Nadir

di Malia_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** Prima di ricominciare ***
Capitolo 3: *** Qualcosa da proteggere ***
Capitolo 4: *** Verità nascoste ***
Capitolo 5: *** Compleanno ***
Capitolo 6: *** Compleanno(2) ***
Capitolo 7: *** Ferita profonda ***
Capitolo 8: *** Decisione ***
Capitolo 9: *** Ultima notte ***
Capitolo 10: *** Famiglia ***
Capitolo 11: *** La mia parte ***
Capitolo 12: *** Fine ***
Capitolo 13: *** 10 ottobre ***
Capitolo 14: *** 19 ottobre ***
Capitolo 15: *** Voglia di te ***
Capitolo 16: *** Ripresa o danno? ***
Capitolo 17: *** Schiavo di sentimenti ***
Capitolo 18: *** Le prime allucinazioni ***
Capitolo 19: *** Ancora allucinazioni ***
Capitolo 20: *** Vigilia ***
Capitolo 21: *** Notte di Natale ***
Capitolo 22: *** Notte di Natale (2) ***
Capitolo 23: *** Risveglio ***
Capitolo 24: *** Incontro strano ***
Capitolo 25: *** Secondo, veloce addio ***
Capitolo 26: *** L'avventura ha inizio ***
Capitolo 27: *** Sofferenza e stati d'animo ***
Capitolo 28: *** Problemi di gioventù ***
Capitolo 29: *** Ordinaria follia ***
Capitolo 30: *** Partenza ***
Capitolo 31: *** Grazie per essere qui ***
Capitolo 32: *** Elizabeth... e il passato ***
Capitolo 33: *** La vita normale ***
Capitolo 34: *** Victoria e Laurent ***
Capitolo 35: *** Rivederti è... vita! ***
Capitolo 36: *** Lettere dal passato ***
Capitolo 37: *** Non voglio perderti ***
Capitolo 38: *** Speranza e paura ***
Capitolo 39: *** La morte ***



Capitolo 1
*** Prefazione ***



Non credevo di essere così masochista. Ma... questo pomeriggio non ho saputo resistere alla tentazione. Ho detto... ma sìììì. In fondo può essere divertente... emhh...  sì forse. Postare il prologo di new moon dal punto di vista di Edward è un po' avventato da parte mia viste le mille cose che ho da fare. Ma non importa. Avrò tempo per scrivere, voglio trovarlo e impegnarmi in questo senso, per voi e per me, che amo tanto la scrittura. Spero mi seguiate anche in quest'altra pazza avventura. Lo spero tanto, ho bisogno di voi per creare Edward. E qui le cose si fanno più difficili, qui sapete benissimo spesso Bella non ci sarà, o meglio ci sarà, ma in modo diverso, perciò dovrò diventare Edward. Mettermi nei suoi panni e vivere della sua sofferenza, direi che il brutto tempo invernale è ottimo. Fa piangere. Ebbene... ecco la prefazione. Si ricomincia. Ma pensavate veramente che vi avrei lasciato senza Edward? Il titolo del libro è Nadir, il contrario di Zenith. Mi sembrava il più contrastante, il più adatto. Forse non è propriamente qualcosa che ha a che fare con Sole, Luna e momenti atmosferici vari, ma è comunque un punto geografico all'opposto di quello più alto dell'orizzonte, il più basso quindi. L'ho trovato molto rappresentativo. Si ricomincia!!!! Malia.








Amore è un fumo levato col fiato dei sospiri; purgato, è fuoco scintillante negli occhi degli amanti; turbato, un mare alimentato dalle loro lacrime. Che altro è esso? Una follia discreta quanto mai, fiele che strangola e dolcezza che sana. (Romeo: atto I, scena I)


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Prefazione.


Ricordi… troppe volte avevo sperato di sentire ancora il suo profumo nell’aria, chiamarmi e torturami,  affliggermi ed eccitarmi. E ora, ora ne ero certo, la verità mi aveva ferito lasciando un vuoto incolmabile nel mio cuore ormai morto. Lei non c’era più. E io… un mostro, un animale senza respiro, non avevo più alcun motivo per vivere, nulla aveva più senso, niente sembrava più avere una direzione. Guardai la luce del sole abbracciare le figure rosse che affollavano la piazza e sorrisi appena. Morte, unica compagnia, unica speranza. Ah quanto dolore, quanta sofferenza in un sentimento eterno e senza tempo come l’amore. Non potevo sopportare oltre il peso della mia mostruosità, non potevo perché non riuscivo più a cancellare la sua voce dalla mia mente, la sua sofferenza dal mio spirito… a cosa serviva sentire il mio cuore se non potevo più donarlo a lei? A cosa era servito il mio sacrificio se non aveva potuto donarle la felicità? Tortura. Giorno e notte, incessante e perenne, la sensazione di mancanza mi aveva tormentato senza lasciarmi tregua. Incubi, sensazioni, vaneggiamenti, vedevo il viso disperato del mio amore, i suoi sogni inquieti, la sua anima annientata da quello che le avevo fatto, ed era stato insopportabile. Non meritavo né vita né morte. Ma adesso che lei non esisteva più, io non riuscivo più a concepire la mia realtà, non volevo tornare ad essere nulla, non volevo tornare ad essere il mostro che ero sempre stato. Il peso delle mie colpe mi distruggeva, ma il pensiero di non poter più godere di lei mi annullava. Feci un passo avanti cercando quella luce, agognando il tepore che avrebbe dato alla mia pelle, desiderando sentire per l’ultima volta il dolce calore di qualcosa scaldarmi un poco. Ecco l’unica amica che mi avrebbe consolato, la mia vera sorella… la morte.


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Capitolo 2
*** Prima di ricominciare ***




Devo studiare... Devo studiare... Devo studiare... non faccio altro che ripeterlo. E infatti ho studiato... la mente di Edward però. -.- Non sono molto diligente come studentessa lo devo ammettere. Come la mettiamo? Verrò picchiata a sangue per questo? Spero di no. Allorraaaa... eccomi ad aggiornare Nadir con il primo capitolo. Perdonatemi se non inizio esattamente come la Meyer, ma volevo sottolineare un po' il rapporto tra Edward e Bella. In fondo è passato del tempo, perciò volevo far vedere quanto fosse cresciuto il loro amore. Pensavo fosse carina come idea, ditemi voi. Poi tranquille riprenderò esattamente dall'inizio di New Moon e sarà una tragedia, preparate i fazzoletti, niente cipolle altrimenti facciamo il diluvio. Alloraaaaa... devo dire che non mi aspettavo tanta partecipazione. O_O Okay va bene non mi tirate i pomodori, ma New Moon è triste, quindi pensavo... "non lo seguirà nessuno" e invece... oh cavolo che bello!!! Perfetto... questo vuol dire che mi impegnerò ancora di più. Ho altro da dire...? Vediamo... mhhh... no. Niente. Allora buona lettura e benvenuti nel mondo di Nadir. Edward vi fa cenno di salire a bordo... eheheh (sono scema). E come sempre... c'è una cosa importante che non posso dimenticare. Un grazie enorme alle persone che mi seguono sempre e che mi sostengono ogni volta, non so come potervi ripagare, spero di poter scrivere sempre per voi(sto diventando da carie proprio). Malia.

Prima di ricominciare.

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-L’amore è non volere mai che la persona oggetto del proprio sentimento possa morire-. Sussurrai appoggiando il capo al davanzale della sua finestra. Al solito… Forks era grigia, scura e presto avrebbe messo di nuovo a piovere, ma quel giorno ero al sicuro dalla minaccia del temporale. Bella mi aveva invitato a trascorrere un pomeriggio di studio a casa sua. Insolito dovevo dire, ma piacevole, molto piacevole.
Continuai ad osservarla china sui libri fino a che non si girò, sbuffando esasperata.
-Edward, non sei divertente-. Borbottò appoggiandosi la penna sulla guancia e lanciandomi un’occhiata omicida. Ridacchiai, contento della sua attenzione, ma continuai ad osservare gli alberi intorno alla villa degli Swan. – A che serve un vampiro plurilaureato se non puoi sfruttarlo per studiare?-. Terminò poi lanciandomi il libro di letteratura inglese, che ripresi immediatamente al volo. Era proprio pigra, non l’avevo mai notato, soprattutto per quello che riguardava lo studio.
- Hai mai sentito dire che la conoscenza rende liberi?-. Bofonchiai tentando di trattenere una risatina divertita. La mia piccola cerbiattina si era rilassata tutta l’estate e ora accusava i sensi di colpa per non aver fatto i compiti delle vacanze. Non potevo intromettermi in questi aspetti tipicamente umani della sua vita, volevo che vivesse a pieno quelle esperienze, come tutte le adolescenti.
- L’unica cosa che so è che sei senza cuore-. Bisbigliò lei guardando in aria esasperata. Risi di gusto lanciandole indietro il testo e non riuscii a contenermi quando lo vidi cadere inevitabilmente a terra senza che lei riuscisse a riprenderlo. Sempre la solita maldestra, non mi sarei mai annoiato di guardarla. Rimasi in silenzio tornando serio e osservandola china verso il pavimento per riprendere il libro. Ogni giorno trascorso con Bella era essenziale per il mio spirito, ogni minuto che mi donava della sua preziosa esistenza mi dava la vita. E sempre più mi accorgevo di quanto le mie emozioni fossero intense, ormai sentimenti vivi, intensi, radicati nella mia memoria e in me. Non ero più semplicemente una creatura demoniaca, un vampiro, ero un uomo follemente innamorato della sua donna.
- Non sono io quello sprezzante del pericolo-. Commentai punzecchiandola. Non credevo possibile un’intimità simile tra noi, era cresciuta a poco a poco, solidificandosi, andando a creare il nostro mondo, diverso da quello che avevo sempre immaginato per me, non meritato, ma perfetto. Riuscivo a controllare il mio istinto di morderla, ora era più semplice, e godevo del suo profumo quando potevo, anche di nascosto, per non spaventarla. Ma dubitavo che qualcosa avrebbe mai potuto terrorizzarla, io stesso facevo fatica a comprendere da dove prendesse tutto quel coraggio.
- Vedo che la tua vena ironica si sta perfezionando-. Disse facendo sfoggio di una bellissima lingua con cui dimostrò tutta la sua antipatia nei miei confronti. Mi avvicinai osservando il libro, di nuovo aperto sul tavolo, e sospirando stancamente le indicai gli esercizi da fare. Ero sicuro che mi avrebbero santificato a causa sua.
- Sei sempre più testarda, lo sai?-. Mi chinai su di lei spiegandole in che modo doveva fare la traduzione dall’inglese e poi mi voltai ad osservarla incuriosito. Si mordeva le labbra come era solita fare nei momenti di confusione e le sue dita giocherellavano nervosamente con la penna, segno che stava cercando veramente di impegnarsi pur non riuscendoci. Era uno spettacolo per gli occhi… mi accostai maggiormente al mio cerbiattino annusandole i capelli e facendola sussultare stupita dal mio gesto. Era la prima volta che mi avvicinavo così tanto a lei dalla sera del ballo, non volevo metterla in pericolo e mi ero autoimposto un controllo che non credevo di poter avere. E invece avevo stupito persino me stesso. Ma il desiderio di accarezzarla rimaneva dominante e a volte mi concedevo momenti come quello, dove il piacere di annusare il suo profumo di donna mi facevano fantasticare con la mente verso cose che era meglio per nessuno dei due immaginare. Almeno per ora.
- Edward…-. Arrossì quando il mio viso si chinò sulla sua spalla in un gesto geloso di possesso. Dentro di me strepitava da sempre un puma represso che ogni tanto faceva capolino per gustare la sua preda, affamato, ma non era più un problema controllarlo, il mio amore per Bella aveva il sopravvento.
- Scusami-. Mormorai scostandole i capelli dietro l’orecchio e passandole il naso sulla pelle profumata. Avrei dovuto lasciarla studiare da sola senza avvicinarmi in quel modo, ma ormai avevo commesso quello sbaglio, perciò mi sarei preso la mia ricompensa.
- No…-. Sussurrò con il cuore in gola, il battito impazzito. – Non fa niente-. Tornò paonazza con lo sguardo fisso sul libro e si irrigidì. Aveva notato che non gradivo più avvicinamenti avventati e aveva imparato a starmi lontano. Ma non volevo questo, non era ciò che desideravo, tuttavia era meglio per entrambi. Era difficile una volta cominciata ad annusare la sua pelle smettere e concentrarmi su qualcos’altro, ma con uno sforzo notevole potevo riuscirci. Perciò invasi la mia mente di pensieri negativi e in un attimo fui di nuovo lontano da lei. Perfetto, un perfetto gentiluomo.
-Non… potresti avvertire…la prossima volta che lo fai? Non sono… più… abituata-. Bisbigliò sconvolta sbattendo più volte le palpebre. Mi portai una mano tra i capelli arruffandoli e storsi la bocca in una smorfia consapevole. Mi piaceva troppo vederla sconvolta da me e questo era pericoloso. L’imperativo era proteggerla e non provocare la passione tra noi. A volte però era impossibile controllare quel desiderio, ero comunque un uomo e ricordarmene stava diventando sempre più facile viste le reazioni del mio corpo.
- La prossima volta che faccio cosa?-. Mormorai provocandola e riaccostandomi a lei velocemente. - Questo?-. Le passai le mani tra i capelli arrivando fino alle tempie e sentendo la sua pelle calda pulsare sotto le mie dita. Respirai piano tentando di controllare la violenza del mio istinto e mi imposi di tenere gli occhi aperti per non cadere in tentazione. Il corpo di Bella si contrasse e il suo cuore perse di vigore rallentando fino a fermarsi. Adoravo la sensazione di avere potere su di lei, potevo ogni cosa, era mia e saperlo mi rendeva dannatamente orgoglioso di me.
- Edward!-. Gridò strozzata non appena la mia guancia sfiorò la sua e si strofinò con delicatezza sulla vena di quella gola morbida godendo del suo ansito incontrollato. Sì, ero imprudente e azzardato, ma era troppo tempo che mi negavo quella vicinanza ed ero in astinenza di lei. Passai le labbra schiudendole appena sul suo collo e il ricordo del sapore del suo sangue mi colpì la memoria lasciandomi senza fiato. Quel sapore denso e zuccherino che incendiava la mia gola.. solo il pensiero mi faceva perdere la testa. Ma c’era dell’altro, molto altro.
- Shhh…-. Sussurrai cercando di calmare i suoi battiti, ora impazziti. – Una piccola ricompensa. Poi si studia, promesso-. Cercai di convincere me stesso di quello che stavo facendo e mi intossicai con la sua fragranza lasciandola scorrere dentro di me. Inspirai quel dolce profumo e poi poggiai le labbra sull’incavo della sua spalla simulando un piccolo morso. Sentii i brividi del suo corpo farsi tremori e il suo odore intensificarsi fino a riempirmi i polmoni. Ero assuefatto da lei, la droga era di nuovo andata in circolo nelle mie vene nonostante le mie intenzioni. Il mio sangue era Bella, l’ energia vitale scorreva in me solo grazie alla sua esistenza. Ma non l’avrebbe mai capito, non poteva comprendere quanto fosse vitale per me il solo fatto che esistesse.
Mi ritirai poco prima di sentire la porta aprirsi e vidi Charlie Swan entrare in camera della figlia senza farsi alcun problema. A pensarci bene l’intruso ero io. Avevo intuito di non piacere molto al “capo” visti gli ultimi avvenimenti. Si dimostrava comunque sempre gentile nei miei confronti, ma in ogni caso sarebbe stato meglio non farmi trovare nella stanza della sua bambina. Perciò mi nascosi immediatamente aspettando che se ne andasse.
-Bels…?-. Fece accostandosi a lei e fissando la sua scrivania attento. – Finalmente a studiare e non in giro… miracolo!-. Borbottò raddrizzandosi e guardandosi intorno. – Stai troppo tempo con i Cullen. Non avrai abbandonato la scuola vero?-. Concluse incrociando le braccia al petto con atteggiamento paterno.
Aggrottai la fronte incredulo e sghignazzai. Volevo proprio assistere al vispo quadretto famigliare. Come avrebbe reagito Bella? Lei sospirò indignata e si alzò in piedi, dirigendosi proprio verso la finestra dov’ero nascosto. Mi aggrappai al davanzale in modo da sporgermi e strizzarle l’occhio. Lei si sedette di fronte a me e fissò seccata suo padre.
-La scuola inizia tra tre giorni-. Commentò parandosi davanti a me e dondolandosi sulle gambe. – Non sto abbandonando niente-. Sbuffò sporgendo la mano verso l’esterno. – E non sto troppo con i Cullen. Sai bene che esco con Edward…-. Disse in tono di rimprovero mentre le afferravo le dita e le stringevo tra le mie. La pioggia cominciò a cadere fitta proprio in quel momento e io maledii il tempismo della natura. Un bel bagno assicurato.
- Va bene, va bene… posso dire a tua madre che ti stai impegnando allora?-. Riprese Charlie sicuro che io mi trovassi nei paraggi. Continuava a guardarsi intorno cercando delle prove che io fossi lì, qualsiasi prova, e controllò persino sotto il letto. Era ridicolo, non mi avrebbe mai trovato.
- Sì, Charlie-. Tagliò corto Bella facendogli segno di uscire – Se vuoi Edward prova a chiamare dai Cullen…-. Mentì in qualche modo sembrando quasi convincente. Stava migliorando in quanto a bugie e anche quello era colpa mia. Come ogni cosa successa nella sua vita da un anno a quella parte, ovviamente. Quando il padre sbatté la porta alle sue spalle bofonchiando parole sconnesse io mi sollevai verso di lei che si voltò guardandomi irritata.
- Assurdo… ha paura che mi rapisci per caso?-. Mormorò chinandosi verso di me e prendendomi il volto tra le mani. Sì, era un desiderio che più volte avevo tacitamente espresso: andare via con lei, sparire e vivere solamente del mio amore, ma non potevo farlo, non quando Bella aveva tutta una vita di fronte a sé da vivere. Sarebbe stato egoistico da parte mia pretendere che lei vivesse solamente per me.
- Mhh…-. Bofonchiai godendo del contatto della sua pelle calda sulla mia. Sarei rimasto così per l’eternità nonostante la pioggia e probabilmente anche lei. Nessuno dei due accennava a muoversi… alla fine dovetti far leva sulla mia volontà ed entrare dentro. – Dovresti tranquillizzarlo-. Dissi poi, la voce roca e bagnato d’acqua, per fortuna non troppo.
Si voltò di scatto stupita dal mio repentino fuggire e così ci trovammo di nuovo faccia a faccia, l’aria pregna di un’elettricità che non desideravo affatto si creasse tra noi. Ecco perché avevo evitato luoghi chiusi per tutta l’estate, ecco perché avevo fuggito ogni momento solo con lei. Era un richiamo irresistibile per me. La fissai muto abbassando lo sguardo al pavimento e poi mi riscossi sorridendo come se nulla fosse.
-Sì, certo-. Rispose freddamente chiudendo la finestra e andando a rovistare nei suoi cassetti. Trovò un asciugamano stropicciato e me lo lanciò perché mi asciugassi. Lo afferrai, portandomelo al viso, e continuai a guardarla mentre indecisa si puntellava sulle gambe.
-Non capisco perché tu non gli sia più così simpatico-. Commentò sovrappensiero portandosi le braccia dietro la testa. Non che mi interessassi della simpatia o meno di Charlie Swan, ma sospettavo una leggera invidia nei miei confronti, nonché possibile gelosia paterna e convenzionalmente umana, ovvia. Mi trattenni dal dirle il mio pensiero e le porsi l’asciugamano sperando che la situazione tra noi non peggiorasse.
-Non saprei… stesso territorio di caccia?-. Me ne uscii mordendomi la lingua subito dopo. Ma che stavo dicendo? Bella sghignazzò e poi scoppiò a ridere di cuore con quell’aria sbarazzina che tanto mi sapeva stregare. Era bello vederla felice e spensierata, talmente gratificante che dimenticai ogni mio buon proposito.
-Sei pazzo-. Mormorò allungandosi verso di me. Afferrai la sua mano lasciando cadere ciò che trattenevo e presi la sua rigirandole il palmo verso l’alto. Nessuno a parte me poteva sentire la vita, le pulsazioni calde del suo cuore, la morbidezza della sua carne così tenera… passai il polpastrello sulle linee che solcavano la sua pelle e sentii il suo corpo fremere. Iniziai a sfiorare ogni curva, ogni centimetro fino a quando un gemito sommesso non le uscì dalla gola. Tremava e il suo battito cardiaco rimbombava nel suo corpo e nel mio. Chiusi gli occhi sentendo la sua vita scorrere in me e piano persi consapevolezza di quello che stava succedendo. Il mio dito raggiunse il suo polso, massaggiandolo e sentendone l’essenza pulsante. Era viva, non avrei mai osato toglierle io quello che era suo, mai…
- Bella, torniamo a studiare-. Bisbigliai cercando di convincere me stesso a non fare cose di cui poi mi sarei sicuramente pentito. Dovevo smetterla di giocare al gatto e al topo, Bella non era una preda, non era una proprietà, era un essere umano. Tentai di far leva ancora una volta sul mio autocontrollo che mi venne come sempre in aiuto e sospirai.
- Forza-. Continuai aprendo gli occhi e incrociando i suoi, sgranati e poco propensi a darmi ascolto. Forse avevo esagerato. Le presi la mano con gentilezza avvicinandola a me e le baciai le nocche sperando mi potesse perdonare. Io non volevo farla stare male, o metterla in imbarazzo, cercavo solamente… cosa cercavo? Non lo sapevo nemmeno io.
- Edward… hai deciso di uccidermi oggi…-. Esplose col fiato corto, come se non avesse più avuto ossigeno da respirare. – E’ un attentato alla mia lucidità mentale-. Terminò tossicchiando e guardandomi storto. Aveva ragione, prima le facevo capire di volerle stare lontano, poi la provocavo ancora e ancora fino a quando non vedevo chiari segni di cedimento, solo allora mi fermavo. Non era giusto, né corretto, ma amavo vederla in difficoltà a causa mia. Ero io che la facevo impazzire e questo mi faceva sentire il più felice tra gli uomini, o tra i mostri, dovendo fare le dovute differenze.
- So a cosa stai pensando-. Iniziò lei lasciandomi le dita e fissandomi tristemente – Che sei un mostro-. Terminò con aria stanca voltandomi le spalle e mettendosi seduta sulla scrivania. La osservai stupito con occhi innamorati. Era strano, ma ogni volta che riusciva a leggere dentro di me sentivo forte la tentazione di abbracciarla, di stringerla forte e non lasciarla più andare. Era l’unica donna in grado di stupirmi, l’unica in grado di far sussultare il mio cuore ormai morto.
Mi tolsi senza pensare la maglietta e la accostai al termosifone per farla asciugare. Tra noi due quello che si sarebbe preso un malanno a causa dell’umidità dei miei vestiti era proprio lei, non io. Le diedi le spalle senza risponderle, pensando che troppe volte mi ero sentito un mostro, troppe un essere eterno rinato solamente per uccidere e non per provare simili sentimenti come l’amore. Un amore puro, totale, verso un’umana che mi aveva destabilizzato, facendomi credere di avere speranza.
-Non importa-. Feci dopo qualche minuto, lasciando cadere l’argomento e tornai ad osservare le gocce di pioggia che si dibattevano sulla finestra per sgattaiolare all’interno. Si era fatto buio nella stanza, forse sarebbe stato meglio accendere la luce. Ma Bella non accennava a muoversi, fissava la mia schiena nell’oscurità e io non sentivo altro che il suo respiro veloce e ansante alle mie spalle. Decisi che fosse il caso di rimettermi la t-shirt solo quando la sentii asciutta e poi allungai la mano per accendere la luce.
- Non importa…-. Sussurrò quando mi girai, aveva gli occhi fissi su di me – Già, come sempre-. Era triste, il suo sguardo si perse nel nulla in pensieri che io non potevo afferrare. Nonostante fossi in grado di leggere la mente di chiunque, solo quella di Bella mi era preclusa totalmente. E questo da un lato mi incuriosiva, ma dall’altro mi portava ad impazzire. Ogni secondo, ogni istante avrei voluto sapere quello che si celava nella sua mente, ed era assurdo che proprio io che l’amavo sopra ogni cosa non potessi ascoltare i suoi pensieri.
- Cosa vuoi per il tuo compleanno?-. Le domandai improvvisamente sperando si spostare la conversazione su qualcosa di più positivo che non me stesso. La vidi storcere il suo musetto in una smorfia piuttosto infastidita e non capii. Evidentemente mi stava ancora sfuggendo qualcosa. Mi avvicinai a lei sperando di avere un chiarimento, ma rimase in silenzio, e io le alzai il mento con le dita per guardarla negli occhi. Volevo capire perché avesse avuto una simile reazione, il giorno della sua nascita era assolutamente da festeggiare.
- Niente regali, ti prego Edward-. Sussurrò facendomi sgranare gli occhi stupito. Cosa? Scossi la testa incredulo. Il primo essere umano, da che avevo memoria, che odiava i regali di compleanno. Avrei potuto capire la festa o gli auguri di fronte a tutti, ma non l’assenza di un dono, quello era un modo unico per scambiarsi emozioni. Era importante per me poterle dimostrare in qualsiasi modo quanto la amassi.
- Non capisco, questo mi sfugge. Lo ammetto-. Continuai confuso mettendomi al suo fianco. Volevo sapere perché… non mi piacevano i momenti in cui la sentivo respingermi, in cui un muro si alzava tra noi. Mi spaventavano perché ogni incomprensione tra noi faceva nascere dentro di me una ferita che rimaneva nel mio spirito come una cicatrice per l’eternità. I miei ricordi da creatura maligna vivevano nel passato, nel presente e sarebbero esistiti anche nel futuro, corrodendo ciò che di me sarebbe rimasto. La mia unica e sola essenza era lei, Bella. E non volevo pesarle, non volevo assolutamente farle del male.
- Edward… dai. Cerca di capire. Per favore-. Iniziò portandosi le mani sul petto e sospirando stancamente. – Tu sei… e io sono… così…-. Fece spallucce indicandoci e io trattenni il respiro sbalordito. Non volevo ascoltare altro, mi stava forse prendendo in giro? Ne avevamo parlato tante di quelle volte e tutte quante io l’avevo rassicurata sperando che potesse cambiare idea, che mettesse nella sua testolina un po’ di buon senso.
- Mi sembra di averti detto come la penso-. Le sussurrai arrabbiato, il volto contratto dall’ira. Mi guardò mortificata. Per me lei era bellissima, non c’era nessun’altra donna nel mio cuore che fosse al suo livello. Non mi piaceva sentirle dire cose simili, mi faceva soffrire. – Bella… ti prego…-. Conclusi portandomi una mano sulla fronte e massaggiandola controvoglia. Non volevo ancora affrontare quell’argomento, avremmo finito per litigare e ultimamente era difficile contenere tutta la mia passione e la mia impulsività.
- Allora intesi. Non ne parliamo più, niente regalo, niente discussione-. Finì col dire, le labbra irrigidite e le mani strette a pugno. Non resistetti e mi sporsi verso di lei abbracciandola teneramente. Sarei stato alle sue regole, ma volevo che sapesse quanto fossi innamorato, che lo percepisse. Avrei dato la mia vita per lei senza nemmeno pensarci, per quanto valore potesse mai avere l’esistenza di una creatura come me.
- Ti amo-. Bisbigliai avvolgendola in un abbraccio e sperando non mi rifiutasse. Non volevo che si arrabbiasse con me, odiavo litigare con lei, lo detestavo con tutto me stesso. Mi sentivo un vampiro idiota ogni volta che succedeva, un bambino, non un essere centenario, ma uno scemo di prima categoria. Io… che avrei dovuto rimanere calmo e imperturbabile di fronte ad ogni cosa, proprio io mi ero fatto sconvolgere da un esserino così fragile che aveva nome Bella Swan. Ormai dovevo averci fatto l’abitudine, ma non era così.
- Non sai quanto ti amo-. Sussurrò afferrandomi la maglia e sprofondando il viso contro di me. – Non puoi nemmeno immaginare quanto… non lasciarmi mai-. Le sue dita mi strinsero forte e io capii. Lo sentivo, percepivo chiaramente quanto fossero forti i suoi sentimenti nei miei confronti, quanta emozione dentro di lei, era il suo corpo a parlarmi, la sua anima a vibrare per me. E non mi sembrava mai di darle abbastanza.
- Allora lascia che ti dimostri quanto ti amo, Bella…-. Bisbigliai illudendomi che cogliesse il significato delle mie parole. Era solo un regalo in fondo. Se avessi potuto le avrei regalato il mondo intero. Qualsiasi cosa lei mi avesse chiesto io l’avrei fatta, ogni cosa, solamente per dimostrarle che i miei sentimenti erano veri e che lei doveva crederci. Per me non c’era niente oltre lei, il resto era solo vacuità, era nulla assoluto.
- Edward, no. Tu mi dai già tanto, non voglio. Evitiamo di discutere-. Concluse lasciandomi l’amaro in bocca. Non avrei aperto bocca se questo era quello che lei desiderava, ma certo avrei continuato a chiedermi perché. Sapere quello che pensava il mio piccolo Bambi cominciava ad essere una vera ossessione quando ero solo e aspettavo solamente di rivederla.
- Ora signor Cullen, non è che potrebbe farmi i compiti?-. Sogghignò con aria furba e io tornai subito alla realtà con un’espressione a dir poco collerica. Ma che svogliata! Non sarebbe mai riuscita a farmi cedere, né con le buone né con le cattive. L’avrei fatta studiare tutta la notte.
- No, signorina Swan. Neanche per sogno-. Le risposi atono indicandole il libro e ordinandole muto di rimettersi sui libri. Ridacchiò sollevandosi e accostando le labbra alla mia guancia. Immediatamente mi irrigidii sentendo il suo profumo entrarmi nelle vene e di nuovo maledii la mia natura impulsiva. Non mi allontanai, sperando che continuass,e e quando la sua bocca si posò sulla mia guancia chiusi gli occhi estasiato. Bastava molto poco per farmi perdere completamente la testa, era preoccupante, non osavo immaginare se ci fossimo spinti oltre cosa sarebbe successo. Un piccolo oltre c’era stato, ma non volevo ripetere, visto quello che la sera del ballo di fine anno aveva scatenato in me.
- Grazie di esserci sempre per me-. Sussurrò aderendo alla mia pelle di marmo e facendo scorrere piano la bocca in una carezza dolce. Ecco come far andare in tilt il mio cervello e questo non era affatto giusto. Sapeva che avrebbe vinto, non c’era partita. Presi un respiro profondo tentando di non far entrare il suo odore nel mio sistema nervoso facendolo bruciare come una miccia, ma alla fine ottenni solamente di eccitarmi e lasciare alla natura il resto. Maledetto corpo.
- Bella, torna a fare i compiti, adesso!-. Strepitai incredulo. Tornammo a sederci, questa volta entrambi, e il pomeriggio trascorse sui libri di letteratura. Ottenni impegno, ma dovetti cedere. Qualche esercizio lo completai interamente io, compreso il riassunto dei testi da leggere per casa. A fine serata tornai a casa felice, era come nascere ogni giorno una seconda volta, da un anno a questa parte la mia vita era totalmente cambiata. Ero sereno, me stesso, completamente appagato. Questo perché avevo finalmente trovato il mio posto nel cuore della persona di cui ero innamorato.


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Capitolo 3
*** Qualcosa da proteggere ***


Bene, bene, bene… a esami finiti mi posso dedicare meglio alla scrittura, che è sempre un grande piacere. Della serie “ma invece di uscire ti chiudi in casa a scrivere? Sei pazza”. Ormai lo sapevamo tutti, per chi ancora non lo sapesse. Beh… male! Vabbè che non vi cambia la vita. Allora… io ancora non ho ufficialmente cominciato con il seguire la Meyer… sarà perché non sopporto la loro divisione? Diciamocelo fra noi. Forse è così. In realtà dovrei rileggermi New Moon, ma non mi va! Non mi lanciate qualcosa, ma l’unico che rileggo con piacere è proprio Twilight. Tutto il resto anche se stilisticamente migliore, mi fa solo male. -.- Perciò evito con grazia. Ma devo farlo… affrontare il nemico!!! -.- Visto che questa mattina ho un’oretta libera da dedicare alle risposte, mi metto a rispondere ai commenti. E’ da tanto tempo che non lo faccio e la cosa mi va proprio. Sìsì. Quindi inizio:

harley1958: Ci conosciamo? Ehehehe… gioco tesoro. Allora… io un esempio per tutte? Non lo dire che qualcuno ci crede poi. Ma lo sai faccio del mio meglio, amo tanto ciò che scrivo. Credo che ormai ti ho fatto una capa tanta e sari stufa di sentirmi parlare. Sempre bla bla bla. Questa storia è per te, spero vivamente che possa piacerti ed emozionarti. Un bacio cucciolo ci sentiamo su msn, o via sms.

Potterina1993: vuoi studiare con Eddy? Mhh… si può fare. Chiamalo e vedi se è disponibile. Certo che figata avere uno con due lauree vicino e poi di quel **** censura momentanea. Cioè… a parte che secondo me distrae parecchio. Però sarebbe da sperimentare. Credo che non passerà ancora molto per quando si lasceranno, ma certo è da decidere. Odio quel momento con tutta me stessa. Uff… grazie di esserci tesoro dolce. Ci sentiamo su msn, fratellone permettendo. ^^

 aliceundralandi: Sono felice che il capitolo ti sia piaciuto. Ottimo. E’ una soddisfazione rientrare nei panni di Edward, un Edward un po’ cambiato, forse più maturo di quello di Mid Sun, più consapevole di questa storia d’amore che sta vivendo. E in fondo è giusto così, tutti crescono nell’amore, anche il nostro vampiro. Ti ringrazio dei complimenti e spero che possa continuare a piacerti questa fic. Non so quando riprenderò le fila della Meyer, presto sicuramente, ma volevo dare anche un senso al momento in cui si lasciano, senza fare tutto e subito. Insomma far scoppiare subito il pandemonio. Mi chiedi perché Nadir… In senso astronomico il Nadir è il contrario dello Zenit, rispetto all’osservatore il polo più alto dell’orizzonte, quello perpendicolare, il Nadir è l’opposto, l’estremo sud, il punto più basso. Non so perché, ma è proprio così che ho visto il mondo di Edward, è come se tutto fosse crollato, dall’estremo alto, all’estremo basso, in un baratro. Forse non è proprio il termine che avrebbe scelto la meyer, forse lei avrebbe scelto qualche cosa tipo rugiada, non so, o qualcos’altro in merito ai pianeti, o a momenti atmosferici, ma io me ne sono innamorata e ho detto “Ci sta”. Spero di essermi spiegata, mamma mia!!! Che confusione. Comunque grazie, grazie ancora di quello che mi hai scritto. Un bacione! Malia

 violacciocca: Eillà!!! Come va??? -.- Che domande sceme. Allora ti piace l’idea di far cominciare new moon dal “prima new moon”? Sono molto contenta. Anche io pensavo che fosse meglio, per dare un senso a tutto quello che succede tra loro, senza spezzare troppo. Anche se forse più doloroso? Non saprei, vederli in atteggiamenti così dolci sapendo che poi si divideranno fa malino, forse. Tornando al tuo commento… direi che siamo d’accordo. Io in questa vita, l’unica che ho, la sola, voglio fare esattamente quello che mi va di fare, sarò egoista, ma ho la possibilità di farlo e per nulla al mondo mi farò sfuggire questa occasione. E sono due le cose che voglio fare, scrivere e conoscere. Conoscere mi dà la possibilità di approfondire i miei personaggi quando scrivo, mi fa crescere, e questo voglio fare fino alla mia morte. Poco ma sicuro. Non sei contorta, anzi sono molto molto molto molto d’accordo con te. Ti stimo molto per quello che hai detto, non è da tutti. ^^ In gamba, sei un tipo in gamba. Un bacione! Malia

 _Storm_91_: Ciao a te… faccio del mio meglio. Sono felice che tu abbia trovato lo scorso capitolo ben scritto. Diciamo che miro sempre a perfezionarmi, forse troppo a pensarci bene. Comunque ancora non ho portato la storia all’inizio di New Moon, credo che lo farò a breve, anzi forse il prossimo capitolo inizierà la scuola e vedremo un pochino come cambieranno le giornate di Bella ed Edward. Forse… perché poi sul momento cambia tutto e io devo stare a inseguire i personaggi e non il contrario. Siamo alle solite. Comunque mi fa molto piacere che tu abbia trovato interessante il capitolo. Grazie. Un bacione grande! Malia

Sognatrice85: Bella bimba!! Ciccina paciocchina! Anche tu qui… tu sei l’unica che mi commenta sempre a pensarci bene sai? Hai il primato mondiale penso, sempre presente e costante. Come nella mia vita, non ti smentisci mai, caro il mio dolce piccolo fiore. Grazie per esserci sempre. Un bacione enorme e unico!!! Smack!!

annalie: Ma guarda chi c’èèèè anche qui!!! Tesoro mi mancherai tanto^^. Beh, pronta? Spero di sì. Allora sono contenta di trovarti anche qui in Nadir, molto. Edward soffrirà, sì, molto, troppo. E noi con lui, mamma mia non voglio nemmeno immaginare!! Però non abbandonerò mid eclipse non ti preoccupare. Non lo farò mai!!! Sei sempre un tesoro con me, ti preoccupi sempre e ci sei. Ti conosco da poco, ma sei già nel mio cuore. Ciao Yami, sono con te! Malia

julietta__: Lo so, lo so, faccio mea culpa. Mi inginocchio sui ceci. Puoi punirmi se vuoi. Di cosa parlo? E’ vero che ho modificato un pochino i due caratteri. E’ che non ci credo che Edward sia impassibile e tonto quanto non credo che Bella a volte sia così superficiale e sciocca. Per favore, no, mi rifiuto, no. Tutto ma io provo allergia per questa cosa. Perciò ho leggermente modificato la cosa e sono contenta che in fondo un pochino tu abbia gradito. Bene. Così almeno siamo in due. Bene bene sono contentissima che il capitolo ti sia piaciuto e ti ringrazio per i complimenti. ^^ spero continuerai a leggere anche se poi sarà una valle di lacrime. Oh my dog! Un bacione. Malia

 crows79: Nooooooooooo, anche tu qui! Cioè tu, tu, tu. Ho visto che mi hai mandato un mp. Non so che mi sta succedendo sti giorni, ma sento la stanchezza degli esami e rimango in panciolle senza fare assolutamente nulla di nulla a parte scrivere. Perdonami ti risponderò appena posso. Sono imperdonabile. Spero che tutto a te vada bene a parte gli impegni, vedo che sei combattiva e la cosa mi fa piacere. Questo significa che sei tornata in te. Abbasso i cattivi! ^^ Eheheh… un bacione e grazie per esserti fermata qui a commentare con tutto quello che hai da fare. Sei speciale tu! Bacio!

pastrella: Grazie! Molte grazie… tutto nel mio segno lo scorso capitolo dici? Spero un segno positivo che non mi lascerà andare durante tutta questa fic. La vedo difficile questa avventura, ma le sfide mi piacciono. Almeno quelle con me stessa, con gli altri non molto. Sono felice che leggerai la storia con piacere. O almeno lo spero. Continuerò a mettercela tutta, promesso. Un bacione e grazie! Malia

Qualcosa da proteggere.

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Aspettai di sentire i suoi passi lungo il corridoio prima di chiudere il mio diario e abbandonarmi di peso sulla sedia. Due giorni prima dell’inizio della scuola e la mia piccola umana aveva passato quelle quarantotto ore immersa nello studio, ma che bimba responsabile... Per non disturbarla ulteriormente avevo allontanato la sua principale fonte di distrazione, cioè me stesso, da casa Swan sia di giorno che di notte. Avevo dedicato quei due giorni alla caccia in modo da poter tornare a scuola in forze e sicuro, insomma normale routine.
-Piccola ribelle…-. Ridacchiai quando la sentii bussare insistentemente alla mia porta. Sospirai scuotendo il capo divertito e mi alzai per andarle ad aprire. Sarebbe stato divertente farla rimanere un po’ sulle spine, ma mi era mancata e sentivo il bisogno di stringerla tra le braccia.
-Chi è?-. Domandai tentando di dare alla mia voce un tono incuriosito. Mi appoggiai allo stipite aspettando che rispondesse e percepii un suo sospiro innervosito.
-Quella a cui non riesci a leggere nella mente. Smettila di giocare, non è divertente Edward-. Mormorò appoggiando la mano sul legno e battendola ripetutamente. Abbassai la maniglia e spalancai la porta contento, quando di fronte agli occhi mi apparve il suo musetto triste e sperduto. Rimasi immobile con la fronte aggrottata e lei entrò senza dire nulla, ma continuando a  guardarsi intorno.
-Devo ancora abituarmi a questa stanza…-. Confessò voltandosi verso di me e deglutendo. Rimase imbarazzata in silenzio e si torturò le mani per qualche secondo. Non capii cosa avesse fino a quando non notai il suo sguardo angosciato e interrogativo.
-Bella…-. Sussurrai avvicinandomi a lei con attenzione. Mi fece segno di rimanere fermo e io mi bloccai terrorizzato. Sospettai che fosse a causa mia, in qualche modo ero riuscito a farla stare male e non ne avevo avuto la  benché minima intenzione.
-Dimmi che hai mangiato, che i tuoi occhi sono dorati perché in questi giorni sei andato a caccia e che sei stato lontano da me solo per questo. Perché… perché ho creduto di impazzire-. Mormorò flebilmente abbassando la testa e fissandosi tesa le punte delle scarpe. Sospirai scuotendo il capo e andandole vicino per circondarle le spalle con un braccio. Ma che idiota, almeno avrei potuto avvertirla.
-Perdonami, non volevo farti preoccupare-. Sussurrai stupito. Ormai avrebbe dovuto sapere che almeno una volta ogni mese preferivo stare lontano da lei qualche giorno per nutrirmi e saziarmi. Non volevo che corresse inutili pericoli a causa mia.
-Lo fai sempre, sparisci e non ti fai sentire-. Disse, il cuore al galoppo, la paura nella voce. Mi maledii… non ero cambiato, per non farla preoccupare non le dicevo nulla e invece ottenevo esattamente l’esatto contrario. Ed era normale, come io mi impensierivo per lei anche Bella si tormentava per me. Ma a volte lo scordavo, dimenticavo che il mio piccolo cerbiattino potesse arrivare a preoccuparsi per un vampiro e pensavo di essere io l’unico ad avere il diritto di proteggerla e riflettere su cosa fosse giusto o meno per entrambi.
- Perdonami-. Conclusi solamente non sapendo che altro dire. La guardai attento e mi abbandonai al profumo di lavanda che emanavano i suoi capelli appena lavati. Lo shampoo mi infastidiva un po’, ma non era così forte da cancellare il suo dolce profumo. Respirai piano sentendo la sua fragranza avvolgermi ed entrarmi dentro le vene come un fiume in piena. Con calma sarei riuscito a mantenere una certa lucidità, ora non era più così difficile.
- Sì, perdonami… perdonami-. Mormorò divincolandosi e osservando il perfetto ordine della mia camera. Abbassò le braccia lungo i fianchi e io continuai a guardarla fino a quando lei non si voltò verso di me e non mi fissò come svuotata di ogni forza.
- C’è… c’è solo qualche piccolissima cosa in te che non sia perfetta?-. Commentò lasciando ancora vagare gli occhi sulle pareti e sul mio divano. Il suo sguardo si soffermò sulla mia scrivania dove era abbandonata una delle mie tante agende che tenevo con cura e poi tornò su di me.
-Tante cose Bella, e mi sembra di averti dimostrato che non sono perfetto, altrimenti non starei con te, mi terrei ben lontano e non ti metterei sempre così in pericolo. Questo vuol dire che sono un pazzo, un incosciente-. Continuai elencando poi tutti i miei possibili difetti, quando vidi Bella accostarsi al mio diario e prenderlo tra le mani. Mi sentii improvvisamente inerme e debole, stava tenendo i miei pensieri tra le dita e avrebbe potuto leggere le ultime pagine senza che avessi la forza di impedirle nulla. Bella poteva avere accesso ad ogni cosa di me se avesse voluto, non l’avrei fermata.
- Evidentemente non ne ricordo nemmeno una di quelle cose-. Mormorò sovrappensiero sfogliando le pagine e soffermandosi su una precisa. Voleva realmente leggere quello che pensavo di lei? Rimasi immobile aspettando che terminasse e in un attimo vidi i suoi occhi diventare lucidi e il suo viso impallidire. Odiavo il pallore sulle sue guance, che adoravo veder arrossire a causa mia, emozionate ed eccitate dalle emozioni che le davo. Il suo sangue pulsante e vivo mi dava enorme piacere, raramente riuscivo a resistere al suo cuore gonfio di sentimenti nei miei confronti, impazzivo e perdevo la ragione. Richiuse l’agenda e mi guardò stupita.
-Scusami, non dovevo-. Rimise a posto quello che aveva preso e mi guardò imbarazzata. Non volevo si sentisse fuori luogo, ciò che era mio era suo e anche se avrei preferito che alcune di quelle pagine rimanessero nei recessi più profondi della mia mente non avrei osato nasconderle nulla.
-No, fai pure se vuoi-. Dissi sottovoce cercando i suoi occhi che sfuggirono subito i miei. Sperai che ciò che aveva letto non l’avesse impressionata o infastidita, ma erano i miei veri pensieri. Se in qualche modo l’avessero disturbata non me lo sarei mai perdonato.
- Non ne avevo il diritto, scusami-. Fece ancora facendomi innervosire. Quell’aria scostante tra noi non mi piaceva affatto, era un abisso tra le nostre due nature, quando mi sentivo un estraneo per lei, quando sapevo che si sentiva maledettamente a disagio in mia presenza. E non volevo… non avrei mai voluto che questo accadesse.
- Non scusarti, Bella… per favore. Non ce n’è bisogno. Puoi leggerli tutti se vuoi-. Mormorai portandomi una mano tra i capelli e scompigliandoli agitato. Non sapevo come fare ora per tranquillizzarla, ero solo un uomo in fondo, un ragazzo, e non avevo idea di come riuscire a calmare la sua ansia. Ero solo in grado di farla stare male, che bravo, proprio un asso di perfezione.
- Mh…-. Mi voltò le spalle e si avvicinò alla grande vetrata che dava all’esterno, fissando silenziosa gli alberi che enormi si stagliavano intorno alla mia casa. Si soffermò sul pick-up, parcheggiato davanti la villa, e poi appoggiò la testa sul vetro freddo aspettando di tranquillizzarsi.
-Davvero-. Bisbigliai andandole vicino e tentando di incrociare il suo sguardo – Non ti sto dicendo una bugia…-. Continuai alzando una mano e accostandola alla sua guancia che immediatamente riprese colore. Ecco, così, ora andava molto meglio. Divenne rossa e si fece coccolare dalle mie dita dimentica di ogni pensiero. Era così che volevo vederla, felice di ogni piccolo gesto, di quella minima intimità che avrebbe dovuto soddisfare entrambi, anche se accendeva una miccia folle di desiderio e passione.
-Non mi mentiresti mai vero, Edward?-. Continuò facendomi inorridire. Non le avrei mai voluto mentire, non l’avevo mai fatto, le avevo aperto il mio cuore nonostante fosse pericoloso, avevo cercato di starle lontano, ma non ci ero riuscito, avevo fallito ogni tentativo di resisterle tentando di nascondere a me stesso quell’amore. Dirle bugie sarebbe stato mentire a me stesso, lei era parte di me, era me e io non potevo dimenticare quello che mi univa a lei.
-Lo sai, lo sai che non lo farei-. Terminai scostandole i capelli dietro l’orecchio e carezzandoli piano come seta preziosa, pregiata. Bella per me era unica, un piccolo cerbiatto indifeso da proteggere dal mostro cattivo che ero, ma anche la più bella delle creature, la più desiderabile ai miei occhi, e questo era spaventoso, ma normale. Se normale poteva dirsi il desiderio fisico per un’umana da parte di un diciassettenne centenario per giunta vampiro.
- Mai?-. Insisté voltandosi verso di me e pregandomi con gli occhi di dirle la verità. Fissai il mio sguardo sulle sue labbra e la voglia di baciarla tornò prepotente. No, non potevo farlo, anche se ero sazio. Voleva essere rassicurata e io avrei cercato di farlo. Le sorrisi e la portai contro di me, abbracciandola e cullandola contro il mio petto. Quale piacevole tortura sentire il mio corpo reagire istintivamente alla mio piccolo Bambi, i miei sensi divennero così acuti che riuscii a percepire il profumo del suo desiderio per me. Come un animale chiusi gli occhi per goderne segretamente e mi illusi di riuscire a mantenere quel poco di controllo che mi era rimasto. Un vampiro, un uomo… un semplice idiota. Poteva essere la descrizione che evidenziava le mie perfette qualità da creatura insensata e assetata di sangue qual ero.
- Non vorrei mai, Bella, preferirei farmi del male che farne a te…-. Le confidai scostandola lentamente e fissando i miei occhi nei suoi. Il suo viso si rabbuiò immediatamente, non era quella la risposta che avrebbe voluto sentirmi dire. Ma non potevo fare altrimenti, dovevo essere onesto con lei e con me stesso. La amavo, più di me stesso e cercavo di dimostrarglielo ogni giorno senza pensare al domani, perché di quello non potevo esserne sicuro nemmeno io. La sua vita era costantemente in bilico, la vedevo oscillare, una piccola preda sperduta nel bosco e sempre di più mi angosciavo pensando che avrebbe potuto correre chissà quali pericoli se non l’avessi difesa, se non l’avessi protetta ad ogni costo. Ero diventato paranoico, averla lasciata da sola per due giorni aveva fatto più male a me che a lei, questo però non l’avrei mai ammesso di fronte a Bella. La caccia era stata comunque un buon diversivo, Emmett sapeva come farmi divertire.
- Ma mi mentirai… o forse già l’hai fatto inconsapevolmente. Magari dicendo di amarmi per esempio-. Parlò con noncuranza, come se la leggerezza del suo tono potesse farmi realmente credere che stesse dicendo quelle fesserie non pensandole veramente. Avevo imparato a conoscerla, pur non potendo leggere nella mente e improvvisamente capii che quei giorni senza di me le avevano provocato più dolore di quanto non mi aspettassi.
- Immagino che tu stia scherzando, voglio crederlo perché non voglio ricominciare a discutere-. Cominciai sentendo la volontà di stare calmo venire meno. Ancora una volta il fatto che Bella si sentisse così inferiore a me ci stava dividendo, era chiaro che qualcosa non andava e quel qualcosa invece di diminuire stava crescendo e formando un baratro tra noi.
- Sì…-. Fece pensierosa abbassando gli occhi sulla mia maglietta – E immagino di non dovere affatto preoccuparmi, penserai a tutto tu… a tutto quanto, senza dirmi mai nulla-. Iniziò prima che potessi fermare il flusso impazzito ed impaurito dei suoi pensieri.
- E tu dicevi che ero perfetto eh?-. La interruppi finalmente posandole un leggero bacio sulla fronte e facendola fremere – Non lo sono, se riesco a far preoccupare la persona che amo. Non devi sentirti così, sei la mia vita, tutto per me. Lo sai-. Conclusi afferrandole una mano e portandola con me verso il divano accogliente che arredava la mia stanza. Ci mettemmo seduti e ricordai quando appena qualche mese prima l’avevo lì stretta tra le mie braccia, il desiderio accecante, la passione incontrollabile. Ora era diverso. Dopo averla vista morente, aver assaggiato il suo sangue, ero molto più attento al mio comportamento. Carlisle mi aveva avvertito che dentro di me stava maturando un amore più cauto, più maturo, insomma stavo crescendo, dopo cento anni di vita, io stavo crescendo. Incredibile che anche un vampiro potesse mutare, anche se solo a causa di emozioni molto forti.
-Sei perfetto. Tu non ti vedi come ti vedo io-. Sussurrò scontrosa avvalendosi del suo infallibile sguardo lungimirante da essere umano. Mi lasciai sfuggire un piccolo sorriso accarezzando con i polpastrelli le fossette delle sue guance indispettite. Mister perfezione… reclinai il viso da un lato e mi ritrovai a ridacchiare della sua espressione assolutamente irreprensibile. Già, Bella non poteva vedere quello che riusciva a scatenare in me, non poteva vedere quello che ero veramente.
- Se leggessi più approfonditamente qualcuna di quelle pagine del diario credo capiresti-. Le confessai nonostante tutto sperando che non fraintendesse. Si portò le ginocchia al petto, poggiando il mento e lasciando che le mie dita continuassero il loro percorso sul profilo del suo naso.
- Se leggessi il tuo diario vedrei ti amo scritti ovunque… come nella pagina che ho aperto. Nessuno ti ha mai detto che scrivi divinamente? Sembra poesia Edward, ma è così che mi vedi? Tu non sei normale-. Concluse sbuffando. Non trattenni una risata e le passai le mani tra i capelli lunghi. Ma come diavolo riusciva a pensarle quelle cose? E poi dubitava del mio affetto.
- Sono meno poeta di quanto tu non possa immaginare, Bella…-. Ammisi con un sospiro, ricordando quanto mi piacesse il suo sangue e quanto mi sentissi ancora forte di quello che avevo rubato da lei qualche mese prima. Era come se fossi rinato, le mie energie vitali si erano sintonizzate con una forza disumana. Non riuscivo a credere che del sangue umano potesse fare quell’effetto, ma Bella per me non era come gli altri. Lei era la mia eterna dannazione e il mio amore immortale.
- Sei molto più testardo di quanto io non potessi immaginare, Edward-. Imitò la mia voce seria e impassibile con un tono che non riuscì a farmi trattenere una risata. Che bambina, a volte dimenticavo che tra noi due ci fosse quella grande differenza di età. Mi ero sentito un bimbo con lei, un ragazzo, un uomo, e ora a volte sentivo di essere il suo carnefice. E questo… questo mi terrorizzava sopra ogni altra cosa.
- Dimostramelo-. Conclusi sarcasticamente facendole roteare gli occhi in aria. Ero anche un esagerato, a dirla tutta, o tutto bianco o tutto nero, nessuna via di mezzo e questo non era positivo per una cerbiattina tenera come lei.
-Terra chiama Edward, Edward rispondi… vedi? Stai di nuovo viaggiando in quella massa neuronale spaventosa che ti ritrovi, Mister Perfezione-. Si alzò stiracchiandosi e chinando il capo per guardarmi. La osservai con un vago senso di inquietudine e poi le presi le dita. Non sapevo più come dirle che non ero affatto perfetto, non capivo come mai avesse quell’idea assurda. Gli umani tendevano evidentemente a dimenticare, perché se avessi ripercorso la nostra storia passata non avrei visto nemmeno una traccia di elementi così impeccabili nel sottoscritto. Tutt’altro…
- Anche nel mio desiderio nei tuoi confronti vedi questo?-. Le domandai rischiando un discorso che avrebbe scatenato la litigata del secolo. Dovevo stare attento a quell’argomento, camminavo su un terreno franabile. Bella scosse la testa esasperata e si inginocchiò al mio fianco appoggiando distrattamente la testa su una mia coscia. La lasciai fare sbalordito da quel gesto. Possibile che sapesse sempre come stupirmi? Era incredibile.
Il mio respiro accelerò in modo naturale e quando le sue dita giocarono a sfiorare la mia pelle e a tracciare le linee indelebili sul palmo della mia mano, capii di dovermi rilassare prima che il mio corpo si irrigidisse e io mi potessi sentire troppo a disagio.
-Trovi questo innaturale?-. Mi domandò facendomi rabbrividire. No, lo trovavo estremamente naturale, forse più del dovuto. Tra un vampiro e un’umana non avrebbe dovuto esserci una simile sintonia di anime, una così profonda condivisione di desiderio fisico. Ma fino ad un anno prima non avrei creduto possibile neanche un sentimento d’amore così profondo verso un essere umano.
-No-. Risposi semplicemente, aspettando che continuasse a torturarmi. E lei lo fece… Tracciò con i polpastrelli dei disegni immaginari sul dorso della mia mano e io trattenni il respiro, vagamente sconvolto dalla scarica elettrica che mi percorse.
-Vedo che neanche tu hai una buona memoria. Strano per un vampiro-. Bisbigliò risalendo lungo il mio polso e massaggiandolo gentilmente. Era come se mi stesse passando una piuma sulla pelle per fare in modo che venissi percorso da mille brividi contemporaneamente.
- A volte… mi impongo di non ricordare-. Confessai, gli occhi ora chiusi e la testa abbandonata sul divano. Era vero, ricordare quanto mi piacesse essere toccato da lei, accarezzato dalle sue mani o anche quanto godessi nel toccarla non era positivo per me, trattenere gli istinti di un vampiro non era come frenare quello di un umano. Non era razionale l’impulso che sentivo nascere dentro di me, era automatico, mi spingeva verso la possessione di ogni cosa che la riguardasse, per egoismo puro, per piacere, per qualsiasi cosa fosse sentirla gridare il mio nome con voce roca e ansimante. Ciò che doveva assolutamente essere evitato era il contatto fisico, ecco la regola che mi stavo auto imponendo e su cui mi stavo allenando con rigidità.
- Edward, rilassati-. Mi intimò sfiorandomi piano il braccio e giocando a torturare con le unghie il marmo della mia pelle. Non sapevo cosa le diceva la testa, ma la mia rischiava di smettere di parlarmi. E questo era terribilmente frustrante. Ogni volta che tentavo di controllarmi tutto si perdeva e la mia ragione andava a farsi benedire in qualche posto lontano, molto lontano.
- Per favore, Bella…-. Cominciai cercando di farla allontanare da me. Mi alzai appena consapevole che la visione dei suoi capelli scivolare sulle mie gambe e cadere nel vuoto mi piacque troppo. Mi fece pensare a cose da respingere assolutamente e non erano pensieri da uomo quelli che volevo fare in sua presenza, preferivo riflettere su cose più edificanti. Ad esempio come avrebbe trascorso il suo compleanno, cosa avrei potuto regalarle.
- Per favore, Edward… solo qualche minuto-. Replicò lei volgendo la testa verso di me. Quel movimento mi fece sussultare perché in nessun modo avrei potuto prevedere quel tipo di intimità. La fissai inorridito e mi sollevai tentando di allontanarla da me. Perché continuava a credere che io avrei potuto sopportare un simile tormento? Mi afferrò di nuovo la mano stringendo le mie dita e io tornai a sedermi agitato. La guardai attentamente e ricambiai la sua stretta con delicatezza.
-Altro esempio di chiara non perfezione-. Sottolineai tentando di fare ironia su me stesso. Bella mi guardò sbalordita e portò il suo corpo tra le mie gambe facendo iniziare la mia preghiera verso il cielo. Forse non si rendeva conto, forse non aveva la minima idea di cosa stava cercando di risvegliare. Qui non si trattava di un semplice e blando desiderio controllabile, era in gioco la sua vita e anche la mia.
- Dove? Dimostralo… come dici tu-. Mormorò dubbiosa rilassandosi ancora sull’altra gamba portando l’altra mano a strofinarsi sui miei jeans. Nella mia testa… ecco dove. Era come se fosse entrato un virus che stava sbaragliando senza pietà i miei neuroni, a cui avevo lavorato per ben cento anni. Mi sentivo ridicolo, questa era la sensazione, assolutamente ridicolo. E non mi piaceva avere la sensazione di stare facendo qualcosa di sbagliato.
- Vieni qui Bella, vieni da me. Per favore-. Le intimai allungando le braccia. Preferivo tenerla tra le braccia, stringerla contro il mio corpo, che immaginare cose di cui poi mi sarebbe rimasto un chiaro e indelebile desiderio dentro di me. Lei si alzò, attratta dalla mia voce, dalle mie parole e io la sollevai abbracciandola come fosse stata una bambina. Molto, molto meglio.
-Voglio solo proteggerti, lo capisci?-. Sussurrai sulle sue tempie baciandole ripetutamente e cullandola avanti e indietro. Era così bello prendersi cura di lei, l’avrei tenuta così per sempre.
- Sì, sì. Lo so. E io voglio proteggere te-. Disse sottovoce toccando con il naso la mia gola e strofinando le sua labbra sul mio collo. Lei proteggere me…. Interessante, ma impossibile. Lasciai che mi coccolasse per non farle ulteriormente male allontanandola e per qualche minuto mi abbandonai al suo calore.
Era più sopportabile senza la tensione che faceva nascere un’aspettativa di piacere nel mio corpo, era più accettabile. Dovevo comunque astenermi dal respirare intensamente, altrimenti sarebbe stata la mia fine.
-Piccola, pensa a te per una volta-. Le dissi abbassando lo sguardo sulla sua bocca e desiderando nutrirmi di quelle labbra gustose. Le fissai tentato di cedere, annaspando e tentando di convincermi che quel bacio mi avrebbe fatto perdere definitivamente il senno. Non potevo farlo, se l’avessi fatto avrei voluto sempre di più, lo sapevo, preteso cose che ogni notte segretamente mi trovavo ad immaginare steso con lei nel suo letto, oppure da solo nella mia stanza. E nemmeno la lettura riusciva a distogliere la mia mente. Avevo la sensazione di non aver fatto passi avanti, ma mille indietro. Era come se fossi tornato a smaniare per lei, torturandomi per quella passione inverosimile.
- E tu… quando penserai a te? Sempre il solito. Ti va di uscire e andare a fare due passi?-. Mi domandò stringendosi ancora di più contro di me. La sfiorai con il mio respiro e sentii il suo insinuarsi dentro di me e tentarmi sempre di più. Solo un bacio, uno e poi avrei smesso di desiderare, mi sarei imposto qualsiasi dolore, ma non quello di volerla, di immaginarmi con lei come un semplice ragazzo, in grado di abbandonarmi all’amore.
- Con il tuo pick-up mi rifiuto, amore-. Le risposi sincero assottigliando le palpebre e scostandomi di scatto. No, niente libertà per quel giorno, non avrei fatto niente che avesse potuto metterla in pericolo. Era assolutamente inammissibile quel mio atteggiamento. Rischiavo di arrivare a detestarmi. Il mio cerbiattino tornò a poggiare la mia testa contro la mia spalla, sbuffando e io ridacchiai furbescamente.
- Cattivo, sei cattivo. Vampiro cattivo…-. Ripeté più volte stringendo la mia mano ancora più forte. Non la lasciai andare e la portai al mio petto spingendola contro il mio cuore ormai morto. Sapevo che se non fossimo usciti, avremmo finito per baciarci su quel divano e accarezzarci fino a sera. Ne avevo un bisogno cronico e potente, quasi una necessità. Ringraziai che l’avesse capito.
- Non ho mai detto di essere buono. Io ti ho sempre avvertita del contrario…-. Borbottai e le permisi di lanciarmi un’occhiataccia omicida. La sollevai tra le braccia facendola mugolare sorpresa e mi diressi verso la porta con lei in braccio.
- Lasciami andare Edward!!-. Urlò lei ridendo e aggrappandosi alla mia t-shirt. Avrei tanto voluto, ma se fosse caduta a terra si sarebbe fatta male e non potevo permettermelo. Mi piegai sulle gambe fingendo di perdere l’equilibrio e la vidi spaventarsi e urlare lamentosa.
- Se insisti…-. Commentai tornando ad afferrarla fermamente e poi a lasciarla ancora. Rideva, rideva come una bimba e questo non faceva che dimostrarmi quanto si fidasse di me. Non avrei voluto che lo facesse, ma mi rendeva felice. Risi con lei sollevandola con facilità e Bella si aggrappò alle mie spalle scuotendo la testa e liberando la massa di capelli castani che tanto mi faceva impazzire con il loro odore.
- Sei terribile, insopportabile a volte…-. Mormorò Bella stringendomi forte e mordendomi il collo come per succhiare il mio sangue. Che peste, quel cerbiattino era una peste, non sapevo come altro definirla. Ma che amore, che dolce amore, mio, tutto mio e solamente mio.

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Capitolo 4
*** Verità nascoste ***



Scusate il ritardo, ma trovare il tempo di scrivere le fic sta diventando impossibile in questo periodo. Cercate di perdonarmi se potete, non vi dimentico, ma quello che voglio di più al mondo è diventare scrittrice e sto cercando di impegnarmi in questo senso. Devo dare tutta me stessa in questo progetto... volevo ringraziare tre persone in particolare: Marghe, Paola e la piccola Malù, che mi stanno molto molto vicine in questo periodo e che mi sostengono con tutta la loro forza. Grazie veramente per quello che fate per me, questo capitolo è dedicato a voi. ^^  Sappiate che apprezzo il vostro affetto, tantissimo e non lo dimentico. Ma volevo ringraziare anche tutte le persone che mi leggono e che credono in me, tutte... tutto Oblivion, le lettrici silenziose che mi seguono segretamente e nel cuore, chi commenta, chi mi manda e-mail, chi mi minaccia, chi vuole da me il massimo e lo pretende, chi mi ha fatto crescere e chi mi sta facendo ancora crescere. GRAZIE MILLE, perchè voi non avete la minima idea, la più piccola e sola idea di quanto io vi debba. Mi avete regalato un sogno, avete dato senso alla mia vita, mi avete dato tanto. E' più di anno che scrivo su efp, un anno di cose belle e brutte, di dimenticanze, errori, problemi e conoscenze. E non è finita... non finirà. Quello che sono ora lo devo solo a voi, solo e unicamente a voi, perciò non potete capire il valore che avete per me. Grazie per aver creduto in me tutto questo tempo. Malia

Verità nascoste.

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-Dì un po’… abbiamo preso il pick-up perché non c’era altra scelta, vero? Dimmi che è così-. Sospirai disperato fissando dritto davanti a me. Ogni volta era un’agonia salire su quel catorcio e guidarlo, quasi peggiore che starle vicino e desiderare costantemente il suo sangue. Era già tanto che riuscissi ad accelerare oltre i cento chilometri orari, mi sembrava di vedere tartarughe indiane correre più veloci di noi. Il mio piede sull’acceleratore tremava di impazienza ogni minuto di più.
-Mhh… finiscila di lamentarti, vampiro-. Borbottò lei rilassandosi sul sedile e continuando a leggere uno dei miei tanti diari. Era proprio immersa nella lettura, non mi aveva degnato nemmeno di un’occhiata da quando eravamo partiti da casa. La fissai, la fronte corrucciata e il cipiglio pensieroso… era tenera la mia cerbiattina umana.
-Non pensarci troppo-. Mormorai girando a destra e percorrendo la solita strada che ci avrebbe portato alla nostra radura. Spesso andavamo lì per stare un po’ insieme, parlare e confidarci, per me era come un tempio dello spirito quel luogo, dove potevo liberare la mia anima con lei.
-Sei tu che pensi troppo tra noi due-. Ribatté facendomi involontariamente sorridere. Aveva sempre la risposta pronta eh? Ridacchiai divertito facendola finalmente voltare, lo sguardo assente, ma gli occhi pieni di domande. Immaginai che sarebbe arrivata una cascata inevitabile di perché da un momento all’altro, così la ignorai e continuai a guidare, improvvisamente troppo concentrato.
-Edward quando hai scritto queste cose?-. Domandò alla fine. Come prima domanda non era affatto difficile, in ogni pagina avevo accuratamente evidenziato la data. Scoppiai a ridere della sua sbadataggine e Bella assottigliò le palpebre sorpresa dalla mia reazione.
-C’è scritto-. Terminai tagliando corto e fermando di scatto il pick-up. Da lì come sempre avremmo dovuto continuare a piedi il nostro percorso. Mi guardò  tornando a fissare le pagine e si portò un dito sulle labbra sospirando interdetta.
Scossi la testa incredulo e aprii lo sportello facendole segno di uscire, ma lei non si mosse continuando a scorrere con gli occhi i fogli, apparentemente molto scossa.
-Hai pensato veramente queste cose?-. Chiese poi chiudendo il diario e sporgendosi verso di me perché la prendessi. Sorrisi di quel gesto fiducioso e le circondai la vita con un braccio, attirandola contro di me. Sì, ma non capii perché fosse così sconvolta. Quale dei tanti aveva preso?
-Ti sembra assurdo?-. Ribattei accarezzando i suoi capelli e scostandoglieli all’indietro, godendo come sempre del loro profumo floreale. Lei arrossì dolcemente annuendo ingenua e mordendosi con i denti il labbro inferiore, segno che si stava preoccupando o che era nervosa.
-Bella, la mia vita accanto a te…-. Iniziai tentando di spiegarle cosa provassi ogni volta, cosa percepissi in modo violento quando le ero accanto. Ma lei mi precedette sigillando la mia bocca con la sua mano e scostandosi da me per iniziare la salita che ci avrebbe portato alla radura. La guardai sorpreso da quella reazione impulsiva e la seguii lentamente chiedendomi che cosa l’avesse portata ad allontanarsi così. Se soltanto avessi potuto leggerle nella mente…
-E’ così strano leggerti in quelle pagine, sembri così diverso eppure così Edward-. Continuò spostando una felce maldestramente e puntando i piedi per non farsi gettare a terra. Fui io, tempestivo, a sorreggerla per non farle perdere l’equilibrio e come sempre quando i nostri corpi venivano a contatto provai un formicolio fastidioso al basso ventre.
-Sono io, Bella. Anche se può sembrarti impossibile-. Sussurrai spingendola in avanti e maledicendo la mia debolezza. In fondo sapevo che non c’era nulla di male nel desiderare la propria ragazza, ma certo essere ossessionato dalla voglia di fare l’amore con lei e non poterlo nemmeno pensare era dannatamente frustrante. Bella si voltò guardandomi per qualche secondo in viso e io mi fermai per permetterle di fissarmi senza farle correre il pericolo di ruzzolare a terra. Non commentò le mie parole un po’ dure, ma continuò la sua scalata aggrappandosi ai tronchi degli alberi.
-Anche i vampiri quindi possono deprimersi?-. Domandò come se fosse stata la cosa più normale del mondo. Solitamente no, ma evidentemente io potevo. Dalla mia nascita come vampiro avevo dimostrato una sensibilità fuori dal comune, nonostante fossi un neonato assetato di sangue umano, e questo mi aveva portato a guarire dall’ossessione della linfa vitale molto presto. Leggere dentro l’anima delle persone, tutti i loro pensieri, era stata una prova per me, la prova della mia umanità.
-Non ero depresso, ero semplicemente me stesso-. Commentai ragionandoci su. Su quelle pagine avevo sfogato tutto il mio essere, tutti i miei perché senza risposta e non avevo mai trovato nulla che potesse farmi sentire pienamente me stesso. Almeno fino a quel momento.
-Te stesso…-. Continuò lei facendomi sorridere ancora. Non avrei dovuto permetterle di prendere i miei diari, ormai avrei dovuto sapere che in questo modo si sarebbe preoccupata eccessivamente per me, quando non ce n’era affatto bisogno. Ero bravo a cavarmela, ero sopravvissuto più di cento anni in fondo.
-Me stesso e basta Bella. Si può sapere cosa c’è?-. Le risposi afferrandole delicatamente un braccio e portandola lontano da una radice sporgente. Forse sarebbe stato meglio prenderla in braccio e correre, ma Bella odiava la mia corsa, la spaventava, perciò preferivo andare lentamente. E la mia ansia faceva capolino ogni volta che la vedevo muovere un passo davanti all’altro. La solita iperprotettività cronica.
-Davvero? Non stai scherzando? Cosa pensi di me…-. Bisbigliò insicura facendomi roteare gli occhi verso l’alto. Prima mi chiudeva la bocca per evitare che le ricordassi il mio amore e poi mi domandava cosa pensassi di lei… quella donna era una contraddizione in essere. Mi aggrappai ad un ramo basso sollevandomi con le braccia e saltando sulla conifera enorme poco sopra di noi. “Pronti…via”.
Bella si voltò di scatto rischiando di cadere a terra e io mi abbassai tenendomi con le gambe e afferrandola per lo zaino. Si sbilanciò all’indietro risollevandosi con le braccia e io scoppiai a ridere vedendola indispettita dal mio comportamento.
-Manca solo l’urlo e poi ti chiamerò definitivamente Tarzan-. Borbottò facendomi digrignare i denti e ringhiare sommesso. Alzò il viso per guardarmi, meravigliata dal mio comportamento, e io continuai a ringhiare minaccioso contro di lei. Volevo vedere come avrebbe reagito, raramente mi permettevo di farle paura, ma ero curioso. Ma Bella non battè ciglio, si inginocchiò pensierosa prendendo un ramo e stuzzicandomi il petto con la punta del bastone.
-Fa il bravo micio, micio mao-. Rispose lei alzandomi il mento con quel tronchetto. Lo scostai di malavoglia e continuai la mia opera spaventosa. Assottigliai le palpebre abbassandomi con le braccia fino ad arrivare all’altezza del suo volto. Annusai la sua spalla e spezzai il bastone strusciando con lentezza il naso sul suo maglione scarlatto.
-Edward, a che gioco stai giocando?-. Mormorò improvvisamente rigida. Il suo corpo immobile aveva reagito con normalità al pericolo che aveva percepito, ma non sentivo timore venire da lei, che tentava di comprendere perché ora mi comportassi in quel modo.
Non parlai abbassando le braccia e afferrandola sotto le spalle per portarla sul ramo con me.  Si lasciò sollevare e si aggrappò alla mia schiena per non cadere giù, mentre il suo odore mi eccitava le narici e mi faceva brancolare dalla voglia di gettarmi in quel piacere profumato.
-Ti dimostro che sono molto, molto arrabbiato a causa delle tue parole-. Sussurrai riprendendo il mio ringhio basso che fece vibrare entrambi su quell’albero. Ma il mio piccolo Bambi non aveva ancora finito di stupirmi, si chinò sul mio collo annusando la mia pelle e sospirando beata. Tremai convulsamente e mi resi conto di stare quasi facendo le fusa.
-Micio mao-. Ridacchiò ancora quando tremai imbarazzato. Ci mancava solo il gatto ora… la strinsi a me facendole scivolare lo zaino a terra e la sentii ridacchiare contenta di starmi così vicino. Quella ragazza non si rendeva minimamente conto del pericolo, oppure era talmente cieca e innamorata da non vedere il mostro che ero.
-Non sono un gatto, sono un vampiro-. La ripresi fingendomi indignato. Bella affondò le mani tra i miei capelli bronzei e mi mordicchiò il naso dolcemente mettendosi comodamente seduta sul ramo. Inutile dire che mi sarei fatto torturare da lei tutto il giorno e non avremmo mai raggiunto la radura.
-Edward…-. Disse sottovoce facendomi correre un brivido lungo la schiena. Inspirai forte poggiandole la testa sul petto in modo che lei mi avvolgesse nel suo abbraccio e chiusi gli occhi abbandonandomi al battito del suo cuore che sentivo martellare irregolarmente, veloce, poi lento, ora veloce. La adoravo…
-Scema-. Conclusi sospirando e sentendo il suo mento tra i miei capelli dondolarsi pensieroso. Pregai che quel momento non finisse mai, perché Bella era diventata veramente tutta la mia vita, la necessità di lei mi portava ad impazzire ogni volta che sentivo il suono della sua voce, la sua vicinanza, il suo affetto nei miei confronti. Era più forte di me stesso quell’amore.
-Scemo tu-. Riprese lei quando mi alzai e mi portai in piedi guardandola dall’alto. Mi aggrappai al ramo superiore e mi spinsi con le gambe per saltare. Avevo voglia di libertà e non ne capivo il motivo, sentivo il profondo bisogno di respirare a pieni polmoni quell’aria gelida e sentirmi uomo, sentirmi vivo. Bella mi fissò aggrottando la fronte e allungando la mano. Senza pensare la afferrai e la sollevai con me, facendola salire sul mio stesso ramo.
-Signorina Swan, non è un bene arrampicarsi sugli alberi-. La sgridai poi accucciandomi sul tronco e fissandola divertito. Lei si resse al mio braccio tentando di rimanere in equilibrio e quando guardò in basso si tese agitata. Non sarebbe caduta, ci sarei stato io a tenerla se fosse successo qualcosa.
-Colpa di un vampiro tentatore-. Mi rispose lei facendomi ghignare. Le circondai la vita sostenendola con le mie braccia e le feci segno di aggrapparsi a me con tutte le sue forze e non guardare in basso. Lo fece senza fiatare e io allungai una mano verso il tronco facendo leva su una sporgenza solida. Volevo salire ancora più su, volevo stupirla, sentivo il bisogno di emozionarla e la trascinai con me in quella scalata impossibile. Salimmo molto in alto fino a quando non avemmo la visione del paesaggio circostante.
-Dio mio…-. Mormorò Bella reggendosi al tronco, instabile sulle gambe. La guardai spaziare con gli occhi per tutto il bosco circostante e per l’ennesima volta mi innamorai di lei. Era bellissima, qualcosa di etereo e assolutamente innocente, piccolo e da proteggere.
-Sì, sono d’accordo-. Sussurrai sporgendomi verso di lei e guardandola negli occhi. Ci fissammo intensamente per qualche secondo e poi Bella abbassò lo sguardo arrossendo.
-Quando mi guardi così il cuore parte per luoghi lontani. Non riesco mai a controllarlo… uff-. Commentò a disagio. Potevo sentirlo, ma non mi importava. Era stupendo stare lì con lei, non avrei mai pensato che sarebbe successo. Quella fiducia così incondizionata nei miei confronti mi faceva sentire il re del mondo. Che stupido, che uomo idiota, ma innamorato.
- Ti va di salirmi sulle spalle?-. Le domandai allora sovrappensiero. La vidi sgranare gli occhi spaventata e passai sul suo stesso ramo portandomi più avanti rispetto a lei. Il mio cerbiattino si strinse a me abbandonandosi di peso e circondò le mie spalle con le braccia. Volevo salire ancora più alto, fino in cima, volevo portarla dove avrebbe potuto superare con lo sguardo ogni cosa. Salii ancora senza fatica con lei su di me e arrivai in cima. Fissai tutta la montagna e gli alberi, osservando i laghi in lontananza. Era meraviglioso, la vita lo era, la stessa esistenza era perfetta e assolutamente preziosa.
-E’ fantastico Edward-. Mormorò Bella in modo strozzato. Si strinse alla mia schiena provocandomi un brivido e io distolsi lo sguardo sperando che non si accorgesse del mio disagio. Avevo voglia di sentire il suo odore penetrarmi dentro, desideravo prenderne consapevolezza, mi piaceva il profumo della sua pelle.
-Ti piace?-. Le chiesi sottovoce. Era stupido emozionarsi per una cosa così sciocca, ma mi sentii tremare e l’aria frizzante mi rese stranamente felice. Era bello avere un mondo tutto nostro da condividere. La afferrai ancora portandola di fronte a me e tenendola stretta. Mi abbracciò poggiando il capo sul mio torace e chiudendo gli occhi serena. Così… avrei voluto guardarla per sempre, allegra, appagata e innamorata. Avrei dato la mia vita per saperla felice.
-Non quanto te, ma posso accontentarmi di questa meraviglia-. Rispose sussultando e ridacchiando. -Come sono smielata-. Aggiunse poi tornando ad osservarmi. Aveva ragione stava esagerando, ma mi faceva stare bene. Provai un piacere sottile nel sapere che le piacevo, che mi trovava bello in qualche modo, per lei avrei fatto ogni cosa.
-Si può sempre recuperare con qualcosa di profondamente… non so… cattivo volendo-. Proposi scoppiando a ridere e vedendola storcere il muso. –Sì, lo so. Sono romantico-. Terminai quando mi prese il viso tra le mani. Se si fosse avvicinata ancora un po’ l’avrei baciata e non volevo farlo, il fuoco che avrebbe acceso nelle mie vene mi avrebbe fatto delirare.
-Tipo? Tu sai essere molto cattivo a volte-. Fece sollevandosi verso di me. Oh sì, sì, troppo cattivo. Soprattutto i miei pensieri in quel momento che non volevano smettere di fissarsi su unica cosa: le sue bellissime labbra, disponibili e molto invitanti.
-Scendiamo, Bella. È meglio-. Dissi, improvvisamente freddo, afferrandola malamente e costringendola ad arrampicarsi ancora su di me. Non potevo permettermi più simili debolezze e non dovevo, preferivo di gran lunga che leggesse i miei diari e fantasticasse piuttosto che mi tentasse. Non fiatò, rimase in silenzio per tutta la discesa e io mi limitai ad immergermi nei pensieri cercando di non sentirmi propriamente un ebete. Saltai a terra sentendo un suo respiro profondo alle spalle e la feci subito scendere, comprendendo subito il suo bisogno di toccare terra.
-Credo che dovremmo sbrigarci, il tempo non promette affatto bene. Credo che pioverà-. Azzardai fissando il terreno e avanzando lentamente senza guardarla. Non avevo voglia di vedere la sofferenza nei suoi occhi, perché sapevo di averla delusa, ma non potevo rischiare di farle correre rischi. Doveva perdonarmi e cercare di capirmi. Sperai che lo facesse.
-Va bene-. Disse indifferente facendomi voltare. Non resistetti alla tentazione di guardarla e notai il suo sguardo perso in chissà quali pensieri. Le porsi la mano sperando che la prendesse e lei lo fece, ma questo non mi rassicurò affatto. Avrei voluto non farle male in quel modo, ma se avesse saputo quanto fosse difficile per me starle lontano, quanta sofferenza nel cercare di controllare me stesso forse le avrebbe fatto piacere. Anche se non sapevo fino a che punto…
Verso il primo pomeriggio arrivammo alla radura, che con il clima autunnale aveva completamente cambiato aspetto. Ma il rumore dell’acqua era lì e le piante sempreverdi ci facevano da cornice. Come avevo previsto non c’era il sole, ma l’aria fredda che ci accolse mi fece capire che non sarebbe piovuto immediatamente. Così la portai vicino alla cascata e ci sedemmo lì a fissare l’acqua cadere nel piccolo lago adiacente a quello che era il nostro paradiso.
-Vorrei che il tempo si fermasse, la sola idea di perderti mi fa stare male-. Riprese Bella sottovoce dopo avermi accarezzato il palmo della mano. Non mi voltai, continuando a guardare l’acqua. Non che non ci avessi mai pensato, ero consapevole che se mi fossi intestardito sulla sua non-trasformazione lei sarebbe invecchiata e l’avrei persa. Era inevitabile che ne fossi ossessionato, ma non ero pronto, né preparato a vederla morire, non per causa mia almeno. La volevo sentire viva, desideravo che respirasse e che vivesse in modo normale.
-Non mi perderai, mai… mai…-. Sussurrai stringendole le dita nelle mie e sentendola rabbrividire dal freddo. Mi soffermai sullo zaino che aveva ripreso e che evidentemente le scaldava un po’ le spalle, ma non bastava. E mi sentii profondamente in colpa perché io non potevo fare nulla per tenerla al caldo, se l’avessi abbracciata avrei finito solo per congelarla. Tentai di togliere la mano dalle sue, con molta delicatezza, ma non me lo permise, forse intuendo il mio disagio.
-Bella… cosa c’è…-. Mormorai avvicinandomi e poggiandole appena le labbra sulla guancia. –Sai che con me puoi parlare. Lo sai-. Continuai baciandole piano la pelle profumata. Lei chiuse gli occhi e si lasciò andare a quella mia carezza dolce. Tutto, ma non il mio cerbiattino triste.
-Voglio leggerti…-. Disse fermandosi e portandosi lo zaino sulle gambe. Lasciò la presa sulla mie dita e aprì le cinghie prendendo uno dei miei diari. Non poteva essere vero… l’aveva portato anche lì. Mi portai una mano tra i capelli e la fissai preoccupato. Le stavano facendo male quei miei pensieri, avevo combinato un altro danno, maledizione a me e quando le avevo detto che poteva dare un’occhiata ai miei ricordi. Non aveva fatto che leggere quelle maledette pagine per tutto il viaggio in macchina e ora scoprivo che aveva portato con sé il diario dentro lo zaino.
-Ti prego, per favore-. Iniziai tentando di farla desistere dalla sua decisione, ma invano. Lei aprì la prima pagina e io maledii me stesso e le mie perfette idee da gentiluomo. La prossima volta avrei fatto meglio a tenere la mia bocca chiusa e rimangiarmi le parole. –Bella…-. Sospirai quando la vidi cercare qualcosa. Intuii subito dove volesse arrivare e questo non mi piacque affatto. Non sapevo come comportarmi di fronte a quell’invasione della mia intimità, ma soprattutto non sapevo se avrei avuto il coraggio di guardarla ancora negli occhi dopo quella lettura.
- Non mi sono mai sentito uomo come in questo momento, mi sento fragile, i miei pensieri stanno annegando nel bisogno di amarla. Ho paura di farle del male, ma ne ho bisogno, ho il terrore di non riuscire a controllare il desiderio che mi dilania dal profondo. Ogni notte non posso dormire, ogni notte non faccio che pensare a lei e la voglia di averla mi logora dentro. Non è il suo sangue, non solo e sto impazzendo. È troppo forte questa necessità, il suo profumo è un ricordo indelebile. Non posso toccarla, non devo farlo, devo impormi di non far entrare in me quest’oscurità, preferisco distruggermi. Sto male, sento il mio corpo irrigidirsi, tendersi e i miei muscoli sfuggono al mio controllo, come la mia mente. Non mi era mai capitato prima d’ora. Non posso dire che non mi piaccia, mi piace, mi fa sentire dannatamente vivo, pensare a lei, al suo corpo, al suo odore forte, di donna, non credo di averne mai percepito di più buono. A volte mi domando se anche lei senta lo stesso bisogno, vorrei leggere nella sua mente quel desiderio, ma ai miei occhi è innocente e tenera, questo non fa che farmi sentire un mostro cattivo che la desidera ad ogni costo. Quando la osservo stringersi le mani al seno, quando guardo le sue gambe nude muoversi nel sonno e toccarmi, quando sento qualcosa muoversi dentro di me perdo la ragione e perdo coscienza. Non posso arrendermi… se lo facessi non riuscirei più a sopportare il peso di quello che sono. Eppure passo intere nottate ad immaginarlo, fantasticare di cose che non dovrei mai nemmeno sfiorare. E mi sfogo, suono il pianoforte e urlo, grido con la mia voce quell’ urgenza. Non c’è bisogno che lo dica con parole poetiche, non a me stesso. Voglio fare l’amore con te e ogni giorno diventa un’agonia dimenticare questa passione, quando ti tocco mi rendo conto di essere più ragazzo che vampiro e lo sento, percepisco qualcosa nel tuo essere che si muove, mi chiama e io non posso non risponderti. Lo vuoi? Mi vuoi? Farei di tutto per farti stare bene, ma non puoi chiedermi di farti mia, non così. Mi piacerebbe poter appagare entrambi, ma conosco quali sono i limiti oltre i quali non mi è concesso andare. E il primo è quello della passione, cerca di comprendere… ti amo. Ti amo sopra ogni altra cosa al mondo, sopra me stesso e solo l’idea di farti correre inutili pericoli mi fa sentire dolore. Ma qualcos’altro mi dilania da quando mi sono avvicinato a te la prima volta e ti ho toccata, ed è cresciuto, aumentando sempre di più la consapevolezza che dentro di me il ragazzo non è scomparso realmente. Si è solo assopito. Vuoi ridere di me? Sono un uomo, un maschio che desidera del sesso, ma se fosse solo questo… se fosse solo questo… non dannerei la mia anima in questo modo. Perché io lo so, dentro, nel profondo, io voglio la tua anima. Voglio prenderla e farla mia, voglio entrare dentro di te e sentirti gridare il mio nome, percepire il sapore delle tue labbra che mi chiamano e poter…-.
Prima che potesse finire le tolsi il diario tra le mani, sentendo l’imbarazzo saturare l’aria tra noi. Non credevo avrebbe mai avuto il coraggio di leggere i miei pensieri ad alta voce e nemmeno io mi sarei creduto mai così idiota da poterle permettere di entrare così in profondità dentro di me. Era stata una follia.
-Fammi finire…-. Mormorò con un filo di voce, i battiti del cuore al galoppo, ansante. No, perché sapevo esattamente quello che avevo scritto e sarebbe stato sempre peggio. Il silenzio cadde tra noi e io lo sentii carico di elettricità. Dovevo in qualche modo risolvere quella situazione prima che facesse male ad entrambi.
-Bella, basta. Torniamo a casa. Ti accompagno-. Feci freddamente. Mi sentii colpevole per averle permesso di arrivare ai miei pensieri più profondi. Ma cosa diavolo mi era saltato in mente? Afferrai il suo zaino mettendomelo sulle spalle e le voltai le spalle senza guardarla. Faceva più male a me che a lei, sentivo un groppo in gola e non riuscivo a dire nulla.
-Edward…-. Cominciò Bella allungando la mano verso di me e tentando di fermarmi. Strinsi i denti e sperai di non farmi prendere dal panico. Assurdo… io che avevo paura di me stesso. Ma non potevo accettare quello che stava succedendo.
-Edward…-. Continuò fissandomi disperata. Mi voltai di scatto cercando di controllarmi, ma non ci riuscii e inevitabilmente finii per ferirla ancora. Ignorai il suo sguardo e mi girai.
-Anche io… provo… quello…-. Iniziò facendomi capitolare –che…tu…-. Tossicchiò, la voce strozzata. Mi bloccai sentendo un brivido freddo corrermi lungo la schiena e capii che il mio comportamento era come quello di un bambino terrorizzato che si era fatto scoprire con le mani nella marmellata. Ero solo un uomo in fondo, solo un uomo…
-Ti prego, non finire-. Sussurrai spaventato. Ma qualcosa scivolò contro il mio torace… era lei, che avevo appoggiato il suo capo contro di me e che mi stava circondando con le sue piccole braccia.
-Non lo farò. Ma è bello sapere cosa pensi realmente. Anche tu mi piaci… molto, troppo-. Bisbigliò alzando la testa e immergendo i suoi occhi nei miei. Mi calmai, ricambiando il suo abbraccio e sentendo un leggero sorriso increspargli le labbra. E finalmente riacquistai la lucidità necessaria per tranquillizzarmi.
-Non dovrebbe essere così… difficile-. Mormorai cullandola tra le braccia. Non mi rispose, lasciando che la tenerezza parlasse per lei e quando la pioggia cominciò a cadere fitta, rimanemmo entrambi lì, in quel tempio silenzioso creato da noi, in quella comunione di anime che piano, lentamente ci stava legando in modo indissolubile, incancellabile. C’era un filo rosso a tenerci uniti, più resistente di una catena, io lo vedevo, più forte del sangue, più intenso della forza, più insidioso della volontà… ed era l’amore.

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Capitolo 5
*** Compleanno ***



Buonaseraaaaaaaaaaaaaa!!! Come la va? La va? Ma sì che la va. Allora vi sono mancata? Io lo spero, lo dico sempre, ma nessuno mai che mi dice sì (Malia si mette in un angolino tipo cipollino deluso). Bene... siamo pronti per iniziare con le pagine della Meyer? Siete carichi, ve la sentite? Io non ancora, prendo qualche respiro poi vi faccio sapere, ripescatemi quando mi vedete lì lì per cedere. Ci inoltriamo ora verso la tragedia. Non dico altro... mi limito a ringraziare per i commenti e per le persone che mi hanno aggiunto tra i preferiti, seguiti, ricordati, maldicenti e via seguendo. Questo è un avviso, Nadir si blocca qui... ehehe -.- noooooooo, che scherzo. Non ci credeteee... bene, vi lascio alla lettura. Perdonate se c'è qualche errore. Se me li fate notare poi li correggo va bene? Xiexie (Grazie). Bacini. (No dai Malia, non bacini... -.- okay, distinti saluti -.-). Malia.


Compleanno.

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La guardai venirmi incontro nel corridoio con un’ Alice saltellante e felice accanto. Era il giorno del suo compleanno e sembrava appena uscita da uno di quei film horror dove la protagonista era l’unica sopravvissuta alla tragedia che aveva coinvolto gli altri, uccidendoli e tormentandoli. Non aveva lasciato che io le facessi alcun regalo, insistendo sul fatto che non ce ne fosse affatto bisogno. E io non riuscivo a capacitarmi di una cosa simile, per tutto il tempo mi ero torturato cercando di comprendere perché non le potessi esprimere in qualche modo il mio amore, dimostrarle quanto la amassi. In fondo era solamente un piccolo dono. Ma avevo accettato le sue rimostranze ed ero rimasto in silenzio. E ora la scuola era ricominciata… e l’attrazione per Bella non accennava a diminuire, più le stavo vicino più facevo fatica a controllare i miei istinti. Ed era diventato un doppio combattimento, non bastava la mia natura di vampiro, ma anche quella di uomo a darmi noia. E lei sapeva, ora sapeva quanto la desiderassi.
Alzò depressa lo sguardo verso di me e non appena mi riconobbe i suoi occhi si illuminarono, le sue guance arrossirono e il battito del suo cuore prese il volo. La fissai serio e non smisi di guardarla fino a quando lei e mia sorella non mi raggiunsero. Le sorrisi dolcemente e il mio cerbiattino avvampò di calore stringendosi la mano al petto. Chinai il capo in segno di saluto, molto cavallerescamente, e mi passai una mano tra i capelli prima di porgerle l’altra perché la prendesse.
Sembravamo due ragazzini innamorati alla prima cotta…
Bella abbassò lo sguardo smettendo di respirare e strinse le mie dita con forza, lasciando che le nostre mani si unissero. Respirai profondamente tentando di contenere il desiderio che il contatto con la sua pelle morbida e liscia aveva scatenato dentro di me, ma non riuscii ad evitare che il mio corpo fosse scosso da un tremito che non passò inosservato.
Ci fissammo imbarazzati e quasi senza accorgermene sollevai la mano libera portandola vicino al suo viso. Bella rimase immobile e aspettò che i miei polpastrelli disegnassero i contorni delle sue labbra, avida di desiderio. I nostri occhi non smisero di guardarsi ed entrambi trattenemmo il respiro. In quel momento avrei volentieri spaccato qualcosa, ma non potevo assolutamente permettermi di farlo in un edificio pubblico. Così gustai la morbidezza e delicatezza della pelle del mio piccolo Bambi, riuscendo a dimenticare i limiti che mi ero imposto… come sempre quando lei mi era così vicina. Deglutii veleno cercando nella mia mente qualcosa di sensato da dirle e lo afferrai aggrappandomi a quell’unica speranza di salvezza.
-Quindi, come stabilito, ho il divieto di augurarti buon compleanno, ho inteso bene-. Le dissi, la voce bassa e roca, vedendola annuire velocemente e mordersi le labbra a sangue. Sorrisi di quella reazione, tentando di nascondere il mio impaccio, e lentamente divincolai la mano portandola lungo il fianco.
-Hai inteso benissimo-. Disse senza respiro, sussultando agitata. Rimasi a guardarla per qualche secondo, poi tornai a spettinarmi i capelli, sentendo la stessa angoscia invadermi.
-Grazie per la conferma-. Continuai scontroso sorprendendola non poco. Non riuscivo più a sostenere quella sorta di imbarazzo tra noi. Era da qualche giorno ormai che non faceva che essere nervosa, mi rispondeva in modo sfuggente e distaccato, soprattutto sull’argomento compleanno.
-Speravo che avessi cambiato idea. Di solito la gente adora compleanni, regali e cose del genere-. Terminai distogliendo lo sguardo e fissandolo nel nulla.
-Vedrai che sarà un divertimento. Oggi tutti saranno gentili e faranno quello che dirai tu, Bella. Cosa potrebbe succedere di tanto brutto?-. Ridacchiò Alice saltellando come se fosse stata la cosa più divertente del mondo. Alzai sorpreso lo sguardo verso mia sorella… mi ero dimenticato di lei. Ma il mio Bambi non era della stessa opinione del folletto, storse infatti la bocca come se si fosse trattato di sopportare un’insostenibile tortura.
-Che sto invecchiando-. Ammise Bella facendomi ammutolire. Oh no, ecco il problema. Il sorriso mi morì sulla bocca e mi irrigidii, sperando di aver frainteso le sue parole. Ma sarebbe stato impossibile.
-Diciotto anni non sono tanti- Le rispose Alice. -Sbaglio, o di solito le donne aspettano di averne ventinove, prima di farsi rovinare l'umore da un compleanno?-. Domandò beccandosi una diretta occhiataccia da entrambi. Forse sarebbe stato il caso che Alice non rovinasse ulteriormente la giornata con battute indiscrete.
-Sono più vecchia di Edward-. Mormorò Bella, abbassando la testa e fissando insistentemente il pavimento. Sospirai scuotendo il capo e maledicendo quella stupida questione dell’età. Sospettavo che la stesse ossessionando e mi sentivo in colpa, non volevo che lei soffrisse per quelle stupidaggini, volevo che fosse felice di crescere. Io sarei sempre rimasto al suo fianco, comunque, nessuno mi avrebbe allontanato da lei.
-Tecnicamente, sì. Ma di un annetto soltanto-. Continuò Alice sperando di riuscire a farsi perdonare. Guardai mia sorella facendole segno di tacere e lei fece spallucce. Così avrebbe solo peggiorato la situazione. Ma il mio folletto era fatto così, non c’era modo di farle perdere il buon umore.
-A che ora vieni a trovarci?-. Insisté Alice facendomi guardare in aria esasperato. Non voleva proprio capire che non era il momento… fissai Bella sperando che avesse una crisi di rabbia, ma lei si limitò ad alzare le sopracciglia e a soffocare un gemito sorpreso.
-Non sapevo di avere una visita in programma-. Cominciò il mio cerbiattino fissando prima me poi Alice, con lo sguardo di chi non credeva alle proprie orecchie. Ancora una volta incenerii mia sorella con lo sguardo, ma lei mi fece segno di rimanere zitto, avrebbe pensato lei a convincere Bella.
-Oh, sii buona!-, si lamentò. -Non vorrai rovinarci il divertimento, vero?-. Fece Alice congiungendo le mani e supplicandola con sguardo tenero, corrucciato. Mia sorella mi lanciò un’occhiata furba strizzandomi l’occhio e io abbassai lo sguardo verso Bella che ora ci guardava insicura. Dovevo stare al gioco…
-Pensavo che al mio compleanno si parlasse dei miei desideri-. Borbottò il mio piccolo Bambi sbuffando e cercando di tirarsi fuori da quella situazione, ma non avrebbe mai voluto deludere Alice, lo sapevo. Perciò ne approfittai cogliendo la palla al balzo.
-Vado a prenderla da Charlie subito dopo la scuola-. Sorrisi guardando il mio folletto, ormai suo complice. Bella capì il nostro piano e scrollò le spalle sospirando, non ancora sconfitta. Non avrebbe mai ceduto, avrebbe trovato ogni scusa pur di non venire, ma Alice era convinta di ciò che stava facendo perciò mi affidai a lei, sicuro. Volevo vedere fin dove si sarebbe spinta.
Bella cercò balbettando di dire che sarebbe dovuta andare a lavoro, ma mia sorella la precedette dicendo che si era già impegnata lei facendola sostituire da un’amica. Così al mio cerbiattino non rimase altro che difendersi con la scusa dei compiti.
-Io, be', non ho ancora guardato Romeo e Giulietta, per la lezione di inglese-. Iniziò insicura credendo di aver trovato un’ottima scusa, ma evidentemente la mia piccola umana ancora non conosceva la proverbiale e famosa insistenza dei Cullen. Dopo le lamentele di Alice, che la rimproverò di conoscere quella storia a memoria, il mio Bambi si era fatta ancora più scura e sofferente. Dovetti intervenire io a salvare la situazione.
-Tranquilla, Alice. Se Bella desidera vedere un film, lascia che lo faccia. È il suo compleanno-. Commentai tranquillo aspettando il momento giusto per sferrare il mio colpo basso. Bella mi osservò confusa, aspettandosi una trappola da un momento all’altro. Ma io non parlai.
-Appunto-. Sussurrò allora sperando di essere scampata alla sua festa.
-Arriveremo entro le sette. Così avrai un po' di tempo in più per prepararti-. Conclusi osservando il suo viso cambiare espressione e rabbuiarsi. Ridacchiai, vedendo Alice sorridermi contenta ed iniziare di nuovo a saltellare.
Tu sì che sei un mito!
Pensò il mio folletto strizzandomi l’occhio e scoppiando a ridere felice. Abbracciò Bella contenta e puntò i piedi per terra, alzandosi sulle punte e volteggiando.
- Così va meglio. Allora ci vediamo stasera, Bella! Vedrai che ci divertiremo-. Commentò alla fine facendole una carezza sulla guancia e allontanandosi a passo di danza verso la classe. Bella scosse la testa disperata e si rivolse a me aggrappandosi al mio braccio.
-Ti prego, Edward…-. Sussurrò lei supplicandomi di non farle questo, ma mi avvicinai con il viso al suo posandole un leggero bacio sulla guancia e poi le poggiai il dito sulla bocca, facendola ammutolire definitivamente. Volevo godermi il suo compleanno e farla stare bene, doveva concedermi almeno questo, non avrei fatto altro che starle vicino.
- Ne parliamo dopo. Rischiamo di fare tardi-. Le dissi io ignorando la sua preghiera. La spinsi in classe con una leggera pressione sulla schiena e lei mi precedette con musetto lungo ed adorabile.
Ci mettemmo seduti in fondo all’aula, all’ultimo banco. Quell’anno avevo fatto in modo di avere le sue stesse lezioni. Non era stato affatto difficile, qualche sorriso malizioso e occhiatina dolce… le donne erano estremamente volubili e malleabili, soprattutto le segretarie vogliose. Aspettai che il professore entrasse in aula e poi mi sedetti composto sotto lo sguardo divertito di Bella, che non smise un attimo di guardarmi. Non avevo voglia di fare letteratura inglese, avrei preferito tenerle la mano per tutto il tempo. Così storsi la bocca lanciandole un’occhiata annoiata e lei allungò la mano sul banco afferrando la mia. Le strinsi le dita, godendo di quel contatto, e non la lasciai nemmeno quando il prof iniziò a spiegare. Non volevo privarmi di quella morbidezza.
-Edward forse non è il caso…-. Mormorò lei ridacchiando divertita. Ogni tanto qualche occhiata indiscreta si indirizzò verso di noi, ma io non ci feci caso e continuai a fare finta di ascoltare la lezione.
-E’ sempre il caso di toccarti-. Le risposi sottovoce facendola avvampare. Nascose il viso dietro i capelli e abbassò lo sguardo fingendo di prendere appunti. Probabilmente mi ero un po’ lasciato prendere dalla situazione.
-Ma siamo a lezione-. Bofonchiò la mia piccola cerbiattina vergognosa sfidandomi con lo sguardo a continuare. Aggrottai le sopracciglia guardando il professore girare tra i banchi e continuare a parlare di Shakespeare. Perfetto… mi portai le dita di Bella alle labbra ed iniziai a baciarle le nocche una per una passandole la lingua leggera sul polpastrello, dove chiudevo i miei denti e le solleticavo la pelle. Chiusi le palpebre per assaporarla meglio e quando tremò d’eccitazione sghignazzai contento.
-Edward!-. Scostò la mano velocemente spostandola verso il grembo. Era talmente rossa che avrebbe potuto essere scambiata per un pomodoro maturo. Adoravo vederla così presa da me e a volte mi piaceva approfittarne, quando potevo.
La giornata passò fin troppo in fretta e le lezioni terminarono subito. Mi astenni dal ricordare a Bella il suo compleanno per tutto il giorno e lo stesso fece Alice, ma non lo dimenticai neanche un attimo. Ogni secondo avevo pensato ad un regalo da farle, ma sicuramente non mi avrebbe permesso di donarle nulla se non… forse… me tolsi dalla testa quel pensiero e continuai a fissare la strada mentre il suo pick-up camminava lento.
-La ricezione è davvero pessima-. Commentai giocherellando con la sua radio. Non avevo nient’altro da fare se non guardarla muoversi agitata sul sedile e mi stavo annoiando a morte. Bella odiava quando le facevo notare che quel catorcio non aveva nemmeno una speranza di essere rottamato. Ma era veramente troppo lento…
-Vuoi un impianto migliore? Guida la tua macchina-. Mi rispose acidamente facendomi aggrottare la fronte perplesso. Il giorno del suo compleanno continuava ad innervosirla da giorni, ma non mi aveva mai risposto in quel modo violento. Continuai a fissarla interdetto e allontanai le mani dalla radio rimanendo in silenzio.
-Scusa. Sono solo nervosa-. Bisbigliò passandosi una mano tra i capelli e inspirando per tentare di calmarsi. Non volevo farla irritare, non quel giorno, così me ne rimasi buono buono ad aspettare che fosse lei a rivolgermi la parola.
-Non fare così, per favore-. Disse poi facendomi voltare verso di lei confuso. Sollevai le sopracciglia stupito e Bella sbuffò infastidita. - So come fai, ora ti chiudi nel tuo mutismo finché non mi calmerò, cercando di non peggiorare la situazione-.
Tirò il freno a mano spegnendo il motore e si girò verso di me, guardandomi speranzosa. Non ero arrabbiato, ma solo preoccupato di poterla far agitare. Era sempre mia la colpa del suo nervosismo in fondo, l’influenza che avevo su di lei cresceva a dismisura e avevo paura che non fosse una cosa positiva.
-Mi perdoni?-. Mormorò facendo gli occhi da cerbiattina a cui io non seppi resistere. Mi avvicinai a lei prendendole il volto tra le dita e guardandola fisso. Le accarezzai la fronte, le tempie, le palpebre socchiuse e scesi a toccarle gentilmente le guance, per arrivare fino a sfiorarle le labbra.  Bella sospirò estasiata e io mi accostai al suo corpo il più possibile sentendo il suo cuore accelerare i battiti e il suo viso arrossire di piacere.
-Dovresti essere di buonumore. Se non oggi, quando?-. Sussurrai respirando sul suo viso e sentendola tremare tra le mie mani. Si aggrappò alle mie braccia stringendomi forte e mi avvicinai ancora di più, attratto dalla sua bocca. Avevo troppa voglia di baciarla, da molto tempo mi negavo quel contatto per paura di farle male, ma in fondo era il suo compleanno, e quello era l’unico regalo che mi era permesso farle…
-E se non volessi essere di buonumore?-. Chiese col fiato corto, tentando di riprendere il controllo di sé, ma non le avrei mai concesso quell’ onore, mai- Volevo sentire il battito furioso del suo cuore sul mio torace, spingere per chiamarmi e avvolgermi con il suo desiderio.
-Peccato-. Mormorai chinando il capo sulle sue labbra e sospirando sulla sua bocca. Bella gemette e sgranò gli occhi tremante. Abbandonò la testa tra le mie dita con un mugolio d’attesa e io appoggiai le labbra sulle sue, attento alle mie emozioni, tentando a tutti i costi di controllarle. La sua bocca era bollente e dolce, dovevo concentrarmi… ma non servì a niente ammonirmi. In un attimo l’abitacolo divenne fuoco e le braccia di Bella mi circondarono il collo stringendomi forte a lei. Le nostre labbra si schiusero e il suo profumo, lo scorrere violento del suo sangue mi fecero perdere la testa. Desideravo viverla con tutto me stesso perciò le assaggiai la lingua lentamente gustandola tra i denti per non farle male, ma lei non mi lasciò fare e mi succhiò con foga il labbro inferiore portandomi a gemere di frustrazione e a scostarmi ansimante. Mi avrebbe ucciso se avesse continuato così. Respirai piano tentando di far entrare a piccole ondate il suo odore di donna che mi travolse ugualmente eccitandomi i sensi, e non riuscii a starle lontano. Poggiai il viso sul suo collo strusciando piano il mio naso e drogandomi della fragranza eterea del suo profumo.
-Fai la brava, per favore-. Bisbigliai con la voce roca, a malapena udibile. Sentii la mia gola corrosa dal veleno, ma continuai. Le portai le mani sullo stomaco, poco sotto il seno e sfiorai quelle rotondità sentendo il desiderio pulsare tra le mie gambe. Dovevo cercare di tranquillizzarmi e soffocare la fantasia di stenderla sul sedile del pick-up e abbandonarmi a quelle sensazioni. Posai di nuovo le labbra sulle sue, questa volta con delicatezza estrema, sentendo il suo cuore singhiozzare di desiderio. Non potevo spingermi oltre, sapevo di dovermi allontanare, ma rimasi così, immobile per qualche secondo, solo per sentirla mia, vibrare sulle mie mani, in mio potere, per godere di quell’attimo interminabile e imprimerlo nella mia mente.
Quando mi allontanai vidi Bella portarsi una mano sul cuore e respirare malamente.
-Pensi che migliorerò mai? Che un giorno il mio cuore la smetterà di cercare di uscirmi dal petto ogni volta che mi sfiori?-. Mi domandò a bassa voce stringendo con la mano il suo maglioncino di lana. Tornai a guardarla ansimante e aprii il finestrino prima di poter fare qualche stupidaggine di cui poi mi sarei pentito. Il suo odore, la sua eccitazione, la sentivo pulsante e umida. A volte non avrei voluto essere un vampiro, maledizione… ma sentivo persino il suo desiderio divampare per me in quel momento e ignorarlo era come pugnalarmi da solo l’anima. Ero ormai convinto di essere entrato in una sorta di tunnel masochista senza via d’uscita.
-Spero proprio di no-. Le risposi tuttavia con un sorriso malizioso, facendola arrossire. In verità mi piaceva sentirla mia in quel modo, così viva quando la toccavo. Era bello sapere che la mia donna fosse talmente invaghita da non controllarsi nei momenti in cui la accarezzavo. Peccato che il mio essere uomo ci stava prendendo gusto, troppo gusto.
-Adesso andiamo a vedere i Capuleti e i Montecchi che si fanno a pezzi, d'accordo?-. Disse Bella deglutendo visibilmente e guardando in aria, esasperata dal mio comportamento.
Chinai la testa portandomi una mano alla fronte, in segno di sottomissione, e la vidi sgranare gli occhi e arrossire ancora. Era dolcissima con quello sguardo da cerbiattino spaventato.
-Ogni tuo desiderio è un ordine-. Mormorai roco passando piano la lingua sulle mie labbra. Lei fremette e mi diede un leggero colpo sulla spalla per farmela pagare di quell’evidente affronto scherzoso. Ridacchiai contento. Adoravo quei momenti così intimi tra noi e la afferrai per la vita portandola contro di me. Dio, il suo odore era così buono da farmi girare la testa. Si mise a cavalcioni sulle mie gambe, appoggiando la fronte contro la mia e chiudendo gli occhi rapita.
-Ti amo…-. Sussurrò dolcemente facendomi tremare. Le accarezzai una guancia sentendola avvampare e decisi che non l’avrei mai a poi mai lasciata, le sarei sempre stato vicino, proteggendola con  tutto me stesso.
Ci ritrovammo presto sul divano di casa sua, davanti al videoregistratore e Bella si accoccolò contro di me appoggiando la testa sul mio torace. Io le cinsi il bacino avvicinandola maggiormente, e lei mise un ginocchio sulla mia gamba aderendo completamente a me. Dolore e piacere, sofferenza ed estasi, quelle erano le sensazioni che il mio corpo percepiva, mi sentivo ardere d’Inferno, ma l’avrei fatto per l’eternità solamente per averla contro di me.
Afferrai il vecchio plaid per avvolgerla e farla stare al caldo, non volevo si congelasse, e insieme iniziammo a guardare Romeo e Giulietta. Non sopportavo Romeo, era un uomo volubile, pronto a seguire solo il suo desiderio: prima Rosalina, poi Giulietta, andava dal miglior offerente. Quando lo feci notare a Bella lei mi guardò stupita e ci pensò su per qualche secondo.
-Vuoi che lo guardi da sola?-. Bisbigliò delusa fissando prima me poi lo schermo. Scherzava? Sarei rimasto così a fissarla per l’eternità, non poteva togliermi il piacere di guardarla. Ai miei occhi non ci sarebbe  stato niente di più bello, più etereo e mistico di quel viso.
-No, non preoccuparti, tanto io resto qui a guardare te-. Mormorai scostandole i capelli dal viso e baciandole piano il lobo dell’orecchio. Sospirò roca e lasciò che io la coccolassi. Per tutto il tempo non feci che sfiorarle il braccio, facendole continui grattini che le fecero venire la pelle d’oca.
-Pensi che piangerai?-. Sussurrai sul suo collo sentendola fremere. Lei si voltò verso di me, satura del mio profumo e le nostre labbra si sfiorarono nell’ombra.
-Probabilmente sì, se seguo la trama-. Mi rispose convinta.
-Allora cercherò di non distrarti-. Bisbigliai facendo subito silenzio. Non vedevo l’ora di consolarla e di poter assaggiare le sue lacrime. Ma il profumo dei suoi capelli continuò ad essere una vera tentazione per me, così non smisi di annusarla per tutto il film e di accarezzarle le guance, la gola, sentendola fremere, rabbrividire e tremare di desiderio.
-Edward… non riesco a stare attenta-. Mormorò voltando il capo e guardandomi severa. Non le risposi, sfiorandole appena le labbra. A nulla erano valsi i miei propositi di lasciarla stare. Alzai il viso per morderle il naso e una scarica di desiderio ci attraversò lasciandoci senza fiato.
-Mh… dobbiamo rimediare-. Borbottai roco, sollevandola contro di me e pensando ad un modo per farle ripassare il film. Bella si aggrappò al mio collo nascondendo il viso nell’incavo della mia gola e cominciando a lasciarmi una scia di baci sulla pelle gelida. Mugolai frastornato sentendo la ragione volare via per lidi lontani e mi concentrai sulle battute di Romeo.
-Oh, qui, io fisserò il mio sempiterno riposo- Iniziai mentre la sua bocca saliva a baciare i miei zigomi. Gemetti confuso, ma non mi fermai. – E scoterò da questa carne stanca del mondo il giogo delle avverse stelle-. La mia voce divenne roca e bassa, quasi impercettibile, ed eccitata. Bella poggiò entrambe le mani sul mio torace facendo cadere la coperta che la copriva e respirò sui miei occhi facendomi gemere ancora. - Occhi guardatela per un'ultima volta…-. Continuai sgranando le palpebre e alzando le dita per circondarle il volto. Le nostre iridi si immersero le une nelle altre ed entrambi ci perdemmo nella passione che rischiava di bruciarci. - Braccia prendete il vostro ultimo abbraccio-. Mormorai stringendola improvvisamente a me e desiderando con tutto me stesso che quel momento non finisse mai. – e voi labbra, voi che siete la porta del respiro, suggellate con un leale bacio un contratto con la morte che tutto rapisce-. Conclusi cercando le bocca, avido di sentire nuovamente il gusto dei suoi baci, il desiderio del suo cuore a contatto col mio. E ci baciammo, ancora una volta, sentendo il bisogno di suggellare quel momento con un’unione fisica. Stavo impazzendo dalla voglia di fare l’amore con lei…e non c’era nient’altro di coerente nella mia mente che non fosse toccarla, sentirla calda e bagnata sotto le mie dita. Desideravo ascoltare la sua voce bisbigliare il suo piacere contro di me e sentire il suo sangue come un fiume in piena impazzire nelle sue vene solo per me.
-Bella…-. Mormorai ancora quando le nostre labbra approfondirono quel bacio. I nostri corpi non avevano più alcun segreto da nascondere. Ero eccitato e lei seduta su di me non poteva non sentirlo, ma lo ignorava continuando a desiderare i miei baci, che brevi ed inesorabili le torturavano la bocca. Non potevo, non dovevo seguire il mio istinto, avevo già perso fin troppo il contatto con la realtà. Mi imposi così di reagire e scostarla, cercando in me un motivo valido che mi inducesse a farlo e fortunatamente lo trovai prima che fosse tardi. La allontanai da me, strappandomi una parte d’anima, ma sapevo che sarebbe stata la cosa giusta per entrambi, lo sapevo…


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Capitolo 6
*** Compleanno(2) ***




Buon pomeriggio^^ Ho un sonno pazzesco. Ci credete? Mamma mia. Credo che ora andrò a riposare qualche minuto. Non sono propriamente come Edward... I'm sorry. Si sente che sono a pezzi, sarà che ho finito le red bull? Non lo so. Comunque il tempo primaverile concilia la siesta pomeridiana. Tornando a noi... siamo arrivati ad un capitolo di passaggio, ho fatto fatica a seguire i ritmi della Meyer, ma sono stata piuttosto fedele fino alla fine, dove ho preso il volo. Come al solito... dovete perdonarmi, mi sono presa una piccola licenza. Perdono^^ Oggi sono a terra, mamma mia, mi hanno travolto... O_O astinenza potente da dolci, mi sono attaccata al miele. Vi lascio alla lettura che sarà più divertente e vi ringrazio come sempre della vostra costanza e lettura. Un abbraccio. Malia

P.S. Non mi chiedete che c'entra la foto, mi piaceva troppo :-P


Compleanno (2)
 


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La strinsi forte a me non appena i sussulti del suo corpo si fecero singhiozzi. Al risveglio di Giulietta Bella non era riuscita a trattenere le lacrime, che erano aumentate drasticamente con la scoperta della morte di Romeo. Uomo fortunato. Sentii il suo corpo stringersi al mio e aggrapparsi a me con tale fiducia che tremai. Piccolo amore mio…
-Ti confesso che qui lo invidio un po’-. Ammisi sussurrando sulla sua guancia e asciugandole il pianto con un ciocca dei suoi capelli. Le solleticai la pelle e la vidi sorridere appena, interrogativa. Tentava di trattenere le lacrime il mio piccolo cerbiattino. Mi guardò negli occhi, cercando di essere rassicurata, e io la fissai con tale trasporto da rimanere senza respiro.
-In effetti…. Lei è molto carina-. Disse con una punta di invidia. Sorrisi involontariamente della sua incertezza. Nessuna donna avrebbe mai potuto attrarmi, nessuna, solo lei. Possibile che non avesse ancora capito? Scossi la testa con un’espressione disgustata sul viso. Non sarei riuscito a sopportare un odore, un sapore diverso dal suo.
-Non gli invidio la ragazza…-. Mormorai, sfiorandole appena il collo con il naso. Sentii il fremito del suo corpo e me ne beai, cosciente del suo profumo forte. –Ma la facilità con cui si è suicidato-. Confessai sottovoce, maledicendomi immediatamente per quell’ammissione. Percepii Bella irrigidirsi e immobilizzarsi come se l’avessi appena pugnalata e subito scostarsi da me, cercando ancora i miei occhi.
-Per voi umani è così facile! Vi basta buttare giù una fialetta di estratto vegetale-. Scherzai facendo spallucce e cercando di buttarla sul gioco. Ma lei non era così sciocca da credere che io potessi prendere alla leggera le mie parole e strinse le palpebre attenta.
-Cosa?-. Esclamò portandomi una mano sul petto e scostandomi, spaventata. Perfetto, ora i suoi occhi si sarebbero colorati di una sfumatura scura e buia. Si stava agitando.
-Una volta ci ho dovuto pensare e grazie all'esperienza di Carlisle sapevo che non sarebbe stato semplice. Non so neanche a quanti tentativi di suicidio sia sopravvissuto lui, all'inizio... dopo essersi reso conto di ciò che era diventato...-. Ammisi schietto. La vidi sgranare gli occhi e afferrare la mia t-shirt con tutta la forza di cui era capace, atterrita. Una lacrima solitaria le scese sulla guancia e io rimasi affascinato dalla tensione e dalla paura tremante del suo corpo. Sembrava terrorizzata dalle mie parole, incredula e profondamente colpita. Mi fermai, sperando scioccamente che cambiasse argomento, ma non fece nulla. -Oltretutto, è ancora in forma smagliante-. Conclusi sarcastico sentendola fremere contro di me. Distolsi lo sguardo, non riuscendo più a sostenere oltre i suoi occhi apprensivi e terrorizzati. A volte mi comportavo in modo decisamente poco sensibile. Il solito idiota.
Ma il mio piccolo Bambi si mise in ginocchio sul divano, sistemando di nuovo le coperte intorno a sé, e mi tirò ripetutamente la maglia per fare in modo che io mi girassi.
-Cosa stai dicendo? Cosa vuol dire che una volta ci hai dovuto pensare?-. Mi cercò con gli occhi e si immerse nel mio sguardo dorato sperando di avere subito risposte. Il suo cuore, ora lento, e i suoi battiti singhiozzanti mi ricordarono quanto fosse fragile. Avrei potuto distruggerla anche solo con una parola.
-La primavera scorsa, quando hai rischiato di... morire...-. Bisbigliai impercettibilmente, avvicinando la mia fronte alla sua. Lei strinse più forte la mia maglia fino a toccarmi il torace con le nocche e io portai una mano sulle sue, tentando di rassicurarla.
-Ovviamente cercavo di concentrarmi per ritrovarti ancora viva, ma una parte di me valutava tutte le alternative. Come ho detto, per me non è facile come per gli esseri umani-. Sussurrai intrecciando le mie dita alle sue e poggiandole la fronte fredda contro la sua, calda, quasi bollente. Mi guardava come se non credesse alle proprie orecchie, come se le mie parole non avessero avuto alcun senso, perché assurde. E forse lo erano, assurde, ma la mia vita senza di lei non avrebbe avuto più significato. Perciò perché continuare a viverla? Questo sì, questo sarebbe stato assolutamente illogico…
-Di che… di che alternative parli?-. Mormorò strozzata continuando a fissarmi, il respiro veloce e ansante. La spinsi contro di me e le sfiorai piano le labbra, sperando così di riuscire a calmarla, ma il suo respiro continuò a rimanere affannoso.
-Be', non sarei mai riuscito a vivere senza di te-. Riconobbi mentre una smorfia di incredulità si imprimeva sul suo volto. Tutto, ma non un mondo dove Bella non fosse esistita. Non avrei potuto sopportare il peso della vita, non la mia, così inutile senza luce.
 -Ma non sapevo come avrei fatto... sapevo di non poter contare su Emmett e Jasper... perciò avevo pensato di andare in Italia, a scatenare l'ira dei Volturi-. Le dissi spostandola più vicina e poggiandole il mento sul capo chino. Respirai piano sui suoi capelli aspettando la sua domanda.
-Chi sono i Volturi?-. Bisbigliò incuriosita, appoggiando il viso contro il mio torace. Mi preparai per darle una risposta, anche se non sarebbe stato affatto semplice spiegarle.
-Una famiglia-. Le rivelai, incapace ancora di incontrare i suoi occhi. Lasciai che il mio sguardo vagasse per la stanza, senza meta. -Una famiglia di nostri simili, molto antica e potente. Quanto di più vicino abbiamo a una casata reale, più o meno. Da giovane, prima di trasferirsi in America, Carlisle ha vissuto per un po' con loro in Italia... ricordi la storia?-. Ricordai di averle raccontato, tempo fa, a casa mia, proprio nello studio di mio padre tutta la storia, senza tralasciare alcun particolare, ma non ero sicuro che la ricordasse. Eravamo entrambi presi nelle nostre emozioni quel giorno, innamorati e felici.
Annuì immediatamente. –Certo che sì-. Sentii la sua mente lontana, come persa nella memoria del nostro passato. Quanto tempo era trascorso? Mesi, eppure era come se fosse passato appena un giorno. E tutto era cambiato, ogni cosa continuava a cambiare e a mutare sotto i miei occhi, quando per più di cento anni nulla aveva avuto senso. Un miracolo.
-Comunque sia, i Volturi non vanno fatti arrabbiare-. Continuai, la voce roca e bassa ad interrompere i suoi ricordi. Bella trattenne il respiro e rimase rigida tra le mie braccia, immboile. Sentii il suo cuore fermarsi e aspettare che io proseguissi. -A meno che non si cerchi la morte, o qualunque altra cosa ci tocchi-. Conclusi facendo cadere il silenzio tra noi. Il suo corpo, immobile e intirizzito, iniziò a tremare, a singhiozzare, e in un attimo mi pentii delle mie parole. Proprio io che cercavo sempre di non darle pensiero ero il primo a farle male. Ma che imbecille…
-Non devi mai, mai, mai più pensare a una cosa del genere!-. Mormorò risoluta, riscuotendosi e allungando le mani verso il mio viso. Mi accarezzò le guance, alzandosi contro di me e cercando disperatamente i miei occhi. Mi strinse il volto tra le dita e si incupì terribilmente. -Non importa ciò che potrebbe accadere a me, non ti permetterò di fare del male a te stesso!-.  Quasi gridò, con la paura nella voce, il terrore che potesse succedermi qualcosa. E quegli occhi, iridi nocciola che tanto amavo, si erano striati di timore, quasi a volermi ricordare quanta sofferenza le avevo causato, quanti pericoli le avessi fatto vivere in passato.
-È un discorso inutile... non ti metterò mai più in pericolo-. Commentai, calmo, tentando di rassicurarla con la mia tranquillità. Non avevo la benché minima intenzione di farle correre inutili pericoli, sarei stato disposto a tutto perché Bella fosse al sicuro, persino a fare male a me stesso.
-Come se fosse colpa tua! Mi sembrava che avessimo deciso che sono io ad attirare le disgrazie-. Urlò arrabbiata, senza lasciarmi, e cercando di farmi capire che non avrebbe tollerato altre parole simili da parte mia. Sorrisi tristemente, lasciando che sfogasse la sua rabbia. -Come ti passa per la testa una cosa del genere?-. Scosse la testa sconvolta, percorsa da brividi che le invasero il corpo in modo esagerato. Era come se la sola idea della mia scomparsa le facesse provare un dolore intenso, quasi fisico, e capii che una separazione non avrebbe ucciso solo me, ma anche lei.
-E tu, cosa faresti se i ruoli fossero invertiti?-. Le domandai, cercando di farle capire come mi sentissi, come la sola idea che potesse succederle qualcosa mi gettasse in una stato di sofferenza che non avrei potuto sopportare, né tollerare.
-Non è la stessa cosa-. Tagliò corto facendomi scoppiare a ridere. Il dolore del suo sguardo mi colpì e le alzai il mento portandola vicino a me. La sua preoccupazione nei miei confronti mi scaldava il cuore, ma in nessun modo lei avrebbe dovuto preoccuparsi per me, meglio farlo per se stessa.
-Se succedesse qualcosa a te?- Mi domandò alzando il capo e circondandomi il collo con le braccia. Storsi la bocca intuendo subito dove volesse arrivare. -Preferiresti che anch'io mi togliessi di mezzo?-. Terminò facendomi gemere di dolore. Mi fissò curiosa e tentai di soffocare l’ondata di sofferenza che mi attraversò al solo pensiero che, senza di me, lei potesse anche solo pensare di commettere stupidaggini. Bella avrebbe dovuto vivere comunque.
-Adesso, penso di capirti... un po'-. Confessai con un groppo a chiudermi la gola e sentendola tremare. -Ma cosa farei io senza di te?-. Le domandai conscio che la mia esistenza avrebbe perso il suo sole. Sarei caduto nel baratro più profondo, nel buio che rappresentava il punto più basso dell’orizzonte, senza speranza. Sarebbe stato peggio di un Inferno, non ci sarebbe stata più vita.
-Quello che facevi prima che arrivassi a complicarti l'esistenza-. Disse sicura cercando nei miei occhi la certezza che l’avrei fatto. Ma sapevo bene che non avrebbe trovato nulla di simile, perché senza di lei io non era nulla, non lo ero mai stato, non avrebbe potuto capire il niente che aveva avvolto la mia vita fino al suo arrivo. Tutto esisteva intorno a me, insoddisfacente e vuoto, privo di qualunque carisma, fino a quando non era entrata lei nel mio mondo e aveva spalancato la porta per far entrare tutta la realtà dentro di me.
-Per te è tutto così facile-. Borbottai sentendola sorridere appena. Sapevo che l’ultima parola sarebbe stata comunque sua perciò mi trovai indeciso se risponderle o meno. Ma Bella scosse la testa e mi rimproverò con gli occhi, facendomi segno di tacere.
-Lo è. In fondo non sono così interessante-. Continuò sicura. Avrei voluto controbattere e farle una lavata di capo, quando sentii l’auto di Charlie avvicinarsi alla casa. Sarebbe stato impossibile continuare quel discorso, a malincuore dovetti chiudere quella discussione.
-Discorso inutile-. Ribadii guardandola allontanarsi leggermente e fissarmi sospettosa. Ma poi comprese e io la feci scivolare sul divano, seduta accanto a me, mentre il suo corpo tornava a rilassarsi, nonostante le forti emozioni.
-E’ Charlie?-. Disse a bassa voce, intuendo i motivi della mia rinnovata calma. Le sorrisi, ammirando la sua capacità di leggere i miei comportamenti. In effetti suo padre non sopportava che  sfiorassi la sua bambina, il massimo che riusciva a concepire erano le nostre mani unite. Pena sarebbe stata il suo bel fucile contro di me. E certo non per gioco. Charlie Swan era molto geloso delle sue cose. Però averlo in casa mi permetteva di controllarmi meglio, perciò la sua presenza non mi disturbava.
Il capo Swan entrò con una scatola di pizza tra le mani e richiuse la porta con un tonfo sordo, come a voler far sentire la sua presenza. Sorrisi di quel tentativo di farsi notare. Sicuramente sapeva che sarei stato lì con Bella e voleva essere certo di non trovarci in posizioni imbarazzanti.
-Ciao, ragazzi-. Salutò, fingendosi sorpreso di vedermi. Soffocai una risata, mentre lui ci guardava con un gran sorrisone. -Pensavo che almeno il giorno del tuo compleanno ti facesse piacere non dover cucinare né lavare i piatti. Fame?-. Ridacchiò appoggiando la pizza sul tavolo e togliendosi la giacca pesante.
Non risposi, aspettando che fosse Bella a parlare, ma non mi sfuggì l’occhiata paterna e omicida che mi lanciò.
Non l’avrai mica toccata vero?
Feci il finto tonto assumendo il viso più innocente e stupido che potesse esistere, proprio di un ragazzo follemente innamorato e rispettoso delle regole genitoriali. Ero bravo in questo.
-Eccome. Grazie, papà-. Saltò in piedi Bella, togliendomi da una situazione imbarazzante. Mi alzai dietro di lei e tutti e tre ci sedemmo intorno al tavolo.
Sentii per tutta la durata della cena gli occhi di Charlie puntati su di me. Era abituato a non vedermi mangiare per ormai, ma ogni volta trovava da ridire sulla mia mancanza di appetito.
Sto ragazzo dovrebbe mangiare di più… è pallido…
Non commentai, cercando di intrattenerlo con le ultime notizie sul baseball e sul rugby, che sapevo non lo avrebbero annoiato. Era anche un modo per entrare nelle sue grazie in fondo, era pur sempre il padre della mia ragazza.
-È un problema se prendo in prestito Bella, per stasera?-. Me ne uscii a fine serata, fissando Charlie con allegria. Bella aggrottò la fronte, iniziando a torturarsi le labbra, ma io non mi feci intenerire, l’avrei portata alla festa che le aveva preparato la mia famiglia con o senza il suo permesso. Erano giorni che nessuno pensava ad altro.
-Va bene... stasera i Mariners giocano contro i Sox. perciò non sarò molto di compagnia... qui-. Disse distratto, facendomi sorridere vittorioso. Il mio piccolo Bambi sospirò esasperata e io le lanciai un’occhiata soddisfatta, ricevendone in cambio una palesemente omicida. Che paura! Ridacchiai contento.
Improvvisamente vidi Charlie prendere la macchina fotografica e lanciarla a Bella senza riflettere sulle possibili conseguenze disastrose del suo gesto. Pregai che il mio cerbiattino non si facesse male o che non rompesse nulla. Lei guardò terrorizzata suo padre e cercò di afferrare l’oggetto al volo, ma non riuscì nell’impresa, sbattendo con il gomito sul tavolo. Fui io ad avvicinarmi veloce e ad afferrare la fotocamera al volo prima che potesse cadere a terra. Charlie mi guardò impressionato, lanciando un fischio d’ammirazione.
-Bella presa-. Commentò ammirato. -Se stasera dai Cullen ci sarà da divertirsi, Bella, è meglio che scatti qualche foto. Sai com'è tua madre... vorrà vederle ancora prima che tu le faccia-. Concluse spostandosi in salone e sistemando la televisione ancora accesa.
Bella mi ringraziò con lo sguardo quando le porsi la macchina, ma fece una smorfia infastidita.
-Buona idea, Charlie-. Dissi facendo scivolare la fotocamera nelle sue mani morbide con cura. Avrebbe potuto farla cadere ancora se non avessi prestato attenzione. La mia solita sbadata. La afferrò e poi la portò subito di fronte agli occhi scattando a me la prima foto.
-Funziona-. Sorrise mentre io mi pentii di avergliela data. Ora non avrebbe fatto altro che farmi foto a raffica. Ne ero sicuro. E infatti continuò a scattare fino a quando non la fissai esasperato.
Charlie si congedò con qualche frettolosa parola, chiedendoci di salutare Alice, già immerso nella partita, e io mi spostai trionfante verso Bella, allungando una mano verso di lei.
-Andiamo?-. La provocai sentendola sbuffare al mio fianco. Mi strinse le dita che io portai lentamente alla bocca e mi fissò arrossendo quando posai un leggero bacio sulle sue nocche.
-Sarà bello vedrai-. Le dissi dolcemente facendole mancare qualche battito. Annuì senza dire nulla e si lasciò condurre verso il pick-up, che questa volta avrei guidato io. Con l’orientamento di Bella ci saremmo sicuramente persi, di notte poi avremmo rischiato di fare qualche incidente, quindi era fuori discussione che lei si mettesse alla guida. Rimase in silenzio e io le chiusi lo sportello, aiutandola a salire. Mi accorsi di essere tremendamente eccitato, volevo che tutto fosse perfetto quella sera, che il mio piccolo Bambi si sentisse a proprio agio.
-Vacci piano-. Sentii Bella dire non appena superai gli ottanta chilometri orari. L’unica cosa che avrei cambiato di quella serata era proprio quel rottame mascherato da auto. Avrei preferito piuttosto un cavallo, sarebbe sicuramente andato più veloce. Cominciavo a non sopportare i singhiozzi di quel motore, mi rendevano nervoso.
-Sai cosa farebbe per te? Una bella Audi coupé. Silenziosa e potentissima...-. Azzardai, lanciandole un’occhiata incuriosita. Lei non si fece pregare, mi schiaffeggiò la mano sul cambio facendomi intuire che la battuta non era stata gradita. Almeno avevo tentato.
-Il mio pick-up è perfetto. A proposito di oggetti costosi e superflui, se avessi un po' di buonsenso non spenderesti un soldo in regali di compleanno-. Mormorò a bassa voce, minacciosa. Scoppiai a ridere e le solleticai il fianco per infastidirla. Bella mi guardò, subito nervosa, facendomi una bella linguaccia. Avevo capito che non voleva regali, non c’era bisogno di ripeterlo.
-Nemmeno un centesimo-. Sottolineai orgoglioso vedendola ridere di gusto, non appena la disturbai per farle un po’ di solletico. Mi allontanò in malo modo e mi fissò dolcemente.
-Bene-. Sorrise soddisfatta e incrociò le braccia al petto. Mi sembrò una maestrina pronta a sgridarmi. Improvvisamente però tornai serio e la guardai sperando non facesse altre scenate come quella mattina, altrimenti avrebbe gettato nello sconforto tutta la famiglia.
-Mi fai almeno un favore?-. Le chiesi mellifluo, ricevendo uno sguardo sospettoso come risposta.
-Dipende dal favore-. Disse subito sulla difensiva. Sorrisi. Cosa pensava avrei potuto chiederle di così terribile? Assottigliò le palpebre e io fui tentato di inventarmi qualcosa solo per il gusto di scandalizzarla, ma risparmiai gli scandali almeno il giorno del suo compleanno, così sospirai.
-Bella, l'ultimo di noi a festeggiare un vero compleanno è stato Emmett, nel 1935. Cerca di capirci, e questa sera non fare troppo la difficile. Sono tutti su di giri-. Ammisi tornando a guardare la strada. Bella rimase in silenzio per qualche secondo, ma poi non riuscii a non dirle che ci sarebbero stati tutti alla sua festa, i Cullen al completo. E che erano tutti entusiasti di vederla, a parte Rosalie, ma insomma, avrebbe fatto del suo meglio per non rovinare la serata. Mia sorella ancora non riusciva a fidarsi, era restia. Credeva che prima o poi sarebbe successo qualcosa che avrebbe portato solo guai alla famiglia. Il mio piccolo cerbiattino storse la bocca, incredula dopo quella rivelazione, ma accettò, anche se non proprio felice.
-Allora, se non ti va bene l'Audi, che altro regalo vuoi?-. Scherzai ancora cercando di farle tornare il buon umore. Ma la mia battuta non venne recepita come tale, e infatti Bella mi fissò infastidita.
-Sai bene cosa voglio-. Alzò il mento con aria di sfida e io aggrottai la fronte perplesso. No, non era un argomento che avrei voluto discutere il giorno della sua festa. Non volevo assolutamente parlarne. Non aveva alcuna possibilità di convincermi a trasformarla in un vampiro, a farle perdere la sua anima per causa mia.
-Non stasera, Bella, ti prego-. Mormorai reclinando il capo di lato e pregando che lasciasse cadere l’argomento. Non volevo combattere contro di lei, né litigare ancora. Non sopportavo i momenti in cui discutevamo, perché mi faceva male sentirla lontana da me. Era un continuo tormento. Possibile che non riuscisse a capirne il significato? Essere vampiri non era solo immortalità. Era una tragedia. Non le avrei mai fatto questo, mai.
-Be', allora magari sarà Alice a darmi ciò che voglio-. Commentò guardando fuori dal finestrino e irrigidendosi. Cosa? Poggiai troppo forte il piede sull’acceleratore facendo fare a quel catorcio un balzo  in avanti. Non avrebbe osato farlo.
Ringhiai, un suono basso, minaccioso e la fissai con uno sguardo di fuoco. Bella si voltò stupita verso di me, ma sostenne i miei occhi senza paura.
-Questo non sarà il tuo ultimo compleanno, Bella-. Digrignai furioso tra i denti, vedendola tremare. Si voltò completamente verso di me e mi sfidò con sicurezza. No, non l’avrebbe fatto. L’avrei legata piuttosto. Non riuscivo ad immaginarla morta, priva di vita, la sola idea di privare la sua anima di quell’essenza così pura e dolce mi torturava. Non volevo che morisse.
-Non è giusto!-. Sbraitò nell’abitacolo alzando le braccia in aria. Giusto o non giusto aveva poca importanza. Non aveva il diritto di scegliere su questo, e Alice non avrebbe mosso un dito senza il mio permesso. Non avrebbe osato.
Ringhiai ancora gutturalmente, cercando di frenare l’ira che mi stava travolgendo ad ondate.
-Non mi interessa…-. Risposi tagliente tornando con entrambe le mani sul volante e fissando la strada, con le mascelle contratte. Se avesse continuato avrei come minimo distrutto il pedale dell’acceleratore.
Ma Bella come sempre non aveva alcuna intenzione di darmela vinta.
-Non sei nessuno per decidere ciò che mi riguarda-. Sussurrò facendomi sussultare. Ah non ero nessuno? Con una brusca frenata feci fermare il pick-up e mi voltai verso di lei incatenandola ai miei occhi. Ora le avrei fatto vedere di cosa sarebbe stato capace un vampiro, così si sarebbe finalmente convinta di non sapere affatto quello a cui andava incontro.
- L’hai voluto tu-. Ghignai roco spegnendo l’auto e sentendo il respiro di Bella improvvisamente veloce. Mi girai concentrandomi sul suo profumo e in un attimo il mio corpo cominciò ad eccitarsi. Sentii la fame crescere e le mie membra tendersi, contrarsi dalla voglia di nutrirsi di quella tenerezza. Annusai l’aria e il suo odore di donna mi travolse facendomi tremare. Dio, il ricordo del suo sangue cominciò ad aumentare la mia salivazione e in un attimo ansimai lasciando che il piacere prendesse possesso di tutto il mio corpo.
-Edward…-. Mormorò facendomi sorridere. Era molto piacevole la sua voce, ma sapevo che il suo sapore lo sarebbe stato ancora di più. Mi alzai sul sedile allungando una mano verso di lei, tremante e morbida, una dolce tentazione, e mi abbandonai al desiderio di assaporarla.
Bella indietreggiò fino allo sportello e si lasciò sfuggire un mugolio spaventato, che fu musica per le mie orecchie. E così aveva paura… ora poteva vedere cosa sarebbe diventata, cosa c’era in me che poteva metterle paura.
-Edwar…-. Non la lasciai finire e mi avventai su di lei inchiodandola contro la portiera metallica. Il mio viso a pochi centimetri dal suo, i miei denti scoperti e velenosi a poca distanza dalla sua pelle profumata. Perché avrei dovuto fermarmi?
-Bella…-. Mormorai leccandomi le labbra e avvicinandomi pericolosamente alla vena pulsante del suo collo. Chiusi gli occhi, lasciandomi travolgere da quella fragranza afrodisiaca e assolutamente destabilizzante per me, quando sentii la sua bocca sulla mia e le sue braccia circondarmi le spalle. Era… era impazzita? Sgranai le palpebre e la guardai. Le sue mani tra i miei capelli, il suo corpo contro il mio e le labbra schiuse per accogliere ogni mio bacio. La strinsi spasmodico, improvvisamente desideroso di sentirla contro di me, e la schiacciai contro il sedile cominciando a baciarla con una foga che io non conoscevo. Ero al limite, dimentico di tutto, anche della possibilità di farle male.


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Capitolo 7
*** Ferita profonda ***



Lo so ragazzi miei, questi sono capitoli terribili. Ehhh... scriverli non fa piacere nemmeno a me, ma bisogna farlo. Ed eccoci giunti ad una scena che tutti conosciamo, quella del compleanno. Bella si ferisce il dito e da qui succede il finimondo. Vediamolo un po' dal punto di vista di Edward. So che probabilmente sarà difficile leggere questa storia, soprattutto la disperazione di Edward durante e dopo aver lasciato Bella. Ma chi me lo ha fatto fare ad iniziarlo? Sarò masochista che vi devo dire, pure a me piace il sangue. Sono vampirella come il signor Edward Cullen, peccato che io non sono vegetariana. Ahahah... ATTENTI A VOI. No, scherzo. Continuerò a scrivere comunque e dovrò anche farmi tutta una storia mentale perchè sappiamo bene che Bella scomparirà e qui non abbiamo Jacob Black da infilarci in mezzo.
Altra cosa molto bella: Efp ha inserito Nadir tra le storie scelte. Sono molto contenta di questo e ringrazio Paola per la segnalazione. E' stato un bel gesto, veramente grazie, un bacione!
Non dimentico di ringraziare, come sempre, chi ha messo questa storia tra le seguite, preferite, ricordate, lette e non lette, chi la recensisce, chi non lo fa, ma la segue, e chi ogni tanto si ferma a pensare sui miei capitoli. Insomma ringrazio tutti augurando un felice dopo Pasqua e rientro vacanze e lavoro. Un bacione!!! Malia.


Ferita profonda.


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La strinsi spasmodicamente a me, contro il mio corpo, desiderandola, dimentico di ogni cosa tranne che del profumo della sua pelle. Quell’odore che mi faceva impazzire, quel sapore il cui ricordo mi confondeva, non volevano abbandonarmi mai, scatenando dentro di me un diavolo che l’avrebbe posseduta fino allo stremo. Approfondii quel bacio senza rendermi conto di quello che stava succedendo e del pericolo che avrebbe corso se le avessi graffiato la pelle con i miei canini. Ero impazzito di desiderio. Non mi era mai capitato prima. Le strinsi la nuca contro la mia, addossandola al sedile con maggior forza, e Bella non si divincolò, tutt’altro, aderì a me con maggiore foga volevo sempre di più, suggerendomi molto altro. E io… io… volevo darle ciò che voleva con tutto me stesso. Era incredibile come quella passione divampasse dentro di me più del desiderio per il suo sangue, non riuscivo a controllare la smania di possedere il suo corpo, per quanto facessi leva sul mio buon senso. Tentai, tentai e ancora tentai di riprendere lucidità, ma le dita di Bella tra i miei capelli, sul mio viso, non mi aiutavano a riprendere contatto con il mondo reale. E più la baciavo, più desideravo molto di più.
-Edward…-. Mormorò lei gemendo sulle mie labbra e tornando ad accarezzarle con le sue. Stavo per dimenticare perfino il mio nome. Non potevo scordare che il mio piccolo Bambi era solo un’umana, non potevo farlo, eppure nella mia mente non c’era più nulla, solo la sensazione del mio corpo contro il suo. Risposi con un ringhio basso e lei tremò sotto le mie mani, non sapevo se di paura o di desiderio. Mi scostai un poco, ansimante, guardandola negli occhi nocciola e immergendomi in quelle iridi innocenti ed innamorate. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per me, anche morire, e quella consapevolezza mi gettò in uno stato di dolore ed eccitazione che si mescolarono fino ad ottenere un mix letale. Il veleno continuò a inondarmi copioso la gola, ma nonostante tutto non me ne curai, e lasciai una scia di baci letali lungo la vena pulsante del suo collo. Le strofinai il naso contro l’incavo della spalla, godendo del suo profumo e annaspando alla ricerca di aria. Mi stavo uccidendo con le mie stesse mani, ed era una tortura meravigliosa. Ero talmente eccitato da non riuscire a scostarmi da lei, che, come una droga, mi stava dando il colpo di grazia.
-Mhh…-. Sentii un sospiro roco venire dalla sua bocca e sollevai le dita per toccarle quella linea morbida e definita. Continuai a baciare le sue labbra, toccandole e sentendole calde sotto i miei polpastrelli. Era rischioso, troppo rischioso, ma i suoi occhi scuri e pieni di passione mi stregarono.
-Bella, allontanati-. Mormorai come uno sciocco, dandomi dell’idiota. Ero incollato a lei, dentro il suo pick-up, a sole ormai calato e l’unica cosa che riuscivo a fare era desiderarla su quel sedile, fare l’amore con lei. Bella non mi diede ascolto e scivolò contro di me, strappandomi un gemito di piacere. Era ormai chiaro quanto la volessi.
-No, nemmeno se tentassi ora di uccidermi-. Replicò, decisa scuotendo il capo. Assottigliai le palpebre, drogato del suo odore, e mi avventai ancora sulla sua gola, strusciando con forza la testa contro la vena pulsante sotto la sua pelle. Inutile sperare di resisterle, il suo profumo mi tentava troppo e mi gettava in uno stato di idiozia impossibile da controllare. La mia erezione nei jeans premeva evidente e io rimasi quasi attonito nel provare tanto trasporto, tanto desiderio per un essere umano. Sentivo dolore, per la prima volta la mia eccitazione mi doleva, e darle sollievo era il mio primo pensiero. Mi sentii umano, terribilmente umano. E uomo… ancora una volta solo un uomo.
-Bella, per favore. Aiutami-. Mormorai continuando a baciarle la pelle calda. Lei annuì abbandonandosi sul sedile, accarezzandomi il petto, e io strinsi i pugni. Così non avrebbe fatto che peggiorare la situazione, perché il mio desiderio per lei sarebbe ulteriormente aumentato.
Fu un rumore a scuotermi, abbastanza forte da farmi alzare la testa. Sentii odore di cervo e tesi l’orecchio sentendolo vicino al pick-up. Ringraziai quell’animale che mi aveva distolto dai miei propositi e a fatica tornai al posto di guida, stringendo le mani sul volante. Meglio tenerle occupate. Non guardai Bella, ma sentii il suo respiro affannato penetrarmi dentro e il suo odore eccitato inorgoglirmi eccessivamente. Che diavolo avevo avuto intenzione di fare? Rimisi in moto quel catorcio, aprendo il finestrino e facendo entrare dell’aria pura, che servì per farmi stare meglio.
-Sei… arrabbiato?-. Iniziò il mio cerbiattino, la voce roca. Arrabbiato? Ero furioso con me stesso, c’era qualcosa che non doveva andare nel mio cervello se l’unico regalo per il suo compleanno era  quello di farle correre un inutile pericolo. Complimenti… che campione!
-No-. Risposi solamente e mi irrigidii quando sentii la sua mano scivolare contro la mia sul volante. Le strinsi le dita istintivamente e le portai contro il mio torace, all’altezza del mio cuore ormai morto.
-Mi piaci quando fai così-. Ammise, il battito accelerato. Era imbarazzata e in quel momento lo ero anche io. Ma cosa le saltava in mente di dire? Non mi voltai, digrignando i denti e maledicendo me stesso per la mia disattenzione. La sua festa non iniziava affatto per il meglio, sperai almeno di non commettere altri disastri per tutta la serata.
-Non dire…-. Mi bloccai prima di poter dire qualcosa che l’avrebbe ulteriormente ferita e strinsi le mascelle con forza. Era meglio stare in silenzio. Rimisi in moto il pick-up e non parlai fino a quando non arrivammo a destinazione. Girai le chiavi e spensi quel catorcio, rimpiangendo la mia auto. Se avessi guidato la mia Volvo non sarebbe successo nulla di male, ne ero convinto.
Feci qualche respiro profondo per calmarmi e poi mi girai verso di lei, che mi fissava tranquilla, come se nulla fosse accaduto. Ma possibile che non avesse mai sentore di pericolo? La osservai girarsi verso le lanterne giapponesi e gli enormi vasi di fiori rosa fatti mettere appositamente per lei. Scosse la testa incredula e io mi ritrovai a sospirare, nervoso, quando sentii un gemito sommesso sfuggirle dalle labbra.
-E’ una festa-. Ribadii convinto. –Cerca di fare la brava ragazza-. La rimproverai scendendo dalla macchina e andandole ad aprire lo sportello.
-Certo-. Mormorò poco convinta quando fui davanti a lei. Non volevo che si lasciasse travolgere da crisi isteriche, da pre-compleanno non voluto. Sapevo che le sarebbe costato fatica sopportare e io stesso non ero dell’umore adatto per avere pazienza, visto quello che era appena successo.
-Ho una domanda-. Fece mentre la aiutavo a scendere. Mi puntellai irrequieto sulle gambe e aspettai che parlasse portandomi una mano tra i capelli. Avevo paura delle sue domande. Cadde in equilibrio sul sedile e poi tornò a guardarmi con la macchina fotografica tra le mani.
-Se sviluppo questo rullino, vi si vedrà nelle foto?-. Bisbigliò intimorita dalla mia reazione. Mi ero allontanato di scatto, credendo chissà cosa, e improvvisamente scoppiai a ridere della mia idiozia. Sorrise timidamente quando la guardai. Era incredibile il modo in cui riusciva a farmi stare meglio. La tensione si alleggerì immediatamente e io allungai la mano per aiutarla a scendere. La afferrò gentilmente, arrossendo, e si fidò ciecamente lasciandosi cadere a terra. La sollevai contro di me prima che potesse ruzzolare e ancora una volta una fitta di desiderio minacciò di farmi cedere. Lì sotto, nelle mie parti basse, nulla era ancora tornato alla normalità e forse prima di iniziare la festa avrei dovuto farmi una bella doccia fredda. Ma che adolescente stupido.
La condussi verso l’entrata e aprii la porta consapevole che dietro l’uscio ci fosse tutta la famiglia al completo, tutti eccitati al pensiero di quella sorpresa. Il viso di Bella invece era pallido e spaventato come se avesse dovuto affrontare la gogna. Mi venne da ridere, ma soffocai la risata con la tosse. Bella mi fissò stranita per poi guardare all’interno con uno sguardo disperato. C’erano rose ovunque, tra vasi di cristallo e petali, e sul mio pianoforte faceva bella mostra di sé una torta gigante con dietro una montagna di pacchi. Notai gli occhi del mio cerbiattino farsi scuri e la sostenni per un braccio, baciandole subito la fronte. Mi fissò con sguardo atterrito e io la spinsi ad entrare. Non sarebbe stato così terribile.
La prima ad andarle incontro fu Esme, seguita da Carlisle. La abbracciò delicatamente, con dolcezza materna.
-Mi dispiace, Bella- sussurrò -Ma non siamo riusciti a trattenere Alice-. Sì, aveva detto la verità, il mio folletto quando ci si metteva d’impegno sapeva essere veramente impossibile.
Fissai Rosalie ed Emmett dietro di me e lanciai uno sguardo stupito a mia sorella, che sembrava piuttosto calma e accondiscendente. Che Emm le avesse fatto il lavaggio del cervello? Rose non parlò, lasciò che a farlo fosse l’orso, che come sempre trovò qualcosa di simpatico da dire.
-Non sei cambiata per niente- disse fingendosi deluso. -Mi aspettavo di trovarti cambiata e invece eccoti qui, con le guance rosse di sempre-. Sghignazzò facendola arrossire visibilmente. Lo guardai divertito e scossi la testa. Perfetto, aveva appena messo Bella k.o. per quella sera. Conoscendo la timidezza del mio Bambi avrebbe balbettato tutta la notte.
-Grazie mille, Emmett-. Mormorò avvampando fino alla radice dei capelli. Emm uscì, scusandosi, e lasciò il posto ad Alice che si gettò allegra su Bella. La afferrò per un braccio, trascinandola dietro di lei e portandola davanti ai pacchi.
-È ora di aprire i regali-. Gridò contenta mia sorella, guardando luccicante la mia ragazza, prendendola sottobraccio, e io vidi Bella fare una smorfia contrita, da martire. Voleva sembrare felice forse? Soffocai un’altra risata divertita.
-Alice, ti avevo detto che non volevo nulla...-. Balbettò tentando di assumere un’espressione contenta. L’avevo sempre detto che era una pessima attrice. Continuai a guardarla mentre apriva il primo regalo. Sapevo benissimo cosa le avevano regalato Jasper, Rosalie ed Emmett. Una radio per quel pick-up sgangherato e senza senso. Io avrei buttato volentieri quel catorcio, non ci avrei certo messo un’autoradio.
Bella aprì la scatola, trovandola vuota, e si sentì in evidente imbarazzo sotto lo sguardo divertito di Jazz e Rose.
-Emh, grazie-. Fece educatamente, riuscendo perfino a strappare un sorriso sincero dalle labbra di Rosalie. Fu Jasper a prendere la parola.
-È un'autoradio per il tuo pick-up- spiegò sorridente - Emmett è andato subito a installarla, così non la potrai rifiutare-.
Fissai lo sguardo esterrefatto di Bella e sorrisi a mia volta. Era uno spettacolo vedere le sue guance rosse d’emozione e anche un sottile piacere. Scossi la testa e tornai a concentrarmi sui pacchi. Non dovevo pensare a quelle cose in quel momento…
-Adesso apri quello mio e di Edward-. Mormorò Alice eccitata. Osservai il viso di Bella farsi rigido e volgersi verso di me meravigliato.
-Avevi promesso-. Bisbigliò mordendosi le labbra e avanzando di un passo verso di me. Prima che potessi dire o fare nulla per giustificarmi però, Emmett mi passò di fronte con un sorriso a trentadue denti, soddisfatto per il suo lavoro di meccanico.
-Appena in tempo!-. Esclamò contento di poter assistere alla nuova apertura. Rimasi immobile, aspettando che Bella si facesse coraggio, ma lei non aveva alcuna intenzione di aprire il pacco. Così intervenni avvicinandomi a lei e scostandole una ciocca di capelli dal viso corrucciato. Non poteva farmene una colpa, mi ero lasciato contagiare dall’entusiasmo di Alice.
-Non ho speso nemmeno un centesimo-. Sussurrai passandole i polpastrelli sulla pelle della guancia e vedendola tremare. Sorrisi e lei fece altrettanto, voltandosi verso mia sorella e afferrando il pacchetto.
-Dammi-. Disse sottovoce, il cuore in gola. Se il mio avesse potuto battere in quell’istante sarebbe volato via ne ero certo. Prese tra le mani il regalo, slacciando il nastro con cura e in un attimo un odore pungente di dolcezza mi colpì le narici facendomi ansimare di dolore e piacere.
-Oh cavolo-. Sentii Bella mormorare e tremai. Il richiamo del suo sangue mi fece girare la testa e mi voltai consapevole di quello che stava succedendo. Si era tagliata. Dovevo riuscire a resistere, ma il veleno aveva già inondato la mia bocca e la mia mente reagì istantaneamente come quella di un predatore troppo vicino alla sua preda. Fissai la goccia rossa e invitante, tentato dall’arsura e dal bruciore della mia gola che si fece insostenibile. Il ricordo del sapore di Bella tornò prepotente e i miei occhi si assottigliarono riconoscendo immediatamente quel gusto che mi aveva già fatto impazzire. I miei sensi di animale si acuirono e io provai il desiderio di saltarle addosso e nutrirmi di quell’ambrosia. Ma qualcosa riuscì a distogliermi dal mio proposito. Erano i pensieri di Jasper, che, preda della più profonda animalità, era deciso a scagliarsi su Bella.
Mi girai verso di lui proprio nel momento in cui scattò per saltarle contro e riconobbi un rantolo inconsulto uscire dalla mia gola.
-No!-. Ruggii disperato guardando subito il mio cerbiattino e cercando di scostarla. Ma nemmeno io fui in grado di controllarmi e la mia forza scaraventò Bella sopra il mio pianoforte, in una pioggia di frammenti di cristallo. L’odore del suo sangue continuava a farmi pulsare le tempie, a cercarmi, chiamarmi fino a quando la mia forza di volontà non ebbe la meglio e non mi gettai su Jasper cozzando contro il suo corpo. Dovevo riuscire a spingerlo via prima che si avventasse su di lei. Non potevo permetterle che le facesse del male, mi ero ripromesso di proteggerla e lo avrei fatto a qualunque costo. Non compresi più nulla fino a quando la mia stessa mente non mi impose di riprendere il controllo sulle mie facoltà, ma fu maledettamente difficile. Il sangue di Bella era una tentazione troppo forte e avrei potuto cedere da un momento all’altro. Avevo bisogno di aiuto. Vidi il volto di Jasper contratto in una smorfia di furore e feci leva su me stesso, su tutto ciò che Bella rappresentava per me. Ma sapevo che se avesse continuato ad insistere non ce l’avrei fatta, l’avrei attaccata anche io. Troppo sangue…. c’era troppo sangue ormai.
Fortunatamente Emmett corse dietro Jazz e lo bloccò con le sue braccia facendolo fermare. Trattenni il respiro per non rischiare di commettere l’irreparabile e sentii la voce di Carlisle intimare ad Emm e Rose di portare via Jasper. Dovevo fare qualcosa, qualsiasi cosa per non fargli capire che avrei lasciato Bella indifesa. Così mi rannicchiai di fronte a lei, in posizione di difesa, ringhiando in modo irriconoscibile. Fissai mio fratello negli occhi, ancora affamati, e lui capì che non avrei lasciato Bella da sola. Così si calmò e si lasciò trascinare via dagli altri. 
Ma quando mi voltai per guardarla, vidi lo sguardo spaurito e terrorizzato del mio piccolo Bambi. Mi sentii profondamente in colpa e feci per parlare, quando la paura di riprendere aria mi travolse. Se avessi respirato avrei sentito di nuovo il suo profumo. Ma vederla lì, sanguinante, gli occhi speranzosi e increduli, mi fece dimenticare anche il motivo della mia esistenza.
-Mi dispiace davvero, Bella-. Iniziai tentando di non farmi sommergere ancora una volta dall’eccitazione. Ma fu Carlisle a salvarmi da me stesso e mi fece subito segno di non muovermi, né respirare.
-Lascia fare, Edward-. Mi disse serio e perentorio. Annuii sentendomi impotente e lasciai che fosse lui ad inginocchiarsi di fronte a lei. Subito mi rilassai, ma ormai la mia mente aveva cominciato a correre veloce. Era l’ennesimo pericolo che le avevo fatto vivere quel giorno. Ogni essere umano avrebbe potuto tagliarsi con la carta. Era normale. Quello che invece non era affatto normale, era stata quell’orda impazzita di vampiri desiderosi di uccidere l’unica donna di cui ero perdutamente innamorato. Seguii a malapena i movimenti di Carlisle su Bella, ormai chiuso in me stesso e nei miei pensieri. Non sentii più nulla, fino a quando mio padre non mi strattonò un braccio e non mi disse di portarla sul tavolo della cucina. Guardai Bella, i suoi occhi stanchi, dolcemente atterriti e mi sentii uno schifo. Sempre colpa mia, da quando mi aveva conosciuto non aveva fatto altro che rischiare la sua vita a causa del mostro troppo egoista che ero. La sollevai contro di me, il braccio fasciato da un lembo di tovaglia, e lei si strinse fiduciosa contro il mio petto. Che aveva da essere così sicura, tranquilla? Anche io l’avrei attaccata se non mi fossi reso conto in tempo, l’avrei uccisa se non mi fossi controllato.
-Se vuoi, vai, Edward-. Mi sussurrò con gentilezza quando la lasciai sul tavolo. La fissai deciso a rimanere al suo fianco.
-Posso farcela-. Le dissi senza prendere ossigeno. La fissai. appoggiando le mani sul legno duro, e lei mi fissò silenziosa. I nostri occhi si incatenarono e io percepii i miei muscoli tendersi e desiderarla. Strinsi le mascelle, forzandomi. Non dovevo respirare, non l’avrei fatto.
-Non occorre che ti comporti da eroe-. Continuò il mio piccolo Bambi, allungando la mano sana e alzandola per sfiorarmi una guancia. Ma io mi allontanai, sentendo la disperazione crescere dentro di me. Vibrai quando le sue dita riuscirono comunque a toccarmi la pelle, ero stordito. Avevo bisogno di sentire il suo profumo, era il mio corpo che me lo imponeva, avevo voglia di lei in modo che solo un assetato nel deserto più arido avrebbe potuto capire. Stavo male.
-Carlisle può curarmi anche senza il tuo aiuto. Esci a prendere un po' d'aria- Mi intimò vedendomi sofferente. Non volevo andarmene e quando mio padre le fece una puntura rimasi a guardare in silenzio il suo dolore. Mi avrebbe dovuto costringere a farlo, volevo rimanere lì.
-Io resto-. Continuai tra i denti, sicuro e deciso. Carl mi lanciò un’occhiata d’ammonimento, ma io non me ne sarei andato comunque. Volevo rimanerle vicino, come avrebbe fatto un ragazzo normale. I nostri occhi non volevano lasciarsi andare e io strinsi le nocche sul tavolo rischiando di spezzarlo. Sentivo l’atroce bisogno di respirare, desideravo che il suo profumo mi travolgesse, ma sapevo le conseguenze di quel gesto. Non potevo mettermi alla prova così, avrei perso.
-Ma perché… perché sei così masochista?-. Mormorò lei mentre Carlisle preparava i punti di sutura. Perchè l’amavo e avrei sopportato qualsiasi tortura per vederla stare bene. Qualsiasi tormento… pur di non lasciarle correre inutili rischi.
- Edward, forse è meglio che tu vada a cercare Jasper, prima che ne faccia una tragedia. Ce l'avrà a morte con se stesso e immagino che al momento non voglia parlare con nessuno tranne te-. Sentii in lontananza la voce di Carlisle scuotermi e mi voltai verso di lui. Anche mio padre voleva mandarmi via? Nel suo sguardo lessi apprensione. Aveva paura che potessi fare del male a Bella, ma io…io…
-Sì, vai a  cercare Jasper-. Continuò il mio cerbiattino fissandomi supplicante. Non potevo lasciarla sola. Ma i suoi occhi mi intimarono di andare, troppo spaventati per me. Dannazione, continuava a preoccuparsi per me e poco per se stessa. Notai quanta fatica facesse Carl nel farla rimanere ferma senza farle sentire dolore, questo perché voleva avvicinarsi a me con entrambe le braccia. Aveva il terrore che io potessi farmi del male anche solo con i pensieri. Aveva imparato a conoscermi.
Avanti, Edward. Va via!
I pensieri di Alice mi colpirono come uno schiaffo e io la guardai attonito. Sapevo che anche lei si stava preoccupando troppo per me.
-Potresti anche renderti utile-. Terminò ad alta voce il mio folletto. Annuii sconfitto, lanciando un’occhiataccia a mio padre e a mia sorella, che sospirarono tristemente. Voltai loro le spalle e mi diressi verso il giardino dove Jasper, disperato, non aspettava altro che vedermi. Alzò lo sguardo afflitto verso il mio e io mi accorsi di non riuscire affatto a biasimarlo. Se avessi avuto meno esperienza e controllo, avrei perso la testa anche io. Perciò mi diressi verso di lui e allungai la mano sperando che la afferrasse.
-L’avrei uccisa-. Mormorò più sconvolto di quanto non lo fossi io. Anche io l’avrei uccisa se non avessi avuto abbastanza forza di volontà. Non era sua a colpa, ma mia, solo e soltanto mia.
-Anche io…-. Confessai di getto di fronte allo sguardo stupito di Rose ed Emmett. Forse non avevano previsto che potessi essere così comprensivo, ma non avevo nulla da perdonare a Jazz. Avevo molte cose invece da perdonare a me stesso e non l’avrei mai fatto… basta. Basta credere che la parte del suo protettore avrebbe funzionato, perché sapevo che non era così. Dovevo fare qualcosa di concreto per mettere al sicuro Bella, per darle tutto ciò che aveva sempre desiderato. Una vita normale, fatta di persone normali, che potessero amarla in modo normale. E io non ero stato creato per amare, ma per uccidere. La mia stessa anima dannata non faceva che ricordarmi quanto disgusto provassi per me stesso. Me n’ero dimenticato, accecato dall’amore e dal desiderio verso Bella, sentendomi finalmente migliore con lei al mio fianco. Ma era stata solo una bugia, una menzogna. Ero pur sempre un mostro.
-Edward, non devi incolparti. Se vuoi puoi picchiarmi-. Continuò Jazz con un sorriso sarcastico. Sorrisi appena e scossi il capo. Non sarebbe servito a nulla colpirlo, non avevo alcuna ragione per farlo. Mi rabbuiai cercando di non dare a vedere quanto dolore mi causasse la mia nuova consapevolezza. Probabilmente se io non fossi mai esistito Bella avrebbe vissuto tranquillamente la sua vita e ancora, se fossi scomparso, forse avrebbe potuto ricominciare a vivere come un qualsiasi essere umano.
-Io sapevo che prima o poi sarebbe successo, ti avevo avvertito-. Commentò Rose facendomi tremare. Aveva ragione. Avevo messo in pericolo non solo Bella, ma anche tutta la mia famiglia comportandomi in quel modo.
-Ma sono d’accordo con Jasper. Non puoi fartene una colpa-. Terminò stupendomi non poco. Tutti mi guardarono con il volto corrucciato, impensieriti dalla mia reazione piuttosto tranquilla. Non avevo da dire nulla, ormai non c’era più nulla che potessi fare se non prendere la decisione che più di tutte mi avrebbe distrutto, ma che avrebbe dato alla donna di cui ero innamorato la speranza di poter crescere e tornare ad una vita gioiosa e normale… senza di me.
-Ho bisogno di rimanere da solo-. Mormorai allontanandomi verso il bosco. Ancora una volta avevo sbagliato, in cento anni di vita non mi ero mai sentito così male, forse perché non avevo mai scelto. Mai… e l’unica volta che l’avevo fatto era stato per amore. Lo stesso amore che ora minacciava la  mia donna di morte. La amavo e avrei fatto qualsiasi cosa per saperla al sicuro. Perciò… perciò… avrei strappato il mio cuore dal petto e l’avrei lasciata. Era questo il giusto destino per entrambi. Dividerci per l’eternità. Non avevo altra scelta.


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Capitolo 8
*** Decisione ***




E' sera tardi ormai e tutto va bene. Non vi preoccupate, questo capitolo non mette ancora la parola "fine", sapete che intendo. Anzi... vi allieteraà (parlo come Edward). Sarà un po' triste, ma alla fine sorriderete in attesa del grande momento. Manca ancora un po', credo all'incirca... 3 capitoli. Che volete farci, sono più prolissa della Meyer. E' un danno. Ma volevo approfondire questa parte. Mi piace vederli insieme i piccioncini. E' ora di andare a nanna, ma io sto ancora scrivendo e ho deciso comunque di postare Nadir. Diventerà sempre più difficile anche per me, ma non mi arrendo. YEAH! Dovrò fare capitoli di sofferenza immane, la cosa non mi fa piacere, ma sarà interessante. So che alcuni non ce la faranno a leggere. Vi capisco. Vi lascio alla lettura, quando scrivo Nadir non mi viene nessuna battuta da dire, non mi viene per niente da ridere, mi influenza negativamente. Vi ringrazio però, perchè mi seguite, mi commentate e mi leggete soprattutto. GRAZIE. Malia


Decisione.

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Dovevo tornare. Dovevo farlo… farmi forza e rientrare in casa, tornare da lei che mi stava aspettando. Ma avevo bisogno di solitudine, sentivo gravare su di me tutti quei maledetti anni, sentivo la mia dannazione, quella maledizione che non mi avrebbe mai permesso di amarla come avrebbe meritato. Che sciocco… l’avevo creduto, ma non era stato così. Ingenuo e stupido, avevo ragionato come un adolescente immaturo invaghito dell’amore. Quando non lo ero, ero solo e soltanto un mostro. Un diavolo. Mi feci forza e tornai verso casa, lento, entrando e lasciando accostata la porta. Sentii l’odore pungente del sangue di Bella ancora vivo e per un attimo ebbi la tentazione di correre da lei e assalirla. Eccitazione, voglia, desiderio, fame, avrei dovuto combattere con quelle emozioni fino alla sua morte. Ero solo un assassino, un carnefice che non avrebbe saputo proteggerla. Un giorno ero convinto che le avrei fatto del male. Tentai di resistere, me lo imposi, e mi avvicinai alla cucina dove Carlisle e Bella stavano chiacchierando animatamente. E ansimai… Un groppo di veleno mi chiuse la gola e sentii i miei sensi acuirsi, potenti. Percepii ogni più piccola sfumatura del suo profumo e me ne beai. Prima la fragranza dei suoi capelli, dolce e speziata, poi quella della sua pelle, gentile e golosa, quella della sua femminilità acre e attraente e infine il suo sangue… dovetti aggrapparmi allo stipite per non rischiare di commettere sciocchezze. Appoggiai il capo sulla porta di legno e sentii la rabbia travolgermi. Idiota! Era solo una ferita, solo una stradannatissima ferita e io non riuscivo a controllarmi. Mi odiai, non potevo fare altro che detestarmi, e se avessi potuto mi sarei fatto del male per non sentire quel desiderio di nutrirmi di lei così prepotente.
-Forse è meglio che ti riporti a casa-. Sentii Carl sussurrare a Bella e scostarle gentilmente i capelli dal viso. Respirai ansimando e feci sentire loro la mia presenza. Nascosi il mio turbamento e entrai a passi svelti, lasciando che il dolore mi travolgesse. Non sarebbe stato nemmeno la metà di quello che avevo già inferto al mio cerbiattino. L’avevo già fatta soffrire abbastanza, meritavo tutto il dolore del mondo per questo.
-Ci penso io-. Feci a denti stretti avvicinandomi a lei. Gli occhi mi caddero istintivamente sulla camicia macchiata di sangue e disinfettante. La reazione del mio corpo fu immediata e mi fece sentire ancora di più una bestia. Avrei leccato quella stoffa fino a strappargliela di dosso, solo per il gusto di farlo, per una  goccia di quell’ambrosia.
-Posso andare con Carlisle-. Rispose lei a bassa voce, senza guardarmi. Lo sguardo le sfuggì sul sangue e io capii immediatamente i suoi pensieri. La gelosia mi soffocò. Sapevo che sarebbe stato meglio lasciarla con mio padre, ma… non riuscii a sopprimere il mio istinto egoista. E la mia decisione di lasciarla? Combattei contro me stesso.
-Sto bene-. Continuai sicuro, avvicinandomi maggiormente. Altro che bene. Sentivo una fiamma dentro di me, mi accendeva un desiderio acuto del suo sangue che mi faceva venire l’acquolina in bocca solo al pensiero di quel sapore. Quel liquido scarlatto tra le mie labbra, quella dolce tentazione…
-Però devi cambiarti. Se Charlie ti vede così, gli verrà un infarto. Chiedo ad Alice di procurarti qualcosa-. Conclusi a fatica. Senza nemmeno aspettare una sua risposta mi fiondai fuori dalla cucina, sotto lo sguardo attonito di mio padre e mia sorella. Non ce la facevo più, ero allo stremo. Non riuscivo nemmeno a guardarla negli occhi che si scatenava in me un maremoto di desiderio. Merda… merda… sbattei il pugno contro il muro del salone rischiando di frantumarlo e notai gli occhi di Esme fissi su di me. Non volevo anche la sua pietà, non mi serviva a nulla quel suo sguardo pieno di compassione. Non meritavo altro che dolore. Nient’altro.
-Edward…-. Iniziò mia madre, la voce piena di dolore. No, niente Edward, niente parole di conforto. Mi diressi ai piedi della scala, ignorando mia madre, e aspettando Bella che scendesse. Come mi sarei comportato? Dovevo lasciarla, quella sera stessa. Lasciarla, sì. Ma come? Feci una smorfia di sofferenza solo al pensiero. Dovevo farlo per lei, non avevo altra scelta. Anzi forse l’avevo, ma sapevo che sarebbe stata la direzione sbagliata. Non avrei mai potuto toccarla come un uomo normale, amarla come un essere umano, fare l’amore con lei, unire il mio corpo al suo senza rischiare di romperle l’osso del collo. E quello che era successo nel pick-up non faceva che ricordarmi quanto fossi un uomo oltre che un vampiro. Un dannatissimo maschio con gli ormoni ancora troppo in circolo. Cento anni di astinenza e improvvisamente una voglia continua di fare l’amore con lei. Stavo per diventare pazzo. Il mio desiderio aveva superato la voglia di morderla. E se avessi perso totalmente me stesso? Ansimai, gemendo appena.
Quando Bella scese non la guardai, non le parlai. Dovevo abituarmi all’idea di lasciarla, non dovevo assolutamente… mi voltai di scatto sentendo il suo profumo penetrarmi nelle ossa e uscii all’aria aperta respirando affannosamente. Mi chiusi in me stesso pensando ad un modo per non intromettermi più nella sua vita e salii sul pick-up con la morte nel cuore. Era per il suo bene, era così. Lo sapevo. Anche se sarebbe stata la fine di tutto per me, non ci sarebbe stato più sole, ma non potevo pensare solo a me stesso. Ero già stato abbastanza egoista da volerla per me.
-Dì qualcosa…-. La sua voce mi riportò bruscamente alla realtà e mi accorsi di non stare respirando. Il finestrino aperto mi permise di non soffocare di veleno.
-Che vuoi che ti dica?-. Mormorai distaccato. Sapevo di farle male, ma forse era meglio così. Sarebbe stata meno dolorosa la separazione. Dovevo prepararla, con la mia indifferenza. Mi feci forza. Dovevo pensare solo alla sua vita, alla sua felicità.
-Che mi perdoni?-. Sentii la sua voce singhiozzare e il suo cuore mancare un battito. Chiusi gli occhi per un attimo, sommerso dal dolore e mi convinsi che stavo per prendere la decisione giusta. Mi arrabbiai, non doveva nemmeno pensarle certe cose. Non era affatto colpa sua, le responsabilità di quello che era successo era mia, solamente mia.
-Perdonarti? Di cosa?-. Sbottai furioso, la voce roca, quasi ringhiando. Non doveva dire assurdità. Ma io dovevo controllarmi. Sospirai e strinsi i denti, concentrandomi sulla guida. Stavo respirando a fatica, ma non riuscivo a concepire che lei potesse credersi responsabile di qualcosa di così ridicolo. Era umana, era logico che si ferisse.
-Se fossi stata più attenta non sarebbe successo niente-. Mormorò facendomi strozzare. Stronzate, tutte cazzate. Mi morsi il labbro dando un colpo al volante e la feci voltare di scatto, stupita. Dovevo calmarmi, altrimenti avrei solo peggiorato la situazione.
-Bella, ti sei tagliata un dito con della carta... non credo che sarai condannata a morte-. Sbraitai reclinando il capo di lato e sorridendo amaramente. Sospirai tentando ancora di tranquillizzarmi, ma non ci riuscii. Ero furioso con me stesso.
- Comunque è colpa mia-. Tagliò corto facendomi sbottare in un ringhio arrabbiato. Non sembrò farci caso, il viso basso, gli occhi mortificati. Sentivo il suo corpo tremare addolorato. Non potevo sopportare più quella vista. Mi tesi sofferente.
-Colpa tua?-. Iniziai sentendo la rabbia bollire dentro di me. Non ci riuscivo, non riuscivo a fare l’indifferente. -Se ti fossi tagliata a casa di Mike Newton, assieme a Jessica, Angela e agli altri tuoi amici normali, cosa avresti rischiato di tanto disastroso? Di non trovare le bende? Se fossi inciampata e crollata su una pila di piatti di vetro da sola, senza che qualcuno ti ci avesse scaraventato, anche in quel caso, cosa avresti rischiato? Di sporcare i sedili dell'auto mentre ti portavano al pronto soccorso?-. Mi fermai per un attimo, pensando che Newton sicuramente sarebbe stato un ragazzo migliore di me. -Magari Mike Newton ti avrebbe tenuta per mano mentre ti ricucivano, e sarebbe rimasto là senza essere costretto a combattere contro l'istinto di ucciderti. Non pensare che sia colpa tua, Bella. Non faresti altro che rendermi ancora più nauseato da me stesso-. Bisbigliai alla fine, sentendo la gelosia farsi pungente. L’avrei strozzato se si fosse solo avvicinato a lei quel ragazzino. Ma le mie parole corrispondevano a verità. Ero schifato da ciò che ero, profondamente, e i miei pensieri non facevano che correre verso un’unica direzione. Abbandonarla. Perché non mi sentivo all’altezza, perché non potevo rischiare di farle ancora male. Piuttosto mi sarei ucciso.
-Che diavolo c'entra Mike Newton con questo discorso?-. Esplose il mio cerbiattino, slacciandosi la cintura e voltandosi verso di me, agitata. Le lanciai un’occhiata furiosa. Stavamo litigando e di brutto anche. Scossi la testa divertito e alzai le braccia. Avanti, il damerino biondo che faceva gola a tutte la ragazzine della Forks High school. L’uomo idiota che aveva cercato di competere con me per la sua conquista.
-Mike Newton c'entra perché sarebbe molto più salutare, per te, stare con uno come lui-. Ruggii, invidioso che anche solo un suo pensiero potesse dirigersi verso un altro. Bella scosse la testa, incredula, e sentii un mugolio strozzato venire dalla sua gola. Altro dolore… le stavo causando solo altro dolore.
-Preferirei morire piuttosto che stare con Mike Newton-. Gridò, quasi piangendo. Ma si morse le labbra, rimanendo in silenzio. Non ci credevo, ogni raganno… ogni uomo sarebbe stato migliore di me. Non riuscivo nemmeno a sfiorarla senza provare la tentazione di morderla. Ero un disastro completo. E le facevo continuamente male pur non volendo.
-Preferirei…-. La sentii sussurrare. Mi voltai e sentii il suo profumo avvolgermi. Gemetti e sentii le sue braccia circondarmi il collo. – morire…-. Continuò sottovoce annusandomi la gola e sfiorando con il suo naso la mia pelle. Tutti i miei buoni propositi erano già andati a farsi benedire. Tutti… compreso il pensiero di lasciarla. – piuttosto che stare con chiunque non fossi tu-. Confessò a bassa voce, il suo cuore al galoppo. Schiusi le labbra sentendo la felicità travolgermi come una marea. Bastava un gesto, un semplice suo gesto a farmi capitolare e desiderare le sue labbra, la sua vicinanza, il suo odore. Non c’era più niente in quel momento, solo io e lei. Noi.
-Non fare la melodrammatica, per favore-. Tentai di mantenermi freddo, ma ormai il suo calore stava scaldando anche me. Troppo. Il mio cuore si stava sciogliendo sotto il suo sguardo supplicante. Non avrei potuto negarle nulla, non quando me lo chiedeva con quegli occhi nocciola.
- E allora… non essere ridicolo-. Bisbigliò sfiorandomi la guancia con un bacio che mi fece venire i brividi. Ecco fatto, sedotto come uno scemo. E poi davo del ragazzino a Newton. Più di cento anni di vita e mi lasciavo sedurre così dalla morbidezza e tenerezza di una donna. Stavo evidentemente peggiorando, diventando una sorta di animale domestico. Finsi di essere ancora arrabbiato e fissai il buio di fronte a me senza riuscire ad irrigidirmi. Ero in suo potere.
Lanciai un’occhiata ai sedili posteriori, dove erano stipati tutti i regali e sospirai. C’era anche il mio. E… scossi la testa. Non volevo che fosse così, avrei desiderato che i suoi occhi sorridessero del mio dono e invece…
Spensi il motore e aspettai che Bella scendesse. Sarei tornato immediatamente a casa e avrei pensato ad un modo per mettere in atto il mio piano.
-Resti con me stanotte?-. Mi chiese sottovoce, ancora troppo vicina. Sì, oddio sì. Ma che animale… Mi portai una mano tra i capelli, sospirando stancamente e trovando nella mia mente tante buone ragioni per scappare via da lei. Tante… tante…
- È meglio che torni a casa-. Mormorai scontroso tentando di frenare la voglia di stringerla a me per tutta la notte, coccolarla e annusare il suo profumo. Non era il mio, ma il suo compleanno.
- È il mio compleanno-. Disse mettendo il broncio e allontanandosi. Ah sì? Trattenni a stento un sorriso divertito e incrociai le braccia al petto, aggrottando la fronte.
-Non puoi fare i capricci... vuoi o no che tutti fingano di non saperlo? Delle due l'una-. Feci serio, sperando di essere credibile. Ma lei mi sorrise maliziosa. Aveva capito, maledizione, e involontariamente piegai la bocca all’insù. Riusciva sempre a farmi stare bene, a scaldarmi il cuore quando diventava freddo e gelido. Sentivo di avere un’anima solo accanto a lei. La vidi sospirare in silenzio, finse di essere combattuta, e poi mi guardò con lo sguardo tenero e furbo.
-Okay. Ho deciso che non voglio che tu faccia finta di niente. Ci vediamo di sopra-. Sussurrò, scendendo al volo e afferrando tutti i pacchi. La guardai incredulo. Mi aveva incastrato. E ora? Non avrei potuto dirle di no proprio quel giorno.
-Non sei obbligata a prenderli-. Biascicai immaginando quanto le costasse. Mi lanciò un’occhiataccia e guardò il pacchetto del mio regalo. Ne rimasi stupito e la vidi arrossire.
-Li voglio-. Bisbigliò avvampando e io capii che desiderava capire cosa le avessi regalato. Non l’avrebbe mai immaginato. Erano mesi che non facevo altro che comporre musica.
-Invece no. Carlisle ed Esme hanno speso dei soldi per i tuoi regali-. Insistei incuriosito. Ma lei si strinse i pacchi al petto con il braccio sano e non ne volle saperne.
-Sopravviverò-. Rispose facendosi ancora più rossa. Non pensavo che un mio regalo potesse farle piacere. Ero stato geloso della mia famiglia che aveva potuto regalarle di tutto, ma non avrei mai immaginato che lei potesse volere qualcosa da me.
Scesi dal pick-up, avvicinandomi a lei e facendo per prendere i pacchi, ma il mio cerbiattino si scostò, sospettosa.
-Almeno lasciameli portare-. Insistei addolcendo immediatamente la mia voce e il mio sguardo. -Ci vediamo in camera tua-. Mi arresi, vedendola sorridere raggiante e vittoriosa. Sapeva che non le avrei rifiutato nulla, che peste.
-Grazie-. Mormorò passandomi i pacchetti felice. Era tornata contenta come una bambina. E solo perché avrei passato la notte in camera sua. Sospirai sperando di non commettere sciocchezze e mi imposi di non farlo.
-Buon compleanno-. Le sussurrai abbassandomi e sfiorandole appena le labbra con un bacio. Come non detto. Ma che avevo nel cervello? Sicuramente segatura.
Si alzò sulle punte dei piedi, cercando di approfondire quel bacio, ma io non lo permisi e mi allontanai di scatto, evitando di soffermarmi a guardarla. Sapevo di averla delusa. Mi girai, sorridendole con gli occhi supplicanti e lei arrossì di nuovo. Rimanemmo in imbarazzo per qualche secondo e poi io sparii nell’ombra, aspettando di poter tornare da lei. L’attesa era sempre snervante e mi permetteva di pensare. E i miei pensieri facevano male, la consapevolezza che avevo nel cuore mi faceva soffrire. Ero tormentato. Il pensiero che sarebbe stato meglio lasciarla libera di vivere la sua vita mi stava torturando e le immagini dell’attacco di Jasper si susseguivano nella mia testa come un film horror.
Entrai nella sua stanza non appena aprì la finestra e mi sedetti sul letto iniziando a giocare con i pacchi. Non dovevo pensarci, volevo godermi quella notte con lei, forse l’ultima. Solo quella notte, per ricordarla, e poi basta. Poi basta… mi crogiolai nel mio dolore, conscio che dentro di me la decisione era già presa, anche se stavo soffrendo e la rifiutavo con tutto me stesso.
Bella entrò in camera e io la guardai perplesso. Un completino intimo. No, no… porca miseria. Di nuovo dimenticai tutti i miei pensieri e feci finta di nulla, dondolandomi sulle gambe e giocando con il nastrino del regalo. Mi sentivo in trappola.
-Ciao-. Mi disse avvicinandosi a me, vergognosa. Mi tolse i pacchi dalle gambe e scivolò sulle mie cosce facendomi deglutire. Okay, okay, dovevo solo ripassare il copione. Regola numero uno. Niente sesso. Regola numero due. Niente sesso. Regola numero tre. Niente sesso. Regola numero quattro. Sesso. Regola numero cinque… sesso, sesso, sesso.
-Ciao-. Risposi scuotendo la testa e maledicendomi per quella debolezza. Si rannicchiò contro di me, poggiando la testa sul mio petto e io inspirai il suo odore di donna sentendomi morire. Non potevo farne a meno, il desiderio per lei era costante e intenso. Inutile negarlo. Le circondai la vita, tenendola stretta e Bella sorrise. - Adesso posso aprire i regali?-. Mi domandò teneramente, spostando il capo sulla mia spalla. Le baciai la fronte e annuii.
“Scarta prima me…”. Guardai in aria esasperato dai miei stessi pensieri. Che bambino. Quella sera non riuscivo proprio a controllarmi. Ma che mi stava succedendo? Sospirai, guardandola allungarsi verso i pacchi come una bimba desiderosa di ricevere sorprese. Sorrisi e mi godetti tutta la scena. Era bellissima. Glieli scartai io, per precauzione, e rimase senza parole di fronte al regalo di Carlisle ed Esme. Due biglietti per noi due, destinazione Jacksonville. Si mise a urlare felice e io non credetti ai miei occhi. Perché? Avevo tanto temuto che lei potesse arrabbiarsi e invece sprizzava gioia da tutti i pori.
- Be', certo, è troppo. Ma tu verrai con me!-. Sussurrò ridacchiando e portandosi i biglietti sul cuore. Mi sentii a disagio. Ecco il motivo per cui aveva accettato contenta. Me. Io riuscivo a renderla davvero così felice? Aspettò che le aprissi il mio regalo con il fiato sospeso, il cuore in gola e l’adrenalina a mille. Gli passai la custodia del mio stupido dono e il mio cerbiattino lo guardò interrogativa.
-Cos’è?-. Mormorò curiosa. All’improvviso non mi sembrò abbastanza. Volevo toglierle di mano quel coso e gettarlo via fuori dalla finestra. Non era degno del mio amore per lei, dei miei sentimenti. Lo presi, ma invece di attuare il mio piano, lo infilai nel suo stereo. Aspettai che iniziasse la musica del mio piano e guardai fisso il pavimento. Era orribile. Ero sicuro che non le sarebbe piaciuto come gli altri. Idiota, stupido romantico e idiota di un vampiro.
Sentii subito i singhiozzi del suo corpo e mi spaventai. Alzai la testa sconvolto e la guardai altrettanto inorridito. Aveva gli occhi lucidi, si mordeva le labbra e stava per mettersi a piangere. Feci un passo avanti, credendo che stesse male, e mi maledii per la mia indelicatezza.
-Ti fa male il braccio?-. Ero ansioso, avevo paura per lei. Ma Bella scosse la testa e le lacrime cominciarono inevitabilmente a scendere sul quel viso dolce e sbadato.
-No, non è il braccio-. Mormorò tremante venendo verso di me. Mi abbracciò di slancio, stringendomi forte, e io la sollevai contro di me, ricambiando gentilmente la sua stretta. Non volevo che piangesse a causa mia. -È bellissimo, Edward. Non avresti potuto regalarmi niente di più prezioso. Non posso crederci-. Bisbigliò rabbrividendo contro di me. La cullai un po’, ballando su quelle note, e insieme ascoltammo la ninna nanna che avevo composto per lei. Sospirava e gemeva in continuazione, sfiorandomi il torace con le labbra all’altezza del cuore. Ero impietrito, una valanga di emozioni mi stavano travolgendo e tutte incontrollabili. Non ero abituato a sentirmi così fragile, inerme. Così me stesso.
Ci sedemmo sul letto, lei di nuovo sulle mie ginocchia, e non facemmo altro che guardarci per la durata di tutto il cd. Mi sentivo stupido, ma Bella non perdeva occasione per accarezzarmi il viso, ringraziarmi e sussurrarmi qualcosa di dolce e gentile. Riusciva sempre a farmi dimenticare quei pungenti sensi di colpa. Tutto…
Le chiesi come andava il braccio e lei non rispose subito. Capii immediatamente che doveva darle fastidio, perciò scesi per cercarle una pomata antidolorifica. Charlie non si sarebbe nemmeno accorto della mia presenza. Quando tornai su, la vidi con la custodia del mio cd in mano. La guardava come se si fosse trattato del suo più grande tesoro. Per un attimo mi sentii in colpa. Avevo pensato di lasciarla, di abbandonarla, e ora le davo quel regalo, fingendo di aver dimenticato quanto dolore le avesse causato quella serata. Quanta paura, quanta sofferenza.
Rimise la sua ninna nanna, ascoltandola più volte, mentre io le mettevo la pomata sul braccio.
-Sarebbero bastate le tue mani-. Mi confessò balbettando. Sapevo anche questo, ma il problema era che a me non sarebbe bastato toccare solo la sua spalla. La pomata almeno mi impediva di scendere.
-A cosa pensi?-. Mi chiese timorosa, mentre, leggero, cercavo di non farle pesare il mio tocco sulla sua pelle. La guardai, indeciso se mentirle o meno.
-Ecco, pensavo a cosa è giusto e cosa sbagliato-. Dissi alzando lo sguardo per vedere la sua reazione. Si irrigidì immediatamente, spaventata, e si sedette in ginocchio sul letto piegandosi verso di me.
-Ricordi che ho deciso di non volere che ignorassi il mio compleanno?-. Mormorò, spingendomi accanto a lei sul letto. Aveva appositamente ignorato la mia affermazione. Cosa aveva in mente quella furbetta?
-Sì-. Risposi solamente, aspettando che mi parlasse. Bella attese qualche secondo, guardandomi negli occhi con una muta richiesta, quasi una supplica.
-Be', pensavo che, visto che è ancora il mio compleanno, mi piacerebbe ricevere un altro bacio-. Mormorò rigida. Rimasi fermo per alcuni minuti, indeciso. Cosa stavo aspettando?
-Sei avida stasera-. Sussurrai salendo sul letto come lei. La vidi avvampare di rossore e annuire imbarazzata. Un intenso piacere mi percorse. Era piacevole scoprire il suo desiderio per me. Tipico dell’orgoglio maschile.
-Sì, lo sono -  Bisbigliò tremando. Ci guardammo e io le sfiorai le labbra con un bacio. - ma per favore, non farlo se non lo desideri davvero-. Concluse la mia cerbiattina facendomi scoppiare a ridere. Come poteva credere che non la desiderassi? Non c’era cosa che volevo di più.
-Non sia mai detto che io faccia qualcosa controvoglia-. Ridacchiai accarezzandole piano i capelli. Presi un respiro profondo, guardando le sue labbra e mi persi nella voglia di baciarle, morderle e accarezzare come avrebbe fatto un ragazzo normale. Decisi dentro di me di fare quell’errore, di lasciarmi trascinare da un vero bacio come se non ci fosse stato quel maledetto muro a dividerci. In fondo non avevo ceduto al suo sangue, non l’avevo uccisa nei pochi baci appassionati. Perché non permettermi quella sera di spingermi oltre? Ancora una volta mi accorsi di essere un egoista.  Le alzai il mento, immergendomi in quello sguardo nocciola, e piano mi avvicinai alla sua bocca. Senza accorgermene… ero già perduto.

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Capitolo 9
*** Ultima notte ***





Bene, bene, bene... non vi preoccupate, avverto prima, questo non è il capitolo in cui Ed e Bella si lasciano. L'avevate capito no? Ehehehe... Buona parte del capitolo è inventata da me, al solito. Mi scuso a chi darà fastidio. Veramente. Mi discosto un po' dall'originale per rendere forse il carattere di Edward più reale, vero, sofferente, uomo. Insomma non lo so nemmeno io. Spero che graditerete i miei interventi sul testo. Io ce la metto tutta, credetemi. Per il resto volevo dirvi che manca un intero capitolo prima dell'abbandono e che verrà diviso in più parti, forse in due, massimo tre. Successivamente scriverò all'incirca 25 capitoli creando una storia di Edward totalmente inventata. Avverto già tutti i lettori che sarà molto "forte", non so infatti se cambiare rating a rosso (non ci saranno altre donne, ma scene forti). Sarà più doloroso di quello che fortunatamente "non" abbiamo visto scritto nelle pagine vuote di Bella, perchè io scriverò tutto, ogni mese, come una pagina di diario a volte, portandovi la sua anima e la sua situazione. Mi dispiace se questo vi porterà sofferenza, ma non posso fare altrimenti, non posso saltare alla fine. Si accettano consigli e suggerimenti, lo sapete, scrivo per voi. Perciò...

Volevo ringriaziare una persona. Sono stata veramente poco carina e gentile e me ne dispiace, perchè non si fa così e spero che lei possa perdonarmi. Me lo auguro col cuore. Theangelsee69 aveva votato questa fic per un concorso su efp, che riguardava però solo le fic originali, voto che è stato perciò annullato. Volevo dirle che per me è come se avessi vinto e solo perchè lei mi ha fatto capire che quello che scrivo le piace, facendomi complimenti che ho guardato per mezz'ora come un'allocca davanti al pc. Vuol dire che quello che faccio è utile e che entra dentro. Per me è contato tantissimo, credimi, e mi sono quasi commossa nel vedere il motivo per cui hai votato questa fic. Perciò volevo dirti grazie e ancora volevo scusarmi con te per non aver avuto il tatto di farlo subito. Questo perchè io gioco e scherzo sempre, ma non mi ricordo mai le cose veramente importanti e non va bene. Perchè sono cose che mi colpiscono nel profondo e mi danno tanto coraggio per continuare a scrivere. Perciò grazie Theangelsee69, davvero. (Non sono brava a esprimere sentimenti miei... scusami)

E un grazie anche a chi ha il coraggio di leggere questa fic e recensirla nonostante tutto. GRAZIE MILLE che ci siete sempre al mio fianco. Un bacio grande! Malia. 

Ultima notte.

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Poggiai lento la mia bocca sulla sua e un fremito di piacere e dolore mi percorse. Come ogni volta, non cambiava mai nulla. La sensazione era sempre la stessa, quella di stare per cadere giù, nel buio profondo dei miei desideri più perversi, quella di lasciarmi andare e nutrirmi di lei, perché era ciò che la bestia in me gridava. La desideravo e non sapevo come uscire dal laccio che mi stringeva la gola e mi faceva fremere di sofferenza. Non c’era altro che lei, il suo sapore, il gusto delle sue labbra e la voglia… quella voglia smisurata di fare l’amore con lei, di donarle tutto me stesso. Avrei voluto farle sentire tutto quello che il mio cuore gridava ogni volta che le sue labbra mi sfioravano e i suoi capelli mi toccavano il viso in un richiamo di dolcezza e perdizione. Non potevo dirle di no, ma se le avessi detto di sì avrei perso me stesso, il mio essere mostro per darlo a lei. E questo non lo volevo, non potevo condannarla a ciò che ero, non potevo perché non ne avevo alcun diritto. Io ero solo una creatura mitica, mentre lei era l’angelo che mi aveva salvato dalla morte certa. Come potevo condannarla a un destino di nulla? Con me, per l’eternità. No, non l’avrei mai fatto. Eppure il nettare di quelle labbra mi faceva dimenticare di essere un vampiro e mi diceva di comportarmi da uomo, mi imponeva di eccitarla e di sentirla mia. E non riuscivo a tirarmi indietro. Il bacio iniziò lento, un battito d’ali, ma come ogni volta, sentii un dolore intenso al petto stringermi e rivoltarsi contro le mie stesse decisioni. La desideravo, troppo. Non volevo darle errori, donarle momenti di dispiacere, ma solo attimi che avrebbe potuto ricordare. Ricordare… La spinsi sulle coperte senza rendermene conto e feci aderire il mio corpo al suo con una foga innaturale. Bella gemette, sorpresa, ma non si tirò indietro, e le sue dita affondarono tra i miei capelli tirandomeli fino allo spasimo. Volevo che si sentisse male, che tutto cominciasse a girare nella sua testa e che il piacere la soffocasse. Sentii il suo cuore accelerare i battiti e per una volta mi lasciai andare. Le avrei dato un bacio vero, un bacio da umano, non da vampiro assetato di lei. Le avrei lasciato una parte di me da custodire, le avrei dimostrato quello che mi bruciava dentro e che troppo spesso avevo soffocato commettendo errori, accarezzandola e baciandola come non avrei dovuto. Le strusciai la bocca sulla sua e allungai una mano tra i suoi capelli spingendola contro le mie labbra. Non volevo allontanarmi e solo facendomi male avrei potuto continuare quella tortura. Sentii il desiderio farsi intenso e distruggere le mie ultime resistente. Chiusi gli occhi e schiusi la sua bocca, sentendo un mugolio di piacere venire da lei. Sì, questo volevo. Sentire il suo cuore impazzito, le sue gambe stringersi, l’odore della sua eccitazione aumentare e farle desiderare di avermi come mai era successo. E solo con un bacio. Feci scivolare la mia lingua tra i suoi denti, cercando la sua, tentandola con il mio sapore e un pugno di piacere svegliò la mia eccitazione per nulla assopita. Percepii l’adrenalina strozzare entrambi e il veleno mi impose di andarci piano. Bella schiuse le gambe in un chiaro invito e io non mi feci pregare, addossai il mio corpo al suo, intimità contro intimità, e decisi per un attimo di soffocare qualunque paura. Adesso, basta. Volevo un ricordo, un momento autentico a cui aggrapparmi. Ancora una volta mi stavo comportando da egoista, ma era difficile controllare i miei pensieri in quel momento. Così li cancellai e mi concentrai sulle sue labbra dolci e tentatrici. Mi permisi di morderle, piano, e le leccai subito, sentendo quel gusto eccitante sulla mia bocca. Continuai, ancora e ancora, fino a che il suo corpo non si strusciò istintivamente contro il mio in una muta richiesta di essere posseduto. Sapevo cosa significava e mi fece impazzire. Lei mi voleva, mi desiderava, nonostante fossi un autentica bestia per quello che le stavo facendo e le avrei fatto. La sollevai contro di me e le baciai il collo, imponendole di reclinarlo di lato. Bella gemette, incredula, e io soffiai sulla sua giugulare cercando di controllare la mia erezione impazzita e la mia salivazione folle. Stavo decisamente esagerando. Scesi sulla sua spalla passando la mia mano fredda sulla ferita e sentii un urlo basso venire dalla sua gola. Mi piaceva, troppo, volevo sentire la sua voce farsi più profonda e soffocata. Solo per me. Salii sul suo collo, cercando la carne calda e morbida, la parte che preferivo in una donna, pulsante di vita e calore. Appena dietro l’orecchio lasciai un bacio appena sfiorato e abbandonai il mio alito freddo sulla sua pelle. Un brivido la percorse e sentii un grido soffocato misto a sorpresa. Era eccitata, stringeva le cosce contro di me in modo quasi spasmodico. Il suo dolore era il mio, ma la mia sofferenza non era solo profonda. Era agghiacciante. Se solo avessi potuto avere una goccia del suo sangue… solo una. Tornai a sfiorarle la guancia e Bella si aggrappò al colletto della mia t-shirt guardandomi negli occhi. I giochi erano finiti. Ci fissammo fino a quando le nostre labbra non furono a pochi centimetri dall’impazzire e io socchiusi le mie palpebre.
-Ti desidero-. Mormorai facendola sussultare. Sentii il suo stomaco stringersi in una morsa e la sua femminilità pulsare di piacere. La mia voce calda le entrò nelle vene circondando tutto il suo corpo. Come un forsennato la alzai bloccandola contro di me e la spinsi contro la testiera del letto. Il mio piccolo cerbiattino si aggrappò alle mie spalle spostando le coperte e insieme ci infilammo sotto. Stavo perdendo il contatto con la realtà e anche lei. E adesso? Volevo toccarla, accarezzarla, non mi sarei fermato ad un solo bacio. La volevo tutta, questo era il problema.
-Edward…-. Mormorò la sua bocca contro la mia, forse stupita, forse incredula. Il mio comportamento la faceva impazzire. Le promettevo sicurezza e poi… l’avevo sedotta in tutti i modi. Dalla sera della festa di fine anno, toccandole i seni, al giorno del suo compleanno, dentro il suo pick-up, fregandomene di tutto, di tutti, tranne che del desiderio che ci avrebbe reso una cosa sola. Ma non potevo permettermelo e sapevo perché. Sarebbe finita.
-Edward…-. Continuò lei richiamando la mia attenzione. Mi ero fermato, avevo ancora gli occhi chiusi e respiravo a fatica. Il mio corpo era scosso da brividi di dolore e desiderio, ero a pezzi. Sentivo ogni più piccola parte di me chiedere pietà, misericordia per qualcosa che non avrei dovuto commettere. Metterla in pericolo così, farle sentire tutto quel desiderio. Non era da me, o forse lo era… ero così confuso. Da quando Bella era entrata nella mia vita l’unica certezza che avevo avuto era stata quella di non volerla perdere. Eppure… ora sceglievo anche questo. Che stupido masochista.
Maledizione! Non volevo più sentirmi così con lei. La baciai con una violenza al limite del fattibile e mi lasciai andare ancora una volta. Non fece nulla per impedirmi di averla e mi donò tutto quello che aveva, senza domande, solo con la consapevolezza che per me avrebbe fatto qualsiasi cosa. Non era giusto questo, non lo meritavo affatto, ma sentii un ringhio di esultanza sciogliere ogni mio freno. Le passai le mani fredde sulle cosce passando a giocare con la mutandina che aveva comprato apposta per me. Perché sapevo che era così. Le accarezzai il bacino e salii sul suo busto, sfiorandole i seni pieni e perfetti. Era calda e vibrava sotto ogni mia carezza. Continuai a chiederle baci fino a quando non sentii le sue mani reagire e accarezzarmi il collo. I miei sensi si acuirono e provai uno strano piacere. Le chiesi ancora la lingua, e non gentilmente, facendola inarcare sottomessa. Ma le sue dita non si fermarono, scesero sulla mia schiena fino ai miei jeans e Bella mi attirò a sé con una foga eccessiva che mi fece impazzire. Si strusciò sulla mia erezione senza paura e io sentii un brivido fermarsi a livello della mia pancia per indurire maggiormente la mia eccitazione. Non pensavo fosse possibile desiderare una donna in quel modo. Non ce la facevo più e quando le sue mani, bollenti, si insinuarono sotto la mia maglia scendendo nei miei pantaloni capii che dovevo fermarla, prima di perdere totalmente la testa e rischiare di farle male. Interruppi bruscamente il contatto tra noi e la afferrai prima che potesse perdere l’equilibrio, sentendo il suo cuore decelerare fino allo spasmo finale. Dio, avevo rischiato di farle venire un infarto.
Bella crollò sul cuscino e si portò la mano sulla fronte, respirando a fatica. Tenne gli occhi chiusi senza guardarmi e io mi sentii in colpa. Terribilmente in colpa.
-Scusa. Ho esagerato-. Bofonchiai nell’oscurità. Non sapevo nemmeno come fosse possibile che i miei pensieri riuscissero a essere ancora così coerenti. I miei sensi erano totalmente alterati. Sentivo il suo, il mio odore, il nostro desiderio ancora forte. E poi il suo battito, lo scorrere del suo sangue come un fiume in piena, mi sembrava di vederlo. Eppure il vampiro in me sembrava esserne affascinato quanto l’uomo… oddio, tutto si stava confondendo.
-Non importa-. Disse atona facendomi aggrottare la fronte. Non era vero che non importava. Steso a fianco a lei, potevo guardare il suo viso, una maschera di sofferenza. Volevo maledirmi e farmi male, molto male. Ma come mi era saltato in mente di fare una cosa simile?
-Cerca di dormire, Bella-. Dissi atono. Aggrottai le sopracciglia e mi rilassai al suo fianco, sotto le coperte, tentando di mantenere un minimo di controllo sulla mia mente e non solo.
-No, voglio che mi baci ancora-. Disse decisa, sottovoce. Mi voltai sconvolto verso il suo viso. Ci guardammo per un breve attimo e io rabbrividii. Era ancora il suo compleanno? Sperai fosse passata la mezzanotte.
-Sopravvaluti il mio autocontrollo-. Commentai, distogliendo lo sguardo dal suo e cercando un buon motivo per non continuare quella discussione. Ero consapevole di cosa sarebbe successo e non sapevo se ce l’avrei mai fatta a baciarla ancora senza morderla. Era troppo tenera e accondiscendente, gustosa…
Ma lei non aveva alcuna intenzione di lasciarmi vincere la sfida e si accostò a me, più vicina, facendo ancora aderire i nostri corpi. L’Inferno mi avrebbe fatto meno male, mio dio! Non sapeva cosa stava facendo. Non sapevo cosa mi facesse più paura, se risvegliare l’uomo in me o il vampiro.
-Cosa ti tenta di più: il mio sangue o il mio corpo?-. Mormorò curiosa contro il mio collo. Non lo sapevo, ma in quel momento avrei dato qualunque cosa per entrambi. Anche la mia eternità, il mio cuore, tutto… non c’era nulla che non avrei gettavo via per averla. Nulla che valesse la pena di trattenere. Perché lei era l’unico mio desiderio, il  più profondo, il più bestiale e carnale.
-L’uno e l’altro-. Ammisi senza pensare, sfiorandole la guancia con un bacio. Ma a nessuno dei due bastò, quella serata non sarebbe ancora finita. Sospirai sulle sue labbra, sperando di avere abbastanza controllo su di me per un secondo bacio. Mi ero sottovalutato, perché la sua bocca questa volta mi diede molto piacere. Il dolore si era assopito, mi sentivo anestetizzato da lei, succube. Ero saturo del suo profumo ed ero sulla soglia della pazzia. Perciò lasciai che Bella mi seducesse con le labbra. Mi rilassai sul cuscino e abbandonai la bocca alla sua. Il mio piccolo Bambi afferrò il mio mento con una mano e mi succhiò le labbra con avidità, curiosità e dolcezza. Trattenni il respiro quando le sue dita scesero sul mio torace e si fermarono all’altezza del cuore.
-E se ti dicessi che io lo sento vibrare?-. Sussurrò Bella sulla mia bocca, facendomi ammutolire. Avrei voluto gridare. A volte anche io sentivo un singhiozzo di vita stringere quell’organo esanime, ma non mi illudevo, ormai ero solo un morto.
-Senti… Edward?-. Mormorò scivolando con la mano sotto la t-shirt e risalendo sul mio torace, provocandomi brividi d’emozione. No, non sentivo nulla, perché non c’era nulla da ascoltare. Da più di cento anni non c’era nulla che avrebbe fatto la differenza e non ci sarebbe mai stato. Dentro di me era tutto privo di vita, ero solo una macchina distruttrice e lei… lei doveva rendersene conto.
Scossi la testa, improvvisamente disgustato da me stesso, e lei mi alzò la maglietta, pregandomi con lo sguardo di aiutarla. Dove voleva arrivare? La sollevò fino all’altezza del collo e accarezzò la mia pelle dura come il marmo sotto il mio sguardo attento.
-Ho bisogno di un altro regalo-. Bisbigliò insicura, la voce tremante. Assottigliai le palpebre, uno strano presentimento a farmi da padrone. Si chinò sul mio orecchio. –Ti prego, chiudi gli occhi e non guardare. Fidati di me-. Concluse lasciandomi senza parole. No, non potevo farlo. Il problema non era lei, ma io. Non mi fidavo di me stesso, non mi ero mai fidato. I suoi occhi mi guardarono, supplicanti e io non me la sentii di rifiutarle quel favore. Dovevo solamente stringere i denti per quella notte, solo una notte, l’ultima… per l’eternità. Non avrei fatto altro che tenere nel mio cuore quell’ennesimo ricordo, quella dolcezza. Decisi di accettare quella richiesta e chiusi le palpebre, aspettando di capire cosa volesse da me. Era frustrante non poterlo leggere nella sua mente.
Poi sentii il suo profumo, intenso, farsi più forte. Al mio orecchio non sfuggì il rumore della stoffa e per un attimo un brivido di apprensione mi fece fremere. Scacciai dalla mia mente quei pensieri e continuai a mantenere la mia promessa. Non avrebbe fatto nulla di così incosciente… lo sperai almeno. Sentii il materasso piegarsi e Bella muoversi su di me. Non volevo capire, ma dentro di me sapevo. La sua pelle venne a contatto con la mia, i suoi seni si schiacciarono sul mio torace e io sentii la voglia di spaccare qualcosa farsi insostenibile. Pazza, dolce e terribile folle. Percepii la sua bocca sfiorarmi la guancia, il suo stomaco sul mio, le sue costole morbide contro le mie, il suo sangue a disposizione del mio corpo morto.
-Non fare niente, sta solo zitto-. Mormorò il mio cerbiattino, sistemandosi meglio e iniziando ad accarezzarmi i capelli con la mano. Rimasi in silenzio, il dolore acuto mi attraversava la pelle dura e deglutii veleno. Strinsi le coperte aspettando che quel momento di infinita sofferenza passasse,  ma quel seno morbido e invitante mi stava facendo correre la mente verso pensieri impossibili. Sentivo i suoi capezzoli turgidi ed eccitati contro di me. Aveva forse freddo? O ero io a fare questo effetto?
-Stai bene?-. Bisbigliò ancora. Non le risposi. Non stavo affatto bene, ma come potevo dirglielo? Soffocai un gemito sul cuscino, non sapevo se di piacere o di dolore, e mi imposi controllo. Dovevo farlo almeno il giorno del suo compleanno, almeno quella notte.
-Starei meglio se… non l’avessi fatto-. Ringhiai deciso appoggiando le mani sulle sue spalle. Ma i suoi occhi mi pregarono di aspettare e io la lasciai, abbandonando le dita sul lenzuolo. Ma perché ero così maledettamente idiota da darle retta?
-Edward smettila di pensare-. Mi intimò dolcemente accarezzandomi il viso. Forse lei non si rendeva minimamente conto di quello che stava scatenando dentro di me. Non era divertente. La rabbia, l’istinto, i miei sensi impazziti… Rischiavo di diventare violento, privo di freni, un animale da caccia. E i suoi seni non mi aiutavano certo a ricordare quanto fossi tenero e gentile. Sentivo una bestia corrodermi le viscere, avrei voluto mangiarle quelle rotondità a morsi. Non poteva nemmeno capire l’effetto che avevano su di me i suoi capezzoli. Sentivo il suo sangue scendere su quelle piccole vene morbide e tentarmi. Un piccolo morso su quelle punte rosee e avrei mandato all’Inferno entrambi. Bella era un’ incosciente, assolutamente priva di qualsiasi freno e paura... dannazione! Sapevo che mi desiderava, sapevo come mi guardava, ma doveva stare attenta… doveva…
-Frena, ti prego. Smettila-. Continuò appoggiando la guancia sulla mia. Di nuovo il suo profumo. Aveva deciso di far finire il mio mondo così, di farmi sentire un vero schifo. Volevo gridarle di togliersi, sgridarla, ma non riuscivo a farlo. Ero imbambolato, come impietrito. Una parte di me esultava felice e voleva di più, desiderava lei.
-Bella, dammi una buona ragione per…-. Iniziai a dire, la voce alterata, roca. Ma lei mi baciò, le labbra sulle mie, la bocca stretta sulla mia lingua, e la voglia di non farmi pensare a niente così forte che non avrei più sentito nessun neurone nel mio cervello. Ero completamente suo ed estasiato dal piacere che mi stava dando, ma terrorizzato.
-Rilassati, non farò nient’altro-. Mi rispose scostandosi di scatto. Ci provai. Per lei, per me, perché potesse avere una fine. Tremai e mi abbandonai alle coperte, cercando di concentrare la mente su tutt’altro.
-Non ci provare-. Sussurrò contro il mio orecchio. –So che puoi farlo. Senti me. Non portare la tua testolina lontana da me-. Concluse baciandomi leggera una guancia.
Sospirai chiudendo gli occhi e concentrandomi sulla pelle dei nostri corpi unita. Sentii le sue vene, la sua pelle, il suo seno, ma anche i miei muscoli tesi, l’attrazione dura e implacabile, la morbidezza della sua carne e per ultimo il battere forsennato del suo cuore. Bella si rilassò contro di me, completamente, e io ascoltai quel pulsare feroce e singhiozzante fino a quando la mia cassa toracica non rispose a quel battito. Sentii il mio petto contrarsi e rilassarsi sotto quel boato continuo e incessante.
-Tum-tum-. Bisbigliò ancora il mio piccolo Bambi vicino al mio orecchio. Le afferrai la nuca portandola contro di me, stringendola spasmodicamente e ignorai tutto il resto, percependo solamente il suo cuore battere dentro di me. Roccia contro morbidezza…
-Tum-tum-. Mormorò sul mio zigomo, bloccata dalla mia mano. Rilasciai la stretta, sperando di non averle fatto male. Ero affascinato da quel suono, forse troppo. Sentivo il suo respiro dentro di me, il suo cuore dentro il mio, diventare il mio e per un attimo ebbi la sensazione di essere tornato in vita. Era ridicolo,  totalmente illogico e assurdo. Ma forse, forse era solo amore.
-Bella…-. Sussurrai rapito. Aveva saputo incantarmi e stupirmi ancora una volta. Sorrise sulla mia bocca. Aveva capito cosa volevo dirle. Solitamente ero io a leggere dentro le persone, ma lei riusciva a farlo dentro di me con una chiarezza che mi faceva paura. Le accarezzai una guancia dolcemente con un dito. -Ora, perché non smetti di sfidare la sorte e ti metti a dormire?-. Le dissi sperando di ricevere una risposta affermativa. Non avrei resistito ancora a lungo. Deglutii, sentendo ancora il suo cuore farmi stringere il petto, e un’intensa voglia di lei mi fece gemere piano.
-Va bene-. Mormorò in fretta, alzandosi col busto e afferrando la sua maglietta. Sospirai ringraziando il cielo per quella grazia. Si infilò quella sorta di top attillato e si rannicchiò accanto a me, poggiando la testa sul mio petto. Nessuno dei due sembrava aver voglia di parlare. Mi rilassai finalmente, consapevole della sua dolcezza che riuscì a commuovermi. Il suo amore per me era immenso. La sentii scivolare lentamente nel sonno, nonostante non avesse affatto voglia di dormire. Era molto stanca. Mi ritrovai ancora solo a pensare e guardai il soffitto con la mente affollata di perchè. Cosa sarebbe successo? Ero confuso, ma dentro di me sapevo di non potermi più tirare indietro. Lei mi amava, non avrebbe mai scelto da sola. Ma io conoscevo bene la risposta. Sarebbe stato meglio per Bella che non mi avesse mai conosciuto. Rischiava troppo per me, ogni singolo secondo, e quel giorno ne era una definitiva e chiara dimostrazione. Dovevo andarmene via, permetterle di vivere una vita felice, al sicuro dai guai. Perché, anche se non volevo ammetterlo, il peggior pericolo per lei ero io. Solo io. Se non fossi esistito il mio piccolo cerbiattino avrebbe continuato a vivere una vita normale. Avrebbe dimenticato, prima o poi mi avrebbe dimenticato. Ne ero certo. Il cuore umano era fatto per ricucire ogni ferita. Avrebbe trovato un nuovo ragazzo che l’avrebbe amata come io non potevo fare. Per un attimo dubitai che ci fosse qualcuno in grado di amarla con la mia stessa intensità, ma ammisi a me stesso, per l’ennesima volta, che le mie erano solo scuse. Avevo paura. Paura di lasciarla… ero terrorizzato.
-Devo farlo…-. Mormorai baciandole candidamente la fronte. Provai una profonda pena. Solo il pensiero di allontanarmi da lei mi strappava il cuore dal petto e mi gettava in uno stato di dolore inimmaginabile. Avrei sofferto per l’eternità, ma per lei avrei fatto questo e altro. Non avrei mai potuto dimenticare, mai, Bella era tutto per me, ma dovevo darle la possibilità di amare un essere umano, perché era nata per questo, non era mia.
-Ti amo, amore mio. Con tutto il cuore-. Le confessai ancora, ben sapendo che non poteva rispondere. La strinsi a me e la sentii rabbrividire contro il mio torace. Avrebbe iniziato a parlare come sempre? Sì, forse sì.
-Edward…-. Il mio nome sulla sua bocca riusciva sempre a farmi sorridere. Non volevo perdermi, non volevo. Senza di lei non avrei visto più i colori, non ci sarebbe stato più nulla. Non volevo morire ancora. No… se solo fossi stato un essere umano! Sentivo solo una grande angoscia dentro di me. Le afferrai un polso accarezzandolo gentilmente.
-Dimmi-. Le dissi sperando che non continuasse a parlare. Ma ormai la conoscevo troppo bene.
-Non è stata colpa tua. Non è mai stata colpa tua… io ti ho voluto fin dall’inizio. Tu sei tutto per me, la mia vita, la mia anima. Ogni cosa-. Mormorò tutt’ad un fiato facendomi tremare. La abbracciai come un tesoro prezioso e le baciai le labbra tumide di baci, sperando di non svegliarla.
Come potevo essere ancora così egoista? Dopo quelle parole mi decisi. Le avrei donato la libertà. Era giusto, lei doveva scegliere. Pregai il cielo, una qualsiasi divinità, di non farmi mai conoscere l’uomo che l’avrebbe avuta al mio posto, perché sentivo che l’avrei ucciso, dimentico del mio buon senso.
-Da domani tutto cambierà. Perdonami-. Bisbigliai scostandole i capelli dalla fronte. – E grazie, piccolo Bambi-. Sorrisi nel sentire quel nomignolo sulla mia bocca. Non mi ero mai permesso di chiamarla così. Per tutta la notte non feci che guardarla, imprimendomi nella mente ogni sua espressione, ogni più piccolo movimento. Non avrei lasciato nulla di quel momento.
La mattina arrivò troppo presto e io mi feci trovare già in piedi. Bella mi sorrise, cercandomi con le mani, ma io mi scostai. Una maschera di pietra. Dovevo chiudere il mio cuore in una gabbia di indifferenza, tornare al nulla che mi aveva sempre avvolto. Per lei, per lei, per lei, solo per lei.
-Buongiorno-. Mi sorrise, radiosa, ma io non le sorrisi. Mi permisi un cenno veloce con il capo e la salutai. Volevo andarmene, dovevo farlo, e parlare con la mia famiglia. Ormai avevo deciso.
-Edward…-. Mi disse, lo sguardo preoccupato e morente. Le sfiorai la fronte con le labbra, mentendole spudoratamente, e scappai via, lasciandole l’amaro in bocca.
Dovevo solo prendere coraggio e parlarne con gli altri e dovevo farlo al più presto. Sapevo che nessuno di loro l’avrebbe presa bene, tantomeno Rosalie. E Alice poi… con lei avrei dovuto combattere. Adorava Bella e si sarebbe opposta con tutte le sue forze, ma sapevo di poter contare sull’aiuto di Jasper e l’avrei fatto. Lui sentiva di essere in debito con me, avrei sfruttato questo. Con Carlisle ed Esme forse sarebbe stato più semplice. Per mio padre diventava difficile dimostrare la sua età e, anche se non voleva darlo a vedere, per lui era una continua preoccupazione, potevo sentirlo. Avrei fatto leva sulle sue paure…
Per un attimo dovetti appoggiarmi ad un tronco, sofferente, e farmi forza. Se non l’avessi lasciata tutto prima o poi si sarebbe distrutto, compresa la vita di Bella. Le avrei solo rovinato l’esistenza. Ogni cosa doveva cambiare e avrei portato a termine il mio piano con le buone o con le cattive. Non mi importava più di nulla ormai.

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Capitolo 10
*** Famiglia ***



E' mezzanotte. Ma come mai Nadir lo scrivo la sera tardi? Strano. Si vede che il buio mi ispira per le cose tristi e avverto... questo capitolo sarà un po' triste. Iniziamo il terzo capitolo di New Moon, proprio quanto Bella avverte Edward distante e non capisce cosa sta succedendo. Ho vissuto quei momenti con lui, veramente, e, anche se mi sembra irrazionale, l'ho amato tanto. Un uomo innamorato è capace di qualsiasi cosa, un vampiro innamorato è capace di uccidere tutto per amore, se stesso, i suoi ricordi, la sua anima. E' triste, ma spero di aver reso la sua sofferenza reale e palpabile. Ragazze... il prossimo capitolo non so dove arriverà, ma quello dopo ancora prendete i fazzoletti, perchè è il momento dell'abbandono. E poi sarà una tragedia. Non so come la prenderà Edward, non posso dirlo, lui vive da solo nelle mie parole. Non posso assicurare che non esagererò, lui in fondo è un vampiro un po' esagerato, ma non credo che avrà un'altra donna, come ho anche già detto. Qui si parla di reazioni del suo corpo, di desiderio, di solitudine e di voglia di stare con Bella. Andremo avanti insieme in quest'avventura spero. Mamma mia! Piangeremo lacrime amare!!
Posso ringraziare chi ha commentato? Come sempre molto gentilisissimissime. E grazie anche a chi ha messo Nadir tra preferite, seguite, ricordate. Un bacione grande e buona lettura!!! Malia




Famiglia

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Aprii lento la porta di casa e immediatamente un urlo squarciò il silenzio. Troppo irreale quella calma per essere vera. Sapevo cosa sarebbe successo di lì a poco, i pensieri furiosi di Alice si riversarono su di me e io non feci nulla per fermarli.

-No, no, no!-. Urlò ancora saltando dalle scale giù in salone. Non l’avevo mai vista in quello stato. Ovviamente già sapeva, non c’era alcun bisogno che intervenissi io per dirle quello che sarebbe successo. Presa la decisione, lei avrebbe visto. Avrei dovuto sospettarlo.
Rimasi in silenzio, chiudendo lentamente la porta e chinando la testa, colpevole.
-Ti prego, Edward. Non farlo!-. La sua voce piccola e acuta, musicale, mi supplicò con un tono che non le avevo mai sentito prima. Non risposi, ormai certo, e lei si accostò a me, afferrandomi per un braccio.
-Non lo capisci? Così la ucciderai…-. Mormorò cercando i miei occhi. Lessi nei suoi pensieri un’angoscia profonda, ma non me ne curai. Non poteva immaginare come mi sentissi io, come il mio cuore si struggesse alla sola idea di allontanarmi da lei.
-Non ha senso-. Continuò stringendomi forte e abbracciandomi di slancio. –Lo avrebbe se lei non ti amasse, ma tu sei la cosa più preziosa che ha. Edward…-. Sussurrò ancora vicino al mio orecchio, baciandomi una guancia con dolcezza. Fu una carezza per il mio spirito, ma certo non sarebbe bastato per farmi tornare sui miei passi. Se lei aveva visto qualcosa allora sapeva già che sarei stato irremovibile.
-No, Alice-. Le dissi perentorio sciogliendomi dalla sua stretta gentile. Il mio dolce folletto… mi aveva appoggiato in quella pazzia solo per vedermi innamorato, felice finalmente, e ora mi vedeva di nuovo soffrire. Quanto dolore avrei causato alla mia famiglia? Era colpa mia, solo colpa mia, ma mi sarei preso quella responsabilità. Era una promessa.
-Sei un fratello per me, lo sai… sei la persona che amo di più dopo Jasper. Sei entrato nel mio cuore e mi hai compreso. Ricordi quanti giochi, quanti bei momenti insieme?-. Iniziò lei facendomi scuotere la testa. Conoscevo la risposta, sapevo dove voleva arrivare, lo leggevo nella sua mente. Non sarebbe cambiato nulla, ero deciso a lasciare Bella, a darle la possibilità di vivere normalmente. Possibile che fosse così difficile da capire?
-Edward, non ti ho mai visto così. Il tuo sorriso, la tua voglia di vivere, la tua umanità… sei sbocciato come un fiore. Il ragazzo che eri ora vive in te… non lasciare che muoia ancora ti prego, ti supplico. Non so come scongiurarti…-. Concluse congiungendo le mani in una preghiera buffa e un po’ fuori luogo. Sorrisi della sua dolcezza e inevitabilmente mi avvicinai ad accarezzarle la testolina arruffata. Quanti giochi davvero e quante risate insieme… ma questo non avrebbe cambiato la realtà dell’unica ragazza di cui mi ero innamorato. Bella doveva vivere serenamente, era una vita normale che meritava. E io mi sarei ucciso per darle la possibilità di amare ed essere riamata da essere umano qual era.
-Il mio cuore sarà sempre suo…-. Sussurrai quando i suoi occhioni dorati da veggente si puntarono commossi su di me. Per Alice stavo facendo una cosa illogica, senza senso, ma per me quel non senso avrebbe dato significato alla vita di Bella. Perciò non sarebbe esistito altro proposito fino al momento in cui il mio cuore avrebbe di nuovo smesso di sentire tutto, di esistere.
-Anche il suo ti appartiene, e lo sai. Lo sai!-. Gracchiò con voce stridula, stringendomi una mano tra le sue. La guardai sospirando e scuotendo la testa. Certo, quello era il presente, ma entrambi sapevamo bene che non sarebbe sempre stato così. Gli umani erano soliti cancellare in fretta il dolore, erano creature affascinanti, nonostante cercassero le sofferenze a volte se ne dimenticavano perché intolleranti. Da un lato ne ero sempre rimasto affascinato e capivo perché la mia famiglia non accettava di nutrirsi di loro…
-Non lo sarà per sempre. Si innamorerà di un altro e…-. Prima che potessi terminare la frase uno schiaffo mi arrivò in pieno viso e sentii la sua mano vibrare e fermarsi sulla mia guancia.
-Non lo fare, ti scongiuro!-. Gridò mia sorella sfiorandomi lentamente e abbassandomi il mento verso il suo viso. –Se tu le sarai vicino, non sentirà mai il bisogno di un altro uomo. Tu le dai tutto te stesso…-. Continuò Alice dolcemente, disegnando sulla mia pelle delle carezze gentili di comprensione. Non era abbastanza “tutto me stesso” per metterla al sicuro dai pericoli, da me, dal mostro che ero.
-Sai bene che presto rischierà la vita a causa mia-. Le dissi sincero senza troppi giri di parole. Prima o poi quel desiderio mi avrebbe portato a fare cose di cui mi sarei pentito. Perché non era abbastanza il mio autocontrollo. Io la volevo proprio come un ragazzino immaturo e scemo che non vedeva l’ora di fare l’amore con la sua ragazza. Mi sentivo idiota e ridicolo, fuori luogo e costantemente sotto pressione. Insomma… umano.
-Ti senti umano vero? Ti senti come se da un momento all’altro dovessi perdere una parte di te stesso e hai paura. Edward è l’amore. Quando fai l’amore con una persona è inevitabile… tu hai sempre avuto un grande controllo su te stesso, ma ora hai trovato qualcuno con cui poter essere quello che sei-. Mormorò convinta e sincera. Era dolce, le sue parole lo erano, ma non poteva capire come mi sentivo ogni volta che le stavo vicino. Jasper non era umano, lei non doveva vivere quel costante terrore di poter perdere il controllo, ferire, far del male alla cosa più preziosa che aveva. Per me Bella era semplicemente tutto il mio mondo, era me, le avrei affidato il mio cuore per sempre, con o senza me stesso presente. Non mi importava altro, solo che lei fosse felice.
-Amerà un altro-. Tagliai corto passandole davanti e raggiungendo velocemente le scale. Non volevo discutere con lei, non avevo argomenti. Avrebbe cercato di convincermi che l’amore poteva vincere su tutto, che avrebbe sempre trionfato… ma non era così per un vampiro ed un’umana, lo sapevamo entrambi.
-Io non me ne andrò-. Affermò decisa puntando i piedi in salone. Sorrisi e la guardai con gli occhi di chi la sapeva più lunga. Non avrei convinto lei, perché non avrebbe mai lasciato Forks. La mia risposta era un’altra.
-Jasper…-. Mormorò Alice correndo verso le scale e afferrandomi saldamente per la maglia. –Non farmi questo!-. Urlò di nuovo, ma io non la ascoltai e iniziai a salire le scale. Sarebbe bastato parlare con mio fratello e poi non ci sarebbe stato più nessun problema. Semplice. Alice non avrebbe mai lasciato da solo Jasper, per quanto io fossi importante per lei non lo ero quanto lui. Jazz era l’amore della sua vita, l’unico uomo che l’aveva compresa e amata come Alice non aveva mai accettato nemmeno lei stessa di fare. E se lui avesse accettato di andarsene, lei lo avrebbe certamente seguito.
-Jazz, no!-. Urlò ancora mia sorella. La trascinai con me fino alla loro stanza e aprii di scatto la porta, trovando Jasper immerso nei propri pensieri e ritto di fronte alla finestra.
Era tutto così ridicolo. Non avrei mai pensato che potesse succedere una cosa simile. Vedevo la mia famiglia distruggersi e crollare senza poter fare niente per fermare tutto.  Ero stato io a volerlo, io e il mio amore impossibile e ora non facevo che peggiorare ogni cosa. Jasper si voltò, guardandomi complice, e io lo pregai con gli occhi e con il cuore di aiutarmi. Silenzio… nessuno dei due parlò, non c’era bisogno di farlo, lui poteva sentire il mio dolore, il mio trasporto, e io potevo percepire i suoi pensieri. Aveva sofferto nel fare del male a Bella, aveva desiderato di poter scomparire e allontanarsi per diventare forte abbastanza da non fare più soffrire un essere umano.
-Sono in debito con te, fratello-. Disse appena. E io capii che mi aveva capito. Non pensavo che l’avrebbe fatto, ma l’aveva fatto e quello contava. Ero distrutto, mi sentivo stanco e spossato come un semplice umano. Mi appoggiai con la schiena allo stipite e sentii Alice avvicinarsi al suo amore e guardarlo incredula.
-Non capisci. Non ha senso…-. Disse appena, la voce debole e lontana. Aveva già visto cosa sarebbe successo, i suoi pensieri erano entrati dentro di me non appena Jazz aveva parlato. Sarebbero andati a Denali e lì avrebbero vissuto insieme al clan dell’Alaska fino a tempo indeterminato.
-Per Edward lo ha-. Sussurrò Jasper semplicemente abbozzando un sorriso comprensivo. –Sarà quello che deve essere… lo sai…-. Terminò poi, enigmatico. I miei sentimenti si sgretolarono come frammenti di uno specchio e uno andò inevitabilmente a cadere su quel momento.  Avevo perso mia sorella, lontana con il cuore da me, ma dovevo ignorare anche quella sofferenza. Lei non mi capiva, né voleva capirmi, ma avrebbe seguito Jasper e questa era stata la mia arma vincente. In quanto a lui i sentimenti che provava erano sensi di colpa vivi e pungenti. Facevo leva su quell’emozione. Non l’avrebbe fatto se non avesse prima commesso un errore, in questo modo lui pensava che fossimo pari.
-Grazie-. Mormorai passandomi una mano tra i capelli. Alice scivolò in ginocchio al centro della stanza e il suo dolore lacerò sia il mio cuore che quello di Jasper. Sentii i suoi pensieri incoerenti come un fiume in piena, parole piene di rancore e di odio nei miei confronti per aver rovinato tutto. Lei amava Bella, amava la mia felicità, amava Forks… Alzai lo sguardo verso Jazz, il suo viso era una maschera impassibile, ma i suoi pensieri erano puro dolore. Soffriva per quello che sentiva dentro. La forte sofferenza di Alice lo stava portando a impazzire di dispiacere. Li avrei lasciati soli, dovevano pensare, parlarsi e stare insieme.
-Partiremo oggi per Denali-. Bisbigliò Alice fissando sconvolta il pavimento. Mi voltai senza dire nulla. Ora avrei dovuto affrontare il resto della famiglia. Rosalie ed Emmett evidentemente non c’erano, forse erano andati a caccia, mentre Carlisle era di turno quella notte. Ed Esme? Probabilmente era a caccia anche lei.
Decisi di cambiarmi velocemente ed andare a scuola. Lì avrei cominciato a recitare la mia parte. Ora sapevo cosa fare, non potevo più tirarmi indietro. Non l’avrei fatto per niente al mondo. Mi sedetti sul divano della mia camera e guardai il vuoto fino a quando non sentii la mia mente chiedere al mio corpo di muoversi. L’avrei lasciata, avrei abbandonato l’unica ragione della mia vita… folle, pazzo… masochista.
Scesi le scale in modo automatico, perdendomi per la strada che mi avrebbe condotto a scuola. Vedevo i lampioni scorrere e passare, le mie mani appoggiarsi come sempre al volante, ma non sentivo più mia quella realtà. Non c’era più posto per me, non c’era più. Parcheggiai sentendomi fuori luogo e inspirai chiudendo gli occhi. Una strana sensazione di disagio mi colse e io capii di stare provando paura. Era la stessa identica emozione che mi aveva colto quando James aveva morso Bella. Angoscia, ansia, paura di perdere tutto ciò per cui vivevo. E ora… ora io stesso mi sarei strappato dal petto il mio cuore.
Scesi guardando il suo pick-up scivolare sull’asfalto bagnato e mi diressi verso di lei. Dovevo dimenticare quei sentimenti, accantonarli per sempre. La aiutai a scendere dal suo furgone malconcio e mi sentii lontano mille miglia nel tempo e nello spazio. Mi sembrava tutto distorto, come se la stessa realtà mi stesse imponendo di rigettare la mia vita per lei.
-Come ti senti questa mattina?-. Azzardai, il tono spento e assente. Dio mio, dov’ero? Non c’ero più. Ero già scomparso. Dove stavo piangendo le mie impossibili lacrime? In quale parte del mio cuore mi ero nascosto per poter dare sfogo al mio dolore? Non sentivo più nulla.
-Splendidamente-. Mi rispose a disagio. Ignorai il suo scombussolamento, dovuto al mio palese cambiamento, e insieme ci dirigemmo verso le aule.
La giornata passò e io mi sentii lo stesso ragazzo che un anno prima aveva smarrito la sua strada. Non la degnai mai di uno sguardo, attento alla natura circostante, alla pioggia che batteva lenta sul vetro della finestra. Appena qualche tempo prima mi ero domandato che ne sarebbe stato della mia esistenza eterna, senza scopo e ora la stessa identica domanda. Che ne sarebbe stato di me senza di lei? Prima un sole di mezzanotte, ora solo… Nadir. Il punto più basso dell’orizzonte, più sconosciuto e buio, infimo e assolutamente scuro. Non c’era niente che potesse sollevarmi da quella condizione di oscurità, ormai sentivo un vuoto profondo divorarmi l’anima e gettarmi in uno stato di semi-incoscienza. Eppure non ero morto e Bella era ancora lì, al mio fianco. La guardai e insieme ci dirigemmo verso la mensa. Era bella, il mio cerbiattino, il sui viso dolce era attraversato da paura  e incredulità. Cosa stava succedendo? Avrei voluto allungare la mano e accarezzarla, dirle che io stavo soffrendo, ma che la sua vita non avrebbe più dovuto sopportare il peso di una diversità tanto palese. Lei aveva diritto di vivere ogni felicità in modo normale.
Ci sedemmo e io continuai a fissarla con la coda dell’occhio. Quanto amore… dentro di me per lei. Non riuscivo a contenerlo, non c’era possibilità che potesse assopirsi o essere dimenticato. Improvvisamente i nostri corpi si sfiorarono e io la sentii rabbrividire. Alzò lo sguardo, intimidita, e mi chiese di Alice e Jasper. Le dissi una mezza verità. Erano a Denali in fondo, ma non per quello che pensava lei. Aspettai che finisse di mangiare, rimanendo nel mio mutismo e continuando a guardare da tutt’altra parte per non permetterle di afferrare il mio spirito. Dovevo dimenticare di appartenerle, altrimenti non sarei mai riuscito a lasciarla. Le sfiorai il braccio ferito, dandole sollievo, e percepii un lieve tremito nella sua pelle morbida. Che buon profumo, che dolcezza… per un attimo ancora mi volli permettere un momento, un solo momento di lussuria gentile e le toccai il polso gioendo di quel contatto. Ma fu un solo istante, poi ci alzammo e dirigemmo di nuovo in classe. E il tempo passò, inesorabile e ricordarmi quello che dovevo fare…
Scoprii presto di essere avvantaggiato, Bella avrebbe dovuto lavorare quel pomeriggio. Le promisi di raggiungerla la sera a casa, non senza una smorfia di dolore, e mi resi conto che il mio cerbiattino aveva notato il mio palese cambiamento. Probabilmente si stava dando la colpa di questo, forse si stava chiedendo cosa avesse fatto di male, ma non c’era alcuna risposta a quella domanda. Non aveva fatto niente, ero io che avevo preso la mia decisione irremovibile. Comunque fossero andate le cose, le avrei permesso di vivere una vita senza un animale, un mostro alle calcagna.
Tornai a casa, non sapevo se sconsolato o forte delle mie scelte. Salii le scale che mi dividevano dalla porta, ma questa volta non fui io ad aprirla, ma Rosalie. Era arrivato il momento di affrontare anche lei. Chiusi gli occhi ed entrai, guardando mia sorella incrociare le braccia al petto e fissarmi sconvolta. Ero stanco, terribilmente stanco, non avevo voglia di combattere contro di lei.
-Scordatelo, io per i tuoi errori non ci rimetto-. Parlò dura e spietata, con uno sguardo che non ammetteva repliche. Alice pensava forse di riuscire a convincermi tramite lei? Sorrisi incredulo. Rose non sarebbe riuscita a fermarmi, per quanto mi riguardava poteva rimanere da sola in quella casa a Forks.
-Fai come vuoi-. Le dissi ridacchiando e vedendola ammutolire sconvolta. –Rimani pure. Io me ne vado-. Continuai imperterrito. Si sbagliavano di grosso se pensavano di riuscire a far cambiare i miei propositi. Era praticamente impossibile. Mi stiracchiai sotto lo sguardo attonito e scandalizzato di mia sorella, che a malapena riusciva a riconoscermi.
-Tu sei pazzo. Prima te la prendi, mettendo a rischio tutta la famiglia, e ora decidi di lasciarla e rovinarci così? Tu sei malato-. Continuò lei facendomi sbottare a ridere. La mia cara e dolce Rosalie, lei sì che sapeva come farmi sentire meglio. Amato più che altro. Ero precisamente d’accordo con lei. Avevo commesso una pazzia e ne avrei pagato le conseguenze, ma non avrei trascinato la famiglia con me, se non era questo che loro volevano.
-Ti ripeto. Rimani-. Le dissi passandole di fronte e salendo le scale, calmo e tranquillo.
Rose mi seguì con lo sguardo assorto.
-E’ incredibile come sei diventato idiota da quando quella ragazzina è entrata nella tua vita. Se non fossi mio fratello ti avrei già strozzato-. Concluse esasperata guardandomi e mordicchiandosi le labbra. Mi fermai e mi girai verso di lei, colpito.
-Rosalie…-. La chiamai, ma non era tipo da mostrare così chiaramente il suo dispiacere.
-Eppure mi sembravi così felice-. Sussurrò portandosi una mano a sistemare i suoi capelli perfetti. Sorrise amaramente e mi voltò le spalle, in modo che non potessi guardarla in viso. Avrei potuto comunque leggerle nella mente, ma non lo feci, sapevo quanto le dava fastidio.
-Sono cresciuta con te. Conosci ogni cosa di me. E ancora mi chiedo perché tu lo stia facendo…-. Commentò atona togliendosi un pelo immaginario che le era caduto sulla gonna. Mi appoggiai alla balaustra e sospirai, chiedendo a me stesso la stessa cosa. La risposta non era così difficile. Per amore a volte si facevano le cose più sciocche, anche le più assurde, e solo per la persona che si “credeva” di amare. Rose sapeva questo.
-Dovresti immaginarlo…-. Le dissi semplicemente. La vidi annuire, ma non disse altro per alcuni secondi. Per un attimo pensai che sarebbe rimasta in silenzio, ma poi sentii un piccolo rumore venire dalle sue labbra.
-Non stai facendo la cosa giusta. Non la posso soffrire molto, lo sai, è un po’ imbranata, ma… ti rende felice-. Terminò voltandosi e guardandomi negli occhi. Anche Rose mi voleva bene e si preoccupava per me. A volte dimenticavo che era stata la prima persona con cui avevo condiviso le mie sofferenze da vampiro. A lei avevo confidato cose di me che non avevo osato dire ad Esme e Carlisle.
-Rose, lei potrebbe essere più felice senza di me-. Commentai sperando che capisse. Lei mi guardò allibita, scuotendo il capo, e sogghignò amaramente.
-Nessuna donna potrebbe essere felice senza di te. Idiota-. Concluse sincera facendomi imbarazzare. Dimenticavo ogni volta quanto fosse schietta e immediata. Respirai appena, scendendo uno scalino, ma la ritrovai subito al mio fianco, le braccia intorno al mio collo e il corpo addossato al mio.
-Va bene. Sei mio fratello… ma non farti vedere soffrire da me. Chiaro? Se lo farai non ti ascolterò mai più, non ti voglio vedere con lo sguardo afflitto e distrutto-. Terminò stringendomi forte. Ricambiai quell’abbraccio permettendomi di affondare il viso tra i suoi capelli biondi e profumati. Per un attimo mi sentii sollevato. Non ero solo. La mia famiglia sarebbe stata al mio fianco fino alla fine. Saremmo stati insieme.
-Ne parlerò con Em. A lui piace… emh… Bella. Non gli piacerà questa faccenda, ma non sarà un problema-.
Disse a bassa voce. Un piccolo singhiozzo le sfuggì dalle labbra e io percepii il dolore nei suoi pensieri. Le costava fatica allontanarsi dalle sue abitudini, da tutto ciò che considerava famiglia, ma l’avrebbe fatto per me, l’avrebbe fatto perché sapeva che cosa l’amore portava un vampiro a compiere. Lei si era innamorata di un umano e aveva fatto di tutto per salvarlo… un secondo che gli sarebbe valso la vita eterna, ma Emmett era lì con lei e lui aveva cambiato tutto il suo mondo.
-Spero solo che ne valga la pena campione. Anche se secondo me te ne pentirai-. Mormorò facendomi ricordare i passati momenti in cui andavamo insieme alle partite di baseball. La strinsi forte, spasmodicamente, e sentii un vago senso di malessere invadermi. La mia famiglia… lo avrebbero fatto solo per me.
-Grazie, bambola-. L’apostrofai divertito, riportando alla mente il nomignolo che una volta aveva scatenato una rissa tra me e lei, vampira neonata e strafottente. Mi spinse le dita sul naso, guardandomi con il musetto da bambina ferita.
-Non ti azzardare, Edward Anthony. Chiaro?-. Sussurrò, riuscendo a strapparmi un sorriso divertito. Si sciolse dal nostro abbraccio e mi guardò indecisa. Sospirò, scuotendo la testa, e io seppi che non avrebbe più detto nulla. Avrebbe accettato e basta, perché ero io volerlo.
Preso da un moto di gratitudine verso di lei le afferrai una mano e mi portai il dorso alla bocca soffiandovi piano. Sapevo quanto Rosalie impazzisse per i baciamano, in passato gli uomini facevano a gara per farglieli. Lei mi aveva detto che la facevano emozionare e che in un certo senso da questo riusciva a capire lo stato d’animo dell’uomo di fronte a lei.
-Tu starai male. Molto male. E io ti ho avvertito… non farti vedere da me in quello stato Edward. Altrimenti ti ammazzo-. Continuò minacciosa. Annuii, mi sarei isolato piuttosto che darle ulteriore dolore. Si divincolò dalla mia stretta e salì le scale senza voltarsi indietro. La seguii con lo sguardo fino a quando non la vidi sparire e una morsa mi strinse il cuore. Stavo facendo andare via tutti per puro egoismo e, ancora una volta, mi avrebbero seguito in quella pazzia. Davvero non mi ero mai reso conto di quanto la mia famiglia mi amasse.
-E’ ora di raggiungere Bella-. Mormorai tra me e me, sentendo un nodo di dolore stringermi il petto.
Ma come faceva il tempo a passare così in fretta senza che potessi accorgermene? Era merito di Bella se ora i minuti non mi sembravano più così interminabili. Sorrisi afferrando al volo una giacca in camera mia e correndo subito ad accendere la mia Volvo. Cosa le avrei detto quella sera? Che scusa avrei trovato per non rimanere? Dovevo ancora parlare con Esme e Carlisle della cosa. Mi diressi sovrappensiero verso casa Swan. Vedere Bella in un certo senso mi metteva una sorta di pace dentro. Davvero non l’avrei più vista… il suo viso imbronciato, i suoi occhi nocciola e sinceri, le sue labbra piene, il suo corpo morbido e caldo. Il solo pensiero di non averla più mi faceva stare male.
-Ahhhh… Edward tu sei matto-. Mormorai a me stesso scoppiando improvvisamente a ridere. Solo un folle avrebbe potuto prendere una decisione simile. Un folle innamorato, ma pur sempre un folle. Fermai l’auto proprio di fronte alla villa e notai subito l’assenza di Bella. L’avrei aspettata dentro, con Charlie, calandomi perfettamente nel ruolo di uomo freddo e indifferente. Ci stavo prendendo gusto a fare quella parte, forse mi calzava meglio del principe senza macchia e senza paura. Scesi  e suonai il campanello, aspettando che l’ispettore Swan mi venisse ad aprire.
-Ah, sei tu Edward. Vieni ragazzo-. Mi disse non appena aprì il gancio della porta. Sorrisi amabilmente e accettai volentieri l’invito. Mi fece segno di sedermi sulla poltrona per aspettare Bella e io sospirai. L’ennesima tortura, il suo profumo era ovunque in casa sua. Era come fare un’immersione di lei prima del momento dell’abbandono.
-C’è la partita stasera-. Commentò Charlie di fronte alla tv. Mi sedetti e non fiatai, fingendo di essere immerso nella partita. Lui sembrò soddisfatto e insieme ci mettemmo a fare il tifo come due tifosi sfegatati. In fondo non era così diverso quando a casa ci mettevamo a guardare partite di baseball davanti alla tv. Anzi Emm era più animale dell’ispettore Swan. Ridacchiai di quel pensiero.
-Bella è in ritardo-. Osservò poi mettendomi in pensiero. Sperai arrivasse subito altrimenti la sarei andato a cercare in capo al mondo. Possibile che dovesse sempre cacciarsi in qualche guaio? Maledizione.


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Capitolo 11
*** La mia parte ***



E ci siamo anche qui... per oggi ho aggiornato tutto. Questa fic mi costa più fatica, perchè per quanto mi riguarda è la più difficile. Immedesimarsi in Edward non è così impossibile, ma inventare un mondo in cui farlo interagire, che non è quello di Bella ovviamente, è più complesso. E' normale che sia così. Allora... ci siamo quasi, interromperò il capitolo poco prima del momento dell'abbandono, anzi "mentre", oserei dire. Perciò dal prossimo capitolo ci saranno vari cambiamenti tra cui la solitudine di Edward e il suo dolore. Quello che volevo fare era mostrare la sua vita ad ottobre, novembre e dicembre, senza rimanere in assoluto silenzio. Vedremo se sarà così. Non so.
Ringrazio le persone che hanno commentato, sono felice che il capitolo vi sia "piaciuto",, e anche Annamaria (red apple) che ha commentato positivamente Mid Sun, mi ha fatto piacere. Capisco che da ora in poi la storia sarà più dura, io comunque andrò avanti. Sarà una vera avventura. Spero che ci sarete, anche in silenzio, chissà... Malia


La mia parte.

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Quando la sentii entrare in casa un fremito mi percorse. Era difficile controllare le mie emozioni quando il suo profumo mi avvolgeva così dolcemente, mi tentava. Impossibile rimanere impassibile, ero pazzo di lei.
-Papà? Edward?-. Disse cercandoci. Al suono del mio nome il primo istinto fu quello di girarmi e correre da lei, ma irrigidii il mio corpo e mi imposi di guardare la partita.
-Siamo qui!-. Rispose Chiarlie dal salotto. Continuai imperterrito nella mia farsa, stringendo le labbra e non dando segni di vita. Finsi di essere così interessato alla partita da non essermi accorto di lei. Che assurdità…
La sentii dietro di me, la sua fragranza era così dolce che la sola idea di non goderne più mi uccideva, mi faceva sentire vuoto. Ero niente senza di lei, niente.
-Ciao-. La udii sussurrare, la voce tremante. Era per me lo sapevo, quel mormorio intenso e disperato era solo per me. Lo ignorai, continuando a fissare lo schermo, e trovai la forza in me stesso per non girarmi e accarezzarle una guancia, darle il bentornato a casa.
-Ciao, Bella. Ci sono degli avanzi di pizza. Dovrebbero essere ancora sul tavolo-. Fece Charlie ridendo e continuando a guardare la tv proprio come me. Bella sussultò, sorpresa dalla mia freddezza, e io mi maledii. Dovevo essere freddo, senza cuore, doveva capire che le cose sarebbero cambiate.
-Grazie-. Bisbigliò ancora, lanciandomi un’ultima occhiata sorpresa e dirigendosi verso la cucina. Dio mio, che dolore! Abbassai la testa guardando il maglioncino blu cobalto che indossava sopra un paio di jeans chiari. Si era cambiata, mi piaceva da impazzire. Volevo abbracciarla.
-Ti raggiungo subito-. Le dissi atono, mordendomi la lingua per non rischiare di cedere. Ma come avrei fatto? Come… sospirai alzandomi in piedi e guardando l’ispettore Swan con sguardo complice.
-Le donne…-. Borbottò lui facendo spallucce e mettendosi in bocca dei salatini. Già… le donne… sua figlia soprattutto. Mi portai le mani nelle tasche e aggrottai la fronte.
-Più dai loro tempo, più ti prendono tempo-. Risposi scuotendo la testa esasperato e osservando ancora lo schermo. Charlie alzò la lattina di birra alla mia salute e ingoiò annuendo convinto.
-Hai detto bene ragazzo-. Commentò, facendomi ghignare divertito. Sbottai a ridere, nascondendo il mio dolore, e poi mi decisi a raggiungerla. Sapevo che aveva sentito tutto. Mi voltai, dirigendomi, in cucina e la vidi seduta, le ginocchia al petto, gli occhi vuoti e le lacrime a rigarle le guance.
Portai una mano sullo stipite e mi sentii soffocare. Dovevo andarmene prima di cadere in ginocchio di fronte a lei e implorare il suo perdono. Tornai in fretta in salone, rimettendomi seduto sulla poltrona, e Charlie mi porse i salatini senza fare domande. Al diavolo… quella sera decisi di essere masochista fino in fondo. Ne presi una manciata e inghiottii, sentendo quella mondezza farmi rivoltare lo stomaco. Era la giusta punizione per aver fatto soffrire il mio cerbiattino, meritavo questo e altro.
-Buoni eh?-. Commentò Charlie facendomi sorridere. Una prelibatezza… sentii la mia pancia rigettare quelle schifezze e la nausea invadermi ad ondate.
-Squisiti-. Risposi tranquillo continuando a fissare la tv. Bella salì le scale barcollante, la sentii chiaramente, e riscese per fermarsi appena dietro la porta a guardare me. E io ero lì, a pochi centimetri da lei, ma lontano ormai. Troppo lontano perché potesse afferrarmi…
La ignorai, facendo finta di non averla vista, e i suoi occhi si inumidirono ancora. Quando mi scattò una foto rimasi impassibile e mi sembrò quasi di sentire il suo cuore infrangersi, cozzare e farsi in mille pezzi. Era giusto così… doveva prepararsi al peggio.
Mi voltai insieme a suo padre ed entrambi la guardammo con la fronte aggrottata.
-Cosa fai Bella?-. Si lamentò l’ispettore fissandola stupito. Lei, il suo volto, i suoi occhi, la sua tristezza… rideva, ma stava piangendo. E io lo sentivo così chiaramente, lo percepivo. Mi chiamava e mi chiedeva il perché le stessi facendo questo. Ma Bella non avrebbe potuto capire, lei era troppo indifesa, troppo innocente.
Ci fu uno scambio di battute divertito tra padre e figlia, ma io… io dov’ero? Guardavo solo lei che evitava di incontrare i miei occhi, che evitava di mostrarmi chiaramente quanto le stessi facendo male.
-Dai, Edward-. Mi chiamò improvvisamente, la voce leggera e indifferente. –Fanne una a me e a papà-. L’avevo sempre detto, era un pessima attrice. Ancora non mi guardava, non riusciva a farlo. Mi lanciò la macchina fotografica, inginocchiandosi vicino a suo padre e  tentando di sorridere.
Il silenzio calò improvvisamente, scendendo su di me e stringendo il mio cuore in una morsa feroce. Il viso di Bella era sofferente, era morta qualsiasi traccia di vitalità su quel volto che io amavo.
-Devi sorridere, Bella-. Le intimai cercando di non sentirmi un idiota. Era colpa mia, era a causa mia che lei stava soffrendo così. Chiusi gli occhi scattando la foto e mi sentii un verme.
-Okay, adesso tocca a voi-. Sentii Charlie dire, tranquillo. Gli passai la macchinetta, fingendo un’indifferenza che non provavo affatto. Ero felice… stupidamente e scioccamente felice perché avrei avuto un momento per sfiorarla ancora, per averla ancora vicina. Bella si spostò al mio fianco e i nostri corpi si sfiorarono. La vidi arrossire, ma si ostinava a non incontrare i miei occhi. Le circondai gentilmente le spalle con un braccio, attirandola a me, e mi sconvolse il modo in cui mi strinse la vita. Sembrava supplicarmi di rimanerle vicino. Appoggiò la testa contro il mio torace come se si fosse trattato di vita o di morte e io nascosi il mio profondo turbamento.
-Sorridi, Bella-. Ribadì Charlie scattando quella maledetta foto. I nostri corpi si cercarono ancora, vicini, e io sentii il mio gridare di tenerezza. Volevo un abbraccio, anche solo una carezza, ma ignorai quel bisogno e mi feci da parte risedendomi sulla poltrona.
La mia mente era ormai chiusa in se stessa. Ero certo di aver sentito delle parole, forse una conversazione, ma tutto rimbombava nella mia mente senza senso. Fissai il mio sguardo sulla televisione nonostante non fossi affatto lì e sentii chiaramente lo sguardo di Bella posarsi su di me e rimanervi per tutto il tempo. Fingevo un interesse meschino per un programma idiota quando in realtà avrei voluto solo cullarla tra le mie braccia. Strinsi le mani a pugno fino a farmi male.
Finalmente mi alzai, deciso ad andarmene, e salutai in modo cordiale. Dovevo affrontare ancora Carlisle ed Esme… era il momento.
-E’ ora di rientrare-. Dissi tranquillo facendo un segno di saluto educato a Charlie.
-Ciao, ciao-. Balbettò lui troppo preso per curarsi di me.
Mi diressi verso l’uscita, ignorando lo sguardo distrutto di Bella, e aprii la porta senza nemmeno guardarla. Uscii, dritto verso la mia auto, e lei mi inseguì per un breve tratto, ansimante.
-Non rimani?-. Mormorò col fiato corto. Avrei voluto dirle che non desideravo altro che stare con lei, perchè vederla così mi distruggeva, ma tenni tutto sigillato nel mio cuore e nemmeno mi girai.
-Stasera no-. Dissi freddo e indifferente, aprendo lo sportello e chiudendomi dentro. Misi in moto e sgommai senza neanche salutarla. Inequivocabilmente… perfetto. Vidi dallo specchietto retrovisore il suo viso addolorato, la sua mano all’altezza del petto e la pioggia cadere sui suoi vestiti senza che lei se ne accorgesse. E il colpo di grazia per entrambi non era ancora arrivato.
Parcheggiai davanti casa, sospirando e sapendo che cosa mi avrebbe atteso. Alice non poteva non aver avvertito Carlisle ed Esme della faccenda. Entrai con un magone nello stomaco e non trovai nessuno ad attendermi. Sentii i pensieri di entrambi nello studio di mio padre e mi diressi verso quella stanza. Era arrivato il momento di parlare.
-Ciao-. Dissi sulla porta facendo alzare lo sguardo ad entrambi. Erano preoccupati per me, era chiaro. Non avevo bisogno di leggere nelle loro menti per capirlo.
-Edward…-. Iniziò Esme sospirando e avvicinandosi a me. –Edward…-. Ripetè ancora, scuotendo la testa. Era mia madre, la donna che consideravo mia madre, perciò le parole non sarebbero servite a nulla con lei.
-Vieni qui-. Mormorò dolcemente. Mi lasciai scivolare tra le sue braccia come un bambino e mi accorsi di quanto fossi ridicolo. Quella forza che credevo di avere era soltanto una maschera. Stavo soffrendo come non avevo mai creduto di poter fare nel corso di tutta la mia esistenza. Ricordavo il dolore dei morsi di Carlisle, lo ricordavo perfettamente, e non era niente, nulla in confronto a quello che mi dava la coscienza che avrei dovuto vivere un’eternità senza Bella. Se avessi potuto piangere lo avrei fatto tra le braccia di Esme, ma mi limitai a scuotere la testa singhiozzando e dimenare i miei pensieri, che confusi, mi stavano torturando.
-Noi ti seguiremo sempre lo sai-. Sussurrò mia madre stringendomi forte. – Ma adesso mi domando se questa decisione sia giusta per te-. Continuò baciandomi teneramente il capo. Far vedere così la mia debolezza era nuovo per me, non l’avevo mai fatto, ma adesso le mie stesse scelte mi stavano schiacciando, ero disperato e senza il conforto di qualcuno non ce l’avrei mai fatta.
-Ti prego, scegli bene-. Terminò Esme accarezzandomi ancora. –Non posso vederti soffrire così. Sei il figlio che non ho mai avuto. Sei nostro figlio… Edward, per favore-. Bisbigliò avvolgendomi con le sue parole. –Possiamo tornare indietro-. Sospirò cullandomi dolcemente. Aprii gli occhi di scatto, stringendo i denti, e sentii nel mio cuore la consapevolezza che non mi sarei tirato indietro. Perché la amavo, perché lei era tutto il mio mondo, perché era giusto che fosse felice.
Mi divincolai dalla stretta di mia mamma, gentilmente, e guardai l’uomo che mi aveva fatto da padre e da amico per tanto tempo.
-Dirti che sei mio figlio è inutile, Edward. Lo sai. Dirti che mi fido di te sarebbe una bestemmia, perché lo sai. Scegli… saremo con te-. Concluse Carl breve, ma efficace come sempre. Annuii sentendo il braccio di Esme circondarmi e la sua testa abbandonarsi sul mio petto. La abbracciai ancora, ma questa volta con meno calore.
-Partiremo domani, verso sera-. Sentenziai vedendo negli occhi di mio padre un guizzo di dolore. Mi dispiaceva dare quella sofferenza alla mia famiglia, ero solo un egoista in fondo, solo un bambino, ma non potevo lasciare che Bella fosse triste a causa mia per tutta la vita. Era ingiusto, per noi vampiri non sarebbe cambiato nulla, per lei invece tutto.
-Vai pure, immagino che avrai da pensare-. Disse Carl semplicemente, seduto sulla sua scrivania. Non si era alzato, impassibile, ma io sapevo quali pensieri gli affollavano la mente, li conoscevo e mi sentii terribilmente in colpa per dargli anche altre preoccupazioni. Ma lui l’avrebbe fatto, per me l’avrebbe fatto.
Mi voltai, sentendo la morte nel cuore, e mi diressi verso la mia stanza. Mi accorsi di provare un vago senso di dolcezza nel ricordare i momenti in cui Bella era stata lì e mi faceva male pensare che avrei abbandonato tutto questo. Non l’avrei mai dimenticata, l’avrei sempre amata, ogni momento, ogni istante.
Mi alzai, andando verso la finestra, ma mi bloccai. Cosa stavo facendo? Non dovevo andare da lei, non dovevo. Passeggiai per la mia stanza, lacerato, diviso tra la voglia di guardarla dormire e rimanere a casa.
-Va da lei, vacci-. Mi dissi portandomi le mani tra i capelli. –Ne hai bisogno-.
Bella… Bella! Non c’era nient’altro che mi facesse sentire vivo. E ora? Ringhiai gettando la mia scrivania a terra come se si fosse trattato di bruscolini. Dio… Volevo rompere qualcosa, sentivo il bisogno di spaccare tutto. Dovevo calmarmi. Respirai piano e tentai di soffocare la mia furia.
-Non posso continuare così!-. Gridai afferrando uno dei miei diari e strappandolo con rabbia. Ansimai stracciando tutti quei pensieri, pensieri che mi avevano aiutato a sopravvivere. E adesso? Mi gettai con il corpo sul legno duro già a terra e lo staccai con le braccia sentendo il piacere di distruggere entrarmi nelle vene.
-Senza di te io… non ce la faccio-. Mormorai fermandomi a pensare un momento. E ancora la tentazione di andare da lei si fece pressante, potente. Volevo stare tra le sue braccia, volevo guardarla ridere e sentirla sbuffare perché la facevo arrabbiare. Gemetti e mi abbandonai a terra. Che differenza avrei fatto io nella sua vita, Bella non era destinata a me, ma ad un altro, umano come lei, che avrebbe saputo darle figli, felicità, amore. Completamente, come io non ero capace di fare.
-Hai solo paura di farlo, solo paura-. Mi dissi alzandomi in piedi e staccando con le dita la federa del divano. Divertente… era divertente veder cadere tutto, ma tanto ormai che senso aveva la mia vita. L’ordinario e controllato Edward Cullen, il bambino prodigio con due lauree, sempre calmo, pacato, il mostro che aveva ucciso, assassinato, massacrato… si era anche innamorato. Ero innamorato. E non ne ero mai stato più consapevole. Distrussi i cuscini del divano senza pensare, solo per il gusto di sentire qualcosa disintegrarsi, lacerarsi… oltre a me.
Non ero lucido, stava succedendo qualcosa dentro di me, non ero più lucido. Mi portai una mano sulla fronte, tentando di mantenere il controllo, ma ormai non c’era più nulla da controllare. Come una bestia feroce sfondai la vetrata della mia stanza, ridendo, impazzito completamente, e sentii il bisogno di sangue farsi insistente. Magari ci sarebbe stato qualche essere umano in giro, forse qualche misera carogna umana che girava nei paraggi con la sua puzza e i suoi bollori da demente vivente… perché no. Faceva sempre gola un idiota che non sapeva che cosa fare la sera.
Mi gettai nel vuoto, iniziando a correre, sentendo l’adrenalina scorrere dentro di me. Bene, era il momento di andare a caccia. Cosa avrei cacciato di buono quella sera? Ero su di giri, dannatamente fuori di testa, e non appena me ne resi conto mi fermai di scatto, accecato dalla voglia di sangue, dalla mia disperazione. Mio Dio, ma che pensavo di fare?
Ritornai bruscamente alla realtà, consapevole della mia pazzia e mi accasciai su un tronco, malato d’amore. Ero proprio malato, un vampiro con una sofferenza cronica. Non ci voleva un medico per capire che amavo Isabella Swan e che mi costava la vita renderle la sua. Ecco il prezzo dunque… la mia esistenza per la sua. Mi domandai se avesse o meno un senso, quando ogni più piccola cosa che la riguardava dipendeva da me. I suoi sorrisi, le sue lacrime, il suo desiderio, io ero il centro di tutto. E lei per me era lo stesso.
-Sto davvero facendo la cosa giusta?-. Mormorai abbandonando la testa sull’albero, vagamente stordito. Forse sì, forse no, non capivo più nulla. Ormai avevo scelto, ero sicuro che lasciarla andare fosse la scelta migliore per lei, ma l’amore mi divorava. La desideravo solo per me, volevo che lei vivesse solo per me. Il mio piccolo dolce Bambi, il mio amore…
-Ormai sono pazzo-. Bisbigliai scoppiando a ridere e chiudendo gli occhi. Sentii l’aria fredda scuotermi i capelli e iniziai a pensare ad un modo per lasciarla. Dovevo sembrare credibile, dovevo recitare la mia parte in modo perfetto senza farle sospettare nulla. Pensai che non sarebbe stato facile, che Bella non era così sciocca da credere che da un giorno all’altro potessi non amarla più. Ma non potevo esserne certo. Così rimuginai per ore, pensando e ripensando fino a quando non si fece l’alba. Dovevo andare a scuola. Mi guardai i vestiti sporchi e tornai indietro, deciso a farla finita. Mi accorsi immediatamente dell’assenza di Carlisle ed Esme a casa. Entrai e presi il biglietto che mi avevano lasciato in salone. Erano già andati.
Ti siamo vicini col cuore.
Loro stavano rispettando le mie scelte nonostante tutto. Li ammiravo e apprezzavo per questo. Salii di nuovo nel caos della mia stanza e afferrai qualcosa da mettermi. L’avrei rivista, l’ ultima volta, ma l’avrei rivista almeno. Quel giorno fui del tutto assente, cercai più volte l’occasione per prendere il coraggio di lasciarla, ma non riuscii a farlo. Il silenzio si faceva sempre più opprimente e la sensazione che quel momento stesse per arrivare schiacciante per entrambi. Trascorsi la notte lontano da lei, cacciando, e imponendo alla mia mente pensieri tranquilli, pensieri che avrebbero potuto rendermi un po’ di serenità. Ma solo ripensare allo sguardo vacuo e terrorizzato di Bella mi angustiava. Anche lei sentiva ciò che sarebbe successo, non era sciocca. Ma non parlava, non diceva nulla. E l’ennesimo giorno passò spalla contro spalla… nessuno dei due ebbe il coraggio di parlare con l’altro. Uscimmo a fine lezione, andando verso il parcheggio della scuola, sempre in silenzio e io la fissai, deciso a dirle qualcosa. Bella fece lo stesso, tremante, si torturava le mani, ma fui io a precederla.
-Ti dispiace se vengo da te, oggi?-. Le dissi atono, senza espressione. Lei scosse la testa, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Sembravamo due perfetti sconosciuti.
-Certo che no-. Rispose nervosa. La guardai attento, notando il suo palese tremore. Era arrivato il momento, lo sentivo.
-Adesso?-. Continuai sapendo cosa mi avrebbe risposto. Le aprii lo sportello gentilmente e lei si infilò dentro, maldestra come sempre.
-Certo-. Concluse con voce flebile e timorosa. -Prima però passo a spedire una lettera a Renée. Ci vediamo a casa-. Mormorò, tornando sui suoi passi.
Presi il pacchetto che stava guardando e prima che potesse pensare o dire qualcosa mi offrii di farlo io al suo posto. Mi sorrise in modo tirato.
–Ci penso io. E vedrai che arriverò per primo-. Tentai di sorridere, ma non ci riuscii. Ormai non avevo nulla per cui ridere ancora. Dentro di me ero già morto.
-D’accordo-. Rispose senza guardarmi. Chiuse la portiera e mise in moto. Guardai il suo pick-up uscire dal parcheggio della scuola e lo sentii forte dentro di me: era l’ultima volta che la vedevo in quella piazza, di fronte all’edificio che ci aveva fatti incontrare. Rimasi fermo con il pacchetto in mano, soppesandolo a lungo, e poi mi decisi. Dovevo anche andare a casa di Bella, nella sua stanza, per toglierle tutto quello che mi riguardava. Tutto, ogni cosa, non doveva rimanere traccia della mia esistenza. Doveva essere come se fossi stato solamente un incubo per lei.
Mi affrettai, spedendo il pacco e parcheggiando di fronte casa Swan. Il mio cerbiattino non era ancora arrivata per fortuna. Perfetto, avevo altro tempo a disposizione. Mi arrampicai nella sua stanza e trovai immediatamente tutto ciò che mi riguardava.
Le tolsi ogni cosa. Il cd che le avevo regalato per il suo compleanno, ogni foto dove anche io ero presente, persino il peluche a cui lei aveva dato il mio stesso nome. Guardai per un attimo le fotografie e rimasi immobile di fronte a quella che avevamo fatto insieme. Era tagliata. C’ero solamente io, mentre lei no. Perché? Non capii.
Mi voltai non appena sentii il rumore del pick-up e misi in fretta tutto in ordine. Scesi velocemente nascondendo tutto nella mia volvo e la aspettai seduto nell’auto, come se fossi appena arrivato, con un’espressione imperscrutabile sul viso.
La raggiunsi non appena scese da quel rottame e le afferrai la cartella. Un gesto che facevo sempre, un gesto molto dolce. Le portavo lo zaino dentro casa, ma questa volta sarebbe stato diverso. Lo gettai sul sedile e lei mi guardò come se avessi osato stracciarglielo davanti agli occhi.
-Facciamo una passeggiata-. Le proposi, agitato, afferrandole la mano. Sentii immediatamente il calore della sua pelle e un brivido mi percorse. Non avrei dovuto toccarla. Chiusi gli occhi inspirando, percependo il profumo dei suoi capelli, del suo corpo, e me li impressi nella mia mente. Strinsi maggiormente le sue dita e godetti di quella sensazione. L’avrei marchiata dentro di me per sempre. Camminai, sperando che lei mi seguisse. Inizialmente fece un po’ di resistenza, ma poi mi seguì, il capo chino, come un animale ferito. Era arrivato il momento in cui l’avrei distrutta e avrei ucciso me stesso. Mi sentivo soffocare dall’angoscia. Passo dopo passo mi accorsi di non volere fermarmi, ma dovevo, e così strinsi ancora una volta la sua mano, dolcemente, per farmi forza, e poi la lasciai. Eravamo appena sotto gli alberi. Mi voltai verso di lei, guardandola negli occhi, amandola segretamente come non avevo mai fatto e presi quel coraggio che mi mancava dall’unica fonte che mi avrebbe dato la forza per abbandonarla: me stesso.
-Bene, parliamo-. Fece portando le braccia lungo i fianchi. La sua voce era sicura, forse nervosa, ma decisa. E io la ammirai. Dentro di lei sapeva la risposta, dentro di lei tutto era già chiaro. E così era anche per me. Ma affrontarlo sarebbe stato diverso. Tutto diverso…





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Capitolo 12
*** Fine ***




Eccomi... oggi è una giornata triste per me e ho detto: "Perchè non scrivere Nadir?" Da domani inizia la mia agonia pre-esame perciò... chiudiamo in bellezza. Respiro profondo. Vi dirò... è stato terribile. Io non so se voi proverete quello che ho provato io, ma diventando Edward ho capito molte cose di me. E' strano, ma forse non siamo poi così diversi io e lui. Soprattutto in questo capitolo che racchiude anche qualcosa di me. Sono felice dei commenti, vi dirò, è bello sapere che qualche "leone pazzo e masochista" c'è ancora a voler affrontare la sofferenza di new moon con Edward. Stringiamoci vicine, vicine... mh?  Mi sono commossa a leggere quello che mi avete scritto, sono riuscita a emozionarvi, a farvi stare male con Edward e io spero di riuscire a trasmettervi ancora qualcosa. Veramente... prendete i fazzolettini. non me ne vogliate se ho aggiornato così presto per favore.
Per nik81: ti rispondo personalmente perchè mi hai fatto una domanda. Ho promesso, e manterrò la mia promessa, se voi vorrete ovviamente, che io scriverò tutta la serie dal punto di vista di Edward. Ho scritto Midnight Sun, ora Nadir, e poi gli ultimi due, di cui ancora non so il titolo, ma che saranno rispettivamente Eclipse e BD (accorcio). Perciò... dovrete sorbirvi tante cose... tante tante... ancora. E per adesso questo dolore. Mi dispiace tantissimo.
Volevo ringraziare anche chi legge in silenzio, come sempre so che comunque segue la fic con interesse. GRAZIE! Malia



Fine.

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Una foglia morente, cade lenta e si posa sul terreno. Non c’è nessuno schianto, nessun rumore. Non c’è niente che possa farne sentire il dolore acuto che la attraversa poco prima di spirare. Mi domando se la morte sia così. La bella morte… guardo il paesaggio circostante e mi ricordo il giorno in cui ho perso la mia anima. Era una giornata fredda e guardavo il paesaggio affascinato come un bambino. I miei occhi… la mia pelle… il mio dolore. Sapevo di dover morire e non provavo nulla. E ora… morte, amica mia, mia dolce amante, amami. Con te faccio l’amore ogni notte, per cento anni non ho fatto altro che unirmi a te nel desiderio di non vedere più tutto questo nulla… e adesso che i miei occhi vedono la luce, adesso, che i miei occhi la possono guardare, che le mie mani la possono toccare, ora… adesso… tu mi togli e strappi dal petto l’unico ricordo che mi rende ancora umano, l’unica meraviglia che mi rende quello che sono. L’amore.

-Bella, stiamo per andarcene-. Mormorai tranquillo, lo sguardo perso nel vuoto. Il suo mento si alzò lentamente, il suo viso incontrò docilmente il mio, vuoto, spento. Respirò e un guizzo di consapevolezza attraversò il suo sguardo sperduto e vacuo.
-Perché proprio adesso?-. Fece confusa. Le labbra iniziarono a tremarle e io vidi i suoi occhi nocciola scurirsi e inondarsi di tristezza. –Ancora un anno…-. Sussurrò alzando una mano come per trovare un senso alle mie parole. Distese il palmo in alto, come a voler iniziare una discussione, e io sorrisi nella mia mente. Non c’era nulla da discutere, era già stato tutto deciso.
-Bella, è il momento giusto. Per quanto tempo credi che potremmo restare ancora a Forks? Carlisle dimostra a malapena trent'anni e già ne deve dichiarare trentatré. Comunque vada, non passerà molto tempo prima che ci tocchi ricominciare da capo-. Mi stupii di me stesso, o forse no, la mia calma, la mia tranquillità. In fondo ero sempre stato bravo in questo, un fuoriclasse a nascondere ciò che mi faceva male, ciò che mi schiacciava e mi lasciava senza respiro.
La guardai, deciso a farle capire che era finita, che non mi avrebbe più rivisto, che era ora di terminare tutto, di chiudere. Bella non capì. Mi guardò confusa, i suoi occhi vagavano sul terreno e su di me, agitati, inquieti come quelli di un animale ferito. E io… io dov’ero?
-Hai detto stiamo…-. Mormorò Bella, finalmente consapevole. Tornò a guardarmi e deglutì a vuoto, tentando di contenere il fremito del suo corpo e delle sue parole.
Sì, amore mio.
-Intendo… la mia famiglia… e me-. Conclusi scandendo bene ogni parola. Non lasciai il suo sguardo, scandii il movimento delle mie labbra in modo che la sua anima venisse distrutta, in modo da non poter tornare indietro. Scosse la testa, la ciondolò avanti e indietro, cercando forse di scacciare quella consapevolezza, tentando, ma invano. E io rimasi, lì, immobile, senza dare segni di vita. Ed era giusto così, perché così doveva essere.
-Okay-. Fece all’improvviso, avvicinandosi di un passo. –Verrò con te-. Terminò decisa.
La guardai attonito, nascondendo il mio stupore. I suoi occhi nocciola non diedero segni di cedimento. Lei voleva me, mi voleva più di ogni altra cosa. Non c’era altro per lei… lo lessi nel suo cuore, non c’era bisogno di leggerle nella mente per percepirlo.
Chiusi per un attimo le palpebre, mantenendo un fermo controllo su me stesso. Dovevo dimenticare… dimenticare… dimenticare… come se fosse stato possibile.
-Non puoi, Bella. Dove stiamo andando... non è il posto adatto a te-. Le risposi, freddo, senza ammettere repliche. Mi portai le mani nelle tasche, ignorando il sentimento di dolore che mi colse. Lo stavo attendendo con ansia e ora era arrivato. Mi avrebbe trascinato via, nella sofferenza, ma ormai avevo scelto. E non potevo tornare indietro.
-Il mio posto è dove sei tu!-. Urlò istintivamente portando una mano sul mio braccio. Vidi i suoi occhi disperarsi, le sue iridi cadere e infrangersi come cristalli. Mi sembrò di sentire il suo cuore tra le mie mani, batteva in modo sempre più flebile, sempre di più. Stava morendo.
-Non sono… la persona giusta per te Bella-. Stentai. Per un momento le parole si rifiutarono di uscire dalle mie labbra, ma furono i miei sentimenti a venirmi in aiuto. La amavo, la amavo sopra ogni cosa e le donavo la libertà. La guardai, sì, la guardai, non come una persona qualunque, ma come l’amore che avrei sempre rimpianto, come l’emozione che mai più avrei afferrato. Ma dovevo cancellare per un attimo dalla mia mente il mio egoismo, la mia brama e il mio feroce desiderio.
-Non essere ridicolo-. Mi strattonò la manica, cercando di attirarmi verso di sè, ma rimasi immobile, rigido ed irremovibile. -Sei la cosa migliore che mi sia capitata, davvero-. La sua rabbia divenne la mia. Non doveva farlo, non doveva insistere, ma capire e ascoltarmi. Non la volevo più…
-Il mio mondo non è fatto per te-. Bisbigliai trattenendo il respiro. Ora un dolore più intenso aveva iniziato ad invadermi il torace, era come se qualcuno mi stesse colpendo ripetutamente al cuore con una lama affilata. Mi sentivo lacerare la carne e tormentare l’anima con tizzoni ardenti. Eppure io avrei dovuto essere solo ghiaccio, solo un corpo morto, non avrei dovuto sentire nulla.
-Ma ciò che è successo con Jasper... non conta niente, Edward... niente!-. Gridò ancora afferrandomi nuovamente la mano. Socchiusi le palpebre e un ghigno sarcastico si impresse sul mio viso. Era arrivato il momento di disilluderla completamente. Ero stanco, esausto… dovevo fare qualcosa per mettere fine a quella sofferenza prima di cedere definitivamente, prima di crollare di fronte a lei.
-Hai ragione-. Feci sarcastico, divincolandomi dalla sua stretta e riportando la mia mano nella tasca. Quel tocco mi aveva fatto fremere e mi aveva scaldato il cuore. Non dovevo permetterle di toccarmi.
-Semplicemente… un gesto prevedibile-. Conclusi ironico, scuotendo leggermente la testa. La guardai di nuovo, immergendomi nei suoi occhi, e questa volta fui tagliente, gelido e privo di umanità.
-L'hai promesso! A Phoenix hai promesso di rimanere...-. Gridò ancora cercando le mie mani, cercando un contatto con il mio corpo. Feci appena un passo indietro, fulminandola con gli occhi. Non dovevo lasciarmi avvolgere da lei…
-Fino a quando fosse stata la cosa migliore per te-. Sussurrai cercando di nascondere la mia disperazione, ma stava diventando sempre più difficile. Era impossibile ignorare le sue grida, il suo amore. Ansimai, scuotendo la testa e digrignando i denti di fronte a lei.
-NO! Non dirmi che il problema è la mia anima!-. Urlò, e la sua voce rimbombò nel silenzio della foresta. –No!-. Sentii l’eco infrangersi dentro di me e la parola anima macchiarmi di un marchio indelebile che non se ne sarebbe mai andato. Mi afferrò per un gomito e si alzò in punta di piedi guardandomi negli occhi.
-Carlisle mi ha detto tutto, ma non m'interessa, Edward. Non m'interessa!-. Ancora un grido, angosciante, straziante, che distrusse il mio cuore e lo fece esplodere in mille pezzi. A lei forse no, ma a me sì. Per me la sua anima era tutto e non sarei stato io a condannarla, non sarei stato io a uccidere quello che era. Non sarei riuscito a perdonarmelo. Un groppo mi chiuse la gola quando lei si allontanò furiosamente da me. Era arrabbiata, perché io non avevo reagito, continuavo a guardarla a malapena, i miei occhi erano lontani, privi di qualsiasi espressione. Ormai non ero più lì, ormai non c’era modo per farmi tornare indietro. Per lei, solo per lei.
-Prenditi pure la mia di anima. Senza te non mi serve: è già tua!-. Ansimò senza ossigeno, allungando le mani verso di me e porgendomi il suo spirito. Le sua dita morbide, tenere, il suo sangue bollente come un fiume in piena… era solo un piccolo cerbiattino che non aveva coscienza di ciò che stava facendo. Non potevo farlo, non avevo diritto di prendere ciò che non era mio. Non l’avrei fatto. Fissai le sue dita, immobili, ma tremanti, sporgersi verso di me e pregarmi, supplicare il mio amore. E ancora una volta calpestai quell’affetto…
Abbassai gli occhi, prendendo la forza per ucciderla e ricordai a me stesso che gli esseri umani erano creature in grado di dimenticare qualsiasi sofferenza. Bella mi avrebbe dimenticato e sarebbe stata felice.
-Bella, non voglio che tu venga con me-. Dissi finalmente, puntando gli occhi nei suoi. Dio, basta… non potevo vederla in quello stato. Sgranò le palpebre, colpita da una pugnalata, e si portò una mano al petto, stringendosi il giacchetto all’altezza del cuore. Sentii i suoi battiti accelerare e la tachicardia farle girare la testa. Per un attimo fui scosso dal timore che sarebbe svenuta, ma incredibilmente mantenne la calma e ricambiò il mio sguardo con un tale amore che mi sentii un verme. Amore… solo amore…
-Tu… non… mi… vuoi?-. Balbettò ingoiando la saliva e fremendo di coscienza. Era ora… finalmente.
-No…-. Feci imperscrutabile, sentendo l’aria tra noi cadere e sbriciolarsi nella polvere, la stessa che ci avrebbe soffocato entrambi se non avessimo fatto qualcosa. Stavo morendo… forse stavo morendo…

Che cos’è la morte, se non un sonno perenne, se non un momento in cui poter dire “pace”. Io a volte ci penso, mamma, a volte penso al tuo viso e guardo il tuo volto morire stanco e lasciarmi da solo. A volte… sai… vorrei che questo paesaggio, questo mondo, questo posto così grande riuscisse a sopprimere questo senso di solitudine che sento dentro. Questo dolore accecante che non vuole lasciarmi andare… e ora è più forte… sempre più forte… mi trascina già, fino alla fine. Una fine senza fine.

-Bè, questo cambia le cose-. Mormorò, gli occhi lucidi, le braccia lungo i fianchi. La fissai, maligno e predatore. Non c’era più niente nel mio sguardo a cui lei potesse aggrapparsi. Niente più dolcezza, niente più tenerezza, niente più amore. Vuoto, niente, buio, oscurità e mostruosità.
-Ovviamente, a modo mio, ti amerò sempre. Ma quel che è successo l'altra sera mi ha fatto capire che è ora di cambiare. Vedi, sono... stanco di fingere un'identità che non è mia, Bella. Non sono un essere umano-. Sussurrai fingendo sincerità. L’avrei sempre amata, sempre… nulla sarebbe cambiato nella mia anima. Mi stavo dimostrando veramente per quello che ero: un mostro. E io pretendevo davvero il suo amore? Io… la sua dolcezza? Io… ma chi ero io? Non ero nessuno e mai lo sarei stato, perché essere un vampiro faceva di me l’essere più infimo, un assassino, che non poteva amare, non poteva… perché sarebbe stato sciocco credere che qualcuno potesse scegliere di togliere la vita, togliere l’anima per amore. No, quello sarebbe stato insulso egoismo. Ma io l’amavo, io l’amavo veramente. L’amavo.
-Ho aspettato troppo, e ti chiedo scusa-. Conclusi la mia arringa con una sorta di dolcezza, mista a tenerezza. Come se l’avessi sempre considerata una stupida, come se mi fossi sempre sentito superiore a lei.
-No… no… non farlo-. Iniziò lei portando un braccio a mezz’aria e aggrappandosi all’umidità fredda e pungente. –Non farlo…-. Ripetè, respirando a fatica. Tentò di afferrarmi, ma io mi scostai, lasciando che le sue gambe fremessero e che il suo cuore si fermasse per alcuni istanti. La fine…
-Tu non sei la persona giusta per me, Bella-. Decisi, dandole il colpo di grazia. La sua schiena si appoggiò al tronco appena dietro di lei e il suo petto sussultò senza fiato. Il mio piccolo Bambi chiuse gli occhi, e scivolò con le mani lungo l’albero, inerme, troppo stanca, sconvolta, per dire o fare qualsiasi cosa che non fosse piangere. Pregai, pregai il cielo che non lo facesse di fronte a me, perché altrimenti non avrei più risposto di me stesso. La sofferenza mi stava gettando in uno sconforto mortale che non avrei mai immaginato di possedere e mi stringeva la gola in una morsa d’amore e sensi di colpa. Ma perché… ? Perché non potevo amarla come un essere umano?
-Se… se ne sei certo-. Balbettò a fatica, guardando in basso, cercando forse di trarre forza dal terreno duro che poteva sostenerla. Dolce amore della mia vita… se fosse esistita una soluzione migliore di quella per farla vivere, per farla sorridere, io l’avrei sicuramente trovata, ma non c’era, perché il problema ero io. Ero io che non ero nato per poterla amare, che non ero degno di quell’amore.
Annuii lento, senza rispondere. Non avevo più voce. Rimasi in silenzio, trascinando quei momenti dentro di me. Gli ultimi… per l’eternità. Dovevo fare un ultimo sforzo, non potevo lasciarla così, senza strapparle almeno una promessa. Sarebbe stata sola, indifesa, non ci sarebbe stato nessuno vicino a lei e io volevo assolutamente che fosse al sicuro.
-Vorrei chiederti un favore, però, se non è troppo-. Le chiesi sottovoce, avvicinandomi improvvisamente di un passo. Il suo profumo… che dolce. Inspirai forte, sentendo la sua fragranza forte scorrere dentro di me e torturarmi di piacere.
-Tutto quello che vuoi-. Rispose flebilmente, forse cercando di capacitarsi di quello che stava succedendo. Il suo odore mi stordì e per un attimo dovetti stringere la mascella per non darle a vedere la sensazione che mi aveva dato quella delicatezza. Sapere che avrei sentito per l’ultima volta il suo profumo non mi aiutava, anzi… mi faceva desiderare di più, molto di più. E non ci riuscii, la maschera fredda ed indifferente crollò, lasciando il posto al ragazzo innamorato, lasciando spazio all’amore potente ed intenso che provavo dentro di me e che mi stava accecando.
-Non fare niente di insensato o stupido-. La pregai, la voce di nuovo calda e avvolgente. No! No! Non potevo fare così, non potevo cedere e fare in modo che lei capisse. Che stupido… - Capisci cosa intendo?-. Mormorai alzando leggermente il braccio, come a volerla abbracciare. Mi fermai, rendendomi conto di quello che stavo facendo, e mi maledii.
Chiusi gli occhi tentando ancora di riprendere il controllo su di me, cercando ancora quella forza che mi aveva spinto a volerla lasciare. E i miei pensieri tornarono alla sua libertà, alla sua anima che, candida e innocente, meritava una vita migliore di quella che io potevo offrirle.
-Ovviamente penso a Charlie. Ha bisogno di te. Stai attenta a ciò che combini... fallo per lui-. Continuai tornando freddo ed indifferente. Quando riaprii le palpebre non ero più io. Ormai non avrei più ceduto, ormai non sarei mai più tornato indietro.
-Lo farò-. Rispose lei, atona. Non aveva notato nulla per fortuna. La fissai, consapevole che le sue parole fossero ormai solo sussurri increduli e che la sua mente ancora faticava a prendere consapevolezza di ciò che stava succedendo. Eppure era così, per quanto potesse e volesse rifiutarlo, non mi avrebbe mai più visto. Ma la sua promessa mi rincuorò e mi rilassai.
Era il momento…
-In cambio, ti faccio anch'io una promessa. Prometto che è l'ultima volta che mi vedi. Non tornerò. Non ti costringerò mai più ad affrontare una situazione come questa. Proseguirai la tua vita senza nessuna interferenza da parte mia. Sarà come se non fossi mai esistito-. Terminai, osservando il suo viso alzarsi di nuovo verso il mio, e i suoi occhi ancora pieni di amore, di speranza, cercare un senso alle mie parole. Un senso che probabilmente non avrebbero trovato… ma ero certo, sicuro che presto o tardi me ne sarebbe stata grata. Forse ora era difficile per lei capire, ma quando sarebbe tornata alla vita tutto avrebbe avuto un nuovo significato.
-Non preoccuparti. Sei un essere umano... la tua memoria è poco più che un colino. Il tempo guarisce tutte le vostre ferite-. Continuai, sentendo la terra crollare sotto i miei piedi. Mi avrebbe dimenticato, avrebbe amato un altro, io non sarei mai stato il suo amore, ma solo un vago ricordo di un incubo, un essere demoniaco e crudele, morto. E qualcuno l’avrebbe avuta al posto mio…
-E i… tuoi ricordi?-. Ansimò, immergendo i suoi occhi nei miei. Rimasi in silenzio, guardandola barcollare e alzarsi con le sue ultime forze.
-Bè, non dimenticherò. Ma a quelli come me... basta poco per trovare una distrazione-. Sorrisi divertito, vedendo il suo sguardo rabbuiarsi e i suoi denti mordere le sue labbra dolci con dolore. Sì, ero un vampiro in fondo, se avessi voluto avrei potuto avere qualunque donna, qualunque diversivo. Ma… in ogni gesto, in ogni respiro, in ogni donna io avrei visto solo lei, non sarei mai riuscito a cancellarla. Bella mi aveva segnato e io sarei stato solo suo, perché lei era la mia anima e io sarei rimasto lì, dentro quel piccolo corpo da umana, a dormire come un bambino sperando in una carezza.
-Tutto qui, credo. Non ti daremo più fastidio-. Dissi infine, imprimendomi nella mente i particolari del suo viso. Volevo ricordare, anche quella sofferenza, anche quel momento, tutto quello che poteva farmi ripensare ad ogni istante, ogni più piccolo secondo che avevo trascorso con lei, perché per me, solo per me, sarebbe valso la sopravvivenza eterna.
Bella aprì la bocca, come per dire qualcosa, ma io la precedetti.
-Alice non tornerà-. Sottolineai ancora, dandole l’ennesimo dispiacere. - No. Se ne sono andati tutti. Io sono rimasto soltanto per poterti salutare-. Bisbigliai sentendo il nostro legame affievolirsi. Ero lontano, troppo lontano… avrei voluto dirle ti amo, solo una volta ancora, ma sapevo di non potere e mi limitai ad uno sguardo d’amore, che lei non notò, concentrata sul proprio respiro.
-Alice se n'è andata?-. Mormorò stringendo i denti e soffocando un gemito incredulo. Non c’era veramente più nessuno, qualunque cosa avesse cercato non avrebbe trovato più nulla, niente.
-Voleva salutarti anche lei, ma l'ho convinta che un taglio netto sarebbe stato per te meno doloroso-. Conclusi atono. Bravo, perfetto… e bugiardo. Un attore nato. In fondo non avevo difetti, no? Un maestro anche nel fare del male all’unica creatura che mi aveva mai fatto battere il cuore. Che ironia della sorte…
-Addio, Bella-. Sussurrai con la voce tranquilla e pacifica di chi avrebbe vissuto una vita serena e senza problemi. Non potevo più sperare, non potevo più vivere. Ero veramente morto, lo sentivo dentro. Stava tornando quel vuoto a inghiottirmi, a non farmi provare più nulla. Ricordavo bene quei giorni di assenza, li ricordavo con un tale dolore che mi ritrovai oppresso dalle mie stesse emozioni. Schiacciato da me stesso e dal peso dell’eternità che sarei stato costretto a vivere senza il mio amore… ma lo meritavo, io meritavo di stare male, o peggio, di non provare nulla.
-Aspetta!-. Gridò. Alzai la testa di scatto, non credendo che avesse ancora la forza per dire qualcosa. Ma il suo corpo si mosse e le sue braccia si allungarono verso di me in un chiaro gesto d’amore. No! Avevo fatto così tanto per evitare che accadesse, non poteva accogliermi, non poteva perdonarmi. Mi abbracciò stretto e io sentii il suo profumo consolarmi, il suo corpo dolce modellarsi al mio con troppa facilità e il suo cuore battere impazzito solo per me. Urlai di dolore, di piacere, di emozione, ma le afferrai i polsi con gentilezza e la portai lontano da me, scostandola gentilmente. Riavvicinai con attenzione le sue braccia lungo i fianchi, guardandola negli occhi, trasmettendole tutto quello che avrei voluto dirle in quel momento. Quanto amore, dedizione, passione c’era dentro di me, e quanta adorazione verso di lei, la mia anima, il mio mondo… nessuno, nessuno avrebbe potuto amarla più di me. Mi chinai come un pazzo. Volevo toccare il suo viso solo un’ultima volta, sfiorarlo con le labbra come avevo già fatto in passato e mi permisi di toccare la sua fronte con le labbra gelide.

Il sapore di un bacio… labbra contro labbra. C’è un gusto particolare nel baciare la bocca della donna che ami. Un gusto dolce ed amaro. A volte mi domando che cosa voglia dire un bacio e non trovo risposta. Un bacio è… cos’è un bacio? È… fermati! È…amami! È… straziami l’anima perché io mi doni completamente a te e non ci sia nessun’ altra che possa capirmi, che possa affermarmi come te. Un bacio… amore mio, un bacio.

-Fai attenzione-. Respirai sulla sua pelle e scesi a sfiorare una guancia, sperando di non tradirmi. E le sue labbra, quella bocca, in una fugace e lenta carezza capace di mordermi per sempre il cuore e lasciarlo stritolato da morsi di desiderio bruciante per lei.
E il vento si alzò in modo naturale, coprendo la mia corsa, coprendo il mio dolore acuto. Coprendo…

Chi sono? I miei occhi mi guardano affascinati, il mio volto mi è famigliare, ma chi sono? Nessuno. Io sono Edward. No, io non sono nessuno. Guardami! Non c’è niente in me che possa cambiare, non c’è mutamento in un essere fermo per l’eternità. Non c’è musica e poesia per un assassino, non c’è dolcezza e amore per chi come me ha ucciso. Non c’è volontà…

Continuai a correre, sentendo la fredda brezza sferzarmi il viso e le foglie degli alberi cicatrizzarsi sui miei zigomi. Dove stavo andando? Dove? Mi portai le mani di fronte al corpo, cercando di farmi scudo contro quella sofferenza, ma non riuscii a frenare la tempesta e il maremoto che si scatenarono dentro di me, disarmandomi.
-No, no, fermati. Fermati…-. Implorai quella sofferenza di non invadere tutto il mio corpo, di non versarsi completamente dentro di me, perché allora non avrei potuto farcela. Ero solo una marionetta nelle mani del tempo e questo non avrebbe fatto che peggiorare quell’eterna agonia. Oddio, eterna… senza di lei.
-Ti prego-. Urlai ancora al vento, sperando che la mia preghiera venisse ascoltata. Ma niente… non sentii niente. Solo quella maledetta umanità che mi ossessionava con il peso delle sue passioni. Bella… Bella…Bella… non c’era nient’altro. Non potevo cancellarla, non potevo dimenticarla, non potevo amarla. Dio, basta! Perché continuare a torturarmi così, ero io ad averlo voluto, io ad aver scelto. Maledizione! E allora perché? Perché così tanta sofferenza dentro di me? Stupido idiota.
-Edward!-. Mi alzai, cadendo a terra come un ragazzino inerme. La sua voce. No, non poteva essere così vicina.
-Edward!-. Ancora. Era lei, Bella. Strusciai le mie gambe cercando di allontanarmi. Che cosa avevo fatto? Cosa? Non potevo sentire il suo dolore, non l’avrei sopportato.
-Edward, ti supplico!-. Continuò il mio amore pregandomi di tornare. Dovevo andarmene, dovevo scappare via prima che tutto scivolasse via, prima che le mie scelte mi rinfacciassero brutalmente quando avessi sbagliato.
Cercai di non sentire l’eco della sua voce, tentai di non ascoltare gli alberi urlare il mio nome, e corsi verso casa Swan. Non era così lontano… ero sicuro che non lo fosse. E allora perché ero ancora fermo? Perché le mie gambe non riuscivano a muoversi?
Raggiunsi la mia Volvo arrancando e mi aggrappai allo sportello come se avesse potuto salvarmi. Mi gettai all’interno mettendo in modo e accelerando fino allo sfinimento. Volevo velocità, volevo adrenalina, ma non sentivo niente, più nulla. Non c’era niente che avrebbe potuto darmi sollievo, nemmeno la mia auto, nemmeno la mia musica.
“Edward”. E ancora la voce di Bella rimbombò nella mia mente, sofferente, supplicante. Strinsi i denti, desiderando dolore. Fermai la macchina davanti a casa e mi gettai fuori dallo sportello correndo malamente all’interno. Respirai con calma, cercando di riprendere il controllo su di me. Dovevo farcela, il segreto era respirare allo stesso ritmo per alcuni minuti.
“Edward, ti prego!”. No, no, no… ancora la sua voce. Mi gettai sul pavimento, in ginocchio, scuotendo la testa e sbattendo le palpebre. Ringhiai con tutta la forza che avevo in corpo, un puma in gabbia, un animale ferito e tenuto in trappola da se stesso.
-Edward-. Mi sentii chiamare e alzai la testa, sconvolto. E vidi me stesso, lì, di fronte a me. Un me stesso diverso, un ragazzo debole con una veste lacera. I suoi occhi verdi sembravano guardarmi con una fragilità e una sicurezza che io non riconobbi più come mie.
-Io…-. Respirai a fatica allungando la mano e cercandomi. Ma lui scosse la testa e io vidi chiaramente le sue lacrime scendere su quelle guance scavate, le sue mani stringersi il petto con una smorfia dolorante. E lo sentii… sentii il battito del suo cuore, del mio, spegnersi e morire, spegnersi e non tornare mai più.
E scomparve, quella visione scomparve, lasciandomi solo un vuoto incolmabile dentro, un vuoto che non sarei più riuscito a cancellare. Prima che Bella entrasse nella mia vita non ricordavo cosa volesse dire esistere, ma ora lo sapevo, ora ne avevo coscienza, e mi piaceva… la vita mi piaceva… ma ora avrei dovuto sopravvivere con la consapevolezza che per me non ci sarebbe stato altro che quel nulla assoluto. Per sempre, eternamente, conscio della mia mutilazione.
-Bella…- Singhiozzai pronunciando il suo nome. L’unica cosa che mi era rimasta di lei. Appoggiai i gomiti sul pavimento, battendo i pugni sul parquet duro. Non c’era più niente, non c’era motivo per farlo, ormai non sentivo più nulla. Ero solo un essere privo di vita…
-Addio, amore mio-. Mormorai alzando lentamente la testa e ricordando a me stesso il prossimo passo. Andarmene da lì. Sapevo che lei mi avrebbe cercato, sapevo che non mi avrebbe mai lasciato andare. Dovevo trovare il coraggio di scappare lontano dal mio cerbiattino. Prima l’avrei fatto, prima sarei riuscito a isolare la sofferenza nel mio cuore.

Una foglia morente, cade lenta e si posa sul terreno. Non c’è nessuno schianto, nessun rumore. Non c’è niente che possa fermarla. È dolce il suo indolente stendersi. Un movimento etereo e silenzioso, che si contrae in un attimo di eterna solitudine. È semplice il suo spirare, puro e innocente. Si posa sul terreno e… muore. Questa sua desiderabile inconsapevolezza, questa sua invidiabile cedevolezza, quanta bellezza. La bella morte… sottile il significato di queste parole per me, non esiste né morte, né bellezza in questo nulla profondo che mi assale. Guardo ora il vuoto che mi circonda e non vedo niente, non c’è niente, o forse sono i miei occhi incapaci di vedere, il mio corpo di sentire, il mio io di capire… La bella morte non è forse questo? Non lo so, non lo posso capire e soffro. Perché in questo tempo eterno di assoluta incertezza vedo i contorni sfocati di un adesso, ora, qui, che si impone in un momento di infinito mare di solitudine. Aiuto.

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Capitolo 13
*** 10 ottobre ***




GRAZIE. Beh, questa volta devo proprio iniziare così. I vostri commenti mi hanno commosso davvero, mi si è stretto il cuore. Ci metto tanto impegno quando scrivo Nadir, veramente quando scrivo tutto, ma Nadir per la sua difficoltà certamente richiede di più. E io... cioè quando li ho letti ho pensato "parlano di me, sono io". Okay è ridicolo lo so, ma... bo mi sono emozionata. E ora ho l'ansia da prestazione... perfetto. Era quello che ci mancava, perchè iniziare l'avventura con Edward non sarà affatto semplice. Spero che la seguirete con me però... è veramente bello avere persone così calorose al mio fianco, così dolci. Io bo... grazie! Davvero, lo prometto, farò del mio meglio per non deludervi ed emozionarvi. Le vostre parole mi hanno veramente dato moltissimo. Come sempre mi dispiace non potervi rispondere una ad una, vorrei farlo, ma trovare il tempo per scrivere è difficile con gli esami e io voglio accontentare tutti con le mie fic. Chiedo scusa! Davvero... però sappiate che leggo e rileggo. A volte imparo persino a memoria. Grazie.
Vi lascio a Edward... Buona lettura!


10 Ottobre.




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Se mi avessero giurato, spergiurato che un cuore avrebbe potuto avere la possibilità di venire strappato dal petto e gettato in pasto al nulla avrei risposto che non credevo affatto ad una pazzia simile. Stupido. La sofferenza mi stava soffocando,  uccidendo, stavo morendo per la seconda volta e non avevo mai desiderato farla finita come in quel momento. Non volevo sentire quell’atroce dolore invadermi il petto, no, basta, ma ormai si era insinuato come una malattia, aveva invaso il mio cuore stringendolo e facendolo sanguinare. Mi ero illuso… solo illuso di poter vivere ugualmente sapendola lontana da me. Strinsi i denti e chiusi gli occhi per cercare di resistere alla tentazione di correre ancora da lei. Non c’era più nulla ormai, solo quel vuoto, quel buio di fronte ai miei occhi, dentro di me, che non mi permetteva di vedere più nulla. Serrai le palpebre cercando di cancellare i ricordi, forse così sarei riuscito a dimenticare, forse così per qualche attimo avrei avuto ancora voglia di respirare. Ma niente.
Non potevo dimenticare. Non avrei mai potuto farlo. Solo un vampiro, ero solo un vampiro in fondo, avevo creduto di poter far leva sul mio autocontrollo, su me stesso. E invece mi mancava, il mio cerbiattino mi mancava terribilmente. Stavo impazzendo. Gridai, soffocando il mio urlo in gola e stringendo i denti per non far sentire al mio corpo e al mio spirito l’astinenza di lei. Avevo sempre creduto di non avere un’anima, l’avevo sempre creduta lontana, ma averla avuta tra le mani, averla accarezzata, sentita, averla fatta vibrare dentro di me e poi essermene privato, lacerando il mio cuore, mi stava portando alla pazzia. Stavo diventando matto. Sentivo la mia testa pulsare giorno e notte, ogni singola parte del mio corpo urlare e tremare. Era come dover disintossicarsi, come dover affrontare una lunga tortura, lenta e inesorabile, che invece di portarmi alla morte, mi avrebbe fatto morire d’eternità vissuta.
-Perché…-. Mormorai portandomi le mani alla fronte e mordendomi le labbra. Volevo farmi male, ma non esisteva nulla, niente che avrebbe potuto farmi sentire più dolore di quanto non ne sentisse il mio spirito in quell’istante. Avevo paura, paura di non riuscire ad andare avanti come avevo previsto.
-Sono stato solo un idiota-. Dissi a me stesso, scuotendo la testa lentamente e portandomi le braccia sopra la testa. Avevo fame, tanta fame, ma non avevo voglia di mangiare. Non avevo voglia di uccidere. Mi ricordava quanto fossi bestia e io odiavo la sensazione di non riuscire a controllare me stesso, di non riuscire a controllare quella sete che mi portava a tremare. Ma era solo una menzogna… scoppiai a ridere. Nemmeno la gola secca e bruciante, nè il corpo debole e inerte riuscivano a farmi superare quel bisogno di lei. Bella…
Ero stato io stesso a cercare la fine della mia anima e ora non potevo lamentarmi, non potevo più tornare indietro. Ero unicamente in grado di rivivere quel momento più e più volte nella mia mente, guardare il suo viso contratto in una smorfia di incredulità e sofferenza, sentire il suo corpo cercarmi disperato e la sua voce urlare il mio nome nel bosco. Ero a dir poco ridicolo.
Mi alzai, sentendo le mie gambe vacillare, e mi portai contro la finestra della mia stanza. Dovevo andarmene da lì, eppure non avevo voglia di farlo. Lei non era venuta, sapevo che non sarebbe venuta, si era fidata ciecamente di me e delle mie parole. Appoggiai la testa sull’anta distrutta della vetrata e chiusi gli occhi. Orribile coscienza di sé, continua consapevolezza di essere. Avrei almeno voluto dormire, rinchiudere la mente in qualcosa che mi distogliesse da quella maledetta lucidità, ma non mi era possibile farlo, e il dolore anziché diminuire rimbombava nel mio petto fino a farlo scoppiare.
-Pensavo davvero che sarebbe venuta?-. Mormorai a me stesso con una smorfia tra l’ironico e il distrutto. Lei aveva altro a cui pensare nella sua vita ora e non ero certo io il centro dei suoi pensieri. In fondo sarei stato solo uno dei suoi tanti amori adolescenziali e niente più, una semplice cotta, sbandata per il ragazzo bellissimo della scuola.
-Idiota-. Continuai ridendo di me. Ero solo un ragazzino… prima insistevo nel lasciarla e ora speravo che lei mi cercasse. Mi girai dando un calcio a ciò che era rimasto della mia scrivania. Avevo intenzione di distruggere tutta la casa? Non lo sapevo, ma dovevo andarmene da Forks il prima possibile.
Mi portai una mano tra i capelli, afflitto, e pensai di raggiungere la mia famiglia a Denali. Non avevo voglia di vederli, le parole di Rosalie erano state chiare, e non ero nelle condizioni di fingere una felicità falsa e costruita. Avrei fatto solo soffrire le persone che mi volevano bene, per l’ennesima volta. Ora ero solo con me stesso.
Mi mossi, arrancando verso la porta. Dovevo andare a caccia se volevo riprendere un po’ di energie. Sospirai, consapevole come ogni cosa lì dentro mi ricordasse lei, il suo viso, il suo sorriso, i suoi gesti. Scesi le scale, domandandomi se fosse stato realmente sensato abbandonarla. Mi sentivo incredibilmente vuoto, e sciocco… stupidamente sciocco.
Corsi nella foresta, chiedendo a me stesso perché, continuando a rimuginare su ciò che avevo fatto, ma inevitabilmente non ottenevo nessuna risposta coerente. Avevo commesso un errore? Sentivo forte il desiderio di vedere il suo viso, di sentire la sua pelle morbida sotto le dita e guardarla dormire, o sorridere, spalancare gli occhi sorpresa e farmi vivere. Mi mossi senza ricordare cosa dovevo fare e improvvisamente mi domandai il motivo per cui ero uscito. Ah sì, la caccia… Mi fermai, sconvolto, consapevole di stare girando a vuoto. Cos’era successo ai miei sensi? Mi accasciai, seduto, e guardai i vestiti che avevo addosso. Era da molto che non mi cambiavo, dall’ultima volta che l’avevo vista. Quella camicia profumava di lei, tutto di me profumava di lei…
-Se continuo così finirò per impazzire veramente-. Mormorai a me stesso, portandomi le ginocchia al petto e sospirando distrutto. Avrei fatto qualsiasi cosa per rivederla, anche di nascosto, accertarmi che ci fosse ancora, che mi amasse come prima. Ero terrorizzato. E se mi avesse già dimenticato? Non potevo pensarci, mi faceva male solo l’idea. Dovevo vederla, sapere che stava bene, che la sua vita avesse continuato in qualche modo senza di me. Mi alzai, dimentico della mia sete, e corsi verso casa Swan, deciso a vederla, deciso a guardarla ancora una volta. L’ultima e poi sarei scappato, sarei andato via.
Appoggiai la mano sul tronco, rilassandomi, e fissai il suo pick-up parcheggiato all’esterno. Era a casa. Sospirai emozionato, non sapendo se farmi coraggio o andarmene, quando improvvisamente la vidi. Era seduta sulle scale fuori dalla porta e fissava il vuoto, abbattuta. Strinsi le palpebre… indossava gli stessi vestiti di quel giorno. Non volevo credere che non si fosse cambiata eppure… Continuai a fissarla e una strana consapevolezza prese possesso di me: lei non era più la stessa persona. Dondolava avanti e indietro, come distrutta da un dolore troppo forte da poter controllare, e il suo improvviso scoppiare a piangere mi fece ansimare di dolore. Guardai le lacrime scendere su quel viso che tanto amavo, impotente, e capii di averle fatto male. Troppo male… una sofferenza soffocante che ormai avrebbe schiacciato entrambi. Ma mentre Bella avrebbe dimenticato quel dolore, io non avrei potuto farlo. Mai…
Ancora una volta la fissai e guardai le sue mani tremanti stringersi tra i capelli, i suoi gemiti sommessi e incoerenti. Sentii il mio nome, di nuovo il mio nome, e sempre il mio nome, nient’altro sulle sue labbra. Strinsi la mano intorno alla maglietta, sentendo il mio cuore frantumarsi per l’eternità. Ma se fossi tornato avrei negato per sempre al mio piccolo Bambi la possibilità di amare davvero chi avesse voluto, senza essere condizionata da me. Non potevo farlo, nonostante lo volessi con tutto me stesso.
-Edward…-. Mormorò, poggiando la testa sulle sue ginocchia e guardando il terreno. –Edward…-.
Sembrava annientata, no lo era, lo era come lo ero io. Avevo sbriciolato la sua fiducia, il suo amore senza pietà, e lei era ancora lì, a pensare a me. A me… sorrisi per un attimo, felice che non riuscisse a togliermi dal cuore e dalla mente, ma poi mi riscossi. Stava soffrendo a causa mia.
Cosa pensavo di fare ora? Non lo sapevo nemmeno io. Ero totalmente inerme di fronte a quella scena, di fronte alla mia stessa scelta, non capivo più niente ed ero terrorizzato perché tentato dalla voglia di tornare da lei, di stringerla di nuovo, di chiederle perdono. Io non avevo altro, non c’era nient’altro che Bella nella mia vita, il resto era nulla, era vuoto assoluto che mi spaventata e mi inghiottiva in un’eternità senza senso. E senza un verso l’esistenza non poteva andare avanti.

Semplicemente perché quando devi vivere per sempre, non sai per cosa vivi davvero e le scelte perdono di significato, la morale perde il suo perché e il tuo essere traballa di fronte al tempo. Non hai scampo. Non c’è una fine che possa dare uno spiraglio di luce alla tua anima, che possa dare valore alla tua vita di creatura che partecipa all’infinito divino. Tu non sei niente e rimarrai sempre niente. Un uomo senza nome, un mostro senza nome, consapevole minuto per minuto di ogni istante che sta passando, identico all’altro, mancante di qualsiasi anelito di speranza, di passione. Quanto vorrei morire, poter essere umano e morire.

Vidi Charlie uscire di casa e prendere Bella tra le braccia, stringendola forte. Lei si lasciò sollevare come morta e la sua testa si abbandonò nel vuoto. I suoi capelli morbidi, castani, scivolarono giù come le sue braccia e per la prima volta mi resi conto di quanto potere avesse l’amore. Uccidere qualcuno nel corpo e nell’anima… era una forza che non avevo mai avuto, ma che avevo esercitato cieco e tranquillo con la donna che amavo, strappandole il cuore e schiacciandolo senza pietà. E ora come potevo tornare da lei? Come? I suoi occhi nocciola, un tempo pieni di vita, si rivoltarono nel nulla e si chiusero sofferenti. Non aveva ancora smesso di piangere. E io ero lì, vuoto, completamente vuoto. Avrei voluto avere l’energia necessaria per fare qualunque cosa, ma non l’avevo. Ero perso nei meandri dei miei pensieri, dei miei sentimenti, e forse non volevo credere a ciò che i miei occhi stavano guardando. Mi rifiutavo di pensare che potessi averle fatto questo. Proprio io che l’amavo sopra me stesso, proprio io che avevo giurato di proteggerla… l’avevo uccisa.
-Dimenticherà-. Mi dissi convinto, tirandomi indietro spaventato, distogliendo subito lo sguardo da lei. Per sempre. Sarebbero bastate altre due settimane e il richiamo della vita sarebbe stato troppo forte per Bella. Avrebbe ripreso ad esistere anche senza di me, ero certo di non essere così importante da valere tutto quel dolore. Non lo meritavo, semplicemente, non lo meritavo.
Ma quel vuoto insopportabile mi devastava, mi faceva credere di non riuscire a provare più nulla. E chissà… forse era proprio così. Probabilmente ero rimasto lì, dentro di lei, non ero più tornato in me, rinchiuso in quelle iridi nocciola piene di lacrime. Vederla piangere era qualcosa a cui non mi ero preparato. Mi portai le mani nelle tasche e sospirai, iniziando a camminare senza meta. E ora che ne avrei fatto della mia vita? Non sapevo nemmeno da che parte ricominciare a costruire, ma dovevo farlo, in qualche modo, forse. Dovevo riuscire anche io a superare tutto quel caos nel mio cuore e nella mia mente, altrimenti sarei stato spacciato.
Camminai di nuovo verso casa, dimentico di dover cacciare, e mi ritrovai di fronte alla mia villa solo a sera. Ma dove ero stato? Mi avvicinai alla mia auto, abbandonata lì davanti, ed entrai chiudendo lo sportello dietro di me. L’abitacolo in qualche modo mi protesse e io riuscii a trovare un po’ di silenzio. Guardai i regali sul sedile accanto al mio e sorrisi nel vedere il peluche a cui Bella aveva dato il mio nome. Lo afferrai, portandomelo al naso, e inspirai il profumo del mio cerbiattino sentendomi felice. Fin dove mi sarei spinto per poter percepire ancora il suo odore? Dovevo andarmene da lì, prima che fosse troppo tardi e potessi rischiare io stesso di farle del male. Mi portai quell’orsacchiotto sulle ginocchia e ricordai il momento in cui l’avevo visto per la prima volta. Scoppiai a ridere divertito e il dolore tornò cocente nel mio petto. Mi piegai fino al volante e mille immagini mi affollarono la mente. Non importava che le fossi lontano o vicino, mi mancava terribilmente ed era quasi soffocante la sensazione che non avrei più stretto la sua mano, giocato con lei e riso delle sue buffe cadute.
-Sono un romantico-. Sghignazzai deridendomi e poggiando di nuovo la schiena sul sedile. Ma quanto ero patetico, sì, ero decisamente patetico. Io che avevo gridato il mio amore, io che avevo detto di non poter vivere senza, l’avevo distrutto in un attimo, pentendomene poi subito dopo. Imperdonabile.
Guardai i regali di Bella e decisi di portarli con me, di conservarli. Non ne capii il motivo, ma sentii il bisogno di farlo. Non volevo privarmi di quella presenza, mi faceva stare bene in qualche modo. Sospirai. Era ora di cambiarsi e decidere dove andare. Avrei davvero fatto il vagabondo?
Scesi, camminando verso casa, e tenendo le chiavi strette nelle mani. Erano due settimane che erano attaccate allo sportello e non me ne ero accorto. Ghignai, nemmeno la mia passione per le auto avrebbe potuto alleviare quella sofferenza. Non avevo distrazioni, le avevo mentito, per me non era facile trovare qualcosa con cui distogliere la mia mente. Ero ossessionato dal pensiero di lei e niente sarebbe riuscito a cancellarlo dalla mia testa. Nemmeno un’altra donna. Sarebbe stato perfettamente inutile. Solo l’odore, il sapore di un’altra su di me, mi avrebbero disgustato profondamente. Non riuscivo a concepirlo. Entrai e salii di corsa afferrando nei cassetti qualcosa di decente da mettermi. Non mi importava cosa fosse, ma che ci fosse. Nudo non potevo andarmene in giro.
Il telefono di casa squillò, facendomi sussultare, e io maledii la mia solita fortuna. Sapevo benissimo chi poteva chiamare in quel momento. Certo non Bella… alzai la cornetta e sentii la voce di Alice gracchiare dall’altra parte.
-Vuoi farmi morire? Hai deciso di farmi stare male? Siamo preoccupati per te!-. Continuò ansimante facendomi involontariamente sorridere. E perché… io mi stavo godendo una meritata vacanza all’Inferno, non doveva affatto preoccuparsi.
-Ciao sorellina-. Replicai divertito sentendo la sua rabbia scoppiare all’istante. Non sapevo cos’altro dire, mi sembrava tutto così assurdo, persino che la mia famiglia mi avesse appoggiato in quel progetto illogico.
-Edward, vieni qui-. Mi supplicò improvvisamente, la voce angelica e il tono disperato. Per che cosa? Per sentirmi dire di aver sbagliato, per continuare a esistere come facevo esattamente prima che tutto cambiasse. Non ce l’avrei fatta, non ne ero più capace. Ero un debole in fondo, non ero così forte come avevo pensato.
-Per favore, non fare lo stupido-. Sussurrò il mio folletto con voce tenera. –Ti aspettiamo-. Concluse trattenendo il respiro. Sapeva meglio di me che non sarei andato. E conosceva la ragione. Volevo stare solo con il mio dolore. Per quanto la mia famiglia fosse in grado di capirmi, loro non sarebbero riusciti a comprendere a pieno ciò che mi tormentava e io non volevo che loro vedessero come mi ero ridotto. Un vegetale sarebbe stato sicuramente più interessante da studiare.
-Alice, ho bisogno di stare solo-. Le dissi sincero, sperando che non si offendesse. Tra noi c’era sempre stato un legame speciale, non poteva non capire cosa mi stesse divorando dentro. Rimase in silenzio, senza dire nulla, e attaccò senza nemmeno salutarmi. Sapevo di averle fatto male, di averla costretta ad allontanarsi da Bella e mi domandai se mi avesse perdonato o meno. Probabilmente ancora no.
Tornai sui miei passi e mi infilai sotto la doccia, sentendo l’acqua scivolare sul mio corpo e lavare via i miei pensieri. Ma a cosa sarebbe servito? Sarebbero tornati in fretta a tormentarmi, come incubi, e io non avrei potuto fare nulla per combatterli, perché ogni più piccolo ricordo di Bella oltre a farmi male mi donava serenità.

Qualcuno pensa di te che tu sia diverso, qualcuno pensa di te che tu sia speciale, ma inevitabilmente arranchi nella tua solitudine. È perché tu sei sensibile, sei diverso. Credi solo al buio che ti circonda e ti affanni per farlo diventare luce, quando in realtà non sai di essere tu a dover brillare. Edward… rimani sempre te stesso, io sarò qui a vegliare su di te, non mi perderai mai.

Le parole di mia madre rimbombarono nella mia mente. Era strano come anche la memoria più lontana potesse riaffiorare e far ricordare un momento così passato, così remoto. Avrei voluto parlare con lei, dirle che, nonostante fossero passati cento anni, nulla era cambiato e io ero sempre il solito ragazzino spaventato e debole. Eppure… uscii dalla doccia, sedendomi nudo di fronte allo specchio. Forse non ero davvero più io. Che ne era stato di Edward Anthony Masen? Il richiamo della mia umanità… l’avevo sentito forte dentro di me, lo stesso giorno in cui mi ero reso conto di essermi innamorato follemente. E ora mi ero di nuovo perso. Sospirai, accarezzandomi una spalla. Dovevo vestirmi, ma non ne avevo voglia.  Ripensai alle parole di Bella, alla sua tenerezza nei miei confronti. Anche lei aveva sempre pensato che in me ci fosse qualcosa di profondamente buono, da salvare, ma io non ero così sicuro. Chi ero? Perché proprio a me quel destino? Combattevo tra mille interrogativi che non avrebbero mai avuto fine e stavo male perché l’unica donna che mi aveva fatto sentire completo non era più con me. Mi mancava una parte fondamentale di me stesso, lo sentivo, ne ero così consapevole che i soli movimenti mi costavano fatica, come se ormai non fossi più realmente io a muovermi.
-Elisabeth…- Pronunciai il nome di mia madre, sorridendo. Era da tanto tempo, forse troppo che non andavo più a farle visita. Mi ero imposto di non legarmi ai mortali, al mondo, perché in questo modo avrei solo rischiato di farmi male, ma ora non potevo più scappare da me stesso. Dovevo affrontarmi. Sarei andato da lei, le avrei parlato.

Io ci sarò sempre per te, figlio mio…

Erano state queste le sue parole prima di spirare. Mi alzai, infilandomi la t-shirt, e decisi di andare sulla tomba della mia famiglia a Chicago. Forse lì avrei trovato delle risposte, o forse solo altre domande, ma dovevo assolutamente allontanarmi da Bella. Ogni promessa era debito e io avrei lasciato che il mio grande amore avesse la possibilità di scegliere per la sua vita. Questo potevo fare per lei, solo questo.
Scesi le scale, poggiando le dita sul corrimano, e sentendo una strana emozione invadermi. Tornare a casa… sorrisi tristemente. Casa mia, il luogo in cui avevo vissuto i primi diciassette anni della mia vita, così lontani, così sfocati. Pensai che riprendere contatto con il ragazzo che ero forse avrebbe potuto aiutarmi a capire cosa fare di me, perché rifiutavo il pensiero di poter tornare come prima, non volevo gettarmi di nuovo in quel vuoto senza via d’uscita. E forse… forse mi sarei dato una possibilità. Appoggiai la mano sulla maniglia della porta, abbassandola, ma improvvisamente mi fermai. L’immagine di Bella travolta dal dolore tornò davanti ai miei occhi e io dovetti chiuderli per evitare che quel ricordo mi accecasse. Fu subitaneo, come un colpo sulla cornea, e io trattenni il fiato sentendo un dolore acuto al centro del petto. Bella… appoggiai la fronte sul legno e ansimai ripetutamente cercando di controllare la sofferenza che mi stava invadendo. La mia memoria fu invasa da una miriade di immagini nitide, presenti… il mio piccolo Bambi che gridava il mio nome cadendo nella foresta, i suoi occhi vuoti mentre Charlie la prendeva in braccio, le sue lacrime innocenti che le scivolavano sulle guance senza sosta. Mi inginocchiai, raschiando la porta con le dita, e serrando le mascelle. Di nuovo il suo viso, ancora la sua incredulità di fronte alle mie parole fredde, gelide di morte, e poi il buio, nella mia mente solo e assoluto buio. Rimasi immobile, stravolto da ciò che avevo visto e chiusi gli occhi per riprendermi. Sapevo che non era normale, ma qualcosa in me stava cambiando, sentivo che le cose non sarebbero state più come prima, Bella aveva alterato completamente il mio essere vampiro e anche la sua assenza avrebbe fatto altrettanto, anche se non sapevo ancora come. Respirai piano, tentando di riprendere controllo sulla mia mente e sentii una sensazione pungente insinuarsi pericolosamente dentro di me. Era lei… era così forte. Non potevo dimenticare quell’amore, sarebbe stato impossibile. Sorrisi amaramente. Quanti altri ricordi avrei dovuto sopportare? Tanti minuti con Bella, tanti istanti che avrei ripercorso con chiarezza estrema e che sapevo sarebbero arrivati per tormentare i miei sensi di colpa, per ferirmi e riportare alla mia mente ogni più piccolo piacere, dolore, emozioni provate insieme alla donna di cui ero innamorato. Mi chinai, guardando il pavimento, e i capelli mi scesero ribelli sulla fronte. Mi mancava. Riconobbi quel sentimento dalla forza angosciante che stava trascinando il mio cuore verso il baratro. Dovevo allontanarmi il più presto possibile da Forks, era l’unica soluzione.
Mi portai una mano sulla fronte e mi sentii fremere. Quell’amore l’avrei portato sempre con me, come una gioia, come una croce, non potevo fare di più. Non ero nient’altro che il risultato delle mie scelte, non potevo lamentarmi di ciò che avevo fatto. Sarebbe stato illogico da parte mia, eppure… solo per un attimo, un solo attimo avrei voluto gridare, lasciare che il mio corpo si abbandonasse a quella sofferenza per sempre. Per tutta l’eternità.
-Non posso…-. Mormorai tentando di riprendermi. Se avessi ceduto avrei solo ammesso il mio sbaglio sciocco e cieco. Avevo lasciato Bella senza fare prima i conti con le conseguenze che ci avrebbero travolti. Dovevo reagire, lo avrei imposto a me stesso  a qualsiasi costo.
-Bella…-. Sussurrai ancora, perso con lo sguardo nel vuoto. Piccoli brividi cominciarono a scuotermi e io sentii improvvisamente un conato di veleno salirmi in gola. Fame… avevo fame e non me ne ero accorto. Sospirai sconfitto. Prima di partire sarebbe stato meglio cacciare qualcosa, prima che il mio corpo reagisse da solo a quella richiesta e acuisse il mio istinto di sopravvivenza. Mi alzai di scatto, deciso, e tornai verso la mia auto. Non sarei più entrato in quella casa, era l’ultima volta che l’avrei vista, per sempre. Io non sarei più tornato, mai, per nessuna ragione. Avrei fatto qualunque cosa perché Bella si dimenticasse per sempre di me, perché non soffrisse più a causa mia, ma riuscisse a trovare l’uomo che avrebbe saputo amarla e rispettarla per tutta la sua vita. E non un mostro… non un mostro come me. 


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Capitolo 14
*** 19 ottobre ***



Eccomi qui, finalmente ad aggiornare anche Nadir. Credetemi non è affatto facile proseguire, ho delle idee in testa che cercherò di mettere per iscritto piano piano e senza fretta. Tanto abbiamo taaaaaaaantiiii capitoli a disposizione. Sono felice che seguiate la storia di Edward con me, mi fa veramente piacere, perciò mi impegno particolarmente in ogni capitolo, ci metto davvero il cuore. Beh, mi impegno sempre veramente :-P. Cercherò di rendere il dolore di Edward palpabile senza Bella e spero di riuscirci davvero, se strapperò qualche lacrimuccia capirò di aver raggiunto il mio scopo (anche se non voglio vedervi piangere O_O).  Io vi ringrazio, a volte i vostri commenti sono veramente delle opere d'arte, commoventi e intensi e io rimando a bocca aperta. Sono tanto tanto contenta che abbiate deciso di fare questo viaggio con me. ^^ Mi sento proprio scema a dirvi queste cose però :-P. Un bacio grande e buona lettura con il nostro Edward! Malia.





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19 ottobre.


Erano trascorsi altri giorni, ma alla fine non ero riuscito ad allontanarmi da quella casa. Codardo. Ero ancora lì, a soffrire come un cane per qualcosa che io stesso avevo fatto e di cui avevo cominciato a pentirmi amaramente. Avevo iniziato a parlare da solo, spesso ad alta voce, con me stesso, ripetendo la stessa litania per ore ed ore. L’avevo fatto per il suo bene, l’avevo fatto per amore, per lei. Stavo diventando patetico, anzi… ero patetico. Non potevo far altro che trascorrere i minuti immerso nei ricordi e stava diventando nauseante confrontarmi con quello che ero stato. Ricordare ogni più piccola emozione sul viso di Bella, aver memorizzato ogni cosa di lei, mi stava facendo impazzire, mi stava portando alla follia. Non era sollievo, era solamente tortura. E più cercavo di convincermi che sarebbe passata, più sapevo che la mia memoria avrebbe trattenuto tutto fin nei minimi dettagli e non mi avrebbe lasciato tregua. Era vivere l’Inferno. Ora sapevo cosa fosse morire ed ero anche conscio di non poter più rivedere la luce.
-Avanti… sei ridicolo-. Borbottai alzandomi in piedi e percorrendo la navata del salone. A chi volevo mentire? Stavo dannatamente male e non riuscivo a riprendermi. Essere un vampiro non aveva affatto cambiato le cose, la mia sofferenza era amplificata, rimbombava dentro il mio corpo vuoto e mi faceva desiderare di non essere mai nato. Non era un dolore fisico, ma lo stava diventando, e questo riusciva a sconvolgermi ogni giorno di più.
-Ho fatto quello che andava fatto-. Mi risposi, convinto, il mio sguardo di nuovo sicuro. Oh, certo… qualunque stupido l’avrebbe fatto, lasciare la propria donna per farla amare da un altro. Era proprio un gesto cavalleresco.
-Idiota!-. Mi insultai camminando avanti e indietro. Non era quello il motivo, o forse sì. Ma qual era la vera causa? Non ricordavo più quale fosse. Eppure i vampiri avrebbero dovuto ricordare tutto no? Mi sentii confuso e percepii la mia testa schiacciarsi in una morsa di sensazioni mai provate.
-L’ho fatto perché… perché… avevo paura di farle male…-. Ammisi annuendo e mettendomi seduto sul divano. L’orlo della pazzia, non era forse quello? Tutti i matti si comportavano allo stesso modo, i folli poi perdevano totalmente il contatto con la realtà. Scoppiai a ridere, allargando le gambe e poggiando la schiena sui cuscini.
-Che gentiluomo. Tu hai paura persino della tua ombra-. Dissi a me stesso. Un ghigno dispotico e insofferente si impresse sul mio viso e alzai le braccia in aria, come per difendermi da quell’emozione che mi stava travolgendo: disgusto di me stesso. Mi sentivo un vigliacco, un verme, perché sapevo benissimo di averle già fatto più male del dovuto.
-No, io volevo che vivesse una vita normale-. Continuai, portandomi le mani tra i capelli e scuotendoli indietro. Guardai il soffitto, consapevole di quanto ne fossi innamorato. Bella… se solo avessi avuto il coraggio di tornare da lei, di chiederle scusa, io l’avrei fatto, ma come avrei potuto chiederle di perdonarmi?
-Vedi…? Lo sapevo. Hai paura-. Conclusi sentendo la mia voce rimbombare per la stanza. No, non era quello il problema. O probabilmente sì, ero terrorizzato all’idea che non riuscisse a dimenticare. I suoi occhi vuoti, le sue lacrime spente e quell’anima mutilata della sua parte più profonda… non avrei mai potuto cancellarlo. L’avevo uccisa.
-Non posso affrontarla-. Mi lamentai, portando le ginocchia al petto, e nascosi il viso allo sguardo di un me stesso che non avrebbe potuto capire.
-Andiamo… tu non riesci ad affrontare nemmeno l’uomo che sei. Ecco dov’è il problema. Sei tu…-. Ancora quella voce, la mia voce, il mio tormento e il mio demonio personale. Non avevo voglia di ascoltarmi, mi avrebbe fatto solo ulteriore male. Eppure avevo ragione, il vuoto che avevo nel cuore ne era la prova. Il problema non era mai stata Bella, il problema ero sempre stato io. Io e solo io.
-Chi sei tu?-. Domandai ad alta voce, spaventato. Inconsapevolmente in me c’era qualcosa di diverso, potevo percepire la presenza di qualcosa, di qualcuno che mi stava divorando e gettando in uno stato di depressione totale.
-Chi sei tu?-. Ripetè la voce a pappagallo, facendomi sorridere, era solo un’eco. Stavo davvero diventando pazzo. Risi ancora, scuotendo il viso sui miei jeans logori e sentii la disperazione avvolgermi. Cosa mi era rimasto se non sapevo nemmeno più riconoscere me stesso?
-Pazzo, folle…-. Bisbigliai, cercando il pavimento con i piedi scalzi. Lo sentii sotto le piante, duro, morto e mi domandai che differenza ci fosse tra me e un oggetto. Probabilmente nessuna, se non che qualcuno a me aveva dato un’esistenza consapevole.
-Bestia…-. Mi sentii ancora sussurrare. –Sei solo una bestia…-. La risata che seguì mi spaventò e fui tentato di nascondermi di nuovo. Ma cosa c’era in me che non andava? Perché continuavo ad avere paura di uscire da lì? Non aveva senso.
Guardai la porta di ingresso e mi avvicinai lentamente. Pensavo che fosse vicina, ma più camminavo più sembrava che si allontanasse da me. Allungai una mano per afferrarla, speranzoso questa volta, ma non riuscii nel mio scopo, e rimasi un momento fermo a fissare l’ingresso.
-Oddio-. Mormorai senza capire. Tutto era distorto, non riuscivo a capire quello che stava succedendo, ma la mia realtà non era più quella di prima, ogni cosa sembrava inevitabilmente compromessa. Io stesso ero… diverso.
-La porta è lì, io sono qui-. Sussurrai, aggrottando la fronte. Che cosa ridicola, ero solo a qualche passo, sarebbe bastato davvero poco per uscire fuori. Ma qualcosa dentro di me mi immobilizzava e mi faceva credere di stare per afferrare la maniglia. Okay, dovevo assolutamente calmarmi.
-Basta poco-. Continuai facendo una lieve smorfia con la bocca. –Pochissimo-. Terminai, impressionato dal fatto che il mio corpo non avesse intenzione di muoversi. Mi arresi con un sospiro e tornai sui miei passi, salendo le scale verso il piano di sopra.
Era incredibile, trovai assurdo che la mia volontà non decidesse per me stesso. Non era mai successo prima. Non volevo lasciare il mio ultimo legame con Bella, questo era chiaro.
-Questo perché sei un debole…-. Cominciò di nuovo la mia voce facendomi ammutolire. Era questo che pensavo realmente di me stesso? Forse sì. Ero troppo vigliacco per tornare da lei e troppo consapevole di ciò che avevo fatto per voler scappare. Era giusto che soffrissi, che il mio cuore fosse dilaniato dallo stesso dolore, se non più forte, che adesso accecava anche lei. Perché ne ero certo… sentivo le sue grida nella mia testa. Le sentivo dentro. Percepivo con chiarezza il mio nome sussurrato ogni giorno, ogni ora e minuto che ero lontano da lei. E mi domandai se anche Bella sentisse il mio io urlare il mio amore, non poteva non udirlo, perché era talmente forte da aver circondato quella villa… che per me era diventata una prigione.
Tornai in camera e mi sedetti sul mio divano, fissando ancora il vuoto. Noia. Tanto spesso avevo pensato che la noia fosse solamente un vuoto incolmabile dovuto alla piattezza della vita, ora invece ero conscio di come potesse uccidere anche chi aveva voglia di reagire, ma non riusciva a trovare la volontà dentro di sé per raggiungere il suo scopo. Io desideravo ribellarmi, ma non sapevo da dove iniziare. E perché poi farlo? La mia stessa esistenza non esisteva più. Bella non c’era più.
-Ma se l’hai voluto tu!-. Sentii un mio ringhio far vibrare le pareti e mi accorsi di aver voglia di piangere. Era da tanto tempo che non sentivo dentro me quel desiderio, così umano. E la gola si strozzò ricevendo in cambio solo veleno. Io non potevo lacrimare, non più. E adesso? Cosa ne avrei fatto di quel dolore? Come lo avrei sfogato? Ero solo, di fronte a me stesso, di fronte a tutta la mia vita mortale e immortale.

Da allora i tuoi occhi non hanno più brillato, da quel momento hai cessato per sempre di farti domande. Ogni giorno fluisce lento e inesorabile come lo scorrere dei minuti… e ciò che potevi fare oggi, tu l’hai rimandato al tuo domani. Quando si è eterni non importa il quando, importa solo il perché. E se scopri il motivo per cui tu stesso hai continuato ad arrancare attraverso i secoli, potrai davvero costruire un ordine interiore.

Era il mio diario. Scorsi tra le righe notando come la pagine ingiallite curate e perfette sottolineavano il mio carattere puntiglioso e curato. Invece ora mi ero trasformato in una specie di animale da appartamento. Continuai a leggere, incuriosito dai miei antichi pensieri. Maggio del 1938.

Guarda, osserva tutto ciò che circonda te stesso, Edward. Fallo et impara da ciò che i tuoi occhi possono cogliere vividamente. Sappi che ogni più piccola cosa può ingannarti, sopra di tutto l’animo umano. Tante e tante volte hai bramato di capire i pensieri degli uomini e altrettante quelle piccole creature ti sono sfuggite amaramente. Nessuna di loro crede di poter valere per se stessa qualcosa davvero… e ad uno sguardo attento, loro sbagliano. Non sanno quanto ciò che sono condizioni l’essenza di ogni cosa. Non sanno quanto la loro anima sia preziosa e quanto i loro sorrisi per natura siano di dignità profonda. Ma loro camminano a testa bassa, incoerenti, avanzando nella loro cecità, morendo a loro stessi senza nessun apparente motivo valido. Chi ha di loro la vita sembra voler negarla ogni giorno, mentre chi l’ha persa, come te, Edward, tenta di rimanere aggrappato al briciolo di speranza che si crea nello spirito del mondo.

Sorrisi del mio spirito romantico. Quanto ero cambiato da allora. Avevo odiato profondamente la fortuna dell’essere umano, ed ero appena tornato a casa dopo quel periodo di ribellione che mi aveva portato ad uccidere con consapevolezza. Una volta riuscivo ancora a stupirmi delle profondità dell’anima umana… ma ora non c’era rimasto negli uomini più nulla da tollerare. Sciocchi, superficiali e privi di spessore. Eppure lei non era così, Bella era diversa. Lei aveva un animo sensibile, sognatore, pieno di colori e di vita. Bella amava vivere, amava ogni più piccola cosa e ne conosceva il valore e il significato. Per questo me ne ero innamorato. Nella quotidianità quel piccolo cerbiattino cercava sempre qualcosa di nuovo e i suoi occhi si fermavano circospetti e attenti persino di fronte ad un’aula, come fosse stata il suo peggior nemico. Sorrisi di quel ricordo e mi venne in mente il giorno in cui l’avevo vista sbattere contro la porta chiusa. Quanto avevo riso… l’unica donna sulla faccia della terra che si dimenticava di abbassare una maniglia per entrare. Scossi la testa e continuai a leggere. Giugno 1938.

Nulla cambia, sono sempre solo. Io, i miei pensieri.

Ottimismo allo stato puro. Lanciai il diario per terra e sospirai amaramente. Ma dove avevo trovato la voglia di scrivere pagine e pagine inutili che nessuno avrebbe mai letto? Che idiozia, davvero non ne vedevo più il senso. Mi stesi sul divano, chiudendo i miei occhi e desiderando addormentarmi. In questo Bella aveva un vantaggio, poteva sperare di addormentarsi fra le lacrime senza sentire più dolore, io invece non potevo. Ancora una voltai pensai che gli uomini fossero davvero molto fortunati e nascosi il viso sulla stoffa del divano. Io non potevo nemmeno soffocare. Proprio non avevo via di scampo, nemmeno se avessi voluto.
-Merda!-. Gridai con il solo e unico desiderio di cancellare tutto. Stava diventando insopportabile quella situazione, decisamente… non volevo più sentire quel vuoto dentro.
-Non sei un uomo…-. Mi sentii sussurrare con un sussulto sorpreso. E cos’era essere uomini? Avrei tanto voluto chiederlo ad uno di quegli esseri insignificanti che avrebbero scodinzolato dietro a Bella, cercando di conquistarla. Non mi sentivo meno uomo di loro.
-Ti sbagli-. Sfidai me stesso con un tono basso e arrabbiato. Mi ritrovai a ringhiare contro i miei stessi pensieri e mi sentii più umano di quanto non avessi mai pensato di poter essere. Indifeso, debole, alla mercé dei sentimenti.
-Se lo fossi stato ti saresti preso le tue responsabilità-. Mi sentii dire, una volta seduto. Avevo ragione. Se avessi realmente avuto coraggio, non l’avrei abbandonata,  ma avrei continuato a starle vicino, tentando di trovare una soluzione, tentando di trattenerla vicino a me. Perché senza Bella io non ero niente, assolutamente niente.
-Io la amo…-. Dissi solo, cercando di giustificarmi e portando il busto in avanti. Mi chinai totalmente, piegandomi verso il pavimento e sentii la nausea invadermi. Era raro per un vampiro stare così male, non avevo bisogno di una laurea per capirlo. Dannazione… sperai di non aver alterato eccessivamente i miei sensi. In qualche modo dovevo sopravvivere e non volevo cibarmi di esseri umani. Dio mio. Pregai di riuscire a controllare i miei istinti.
-Non puoi amarla davvero. Non sai cosa è l’amore. Sei una creatura d’odio-. Sputai con rabbia, sentendo il veleno invadermi la bocca e sciogliersi sulla lingua per la troppa fame. Alla fine non ero che un vampiro, inutile dimenticarlo. Ero un essere nato per uccidere.
Ma ero stanco, terribilmente stanco di tutti i quei pensieri. Volevo smettere di pensare, ma non conoscevo il modo in cui poter farlo. O forse c’era, ma non potevo concepirlo. Sospirai ancora una volta, dirigendomi in corridoio come un’anima in pena. Davvero non facevo che vagare per quella casa vuota, non c’era molta differenza fra me e quella villa. Bella all’esterno, apparentemente perfetta, ma dentro completamente vuota e priva di calore.
Sentii il telefono squillare per l’ennesima volta a vuoto. Non sapevo chi fosse, se Bella, oppure la mia famiglia, ma non avevo voglia di ascoltare la voce di nessuno. Faticavo a sentire la mia, che iniziavo a disprezzare profondamente, e non volevo peggiorare il mio umore sentendo i rimproveri di Alice oppure di Rosalie. Non avrei potuto sopportarlo. Perciò era meglio che rimanessi da solo nel mio dolore. Lo trovavo in qualche modo confortante.
Quel suono riuscì ad infastidirmi, profondamente, e mi prese forte la voglia di rompere quell’ apparecchio e gettarlo via. Lo sapevo… sapevo cosa stava succedendo, non c’era bisogno che qualcuno me lo ricordasse. Basta. Mi portai le mani alle orecchie, iniziando a ringhiare, mentre quel frastuono mi entrava dentro e mi scuoteva la testa, lacerando il mio cervello.
-No, basta!-.  Gridai cercando di controllare il dolore nella testa. Ma la sofferenza non era nella mia mente, era nel mio cuore, e quel rumore proveniva da una parte del mio corpo che credevo morta per sempre. Mi appoggiai con la schiena contro il muro e fu allora che sentii un rumore venire dalla porta. Mi portai velocemente dietro la rampa di scale e mi acquattai sul muro, attento. Ero sicuro che fossero umani, potevo sentirne l’odore. E capii subito di chi si trattasse… odore inconfondibile, era Chiarlie. Aveva scassinato la porta, ma che bravo poliziotto.
-E’ vero… non c’è nessuno-. Mormorò stupito, guardandosi intorno. –Ma la casa sembra stata presa d’assalto…-. Commento meravigliato. Sorrisi involontariamente…
-Andiamocene, questo posto mi mette i brividi-. Commentò il suo collega stringendosi nelle spalle. L’ispettore Swan si girò perplesso e gli fece segno di chiudere la bocca scuotendo la testa.
-Sei un idiota, Jack-. Lo rimproverò facendosi più avanti in salone. E così il padre di Bella era venuto ad accertarsi della nostra partenza. Potevo leggere nei suoi pensieri chiaramente: mi detestava. Aveva iniziando ad odiarmi, perché avevo osato lasciare sua figlia, perché l’avevo distrutta e non le avevo lasciato niente a cui aggrapparsi.
-Cosa ti aspettavi di trovare? Eh?-. Gli chiese l’amico, esterrefatto. Charlie sbuffò e il suo viso si fece triste. Me… voleva vedere me, parlare con me di quello che stava vivendo Bella. Era pur sempre un padre e non sopportava che sua figlia fosse ridotta in quello stato pietoso. Mi portai più vicino, dietro il divano, e girai intorno per guardarli meglio.
-Questa casa è spettrale-. Aggiunse il tipo, Jack, sghignazzando terrorizzato. Già, ero d’accordo con lui, non poteva sapere chi ci aveva abitato, altrimenti non si sarebbe mai avvicinato. Ghignai nell’ombra e aspettai che se ne andassero.
-Bella non si merita questo-. Sentii l’ispettore Swan mormorare nel vuoto. –Non se lo meritava, Edward-. Continuò come se fossi stato presente. Sapevo benissimo cosa meritava il mio cerbiattino ed era una vita normale, vicino a chi l’avrebbe saputa amare. Anche Charlie non avrebbe mai accettato che sua figlia si fidanzasse con un assassino, ne ero convinto.
-Tu sei pazzo. Esattamente come tua figlia in questo periodo-. Brontolò l’altro facendomi correre un brivido lungo la schiena. Amico o non amico, per quanto mi riguardava era già morto. Poggiai le mani a terra, calmo, e mi irrigidii in posizione d’attacco. Veloce gli passai vicino e lui sentì immediatamente la mia presenza. Perfetto.
-Ch… ch… arlie, per favore, usciamo. C’è qualcuno qui dentro-. Balbettò vergognosamente come un bambino spaurito. Sorrisi. Povero diavolo… odiavo le fecce come lui. Lo conoscevo, era sempre ubriaco, e non mi piaceva affatto che pensasse quelle cose di Bella.
-Sì? Ci sono i vampiri!-. Proruppe Charlie accendendo una torcia e puntandogliela sul viso. Decisi di divertirmi un po’ ed intervenire. Mi portai alle sue spalle e lo toccai leggermente facendogli perdere l’equilibrio. Cadde a terra terrorizzato sotto lo sguardo attonito dell’amico.
-Jack, smettila di scherzare-. Commentò l’ispettore sbuffando, mentre io tornavo lesto dietro il divano. Il tipo tremava come una foglia, non aveva nemmeno la forza di muoversi tanto era impaurito da quello che era successo.
-C’è qualcuno… c’è qualcuno-. Disse di nuovo, tremante, le braccia molli come gelatine. Che goduria, mi stavo divertendo tantissimo a vederlo in quello stato pietoso. Almeno gli era passata la sbornia.
-Non dire scemenze. È tutto abbandonato-. Tagliò corto Charlie, guardandosi ancora intorno, ma Jack non era dello stesso parere e non riuscì nemmeno a tirarsi in piedi. L’ispettore lo aiutò, afferrandolo per un braccio, e lo scaraventò fuori dalla porta in malo modo, fissandolo esasperato. Ridacchiai. Era da un po’ che non mi divertivo così.
Charlie si voltò verso l’interno, ancora una volta, non sembrava affatto aver voglia di andarsene. Non capii il motivo… la sua mente era confusa, i suoi pensieri si intrecciarono, sconnessi.
-Di una cosa prego solo Dio, se esiste, Edward… Che tu possa marcire all’Inferno per quello che hai fatto. Perché non riconosco più Bella… e ho paura-. Concluse impugnando ancora il fucile sulla spalla e facendo per spostarsi. Aveva ragione in fondo e io lo sapevo.
-Addio-. Disse ancora prima di spostarsi verso la porta e chiudersela alle spalle con un tonfo che fece addirittura cadere polvere. Rimasi immobile per qualche secondo, riflettendo su ciò che Charlie aveva detto. Io meritavo davvero l’Inferno e lo stavo vivendo, l’avrei sperimentato fino allo stremo, perché il mio destino senza Bella non poteva essere che quello.
-Addio-. Mormorai per tutta risposta, alzandomi in piedi e avvicinandomi alla finestra. Osservai i due dentro l’auto e ringraziai il cielo di aver rimesso la mia Volvo in garage. Se non l’avessi fatto a quest’ora l’ispettore Swan mi avrebbe fatto cercare per tutta Forks e non si sarebbe fermato fino a quando non avrebbe avuto il mio sangue. Che ironia… scoppiai a ridere aspettando di veder sparire la volante e poi tornai serio.
-Che avrò tanto da ridere…-. Borbottai a me stesso, sospirando e scostandomi i capelli dalla fronte. E così qualcuno era venuto a cercarmi. Non Bella, ma suo padre. Sperai che lei stesse bene, ma a giudicare dei pensieri di Charlie non era affatto così. Mi illudevo solamente che tutto si sarebbe risolto per il meglio, ma quell’odio sottile, quella rabbia che avevo sentito verso la mia famiglia era nuova in lui.
-Bella, dimmi che stai bene-. Sussurrai preoccupato. Non potevo cedere e andare da lei ancora una volta, perché sarebbe stato difficile poi staccarmi dal mio amore. Erano giorni che salivo in auto e scendevo, senza avere il coraggio di andare via.
-Bella…-. Ripetei ancora il suo nome per sentirlo vibrare sulle mie labbra e per un attimo mi sembrò di sentire il mio nell’aria. Stavo davvero impazzendo, eppure udii di nuovo il mio nome, sussurrato tra le lacrime, nell’angoscia di un minuto che non aveva mai fine. Follia, la mia era pura follia, ormai lo sapevo, non poteva essere definita in altro modo.
- Amore mio cerca di riprenderti, ti supplico-. Bisbigliai sorridendo appena e poggiando la testa sul vetro. Avevo voglia di sentire il suo profumo, di stringerla a me, di accarezzarla… girai il capo verso il giardino e l’immagine di Bella mi fece sussultare. Fu un attimo, ma i miei occhi la videro di fronte alla sua finestra, abbandonata sulla sedia, osservare l’esterno alla ricerca della mia macchina, guardando la strada sperando di vedermi apparire.
-Non tornerò-. Sussurrai sicuro. Non potevo farlo, non avrebbe dovuto aspettarmi. Era inutile. La mia mente ormai era totalmente immersa nella pazzia, tanto da farmi vedere ciò che non era. Forse illusioni, forse bugie, ma mi gettavano ugualmente in uno stato d’ansia e di paura profonda.
-Non tornerò-. Mormorai ancora, sperando che quell’immagine di lei tornasse a farmi compagnia solo per qualche minuto. Ma non vidi nulla se non la pioggia che lenta cominciò a battere sul vetro. E anche il cielo poteva piangere… anche la natura poteva sfogare la sua rabbia, la sua tristezza con le lacrime. Davvero ero una creatura abbietta e condannata. Camminai verso il divano, deciso ad affogare i miei pensieri nel nulla, quando qualcosa attirò la mia attenzione. Era un pezzo di carta, doveva essere caduto all’ispettore. Lo raccolsi e lo allargai, incuriosito.

I giorni senza di te scorrono lenti e inesorabili. Ho voglia di morire, Edward. Ti sei portato via tutto. Volevi salvare la mia anima? Ma la mia anima è con te, è dentro di te, e tu te la sei portata via, strappandola dal mio cuore. Ti prego, amore mio, non farmi ancora male. Non dormo più ormai, sono notti che non riesco a chiudere occhio. Ti vedo, rivedo quel momento, i tuoi occhi freddi e duri, spietati che mi cacciano via. Dimmelo Edward? Guardami ancora e dimmelo. Non mi ami più? Io questo non lo sento. Che stupida. So che tu mi ami. È ridicolo ma… sento la tua presenza vicina a me, in ogni momento. Come vorrei vederti, anche solo per un attimo, darei ogni cosa per rivedere il tuo viso, il tuo sorriso. Ti supplico, amore, qualunque errore io abbia commesso, qualsiasi sbaglio o torto possa averti fatto, ricorda… io sono solo un miserabile essere umano, ma i miei sentimenti sono sinceri. Quelli sì. Darei la mia vita per te. Edward… Edward ti prego. Darei la mia vita per te… eccola è tua. Non mi ami, allora uccidimi, ma fallo in fretta amore mio. Voglio morire, tutta l’esistenza da quando non ci sei ha smesso di avere senso. Voglio morire, fammi morire lentamente, ormai i giorni e i colori non hanno più importanza, nemmeno il tempo. Sei solo tu nei miei pensieri, il mio sogno e il mio incubo. Ti amo. Non so come dirlo, non so come gridarlo. Ti amo. Ti amo. Ti amo.

 


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Capitolo 15
*** Voglia di te ***




E finalmente riesco ad aggiornare anche Nadir!!! Dopo tanto tempo... questa fic è più impegnativa. Mi rimangono lei e Mid Eclipse e dovrete scusarmi se non aggiornerò spesso questa estate, ma avrò molto da fare. Chiedo scusa già da adesso, ma ho intenzione di mettermi a scrivere i miei romanzi. Per questo ho terminato alcune fic. E' ora di fare le cose seriamente e di cimentarmi in qualcosa di mio davvero. Non voglio continuare a scrivere soltanto fanfic, spero possiate comprendere. Per quanta passione e impegno possa metterci non saranno mai personaggi miei, non potrò mai esserne davvero orgogliosa, perciò è arrivato il momento di impegnare davvero me stessa. Grazie perchè continuate a seguirmi, per i commenti, per la vostra gentilezza. GRAZIE ANCORA. Malia.



Voglia di te.



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Strinsi tra le mani quel foglio, portandomelo al viso, cercando il suo profumo, dimenticando ogni buono proposito. Le avevo fatto del male… e ora continuavo a farla soffrire con la mia assenza. Ma cos’altro avrei potuto fare? Io volevo soltanto vederla felice. Era forse un delitto? Poggiai leggermente le labbra su quel foglio e sussurrai parole d’amore. Ormai ero impazzito del tutto e quella follia consapevole mi gettava in uno stato di estrema lucidità.

Sapevo cosa sarebbe stato corretto fare. Tornare da lei, stringerla a me, baciarla e dirle che era tutta la mia vita.
-Certo che tu sei proprio malato…-. La mia voce risuonò ancora per la stanza, ma questa volta non la riconobbi. Sembrava uno schiamazzo stridulo ed isterico.
Non risposi, continuando ad accarezzare quel foglio con le dita, come se avesse potuto donarmi la vita. Era inutile credere che avrei avuto il coraggio di tornare da lei, perché ero un vigliacco e soprattutto ero troppo debole per farlo, ma certo quelle parole le avrei imparate a memoria e marchiate dentro di me.
-Fai pace con te stesso-. Continuò quello sconosciuto, che non avevo mai sentito parlare prima. Rimasi ancora in silenzio, perché non sarebbe valso a nulla rispondere. Era tutto perfettamente inutile. Provocarmi non avrebbe risolto nulla. Il problema fondamentale ora era riuscire a scappare via, fuggire dai miei ricordi e dalla mia stessa sofferenza.
Quella lettera… mi parlava di amore, mi parlava di colpa, e urlava, urlava urlava…
-Ho bisogno di vederti-. Sussurrai stringendo la carta nel mio pugno e stropicciandola fino a farla diventare niente. Tanto ormai tutto ciò che c’era scritto era impresso nella mia memoria come un sigillo indelebile, sarebbe stato praticamente impossibile non ricordarlo.
-Vuoi andare da lei? E che farai…-. Di nuovo sentii me stesso interrogarmi e rimasi fermo ed immobile a pensare. L’avrei guardata, avrei chiesto perdono a Dio e poi sarei fuggito via.
-Ah… vuoi fare il vigliacco-. Continuò il mio demone in modo cavernoso. Da quando avevo una coscienza? Io non ero che un mostro, un animale assetato di sangue e sesso. Quello era un vampiro. Eppure…
-Io, voglio solo vederla-. Replicai debolmente, gli occhi chiusi e la bocca impastata di veleno. Bella… la tentazione di spiarla come facevo all’inizio, di stare con lei, di far parte della sua vita era troppo forte e non riuscivo a controllare il mio desiderio.
-Certo. E lei merita altro dolore, ovviamente. Sei solo un egoista-. Sputai tentando di convincermi che tornare sui miei passi non fosse la cosa giusta da fare. Ma era così difficile capire perché avessi lasciato la ragione della mia vita quando mi mancava così tanto ogni cosa di lei. Il mio piccolo Bambi, il mio amore.
-Io non mi farò vedere. Non le farò male…-. Mi giustificai prendendo un respiro e sgranando le palpebre. Mi sarei nascosto nell’ombra, l’avrei soltanto guardata, non mi sarei nemmeno permesso di toccarla. Non potevo continuare a stare lontano da lei nemmeno un minuto.
-Ovviamente! Ma che cavaliere… Un uomo d’altri tempi-. Impazzii di dolore quando capii di avere ragione. Non era corretto nei confronti di Bella, perché lei stava soffrendo e io non avrei rispettato la sua sofferenza in quel modo.
Chiusi le palpebre, decidendo cosa fare e il mio corpo si mosse da solo verso l’uscita. Non potevo, non sarei riuscito a rimanerle ancora lontano. Ero uno stupido, troppo innamorato, ma avevo bisogno di sentire il suo profumo, avevo bisogno di viverla ancora.
-Non puoi-. Mi fermai in tempo vicino alla porta e mi maledii. Non potevo farlo, non sarei riuscito più ad allontanarmi più da lei e avevo deciso di lasciarla libera.
-Posso-. Mormorai a me stesso abbassando la maniglia e sentendo l’aria sferzarmi il viso. Stava per nevicare, sentivo nell’aria un freddo pungente.
-Se lo farai, non potrai più perdonarti-. Bisbigliai sul pianerottolo guardando verso il garage dove sapevo che la mia auto era parcheggiata. Andare con la Volvo? Scesi le scale lentamente, ponderando bene la scelta e mi sentii perso. Non sapevo cosa fare. Ero totalmente in balia di me stesso. Perché tornare indietro? Che significato poteva mai avere. Tutta quella sofferenza, quella scelta solamente per non riuscire a lasciare che Bella vivesse la sua vita. Era totalmente illogico e incoerente, ma il mio bisogno di lei era troppo forte e in fondo ero soltanto un uomo innamorato, prima di essere un completo idiota.
Mi avvicinai al garage e mi forzai a continuare nel mio proposito, fino a quando non mi trovai dentro la mia macchina.
-Che cosa farai ora?-. Domandai ad alta voce, guardando le chiavi già infilate e mettendo in moto. Uscii, percependo il volante sotto le dita e godendo di quella sensazione. La Volvo mi era mancata. Spinsi l’acceleratore cambiando marcia e afferrai il volante con una mano, mentre con l’altra abbassavo il finestrino per sentire l’aria scompigliarmi i capelli.
-Non importa cosa farò. Voglio vederla-. Replicai, infilandomi nella strada principale e accorgendomi di stare andando troppo veloce. Ma non volevo fermarmi, era un bisogno troppo forte quello della velocità. Ne sentivo prepotente la necessità.
Svoltai nel lungo viale che mi avrebbe portato a casa Swan, ma mi fermai molto prima, parcheggiando in modo che la mia auto passasse inosservata. Fortunatamente l’aria era così gelida che nessuno quel giorno si sarebbe mosso da casa per fare un’eventuale passeggiata. Camminai lentamente, guardandomi intorno, e cercai di riportare alla memoria quei posti. I miei occhi li avevano visti tante volte, ma era come se li stessi guardando per la prima volta. Era strano tornare alla vita, sentire l’aria invadermi i polmoni ormai morti, percepire la realtà in modo così intenso.
Arrivai nelle vicinanze della casa e sbirciai lì intorno. Non dovevo assolutamente farmi vedere. L’ispettore Swan non c’era, la sua auto non era parcheggiata al lato della strada, quindi era di turno. Ma sua figlia? Fui preso dalla smania di vederla e, dimentico di ogni accortezza, mi arrampicai su per la finestra. Avrebbero potuto vedermi, ma dentro di me la disperazione, la frustrazione e il totale stordimento avevano preso il sopravvento.
Fu così che mi aggrappai con una mano al davanzale della finestra… aperta. Ad ottobre. Aggrottai la fronte insospettito e sbirciai all’interno decisamente allarmato. L’avevo fatto tante volte in passato, ma questa volta di Bella neanche l’ombra. Non sapevo se fosse un bene o un male, ma non ebbi nemmeno il tempo di riflettere perché l’odore del mio piccolo Bambi mi entrò nelle narici saturandomi le vene. Il dolore divenne insopportabile e dovetti scuotere più volte la testa per evitare che il desiderio ci cercarla e morderla si facesse pressante. Ma qualcosa non andava, c’era qualcosa di diverso in quel profumo, di disperato… Mi ritrovai ansimante, appiattito al muro e il naso all’aria: la stavo bramando, il mio corpo era assetato del suo sangue. Era troppo tempo che non sentivo quella sensazione attraversarmi le viscere e fui felice di sentire ancora Bella così prepotentemente dentro di me. Meritavo quella sofferenza. Mi accostai alla porta del bagno e sentii un rumore all’interno.. qualcuno stava tossendo.
Assottigliai le palpebre, stupito, e afferrai piano la maniglia, tirandola verso il basso. Il gesto fu talmente istintivo che non ebbi il tempo di pentirmene. Volevo sapere.
Rimasi per qualche secondo immobile ed incredulo, sentendo un odore acre e pungente avvolgermi. Lasciai la maniglia e la mia bocca si storse in una smorfia infastidita. Misi a fuoco un corpo esile rivolto su se stesso scosso da conati e febbricitante di sudore. Bella…
-Edward…-. La sentii mormorare prima che un nuovo tremore la scuotesse.
Mi sentii morire. Era dimagrita, troppo. La fissai attentamente e rimasi attonito di fronte a quel piccolo scricciolo, a quella vita delicata che stava lentamente scivolando via.
-Che cosa ho fatto-. Bisbigliai portandomi una mano sul viso, non sapendo cosa fare. Tornai a posare lo sguardo su di lei e osservai il suo corpo esile coperto solo di una maglietta lunga scosso da profondi brividi. Il primo istinto fu quello di entrare e prenderla tra le braccia, ma qualcosa mi impose di rimanere immobile. Non riuscivo a distogliere gli occhi da quella visione. Il suo viso pallido era ceruleo e i suoi occhi spenti sembravano proprio quelli di una preda agonizzante. Bella stava morendo ed ero stato io la causa di tutto.
-Io…-. Mormorai a me stesso. La tentazione di scappare divenne così urgente che mi vergognai di me stesso. Avevo cercato solamente di proteggerla, non avrei mai voluto farle del male, né mai desiderato nuocerle in quel modo.
-Bella!-. Percepii un urlo dalle scale e mi dileguai immediatamente. Perché non avevo sentito prima la presenza dell’ispettore Swan? Tutto avvenne in pochi minuti.
La porta della camera si aprì e il padre del mio piccolo Bambi si fiondò direttamente in bagno. Lo vidi tornare nella stanza con Bella in braccio e posarla sul letto con estrema delicatezza. Mi sentii in colpa… era mia la responsabilità di quello che stava succedendo. Avrei dovuto prevederlo, avrei dovuto leggerlo nei suoi occhi quando mi supplicava di non lasciarla, quando tutto poteva ancora tornare indietro.
-Edward!-. Urlò Bella stringendo con le mani il copriletto, ora umido. Era distrutta, sembrava che le avessero strappato il cuore dal petto e l’avessero gettato all’Inferno. Vedevo in lei me stesso, il mio stesso dolore, ma meno lucido.
-Sono qui-. Mormorai a bassa voce, guardandola soffrire per me. Il suo profumo così forte mi stordiva e mi faceva desiderare di strusciarmi su quelle coperte per lenire anche solo un poco quel desiderio di morderla, di possederla. Dovevo sopportare, non avevo altra scelta.
-Bells, piccola, sono qui. Sono papà…-. Mormorò Charlie passandole una mano sulla guancia, ma i singhiozzi del mio cerbiattino aumentarono e si trasformarono in un pianto senza fine.
L’ispettore sospirò e cercò di infilarla sotto le coperte, perché non prendesse freddo, poi si voltò verso la finestra aperta.
-L’hai ancora lasciata aperta. Ma perché…-. Fece alzandosi e avvicinandosi per chiuderla.
-Noo!!…-. Urlò Bella facendomi fremere. I suoi occhi spalancati nel vuoto sembravano aver ripreso un po’ di lucidità. –Lascia…-. Ingoiò la saliva e si gettò sul cuscino, senza forze, troppo spossata per fare qualsiasi cosa. Non volevo crederci.
-Fa freddo Bells. Vuoi ucciderti?-. Gridò Charlie fuori di sé. Aveva ragione, Bella aveva la febbre ed era dovuta sicuramente al freddo intenso in quella camera. E ormai era tempo di neve. Le avevo detto che non sarei tornato, le avevo detto che non mi importava nulla di lei… perché continuare ad aspettarmi?
-Sì-. Rispose tranquillamente lei, sfidando suo padre a chiudere l’anta. Beh, se non voleva farlo lui, l’avrei fatto io. Passai veloce di fronte alla finestra, fingendo una folata violenta di vento, e feci sbattere il vetro verso il basso per chiuderlo definitivamente. Perfetto.
Entrambi si voltarono di scatto e Bella urlò. Un grido disumano che mi spezzò il cuore morto che avevo in petto.
-Aprila!-. Mormorò cercando di alzarsi in piedi. Non l’avevo mai vista così, mai. Si sollevò, tremante, e sospirò senza energie arrancato sul bordo del letto.
-Devi mangiare qualcosa…- Sussurrò Charlie preoccupato. Ero d’accordo con lui, ero sicuro che Bella avesse perso almeno cinque chili. Ero impressionato dalla sua magrezza, avevo paura per lei, ero angosciato. Il mio sguardo si perse sulle sue cosce esili e capii che doveva essere molto debole dal modo in cui tremava.
-Non ho fame-. Commentò fermamente aggrappandosi al davanzale della finestra. Charlie la prese per le spalle, cercando di impedirle di aprire, ma uno scossone di sua figlia lo fece desistere dal fare qualsiasi cosa che potesse peggiorare la situazione. Ora capivo perché tutto quel rancore nei miei confronti.
-Non tornerà. Lo sai anche tu-. Disse lui sbattendole in faccia la verità che anche io le avevo detto con tanta freddezza. E invece ero lì, vicino a lei, perché la amavo ed era impossibile per una creatura come me, egoista e senza scrupoli, lasciare ciò che più desideravo. Ero un vampiro, un mostro dannato, non un santo.
-No, lui tornerà-. Riprese sicura Bella abbassando la testa e guardando la strada. La fissai soffermandomi sulla sua bellezza eterea e su quanto mi fosse mancata la sensazione di appartenerle. Ero lì, solamente per lei, perché non potevo sopportare l’idea di starle ancora lontano. Stavo impazzendo.
-No, perché tu non sei così importante per lui. Non ti avrebbe lasciata qui-. Continuò suo padre senza pietà. Vidi il volto di Bella rigarsi di lacrime e “piansi” silenziosamente lo stesso dolore. Ero con lei, dentro di lei, non l’avrei più lasciata sola.
-Lui mi ama-. Commentò il mio cerbiattino sottovoce, lasciando scivolare una mano sul vetro e appoggiando la fronte bollente sulla finestra.
-Se veramente…-. Cercò di iniziare l’ispettore, ma un gesto di Bella lo fece desistere dal parlare.
-Voglio dormire-. Disse lei gentilmente, senza espressione. Charlie fu costretto ad annuire, stringendo la bocca, e le voltò le spalle dirigendosi verso la porta. Lo capivo. Era difficile per lui gestire tutta quella situazione. Vedere sua figlia in quelle condizioni non poteva che farlo soffrire.
-Edward-. Sussurrò ancora il mio piccolo Bambi prima di lasciarsi cadere a terra. Inizialmente pensai che fosse solo esausta, ma poi la consapevolezza che avesse perso i sensi mi fece spaventare. Ero terrorizzato da ciò a cui stavo assistendo, non avrei mai pensato che Bella potesse arrivare a tanto per me. Tornai alla luce e mi inginocchiai al suo fianco prendendola tra le mie braccia. La strinsi a me, con delicatezza, forse più di quanta non ne avessi mai usata e le baciai la fronte, sentendo la febbre entrare dentro il mio corpo e farmi male.
-Perdonami-. Bisbigliai accarezzandole con la bocca i capelli. Quanto desiderio, quanto dolore, quanta dolcezza in quella sofferenza che mi stava dilaniando le ossa. Era come trovarsi in mezzo ad un fuoco e sentirsi completamente ardere. Ogni più piccola parte di me si stava tendendo verso di lei per la voglia di ucciderla, di bere il suo sangue, ma sapevo che non le avrei mai fatto del male. Gliene avevo già fatto abbastanza. Ma ora basta.
La sollevai di peso e la portai sul suo letto, cercando di non farla svegliare.
-Che devo fare…-. Mormorai a me stesso continuando ad osservarla. Ero stregato da lei nonostante tutto. Non vederla per tutto quel tempo mi aveva distrutto e ora averla tra le mie braccia, così vicina, mi faceva respirare di sollievo, mi aveva fatto tornare la voglia di vivere.
-Vuoi sacrificare tutto quello che hai fatto fino ad ora?-. Risposi accarezzando lievemente la guancia di Bella. Un lieve dolore mi attraversò il braccio, che bloccai di scatto. Dovevo andarci piano, non ero più abituato a quelle sensazioni.
-No, voglio…-. Iniziai tentando di capire quale fosse il mio vero scopo. La volevo? Non la volevo? Non ne avevo più idea. Ero confuso. La amavo, ma forse troppo per avere il coraggio di allontanarmi da lei. Bella era la mia droga, il sentimento che provavo per lei superava di gran lunga qualsiasi tipo di dipendenza. Inutile cercare di fuggire da me stesso.
-Voglio solo rimanerle vicino finchè non starà bene. L’ho fatto in passato, posso farlo ora-. Mi giustificai sentendomi subito meglio. Sì, sarei rimasto al suo fianco fino a quando avrebbe avuto bisogno di me. Non potevo vanificare quel sacrificio, non potevo toglierle la libertà che le avevo dato con tanto dolore.
-Ti prego, perdonami-. Mormorai ancora chinandomi su di lei e baciandole lievemente la fronte. Una scarica elettrica mi attraversò la gola chiamando veleno e venne assorbita dal mio cuore che divenne brace, voglioso del suo sangue. Ma non feci nulla, rimasi solamente ad ascoltare il suo respiro irregolare soffiarmi nelle orecchie.
-Edward…-. Sussurrò nuovamente inarcandosi in avanti. Mi scostai, alzandomi in piedi, e tornai vicino alle tende. Dovevo pensare, riflettere. Se mi fossi fatto vedere da lei, davvero non avrebbe avuto più senso quello che era successo. E poi… mi avrebbe perdonato? O meglio, mi sarei perdonato per quella mia vigliaccheria?
-Edward… Edward!-. Gridò Bella scossa ancora dai singhiozzi. Alzai lentamente la testa fissando il corpo di Bella sollevarsi e rigirarsi da una parte all’altra, come se un demone la stesse possedendo nell’anima. E quel demone… ero sicuro di essere io. Mi avvicinai sollevando un ginocchio sul letto. Era troppo pericoloso avvicinarmi ancora, ma dovevo fare qualcosa per calmarla altrimenti avrebbe continuato a urlare il mio nome, ne ero certo. Mi inginocchiai e mi allungai, sfiorandole una mano e sussurrandole qualcosa di dolce, in modo che mi sentisse.
Si calmò, come un bambino capriccioso al suono della voce della mamma.
-Complimenti capo. E ora?-. Chiusi gli occhi sentendo ancora quel tono così famigliare punzecchiarmi. Sogghignai, consapevole di ciò che mi sarei rimproverato.
-Non avevi detto che era meglio starle lontano? Non avevi paura di farle male?-. Commentai gettandomi in uno stato di profonda confusione. Sì, era così. Non volevo che Bella corresse inutili pericoli, ma non desideravo nemmeno che stesse male a causa mia. Avevo sempre cercato di proteggerla, di non fare cose che avrebbero potuto spaventarla, eppure non ero riuscito ad amarla come avrei voluto fare. Una persona innamorata si sarebbe comportata diversamente.
-Insomma non riesci a fare pace con il tuo cervello-. Mormorò la mia voce, facendomi sghignazzare. Non aveva tutti i torti, mi sembrava di stare per scoppiare. Se l’avessi lasciata sola cosa sarebbe successo? Non avevo sacrificato il nostro amore perché Bella morisse.
-Ero convinto che sarebbe stato più facile dimenticare per lei-. Mi giustificai sfiorendole ancora una mano e chinando il capo per tornare a fissarla.
-E’ un controsenso-. Borbottai osservando la sua pelle bianca e morbida scomparire sotto la maglietta. Le vene pulsanti e violacee erano scoperte alla mia vista e alla mia voglia.
-L’amore in fondo lo è-. Sospirai, consapevole della verità delle mie parole. Avevo cercato di evitare di innamorarmi di lei e invece l’avevo trascinata nel mio mondo… adesso l’avevo lasciata, ma tornavo, deciso a proteggerla. Davvero era diventato difficile riconoscermi.
Mi alzai, decidendo che sarei rimasto lì con Bella finché avesse avuto bisogno di qualcuno che la proteggesse e mi sedetti sulla poltrona, riflettendo su una strategia di difesa. Sentii i pensieri preoccupati di Charlie quando uscì di casa per riprendere il turno e decisi di fare qualcosa per farla mangiare. Dovevo almeno provare. Ma come avrei fatto?
Scesi in cucina, aprendo il frigorifero. Non sapevo nemmeno riconoscere se ci fosse ancora qualcosa di commestibile. Velocemente riempii un piatto, convinto che la fame avrebbe comunque spinto Bella a nutrirsi. Salii di nuovo, non senza portare con me anche un bicchiere di acqua fresca, e appoggiai tutto sopra il letto, sapendo che si sarebbe svegliata di lì a poco. E infatti fu così.
Si alzò di scatto, fissando il piatto incredula e bevendo avidamente l’acqua.
-Gli avevo detto che non volevo nulla-.  Bisbigliò stupita continuando a guardare il cibo. Sperai che la mia idea funzionasse. Vidi il mio piccolo Bambi allungarsi verso il formaggio e annusare l’aria con l’acquolina in bocca. Sorrisi intenerito nel vederla guardarsi intorno come una bambina sorpresa. Prese una fetta di pane dal piatto e se la portò alle labbra, annusandola e chiudendo gli occhi.
Addentò il pane e io esultai. Per fortuna… la osservai masticare con attenzione, ma mi accorsi subito che qualcosa non andava perchè sputò tutto per terra tornando visibilmente pallida.
-Non ha senso… lui non c’è-. Bisbigliò poggiando a terra il piatto e pulendosi con la manica le labbra. Ero sconvolto, visibilmente esterrefatto da quella reazione. Aveva fame, perché non mangiare?
-Ma senti da che pulpito…-. Mormorai muovendomi agitato. Sì, anche io non ero riuscito a cacciare. Il solo pensiero mi metteva la nausea.
Guardai Bella tornare a stendersi sul letto e i singhiozzi scuoterla come poco prima. Le lacrime le inumidirono gli occhi e io mi accorsi di non poter fare niente per farla stare meglio. Mi ero ripromesso di non venir meno alla mia decisione. Il mio piccolo cerbiattino sarebbe stata libera di avere una vita normale, una vita come meritava davvero.
-Era questa la vita normale che volevi darle?-. Sussurrò ancora la parte più profonda di me. No, non avevo desiderato questo per lei, tutt’altro. Pensavo ad una vita felice, piena di cose belle, non certo pianti e disperazione.
Avevo creduto che il suo amore fosse più superficiale, avevo pensato che in un mese Bella sarebbe riuscita a riprendersi. E invece stava morendo, si stava lasciando morire per me.
-Non lo merito, Bella-. Bisbigliai allungando una mano sul fianco e stringendo il pugno, arrabbiato con me stesso. Ma cosa stavo facendo? Da una parte sentivo il bisogno di rimanerle accanto, ma dall’altra sapevo che la cosa più giusta sarebbe stata fuggire via e lasciarla al suo destino. Ma come avrei potuto? Non sarei riuscito a sopportare un mondo senza Bella, un mondo dove lei non c’era. Mi sarei odiato, detestato e avrei preferito morire. Tutto, ma non quello…
-Ti amo. Credimi… ti amo…-. Tornò a sussurrare il mio cerbiattino. Le credevo e lo sapevo, ormai ero sicuro che i suoi sentimenti per me fossero molto più forti di quanto che non avessi immaginato.
Ed era tutta colpa mia, solo colpa mia se lei era ridotta così.

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Capitolo 16
*** Ripresa o danno? ***




Buonasera...!!! State sgranando gli occhiucci increduli? Io pure. No, scherzo. Beh, prima o poi si doveva pur tornare, no? Ogni promessa che Malia fa solitamente è debito. E Nadir deve essere portato a termine, non lasciato certo a metà. Spero di non aver fatto arrabbiare nessuno per la mia assenza prolungata, ma ho avuto un po' di impegni che mi hanno trattenuta. Ho visto perplessità, però alla fine sono qui e spero che vi farà piacere continuare a seguire questa fic, che io adoro. Mi dispiace, cercherò di non assentarmi più così a lungo, anche se dovrò sparire ogni tanto. Ebbene sì ho una doppia identità segreta. Non ci credete (e infatti non ci ha creduto nessuno), l'unica identità parallela che potrei avere è quella di un porcospino che si rotola sul prato sotto i raggi del sole (Ma come mi vengono in mente queste cose? Sarà l'ora tarda e la giornata pesante). Fi lascio a Nadir, sperando che il capitolo vi piaccia. Al prossimo! Un bacio grande, Malia.

Ripresa o danno?

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Profondità… chiamami amore mio, chiamami. Io sono qui, ti ho trovata. Ti sto cercando, ma tu non riesci a vedermi. Stai morendo ed è colpa mia, vivi nel tuo limbo, o forse nel tuo Inferno. Ti ho lasciata, ma non volevo, sai? Te lo giuro non volevo. È che io pensavo davvero di poterti far vivere una vita normale, io realmente credevo che senza di me tutto sarebbe stato più facile. Ma ora che ti guardo, ora che ti vedo, mi accorgo di aver sbagliato tutto. Che ho fatto? Sono solo un vampiro, solo un vampiro. Ti prego, ti supplico, perdonami. Io realmente non volevo questo, ma tu non lo sai e non lo saprai mai. Riprenditi, vivi senza di me, non merito di averti mia, non merito che la morte per ciò che ho fatto. Non sono degno di amore.

Disperato. Era questa la parola giusta, mi trovavo in uno stato di disperazione pietoso. Non avevo mai provato quella sensazione prima d’ora. Forse era ciò che un essere umano avrebbe chiamato “soffocare”, forse, ma non ero convinto che non fosse qualcosa di peggiore. Non avevo un cuore, o meglio, non batteva più, ma lo sentivo vivo dentro di me, come se sanguinasse. Era ridicolo anche solo pensarlo, mi rendevo ridicolo ai miei stessi occhi e mal sopportavo quella sensazione. Avevo voglia di nascondermi, di dormire, anzi di finire la mia esistenza nella consapevolezza che tanto non avrei più fatto nulla di sensato. Avevo distrutto il mondo della donna che amavo, il mio, tutto quello che ci aveva legati, solamente per stupidità, per paura che un giorno avrei potuto farle del male.
Tornai sui miei passi, dirigendomi verso casa Swan. Erano dieci giorni che continuavo a vederla vomitare cibo, che sentivo la sua bocca chiamarmi la notte, il respiro veloce rotto solamente da parole come “ti amo”, “non lasciarmi”.
La amavo. Era semplice, era chiaro, ma non era mai stato così intenso. Avevo paura. Mi sentivo intimorito dal sentimento che Bella sembrava provare nei miei confronti, perché il mio era altrettanto forte. Vederla da un lato mi dava sollievo, ma d’altra parte non potevo dimenticare di essere stato io a farle del male. Arrancai, il passo pesante sul terreno. Dovevo nutrirmi, eppure il sapore del sangue non era più così invitante. E neppure quello di Bella riusciva più a tentarmi come in passato.
Ero diventato immune. Non provavo più né eccitazione, né emozione, solo tormento. Uno strano vuoto che cercava di stringermi lo stomaco e mi soffocava la gola senza lasciarmi andare e mi ripeteva solamente “Sei un animale, un animale. Non sei niente”.
-Dimmi cosa devo fare…-. Guardai il cielo, come uno stupido, alla ricerca di un segno. Nemmeno fosse un film romantico, non c’era nessun cavaliere dal cavallo bianco, c’ero solo io. Ma avevo perso me stesso nel momento in cui avevo scelto di fare a meno di Bella.
Quanti pensieri assurdi… quanta sofferenza inutile. Dovevo starle lontano e lasciarla al suo destino, come mi ero ripromesso, ma come avrei fatto allora a guardarmi allo specchio? Come? Era già abbastanza vederla in quello stato pietoso senza poter far niente per lei. E non ero l’unico a stare così.
Chiarlie. Mi detestava, aveva cominciato pian piano a provare rancore nei miei confronti. Bella aveva perso già cinque kg e le occhiaie erano evidenti sul suo volto. Ripeteva il mio nome ossessivamente, dondolandosi sul letto, e raramente andava a scuola. L’ispettore aveva avvertito la preside che Bella non si sentiva affatto bene e che avrebbe studiato a casa. In quelle condizioni non sarebbe riuscita ad alzarsi in piedi.
Non ci credevo. Non poteva essere vero. Come poteva un uomo, come potevo io, avere un tale potere su di lei? Era solo un’adolescente, non ero che il suo amore impossibile, il suo desiderio proibito. Insomma, ero convinto che sarebbe riuscita in fretta a cancellarmi. Avevo sottovalutato il suo amore, l’avevo sempre considerato inferiore al mio, ma adesso…
Salii sulla finestra, appena dopo il tramonto, e aspettai. I suoi occhi fissavano il vetro aperto, nonostante il freddo, e non volevano smettere di sperare in un mio ritorno. Avrei voluto urlarle di smettere, di convincersi che non mi importava nulla di lei, ma non sarebbe stato possibile. Era solo un modo per alleviare le mie pene, un modo per dimenticare momentaneamente il dolore che mi stava affliggendo, pensare in quel modo mi permetteva di fare leva sul mio autocontrollo.
Aspettai che il suo viso ciondolasse addormentato e in un attimo mi infilai sotto il vetro. Facile, veloce, ma idiota. Certamente non avrei potuto far altro che vivere con lei quella agonia, ma non volevo più farle pesare la mia presenza-assenza.
-Torna… torna ti prego, torna ti scongiuro, torna-. Continuava a ripetere nonostante il sonno. Avrei voluto avvicinarmi e coprirla, avrei voluto prendermi cura di lei sul serio, ma inevitabilmente non sarei riuscito che a peggiorare le cose. Ero impotente.
-Non posso-. Mormorai fissandola e aspettando che l’ennesimo incubo la facesse svegliare di soprassalto. E come avevo previsto avvenne.
Urlò e i suoi occhi si spalancarono di scatto, lucidi. Scoppiò a piangere rumorosamente e i passi rumorosi di Charlie rimbombarono sulle scale. Entrò in camera con il viso contorto da una smorfia dolorosa e si accostò alla figlia inginocchiandosi accanto a lei.
-Bella, stai bene?-. La sua dolcezza mi commosse. Era impacciato, le sue guance erano scavate e i suoi occhi rossi, troppo preoccupati evidentemente per la figlia, erano giorni che non riuscivano a trovare riposo.
-Edward… Edward…-. Era l’unica cosa che Bella continuava a ripetere. Suo padre sospirò e la aiutò a stendersi. Non potevo continuare a rimanere lì, era praticamente inutile stare a guardare.
-Smettila. Non tornerà, non c’è niente che lo riporterà qui. È solo un egoista-. Furono le parole dell’ispettore. Fui d’accordo con lui. La mia Bella doveva riprendersi e vivere, volevo vedere il  sorriso su quelle labbra rosse.
Lei non rispose, si limitò ad annuire e a rannicchiarsi tra le coperte come una bimba indifesa. Era troppo vulnerabile, così debole che una minima folata di vento avrebbe potuto ferirla. Charlie uscì senza parlare, anche lui non sapeva cos’altro fare oltre a portarle da mangiare e farle compagnia quanto poteva. Sapevo quanto si sentisse impotente, esattamente come me.
Osai avvicinarmi, facendo un passo in avanti, alla luce della lampada tenue. Il suo respiro sembrava profondo anche se da un momento all’altro avrebbe potuto svegliarsi di soprassalto. Mi sedetti sul copriletto, che odorava in modo quasi violento di lei, ma soffocai facilmente il desiderio e mi domandai come avessi fatto a ridurla in quello stato.
Era come se la mia mente non facesse che girare e rigirare sullo stesso argomento, logorandosi fino a non lasciare spazio per altro. Mi chinai sulle braccia e tornai a provare quella strana sensazione di inquietudine. Dovevo andarmene e lo sapevo. Dovevo lasciare che la mia immagine sbiadisse nella sua mente, perché sarebbe successo… lo sapevo.
-Edward-. Mormorò ancora Bella e io sussultai. Abbassai lo sguardo verso di lei, convinto che stesse ancora dormendo, ma le sue palpebre erano semiaperte. Non mi ero accorto del lieve cambiamento del battito del suo cuore, così concentrato nei miei pensieri.
-Fa male-. Sussurrò allungando le dita sul letto, piano, verso le mie. Non mi ritrassi, gli occhi nei suoi. Mi abbassai ulteriormente e mi bloccai quando mi resi conto di volerle sfiorare la fronte con un bacio. Ma cosa stavo facendo?
-Sei l’ennesimo sogno, lo so-. La sentii bisbigliare e sospirai sollevato. Non mi ero reso nemmeno conto della gravità di quello che stava succedendo. In fondo dentro di me sapevo di volermi far vedere da lei.
-Sì-. Risposi solamente chinandomi per darle un bacio sulla fronte.
-Però solitamente non mi baci mai-. Sorrise tristemente. -Forse questa volta non sarà un incubo-. Tornò a chiudere le palpebre, probabilmente troppo stanca per dire altro, e io le strinsi più forte la mano. Avevo bisogno di chiederle scusa, ma sapevo di non potere.
-Di solito… tu mi dici che non mi ami più, che non mi vuoi e che andrai via per sempre-. Continuò a bassa voce. Il suo dolore aveva sapore di incredulità. Possibile che ancora non riuscisse a capacitarsi di ciò che era successo?
-Sono crudele, devi dimenticarmi-. Le dissi, cercando di convincerla. Forse se avessi fatto la mia apparizione ogni notte e le avessi ripetuto quella frase lei alla fine mi avrebbe ascoltato.
-No, sono io, sono io a non essere abbastanza per te. Sono io che sono solo un’umana buona a nulla-. Era convinta delle sue parole, tanto che tremò sotto il mio tocco leggero.
-Non sai cosa dici, tu non lo sai-. Sbottai rabbioso, forse aumentando un po’ troppo il livello della mia voce. Mi morsi le labbra tornando in silenzio e di nuovo Bella si addormentò pesantemente. Era troppo stanca, viveva un incubo personale che non le permetteva di riprendere forza.
Mi alzai e decisi di andare a prendere un po’ d’aria. Raggiunsi la finestra, ma la sua voce mi richiamò di nuovo e io non riuscii a non voltarmi.
-Io lo so che mi ami. Lo so. Perciò non capisco-. Stava vaneggiando come suo solito, ma questa volta sembrava sveglia e consapevole.
-Bella, io non ti amo. Io non amo nessuno, dimenticami-. Continuai cercando di controllare il fremito del mio corpo. Ero distrutto, non potevo credere di averlo detto una seconda volta.
-Bugiardo. Sei solo un bugiardo-. Mormorò scuotendo la testa e voltandomi le spalle. Sì, ero un bugiardo e mi stupiva che lei riuscisse a leggermi dentro in quel modo. 
-Non riesco ad odiarti-. Sussurrò ancora. -Ti amo e non so come fartelo capire-.
Non c’era bisogno. Io lo sapevo, ma non sarebbe servito a nulla.
-Non potresti darmi almeno un bacio? Uno solo. Questo sogno è così diverso…-. Bisbigliò reclinando il capo di lato, sul cuscino, e i suoi occhi nocciola furono ancora nei miei. Baciarla sarebbe stato un errore, in ogni caso, ma fui tentato.
-Non è diverso. È tutto uguale-. Le risposi sicuro, forse arrabbiato. Perché quel desiderio improvviso di toccare le sue labbra? Di stendermi sotto le coperte con lei? Ero l’unico a poter fare qualcosa per Bella, ma… ma… Mi accostai e la guardai intensamente.
-Voglio qualcosa in cambio di questo bacio-. Le chiesi, ben sapendo che avevo una sola possibilità per far cambiare tutto quanto.
Bella fece per sollevare la testa, ma io non le permisi di muoverla.
-Hai la mia anima con te-. Ribatté subito. Non riuscii a non chinarmi e baciarla con ardore. Le mie labbra toccarono le sue, si premettero avidamente sulla sua bocca dolce, e mi pentii immediatamente di quel gesto, perché la vita sembrò scorrere di nuovo dentro di me. Il mio sangue si gonfiò e il suo profumo tornò a torturarmi come se non l’avessi mai sentito prima. Invece erano giorni che non facevo che torturarmi con quella fragranza.
-Dimmi che mangerai-. Per ora mi interessava questo. Volevo che riprendesse le forze, il resto sarebbe venuto col tempo.
-Promettimelo, Bella. Ricorda la tua promessa quando ti ho lasciata-. Continuai deciso e sperai che mi rispondesse di sì, senza arrabbiarsi o reagire. Se si fosse resa conto che non ero una visione le cose sarebbero solo peggiorate. Ma valeva la pena rischiare.
-Sei sempre il solito. Ti preoccupi per me, ma mi hai lasciata da sola-. La risposta tagliente arrivò finalmente e io non potei che rimanere in silenzio, cercando di trattenere il respiro per non perdere il controllo. 
Non le risposi. Era vero ciò che aveva detto, perciò mi limitai a darle ciò che le avevo promesso. Un bacio vero, ma lieve. Mi abbassai e mi accorsi di guardare le sue labbra con troppa attenzione. La linea della sua bocca era pallida e tremante, come se non credesse affatto a ciò che stava avvenendo e probabilmente anche io ero incredulo. La sfiorai, timidamente dapprima, cercando di resistere all’improvvisa attrazione per lei. Era naturale come bere del sangue, tanto che riuscivo a confondere il mio desiderio con la fame. Le mie labbra la fecero gemere, forse perché fredde, e io provai uno strano senso d’eccitazione che per un attimo mi fece perdere la testa. Era come essere tornati al passato, quando la passione divampava non appena i nostri corpi si sfioravano. Un bacio, solo un bacio… per me e per lei poteva significare la morte, ma in quel preciso momento diete di nuovo vita ad entrambi. Una vita che avevamo perso a causa del mio orgoglio e della mia cocciutaggine. Era strano per me tornare a prendere da lei tutto quello che avevo rifiutato, ma di cui avevo bisogno.
-Se fosse stato vero, penso che sarei già morta d’infarto-. Sussurrò il mio cerbiattino con un leggero sorriso sulle labbra. Gli occhi chiusi, distesa, non l’aveva mai vista così rilassata.
-Ricordati la promessa-. Le dissi immediatamente sentendomi già in colpa.
Annuì solamente, poi tornò a stendersi sotto le coperte e si coprì completamente la testa. Dovevo andarmene, respirare aria prima di poter commettere sciocchezze. Avevo un disperato bisogno di dirle che non ero solo una visione, che ero pentito, e che volevo stare con lei.
Ma non lo feci e mi alzai dirigendomi verso la finestra. Uscii nella notte scura e mi inoltrai nel bosco, pensieroso. La prima cosa da fare era cacciare qualche bestia per rimettermi in forze e non sarebbe stato difficile. Mi sentivo davvero meglio.
Azzannai il primo cerbiatto che trovai, troppo distratto per poter sentire il rumore dei miei passi alle spalle, e fu una preda facile, ma necessaria. Tornai a casa Swan soddisfatto e mi domandai quanto ancora avrei dovuto aspettare la ripresa di Bella. Salii sulla finestra e subito notai la sua assenza nella stanza. Dove diavolo si era andata a cacciare? Sentii i suoi passi barcollanti sulle scale e mi accostai alla porta appena accostata. Avrei tanto voluto scendere con lei. Intuii la sua meta ed esultai: la cucina. Scivolai allora lungo le scale, nascondendomi subito nell’oscurità non appena ne ebbi occasione. Fortunatamente non aveva acceso la luce dell’ingresso.
-Bels, cosa fai?-. Charlie le parlò dal salotto non appena si accorse della sua presenza e io mi schiacciai ancora di più sulla parete.
-Mangio-. Rispose solamente, facendola breve.
Il silenzio cadde immediatamente nel salone e mi ritrovai a sorridere quanto percepii il rumore di passi increduli dell’ispettore dirigersi verso la porta.
-Stai scherzando?-. La sua espressione assolutamente incredula mi strappò una risatina silenziosa. Ero felice.
-No, lui vuole che lo faccia-. Replicò semplicemente il mio cerbiattino e io tremai di piacere. Non avrei dovuto sentirmi così bene, ma la sola idea di avere un tale potere su Bella mi rendeva geloso e possessivo. Non dovevo lasciarmi travolgere da quei sentimenti.
-Lui?-. Il capo Swan aggrottò le sopracciglia e si appoggiò allo stipite con sguardo sconsolato. -Vuoi dire Edward?-.
Ero convinto che ormai mi odiasse e lo capivo. Io anche mi odiavo per ciò che le avevo fatto, ma ero l’unico che poteva in qualche modo rimediare. Io solo ne ero in grado… ormai me ne rendevo perfettamente conto.
-Sì-. Sentii Bella dire e poi la vidi sbucare dalla cucina con un coltello in mano. Oh oh, guai in vista. Persino Charlie sbiancò di fronte a quella scena. Sembrava il preludio di un film horror e conoscendo il mio piccolo Bambi sarebbe potuto diventarlo.
-Senti… io non credo che… sì, insomma, sia una buona idea. Andare a letto a digiuno concilia il sonno-. Se ne uscì il capo Swan indeciso, la paura negli occhi.
Fissavo la lama come se da un momento all’altro avesse potuto prendere vita e ridurre la donna che amavo a pezzettini. Sentivo odore di pericolo, qualcosa mi diceva che se non fossi stato attento sarebbe successo qualcosa.
-Ma cosa dici? Sono giorni che vuoi farmi mangiare-. Sbottò lei stupita.
Non aveva tutti i torti, ma ero convinto che sarebbe stato meglio prendere una pizza o qualcosa di pronto dal frigo. Ed ero assolutamente certo che suo padre fosse della mia stessa idea.
-Ti voglio viva, non a fette-. Precisò l’ispettore avvicinandosi cautamente a sua figlia. Pregai che prendesse il manico prima che Bella potesse farselo scivolare sui piedi.
-Sei ridicolo-. Bofonchiò lei per tutta risposta e si voltò per tornare in cucina.
Charlie rimase immobile, come in trance, e io sperai che si sbrigasse a seguirla. Altrimenti avrei dovuto controllare che Bella non si facesse male. Improvvisamente lo vidi sospirare e tornare sui suoi passi.
-E va bene, crepaci per quel damerino tutto muscoli e niente cervello. Sculetta come Marylin Monroe sulla passerella…-. Sbuffò tornando a sedersi sul divano. Percepii il tonfo e poi più nulla.
La mia solita fortuna. Sgattaiolai in cucina e mi ritrovai ad essere accecato dalla luce. Maledizione, ero totalmente scoperto. Bella avrebbe potuto facilmente accorgersi di me se si fosse girata.
Aveva delle verdure nella mano sinistra e si apprestava ad affettarle sul tagliere con quel coltello. Per la prima volta sudai davvero freddo.
-Se vuoi che io mangi, io mangerò…-. Sussurrò Bella sicura di sé, iniziando a tagliuzzare le rape.
Avrei tanto desiderato che avesse preferito patatine fritte o mortadella, invece che quel cibo sano. Come avevo previsto dopo due o tre colpetti il coltello le scivolò di mano e cadde a terra. Ero pietrificato dal terrore per due motivi: non potevo rimanere lì e non potevo lasciare che Bella si tagliuzzasse le mani.
-Fermati…-. Le sussurrai a bassa voce, improvvisamente, maledicendo la mia lingua lunga. Lei si voltò di scatto, con le dita a mezz’aria e mi guardò fissa.
E ora? Che stupido. Non potevo più nascondermi. Le sue guance arrossirono e il suo respiro accelerò di colpo.
-Ed… Edward…-. Bisbigliò deglutendo.
Ormai era inutile nascondermi, ero lì, proprio dietro al  tavolo e la guardavo con occhi preoccupati. Chinò il capo come se non mi avesse affatto riconosciuto e io sussultai dalla sorpresa. Il suo viso si distese in un sorriso dolcissimo e io non capii fino a quando non si chinò a riprendere il coltello. Non pensava affatto che io fossi vero, credeva che fossi un miraggio.
-Appari solo per salvarmi-. Balbettò tornando in piedi. -Non sei affatto giusto con me-. Mi voltò le spalle e io sentii ancora Charlie raggiungerci in cucina. Tornai in salone appena in tempo e lo vidi  entrare per controllare cosa stesse facendo sua figlia.
-Adesso parli anche da sola?-. Le chiese con la fronte aggrottata.
-Edward…-. Iniziò subito il mio piccolo cerbiattino, ma il capo Swan la interruppe.
-Edward, Edward, Edward, Edward, ma lo sai quanti ragazzi esistono là fuori che farebbero carte false per averti?-. Era furioso e aveva voglia di farle una bella predica come non succedeva da tempo. Eppure era contento anche lui perché Bella sembrava aver voglia finalmente di reagire.
Lei non rispose e si concentrò ancora sulla verdura. Guardai il cielo cominciando a dire le mie preghiere.
-Edward per caso ti ha detto anche di tornare a scuola?-. Azzardò l’ispettore e io mi morsi la lingua. Non ci avevo pensato, ma che scemo.
-No, ma vorrei che me lo dicesse-. Mormorò facendomi correre un brivido lungo la schiena. Reclinai il capo sul muro e sentii il suo cuore ancora agitato per ciò che era successo solo un momento prima. Io non avevo avuto nemmeno il tempo di emozionarmi. Forse anche io mi sentivo soltanto una visione, un sogno vicino a lei.
-Visto il modo in cui gridi il suo nome… non passa una notte che lui non ti dica qualcosa nei tuoi incubi-. Questa volta Charlie fu più duro del solito. Da padre non sapeva più cosa fare ormai, ma quello non era affatto l’atteggiamento giusto. Un attacco di quel tipo avrebbe potuto far rattristare ancora di più Bella.
-Scusami non dovevo-. Fece subito imbarazzato e io sospirai di sollievo. Anche lui stava soffrendo molto per quella situazione ed era normale una sua reazione spropositata.
-Niente-. Rispose la mia piccola ciondolando verso il frigo.
Prese qualcosa che non riuscii a vedere e si diresse verso di me, uscendo dalla cucina e tornando a salire le scale.
-Ti rubo una birra e le patatine. Poi se ho ancora fame scendo-. Sparì fino al piano superiore e io trattenni il respiro. Birra… la cosa non mi piaceva per niente. Bella non era abituata a bere. E le patatine? Provai un moto di disgusto. Quell’odoraccio di paprika mi faceva seccare la gola dallo schifo.
-Ehi, da quando bevi tu? Non ti ho mai visto bere alcol…-. Urlò Charlie a vuoto. La porta sbatté e io lo vidi ammutolire come uno stoccafisso.
-Non sono per niente un buon padre, ma se becco Edward lo ammazzo con le mie stesse mani. Lo giuro-. Borbottò ritornando nel salotto a godersi la tv.
Sarebbe stato difficile uccidermi, ma ora non era quello che mi faceva pensare. Bella era sola in camera sua con una bottiglia di birra in mano. Decisamente molto pericoloso. Tornai immediatamente di sopra, ma sbattei la mano sulla parete non appena mi resi conto di non poter entrare in camera.
-Merda…-. Bofonchiai fuori di me. E adesso?  
  


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Capitolo 17
*** Schiavo di sentimenti ***



Buongiorno!!! Vi sono mancata? Da un po' non aggiorno Nadir... dovete perdonarmi. Non è che mi sono dimenticata. Sono partita per un matrimonio, tornata con l'influenza, e poi ho aggiornato le altre fic. Questa è certamente la più complessa che sto scrivendo e non è affatto facile, credo per me come per voi. In fondo siamo solo all'inizio... 15esimo capitolo. Ci pensate? Ne farò 50... chissà Malia che si inventerà? Non chiedetemelo perchè ho delle idee, ma ora come ora penso che questa sia la parte più difficile di tutto il libro. Io vi devo ringraziare, perchè questa storia non ha molti seguiti e preferiti, e io lo capisco. Chi è così masochista da riviversi new moon? Insomma... però veramente a me piace e spero anche a voi che comunque mi seguite sempre. Cercherò di essere più costante nei miei aggiornamenti e non farvi aspettare a lungo. Se non sarà così cercate di essere pazienti, non voglio scrivere questa fic tanto per scriverla, perchè ci tengo molto. Ancora ancora e ancora grazie. Un abbraccio, Malia.


Schiavo di sentimenti.



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Rimasi immobile dietro alla porta finché non sentii la maniglia abbassarsi. Sospirai di sollievo quando Bella uscì di nuovo dalla sua stanza. Evidentemente aveva dimenticato qualcosa di importante.
-Inutile che pensi che mi voglia ubriacare…-. Urlò per le scale, rivolta a Charlie.
Ridacchiai di quel grido e sgattaiolai dentro la camera sospirando di sollievo.
-E che dovrei pensare?-. Rispose suo padre accigliato. Quasi sentii rimbombare le pareti. Stavano discutendo. Sghignazzai contento: Bella si stava riprendendo in fretta.
-Che sono un’adolescente e che tu non riuscirai mai a capirmi-. A quell’ennesimo strillo non riuscii a trattenere una risata.
Stava forse tornando il mio cerbiattino di sempre? Lo speravo, perché vederla così mi straziava l’anima.
-Oh, ma guarda…. se ti vuoi distruggere la vita ci stai riuscendo benissimo anche senza l’aiuto di un padre che non ti capisce!-. Sputò Charlie dal piano di sotto.
La scena aveva del comico, anzi forse più del tragico, ma riusciva comunque a farmi stare bene. Bella sbatté la porta della stanza proprio mentre io riprendevo il mio nascondiglio dietro la sua poltrona attorniata di peluche. Si portò le mani sui fianchi sbuffando e si buttò sul letto con aria stanca.
-Ora… ti vedo anche se non ci sei. Ahhhh-.  Gridò furiosa lanciando il cuscino sul muro.
Il riferimento era chiaro, come le lacrime che in quel momento le scendevano sulle guance. Sospirai ed evitai di guardarla negli occhi per non essere soffocato ancora dai miei sensi di colpa.
-Ti amo, Edward-. Mormorò arrossendo e abbandonandosi all’indietro. -Ti amo, mi senti?-.
Afferrò il pacchetto di patatine e lo aprì con foga innaturale. Guardò il contenuto per qualche secondo e poi prese un piccolo cerchio al formaggio portandoselo alla bocca. Fissai quel movimento come se si fosse trattato di un fatto miracoloso e non appena ingoiò la prima patatina sentii un brivido percorrermi la schiena.
-Lo faccio solo per te-. Bisbigliò ancora continuando a mangiare.
Chiusi gli occhi e appoggiai la testa alla poltrona abbandonandomi ad un pensiero proibito. Avrei tanto voluto accarezzarla dolcemente e stringerla a me per rassicurarla. Sospirai piano e rinunciai. Dovevo assolutamente soffocare quel desiderio prima che potesse travolgermi.
-Maledizione…-. Bofonchiò attirando la mia attenzione. -L’apri bottiglie-.
Si alzò in piedi di scatto, barcollando, e la mia prima tentazione fu quella di prendere la birra e scaraventarla giù dalla finestra. Mi morsi il labbro inferiore e aspettai che Bella tornasse. Il tempo sembrò non passare mai, ma quando la vidi richiudersi la porta alle spalle le cose peggiorarono.
Tolse il tappo e fissò la bottiglia come se si fosse trattata di una medicina da prendere. Ero convinto che di lì ad un’ora il mio piccolo cerbiattino si sarebbe ubriacata. Non era abituata a bere alcol.
Reclinò la testa all’indietro e si portò la birra alle labbra. Vidi il liquido scivolare nella sua bocca e alcune gocce cadere sulle sue guance: quella scena riuscì a stregarmi nonostante tutto.
-Bella…-. Sussurrai roco, sentendo il mio corpo reagire. Era talmente seducente che non riuscii ad evitare ai miei pensieri di prendere il sopravvento: mi sarebbe piaciuto raccogliere quelle gocce che le scivolavano sul collo sinuose. Per quanto quel liquido mi disgustasse sapevo che il sapore della sua pelle mi avrebbe fatto impazzire.
-Ahhh…-. Fece contenta allontanando la bottiglia da sé. Si inginocchiò sul letto e chiuse gli occhi tornando a bere.
-Basta amore-. Le imposi a bassa voce come se avesse potuto sentirmi.
Continuò a bere senza nemmeno riprendere fiato. Dannazione. Non mi piaceva quello che stava succedendo, ma se fossi intervenuto ancora avrebbe capito che non ero solo una banale illusione.
Eppure… tremavo dalla preoccupazione.
-Edward-. La sentii mormorare. Un rivolo di birra le scese sotto il maglioncino e io rabbrividii. Basta, basta. Che tentazione…
Il mio piccolo Bambi finì tutta la bottiglia, velocemente, come a volersi togliere ogni pensiero e ricadde sul letto con un gemito straziato.
-Credo di non essere abituata a bere-. Ridacchiò lasciando cadere la birra, ormai vuota, a terra, che rotolò subito verso la porta.
-Che caldo…-. Fece poi sollevandosi con le spalle. Non riuscì a mettersi seduta e chiuse le palpebre per rilassarsi meglio.
Sperai vivamente che non fosse già ubriaca, ma dallo sguardo vacuo capii che non doveva essere totalmente sobria.
-Almeno così riuscirò a dormire-. Borbottò girandosi su un fianco e portandosi il gomito sotto la testa. Si sistemò meglio, come a voler riposare i pensieri. Sospirò e distese bene le gambe. Avevo la sensazione che le girasse la testa e che sentisse un po’ di nausea. I miei sospetti divennero certezza non appena la sentii lamentarsi del dolore alla testa.
Era raro che potessi sbagliarmi su di lei.
-Ho voglia di vomitare le patatine che ho mangiato-. Bofonchiò ad alta voce girandosi sull’altro fianco. Sollevai un sopracciglio e scossi la testa. Era sempre la solita sbadata che non pensava mai alle conseguenze di ciò che faceva. Non osai immaginare a cosa sarebbe potuto succedere se l’avessi realmente lasciata sola.
Uscii dal mio nascondiglio e mi avvicinai velocemente al letto, senza far rumore, mentre Bella continuava a mormorare parole indistinte, incomprensibili. Sgranò le palpebre improvvisamente e io mi appiattii sul pavimento. Bellissima idea quella di farmi scoprire come un idiota.
Si sollevò seduta guardando fissa davanti a sé e io rotolai sotto il suo letto, sbattendo la testa contro la rete. Da perfetto scemo qual ero avevo perso il mio buon senso.
Sentii Bella correre in bagno e non mi stupii affatto di quel conato di nausea. Non era mai stata amante del’alcol e il suo corpo l’avrebbe immediatamente rifiutato.
E ora? Che fare? Tornare vicino alla poltrona o rimanere lì sotto? Non feci in tempo a decidere, perché il mio cerbiattino tornò in camera e si buttò con un tonfo pesante sul letto.
-Odio la birra, proprio non sopporto il sapore-. Sbuffò inginocchiandosi sul pavimento e scivolando verso la porta della sua stanza.
-Meglio mangiare qualcosa di più consistente-. Continuò lamentosa, sollevandosi con l’aiuto della maniglia.
Ero allibito. Bella era diversa. Parlava da sola, ma sembrava essersi ripresa. Sembrava… più forte. Più la guardavo e più mi rendevo conto di un’energia che prima non c’era.
Scese le scale stancamente e percepii dei rumori strani provenire dalla cucina. Non sentivo più i pensieri di Charlie, pensai perciò che si fosse addormentato. Aspettai agitato. Speravo vivamente che Bella non si riavvicinasse ai coltelli e, non vedendola tornare, entrai nel più totale panico. Possibile che doveva cacciarsi sempre in stupidi guai? Mi sentivo una guardia del corpo in incognito.
Sgattaiolai di nuovo sulle scale, nascondendomi al buio dell’ingresso, e aspettai di vedere apparire Bella. Niente. Solo in quel momento notai la porta accostata. Era uscita di casa. Ancora una volta il terrore riuscì ad immobilizzarmi. Non mi ero mai sentito così prima d’ora. Percepivo l’odore di freddo entrare, gelido e pungente, odore di neve, e non mi piaceva affatto saperla fuori vestita così leggera.
Ma non potevo certo farmi vedere. Mi avvicinai e sbirciai per vedere dove fosse. Non era sul pianerottolo.
Panico.
Mi accostai alla finestra, pensando di poter avere maggiore visuale, e la vidi sul ciglio della strada. Guardava attentamente il buio alla sua sinistra, come se stesse aspettando qualcosa. Non capivo cosa. Ora più che mai avrei voluto leggerle nella mente per capire.
-Maledizione, amore mio, ma cosa stai combinando?-. Mormorai a bassa voce facendo qualche passo indietro.
Dovevo trovare un modo per farla rientrare, così si sarebbe presa un malanno. Ero certo che l’indomani avrebbe avuto la febbre alta se non fosse entrata in casa. Ormai conoscevo bene il suo corpo.
-Fa qualcosa…-. Mi imposi e finalmente mi venne un’idea.
Controllai che Charlie stesse realmente dormendo e poi accesi la luce d’ingresso. Mi misi di fronte alla finestra, aspettando che lei si voltasse e così fu. Quando il suo sguardo si posò su di me mi sembrò che il tempo non fosse mai trascorso e, come qualche attimo prima, sentii la tentazione fortissima di farle capire che sarei sempre stato vicino a lei, nonostante il dolore. Che l’amavo.
Però non feci nulla. Mi appoggiai al davanzale mentre i suoi occhi nocciola mi scrutavano attenti per capire se fossi solo un’illusione. Fu in quel momento che Bella perse l’equilibrio e cadde malamente sul ghiaccio freddo.
Spensi la luce e continuai a guardare il suo corpo che malamente tentava di riprendere l’equilibrio. L’avevo temuto ed era successo. Sospirai e aspettai che rientrasse. Sapevo che lo avrebbe fatto ormai e sperai che sarebbe tornata tutta intera.
Quando entrò in casa, guardandosi intorno, io non ero più dietro al vetro, ma ben nascosto, e la fissavo con sguardo di rimprovero: aveva dei tagli sulle mani.
-Non ci credo… ho le allucinazioni davvero. No, sono solo ubriaca-. Mormorò tra sé e sé, appoggiandosi allo stipite della porta del salone.
-Forse Charlie ha ragione, forse… lui non tornerà più-. Il suo respiro si mozzò nel petto e poi scosse la testa come a voler cancellare quel pensiero.
Già, io non sarei più tornato, mai più, eppure avrei sempre vissuto per lei, l’avrei sempre amata, come vampiro e come uomo.
I giorni trascorsero e più il tempo passava più Bella sembrava ristabilirsi. Aveva ripreso a mangiare e i suoi occhi brillavano di una luce differente, nonostante fossero ancora spenti.
Un pomeriggio, mentre, come solitamente faceva, si sedeva di fronte alla finestra per guardare il paesaggio, la vidi prendere il suo pc ed iniziare a scrivere qualcosa.
Ero curioso, non avevo idea di cosa potesse essere, ma se solo avessi potuto avvicinarmi ero sicuro che avrei sbirciato dimenticando di dovermi nascondere ai suoi occhi. Passarono i minuti e il suo viso triste mi fece capire la sua sofferenza.
Ne approfittai solo quando, dopo mezz’ora, scappò in bagno. Mi avvicinai al computer e mi chinai per leggere.

Cara Alice,
so che non riceverai mai questa e-mail. Sei scomparsa proprio come lui. Volevo solo parlarti dei miei sentimenti per Edward. Lo amo e non so più a chi dirlo, non c’è più nessuno con cui valga la pena parlare. A scuola vado raramente e ogni volta mi sento lontana, immersa in un mondo che non sento più mio. Sai… lo sento. È con me. Ci credi? È come se lo fosse. Il suo ricordo, la sua voce è qui. E poi ti devo confidare un’altra cosa: a volte mi sembra quasi di sentire il suo profumo. Soprattutto la notte, quando dormo. È come se sentissi il suo respiro sul mio viso e riesce a calmare i miei terribili incubi. Sogno, sogno di lui, del momento in cui mi ha detto di non amarmi. Oh, Alice, non ci credo, sono sicura che non sia così. Lo sento. Io lo amo e lui mi ama. Lo so.

Rimasi attonito nel leggere quelle parole e, sentendo rumori nel bagno, mi nascosi di nuovo, questa volta turbato. Lei mi sentiva, sapeva in qualche modo che ero lì. Ero felice. Mio Dio, stupidamente e scioccamente felice per una cosa così sciocca. Ridacchiai e mi portai la testa tra le ginocchia mentre Bella si sedeva ancora e riprendeva il computer tra le mani.
Avrei voluto sfiorarle i capelli e dirle “ti amo”, ma non lo feci. Ero convinto che presto il mio piccolo Bambi non avrebbe più avuto bisogno di me. Ormai sarebbe stata solo questione di tempo.
La sera la osservavo spogliarsi e mettersi sotto le coperte. Ogni notte facevo in modo che gli incubi non la travolgessero. Le accarezzavo la fronte, le cantavo la nostra ninna nanna, la amavo con la voce e con i miei pensieri.
A volte però non riuscivo a starle accanto, io stesso sopraffatto da sentimenti da cui mi sentivo schiacciato. Sensi di colpa. Rivivevo nella mia mente il momento in cui l’avevo abbandonata e tradita perciò non mi riuscivo a perdonare. E le urla dei suoi incubi mi straziavano l’anima purificandomi.
Perché? Perché non potevo amarla? Perché la mia mente si rifiutava di starle vicino nonostante lei fosse tutta la mia vita?
-Edward… non andare. Ti prego!-. Urlava e io soffrivo vicino al mio amore.
Gridava, strillava, si dimenava e in quei momenti io riuscivo a capire il male che le avevo fatto, ma, vedendola sudare e soffrire in quel modo, mi rifiutavo di lasciarla da sola. Riprendevo a tenerle la mano ogni notte fino a quando il desiderio di risentire quelle grida mi straziava. Ne ero diventato dipendente.
-Edward… Edward-. Il mio nome sulle sue labbra era costantemente presente e questo non poteva che darmi piacere, però non era ciò che volevo.
Dicembre arrivò in fretta, troppo in fretta, ma le cose non erano affatto cambiate come io avevo pensato. Bella aveva preso l’abitudine di scrivere ad Alice e salvare le lettere sul pc anche senza inviarle. Ora mangiava, ma non abbastanza. E le sue presenze a scuola non erano per nulla aumentate. Tutti i miei sforzi di starle in qualche modo vicino erano stati vani. Bella soffriva la mia assenza, com’era ovvio che fosse.
Sentii bussare alla porta e mi riscossi dai quei pensieri. Era l’ispettore Swan.
-Ciao-. Entrò salutando sua figlia con un cenno della mano e lei si girò di scatto, guardandolo tranquillamente.
-Ciao. Andata bene a lavoro?-. Gli domandò interessata.
Lui annuì e si avvicinò, poggiandole una mano sulla testa in un gesto affettuoso.
-Come stai oggi? Niente scuola?-. Lei scosse il capo e Charlie sospirò sedendosi sul letto.
-Hai intenzione di farti bocciare?-. Le domandò semplicemente con un sospiro sconsolato.
-No, solo… non me la sento-. Gli spiegò brevemente lei ritornando a stare in silenzio.
Avevo capito che quel giorno Bella non aveva molta voglia di parlare, perciò sarebbe stato inutile ogni tentativo di farle dire qualcosa di più.
-Ancora pensi ad Edward?-. Le chiese come se fosse illogico il solo pensiero che potesse ancora ricordarsi di me. In effetti io stesso avevo pensato che Bella mi avrebbe dimenticato in fretta. Non era stato così, avevo sottovalutato il suo amore per me, l’avevo sottovalutata.
-Ti dispiace?-. Gli rispose ridacchiando.
Suo padre sollevò gli occhi e li roteò in aria, esasperato dal comportamento di sua figlia.
-Sai… che Jacob Black ogni tanto si fa vedere qui a Forks?-. Le disse improvvisamente, ammiccando divertito.
Bella sbatté le palpebre più volte, confusa, e io soffocai a stento un ringhio. Quileute… odiavo solo sentirne parlare. 
-Jacob?-. Mormorò dubbiosa grattandosi la testa e reclinandola di lato.
-Il figlio di Billy. Possibile che non ricordi?-. Charlie era allibito, io felice.
Bella rimase in silenzio per un attimo e aggrottò la fronte, poi sembrò illuminarsi e guardò suo padre con consapevolezza.
-Ah sì! Mi ricordo, che sciocca. Sì, va bene. Salutamelo-. Gli rispose gentilmente e si girò ancora verso la finestra, continuando a scrivere sul pc.
-No, io intendevo… incontrarlo, magari uscire con lui. È un bravo ragazzo-. Insisté cercando di spingerla a capire ciò che aveva inteso.
Bella lo guardò fisso, senza parlare, e poi fece spallucce.
-In futuro-. Sussurrò poco convinta e io ridacchiai. Inutile continuare il discorso, il mio piccolo cerbiattino non aveva alcuna intenzione di uscire con un altro.
Charlie si alzò e storse la bocca in un’espressione triste e preoccupata. Dovevo ammettere a me stesso che mi faceva piacere. Ero immensamente contento e soffocai una risatina vittoriosa.
-Smettila, sei ridicolo…-. Bisbigliai poi a me stesso passandomi le dita tra i capelli.
L’ispettore Swan guardò un’ultima volta sua figlia e poi annusò l’aria stranito. Si spostò verso la porta, guardandosi intorno, e io mi appiattii meglio dietro la poltrona, all’angolo della stanza. Maledizione, solitamente preferivo rimanere maggiormente nascosto.
-In questa stanza c’è uno strano profumo-. Proruppe Charlie improvvisamente, grattandosi il capo.
Bella lo fissò e poi prese un profondo respiro frustrato.
-Non sono l’unica ad avere allucinazioni-. Sussurrò sghignazzando e guardandolo scettica.
Lui non rispose, brontolò solamente qualcosa di incomprensibile, e poi uscì socchiudendosi la porta alle spalle.
Il mio cerbiattino si alzò, spostandosi davanti alla finestra, e guardò in basso, fissando il vialetto di fronte a casa. La osservai, cercando di non farmi notare e mi appiattii velocemente al muro mentre il suo sguardo, distratto da qualcosa, si faceva vuoto e distrutto.
-Mi manchi ancora, ti amo ancora, ti aspetto ancora. Sarò diventata pazza?-. Concluse facendomi fremere d’emozione.
Mi bastavano quelle parole per rinascere. Non era giusto, ne ero consapevole,  ma non potevo fare a meno di godere di quei momenti. La amavo e desideravo quell’amore puro e totale. Non ero affatto la creatura altruista che lasciava il suo più grande tesoro per farlo vivere, in realtà l’avevo portata alla morte, e ora cercavo in tutti i modi di farla riprendere. Incoerente, ma felice. Ero pieno di quell’amore, saturo del sacrificio che Bella stava facendo per me.
-Non potrei mai amare nessun altro che non sia lui, Alice-. Parlò tra sé e sé e io provai un piacere talmente forte da farmi eccitare.
Alla fine ero solo un vampiro, non potevo chiedere a me stesso di andare in ogni modo contro la mia natura. Non appena Bella si distrasse io uscii. Dovevo pensare, riflettere, rimanere in qualche maniera lontano dalla mia droga prima di commettere qualche errore. Era semplicemente assurdo. Ogni giorno sempre la stessa storia. Mi allontanavano, cercando di dire a me stesso di farmi forza, di prendere la mia Volvo e correre via. Puntualmente tornavo, puntualmente stavo con lei. Debole e innamorato, ma non giustificato per quello che avevo fatto.
-Non posso lasciarla sola. Non adesso-. Mi ripetevo, colpevole.
E così mi ritrovavo la notte a guardarla e mi permettevo di accarezzarla. Come negare il mio bisogno di lei? Era tutta la mia vita, tutto ciò per cui valeva la pena esistere.
Entrai dalla finestra, come sempre, sicuro che lei dormisse, o almeno sonnecchiasse, e mi fermai ad osservarla, persa nel suo sonno. Ricordai le prime volte che ero entrato nella sua camera, segretamente già ossessionato da quell’amore, e avevo pregato che lei potesse accettarmi, l’avevo desiderata tanto da permettermi carezze profonde. Sì, la volevo nonostante tutto, volevo fare  l’amore con lei e mi ritrovavo a pensarlo ogni volta che si spogliava di fronte ai miei occhi. Ignara di quanto fosse bella per me.
Mi avvicinai, notando immediatamente le goccioline di sudore che le imperniavano la fronte e le mani strette a pugno sulle coperte. Ancora incubi? Forse. Ormai era un’abitudine.
Mi inginocchiai, fissandola dolcemente, e allungai la mano verso le sue labbra. Sì, era proprio come tornare al passato, e sarebbe stato così facile svegliarla e dirle che ero vero, che ero lì per lei.
-Bella… ti amo-. Le dissi inaspettatamente, soffocando il mio viso nel suo odore, impregnato nel cuscino in cui soffocai il mio volto, vicino al suo.
Lei sorrise e si spostò istintivamente verso di me stringendomi il braccio. Le poggiai la mano sulla sua e la presi come fosse stata di cristallo. La portai alle labbra e chiusi gli occhi, posandovi un bacio struggente.
-Credimi, io vivo per te-. Bisbigliai dolorante. Ero sicuro che se avessi potuto piangere sarei scoppiato il lacrime come uno stupido. “Gli uomini non piangono”, mi aveva spesso ripetuto mia madre in passato, quando ero bambino, ancora umano. Forse, ma possibile che mia mamma non avesse avuto idea della sofferenza che riusciva a dare l’amore?
-Non dimenticarmi. Ti supplico, amami-. La pregai egoisticamente. Non sapevo nemmeno ciò che stavo dicendo. Mi chinai e le baciai avidamente le labbra, sentendo la voglia di stringerla a me mordermi l’anima. Il suo sangue era niente, niente in confronto a quel profondo desiderio di averla.
-Ama solo me. Solo me-. Le ripetei, come tentando di convincerla.
-Solo te…-. Bisbigliò lei nel sonno. -Solo te…-. Le soffocai il respiro con un altro bacio e Bella mi strinse a sé.
Il suo cuore batteva regolarmente, segno che stava dormendo, perciò ne approfittai e la abbracciai godendo della sua fragranza dolce e avvolgente.
Se soltanto avessi potuto dormire o morire, o qualsiasi cosa che mi avesse aiutato a dimenticare tutto, a non sentire più niente… io… io…
-Rimani con me. Sempre, rimani con me-. Mormorò ancora Bella e io mi piegai al suo volere. Sarei stato suo schiavo se necessario, il suo burattino, ma non l’avrei mai lasciata sola.

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Capitolo 18
*** Le prime allucinazioni ***



Buonasera! Finalmente qui per voi ad aggiornare Nadir. Mi spiace se ho tardato, ma dovevo peggiorare la situazione di Edward in qualche modo e mi domandavo come: alla fine ho trovato il modo. Spero apprezzerete, anche se potrà sembrare divertente a lungo andare non lo sarà. Di che sto parlando? :-P Segreto professionale. Scherzo. Non ho molto da dire, spero solo che vi piacerà il capitolo. Come sempre io vi ringrazio perchè seguite questa fic, starò anche diventando monotona, ma apprezzo il vostro appoggio e ancora di più la vostra stima, che per me è fondamentale. Davvero GRAZIE! Nadir sarà una fic molto "originale", e anche se potrà sembrare che non sto seguendo la trama di new moon non è così. Ho già pensato a tutto. Lo dico perchè questo capitolo penso lascerà un po' perplessi. Penso... alla prossima!

Le prime allucinazioni.

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Davvero capire cosa mi stava succedendo cominciava ad essere difficile. Invece di rimanere lì con lei avrei dovuto ricostruire i pezzi della mia vita con la mia famiglia. Tuttavia mi ostinavo come un malato d’amore a rimanerle vicino e soffrire con lei. Cominciavo a credere di avere seri problemi di coerenza. Passavo dal riso alla tristezza in pochi secondi, dalla felicità di vederla sorridere alla disperazione di non poterla amare. Ero schiavo di qualcosa di molto più forte di me.
Lanciai un sasso nel folto sottobosco, godendo del suo rumore sulla neve. Avevo appena mangiato. Sorrisi di quel pensiero… il sangue sembrava attirarmi meno di quanto non avesse fatto in passato. Avevo perso il gusto di bere quel liquido scarlatto. Carlisle si sarebbe eccessivamente preoccupato e sarebbe arrivato persino a farmi la predica, lo sapevo, ma io non avevo voglia di sentire nessuno.
Ero sicuro che Alice sapesse, perciò non mi avrebbero cercato, non si sarebbero preoccupati di me. O probabilmente sì, ma non aveva importanza. In quel momento avevo soltanto bisogno di rimanere con Bella, oppure da solo, e vivere quel dolore.
-Io credo di essere diventato pazzo. Non so se i vampiri possano impazzire o meno, ma io sono diventato matto-. Mormorai a bassa voce, prendendo un altro sasso e lanciandolo lontano.
Avevo trovato il modo di lavarmi e così spesso cercavo dei posti dove poterlo fare, non troppo lontani da casa Swan: usavo vasche da bagno lasciate per gli animali nel bosco. Mi sentivo sporco, non mi cambiavo da più di due mesi. Era ovvio che il mio odore cominciasse a farsi sentire. In realtà cominciava a disgustarmi… o forse ero semplicemente io che non riuscivo più a sopportare la mia esistenza.
-Almeno non parlo più con me stesso…-. Commentai ad alta voce, ma mi morsi le labbra subito dopo. Le cose erano peggiorate. Il mio silenzio era diventato così profondo che sentivo sempre di più l’esigenza di parlare con qualcuno.
-Forse potrei scrivere qualcosa proprio come fa lei-. Scartai immediatamente la soluzione e ridacchiai. Io scrittore… da quando l’avevo lasciata non avevo avuto nemmeno più voglia di suonare. In realtà l’unico desiderio che avevo era sentirmi vuoto, sentirmi niente per smettere di soffrire in quel modo.
Tornai indietro, scalzo, in mezzo alla neve e completamente sovrappensiero. Non ero vivo, non ero morto, non ero un mostro, insomma non ero. Continuai a camminare verso casa di Bella, cercando di ricordarmi come fosse stata la mia vita senza di lei. Come avevo fatto a sopravvivere tutto quel tempo? Mi sembrava impossibile aver sopportato quel nulla. Anche sentire dolore mi sarebbe bastato per sentirmi qualcuno, ma la noia dell’esistenza, la perdita di me stesso no, no. Bella era tutto per me, tutto per me.
-Sono a pezzi-. Mormorai senza voce.
Che melodramma. Semplicemente ridicolo. Che attore perfetto.
Mi accasciai a terra, poggiando la schiena su un tronco e guardai il cielo scuro annebbiato dal freddo. Dovevo tornare da lei, fare a meno della mia droga per troppo tempo mi portava in uno stato catatonico che non riuscivo a sopportare.
-Signore?-. Alzai la testa di scatto, sbalordito. Era una voce quella che avevo sentito?
Focalizzai una bambina davanti a me e rimasi attonito. Non avevo sentito i suoi pensieri e stranamente nemmeno il suo odore.
-Signore, ciao-. Riprese ancora facendo un passo in avanti. La guardai senza sapere cosa fare. Mi stupii che non avesse affatto paura di me. Che si fosse persa?
-Non parli?-. Mi disse avvicinandosi ancora. Cercai di leggere nella sua mente, ma nulla, il niente. La disperazione mi stava giocando brutti scherzi.
-Ahh… ahh-. Aprii bocca malamente solo per far uscire quei suoni buffi e decisamente di poco senso.
Quella bimba però era davvero bella. I capelli corti a caschetto le ricadevano intorno a un visino leggermente paffuto e i suoi occhi nocciola mi ricordarono immediatamente quelli del mio cerbiattino.
-Secondo me stai morendo dal freddo. Sei così pallido, mamma mia-. Disse lei inginocchiandosi così vicino che potei finalmente sentire il suo profumo. Dolce, proprio come l’odore di Bella.
-Mi vuoi sposare?-. Sbottò all’improvviso la piccola e io sgranai le palpebre fissandola sbalordito. Cosa? Mi spostai leggermente in avanti, scivolando sulla neve, e lei indietreggiò un poco, forse spaventata dalla mia reazione.
-Scusa, signore muto. È che sei così bello-. Bisbigliò tremante.
Mi ritrovai a ridacchiare senza motivo. Quella bambina sapeva essere davvero impudente.
-Sono bello?-. Finalmente parlai e la vidi spalancare la bocca e arrossire.
-Wow, hai una bellissima voce. Allora non sei muto-. Replicò lei avvicinandosi di nuovo e allungando la manina verso di me. Impossibile spostarmi e resisterle, in qualche modo mi stupiva il suo coraggio.
-No, posso parlare-. Le dissi sincero e scoppiai a ridere di cuore.
Lei mise il broncio e io rimasi affascinato dal modo in cui le sue guance paffute terminavo in due fossette vicino alle sue labbra. Provai tenerezza dopo tanto tempo.
-Ti sei persa?-. Le domandai subito, preoccupato. Probabilmente sì. Una bimba nel bosco da sola non poteva che essersi persa.
-Credi che mi sia persa?-. Mi rispose con un sorriso e io aggrottai la fronte. Non era la risposta che mi sarei aspettato.
-Sì-. Replicai sincero e lei si sporse ancora per accarezzarmi la guancia.
-Sei buffo con questi capelli strani, ma che colore è?-. Mi domandò passandoci la manina pienotta. La lasciai fare e provai una strana sensazione di benessere e dolcezza.
-Non so, ramato, rosso, castano-. Le descrissi un po’ di colori con cui spesso avevano definito la mia capigliatura, ma lei storse il naso, schifata, e ci pensò su.
-Secondo me sembri più un leone, hai i capelli alla leone… sì-.  Bofonchiò pensierosa, come se definire i miei capelli fosse stata una questione di vita o di morte.
-Ma mi muovo come un puma-. Scherzai facendo per afferrarla e prenderla in braccio. Lei ridacchiò trotterellando via e girandomi intorno.
-Posso chiamarti leone o hai un nome… ex signore muto?-. Parlottò decisa e io scoppiai a ridere, talmente divertito da non riuscire a fermarmi. Ma chi era quello scricciolo d’uomo? 
-Edward, mi chiamo Edward-. Mormorai dolcemente e mi alzai in piedi, guardandomi intorno perplesso. Non riuscivo a capire come avesse fatto quella bimba ad arrivare fino a quel punto del bosco, e tutta sola poi. -E tu signorina?-. Le domandai con un inchino ghignando del suo stupore.
-Io fossi in te mi comprerei un vestito nuovo-. Esordì sincera indicando i miei vestiti, ora completamente bagnati.
-Credo che tu abbia ragione-. Dovetti risponderle infilando le mani nelle mie tasche zuppe.
-Io sempre, Edward-. Mi sorrise e poi mi tese la mano, come a volere che fossi io a prenderla. La osservai per qualche minuto poi decisi di darle ciò che voleva. Allungai le dita senza pensare che avrei potuto spaventarla con la mia temperatura gelida e quando lei le prese la fissai sbalordito: non si era scostata.
-Te l’ho detto, tu hai freddo. Ora ti scaldo io-. Sussurrò spaventata e mi prese la mano tra le sue, minute, che non riuscivano a racchiuderla tutta.
Continuavo a non capire, ero molto confuso, ma il piacere della sua compagnia mi faceva stare bene, perciò non parlai. Sfregò le piccole dita per darmi calore, forse inutilmente, poi decisa alitò sulla mia mano per scaldarla.
Ancora una volta mi ritrovai a sorridere. Sarebbe stato impossibile donare calore a qualcosa di morto, perciò il suo sarebbe stato un tentativo inutile.
-Perché ridi?-. Mi chiese allora. Non le era sfuggito il mio sorriso.
-Perché non posso scaldarmi-. Le confidai apertamente. Avevo la netta sensazione che non si sarebbe stupita.
-Ah, beh, allora hai bisogno anche di un medico-. Mi sgridò e io non riuscii più a trattenermi. Risi, risi e risi. Ma da dove veniva quel cuccioletto?
-Mio padre è medico-. Dissi allora e lei alzò un sopracciglio, perplessa.
-E tuo padre ti fa morire qui da solo nella neve al freddo?-. Mi rispose scettica scuotendo il capo.
Non sapevo che risponderle. Come fare a spiegarle ciò che stavo provando? In fondo era solo una bambina. Però ne sentivo forte il bisogno, quella solitudine mi stava divorando.
-Sono io che lo voglio-. Le parlai sinceramente, senza accorgermi di aver cominciato a camminare. Lei mi teneva la mano e rimaneva tranquillamente al mio fianco, trotterellando come se nulla fosse.
-C’è una persona che amo e che sta molto male a causa mia-. Le confessai, chiedendomi se avrebbe potuto capire ciò che le stavo dicendo.
-La tua ragazza?-. Mi rispose subito e io sentii una fitta all’altezza del torace. La mia… no, non era più mia, ma la sola idea di lasciarla andare mi faceva male.
-Lo vorrei-. Mormorai sincero. Volevo Bella con tutto me stesso.
-E allora cosa ti impedisce di stare con lei? Non ti ama più?-. La sua domanda era a dir poco sbalorditiva.
-Sai…-. Continuò. -Anche i miei genitori non si amano più, ma tu non avrai problemi a trovarne un’altra. Sei stupendo-. Mi fece presente guardandomi insistentemente e io trattenni a stento un’altra risata.
-No, credo che lei mi ami-. La contraddissi e la bimba si fermò di colpo, parandosi di fronte a me e fissandomi con due occhioni meravigliati.
-E cosa stai aspettando? Non capisco-. Nella sua ingenuità non avrebbe potuto comprendere.
-Che mi dimentichi-. Sbottai allora, dolorosamente, ricominciando il nostro cammino apparentemente senza meta.
-Tu sei matto-. Borbottò indecisa per poi lasciarmi andare. Si allontanò di poco da me e poi girò su se stessa come una ballerina traballante.
Continuai ad osservarla incerto, chiedendomi cosa ci facesse nel bosco e perché fosse così sicura di sé. Avrebbe dovuto piangere e cercare i suoi genitori, non ballare sulla neve.
-Mia mamma vuole che io faccia danza-. Mi confidò poi poco elettrizzata. -Ma a me l’idea non va tanto-. Terminò correndomi di nuovo incontro.
-La danza è un’arte, sai?-. Le feci notare subito, ma lei storse le labbra e mise il broncio.
-Non quando non sai nemmeno camminare senza perdere l’equilibrio-. Ribatté convinta sospirando triste.
Perché mi ricordava così tanto Bella? Non mi aveva forse anche lei raccontato le sue disavventure con la danza? La coincidenza mi sorprese.
-Però lo faccio per lei, so che la renderebbe felice-. Mormorò poi, vergognosa, guardandosi da una parte all’altra come se ci fosse stato il rischio che qualcuno ci stesse ascoltando. -Però non dirlo a nessuno-.  Mi supplicò con i suoi occhioni color cioccolato.
-E per te? Cosa ti piacerebbe fare?-. Le domandai incuriosito dal suo modo sincero e fiducioso di porsi. La piccola fece spallucce e allungò la mano verso la mia prendendola con noncuranza.
-Io voglio amare-. Arrossì balbettando. -Non un uomo qualunque, ma una persona speciale. Proprio come te… un matto-. Sottolineò facendomi inevitabilmente esplodere in una risata genuina.
Oddio, non potevo credere che al mondo ci fosse una bimba così sveglia. Era una boccata d’aria fresca per me, anche se non mi capacitavo di quella serenità accanto a lei. 
-Io non sono matto-. Le spiegai allora, cercando di rimanere serio.
-Edward, non è per dirti nulla, ma… i tuoi vestiti sono strappati, eri seduto sulla neve, sei scalzo e non vuoi stare con una ragazza che ami e che ti ama. Questo per me significa che sei pazzo-. Affermò continuando a saltellare sul sentiero con me al suo fianco. Non voleva proprio lasciarmi andare.
-Sono solo innamorato, piccolina-. Sussurrai sentendo forte dentro di me quel sentimento che mi legava inesorabilmente alla donna che amavo con tutto me stesso.
-E hai detto che anche lei lo è-. Mi fece notare e io mi passai la mano libera tra i capelli. Che bimba impossibile!
-Siamo diversi-. Tagliai corto ancora sperando che non mi chiedesse altre spiegazioni. Non avrei saputo cosa risponderle. Non poteva neanche immaginare quanto io desiderassi Bella nella mia vita, quanto avessi fame e sete di lei e quanto la consapevolezza di doverle stare lontano mi stesse uccidendo.
-Scusa… è una scusa. E lo sai anche tu-. Sbottò arrabbiata.
-Non è una scusa. Avrei finito solo per farla stare male se avessi continuato a desiderarla come faccio-. Esplosi innervosito. Mi resi conto solo in quel momento di non aver controllato la mia ira e di aver urlato. Mi capitava raramente e non con gli esseri umani poi, soprattutto bambini.
-E ora lei come sta? Sta bene?-. Riprese lei per nulla spaventata dalla mia reazione imprevedibile, anzi sfidandomi con gli occhi a dirle il contrario di ciò che pensava.
-No-. Terminai, lo sguardo basso e la consapevolezza di aver distrutto la persona più importante della mia vita con la mia immaturità.
-Mamma dice che se due persone sono unite da qualcosa di molto forte possono avvenire miracoli-. Ridacchiò lo scricciolo stringendomi più forte la mano come per consolarmi.
-Nessun miracolo-. Mormorai indurendo il mio cuore. Mi sembrava quasi di sentire delle spine conficcate nel petto, ma che idiota.
-Sei proprio stupido-. Azzardò lei e io mi scoprii davvero innervosito dalle sue parole. Forse perché sapevo che aveva ragione. Ero stato uno stupido e lo ero ancora.
-Che dovrei fare? Non posso tornare, non potrei mai guardarla negli occhi come prima. Con quale coraggio?-. Ammisi, mostrando tutta la mia debolezza.
-Mamma dice che c’è un tempo per ogni cosa, ma se siete destinati a stare insieme, allora è inutile che tu provi a rifiutarla-. I suoi consigli, così ingenui e puri, mi diedero comunque speranza e sollievo. Forse in un’altra vita, meno maledetta, forse in un altro cielo, mi sarebbe stato permesso di amare Bella.
-Quindi secondo te che cosa dovrei fare?-. Le domandai senza farmi alcuno scrupolo. Mio Dio, era solo una bambina, cosa poteva capire lei di pene amore?
-Sposarla, mi sembra tanto semplice-. Disse dandomi un colpetto con il gomito poco sopra il ginocchio. Io… sposare Bella? Quell’idea mi avrebbe accompagnato nelle notti di solitudine, sarebbe stato come un sogno ad occhi aperti, ma non altro. Non potevo farle questo, lei aveva bisogno di un uomo vero a fianco, non un mostro che solo nel toccarla soffriva le pene dell’Inferno.
-Non succederà mai-. Diedi voce ai miei pensieri con un tale dolore che la bimba dovette strattonarmi la mano per farmi tornare alla realtà.
-Succederà, che tu lo voglia o no. Non sei tu a deciderlo, per voi ha già deciso il destino quando vi siete incontrati-. Ribatté sorridendo e io trattenni il fiato chiedendomi come facesse una bimba così piccola a dire cose così vere senza sapere nulla di me.
-Siamo arrivati-. Mormorò e io osservai lo spiazzo di fronte a me. Quel luogo io lo ricordavo bene.
Abbassai lo sguardo verso la mia mano e rimasi attonito quando vicino a me non vidi più nessuno. Ma che cosa stava succedendo? Forse stavo realmente diventando pazzo. Mi strinsi nelle spalle, aspettando di capire cosa fosse successo, quando sentii dei rumori venire dal bosco.
Rimasi immobile e mi nascosi, protetto dagli alberi, e vidi apparire Bella, coperta dalla testa ai piedi. Mi irrigidii e la fissai incredulo.
-Qui…-. Bisbigliò portandosi la mano sul petto e sospirando stancamente. -È stato qui-. Concluse chiudendo appena le palpebre.
Era lì che l’avevo abbandonata, lì che avevo deciso cosa ne sarebbe stato del nostro futuro. Sentii un groppo chiudermi la gola e ripensai alla bambina con cui avevo parlato. I suoi occhi, il colore dei capelli, il suo sorriso… mi sporsi per osservare meglio il mio cerbiattino e sovrapposi le due immagini. Non poteva essere, sarebbe stato impossibile.
-Sono davvero diventato matto-. Dissi tra me e me, strofinandomi gli occhi.
-Ti prego, amore, ti prego. Dimmi che tornerai e che staremo sempre insieme-. La voce di Bella, supplicante, mi graffiò l’anima.
Miracoli. Probabilmente solo un miracolo avrebbe potuto risolvere tutto e farmi tornare da lei, con lei.
-Non posso-. Bisbigliai dolorante, accasciandomi di nuovo sulla neve. Volevo piangere, con tutto me stesso desideravo piangere. Non mi importava di essere un uomo, né un vampiro, volevo solo dare sfogo a quel dolore e a quella confusione che mi stava accecando.
-Attento-. La voce della bambina misteriosa attirò la mia attenzione e io sollevai lo sguardo verso Bella che perse l’equilibrio e cadde miseramente a terra tra le lacrime.
Cercai con lo sguardo la mia apparizione, ma non la trovai, mentre angosciato fissavo di nuovo Bella che sembrava non avere alcuna intenzione di rialzarsi in piedi.
-Avanti, amore mio, forza-. La incoraggiai sotto voce, ma il pianto e i singhiozzi che la scuotevano non le permettevano di riprendere energia.
Dovevo fare qualcosa, qualunque cosa, ma avevo bisogno di una strada, di un segnale, perché da solo non avrei saputo come far smettere tutto quel dolore. Entrambi stavamo morendo.
-Cercati, cerca te stesso. Ti sei perso e non puoi amare nessuno adesso. Ricomincia a vivere come Edward e non come un vampiro-.  Mormorò la stessa voce infantile che mi aveva accompagnato fin lì. Sentii la sua piccola mano posarsi sul mio braccio e sollevai lo sguardo tentando di raggiungere i suoi occhi. Mi sentivo perso.
-E dove…-. Sussurrai con una smorfia sarcastica. Dove sarei potuto scappare? Dove avrei potuto lenire quella sofferenza?
-Tu lo sai-. Mi rispose, accovacciandosi accanto a me. Ancora il mio sguardo andò verso Bella che, accasciata sulla neve, sembrava aver perso i sensi.
-Ma si può sapere chi diavolo sei?-. Ringhiai mostrandole i canini e avvicinandomi a lei come un animale in gabbia.
-Un miracolo forse? Ma non il tuo perdono. Dovrai prima perdonare te stesso. Io ti posso aiutare-. Mi propose prendendomi il viso tra le mani. Doveva essere tutto un sogno, presto mi sarei svegliato e mi sarei scoperto nel letto di mia mamma, abbracciato a lei, ne ero convinto.
-Ma chi sei? Come ti chiami?-. Continuai a chiedere incessantemente, come se stessi ripetendo una continua litania a me stesso.
-È così importante?-. Mi rispose tristemente. Importante? Io stavo diventando pazzo e lei mi parlava di importanza. Vivevo di illusioni continue, di sogni ad occhi aperti che riguardavano Bella e ora anche questo, persino questo a farmi capire come mi ero ridotto, fino a che punto la mia mente aveva ceduto.
Ero ridicolo, la mia immaginazione lo era.
-Hai ragione, sono matto-. Sbottai allarmato e la bimba mi sorrise dolcemente poggiandomi le dita sulla guancia.
-Mi piacciono i matti, te l’ho detto-. Sparì proprio davanti al mio sguardo e io pensai davvero di dovermi far visitare da Carslisle.
Mi alzai, barcollante, e senza pensare presi Bella tra le braccia stringendola forte a me e annusando il suo profumo. Mi era mancata, tanto. Continuai ad affondare il viso tra i suoi capelli, certo che stesse dormendo, troppo stanca per il freddo e la fatica fatta. Ormai erano rari i momenti di riposo per entrambi.
-Andiamo a casa, piccolo Bambi-. Mormorai e le baciai la fronte dolcemente, cullandola come un dono prezioso.
Mi voltai verso il punto in cui era scomparsa la mia visione e decisi che ne avrei parlato alla mia famiglia non appena li avessi rincontrati. Forse davvero ormai stavo crollando.
-Alice…-. Sussurrai ripensando al mio adorato folletto.
Chissà cosa ne avrebbe pensato lei. Probabilmente avrebbe riso con la sua solita risata sbarazzina e mi avrebbe sussurrato: “Edward a te manca vita sociale”. La mia famiglia… mi mancava. Ma non era l’unica cosa a scavare un vuoto profondo dentro di me. C’era dell’altro.
Mi incamminai verso casa Swan e rimuginai su ciò che avevo vissuto. Era indubbio che le mie capacità razionali fossero diminuite, ma il fatto che avessi visto quella bimba doveva per forza voler dire qualcosa.
C’era un legame profondo tra me e Bella, in grado di superare anche la barriera della separazione. Probabilmente era quello il motivo per cui l’avevo immaginata da bambina. Ora era tutto più chiaro, ero io stesso ad essermi parlato per convincermi di ciò che dovevo fare.
-Oddio…-. Pensai ad alta voce e mi augurai di non avere più altre allucinazioni. Non avevo idea che potessero esistere vampiri schizofrenici.
-Meno male che ho preso due lauree in medicina-. Sussurrai ripensando a ciò che avevo vissuto.
Controllai che nessuno fosse nelle vicinanze della casa ed entrai dalla finestra con Bella in braccio. Ero sicuro che non si sarebbe nemmeno ricordata di non essere tornata a casa da sola. Ne ero certo.
Ma io ora… io ora dovevo assolutamente parlare con Carlisle di quello che mi era accaduto.
 


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Capitolo 19
*** Ancora allucinazioni ***




Come avevo promesso, eccomi qui ad aggiornare anche Nadir. Mi dispiace del ritardo. Qualcuno mi ha fatto notare che tendo un po' troppo a dimenticare questa fic... ha ragione. Ehhh, perdo colpi. Comunque volevo dirvi, come sto facendo per ogni fic, da questo capitolo risponderò direttamente alle recensioni. Così evito di correre per postare con i sensi di colpa che non rispondo mai a nessuno. Problema risolto, questo cambiamento mi piace. Cos'altro ho da dire? Sì, capisco che ci siano perplessità sulle allucinazioni di Edward, però ho ritenuto opportuno far vivere anche lui qualcosa di simile a ciò che vive Bella (apparizioni di Edward) solo moltiplicato, quintuplicato. Non risparmiamo dolore ai vampiri... purtroppo (Malia è sadica). Mi sto inoltrano su un terreno pericoloso e voglio proprio vedere dove arriverò. Speriamo bene (O_o non dovrei dirlo). 
Non solo devo ringraziarvi per i commenti e le letture questa volta, ma anche per la pazienza che avete nell'aspettare gli aggiornamenti. Fa bene ogni tanto sentirsi dire "datti una mossa", dico sul serio, perciò ringrazio tanto Silvia. Un bacione a tutti!!!



P.S. Il disegno qui sotto è di Emdigin, mi sembra corretto dirlo.

Ancora allucinazioni.

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Il problema per me ora era riuscire a contattare Carlisle. Non potevo nemmeno concepire il pensiero di allontanarmi da Bella, non ero ancora pronto per farlo, però ero cosciente che qualcosa dentro di me stava inesorabilmente cambiando. Dicembre ormai era inoltrato, Natale si avvicinava, ed io ero in un continuo inesorabile confronto con me stesso.

La mia mente, inevitabilmente spossata dalle mie continue lotte, chiedeva riposo. Il pensiero di Bella, la sua costante presenza dentro di me, mi rendevano succube dell’amore che provavo. E più lei sembrava rimettersi più io cadevo in un baratro di nulla senza fine.
Mi sedetti sul pavimento, passandomi una mano tra i capelli ormai completamente spettinati. Dentro di me una fame ardente minacciava le mie viscere, ma non volevo allontanarmi dal mio cerbiattino per nulla al mondo. La verità era che avevo paura, paura che si ripresentassero delle allucinazioni.
Sentii qualcuno salire le scale e immaginai che fosse lei con il suo pranzo. Non sentivo pensieri. Mi nascosi dietro la poltrona, facendo ben attenzione ad appiattirmi contro il muro, e, quando Bella entrò, chiusi gli occhi e li riaprii come per accertarmi che fosse reale. Ormai stavo diventando paranoico.
-Jingle bells, Jingle bells-. Canticchiò serena e io istintivamente sorrisi.
Forse il Natale l’avrebbe aiutata a superare quella tensione e quella tristezza che ancora non le permettevano di dormire tranquilla la notte. Seppur a fatica aveva da poco ripreso ad andare a scuola e io ero felice di questo. La controllavo a distanza, ovviamente senza farmi vedere, e nonostante la solitudine di cui si era circondata, non c’era più pericolo per lei di non superare l’anno scolastico. Per me era un sollievo e non solo per me, anche per Charlie.
Però quello sguardo spento e quell’atteggiamento svuotato di forze sembravano non volerla abbandonare mai. Non avevo altra scelta che rimanere fino a quando non si sarebbe ripresa del tutto. Appoggiai la nuca contro la parete e sbirciai nel suo piatto.
C’erano un bicchiere di succo d’arancia rossa, ketchup e una fetta di carne che a me sembrava cruda, di colore rosso, per l’appunto. Scossi la testa con un ghigno divertito. Forse in quel modo riusciva a sopportare meglio la mia mancanza, forse…
Si portò il bicchiere alle labbra e si sedette sul letto con il suo portatile. A parte il suo diario giornaliero per Alice, c’era qualcos’altro che aveva iniziato a dilettarla: scrivere lettere d’amore per me. E questo non faceva che peggiorare la mia condizione di innamorato cronico, perché sentirla piangere ogni volta mi uccideva psicologicamente. Cominciai a convincermi davvero che la morte fosse meno dolorosa della vita.
La guardai sospirare sconsolata e abbandonarsi sul letto con il bicchiere in mano.
-Chissà dove sei e cosa stai facendo-. Bisbigliò osservando il succo rosso muoversi lentamente.
-Mi mancano i tuoi baci-. Continuò abbassando il braccio e poggiando il bicchiere sul comodino.
In quel momento se mi fossi avvicinato di un solo passo l’avrei divorata, perciò mi imposi calma e controllo. In fondo ero sempre stato bravo in quello, no? Perciò nessun problema.
Si stiracchiò e si rannicchiò su un lato del letto chiudendo le palpebre. Non aveva ancora toccato la sua carne e io, apprensivo, me ne stavo lì seduto come un cucciolo in attesa vederla mangiare.
Le squillò così improvvisamente il cellulare che io mi riscossi dal mio leggero torpore. Ero sicuro che fosse sua madre. Ormai la chiamava a giorni alterni per sapere come si sentisse. L’eco di ciò che era successo tra noi era arrivato fino a lei.
-Mamma?-. Rispose sonnacchiosa e io sentii chiaramente la voce di Renée dall’altra parte.
-Come stai, tesoro mio dolce?-. Le chiese apprensiva e io sorrisi.
-Potrei stare meglio-. Riprese Bella un po’ accigliata per il tono tenero di sua madre.
-Pensi ancora ad Edward, vero? Io te l’avevo detto…-. Continuò sicura con uno sbuffo che io sentii chiaramente.
Inizialmente pensai che Bella non avrebbe risposto e si sarebbe limitata a cambiare argomento. Ero diventato una sorta di tabù sulle sue labbra. Questa volta però non si scompose.
-Sì, penso sempre a lui-. Disse decisa e io inorridii. Quella forza non significava certamente qualcosa di positivo. Le dava speranza ed era quello che avrei voluto evitare.
-Se lo ha detto, non tornerà. Non ho avuto l’impressione che fosse un ragazzo poco sincero-. Riprese Renée e io vidi il viso di Bella rabbuiarsi.
-Io avevo la sensazione che mi amasse-. Borbottò il mio piccolo Bambi e io mi strinsi le ginocchia al petto. Sensazione più che esatta, peccato che la parola amore fosse qualcosa di limitativo per ciò che provavo per lei.
-A dir la verità, anche io-. Confessò sua madre e io mi sentii scoperto. -Era palese dal modo in cui ti guardava. E non ti ha mai lasciato sola all’ospedale-.
Bella prese un profondo respiro, come a volersi fare forza e io mi ritrovai a sospirare con lei. Non pensavo di essere così trasparente nei miei sentimenti, evidentemente però il mio amore per Bella riusciva a superare persino il mio buon senso.
-Ma quale buon senso? Ormai non so più nemmeno cosa sia-. Borbottai tra me e me. Mi sentivo solamente uno stupido indeciso, l’eterno stupido indeciso.
-Alla vostra età, l’amore va e viene, tesoro. Non devi preoccuparti-. Riprese Renèe cercando in qualche modo di consolare sua figlia, che fece una smorfia di disaccordo, ma preferì non parlare.
Intuii che non le interessava affatto l’opinione di sua madre, era convinta che mi avrebbe sempre amato comunque fossero andate le cose.
Trascorse una settimana più tranquilla del solito. Charlie riempiva Bella di regali non appena poteva e cercava di non lasciarla mai sola. Mi accorsi che il loro legame si stava approfondendo sempre di più e di questo ero felice. Volevo evitare che il mio piccolo Bambi si sentisse sola.
Era arrivato però il momento per me di andare a caccia. Non potevo continuare a soffrire in quel modo la fame e per quanto il dolore fosse benvenuto rischiavo in quel modo di mettere Bella in pericolo. Sospirai e mi allontanai da casa Swan, di notte, sentendo dentro una tale sofferenza da strapparmi l’anima. Ero ridotto a uno zombie, o forse peggio, ma l’idea di starle lontano anche solo per un’ora mi gettava in uno stato di panico. Il suo profumo per me era diventato ormai una sorta di calmante tentatore.
Sorrisi e corsi via, cercando nel vento un’alternativa ai miei pensieri: tanti, confusi, ma innamorati fino allo sfinimento.
Mi fermai solo quando sentii odore di cerbiatto nell’aria e l’acquolina mi fece fremere. Mi voltai, pensando di vedere al mio fianco la forma elegante di quell’animale, ma trattenni il fiato non appena focalizzai un volto fanciullesco. No, no, no…
Indietreggiai di un passo e lei mi sorrise dolcemente.
-Ciao, Edward-. Mi disse alzando la sua piccola manina per salutarmi. Ancora quella bambina.
Per la prima volta in vita mia provai terrore. Una paura cieca che non mi permise di riprendere fiato.
-Sei di nuovo ammutolito?-. Mi domandò con un sorrisetto divertito.
Sembrava una semplice bimba dagli occhi profondi e molto sveglia, ma io sapevo che non era che il frutto di una mia allucinazione.
-Sei Bella non è vero?-. Le chiesi come se si trattasse di una nemica. Lei mise il broncio e si offese del mio tono scontroso.
La osservai singhiozzare, sorpreso, e mi passai una mano sulla fronte. Era reale, troppo reale. Non riuscivo a capire come la mia mente potesse aver formato quell’esistenza.
-Perché sei così cattivo con me-. Mormorò innocente e io mi sentii invadere da una strana sensazione di tristezza.
Non volevo essere scontroso, in verità stavo solo cercando di comprendere me stesso. Mi avvicinai lentamente, poggiandole una mano sulla nuca e chinandomi, quando i suoi occhi incrociarono i miei.
-Tu pensi che io non esista-. Sussurrò afflitta e io trattenni il fiato.
La mia pazzia stava oltrepassando i limiti fino ad arrivare all’assurdo, eppure c’era qualcosa di estremamente lucido nelle mie visioni. Che fosse un segnale?
-Mi spieghi perché sei qui?-. Le domandai incuriosito, addolcendo il tono della mia voce per non spaventarla.
Mi fissò sorpresa, come se non si fosse affatto aspettata una simile domanda, e ci pensò su per qualche secondo.
-Quando lei non c’è, posso farti compagnia io. Non vuoi?-. Mi chiese, intimorita, e io intuii immediatamente il senso di quella frase.
Mi sedetti vicino a lei che mi poggiò una mano sulla spalla, comprensiva.
-Quindi tu sei nata per rimpiazzare la sua assenza-. Bisbigliai portandomi di nuovo le dita tra i capelli in un gesto nervoso. Questo poteva significare solo che la mia mente e il mio corpo si rifiutavano categoricamente di allontanarsi da Bella. E come poteva non essere così se il mio cuore si scaldava solo al suono della sua voce?
-Ho fame-. Sussurrai sofferente e la sentii sedersi accanto a me.
-Puoi cacciare-. Bisbigliò paziente, ma il solo pensiero di farlo davanti ai suoi occhi mi disgustava.
-No, non davanti a te. Non ce la farei mai-. Le confessai e sentii le sue piccole braccia circondarmi il collo dolcemente.
-Io ti capisco, non devi avere paura di me-. Disse sottovoce. Le sue manine arrivarono a sfiorarmi le guance. -Se lei non c’è, ci sono io. Io lo so che sei qui-.
Le sue parole riuscirono a consolarmi. Non capii come fosse possibile che una proiezione potesse darmi tutto quel conforto, ma cacciai quel pensiero dalla mia mente maledicendo i miei dubbi. Avevo bisogno, estremo bisogno di non sentirmi solo, ma solo Bella poteva lenire quella sofferenza solitaria. Perciò ero felice di averla in qualche modo vicina, anche se in miniatura.
-Resisterò-. Mormorai stringendo i denti.
-Vuoi che sparisca?-. Mi chiese allora e io scossi la testa. Improvvisamente l’idea della sua assenza non era più così allettante e capii di aver bisogno che lei mi parlasse.
-No, non sparire-. Ammisi un po’ reticente e aspettai in silenzio che mi dicesse qualcosa. Qualsiasi cosa, non importava poi molto che avesse un senso o meno.
Era l’inizio della mia distruzione? O semplicemente la fine di me stesso? Capire sarebbe soltanto servito a farmi ancora più male.
Cercai di alzarmi in piedi e lei mi seguì aggrappandosi al mio braccio. La guardai e il suo sorriso mi riportò alla mente quello del mio cerbiattino. I suoi occhi erano gli stessi e il suo sguardo riusciva a sciogliere quel blocco di dolore e sensi di colpa che mi schiacciavano il petto.
-Sai cosa devi fare, io te l’ho detto-. Mi disse allora e io la fissai confuso.
-Ti sei solamente perso. È umano-. Continuò convinta e trotterellò intorno a me proprio come una bimba bisognosa di attenzioni.
-Io non sono umano-. Ribattei sarcastico e la vidi ridacchiare. Scosse il piccolo capo facendo ondeggiare i capelli castani e mi fissò severa.
-Il tuo cuore lo è. Sei buono e sacrifichi te stesso per chi ami. Molti esseri umani non lo fanno-. La sua voce decisa non si incrinò, e io mi resi conto di quanto il mio cuore agognasse quelle parole. Mi sentii immensamente più leggero.
-Anche io ho fatto del male, persino alla donna che amo-. Bofonchiai cercando un modo per sentirmi ancora in colpa.
-No, tu vuoi fare solo male a te stesso. Possibile che tu non ti conosca nonostante sia passato tanto tempo? Chi sei Edward?-. La sua domanda mi spiazzò.
Non ne avevo idea. Prima di conoscere Bella la mia vita non aveva senso, dopo di lei tutto si era colorato, ma adesso mi sentivo di nuovo vuoto e privo di ciò che mi aveva reso vivo grazie al mio amore.
-Niente senza di lei-. Risposi convinto e mi sentii debole.
-E cosa puoi darle di te stesso se sei solamente un guscio vuoto?-. Mi rinfacciò con fastidio.
Sorrisi, non aveva tutti torti il mio grillo parlante. Probabilmente era davvero la mia coscienza quella che ora mi stava parlando, non una banale allucinazione.
-Quindi cosa dovrei fare-. Le chiesi incuriosito.
Mi fissò e scosse la testa esasperata. Quel visetto innocente, così premuroso nei miei confronti e inflessibile, mi strappò un sorriso. Sì, era proprio così che avevo immaginato la mia Bella da bambina: ribelle, birichina e vivace.
-Sei tu che devi dirlo a te stesso. Lo sai!-. Mi rimproverò puntandomi il dito contro e io cercai di capire cosa intendesse dire. Non ero ancora pronto per ammettere a me stesso ciò che il mio cuore vagamente mi consigliava di fare.
Allontanarmi da Bella, tornare dalla mia famiglia, lenire il mio dolore cercando di vivere al meglio la mia vita eterna. Al solo pensarci il desiderio della morte si faceva ancora più intenso e pregnante.
-Non è ancora destino che torniate insieme-. Mormorò con un sospiro e io mi voltai per guardarla. Io non volevo affatto tornare con Bella, come poteva pensarlo?
Sparita. Non c’era più. Osservai con attenzione il punto in cui era apparsa, ma non vidi più nulla. Insistere sarebbe servito a poco, ne ero consapevole.
Cacciai finalmente, ripensando con insistenza alle sue parole, e mi saziai abbastanza, ma il bisogno di tornare indietro mi opprimeva. Senza Bella facevo persino fatica a respirare. L’aria non aveva il suo odore e in me cominciava a bruciare la mancanza di averla accanto.
Ancora una volta mi ritrovai sulla strada di casa Swan, pensieroso e solo, e ripensai a ciò che mi stava  succedendo con una certa apprensione. Mi sembrava tutto così illogico.
Entrai dalla finestra e vidi il mio cerbiattino rigirarsi tra le coperte come sempre. Sonno agitato ancora una volta… Mi avvicinai a passi veloci. Non sopportavo l’idea di vederla muoversi in modo così convulso e riuscii a prenderla prima che cadesse dal letto.
-Edward, Edward-. Ancora il mio nome. Basta. Doveva capire che non sarei più tornato!
La rabbia mi accecò per un breve attimo, ma poi le sfiorai la fronte con la mia e le baciai leggero le palpebre. Non era colpa sua, ma solo mia se quell’amore stava distruggendo entrambi nella più completa disperazione.
Le rimboccai le coperte con cura, cercando di non svegliarla, e poi tornai a sedermi sulla poltrona. Non riuscivo ad annoiarmi. Trascorrevo ogni notte in contemplazione della sua immagine, ma non riuscivo affatto a stancarmi di guardarla. Ogni suo piccolo particolare riusciva ancora a stupirmi.
-Ti amo-. Mormorai appoggiando la testa contro lo schienale e chiusi gli occhi annusando l’aria intorno a me.
-Edward-. Mi sentii chiamare ancora e il lieve battito diverso del suo cuore mi indusse a nascondermi velocemente.
Feci appena in tempo a nascondermi che la vidi svegliarsi e fissare la finestra delusa.
Per fortuna non era stato un incubo, ma le lacrime sulle sue guance riuscirono ugualmente a farmi sentire uno schifo.
-Non piangere per me, piuttosto odiami, ma non piangere. Per favore. Rendi tutto più difficile-. Bisbigliai battendo la testa ripetutamente contro la poltrona. Ogni volta la stessa scena. Era una fortuna per me che ci fosse quel facile nascondiglio.
Sentii Bella prendere un profondo respiro e poi smettere. Quasi ne fui sollevato. La guardai di sfuggita e non appena mi accorsi delle sue mani congiunte e dei suoi sussurri non potei fare a meno di provare un dolore intenso dentro di me. Che fosse il cuore? Non ne ero certo, ma vedere il mio cerbiattino pregare mi fece provare un intenso senso di sconforto.
Io non avrei mai saputo la verità su Dio, ma se fosse realmente esistito in quel momento gli avrei chiesto solo una cosa: far star bene l’unica donna che avessi mai amato.
Non importava come, solo… avevo bisogno di sapere che lei stava bene per poter andare avanti. Così non ce l’avrai mai fatta, non così.
-Agli esseri dannati non è concesso l’amore?-. Sussurrò Bella e io sorrisi.
Sì, sì, anche a noi era concesso amare, ma non un essere umano. Non un umano. O probabilmente ero io a volermi convincere di questo. Non riuscivo a capire cosa fosse giusto o no. Davvero tutte le mie idee cominciavano a confondersi.
Bella tornò tra le coperte e io percepii ancora i suoi singhiozzi, il battito del suo cuore irregolare. Involontariamente mi portai più vicino a lei e la sentii addormentarsi inevitabilmente non appena la spossatezza tornò ad invaderla.
Le accarezzai una mano, dolcemente, come facevo in passato, e cominciai ad intonare una canzone che ben conoscevo e che avevo composto io per lei. La mia ninna nanna. Appoggiai la fronte sul suo letto e continuai ad cantarla fino a quando le sue braccia non si rilassarono e la sua bocca si schiuse in respiri profondi.
Adesso avrei potuto riposare la mia mente tranquillo. Ultimamente avevo imparato a svuotarla e a lasciarla libera, a non angustiarmi e rimuginare su me stesso, così decisi di tornare seduto e di osservarla senza pensieri fino a quando il giorno non mi avesse scoperto.
La mattina arrivò fin troppo presto e non appena sentii Charlie uscire per andare a lavoro un’idea malsana prese possesso di me. E se… se avessi usato il telefono di casa Swan per chiamare Carlisle? Chi se ne sarebbe accorto in fondo? Nessuno...
Bella si stiracchiò nel letto, sonnacchiosa. Mancava circa un quarto d’ora al suono della sua sveglia. Scesi in fretta, agitato, e alzai la cornetta componendo il numero del cellulare di Carl senza quasi rendermene conto.
Mi rispose al primo squillo.
-Edward, mio dio, grazie al cielo-. La sua voce sollevata e la sua risposta veloce mi fecero pensare ad Alice. Sicuramente c’era il suo zampino.
-Aveva previsto la mia telefonata, vero?-. Chiesi immediatamente e lo sentii ridere.
Stavo facendo preoccupare la mia famiglia con il mio comportamento, ma nonostante questo li sentivo sempre vicino a me.
-Sì, Alice mi ha detto ogni cosa-. Mi informò subito e io sospirai sollevato. Perfetto, così non avrei dovuto nemmeno spiegare tutto ciò che stava succedendo.
-Cosa ne pensi?-. Gli chiesi allora, allarmato.
Cercai di non leggere nella sua mente, rispettando la sua intimità come sempre, ma fu difficile.
-Non ho mai sentito di vampiri con allucinazioni, ma è evidente che tu le abbia-. Mi rispose piuttosto schietto e io ridacchiai. Non mi stava aiutando.
-A cosa credi siano dovute?-. Non era affatto una conversazione sensata, ma forse il mio era soltanto un bisogno, quello di sentire la sua voce rassicurarmi. Lui lo sapeva, Carlisle l’aveva intuito.
-Penso che solo tu possa saperlo-. La sua risposta mi fece capire che era proprio come pensavo. Mio padre voleva soltanto farmi sapere che sarebbe stato sempre e comunque con me se ne avessi avuto bisogno. Le risposte avrei dovuto trovarle da solo.
-Edward, Edward, tesoro mio, come stai?-. La voce di Esme nella cornetta mi riempì d’affetto.
Mi mancava anche lei, la mia mamma vampira.
-Si tira avanti-. Ridacchiai e lei mi sgridò bonariamente, chiedendomi se riuscivo a nutrirmi abbastanza, se pensavo a me stesso e alla mia salute... insomma proprio come una vera mamma.
-Sta tranquilla, davvero-. Cercai di tranquillizzarla, ma sapevo già che quando Esme si comportava in modo così apprensivo era impossibile farla demordere.
-Per favore-. Continuai quando mi chiese se avevo bisogno di vestiti puliti.
L’avrei abbracciata. Era tanto tempo che qualcuno non si preoccupava per me in quel modo.
-Edward, per favore, non farci preoccupare. Non passa giorno che non pensiamo a te-. Mormorò lei e io mi sentii avvolto dal suo candore. Non esisteva un’altra persona come lei, Esme aveva sempre una parola buona per tutti.
-Non vuoi che io torni però-. Lessi nella sua mente e la sentii ridacchiare imbarazzata.
-No, io voglio vederti con Bella. Siete così carini insieme-. La sua ammissione riuscì a farmi salire un groppo in gola.
La mia famiglia aveva fatto ciò che io volevo senza chiedere nulla, ma in verità io sapevo quanta fatica era costata a tutti allontanarsi da Forks.
-Ehi, tu, moccioso-. Riconobbi immediatamente Rose e scoppiai a ridere. -Ridi, ridi… Edward, ma ti strozzerei con le mie stesse mani-. Fu l’unica cosa che mi disse e io intuii di mancarle molto.
Anche lei mi mancava. Le sue gelosie e i suoi scoppi d’ira con Emmett erano sempre fantastici e molto fantasiosi.
-Non ti sei dimenticato di me, vero?-. Eccola lei, la mia preferita.
-Folletto-. Sogghignai contento. -Questa riunione di famiglia è causa tua, vero?-. Borbottai divertito.
-Mi manchi tanto. Lo sai, lo sai, mannaggia-. Mi spiazzò con quell’ammissione. Ah, piccola Alice…
-Anche voi mi mancate-. Ammisi stanco.
-C’è ancora molta strada da fare, ma non scoraggiarti, siamo tutti con te-. Mi parlò dolcemente e io la ringraziai dentro di me per quelle parole.
Sentii d’improvviso dei rumori venire dal piano di sopra e capii che Bella si stava svegliando.
-Vai pure se devi, ti saluto Jazz ed Emm. Sapevo già che non avresti fatto in tempo a parlare con loro. Sono dispiaciuti, ma va bene così. Vedi di richiamarci e non sparire-. Mi rimproverò il mio folletto e io attaccai velocemente, tornando a nascondermi dietro la scalinata.
La mia famiglia sarebbe stata sempre lì per aiutarmi. Mi accorsi per la prima volta di essere davvero amato.




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Capitolo 20
*** Vigilia ***




Finalmente sono tornata. Mi dispiace essermi assentata per così tanto tempo, ma la settimana scorsa (che avrei dovuto aggiornare), il mio ragazzo mi ha fatto la sorpresona dell'Immacolata e, ovviamente, se mi metto a scrivere, lui ci rimane male. Povero caro. Ah, l'amore l'amore!!!!! Comunque eccomi qui. Siamo a dicembre, no? (Sì, Malia) Guarda caso anche per Edward e Bella è dicembre, anzi, per loro siamo già alla vigilia. Il 24 dicembre... quale regalo augurereste a Bella? Suggerimenti? Io un'ideuzza alla Malia ce l'avrei. Qualcosa di romantico... voi che dite? Mi date il permesso di fare qualcosa di assolutamente folle? (Scherzo)
Passando ai ringraziamenti: ringrazio chi segue Nadir, per la pazienza e l'amore che dimostrate a questa storia. Anche se non sembra, ve lo devo proprio dire, è la mia fanfic preferita. Forse perchè la sento un po' più mia rispetto alle altre fanfic su Twilight. Un bacione grande, grande. E mi raccomando fate l'albero! Malia.

La Vigilia.

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Confuso. Confuso era il termine adatto per definire me stesso. Anzi, forse qualcosa di molto peggio: lucidamente confuso. Un bel gioco di parole considerando quanto mi fossi distrutto in quest’ultimo periodo e quanto avessi capito di non conoscermi affatto dopo più di cento anni. Eppure ero così sicuro di essere me stesso. Insomma, tutti mi avevano sempre chiamato Edward, ma adesso non ero che un ammasso di carne piatta e assolutamente priva di senso. L’unica cosa ancora a distinguermi dalle piante era realmente il mio essere vampiro. E il resto? Forse sarebbe stato meglio ammettere che non ero più, o che, semplicemente, che ero stanco di essere.

Ormai i miei pensieri potevano dirsi al limite. Non potevo lasciare la mia mente navigare vuota in quel limbo tra piacere e dolore, ma non sapevo più nemmeno su cosa rimuginare. Su me stesso? Che cosa era rimasto? Persino io stentavo a credere a ciò che mi era successo e che continuava ad accadere.
Bastava la lontananza momentanea di Bella per scatenare in me allucinazioni talmente vive da sembrare vere. Quella bambina, Bella, mi guardava con gli occhi della consapevolezza, come avrebbe fatto il mio piccolo Bambi se mi avesse scoperto accanto a lei.
L’ennesimo giorno stava per cominciare e io mi sentivo esattamente come un anno prima: vuoto. Nonostante la presenza di Bella nel letto di fronte a me, io percepivo me stesso come una bolla di sapone in procinto di cadere a terra e scoppiare. Il pensiero di volatilizzarmi era quasi piacevole, ma la sensazione era piuttosto sgradevole. Sapevo in realtà che non sarebbe mai potuta avvenire la mia scomparsa. Amavo troppo Bella per concepire di allontanarmi da lei.
-Buongiorno, Edward-. Sentii Bella mormorare. Mi voltai per osservarla alzarsi dal letto e guardare fuori dalla finestra.
Ogni giorno, appena alzata, ultimamente non faceva che salutarmi. Probabilmente era una routine che le permetteva di stare meglio.
-Buongiorno, amore mio-. Sussurrai affascinato, continuando a guardarla. Fortunatamente aveva trascorso una notte tranquilla, senza incubi. Un sollievo per me.
-Oddio, ma oggi è la vigilia di Natale!-. Gridò improvvisamente perdendo malamente l’equilibrio. La vidi andare a sbattere contro il suo comodino e lanciare un urlo disperato quando le sue gambe cedettero e ruzzolarono a terra.
Ridacchiai. La mia solita sbadata. Stava finalmente tornando in sé.
-Cavolo… devo chiamare Renèe e comprare il regalo per Charlie-. Borbottò sovrappensiero aggrappandosi al letto e io mi ritrovai a sorriderle teneramente. Ero felice che lei sentisse il desiderio di fare dei regali alla sua famiglia.
-E… anche ad Edward naturalmente-. La sentii bofonchiare. Come non detto. Uno dei suoi pensieri fissi continuavo ad essere sempre io: inevitabile.
La guardai tornare in piedi e massaggiarsi una coscia con gli occhi socchiusi per il dolore. Avrei volentieri preso il posto delle sue dita se avessi potuto farlo. Sapevo che sarebbe comparso un livido sulla sua pelle e l’idea che si fosse fatta male così facilmente accrebbe improvvisamente la mia preoccupazione.
Quel giorno le sarei stato particolarmente addosso.
La seguii in cucina, veloce come un’ombra, e, dallo stipite della porta, la osservai fare colazione. Il solito succo d’arancia rossa e, questa volta, anche una rapa dello stesso colore. Rape a colazione… cosa disgustosa persino per un essere umano. Bleah!
-E scende giù dal ciel, lento, un dolce canto ammaliator. Che ti dice, spera anche tu! È Natale non si soffre più-. Bella quella mattina sembrava decisamente di buon umore. Canticchiò canzoni di Natale per una buona mezz’ora e riuscì perfino a mangiare qualcosa di più sostanzioso: ciliegie alternate a pomodori pachino.
A pensarci bene forse qualcosa ancora non andava per il verso giusto.
-Non so cosa comprare ad Edward. Lui ha tutto-. La sentii borbottare e io sospirai inquieto. Perché continuava ad ostinarsi a credere che sarei tornato? Maledizione.
-Forse dovrei semplicemente pregare per lui. Spero che stia bene-. Continuò con voce tenera e dolce. Il mio cerbiattino…
La guardai chiudere gli occhi per un secondo e riaprirli a fatica. Ora il suo sguardo era pregno di tristezza e le sue iridi gonfie di un dolore che io conoscevo bene. Ero sicuro di sapere a cosa stesse pensando. Se solo non l’avessi lasciata in quel modo, così bruscamente, forse adesso il suo cuore avrebbe già smesso di sanguinare per me.
Involontariamente urtai con il piede la pianta vicino all’entrata, disattento, e soffocai un’imprecazione. Possibile che ultimamente fossi così sbadato?
Vidi Bella avvicinarsi incuriosita alla porta e subito mi dileguai.
-Strano, mi era sembrato di sentire un rumore-. Fece piuttosto perplessa, mettendo una mano sulla palma e facendo spallucce.
Non potevo credere di aver commesso un errore così grave. Ma cosa avevo nella testa nel momento in cui mi ero distratto? Scivolai contro il muro verso le scale e ignorai i passi di Bella fino al salone.
Tornai in camera sua e mi rilassai subito, sedendomi sul letto. Cominciavo realmente a stare male. Non era mai successo prima. Non avevo mai rischiato di farmi scoprire con tanta facilità. Mi accorsi di essere allo stremo delle forze. Qualcosa mi diceva di amare Bella, perciò inconsapevolmente la chiamavo, la volevo tutta per me. Ora non potevo più fidarmi di me stesso, le allucinazioni erano state un segnale. Sapevo che sarebbe stato un errore sottovalutare questo sbaglio, anche se minimo.
O probabilmente la mia mente, portata all’esasperazione, stava esagerando tutto. In fondo avevo solo urtato una palma. Mi alzai in piedi e mi stiracchiai, inconsapevole di uno sguardo fisso su di me. Dovevo rilassarmi, smettere di essere così apprensivo. Avevo commesso errori peggiori, no?
-Edward-. Mi sentii chiamare e mi voltai verso la poltrona dove ero solito nascondermi.
Non mi stupii di vedere la mia piccola coscienza, seduta, dondolare le sue gambette. Ormai ero succube della mia stessa malattia. Un attimo, bastava solo un attimo di lontananza che la mia pazzia tornava a trovarmi.
-Ciao-. La salutai con tranquillità e la vidi sorridere divertita.
-Vuoi fare un regalo a Bella per Natale?-. Mi chiese inaspettatamente e io sgranai gli occhi, sorpreso.
-Impossibile-. Commentai con un sospiro. Sarebbe stato un ulteriore sbaglio, sarebbe stato come mostrarle la mia presenza.
-Però è quello che vorresti no? Io penso di sì-. Continuò ancora, tentatrice.
Sbuffai e tornai a sedermi sul letto, fissandola con curiosità.
-A te cosa piacerebbe ricevere-. Le domandai cauto e la vidi scendere dalla poltrona per venirmi incontro. I suoi occhi nocciola mi guardarono con sincerità profonda e scrutarono dentro di me con tanto interesse che mi ritrovai a dimenticare i miei pensieri confusi.
-Ci sono tante cose che vorrei, ma probabilmente sei tu che riusciresti a cambiare realmente il mio Natale-. Ridacchiò arrossendo e io la fissai attonito.
Un’immaginazione piuttosto reale, me n’ero quasi dimenticato. Mi portai una mano sulla fronte, continuando a pensare ad un modo per realizzare qualcosa di speciale per il mio cerbiattino.
-Allora ci stai pensando-. Continuò lei facendomi riscuotere.
-Emh…-. Bisbigliai dubbioso.
Sentii la sua piccola mano afferrare la mia e provai un tuffo al cuore. Così piccola e così dolce. Mi chinai, accosciandomi, e la guardai ancora. Un piacere per gli occhi soffermarmi sul suo sorriso, sulle sue guance rosate e sui suoi capelli castano scuri.
-Tu lo sai, Edward, sai cosa potrebbe piacerle-. Bisbigliò innocentemente appoggiandosi a me. Ci pensai per qualche secondo e mi irrigidii non appena una folle idea mi attraversò la mente.
-No, non posso farlo-. Commentai ad alta voce girandomi verso la piccola Bella al mio fianco.
La vidi ridacchiare e sventolarmi la mano pienotta sotto il mento.
-Tu puoi fare tutto. E non pensi che un po’ di felicità sia dovuta ad entrambi?-. Mi domandò con un’espressione speranzosa.
Sinceramente cominciavo davvero a dubitare che quella bambina fosse solamente il frutto della mia coscienza. Sin dall’inizio aveva dimostrato di avere una personalità troppo reale. Eppure non potevo esserne certo.
-Penso di averla già fatta soffrire abbastanza-. Confessai deciso.
La piccola sbuffò e mi lasciò la mano dandomi un colpo secco sul ginocchio. La fissai sorpreso e notai immediatamente il broncio esasperato sul suo visino pulito.
-Che noioso. Perché non provi per un attimo ad utilizzare la tua intelligenza per qualcosa di costruttivo? Solo una volta-. Esordì disperata sollevando lo sguardo verso il soffitto e scuotendo la testa, proprio come se avesse avuto a che fare con un inguaribile testardo. In fondo lo ero: pesante ed esasperante.
-Vediamo allora. Proponi-. Bisbigliai, convinto di stare per fare una pazzia.
-Falle vivere un sogno-. Continuò divertita, facendomi aggrottare la fronte, perplesso. Un sogno?
La porta si aprì di scatto e io feci appena in tempo a gettarmi sotto il letto prima che Bella potesse vedermi. Per fortuna.
-Sì, sì. No, no!-. La sentii gridare e capii immediatamente che il mio cerbiattino stava parlando con qualcuno al telefono.
-No, non voglio venire da te. Non adesso. Per favore. Non voglio che Charlie trascorra il Natale da solo-. Disse a sua madre e io sorrisi.
Bugiarda. Non era quello il vero motivo e lo sapevamo bene entrambi.
-Ho già deciso il regalo da fargli. Mi toglierò dai piedi per due giorni-. Iniziò inaspettatamente e io spalancai le palpebre, sorpreso dalla sua confessione. Cosa… E dove aveva intenzione di andare? Non aveva detto che non voleva lasciarlo solo?
-Sì, andrò a casa di Angela. Un’amica. Sì, una compagna di classe-. Specificò subito, ma io non le credei. Ero convinto che stesse mentendo. Era troppo facile per me capire quando Bella raccontava una bugia. La sua voce si incrinava naturalmente e tendeva a sparire. Ora era uno di quei momenti.
Non capii però il motivo per cui Bella avesse sentito il bisogno di mentire. Non era già abbastanza dire a sua madre che sarebbe rimasta a casa con Charlie? Qualcosa non andava e immediatamente sentii odore di guai.
Quando chiuse la chiamata la mia mente stava già elaborando tutte le possibili soluzioni, ma non ne trovai neanche una che avesse una ragione sufficientemente valida.
-Credo proprio che questa volta Edward sarebbe stupito di me. Solo che… anche io voglio il mio regalo di Natale-. Sussurrò tristemente.
Terrorizzato. Mi ritrovai a desiderare ardentemente di poter leggere la mente di Bella.
Non l’avrei lasciata sola, qualunque cosa fosse successa.
-Ora devo solo mentire a Charlie. Speriamo che mi creda-. Balbettò Bella stendendosi sul letto. Avrei tanto voluto sapere come era arrivata alla folle conclusione di passare la notte di Natale fuori casa e soprattutto avrei tanto desiderato sapere dove.
La osservai alzarsi dal letto e scendere in tutta fretta. Ero indeciso sul da farsi. Avevo paura delle conseguenze di ciò che Bella stava per fare, ma ancora di più delle mie, che avrebbero volentieri impedito al mio piccolo Bambi di correre qualsiasi pericolo.
-Ehi!-. La voce della mia allucinazione mi riscosse ancora.
Sollevò la coperta chinandosi sotto il letto e mi fissò con aria divertita. In effetti la mia posizione era tutt’altro che comoda.
-Allora che fai? Non la segui?-. Mi rimproverò immediatamente con il suo cipiglio sicuro.
-Bella ha il diritto di trascorrere il Natale con chi vuole-. Sbottai arrabbiato e battei un pugno sulla rete bucandola immediatamente. Oh, cavolo!
-Stupido, sta mentendo. L’hai capito anche tu. Sai benissimo dove andrà-. Riprese ancora con tono piuttosto irritato. Questa bambina prima o poi mi farà impazzire. Non posso continuare a creare la sua personalità inesistente, rischio di non farcela psicologicamente.
-E che dovrei fare? Eh?-. Gridai inconsapevolmente.
Cominciai a perdere la pazienza. Possibile che non riuscisse a capire? Stavo male, soffrivo, e non potevo assolutamente continuare a provare quella sensazione di vuoto, di angoscia. Ero pur sempre un uomo, in fondo, o no?
-Sì, Edward. Sei un uomo-. La sentii dire e mi voltai di scatto. I suoi occhi mi guardarono con tenerezza mentre la sua piccola mano si allungava verso di me.
Avevo parlato ad alta voce senza accorgermene? Impossibile. Le presi le piccole dita e le tenni strette nelle mie fino a quando la consapevolezza di quello che sarebbe successo mi colpì.
Ora sapevo dove sarebbe andata Bella. Ed era così scontato che mi domandai come avevo fatto a non averci pensato prima. Era logico che l’unico posto dove avrebbe voluto trascorrere la notte di Natale sarebbe stata la mia stanza.
Quindi il mio cerbiattino si sarebbe diretta a casa Cullen. Oddio.
-Esatto…-. Sentii la mia allucinazione mormorare e la vidi sparire veloce com’era apparsa.  
Ora sì che la mia mente era sommersa dalla confusione più profonda. Bella stava andando a casa mia, stava andando a cercare qualcosa di noi in un certo senso.
Avrei dovuto immaginare che prima o poi sarebbe successo. Ma come avrebbe fatto con il suo senso dell’orientamento a trovare la villa? Dovevo assolutamente andare con lei per evitarle brutte sorprese.
Rotolai fuori dal letto e uscii dalla finestra, sorreggendomi sul davanzale e saltando a terra. Perfetto.
Sapevo dov’ ero diretto, ma dovevo prima trovare Bella e seguirla per evitare che le succedesse qualcosa, o, peggio, che si perdesse.
-Charlie!-. Sentii la sua voce di fronte alla porta e mi irrigidii.
Anche il mio naso doveva avere qualche problema ultimamente. Ormai ero saturo del suo profumo e mi sembrava di sentirlo ovunque.
-Non sono sicuro di potermi fidare-. Le rispose sincero suo padre.
Sinceramente anche io non avrei mai dato fiducia a Bella e sperai vivamente che almeno il capo Swan avesse più buon senso di sua figlia.
-Solo per questa volta. Vado a casa di Angela a dormire-. Lo pregò lei. Certo, non era più uscita con nessuna amica da quando l’avevo lasciata e ora improvvisamente voleva trascorrere il Natale con una sua compagna di classe. Avanti, non ci avrebbe creduto nessuno…
-Davvero? A casa di un’amica, quindi?-. Le domandò suo padre, speranzoso. Mi portai una mano sul viso. Possibile che quell’uomo non avesse un briciolo di sospetto?
-Sì, per favore-. Lo supplicò Bella con voce tenera. Non pensavo che sapesse sfoderare simili armi. Stavo cominciando a ricredermi su di lei.
-Va bene, ma domani mattina ti voglio qui a casa-. La risposta di Charlie provocò nel mio cerbiattino un gridolino di gioia e un mio gemito frustrato.
Dannazione. Il mio lavoro per salvarla dai guai, per evitare che si facesse del male, stava per fallire miseramente.
-Ti adoro-. La ascoltai dire e sbirciai il viso dell’ispettore che era diventato paonazzo. Il mio piccolo Bambi aveva colpito ancora.
-Ti senti meglio?-. Le domandò allora, preoccupato. Finalmente la domanda giusta.
Non lasciai che il mio sguardo si allontanasse da Bella. Aveva aperto lo sportello del pick-up per sistemare alcune cose. Notai immediatamente il suo corpo irrigidirsi.
-Credo di non saperlo esattamente-. Mormorò sincera con un sorriso tirato.
-Ah, okay-. Riprese Charlie senza sapere cos’altro dire.
Che famiglia. Fossi stato suo padre l’avrei chiusa in camera e avrai buttato via la chiave. Aspettai immobile che Bella finisse di preparare le sue cose. La osservai fare avanti e indietro senza sosta. Portò il suo zaino nel furgoncino, forse per mascherare la verità, un piede di porco, che mi fece inevitabilmente scoppiare a ridere, e vari altri attrezzi che immaginai le sarebbero serviti per scassinare la porta di casa.
Decisi di seguirla di corsa.
-Che ore sono?-. Borbottai guardando il cielo. Impossibile capire l’ora. Era tutto grigio, non prometteva nulla di buono, se non una bella nevicata a tarda notte che avrebbe tinto il Natale di un’aria ancora più evocativa.
-Le tre di pomeriggio-. Commentò una voce accanto a me.
Abbassai lo sguardo e notai subito due iridi nocciola guardarmi con ammirazione.
-Oddio-. Mormorai esasperato e appoggiai la testa contro il muro. Ancora.
Dovevo assolutamente mettermi l’anima in pace, smettere di tormentarmi, altrimenti le mie allucinazioni non sarebbero mai e poi mai scomparse.
-Guarda che lei è già andata via-. Mi fece notare la piccola e io mi riscossi, guardando il viale, sorpreso. Immerso nei miei pensieri non me n’ero accorto.
-Beh, grazie-. Borbottai insicuro e tornai a guardarla. Di nuovo sparita.
Ecco un bel modo per impazzire. Avevo trovato realmente la giusta strada verso la follia. Un tira e molla tra due Bella: quella dei miei sogni, irraggiungibile e vera, e quella bambina, frutto della mia fantasia e della mia sofferenza.
Cominciai a correre, veloce, e sentii l’aria gelida farsi ancora più fredda. Il mio piccolo Bambi non avrebbe resistito a tutto quel gelo. Ne ero più che convinto.
Stupito continuai a seguirla. Non aveva ancora sbagliato strada. Girò sulla destra, proprio in mezzo alla foresta, ricordandosi perfettamente la via che l’avrebbe condotta a casa mia. Un brivido mi percorse.
-Quante volte nella tua mente hai percorso questa strada?-. Le domandai sovrappensiero, ma ovviamente non potevo ottenere risposta. Non ero che al suo fianco e lei non l’avrebbe mai saputo. Avrei potuto voltarmi e guardare il suo volto concentrato nella guida senza che Bella riuscisse a scorgermi, avrei potuto anche vivere e trascorrere tutta la sua vita vicino a lei senza smettere mai di proteggerla. Ma quando un altro uomo l’avrebbe fatta innamorare avrei ancora avuto il coraggio di rimanerle accanto? La risposta era piuttosto ovvia: no.
Mi fermai dietro un albero non appena Bella raggiunse casa Cullen. Impossibile impedirle di entrare, certamente avrebbe trovato il modo per farlo. E avrebbe guardato con i suoi occhi la confusione che aveva dominato il mio animo senza di lei.
Sospirai rumorosamente e aspettai il momento in cui avrebbe sfondato la porta con il piede di porco. Mi sembrava una situazione così ridicola. Passarono le ore, senza che Bella riuscisse a combinare nulla. Era troppo sbadata e poco abituata alla manualità. Quel freddo poi non la aiutava, gelandole le dita.
Mi avvicinai veloce e mi nascosi vicino a lei, appena dietro l’angolo, aderendo al muro esterno.
Subito guardai le sue mani rosse, quasi violacee, e la preoccupazione per lei mi soffocò. Quella pazzia le sarebbe costata molto. Ero convinto che avrebbe passato il giorno di Natale con la febbre alta. Dovevo fare qualcosa per lei.
-Merda-. La sentii sussurrare mentre gli attrezzi le cadevano dalle mani che sfregò l’una contro l’altra provando sicuramente dolore.
Corsi verso il pick-up e diedi un colpo sul cruscotto per farla voltarla verso di me. Lei lo fece, attirata dal rumore improvviso, e io le andai vicino spingendo la porta ed entrando dentro. Ero certo che i suoi occhi non avrebbero mai potuto vedermi, ma non ero così sicuro che Bella non riuscisse a percepire la mia presenza. Mi accorsi di avere terribilmente paura di questo.
-Come?-. Borbottò stupita e si alzò dal pianerottolo, grattandosi la testa perplessa ed entrando.
Il salotto raggiungeva quasi la temperatura esterna. Aveva praticamente gelato all’interno. Non potevo pensare che Bella avrebbe trascorso la notte qui.
La vidi accendere una torcia e chiudersi la porta alle spalle sobbalzando timorosa.
-Dove lo trovi questo coraggio, amore mio?-. Sussurrai teneramente, guardandola venire verso di me. Mi puntò la torcia contro, ma per fortuna avevo pensato bene di nascondermi dietro la tenda. Ringraziai mentalmente Esme che aveva sempre amato usare tende molto ampie e pesanti.
-Ma che avevo pensato? Di trovarlo ancora qui, forse? Fa freddo, credo persino che abbia nevicato qui dentro. È ovvio che se ne siano andati-. Ridacchiò Bella e io provai subito un tuffo al cuore.
No, io non l’avrei mai lasciata sola, perché l’amavo con tutto me stesso. Sorrisi dello scherzo che mi aveva giocato il destino, anzi, che mi ero giocato io stesso, e la seguii non appena raggiunse le scale per salire al piano superiore.
-Sembra che qualcuno sia entrato e abbia distrutto tutto-. Bofonchiò meravigliata.
Chissà cosa avrebbe pensato se avesse saputo che ero stato io a distruggere la casa nei miei scatti d’ira. Edward, sempre calmo e tranquillo, pacato, che si lasciava sopraffare dal dolore per il suo amore. A pensarci bene avrei dovuto compatire me stesso.
Sapevo dove il mio cerbiattino si stava dirigendo e non appena entrò nella mia stanza la vidi trattenere il respiro. Il caos che regnava lì dentro era quasi peggiore di ciò che c’era nelle altre camere.
-Proprio non volevi più stare qui-. Mormorò sofferente portandosi una mano alla gola e la vidi mettersi seduta su quelli che erano i resti del mio divano.
Quanti ricordi…

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Capitolo 21
*** Notte di Natale ***




Buon 15 dicembre... il Natale si avvicina! Non vi aspettavate un aggiornamento così presto vero? Nemmeno io, ma ho avuto tempo e mi sono dedicata a Nadir.  Spero tanto che questo capitolo vi piacerà, se non sarà così si può sempre riscrivere, eh? Non vi preoccupate.
Mi sono permessa di inserire una poesia all'interno del testo, sono le parti in corsivo. E' di Pablo Neruda e si intitola "Ho fame della tua bocca". Metterò il link alla fine del capitolo. Io so che di solito questi link si saltano, si ignorano... però ascoltatela, è davvero bella. Io quando l'ho sentita ho detto "E' Edward... è lui!!" E infatti ci tenevo molto ad inserirla in Nadir.
La foto invece, o dovrei dire il disegno, è di "noeling", preso da Deviantart.
Buona Lettura. Malia.
P.S. Grazie per i vostri commenti!!!



Notte di Natale.

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Quanti ricordi…

Non appena la vidi scoppiare a piangere qualcosa nel mio petto sembrò spezzarsi. Lacrime, quante lacrime avrebbe ancora versato per me? Deglutii e sentii la saliva, mista a veleno, corrodermi la gola e scendere giù rovente fino al mio stomaco.
Anche io, sì, anche io forse avrei pianto se fossi stato umano. I suoi singhiozzi non si fermarono, ma continuarono a straziare ciò che era rimasto di me per alcuni minuti. Mi sentii di nuovo in colpa. Se solo non fossi entrato nella sua vita a quest’ora lei sarebbe stata felice.
La guardai rannicchiarsi sul mio divano e vidi la torcia rotolare a terra e spegnersi. Ora solo il rumore del suo pianto spezzava l’aria, non c’era più luce.
Dannatissimo dolore.
-Edward…-. La sentii mormorare e mi avvicinai maggiormente, forse senza accorgermene.
-Perché sei andato via. Davvero non ero abbastanza per te?-. Continuò sofferente, scoppiando in un singhiozzo isterico.
-Edward!- Gridò ancora e questa volta più forte. Angoscia…
-Edward!-. Di nuovo, come se la sua voce volesse arrivare a me, profondamente, per riportarmi indietro. Ribellione…
Le sue urla erano graffi profondi e spaccature nel mio corpo morto di marmo. Se solo avessi potuto fare qualcosa per lei.
-Ti odio-. Ascoltai quelle due parole con la consapevolezza che era solo la sua rabbia a farla parlare.
Sì, la stessa rabbia che io provavo nei confronti di me stesso per averle fatto del male.
-Ridammi la mia anima, ridammi la mia vita-. Bisbigliò, tirando su col naso.
Era ciò che stavo cercando di fare a sua insaputa e non mi sarei arreso fino a quando non avrei visto un sorriso sul suo volto. Dopodiché sarei andato definitivamente via. Forse.
Non sentii più alcun rumore e mi preoccupai. Il respiro di Bella era appena flebile, il suo battito cardiaco molto lento. Mi accostai al suo corpo e mi chinai per ascoltare meglio.
-Amore mio…-. Pronunciarono le sue labbra.
Mi morsi il labbro inferiore. Bella rischiava l’ipotermia… Dovevo trovare il modo per scaldarla a tutti i costi. Nella mia stanza la temperatura era troppo bassa.
-Voglio morire-. Borbottò stancamente e si tolse il giacchetto come se si fosse trattato solamente di un peso.
No! Non le avrei permesso di distruggermi. Non avrei accettato la sua vita in cambio del nostro amore finito. Tutto, ma non quello. Un mondo senza Bella sarebbe stato impossibile per me da sopportare. No! No!
Respirai affannosamente e mi guardai intorno. Dovevo trovare una soluzione. E in fretta, anche.
-Così non sentirò più male-. Ridacchiò il mio piccolo Bambi e io fui tentato di urlarle contro qualcosa.
Mi sentii cadere in un baratro di terrore.
Decisi di aspettare che perdesse i sensi per fare qualcosa. Non ci volle molto. Dopo cinque minuti ormai il suo corpo era allo stremo delle forze e il mio era mutilato di dolore.
Mi costrinsi a muovermi e cominciai a spaccare la mia libreria. Per fortuna Bella non si era soffermata a guardare le mie cose.
Presi i miei libri e buttai tutto al centro della stanza. Un fuoco sarebbe stata l’unica soluzione. Non sapevo cos’altro fare e la paura di perderla accecava ogni mio pensiero.
Le andai vicino e mi chinai per rimetterle il giacchetto sul corpo. Dio mio, Dio mio… dovevo sbrigarmi. Cercai qualcosa per la casa, nel camino del salone e trovai un accendino, dei fiammiferi. Tornai su di corsa, tutto in pochi secondi, e accesi il fuoco, sperando di riuscire a scaldare la stanza.
Guardai verso i vetri delle finestre. Li avevo distrutti io e l’aria fredda sarebbe entrata comunque. La mia mente vagliò velocemente tutte le possibili soluzioni e alla fine decisi di spostare il divano più vicino al fuoco per far scaldare meglio Bella.
Era pericoloso, ma ci sarei stato io a controllarla.
-Fa freddo, mamma-. La sentii mormorare e attuai il mio piano.
La fiamma sarebbe aumentata e presto avrebbe sparso calore. Aspettai con ansia e fortunatamente riuscii nel mio intento. Bella sembrava aver ripreso un po’ di colore e ora il suo battito era accelerato.
Mi misi seduto sul pavimento, guardandola dormire, e provai un moto di tenerezza profondo. Doveva amarmi davvero tanto per fare un gesto così sconsiderato.
Mi accostai maggiormente, sicuro del suo sonno, e mi appoggiai al divano con la schiena, proprio vicino al suo corpo. Così, però, le avrei tolto solo del calore. O forse no.
-Fa caldo-. Borbottò, facendosi scivolare di dosso il giacchetto.
La guardai attento, divertito dalla sua espressione corrucciata, e le portai una mano sulla guancia. Incredibile il modo in cui ora riuscivo a resistere al suo sangue. Le passai le dita tra i capelli e la vidi muoversi istintivamente verso di me. Mi chinai maggiormente e la saliva invase prepotentemente la mia bocca evocando ricordi che non avrei voluto che scorressero dentro di me.
Bella mugolò quando il mio polpastrello freddo seguì una piccola goccia di sudore.
-Ci sono qui io per te-. Sussurrai appoggiando il viso vicino al suo.
Chiusi gli occhi, chiedendomi cosa provassero gli umani nel dormire vicini, insieme, e invidiai le coppie che potevano farlo. Avrei voluto stringerla a me in quel momento, ma così avrei soltanto aumentato il gelo delle sue ossa, facendola svegliare.
-Lo so-. La sentii rispondere e aprii di scatto le palpebre. La vidi accoccolarsi meglio sul divano e sorridere come una bambina indifesa.
Continuai a guardarla, affascinato dal gioco di luci sul suo volto. Così fragile, così terribilmente morbida e dolce…
-Mi ami?-. Le domandai ansioso e mi diedi subito dello stupido. Era così ovvio quanto amore provasse per me, ma il bisogno di sentirle mormorare un sì in quel momento mi rapì completamente l’anima.
-No-. Rispose dolcemente cercando con il viso le mie dita.
Rimasi in silenzio, stupito dalla sua risposta, e sentii un certo timore invadermi. Che stesse realmente cominciando a dimenticarmi?
Percepii un dolore sottile farmi rabbrividire. In fondo era ciò avevo io stesso voluto. Non avrei dovuto sentirmi abbandonato e solo.
-Edward, io…-. Continuò sonnacchiosa e mi sfiorò il mento con un bacio. Tremai e sentii un dolore forte all’altezza dello stomaco.
-Ti voglio-. Bisbigliò appassionata e si avvicinò pericolosamente alle mie labbra.
Si sporse e annusò l’aria, come se riuscisse a sentire il mio profumo, e la vidi sospirare rilassata dopo aver sfiorato la mia bocca.
Come uno sciocco, innamorato, continuai a fissarla con una strana sensazione nel cuore. E se non mi avesse più amato? Se non fossi stato più importante per lei come prima?
Afferrai il suo giacchetto, piegandolo e mettendolo da parte. Non dovevo pensarci, in fondo non sarebbe stato poi così grave. Cercai di sorridere, ma non ci riuscii.
-Bella…-. Mormorai d’un tratto, scutendola. -Bella…-. La chiamai, piano, e la osservai aprire piano le palpebre. Ora, adesso, avevo bisogno di lei. Non potevo più resistere.
-Ed… Edward?-. Sussurrò lei e io annuii. Ero lì, solo perché la amavo, lì perché non potevo fare a meno di quell’amore.
Le lacrime cominciarono subito a scorrere sul suo viso, lente, e io mi chinai per darle un piccolo bacio.
-Sto sognando?-. Mi domandò roca e io mi rifiutai di rispondere.
-Baciami-. La supplicai a bassa voce e il desiderio intenso di stringerla si impossessò di me.
-Io… io non posso-. La sentii mormorare e le sfiorai il naso con le labbra, assetato del suo sapore.
Mi misi in ginocchio sul pavimento e la fissai con amore, accarezzandole piano la bocca con il pollice.
Che strano sogno… mi sembrava così reale. L’aria tra noi, ormai irrespirabile, cercò di soffocarci e il suo odore mi entrò nelle narici come una dolce tortura. Ormai amavo sentire il dolore che il profumo di Bella riusciva a regalarmi. Mi ero abituato al suo candore, al suo sangue, al mio desiderio.
-Se ti baciassi, domani piangerei di nuovo-. Confessò timorosa e io capii.
Ma quale sogno… Così le avrei solo regalato solo un altro incubo.
-Dormi-. Le dissi allora e alzai la mano per scostarle una ciocca di capelli dietro l’orecchio.  
Bella scosse la testa, stupendomi, e si sollevò sui gomiti, venendomi più vicina. Ci guardammo e io mi persi in quell’emozione. L’Inferno sarebbe stato più gradito, ma forse meno bollente, meno intenso dei suoi occhi che mi facevano tremare ad ogni più piccolo sguardo che sprofondava dentro di me con ardore.
-È Natale. Voglio sognarti ancora un po’-. Mi confidò con voce sofferente e io deglutii.
-Chiedimi qualunque cosa-. Mormorai allora, appoggiando la fronte sulla sua. -Sarà tua-.  La mia promessa era segno di un legame fin troppo forte e il cuore di Bella accelerò i suoi battiti all’impazzata.
-Amami, amami sempre. Anche se non sono degna di te-. Mi rispose, singhiozzando.
Mi alzai in piedi, conscio del mio sbaglio, ma felice, e la vidi accasciarsi senza forze sul divano. Mi voltai, osservando la sua espressione stanca, prossima alle lacrime. Come fare per regalarle un sogno? Non sembravo affatto un principe azzurro in quello stato.
Mi gettai di nuovo ai suoi piedi e gattonai verso di lei che mi fissò con un sorriso radioso.
-Sei sempre bellissimo-. Mormorò voltandosi meglio verso di me. -Molto più di come ricordavo-. Terminò flebilmente.
Le presi la mano e la portai alle mie labbra, baciandola avidamente, e sentendo il suo sapore sulla mia lingua. Non riuscii a resistere e la tirai verso di me guardandola negli occhi. Bella si lasciò scivolare tra le mie braccia e io la strinsi contro di me, forse con troppa forza.
-Ti amo così tanto-. La sentii dire e tornai a guardarla. -Non posso dimenticarti. Ormai dipendo da te, non c’è altro. Non capisci?-. Il suo petto si alzò e abbassò affannosamente e io la fissai estasiato.
-Sì, capisco-. Mormorai solo, con un groppo di veleno a chiudermi la gola.
-No, non capisci-. Si ribellò lei e si mise in ginocchio contro di me, abbandonandosi tra le mie braccia.
-Credo di essere morta-. Continuò poi e io sorrisi. Se la morte fosse stata così dolce avrei volentieri sofferto tutta l’eternità per morire ogni giorno.
-E io? Potrei essere morto anche io-. Bisbigliai con amore. Lei sollevò il capo e mi fissò sconvolta.
-Non dirlo. Tu devi essere vivo, vivo, perché io ti amo, perché non mi importa se non mi vuoi. Io…-. Non le feci finire la frase.
Non avevo nessun regalo di Natale, nulla da darle, nulla per poterle far vivere un sogno, tranne me stesso.
La baciai. Come non avrei mai osato fare in precedenza, come avevo sempre desiderato di poter fare: chiedendole l’anima. Tutta l’anima. Quell’anima che mi ero sempre rifiutato di voler possedere, ma di cui ora adesso sentivo l’assoluta necessità.
-Sei mia-. Mormorai follemente e la mia bocca scivolo sulla sua con smania di possesso.
La mia natura di vampiro esultò finalmente, la mia fame aumentò quando il suo abbandono si fece realmente totale. Il modo in cui le nostre labbra si unirono suggellò un patto eterno, più forte di qualsiasi lontananza e promessa. Avrei lasciato un marchio su quella bocca, lo avrei fatto adesso, per non permetterle di dimenticarmi.
Il respiro si mozzò nel suo petto, il suo cuore smise di battere ritmicamente e il suo corpo gridò la smania di avermi.
Mi scostai un attimo, per permetterle di respirare, ma lei me lo impedì. Mi mise una mano sulla nuca spingendomi contro di lei e pretendendo di approfondire quel bacio che ci avrebbe accesi di passione.
Avrei resistito? Ero sicuro di esserne in grado, ma non totalmente. Confondevo desiderio, brama e fame.
La sua lingua mi impose una resistenza forzata alla voglia di stringerla contro il divano e chiederle la vita.
Il gusto della mia piccola umana, solo mio. Da quanto tempo non lo assaporavo così profondamente? La strinsi per la vita contro di me e mi accorsi di stare per perdere il controllo della mia mente. Mi imposi cautela e riuscii a rimanere a galla mentre le dita di Bella si insinuavano sotto la mia camicia.
-Che fai?-. Sussurrai senza respiro.
-Se è un sogno, voglio goderne fino in fondo. Non sai quanto ti desidero-. Mi confessò con voce roca e io sbattei le palpebre più volte, cercando di capacitarmi.
Tentai di fermare il mio corpo, la mia voglia di lasciarle un segno, ma qualcosa di profondamente animale mi imponeva di farle capire quanto io e solo io potessi darle.
-Sono un vampiro-. Le ricordai rauco.
La vidi aggrottare la fronte e ridacchiare.
-Non a Natale-. Mi rispose dolcemente. -Ti prego-. Mi chiese supplicante e io fissai per un attimo le fiamme che brillavano nel suo sguardo.
Tremai e imposi al mio respiro di continuare gradualmente ad inspirare ossigeno. Inutile forzarmi. L’odore di Bella mi faceva davvero impazzire, perciò sarebbe stato meglio prevenire qualsiasi possibile reazione incontrollata.
Le mani del mio piccolo Bambi iniziarono a sbottonarmi i bottoni della camicia logora e io sentii le sue dita all’altezza del petto.
-Bella, amore…-. La chiamai e lei mi sorrise. Io non avrei potuto fare l’amore con lei, non ci sarei riuscito.
Allungai una mano verso la sua e la fermai sul mio petto, ormai scoperto.
-Te ne sei andato e ora io sto male. Lo sai? Ti vedo ovunque-. Scoppiò a piangere ancora. -Edward, io mi fidavo di te. Ti avrei affidato la mia anima, ma ora me l’hai strappata via con la forza-. Continuò tra le lacrime e io mi sentii un mostro.
Soffocai un gemito di impotenza e mi resi conto solo in quel momento di ciò che la mia allucinazione aveva voluto dirmi. Regalare ad entrambi un sogno, un attimo di pace.
-Ti avevo detto di tenerti lontano dai guai. Perché sei venuta qui?-. Le domandai, proprio come se ci fossimo trovati in un sogno reale.
-Perché ormai sono diventata pazza. La tua mancanza mi soffoca. Aiutami-. Confessò singhiozzando.
La cullai sul mio torace e mi saturai del suo odore forte, facendomi male. Strusciai piano il naso sulla sua pelle. Dovevo prendere una decisione in fretta. Maledizione.
-Solo per questa notte, poi mi dovrai dimenticare-. Mormorai sulla sua mandibola e le posai le labbra sulla guancia. Così sarei riuscito a giustificare me stesso.
-No, non ti permetto di andartene-. Mi rispose decisa. -Non andrai mai via. Io ti sognerò sempre-. Bisbigliò, più a se stessa che a me. e la sua convinzione riuscì a farmi rabbrividire di felicità.
La verità era che saremmo rimasti sempre legati da qualcosa di forte e invisibile, nonostante la lontananza. Quell’amore sembrava destinato da qualcosa. Persino io, che non avevo mai creduto in un destino, in una provvidenza, ora avevo paura che Bella mi fosse stata realmente donata da qualcuno.
E io avevo rifiutato un dono.
Mi alzai in piedi e mi spostai dietro al fuoco, sperando che lei non mi seguisse. Non lo fece, ma i suoi occhi nocciola, fissi nei miei, mi parlarono di una passione profonda, un ricordo indelebile, un’anima ormai segnata da un’eternità morente.
Nel silenzio non smisi di guardarla e notai con quanta venerazione i suoi occhi mi fissassero. Perché… nonostante tutto quel tempo, nonostante il dolore e l’odio che avevo cercato di suscitare in lei, quel piccolo essere umano, insignificante e mortale in fondo, non smetteva di provare qualcosa di assoluto nei miei confronti. Bella… non meritavo niente di ciò che poteva darmi, ma volevo tutto.
-Questo è il più bel Natale che io abbia mai trascorso-. Mormorò dolcemente e continuò ad osservarmi, estasiata.
Probabilmente il mio profumo l’aveva irretita al punto tale da stordirla. Era positivo per me, perché le sarebbe sembrato tutto un semplice sogno, niente di più.
-Vorrei che tu mi tenessi la mano finché non mi sveglio-. Mi disse sofferente e io annuii, accettando almeno quel compromesso. Sarei rimasto con lei per l’eternità, anche nudo, anche denutrito, anche se questo avrebbe significato soffrire dilaniato dalla gelosia e da mille pensieri. Io sarei rimasto per lei.
-Sì-. Risposi solamente, avvicinandomi e fissando le fiamme ancora abbastanza alte.
Mi inginocchiai e le presi con cura la mano, stringendola nella mia.
Non parlammo. Ascoltai il battito regolare del suo cuore fino a quando i suoi occhi non si chiusero per la stanchezza. Per fortuna non aveva insistito sull’idea di fare l’amore.
Mi chinai su di lei, per sfiorarle ancora la pelle con un bacio, e la sentii sussultare. Le sue palpebre si riaprirono di scatto e un sospiro di sollievo le vibrò nel petto.
-Meno male che non mi sono svegliata. Avevo paura che te ne fossi già andato-. Bisbigliò teneramente e con il braccio libero mi circondò il collo.
-Vorrei che tu potessi leggere nella mia mente in questo momento-. Mi confidò toccandomi le labbra con le sue. -Perché per tante notti ti ho sognato, ma solo ora ti sento reale-. Continuò, finalmente serena, e io mi chinai per darle un altro bacio.
Avere fame, avere sete, bere sangue… tutto questo non mi dava piacere tanto quanto baciare le labbra di Bella. Abbassai la testa e mi strinsi al suo seno. Lei gemette e io sentii battere il suo cuore che rimbombò sul mio viso.
-Toccami-. La sentii dire e le mie mani la afferrarono stringendola avidamente contro di me.
Toccarla…
-Ho fame della tua bocca, della tua voce, del tuoi capelli-. Bisbigliai possessivo e le passai le dita tra i capelli tirandoli leggermente per bearmi del loro odore.
Mi impossessai delle sue labbra, mordendole fin quasi a ferirla, per avvelenarla con tutto ciò che ero, che non potevo negare di essere.
-E vado per le strade senza nutrirmi, silenzioso-. Continuai disperato, strusciandole con foga il naso sulla gola, percependo il pulsare impazzito della sua vena.
Il mio dito percorse con follia quella traccia di sangue sottopelle e sentii Bella gemere, mugolare per ribellarsi, ma non per allontanarsi.
-Non mi sostiene il pane, l'alba mi sconvolge, cerco il suono liquido dei tuoi piedi nel giorno-. Mormorai facendo scorrere le mani sul suo corpo con possessività. Mi soffermai sui suoi seni, coperti dal maglione blu, e trascinai il mio desiderio fin sul suo stomaco, che immaginai liscio e piatto, e sulle sue cosce, morbide di calore.
-Sono affamato del tuo riso che scorre, delle tue mani color di furioso granaio, ho fame della pallida pietra delle tue unghie, voglio mangiare la tua pelle come mandorla intatta-. Non mi fermai e le mie dista scesero ad accarezzarle le natiche, coperte dai jeans pesanti.
Una spirale di passione mi fece ribollire il veleno nelle vene e il cuore di Bella sobbalzò correndo impazzito. Il suo respiro sul mio collo non era più controllabile e i miei baci freddi sulla pelle della sua spalla non la aiutavano a riprendere consapevolezza di ciò che stava succedendo. Il suo profumo dolce mi tentò e assaporai con la lingua lo zucchero della sua bocca ancora una volta.
-Edward-. La sentii mugolare, languidamente stupita dalle mie carezze.
-Voglio mangiare il fulmine bruciato nella tua bellezza, il naso sovrano dell'aitante volto, voglio mangiare l'ombra fugace delle tue ciglia-. Confessai preso dalla smania di fare l’amore con lei.
Solo una volta, un ricordo, e poi mai più. La mia bocca si posò sul suo naso, sfiorò le sue ciglia, si avventò di nuovo sulle sue labbra. E poi ancora… tornò a torturare il suo collo, la sua pelle, il suo desiderio acceso di passione.
La fame di lei, che mi aveva ossessionato in passato, ora si era trasformata in qualcosa di più vorace, più profondo. E il mio corpo reagiva come se solo la violenza di quel momento potesse farle capire quanto la volessi, quanto bramassi ogni suo più piccolo gemito, mugolio di piacere.
-E affamato vado e vengo annusando il crepuscolo, cercandoti, cercando il tuo cuore caldo come un puma nella solitudine-. Fremetti a contatto con il suo corpo e mi sentii impazzire di un piacere che mi travolse le ossa e mi spezzò il fiato.
Le sollevai piano il maglione, bramando di sentire la sua pelle calda sotto le mie dita, e, non appena sfiorai il suo stomaco nudo, lei sobbalzò a causa delle mie mani gelide. Dov’era la mia bocca? Ancora sulla sua, inebriata da quello che le stavo facendo provare, da ciò che mi schiacciava.
Strinsi il suo labbro superiore tra i denti e lo succhiai, affamato, mentre le mie dita risalivano fino al suo reggiseno. Lo scostai, avido di sentire il suo seno, avido di percepire i suoi capezzoli inturgidirsi sotto i miei polpastrelli.
Il punto di non ritorno era proprio lì, a portata della mia bocca. Cosa avrei scelto di fare? E se tutto si fosse trasformato improvvisamente in un incubo?


Ecco il link:


Link poesia Neruda
 

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Capitolo 22
*** Notte di Natale (2) ***



Ciao sono Malia, qualcuno si ricorda di me? :P Scusate tanto l'enorme ritardo. Mi sono presa un lungo periodo di pausa riflessione e purtroppo dovrò ancora prendermelo fino al 15 febbraio. Abbiate pazienza con la povera Malia. I miei impegni da quest'anno triplicheranno e farò molta fatica a fare tutto. Ammetto di aver dato precedenza ad una mia originale queste vacanze, ma perchè mi sono follemente innamorata del suo protagonista. A volte a noi scrittori capita. Spero riusciate a capire. Non voglio abbandonare Nadir, non se ne parla, vi chiedo solo di avere ancora un pochino di pazienza fino alla fine dei miei esami. GRAZIE davvero a chi segue questa fic. Malia.


Notte di Natale (2)





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La strinsi tra le mie braccia. Sentivo di dover fare qualcosa. Dovevo fermarmi, non potevo assolutamente farmi travolgere da quel desiderio, perché non sapevo a cosa mi avrebbe portato.
-Bella…-. Mormorai spingendola più forte contro di me. Avrei voluto annegare in quel dolore fino a quando non mi avrebbe portato ad urlare.
Mi sentii vivo, ancora una volta vivo.
-Chiamami ancora, di nuovo-. Bisbigliò lei portandomi le dita sulle labbra e disegnandone i contorni.
Avevo caldo, non mi ero mai sentito così bollente prima d’ora.
-Bella, non pos…-. Cercai di dire, ma la sua bocca si sollevò sulla mia e pretese un mio bacio.
Non si era mai comportata così con me, consapevole che mi avrebbe soltanto fatto soffrire e che avrebbe potuto mettere in pericoloso anche se stessa, ma ora era diverso, in quel momento tutto non era che un sogno.
-Per favore, solo questa volta. Non voglio che anche questo sogno si trasformi in un incubo-. Sospirò continuando a baciarmi.
Non potevo farle questo, non quando avevo cercato di proteggerla sopra ogni cosa, anche a costo di perdermi. E adesso? Mi stavo comportando come un animale, non come una creatura pensante.
La scostai da me, sollevandola e riportandola sul divano. Il fuoco si era quasi spento nel frattempo.
Le lacrime che rigavano il viso di Bella erano come una pugnalata al cuore, ma io non potevo, non potevo davvero fare nulla per alleviare quella sofferenza. Mettere in gioco il mio desiderio, così, avrebbe soltanto significato metterla in serio pericolo.
-Non mi desideri? Nemmeno in sogno…-. La sentii bisbigliare e i suoi singhiozzi riuscirono a strapparmi un gemito di dolore.
Come poteva chiedermi di farle una cosa simile? Mi inginocchiai accanto a lei e le accarezzai il dorso della mano in silenzio. Osservai le sue palpebre serrate e mi domandai se fosse giusto rifiutarle me stesso persino nei suoi sogni. Mi riscossi immediatamente, dandomi del pazzo. Quello non era un sogno, quella era la verità, e nella realtà io ero un vampiro assetato del suo sangue.
-Non te ne andare di nuovo, come sempre-. Bisbigliò disperata, aggrappandosi alle mie mani come se ne fosse andato della sua stessa vita.
-Io devo…-. Sussurrai desiderando ardentemente dirle che ero lì con lei veramente, che avrebbe potuto avermi in ogni momento accanto.
-No, no, per favore. Torna da me!-. Gridò spalancando gli occhi e tornando a fissarmi, sconsolata. -Io mi ucciderò se non tornerai. Hai capito? Mi ucciderò-. Mi ricattò stringendomi a sé e tentando di tenermi vicino.
Quella minaccia mi terrorizzò, accecando la mia razionalità.
-Smettila, mi hai promesso che avresti vissuto-. Le ricordai, la voce dura e impaurita.
-Allora fa l’amore con me-. Bisbigliò, sollevandosi sui gomiti e supplicandomi con le sue iridi nocciola.
Deglutii. Dio, perché a me? Perché proprio io? Non sarei dovuto rimanere nell’oscurità per l’eternità? Perché, perché?
-Ti prego-. La supplicai, stringendole le dita. -Io ti desidero, davvero. Tantissimo-. Mormorai sfiorandole le labbra. -Ma non puoi chiedere questo ad un sogno-. Continuai, baciandole ripetutamente le labbra, assetato della sua bocca.
-Posso, io… posso, perché l’ho già fatto tante volte-. Mi confessò dolcemente e io le accarezzai una guancia domandandomi cosa mi avesse chiesto nei suoi sogni.
-E cosa mi chiedevi-. Le chiesi sottovoce, sentendo l’intimità crescere tra noi, timida, quando poco prima era così prorompente da farci bruciare.
-Ti chiedevo di starmi sempre vicino, ma sai… nei miei sogni io ti vedo vicino a me, nei miei sogni io sono una bambina e tu continui ad amarmi, a starmi accanto. Oh, vorrei che fosse davvero così-. La sua confessione mi colpì come uno schiaffo.
-Cosa?-. Sussurrai e la guardai scoppiare di nuovo in lacrime.
-Ti amo-. Mormorò e la sua bocca si avvicinò lentamente alla mia con tutta l’intenzione di trasmettermi un’emozione che non avrei mai più dimenticato.
Lasciai che le sue labbra si unissero piano alle mie e percepii un brivido lungo tutta la schiena. Provai a non ricambiare quel bacio, provai davvero ad usare violenza su me stesso, ma riuscii solo ad ottenere l’effetto contrario. Troppa la voglia di stringerla, baciarla, toccarla, proprio come avevo fatto qualche minuto prima.
-Bella, amore, vieni qui-. Non riuscii a resisterle e approfondii quel bacio con audacia.
Sapevo come sarebbe andata a finire. Avremmo di sicuro iniziato ad accarezzarci, a toccarci fino al momento in cui io non avrei preso consapevolezza di starmi spingendo oltre il limite consentito.
Le mie mani risalirono lungo le sue spalle e affondarono tra i suoi capelli castani. Mi chinai per approfondire quel bacio e sentii una scarica di dolore misto a fame attraversarmi le viscere e fermarsi all’altezza della gola che cominciò ad ardere di veleno.
Nemmeno il sangue sarebbe riuscito a farmi provare una simile sofferenza, così intensa da poter essere chiamata eccitazione, perdizione… desiderio. La mia bocca si avvinghiò al sapore della sua, dipendendone, e il battito forsennato del suo cuore, ora quasi tachicardico, riuscì ad avvelenare il mio animo di una voglia nuova, più profonda, forse più pregnante.
-Non respiro-. Mormorai tentando di far sollevare il mio petto.
Dovevo respirare. Provai ancora e un sussulto nel mio petto mi fece cadere ai suoi piedi. Bella mi strinse contro il suo seno e io sospirai finalmente, annusando il suo profumo. Percepii il suo odore, così femminile, così tenero, e inevitabilmente la portai sotto di me, con facilità, stendendola sul pavimento.
I miei occhi incrociarono i suoi e per la prima volta mi accorsi di aver provato una sensazione umana: l’aria per me era divenuta necessaria, solo un secondo, ma soltanto perché era il suo profumo ad impregnarla. I suoi occhi nocciola mi fissarono, sognanti, quasi adoranti, e la mia bocca si avvicinò alla sua con un nuovo desiderio: quello di sentirmi parte di lei.
-Edward-. La sentii mormorare e la costrinsi a rimanere con le spalle contro il pavimento.
Il suo sguardo rimase fisso nel mio e io mi avventai sulle sue labbra, famelico, privo di quel limite che mi aveva spinto a scostarmi da lei. Sentii il bisogno di stringere e toccare, di sentire carne viva contro di me, pulsante e calda.
Mi abbandonai all’istinto e l’odore forte della sua femminilità mi salì alle narici stordendo quel briciolo di lucidità che mi era rimasto. Ingoiai la saliva, ormai piena di veleno, ma non riuscii a trattenerla nella mia gola e si sciolse tra i miei denti mentre inconsapevolmente i miei canini le regalavano brividi sul collo.
Tentai di parlare con me stesso, di frenare la bestia che ora aveva deciso di irretirla, ma non fui capace in alcun modo di frenarmi quando percepii un mugolio venire dalle sue labbra.
-Bella-. Bisbigliai fuori di me. Le mie dita le sollevarono i fianchi che si unirono ai miei in modo così naturale che ne rimasi scioccato.
Paura. Mi accorsi di avere paura del potere che lei sembrava avere su di me: travolgente e senza freni.
-Non andare più via-. Percepii il suo mormorio pronto alle lacrime e la portai a mettersi seduta di fronte a me.
Era arrivato il momento di dimostrarle quanto la mia devozione fosse forte, quando fossi schiavo dei sentimenti che mi legavano a lei e non mi permettevano di allontanarla nonostante l’avessi giurato e spergiurato.
-Bells-. Sentii improvvisamente la voce di Charlie, inaspettata, e un impulso naturale mi fece scappare via.
Mi portai dietro il divano, soffocato dalle mie stesse voglie, che ora non riuscivo più a fermare.
-Bells… merda-. L’ispettore Swan si avvicinò con un torcia e solo in quel momento mi resi conto che, una volta spento il fuoco, tutto sarebbe diventato buio per lei.  
-Charlie-. La sentii mormorare e chiusi gli occhi, lasciandomi scivolare a terra.
Pregai che il padre di Bella non puntasse la torcia su di me, perché dubitavo di avere la forza di alzarmi. Mi sentivo completamente svuotato di ogni forza e ogni pensiero. Percepivo solamente freddo dentro, tanto freddo.
-Lo sapevo, dannazione-. Soffocò Charlie e lo guardai prendere di peso Bella. -Sei gelida. Ma sei impazzita?-. Borbottò fuori di sé dalla rabbia.
Percepii il mio cerbiattino singhiozzare tra le lacrime e ansimai terrorizzato. Non avrei dovuto… non avrei dovuto.
-Lasciami qui-. Mormorò lei, ma l’ispettore Swan la trascinò verso la porta di peso.
Avevo sbagliato ancora una volta.
-Lasciarti qui? Tu non uscirai più per almeno un mese o fino a quando non ti darò io il permesso di farlo-. Le urlò lui, irreprensibile.
Non percepii più alcun rumore, ma i pensieri di Charlie, furiosi, mi rimbombarono nelle orecchie fino a quando non portò Bella fuori di casa mia. Non avevo mai sentito una persona urlare come se le stessero strappando via la sua stessa anima, ma in quel momento capii cosa significasse perdere se stessi: Bella non faceva che gridare il mio nome. Come una dannata posseduta da un demone invisibile. E in fondo io non ero che questo per lei.
Mi avvicinai alle vetrate rotte e aspettai di vedere il mio piccolo Bambi salire in macchina con suo padre.
-Tu non capisci. Lui c’era. Era con me-. I suoi sussurri mi straziarono e dilaniarono quel poco di coscienza che mi era rimasta rigettandomi ancora nel nulla dei sensi di colpa.
-Lui se n’è andato. Non ti ama, non sei niente per lui!-. Gridò l’ispettore Swan facendomi aggrappare ai vetri rotti. No, non era vero, non era vero, io avevo solo mentito per lei.
-No, non è così. È con me, sempre con me-. Mormorò ancora Bella e io mi accasciai sul pavimento sentendo il mio cuore morire per la terza volta.
Quante volta ancora avrei dovuto provare quella sensazione? Non ne potevo più. Semplicemente la morte avrebbe alleviato le mie sofferenze e io mi ostinavo, imperterrito, a credere che il nostro amore potesse creare il mio futuro come essere umano, come persona.
Stupido idiota. Io non ero e non sarei mai stato un essere umano. Mai.
-Bells, ascoltami-. Charlie la lasciò improvvisamente andare vicino alla sua volante di servizio. Lei lo guardò con gli occhi colpevoli e sgranati.
-Qui è tutto vuoto e tu stavi per morire assiderata-. Continuò a dire, lentamente, come se stesse avendo a che fare con una pazza.
-Non posso più fidarmi di te-. Bofonchiò poi e tornò a prenderla tra le braccia.
Vidi Bella cadere di peso, senza fare resistenza, e voltarsi verso il punto in cui mi trovavo. Trattenni il fiato. Non c’era luce, non poteva vedermi, eppure quegli occhi nocciola così profondi, così intensi, riuscirono per un attimo a farmi credere che potesse farlo.
Sorrisi e chinai la testa.
-Non hai niente da dire?-. Gridò Charlie abbandonandola sul sedile del passeggero come un sacco di patate.
-Ti amo-. Bisbigliò lei, in modo talmente impercettibile che ero sicuro suo padre non avrebbe potuto sentire.
Sollevai lentamente lo sguardo e mi immersi nei suoi occhi che si soffermarono proprio su di me.
-Ti amo anche io-. Mormorai con un lieve sorriso che lei mi restituì inaspettatamente.
-Va bene, allora… se non vuoi dire niente. Sta zitta-. Concluse l’ispettore Swan sedendosi al volante e mettendo in moto. -Domani verrò a prendere il pick-up-.  Commentò mettendo la retromarcia.
Tornai ad alzarmi in piedi e camminai per la mia camera inspirando forte il suo odore. Bella… che fare? Seguirla oppure andarmene via? Mi passai le dita tra i capelli pensando e ripensando come un folle. Avrei soltanto continuato a rovinarle la vita se fossi rimasto. E poi… le sue parole: aveva detto di vedermi accanto a lei come una bambina, ma era impossibile. Questi erano i suoi sogni? No, la mia realtà malata.
Mi voltai spaesato, sentendo ancora il desiderio di fare l’amore con lei, e urlai. Senza motivo, urlai tutta la mia rabbia, ringhiai e, ancora una volta, mi sfogai con tutto ciò che di solido aveva fatto parte del mio mondo.
Dovevo farlo, per sentire di essere ancora lì, per sentire che quello che avevo fatto non era del tutto vano. Cominciai ad odiare il silenzio, persino le mie urla erano migliori di quel frastuono di niente che mi riempiva le orecchie con la sua sofferenza.
Basta, Edward, basta. La litania che stavo ripetendo a me stesso non mi aiutò a smettere di gridare la mia rabbia. E piansi, per la prima volta piansi, perché le mie grida assomigliavano molto al pianto di un animale: di un cane abbandonato, di un gatto picchiato, di un leone ferito. E per quanto avessi sempre odiato sentirmi un animale, per Bella avrei fatto qualunque cosa, anche regredire allo stato larvale.
-Non ce la faccio più-. Bisbigliai lasciando che il mio corpo si accasciasse a terra.
Mi ripromisi di non muovermi almeno fino alla mattina, poi sarei tornato da lei… poi… ora avevo assoluto bisogno di riposare la mia mente.
L’alba mi colse troppo presto e io sospettai che non fosse passata che qualche ora. Fissai il Sole sorgere e sorrisi ironicamente alla luce. Cominciavo seriamente a detestare il chiarore del giorno, un po’ come i vampiri delle favole.
Mi alzai e camminai verso il bagno. Che ci fosse stata ancora acqua? Dovevo darmi una lavata. Cercai di aprire, ma non uscì nulla. Come pensavo… avrei dovuto cercare una fonte in giro, qualche vasca per l’abbeveraggio degli animali. Sempre se non l’avessi trovata gelata.
Mugolai frustrato e aprii il cassetto dei miei vestiti. Era arrivato il momento di cambiarmi.
Dopo aver fatto ciò che dovevo, come un automa, il mio corpo si diresse ancora verso Casa Swan. Natale… mai trascorso un Natale più terribile. Che ironia della sorte: non mi ero mai sentito così vivo da più di cento anni a quella parte.
Cercai tracce di Bella e capii dal suo profumo che doveva trovarsi in camera. L’ispettore Swan non era a casa. Mi arrampicai sulla finestra e, come previsto, fissai lo sguardo sul mio cerbiattino. Stava dormendo vestita, con un copriletto improvvisato sopra di lei.
-Come ti permetti di farle questo?-. Chiesi a me stesso, ma ormai non avevo più voglia di farmi domande, la mia mente era stanca, così come il mio cuore. L’unica parola che il mio vocabolario poteva ammettere senza improvvisamente cadere nella follia dell’incomprensione era solo uno: Bella.
Sorrisi quando notai che la finestra non era stata chiusa. Ero sicuro che lei si sarebbe rifiutata di chiuderla e che Charlie dalla rabbia avrebbe chiuso la pota di schiatto e se ne sarebbe andato.
-Sai bene che non merito questo amore-. Balbettai portandomi le ginocchia al petto e continuando ad osservarla.
Avrei saputo disegnare ogni piccolo particolare del suo viso anche dopo secoli. Che assurdità l’amore… che illogicità.
-Avrei fatto l’amore con te-. Le confessai sorridendo amaramente e poggiai la fronte sulle cosce, rannicchiandomi su me stesso.
Non mi sentivo più così perfetto. Che strano. Dentro di me avevo sempre pensato che la perfezione di un vampiro lo rendesse differente da un umano, ma ora che le mie certezze erano venute meno ero sicuro che un vampiro non fosse poi così diverso da un essere umano. No, forse no, per quanto ci avvicinassimo a delle creature perfette qualcosa ci sarebbe sempre mancato profondamente: la dignità di combattere contro la nostra perfezione. Perché ad essere macchine da sopravvivenza non c’era alcun gusto se non si poteva morire, se non si poteva sbagliare, se non si poteva vivere.
Mi alzai, tornandole vicino, e mi sentii subito meglio.
-Uccidimi-. Sussurrai senza comprendere le mie parole. -Guardami Bella sono qui. Sono qui, vicino a te. Io ci sono. Non ti ho lasciato-. Continuai, ma mi resi subito conto di aver solo bisbigliato flebilmente.
Non avrei mai avuto il coraggio di dirle una cosa simile. Con che faccia, con che cuore…
-Non so se riuscirai mai a perdonarmi-. Sussurrai con la mano sul petto. -Ma io non lo farò mai con me stesso-. Borbottai convinto, rifugiandomi dietro la solita poltrona e aspettando nel silenzio, quel silenzio che ormai avevo tanto imparato a disprezzare.
Sentii il cellulare di Bella squillare improvvisamente e per un attimo pensai che non avrebbe risposto.
-Mamma-. Bofonchiò lei e io sentii urlare sua madre.
-Sei per caso impazzita?-. Reneé era fuori di sé dalla rabbia. La capivo, come qualunque genitore.
-Per favore, sono stanchissima-. Rispose lei e io sospirai, travolto ancora dai sensi di colpa.
-E lo credo. Non credi sarebbe meglio venire a stare con noi?-. Le chiese sua mamma e io trattenni il respiro.
Il silenzio cadde subito nella stanza e io mi spostai per sbirciare. Bella fissava il vuoto e il cellulare era miseramente caduto a terra. La sua mano, ancora a mezz’aria, sembrava averlo lasciato appositamente. La osservai, incredulo, e la guardai tornare a rilassarsi sui cuscini.
-Lasciatemi sognare ancora un po’. Sono stanca di questa realtà. Lasciatemi sola con lui-. Mormorò lamentosa e io appoggiai la fronte sulla poltrona.
C’era qualcosa di profondamente sbagliato nel nostro amore, ne ero consapevole. Forse valicava i confini del tempo, della razza, forse quello, ma forse era semplicemente amore vero. Non lo sapevo.  Bella sapeva regalarmi sensazioni uniche solamente con una frase. E quello? Quello poteva definirsi amore? Emozioni in cambio di parole. Forse, sì forse.
Bella dormì l’intera mattina: un sonno senza sogni. A malapena la sentii respirare. Doveva essere davvero molto stanca.
Le ore trascorsero e io cominciai a preoccuparmi: sembrava non avere alcuna intenzione di svegliarsi.
Per fortuna entrò Charlie e io sospirai di sollievo.
-Ehi, Bells?-. La chiamò e lei non rispose.
-Sei ancora arrabbiata?-. Bofonchiò suo padre e Bella borbottò qualcosa che non capii.
-Saresti morta lì al freddo-. Commentò e io dovetti ammettere che aveva ragione.
-Allora? La vita è mia-. Sbottò lei, innervosita.
-Sei mia figlia. Mi preoccupo per te-. Continuò Charlie chiudendosi la porta alle spalle e facendo per avvicinarsi.
-No, questa volta no. Volevo stare lì-. Obiettò il mio cerbiattino, voltandosi di spalle tra le coperte.
L’ispettore Swan sospirò, ma non disse altro.
Lo capivo. Si era comportato come un padre preoccupato e quando aveva visto il pick-up era impazzito dalla preoccupazione. Io non mi ero accorto di nulla, troppo coinvolto da Bella, perso nel suo profumo, nelle carezze. C’era mancato davvero poco che mi scoprisse.
-Non ti preoccupare, non fa niente-. Riprese alla fine lei e io capii che non era arrabbiata con Charlie, ma era un altro il motivo della sua tristezza.
-Non tornerà. Ormai non so più come dirtelo-. Charlie parlò seriamente, battendo il pugno ripetutamente sullo stipite, questa volta imbarazzato.
-Non lo sai, non puoi saperlo-. Bofonchiò Bella e si tirò le coperte sulla testa.
Lui sospirò e uscì indeciso, continuando ad lanciare occhiate preoccupate a sua figlia. Lessi chiaramente i suoi pensieri: non credeva affatto di essere un buon padre, deluso da se stesso, ma soprattutto intenzionato a fare qualcosa perché Bella non soffrisse ancora.
Sperai anche io che riuscisse a fare qualcosa per lei.
-Non riesco a sognarti…-. La sentii bofonchiare non appena Charlie la lasciò sola.
La guardai e mi resi conto che il mio piccolo Bambi sperava di vedermi ancora. Sorrisi inconsapevolmente. Sì, anche io volevo rivederla in qualche modo: forse ancora nei sogni. Fantasticare in fondo non mi costava nulla. Ne avevo bisogno anche io a volte per credere che qualcosa di noi avrebbe potuto salvarsi.
-Eppure sembrava così reale. Sto diventando pazza-. Sospirò ad alta voce e io rabbrividii.
Pensandoci bene stavamo diventando pazzi tutti e due.

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Capitolo 23
*** Risveglio ***


Non mi sono dimenticata di Nadir, non vi preoccupate, solo che sono stata molto impegnata con gli esami questo mese. Li ho terminati ieri e infatti questa mattina sono già all'opera a scrivere. Mi mancava davvero tanto, non me n'ero resa conto. Spero che mi perdonerete per l'assenza prolungata. Ho intenzione di aggiornare Nadir un sabato sì e uno no, mi sono fatta una tabella di marcia per ogni fanfiction. Di più non posso, almeno per adesso, però è sempre meglio di una volta al mese, credo. 

Dalla prossima volta vi risponderò tranquillamente ai commenti. Ora perdonate questa mia mancanza però non aggiorno da troppo tempo e mi sento un tantino il colpa (che esagerata che sono). Un bacione e un grazie a chi ha commentato, un grazie speciale. 

P.S. Ora torniamo a seguire la linea di New Moon, esattamente il capitolo che ha titolo "Risveglio". Se date un'occhiata al libro vedrete che seguo passo passo i dialoghi che ha scritto anche la Meyer. 

Buona lettura, Malia. E buon fine settimana!!!

Risveglio.

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Il tempo passò, forse troppo in fretta o troppo lentamente, non avrei saputo dire. Confuso. Era come corrodersi dentro, sì, in modo lento, ma estremamente efficace nei minuti trascorsi vicino a lei. Istanti che non avrei rifiutato neanche in cambio di mille vite, di mille sofferenze. Ma prima o poi tutte le cose avrebbero dovuto necessariamente avere una fine, brutte o belle. Per il destino non aveva mai avuto molta importanza.

E non aveva a che fare con i miei sentimenti, eterni e maledetti quanto il peccato umano, no, ma ciò che prima o poi Bella avrebbe dovuto affrontare: la rinascita, il suo risveglio.
Quante volte avevo rifiutato l’idea che potesse riprendersi, quante volte avevo sperato che mi amasse per l’infinito tempo di tutta la sua vita anche dopo la morte. Poeta dannato. Ecco come mi sentivo, un inguaribile e stupido romantico. Già.
L’inizio della fine o la fine dell’inizio? Tanti giochi di parole, ma nessuna certezza, tranne quella di essermi perso, ma quello non era una novità per la mia mente malata d’amore.

Charlie sbatté il pugno sul tavolo della cucina, adirato.
-Basta, Bella! Ti rispedisco a casa-.
Sbraitò tentando invano di controllare il tono della sua voce. Era chiaramente preoccupato, ma c’era anche tanta rabbia a lungo repressa dentro di lui.
Bella sembrava non volerne sapere di riprendersi. Dopo la notte di Natale la sua vita aveva continuato a scorrere in solitudine: non un sorriso, non un segno di ripresa. Il suo pianto straziante durante le notti aveva avuto come effetto quello di farmi fuggire via. Persino io non avevo potuto sopportarlo, persino io che mi ero ripromesso di starle sempre vicino. Ero ormai allo stremo, come lei. Forse eravamo entrambi morti senza accorgercene.
-Sono già a casa-. Riprese lei, confusa, alzando lo sguardo dal piatto di cereali.
Almeno mangiava quel tanto che le permetteva di vivere. Per fortuna non dovevo più forzarla.
-Ti mando da Renée, a Jacksonville-. Precisò poi, dopo aver notato l’assoluta tranquillità della figlia di fronte alla sua sfuriata.
Il mio piccolo Bambi si portò la mano sotto il mento, massaggiandoselo come per cercare di capire, e poi sospirò, tornando a mangiare come se nulla fosse successo.
Charlie aggrottò la fronte, incredulo, e per un attimo pensai che si sarebbe messo ad urlare sull’orlo di una crisi isterica.
-Cosa ho fatto?-. Mormorò allora lei e io presi un profondo sospiro di sollievo.
Aveva risposto prima che potesse scatenarsi l’Inferno. In effetti, a pensarci bene, tutto sembrava essere tornato alla normalità. Bella non aveva più perso un giorno di scuola, i suoi voti erano molti alti, non aveva più infranto un coprifuoco e aveva persino cominciato a lavorare. Quindi non c’era niente in lei che apparentemente non andasse, ma io sapevo la verità, perché trascorrevo ogni momento da solo con il mio cerbiattino.
Charlie, però, non la pensava allo stesso modo. Era evidentemente fuori di sé, forse a causa dello stress.
-Non hai fatto niente. Questo è il problema. Non fai niente, mai-.
Si impuntò, sbattendo più volte le palpebre e incrociando le braccia al petto. Allargò le narici come un toro impazzito. La scena aveva qualcosa di vagamente divertente, ma decisi di non scoppiare a ridere per rispetto verso il capo Swan. Non aveva proprio la stoffa del padre severo, eppure tentava di essere irremovibile.
-Preferisci che mi cacci nei guai?-. Riprese Bella, un po’ irritata dall’atteggiamento di suo padre.
Il ricordo di quello che era successo a Natale sembrava aleggiare nell’aria, ma nessuno dei due osò ricordarlo all’altro e così il silenzio si fece insistente, quasi opprimente tra loro. Charlie era in evidente imbarazzo.
-Un guaio sarebbe meglio di questa situazione... tieni sempre il muso!-. Scoppiò definitivamente, facendo innervosire sua figlia.
Perfetto. Era in arrivo burrasca. Non avevo voglia di vedere Bella soffrire ulteriormente anche a causa del rapporto con lui, perciò sperai che la finissero di comportarsi così.
-Non tengo nessun muso-. Tagliò corto lei, controllando il suo fastidio.
Evidentemente la pensava come me. Non era il caso di alzare la voce.
-Ho sbagliato parola-. Tentò di dire Charlie, vagamente in imbarazzo.
Ridacchiai e mi appiattii maggiormente alla parete per poter vedere meglio.
-Tenere il muso significherebbe comunque che fai qualcosa. Sei... come spenta. Ecco cosa volevo dire-. Precisò alla fine, picchiettando le dita sul tavolo della cucina.
Aveva fatto centro. Bella si era calmata e non aveva dato più motivo di preoccupazioni, ma quello non voleva affatto significare un miglioramento. Dovevo ammettere che a volte il capo Swan sapeva essere perspicace. Ogni tanto, non sempre. Per il resto era un completo disastro.
-Mi dispiace, papà-. Bofonchiò lei, abbassando gli occhi e mettendosi il cucchiaio di latte e cereali in bocca.
Masticò lentamente, quasi che le costasse fatica, e deglutì senza alzare lo sguardo verso suo padre, che continuava a fissarla in attesa di altre parole.
-Non voglio che ti scusi-. Aprì le braccia lui, facendole capire che non aveva affatto voglia di discutere.
-Allora dimmi cosa vuoi che faccia-. Rispose il mio piccolo Bambi, stancamente.
-Bella-. Cominciò allora, il viso pallido di un genitore preoccupato. -Tesoro, non sei la prima a vivere una situazione del genere, lo sai anche tu-. Concluse così, in difficoltà.
Ottima mossa. Così non avrebbe fatto che peggiorare le cose. L’avevo detto io che non sapeva proprio come comportarsi.
-Certo-. Fece Bella, per nulla colpita dalla costatazione.
Sapeva anche lei che molte persone vivevano pene d’amore, ma non perché lasciate da un vampiro egoista e privo di sentimenti. In quel caso io.
-Senti, piccola. Penso che... forse hai bisogno d'aiuto-. Le propose e vidi il mio piccolo Bambi sgranare gli occhi, stupita.
Aiuto… quella parola l’avevo sentita fin troppo spesso nella mia testa nei momenti in cui avevo pensato di non farcela a sopportare quel dolore. E anche Bella l’aveva spesso sussurrata nel sonno, chiamandomi, disperandosi per la mia assenza, ma adesso il significato era diverso. Più crudo, più reale e probabilmente più vero di qualsiasi cosa. Il mio cerbiattino non poteva rimanere in quelle condizioni, ma era difficile per lei aprirsi e chiedere di poter essere consolata.
-In che senso?-. Chiese così, ora più timorosa.
Non si aspettava un simile discorso da parte di suo padre, non così diretto.
-Quando tua madre se ne andò-. Inizio Chiarlie, deglutendo e tentando di affrontare quello che per lui era un argomento spinoso. Sentii i suoi pensieri farsi cupi, tristi e mi rammaricai. Era un brav’uomo tutto sommato. -e ti prese con sé...-. Respirò profondamente come a volersi fare forza. -Be', quello fu un brutto periodo, per me-. Riuscì a terminare la frase a fatica, gli occhi persi nei ricordi terribili di un momento che avrebbe voluto cancellare.
Mi dispiacque per lui.
-Lo so, papà-. Si limitò a rispondere Bella per non metterlo ulteriormente in imbarazzo e la sua espressione si addolcì.
-Ma riuscii a cavarmela-. Precisò poi, evidentemente non disposto ad ammettere la reale disperazione che l’aveva distrutto e lungo. -Tesoro, tu non te la stai cavando. Ho aspettato, ho sperato che migliorasse-. Le fece notare, angosciato. -Penso che sappiamo entrambi che non è migliorato per nulla-. Sospirò poi passandosi una mano tra i capelli ed evitando qualsiasi riferimento al passato.
Mi sentii ancora una volta in colpa per tutti i miei desideri assurdi e le mie mancanze nei confronti della persona che più amavo.
-Sto bene-. Si innervosì lei, distogliendo lo sguardo e fissando insistentemente il cucchiaio nella scodella.
Non la pensavo affatto allo stesso modo.
-Forse, be'... forse dovresti parlarne con qualcuno. Un professionista-. Le propose Charlie e io inorridii.
Non era quello il metodo giusto, non avrebbe risolto nulla facendola andare da uno psicologo, se non farla soffrire ulteriormente.
-Vuoi che vada da uno strizzacervelli?-. Terminò lei, sconvolta.
La sua bocca si schiuse in una smorfia meravigliata e io immaginai la scena per un attimo. Il mio cerbiattino di fronte ad una persona che l’avrebbe interrogata sul mio conto. Sapevamo entrambi che non sarebbe stata possibile una cosa simile. Non poteva rivelargli di essersi innamorata di un vampiro, di aver rischiato la vita a causa sua, di non sapere come fare a cacciare quella sensazione di malessere profondo dovuto ad una dipendenza da creatura demoniaca. Insomma… sarebbe stato un completo disastro.
-Forse ti aiuterebbe-. Provò ancora Charlie, ma Bella non sembrava essere della stessa idea.
Lo fissò, torva, e non rispose, lanciandogli un’occhiata più che eloquente.
-O forse no, anzi, per niente-. Si schernì suo padre non appena lo sguardo amareggiato e tenace della figlia si posò su di lui. Bella non avrebbe mai ceduto a quella richiesta, lo sapevo, perciò non mi preoccupai.
Quel tipo di aiuto non era quello più adatto a superare il momento di crisi. Aveva bisogno di ben altro: amici e amore, per quanto mi costasse fatica ammetterlo.
Charlie, però, non volle demordere. Lessi nei suoi pensieri una chiara intenzione e sospirai. Non voleva proprio capire che sua figlia non si sarebbe allontanata da Forks. La speranza che io un giorno potessi tornare era ancora viva dentro di lei.
-Io non ce la faccio, Bella. Forse tua madre...-. Cambiò strategia e io dovetti ammettere che quando si ostinava sapeva esattamente come fare male.
-Ascolta-. Lo interruppe il mio cerbiattino, la voce alterata dalla rabbia. -Se vuoi, esco anche stasera. Chiamo Jess o Angela-. Gli propose nel vano tentativo di convincerlo che non era cambiato nulla, che lei stava bene.
Purtroppo padre e figlia non erano poi così differenti, erano testardi entrambi e il capo Swan non avrebbe mollato. Tornò all’attacco.
-Non è ciò che voglio-. Ribatté frustrato. -Non credo di poter resistere, se continui a sforzarti in quel modo. Non ho mai visto nessuno sforzarsi quanto te. E ci sto male-. Confessò poi e sperò vivamente che Bella lo ascoltasse e che, presa dai sensi di colpa, decidesse di andarsene da sua madre per non pesargli ulteriormente.
Mi domandai se avrebbe raggiunto il suo intento oppure no. Forse sarebbe stato meglio anche per me. A quel punto non l’avrei seguita, non avrei potuto più attardare il mio definitivo abbandono.
Avevo dimenticato, tuttavia, che anche Bella quando voleva sapeva come cavarsela nelle situazioni più difficili.
-Non capisco, papà. Prima perdi la pazienza perché non faccio niente, poi dici che non vuoi che esca-. Parlò innocentemente, come se tutto quello che Charlie aveva detto fin’ora l’avesse colpita perché non vero, con un’ingenuità che aveva palesemente del falso e del costruito.
-Voglio che tu sia felice... anzi, no, nemmeno. Voglio soltanto che tu non sia triste. Credo che te la passeresti meglio se te ne andassi da Forks-. Ammise finalmente l’ispettore Swan e io sorrisi amaramente. Tutta quella storia solo per farla andare via da lì.
Bella si risvegliò dal suo torpore e alzò il mento, ormai fuori di sé dalla rabbia.
-Non me ne vado-. Sentenziò convinta.
Se avessi avuto un cuore avrebbe fatto le capriole di contentezza nel mio petto. Che vampiro ridicolo.
-Perché no?-. Le chiese suo padre.
Domanda stupida. Bella sarebbe stata sincera? La vidi scuotere la testa con decisione ferma.
-È l'ultimo semestre di scuola, manderei tutto a monte-. Gli fece presente e non si mosse, puntando i suoi occhi su di lui con una tale furia che mi ritrovai a tremare.
-Sei una brava studentessa, te la caverai-. Sbottò Charlie, tranquillamente, ma non era quello il vero motivo e ne erano entrambi consapevoli.
Inutile fingere.
-Non voglio dare fastidio a mamma e a Phil-. Si inventò ancora lei e io capii che non avrebbe ammesso tanto facilmente il perché del suo voler rimanere.
-Tua madre muore dalla voglia di riaverti-. La corresse suo padre, ora più convinto che sua figlia avrebbe ceduto.
Come sarebbe andata a finire?
-In Florida fa troppo caldo-. Ribatté ancora e io mi ritrovai inevitabilmente a sghignazzare.
Che bugiarda, il mio piccolo Bambi amava il caldo ed odiava la temperatura fredda e umida di Forks.
Charlie non era così sciocco da non capire e infatti nella sua mente si formulò subito la risposta esatta. Era chiaro che Bella sperasse nel mio ritorno.
-Sappiamo entrambi, e molto bene, cosa sta succedendo, Bella, e non è affatto positivo per te-. Cominciò di nuovo, ancora più furioso, e lo vidi sbattere di nuovo la mano sul tavolo, con fare perentorio.
-Sono passati mesi. Niente telefonate, niente lettere, nessun contatto. Non puoi continuare ad aspettarlo-. Finalmente la verità. Io non c’ero più, Bella avrebbe dovuto accettare la mia assenza, avrebbe dovuto superarla, e invece ancora credeva in me.
Suo padre proprio non riusciva a capire quell’ostinazione e probabilmente nemmeno io mi ero aspettato tanto amore da parte di una piccola umana.
Bella arrossì visibilmente e la sua carnagione da bianco pallido divenne di un rosa acceso di nervosismo e dolore. Quelli erano argomenti tabù, da non affrontare, di cui non si doveva mai parlare. La ferita era troppo viva dentro di lei ed era difficile persino per me parlarne con me stesso.
-Non sto aspettando niente. Non mi aspetto niente-. Digrignò tra i denti, i pugni stretti sul tavolo, le nocche bianche dallo sforzo di controllare il pianto che minacciava di travolgerla.
Piccolo Bambi, piccolo amore. In fondo lei non aveva nessuna responsabilità. Il motivo della sua sofferenza ero io, io e la mia superficialità, il mio odio verso me stesso.
-Bella...-. Continuò Charlie, vagamente emozionato e, anche lui, ormai prossimo al pianto.
Avrei voluto piangere anche io insieme a loro.
-Devo andare a scuola-. Si alzò il mio cerbiattino, senza guardarlo, e ricacciò le lacrime indietro.
Gettò la tazza nel lavandino senza nemmeno sciacquarla e afferrò la cartella sistemandola sulle sue spalle con evidente desiderio di scappare via prima che la situazione potesse ancora degenerare.
-Mi organizzo con Jessica-. Gli fece sapere e io aggrottai la fronte, sorpreso dalla sua decisione. Probabilmente voleva convincere suo padre della sua sincerità nel voler recuperare il tempo perso a stare male per me. -Può darsi che non torni a cena. Andiamo a Port Angeles a vedere un film-.
Forse le avrebbe fatto bene prendere un po’ d’aria. Dai pensieri di suo padre notai che anche lui aveva pensato la stessa cosa. Mi rallegrai di quella scelta. Uscire con un’amica finalmente, magari confidandole qualcosa, magari cercando di stare bene, le avrebbe fatto sicuramente meglio che stare a piangere chiusa nella stanza senza dormire.
Uscì da casa e io, indeciso se seguirla o meno a scuola, riposai un attimo la mia mente.
Alla fine mi costrinsi a non farlo. Non potevo più continuamente starle alle calcagna: a scuola, a lavoro, in camera, ovunque pur di sentire il suo profumo.
Non avevo paura che potesse combinare qualche guaio, per mesi non aveva fatto che sopravvivere, quasi vegetare nella sua antisocialità. Dovevo trovare il modo per ingannare il tempo, dovevo farlo per me stesso, ma anche per lei.
Una volta solo, però, qualcuno tornò a farmi compagnia.
-Ciao, Edward-. La sua vocina così famigliare per un attimo riuscì a riempirmi il cuore di un sentimento di affetto.
-Ciao-. Risposi solamente, seduto sul pavimento sotto il davanzale della finestra in camera di Bella.
-Che fai?-. Mi domandò, guardandomi attentamente.
Le sorrisi in modo tirato e appoggiai il viso sulle ginocchia piegate.
-Penso-. Le confidai, ben sapendo che ormai era l’unica cosa rimastami a farmi sentire “vivo”, se così potevo ancora definirmi dopo anni e anni di assoluto nulla.
-Ho detto che fai-. Ripeté indispettita e io sollevai lo sguardo, osservando il broncio sulle sue labbra. Mi fece inevitabilmente ridacchiare.
-Nulla-. Sottolineai allora e lei sembrò soddisfatta della mia risposta.
-Non va bene-. Mi fece notare e io capii che la mia coscienza era pronta a farmi un’altra predica. Sempre se la bambina di fronte a me fosse stata soltanto quello… ormai non mi facevo più domande.
-Lo so-. Commentai, sperando di sentire ancora la sua vocina consolarmi in qualche modo. Avevo un disperato bisogno di essere amato e solo Bella avrebbe potuto riempire quel vuoto. La piccola non era che lei, o forse me, ma era anche lei, perciò mi rincuorava l’idea che non mi lasciasse solo.
-Se lei da oggi ti dimenticherà sarà solo colpa tua. Sei tu che non sei tornato-. Affondò il dito nella piaga e io strinsi i denti per evitare di sentire altra sofferenza.
Aveva ragione, non potevo darle torto, perciò evitai qualsiasi considerazione sull’argomento.
-Sembra che tu abbia sempre la risposta giusta-. Le feci notare con un sorrisetto triste.
-Anche tu hai la risposta giusta-. Ribatté impettita di fronte a me.
-Vorrei tanto fosse vero-. Bofonchiai stringendomi le cosce al petto e dandomi dello stupido. Sì, le soluzioni a quella situazione erano sempre state piuttosto ovvie. Solo che io non ero in grado di vivere, non lo ero più, e mi sentivo completamente perso.
-Cercati, Edward, cercati. Sai anche tu che devi trovarti-. Bisbigliò la piccola e mi portò una manina sulla testa, accarezzandomi i capelli.
-Dimmi come, per favore, dimmi tu cosa devo fare-. La supplicai quasi.
Dovevo sapere, assolutamente. Io non riuscivo a darmi nessuna motivazione per continuare a fare un passo dopo l’altro, qualcuno avrebbe dovuto farlo per me.
-Va via di qui. Non succederanno cose belle e rischierai di stare male, di soffrire. Va via, vattene. È arrivato il momento. Poi tornerai-. La sua voce divenne improvvisamente tagliente, tanto che non la riconobbi e, non appena alzai la testa, vidi un lupo enorme dal pelo rossicci guardarmi con odio.
Rimasi attonito e sbattei le palpebre più volte, pensando di essere definitivamente impazzito.
-Cosa potrebbe succedere?-. Chiesi ancora e l’immagine della bambina tornò a farmi compagnia.
-Devi trovare te stesso, altrimenti non sarà vero amore. Stai sbagliando-. Continuò a dirmi e la sua sembrò quasi una sentenza di morte.
Cominciai a temere me stesso sopra ogni cosa.
Sentii improvvisamente la porta d’ingresso sbattere e capii che era pomeriggio inoltrato. A volte la mia mente si oscurava per ore, nell’oblio del tempo, e quello era l’unico metodo per aspettare Bella, per non subire eccessivamente la sua assenza.
Mi nascosi, ben sapendo che lei sarebbe entrata in camera sua, e infatti fu così. Non una parola, né un sospiro sollevato, il mio piccolo Bambi si diresse verso l’armadio, aprendolo senza alcuna espressione sul viso.
Era pieno di spazzatura che non aveva avuto voglia di buttare. La teneva lì, tra i vestiti smessi, come a ricordarle che in fondo non era poi così diversa da quelle cose gettate dentro l’armadio e nascoste al mondo.
Si cambiò veloce e io capii che probabilmente sarebbe uscita davvero quella sera, forse per andare al cinema come aveva detto a Charlie.
Mi voltai di scatto quando si tolse la maglietta e i jeans. Non volevo guardarla in modo troppo sfacciato, non così, perché non sapevo come avrei potuto reagire.
Dopo poco sentii i pensieri di Jessica sotto casa. Ecco con chi sarebbe uscita. Sorrisi, sperando che si sarebbe divertita, ma dal suo sguardo spento intuii che non aveva affatto voglia di uscire. Il clacson suonò e Bella afferrò la sua borsetta appesa al chiodo, cominciando a scendere le scale di fretta.
Che fare? Seguirla? Ancora indecisione.
Certo non potevo lasciarla sola la notte.
-Grazie per essere venuta con me, stasera-. La sentii dire alla sua amica non appena salì in macchina.
Mi decisi e mi alzai dal mio nascondiglio. Avevo come la sensazione che sarebbe successo qualcosa, perciò le avrei seguite.
-Sei un testardo-. Sentii la voce della piccola Bella rimproverarmi.
Mi voltai e la fissai con un sorriso sulle labbra.
-No, sono solo innamorato-. Borbottai per tutta risposta.
-E pagherai ogni tua scelta sbagliata-. Mi rispose, enigmaticamente.
Ormai pensavo di non poter sentire più dolore di quello che già stavo provando, ma era evidente che mi sbagliavo. Solo che ancora non potevo saperlo.

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Capitolo 24
*** Incontro strano ***




Buonasera!!  Come promesso ecco l'aggiornamento del sabato. Ho fatto la brava, risposto a tutti i vostri commentini e ora passo ad aggiornare altro. Come sempre sono di fretta, è tardissimo. Grazie a tutti quelli che seguono questa fic, non smetterò mai di ripeterlo. BUONA LETTURAAAA!! Malia.

P.S. Questa foto è di Remember me, però, bo, aveva un visino così triste Rob che ho detto "sì, è proprio il visino giusto". Ma che scema.
P.P.S. Rob volevo dirti che Edward non ha la barba, tagliatela! (Poveretto, su, scherzo...)

Incontro strano.

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Non le persi di vista neanche per un attimo e ascoltai la loro conversazione fino a quando non ne ebbi davvero abbastanza. Jessica non faceva che parlare di sé, dei suoi amori adolescenziali e della sua vita monotona, senza stimoli. Ammirai la pazienza e l’attenzione con cui Bella riusciva ad ascoltarla. Io davvero non potevo più sopportarne la cantilena. Mi portai una mano alla tempia, massaggiandola, e abbozzai un piccolo sorriso.
-Basta-. Borbottai a me stesso. Un flusso di pensieri estenuante.
Dopo aver parcheggiato l’auto decisero di andare al cinema e poi a mangiare. Tirai un sospiro di sollievo. Non ero più abituato a simili menti confuse, dovevo ammetterlo.
La forzata solitudine che mi ero imposto aveva avuto come effetto quello di farmi chiudere in me stesso lasciando fuori il resto del mondo, ma ora il mio desiderio di sentire la loro conversazione mi aveva spinto ad aprirmi. Non avrei più commesso un simile errore: Jessica era un pericolo per la mia salute mentale.
Mi domandai se fosse il caso di seguirle anche al cinema e scoprii di non averne nessuna voglia. Guardai Bella attraversare la strada e ne intuii il profondo disagio. Desiderava solo scappare di casa per una sera, dimostrare a Charlie che stava bene, ma era perfettamente inutile mentire. La vedevo insofferente e svogliata, quasi che le pesasse persino respirare.
-Devo seguirla-. Mormorai e decisi di entrare insieme a loro.
Subito però mi guardai i vestiti e sospirai. Ero in condizioni a dir poco pietose. Entrare di soppiatto? Non se ne parlava. Avrei dovuto comunque fermarmi nel buio della sala, quantomeno sedermi per non essere linciato vivo da qualcuno. E non avevo neanche un soldo con me, altro piccolo problema non facilmente risolvibile.
Come fare? Non potevo certo rubare della moneta a qualcuno o, peggio, un paio di jeans decenti e una t-shirt da un povero malcapitato. Probabilmente avrei potuto prenderle in prestito da qualche sconosciuto, ma avevo come l’impressione che il concetto non era poi così diverso dal rubare.
-Ehi, amico-. Una voce assonnata improvvisamente mi chiamò e io mi voltai verso quella direzione.
-Lo sai che ti trovi vicino ad un cassone della spazzatura?-. Mi fece candidamente notare il tipo accanto a me.
Era un senzatetto. Gli sorrisi cercando di sembrare amabile. Non eravamo poi così tanto diversi in quella situazione. Più o meno i miei vestiti erano ridotti come i suoi, anche se forse più puliti: avevo la fortuna di non sudare.
-Grazie, dell’informazione-. Tagliai corto e lo vidi scuotere la testa.
-Che roba hai preso? Deve essere forte. Mi sembri un po’ palliduccio-. Commentò, annusandomi con insistenza e facendo un gesto infastidito con la mano davanti al naso.
Non ero io a puzzare tra noi.
-Non prendo il sole-. Risposi insofferente e lo vidi scoppiare a ridere.
-Lo credo, amico, è sera. Il sole non c’è-. Sghignazzò come se fossi io il pazzo.
Preferii lasciar cadere la discussione, non era il caso di aggravare ulteriormente la mia situazione precaria.
-Ma perché guardi fisso il cinema? Vuoi vedere un film?-. Mi chiese allora intercettando il mio sguardo. 
Maledii il lampione sopra di noi, ma decisi comunque di rispondergli. -Sì, mi piacerebbe-. 
Tornai a chiudermi nel mio mutismo, sperando che non facesse ancora considerazioni su di me, ma la sua mente incuriosita cominciò a farsi domande sconclusionate sul mio conto. Pensava fossi un folle, un maniaco.
Trovarmi in situazioni strane non era mai stato il mio forte, ma quella superava ogni mia aspettativa.
-Mi servono dei vestiti puliti-. Gli confidai alla fine, senza comprenderne pienamente il motivo.
-Anche a me-. Sospirò con un’espressione nostalgica stampata sul viso.
Ma come mi era venuto in mente di dire una cosa simile? Mi complimentai per la mia fine stupidità e ignorai la sensazione di disagio che mi colpì.
Non avevo alcuna speranza di entrare al cinema in quelle condizioni. Persi le speranze.
-Mi sono sempre piaciuti i film, quando ero bambino guardavo quelli in bianco e nero-. Mi confessò l’uomo e io tornai a dargli la mia attenzione.
-Come ti chiami?-. Domandai allora, distratto.
-David-. Farfugliò portandosi un pezzo di pane stantio alla bocca. -Barbone di professione-. Sorrise divertito e io rimasi attonito a guardarlo.
Contento lui…
-Edward-. Commentai tendendogli la mano, che non strinse.
-Anche tu eh? La vita è dura-. Mi informò e io aggrottai la fronte, senza capire.
Meglio non dire più nulla.
-Ma sembri un nobile di quelli antichi-. Considerò masticando con gusto quella che probabilmente era la sua cena.
-Perché, come sono quelli moderni?-. Chiesi flebilmente controllando ossessivamente l’uscita del cinema.
Non volevo perdere di vista Bella. Nonostante i pensieri di Jessica starnazzassero anche a quella distanza, non ero affatto sicuro che il mio piccolo Bambi fosse ancora dentro. Non stavano parlando, probabilmente il film era già cominciato, però ero comunque in ansia. Dovevo darmi una calmata. Dove altro poteva essere? Certo non sarebbe fuggita via a piedi.
-I nobili moderni sono milionari-. Sentenziò con aria solenne. Sembrava aver scoperto una verità di importanza capitale.
-Capisco-. Tagliai corto.
Non riuscivo a distogliere l’attenzione dalla biglietteria.
-Sei ubriaco?-. Mi chiese dopo qualche minuto di silenzio.
La sua mente si stava domandando chi diavolo fossi  e perché mi comportassi in modo così strano.
-No-. Risposi ancora, con pazienza.
-Sì, vabbè-. Ghignò, per nulla convinto.
Forse sarebbe stato meglio spostarmi da lì. Non sarei stato una buona compagnia per David che sembrava aver assolutamente bisogno di parlare con qualcuno.
-Qui non viene mai nessuno-. Continuò sincero. Si stava aggrappando a quella possibilità di comunicare, non potevo biasimarlo.
-Come sei finito per strada?-. La mia domanda fu più sincera questa volta.
I pensieri di Jessica mi avevano appena confermato la presenza di Bella: era andata a prendere dei pop-corn, perciò ero più tranquillo.
-E chi se lo ricorda-. Borbottò sedendosi stancamente.
Mi offrì il suo pane, che rifiutai con gentilezza, e per un attimo pensai che avrei potuto aiutarlo. Una telefonata e tutto si sarebbe sistemato.
-Cocaina-. Confessò poi e io capii. -Senza soldi, senza casa, senza… e basta, sì, insomma-. Tentò di spiegarsi.
-E ora come va?-. Domanda sciocca.
-Come va… come va-. Ripeté cantilenante. -Va-. Annuì abbandonando la testa contro il muro.
Cos’altro avrei potuto chiedere?
-Non hai un soldo. Si vede dalla faccia-. Mi informò innocentemente e abbandonò entrambe le braccia sulle sue ginocchia, facendole dondolare avanti e indietro.
Non sapevo esattamente cosa dire. Cosa avrei potuto rispondere? La sua mente era stanca di pensare, avevo ormai intuito che avrebbe preferito morire. C’era qualcosa che lo tormentava: il suo fallimento, la sua solitudine.
-Non hai nessuno che ti potrebbe aiutare?-. Mi appoggiai anche io contro il muro e per un attimo fui tentato di ascoltare la sua storia. Sempre che avesse avuto qualcosa da dirmi.
-Aiutare? Sei ubriaco-. Confermò con una risatina sarcastica.
-Non so, in un centro di recupero, qualcosa di simile-. Commentai tentando di trovare qualche soluzione.
-Eh? Ma sei pazzo? Tu stai fuori-. Sbottò, seccato dal mio consiglio.
Probabilmente avrei fatto meglio a rinunciare nel mio proposito, non aveva voglia di cambiare nulla di sé e della sua vita. Non sarei mai riuscito a convincerlo, i suoi pensieri erano fin troppo chiari: credeva di non avere alcuna scelta.
-Scusa, era una possibilità-. Feci spallucce e tornai ad inginocchiarmi guardando tra i secchioni.
Ancora nulla, era troppo presto per la fine del film.
-Stai seguendo una donna-. Affermò con sicurezza, dandomi una pacca sulla spalla.
-Probabile-. Risposi, questa volta innervosito.
Cominciavo a non tollerare più quel tipo.
-Vuoi andare in galera? Posto caldo quello, ottima idea-. Confabulò alzandosi in piedi stancamente e pulendosi le mani sui pantaloni sporchi.
Storsi il naso, ma non feci nulla per scansarmi.
-Era la mia ragazza-. Sbottai sulla difensiva.
Oh, ecco fatto, adesso sentivo anche il bisogno di giustificarmi con un perfetto sconosciuto, per giunta con qualche problema di troppo.
-Sì? Vedo. Deve averti lasciato lei, non sei proprio ridotto benissimo-.
Il suo sguardo si fece scettico. Ma chi volevo convincere e perché?
-Nemmeno tu-. Ribattei sarcastico.
-Oh, cerchi rogna?-. Disse tra i denti in modo piuttosto minaccioso.
Non avevo proprio voglia di uccidere un malcapitato che non sapeva che farsene di tutta la sua esistenza, troppo confuso anche per sapere se sarebbe rimasto vivo il giorno seguente.
-Fatti curare-. Lo insultai e lo fissai senza paura.
-È arrivato Gesù Cristo!-. Imprecò guardando il cielo e scoppiando a ridere.
Per nulla divertente, stavo iniziando a perdere la pazienza.
Mi spostai, deciso ad andarmene senza dirgli nulla, ma sentii la sua mano sul braccio e per un attimo la rabbia mi accecò. Mi voltai, fulminandolo con lo sguardo, e lui deglutì, ora intimorito dalla mia espressione furiosa.
-Dammeli tu i soldi per curarmi-. Mi sfidò balbettando e io sorrisi. -Dio-. Mi canzonò poi.
Lessi nella sua mente la paura che io volessi attaccar briga sul serio. In fondo non era cattivo, solamente disilluso e per nulla in sé. Ero stato molto più feroce io in passato.
-Ascolta-. Cominciai, lanciando ancora un’occhiata all’uscita del cinema.
-Tu fai un favore a me e io lo faccio a te-. Gli proposi non sapendo che altro fare.
Non voleva liberarsi di me, nonostante fosse terrorizzato. Doveva averlo impietrito la mia occhiata raggelante.
-O… okay-. Rispose, stranamente docile.
Il potere di un vampiro aveva sempre e comunque la meglio. Istintivamente aveva capito che ero io il più forte.
Fu in quel momento che vidi Bella uscire di fretta dal cinema e trattenni il respiro. Dovevo seguirla. Ma dov’era Jessika? Panico. Era notte, avrebbe potuto incontrare qualche malintenzionato ed era già successo in passato. Conoscendo la sua fortuna avrebbe attirato qualche guaio.
-Ehi, amico, ehi-. Mi chiamò David, ma io ero completamente concentrato nell’osservare i movimenti di Bella.
Si sedette sulla panchina, vicino alla biglietteria, e reclinò la testa all’indietro, guardando il cielo. Sembrava piuttosto stanca.
-Uh… è lei?-. Mi venne vicino e la fissò con interesse. -Carina, sembra normale-. Concluse con aria assorta.
Bella scoperta, ovvio.
-Ed è per lei che devo farti un favore?-. Chiese contento.
-Non ti azzardare-. Ringhiai arrabbiato.
Si irrigidì e fece subito un passo indietro.
-Scusa eh, volevo solo darti una mano-. Si offese e incrociò le braccia al petto, stizzito. -Ma se vuoi conquistarla, seguirla non è la cosa giusta, di solito si spaventano-. Mi consigliò e io socchiusi le palpebre, esasperato.
-Senti… devo andare-. Nonostante desiderassi avvicinarmi a lei sentivo strani sensi di colpa, come se lasciarlo lì da solo non fosse la cosa più giusta da fare.
-Ma certo. Ci si vede, eh?-. Mi salutò alzando la mano e io sospirai.
-Vedi di farti trovare qui tra qualche giorno-. Lo ammonii e intercettai il suo sguardo perplesso.
-Verrà mia sorella ad aiutarti-. Conclusi e lo vidi strabuzzare gli occhi.
Sperai che Alice vedesse in qualche modo la mia decisione di aiutare quel ragazzo.
-Che? Senti…-. Iniziò, ora incredulo. Non credeva alle mie parole.
-Mio padre è un medico, saprà come aiutarti. Sta qui e non ti muovere-. Lo intimai ancora e lo minacciai con la mano. -Tanto questo è territorio tuo-. Conclusi lanciando un’altra occhiata sopra il secchione.
Jessica aveva raggiunto Bella e ora stavano parlando del film. Il mio cerbiattino era semplicemente stufa di continuare quella farsa, lo diceva il suo sguardo, ma non poteva fare altro che sopportare.
-Come fai a dirlo?-. Continuò David e io mi voltai verso di lui.
L’avevo letto nella sua mente.
-Ho tirato a indovinare. Sta qui, va bene?-. Ripetei ancora una volta, sperando che gli fosse chiaro il concetto. Mi sforzai di pensare intensamente alla mia decisione, confidando ancora in mia sorella.
Alice non avrebbe potuto ignorare la mia richiesta, da sempre lei vedeva tutto ciò che io provavo. David era ancora incredulo, ma non avevo tempo per spiegargli. Non appena vidi Bella alzarsi e cominciare a camminare mi mossi per seguirla.
-Ehi-. Mi chiamò d’un tratto David e io mi voltai.
-Stanno andando verso una zona non molto okay-. Mi informò e io annuii. -Pete il Guercio, il bar. Sono fecce, sta attento alla tua tipa-.
Gli sorrisi e lo ringraziai. Ricevetti come risposta un gesto stizzito, ma non ci feci molto caso. Mi acquattai sul muro dell’edificio e mi avvicinai lentamente al mio cerbiattino facendomi scudo con il buio. Fortuna che era notte, tutto andava a mio favore.
Stavano andando a mangiare qualcosa. Jessika continuò a blaterare le sue considerazioni sul protagonista del film fino a quando i suoi occhi non incrociarono quelli di quattro ragazzi proprio vicino al posto che mi aveva indicato il mio nuovo amico.
Subito mi irrigidii e mi immersi nei loro pensieri. Non le avevano ancora viste, per fortuna.
-Tornate indietro-. Bofonchiai come se avessero potuto sentirmi.
Avevo uno strano presentimento, era come un déjà-vu. La mia mente tornò al passato, alla sera in cui avevo salvato Bella da ragazzi che volevano… meglio non ricordare.
L’angoscia mi fece respirare appena.
-Tornate indietro-. Ripetei.
Vidi Jessica fermarsi e ammutolire, spaventata, mentre Bella, ignara del suo timore, continuava a camminare. Sperai che si bloccasse e tornasse sui suoi passi.
Ma non andò come io avevo sperato. Gli occhi del mio piccolo Bambi si spostarono su Jessica e si rivolsero nella direzione del suo sguardo.
Maledizione, non sarebbe dovuto succedere. Trattenni il respiro in preda ad una strana sensazione. Perché avevo l’impressione che Bella si sarebbe cacciata in qualche guaio? Ormai la conoscevo bene.
Si voltò verso quella banda non troppo lontana che finalmente la notò. Impossibile non far caso a due ragazze sole, per giunta carine.
Fu un attimo. Il mio cerbiattino si mosse nella direzione dei quattro e io sgranai le palpebre, terrorizzato. No, non doveva farlo. Che stava facendo? Stavolta non potevo salvarla, non potevo più fare la parte del cavaliere nobile che salvava la damigella in pericolo. Non avrei dovuto essere lì, anzi io non c’ero.
Pregai che tornasse indietro, ma le mie suppliche non vennero esaudite.
-Bella, ma che fai?-. La voce di Jessica, strozzata dalla paura, mi riscosse.
Respirai sollevato. Per un attimo avevo temuto il peggio.
-Mi sembra di conoscerli…-. Rispose Bella e io tremai.
Lo sapevo. Sapevo che lo avrebbe detto. La sua speranza era di ripetere il passato, di tornare indietro. Era pura follia la sua.
I pensieri dei ragazzi si fecero fin troppo espliciti e la rabbia mi travolse. Certamente non avrei lasciato che le facessero del male, a costo di farmi vedere da lei.
Il mio piccolo Bambi avanzò verso di loro sulle gambe tremanti e io mi tesi, pronto all’attacco nel caso fosse successo qualcosa. Non l’avrei lasciata sola. Un passo lento dopo l’altro segnò anche gli attimi della mia agonia; il tempo si fermò improvvisamente e io trattenni il respiro.
Quei quattro non erano gli stessi dell’anno prima, ma le loro intenzioni non erano delle migliori. Strinsi i denti cercando di sopportare le loro fantasie.
-Bella, andiamo via!-. Gridò Jessika e io fui d’accordo con lei.
Sperai che la ascoltasse e invece Bella non reagì. Si fermò un attimo, come se l’avesse sentita, ma poi continuò a camminare nella direzione opposta all’amica.
Mi sembrava tutto assurdo. Erano questi gli incubi degli esseri umani?
Per fortuna, prima che io potessi gettarmi come un folle in mezzo alla strada, fu Jessica a farlo al mio posto.
-Bella! Non puoi entrare in un bar!-. Gridò presa dallo spavento.
Bella non voleva affatto entrare dentro, ma certo lei non avrebbe potuto immaginarlo.
-Non sto entrando-. Disse, assente, scrollandosi dalla sua presa. -Volevo soltanto vedere una cosa...-No, non poteva vedere nulla, io volevo che si allontanasse da lì, lei doveva farlo.
-Sei pazza? Vuoi suicidarti?-. Urlò Jessika fuori controllo. Io avrei fatto lo stesso, non l’avrei lasciata andare, non le avrei permesso di fare un altro passo avanti.
-No, certo che no-. Il viso di Bella si storse in un’espressione confusa. C’era qualcosa che la bloccava, ma qualcos’altro che la invogliava. Era questo a sconvolgermi. Mi aveva promesso che si sarebbe tenuta lontana dai guai, sperai che lo ricordasse, ma con tutto quello che era già successo, dubitai del suo giudizio.
-Vai a mangiare-. Mormorò il mio piccolo Bambi, indicandole il fast food. -Ti raggiungo tra un minuto-.
Non riuscii a rimanere fermo. Mi avvicinai nel buio e mi portai all’angolo della strada, guardandomi intorno e sondando i pensieri di quei ragazzi. Non riuscivano a capire il motivo di tanto interesse nei loro confronti, ma sembravano piuttosto interessati a ciò che stava accadendo.
Male.
Il teatrino stava li divertendo molto. Non potevo ucciderli, non potevo torturarli e mi maledii per la promessa fatta a me stesso di non fare mai del male a degli essere umani.
Con Bella più volte avevo rischiato di mandare in fumo i miei buoni propositi.
Tuttavia non potevo assolutamente permettere che le facessero del male.
Finalmente mi decisi. Mi portai lontano dal muro che mi celava ai suoi occhi e mi fermai appena dietro Jessica. Avevo ancora il favore delle tenebre, ma un lampione illuminava appena il mio corpo.
-Bella, piantala immediatamente-. Sibilai tra i denti, quasi senza parlare.
Avrebbe letto le mie labbra senza alcun bisogno che io parlassi ad alta voce, ne ero convinto.
Dannazione. Mi ero scoperto e non avrei dovuto farlo. Gli occhi di Bella si sgranarono, sconvolti, e il suo respiro si fece veloce.
Ero sicuro che avrebbe pianto se non ci fosse stato nessuno a vederla. Avevo sbagliato.
Tornai a nascondermi nell’oscurità, mimetizzando la mia presenza. L’emozione mi stringeva lo stomaco, ma era più forte la paura che potesse succederle qualcosa.
Si guardò attorno, sbattendo le palpebre, cercandomi. Voltò la testa da una parte all’altra, insicura.
Che fare? Agii d’impulso e tornai alla luce, questa volta più distante dalla sua amica.
-Torna da Jessica-. ordinai, fuori di me dalla rabbia. -L'hai promesso, niente di insensato o stupido-.
Non avevo idea di cosa sarebbe successo, ma i miei occhi la supplicavano, la amavano. Ero così felice che lei mi stesse guardando. Tuttavia non era quello il mio primo pensiero.
Scosse la testa, chiudendo gli occhi. Quando li riaprì io non mi feci più trovare. Ero indeciso.
Tornare da lei oppure farle credere come avevo già fatto che ero solo una sorta di illusione?
Non appena barcollò verso il bar io non resistetti. No! Alzai la voce, che si perse immediatamente non appena parlai.
-Mantieni la promessa-. La scongiurai.
Jessica continuava a stare lì, impietrita dalla paura che la sua amica potesse fare qualcosa di sciocco o sbagliato. Non mi aveva nemmeno sentito.
Bella rimase immobile per alcuni minuti. Un’eternità. Il suo sguardo si incupì e il suo cuore aumentò la velocità dei suoi battiti. Non sapeva se credere o meno a ciò che aveva appena visto e sentito. A me non importava quello, in realtà, volevo solo che si allontanasse da lì. Avrei fatto qualsiasi cosa.



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Capitolo 25
*** Secondo, veloce addio ***


Non ci credoooo, sono qui per aggiornare Nadir. Dopo mesi e mesi che non aggiornavo più, non avevo il tempo per impegnarmi in questa fanfic. Ora ho più tempo per fortuna e posso ricominciare a scrivere. Spero che qualcuno nonostante tutto la seguirà ancora... dal prossimo capitolo mi dedicherò solamente a Edward, alla sua storia... Devo riuscire a creare una storia senza che Bella intervenga direttamente e per quanto sia estenuante sia per me che per voi cercherò in ogni modo di renderlo "piacevole". Scusate ancora per il ritardo, vi ringrazio per la pazienza e per i commenti.

Al prossimo aggiornamento, spero prima di tre mesi!! Malia.

Secondo, veloce addio.

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Inorridii non appena la vidi voltarsi e darmi le spalle con noncuranza. Avevo la netta sensazione che non si sarebbe allontanata, ma al contrario avrebbe scelto di abbandonarsi al pericolo, e non ne capivo la ragione. Pregai, scongiurai che si togliesse dalla mente quell’idea assurda di poter affrontare dei tipi simili. E perché poi? Perché commettere quella pazzia illogica? Avrei voluto urlare, ringhiare tutto il mio sconforto, la paura che mi attanagliava e non mi lasciava pensare lucidamente.
Dovevo muovermi.
“Edward muoviti”, pensai. “Forza”. Strinsi i denti per non permettere alle sensazioni di sconforto e paura di travolgermi. Come la prima volta che l’avevo vista in pericolo, proprio come quel giorno che l’avevo salvata dai quei ragazzi dai pensieri ingordi e privi di morale.
“Bella, amore, no”, continuavo a urlare nella mia testa.
La sua amica era impietrita mentre Bella, un passo dopo l’altro, si avvicinava all’abisso.
Tentai con tutte le forze di non ascoltare i pensieri di quei ragazzi, allontanandomi dalle loro menti, ma i loro occhi puntati avidamente su Bella non facevano che darmi la nausea. Mancava poco per perdere il controllo su di me, poco per ucciderli, per divorarli e farli a pezzi senza pietà. Non importava più, loro meritavano la morte, la più atroce e lenta.
Deglutii, portandomi una mano alla gola, sentendo scivolare via da me il controllo che tanto mi ero imposto.
“Avanti, dille che ci sei, dille tutto. Non vedi come sta soffrendo? È colpa tua, tutta colpa tua”. Ero tentato, spinto a fare qualcosa per lei, per noi, non potevo dimenticarmi di ciò che avevamo condiviso insieme, non era possibile. Bella era tutto per me, tutto di me.
-Bella, girati!-. Gridai ancora, una supplica, una dannata supplica che avrebbe dovuto sentire solo lei. E così fu. Le mie labbra avevano solo sussurrato, ormai nell’ombra, ma né Jessica né quegli idioti si erano accorti di me, della mia presenza, solo la mia piccola umana sembrava esserne perfettamente consapevole.
Ovvio, non l’avevo mai lasciata e ormai eravamo indissolubilmente legati nell’animo.
Fece un sospiro di sollievo, lanciando appena un’occhiata alle sue spalle, fugace e felice. Era… felice per aver sentito la mia voce ancora una volta.
“Ripetilo, dille quanto l’ami”.
“Non posso”
“Forza”
“No”
Era una lotta, contro me stesso, la stessa lotta che mi aveva fatto impazzire per amore. Non potevo guardarla camminare verso il dolore e la morte, ma dovevo difenderla anche da me stesso. Sentii un dolore lancinante al petto e mi piegai. Cuore… il mio cuore stava forse cercando di battere? Ero terrorizzato come mai prima.
“Bella, ti prego”, gridai ancora nella mia mente.
-Ciao-. La voce dello sconosciuto mi fece gelare il veleno nelle vene.
Raddrizzai le spalle e, privo di qualsiasi sentimento, mi acquattai al muro, accostandomi a loro. Se si fossero azzardati anche solo a toccarla avrebbero assaggiato i miei artigli. E non ci sarebbe stata che la morte ad aspettarli, non avrei avuto nessun rimpianto.
Ringhiai, basso e pericoloso. Bella sobbalzò al mio ringhio, ma il ragazzo non se ne accorse, anzi, imbambolato a guardare il sorriso del mio cerbiattino non si sarebbe accorto nemmeno di una palla di cannone lanciata all’altezza del suo petto. Feccia.
-Serve aiuto? Ti sei persa?-. Le sorrise e si permise di farle l’occhiolino.
Strinsi i pugni per non saltargli addosso seduta stante. Respirai profondamente l’aria che sapeva di smog e sudore, il loro puzzo era pregnante, ma per fortuna il dolce profumo di Bella superava di gran lunga quella sozzura insopportabile.
-No, non mi sono persa-. Rispose lei vagamente e la sua attenzione si spostò verso un tipo più basso dalla carnagione scura.
Lo osservò per qualche minuto, mentre un brivido mi correva lungo la schiena. Mai come in quel momento avrei voluto entrarle dentro, nei pensieri, nell’anima, per capire cosa le stesse accadendo e perché stesse rischiando in quel modo. Non aveva senso.
Il mio sguardo non riuscì ad allontanarsi dal viso etereo del mio piccolo Bambi, che ora, indifesa, guardava l’altro ragazzo sperando probabilmente di riconoscere in lui qualcuno. La smorfia della sua bocca mi comunicò delusione e, confuso, non compresi il motivo di tanta tristezza.
-Posso offrirti qualcosa?-. Chiese allora lui, consapevole della strana attenzione riservatagli.
“Tu provaci e poi ti offro io all’altare dei vampiri. E sarà divertente”, mi sorpresi a pensare. Non avrei mai creduto di poter risvegliare così la mia parte oscura e violenta, ma quando si trattava di Bella era impossibile riuscire a prevedere le mie reazioni.
-Sono troppo giovane-. Ribatté lei, la voce flebile, ma sicura.
Ottima risposta, ma forse sarebbe stato meglio pensarci prima di avvicinarsi a loro. Sospirai, domandandomi cosa fare. Nel mio cervello martellavano differenti risposte e non certo onorevoli: deturpare, uccidere, squartare erano le varie opzioni. La più interessante sarebbe stata farli morire di paura per poi gettarli giù da qualche burrone; almeno mi sarei divertito.
Scossi la testa, tentando di riprendere lucidità. Dovevo farlo, dovevo…
-Da lontano somigliavate a dei miei conoscenti. Scusate, mi sono confusa-.
Sussurrò il mio piccolo Bambi, abbassando la testa e socchiudendo le palpebre. Vidi gli occhi del ragazzo più grosso sgranarsi e per un attimo incontrarsi con quelli dell’amico. La credevano un po’ suonata: per fortuna.
Non sapevano come comportarsi. Da lontano avevano pensato che fosse più grande, invece ora sotto la penombra Bella dimostrava più o meno quindici anni.
-Non c'è problema-. Disse il biondo, amichevole. -Resta pure con noi, se ti va-.
Certo, come no, magari il giorno del mai. Soffiai, come un puma arrabbiato, e mi accovacciai dietro l’energumeno. Se avesse osato insistere lo avrei strozzato, pochi minuti e sarebbe stramazzato morto al suolo. Un belvedere non indifferente dal mio punto di vista.
-Grazie, ma non posso-. Il bisbiglìo di Bella mi riportò alla realtà e io la fissai, sollevato.
Ora sì che potevo riconoscere in lei la ragazza con un minimo di giudizio che avevo conosciuto; scoprii le labbra ridacchiando. Giusto un pochino, perché il mio cerbiattino era solito cacciarsi nei guai fin troppo spesso e senza volerlo.
-E dai, solo qualche minuto-. Insisté il più basso, ma io lo zittii subito dandogli un colpo secco sulla gamba. Si voltò, ma non vide nulla nell’oscurità e la sua espressione si fece perplessa.
L’altro seguì la direzione del suo sguardo e la loro disattenzione permise a Bella di allontanarsi,  con grande sollievo per me.
I due si guardarono allarmati più volte e cercarono di mettere a fuoco nel buio intorno a loro. Nemmeno se fossi stato in bella vista mi avrebbero messo a fuoco.
Per divertirmi li toccai ancora e, mentre i loro sguardi si facevano spaventati, mi permisi di ringhiare in modo che potessero sentirmi. Scapparono non appena Jessica e Bella sparirono dietro l’angolo. Non potevo certo dirmi soddisfatto, avrei dovuto ucciderli, ma avevo promesso a me stesso che non sarei più stato un assassino… però il desiderio di seguirli per fargliela pagare era davvero soffocante. Feci leva sulla bontà e i valori con cui Carlisle mi aveva educato e riuscii in qualche modo a rientrare in possesso di me.
Mi tenni a poca distanza dalle due amiche, agognando a uno sguardo di Bella come un povero e stupido innamorato. Era stata lì, a pochi metri da me, le avevo parlato e… e ora se ne stava pensierosa seduta a un tavolo di un locale e fissava l’amica sovrappensiero, mangiucchiando qualcosa di malavoglia. Portava alla bocca pezzi di pizza di cui probabilmente non avrebbe sentito il sapore. Ormai avevo imparato a riconoscere le sue espressioni ed ero convinto che l’unico pensiero che le rimbombava nella mente fosse quello di tornare a casa e infilarsi sotto le coperte che l’avrebbero protetta dagli incubi.
Non passò molto tempo che mi ritrovai a seguire l’auto della Stanley che l’accompagnava a casa. Non parlarono nel viaggio di ritorno, ma tante parole si affollavano in me ed erano i pensieri disperati dell’amica di Bella che non voleva assolutamente più avere a che fare con lei finché si sarebbe comportata in modo così strano. Non potevo darle torto, era stata un incosciente ad andare incontro a sconosciuti, per giunta non proprio benintenzionati.
L’auto si fermò di fronte a casa Swan; sentii Bella parlottare e scusarsi, ma la mia attenzione si era spostata ai pensieri di Charlie che stava aspettando sua figlia dietro la porta d’ingresso. Sbirciava all’esterno pensieroso e preoccupato. Come dargli torto, fino a poco tempo prima Bella sfuggiva al suo controllo, mentre ora sembrava stranamente tranquilla e disposta a tornare a vivere. Anche io ne ero felice, ma sospettavo con il mio intervento della serata di aver solo peggiorato le cose.
Mi arrampicai sulla finestra della sua camera, ignorando la mia coscienza che insisteva nel farmi spiare la conversazione tra padre e figlia, ma alla fine mi imposi di dare al mio cerbiattino un minimo di riservatezza. Le dovevo questo e altro dopo averle fatto vivere l’inferno.
I sensi di colpa mi colsero una volta entrato nella sua stanza.
“Ma cosa ti è saltato in mente di fare, eroe?”, iniziai a dare segni di cedimento mentale proprio come in passato.
-Davvero io… io non lo so-. Bisbigliai atterrito a me stesso.
“Se avesse scoperto tutto ti avrebbe odiato, perché sei stato accanto a lei senza dirle nulla”.
Alzai lo sguardo verso il soffitto, terrorizzato da quella consapevolezza. Come avrebbe reagito nel venire a conoscenza del mio inganno? Io non avrei dovuto essere lì, non… oddio. Caddi in ginocchio, come preso da un raptus di follia, e mi presi la testa tra le mani, sentendo un dolore lancinante entrarmi dentro e costringermi a ringhiare. Basta, non ne potevo più di quelle agonie altalenanti.
Percepii in lontananza dei passi che salivano le scale, ma non riuscii a controllare la sofferenza che era scoppiata nella mia testa e non mi permetteva di respirare. Tra poco, ancora un poco, sì, poco, e Bella sarebbe entrata dalla porta. Non poteva essere che lei. E mi avrebbe visto, in ginocchio sul pavimento, angosciato per un’emozione invisibile.
-Nasconditi-. Digrignai i denti, cercando di imporre al mio corpo un movimento che si rifiutava di eseguire.
Avanti, sarebbe bastato così poco, ma ero immobile, e non desideravo affatto spostarmi. Volevo che mi guardasse negli occhi, che ritrovasse l’amore che avevamo condiviso.
La fissai, mentre ignara, si chiudeva la porta alle spalle e bofonchiava qualcosa tra sé e sé.
-Non posso andare via da qui, scusa Charlie. Non ci riesco-.
Non guardò dalla mia parte, ma si gettò sul letto sconsolata, stringendo il cuscino e tentando di rilassarsi. Si tolse le scarpe da ginnastica con un movimento veloce, ma non guardò mai in direzione del pavimento accanto alla poltrona. Probabilmente era troppo stanca, o forse pensierosa; mi diede le spalle, stesa su un fianco e si rivolse verso la finestra aperta, fissandola come se si aspettasse ancora di vedermi entrare da un momento all’altro.
-Alice, dimmi che la sua voce oggi non è stata solo un sogno-. Bisbigliò e io sospirai.
-Ed era come se fosse lì, di fronte a me-. Continuò portandosi le braccia sopra la testa per rannicchiarle ancora contro di sé. Mosse nervosamente le gambe, fasciate dai jeans, e si sollevò di scatto, mettendosi seduta.
Gli occhi bassi, le spalle curve, chissà se avrebbe alzato il mento e voltato lo sguardo verso di me. Sarebbe stato così semplice.
Si abbandonò di nuovo sul copriletto e i sorrisi della sua distrazione. Ero proprio lì, raggomitolato ai piedi del suo letto, accanto alla poltrona, e nonostante bramasse la mia presenza, non era riuscita a vedermi. O almeno, non aveva lasciato scorrere lo sguardo per la camera.
Era notte inoltrata, di certo non si sarebbe aspettata di trovare un vampiro disteso sul pavimento della sua stanza. La guardai con dolcezza e mi alzai in piedi solo quando il suo respiro si fece pesante e regolare. Non si era nemmeno svestita per indossare il pigiama.
I capelli scompigliati e sulle ciglia l’ombra delle lacrime, Bella ai miei occhi sembrava un angelo, intoccabile, perfetto e irraggiungibile.
-È venuto il momento di andare via-. Mi irrigidii e mi voltai per incontrare lo sguardo della bambina che ormai mi era così famigliare.
-Credi?-. Le risposi, atono.
Mi sorrise e corse verso il letto, sedendosi sulla sponda e dondolando le gambe.
-Io non voglio che tu stia male-. Mi rivelò quando allungai la mano verso di lei per scompigliarle i capelli. Quel gesto d’affetto fu spontaneo; l’espressione della bimba era talmente sofferente da non permettermi di pensare ad altro che a consolarla in qualche modo.
La fissai mentre le sue manine mi prendevano le dita e se le portavano alla guancia con tenerezza.
-Ti devo avvertire, è giusto che lo faccia, lo sai. Vai via prima di vedere quello che succederà. Il suo cuore ha bisogno che tu vada via…-. Sussurrò, un mormorio appena udibile.
Le ciocche scomposte di color cioccolato le ricadevano lungo il visetto rubicondo. La mia piccola Bella… mi accucciai accanto a lei che non smise di guardarmi e portò la sua dita paffute all’altezza del mio naso.
-Arriverà un uomo. È necessario che lui ci sia-. Mi confidò e io rimasi immobile, impietrito da quella notizia.
-No-. Bisbigliai.
La bimba annuì e mi rivolse un sorriso sdentato. Le era caduto un dentino! Provai una piacevole sensazione di tenerezza che riuscì a scaldarmi il cuore nonostante la notizia terribile.
-Si innamorerà di un altro?-. Diedi voce ai miei pensieri, a ciò che avevo sempre temuto.
-Ne avrà bisogno e anche tu-. Disse e io mi sedetti sul pavimento, il cuore incredulo. Non potevo credere che, dopo aver sofferto così tanto, per Bella sarebbe stato così semplice dimenticare. E proprio per merito di un altro.
-Avevi detto che niente ci avrebbe separati, avevi detto che saremmo sempre stati insieme-. Non riuscii a contenere il mio scatto d’ira, ma immediatamente mi pentii. Lei non aveva colpa, era solo il frutto delle mie paure e delle mie speranze.
-Infatti… ma tu devi ancora affrontare te stesso e anche lei-. Continuò con dolcezza, scivolando vicino a me e sedendosi poco distante dalle mie gambe. Si appoggiò con il piccolo corpo alla mia coscia e si stese, come se fossi stato un morbido cuscino e non invece granito indistruttibile.
-Io so chi sono, ormai-. Mormorai, appoggiando la schiena contro il letto di Bella, dimentico che il mio cerbiattino avrebbe potuto svegliarsi e vedermi.
-Certo, come sai chi sono io-. Rifletté, la manina sul mento.
Aggrottai la fronte e riflettei sulle sue parole. Non sapevo quasi nulla di quello scricciolo: era un’illusione? La mia coscienza? Non ne avevo certezza. Oppure…
I nostri sguardi si incontrarono e lei mi sorrise ancora.
-In un modo o nell’altro io sono con te-. Sussurrò e io rabbrividii. Non poteva essere. Mi voltai verso Bella, che dormiva profondamente e chiusi gli occhi.
“Sono con te”.
-Non mi lascerà mai, vero?-. Dissi più a me stesso e la piccola scoppiò a ridere.
-Quello che prova per te non è semplicemente amore, se lo fosse ti avrebbe già dimenticato. L’amore si alimenta quando sono due persone a volerlo tenere vivo-. Proruppe saggiamente. Troppo saggiamente per essere una semplice bambina, troppo consapevolmente per essere solo la mia coscienza.
-Non posso crederci-. Continuai e aprii di scatto le palpebre.
Bella… lei non voleva lasciarmi solo.
-Perché no, io sarò sempre un legame tra voi due, anche quando tu sarai lontano. Te lo prometto-. Sentenziò e si alzò in piedi sulle gambe minute. Il suo sguardo si fece birichino, infantile, e il mio cuore si sciolse di dolcezza.
-Andrò via-. Le promisi, nonostante il dolore che mi causava anche il solo pensiero.
-Promesso?-. Mi chiese, sospettosa.
-Se non lo facessi?-. Domandai ansioso.
Non volevo perderla.
-Faresti soffrire entrambi, devi rischiare-. Disse con un sospiro e mi voltò le spalle. La guardai mentre si avvicinava alle assi del pavimento al centro della camera e mi avvicinai a lei d’istinto, uno strano presentimento nel cuore.
Si sedette di nuovo e mi indicò un punto preciso. Io seguii il suo dito, ma ancora non riuscii a comprendere.
-Devi vivere la tua avventura e quando tornerai i vostri ricordi saranno lì sotto, c’è un buco abbastanza grande per contenere tutto-.
La ascoltai e scoprii che aveva ragione. Avrei potuto nascondere sotto le assi del pavimento tutti i nostri ricordi, che avevo lasciato nella mia auto, per andare via. Sì, ma verso dove? Io non avevo alcuna strada da seguire.
Mi sedetti e, girandomi verso Bella, ricordai con chiarezza la sofferenza vissuta qualche mese prima, quando il dolore sembrava accecante. Non potevo vivere senza di lei, la sua lontananza aveva rischiato di farmi impazzire. Un vampiro pazzo e masochista, d’altronde non avevo avuto altra scelta dal momento in cui mi ero innamorato di quella fragile umana.
-Devo tornare indietro-. Mormorai e tornai a guardare la bambina seduta al mio fianco.
L’espressione contenta non era scomparsa dal suo visetto e in un certo senso la fiducia che lessi nel suo sguardo sincero mi convinse: sarei tornato, un giorno, forse, e lei sarebbe stata mia nonostante l’amore che avrebbe provato per un altro. Ero pronto.
-Farà male-. Affermai battendomi una mano sul ginocchio.
-Meno male di un’eternità di felicità-. Rispose con un risatina divertita.
-Sto parlando come un essere umano, eh?-. Le feci notare e lei annuì.
-Nel cuore lo sei ancora, ma devi ancora capire-.
Immaginai di non avere altra scelta, se volevo andare incontro al mio destino. E non mi sarei tirato indietro: l’avrei fatto per me stesso e per Bella.
-Un giorno…-. Iniziai, la voce tremante.
-Un giorno avrete modo di rincontrarvi, e sentirai i rintocchi del fato-.
I rintocchi del fato, che sciocchezza. Mi voltai ancora per guardare il mio piccolo Bambi dormire spensierata, ma mi irrigidii: il suo corpo stava iniziando a muoversi nervosamente.
Cercai con gli occhi la bimba che fino a un attimo prima aveva avuto per me parole rassicuranti, ma era scomparsa.
-Bella…-. Mormorai non appena un urlo agghiacciante squarciò la notte.
Incubi. Stava ancora sognando; e io che pensavo che il peggio fosse passato. Le andai vicino, controllando prima i pensieri di Charlie; non sentii nulla, stava dormendo e non si era accorto del grido. Doveva essere stanco.
Bella mugolò rigirandosi nel letto su un fianco e poi sull’altro, muovendo le gambe come se stesse cercando di liberarsi da una trappola invisibile.
“Devi andare via”, gridava la mia coscienza.
-Non ce la faccio-. Era una lotta impari, amore e morte si contorcevano dentro di me. -Ancora un attimo-. Supplicai me stesso.
“Un attimo…”, ripetei cercando di convincere me stesso.
Fissai la donna che amavo, disperata, mentre le lacrime cominciavano a scorrerle sulle guance. Non potevo lasciarla sola, sarebbe stato come un secondo addio, sarebbe stato come ferire i nostri cuori per ucciderli definitivamente. Senza di me lei non si sarebbe mai tranquillizzata, ero io ad averle dato la forza di reagire, io e solo io. Come avrebbe potuto mai amare qualcun altro?
-Bella…-. Feci un passo verso di lei, un altro, ancora un altro fino a quando non coprii la distanza che ci separava e non capii il motivo per cui sarei dovuto fuggire: il futuro del nostro rapporto era nelle mie mani.
Mi chinai su di lei e le presi la mano tra le mie. Si calmò immediatamente e un leggero sorriso aleggiò sulle sue labbra. Che sentisse dentro di sé la mia presenza? L’avevo sempre sospettato.
-Amore-. La chiamai abbassandomi sulle sue labbra. -Non è un addio, o almeno spero. Spero di non ingannarmi. Ci rivedremo. Tieni il mio cuore con te, proteggilo, e ogni volta che hai bisogno di me, chiamami, io ci sarò, io ti sentirò-. Patetico. Un film romantico non avrebbe raggiunto quei livelli di demenzialità, ma mi stavo realmente strappando il cuore dal petto per lei.
“Vai… ora, o non andrai più via”. Mancava poco al suo risveglio, così poco, presto avrebbe incontrato il ragazzo che l’avrebbe aiutata, che l’avrebbe amata in mia assenza.
Destino. Io non avevo mai creduto nel destino, ma avrei lasciato che si compisse se era ciò che la piccola Bella voleva.
Le sfiorai le labbra un’ultima volta, emozionandomi per quel tiepido contatto e la fissai per imprimermi i suoi lineamenti nella mente. Come se avessi potuto scordare… impossibile. Con un respiro profondo mi diressi verso la finestra, deciso a uscire definitivamente dal mondo che mi aveva dato una possibilità di salvezza. Sarei tornato nella mia macchina, avrei preso i regali, i ricordi, e li avrei nascosti dove la mia coscienza o forse la pazzia, chissà, mi aveva indicato.  

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Capitolo 26
*** L'avventura ha inizio ***



Buongiorno!!! Come state trascorrendo l'estate? Mi sono ritagliata un pochino di tempo per scrivere questa mattina anche se dovrei lavorare, uff. Sto perdendo tempo, però, non ho saputo resistere alla tentazione di scrivere. Mi spiace se ogni volta sembro eludere i vostri commenti che sono sempre molto preziosi per me e per la mia austima che spesso fugge sotto le scarpe, ma vi assicuro che li leggo e che mi raggiungono dritti dritti al cuore (ma che romanticona). Perciò, credetemi, vi ringrazio di cuore e spero che apprezzerete questo capitolo. Buona lettura e buona domenica!! Malia.

P.S. Il disegno non è mio, ovviamente, ma è di un certo o certa hildesen. Mi sembrava così dolce e ho deciso di utilizzarlo...



L’avventura ha inizio.

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Mi sentii stranamente distante da me stesso: ero altrove, ancora con Bella, proprio lì, con lei, dopo aver nascosto tutto ciò che avrebbe potuto ricordarmi il nostro amore. Non sarebbe bastato per dimenticare il suo viso sofferente, né le sue lacrime, né tantomeno i miei sentimenti per lei, ma avrei dato ascolto al mio cuore per una volta; in fondo sapevo di stare facendo la cosa giusta, anche se ormai non riconoscevo più l’uomo che ero da molto tempo.

-L’hai abbandonata-. Sussurrai a bassa voce accarezzando il volante della Volvo.
Sospirai e spinsi il piede sull’acceleratore. In passato mi avrebbe dato piacere sentire il vento scompigliarmi i capelli, adoravo la velocità, ma ora acuiva solo il mio senso di solitudine.
“So dove devo andare”.
Sì, conoscevo la mia meta, ma non sapevo come avrei affrontato il mio passato e in che modo. Tentai di rilassarmi e guardai la strada scorrere di fronte a me, chiedendomi come avrei reagito nel vedere la tomba di mia madre.
In realtà l’avevo visitata solo una volta e non del tutto consapevole di ciò che ero diventato: un vampiro. A che prezzo avevo continuato a vivere… E tutto per una promessa: quella che mia madre aveva strappato a Carlisle.
“Salvalo”.
Ma con quali conseguenze; non ero più stato lo stesso ragazzo spensierato, con i suoi sogni di gloria, le sue aspettative. Avevo semplicemente continuato a esistere. Potevo dire di essere ancora lo stesso Edward? Forse no, non ero più quel ragazzino sbarbato dai capelli ramati, dagli occhi verdi, che se ne stava solo e pensieroso a guardare ogni giorno l’alba, affascinato. Ero diventato un mostro capace di seminare morte e non ero stato più in grado di godere del sorgere del sole, dimentico dell’importanza stessa del dono che mi era stato fatto, quello dell’amore umano.
Guardai verso il sedile del passeggero, ricordando il modo in cui Bella si irrigidiva ogni volta che si sedeva vicino a me, attratta dal mio aspetto e dall’irresistibile voglia di cedere al profumo del vampiro che le stava a fianco e che guidava come un pirata della strada.
Sorrisi. Beh, aveva scioccato anche me il desiderio provato fin dall’inizio per lei, che si mescolava alla fame, ma non era solo quello: avevo seriamente dimenticato cosa significasse vivere fino a quando non avevo incontrato Bella, che aveva fatto rinascere in me il desiderio di sentirmi solo un uomo come tanti altri, ma più bello degli altri, in grado di poterle far battere il cuore, capace di farla arrossire ed eccitare.
-Non dimenticarmi-. La supplicai, come se fosse stata lì, ancora vicina a me.
Patetico, non facevo che ripeterlo. Dovevo smetterla di pensare al passato, dovevo invece riflettere sul futuro, se di futuro potevo ancora parlare. La mia speranza? Poter tornare con Bella. Perché mentire a me stesso… aveva ragione la piccola bambina dall’ignota identità: mancava qualcosa nel nostro rapporto, qualcosa che lo avrebbe rafforzato e fatto vivere in eterno. Quel qualcosa, o meglio qualcuno, era Edward. Era il me ragazzo che Bella tanto desiderava e che io avevo paura a far tornare, io non lo conoscevo, in realtà non mi conoscevo.
Mi fermai in una piazzola di sosta, per godere dell’aria fresca, e mi appoggiai con la schiena contro la mia auto. Il cielo era scuro e non prometteva niente di buono, un po’ come il mio animo, ma non riuscivo a lasciarmi andare alla disperazione per aver lasciato Bella, non ancora almeno.
Volevo combattere per noi e per lei, dovevo provare.
-Ehi, ciao-.
Qualcuno si avvicinò a me e io aggrottai la fronte, sorpreso dell’improvvisa vicinanza di un essere umano: avevo dimenticato di stare al mondo.
-Ciao-. Risposi educatamente.
Era un ragazzino, emh… più o meno della mia età: circa diciassette anni.
-Vai da qualche parte per caso?-. Mi chiese con un sorrisetto a metà tra lo speranzoso e l’indisponente.
Lessi subito i suoi pensieri; aveva un disperato bisogno di un passaggio. Ma cosa ci faceva un ragazzino in giro da solo?
-Per caso, sì-. Risposi cauto e lui mi rivolse un’occhiata supplicante.
-Senti, avrei bisogno di uno strappo fin dove puoi-.
Fece spallucce, come se la cosa non fosse stata realmente importante, ma non gli credetti. Potevo leggere la sua preoccupazione nello sguardo e nella mente, ma non voleva darmi a vedere quanto fosse indispensabile per lui.
-Non ho soldi da darti-. Continuò poi rivolgendo lo sguardo altrove, come se avesse fretta di andarsene.
Seguii la direzione dei suoi occhi e mi persi nell’osservare alcune persone all’interno dell’autogrill. Mhh, chissà chi lo stava accompagnando e perché.
-Non credi che qualcuno potrebbe preoccuparsi per te?-. Gli domandai allora, senza perdere la calma.
-Parli come mio nonno-. Ribatté con una smorfia.
Probabilmente più come suo il suo bisnonno. Guardai ancora il ragazzo che aspettava con ansia il mio assenso. In fondo avere compagnia per il viaggio non mi sarebbe dispiaciuto, avrebbe distolto la mia attenzione su ciò che mi ero lasciato alle spalle, troppo grande per non schiacciare il mio animo ossessionato dai pensieri.
Con un sospiro gli indicai lo sportello del passeggero, pentendomi immediatamente dopo. Forse aveva dei genitori che lo stavano aspettando da qualche parte; stavo rischiando nel portarlo con me.
-Grazie!-. Era entusiasta.
Si abbandonò sul sedile con un’espressione sollevata e io misi in moto senza aspettare. Aveva tutta l’aria di essere una fuga e la cosa non mi piaceva affatto. Non volevo ritrovarmi con un seguito alle calcagna per un possibile rapimento.
-Sono Ansel, piacere-. Cominciò sistemandosi meglio sul sedile, sprofondò quasi.
Si trovava curiosamente a suo agio con me. Sbirciai tra i suoi pensieri, una mescolanza di confusione e paura che mi fecero venire voglia di riportarlo subito indietro. Sentii odore di guai.
-Dove sei diretto?-. Gli chiesi, senza rispondere alla sua richiesta di amicizia e confidenza.
Sollevò un sopracciglio e tossicchiò imbarazzato.
-Lontano-. Tagliò corto e sembrò aver perso improvvisamente la lingua.
Non avevo il minimo dubbio. Mi imposi di non frugare ulteriormente nella sua mente per cogliere quale fosse il problema; non volevo ritrovarmi con un altro peso sulla coscienza. Mi stupii di avergli offerto un passaggio: da quando davo ascolto al mio istinto?
-Edward-. Tossicchiai poi, maledicendomi subito dopo.
Annuì senza dire altro e allungò una mano verso il cruscotto, accendendo la radio. La musica si diffuse nell’abitacolo e io mi rilassai, o almeno cercai di farlo, ma il pensiero di aver preso una decisione stupida iniziò a infastidirmi.
-Ed, come vai a donne?-. Mi domandò e io aggrottai la fronte, perplesso.
Deglutii saliva velenosa e cominciai a credere di aver fatto davvero la scelta peggiore della mia vita ad aver lasciato Bella da sola. Ora avrei dovuto affrontare altri pensieri, altri problemi, come quell’adolescente  impossibile seduto accanto a me e intenzionato a chiacchierare.
-Non ho una ragazza-. Mentii. In verità l’avevo abbandonata, ma preferii non rivelarglielo.
-No? Non ci credo-. Rise. -Sei un tipo strano, uno di quelli che piace alle donne-.
Pregai da ragazzo di non essere stato così idiota.
-Forse-. Trattenni uno sbuffo irrequieto e strinsi ancora più forte il volante tra le dita.
Ancora qualche secondo e l’avrei sgretolato tra le mani. Mi controllai e sperai che Ansel non si fosse accorto del mio nervosismo.
-Ma dai, non dirmi stronzate-. Commentò portandosi una mano nella tasca e tirando fuori un pacchetto di sigarette. Questa volta non riuscii a trattenere una smorfia disgustata: tutto, ma non quell’odore, era nauseabondo e marcio.
Decisi di trattenere il respiro, e non appena si accorse della mia reazione, immobilizzò la mano a mezz’aria e mi fissò con uno sguardo tra l’allibito e il divertito.
-Salutista?-. Chiese frugandosi nella tasca per cercare l’accendino.
-Non più di quanto tu creda. Detesto l’odore-. Ammisi, e la sua espressione si impietosì.
-Sei gay?-.
Rimasi esterrefatto a quella domanda e mi voltai per guardarlo, dimentico della strada davanti a noi. Impallidì all’istante vedendomi guidare con sicurezza senza fare alcuna attenzione e indicò con mano tremante di fronte a sé.
-Sono quello che sono-. Gli risposi poi, pentito di averlo fatto salire in macchina.
Non sopportavo le nuove generazioni, avevano nell’animo una tale superficialità che avrebbe invidiato persino l’intelligenza acuta di un verme purché si attenesse ai loro stupidi parametri di categorizzazione mentale. Era aberrante.
Scoppiò a ridere e avvicinò l’accendino alle labbra accendendosi la sigaretta.
-Io dico che sei gay-. Insistette con un sorrisetto strafottente.
Meglio ignorarlo. Non volevo certo cedere alla tentazione di ucciderlo, no, non volevo. Però forse una tiratina a quel collo…
Mi imposi calma e tornai a guardare la strada in silenzio, pregando che la sigaretta gli andasse di traverso. Un vampiro costretto a sorbirsi la presenza di un essere umano… Dio, ero diventato proprio uno scemo, purosangue idiota, che si faceva controllare come una marionetta dagli umani. Non tutti erano degni di rispetto, forse di vita sì, ma non di rispetto. Carlisle era fin troppo buono e magnanimo, ma lui in fondo aveva un’esperienza religiosa più profonda della mia.
-Avevo una donna, ma l’ho abbondata-.
Ecco, e adesso perché gli confidavo i miei problemi personali?
-Ti eri rotto il cazzo?-. Continuò inspirando una boccata.
Evitai di respirare per non agire d’istinto. Gli avrei tolto quella robaccia dalle mani e l’avrei scaraventata fuori dal finestrino. Quel ragazzino sembrava inconsapevole della vita e della morte, quando gli esseri umani erano così dannatamente delicati. Bella… lei era un fuscello pronto a piegarsi a ogni mio desiderio… Bella…
-Huston, abbiamo un problema. Ma lo sai che mi sembri davvero mio nonno?-. Ridacchiò e gettò la sigaretta fuori. - Ecco, contento? Stavi per morire dallo schifo-.
“Ti assicuro che non ero io che stavo per morire ragazzino, non io”, riflettei e cambiai marcia aumentando la velocità.
Non mi curai della sua reazione, avevo bisogno di un po’ di movimento: una compagnia come quella rischiava di farmi spazientire.
-Torno da lei-. Urlò al di sopra del rumore del vento che entrava nell’auto scompigliandogli i capelli.
Sospirai. Ecco spiegata una parte dell’arcano mistero: il ragazzo innamorato stava fuggendo per tornare dalla sua bella dama. Un po’ troppo romantico come pensiero per via dei tempi, ma immaginai non fosse tanto differente l’amore del mio tempo da quello odierno: ecco sì, solo un po’ più… più esplicito.
-Ah, e perché?-. Alzai il tono e abbassai di scatto la radio. Ora il discorso cominciava a farsi interessante.
-Perché mi sono innamorato, ecco perché. Cazzo, non mi va di trasferirmi-. Sbuffò e frugò di nuovo nelle tasche alla ricerca della seconda sigaretta. Deviai di scatto per farlo sbattere contro lo sportello ed evitare che aprisse il pacchetto. Così fu; gli scivolò dalle mani, mentre io riprendevo facilmente il controllo della macchina, e fatalità volle che se lo lasciò scappare fuori dal finestrino.
Mi complimentai per la mia classe.
-Una bella ragazza?-. Chiesi noncurante della sua occhiata omicida. Gli sorrisi mellifluo. -Volevo evitare un tasso che attraversava-.  
Ma quale tasso e tasso in autostrada… lo sapevamo bene entrambi.
-Stupenda. E porca puttana, il sesso con lei è…-. Si bloccò, come per cercare la parola giusta.
Tossicchiai e per l’ennesima volta mi sentii vecchio. Un tempo non si parlava mai di sesso in modo così esplicito, non mi sarei mai abituato ai pensieri lascivi e perversi della gioventù del ventunesimo secolo. Sì, ero decisamente vecchio.
-Ma dico, sei proprio come mio nonno-. Mi insultò.
-Fino a prova contraria, Ansel, sei tu quello innamorato cotto-. Ribattei canzonandolo e iniziando a fischiettare allegramente nell’abitacolo.
Lo trovai simpatico, almeno sincero. Non avrebbe fatto del male a nessuno, era solo un immaturo alla ricerca di qualcosa di vero che mancava alla maggior parte degli adolescenti.
-Che cosa ci facevi in un autogrill?-. Mi ritrovai a chiedere, sempre più curioso.
-Mio padre ha lasciato mia madre per un’altra donna, un mostro con il naso a patata, e vuole trasferirsi a Phoenix-.
Un mostro con il naso a patata… immaginai la figura della donna e inevitabilmente scoppiai a ridere. Una risata così sincera che diradò le nuvole oscure nel mio animo. Una ventata d’aria fresca e schietta che riuscì a liberarmi da catene invisibili, quelle del mio perbenismo.
-Okay, abbiamo appurato che lei non ti piace. Ma quanti anni ha?-. Ormai ero davvero curioso di capire.
-Non ci crederai, ma ne ha appena tre più di me. Ha vent’anni!-. Sbottò tutto d’un fiato e io provai compassione verso quel ragazzino che era fuggito per non dover sopportare una situazione simile.
Lo avrei fatto anche io se mio padre fosse scappato con una donna più giovane.
-Lei com’è?-. Continuai a chiedere.
-Mi stai facendo l’interrogatorio, cazzo. Sarai mica uno sbirro-.
Non rise, la voce falsamente allegra. Compresi invece la sua disperazione di ragazzo; in passato era stata anche la mia quando avevo scoperto che ogni cosa sarebbe stata più grande di me, impossibile da controllare: eppure per lui non c’era ancora nulla di inevitabile e perduto.
-Ricordo bene mio padre-. Gli confidai, preso da un moto di compassione. -Morì quando avevo diciassette anni-.
Ritornai con la mente in quel maledetto ospedale in cui si giocò il mio destino. Ricordai la sofferenza del volto di mio padre e mia madre, la certezza che saremmo morti tutti a causa dell’influenza spagnola. Il tocco di papà sulla mia mano e la speranza che in qualche modo io potessi salvarmi dalla morte e dall’orrore…
-Emh, quindi da poco-. Intuì.
Non proprio. Mi lasciai sfuggire una risatina: mi ero dimenticato di sembrare un suo coetaneo, mi sentivo decisamente una mummia rispetto a lui.
-Sì-. Mentii.
-Mi dispiace. A volte penso che vorrei vedere mio padre morto, ma non ho realmente mai pensato alla morte-.
Non risposi a quella considerazione. Anche io, come Ansel, avevo desiderato la morte di mio padre. La smania di renderlo orgoglioso di me, di fare onore al nome della famiglia Masen, mi aveva spinto a combattere una stupida guerra, per diventare un eroe: un eroe, sì, ma sulla mia tomba c’era scritto soltanto un nome che nessuno avrebbe ricordato insieme a quello dei miei genitori, ma io a differenza di loro non ero e  non sarei mai stato sepolto con loro. L’avevo odiato.
-Pensi che tornare da lei sia la soluzione?-. Domandai e lo sentii sospirare rumorosamente.
-Lei non mi fa sentire inutile, non mi sento un mostro-. Mormorò appena e io mi immobilizzai, colpito dalle sue parole.
Un mostro…
-Parli come mio nonno-. Bofonchiai con sorrisetto che voleva tirarlo su di morale e ci riuscii.
Scoppiò a ridere e io lo imitai, sinceramente rallegrato dalla piega che avevo dato alla conversazione. Trovai curioso che Ansel non avesse timore di me nonostante fosse ormai chiara a entrambi la diversità che ci distingueva: io sembravo proprio un buffo signore di altri tempi.
-Già, ma tornando alla questione sesso, rimane sempre la migliore-. Rise ancora e io capii che aveva bisogno di tutta quella superficialità per sentirsi al meglio, per distinguersi. In fondo al suo cuore non era poi tanto differente da un eroe romantico, con il bagaglio culturale di uno scaricatore di porto, ma pur sempre un romantico.
-E la tua lei, l’hai lasciata perché non te la dava?-. Mi chiese alzando di poco il vetro del finestrino.
Emh, Bella sarebbe stata entusiasta di avere rapporti sessuali con me, io invece non proprio. Solo all’idea non riuscivo a controllare il mio corpo e questo non poteva che voler dire una cosa: la sensazione di trovarmi dentro di lei mi avrebbe fatto impazzire.
-No, lei era ben disposta, diciamo che sono un tipo all’antica-. Gli confidai.
Ecco l’ennesima dimostrazione che non sapevo proprio adeguarmi ai tempi.
Ansel era a dir poco sconvolto, il suo viso esprimeva tutta l’incredulità possibile: sembrava avesse appena visto un fantasma. Si schiarì la voce e soffocò una risata.
-Okay, ammettiamo pure che tu sia completamente pazzo, e lo sei, devi essere proprio innamorato…-. Constatò e io annuii.
Disperato e succube dell’amore per Bella, avrei osato dire, tanto da resistere persino ai suoi desideri e ai miei, tanto da soffocare la fame, la sete, la brama e urlare di dolore ogni qualvolta le ero vicino. Anche all’inferno avrei resistito per lei.
-Nemmeno… palpate? Sai esiste il sesso orale, è grandioso-. Mi istruì e io inevitabilmente sorrisi.
I primi tempi avevo creduto di non resistere leggendo nella mente di ogni uomo i desideri profondi, perversi e carnali. Sapevo ogni cosa sulle voglie umane, pur non avendole mai sperimentate.
-Non mi sembra così allettante per una donna-.
Era la prima volta che parlavo così schiettamente con un ragazzo della mia età e in modo così semplice, senza pensarci troppo.
-Scusa se te lo dico, ma penso che la tua tipa non avrebbe problemi con te. Ma… dovresti prendere un po’ di sole, hai le occhiaie scavate per quanto sei pallido-.
La sua sincerità disarmante mi divertiva e intimoriva al tempo stesso. Non mi ero mai sentito libero di parlare di qualunque cosa con la mia famiglia e fino a quel momento non mi ero reso conto del fatto che ero stato in passato fin troppo perfetto per essere vero. Bella aveva sconvolto quella tranquilla placidità del mio animo, facendomi tornare a essere il ragazzo che non avevo mai conosciuto.
-E comunque ti fai troppi problemi, lasciati andare-. Mi consigliò sporgendosi dal finestrino. -Porca puttana, ho bisogno di sigarette-.
Se lo avessi fatto, lasciarmi andare, avrei messo seriamente in pericolo la vita di Bella: non potevo permettermelo, ma forse… il ricordo dei nostri momenti di intimità mi spinse a credere di poter osare di più.
-Ormai ci siamo lasciati-. Sospirai sconsolato.
Sollevò le sopracciglia e mi squadrò.
-Se la vuoi ancora, riprenditela-.
Troppo semplice, non ero ancora pronto.
-Pensi che io possa essere capace di… sì, di lasciarmi andare? È difficile perché mi sembra di perdere il controllo-. Gli confidai e lui rise di cuore.
-Capisco la sensazione, è fantastica-. Bisbigliò sognante.
Non tanto per me, ma avrei dovuto imparare. Il fatto che mi fossi rifiutato di comprendere le relazioni umane non mi aveva aiutato in cent’anni e adesso non era semplice per me capire quel ragazzino, nonostante potessi leggergli nella mente non avevo accesso al suo cuore.
-Dove vai?-. Mi chiese d’un tratto.
-Chicago, la mia famiglia è lì-. E anche una parte di me, avrei voluto aggiungere.
-Rimani un po’ a casa mia, mia madre sarà felice di avere un damerino come te dentro casa. Potresti piacerle e tirarle su il morale. Io non sono capace-.
Si rattristò a quell’affermazione. Lo guardai rabbuiarsi e sollevare le ginocchia al petto. In realtà evidente la nostra differenza d’età nonostante io apparissi così giovane. Il mio cuore aveva dimenticato ogni spensieratezza, persino il significato di quella sofferenza così umana, la stessa che avevo visto distruggere Bella lentamente a causa mia.
-Se mi dici dove sei diretto, potrei pensare di farmi ospitare da te qualche giorno. Tanto non ho fretta-. Mi autoinvitai.
Da quando in qua desideravo aiutare gli esseri umani?
“Devi trovare te stesso”, non era più o meno quello che aveva inteso dirmi quella misteriosa bambina? Non avrei lasciato nulla al caso, il viaggio che avevo davanti a me sarebbe pur servito in qualche modo a farmi capire.
-Dici sul serio, Ed? Fantastico. Sei un romantico, vero? Mi aiuterai con Lucy-.
La sua soddisfazione era talmente palese che non riuscii a soffocare il sorriso spontaneo che mi venne alle labbra.
-Ho un amico-. Lo sentii sussurrare entusiasta e la mia opinione su di lui si fece nettamente positiva. E così gli esseri umani non erano fragili solo nel corpo, ma anche nella mente. Tutte le loro voci che avevano affollato la mia testa, così insistenti, che io avevo rifiutato vomitando me stesso e decidendo per la mia non-vita… avevo sbagliato a sopprimere la mia umanità? E il mio essere vampiro? Carlisle mi aveva dato una via, ma io mi ero ribellato. Ero tornato da lui dopo il disgusto provato nell’uccidere gente, ma il vuoto era rimasto a dilaniarmi. Che cosa fare? Come colmarlo?
-Il viaggio è appena iniziato-. Proruppe Ansel e io mi trovai d’accordo.
Un’avventura lontano dal mondo di cui avevo memoria. Sarei riuscito a nascondere la mia identità tra gli umani? Dovevo provarci, perché avevo un disperato bisogno di trovare Edward.
“Bella…”, pensai preoccupato e socchiusi le palpebre, pregando che qualcuno la proteggesse al posto mio da se stessa e dal mondo che la circondava.

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Capitolo 27
*** Sofferenza e stati d'animo ***



Buon fine agosto. Sono tornata. Da un po' che mancavo con le fanfiction... un secolo. Ed eccomi qui a riesumare Nadir. Storiella mia prediletta. Sempre più difficile. Pian pianino dai Malia riusciamo a finirla (mi incoraggio da sola). Ho pianificato 52 capitoli per questa storia e fino al 38esimo almeno vedremo Edward lontano da Bella. Lo so, leggo la disperazione nei vostri occhi. Non mi uccidete... ma se voglio fare le cose fatte bene, come se fosse davvero il romanzo speculare della Meyer devo fare così. Poi riprenderò il corso di New Moon. Più o meno, se avete qualche scena in mente che vorreste approfondire o che vi ha colpito e volete, non so, pensato a qualcosa in particolare fatemi sapere. Sono tutta orecchi. Va bene? Al solito vi ringrazio per i commenti e vi lascio alla lettura. Buon Nadir!!!
Per chi vuole seguirmi ormai lo sto dicendo ovunque questa è la mia pagina su facebook: Malia85



Sofferenza e stati d’animo.

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Fermai la Volvo di fronte alla piccola villetta di periferia che Ansel mi aveva indicato.

Spensi il motore, voltandomi per chiedergli dove poter parcheggiare l’auto perché non causasse troppo fastidio, ma lui era già saltato giù dalla macchina e si stava approssimando all’entrata, correndo contento. Fu sua madre ad aprirgli la porta.
Solitamente ero ben felice di trascorrere ore e ore in macchina, ma la parlantina di Ansel mi aveva portato all’esasperazione: era un bravo ragazzo, ma alla lunga avrebbe messo a dura prova i nervi di chiunque. Scesi e chiusi lo sportello, cercando di non disturbare il momento felice che vedeva mamma e figlio abbracciarsi.
Li guardai: io non ricordavo l’abbraccio di mia madre ed Esme era sempre stata molto rispettosa dei miei spazi, comprendendo il mio bisogno di solitudine. Eppure adesso mi pentii di essere sempre stato restio a qualsiasi tipo di dimostrazione d’affetto.
Camminai sul selciato e mi avvicinai lentamente all’entrata. Entrambi si accorsero della mia presenza vicina, e Ansel mi fece segno di entrare; sembrava felice di potermi presentare a sua madre.
«Ma’, questo è Edward, un mio nuovo amico. Dovremmo ospitarlo per un po’, lui è in viaggio per “non so dove”» disse tranquillo, facendo le presentazioni.
La signora Jill mi strinse la mano e mi squadrò da capo a piedi, evidentemente imbarazzata. Ignorai il vago desiderio che lessi nei suoi occhi ed evitai di guardarle nella mente. Sospirai. Beh, avrei dovuto stare alla larga da lei, meglio.
«Ciao Edward», mi accolse con candore, fin troppo.
Era stupita di vedere un uomo così bello, non c’era bisogno di leggerle nel pensiero per saperlo.
Mi fecero entrare in un salone poco illuminato e io ringraziai il cielo.
«In questa casa non c’è mai troppa luce», si scusò Jill.
«Colpa del tempo, è sempre uno schifo in questo periodo» borbottò Ansel gettandosi sul divano.
Batté la mano sul cuscino e io mi sedetti a fianco a lui. Non ero abituato a stare in mezzo agli esseri umani, mi sentivo a disagio.
«Edward, sarete affamati, posso offrirti qualcosa?».
Jill aveva uno sguardo gentile, doveva essere una brava persona. Forse l’avevo giudicata precipitosamente.
«Sìììì, adoro la torta che prepara la mamma, devi assolutamente assaggiarla».
Ansel mi batté una mano sulla spalla e io tentai di sorridere: o mio dio, ora sì che mi trovavo nei guai. Mi ero dimenticato di un piccolo particolare: mi nutrivo di sangue e non di cibo. Tossicchiai e Jill lo interpretò come un assenso vergognoso.
Infatti dopo pochi minuti mi ritrovai a mangiare una fetta di torta al cioccolato.
Ora, per quanto mi sforzassi, quel sapore proprio non voleva piacermi, ma finsi di stare mangiando la cosa più squisita del mondo. Non volevo offendere due persone che mi guardavano come se fossi la loro unica speranza sulla faccia della Terra.
«Allora?».
Ansel mi diede una gomitata.
«Davvero… ottima», mentii.
“Con una bella spruzzata di sangue, sarebbe molto meglio”, riflettei.
Il sorriso sul mio viso però era sincero. Era divertente stare con loro, per quanto dovessi impormi di fingere. Mi domandai se quella fosse la tipica sensazione umana di vergogna nel trovarsi di fronte a una persona sconosciuta con il quale si sarebbe dovuto convivere per un po’ di tempo. Mi sentivo un ragazzino.
«Ti preparo la stanza, Edward, ma quanto ti fermerai esattamente?» domandò lei tagliandosi una fetta di dolce.
«Non vorrei disturbare» cominciai, imbarazzato, tentando di evadere da quella situazione.
«Ma quale disturbo, ti ringrazio di aver accompagnato mio figlio».
La signora mi diede una pacca sulla spalla, poi piegò il gomito e mi trasse a sé, stampandomi un bel bacio sulla guancia.
Rimasi senza parole. Solitamente gli esseri umani non mi davano tanta confidenza.
«Rimani quanto vuoi, Ed, c’è da divertirsi. Ma a proposito dove sei diretto?» mi chiese Ans, la bocca piena di dolce.
«A trovare mia madre» sussurrai, finendo a fatica il mio boccone.
«Uh, e dove abita?», si interessò Jill sedendosi di fronte a me, i gomiti appoggiati sul tavolo.
«Lei è morta», bisbigliai.
Il silenzio scese immediatamente nella stanza; entrambi mi guardavano con un’espressione addolorata negli occhi. Jill si stava chiedendo come avessi fatto a cavarmela da solo, così giovane, e Ansel invece cominciava ad ammirarmi e a voler essere come me.
«Mi dispiace», si affrettò a dire lei e mi sfiorò la guancia in un gesto di conforto. «Se hai bisogno di qualsiasi cosa, chiedi pure».
La sua gentilezza riuscì a commuovermi.
Annuii e guardai fuori dalla finestra la pioggia che cominciava a battere sui vetri. La donna ci lasciò soli e io pensai di dovermene andare al più presto. Mi avrebbe fatto piacere stare in loro compagnia, ma la mia diversità sarebbe uscita presto allo scoperto. Solo pensare di dover fare tre pasti umani al giorno mi dava la nausea. No, decisamente impossibile.
«Devo conquistarla» sbottò Ansel e io tornai a guardarlo. Che?
«La tua amica?», chiesi.
«Sì! Ma io non sono mica come te. Hai visto che faccia ha fatto mia madre quando ti ha visto? Effettivamente sei un tipo strano, te l’ho detto».
Afferrò un bicchiere e si versò dell’acqua, bevendo tutto d’un fiato come se si fosse trattato di liquore.
«Lei è troppo per me. Dai… consigliami qualcosa. Sono convinto che tu ci sappia fare».
Il suo sguardo speranzoso mi fece deglutire veleno. Io? Con le donne non avevo alcun tipo di sperienza.
«Fiori?» azzardai.
«No, è vecchia! Solo gli sfigati mandano fiori», mi rimproverò.
«Cioccolatini?», ci riprovai.
«Ma dai, così mi dice che la faccio ingrassare» sospirò scuotendo la testa e stringendo gli occhi, esasperato. «Non c’è modo, sono spacciato».
A quanto sembrava, pur leggendo nella mente delle donne, non riuscivo a capirle. Che vergogna.
«Una notte di sesso?».
Inorridii a quelle parole, Ansel aveva pronunciato proprio ciò ritenevo inconcepibile per conquistare una donna.
«No, decisamente». Stavo per scoppiare a ridere però. Era proprio un adolescente in piena crisi ormonale.
«Cosa ci può essere di più divertente? Se poi ci sai fare il gioco è fatto», si lamentò iniziando a dondolarsi sulla sedia.
Non era quello il problema, prima di portare una donna nel proprio letto si doveva conquistarla, e non il contrario. Effettivamente però i tempi erano cambiati.
«Scusa, ma tu come hai fatto con la tua?», mi chiese all’improvviso, tornando a mettersi comodo.
«Improvvisazione», affermai, portandomi una mano sulla nuca e iniziando a grattarmi per far scemare la sensazione di disagio.
«Cioè? Sembra interessante», commentò, e si avvicinò a me, attento. «Sono tutto orecchi».
“Semplice, dille che sei un vampiro”, pensai.
Pensai, riflettei, ci doveva essere un modo giusto. In fondo non era così difficile capire la mente femminile. Forse conoscendo la ragazza avrei potuto leggerle nella mente e capire cosa le piacesse. Pensai che l’idea fosse buona; almeno così non avrei rischiato di fare figure terribili.
«Allora?» insisté dandomi una gomitata.
«Potrei conoscerla?», insinuai.
«Eh? Ma tu sei matto. Quella si innamora di te al primo sguardo».
Non aveva tutti i torti. Incrociai le braccia e mi distesi, riflettendo.
«Dovresti invitarla a uscire, non so, fuori a cena per esempio. Chiederle ciò che le piace, dimostrarti interessato. E non pensare solo al sesso», lo ammonii.
Pendeva dalle mie labbra.
«Se la vedessi non penseresti ad altro nemmeno tu», ridacchiò.
Non osavo immaginare il tipo di ragazza che aveva attirato la sua attenzione, ma non ero affari che mi riguardavano. Pensai a Bella, alla sua bellezza poco appariscente, al suo sguardo da cerbiattino spaurito. Il suo corpo era morbido, al contrario del mio, delicato come un bocciolo di rosa. Sì, aveva ragione Ansel, ero un tipo fin troppo romantico. Ma famelico.
«Se posso fare qualcosa, dimmelo».
Ero sincero. Lui mi strinse il braccio e poi annuì.
«Sei tu il capo, farò tutto ciò che mi dirai».
Ah, allora si sarebbe trovato certamente nei guai, ma evitai di farglielo notare. Si affrettò a prepararsi e uscire di casa. Voleva invitarla portandole un mazzo di rose. Ma non aveva detto che i fiori erano cose da sfigati? Ancora una volta non commentai.
«Dammi l’imbocca al lupo» disse, sistemandosi la cravatta sul collo.
Persino a me sembrava ridicolo vestito così elegante. Sospirai esasperato.
«Non amo molto i lupi».
Mi lanciò un’occhiata stranita e io sorrisi. Si strinse nella spalle sistemandosi la giacca e io lo aiutai, poi prese un profondo respiro e si apprestò verso l’uscita.
«Sei un amico» mormorò. Non avevo fatto nulla, ma ugualmente gli diedi coraggio, felice di potermi rendere utile. Forse non ero poi così terribile.
Chiusi la porta alle sue spalle e mi appoggiai allo stipite. Il pensiero corse di nuovo a Bella. Guardai sull’orologio a muro: chissà cosa stava facendo in quel momento. Un brivido mi percorse il corpo; invidiavo Ansel per quella sua freschezza, quella sicurezza, spavalderia giovanile. Io avevo perso tanto tempo prima quell’innocenza. Bella… appoggiai la testa al muro. Quanto aveva sofferto lei con me? Forse un tipo come quel ragazzo sarebbe stato più adatto. No, nessuno poteva essere più adatto di me. Immaginai che nessuno le sarebbe stato vicino durante i suoi incubi, che si sarebbe sentita sola. Ma no, probabilmente mi avrebbe dimenticato e non avrebbe più sognato, si sarebbe circondata di amici.
Osservai il corridoio privo di mobili, sovrappensiero, e la vidi.
«Cosa…» bisbigliai.
La bimba.
Feci per seguirla, ma lei mi sorrise e scomparve velocemente. Camminai fino a che non raggiunsi il punto dell’apparizione, una camera in fondo al corridoio. Allora sentii dei singhiozzi.
«Perché…».
Era Jill.
I suoi pensieri mi colpirono, così sofferenti, intimi. Era disperata perché suo marito se n’era andato lasciandola sola. E aveva cercato di portarle via anche suo figlio. Quella donna stava soffrendo molto per ciò che era accaduto, ma non voleva mostrarlo. Voleva dimostrare di essere forte.
Ascoltai il suo dolore e lo feci mio. Pensai alla stupidità degli uomini. Io che mi pensavo un mostro a volte lo ero meno di tante persone che non avevano mai ucciso nessuno nel corpo, ma l’avevano fatto nello spirito.
Bussai e lei si asciugò velocemente le lacrime sulle guance.
«Entra, Edward» mormorò con un sorriso tirato non appena mi vide.
Perché l’apparizione mi aveva indicato quella stanza? Forse la mia coscienza voleva aiutare quella donna, o forse… non capii, ma non appena fissai Jill in viso, così triste e sconsolato, dimenticai i miei problemi.
«Qualcosa non va?», le domandai, rimanendo in piedi per rispetto.
«Oh no, sai. Ti ringrazio davvero molto per averlo riportato da me. È tutto quello che ho».
Naturalmente si riferiva a Ansel.
«Non ho davvero nessun altro». E scoppiò a piangere.
Così fragili gli esseri umani, così difficili. Di mia iniziativa mi sedetti sul letto accanto a lei. Se le avessi toccato una mano avrebbe capito che qualcosa in me non andava, perciò rimasi immobile e la fissai cercando di mostrarle la mia comprensione.
«A volte gli uomini si comportano in modo stupido», tentai di consolarla.
Lei sgranò gli occhi, sorpresa che io sapessi, ma poi annuì.
«Ammetto che sia stata anche colpa mia, forse non gli davo amore a sufficienza. Non so. Ormai sono vecchia» rise, ma il suo riso aveva un che di amaro.
Avrei voluto darle un diverso tipo di conforto, ma un abbraccio, una carezza, erano fuori discussione. Sorprendentemente fu lei a cercare il contatto, le mie dita, e le strinse senza sussultare o sobbalzare dallo stupore.
«Dovresti trovare una ragazza che scaldi il tuo cuore, sei un bravo ragazzo», commentò solamente.
Come se la mia temperatura corporea dipendesse da quello, pensai.
«L’avevo», le confidai.
Sollevò lo sguardo e mi osservò. Il sorriso ora era materno, dolcissimo e io invidiai Ansel. Lui aveva una madre che si preoccupava per lui e lo amava in modo incondizionato.
«Vuoi parlarmene?».
L’invito non voleva essere intrusivo, né voleva costringermi a parlare. E io pensai che le avrebbe fatto bene pensare a tutt’altro che non fosse l’uomo che l’aveva abbandonata.
«Si chiama Bella» iniziai. «L’ho conosciuta a scuola». Parlare così mi rendeva più ragazzo.
«Edward» disse «mi sembri così maturo, dubito quasi che tu abbia l’età di mio figlio».
Ancora un sorriso materno e benevolo. Avrei voluto farmi abbracciare.
«Ero molto solo, lo sono sempre stato, ma ormai non pensavo che qualcosa avrebbe risvegliato emozioni e sentimenti» confessai, lo sguardo basso. «Davvero non lo avrei creduto».
Jill annuì e mi strinse più forte la mano.
«Capita, l’amore è così».
Sì, l’amore era così, ma sapeva anche fare molto male.
«Ma eravamo diversi e questa diversità ha distrutto il nostro rapporto» terminai così, freddamente, tentando di controllare il dolore e il senso di colpa.
«No, assolutamente. Perché non le spieghi semplicemente cosa provi nel sentirti differente? Cosa ti dice che lei non capirebbe?».
Non aveva mai capito. Si era messa più volte in pericolo a causa mia. E quel desiderio fisico, Dio, così fastidioso che non mi permetteva di rimanerle lontano. La voglia di stringerla, baciarla, accarezzarla.
«E se le facessi male? Un giorno… se la facessi soffrire? Non me lo perdonerei», bisbigliai.
Le aveva già fatto male.
«Ma te ne sei andato a causa sua vero? Lei ora starà soffrendo la tua mancanza se ti ama veramente. Questo è il male più grande per una donna innamorata. Se ha il tuo amore, cosa potrà farle più male della tua assenza?».
Era una maledizione, ovunque andavo mi veniva rinfacciato il mio errore.
«E ora?», chiesi titubante.
«Ora percorri la tua strada, supera il tuo disagio, perché è tuo Edward, non suo, e poi torna da lei».
Il suo abbraccio mi commosse. Mi baciò una guancia e poi mi scompigliò i capelli, come se fossi anche io un adolescente da proteggere.
«E ricordati… vale sempre la pena affrontare momenti difficili se tutto può migliorare».
Era ciò che credeva? Lo leggevo chiaramente nel suo sguardo. Era una donna disposta ad affrontare le difficoltà e se possibile imparare a fare meglio.
Era una persona da cui prendere esempio. La abbracciai ancora e lei annusò il mio profumo estasiata: forse stavo esagerando con l’avvicinamento fisico. Dovevo ricordarmi di essere pur sempre un vampiro e non un semplice ragazzino adolescente. Avevo più di cent’anni e mi facevo consigliare da un essere umano di appena quaranta.
Mi voltai, osservando la foto di famiglia sul comodino, e riconobbi Ansel bambino in braccio a suo padre. Anche a me un tempo sarebbe piaciuto avere una famiglia, ma ora…
«Non pensare alle cose negative, pensa a quelle belle che potresti costruire. Non abbiamo scelto noi ciò che siamo», mi ricordò Jill a bassa voce, notando il mio interesse per la foto.
Mi alzai e la aiutai a fare lo stesso. Le sorrisi e pensai di portarla da qualche parte per farla divertire. Ero sicuro che non si svagasse mai e che fosse difficile per lei lasciarsi andare.
«Andiamo», le dissi.
«Dove?», rise quando io la forzai.
Non oppose resistenza e insieme corremmo per il corridoio.
«In riva al mare», le risposi.
«Edward, ma qui non c’è mare».
Rideva come una bambina.
«Ci arriveremo prima o poi», le feci notare e la sua risata si alzò di tono, incredula.
La feci salire in macchina, e la Volvo partì veloce.
Volevo sentire dentro di me quella sensazione di speranza, come quando ero ragazzo, quando pensavo che la vita mi avrebbe riservato sorprese emozionanti. Ed ero ancora lì, vivo, finalmente vivo, proprio io, che mi ero rifiutato di vivere solo per odio verso me stesso. Era in questo modo che avevo apprezzato il dono che mi era stato fatto?
Jill abbassò il finestrino e l’aria le scompigliò i capelli. Era una bella donna, avrebbe presto trovato una persona da amare che l’avrebbe ricambiata.
«Grazie» dicemmo all’unisono e l’ennesima risata felice si diffuse nell’abitacolo.
Il mondo era pieno di sorprese. E non tutto era perduto. Nemmeno io lo ero ancora, e se l’avevo pensato avevo commesso un grave errore.
Per un’ora buona corsi come un folle sulla strada, ma poi sentii odore di lago. Non era il mare, ma era pur sempre uno spettacolo della natura. Svoltai, cercando di raggiungere quella fonte, e di fronte a noi si aprì d’improvviso una distesa cristallina immensa, in cui si specchiava la luce pomeridiana.
«Per questo mi piace vivere» sussurrò Jill e io capii che da un essere umano si poteva realmente imparare molto.
Parcheggiai e insieme scendemmo per ammirare il paesaggio. Jill mi prese sotto braccio e insieme camminammo sulla riva del lago. Fortunatamente la luce era leggera e non fastidiosa, perciò la mia pelle sembrava più dorata che pallida.
«Penso che tu sia un ragazzo fantastico, chi ti sta aspettando, Edward?», domandò dopo alcuni minuti di silenzio.
«Non lo so, voglio soltanto andare alla tomba di mia madre, e capire perché sento di dover andare nel posto in cui sono nato» le spiegai, pur non sapendo il motivo che mi spingeva a raccontarle ogni cosa di me.
«Le porterai dei fiori?», mi chiese semplicemente, guardando lontano.
«Non so», riflettei.
«La morte è naturale, così come la vita. Finché c’è». Il suo sospiro si mescolò al vento che ci colse alle spalle. Formò delle piccole onde e fece saltare alcune rane nell’acqua.
Avevo perso molto nella mia vita, anche il contatto con gli altri, dimenticandomi quanto fosse importante.
«Chissà se potrà mai perdonarmi», pensai, dando voce le mie paure più profonde.
«Di cosa ti preoccupi? Se lei è destinata a te, ti perdonerà e starete insieme. Se non lo è, non avrai perso nulla, ma imparerai a conoscerti e ad apprezzarti. Non tentare di essere diverso da come sei. Guarda me, è stato inutile».
Si riferiva al rapporto finito con suo marito. Io non avrei mai abbandonato una donna simile, che tipo quell’uomo, un pazzo.
«Rimarrai per un po’? Ansel ha bisogno di un amico come te, sai, sembri uscito da un altro tempo, da un altro mondo», mi confidò guardandomi negli occhi. «Non ho mai visto un colore di occhi simile al tuo. Dorato».
Mi osservata, attenta, e io mi lasciai guardare. Non avevo paura che lei capisse, stranamente ero affascinato dalla possibilità che un essere umano potesse comprendere la natura di un vampiro. Bella mi aveva stupito con la sua forza, avevo imparato a non sottovalutare gli umani.
«Spero che mi parlerai di più di lei» furono invece le sue parole.
Le appoggiai una mano sulla spalla, stringendola a mo’ di conforto: «Quando ti vedrò felice».
Smettemmo di parlare e adorammo quella distesa d’acqua con lo sguardo finché non si fece troppo tardi. Avevo trovato una persona diversa da me, in grado però di capire la mia sofferenza e il mio stato d’animo.


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Capitolo 28
*** Problemi di gioventù ***



Buongiorno!! Scusate il ritardo dell'aggiornamento, ma ieri veramente ho vissuto un'avventura per Roma e non sono riuscita in alcun modo ad aggiornare. Vi ringrazio moltissimo per i commenti, ho visto nuove persone che stanno leggendo questa storia e spero che piacerà e non deluderà. Continuiamo... con i pensieri di Edward. Buona lettura!! Malia.

P.S.: Lascio sempre il link alla mia pagina di facebook, nel caso vogliate passare: Malia85

Problemi di gioventù.


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Ansel tornò a casa a sera inoltrata, gongolante.
«Non lo sai». Saltellò felice strattonandomi il braccio.
No, non lo sapevo, né volevo in alcun modo scoprirlo.
«Dio, come bacia bene, non hai idea, ha quelle labbra da stupro che ti fa venire una voglia…».
Quasi mi strozzai con il veleno. Mi appoggiai alla parete e lo fissai con un certo rimprovero. Erano cose da dirsi?
Mi guardò e poi abbassò la testa.
«Ehi, manco fossi mio padre, che sguardo», tossicchiò.
«Non sono tuo padre, ma evita, per favore. È una ragazza» gli feci notare e lui mi venne vicino, guardandomi dritto negli occhi.
«Secondo me tu hai qualche problema» sussurrò e continuò a osservarmi. «Ma dici di non essere gay. Scusa che c’è di male a dire che ti vorresti fare una donna?».
Solo che non era nel mio stile, non avevo mai pensato a una persona in quei termini.
Non si fermò: «Prendi la tua ragazza ad esempio, quella di cui mi parlavi. Insomma non hai mai desiderato sbattertela?».
Potevo diventare più pallido di quanto già non fossi? Per fortuna mi venne in aiuto Jill che entrò in salone con una scopa in mano, pronta per fare pulizia.
«Ma dove sei andato così conciato?», chiese al figlio e io pensai di battere in ritirata.
«Me l’ha consigliato Edward, e ha fatto bene. Era così stupita la mia cucciola, e poi mi ha baciato».
Jill mi guardò sospettosa e io distolsi lo sguardo.
«Edward non avrebbe bisogno di questo genere di espedienti», mormorò lei e io tossicchiai.
Strano, Jill mi piaceva. Era una persona rara.
«Ma io sì, non sono come lui», farfugliò e sua madre andò a stampargli un bacio sulla guancia.
«No dai», si lamentò lui. «Dai ti prego», ma lei non lo lasciò andare e cominciò a stringerlo e abbracciarlo.
Li guardai e provai un senso di profonda mancanza.
«Chi sarebbe questa lei? Devo preoccuparmi?», disse stropicciandogli la maglietta e scompigliando poi i suoi capelli. Rideva e il suo sorriso illuminava la stanza.
«Non dirò niente», si lamentò Ansel e si divincolò dalla stretta ferrea della mamma. «Mi tratti come un bambino, con Edward non fai certo così».
Scossi la testa. Avrei voluto avere io la fortuna di avere una madre, dolce e comprensiva come Jill, sempre vicino.
Sentii all’improvviso una mano intorno al mio torace e sussultai. Jill mi passò la mano tra i capelli, scompigliandoli e mi fece abbassare la testa. Lasciai che mi torturasse come aveva fatto con Ansel e la sensazione felice che provai mi fece ridere.
«Ecco, sei contento adesso?», lo rimproverò dopo avermi scompigliato ben bene.
Ansel rideva.
«Edward devi vedere che faccia che hai».
Continuò a ridere e si gettò sul divano. Jill riprese la scopa e ridacchiò, dandomi una pacca sulla spalla, poi uscì, e io rimasi ancora solo con lui.
Non voleva proprio smetterla di ridere. Ammisi di essermi sentito imbarazzato. Non avevo mai scherzato in quel modo con nessuno, tantomeno con una donna, e dell’età di una madre poi. Avevo sempre costretto Bella a una sorta di lontananza che non aveva mai rispettato, e spesso nemmeno io.
«Allora, la tua ragazza, parlamene», sbottò e incrociò le braccia al petto.
«No, ormai è finita, te l’ho detto».
Non avevo voglia di pensare a lei. Era troppo forte la mancanza, il dolore, e avevo paura di me stesso: avrei potuto salire in macchina e tornare da lei, preso dall’impulso. Vedere Jill e Ansel mi aveva fatto desiderare una famiglia, e Bella era la mia famiglia, aveva risvegliato in me sentimenti umani che pensavo perduti per sempre.
Ancora una volta fui consapevole di quanto le fossi legato, quanto le dovessi.
«Finita? Ma smettila, si vede che sei cotto», sbuffò.
«Ah, sì, e da cosa lo noti?», domandai curioso e contrariato.
«Dal fatto che non ci stai con la testa, sei innamorato».
Io “c’ero sempre stato con la testa”. Lo fissai, la fronte aggrottata, e il suo sorrisetto di scuse mi fece pensare di stare parlando con un muro. Perfetto, si era messo in testa di farmi un bell’interrogatorio.
«Tette?».
Lo sapevo.
«Senti, ma si può sapere perché ti interessa?». Stavo per perdere la calma.
Lui non si scompose, anzi, continuò a sorridere.
«Sei troppo chiuso, non capisci. A me non interessa, ma ti sei mai chiesto cosa ti piace di lei? Andiamo… su… che qualche pensiero l’hai fatto. E te la volevi scopare».
Io? Non avevo mai fatto simili pensieri. Mi corressi, qualche volta avevo desiderato poter essere libero di accarezzarla, di lasciarmi andare con lei, ma non avrei potuto farlo.
«Dai Edward, siamo tra maschi, dimmi qualcosa di, cazzo, qualcosa che pensi di lei» borbottò portandosi le mani dietro la testa a appoggiandosi ai cuscini.
«Allora… è carina, gentile, e mi ama», riflettei ad alta voce.
«E io sto per vomitare», commentò.
Non potevo essere diverso, io ero così. Avevo desiderato Bella, molte volte, ma mi sarei sentito in colpa a parlarne in termini animaleschi. Sì, perché animalesco era il termine con cui avrei definito il modo di parlare di Ansel.
«Culo? Come ce l’ha? Mandolino?». E mi fece con le mani dei segni che immaginai fossero una forma.
«Ma che ne so come ce l’ha», esplosi.
Mi fissò allibito: «Tu non sei normale, devi sapere come è fatta la tua donna. Devi apprezzare ogni forma».
“Ma sentilo”, pensai. Lui che insegnava a un ultracentenario cosa fare con una donna.
«Senti sono vergine, va bene» continuò «ma ho fatto del sesso orale, e altro, ho anche inc…» lo fermai con un ringhio basso che gli fece venire la pelle d’oca.
«Ehi, sai imitare bene i cani» bisbigliò, ancora intimorito.
«Anche io sono vergine» ammisi. «Ma non voglio sapere cosa hai fatto con una donna, né ti dirò cosa ho fatto io. Sono cose personali».
Mi guardò come se fossi appartenuto a un mondo parallelo, una sorta di alieno sceso dallo spazio per fargli conoscere una nuova civiltà. Era ridicolo. Anche se un po’ mi sentivo anche io così, dovevo ammetterlo.
«Tu, sei vergine?».
Trattenne l’ennesima risata e io socchiusi le palpebre.
«Mh?» borbottai.
«No, scusa, ma posso capire se lo sono io. Ma tu, dai, non scherzare. Avrai centinaia di donne che ti corrono dietro». Accavallò le gambe e mi fissò in attesa di una risposta.
«Io ne volevo solo una», gli risposi. «Lei, Bella, era la mia unica ragione di vita. E ora potrei dire lo stesso».
Non credetti ai miei occhi; Ansel prese un foglietto e cominciò a scrivere le mie parole.
«No, per favore, non scrivere quello che dico», borbottai incredulo.
«Come no, tu hai proprio la stoffa del conquistatore». Scribacchiò qualcosa e poi tornò a prestarmi attenzione. «Allora?».
«Non c’è niente da sapere», tagliai corto e mi abbandonai tra i cuscini, reclinando la testa di lato. «A parte che sono un vampiro e mi nutro di sangue animale perché non amo uccidere esseri umani».
Il viso di Ansel non cambiò espressione, concentrato, continuò a scrivere.
«Fico!» gridò «questo la farà impazzire».
Non potevo crederci, pensava fosse un espediente erotico. Risi, scoppiai a ridere come uno sciocco ragazzino, aggrappandomi al divano. Ansel era simpatico, davvero, mi stavo affezionando a lui, un Emmett in miniatura.
«E parlami di questa Bella, ti piace fisicamente?».
La sua curiosità era alle stelle, decisi di accontentarlo.
«Lei è minuta. Ma è carina, ha i capelli lunghi castani e degli occhi nocciola spauriti che mi piacciono molto. Ed è una sbadata». Il ricordo di lei mi fece sorridere tristemente. «Quanto la amo» sospirai, lasciando cadere la testa all’indietro.
«Sei proprio un matusa» replicò.
Un cosa? Non avevo capito: «Scusa?», chiesi.
«Un matusa, un vecchio. Conosci Matusalemme no, quello decrepito della Bibbia».
Sì, non lo conoscevo di persona per fortuna, ma avrei di gran lunga superato la sua età col tempo.
«Io non sono come te» bofonchiai. Era esasperante.
«Ma cosa c’entra? Non lo vorrei nemmeno io», mi rassicurò, «sto solo cercando di farti pensare in modo normale».
Che gentile. E io che pensavo che volesse farmi arrabbiare. Invece no, stava cercando di farmi parlare per scrivere tutto ciò che dicevo.
«Io sono normale», gli feci presente.
«Sì, e io sono un vampiro», concluse.
Inutile continuare. Mi alzai, guardando l’ora. Potevo far finta di andare a letto e dormire, era più o meno l’orario in cui Bella si chiudeva nella sua stanza per stare con me.
«Non ci credo che hai sonno» sbottò. «E poi devi parlarmi».
Ancora, ma proprio non voleva desistere dalla sua assurda intenzione.
«Bella per me non è un oggetto», digrignai tra i denti.
«Ma lo sai che sei noioso? Desiderare di farlo con una donna non significa necessariamente per forza considerarla un oggetto. Secondo me hai avuto problemi da piccolo»,  giustificò il suo pensiero con un’alzata di spalle.
«Non ho nulla da dirti», feci per andarmene ma lui mi afferrò per un braccio. Mi voltai e lo vidi scuotere la testa e farmi segno di mettermi seduto.
Fu piuttosto insistente, perché non abbassò lo sguardo nemmeno quando lo avvertii con un’espressione eloquente: ero stanco.
«Non mi freghi».
E così mi ritrovai di nuovo seduto.
«Parlami di lei» insisté.
L’avrei fatto se non avessi saputo che avrebbe scritto ogni parola per rivendersela al momento opportuno.
No, dovevo cercare di uscire da quella situazione il prima possibile, ma non vedevo vie di scampo, se non quella di accontentarlo almeno un minimo.
«Cosa vuoi sapere», accettai alla fine.
«La desideravi?», cominciò.
La tortura era appena iniziata. Annuii senza parlare e lui parve comunque soddisfatto della mia risposta.
«Ammetterlo è così terribile?» chiese ancora.
«No», bofonchiai.
Subire una predica da parte di un ragazzino era veramente umiliante. Proprio io poi che potevo leggere nella mente, interpretare i pensieri e capirli. Avrei dovuto prevedere un simile attacco.
«E fin dove ti sei spinto?», insinuò prendendo il suo bel foglietto e la penna.
In quel momento un essere umano stava sconfiggendo un vampiro, e io non potevo fare nulla per impedire di vergognarmi. Come se fossi io il più piccolo tra noi due, quando in realtà conoscevo bene la realtà della vita, le sue sofferenze. Eppure Ansel mi stava mettendo in difficoltà.
«Niente di particolare», mormorai e lo guardai, sperando che la risposta fosse sufficiente. Sollevò le sopracciglia e io capii: «Solo accarezzati».
«Vuoi dire che non ti ha mai visto nudo?».
Lo sapevo che saremmo arrivati a questo punto.
«No, no». Feci una pausa non appena capii che stava per dire qualcosa, forse voleva fare una delle sue battute infelici. «Ed evita di commentare. Te ne sarei grato», lo avvertii.
Si mosse sul divano e imitò la mia voce con sarcasmo: «Te ne sarei grato!». E rise accasciandosi sui cuscini e fissandomi divertito. «Sei troppo fuori tempo».
Ero nato in un altro secolo, quindi sì, aveva proprio fatto un’osservazione esatta, una delle poche però.
«Immagino che stavate insieme da poco tempo», disse.
«Un anno». Questa era semplice.
Ansel si alzò di scatto e raddrizzò le spalle.
«E tu in un anno non hai mai cercato di vederla nuda?». Si batté la mano sulla fronte in un gesto melodrammatico e cadde a terra, fingendosi svenuto. Ma che idiota.
«Non è divertente» farfugliai.
«No, sono  d’accordo. Ma dai non è possibile!» sentenziò sollevandosi a fatica, in modo decisamente teatrale.
Sembrava ubriaco.
«Possibilissimo. Sono un ragazzo all’antica», tentai di spiegargli, come se fosse stato possibile.
«No, tu non sei all’antica, tu sei pazzo! E pensi che questo faccia piacere a una donna? Non essere desiderata, accarezzata, guardata? Non ha senso» gridò quasi e io sperai che Jill non fosse lì nei dintorni pronta ad ascoltare.
Davvero non sarei riuscito più a guardarla negli occhi se avesse saputo che discorsi affrontavo con suo figlio.
«Secondo me dovresti essere un po’ più accondiscendente. Se lei è normale, sono sicuro, ti desidera, rischi di perderla se non farai qualcosa», mi consigliò e io feci una smorfia.
Non riuscivo ancora ad accettare che provasse a fare la parte del fratello maggiore.
«Non ho avuto problemi fino a che non me ne sono andato», borbottai incrociando le braccia al petto e rabbuiandomi.
«Perché lei è una santa! Non le hai mai detto quanto la vuoi, che ogni giorno faresti l’amore con lei? Che ti piace così tanto da perdere la testa quando è con te?».
Ogni tanto mi sembrava di averle detto qualcosa, insomma più volte le avevo ripetuto che era la mia ragione di vita, che la adoravo, più volte avevo ceduto all’istinto di baciarla, accarezzarla. Il profumo di Bella mi faceva perdere la ragione e mi ritrovavo in uno stato di eccitazione quasi bestiale, ma non le avevo mai detto che vicino a lei il mio corpo desiderava tanto… ecco, sì, insomma, la desiderava tanto in quel senso. E soprattutto non con quelle parole.
«Non posso farlo, le farei male» bisbigliai.
«Ma quale male! Lei ti ama, tu la ami, no? Secondo i tuoi canoni questo dovrebbe almeno voler dire qualcosa», rifletté e io ansimai, come se avessi avuto realmente bisogno d’aria.
Cercai le parole più giuste per spiegare, ma alla fine rinunciai: «Certo, che significa qualcosa», sospirai incurvando le spalle.
«Allora amala, non pensare sempre a ciò che è giusto, pensa a ciò che farebbe impazzire entrambi. E sono sicura che a lei tu piaci». Annuì, vicino alla scoperta dell’America.
Bella non aveva mai fatto segreto di desiderarmi. Il modo in cui si muoveva, in cui mi cercava, guardava, abbracciava, baciava, ogni cosa di lei mi diceva: “ti voglio”. E anche io, anche io avevo spesso giocato con le mie voglie e l’avevo stretta, leccata, baciata, ma mi sembrava un tempo lontano. E quando l’avevo vista spogliarsi nella sua stanza, inconsapevole della mia presenza, stringere a sé il mio peluche e sussurrare parole di una tale passione che mi avevano gettato nel desiderio più puro… scacciai quei pensieri.
«Ti sei mai masturbato pensando a lei? Dai io l’ho fatto un sacco di volte», ammise orgoglioso.
Io un po’ meno. Eppure l’avevo fatto pensando a Bella. Mio dio, l’avevo fatto veramente e mi era piaciuta la sensazione.
«Beccato. Sei così rosso che potresti accendere un fuoco». Ammiccò e mi diede una gomitata su un fianco.
Rosso! Ma io ero morto e pallido. Impossibile. E non avevo sangue nelle vene. Evitai qualsiasi tipo di risposta, proprio per non peggiorare la mia situazione. Sembrava comunque soddisfatto.
«Chissà lei, mh? Te lo sei mai chiesto che effetto le fai?».
Deglutii. Non dovevo pensarci, mi avrebbe fatto sperare di poter un giorno capire sul serio quale effetto le facevo, che tipo di sensazioni le davo e con quale intensità. L’avevo vista stare male fino a morire per me, mi domandavo come sarebbe stato darle piacere fino a morire per il godimento. Oddio.
«No, mai» mentii.
«Dovresti farlo, ti fa sentire uomo».
Sperai che fosse l’ultima considerazione e che la smettesse di farmi domande inopportune. Avevo l’impressione che volesse trascorrere tutta la notte a parlare e a curiosare nella mia vita. Evitai di leggere nella sua mente per saperlo.
«Voi due, ancora svegli? Ansel, non pensi che Edward abbia bisogno di riposare?».
Jill fece capolino in salotto e io le lanciai un’occhiata grata, che mi restituì con dolcezza. Mi alzai e mi stiracchiai sotto i loro occhi, con fare affaticato, e poi mi scusai.
«Ma… non avete mangiato niente» disse all’improvviso.
«Non c’è problema, la sera non ho mai molta fame». Come scusa poteva anche essere credibile, perciò non avevo di che preoccuparmi.
«Non fa molto bene saltare i pasti, ma, come vuoi», mi sorrise dolcemente.
Sì, Jill era proprio il mio ideale di madre. Dai miei ricordi non emergeva nulla sulla mia vita passata, o quasi, ormai lontana, ma lei mi faceva ricordare proprio una bella mamma. Ero certo che una madre avesse persino il suo stesso odore. Era un profumo delicato e semplice. Pensai a Esme e al suo tentativo di essere una madre per me: non l’avevo mai capita.
«Vado, allora», mi accomiatai con una sorta di mezzo inchino.
Jill mi guardò e arrossì, Ansel mi fissò con due occhi sbarrati, meravigliato da un gesto simile.
«Sulla destra, la seconda porta», disse, la voce flebile.
Le sorrisi, grato, e il suo rossore aumentò. Ma poi si riscosse e la sua mente continuò a martellarsi col pensiero che io fossi solo un ragazzo. E giovane per giunta.
Mi incamminai verso la mia nuova camera e pensai che le giornate non sarebbero più state monotone. Ansel certo avrebbe fatto di tutto per scavare nella mia vita, mentre Jill mi ispirava fiducia. Aprii la porta della stanza ed entrai, certo che il nuovo giorno mi avrebbe riservato novità.
«Tutto cambia quando trovi amici vero?».
La bambina. Mi voltai nella direzione del letto e la vidi seduta, dondolava le gambe.
«Non sono amici», puntualizzai.
«Gli amici non devono essere uguali, gli amici sono semplicemente amici», mi spiegò e io mi avvicinai a lei sedendomi sul letto.
«Difficile convivere con degli esseri umani» bofonchiai e la bimba sorrise.
«Non è vero, tu sei molto umano» replicò e poggiò la sua manina sulla mia coscia. «E sei buono» continuò elogiandomi.
«Tu mi sopravvaluti» commentai senza espressione.
«Sei tu che non ti conosci. Ti ostini. Quel ragazzo e quella donna ti vogliono bene», mormorò allungando la piccola mano verso il mio viso.
La presi e la strinsi. Avevo la sensazione di sentire il profumo di Bella nell’aria, così dolce, suo.
«Loro non mi conoscono affatto», le feci notare, stringendo le dita paffute.
Ridacchiò: «Perché non hanno bisogno di conoscerti a fondo per capire come sei realmente».
La guardai negli occhi nocciola e un brivido di emozione mi strinse lo stomaco. La mia piccola Bella: il suo sguardo spaurito, le gote rosse e i lunghi capelli castani.
«Devo andare a letto ora» borbottò sbadigliando.
Le scompigliai la massa di capelli nocciola e la osservai sparire sotto i miei occhi. E adesso? Adesso finalmente avrei potuto pensare a Bella, tutta la notte, con calma, pensare a quanto la amassi, a quanto mi mancasse e a quanto la desiderassi. Già, a quanto la desiderassi.

 

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Capitolo 29
*** Ordinaria follia ***


Buongiorno! E buon fine settimana! :) Lo so, è tanto tempo che non aggiorno, ma sono stata davvero impegnata, nel cuore e nella vita diciamo così. Ora sono in fase di ripresa e sono arrivata per torturarvi nuovamente con i miei capitoli. Ed eccomi ad aggiornare Nadir, finalmente. Continuiamo con questa storia che sta prendendo strane pieghe, ormai Edward sta proprio vivendo una vita diversa e parallela. Chissà che succederà... vi lascio alla lettura, ringraziandovi come sempre per il sostegno e per i commenti. GRAZIE! Malia.

Ordinaria follia.

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Un’intera interminabile notte di agonia. Pensare… da quanto tempo non facevo uso del pensiero in modo così intenso? Bella stava diventando un’ossessione dolorosa. Non era più un pensiero felice, ma una sofferenza che bruciava la mia anima e non lasciava spazio alla coerenza. Lei, i nostri ricordi, i nostri momenti, erano diventati fuoco, non c’era più alcuna bellezza nell’evocare noi, no, c’era solo un cumulo di macerie che ricadeva pesantemente su di me.

E i tentativi di nascondere, di soffocare questa nuova realtà mi portavano solo altro dolore, mi facevano sentire estraneo nel mondo, solo, più solo di come mi ero sentito in passato.
«Cosa non va?».
Quel giorno la pioggia cadeva fitta, questo non mi aiutava a superare l’angoscia che avevo nel cuore.
«Tanti pensieri», proruppi sincero.
«Pensieri su di lei?» domandò Jill sedendosi accanto a me.
Quella donna era una buona lettrice di anime, sapeva ascoltare senza giudicare e spingeva le persone alla confidenza.
«Nessun pensiero, solo… non so spiegare», farfugliai, le braccia piegate sul tavolo e lo sguardo basso.
«Si chiama mancanza», suggerì.
Alzai la testa e la guardai negli occhi.
«La mancanza è dura da sopportare, è un fuoco che brucia dentro e distorce spesso la realtà che vivi». Mi portò una mano alla guancia con un sospiro e mi rivolse un’occhiata comprensiva.
«Abitudini, attimi, parole, momenti, sono lì, pronti per rimbombare nella tua mente, e tu non puoi farci nulla, non hai la forza per fare nulla», continuò, la voce bassa, avvilita.
Lei aveva provato lo stesso per suo marito. Rimasi in silenzio, il suono della pioggia a cullare quel momento e il ricordo delle volte che avevo tenuto Bella stretta a me nelle notti di pioggia mi provocò una forte fitta allo stomaco. Non c’era niente che potesse distogliermi dal pensiero di lei.
«Come si fa a distogliere la mente» le domandai.
«Sei sicuro di volerlo fare? Ammettilo, tu non lo vuoi fare», mi disse. «Se lo facessi il suo ricordo così vivo dentro di te, morirebbe, e tu stesso non vuoi che lei abbia una fine, nonostante vi siate lasciati».
Nessuna spiegazione sarebbe stata più vera. Bella era dentro di me, nel mio cuore, e nonostante tutto io non volevo che andasse via e non sarei mai riuscito a sradicarla. Il mio amore per lei era immutabile come le stagioni della mia vita: costanti.
«Se vuoi invece distogliere per un attimo il pensiero, ma non il cuore, prova a trovare qualcosa che stimoli il tuo interesse», commentò.
«Ti hai fatto così?», la interruppi.
Ci pensò su, la mano sul mento. «Credo di aver pianto tutte le mie lacrime prima di raggiungere questo tipo di consapevolezza. Evidentemente tu sei più forte, ma anche più giovane».
Sulla mia giovinezza non ci avrei scommesso molto, né sulla mia forza di volontà che aveva solo peggiorato le cose: aveva infatti insistito per stare accanto a Bella a tutti i costi. E ora? Ora sarei tornato indietro, lo ammisi, sarei tornato da lei. Il suo profumo, la sua voce, le sue labbra, il suo amore per me: mi mancava, e non era una mancanza normale, soltanto un bisogno come tanti, era una necessità vitale. Bella in fondo era la mia droga.
«Non c’è modo di far tornare quello che è stato per me», ricordò a se stessa, «ma per te è diverso. Non devi forzarti a dimenticare. Ho la sensazione che il destino vi voglia insieme».
Sorrise strizzandomi l’occhio e io sentii il bisogno di consolarla, di prenderle la mano e ripeterle all’infinito quanto stupido fosse stato suo marito a scappare con un’altra. Jill non era solo una brava donna, era una persona fantastica. E persino io, vampiro con qualche anno di esperienza in più, stentavo a credere all’esistenza di una persona così disponibile con gli altri, così buona.
«Jill, ma tu cosa desideri per te stessa?» le domandai allora, incuriosito.
«Non lo so» rispose. «Se mi stai chiedendo cosa voglio farne della mia vita, be’, ora sto andando avanti giorno per giorno senza farmi alcuna domanda».
Non mi riuscii difficile capirla: anche io avevo preso in passato la stessa decisione, quando i giorni si erano susseguiti tutti uguali, noiosi, privi di colore e luce. Pensavo che non ci fosse aclun modo per colorare e dare senso alla mia esistenza, ma poi…
«L’amore è forte, ma distruttivo». Sorrise.
«Troverai qualcuno che lo renderà solo forte» le dissi, e non stavo affatto parlando per convenevoli. Ne ero certo. Qualsiasi uomo al fianco di Jill si sarebbe sentito se stesso, avrebbe potuto amarla facilmente.
«E tu? Tu eviterai di distruggerti prima di tornare insieme a lei?» mi chiese.
«Non so se tornerò…» mi bloccai quando la sua mano si portò di fronte alla mia bocca per farmi tacere.
«Vedo i tuoi occhi quando me ne parli, vedo una consapevolezza profonda» parlò «e vedo tanto ardore, tanto desiderio. Tu tornerai da lei, Edward, e non perché lo vuoi. Semplicemente perché non puoi farne a meno».
“Semplicemente perché non puoi farne a meno”. Questa era la realtà? Io sarei comunque tornato da lei? Ripensai alla sofferenza che le avevo causato, all’angoscia, alle notti insonni, a quell’amore dimostratomi: così folle, pazzo, assoluto.
«Anche lei dice lo stesso» bofonchiai sovrappensiero.
«Lei chi?», ribatté.
«Oh». Mi accorsi solo allora di aver parlato ad alta voce.
«La persona con cui parlavi nella tua stanza la prima notte che sei arrivato?» insinuò e io sgranai gli occhi, voltandomi completamente verso di lei.
«Ti ho sentito attraversando il corridoio». Fece spallucce.
Non potevo crederlo. I suoi occhi non esprimevano nulla, mi fissavano tranquilli in attesa di risposta. Sembravano calmi. Qualsiasi altro essere umano mi avrebbe creduto pazzo, privo di ragione, eppure lei no, Jill continuava a guardarmi, seduta accanto a me, lo sguardo fiducioso.
«È lei. Mi parla credo sotto forma di una bambina», le confidai, lentamente, soppesando le parole.
«Sei sicuro che invece non sia tu a proiettarti la sua immagine quando ne hai bisogno?» constatò.
Ci avevo pensato, avevo pensato che lei fosse solo la mia coscienza in realtà. Ma a volte la sentivo come una presenza estranea, a volte invece come intimamente legata a me. Non era così semplice capire chi fosse, e non era affatto semplice comprendere le sue parole.
«Comunque, a prescindere da chi sia, perché tu stesso non lo sai, lei ti ha detto che tornerete insieme» continuò Jill, alzandosi per versarsi un bicchiere d’acqua.
Anche la cucina, come il salone era uno spazio accogliente in quella casa. Annuii, ma non risposi nient’altro.
«Saggia, la tua coscienza, oppure la tua ragazza, che ti rivuole indietro». Ridacchiò e io sorrisi con lei.
Un sorriso nostalgico, pieno d’affetto, ma anche di disagio. Probabilmente quello di tornare da Bella era solo un mio desiderio intimo, non la realtà dei fatti, un impulso istintivo che mi portava a credere che saremo tornati insieme.
«Tornerete insieme», bofonchiò con esasperazione e prese un cucchiaio di legno dal cassetto delle posate puntandomelo contro.
«Non, non lo so» ammisi.
«Sì, Edward, evidentemente manca qualcosa in te, qualcosa di importante. Altrimenti non ti saresti mai allontanato da lei». Si chinò per afferrare una pentola e la riempì d’acqua, mentre il mio sguardo la seguiva esterrefatto. Aveva capito ciò che io avevo impiegato mesi per comprendere.
«Lei, la bambina, dice che devo cercare me stesso». Ero sicuro che non mi avrebbe preso per folle.
Jill si voltò pensierosa, appoggiandosi al lavello, dopo aver acceso il fornello.
«A me sembri uno che si conosce abbastanza, soprattutto per l’età che hai, ma forse c’è una profonda mancanza dentro di te, un nodo che devi scegliere. A volte il fato è un po’ oscuro» riprese e mise il coperchio sulla pentola, voltandomi di nuovo le spalle.
Un nodo da sciogliere… tornai col pensiero a mia madre. Era lì che sentivo di dover andare, ero sicuro di trovarla nel mausoleo di famiglia, dov’era anche sepolto mio padre. Erano lì, ormai da troppo tempo, in un cimitero storico alle porte della città. E forse la chiave di quel viaggio era proprio la mia famiglia.
«Ho la sensazione che tu mi nasconda qualcosa, ma non ti chiederò nulla» bisbigliò, sollevandosi sulle punte dei piedi per prendere un pacco di pasta troppo in alto.
Non avrei saputo cosa risponderle, perché non volevo mentirle, ma non potevo dirle la verità. Probabilmente avrebbe potuto capire ogni cosa di me, ma non che io fossi un vampiro, un assassino, una creatura oscura. Preferii non dire nulla e continuare a rimuginare su me stesso e su ciò che mi avrebbe atteso nel prossimo futuro. Senza Bella davvero stentavo a vedere qualcosa per me.
«Ho capito. Non vuoi dirmi nulla, ma forse non rimarrai qui ancora a lungo. Dico bene? Ad Ansel dispiacerà» constatò tristemente.
Anche io mi ero affezionato a lui. Nonostante il suo squilibrio da adolescente, potevo dire che lui era senza dubbio il mio primo amico: amico umano.
«Gli piaci» disse.
«Mi considera un vecchio» le risposi.
Dopo l’ultimo discorso sulle donne ero convinto delle mie parole. Jill scosse la testa e mi lanciò contro uno straccio da cucina.
«Non è vero, ti stima. Non ha mai trovato qualcuno come te, con i tuoi pensieri, le tue idee in merito alle donne. Credo voglia solo insegnarti a lasciarti un po’ andare», mi lanciò un’occhiata divertita. « E forse non ha tutti i torti, sei sempre sulla difensiva».
Io? Sulla difensiva? Di solito erano gli esseri umani a volermi stare lontano, mentre Ansel e Jill sembravano trovarsi bene accanto a me. Questo mi stupiva.
«Forse esagera». Mi passai una mano tra i capelli, sistemandoli imbarazzato e Jill rise. «Io sono un tipo molto all’antica», ammisi.
Non c’era affatto bisogno di dirlo, lei aveva intuito dal mio modo di fare e di pormi che ero un ragazzo d’altri tempi. Tornò a sedersi accanto a me e questa volta mi prese la mano tenendola tra le sue. Mi irrigidii. Ero freddo, maledizione, non volevo che si facesse domande o che mi trovasse strano. Strofinò le sue dita contro le mie, senza dire nulla, e poi cercò i miei occhi; sempre così, anche al lago, lei non mi faceva domande.
«Questo mi piace di te, ma ricordati che si può essere all’antica in molti modi al giorno d’oggi».
Aggrottai la fronte, senza capire cosa volesse dirmi. Allungò di scatto una mano per scompigliarmi i capelli e sfiorarmi la fronte; non mi ritrassi e godetti di quella manifestazione chiara d’affetto.
«Secondo me lo sai Edward, non fare quella faccia perplessa».
Scoppiai a ridere di fronte al broncio che aveva imposto alle sue labbra. Per nulla credibile. Tornò verso i fornelli e alzò il coperchio aggiungendo del sale nell’acqua.
Sentii la porta accostarsi e qualcuno entrare, mentre Jill, distratta dalla cucina, non aveva fatto caso a quel rumore, o non l’aveva sentito. Mi sporsi e riconobbi la voce di Ansel, bassa, flebile.
«Ho voglia di te».
Guardai verso il soffitto e chiusi la mente, e le orecchie soprattutto: era al cellulare con quella ragazza e non volevo certo ficcanasare nei suoi affari.
Aprì la porta della cucina e sbirciò all’interno, muovendosi verso di me con il telefonino in mano.
“Guai in arrivo”, pensai non appena mi porse l’apparecchio.
«Vuole salutarti», disse con innocenza.
«Eh?» sbottai.
Jill si mise a ridere, ma non fiatò, continuò invece a cucinare, preparando del sugo per gli spaghetti. La vedevo sogghignare e cercare di trattenersi per non fare rumore, ma le sue spalle scosse dalle risa non mi sfuggirono.
«Pronto?» bofonchiai allora, aspettando risposta.
«Ciao, tu sei il famoso amico cavaliere?». Tentai di non guardare Ansel con un’espressione omicida, non volevo fargli accapponare la pelle, ma in quel momento l’avrei volentieri ammazzato con le mie stesse mani.
«Cavaliere?», borbottai stringendo con la mano libera il bordo del tavolo.
Ansel mi fissò speranzoso e mi spinse a dire qualcosa. Riflettei un momento e poi continuai: «Diciamo di sì, hai bisogno di qualcosa?».
Proprio una bella situazione, tra amori adolescenziali. Aspettai una risposta e percepii il suo interesse nei miei confronti: «Strano, ragazzi così non ne esistono più».
Davvero, senza dubbio di ultracentenari in giro come me non ne avrebbe trovati molti. Strinsi le labbra e sperai che non facesse altre considerazioni sul mio conto. Quanto le aveva rivelato Ansel?
«Come si chiama la tua ragazza?» mi domandò poi.
Oh no, non anche lei. Che Ansel volesse farmi dare consigli da una donna? Scostai il cellulare dall’orecchio, deciso a chiudere la comunicazione, ma una gomitata mi arrivò in pieno stomaco e io riportai l’attenzione alla ragazza. Altro che cavaliere, volevo scappare.
«Isabella», bofonchiai di malavoglia.
«E come va tra voi?», curiosò senza alcuna remora.
Mi sistemai meglio contro la sedia e pensai che fosse tutto un brutto scherzo. Io non ero più il ragazzo di Bella, lei non era più mia. Certo, non era più mia.
«Io…» replicai.
Non era più mia, ma io la sentivo ancora legata a me. Ed io ero suo e lo sarei sempre stato.
«Non bene», farfugliai.
«Colpa tua, sei troppo cavaliere, ti sei fatto da parte per farla stare bene, vero? Sei uno stupido, perché lei ti ama e tu le hai spezzato il cuore. A volte a noi donne non importa nulla di soffrire, l’importante è avere vicino chi amiamo». L’ennesima predica, e questa volta da parte di una ragazzina.
Non potevo crederlo: esseri umani che non facevano che mettermi di fronte a uno sbaglio. Il mio. Secondo loro era più importante l’amore che la sicurezza di Bella; ma non sapevano nulla su di me, né su chi fossi in realtà. Ero pericoloso per lei; la mia scelta era stata dettata dalla voglia che avevo avuto di ucciderla il giorno del suo compleanno, dopo che Jasper l’aveva attaccata. Io mi sarei comportato esattamente come lui se non avessi avuto più autocontrollo: la tentazione mi aveva accecato.
Io ero un pericolo.
La mia famiglia era un pericolo per lei.
«Non mi stai ascoltando» si lamentò la ragazza e io tornai improvvisamente a prestarle attenzione.
«Ci sono cose che non si possono cambiare» le feci notare e la sentii sbuffare.
«Solo alla morte non c’è rimedio. Inutile che fai tanto il sapientone, siamo capaci tutti» ribatté e io sorrisi. Anche all’eternità non c’era alcun rimedio, forse avrei preferito di gran lunga la morte, soprattutto al pensiero di dover vivere la mia vita infinita senza Bella: no, non ne sarei mai stato capace.
«Sì, ci siamo lasciati», azzardai così sperando di farla desistere.
«No, tu l’hai lasciata» replicò «Lei a quest’ora starà soffrendo per colpa tua».
Non più. L’avevo vista stare male a causa mia, avevo guardato negli occhi la sofferenza della mancanza che aveva di me, fino a morirne, fino ad annullarsi. Ma ora ero convinto che le cose sarebbero cambiate: Bella avrebbe trovato il suo sole e si sarebbe dimenticata di me.
Una fitta al petto mi fece istintivamente piegare in avanti: il mio cuore.
«Se non farai qualcosa lei si aggrapperà a un altro, troverà qualcuno che possa prendere il tuo posto. È quello che vuoi?».
Non la smetteva di parlare. Anche quella bambina, la mia coscienza o forse no, mi aveva avvertito: Bella avrebbe trovato una persona in grado di proteggerla, in grado di riempire quel vuoto. E la scelta sarebbe spettata a me, se lasciare che lei appartenesse a un altro, oppure tornare e riprenderla  
«No, non voglio questo», sussurrai e sentii la mano di Ansel sulla mia spalla. Inconsapevolmente avevo già fatto una scelta.
«Per questo dobbiamo educarlo e farlo svegliare dal sonno in cui si trova» urlò, in modo da farsi sentire da lei.
Sussultai, ammutolendo. Cosa stavano pensando di fare?
«Concordo. Ora devo proprio andare, è stato un piacere parlare con te. Ciao», e chiuse la conversazione.
Un semplice click per finire un discorso. Peccato che invece io avrei riflettuto per ore sulle sue parole. Ogni cosa aveva deciso di parlarmi e indirizzarmi verso un cambiamento: ammesso che i vampiri potessero in qualche modo mutare.
«Tu hai bisogno di emozioni forti, te l’ho detto. E anche lei lo pensa. Non è fantastica?», commentò sognante.
Senza dubbio aveva un bel caratterino e non così facile. Appoggiai il gomito sul tavolo guardando Jill di sottecchi: ci voltava ancora le spalle, e sembrava indaffarata, ma aveva ascoltato ogni cosa ed ero sicuro che stesse sorridendo, divertita dalla situazione.
«Io sono sveglio, sveglissimo», feci notare ad Ansel, porgendogli il suo cellulare.
«No, tu hai paura di vivere le emozioni fino in fondo» mi rimproverò «e io ho intenzione di dimostrartelo. Dopo il discorso dell’altra sera ti farò conoscere alcune ragazze e tu dovrai semplicemente…».
Lo fermai prima che potesse concludere il suo folle discorso.
«Io non farò assolutamente niente con nessuna di loro».
«Ma si tratta di sesso non di amore! Almeno così potrai far felice la ragazza che hai lasciato». Ansel era deluso dalla mia risposta e io non ne capii la ragione.
Non mi sembrava di essere così lontano dall’epoca attuale, eppure il suo sguardo incredulo mi diceva il contrario. Era come se non credesse alle proprie orecchie.
«Amore e sesso sono due cose diverse, e tu non avrai certo problemi a…» si fermò facendomi segno con la mano di capire.
Non voleva dirlo di fronte a sua madre, che stava ascoltando tutto con molta attenzione, ma faceva finta di non esserci.
«No, Ansel, grazie, ma non è così che mi è stato insegnato quando ero ragazzo». Ecco un modo per sentirmi vecchio: ammettere di esserlo.
«Sì, nella tua era prima di Cristo. Ehi, abbiamo la stessa età! Solo che tu sei messo proprio male e io ti aiuterò», disse con assoluta e ferma convinzione.
«Ansel…» lo rimproverò Jill finalmente.
«Mamma non dirmi che non ho ragione. Edward è spento» si giustificò alzando le braccia e incrociandole al petto.
«Smettila. Se a lui non piace il sesso, non puoi costringerlo» tagliò corto lei.
Sgranai gli occhi e li guardai entrambi, confuso. Io non avevo mai detto una cosa simile. A me il sesso piaceva: forse. Non l’avevo mai provato ma questo non significava nulla. Ero un ragazzo normale con istinti e desideri normali.
«State esagerando» bofonchiai, molto infastidito.
Jill mi osservò, un sorrisetto strafottente sulle labbra. E così anche lei stava cercando di urtare la mia sensibilità per farmi uscire allo scoperto. Soffocai il moto di rabbia e chiusi la mia mente alla sua: meglio non leggerle nel pensiero.
«Noi? Guarda che sei tu quello represso» ribatté Ansel.
«Non sono represso, ma innamorato. E nella mia mente c’è posto solo per lei» sbottai, ora fuori di me.
«E allora perché l’hai mollata… idiota!», gridò, spostandosi verso il frigorifero e prendendo una lattina di Fanta.
«Te l’ho spiegato», borbottai.
«Hai detto solo che volevi proteggerla da te stesso e stronzate varie. Nemmeno nel Medioevo facevano queste cose» commentò aprendo la linguetta e bevendo un sorso.
«Non voglio discutere», ringhiai quasi e Jill mi fissò sorpresa.
«Ah, certo, nasconditi. Quello lo sai fare benissimo. Io cercavo solo di aiutarti!», sbraitò e uscì veloce dalla cucina sbattendosi la porta alle spalle.
Percepii i suoi passi nel corridoio e poi il rumore della porta della sua stanza, sbattere e chiudersi.
«Forse dovrei andarmene» mormorai tristemente.
«O forse solamente capire che Ansel ti vuole bene e che si preoccupa per te» sussurrò Jill dietro di me.
A volte gli esseri umani, nonostante la loro mente mi fosse completamente aperta, riuscivano a sconvolgermi. Non era così facile leggere nei loro cuori, tanto quanto invece era semplice per me leggere nella loro mente. Era più di un secolo che consideravo gli umani con semplicità, ora mi rendevo conto di non dover affatto sottovalutare l’anima umana.

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Capitolo 30
*** Partenza ***


Questa fanfiction non viene aggiornata da ottobre dello scorso anno, mi scuso tantissimo. La mia idea era di finire prima le altre per dedicarmi a questa, ma siccome è infattibile un proposito del genere non ci sono riuscita. Quindi ho deciso di riprendere e in qualche modo dedicarmi a tutte le mie storie in successione. Mi dispiace per chi ha trovato interessante Nadir e ha dovuto aspettare così a lungo, ma sono tornata, spero tanto possiate perdonarmi per l'assenza prolungata. Detto questo vi lascio al capitolo... si stanno aprendo nuovi orizzonti. :P Non vi svelo nulla.

Grazie a chi ha commentato, a chi mi ha dato coraggio per continuare. GRAZIE di cuore. Non mi sono dimenticata di voi.

Malia.

Partenza

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Il problema principale ora non era tanto dimenticare Bella, quello era impossibile, ma convincere Ansel che non ero interessato ai suoi consigli su ragazze e sesso.
Aveva iniziato a presentarmi delle sue amiche, con la speranza che ne venissi in qualche modo attratto. Purtroppo non era stato così. Per quanto le donne mi piacessero, la mia mente tornava continuamente a Bella e mi faceva soffrire anche solo notare lo sguardo deluso di una ragazza, oppure sentire sofferenza nei suoi pensieri a causa mia.
Quella sera mi ero lasciato convincere ad andare al pub: Ansel, la sua ragazza, io e una sua amica.
Facevo fatica a rimanere attento sulla conversazione; i pensieri di Leana, così mi era stata presentata, erano inequivocabilmente interessati a ben altro che non fosse un discorso tra amici.
“Lo vorrei spogliare”, ripeteva la sua mente. “Non ho mai visto un ragazzo così bello” continuava cantilenante.
Ero al limite di una crisi di nervi e mi domandavo quante volte Bella aveva fatto apprezzamenti su di me nella sua testa. Solo il pensiero che il mio piccolo Bambi avesse in qualche modo desiderato me, sì, proprio me, che l’avevo rifiutata mi faceva correre brividi di desiderio per tutta la schiena.
«Allora, Edward» mi domandò lei, lo sguardo fintamente innocente. «Cosa hai detto che fai nella vita?».
«Sono uno studente. Sto, ecco, sto viaggiano per schiarirmi le idee» risposi. “E per stare lontano dall’unica persona che mi fa sentire vivo”, aggiunsi segretamente nel mio cuore.
«Fantastico, amo gli uomini a cui piace viaggiare» continuò appoggiandosi alla mia spalla con noncuranza.
Avrei voluto lanciare qualcosa contro Ansel, che era intento e concentrato a baciare la ragazza di cui era innamorato.
«Sì?» proruppi senza sapere cos’altro dire. «Mi fa piacere» mentii.
Non ero in grado di intrattenere una conversazione con esseri umani di sesso femminile che non facevano che desiderarmi. Nel suo cervello c’era solo un desiderio: me nudo sopra di lei. Ma mentre Leana immaginava se stessa in quelle posizioni che avrebbe voluto sperimentare, io mi sentivo terribilmente in imbarazzo, perché pensavo a Bella, alla mia Bella, e il mio corpo reagiva a quel fuoco per lei.
«Allora Ed» si svegliò finalmente Ansel. «Ti piace Leana?».
La ragazza accanto a me non accolse di buon grado il mio prolungato silenzio e mi portò una mano tra le cosce per dimostrare che faceva sul serio. Sobbalzai e maledii il momento in cui mi ero lasciato convincere da Ansel. Dovevo immaginarlo che aveva in mente qualcosa che non mi sarebbe affatto piaciuto.
Rimasi immobile, scioccato dal fatto che Leana accarezzava come un’esperta la mia erezione. Il mio amico umano, invece, sghignazzava, nello sguardo una luce maliziosa.
«Scommetto» sussurrò. «Che vorreste stare da soli».
«Scommetti bene» fece le fusa Leana.
No, non aveva capito. Per educazione non risposi, tentando di fargli capire con uno sguardo d’acciaio che non gradivo le insistenza a cui mi stava sottoponendo. Non volevo una donna qualsiasi, ma Bella. E se non potevo avere lei, nessun’altra mi avrebbe toccato.
«Senti, Leana» mormorai, afferrandole la mano, ma lei non aveva alcuna intenzione di interrompersi e schiuse le labbra alla ricerca di un bacio.
Deglutii e cercai nella mia mente una buona scusa per non baciarla.
«Sono omosessuale».
Fu l’unica cosa che mi venne in mente e che riuscì a frenare i bollori della giovane. Ansel sputò la birra che stava bevendo che bagnò la sua amica interamente. Leana iniziò a lamentarsi guardandosi mortificata il vestito bagnato, mentre io osservavo lui alzarsi in piedi e farmi cenno di seguirlo.
Non avevo scampo.
Mi spinse verso il bancone e io mi lasciai condurre; non volevo reagire, il rischio era quello di fargli davvero male.
«Che ti salta in testa?» mi chiese, furioso.
«Ti ho detto che non voglio una donna. Io amo già una persona e non è quella ragazza» sbottai, incrociando le braccia al petto.
«Certe volte sembri un bambino capriccioso. Per te andrebbe bene mia madre» sussurrò ma io capii ugualmente le sue parole, il mio udito non si lasciava ingannare dai rumori.
«Ansel» cercai di spiegare.
«Senti, io ti sto aiutando, in tutti i modi. Sei mio amico, mi hai aiutato, insomma… mi sono affezionato a te, ti voglio bene. Per quale motivo devi essere sempre così scostante con le ragazze?» sbottò esasperato.
«Io…» bisbigliai, sapendo di averlo deluso. «Senti, per quanto ti possa sembrare assurdo, anche io mi sono legato a te. Ma smettila di farmi da agenzia matrimoniale, non sto cercando una moglie» urlai per farmi sentire meglio nel vociare lì  intorno a noi.
«Che cazzo dici eh? Te la devi scopare, non amare. Pensa pure a quella che ami, come si chiama? Lei insomma. Si fa così sai, quando si sente dolore. Sto cercando di farti stare meglio. Hai sempre la faccia di uno che sta per attraversare l’inferno. Non voglio vederti così e nemmeno mia madre».
Rimasi in silenzio. Lo guardai e vidi il suo viso rosso di rabbia, le guance paonazze e gonfie, gli occhi pieni di sensi di colpa.
“Mi dispiace” mi diceva la sua mente.
Scossi la testa e mi avvicinai, dandogli una pacca sulla spalla. «Bevici su qualche birra, tanto guido io. Non fa niente, lo so che lo hai fatto per me».
Detto questo tornai indietro e sperai che mi raggiungesse. Come aveva fatto quel ragazzino umano a diventare così importante? Non avevo mai legato con gli umani, eppure con Jill e Ansel era successo. Loro non avevano paura delle mie stranezze. Jill non faceva domande sulle mie bizzarrie e io scendevo a patti con una vita tanto diversa dalla mia per lei. A volte mangiavo con loro e mi ero quasi abituato al sapore di quel cibo vomitevole. Poi uscivo e andavo a caccia di qualche lepre o cinghiale, che mi faceva più gola. Ma Ansel non mi aveva mai domandato il motivo delle mie passeggiate notturne.
«Ehi, bentornato» disse Leana imbarazzata quando mi risedetti al suo fianco.
«Scusami» bofonchiai, vergognoso.
«No, io, perdonami tu, non lo sapevo» balbettava. «Se lo avessi saputo non avrei mai…» si bloccò arrossendo e io mi sentii uno sciocco per averle mentito.
“Lo sapevo, quelli così belli di solito non sono mai disponibili” continuava a pensare.
Non ricordavo di aver mai vissuto un momento tanto imbarazzante in più di cento anni di vita, né da umano, né da vampiro.
«Ti offro una birra» disse poi alzando una mano per fare cenno di portare altre birre.
«Ecco io…». Dovevo dirle anche che ero astemio?
Ansel tornò al tavolo e mi diede un calcio sugli stinchi non appena mi vide scuro in volto.
«Lui deve guidare Leana» mi salvò. «Lascia stare, berrà un’altra volta».
La serata si concluse in modo pietoso. La ragazza di Ansel si era fatta un’idea completamente sbagliata di me. Pensava che avessi avuto paura di confessare la mia omosessualità e tentava di consolarmi, mentre Leana era scappata via, si era fatta venire a prendere da suo padre.
Una ragazzina in confronto a me, pluricentenario. “Già, ma a Bella ti sei interessato ugualmente”. Salii nella Volvo e aspettai che gli altri facessero altrettanto. Chiusi gli sportelli partii e tornammo a casa in silenzio, perfetto e consolante silenzio, anche di pensieri.
Lasciammo prima la ragazza e poi con un’inversione di marcia riprendemmo la strada di casa.
«Non voglio che te ne vai» esplose d’improvviso Ansel.
Mi voltai di scatto, stupito, e socchiusi gli occhi: «Devo farlo. Io ti ringrazio per la tua ospitalità, ma io ho una famiglia e…». Ma non mi fece terminare.
«Lo so. Ma sei l’unico vero amico che ho. Persino mio padre mi ha abbandonato, e la mamma è contenta che ci sei e stai con me» rispose torturandosi le mani. «E potresti far venire la tua ragazza qui, a stare da noi».
Scoppiai a ridere. Bella lontana da Forks, per me. Forse in passato lo avrebbe fatto, mi avrebbe seguito ovunque avessi voluto, per quell’amore che diceva essere totale. Ma ora? Mi odiava? Si era ripresa? Si era innamorata? Le domande che mi ossessionarono mi resero triste e tornai a rabbuiarmi.
«No, eh?» farfugliò Ansel battendo un pugno sul sedile.
«Purtroppo devo andare. Tornare dove sono nato per capire tante cose» gli confidai.
«Ci mancherai. Molto». Ma non disse altro fino a quando non fummo sul viale di casa sua, quando Jill uscì in piena notte e corse verso di noi con il fiatone.
Aggrottai la fronte e parcheggiai in tutta fretta.
«Cosa è successo?» le domandai allora.
«Qualcuno ti ha cercato. Era la voce di una donna» mi disse. «Mi ha detto di essere tua sorella».
Alice, pensai subito.
«Cos’ha detto?» continuai, in pensiero per loro. Avevo lasciato la mia famiglia a vagare alla ricerca di una sistemazione. Ero uno sconsiderato ed egoista.
«Ha chiesto se stessi bene, perché è preoccupata per te. Dice che sta per accadere qualcosa, lo sente, ma non sa esattamente cosa. Non le è mai capitato di non capire».
Niente di positivo. Ma come aveva fatto Alice a rintracciarmi? Una visione, indovinai, non poteva essere altrimenti.
«Devo partire domani» sentii il bisogno di dire e Jill annuì, senza dire nulla.
La ringraziai per avermi aspettato alzata, ma lei mi fece segno di non preoccuparmi.
«No, davvero, Edward, non devi affatto sentirti in colpa perché devi partire. Promettimi che tornerai un giorno o l’altro. E invitaci al tuo matrimonio» ridacchiò.
Le promisi che l’avrei fatto e mi rifugiai in camera sotto lo sguardo desolato di Ansel. Con quella famiglia mi sentivo a mio agio, ma a lungo andare avrei certo sentito la differenza e anche a loro sarebbe pesata. Non potevo dimenticare chi ero, ciò che ero, nonostante il mio affetto.
Pensai tutta la notte al viso di Ansel, triste e deluso. Mi aveva chiesto di non andarmene, di rimanere, ma io dovevo, sentivo più che mai il bisogno di ritornare alle mie radici. E dopo la telefonata di Alice avevo la netta impressione che dovessi affrettarmi, perché avrei presto trovato delle risposte. Mia sorella non aveva mai avuto problemi nelle sue visioni, cosa stava succedendo? E perché?
L’idea di andare via ora mi metteva una strana eccitazione in corpo.
La mattina giunse in fretta; il sole sorse all’orizzonte e io uscii dalla stanza, pronto per salutare tutti. Diedi un’ultima occhiata all’interno e sorrisi. Nell’armadio c’erano i vestiti che mi aveva prestato Ansel, le sue cose, tutt’intorno c’era la cura e l’affetto di Jill, che aveva cercato di farmi sentire accettato e amato. Poco tempo, ma tanta simpatia nei loro confronti.
Chiusi la porta ed entrai in cucina, dove Jill e Ansel mi aspettavano di fronte alla colazione.
«Buongiorno!» urlò lui, ostentando una felicità che non provava.
Mi sedetti e lo guardai: «Smettila, so che sei arrabbiato con me».
A quel punto intervenne Jill: «Non ha diritto di chiederti di restare, eri solo di passaggio, e lui lo sapeva».
Comunque lo capivo. Nemmeno io avevo mai avuto tanti amici, e mi dispiaceva lasciarlo solo, quando sapevo che lui contava su di me.
«Ascolta Ansel» tentai di spiegargli. «Devo assolutamente tornare indietro per capire cose su di me che mi sono sempre chiesto senza mai avere risposta».
«Non mi devi spiegare nulla, lo so, non riesco a fare a meno di credere però che staresti meglio con noi. Sei come un fratello per me».
Mi avvicinai e gli diedi una gomitata nelle costole: «Ti inviterò a casa mia quando mi sarò sistemato».
Probabilmente era una menzogna, ma non potevo lasciarlo senza fargli credere che ci saremmo rivisti. Le possibilità erano poche, ma mi sarebbe piaciuto un giorno tornare da loro e raccontare una storia a lieto fine, quella che Jill tanto sperava per me. Ma ormai avevo perso le speranze quando avevo perso Bella, anche se Jill non ci credeva.
«Ti preparo dei panini per il viaggio Edward?».
Era così gentile, una vera mamma. Non provai nemmeno a negarle quel piccolo gesto di commiato.
«Con piacere» le risposi, alzandomi per andarle a baciare la fronte.
Mi abbracciò, stringendomi forte, e io ricambiai l’abbraccio. Il mio cuore fermo si era sciolto per quei due umani, così onesti e sinceri.
«Te ne vai troppo presto, e all’improvviso. Lo fai perché ieri notte ti ho fatto quella richiesta, vero? O perché ti sei offeso per quell’ennesimo incontro con una ragazza? Non te li combino più, lo giuro» borbottò Ansel prendendo una fetta di torta alla frutta appena sfornata.
«Non è quello, credimi. Anche se non ti ho mai chiesto di presentarmi nessuna. Ma sì, mi hai fatto riflettere. Rimanere da voi è un piacere e diventa sempre più difficile andarmene via, perciò devo».
Terribile spiegazione, ma cos’altro potevo dire. Devo capire il vampiro che sono? Prima o poi vi accorgerete che mangio pochissimo e ho bisogno di sangue? La mia vita era comunque diversa, anche se avrei tanto desiderato essere umano. E quello che più mi mancava era poter donare alla ragazza che amavo una vita normale.
E così presi la via per Chicago; dovevo infatti assolutamente raggiungere al più presto la città dei miei natali. E questa volta, pensai, senza alcuna distrazione.
Mi fermai ad una stazione di sosta sull’autostrada solo per chiamare Alice.
«Edward!» urlò al telefono non appena sentii il primo squillo. Già sapeva che l’avrei contattata.
«Alice» la chiamai, felice e sollevato di sentire la voce di mia sorella.
«Stai meglio, vero?» affermò, più serena. «Lo sento, quegli umani ti hanno fatto bene».
Risi. Sapeva sempre tutto, inutile cercare di nasconderle qualcosa: «Sì, è vero. Ma dimmi cosa succede».
«Succede che non riesco più a vedere il futuro di Bella. È successo a un tratto, le visioni su di lei sono diventate sempre più scure, fino a che ora penso mi sia impossibile vedere qualcosa che la riguardi» mi spiegò, la voce perplessa.
Sollevai le sopracciglia, sorpreso. Il potere di Alice di solito non aveva limiti alcuni, perciò era stupefacente una cosa simile. A meno che…
«Alice stai cercando di dirmi che Bella potrebbe morire?» ansimai, tornando a sentire quel peso insistente che mi schiacciava il cuore nei momenti di solitudine e dolore.
«No… no» balbettò lei, insicura. «Non volevo dire questo. È solo che è strano, come se ci fosse qualcuno a bloccare la visione su di lei. Una sorta di muro».
Il respiro non voleva saperne di tornare a ossigenarmi i polmoni, anche se non ce n’era alcun bisogno, ma ugualmente percepivo l’ansia e l’angoscia di non sapere cosa stesse succedendo a Bella.
«Alice, è dura e fa male» le confidai, di nuovo stanco. Stanco di stare lontano da quell’amore che sarebbe durato l’eternità, almeno per me.
Dov’era la serenità passeggera condivisa con Ansel?
«Perché non torni con noi, Edward, starai meglio. Ah, ma so che è inutile, stai andando a Chicago, dai tuoi genitori. Fa quello che devi, io ti voglio bene» bisbigliò comprensiva. «E ogni volta che avrai bisogno, ricordati della tua famiglia». Si bloccò e poi riprese lamentandosi: «E comprati un cellulare rintracciabile».
«Grazie» le risposi sorridendo, ben sapendo quanto fosse preoccupata per me.
«Ma smettila» sbottò soffiando nella cornetta. «Piuttosto non ti lasciare morire di fame. Se soltanto vedo che non ti stai nutrendo verrò a cercarti, intesi?».
«Intesi» conclusi con una leggera smorfia sulle labbra.
Parlare con Alice faceva sempre riemergere vecchi ricordi dolorosi: Bella che conosceva la mia famiglia, Bella che non aveva paura, Bella… e solo Bella.
Agganciai la cornetta con un senso di strazio nell’anima. Forse il mio piccolo Bambi si stava semplicemente allontanando da me, per questo Alice non riusciva a vederla, non provava più nulla per me e mi aveva dimenticato.
Deglutii, percependo la sofferenza insinuarsi sotto pelle e scorrere nelle vene.
«L’ho voluto io» borbottai poi. «Sono io il responsabile. Di cosa mi lamento?».
Tornai verso la Volvo e ripresi il mio viaggio verso Chicago. Avrei ancora trovato il cimitero storico dove erano stati sepolti i miei genitori? Pensai a lungo al luogo dove potevano essere sepolti, cercando nella mia mente ricordi che avrebbero potuto darmi indicazioni.
Una cripta. Una cripta di famiglia. La famiglia Masen era stata sepolta lì. Certamente quindi avrei trovato il posto con un po’ di impegno e fortuna.
Rivedere mia madre e mio padre. Non proprio rivedere, ma comunque tornare in qualche modo ad avere a che fare con una vita lontana, quasi sconosciuta, quasi non più mia. Chi era Edward Masen? Era così diverso da Edward Cullen? Forse no.
Il volante stretto tra le dita cambiai marcia per aumentare la velocità quando un flash mi accecò la mente e io chiusi gli occhi come per proteggermi.
«Edward» sentii Bella mormorare nella mia mente. «Edward, sei tutto per me, Edward».
Scossi la testa con foga pensando di essere impazzito, ma un’ondata d’amore mi travolse e continuai ad ascoltare.
Poi l’oscurità divenne visione e io mi ritrovai a guardare Bella nella sua stanza.
Stava bene, sembrava essersi ripresa e questo mi causò dolore. Ma perché, maledizione, perché non ero felice per lei?
«Jake mi sta aspettando, devo sbrigarmi» la guardai urlare a suo padre.
Mi irrigidii e poi tutto svanì in un lampo, com’era venuto. Per un attimo credetti di avere le allucinazioni, ma poi mi convinsi che ciò che avevo visto fosse vero.
Bella pensava ancora a me, in fondo non mi aveva dimenticato ancora. Frenai non appena mi resi conto di non prestare attenzione alla strada. L’idea di un altro uomo con Bella mi faceva sentire uno schifo: se non l’avessi lasciata sarebbe rimasta sempre con me, se non l’avessi lasciata non sarebbe corsa da lui.
Da Jacob Black.
Portai la testa in avanti e la sbattei più e più volte, cercando di farmi male. L’air bag, se avessi continuato, l’avrei fatto esplodere, ma non riuscivo a calmarmi.
«Lei è mia» bofonchiai, stringendo le nocche fino a farle diventare ancora più pallide. «Mia mia mia» ripetevo sofferente, stringendo i denti, sentendo il veleno nella bocca.
Mi gettai fuori dall’auto, guardandomi intorno. C’era autostrada e desolazione, nient’altro. Fortuna che mi trovavo sulla corsia di emergenza.
Avevo bisogno di sangue. La caccia e la velocità mi avrebbero aiutato ancora una volta a dimenticare quella follia.
Avrei tanto voluto uccidere Jacob Black, ma se Bella si stava innamorando di lui che possibilità avevo contro un essere umano che poteva darle tutto? Dei figli, una vita felice?
«Mi viene da vomitare» borbottai arrancando verso il guardrail.
La luce esplose nuovamente nella mia mente e di nuovo mi trovai a Forks. Bella sorrideva, salendo sul suo pick-up, finalmente sorrideva felice. Era tanto tempo che aveva smesso di farlo, tranne a volte quando mi pensava.
«Allora esci con Jacob?» chiese il capo Swan e io sentii una fitta di gelosia.
«Stiamo da lui, ci vediamo un film, mangiamo qualcosa. Sì, insomma, ci facciamo compagnia» rispose lei, serena.
«Sono molto contento» rispose suo padre. «Hai proprio bisogno di svago».
«Già» commentò Bella, iniziando la retromarcia.
Di nuovo l’immagine ebbe fine e io mi ritrovai ansante. Ora anche visioni su di lei. Ma perché? Che significava?
Era un legame troppo forte, non sarei mai riuscito a spezzarlo, riflettei disperato.
A Chicago non mancava ancora molto.
Percepii una presenza mentale con me, un pensiero silenzioso, e mi voltai, cercando da una parte all’altra. C’era qualcuno, qualcuno intorno a me, dentro di me, ma chi? Non capivo.
«Sei tu che mi mandi queste visioni?» farfugliai stancamente.
Nessuna risposta.
“Vai a Chicago” mi imponeva l’istinto. “Lì saprai".

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Capitolo 31
*** Grazie per essere qui ***


Grazie mille per non avermi uccisa! Grazie per l'accoglienza calorosa di chi ha commentato e ha sperato fino all'ultimo che riprendessi la storia. Devo ammettere che è bello vedere dopo tanto tempo che qualcuno è disposto a seguirti ancora nonostante tutto. Non so come ringraziarvi, grazie grazie grazie. Un bacione e abbraccione enorme. Vi lascio al capitolo... sperando che i nuovi avvenimenti vi stupiscano in meglio. Buona letturaa! Malia. 



Grazie per essere qui.


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Chicago. Il mio passato. E ora… il mio presente.  Qualcuno mi stavo chiamando, sentivo un pensiero costante su di me, una forza indefinibile, ma non sconosciuta.
Spinsi l’acceleratore, ansioso di raggiungere il luogo dove sapevo erano stati sepolti i miei genitori. Era un semplice cimitero, ormai contemporaneo, ai limiti della zona abitata, in un quartiere piuttosto malfamato. Ma io sapevo che lì avrei trovato risposte. E poi… c’era un piccolo mausoleo appartenuto alla mia famiglia. In quella parte antica ormai dimenticata, credevo di poter trovare delle risposte.
Mi diedi dello stupido. Stupido perché i morti certamente non avrebbero potuto parlare. Non avrei sentito la voce di mia madre consolarmi, né quella di mio padre affermare di essere orgoglioso di me. E poi perché avrebbe dovuto esserlo. Ero un vampiro, un non-morto, e non sempre mi ero comportato in modo irreprensibile.
Trovai il posto e scesi dall’auto. Chicago, ormai modernissima, sarebbe stata irriconoscibile ai miei occhi se soltanto l’avessi visitata. Ma a me interessava un cimitero dimenticato di periferia, che stonava con l’aspetto tecnologico di grattacieli e lunghe distese d’erba dei parchi.
Parcheggiai l’auto non troppo lontano e scesi con l’agitazione di un bambino di fronte a qualcosa che sa non avrà mai. Un passo dopo l’altro mi avvicinai ed entrai dal grande cancello in ferro battuto.
Non era più come un tempo. Ovviamente. Ma cosa dovevo aspettarmi. La mia memoria si fermava a tanti anni prima, quando era un semplice cimitero di campagna. Avevo usato tutti i miei risparmi per dare degna sepoltura alla mia famiglia. In qualche modo non riuscivo a dimenticare e pensavo di non poter riuscire.
Invece avevo accantonato quella parte di me stesso. Edward Masen era rimasto lì, tra quelle lapidi, ora differenti da quelle passate. Camminai tra i loculi e mi domandai che effetto dovesse fare la morte. Un momento prima di morire, come ci si doveva sentire, un attimo prima dell’ultimo respiro, nella consapevolezza che si sarebbe per sempre abbandonata la vita.
Un brivido mi percorse. Cosa aveva provato mia madre? E mio padre? E Bella, cosa avrebbe provato Bella? Solo il pensiero della sua morte mi provocava dolore. Non volevo perderla, non potevo pensare a un’eternità senza il suo amore.
“Smettila di torturarti”, mi imposi. “Ormai l’hai lasciata andare, non ti appartiene più”.
Ma era il mio cuore a non voler accettare la verità.
Continuai a camminare, guardando i nomi delle persone morte di recente. Chissà cosa era successo loro. Una malattia, forse un incidente, chissà cosa poteva strappare via la vita da un corpo. Io invece… io invece ero uno squallido immortale che doveva nutrirsi delle vite altrui per poter sopravvivere. Ero una creatura del male che loro avrebbero volentieri ucciso se avessero saputo.
“Per Bella tu non sei un mostro”.
E io però l’avevo fatta soffrire.
Scrollai la testa, più e più volte, fino a quando non arrivai al luogo dove sapevo venivano una volta sepolti i bambini. Ora era diverso, ma ricordavo le piccole tombe in marmo. Non ricordavo più la mia infanzia. Probabilmente io non l’avevo mai avuta un’infanzia.
Il passato si intrecciava al futuro, il presente a entrambi. Ed eccomi qui. Edward Masen ed Edward Cullen.
Continuai a dirigermi verso quella che sapevo essere l’area storica dei mausolei. In che condizioni l’avrei trovata? Ma soprattutto, c’era ancora? Dopo tutto quel tempo, l’ipotesi più probabile è che l’avessero distrutta, oppure che fosse crollata la struttura.
Eppure qualcosa mi diceva che avrei trovato la mia famiglia. La mia mente non era sola, percepivo qualcuno a farmi compagnia, percepivo una presenza che non mi aveva lasciato da quando mi ero allontanato da Ansel.
«Forse è solo una mia sensazione» mi giustificai.
Ma sapevo che i miei poteri non avevano niente di causale. C’era qualcosa che stava tentando di comunicare con me, e da molto tempo, ora però era potente e sempre più vicino. O meglio, ero io quello che si stava avvicinando alla fonte.
E poi svoltai l’angolo e lo vidi. Il piccolo mausoleo dove era stata sepolta la famiglia Masen: Edward Masen Sr., mio padre, Elizabeth Masen, mia madre, e infine io: Edward Anthony Masen. Io, che però in realtà non ero mai morto.
Mi avvicinai e feci per toccare il marmo che custodiva una parte di me stesso. Mi sentii come se non riconoscessi più in alcun modo quel posto, quella famiglia. Ormai non era più parte di me. Ma era vero? Oppure in realtà Edward Anthony era ancora qui, impaurito, che cercava di liberarsi da ciò che il suo passato gli aveva imposto di diventare?
«Madre?» mormorai, ben sapendo che non poteva sentirmi.
Guardai la grata che mi separava dalla parte interna. Là, con loro, avrei dovuto esserci anche io. Perché anche io ero stato in fin di vita, anche io avevo meritato la morte. Ero così ansioso di vivere la guerra, eppure la spagnola aveva stroncato prima la mia fragile vita. Ero un ragazzo comune, forse Bella se mi avesse conosciuto allora non si sarebbe innamorata di me.
«Padre… cosa penseresti di me adesso?» sussurrai.
Mio padre da che ne avevo memoria era stato Carlisle Cullen. Mi aveva insegnato lui a essere umano, pur nella mia natura vampira. Che ironia. Da ragazzo non avevo mai capito il valore della vita, mi ero sempre sentito padrone di me stesso e del mondo circostante.
Ma poi, quando la mia esistenza si era trasformata in un inferno di sangue, avevo compreso quanto difficile fosse trascinarsi per andare avanti. E desiderare di morire.
Quale creatura poteva mai desiderare la morte per se stessa? Nemmeno un vampiro. Anche i vampiri erano strenuamente attaccati alla vita, per questo si rifiutavano di cambiare le loro abitudini.
Mi guardai intorno, per accettarmi che non ci fosse nessuno. Volevo entrare, ma non avevo la chiave.
Profanare quel luogo non mi avrebbe fatto sentire meglio, ma volevo sentirmi vicino alla mia famiglia ancora una volta. Feci forza sulla grata che si aprì, rompendosi sotto le mie dita. Riuscii perciò ad aprire quella sorta di inferriata senza problemi.
L’odore di morte mi colpì, ma non quanto vedere dei fiori freschi su ogni tomba. Fiori freschi… come se qualcuno avesse la chiave di quel posto, come se qualcuno fosse venuto a rendere omaggio a me e alla mia famiglia. Ma io non ricordavo di avere nessun altro parente che potesse prendersi cura di ciò che restava del mio passato.
Chiusi gli occhi, quasi commosso, e sentii una forza umana interiore avvolgermi tutto.
«Mamma?» sussurrai spaesato. «Mamma sei tu?».
Socchiusi le palpebre e toccai i gigli sopra la sua tomba, sentendone il profumo intenso.
«Mamma?» ripetei.
Avrei voluto farle tante domande. Ad esempio come aveva fatto a capire la natura differente di Carlisle. Sospettavo che mia madre avesse delle facoltà particolari, come me, che sentisse dentro di lei sensazioni ben più che umane.
Elizabeth era stata estremamente sensibile agli stimoli esterni. Così invece non era stato per mio padre, che aveva sempre dimostrato di essere un uomo dall’incredibile tempra, fisica e morale. Uomini come lui oggi non ne esistevano più I tempi moderni avevano lasciato spazio a umani codardi che non capivano il significato della parola “sopravvivenza” o “guerra”.
«Vorrei tanto poterti parlare, dirti cosa sta succedendo. Sei sicura di aver fatto la scelta giusta per me?» le domandai, sapendo di non poter sperare in una risposta.
«La mia vita, tutto questo. Credi ne sia valsa la pena?».
Avrei voluto urlare. Non ce l’avevo contro di lei per avermi fatto salvare da Carlisle. Avrei fatto lo stesso al suo posto, ma forse se solo avesse visto l’orrore che si celava dietro la vita di un vampiro avrebbe preferito darmi la morte.
Non osai abbassare gli occhi alla tomba sottostante, ma quando lo feci sussultai, spaesato. Che cosa? C’era un altro nome, un nome femminile che non conoscevo. Eppure aveva lo stesso cognome: Masen. Jewel Masen.
Mai sentito.
Mi avvicinai, per vedere se ci fosse qualche epigrafe che potesse aiutarmi a capire come mai ci fosse il nome di una donna che non ricordavo affatto. E così lessi: sorella minore devota di Edward Masen Sr, morta all’età di settanta anni. Riposa in pace.
Portai la mano sulla scritta del suo nome e poggiai la fronte sulla lapide, sconvolto. Mio padre aveva una sorella di cui io non sapevo l’esistenza.
Oppure semplicemente non la ricordavo?
«Jewel Masen» borbottai. Quindi io avevo avuto una zia.
Ma quindi questo voleva dire che c’erano altri Masen, che forse mia zia si era sposata, aveva avuto dei figli e… che c’era ancora qualcuno che poteva dirmi qualcosa sulla mia famiglia!
Lo scombussolamento che provai si acuì non appena scorsi un altro nome vicino a quello di mia zia, un nome maschile. Quello di suo marito.
Lo shock mi fece immobilizzare. C’erano dei figli?
Sentii un rumore alle mie spalle, di cocci che si frantumavano a terra e mi voltai di scatto. Merda, non avevo sentito alcuna presenza.
I miei occhi incontrarono quelli di una ragazza stupenda, dai lunghi boccoli rossi e dagli occhi verdi. Cazzo, era così simile a me. Si portò una mano sul volto, gli occhi sgranati, e io capii che non l’avevo sentita prima perché lei era già nella mia mente.
Era lei quel qualcuno che mi aveva attirato lì.
«Sei venuto» bisbigliò. «Lo sapevo che non potevi essere morto. Lo sapevo».
Non mi lasciò il tempo di parlare, la sua mente si unì alla mia e io provai una gioia immensa. Era carne della mia carne, sangue del mio sangue, e i miei pensieri la riconoscevano. Capii che non c’era alcun bisogno di parlare con lei, perché mi avrebbe capito.
«Ti ho aspettato così tanto» bisbigliò. «Tua madre sperava che prima o poi tu ritornassi».
Si ostinava a parlare, mentre i suoi pensieri mi arrivavano chiari nella mente ancor prima delle parole. Era davvero bellissima, così candida e pura con quel vestito color corallo che le arrivava sopra la cosce.
«Chi, chi sei? Come fai a sapere il mio nome?» le domando, dopo essermi ricordato di avere il dono della parola.
«Sono io. Elizabeth, sono una Masen. O almeno, sono imparentata con i Masen» mi rispose e fece per saltare il vaso ormai a pezzi.
“Fermati, ti prego, non mi toccare”, le imposi.
Lei si bloccò. Aveva percepito i miei pensieri. Mi doleva la testa. Immagini si susseguivano nella mia mente: immagini di Bella e Jacob Black, immagini che non volevo vedere.
«No, sta calmo. La mia mente fa da catalizzatore alla tua. Non farti soffrire inutilmente. So che vuoi vedere Bella e capire cosa sta facendo, ma rischi solo di farti male».
Sapeva di Bella, sapeva di me. E diceva di chiamarsi come mia madre.
Lanciai un grido di dolore e mi accasciai sul pavimento in cotto del mausoleo, tenendomi la testa tra le mani. Che male, che male. Non riuscivo a resistere, la mia testa sembrava scoppiare.
“Shhh” disse poi lei, come una mamma che culla il suo bambino. “Fate silenzio”. E d’improvviso tutto cessò.
Alzai la testa di scatto e la guardai.
“Edward, sta tranquillo. Non voglio farti del male”.
Lei del male a me. Semmai il contrario, pensai ghignando. Era così fragile, aveva la pelle così bianca che potevo vedere la linea delle sue vene sulle braccia nude.
Ero stregato dalla sua presenza.
“Sei tornato”. Singhiozzava e senza che io potessi fare nulla per fermarla scoppiò a piangere.
Si gettò ai miei piedi, abbracciandomi, e io sentii odore di casa. Ero a casa. Lei profumava come mia madre. La mia mente ricordò nell’immediato il profumo della mamma, che quando ero bambino mi teneva stretta al seno.
D’istinto la abbracciai, cullandola perché smettesse di piangere.
«Non piangere» le dissi sottovoce, stupito dal fatto di non essere per nulla attratto dal suo sangue.
Erano due settimane e mezzo che non mi nutrivo a dovere, eppure non avevo alcuna fame di lei. L’unione tra noi era così solida che non mi permetteva di considerarla come un’estranea. Era parte della mia vita.
«Ti stavo aspettando» ripeté.
Lei mi aspettava.
«Perché» le domandai sottovoce.
Dovevamo andarcene dal cimitero. Sarebbe potuto arrivare qualcuno e avrebbe sicuramente frainteso la scena. Cocci rotti, fiori sparsi, un mausoleo che sembrava essere stato profanato.
Provai ad alzarmi, inducendola a fare altrettanto, ma non volle staccarsi da me. Le sue braccia mi circondarono: era felice di vedermi.
E stranamente io ero felice di vedere lei.
«Siamo parenti?» le chiesi ad alta voce.
Elizabeth annuì. «Sono la figlia della figlia di tua zia».
Oddio. Non ero solo, c’era ancora qualcuno della mia famiglia al mondo.
“Qualcuno che può capirti” aggiunse lei.
“Puoi sentire i pensieri degli altri?” le domandai nella mente.
Annuì, sorridendomi raggiante tra le lacrime. Avevamo lo stesso potere, ma lei era umana.
«Era latente in te, si sarebbe sviluppato a diciotto anni. Tutti i Masen più sensibili lo sviluppano all’età di diciotto anni» mi spiegò.
«E tu? Quanti anni hai tu?».
Volevo chiederle tante cose, ma sapevo di dovermi allontanare necessariamente da quel luogo. Così la sollevai da terra, facendole sgranare gli occhi dalla sorpresa e la portai fuori da quel posto. Richiusi la grata dietro di me, anche se ormai l’avevo scardinata, e guardai i fiori sparsi.
«Qualcuno penserà a un ladro di tombe» mi ritrovai a dire.
Lei rise, stupendomi.
«Non ti preoccupare, sistemeremo tutto. Basta pulire».
Si divincolò e io la lasciai andare, seguendo i suoi movimenti con attenzione. Raccolse i cocci con una scopa, li buttò in un secchione e poi prese i fiori, annusandoli con amore. Io non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso. Percepivo un legame d’affetto profondo e avrei voluto piangere: lei era la mia famiglia, la mia vera famiglia.
Mi porse un giglio bianco e io la fissai, imbarazzato.
“Prendilo, è come te”.
Come me? Non sapevo se ridere. “Io sono un vampiro”. Perché non avevo paura di dirle una cosa simile?
“Lo so, so ogni cosa di te. So che non fai più parte del nostro mondo. Elizabeth prima di morire lo disse a mia nonna. Diceva che saresti tornato”.
Le sorrisi, sentendo il cuore alleggerirsi da un peso gravoso. Ero più leggero.
«Perché sarei un giglio?».
Elizabeth, bella come un fiore, si scostò una ciocca di capelli che le ricadeva sulla guancia e arrossì: «Perché hai un cuore puro».
«Non direi» le risposi francamente, ma quel complimento mi fece piacere.
“Ero tanto sola”, mi disse. “Rimarrai qui con me, vero? Per favore”.
La sua richiesta gridava nella mia anima. Capivo cosa significasse essere soli, ancora di più avere un potere da non poter rivelare a nessuno. In tempi moderni ancora più difficili.
«Non ho fretta» ammisi.
Non avevo nessuno da cui tornare. Certo i Cullen, ma dovevo ammettere che mi sentivo in colpa nei loro confronti per quello che era successo.
«Starai qui per un po’. Lo so. Fino a che non la inseguirai» mormorò e io aggrottai la fronte, senza capire cosa intendesse.
Cercai di leggerle la mente, ma niente. Strano.
Ero curioso: «Cosa intendi?»
«Dico che lo scoprirai». Ridacchiò.
Anche criptica. Il cuore esplose nel mio petto e io iniziai a ridere, a ridere come un bambino felice. Era tanto tempo che non provavo quella sensazione di pace. Come se le cose si fossero risolte, anche se non lo erano affatto.
«Si risolveranno» mi tranquillizzò lei. Io le credetti. «Tua madre sapeva».
«No, Bella…» bofonchiai, ma Elizabeth mi poggiò una mano sul petto e si sporse per baciarmi piano le labbra.
«L’amore vero può morire se viene distrutto, ma l’amore ultraterreno non può morire mai. È come una dipendenza, una forte ossessione che ti mangia dentro».
Rimasi affascinato dalle sue parole e la seguii mentre si incamminava verso l’uscita. Che tipo di donna era quella di fronte a me? Non aveva risposto alla domanda sull’età.
«Ho venticinque anni» ribatté.
Mi ero dimenticato che poteva leggermi nella mente esattamente come riuscivo a fare io. Dovevo stare attento.
«Scusa, è che mi sembra così assurdo che…» tentai di spiegarle.
Elizabeth si girò e mi guardò comprensiva. «Sei così bello. Se non fossimo simili, se non fossimo parenti, potrei innamorarmi di te».
Deglutii.
«Non mi conosci nemmeno» articolai con difficoltà.
«Ti conosco da una vita invece» replicò. «Da sempre».
«E non hai paura di dire quello che pensi» le faccio notare.
«Sarebbe inutile non trovi? Ci leggiamo nella mente a vicenda».
Aveva ragione. Scoppiammo a ridere entrambi e io le porsi la mano, che lei afferrò e strinse. Camminammo fianco a fianco in silenzio. Lei era venuta con l’autobus, mentre io avevo la volvo. Capii dove andare grazie alle sue indicazioni mentali. Nemmeno con Alice era mai stato così semplice comunicare. Bastava aprire la mente, anche senza parlare, che Elizabeth afferrava tutto ciò che ero. Avevamo un carattere molto simile io e quella ragazza, e mi stupii del fatto che non avesse avuto alcun ragazzo. Era così bella.
«Edward, smettila di leggere nella mia mente cose personali».
Mi vergognai: «Tu sai di Bella»
«Tu gridi il tuo amore per lei, non sai nasconderlo. Stai morendo di dolore» mi fece notare e io dovetti ammettere che, nonostante l’immagine colorita e romantica, non era così lontana dalla verità.
«Hai vinto». Alzai le braccia e insieme ci dirigemmo verso la volvo.
«Ho una sorpresa per te» disse eccitata non appena entrò e si sistemò sul sedile del passeggiero.
«Sì?» indagai.
«Non leggere i miei pensieri, per favore, perché vorrei fosse una sorpresa» mi supplicò con fervore.
Rimasi in silenzio e cercai di non farmi tentare dal desiderio di entrarle nella testa per curiosare.
«Sei proprio come ti pensavo» confessò poi e divenne di nuovo rossa. «Invidio Bella».
«Non invidiarla. Mi sono comportato in modo terribile con lei».
Elizabeth non rispose, ma nei suoi occhi passò una luce divertita. «Non mi ringrazi di avertela fatta vedere in compagnia di Jacob Black?».
La guardai e non le risposi.
«La gelosia ti farà capire l’errore che hai commesso lasciandola. Tua madre non avrebbe approvato il tuo comportamento. E nemmeno io approvo»
«Quando vorrò dei consigli te li chiederò» la interruppi. «Grazie».
«Testardo» mi accusò quindi.
«Forse non sei così simile a me, forse somigli più a mia sorella Alice» bisbigliai, ingranando la retromarcia e uscendo dal parcheggio.
«Faccio soltanto la voce della tua coscienza» borbottò mortificata.
L’avevo ferita.
Le chiesi perdono, sperando che accettasse le mie scuse. Lo fece, e mi rivolse un altro sorriso candido e tenero facendomi subito dimenticare la discussione.
«Edward». Pronunciò il mio nome con speranza. «Grazie per essere qui».

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Capitolo 32
*** Elizabeth... e il passato ***



Mamma mia se è tardi. Mezzanotte! Non ci sarà nessuno sveglio per leggere, ma io aggiorno. Vi avverto che partirò il 21 luglio per una settimana, vado a Lisbona, perciò non potrò aggiornare. Grazie mille per i vostri commenti, sono simpatici. Grazie! Arigrazie! L'ho detto. Ora vi lascio alla lettura e mi fiondo sotto le coperte. Che sonno! 

Un bacione, Malia.

P.S. Per chi volesse seguirmi: Malia85


Elizabeth… e il passato


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Pensai a quante coincidenze ci portavano a vivere cose insolite nella vita, e mi domandai se la mia vita fosse solo il frutto di una banale coincidenza, casualità. A ben pensare era assurdo credere che  fosse dovuta al caso. Soltanto al caso.
Mi rilassai sullo sedile, provando una strana sensazione mentre, alla guida, mi chiedevo come fosse possibile provare un legame intenso con una persona che apparentemente non avevo mai conosciuto, ma che aveva un rapporto con la mia famiglia. Era la mia famiglia.
«Non ti stupire, non hai ancora visto niente».
Ridacchiai e per la prima volta capii cosa dovevano provare i miei famigliari quando leggevo loro nella mente. Era un fastidio, i pensieri non si potevano in alcun modo controllare. Era buffo che ora fossi io quello “studiato” adesso.
«Ma quanto pensi» sussurrò scoppiando a ridere. «La tua mente è sempre in fermento»
«Come riesci a stare in silenzio?» le domandai quindi.
La sua mente era un luogo calmo e placido in quell’istante, come se non stesse pensando a nulla in particolare: assoluta calma piatta.
«Allenamento. Tu non riesci?» indagò.
«Ultimamente sono pieno di pensieri» borbottai in risposta.
Ero un vampiro con poteri speciali superato da un’umana? Elizabeth sogghignò e poi mi coprì la mano sul cambio con la sua, stringendola.
«Oh Edward, sono così felice che tu sia qui» ripeté contenta. «Appena in tempo» concluse poi misteriosamente.
Provai a leggerle la mente per riuscire a capire cosa avesse inteso dire, ma trovai un muro. Borbottai un “impossibile” e lei mi diede un colpetto sul dorso della mano, come per rassicurarmi.
«Uno deve anche imparare a difendersi» si giustificò. «Ma se un altro vampiro dovesse avere il tuo stesso potere come lo affronteresti?».
Ci pensai: «Non avevo mai riflettuto su questo».
Ed era vero.
«Ottimista» confermò.
Fu il mio turno di ridere. Mi soffermai sui suoi capelli, così simili nel colore ai miei. Poteva essere considerata davvero mia sorella, persino i nostri visi avevano qualcosa in comune. Ma la trovavo più bella di me, nonostante la sua umanità, anzi forse proprio per la sua umanità.
«Vuoi farmi domande?» iniziò arrossendo.
«Smettila di leggermi nella mente» mi lamentai.
«Mi consideri davvero bella?» bisbigliò timidamente e io le rivolsi un veloce sguardo, stupito della sua meraviglia.
Lo era davvero, uno splendore di ragazza. Un candore innaturale per una giovane di venticinque anni.
«Vorrei non doverti lasciar andare» disse allora con un sospiro.
Perplesso mi voltai a guardarla lasciando scorrere la strada. Ero un vampiro, no? E lei lo sapeva, inutile tenere gli occhi incollati all’asfalto, non sarebbe servito a farla stare più tranquilla.
«Non so cosa ne sarà del mio futuro» farfugliai.
Era troppo sicura di sé, mi capiva in un modo che mi spaventava.
«Tornerai da Bella» rispose. «Ne dubiti? Hai intrapreso una strada che ti porterà a capire quanto Bella conta per te. Mi sembra così ovvio».
Sollevai un angolo della bocca in una smorfia che aveva del ridicolo. Io con Bella? Un sogno che tenevo custodito nel mio cuore.
Mi mancava. Eppure la sentivo sempre con me; il mio cuore era ancora colmo del suo amore. E poi io non avrei mai dimenticato, per gli esseri umani invece era ben diverso.
Perciò non reagii, le lasciai credere ciò che voleva. Non avrei mai distrutto i sogni di una ragazza romantica.
«Ragazza romantica?» esplose. «Ah questa poi»
«Smettila di leggermi nella mente» la interruppi irritato. Ancora.
«Sei tu che non sai come schermare i tuoi pensieri. Dai la colpa a te stesso» mi rimproverò, ma un velo divertito aleggiava sulla sua espressione.
Si stava prendendo gioco di me Elizabeth. Elizabeth… cercai di ricordare il volto di mia madre. Le somigliava? Mi sforzai ma i contorni del mio passato erano sfocati. Certamente la ragazza seduta al mio fianco era in boccio, mia madre a quel tempo era più vecchia, anche se non di molto.
«Svolta a sinistra» mi avvertì e io seguii le sue istruzioni, rinchiudendomi nel mio silenzio.
Tentai di far tabula rasa nella mia mente, ma non riuscii a capire come si facesse a sgombrarla da ogni pensiero. Era faticoso cercare di non far trapelare nulla.
“Quanto è frustrante. Al mio ritorno chiederò scusa agli altri per tutte le volte che ho letto i loro pensieri pur non volendo”.
L’avevo sempre trovato un potere utile, ma anche scomodo. Sentire continuamente pensieri mi portava a conoscere umani e vampiri meglio di come loro conoscessero loro stessi. E perciò avevo sempre faticato nelle relazioni sociali di qualsiasi tipo. E ora mi trovavo io vittima degli stessi poteri, e peggio, consapevole di questo.
Mi diede altre indicazioni stradali e quando entrammo a Chicago io rimasi a bocca aperta. Non tanto per i grattaceli e la modernità, che conoscevo bene, tanto perché nei miei ricordi era completamente diversa, e vederne il cambiamento mi provocava una sensazione di perdita, un vuoto nel petto.
La mia casa, la mia città, il mio mondo, non esisteva più.
«Non disperare» si intromise Elizabeth.
«Stai leggendo» le feci notare.
«Scusa, deformazione professionale». Sghignazzò e si appoggiò contro lo sportello, scossa da singhiozzi ilari. Dovevo sembrarle buffo.
«Grazie» tagliai corto, percependo un lieve fastidio.
Il silenzio scese, ma questa volta teso. Non riuscivo ad accettare con facilità che i miei pensieri potessero essere letti con tanta facilità. Ero irritato, infastidito da lei; e non aveva alcuna colpa di questo. Il suo potere era il mio, capivo quanto fosse difficile limitarsi e non ascoltare.
«Non…» iniziò, ma io la interruppi.
«Zitta» borbottai.
Sapevo che mi stava ancora leggendo nella mente e che mi avrebbe detto qualcosa di spiacevole. Ci guardammo entrambi e lei mi trasmise un pensiero.
“Scusami, non volevo essere fastidiosa”.
Scossi la testa. Ora stavo anche facendo la figura dello stupido insensibile; in realtà quella ragazza mi affascinava, il legame con lei era forte. Elizabeth era un richiamo del passato ed era legata al mio futuro.
«Oh Edward» cominciò. «Sapevo che eri un tipo complicato».
Alzai gli occhi al cielo e tornai a concentrami sulla guida. Finalmente arrivammo, dopo qualche indicazione data all’ultimo momento per mettermi in difficoltà. Mi fermai di fronte a un grattacielo e lo guardai confrontandolo con lei. Sembrava una donna da casa di campagna, una di quelle che si vestiva con colori pastello e attendeva di poter cucinare per le persone che amava. Perciò mi stupiva sapere che abitasse in un edificio tecnologico dell’ultima epoca. Anche se in fondo ormai tutta la città si riduceva a questo.
«Vieni, andiamo. Non vedo l’ora di farti vedere la sorpresa».
E una sorpresa lo fu veramente. Non appena aprì la porta di casa io rimasi impalato di fronte allo spettacolo che mi si prospettava davanti. Era arredata in stile inizio Novecento. Tale e quale alla… mia casa. Scrollai le spalle, sentendomi un po’ stupido, e lei mi fece segno di entrare. Emozionata.
«Dai vieni!». Saltellò.
Io misi un piede dopo la soglia, sentendomi catapultato nel XX secolo.
Incredibile.
«Quando si ha qualche soldo si può fare tutto» mi spiegò orgogliosa, chiudendo la porta dietro di me.
Ne ero consapevole, visto che ai Cullen non mancavano certo soldi. Questo grazie all’impegno di tutta la famiglia, ma Alice era la migliore di noi in quanto a dare la caccia ai soldi. Era lei ad avere visioni. Ma una donna che voleva vestirsi all’ultima moda, se lo doveva anche poter permettere.
Invece Elizabeth non sembrava quel tipo di donna.
«Questo è per te» mi informò. «Tutto questo è stato conservato, restaurato. Casa Masen non era molto lontana da qui. Non ricordi?».
Non ricordavo neanche di aver avuto una zia, perciò no.
«Qui ci sono cose che ti sono appartenute, Edward».
Incuriosito vagai con lo sguardo per il salone. Non riconobbi nulla, niente che mi fosse familiare.
«Ma qualcosa di tecnologico c’è».
Fissai la televisione a schermo piatto accostata alla parete candida, di color bianco.
«Vuoi che non mi diverta in qualche modo?» si lamentò. «Devo pur vivere»
«Leggendo?» la canzonai. «Ascoltando musica?».
Mi afferrò per la manica e mi trascinò in fondo alla stanza dove c’era una porta aperta che dava in quello che sembrava un piccolo studio vuoto. Avanzai e mi guardai intorno. Le tende, persino quelle sembravano antiche, forse per il colore rosa pallido, ma ero chiaro che il gusto fosse tutto femminile.
Poi però mi bloccai e vidi qualcosa che riconobbi immediatamente.
«Il mio pianoforte». Rimasi scioccato.
Mia madre, Elizabeth, mi aveva voluto dare un’istruzione fuori dal comune. Sin da subito la mia intelligenza era stata superiore a quella degli altri bambini. Avevo imparato a leggere a quattro anni ed ero stato sensibile a qualsiasi contatto umano. I miei genitori lo avevano notato. Mia madre amava l’arte, ogni espressione artistica, e aveva preso la decisione di farmi imparare a suonare il pianoforte da un maestro da lei conosciuto. Mio padre, innamorato di lei, le aveva dato carta bianca, a patto che io però dimostrassi interesse anche per attività prettamente maschili. E quella non era stata una difficoltà: mi piaceva la strategia, la guerra, ma anche la musica. Ero un animo tormentato sin da ragazzino.
Mi avvicinai e passai le dita sulla cassa armonica e lo ammirai. La sua bellezza era la stessa, sembrava come nuovo. Un groppo mi chiuse la gola. C’era una parte di me in quello strumento, una parte della mia infanzia. Ero stato bambino, e quel bambino ora era lì, in quel pianoforte, unico ricordo piacevole di quei giorni senza memoria.
«Edward…» mi chiamò Elizabeth vedendomi scosso. «Forse non dovevo».
La rassicurai con uno sguardo e lei si rassicurò, rilassando le braccia e lasciandole cadere lungo i fianchi.
Mi misi seduto, pronto per suonare quella meraviglia, e non appena lo feci, il ricordo della mia vera famiglia ritornò prepotente.
Mia madre Elizabeth nella sua veste semplice, profumava di gelsomino. Un fiore gentile, una mano calda pronta a consolarmi; mio padre Edward, un uomo duro, dai tratti regolari, mai dolce, mai comprensivo verso i miei errori, ma che mi aveva insegnato cosa significava essere uomo.
Suonai Chopin, le mie mani scorrevano sui tasti: una melodia malinconica, forse triste, complessa, proprio come mi sentivo io. Una melodia in cammino, in continua crescita. Era possibile per un vampiro crescere ancora dopo un secolo? Carlisle mi avrebbe potuto rispondere.
Sentii due braccia appoggiarsi sulle mie spalle e capii si trattava di Elizabeth. I suoi pensieri si intrecciavano ai miei e io la sentii nella mia  testa.
“Suoni divinamente”.
Rimasi concentrato sulla musica. Quanto mi era mancata la musica? Da tempo non ascoltavo più nulla. Bella era la fonte della mia vita, da cui sgorgava il mio desiderio di vivere. E mi sembrava così strano riuscire finalmente a suonare, a sentire la musica nel cuore.
A causa di quel bambino forse, quel piccolo Edward che si arrampicava per suonare il pianoforte che gli sembrava enorme, mentre sua mamma gli diceva di stare attento e di impegnarsi durante la lezione. Ma il piccolo Edward avrebbe anche tanto voluto rendere orgoglioso suo padre e così aveva desiderato diventare un militare.
“Continua, non smettere”, mi incoraggiò Elizabeth quando la melodia giunse al termine.
E io ricominciai, facendo vivere la musica; la creai con le dita, una mia musica improvvisata. Ma piano si trasformò e io riconobbi la ninna nanna che avevo creato per il mio piccolo Bambi, il mio dolce amore, la mia bimba lontana, distante, che avevo fatto soffrire. Quanto la amavo.
L’avrei suonata ogni sera, decisi, per lei, sperando che la mia musica le arrivasse alle orecchie, che ogni sera prima di andare a letto mi pensasse almeno un po’. Che pensasse a quell’amore così pazzesco vissuto con un vampiro crudele che l’aveva lasciata quando invece le aveva promesso amore eterno.
Il mio amore, mi consolai, per Bella, quello sì che sarebbe stato eterno. Non ci sarebbe stata nessun’altra, mai. Non avevo bisogno di perdere la mia verginità con una donna che non era l’amore della mia vita. Io volevo lei.
Con chi avrebbe fatto l’amore? Si sarebbe ricordata dei miei baci? Delle mie carezze?
Ovviamente no. Le mie mani erano così fredde sulla sua pelle. Per lei un uomo caldo, bollente, sarebbe stato perfetto.
Non avrei mai potuto scaldarla, né mai tenerla al sicuro.
“Non è così, smettila di pensarla così. Hai sbagliato a lasciarla, ma era scritto che dovessi farlo. Perché dovevi venire qui”.
Mi alzai di scatto a quelle parole, smettendo di suonare.
«Tu non sai nulla» gridai fuori di me, provando il desiderio di distruggere il pianoforte che aveva fatto tornare in me la voglia di suonare.
«Invece lo so, so cosa provi. Lo sento, ma dovevi realmente venire qui. Non puoi tornare da Bella senza aver capito chi sei veramente e soprattutto senza credere di essere un mostro».
Mi voltai e la scrutai. I suoi occhi verdi mi guardavano con tenerezza e preoccupazione. Perché nessun uomo si è mai innamorato di lei? Come era possibile?
«Edward» mi lanciò uno sguardo dubbioso. «Non stiamo parlando di me, ma di te».
Ancora, mi aveva letto ancora nel pensiero.
“Smettila” le intimai.
«Non puoi colpevolizzarti! Bella è importante per te» ribatté, fronteggiandomi.
«Smettila». Questa volta ringhiai.
«Perché mai! Tua madre Elizabeth immaginava che ti saresti innamorato. Ma il tuo cuore aveva bisogno di una persona che potesse capirti, apprezzarti».
Quante fantasticherie. Io ero un vampiro, Bella una semplice umana che aveva ogni diritto di vivere una vita normale come tutte le sue coetanee. Avevo fatto la scelta giusta, dopo aver visto la reazione di Jasper poi ne ero ancora più sicuro.
«Presto cambierai idea» mi minacciò. «Ci sarò io a fartela cambiare».
Non la ascoltai e tornai verso il salone. Dovevo prendere distanza dallo strumento, prima di cedere alla tentazione di distruggerlo. Così mi parai di fronte alla televisione, fingendo indifferenza. Vidi Elizabeth andare verso il frigorifero e aprirlo con noncuranza.
Riuscì a farmi sbarrare gli occhi per l’ennesima volta. Aveva riserve di sangue dentro quel coso.
«Hai fame?» mi chiese. «Immagino di sì».
Prese una delle confezioni e me la lanciò, sicura che l’avrei presa, invece la lasciai cadere a terra senza neanche provare a prenderla, esterrefatto.
«Tu sapevi che io sarei venuto».
Lei fece spallucce: «Non sapevo quando. Avevo solo delle sensazioni. Sai, avere poteri ha comunque i suoi lati positivi».
Mi chinai a raccogliere il sangue e aprii la confezione che lo proteggeva e lo teneva sottovuoto. Lo annusai e mi sentii affamato: non era sangue animale, ma sangue umano. Da quanto tempo non bevevo sangue umano? I miei occhi si sgranarono, le pupille si dilatarono. Oddio, dovevo resistere. Non era giusto bere sangue umano, non potevo tornare a farlo dopo anni e anni.
Ero sempre stato deciso a non ricadere nel tunnel di quella droga umana. Una sola dose e poi ne avrei voluto ancora, perché mi avrebbe dato sempre più forza.
«Ti servirà la forza» mi venne in aiuto Elizabeth.
Io la guardai molto male.
«Scusa». Mi aveva ancora letto deliberatamente nella mente.
«Vorrei poter fare lo stesso» le confessai.
«Devo insegnarti a schermare i pensieri. Potrebbe essere utile».
Pensai a Bella, a quel potere naturale che aveva di tenermi fuori da lei, da ogni suo pensiero. Non era mai successo, con nessuno, lei era stata il primo caso. E ora anche Elizabeth.
“Bevi? Stai facendo il bambino”.
Bevvi avidamente, morto di fame, almeno metaforicamente, e sentii il sapore dolce farsi largo sulla lingua per scendere nella mia gola. Era semplicemente divino il sangue umano. Niente di paragonabile a quello animale. Una nuova energia mi scoreva nelle vene e io inspirai quella potenza, dandole la benvenuta.
Era pericoloso.
«Non te ne darò ancora» bisbigliò. «So l’effetto che fa».
Ma come faceva a sapere tutte quelle cose?
«Semplice. Mi sono informata su di te e la tua famiglia».
Come?
«Entrando in contatto con la tua mente».
Non sapevo cosa pensare. Non avevo mai avvertito una presenza estranea. Se non conoscevo la persona a lunga di stanza non potevo sentire i suoi pensieri. Forse per lei era diverso.
«Io ti conosco, mia madre mi parlava della tua. Sono cresciuta desiderando di conoscerti. Non stupirti se ho cercato di capire la verità su di te» mi rivelò.
«Io non sono più un Masen». Non capivo come avesse fatto a informarsi.
«Il dottore che tempo fa curò tua madre si chiamava Cullen di cognome. Non è stato difficile intuire le conseguenze. È anche un famoso medico, molto conosciuto e stimato. Edward non è impossibile raggiungerti».
Volevo ancora altro sangue, ma non avevo il coraggio di chiederle una confezione. Questo perché sapevo che ne avrei voluto sempre di più fino a quando non avessi sentito dentro di me una sensazione di invincibilità. Era così che funzionava: si acuivano i sensi, si diventava più forti, si intensificavano le potenzialità paranormali. Il Paradiso di un vampiro.
«Vorrei mostrarti la tua stanza, ti va?» mi chiese e io mi lasciai distrarre.
La seguii per il lungo corridoio, dove notai quadri attaccati alle pareti. Erano perlopiù paesaggi, ma anche persone. C’era un unico uomo tra loro e io fissai quel viso domandandomi chi fosse. Sembrava un quadro recente, dipinto in olio su tela, un quadro che parlava molto più degli altri. Parlava di un sentimento chiaro: amore.
«Non farti strane idee» bofonchiò indicandomi la strada.
«Quella è la tua stanza, questa invece è la mia e questo è il bagno».
Annuii e continuai, nonostante il suo avvertimento, a guardare quel quadro. Chi era il ragazzo ritratto? Lo conosceva?
«Edward, non mi stai ascoltando» si indispettì e io mi imposi di fare un’espressione contrita di scuse.
«L’ho fatto io. È un ritratto».
Si chiarì finalmente e io mi domandai dove avesse visto quel giovane. Era di bell’aspetto.
“Non sei venuto qui per farmi da cupido” mi sgridò nella mente.
“E tu invece puoi fare considerazioni su Bella e il mio amore per lei?” replicai, sentendomi un bambino colto in fallo.
Lei stava solo cercando di aiutarmi. Solo cercando di farmi vedere le cose in modo differente, non potevo farle una colpa se sentiva il desiderio di consolarmi.
“Perdonami” le dissi infine.
“Quel ragazzo viene al cimitero ogni tanto. Mi ha colpito la sua espressione triste, niente di più. Ora vorrei che insieme guardassimo la tua stanza”.
Non ribattei, conscio di averle aperto una ferita non prevista.
“Per aspettare me non hai vissuto realmente mai?”. Era quella la forte impressione che avevo.
Lei non mi rispose, ed entrammo nella mia camera.

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Capitolo 33
*** La vita normale ***


Buona domenica!! Scusate l'assenza prolungata, ma i primi dieci giorni di agosto ho avuto molto da fare. Come state? Come prosegue questa estate? Qui fa caldo, ma meno degli scorsi giorni. Si sopporta. Vi ringrazio come sempre per i vostri commenti e le vostre letture, Nadir è abbastanza seguita e questo mi soddisfa molto, anche se immagino che New Moon non sia proprio il libro preferito dalle Twilighters, almeno credo. Qualcuno preferisce New Moon agli altri libri della saga? Sarei curiosa di capire perché. Ora vi saluto lasciandovi al capitolo. Un bacione enorme e ancora grazie.

Malia.


La vita “normale”

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Cacciare, non avrei più sentito a lungo il bisogno di farlo. La padrona di casa accontentava i miei desideri, mi nutriva di sangue umano e io mi sentivo forte da giorni. Invincibile. Guardai la stanza dove mi aveva gentilmente ospitato, Elizabeth, e io non potei ignorare la somiglianza con la mia vecchia camera. Da ragazzo, avevo avuto uno spazio personale semplice e sobrio, ma molto simile a quello che ora mi circondava.
Mi sembrava di essere stato catapultato nel mio passato. Quando ancora ero un ragazzino immaturo, con dei sogni. E il pensiero di aver perso i miei genitori divenne insostenibile e doloroso.
Mi stesi sul letto, pur non potendo dormire, e ascoltai Elizabeth suonare il piano con grazia. Lei era molto brava, dovetti ammetterlo, e nascondeva qualcosa, anche questo sapevo. Impossibile per me fare breccia con facilità nella sua mente.
Era diventata simile a una lotta. Il nostro rapporto apparentemente pareva quello di due fratelli affettuosi, ma io cercavo di trovare una breccia nella sua mente, e mi esercitavo a fare scudo dei miei pensieri. Era un esercizio costante nuovo per me, non ero mai stato sotto attacco in quel modo prima d’ora.
Sentii bussare alla porta e mi affrettai a mettermi in una posizione più consona.
«Edward?» mi chiamò lei.
«Hai smesso di suonare? Ti stavo ascoltando con piacere» le confessai.
Girò la maniglia ed entrò con un gran sorriso. Dovevo ancora abituarmi a dividere la casa da solo con una donna. Solitamente i Cullen erano chiassosi e non avevo alcun problema a sentirmi a casa mia. Ora, con Elizabeth, nonostante il luogo molto famigliare, mi sentivo un uomo in balia di una donna da proteggere, consolare, capire.
«Edward, non ti senti a tuo agio qui con me?» mi domandò, il broncio su quelle belle labbra.
«Non è questo… è che, mi sembra tutto così assurdo» le confidai, facendole segno di sedersi sul bordo del letto.
«Lo so, ma io e te siamo legati. Forse questo ti imbarazza» affermò accettando di sedersi al mio fianco.
Mi curvai in avanti, guardando il comodino di legno accanto al letto. Era proprio come lo ricordavo. Quel letto in ferro battuto con accanto un semplice comodino di legno.
«Mi sembra di essere catapultato nel mio passato». Sospirai così e Elizabeth si sporse per toccare la mia mano con la sua.
«Chi ti dice che non era questo quello che dovevi affrontare?» mormorò lei enigmatica.
«Ho la strana sensazione che tu mi nasconda qualcosa».
E l’avevo sin dal primo momento che le avevo parlato. Ridacchiò e io mi trovai a farlo con lei. Sapeva come contagiarmi con la sua ilarità.
«Ti ho detto che ti aspettavo, no? Evidentemente un motivo c’è» mi spiegò e io la fissai, interrogativo, sperando che continuasse, che non mi tenesse sulle spine.
Ma Elizabeth non parlò più e io borbottai un “non mi piace per niente” esasperato.
«Non potresti cercare di rilassarti?» mi chiese allora, dondolandosi sul letto. «Anche se non puoi dormire».
«E come faccio quando la donna che amo…» mi bloccai, conscio di quello che avevo appena detto.
Maledizione, pensare a Bella non sarebbe servito certo a farmi tornare il buon umore.
«Torna da lei» mi rimproverò Elizabeth. «Di certo nessuno ti costringe a starle lontano».
Immaginai di tornare a Forks e presentarmi alla sua porta dopo averla vista soffrire così tanto a causa mia. Guardai la scena con orrore. Bella sarebbe scesa ad aprire la porta, domandandosi chi potesse essere a quell’ora della mattina, e mi avrebbe guardato inorridita.
“Edward” avrebbe sussurrato.
“Emh… ciao”. Sarebbe stata l’unica cosa coerente che mi sarebbe venuta in mente in quel momento.
“Cosa ci fai qui?”.
Ecco, il momento della verità. Sarei ammutolito di fronte a quella dimostrazione di palese disprezzo e odio, quando invece io sarei tornato da lei solo per dirle quanto l’amavo.
Avrei visto l’ombra di un ragazzo alle sue spalle, un ragazzo di cui lei si sarebbe innamorata durante la mia assenza. Magari proprio una persona che io avrei detestato, qualcuno che non avrei sopportato di vederle a fianco.
Come lui. Jacob Black. Che avevo visto vicino a lei in una delle mie assurde visioni lanciate da Elizabeth. Era di lui che si sarebbe innamorata Bella? I Black… c’era qualcosa in loro che mi convinceva poco. Qualcosa che mi sfuggiva attualmente ma che presto sarebbe tornato a perseguitarmi.
«Edward! Mi stai ascoltando?».  La  voce di Elizabeth mi richiamò e per fortuna quella breve immagine scomparve dalla mia testa, lasciando il posto a un grande vuoto nel cuore.
«Non posso tornare» mormorai.
«Non ora certo» borbottò. «Ma Bella non è fuori pericolo come credi. Volente o nolente tu l’aiuterai».
Mi sollevai di scatto, voltandomi verso di lei e fronteggiandola. Non ebbi bisogno di leggerle nella mente per capire a cosa si stesse riferendo.
«Victoria?» sbottai spaventato.
«E non stai dimenticando qualcun altro?» sottolineò con il tono mellifluo di chi la sapeva lunga.
«Laurent» farfugliai portandomi una mano sulla fronte e massaggiandola come se provassi dolore.
«Complimenti» urlò allegra e batté le mani.
Di nuovo la sensazione che Elizabeth somigliasse in modo impressionante a mia sorella Alice.
«Sono lontani da Forks». Tentai di convincermi. «Perché poi dovrebbero interessarsi a lei» continuai iniziando a girare avanti e indietro per la stanza.
«Vendetta? In fondo non sei stato tu a uccidere James? Ti ricordo che era il compagno di Victoria» mi ricordò e io mi ritrovai con le braccia lungo i fianchi, a maledire me stesso per aver lasciato la mia Bella in balia dei pericoli.
«Se solo fossi rimasto con lei a proteggerla…» bofonchiai battendomi un pugno sulla coscia. «Sapevo che avrei dovuto rimanerle accanto nonostante tutto».
«Non fartene una colpa. Non era destino» mi rassicurò.
Non era destino? Io non credevo affatto al destino, se non a quello che mi aveva fatto incontrare Bella. Ma ironia della sorte, l’avevo lasciata pensando di aver fatto la cosa giusta. Non sapevo ancora bene per chi o cosa. Forse per lei, sì, certamente per poterle dare una vita normale, senza vampiri intorno. Non avevo fatto i conti con Victoria però.
«Cosa succederà?» le domandai. «E come diavolo fai a sapere queste cose?».
Elizabeth si strinse nelle spalle: «Io so tutto di te. Te l’ho detto, sono i miei poteri»
«Puoi vedere, come Alice allora? Sei in grado di…». Ma poi mi resi conto che Alice era in grado di vedere il futuro, e nemmeno certo.
«Io posso soltanto sondare la vita delle persone a cui sono spiritualmente unita. E una di queste sei tu. Tutto qui». Fece spallucce e io mi domandai a chi altro fosse legata.
Forse a quel ragazzo che avevo visto ritratto nel dipinto? Chissà.
«L’attaccheranno?» insistei, ma lei scosse la testa mostrandomi la sua confusione.
«Non lo so, questo dovresti chiederlo a tua sorella Alice. Non sono in grado di leggere il futuro, anche se qualcosa posso immaginarlo».
Già, e quel qualcosa era proprio il fatto che Victoria e Laurent si sarebbero nuovamente fatti vivi. Come avevo potuto abbandonare Bella sperando che venisse difesa dal suo nuovo amore? Io ero l’unico in grado di poter distruggere quei vampiri.
E la voglia di ammazzare Victoria con le mie stesse mani mi fece salire il veleno alla bocca.
«Quel sangue umano mi ha resto violento» bisbigliai, tornando verso il letto.
Dovevo sedermi, calmarmi, rilassare i muscoli, ma il pensiero che quei vampiri potessero cercare di far del male a Bella non mi avrebbe più lasciato in pace.
«Hai sbagliato. Lei ha bisogno di te» rincarò la dose Elizabeth.
«Sono io che ho bisogno di lei. Gli umani dimenticano in fretta, probabilmente lei mi avrà già dimenticato. Anche tu sei una di loro… dovresti capire cosa intendo». Ero furioso, arrabbiato per quella scoperta pericolosa, ma ancora di più sentivo le mie mani prudere; il bisogno di essere vampiro mi scorreva dentro.
«Edward. Bella ti vuole ancora» tagliò corto. «E non solo ti vuole, ma aspetta che tu torni».
«Non è vero! L’ho vista, l’ho vista sorridere per un altro!» gridai, fuori di me dalla rabbia.
Lei si sarebbe presto dimenticata, e io non avrei sentito quei sensi di colpa lancinanti al petto, al cuore.
“Oh Bella, perdonami”.
«Perché tu non ci sei! In qualche modo deve pur soffocare la mancanza che ha di te!». Anche Elizabeth  aveva alzato la voce, ora strillava per farsi ascoltare.
«Io non avrò mai un’altra donna» ringhiai.
«Ma Edward… sei ingiusto. Tu sei un vampiro, per te è diverso. E sei anche vergine, non hai idea di cosa significhi avere una donna, non ti manca. Non hai mai fatto l’amore. Sei ancora un ragazzino».
Le sue parole mi fecero male, mi ferirono. Non ero affatto un ragazzino, mi ero comportato come…
«Un eroe non è certo quello che per paura lascia la sua donna, ma che combatte per tenersela a fianco».
Dannata. Odiai Elizabeth e la verità delle sue parole.
«Non puoi capire» bofonchiai.
Ma lei sbuffò e mi diede un colpo sulla spalla: «Io sono qui soltanto per aiutarti».
La abbracciai di scatto, stupito dal bisogno che percepivo in me di sentire addosso il calore di una persona. Elizabeth mi strinse e mi baciò una guancia. Poi mi accarezzò le spalle e io provai un moto di tenerezza.
«Oh Edward!». Mi strinse ancora più forte, ma io non lo feci per evitare di farle male.
La tirai verso di me, facendola stendere al mio fianco sul letto, e chiusi gli occhi, mentre le sue carezze sul viso mi facevano rilassare.
Quanto mi piaceva essere toccato da lei, le sue dita avevano il potere di calmarmi. Il mio cuore fermo trovava conforto. Come una mamma Elizabeth mi consolava.
«Colpa del sangue umano» le balbettai all’orecchio.
«Sei un uomo passionale. Non c’entra nulla il sangue» mi disse, passando le mani tra i capelli rossicci e scompigliati.
Se solo avessi avuto Bella tra le mie braccia, a consolarmi così. Se solo il mio piccolo Bambi, il mio dolce cerbiattino fosse stato con me in quell’istante… quante parole d’amore le avrei detto. E quante volte scusa le avrei chiesto per essere stato così stupido da lasciarla sola nonostante il nostro amore.
Stavo soffrendo.
«Che ne dici di uscire? Andiamo a fare una passeggiata» mi propose, ma il mio umore non era adatto a fare una passeggiata in città.
Volevo rimanere solo e riflettere sulle possibilità di ciò che avevo combinato.
«Sei legato a Bella, quando sarà in pericolo lo saprai» mi consolò Elizabeth continuando ad accarezzarmi il collo con dolcezza.
«Ma se le succederà qualcosa? Io non posso fare niente per lei» piagnucolai, come un bambino bisognoso di rassicurazione.
«Non è vero. Saprai come proteggerla. Mi dispiace, non volevo farti pensare a Victoria e Laurent» si scusò, ma io l’avrei dovuta ringraziare per avermi fatto riflettere sui miei errori.
«Bella non ha certo bisogno di uno come me» digrignai tra i denti.
«Smettila Edward, oppure troverò il modo di farti molto male. E non sarà piacevole. Comincia a stancarmi questo tuo modo di colpevolizzarti e sottovalutarti. Agli occhi di quella ragazza sei la cosa migliore che potesse capitarle. E lei ti ama. Ma non te lo dirò ancora, sono stanca».
Elizabeth si alzò e si diresse verso la porta, spalancandola. Mi guardò con occhi colmi di tristezza e rimprovero.
L’amore era davvero una grande sofferenza. E io non riuscivo a sostenere sempre con calma la lontananza di Bella. Desideravo baciarla, fare l’amore con lei. Quel dolore sordo al centro del petto mi faceva infuriare, arrabbiare con me stesso. E sperai che passasse in fretta, perché rischiavo di impazzire.
«Hai voglia di un bel drink?».
Elizabeth rientrò senza bussare e mi porse un bicchiere colmo di liquido rosso con una bella cannuccia colorata.
Bevvi avidamente, pur non avendo fame e mi sentii forte come raramente mi ero sentito in quei cento anni.
Il sangue umano acuiva i miei sensi, la mia forza, e io rischiavo di diventare pericoloso per la mia dolce coinquilina che non faceva che pensare a me e ai miei bisogni.
«Il sangue umano mi rende…» iniziai, tentando di non farle paura. «Irascibile e fuori controllo».
«Ma almeno ti fa avere desideri sani e ti fa ragionare meglio» mi corresse Elizabeth.
«Rischio di impazzire chiuso qui dentro» le confessai finalmente.
E lei ribatté: «Speravo tanto che lo dicessi. Forza, usciamo, andiamo a divertirci un po’. Anche io ogni tanto ho bisogno di aria fresca».
Cercai di leggerle nella mente, giusto per curiosità, ma lei aveva alzato ancora quello scudo. Si accorse del mio tentativo e tentò di fare lo stesso con me, ma ora anche io sapevo come difendermi. Mi fissò, compiaciuta del muro che ero riuscito ad alzare per proteggere i miei pensieri e si complimentò: «Stai facendo grandi progressi».
Altroché. Ma sospettai che le mie capacità fossero aumentate soprattutto grazie al sangue umano.
Prendemmo la mia Volvo e prima di tutto passai a mettere un po’ di benzina. Guidare la mia auto mi dava sempre un senso di sollievo. Elizabeth lo sapeva, perciò facemmo un lungo giro, in silenzio, a goderci soltanto il paesaggio cittadino dal finestrino.
«Chi è il ragazzo del ritratto?» tornai a domandare.
Dovevo distrarmi.
«Perché ti interessa?» ribatté lei.
«Potrei leggerlo nella tua mente mentre dormi» la minacciai, alzando una mano per avvertirla della mia serietà.
«Certo, provaci, sarebbe molto divertente» mi provocò, senza però rispondere alla mia domanda.
Dovevo in qualche maniera scoprire chi si celasse dietro quel viso. Che fosse il ragazzo di cui era innamorata? In fondo Elizabeth era carina, giovane e piena di talenti. Perciò non trovai nulla di male nel pensarla legata a un uomo.
«Lui ti piace?» le chiesi.
A questo avrebbe potuto anche rispondere. Non era un terreno pericoloso.
«Non saprei» rispose lasciandomi interdetto.
«Sì o no?» insistei.
«Ma come sei insistente. Oggi sei insopportabile!» mi accusò e io dovetti ammettere che non aveva tutti i torti. Ero nervoso, e i motivi si potevano riassumere in un nome solo: Bella.
«Comunque non lo conosco affatto, quindi puoi farmi tutte le domande che vuoi. Non ti so rispondere. E questa è la verità».
Non lo conosceva? E allora come era possibile che l’avesse ritratto in un quadro nella sua casa che sembrava più un mausoleo di inizio Novecento?
«Ho voglia di strozzare qualcuno» le confidai stringendo il volante tra le mani.
«Potresti provare col tuo collo» replicò facendomi scoppiare a ridere.
Parcheggiai e mi rilassai sul sedile, aspettando di finire il mio attacco di risa. Elizabeth incrociò le braccia al petto, stizzita e io le lanciai un’occhiata divertita. Solo lei aveva il potere di farmi ridere nonostante la disperazione di sentirmi impotente e lontano da Bella.
«Avrei voglia di un gelato» borbottò con un certo fastidio di fronte al mio sguardo canzonatorio.
«Andiamo a comprarlo» le dissi, ben contento di poterla accontentare in un suo desiderio, anche se dei più semplici.
Elizabeth stava facendo molto per me, e io ero consapevole che aver ritrovato la mia famiglia era un dono. Ero ancora esterrefatto dalle sue capacità. Non avevo bisogno di nasconderle nulla di me, lei avrebbe capito. Era così che funzionava tra parenti? Non sempre, a giudicare dai pensieri umani che spesso mi facevano accapponare la pelle dalla crudeltà.
Ero avvezzo a sentire ogni tipo di pensiero umano, anche adesso, mentre camminavo con lei sul marciapiede, sentivo la mente di ogni ragazzo apprezzare con pensieri poco galanti Elizabeth, che pareva ignara vicina a me.
Non sopportavo i pensieri lascivi degli uomini. Come quelli delle donne verso di me.
«Non ti preoccupare, sono abituata».
Io invece non mi sarei mai abituato a questo.
«Lo detesto» ammisi.
«Per questo non hai mai avuto una ragazza prima di Bella?» mi chiese, entrando in un locale areato.
La seguii, vagamente in imbarazzo.
«Non penserai anche tu che sono una sorta di vampiro asessuato, vero?» mormorai per non farmi sentire dalla gente che ci circondava.
«Edward, io non penso niente» rispose.
«Ma ti sembra strano, dico bene?» continuai imperterrito.
Perché sembrava così assurdo e illogico che io non avessi mai avuto una donna prima di Bella?
«Non mi sembra strano. Tu sei strano» disse, sottolineando la cosa con una stretta alla mia maglietta. «Sei diverso dagli altri uomini, ma sei anche nato in un’epoca dove le donne non erano considerati oggetti sessuali. Non ancora almeno».
Abbassai la testa per ringraziarla in modo “antiquato” e lei mi abbracciò velocemente, tornando a guardare all’interno della gelateria. Una bella pasticceria, molto accogliente.
«Vorrei una torta, ho cambiato idea» sussurrò.
«Scegli, te la compro io». Desideravo vederla felice.
I suoi occhi brillarono e si avvicinò al banco delle torte, indicandole con la mano a una a una.
«Mi piace la mimosa, ma anche quella con la frutta. E ora quale scelgo?».
Mi piacque vederla intenta e concentrata a scegliere.
«Perché non entrambe?» le proposi.
«Tu mi vuoi viziare». Sorrise e il mio cuore si sentì più caldo.
«Tu lo stai facendo con me» le feci notare.
Decise di prenderle entrambe e io fui felice dei miei cinquanta dollari ben spesi. Ero convinto che vederla sorridere felice mi avrebbe ridato un po’ di serenità e infatti fu così. Mi ricordava un fiore di primavera pronto a sbocciare, ma con qualche difficoltà segreta che teneva ben custodita nel suo cuore.
Tornammo subito a casa, per poter mettere le torte nel frigorifero.
«Avrò torta da mangiare per più di una settimana. Diventerò enorme».
Mi sedetti in cucina, osservando il suo viso eccitato e sconsolato. La sensazione che Elizabeth fosse una parte importante di me, si fece molto molto forte e per un attimo desiderai farla conoscere ai Cullen. Le sarebbero piaciuti, soprattutto Emmett e Alice. E poi Esme sarebbe stata entusiasta di avere un’altra donna umana in casa, così avrebbe potuto cucinare ancora uno dei suoi piatti speciali per umani.
«Piaceresti a mia madre Esme» bisbigliai sovrappensiero, guardandola infilare un dito nella morbidezza della torta mimosa.
«Credi?» mi rispose vaga. «Non credo che la conoscerò mai».
«Perché?». Ero sorpreso dalla sua risposta. «Potresti invece».
Scosse la testa e non resistette, affondò ancora il dito nella panna: «Non ne avrò mai l’opportunità».
Sinceramente non capii cosa stesse cercando di dirmi. Forse era timida. La sua mente era ancora chiusa e io aprii la mia, sapendo che lei avrebbe sentito i miei pensieri perplessi e stupiti. Non fiatò comunque e io mi avvicinai, stringendola in un abbraccio possessivo.
«Ora sono qui. E ti proteggerò». Non sapevo il motivo per cui mi ero lasciato sfuggire quella frase, ma Elizabeth capì e scoppiò a piangere, ricambiando il mio affetto.

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Capitolo 34
*** Victoria e Laurent ***



Buonpomeriggio!! Questa è una calda giornata estiva, si muore di caldo dalle mie parti. Ma prima di andarmi a fare un bel bagno con ghiaccio ho pensato di aggiornare Nadir. Spero che vi faccia piacere questo aggiornamento... Ovviamente io come sempre vi ringrazio, perché continuate a seguire questa storia. E nonostante non siate in molti io ne sono felicissima. Grazie di cuore a quelli che seguono questa fanfic. Un ringraziamento anche da Edward, ahahah!
Un bacione e al prossimo aggiornamento! Malia.


Victoria e Laurent


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Osservavo il pianoforte a coda con l’aria di chi pensava che non l’avrebbe mai più suonato. Troppi ricordi, e soprattutto faceva male pensare a quanto spesso l’avevo suonato per Bella, unicamente per lei. Più Elizabeth mi spingeva a suonare più io mi rifiutavo di farlo.
Una delle sue passioni era il giardinaggio; in terrazza non faceva che piantare piccole piante, anche da frutto, pur sapendo che avrebbero avuto poco spazio per crescere. Ma a lei piaceva tentare e quindi ci riprovava ogni volta.
Io però non smisi di guardare quel pianoforte, con l’immagine di Bella davanti agli occhi.
Avrei tanto voluto risentire la sua voce, parlarle. Il mio cuore innamorato non voleva saperne di accettare la sua assenza, anche se la mia mente l’aveva già fatto.
«Sai che sei patetico quando ti piangi addosso» intervenne Elizabeth entrando dalla terrazza.
Non le risposi, mi limitai a lanciarle un’occhiata omicida.
«Scusami tanto» borbottai incrociando le braccia al petto.
Lei sorrise e si diresse verso il bagno a prendere della terra da giardino. La metteva sulla lavatrice. Anche il bagno era una sorta di serra dove mettere le piccole piante che avevano bisogno di maggior calore. Avevo appena fatto la doccia nella foresta amazzonica.
Non che mi dispiacesse, quel suo aspetto mi metteva allegria.
«Dovresti calmarti, prendere un respiro profondo e concentrarti su di lei» mi consigliò, pulendo la paletta sotto il getto d’acqua del lavandino.
«Così appare?» la canzonai, ben sapendo che non avrebbe funzionato.
«Ne dubiti?» rispose, sollevando le sopracciglia.
«Ovviamente» ribattei.
Fece spallucce e si limitò a sbuffare, come se fossi io il pazzo che non capiva nulla. Mi infastidiva pensare che a lei riusciva ciò che a me era precluso. Va bene, ognuno aveva i suoi poteri, ma io e lei facevamo parte della stessa famiglia, nelle nostre vene scorreva lo stesso sangue.
Ma io non riuscivo in alcun modo a vedere Bella, anche se mi sforzavo e lo desideravo con tutto me stesso.
«Suona un po’» mi consigliò e io scossi la testa.
«Siamo alle solite. Sei cocciuto» si lamentò e andò a prendersi una fetta di torta dal frigorifero.
Anche quello mi faceva ridere: la sua golosità. Elizabeth era una splendida persona, dall’animo sensibile. L’avevo capito immediatamente. Ed era molto femminile. Indossava spesso ampie gonne e camicie di ogni colore che rallegravano i colori tetri della giornata.
«Sai che potresti fare?» proruppe d’un tratto, orgogliosa della sua trovata.
«Cosa?». Dovevo stare attento alle sue domande.
«Disegnarla. Potresti dipingerla, io adoro dipingere mi rilassa. Ti andrebbe di provare a disegnare Bella?» mi incoraggiò.
E io mi indignai: «No!». L’urlo uscì involontario.
Elizabeth mi voltò le spalle e tornò al suo giardinaggio, non senza aver sbattuto le porte finestre che davano al terrazzo.
L’avevo offesa.
“Mi dispiace”, cercai di raggiungere la sua mente.
“Sto solo cercando di aiutarti” rispose lei.
“Voglio vederla. Non puoi aiutarmi, vorrei vederla” le confessai.
I miei occhi erano ancora rivolti al pianoforte, ma adesso questo non c’era più. C’era Bella, sdraiata sul letto, nuda, invitante, che mi chiamava. E io sgranai le palpebre, perché raramente mi succedeva di avere visioni così esplicite di lei.
«Edward» mormorava e io accaldato mi portai una mano sulla fronte.
«Bella» bisbigliai, andandole vicino.
Percepivo il profumo del sapone che usava per farsi la doccia. Toccai il letto, ma in realtà sentii una superficie ruvida sotto la mano. Era quella del pianoforte. Eppure sembrava così reale.
«Edward, mi manchi» mi disse, la bocca contrita in una smorfia di sofferenza.
«Anche tu mi manchi» le risposi, sincero.
«Non so dove trovarti. Non ti vedo più. Non ci sei più. Ho paura, aiutami. Ho bisogno di risentirti con me. Prima ti sentivo, sai? Ora sono sola» confessò allungando le braccia.
Non osai abbassare lo sguardo sui suoi seni, anche se provai l’insano istinto di approfittarmi di quella immagine.
Non avrei più potuto vederla, più sentirla, mai più sposarla. Perciò non avrei fatto nulla di male. Seguii con le dita la linea perfetta del suo viso.
Bella urlò e io percepii il mio cuore lacerarsi.
«Non basta capisci, lui non basta» bisbigliò e io sentii forte il bisogno di stringerla al mio petto. «Gli voglio bene, ma… non è te. Ti prego, torna. Farei qualsiasi cosa per farti tornare».
«Bella…» la chiamai, pregandola. «Non posso farlo. Non credi?».
Volevo baciarla. Abbassai il capo, pronto a sfiorarle le labbra con le mie e la sentii mormorare. «Ma certo! Come ho fatto a non pensarci. Andrò alla radura, alla nostra radura».
Alla nostra radura.
«Non farlo!» gridai allarmato. La sensazione che lì sarebbe successo qualcosa di terribile mi attraversò come una scossa.
“Victoria”, mi parlò nella mente Elizabeth e la visione scomparve.
Mi voltai e lei era dietro di me, le mani contratte in pugni piccoli, sporchi di terra.
«Laurent è a Forks, ne sono convinta» mormorò.
«Hai detto di non saper leggere nel futuro» ribattei sperando con tutto il cuore che si sbagliasse.
«No, infatti. L’ho letto dentro di te, sei tu ad averne avuto consapevolezza Edward, non io» borbottò. «Non venirmi a dire che è uno sbaglio».
“Perdonami”, pensai, amareggiato per ciò che avevo appena visto.
«Bella non ti ha affatto dimenticato» mi fece notare, ma io sbottai, allarmato.
«Era solo una visione!».
Non lo era, lo sguardo di Elizabeth era chiaro in proposito. Si sedette sulla sedia del salone, guardandomi attentamente, il vestito sporco, il bel viso imbrattato.
«Bella deciderà di andare alla radura» mi disse.
«Lo so e allora?» sbottai scontroso.
«Ferma, Victoria, inseguila. È lei che non deve arrivare a Bella. Segui le sue tracce, fa che abbia paura di te, allontanala prima che sia tardi».
Il suo viso era una maschera di serietà. Deglutii. Dovevo fidarmi di lei, mi aveva sempre dimostrato di essere dalla mia parte, e io avrei fatto qualsiasi cosa per proteggere Bella.
«E Laurent?» le domandai.
«Ferma Victoria. Sento che è lei il vero pericolo per Bella. Non Laurent. Ma non so dirti il motivo» mi spiegò e io annuii.
Le credevo.
«Sei forte. Hai bevuto sangue umano. Non dovresti avere alcuna difficoltà» commentò sovrappensiero. «Ma devi sbrigarti. Victoria dovrebbe essere sulle tracce di Bella, vicino Forks».
Inorridii al pensiero di quella vampira che avrebbe cercato di nuocere a Bella e mi sentii morire dentro.
«Dannazione» urlai e Elizabeth si alzò, venendo verso di me.
«Inutile farsene ora una colpa, cerca invece di risolvere il problema. E poi vorrei che tu tornassi qui da me» mi pregò.
«Cosa?» farfugliai, senza capire.
«C’è ancora una cosa importante che devo dirti. Una cosa che sicuramente ti farà bene al cuore, ma questo non è il momento giusto. Devi tornare indietro»
«Ci vorranno comunque ore prima che raggiunga Forks». Terrorizzato non riuscii a muovere un muscolo.
Anche in quel momento il mio piccolo Bambi rischiava di morire, era in pericolo. E ancora una volta la causa di questo era il sottoscritto.
«Sveglia, Edward!» strillò Elizabeth.
Si diresse in cucina e prese del sangue dal frigorifero: «Nutriti e poi corri, corri veloce». Sorrise.
Quanto tempo? Sapevo di poter andare veloce; prendere l’auto mi avrebbe rallentato. Avevo comunque paura di non arrivare in tempo.
«Arriverai, forza» mi incoraggiò lei.
Ci dirigemmo verso l’uscita e io presi un respiro profondo.
D’un tratto squillò il telefono in corridoio e fu Elizabeth a rispondere.
«Ciao» disse semplicemente guardandomi.
“Alice”.
«Victoria? Sì, lo sappiamo. Sì, ti faccio parlare con lui».
Allungò la cornetta e io la afferrai portandomela all’orecchio.
«Non pensavo avessi ancora parenti in giro» disse stupita Alice.
«Ciao anche a te» bofonchiai irritato.
Scoppiò a ridere e poi continuò: «Edward ho visto Laurent e Victoria a Forks. Vogliono uccidere Bella. È stato difficile però, non riesco a capire dove effettivamente siano».
«Andrò io» le confidai a quel punto.
«Vuoi che venga con te? Siamo una famiglia, non so se te lo ricordi» mi canzonò il mio folletto. «E non te lo dico più Edward. Comprati un cellulare per essere rintracciabile!».
La sua furia mi fece sorridere. La mia sorellina si preoccupava costantemente.
«Salutami tutti, io sto bene» la rassicurai, ma la sentii sbuffare nell’altro capo della cornetta.
«Prendi in giro qualcun altro. Capito?» urlò prima di ridacchiare ancora.
Riattaccai dopo averla salutata. La fretta di correre da Bella si stava trasformando in ansia e angoscia. Mi chinai per baciare Elizabet e lei mi strinse forte a sé, prima di chiudere la porta alle mie spalle. E così iniziai a correre. Senza fermarmi avrei corso fino a Forks. Era una pazzia, non sapevo dove esattamente andare. Non avrei potuto seguire l’autostrada, né tantomeno vie trafficate col pericolo di essere visto.
Ma non mi importava, come un folle innamorato mi sarei frantumato ossa e muscoli pur di arrivare in tempo e strozzare Victoria prima che riuscisse a sfiorare la mia Bella. Nessun vampiro avrebbe dovuto toccarla.  
Correre… correre… non vidi altro che alberi, larghe distese. Mi orientai, sentendo la mente delle persone, utilizzando i pensieri della gente per attraversare ponti, città, luoghi sconosciuti. I miei sensi erano talmente acuti, la mia forza talmente incredibile che non ebbi più dubbi: il sangue umano mi aveva reso incredibilmente potente.
Mi chinai per evitare un ramo, poi saltai un masso, mi scontrai con l’acqua di un fiume, ma non mi fermai mai. Mai… e soltanto per lei. Sarei morto per lei.
Non l’avrei mai e poi mai abbandonata. Bella. Eppure avevo preferito farle correre questo rischio piuttosto che proteggerla io stesso, accanto a lei.
«Bella, perdonami» bisbigliai come se fosse stata lì con me.
E poi a un tratto la sentii. Il mio naso percepii l’odore di vampiro e io capii che si trattava di Victoria e Laurent. Mi bloccai e controllai lo spazio deserto intorno a me.
Mi abbassai, tastando il terreno e annusai. Sì, erano loro. Mi guardai intorno cercando di capire quanto vantaggio avevano su di me.
Anche loro si stavano spostando a piedi.
Era quasi sera. A tarda notte avrei raggiunto Forks, mentre loro sarebbero giunti di sera. Per quanto cercassi di correre veloce anche io avevo dei limiti, ma soprattutto tentavo di passare inosservato e questo mi rallentava molto.
Era incredibile però con quale energia avessi affrontato la traversata.
«Victoria…» ringhiai. «Ti avevo avvertita».
E poi continuai a correre nella direzione in cui mi indicavano le loro tracce. Mi accorsi in ritardo che i due si erano divisi. Che si fossero accorti di me?
Ripensai alle parole di Elizabeth che mi aveva consigliato si seguire Victoria e non Laurent e feci quello che mi aveva consigliato.
Così corsi deciso dietro alla vampira, sperando davvero che Elizabeth non avesse sbagliato i suoi pronostici, altrimenti Bella avrebbe corso un grave pericolo.
Mi fermai poco prima di Forks, sentendo nell’aria la presenza di Victoria. Era vicina.
«Sapevo che ci avresti seguito». La sua voce mi giunse chiara alle orecchie.
Mi voltai e non accennai a muovermi.
«E quindi?» risposi soltanto, le mascelle contratte.
Si scostò i lunghi capelli rossi dal viso, l’espressione divertita.
«Quindi ti aspetti forse che mi fermerò?». Rise e io aggrottai la fronte.
«Laurent arriverà da Bella, mentre io ti ho deviato. Sapevo che avresti seguito me».
Cercai di rimanere calmo. Era soltanto un modo per provocarmi, solo un modo per farmi credere che Laurent avrebbe colpito Bella.
«Che cosa farai Edward?» mi domandò, il viso rilassato, le braccia lungo i fianchi.
«Ti ucciderò» risposi con semplicità.
«Prego, fatti avanti». Sorrise e aspettò che io l’attaccassi.
Rimasi immobile, in attesa, squadrandola con attenzione. I muscoli tesi, lo sguardo fisso. Avevo la sua stessa forza ora. Avevo sangue umano nelle vene e quindi non sarebbe stato così semplice battermi.
«I tuoi occhi sono rossi» notò finalmente.
Sghignazzai. Victoria indietreggiò e si piegò in avanti. Non mi feci condizionare e mi irrigidii in posizione di battaglia.
Ma quando avanzai velocemente, la vampira iniziò a correre, sfuggendomi. Maledetta, voleva farmi perdere tempo, così non avrei mai raggiunto Bella la mattina seguente.
Continuai a inseguirla, mentre la sua risata mi entrava nelle orecchie e mi faceva infuriare. Perciò iniziai la mia corsa per afferrarla. Riuscivo a starle dietro, riuscii persino ad afferrarla e trascinarla per un lungo tratto, fino a che non fu in grado di liberarsi.
Non potevo togliermi dalla testa il fatto che era un modo per distrarmi, per tenermi occupato.
Divenni più violento. Tentai di fermarla in ogni modo, ma non faceva che saltellare e ridere, ridere e saltellare, tanto che persi la pazienza e la inseguii fino a che l’alba non ci raggiunse.
Maledizione, mi aveva portato lontano da Forks.
«Ti inseguirò, te lo giuro. E non ti lascerò in vita» le promisi.
«Molto interessante la tua minaccia» rispose, ma non sembrava affatto colpita dalle mie parole.
Scappò, proprio mentre il sole faceva capolino all’orizzonte e io le lasciai un margine di vantaggio. Dovevo trovare Bella, poi avrei pensato a Elizabeth. Le avevo promesso di tornare da lei, anche se il desiderio di uccidere Victoria stava facendo vacillare la mia promessa.
«Ti troverò, non temere» bofonchiai, tornando indietro.
Era realmente troppo tardi per raggiungere Bella, ma avrei tentato ugualmente. Laurent avrebbe cercato di farle del male e io non me lo sarei mai e poi mai perdonato.
Così ricominciai a correre verso Forks, il cielo azzurro con sfumature violacee mi accolse, ma la mia ansia riusciva a non notare la bellezza del paesaggio.
«Bella!» mormorai.
«Bella per favore» continuai esasperato.
E mentre il sole si alzava io continuai a correre, fino a che finalmente non arrivai a Forks.
Non appena però misi piede in città capii immediatamente dove si trovava Laurent e cosa stava facendo. Sentii forte il suo odore e anche quello di Bella.
Il terrore mi immobilizzò.
«Bella, Bella per favore» la supplicavo sottovoce.
Per favore. Ma non sapevo chi stavo pregando se lei oppure qualcuno che la aiutasse.
Ma qualcosa cambiò nell’aria e io mi accorsi immediatamente del cambiamento. Odore di lupo, odore di licantropo.
Scoprii i canini e mi tesi. Cosa voleva dire questo?
Un flash mi riportò al passato, e io ricordai il patto con i lupi. Ma pensavo non ci fossero più ormai, pensavo… ma evidentemente avevo sbagliato i miei calcoli.

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Capitolo 35
*** Rivederti è... vita! ***


Buonaseraaaaa!! Disse il tipo che aspettava quella lì fuori dalla porta in non ricordo che pubblicità passata. Sì, ho le idee chiare, lo so. :) Bene dai, sono allegra questa sera perché sono riuscita a scrivere molto oggi. Come va? Che mi raccontate? Sapete che state aumentando? Sono molto contenta. Vedo che questa storia sta appassionando e io sono proprio felice di questo. GRAZIEEEEE!! Bene, spero di non deludervi e continuare ad appassionarvi con questi capitoli Pov Edward. 

Non mi scordo di ringraziarvi per i vostri commenti. Grazie perché spendete il vostro tempo per scriverli e io questo lo so. Vi mando un bacione enormissimo.

Malia.

Rivederti è… vita

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Non sentii più la presenza di Laurent e capii che qualcuno doveva averlo ucciso. E quel qualcuno era un branco di lupi. Doveva aver invaso il loro territorio, ma a me non sembrava in tutta sincerità.

Forse però lui si era spinto troppo oltre.
Jacob Black, quel nome martellò il mio cervello a lungo. Era stato lui? E perché? Non volevo che la risposta giungesse ovvia, né che il mio cuore soffrisse a causa di quello che avrei potuto dire a me stesso. Perciò continuai a rimuginare fingendo di non sapere.
Eppure Laurent era morto, e solo quello doveva importare. E cioè che Bella fosse salva, che fosse al sicuro.
Corsi per la foresta e percepii odore di branco. Sì, dovevano essere stati loro.
Mi soffermai non appena l’odore nauseante di resti di vampiro mi venne al naso.
Ed eccola lì la carcassa distrutta di Laurent, ormai senza testa, braccia e gambe. Avevano fatto un ottimo lavoro, non avrei saputo come farlo meglio. Eppure quella violenza mi spaventò.
Non pensavo che potessero tornare branchi di lupi mannari a difendere il territorio, non quando c’era stato un patto anni e anni prima.
Certo, perché eravamo venuti a Forks, e a quel tempo gli antenati Quileute non ci avevano accolto con benevolenza. Ma da lì a tornare… pensavo che fosse ormai solo tempo di leggenda.
Invece di fronte ai miei occhi avevo la prova che i lupi erano tornati. Avrei dovuto dirlo ad Alice.
Tornai indietro e pensai, ripensai, ai pericoli che Bella avrebbe corso stando accanto ai lupi. Non solo vampiri a Forks, ma anche creature violente che potevano anche perdere la testa una volta trasformate. E la violenza su Laurent ne era la prova.
Davvero Bella sarebbe stata al sicuro? Pensai di tornare, anche solo per un attimo, a casa Swan, per guardarla, solo una volta.
Era così vicina, ero così vicino. E perché no, poterla di nuovo sfiorare per una notte, accarezzarle la bocca, cullarla contro di me.
Ma se ci fosse stato un altro? Dovevo temere questo adesso, che Bella non fosse più mia. Anche se Elizabeth mi aveva ripetuto più e più volte quanto lei mi amasse. E la dimostrazione c’era: il mio piccolo Bambi si era avventurata nella foresta per raggiungere la nostra radura.
Pur sapendo dei pericoli che avrebbe corso. Non le era importato, l’aveva fatto per me.
Ci fu un combattimento arduo dentro di me, un combattimento che però persi. Vinse l’amore. E quindi mi sottomisi al bisogno di rivederla. Avrei aspettato la notte e poi sarei entrato di soppiatto nella sua stanza, sperando che avesse ancora l’abitudine di lasciare la finestra socchiusa per me.
Forse lo faceva.
Il giorno non trascorse mai. Avevo avuto spesso nel corso della mia esistenza la sensazione che il tempo non passasse, e inesorabili quei minuti mi logorarono perché mi tenevano lontano dalla persona di cui ero innamorato.
L’avrei baciata? Le avrei confidato ancora una volta quanto l’amavo? Questi erano i miei pensieri e per quanto provassi a cacciarli, la mia testa non voleva sapere di debellarli, non voleva saperne di cancellare quell’ansia.
Forse perché mi teneva occupato.
Ritornai, per non rimuginare troppo su Bella, al momento in cui avevo lasciato sola Elizabeth. Lei era stata una vera sorpresa per me, e la sensazione che mi stesse nascondendo qualcosa era realmente più che una sensazione. Il fatto che mi avesse chiesto di tornare ne era la prova. Ma non avevo idea di cosa dovesse dirmi e perché il mio passato si era fatto così presente nella mia vita dopo la morte. Insomma non capivo… e non avrei capito fino a che lei non avesse fatto luce su questo.
Il tramonto venne proprio quando la mia pazienza si trasformò in aspettativa. Non mi rimaneva che correre verso la villa. Mi alzai, le gambe tremanti, ma non per la fatica, per l’emozione.
Presto l’avrei rivista, lì, nel suo letto, come un angelo, ad attendermi senza saperlo. La mia Bella.
Non dovevo farmi vedere, no, ma almeno un bacio. Solo un bacio.
Arrivato di fronte alla casa mi sentii rinascere. Ero morto, ma ora Bella mi avrebbe ridonato la vita. Mi arrampicai come facevo sempre, cercando dentro di me la forza non tanto per guardarla, quanto per lasciarla di nuovo andare.
La luce era accesa, Bella non dormiva ancora.
Stava parlando al telefono con sua madre.
«Sì, mamma sto meglio. Certo. No, per ora. No, è solo un amico. Ti farò sapere».
La guardai interrompere la chiamata e sedersi sul letto, sconsolata.
«Sì, è solo un amico. Mi domando se qualcuno potrà mai prendere il suo posto nel mio cuore» bofonchiò, e si stese sul letto guardando il soffitto.
Rimase in quella posizione per un po’, poi si sporse per spegnere la luce e accendere l’abatjour. Oh, se era bella! Non era un sogno, lei era proprio lì, di fronte a me, e sembrava piuttosto tranquilla. Era viva e stava bene. Aveva preso peso, il suo seno era aumentato e la trovai più sensuale che mai.
Il desiderio sopito si risvegliò in me, in modo violento, ma io lo soffocai. Cosa avrei provato se mi fossi avvicinato tanto da essere circondato dal suo dolce profumo? Volevo immergermi in quella fragranza che mi drogava e mi faceva perdere completamente la testa.
«Edward» bisbigliò e strinse il cuscino a sé. «Oggi sei stato con me ancora una volta. Ti ho sentito, c’eri. Non ce la faccio più senza di te».
Amore mio. La guardai irrigidirsi e iniziare a singhiozzare. Avrei voluto stringerla, aprire la finestra e stendermi accanto a lei, rassicurarla che ci sarei sempre stato per proteggerla. Che non potevo smettere di amarla come le avevo fatto credere, perché io ero suo.
«Edward…» ripeté. «Per favore torna. Il tuo silenzio fa male».
“Sono qui” dissi. “Bella, sono qui”.
Ma non mi mossi, consapevole che se l’avessi fatto avrei rovinato tutto. Non potevo, né dovevo rovinarle la vita, ma sempre di più non capivo le mie motivazioni. Starle lontano era una tortura; la volevo, desideravo sposarla, fare di lei la mia donna per sempre. E invece? Invece non avevo il coraggio.
Che vigliacco.
Bella non smise di piangere e io non riuscii a sostenere le sue lacrime. Stare fuori dalla sua finestra e vederla soffrire non mi avrebbe giovato. Ma era così… desiderabile ai miei occhi. Poter rivedere finalmente le sue labbra, la sua fronte e la sua pelle, morbida…
«Bella» mormorai solo per il gusto di sentire il suo nome sulle labbra.
Lei si voltò verso la finestra e io mi abbassai di scatto Non poteva avermi sentito, era fuori discussione. Venne verso il vetro chiuso e lo alzò affacciandosi al balcone. Feci appena in tempo ad allontanarmi. La guardai dal basso, ben nascosto nell’oscurità.
«Ti amo» sussurrò. «Ti amo e ti amerò sempre, non riuscirai a fare sì che io ti dimentichi. Mi hai capito? Tu sei tutto per me».
“Tu sei tutto per me”. Le avevo detto io tempo prima quella frase e ora lei la ripeteva senza paura.
Amore mio. Amore mio. Ripeteva il mio cuore fermo, senza sosta.
Non volevo che quell’amore, quell’amore per l’eternità, ma non avevo la forza di uscire allo scoperto per dirle: “Sono tornato. Mi perdoni?”.
Si sarebbe arrabbiata? Mi avrebbe odiato? Forse. Non potevo sapere con certezza cosa le passava per la mente.
Sentii bussare alla porta e ridacchiai. Il capo Swan. Anche lui mi era mancato.
Non appena Bella si allontanò dalla finestra risalii, arrampicandomi con agilità. Sbirciai all’interno e assistetti alla conversazione tra padre e figlia.
«Ti andrebbe di vedere la partita con me?» le chiese lui, il viso preoccupato.
«Ah, no, sono esausta». Finse di sbadigliare, il mio piccolo Bambi, e si dondolò sulle gambe.
«Va bene. Tua madre ha chiamato?» si informò.
«Sì, sta bene. Tutto ok» lo rassicurò Bella.
Suo padre annuì e si allontanò. Il mio cerbiattino si richiuse la porta alle spalle con un grande sospiro. Doveva essere realmente stanca e dopo l’attacco di Laurent non stentavo a credere che si sarebbe addormentata come un sasso.
Tutto a mio vantaggio ovviamente, perché così sarei riuscito a godermi la sua bellezza più a lungo.
Sarei rimasto fino alla mattina e poi sarei ripartito alla volta di Chicago. L’avevo promesso a Elizabeth, non potevo infrangere quella promessa.
Ma ero certo che se fossi rimasto una notte con Bella lei non se la sarebbe presa. In fondo voleva che noi due tornassimo insieme, no?
Bella iniziò a spogliarsi e io attaccai il muso al vetro, come un animale bisognoso di sfogare la sua frustrazione sessuale. Si tolse il maglione, e poi la t-shirt. Deglutii quando le sue spalle rosee si mostrarono a me. Tracce del suo profumo nell’aria mi fecero salivare veleno.
Merda se era bella.
E così poi si tolse i jeans e non staccai gli occhi da lei nemmeno un secondo. Le sue mutandine rosa mi stupirono e tremai di desiderio. Che follia. In passato mi sarei voltato, rispettando la sua privacy, ma da quando l’avevo lasciata non riuscivo più a contenere quell’irrefrenabile desiderio d’amore nei suoi confronti.
Perché era di questo che si trattava. Non di semplice sesso, ma di amore. Ed era l’amore che mi spingeva a desiderarla così intensamente. Uccisi il pensiero che Bella non sarebbe mai più stata mia, lo relegai in un angolo del mio cuore, e mi illusi che presto o tardi il destino ci avrebbe rivoluti insieme perché il nostro era un amore voluto dal fato.
Continuai a guardarla e la osservai indossare il pigiama. Andò in bagno per lavarsi i denti e darsi un’ultima rinfrescata poi tornò. E ad attenderla c’erano i miei occhi avidi.
«Mi sento osservata» bofonchiò lanciando uno sguardo alla finestra. «Questa storia di Laurent mi ha fatto male al cervello».
Con un gesto stizzito si mise sotto le coperte e si girò su un fianco, spalancando le palpebre.
«In effetti Victoria potrebbe essere nei paraggi».
No, l’avevo cacciata io, e non l’avrei fatta avvicinare a lei per nulla al mondo. Non più almeno. Si era già avvicinata abbastanza a Bella. Non avrei ricommesso lo stesso errore una seconda volta. Avrei avuto la testa di Victoria molto presto.
L’avrei inseguita in capo al mondo, pur di ucciderla. Soffocai un ringhio furioso, ma poi tornai alla calma.
Bella socchiuse gli occhi, a causa della stanchezza non riusciva a tenerli aperti, ma di tanto in tanto si svegliava per controllare che nella stanza non ci fosse nessuno.
Era spaventata. Sentivo comunque che presto si sarebbe addormentata e infatti non trascorse un’altra mezz’ora che il mio piccolo Bambi crollò in un sonno profondo.
Fremetti al pensiero di poter entrare nella sua camera. Aprii piano la finestra, che lei comunque aveva dimenticato di chiudere totalmente e sgattaiolai all’interno.
Caddi a terra non appena il suo profumo tornò dentro di me. Quella reazione, perfettamente normale e assetata, fu la benvenuta. Avrei pianto se avessi avuto ancora lacrime. Il desiderio per Bella mi faceva dolere lo stomaco, la pancia in subbuglio mi faceva bramare il suo dolce sangue, per me irresistibile.
Chiusi gli occhi, godendo a fondo di quella sofferenza. Ero ormai diventato pazzo, ma non me ne importava niente. La amavo e avrei sopportato qualsiasi dolore pur di poterla rivedere almeno una volta.
Strisciai fino a lei e la guardai respirare. Appoggiai il mento sul letto e sentii dentro me la voglia di gridare, urlare, uccidere, ma non la mia piccola Bella, non lei, me stesso, per averla abbandonata. Ero furioso con me stesso per aver perso quel tesoro prezioso.
«Amore» le dissi piano. «Lo sai che ti amo, vero?».
Sperai che si svegliasse, che spalancasse gli occhi e mi guardasse. Non avrei avuto vie di fuga, ero troppo attratto dal suo sangue per riuscire a scappare in tempo. Ma lei era anche molto stanca, la giornata l’aveva vista rischiare la vita. Ovvio che aveva bisogno di riposo.
«Bella, amore» sussurrai.
«Edward» rispose, la bocca impastata dal sonno.
Non aprì gli occhi, ma non mi importò. Avevo mormorato ancora il mio nome, anche nel sonno. Ero l’uomo più felice della Terra. Nessuno poteva dirsi felice quanto me.
«Edward, Edward, Edward» ripeté muovendo la testa da una parte all’altra.
Il suo sonno era agitato, ma non sembrava sul punto di urlare come era successo in passato. Ero contento di questo, forse il mio cuore non lo era, ma non sopportavo le sue grida. Erano soltanto colpa mia per questo mi sentivo colpevole. Ma il fatto che avesse smesso di gridare voleva forse dire che si stava allontanando da me?
«Bella, tu lo sai che ti amerò per sempre vero?» bisbigliai, carezzandole una guancia.
«Sì, oggi c’eri. Eri vicino a me. Ti ho sentito».
Mi aveva risposto nel sonno. Dolce. Continuai ad accarezzarla, scostandole i capelli dal volto.
«C’ero. Non ti avrei mai lasciata da sola» la rassicurai.
«Lo sapevo» bofonchiò. «Perché io ti sento quando sono in pericolo. Questo perché tu mi hai detto di non cacciarmi nei guai, ma non mi lasceresti mai sola».
Sospirò e si sistemò, girandosi sull’altro fianco. Presi un profondo respiro, eccitato come non mai, e tornai vicino a lei, seguendola dall’altra parte.
Mi sporsi per darle un bacio sulla fronte. Dovevo farlo perché se non l’avessi sfiorata avrei soltanto aumentato la mia sofferenza.
Le poggiai le labbra sulla pelle e una scarica di desiderio mi fece ringhiare.
«Sono felice. Mi fai sempre lo stesso effetto» scherzai.
Non era cambiato niente, era come se fossimo sempre stati insieme, legati eppure distanti. Mi sarebbe piaciuto baciarle le labbra, assaggiarle. In fondo Bella era ancora mia, non ci sarebbe stato nulla di male nel prendere ciò che mi spettava.
Abbassai il capo e trattenni il fiato.
«No» borbottò lei voltandosi.
Sbattei le palpebre e mi sorpresi. Non aveva voluto un mio bacio.
«Non è giusto. Tu mi hai lasciata».
La sua frase mi spezzò il cuore. Appoggiai la fronte sul copriletto e respirai, percependo nuovo dolore. Aveva ragione lei, non avevo il diritto di pensare di baciarla, non quando le avevo fatto quello. Ero un egoista, uno stupido.
«Edward» ripeté. «Io ti amo, torna da me».
Non voleva un mio bacio però. Non lo voleva più e forse questo era dovuto al nuovo ragazzo che le stava a fianco, forse era a causa sua se Bella ora era confusa.
«Non vuoi più baciarmi?» le domandai alzando di un tono la voce.
Bella non rispose, tornò a dormire e bofonchiò qualcosa che non riuscii a decifrare nonostante il mio udito.
Ero rimasto ferito dal suo rifiuto, ma dovevo aspettarmelo. L’avevo lasciata sola.
Le sfiorai il braccio e lo sentii freddo. Così pensai bene di metterlo sotto le coperte per evitare che sentisse freddo. Lo presi, sollevandolo con cura, contento di poterla toccare, come un bimbo felice di aver ricevuto il suo premio per essersi comportato bene, e la coprii meglio.
«Ecco così». Le rimboccai meglio le coperte e mi sentii vagamente ridicolo.
Una brava mamma, ecco cosa sembravo. Io invece volevo baciarla, stringerla, e infilarmi con lei sotto le coperte.
Dovevo decidermi però.
E così presi la mia decisione. Mi tolsi le scarpe e mi stesi sul letto. Evitai le coperte, perché Bella si sarebbe potuta svegliare. Così la abbracciai, cercando di non toglierle spazio, per quanto possibile.
«Che profumo» sussurrò Bella estasiata. «Il tuo profumo. Mi sembra che tu sia qui».
La strinsi forte a me e le risposi: «Sono qui, e sto aspettando un tuo bacio».
Bella ridacchiò e mi circondò con le braccia il collo. Quello sì che era il Paradiso e io avevo deciso di lasciarlo andare via.
«Bella… io ho bisogno di te» le confessai, sussurrandole nell’orecchio parole d’amore.
«E io di te» replicò.
Socchiuse le palpebre e mi sorrise: «Devo aver bevuto».
Evitai di scoppiare a ridere e le strusciai il naso sulla guancia. «Solo un bacio e poi sparirò» le dissi con dolcezza.
«E perché dovrei baciarti allora?» ribatté accarezzandomi i capelli.
Amavo quando passava le dita tra i miei capelli, sentivo il suo amore quando mi toccava così.
«Perché se non lo farai, io morirò» mi ritrovai a dirle.
«Io non voglio che tu muoia. Voglio che tu possa tornare da me, Edward, ti prego» bisbigliò. «Qui c’è Jake, ma non può essere te. Capisci?» mi spiegò, lagnandosi.
Si stava comportando come una bimba, ma era normale, lei credeva di stare sognando, come spesso avveniva quando trascorrevo la notte con lei. Bella aveva un sonno pesante, per mia fortuna, ma era una chiacchierona.
«Tieni molto a Jake?» le domandai, curioso.
«Non quanto amo te. No, io ti amo. Tu sei tutto» mi rassicurò e poi mi baciò.
E quel bacio davvero fu la mia salvezza. La mia anima iniziò a cantare per la felicità, si librò e desiderò non scostarsi mai da quella posizione.
Bella, Bella, Bella.
«Ti sto baciando e sembra così vero» bisbigliò tornando a poggiare le labbra sulle mie.
«Io sono nel tuo sogno; puoi fare di me ciò che vuoi qui» farfugliai ben sapendo quanto mi costasse resistere al richiamo del suo sangue.
«Possiamo fare l’amore?» mi domandò e io ingoiai il veleno, sentendo il mio corpo reagire alle sue parole.
«Non so» risposi. «Tu… lo vuoi?».
Non potevo approfittarmi di lei in quel modo.
“Non l’avrai più, non si ricorderà più di te. Non saprà mai di aver trascorso la notte con te”.
Ma era vergine, non potevo rubarle ciò che aveva di più prezioso.
«Sì, lo desidero tanto, l’ho sempre desiderato. Sei bellissimo».
Io bellissimo. Detto da lei quel complimento mi faceva ardere di desiderio.
«E se lo facessimo domani notte? Quando sarai meno stanca?» le proposi, sperando cadesse nella mia rete.
«Sì, ma devi promettermi che tornerai».
Non potevo farlo, perché non sarei tornato, perciò rimasi in silenzio.
Non l’avrei mai ferita intenzionalmente. Per quanto il mio desiderio fosse grande mai e poi mai mi sarei azzardato a farle provare un’esperienza come l’amore quando non potevo permettermi di stare con lei.
Avrei provato disgusto per me stesso.
«Ti amo» le sussurrai, prima di allontanarmi da lei.
Dovevo andarmene. Un bacio doveva essere abbastanza. Anche se non era stato un bacio vero, dovevo ringraziare la buona stella per avermi fatto tornare da lei, per averla potuta vedere anche soltanto un’altra volta.
«Nessuno ti amerà mai più di quanto ti amo io» sussurrai sicuro.
Io avrei dato la mia vita per salvare la sua in qualsiasi momento, senza pensare, perché l’amavo, perché non mi interessava affatto la mia vita se non potevo avere lei.
Però… non avevo ancora smesso di combattere, anche se non sapevo il motivo.
Mi avvicinai alla finestra; mi voltai per guardare un’ultima volta il mio dolcissimo cerbiattino addormentato e poi mi gettai nel buio.
Ancora sentii vuoto dentro, il mio cuore era sempre lì con lei.
I miei piedi toccarono terra e il mio sguardo salì verso il cielo: «Tu che puoi, proteggila» mormorai e poi ricominciai a correre verso Chicago.
C’era qualcosa ad aspettarmi, qualcosa di importante, ma che mi avrebbe dato speranza.
La chiave di tutto era Elizabeth.

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Capitolo 36
*** Lettere dal passato ***


Buongiorno!!! Come state? Vi ringrazio tanto per i vostri commenti affettuosi, siete tanto carine. :) Sono contenta quando vi posso rispondere, e infatti ho scoperto tante cose belle che pensate e che mi fa piacere sapere. Soprattutto cosa pensate sulla saga e su certe situazioni. Allora, spero che questo lunedì sia cominciato bene. Io aggiorno e lascio a voi la lettura.

Un grandissimo bacione a tutti i lettori di Nadir. 

P.S. Qui fa ancora molto caldo, meglio scrivere la mattina presto. 



Lettere dal passato

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Bussai alla porta e ad aprirmi fu un’Elizabeth preoccupata. Non appena mi vide mi abbracciò stretto. Dondolammo sul pianerottolo, felici di rivederci, e io le feci fare una piroetta.
“Scusa il ritardo”, le dissi col pensiero.
“No, non fa niente” rispose, circondandomi il torace con le sue braccia.
Appoggiò il capo contro il mio petto e io la strinsi a me con forza, cercando di non farle male.
«Scusami» parlò questa volta. «Ma è bello avere compagnia. Io sono sempre stata molto sola».
Entrai e Elizabeth mi offrì un bicchiere di sangue. Lo preparò con cura in un bel bicchiere, persino decorandolo.
«Su racconta» mi intimò.
«Victoria è fuggita, Laurent è morto» tagliai corto, per farla breve.
«Direi che hai ottenuto una buona vittoria» commentò.
Mi portò il bicchiere, poggiandolo sul tavolo, e si mise seduta accanto a me con una porzione di torta tra le mani. Iniziò a mangiare in silenzio e io cominciai a sorseggiare il mio drink.
«Non sono stato io a uccidere Laurent» le confidai. «Sono stati dei lupi. Un branco poi. Sono tornati».
Le spiegai la storia, che pensavo ormai conclusa, di quando per la prima volta ci eravamo stanziati a Forks.
«Certo… e Victoria? La inseguirai». Non era una domanda perciò mi limitai a farle un cenno con il capo.
«Vieni, vorrei darti una cosa» mi disse e mi prese per mano. «Vieni, è giusto che io te la dia ora. Così poi potrai andare via. Anche se…» confessò poi «anche se mi mancherai».
Mi trascinò per il corridoio. Provai a leggerle nel pensiero, nella mente, ma non ci fu verso di capire cosa fosse di così vitale importanza da meritare la mia attenzione. Ingoiai la saliva, nervoso, e quando aprì la porta della sua stanza mi imbarazzai. Mi portò verso l’armadio dove probabilmente teneva vestiti e gioielli e mi lasciò andare. Aprì il primo cassetto e tirò fuori una lettera, che a giudicare dall’aspetto doveva essere molto vecchia.
«Di tua madre» bisbigliò.
Poi prese a frugare tra i suoi panni e ne tirò fuori un’altra.
«Di tuo padre» concluse.
Le guardai e smisi di respirare, portandole al cuore.
«Ma perché le hai tu?» farfugliai confuso.
Perché non Carlisle? Era lui ad aver recuperato tutte le cose dei miei genitori dopo la loro morte. O così mi aveva detto. Eppure quelle due lettere erano in mano di Elizabeth.
«Tua madre sospettava cosa saresti diventato. Voleva che tu continuassi ad avere contatti con la tua famiglia. Che non la dimenticassi. Carlisle sapeva poco di noi» mi spiegò. «Io credo che tua madre abbia voluto farti tornare. Lo sento»
«Perché?» le chiesi e lei fece spallucce.
«Leggi la lettera, io non l’ho fatto. Me l’ha data mia madre. Era per te, non per me» replicò.
Mi sorrise, tristemente, e io capii che il suo compito era terminato. Lei mi aveva aspettato per darmi quelle lettere. Una volta lette ero libero di andarmene, libero di andare a caccia di Victoria. Ed Elizabeth doveva sapere che l’avrei fatto, che sarei andato in cerca di quella vampira.
Non avrei mai lasciato a un vampiro l’occasione di potersi avvicinare a Bella.
«Vai, leggile, io ti aspetto qui» mi disse e si sedette sul letto.
Il suo pallore mi parve anomale, ma evitai di chiederle se si sentisse bene. Mi pareva calma, quindi tornai in salone, da solo, ma preferii comunque andare vicino al pianoforte.
Mi misi seduto e poggiai le lettere sui tasti. Quale leggere prima delle due? Quella di mio padre o quella di mia madre?
Optai per quella di mio padre, che ricordavo di meno.
La aprii, attento a non strappare la carta, ormai decadente e delicata, ma questa comunque non aveva più molta colla, quindi riuscii ad aprirla con facilità.
Edward, figlio mio, iniziava la lettera.
Quando leggerai questa missiva non so dove sarò, ma sono certo non accanto a te. Non ci sarò, e con me forse i miei ricordi, la mia vita. So di essere stato severo con te. Ero orgoglioso di vederti crescere e soprattutto di sentirti parlare di eroismo, di patria… perdonami se uso questo tono confidenziale con te, ma sei mio figlio. Sono stato severo, ho dimenticato prima di tutto di essere un buon padre, ma tu non ti sei mai dimenticato di me. Prego che non mi dimenticherai mai. Tua madre si preoccupa, sente che tu non avrai un futuro. Ma io non ci credo… la spagnola sta decimando la nostra città. Volevo parlarti di una cosa di cui non mi sono mai azzardato a parlare con te. Volevo innanzitutto parlarti dell’amore.
Sai, figlio mio, esistono vari tipi di amore, ma quello vero, quello accade una sola volta nella vita. E se lo perdi, se ti permetti di lasciarlo scappare, forse non avrai un’altra occasione per viverlo.
Io e tua madre abbiamo avuto la fortuna di sposarci per amore. Io e lei eravamo solo due ragazzini quando ci siamo conosciuti, ma questo non ha mai cambiato il valore di quello che provavamo l’uno per l’altra.
Quando l’amore è reciproco Edward, si condivide ogni cosa, si condividono anche i pericoli. Avevo paura che tua madre potesse un giorno uscire di casa e ritrovarsi in difficoltà… ma non potevo assolutamente prevederlo. L’unica cosa che potevo fare era renderla felice, vederla sorridere, e sapevo che questo potevo farlo soltanto io. E quando hai questa consapevolezza, sappilo, quello è il vero amore.
Smisi di leggere e appoggiai la testa sulle mai, scuotendola un attimo. Perché proprio ora? Perché proprio quando avevo abbandonato l’amore della mia vita? Faceva male leggere quella parole, perché erano vere.
Nonostante il dolore al petto continuai a leggere. Dovevo a mio padre quella sofferenza, perché lui si era comportato in modo onesto con me. Glielo dovevo.
Se avessi potuto parlargli gli avrei detto di non averlo mai dimenticato, mai, ma non sarebbe mai stato possibile rincontrarlo. Carlisle aveva preso il suo posto, era un ottimo padre per me, ma dovevo ammettere che avrei voluto conoscere meglio l’uomo che mi aveva messo al mondo, prima della sua prematura morte.
Continuai a leggere.
Vorrei darti un consiglio se me lo permetti. Non crogiolarti troppo nei tuoi errori, nei tuoi sbagli, vivi con coscienza e guarda avanti, per migliorare l’uomo che sei. So che lo farai, perché sei mio figlio. Non sono stato un buon padre per te, vero?
Non ricordo che le tue parole rispettose e la tua rigidezza ogni volta che entravo nella stanza. Ma io credo che in fondo tu sapevi che desideravo solo il meglio per te. Tua madre diceva che invece non capivo quanto fossi sensibile. Ma è giusto che le donne pensino così, Edward, è giusto che loro si preoccupino per il cuore dei loro figli, mentre noi uomini del loro futuro come uomini.
Volevo dirti un’ultima cosa… sono molto orgoglioso di te. Anche ora. Non so cosa tu stia facendo, non so chi sarai diventato, ma sono certo di essere orgoglioso di mio figlio. Mi auguro che quando leggerai questa lettera tu sarai già sposato e che amerai tua moglie, la tua compagna, come ho fatto anche io con tua madre. Sei un Masen. Sempre tuo.
Edward Masen.
Quella lettera aveva sapore di passato, ma in un certo senso anche di futuro. Vedere la spessa calligrafia di mio padre sul foglio mi fece tornare a quando ero bambino, a quando lo cercavo e vedevo in lui un esempio da seguire. Un Masen. Mi guardai il polsino che mi voleva un Cullen e un po’ mi dispiacque per mio padre. Chissà se mi avrebbe mai considerato ancora suo figlio se avesse previsto che sarei diventato un vampiro. Non ero sicuro che ne sarebbe stato tanto orgoglioso. Ma io ero rimasto sempre me stesso, bene o male, con qualche tipica caduta vampiresca, non ero mai cambiato, c’era sempre Edward Masen dentro di me.
“Edward, come stai? Sento il tuo dolore” mi chiese Elizabeth dalla sua stanza.
“Pensi che mio padre sarebbe stato orgoglioso di me anche sapendo che sono un vampiro?” le domandai, richiudendo con cura la lettera di mio padre e riponendola nella busta.
Era sempre stato un uomo forte.
“Non lo so. Forse no. Non è una cosa semplice da capire per gli esseri umani. Però sono convinta che sarebbe orgoglioso della persona, dell’uomo che è in te” concluse.
Già, non era certo semplice venire a conoscenza dell’esistenza dei vampiri. Chissà come l’aveva vissuta mia madre. Adocchiai la sua lettera, ma decisi che l’avrei letta più tardi.
Volevo pensare alle parole di mio padre.
“Sembra che si riferisca a Bella, eh?” commentò nella mia mente.
“Non avevi detto di non averle lette?” la interrogai così.
“L’hai letta ad alta voce nella tua mente, ne ho solo approfittato, scusami. Non è sempre facile evitare di leggere nei pensieri di chi urla” si giustificò.
“Non fa niente” replicai, pur sentendo una punta di fastidio.
“Mi dispiace”. Era davvero dispiaciuta.
“No, non fa niente” la rassicurai.
Era parte della mia famiglia anche lei, ed era stata sola ad aspettarmi tutto quel tempo. Le dovevo un minimo di gratitudine per ciò che aveva fatto per me.
Quando però il silenzio mi riempì la testa mi preoccupai. Non percepii più la presenza di Elizabeth. Che mi avesse tagliato fuori dai suoi pensieri? Accadeva spesso, ma quel vuoto mentale mi spaventò.
Perciò mi alzai, riposi la lettera di mio padre sopra quella di mia madre, e andai verso la camera. Bussai, ma non ottenni risposta.
Bussai ancora, non volevo disturbarla. Probabilmente si era addormentata. Non ci avevo riflettuto, dimenticavo spesso che non era un vampiro, ma un essere umano.
Rilassai le spalle e feci per andarmene, quando il timore mi spinse ugualmente a controllare che lei stesse bene. L’avrei vista comunque sotto le coperte addormentata, no? Non c’era nulla di male in questo, desideravo solo controllare che stesse bene.
Aprii la porta ed entrai.
«Eliabeth?» mormorai.
La vidi accovacciata ai piedi del letto.
«Arrivo, scusami» faticò ad articolare.
L’odore di sangue umano mi inondò le narici e io capii che stava perdendo sangue. Che cosa stava succedendo?
Mi affrettai verso di lei. Stava tossendo, le spalle scosse dai singulti, e dalla sua bocca usciva sangue.
Mi chinai e le passai una mano intorno alle spalle.
“Edward” pensò, ma poi ricominciò a tossire.
Le sostenni la testa e pensai di rinfrescarla in qualche modo, ma non volevo lasciarla sola.
«Respira, prendi profondi respiri» mormorai preoccupato.
Cosa aveva? Tubercolosi? Ma la tubercolosi ormai nel XXI secolo non era più una malattia molto comune in Occidente. Dovevo tornare al presente, non rimanere agli inizi del 1900. Non mi ero ancora svegliato dal torpore dopo aver letto quella lettera.
I conati non diminuirono e così la presi tra le braccia, spaventato, spostandola sul letto. Non potevo farla distendere, avevo paura che si sarebbe strozzata, perciò le imposi di sedersi sul morbido copriletto. Smise di tossire e cercò di respirare.
Le presi un fazzoletto dal comodino e glielo premetti sulla bocca, in attesa che il suo cuore tornasse a battere normalmente. Quando successe lei si stese e mi ringraziò senza parlare.
Abbracciò il cuscino e si rannicchiò sul letto.
“Scusa, non volevo spaventarti” commentò con dolcezza.
“Cos’hai?” mi permisi di chiederle.
“Polmonite, passerà” rispose, prendendo un profondo respiro.
“Devi stare a riposo. Da quando sei in queste condizioni?” le domandai.
Doveva essere una forma virale di polmonite, comunque grave, se sputava sangue. Non doveva prenderla così alla leggera. Sarebbe stato meglio somministrarle qualche cura, come quella antibiotica, e poi consigliarle assoluto riposo.
“Non sono andata da un medico”. Arrossì a quell’ammissione e io mi infuriai.
«Non sei andata da un medico?» urlai accanto a lei. «Ma sei impazzita? Cosa ti è venuto in mente?».
Si rannicchiò di più sul letto e sprofondò il viso nel cuscino, senza rispondere. Ero stato molto violento con lei. Mi sedetti accanto a Elizabeth, al suo corpo abbandonato sul letto, e le portai una mano tra i capelli, accarezzandola gentilmente.
“Scusa, mi hai fatto spaventare” le confessai.
“Tu mi vuoi un po’ di bene, Edward?” mi chiese e la sua domanda mi spiazzò.
Sentii tanta solitudine dentro di lei, la stessa che aveva corroso me i primi tempi, quando ero diventato vampiro. Pensavo che sarei rimasto solo, senza famiglia, per l’eternità. Solo con quel perenne bisogno di sangue, come un mostro.
“Io ti voglio bene, piccolina” le assicurai. “Sei una parte di me. La mia famiglia”.
Elizabeth scoppiò a piangere e io mi stesi accanto a lei, prendendola tra le braccia. Non mi piaceva saperla sola, non dopo aver visto l’attacco di tosse. Speravo che mi stesse dicendo la verità, che fosse soltanto polmonite, che non fosse tumore o altro.
“Dormi” le dissi. “Ci sono, non me ne vado. Sto qui con te” cercai di tranquillizzarla.
“Ma un giorno andrai via” bofonchiò lei.
Sì, necessariamente dovevo. La mia vita non era lì con Elizabeth, era con i Cullen. Per quanto fossi un Masen ero anche un Cullen adesso, e stavo trascurando la mia famiglia. Ma non volevo dire a Elizabeth una cosa simile, non volevo deluderla.
“Rimarrò qui, adesso. Dormi”. Le accarezzai i capelli e la cullai contro di me.
A Bella piaceva quando le canticchiavo la sua ninna nanna per farla addormentare. Così feci lo stesso con Elizabeth e funzionò. La ninna nanna di Bella la portò a chiudere gli occhi e ad addormentarsi pesantemente. Il suo corpo doveva essere esausto.
Lasciarla lì, a dormire senza nessuno che la controllasse, era fuori discussione, perciò mi rilassai e mi apprestai a fare una cosa che avevo sempre fatto. Aspettare. Soprattutto con Bella avevo trascorso intere notti ad aspettare che lei si svegliasse, solo per parlarmi, anche solo per sentire il mio nome sussurrato nel sonno. Mi piaceva stringerla tra le braccia, perciò non era un peso, né un problema. 
Continuai a canticchiare fino a che non spalancò gli occhi, riposata, e mi guardò sorpresa.
«Sei rimasto qui tutto il tempo?» mi domandò.
«Certo, non ti lascio da sola» borbottai, sfiorandole una guancia con le dita.
«Grazie» rispose sorpresa.
Elisabeth aveva proprio bisogno di qualcuno che si prendesse cura di lei. Non era possibile che una ragazza così dolce e fragile dovesse affrontare la vita in solitudine. Aveva probabilmente abbastanza lasciti dai Masen per non lavorare a vita.
Il suo pallore, le vene così  visibili, non lasciavano presagire nulla di buono: era una persona eccessivamente delicata e sensibile.
«Se vuoi dormire ancora, non ci sono problemi» affermai «rimarrò qui».
Scosse la testa e tentò di alzarsi, ma lo scatto fu troppo veloce e così dovette nuovamente distendersi. Le poggiai una mano sulla fronte e la sentii calda. Non potevo esserne sicuro visto che la temperatura del mio corpo era quella di un morto, ma avevo la sensazione che Elizabeth avesse la febbre.
«Vado a prepararti qualcosa di caldo. Tu mettiti un pigiama e infilati sotto le coperte».
Questa volta non protestò. Doveva stare realmente male. Evitai di farle la predica perché non mi aveva detto nulla. Mi limitai ad uscire dalla stanza e ad andare in cucina, intenzionato a prepararle un brodo, oppure una bella minestra calda.
Mi fermai solo per guardare il viso del ragazzo ritratto. Chissà chi era quel giovane e perché Elizabeth non voleva sapere niente di lui. Nel tempo che mi rimaneva lo avrei scoperto, poi sarei andato via. Lei stava realmente bene come voleva far credere? Questo mi preoccupava di più. Forse stava sminuendo un serio problema di salute pur di non trattenermi.
“Stai bene?” le chiesi non appena mi misi ai fornelli.
Non ero certo bravo come Esme, però qualcosa avevo imparato a farla. Erano secoli che non mettevo piede in una cucina umana per cucinare. Insomma avrei anche potuto mandare a fuoco qualcosa, ma confidavo sui riflessi pronti da vampiro.
“Abbastanza, ho freddo” mi rivelò.
Sì, doveva avere la febbre.
“Hai un termometro qui in giro?” le chiesi e lei mi indicò dove.
Lo cercai e poi lo portai nella sua stanza, affinché si misurasse la febbre. Volevo rimanere lì fin quando non si fosse misurata la temperatura, per evitare che barasse o mi dicesse una cosa per un’altra. Ormai la conoscevo e potevo dire con una buona sicurezza che pur di non farmi preoccupare e partire avrebbe detto di stare bene e di essere guarita.
Aspettai cinque minuti e poi le sfilai io il termometro dal braccio, nonostante le sue proteste.
38.7.
«Dovrei sopportarmi sai? Hai la febbre» bofonchiai dispiaciuto.
Le sue guance rosse sotto le coperte erano indicative. Doveva sentirsi molto stanca.
«Ti porto da mangiare» le dissi. «Poi puoi dormire. Non ti preoccupare, io ho la lettera da leggere e molto a cui pensare»
«Ma tu devi andare a cercare Victoria» si lamentò.
Per quello ci sarebbe stato tempo, ora dovevo occuparmi di lei. Aveva bisogno di me e certo non le avrei chiuso la porta in faccia quando lei era stata così gentile ad accogliermi.
«Non devi» insisté, ma io non la ascoltai.
Le portai la minestra, che non doveva essere un granché vista e considerata la mia incapacità in cucina. Ma lei non si lamentò, mangiò quel tanto che poteva e poi mi ridiede il piatto. Lo riportai indietro e mi domandai ancora una volta il motivo per cui mi aveva nascosto di non stare bene.
“Hai bisogno di altro?” le domandai.
“Acqua” rispose.
Ah certo acqua. Incredibile dimenticarsi di una cosa simile. Le portai una bottiglia e un bicchiere, che appoggiai accanto a lei.
«Edward» cominciò «io non voglio che tu ti senta obbligato a rimanere».
La guardai per pochi secondi, aspettando che dicesse altro, ma lei tossì e io la aiutai a mettersi seduta per meglio confrontarsi con quell’attacco di tosse.
«Terribile» borbottò. «Non ero mai stata così male».
Una tachipirina le sarebbe servita per far abbassare la febbre. Mi ripromisi di uscire a comprarla. E poi mi sarei occupato degli antibiotici. Ero un medico, perciò certamente mi sarei orientato tra il marasma di nuovi antibiotici messi in commercio nell’ultimo periodo. Probabilmente Carlisle mi avrebbe saputo consigliare meglio.
«Posso fare qualcos’altro per te?» mi limitai a dirle.
Sollevò la testa e mi fece segno di sedermi di nuovo al suo fianco.
«Vorrei un abbraccio» sussurrò imbarazzata.
E io la abbracciai. Percepivo un legame forte con lei, sentivo scorrere lo stesso sangue nelle nostre vene. Per modo di dire, perché io non ne avevo più, però sì, era questo che sentivo, il legame famigliare, di parentela, che mi imponeva di non abbandonarla, perché era diventata importante.
«Grazie di essere qui» bisbigliò e io capii la sua voglia di piangere.
Non dissi nulla, aspettai che la crisi fosse trascorsa. Elizabeth. Quale mistero si nascondeva in lei, quali capacità!
«È un piacere per me averti conosciuta» le confessai. «Non pensavo dopo tanti anni di poter assistere a questo miracolo».
Mi sorrise, raggiante, e io compresi di dover fare qualcosa per quella ragazza. Non avrei mai avuto la forza di andar via, sapendo quanto fosse sola, e quanta sofferenza ci fosse nella sua vita.
Forse lei non voleva dimostrarlo, ma io l’avevo visto. Ormai, lo sapevo.



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Capitolo 37
*** Non voglio perderti ***


Buonasera!!! Aggiorno veloce veloce perché devo uscire, volevo dirvi grazie grazie grazie che mi seguite (oggi sono ripetitiva). E poi be', naturalmente anche buona lettura. *Attenzione perché è un pochino triste*  Malia.


Non voglio perderti

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Mi stesi al suo fianco e la abbracciai, mente Elizabeth sospirava nel sonno. Il suo pallore non era diminuito, nonostante questo diceva di stare bene e di non preoccuparmi. Non le credevo. Temevo che la sua situazione stesse peggiorando, ma che non volesse dirmelo. Il fatto che poi chiudesse la sua mente e la barricasse ne era una prova.
«Elizabeth» la chiamai. Era mattina inoltrata e non si era ancor svegliata.
Si destò di soprassalto e si aggrappò a me. Strinse la mia maglietta tra le dita e iniziò ad ansimare. La tenni stretta cullandola contro il mio petto. Non avevo ancora letto la lettera di mia madre. Non volevo lasciare Elizabeth, non potevo lasciarla da sola. Abbandonarla sarebbe stato rigettare una parte di me.
«Edward» mormorò finalmente e io la guardai. «Buongiorno».
Era così stanca, percepivo il suo cuore battere lentamente. «Buongiorno».
Lei mi sorrise e mi prese la mano tra le sue. «Non puoi continuare a rimanere qui. Sai anche tu che devi andare via».
Non le risposi, e la sistemai al mio fianco. Le baciai la fronte sudata e mi accorsi di volerle davvero bene. Non volevo perderla.
«Non farti idee strane in quella testa» borbottò. «Il mio compito con te è finito. Solo non mi aspettavo di affezionarmi così tanto».
Quella confessione doveva esserle costata fatica. «Io non voglio abbandonarti da sola».
Tuttavia Elizabeth non mi credette, perché mi scostò con la mano e scrollò le spalle. «Tu sceglierai Bella. E lei è in pericolo. Più ti attardi più lei corre rischi. Non puoi permettertelo, nemmeno per me».
Ma che stava dicendo? Io non avrei abbandonato Bella al suo destino di morte, né l’avrei fatto con il sangue del mio sangue. Non potevo abbandonare ciò che rimaneva della mia famiglia.
«Edward» mi chiamò ancora. Basta! Scossi la testa. «Edward sto morendo. Lo sappiamo entrambi. Il mio compito è finito».
La presi per le spalle e la fissai negli splendidi occhi verdi che conoscevo così bene. «Tu non stai morendo, hai solo una leggera polmonite».
Lei rise e mi abbracciò stretto. «Per favore, fammi morire così» mi chiese. «Non mi sono mai sentita più sola».
Non l’avrei lasciata morire. Si sbagliava di grosso se pensava che avrei rinunciato a combattere. Piuttosto se considerava il suo compito finito avrei bruciato la lettera di mia madre. Non aveva più importanza il resto quando Elizabeth stava male.
«Non voglio che tu mi lasci. Sei ciò che mi rimane» farfugliai.
«Non ti lascio. Io veglierò su te e Bella sempre» commentò e chiuse gli occhi, abbandonandosi sul letto.
La paura mi attanagliò e le poggiai una mano sulla guancia. Il suo cuore batteva ancora ma ero ugualmente terrorizzato. Non volevo perderla, non potevo.
«Bella è la mia vita, Elizabeth» le dissi. «Voglio un uomo per te, che dia la vita per te, come farei io per lei ogni giorno».
Mugugnò qualche parola, poi si addormentò di nuovo. Che dovevo fare? Ero un medico, ma non capivo i motivi per cui Elizabeth era improvvisamente diventata così debole. Sì, forse la polmonite l’aveva indebolita, ma credevo che… non pensavo che… ero disperato.
«Devo capire come farti stare meglio. Se pensi che io ti lasci morire così hai sbagliato a fare i tuoi calcoli» borbottai furioso.
Mi alzai e tornai in corridoio, trovandomi ancora di fronte la foto del ragazzo sconosciuto. Avrei tanto voluto capire che valore avesse per lei quel quadro e perché non volesse parlare di quel ragazzo. Mi diressi verso la cucina, deciso a prepararle da mangiare, e riuscii a farle un’omelette con prosciutto e formaggio. Stavo imparando in fretta. Le cucinai anche un po’ di carote e fagiolini saltati.
«Che buon odore» disse poi alle mie spalle.
Mi voltai di scatto e la vidi barcollante. Andai a sostenerla e lei si appoggiò con tutto il suo peso contro di me. Era un tenero fuscello. Le scostai i capelli dal viso e il mio cuore si strinse di tenerezza e pena per lei.
«Ti ho preparato il pranzo» mormorai orgoglioso.
«Che privilegio. Un vampiro che mi prepara da mangiare. Se lo dicessi in giro non mi crederebbe nessuno». Ridacchiò, e quella sua risatina dopo giorni mi fece tornare la speranza.
«Cucino anche a ogni ora se prometti di regalarmi questo sorriso» le confessai ed Elizabeth arrossì, chinando la testa, mentre io apparecchiavo il tavolo e la servivo.
«Ecco, per te». Mi sedetti accanto a lei e aspettai che mangiasse tutto ciò che aveva nel piatto.
«Non durerà ancora molto. Va’ via per favore» affermò d’un tratto, mettendo la forchetta nel piatto e pulendosi la bocca. «Per favore».
Ma io non l’avrei fatto nemmeno sotto tortura, quindi lei poteva continuare a insistere, ma non le avrei dato alcuna soddisfazione. Sparecchiai, portando i piatti vuoti nel lavandino.
«Chi è quel ragazzo» tentai ancora.
«Smettila Edward» tagliò corto. «Ti ho detto che la mia malattia è grave. Come puoi farmi questo?».
Mi voltai. Ero certo che mi aveva mentito.
«Hai un tumore?» le domandai così.
Non ci fu bisogno di rispondere. Se non era una polmonite virale, allora doveva trattarsi di qualcosa di incurabile.
«Voglio sapere chi è» insistei.
Sospirò e si portò una mano sulla fronte, stancamente. Era sempre più debole, evidentemente le costava fatica anche un gesto così semplice.
«Si chiama Joshua. È un ragazzo che vedo spesso al cimitero, ogni volta che vado. Mi guarda e mi sorride. Non  lo conosco, Edward. Quindi non farmi nessun tipo di predica sul perché non… oh, non lo so. Voglio tornare a letto».
Detto questo si alzò e cercò di reggersi in piedi. Ma le gambe le cedettero e scivolò sul pavimento. Mi lanciai verso di lei e la presi in braccio in tempo. Un tumore…
«Potrei farti diventare come me» le suggerii portandola nella sua stanza.
«Un vampiro? No, Edward, grazie. Meglio morire. Non voglio vivere da sola un’eternità» mormorai.
E io mi resi conto che anche io avevo fatto lo stesso pensiero per secoli, senza però mai avere il coraggio di cercare realmente la morte. E poi era arrivata Bella, le cose erano cambiate da quando lei era entrata nella mia vita. Era tornata la voglia di vivere per sempre, e solo per lei.
«Non saresti sola». Mi inginocchiai vicino al letto. «Ci sarebbe il ragazzo del cimitero. Lo vado a prendere e te lo porto qui».
Lei provò di nuovo a ridere, ma un conato di tosse la scosse. La strinsi forte a me, cullandola, per non farla sentire sola. E quando finì non ci fu bisogno di guardarmi la maglietta per sapere che aveva perso sangue. Lo sentivo, ne sentivo l’odore forte.
«Pensi che vorrebbe stare con una vampira?».
Stava giocando a fantasticare. Mi venne voglia di spaccare qualcosa. Di rompere tutti i mobili della casa. Non era giusto che una creatura così buona, eterea, dovesse morire. Non potevo accettarlo.
«Se c’è riuscita Bella a stare con me, ci riuscirebbe anche lui» le risposi tristemente.
Le rimboccai le coperte e notai le occhiai profonde che le incorniciavano il bel viso. Joshua, chissà che tipo era e che cosa faceva nella vita. Mi sarebbe piaciuto scoprire di più su di lui.
«Smettila di alimentare i miei sogni» sussurrò Elizabeth. «Edward, tu sei una persona speciale, ma io non ho bisogno che qualcuno mi faccia sperare».
Mi sedetti sul letto e le presi la mano tra le mie. La portai alla bocca e la baciai. E così era davvero finita? La sua vita, la mia permanenza in quel luogo che mi aveva ricordato la mia casa. Guardandomi intorno potevo tornare indietro, rivivere i momenti con i miei genitori, avevo persino le lettere della mia famiglia, ma certo nessuna di quelle cose valeva la vita della mia Elizabeth.
«Non voglio perderti» bisbigliai. «Non voglio proprio». E le baciai di nuovo la fronte, lasciandola sola.
Dovevo comprarmi un cellulare, mettermi in contatto con Carlisle e chiedergli di venire a visitarla. Poi sperare che potesse fare qualcosa. E dovevo pensare a Joshua. Forse era egoistico da parte mia, ma desideravo che Elizabeth conoscesse l’amore.
Perciò scesi le scale velocemente, presi la macchina, la mia Volvo, e guidai fino a un negozio dove vendevano cellulari. Ne comprai uno, che mi sarebbe servito in caso di necessità. Guardavo continuamente l’ora, nervoso e inquieto. Se Elizabeth si fosse svegliata e non mi avesse trovato accanto al suo letto sarebbe stata male. E io non volevo questo.
Veloce tornai a casa. Entrai nel suo appartamento e andai a controllare che tutto fosse nella normalità. Quando però mi parve di non sentire il battito del cuore di lei, entrai davvero nel panico. Spalancai la porta della stanza e la vidi stesa sul letto, i bei capelli sparsi sul cuscino. Respirava, piano, ma respirava. Era stata la suggestione che mi aveva fatto credere che fosse morta.
Mi accasciai a terra provando sollievo. Non osai pensare a Bella. Se le fosse successo qualcosa di simile io sarei davvero morto. Avrei trovato il modo di uccidermi, perché la vita senza lei non avrebbe avuto davvero senso. Era impossibile pensare o anche solo immaginare un’eternità senza l’amore della mia vita.
«Elizabeth» la chiamai per chiederle come si sentisse.
Socchiuse gli occhi: «Dove sei andato? Non ti sentivo più. Pensavo fossi partito».
«Ti ho detto che non ti lascio» ribadii esasperato. «Sono andato a comprarmi un cellulare. Vorrei che Carlisle venisse qui per visitarti. Sei d’accordo?».
Sperai che mi dicesse di sì, perché così ci sarebbe stata qualche speranza. Carl era bravo a salvare la vita alle persone, lui non era solo un ottimo medico, era un’anima pura e giusta.
«Non ci provare, te l’ho detto» ribatté. «Inutile che mi fai sperare».
Non rimasi in silenzio questa volta: «Ma almeno vediamo, vediamo se ci sono delle possibilità» urlai.
Le richiuse gli occhi e si addormentò, muovendosi piano e lamentandosi per il mio modo di fare. Non potevo più vederla in quello stato. E se non l’avessi salvata con metodi naturali, allora l’avrei trasformata in vampiro. Non l’avrei detto a nessuno, ovviamente, per non mettermi i Volturi alle calcagna, ma certo con i poteri di Elizabeth nessuno l’avrebbe mai scoperta.
Forse. Le risorse dei Volturi erano infinite. E invece di dare la vita, avrei dato la morte.
Decisi di uscire ancora e di scoprire se mi avesse detto la verità su Joshua. Sarei andato ogni giorno al cimitero finché non avessi visto la faccia di quel ragazzo. E allora avrei deciso cosa fare.
Guidai fino a quel luogo e poi entrai, tornando verso la tomba dei miei genitori. Era enorme il posto, c’erano tante tombe e io mi stupivo della quantità di morti. Camminai lentamente guardando con attenzione le poche persone che incrociavo, silenziose, mute, che avanzavano col volto spento, e col dolore nello sguardo.
Mi rifiutai di ascoltare i loro pensieri per rispetto, perché sapevo che stavano soffrendo, perciò non volevo violare la loro intimità.
Una volta arrivato alla tomba di famiglia, mi domandai dove poter trovare quel ragazzo. Aprii la mente ai pensieri, per vedere se qualcuno per caso pensasse a Elizabeth, ma il dolore mi sopraffece e dovetti fare a meno di sondare le menti lì attorno.
«Che devo fare per lei» chiesi alla tomba dei miei genitori.
Pensai alla forza di mio padre, che mai mi aveva mostrato debolezza. Si era comportato come un perfetto soldato, responsabile e austero anche con suo figlio, nascondendo la sua tenerezza e rivelandomi poi le sue preoccupazioni in quella lettera.
“Padre” lo chiamai. “Che devo fare. Io non voglio che Elizabeth muoia”.
Ma il silenzio e il leggero vento non mi diedero alcuna risposta. Ero sconsolato e veramente a pezzi. Sperai che Alice mi chiamasse entro sera, così avrei potuto parlare con Carl, ma per ora l’attesa mi stava distruggendo.
Mi scusai con mia madre per non aver ancora letto la sua lettera, lo avrei fatto al più presto, ma prima volevo stare il più possibile con Elizabeth. Lei avrebbe capito.
«Scusi?» mi disse una voce alle spalle.
Mi voltai e riconobbi immediatamente Joshua. E così veniva spesso al cimitero.
Sondai subito la sua mente, i suoi pensieri e sospirai sollevato. Era un bravo ragazzo. Ma non potevo non aspettarmi niente di meglio da Elizabeth, anche lei sapeva leggere i pensieri.
«Volevo… ecco. La disturbo?» mi chiese impacciato.
Sembrava più grande di me e mi trattava come se fossi un vecchio. La cosa mi fece ridere. Però in effetti ero molto più vecchio di lui, quindi non aveva sbagliato.
«No, no, qualcosa non va? Dammi del tu» gli dissi e mi avvicinai a lui.
Indietreggiò e mi parve strano. Aveva paura di me?
«Scusi, è che non so cosa mi prende».
Certo che aveva paura. I suoi sensi umani percepivano che ero un vampiro, e quindi sentiva la paura e il bisogno di allontanarsi, ma anche qualcosa che lo portava verso di me.
A volte essere vampiri era una vera maledizione.
«Dammi del tu. Ci conosciamo?» gli domandai allungando la mano.
Gli sorrisi sperando che rispondesse con calore a quel gesto di amicizia.
«No, ma io ti ho visto qui e ho pensato che forse potevi conoscere una persona che non vedo da un po’».
E così mi stava chiedendo di Elizabeth. Perfetto. Ero felice che la fortuna fosse dalla mia parte, anche perché incontrarlo così, il primo giorno… quasi non ci avevo sperato.
«Parli di Elizabeth?» chiesi con cautela.
Lui mi fissò confuso.
«Sì, la conosci». Parve sollevato e io capii dai suoi pensieri che era stato realmente preoccupato per lei.
«Mia cugina» specificai prima che si facesse strane idee e quando sospirò di sollievo capii che l’interesse di lui era tanto quanto quello di lei.
«Sai dov’è?» mi domandò e io gli feci cenno di seguirmi.
Lui parve titubante all’inizio, ma poi non si fece scoraggiare dalle sue brutte sensazioni e mi seguì. Doveva tenere tanto a Elizabeth se accettava di seguire un vampiro.
«Sta male e non si può muovere da casa. Ci sono io a farle compagnia» gli rivelai e lui si asciugò il sudore dalla fronte, continuando a guardare in basso.
Era un tipo molto timido, gli costava fatica parlare con me. Aveva un animo delicato come quello di Elizabeth.
«Che cos’ha? È tanto malata? Quando tornerà?». La sua ansia era indice che nonostante la conoscesse poco, teneva molto a lei.
«Ha un tumore» gli confidai quindi e lui si bloccò nel viale, guardandomi con gli occhi sgranati. Incredulo.
La sua reazione non era stata tanto dissimile dalla mia, quindi anche lui non si aspettava affatto che Elizabeth potesse avere un tumore. L’aveva nascosto per tanto tempo e bene. Divenne ancora più pallido e le sue labbra iniziarono a tremare.
«Io… posso sapere dove abita?» mi chiese di filato, senza respirare.
«Vieni con me. Se ti fidi. Ti porterò da lei. Le farà certo piacere ricevere una tua visita».
O forse no, ma non mi importava nulla. Ero deciso almeno una volta a farle capire il senso di ciò che stava perdendo. L’amore non era qualcosa che nella vita si poteva semplicemente scartare come secondario. Era invece necessario per ogni essere umano. E persino per un vampiro senza speranze come me.
Condussi il ragazzo verso la Volvo. Salimmo e lui non parlò per tutto il tragitto, ma io sentii chiaramente i pensieri nella sua testa.
Aveva paura per Elizabeth. Le aveva parlato poche volte ma era rimasto colpito dalla sua gentilezza e dalla dolcezza che aveva nel trattarlo. Era solo, un orfano che veniva a portare fiori ai suoi genitori e aveva incontrato lei. E anche per  lei era stato lo stesso. Non si erano mai scambiati più di qualche parola o qualche sguardo, sorrisi anche, ma lui non vedeva l’ora di poter andare al cimitero per sentire quel calore.
Spinsi il piede sull’acceleratore e sperai che Elizabeth non mi uccidesse per ciò che stavo facendo. Parcheggiai sotto la palazzina e dissi: «Siamo arrivati».
Lui scese, guardando in alto, e poi in fretta tornò a seguirmi. Prendemmo le scale e lui mi stette dietro senza fiatare, senza dire una sola parola senza significato. Lo apprezzai. Era un uomo che conosceva il valore del silenzio.
Lo trovai molto adatto per Elizabeth.
Aprii la porta dell’appartamento e lo lasciai entrare prima di me. Si guardò attorno, affascinato, e nei suoi occhi lessi una tenerezza profonda, e anche commozione. Andai in corridoio e passai davanti al quadro con la sua immagine dipinta.
«Che cosa?».
Per la seconda volta si fermò di scatto e si mise a osservare il quadro. Incrociai le braccia al petto e mi appoggiai contro il muro, godendomi lo spettacolo.
«Ha davvero un tumore?» mormorò lui, sollevando la mano per toccare la cornice.
«Sì, sta morendo» gli parlai, senza nascondergli quello che lei mi aveva detto.
«Questo sono io» farfugliò e io capii la sua confusione.
Erano entrati nei rispettivi cuori senza saperlo. Era normale che si stupissero.
«Aspetta, vedo se Elizabeth è sveglia e le dico che sei qui».
Lui annuì continuando a fissare se stesso, sconcertato. Considerano che non aveva una sua foto, Elizabeth doveva aver memorizzato i tratti e i lineamenti. Era stupefacente davvero una cosa simile, un sentimento come quello.
Non volevo che si perdesse.
Entrai nella camera di Elizabeth e lei si voltò verso di me. Era sveglia.
«Che cosa hai fatto» mormorò non appena mi richiusi la porta alle spalle.
«Senti i suoi pensieri?». Era una domanda, ma in fondo conoscevo già la risposta.
«Tu sei pazzo. Portalo via, non voglio vederlo» si lamentò e si coprì. «Non in questo stato».
Afferrai le coperte, le strattonai, scoprendola, e le sistemai i cuscini. Tentò di ribellarsi, ma era troppo debole e comunque non sarebbe mai riuscita a competere con la mia forza.
«Perché l’hai fatto…». Scoppiò a piangere.
«Perché ti voglio bene. Ti voglio davvero bene» mormorai e le baciai una guancia. «Trattalo bene, è venuto per te» continuai. «Non fare quella faccia. A parte le occhiaie, sei bellissima».
Me ne andai e feci entrare Joshua, che si infilò nella stanza commosso. Che bello l’amore. Mi accorsi sempre di più di quanto avessi sbagliato a lasciare Bella da sola. Senza di lei non ero che una pallida imitazione di me stesso.
Ma prima dovevo fare qualcosa per Elizabeth, poi avrei pensato ad ammazzare Victoria. E forse dopo… forse dopo sarei tornato da lei. Se mi avesse ancora voluto, ma dovevo provare.
Avrei preparato qualcosa da mangiare ai due piccioncini.
Il cellulare squillò prima che io potessi mettere piede in cucina. Lo afferrai e lo portai all’orecchio, sapendo già di chi si trattava.
«Carlisle sta arrivando. È con Esme». Alice sembrava un po’ arrabbiata.
«Grazie» le risposi, sapendo che era stata lei a vedere tutto.
«Sai una cosa? Sei un pessimo fratello. E in più, stai facendo soffrire la mia migliore amica».
Scoppiai a ridere e il mio piccolo folletto sbuffò nella cornetta.
«Cosa vedi nel futuro di Elizabeh?» le domandai così.
«Dovrà combattere, ma ora le hai dato un motivo in più per farlo» rispose e ci salutammo, chiudendo la chiamata.
L’amore dava sempre la voglia di combattere. Sperai davvero che riuscisse in qualche modo a salvarsi. Io avrei fatto il possibile per lei, per vederla tornare a vivere. Felice, come si meritava.
Preparai due tazze di tè, aggiunsi biscotti a forma di cuore, e mi azzardai a portarli su un bel vassoio. E poi chissà…

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Capitolo 38
*** Speranza e paura ***


Buongiorno!! Eccomi qui ad aggiornare Nadir. Mi scuso per non aver risposto ai commenti, motivo? Sono partita, sono tornata, vorrei rispondere ora, ma sto aspettando ospiti a momenti. Ho pensavo che comunque vi avrebbe fatto piacere leggere il capitolo invece di aspettare questa sera o addirittura domani sera. Ne approfitto, sperando di aver fatto la scelta giusta. Insomma si va avanti anche con questa storia... e vorrei sapere voi cosa pensate di Elizabeth. Io sono ancora indecisa sulla fine di questo interludio, prima di far di nuovo allontanare Edward. Mi spiacerebbe farla morire, ma... non lo so, ci credete? Vi mando un grosso bacione.
Malia.

Speranza e paura

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Seduto sul divano del suo salotto aspettavo con ansia l’arrivo di Carlisle. Muovevo il ginocchio senza pensare, o almeno cercavo di non pensare; il movimento ossessivo mi aiutava a scaricare la tensione che avevo addosso. Era questione di minuti, cercavo di convincere me stesso, ma comunque continuavo a guardare l’orologio e le lancette che battevano i secondi, per me troppo lente.
Speravo che per Elizabeth ci fosse speranza, altrimenti mi sarei sentito responsabile della sua morte. Non potevo pensare di perderla, lei era la mia famiglia. Se soltanto avessi capito prima che qualcosa non andava, ma lei sapeva chiudersi bene, non era stato possibile accedere alla sua mente.
Per fortuna ora sembrava aver ritrovato un minimo di appetito, ma soltanto per un motivo: Joshua si presentava ogni giorno alla porta e rimaneva con lei due ore la mattina presto e il pomeriggio. Avrei preferito che trascorressero più tempo insieme, per conoscersi, per capire il sentimento che provavano l’una verso l’altro, ma invece si erano dati quella regola per non correre troppo.
Ridacchiai. Anche io con Bella avevo cercato di frenarmi, sin dal primo istante per me era stata attrazione fatale, forse dovuta la fatto che il suo sangue cantava per me, che la sua anima mi chiamava e io non riuscivo affatto a leggerla.
Bella. Mi appoggiai meglio al cuscino e ripensai alla mia vita con lei. Invidiavo Elizabeth e Joshua. Io ricordavo ancora il periodo in cui mi imponevo di rimanere lontano dalla ragazza che avrei amato, per non metterla in pericolo, per non innamorarmene, ma inevitabilmente andavo da lei, ogni notte, e vagavo con lo sguardo sul suo letto, amandola con gli occhi, desiderando che si svegliasse e che mi facesse un sorriso, senza sapere che poi anche lei mi avrebbe ricambiato.
Dolce, il mio piccolo Bambi, dolce e tenera. Mi mancava così tanto, così profondamente, che non finivo mai di provare quel dolore sordo al petto, quel vuoto che ormai era diventato parte integrante del mio cuore. Non se ne sarebbe più andato, mai più, finché non l’avessi rivista ancora, e allora sarebbe stata di nuovo la pienezza della mia anima.
Presi un profondo respiro e tornai a guardare l’orologio. Erano trascorsi solo cinque minuti. Non ce la facevo più.
Quando sentii suonare il campanello però non corsi ad aprire trafelato. Non era Carlisle, era Joshua, venuto per stare con Eliabeth durante la visita.
Lo salutai e gli strinsi la mano, sentendo montare dentro di me l’affetto verso quel ragazzo all’apparenza fragile.
«Ciao Edward» mi disse gioviale.
I suoi pensieri erano torbidi e angosciati. Aveva paura, come me. Era terrorizzato dall’idea che Elizabeth potesse spegnersi da un momento all’altro.
«Ciao Joshua» gli risposi, tentando di dimostrarmi sereno.
In realtà la sua agitazione si stava trasmettendo anche a me. Era quasi disperato, non sapevo come poterlo consolare, visto e considerato che nemmeno io sapevo l’esito della visita. Forse avrei potuto chiedere ad Alice, ma non avrebbe avuto senso farlo: sarei stato solo peggio.
«Come sta oggi?» mi chiese e io valutai le parole da dirgli.
Male, l’avrebbe fatto svenire seduta stante; bene, mi avrebbe reso poco credibile e il resto, be’, il resto che senso poteva avere?
«Dorme» risposi così, evitando di dire stupidaggini inutili.
Annuì e parve capire. La sua ansia non aumentò, né diminuì, ma almeno la sua mente si tranquillizzò pensando al fatto che comunque Elizabeth era stabile e non sembrava peggiorare. Quel ragazzo era forte, sapeva come superare le difficoltà della vita, ma ne aveva dovute sopportare troppe e i suoi nervi non erano più così pronti a soffrire. Desiderava poter amare la donna che aveva rubato il suo cuore, solo questo, e io sentivo di capirlo.
«Vuoi andare in camera sua? Sono convinto che se la svegli tu sarà contenta. Non ha mangiato nulla» gli proposi, usando un tono leggero.
Un senso di morte che non mi piaceva per nulla aleggiava tra noi. Joshua aveva perso le speranza, aspettava il momento della sua morte, e voleva vivere con lei il tempo che restava. Questo dicevano ora i suoi pensieri.
«Non abbatterti» lo pregai così, appoggiandogli una mano sulla spalla.
«Non lo farò» mi rassicurò, pur non avendo alcuna intenzione di cambiare parere.
Non volevo che Elizabeth sentisse i suoi pensieri, le avrebbe fatto male, avrebbe sofferto.
«Ascolta…» iniziai così, non sapendo bene cosa dirgli. «Non perdere la speranza. Ora sta venendo mio padre e vedrai che faremo di tutto per aiutarla. Ma se tu sei triste, lei lo sentirà».
Era ciò che dicevano tutti in fondo, non avevo svelato nulla. Lui sgranò gli occhi, che si inumidirono, e annuì.
«A quanto pare ce l’ho scritto in faccia» bofonchiò.
Gli circondai le spalle con un braccio. E pensare che sembravo più piccolo di lui, invece avevo una maturità ben superiore. Era così simile alla mia la sua sofferenza, e anche il suo amore era molto simile a quello che io provavo per Bella.
«Eh sì, non puoi permettertelo» lo rimproverai bonariamente.
«Grazie» rispose con sincerità.
Mi abbracciò e io ricambiai quella stretta piena di speranza. Tentai di trasmettergli il mio coraggio e poi lo lasciai in modo che potesse correre subito da lei. Ogni attimo era prezioso e io lo sapevo.
Si diresse verso il corridoio e io tornai a sedermi. Ora l’agitazione era tornata e io non dovevo far altro che gestirla fino a quando non avrei visto Carlisle in carne e ossa davanti a me.
Il cellulare squillò nella mia tasca e io lo presi.
«Stiamo arrivando» mi disse Alice e io sospirai di sollievo.
Perfetto. A breve quindi sarebbero arrivati e avrei potuto conoscere la verità su quello che aspettava Elizabeth. La tensione mi stava uccidendo, anche se non realmente. Insieme a lei anche una parte di me sarebbe scomparsa per sempre e avevo paura di questo.
Perciò attesi, ma col cuore in gola, anche se immobile come solo un peso morto può essere. Quando suonò il campanello saltai dal divano e mi gettai verso la porta rischiando di sradicarla. La aprii e focalizzai la figura di Carl che si sistemava la cravatta e di Alice, con il suo solito sorriso luminoso a incorniciarle il viso.
«Mi sei mancato tanto!» urlò lei saltandomi al collo.
Saltellava felice, e io con lei. Impossibile contenere la felicità che mi aveva travolto nel rivedere quella che ora era diventata più di una famiglia per me.
«Ciao folletto» mormorai baciandole le guance e stringendola forte al petto. «Mi sei mancata».
Carlisle, calmo, con la sua tranquillità di sempre, mi tese la mano, negli occhi l’affetto di un padre.
«Edward…» disse soltanto e quelle parole bastarono.
Lui mi avrebbe aiutato, lo sentivo, era deciso a farmi stare bene. Trovava la mia decisione di lasciare Bella avventata e un po’ immatura, ma mi aveva rispettato, me e quindi la mia decisione, rinunciando ad abitare a Forks, sparendo improvvisamente.
Solo un padre avrebbe potuto fare una cosa simile. Soltanto un padre.
«Posso vederla?» disse subito non appena mise piede al di là dell’uscio.
«Certo» risposi.
Lo accompagnai davanti alla porta di Elizabeth e bussai. Alice non stava più nella pelle, voleva incontrare la ragazza che mi aveva fatto tornare la speranza di riappacificarmi con Bella, un giorno.
«Avanti» borbottò Joshua dall’altra parte.
Entrammo e nella penombra della stanza vidi Elizabeth appoggiata ai cuscini, coperta da una coperta rosa, pallida, ma felice. Guardava il ragazzo seduto accanto a lei con sguardo adorante e io capii che dovevo assolutamente salvarla.
«Buongiorno signorina» si presentò Carlisle. «Mi chiamo…». Ma lei lo interruppe con un gesto e poi rispose con voce debole, ma stanca.
«Carlisle Cullen». Sospirò. «Benvenuto».
La luce di Elizabeth si stava spegnendo, il suo cuore era debole e fragile. Anche Carl si rabbuiò soltanto a guardarla. Non mi piacque la sua espressione, ancora meno i suoi pensieri. Il timore che non potesse farcela stava diventando sempre più pressante.
«Vuole visitarmi?» bisbigliò Elizabeth.
Carlisle annuì e io mi diressi verso la porta, per lasciare a lei la riservatezza necessaria.
Alice mi seguì, e anche Joshua, solo però dopo aver preso la mano della ragazza che amava ed essersela portata alle labbra. Lo aspettai prima di chiudere la porta e insieme tornammo in cucina, silenziosi.
Andai verso il frigorifero e presi dell’acqua. Riempii tre bicchieri e poi li portai sul tavolo. Anche se io e Alice non bevevamo, non volevo che Joshua trovasse strano il fatto che offrissi un bicchiere d’acqua solo a lui e non a mia sorella. Anche se lui non sapeva che Alice era mia sorella…
«Piacere Joshua» disse.
Alice gli sorrise calorosamente e gli baciò una guancia. Lui si sedette, esausto, e bevve tutta l’acqua nel bicchiere, facendolo poi dondolare pensieroso.
«Alice è la mia sorella adottiva» mi giustificai così.
«L’avevo sospettato» mi rivelò il ragazzo.
In realtà la sua mente era lontana da lì, pensava a Elizabeth, ma cercava comunque di essere di compagnia per non offendere. Ancora una volta mi trovai ad ammirare il suo comportamento. Sperai davvero che ci fossero possibilità per Elizabeth.
«Vuoi qualcosa da mangiare?» chiesi per educazione.
Lui arrossì e il suo stomaco brontolò sonoramente. Presi per lui qualcosa di pronto dal frigorifero e glielo porsi. Erano degli stuzzichini che avevo preparato nel caso Elizabeth avesse avuto voglia di cose un po’ sfiziose. Le piaceva il fatto che mi prendessi cura di lei e io ci tenevo a farle sentire il mio affetto e appoggio.
«Grazie, sei gentile» mormorò imbarazzato.
«Figurati».
Guardai Alice e notai la tensione del suo corpo. Non lo trovai un buon segno. Avrebbe visto qualcosa? Lo stava vedendo? Non ci rimaneva che aspettare e ancora una volta era questione di tempo. Il tempo scandito da quell’orologio a muro che mi stava facendo impazzire.
Passò circa mezz’ora prima che Carl uscisse e io provai un senso acuto di panico. Impossibile però non capire quale fosse l’esito della visita.
«Dovremmo ricoverarla. Solo delle cure intensive, un attacco totale, potrebbero darle qualche speranza» confessò. «Io sinceramente posso fare poco così su due piedi per lei. Qui non può rimanere».
Joshua impallidì.
«Vuo… vuole dire che…» balbettò cercando di controllare il fremito della voce.
«Che morira?» finì Carl per lui, quando lui non ebbe il coraggio di continuare.
«Non ho detto questo» lo rassicurò. «Ma non sarà facile».
Joshua fece spallucce e appoggiò il gomito sul tavolo, fissando distrattamente il soffitto.
«L’ho già sentita questa» ribatté con amarezza.
Avrei tanto voluto rassicurarlo, ma non mi piaceva mentire, e non sapevo ancora l’entità di ciò che Elizabeth stava affrontando. Dovevo parlare da solo con Carlisle e farmi dire se realmente c’erano possibilità, oppure se invece le sue parole volevano soltanto portare conforto.
Alice gli poggiò una mano sul ginocchio e lo strinse.
«Dobbiamo sperare» bisbigliò, ma Joshua aveva già tante volte sperato e visto le persone care morire, perciò non aveva più la forza per farlo ancora.
Annuì nonostante la poca energia e la delusione.
«Posso andare da lei?» domandò rispettoso e Carl annuì.
Lui scomparve in corridoio ed entrò, mentre noi ci guardavamo silenziosi e aspettavamo di non sentire più alcun rumore per parlare con sincerità.
«È così grave?» articolai così, rendendomi conto di avere serie difficoltà ad accettare la situazione.
«Non si è curata, probabilmente se avesse iniziato a curarsi prima ci sarebbero state più possibilità per lei. Sai che è così» mi spiegò lui venendo verso di me. «Non possiamo più aspettare».
Cosa avevo sperato? Che Carlisle arrivasse e facesse un miracolo? Lui faceva del suo meglio per salvare le persone, ma l’inevitabilità di una malattia difficile da curare come un tumore non poteva essere curata con uno schiocco di dita. Insomma… avevo sperato per qualcosa che non poteva succedere.
«Ed, non scoraggiarti anche tu» mormorò Alice venendomi accanto.
Mi abbracciò ancora e io sospirai tra i suoi capelli.
«Andrà tutto bene. Dovrai starle vicino. Ti aiuteremo. Anche noi siamo la tua famiglia, non devi dubitarne».
Alice sapeva come darmi coraggio. Dovevo provare a pensare che Elizabeth avrebbe potuto farcela, perché aveva un motivo per farlo, motivo che l’avrebbe tenuta in vita, o almeno credevo.
Di fronte a quella grande desolazione pensai di nuovo a Bella.
Se lei avesse dovuto affrontare un pericolo simile senza di me io non sarei riuscito a perdonarmi il fatto di averla abbandonata. Lei non era sola come Elizabeth, però il pensiero che potesse trovarsi a un passo dalla morte senza il mio amore, la mia mano stretta nella sua, mi faceva correre brividi di terrore lungo la schiena.
I sensi di colpa mi avrebbero mangiato vivo. Sempre più capivo di essermi comportato come uno stupido lasciandola. E il desiderio di tornare si faceva non solo più forte, ma anche più sicuro. Sarei davvero tornato da lei?
«Si sta preparando. La porto io all’ospedale» continuò Carlisle allontanando i miei pensieri da Bella.
«Hai qualche amico che la può aiutare qui?» chiesi così.
Assentì e prese il cellulare dalla tasca dei pantaloni, digitando un numero. Iniziò a parlare e spiegò le sue condizioni di salute chiaramente, facendomi così capire che Elizabeth si trovava in una brutta situazione.
«Pagherò io per lei» concluse Carl e io gli fui grato.
Anche quelle era una grande dimostrazione d’affetto nei miei confronti, non avrei potuto avere genitore migliore.
«Grazie, Fin. Pensi che abbia possibilità?». Continuava ad annuire, ascoltando attentamente, ma io sentii il bisogno di distrarmi, di non pensare per un attimo agli avvenimenti che mi stavano travolgendo, così afferrai la mano di Alice e la strinsi, in cerca di conforto e sostegno.
Lei non si rifiutò e rispose alla mia necessità, proprio come avrebbe fatto una sorella affettuosa. Le volevo bene, proprio come ne volevo a Elizabeth.
Facemmo i preparativi necessari per trasferirla nell’ospedale specializzato in malattie tumorali più vicino, e poi accompagnammo Elizabeth che venne subito ricoverata, dopo aver fatto tutti gli accertamenti del caso. Erano ormai le otto di sera trascorse quando la salutammo e uscimmo.
Joshua era a pezzi. A giudicare dal modo in cui trascinava i piedi sull’asfalto per raggiungere la mia Volvo, doveva essere molto stanco. Carl per fortuna era rimasto all’ospedale, per controllare, ma anche per rassicurare.
«Anche se la perderò» esordì Joshua all’interno dell’abitacolo, durante il tragitto per riportarlo a casa. «Avrò vissuto dei momenti importanti e le sarò sempre grato. Anche se mi mancherà».
Purtroppo non potevo dirgli di smetterla di parlare in quel modo, come se lei fosse già morta, ma capivo che il suo era un modo estremo di rassicurarsi, percorso dalla paura di rimanere solo. Quindi non mi azzardai a dire nulla.
«Grazie per essere venuto al cimitero» disse poi, stupendomi. «Cercavi proprio me, vero? Me l’ha detto».
Non potei negarlo e gli spiegai i motivi per cui l’avevo fatto. Alice ascoltava ma non parlava, per una vivace come lei era una novità.
«Grazie» terminò.
Certo salvare la vita a Elizabeth ora era la cosa più importante. Una volta lasciato davanti al cancello della sua casa, riprendemmo la strada per la mia abituazione attuale. E a quel punto Alice parlò.
«Victoria si sta dirigendo a Rio de Janeiro» mi rivelò e la mia tensione crebbe. «Dovresti andare».
Non potevo lasciare Elizabeth sola.
«Si chiama come mi madre» risposi invece.
Alice comprese e con un sorriso rassicurante guardò la strada su cui ormai era scesa la notte.
«Ci saremo noi a prenderci cura di lei» insisté.
«Ma lei ha anche bisogno di sapere che le sono vicino» le spiegai, sperando che capisse.
Perché insistere? Poi capii dai suoi pensieri che odiava vedermi soffrire così. Era arrabbiata col mondo intero perché prima avevo preso la decisione di lasciare Bella e ne avevo sofferto tanto, ora stavo per perdere anche l’unica parente rimasta in vita, e provavo ancora dolore, sempre più dolore. Secondo lei non meritavo infelicità, e non sopportava di vedere il mio viso triste e provato dagli ultimi avvenimenti.
Poi il suo pensiero andò a Jasper e io le lasciai la sua privacy, non volevo invadere la sua mente quando pensava a suo marito.
«Tornerai a Forks?» domandò il mio folletto durante una delle tante curve.
«Da Bella? È quello il mio scopo, dopo però aver ammazzato con le mie stesse mani Victoria» le spiegai.
Ma Alice era perplessa e aggrottava la fronte, sollevava le sopracciglia ripetutamente.
«Io non riesco a vedere nulla sai? Non c’è modo di capire cosa succederà» mi rivelò.
«Forse ancora è tutto incerto. Io ancora non ho deciso di andarmene da qui».
Fino a che Elizabeth non fosse guarita, oppure il contrario, io sarei rimasto. E così speravo Joshua. Scendemmo dall’auto e tornammo nella casa che avevo condiviso con lei, vuota, adesso, e silenziosa.
Aprii il frigorifero e porsi ad Alice il sangue che vi era dentro. Mi fissò e aprì la confezione sottovuoto, curiosa.
«Ma è umano» sussurrò meravigliata. «E ottimo» aggiunse bevendo avidamente.
Come avremmo trascorso la nottata? Io avevo ancora la lettera di mia madre da leggere, la custodivo gelosamente in tasca, ma comunque non l’avevo ancora letta. Non capivo il motivo della mia attesa. Forse soltanto paura che una volta letta, Elizabeth avrebbe potuto spegnersi più velocemente.
«Invece di rimanere qui, fermi, che ne dici di andare a fare un giro in città?» propose Alice.
Non avevo molta voglia di mischiarmi agli esseri umani, ma forse mi avrebbe fatto bene una serata fuori di lì.
«E cosa faremo?» le domandai.
L’ora era tarda.
«Potremmo fare gare di corsa, anche se vinceresti sempre tu» propose mia sorella e io scoppiai a ridere.
Avrebbe fatto di tutto pur di non vedermi col viso affranto. Che tenera.
Mi avvicinai alla finestra, domandandomi quale fine avrebbe avuto quella storia. Non vedevo più via d’uscita, e mi aspettavo ormai di perdere Elizabeth. Forse anche Joshua sentiva le mie stesse sensazioni e ne soffriva.
E pensare che quando l’avevo incontrata mi sembrava così in salute, vitale, mentre ora era sempre stanca, mangiava poco, e la malattia la stava corrodendo da dentro.
«Vedi? Ci pensi troppo» mi rimproverò Alice. «Dobbiamo svagarci».
«E se succedesse a Bella?» sbottai così, facendola partecipe di un’altra grande preoccupazione.
Alice sbuffò esasperata e cercò di farmi avvicinare alla porta di casa per andare a fare un giro.
«Non succederà» mi assicurò con convinzione.
«Ma non lo sai» replicai, sconfitto.
«No, non lo so, ma se non è morta quando l’hai mollata in quel modo» sentenziò Alice. «Non morirà certo adesso».
Mi spinse fuori e io capii la gravità di ciò che avevo fatto, di quanto male avevo fatto a Bella pensando invece al suo bene. Per lei ero indispensabile, e vivere senza di me l’aveva distrutta.
«Potrai rimediare però». Sorrise la mia sorellina. «E sarebbe anche ora, perché hai stufato con questa faccenda del fuggire da una parte all’altra dell’universo. Qualsiasi cosa succeda qui, ricordati che tu devi tornare da lei. Lo sai, è l’amore della tua vita. Non puoi, non puoi lasciarla davvero».
La verità è che non avrei mai davvero avuto il coraggio di allontanarmi da lei. Perché l’amavo.

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Capitolo 39
*** La morte ***


Mamma mia quanto è tarddiiii... questa sera c'è New Moon in Tv. Immagino starete tutte a guardarlo. E io aggiorno Nadir (ihihih), appunto, così potete sapere in diretta cosa stava succedendo a Edward nel frattempo (mentre Bella se la spassava con Jacob). Ahahah. Avverto che il capitolo non sarà proprio tra i più felici, ma so che capirete. Vi ringrazio per i vostri commenti e vi mando un grosso bacione.
Malia.


La morte

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Elizabeth morì tre mesi dopo. Lapidario, sentenza tremenda. Nel mio cuore si aprì una voragine enorme, una mancanza che non si sarebbe più risanata. L’avevo vista spegnersi ormai provata dalla chemioterapia tra le braccia di Joshua; lo aveva stretto forte, felice di averlo conosciuto. Mi aveva persino ringraziato per questo.
Lui, invece, mi aveva guardato subito dopo l’ultimo respiro della donna di cui si era innamorato e mi era parso smarrito, disperato.
Dovevo ammettere che la presenza di Jasper aveva aiutato tutti a superare il dolore. I suoi poteri avevano attutito il colpo, soprattutto per Joshua, che aveva trovato molto strano il fatto di sentirsi così calmo. Avevo comunque paura per lui, che potesse commettere qualche sciocchezza.
«Edward…».
Alice si accostò a me. Eravamo in attesa dell’auto che avrebbe condotto Elizabeth in chiesa per l’ultimo saluto e poi nello stesso cimitero dove era stata sepolta la nostra famiglia. Era dura pensare che ora nella mia vita lei non ci sarebbe stata più.
Joshua accanto a me mi appoggiò la mano sul braccio, e io ammirai la sua forza. La calma di quel ragazzo non era umana, ma un dono che non poteva essere suo. Un semplice essere umano si sarebbe ucciso di fronte all’ennesima perdita, ma non lui.
«Sono stato felice di averla conosciuta. Lo devo a te».
Avrei invece tanto desiderato che dovesse a me la sua vita e non la sua fine. Tuttavia io ero solo un non-morto, non potevo fare le veci di Dio in terra. E io sapevo che Elizabeth non mi avrebbe comunque abbandonato.
Strinsi la lettera di mia madre che non mi toglievo mai dalla tasca, e sperai che contenesse un messaggio di speranza, perché ormai la mia stava venendo meno.
«Tu non dovresti essere qui» continuò poi Joshua. «Dovresti essere lontano, a inseguire i tuoi sogni».
Mi fissò, i miei occhi dorati nei suoi. Avevo la sensazione che lei gli avesse raccontato tutto, ma nella sua mente non lessi nulla che poteva accertare quel mio sospetto. Era vuota, perché il suo cuore ora stava soffrendo, anche se era forte e saldo.
«Lo so, ma volevo rimanerle vicino» gli confessai.
Mi sorrise, un sorriso tirato, ma vero e di gratitudine. Ci alzammo e io mi affiancai a Carlisle e Jasper. Alice ci precedeva. Scendemmo e presenziammo alla funzione. Non una lacrima, non un sospiro, solo tanta pace, quella che Elizabeth aveva portato come una ventata di aria fresca nella mia vita.
Lei sarebbe stata un mio segreto, fino a che in futuro non fossi stato pronto a rivelare a Bella quella parte della mia vita.
Sgranai gli occhi.
«Sei deciso a tornare, eh?». Alice, al mio fianco, mi strinse la mano nella sua e io annuii, ormai convinto.
Elizabeth mi aveva insegnato due cose: a non sottovalutare i miei sentimenti per Bella e a non credere che il pericolo in una relazione potesse portare soltanto a dolore e sofferenza per la persona con cui si condivideva questo. La vita era un dono importante. Desideravo vivere quel tempo, anche se poco vicino all’unica donna di cui ero innamorato.
«Chi vuole venire qui a ricordare Elizabeth in questo estremo saluto?». Il pastore ci invitò a prendere posizione sul pulpito.
E per primo andò Joshua, che parlò di lei con molta franchezza e amore. Ringraziò per aver avuto la possibilità di conoscerla e renderla felice prima della morte.
Lo invidiai. Lui aveva potuto farlo e aveva scelto di farlo nonostante le difficoltà; io da codardo qual ero l’avevo abbandonata. La mia Bella.
Non sapevo se sarei riuscito a perdonarmi, ma sperai che Bella riuscisse a farlo. Doveva farlo, altrimenti sarei morto.
Mi avvicinai anche io al pulpito e parlai con voce grave.
«Faceva parte della mia famiglia, che è oggi qui riunita. A volte le persone più impensabili ci insegnano che il senso di nascere e morire non è mai dovuto soltanto a noi stessi. Dobbiamo qualcosa agli altri, alle persone che amiamo, fino all’ultimo respiro. E io l’ho capito, e lo devo a lei se non mi sono abbandonato alla pietà verso me stesso e ho deciso di reagire». Avrebbe sempre fatto parte della mia vita e della mia famiglia.
La rivedevo lì, con quel bel sorriso angelico, che mi salutava e che mi pregava di restarle vicino con lo sguardo. Aveva affrontato la morte, quando io avrei voluto darle la vita eterna da condividere con me. Coerente fino alla fine, Elizabeth non si era lasciata schiacciare dalla paura.
Tornai al mio posto e la messa si concluse. Al cimitero vidi Joshua crollare e singhiozzare, ma mai lacrimare. Soffocò il suo dolore, mentre i sensi di colpa rimbombavano nel mio cuore.
«Tieni» dissi una volta tornati a casa di Elizabeth.
Diedi le chiavi a Joshua, che mi guardò stupefatto. «Quello che era suo, ora è tuo» affermai.
«Ma tu?» farfugliò sorpreso.
«Io devo andare e la mia famiglia con me. Non possiamo rimanere qui» commentai.
Il sole in quella città rischiava di fare molti danni. Purtroppo non tutti i luoghi erano adatti come Forks per far abitare una famiglia di vampiri.
E così mi lasciai alle spalle anche quel pezzo di vita. Scesi le scale di quel palazzo, sapendo che con molta probabilità non vi avrei fatto più ritorno, sapendo che quella era una porta chiusa che non si sarebbe riaperta.
“Ricordati, Edward…” mi sembrava di sentire la voce di Elizabeth. E ancora una volta mi sfidava a leggerle la mente, ben sapendo che non ce l’avrei mai fatta a superare quel muro.
E ora sapevo cosa si celava dietro quella parete inespugnabile.
Già, tardi però.
Misi in moto la mia adorata Volvo e partii. Sapevo dove andare. Volevo rimanere da solo e leggere la lettera che mi aveva lasciato mia madre. Ero tornato per quello in fondo: ritrovarmi. E c’ero riuscito, grazie soprattutto a Elizabeth. Era stata lei il più grande regalo della mia famiglia umana passata. Non sapevo se la lettera di mia madre avrebbe potuto darmi di più, ma speravo di trovare parole di conforto in quelle righe. Ne avevo bisogno.
Guidai fino al limitare della città, lanciandomi a tutta velocità, come un forsennato, sull’autostrada. Amavo correre. Così guidai, guidai e mi fermai solo la sera, quando il sole ormai era tramontato all’orizzonte. Non aveva importanza dove, ma era lontano. E quello bastava.
Che stessi ancora scappando? No, era un modo come un altro per rimanere solo con me stesso. Dimenticai il mio passato, dimenticai ogni cosa alle mie spalle e portai la mano nella tasca, ansioso di leggere la scrittura della donna che mi aveva così tanto amato.
E così anche mia madre era sensibile ai pensieri altrui; forse per questo si era accorta della differenza di Carlisle.
Strinsi la carta nel pugno e sospirai lasciando che la notte calasse su di me. Ora nessuno avrebbe disturbato la mia pace, niente e nessuno.
«Mamma…» bisbigliai.
Mi voltai, ricordando il sorriso di Elizabeth, seduta nel sedile del passeggero. Mi aveva sempre spronato ad affrontare me stesso e i momenti di difficoltà. Perciò presi la busta e la portai di fronte agli occhi. Deciso la aprii e ne trassi un foglio, ormai ingiallito.
Non era differente da quella di mio padre, ma la calligrafia era diversa. Mia madre aveva da sempre amato le lettere. La distesi tra le mie dita e iniziai a leggere. Mi parve persino di sentire l’odore della mamma, il profumo che utilizzava quando le piaceva farsi bella per il ritorno di mio padre a casa, ogni sera. Diceva che così lui l’avrebbe amata continuamente.
Al pensiero mi assalì la memoria. Quanto tempo era trascorso? Davvero tanto. Chi avrebbe mai immaginato che avrei ricevuto il dono della vita eterna?
Edward, figlio mio,
come stai? Scusa per la scrittura tremante. Sono giorni tediosi e bui, qui in ospedale, ma so che ti ho lasciato in buone mani. Sai, avevo sperato di non doverti vedere malato, steso su un letto arrangiato come tutti gli altri qui dentro. La spagnola ci sta portando via, e presto porterà via anche me. Mi farà spegnere e tu sarai solo. Non voglio che questo accada, e non desidero che mio figlio muoia a causa di una brutta epidemia.
Sai, ho conosciuto un medico, questo medico ti aiuterà. So che sai di chi sto parlando, quasi dimenticavo che ti ho scritto questa lettera in punto di morte, consegnandola a una persona fidata, che spero presto te la darà.
Ti chiederai perché non l’ho consegnata all’uomo a cui ho chiesto di salvarti la vita. Be’, perché volevo parlarti tramite la tua famiglia Edward, perché tu non dimenticassi mai il ragazzo che sei e che io ho amato.
Sai bene che abbiamo una sensibilità differente, perciò sentivo di doverti scrivere questa lettera in un momento e in un tempo diverso.
Ma credimi, anche ora sono con te, non devi temere. Non ti lascerò mai solo. Scusami, mi sto facendo prendere dai soliti discorsi di una madre.
Spero che avrai trovato l’amore. Non mi piace saperti da solo ad affrontare la vita. Noi familiari non ci saremo sempre, ma ho l’impressione che invece tu ci sarai. Perciò mi piacerebbe sapere che ami qualcuno, e che questo amore è ricambiato.
Le notti senza tuo padre, nel letto al mio fianco, mi spaventavano. Non riuscivo a dormire senza il suo calore. Credo che l’amore sia questo Edward. Se troverai una donna che non dormirà la notte quando tu non ci sarai, perché le manca la tua presenza, nonostante i litigi e le imperfezioni, semplicemente sappi che quello è amore.
Non pensare che una grande azione possa dimostrare chissà cosa. Il rischio più grande che possiamo correre è stare vicino a chi amiamo ed è proprio questo che dimostra il nostro amore. Non c’è altro. Ricordatelo, non vale mai la pena dimostrare amore con grandi atti e impossibili, se prima non lo si è coltivato con quelli piccoli che sanno donare ben più senso.
Ricordo ancora lo sguardo grato di tuo padre, quanto tornava a casa da lavoro. Sì, lui si sedeva mentre io gli mettevo il piatto di minestra calda sul tavolo. C’eri anche tu, ma forse ora non ricordi. Il suo sorriso mi ripagava della fatica del giorno. Questo è amore, Edward. Non è piacere personale, non è egoismo.
Vorrei poter vedere l’uomo che sei diventato.
Non riuscii più a continuare e distolsi lo sguardo dal foglio sapientemente scritto. C’era l’anima di mia madre, il suo amore impresso in quelle righe. E lo sentivo chiaro, forte. Urlava, come Elizabeth, che avevo sbagliato tutto, che non era stata la cosa più giusta abbandonare Bella solo per il suo bene. Invece di combattere con lei, di starle vicino quando più ne aveva bisogno, mi ero lasciato prendere dallo sconforto. Non avevo scusanti, ma avevo avuto paura. Quello sì, tanta.
Il cellulare squillò e sobbalzai nel sentire il suo trillo. Mi ero dimenticato di averlo in tasca.
Lo presi e me lo portai all’orecchio.
«Sì?» borbottai.
Solo Alice aveva quel numero, soltanto lei.
«Cullen, ciao. Quanto tempo». Victoria.
«Come hai fatto ad avere il mio numero?» le domandai, curioso di capire come avesse fatto ad arrivare fino a me.
«Ogni vampiro ha le sue risorse; i suoi segreti, come te. No?» commentò. Non mi piacque il tono strafottente.
«Quindi?» replicai.
«Quindi ti sto aspettando. Non ti piace forse la caccia? Gatto e topo». Rise e rabbrividii a quelle parole.
E così mi stava aspettando. E senza pudore mi sfidava; capivo che la sua voglia di vendetta stava valicando l’idea di uccidere Bella e arrivare dritta a me.
«Victoria…» cominciai, ma lei non mi permise di risponderle.
«Sai dove mi trovo, non è vero? E allora cosa aspetti a raggiungermi. Perché non sei qui?». La sua voce mi canzonava, il tono sensuale e pericoloso.
E così si aspettava che la raggiungessi nella speranza che in quel modo avrebbe potuto vendicarsi. Strano che non avesse scelto Bella come capro espiatorio. Il mio piccolo cerbiattino doveva essere al sicuro: ringraziai chiunque la stesse proteggendo al mio posto.
«Verrò» la assicurai. «A patto che tu mi prometta uno scontro leale».
L’ennesima risata. «Edward… uno scontro leale. Tu non sei stato affatto leale quando hai ucciso un vampiro come te. Uno della tua specie».
James. Giusto. Victoria cercava vendetta per il suo uomo e non avrebbe mollato fin quando non avesse visto la mia testa staccata e il mio corpo bruciare. Aveva rinunciato all’idea di farmi prima soffrire le pene dell’inferno? O era un altro espediente per una trappola?
Dovevo correre da Alice. No, dovevo prima risolvere quel conto in sospeso. Trappola o meno, la possibilità di uccidere Victoria e allontanare la possibilità che facesse del male a Bella mi faceva molta gola. Avrei avuto un problema in meno da risolvere quando io e il mio piccolo Bambi ci saremmo rivisti. Mi sarei assicurato innanzitutto della sua sicurezza.
«Allora? Cosa farai?» domandò trepidante.
«Ti seguirò. Fiuterò le tue tracce e ti ucciderò» le assicurai, deciso a liberarmene.
«Ma come sei premuroso» continuò. «Non farti attendere troppo».
E chiuse la chiamata. Lasciai il telefono cadere sul sedile e mi rilassai, anche se i muscoli tesi non ne vollero sapere di aiutarmi a farlo. Victoria aveva qualcosa in mente. Non poteva darmi se stessa su un piatto d’argento. Forse credeva di potermi distrarre per arrivare a Bella in qualche modo? Non aveva senso, anche Laurent era morto, quindi non aveva più complici con lei. E se ne avesse avuti? E se Bella avesse rischiato di morire?
Il pensiero della sua morte mi fu intollerabile e gemetti con un bimbo bisognoso delle coccole della sua balia. No, senza di lei vivere non avrebbe avuto senso. Non ero forte come Joshua io. Dopo cento anni trascorsi a vivere la più totale solitudine, nell’oscurità della noia, avevo vissuto la luce, l’amore, e ora se fosse scomparso tutto quello dalla mia esistenza non avrei visto più alcun motivo per continuare a trascinarmi dietro quell’assurda eternità. Probabilmente dentro di me avevo sempre saputo che Bella sarebbe arrivata a sconvolgermi la vita, quindi l’avevo attesa con pazienza, ma perderla… perderla no, era inaccettabile. Non avrei più vissuto.
«Elizabeth». Non sapevo esattamente chi stavo chiamando, se la mia cugina morta, oppure la mia mamma.
Entrambe ero sicuro vegliassero su di me. Non a caso, ero certo, avevano lo stesso nome.
Dovevo scacciare l’agitazione, subito. Una volta finita di leggere la lettera di mia madre, avrei raggiunto Victoria a Rio de Janeiro, e lì ci sarebbe stata la resa dei conti. E poi… poi sarei stato pronto per tornare da lei, dalla donna che amavo. Speravo solo di essere ancora in tempo, che qualcuno non avesse rubato il suo cuore. Ne dubitavo però. Lei era un’umana.
“Amore eterno, amore vero”, così aveva definito Elizabeth il sentimento che legava me e Bella. Mi sarebbe piaciuto crederle e… be’, le credevo. Mi fidavo di lei perché mi aveva dimostrato quanto un essere umano fosse capace di amare davvero.
Avevo avuto poca fiducia in Bella. Da parte mia era stato un errore illogico, probabilmente dettato più dal terrore che dalla razionalità.
Ripresi con cura la lettera di mia madre, ripensando ancora alla minaccia di Victoria. La cancellai dalla mia mente, accantonandola, giusto il tempo per ascoltare ancora, e per l’ultima volta, le parole della donna che mi aveva desiderato e amato più di qualsiasi altra cosa.
Non ti spegnere. Non lasciare mai che nessuno rubi la tua sensibilità e la tua intelligenza; sei sempre stato un ragazzo dal cuore sincero, ed è questo che vorrei tu continuassi a essere.
Non avere paura, mai. Non avere paura, perché se l’avrai questa ti schiaccerà e allora verrai schiacciato dal peso dei tuoi errori. Vai, avanti e correggiti senza timore. Ricorda che noi tutti siamo colpevoli, noi tutti.
Non essere vittima di te stesso, né carnefice della tua esistenza… prega per la tua esistenza, Edward, prega di poter essere sempre migliore nel tempo per arrivare un giorno poi alla piena consapevolezza di ciò che sei e di ciò che ti circonda.
Io ti voglio bene, e con questo gesto estremo vorrei dirti che ti ho sempre amato, figlio mio, e che vorrei vederti, stringerti prima di morire, per parlarti e sentirti ancora soltanto una volta mormorare la parola “mamma”. Non c’è parola più bella che mai un figlio possa aver detto e pronunciato nella sua vita, ma a te forse non mancherà una donna come punto di riferimento.
Sappi usare la tua intelligenza con coscienza, e il tuo cuore con amore e comprensione. Non vivere nel ricordo di ciò che non è stato, ma impegnati sempre per costruire il tuo futuro.
Combatti, come un guerriero, per ciò che ami, come un uomo per ciò che vorresti amare, ma non ti è possibile farlo. Io, lo so, che tu riuscirai.
Se questa lettera di aiuterà, allora il mio sforzo e queste lacrime che ora sto versando non saranno vane. Considera che sono soltanto una madre che vuole bene al proprio figlio, non me ne volere se i miei consigli ti sembreranno sciocchi o impertinenti. O forse fuori luogo.
Io vorrei soltanto che tu fossi felice e che un giorno potessi perdonarmi per averti voluto vivo a ogni costo.
Perché è così, Edward, ho paura che tu possa avercela con me, che tu possa non comprendere la scelta che ho fatto di renderti ciò che sei. Sai di cosa sto parlando.
Ti prego, dunque, io volevo vederti sorridere. Sei stato troppo duro con te stesso in questa vita, e ora vorrei vederti sorridere nella prossima. Con una donna che ti dimostri amore, con una donna che si sappia prendere cura di ciò che sei. Non avere timore, arriverà. O è già arrivata.
Qualunque cosa figlio mio, qualunque cosa deciderai per te stesso, non chiudere mai il tuo cuore all’amore sincero e vero, per quanta sofferenza possa portare. Mi raccomando… mai.
Ricordati che tua madre ti ama, tutto questo solo per dirti: ricorda che tua madre ti ama.
Addio, amore.
La tua mamma.
Sorrisi della sua dolcezza e le dissi ciò che più avevo nel cuore: forse un tempo ero stato arrabbiato con Carl e con lei per la decisione che avevano preso di non lasciarmi morire, ma da quando avevo conosciuto Bella ero stato grato alla vita per avermi fatto quel dono inaspettato. Nonostante tutto.
E così ora non ce l’avevo più con mia madre, ma capivo cosa aveva provato quando aveva visto me sul punto di morire. Solo l’idea di poter perdere le persone che amiamo ci lascia sconvolti e basiti, perciò non avrei mai potuto farle una colpa per ciò che lei aveva fatto.
Avrei fatto tesoro delle sue parole, come di quelle di mio padre, per tutta l’eternità. E semmai fossi tornato con Bella avrei imparato ad amarla, a rispettarla, come avevo dimenticato di fare per paura che lei non potesse accettare la mia vera natura. L’avevo sempre tenuta a distanza, per non rovinare la considerazione che Bella aveva di me e poi il giorno del suo compleanno tutto si era sgretolato non appena Jasper era caduto in tentazione.
Richiusi la lettera con cura, portandola alle labbra. La baciai, soffermandomi a pensare intensamente a Elizabeth, mai madre, e poi la richiusi. Quella di mio padre era già al sicuro sotto il sedile della Volvo e anche quella di mia madre l’avrebbe raggiunta.
Eppure…
«Grazie Elizabeth» mormorai. E con quelle parole ringraziai entrambe le donne che mi avevano fatto grandi doni. «Grazie papà» bisbigliai ancora.
Era arrivato il momento di continuare a vivere per la mia strada, di non dover più scappare, ma di affrontare il mio presente, e così facendo il mio futuro.
Ero pronto.
Uno squillo del telefono mi fece di nuovo sussultare.
«Edward!». Trillò la voce di Alice.
«Folletto» mormorai con una smorfia divertita. «Bentornato, fratello. Ti voglio bene» terminò con un sospiro gioioso.
«La vita, mi era mancata» le confessai con il cuore in gola.
«Lo so, ma l’importante è che tu l’abbia capito. Noi siamo sempre qui a sostenerti, questo tu lo sai. Non ti lasceremo mai solo».
Prima la morte di Victoria, e poi… il ritorno dei Cullen a Forks.

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