White Shadows

di Slits
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Run away from nothing ***
Capitolo 2: *** The way you act ***
Capitolo 3: *** Step on memories ***



Capitolo 1
*** Run away from nothing ***


Una ZoSan.
Dio, ormai credo di aver dimenticato perfino come se ne scriva una anche solo decentemente. Ma questo era un tentativo che dovevo fare, lo dovevo a me stessa.
Detta così sembra ancor peggio della promessa fatta da quell’idiota a Kuina, quindi vediamo di metter, almeno in parte, le cose in chiaro.

Questa storia, nata inizialmente come un’unica One Shot, è stata divisa successivamente in più paragrafi.
Avendo oltrepassato le quindici pagine postarla intera mi sarebbe parsa come una violenza bella che buona a voi poveri lettori, ragion per cui ho deciso di suddividerla in più parti.
Un viaggio nel passato del biondo. Non mi son voluta riproporre nulla di più.
Attraverso dialoghi, attraverso silenzi, attraverso quel rapporto di odio ed amore che sempre ha caratterizzato i modi di fare fra cuoco e spadaccino.



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Run away from nothing.


- Ma non ti fa paura? -
- Cosa? –
- Il non avere più un nome…-
- No. –
- Ma… ma non è un male? –
- No. –
- E perché? –
- Posso essere chi voglio. Quando e come voglio. –
- Oh! –
- Non è un male.

Non deve più esserlo. -



Il baule era di legno marcio, graffiato e rovinato in più punti.
Non era un fatto insolito, negli ultimi tempi, che il cecchino si scoprisse a lanciargli di tanto in tanto una languida occhiata, per poi tornare subito dopo sul ponte, con fare disinteressato. La ciurma, o gran parte di quelli che se n’erano accorti, era arrivata oramai a farvi un insolito callo.
E le reazioni non erano state epocali, a differenza di quanto Usopp continuasse a sostenere. Nessuno si era inginocchiato ai suoi piedi lodandolo e nessun altro aveva urlato sino allo stremo di esser un suo seguace.
Semplicemente erano rimasti impassibili, divertiti forse dall’insolita crociata che il ragazzo aveva deciso di intraprendere.
- Robe da pazzi! Ma non vede come mi è diventata chiara la lingua? Oh, ma ne sono sicuro! Un altro po’ e finirà con lo staccarsi esattamente come successe a quel mostro che sconfissi anni fa! -
- Che mostro, Usopp? –
- Ma come che mostro e mostro, Chopper! Possibile che ancora non ti abbia raccontato di quel re dei mari che annientai quando avevo sei anni? – ed ancora una volta, in barba all’imminente assideramento, la bocca del moro si aprì a dismisura, abbandonandosi all’ennesimo racconto delle sue gesta.
Da dietro la penisola cucina il cuoco non potè fare a meno di scuotere la testa, in un vago gesto di disappunto.
Era rimasto a sentire le sue ciarlanate sin dall’alba quando, con un livido tumefatto sulla nuca ed una coperta di cotone indosso, lo aveva visto spalancare teatralmente la porta della cambusa e lasciarsi cadere sulla sedia.
E nonostante avesse preferito di gran lunga non fare domande circa l’accaduto, si era ritrovato inconsapevolmente a divenire l’ascoltatore preferito delle avventure del prode capitan Usopp. Un’altra volta.
- Ancora non si è dato pace? – la lama del coltello scivolò sul tagliere pigramente, cadendo con un suono grave. Sanji sollevò il coperchio della pentola, grande, di proporzioni insolitamente maestose per appartenere ad un gruppo di semplici sei persone, e lasciò cadere il tritato nell’acqua in ebollizione. Poi volse lo sguardo al compagno.
- Evidentemente no. – questi di rimando si limitò ad annuire in silenzio, portandosi languidamente un braccio dietro la nuca.
- Capisco… - e la conversazione parve troncarsi lì.
Rimase a fissarlo senza parlare, quasi senza prestare attenzione. Lo spadaccino volle evitare volutamente di menzionare il verbo “osservare”. Con il biondo, del resto, aveva smesso da anni oramai di usarlo.
Stupidamente aveva creduto che poche occhiate potessero dar complicità, render le cose più chiare ai loro occhi e per qualche assurda ragione illeggibili a quelli di estranei. Aveva semplicemente creduto, basta.
In cosa ancora non gli era dato saperlo.
E si era ritrovato così tante di quelle volte a sbattere contro il muro di indifferenza del biondo, che quasi era arrivato a stupirsi del fatto che tutte le sue ossa fossero rimaste integre e non in frantumi, sparse un po’ ovunque.
- Da quando bevi prima di pranzo? –
La sua voce era rimasta calma, ponderata, come se alle spalle di quella domanda vi fosse stata una semplice constatazione.
Eppure Sanji la sentì scivolare in modo quasi mellifluo nella stanza e cercarlo forte di quell’ostinazione che sin da sempre aveva caratterizzato i modi di fare del compagno.
Ed il cuoco seppe, nel profondo, che non furono le sue parole a scuoterlo, come una presenza invisibile. Vi era dell’altro, in quella camera, che lentamente stesse incominciando ad infastidirlo.
E fu proprio quell’indefinito qualcosa che lo spinse a sorridere appena. Un ghigno, uno spacco indifferente delle labbra, che probabilmente avrebbe voluto nascondere molto più.
- Da quando quel che bevo e quando lo faccio ti crea problemi, marimo? – non ebbe bisogno di voltarsi per intuire l’espressione disegnata sul viso del verde. Del resto sapeva che Zoro poteva diventare una delle persone più irascibili che avesse mai visto in vita sua. Gli sarebbe semplicemente bastato sfiorare le giuste corde.
Ed allora provò a sfidarlo; si voltò per incrociare quelle iridi impenetrabili ed affrontarle ancora una volta. Eluderle ancora una volta.
Farle divenire grigie come la lega indistruttibile delle sue spade e fargli capire che era disposto a tutto pur di non permettere più a nessuno di varcare quella sottile soglia di confine che era la sua esistenza. Le poche volte in cui lo aveva fatto, del resto, le cose non erano mai andate per il verso giusto.
Ma ciò che voltandosi vide lo lasciò stupito.
Zoro non stava reagendo, non stava facendo niente per impedirgli di dilaniare ancora una volta quel nome costruito su una leggenda e diffamarlo. Zoro era semplicemente immobile, con entrambe le braccia incrociate al petto e gli occhi fissi sul calice stretto fra le lunga dita del biondo.
- Che hai combinato? – si limitò a chiedergli.
Il viso del cuoco cambiò improvvisamente espressione. Sentì quella domanda insinuarsi sin sotto la pelle, diretta, dilaniante, ed aggrapparvisi quasi come un cancro.
Perché in fondo aveva sperato dentro di sé che avvenisse una specie di miracolo ed il compagno tornasse alla sua solita vita; che magari, per qualche assurda legge fisica, si limitasse ad ignorare la bottiglia alle sue spalle e tornare con lo sguardo fisso al soffitto, perso nel vuoto.
Ed invece aveva lasciato scioccamente che quella morbosa incorruttibilità lo invadesse a tal punto da farglielo rivoltare contro. Dannato spadaccino.
- Niente, idiota. Perché me lo chiedi? – il verde gli si avvicinò guardandolo dritto negli occhi.
- Sei strano. –
- Sono sempre me stesso. Di strano in questa stanza, ti posso garantire, che c’è solo il tuo brutto muso. –
Richiuse lentamente lo sportello del frigo, versò dell’acqua in un bicchiere e ne prese un lungo sorso. Aveva bisogno allentare quel poco di l’alcool che ancora gli circolava in corpo.
La vista aveva incominciato ad esser appannata e le mani, nonostante fossero assicurate dal sottile cotone delle tasche, davano i primi segni di tremori.
Si maledisse mentalmente per esser stato talmente idiota da commettere un errore così banale in sua presenza.
- Sei ubriaco. – constatò semplicemente il compagno, distogliendo disgustato lo sguardo.
- Sono un cuoco. È mio dovere assicurarmi personalmente di quello che quotidianamente ti fai entrare nel gargarozzo, bevande comprese. Qualche problema a riguardo, spadaccino? –
- Figurati! Puoi anche strozzarti con quello che bevi per quel che mi riguarda! – lo conosceva da esattamente due anni e sapeva con certezza le conseguenze a cui quell’ultima affermazione avrebbe portato.
Si passò appena la lingua sulle labbra, ad inumidirle, pregustando il sapore del sangue scorrergli sulla pelle sino ad insinuarsi nei pensieri. Lottare era forse la cosa che meglio li accomunasse del resto, li si addiceva bene quanto le spade o il fumo.
Ma le sue speranze, quella fredda mattina, parvero perdersi inutilmente nel silenzio della stanza. Scosso ancora, seppur impercettibilmente, dal rumore della porta che il cuoco, uscendo sul ponte, aveva spalancato.
- Al diavolo, marimo! - e la conversazione parve concludersi lì.
Ancora una volta.


L'erba dell’agrumeto si incrinò mestamente sotto il peso delle sue suole, scricchiolando e spezzandosi in piccoli scoppi. Fuori nevicava.
Nevicava sempre su quelle terre dimenticate persino da dio, non era di certo una novità.
Il paesaggio era spento, lugubre e con quella poetica vena di malinconia che forse, in passato, lo avrebbe spinto a sedersi sulla neve e continuare a fissare l'orizzonte, stranito.
Alzò gli occhi al cielo e rimase ad osservare un punto indefinito oltre le nuvole, nei brevi sprazzi di luce fra il turbinio del nevischio.
Cercava ancora di ricordare che sensazione dovesse dare il calore del sole sulla pelle. Ma la pallida luce che splendeva su di lui non poteva riscaldarlo, niente di quel luogo avrebbe probabilmente più potuto farlo.
Si arrese ed abbassò nuovamente la testa continuando a camminare.
Sentiva l'alcool scorrergli in corpo, sentiva la pelle sudata, gli occhi lucidi ed il calore prenderlo completamente. Eppure sentiva anche freddo, un gelo che partiva dal cuore e si diffondeva rapidamente in tutto il suo corpo facendo contrasto con il calore procurato dall'alcool.
Scosse la testa, con fare liberatorio, mentre nella sua mente una gelida consapevolezza aveva incominciato a farsi strada, annusando l’aria speranzosa.
E la certezza di esser tornato a casa, dopo così tanti anni, gli diede un ulteriore brivido, scivolando con voluttuoso piacere in ogni singola parte di sé. Credeva di aver dimenticato tutto, invece ricordava anche il più piccolo particolare.
Cercò con la sinistra il peso familiare delle fedeli bionde in una delle tante tasche del completo.
Sentiva il bisogno, folle ed inaspettato, di rivolgere la propria attenzione altrove, a qualsiasi cosa che non fosse quella landa bianca e luminosa. Aveva bisogno di aggrapparsi a qualcosa, qualsiasi cosa che gli impedisse di sprofondare nelle tenebre più nere.
Quelle stesse che così tanto gli aveva rimproverato, in passato, e che ora sentiva invece trascinarlo a se. Adesso le percepiva, le poteva scorgere nitidamente nei contorni sempre più nitidi e sicuri della costa.
Adesso, per la prima volta dopo un decennio, sentì di doverle temere.
Prese un lungo respiro e poggiando la fronte contro il legno della porta in un gesto stanco, dai tratti forse esasperati, si limitò a sussurrare appena il nome della compagna.
E quando una voce da dentro la camera gli rispose semplicemente di entrare, si sentì quasi sollevato. Il freddo adesso gli dava tremendamente fastidio, l'effetto dell'alcool non era più tanto forte.
Entrò nella cabina e fu avvolto dal silenzio e dal lieve bagliore di una candela, posta nel punto più alto della stanza. L'oblò era chiuso, la minuscola tendina tirata.
Sembrava non esserci nessuno.
- Nami-san? Ti ho portato un po’ di buon the, un toccasana con questo gelo. – poggiò il vassoio sul tavolo della stanza, con un movimento oramai meccanico delle mani. E si stupì quasi lui stesso della sicurezza di cui avesse voluto impregnare quel gesto, della forza con cui lo stesse ripetendo ancora una volta.
Ma la navigatrice non era di certo una sprovveduta e Sanji era conscio che ingannarla, anche se per brevi secondi, sarebbe stata una delle cose più difficili da fare. Era qualcosa che andava semplicemente contro natura del resto; le sue labbra glielo avrebbero anche potuto permettere ma il cuore, alimentato da quell’indomabile spirito cavaliere, si sarebbe limitato a frenare le sue parole, rimandandole indietro.
- Umph… - alzò lo sguardo verso il fondo della stanza riuscendo ad intravedere unicamente il baldacchino.
Non era nulla di particolarmente sofisticato, solo un insieme mal assortito di assi e legname che con qualche coperta la notte fungeva da letto. Sicuramente non il massimo dell’eleganza per una ragazza di grandi pretese come la navigatrice ma, con altrettanta certezza, decisamente più comodo delle brandine logore e consunte su cui i ragazzi erano costretti ogni sera a far ritorno.
- Tutto bene? – chiese con premura, come qualsiasi altra volta.
Nami si tirò su fra le coperte, stringendosi con fare infantile nella lana grossolana delle imbottiture. Poi, lanciando una semplice occhiata di rimando al cuoco, si limitò a sussurrare:
- Si gela. – il biondo sorrise appena, rassicurato. Stava bene.
- Le temperature sono effettivamente scese di parecchio. Ma non ti preoccupare, mio dolce fiore! Il tuo Sanji penserà a mantenerti al caldo ed al sicuro ed al… -
- Sanji…? –
- Sì, biscottino? –
- Stai zitto per favore. – ed il suo tono non ammetteva alcuna replica.
Il cuoco sospirò appena, un movimento sufficiente a far turbinare impercettibile l’aria attorno a sé, e si lasciò cadere stancamente su una sedia. Alzò gli occhi al cielo e rimase a guardare il soffitto, assente.
Nonostante fosse abituato a far fronte a qualsiasi tipo di clima il freddo di quelli ultimi giorni, non potè negare, era divenuto particolarmente fastidioso. Gli sembrava quasi di sentirlo entrare dentro le ossa, nei muscoli e nella carne fino infine riuscire a sfiorare le viscere.
Si strinse con fastidio nelle spalle quasi come se non fosse più abituato ad anni ed anni di quel freddo pungente.
- Non ti manca? – quella domanda arrivò graffiante, sicura.
Sanji chinò appena un po’ di più lo sguardo, quasi per accertarsi di non aver stupidamente immaginato anche quel suono. Non rispose, sapeva che non ve ne sarebbe stato bisogno del resto.
Le parole delle navigatrice, anche le più leggere, non nascevano mai per puro caso; non si limitavano a sfiorare e basta. Ma entravano, prepotenti, nella fonte di interesse della ragazza, sgretolandola pezzo dopo pezzo, frammento dopo frammento. E se alla fine di quelle costruzioni maestose rimaneva ancora qualcosa di cui poter far vanto allora se ne appropriavano, con ingordigia.
Potevano esser vuote, monotone, austere. Ma Sanji sapeva che mai, per alcuna ragione al mondo, sarebbero potute esser prive di motivazione.
- Cosa? – si limitò quindi a chiedere, senza più alcun infingimento.
- La tua isola. – per un attimo nel suo sguardo comparve il riflesso dello stupore.
- Dovrebbe? – non era stato un tono cordiale il suo, non si era limitato ad essere una semplice constatazione.
E fu solo un’amena impressione del biondo il peso di quello sguardo che parve trafiggerlo, come una lama incerta, quasi non sapendo dove esattamente colpire.
- Non credo, visto che ancora non mi hai proposto di deviare le rotta per approdarvi. Sempre a patto che la Merry necessiti di deviare la rotta per farlo. - ma erano occhi sicuri quelli di Nami. Occhi che conoscevano i punti esatti da sfiorare per far tremare le gambe del biondo ed obbligarlo a cedere e parlare.
Occhi che, per la prima volta, il giovane cuoco di bordo parve fare il possibile per evitare.
- La cambusa è ben fornita. Non è necessario che scenda anche tu questa volta. –
- Ma crostatina! Non dirmi che sei preoccupata per la mia salute! Sai che uomo forte sia il tuo Sanji-kun, n… -
- Ho semplicemente detto che se non vuoi scendere questa volta non sei obbligato. – mai, per alcuna ragione al mondo, sarebbero potute esser prive di motivazione.
Rimasero in silenzio a guardarsi semplicemente in volto, a scrutarsi alla ricerca di qualsiasi appiglio a cui aggrapparsi per poter sopraffare l’altro.
E la consapevolezza, l'assoluta certezza, di aver lasciato ancora una volta la propria cavalleria sopraffarlo, sino a costringerlo con le spalle al muro, fu quell'indefinibile qualcosa che questa volta spinse i passi del biondo fuori, nuovamente verso l'uscita.
- Fra dieci minuti è pronto. Dirò agli altri di aspettarti, Nami-san. –
La prima, grande, crepa aveva appena visto la luce nella sua maschera perfetta.

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Capitolo 2
*** The way you act ***


Note iniziali: perché altrimenti, con la mente contorta ed incomprensibile che mi ritrovo, rischiereste di non capire una cippa ù_ù
Questo ed il prossimo capitolo saranno improntati sul susseguirsi di flashback. Saranno tutti dialoghi, nessuna descrizione e nessun approfondimento; unicamente discorsi improntati sui più svariati argomenti.
A riportare il passato alla mente del biondo potranno essere le cose più impensabili, da una frase urlata dalla navigatrice ad un semplice palazzo in decadenza.

Ultima nota per quanto riguarda il Sanji bambino.
Confesso che mi son voluta divertire a renderlo vagamente petulante, ma buoni spunti li ho anche presi dai volumi sei e sette del manga ù_ù



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The way you act.


Era una brezza acerba, impregnata dell’acqua salmastra delle chiglie e della ruggine delle ancore.
E quando i suoi polmoni si ritrovarono ad inspirarla per la prima volta, con cautela, senza fretta, riuscì ad assaporare ancora uno per uno i tanti odori che la componevano.
Non erano profumi particolari, non erano nati per rimanere impressi.
Il più delle volte, anzi, li aveva colti ancora boccheggiando, mani alle ginocchia per lo sforzo e capo chino per riprendere fiato.



- Ti va di giocare a palla?  -
- E dar modo ai tuoi mastini di prendermi al primo passo falso? Ti ringrazio, principino. Ma per questa volta preferirei uscirne con tutte le ossa integre. –
- Oh!

Allora che ne dici di nascondino? Tanto, bravo come sei, dubito che qualcuno possa beccarti… -



Le loro giornate passavano così fuori dall’immensa tenuta.
Giorni che per gli abitanti del villaggio erano invece monotoni, tortuosi. Lenti.
I loro inizi erano scanditi dai canti che i pescatori all’alba, ancor più per tradizione che per reale bisogno, intonavano a squarciagola, quasi come se sussurrati non fossero sufficienti a raggiungere i loro dei.
Suo padre gli raccontava spesso di quelle divinità, non mancando quasi mai a storcere i lunghi baffi in segno di disappunto.
Erano esseri benefici i loro, entità che scese dal cielo si prodigavano a dispensare cibo agli affamati e rifugio ai bisognosi.



- Tutte emerite stronzate. -
- Vuoi dire che allora non ci credi? Eppure mamma ne è sicura, sa che esistono… -
- Esistono perché ci nutrono e ci danno un tetto sopra la testa? Solo per questo? Anche io vengo nutrito da te e sto a casa tua, eppure le cose per me e la mia famiglia son lievemente diverse. –
- Non è vero! –
- Forse per te, principino. Ma io sono solo l’ultimo acquisto della casa d’aste, sono un oggetto con tanto di numero e segno d’appartenenza. –
- Non è vero… -
- Tutte stronzate, Sanji. –



- Tutte stronzate, Nami! – l’aria fredda che proveniva dal mare risvegliò improvvisamente i suoi sensi facendogli spalancare gli occhi. Si guardò intorno e l’insolito teatrino che vide circondarlo disegnò sul suo viso un sorriso di pacata soddisfazione. Anche questo con il tempo era rientrato a far parte della loro normalità.
E per quanto assurda, incomprensibile e malata potesse apparire, il rassicurante pensiero che fosse sua e di nessun altro parve esser la cosa in grado, quella gelida mattina, a spingerlo ad andare avanti con quel gioco masochistico.
Solo, seduto sotto quell’immenso intreccio di assi e travi del molo, aveva continuato ad osservarli da lontano, rigirandosi nervosamente una bionda fra le mani.
- Stronzate? Stronzate, idiota?! L’ultima volta ti abbiamo ritrovato addormentato al porto ad aspettarci! -
- Ed infatti l’appuntamento era lì. – constatò semplicemente il verde, laconico.
- L’appuntamento era in quello di Rogue Town, non in quello dell’isoletta vicina! – sorrise appena quando la voce della navigatrice berciò il silenzio innaturale del molo, facendo sobbalzare qualche pescatore intento a ricucire le reti.
Aveva ingenuamente sperato che pochi attimi come quello potessero esser sufficienti a dargli la forza di scender da quel pilastro, accendere quella merdosa sigaretta ed affrontare una volta per tutte ciò che lo avrebbe atteso oltre i cancelli d’entrata del paese.
E si era rivisto quasi per un attimo bambino, quando credeva davvero che cose simili potessero accadere.



- Papà oggi mi ha parlato del paese… chi lo sa com’è… -
- Selvaggio. Ti ritroveresti con la testa mozzata ancor prima di aver modo di alzarla, idiota. –
- Ma io ci voglio andare… -
- La puzza di principino che ti porti dietro si sente a chilometri di distanza; non dureresti tre secondi Sanji. –
- Anche tu però sei facilmente riconoscibile, con quei tatuaggi spicchi tantissimo. –
- Quei tatuaggi sono la mia salvezza. La gente li vede e trema, perché sa che non ho niente da perdere. –
- Non è vero che non hai niente da perdere! Siamo amici no? Puoi perdere questo. -
- Non esiste l’amicizia fra schiavo e padrone. Esiste il comandare e l’esser comandato, ed il odio ricevere ordini. –
- Ed io darli. Visto? Siamo simili! –
-  …
Andiamo, principino. –



Crescendo era stato invece costretto a ricredersi. Su tutto.
Inspirò una lunga boccata di quell’aria amarostica, semplicemente sporca del lerciume del porto e con passi ignavi, sebbene sempre più veloci, si avvicinò al gruppo. Non ebbe bisogno di distogliere lo sguardo dalla sigaretta per riconoscere il peso di quelli sguardi, alcuni senza ombra di dubbio forniti di maggiore insistenza, seguirlo con estrema cautela.
Si fermò a pochi metri dal primo pilone e gettò fuori parte della paglia, poca cenere consumata, guardando fisso davanti a sé. Stupidi sì, ma non ottusi.
E la sensazione che nel cuoco qualcosa avesse smesso di girare per il verso giusto sin dal momento dello sbarco, oramai non si sarebbe più potuta definire tale per nessuno dei suoi compagni. Usopp sospirò.
Per lui era divenuta una certezza.
In sin dei conti un abile attore come il cecchino, un commediante ancora parecchio in voga nonostante tutto, un bugiardo sa riconoscerlo a miglia e miglia di distanza. E Sanji in quanto improvvisazione, dovette ammetterlo, lasciava piuttosto a desiderare.
- Noi andiamo in città e questo… - lo spadaccino venne scosso senza troppo decoro - …se ne viene con noi una volta tanto. Sempre a patto che invece della nave non sia direttamente a Raftel che vogliamo ritrovarcelo. – ed a nulla valsero le, pur sempre prive di alcun fondamento, proteste di Zoro; le cose stavano così ed era giusto, uno di quei postulati certi, che rimanessero invariate. Il pugno della navigatrice parve esser sufficiente a ricordarglielo.
- Io allora andrò per far rifornimenti. – il biondo si portò una mano in tasca mentre con l’altra continuava, in un movimento oramai meccanico, a scuotere la sigaretta accesa, lasciandola semplicemente consumare.
- Sanji, aspetta! – e non la lasciò andare neanche quando a passi grandi, disordinati, vide il capitano corrergli incontro, agitando malamente ciò che ad una prima occhiata indagatrice gli parve ricordare un lenzuolo.
- Hai dimenticato la lista! – si limitò ad aggiungere, voce appena affaticata e sguardo come sempre vivace, incredibilmente vivo. Il cuoco prese il foglio, dando una rapida occhiata.
Poi si rivolse, appena dubbioso, al compagno.
- Ti rendi conto di aver scritto la parola “carne” trecentoventiquattro volte, vero? – l’espressione del ragazzo si fece vagamente incerta. Sottrasse repentino la carta dalle mani del compagno e la osservò con morboso interesse.
- Solo?! – un secondo pugno della navigatrice, di indubbiamente maggior potenza, lasciò quella domanda senza risposta.
Sanji scosse la testa, con fare sconsolato, e riprese ad incamminarsi con il suo solito passo.
- Cuoco! – i passi del biondo rallentarono sino ad arrestarsi del tutto. Almeno questo, si ritrovò a pensare, glielo avrebbe dovuto concedere.
- Sintetico, spadaccino. –
- Attento a non perderti. – la sua voce risuonava tremendamente seria, nonostante l’idiozia e l’incoerenza della frase appena formulata. Raccomandazioni simili, lui?
Il mondo doveva aver smesso di girare per il verso giusto allora.
- Quando parli di cose che neanche sai dove stiano di casa sembri quasi normale, sai? – lo vide allontanarsi come ogni altra volta. Solita andatura, solita lentezza calcolata a far innervosire.
Probabilmente unicamente Usopp riteneva che il biondo lasciasse davvero così tanto a desiderare come attore.


---
E
qui invece mi diverto a tartassarvi con i ringraziamenti. Perché, diciamocelo pure, sono una schifosa logorroica è_é9

Per Seiko: …
Dimmi che posso risponderti con un silenzio millenario, per favore. Pwease ç_ç
Io dannazione non so più in quale modo, lingua e detto ringraziarti.
Perché mi sostieni dove meriterei unicamente calci in un non meglio determinato posto, sopporti i miei deliri e mi aiuti. Sempre.
|Parte assolo di violini alla Mountain|
Grazie davvero, Cra ç__ç

Per angel92YH: Il punto è alcuni hanno invece pensato fin troppo al di fuori del Baratie XDD
Grazie mille per il commento

Per new_francysmile_live: Lieta di aver reso reali le tue aspettative è_é9
|Si spara|
Grazie per aver commentato.

Per QueenCamelia13: In realtà io, lo so non è una buona cosa ammetterlo con tutti i fan che poi mi verranno dietro, ma dovevo dirlo, sono la figlia della pronipote della cugina di secondo grado da parte di madre adottiva del fratello gemello disperso del figlio della portinaia di quella della lavanderia proprio sotto a dove abita Oda. Quindi siamo praticamente vicini quasi come fratelli ù_ù
Ti ringrazio per tutti i complimenti e per avermi seguita *_*1

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Capitolo 3
*** Step on memories ***


Step on memories.


- E'… grande! No, no! E’ immensa! E’ immensamente grand… -
- Dacci un taglio, idiota. Il fatto che sia così grande va tutto a tuo svantaggio, fidati. –
- … -
- Che c’è adesso? –
- Grazie per avermi portato con te alla fine. -
- …
Stammi vicino, principino. Non vorrei tornare alla villa senza la regale scorta questa sera. –



Le cose da allora erano cambiate.
Il tempo aveva trasformato quelle mura gravide di vita in un fitto intrico di vie e stradine, insolitamente tortuose. Si incrociavano come una ragnatela raggiungendo ogni angolo dell’isola, insinuandosi serpentine nelle pieghe dei monti per poi uscire nuovamente nelle valli, ricongiungendo interi centri.
Non esisteva più la città, le piazze gremite di mercanti erano adesso vuote, il vociare spento. Come una bolla l’intera popolazione si era lasciata lentamente risucchiare dagli eventi fino ad atrofizzarsi all’ombra dello splendore di un tempo. La cenere della sigaretta ora sporcava un’aria che altrimenti avrebbe saputo di qualcosa andata irrimediabilmente a male, il suo respiro gelava un vento già freddo.
Il biondo alzò appena un po’ di più lo sguardo, verso i tetti sporchi di fuliggine e bruciato, ed inconsapevolmente si scoprì subito dopo a chinare il capo.
Era frustrante ammettere l’ascendente che quell’indecoroso spettacolo avesse ancora su di lui. Era frustrante il semplice credere di stare provando, ancora una volta, sensazioni che un pirata non avrebbe nemmeno dovuto conoscere.
Un sentimento insensato perché, in fondo, lui quella città l'aveva disconosciuta anni ed anni prima. Ed alla frustrazione allora si univa la rabbia.
E gli sembrava quasi di sentirla gorgogliare dentro di sé, fargli prudere le mani a tal punto da costringerlo a tenerle premute in tasca per il timore che potessero prendere vita propria e sporcarsi per la prima volta di sangue.
Di tanto in tanto capitava poi che gli si serrassero fra la stoffa, con forza, quando, giunto ad una nuova via, si scopriva a riconoscere un nuovo pezzo di qualcosa che oramai credeva aver dimenticato. Speranze sciocche perché ad ogni ricordo rovinato se ne sommava uno ancora più antico, sgualcito come il cotone che le sue dita ostinatamente continuavano a grattare dall'interno della giacca.
Semplici contorni ad una genesi che prima avrebbe raggiunto e meglio sarebbe stato per la sua mente.
Troppo pesante adesso, troppo piena per poter anche solo sperare di riuscire ad andare avanti con quella ridicola farsa.

- Merda… -



- Una libreria! Guarda! Guarda là! La vedi anche tu? La vedi, vero?! -
- Il fatto che non stia saltando come un idiota non implica il fatto che non possa vederla. -
- Allora possiamo entrarci? Possiamo, no?! -
- Che ci devi fare? -
- Possiamo sì o no? -



Quell'imprecazione era uscita senza il consenso dei pensieri dalle sue labbra. Era stato un istinto spontaneo in sin dei conti.
I suoi passi - passi stanchi, passi quasi non calcolati per quanto assenti, lo avevano portato inevitabilmente alla prima breccia in grado di mostrare le sue ferite al di sotto di quella maschera. E la mente, discorde come qualsiasi altra volta, si era limitata semplicemente ad esprimere la sua.
Il succo della questione si sarebbe potuto racchiudere in questo.
Mosse i primi passi fra colonne portanti e scaffali del pianterreno, ammassati in un unico angolo della villetta quasi come in attesa che qualche anima pia si levasse dai detriti ed incominciasse a separarli nuovamente, mandandone le une ai piani superiori e gli altri, invece, nell'androne. Un'entrata sporca, buia ed insolitamente infestata dal lerciume. Eppure anche gravida di memorie, talmente piena da creder quasi di potere scoppiare.
Il biondo scosse la testa, cercando inutilmente di ritrovare un senso fra i pensieri. In quel posto, ne era certo, vi era stato un'unica volta, anni ed anni prima.
Cedere così facilmente, a qualcosa di così lontano, non era di certo ciò che si sarebbe aspettato quel giorno.
Strinse con rabbia la sigaretta fra gli incisivi e spingendo ancor più le mani nelle tasche ricominciò a camminare. Passi silenziosi, passi felini.
Soliti passi in quel locale che più guardava e più sentiva storcergli le viscere, quasi come se mosso da volontà propria.
- Merda. - questa volta le sue parole erano risuonate un pò più concise, in qualche assurdo modo vagamente sicure.
L'edera davanti a sé se ne sporcò appena le foglie, facendole oscillare mestamente sotto il peso scostante del suo respiro.
In una complessa protezione il rampicante avvolgeva l'intero casolare, pochi ruderi ancora in piedi, penetrando dai vetri rotti delle finestre sin dentro le camere più esposte.
L'intonaco ancora visibile al di sotto delle piante era invece rosso acceso, vivo. Come una fiamma ardente si limitava a berciare ampi spazi di fogliame, facendo capolino fra le pareti scrostate ed i grandi fori dei primi mattoni.
Non era un colore comune, non era stato ideato per adornare e basta.



- E' fatto per pulsare, un pò come il sangue che ti scorre nelle vene e ti tiene in vita. Qualcosa di metaforico, insomma… Capisci, ragazzo? -
- Credo di sì, signora. Però continua a farmi un pò impressione… -
- E nonostante questo sei entrato nel mio negozio? Devi essere un ometto coraggioso allora! -
- Umph… -
- Gli schiavi non sono ammessi qui dentro. Aspetta il tuo padroncino fuori, tu. -
- … -
- Allora, piccolo, dimmi un pò! Che libro posso venderti oggi? Sai, mi è appena arrivata un’enciclopedia sui frutti del diavolo. Oppure, se preferisci le avventure, ho anche un nuovo libro sulle meraviglie dell’All Blue…-
- …
Mi sono appena ricordato di non aver portato il borsellino con me. La ringrazio, ma sarà per la prossima volta, signora. -



Scostò con il piede alcuni detriti, in un movimento assente, e rimase ad osservare immobile l’insignificante fazzoletto di mondo che quel gesto era riuscito a portare allo scoperto.
Un ammasso informe di legno marcio e fogli ingialliti si limitò a rispondere atono al suo tocco, scivolando sul pavimento della stanza fino ad arrivare alla minuscola uscita secondaria, di emergenza probabilmente, nascosta appena dietro il pesante bancone.
Lo seguì con lo sguardo, socchiudendo gli occhi quando un tonfo sordo gli fece intuire che l'esile uscio doveva aver resistito nonostante tutto, come a voler ridicolizzare gli anni e le intemperie trascorse.



- Un principe senza regno… chi mente ai propri sudditi. -
- Io non dico le bugie! -
- No, dici semplicemente stronzate. Hai ragione, principino. -
- Si può sapere che cavolo ti prende? -
- Perchè non hai comprato quel libro? -
- Perchè non avevo soldi con me! -
- Perchè non hai comprato quel libro, Sanji? -
- …
 Perchè non mi è piaciuto come quella signora ti ha trattato… -



Fu sufficiente una leggera pressione delle dita per farlo spalancare.
L’immenso parco su cui in passato si sarebbe affacciato adesso era rovinato, intrappolato in una fitta rete di rovi e piante a fusto lungo, ghiacciate dalle radici sino alla cima a causa del gelo.
In una grottesca immagine si limitavano a riempire ogni singolo spazio vuoto nella maestosità di quel giardino, fondendosi con l’edera in un caleidoscopio di colori spenti. Aridi.
Il biondo chinò appena un po’ di più lo sguardo, verso la pesante lastra di marmo ai suoi piedi e ne tastò con un movimento di punta la consistenza. Era denigrante pensare come, a dispetto di tutta la voglia di vivere di coloro che l’avevano limata, fosse rimasta la sola cosa in quell’insulsa città a rimanere ancora integra.
Ma fu unicamente nell’istante in cui si mise a sedere, arpionandosi con le dita alla pietra pur di non scivolare, che si rese conto di quanto i suoi sensi l’avessero voluto far sbagliare. Non un centimetro, non un singolo frammento di roccia viva era rimasto illeso alla furia di quelli ultimi undici anni.
Le crepe, seppur talmente sottili da dare l’illusione di appartenere ad un unico strato di polvere, si erano ramificate con continua insistenza, assorbendo pacatamente ogni colpo sino a diradarsi. Lì, immobili in quel misero fazzoletto di mondo da oltre un ventennio, attendevano unicamente il colpo di grazia per andare in frantumi.



- Siediti. -
- Ma il marmo qui è freddo! Non possiamo tornare a camminare? –
- Non te lo ripeterò un’ultima volta: siediti, dannato idiota. -



Un ventennio… e dire che era sicuro che quella merdosa pietra ne avesse appena la metà, di quelli anni.


- Privare un sadico del suo spettacolo non è mai una buona cosa. -
- Non capisco… -
- Credi che quella vecchia si sia limitata a seguire le leggi sbattendomi fuori di lì? Lo ha fatto perché la cosa, lo spettacolo, la divertiva. E tu, agendo da perfetto idiota quale sei, andandotene l’hai privata di un compagno con cui poter ridere. –
- Ma… -
- Hai agito seguendo la tua idiozia, lo so. Ma così facendo non hai potuto comprare quel fottuto libro, no? Era lo scopo per cui mi hai trascinato fino a questo buco e te lo sei lasciato sfuggire.
Quindi adesso ascoltami bene, principino, perché fuori di qui, in quel mondo di bastardi, non incontrerai più nessuno pronto a ripetertelo; se perdi di vista i tuoi obiettivi, non importa per chi, non importa per cosa, finirai schiacciato. Chiaro? –
- Ma, t… -
- Chiaro? –
- Sì. –



Si accese nervosamente una sigaretta quando la consapevolezza di ricordare persino il benché minimo – ed oltremodo stupido, particolare di quel giorno incominciò a farsi strada dentro di sé.
Ogni suo buon proposito si era ritrovato ad andare al diavolo dal momento in cui era entrato in quel posto.
Aveva voluto fingersi forte, sfidare quelle ombre e dimostrarsi una volta per tutte di averle lasciate chilometri e chilometri dietro di sé.
Gli era bastato tuttavia sedersi su un gradino rovinato ed attendere che la realtà lo investisse nuovamente, dura ed ispida come le gomene, per capire quanto ogni suo tentativo non fosse stato che una sciocca presunzione. Aveva voluto mostrarsi forte.
Tutto ciò che era riuscito a raccogliere, invece, era stato un insieme infinitesimale di cocci.
Pezzi minuscoli, poco più grandi della brina che ad ogni sibilo di vento nella sua direzione sentiva innalzarsi e colpirlo con rinnovata insistenza.
Rimase immobile per alcuni istanti, con lo sguardo fisso oltre la vetrata infranta del locale ed un braccio stupidamente penzoloni lungo i fianchi, di tanto in tanto scosso da un involontario brivido di freddo.
Costatare come, nonostante il passare degli anni, quel casolare riuscisse ancora a solleticare la sua curiosità era stata forse la cosa che maggiormente fosse riuscita a colpirlo quel gelido pomeriggio. Credeva di essere cambiato, e tanto anche.
Ma invece, in un profondo che per troppo tempo si era riproposto di ignorare, era rimasto lo stesso bambino di undici anni prima. Il moccioso che credeva nei sogni che faceva ed in quelli che gli dicevano; che, in maniera morbosa ed innegabilmente infantile, pensava che al mondo non vi fosse sofferenza, che le persone fossero buone e che chi gli era accanto non lo avrebbe mai potuto ferire.



- Tsk, sognatore. -
- Solo perchè non l'hai visto con i tuoi occhi non vuol dire che non esista! Mamma dice sempre che… -
- Tua madre non è Dio, sempre a patto che ve ne sia uno. Non può di certo sapere se un mare simil… -
- Quel mare, il miracoloso, esiste! Io lo so! -
- E cosa te lo dice? -
- Il mio istinto! -
- …
Ti basta semplicemente quello per credere ad un' idiozia simile? -
- Sì! E… e non è un'idiozia! E' la pura verità!-
- … -
- Che hai da sorridere adesso? -
- Non sei cambiato affatto da quando ti ho conosciuto, Sanji. Sempre lì, a fantasticare sulle cose… -
- E piantala di prendermi in giro! -
- Sperare in qualcosa di meglio non è sempre un difetto, principino. -



Speranze. Sciocche ed inutili speranze.
Dov’erano quando ingenuamente aveva sperato che piangere potesse acquietare il fuoco? Quando le mani, le dita ed i palmi erano affondati in cumuli e cumuli di cenere riuscendone sporchi di carne e lapilli?
Quando i nervi del sinistro avevano incominciato a bruciare e bruciavano, bruciavano da far male, mentre erano solo ombre le sole cose che riuscisse a scorgere intorno a sé? Le speranze erano lì, a rider di lui probabilmente e ricordargli quanto fossero inutili.
Ecco dove.
Spense lentamente quell’ultima paglia.
E rimase immobile ancora per alcuni istanti, beandosi del sapore acre della cenere sulle labbra, bruciante sulla pelle scoperta delle mani dove lentamente era scivolata senza che neanche se ne accorgesse. Poi si alzò, gettando lontano da sé il filtro con un movimento annoiato delle dita.
- Che diavolo…qui sto soltanto perdendo tempo. – non disse nient’altro.
Non vi era nient’altro di cui dovesse convincersi, del resto.



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R
ingraziamenti speedo perché, disgraziatamente, ho una dannata fretta addosso.
Colgo quindi l’occasione per ringraziare dalla parte più nascosta e pulsante del mio cuoricino d’amianto tutte le persone che hanno recensito, seguito e preferito la storia.

E sì, anche tu visitatore occasionale che mi segui semplicemente.
Grazie, grazie davvero a tutti.

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