Il drago scarlatto (prov)

di Darko
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Drago ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
Prologo


Il gigantesco celta dai capelli gialli che dormiva sopra di me russava talmente forte da destarsi di tanto in tanto, gorgogliando e sputacchiando nel tentativo di non soffocarsi con la propria saliva. Tuttavia mi permetteva di non perdermi nelle mie continue elucubrazioni; anzi mi aiutava a continuare ad avere una migliore percezione di ciò che mi circondava: il letto era uno scempio, un semplice pagliericcio pieno di sterco di topi che ripugnerebbe persino un vagabondo di Alessandria. Il celta dormiva in un enorme incavo del muro, perché secondo quanto affermava lì stava più al fresco. Infatti dormiva direttamente sull’intonaco, fradicio per le infiltrazioni di umidità; la sua corazza, una lorica di cuoio duro che segue la forma dei suoi muscoli,giaceva con lui. Era poco estetica ma molto pratica, leggera e funzionale ma non troppo efficace in difesa. Come arma aveva scelto un lungo tridente, con manico munito di una correggia di cuoio molto ruvida per evitare di perdere la presa. Al posto dello scudo aveva preferito una rete di corda spessa, simile a quella dei pescatori, con dei pesi all’estremità, per catturare l’avversario. Niente in più a parte i suoi gambali di cuoio e il suo unico copri braccio destro in metallo sbalzato. La forza di quel colosso era incredibile, veramente impressionante, e la usava appieno in combattimento. L’unico che ho mai visto tenergli testa era quel mauro alto tre piedi buoni che dormiva là, alla mia destra, con la schiena appoggiata al muro e un orcio di vino acido rovesciato, naturalmente vuoto. E quei due mangiavano come dei tori per di più!
Il mauro invece aveva in dotazione un classico gladius e uno scudo rotondo, leggero, di legno, rinforzato con cuoio e borchie di ferro. La sua corazza consisteva solamente in una lunga maglia ad anelli fitti, corredata da un elmetto di cuoio. Non abbastanza.
Continuavo a guardare i due gladiatori assopiti e mi ci volle un po’ per tornare alla realtà, in quello scantinato puzzolente, umido e freddo, pieno di barili vuoti, topi e immondizia.
Lo scudo metallico, pregevole di fattura e decorato magistralmente, era molto solido e ci ero parecchio affezionato, forse perché mi ha salvato la pelle parecchie volte; la corazza, una lorica a scaglie di metallo temprato, riprendeva le decorazioni dello scudo perché li acquistai entrambi da un mercante franco undici anni or sono, insieme a un elmo dello stesso metallo, tondeggiante sulla nuca, con un’aletta alla base del collo posteriore e un fascione del tutto simile a quello in dotazione ai legionari a coprire la fronte. La spada invece, lunga più di un normale gladius, foderata in una custodia di cuoio durissimo nero, come mai ne ho visto ad altri, giaceva al mio fianco; era un regalo di un caro vecchio amico, che mi fu anche maestro d’armi. Me ne fece dono quando l’imperatore Claudio in persona lo liberò dal giogo di schiavo donandogli il tradizionale gladius ligneum, che rappresentava la libertà per un gladiatore. Mi disse sorridendo che aveva una nuova spada, e che quella ormai non gli serviva più, quindi decise di donarmela.
Non riuscivo a dormire, era impossibile. Mi alzai e cercai di distendere un po’ i muscoli stiracchiandomi. Per il momento funzionò. Con passo strascicato mi avviai al bacile d’acqua e la luce dell’alba mi permise di vedere il mio volto dopo tanto tempo.
Il passare del tempo non aveva agito così decisamente sulla mia figura, anche se la barba non era ovviamente curata. I capelli, leggermente mossi erano neri corvini, così neri da avere i riflessi blu. Il mio volto è affusolato ma forte, con zigomi decisi e mascella proporzionata, i denti stranamente bianchi e labbra disegnate; gli occhi infine verde smeraldo, brillanti.
Mi chiamano Drago e sono un gladiatore.

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Capitolo 2
*** Drago ***


1.Drago
1.
Drago


345 d. C. poco fuori Roma
Ormai che mi ero levato dal letto non avevo nessuna intenzione di stendermi di nuovo così decisi di fare due passi nel cortile delle bestie. Normalmente noi gladiatori non godiamo di simili libertà ma il nostro padrone cerca in tutti i modi di alleviarci il giogo della schiavitù; credo ci tratti bene dal momento che siamo i migliori! Una tigre bianca sonnecchiava rombante davanti a me, mi ero seduto ad ammirarla. Una creatura spaventosa e magnifica, le sue zampate potevano piegare in due un uomo e i suoi artigli lacerarlo facilmente; le sue zanne poi riducevano a brandelli qualsiasi cosa vi passasse sotto. I custodi mi raccontarono che il padrone l’aveva trovata ad un mercato in Persia e che proveniva dalle lande ghiacciate del nord, molto oltre la Germania, dove il suo manto le serviva per nascondersi alle sue prede. Non avevo mai visto una bestia più bella, e più feroce. Mi alzai e feci due passi avvicinandomi alle sbarre della gabbia; la tigre aprì gli occhi e alzò l’enorme muso, annusando l’aria spostata dai miei calzari. Frustò il terreno con la coda innervosita dalla mia vicinanza. Feci un altro passo, andando vicinissimo alla gabbia. La tigre si alzò minacciosa e cominciò a trottare in cerchio, saltellando sulle zampe anteriori, emettendo ruggiti sommessi. I suoi occhi azzurro ghiaccio mi penetravano in segno di aperta sfida ma non avevo nessuna intenzione di cedere. Feci un altro passo, arrivando a sfiorare le sbarre con il corpo. Se avesse voluto colpirmi con i suoi artigli affilati avrebbe potuto farlo. Continuai a fissarla negli occhi e a quel punto, dopo aver disteso il muso apri le fauci mostrandomi le zanne, ruggendo. Poi levò una zampa ma non mi colpì, si limitò a minacciarmi. La cosa più stupida da fare con una tigre innervosita dalla tua presenza è dargli la possibilità di attaccarti.
Tesi il braccio, la mano stesa e il palmo aperto, tra le sbarre e lo avvicinai al muso della tigre, che reagì male cercando di staccarmelo; riprovai più deciso e la tigre tentennò mentre continuavo a fissarla negli occhi, poi chiuse la bocca in un ghigno feroce, arretrando. Infine si riavvicinò alle sbarre circospetta e mi annusò il braccio, poi la mano, e poi le dite stese; in quel momento non ebbi un minimo fremito di terrore, sole eccitazione per quella bestia meravigliosa. La tigre smise di annusarmi e chinò la testa, chiudendo gli occhi. A quel punto mossi il braccio verso la testona reclinata della tigre, e con un momento lieve e deciso vi posai il palmo; dopo qualche attimo di quell’assurdo sprezzo del pericolo ritrassi la mano e feci un passo indietro mentre la tigre si voltò ruggendo avvertendo una presenza estranea.
- Drago, tu sei pazzo –
- La chiamano mangiatrice di uomini sai? –
- Beh siamo in due ora. Evidentemente non ha appetito –
Mi girai e vidi l’uomo con cui stavo parlando: era leggermente più basso di me ed esibiva dei fluenti capelli neri, il suo viso era pulito, eccezion fatta per una macchia di barba sul mento. Aveva una tunica lisa e sudicia che sarebbe dovuta essere tinta di un arancio sbiadito e aveva dei comuni calzari. A dispetto dell’aspetto trasandato aveva muscoli forti e fisico tonico; presentava alcune cicatrici.
- Chi sei? Non ti ho mai visto –
- Non sono un tipo socievole, e inoltre sono arrivato da poco –
- Ma già conosci il mio nome! –
- Beh parlano tutti di te qui! Non è difficile nemmeno riconoscerti –
- E come fai a dirlo? –
- Perché Drago non è solo un soprannome, per te –
Le ultime parole mi sbalordirono e alzai gli occhi sgranati sul nuovo arrivato. Ma la sua era una maschera impenetrabile e non ne ricavai alcun indizio. Si limitava a guardarmi, con un misto di sprezzo e complicità.
- E sei molto più giovane di quanto mi aspettassi –
Detto questo se ne andò verso i giacigli e sparì nella foschia della notte.
Possibile? No, era incredibile! Quell’affermazione avrebbe potuto avere mille significati erroneamente interpretabili, sicuramente si riferiva al mio modo di combattere. Eppure quel tizio spuntato dal nulla dimostrava di sapere molte più cose su di me di quanto si aspettasse di farmi credere. L’unico, l’unico in questi anni passati a Roma che ha aperto seppure un flebile collegamento tra la mia realtà e il mio passato; l’unico che è riuscito a intravedere la possibilità di creare una crepa in un muro solidissimo. Il passato tornò ad opprimermi con il suo fardello devastante, portando con sé responsabilità, colpe, oneri e doveri.
Cercai di scacciare i pensieri camminando avanti e indietro nel cortile, ma dopo qualche minuto mi accorsi che il moto sussultorio delle mie spalle non faceva che innervosirmi e rendere i miei pensieri ancora più complessi, fino a quel momento la mia sola preoccupazione era stata quella di uscire vivo dal prossimo incontro, e ci ero riuscito piuttosto bene da qualche anno. Ma ora si spalancava nuovamente la voragine che mi ero portato dentro e che ero riuscito a sopprimere solamente con il sangue dei miei avversari, il sudore, la sabbia dell’arena e le urla eccitate del pubblico in delirio; tutto inutile.
Tornai al bacile d’acqua e tuffai la testa nello specchio gelido nella speranza di controllare le emozioni galoppanti, poi tornai nel pagliericcio dando un’ultima occhiata ai miei compagni assopiti e senza preoccupazioni. Afferrai l’anfora del vino e la scolai, era pessimo ma ci voleva.
Nell’inutile tentativo di dormire rotolai tutta la notte continuando a dirmi che quella frase avrebbe potuto significare mille altre cose, ma una volta addormentato non feci che sognare un drago, che spalancava le fauci e vomitava fiumi incandescenti.

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