Don't Stop Believing.

di Elebeth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** New York, concrete jungle where dreams are made of. ***
Capitolo 2: *** Home Is Where The Heart Is. ***
Capitolo 3: *** Taking Chances. ***
Capitolo 4: *** Moonlight. ***
Capitolo 5: *** An important drawing. ***
Capitolo 6: *** A photographer meet a painter. ***
Capitolo 7: *** Can shopping save us? ***
Capitolo 8: *** New Year's Eve. ***
Capitolo 9: *** Italy vs. France ***
Capitolo 10: *** I believe in father's words. ***
Capitolo 11: *** Bleed. ***
Capitolo 12: *** New Year is coming to town. ***



Capitolo 1
*** New York, concrete jungle where dreams are made of. ***


 
Heilà, prima di lasciarvi al primo capitolo di Don't Stop Believing vi vorrei far chiarezza su che cosa è per me questa storia.
Sophie è Elena, Elena è Sophie. Siamo identiche, perchè io vorrei fare quello che lei ha fatto: voltare pagina.
Allontanarsi da un paese che è troppo stretto, diretti verso la possibilità di realizzare se stessi da soli; trovare amici speciali e dalle strane caratteristiche e un Lui che ti renda speciale in ogni singolo momento.
Spero che vi piaccia, che vi appassionate e spero soprattutto che commentiate: positivamente e negativamente. Di solito i commenti negativi ed esaustivi sono quelli che aiutano di più la gente a migliorare. Quindi, se c'è qualcosa che non vi sembra corretto in generale non esitiate a dirmelo.
Have Fun.
 New York, concrete jungle where dreams are made of.
 


Le strade affollate di New York si stavano pian piano ricoprendo di un leggero manto bianco. Sophie non riusciva ad amare la neve, anni fa pensava che fosse una manna dal cielo perchè mandava in tilt i trasporti e le impediva di andare a scuola. Crescendo si era resa conto che sotto quell'aspetto dolce e soffice si nascondeva un demonio gelido, pieno di difetti e di tristezza. Aveva cominciato a non sopportare di vedere tutto bianco nel periodo invernale; preferiva l'estate nella quale i colori brillavano e la terra viveva.
Ricordò con un leggero sorriso, tre anni prima, quando ancora abitava in Italia e ci fu una super nevicata le scuole furono chiuse e quindi, le vacanze natalizie, anticiparono di un giorno. Il mattino del primo giorno di vacanza si ritrovò con i suoi amici ed andò a giocare, come bambini, nella neve. Ritornò a casa fradicia ma felice; la felicità svanì lentamente quando si rese conto che quella sera non sarebbe potuta andare ad un concerto che si preannunciava spettacolare.
Sophie a vent'anni non riusciva ancora a capire cosa ci trovassero le persone nell'andare a sciare o fare snowboard; preferiva andare al mare, ed abbrustolirsi mille volte piuttosto che gelare di freddo mentre si scende un pendio scivoloso.
Osservava le strade dalla finestra dello studio fotografico in cui svolgeva uno stage da un mesetto ormai; si trovava al limitare di Central Park, nell'Upper East Side, la zona ricca e lussuosa di Manahattan. Venivano spesso ricchi miliardari viziati a chiedere la presenza per una cerimonia, un party lussuoso o un matrimonio. In quel mese aveva capito che l'esigenza principale dei magnati newyorkesi era quella di mostrare la propria ricchezza tramite feste. Ormai non si stupiva più dello sfarzo di quei party di gala; a lei la sua vita piaceva così com'era anche senza un gioiello di Tiffany&Co.
«Sophie, cara, puoi andare anche adesso. I trasporti si impalleranno un po' anche con questa poca neve», la voce roca e vecchia del signor Tenninson, suo tutor, la strappò dai pensieri sulla soffice sostanza bianca che non sopportava ed i ricchi di New York.
L'uomo le si era avvicinato sostenuto dal bastone nero; un tempo era stato un uomo arzillo, ora la sua struttura fisica era acciaccata ma nell'animo era ancora un ventenne. Aveva corti capelli bianchi, simili allo zucchero filato; occhi azzurri brillanti e la pelle rugosa, segno tangibile degli anni che portava sulla schiena curva.
«Signor Tenninson, grazie mille. Dovrei fare anche qualche acquisto per Natale», sorrise la giovane realmente riconoscente, abbracciando l'uomo che riconosceva come una specie di nonno apprensivo.
«Quante volte ti devo dire di chiamarmi Chuck?», sbuffò sorridendo a Sophie che si scusò, per l'ennesima volta e si autoimpose di chiamarlo con il suo vero nome.
Chuck pensava che le foto di Sophie fossero le migliori dei suoi stagisti; riusciva con un click a raccontare la storia della fotografia. Le aveva già proposto di rimanere nel suo studio anche alla fine dello stage, di lì a due mesi, e la giovane aveva accettato.
«Mancano cinque giorni a Natale, riuscirai certamente a trovare qualcosa per i tuoi amici», sorrise l'uomo rincuorandola mentre Sophie indossava un cappotto lungo fino alle coscie, una sciarpa di lana rosa ed un paio di guanti di pelle. Infine, afferrò dalla sua scrivania, un berretto di lana bianca e lo sistemò, come la moda indicava, sui capelli castani.
«Certo Chuck, quelli sono l'ultimo problema. Odio il freddo e non sopporto la neve; spero che finisca presto», sorrise la bruna prendendo la tracolla contenente tutto l'occorrente e la Reflex Canon EOS-1V ben avvolta nella sua custodia. Quella macchina fotografica, oltre ad essere importante per la sua carriera, ha un ricordo affettivo del suo paese nativo: l'Italia.
Furono i suoi genitori a regalargliela compiuti i diciotto anni; coscienti della bravura della ragazza con quello strumento e del suo sogno futuro.
«Spero che non perderai lo spirito natalizio», la rimproverò Chuck che amava il Natale e tutto quello che lo riguardava. Sophie scosse la testa, sorridente rincuorò l'uomo.
«Certo che no. Ci vediamo domani Chuck, buona serata!», portandosi la sciarpa al naso uscì nel tempo gelido newyorkese, simile sotto molti aspetti in quello italiano.
Prima di dedicarsi alla scelta dei regali optò per entrare da Starbuck's e prendersi un cappuccino caldo che strinse tra le mani, tentando di scaldarle.
Le vetrine brillavano dei tipici colori natalizi: rosso, bianco, verde, oro e argento. Era il primo Natale che trascorreva a New York e si sentì come in uno di quei film a tema natalizio che trasmettevano sulle televisioni italiane in quei periodi. La gente alla ricerca forsennata del regalo perfetto, gli uomini travestiti da Babbo Natale ai lati delle strade che richiamavano l'attenzione con scampanellii ed oh-oh felici. Non sarebbe ritornata in Italia; i genitori se l'erano un po' presa, primo Natale che non trascorreva in famiglia, ma aveva promesso a Marshall ed Ella, suoi coinquilini che non sarebbe ritornata nel passato.
Voleva solo puntare al presente e al futuro, la parola passato era bandita dal vocabolario quando in casa c'erano i suoi due migliori amici, coloro per cui si stava avventurando nel bel mezzo di una nevicata per le strade di New York.
Entrò in vari negozi, tentando sempre di sfuggire alle commesse pressanti, preferiva fare tutto per conto suo e sbatterci la testa più volte, piuttosto che chiedere aiuto a persone sconosciute. Solo in casi eccezionali abbassava l'orgoglio e chiedeva.
Due borse troneggiavano nelle sue mani mentre scendeva in metropolitana, diretta a casa al Greenwich Village. Fortunatamente, osservando il tabellone, la prossima corsa sarebbe arrivata in meno di due minuti; si appoggiò stancamente al muro estraendo il vecchio cellulare dalla borsa leggermente bagnata dalla neve. Si passò una mano tra i capelli, speranzosa di eliminare quella sostanza bianca; si maledisse per non aver portato l'ombrello. Due messaggi troneggiavano sulla schermata del Nokia: uno di Ella, uno di Marshall. Entrambi le domandavano a che ora sarebbe arrivata a casa. Rispose velocemente ad entrambi e ripose il cellulare nel suo posto.
La metro arrivò e vi salì, trovando miracolosamente posto. Una signora anziana, al suo fianco, le sorrideva raggiante: «Non sei americana, vero?».
Sophie alzò un sopracciglio sorpresa, sul viso dai lineamenti dolci e dagli zigomi alti si disegnò un sorriso divertito: «No, sono italiana. Abito qua da un annetto quasi».
«Si sente nell'accento, ma non cancellarlo. Voi italiani avete una bella musicalità nella voce», elogiò la vecchia signora affabilmente, Sophie la ringraziò arrossendo.
Non le piacevano più di tanto i complimenti, le facevano andare le gote in fiamme e sentiva caldo dappertutto. Era una sensazione spiacevole, come l'essere al centro dell'attenzione.
«Mio marito era italiano. Avete un tale fascino: così spensierati, sorridenti, chiassosi. Quando noi americani diciamo che siete maleducati è che siamo invidiosi della vostra solarità», ricordò la donna, con un sorriso amorevole disegnato sul viso rugoso.
Sophie rise divertita sistemandosi il cappello; concordò con la donna su tutto: un po' per egocentrismo, un po' perchè sapeva che era tutto vero e sentirlo dire da una persona non italiana la riempì d'orgoglio. Non se n'era andata dal suo paese natale perchè lo odiava, anzi, fu un supplizio; ma perchè c'erano troppi ricordi che facevano male e le domande continue della gente le stavano strette. L'Italia cominciava a starle piccola a vent'anni.
«Voi americani siete uno strano mix; è divertente trovare caratteristiche di un paese europeo in ognuno di voi», sorrise la bruna, ricambiando il complimento.
«Oh sì, possediamo il bene e il male di ogni paese europeo; chi più chi meno», fissava con i suoi occhietti azzurri i pacchi regalo ai piedi di Sophie. «Che bello il Natale quando si è giovani, le corse per prendere il regalo migliore al fidanzato», continuò la donna.
«N-no, non sono per il mio fidanzato. Sono per dei miei amici», sorrise Sophie timidamente. La signora le continuò a sorridere: «Non hai il fidanzato?».
Sophie scosse risolutamente la testa, da quando era arrivata a New York aveva avuto qualche storia ma nessuna era riuscita a coinvolgerla a tal punto da poter trascorrere più di due mesi insieme. Marshall diceva che gli altri erano sbagliati, Ella optava che avevano segatura al posto del cervello mentre Sophie risolveva la questione dicendo che, semplicemente, non si trovavano bene insieme.
«Peccato, sei una bellissima ragazza. Oh, è stato un piacere parlare con te ma sono arrivata. Arrivederci, signorina», la donna si alzò dal suo posto e si dileguò al di là della porta, lasciando Sophie leggermente sconcertata, cercando di metabolizzare ancora l'intera conversazione. Non sapeva nemmeno che nome avesse quella donna ma le stava particolarmente simpatica, il suo sesto senso le diceva che la vecchia signora avrebbe nuovamente incrociato la sua strada.
Elena.
 

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Capitolo 2
*** Home Is Where The Heart Is. ***


  Home Is Where The Heart Is.
 


Il Greenwich Village appariva più opaco e meno vivo di come l'aveva lasciato quella mattina: tutta colpa della neve. Washington square era popolata da poche persone che correvano velocemente verso casa, al riparo dalla neve.
Sotto il grande arco, simile all'Arco di Trionfo a Parigi, un signore dal sorriso contagioso suonava una vecchia canzone dei Beatles con una chitarra acustica abbastanza logora. Sophie sorrise all'uomo di rimando e lasciò nella custodia qualche penny, salutandolo con un: buon natale e ricevendo in rimando un grazie sentito.
Raggiunse un lungo viale alberato, ai lati i tipici condomini in mattone rosso dominavano la via e proprio al numero 23 Sophie vi abitava. Era stata una bellissima casualità per la ragazza quel numero; lo aveva sempre identificato come quello fortunato, il suo numero. Era nata il 23 giugno di vent'anni prima e portava con sé il sapore estivo e frizzante di quel mese; aveva la vitalità e la solarità di quel periodo, gliel'avevano sempre detto.
Il portone era aperto, addobbato con qualche ghirlanda comprata, ovviamente, in qualche mercatino delle pulci a Brooklyn. Sophie entrò, riparandosi dal gelo polare all'esterno e salutando con un sorriso amichevole il portiere: un ragazzotto di nome Paul.
«Freddo, eh Sophie?», le domandò Paul dal suo gabbiotto riscaldato. La bruna annuì strofinandosi le mani mentre attendeva l'ascensore.
«Buon Natale, da domani vado in vacanza», sorrise l'energumero alla ragazza che salì sull'ascensore. «Buon Natale e felice anno nuovo, Paul», e Sophie sparì dietro le porte metalliche, pronte a portarla a casa.
Giunse all'ottavo piano in pochi minuti e appena uscì sul pianerottolo si diresse verso la porta numero 823, altra casualità con il suo numero. Aveva riso molte ore con Ella per quella stranezza mentre Marshall le aveva prese semplicemente per schizzate, fanatiche delle fortuna e dei tarocchi.
Sentiva delle voci all'interno, segno che Marshall ed Ella erano a casa. Appena aprì la porta vide il grande albero di Natale, che avevano addobbato qualche giorno prima, con ai suoi piedi due o tre pacchi di regali in più rispetto a quel mattino.
«Heilà», salutò la ragazza mentre si toglieva il cappotto e tutti gli accessori per ripararsi dal freddo, posandoli sull'apposito attaccapanni accanto all'entrata.
«Soph, siamo in cucina», urlò Ella con la voce squillante. La bruna, mentre si toglieva le scarpe, depositò i pacchetti sotto l'albero per poi buttare nella sua stanza i vari scontrini.
Corse velocemente in cucina, saltando in groppa a Marshall che per poco non rovesciò un bicchiere di vino rosso. Sophie sorrise al di sopra della spalla dell'amico: «A cosa si beve?».
Marshall era il suo migliore amico, l'aveva conosciuto appena arrivata all'aeroporto J.F. Kennedy di New York. Si erano scontrati: lui di corsa per prendere un taxi; lei disorientata perchè non sapeva dove sbattere la testa in quell'immensa metropoli. Si erano aiutati a vicenda: lei era riuscita a chiamare un taxi; lui le aveva donato un tetto sulla testa gratis. Alto, biondo, occhi azzurri come il mare della Costa Azzurra francese a detta di Ella, fisico statuario farebbe perdere la testa a qualsiasi ragazza. Unico difetto: l'essere omosessuale.
Gliel'aveva confidato una decina di giorni dopo l'arrivo di Sophie, sotto pressione di Ella che se l'era visto tenuto all'oscuro per almeno un annetto. La bruna non aveva fatto una piega, aveva riso e con una semplice frase aveva rotto il silenzio imbarazzante: «Eri troppo carino per non essere frocio». Le labbra di Marshall, prima tese dalla tensione si erano estese in un grande sorriso, aveva abbracciato Sophie e, per festeggiare, aveva offerto a lei ed Ella una torta al cioccolato con champagne.
«Si beve a nulla, così! Adesso bisogna avere una ragione per sorseggiare un po' di buon vino italiano?», domandò Ella divertita, notando la luce brillare negli occhi dell'amica al sentire che il vino fosse italiano.
«El, italiano? Datemene un sorso», sorrise la bruna alla bionda. In Italia l'accoppiata sarebbe stata soprannominata come veline ma in America il moto del velinismo non esisteva, fortunatamente. Ella era una bellissima ragazza con una schiera di pretendenti che non finiva mai; le sue storie non duravano più di una settimana e da quando era arrivata a New York, Sophie, non l'aveva ancora vista con un ragazzo fisso.
Lunghi capelli biondo tinto, anticamente rossa; grandi occhi azzurri, anche lei come Marshall; carnagione pallida punteggiata da lentiggini che la rendono simile ad una bambola di porcellana. I due amici sapevano perfettamente che era ben lontana dalla tenerezza della bambola quando si trattava di uomini.
«Ti pareva, tieni», Ella le ne verso un bicchiere. L'italiana si accomodò sul bancone all'americana della cucina e sorseggiò il suo adorato vino.
«Ho visto dei regali nuovi», saltellò Marshall facendo scoppiare a ridere le due ragazze.
«Sì, ma si aprono la mattina di Natale. Sia chiaro!», ordinò Sophie perentoria. Adorava rispettare quella tradizione anche se in Italia, o almeno nella sua famiglia, non era molto celebrata.
«D'accordo, capo! Novità?», domandò il ragazzo bevendo dell'altro vino.
«Ho visto giù a Chelsea, in quel locale abbandonato che lo stanno ristrutturando e ho sentito che apriranno una galleria d'arte con un bar. Potremmo fare un salto», sorrise Ella, amante dell'arte. Lavorava in un bar a Chelsea, appunto, da ormai due anni e anche se alcune volte tornava a casa con l'aria afflitta per la paga bassa non voleva abbandonare i due anziani proprietari, che senza di lei non saprebbero che fare.
Nel tempo libero dipinge, cosa che Sophie le invidia. Entrambe amano l'arte, l'unica differenza è che Sophie osserva, Ella la produce.
«Io per il bar e poi perchè a Chelsea abita un ragazzo che ho puntato», annunciò Marshall. Le due ragazze si voltarono curiose e con un cenno del capo gli fecero raccontare tutto. «Beh, l'ho solo vista di sfuggita stamattina in metro. Ma diavolo, un fisico, un fascino. Non il solito fascino da figo, era particolare», dichiarò il ragazzo portandosi la mano al cuore e disegnando sul viso uno sguardo amorevole.
«Non mi abituerò mai alle tue discussioni. Oggi una signora in metro mi ha riconosciuta come italiana e mi ha raccontato di suo marito. Una donna strana, ma so che la rincontrerò», rise Sophie, beccandosi le occhiate dei migliori amici.
«Sicura di non essere lesbica?», la prese in giro Ella.
«Piantala scema, non avete mai quella sensazione di sapere che rivedrete qualcuno?», domandò la bruna, seriamente.
«Sì, soprattutto dopo che me lo sono portato a letto», rise Ella e Marshall le battè il cinque.
Sophie gettò la spugna e cambiò velocemente argomento, così da evitare altre prese per il culo. Verso le sette si congedò e occupò il bagno.
Per essere un appartamento aveva due bagni e tre stanze da letto, più ovviamente un ampio salotto e una cucina degni di nota. Sophie accese l'acqua della vasca da bagno e accese la musica sul cellulare. Si osservò allo specchio; rimandava una figura non troppo alta dalla carnagione leggermente abbronzata; occhi castani profondi e simili al cioccolato a detta di Marshall. I capelli castani le ricadevano mossi ed indefiniti sulle spalle, conferendole un'aurea dolce e angelica. Si spogliò e appena l'acqua raggiunse la temperatura adeguata si lasciò cullare tra profumo di vaniglia, cioccolato e schiuma bianca.
Adorava concedersi quei momenti di totale pacchia, in cui rifletteva sulla giornata e pensava se quella successiva sarebbe stata difficile da superare o tranquilla. Il giorno dopo avrebbe dovuto spedire i suoi regali in Italia; era riuscita a guadagnare i soldi lavorando a Starbuck's ma appena aveva iniziato lo stage dal signor Tenninson aveva lasciato. Ora i soldi li riceveva direttamente da Chuck che la calcolava come una sua dipendente fissa.
Era stato un immenso onore per la giovane quell'invito, accettato ovviamente, più che volentieri e con grande orgoglio ed egocentrismo l'aveva comunicato alla famiglia. Dimostrando così che lei poteva fare tutto, anche contro le loro aspettative. Sì, l'avevano aiutata ma erano stati sempre scettici della sua riuscita.
Ora Sophie, sdraiata nella vasca, si godeva la riuscita della sua vita. Non aveva seguito il corso del destino, si era imposta lei la strada da seguire e non l'avrebbe abbandonata per nessun motivo. Non aveva creduto alle persone che le dicevano che l'America era solo una farsa; aveva pensato solo con la sua testa e quando, in un futuro sperò lontano, sarebbe ritornata in Italia avrebbe dimostrato a tutti che lei ce l'aveva fatta.
Elena.


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Capitolo 3
*** Taking Chances. ***


Heilà :D
First of all: grazie mille per le recensioni.
Annika: sono contenta che trovi la trama interessante e ti ringrazio per il tuo suggerimento. Rileggendolo ho riflettuto che probabilmente una persona fuori dalla mia testa, come tutti voi, non avrebbe potuto capire molto in fin dei conti. Il primo capitolo non doveva spiegare tutta la vita di Sophie, ma lasciare un pò di punti di domanda che nel corso della storia si sarebbero risolti :D Spero di essere stata chiara. Nel 2° capitolo la frase che ti piace tanto è quello che sto cercando di fare della mia vita: io me la traccio e nessun altro lassù o quaggiù mi devierà dalle mie idee :D Marshall è un personaggio che adoro a mia detta; l'amico perfetto per una persona come Sophie.
Grazie mille ancora :*
Lovetest: mi fai arrossire con questi complimenti >//<, grazie di cuore. Spero di non deluderti con il seguito di questo capitolo :*
Have Fun, gente :D
Taking Chanches.

 
L'appartamento era immerso nel silenzio, fino a quando il rumore metallico e perforante di una sveglia risvegliò tutti tre gli inquilini. Sophie mugugnò al di sotto del cuscino, speranzosa che quel rumore facesse parte solo del suo sogno. Quando la voce impastata dal sonno di Ella, dalla stanza adiacente alla sua, le impose di spegnere quell'arnese buttò la sveglia per terra, facendola tacere.
«Scommetto che s'è rotta!», esordì Marshall sbucando nella camera dell'italiana spazzolandosi i denti. Sophie da sotto le coperte: «Speriamo».
«Ad entrambe conviene svegliarvi; la metro non dovrebbe essere un problema ma le strade sono un po' impraticabili», dichiarò il biondo facendo scattare in piedi Sophie ed Ella.
La prima corse subito in bagno, si dette una sciacquata al viso e una spazzolata ai denti. Si ravviò i capelli lasciandoli mossi, decisamente troppo in ritardo per sistemarli. Mentre Sophie usciva dal bagno Ella ne entrava. La bruna controllò l'ora: otto e venti.
Era in perfetto orario, quindi si dette una calmata. Aprì l'armadio ed optò per un paio di jeans, una maglietta bianca fino alle coscie e un maglioncino verde smeraldo. Afferrò da sotto il letto gli stivali di camoscio, ovviamente di pelle finta, e li infilò mentre faceva colazione con una tazza di latte.
«Stasera andiamo a quella galleria?», domandò prima di uscire Ella.
«Sì, non ho nulla da fare», accettò Sophie, così come anche Marshall. Lo lasciarono in casa da solo, dirigendosi entrambe alla metropolitana.
Marshall lavorava come modello e non aveva orari precisi, quando lo chiamavano lui andava senza troppe storie. In Italia aveva studiato che quel lavoro si chiamava: job call.
Le strade erano un pantano di neve e sporcizia; quando raggiunsero il coperto asfalto pulito della metropolitana tirarono un sospiro di sollievo.
«Spero vivamente che in centro abbiano pulito», dichiarò Sophie scostandosi un ciuffo castano dietro l'orecchio.
«Dubito che a Chelsea la situazione sia migliorata. Vabbè, ciao Soph. Ci vediamo stasera in galleria alle sei», le ricordò prima di scomparire dietro l'angolo.
Sophie si diresse, borsa in spalla, verso la sua linea metropolitana ed attese, poggiata al muro, l'arrivo del mezzo. Riflettendoci non ricordava nemmeno perfettamente dove fosse il luogo in cui ora si trovava la galleria d'arte, ma in qualche modo ci sarebbe arrivata.
Aveva un ottimo senso dell'orientamento che da piccola l'aveva portata ad essere la prima arrivata ad una gara di orientiring indetta dalle elementari del suo paese.
Salì sul metro con ancora quel ricordo stampato nella mente: quanto avrebbe desiderato che l'espressione di soddisfazione ed orgoglio che i suoi genitori avevano disegnato sul viso si ripresentasse prima o poi.
Da piccoli è concesso tutto, si viene elogiati per ogni singola cosa mentre crescendo si deve faticare solo per avere un brava più sentito del normale. Sophie non pensava che i suoi fossero dei mostri, anzi, ma un complimento non lo sentiva da un annetto circa e un po' di nostalgia le saltava addosso.
Si sedette sul seggiolino della metropolitana, quel giorno non c'era molta gente in giro, tutti rifugiati nelle loro case al riparo dal pantano delle strade e dal gelo newyorkese. Quanto avrebbe voluto tornare a dormire, la sera prima si erano tutti e tre avvicinati all'ubriachezza scolandosi, a testa, una bottiglia di vino.
«Oh, buongiorno signorina. Anche con questo tempo pronta a lavorare?», domandò una voce all'apparenza sconosciuta. Sophie si voltò incuriosita trovandosi di fronte ancora la vecchia signora del giorno prima. Quella sera avrebbe rinfacciato a Marshall ed Ella la presa in giro del giorno precedente.
«Salve signora, già. Si va a lavorare comunque», sorrise la bruna cordialmente.
«Oh, chiamami Elisabeth. Tu sei?», domandò la donna dolcemente, porgendole la mano. A Sophie ricordava una di quelle donne che nel suo paese si prodigavano per apparire la seconda mamma di tutti; si preoccupavano del bene dei loro piccoli concittadini.
«Piacere, Sophie», sorrise afferrando la mano rugosa della donna, riportante una fede all'anulare destro. Felicemente sposata, ma il marito era morto, almeno così aveva compreso lei dalle affermazioni del giorno precedente: chissà quanto dolore doveva aver provato quella piccola donna, che forza che portava dentro di sé.
«Che nome di classe; se avessi avuto una figlia l'avrei chiamata così», si complimentò, facendo nuovamente arrossire la ragazza che nascose il tutto portandosi la sciarpa sopra il naso, riparandosi dal freddo appena entrato dalla porta.
«Grazie», rispose Sophie.
«Che lavoro fai?», domandò la donna curiosa; in quel momento le ricordò una pettegola anziana, desiderosa di sapere tutte le storie della gente.
«Fotografa. Lavoro al Tenninson Studio nell'Upper East Side», spiegò velocemente Sophie.
«Oh, conosco quell'uomo. Veramente delizioso; se devi lavorare da lui devi essere brava», annuì più a se stessa la donna che alla ragazza al suo fianco.
«Scusi ma ora devo proprio scendere, arrivederci... Elisabeth», Sophie sparì al di là delle porte tra la folla diretta a Central Park. Le strade fortunatamente erano molto praticabili e raggiunse lo studio fotografico in pochi minuti.
Appena aprì la porta lo scampanellio che accoglieva i visitatori comunicò la sua entrata a Chuck che raggiante sbucò dal magazzino zoppicante.
«Bella nevicata, eh Sophie?», domandò l'uomo retoricamente. La bruna annuì togliendosi il cappotto e posando la macchina fotografica su bancone.
«Già. Qualche lavoro straordinario?», chiese curiosa cominciando a sfogliare una cartella sul computer che avrebbe dovuto stampare e rilegare. Le aveva fatte lei ad un gala dei Robinson qualche giorno prima; tutto in perfetto stile natalizio che le aveva fatto salire il diabeto a mille.
«No, per Natale e Capodanno sei libera», sorrise l'uomo notando l'euforia dell'italiana che andò ad abbracciarlo, ringraziandolo dal profondo del cuore. Sarebbe morta se avesse dovuto lavorare anche nelle due festività.
«Mille grazie, ah. Ecco a lei il suo regalo di Natale, ma mi raccomando lo apra solo la mattina del 25», dichiarò la bruna estraendo dalla borsa un pacchetto rosso e oro. Era un'obbiettivo Canon ultimo modello, adatto per la super professionale Reflex di Chuck.
«Oh, mi commuovi Sophie. Aspetta un momento», dopo averla abbracciata la lasciò da sola nello studio, diretto in magazzino a prendere chissà cosa.
Continuò a catalogare le foto e stamparle man mano: due donne che parlavano, un uomo che discorreva sul palco, una coppia impegnata a ballare sulle note di una vecchia canzone. Sophie risentiva, osservando le foto, tutte le voci come se fosse ancora lì; come se ad osservare quella foto fosse realmente lì. 
Amava la fotografia: era un'espressione dell'arte semplice eppure spettacolare, che racchiudeva in sé mille ricordi che variavano da persona a persona; mai uguale per tutti.
«Ecco, questo è per te!», era una piccola scatoletta quadrata quella che Chuck le porgeva. Commossa la ragazza lo abbracciò per l'ennesima volta. Non poteva nemmeno immaginare quello che vi era dentro, la infilò in borsa, pronta ad aggiungerlo sotto l'albero.
Lo ringraziò mille volte quella giornata, in ogni occasione possibile.
«Vuole qualcosa da mangiare? Vado a prendere qualcosa da Starbuck's», dichiarò Sophie dopo aver terminato di catalogare tutte le foto alle due del pomeriggio.
L'uomo scosse il capo e la lasciò andare. Sophie era sempre così: preferiva il detto prima il dovere poi il piacere. Se aveva un lavoro da compiere lo finiva tranquillamente per poi dedicarsi a divertirsi con la tranquillità nello stomaco e la spensieratezza di non aver qualche compito da finire.
Era un pregio o difetto, dipende dai punti di vista, che aveva da quando andava alle superiori: appena arrivata a casa, dopo mangiato, faceva i compiti e quando erano pochi dalle tre del pomeriggio in poi poteva dedicarsi allo svago.
Sophie si passò una mano sul viso, strofinandosi gli occhi stanchi dal troppo uso del computer per poi sorridere al commesso ed ordinare il pranzo.
Elena.
 
 
 

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Capitolo 4
*** Moonlight. ***


Salve, prima del capitolo volevo ringraziare Annika per la recensione. Se hai il carattere della vecchina mi stai molto simpatica :D
Have fun, people.
 Moonlight.
 

 
Alle sei di sera il quartiere Chelsea di New York era pieno di luci natalizie e le innumerevoli gallerie d'arte esponevano le loro opere migliori. Sophie, sorseggiando l'ennesimo cappuccino per tenersi sveglia, osservava rapita tutti i quadri.
Adorava quel quartiere, pensava, insieme al Village, che fossero le parti migliori di Manahattan. Si era innamorata di New York in generale fin da piccola, osservando le foto alla televisione e su internet, sapeva perfettamente che vi avrebbe abitato.
Raggiunse il bar di Ella in pochi minuti, trovandovi fuori Marshall intento a fumare una sigaretta e la ragazza impegnata a parlare con lui. Non l'avevano ancora vista e da dietro un angolo estrasse la macchina fotografica dalla borsa e con un click immortalò quell'immagine. La riguardò e ne fu fiera, era riuscita a coglierli nei loro attimi migliori.
Ripose la Reflex nella borsa e sorridente salutò i due amici.
«Alla buon'ora, stavamo chiamando la polizia», la scherzò il ragazzo spegnendo la sigaretta con la scarpa di Gucci. Marshall era innamorato delle griffe italiane, aveva speso molto del suo stipendio da modello per cinture, vestiti e scarpe di D&G, Gucci, Versace e Cavalli.
«Scusate ma mi sono fermata da Starbuck's», sorrise la bruna scoccando un bacio sulla guancia ai due amici. Ella la prese sotto spalla e si diressero verso il vecchio locale ora totalmente nuovo.
«Neanche te stamattina eri pimpante come al solito. Magari ieri sera abbiamo esagerato», rise tranquillamente Marshall mettendosi tra le due ragazze mentre entravano nella galleria. Sophie pose la sua attenzione sul nome dell'insegna: DL's Art.
Niente di particolarmente creativo, facendo il conto che il proprietario doveva fare proprio quello di mestiere. Si soffermarono ad osservare qualche opera prima di dirigersi al bar, al piano superiore.
«Bella questa», indicò Marshall un paesaggio collinare che ricordò a Sophie l'Italia.
«Sembra quasi casa mia», rise tranquillamente, camuffando la nostalgia nata da quel dipinto. Chissà se l'aveva visto veramente quel paesaggio oppure se l'era immaginato.
«Dai che ho fame, sediamoci là», esordì Ella prendendoli per mano ed accomodandosi in un tavolo all'angolo, apposta per tre persone. C'era molta gente, essendo nuovo si aspettavano che fosse vuoto o magari il proprietario era un personaggio rinomato.
Presero ognuno un menù e cominciarono a leggere i vari piatti: un misto tra cucina americana, italiana, francese e spagnola.
«Oddio, hai visto il cameriere. È lui», urlò quasi Marshall non riuscendo a stare seduto dall'eccitazione. Attirò l'attenzione di tutte le persone nel locale, facendo arrossire Sophie e scoppiare a ridere Ella che adorava, in confronto all'amica, essere al centro dell'attenzione.
«Quale dei due?», domandò Sophie ricomponendosi, puntando il magnetico sguardo castano verso il bancone del bar dove due ragazzi erano impegnati a parlarsi e a preparare le ordinazioni. Ella fece la medesima azione, nascondendosi, discretamente, dietro un menù. «Quello moro: un dio greco», Marshall indicò il ragazzo che rivolgeva il viso a loro.
Doveva essere alto all'incirca un metro e novanta netti; aveva i capelli neri spettinati ad arte; due spettacolari occhi smeraldo con una carnagione scura. Indossava un paio di jeans leggermente strappati, una camicia a quadri con colori freddi sopra una maglietta bianca. Ai piedi portava un paio di semplici All Star verdi e un grembiule bianco arrotolato in vita indicava il suo compito all'interno del locale.
«Sì, carino», sminuirono le due ragazze che avevano trattenuto per loro le altre possibili declinazione relative al ragazzo in questione. Sophie pensava che fosse molto più che carino mentre Ella, come suo solito, si immaginava le possibili dimensioni dei suoi genitali.
«Altro che carino; speriamo che sia omo», dichiarò Marshall mangiandoselo con gli occhi.
Sophie era stata costretta a girarsi per vederlo, scosse la testa ritornando ad osservare l'amico e rise dell'espressione che quest'ultimo aveva disegnato sul viso.
«Guardate, vi ho fatto una foto prima», rise la bruna mostrando ai due la sua opera. Dopo vari: stronza, bastarda, 'fanculo i due si ritennero fieri della foto.
«Naturalmente i soggetti danno il tocco alla foto», dichiarò Ella pavoneggiandosi.
«O forse è la fotografa che riesci a renderli tali», rispose divertita Sophie ricevendo poi una sberla dai due amici.
«Dio mio, arriva lui», sussurrò Marshall eccitatissimo. Sophie evitò di voltarsi, continuando ad osservare le foto.
«Ciao, cosa volete?», domandò il cameriere tanto desiderato da Marshall con una voce calda, dolce e forte al contempo che fece alzare lo sguardo di Sophie sul proprietario.
«Ehm, io prendo un cheesburger con patatine e coca-cola», dichiarò Marshall facendo l'avvenente, facendo trattenere a stento le risate di Sophie ed Ella.
«Per me un panino art – indicò il menù – e coca cola, grazie», sorrise Sophie parlando con il suo indistinguibile accento italiano, che nei primi periodi faceva ridere Ella e Marshall. «Per me una coca cola e tante patatine», sorrise Ella, beccandosi un'occhiataccia dai due amici che odiavano quando cercava di fare diete fai da te.
«Ok, arrivano subito», sorrise avvenente puntando lo sguardo smeraldo in quello di Sophie che lo guardava di sottecchi, la ragazza arrossì vistosamente per poi concentrarsi sul menù.
Appena il ragazzo se ne andò gli occhi azzurri dei due amici si puntarono sull'italiana, perforanti e dannatamente indagatori.
«Carino, eh. Stronzetta», la apostrofò finto offeso Marshall per poi concederle un sorriso aperto e dolce. «Non è frocio, mi dispiace M.», rise Ella continuando a guardare il banco.
«Ma che volete da me? Adesso non posso nemmeno guardare una persona?», sbuffò la bruna inviperita, continuando a giocare con il menù.
«No, la colpa non è tua, darling. Continua a guardare verso di noi», dichiarò Ella.
«Magari guarda te», sbottò Sophie alzando leggermente la voce per poi ricomporsi ed estrarre il cellulare della borsa dietro di lei.
«No, no. Se no ricambierebbe i miei sguardi ammalianti. Guarda i tuoi boccoloni», la prese in giro la bionda, scompigliandole i capelli castani.
«Mochela, dai. E poi ho detto che è carino, niente di più», dichiarò Sophie utilizzando un termine bergamasco per far smettere la tortura all'amica che, dopo aver sentito quella parola, insieme a Marhsall scoppiò calorosamente a ridere.
Tentarono di imitarlo ma questa volta fu Sophie a scoppiare a ridere, rossa in viso li prese in giro per tutto il tempo fino a quando Marshall non si zittì e guardò alle spalle dell'amica.
«Ecco a voi», quando Sophie si voltò il sorriso ammaliante del ragazzo le fece perdere la cognizione del tempo per qualche minuto.
«Grazie», sorrisero i tre; Sophie timidamente si immerse nel suo panino per evitare di incrociare per l'ennesima volta quello sguardo.
Si immersero nei loro panini, tra chiacchere varie sul lavoro e Sophie raccontò delle feste natalizie e le tradizioni italiane, illuminando gli amici su quella cultura. Le fecero promettere che l'anno successivo sarebbe ritornata al passato italiano con loro, solo perchè loro, volevano vedere l'Italia addobbata a Natale. La ragazza accettò calorosamente, sorseggiando l'ultimo goccio di coca-cola.
«Direi di andare a casa; devo finire un lavoro», annunciò Sophie alzandosi; fu seguita dagli amici. «Chi paga?», domandò Ella sorridente.
Fecero velocemente la conta ed uscì Marshall, che felicemente, saltellò verso il cameriere e pagò dopo aver farneticato qualcosa sulla bellezza del locale e la bontà del cibo.
Le due ragazze uscirono, Ella si accese una sigaretta mentre Sophie fissava la luna che faceva capolino tra i palazzi imponenti di Chelsea.
«Ovunque vai, lei rimane sempre», sorrise la bruna prendendo sotto braccio i due amici.
«Chi?», domandò curioso Marshall, seguendo lo sguardo dell'amica vide la luna e non potè non sorridere. «Scommetto che dalla tua piccola casetta campagnola si vede meglio», sorrise Ella prendendola sotto spalla.
«Sì, però là non mi piacerebbe così tanto», decretò Sophie.
«Perchè?», chiesero in coro i due amici.
«Guardarla senza di voi sarebbe un vero peccato», e ricevette un bacio sulla guancia da entrambi, fieri e felici di aver incontrato un'amica che darebbe qualsiasi cosa per loro.
Elena.
 
 

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Capitolo 5
*** An important drawing. ***


 Hola a todos (:
Buon martedì grasso per chi lo festeggia :D
Annika, grazie per le tue recensioni. Magari il tuo presentimento si realizzerà, oppure no ;D
=*
 An important drawing.

valcava1ou9.jpg

 

Era la Vigilia di Natale e Sophie continuava a vedere nella mente il disegno collinare visto alla galleria due sere prima. Quel giorno, ovviamente, non avrebbe lavorato e si svegliò tardi. Ella e Marshall erano andati in centro per fare gli ultimi acquisti mentre l'italiana era rimasta bellamente a dormire.
Erano le nove del mattino e decise, in un lampo di follia, di andare alla galleria e parlare con l'autore del quadro. Voleva semplicemente chiedergli dove avesse visto quel luogo.
Si infilò tutto l'occorrente per coprirsi dal freddo ed uscì in strada sorridente. Sentiva l'aria natalizia attraversarle le vene, solo quando ormai era già scesa alla fermata giusta si rese conto che magari, proprio perchè era la vigilia di Natale la galleria potesse essere chiusa.
Tentar non nuoce, pensò risolutamente dirigendosi verso il locale.
Da lontano vide una signora anziana uscirne e dirigersi verso la direzione opposta alla sua, sinonimo che la galleria fosse aperta. Sorrise raggiante, decisamente felice di togliersi quello sfizio. Sì, perchè di sfizio si trattava in fin dei conti.
La porta di vetro riportava un cartellino con scritto: open. Spinse ed entrò, immergendosi nel caldo del locale. Si tolse il berretto e si diresse verso il quadro che le martellava nella testa come un trapano.
Lo fissò nuovamente, disegnando sul viso, inconsapevolmente, un sorriso dolce e nostalgico. Le ricordava le colline che vedeva quando apriva la finestra della sua stanza: talvolta innevate e d'estate di quel verde smagliante che adorava.
Le sembrava di vedere Val Cava con le sue antenne paraboliche, o quella volta, la notte di San Lorenzo, quando vi erano andati per vedere le stelle cadenti. Si vedeva tutta la pianura da quel monte spettacolare. I campi di grano che a settembre venivano tagliati lasciando spazio all'erba; ricordava tutto con un pizzico di nostalgia.
«Ti piace?», domandò la voce calda, dolce e forte al contempo che la sera prima le aveva fatto incontrare due magnifici occhi verdi. Si voltò, colta di sorpresa per poi sorridere imbarazzata e passarsi una mano tra i capelli.
«Sì, è molto bello», sorrise l'italiana al ragazzo che l'aveva affiancata.
«Sei la ragazza di due sere fa?», domandò curioso, sorridendole tranquillamente.
«Ehm, sì. Sai per caso dove posso incontrare l'autore?», domandò curiosa Sophie puntando lo sguardo attorno, alla ricerca di qualcuno che potesse assomigliare al pittore.
«L'hai davanti, piacere Dorian Lewis», sorrise il ragazzo divertito.
Sophie arrossì vistosamente, conscia della figuraccia che aveva appena fatto: «M-mi aspettavo qualcuno di più... vecchio».
Dorian scoppiò a ridere, una bellissima risata virile e bella, o almeno a Sophie piaceva veramente tanto: «Beh, non so se sia un complimento. E tu come ti chiami?». La ragazza gli porse la mano presentandosi.
«Hai uno strano accento, di dove sei?», domandò curioso Dorian, scrutandola di sottecchi mentre Sophie era ritornata a fissare il quadro.
«Ehm, sono italiana. Posso farti una domanda?», sorrise imbarazzata indicando il quadro.
Sophie non si era minimamente immaginata che quel ragazzo, che due sere prima l'aveva servita come cameriere, ora potesse essere l'uomo che aveva dipinto il quadro che l'aveva fatta dannare per due giorni interi.
Aveva persino acceso il computer e controllato tutte le foto, alla ricerca disperata di una vista di Val Cava. L'aveva stampata e riguardando il quadro si era resa conto che era quasi identico. «Ovvio», sorrise accondiscendente Dorian.
«Questo quadro, l'hai dipinto così ad immaginazione oppure l'hai realmente visto?», domandò Sophie, non sapendo quale delle due le avrebbe fatto più piacere ricevere come risposta. Il ragazzo non rispose subito, stava pensando a qualcosa.
«L'ho visto ma molti anni fa», riflettè passandosi una mano tra i capelli neri.
«Ti ricordi dove?», domandò incuriosita. Era andato a ricordo, non l'aveva dipinto con di fronte a sé lo spettacolare scenario italiano.
«Proprio dalla tua Italia, ti è familiare?», domandò, questa volta lui, curioso.
«Quando aprivo la finestra di casa era lì, mi ricorda tanto l'Italia questo quadro», sorrise la ragazza con un delizioso sorriso ammaliante sul viso. Dorian sorrise a sua volta.
«Da quel che ricordo è un bel posto. Sei fortunata ad essere vissuta lì e non in mezzo ai mitici grattacieli di New York», rise il ragazzo poggiandosi al muro.
«Penso proprio di sì, ma adoro New York», sorrise a sua volta Sophie, perdendosi qualche secondo nello sguardo verde smeraldo del ragazzo.
«Ti offro un caffè, ti va?», domandò Dorian sorprendendola.
«D-direi di sì, grazie», rispose, prima titubante la ragazza, sorridendo seguendo il moro verso il bar chiuso alla clientela.
«Che ci fa un'italiana a New York?», chiese Dorian al di là del bancone, osservando i lineamenti delicati del viso della ragazza e i vestiti che portava addosso: aveva un bello stile a suo parere, ma d'altronde sua madre gli diceva sempre che italiani e moda andavano in perfetta accoppiata.
Sophie sorrise: «Beh, New York mi attirava e il mio paesello cominciava ad essere troppo piccolo per le mie grandi aspettative».
«Ambiziosa? Che grandi aspettative hai?», domandò Dorian, desideroso di scoprire quanto più possibile sulla ragazza che sorseggiava il caffè.
«Diventare una fotografa di fama internazionale, sono sulla strada giusta. Tu? Questa è la tua ambizione maggiore?», domandò Sophie puntando con lo sguardo la galleria d'arte.
«No, questo è solo un piccolo passo. Voglio che le mie opere divengano famose in tutto il mondo e devo ancora disegnare il quadro che rappresenti tutto me stesso», rispose, come se fossero cose semplicissime, sorridendo tranquillamente alla bruna.
Si fissarono qualche secondo e Sophie non potè non costatare di quanto avesse un bel viso, dai lineamenti marcati ma perfetti. Aveva un naso dritto, regolare e delle labbra né troppo fini né troppo carnose. Distolse l'attenzione da quell'elemento per poi concentrarsi sul caffè.
«Direi che siamo entrambi ambiziosi», sorrise Sophie timidamente.
«Fa sempre bene esserlo; se si vuole fare qualcosa bisogna farlo in grande», constatò Dorian, trovando il perfetto consenso della bruna.
«Già. I miei genitori e molti miei amici pensano che sia stata folle a mollare tutto per venire qua. Ma se per folle si intende colei che vuole seguire i suoi sogni... beh, sì sono folle», rise Sophie tranquillamente.
«Concordo in pieno. Fortunatamente i miei sono sempre stati d'accordo con me. Qualche screzio con mio padre, ma mia madre è fiera di me», sorrise Dorian raggiante.
«Sei fortunato. Mia madre pensava che sarei stata lontana solo qualche mese, sfortunatamente per lei ho trovato due persone favolose che mi hanno aiutata. Non potevo sperare meglio», spiegò con un velo di invidia e rabbia Sophie, ricordando la predica della madre quando l'aveva vista l'ultima volta all'aeroporto di Malpensa.
«Sono quei due con cui eri qui l'altra sera?», domandò Dorian non curante.
«Sì, oh. Mi stanno chiamando, si chiederanno dove sono. Scusa ma devo andare. Buon Natale Dorian», sorrise la bruna con un cenno della mano, dirigendosi verso l'uscita.
Dorian uscì velocemente da dietro il bancone per salutarla.
«Buon Natale, spero ci vedremo presto», sorrise il ragazzo con fascino.
«S-sì, spero tanto anche io», rise Sophie per poi scomparire al di là della porta e rispondere al telefono, tranquillizzando la persona dall'altro capo della cornetta.
Elena.
 

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Capitolo 6
*** A photographer meet a painter. ***


Hola chicos y chicas!
Scusate il saluto spagnolo ma tra meno di due settimane parto per una settimana a Madrid *W*
Comunque, scusate il ritardo ma la scuola è tartassante in questo periodo. Voglio l'estate, uffolina.
Annika: Essì, Dorian è un gran bel figliolo *W* La nostalgia di casa l'ho provata per un breve periodo, ma sono gli amici e le persone che ti stanno intorno a fartela dimenticare quindi penso proprio che Sophie con tutte quelle pazze persone che si trova accanto sorvolerà la malinconia ;D Thanks per tutti i tuoi commenti!
Kelsey/Erica: Condivido appieno il tuo sogno come avrai compreso, e anche io sono costretta a combattere con persone che nei sogni hanno smesso di credere da troppo tempo, aimè o più ailoro :D Muahaha, Marshall è uno dei miei personaggi preferiti della storia, lo adoro (: Grazie mille per i tuoi complimenti sia per come scrivo, soprattutto per come scrivo e per le foto :D
Baci, have fun.
 
  A photographer meet a painter.

 

 

Il Natale e Santo Stefano erano passati velocemente; i genitori di Marshall avevano invitato le due ragazze a cena. Sophie, con suo dispiacere, aveva scoperto che i genitori del ragazzo non erano a conoscenza della sua vita sentimentale. Spesso durante la cena era stato chiesto a Marshall se avesse finalmente una ragazza con cui mettere la testa apposto. Le due ragazze se ne stavano zitte, sperando che l'amico un giorno o l'altro avrebbe detto la verità alle persone che gli avevano dato vita.
Sophie, il ventotto dicembre, se ne stava tranquillamente seduta di fronte al computer controllando la sua posta e scrivendo risposte dettagliate di come aveva passato il Natale alla madre. Sorseggiò una cioccolata calda che si era preparata per sfizio mentre premeva allega per mostrare alla famiglia italiana qualche foto di New York innevata. Riflettendoci si rese conto che le mancava la foto di Washington Square, così dopo avere spedito la mail si alzò dalla sedia e comunicò ai due amici che ancora dormivano che sarebbe uscita.
«Vai alla galleria?», domandò Marshall ridendo. Stizzita, la bruna, gli lanciò addosso una ciabatta. Da quando aveva raccontato ai due dell'incontro della Vigilia alla galleria le prese in giro erano state all'ordine del giorno, ma in fondo Marshall ed Ella desideravano tanto che Sophie incontrasse ancora Dorian.
«Ci vediamo a mezzogiorno, forse», bofonchiò Sophie mentre usciva di casa.
Il freddo attanagliava ancora tutta la città e aveva continuato a nevicare per tutti i giorni festivi, intasando New York di traffico causato da quella sostanza biancastra e scivolosa.
Washington Square non era molto popolata, il solito musicista si esibiva sotto l'arco e Sophie, estraendo la macchina fotografica fece una foto anche a lui. Così concentrato nella sua arte, nella sua musica. Lasciò qualche penny e poi si avviò verso il centro della piazza, decisa a cogliere lo scorcio migliore di quel monumento che aveva caratterizzato le sue giornate. Quando partiva per andare al lavoro lui era lì, quando tornava lui era lì.
Quando lo vedeva Sophie si sentiva a casa, oppure ricordava Parigi quando anni addietro vi era andata con i genitori. Si accomodò su una panchina pulita e cominciò a fare le foto.
La Reflex era la migliore macchina che avesse mai avuto e non l'aveva mai abbandonata in nessuna situazione; neppure quando qualche giorno dopo il suo acquisto l'aveva fatta cadere. Fortunatamente, forte come una roccia, la macchina fotografica era ritornata a scattare le foto alla solita velocità e qualità.
«Ehi, ciao», una voce che le risuonava nella testa da giorni la fece voltare con un sorriso emozionato dipinto sul viso. Seppure non fosse andata alla galleria aveva incontrato Dorian e non poteva esserne più contenta, nonostante con i due amici facesse la sostenuta.
«Dorian, ciao. Che ci fai qui?», domandò la bruna curiosa, sorridendo.
«Un giro, e te? Lavori?», chiese indicando con lo sguardo la macchina fotografica che Sophie teneva in mano. La ragazza scosse la testa per spiegare velocemente il perchè lo stesse facendo.
«Quindi senti ancora tua madre?», domandò, continuando quella specie di terzo grado piacevole che fece capire a Sophie di importargli veramente per essersi interessato.
«Sì, lunghe mail una volta al mese. Oggi gliel'ho spedita ma ne manderò un'altra con questa vista», dichiarò la bruna raggiante, puntando l'obbiettivo su una visuale che l'aveva catturata precedentemente.
«Passato bene il Natale?», chiese ancora Dorian.
«Sì, sono andata dai genitori di Marshall, il mio migliore amico. Te?», chiese la bruna.
«Cena dai miei ricchi parenti, per poi rifugiarmi alla galleria. Odio l'ambiente dell'Upper East Side», bofonchiò il moro sedendosi accanto alla ragazza.
Sophie puntò lo sguardo castano in quello smeraldo di Dorian: «Vieni dall'Upper?».
«Già, mio padre era un riccone. Mamma è di umili origini ma d'altronde è obbligata come me a portare avanti le tradizioni dei Lewis», sbuffò alzando un ciuffo nero che gli era calato sul viso. Sophie ne rimase sorpresa, non avrebbe mai immaginato che provenisse da quell'ambiente a cui era obbligata a partecipare per lavoro fatto di falsità e sfarzo a non finire.
«Non me lo sarei mai immaginato, wow. Ho lavorato tante volte lì, non ti ho mai visto», riflettè la bruna mordicchiandosi il labbro inferiore in segno di concentrazione.
«Hai mai lavorato per i Lewis?», chiese il ragazzo. Sophie scosse la testa, e risoluto Dorian rispose che era per quel motivo. Lui partecipava solo alle feste obbligatorie.
«A Capodanno che fai?», domandò il moro spiazzandola.
Sophie riflettendoci non aveva ancora deciso nulla con Marshall ed Ella, magari glielo domandava così, tanto per chiedere.
«Non so, non abbiamo ancora deciso nulla», riflettè alzando le spalle e scostandosi un ciuffo dagli occhi. Dorian disegnò sul viso un sorriso più che raggiante, sembrava esplodere di felicità e negli occhi era balenata un'idea, a parer suo, spettacolare.
«Lo so che non ci conosciamo molto... ma, ti piacerebbe venire ad una festa indetta dalla mia famiglia per Capodanno e poi fuggire in un locale qui al Village dove fanno una festa spettacolare?», domandò speranzoso, perforando Sophie con lo sguardo.
La bruna spalancò le labbra sorpresa, per poi sorridere arrossendo della proposta. Non le era mai capitato che qualcuno, che praticamente non conosceva, le domandasse di accompagnarlo ad una festa importante per poi folleggiare l'ultimo giorno dell'anno in un locale di basso costo. L'aveva detto lei che era folle, che rincorreva i suoi sogni ed accettò.
«Davvero?», domandò Dorian sorpreso.
«Sì, mi piacerebbe molto», sorrise raggiante la bruna.
«Perfetto, mia madre sarà contenta che porti qualcuno e non venga, come al solito, tutto solo. Ogni volta cerca di appiopparmi una ragazza», risponde, notando l'espressione divertita della bruna tenta di arginare il danno: «Cioè, lo so che non stiamo insieme ma almeno non troverà una scusa per farmi conoscere qualcun'altra».
Sophie rise sommessamente, Dorian arrossì leggermente ma si contenne osservando l'arco di fronte a loro, scenario delle fotografie della ragazza.
Sui due cadde un lieve silenzio imbarazzante per qualche minuto fino a quando Dorian decise di interromperlo: «Ti va se ti accompagno a casa, così almeno vedo dove abiti per venirti a prendere l'ultimo?».
«D'accordo, allora andiamo», sorrise raggiante Sophie.
La bruna ripose con delicatezza la Reflex nella custodia e si diresse, insieme a Dorian, verso casa. Sentiva la leggerezza di quel momento, complice il clima natalizio che la teneva assente dal lavoro e dalle sue imponenti feste di gala a cui odiava presenziare.
«Vivi proprio in un bel quartiere», comunicò Dorian mentre entravano nel viale alberato, diretti al numero civico 23. Sophie raccontò di quando da piccola guardava Friends ed avrebbe tanto desiderato vivere come loro; quando aveva visto la casa di Marshall aveva fatto un urlo di gioia ed abbracciato l'amico: il suo piccolo sogno si era avverato.
«Mio padre era italiano; ho visto qualche volta l'Italia ma ero piccolo. Mi piacerebbe tanto tornare per vedere il mare, Roma, le Alpi, Milano», spiegò Dorian vagando con la mente.
«L'Italia è qualcosa di magico; ma era stretta e i miei sogni erano troppo grandi», sorrise maliconica la ragazza, riflettendo sulla sua infanzia e qualche anno dell'adolescenza.
«Questa?», domandò Dorian indicando il condominio in mattoni arancionati dove la ragazza si era bloccata. Sophie annuì con la testa, facendo muovere leggermente il berretto.
«A che citofono devo suonare?», domandò il ragazzo avvicinandosi ai mille bottoni argentati su un muro laterale.
«Questo», indicò Sophie il quarto dal basso a sinistra. Riportava quattro nomi: Marshall Morrison, Ella Pattinson e Sophie Rodari.
«Se tuo padre era italiano, perchè hai cognome americano?», domandò la bruna, corrugando la fronte, dopo una breve riflessione silenziosa.
Dorian sorrise: «La madre di mio padre era italiana, ma quindi mio nonno era americano. Mio padre ha vissuto in Italia quasi tutta la sua vita, quando incontrò mia madre si trasferì qui. Nessuno dei due voleva lasciare l'America».
Sophie annuì convinta: «Che storia. Ora sarà meglio che entri, vuoi venire?».
«No, non vorrei disturbare e poi devo finire delle cose, andare a pranzo da mia madre. Ci vediamo tra qualche giorno. Questo è il mio numero di telefono, chiamami se ne hai bisogno», sorrise Dorian per poi abbassarsi e donare un bacio sulla guancia alla bruna che arrossì vistosamente, per poi salutarlo con un cenno della mano ed un sorriso imbarazzato.
Elena.
 
 
 

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Capitolo 7
*** Can shopping save us? ***


Hola People.
Scusate tantissimo per il ritardo, faccio immensamente mea culpa! Odio la matematica, e mi chiedo a cosa serviranno limiti e derivate nella mia vita reale. Bah; i misteri della vita.
Comunque, ritornando alla storia ho notato che sia a Kelsey che Annika affascina Dorian, muahahaha. Bello, bello quel ragazzo; sìsì che è un gnocco :D Spero che questo capitolo vi piacerà: MARSHALL è IL MIO MITO. Punto e Stop (:
Have Fun.
 
 Can shopping save us?
 


«Mio Dio, questo abito è Spettacolare, con la Esse maiuscola», urlò Marshall fermandosi davanti ad una vetrina in centro New York, osservando uno smocking maschile con cravatta rosa. Sophie se ne intendeva veramente poco di moda; il suo stile era unico e personale; per lei un Cavalli o un Armani erano perfettamente uguali.
«Siamo qua per comprare il vestito a Sophie, non per te: narcisista!», lo riportò sulla retta via la perentoria Ella, prendendolo per un orecchio e spostandolo dalla vetrina di Gucci.
«Non avevate detto che era vietato guardare», bofonchiò il ragazzo incrociando le braccia offeso di non poter sfogare la sua mania per lo shopping.
«Prima compreremo il mio vestito e prima potrai comprare il tuo», sorrise la bruna disarmante, riuscendo a strappare un ok poco convinto all'amico che continuò a guardarsi in giro alla ricerca dell'abito perfetto per l'amica.
«Vuole già farti conoscere sua mamma, è un enorme passo avanti...», sorrise maliziosa Ella prendendo sotto spalla Sophie che sorseggiava un cappuccino caldo. La bruna rivolse uno sguardo di puro odio alla bionda: «Non può andare avanti semplicemente perchè non è iniziato nulla».
«Per lui magari sì. Dio, S, apri quei bei occhioni castani e vedi che lui ti desidera almeno quanto tu desideri lui. Solo a vedere i suoi sguardi quando siamo andati alla galleria si vedeva che l'avevi stregato», sbuffò decisamente spazientito Marshall scuotendo il capo.
Sophie finse di non ascoltarli; sì era ottimista di natura ma nell'amore era cauta. La vita le aveva insegnato che le illusioni fanno più male della delusione.
«Fai pure finta di non ascoltarci, ma quando domani sera te e il tuo corpicino ancora abbronzato vi mostrerete stretti in un abito magnifico al cospetto di Dorian ti accorgerai che noi abbiamo ragione. Tu hai solamente paura di togliere i paraocchi», dichiarò Ella notando l'ostentata indifferenza dell'amica, segno della corazza che stava costruendo verso il mondo esterno e le ferite che avrebbe potuto procurarle.
«Ok, ho capito. Piantatela ed aiutatemi a trovare un vestitino che metta in risalto il mio corpicino abbronzato», rise la bruna voltandosi con un'espressione divertita sul viso.
«Ora sì che ragioniamo», la prese sotto braccio Marshall, dall'altro Ella.
Camminarono ancora per molto, Ella sui tacchi stava morendo di mal di piedi ed implorava pietà; Sophie con le ballerine stava morendo di freddo mentre Marshall con le sue Gucci continuava a vantarsi che stava perfettamente.
«Entriamo qua; è un negozietto di Byblos ma spettacolare», dichiarò Marshall aprendo la porta da galantuomo alle due ragazze.
La bruna e la bionda entrarono a passo sostenuto, osservandosi attorno curiose. Non era una marca famosissima ma ne avevano letto il nome sulle riviste di moda dell'amico, sparse per tutto l'appartamento.
Marshall camminava sicuro tra i manichini, tastando delicatamente stoffe e storcendo il naso quando queste non erano all'altezza di contare per poter fasciare il corpo dell'amica. Si rivolse ad una commessa elencando tutte le sue prerogative per l'abito, indicando Sophie e ponendola sotto l'occhio esperto della donna dallo chignon austero e sguardo riflessivo.
«Non possiamo certamente dire che di lavoro potrai fare la modella, ma hai un corpo proporzionato che ti permette di indossare una vasta gamma di vestiti», proclamò la donna facendo alterare, leggermente, la bruna italiana che avrebbe voluto insultare la commessa.
«Sinceramente non mi interessa divenire modella ma avere un abito per Capodanno», spiegò decisamente irritata Sophie, calmata da un'occhiata ammonitrice di Marshall. Lui le aveva sempre detto che la moda e le persone che vivono di essa sono spietate, qualsiasi piccolo inutile particolare per loro è fonte di ardue discussioni e di critiche serrate. Le aveva detto che il carattere era una caratteristica che non portava nessun peso, un elemento che non aveva nessuna voce in capitolo.
Ella, stizzita dal modo irriguardoso della commessa seguì Sophie verso il camerino dove Marshall e la donna le avrebbero portato gli abiti adatti, così da poterne fare una cernita.
«Ma come si permette quella vecchia megera: brutta, spilungona dal naso alla Dante», sussurrò a denti stretti Sophie mentre rimaneva in reggiseno e mutande, mettendo in mostra il corpo snello ma non scheletrico.
«Calmati, è solo una vecchia che cerca qualcuno da martoriare», la calmò Ella, seduta su un divanetto di pelle nera. Marshall le portò due abiti: uno nero ed uno dorato.
«Prova prima quello nero», le ordinò e così la bruna si infilò il tubino nero e il coprispalle del medesimo colore, abbinandovi un paio di decolleté bianche che a Sophie non piacevano nemmeno un po'.
Uscì compiendo una leggera passerella e poi una giravolta, mostrandosi ai due amici e alla commessa. Marshall storse lievemente il naso, Ella sorrise affascinata.
«Prova quello dorato, penso che starà meglio con la tua carnagione», le consigliò l'amico e senza replicare la bruna, sbuffando vistosamente, ritornò al riparo nel camerino.
Quando uscì gli amici dipinsero sul volto un sorriso di fierezza, orgoglio e ammirazione per quell'italiana che mostrava la sua classe come la sua terra natale.
Il vestito dorato risaltava la carnagione abbronzata: senza spalline aveva una specie di cinta sotto il seno, scendeva delicatamente sui fianchi per poi fermarsi in una gonna leggermente a palloncino a metà coscia. Ai piedi un paio di tacchi alti aperti, il tutto sarebbe stato completato dai capelli raccolti a detta di Marshall.
«Ti piaci?», chiese Ella all'amica che si rimirava allo specchio, compiendo leggere giravolte. Le spalle erano bellissime, davano un tocco di portamento fiero al corpo di Sophie. La giovane italiana ringraziava mentalmente i tre anni di nuoto agonistico che le avevano modellato il corpo, rendendolo tonico e forte al punto giusto.
«Sì, mi piace. Marshall tu sei il dio della moda», rise Sophie abbracciando l'amico.
«Per te questo ed altro amica mia», sorrise il ragazzo mentre la bruna ritornava a cambiarsi, fiera del suo nuovo acquisto.
«Ricordati, tu sei fortunata ad avere amici del genere», proclamò Ella mentre uscivano dalla boutique con il vestito piegato correttamente nella borsa di Byblos.
Sophie si portò la sciarpa rosa al naso, riparandosi dal freddo che li colpiva senza pietà.
«Lo so, sono fortunatissima. Ed ora M caro, puoi andare a prendere il tuo abito da indossare a Capodanno. El tu l'hai?», chiese Sophie decisamente realizzata, al di sotto della sciarpa che le copriva le labbra incurvata in un sorriso fiero.
«Oh, certo che ce l'ho. Un tubino decisamente sexy, ho voglia di cominciare veramente bene quest'anno», esclamò Ella, con sguardo provocatorio che fece ridere gli amici.
«Io vado a prendere quello smocking, aspettatemi qua a gelare girls», sorrise Marshall per entrare nel negozio di Gucci.
Si appostarono accanto ad un palo, attente a non essere travolte dalla massa di persone, maggiormente importanti presidenti in ritardo per il lavoro, uscenti dalla metropolitana. A Sophie qualche volta mancava la tranquillità tipica del suo minuscolo paesino di campagna, protetto alle sue spalle dalla montagna e con lo sguardo verso l'infinito. Eppure, pensava che se fosse ritornata in Italia, New York e il suo immenso caos le sarebbe mancato dannatamente. Si sarebbe sentita isolata dal mondo, più di due settimane e avrebbe rischiato di impazzire. Si conosceva abbastanza da sapere che la solitudine non è il suo pane quotidiano, odia stare da sola, ama la presenza della gente accanto a lei.
«Stavo pensando di farmi un nuovo tatuaggio», le sorrise Ella, ben consapevole del desiderio dell'amica di farne uno nuovo anche lei oltre alla S tatuata sotto l'orecchio destro.
«Dimmi quando, ne ho uno nuovo in cantiere anche io. Devo solo trovare l'ispirazione giusta. Che ti tatui?», domandò Sophie.
«Tre fiori: una viola, un girasole e una rosa», spiegò Ella tranquillamente.
«Cosa rappresentano?», chiese corrugando la fronte la bruna italiana, non comprendendo il recondito significato di quei simboli.
«Io la viola, te il girasole e Marshall la rosa. Siete talmente speciali», sorrise Ella, ricevendo un caldo abbraccio dalla migliore amica che sorrideva magnificamente fiera di essere stata così fortunata nella vita che credeva non potesse donarle molto.
 
Elena.
 
 

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Capitolo 8
*** New Year's Eve. ***


Hola!
Vi posto così presto perchè domani mattina piglio l'aereo e me ne vado per una settimana a Madrid, ollè.
Ora dovrete aspettare almeno fino a domenica ma spero che questo capitolo vi incuriosirà; i sentimenti tra i due si faranno leggermente più piccanti ma per un breve periodo ;D
Annika: Tu mi fai commuovere *O* Grazie mille, veramente!
Lovetest: Grazie mille, tantissimo. Sono così contenta che ti sia piaciuto!
 
Un saluto, have fun :D

New Year's Eve.


Il 31 dicembre era giunto a destinazione senza troppi intoppi ma con una sensazione di paura mista a desiderio che Sophie non aveva mai realmente provato, nemmeno con l'ansia del primo bacio o della prima volta. Si fissava, corrugando leggermente la fronte, allo specchio; tirò un leggero sospiro e si autoconvinse che non aveva nulla da perdere.
Afferrò la borsetta e il cappotto nero, portandoli dalla camera fino al salotto dove aspettò il giudizio, certe volte spietato, dei suoi migliori amici.
«C-come sto?», chiese ostentando un sorriso che assomigliava più ad una smorfia di puro terrore. Aveva sempre odiato i primi appuntamenti, le mettevano ansia e questo più degli altri perchè Dorian era veramente una persona speciale.
«Wow, tu stasera te lo fai!», esordì senza troppa finezza Ella ma dando un briciolo di coraggio in più a Sophie che sorrise di cuore.
«Certe volte mi stupisco di come tu possa essere grezza. S, sei spettacolare. Una dea», l'abbracciò Marshall e la ragazza si tranquillizzò ancora di più. Rimandando a ricordi passati non le era mai sembrato che l'amico le avesse mai mentito, nemmeno scherzosamente. Era la persona più schietta che avesse mai conosciuto ed è per questo che meritava il totale rispetto dell'italiana.
«Grazie, ma non esageriamo. Che ore sono?», domandò Sophie giocherellando con l'anello che portava all'anulare destro, una semplice tecnica anti stress.
«Le otto, dovrebbe arrivare», la rassicurò Ella e pochi secondi dopo il campanello emise il suo familiare suono, provocando un'accellerazione nel battito cardiaco della bruna. Si infilò alla svelta il cappotto, scoccò un bacio sulla guancia dei due amici promettendo che si sarebbero visti quella sera stessa, prima di mezzanotte al Bleed.
«Buona serata, fatti adorare dalla mammina», rise Marshall mentre Sophie scendeva lentamente le scale, cercando di non uccidersi cadendo dai tacchi.
Lo intravide dalla tromba delle scale, si guardava attorno nell'atrio privo della presenza amichevole di Paul, ancora in vacanza. Sophie rimase senza fiato e giunse ad un'unica conclusione: Dorian e lo smocking erano un connubio perfetto.
Lo facevano apparire molto distinto, differente dal ragazzo in maglietta e jeans della galleria. I capelli neri però erano ancora scompigliati e gli donavano ancora di più quell'aria da bello e dannato che Sophie adorava.
«Sophie, caspita», sorrise Dorian dipingendo sul viso un'espressione decisamente imbambolata ma riscuotendosi in pochi secondi, ricomponendosi ed avvicinandosi alla ragazza.
«Ciao», rispose la bruna imbarazzata, odiava i complimenti e sentì le guancie avvampare.
«Sei uno spettacolo», le prese la mano destra e gliela bacio, un baciamano che fece scoppiare di gioia il cuore di Sophie, non abituata a quei gesti così eleganti.
«Grazie, anche tu stai molto bene», dichiarò la ragazza ricomponendosi.
«Pronta? Qua fuori c'è la limousine che ci aspetta. Mia madre ha insistito perchè ti portassi a villa Lewis in gran stile e non con il mio maggiolone», sorrise Dorian, portandosi una mano tra i capelli e spettinandoli. Uscirono nel freddo newyorkese e il ragazzo l'aiutò a scendere le scale, stretta al suo braccio si sentiva protetta.
«Hai un maggiolone?», domandò lei stupita mentre si accomodava nel caldo dei sedili in pelle della lunga macchina in cui mai avrebbe sognato di salire. Eppure la sua attenzione venne riportata sulla macchina nominata da Dorian, un oggetto che fin da piccola avrebbe voluto occupasse le sue giornate.
«Esatto, ti piacciono?», chiese di rimando, sorpreso ma piacevolmente.
«Avrei sempre desiderato guidarne uno. In Italia guidavo una seicento, non potevo permettermi di comprarne uno e ovviamente qua non l'ho comprato», spiegò risolutamente.
«Un giorno ti farò fare un giro, ti avverto che non ha il servosterzo e ancora le marcie», l'avvertì Dorian. Sophie sorrise: «Tranquillo, anche la mia era così».
«Sei una pilota allora», la prese in giro lui, perdendosi negli occhi castani della bruna che parevano brillare di luce loro.
«Modestamente», rise divertita sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio e mettendo in mostra ad un occhio attento di Dorian il tatuaggio della ragazza.
«Bel tatuaggio», si complimentò il ragazzo.
«Grazie, è semplice. Ne hai qualcuno?», chiese Sophie, decisamente interessata.
«Tre, ma dovrai scoprirli pian piano», le rivolse uno sguardo malizioso, ricambiato da un'alzata di sopracciglia divertita. Dorian voleva giocare, Sophie non avrebbe mai rifiutato.
«E' una sfida o un invito?», pronunciò quella domanda con un sorrisino sarcastico, dannatamente attraente che solo la buona volontà trattenne Dorian dal baciarla.
«Entrambi», dichiarò lui, prendendole la mano e ribaciandola; un dito alla volta osservandola di sottecchi malizioso. Sophie stava per perdere il controllo, non era mai stata molto forte quando si trattava di ragazzi e del loro fascino, soprattutto uno come Dorian. L'autista la salvò e comunicò che erano giunti a destinazione.
Sophie fu aiutata da Dorian a scendere dall'auto e rimase basita dalla maestosità dell'enorme villa che le si parava di fronte. In tipico stile neopalladiano, bianca e con colonne tortili che ricordavano quelle salomoniche di San Pietro a Roma.
Una grande scalinata era cosparsa di candele che portavano lo sguardo all'entrata, nell'atrio Sophie potè scorgere un lampadario di cristallo brillante.
«Questa è casa tua?», biscicò stupita.
«Era, abito a Chelsea ora. Senti, Sophie... non voglio che mi giudichi da quello che vedrai qua. È tutta finzione, ti ho portata qua perchè voglio che tu veda per prima il lato negativo della mia vita e poi quelli positivi», le prese il viso tra le mani e la fissò negli occhi.
«Dorian, non sono qua per giudicare. Io voglio conoscerti per quello che sei qui dentro – portò una mano al cuore del ragazzo – e non per tutto questo», e si voltò verso la villa.
Dorian sorrise fiero e riconoscente, la prese a braccetto e si diressero verso l'entrata. Lasciarono i cappotti ad un cameriere all'entrata e Dorian si complimentò per il vestito a pochi centimetri dall'orecchio della ragazza che arrossì.
«Molta della gente qua intorno ha comprato le mie opere. Non ho mai capito se lo facessero per mio padre o per me», sorrise alla gente mentre parlava con Sophie.
«Ma è una cosa oscena», dichiarò la bruna indignata.
«Benvenuta nel mondo dell'Upper East Side di New York», replicò sarcastico Dorian mentre salutò con la mano una signora sulla quarantina, dai lineamenti fieri e posati, dalla pelle probabilmente ristrutturata da vari lifting e un vestito elegante.
«Dorian, piccolo mio. Ben arrivato», sorrise la donna, abbracciandolo per poi puntare lo sguardo sulla ragazza al fianco del figlio.
«Mamma, lei è Sophie; Sophie lei è mia madre», le presentò Dorian. Sophie rimase sorpresa, nessun lineamento della donna poteva essere paragonato a quelli splendidi e così naturali del figlio. Immaginò che Dorian dovesse assomigliare più a suo padre che a sua madre. La donna la squadrò da capo a piedi prima di rivolgerle un sorriso falso e stringerla in un finto abbraccio: «Che piacere averti qua, sono felice che Dorian stia uscendo con una così bella ragazza».
«Grazie mille», fu l'unica risposta di Sophie, poco disposta a fingere quanto la donna di fronte a lei che li salutò per andare a parlare con una vecchia donna.
«Non badarci, le stai simpatica», le sorrise imbarazzato Dorian prendendole la mano.
«Che modo stupendo di dimostrare la simpatia, siete strani voi americani», lo prese in giro con un sorriso tranquillizzante la ragazza che non riusciva ad essere arrabbiata con quei magnificenti occhi verdi. Dorian rise tirandola leggermente a sé.
«Ci avrei scommesso che era lei», dichiarò una voce alle loro spalle, interrompendo quell'importante scambio di sguardi che li stava facendo essere ancora più complici.
Elena.
 
 

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Capitolo 9
*** Italy vs. France ***


Hola chicas.
Eccomi ritornata in territorio italiano. La Spagna è bella tutta, un pò sentivo la mancanza della vegetazione verdeggiante e della pizza :D Madrid me gusta mucho, missà che ci ritornerò proprio :D
Ho letto le recensioni di Kelsey, Annika e Lovetest e vi ringrazio per i complimenti e gli auguri di buon viaggio. Spero che anche questo capitolo vi piacerà. Hasta Luego :D
Have Fun.
Italy vs. France.


Sophie si voltò piccata, storcendo il naso per poi mutare visibilmente espressione in sorpresa: la vecchina, o meglio Elisabeth, della metro era di fronte a lei con un sorriso trionfante. Indossava un vestito blu notte eccentrico ma elegante, con lunghe collane.
«Salve, Elisabeth», sorrise la bruna.
«Vi conoscete?», la voce di Dorian era decisamente shoccata, non preparato ad una simile relazione tra le due donne di fronte a lui.
«Oh sì nipote caro», rise allegramente la donna e questa volta fu Sophie a spalancare occhi e bocca, sorpresa dall'affermazione. Nipote uguale nonna, o comunque parente.
«Nipote? È tua nonna?», esclamò la bruna voltandosi verso Dorian.
«Direi, scusate l'ignoranza ma come vi siete conosciute?», chiese il ragazzo alzando un sopracciglio soprattutto verso la nonna che gli rivolse un sorriso angelico.
«In metro. Abbiamo cominciato a parlare», decretò Sophie risoluta.
«Dalla tua descrizione avevo subito capito che fosse lei e devo farti i complimenti per averla scelta. Sophie, sei splendida», le rivolse un sorriso Elisabeth.
«Grazie mille», arrossì l'italiana, abbassando lo sguardo e lisciandosi il vestito dorato.
«Non apprezzi i complimenti, eh signorinella?», le sorrise la nonnina. Sophie alzò lievemente le spalle, disegnando sul viso mille espressioni per poi dichiarare che avrebbe potuto farne anche a meno ma che in fin dei conti le facevano piacere.
D'altronde Sophie e l'ipocrisia erano sempre state nemiche giurate. L'italiana pensava che mostrarsi per quel che non si è, mentire per dimostrare di essere un'altra persona era solo uno spreco di tempo. Aveva imparato a sue spese, con piccole bugie ipocrite, che la verità viene sempre a galla che tu lo voglia o no.
«Nonna, ora puoi andare anche a girovagare per la sala alla ricerca di persone da infastidire», sorrise falsamente Dorian, lanciando un'occhiata eloquente alla nonna, intimandola di lasciarli soli. Elisabeth sorrise al nipote e gli dette un pizzico sulla guancia: «Mio piccolo Dorian, sei una delle persone più divertenti da infastidire».
Sophie trattenne a stento una risatina, mordendosi il labbro inferiore ed osservando l'espressione scocciata del ragazzo.
«Nonna», sussurrò a denti stretti il ragazzo, pregandola con lo sguardo.
«D'accordo. Ho visto i Dawson, adorabile come siano riusciti a far sì che la figlia rompesse due macchine in una sera», elargì la donna salutandoli con un cenno del capo e dirigendosi verso una donna ed un uomo.
Dorian tirò un sospiro di sollievo mentre Sophie gli rivolse uno sguardo divertito, per poi scoppiare a ridere: «Scusa è che è divertente tua nonna».
«Certo, quando non ti rende ridicolo», sbuffò il ragazzo sorseggiando un bicchiere di champagne ed osservando lo sguardo divertito di Sophie che si guardava attorno. Sembrava che per lei fosse tutto così facile, così semplice eppure sapeva, Dorian, che quella ragazza nascondeva una fragilità, una causa basilare per cui l'Italia l'era stata così stretta. Un giorno o l'altro avrebbe scoperto il motivo del suo allontanamento dal Bel Paese ma quella sera non gli sembrava la più adatta; quella sera bisognava solamente divertirsi.
«Non eri ridicolo, eri tenero», sorrise dolcemente Sophie, addolcendo il ragazzo.
«Tenero? Mmh, sei la prima persona dopo mia madre che mi dice che sono tenero», ammise il ragazzo avvicinandosi e posandole le mani sui fianchi fasciati dal vestito dorato. «Mi paragoni a tua madre?», alzò un sopracciglio Sophie, divertita.
«No, direi che sei decisamente più affascinante», le sorrise dolcemente, avvicinandosi sempre di più alla ragazza che si morse il labbro inferiore, desiderando caldamente un bacio da quelle labbra rosee.
«Dorian Lewis, è così che si trattano le vecchie amiche?», esclamò una voce stridula, da gallina e dal lieve accento francese. I due si separarono, per l'ennesima volta e Sophie, nonostante il suo temperamento paziente, mentalmente mandò a fanculo la ragazza che si era avvicinata alla coppia. Si trattava di una bionda platino, con un caschetto orribile a parere di Sophie ma che doveva piacere alla ragazza che sembrava vantarsene. Aveva occhi azzurri, vuoti ed opachi; non vividi come quelli di Marshall o Ella contornati da una linea appariscente di matita rosa.
Indossava un tubino rosso che le metteva in mostra le gambe pallide ma dalla bella linea, il tutto contornato da un paio di tacchi a spillo decisamente vertiginosi. Sophie li aveva visti nel video di Bad Romance di Lady Gaga, dovevano essere una vera tortura per i piedi.
«Ursula Travérse», salutò Dorian abbracciandola e donandole due baci sulle guancie. Sophie trattenne le risate al sentir pronunciare il nome della ragazza, girandosi dalla parte opposta e vedendo il viso sorridente della madre di Dorian guardarli e quello contrariato di Elisabeth, che le sorrise come ad incoraggiarla.
«Quanto tempo! Ho sentito che hai aperto una galleria, lo sapevo che il tuo talento sarebbe stato ricompensato», sorrise Ursula con un tono mieloso, poggiando le mani al petto del ragazzo. Cosa che provocò in Sophie un accenno di gelosia.
«Già. Ursula lei è Sophie, Sophie lei è Ursula», Dorian posò una mano sulla schiena dell'italiana per presentarla ad Ursula. Si strinsero la mano con deferenza, se gli sguardi avrebbero potuto uccidere Sophie, dopo lo sguardo di Ursula, si sarebbe trovata stesa inerme tra le braccia di Dorian.
«Oh, una nuova amica? Di dove sei?», domandò la ragazza guardandola con aria di sfida.
«Vengo dall'Italia; abito a New York da un anno», rispose fiera la bruna.
«Oh, in che quartiere?», chiese Ursula alzando lievemente le spalle ossute.
«Greenwich Village», Sophie si stava spazientendo. Cosa interessava a quella ragazza dall'accento, irritantemente, francese dove abitasse?
«Oh, l'hai scelta dei quartieri bassi. Nemmeno una ricca ragazza. Chissà tua madre», rise la ragazza, fingendo bontà ma con un ovvio filo di cattiveria nella voce.
«Quartieri bassi? Stai attenta a come parli, fungo!», si difese Sophie, puntandole il dito addosso ed alzando lievemente la voce.
«Come osi, rital *?», sputò l'ultima parola Ursula, credendo che la ragazza non ne conoscesse il vero significato. Sophie si infiammò, nessuno poteva utilizzare quel termine dispregiativo usato dai francesi per identificare gli italiani.
«Oso! Non chiamare più nessuno con quel termine, non sai nemmeno che vuol dire», rispose Sophie, bloccata da Dorian che la prese per i fianchi, la alzò e la costrinse ad allontanarsi. Ursula continuò a sbeffeggiarla mentre Sophie scalciava, se avesse potuto l'avrebbe presa a schiaffi, le avrebbe sputato in un occhio e le avrebbe strappato quell'accento orribile dalle corde vocali.
«Calmati, non ascoltarla. Ursula è solo gelosa», la tranquillizzò Dorian, abbracciandola e donandole un leggero bacio tra i capelli.
«E di chi sarebbe gelosa?», rise Sophie allontandosi rossa in viso, poggiandosi alla balaustra e aspirando l'aria gelida di quell'ultima notte dell'anno.
«Di te», alzò le spalle risoluto Dorian.
«Di me? Mi ha appena insultata chiamandomi con quell'orribile termine», espresse la sua confusione Sophie, indicando con un gesto della mano l'interno del salone dove Ursula parlava con la madre di Dorian.
«E' gelosa di te perchè tu sei qui con me, e non c'è lei. È gelosa perchè io ho tranquillizzato te e non lei, è gelosa. Punto», le prese il viso tra le mani e la fissò negli occhi.
«C'è stato qualcosa tra di voi?», chiese curiosa la ragazza, liberandosi dalla stretta salda di Dorian che le aveva fatto andare in fiamme il viso.
«Nulla. Cioè da bambini i miei credevano che ci saremmo fidanzati ma è petulante, insopportabile e sinceramente il tuo accento italiano è più irresistibile del suo che è irritante», rise Dorian poggiandosi ad una colonna.
«Pensavo che i matrimoni combinati non esistessero più», sorrise Sophie, calmatasi.
«Infatti mia madre non penso che speri più che io e Ursula ci sposiamo; dovrà accettare qualunque ragazza io voglia al mio fianco ed in questo momento io voglio te», sorrise Dorian notando le guancie rosee della ragazza. Chissà se la causa era proprio lui od il freddo glaciale che attanagliava quel corpo speciale?
Elena.
 
* Rital è un termine dell'argot popolare francese che indica una persona italiana o di origini italiane. Esso possiede una connotazione peggiorativa e ingiuriosa. Secondo alcune fonti esso deriva dal fatto che, nonostante anni di residenza Oltralpe, gli italiani non riuscivano a pronunciare correttamente la r francese. Questo termine fu affibbiato dai francesi agli operai italiani immigrati in massa in Francia prima e dopo la seconda guerra mondiale per lavoro.
Alternativamente a questa origine "fonetica" e rispettosa del termine "rital" si puo' pensare che, data la connotazione peggiorativa, il termine derivi dalla parola "ritaglio", vedi anche l'assonanza, nel senso di "vestito di ritagli", cioè con vestiti rammendati con toppe/pezze, e in linea con la figura della maschera (stereotipo) italiana di Arlecchino.
 
 
 


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Capitolo 10
*** I believe in father's words. ***


Hola! Scusate il ritardo ma questa settimana ho avuto una verifica al giorno causa scrutini pagellino >.<
Comunque ecco a voi il vostro bel capitolo, a me piace tanto, spero che piaccia pure a voi.
Annika: l'ho fatto apposta con Ursula perchè è un nome che ho sempre odiato, il francese nonostante abbia passato un mese in Francia è la lingua tra inglese, francese e spagnolo che non sopporto. Il termine rital ce l'aveva spiegato la nostra prof di francese in seguito all'ascolto di una canzone di Claude Barzotti. E' bella e fa capire tante cose. Grazie ancora per aver commentato.
Have Fun.
 I believe in father's words.

 


Dorian e Sophie rientrarono nella villa. Ursula se ne stava in un angolo del salotto, intenta a parlare con una vecchia signora dai mille anelli su entrambe le mani affusolate.
«Sono quasi le undici. Salutiamo tutti e andiamo al Village, ok?», chiese il ragazzo sorridendole. Sophie acconsentì sapendo di trovarsi decisamente più a suo agio in quel luogo in cui alla gente non importava quanti soldi avessi nel portafoglio.
«Penso che sia un'ottima idea», sorrise raggiante Sophie. Dorian la prese per mano, saldamente la portò dalla madre a cui concesse un sorriso sincero ma non seppe se realmente ricambiato. Elisabeth li aspettava con un bicchiere di vino rosso in mano.
«Vi auguro una buona serata e buon anno nuovo», salutò la donna cordialmente.
«Buon anno nuovo anche a te, Elisabeth. Spero ci rivedremo presto, anche in metro», rise Sophie dolcemente, abbracciando la vecchia signora che ricambiò saldamente la stretta.
«Ovviamente. Trattala bene, Ian», si rivolse a Dorian ammonendolo e chiamandolo con il suo soprannome familiare. Sophie pensò che il vero nome del ragazzo fosse decisamente più affascinante di un tipico e inutile Ian.
«Certo, nonna. Non c'è bisogno che me lo dici te», ribattè il giovane donando un bacio sulla guancia all'anziana signora dai modi giovanili e dolci; prese Sophie a braccetto e si diressero verso il guardaroba. Dorian, da perfetto gentiluomo l'aiutò ad infilare il cappotto nero e le prese la borsa.
«Prendiamo ancora la Limousine?», domandò Sophie mentre scendevano la scalinata, annusando il profumo di libertà che quella casa neopalladiana non le donava.
«No, prendiamo il mio maggiolone», le sorrise notando l'espressione sorpresa ed emozionata della ragazza. L'aveva fatto apposta, aveva chiamato il suo autista e l'aveva mandato a casa a prendere la macchina così da sorprendere positivamente l'italiana.
Di fronte a loro, parcheggiata accanto a lussuose limousine, svettava nel suo color bianco avorio la macchina che Sophie aveva sempre desiderato possedere ma che le difficoltà economiche e la praticità nei movimenti le avevano negato.
Sorrise raggiante a Dorian che stava aprendo la portiera dal lato passeggero e l'aiutò a salire. Sophie si accomodò, annusando il profumo di pulito e di sogno realizzato che quell'auto emanava. Le sembrava un sogno, eppure la realtà ultimamente stava superando l'immaginazione; una strana situazione che però a Sophie piaceva sempre di più.
Dorian si sedette al posto del conducente, infilando la chiave nella toppa e togliendosi il cappotto, la giacca nera e la cravatta del medesimo colore.
«Che fai?», rise Sophie notando il ragazzo che si sbottonava leggermente la camicia rendendola più praticabile. Dorian si voltò verso la ragazza divertito: «Non penserai che mi presenti al Bleed ingessato in quel vestito orrendo? Quindi via cravatta, giacca e benvenuta camicia».
«Ottima idea, non ti facevo così intelligente», lo prese in giro l'italiana che si dette una controllata allo specchio, notò che il leggero trucco non si era sbavato.
«Simpatica – lieve accento sarcastico -, comunque tu sei perfetta così», le sorrise dolcemente, facendola visibilmente arrossire. Sophie decise di sciogliersi i capelli, consiglio di Marshall che era parso più un ordine. I boccoli castani le ricaddero sulle spalle in una linea sinuosa e morbida, donandole una parvenza angelica a detta di Dorian che la fissò con un mezzo sorriso malizioso. Mutò appena la ragazza si voltò verso di lui e risoluta guardò le chiavi della macchina.
«Partiamo? Non vorrai aspettare mezzanotte qui!», rise divertita.
«Già. Proverai la velocità di questo macchinino», accese il motore e con un'abile manovra si ritrovarono velocemente per le trafficate strade newyorkesi che Sophie non aveva mai solcato, prima di quella sera, su un'auto. Aveva sempre pensato che chi si mettesse in macchina per New York fosse un pazzo squilibrato; d'altronde perchè imbottigliarsi, di propria volontà, in un ingorgo di macchine dalla quale non si sa a che ora si verrà a capo? Semplice masochismo, rifletteva. Quella sera però era diverso: con Dorian seduto lì accanto, in camicia e con lo sguardo smeraldo fisso sulla strada, intervallato al viso della ragazza, non le sembrava poi così tragica la situazione.
«La usi spesso la macchina in centro?», chiese Sophie tanto per parlare di qualcosa.
«No, solo in caso di necessità. Di solito la uso per andarmene o tornare a New York, non mi è mai servita realmente qui. Tranne ovviamente per occasioni speciali come questa», la lusingò il ragazzo, che ricevette uno sguardo radioso da Sophie che ormai si stava quasi abituando ai continui apprezzamenti del ragazzo.
Nei suoi vent'anni Sophie non aveva mai ricevuto così tanti complimenti come in quel periodo. Complimenti per le sue foto, complimenti per il suo carattere, complimenti per le sue origini, complimenti per il suo aspetto fisico, complimenti per il suo accento italiano. Mille complimenti che prima erano solo rari. Non aveva mai pensato che essere italiano fosse qualcosa di speciale, aveva sempre creduto che l'Italia fosse sì bella, ma piena di contraddizioni e truffe che la mettono in brutta luce di fronte agli occhi del mondo intero. C'era un periodo, nell'adolescenza, in cui si era vergognata di appartenere a quella nazione perchè vedeva male dappertutto, in ogni azione compiuta da politici o gente di spettacolo, persino nella gente comune vicina a lei. Eppure, lontana dall'Italia si era resa conto di quanto le mancassero certi comportamenti persino scoccianti; si era reso conto che l'Italia è amata, desiderata e affascinante e l'esserlo contribuiva a tutti quei complimenti.
«Odio i semafori, sono inutili», sbuffò Dorian, poggiandosi al volante e fermandosi all'ennesima luce rossa illuminatasi al loro arrivo.
«Inutili quando sei di fretta, utili quando sei in anticipo. E' una cosa soggettiva», riflettè Sophie, fissando il rosso sperando che scomparisse e divenisse verde.
«Saggia. Mi ha sorpreso il fatto che conoscessi mia nonna. Ci sono rimasto di merda, letteralmente», rise Dorian passandosi una mano tra i capelli imbarazzato.
Sophie arrossì imbarazzata, rise divertita notando l'espressione del ragazzo ancora sullo shoccato. D'altronde nemmeno lei se lo sarebbe mai aspettato che quella nonnina tutto pepe fosse la donna del ragazzo che aveva appena conosciuto.
«Pure io. E' una cosa decisamente strana. Non ho mai creduto nel destino, però questa storia è decisamente inquietante. Penso che sia solamente una strana, assurda e quasi irreale coincidenza che però alla fine mi ha fatto trovare l'approvazione di almeno una donna della tua famiglia», replicò Sophie, rivolgendo un'occhiata eloquente a Dorian.
«Mia madre è un personaggio a sé. Sono sicuro che a mio padre saresti piaciuta subito; adorava le persone con il tuo carattere. Aveva sempre desiderato che trovassi una ragazza come te. Mi diceva sempre: Dorian, non importa se una ragazza abbia un trucco eccessivo od una scollatura provocante, perchè a colpire una persona è sempre o il sorriso o un semplice sguardo che rimane impresso nella mente. Quando ti innamorerai di un sorriso o di uno sguardo saprai di aver trovato la persona giusta per te. Non ho mai capito se l'abbia letto da qualche parte o fosse farina del suo sacco. So solo che quando me lo diceva io ci credevo, e alla fine ci credo tutt'ora. Ne ho la prova vivente di fronte a me», dichiarò Dorian, prendendo la mano di Sophie e portandosela alle labbra, continuando imperterrito a fissarla negli occhi. Lei, rossa in viso ma per nulla intenzionata ad abbassare lo sguardo, era rimasta affascinata dalle parole del giovane, provenienti dalla memoria del padre e avrebbe desiderato che quell'attimo in cui il loro contatto era così elettrizzante non finisse mai. Eppure un dannato clackson interrupe quel momento, costringendo Dorian ad ingranare la prima e posare le mani sul volante, lontano dal corpo della giovane italiana.
«Penso che se tuo padre te lo diceva con il cuore fosse farina del suo sacco, nonostante l'avesse letto da qualche parte», dichiarò seria la bruna, portandosi una mano a sistemare un ciuffo di capelli castani.
«Allora era farina del suo sacco. Papà era buono con me; con mamma un po' meno ma penso che si sia sempre meritata quel trattamento distaccato. Lei pensa solo all'immagine in società... oh, siamo arrivati», dichiarò Dorian cambiando radicalmente discorso appena la scritta del Bleed apparve di fronte ai loro occhi.
Sophie sorrise raggiante, accompagnata dallo sguardo pieno di vita e dalla mente che viaggiava nella fantasia e nei ricordi di quel luogo e delle notti folli con Marshall ed Ella.
Elena.
 

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Capitolo 11
*** Bleed. ***


Ciao (:
Eccomi di nuovo con un capitolo tutto bello, o almeno a me piace.
Grazie mille per continuare a commentare Annika, eh già chissà perchè il padre di Dorian ne ha scelta una del genere. I misteri della vita.
Baci, have fun.
 
 Bleed.


Raggiunsero l'entrata del Bleed mano nella mano, correndo leggermente per riscaldarsi. Avevano lasciato volutamente le giacche in macchina; Sophie odiava abbandonare la sua in quel guardaroba e d'altronde era pure una scusa in più per stare insieme a Dorian anche solo qualche secondo di più.
C'era un sacco di gente all'interno della famosa discoteca del Village. Non era la prima volta che sia Dorian sia Sophie la frequentavano, eppure non si erano mai incontrati. L'italiana lo frequentava soprattutto con Marshall ed Ella d'estate perchè il tetto diveniva una terrazza pensile piena di vita e colori, dalla quale si poteva osservare tutta Manhattan.
«Devo riuscire a trovare Marshall ed Ella. Tu hai qua qualche amico?», domandò la bruna levandosi leggermente in punta, sorretta dal braccio di Dorian, per guardarsi intorno. Non riuscì a scorgere nessuno dei due coinquilini, ma era certa che entrambi fossero nei paraggi.
«Oh sì. Te li faccio conoscere tutti quando riuscirò a trovarli», rise Dorian.
«Sono dell'Upper come te?», si avvicinò all'orecchio del ragazzo per farsi sentire meglio.
«Alcuni sì, alcuni no. Venivano a scuola con me ma alcuni sono di Brooklyn e tanti altri quartieri», le rispose, posandole una mano sulla schiena e poggiando le labbra a pochi centimetri dall'orecchio della ragazza che si sentì solcare la schiena da mille brividi.
La ragazza annuì. Il dj mise una canzone vecchia ma che ancora riscuoteva molto successo: Stereo Love di Edward Maya e un'altra cantante di cui Sophie non ricordava il nome. Si ricordò che l'aveva ballata al Carnevale di tre anni prima insieme ai suoi amici fidati.
«Balliamo?», domandò con occhioni imploranti l'italiana. Dorian non se lo fece ripetere due volte, la prese per le mani e la trascinò al centro della pista.
I loro corpi erano vicinissimi, le mani di Dorian erano quasi perennemente posate sui fianchi di Sophie che sembrava non preoccuparsene. Quando la canzone terminò optarono per andare a prendere da bere; al bancone incontrarono Marshall impegnato a parlare con un vecchio amico di scuola che Sophie aveva già visto mesi prima.
«Tesoro, finalmente sei arrivata!», Marshall si alzò scattante e corse ad abbracciare l'amica, che mantenne a stento l'equilibrio.
«Sono qua da un po'. Io e Dorian abbiamo ballato un po'. Ehm, M lui è Dorian, Dorian lui è Marshall», sorrise la bruna presentandoli. I due si strinsero la mano, parlarono un po' del più e del meno e il biondo raccomandò al moro di prendersi cura di Sophie.
«Hai visto Ella?», chiese l'italiana continuando a guardarsi intorno.
«Direi di no. L'ho vista salire le scale con Jim», le rivolse uno sguardo eloquente e i due si intesero alla perfezione lasciando Dorian leggermente perplesso.
«Beh, vi lascio al vostro divertimento mentre io vado al mio», Marshall lanciò un bacio ai due lasciandoli nuovamente soli. Sophie, quasi d'istinto, prese la mano di Dorian, quasi come se fosse un pilastro a cui reggersi.
«Che vuoi fare madamoiselle?», le chiese tirandola a sé ed abbracciandola, seduto ad uno sgabello del bancone. La ragazza alzò leggermente le spalle nude, mentre giocava distrattamente con le asole della camicia di Dorian.
«Direi che dobbiamo brindare a qualcosa», sorrise la bruna osservando il bancone dove mille alcolici e superalcolici troneggiavano accanto alla loro licenza di vendita.
«Che desideri? Offro io», chiese per sé una birra per poi rivolgersi alla ragazza.
«Sex on The Beach», sorrise poggiandosi alla sua spalla con il mento, mentre il ragazzo sorseggiava la bevanda che gli era appena stata servita. Il profumo di Dorian era una droga per Sophie; era decisamente attraente e stava facendo uno sforzo enorme per non voltarsi leggermente e baciargli il collo abbronzato, con un lieve accenno di barba.
Le porse il cocktail e, seduta sulle sue gambe, ne sorseggiò un po'. Sophie reggeva molto bene l'alcol, non si era mai ubriacata nonostante qualche volta eccedesse e pure a lei veniva il mal di testa. Tutto questo era dovuto a suo nonno materno, assiduo bevitore di vino di tutti i tipi.
«Buono?», le sussurrò nell'orecchio, per poi respirare a pochi centimetri dal collo delicato della giovane e posarvi dolcemente le labbra, strofinando leggermente il naso. Sophie fu colta alla sprovvista ma mantenne l'autocontrollo nonostante il suo cuore avesse cominciato a battere almeno il doppio della velocità solita. Sentiva le gote leggermente rosse e ringraziò la luce soffusa del Bleed silenziosamente.
«Decisamente», sussurrò voltandosi ed incontrando gli occhi smeraldo di Dorian a pochi centimetri dai suoi. Ne rimase imprigionata; le riportavano alla memoria i campi irlandesi, le distese verdeggianti italiane e chissà perchè un vecchio maglioncino di qualche anno prima. Aveva sempre avuto una vera e propria fissa per il verde; Marshall diceva che era il suo colore insieme all'arancione ma che non avrebbe mai dovuti accostarli insieme. Quello che diceva il suo migliore amico, per quanto riguardava la moda, era legge e lei la rispettava sempre. Poggiò il bicchiere, quasi vuoto, sul bancone dietro Dorian. Lo fece apposta per provocarlo; d'altronde lui stava giocando, perchè lei non avrebbe potuto farlo?
«Quanto manca a mezzanotte?», chiese la ragazza trovando un orologio ma non riuscendo a vedere benissimo da lontano. Soffriva di miopia da cinque anni e da tre portava gli occhiali per vedere la tivù, per guardare la lavagna o semplicemente vedere luoghi lontani. Li odiava eppure certe volte, come in quel caso le sarebbero parsi utili.
«Non sai leggere l'ora?», la sbeffeggiò divertito Dorian che ricevette una leggera spinta da parte della ragazza, leggermente piccata dal commento.
«Simpaticone. Soffro di miopia, non ci vedo da lontano», sbuffò la bruna, incrociando le braccia e guardando da tutt'altra parte. Finse di essere permalosa, dentro di lei stava scoppiando a ridere.
«Oh, non lo sapevo. Non ti ho mai vista con gli occhiali. Comunque sono le 23:40», dichiarò il ragazzo accarezzandole la guancia e facendo scontrare nuovamente i loro occhi.
«Non li porto perchè non mi piaccio con quei cosi addosso», borbottò, leggermente addolcita.
«Per evitare qualsiasi problema allora devo starti vicino, così mi vedi bene», e si portò a pochi centimetri dal viso di Sophie che fissava ad intervalli non del tutto regolari le labbra, il naso, gli occhi e le guancie del ragazzo, per poi ritornare su quelle gemme smeraldo.
«Sai, il dottore ha detto che ci vedo benissimo fino a 2 metri», e si allontanò leggermente, ridendo divertita giocando a quel tira e molla in cui Dorian sembrava dominare.
Quando la guardava le faceva andare il cervello in un brodo di giuggiole. Non era una ragazza che cedeva facilmente ma Dorian appena l'avrebbe baciata, perchè sarebbe stato lui a baciarla e non viceversa, avrebbe avuto il potere sulle azioni dell'italiana. Sophie aveva ancora quel senso all'antica del ragazzo che deve fare il primo passo, anche se molte volte era stata costretta a lanciare qualche segnale. I ragazzi italiani erano decisamente più ritardati degli americani, di Dorian specialmente.
«Potresti essere peggiorata ultimamente», rise tornando ad avvicinarsi.
«Dubito fortemente», si riallontanò, andando a sbattere contro una ragazza e chiedendo scusa. Dorian stava morendo dal ridere, l'abbracciò e la tenne stretta a sé per un po'.
«Balliamo ancora un po'? Mancano 10 minuti a mezzanotte», dichiarò l'italiana.
«D'accordo. Poi tu vieni su con me e non fai storie», le ordinò il ragazzo prendendola per mano e portandola al centro della pista, ballando vicinissimi un Bad Romance di Lady GaGa, canzone di qualche anno prima.
Accanto a loro trovarono Marshall, impegnato con un ragazzo dai lineamenti asiatici e troppo muscoloso per i gusti di Sophie e un'amico di Dorian, di nome Jacob, che si presentò come il sex simbol del gruppo. Il moro rispose semplicemente che era il più deficente del gruppo e Sophie si preoccupò di difendere Jacob dicendo che quel posto era già occupato dal pittore. Jacob riflettè che Dorian aveva trovato pane per i suoi denti.
A pochi minuti a mezzanotte Dorian l'afferrò per un braccio e la portò, quasi correndo, verso le scale. Superarono tutti i pianerottoli, salirono un'altra rampa e si trovarono all'aperto.
Elena.
 
 

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Capitolo 12
*** New Year is coming to town. ***


 Good Afternoon, people. Mi scuso profondamente per il ritardo ma la scuola e i giri con questo bel tempo mi tengono fuori casa. Grazie mille ad Annika per continuare a commentare, spero che si aggiunga qualcun altro.
Non muoio se lasciate commenti, anche negativi :D
Have Fun.
 New Year is comin' to town.
 

 
New York brillava sotto i loro occhi come un manto di stelle; da quel punto si potevano sentire tutti i suoni di festeggiamenti provenienti da Times Square, molti chilometri più a nord del Village. Sophie rimase senza fiato, ascoltando il conto alla rovescia provenire dal Bleed, provenire dalla strada, provenire da tutto il mondo che dava il benvenuto al nuovo anno carico di aspettative, sogni e progetti.
Le mani calde di Dorian si posarono sui suoi fianchi, le labbra del ragazzo raggiunsero le orecchie della giovane sussurrando a mezza voce il conto alla rovescia. Sophie si strinse al corpo caldo del pittore, ascoltando quella voce parlarle nell'orecchio, scandendo i secondi che inesorabili portavano a dire addio all'anno appena trascorso. L'italiana sembrò liberarsi di un peso non appena le grida di festeggiamento si dispersero per le vie e nelle case verso il cielo, inneggiando ad un futuro pieno di desideri. Si alleggerì perchè quell'anno era stato difficile e vederne uno nuovo, pulito di fronte a lei la faceva divenire ancora più ottimista di quello che era solita essere. Quel saluto al nuovo anno le piacque; rispettoso dei suoi sentimenti e intimo, con la sicura presenza di Dorian dietro di lei.
«Da piccolo mi hanno sempre detto che quello che fai il primo dell'anno si ripete all'infinito per tutto il resto dell'anno», la fece voltare Dorian, accarezzandole il viso reso fresco dalla brezza gelida della notte.
«Pure a me lo dicevano. Non ci ho mai creduto, nulla si è mai ripetuto», alzò le spalle Sophie, scettica su quel detto da ormai tanti anni. Vi scherzava sopra ma non aveva mai creduto che un'azione compiuta il primo giorno dell'anno potesse poi sempre ripetersi.
«Sono costretto a farti cambiare idea, signorina. Quello che succederà ora si ripeterà per tutto il resto dell'anno, e poi per gli anni successivi», rise Dorian prendendole il viso tra le mani. Quel momento era quello giusto, nessuno li avrebbe divisi con interruzioni a sproposito. Sophie chiuse gli occhi, lasciando che Dorian avvicinasse le loro labbra.
Dapprima un bacio semplicemente quasi a stampo, poi man mano che la passione cresceva le mani di Sophie si portarono tra i capelli del ragazzo, tirandolo a sé; le mani di Dorian la fecero stringere ancora di più a sé, facendo combaciare i due bacini. Dopo qualche minuto i due si separarono, con ancora il sapore dell'altro sulle labbra, guardandosi negli occhi, fronte contro fronte. Sophie scoppiò a ridere, e si staccò dal contatto con Dorian.
«Perchè ridi?», domandò stranito il giovane americano.
«Si ride quando si è contenti. Caro mio, tu mi hai reso felice. Grazie», e gli rivolse un sorriso sincero, portandogli le braccia al collo e donandogli un altro bacio sulle labbra. Dorian la sollevò leggermente da terra, facendole compiere una leggera giravolta.
«Grazie a te, mi stai facendo capire il vero significato dell'amore», sorrise Dorian, accarezzandole una guancia.
Sophie si sporse leggermente per osservare i fuochi d'artificio che erano cominciati a brillare nel cielo americano. Giallo, blu, rosso, verde e oro si susseguivano senza interruzioni, desiderosi di comunicare al mondo la loro scoppiettante gioia.
Si poggiò alla balaustra, con negli occhi il riflesso dei fuochi, felice come una bambina che riceve il più grande dono della sua vita intera.
«Che ne dici di scendere ed augurare buon anno a tutti i nostri amici?», domandò Dorian retoricamente, desideroso di mostrare la giovane italiana ai suoi compagni di vita. La bruna annuì e scesero le scale mano nella mano. Il Bleed era pieno di gente che si scambiava auguri, saltava a ritmo di musica o improvvisava trenini.
Sophie scorse Marshall ed Ella mentre Dorian Jacob ed altri suoi amici. Decisero di dividersi per poi rincontrarsi qualche minuto dopo al bancone del bar.
La bruna corse verso Marshall, saltandogli in groppa ed augurandogli buon anno.
«Eccoti, dove diavolo eri andata?», domandò Ella abbracciandola, per poi rimproverarla.
«Sul tetto, con Dorian», sorrise maliziosa la bruna, tenendo un braccio dietro il collo di Ella mostrando così al mondo che lei è la sua migliore amica.
«Oddiamine, che avete fatto, porcellini?», domandò Marshall quasi più felice dell'italiana.
«Nulla, solo un bacio», rise Sophie piegandosi quasi in due dal ridere.
«Finalmente! Così siete ufficialmente una coppia! E dire che l'avevo visto prima io ma a te, che sei una delle mie due migliori amiche, lo concedo volentieri», esclamò il ragazzo.
«Marshall, grazie!», la bruna lo abbracciò dolcemente, ricevendo un bacio sulla guancia.
«Voi avete accaparrato qualcuno?», domandò Sophie guardandoli inquisitrice.
«Ovviamente, ben due ragazzi: un modello e uno scrittore», dichiarò Ella fiera di se stessa.
«Non ci posso credere. Ci ha anche parlato insieme oltre che a limonarli!», Marshall assunse un'espressione completamente shoccata, seguita dalla bruna.
«Simpatici, no veramente ma penso che mi butterò sullo scrittore, si chiama David», spiegò Ella incrociando le braccia leggermente piccata.
«Io invece un bel ragazzotto omosessuale. Mi sento così realizzato», rise Marshall accompagnato dalle migliori amiche, contente per la felicità del migliore amico.
Erano un trio strano, dalla bellezza quasi sconvolgente e dall'apparenza snob; eppure i tre ragazzi non facevano scelte dettate dalla moda, loro erano amici perchè il destino, ma soprattutto perchè loro avevano desiderato così. Chi li osservava da fuori pensava di non riuscire a creare una breccia in quell'amicizia forte come un muro in cemento armato.
Sophie si era sempre stupita della rapidità con la quale aveva stretto quel rapporto, neppure con i suoi amici dell'asilo aveva un'amicizia così indissolubile. Ella, dal canto suo, non aveva mai avuto dei veri amici; tutti pensavano che fosse una spocchiosa snob ma Marshall e l'italiana nemmeno un po'. Marshall si sentiva finalmente accettato per quello che era in realtà, senza nessuna reminescenza.
«Ragazzi, vado da Dorian. Ci vediamo domani mattina a casa, folleggiate mi raccomando», si fece promettere Sophie, sorridendo e con un cenno della mano si diresse al bancone dove trovò Dorian intento a parlare con Jacob e altri due ragazzi.
«Eccoti, ti presento Jacob, David e Michael», li presentò Dorian portando una mano sulla schiena della ragazza che porse la mano ai tre ragazzi.
Jacob già la conosceva, un ragazzotto muscoloso dai capelli rasati e occhi neri, sembrava pronto per entrare in marina. David era alto ma magro, quasi impalato, ma portava decisamente bene una camicia bianca e dei semplici jeans, capelli biondi lunghi qualche centimetro sopra le spalle e occhi azzurri. Michael era il più basso ma ben piazzato, le ricordava un calciatore del Palermo di nome Fabrizio Miccoli. Gli avambracci erano pieni di tatuaggi e ne scorse uno anche sotto la camicia.
«Finalmente Dorian ha trovato una bella ragazza, le altre che avevi portato erano orrende», dichiarò tra il serio e lo scherzoso Jacob, dando una pacca all'amico.
Sophie arrossì, come ormai da copione ringraziò le soffuse luci del Bleed. Non sapeva se fossero realmente fidanzati, o se quel bacio fosse stato dovuto solo all'atmosfera decisamente coinvolgente eppure le parole di Dorian le risuonavano ancora nella testa.
«Parla per le tue, Jake», rispose il pittore rivolgendo uno sguardo trucido all'amico.
«Comunque, che fai nella vita Sophie?», domandò David, smorzando il discorso tra i due e desideroso di apparire simpatico e carino alla fidanzata del suo migliore amico.
«Lavoro come fotografa al Tenninson Studio vicino a Central Park», spiegò la bruna.
«Che bel lavoro. Mio padre magari l'avrai visto», decretò Jacob, mentre Michael, il più silenzioso, sorseggiava un angelo blu.
«Come fa di cognome?», chiese Sophie curiosa.
«Macbeth», chiarì le idee Jacob e l'italiana annuì. Si ricordò dell'enorme sfarzo e del lusso sfrenato che riempivano ogni angolo del grande salone del Plaza. Era una delle feste più snob a cui avesse mai lavorato e aveva pregato Chuck di non farla più andare a lavorare lì.
«Noi vi lasciamo. Ti va di accompagnarmi fuori a fumare, Sophie?», chiese Dorian.
La bruna, leggermente sorpresa, accettò l'invito ad uscire. Non sapeva che il ragazzo fumasse, ma alzò le spalle; seppur lei odiasse il fumo lui poteva fare tutto ciò che desiderava. Nessuno dovrebbe cambiare per piacere a qualcun'altro.
Elena.

 

 


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