Breath

di fiammah_grace
(/viewuser.php?uid=76061)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01. Nato per essere il migliore ***
Capitolo 2: *** 02. Can I'll be your angel? ***
Capitolo 3: *** 03. I don't want to lose ***
Capitolo 4: *** 04. How can I dress you? My little, precious doll. ***



Capitolo 1
*** 01. Nato per essere il migliore ***




Fanfic ambientata dopo le vicende di final fantasy VII.
Sephiroth era il figlio di Jenova. Il predestinato. Il re del pianeta.
Ora che non era più nessuno, cosa gli serviva vivere? Come avrebbe mai potuto sopportare di essere vivo grazie a Cloud e compagni, convinti poi di poterlo addomesticare? Loro non potevano nulla contro di lui.
Nessuno era in grado di domare il re.
Nessuno avrebbe impedito il destino di compiersi. Peccato non ci fosse Aerith nei piani. Sarà lei l’improvvisa causa che capovolgerà l’universo dell’uomo dai capelli argentei fino a sconvolgere la sua vita.

Adoro questo pairing ma non ho mai scritto nulla su di loro perché non ero sicura di riuscire a scrivere una fanfic che rendesse loro pienamente giustizia.
Alla fine mi son detta: “proviamoci”, dunque eccola qui!
Ad avermi ispirata è stata la bellissima canzone “Breath” dei Breaking Bejamin che ho sempre trovato perfetta per Sephiroth. Dalle parole al ritmo frenetico. Per me parla di lui.

Beh, spero vi piaccia la mia prima fanfiction Sephirith.
Un pairing dark, che unisce bene e male, bianco e nero…è questo quello che vorrei riuscire a rendere.
Però... un punticino bianco è capace di illuminare una distesa di nero. Almeno per me questo definisce, in breve, la SephirothxAerith!
Vi lascio alla lettura!  






                                                                                                  BREATH





CAPITOLO 1. Nato per essere il migliore...



Nato per essere il migliore.
Il migliore fra tutti. Colui che avrebbe fatto rinascere il pianeta e avrebbe fatto cominciare una nuova era, dove lui sarebbe stato l’unico e solo essere, perfetto.

La perfetta manipolazione genetica di Jenova…

Manipolazione genetica…

…Jenova…

Chiuse gli occhi e di nuovo avvertì amaro in bocca. Così insopportabile da costringerlo a disegnare sul suo viso una smorfia. Gli sembrava quasi di assaporare il veleno.

“…Perché? Professor Gast?” si chiese nella penombra.

Di colpo cominciò a ridere. Ridere come un folle.


Il migliore. Io sono il migliore!
Inchinatevi all’ira del grande Sephiroth.
Implorate clemenza, urlate per avere una morte veloce.


…Ma non aspettatevi che io accolga le vostre preghiere!
Lacererò i vostri muscoli, schiaccerò le ossa fino a ridurle in polvere.
Strapperò gli organi dal corpo e vi farò fuoriuscire copiosamente il sangue.


Non concederò tregua nemmeno al vostro cadavere. Non rimarrà nulla.
…e poi avanti il prossimo. Chi è colui che spera nell’umanità dell’eletto?


Chi è immeritevole, perirà ed avrà una sorte uguale a tutta la gente come lui.
Osate mettervi contro di me? Allora assaggerete la lama della mia spada.


Sono figlio della Madre…
Sono perfetto in questo mondo contaminato dalla razza umana.
Riprendiamoci il pianeta, madre. Assieme! Tu dentro di me. Vivi in me.
…e assieme diverremo Dio.


Perché la mia ira è potente, non ha limiti e nessuno potrà ostacolarla.
Nessuno.


Serrò i denti con rabbia e fissò il vuoto non sbattendo mai le palpebre.

I suoi occhi, i suoi inconfondibili occhi ancora impregnati di quel marchio riconoscibile fra mille, cominciarono a farsi più vividi.

Il suo sangue ribolliva così forte da sentirsi pronto a ricominciare tutto anche in quello stesso istante.

Era ad un passo dalla vittoria. Pochi attimi e la meteora avrebbe colpito il pianeta distruggendone gran parte.

Sorrise nell’immaginare quell’attimo e una sensazione di piacere immenso gli trapassò il corpo deliziandolo.

Quasi gli pareva di sentire le urla degli umani mentre si compiva il destino. Il suo mondo perfetto era così a portata di mano ed era già pronto ad assaporarlo.

Tanti anni, tanti studi, tanti ostacoli. Aveva architettato il tutto in maniera impeccabile.

Tuttavia… ci fu colui che non avrebbe mai creduto potesse intralciare il suo cammino.

Cloud Strife.

Chi poteva mai immaginare che quell’insulso clone, giudicato dallo stesso Hojo come uno scarto, avrebbe invece messo un punto alla sua stessa vita? Le sue ricerche? Il suo odio? Che fine avevano fatto? A cosa era valsa la sua impresa? Come aveva potuto un semplice omuncolo derivato da un comunissimo umano ostacolare il figlio eletto di Jenova?


…Dove? Dove abbiamo sbagliato, Madre?


Emise un gemito soffocato e gli occhi cominciarono a farsi sempre più avidi di vendetta. Erano pronti a colpire la prima forma di vita che avrebbe visto, per poi dargli la caccia e lo strazio fino alla morte.

…Bastardo!



Nonostante fosse buio pesto, Sephiroth se ne stava in un angolo immobile in quella casa così silenziosa e vuota. Le deboli luci esterne filtravano le finestre e raggiungevano i soprammobili disegnando appena i loro contorni.

In ogni caso, però, niente era distinguibile. A momenti, nemmeno lo stesso Sephiroth.

Di colpo gli venne un enorme capogiro e a passo svelto si diresse verso il bagno rinchiudendosi lì dentro con violenza.
Con una forza incontrollata sbatté la porta e si poggiò al lavandino.

Aveva preso ad ansimane. La testa girava ancora. Il respiro si fece ancora più intenso. Anche il cuore pulsava più del normale. Quasi poteva avvertire le vene pompare il sangue con una velocità inverosimile.

Aprì velocemente il lavandino a sciacquò il viso con acqua gelida. Quasi come se volesse svegliarsi da quell’incubo.

Alzò il viso verso lo specchio e si guardò intensamente.

Osservava disgustato sé stesso.
Era così perfetto, l’essere che avrebbe compiuto grandi cose. Era forte, indomabile. I suoi muscoli confermavano un fisico ben allenato, degno del miglior SOLDIER della Shin-Ra quale era.

Levò via con forza la maglia scura. Avvertì un leggero senso di benessere dopo essersi sentito così accaldato in quella stanza soffocante.

Il silenzio spettrale che si addensava in quell’ambiente gli facevano percepire perfettamente i rumori della città. Le macchine, le persone, le voci, le musiche…

Quel mondo non faceva per niente parte di lui. Perché dunque era lì?

Sarebbe stata, per uno come Sephiroth, migliore la morte. Invece aveva avuto qualcosa di peggio, di molto peggio. Gli era toccato vivere.

Un cane legato, questo era diventato. Cosa speravano tutti? Che si sarebbe ammansito? Che lo avrebbero addomesticato come un animale?

Rise disgustato.

Non avrebbero mai potuto mettere in gabbia il grande Sephiroth.

Si ritrovò a pensare a quella che ora era la vita del principe di quel pianeta:
Legato e osservato fino al tramonto del sole. Solo allora poteva godere del silenzio e della notte.

Fino a poche ore prima erano ancora lì, Cloud ed i suoi insulsi compagni. Più volte aveva riso loro in faccia, disprezzando di continuo il loro modo di mostrarsi e di comportarsi.

…Perché tenerlo in vita in tal modo?

Un animale sarebbe stato senz’altro meglio. A lui era toccato passare le sue giornate legato come un salame su una sedia per tutto il santo giorno salvo pochi attimi di libertà. Non bastava una tale umiliazione. Con Sephiroth doveva esserci anche lui: Cloud Strife.

Ah, se avesse avuto le mani libere lo avrebbe già ucciso. Invece era già un mese che era in quello stato. Davvero credevano che si sarebbe rassegnato? Non sapevano nulla di lui.

Avrebbe preferito morire dissanguato mordendosi la lingua fino a strapparla via. Sempre meglio di quell’inferno.

Rise nuovamente.

Cosa ne sarebbe stato di lui? Ah, se Jenova lo avesse mai saputo…


Ridammelo! Ridammi mio figlio!!


Maledetto! Ti uccido!


Il tuo odio da un lato è un bene…ah, ah, ah!


Nella mente, all’improvviso, echeggiarono dei ricordi diversi dai soliti.
Non ricordava né a quanto risalissero e neppure se questi fossero ricordi veri e propri.

La voce di una donna attirava la sua attenzione. Una voce vaga ed indefinita, eppure in qualche modo così dolce e rassicurante.

Poi…l’inconfondibile voce dell’uomo che più detestava al mondo: Hojo. Non si era mai importato dei suoi occhi furenti.

Ti ammazzo!

Non si era mai importato delle sue minacce.

Cosa mi serve tutto questo..?!

Non si era mai importato di nulla.

Di colpo avvertì calore sulla mano. La osservò apaticamente mentre si tingeva lentamente di sangue. Nemmeno si era accorto di aver affondato così tanto le unghie.

Serrò i pugni affondando ancora più impetuosamente sulla ferita e il sangue cominciò a scorrere più velocemente gocciolando per terra, scorrendo lungo il braccio.

Lui non ebbe alcun tipo di emozione. Era immobile e osservava il suo stesso sangue come se nulla fosse.  


[…]


A volte penso che sei mio. Sì, capitano i momenti bui, ma alla fine ci sei sempre tu al mio fianco.
Beh, quasi sempre.

Insomma, ora che importa?


Aerith si guardò un’ultima volta nella grande specchiera della sua stanza. Dopo un lungo attimo, aggrottò le sopracciglia e disfò tutto il trucco.
Si sentiva orribile.
Sebbene ci avesse impiegato più di venti minuti per ottenere una pelle omogenea, dei colori sfumati sulle palpebre e delle ciglia folte e scure, non era, ancora una volta, convita della sua immagine. Spalmò nuovamente le pomate e delicatamente ricominciò a sistemarsi. Un tocco di ombretto rosa sulle palpebre, tanto mascara e un tocco di phard sulle gote. Era di nuovo pronta.
Scese velocemente le scale e sorrise non appena distinse la figura di Cloud Strife. Il cuore cominciò a battere più velocemente e sentì che non vedeva l’ora di abbracciarlo e stringerlo a sé.

“Cloud!” gli disse. Il biondo ragazzo non fece nemmeno in tempo a girarsi che lei già gli aveva serrato le braccia sul collo.

Cloud sussultò. Era rimasto, ancora una volta, senza parole per gli atteggiamenti di Aerith. Tuttavia non ricambiò, né fece altro.

“Finalmente sei scesa!”

La voce di Tifa irruppe in quel momento ed Aerith si scostò dal ragazzo imbarazzata. Le sorrise ridendo debolmente.

“Eh, eh…che vuoi farci? Ho bisogno di tempo per prepararmi!”

Tifa poggiò una mano sul fianco e sgranò gli occhi divertita.

“Direi ‘molto tempo’! Comunque è proprio ora di scendere. Oggi devo tornare presto al bar.”

“Allora andiamo al cinema, come deciso?” disse l’ancient avvicinandosi a Cloud e prendendolo per un braccio. “Andiamo!”

Cloud osservò Tifa serio.

“…ti accompagno io al bar.”

“Non c’è bisogno, faccio da sola.” Disse la bruna con fare sicuro.

Aerith sbuffò trascinandolo fuori.

“Ci pensate poi! Ora dobbiamo uscire!”

Edge.
Le strade erano ancora malandate, ma era divenuta più vivibile rispetto a qualche mese prima. Ognuno si stava dando il suo bel da fare nel sistemare quella città nata dalle ceneri di Midgar. Stesso la parola ‘Edge’ stava a significare questo.
Alzando gli occhi era ancora possibile ammirare la grande azienda della Shin-Ra, ma ora era solo un vuoto e desolato rudere. Una maceria assieme ad altre cento macerie. Eppure aveva un enorme significato…

Aerith aveva ancora per mano Cloud. Perché l’aveva trascinato così? Perché non si importava nulla dei sentimenti di Tifa, che chissà cosa provava nel vederli mano nella mano?

La risposta era tanto semplice quanto infantile: voleva dimostrare che Cloud fosse suo.

Voleva essere lei a spronare il ragazzo e a desiderarla. Questo anche a costo di ferire l’amica.

Da un lato le faceva male pensare ciò, ma in fin dei conti era forse meglio agire alle spalle?

Era migliore il comportamento di Cloud sempre così apatico, quasi indifferente?

Non esisteva una risposta, ma Aerith aveva deciso di comportarsi così. Non era in grado di accettare il modo di fare di Cloud. Non era capace di pazientare come Tifa. Sarebbe risultata seccante? Avrebbe ottenuto qualcosa? In fin dei conto poco le importava. Sicuramente così non si sarebbe pentita di non aver fatto nulla.

Eppure…non era così facile come sembrava.

Cloud continuava imperterrita a cercare Tifa, a starle accanto, a stare attento a tutto quello che accadeva attorno a lei.

…e quando c’era Tifa, Aerith spariva dalla sua mente.

Quando erano soli, no. Cloud dedicava tutto il suo tempo alla bella ancient. La faceva persino sentire unica ed importante. Ridevano e scherzavano con battute irriverenti, cosa che con Tifa non lo aveva mai visto fare. In quei bei momenti davvero era convinta che un piccolo passo li avrebbe uniti per sempre.

Tutto spariva quando entrava in scena Tifa Lockheart. La donna di Cloud da sempre. Negli ultimi tempi soprattutto, dato che oramai il biondo viveva con lei.

Un giorno era persino andata a trovarli. Uno sfortunatissimo giorno dove vi erano anche Marlene e Denzel.
Le si presentò davanti una situazione così familiare che per la prima volta provò imbarazzo di essere con i suoi amici.
Si sentì inopportuna e con una scusa andò via. Non le era mai capitato.
Da quel giorno si sentiva davvero a suo agio solo quando era in compagnia di Cloud e basta.

Mentre li osservava immaginava a chissà quanti ricordi avessero ora assieme. Chissà cosa era accaduto fra loro? Nulla? Un po’ improbabile…

Scosse la testa disturbata. Pensieri del genere la soffocavano e la facevano star male e lei non voleva vivere tale angoscia.

Entrarono nel cinema e Aerith prese posto accanto a Tifa. Mentre ridevano, facevano battute, la giovane provò una morsa al cuore. Li vedeva bisbigliare, sorridere su un qualcosa che ad Aerith era totalmente sconosciuto. Anche se avesse tentato di chieder loro qualcosa, non li avrebbe mai capiti…

Fu quando li vide ridere da soli che si sentì quasi morire. Il film aveva dimenticato di seguirlo già da un po’. Cloud rideva e vide disegnato sul suo volto un sorriso sincero e davvero raro da vedere su di lui.

Quegli occhi, quell’espressione…


Si alzò di colpo.

“Che ti prende?” disse Tifa preoccupata.

“S-scusa. Devo andare! Voi rimanete!”

Cloud e Tifa non fecero nemmeno in tempo a rendersi conto della situazione, che Aerith era già lontana.

Corse velocemente verso l’uscita dopodichè si fermò tremante. Strinse il lungo giaccone attorno a sé e guardò nei dintorni smarrita. Una lacrima scivolò veloce su viso, ma la bella ancient non vi fece troppo caso.

Abbassò lo sguardo. Era nervosa e si sentiva terribilmente sola.

“Caspita, no…” disse con un filo di voce.

Scosse la testa e cercò di rivolgere i suoi pensieri ad altro. Ma a cosa? A Cloud e Tifa che ridevano escludendola deliberatamente? Cosa poteva mai distrarla?

“Cloud…” bisbigliò ancora.


Che cosa posso dire? Sono felice di amare Cloud…
Eppure…eppure c’è qualcosa che va oltre la passione o l’affinità. Qualcosa di così oltre che è fuori anche la mia portata.
Sai fare di me in pochi attimi la tua bambola, eppure non mi dici mai ‘ti amo, Aerith’.

Tu non lo sai, ma questo mi fa soffrire molto.

Non te lo direi mai, ho paura di perderti, ma non sai quanto vorrei che mi vedessi piangere mentre mi stringo al cuscino sdraiata sul letto.

Ho paura di chiederti la verità. Anche quando siamo soli.
Ho paura, impazzisco per te.
Ho paura quando non mi guardi.
Ho paura che guardi un’altra persona.
Ho paura che quando mi abbracci, non stai abbracciando me.

Ho paura che quando sarò io a spaventarti…tu scapperai da lei.

…non posso fare a meno di sentirmi così.
Dovrò davvero accettare che io sono tua ma che tu non sei mio?
Mi sta bene…mi sta bene perché ti amo troppo…ma davvero mi sta bene così? Davvero oserò tanto..?
Non so se l’amore va anche oltre questo, ma se è così, io dubito i riuscirci.

Sento come se qualcosa morisse dentro di me, quando ci sei…


[…]


Per l’ennesima volta cadde la linea.
Cloud aveva provato a chiamare Aerith più volte ma non gli aveva risposto. Perché era scappata in quel modo? Cosa le aveva fatto?

Che palle…quando la cerco, non ce mai. Possibile che si metta a dormire alle dieci e mezza? Non ci credo...
Chissà cosa cazzo sta combinando e non vuole dirmelo. Però non è possibile che sappia scegliere proprio i momenti migliori per sparire.

Si sdraiò stanco sul letto, poi decise che era ora di uscire. Non aveva per nulla intenzione di chiudere così la giornata andando a dormire più presto dei bambini.

Nel registro delle chiamate del cellulare trovò in cima il numero di Tifa…

Fissò a lungo lo schermo del telefono poi di scattò uscì di casa. Con la moto non ci avrebbe impiegato nemmeno cinque minuti a raggiungerla.

Quando fu di fronte casa sua bussò incessante sulla porta. I passi veloci della giovane rimbombano per la casa.

“Sì..?”

“Sono Cloud, scema.”

Tifa lo guardò canzonatoria, poi gli fece segno di entrare.
 
“Davvero è necessario essere sempre così…garbati, eh? Vieni di sera senza sapere se sono impegnata e mi chiami anche scema?”

“Quanto sei pesante…e io che ti volevo fare compagnia...”

“Diciamo che tu non sapevi che fare…comunque ho da fare per davvero.”

Cloud la guardò come per vedere se la stesse prendendo in giro.

“Eh?”

La ragazza portò i lunghi capelli scuri all’indietro, poi lo guardò con fare ovvio.

“Denzel è stato poco bene. Voglio stargli vicina almeno fino a quando non si riaddormenterà del tutto.”

Tifa salì le scale, si avvicinò al letto del ragazzino e prese ad accarezzargli delicatamente i capelli.
Cloud si mise di fianco a lei osservandola curioso.
Tifa rimase parecchio perplessa di vederlo così.

“Cos’hai, Cloud?”

“Nulla...”

Non era vero.
A dire la verità, Cloud non era abituato a quelle situazioni. Forse perché non ricordava i suoi genitori, forse perché non aveva mai ricevuto particolari attenzioni.
Solo in quei momenti si rendeva conto di quante cose non conoscesse.

Vedere Tifa in quello stato di dolcezza unica, gli fece avvertire delle strane emozioni.
Lei…ci sapeva fare con i bambini. Sebbene sia Denzel che Marlene non fossero più dei marmocchi, lei sapeva ancora trattarli a dovere.
Come avrebbe dovuto fare la loro…madre?

Rimase scioccato da quell’idea così materna che si era fatto di Tifa in quel momento.

Un curioso rimescolio allo stomaco gli fece credere che avrebbe voluto essere lì, tra braccia di Tifa, in quel momento.
Gli occhi andarono a perdersi sul petto della giovane, dove dormiva tranquillo il ragazzino.
Forse avrebbe voluto anche lui essere in quello stato di quiete totale.

“Ha ripreso colorito.” Le disse.

Tifa, che da un po’ lo stava guardando, sorrise.

“Sì, l’ho notato. Meno male…”

“Allora puoi lasciarlo stare ora?”

“Perché? Devi dirmi qualcosa?”

“Sì.”

Tifa lasciò il piccolo Denzel e lo adagiò lentamente dentro le coperte, stando attenta a non svegliarlo, dopodichè uscirono chiudendo la porta dietro di loro.

“Meno male che sono tranquilli. Vero?”

“Eh, già…”

“Disinteressato come sempre alle cose che io dico. Eh, Cloud?”

Ridacchiò leggermente, poi si avvicinò al bancone del bar. Cloud si sedette su uno sgabello di fianco a lei.
Tifa gli si avvicinò.

“Cos’è che dovevi dirmi?”

“Nulla…”

“Cosa..? E allora perché sei venuto?”

“Nulla.”

“…”

Il biondo alzò gli occhi verso quelli scuri di lei e notò quanto fosse bella. Con quel suo tono di voce leggermente stanco, con i suoi capelli lisci…
Era semplicemente splendido ritrovarsela vicino, nel silenzio e nel buio del locale.
Pensandoci bene, anche lui era un po’ stanco. Avrebbe voluto passare un po’ di tempo con Aeris. L’aveva vista davvero strana quella sera ed aveva avuto la terribile sensazione che gli nascondesse qualcosa.

In ogni caso in quel momento stette poco a pensarci.
Tifa era capace di fargli dimenticare Aeris.
Non era convinto che fosse una cosa positiva, tuttavia in quel momento, lo trovò un sollievo.

Senza motivo, prese Tifa per i fianchi e l’avvicinò lentamente a sé.
Tifa, giustamente, rimase perplessa.

“Cos’hai..?”

Il biondo affondò la testa sul petto della ragazza e chiuse occhi.

“Non mi sento bene nemmeno io.”

“Spiritoso…”

Tifa si fece sarcastica anche se visibilmente si imbarazzò di quel contatto così improvviso. In tutta risposta lui l’avvicinò più forte affondando la testa più intensamente.
Allungò una mano sulla schiena che cominciò ad accarezzare debolmente, poi le parlò.

“Oggi Aeris era strana.”

Tifa poggiò le braccia sulle sue larghe spalle.

“Sai perchè?”

Il giovane scostò la bocca dal corpo della ragazza per poter parlare meglio.

“No.”

“Beh, a volte è fatta così. Io penso abbia avuto per davvero un contrattempo. Non ci pensare troppo.”

“Okay.” Cloud si strinse di nuovo a Tifa. Lei sussultò e avvertì calore sul viso.

Il biondo non si curò molto dello stato d’animo della bruna. Ora si sentiva bene. Tifa era in grado di portarlo in una dimensione dove esistevano solo e soltanto loro due. Forse era anche per questo che si sentiva autorizzato ad avvicinarsi a lei più del solito. Questo, però, solo la notte.

A volte si chiedeva perché avesse voglia di stare da solo con Tifa, tuttavia non era in grado di accettare la risposta.

La strinse e Tifa fece lo stesso finché non fu lui stesso ad andare via silenzioso come era venuto.


[…]


Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 02. Can I'll be your angel? ***


Ringrazio GacktLove, kenjina, Keute, Necrysia, sesshoyue e Tico_Sarah che stanno seguendo la mia storia, e Keute e Tico_Sarah per le loro bellissime recensioni.
Vi ringrazio davvero! Mi applico molto nella caratterizzazione dei personaggi e nella descrizione in generale delle situazioni, visto che voglio comunichino determinate sensazioni. Quindi sono molto felice di sapere che il lavoro vi sia piaciuto e che vi prometta molto. Spero di essere davvero all’altezza ^^
Nel caso di Sephiroth ed Aerith ancora di più data la particolarità di questi due personaggi che adoro.
Sarà una storia romantica sotto alcuni aspetti,  ma voglio comunque presentare prima meglio la situazione. Questo capitolo già vi farà entrare più nel vivo della storia, anche se sconvolgere la vita di Sephiroth non è facile, sopratutto se in una situazione tesa come questa.
Per cui, più che sull'introduzione di tante scene o situazioni, le mie attenzioni saranno rivolte ai personaggi.
Volevo informarvi che forse alzerò il rating della fanfic visto che in questo capitolo e anche nei prossimi saranno descritte scene di sangue. Non so, magari mi darete un consiglio voi.
Grazie!



CAPITOLO 2. Can I’ll be your angel?




Una mattina come tante. Il cielo era sereno e ciò non poteva che essere ottimo per aiutare Aerith a stare meglio.

Era già per strada, felice e con il cuore sereno. Perché così di buon umore? Perché in giro già così presto?

Aveva voglia di assistere lei Sephiroth, quel giorno.
L’avevano trattenuto in una casa alla quale pagavano tutti assieme l’affitto. A turni tutti si prendevano cura di lui e si accertavano che non combinasse nulla. Tuttavia, a lei non era permesso di avvicinarsi a lui. Cloud non aveva voluto che collaborasse anche lei a sorvegliarlo.

Da un lato le faceva piacere che si preoccupasse, ma dall’altro perchè reagire in quel modo?

Era una donna adulta, poteva farcela.
Inoltre era convinta che tutti gli altri lo tormentassero un po’ troppo.

Sephiroth non aveva di certo bisogno di qualcuno che gli distruggesse l’anima. Sephiroth aveva solo bisogno di tempo.
Legarlo e vigilare su di lui a tempo pieno non l’avrebbe di certo aiutato a riabilitarsi nella società, sempre che fosse questo l’intento dei suoi amici, del che dubitava.

Osservò un biglietto con su scritto l’indirizzo civico dell’abitazione.

“Uhm, dev’essere questa!” disse dopo aver controllato scrupolosamente.

Era una piccola villa grigia dall’aspetto semplice, ma gradevole. Fu contenta di constatare che gli avessero trovato una dimora simile.

Sospirò intensamente e salì i pochi gradini.

Oggi è il turno di Vincent. Accidenti…sicuramente non mi farà rimanere con lui…

Sapeva bene che Vincent era legato a Sephiroth da un qualcosa di più personale. Lui era il figlio della donna che aveva amato: Lucrecia Crescent.
Avrebbe permesso ad Aerith di intromettersi tra loro?

Poggiò una mano sulla porta e mentre si sentiva ancora turbata dalla malinconia si accorse che questa era aperta.

“…Permesso?” chiese incerta.

Non ricevendo alcuna risposta, entrò furtivamente. Si bloccò solamente quando avvertì le loro voci. A sua grande sorpresa avevano dei toni decisamente animati.
Le parve di udire la voce di Vincent, ma era un tono così adirato da non sembrare che fosse lui a parlare.

“…E dunque?” disse Sephiroth sorridendo aspramente.

“Ti ammazzo seduta stante se osi dire anche questo.” rispose il moro a denti stretti.

In tutta risposta, Sephiroth rise di gusto non evitando in nessun modo quel contatto visivo. Era fiero ed altezzoso, pienamente soddisfatto di essere ancora in grado di ferire, anche senza armi.
Aerith osservò a lungo la scena a dir poco grottesca. Sephiroth legato su una sedia e Vincent Valentine di fronte pronto a scontrarsi con lui.

“Cosa mi potrebbe mai interessare? E’ stata utile solo per il suo utero. Per il resto è feccia come tutti voi.”

…Ma di cosa stanno parlando?!

I suoi pensieri vennero smorzati da un pugno in pieno viso che Vincent sferrò a Sephiroth. Nei suoi occhi c’era rabbia, frustrazione, risentimento…il tutto era scoppiato in un unico gesto. E Sephiroth ne era ancora una volta soddisfatto.

Ci fu un lungo silenzio. Aerith poteva avvertire il gelo che si era creato attorno ai due uomini. Vincent aveva lo sguardo perso, gli occhi così rossi da sembrare fatti di fiamme.

“Io ho chiuso con te! Sarebbe stato meglio ucciderti!” gli urlò contro mentre si avviava verso l’uscita.

Fu quando vide Aerith che sbandò e si fece incerto. Esitò più di qualche attimo prima di rivolgerle la parola.

“Cosa ci fai qui..?”

Aerith osservò Sephiroth che si era appena accorto della presenza dell’ancient, ma non ebbe tempo né di dire né di fare nulla perché subito il moro la trascinò fuori di casa.
Vincent chiuse la porta violentemente.
Sembrava turbato e non gli aveva mai visto quell’espressione.
Le sembrava quasi di avvertire il suo cuore pulsare forte e in maniera irregolare.

“Volevo farti compagnia. Sapevo che tu o Cloud sareste venuti da lui…”

Vincent deviò lo sguardo quando questo si andò ad incrociare con gli occhi magnetici di Aerith. Così splendenti e limpidi.

“Sai che non dovresti.” Disse secco.     

La fioraia annuì debolmente e quando Vincent prese a camminare, lei gli si parò davanti. Un silenzio imbarazzante si creò fra loro, Aerith non era sicura se Vincent avesse voglia di compagnia né se avesse voglia di parlare.

“Eh, eh…lo so bene che tu e Cloud siete dei maschilisti!” disse con fare ironico. “Ma sono sicura che con Sephiroth stiamo solo usando la tecnica sbagliata.”

“Tecnica sbagliata? Cosa dovremmo fare?” disse lui con un’impulsività che Aerith gli aveva visto raramente.

Lei si fece per un attimo pensierosa, poi rise nuovamente.

“Lui è un maestro nelle parole, ed è anche abituato al dolore e alla mortificazione. Barricarlo in casa non è la cosa migliore…non capirebbe.”

Vincent annuì, ma non rispose. Non le disse se fosse d’accordo con lei oppure no.

Osservando il vampiro, riportò alla mente l’animata discussione che aveva avuto modo di sentire. Vedere un Sephiroth così soddisfatto e un Vincent così adirato…perché? Era davvero così problematico, Sephiroth?

“Vincent. Lui non sa che Lucrecia…”

“Lucrecia non c’entra nulla.” Disse gelido ed Aerith ebbe la certezza di aver colto nel segno.

Avevano parlato di lei, della madre naturale dell’uomo dai capelli argentei.

Sephiroth aveva parlato male di lei?
Era sua madre, perché?

Ripensandoci, era probabile che Sephiroth non la conoscesse affatto.

Nemmeno Aerith sapeva che tipo di donna fossa, eppure in Vincent il suo ricordo doveva essere ancora così vivo nel suo cuore.
Da tempo, oramai, aveva smesso di soffrire e di trascurarsi per lei, eppure era ancora così facile riaprire quella ferita.

“…Scusami.”  Disse infine con un filo di voce.


Giunsero nelle vicinanze del negozio di fiori di Aerith e stesso lei si sorprese di essere tornata vicino casa senza nemmeno accorgersene.

“Allora ti lascio qui?” le chiese con un tono totalmente inespressivo.

La ragazza tentennò qualche attimo, poi annuì rivolgendogli un delizioso sorriso.
Vincent non le diede alcun tipo di attenzioni. Si allontanò e solo così lei comprese che il moro l’aveva ascoltata.


Ancora una volta mi trattano come una povera bambola da collezione…


Aerith cominciò a camminare distrattamente, leggermente infastidita.


‘Aerith non fare questo’ … ‘Aerith non fare quello’ … ‘Aerith non andare lì’ … ma cosa credono di fare, così?


Era così fastidioso sentirsi tanto inutili. Tutti provavano a proteggerla, ma da cosa e da chi?
Non aveva bisogno della protezione delle persone e tutte quelle attenzioni nei suoi riguardi erano a dir poco snervanti.


Io li capisco, solo che…


Scosse la testa.


No, non li capisco per niente! Io so badare a me stessa. Lo faccio da sempre. Con chi credono di avere a che fare?!


Stava proprio per aprire la porta di casa quando di colpo sgranò gli occhi.
Come un sesto senso, si girò e vide che Vincent era ancora nelle vicinanze. Le dava le spalle e lentamente si stava allontanando da lei.

Solo adesso se ne stava andando..? Si era assicurato che lei tornasse a casa?

“Oh, insomma! Sono stufa di tutti questi controlli!”


Sei convinto che ora sono a casa al sicuro? Bene!


Chiuse la porta di casa con violenza.
Sbirciò fuori dalla finestra e quando Vincent le sembrò abbastanza lontano, sgattaiolò via velocemente.  
Mentre correva via, sorrideva sentendosi così viva e stupida.


Sarò anche un Ancient da collezione unico al mondo, ma non per questo mi barricherò in un museo a prendere polvere!


Rise di sé stessa, divertita.


Perché tanto ardore? Perché tanta gioia e rabbia?
Il motivo era semplice: aveva voglia di dimostrare agli altri che non aveva la benché minima intenzione di ricordarsi ogni giorno della sua vita che era “diversa”.

Aerith Gainsborough era un’umana! Vissuta come umana e cresciuta come umana. Questo faceva di lei un’umana.

Dove era diretta ora? In realtà aveva deciso la meta immediatamente dopo aver visto Vincent. Voleva andare da Sephiroth.
I suoi amici avevano il terrore di far avvicinare ancora una volta la bella Ancient all’uomo dai capelli argentei. Avevano paura che potesse ucciderla.

Aerith, invece? Aveva paura?

Forse un po’, ma era convinta di quello che faceva.
Non sapeva se stava andando a casa sua per dispetto agli altri o per capire qualcosa su di lui…sapeva solo che lo voleva e basta.

Del resto, l’impulsività di Aerith era una nota del suo carattere abbastanza conosciuta.


[…]


“Cosa si prova a tornare a casa?”

“Beh…è piacevole.”

“Provi gioia nell’essere ritornato?”

“E’ normale! A te non manca casa tua?”

Sephiroth, un alto uomo di circa vent’anni, dal corpo esile ma scolpito e dalle larghe spalle inondate dalla lunga giacca in cuoio nero, rise.

“Io non sono nato da nessuna parte. Non ho una città natia.”



Il comandante dei soldier, il comandante Sephiroth, non era abituato a lasciarsi andare ai sentimentalismi. Questo faceva di lui l’idolo di molti ragazzi giovani, compresi parecchi soldier di classe inferiore.
Zack era diverso. Non era considerabile un amico, né era tanto più di un conoscente, ma talvolta trovava interessante i suoi discorsi, anche se la sua impulsività spesso portavano ad irritarlo.
Quel giorno era lì, assieme al moro e ad un altro soldier più inesperto.
Non era una grande responsabilità. Quello di controllare un reattore era un lavoretto da nulla.

“Queste gliele porto in camera, signore?”

Sephiroth guardò l’uomo che era leggermente spaventato. Lui si sentì bene. Leggeva la paura nei suoi occhi. Era una sensazione che lo appagava. Lo faceva sentire potente di fronte a quegli insulsi umani.

Anche lui era un uomo, certo, ma era sempre stato convinto di essere diverso, speciale, un eletto.

Vide che l’uomo aveva in mano le sue valigie. Gli diede un leggero cenno con la testa dopodichè l’uomo si dileguò immediatamente.
Tornò a guardare fuori dalla finestra.
La sua mente si annebbiò quando ricordò la domanda che gli aveva posto il soldier dai capelli scuri.


“E i tuoi parenti? Non so…tuo padre e tua madre?”


“Mia madre…Jenova…”

Poggiò una mano sul vetro e chinò il capo. Stranamente la sua mente andò ad elaborare l’altra figura.

“Mio padre…”

Come aveva fatto con Zack, cominciò a ridere di gusto.

Che senso aveva parlarne ora?

Scostò i lunghi capelli argentei dal viso. Sorrise malinconico, ma fece finta di nulla e pensò che sarebbe stato meglio rendersi conto della situazione a Nibelheim, la città che avrebbe serbato la più crudele e decisiva svolta della sua vita.

La sua vita…

Umani…

Jenova…

…Madre.


La mano di Sephiroth cominciò a farsi calda. Bruciava terribilmente tanto che prese a tremare.

Un flusso di ricordi annebbiò la sua mente e avvertì un calore ancora più intenso. Si stava velocemente propagando sui polsi e sulle braccia. Bruciavano, bruciava da impazzire.



2 settembre

Abbiamo cominciato a lavorare con le cellule umane.
Appena l’embrione sarà allo stadio I , vedremo come reagirà alle cellule.




3 settembre

L’embrione non ce l’ha fatta, domani riproveremo l’esperimento. Forse saremo più fortunati.




5 settembre

Il nuovo embrione è pronto. Attenderemo che si sviluppi abbastanza da poter resistere alla sinergia di Jenova…


Quanti ne aveva letti di rapporti simili?

Il braccio bruciava ancora. Era caldo, molto caldo. Bagnato. Ma non se ne curò.

31 ottobre
Sephiroth, così ha deciso la dott.sa Crescent di chiamare l’esperimento, è quasi autonomo. Abbiamo bisogno di altre cellule di Jenova ed è per questo che Hojo, il dott. Gast e i medici del settore 14 si sono recati a Midgar city, a recuperare altri campioni. Attenderemo l’arrivo della scorta di SOLDIER. La partenza è prevista domani.


“Lucrecia.” Sussurrò mentre un liquido rosso scuro scorreva sulla fronte arrivando fino alle labbra. “Lucrecia…Jenova…”

Ne aveva letti davvero tanti di quei rapporti. Forse troppi in così poco tempo.



3 febbraio
Il professor Gast si è ritirato dal progetto Jenova e sullo studio degli antichi. Chiederemo la consegna dell’Ancient quanto prima. Hojo è di conseguenza il nuovo direttore dell’operazione.




6 Febbraio
La dott.sa Crescent ci ha chiesto delle analisi del sangue, poi ha chiesto di sospendere gli studi su Sephiroth per un po’. Attendiamo il consenso di Hojo, intanto lasciamo tutto nelle mani della dottoressa.




7 febbraio
Lucrecia Crescent è stata esentata dal progetto Jenova. Inoltre, le sarà, d’ora in poi, vietato di accedere ai sotterranei. Così ha ordinato il direttore delle ricerche scientifiche, Hojo.




“Maledetti umani..”

La mente di Sephiroth divenne ancora più offuscata. Era confuso, disorientato. Rabbia. La rabbia era l’unico sentimento che stava provando a cui sapeva dare un nome.

Scaraventò da un mobile una lampada che andò a frantumarsi a terra.

Era stato un rumore assordante, eppure così spettacolare.
Buttò all’aria più cose mentre avvertiva un bruciore insopportabile quasi in ogni parte del corpo. Non riusciva a fermarsi. Con un coltello da cucina lacerò i divani, le sedie, i cuscini e qualunque cosa gli capitasse di guardare.


Cos’era la morte? E la vita?
Chi muore non se ne accorge, oppure ha la consapevolezza che sua forza si affievolisce sempre di più fino a prosciugarsi completamente?
Provò paura.
Sentì la morte così vicina a lui. Sentì che non poteva nulla contro quell’energia sconosciuta che era capace di portare via tutto. Ogni attimo felice. Ogni momenti di rabbia. Chi amava…tutto.


Per la prima volta sentiva che esisteva qualcosa a cui era impotente, a cui era impotente chiunque, un bambino o un adulto.
A suo tempo, avrebbe davvero avuto bisogno di qualcuno che gli raccontasse degli angeli, di un mondo chiamato paradiso o in qualsiasi altro modo si voglia, dove le anime riposavano in pace dopo l’ultimo respiro.
Ma lui non conosceva queste cose. Non conosceva nulla. Ora come ora, conosceva solo il terribile odore della morte.

Cosa sapeva lui? Cosa gli sarebbe accaduto?

Dov’era la morte che lo perseguitava e che inesorabilmente lo avrebbe raggiunto?

Si accasciò sul divano ormai lacerato e respirò intensamente. Bruciavano gli occhi, bruciavano le mani, le braccia, il viso…


[…]


Aerith si guardò attorno esitante. Era arrivata.
Osservò la porta e per un attimo ebbe paura.

Infondo che motivo aveva per entrare? Che avrebbe fatto li dentro?

Si chiedeva cosa mai potesse fare, o se sbagliasse ad essere in quel posto, in quel momento.

“Mi avevano dato la chiave giusto per precauzione…” disse mentre osservava una piccola chiave visibilmente mai utilizzata.

Aprì con decisione ed entrò.

“Posso..?” disse con un filo di voce. Parte di lei non era sicura di volersi fare avanti.

Chiamò più volte il nome di Sephiroth perché non voleva farlo spaventare per la sua improvvisa visita, ma non le rispose nessuno.

Non era mai stata in quella abitazione da sola e per questo ebbe quasi l’impressione di trovarsi in un incubo. Un incubo che rispecchiava perfettamente l’inferno di Sephiroth.

Tinte molto scure macchiavano la casa, dandogli un aspetto decisamente spettrale.
Superato l’ingresso, sentì qualcosa scricchiolare ai suoi piedi.

“Uh?”

Indietreggiò immediatamente e si accasciò a terra per vedere cosa avesse calpestato.

Prese in mano un piccolo oggetto di cristallo. Sembrava far parte di una composizione più grande.

Osservò dinanzi a sé e vide altri piccoli gingilli come quello. Il suo sguardo avanzò e lei cominciò ad avvertire dei brividi improvvisi e terribili da sopportare.
La grande vetrata in cristallo da cui provenivano quegli oggetti era frantumata a terra.

Sgranò gli occhi a quella vista e solo allora si rese conto che quasi tutto ciò che c’era in quella stanza era stato completamente distrutto.

Lampade a terra, orologi tagliati perfettamente in due, cuscini e poltrone lacerate, posate da cucina a terra e…sangue.

Impallidì alla visione di quel colore così scuro e così fresco.
Era decisamente inappropriato lì, oppure…troppo azzeccato con una simile atmosfera.

Deglutì e si alzò continuando ad osservare il luogo inorridita. Scavalcava i comodini buttati a terra e tutti quegli oggetti non distogliendo lo sguardo da niente.

“Sephiroth..?” chiamò ancora il suo nome. La voce questa volta era tremante.

Chi può mai aver fatto questo..?

Era stata in quella casa mezz’ora prima, forse un’ora. Si chiedeva come poteva mai essere che, in così poco tempo, ora fosse tutto distrutto.

Osservando a terra, trovò anche un grande specchio a terra, ora ridotto in tanti frantumi triangolari.

Vicino a questo vi era ancora del sangue, in quantità più copiose rispetto quello che aveva trovato prima.

Nella sua mente cominciò ad elaborarsi l’accaduto, ma non ebbe il coraggio di ammetterlo a sé stessa. Perché l’aveva fatto? Cosa era successo?

D’improvvisò sentì un forte respiro e sussultò.

“Sephiroth!”

Si avvicinò al divano e dietro di questo era poggiato a terra lui, l’uomo dai capelli argentei.

Lui era immobile, la guardava tranquillo, anzi, in maniera del tutto noncurante.

Sebbene fu colta dal panico, Aerith non ci pensò due volte nell’accasciarsi accanto a lui.

“Che è successo qui dentro? Perché..!”

Era buio e solo dopo avergli toccato la fronte si rese conto che questa era bagnata. Guardò le dita e vide che si erano tinte di un rosso intenso. Sgranò gli occhi incredula.

“Perché l’hai fatto..?” disse quasi come se dovesse mettersi in lacrime da un momento all’altro.

Sephiroth era sudato, pieno di sangue e stanco. Non si mosse e non disse nulla. Solo quando lei cercò di avvicinarsi alle sue ferite le scostò la mano con un gesto molto violento.

A quella reazione, Aerith rimase senza parole. Ci fu un istante di silenzio prima che Sephiroth la trafisse con i suoi occhi vitrei.

“Lasciami in pace.” Disse secco e spietato.

Aerith scosse la testa.

“No! Sei ferito! Hai bisogno di aiuto!”

Fece per avvicinarsi quando lui le allontanò nuovamente le sottili braccia.

“Non ho bisogno del tuo aiuto.” Le sussurrò a denti stretti.

Aerith Gainsborough. L’Ancient. Cosa voleva da lui?
Se non fosse stato in quelle condizioni avrebbe anche potuto ucciderla. Cose le importava di lui?
Ovvio che Sephiroth non conoscesse la cocciutaggine della ragazza.

Lei abbassò lo sguardo e sospirò più volte prima di parlare.

“Tutto questo l’hai fatto tu?” chiese con voce profonda.

Quella domanda stupì Sephiroth. Perché chiedere un qualcosa di tanto ovvio? Cos’era, stupida?
Eppure tentennò prima di rispondere. A sua grande sorpresa, non era in grado di dire un semplice: sì.
Non riusciva ad ammetterlo?

Lei lo osservò senza stancarsi. Quel contatto gli diede fastidio. Le avrebbe cavato gli occhi solo per non sentirsi più guardato così.

“Perché lo hai fatto?” chiese nuovamente mentre osservava le sue ferite e faceva per toccarle nuovamente.

Questa volta lui non si ritrasse e non la colpì con violenza. La lasciò fare in quel tetro silenzio.

Aerith rimase visibilmente turbata di quelle ferite e si alzò di colpo alla ricerca di delle bende. Setacciò la casa e alla fine trovò ciò che le occorreva.
Una volta tornata in salotto, vide Sephiroth perfettamente in piedi, ancora gocciolante di sangue.

“Non muoverti!” gli disse mentre si avvicinava a lui per bendarlo.

Sephiroth, dal suo canto, la trovava a dir poco disgustosa. Credeva di impietosirlo? Perché gli dava tali attenzioni? Era perfettamente in grado di badare a sé stesso.

Era davvero nauseante. Terribile. Eppure non distolse lo sguardo nemmeno un secondo da lei mentre lo bendava.
Aerith era delicata, molto delicata e lui l’osservava silenzioso. Insopportabile, quella visione era decisamente insopportabile.


[…]


Sephiroth guardò dinanzi a sé, irritato.

Si trovavano in una zona periferica di Edge. Una strada sporca e talvolta malfamata.

Aerith gli si mise davanti indicando il suo negozio di fiori. Più che un negozio, era una vecchia chiesa sconsacrata.
Quello era il settore cinque di Midgar che, in qualche modo, era ancora abitabile.

Il posto era in uno stato decisamente trascurato, eppure era probabile che, senza le cure della giovane Ancient, si sarebbe ritrovato in condizioni anche peggiori.

“Voglio tornare a casa mia.” Disse con disprezzo.

“Non dirlo nemmeno per scherzo!”
Aerith tirò fuori una risolutezza inaspettata. “Guardati. Io lo dicevo che non potevi rimanere da solo in quello stato! Starai da me.”
Detto questo aprì la porta e fece strada a Sephiroth.

Mentre si inoltrava, l’uomo guardò attorno a sé perplesso.

“La figlia di Jenova che abita in un luogo simile..?”

“No, sciocco.” Aerith rise dell’affermazione di Sephiroth, cosa che non gradì, tant’è che fu costretta a calmarsi.

In tutta risposta, lui continuò a guardarsi attorno spaesato.

Osservava la struttura e dai suoi occhi si poteva leggere il più profondo disprezzo.

Il disprezzo per la vita, per la razza umana e per ogni cosa da questa creata. E forse, Aerith poteva leggere anche il disprezzo verso di lei.

Una volta entrati, lei con passo deciso si avvicinò ad un ripostiglio che aprì solo dopo aver spinto la porta più volte.
Da questa uscì nuvolone di polvere e caddero delle vecchie scope che erano state fino a quel momento in equilibrio quasi per miracolo.

Aerith si affacciò dentro il ripostiglio tossendo leggermente.

“Beh, penso di potertelo organizzare in poco tempo!” disse soddisfatta, dopo una lunga pausa.

Sephiroth le si avvicinò e, ancora una volta, sembrava fosse in grado di trafiggerla solo con uno sguardo.

“Ho detto che voglio tornare a casa.”

“Io non ti abbandonerò.” disse abbozzando un sorriso che fece adirare Sephiroth.

Cosa pretendeva quella giovane Ancient? Di tenerlo rinchiuso in un negozio di periferia per non lasciarlo solo? Cosa cambiava? Cosa sperava?

Più la guardava, più si rendeva conto di non capire assolutamente niente di lei. Questo lo mandava in bestia.

Quell’insulsa creatura così fragile e debole che pretendeva di dominare il Dio di quel mondo. Era assurdo.

Eppure Aerith sembrava crederci fermamente.

Di colpo lei sbuffò cominciando a portar via dalla stanza secchi, scatoloni, vasi, utensili e piccoli attrezzi di ogni tipo.
Lui l’osservava in silenzio.

“Tra poco diventerà persino accogliente, tranquillo!”

Aerith si era perfettamente accorta di Sephiroth e dei suoi comportamenti ostili. Avvertiva la sua rabbia, la sua voglia di sangue e di distruzione.

Proprio per questo voleva essergli vicino. Nessuno lo avrebbe fatto e sentiva che era suo preciso compito.

…Oppure, sarebbe morto.

Privato della sua libertà sarebbe stato capace di lasciarsi morire. Lui lo avrebbe fatto senza troppi problemi.

Lei voleva evitare questo. Voleva che lui vivesse. Che nella sua vita non regnasse solo il niente e l’odio.

Era possibile curare un’anima così? Dove quel poco che aveva nel cuore lo disprezzava, lo rinnegava, lo sotterrava dove nessuno poteva trovarlo?

Uno spiraglio era ancora presente nel suo cuore? Uno spiraglio talmente profondo che poteva essere ancora illuminato dalla luce?

Se non avesse almeno provato a rispondere a quelle domande, non avrebbe mai potuto saperlo.

Del resto, era davvero famosa l’impulsività della ragazza.


[…]


Sento il vuoto circondarmi, la rabbia mi assale, chiedendomi cosa diavolo ci facessi lì.
Che cosa ci facessi io in una via soleggiata con tanti ragazzi, bambini, uomini e donne gioiosi mentre io bramavo tutt’altro che il divertimento.
Non è questo il mio mondo. Non ci sono abituato, e non spero di abituarmici

Non è da me preoccuparmi degli occhi della gente, non è per me tutto questo. Non è da me vivere.

Cosa speri? Sciocca ragazzina…

Credi di essere l’angelo protettore di tutti?  

Sei davvero convinta di poter fare di me un cagnolino grato?

Non sai ancora con chi hai a che fare, sciocca ragazzina.

Ragazzina…Ancient….Cetra.

…Avrei dovuto ucciderti tempo fa.

Maledetta.

Dalla finestra poteva vedere Aerith. Non scostò nemmeno un attimo gli occhi dal vetro. Era così tranquilla, a tratti stanca, a tratti rilassata.
Lentamente sfilava l’abito per poi sistemarsi a letto. La vide spazzolare a lungo i suoi capelli prima di chiudere tutte le luci e dormire.

La guardò con rabbia e proprio non riuscì a pensare ad altro. La odiava profondamente.

Sephiroth adesso si trovava nel piccolo vivaio di Aerith.
Come mai? La risposta era semplice.
Sephiroth ricordava ancora nitidamente cosa gli era accaduto poche ore prima. Lei, quell’Ancient, era venuta a casa sua. Non l’aveva legato, non gli aveva fatto niente, se non trascinarlo fuori, verso il suo negozio di fiori.

Voleva controllarlo, voleva assicurarsi che non si facesse del male, che non si uccidesse.
Era decisamente insopportabile la sua convinzione di essere un angelo protettore. Lei non era nessuno, se non una povera sciocca.


[…]


“Aerith, cosa ti succede?” disse Tifa mentre lasciava sciogliere lo zucchero nella tazza di the.

L’Ancient posò il vassoio per sedersi accanto a lei. Aveva un leggero batticuore, ma non si lasciò turbare. Era sicura di quel che faceva.

“Cosa avrei dovuto fare? Lasciarlo morire?”

“No, non intendo questo, ma dovresti renderti perfettamente conto dei rischi che…” Tifa cercò di andarle incontro, ma fu bruscamente interrotta da Cloud che fino al minuto prima era rimasto nel più tetro silenzio.

Guardò Aerith dritto negli occhi, cosa piuttosto rara da parte del biondo, e con tono basso le si rivolse.

“Domani tornerà in quella casa e continueremo i turni come abbiamo sempre fatto.”

A quelle parole, Aerith trasalì.

“Non capisci, Cloud! Sephiroth non ha bisogno di questo!”

“A me non interessa di cosa ha bisogno.” Sospirò pazientemente nel vedere il viso contrariato di Aerith.

“L’abbiamo risparmiato, l’abbiamo salvato, ma io non ho intenzione di pentirmene. Se non lo farà lui per primo, lo ucciderò io.”

Non riuscì a credere che Cloud dicesse la verità. Era terribile.

“Sephiroth…ha bisogno di tempo e, soprattutto, di aiuto! Lo voglio aiutare! Non voglio che muoia.”

Cloud accavallò le gambe.

“Lascia fare a me e agli altri.”

“Tu non vuoi fare nulla per lui! Cosa credi? Io sono capace! So che posso!” disse alzando i toni più del solito.

Regnò per un attimo il silenzio, poi Cloud abbozzò un sorriso decisamente provocatorio.

“E’ così. Io non voglio fare nulla per lui. Perché dovrei? Tu farai lo stesso.” Detto questo si alzò.

“Perché…perché ti comporti così? Non è giusto…” disse, persa, incapace di comprendere tutto quell’odio.

Osservò Cloud mentre andava via come se nulla fosse. Si chiedeva come facesse ad avere simili atteggiamenti.

“Aerith…” le si rivolse all’improvviso.

Lei ne rimase sorpresa, ma le parole che proferì le fecero male.

“Ti passerà il capriccio. Ora devo andare…”

Aerith abbassò lo sguardo senza saper cosa rispondere. Serrò i pugni con forza.
Tifa, che aveva assistito silenziosa alla scena, si avvicinò a Cloud.

“Non ti sembra di esagerare?”

Cloud non le rispose e andò via chiudendo la porta dietro di sé.
A quel punto la bruna si avvicinò alla giovane amica. Non sapeva bene cosa dire, ma non poteva lasciarla in quello stato.

“Cloud è solo preoccupato per te, lo sai.” Le disse.

Aerith alzò gli occhi e le sorrise debolmente.

“Grazie, Tifa. Ciò non lo giustifica, però.”

A quelle parole Tifa si fece perplessa. Non riusciva proprio a comprendere le emozioni dell’amica, eppure non poteva darle torto.

“Non è facile perdonare e lui…non so se lo merita, Aerith. Tu saresti morta e Cloud vuole solo che abbia ciò che merita! Non merita la tua pietà e soprattutto…”

Si bloccò non appena sentì un tonfo al cuore per via delle forti emozioni. Anche lei odiava Sephiroth. Come non poteva?
Le aveva ucciso il padre. Gli aveva trafitto lo stomaco e l’aveva lasciato morire dissanguato. Perché?
Senza motivo.

Gli occhi della bruna si inumidirono, ma cercò di trattenersi. Aerith se ne accorse, ma non disse nulla.

“La pensi come Cloud, vero?”

“Stai solo attenta, okay?” le disse Tifa tagliando corto.

Aerith non seppe cosa dire, si limitò ad annuire. La bruna le sorrise per poi avvicinarsi alla porta. Non voleva andare via, ma Cloud l’attendeva per accompagnarla a casa. Tentennò prima di aprire la porta.

“Ae’ io…”

“Ciao, ci sentiamo.” le disse Aerith sforzandosi di mostrarle un sorriso. “Non ti preoccupare.”

Non appena la porta si chiuse, la ragazza sospirò sprofondando nel silenzio più assoluto.

Non è di Sephiroth che hanno paura… è di me.
Sanno che potrei commettere sciocchezze, che potrei farmi del male…che potrei, potrei, potrei…
Se mi chiudessi in una vetrina sarebbero tutti più felici.

Si sedette sul divano.

Sì. Sarebbero più felici…

Si sentiva sola. Sola perché incompresa. Sola perché nessuno capiva Sephiroth. Sola perché era un ancient. Nessuno si sforzava di non farglielo notare. Nemmeno i suoi due migliori amici.


[…]




Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 03. I don't want to lose ***








BREATH






CAPITOLO 3




Solo dopo essere stato bruscamente svegliato dai raggi del sole, Sephiroth si accorse che era giorno. Si trovava rannicchiato su un vecchio materasso, circondato di secchi e scope vecchie. Portò una mano vicino gli occhi. Era ancora terribilmente stordito ed assonnato.

“Hello!”

“Ma cosa..?”

Una voce femminile e così stridente da essere fastidiosa lo fece scattare. Aprì gli occhi e vide Aerith intenta a spalancare tutte le finestre del negozio di fiori. Lui si alzò non scostando gli occhi da quell’esile figura. Era pronto a cacciarla via, ma qualcosa lo trattene.

“Cosa vuoi?” le disse seccatamene.

In tutta risposta, la giovane ancient gli regalò un sorriso così gioioso da farlo inorridire.

“Stasera non riuscivo a prendere sonno così ho riflettuto. Ora so come posso aiutarti!” annuì soddisfatta. “Facendoti lavorare un po’! Che ne pensi?”

Sephiroth la guardò parecchio perplesso.

“Cosa ti serve?” disse, convinto che lei lo volesse sfruttare per qualche commissione. Aerith gli si avvicinò velocemente e scosse la testa.

“Non mi serve nulla! Solo che ho deciso che lavorerai con me qui al negozio di fiori!”

L’uomo si guardò attorno.

“Qui? Ho capito bene?”

Lei annuì.

“Io dovrei lavorare in un negozio di fiori?”

Aerith annuì nuovamente. “Sì, esatto.”

Nell’udire quelle parole, Sephiroth si lasciò andare ad una sentita risata. Aerith si risentì e portò le mani sui fianchi mostrandosi più determinata.

“Cosa c’è da ridere?” gli chiese.

Lui le rivolse i suoi occhi sprezzanti.

“Puoi scordartelo.”

La ragazza sgranò gli occhi. Si allontanò da lui e prese da terra un secchio che poi andò a posizionare ai piedi di Sephiroth.

“Non te lo sto chiedendo. Te lo sto dicendo: Tu lavorerai qui! So che per il momento non sei stato trattato al il meglio e…”

“Oh, sì.” Rispose, interrompendola. “Legato in casa mia e ogni volta un imbecille diverso a controllarmi…davvero un trattamento singolare. Cosa dovrei? Ringraziare?”

“Se fai il bravo le cose cambieranno! Ora vieni, aiutami a travasare queste piante…”

L’ancient si allontanò da lui per recuperare piccoli utensili da giardinaggio, ma in poco tempo si accorse che Sephiroth era ancora lì, immobile.

Sospirò pazientemente. Sapeva che era quasi del tutto impossibile riuscire a suscitare una reazione in lui. Era sempre stato solo ed aveva imparato a badare a sé stesso senza mai dar conto a nessuno.
Che speranze aveva lei di far breccia nel suo cuore?
Forse nessuna. E dunque cosa fare? Lasciare perdere?
No. Era improponibile.

Si avvicinò a lui sorridente e gli mise tra le mani degli oggetti.

“Ecco qua. Ora ti faccio vedere come si fa.”

Le mostrò un sorriso sprezzante.
Gettò a terra gli utensili, per poi abbandonarsi sul materasso distendendosi in piena tranquillità.
Guardò Aerith, aspettando la sua reazione che non tardò a venire.

“Dovrai pur far qualcosa, no? Allora aiutami!”

Sephiroth portò le mani dietro la nuca sospirando pazientemente.

“Dovrai pagarmi.”

“Farò del mio meglio.”

Quella risposta lo divertì, tant’è che cercò nuovamente gli occhi della ragazza. Era così fastidiosa e terribilmente insistente. Tuttavia vederla così determinata a non mollare gli portò un’emozione per lui difficile da descrivere. Una qualcosa simile alla curiosità, forse.

“Non sai proprio con chi hai a che fare, giusto?” le disse, pungente.

“Hai ragione, forse non so con chi ho a che fare.” Gli disse mentre gli si avvicinava e prendeva posto accanto a lui. Quel gesto lasciò Sephiroth senza parole, ma non lo diede a vedere. Si limitò ad osservarla mentre lei portava il viso di fronte al suo. Poggiò la piccola mano sul petto di lui e si sporse appena. La lunga treccia cadde vicino il viso dell’uomo, ma Aerith non pensò a scostarla.

“…e dunque? Sei sola, potrei anche ucciderti e scappare.”

Lei continuò ad avvicinarsi al suo viso e Sephiroth la lasciò fare non provando alcuna emozione, se non la curiosità di sapere fin dove si sarebbe spinta.

“Proviamo.” Gli sorrise. “Penso che non ci sia nulla di male.”

“Ti ucciderò se mi chiederai di nuovo di lavorare per te.”

Quelle parole non la spaventarono. Questo fece adirare Sephiroth che continuava a guardare Aerith con un sorriso beffardo.

“Sono sicura che il comandante Sephiroth saprà infilare un po’ di terra in un vaso.” Gli rispose un po’ provocante.

A quel punto Aerith si alzò e uscì dalla stanza. Cominciò a rassettare il posto e a sistemare i fiori.

Sephiroth si alzò e la guardò mentre si accasciava per sistemare.

Quella donna…che voleva?

Lei rappresentava un mondo completamente sconosciuto per lui. Tutto ciò che non riusciva ad immaginare.

Vedeva in lei un’insopportabile caparbietà e convinzione di poter fare tutto. Era convinta che lo avrebbe cambiato? Che lo avrebbe reso diverso? Che lo avrebbe compreso?

Lei continuava a poggiare i fiori sulle varie mensole e a travasare piante senza guardare nemmeno un attimo Sephiroth.
Lentamente la vide sporcarsi e graffiarsi quelle mani dall’apparenza così fragile e delicata.

Spesso si era anche punta, ma non si era fermata un istante.

Le si avvicinò e le sfilò da mano un vaso particolarmente pesante per lei.

“Me la pagherai per questo.” Le disse infastidito mentre poggiava il vaso a terra.

Aerith non poté che esserne felice nonostante l’occhiataccia di Sephiroth.


[…]


Osservò distrattamente l’orologio. Indicava le dieci di sera.

Facendo un veloce calcolo, Sephiroth constatò che si trovava lì, di fronte alla finestra, da un paio d’ore. Forse di più. Le aveva passate in silenzio, senza pensare o fare a nulla.
Alzando gli occhi verso il cielo stellato, si rammaricò di non provare nulla. Nessuna emozione.

Solo nella sua mente, all’improvviso, echeggiarono dei ricordi diversi dai soliti.

Non ricordava né a quanto risalissero e neppure se questi fossero ricordi veri e propri. Ma lei era li. La madre.

No…non era Jenova…
La donna che vide era diversa da lei.

Lei non era La Madre.

Eppure trovò così strano pensare a quella donna di cui non conosceva né nome né volto. Si chiese nuovamente se fosse un vero ricordo…
Era troppo nitido per essere un sogno, ma troppo perfetto per essere vero.

Cos’era, dunque?

Preferì non chiederselo ulteriormente e si lasciò cullare da quei ricordi a tratti persino piacevoli.

Vedeva quella figura femminile parlargli, dire delle parole, ma per Sephiroth era a dir poco impossibile sperare di intuirne il significato. Un’insolita nota di malinconia si disegnò sul volto e quasi gli parve di provare ansia, angoscia.

Gli sembrava molto stanca. Forse…di lì a poco sarebbe morta.
Questo non influì per niente sul ricordo che aveva. Le sembrava comunque bella. Più che bella, era bellissima. Stanca, sorridente, nervosa…ma sempre bella.

Era così esile, eppure stretto a lei quasi gli pareva di essere immune a qualsiasi cosa.

Ah…

Guardò le mani e vide che erano piene di sangue. Non ricordava nemmeno quando e perchè avesse cominciato a stringersi le mani fino a graffiarle.
In ogni caso non se ne curò, la ferita non era grave, e se non era mortale non era nulla di rilevante per lui.

Tornò alla finestra e trovò di fronte a lui di nuovo quella piccola, preziosa ancient.

Il negozio di fiori era di fronte casa di Aerith e da lì la poteva vedere perfettamente.
La vide salutare una donna anziana con un lungo abito verde, mangiare e poi correre per i piani seriori.
L’osservò infastidito, avvertendo in quella casa una sensazione di calore e sicurezza che lui non aveva mai avuto modo di sperimentare.

Una tranquillità quasi fastidiosa. Una sensazione sgradevole che non ci teneva a conoscere.
Erano come una droga, l’uomo non ne poteva fare a meno.
Sephiroth preferiva di gran lunga tenersi lontano da tutto ciò che regnava in quella dimora.

Aerith sciolse delicatamente i capelli e li lasciò ondeggiare lungo il suo corpo. Sospirò, poi con lentezza sfilò il lungo abito rosa fino a levarlo via completamente, lasciando il suo corpo nudo.
Era molto esile ed aveva delle gambe davvero sottili. Il suo seno era ben formato, e anch’esso aveva l’apparenza così soffice e delicata. Tutto di lei era così fragile da sembrare che potesse rompersi da un momento all’altro. Aprì la doccia e vide il suo corpo mentre si bagnava e i capelli divenire un’unica folta chioma.

Era molto elegante sotto quell’acqua che le impediva persino di aprire gli occhi. Gli sembrava quasi impegnata in una strana danza o qualcosa del genere. Eppure lei era impeccabile.

Si perse più volte lungo il suo corpo chiedendosi come un essere tanto fragile fosse riuscito ad avere un’influenza simile su di lui.

Forse perché era un ancient?

No…gli sembrava un po’ inverosimile.

Era il suo carattere ad essere così terribilmente irresistibile. Terribile, pungente, irriverente…ma irresistibile.

Socchiuse per pochi attimi gli occhi e quando li riaprì vide che lei era già uscita dalla doccia e pronta a coprirsi con una leggera vestaglia.
Ancora completamente bagnata, prese a tamponare i lunghi capelli fino a lasciarli appena inumiditi.
A poco a poco, con il phon li asciugò completamente.

Non aveva mai immaginato che Aerith avesse i capelli così lunghi, folti e mossi. Credeva fosse diversa, non sapeva nemmeno come, ma vederla più al naturale lo lasciò stranito.
Forse era solo più abituato a figurarsela con quella lunga e stretta treccia. Oppure, semplicemente, non ci aveva mai pensato.

Quell’immagine di lei in vestaglia lo ammaliò.

Aerith era molto attenta per quanto riguardava la cura estetica, e si perse nei suoi gesti, mentre la vedeva aggiustarsi pazientemente ogni singola ciocca di capelli.

A quel punto, Sephiroth si sentì leggermente a disagio.
Solo allora si accorse che non era molto abituato alle donne. Uno come lui non ne aveva conosciute molte. Forse, in generale, non aveva mai conosciuto nessuno.

Rimase immobile e, a differenza di quanto si potesse credere, non gli venne per niente in mente l’idea di allontanarsi e distogliere lo sguardo.
Al contrario.

Dentro di lui si ritrovò a pensare che, probabilmente, non avrebbe dovuto stare lì a guardarla, eppure non scostò gli occhi nemmeno per un istante.

Invece, per tutto il tempo in cui lei si vestiva e si preparava per andare a letto, non aveva sbattuto ciglio.

Era…semplicemente rapito quando vedeva Aeris.
Quando la vedeva ridere, mentre si arrabbiava, mentre si vestiva…

Era convinto che sarebbe stato capace di guardarla per ore…

Non seppe dare un nome a ciò che provava.
Provava un terribile fastidio quando la guardava, ma ne era attratto.

In realtà Sephiroth non era mai stato in grado di provare sentimenti per una persona.
Per lui era sempre esistito solo l’odio e il lavoro. Ora cosa accadeva?
Sentiva odio e repulsione per ciò che stava provando in quel momento.

Il suo cuore cominciò a battere inspiegabilmente più forte, ma non si scostò dalla finestra finché lei non si mise a letto e chiuse tutte le luci.

Perché proprio lei, un essere così fragile, dov’esse confondergli a tal punto la mente?
Odiava, odiava quella piccola e preziosa principessa.

Avrebbe preferito di gran lunga che lo avessero lasciato morire.


[…]


Il mattino seguente era decisamente più fresco e ventoso degli ultimi giorni dove invece aveva regnato l’afa e l’umidità.
Ancora una volta Aerith si svegliò di buon ora per dirigersi al negozio. Una volta pronta, scese velocemente sperando di essere più fortunata con Sephiroth.

Non pretendeva di avere risultati immediati da lui, ma sapeva che la costanza e la perseveranza l’avrebbero aiutata.
Lentamente sarebbe riuscita a smuovere qualcosa in lui. Non mise in dubbio nemmeno per un secondo le sue chance di riuscita.
Aerith era cocciuta ed era terribilmente sicura di sé.

Si fermò un attimo davanti al locale. Qualcosa la fece tentennare. Cos’era?
Non le ci volle molto a trovare la risposta negli occhi di Sephiroth.
Quegli occhi così gelidi e pungenti la intimorivano. Si chiedeva come facesse ad avere quegli occhi sempre pronti a trafiggere.
Lui era un tipo di poche parole, eppure con uno sguardo era capace di dire tutto.
Cosa ci leggeva in quello sguardo? Preferiva non pensarci.

Sospirò cercando di trovare dentro di sé la forza e la determinazione di andare avanti. Non voleva mollare con lui per uno sguardo o Cloud avrebbe avuto ragione. Il suo non era un capriccio o una presunzione. Lei aveva il dovere di far qualcosa per lui.

Aprì appena la porta e chiamò il nome di Sephiroth.

Prevedibilmente non rispose nessuno al che Aerith si inoltrò dentro.

“Dove sei?”

Cercò con gli occhi più volte quando lo vide sbucare dalla penombra come un grosso predatore.
Lui la fissò ancora una volta con quello sguardo aggressivo e non disse nulla.
Aerith gli si avvicinò e gli portò davanti agli occhi una scatola bianca.

“Ecco a te!”

Sephiroth guardò la scatola perplesso, poi si rivolse sgarbatamente alla giovane.

“Che roba è?”

“Ieri eri pieno di ferite! Ti dovrò curare!” rise per pochi attimi. “Tu hai bisogno di una donna che ti faccia questo.”  Aggiunse, sorridendo.

A quelle parole lui abbozzò un ghigno.

“Donna? Poco m’importa di una donna cosa senta il bisogno di fare.”

Aerith lo guardò con disapprovo, ma si sforzò di essere ironica.

“Anche tu un maschilista? Tanto puoi dire quello che vuoi, lo sai che è vero ciò che dico!”

L’uomo dai lunghi capelli argentei si allontanò da lei e guardò distrattamente l’ambiente circostante.

“Non penso tu voglia davvero sapere la mia opinione sulle donne…”

A differenza di quanto immaginasse, Aerith rise nel sentirlo parlare così. Quando vide Sephiroth curioso della sua reazione, cercò di calmarsi.

“Eh, eh..! Mi sembra la tipica risposta di chi nasconde qualcosa!”

Sephiroth non mostrò il minimo interesse nel voler interloquire con Aerith, che si sentì un po’ sciocca.
Cercare un dialogo umano con Sephiroth era decisamente difficile.
La ragazza pensò che forse non era ancora il momento giusto. Era importante fare un passo alla volta, con uno come lui.

Scosse la testa e prese in mano gli attrezzi da giardinaggio.

“Oggi ti va di collaborare?” gli disse cercando di smuoverlo.

Ancora una volta fu capace di sorprenderlo con quello sguardo. Le sorrise malignamente e le si rivolse sprezzante.

“No. Non ho intenzione di farmi trattare come un cagnolino da te.”

“Cane? No…che dici?” non fece nemmeno in tempo a parlare che vide Sephiroth avvicinarsi alla porta d’ingresso del locale.
Lo guardò sorpresa, ma quando si accorse che aveva intenzione di aprirla sobbalzò e gli corse dietro. “Ehi! Dove vai?”

Lui non si degnò di girarsi ed aprì. Aerith lo bloccò per un braccio, ma lui tempestivamente si divincolò da quella presa sferrando un colpo alla giovane ancient che cadde a terra. Inavvertitamente andò a sbattere con la testa e perse i sensi.

Sephiroth inarcò le sopracciglia nel vederla lì, stesa atterra, battuta da un colpo tanto banale.
Si chiese se avesse usato troppa forza, ma non se ne curò.
Tanto meglio così.

“Sciocca. Non hai ancora capito con chi hai a che fare.”

La luce che era entrata violentemente nel locale si dissolse tempestivamente quando Sephiroth chiuse la porta per inoltrarsi per le strade di Edge.


[…]


Acqua…


C’è molta acqua qui…


Acqua…


Decisamente terribile!


Bastava essere appena nelle vicinanze di Forgotten city per rendersi conto che quel luogo fosse completamente diverso da qualunque altro presente sulla terra.

Osservò a lungo le macerie illuminate da un sole così caldo che pareva potesse incenerirle.
Erano strutture secolari, ma ancora perfettamente bianche. Così bianche che parevano sbiancare sempre più. Il tempo non aveva potere su quella città.

Ad essere sovrano assoluto, lì, era il silenzio. L’unico a regnare incontrastato in quella distesa infinita.

A rompere quella magia erano solo i passi delle poche persone che avevano attraversato quel piccolo mondo. Quasi sembrava che Forgotten city li ricordasse tutti, tanti pochi che erano.

Un’atmosfera decisamente inquietante. Così terribile da far venire voglia di tornare indietro.

Il bianco non aveva mai fatto così paura.

Cos’era accaduto li?

Forgotten city era la terra dei Cetra. L’antico popolo in grado di ascoltare la voce del pianeta: il flusso vitale, conosciuto anche come Lifestream.

Non aveva l’aria di essere stato un luogo un tempo abitato.
A dimostrare che un tempo vi era la civiltà erano solo una manciata di case dalla struttura architettonica decisamente inusuale. Piccole cupole bianche ora ridotte a mucchi di macerie poco vivibili.

Quale disgrazia aveva colpito i Cetra?

Si erano estinti.

Non era rimasto nemmeno uno di loro.

Tranne Aerith.

Lei abbassò lo sguardo inquieta, mai come allora sentiva il flusso vitale parlarle a tal voce. Era così alta che più volte ebbe la tentazione di tapparsi le orecchie.
A cosa sarebbe servito?
Non poteva fermare il lifestream. Non sarebbe mai sparito con le sue preghiere.

Non l’avrebbe mai lasciata in pace. Mai. Perché lei era una Cetra. L’unica Cetra alla quale potesse rivolgersi.

Qualcuno le avrebbe potuto chiedere: il Lifestream parla? Se sì, cosa dice?

No, il lifestream non concepiva il linguaggio come gli esseri umani. Era un linguaggio diverso e assolutamente impossibile da spiegare.
Erano molteplici emozioni che inondavano la mente della giovane e grazie ai quali riusciva a comprendere il suo volere.

Volere? Quale volere…?

Aerith alzò gli occhi senza badare troppo a quel sole accecante.
Proseguì per quella strada pallida e polverosa per ore…fino all’arrivo nel tempio degli antichi. Le era stato sufficiente ascoltare il pianeta per riuscire a entrarvi.

Era decisamente spettacolare.

Una struttura mai vista prima e in grado di incantare gli occhi di chiunque l’avesse vista.

Dentro il tempio fluttuavano cime di castelli dalla forma astratta ma perfettamente simmetrica. Come potevano mai riuscire a fluttuare? Il potere dei Cetra era persistito in quel posto? Era ancora vivo?

Le fece quasi paura e le mancò l’aria. Quasi si chiese se fosse possibile proseguire senza respirare. Non ce la faceva più ad avvertire una tale sensazione.

Continuò a scendere la lunga scalinata di cristallo non scostando gli occhi dall’ambiente circostante. I suoi occhi vennero attratti dal piccolo altare lì presente.


Il lifestream…


Continuò a scendere i gradini finché non arrivò a toccare a terra.


Il tempo…le persone che amo…


Ancora acqua. Molta. Terribilmente fastidiosa. Era davvero acqua? E perché le dava una sensazione tanto fastidiosa? Forse perché era l’ultima Cetra sopravvissuta?

Non esistevano altre persone come lei. Era sola e mai nessuno l’avrebbe capita. Mai nessuno avrebbe saputo cosa provava. Nessuno sapeva cosa significasse essere un antico. Essere sopravvissuta.

Perchè non dire addio ora, dunque? Abbandonarsi e trovare riposo?
Riposo per cosa…stanca perchè?

Il lifestream continuò a chiamarla a gran voce.

Aerith scosse la testa cercando di cacciar via tutti quei pensieri. Ma non si poteva scacciare via con tanta semplicità la voce del lifestream.

Non mi va…

“Non mi va! Io non voglio!”

Io sono felice, così…

Alzò gli occhi con rabbia e li rivolse ad un ipotetico interlocutore.

“Dimmi che andrà tutto bene!”

Il Lifestream non fermò il suo lungo e tormentato canto. Nemmeno un attimo. Anzi, quasi le parve che stesse aumentando di secondo in secondo.

“Sei egoista…”



Io so che sei già qui…potrei scappare via, lontano da te.
Sai che lo potrei fare. E allora tu avresti il mondo in pugno.


Ma io non lo farò!


Perché non mi hanno mai insegnato ad essere egoista come te e come il pianeta.
Non lo so fare…non ne sono proprio capace.


Chissà, forse non mi interessa nemmeno ciò che sta accadendo e ciò che forse accadrà.
Ma ora cosa importa chiederselo?


…E tu, invece? Cosa mi chiedi di fare così insistentemente?
Tanto sai bene che sarebbe sufficiente solo una misera richiesta e subito sarei ai tuoi piedi.
Non sono capace di pensare a me stessa. Pochi mi conoscono per come sono davvero.


E’ inutile che continui ad assillarmi. Non urlare, non ce n’è bisogno!
Non abbandonerei una singola richiesta di aiuto.


Fosse il lifestream, un essere umano…come potrei abbandonarlo? Io che posso aiutarlo.


Io che posso come potrei?
Io che posso volare più in altro degli altri.



“Sei qui…vero?”



Lo so che sei qui.

Ma non scapperò.

Non lo farò.

Sai che lo potrei fare e allora avresti il mondo in pugno.

Sai anche che non lo farò mai.

Sarebbe un peccato imperdonabile.



“Sai quanto mi costerà tutto questo?”



Tu lo sai…ma non potrai mai immaginarlo. Ebbene, te lo dirò io…



“Mi costerà davvero molto…”


Però io ti perdono. Hai commesso un terribile peccato. Io ti perdono. Anche se nessuno potrà farlo.

Chiederò scusa per te…


[…]


La testa le sembrò così leggera e allo stesso tempo pesante. Un lieve dolore le pervase il corpo tant’è che non riuscì ad alzarsi immediatamente.
Rimase stesa sul pavimento, immobile, per una manciata di secondi poi fece un altro tentativo per rialzarsi.
Una spinta veloce e si trovò a scrutare il negozio seduta a terra.

Che mal di testa..!

Portò una mano sulla fronte e socchiuse gli occhi.

“…sono svenuta?” si chiese, sorpresa.

Si sistemò meglio e solo dopo aver notato la porta aperta ed un insolito silenzio ricordò di lui.

“Sephiroth!?” Urlò, sperando di vederlo da qualche parte.

Oddio…cos’ho combinato?

Subito si avventò sulla porta d’ingresso sperando di riuscire a trovarlo il prima possibile.

Un sudore freddo cominciò a pervadere tutto il suo corpo.

Aerith cominciò a correre per le vie di Edge con una velocità a cui non era per niente abituata.
Cercò nella grande piazza, scrutò i vicoli, percorse anche quelle strade che era consona evitare durante la giornata, ma non lo trovò.

Pensava sarebbe stato semplice trovarlo dato che Sephiroth era un soggetto facilmente identificabile, ma fu costretta a disilludersi.

Aveva paura.

No.

Non perché non trovasse Sephiroth.
Non perché lui avrebbe potuto combinare chissà cosa.
Aveva paura se ripensava a Cloud.

Quella sera era stato capace di smuovere in lei il desiderio di saper farsi valere e di saper ottenere ciò che desiderava.
In tal caso, di aiutare Sephiroth e non dargli un motivo per suicidarsi.

Cloud non aveva compreso il suo volere.
Parte di lei voleva credere che sapesse benissimo cosa lei provava, ma che voleva solo proteggerla.
D’altro canto non poteva fare a meno di sentirsi terribilmente inutile e sottovalutata da tutti.

Voleva dimostrare il contrario. Voleva dimostrare di avere forza. Una forza non necessariamente valutabile con la forza fisica e i muscoli.

Però ora Sephiroth era scappato.
Era riuscito a sbarazzarsi di lei con una semplice spinta.

Provò rabbia quando cominciò a valutare dentro di lei la possibilità di non ritrovarlo.
Anche se lo avesse ritrovato, cosa avrebbe mai potuto fare per spingerlo di nuovo a tornare al negozio di fiori?

Comunque sarebbero andate le cose, dunque, avrebbe dovuto chiedere aiuto a Cloud.

Cloud l’avrebbe senz’altro guardata con rimprovero e si sarebbe divertito nel vederla mortificata.

Avrebbe pensato dentro di lui di avere ragione e che Aerith aveva avuto solo un capriccio.

Continuò a correre per le strade importandosi poco del tempo che passava o della stanchezza che cominciava, inesorabilmente, a farsi sentire.

Finché aveva forza in corpo, voleva cercare Sephiroth.

Passò una buona mezz’ora prima che lei si fermasse e desse al suo corpo poco allenato un po’ di riposo.

Delusa, alzò gli occhi al cielo.
Era tramonto.

“Di già..?” disse fra sé con l’affanno.

Per essere già così tardi, pensò che doveva aver dormito molto quando era sbattuta a terra.

Abbassò il capo e sospirò. Capì che la corsa era finita.

Come avrebbe mai potuto cercare Sephiroth? Come poteva sperare di trovarlo?

Non si sarebbe fatto trovare tanto facilmente e comunque aveva avuto molto tempo per fuggire chissà dove.

Aspettò che il suo respiro tornasse regolare così come il suo cuore, che ora batteva più forte per l’ansia di ciò che le sarebbe capitato poi.

Si era lasciata sfuggire Sephiroth e la cosa peggiore era che, probabilmente, gli altri già lo sapessero.

Ricordò Vincent che aveva atteso con attenzione che lei tornasse a casa.

Sapeva che tutti si prendevano cura di lei.

Probabile anche che la spiassero. Tutti quei pensieri e supposizioni le portarono gran rabbia.
Decise di non pensarci e a passo svelto imboccò la strada di casa.

A sua grande sorpresa le ci volle molto tempo per tornare nel suo quartiere. Doveva essersi allontanata davvero molto.
Vide i lampioni pian piano illuminarsi e la notte arrivare violentemente sostituendosi ai forti raggi di sole.

Appena arrivò in una via più buia ed isolata dalle altre, si rese conto di essere finalmente a casa.
Riconobbe tra le varie abitazioni quella dove era situato il suo negozio.
Si avvicinò ad esso e solo dopo averlo guardato più volte distinse la figura di un uomo dal lungo cappotto nero.

Prima non vi fece troppo caso, ma più lo guardava più si rese conto, incredula, di non sbagliarsi.

Lui era poggiato sul muro e l’osservava impassibile. I suoi occhi erano freddi e trasmettevano odio e frustrazione. Erano così luminosi da sembrare irreali. Un colore vitreo, decisamente pallido e spettrale.

Aerith si fermò di fronte a lui, sbalordita di trovarlo lì.

“Sephiroth..?”

Lui le sorrise malignamente e la guardò penetrante, poi si inoltrò nel locale lasciando la giovane Cetra senza parole.


[…]


Era pomeriggio e come promesso Tifa aveva portato la piccola Marlene a fare un giro per la città.
La sera faceva troppo freddo e non era possibile ammirare Edge in pieno. Per di più era pericoloso.

“Guarda cos’ho portato!” La bruna gli mostrò un pallone.

“No, non mi va di giocare!” protestò la ragazzina. “Facciamo qualche altra mossa!”

Tifa le sorrise.

”Dai, cara. Un gioco un po’ più distensivo si addice di più ad una signorina. Almeno papà starà più tranquillo!”

“Tranquillo? Papà vuole che io faccia esperienza…e comunque non voglio giocare a pallone! Voglio allenarmi con te!”

Tifa in tutta risposta le allungò il pallone, che Marlene prese, sbuffando. Continuò a fare i capricci ancora per un po’ prima di lanciarlo a Tifa.
Il tempo che la bruna lo afferrasse e subito si accorse che la ragazzina era sparita.

“Eh? Marlene..?”

Avvertì un colpo dietro la caviglia e poco ci mancò che perdesse l’equilibrio. Guardò dietro di sé e vide la bruna ragazzina ridere soddisfatta.

“Sono stata brava?” chiese contenta.

“Oh, certo…forse troppo, non me l’aspettavo! Ma vediamo se riesci a evitare anche l’attacco delle pizzicate!”

Marlene cominciò a scappare ridendo e col cuore a mille. Tifa la prese e cominciò a riempirla di pizzichi e baci.
Rimasero molto tempo, a divertirsi con battibecchi senza senso e ad inventarsi giochi con il pallone.

Erano circa le otto di sera quando la portò ad un chiosco e le offrì un gelato.

“Ecco a te il gelato! Menta e cocco per te…” le allungò il cono e prese posto accanto a lei in una panchina lì vicino. “…cioccolato e panna per me.”

“Mi diverto a stare con te.” le disse Marlene onestamente.

Tifa la guardò intenerita. Le accarezzò i capelli e vide che era completamente bagnata.

“Caspita! Sei tutta sudata. Dopo corriamo a casa a fare una doccia.”

“Mi scoccio!” sbottò.

Tifa annuì contrariata. “E poi che fai se puzzi..? A casa ho tanti saponi colorati, dai!”

Finirono molto velocemente di consumare il loro pasto.

La bruna guardò la piccola mentre beveva da una fontana. Era davvero bella.
E non solo perchè stava crescendo, era splendida di suo.
Quando ci pensava, le sembrava ancora così assurdo che quella bambina stesse diventando così grande sotto i suoi occhi.

Per di più aveva preso a modello sia lei, Tifa, che Aerith.
La cosa che le sembrava più assurda ed incredibile era che in Marlene riusciva a vedere sia sé stessa che l’amica.

Aveva la finezza di Aerith.

Era molto femminile anche se aveva solo sei anni. Era evidente che avesse molto in considerazione la bionda fioraia.
Infatti indossava sempre abiti colorati ed i capelli erano perfettamente curati e luminosi. Il tutto coordinato con scarpe e accessori.
Sì, sotto questo punto di vista, le somigliava molto.

Di lei, invece, aveva il carattere.
La sua determinazione e voglia di farsi valere sul mondo.

Sorrise della cosa, poi si allontanò per dirigesi al Seventh Heaven con lei.

Arrivarono all’incirca dopo un quarto d’ora e subito prepararono il bagno.

“Tifa? Cloud ci raggiungerà al bar?”  chiese Marlene mentre Tifa sistemava meglio l’asciugamano attorno a sé.  Le sorrise dolcemente mentre prendeva il phon per asciugare i lunghi capelli scuri.

Marlene l’osservò a lungo. La vedeva palesemente come una sorella maggiore e questo portò molta tenerezza nel cuore di Tifa.

“Cloud dovrebbe venire a minuti, Marlene.”

“Ma tu non sei ancora pronta…”

“Non ti preoccupare. Non ci vorrà molto.”

Lo sguardo di Marlene si fece improvvisamente cupo. Non appena la bruna se ne accorse, spense l’asciugacapelli per sedersi accanto a lei. Poggiò una mano sulla sua spalla e la strinse a sé.

“Cos’hai?”

Marlene ricambiò quel gesto e l’abbracciò con forza.

“Cloud non c’è spesso al bar…va tutto bene?”

Tifa le sorrise di nuovo, sperando di rincuorarla.

“Ma certo che va tutto bene. Cloud…ha solo bisogno di qualche altra strigliata.”

“…e come farai?”

“Non ne ho idea, ma vedrai che un giorno sarà lui a dire che non può fare più a meno di noi!”

Quelle parole rassicurarono Marlene che si scostò da Tifa per mostrarle un ampio sorriso. La bambina si allontanò e, prima di solcare la porta, le si rivolse.

“Io vado in camera mia! Quando viene Cloud chiamami!”

Tifa la guardò a lungo e solo dopo riprese in mano il phon per continuare a prepararsi.

Voleva davvero molto bene a Marlene. Per la bambina era lo stesso.

Tante volte avrebbe preferito fuggire da quel mondo che le portava tante responsabilità.

Semplicemente, avrebbe voluto regalarsi una vacanza. Lontana da Edge, lontana dal suo lavoro, lontana dallo smog, lontana da tutto quello ciò che non le permettesse di riposarsi e pensare un po’ a sé stessa.

Era da tanto, almeno tre anni, che non si muoveva dalla sua città. Eppure quando vedeva gli occhi ridenti di Marlene e Denzel era convinta di farcela. Sapeva che prima o poi anche Cloud avrebbe fatto parte della sua vita. Aveva bisogno di tempo e lei gli avrebbe concesso la sua intera esistenza. Per lui si sarebbe annullata e gli avrebbe regalato ancora tanti anni di inerzia se lui glielo avesse chiesto. Per lei Cloud era davvero tutto.

Marlene e Denzel invece la ricaricavano.

Quando li vedeva si illuminava. Aveva un’adorazione per quei due bambini. Quando poteva cercava sempre di farli divertire al bar e di stare con loro. Se solo anche Cloud si accorgesse di quanto erano speciali…

Passò circa un’ora e Cloud non si era ancora fatto vivo.

Tifa era seduta per terra vicino al balcone di camera sua. Guardava il cielo interrottamente, quasi spaventata, ma a tratti anche sedotta da quella luce opaca ed intensa.

Tifa che ti prende? Forza, va a dormire. Tanto è unitile che ciondoli per la casa.

Chiuse gli occhi e sperò di riaprirli l'indomani mattina.

Dovrà pur passare, no?

...e invece il tempo non passava. Non passava per nulla. Sentiva le lancette dell'orologio ticchettare così forte da farle venire la tentazione di levar via le pile.

Il cuore cominciò a battere insistentemente forte .
Si chiese ancora una volta perchè. Non riusciva a spiegarselo.
Perchè gli umani di colpo avvertono un istinto tanto difficile da placare?

Si alzò e cominciò a camminare per la stanza.

Non farti venire stronzate in testa!

Ripensò a Cloud ed ebbe più volte la tentazione di chiamarlo, ma riuscì a desistere.

D’improvviso una voce virile e profonda attrasse l’attenzione di Tifa.
Cloud era appena arrivato.
Lì, sulla sua bella moto nera.
Spense il motore e le raggiunse sul ciglio del bar.
Tifa si alzò e lo guardò sorpresa.
Corse per le scale e spalancò la porta di casa ritrovandoselo così di fronte.

“Sei arrivato..?” gli chiese, incredula.

Cloud l’osservò contrariato. La vide coperta appena da un asciugamano leggero.

“Rientra. Non mi va che ti fai vedere mezza nuda da tutto il quartiere.”

“…non sono mezza nuda! Non è colpa mia se per aspettarti mi sono dimenticata di prepararmi!”

Cloud l’osservò di nuovo. Il seno prosperoso e le lunghe gambe toniche erano coperti a stento e l’asciugamano sembrava così stretto addosso da sembrare che le potesse cadere di dosso da un momento all’altro.
Tifa sorrise notando nei suoi occhi la gelosia. Se mai qualcuno l’avesse vista, avrebbe fatto il pazzo.

Tifa sistemò meglio il panno attorno a sé e lo guardò sorridendo.

“Tra poco ceniamo. Rimani, vero?”

Cloud annuì e lei non poté che esserne felice. Salì le scale e proprio prima di sparire dalla visuale di Cloud gli si rivolse.

“Vai dai ragazzi. Ti hanno aspettato tanto…”

Cloud…quanto vorrei che fossimo una vera famiglia.

Era felice con Cloud, eppure qualcosa sconvolgeva quell’equilibrio che oramai Tifa cercava di mantenere a fatica.


[…]


Un saluto veloce a tutti quelli che mi stanno seguendo! Grazie mille! Purtroppo non ho tempo ora, ma vi prometto che al prossimo aggiornamento mi dedicherò completamente a voi che mi recensite e chi mi segue!
Chiedo scusa per l’aggiornamento così lento…ma come avrete capito, sono un po’ incasinata ultimamente!
A presto…spero di non deludervi con questo nuovo capitolo. Io amo questo pairing e ce la sto mettendo davvero tutta nel scrivere questa fanfiction SephAe.
Fiammah_Grace

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 04. How can I dress you? My little, precious doll. ***


Non aggiornavo da davvero molto! Voglio ringraziare tutti voi che mi recensite! Grazie mille! Il lavoro che sto svolgendo non è per niente facile. Non solo perché amo final fantasy e il capitolo vii in particolare, non solo perché adoro Sephiroth ed Aerith, non solo perché amo il pairing Sephirith…è proprio tutto questo insieme che mi porta ad essere molto attenta nel dare rispetto a tutto ciò che tratto poiché è un qualcosa che mi tocca molto, comprese le tematiche che comportano una trama con simili personaggi come protagonisti. E sono felice che voi tutti l’abbiate percepito e lo condividiate! Grazie mille!
Fiammah_Grace

[…]







BREATH






CAPITOLO 4





Aerith si chinò vicino Sephiroth e gli porse un piatto.

“Che cos’è?” chiese lui sospettoso.

La ragazza rise per una manciata di secondi per poi mostrargli due occhi così gioiosi e terribilmente irresistibili.

“E’ cibo! Non si vede?” tentennò pochi istanti. “…dovrai pur mangiare, non ti sembra?”

“Fa schifo. Sembra crudo.”

L’aspetto della pietanza non era male. Aveva persino delle decorazioni originali. Tuttavia il SOLDIER non aveva tutti i torti.
In realtà la bella cetra era una vera frana in cucina. La pietanza era a tratti cruda, a tratti bruciacchiata. Troppo pepe e poco sale. Eccessiva quantità di olio.
Tuttavia aveva un design originale. Solo per come si mostrava meritava un apprezzamento.

Sephiroth non mangiava da due giorni, dunque provò ad assaggiarlo. Aerith lo guardò curiosa mentre lui ingeriva il boccone e posava le posate.

“Puoi buttarlo.” Disse, infine.

Aerith guardò il cibo e sospirò.

“E’ davvero tanto terribile? Eppure mi ci sono applicata tanto…” Si alzò e fece per andare via. Cercò di non scoraggiarsi, infatti guardò Sephiroth con una determinazione che poco le si addiceva. “Ora torno a casa a prepararti qualcos’altro! Prima o poi uscirà qualcosa di commestibile.”

Nel vedere tanto ardore, Sephiroth rise. Scostò la lunga ciocca di capelli da viso ed alzò lo sguardo rivolgendolo alla giovane Cetra.

“Hai 10 guil?”

“Perché?”

L’uomo indicò con gli occhi l’uscita del negozio.

“Qui dietro c’è un posto dove posso comprarmi il pranzo.” Disse ritenendo molto più salutare il cibo di un fast food che le creazioni di Aerith.

“Ma non puoi comprare il cibo! No, no…chissà cosa utilizzano in quelle cucine! Meglio che ti cucini io.” Insistette lei. Nel sentirlo ridere si ritrovò per un attimo esitante, poi gli si rivolse. “Ti diverto tanto?”

Sephiroth annuì.

“Oh, non ne hai idea. Darti problemi è assolutamente il mio passatempo preferito, ultimamente.”

“Ma che carino!” disse lei con sarcasmo. “…ma perché ci tieni tanto a farmi mollare con te?”

Lui non rispose immediatamente, chinò il capo e rimase in silenzio per un po’. Quando Aerith provò a dire qualcosa, si alzò di colpo quasi come per azzittirla.

“Chissà fino a dove arrivi.” Le disse. “Non ti darò agevolazioni solo perché sei un Cetra.”

La giovane strinse le braccia attorno a sé e lasciò ondeggiare la lunga e sottile treccia. Gli sorrise debolmente.

“Cetra?”

Sephiroth la guardò intensamente per poi prendere a camminare per il negozio di fior. Pur girando attorno ad Aerith, non la guardò in viso nemmeno una volta.

“Già…perché un Certa?” continuò a camminare ed Aerith non allontanò mai gli occhi da Sephiroth. “Perché…un Cetra…” Il tono si fece decisamente cupo e la sua voce sembrava quasi congelare l’aria fino a renderla dolorosa da respirare. “Dovevamo essere noi i padroni di questo mondo.” Abbassò lo sguardo e serrò i pugni. “Nelle nostre mani…tutto.”

Continuava a fissare il vuoto, in maniera incessante. Aerith sussultò nel vederlo in quello stato. Avvertiva un’energia negativa albergare dentro di lui, un qualcosa di davvero difficile da assopire. Constatò che per Sephiroth bastava davvero poco per far riemergere la veemenza di un tempo.

Gli si avvicinò e fece per poggiare una mano sul suo braccio ma lui si ritrasse con un gesto violento.

“Non capisci, donna? Tu, il tuo potere…non senti che tutto questo sia ingiusto?” allargò le braccia mostrandole il suo stesso locale. “Un Cetra a gestire un mediocre negozio di fiori? Non è questo il trono adatto per i padroni del pianeta.” Le si avvicinò. “Non provi rabbia?”

“Perchè dovrei? Dammi una ragione per crederlo.”

“Hanno determinato la distruzione della nostra specie.”

La ragazza scosse la testa.

“…ma non possiamo condannare gli uomini per un qualcosa accaduto molto tempo fa.”

“Non capisci.” Sephiroth si allontanò. “Non che mi aspettassi il contrario.”

“Sephiroth…così sei tu a mettermi in una situazione difficile.”

Aerith sperava che lui cambiasse. Che qualcuno riuscisse a toccargli il cuore e a farlo redimere. Si rendeva sempre di più conto dell’impossibilità della cosa.

“Preferirei morire.”

“Lo so.” disse lei, purtroppo consapevole dei suoi sentimenti.

Da quanto tempo sto cercando di far qualcosa per lui? Possibile che non ci sia niente che possa fare?
Io voglio aiutarlo, ma come?

I suoi occhi sono così gelidi e la sua anima si è ormai persa…
Non c’è qualcosa che posso fare?

Io…

Aerith cominciò ad indietreggiare, aveva paura di quell’anima così contorta. Non poteva fare a meno di provar pena, ma si sentiva sempre più distante da lui. Sephiroth era caduto in un abisso costruito dalle sue stese mani. Gli sorrise debolmente e gli sussurrò delle parole prima di andar via quasi scappando.

“Io credo di aver paura di leggere il tuo cuore…per questo non posso aiutarti.”

[…]

Pomeriggio inoltrato.
Il cielo era di un colore scarlatto, come il sangue. Lo stesso che scorreva nelle sue vene.
Sephiroth era poggiato sul muro della chiesa e ripensava ancora alle parole della giovane Cetra.

“Io credo di aver paura di leggere il tuo cuore…per questo non posso aiutarti.”

Aiutare…
Qualcuno mi deve aiutare...e chi?

Leggere? Un cuore non è come un libro, non c’è scritto nulla.


…e non ho bisogno di aiuto.

Guardò per l’ennesima volta attorno a sé e avvertì un terribile senso di nausea. Un disgusto totale per ciò che vedeva, per quello che era diventato. Un pupazzo? Un animale innocuo? Cos’era?

Chi era quest’uomo chiamato Sephiroth?

Un tempo era il migliore.
L’uomo a cui tutti portavano rispetto. Il SOLDIER di prima classe. L’erede di Jenova. Il dominatore del mondo.

Ora cosa gli rimaneva?
Non era niente di tutto questo. Non aveva uno scopo, una vita, un’anima. Non era più niente, assolutamente niente.

Osservò un vaso e con rabbia lo scaraventò a terra. Subito si frantumò con un rumore assordante.
Con gli occhi ancora sgranati e impregnati d’odio, afferrò un coccio più grande degli altri. Lo guardò intensamente e lo strinse con la mano lasciando che questa si tagliasse. Il sangue cominciò a gocciolare per il pavimento e sui candidi fiori.

Continuò a scavare per la carne fino a non percepire più quel dolore in maniera così terribile.

Lo estrasse di colpo facendo fuoriuscire una quantità cospicua di sangue e toccò la punta. Era così appuntita da bucargli il dito con una piccola spinta.

Puntò il coccio contro al suo petto e cominciò a spingerlo forte verso di sé.

La vita, la morte, il tempo…
Di cosa ne se ne faceva? A cosa poteva mai servire la vita per l’angelo caduto. Meglio, molto meglio la morte.

Il suo cuore pulsava, pulsava forte. Riusciva ad avvertirlo. Alcune volte no, quel giorno invece era più vivo che mai.

Mentre sentiva il caldo sangue scorrere sul petto, si chiedeva dove sarebbe mai giunto…forse, però, non gli importava davvero. Era libero di andare dove voleva. La fine del re doveva essere quella di un prigioniero? Era questo ciò che desiderava?

Non era questo l’epilogo che tanto aveva agognato…

Che silenzio…

Forse era questo quello che intendeva lei.


Un rumore improvviso attirò l’attenzione di Sephiroth.
Era martellante. Incessante. Un continuo picchiettio lungo la porta d’ingresso. Gettò velocemente a terra il frammento di vaso e si nascose dietro un muro del negozio. Attese cercando di capire cosa diavolo stesse succedendo.

La porta si aprì violentemente ed entrarono sei ragazzi furtivamente. Li osservò attentamente chiedendosi il perché della loro presenza lì.

Si sorprese di vedere che questi cominciarono a sghignazzare fra loro mentre frugavano in giro.
Non trovando nulla presero a disegnare sui muri e a fracassare quanto più possibile.

Perché il vandalismo era tanto divertente?

Per di più se la stavano prendendo con un negozio già di suo in stato altamente decadente.

Che senso aveva?

Sephiroth li osservò ancora per un po’ quando avvertì il suo cuore. Era vivo, ancora vivo.
Senza una ragione in particolare, credette che fosse merito di quei ragazzi se il suo cuore battesse ancora.
Doveva ringraziarli.

Come solo lui era in grado di fare, gli si avvicinò e solo dopo aver colpito uno di loro gli altri si accorsero della sua presenza.

“Chi cazzo sei..?!” urlò un ragazzo.

Nel vederlo così terrorizzato si sentì inebriare.
Gli mancava quell’espressione di paura. Quanti glie l’avevano rivolta?

Gli sorrise aspramente per poi fondarsi contro di lui. Un colpo ben assestato e il giovane si ritrovò scaraventato sul muro. Perse conoscenza quasi subito.

Gli altri si sorpresero di una forza simile, Sephiroth pensò che fosse normale. Loro non erano i figli della Madre. Non avrebbero mai potuto raggiungere il suo stesso livello nemmeno con vent’anni di duro allenamento.

Sgranò gli occhi e provò un immenso piacere nel leggere anche nel loro sguardo la paura. Vedeva il sudore scorrere sui loro visi. Il tremolio del corpo.

Si avvicinò a loro che probabilmente non si resero conto del pericolo.

“Bastardo! Non rompere il cazzo!” Urlò un altro.

“è anche ferito! Sistemiamo questo imbecille!” disse un altro dei giovani notando la grossa ferita sul petto di Sephiroth.

Videro che l’uomo dai capelli argentei non s’importò dei loro gesti intimidatori ed in poco tempo li vide scagliarsi contro di lui.

Pensò che dopotutto si sarebbe divertito, almeno prima che Aerith fosse tornata.

Da qualche altra parte, infatti, c’era proprio l’anciet intenta a tornare da Sephiroth. Aveva riflettuto a lungo su di lui, ma non le era venuto niente in mente.

Sono convinta che il lavoro lo aiuterebbe, ma a lui non va…

Non fece in tempo a rifletterci ancora che subito notò la porta del suo negozio spalancata.
Corse immediatamente lì vicino. Sephiroth era scappato di nuovo? Le si gelò il sangue al sol pensiero. Si avvicinò e, affacciandosi, lo vide lì.

Gli occhi le si riempirono di lacrime quando vide che stava picchiando a sangue dei ragazzini di massimo vent’anni.

“Sephiroth!” corse da lui. “Che fai..?! Lasciali!” gli urlò.

Sephiroth si girò e si sorprese di vederla lì. Lesse anche nei suoi occhi il terrore, ma per quanto le riguardava, era diverso. Lei non aveva paura della sua forza. Aveva paura dell’odio che lui provava, della gioia che aveva nel distruggere l’avversario.

Aerith si gelò alla vista di tutto quel sangue e si accasciò accanto all’uomo che, intanto, aveva mollato la presa.

“Non vuoi che li uccida, giusto?” le chiese, seccato.

“Cosa dici? Lasciali andare!”

Non appena Sephiroth fu lontano, i ragazzi scapparono via portando con sé gli amici ormai svenuti a terra. La giovano alzò gli occhi, incredula.
Tra i due regnò per pochi secondi il silenzio, poi Sephiroth, notando gli occhi umidi della ragazza, le si rivolse.

“Cosa ti piangi?” le chiese infastidito.

“Ti hanno ferito…” disse poggiando una mano sul suo petto insanguinato. Sephiroth sussultò a quel gesto e si allontanò da lei di qualche passo.

“Non è nulla.”

“Sembra profonda, dobbiamo curarla!” socchiuse gli occhi e poggiò nuovamente le dita sulla ferita. Concentrò tutte le sue energie su quel punto sperando di curarlo quanto prima possibile.

Attorno ai due si disegnò un lieve bagliore e lentamente la ferita di Sephiroth prese a rimarginarsi. Lui rimase incredulo nel guardare una tale energia e per pochi attimi ne rimase affascinato. Di colpo si divincolò da lei e il bagliore sparì.

“Guarirà da solo.”

“Ma..!”

“Lasciami in pace.” E si mise a raccogliere e gettare tutti i vasi ed i cocci di vetro rotti.

Aerith annuì anche se si sentì turbata.
I suoi occhi si spostarono su Sephiroth che stava sistemando quel che poteva. Guardandosi attorno notò le scritte e tutti i suoi cari arnesi ridotti male.
A terra vi erano frammenti di ogni genere: legno, ceramica, vetro…

“…grazie.” Gli disse.

Sephiroth si girò, ma non le diede nessun segno. Sembrava indifferente, come sempre. Ad Aerith questo non importò più di tanto, tant’è che gli sorrise ampiamente nonostante il menefreghismo.

“Spero che…continuerai a prenderti cura di me.”

“Io non mi prendo cura di te, ma stavano distruggendo la mia nuova casa.” Disse con freddezza, poi si girò verso di lei. “Ora, se non ti dispiace, saresti così gentile da aiutarmi a sistemate il tuo negozio?”

C’era del sarcasmo in quelle parole ma lei si sentì più fiduciosa che mai. Aerith si posizionò accanto a lui e lo aiutò. Gli sorrise più volte in silenzio, ma lui non la degnò di un misero sguardo. Da Sephiroth se lo aspettava dunque non se ne curò più di tanto.
Lui la stava aiutando e a modo suo l’aveva difesa, era considerabile un passo avanti?

[…]

Erano passati tre mesi da quando Aerith era andata ad assistere Vincent e l’aveva visto discutere animatamente con Sephiroth.
Erano passati due mesi da quando si era stufata di sentirsi protetta e custodita. Imballata in casa come un raro pezzo da collezione.

Sephiroth era al suo negozio da davvero tanto tempo.

L’estate, di solito, passava in fretta per Aerith. L’estate di quell’anno, invece, aveva deciso di non correre e di attenderla fino a farle credere che fosse passato molto più tempo.

L’ancient aprì la finestra per permettere alle piante di assorbire quanta più luce possibile. Ora quasi si sentiva meglio anche lei. Si avvicinò al suo amato giardino per curare i vari germogli. Ne erano fioriti molti di più, quell’anno. Non poteva che esserne pienamente soddisfatta.

Sorrise tra sé e si sentì felice, sempre di più.

Un rumore attirò la sua attenzione.
Si alzò già riconoscendo cosa fosse.

Un motorino argentato si era appena fermato dinanzi al locale. Sephiroth era arrivato.
Lei lo osservò sotto quella luce che poneva un enorme contrasto con quell’uomo che fino ad un mese fa se ne stava rintanato nel buio più assoluto.

Dopo l’episodio dei vandali, aveva stranamente cominciato a prendersi cura della ragazza assistendola a pagamento. Ora mensilmente riceveva una busta paga e lavorava per lei. Questo gli permetteva di vivere in maniera più o meno indipendente e di ambientarsi meglio ad Edge.

All’inizio era stata dura. In verità, lo era anche adesso, Sephiroth era un vero pezzo di ghiaccio e nei pochi momenti dove era possibile interloquire con lui, era capace di mandare in bestia persino una come Aerith che di pazienza ne aveva da vendere.

Aveva sempre quell’atteggiamento pungente e provocatorio, pronto a colpire ed a ferire più di una lama nello stomaco.

Non era capace di fermarsi, affondava sempre più nell’animo della gente fino a schiacciarla a terra per impedirle di riprendersi.

Non era possibile sfuggire ai suoi occhi.
Anche loro erano così terrificanti. Terribilmente belli e furenti. Un verde acquamarina a cui era davvero difficile resistere. Le sembrava quasi fossero una trappola per ingannare le sue prede. Come quei grossi pesci che vagano silenziosi tra gli abissi più remoti dell’oceano.

Era questo quello che le trasmetteva l’uomo dai capelli argentei. Solo con un semplice, banale sguardo.

Eppure lei non abbassava mai lo sguardo quando questo si rivolgeva al suo. Lui nemmeno l’aveva mai evitata, forse consapevole dei sentimenti che suscitavano i suoi occhi.

Mentre lo osservava trovò così strano vederlo fare cose quotidiane come un comune mortale. Come utilizzare un motorino, per fare un esempio.

Glielo aveva insegnato stesso lei a portarlo. Inutile specificare che Sephiroth non aveva accettato le sue lezioni così aveva voluto fare di testa sua. Per notti e notti aveva studiato il mezzo cercandone i meccanismi.

Aveva trovato lui da solo il metodo di accenderlo, spegnerlo e farlo camminare. Questo però, non aveva impedito al motorino un bel viaggio dal meccanico.

Alla fine aveva imparato discretamente, forse era più bravo persino di Aerith che non solo sapeva usarlo a stento, lo utilizzava per tragitti molto brevi. Sephiroth invece si era scoperto un amante di motori. Li aveva studiati e aveva smontato più volte parecchi pezzi per osservarli e rimontarli.

Beh, almeno stava incominciando a riscoprire qualche hobby, pensava Aerith con ottimismo mentre cominciava a prepararsi all’idea che presto avrebbe dovuto buttare quel motorino.

Non era solo questo ciò che era cambiato in Sephiroth. Stesso lei aveva provveduto a fornirgli un guardaroba più normale. Non tutti gli abitanti di Edge erano abituati a vedere per le strade un uomo di quasi un metro e novanta aggirarsi per le strade con un lungo cappotto in pelle, grossi stivali e capelli argentei fino al ginocchio.

Ora Sephiroth indossava anche camicie, maglioni e jeans.
Sembrava persino normale.
All’inizio era stato impossibile farlo entrare in un negozio e quelle poche volte in cui Aerith riusciva a convincerlo se n’era pentita amaramente perché lui non l’aveva degnata di attenzioni un solo istante.
Non solo. Sephiroth trovava abbigliamenti di suo gradimento solo nelle boutique più costose e pur di comprargli qualcosa, la ragazza aveva, a malincuore, speso fior di soldi.

Osservandolo con il jeans a sigaretta, la maglia grigia ed il giubbotto in pelle però, doveva ammettere che gli donava parecchio. Sembrava un modello e i capi firmati, addosso a lui, calzavano una meraviglia.

Sorrise nel vederlo e cominciò a credere che fosse persino carino. Non che prima non lo fosse. Aerith aveva sempre pensato che Sephiroth fosse un bel ragazzo, ma ora che lo vedeva fuori da quel contesto così grottesco gli sembrava ancora più bello.

La vera impresa, però, non era stata convincerlo a vestirsi in maniera più consueta evitando di dare nell’occhio.

Era stata quella di portarlo a tagliare i capelli.

Quando cominciò ad accennargli che erano troppo lunghi, le aveva lanciato un’occhiataccia così penetrante da farle credere che per com’era esile Aerith, l’avrebbe spezzata in due.

La Cetra trovava i capelli di Sephiroth bellissimi, però erano troppo stravaganti e Sephiroth non aveva certo bisogno di essere additato dalla gente ogni volta che usciva.

Lo aveva letteralmente trascinato da un parrucchiere e gli aveva fatto accorciare il taglio. Per una settimana intera non le degnò uno sguardo e se lei provava ad avvicinarsi, la scaraventava via e barricava il negozio di fiori.

Così era stato per i primi tempi, poi si era abituato. I suoi capelli ora erano di una lunghezza meno appariscente e decisamente sfoltiti.

Pensava alla prima volta che lo aveva visto con il nuovo look. Gli aveva urlato contro che era splendido. A quelle parole lui si era adirato e le aveva lanciato un’occhiataccia a dir poco terrificante. Era una reazione che non aveva mai visto ad una persona che aveva appena ricevuto un complimento. Uno come Zack avrebbe cominciato a pavoneggiarsi e a guardarla maliziosamente.

Sorrise a quell’idea, ma velocemente si riprese tornando a Sephiroth. Poggiò i gomiti sul parapetto della finestra e le mani sul viso.

Appena la vide, lui fece arrestare il mezzo e sfilò via gli scuri occhiali da sole per poi avvicinarsi.

“Ho fatto.”

“Buongiorno!” Disse lei con occhi ridenti.

Sephiroth non si curò molto di quella reazione e, pur rimanendone perplesso, si addentrò silenzioso nella chiesa.

L’uomo non le dedicava attenzioni e quando poteva, sottolineava sempre le loro diversità, tuttavia stava cambiando. Prima era a dir poco impossibile, ma ora, dopo giorni, giorni e giorni, finalmente le regalava almeno l’indifferenza e non solo il disprezzo. Sephiroth la disprezzava proprio per il suo status, perché era una Cetra che ripudiava il suo vero io. Più e più volte le aveva detto che facevano entrambi parte della razza eletta dal pianeta e che assieme avrebbero dovuto riprendersi il mondo, ma non ottenne mai l’appoggio della ragazza.

La disprezzava per questo. Non solo rinnegava la sua specie, si era anche fatta amica quei disgustosi esseri umani. “Fraternizzava con il nemico”, era questo quello che le diceva.

Più volte l’aveva anche minacciata di ucciderla, ma lei aveva cercato con coraggio di far finta di nulla. Sephiroth aveva bisogno di tempo e questo lo sapeva. Ne era ancora più convinta dopo aver visto i suoi leggeri progressi.

Cloud non ne vedeva, le poche volte che era venuto da lei quasi l’aveva maltrattata pur di lasciare Sephiroth. Lui non sapeva niente, per questo non poteva vedere ciò che invece vedeva lei.

Ne era certa. Sephiroth era recuperabile.

Gli si avvicinò mentre lui martellava su una mensola rotta.

“Oggi dovrò andare via un po’ prima, va bene?”

Il ragazzo dai capelli argentei la fisso distrattamente, poi si limitò ad annuire ritornando alla mensola.

“Cosa mangi? Ti compro il panino oppure provo a cucinar…”

“Va bene un panino, grazie.” Disse velocemente.

Aerith rise di cuore a quella reazione dopodichè si allontanò.

“Oh, andiamo! Sto facendo progressi in cucina, lo sai?”

“Vuoi salvarmi da Strife per uccidermi tu?” Le rispose aumentando il numero di martellate.

“Sei terribile, non ti smentisci mai! Eppure faccio così tanto per te!” gli rispose fingendosi nervosa, ma le scappò un sorriso che la tradì.

A sua grande sorpresa, Sephiroth, dopo aver sfondato la mensola, le si avvicinò serio. La giovane non capì immediatamente il motivo, dunque gli rivolse uno sguardo incuriosito.
Anche Sephiroth le rivolse i suoi pallidi occhi senza sbatter ciglio nemmeno una volta.

“Cos’è che vuoi davvero?” le disse inarcando le sopracciglia.

Aerith non comprese subito a quale proposito venisse una domanda del genere.

“Ti da fastidio?”

“Ti chiedo perché lo fai.” Ripeté guardandosi attorno. “Il tuo non è un divertimento o un capriccio.”

Lei abbassò lo sguardo e si fece pensierosa. Avvicinò le sue sottili braccia alle spalle e per diversi secondi non proferì parola. Alzò solo dopo gli occhi da bambola e con una dolcezza suggestiva gli sorrise.

“Voglio solo vivere.”

Vivere..?

“Vivevi benissimo anche senza di me.” Disse non comprendendo quella risposta.

Aerith scosse la testa, divertita. Lo fissò dritto negli occhi e assunse un’espressione che la rendeva a tratti misteriosa, a tratti persino beffarda.

“Penso sia una bella esperienza voler dimostrare che il cuore batte non solo perché deve pompare il sangue, non ti pare?”

Sephiroth non comprese quelle parole.

Aerith per lui era un mondo sconosciuto. Diversissimo dal suo. Erano inconciliabili. Per niente affini. Eppure ora erano lì, l’uno di fronte l’altra, a guardarsi e, in qualche modo, ad interagire fra loro. Com’era possibile che due anime così diverse potessero trovarsi d’avanti?

Lui ci aveva rinunciato, anzi, si rifiutava, eppure lei non mollava. Continuava a voler scavare nella sua anima con i suoi profondi occhi. Era una sensazione inspiegabile, così strana da sembrargli addirittura piacevole.

Era come una luce candida, ma che non gli annebbiava la vista. Per lui era impossibile descriverla.
Solo di una cosa era certo, doveva evitarla o avrebbe avuto terribili conseguenze.

Si era accorto di quanto lei si sforzasse e pazientasse con lui, eppure, nonostante questo, non le aveva mai dato tregua. Era scappato, le aveva distrutto vasi, le aveva fatto spendere soldi, l’offendeva, la evitava e raramente l’aiutava nel suo lavoro. Ma lei non perdeva la sua grinta. Era fastidiosamente assurdo.



[…]






Pettina i bei capelli, fino a renderli morbidi e lucenti come la seta.
Sistemali, acconciali e riempili di delicati fiocchi colorati.


Attento a sistemarli bene, o dovrai rifare tutto daccapo.


Ora cosa dovrebbe vestire, la mia bambola?


Lei deve avere sempre l’abito più bello, quello più belli di tutti.


Io non lo voglio verde, perché mi ricorda la speranza.
Io non lo voglio rosso, perché mi ricorda la passione.
E nemmeno giallo perché le metterebbe allegria.
Il blu la farebbe sentire libera di volare nel cielo.
Il rosa la renderebbe romantica e delicata.
Il nero potrebbe farla rattristare.
Il marrone gli ricorderebbe la terra dalla quale nascono i suoi amati fiori.
Non lo voglio con il viola perché le ricorderebbe una notte tempestosa.


Oh, mia bambola, cosa farti indossare? Scegli tu.
Non puoi, non puoi, la tua bocca è bella e carnosa, ma è di porcellana, non puoi aprirla.


Perché non mi mostri gli occhi?
Quei bei occhioni di vetro. Tondi pallidi e dall’iride fredda.
Tocco gli occhi della mia bambola, scavo dentro di loro, ma lei non risponde.


La mia bella bambola è splendida. Non risponde nemmeno se le toccò il bulbo dell’occhio.


Ma perché non cerchi di muoverli? Fami capire. Come vuoi il tuo bell’abito?


Ora ricordo. Non puoi muoverli.


Su e giù.


Su e giù.


Ancora una volta, su e giù.


Lei è bellissima quando chiude gli occhi.
Ora li riapre quando la porto di fronte a me. E’ fantastico. Lo farei per ore.


Tu ti stanchi? Oh, no che non ti stanchi.


Anche quando scavo il tuo morbido stomaco tu mi sorridi con quelle labbra di porcellana.
Deliziosi fiocchi di ovatta fuoriescono e io scavo ancora di più, fino a renderti sottile, così sottile da sembrarmi brutta.


E ora, bambola mia? Cosa desideri indossare?


Oh, ecco, ecco. Ho trovato l’abito per te.
E’ bello, morbido e lucente. È perfetto.
Dunque, mia cara, ti piace?


E’ grigio.
Così non ti ricorderà la speranza e la passione. La gioia e la libertà.
Non ti ricorderà l’amore e la tristezza non si disegnerà mai sul tuo viso.
Non ti ricorderà il cielo e la terra. Con mare e tempeste.


Bambola mia, sei contenta?


Sì, che lo sei. Lo leggo nel tuo volto di porcellana. Nei tuo occhi di vetro, nella tua bocca carnosa.


Ti gingilli con quell’abito che ti rende perfetta. Immune alle impurità della vita.


Ora lo sai.


Oh, bambola, ma che fai? Il tuo viso sembra comunque mutato.
A cosa è servito trovare l’abito perfetto per te?


Sciocco umano, ancora non lo sai.
La bambola anche da sola camminerà.
Si reggerà sui suoi stessi piedi. Di ceramica, fragili, ma finalmente liberi.







La giovane ancient prese a pettinare i suoi lunghi capelli mossi. Era sfinita, ma soddisfatta. Guardava sé stessa riflessa allo specchio e, con quel lungo pigiama candido e i capelli biondo cenere attorno a sé, si sentì persino bella.

Perché bella? No, non solo perché oggettivamente Aerith era attraente. Si sentiva bella perché era in pace con sé stessa. Sentiva un benessere lungo tutto il suo corpo e avrebbe voluto tanto trasmetterlo a qualcuno. Avere tutta quella felicità le faceva a tratti persino paura. Qualcuno avrebbe potuto strappargliela via.

Ma non riuscì a fare a meno di sentirsi bella. Sorrise, sorrise ancora.

Erano stati tre mesi lunghi, davvero lunghi. Infiniti.
Ma era riuscita a smuovere qualcosa nell’anima di Sephiroth. Non era ancora un qualcosa di percettibile, ma era un ottimo inizio.

Il clima tra loro due si era finalmente placato.

Sospirò e socchiuse gli occhi per qualche attimo.
Voleva godere di quella tranquillità ora, subito.

Nella sua stanza regnava il silenzio più assoluto. Aerith poteva sentire il rumore della spazzola sui suoi capelli.
Emise un lieve sibilo per spezzare quel silenzio. Lo odiava terribilmente.

Si alzò e pensò bene di riposare. Doveva essere al pieno delle energie domani. Essere all’altezza di Sephiroth non era cosa facile.

Si stava appena svestendo quando un rumore assordante la fece sobbalzare. Non proveniva da casa sua, era troppo distante come rumore. Si affacciò alla finestra sporgendosi appena e avvertì ancora quei forti rumori.
Da dove provenivano?
Sembravano rumori di vasi di discreta grandezza frantumarsi a terra, mobili falciati.

Le si gelò il sangue quando cominciò a riflettere che quel genere di rumori potevano provenire solo da un luogo: la chiesa.

Sgranò gli occhi e pensò che l’unico luogo lì vicino era proprio quello.

“…Sephiroth?” disse fra sé all’improvviso.

Sephiroth era lì. Cosa stava accadendo?!
Lo doveva aiutare. Doveva fare assolutamente qualcosa.

Velocemente indossò la giacca rossa e scese le scale per correre da lui.
Mentre correva per la piccola via che li distanziava, la ragazza cominciò a tremare. La prima cosa che le era venuta in mente erano i vandali che tempo prima avevano irrotto nel negozio e che Sephiroth aveva fatto fuggire con facilità.

Che fossero tornati per vendicarsi?

Per loro sarebbe stata una folle idea. Come potevano sperare di sconfiggere uno come Sephiroth?
Ovvio che non sapessero che fosse lui altrimenti non avrebbero minimamente pensato di avvicinarsi.
Però Sephiroth era disarmato e poteva essere stato colto alla sprovvista. Doveva intervenire e aiutarlo.

Appena arrivata davanti al negozio i rumori cessarono. Si sorprese di quel silenzio così improvviso. Fino a pochi attimi prima continuavano ad esserci rumori forti e striduli di oggetti che cadevano a terra e che venivano violentemente colpiti.
E ora? Il più tetro silenzio.
Un po’ come quello che vi era in camera sua. Inquietante e fastidioso.

Aprì la porta con un veloce giro di chiavi. Non avvertendo alcun tipo di rumore, ipotizzò che dovessero essere scappati via. Tuttavia era anche possibile che fossero in agguato perché avevano avvertito la sua presenza.

Entrò lentamente e cercò di fare meno rumore possibile. Il suo respiro era così intenso che trovò persino assurdo che potesse avvertilo in tal modo. Cercò di trattenersi, ma ottenne solo l’effetto contrario.

Era buio pesto. Aerith dovette sforzarsi parecchio per vedere bene cosa fosse accaduto. Mentre avanzava sentiva sotto i suoi piedi scricchiolare terribilmente. Guardando a terra vide con orrore tutti i suoi vasi distrutti a terra.
Cocci ancora grossi, cocci ormai ridotti in polvere.

Spostò il suo sguardo ai pochi mobili che c’erano e anche questi erano stati tagliati a pezzi.

I sui amati fiori erano calpestati e lacerati a terra. Si chinò verso questi e ne raccolse un paio, incapace di comprendere perché fosse accaduto tutto questo.

Nel negozio regnava la completa distruzione e desolazione, ora. Solo i petali dei fiori sparsi per tutta la superficie creavano un curioso contrasto. A tratti macabro, a tratti inspiegabilmente dolce.

Alcuni petali ancora danzavano per aria. Uno le cadde in testa e mentre lo  levava via, dedusse che dovevano essere stati toccati poco. Che i vandali fossero ancora dentro?

Immediatamente mise da parte ilo shock di vedere il suo negozio in quello stato e corse nel piccolo ripostiglio dove riposava Sephiroth.

Spalancò la porta consumata e urlò il suo nome spaventata.

“Cosa?” disse, sorpresa.

Il materasso era completamente sfondato e grondava di sangue. Le venne un capogiro alla vista di tutto quel sangue. Cosa era accaduto a Sephiroth?

“Rispondi! Sei qui?!” urlò ancora una volta.

Anche in quella stanza vi regnava la più completa distruzione. Le scope e i secchi erano stati ridotti in tanti piccoli pezzi ormai non più componibili.

Persino la porta era completamente graffiata e sporca di sangue. Poggiò una mano su questa e se la ritrovò completamente bagnata. Il sangue era fresco.

Si guardò attorno ancora una volta sperando di riuscire a scorgere Sephiroth, ma di lui non c’era traccia.

Si sentì smarrita e quel silenzio non l’aiutò a stare meglio. Il silenzio la stava turbando e distruggendo dentro quasi più di quanto fosse accaduto in quel luogo. Sentiva la solitudine attorno a sé. Avrebbe voluto qualcuno vicino a sé, per non sentirsi più sola. Ma era così, era in balia del buio e del silenzio e non poteva scappare in nessun modo.

Sephiroth era sparito e chissà cosa gli era accaduto.

Non sapeva dove cercarlo, non sapeva cosa fare. Si chiedeva se avesse davvero fatto del suo meglio. Si chiedeva se avesse mai dovuto chiedere aiuto a Cloud.

Aveva paura.

Se ne rese conto da sola. Si sentiva incapace di giudicare e giudicarsi.

Strinse le spalle attorno a sé e si accasciò a terra con un tonfo violento. Un singhiozzò rimbombò nella stanza e da un lato fu alleviata che ci fosse almeno quello a farle compagnia. Non si trattenne in nessun modo e il suo pianto le diede il conforto che tanto cercava.

Un pianto esagerato, con gemiti violenti. Solo per sentire la sua stessa voce rimbombare nel locale.

Non riusciva nemmeno a chiedersi cosa avrebbe potuto fare. Rimase in quello stato di inerzia per diversi minuti, sperando che qualcosa sarebbe cambiato. Era inerme sotto tutti i punti di vista. Sentì il cuore allontanarsi da sé e avrebbe dato qualunque cosa per riaverlo.

Il silenzio in poco tempo ritornò e con forza tornò a piombarle addosso. Aerith chinò il capo e chiuse gli occhi.

I’m SOrry….

“Cosa?” disse lei sgranando gli occhi di colpo.

Please…help me

Delle voci cominciarono ad echeggiare. Si alzò di colpo e cominciò a tremare. Solo dopo si accorse che queste erano solo nella sua mente.


Credo di aver raggiunto il mio obbiettivo, non ti pare ?


Tutto questo odio mi sarà utile


Uccidi…


Proteggi mia figlia…


Dille che le voglio bene


Non ho potuto fare niente


N…aspet….te


Dove sei ?


“Basta! Smettetela! Non ora!” urlò tappando le orecchie sperando di allontanare la voce del lifestream. “Andate via! Lasciatemi in pace!” e corse via dal locale.

Il suo respiro si fece irregolare e insopportabilmente intenso. Aerith ansimò per più tempo mentre le voci cominciavano ad affievolirsi. Chiuse gli occhi e cercò di portare ancora più lontane quelle voci. Il respiro si fece lentamente più regolare. Cominciò a camminare, sfinita, per le strade e solo dopo si accorse di essere scappata proprio verso il retro della chiesa.

Guardò apaticamente davanti a sé e non si curò di niente e di nessuno. Voleva solo scappare via, chiudersi per davvero in una casa di vetro lontana da ogni rumore e dal lifestream. Così avrebbe deluso sé stessa, ma sarebbe stata meglio.

Il sangue nelle vicinanze del retro la fecero tornare in sé.

“Sei nelle vicinanze, Sephiroth?” chiese speranzosa mentre lo toccava e sentiva che era anche questo fresco.

Era una scia che cominciava dalla piccola scalinata e si protraeva lieve per la via. Cominciò a percorrerla non perdendo di vista quel macabro tracciato di sangue…
Il cuore cominciò a battere, battere incessantemente, aveva paura di chiedersi perché.

Sapeva che la risposta non le sarebbe piaciuta per niente.

Continuava a fissare intensamente la scia che le indicava dove trovare chi avesse perso tutto quel sangue. Ad un certo punto vide che le macchie si bloccarono all’altezza di una traversa.

Tentennò prima di girare quella curva, ma non le venne in mente l’idea di andare via. Deglutì e si affacciò lentamente trovando finalmente Sephiroth.

Sephiroth era poggiato a terra in un vicolo cieco. Si era accasciato dopo un lungo momento di agonia. Il muro era intinto di sangue proprio sopra la sua testa. Anche attorno a sé vi era una cospicua quantità di sangue. Lo stesso Sephiroth era ancora gocciolante.

Aerith si avvicinò a piccoli passi verso di lui.

“Sephiroth…” disse in un sussurro.

I vento di colpo si alzò facendo avvertire alla ragazza un brivido di freddo. Non riuscì a pensarci troppo e si accasciò accanto a lui.
Il suo leggero abito rosa andò a macchiarsi del sangue di Sephiroth intingendosi in pochi secondi.

Sephiroth ansimava appena. Stanco e sudato. Un po’ come lo aveva trovato nella sua dimora, prima di portarlo con sé alla chiesa sconsacrata. Lui la guardò con quegli occhi verdi e lucenti. Il suo guardo era stanco e rassegnato. I capelli erano davanti al viso e malmessi. Aerith non lo aveva mai visto in quello stato.
Lui continuava ad osservarla senza dir nulla.

Perché non parlava? Perchè non le chiedeva se stava bene? Perché non le raccontava dei ragazzacci che avevano voluto vendicarsi?

Aerith, malauguratamente, sapeva perché.

A grande sorpresa dell’uomo, la giovane Cetra cominciò a tremare. Prima lentamente, poi non riuscì più a fermarsi.

“Perché piangi?” le chiese lui con un tono soffuso.

Aerith alzò lo sguardo e Sephiroth ebbe la conferma che aveva gli occhi lucidi. Era terribilmente bella, gli occhi apparivano enormi e di un colore che era a metà tra l’azzurro e il verde. Brillavano come gocce di rugiada e per la prima volta non trovò fastidioso avere a fianco a sé qualcuno con degli occhi così umidi e languidi.

La ragazza poggiò una mano sul cappotto nero di lui e lo scostò dalle profonde ferite. Le esaminò appena e vide che alcune stavano già cominciando a fare infezione. Qualcuna era fresca e aveva ancora il sangue vivo attorno, altre avevano già il sangue coagulato.

Le mani si tinsero di quel rosso che non le si addiceva per niente, ma lei non se ne curò. Estrasse un fazzoletto e provò a tamponare le ferite sul viso, ma non ottenne granché.

Una lacrima scivolò verso le sue gambe e solo allora Sephiroth comprese che si era contenuta fino a quel momento.
Aerith era una ragazza forte, sempre con il sorriso sulle labbra. Vederla piangere con quello sguardo disperato era qualcosa di semplicemente assurdo. Quasi non sembrava lei.

“Perché lo hai fatto..?” disse con le parole che le si strozzavano in gola. Gli toccò le ferite e Sephiroth sussultò avvertendo dolore. “Oh, cielo, ma guardati..!”

I suoi occhi assunsero un’espressione ancora più disperata e allora la giovane scoppiò non resistendo più.

“Dove ho sbagliato..?” disse a sé stessa, Sephiroth non disse nulla. Calò lo sguardo a terra.

“Io credevo di farcela. Ci volevo credere e sapevo di esserne in grado. Possibile che non abbia capito che tu odiavi così tanto la vita?”

Gli si rivolse, ma lui non comprese se lei volesse davvero una risposta.

“Forse…aveva ragione Cloud.” Disse lei, ancora.

Si sorprese quando, dopo diversi secondi, Sephiroth provò a rialzarsi.
 Traballante, riuscì con sforzo a mettersi diritto. Si poggiò sul muro ed ansimò.

“Lasciami in pace.” Le disse, poi fece per andare via.

A quel punto Aerith si alzò, ma lui con le forze che gli rimanevano, la bloccò facendola cadere nuovamente a terra.

“Ti ucciderò se continuerai a insistere.”

In poco si allontanò da lei, ancora annebbiato ed incerto. Aveva la mente confusa. Ancora una volta, non era stato in grado di uccidersi per colpa sua.
Non era più capace nemmeno di quello? Un qualcosa che persino l’uomo più infimo era capace di fare? A cosa gli serviva vivere?

Poco era servito allontanarsi. Aveva cambiato totalmente quartiere e aveva perso molto sangue. Aveva avuto appena il tempo di accasciarsi che lei già gli era di fronte.
Lui le mostrò uno sguardo incredulo, ma allo stesso tempo sentiva di aspettarselo.
Sapeva dal principio che lei lo avrebbe trovato. Vivo o morto.

Eppure, quando lei aveva abbassato gli occhi verso di lui, si era sentito inquieto. In quei momenti si accorgeva che quella donna non era normale.

Come faceva a non essere una come tante? Forse perché aveva imparato ad avere a che fare con lei? Perché ora non era una sconosciuta, ‘una delle tante’ ?

No, ora era diverso.
Per la prima volta ebbe davvero la convinzione di non avere di fronte a sé un essere umano.
Era una considerazione ovvia, ma mai prima di allora aveva avuto la consapevolezza che Aerith era un Cetra.

Non era un qualcosa di positivo.
Avvertiva fastidio.
Quasi come se lei potesse leggergli l’anima e scavare nel suo intimo.

“Come hai fatto?” disse lui tentennante.

Voleva essere lasciato solo, voleva morire, non voleva ricostruirsi una vita…lei non gli permetteva niente di questo.

La ragazza si piegò verso di lui. Gli sorrise debolmente e gli mostrò i suoi grandi occhi luminosi. Lui rimase senza parole abbagliato da quella creatura così diversa da tutti. Unica.

“Come hai fatto?” le ripeté.

Aerith non rispose, gli si avvicino poggiando le sottili braccia affianco a lui solcando una distanza che nessuno aveva mai osato fare. Sephiroth poté avvertire il suo respiro. Era una sensazione nuova, che non aveva mai provato prima di quel momento. Un respiro caldo e delicato. Continuò a guardarla anche quando non riuscì più ad intravedere niente se non gli occhi socchiusi della ragazza.

Lei continuò ad avvicinarsi fino a sfiorare le sue labbra. Premette le labbra più forte e Sephiroth poté avvertirne la morbidezza e la dolcezza. Una serie di sensazioni a lui sconosciute cominciarono a scorrere lungo tutto il corpo, ne ebbe persino paura. Tuttavia provava una curiosità smisurata per quanto riguardava quel gesto.
Perché gli umani si baciavano fra loro?
Aerith lentamente schiuse le sue labbra e cominciò ad approfondire quel bacio. Cominciò prima a sfiorargli le labbra con un leggero tocco, per poi lasciarsi andare sempre più. Era Lento ed eccitante. Rimasero a sciogliersi in quel gesto a lungo esaminando con curiosità ogni singolo attimo.





[…]


Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=462783