Perché l’hai
fatto…». Scoppiò a piangere.
«Perché ti voglio bene. Ti voglio davvero
bene» mormorai e le baciai una guancia. «Trattalo
bene, è venuto per te» continuai. «Non
fare quella faccia. A parte le occhiaie, sei bellissima».
Me ne andai e feci entrare Joshua, che si infilò nella
stanza commosso. Che bello l’amore. Mi accorsi sempre di
più di quanto avessi sbagliato a lasciare Bella da sola.
Senza di lei non ero che una pallida imitazione di me stesso.
Ma prima dovevo fare qualcosa per Elizabeth, poi avrei pensato ad
ammazzare Victoria. E forse dopo… forse dopo sarei tornato
da lei. Se mi avesse ancora voluto, ma dovevo provare.
Avrei preparato qualcosa da mangiare ai due piccioncini.
Il cellulare squillò prima che io potessi mettere piede in
cucina. Lo afferrai e lo portai all’orecchio, sapendo
già di chi si trattava.
«Carlisle sta arrivando. È con Esme».
Alice sembrava un po’ arrabbiata.
«Grazie» le risposi, sapendo che era stata lei a
vedere tutto.
«Sai una cosa? Sei un pessimo fratello. E in più,
stai facendo soffrire la mia migliore amica».
Scoppiai a ridere e il mio piccolo folletto sbuffò nella
cornetta.
«Cosa vedi nel futuro di Elizabeh?» le domandai
così.
«Dovrà combattere, ma ora le hai dato un motivo in
più per farlo» rispose e ci salutammo, chiudendo
la chiamata.
L’amore dava sempre la voglia di combattere. Sperai davvero
che riuscisse in qualche modo a salvarsi. Io avrei fatto il possibile
per lei, per vederla tornare a vivere. Felice, come si meritava.
Preparai due tazze di tè, aggiunsi biscotti a forma di
cuore, e mi azzardai a portarli su un bel vassoio. E poi
chissà…
Buongiorno!!
Eccomi qui ad aggiornare Nadir. Mi scuso per non aver risposto ai
commenti, motivo? Sono partita, sono tornata, vorrei rispondere ora, ma
sto aspettando ospiti a momenti. Ho pensavo che comunque vi avrebbe
fatto piacere leggere il capitolo invece di aspettare questa sera o
addirittura domani sera. Ne approfitto, sperando di aver fatto la
scelta giusta. Insomma si va avanti anche con questa storia... e vorrei
sapere voi cosa pensate di Elizabeth. Io sono ancora indecisa sulla
fine di questo interludio, prima di far di nuovo allontanare Edward. Mi
spiacerebbe farla morire, ma... non lo so, ci credete? Vi mando un
grosso bacione.
Malia.
Speranza e paura
Seduto sul divano del
suo salotto aspettavo con ansia
l’arrivo di Carlisle. Muovevo il ginocchio senza pensare, o
almeno cercavo di non pensare; il movimento ossessivo mi aiutava a
scaricare la tensione che avevo addosso. Era questione di minuti,
cercavo di convincere me stesso, ma comunque continuavo a guardare
l’orologio e le lancette che battevano i secondi, per me
troppo lente. Speravo che per
Elizabeth ci fosse speranza, altrimenti mi sarei
sentito responsabile della sua morte. Non potevo pensare di perderla,
lei era la mia famiglia. Se soltanto avessi capito prima che qualcosa
non andava, ma lei sapeva chiudersi bene, non era stato possibile
accedere alla sua mente. Per fortuna ora
sembrava aver ritrovato un minimo di appetito, ma
soltanto per un motivo: Joshua si presentava ogni giorno alla porta e
rimaneva con lei due ore la mattina presto e il pomeriggio. Avrei
preferito che trascorressero più tempo insieme, per
conoscersi, per capire il sentimento che provavano l’una
verso l’altro, ma invece si erano dati quella regola per non
correre troppo. Ridacchiai. Anche io
con Bella avevo cercato di frenarmi, sin dal primo
istante per me era stata attrazione fatale, forse dovuta la fatto che
il suo sangue cantava per me, che la sua anima mi chiamava e io non
riuscivo affatto a leggerla. Bella. Mi appoggiai
meglio al cuscino e ripensai alla mia vita con lei.
Invidiavo Elizabeth e Joshua. Io ricordavo ancora il periodo in cui mi
imponevo di rimanere lontano dalla ragazza che avrei amato, per non
metterla in pericolo, per non innamorarmene, ma inevitabilmente andavo
da lei, ogni notte, e vagavo con lo sguardo sul suo letto, amandola con
gli occhi, desiderando che si svegliasse e che mi facesse un sorriso,
senza sapere che poi anche lei mi avrebbe ricambiato. Dolce, il mio piccolo
Bambi, dolce e tenera. Mi mancava così
tanto, così profondamente, che non finivo mai di provare
quel dolore sordo al petto, quel vuoto che ormai era diventato parte
integrante del mio cuore. Non se ne sarebbe più andato, mai
più, finché non l’avessi rivista
ancora, e allora sarebbe stata di nuovo la pienezza della mia anima. Presi un profondo
respiro e tornai a guardare l’orologio.
Erano trascorsi solo cinque minuti. Non ce la facevo più. Quando sentii suonare
il campanello però non corsi ad aprire
trafelato. Non era Carlisle, era Joshua, venuto per stare con Eliabeth
durante la visita. Lo salutai e gli
strinsi la mano, sentendo montare dentro di me
l’affetto verso quel ragazzo all’apparenza fragile. «Ciao
Edward» mi disse gioviale. I suoi pensieri erano
torbidi e angosciati. Aveva paura, come me. Era
terrorizzato dall’idea che Elizabeth potesse spegnersi da un
momento all’altro. «Ciao
Joshua» gli risposi, tentando di dimostrarmi
sereno. In realtà
la sua agitazione si stava trasmettendo anche a
me. Era quasi disperato, non sapevo come poterlo consolare, visto e
considerato che nemmeno io sapevo l’esito della visita. Forse
avrei potuto chiedere ad Alice, ma non avrebbe avuto senso farlo: sarei
stato solo peggio. «Come sta
oggi?» mi chiese e io valutai le parole
da dirgli. Male,
l’avrebbe fatto svenire seduta stante; bene, mi avrebbe
reso poco credibile e il resto, be’, il resto che senso
poteva avere? «Dorme»
risposi così, evitando di dire
stupidaggini inutili. Annuì e
parve capire. La sua ansia non aumentò,
né diminuì, ma almeno la sua mente si
tranquillizzò pensando al fatto che comunque Elizabeth era
stabile e non sembrava peggiorare. Quel ragazzo era forte, sapeva come
superare le difficoltà della vita, ma ne aveva dovute
sopportare troppe e i suoi nervi non erano più
così pronti a soffrire. Desiderava poter amare la donna che
aveva rubato il suo cuore, solo questo, e io sentivo di capirlo. «Vuoi andare
in camera sua? Sono convinto che se la svegli tu
sarà contenta. Non ha mangiato nulla» gli proposi,
usando un tono leggero. Un senso di morte che
non mi piaceva per nulla aleggiava tra noi.
Joshua aveva perso le speranza, aspettava il momento della sua morte, e
voleva vivere con lei il tempo che restava. Questo dicevano ora i suoi
pensieri. «Non
abbatterti» lo pregai così,
appoggiandogli una mano sulla spalla. «Non lo
farò» mi rassicurò,
pur non avendo alcuna intenzione di cambiare parere. Non volevo che
Elizabeth sentisse i suoi pensieri, le avrebbe fatto
male, avrebbe sofferto. «Ascolta…»
iniziai così, non
sapendo bene cosa dirgli. «Non perdere la speranza. Ora sta
venendo mio padre e vedrai che faremo di tutto per aiutarla. Ma se tu
sei triste, lei lo sentirà». Era ciò che
dicevano tutti in fondo, non avevo svelato
nulla. Lui sgranò gli occhi, che si inumidirono, e
annuì. «A quanto
pare ce l’ho scritto in faccia»
bofonchiò. Gli circondai le
spalle con un braccio. E pensare che sembravo
più piccolo di lui, invece avevo una maturità ben
superiore. Era così simile alla mia la sua sofferenza, e
anche il suo amore era molto simile a quello che io provavo per Bella. «Eh
sì, non puoi permettertelo» lo
rimproverai bonariamente. «Grazie»
rispose con sincerità. Mi
abbracciò e io ricambiai quella stretta piena di
speranza. Tentai di trasmettergli il mio coraggio e poi lo lasciai in
modo che potesse correre subito da lei. Ogni attimo era prezioso e io
lo sapevo. Si diresse verso il
corridoio e io tornai a sedermi. Ora
l’agitazione era tornata e io non dovevo far altro che
gestirla fino a quando non avrei visto Carlisle in carne e ossa davanti
a me. Il cellulare
squillò nella mia tasca e io lo presi. «Stiamo
arrivando» mi disse Alice e io sospirai di
sollievo. Perfetto. A breve
quindi sarebbero arrivati e avrei potuto conoscere la
verità su quello che aspettava Elizabeth. La tensione mi
stava uccidendo, anche se non realmente. Insieme a lei anche una parte
di me sarebbe scomparsa per sempre e avevo paura di questo. Perciò
attesi, ma col cuore in gola, anche se immobile come
solo un peso morto può essere. Quando suonò il
campanello saltai dal divano e mi gettai verso la porta rischiando di
sradicarla. La aprii e focalizzai la figura di Carl che si sistemava la
cravatta e di Alice, con il suo solito sorriso luminoso a incorniciarle
il viso. «Mi sei
mancato tanto!» urlò lei
saltandomi al collo. Saltellava felice, e
io con lei. Impossibile contenere la
felicità che mi aveva travolto nel rivedere quella che ora
era diventata più di una famiglia per me. «Ciao
folletto» mormorai baciandole le guance e
stringendola forte al petto. «Mi sei mancata». Carlisle, calmo, con
la sua tranquillità di sempre, mi tese
la mano, negli occhi l’affetto di un padre. «Edward…»
disse soltanto e quelle parole
bastarono. Lui mi avrebbe
aiutato, lo sentivo, era deciso a farmi stare bene.
Trovava la mia decisione di lasciare Bella avventata e un po’
immatura, ma mi aveva rispettato, me e quindi la mia decisione,
rinunciando ad abitare a Forks, sparendo improvvisamente. Solo un padre avrebbe
potuto fare una cosa simile. Soltanto un padre. «Posso
vederla?» disse subito non appena mise piede
al di là dell’uscio. «Certo»
risposi. Lo accompagnai davanti
alla porta di Elizabeth e bussai. Alice non
stava più nella pelle, voleva incontrare la ragazza che mi
aveva fatto tornare la speranza di riappacificarmi con Bella, un
giorno. «Avanti»
borbottò Joshua
dall’altra parte. Entrammo e nella
penombra della stanza vidi Elizabeth appoggiata ai
cuscini, coperta da una coperta rosa, pallida, ma felice. Guardava il
ragazzo seduto accanto a lei con sguardo adorante e io capii che dovevo
assolutamente salvarla. «Buongiorno
signorina» si presentò
Carlisle. «Mi chiamo…». Ma lei lo
interruppe con un gesto e poi rispose con voce debole, ma stanca. «Carlisle
Cullen». Sospirò.
«Benvenuto». La luce di Elizabeth
si stava spegnendo, il suo cuore era debole e
fragile. Anche Carl si rabbuiò soltanto a guardarla. Non mi
piacque la sua espressione, ancora meno i suoi pensieri. Il timore che
non potesse farcela stava diventando sempre più pressante. «Vuole
visitarmi?» bisbigliò Elizabeth. Carlisle
annuì e io mi diressi verso la porta, per lasciare
a lei la riservatezza necessaria. Alice mi
seguì, e anche Joshua, solo però dopo
aver preso la mano della ragazza che amava ed essersela portata alle
labbra. Lo aspettai prima di chiudere la porta e insieme tornammo in
cucina, silenziosi. Andai verso il
frigorifero e presi dell’acqua. Riempii tre
bicchieri e poi li portai sul tavolo. Anche se io e Alice non bevevamo,
non volevo che Joshua trovasse strano il fatto che offrissi un
bicchiere d’acqua solo a lui e non a mia sorella. Anche se
lui non sapeva che Alice era mia sorella… «Piacere
Joshua» disse. Alice gli sorrise
calorosamente e gli baciò una guancia. Lui
si sedette, esausto, e bevve tutta l’acqua nel bicchiere,
facendolo poi dondolare pensieroso. «Alice
è la mia sorella adottiva» mi
giustificai così. «L’avevo
sospettato» mi rivelò
il ragazzo. In realtà
la sua mente era lontana da lì, pensava
a Elizabeth, ma cercava comunque di essere di compagnia per non
offendere. Ancora una volta mi trovai ad ammirare il suo comportamento.
Sperai davvero che ci fossero possibilità per Elizabeth. «Vuoi
qualcosa da mangiare?» chiesi per educazione. Lui arrossì
e il suo stomaco brontolò
sonoramente. Presi per lui qualcosa di pronto dal frigorifero e glielo
porsi. Erano degli stuzzichini che avevo preparato nel caso Elizabeth
avesse avuto voglia di cose un po’ sfiziose. Le piaceva il
fatto che mi prendessi cura di lei e io ci tenevo a farle sentire il
mio affetto e appoggio. «Grazie, sei
gentile» mormorò
imbarazzato. «Figurati». Guardai Alice e notai
la tensione del suo corpo. Non lo trovai un buon
segno. Avrebbe visto qualcosa? Lo stava vedendo? Non ci rimaneva che
aspettare e ancora una volta era questione di tempo. Il tempo scandito
da quell’orologio a muro che mi stava facendo impazzire. Passò circa
mezz’ora prima che Carl uscisse e io
provai un senso acuto di panico. Impossibile però non capire
quale fosse l’esito della visita. «Dovremmo
ricoverarla. Solo delle cure intensive, un attacco
totale, potrebbero darle qualche speranza»
confessò. «Io sinceramente posso fare poco
così su due piedi per lei. Qui non può
rimanere». Joshua
impallidì. «Vuo…
vuole dire che…»
balbettò cercando di controllare il fremito della voce. «Che
morira?» finì Carl per lui, quando
lui non ebbe il coraggio di continuare. «Non ho
detto questo» lo rassicurò.
«Ma non sarà facile». Joshua fece spallucce
e appoggiò il gomito sul tavolo,
fissando distrattamente il soffitto. «L’ho
già sentita questa»
ribatté con amarezza. Avrei tanto voluto
rassicurarlo, ma non mi piaceva mentire, e non
sapevo ancora l’entità di ciò che
Elizabeth stava affrontando. Dovevo parlare da solo con Carlisle e
farmi dire se realmente c’erano possibilità,
oppure se invece le sue parole volevano soltanto portare conforto. Alice gli
poggiò una mano sul ginocchio e lo strinse. «Dobbiamo
sperare» bisbigliò, ma Joshua
aveva già tante volte sperato e visto le persone care
morire, perciò non aveva più la forza per farlo
ancora. Annuì
nonostante la poca energia e la delusione. «Posso
andare da lei?» domandò
rispettoso e Carl annuì. Lui scomparve in
corridoio ed entrò, mentre noi ci
guardavamo silenziosi e aspettavamo di non sentire più alcun
rumore per parlare con sincerità. «È
così grave?» articolai
così, rendendomi conto di avere serie difficoltà
ad accettare la situazione. «Non si
è curata, probabilmente se avesse iniziato
a curarsi prima ci sarebbero state più
possibilità per lei. Sai che è
così» mi spiegò lui venendo verso di
me. «Non possiamo più aspettare». Cosa avevo sperato?
Che Carlisle arrivasse e facesse un miracolo? Lui
faceva del suo meglio per salvare le persone, ma
l’inevitabilità di una malattia difficile da
curare come un tumore non poteva essere curata con uno schiocco di
dita. Insomma… avevo sperato per qualcosa che non poteva
succedere. «Ed, non
scoraggiarti anche tu» mormorò
Alice venendomi accanto. Mi
abbracciò ancora e io sospirai tra i suoi capelli. «Andrà
tutto bene. Dovrai starle vicino. Ti
aiuteremo. Anche noi siamo la tua famiglia, non devi
dubitarne». Alice sapeva come
darmi coraggio. Dovevo provare a pensare che
Elizabeth avrebbe potuto farcela, perché aveva un motivo per
farlo, motivo che l’avrebbe tenuta in vita, o almeno credevo. Di fronte a quella
grande desolazione pensai di nuovo a Bella. Se lei avesse dovuto
affrontare un pericolo simile senza di me io non
sarei riuscito a perdonarmi il fatto di averla abbandonata. Lei non era
sola come Elizabeth, però il pensiero che potesse trovarsi a
un passo dalla morte senza il mio amore, la mia mano stretta nella sua,
mi faceva correre brividi di terrore lungo la schiena. I sensi di colpa mi
avrebbero mangiato vivo. Sempre più
capivo di essermi comportato come uno stupido lasciandola. E il
desiderio di tornare si faceva non solo più forte, ma anche
più sicuro. Sarei davvero tornato da lei? «Si sta
preparando. La porto io
all’ospedale» continuò Carlisle
allontanando i miei pensieri da Bella. «Hai qualche
amico che la può aiutare
qui?» chiesi così. Assentì e
prese il cellulare dalla tasca dei pantaloni,
digitando un numero. Iniziò a parlare e spiegò le
sue condizioni di salute chiaramente, facendomi così capire
che Elizabeth si trovava in una brutta situazione. «Pagherò
io per lei» concluse Carl e io
gli fui grato. Anche quelle era una
grande dimostrazione d’affetto nei miei
confronti, non avrei potuto avere genitore migliore. «Grazie,
Fin. Pensi che abbia
possibilità?». Continuava ad annuire, ascoltando
attentamente, ma io sentii il bisogno di distrarmi, di non pensare per
un attimo agli avvenimenti che mi stavano travolgendo, così
afferrai la mano di Alice e la strinsi, in cerca di conforto e sostegno. Lei non si
rifiutò e rispose alla mia necessità,
proprio come avrebbe fatto una sorella affettuosa. Le volevo bene,
proprio come ne volevo a Elizabeth. Facemmo i preparativi
necessari per trasferirla nell’ospedale
specializzato in malattie tumorali più vicino, e poi
accompagnammo Elizabeth che venne subito ricoverata, dopo aver fatto
tutti gli accertamenti del caso. Erano ormai le otto di sera trascorse
quando la salutammo e uscimmo. Joshua era a pezzi. A
giudicare dal modo in cui trascinava i piedi
sull’asfalto per raggiungere la mia Volvo, doveva essere
molto stanco. Carl per fortuna era rimasto all’ospedale, per
controllare, ma anche per rassicurare. «Anche se la
perderò» esordì
Joshua all’interno dell’abitacolo, durante il
tragitto per riportarlo a casa. «Avrò vissuto dei
momenti importanti e le sarò sempre grato. Anche se mi
mancherà». Purtroppo non potevo
dirgli di smetterla di parlare in quel modo, come
se lei fosse già morta, ma capivo che il suo era un modo
estremo di rassicurarsi, percorso dalla paura di rimanere solo. Quindi
non mi azzardai a dire nulla. «Grazie per
essere venuto al cimitero» disse poi,
stupendomi. «Cercavi proprio me, vero? Me l’ha
detto». Non potei negarlo e
gli spiegai i motivi per cui l’avevo
fatto. Alice ascoltava ma non parlava, per una vivace come lei era una
novità. «Grazie»
terminò. Certo salvare la vita
a Elizabeth ora era la cosa più
importante. Una volta lasciato davanti al cancello della sua casa,
riprendemmo la strada per la mia abituazione attuale. E a quel punto
Alice parlò. «Victoria si
sta dirigendo a Rio de Janeiro» mi
rivelò e la mia tensione crebbe. «Dovresti
andare». Non potevo lasciare
Elizabeth sola. «Si chiama
come mi madre» risposi invece. Alice comprese e con
un sorriso rassicurante guardò la
strada su cui ormai era scesa la notte. «Ci saremo
noi a prenderci cura di lei»
insisté. «Ma lei ha
anche bisogno di sapere che le sono
vicino» le spiegai, sperando che capisse. Perché
insistere? Poi capii dai suoi pensieri che odiava
vedermi soffrire così. Era arrabbiata col mondo intero
perché prima avevo preso la decisione di lasciare Bella e ne
avevo sofferto tanto, ora stavo per perdere anche l’unica
parente rimasta in vita, e provavo ancora dolore, sempre più
dolore. Secondo lei non meritavo infelicità, e non
sopportava di vedere il mio viso triste e provato dagli ultimi
avvenimenti. Poi il suo pensiero
andò a Jasper e io le lasciai la sua
privacy, non volevo invadere la sua mente quando pensava a suo marito. «Tornerai a
Forks?» domandò il mio
folletto durante una delle tante curve. «Da Bella?
È quello il mio scopo, dopo
però aver ammazzato con le mie stesse mani
Victoria» le spiegai. Ma Alice era perplessa
e aggrottava la fronte, sollevava le
sopracciglia ripetutamente. «Io non
riesco a vedere nulla sai? Non
c’è modo di capire cosa
succederà» mi rivelò. «Forse
ancora è tutto incerto. Io ancora non ho
deciso di andarmene da qui». Fino a che Elizabeth
non fosse guarita, oppure il contrario, io sarei
rimasto. E così speravo Joshua. Scendemmo
dall’auto e tornammo nella casa che avevo condiviso con lei,
vuota, adesso, e silenziosa. Aprii il frigorifero e
porsi ad Alice il sangue che vi era dentro. Mi
fissò e aprì la confezione sottovuoto, curiosa. «Ma
è umano» sussurrò
meravigliata. «E ottimo» aggiunse bevendo
avidamente. Come avremmo trascorso
la nottata? Io avevo ancora la lettera di mia
madre da leggere, la custodivo gelosamente in tasca, ma comunque non
l’avevo ancora letta. Non capivo il motivo della mia attesa.
Forse soltanto paura che una volta letta, Elizabeth avrebbe potuto
spegnersi più velocemente. «Invece di
rimanere qui, fermi, che ne dici di andare a fare
un giro in città?» propose Alice. Non avevo molta voglia
di mischiarmi agli esseri umani, ma forse mi
avrebbe fatto bene una serata fuori di lì. «E cosa
faremo?» le domandai. L’ora era
tarda. «Potremmo
fare gare di corsa, anche se vinceresti sempre
tu» propose mia sorella e io scoppiai a ridere. Avrebbe fatto di tutto
pur di non vedermi col viso affranto. Che
tenera. Mi avvicinai alla
finestra, domandandomi quale fine avrebbe avuto
quella storia. Non vedevo più via d’uscita, e mi
aspettavo ormai di perdere Elizabeth. Forse anche Joshua sentiva le mie
stesse sensazioni e ne soffriva. E pensare che quando
l’avevo incontrata mi sembrava
così in salute, vitale, mentre ora era sempre stanca,
mangiava poco, e la malattia la stava corrodendo da dentro. «Vedi? Ci
pensi troppo» mi rimproverò
Alice. «Dobbiamo svagarci». «E se
succedesse a Bella?» sbottai così,
facendola partecipe di un’altra grande preoccupazione. Alice
sbuffò esasperata e cercò di farmi
avvicinare alla porta di casa per andare a fare un giro. «Non
succederà» mi assicurò
con convinzione. «Ma non lo
sai» replicai, sconfitto. «No, non lo
so, ma se non è morta quando
l’hai mollata in quel modo» sentenziò
Alice. «Non morirà certo adesso». Mi spinse fuori e io
capii la gravità di ciò che
avevo fatto, di quanto male avevo fatto a Bella pensando invece al suo
bene. Per lei ero indispensabile, e vivere senza di me
l’aveva distrutta. «Potrai
rimediare però». Sorrise la mia
sorellina. «E sarebbe anche ora, perché hai
stufato con questa faccenda del fuggire da una parte
all’altra dell’universo. Qualsiasi cosa succeda
qui, ricordati che tu devi tornare da lei. Lo sai, è
l’amore della tua vita. Non puoi, non puoi lasciarla
davvero». La verità
è che non avrei mai davvero avuto il
coraggio di allontanarmi da lei. Perché l’amavo.
Mamma mia
quanto è tarddiiii... questa sera c'è New Moon in
Tv. Immagino starete tutte a guardarlo. E io aggiorno Nadir (ihihih),
appunto, così potete sapere in diretta cosa stava succedendo
a Edward nel frattempo (mentre Bella se la spassava con Jacob). Ahahah.
Avverto che il capitolo non sarà proprio tra i
più felici, ma so che capirete. Vi ringrazio per i vostri
commenti e vi mando un grosso bacione. Malia.
La
morte
Elizabeth morì tre mesi dopo. Lapidario, sentenza tremenda.
Nel mio cuore si aprì una voragine enorme, una mancanza che
non si sarebbe più risanata. L’avevo vista
spegnersi ormai provata dalla chemioterapia tra le braccia di Joshua;
lo aveva stretto forte, felice di averlo conosciuto. Mi aveva persino
ringraziato per questo.
Lui, invece, mi aveva guardato subito dopo l’ultimo respiro
della donna di cui si era innamorato e mi era parso smarrito, disperato.
Dovevo ammettere che la presenza di Jasper aveva aiutato tutti a
superare il dolore. I suoi poteri avevano attutito il colpo,
soprattutto per Joshua, che aveva trovato molto strano il fatto di
sentirsi così calmo. Avevo comunque paura per lui, che
potesse commettere qualche sciocchezza.
«Edward…».
Alice si accostò a me. Eravamo in attesa dell’auto
che avrebbe condotto Elizabeth in chiesa per l’ultimo saluto
e poi nello stesso cimitero dove era stata sepolta la nostra famiglia.
Era dura pensare che ora nella mia vita lei non ci sarebbe stata
più.
Joshua accanto a me mi appoggiò la mano sul braccio, e io
ammirai la sua forza. La calma di quel ragazzo non era umana, ma un
dono che non poteva essere suo. Un semplice essere umano si sarebbe
ucciso di fronte all’ennesima perdita, ma non lui.
«Sono stato felice di averla conosciuta. Lo devo a
te».
Avrei invece tanto desiderato che dovesse a me la sua vita e non la sua
fine. Tuttavia io ero solo un non-morto, non potevo fare le veci di Dio
in terra. E io sapevo che Elizabeth non mi avrebbe comunque
abbandonato.
Strinsi la lettera di mia madre che non mi toglievo mai dalla tasca, e
sperai che contenesse un messaggio di speranza, perché ormai
la mia stava venendo meno.
«Tu non dovresti essere qui» continuò
poi Joshua. «Dovresti essere lontano, a inseguire i tuoi
sogni».
Mi fissò, i miei occhi dorati nei suoi. Avevo la sensazione
che lei gli avesse raccontato tutto, ma nella sua mente non lessi nulla
che poteva accertare quel mio sospetto. Era vuota, perché il
suo cuore ora stava soffrendo, anche se era forte e saldo.
«Lo so, ma volevo rimanerle vicino» gli confessai.
Mi sorrise, un sorriso tirato, ma vero e di gratitudine. Ci alzammo e
io mi affiancai a Carlisle e Jasper. Alice ci precedeva. Scendemmo e
presenziammo alla funzione. Non una lacrima, non un sospiro, solo tanta
pace, quella che Elizabeth aveva portato come una ventata di aria
fresca nella mia vita.
Lei sarebbe stata un mio segreto, fino a che in futuro non fossi stato
pronto a rivelare a Bella quella parte della mia vita.
Sgranai gli occhi.
«Sei deciso a tornare, eh?». Alice, al mio fianco,
mi strinse la mano nella sua e io annuii, ormai convinto.
Elizabeth mi aveva insegnato due cose: a non sottovalutare i miei
sentimenti per Bella e a non credere che il pericolo in una relazione
potesse portare soltanto a dolore e sofferenza per la persona con cui
si condivideva questo. La vita era un dono importante. Desideravo
vivere quel tempo, anche se poco vicino all’unica donna di
cui ero innamorato.
«Chi vuole venire qui a ricordare Elizabeth in questo estremo
saluto?». Il pastore ci invitò a prendere
posizione sul pulpito.
E per primo andò Joshua, che parlò di lei con
molta franchezza e amore. Ringraziò per aver avuto la
possibilità di conoscerla e renderla felice prima della
morte.
Lo invidiai. Lui aveva potuto farlo e aveva scelto di farlo nonostante
le difficoltà; io da codardo qual ero l’avevo
abbandonata. La mia Bella.
Non sapevo se sarei riuscito a perdonarmi, ma sperai che Bella
riuscisse a farlo. Doveva farlo, altrimenti sarei morto.
Mi avvicinai anche io al pulpito e parlai con voce grave.
«Faceva parte della mia famiglia, che è oggi qui
riunita. A volte le persone più impensabili ci insegnano che
il senso di nascere e morire non è mai dovuto soltanto a noi
stessi. Dobbiamo qualcosa agli altri, alle persone che amiamo, fino
all’ultimo respiro. E io l’ho capito, e lo devo a
lei se non mi sono abbandonato alla pietà verso me stesso e
ho deciso di reagire». Avrebbe sempre fatto parte della mia
vita e della mia famiglia.
La rivedevo lì, con quel bel sorriso angelico, che mi
salutava e che mi pregava di restarle vicino con lo sguardo. Aveva
affrontato la morte, quando io avrei voluto darle la vita eterna da
condividere con me. Coerente fino alla fine, Elizabeth non si era
lasciata schiacciare dalla paura.
Tornai al mio posto e la messa si concluse. Al cimitero vidi Joshua
crollare e singhiozzare, ma mai lacrimare. Soffocò il suo
dolore, mentre i sensi di colpa rimbombavano nel mio cuore.
«Tieni» dissi una volta tornati a casa di Elizabeth.
Diedi le chiavi a Joshua, che mi guardò stupefatto.
«Quello che era suo, ora è tuo» affermai.
«Ma tu?» farfugliò sorpreso.
«Io devo andare e la mia famiglia con me. Non possiamo
rimanere qui» commentai.
Il sole in quella città rischiava di fare molti danni.
Purtroppo non tutti i luoghi erano adatti come Forks per far abitare
una famiglia di vampiri.
E così mi lasciai alle spalle anche quel pezzo di vita.
Scesi le scale di quel palazzo, sapendo che con molta
probabilità non vi avrei fatto più ritorno,
sapendo che quella era una porta chiusa che non si sarebbe riaperta.
“Ricordati, Edward…” mi sembrava di
sentire la voce di Elizabeth. E ancora una volta mi sfidava a leggerle
la mente, ben sapendo che non ce l’avrei mai fatta a superare
quel muro.
E ora sapevo cosa si celava dietro quella parete inespugnabile.
Già, tardi però.
Misi in moto la mia adorata Volvo e partii. Sapevo dove andare. Volevo
rimanere da solo e leggere la lettera che mi aveva lasciato mia madre.
Ero tornato per quello in fondo: ritrovarmi. E c’ero
riuscito, grazie soprattutto a Elizabeth. Era stata lei il
più grande regalo della mia famiglia umana passata. Non
sapevo se la lettera di mia madre avrebbe potuto darmi di
più, ma speravo di trovare parole di conforto in quelle
righe. Ne avevo bisogno.
Guidai fino al limitare della città, lanciandomi a tutta
velocità, come un forsennato, sull’autostrada.
Amavo correre. Così guidai, guidai e mi fermai solo la sera,
quando il sole ormai era tramontato all’orizzonte. Non aveva
importanza dove, ma era lontano. E quello bastava.
Che stessi ancora scappando? No, era un modo come un altro per rimanere
solo con me stesso. Dimenticai il mio passato, dimenticai ogni cosa
alle mie spalle e portai la mano nella tasca, ansioso di leggere la
scrittura della donna che mi aveva così tanto amato.
E così anche mia madre era sensibile ai pensieri altrui;
forse per questo si era accorta della differenza di Carlisle.
Strinsi la carta nel pugno e sospirai lasciando che la notte calasse su
di me. Ora nessuno avrebbe disturbato la mia pace, niente e nessuno.
«Mamma…» bisbigliai.
Mi voltai, ricordando il sorriso di Elizabeth, seduta nel sedile del
passeggero. Mi aveva sempre spronato ad affrontare me stesso e i
momenti di difficoltà. Perciò presi la busta e la
portai di fronte agli occhi. Deciso la aprii e ne trassi un foglio,
ormai ingiallito.
Non era differente da quella di mio padre, ma la calligrafia era
diversa. Mia madre aveva da sempre amato le lettere. La distesi tra le
mie dita e iniziai a leggere. Mi parve persino di sentire
l’odore della mamma, il profumo che utilizzava quando le
piaceva farsi bella per il ritorno di mio padre a casa, ogni sera.
Diceva che così lui l’avrebbe amata continuamente.
Al pensiero mi assalì la memoria. Quanto tempo era
trascorso? Davvero tanto. Chi avrebbe mai immaginato che avrei ricevuto
il dono della vita eterna? Edward, figlio mio, come stai? Scusa per la
scrittura tremante. Sono giorni tediosi e bui,
qui in ospedale, ma so che ti ho lasciato in buone mani. Sai, avevo
sperato di non doverti vedere malato, steso su un letto arrangiato come
tutti gli altri qui dentro. La spagnola ci sta portando via, e presto
porterà via anche me. Mi farà spegnere e tu sarai
solo. Non voglio che questo accada, e non desidero che mio figlio muoia
a causa di una brutta epidemia. Sai, ho conosciuto un
medico, questo medico ti aiuterà. So
che sai di chi sto parlando, quasi dimenticavo che ti ho scritto questa
lettera in punto di morte, consegnandola a una persona fidata, che
spero presto te la darà. Ti chiederai
perché non l’ho consegnata
all’uomo a cui ho chiesto di salvarti la vita. Be’,
perché volevo parlarti tramite la tua famiglia Edward,
perché tu non dimenticassi mai il ragazzo che sei e che io
ho amato. Sai bene che abbiamo una
sensibilità differente,
perciò sentivo di doverti scrivere questa lettera in un
momento e in un tempo diverso. Ma credimi, anche ora
sono con te, non devi temere. Non ti
lascerò mai solo. Scusami, mi sto facendo prendere dai
soliti discorsi di una madre. Spero che avrai trovato
l’amore. Non mi piace saperti da solo
ad affrontare la vita. Noi familiari non ci saremo sempre, ma ho
l’impressione che invece tu ci sarai. Perciò mi
piacerebbe sapere che ami qualcuno, e che questo amore è
ricambiato. Le notti senza tuo
padre, nel letto al mio fianco, mi spaventavano. Non
riuscivo a dormire senza il suo calore. Credo che l’amore sia
questo Edward. Se troverai una donna che non dormirà la
notte quando tu non ci sarai, perché le manca la tua
presenza, nonostante i litigi e le imperfezioni, semplicemente sappi
che quello è amore. Non pensare che una
grande azione possa dimostrare chissà
cosa. Il rischio più grande che possiamo correre
è stare vicino a chi amiamo ed è proprio questo
che dimostra il nostro amore. Non c’è altro.
Ricordatelo, non vale mai la pena dimostrare amore con grandi atti e
impossibili, se prima non lo si è coltivato con quelli
piccoli che sanno donare ben più senso. Ricordo ancora lo
sguardo grato di tuo padre, quanto tornava a casa da
lavoro. Sì, lui si sedeva mentre io gli mettevo il piatto di
minestra calda sul tavolo. C’eri anche tu, ma forse ora non
ricordi. Il suo sorriso mi ripagava della fatica del giorno. Questo
è amore, Edward. Non è piacere personale, non
è egoismo. Vorrei poter vedere
l’uomo che sei diventato.
Non riuscii più a continuare e distolsi lo sguardo dal
foglio sapientemente scritto. C’era l’anima di mia
madre, il suo amore impresso in quelle righe. E lo sentivo chiaro,
forte. Urlava, come Elizabeth, che avevo sbagliato tutto, che non era
stata la cosa più giusta abbandonare Bella solo per il suo
bene. Invece di combattere con lei, di starle vicino quando
più ne aveva bisogno, mi ero lasciato prendere dallo
sconforto. Non avevo scusanti, ma avevo avuto paura. Quello
sì, tanta.
Il cellulare squillò e sobbalzai nel sentire il suo trillo.
Mi ero dimenticato di averlo in tasca.
Lo presi e me lo portai all’orecchio.
«Sì?» borbottai.
Solo Alice aveva quel numero, soltanto lei.
«Cullen, ciao. Quanto tempo». Victoria.
«Come hai fatto ad avere il mio numero?» le
domandai, curioso di capire come avesse fatto ad arrivare fino a me.
«Ogni vampiro ha le sue risorse; i suoi segreti, come te.
No?» commentò. Non mi piacque il tono strafottente.
«Quindi?» replicai.
«Quindi ti sto aspettando. Non ti piace forse la caccia?
Gatto e topo». Rise e rabbrividii a quelle parole.
E così mi stava aspettando. E senza pudore mi sfidava;
capivo che la sua voglia di vendetta stava valicando l’idea
di uccidere Bella e arrivare dritta a me.
«Victoria…» cominciai, ma lei non mi
permise di risponderle.
«Sai dove mi trovo, non è vero? E allora cosa
aspetti a raggiungermi. Perché non sei qui?». La
sua voce mi canzonava, il tono sensuale e pericoloso.
E così si aspettava che la raggiungessi nella speranza che
in quel modo avrebbe potuto vendicarsi. Strano che non avesse scelto
Bella come capro espiatorio. Il mio piccolo cerbiattino doveva essere
al sicuro: ringraziai chiunque la stesse proteggendo al mio posto.
«Verrò» la assicurai. «A patto
che tu mi prometta uno scontro leale».
L’ennesima risata. «Edward… uno scontro
leale. Tu non sei stato affatto leale quando hai ucciso un vampiro come
te. Uno della tua specie».
James. Giusto. Victoria cercava vendetta per il suo uomo e non avrebbe
mollato fin quando non avesse visto la mia testa staccata e il mio
corpo bruciare. Aveva rinunciato all’idea di farmi prima
soffrire le pene dell’inferno? O era un altro espediente per
una trappola?
Dovevo correre da Alice. No, dovevo prima risolvere quel conto in
sospeso. Trappola o meno, la possibilità di uccidere
Victoria e allontanare la possibilità che facesse del male a
Bella mi faceva molta gola. Avrei avuto un problema in meno da
risolvere quando io e il mio piccolo Bambi ci saremmo rivisti. Mi sarei
assicurato innanzitutto della sua sicurezza.
«Allora? Cosa farai?» domandò trepidante.
«Ti seguirò. Fiuterò le tue tracce e ti
ucciderò» le assicurai, deciso a liberarmene.
«Ma come sei premuroso» continuò.
«Non farti attendere troppo».
E chiuse la chiamata. Lasciai il telefono cadere sul sedile e mi
rilassai, anche se i muscoli tesi non ne vollero sapere di aiutarmi a
farlo. Victoria aveva qualcosa in mente. Non poteva darmi se stessa su
un piatto d’argento. Forse credeva di potermi distrarre per
arrivare a Bella in qualche modo? Non aveva senso, anche Laurent era
morto, quindi non aveva più complici con lei. E se ne avesse
avuti? E se Bella avesse rischiato di morire?
Il pensiero della sua morte mi fu intollerabile e gemetti con un bimbo
bisognoso delle coccole della sua balia. No, senza di lei vivere non
avrebbe avuto senso. Non ero forte come Joshua io. Dopo cento anni
trascorsi a vivere la più totale solitudine,
nell’oscurità della noia, avevo vissuto la luce,
l’amore, e ora se fosse scomparso tutto quello dalla mia
esistenza non avrei visto più alcun motivo per continuare a
trascinarmi dietro quell’assurda eternità.
Probabilmente dentro di me avevo sempre saputo che Bella sarebbe
arrivata a sconvolgermi la vita, quindi l’avevo attesa con
pazienza, ma perderla… perderla no, era inaccettabile. Non
avrei più vissuto.
«Elizabeth». Non sapevo esattamente chi stavo
chiamando, se la mia cugina morta, oppure la mia mamma.
Entrambe ero sicuro vegliassero su di me. Non a caso, ero certo,
avevano lo stesso nome.
Dovevo scacciare l’agitazione, subito. Una volta finita di
leggere la lettera di mia madre, avrei raggiunto Victoria a Rio de
Janeiro, e lì ci sarebbe stata la resa dei conti. E
poi… poi sarei stato pronto per tornare da lei, dalla donna
che amavo. Speravo solo di essere ancora in tempo, che qualcuno non
avesse rubato il suo cuore. Ne dubitavo però. Lei era
un’umana.
“Amore eterno, amore vero”, così aveva
definito Elizabeth il sentimento che legava me e Bella. Mi sarebbe
piaciuto crederle e… be’, le credevo. Mi fidavo di
lei perché mi aveva dimostrato quanto un essere umano fosse
capace di amare davvero.
Avevo avuto poca fiducia in Bella. Da parte mia era stato un errore
illogico, probabilmente dettato più dal terrore che dalla
razionalità.
Ripresi con cura la lettera di mia madre, ripensando ancora alla
minaccia di Victoria. La cancellai dalla mia mente, accantonandola,
giusto il tempo per ascoltare ancora, e per l’ultima volta,
le parole della donna che mi aveva desiderato e amato più di
qualsiasi altra cosa. Non ti spegnere. Non
lasciare mai che nessuno rubi la tua
sensibilità e la tua intelligenza; sei sempre stato un
ragazzo dal cuore sincero, ed è questo che vorrei tu
continuassi a essere. Non avere paura, mai.
Non avere paura, perché se
l’avrai questa ti schiaccerà e allora verrai
schiacciato dal peso dei tuoi errori. Vai, avanti e correggiti senza
timore. Ricorda che noi tutti siamo colpevoli, noi tutti. Non essere vittima di te
stesso, né carnefice della tua
esistenza… prega per la tua esistenza, Edward, prega di
poter essere sempre migliore nel tempo per arrivare un giorno poi alla
piena consapevolezza di ciò che sei e di ciò che
ti circonda. Io ti voglio bene, e con
questo gesto estremo vorrei dirti che ti ho
sempre amato, figlio mio, e che vorrei vederti, stringerti prima di
morire, per parlarti e sentirti ancora soltanto una volta mormorare la
parola “mamma”. Non c’è parola
più bella che mai un figlio possa aver detto e pronunciato
nella sua vita, ma a te forse non mancherà una donna come
punto di riferimento. Sappi usare la tua
intelligenza con coscienza, e il tuo cuore con amore
e comprensione. Non vivere nel ricordo di ciò che non
è stato, ma impegnati sempre per costruire il tuo futuro. Combatti, come un
guerriero, per ciò che ami, come un uomo
per ciò che vorresti amare, ma non ti è possibile
farlo. Io, lo so, che tu riuscirai. Se questa lettera di
aiuterà, allora il mio sforzo e queste
lacrime che ora sto versando non saranno vane. Considera che sono
soltanto una madre che vuole bene al proprio figlio, non me ne volere
se i miei consigli ti sembreranno sciocchi o impertinenti. O forse
fuori luogo. Io vorrei soltanto che
tu fossi felice e che un giorno potessi
perdonarmi per averti voluto vivo a ogni costo. Perché
è così, Edward, ho paura che tu
possa avercela con me, che tu possa non comprendere la scelta che ho
fatto di renderti ciò che sei. Sai di cosa sto parlando. Ti prego, dunque, io
volevo vederti sorridere. Sei stato troppo duro
con te stesso in questa vita, e ora vorrei vederti sorridere nella
prossima. Con una donna che ti dimostri amore, con una donna che si
sappia prendere cura di ciò che sei. Non avere timore,
arriverà. O è già arrivata. Qualunque cosa figlio
mio, qualunque cosa deciderai per te stesso, non
chiudere mai il tuo cuore all’amore sincero e vero, per
quanta sofferenza possa portare. Mi raccomando… mai. Ricordati che tua madre
ti ama, tutto questo solo per dirti: ricorda
che tua madre ti ama. Addio, amore. La tua mamma.
Sorrisi della sua dolcezza e le dissi ciò che più
avevo nel cuore: forse un tempo ero stato arrabbiato con Carl e con lei
per la decisione che avevano preso di non lasciarmi morire, ma da
quando avevo conosciuto Bella ero stato grato alla vita per avermi
fatto quel dono inaspettato. Nonostante tutto.
E così ora non ce l’avevo più con mia
madre, ma capivo cosa aveva provato quando aveva visto me sul punto di
morire. Solo l’idea di poter perdere le persone che amiamo ci
lascia sconvolti e basiti, perciò non avrei mai potuto farle
una colpa per ciò che lei aveva fatto.
Avrei fatto tesoro delle sue parole, come di quelle di mio padre, per
tutta l’eternità. E semmai fossi tornato con Bella
avrei imparato ad amarla, a rispettarla, come avevo dimenticato di fare
per paura che lei non potesse accettare la mia vera natura.
L’avevo sempre tenuta a distanza, per non rovinare la
considerazione che Bella aveva di me e poi il giorno del suo compleanno
tutto si era sgretolato non appena Jasper era caduto in tentazione.
Richiusi la lettera con cura, portandola alle labbra. La baciai,
soffermandomi a pensare intensamente a Elizabeth, mai madre, e poi la
richiusi. Quella di mio padre era già al sicuro sotto il
sedile della Volvo e anche quella di mia madre l’avrebbe
raggiunta.
Eppure…
«Grazie Elizabeth» mormorai. E con quelle parole
ringraziai entrambe le donne che mi avevano fatto grandi doni.
«Grazie papà» bisbigliai ancora.
Era arrivato il momento di continuare a vivere per la mia strada, di
non dover più scappare, ma di affrontare il mio presente, e
così facendo il mio futuro.
Ero pronto.
Uno squillo del telefono mi fece di nuovo sussultare.
«Edward!». Trillò la voce di Alice.
«Folletto» mormorai con una smorfia divertita.
«Bentornato, fratello. Ti voglio bene»
terminò con un sospiro gioioso.
«La vita, mi era mancata» le confessai con il cuore
in gola.
«Lo so, ma l’importante è che tu
l’abbia capito. Noi siamo sempre qui a sostenerti, questo tu
lo sai. Non ti lasceremo mai solo».
Prima la morte di Victoria, e poi… il ritorno dei Cullen a
Forks.