Liliac di Lenelindgren (/viewuser.php?uid=74269)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio ***
Capitolo 2: *** L'attesa ***
Capitolo 3: *** La fuga ***
Capitolo 4: *** La pace ***
Capitolo 1 *** L'inizio ***
Liliac- l'inizio
Portoverde di Misano
17 Luglio 2007
Il giorno in cui tutto ebbe inizio, il
mare era straordinariamente trasparente, fin troppo per essere mare di
riviera. Valentina si lasciava cullare dalle onde gentili di quel
pomeriggio soleggiato, immaginando il cielo delle Maldive che la
circondava. Al suo fianco, anch'egli intento a giocare con l'acqua
cristallina, Davide sorrideva col viso rivolto verso il sole.
Capitava così di rado che si vedessero,
quei due antichi amici d'infanzia, che quel giorno di Luglio, con i
rispettivi genitori intenti nelle loro conversazioni, sembrava loro di
essere tornati indietro ai tempi della prima adolescenza.
Nuotarono fino al largo, immersi in un
blu profondissimo, e si accorsero appena di una leggera brezza che
spirava attorno a loro. Una brezza che in pochi minuti divenne forte
vento. Un vento caldo, pungente, che sapeva di zolfo, che affogava i
polmoni ed annebbiava la vista.
Non ebbero neppure il tempo di
guardarsi, e domandarsi l'un l'altra cosa stesse accadendo.Quel vento
trasportava con sè un'ondata di morte, di sogno angoscioso. Nell'attimo
in cui abbassarono lo sguardo, il mare divenne di un viola metallico,
guizzante di lampi nelle profondità, trasparente come vetro liquido.
Sotto di loro, videro chiaramente due
ombre gigantesche puntare dritto in superficie, nella loro direzione.
Quegli esseri, luminescenti di particelle cangianti, avvolti in
bargigli dello stesso colore del mare, parvero a Valentina grandi
quanto due meteore.
Annebbiata dall'odore di zolfo
nell'aria, non provò paura quando uno di essi le si avventò contro, e
col suo stesso peso sollevò un'ondata alta più dei grattacieli che si
affacciavano sul mare. Trasportata da quella muraglia d'acqua, fu
innalzata verso il cielo, e poi ricacciata giù, sballottata in quel
turbinare di schiuma.
Rimase sommersa per... per quanto?
Secondi? Minuti? Per lei non fece alcuna differenza. Era come se il suo
corpo, pervaso dallo sgomento, e da quel penetrante odore di uova
marce, si fosse totalmente dimenticato di avere bisogno di ossigeno per
vivere.
Osservava quei mostri mentre le
vorticavano attorno, mentre danzavano con l'eleganza di farfalle in
quell'oceano diventato sogno. La corrente creata dal colpo di coda di
una di quelle creature la sbalzò in superficie, e lei inspirò, espirò,
inspirò ancora quell'aria marcia finchè non si sentì completamente
sazia di zolfo bruciante.
Una nuova, violenta onda la riversò sul
letto di ghiaia che costituiva la spiaggia in quel tratto di costa. Le
sue mani strinsero i sassolini e vi si aggrapparono incerte, quasi
stentassero a credere che potesse esistere un mondo solido al di fuori
di quello vorticante del mare divenuto viola.
Si, è vero... esisteva un mondo fatto di
sassi, di sabbia, di asfalto e di rocce. Esisteva un mondo in cui lei
non era l'unica creatura vivente. E quando la sua mente si ricordò chi
era, e fu capace di ragionare di nuovo, allora venne assalita da un
terrore strisciante. Un terrore che mai aveva provato prima.
Urlò a gran voce il nome del suo amico,
solo per rendersi conto che dalla sua gola non usciva alcun suono.
Tossì, tossì ancora, riversa sulla ghiaia. Provò ad urlare di nuovo, e
questa volta il risultato fu un sommesso sussurro.
Credette che fosse un sogno, ma nessuno
venne a svegliarla. Si voltò lentamente, a scrutare per l'ultima volta
quel mare viola che aveva inghiottito il suo amico.
" Ancora un attimo" pensava "ancora un
attimo". Ma lui non fece mai più capolino da quei flutti. E si trovò a
pensare, in una parte non troppo profonda della sua mente, che Davide
si fosse mutato in un delfino, e fosse scivolato via al culmine della
felicità, gioioso di poter nuotare in un mare del colore del temporale.
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Capitolo 2 *** L'attesa ***
Lilac- l'attesa
Bologna, Gaibola
25 Luglio 2007
La porta che dava sul suo giardino era
aperta. Fuori, ad appena tre metri da lei, sua madre discuteva a bassa
voce con il giardiniere. Ma Valentina non riusciva a sentire cosa si
stessero dicendo.
Era una luce fioca quella che entrava
dalle finestre, ed era tremendamente freddo per essere estate.
Camminava nervosamente da una stanza all'altra, controllando ogni volta
che tutti i loro bagagli fossero pronti. Dal salotto, la voce
gracchiante della televisione continuava a ripetere quell'unico, ormai
monotono avviso:
" Tutti i cittadini italiani residenti
in agglomerati urbani con densità superiore ai 25,000 abitanti sono
pregati di lasciare al più presto la propria abitazione, e seguire
attentamente le regole dell'evacuazione. Troverete le forze dell'ordine
pronte ad assistervi in ogni vostra esigenza. In caso di oggettiva
difficoltà chiamate il numero verde che trasmetteremo ora in
sovraimpressione...".
Cosa fosse accaduto, cosa stesse
accadendo, restava un mistero inspiegabile per lei, per gli scienziati,
per il governo, per chiunque. C'era chi attribuiva la colpa di quegli
eventi assurdi ad un potentissimo veleno riversato abusivamente nel Po
da un gruppo di industriali senza scrupoli. Una miscela altamente
tossica e mutagena di solventi chimici e composti radioattivi. Lei non
ci credeva. Nessuno ci credeva. Altri ineggiavano a non meglio
identificate radiazioni cosmiche, piogge di neutrini anomali o
esplosioni di supernove. Nemmeno a loro credeva. Non aveva desiderio di
credere a qualcosa. Non era curiosa di capire perchè. Voleva soltanto
che lei e la sua famiglia scappassero in fretta di lì. E basta.
Per questo in quel momento odiava i suoi
genitori, odiava suo nonno, il cane, i gatti ed il giardiniere. Loro
erano lì che temporeggiavano, che guardavano la televisione, che
chiacchieravano, e non erano ancora partiti. Li odiava.
Percorse le stanze della sua casa almeno
mille volte, ascoltava suo nonno ripetere " Allora, cosa sono queste
cazzate? Ma dove volete andare? Ma credete anche a quello che vi
dicono?" Lo odiava perchè lui non c'era. Non aveva capito quale fosse
la posta in gioco. Non aveva capito cosa aspettava chi restava in
città. In realtà, nemmeno lei l'aveva capito. Ma le città ora odoravano
di zolfo e morte. E la gente moriva. Impazziva, gridava cose sensa
senso.
Trovò suo padre in cucina, intento ad
apparecchiare la tavola. Sembrava molto concentrato su ciò che stava
facendo. Fin troppo, quasi. Teneva gli occhi fissi sui piatti, come se
avesse avuto paura di farne cadere uno. Sguardo fisso e perso nel
vuoto. Valentina restò ad osservarlo per qualche istante. Conosceva gli
occhi di suo padre. Sapeva che non era da lui lasciarli vagare così nel
vuoto. Anche lui temeva. Anzi, era terrorizzato. Anche suo nonno aveva
paura, lei lo sapeva. Fingeva indifferenza, ma era sempre stato un
pessimo attore. Vedeva riflesso negli occhi dei suoi parenti quello che
le era successo appena due settimane prima. Vedeva lo stesso impotente
sgomento, vedeva la voglia assoluta di svegliarsi da un incubo. Forse
si sarebbe svegliata insieme a loro, e non avrebbe fatto altro che
ridere dei suoi stupidi sogni.
Sentì la voce secca di sua madre che
congedava il giardiniere, ed i suoi passi rientrare in casa. " Andiamo
via" sbottò rivolta a padre, marito e figlia " Ora!" Era un tono che
non ammetteva repliche. E che diradò un po' la nebbia nella mente di
Valentina. Corse giù dalle scale, ed una soffice gattina bianca, rossa
e nera la salutò con un "miao" strozzato. Valentina la prese in
braccio, la strinse, la cullò, poichè sentire quel corpicino caldo e
morbido vicino al suo aveva il potere di calmarla profondamente. Fu
semplice convincerla ad entrare nel trasportino. " Un po' meno
semplice..." pensò, sospirando "sarà convincere l'altra ad entrarci".
Dopo una breve ispezione, trovò la sua
tigre in miniatura raggomitolata sotto il letto, che la fissava con la
sua espressione più feroce. Anche il viso di Valentina si indurì. Non
avevano tempo da perdere. Nessuno aveva più tempo, neppure una gatta. "
Muoviti" ordinò, cercando di riversare nelle sue parole tutta l'urgenza
di cui era pervasa. " Esci di lì ed entra nella gabbietta". Ottenne
un'occhiataccia come risposta. E sua madre chiamava dalla cucina. " Va
bene allora. Stà lì e restaci" sussurrò, gelida, mentre si voltava per
risalire le scale. Tanto quella gatta era condannata. Ormai aveva più
parti del corpo invase da tumori che parti sane. Solo le si stringeva
il cuore a pensarla lì, sola, ad affrontare una dolorosa agonia.
Al terzo passo, la gatta le si affiancò.
La guardava con aria stanca e rassegnata. " Scusa" mormorò, mentre il
suo corpo cresceva, e cresceva ad ogni respiro. Valentina si appoggiò a
lei, alta ormai quanto una grossa tigre, e lasciò che la sua
capricciosa gatta la aiutasse a salire le scale. Non che ne avesse
bisogno. Era soltanto il modo di mostrarsi dispiaciuta di una creatura
indomabile come il mare stesso. Come il mondo in cui stavano
precipitando.
" Hai preso tutte le valigie?" le
domandò sua nonna, che aveva aspettato fino all'ultimo momento per
scendere dalla sua stanza. Le rispose con un cenno, mentre il senso di
urgenza diventava sempre più forte e pesante. Vide suo padre già in
macchina, pronto a fuggire da quel luogo che non potevano più chiamare
casa.
Mentre attraversavano il vialetto,
scosse la testa, come a voler scacciare un pensiero. Guardava la tigre
scura al suo fianco, e la barcollante vecchietta appena davanti a lei.
Le ci vollero molti secondi per realizzare che erano già morte
entrambe. Si, ne era certa. erano morte da molto ormai. Però, in un
mondo dove il mare era stato tinto di viola, dove le onde erano alte
come montagne, dove le persone cadevano come mosche per strada, che
differenza poteva fare? Ormai tra la vita e la morte non vi era
differenza alcuna.
" Ciao fantasmino" sussurrò alla sua
gigantesca compagna. Ma quella si limitò ad ondeggiare appena la coda
tigrata in quell'aria che sapeva di zolfo. Entrò in macchina e chiuse
gli occhi, pensando soltanto " andiamo".
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Capitolo 3 *** La fuga ***
Liliac- la fuga
La Fuga
S.Maria di Leuca
30 Agosto 2007
Apriva gli occhi a fatica, come se la
stessero costringendo. Ogni volta che li apriva, lo stesso pensiero la
attraversava: "Siamo tanti in questo pullman". Poi crollava di nuovo
addormentata. Sapeva che non c'era luce attorno a lei. Solo dei fiochi,
azzurrastri neon. Non c'era luce, quindi era notte. Quindi doveva
dormire. Al suo fianco, Roberta se ne stava lì, muta ma sveglia. Ferma
a fissare il vuoto. Una reazione che avevano tutti ormai, o quasi
tutti. Anche lei, quando c'era luce, spesso si incantava nel vuoto
dell'aria. Asettica, è vero, ma non odorosa di zolfo. Non nel luogo
dove erano adesso. Sentiva il pullman sobbalzare dolcemente sotto di
lei, e sentiva a volte delle voci familiari bisbigliare nell'ombra. Le
bastava per sentirsi tranquilla. Poteva sbadigliare e stiracchiarsi,
era in un luogo sicuro. E poi non pensò più per qualche ora.
Seduta come gli altri attorno ai tavoli
della mensa, osservava l'imponente rupe rocciosa che si stagliava
appena fuori dalle enormi finestre. Un po' più in là, abbastanza
lontano per non causarle preoccupazione, il mare luccicava d'azzurro. "
Ebbene si, signori" pensò senza scomporsi "il mare non è più viola".
Intanto Silvano, il presidente della corale in cui Valentina cantava,
spiegava con fervore agli astanti quanto fosse bello e caratteristico
l'entroterra vicino a Santa Maria di Leuca. Santa Maria di Leuca? Cosa?
Non poteva crederci. " Dove diavolo siamo?" esclamò con voce strozzata
rivolta alla sua vicina di posto. " Silvano l'ha appena detto, non hai
sentito?" le rispose, pacata come al solito. " Ros, Ros ti prego,
aspetta un secondo...ma non saremmo dovuti andare verso nord? Verso le
montagne?". La sua compagna sembrava spazientita. " Sarà la sesta volta
che te lo dico. Qui abbiamo più contatti, l'aria è buona e Silvano e
Pierpaolo hanno deciso così." Valentina si ritrasse da quella risposta
dura, ed abbassò lo sguardo, senza dire nulla. Sentì Rosanna sfiorarle
una spalla con gentilezza, e si costrinse a guardarla di nuovo. "Fai
fatica a ricordarti le cose, vero?" la apostrofò dolcemente. Valentina
non capiva a cosa lei si riferisse. " In che senso, scusa?" "Ti
dimentichi di quel che diciamo molto spesso...e poi...i tuoi
genitori..." Valentina alzò un sopracciglio, dubbiosa. " Genitori?
Io...voglio dire...i miei non so dove siano..." e rimase in silenzio, a
pensare. Dopo qualche secondo riprese, a bassa voce: "Sei sicura che io
abbia mai avuto dei genitori, Ros? Ma che facce avevano?". Alla sua
compagna di viaggio vennero le lacrime agli occhi. Si slanciò verso di
lei e la abbracciò stretta, premendo le guance sui suoi capelli del
colore del fuoco. Valentina si raggomitolò in quelle braccia, e pensò
che era possibile, anzi, probabile che lei avesse avuto dei genitori.
Ma non sapere dove fossero, e non ricordarsi neppure che facce
avessero, quello non suscitava in lei alcuna emozione.
I soprani improvvisarono un mottetto
fresco e brioso, e Valentina guardava la rupe fuori dalla finestra,
tanto vicina da darle l'impressione di poterla toccare. Lasciò vagare
lo sguardo dalla rupe alle colline, al mare, alla valle, alle cittadine
sotto di lei... Già sulla più grandicella aleggiava una densa atmosfera
giallastra... Valentina scattò in piedi con tale velocità da ribaltare
la sedia. " E' già qui!" Urlava, indicando la cittadella. Di nuovo
angoscia, di nuovo terrore. Di nuovo zolfo. Andava avanti così da
troppo tempo. E lei era stanca. Voleva svegliarsi. Voleva andarsene.
Oppure dormire per sempre. Così no. Vivere così no. Quello non lo
voleva affatto. Eppure così era. Quell'aria giallastra era il suo
mondo. Corse insieme agli altri mentre si riversavano fuori dalla
mensa, diretti verso il pullman. Salì su un camioncino che trovò
parcheggiato accanto, un camincino di cui non ricordava la presenza. "
Ma che cavolo..." balbettò, ma una mano decisa la tirò dentro. Quella
mano aveva un tocco inconfondibile. Secco ma avvolgente, protettivo,
sincero. Un paio di braccia forti la avvolsero, ed il profumo dei
capelli di quel ragazzo la rilassò. " Ciao Tia", e chiuse gli occhi,
mentre Giancarla sterzava con vigore per farli allontanare da quel
luogo, anch'esso condannato dalla viscida atmosfera gialla.
Percorsero ad una velocità folle un
tratto di strada affacciato sul dirupo, prima il camioncino, dietro di
loro il pullman, che miracolosamente riusciva a stare loro dietro,
nonostante le curve e le asperità dell'asfalto. Lontano, ben oltre il
dirupo, Valentina vide il mare agitarsi, spazzato da un vento pungente,
incresparsi come impazzito. Un viola metallico, trasparente e scosso da
tempeste di fulmini risaliva dagli abissi verso la superficie.
Osservava tutto questo con gli occhi sbarrati, mentre si sentiva
afferrare i visceri da quel terrore strisciante che ormai era diventato
così familiare. Al largo, un'onda più veloce, più alta delle altre si
avvicinava alla riva, e lei sapeva cosa significasse. Quell'onda
nascondeva l'immenso dorso cangiante di una di quelle creature. Scoprì
le sue mani tremare avvolte in quelle grandi e calde del ragazzo che le
stringeva. " Non c'è altra scelta" sentì pronunciare, a voce bassa,
dalla sua amica al volante. " Dobbiamo scendere. E' l'unica strada". Il
coraggio trasfuso in quelle parole non aiutò Valentina a spegnere il
suo terrore, anzi, lo tinse di un velo di rabbia folle. Loro non
sapevano, loro non li avevano visti, il mare non si era tinto di viola
sotto di loro. Avrebbero dovuto dirigersi a nord fin da subito, e lei
aveva continuato a ripeterlo, ma nessuno l'aveva ascoltata. Sentì le
prime lacrime, le primissime da quel giorno remoto, salire ed
incresparle gli occhi. Ma qualcosa, qualcosa dal bordo della strada
catturò la sua attenzione.
Era un uomo, un giovane uomo che
gridava, le mani tese verso di loro, gli occhi fissi verso la nube
giallastra che dalla cittadina sulla costa saliva rapida verso di loro.
Valentina conosceva quel volto. Sapeva di averlo già visto. D'istinto,
spalancò la portiera del camioncino e si gettò rotolando per vari metri
sull'asfalto della strada. E non sentì alcun dolore, nè suono di ossa
spezzate. Per un attimo, la cosa le parve strana. Ma in quel mondo
giallo e viola, ormai, probabilmente anche quello era normale. Sentì
una brusca frenata dietro di lei, e la voce arrabbiata di Mattia che le
intimava di risalire. " Aspetta!" Gli urlò lei, mentre correva verso
l'uomo sul ciglio della strada. Anche lui parve riconoscerla, perchè
smise di gridare, e quando Valentina lo raggiunse articolò a fatica,
scosso dai singhiozzi: " Mia figlia...dov'è mia figlia?". Era...un suo
collega, ma certo. Si chiamava Ermete ed aveva una figlia...una figlia
di due anni. Sentì il cuore stringersi, diventare trasparente nel
sangue, ma pensò che almeno quella volta doveva controllarsi, mormorò
un freddissimo, sbrigativo " Come faccio a saperlo?", lo afferrò per un
polso e lo trascinò verso il camioncino, mentre sentiva l'aria che si
riempiva di zolfo attorno a loro. Lo fece salire al suo posto, e lei si
arrampicò sul portapacchi fissato al tetto dell'automezzo. Mattia salì
insieme a lei, e si assicurò che la sua presa sul metallo fosse salda.
Stavolta il pullman li precedette, e sfruttando la discesa la loro
velocità aumentò talmente che l'aria sferzante sul volto di Valentina
sembrò per un attimo fresca. Ma non bastò a scacciare l'odore di zolfo
che le entrava nei polmoni ad ogni respiro. In pochi minuti furono
sulla costa, circondati soltanto da silenzio. Sarebbe bastato
attraversare la cittadina, poi sarebbero risaliti verso l'entroterra, e
non si sarebbero avvicinati più al mare.
Valentina si concentrò sul pullman che
sfrecciava davanti a loro, ma uno schiocco metallico proveniente dai
flutti al fianco della carreggiata la fece voltare di scatto. Il suo
cuore mancò un battito, e le sue mani strinsero con forza disperata il
portapacchi del camioncino. Vide quel gigantesco, elettrico dorso
cangiante dirigersi verso di loro, ed il suo passaggio innalzava onde
alte quanto case. Cercò di gridare ma una stretta d'acciaio le avvolse
il petto, e sentì una forza che la sbalzò in mezzo alla strada,
rotolandosi con lei. Non ricordava nemmeno più che il suo corpo avrebbe
dovuto provare dolore. Quando finalmente smise di rotolare, vide la
sagoma del pullman oltrepassare di un soffio l'immensa massa della
creatura abissale, che si schiantò contro la strada, sollevando
altissimi spruzzi attorno a sè, e fu percorsa da un lampo di luce
talmente violento che squarciò il vitreo delle nubi. Sopra di lei, una
porzione di cielo azzurro ed un raggio di sole fecero capolino. Voleva
fermarsi a guardarli, e crogiolarsi in quel calore, ma uno strattone la
costrinse a voltarsi. " Dai, se corriamo possiamo raggiungerli sulla
collina". Mattia le afferrò la mano, e corse, infilandosi in uno
stretto, basso tunnel che dalla costa saliva saliva verso la collina.
Quel passaggio umido di salsedine ed alghe microscopiche rischò di
farla cadere molte volte, ma la stretta del ragazzo che procedeva
davanti a lei era forte, e la sorresse fino a quando non uscirono
nuovamente al sole, correndo attraverso quelli che sembravano antichi
orti abbandonati a se stessi da troppo tempo.
Sciami trasparenti di insetti si
alzavano dal terreno al loro passaggio, inondati da quei raggi di nuova
luce che scendeva dallo squarcio azzurro nel cielo. Valentina,
disgustata, rallentò il passo, ma il ragazzo nuovamente la trascinò con
lui, e correndo salivano lungo il versante della collina, mentre, con
estrema lentezza, le nubi si richiudevano sopra di loro.
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Capitolo 4 *** La pace ***
Liliac- la pace
La Pace
Selva di Valgardena,3 Settembre 2007
Stava poggiata sul fianco del pullman, e
lasciava che la pioggia cadesse copiosa su di lei, sui suoi capelli,
sul viso, sui vestiti. Attorno a lei, il buio della notte era mitigato
dalle luci provenienti da una rustica costruzione dall'altra parte
della strada. Chiuse gli occhi e respirò a fondo.
L'aria profumava di bosco, di abeti e
larici, di muschio e di erba falciata nei prati. Profumava di pioggia,
ma non di pioggia qualsiasi. Di pioggia di montagna. Il suo corpo si
beava di quegli odori, si crogiolava in quell'aria frizzante, pura.
Aveva freddo, ma era di quel freddo che voleva far parte. Avrebbe
voluto sparire, fondersi con tutte quelle sensazioni che per troppo
tempo aveva dimenticato.
Ogni tanto, un lampo illuminava i
contorni boscosi delle alte, scoscese colline davanti a lei, e
delineava la sagoma della montagna che dominava sulla valle, solitaria
e dritta come un torrione. Non era l'unica ad essere incantata dallo
spettacolo. Alcuni dal pullman, altri sotto il temporale, come lei,
tutti i suoi compagni di viaggio tacevano e respiravano. I loro cuori
battevano piano, finalmente calmi.
Valentina guardava il buio avvolgere le
montagne, e capì che mai e poi mai quella nube gialla e sulfurea
sarebbe arrivata fin lì. Gli alberi, le valli, la pioggia troppo pura
l'avrebbero uccisa, l'avrebbero dissolta.
La figura di un uomo uscì dalla baita e
si diresse verso di loro. Era Silvano, il presidente della corale.
Sorrise ed indicò le invitanti, tenui luci all'interno della
costruzione. " Entrate, c'è posto" disse con la sua voce profonda. Ed
essi varcarono la soglia, e con loro la pace.
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